Affermare e negare nella storia dell'italiano 9788862277921, 9788862277938

Sono numerosissime le modalità linguistiche di cui ci si è avvalsi, nella storia dell'italiano, per esprimere un co

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Affermare e negare nella storia dell'italiano
 9788862277921, 9788862277938

Table of contents :
SOMMARIO
1. Introduzione
2. Assolutamente
3. Affatto
4. Appunto
5. Infatti
6. Mai
7. Mica
8. Già
9. Altri avverbi AFF / NEG negli scrittori contemporanei
10. Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice delle forme e degli argomenti

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I TA L IA NA p e r la s t or ia de l l a l ing ua s cri tta i n i tali a colla na dir e tta da luca serianni * 9.

AFFER MA R E E N E G AR E N E L L A ST OR I A DE L L ’I TAL I ANO MARIA SILVIA RATI

P I SA · ROMA F ABRIZIO SERRA E D I T O RE MMXV

A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included oπprints, etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2015 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net U√ci di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] U√ci di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] Stampato in Italia · Printed in Italy i s s n 18 28 -68 97 i s bn 978 -8 8 -6227-792-1 e-i s bn 978 -8 8 -6227-793-8

a emiliano

SO MMARIO i. Introduzione 1. 1. Premessa 1. 2. Gli avverbi AFF / NEG nelle grammatiche tra Cinquecento e Ottocento 1. 3. Gli avverbi AFF / NEG nelle grammatiche di oggi 1. 4. Fuori di grammatica 1. 5. Gli avverbi AFF / NEG e l’ordine delle parole 1. 6. I corpora 2. Assolutamente 2. 1. Assolutamente nell’italiano contemporaneo 2. 1. 1. Nella prosa letteraria 2. 1. 2. Nella prosa giornalistica 2. 1. 3. Ordine delle parole 2. 2. Considerazioni diacroniche 2. 2. 1. Assolutamente modificatore di un singolo costituente frasale 2. 2. 2. Assolutamente modificatore del predicato 2. 2. 3. Ordine delle parole 2. 3. Tra aπermazione e negazione: l’uso olofrastico 2. 4. Conclusioni su assolutamente 3. Affatto 3. 1. Aπatto nell’italiano contemporaneo 3. 2. L’atteggiamento da parte della norma 3. 3. A√nità con assolutamente e punto 3. 4. Considerazioni diacroniche 3. 5. Ordine delle parole 3. 6. Conclusioni su aπatto 4. Appunto 4. 1. Appunto come raπorzativo di un costituente frasale 4. 2. Appunto come connettivo testuale 4. 3. Appunto come avverbio olofrastico 4. 4. Ordine delle parole 4. 4. 1. All’interno di un sintagma 4. 4. 2. All’interno della frase 4. 5. Altri valori di appunto nell’italiano contemporaneo 4. 5. 1. Nella prosa letteraria 4. 5. 2. Nella prosa giornalistica 4. 6. Per l’appunto 4. 7. Giustappunto 4. 8. Conclusioni su appunto 5. Infatti 5. 1. Infatti nell’italiano contemporaneo 5. 1. 1. Nella prosa letteraria

11 11 13 18 22 23 25 26 27 27 28 30 32 33 36 36 39 40 41 41 45 46 47 54 57 59 61 62 63 64 64 66 67 67 68 69 70 71 72 73 73

10

sommario

5. 1. 2. Nella prosa giornalistica 5. 2. Considerazioni diacroniche 5. 3. Conclusioni su infatti 6. Mai 6. 1. Mai nell’italiano contemporaneo 6. 1. 1. Nella prosa letteraria 6. 1. 1. 1. Ordine delle parole 6. 1. 2. Nella prosa giornalistica 6. 1. 2. 1. Ordine delle parole 6. 2. Considerazioni diacroniche 6. 2. 1. Dalle Origini al Trecento 6. 2. 2. Dal Quattrocento al 1525 6. 2. 3. Dal 1525 all’età moderna 6. 2. 4. Ordine delle parole 6. 3. Conclusioni su mai 7. Mica 7. 1. Nella prosa letteraria 7. 2 Nella prosa giornalistica 7. 3. Considerazioni diacroniche 7. 3. 1. Ordine delle parole 7. 4. Conclusioni su mica 8. Già 8. 1. Nella prosa letteraria 8. 2. Nella prosa giornalistica 8. 3. Considerazioni diacroniche 8. 4. Ordine delle parole 8. 4. 1. Come avverbio di tempo 8. 4. 2. Come avverbio AFF / NEG 8. 5. Conclusioni su già 9. Altri avverbi AFF / NEG negli scrittori contemporanei 9. 1. Usi olofrastici 9. 1. 1. Certo 9. 1. 2. Certamente 9. 1. 3. Sicuro 9. 1. 4. Sicuramente 9. 1. 5. Bene 9. 1. 6. Perfetto 9. 1. 7. Ottimo 9. 1. 8. Esatto 9. 1. 9. Esattamente 9. 2. Il declino di punto 10. Conclusioni Bibliografia Indice dei nomi Indice delle forme e degli argomenti

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1. I ntro duzio ne * 1. 1. Premessa

C

i han cento modi per aπermare e negare, né occorre raccoglier qui tutte le espressioni che a tale u√cio possono servire». 1 Questa la puntualizzazione inserita da un grammatico dell’Ottocento in merito al «vario uso degli avverbi di aπermazione e negazione». 2 Sono in eπetti numerosissime le modalità linguistiche di cui ci si è avvalsi, nella storia dell’italiano, per esprimere un concetto in modo aπermativo o negativo: anche se ci si ferma alle sole unità lessicali specializzate in questa funzione – dunque a prescindere dai procedimenti grammaticali a cui è legata l’espressione dell’aπermazione e della negazione –, le forme che grammatiche e dizionari menzionano dal Cinquecento a oggi sono realmente un centinaio (cfr. 1. 2 e 1. 3). Nel presente volume si cercherà di tracciare un quadro complessivo della distribuzione di queste forme in diacronia e in sincronia, concentrando l’attenzione soprattutto su quelle che appaiono a vario titolo più interessanti (cfr. 2. Assolutamente, 3. Aπatto, 4. Appunto, 5. Infatti, 6. Mai, 7. Mica, 8. Già). Verranno osservati le loro caratteristiche semantiche e il loro comportamento sintattico, con particolare riguardo alla posizione all’interno della frase. In 9 si tratterà in modo più sintetico di altri moduli aπermativi e negativi. Dal punto di vista della categoria grammaticale, questi elementi lessicali rientrano quasi sempre nella classe degli avverbi; ad alcuni (come infatti) le grammatiche attribuiscono l’etichetta di congiunzione, ma va tenuto presente – oltre al fatto che i confini fra la categoria di avverbio e quella di congiunzione sono sfumati – 3 che parole come infatti si comportano in tutto

«







*   Desidero ringraziare il mio maestro Luca Serianni, che ha seguito tutte le fasi di questa ricerca. 1

  Caleffi 1823: 320.   La disponibilità, in italiano, di un ampio ventaglio di soluzioni linguistiche per esprimere l’aπermazione e la negazione è sottolineata anche in altre trattazioni grammaticali. Per esempio Trabalza e Allodoli parlano di «una singolare varietà d’espressioni e di costrutti, specie nell’interrogare e nel rispondere» (Trabalza-Allodoli 1955: 24). 3   Già i grammatici del passato facevano spesso riferimento alle intersezioni fra le categorie di avverbio, preposizione, congiunzione (per esempio, Moise 1857: 591-592 avverte che l’avverbio «fa molte volte l’oficio di congiunzione») e, nella prassi, queste tre categorie non erano sempre utilizzate con coerenza: così Trissino 1529 e San Martino 1555 contemplavano la categoria di «avverbi di aπermazione» ma parlavano di «congiunzioni approbative» a proposito di ben, ben bene, ben sai, veramente, certo, così; in una grammatica ottocentesca ben sai era invece classificato fra le «congiunzioni dichiarative» (Vanzon 1828). Oggi i linguisti sono consapevoli che «quella degli avverbi è sicuramente la più eterogenea delle categorie lessicali» (Vanelli 2010: 62) e che, in generale, sulla classificazione tradizionale delle parti del discorso – che è ancor oggi la più utilizzata dalle grammatiche – «qualcosa da eccepire 2

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maria silvia rati

e per tutto come avverbi quando sono adoperate come formule di risposta. A proposito delle formule di risposta aπermative e negative, con riferimento ad esse si userà la denominazione di profrasi 1 oppure – sull’esempio di Serianni 2014b – quella di avverbi olofrastici, 2 nonostante che altri preferiscano attribuire entrambe le denominazioni ai soli sì e no, 3 servendosi, per i loro sostituti, di perifrasi: Schwarze, per esempio, parla di «espressioni indipendenti non frasali». 4 Per quanto riguarda le motivazioni che sono alla base di questa indagine, alla volontà di documentare aspetti della grammatica che finora non sono stati indagati con l’ausilio degli archivi elettronici 5 si aggiunge l’intento di ricostruire la storia di avverbi il cui uso è spesso oggetto di dibattiti e di censure grammaticali. La valutazione negativa che talora anche il parlante comune attribuisce a certe forme è determinata in alcuni casi dall’uso troppo insistente che se ne fa (si pensi ad assolutamente sì o, in anni recentissimi, all’espressione ma anche no). Più ancora, il fatto che le espressioni usate per aπermare e negare 6 siano spesso al centro delle discussioni linguistiche è legato alla loro tendenza a oscillare tra i due poli opposti dell’aπermazione e della negazione: meccanismi analoghi a quello notato da Serianni in diacronia nel caso di altroché (divenuto formula di aπermazione enfatica a partire da un  











ci sarebbe» (Serianni 2014c: 17). Un esempio delle incongruenze a cui porta l’uso delle categorie tradizionali è, a nostro avviso, il modo in cui normalmente viene classificato appunto: nonostante che si tratti – allo stesso modo di infatti – di un connettivo argomentativo (cfr. 4), nelle grammatiche e nei dizionari lo si trova catalogato come avverbio, mentre infatti è considerato una congiunzione. 1

  Cfr. Bernini 1990 e 1995; Patota 2002.   La categoria di “avverbio olofrastico” (su cui cfr. Serianni 1988: xii 52) è già utilizzata nella grammatica di Morandi-Cappuccini, che la illustra così: «[sì e no] non si riferiscono mai a una parola sola, ma sempre a tutta intera una proposizione, e ne racchiudono un’altra […] Vanno dunque considerati come parole olofrastiche, cioè sempre equivalenti a un’intera frase; e perciò, a rigor di termini, non son più classificabili sotto nessuna delle parti del discorso» (Morandi-Cappuccini 1894: 230). 3   Per riferirsi ad avverbi diversi da sì e no usati da soli come risposta aπermativa o negativa, Bernini 1995 parla di «quasi-profrasi», ritenendo che questi elementi condividano «parte delle caratteristiche delle profrasi, ma […] non possono essere considerati profrasi a pieno titolo» (176). Rispetto al termine «profrase», «olofrastico» si trova più spesso riferito anche ad avverbi diversi da sì e no: oltre al già citato Serianni 2014b, cfr. ManzottiRigamonti 1991 (246-247) per quanto riguarda aπatto e per niente; Sensini 2012 (448) per 4 quanto riguarda mai.   Schwarze 2009: 251. 5   In particolare nel caso dell’indagine diacronica, l’obiettivo è quello di fornire un ulteriore tassello agli studi sull’evoluzione delle strutture morfosintattiche dell’italiano (Palermo 1997, Patota 2005 e 2007, Telve 2005 ecc.). Come aπerma Patota, «l’evoluzione postrecentesca di molti tratti morfo- e microsintattici […] suggerisce d’indagare altri fenomeni, interrogando i nuovi corpora a nostra disposizione […], così da poter verificare definitivamente se la continuità dell’italiano con sé stesso nel corso dei secoli non sia da ridimensionare 6 fortemente» (Patota 2007: 16).   D’ora in poi «AFF / NEG». 2

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introduzione 1

originario significato negativo) si possono osservare anche per altri avverbi, alcuni dei quali (come assolutamente e aπatto) slittano fra i due valori anche a livello sincronico, «per cui si possono creare delle ambiguità». 2  



1. 2. Gli avverbi AFF / NEG nelle grammatiche tra Cinquecento e Ottocento Per suddividere gli avverbi dal punto di vista della «significazione» le grammatiche si avvalevano – e si avvalgono per la maggior parte ancora oggi – delle categorie ereditate dalla tradizione latina (avverbi di luogo, di tempo, di quantità, di qualità ecc.), 3 tra le quali è compresa anche quella degli avverbi AFF / NEG. 4 In essa rientrano sia forme per cui è possibile l’impiego olofrastico (certo, sicuramente ecc.), sia forme che si accompagnano sempre ad altri elementi della frase (in verità, per dire il vero ecc.). A volte i grammatici specificano che un avverbio può essere usato come sostituto di sì o di no: così, per esempio, Rogacci a proposito di bene: «per sì ancora, in risposta di assenso, a chi interroghi, se si vuol fare una cosa: exempli gratia Bene, cioè sì, lo farò» (Rogacci 1720: 272). Di séguito si riportano i risultati dello spoglio delle 81 trattazioni grammaticali (stampate fra il xvi e il xix sec.) consultabili all’indirizzo Internet www.bdcrusca.it. Sono 32 i grammatici che menzionano gli avverbi  



1

  Non tutti gli scambi fra senso aπermativo e negativo hanno, ovviamente, la stessa origine: il caso di altroché è ricondotto da Serianni a una motivazione di ordine pragmatico: «per raπorzare un’aπermazione, la presentiamo come se dovesse smentire un’asserzione contraria, puramente virtuale»; casi analoghi sono quelli di come no?, del demarcativo no? e dell’«apparentemente ossimorico» sì no (Serianni 2014b: 98). Inversamente, un meccanismo definito spesso dai dizionari come «ironico» o «antifrastico» può portare le forme AFF (come emergerà ampiamente dal presente volume) ad assumere un valore negativo. Per altri avverbi, come si vedrà, l’ambiguità fra senso aπermativo e negativo nasce soprattutto da meccanismi di tipo sintattico, ossia dalla tendenza a omettere la negazione, un fenomeno variamente presente nella storia dell’italiano e oggi irradiato soprattutto dalle varietà settentrionali. 2   È quanto osserva Bernini 1995 a proposito di assolutamente, che «può essere usato sia come replica di accordo che di disaccordo» (220). Nella grammatica scolastica di SerianniDella Valle-Patota-Schiannini 2011 si trova una scheda su aπatto e assolutamente, in cui si aπerma che oggi, mentre l’uso di aπatto continua a essere ambiguo, quello di assolutamente «avanza nelle risposte positive», mostrandosi in regresso «nelle risposte negative»; in realtà, come si vedrà più oltre (cfr. 2) e come osserva Patota 2006 (227), ancora oggi la presenza di assolutamente nei contesti negativi è tutt’altro che infrequente. 3   «Hanno i grammatici latini, e anco i greci assegnate molte diπerenze a gli avverbij loro, dividendoli in alcune schiere, di negare, d’aπermare, d’esortare, di tempo, di luogo, di numero, e d’altre sì fatte» (Ruscelli 1581: 346). 4   Mentre la maggior parte delle trattazioni adotta questa suddivisione, in Giambullari 1552 è presente un’ulteriore distinzione fra avverbi aπermativi (certo, veramente, da vero, gnaπe, sì) e «confermativi delle risposte» (bene sì, così, certo); Romani 1826 distingue tra «aπermazione» (sì) e «certezza» (per certo, è verissimo): «il modo di certezza si avvicina a quello di aπermazione, che n’è l’eπetto» (345). Rogacci 1720 parla di avverbi «di contrarietà», anziché di negazione.

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maria silvia rati

AFF / NEG, o una sola delle due categorie. 1 Ecco la lista delle forme citate: 2  



Con valore AFF: 18 occorrenze: certo (Trissino, Corso, Dolce, Giambullari, San Martino, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Soave, Vanzon, Ponza, Dagnini, Adone, Moise, Borgogno, Collodi, Piazza). 16: certamente (Corso, Dolce, San Martino, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Soave, Ponza, Cauro, Dagnini, Adone, Moise, Collodi, Morandi-Cappuccini, Piazza). 11: appunto (Erico, Soave, Vanzon, Puoti, Ponza, Paria, Trenta, Moise, Borgogno, Collodi, 3 Piazza); di certo (Corso, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Soave, Vanzon, Ponza, Dagnini, Borgogno, Collodi); per certo (Corso, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Soave, Romani, Vanzon, Ponza, Cauro, Dagnini); sì bene (Pergamini, Buommattei, Lampugnani, Erico, Corticelli, Paria, Tedeschi Paternò Castello, Puoti, Cauro, Trenta, Moise); veramente (Trissino, Corso, Dolce, Giambullari, San Martino, Pergamini, Lampugnani, Erico, Soave, Ponza, Adone). 10: invero / in vero / nel vero (Corso, Dolce, San Martino, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Soave, Vanzon, Ponza). 9: in verità (Trissino, Corso, Dolce, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Soave, Borgogno). 7: ben sai (Trissino, Pergamini, Buommattei, Lampugnani, Paria, Puoti, Trenta); per fermo (Corso, Dolce, San Martino, Pergamini, Lampugnani, Rogacci, Borgogno); volentieri (Corticelli, Paria, Tedeschi Paternò Castello, Puoti, Cauro, Trenta, Piazza). 6: ben(e) (Trissino, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Corticelli); di vero / divero (Dolce, Pergamini, Lampugnani, Erico, Rogacci, Ponza); mai sì / maisì (Pergamini, Lampugnani, Erico, Paria, Puoti, Moise).  

1   Si tratta di Trissino 1529, Corso 1549, Dolce 1550, Giambullari 1552, San Martino 1555, Pergamini 1613, Buommattei 1643, Lampugnani 1652, Mambelli 1657, Erico 1674, Rogacci 1720, Corticelli 1745, Soresi 1756, Soave 1818, Romani 1826, Azzocchi 1828, Vanzon 1828, Ponza 1829, Caleffi 1832, Paria 1844, Tedeschi Paternò Castello 1846, Puoti 1847, Cauro 1849, Dagnini 1857, Adone 1859, Trenta 1864, Moise 1867, Borgogno 1875, Collodi 1883, Morandi-Cappuccini 1894, Piazza 1897, Mastelloni 1898. Le trattazioni utili ai nostri fini sono soltanto 32 su 81 per due principali motivi: innanzitutto, nei casi di più grammatiche appartenenti allo stesso autore, ne è stata presa in considerazione soltanto una; in secondo luogo, in diverse opere mancano eπettivamente riferimenti agli avverbi AFF / NEG: non tutti gli autori, infatti, si soπermano in modo analitico su ciascuna parte del discorso; alcuni concentrano l’attenzione solo su usi particolari ed errori. Per esempio Soresi 1756, preliminarmente alla trattazione dell’avverbio, avverte: «toccherò soltanto d’alcuni avverbj, circa i quali più sovente si prende abbaglio» (59). 2   Si tralasciano qui sì, no e non, dando per inteso che sono presenti in tutte le trattazioni che si soπermano sugli avverbi AFF / NEG. Non si riporteranno neanche le occorrenze di né (che parecchi grammatici includono tra gli avverbi NEG), trattandosi semplicemente di un’alternativa sintattica a non; per lo stesso motivo saranno considerate come un’unica voce coppie come non mica / né mica. 3   Collodi riporta un exemplum fictum nel quale il valore di appunto sembra più vicino a quello di connettivo che a quello di avverbio di aπermazione: io domando appunto il vostro parere, perché non voglio pregiudicarmi (Collodi 1883: 100).

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introduzione

5: sicuramente (Soave, Ponza, Adone, Borgogno, Morandi-Cappuccini). 4: dav(v)ero / da dovero (Giambullari, Erico, Rogacci, Borgogno); infatti (Soave, Vanzon, Ponza, Borgogno); perché no? (Buommattei, Paria, Puoti, Borgogno); sì certo (Erico, Paria, Puoti, Trenta). 3: di buona voglia (Buommattei, Paria, Puoti); dif(f)atti (Soave, Vanzon, Ponza); infallibilmente (Erico, Soave, Ponza); senza fallo (Erico, Rogacci, Soave); senza dubbio (Erico, Soave, Borgogno). 2: a fé / aπé (Rogacci, Soave); così sta (Paria, Puoti); fermamente (Rogacci, Ponza); francamente (Soave, Borgogno); in fede mia (Soave, Borgogno); indubbiamente (Ponza, Piazza); indubitatamente (Rogacci, Soave); messersì (Pergamini, Lampugnani); per l’appunto (Soave, Vanzon); per verità (Rogacci, Soave); per vero dire / per dire il vero (Dolce, Borgogno); precisamente (Soave, Collodi); propriamente (Soave, Ponza); sì veramente (Azzocchi, Cauro). Una sola occorrenza: aπatto (Erico); al certo (Erico); al fermo (Erico); al sicuro (Erico); al tutto (Erico); anzi che no (Corso); assolutamente (Soave); bene sì (Giambullari); buono (Erico); certo che sì (Dagnini); chiaro (Erico); così (Giambullari); così sta bene (Trenta); credo di sì (Erico); da buon senno (Soave); da senno (Soave); da uomo onesto (Soave); del tutto (Erico); di bel patto (Azzocchi); di sicuro (Soave); dico ben (Erico); dico di sì (Erico); è verissimo (Romani); eπettivamente (Ponza); già (Piazza); gnaπe (Giambullari); in buona fé (Rogacci); infallantemente (Soave); ma sì (Trenta); per mia fé (Soave); questo sì (Erico); senz’alcun fallo (Rogacci); senz’altro (Erico); senza meno (Soave); sì davero (Erico); sì padrone (Erico); si sa bene (Lampugnani); sì, sì (San Martino); sicuro (Erico); signorsì (Erico); sissignore (Morandi-Cappuccini); so (Romani); stimo di sì (Erico); tengo per fermo (Romani); totalmente (Erico). Con valore NEG: 14 occorrenze: (non) mica (Corso, Dolce, San Martino, Lampugnani, Rogacci, Soresi, Azzocchi, Vanzon, Puoti, Ponza, Paria, Dagnini, Trenta, Borgogno). 1 11: niente (Corso, San Martino, Pergamini, Buommattei, Lampugnani, Erico, Soave, Vanzon, Cauro, Borgogno, Mastelloni); niente aπatto (Cale√, Soave, Vanzon, Ponza, Paria, Puoti, Cauro, Dagnini, Adone, Trenta, Moise); non già (Dolce, Buommattei, Erico, Rogacci, Corticelli, Ponza, Paria, Tedeschi Paternò Castello, Puoti, Trenta, Moise); non mai (Buommattei, Erico, Corticelli, Azzocchi, Ponza, Paria, Tedeschi Paternò Castello, Puoti, Cauro, Dagnini, Adone); per nulla (Buommattei, Erico, Corticelli, Soave, Ponza, Paria, Tedeschi Paternò Castello, Puoti, Trenta, Borgogno, Moise). 10: nulla (Corso, Giambullari, Pergamini, Buommattei, Lampugnani, Erico, Soave, Vanzon, Cauro, Mastelloni); (non) punto (San Martino, Erico, Soave, Azzocchi, 2 Vanzon, Ponza, Dagnini, Adone, Borgogno, Piazza).  



1

  Alcuni grammatici assegnano a mica, piuttosto che una funzione raπorzativa della negazione, un ruolo di puro riempitivo: Soresi 1756 lo annovera tra «gli avverbj, che si pongono nel discorso, senza che operin nulla, ma per mero ornamento, e chiamansi in tal caso particelle esornative, o riempitive» (61). Anche per Azzocchi mica è una «particella riempitiva, che si adopera per vezzo» (Azzocchi 1828: 51). La designazione di «particella» è rimasta ancora oggi: in alcune grammatiche, infatti, si parla di «particella completiva della negazione» (cfr. Serianni 1988: xii 54). 2   Che cita punto per avvertire che può avere anche il significato di ‘alcun poco’ (Azzocchi 1828: 52).

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maria silvia rati

9: per niente (Giambullari, Erico, Soave, Vanzon, Ponza, Paria, Puoti, Trenta, Borgogno). 7: né pure / neppure (Rogacci, Paria, Puoti, Dagnini, Trenta, Collodi, Piazza). 5: né manco (Rogacci, Paria, Puoti, Dagnini, Trenta). 4: in niuna guisa (Rogacci, Paria, Puoti, Trenta); mai (Mambelli, Erico, Collodi, Mastelloni); mai no (Paria, Puoti, Trenta, Borgogno); per niun modo (Rogacci, Paria, Puoti, Trenta). 3: in niun modo (Paria, Puoti, Cauro); né anche / neanche (Dagnini, Collodi, Piazza); né meno / nemmeno (Rogacci, Dagnini, Piazza). 2: in nessun modo (Erico, Moise); né tampoco (Paria, Puoti); nossignore (Morandi-Cappuccini, Piazza). Una sola occorrenza: credo di no (Erico); dico di no (Erico); dubito di no (Erico); il perché non si sa (Erico); il perché non so (Erico); in modo alcuno (Cale√); in veruna maniera (Erico); mi perdoni (Erico); né mai (Dagnini); niuno (Buommattei); nol so (Erico); non aπatto (Dagnini); non è vero (Erico); non giamai (Erico); non ghiozzo (Erico); non guari (Erico); non lo so (Erico); non niente (Erico); non nulla (Erico); non può essere (Erico); nulla aπatto (Dagnini); per niuna guisa (Rogacci); questo no (Erico); signor no (Erico); tu menti per la gola (Erico); V. S. mi scusi (Erico); V. S. si disinganni (Erico).

La lista più nutrita di avverbi AFF / NEG si trova nella grammatica secentesca di Erico, dove sono riportate ben 70 voci. Tra di esse sono compresi non solo elementi lessicali, ma anche intere frasi (come questo sì, dico di sì, mi perdoni, non può essere, tu menti per la gola, V. S. si disinganni); l’elenco, inoltre, include formule connotate dal punto di vista diafasico – che le grammatiche registrano raramente –, come sì padrone, signorsì e signor no. 1 La varietà degli avverbi AFF riportati dalle grammatiche è nel complesso maggiore di quella degli avverbi NEG. In alcune opere (per esempio Trissino 1529) sono citati come avverbi NEG i soli no e non. Soave, dopo aver elencato gli avverbi AFF, asserisce che «per la negazione assoluta servono gli avverbj medesimi, ove il verbo sia accompagnato dal non. Essa però ne ha inoltre alcuni suoi proprj e particolari» (Soave 1818: 131-32). Per quanto si faccia riferimento anche all’esistenza di avverbi che servono specificamente a negare, gli avverbi NEG sono qui identificati prima di tutto con avverbi AFF che assumono il significato opposto mediante l’aggiunta di una negazione. Le voci, anche per il carattere sintetico di alcune trattazioni, sono talora registrate senza commenti; per esempio, Erico le riporta sotto forma di elenco. In altri casi, invece, i grammatici ne illustrano il funzionamento con esempi e precisazioni, censurando a volte alcuni usi. Così, riguardo agli avverbi  

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  Si tratta di forme particolarmente usate nei testi teatrali. Alcuni esempi: Gerozzo. Orsù, io vo: abbiami a mente. Giannino. Messer sì, padrone (Grazzini, La pinzochera); Procuratore: Dite voi, cavaliero, che la vostra donna è de’ Canali? Giordano. Signorsì (Caro, Gli straccioni); Cassandro. E voi sète forse qualche parente di questa pellegrina? Ricciardo: Parente per natura, signornò, ma più che parente per aπezione, ché mi sono allevato in casa sua (Bargagli, La pellegrina).

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introduzione

AFF, Morandi e Cappuccini biasimano l’impiego di precisamente e perfettamente: «Non bene precisamente, malissimo perfettamente», 1 un po’ come avviene in tempi più recenti per forme come esatto o esattamente. 2 Sul versante degli avverbi NEG le prese di posizione più frequenti, ancora alla fine dell’Ottocento, riguardano mai. Oggetto del dibattito grammaticale è la possibilità che questo avverbio possa assumere valore negativo senza essere accompagnato dalla negazione. La perentoria formulazione di Bembo («Sono unqua e mai quello stesso; le quali non niegano, se non si dà loro la particella acconcia a ciò fare») 3 è condivisa solo da una parte dei grammatici successivi: 4 «Mai, nota d’aπermatione, vale alcuna volta, in alcun tempo […] A voler, ch’egli nieghi, dicono alcuni, ch’egli bisogna dargli la negatione, che senza nol sarebbe di sua natura. Pure si legge senza la negatione in sentimento, che nega» (Mambelli 1657: 500); 5 «Mai vale umquam, onde per farlo negare convien aggiungergli la negativa» (Corticelli 1745: 381); «Mai da sé solo non nega per costante uso de’ classici» (Azzocchi 1828: 49); «Ma a torto si pretende che per farne il numquam dei Latini e l’Oudevpote dei Greci, cioè a dargli senso di negazione, come pur si usa così di frequente, sia necessario aggiungergli il non o altra particella negativa, sotto pena di esser tacciato di solecismo» (Mastelloni 1898: 41). Mastelloni cita a sostegno della sua tesi una serie di esempi d’autore (in particolare da Boccaccio), concludendo con la citazione del proverbio Meglio tardi che mai, «che il Cornazzano per iscrupolo di coscienza scrisse “meglio tardi che non mai”» (Mastelloni 1898: 42). 6 Nella stessa grammatica si trova anche un paragrafo a difesa dell’uso di niente e nulla «posti senz’altra negazione» (Mastelloni 1898: 45); anche in questo caso Mastelloni si avvale, oltre che di un esempio che rimanda  











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  Morandi-Cappuccini 1894: 207.   Sulle valutazioni delle grammatiche di oggi riguardo all’uso di esatto, cfr. p. 22, nota 1. 3   Bembo 1955: 176. 4   Come nota Poggiogalli, già nel Cinquecento grammatici come Dolce e Corso presentano in modo più sfumato la regola enunciata da Bembo, ammettendo la possibilità di eccezioni. Secondo Poggiogalli, «dalle stesse aπermazioni dei grammatici si comprende che l’uso contrario doveva essere ben radicato» (Poggiogalli 1999: 215). 5   Mambelli inserisce anche alcune notazioni sulla posizione di mai all’interno della frase: «Secondo dunque costoro egli di sua natura non nega, là onde per il più gli s’aggiunge la negatione a farlo negare; alla quale se egli precede, amendue insieme al verbo precederanno: Ma essa tenera del mio honore mai ad alcuna persona fidar non mi volle, che verso Cipri venisse […] Che se la negation precedesse, si dovria dire non mi volle mai fidare. Che non si stringe mai ferro, e simili. E in questo mezo l’arte, e la mercatantia non istette mai peggio in Firenze. E ancora qualche volta pur si mettono insieme dinanzi al verbo, benché la negatione sia prima» (Mambelli 1657: 501). 6   La questione dell’omissione della negazione in presenza di mai è aπrontata ancora nelle trattazioni di oggi: in GGIC si avverte che «Mai si può usare con l’omissione di no. Mantiene il suo significato di quantificatore negativo e la risposta è da considerarsi ellittica: Parlante A: A Rimini hai incontrato Renato? Parlante B: Mai» (Bernini 1995: 220). Cfr. anche Serianni 1988: xii 55, dove si precisa che, qualora mai e altre particelle completive della negazione siano situate dopo il verbo, la compresenza con la negazione è obbligatoria. 2

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all’«uso vivo della lingua italiana», di una lunga lista di allegazioni tratte da autori «classici», da Cavalca a Cesari. Fra le prese di posizione relative agli avverbi NEG si può infine citare quella di Rogacci, che ritiene né pure preferibile rispetto a né manco e né meno come corrispettivo del latino ne quidem (Rogacci 1720: 277). Oltre che nelle grammatiche, qualche indicazione sull’uso di alcuni avverbi AFF / NEG nei secoli passati si può trovare nelle trattazioni moderne sull’italiano antico: per esempio, Colella 2012 menziona certamente, sanza fallo e senz’altro per la loro notevole ricorrenza all’interno dei costrutti condizionali. 1  

1. 3. Gli avverbi AFF / NEG nelle grammatiche di oggi 2  

Nella maggior parte delle trattazioni contemporanee la nozione di avverbi AFF / NEG continua a essere presente, 3 per quanto siano spesso adoperate anche (o esclusivamente) altre categorie: forme come certamente, sicuramente, veramente ecc. compaiono fra gli avverbi «di giudizio» 4 o «di valutazione» 5 o «modali epistemici» 6 o semplicemente «epistemici»; 7 certo, sicuro, vero ecc. sono «aggettivi usati avverbialmente» che «possono costituire repliche brevi di accordo» (Bernini 1995: 218). Vengono inoltre utilizzate categorie come «avverbi raπorzativi dell’asserzione e della negazione» (proprio, mica ecc.), 8 «quantificatori negativi» 9 o «espressioni negative» 10 (nessuno, niente, nulla ecc.), «avverbi scalari di polarità negativa» (nemmeno, neanche ecc.), 11 «profrasi» o «avverbi olofrastici» (cfr. 1. 1). Sono spesso classificate a parte le locuzioni avverbiali «di giudizio» o «di aπermazione e negazione» (di sicuro, di certo, per l’appunto ecc.). 12 Non sempre le grammatiche inseriscono i vari tipi di avverbi AFF / NEG in un’unica sezione: GGIC si soπerma su alcune forme nel capitolo dedicato  



















1   «In genere, tali locuzioni avverbiali compaiono in costrutti controfattuali o con presa di posizione epistemica negativa» (Colella 2012: 401). 2   Sono state considerate grammatiche contemporanee le seguenti trattazioni edite dagli anni Trenta del Novecento a oggi: Trabalza-Allodoli 1955 (prima edizione 1934), Battaglia-Pernicone 1951, Regula-Jernej 1965, Dardano-Trifone 1985, Serianni 1988, Lonzi 1991, Manzotti-Rigamonti 1991, Bernini 1995, Sensini 1997, Lo DucaSolarino 2004, Salvi-Vanelli 2004, Patota 2006, Prandi 2006, Schwarze 2009, Gabrielli-Pivetti 2013, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa 2014. 3   Cfr. Dardano-Trifone 1985: 152; Serianni 1988: xii v. 4 5   Dardano-Trifone 1985; Serianni 1988.   Sensini 1997. 6   Bernini 1995. Già nella grammatica primonovecentesca di Goidanich gli avverbi AFF / NEG sono definiti «una varietà degli avverbi di modo»; l’autore riconduce alla categoria del «modo» anche il significato di sì, no e non, «equivalenti, circa, a In questo modo, In nessun modo» (Goidanich 1918: ii 65). 7   In quanto «manifestano il grado di certezza con cui un soggetto produce un enunciato» 8 (Colella 2012: 400).   Lonzi 1991: 342. 9 10   Manzotti-Rigamonti 1991: 246.   Schwarze 2009: 251. 11   Schwarze 2009: 209. 12   Dardano-Trifone 1985: 152; Sensini 1997: 59.  













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al sintagma avverbiale (Lonzi 1991), su altre in quello dedicato alle profrasi (Bernini 1995), su altre ancora nel capitolo dedicato al sistema della negazione (Manzotti-Rigamonti 1991); Schwarze 2009 tratta distintamente le forme aπermative (nel capitolo riguardante l’avverbio e il sintagma avverbiale) e quelle negative (nel capitolo riguardante la negazione). Invece Patota 2006 dedica agli avverbi AFF / NEG una sezione apposita, intitolata «Le forme della risposta». Voci come aπatto, nessuno, niente e nulla, in passato classificate come avverbi AFF / NEG, oggi non fanno parte quasi mai delle categorie sopra menzionate, in quanto solitamente incluse fra gli avverbi di quantità (nessuno, niente e nulla anche fra gli aggettivi e i pronomi indefiniti). Ciò nonostante, nelle grammatiche sono frequenti i riferimenti all’impiego di aπatto come raπorzativo della negazione; 1 nessuno, niente e nulla sono descritti anche nella funzione di quantificatori negativi. 2 Mai, pur figurando fra gli avverbi di tempo, è citato anche come particella completiva della negazione. 3 Le forme registrate nelle varie trattazioni 4 – oltre a sì, no, non e né – sono le seguenti.  







Con valore AFF: 12 occorrenze: sicuramente (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Serianni, Lonzi, Bernini, Sensini, Lo Duca-Solarino, Patota, Schwarze, GabrielliPivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). 11: certamente (Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Lonzi, Bernini, Sensini, Lo Duca-Solarino, Salvi-Vanelli, Patota, Prandi, Schwarze, Gabrielli-Pivetti). 9: certo (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Serianni, Bernini, Sensini, Patota, Gabrielli-Pivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-TerrileTesta). 7: appunto (Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Bernini, Sensini, Patota, GabrielliPivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa); proprio (Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Lonzi, Sensini, Patota, Gabrielli-Pivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). 6: sicuro (Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Bernini, Sensini, Patota, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). 5: di certo (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Bernini, Sensini); di sicuro (Dardano-Trifone, Lonzi, Sensini, Patota, Prandi); per l’appunto (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Sensini, Patota); senz’altro (Bernini, Patota, Prandi, Schwarze, Gabrielli-Pivetti); senza dubbio (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Dardano-Trifone, Sensini, Gabrielli-Pivetti). 5  

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  Cfr. Dardano-Trifone 1985: 152; Serianni 1988: xii 47.   In Serianni-Patota-Della Valle-Schiannini 2012 si parla di «pronomi indefiniti 3 negativi».   Cfr. Serianni 1988: xii 55. 4   I capitoli della GGIC, essendo scritti da autori diversi, saranno considerati come trattazioni distinte. 5   In GGIC si segnala che l’uso di questa espressione è riservato alle «repliche di accordo positivo ad antecedenti iussivi o che costituiscono una richiesta d’impegno» (Bernini 1995: 220). 2

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4: assolutamente (Serianni, Lonzi, Bernini, Prandi); davvero (Serianni, Sensini, Patota, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa); esattamente (Battaglia-Pernicone, Serianni, Sensini, Patota); esatto (Serianni, Patota, Battaglia-Pernicone, GabrielliPivetti); già (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Bernini, Patota); 1 ovviamente (Serianni, Bernini, Salvi-Vanelli, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). 3: naturalmente (Battaglia-Pernicone, Lonzi, Bernini); necessariamente (Lonzi, SalviVanelli, Schwarze). 2: aπatto (Serianni, Lonzi); evidentemente (Lonzi, Salvi-Vanelli); giusto (Battaglia-Pernicone, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa); indubbiamente (Sensini, Patota); precisamente (Battaglia-Pernicone, Bernini); proprio così (Battaglia-Pernicone, Patota); veramente (Bernini, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). Una sola occorrenza: ben (Lonzi); decisamente (Biglia-Ferralasco-Manfredi-MoisoTerrile-Testa); infatti (Bernini); okay (Patota); perfettamente (Battaglia-Pernicone); perfetto (Gabrielli-Pivetti); signorsì (Trabalza-Allodoli); sissignore (Trabalza-Allodoli); vero (Bernini).  

Con valore NEG: 10 occorrenze: mica (Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, Serianni, Lonzi, ManzottiRigamonti, Sensini, Patota, Schwarze, Gabrielli-Pivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). 9: neanche (Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, Dardano-Trifone, Sensini, Lo DucaSolarino, Patota, Schwarze, Gabrielli Pivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-MoisoTerrile-Testa); nemmeno (Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, Dardano-Trifone, Sensini, Lo Duca-Solarino, Patota, Schwarze, Gabrielli-Pivetti, Biglia-FerralascoManfredi-Moiso-Terrile-Testa). 7: (nient’)aπatto (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, ManzottiRigamonti, Bernini, Patota, Prandi); mai (Battaglia-Pernicone, Serianni, Manzotti-Rigamonti, Bernini, Sensini, Patota, Schwarze); neppure (Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, Dardano-Trifone, Sensini, Patota, Gabrielli-Pivetti, Biglia-Ferralasco-Manfredi-Moiso-Terrile-Testa). 6: punto (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, Serianni, Sensini, Gabrielli-Pivetti). 2 5: niente (Battaglia-Pernicone, Regula-Jernej, Manzotti-Rigamonti, Patota, Schwarze). 3 4: nessuno (Battaglia-Pernicone, Manzotti-Rigamonti, Patota, Schwarze); nulla (Battaglia-Pernicone, Manzotti-Rigamonti, Patota, Schwarze); per niente (ManzottiRigamonti, Bernini, Patota, Schwarze).  



1   Patota osserva che «con questa funzione, già può avere una sfumatura polemica, può esprimere disappunto» (Patota 2006: 225). 2   Serianni 1988 menziona punto facendo riferimento alla sua ampia diπusione nella lingua letteraria; Sensini 1997 lo registra senza particolari precisazioni riguardo all’àmbito d’uso; Gabrielli-Pivetti 2013 lo marca come tosc. 3   Niente è menzionato anche – con riferimento alla lingua colloquiale – come «modificatore di nomi, aggettivi, avverbi e verbi»: per esempio non ho niente voglia; non è stato niente gentile (Manzotti-Rigamonti 1991: 282). Di dubbia grammaticalità, almeno nell’italiano standard, l’esempio non è giusto niente, inserito da Regula-Jernej 1965 nel significato di ‘non è giusto per niente’.

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introduzione

3: assolutamente (Manzotti-Rigamonti, Patota, Schwarze, dove si aggiunge: «con un gesto adeguato»); neanche / nemmeno per idea (Dardano-Trifone, Sensini, Patota); neanche / nemmen(o) per sogno (Trabalza-Allodoli, Sensini, Patota); per nulla (Trabalza-Allodoli, Manzotti-Rigamonti, Patota). 2: nemmanco (Regula-Jernej, Manzotti-Rigamonti); 1 no davvero (Trabalza-Allodoli, Battaglia-Pernicone). Una sola occorrenza: assolutamente no (Battaglia-Pernicone); certamente no (BattagliaPernicone); che! (Trabalza-Allodoli); che, che! (Trabalza-Allodoli); col cavolo (Manzotti-Rigamonti); col cazzo (Manzotti-Rigamonti); 2 col diavolo (Manzotti-Rigamonti); da nessuna parte (Manzotti-Rigamonti); in nessun caso (Manzotti-Rigamonti); in nessun modo (Manzotti-Rigamonti); in verità (Trabalza-Allodoli); ma no! (BattagliaPernicone); macché (Patota); mai e poi mai (Manzotti-Rigamonti); manco (Manzotti-Rigamonti); 3 nemmeno un po’ (Patota); no certo (Battaglia-Pernicone); no in verità (Battaglia-Pernicone); nossignore (Trabalza-Allodoli); ombra (Regula-Jernej); oncia (Regula-Jernej); proprio no (Battaglia-Pernicone); un accidente / accidenti (ManzottiRigamonti); un cane (Manzotti-Rigamonti); un cavolo (Manzotti-Rigamonti); un cazzo (Manzotti-Rigamonti); un corno (Schwarze); una madonna (Manzotti-Rigamonti); veramente no (Battaglia-Pernicone). 4  







Confrontando l’elenco appena riportato con quello delle forme registrate dalle grammatiche tra Cinquecento e Ottocento, si osservano l’eliminazione di alcuni allotropi nell’italiano di oggi (di vero, né manco ecc.) e il passaggio di avverbi tradizionalmente classificati come AFF / NEG ad altre categorie morfologiche (avverbi di quantità; pronomi indefiniti; avverbi di tempo), conseguente alla maggiore razionalizzazione dell’impianto delle grammatiche moderne rispetto a quelle del passato. Se si guardano le forme più ricorrenti ieri e oggi, l’impressione è tuttavia che non si registrino, nel corso del tempo, particolari novità: certamente, certo, sicuramente e appunto continuano a rappresentare gli avverbi AFF più spesso citati dalle grammatiche; lo stesso si dica per i NEG mai e mica. 5 Inoltre, tra le forme registrate in passato sono poche quelle del tutto estranee all’italiano di oggi, come le espressioni maisì e mainò, le quali, comunque, risultano complessivamente trascurate anche dalle grammatiche prenovecentesche. Si cercherà di stabilire quanto questa situazione di tendenziale immobilità si  

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  «Regionale meridionale» (Manzotti-Rigamonti 1991: 285).   Manzotti e Rigamonti specificano che le locuzioni col cavolo e col cazzo, appartenenti al «parlato spontaneo, o volgare», si usano come «negazione-eco raπorzata di una precedente asserzione: Parlante A: Giorgio ha ragione. Parlante B: Col cavolo (che) ha ragione» (Manzotti-Rigamonti 1991: 282). 3   La forma è classificata come «di uso popolare» (Manzotti-Rigamonti 1991: 285). 4   Serianni e Bernini si soπermano anche sulla forma ni, a metà tra AFF e NEG. 5   Va comunque considerato che le grammatiche tendono a volte a riproporre in modo inerziale le forme che venivano registrate nel passato: punto è citato senza precisazioni riguardo ai suoi àmbiti d’uso anche nella trattazione più recente, quella di Gabrielli-Pivetti 2013; per l’appunto, pur essendo molto meno usato di appunto (cfr. 4. 6), si avvicina ad appunto come numero di citazioni nelle grammatiche odierne. 2

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debba a una reale costanza dell’antico nel settore degli avverbi AFF / NEG e quanto sia legata, invece, alle scelte conservative delle grammatiche. Riguardo ai commenti dei grammatici moderni sulle singole forme, nelle trattazioni consultate, oltre alla valutazione negativa di esatto e okay, 1 si può citare quella di Trabalza e Allodoli nei confronti di precisamente, perfettamente (in continuità con Morandi e Cappuccini) e, «peggio ancora, perfetto». 2 Prosegue ancora il dibattito su mai dei secoli precedenti, pur essendo ormai generale l’accordo sulla grammaticalità di mai preverbale senza la negazione. 3 Talora sono inserite indicazioni di tipo diafasico o diamesico: per esempio Bernini 1995 limita l’uso di certo al «parlato colloquiale» (219); 4 un’osservazione analoga si trova in Sensini 1997 a proposito di mica (di cui inoltre già Trabalza-Allodoli 1955 (250) ritiene «scorretto» l’uso senza il non). Anche queste chiose saranno sottoposte a verifica nei capitoli che seguono.  







1. 4. Fuori di grammatica Se si considera l’uso reale, la continuità diacronica nell’uso degli avverbi AFF / NEG – così come risulta dalle numerose corrispondenze tra le forme registrate in epoche diverse dalle grammatiche – va forse un po’ ridimensionata. L’italiano di oggi, infatti, è caratterizzato, oltre che da forme dall’eπettiva tenuta nel tempo, anche da espressioni di diπusione più recente, spesso non registrate dai grammatici – o prese in considerazione soltanto da pochi –, che godono in realtà di un’ampia circolazione, sia nel parlato, sia nelle scritture maggiormente influenzate dall’oralità. Fra le grammatiche contemporanee, per esempio, solo Gabrielli-Pivetti 2013 menziona perfetto, oggi molto ricorrente nel parlato. Una citazione di questa forma è già, come si è detto, in Trabalza-Allodoli 1955, che tuttavia vi fa riferimento solo per censurarla: ciò è comunque indicativo di una sua circolazione nell’uso già negli anni Cinquanta del Novecento (dell’impiego olofrastico di perfetto il PTLLI documenta esempi in Moravia e Sciascia). 5 Le scritture online ne testimoniano oggi una frequenza d’uso confrontabile con quella di okay ed esatto, altre due forme la cui ondata di diπusione è stata accompagnata, come s’è visto, dalle prese di distanza da parte dei grammatici.  

1   Per Sensini esatto è «da evitare, per l’abuso che se ne fa» (Sensini 1997: 353); per Patota l’impiego continuo di okay «impoverisce la lingua: chi vuole usare un italiano vario e originale dovrà almeno limitarne l’uso» (Patota 2006: 226). 2   Trabalza-Allodoli 1955: 249. 3   Cfr. Trabalza-Allodoli 1955, Serianni 1988, Lonzi 1991. 4   Ortore 2014, rilevando esempi di certo nella lingua della divulgazione astronomica contemporanea, li annovera tra i «segnali che servono a colmare la distanza dal lettore, stabilendo un rapporto di colloquialità ed empatia», tali da conferire al testo «un’intonazione 5 orale» (27).   Cfr. 9. 1. 6.

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In base a un sondaggio eπettuato sulle scritture online, fra le espressioni oggi usate più frequentemente si annoverano: - le forme avverbiali (ecco) appunto, assolutamente, 2 certo, ebbene (sì), esattamente, (eh) già, infatti, ovviamente e gli anglicismi ok 3 e yes. Uno dei meccanismi più usati per aumentare la carica enfatica di questi avverbi – accanto agli espedienti grafici tipici delle scritture online – è il tradizionale superlativo assoluto (assolutamentissimamente), talora con doppio su√sso (benissimissimo); 4 - gli aggettivi esatto, giusto, ottimo, perfetto, vero; - le forme verbali alla prima persona del presente indicativo: concordo, condivido, confermo, sono d’accordo; - perifrasi come certo che sì / no, credo proprio di sì, non lo nego. 5 Tali forme possono trovarsi variamente combinate tra di loro (per esempio: sì giusto certo). Nelle scritture online sono inoltre numerose le espressioni marcate in diatopia: per esempio daje, me sa proprio de no (utenti romani); ma tu si paccio ‘ma tu sei pazzo’ (utente calabrese) ecc.  









1. 5. Gli avverbi AFF / NEG e l’ordine delle parole Secondo il già citato Cale√ gli avverbi, essendo parti del discorso invariabili e non dovendo dunque adattarsi alle caratteristiche morfologiche delle parole a cui si riferiscono, hanno «una certa libertà dalle regole» e «si ponno collocare dove meglio richiegga l’armonia del discorso». 6 Le grammatiche di oggi forniscono, invece, alcune indicazioni di massima. Serianni 1988 (xii 68) avverte che: 1) «in generale, l’avverbio tende a collocarsi prima dell’aggettivo […] e dopo il verbo»;  

1   Si tratta di 1.000 post pubblicati su Facebook tra il 2013 e il 2014 da uomini e donne di diversa età, estrazione socioculturale e provenienza geografica (Alessandria, Ascoli Piceno, Assisi, Avezzano, Balsorano, Campobasso, Cologno Monzese, Genova, Lecce, Milano, Montescaglioso, Napoli, Padova, Palermo, Perugia, Pescara, Rapallo, Reggio Calabria, Roma, Taranto, Terni, Varese, Verona, Vibo Valentia, Vieste, Villa San Giovanni). 2   Quando è usato da solo tende ad avere valore aπermativo; diversamente, si trova più spesso insieme a no che insieme a sì: con questo non siete autorizzati ad abbandonarmi però. Post di risposta: ma assolutamente no... siamo e saremo sempre con te!!! (utente di Villa San Giovanni). 3   Spesso con prolungamento della vocale iniziale (ook) o ripetuto due volte con univerbazione (okok). 4   Sulla frequenza dei superlativi in italiano contemporaneo cfr. D’Achille 2010: 205. 5   Alcuni esempi delle tipologie appena elencate: Noi il pranzo l’8 ed è anche vegetariano, ma Paolo è nostro complice, quindi organizzerà sicuramente in modo da non incrociare! Post di risposta: Ottimo! (utente nata a Campobasso, residente a Roma); Non oso pensarci. Dovranno inventare il termine. Post di risposta: Ahahah… vero (utente di Reggio Calabria); Propositi 2014 parte seconda: eliminare per quanto possibile dalla vita e dai contatti Facebook le persone perennemente arrabbiate col mondo. Post di risposta: Brava Silvia condivido! (utente di Verona); Ci vediamo presto spero! Ciao grazie dei saluti!! Post di risposta: Ciao Mario! Certo che sì! Ci vediamo a settembre (utente di Genova). 6   Caleffi 1832: 314.

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2) quando «più che a una singola componente, si riferisce a un’intera frase, la sua posizione di norma è mobile»; 1 3) gli avverbi di giudizio «occupano di preferenza la posizione iniziale». A proposito degli avverbi raπorzativi della negazione (aπatto, assolutamente, per niente ecc.) Patota 2006 osserva che «seguono la sequenza “non+verbo”», riportando esempi come Gianni non dorme aπatto e Voi non mi ascoltate per niente. Questo schema di fondo può essere ulteriormente diversificato nel caso in cui il verbo non sia rappresentato, come negli esempi citati, da una singola forma (dorme, ascoltate), bensì da una perifrasi (per esempio ha dormito, avete ascoltato). Le soluzioni possibili, in questo caso, sono due: 1) non ha aπatto dormito, non avete aπatto ascoltato; 2) non ha dormito aπatto, non avete ascoltato aπatto. In Lonzi 1991 agli avverbi raπorzativi dell’aπermazione e della negazione viene attribuita come posizione tipica quella interausiliare, senza che si accenni ad altre possibilità. 2 La scelta tra 1) e 2) è in realtà condizionata – come si cercherà di mostrare – da fattori di diverso tipo (diamesici, stilistici, relativi alla tipologia testuale). In Manzini-Savoia 2005 si trova un’approfondita riflessione sull’ordine dei costituenti frasali in presenza di avverbi NEG, soprattutto per quanto riguarda le varietà settentrionali. Per esempio, si osserva che in alcuni dialetti lombardi l’avverbio negativo si colloca a destra del participio, mentre in altre varietà settentrionali ricorre tra l’ausiliare e il participio. 3 Il quadro teorico di riferimento prende qui le mosse da Cinque 1999, rispetto a cui vengono formulate alcune ipotesi innovative: 4 per gli avverbi di negazione frasale, gli autori ritengono che il loro comportamento – relativamente alla posizione nella frase – possa considerarsi analogo a quello degli elementi a polarità negativa di tipo nominale: «in generale le condizioni di variabilità nell’ordine osservato all’interno delle stringhe avverbiali possono essere spiegate in base al fatto che lo stesso elemento può occupare diverse posizioni nominali compatibili con la sua denotazione». 5 Nella presente trattazione si assegnerà uno spazio piuttosto ampio all’analisi delle dispositiones degli avverbi AFF / NEG: le attestazioni antiche e moderne che si passeranno in rassegna verranno classificate anche dal punto di vista dell’ordine delle parole. In base alle percentuali di occorrenza di una certa giacitura sintattica e alle caratteristiche dei testi in cui ricorre (prosa argomentativa, poesia, dialogo teatrale ecc.), si cercherà di individuare –  









1

  Salvi e Vanelli spiegano che «il sintagma avverbiale frasale si può [...] considerare sintatticamente come una struttura di tipo parentetico: come tale può occorrere in posizione iniziale, finale o interna di frase, e la sua enunciazione è preceduta e seguita da una pausa» 2 (Salvi-Vanelli 2004: 182).   Cfr. Lonzi 1991: 361. 3   Manzini-Savoia 2005: 136. 4   Il modello proposto da Cinque è basato sull’esistenza di una grammatica universale – propria non solo dell’italiano ma di tutte le lingue naturali – in cui la posizione di un avverbio in relazione alla negazione segue una gerarchia basata sul suo valore aspettuale. 5   Manzini-Savoia 2005: 206.

introduzione

25

laddove sia possibile – i principali meccanismi su cui si fonda, nella lingua scritta, l’ordine delle parole in presenza di avverbi AFF / NEG. Nei capitoli che seguono, dunque, per ogni avverbio sarà presente una sezione riguardante specificamente la sua collocazione all’interno della frase. 1. 6. I corpora Per quanto riguarda la lingua letteraria, i corpora elettronici che costituiranno il punto di riferimento della ricerca sono la LIZ e il PTLLI. In alcuni casi i dati provenienti dalla LIZ saranno integrati con quelli oπerti dal corpus OVI. Lo spoglio della LIZ e del PTLLI verrà condotto integralmente per tutte le forme che si analizzeranno (fatta eccezione, nel caso della LIZ, per un avverbio di uso straordinariamente esteso come mai). All’esigenza di osservare il funzionamento degli avverbi AFF / NEG in diversi tipi di lingua scritta è legata la scelta di vagliare, in rappresentanza dei testi argomentativi, un corpus di scrittura giornalistica (l’archivio storico del «Corriere della sera», 1 relativamente all’anno 2013), 2 nonostante che, in questo modo, l’indagine possa riguardare solo in minima parte gli usi olofrastici (normalmente negli articoli dei quotidiani sì e altre forme del genere sono «presenti in un numero molto limitato di casi»). 3 D’altra parte, se la ricerca fosse stata centrata su questi usi avrebbe dovuto prevedere principalmente sondaggi su testi parlati. L’impiego olofrastico degli avverbi AFF / NEG è solo uno degli aspetti che si intendono indagare: oggetto di osservazione sarà, per ciascuna forma, il complesso dei suoi impieghi semantici e sintattici nelle diverse tipologie di lingua scritta: soprattutto per quanto concerne la questione dell’ordine delle parole, si cercherà di mostrare quanto siano rilevanti le diπerenze tra la scrittura letteraria e quella argomentativa. Inoltre, nel caso di avverbi come mai e già, largamente diπusi sia in poesia sia in prosa, verranno portati alla luce aspetti di diπormità fra la lingua della poesia e quella della prosa. Per ciascuna forma oggetto di analisi si partirà dalla descrizione dell’uso contemporaneo – letterario e giornalistico – e si proseguirà con l’excursus diacronico.  





1

  D’ora in poi CS.   Nelle ricerche di Serianni su anzichenò e altroché (Serianni 2014a e 2014b), oltre all’ar3 chivio del CS, è utilizzato quello de «La Stampa».   Bonomi 2002: 338. 2

2. A s s o l utam en te

N

el caso di assolutamente, ZING distingue tre diversi significati: 1. ‘In modo assoluto’(in contrapposizione con relativamente). 2. ‘In ogni modo, a qualunque costo’, in frasi sia aπermative, sia negative: devo assolutamente finire il lavoro entro stasera; non dobbiamo assolutamente parlargli. All’interno di questa accezione viene fatto rientrare l’uso olofrastico (marcato come colloq.), sia nel senso di ‘senza dubbio, certamente, sì’, sia nel senso di ‘no, per niente’. 3. ‘Del tutto, completamente’, qualora assolutamente sia usato «in unione con aggettivi» (sono assolutamente sicuro che si tratta di lui; è un pezzo assolutamente falso). 1 Vengono inoltre menzionati alcuni significati particolari, come ‘secondo i principi dell’assolutismo’ (regnare assolutamente), diπuso soprattutto in italiano antico, e quello grammaticale (usare assolutamente un verbo transitivo). Mentre l’accezione 1 si può considerare tipica di determinati tipi di testo – come quelli argomentativi e in particolare filosofici –, corrente è l’impiego di assolutamente nelle accezioni 2 e 3. 2 A nostro avviso, il confine tra questi due significati non è netto e la limitazione di 3 ai casi in cui assolutamente raπorza un aggettivo non va intesa in modo rigido: il valore di ‘del tutto, completamente’ è possibile non solo in presenza di un aggettivo, ma anche di un avverbio – si pensi solo all’espressione di uso comune assolutamente niente – e, occasionalmente, di altre parti del discorso; lo si può trovare anche nei contesti sintattici in cui normalmente è presente l’accezione 2. 3 Pertanto, sarà forse più corretto dire che l’uso di assolutamente può riguardare due diversi tipi di situazione sintattica: quella in cui l’avverbio esercita la sua portata sul predicato – e quindi, spesso, sull’intera frase – 4 (con prevalenza del significato 2) e quella in cui modifica un singolo costituente frasale, che è di solito, ma non sempre, un aggettivo (con prevalenza del significato 3). 5  









1   Le stesse partizioni semantiche sono individuate da GDLI (che aggiunge solo, come significato «raro», ‘per antonomasia’, citando un esempio di Salvini), GRADIT e TRECC; quest’ultimo riporta i tre significati all’interno di un’unica accezione (e non introduce alcun riferimento all’uso olofrastico). DO opta per un’unica definizione: «decisamente, in ogni modo (per sottolineare perentorietà o urgenza)». 2   GRADIT assegna ad assolutamente, indipendentemente dalle accezioni, la marca «CO». TRECC precisa invece che i significati 2 e 3 sono più comuni rispetto a 1. 3   Per esempio, in Mi dominava assolutamente (Oriani, Gramigne) o in Ci contava assolutamente (Banti, Artemisia) il contesto sintattico è quello tipico dell’accezione 2, ma il significato è più vicino a quello di ‘del tutto, completamente’. 4   «Da un punto di vista sintattico, gli avverbi di frase e quelli di predicato non sono chiaramente distinguibili» (Ricca 2010: 728). Lonzi 1991 considera assolutamente avverbio di predicato solo quando ha valore risultativo. 5   Con riferimento a questa funzione GGIC parla di «avverbio di grado», che funge cioè da specificatore del sintagma aggettivale o del sintagma avverbiale (Lonzi 1991: 395).

assolutamente

27

Riguardo all’uso olofrastico, in alcune grammatiche si pone l’accento sull’ambiguità generata dall’impiego di assolutamente come formula sia asseverativa, sia negativa; 1 in anni recenti, la tendenza sempre più diπusa ad attribuirgli un senso aπermativo («un uso che forse risente dell’inglese absolutely, adoperato in contesti analoghi») 2 è stata oggetto di dibattiti e di censure anche a livello divulgativo (cfr. 2. 4).  



2. 1. Assolutamente nell’italiano contemporaneo 2. 1. 1. Nella prosa letteraria Nel PTLLI le occorrenze di assolutamente si ripartiscono in modo equilibrato tra i due tipi principali di impiego sintattico considerati. Nel 42% dei casi assolutamente raπorza un predicato, in frasi aπermative o negative: [1] Devo assolutamente vederlo (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme) [2] Non dovevo cedere assolutamente al fascino di Massaua (Flaiano, Tempo di uccidere)

Nel 45% dei casi si trova in combinazione con un aggettivo: [3] Ma è inutile, assolutamente inutile scavare (Flaiano, Tempo di uccidere)

In questo esempio, assolutamente accompagna la ripetizione enfatica di un aggettivo; si tratta di una struttura che ricorre più volte nei testi del PTLLI: [4] In quel momento però ero sicura, assolutamente sicura che avrei fatto il tuo bene lasciandoti, andandomene... (Moravia, Il conformista) [5] Il processo distruttivo delle cellule, per ripetere la sua orribile espressione, è, nel suo caso, minimo, assolutamente minimo (Buzzati, Sessanta racconti) 3  

I rimanenti contesti sintattici sono quelli in cui assolutamente modifica parti del discorso diverse dagli aggettivi (può trattarsi di avverbi come nulla, niente; di locuzioni avverbiali come senza conseguenze, per caso; di pronomi come nessuno) e quelli in cui è usato come formula olofrastica, sui quali ci si soπermerà in 2. 3. 1   Cfr. Bernini 1995: 220. Alcuni dizionari inseriscono, a questo proposito, indicazioni di tipo prescrittivo: «Nelle risposte, è comune l’uso di assolutamente da solo, non seguito da sì o no, ma è preferibile, per non generare equivoci, ricorrere sempre alla formula più esplicita: Siete d’accordo? Assolutamente sì. Sei stanco? Assolutamente no» (TRECC online). 2   Serianni 1988: xii 53. 3   La stessa struttura si trova anche in Ginzburg e Mannuzzu. Inoltre la LIZ ne oπre esempi di Leopardi, D’Azeglio, Rovani, Fogazzaro, Chelli, Zena.

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maria silvia rati

Fig. 1. Distribuzione degli impieghi di assolutamente nel PTLLI.

2. 1. 2. Nella prosa giornalistica Dallo spoglio degli articoli del CS 1 emerge una predominanza di esempi in cui assolutamente esercita la sua portata su un singolo costituente frasale; il contesto sintattico senza dubbio più ricorrente è quello in cui assolutamente a√anca un aggettivo, ma l’avverbio si può trovare anche accanto ad altre parti del discorso.  

Fig. 2. Distribuzione degli impieghi di assolutamente nel CS.

1   Si sono considerati gli articoli apparsi dall’1 gennaio 2013 al 28 febbraio 2014; dato che assolutamente non è un avverbio ad altissima frequenza, è parso opportuno ampliare lievemente l’arco diacronico rispetto a quello considerato per altri avverbi.

assolutamente

29

Se si sommano le 882 occorrenze di assolutamente+aggettivo, le 141 di assolutamente+avverbio (assolutamente nulla, assolutamente niente), le 36 di assolutamente+locuzione preposizionale (assolutamente di moda, assolutamente a norma ecc.) e le 6 di assolutamente+pronome (assolutamente nessuno), i casi di assolutamente+costituente frasale rappresentano il 68% del totale. Andando a esaminare più da vicino gli esempi di assolutamente+aggettivo, si può osservare che le forme aggettivali che si a√ancano più frequentemente ad assolutamente sono necessario (47), contrario (24) e convinto (18). Complessivamente, prevalgono i contesti di senso negativo: tra gli aggettivi sono numerosi quelli preceduti da non e poco 1 e soprattutto i prefissati con in-. 2 Inoltre molti aggettivi – che abbiano o no valore negativo – sono caratterizzati da una carica semantica particolarmente forte: è il caso di allarmante, assurdo, cruciale, decisivo, eccellente, eccezionale, entusiasmante, eroico, esaltante, fallimentare, ignobile, imperdibile, impressionante, indispensabile, ossessionato, preoccupante, provvidenziale, ridicolo, ripugnante, sconcertante, strampalato, strepitoso; in certi casi si tratta di superlativi (contentissimo). 3 Se ne può desumere che assolutamente è spesso usato per raπorzare ulteriormente aggettivi che già di per sé svolgono una funzione elativa. Un’altra particolarità di questo avverbio è quella di potersi a√ancare ad aggettivi o participi normalmente non suscettibili di intensificazione (come iniziale, italiano, potabile, preliminare, previsto, stagionale, tricolore). 4 Tra le caratteristiche evidenziate, quella che ci sembra più interessante è la prevalente associazione di assolutamente con forme di significato negativo. Del resto anche gli esempi di assolutamente+pronome o assolutamente+avverbio, qui come nel PTLLI, sono quasi sempre rappresentati da assolutamente nulla, assolutamente niente e assolutamente nessuno. Un’altra conferma del legame di assolutamente con i contesti negativi – in CS e PTLLI – è la diπerenza quantitativa tra le attestazioni di assolutamente no e quelle di assolutamente sì: 5  









1   Un ragazzo cresciuto a Roma ma assolutamente non romanocentrico (16 gennaio 2014); in quanto siamo in presenza di alcuni fatti assolutamente poco trasparenti (16 gennaio 2014). 2   Alcuni esempi: illogico, immotivato, impossibile, improponibile, inaccettabile, inadatto, inadeguato, inammissibile, inascoltato, incomprensibile, inconfondibile, inconsueto, incostituzionale, inesatto, inesistente, infondato, inimmaginabile, inopportuno, insoddisfacente, insolito, insu√ciente, intoccabile, intollerabile, inusuale, inutile, irricevibile, irrinunciabile. Sul prefisso in- come elemento morfologico che svolge la funzione di negazione, cfr. Bernini 2011: 942. 3   Assolutamente si comporta dunque in modo diverso rispetto ad altri avverbi di grado con semantica intensificativa (molto, troppo ecc.), che solo in italiano antico erano compatibili col grado superlativo dell’aggettivo (GIA: 736). 4   Si può citare, in proposito, un esempio di parlato televisivo in cui tale tendenza viene estremizzata: questa cosa è assolutamente successa (dalla trasmissione Le invasioni barbariche, andata in onda sull’emittente La 7 il 12 marzo 2014). 5   Nel PTLLI sono inoltre attestati due esempi di no, assolutamente (Buzzati), uno di no, no, assolutamente (Arbasino) e uno di sì, assolutamente (Citati).

30

maria silvia rati assolutamente no

assolutamente sì

CS

58 = 81,7%

13 = 18,3%

PTLLI

7 = 87,5%

1 = 12,5%

Alcuni esempi: [1] Mi chiedete se sono in imbarazzo? Assolutamente no (CS, 26 febbraio 2014) [2] Razzista io? Assolutamente no, ma il razzismo c’è anche contro chi ha la pelle chiara e in questo momento sono gli italiani a essere discriminati (CS, 11 gennaio 2014) [3] Cultura all’Acquario Civico? Assolutamente sì (CS, 28 settembre 2013) [4] ma proprio sano lei non è... assolutamente no... ci sono in lei tutte le caratteristiche, mi perdoni, dello psicopatico... (Moravia, I racconti) [5] Assolutamente sì, su questo non si discute (Montesano, Nel corpo di Napoli) [6] Assolutamente no. Hai mai visto un papà che vola? (Maraini, Buio).

2. 1. 3. Ordine delle parole Qualora assolutamente raπorzi un singolo costituente (sia esso un aggettivo, un avverbio o un’altra parte del discorso), la sua collocazione più ricorrente – secondo una prassi comune in italiano per gli aggettivi – 1 è quella anteposta:  

[1] Se Fazio mi invitasse a Sanremo ci andrei assolutamente subito (CS, 12 febbraio 2013) [2] dove non lo vede assolutamente nessuno (CS, 21 settembre 2013)

Alcune eccezioni si trovano nella narrativa, specialmente quando a essere raπorzato da assolutamente è l’aggettivo privo: priva assolutamente di timidità e di civetteria (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli); privo assolutamente di interesse (Romano, Le parole tra noi leggere). 2 Le collocazioni posposte rappresentano, nel PTLLI, il 2% dei casi in cui assolutamente si accompagna a un costituente frasale; negli articoli del CS non c’è invece alcuna eccezione all’uso anteposto. Qualora sia presente la negazione non, è quest’ultima a presentare due collocazioni alternative: nel CS, oltre al tipo assolutamente non comune (22 gennaio 2014), assolutamente non per caso (19 gennaio 2014), è presente il tipo non assolutamente necessarie (20 marzo 2013), nel quale tuttavia assolutamente assume un diverso valore semantico. Le 3 occorrenze con negazione individuate nel PTLLI seguono tutte l’ordine assolutamente+non+aggettivo: assolutamente non distratto (Tobino, Il clandestino), assolutamente non più leggero (Parise, Sillabario n. 2), assolutamente non disinteressato (Riccarelli, Il dolore perfetto). Qualora assolutamente modifichi un predicato, esso tende a interporsi fra due costituenti che presentano uno stretto legame logico, formando con essi un’unica unità intonativa:  

1

  Serianni 1988: xii 68.   La tendenza di privo a collocarsi prima di assolutamente si nota anche in esempi letterari cronologicamente precedenti: priva assolutamente di mobili (Serao, Il paese di cuccagna). 2

assolutamente

31

[3] Il Vescovo non aveva assolutamente emanato alcuna disposizione (CS, 4 febbraio 2014) [4] Sono assolutamente questioni soggettive (CS, 17 dicembre 2013) [5] ammonendomi di non consentire assolutamente a questa idea (Bellonci, Rinascimento privato) [6] non capisco assolutamente come sia potuto succedere (CS, 10 dicembre 2013)

Come si vede, assolutamente si trova ora interposto, ora posposto al predicato. I casi di posposizione coincidono quasi sempre con contesti nei quali il verbo regge, come in [5], un complemento o, come in [6], una proposizione completiva. In questi casi, pertanto, preferiamo parlare, piuttosto che di uso posposto (al verbo), di interposizione di assolutamente tra due elementi di un blocco unitario, non diversamente da quando assolutamente si trova all’interno di un predicato perifrastico [3]. 1 Parleremo in senso stretto di posposizione al predicato solo quando quest’ultimo non regge altri costituenti frasali:  

[7] Ci contava assolutamente (Banti, Artemisia) [8] che non vediamo assolutamente (CS, 29 ottobre 2013)

La collocazione posposta al predicato conta attestazioni sporadiche nella scrittura giornalistica (0,3%), mentre è ben rappresentata in quella letteraria (43%). 2 Nel PTLLI si incontra anche qualche esempio di assolutamente prosodicamente isolato, come inciso o alla fine di una frase:  

[9] «Bisognerà che il mio Gigi, assolutamente, non si incontri più con questo signor Penella...», disse, inviperita, la contessa (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme) [10] che ormai voleva capire, assolutamente (Vittorini, Le donne di Messina) [11] niente, assolutamente, che potesse riposare gli sguardi (Buzzati, Sessanta racconti)

Le tabelle che seguono oπrono un quadro generale della posizione di assolutamente all’interno della frase. PTLLI

totale occorrenze

anteposto

assolutamente+agg. o part.

163

159 = 97,5%

0

4

assolutamente+avv.

41

35 = 85%

0

6 = 15%

assolutamente+pron.

1

1 = 100%

0

0

assolutamente+locuz.

3

3 = 100%

0

0

assolutamente+pred.

151

14 = 9,3%

interposto

72 = 47,7%

posposto

65 = 43%

1   Si adotta, dunque, un’ottica interpretativa diversa rispetto a Lonzi 1991, dove si parla di posizione postverbale. 2   Sulle possibili motivazioni di questa diπormità fra i due tipi di scrittura ci si soπermerà meglio in 2. 2. 3 e 3. 5.

32

maria silvia rati

CS

totale occorrenze

anteposto

assolutamente+agg. o part.

888

888 = 100%

interposto

posposto

0

0

assolutamente+da+inf.

18

14 = 77,8%

0

4 = 22,2%

assolutamente+avv.

68

68 = 100%

0

0

assolutamente+pron.

6

6 = 100%

0

0

assolutamente+locuz.

37

36 = 97,3%

1 = 2,7%

0

assolutamente+pred.

515

10 = 17,1%

503 = 86,1% 2 = 0,3%

Prevedibilmente, alcune collocazioni più rare (come l’anteposizione di assolutamente al predicato) sono presenti in percentuale maggiore nei testi letterari. 1 Dalle tabelle si evince anche che un modulo tipico della scrittura giornalistica è assolutamente+da+infinito:  

[12] Ma che Il Re Tarantola fosse un artista assolutamente da conoscere più a fondo l’avevano capito subito (26 settembre 2013) [13] Un duello assolutamente da vincere per Sergio Floccari quello che domani all’Olimpico lo vedrà opposto all’emergente bomber della Samp, l’argentino Mauro Icardi (11 maggio 2013).

2. 2. Considerazioni diacroniche Le prime attestazioni di assolutamente sono trecentesche e presentano perlopiù il significato di ‘in assoluto’ e quelli a esso contigui di ‘in generale’, ‘universalmente’. 2 Il LEI fa risalire al 1540 (Guicciardini) l’accezione di ‘del tutto, completamente’ e al 1642 (Galilei) quella di ‘in ogni modo, a qualunque costo’ (‘in nessun modo’ in caso di frase negativa). In realtà – come attesta il TLIO, che unifica in una sola accezione i significati di ‘completamente’, ‘senza incertezza’ e ‘in alcun modo’ –, anche per questi valori si può risalire al xiv secolo. Lo dimostrano attestazioni come le seguenti:  

[1] E l’Autore risponde assolutamente, che sì (Ottimo commento della Commedia, Paradiso) [2] Quisto fo quillo iuorno vectoriuso a lo quale potte essere perpetuale fine, e li Troyani forriano stati intando assolutamente vincituri se llo avessero ben saputo canoscere… (Guido delle Colonne, Libro della destructione de Troya) 3 [3] Altra risposta assolutamente non pare al santo Padre che si dovesse dare, infino che vostri ambasciatori non giungessero (Caterina da Siena, Lettere) 4  



1

  «Di solito l’inversione avverbio+verbo corrisponde a procedimenti di messa in rilievo enfatica (specie nella lingua poetica)» (Serianni 1988: xii 68). 2   Per esempio: Vede adunque questa nobilissima di tutte assolutamente, in quanto perfettissima in sé la vede e in sua essenzia (Dante, Convivio); così i viziosi rei esser concederò, ma esser assolutamente non potrò confessare (Alberto della Piagentina, Il Boezio volgarizzato). 3   In questo caso il contesto non è tratto dalla LIZ ma dal corpus OVI. 4   Lo stesso valore è presente in due esempi quattrocenteschi: Le pecunie in loro non hanno

assolutamente

33

In questi esempi assolutamente è già usato nelle modalità oggi più comuni: come raπorzativo di una frase aπermativa, col significato di ‘senza dubbio’ ([1]); per modificare un singolo costituente, col significato di ‘del tutto, completamente’ ([2]); come raπorzativo di una frase negativa, col significato di ‘in nessun modo’ ([3]). Per la lingua del passato stabilire una netta distinzione fra le accezioni è comunque ancor meno facile che per l’italiano moderno, anche perché il valore di ‘in assoluto’ – molto frequente, per esempio, in Bruno e Leopardi – 1 non appare sempre chiaramente distinguibile dalle accezioni che qui ci interessano. 2 Risulta retrodatabile sulla base della LIZ anche la prima attestazione di assolutamente olofrastico: rispetto al passo di Rucellai, citato da CRUSCA e GDLI, 3 è cronologicamente anteriore una battuta di dialogo di Grazzini, La pinzochera, in cui assolutamente è usato con valore asseverativo: «Credilo tu però?» «Assolutamente».  





2. 2. 1. Assolutamente modificatore di un singolo costituente frasale Periodi 1-3 4  

Dalle Origini al Rinascimento, anche per l’esiguità delle attestazioni complessive, non è ancora individuabile una maggiore frequenza di assolutamente in combinazione con un aggettivo piuttosto che con altri tipi di costituente frasale: oltre all’esempio trecentesco citato sopra ([2]), se ne è rintracciato solo un altro, cinquecentesco ([4]). In [5] assolutamente a√anca un sostantivo con valore di pronome indefinito: [4] disposti assolutamente a eleggere lui (Guicciardini, Storia d’Italia) [5] Rimettendo a suo arbitrio assolutamente ogni cosa, sarà pericolo non diventi insolente (Guicciardini, Storia d’Italia).

Periodo 4 Parallelamente a una maggiore diπusione di assolutamente, 5 comincia a de 

alcuna utilità né in alcuno bisogno di vita assolutamente s’adoperono (Palmieri, Vita civile); che mai assolutamente per gli iddii conceduto non fue (Gherardi, Paradiso degli Alberti). 1

  Una formula molto ricorrente nello Zibaldone è, per esempio, assolutamente parlando.   Nello spoglio della LIZ, di cui si esporranno i risultati nel paragrafo che segue, l’accezione di ‘in assoluto’, oggi poco comune, non è stata presa in considerazione. 3   La vera felicità non ha ella da esser ferma e stabile...? – Assolutamente. 4   La periodizzazione che si adotterà negli excursus diacronici – anche nei successivi capitoli – è la seguente, coincidente con quella di LIZ 4.0: periodo 1 = Dalle Origini a Dante; periodo 2: da Petrarca all’Umanesimo; periodo 3: Rinascimento; periodo 4: Manierismo e Barocco; periodo 5: Arcadia e Illuminismo; periodo 6: Neoclassicismo e Romanticismo; periodo 7: Naturalismo e Decadentismo. 5   99 sono le attestazioni utili conteggiate nella LIZ per il periodo 4, rispetto alle 23 del periodo 3. 2

34

maria silvia rati

linearsi la prevalenza di assolutamente+aggettivo (25 occorrenze) rispetto ad assolutamente+avverbio (5) e assolutamente+pronome (2). Numerosi gli esempi di assolutamente+aggettivo nelle opere di Galileo, il quale, tra gli autori inclusi nella LIZ, è quello a cui si deve il maggior numero di attestazioni di assolutamente nel periodo considerato: [6] Sarebbe il suo fulgore assolutamente intollerabile (Dialogo sopra i due massimi sistemi) [7] La sua e√cacia non può esser se non nulla assolutamente (Dialogo sopra i due massimi sistemi) [8] Impossibile assolutamente è che ella fusse per infinito intervallo superiore alle stelle (Dialogo sopra i due massimi sistemi)

I tre esempi contengono alcune caratteristiche evidenziate prima a proposito di assolutamente nell’italiano contemporaneo: il significato negativo degli aggettivi a cui assolutamente si accompagna e la presenza, tra di essi, di due prefissati con in-. Se si estende l’osservazione alle occorrenze (anche in altri autori) di assolutamente+avverbio e assolutamente+pronome, si può osservare che le uniche forme avverbiali e pronominali attestate sono – come oggi – niente, nulla e nessuno: [9] che possa creder questo, che di là sia nulla assolutamente, e senza sospetto alcuno (Gelli, I capricci del Bottaio) [10] che nessun assolutamente potesse comparire per procuratore (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino).

Periodo 5 Nel periodo successivo la struttura assolutamente+aggettivo è priva di attestazioni nei testi di registro colloquiale (come le commedie di Goldoni). Sono presenti in tutto 27 occorrenze, un terzo delle quali contiene l’aggettivo necessario, che, come si è visto, è oggi molto comune in combinazione con assolutamente. Ecco alcuni esempi: [11] quelle che per conseguirla son assolutamente necessarie (Vico, Principi di scienza nuova) [12] Adunque non solo le arti che sono assolutamente necessarie (Parini, Discorso sopra la poesia) [13] e ogni altra cosa non assolutamente necessaria al nostro material vivere (Baretti, «La frusta letteraria»)

Si notano, ancora una volta, aggettivi formati con in- negativo: 1  

[14] che mi pare assolutamente impossibile sieno stati fatti da quel valentuomo (Baretti, «La frusta letteraria») [15] in cui le antiche guerre siano assolutamente inevitabili («Il Caπè») [16] diveniva assolutamente impossibile il vederla né punto né poco (Alfieri, Vita)

Evidente è poi la tendenza (rilevata per l’italiano contemporaneo in 2. 1. 2) ad a√ancare assolutamente ad aggettivi che hanno già un contenuto semantico 1

  In combinazione con assolutamente sono attestati anche alcuni prefissati in anti-: è in uno stato assolutamente antifilosofico (Pellico, Le mie prigioni).

assolutamente

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forte ([17]), sono intensificati da altri avverbi ([18]) o si presentano al grado superlativo ([19]): [17] Tale imposizione era assolutamente esorbitante per una sola città (Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799) [18] Perché io era assolutamente troppo debole per poter reggere allo stare in guardia (Alfieri, Vita) [19] tragedie per altro bellissime assolutamente (Foscolo, Viaggio sentimentale).

Periodo 6 Nei secoli successivi si incrementa il numero di attestazioni di assolutamente+aggettivo. Alcune occorrenze figurano all’interno di passi molto noti: [20] Confessiamo sinceramente che anche noi abbiamo adoperata qua e là, non solo nei dialoghi, ma anche nella narrazione qualche parola, qualche frase assolutamente lombarda (Manzoni, Fermo e Lucia) [21] che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, e il romanzo avrà l’impronta dell’avvenimento (Verga, Vita dei campi)

Nello Zibaldone, che fra i testi ottocenteschi della LIZ è quello che ospita il più elevato numero di attestazioni di assolutamente, spesseggiano gli esempi di assolutamente+aggettivo al superlativo: [22] la necessità non solamente di essere ma di essere in quel tal modo, che noi giudichiamo assolutamente perfettissimo [23] e vedremo che la sinonimia è assolutamente scarsissima rispetto alle lingue e alle scritture moderne [24] il più proprio dell’uomo, il più assolutamente inevitabile, il meno acquistabile, il meno fattibile

Nutrito è inoltre, nella stessa opera, il drappello degli aggettivi formati con in- negativo. 1 Nello Zibaldone si può osservare inoltre una peculiarità di tipo semantico: assolutamente è usato anche nel senso di ‘esclusivamente’, ‘specificamente’, ‘tipicamente’:  

[25] Ne’ verbi poi essa diminuzione è assolutamente italiana

Periodo 7 Negli autori successivi si continuano a osservare le principali tendenze viste fin qui: [26] Ma non credi il fatto assolutamente impossibile (Boito, Storielle vane) 2 [27] Era assolutamente necessario (De Amicis, La maestrina degli operai) [28] L’assegno era assolutamente troppo forte in relazione ai suoi guadagni (Fogazzaro, Piccolo mondo antico)  

1

  Impossibile (4 occorrenze), inevitabile (3), incapace, incompatibile, inconcepibile, indomabile, indomito, insormontabile, inutile, invincibile. 2   Complessivamente nei periodi 6 e 7 l’aggettivo più ricorrente è impossibile (12 occorrenze), seguito da necessario (10).

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Tra i casi in cui assolutamente non modifica un aggettivo ma altri costituenti della frase, sono da segnalare 17 occorrenze in cui modifica sì o no. Il maggior uso dell’espressione assolutamente no rispetto ad assolutamente sì osservato nell’italiano contemporaneo sembrerebbe riguardare anche i secoli precedenti; in questo caso, tuttavia, lo scarso numero di esempi non consente di trarre conclusioni sicure, specialmente in relazione a un arco diacronico vasto come quello coperto dalla LIZ: assolutamente sì

assolutamente no

periodi 1-4

0

0

periodo 5

4

10

periodo 6

0

1

periodo 7

0

2

2. 2. 2. Assolutamente modificatore del predicato Come elemento raπorzativo di un predicato, assolutamente può presentare tratti semantici aggiuntivi rispetto a quelli che gli sono propri nell’italiano contemporaneo. In Goldoni, per esempio, acquista spesso il significato di ‘sicuramente’: [1] Assolutamente parlano di mio marito (La moglie saggia) [2] Vi è qualche mistero assolutamente (Il vecchio bizzarro)

Inoltre, accanto ai valori di ‘senz’altro’, ‘in nessun modo’ attesi in contesti sintattici del genere, troviamo più frequentemente rispetto a oggi quello di ‘completamente’, ‘del tutto’: [3] Ha ingannato il mio povero figlio, lo ha stregato assolutamente (Goldoni, Il padre di famiglia) [4] Al Balli bastò di udire dalla bocca di Emilio una confessione simile per crederci assolutamente (Svevo, Senilità)

L’impossibilità di stabilire una corrispondenza sistematica fra i valori semantici di assolutamente e determinate situazioni sintattiche riguarda del resto, come si è visto, ancora l’italiano contemporaneo. 2. 2. 3. Ordine delle parole Nella seguente tabella i 918 contesti utili della LIZ sono stati suddivisi in base alla posizione di assolutamente nella frase. anteposto periodi 1-2

4 all’agg. 1 al pred. 2

interposto pred.-complet. 1

posposto

come inciso 0

a inizio frase 0

a fine frase 0

assolutamente anteposto

interposto

posposto

37 come inciso

a inizio frase

a fine frase

periodo 3

17 all’agg. 1 al sost. 1 al pred. 4

in perifr. verb. 1

all’agg. 1 al pred. 9

0

0

0

periodo 4

104 all’agg. 21 al pron. 1 al pred. 34

in perifr. verb. 4 pred.- complem. 2

all’agg. 4 al pron. 1 all’avv. 5 al pred. 32

0

0

0

periodo 5

282 all’agg. 26 al pron. 1 a una locuz. 1 all’avv. 1 al pred. 39

in perifr. verb. 57 pred.-complem. 28 pred.-complet. 22

al pred. 91 all’agg. 1 all’avv. 2 al pron. 1 a una locuz. 1

1

10

0

periodo 6

332 all’agg. 120 al part. 3 al pron. 2 a una locuz. 4 all’avv. 5 al pred. 7

in perifr. verb. 81 pred.-complem. 54 pred.-complet. 18

all’agg. 12 al pred. 9 al part. 1 al pron. 1 a una locuz. 2

1

9

3

periodo 7

179 all’agg. 46 all’avv. 6 a una locuz. 1 al pred. 15

in perifr. verb. 40 all’agg. 1 pred.-complem. 20 al pred. pred.-complet. 16 12 prep.-sost. 1

14

7

0

Nei periodi 1-3 lo scarso numero di attestazioni non consente di ricavare indicazioni significative riguardo alla posizione di assolutamente nella frase. A partire dal periodo 4 comincia a essere chiaramente prevalente l’anteposizione all’aggettivo, che nell’uso di oggi, come si è visto, ammette poche eccezioni; in questo caso, dunque, fra italiano antico e italiano moderno non si notano particolari diπormità. Alcuni autori prediligono tuttavia la collocazione posposta: è il caso di Leopardi, che nello Zibaldone pospone assolutamente ad aggettivi (maggiore assolutamente, proprii assolutamente) e a sintagmi (contro natura assolutamente, in regola assolutamente). Si spiega dunque con le scelte topologiche di Leopardi il numero più elevato di posposizioni all’aggettivo che caratterizza il periodo 6. Riguardo ad assolutamente+predicato, va notata in particolare la frequenza della collocazione posposta nelle commedie di Goldoni (su 91 occorrenze nel periodo 5, 88 sono goldoniane), dove assolutamente tende a comparire dopo il predicato anche quando sarebbe stato possibile collocarlo tra il verbo modale e l’infinito o tra i due elementi di un predicato nominale:

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[1] e non mi vorrà perdere assolutamente (La famiglia dell’antiquario) [2] Non è vero assolutamente (La dama prudente) [3] Oh, non sono contenta assolutamente (La dama prudente)

Questa peculiarità era verosimilmente propria della lingua parlata. Nei testi meno compromessi con l’oralità – e in particolare nelle scritture di tipo argomentativo – è invece frequente l’interposizione di assolutamente tra due elementi della frase. Così, nelle lettere di Leopardi assolutamente si trova più volte posposto al predicato, mentre la collocazione interposta è tipica dello Zibaldone. La prevalenza della posizione interposta nei giornali di oggi (su cui cfr. 2. 1. 2) sembrerebbe dunque caratterizzare anche le scritture argomentative del passato. Che alla collocazione dopo il predicato vada riconosciuta una matrice parlata è evidente anche dalla sua presenza, successivamente, in autori come Verga (quasi sempre in contesti dialogici) e Svevo: [4] il signore non vuole essere disturbato assolutamente (Verga, Una peccatrice) [5] giacché lo volete assolutamente… Sia pure (Verga, I ricordi del capitano d’Arce) [6] L’ultimo rimasto non voleva morire assolutamente (Verga, Novelle rusticane) [7] Al Balli bastò di udire dalla bocca di Emilio una confessione simile per crederci assolutamente (Svevo, Senilità)

Come negli esempi di Goldoni, la posizione posposta interessa anche contesti in cui il predicato è costituito da una perifrasi verbale ([4] e [6]). Oltre alla posposizione di assolutamente al predicato, nei contesti colloquiali è più frequente anche la sua collocazione all’inizio della frase: 1  

[8] e assolutamente per levarla dalla locanda, aveva voluto installare Marinetta nella sua palazzina (Zena, La bocca del lupo) [9] Assolutamente questo piatto non si può mangiare (Cagna, Alpinisti ciabattoni)

Come elemento prosodicamente isolato – una giacitura piuttosto rara nelle fasi diacroniche precedenti – 2 assolutamente è usato, specialmente in battute di dialogo, da Fogazzaro, Imbriani, Serao, Capuana, Oriani, Svevo, Serra: 3  



[10] Ma lasciami libera, assolutamente, te ne prego! (Capuana, Giacinta) [11] Io sono sano, assolutamente (Svevo, La coscienza di Zeno) 1   Anche nel PTLLI si trova qualche esempio analogo: Assolutamente il Summonti non ebbe tempo per interrogarsi (Tobino, Il clandestino). 2   Ciò sembra confermare un dato sottolineato da Bazzanella a proposito dei segnali discorsivi, per i quali nell’italiano antico rispetto a quello contemporaneo si nota «la prevalenza di sintagmi pieni, anziché di parentetici» (Bazzanella 2001: 190): per esempio, all’espressione parentetica come sai, usata nell’italiano attuale, corrispondono, nei testi letterari antichi, espressioni come tu sai, sai bene ecc. 3   Anche nel PTLLI si trovano alcuni esempi di assolutamente con stacco prosodico: niente, assolutamente (Buzzati, Sessanta racconti); mai, assolutamente (Buzzati, Sessanta racconti); i cugini, assolutamente, non lo lasciano (Brignetti, La spiaggia d’oro).

assolutamente

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Nelle scritture che – in una certa misura – riproducono il parlato, rispetto a quelle stilisticamente più sostenute e in particolare argomentative, si osserva dunque una maggiore varietà di combinazioni per quanto riguarda la posizione di assolutamente all’interno della frase. 2. 3. Tra affermazione e negazione: l’uso olofrastico Dizionari come CRUSCA, TB e RIG-FANF fanno riferimento all’uso di assolutamente come formula olofrastica interpretandolo solo in senso aπermativo: «così può rispondersi a modo d’aπermazione, senz’altro: assolutamente, sottinteso è così» (TB); «usasi anche nelle risposte aπermative, ma con assai più forza del semplice sì» (RIG-FANF). Nei tre corpora qui considerati, quando assolutamente è usato da solo prevale, in eπetti, il valore di formula asseverativa. Ciò che si è notato in precedenza riguardo al frequente senso negativo di assolutamente non si può estendere, dunque, al suo impiego olofrastico. Queste le attestazioni di assolutamente olofrastico nel PTLLI: [1] Per me non devi perdere neanche un’ora. È molto meglio che tu riparta subito. Assolutamente. È il tuo dovere... (Buzzati, Sessanta racconti) [2] Inoltre nei quartieri più interni che interessano di più io condurli non posso: assolutamente. Io stesso non ho il coraggio di esplorare quei meandri di palazzi, di case e di tuguri (dove stazionano gli angeli o i demoni?) (Buzzati, Sessanta racconti) [3] Prego s’accomodi, perbacco, avanti avanti, no, se mi permette, forse è meglio si accomodi nella poltrona che è più comoda, ma quale onore inaspettato, assolutamente, per l’appunto, oh grazie, un caπè, una sigaretta?... (Buzzati, Sessanta racconti) [4] Assolutamente, era freddo e calcolatore, lo diceva lui stesso (Arbasino, L’anonimo lombardo) [5] «Assolutamente» accolse il consiglio del reverendo, il quale col tono più aπettuoso pregò la donna di lasciargli il piccolo (Tomizza, La miglior vita)

L’unico esempio con valore negativo è [2], dove tuttavia la vicinanza di non posso – nonostante lo stacco creato dai due punti – ne attenua il valore di formula olofrastica rendendolo più vicino a quello di raπorzativo della negazione. Nel CS si è individuato un solo esempio di assolutamente usato come risposta, equivalente a sì: [6] Disponibile ad un confronto con gli altri candidati sindaco di Roma? «Assolutamente, ovunque e con chiunque», ovvero «con tutti» i contendenti in lizza (14 aprile 2013)

Gli esempi della LIZ presentano tutti, tranne [11], il valore aπermativo: [7] «Credilo tu però?» «Assolutamente» (Grazzini, La pinzochera) [8] «La metterò fuori di casa» «Oh assolutamente, o lei, o io» (Goldoni, L’uomo prudente) [9] «Questa macchina si può rovesciare addosso di me». «Assolutamente, vi può far perdere il credito» (Goldoni, L’adulatore)

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[10] «[…] fatene qual uso che vi piace». «Assolutamente?» «Assolutamente» (Goldoni, Il ventaglio) [11] Oh, no! Non sarebbe comparsa in quel ballo! Assolutamente (Capuana, Giacinta) [12] Bisogna che io gli parli… assolutamente! (Verga, I ricordi del capitano d’Arce) [13] «Ti viene proprio nuovo?» «Assolutamente» (De Roberto, Illusione) [14] Assolutamente, vada, qui sarebbe d’incomodo (Oriani, Gelosia).

2. 4. Conclusioni su assolutamente Dalle Origini a oggi, diversamente da altri avverbi che si sono specializzati o in senso aπermativo o in senso negativo, assolutamente ha mantenuto una funzione raπorzativa sia dell’aπermazione, sia della negazione. In alcuni impieghi sintattici (per esempio come modificatore di aggettivi e avverbi) ha prevalso la tendenza al valore negativo, come dimostra la frequente associazione con aggettivi prefissati in in- e con avverbi e pronomi di significato negativo (niente, nulla, nessuno, no). Come avverbio olofrastico, invece, assolutamente è stato usato perlopiù come sì enfatizzato, a cominciare dal primo esempio a noi noto, attestato in una commedia di Grazzini. Il valore aπermativo è anche il solo assegnato dai dizionari ottocenteschi ad assolutamente come formula olofrastica. L’uso di assolutamente al posto di sì, spesso considerato tipico dell’italiano contemporaneo, non è dunque una novità dei nostri tempi, né testimonia, come si aπerma in fonti non specialistiche, un’«erosione del senso» o un «a√evolimento» della parola sì nella lingua di oggi. 1 Riguardo all’ordine delle parole, è emersa una netta diπerenza fra i testi di tipo argomentativo, nei quali la collocazione interposta al predicato è pressoché esclusiva, e quelli di tipo narrativo o comunque più aperti alla mimesi del parlato, nei quali sono ben rappresentate anche altre collocazioni e in particolare la posposizione al predicato.  

1   Opinioni di questo tipo sono riportate nel sito Internet https://it.wikipedia.org, all’interno della voce assolutamente sì (dove è riservata una breve trattazione anche ad assolutamente no e ad assolutamente). La creazione di un’apposita voce in Wikipedia testimonia che l’uso olofrastico di assolutamente è uno di quei tratti linguistici (come le ridondanze pronominali o la sostituzione del congiuntivo con l’indicativo) a cui l’opinione pubblica si interessa e rivolge le sue censure, talora enfatizzandone lo status di errori. Fra le numerose condanne di assolutamente a livello divulgativo si può citare il suo inserimento al secondo posto tra le «parole da buttare» votate dai lettori del «Sole 24 ore» nel 2003; al primo posto figurava quant’altro, al secondo un attimino.

3. A f f atto

A

d aπatto, derivante dal sostantivo fatto con l’aggiunta del prefisso a-, 1 ZING attribuisce questi significati: 1. ‘del tutto, completamente’: il suo punto di vista è aπatto diverso; si tratta del valore originario, sulla base del quale molte grammatiche inseriscono aπatto tra gli avverbi di quantità. 2 2. Raπorzativo della negazione: non le somiglia aπatto. 3. Avverbio olofrastico nel significato di ‘per niente’: sei contento? Aπatto. Aπatto compare inoltre all’interno della locuzione niente aπatto, usata come risposta «recisa e per lo più in tono risentito» (TRECC).  



3. 1. Affatto nell’italiano contemporaneo Ecco con quali percentuali i diversi impieghi di affatto sono presenti nell'uso letterario (fig. 3) e in quello giornalistico (fig. 4):

Fig. 3. Distribuzione degli impieghi di aπatto nel PTLLI.

I dati mostrano che aπatto è usato quasi sempre come raπorzativo della negazione (92% delle occorrenze nel CS; 85% nel PTLLI), mentre il significato di 1   Cfr. DELI. «Quasi fino al compimento, compiutamente; come da pieno si è fatto appieno, per pienamente» (CRUSCA). 2   Lonzi 1991 (361-62) lo include invece, insieme a proprio, ben, pur, sì e mica, tra i «raπorzativi dell’asserzione e della negazione», che a loro volta costituiscono una sottocategoria degli «avverbi focalizzanti» (342).

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Fig. 4. Distribuzione degli impieghi di aπatto nel CS.

‘del tutto, interamente’ è presente soltanto in una percentuale esigua degli esempi (2% nel CS; 5% nel PTLLI). Opportunamente, dunque, GRADIT contrassegna con «FO» il valore di raπorzativo della negazione e con «BU» quello di ‘del tutto, interamente’. Per quanto riguarda il valore di avverbio olofrastico nel significato di ‘per niente’, il PTLLI ne oπre un solo esempio, 1 accanto a 6 di (ma) no, aπatto, 2 nei quali il valore negativo dell’avverbio è chiarito dalla presenza di no; più spesso lo si trova all’interno dell’espressione niente aπatto (25 esempi). Nel CS mancano citazioni di dialoghi che contengano aπatto da solo come risposta; si registrano 3 esempi di niente aπatto e uno di no, niente aπatto. È da notare che nella scrittura giornalistica aπatto assume più volte il significato negativo di ‘per niente’ – in assenza della negazione non – quando modifica un aggettivo, laddove l’unico significato possibile dovrebbe essere quello opposto di ‘del tutto’. Ecco due dei 16 esempi rinvenuti nel CS:  



[1] Per il sindaco Gianni Alemanno «Roma è una città poco o aπatto pericolosa e la rappresentazione che la stampa oπre della sicurezza appare squilibrata» (20 aprile 2013) [2] queste «palle di neve sporca», definizione che ha rappresentato l’unico momento prosaico della conferenza, sono grandi impostori, hanno due code (una di polveri, una di ioni), ruotano di continuo e non solo rispetto a un asse («tombolano» è stata l’espressione usata), e non hanno gravità: aπatto facile avere a che fare con tanta indomabile materia (6 ottobre 2013) 1   – Le donne di oggi non ci tengono all’importanza.– Disse quale conferma la dama di destra. – Aπatto.– Ribadì per concludere con parsimonia quella di sinistra (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli). 2   Soldati (2 volte), Parise (2 volte), Brignetti, Sanvitale.

affatto

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In 17 contesti aπatto presenta invece il valore atteso di ‘del tutto’. Per esempio: [3] Per comprendere quale posizione occupasse Vlad nella vita musicale del Novecento occorre aver presente una società aπatto scomparsa: purtroppo (21 ottobre 2013) [4] È un suo modo aπatto personale di leggere e sentire questo Rachmaninov e il pubblico ha mostrato di apprezzarlo (11 settembre 2013)

La sequenza aπatto+aggettivo oscilla dunque tra significato aπermativo e negativo a seconda dell’uso del singolo giornalista; 1 la disambiguazione è possibile solo in base al contesto. Il fenomeno descritto interessa in modo più sporadico l’uso letterario, in cui aπatto+aggettivo mantiene quasi sempre l’originario significato aπermativo. Nel PTLLI le uniche attestazioni con valore negativo sono le due che seguono (a fronte di 28 nel significato di ‘del tutto’):  

[5] Il contrabbandiere, che avrebbe potuto superarmi e raggiungere il bimbo, mi seguiva invece indolente, aπatto persuaso che fosse necessario acchiapparlo (Flaiano, Tempo di uccidere) [6] Domande aπatto indiscrete e quasi d’obbligo tra compagni di viaggio (Chiara, L’uovo al cianuro)

Aπatto si accompagna ad aggettivi in altri due tipi di contesti sintattici: la sequenza non+verbo+aπatto+aggettivo (dove il verbo è quasi sempre essere) e l’espressione niente aπatto+aggettivo. In queste sequenze alcune forme aggettivali sono particolarmente ricorrenti, soprattutto nel CS; è il caso di scontato nel significato di ‘ovvio’: 2  

[7] Non è aπatto scontato il nostro appoggio al centrodestra. Faremo le nostre valutazioni (26 maggio 2013) [8] Orientamento niente aπatto scontato stando alle dichiarazioni di fuoco di molti dei suoi (26 giugno 2013)

Frequenti anche gli aggettivi che, in modo semanticamente inverso, rimandano a un’idea di sorpresa o stupore (sorpreso, stupito, strano); analogamente, tra i predicati associati ad aπatto si incontrano spesso forme come sorprendere e stupire: [9] Il che non stupisce aπatto visto che nel Partito democratico in questi anni si è speso senza remore (29 dicembre 2013)

Sono attestati, inoltre, diversi lessemi che esprimono concetti positivi, come 1  Normalmente l’omissione di non con le particelle completive della negazione «è caratteristica dell’italiano settentrionale» (Serianni 1988: xii 55). Si può ipotizzare che l’abitudine rilevata negli articoli del CS abbia questa origine geografica e che si stia diπondendo nell’italiano contemporaneo in modo analogo ad altre tendenze sintattiche provenienti dalla stessa area (tra le più recenti, l’uso di piuttosto che con valore disgiuntivo: cfr. Della Valle2 Patota 2013).   L’aggettivo è presente nel 13% delle attestazioni di aπatto nel CS.

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chiaro, contento, disteso (riferito al sostantivo clima), facile, felice, ottimista, rassicurante, roseo, semplice, sicuro, tenero, tranquillizzante, tranquillo: [10] La realtà del nostro cinema non è aπatto rosea (9 settembre 2013) [11] si cercherà a tutti i costi di risolvere, anche se la soluzione non è aπatto semplice (2 dicembre 2013)

Tali aggettivi, in combinazione con la negazione raπorzata da aπatto, sono utilizzati per esprimere in modo attenuato il significato opposto a quello a cui fanno riferimento (‘di√cile’, ‘triste’, ‘pessimista’ ecc.); l’impiego di aπatto come raπorzativo della negazione diviene dunque, in questi casi, strumento di litote. Comune sia ai testi giornalistici, sia a quelli letterari (anche del passato) è il legame di aπatto con verbi che esprimono un’idea di somiglianza / diπerenza: 1  

[12] Il tono che usava per parlare a Mussolini non somigliava aπatto a quello in uso da parte dei collaboratori del Duce, me compreso (25 giugno 2013)

Riguardo ad aπatto+avverbio, va segnalato un esempio del PTLLI in cui aπatto si trova in combinazione con più: [13] Il Barone non parla aπatto più (Ortese, Poveri e semplici)

Si contravviene, qui, a una regola enunciata da Lonzi 1991: «Mica può aggiungersi a mai e più, a diπerenza di aπatto» (362). Un accenno, infine, alla presenza di locuzioni contenenti aπatto. Mentre in italiano antico l’inventario di espressioni era più vario, 2 oggi resiste nell’uso il solo niente aπatto, come formula olofrastica e in combinazione con un aggettivo (come si vedrà dall’analisi delle occorrenze della LIZ, in passato la locuzione conosceva una maggiore varietà di impieghi). Del suo contrario tutto aπatto, di circolazione già duecentesca, 3 alcune attestazioni sono ancora rintracciabili negli scrittori del Novecento dallo stile più arcaizzante. Ecco, per esempio, due passi tratti da Bufalino, Le menzogne della notte: 4  





[14] E codesta tua smania di odiarti, che io, perdonami, trovo tutt’aπatto abominevole e truce... [15] Taluno mi sibilerà, ne son certo, tutt’aπatto uscito di senno... 1   Nei contesti LIZ aπatto compare 36 volte accanto all’aggettivo diverso. In italiano antico la tendenza a combinarsi con elementi lessicali di questo tipo è propria, come si vedrà, anche di appunto. 2   Il TLIO riporta esempi di al tutto aπatto, bene aπatto, in aπatto, per aπatto. 3   Cfr. TLIO. 4   Sulla predilezione di Bufalino per gli arcaismi lessicali e sintattici si veda Della Valle 1991.

affatto

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3. 2. L’atteggiamento da parte della norma Specialmente per quanto riguarda l’impiego olofrastico nel significato di ‘per niente’, i dizionari e le grammatiche sono soliti inserire – ancor più spesso di quanto facciano per assolutamente – indicazioni di tipo prescrittivo, avvertendo il lettore che si tratta di un uso da evitare. Nell’Ottocento repertori puristici come Parenti 1839-43, Valeriani 1854 e Ugolini 1855 censuravano non solo l’uso di aπatto al posto di no, ma anche il suo impiego come raπorzativo della negazione (a loro avviso tipico dell’Italia meridionale) considerandolo fonte di possibili equivoci. 1 La condanna di quest’uso si trova anche in repertori cronologicamente successivi e al di fuori del circuito puristico: per esempio lo considera un «modo erroneo» Fornaciari 1881. 2 Fra i dizionari ottocenteschi, MAN, GHER, CRUSCA e FANF non vi accennano; GB e TB, invece, lo contemplano senza censure. 3 Riguardo all’uso olofrastico, in TB si dice che «non è bello»; RIG-FANF parla, senza biasimarlo, di uso «per ellissi» da parte di «alcuni», e ne paragona il significato a quello del francese point du tout. Nello stesso dizionario la locuzione tutt’aπatto 4 è spiegata come calco dell’espressione francese tout à fait. In considerazione di tale origine, CAPP-MIGL (s. v. aπatto), oltre a censurare aπatto olofrastico, esorta a «non dir tutt’aπatto come raπorzativo per aπatto, aπattissimo». 5 Nelle grammatiche di oggi, che prendono ormai atto della generalizzazione di aπatto come raπorzativo della negazione, si continua a censurare l’uso olofrastico: se la posizione di Serianni 1988 al riguardo è piuttosto moderata («nell’uso più sorvegliato è bene servirsi comunque di un avverbio o pronome negativo: “nient’aπatto”» xii 47), Sensini 1997 parla di «equivoco tanto usuale quanto grave». 6 Fra i dizionari, TRECC, DO e DELI lo giudicano  











1

  «Si abusa del valore di questa particella, massime nella bassa Italia, traendola al significato di niente. Diranno che tu non hai ragione aπatto per esprimere che non ne hai punto, per nessun modo; e secondo il retto senso, vengono a dire che non l’hai interamente: dunque ne hai una parte. Alle volte può indurre in gravissimi equivoci; come sarebbe se, parlando d’una proposizione erronea, si dicesse: Non si può aπatto concedere. E l’abbiamo più d’una volta notato in rilevanti scritture» (Parenti 1839-43, s. v.). 2   «È modo erroneo aπatto in senso negativo per punto, per esempio Ti darei dei denari, ma non ne ho aπatto». 3   Così come la grammatica di Dagnini: «Nelle frasi negative, o accompagnato da niente nulla, esprime un’assoluta privazione della cosa, come esempi grazia dicendo: non ha nulla aπatto; non sente aπatto; volete nulla? Niente aπatto» (Dagnini 1857: 244). 4   Su cui cfr. 3. 1. 5   Lo stesso Migliorini inserisce aπatto nella lista delle Parole nuove, avvertendo che «nell’uso corretto ha valore negativo soltanto se è accompagnato da una parola negativa» (Migliorini 1963: 5). 6   Sensini 1987: 350. Censure ancora più perentorie si trovano nei repertori a carattere maggiormente divulgativo, come s’è visto a proposito dell’uso olofrastico di assolutamente. Per esempio: «[…] la risposta olofrastica aπatto, tanto di moda tra gli intervistati alla televi-

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rispettivamente come «uso scorretto», «errore» e «uso erroneo»; GRADIT non lo menziona; ZING, come nel caso di assolutamente, si limita a evidenziarne il carattere colloquiale. 3. 3. Affinità con assolutamente e punto L’avverbio con cui aπatto condivide il maggior numero di significati e di impieghi sintattici (nonché, come si vedrà, alcune caratteristiche topologiche) è assolutamente, per quanto aπatto mostri una propensione più spiccata – nell’italiano di oggi – a fungere da raπorzativo della negazione. Dal punto di vista semantico, sia aπatto, sia assolutamente possono essere usati nell’accezione di ‘del tutto, completamente’, in quella di ‘per niente’ e come avverbi olofrastici. Aπatto e assolutamente, inoltre, tendono a essere usati negli stessi contesti sintattici: quasi sempre modificano un aggettivo o un predicato (nei casi in cui modificano un avverbio si hanno quasi soltanto espressioni cristallizzate in combinazione con niente e nulla: niente aπatto, assolutamente nulla ecc.). Una conferma delle a√nità fra aπatto e assolutamente viene dalla frequente glossa ‘assolutamente’ con cui i dizionari (per esempio CRUSCA e PETR) spiegano il significato di aπatto. Uno dei più recenti vocabolari dei sinonimi, il Devoto Oli dei Sinonimi e Contrari di Maurizio Trifone, usa la sottolineatura per evidenziare assolutamente tra i sinonimi di aπatto, al fine di segnalare la particolare vicinanza semantica fra i due avverbi. Ad accomunare aπatto e assolutamente sono poi le già viste censure – anche a livello divulgativo – del loro uso olofrastico, considerato ambiguo tra significato aπermativo e negativo. È possibile, a nostro avviso, che aπatto abbia cominciato a svolgere progressivamente il ruolo di raπorzativo della negazione e di avverbio olofrastico anche per influenza di assolutamente, che presentava questi tipi di impiego fin da un’epoca più antica. Come avverbio raπorzativo della negazione, aπatto è poi confrontabile con punto. 1 L’intercambiabilità semantica e sintattica tra aπatto e punto nei contesti con valore negativo è confermata dalle censure di grammatici e lessicografi ottocenteschi verso l’uso di aπatto in luogo di punto. Si può notare, inoltre, che aπatto tende a comparire in relazione disgiuntiva con poco (poco o aπatto) 2 allo stesso modo di punto. 3 Il fatto che punto – una delle particelle completive della negazione «più comuni nella lingua letteraria» 4 – non si sia aπermato nell’italiano comune avrà giocato un ruolo importante a favore dell’espansione di aπatto nello stesso valore.  







sione allorché credono di negare energicamente di aver vinto alla lotteria o di aver visto un assassino in fuga, significa sì, e anche qualcosa di più; e il malcapitato che rispondesse Aπatto al commissario che gli domanda se ha svaligiato una banca rischierebbe di andare dritto in corte d’Assise» (Satta 1988, s. v. aπatto). Cfr. anche Messina 1983: 15; Della VallePatota 2011: 213-14. 1

  In relazione a questo impiego sintattico, punto è glossato con ‘aπatto’ in tutti i dizionari 2 di oggi (cfr. GRADIT, TRECC, DO, ZING).   Cfr. l’esempio [1] in 3. 1. 3 4   Cfr. gli esempi [6] e [7] in 9. 2.   Serianni 1988: xii 54.

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3. 4. Considerazioni diacroniche Il TLIO riporta per aπatto attestazioni già duecentesche, a cui attribuisce in alcuni casi l’accezione di ‘del tutto’, 1 in altri quella di ‘per niente’ (come raπorzativo della negazione). Nei quattro esempi citati per illustrare la seconda accezione, tuttavia, pur essendo presente la negazione, aπatto non sembra assumere il significato di ‘per niente’, ma – anche in questi casi – quello di ‘del tutto’:  

[1] Nonn è saccente né puote valere / chi non rimira bene e guarda afatto / del suo piacente viso il nobil atto (“Amico di Dante”, Canzoniere) 2 [2] ed alora li malfactori si partirono e portarne uno scanpolo di pa(n)no di quelle gualchiere, p(er) ciò che p(er) la giente che trasse no·ne potiero portare altro, ma p(er) loro no·stecte ch’ellino nol le rubassero afacto e noe ne menassero li uomini a Castillione (documento pratese del 1305) 3 [3] Ad ogne cosa è posto il suo contrario: incontro alla sanitade la cechitade, incontro a la sanitade la ‘nfermitade, e così di tutte cose. E ‘l paradiso terrestro di questo non era aπatto purgato, ma in vita eterna in que’ beni de la natura sarà in tutto impossibile […] (Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino) 4 [4] La sechonda volta istetti circha a otto mesi: il mio chompangnio, messere Bene d’Iachopo di Franciescho, vi morì; io v’ebbi una grandissima infermità, e per chagioni ch’eravamo ischuminichati e interdetti non chonchiusi afatto quello volea il Chomune; ma io rechai da llui assai inanzi e utile e bene per lo nostro Chomune (Libro segreto di Simone di Rinieri, 1349-1380) 5  







In origine il valore di aπatto sembrerebbe essere esclusivamente quello aπermativo. Come si vedrà più avanti, i primi esempi in cui l’avverbio è sicuramente usato come raπorzativo della negazione si osservano nel secondo Cinquecento; si è già ricordato, del resto, come ancora intorno alla metà dell’Ottocento diversi grammatici e lessicografi respingano quest’uso ritenendolo caratteristico della sola “bassa Italia”. 1   Per questo significato la prima occorrenza nota risale al 1274 (Pietro da Bescapè) per quanto riguarda i testi settentrionali; al 1282 (Restoro d’Arezzo) per quanto riguarda i testi toscani. 2   In Contini 1960 (705-706), dove è commentata la canzone dell’“Amico di Dante” che contiene questi versi, non sono presenti glosse relative al valore di aπatto. Nel contesto, il legame dell’avverbio con guarda – anche per la presenza di una struttura parallelistica – sembra essere lo stesso di bene con rimira; si ritiene perciò che aπatto modifichi il solo guarda e non l’intera frase, come accadrebbe se fosse da considerarsi raπorzativo della negazione. 3   In questo passo si parla di ladri che hanno potuto impadronirsi solo in parte delle stoπe che avevano intenzione di rubare, perché interrotti nella loro attività. 4   Il parallelismo aπatto / in tutto contribuisce a far ritenere che non aπatto abbia il significato di ‘non del tutto’. Può essere utile notare, inoltre, che l’apparato dell’edizione di riferimento (Delcorno 1974: 337) riporta altucto come variante di aπatto. 5   Rispetto agli esempi precedenti, qui i problemi d’interpretazione sono maggiori, ma, considerato anche il carattere apologetico del contesto, il valore di ‘non del tutto’ appare più probabile di quello di ‘per niente’: di√cilmente Simone di Rinieri avrà inteso sottolineare che in otto mesi non era riuscito a portare a termine neanche in parte «quello volea il Chomune».

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Si passerà ora a illustrare mediante alcuni grafici i contesti sintattici in cui aπatto è usato nelle varie fasi diacroniche dell’italiano. 1  

Periodi 1, 2 e 3

Fig. 5. Periodi 1 e 2.

Fig. 6. Periodo 3.

Nei periodi considerati aπatto si trova prevalentemente in combinazione con un predicato; pochi i casi in cui modifica un aggettivo, come i seguenti: [5] s’ha a fare lo porro, lo quale è aπatto caldo (Restoro d’Arezzo, La composizione del mondo) 1

  Lo spoglio della LIZ (e, per alcuni riscontri, del corpus OVI) è stato condotto sia sulle occorrenze di aπatto, sia su quelle della variante con scempia afatto.

affatto

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[6] avegnaché non fussino tutti ignoranti aπatto della semplicità del Grasso (Manetti, Novella del Grasso legnajuolo)

Riguardo agli esempi di aπatto+predicato, va notato lo stretto legame che l’avverbio tende a stabilire col verbo: mentre di solito non è facile distinguere i casi in cui un avverbio modifica il solo costituente verbale da quelli in cui modifica l’intera frase, in esempi come i seguenti è chiaro che aπatto, in combinazione con un predicato, modifica solo quest’ultimo: [7] e molte fiere in questo mezzo uccise / prima che su fosse salito aπatto (Boccaccio, Ninfale fiesolano) [8] O mala ventura, che questa guerra mi disfarà aπatto (Sacchetti, Trecentonovelle)

Proprio in considerazione di ciò, in alcune attestazioni antiche nelle quali, a prima vista, il valore potrebbe sembrare quello di raπorzativo della negazione, la funzione sintattica di non rimane in realtà separata da quella di aπatto: la negazione modifica l’intera frase, mentre aπatto modifica solo il verbo: [9] Noi vi ringraziamo che voi non ci avete morti aπatto (Sacchetti, Trecentonovelle)

L’esempio [9] consente inoltre di osservare che in italiano antico aπatto può comparire anche insieme a verbi come uccidere, morire, crepare, 1 che, esprimendo concetti privi di gradazioni, modernamente non vengono raπorzati con avverbi di quantità. L’associazione di aπatto coi verbi in questione ha una funzione enfatica: in questi casi il suo significato si avvicina a quello di ‘proprio’, ‘addirittura’. Se ne trovano diversi esempi in poesia: un’espressione formulare è ch’io mora aπatto, la quale figura, per esempio, nel Canzoniere di Giusto de’ Conti e nelle Rime di Berni. 2 Un altro verbo a cui aπatto si a√anca spesso è chiarire, anche in questo caso con esempi sia in prosa, sia in poesia:  



[10] Lascia ch’io vegga da fare un bel tratto / in qualche modo, e chiarirotti aπatto (Pulci, Morgante) [11] Lasciami picchiare un’altra volta, per chiarirmi aπatto (Grazzini, La spiritata)

Un’ultima osservazione sull’uso di aπatto nel periodo considerato è suggerita dal contesto che segue, in cui l’avverbio, preceduto da sì, funge da elemento prolettico di una frase consecutiva: [12] eglino distrussero la città sì afatto che non vi rimase né muro né torre né tempio né magione che abattuta non fusse e guasta (Binduccio dello Scelto, La storia di Troia)

1   Et Bruto smonta ed uciselo aπatto (Pucci, Bruto di Brettagna); Elli converrebbe che lo ‘nvidioso avesse più occhi, che non ha il pavone, e che elli vedesse tutti i beni che hanno le creature, acciò che elli crepasse aπatto (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427). 2   Io non so se costei, per ch’io sospiro, / se infinga o tema, o pur di me non cura / ch’io mora aπatto (Giusto de’ Conti, Canzoniere); Tu se’ disposta pur ch’io mora aπatto (Berni, Rime). Morire aπatto si trova ancora in Praga, Poesie: I fiorellini erano morti aπatto.

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Analogamente a quanto si è osservato nei casi in cui assolutamente è accostato a un aggettivo al grado superlativo o ad altre forme elative, aπatto subisce qui, da parte del sì che lo precede, un’intensificazione. 1  

Periodi 4 e 5

Fig. 7. Periodo 4.

Fig. 8. Periodo 5. 1   Un altro procedimento di intensificazione è l’uso della forma epanalettica aπatto aπatto: si può dir che sia pazzo aπatto aπatto (Berni, Rime).

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A partire dal secondo Cinquecento si rileva un’espansione di aπatto+aggettivo (43% delle occorrenze); va considerato, tuttavia, che per questo periodo la maggior parte delle attestazioni si concentra nelle opere di tre soli autori (Tasso, Garzoni e Boccalini), il che suggerisce che i risultati non siano da ritenersi su√cientemente indicativi delle tendenze complessive dell’epoca. Ad ogni modo, l’incremento delle occorrenze di aπatto+aggettivo prosegue nel periodo successivo, in cui la percentuale di esempi diviene sostanzialmente pari a quella di aπatto+predicato (38%). Una peculiarità di aπatto+aggettivo già osservata nel caso di assolutamente è la possibilità che l’aggettivo si trovi al grado superlativo: [13] che furon di corpo e d’animo diπerentissimi aπatto (Garzoni, La piazza universale) [14] aπatto era falsissimo (Boccalini, Ragguagli di Parnaso)

Passando agli esempi di aπatto+predicato, un dato non ricavabile dai grafici è la presenza di contesti in cui aπatto assume il valore di ‘per niente’ insieme alla negazione non: pur essendo per ora minoritario, l’uso di aπatto come raπorzativo della negazione si nota soprattutto nelle opere di Vico (dove vale ‘per niente’ in quasi tutti i contesti in cui si associa a non). 1 Per esempio:  

[15] se fusse stato minor male così empiamente venerare gli dei, o non creder aπatto agli dei (Vico, Principi di scienza nuova)

Che in Vico il valore di aπatto tenda a essere negativo è evidente anche da esempi come il seguente, nel quale pur uno aπatto ha il significato di ‘neanche uno’: [16] non si truova a’ nostri tempi pur uno aπatto (Principi di scienza nuova)

Nel Settecento si assiste all’aπermazione della locuzione niente aπatto (91 occorrenze, mentre non se ne registra nessuna nei secoli precedenti) 2 – anche nella variante nulla aπatto – con quattro diversi impieghi sintattici:  

1) come avverbio olofrastico: [17] Placida. Scusi, ha degl’interessi con mio marito? Roberto. Niente aπatto, ma egli è pieno di bontà per me (Goldoni, La burla retrocessa nel contraccambio) 2) nel valore di ‘per niente’: [18] per serrar le lettere son fatto a posta; no se cognosserà gnente aπatto (Goldoni, Il servitore di due padroni) 3) nel valore di ‘proprio niente’: [19] Sia sorte, o sia artifizio, non implica gnente aπatto (Goldoni, L’avvocato veneziano) 4) in combinazione con un aggettivo: [20] la passa in uno stato nulla aπatto conforme alla natura nostra (Baretti, «La frusta letteraria») 1

  Gli esempi non mancano neanche in Tasso, sia in poesia, nella Gerusalemme Conquistata (aπatto ancor nel piano e tardo moto / non si risente il cavalier ferito) sia nelle lettere (pur io non me ne compiaccio aπatto). 2   DELI riporta come data di prima attestazione di niente aπatto «av. 1861, Nievo».

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Per niente aπatto è ipotizzabile una matrice parlata, essendo attestato prevalentemente nei testi teatrali (in Goldoni si trovano 68 dei 71 esempi con valore di risposta negativa). Fuori dai dati LIZ, un riscontro è oπerto dalla CRUSCA, che a proposito di questa locuzione cita un passo tratto dalle commedie di Fagiuoli. Periodi 6 e 7 Nelle ultime due fasi diacroniche la distribuzione degli impieghi di aπatto è la seguente:

Fig. 9. Periodo 6.

Fig. 10. Periodo 7.

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Per quanto riguarda il periodo 6, il cospicuo numero di occorrenze di aπatto+aggettivo consente qualche osservazione riguardo ai lessemi aggettivali che ricorrono più spesso in combinazione con aπatto. Frequenti sono quelli legati a un’idea di novità e di eccentricità, come diverso, eccezionale, estraneo, inaspettato, inedito, insolito, inusitato, novello, nuovo, 1 singolare, straniero, strano, straordinario. Anche l’aggettivo privo – su cui ci si soπermerà a proposito delle sue peculiarità topologiche – è uno dei più ricorrenti insieme ad altre forme con valore semantico simile, come nudo, puro, scevro, sgombro, vergine:  

[21] la prima intinta appena, la seconda vergine aπatto di qualunque educazione (Nievo, Confessioni di un italiano) [22] Vedete bene che son solo oggimai; nudo aπatto di quegli aπetti che racchiudono […] (Nievo, Confessioni di un italiano)

Che aπatto tenda a combinarsi con parole che esprimono un’idea di privazione è confermato dal fatto che spesso l’avverbio modifica la sequenza senza+infinito (con diverse possibilità riguardo all’ordine dei costituenti). 2 Nel periodo 7 tornano a essere numerose le occorrenze di aπatto+predicato: questa volta, tuttavia, si tratta perlopiù di contesti in cui aπatto è usato, anziché nel valore originario, in quello di raπorzativo della negazione, che, come si è visto, prevale largamente oggi. Mentre nel periodo precedente i contesti di aπatto+predicato erano negativi solo nel 21, 8% dei casi (90 occorrenze su 413), 3 ora la percentuale sale addirittura all’83, 1% (192 occorrenze su 231). Il fenomeno, già piuttosto evidente in Verga, assume proporzioni particolarmente rilevanti in Svevo: nelle sue opere tutte le occorrenze di aπatto+predicato sono rappresentate da contesti negativi in cui aπatto ha il valore di ‘per niente’:  



[23] perché la stanza in casa sua non era aπatto adatta a ospitare un malato (Una vita) [24] Non danneggiava aπatto i miei rapporti con Augusta (La coscienza di Zeno)

La sequenza non+predicato+aπatto appare spesso in contesti di tipo dialogico, anche in altri autori: [25] Non vi comprendo aπatto (Rovani, Cento anni) [26] Non mi piace aπatto! (Tozzi, Il podere)

Si può ipotizzare che il costrutto, tipico inizialmente della sola lingua parlata, si sia riversato nella lingua letteraria, tra Ottocento e Novecento, soprat1

  L’aggettivo è in assoluto il più ricorrente nel periodo considerato (38 occorrenze; già nel periodo precedente ne contava 11). 2   Senza+aπatto+predicato (Leopardi); senza+predicato+aπatto (Nievo); senza+predicato+ aπatto+complemento (Rovani, Fogazzaro, Chelli, Svevo). 3   Per esempio nel noto passo manzoniano la quale, se non v’è dispiaciuta aπatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, pur essendo presente la negazione non, aπatto mantiene il valore tradizionale di ‘del tutto’.

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tutto per tramite degli autori che facevano maggiormente ricorso al registro colloquiale. 1 All’ultimo periodo appartiene anche l’unico esempio reperito nella LIZ in cui aπatto è usato con valore olofrastico, in modo equivalente a un no raπorzato:  

[27] Ma c’è pericolo? – Aπatto,– e il viso freddo e antipatico della vecchia aveva una grande sicurezza (Oriani, Gelosia).

3. 5. Ordine delle parole Per l’italiano moderno Lonzi 1991 aπerma che la posizione di aπatto nella frase è quella interausiliare propria degli avverbi restrittivi. 2 Il dato è confermato dallo spoglio dei testi giornalistici, ma non da quello dei testi letterari, dove prevale la collocazione posposta al verbo e dove, nel complesso, si notano maggiori oscillazioni nell’ordine delle parole: rispetto alla tendenziale uniformità stilistica propria della scrittura argomentativa, il testo letterario sconfina più spesso verso le due direzioni opposte dello stile aulico e del registro colloquiale, il che comporta ricadute anche sulla collocazione delle parole. 3  



Posizione di aπatto nella frase - dati PTLLI totale occorrenze: 618 anteposto

interposto

posposto

a inizio frase

a fine frase

aπatto+pred. 486

a un pred. perifrastico 110 (22,6%) tra pred. e complem. 120 (24,7%) tra pred. e complet. 36 (7,4%)

219 (45,1%)

0

1 (0,2%)

a inizio frase

a fine frase

0

0

aπatto+agg. 132

15 (11,4%)

117 (88,6%)

Posizione di affatto nella frase - dati CS totale occorrenze: 913 anteposto

interposto

aπatto+pred. 580

a un pred. perifrastico 275 (47,4%) tra pred. e complem. 210 (36,2%) tra pred. e complet. 57 (9,8%)

1

0

posposto 38 (6,6%)

  Del resto, il parlato si segnala per un maggior uso di negazioni rispetto allo scritto (Cresti 2004: 201-202). 2   Lonzi 1991: 361. In proposito si cita come esempio Mario non aveva aπatto rifiutato l’oπerta. 3   La maggiore variabilità nell’ordine delle parole notata nel PTLLI dipenderà in una certa misura anche dall’altezza cronologica di una parte dei testi, a cui andranno ricondotte, per esempio, alcune collocazioni posposte all’aggettivo.

affatto totale occorrenze: 913 anteposto aπatto+agg. 282

interposto

55 posposto

a inizio frase

a fine frase

282 (100%)

aπatto+avv. 43

43 (100%)

aπatto+locuz. 8

8 (100%)

Come mostrano le tabelle, nel caso di aπatto+predicato la scrittura giornalistica tende decisamente alla collocazione interposta (275 occorrenze a fronte di sole 38 posposizioni al predicato); nei testi letterari le interposizioni di aπatto sono invece 110 contro 219 posposizioni. La maggiore diπusione delle collocazioni posposte nel PTLLI sembra dovuta almeno in parte alla presenza di contesti dialogici, in cui la posposizione di aπatto assume valore enfatico: [1] Non è inutile aπatto! (De Carlo, Uccelli da gabbia e da voliera) [2] «Può anche darsi» ho replicato «che non dobbiate partire aπatto» (Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo)

Si ritornerà sul legame tra collocazione posposta al predicato e sintassi del parlato (un legame già osservato, peraltro, a proposito di assolutamente) 1 al momento di commentare gli esempi della LIZ. Una delle espressioni più frequenti nei giornali in cui appare cristallizzata la collocazione interausiliare è non è aπatto detto:  

[3] Non è aπatto detto che il governo Letta riesca ad arrivare indenne al semestre europeo (30 dicembre 2013) [4] Non è aπatto detto che Amazon finisca poi per produrlo (8 febbraio 2013)

Molto attestato nel CS (meno nel PTLLI) è anche un altro tipo di collocazione interposta, quella tra predicato e complemento: [5] Non si meritava aπatto quello che è accaduto (6 febbraio 2013)

Riguardo alla posizione di aπatto rispetto a costituenti diversi dal verbo, si può osservare, a testimonianza della tendenziale stabilità dell’ordine delle parole nella scrittura giornalistica, che nel CS non conosce eccezioni l’anteposizione ad aggettivi, avverbi e locuzioni: [6] E non è aπatto chiaro, neppure per loro, che cosa succederà ora (29 dicembre 2013) [7] il sindaco di Firenze aveva adottato Pietro Ichino e la sua riforma, e a noi non andava aπatto bene (19 dicembre 2013) [8] Sta dicendo che Grillo non è aπatto fuori gioco? (20 ottobre 2013)

Nei testi letterari, invece, si notano alcune collocazioni posposte all’aggettivo: 1

  Cfr. 2. 2. 3.

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[9] ma priva aπatto di amenità, anzi decisamente autoritaria (Moravia, Il conformista) [10] impervia ai battelli, interdetta aπatto alle braccia del nuotatore (Bufalino, Le menzogne della notte)

L’aggettivo privo figura accanto ad aπatto 6 volte (tutte in Moravia); 1 come assolutamente (cfr. 2. 1. 3), anche aπatto è regolarmente posposto a questo aggettivo. Se si guardano gli esempi letterari cronologicamente precedenti, si può osservare che tale collocazione è consolidata almeno a partire dal Settecento: a fronte di nessun esempio di aπatto privo, la LIZ ne oπre 18 di privo aπatto. Passando ai dati della LIZ, le 2.253 occorrenze utili si possono così raggruppare dal punto di vista dell’ordine delle parole:  

Posizione di aπatto nella frase - dati LIZ anteposto totale occorrenze

interposto

posposto

come inciso

a inizio a fine frase frase 0

periodi 1-2

32

all’agg. 2

pred.-complem. 3

all’agg. 3 al pred. 24

0

0

periodo 3

152

all’agg. 6 all’avv. 1 al pred. 11

al pred. 1 pred.-complem. 25 pred.-complet. 5

all’agg. 17 all’avv. 2 al pred. 82

0

periodo 4

326

all’agg. 56 al pred. 38

al pred. 20 pred.-complem. 62 pred.-complet. 1

all’agg. 85 al pred. 54

0

1

9

periodo 5

457

all’agg. 146 all’avv. 2 al pred. 21

al pred. 25 pred.-complem. 103

all’agg. 72 al pron. 1 all’avv. 2 al pred. 76

0

3

6

periodo 6

949

all’agg. 366 all’avv. 2 a una locuz. 21 al pred. 7

al pred. 31 pred.-complem. 215 pred.-complet. 7

all’agg. 127 all’avv. 8 a una locuz. 9 al pred. 153

0

2

1

periodo 7

337

all’agg. 83 a una locuz. 3

al pred. 27 pred.-complem. 64 pred.-complet. 34

all’agg. 14 all’avv. 2 al pred. 110

0

0

0

2

Si è già detto del legame piuttosto stretto che in origine aπatto mostra col verbo a cui si accompagna. Tale legame è forse alla base della tendenza di 1   Nelle opere di Moravia incluse nel PTLLI (Il conformista e I racconti) aπatto è usato complessivamente ben 51 volte; si può notare, per inciso, come il valore aπermativo sia, in queste occorrenze, ancora ben saldo.

affatto

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aπatto, in italiano antico, a mantenere una collocazione piuttosto fissa dopo il verbo: 1 nei periodi 1 e 2 la posizione posposta al predicato caratterizza l’89% delle occorrenze di aπatto+predicato, nel periodo 3 il 66% (le percentuali salirebbero ancora se tra le collocazioni posposte al verbo includessimo anche gli esempi in cui aπatto si trova tra predicato e complemento e tra predicato e completiva). Nei periodi 4-6 la posizione più frequente di aπatto è quella tra predicato e complemento:  

[11] mancava aπatto di stile (De Amicis, Amore e ginnastica) [12] quel pelo lungo che gli nascondeva aπatto gli occhi (Fucini, Le veglie di Neri)

Sono invece complessivamente scarse, in tutto l’arco diacronico considerato, le collocazioni interposte a un predicato perifrastico. A partire dal secondo Ottocento la collocazione più tipica torna a essere nuovamente quella posposta al predicato (il fenomeno caratterizza in misura ancora maggiore, come si è visto, i testi letterari contemporanei); questo è anche il periodo in cui si espande l’uso di aπatto come raπorzativo della negazione. I due dati (posposizione al predicato e significato negativo, entrambe caratteristiche che si sono ricondotte allo stile colloquiale) convergono nel far supporre un’influenza sempre più determinante dei meccanismi del parlato sul comportamento sintattico di aπatto nei testi scritti. 3. 6. Conclusioni su affatto Come spiegano le grammatiche, l’uso sempre più frequente di aπatto come raπorzativo della negazione ha determinato il «senso negativo che aπatto ha nell’opinione comune» (Sensini 1997: 350). Normalmente tale constatazione è introdotta a proposito dell’uso olofrastico con valore di no raπorzato; ma anche nei contesti in cui aπatto modifica un aggettivo, nei quali dovrebbe avere il valore di ‘del tutto’, l’avverbio tende oggi a essere usato, soprattutto nella scrittura giornalistica, nel significato di ‘per niente’, il che determina un’ambiguità ancora maggiore di quella che caratterizza gli impieghi olofrastici di aπatto (dove normalmente ci si attende il significato negativo). Di aπatto olofrastico, censurato dalla norma grammaticale fin dall’Ottocento, si sono rilevati solo due esempi (Oriani e Palazzeschi) nei testi sottoposti a spoglio; lo si può dunque considerare come un uso colloquiale che a√ora sporadicamente nella lingua scritta. Per assolutamente (cfr. 2) e appunto (cfr. 4) la LIZ e il PTLLI oπrono un numero maggiore di occorrenze: il loro impiego olofrastico appare più saldo nella tradizione letteraria e in particolare nella commedia (del resto per entrambi gli avverbi è attestato già dal Cinquecento). 1   Anche nel caso di aπatto+avverbio le collocazioni posposte sono più frequenti di quanto si nota per altri avverbi AFF / NEG (si pensi all’espressione niente aπatto, dove si è cristallizzata la collocazione posposta, mentre, per esempio, in assolutamente niente ha prevalso la collocazione inversa).

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L’esame in diacronia ha poi mostrato come fino all’Ottocento l’uso di aπatto potesse generare equivoci anche in presenza di negazione. Si può aπermare che nella storia dell’italiano aπatto si è trovato in una situazione di ambiguità tra valore AFF e NEG in tre situazioni sintattiche diverse: 1) in combinazione con la negazione non, contesto in cui il suo valore poteva essere sia quello di ‘del tutto’, sia quello di ‘per niente’; tale oscillazione si è protratta per secoli e si è risolta, nell’italiano contemporaneo, a favore del significato negativo (come si è visto, il processo appare già completato nei romanzi di Svevo); 2) nell’impiego olofrastico; 3) in combinazione con un aggettivo, in assenza della negazione (in particolare nell’uso giornalistico odierno). Dal punto di vista delle combinazioni lessicali, la frequente associazione di aπatto con gli aggettivi rassicurante, tranquillo, roseo ecc. dimostra come il linguaggio giornalistico impieghi spesso la formula non+verbo+aπatto+aggettivo con valore di litote. L’esame degli aspetti topologici, infine, ha rilevato – come era già emerso nel caso di assolutamente – una maggiore tendenza alla collocazione posposta al predicato nelle scritture che risentono dell’oralità, mentre si conferma la tendenza dei testi argomentativi a collocare l’avverbio in posizione interposta tra due costituenti della frase.

4. A ppunto

S

pesso nelle prove di scrittura degli studenti universitari si notano errori o imperfezioni che coinvolgono l’uso di appunto. Per esempio:

[1] […] riscontreremo la tipologia di varietà diacronica, parola proveniente dal greco cronos (la traduzione italiana è “tempo”). È noto, appunto, come la lingua parlata durante il Trecento presenti delle diπerenze rispetto al linguaggio odierno. 1  

Il modo corretto di usare appunto come legame interperiodale non è ricavabile dalle grammatiche – che generalmente non menzionano questo avverbio – né dai dizionari, che si limitano a riportarne due accezioni fondamentali: a) quella di ‘proprio’, ‘precisamente’, ‘esattamente’. 2 Si tratta del valore originario, quasi esclusivo in italiano antico e diπuso ancora oggi. La sua prima attestazione si trova – in base al TLIO – nel Detto d’amore:  

[2] M’Amor l’à sì a punto / nella mia mente pinta, / ch’ i’ la mi veg[g]io pinta / nel cor, s’ i’ dormo o veglio.

b) Quella di avverbio olofrastico, corrispondente a un sì raπorzato (ma, in passato, anche nel significato opposto di ‘no’). 3 Il fatto che in questi casi appunto equivalga a un’aπermazione (o a una negazione) «vigorosa» (GDLI) o «energica» (DO) è confermato dall’interpunzione che lo accompagna: l’avverbio, infatti, è spesso seguito dal punto esclamativo. La prima attestazione con valore olofrastico indicata dal GDLI è in Grazzini, La strega, dove appunto figura nel valore di ‘niente aπatto’:  

1   L’esempio è tratto da un elaborato scritto da uno studente nel corso di un laboratorio universitario di scrittura argomentativa svoltosi all’Università per Stranieri «Dante Alighieri» di Reggio Calabria nell’Anno Accademico 2013-2014. 2   Questa la definizione di DO. Un po’ più estesa quella di TRECC, che si soπerma anche su alcuni impieghi particolari: «si usa spesso a proposito di persona o cosa che giunge in un momento opportuno: oh, appunto! Volevo proprio te!; e ironicamente: ci mancava appunto lui! appunto questa doveva capitarmi!». Il GDLI dedica ad appunto una trattazione sintetica, a√ancando ai due significati fondamentali solo quello di ‘convenientemente, opportunamente, proprio a proposito’. Il TLIO introduce qualche accezione in più (‘in condizioni di e√cienza’, ‘con zelo, opportunamente’, ‘in atteggiamento di compostezza’, ‘in un punto, in un luogo ben precisato’), ma, data la limitazione di questo repertorio alla fase due-trecentesca, non vi sono documentati valori, come quello olofrastico, che si sviluppano successivamente. 3   Fra le poche trattazioni grammaticali che si soπermano su questo valore di appunto ci sono Patota 2006 (226) e Bernini 1995, che inserisce l’avverbio tra gli «altri sostituti delle profrasi nelle repliche di accordo» (219); in Bazzanella 1995 appunto compare non nella lista dei segnali discorsivi che «indicano l’accordo da parte dell’interlocutore rispetto all’enunciato proferito dal parlante in corso» (242), come sì, già, bene / va bene / benissimo, esatto ecc., ma tra i «focalizzatori», con riferimento alla sua funzione di raπorzare «la precisione a livello del contenuto proposizionale (con rimando cataforico)» (238).

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[3] Fu vero che egli annegasse? – Appunto! Egli è vivo e sano in Firenze 1  

Lasciando per ora da parte altri valori semantici attribuibili ad appunto, 2 ci sembra interessante osservare che, nel corso del tempo, l’avverbio ha cessato di esercitare la sua portata solo all’interno della frase che lo contiene e si è specializzato – in particolare nella scrittura argomentativa – come connettivo interfrasale. 3 Ecco alcuni esempi tratti da testi contemporanei:  



[4] Si comincia a gennaio. Il restyling della Galleria, reso possibile dall’accordo con le aziende di moda che entrano all’Ottagono, si svolgerà in due fasi. A gennaio, appunto, con il milione e mezzo inizialmente stanziato dal Comune per la pulizia […] si parte dal consolidamento dei plafoni dei due portici di piazza Duomo (CS, 28 dicembre 2013) [5] In entrambi i casi le argomentazioni della stessa servono a ribaltare le conclusioni alle quali erano giunti i due precedenti livelli giurisprudenziali, riconoscendo appunto una violazione dell’art. 15.1 della Carta canadese dei diritti e delle libertà (Giancarlo Rolla, Eguali, ma diversi. Identità ed autonomia secondo la giurisprudenza della Corte Suprema del Canada, Milano, Giuπrè, 2006)

Nell’esercitare questa funzione, appunto ha mantenuto l’accezione di ‘proprio, esattamente’: richiamando un concetto, lo ribadisce, lo precisa o lo raπorza. Le grammatiche che contengono liste di connettivi testuali non includono mai appunto: per esempio Schwarze, che dedica una trattazione a sé stante ai «connettori», definiti «predicati che hanno come argomenti due proposizioni», 4 si soπerma su quelli conclusivi, causali e sui «connettori di semplice congiunzione» (anche e invece), ma non menziona appunto. 5 Prescindendo dall’uso olofrastico – che riguarda quasi soltanto i contesti dialogici –, l’avverbio è oggi impiegato, in realtà, soprattutto in funzione di connettivo interfrasale e andrà incluso, a nostro avviso, nel novero dei connettivi «di bilanciamento» tipici della saggistica (come peraltro, comunque, quantomeno), i quali, secondo la definizione di Serianni, «hanno la funzione di precisare, di graduare, di limitare un’aπermazione precedente». 6  





1

  L’esempio è già presente in TB, che lo commenta così: «questa è talvolta risposta d’ironia: e vale tutt’altro, o per l’appunto il contrario». All’impiego di appunto in senso NEG fanno riferimento anche altri repertori: «Appunto vale giustamente, e senza fallar d’un punto. Ma nell’uso si adopera per negare con disprezzo, per contraπrase, rispondendo per esempio a chi ci dice alcuna cosa: oh appunto, sapete molto voi» (Corticelli 1745: 377). Cfr., inoltre, RIG-FANF: «per antifrasi nega: “Vuoi venire alla caccia del cinghiale? – Appunto! Mi lasci stare”», e GDLI, che, come TB, parla di uso «ironico». 2   Per i quali cfr. 4. 5. 3   Gli avverbi AFF potevano fungere da strumento di coesione testuale già in italiano antico; si veda, per esempio, ciò che osserva Consales a proposito di bene asseverativo, che «assicura la continuità del discorso» (Consales 2012: 66). 4   Schwarze 2009: 207. 5   La lista contiene almeno, anche, esattamente, forse, invece, magari, neppure, proprio, pure, solo, 6 soltanto.   Serianni 2013: 74.

appunto

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4. 1. Appunto come rafforzativo di un costituente frasale Si considerino alcune delle occorrenze oπerte dalla LIZ 1 per il periodo dalle Origini al Quattrocento:  

[1] Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto […] (Dante, Vita nuova) [2] montati de lo scoglio in quella parte / ch’a punto sovra mezzo ‘l fosso piomba (Dante, Inferno) [3] Mille trecento ventisette, a punto / su l’ora prima, il dì sesto d’aprile (Petrarca, Canzoniere) [4] in trecento sessanta gradi a punto (Fazio degli Uberti, Il dittamondo) [5] entrò sotto il banco e andossene a punto sotto il luogo dove il giudice teneva i piedi (Boccaccio, Decameron) [6] credo sia staiora sette; pure nollo so a punto: hassi a misurare (Macinghi Strozzi, Lettere) [7] Intese a punto la novella il Cardinale (Motti e facezie del Piovano Arlotto)

In questi contesti è ben evidente come appunto abbia una portata sintattica limitata a un elemento della frase. L’avverbio è usato perlopiù per accompagnare determinazioni di tempo, spazio, luogo 2 o per definire l’esattezza di pesi e misure. In [7] assume un valore elativo (‘benissimo’, ‘perfettamente’) in combinazione col verbo intendere (ciò avviene in generale in presenza di un verbo di percezione intellettuale). 3 Nel Cinquecento, come si vedrà, appunto comincia a essere impiegato in relazione a contesti concettualmente più ampi, in quanto stabilisce legami con contenuti precedentemente espressi. Ma ancora oggi, specialmente nella scrittura narrativa, è possibile trovarlo nella sola funzione di raπorzare un elemento della frase, senza che abbia un collegamento con parti di testo precedenti:  



[8] Ogni tanto, da qualche strappo della nube, si rovesciava sulla terra e sul mare un diluvio di lapilli, che cadevano sui campi e sulla dura crosta delle onde col fragore, appunto, di un carro di pietre che rovesci il suo carico (Malaparte, La pelle) [9] C’era un altro ideale di cui voglio parlare e che conobbi appunto negli ultimi giorni che frequentai la palestra di Furio Stella (Malerba, Il serpente) [10] si vedevano i due cavi che andavano da una sponda all’altra coi loro quattro festoni, fini e leggeri appunto come fili di ragno (Levi, La chiave a stella)

1

  L’indagine ha riguardato le forme appunto, apunto e a punto.   TB fa riferimento a questi impieghi di appunto introducendo, nella voce che lo riguarda, le seguenti distinzioni: «di luogo», «di tempo», «di fatto», «d’oggetto in generale», «segnatamente di cose intellettuali». 3   Ma anche, per esempio, di riuscire: e, perché a punto riesca ogni cosa / chi va co’ can’, chi alla guardia o a getto (Lorenzo de’ Medici, Poemetti in ottava rima, Uccellagione); l’operazione è riuscita così appunto che presagisco fin d’ora […] (Nievo, Confessioni di un italiano); in quest’ultimo contesto l’intensificazione di riuscire è sottolineata anche dalla presenza di così. 2

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Va infine segnalata una peculiarità dell’impiego di appunto nella scrittura giornalistica contemporanea: talora l’avverbio è usato non per richiamare concetti già espressi, ma per focalizzarne uno nuovo. Per esempio: [11] «Un ricorso non può diventare un ostacolo, da parte loro e da parte nostra. Se si può trattare seriamente potrebbe essere ripensato». La questione – perché l’impressione è che con Venezia l’intesa sia quasi definitiva – è appunto capire se davvero ci siano margini (29 agosto 2013) 1 [12] «Se lui avesse un grande impatto – fa notare –, e prima che i mercati si accorgano che Vendola è un solido cultore della stabilità finanziaria, magari qualche problemino ci sarebbe». E il «problemino» al quale allude è appunto l’esito delle votazioni perché da esso «dipenderà moltissimo se ci sarà o meno una manovra economica in primavera» (31 gennaio 2013).  

4. 2. Appunto come connettivo testuale Si consideri questo passo di Machiavelli: [1] E Tito Livio dice, che e’ non mancava loro materia a rispondere, ma mancava loro chi facesse la risposta. La qual cosa dimostra appunto la inutilità d’una moltitudine sanza capo (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio)

Potremmo già essere di fronte a un impiego di appunto del tutto analogo a quello che caratterizza oggi la scrittura argomentativa, in cui l’avverbio svolge la funzione di collegare logicamente il contenuto del primo periodo con quello del secondo. Ecco altri esempi – attestati tra Cinquecento e Settecento – nei quali appunto contribuisce a garantire la coesione tra la frase in cui è inserito e parti di testo precedenti: [2] Ma consideri ciascuno da quanto piccoli accidenti dependino le cose di grandissimo momento nelle guerre. Accadde appunto che, nella notte seguente […] (Guicciardini, Storia d’Italia) [3] Salviati. Aggiugnemmo poi, a questo semplice e naturale accidente, la virtù magnetica, per la quale il globo terrestre tanto più saldamente poteva contenersi immutabile, etc. Sagredo. Già mi sovvien del tutto: e quel che allor mi passava per la mente, e che volevo produrre, era certa considerazione intorno alla di√coltà e instanza del signor Simplicio, la quale egli promoveva contro la mobilità della Terra, presa dalla multiplicità de’ moti, impossibile ad attribuirsi ad un corpo semplice, del quale, in dottrina d’Aristotile, un solo e semplice movimento può esser naturale; e quello ch’io volevo mettere in considerazione, era appunto la calamita (Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi) [4] Adamo insomma s’acquista la morte […] e muore nel monte di Golgota, luogo dove appunto (secondo l’opinione di molti) era la sepoltura d’Adamo (Marino, Dicerie sacre) [5] Mack è un generale da brillare in un gabinetto, perché in un gabinetto appunto, e prima dell’azione, predomina nelle menti del maggior numero l’errore di confonder la grandezza 1

  Per quanto riguarda le occorrenze di appunto nei giornali, lo spoglio ha riguardato gli articoli di CS apparsi fra il 16 gennaio 2013 e il 16 gennaio 2014.

appunto

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della macchina colla grandezza dell’artefice (Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799) [6] scrisse la storia del suo viaggio – la storia appunto de’ suoi miseri sentimenti (Foscolo, Viaggio sentimentale)

Si può notare che in [5] e in [6], nei quali il riferimento è a un concetto espresso nella frase immediatamente precedente, appunto è associato a una ripresa lessicale. Nell’Ottocento appunto come connettivo testuale è ormai tipico della saggistica, come dimostrano le sue 97 occorrenze nella Storia della letteratura italiana di De Sanctis. Ne riportiamo alcune: [7] Il dialetto siciliano era già sopra agli altri, come confessa Dante. E in Sicilia troviamo appunto un volgare cantato e scritto, che non è più dialetto siciliano, e non è ancora lingua italiana, ma è già, malgrado gli elementi locali, un parlare comune a tutt’i rimatori italiani [8] Dicono che nel Seicento si sviluppò una rivoluzione letteraria, e che tutti cercavano novità. Il che prova appunto che la letteratura avea già presa la sua forma fissa e compiuto il suo circolo.

4. 3. Appunto come avverbio olofrastico L’origine del valore olofrastico è così spiegata in TB (s. v. appunto): «Come dire: quel che voi dite si conviene col vero nel medesimo punto, fa con esso unità». Si tratta di un uso limitato ai contesti dialogici, con qualche eccezione. 1 Si riportano alcuni esempi tratti dalla LIZ:  

[1] Pippa. Farammi gridare con le strida d’un che si taglia l’anghio? Nanna. Appunto! Pippa. Come chi si acconcia una mano sconcia? Nanna. Manco (Aretino, Dialogo) [2] Apunto, apunto, quello di che non si teme, intravien più tosto che non fa quello di che si teme (Ruzante, La Vaccaria) [3] Appunto. Ma sopra il tutto bisogna a chi vuole […] (Guazzo, La civil conversazione) [4] Megacle. Ed Aristea si chiama? Licida. Appunto (Metastasio, L’Olimpiade) [5] Timante. È questa / la frigia principessa? Cherinto. Appunto (Metastasio, Demofoonte) [6] Ella è fugida? Oh appunto. Ella no; sarà egli fuggito (Goldoni, Il frappatore) [7] Appunto: ho sentito a dire qui in casa […] (Goldoni, La dama prudente) [8] Rosaura. Come? Non è vostro figlio? Pancrazio. Oh appunto! Egli è mio genero, non mio figlio (Goldoni, L’erede fortunata). [9] Brighella. Benissimo. E per el pan e per el vin ghe vol dei altri bezzi. Ottavio. Oh appunto, non me ne ricordava (Goldoni, La Buona moglie) [10] «No, sono italiano e mi chiamo Silvio Pellico» «L’autore della Francesca da Rimini?» «Appunto» (Pellico, Le mie prigioni) [11] «Appunto. Impiccarli, senza misericordia» (Manzoni, Promessi sposi) [12] «pensate voi […] quello che ne pensano i giornali?» «Appunto. Credo ed abbraccio la profonda filosofia de’giornali […]» (Leopardi, Dialogo di Tristano e d’un amico) 1   In un caso, per esempio, lo si osserva nella conversazione simulata del romanzo epistolare, nel significato di ‘a proposito’: Appunto: mi dimenticava di dirti che, ritornando, Odoardo accompagnò a passo a passo Teresa (Foscolo, Ortis).

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[13] Il conte Rinaldo aveva fatto atterrare un altro pezzo del castello di Fratta; e Luciano e Bradamante aveano seppellito senza grandi lagrime il signor Capitano per le settecento lire di usufrutto che ne ereditarono. «Appunto, si conserva bene Donato?» chiese la Pisana (Nievo, Confessioni di un italiano) [14] Oh appunto, se non capitavi sarei venuto io a destarti (Boito, Storielle vane, Il maestro di setticlavio) [15] Oscar. V’alletta interrogarlo, e forse celiar con esso un po’? Renato. «Appunto» (Verdi, Un ballo in maschera) [16] Me li son goduti anch’io i begli anni… appunto ti dicevo… Capisco quello che devi averci adesso nel tuo cuoricino (Verga, Mastro don Gesualdo) [17] Sicuro, perché se piove, tu lo sai, incominciano a scappare. – Appunto (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli)

Qualche osservazione a margine degli esempi citati. Oltre al prevalente valore di ‘sì’ enfatico è presente quello di ‘niente aπatto’ ([1], [6], [8]); come si è visto, nei dizionari la possibilità che appunto assuma un valore negativo, e dunque opposto a quello con cui è correntemente adoperato, viene ricondotta al meccanismo dell’ironia o dell’antifrasi. In altri contesti l’avverbio assume i significati di ‘a proposito’ ([7]) e di ‘ecco, finalmente!’ ([14]). In [9] la presenza dell’interiezione oh rende esplicita un’ulteriore possibile sfumatura semantica: appunto segnala l’improvvisa presa di coscienza di qualcosa (lo si potrebbe sostituire con oh, è vero!). Del resto, anche espressioni come eccolo appunto o ecco appunto x – particolarmente frequenti in Metastasio e Goldoni – attestano il legame di appunto con le situazioni in cui si manifesta improvvisamente qualcuno o qualcosa. Per vari autori si potrebbero indicare peculiarità ben precise nell’impiego di appunto: in Metastasio, per esempio, si può notare che nella maggioranza dei contesti l’avverbio è legato all’identificazione di una persona o di un luogo, e dunque vale ‘proprio quello’, ‘proprio lui’; 1 ancora, una consuetudine ricorrente nello stesso autore è quella di impiegare appunto, col valore di ‘proprio così’, in risposta a un’esclamazione di sorpresa. 2 Infine, si può osservare che Verga (nei cui romanzi appunto compare tre volte all’interno di espressioni lasciate in sospeso, come in [16]) ne riproduce l’uso, tipicamente parlato, come segnale discorsivo.  



4. 4. Ordine delle parole 4. 4. 1. All’interno di un sintagma Come modificatore di un elemento della frase, appunto può far parte di diversi tipi di sintagma; in particolare, quello avverbiale (appunto qui) e quello preposizionale (appunto per questo). La sua posizione all’interno del sintagma è 1

  Per esempio: quell’Enea, che tu cerchi, appunto è questo (Metastasio, Didone abbandonata).   Per esempio: Alcandro. Licida ha vinto. Aristea. Licida! Alcandro. Appunto! (Metastasio, L’Olimpiade). 2

appunto

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variabile, anche se alcune giaciture ricorrono maggiormente. Nei testi antichi appunto è spesso posposto al costituente a cui si riferisce: [1] Ardente lancia che m’ha così punto / dritto nel fianco appunto (Frescobaldi, Rime) [2] In questo tempo appunto, ch’io ti dico (Fazio degli Uberti, Il dittamondo) [3] Per questo modo appunto ch’io disegno (Fazio degli Uberti, Il dittamondo)

Oggi, invece, prevale la collocazione anteposta (L’ho chiamato appunto oggi, le cose stanno appunto così, e non l’ho chiamato oggi appunto, le cose stanno così appunto). Appunto tende a collocarsi in prima posizione anche all’interno di alcune sequenze fisse: in combinazione con una congiunzione causale (appunto perché) o con un pronome dimostrativo (appunto questo, appunto quello). L’italiano antico presenta maggiori oscillazioni: nel caso di appunto perché, combinando i dati della LIZ con quelli del PTLLI si osserva la tendenziale stabilizzazione della sequenza a partire dall’Ottocento; nel caso di appunto questo / quello, a partire dal Novecento. Si consideri la tabella che segue: 1  

appunto perché LIZ Origini-Cinquecento LIZ Sei-Settecento LIZ Ottocento PTLLI 23

perché appunto

appunto questo / quello

questo / quello appunto

1

4

9

6

23

12

8

14

12

24

54

5

21 3

5

112 66 2  



Nei giornali contemporanei la tendenza all’anteposizione appare meno netta; 4 in particolare, la scrittura giornalistica predilige la sequenza quello appunto. Gli articoli del CS spogliati ne contengono 20 esempi contro 13 di appunto quello:  

[4] Sempre nel mese scorso il sacco trasparente (quello appunto dell’indiπerenziata) ha registrato la sua più bassa percentuale di raccolta (18 agosto 2013) [5] La relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40, quella appunto che regolamenta i centri, non spiega perché (25 luglio 2013)

L’opzione per un certo ordine dei costituenti varia, poi, a seconda dello stile di chi scrive. Per esempio Leopardi, che fa un ampio uso di appunto soprattutto nello Zibaldone, lo pospone quasi sempre alla congiunzione perciò (46 perciò appunto, 3 appunto perciò): 1

  Non sono state, ovviamente, conteggiate le occorrenze in cui appunto ha valore di inciso (per esempio: erano quelli, appunto, gli anni). 2   Questa la distribuzione relativamente agli autori novecenteschi: appunto perché 6 Flaiano, 1 Palazzeschi, 1 Cardarelli, 11 Pratolini, 6 Alvaro, 4 Moravia, 4 Soldati, 1 Bassani, 2 Testori, 2 Tomasi di Lampedusa, 1 Cassola, 2 Sciascia, 1 Tobino, 2 Mastronardi, 4 P. Levi, 2 Parise, 1 Prisco, 1 Piovene, 1 Dessì, 2 Cialente, 1 Gorresio, 2 Sgorlon, 1 Magris, 4 Calasso, 1 Pontiggia, 1 Siciliano; perché appunto 2 Mastronardi, 3 P. Levi. 3   Questa la distribuzione relativamente agli autori novecenteschi: 3 Vittorini, 3 Moravia, 1 Gadda, 2 Soldati, 1 Pasolini, 4 Parise, 2 Brignetti, 1 Campanile, 2 Eco, 1 Pomilio, 1 Pontiggia. Per la sequenza inversa: 1 Vittorini, 1 Dessì, 1 Moravia, 1 Landolfi, 1 P. Levi. 4   Appunto perché: 12; perché appunto: 11; appunto questo / ciò: 9; questo appunto: 1.

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[6] E perciò appunto gli uomini compassionevoli sono sì rari […]

In Leopardi, inoltre, appunto ha spesso quella funzione di indicatore di esattezza temporale o geografica che è tipica, come si è visto, degli esempi più antichi. Nella Storia dell’astronomia ricorrono, quasi formularmente, espressioni formate da un complemento di tempo determinato+appunto (anche in questo caso collocato in seconda posizione): [7] che esso comparisse nel momento appunto della nascita del medesimo [8] nell’anno appunto nel quale apparve questa cometa [9] nell’anno appunto, nel quale accadde questo famoso passaggio di Venere

Oggi, invece, l’ordine non marcato è appunto+complemento di tempo: [10] e come sui loro frutti fiammeggianti che cominciano a venire appunto di novembre (Vittorini, Le donne di Messina) [11] quando ho visto De Vita che da poco ha comprato un’automobile e appunto la settimana scorsa m’aveva invitato a provarla (Prisco, Una spirale di nebbia) [12] Appunto nello Heraion ebbe inizio la storia del primo tradimento di Zeus (Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia) [13] E fu così, ad esempio, che il Natale e la festa di San Giovanni, appunto il 24 giugno, presero il posto dei Saturnalia romani e delle feste propiziatorie dedicate a Diana (CS, 15 ottobre 2013).

4. 4. 2. All’interno della frase Peculiare di appunto è la tendenza – osservabile con continuità fin dalle attestazioni antiche – a interporsi fra due costituenti frasali senza stacco prosodico. L’avverbio si colloca tipicamente fra verbo essere e nome del predicato: [1] ed erano appunto le due città (Vico, Principi di scienza nuova) [2] Basta filmare con paziente precisione la faccia che mostra per rivelare che è appunto una maschera (CS, 15 gennaio 2014)

Può inserirsi, inoltre, in altri tipi di perifrasi verbali: [3] e questa donna qui stava appunto spiegandomi dove abita quell’altra donna (Soldati, Lettere da Capri) [4] Danneggiamento aggravato il reato contestato all’uomo per aver, come si legge nel capo d’imputazione, appunto «danneggiato, spezzando i rami, un oleandro posto a ridosso di una aiuola decorativa» (CS, 11 gennaio 2014)

Oggi, come altri connettivi testuali (infatti, cioè, dunque ecc.), appunto svolge spesso anche la funzione di inciso prosodicamente isolato. Con queste caratteristiche, nelle opere del PTLLI compare generalmente tra due virgole; a ometterle sono più frequentemente i giornalisti, i quali, inoltre, se marcano l’inciso con la punteggiatura optano spesso per le lineette anziché per le vir-

appunto

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1

gole. Si può notare, infine, che appunto può collocarsi, con o senza autonomia prosodica, fra i due elementi di una locuzione o di un sintagma preposizionale:  

[5] prima appunto che le grosse nevi cominciassero in montagna (Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger) [6] si piazza sul terzo gradino del podio, dietro appunto al capoluogo e a Como (CS, 18 dicembre 2013) [7] sulla base appunto del principio di uguaglianza (CS, 6 dicembre 2013) [8] un tratto della strada provinciale 39 che collega Gaverina con, appunto, Casazza (CS, 28 agosto 2013).

4. 5. Altri valori di appunto nell’italiano contemporaneo Verranno qui riportate altre annotazioni sull’uso di appunto da parte di narratori e giornalisti, desunte dagli spogli del PTLLI e del CS. 4. 5. 1. Nella prosa letteraria Nel valore raπorzativo di ‘proprio’, appunto può presentare una sfumatura di temporalità (‘proprio in questo momento’): [1] Nulla... stavo appunto venendo su, per avvertirti che uscivo e sarei rientrato tra un’ora (Moravia, Il conformista)

Può essere adoperato nel significato di ‘per questo’, anche per introdurre una struttura priva di verbo: [2] Forse la donna viveva sola, era una vedova in penitenza, e appunto quei capelli tagliati corti e nascosti dal turbante (Flaiano, Tempo di uccidere)

Ma, più che fungere autonomamente da connettivo causale, appunto è solito accompagnare una congiunzione, come si è già visto a proposito di appunto perché e appunto perciò. Molto frequente la sequenza appunto per questo, già ampiamente attestata in italiano antico. In generale, appunto tende a legarsi a elementi che esprimono rapporti di causa-eπetto; queste le combinazioni più ricorrenti nel PTLLI e nel CS: - appunto+complemento di causa introdotto da per: [3] Si parlava di gravi incidenti accaduti appunto per l’eccessivo aπollamento (Buzzati, Sessanta racconti) - appunto+proposizione finale: [4] appunto per impedire che altri impazienti u√ciali salissero prima dell’ora fissata (Flaiano, Tempo di uccidere)

Un altro elemento con cui appunto si lega tipicamente è il come introduttore di strutture comparative: 1

  […] su qualcosa di istituzionale, di governativo, di – appunto – archivistico (CS, 11 dicembre 2013).

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[5] l’androne era chiuso in fondo da una vetrata opaca che lasciava scorgere macchie di un verde luminoso e mobile come appunto in certi orti botanici arieggiati da fresca brezza e percorsi da voli d’uccelli (Parise, Il padrone)

Le formule come appunto e appunto come cominciano a diπondersi nel Seicento, con la specifica funzione di introdurre una similitudine. 1 Si è visto, infine, come in Mastro don Gesualdo sia attestato un valore vicino a quello di segnale discorsivo. Eccone un esempio tratto dal PTLLI:  

[6] Non lo credo, non lo credo, Giuseppina mia!; io... mi vanto d’essere psicologo... e non lo credo... E poi, appunto, si tratta di non dar esca alle chiacchiere, di mostrare... a certa gente... qual conto facciano, i Brocchi!, della... maldicenza... dei vili… (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme).

4. 5. 2. Nella prosa giornalistica Nella scrittura giornalistica una delle funzioni più frequenti di appunto è quella di precedere una struttura appositiva: [1] Il protagonista, appunto Louis Malle da piccolo, dopo un’iniziale di√denza diventa suo amico (CS, 21 ottobre 2013) [2] e con un presidente, appunto Cremonesi, e almeno un consigliere di amministrazione, cioè l’ex parlamentare del Pdl Maurizio Leo (CS, 21 ottobre 2013) [3] orfanello di mamma Furbeseta, appunto la nipote di Falbrav (CS, 13 ottobre 2013)

Si può incontrare anche la sequenza cioè+appunto: [4] A regime, nel giro di tre anni, raggiungeremo la piena occupazione, cioè appunto 450 posti di lavoro (10 gennaio 2014)

Molto spesso appunto introduce nomi propri, denominazioni, titoli: [5] in un felice saggio intitolato appunto «Elogio del pastello» (8 novembre 2013) [6] allude a un’antica cerimonia di purificazione della Torah detta appunto «La giovenca rossa» (25 ottobre 2013) [7] ha scelto di investire risorse su un progetto che si chiama appunto «Passaparola» (7 novembre 2013)

Compare poi frequentemente, insieme alla congiunzione e, prima dell’ultimo membro di un elenco: [8] associazione che raggruppa le Regioni trainanti del Vecchio Continente: Baden-Württemberg, Rhône-Alpes, Catalogna e, appunto, Lombardia (18 ottobre 2013) [9] rispetto a Portogallo, Croazia, Grecia/Bosnia (una delle due andrà al Mondiale subito, l’altra al playoπ) e appunto la Svezia (14 ottobre 2013) [10] Da quasi vent’anni, a Roma ci sono almeno tre evergreen che — ad ogni cambio di giunta — ritornano: la «cura del ferro», con la chiusura dell’anello ferroviario; la navigabilità 1

  Per esempio: Così questa Scienza procede appunto come la geometria (Vico, Principi di scienza nuova).

appunto

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del Tevere, col groviglio di competenze diverse; e, appunto, la pedonalizzazione (21 agosto 2013) [11] sarà un processo lampo con una manciata di imputati (Milanetto, Gervasoni, Zamperini e appunto Mauri) (7 luglio 2013)

Non meno ricorrente la consuetudine di accompagnare con appunto l’indicazione di cifre: [12] c’è stato un aumento di 200 «reti» a livello italiano, salite appunto da 836 a 1.036 (25 ottobre 2013) [13] L’importo iniziale dell’appalto in via Cogne era appunto di 3,9 milioni (18 ottobre 2013).

4. 6. Per l’appunto Per l’appunto (o per appunto) è sostanzialmente intercambiabile con appunto, di cui condivide i due valori fondamentali di raπorzativo e di avverbio olofrastico. 1 La principale diπerenza fra le due alternative riguarda oggi la frequenza d’uso: GRADIT assegna ad appunto la marca «FO», mentre contrassegna per l’appunto con «CO». A conferma del carattere più sporadico dell’uso di per l’appunto si possono citare i dati oπerti dal PTLLI: le occorrenze di appunto sono 1.015, quelle di per (l’)appunto soltanto 68. Ancor più macroscopico il dato proveniente dal CS: mentre appunto vi compare circa duemila volte, le occorrenze di per (l’)appunto sono 37. Per quanto riguarda i secoli passati, la consistenza delle attestazioni di per (l’)appunto varia di molto a seconda degli autori. A ricorrere ampiamente all’avverbio è, per esempio, Goldoni:  

[1] Silvio. Favorisca vedere se questa lettera viene a lei (dandogli una lettera). Dottore. Per appunto. Viene a me (L’uomo di mondo) [2] Eleonora. Sì, donna Livia con diecimila scudi d’entrata. Guglielmo. Oh, per l’appunto! S’ella non ci pensa nemmeno (L’avventuriere onorato)

Come si vede da [2], per l’appunto può essere usato come formula negativa allo stesso modo di appunto. La locuzione conosce la sua maggiore aπermazione nell’Ottocento: in TB, s. v. appunto, si legge: «ma più comune nel più dei casi sarebbe oggidì per l’appunto». Tommaseo considera per l’appunto più moderno di appunto anche nel valore aggettivale; commentando l’esempio scrittore molto a punto e scrupoloso, osserva: «Ora direbbesi per l’appunto, usato l’avverbio a modo di aggettivo». Emblematica, a questo proposito, una sostituzione manzoniana di appunto 2 con per l’appunto:  

1   Per RIG-FANF le due varianti non sono del tutto equivalenti, almeno quanto a forza espressiva: rispetto ad appunto, «Per l’appunto dice lo stesso, ma con più e√cacia». 2   Che pure sopravvive in altri tre casi nell’edizione del 1840.

70

maria silvia rati

[3] Per l’appunto: e tu devi anche aver sentito qualche tocco di quella campana (Promessi sposi)

laddove nell’edizione del 1827 si aveva: [4] Appunto: e tu dei anche aver inteso qualche tocco di quella campanella.

4. 7. Giustappunto Rispetto ad appunto e a per l’appunto, giustappunto (univerbazione della locuzione giust’appunto) ha una diπusione più recente. GDLI lo definisce ‘precisamente, proprio, appunto’, senza apporvi marche e allegando due esempi da So√ci e Papini. GRADIT, che lo data al 1909, lo contrassegna come «CO». In DO (s. v. giusto1) se ne sottolinea il carattere di «asserzione fortemente puntualizzata». ZING, attribuendogli il valore di risposta «energicamente aπermativa», ne riporta una datazione anteriore a quella degli altri dizionari (av. 1861) e ne segnala l’uso «anche ironico». TRECC aggiunge al valore di risposta «energica» quello di risposta «talora stizzosa». Nella LIZ la prima attestazione (nella forma non univerbata) appartiene alle Confessioni di un italiano: [1] – Eh cosa dite mai che non c’è nessuno? – s’intromise con una vociaccia arrocata dal gran gridare la Lucrezia. – Non vedete che ci sono i Francesi ed anco i Cisalpini? – Giust’appunto – tornò a chiedere la prima – cosa vuol dire questa Cisalpina?

Riguardo alla sua presenza nella letteratura più recente, nel PTLLI si contano solo due occorrenze (nessuna negli ultimi quarant’anni): [2] «E giustappunto» dice Francesco «vien buona la notizia che ho da darti. È tornato Antonio...» (Banti, Artemisia) [3] Scusi, non aπerro. – E una barca che cosa non ha, sempre di sotto? – Immagino lei intenda daccapo le ruote. – Giustappunto – E così? – Così, così! Sentiamo, caro signore, crede che io abbia paura? (Landolfi, A caso)

Si può notare come in [3] l’avverbio assuma il carattere di risposta stizzosa a cui si accennava sopra. La rarità di giustappunto nell’italiano di oggi è confermata dalle sue sporadiche apparizioni negli articoli di giornale: le sue occorrenze nel CS sono 4 (rispetto alle 37 del pur poco comune per l’appunto). Per esempio: [4] «Per un tango bisogna essere in due: balliamo insieme?» Siamo nell’arena della finanza mondiale, e l’invito arriva – giustappunto – sui famigerati «tango bond», le obbligazioni argentine andate in default nel 2001 (2 novembre 2013) [5] Essi sono Napoleone, Cavour e, ovviamente, il «comunista» Garibaldi dalla camicia giustappunto rossa: tutti e tre peccano di superbia e di egocentrismo (24 giugno 2013).

appunto

71

4. 8. Conclusioni su appunto L’uso di appunto come avverbio focalizzatore, nel significato di ‘precisamente, esattamente’, conosce un’evoluzione nel corso dei secoli: nelle attestazioni più antiche l’avverbio accompagna spesso determinazioni di tempo, spazio, luogo o definisce l’esattezza di pesi e misure, e la sua portata sintattica si applica a un singolo costituente frasale. In séguito diviene progressivamente strumento di coesione a livello interfrasale; nella LIZ i primi esempi di tale impiego si osservano in Machiavelli, Guicciardini e Galilei. Appunto come connettivo testuale si configura, pertanto, fin da sùbito come peculiare delle scritture argomentative: una peculiarità che l’avverbio mantiene anche nell’italiano contemporaneo. Riguardo all’uso olofrastico – di cui si hanno esempi a partire dal Cinquecento – è emerso come almeno fino al Settecento appunto e per l’appunto potessero essere impiegati sia in senso AFF, sia in senso NEG. Diversamente da quanto è accaduto nel caso di assolutamente, l’ambiguità tra i due valori si è poi risolta a favore del significato AFF. Si è infine osservato come tra Sette e Ottocento per l’appunto fosse, diversamente da oggi, di uso più comune rispetto ad appunto; la testimonianza oπerta in proposito dal TB è avvalorata dalle numerose attestazioni di per l’appunto in Goldoni e da una sostituzione manzoniana di appunto con per l’appunto.

5. Inf atti

E

timologicamente trasparente (‘nei fatti’), 1 dizionari e grammatiche lo classificano come avverbio (GDLI) o, più spesso, come congiunzione (ZING, DO, TRECC, DELI ecc.). 2 I repertori che si avvalgono di una terminologia più moderna lo fanno rientrare tra i connettivi esplicativi o argomentativi (cfr. Serianni 1988 e 2013). GRADIT distingue la funzione di congiunzione da quella di avverbio, associando quest’ultima esclusivamente all’impiego olofrastico («come risposta, esattamente, proprio così»). L’uso di infatti come formula olofrastica è contemplato in tutti i dizionari consultati; ZING lo chiama in causa soltanto a proposito di contesti con significato ironico (mi aveva assicurato che avrebbe mantenuto la promessa… infatti!). Infatti appartiene al lessico di base dell’italiano (in GRADIT è marcato come FO). Impiegato frequentemente nel parlato (nel LIP il rango d’uso è 133), nella scrittura – specialmente in quella argomentativa – è uno degli elementi di collegamento più tipici per sottolineare i rapporti di causa-eπetto. 3 Lo si adopera ampiamente anche nei testi letterari, e nel PTLLI, data la presenza di contesti di tipo colloquiale, è ben rappresentato il suo impiego olofrastico. GDLI, TRECC e GRADIT accennano alla collocazione di infatti all’interno della frase: per GDLI «è spesso posposto» (ma non si specifica rispetto a quale costituente frasale); in TRECC si aπerma che spesso si pospone «alla  





1

  Riguardo alla sua grafia, CRUSCA VER, MAN e alcuni dizionari puristici (come Ugolini 1855) registrano ancora la sola forma in fatti / in fatto, lemmatizzata nel Vocabolario della Crusca dalla seconda alla quarta impressione; CRUSCA riporta la forma univerbata, specificando che «scrivesi pur disgiuntamente». Anche il GB riporta la forma non univerbata come variante di quella univerbata. Nel TB Tommaseo enuncia una regola che trova piena conferma nei contesti letterari su cui ci si soπermerà in 5.3.1: «quando infatti contrapponesi a in detti o in pensieri è da scrivere disgiunto; quando è particella aπermativa a invero o insomma, tutt’una voce». Tale distinzione è tenuta presente anche dal GDLI, che tratta separatamente la forma univerbata e quella analitica, ponendo la prima a lemma e la seconda s. v. fatto. 2   Per quanto riguarda i dizionari del passato, CRUSCA lo considera avverbio, TB e GB usano il termine «particella». Le grammatiche tra Cinquecento e primo Ottocento generalmente tacciono su di esso, con l’interessante eccezione dei Fondamenti del parlar toschano di Rinaldo Corso, dove infatti è annoverato fra le congiunzioni che «servono a concludere», accanto a dunque, adunque e insomma (Corso 1549: 198). La definizione di ‘in conclusione, in fine, in eπetto’ è presente anche nel Vocabolario della Crusca del 1623, s. v. in fatti. Alla fine dell’Ottocento Ponza 1897 inserisce infatti fra le congiunzioni illative, che «indicano che il concetto che segue è come logicamente dedotto da quello che precede, o viceversa» (181). A partire da Fornaciari 1881 (417) infatti compare quasi sempre fra le congiunzioni coordinanti dichiarative (insieme, per esempio, a cioè), secondo una prassi che resiste ancora nelle grammatiche di oggi. 3   «Infatti guarda indietro, alla frase appena detta o scritta, per motivarne il contenuto» (Serianni 2013: 109).

infatti

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prima parola o anche a più di una»; GRADIT fa riferimento all’uso di infatti «all’inizio di proposizione». Uno degli obiettivi principali dell’analisi che segue sarà proprio quello di definire meglio le caratteristiche topologiche dell’avverbio, che sono in realtà diverse a seconda del tipo di scrittura. Per quanto riguarda le peculiarità semantiche, non saranno necessarie, almeno per l’italiano contemporaneo, particolari precisazioni, dal momento che infatti non è usato – a diπerenza di altri avverbi visti fin qui – in diverse accezioni. 5. 1. Infatti nell’italiano contemporaneo 5. 1. 1. Nella prosa letteraria Oggi gli scrittori usano infatti soprattutto in apertura di frase. Su 1.805 occorrenze totali dell’avverbio all’interno del PTLLI, 534 si trovano all’inizio di una proposizione reggente o subordinata (a queste ne vanno aggiunte 257 in cui infatti compare – sempre in posizione iniziale – preceduto da e). A partire dagli anni Sessanta del Novecento tale tendenza fa registrare un ulteriore incremento rispetto ai decenni precedenti; significative, in questo senso, opere come Una spirale di nebbia di Michele Prisco, dove infatti è usato quasi in tutti i casi all’inizio di frase: [1] E infatti era questa macchina nuova. [2] E lei lo guardò: come se non avesse capito: e infatti non aveva capito

Nel corpus è elevato anche il numero delle attestazioni di infatti fra soggetto e predicato e – a diπerenza di quanto accade nella scrittura argomentativa (cfr. 5. 1. 2) – posposto al verbo; tipica la sua collocazione dopo disse: [3] «Dove fuggi?» disse infatti (Montefoschi, La casa del padre)

Ecco il prospetto delle occorrenze di infatti nel PTLLI per quanto riguarda l’ordine delle parole. totale occorrenze

1.805

a inizio frase (anche dopo e)

866 = 48%

- Infatti, in un primo momento, non ci badai (Montefoschi, La casa del padre); - E infatti io non capisco come abbia fatto Claudia (Veronesi, Caos calmo)

tra sogg. e pred.

212 = 11,7%

Attila, infatti, voleva proprio trattare con qualcuno (Vassalli, La chimera)

interposto a un pred. perifrastico

125 = 6,9%

il quale giorno è infatti dedicato a Venere (Comisso, Un gatto attraversa la strada)

tra pred. e complem.

100 = 5,5%

ebbi infatti una sensazione di svuotamento (Rea, La dismissione)

70 = 3,9%

Alle sue parole, infatti, come ad un segnale, ella si gettò sulla tavola (Moravia, Il conformista)

tra complem. circostanz. e pred.

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maria silvia rati

totale occorrenze

1.805

posposto al pred.

58 = 3,2%

Ripeteva infatti, in un diminuendo vocale dove si aπacciava la sapienza del bel canto: «Il più caro» (Siciliano, I bei momenti)

tra pred. e sogg.

57 = 3,2%

ci istruiva infatti nostro padre (Starnone, Via Gemito)

olofrastico

51 = 2,8%

«Infatti», egli disse, e tornò a prenderle la mano (Pratolini, Un eroe del nostro tempo)

tra complem. circostanz. e sogg.

47 = 2,6%

Da allora, infatti, Cafiero iniziò a frequentare con più assiduità il fratello (Riccarelli, Il dolore perfetto)

in fine di frase

43 = 2,4%

Lo capii subito dopo, infatti (Pratolini, Un eroe del nostro tempo)

tra pred. e subord.

42 = 2,3%

si vide infatti ch’era proprio una rondinella (Pasolini, Ragazzi di vita)

dopo introduttore di subord.

40 = 2,2%

come infatti siamo (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli)

tra complem. argoment. e pred.

10 = 0,6%

d’una cosa infatti era certo (Testori, Il ponte della Ghisolfa)

84= 4,7%

- interposto a una locuz.: Ecco infatti che gli si para davanti un giovane egiziano (Starnone, Via Gemito) - posposto a un sost.: piedi infatti maschilmente calzati (Landolfi, A caso)

altro

Infatti è spesso isolato prosodicamente dal resto della frase; non sempre, tuttavia, tale stacco trova un riscontro grafico nella presenza della virgola: 1  

[4] alla fine, non sentivo più infatti (Camon, Un altare per la madre)

Complessivamente, figura come inciso isolato da virgole solo nel 30% dei contesti analizzati. A rendere questa percentuale così esigua sono soprattutto le opere pubblicate a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, in cui aumenta la tendenza a omettere le virgole (si veda, in particolare, la prassi interpuntiva di Buzzati e Testori); tale tendenza prosegue – con ovvie diπerenze a seconda dello stile degli autori – fino ai romanzi degli anni Duemila. Per quanto riguarda l’impiego olofrastico, se ne registrano in tutto 52 occorrenze, 2 oltre ad alcuni casi in cui l’avverbio è seguito da un altro segmento  

1

  I contesti sintattici in cui la virgola è usata più frequentemente sono quelli nei quali l’avverbio compare tra complemento circostanziale e soggetto (63,8%); negli altri casi le percentuali sono più basse: tra complemento circostanziale e predicato: 45,7%; tra predicato e completiva: 28,6%; tra soggetto e predicato: 28,3%; a inizio frase: 20,6%; posposto al predicato: 19%; tra predicato e complemento: 17%; interposto a un predicato perifrastico: 11,2%. 2   Questo il numero di occorrenze per autore: 7 Eco, Il nome della rosa; 5 Montefoschi, La casa del padre; 4 Palazzeschi, I fratelli Cuccoli, Pratolini, Un eroe del nostro tempo, Veronesi, Caos calmo; 3 Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti, Pontiggia, La grande sera, Bevilacqua, L’occhio del gatto, Landolfi, A caso; 2 Malaparte, La pelle, Ortese, Poveri e semplici, Rea, La dismissione; 1 Pavese, La bella estate, Bontempelli, L’amante fedele, Arbasino, L’anonimo lombardo, Prisco, Una spirale di nebbia, Piovene, Le stelle fredde, Dessì, Paese d’ombre, Levi, La chiave a stella,

infatti

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frasale e pertanto, non essendoci l’intonazione a disambiguare, la sua autonomia sintattica non può essere decretata con certezza. Per esempio: [5] infatti, è un pidocchio russo (Malaparte, La pelle)

Si segnala, infine, che anche nella funzione olofrastica infatti è talora preceduto da e: [6] Perché non ha voluto che li portassimo a casa, si può sapere? – E infatti, che te ne volevi fare? (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [7] Non è proprio un sacco, ma quasi, me lo porto, so come, con quali gesti e accorgimenti. E infatti (Bevilacqua, L’occhio del gatto).

5. 1. 2. Nella prosa giornalistica totale occorrenze

1.805 577 = 32%

Il Museo sarà infatti aperto mercoledì 1 gennaio 2014 (31 dicembre 2013)

a inizio frase (anche dopo e)

338 = 18,7%

Infatti il nosocomio ha chiuso il 2012 con un debito […] (11 ottobre 2013)

tra pred. e complem.

248 = 13,7%

lavora infatti su tre diverse direttrici (14 ottobre 2013)

tra sogg. e pred.

196 = 10,9%

Alfano infatti non ha gradito […] (6 ottobre 2013)

tra pred. e sogg.

156 = 8,6%

sarà infatti la sala giochi di Lorenteggio a dare l’input (13 dicembre 2013)

tra pred. e subord.

105 = 5,8%

Si legge infatti che verranno rivalutate del 100% [… ] (15 ottobre 2013)

tra complem. circostanz. e sogg.

77 = 4,3%

Secondo fonti della prefettura infatti il problema è sorto […] (27 dicembre 2013)

tra complem. circostanz. e pred.

34 = 1,9%

nella Roma sotterranea infatti non piove (30 dicembre 2013)

dopo introduttore di subord.

27 = 1,5%

Se infatti Mac è il simbolo […] (28 dicembre 2013)

posposto al pred.

10 = 0,6%

si esaurirà infatti ben prima che arrivino […] (28 novembre 2013)

altro

37 = 0,2%

I governativi sono infatti ieri passati all’attacco duro (8 novembre 2013)

interposto a un pred. perifrastico

Rispetto al 6,9% a cui si ferma la collocazione interposta nei testi letterari, negli articoli di giornale si nota un incremento di ben 25 punti percentuali. Si può notare, inoltre, la maggior frequenza di infatti all’interno della sequenza predicato-soggetto (8,6% degli esempi rispetto al 3,2% dei testi letterari), che appare legata alla predilezione, da parte dello stile giornalistico, per l’inversione di questi due elementi, specialmente «nelle incidentali di presentazione Ferrante, L’amore molesto, Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, Starnone, Via Gemito.

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maria silvia rati

del discorso diretto, dove il verbo rappresenta il tema e il nome del locutore il rema». 1  

5. 2. Considerazioni diacroniche A diπerenza degli avverbi considerati finora in questo volume, tutti attestati a partire dal Due-Trecento, infatti ha una diπusione relativamente recente. L’elevata frequenza che l’avverbio conosce oggi nei testi parlati e scritti fa séguito a una fase di espansione che ha interessato il corso dell’Ottocento (come si vedrà, mentre nei periodi 1-5 le occorrenze LIZ sono complessivamente 49, nel periodo 6 diventano ben 689). Nel TLIO non è ancora stata redatta la voce infatti; il DELI riporta come data di prima attestazione il 1566 (Salviati), mentre il primo esempio presente nel GDLI appartiene a Casti (per quanto riguarda l’impiego olofrastico, lo stesso dizionario cita un passo di Borgese). 2 Quanto ai valori semantici diversi da quello moderno, infatti è stato usato anche nell’accezione di ‘in realtà’, ancora abbastanza comune nell’Ottocento e registrata dal GDLI: Attendeva a persuadermi che quanto a me pareva le costasse molto, non le dava infatti che pochissimo fastidio (Nievo). Il TB menziona anche il significato di ‘insomma’, che spiega in questo modo: «perché il fatto può essere la conclusione di molte parole, e anche di molte azioni». Qui ci interessa seguire le vicende di infatti nel significato che lo caratterizza in italiano contemporaneo; il quadro ricavato da grammatiche e dizionari può essere infatti arricchito vagliando gli esempi della LIZ. 3  



Periodi 1 e 2 Nella fase che va dalle Origini al Quattrocento la locuzione in fatti è usata unicamente nel significato letterale di ‘nei fatti’, perlopiù in contrapposizione a in parole (o a in detti) e in dittologia con in atti: [1] disse ch’era molto savio in parole, ma non in fatti (Novellino) [2] si mostra in fatti e ‘n detti d’ogni parte (Sacchetti, Il libro delle rime) [3] e non voliate che di voi si possa dire altro che tutto bene, sì in atti e anco in fatti (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427)

Un’occorrenza in Giovanni Villani, per quanto il significato sia sempre quello di ‘nei fatti’, sembra preludere già alla funzione di connettivo esplicativo; a rendere qui l’impiego di infatti a√ne a quello attuale contribuisce anche la collocazione all’inizio di frase, dopo la congiunzione e: 1

  Bonomi 2002: 324.   Come si accennava sopra, la voce infatti del GDLI si soπerma solo sulla forma univerbata, rimandando per quella non univerbata alla voce fatto, dove è riportata la locuzione in fatti (accanto a in fatto, considerata sua variante) in due accezioni: quella di ‘in atto, realmente’, con esempi fin dal Novellino, e quella di ‘in verità, certamente, sicuramente’ («ed ha prevalentemente una funzione coordinativa e dimostrativa. – Anche: infine»), con esempi a partire dal Cinquecento (Cellini, G. M. Cecchi). 3   Verranno esaminati i contesti contenenti le forme in fatto, in fatti e infatti. 2

infatti

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[4] e Martello avea sopranome però che ‘l portava in soprainsegna. E in fatti fu martello, però che per sua prodezza percosse tutta Alamagna […] (Villani, Nuova Cronica).

Periodo 3 Di là dalla constatazione che per questo periodo la LIZ comincia a riportare alcune forme univerbate (che potrebbero derivare da edizioni modernizzanti), si può osservare che nel Cinquecento infatti conosce già impieghi semantici e sintattici confrontabili con quelli attuali. Questi appaiono in vari tipi di testo (commedia, novella, poesia): [1] E poco mancò, ne lo spargersi de la berta che io faceva ad altrui, che il marito di colei che se ne era fuggita, parendogli infatti che gli fosse maggior vergogna la seconda che la prima, non mi tritasse a pezzi e a minuzzoli (Aretino, Dialogo) [2] basta che mi tegniate per amica, / come infatti vi son, sì che in giovarvi / non sarei scarsa d’opra o di fatica (Franco, Rime) [3] guardò come quella stava: la paza credeva infatti per averla di continuo adoperata fussi cresciuta (Fortini, Le giornate delle novelle dei novizi) [4] Infatti io non poteva più tener le risa (Grazzini, La gelosia)

Nei primi tre esempi si può notare, dal punto di vista dell’ordine delle parole, la tendenza dell’avverbio a essere posposto al primo elemento della frase. In [3] infatti ha un valore esplicativo – evidenziato dall’editore con la scelta dei due punti – che appare del tutto corrispondente a quello moderno. In [4], invece, la riproduzione di modalità colloquiali documenta la tendenza, evidentemente già diπusa all’epoca, a iniziare un discorso con infatti: 1 nel contesto non ci sono battute precedenti a cui infatti si colleghi, in quanto l’avverbio è collocato non solo all’inizio di un enunciato, ma di un’intera scena.  

Periodo 4 Le attestazioni di questo periodo documentano che infatti è ormai usato spesso con un valore vicino a quello attuale. La collocazione a inizio frase continua a riguardare soprattutto i contesti di tipo dialogico: [1] Annibale. Oπesa a Dio, speranza agli amanti, ruina a’ mariti. Cavaliere. Infatti questi ornamenti non sono altro che stendardi di superbia e nidi di lussuria (Guazzo, La civil conversazione) [2] Rinuccio. Chi avrebbe mai pensato che Clorinda fosse sì principal gentildonna? Infatti le donne qualche volta fanno pure delle grandi stravaganze e prima diliberano e pongono in essecuzione le loro diliberazioni, e poi pensano a quel che ne può seguire. So che ci sta con ambeduo i piedi la sventurata (Castelletti, Stravaganze d’amore)

Già a quest’altezza cronologica, inoltre, si osservano esempi delle giaciture oggi più frequenti nella lingua scritta: 1

  Il cui significato, però, potrebbe essere qui quello di ‘davvero, veramente’.

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- dopo e: [3] Chiamavasi Ghiotto, ed infatti era tale, un certo bresciano (Costo, Il fuggilozio)

- interposto a un predicato perifrastico: [4] non avendo infatti oπeso il nimico (Costo, Il fuggilozio)

- tra predicato e soggetto: [5] che ben lo mostrò infatti Paulo IV (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino).

Periodo 5 Si segnala un consistente gruppo di occorrenze nelle opere di Vico; qui infatti compare perlopiù posposto agli introduttori di subordinata (pronomi relativi, come): [1] da’ quali infatti non si distinguevano punto (Principi di scienza nuova) [2] come infatti egli vi spicca con un’incomparabil facondia (Vita scritta da sé medesimo)

Le attestazioni nelle commedie di Goldoni (a cui se ne può aggiungere una di Gozzi) confermano che la collocazione di infatti a inizio frase è da considerarsi una peculiarità della lingua parlata: su un totale di 22 occorrenze, 19 compaiono in questa posizione; talora infatti è preceduto da e. Eccone alcuni esempi: [3] Clarice. Credetemi, ancora mi pare un sogno. Beatrice. Infatti la cosa non è ordinaria (Il servitore di due padroni) [4] E infatti non si può dire, che queste signore donne non siano tali (Le donne di buon umore)

In Goldoni si trova anche un esempio di infatti in fine di frase, collocazione che – anche considerando quanto è emerso a proposito di aπatto e assolutamente – sembra ancor più tipica del parlato: [5] Cento zecchini infatti!… E quel che me li dà / senza malizia alcuna, lo fa per carità (La vedova spiritosa)

Data la complessiva esiguità delle attestazioni di infatti nei periodi 1-5, i rilievi quantitativi che le riguardano verranno inclusi un unico quadro sinottico: totale occorrenze periodi 1-5

49

a inizio frase (anche dopo e)

22 = 44,9% Infatti questa maladetta passione di noi stessi non ci lascia amar gli altri (Guazzo, La civil conversazione)

dopo introduttore di subord.

9 = 18,4%

Se, infatti, di «mio» e «tuo» sia ‘l mondo privo […] (Campanella, Scelta di poesie filosofiche)

tra sogg. e pred.

5 = 10,2%

Sì, Berenice infatti è di don Lucio (Goldoni, La donna sola)

tra pred. e subord.

4 = 8,2%

e ritrovando infatti che […] (Vico, Vita scritta da sé medesimo)

infatti totale occorrenze periodi 1-5

79

49

interposto a un pred. perifrastico 3 = 6,1%

perch’eglino sono infatti tre lumi della sua divinità (Vico, Principi di scienza nuova)

tra pred. e sogg.

1 = 2%

che ben lo mostrò infatti Paolo IV (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino)

tra pred. e complem.

1 = 2%

in quanto restituiva infatti la provisione de’ beneficii curati a’ vescovi (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino)

tra complem. circostanz. e pred. 1 = 2%

In Roma infatti non si faccia o dica […] (Sergardi, Satire)

posposto al pred.

1 = 2%

perciocché posso dir io (e lo credo infatti) […] (Pona, La lucerna)

a fine frase

1 = 2%

Cento zecchini infatti! (Goldoni, La vedova spiritosa)

altro

1 = 2%

Utili infatti siete voi altri alle persone (Goldoni, Il filosofo inglese)

Periodo 6 In questa fase le attestazioni si incrementano notevolmente, e si può quindi osservare in modo più chiaro la distribuzione degli impieghi sintattici di infatti nei diversi tipi di testo. Nella scrittura argomentativa, per esempio, l’avverbio è usato per introdurre la spiegazione della frase che precede; nel passo che segue, tale funzione è resa evidente dalla presenza dei due punti: [1] e questa vi fu: infatti, in cinque mesi di repubblica, il governo, colle rendite di sole due province, tolse dalla circolazione un milione e mezzo di carte (Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799)

Aumentano anche i casi di interposizione a un predicato perifrastico: [2] ed è infatti riservata pei pubblici usi occorrenti in quel circondario («Il Conciliatore»)

Nelle opere narrative aumenta la frequenza di infatti tra soggetto e predicato: [3] Tutto infatti andò bene (Manzoni, Promessi sposi) [4] L’usignuolo infatti vegliava la sua venuta (Nievo, Confessioni di un italiano)

Nel complesso, comunque, risulta di gran lunga prevalente la posizione all’inizio di frase. Questa è diπusa in tutti i tipi di testo, 1 ma raggiunge le percentuali più elevate nella prosa narrativa:  

1

  In un’opera di tipo argomentativo come lo Zibaldone sono frequentissimi i periodi che iniziano con e infatti, come E infatti questo lineamento nei ritratti sbozzati da Velleio non si trova. In Leopardi (e in Nievo) è attestato anche ma infatti. Su ma «limitativo dopo pausa forte nei testi», attestato nella lingua letteraria fin dalle Origini e oggi molto frequente nella scrittura giornalistica, cfr. Sabatini 2012: 164-170. Sabatini si soπerma anche su e, che come «congiunzione frasale» condivide con ma «il ruolo di principale connettore testuale globale» (170) fin dall’italiano antico e con la stessa distribuzione di tipologie testuali che caratterizza ma.

80

maria silvia rati

[5] «Infatti», ripigliò il primo, «in quei garbugli v’è sempre pericolo» (Manzoni, Fermo e Lucia) [6] E infatti, con tant’altri e diversi titoli di lode, Federigo ebbe anche, presso i suoi contemporanei, quello d’uom dotto (Manzoni, Promessi sposi) [7] Infatti feci le viste di avviarmivi (Nievo, Confessioni di un italiano)

In Nievo le occorrenze di infatti a inizio frase (precedute o no da e) corrispondono al 70% del totale; la loro frequenza è paragonabile a quella che si è osservata nei romanzi contemporanei. Come sempre, nella prosa leopardiana si notano peculiarità relative all’ordine delle parole. Particolarmente ricercate – e piuttosto rare nel resto del corpus – sequenze come queste: [8] In più luoghi infatti delle sue opere […] manifesta Aristotele la sua opinione intorno all’anima (Saggio sopra gli errori popolari degli antichi) [9] Sanconiatone infatti e il suo interprete Filone Biblo, presso Eusebio, fanno di ciò testimonianza (Storia dell’astronomia) [10] In altro luogo infatti di Eusebio dicesi […] (Storia dell’astronomia)

In Rovani è invece frequente la collocazione postverbale, rara in altri autori: [11] con tali norme erasi comportato infatti nella sua condizione di sottotenente della Ferma (Cento anni) [12] e non se ne staccò infatti se non allorché […] (Cento anni)

Nel periodo considerato, infatti compare talvolta anche nell’accezione di ‘in realtà’: [13] Mise chi lo curava in sospetto di ciò ch’era infatti (Manzoni, Promessi sposi) [14] o che temesse, povero infelice! d’aggravarsi confessando che l’aveva fatto per trafugar la prova d’una contravvenzione, o che infatti non sapesse ben render conto a sé stesso di ciò che aveva fatto in quei primi momenti di confusione e spavento (Manzoni, Storia della colonna infame) [15] mostrandomi più dappoco che non fossi infatti (Nievo, Confessioni di un italiano) [16] e da ultimo scopersi tanta diπerenza fra il male che si diceva di quei giovani e quello che era infatti (Nievo, Confessioni di un italiano). totale occorrenze periodo 6

689

a inizio frase (anche dopo e)

352 = 51,1% E infatti l’amor della vita è l’amore del proprio bene (Leopardi, Zibaldone di pensieri)

tra pred. e complem.

56 = 8,1% E videro infatti muri aπumicati (Manzoni, Storia della colonna infame)

tra sogg. e pred.

52 = 7,5% Seneca infatti non era contadino, ma filosofo (Nievo, Confessioni di un italiano)

interposto a un pred. perifrastico

47 = 6,8% Tale doveva infatti essere colui («Il Conciliatore»)

dopo introduttore di subord.

46 = 6,7% Ché infatti godo della stima pubblica più che non meriterebbe la mia poca appariscenza politica (D’Azeglio, I miei ricordi)

infatti totale occorrenze periodo 6

81

689

tra pred. e sogg.

27 = 3,9% Soleano infatti alcuni fra i Gentili […] allegare in loro difesa che essi adoravano un solo Dio (Leopardi, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi)

posposto al pred.

27 = 3,9% La ripetei infatti quel giorno (Pellico, Le mie prigioni)

tra pred. e subord.

20 = 2,9% Mi stupii infatti di vederne le finestre illuminate (Nievo, Confessioni di un italiano)

tra complem. circostanz. e pred.

17 = 2,5% Per questo articolo infatti fu condannata a morte la sventurata Sanfelice (Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799)

in fine di frase

12 = 1,7% Giunge egli infatti («Il Conciliatore»)

tra complem. circostanz. e sogg.

6 = 0,9% Come tale infatti essa manca totalmente di quello che il Card. Garampi chiamava legittimo sapore di sasso, e di bronzo (Leopardi, Lettere)

tra complem. e pred.

4 = 0,6% Ciò infatti dice lo stoico Cleante (Leopardi, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi)

altro

23 = 3,3% - All’interno di una locuz.: Doppo infatti du’ notte de respiro (Belli, Sonetti) - All’interno di un sintagma: molti infatti dei nobili (Rovani, Cento anni)

Periodo 7 Anche nell’ultimo periodo prevalgono nettamente le occorrenze di infatti in posizione iniziale; va notato anche l’incremento di quelle in fine di frase: [1] Parevagli di sentirsi meglio infatti (Verga, Mastro don Gesualdo) [2] L’atteggiamento fu nuovo, infatti (De Amicis, La maestrina degli operai) [3] E si volse, infatti, sebbene non avesse ben definito se fosse un fischio (Serao, Il paese di cuccagna)

Come si diceva, si tratta di una giacitura sintattica tipica del parlato; il legame con l’oralità è evidente nelle occorrenze che si trovano all’interno di battute di dialogo: [4] Era suo, infatti! (De Roberto, Illusione) [5] Non mi vuoi più, infatti… (De Roberto, Illusione)

Quanto a infatti in posizione iniziale di frase, si può notare che in alcuni contesti è separato da ciò che segue mediante un segno di punteggiatura, pur non assumendo valore olofrastico: [6] Infatti… c’è qualcosa di bianco, laggiù in fondo… (Verga, Primavera e altri racconti)

I primi esempi (all’interno della LIZ) di infatti come vera e propria formula olofrastica sono di poco successivi e appartengono a Verga:

82

maria silvia rati

[7] – Sì, rispose costei. So che è ritornata, ma non ho potuto vederla. È molto malata, sa? – Infatti (Tigre reale) [8] L’ultima? che brutta parola!... Infatti… è vero (Tigre reale) [9] Infatti… non è meglio che sia l’ultima? (Tigre reale) 1  

Altri esempi con lo stesso valore sono attestati in De Marchi, De Roberto (2), Dossi, Capuana (2), Giacosa (2), Tozzi, Svevo (2). Eccone alcuni: [10] «Oh, penserà il Signore a ricoprirle di nuovo i canicci!» «Infatti!... Infatti!» (Capuana, Il marchese di Roccaverdina) [11] Giulio. «Mi hai detto che Fabrizio s’era trattenuto due minuti appena.» Fabrizio. «Infatti…» (Giacosa, Tristi amori) [12] Infatti. Questa bestiola è peggiorata (Tozzi, Altre novelle)

Come nel periodo precedente, le opere narrative si segnalano per una certa ricorrenza di infatti tra soggetto e predicato; a partire da Verga si nota, inoltre, un incremento delle collocazioni tra circostanziale e soggetto: 2  

[13] Al secondo colpo infatti la barca fu rovesciata su se stessa (Verga, I carbonari della montagna). totale occorrenze periodo 7

839

a inizio frase (anche dopo e)

532 = 63,4%

Infatti ridevano tutti (Capuana, Giacinta) E infatti nessuno le dà una coltellata (Serao, Il ventre di Napoli)

tra sogg. e pred.

67 = 8%

Antonio infatti lo spiava (Tozzi, Con gli occhi chiusi)

tra pred. e complem.

40 = 4,8%

La zitellona aveva infatti la passione della vanità nobiliare (De Roberto, I viceré)

interposto a un pred. perifrastico

38 = 4,5%

Esse, tutte e tre, erano infatti avvezze ad assistersi […] (Tozzi, Giovani)

posposto al pred.

34 = 4,1%

Ella se ne andava infatti, la Lupa (Verga, Vita dei campi)

in fine di frase

27 = 3,2%

Ella ascoltava avidamente, infatti (Verga, Eros)

dopo introduttore di subord.

22= 2,6%

Perché infatti io in quel momento adoravo mia moglie (Svevo, La coscienza di Zeno)

tra pred. e sogg.

22= 2,6%

Vedrà infatti il mio caro signore come stia sempre in contegno (Dossi, La desinenza in A)

tra complem. circostanz. e pred.

15= 1,8%

Ora infatti le toccava cuocere il pane (Verga, Novelle rusticane)

1   Accanto a questi contesti, che non destano dubbi in merito al valore olofrastico di infatti, ce ne sono alcuni nei quali l’avverbio è seguito da altre parole, e dunque non è facile pronunciarsi sulla sua autonomia sintattica (cfr. esempi analoghi in 5. 1. 1). Prudenzialmente, dunque, queste occorrenze sono state classificate tra gli esempi di infatti all’inizio di frase. 2   Nei periodi 1-5 non si registra alcuna occorrenza di infatti in questa posizione; riguardo al periodo 6, gli unici quattro casi rilevati sono stati inclusi all’interno della voce «altro».

infatti totale occorrenze periodo 7

83

839

olofrastico

14 = 1,7%

«Infatti…» si aπrettò a dire la fanciulla (De Marchi, Arabella)

tra complem. circostanz. e sogg.

10 = 1,2%

Il domani infatti egli corse su e giù per le sezioni (De Roberto, I viceré)

tra pred. e subord.

9 = 1,1%

Mi dicono infatti che ci sono delle persone […] (Svevo, Senilità)

altro

9 = 1,1%

di una città, infatti, gloriosa (Fogazzaro, Piccolo mondo moderno)

5. 3. Conclusioni su infatti Dall’esame di infatti si ricavano alcune conferme riguardo alla posizione nella frase degli avverbi AFF / NEG in rapporto alle diverse tipologie di scrittura: in particolare, sono emerse ancora una volta la predilezione della collocazione interposta a un predicato perifrastico nella scrittura argomentativa e la frequenza della collocazione postverbale nei testi che risentono del parlato. Nella prosa narrativa la posizione più tipica di infatti è però quella all’inizio di frase: lo si rileva già a partire dall’Ottocento, il secolo in cui ha inizio una consistente diπusione di questo avverbio nella lingua scritta. La testimonianza proveniente dai Fondamenti del parlar toschano di Rinaldo Corso – dove infatti è annoverato fra le congiunzioni che «servono a concludere» accanto a dunque, adunque e insomma – ci porta a far risalire già al Cinquecento l’uso di infatti come connettivo; tale testimonianza, del resto, si accorda con quanto emerge dall’analisi di alcuni contesti LIZ del periodo rinascimentale, i quali, pur costituendo una documentazione esigua, presentano impieghi di infatti già confrontabili con quelli moderni.

6. Mai

S

i tratta di uno degli avverbi più comunemente usati come raπorzativi della negazione, 1 col significato di ‘in nessun momento, in nessun caso’ (DO): non ci sono mai andato; non lo farei mai. In Battaglia-Pernicone si osserva che «ha un uso un po’ delicato, a seconda delle frasi e del posto che in esse occupa». 2 Presenta, infatti, ellissi di non quando si trova prima del verbo (mai se lo sarebbe aspettato), 3 un uso – per molto tempo avversato dai grammatici – 4 di cui GRADIT sottolinea il valore enfatico; la negazione è omessa anche, come rileva TRECC, quando il verbo è sottinteso: telefonerei a te, mai a lei. Come formula olofrastica, mai esprime «una negazione molto forte» (GRADIT) ed è «più energico e definitivo di un no» (TRECC). Se si considera la struttura della voce «mai» in dizionari come TB e GDLI, si può notare che la prima delle accezioni riportate ha senso non negativo (‘una volta, qualche volta, in qualsiasi tempo’): 5 tale valore, più vicino a quello etimologico, 6 è presente prevalentemente in alcuni tipi di proposizioni, come le subordinate comparative (il più bello che abbia mai visto), le condizionali introdotte da se (se mai accadesse) 7 e le interrogative dirette (ci sei mai stato?). In combinazione con un pronome o con un altro elemento introduttore di frase interrogativa (chi mai potrebbe accorgersene?) il valore semantico di mai è più debole e l’avverbio serve solo ad «aggiungere forza» (TB); lo stesso si può dire per espressioni cristallizzate del tipo come mai, quando mai, perché mai ecc. In GGIC si aπerma che mai può  













1

  In Zanuttini 2010 mai è definito «avverbio negativo»; in Manzotti-Rigamonti 1991, dove si parla del suo uso come negazione espletiva, «morfema negativo». 2   Battaglia-Pernicone 1951: 397. 3   La regola è già enunciata nel GB: «Anteposto al verbo, è senza la negativa». Nelle grammatiche contemporanee l’obbligatorietà dell’ellissi di non in questi casi non è aπermata chiaramente. In Lonzi 1991 si trova l’esempio mai io non glielo avrei detto, in cui «l’aggiunta di non può esprimere una intensificazione della negatività della frase» (264); si tratta di una possibilità che, tuttavia, sembra appartenere tutt’al più alla lingua letteraria (cfr. 6. 1, esempi [6], [7] e [8]). 4   Si è già accennato alle censure di tipo puristico nei confronti di quest’uso che si trovano nelle grammatiche dal Cinquecento all’Ottocento (cfr. 1. 2). Qui si aggiungeranno questi commenti premessi da TB e MAN alla citazione di esempi prevalentemente decameroniani: «Talora nega senza la negazione, ma lo sconsigliano»; «talora nega senza la negazione. Ma non è da imitare». 5   «Analogamente, e come in italiano moderno, l’avverbio negativo (gia)mai può essere usato con il valore di ‘una qualche / qualsiasi altra volta’: …più galgliardamente conbattero che giamai facesse [di quanto avessero fatto mai, cioè una qualsiasi altra volta] paladini in Francia… (Cronica fiorentina, p. 135)» (Zanuttini 2010: 577). 6   Cfr. Rohlfs 1966-1969: 943. 7   Il TB, s. v., ricorda che in questi casi mai assume «il senso del latino olim, di tempo indeterminato».

mai

85

assumere, anche se «più raramente» rispetto a non, un valore di negazione espletiva. 1 Ancora una volta ci troviamo di fronte a un avverbio che nella storia dell’italiano ha oscillato tra due valori opposti: nella lingua antica può essere sinonimo di sempre (si pensi alla sostanziale identità di significato tra le congiunzioni condizionali mai che e sempre che, 2 o alle espressioni sempre mai e mai sempre ‘per sempre’; ancora nell’Ottocento, una delle accezioni previste dai dizionari è «in vece di sempre» 3), ma fin dalle Origini viene usato anche come suo antonimo. Proprio per eliminare l’ambiguità fra i due valori le grammatiche del passato raccomandavano di non omettere non in caso di senso negativo. Mai può figurare anche in combinazione con più, «che ne pone in risalto il valore di negazione assoluta e definitiva» (GDLI); un’altra variante con valore raπorzativo è mai e poi mai. Fra le molte espressioni e gli usi cristallizzati oggi diπusi, GRADIT etichetta come fam. l’impiego di mai «seguito da che in proposizioni esclamative: mai che mi ascolti!». 4 Da mai deriva anche l’avverbio giammai, sul quale ci si soπermerà nel capitolo dedicato a già.  







6. 1. Mai nell’italiano contemporaneo 6. 1. 1. Nella prosa letteraria Si esporranno qui i risultati dello spoglio delle 10.819 attestazioni di mai nel PTLLI. Dal novero delle occorrenze utili sono state escluse quelle in cui il valore di mai appare cristallizzato all’interno di espressioni di vario tipo, come caso mai, chi mai, che cosa mai+predicato, che cosa mi dici mai, come mai, come non mai, 5 meno che mai, meglio che mai, peggio che mai, perché mai, più che mai, quando mai, quanto / tanto mai+aggettivo, quanti altri mai, se mai (forma analitica equivalente a ‘semmai’).  

1   «La frase contenente una negazione espletiva è aπermativa, ed è sinonima della stessa frase senza negazione» (Manzotti-Rigamonti 1991: 287). 2   Sulla presenza di questo connettivo in italiano antico cfr. Segre 1963: 136; Colella 3 2010: 179-180.   MAN, s. v. 4   Su questo costrutto cfr. Manzotti-Rigamonti 1991: 249. 5   Nel corpus si ha anche un esempio di questa espressione senza il non: eravamo a specchio l’una dell’altra unite come mai, nel passato, nel presente, e per i tempi indefiniti nei quali stavamo avanzando (Bellonci, Rinascimento privato).

86

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Fig. 11. PTLLI.

- Non+predicato+mai: 1  

Nella grande maggioranza dei casi mai è usato col valore di raπorzativo della negazione e modifica un predicato (78% delle occorrenze = 6.769 esempi): nessuno le faceva mai regali (Calvino, Ultimo viene il corvo); non ti lascerò mai (Mazzantini, Non ti muovere). In contesti del genere può essere interessante osservare l’ordine delle parole, in particolare nei casi in cui il predicato è costituito da una perifrasi verbale ed è dunque possibile l’opzione fra il tipo non ha detto mai (Sanvitale, Madre e figlia) e il tipo non ha mai detto (Maraini, Buio). La questione sarà trattata in 6. 1. 1. - Mai NEG+predicato Nell’8% delle occorrenze (641 esempi) mai+predicato esprime un senso negativo senza essere accompagnato da non. Ecco due contesti tratti da autori che fanno ampio ricorso a questa soluzione sintattica: [1] Mai la terra è parsa così raggrinzita e bitorzoluta (Banti, Artemisia) [2] mai però egli avrebbe avuto il coraggio di confessarlo (Buzzati, Sessanta racconti)

Com’è previsto dalla norma grammaticale, l’omissione della negazione è praticata solo in contesti nei quali mai occupa la posizione preverbale (o nei 1

  Sono state incluse in questa categoria anche le occorrenze in cui in luogo di non si trovano gli indefiniti nessuno, niente e nulla.

mai

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quali il verbo è sottinteso). La posizione preverbale coincide quasi sempre anche con quella iniziale assoluta di frase, come in [1] e [2]; qualche volta mai è collocato dopo il soggetto: [3] e Maria mai si stancava di bere (Buzzati, Sessanta racconti) [4] Io mai porto maglie di lana! (Ginzburg, Lessico famigliare)

o, in costruzioni marcate, dopo il complemento oggetto: [5] il suo celebre petto mai si era potuto ammirare in tanta completezza (Buzzati, Sessanta racconti)

Con mai in posizione preverbale l’omissione di non è pressoché generalizzata all’interno del corpus. Solo in tre casi si registra l’opzione anticheggiante per la sequenza mai non: [6] I banchieri misero interesse in certe o√cine meccaniche di che mai non avrebbero pensato doversi occupare (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme) [7] Mai, col passare dei giorni, essa non mi mostrava più altro volto se non quella specie di simulacro disanimato e barbaro (Morante, L’isola di Arturo) [8] e mai non si seppe da chi (Eco, Il nome della rosa)

Anche nelle frasi con ellissi del verbo l’omissione di non si realizza quasi sempre: [9] si mostra benevolmente disposto persino col pellicano, ma col facocero mai (Buzzati, Sessanta racconti) [10] conversa con qualcuno degli impiegati che sono ai vari tavoli. Con Paolo mai (Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima)

Solo alcuni autori optano, occasionalmente, per la variante non mai. Di 7 occorrenze complessive, 4 si trovano in La pelle di Curzio Malaparte: 1  

[11] Appena toccato dal morbo, ognuno diventava la spia del padre e della madre, dei fratelli, dei figli, dello sposo, dell’amante, dei congiunti e degli amici più cari; ma non mai di se medesimo [12] S’era venduto di tutto, a Napoli, sempre, ma non mai i bambini [13] S’era fatto commercio di tutto, a Napoli, ma non mai di bambini [14] Ma ridono sempre o troppo presto, o troppo tardi, non mai al momento giusto

- Mai+aggettivo o participio Mai compare senza la negazione anche quando modifica un aggettivo: [15] mai stanco di ammirare la danza del suo giovane amico (Flaiano, Tempo di uccidere)

o un participio: [16] una tenerezza grande, mai provata prima (Berto, Il cielo è rosso)

1

  Le restanti in Angioletti, La memoria; Pavese, La bella estate; Alvaro, Quasi una vita.

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Si tratta, nel complesso, del 3% delle occorrenze, per un totale di 290 esempi. Ne vanno segnalati anche 11 in cui la negazione è espressa (non mai+aggettivo o participio). Per la maggior parte appartengono a opere precedenti agli anni Sessanta, ma se ne trova qualcuno anche in quelle dei decenni successivi: [17] intorno a immagini di vita irrevocabile, disapprovata, non mai finita di soπrire (Banti, Artemisia) [18] non mai stanca di ascoltare la pallida mantovana dal naso sottile (Banti, Artemisia) [19] sempre più preso da un dolore e da un aπettuoso trasporto non mai provato (Angioletti, La memoria) [20] attorno a strani personaggi non mai veduti nel nostro quartiere (Angioletti, La memoria) [21] la non mai abbastanza deprecata “lotta fratricida” (Bassani, Cinque storie ferraresi) [22] che s’era messo degli abiti nuovi, da me non mai veduti prima d’oggi (Morante, L’isola di Arturo) [23] anche un’altra, passata (pure se non mai confessata) gelosia (Morante, L’isola di Arturo) [24] c’era il sentimento che lo legava a lui, non mai ben spiegato (Testori, Il ponte della Ghisolfa) [25] anche se inferiore o misera – non mai primitiva o feroce come quella delle trincee o dei campi di battaglia (Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger) [26] Proprio come da una terra percorsa dalle radiazioni attendeva qualcosa: di non mai visto, di stupefacente (Sanvitale, Madre e figlia) [27] che a quell’epoca e per qualche ragione non mai su√cientemente chiarita venivano considerati più stupidi perfino dei milanesi e dei tedeschi (Vassalli, La chimera)

Si aggiungano un’occorrenza di non mai+avverbio: [28] non mai abbastanza, come sempre mi convinco (Eco, Il nome della rosa)

e un’altra in cui la negazione precede il nesso mai come+avverbio, di cui viene variata anche l’abituale collocazione in posizione iniziale di frase: 1  

[29] me ne avete convinto non mai come ora (Siciliano, I bei momenti)

- Mai AFF+predicato Il 5% delle occorrenze (411 esempi) è rappresentato dai casi in cui mai non ha valore negativo: [30] S’è mai trovato in battaglia? (Flaiano, Tempo di uccidere) [31] se mai paesaggio ha meritato il nome, oggi così abusato, di romantico […] (Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo) [32] sorpasserà tutto ciò che quel perdigiorno di Goethe ha mai scritto nel genere (Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo)

Mentre in [30] e [32] mai è eπettivamente usato in senso AFF, in [31] tale valore è solo apparente. Si potrebbero citare molti altri esempi del PTLLI in 1

  Nel PTLLI sono 38 le frasi che iniziano con mai come+avverbio.

mai

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cui mai si trova all’interno di frasi dal contenuto semantico negativo – o comunque dubitativo – che si presentano grammaticalmente come aπermative. Se ne riportano alcune: [33] dimmi tu se sono mai stato attaccato a queste piccolezze... (Buzzati, Sessanta racconti) [34] e quando li aveva visti mai! (Pasolini, Una vita violenta) [35] figuriamoci se ha mai avuto il coraggio d’uccidersi o di tentarlo! (Prisco, Una spirale di nebbia) [36] Hai mai visto un assassinato che, prima di farsi annegare, si toglie gli abiti? (Eco, Il nome della rosa) [37] Come se lo avessi mai fatto (Mannuzzu, Procedura) [38] E Mario chi lo vede mai? (Maraini, Buio)

In questi contesti mai acquista un valore negativo mediante procedimenti (sintattici, pragmatici o retorici) diversi dall’aggiunta di non. La percentuale degli esempi di mai+predicato con valore AFF risulta dunque sovradimensionata, dato l’elevato numero di esempi che si possono considerare solo formalmente privi di valore negativo. - Mai olofrastico Rimandando al paragrafo successivo l’esame di altri due tipi di impiego le cui peculiarità attengono perlopiù all’ordine delle parole (senza mai+predicato; nessuno mai), resta da esaminare il rimanente 1% delle occorrenze, ossia 49 contesti in cui mai è usato come formula di risposta negativa. 1 Se ne allegano alcuni:  

[39] Poi si volse e disse: «Mai» (Flaiano, Tempo di uccidere) [40] Non vi venne il sospetto che una persona, o più persone, fossero entrate da una finestra, o conchiavi false allo scopo di rubare? – Mai. Da dove sarebbero passate? (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [41] «Non riconoscerete dunque mai i nostri diritti?» «Mai» (Angioletti, La memoria) [42] Nanin alzò gli occhi su di lui, gli occhi uguali a quelli di suo padre Battisti – Mai! – urlò (Calvino, Ultimo viene il corvo)

Mai olofrastico può essere a√ancato da altri elementi avverbiali: [43] «Mai prima d’ora», lui disse (Pratolini, Un eroe del nostro tempo)

o cumulato con altre formule olofrastiche: 1

  Mai olofrastico è inoltre presente 4 volte in Maraini, Buio; 3 volte in Sciascia, Il giorno della civetta, Nievo, Le isole del paradiso, Pontiggia, La grande sera; 2 volte in Palazzeschi, I fratelli Cuccoli, Bontempelli, L’amante fedele, Testori, Il ponte della Ghisolfa, Arbasino, L’anonimo lombardo, Bellonci, Rinascimento privato; una volta in Morante, L’isola di Arturo, Buzzati, Sessanta racconti, Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Prisco, Una spirale di nebbia, Ortese, Poveri e semplici, Piovene, Le stelle fredde, Eco, Il nome della rosa, Brignetti, La spiaggia d’oro (preceduto da un’interiezione: oh, mai), Dessì, Paese d’ombre, Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti, Rea, Ninfa plebea, Di Lascia, Passaggio in ombra, Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, Ferrero, N., Mazzucco, Vita, Maggiani, Il viaggiatore notturno.

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[44] per niente aπatto, mai, neanche quando ci sarebbe il tempo, abbiamo sempre da leggere delle cose che ci attirano di più, magari uscite prima, classici… (Arbasino, L’anonimo lombardo)

Nelle risposte, mai compare anche come raπorzativo di no: [45] «No, mai. Non sono mai stato in America» risposi (Malaparte, La pelle) [46] Roberto scosse il capo e rispose: «No, mai» (Moravia, Il conformista) [47] «[…] voi giocate?» «No, mai» (Moravia, Il conformista) [48] Domandò dolcemente: «Ma, tu, in passato, hai mai avuto di questi rapporti?» «No, mai,» ella rispose con decisione (Moravia, Il conformista) [49] «No,» egli rispose con la sensazione di mentire, «mai prima di oggi... non so neppure chi sia» (Moravia, Il conformista) [50] – Proprio annoiato, – risposi, – no, mai (Morante, L’isola di Arturo)

o dopo la sequenza dimostrativo+no: [51] questo no, mai (Testori, Il ponte della Ghisolfa) [52] Quello no, mai! (Testori, Il ponte della Ghisolfa)

Mai figura da solo anche in contesti diversi dalle risposte. Per esempio quando è adoperato come ripresa enfatica o raπorzamento di una negazione precedentemente espressa: 1  

[53] non avrebbe ceduto; mai; anche se ne fosse stata tentata (Testori, Il ponte della Ghisolfa) [54] So di non aver fatto niente di male: mai (Siciliano, I bei momenti)

In casi come questi, nonostante che l’avverbio sia separato dal resto del periodo mediante un segno di interpunzione medio-forte, appare preferibile parlare di isolamento prosodico dell’avverbio – ai fini di una sua messa in rilievo – piuttosto che di un vero e proprio uso olofrastico. 2  

1   Gli autori del corpus adoperano frequentemente mai per ribadire con maggior forza una negazione (spesso già espressa con un mai). Oltre ai casi di epanalessi (il non avere mai potuto, mai, mai, neppur tentare, Gadda, Novelle dal ducato in fiamme; I compagni morti, mai, mai, Gonzalo non li avrebbe mai adoperati a così gloriosamente poetare, Gadda, Novelle dal ducato in fiamme; non ho mai, mai, neanche una volta sola, pensato alla morte dopo essere stata con mio marito, Soldati, Lettere da Capri), ecco altri esempi di ripresa enfatica: Manca una settimana al matrimonio e non la vedo mai. Mai! (Moravia, I racconti); E non l’ho mai avuta con lui; mai una volta (D’Arzo, Casa d’altri); Già, io non son mai andato con la pancia per terra, io mai (Fenoglio, La malora); Non mi era mai successo, mai (Ottieri, Donnarumma all’assalto); Non m’è mai sembrato bello come stasera. Te lo giuro. Mai (Testori, Il ponte della Ghisolfa); io da quello là non sarei mai andato, mai (Testori, Il ponte della Ghisolfa); con una senzadio come lei non si sarebbe mai sposato, hai capito? Mai (Testori, Il ponte della Ghisolfa); Guarda caso, anche adesso che lo fa molto più spesso non lo fai mai due volte davanti alla stessa persona. Mai (Veronesi, Caos calmo). Nei contesti che simulano il parlato la ripresa di mai può coincidere col fenomeno del foderamento: Beve, magna, e mai na vorta che portasse a casa na lira, mai (Pasolini, Ragazzi di vita). 2   In Manzotti-Rigamonti 1991, invece, per «negazione olofrastica» si intende anche quella usata «per riprendere o anticipare una frase negativa» (247).

mai

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6. 1. 1. 1. Ordine delle parole La posizione di mai all’interno della frase sarà osservata distintamente a seconda dei diversi tipi di impiego sintattico, con particolare attenzione a quello più comune, in cui mai modifica un verbo in presenza della negazione. - Non+predicato+mai totale occorrenze PTLLI: 6.769

interposto a un pred. perifrastico 4.285 = 63,3% io non avevo mai visto tanta gente (Calvino, Il visconte dimezzato) posposto al pred. 1.165= 17,2% non ridevano mai (Ortese, Poveri e semplici) tra pred. e complem. 971 = 14,3% non capirete mai Napoli (Malaparte, La pelle) tra pred. e subord. 242 = 3,6% ma non bisogna scordare mai che il tempo scorre in un verso solo (Veronesi, Caos calmo) tra pred. e sogg. 106 = 1,6% cui non mancava mai un minimo di pane (Rea, Ninfa plebea)

In parte le percentuali appena riportate riflettono situazioni di obbligatorietà nell’ordine delle parole: infatti, nei casi in cui il predicato non sia perifrastico mai deve essergli necessariamente posposto; casi come non ridevano mai non sono pertanto significativi. Appaiono invece interessanti 205 contesti contenenti un predicato perifrastico nei quali l’autore ha optato per la posposizione di mai anziché per la sua collocazione preinfinitivale o preparticipiale. Eccone alcuni: [1] no, da lui non sarebbe andata mai (Bassani, Cinque storie ferraresi) [2] e tu, non ti devi azzardare mai a parlarmi a questa maniera! (Morante, L’isola di Arturo) [3] ma lei non voglio vederla mai, non voglio neppure sapere com’è fatta... (Prisco, Una spirale di nebbia) [4] Ma lo sa […] che neppure l’ho vista mai, mai? (Mannuzzu, Procedura) [5] Chi ti ha detto mai niente? (Montesano, Nel corpo di Napoli)

Questi e gli altri esempi che si citeranno nel corso del paragrafo sono indicativi di come alla scelta dell’ordine delle parole possano presiedere diverse motivazioni, anche all’interno di una stessa tipologia testuale. In [1], [2], [4] e [5] mai viene posposto al verbo al fine di accrescere l’enfasi all’interno della riproduzione di un discorso diretto o indiretto. In [4] il tono enfatico del discorso è particolarmente evidente in quanto alla sua resa contribuisce l’iterazione dell’avverbio. In [3], oltre alla resa dell’espressività, sembrano entrare in gioco anche aspetti di rilievo semantico: se al posto di non voglio vederla mai ci fosse stato non voglio mai vederla, la frase si sarebbe potuta interpretare come riferita a un’azione abituale, ripetuta (‘ogni volta che c’è non voglio vederla’).

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Anche quando non è finalizzata a esprimere una particolare enfasi, la posizione posposta di mai caratterizza di preferenza battute di dialogo, come in questi due contesti tratti da I fratelli Cuccoli di Palazzeschi: [6] Non ho ballato mai, non so [7] Non mi sono annoiata mai

Un’altra motivazione che può determinare la scelta della giacitura sintattica in questione è la volontà di riprodurre un ordine delle parole diatopicamente marcato. Si vedano i seguenti esempi pasoliniani: 1  

[8] Ce sei ito mai a Ostia? (Ragazzi di vita) [9] Il Caciotta non aveva sentito mai sto nome (Ragazzi di vita) [10] nun l’ho vista mai! (Ragazzi di vita) [11] ma chi te s’è in[culato] mai, a farlocco! (Ragazzi di vita) [12] nun j’ho scritto mai (Ragazzi di vita) [13] Nun l’ho visto mai (Una vita violenta, 2 volte) [14] no hai parlato mai co’ nissuno? (Una vita violenta) [15] non c’aveva fatto caso mai a queste cose (Una vita violenta) [16] Ma nun c’ho avuto mai l’occasione (Una vita violenta)

- senza mai; nessuno, niente mai Al posto di non, possono combinarsi con mai+predicato altri elementi a polarità negativa come senza, 2 nessuno, niente ecc. Quando un verbo è modificato da senza mai, 3 dal punto di vista dell’ordine delle parole sono possibili diverse opzioni:  



totale occorrenze PPTLI: 226

senza mai+pred.

senza+pred.+mai

senza mai interposto a un pred. perifrastico

153 (67,7%) senza mai insistere per rallegrarlo (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli)

45 (19,9%) Mon amì, mon amì, mon amì, ripeteva senza smettere mai (Maggiani, Il viaggiatore notturno)

28 (12,4%) senza potere mai aπerrarsi a qualche cosa (Bontempelli, L’amante fedele)

Come mostra la tabella, fra gli autori del corpus prevale nettamente l’opzione per senza mai anteposto al verbo. Anche questo risultato sembra confermare la tendenziale marcatezza della posizione postverbale di mai. 1

  L’attenzione, da parte di Pasolini, a riprodurre regolarmente l’ordine delle parole caratteristico dei dialetti mediani conferma che «nel suo insieme, la ricostruzione del romanesco è abbastanza attendibile quanto a diatopia» (Serianni 2012b: 255). 2   Senza «attribuisce alla subordinata che introduce un carattere di negatività sintattica esattamente come succede per gli altri elementi a polarità negativa. Si osserva di conseguenza l’usuale distribuzione degli indefiniti e la possibilità di cooccorrere con un elemento negativo davanti al verbo» (Manzotti-Rigamonti 1991: 303). 3   Sono presenti anche 11 occorrenze in cui senza mai modifica un sostantivo: per esempio, senza mai una parola ci misero davanti il lavoro (Fenoglio, La malora).

mai

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- nessuno mai / mai nessuno I contesti in cui nessuno, niente e nulla si sostituiscono a non come elementi negativizzanti di una frase (per esempio: nessuno sa mai cosa siano, D’Arzo, Casa d’altri) sono stati già considerati all’interno della categoria non+predicato+mai. Qui ci interessa porre l’attenzione sulle occorrenze in cui mai raπorza nessuno come singolo costituente, situandosi o prima o dopo di esso: totale occorrenze PTLLI: 39

nessuno mai

mai nessuno

24 (61,5%)

15 (38,5%)

Come si vede, gli scrittori del PTLLI prediligono la sequenza nessuno mai rispetto a mai nessuno. 1 In Le donne di Messina di Vittorini è presente, con lo stesso valore, un’attestazione di mai qualcuno, in un contesto reso negativo da senza:  

[17] senza però che mai qualcuno si prendesse la briga di fare il primo dei passi necessari

- niente / nulla+mai niente mai

mai niente

nulla mai

mai nulla

0

0 2 1 Mai niente che bastasse… (Arpi- per leggervi una implacabile determinazione che nulla mai potrebbe no, L’ombra delle colline) scalfire (Bellonci, Rinascimento privato); nulla mai ti può bastare (Ferrero, N.)

In questo caso le occorrenze sono troppo esigue perché se ne possano trarre indicazioni di carattere complessivo. Non si prenderà in considerazione la questione della distribuzione di mai rispetto agli avverbi aspettuali (già, più, ancora ecc.), che si può considerare «fondamentalmente libera». 2  

- mai isolato prosodicamente Sono soltanto 32, nell’intero PTLLI, i casi in cui mai presenta un’autonomia prosodica: 1   Sono attestati anche un esempio di nessun+sostantivo+mai (Berto, Il cielo è rosso), uno di mai+nessuno+sostantivo (Vassalli, La chimera) e uno di mai nessun altro (Dessì, Paese d’ombre). 2   Manzini-Savoia 2005: 199.

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a inizio frase

in fine di frase

all’interno di frase

12 18 2 Mai, picchiare (Brignetti, La La nazione francese è incline al non c’è in lui, mai, un vero svolgifasto, al dispendio, ma senza alti mento (Levi, L’orologio) spiaggia d’oro) progetti, mai (Ferrero, N.)

6. 1. 2. Nella prosa giornalistica Negli articoli del CS 1 le peculiarità sintattiche nell’impiego di mai sono legate perlopiù alla diπusione dello stile nominale: in particolare, si osserva l’espansione della struttura mai+aggettivo o participio, rilevabile nel 15% delle occorrenze, mentre nei testi del PTLLI rappresenta, come si è visto, solo il 3%.  

[1] è riemerso il mai sopito retaggio europeo (2 dicembre 2013) [2] cioè canzoni mai sentite in nessuna versione (18 dicembre 2013) [3] ex interista mai perdonato per la fede milanista (22 dicembre 2013)

Fig. 12. CS.

La propensione giornalistica per lo stile nominale determina una maggiore diπusione anche di altre strutture con mai prive di verbo: - mai NEG+sostantivo: 2  

[4] mai sua partner in scena (27 ottobre 2013) [5] Perennemente concentrato, mai un cedimento (30 dicembre 2013) 1   Per ottenere contesti quantitativamente confrontabili con quelli del PTLLI, sono stati spogliati gli articoli apparsi dal 1 agosto al 31 dicembre 2013. 2   Gli esempi sono 48; più ridotta la quota delle occorrenze nel PTLLI (22).

mai

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- mai AFF+sostantivo: [6] la più alta mai cavalcata (30 ottobre 2013) [7] il premio più alto mai assegnato in una gara di sci (24 dicembre 2013)

- senza mai+sostantivo: 1  

[8] senza mai fine (9 ottobre 2013) [9] senza mai un lamento (16 novembre 2013)

Anche l’espressione mai più conta diversi esempi in stile nominale (15, su un totale di 100 occorrenze): 2  

[10] mai più quelle luci giallastre (30 novembre 2013) [11] mai più violette in gennaio (28 novembre 2013).

6. 1. 2. 1. Ordine delle parole - Non+predicato+mai totale occorrenze CS: 3.920

interposto a un pred. perifrastico 3.103 = 79,2% le parole che nessuno aveva mai osato dire (30 novembre 2013) posposto al pred. 140 = 3,6% non sbagliare mai (2 novembre 2013) tra pred. e complem. 547 = 14% Non ho avuto mai alcuna delega allo sport (1 ottobre 2013) tra pred. e subord. 74 = 1,9% e non guardano mai se la zona è libera (9 novembre 2013) tra pred. e sogg. 56 = 1,4% Perché non c’è mai un momento in cui si possa dire la parola «fine» (11 dicembre 2013)

- senza mai+predicato totale occorrenze CS: 178

senza mai+pred.

senza+pred.+mai

senza mai interposto a un pred. perifrastico

137 (77%)

16 (9%)

25 (14%)

Per quanto riguarda non+predicato+mai, la scrittura giornalistica si diπerenzia ancora una volta da quella letteraria per un numero più elevato di collocazioni interposte e per una minore frequenza della posposizione al predicato. Relativamente alla prevalenza di senza mai+predicato, il dato sembrerebbe invece confermare la tendenza già notata in PTLLI. Vanno sottolineate, tuttavia, due diπerenze: 1

  Tale struttura è piuttosto frequente anche nella scrittura letteraria.   Nel PTLLI gli esempi di mai più+sostantivo sono invece soltanto due.

2

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1) senza mai interposto al predicato è qui più frequente rispetto a senza+predicato+mai. 2) senza+predicato+mai ha attestazioni particolarmente esigue (8,5% rispetto al 19,9% del PTLLI); delle 16 occorrenze caratterizzate da quest’ultima sequenza, 14 presentano un complemento dopo mai e solo in 2 l’avverbio non è seguito da altri elementi: la giacitura con mai a fine frase è evidentemente percepita – come si è riscontrato in altri contesti sintattici – come marcata in senso colloquiale ed è quindi poco utilizzata nella scrittura argomentativa. 6. 2. Considerazioni diacroniche Non essendo ancora presente una voce «mai» nel TLIO, non si dispone di informazioni dettagliate relativamente ai valori semantici e alle tipologie di impiego sintattico che caratterizzano mai in italiano antico. DELI e GDLI documentano che non+predicato+mai è attestato fin dalla Testimonianza di Travale (non tornò mai a far guaita); pertanto l’assegnazione – da parte dei repertori grammaticali e lessicografici – di un carattere «originario» all’uso di mai come avverbio AFF 1 è da interpretare con riguardo all’etimologia e non all’uso (diversamente, per esempio, da quanto si è visto per aπatto, che era eπettivamente impiegato in italiano antico prevalentemente come avverbio AFF). Alla Cronica di Dino Compagni DELI e GDLI fanno risalire la prima attestazione con ellissi della negazione: Mai credetti che uno tanto signore, e della casa reale di Francia, rompesse la sua fede. A un’epoca ancora più antica è fatto rimontare l’uso di mai in combinazione con più: GDLI riporta un passo del Ritmo cassinese: ‘Hodie’ mai plu non andare, / ca’tte bollo multu ad demandare, / serbire, se’ mme dingi commandare. Si passerà ora a esaminare la distribuzione dei contesti sintattici nei testi della LIZ (fino a Petrarca le attestazioni sono state vagliate integralmente; 2 per le epoche restanti, lo spoglio è stato condotto solo su una parte degli autori). 3 Per comodità espositiva, l’arco diacronico coperto dalla LIZ sarà  





1

  Cfr. Sensini 1997: 346.   Anche se si sono tralasciati gli esempi di ma’: «ancora discretamente rappresentato nel Cinquecento, specie nella tradizione popolareggiante […], cade successivamente in disuso. In due esempi ottocenteschi (Giusti e Pascoli) figura nella locuzione epanalettica ma’ mai, che è anche presente in un esempio di Giorgini-Broglio (1870-1897, iii, 106)» (Serianni 2009: 132). 3   Per la poesia: Boccaccio, Rime, Caccia di Diana, Filostrato, Teseida; Pulci, Morgante; Lorenzo de’ Medici, Canzoniere; Poliziano, Stanze; Boiardo, Amorum libri, Innamoramento di Orlando; Sannazaro, Arcadia; Ariosto, Orlando Furioso; Bembo, Rime; Colonna, Rime; Stampa, Rime; Tasso, Aminta, Gerusalemme Liberata; Guarini, Il pastor fido; Campanella, Scelta di poesie filosofiche; Buonarroti, Tancia; Marino, Adone; Chiabrera, Le maniere dei versi toscani, Scherzi, Canzonette morali; Achillini, Poesie; Accetto, Rime amorose; Della Valle, La reina di Scozia; Lubrano, Sonetti; Redi, Bacco in Toscana; Metastasio, Melodrammi; Parini, Il giorno, Odi; Alfieri, Filippo, Polinice, Antigone, Virginia, Agamennone, Oreste, Rosmunda, Ottavia, Timoleone, Saul, Mirra; Monti, traduzione dell’Iliade; Foscolo, Odi e sonetti, Dei sepolcri, Le Grazie; Manzoni, Inni e odi, Il Conte di Carmagnola, Adelchi; Leopardi, Canti; Carducci, Tutte le poesie; Pascoli, Tutte le poesie; 2

mai

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suddiviso in tre fasi: dalle Origini al Trecento; dal Quattrocento al 1525; dal 1525 all’età moderna. All’interno di questa macroperiodizzazione si traccerà la solita distinzione in “periodi”, ma con l’inserimento di una fase in più: il periodo 2, infatti, questa volta includerà solo opere trecentesche; per quelle quattrocentesche verrà inserito un periodo a parte (periodo 3) in cui saranno collocate anche quelle cinquecentesche precedenti al 1525; il periodo 4 risulterà formato dalle opere rinascimentali successive al 1525. 1  

6. 2. 1. Dalle Origini al Trecento La diπerenza più rilevante fra l’uso antico e quello moderno – ben osservabile nel periodo 1 – è l’impiego frequente, in alternativa a non+predicato+mai, di mai non+predicato (mai non si stanca), una soluzione sintattica oggi desueta e marcata in senso stilisticamente ricercato. Nei primi secoli, inoltre, l’omissione di non in caso di mai preverbale è praticata ancora raramente. Nel complesso, tuttavia, dal punto di vista semantico e sintattico mai si comporta in modo non troppo diverso rispetto a oggi: l’impiego in contesti di senso NEG (84%) prevale già in modo netto su quello in contesti di senso AFF (16%). L’impressione di una sostanziale continuità si fa ancor più evidente se si osservano i tipi di proposizioni in cui appare mai AFF già nei periodi 1 e 2: si tratta spesso, come oggi, di interrogative (vedeste mai delle locuste?, Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) e di ipotetiche introdotte da se (o se ‘l perduto ben mai si racquista, Petrarca, Canzoniere); e soprattutto, fin dai testi più antichi mai AFF appare spesso – come si è rilevato per l’italiano contemporaneo – 2 in proposizioni che, pur essendo grammaticalmente aπermative, hanno un significato negativo o fortemente dubitativo. Nel periodo 1 il corredo degli esempi di questo tipo è già piuttosto nutrito:  

[1] Chi vide mai così begli ochi in viso / né sì amorosi fare li sembianti, né boca con cotanto dolce riso? (Giacomo da Lentini, Poesie) Gozzano, Tutte le poesie. Per la prosa: Giordano da Pisa, Esempi; Passavanti, Specchio di vera penitenza; Cavalca, Racconti esemplari; G. Villani, Nuova cronica; Anonimo romano, Cronica; Boccaccio, Filocolo, Decameron; Caterina da Siena, Lettere; Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427; Palmieri, Vita civile; Alberti, Libri della Famiglia; Macinghi Strozzi, Lettere; Machiavelli, Il Principe; Guicciardini, Storia d’Italia; Aretino, Ragionamento, Dialogo; Dovizi, La Calandra; Ruzante, Teatro; Guazzo, La civil conversazione; Bruno, Dialoghi; Sarpi, Istoria del concilio tridentino; Galileo, Dialogo dei due massimi sistemi; Gravina, Della ragion poetica; Vico, Principi di scienza nuova; Aa. Vv., «Il caπè»; Goldoni, L’uomo di mondo, Il prodigo, La bancarotta, La donna di garbo, Il servitore di due padroni, Il frappatore, I due gemelli veneziani, L’uomo prudente, La vedova scaltra, La putta onoraria; Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799; Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, Viaggio sentimentale; Verga, I Malavoglia, Mastro don Gesualdo; Collodi, Pinocchio; De Sanctis, Storia della letteratura italiana; Svevo, La coscienza di Zeno; Fogazzaro, Piccolo mondo antico; Dossi, La desinenza in A. 1

  Si creerà dunque, rispetto al consueto, uno slittamento: l’arco cronologico che va dal secondo Cinquecento all’inizio del Novecento sarà suddiviso nei periodi 5, 6, 7, 8 anziché 4, 2 5, 6, 7.   Cfr. 7. 1.

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[2] E forse anche però mi ritornate, / se mai tornare deggio, in allegraggio (Guittone d’Arezzo, Rime) [3] Or chi l’odio mai dire? (Iacopone da Todi, Laude) [4] Or, fue mai ommo a sì crudele posta? (Monte Andrea, Rime) [5] Credi che uom aggia mai la primizia? (Cecco Angiolieri, Rime) [6] Quai barbare fuor mai, quai saracine, / cui bisognasse, per farle ir coperte, / o spiritali o altre discipline? (Dante, Purgatorio) [7] Deh, chi poria sentir d’amor mai doglia […] ed ancor più, che so ch’è ben sua voglia? (Cino da Pistoia, Poesie) [8] non so ben quand’io mi ritorni / a cotal punto mai (Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna) [9] verranno mai meno le mie fatiche? (Giamboni, Libro de’ vizî e delle virtudi) [10] se mai s’aconciasse di tornare di qua (Giamboni, Libro de’ vizî e delle virtudi) [11] qual, dunque, savio dirà mai che ‘l muto sia più degno d’adomandare e d’avere quello che disidera […]? (Andrea Cappellano, De amore) [12] e cchi uddio mai parlare di kosie malvagi cavalieri […]? (Tristano riccardiano)

Anche per quanto riguarda altri impieghi semantici e sintattici, le diπerenze non sembrano rilevanti. Si consideri un costrutto possibile solo in italiano antico come né mai non, menzionato in GIA: 1 il corpus testimonia la sua scarsa attestazione già nel periodo 1 (nel periodo 2 se ne registra un’attestazione isolata); non, infatti, è presente solo nel 10, 9% delle occorrenze di né mai. Per esempio:  

[13] né mai no perdo foia né no deventa suçi (Giacomino da Verona, De Ierusalem celesti) [14] né mai non dissi cosa che disinore fosse di mio zio né di voi (Novellino)

Se poi, per questo costrutto, si restringe il campo d’osservazione ai testi poetici, si può notare che non compare ancora più raramente (né mai: 59 occorrenze; né mai non: 2). 2 Minore la continuità per quanto riguarda due costruzioni sintattiche tipiche dell’italiano di oggi, che in italiano antico compaiono solo occasionalmente:  

- mai+aggettivo o participio: [15] nel meo cor, mai di vita pauroso (Onesto da Bologna, Rime) 3  

1   «Diversamente dall’italiano moderno, in italiano antico né può precedere nella stessa frase un’altra negazione, che può essere non o un quantificatore negativo» (Molinelli 2010: 254). 2   Se ne osservano esempi – sempre sporadici – anche nei secoli successivi: né mai palese non me lamentai (Boiardo, Innamoramento di Orlando); né mai non si sentì sì gran fracasso (Pulci, Morgante). Nell’Innamoramento di Orlando, del resto, si nota anche per altri versi una certa libertà nell’uso della negazione: si considerino due contesti in cui né è usato dove ci si attenderebbe una coordinazione di tipo aπermativo: e la maggiore / che racontasse mai prosa né verso; che raccontasse mai verso né prosa. 3   Invece nei tre esempi attestati in Dante mai+participio è accompagnato dalla negazione: a l’altro polo, e vidi quattro stelle / non viste mai fuor ch’a la prima gente (Dante, Purgatorio); di lor cagion m’accesero un disio / mai non sentito di cotanto acume (Dante, Paradiso); nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita (Dante, Convivio).

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- il già menzionato mai NEG+predicato: [16] O come in pianger mai suo figlio è stanco! (Guittone d’Arezzo, Rime)

Nell’ordine delle parole, come si vedrà meglio più avanti, le diπormità tra italiano antico e moderno appaiono ancor meno significative, in quanto limitate a pochi casi di inversione dell’ordine dei costituenti. Sul versante – di rilievo più propriamente lessicale – delle espressioni fisse contenenti mai, si può osservare che alcune sono attestate con continuità dal Duecento a oggi (su tutte, più che mai); 1 altre sono tipiche dell’italiano dei primi secoli (mai sempre, [per] sempre mai, unque mai), e alcune di esse si specializzano come stilemi della poesia tradizionale. 2 Il numero elevato di occorrenze che si rileva, questa volta, già nel periodo 1 consente di allestire grafici distinti per la poesia e per la prosa:  



Fig. 13. Periodo 1-poesia. 1   La locuzione (di cui la LIZ oπre 180 occorrenze) è attestata nell’intero arco diacronico considerato, sia in prosa, sia in poesia: ricorre per esempio 8 volte nel Canzoniere, 21 nel Decameron, 12 nell’Orlando furioso; tra le sue numerose varianti, si annoverano via più che mai, più che cosa mai, più d’(ogni) altro mai, più che (altri) mai (fosse), più ch’altra che mai sia ecc. Più che mai può ricorrere da solo oppure a potenziamento di un aggettivo (o di un avverbio o di un sostantivo): si mostrò più che mai lieta (Ariosto, Orlando furioso); più che mai criatura che fusse creata da Dio (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427). 2   Se fino al Quattrocento mai sempre e (per) sempre mai sono usati entrambi sia in prosa sia in poesia, il primo sembra poi specializzarsi come forma poetica (periodo 4: mai sempre 27 occorrenze, sempre mai 1; periodo 5: mai sempre 20, sempre mai 1; periodo 6: mai sempre 5, sempre mai 0; periodo 7: mai sempre 14, sempre mai 1. Nell’ultimo periodo, coincidente col rinnovamento della lingua poetica tradizionale, si ha solo un esempio per entrambe le forme); sempre mai, complessivamente meno attestato, compare più spesso in prosa.

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Fig. 14. Periodo 2-poesia.

Si può osservare che i due costrutti non+predicato+mai e mai non+predicato sono presenti in proporzioni quantitative simili e che non emergono diπerenze nella funzione da essi svolta. La coesistenza di non+predicato+mai e mai non+predicato si trova, per esempio, nel Canzoniere (44 occorrenze il primo, 48 il secondo), che, per quanto riguarda l’impiego di mai, è esplicitamente indicato come modello nelle Prose della volgar lingua. 1 In esso la ricorrenza di mai AFF è più elevata (23%) rispetto a quella che caratterizza i testi poetici del periodo 1 (13%): è ben presente, infatti, il valore AFF nel significato di ‘in ogni tempo’ o ‘per tutto il tempo’. È comunque piuttosto frequente anche in Petrarca la solita tendenza ad adoperare mai AFF per esprimere concetti negativi. Si riportano solo alcuni esempi:  

[1] ma qual sòn poria mai salir tant’alto? [2] chi udì mai d’uom vero nascer fonte? [3] qua’ figli mai, qua’ donne / furon materia a sì giusto disdegno? [4] avrem mai pace? [5] a cui non so se al mondo mai par visse [6] chi vide al mondo mai sì dolci spoglie? [7] s’i’ ‘l dissi mai, ch’i’ vegna in odio a quella [8] chi ‘l pensò mai?

Nel Canzoniere, inoltre, è presente un’attestazione del costrutto, diπuso anche modernamente, mai come+avverbio: 1   Bembo raccomanda di seguire Petrarca soprattutto perché il trecentista pone regolarmente la negazione accanto a mai nei casi in cui questo abbia valore NEG; tuttavia nel Canzoniere mai compare una volta senza il non (l’altro col pie’, sì come mai fu, saldo). Anche i petrarchisti del Cinquecento si limiteranno a omettere la negazione in poche espressioni, di tipo analogo al passo petrarchesco: a quali altre fûr mai pari o maggiori (Stampa, Rime); ch’al mondo mai troncaste un nodo equale (Colonna, Rime); ecc.

mai

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[9] che non fue / mai come or presto a quel ch’io bramo

Passando all’uso poetico di Boccaccio, mentre nelle Rime non si notano particolari diπormità rispetto agli impieghi di mai petrarcheschi, nel Filostrato mai non+predicato diviene meno frequente di non+predicato+mai; inoltre, nella stessa opera si registra un esempio di mai preverbale con omissione della negazione: [10] con canti e suoni, e sempre con pomposa / grandezza di conviti tanti e tali / che ‘n Troia mai s’eran fatti eguali

Fig. 15. Periodo 1-prosa.

Fig. 16. Periodo 2-prosa.

In prosa mai non+predicato appare più frequentemente di non+predicato+mai, anche se per il periodo 1 la LIZ non consente di avere a disposizione dati

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quantitativi paragonabili a quelli provenienti dai testi poetici, e i risultati potrebbero essere maggiormente vincolati all’uso individuale degli autori. Dal punto di vista dei contesti in cui vengono impiegati, i due costrutti sembrano potersi considerare intercambiabili. Per esempio, dal Milione: [11] perché mai none avevano veduto niuno latino

e subito dopo: [12] perché il Gran Cane none avea mai veduto nessuno latino

Nel periodo 2 la diπusione in prosa di mai non+predicato risulta meglio documentabile: il costrutto, nettamente prevalente in Giovanni Villani e nell’Anonimo romano, è quello più frequentemente utilizzato anche nel Decameron. Un suo decremento si osserva invece nelle Lettere di Caterina da Siena, caratterizzate da una particolare frequenza di non+predicato+mai con mai in posizione postverbale, che probabilmente rappresentava un modulo tipico del parlato: [13] [14] [15] [16]

Ella non si perde mai questo non oπende mai Il Vescovo non mi risponde mai li nemici nostri non dormono mai

Peculiari del Decameron sono alcune oscillazioni nell’uso della negazione in contesti tra loro analoghi. Per esempio, nel caso in cui mai compaia insieme ad alcuno, Boccaccio ora inserisce la negazione, ora la omette: [17] Ma essa, tenera del mio onore, mai a alcuna persona fidar non mi volle […] [18] che mai, se non quanto gli piacesse, a alcun non direbbe [19] il quale maravigliosamente nella prima vista gli piacque quanto mai alcuna altra cosa gli fosse piaciuta [20] ti priego che mai a alcuna persona dichi d’avermi veduta

Contesti come quelli appena riportati testimoniano una situazione di fluidità, nel Decameron, relativamente all’impiego della negazione in presenza di mai. Non a caso saranno soprattutto gli esempi decameroniani a fare da sostegno alle argomentazioni di quei grammatici che si opporranno a Bembo dichiarando ammissibile l’ellissi di non (cfr. 1. 2). Di una certa varietà si può parlare, nel Decameron, anche per quanto riguarda i valori semantici di mai: si veda, per esempio, un’attestazione in cui mai vale ‘finalmente, una buona volta’: [21] Mai, frate, il diavol ti ci reca! 1  

1

  Questo il commento di Bembo all’isolata attestazione decameroniana: «Sono alcune altre voci, le quali, perciò che sono similemente voci in tutto del popolo, rade volte si son dette dagli scrittori; sì come è ‘mai’, che disse il Boccaccio […] che tanto vale quanto ‘per Dio’, forse dal greco presa e per abbreviamente così detta, e ponsi più spesso col ‘sì’ o col ‘no’ che con altro, più per uno uso così fatto, che per voler dire ‘per Dio sì’ o ‘per Dio no’, come che la voce il vaglia» (Bembo 1955 iii, 305).

mai

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In altri luoghi dell’opera, quando è usato come formula olofrastica, mai è seguito da sì o da no: [22] Rispose Biondello: «Mai no; perché me ne domandi tu?»

Le espressioni maisì (o mai sì) e mainò (o mai no), tipiche del parlato fiorentino dell’epoca, 1 nei secoli successivi continueranno ad a√orare soprattutto in opere teatrali, novelle, lettere private (fra i testi del corpus si trovano due esempi di mai sì nella Tancia di Buonarroti il giovane). 2 Quanto all’uso olofrastico (nella forma non mai), il primo esempio documentato dalla LIZ si trova negli Esempi di Giordano da Pisa:  



[23] quando si trovoe che ‘l fuoco non scaldasse? Non mai.

6. 2. 2. Dal Quattrocento al 1525

Fig. 17. Periodo 3-prosa. 1

  Fino al Settecento queste forme non sono registrate nelle grammatiche: il primo riferimento a maisì e mainò si trova in Soave 2001. Evidentemente le si avvertiva come eccessivamente marcate in diastratia. Indicativo, a questo proposito, il fatto che Girolamo Muzio, nelle Battaglie per difesa dell’italica lingua, includa maisì tra le parole fiorentine da cui, per quanto «usate ancora da’ migliori scrittori», si guarda «che non si veggano» nelle sue scritture (La Varchina). 2   Cosa. Così stestu! Giannino. Mai sì; Cosa. Mai sì, mai sì, e’ son, non dubitate. Ampliando il corpus con l’aggiunta di testi inclusi in BIBIT, si osservano attestazioni di maisì (o mai sì) anche nelle seguenti opere: il Trecentonovelle di Sacchetti (3 volte); il Trattato di architettura del fiorentino Filarete (ben 32 volte); il Novellino di Masuccio Salernitano (6); il Memoriale ad Alfonso d’Aragona di Borso e Leonello D’Este (2); le Lettere di Boiardo (8) e quelle di Macinghi Strozzi (1); la Cena familiaris (1) e i Libri della famiglia (2) di Alberti; le Novelle porretane di Sabadino degli Arienti (1); la Cassaria (1) e i Suppositi di Ariosto (1); I dilettevoli dialogi, le vere narrationi, le facete epistole di Luciano filosofo di Nicolò da Lonigo (1); La idropica di Guarini (1); Lo schiavetto di Andreini (1). In alcuni di questi testi compare anche mainò (o mai no); un’attestazione di tale forma precedente a quella decameroniana è nello Specchio di vera penitenza di Passavanti.

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Il Quattrocento è l’epoca della diπusione di mai con omissione di non: rispetto ai casi tutto sommato sporadici che caratterizzavano le scritture duetrecentesche, tale impiego comincia a incrementarsi in opere come le Prediche di Bernardino da Siena e la Vita civile di Matteo Palmieri: [1] e di ciò che dissi, mai mi fu detta una parola, perché vi sia stato l’uno contrario a l’altro, che pare che a l’una delle due parti dovrebbe spiacere (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [2] volete voi ch’io v’insegni che mai tra voi sarà divisione? (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [3] m’avete così ingannato, come popolo ch’io bazzicasse mai (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [4] che mai s’è trovato chi n’abbia avuto cognizione vera né saputo usare un loro minimo ornamento (Palmieri, Vita civile) [5] il buon cittadino elesse mai a Roma ritornare (Palmieri, Vita civile) [6] Numma Pompilio, essendo chiamato re dei Romani, mai consentì pigliare il dominio se prima di lui non erano consigliati gli oracoli (Palmieri, Vita civile)

Mai NEG con omissione di non coesiste, in queste prose, con un gran numero di esempi in cui mai ha valore AFF. Non essendoci contrassegni sintattici a distinguere i due valori, la presenza dell’uno o dell’altro si può desumere solo dal contenuto semantico del contesto. Ecco qualche esempio di mai AFF: [7] e di tutti i pericoli che mai furono, so’ e saranno in questo mondo (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [8] e di ciò che mai ella fece, ogni cosa entrò in lei per la porta dell’umiltà (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427)

Tornando a mai NEG, nel Quattrocento spiccano soprattutto le sue numerosissime occorrenze (149 su 311 totali di mai) nei Libri della famiglia di Leon Battista Alberti; addirittura, in quest’opera il costrutto risulta nettamente più frequente rispetto alle soluzioni alternative mai non+predicato e non+predicato+mai. 1  

[9] mai con loro sequì la fortuna se non facile e seconda [10] mai partirsi dal timone della ragione e regola del vivere [11] mai nella terra nostra alcuno mai spiegò tutte le vele [12] Mai fra più gente né in alcuno luogo publico fu chi appresso de’ miei maggiori mi vedesse [13] Sempre ti contenta, mai ti duole, mai ti sazia [14] mai ebbi moglie [15] E se in casa nostra mai fu chi a que’ tali mestieri operarii si desse, ringraziànne la fortuna

Tranne che in [15], è evidente la tendenza – propria anche della lingua di oggi – a collocare mai preverbale all’inizio assoluto di frase. Si noti inoltre, in [10], mai+infinito con valore iussivo, che si ritrova anch’esso nell’italiano contemporaneo. In [13] la contrapposizione concettuale fra sempre e mai – pre1

  In realtà queste ultime sono quasi assenti nell’opera: quando ricorre alla negazione con mai, Alberti usa perlopiù né mai (molto meno frequentemente, comunque, rispetto a mai NEG).

mai

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sente in vari luoghi dell’opera – mostra chiaramente come i due avverbi siano ormai percepiti come antonimi. Oltre che per la sua particolare frequenza, mai NEG+predicato si segnala, nei Libri della famiglia, per un uso non limitato alla posizione preverbale. Per esempio: [16] poterà nelle fattezze essere formosa, ma sarà mai chi la stimi bella moglie [17] colui el quale dalla moglie vedrà mai nato alcuno scandolo o vergogna [18] In presenza dei più atempati fu mai chi s’asedesse [19] Così si vede in qualunque animale si sia rinchiuso e subietto ad altri, mai requia per liberarsi e rendersi proprio a sé [20] L’altro modo a piacere a Dio a me pare sia fare mai cosa della quale dubiti s’ella sia bene fatta o male fatta [21] sapete voi perche’ i’ dissi fare mai se tu dubiti? [22] e studio di perderne mai nulla [23] inimicando commetta mai cosa per quale, se in tempo cessino poi fra loro le vendette, rimanga odio verso l’usata nequizia e scellerata crudeltà

Lo si può trovare anche interposto al predicato: [24] essere adunque vero amico costui a chi qual sia commutazion di fortuna può mai distorre o minuire la impresa benevolenza 1  

Mai figura senza negazione anche davanti ad aggettivi (o locuzioni aggettivali) e participi: [25] mai senza aπanni [26] sia ne’ nostri esercizi l’animo mai servo, sempre libero [27] e mai disiunta dalla onestà

In tutto il periodo due-trecentesco si era rinvenuta una sola attestazione di mai+aggettivo (o participio): Dante, Petrarca e Boccaccio usano, in questi contesti sintattici, non mai. 2 Così come nella prosa di Bernardino da Siena, in quella di Alberti l’impiego di mai NEG non impedisce un uso molto ricorrente di mai AFF: ma l’ambiguità a cui la regola di Bembo cercherà di porre rimedio non è – evidentemente – avvertita dai due autori quattrocenteschi. Non solo dal punto di vista del suo impiego sintattico, ma anche sul versante semantico l’uso di mai in Alberti presenta delle peculiarità. A volte, piuttosto che valere ‘in nessun tempo’, l’avverbio sembra essere usato in luogo di un semplice non:  

[28] E al tutto mai assentiva che, per amicissimo che mi fusse, alcuno isse in custodia alcuna [29] Dissi alla donna mia mai a tutti desse licenza

Una particolare ricorrenza di mai NEG si ritrova anche in testi che attingono alla lingua viva, come le lettere di Alessandra Macinghi Strozzi: 1

  La stessa collocazione si osserva in alcuni contesti del Paradiso degli Alberti di Gherardi.   Cfr. 6. 2. 1.

2

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[30] e mai n’ebbi risposta [31] che mai fa altro che piagnere

Qui, essendo solo 41 le occorrenze totali di mai, è notevole che ben 16 siano rappresentate da mai NEG. Va segnalato, inoltre, che mai non+predicato è completamente assente. Queste due peculiarità (assenza di mai non+predicato e presenza di mai NEG) caratterizzano anche la prosa del Principe di Machiavelli. A proposito di mai NEG si consideri, per esempio, l’uso dell’espressione mai o raro: [32] la quale mai o raro falla

Ciò che spicca nella prosa argomentativa di Machiavelli è tuttavia la prevalenza – confrontabile con quella che si nota oggi – di non+predicato+mai; soprattutto, come nella scrittura giornalistica contemporanea, la collocazione interposta al predicato è in assoluto la giacitura sintattica di mai più frequente nel Principe: [33] del populo inimico uno principe non si può mai assicurare [34] e da’ suoi cittadini non gli fu mai cospirato contro

La stessa collocazione si nota, in un caso, anche in presenza di mai NEG, secondo una prassi di cui si erano già notati esempi in Alberti e Gherardi: [35] debbe pertanto mai levare il pensiero da questo esercizio della guerra

Nella prosa immediatamente precedente alla codificazione bembiana l’immissione di mai NEG – concomitante col progressivo accantonamento di mai non – porta dunque a un’estensione del costrutto anche al di là della posizione preverbale in cui è relegato oggi. In poesia la negazione è omessa meno frequentemente che in prosa, ma se ne contano comunque esempi in quasi tutte le opere spogliate. Eccone alcune occorrenze: [36] ti proverrò che traditor mai fui (Pulci, Morgante) 1 [37] Meglio era, amor, che mai di tua dolcezza / provassi alcuna cosa o del tuo bene (Lorenzo de’ Medici, Canzoniere) [38] mai poté riscaldarsi il freddo petto (Poliziano, Stanze) [39] dove a gran pena mai mercè s’impetra (Boiardo, Amorum libri) [40] Mai fu turbato alla sua vita tanto (Boiardo, Innamoramento di Orlando)  

L’uso di mai in senso ora AFF, ora NEG dà vita anche qui a contesti che, presi isolatamente, potrebbero risultare ambigui, come i seguenti del Morgante: [41] Maledetto sia mai chi t’ha allattato! [42] io benedico ciò che mai facesti 1

  Nel Morgante mai NEG è attestato anche all’interno dell’espressione proverbiale e me’ tardi che mai.

mai

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Dal punto di vista semantico, anche in poesia mai può assumere, come si è visto per alcuni contesti di Alberti, un valore negativo che prescinde dall’idea di temporalità: [43] Dove nel mezo vide una fontana / non fabricata mai per arte umana (Boiardo, Innamoramento di Orlando).

Fig. 18. Periodo 3-poesia.

6. 2. 3. Dal 1525 all’età moderna Nei testi di epoca rinascimentale, sia in poesia sia in prosa, mai NEG subisce un drastico decremento, che si dovrà attribuire – almeno in una parte degli autori – all’influsso della regola di Bembo a cui si è più volte fatto riferimento. Fra le opere in prosa spogliate, solo nella Storia d’Italia di Guicciardini tale impiego di mai si osserva con una discreta frequenza. Per esempio: [1] tenevano per certo che mai gli abbandonerebbe [2] giovane e che mai aveva sentito altro che felicità

Il dato saliente che caratterizza la prosa rinascimentale è la chiara aπermazione di non+predicato+mai come costrutto non marcato (52% delle occorrenze totali, rispetto al 7% di mai NEG e al 5% di mai non+predicato), quale rimarrà fino a oggi. Si assiste a una divaricazione tra prosa e poesia: nelle opere in versi mai non+predicato è ben saldo e risulta utilizzato con percentuali simili a quelle osservate per l’italiano antico. Quanto a mai NEG, che occasionalmente continua a comparire nei poeti, 1 va segnalato che nell’Orlando furioso, in cui sono presenti quasi 600 occorren 

1

  Per esempio: che mai di fama e gloria saran voti (Colonna, Rime).

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ze di mai, il costrutto è del tutto assente. Nel complesso, nel poema l’impiego di mai segue le stesse modalità che caratterizzavano le rime di Petrarca e Boccaccio, con un’alternanza piuttosto bilanciata di mai non+predicato e non+predicato+mai. Ecco i grafici che mettono a confronto la situazione della poesia con quella della prosa nel periodo rinascimentale, a partire dal 1525.

Fig. 19. Periodo 4-poesia.

Fig. 20. Periodo 4-prosa.

Nel corso del Cinquecento prosegue il consolidamento di non+predicato+mai come costrutto tipico della prosa, là dove mai non+predicato risulta ormai complessivamente residuale. Per esempio nella Civil conversazione di Stefano Guazzo, su 150 occorrenze totali, quelle di mai non+predicato sono solo due:

mai

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[3] Mai non li lasci oziosi [4] questo è un convito che nodrisce e mai non sazia

Dal momento che mai non si trova necessariamente in posizione preverbale, è possibile che in [3] e [4] vi si ricorra in quanto soluzione alternativa a mai NEG, del tutto assente nell’opera. Non tutti i prosatori, comunque, rinunciano a mai NEG. Nei Dialoghi di Giordano Bruno è anzi l’opzione di gran lunga più praticata. 1 Eccone alcune occorrenze:  

[5] perché questa mai apportò cosa preziosa e degna [6] quali aπermano mai esserne prodotte simili in terra inglese [7] che io mai feci di simili vendette per sordido amor proprio [8] Questo mai pensai, mai intesi, mai feci [9] quello che si altera, si aumenta, si sminuisce, si muta di loco, si corrompe, sempre […] è il composto, mai la materia

Mai NEG ricorre spesso anche nell’Istoria del Concilio tridentino di Sarpi. Per esempio: [10] mai i papi suoi predecessori hanno errato nelle costituzioni loro [11] che mai si è ristampata la tradozzione senza qualche notevole mutazione [12] Laonde mai si potrà uguagliare tradozzione alcuna al sacro testo della lingua

Sia Bruno, sia Sarpi lo usano anche davanti a un participio: [13] non meno desideriamo vedere le cose ignote e mai viste, che le cose conosciute e viste (Bruno, Dialoghi) [14] mai veduti dalle chiese de quali avevano il titolo (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino) [15] mai discostatisi dal parere e consegli de’ pontefici (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino) 2  

Lo si può inoltre trovare raπorzato con aπatto: [16] e mai aπatto approva quel che è altrimenti

L’impiego di mai NEG varia, insomma, di molto a seconda degli autori: si va, come si è visto, da opere in cui è sistematicamente evitato a opere in cui è adottato massicciamente. Un panorama così eterogeneo spiega meglio il succedersi, fra Cinquecento e Ottocento, di posizioni diverse da parte dei grammatici, non tutti propensi a condannare mai NEG con la stessa oltranza di Bembo (cfr. 1.2). A ben guardare, è possibile fare una considerazione aggiuntiva: le opere in cui mai NEG ha una frequenza maggiore sono quelle di tipo argomentativo, i cui autori si sentono evidentemente più liberi da condizionamenti normativi. 1   Non se ne registra, invece, nessuna occorrenza nel Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo. 2   Nell’uso di Sarpi, tuttavia, con un participio sono più frequenti i casi in cui la negazione è espressa: non mai negata a chi la ricerca in quel modo; non mai alienato dalla fede romana; non mai intesa; non mai più intervenuta in concilio; non mai separata dalla verità; e de’ pontefici non mai stati stimati.

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Si era già notato che, nell’àmbito della prosa rinascimentale, l’opera in cui il tratto compare con una frequenza maggiore è la Storia d’Italia di Guicciardini (mentre in opere letterarie come quelle di Aretino e Dovizi ricorre in modo alquanto più contenuto). Non sembra casuale il fatto che anche nel periodo successivo siano le opere argomentative quelle in cui mai NEG trova un’accoglienza più ampia.

Fig. 21. Periodo 5-prosa.

Fig. 22. Periodo 5-poesia.

Spostando l’angolo visuale ai testi poetici, si può osservare come non+pred.+mai continui a coesistere con mai non+pred.: [17] ma non si sazia mai (Guarini, Il pastor fido) [18] che per te mai non posa (Guarini, Il pastor fido)

mai

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[19] pioggia non turba mai (Marino, Adone) [20] pace mai non avrò (Marino, Adone)

Per quanto riguarda mai NEG, la poesia – che può contare sull’alternativa mai non+predicato – 1 lo esclude più coerentemente rispetto alla prosa. Per esempio, le pochissime occorrenze reperite nell’Adone sono tutte riconducibili all’espressione qual mai seguita da un comparativo di maggioranza:  

[21] qual più soave Ibla mai fiocca [22] qual mai più ricco il vidi [23] e qual mai Roma celebra eroe più chiaro o semideo

Dal quadro che si viene configurando risulta sempre più evidente che l’impiego di mai mostra nella lingua poetica caratteri di continuità nel tempo e di stabilità – su cui poco incide la diversità dei generi letterari – senz’altro maggiori rispetto alla prosa. 2 La situazione non si modifica nella poesia del Settecento. Prosegue, infatti, la coesistenza fra mai non+predicato e non+predicato+mai. Il primo sembra costituire ormai uno stigma della poesia rispetto alla prosa: Metastasio lo introduce nei suoi melodrammi più ampiamente (84 volte) rispetto a non+predicato+mai (48). Non diversamente da quanto si è osservato a proposito del Duecento, i due costrutti sono usati in modo intercambiabile, ossia in contesti tra loro simili:  

[24] pace mai non abbia il cor (Metastasio, Alessandro nell’Indie) [25] Io non avrò mai pace (Metastasio, Temistocle)

Tipico di Metastasio – e preponderante, nelle sue opere, rispetto a tutti gli altri impieghi – è l’uso di mai AFF a raπorzare enfaticamente un’espressione, perlopiù interrogativa o esclamativa. Ecco alcuni esempi: [26] che mai sarà? (Siroe) [27] che veggio mai! (Siroe) [28] Quanto mai felici siete, / innocenti pastorelle, / che in amor non conoscete / altra legge che l’amor! (Ezio) [29] Qual silenzio è mai questo! (Ezio) [30] Quanto facile è mai / nelle felicità scordar gli aπanni! (Semiramide) [31] Se mai ingannato io mi fossi? / Se mai fosse fedel? (Semiramide) [32] Timagene. Signor… vado…: attendea… Alessandro. Che mai? Timagene. L’istante / di teco ragionar (Alessandro nell’Indie) 1

  Per evitare mai NEG i poeti, soprattutto a partire dal Cinquecento, ricorrono, qualche volta, anche a non mai. Per esempio: Non mai Saturno in sì leggiadre spoglie / sonar d’alti nitriti intorno feo (Marino, Adone); non mai le labra a favellare apersi (Chiabrera, Scherzi); Laconismo maggior non mai vedesti (Lubrano, Sonetti). Potrebbe essere legato a questa motivazione il lieve aumento delle occorrenze di non mai tra Cinquecento e Seicento. In certi casi la complessità dell’ordo verborum non consente di distinguere chiaramente quale sia l’opzione utilizzata: che non più forte vite olmo mai strinse / smilace spina o quercia edra seguace. 2   Nota è, del resto, l’«eccezionale stabilità» della lingua poetica italiana (Serianni 2009: 11-12).

112 [33] [34] [35] [36]

maria silvia rati Oh, come mai / gli animi più virili / la sventura avvilisce! (Issipile) Quanto son mai vezzose / l’ire in quel volto! (Achille in Sciro) Stelle! Ipermestra / m’avrebbe mai tradito! (Ipermestra) Padre, ah, che dici mai! (Antigono)

Fra i diversi nessi cristallizzati a cui dà vita questo impiego di mai, il più frequente in Metastasio è perché mai, che da questo momento conoscerà un’ampia fortuna indipendentemente dai generi testuali e dai registri: [37] e perché mai / così presto mi lasci? (La clemenza di Tito) [38] Perché mai qui venisti? (Achille in Sciro) 1  

Lo stesso valore di raπorzamento enfatico è presente – anche se meno ricorrente – nelle tragedie di Alfieri. 2 Eccone alcuni esempi:  

[39] Qual senno mai regger potea? (Oreste) [40] Misera me!... Che mai minaccia? (Rosmunda) [41] Oh cielo! Che dissi io mai? (Mirra)

In Alfieri, d’altra parte, mai si fa strumento di accentuazione enfatica soprattutto attraverso la sua iterazione (anche nella forma mai più). Rispetto ai non molti casi di epanalessi (e di altre forme di ripresa) reperibili negli autori spogliati fin qui, 3 si registra un forte incremento di tali strategie. 4 Per esempio:  



[42] io mai / non ti vedrò, mai più (Antigone) [43] e di abbracciarlo mai, mai di baciarlo non potea saziarmi (Agamennone)

Peculiare delle tragedie alfieriane è poi l’impiego di no mai sotto forma di inciso per ribadire una negazione appena espressa. 5 Per esempio:  

[44] Presta a morir, non a cessar, no mai, / sono io d’amare (Rosmunda) 1   Meno spesso perché è separato da mai mediante l’interposizione di altri elementi della frase: Ma perché tien così nel fiume / fisso lo sguardo mai! Fra le espressioni attestate in Metastasio e destinate a un durevole successo si annovera anche non è mai troppo tardi. 2   In prosa, lo si ritrova soprattutto nella commedia: Ma come fate mai ad avere in mente tante belle cose? (Goldoni, Il frappatore); Che mai, che mai! Palesatemi il tutto con libertà (Goldoni, I due gemelli veneziani). 3   Per esempio: vedesti mai mai di verno gli scardiccioni? (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427); che chi fa questo non è mai, mai morto (Dovizi, La Calandra); di pianger mai, mai di gridar non resta (Ariosto, Orlando Furioso). 5 casi di ripresa a distanza si trovano nella prosa di Alberti (Né mai quanto sia arte in me e forza, mai, né a fatica, né a sudore, né a me stessi perdonerò […]; ecc.); 6 nella traduzione dell’Iliade di Monti (mai non fur chiuse / queste palpebre, mai; ecc.). 4   Nell’Ottocento e nel Novecento la ripetizione enfatica di mai diviene uno stilema sempre più frequente (se ne sono osservati, del resto, esempi numerosi negli scrittori contemporanei inclusi nel PTLLI): cfr., ad esempio, per la prosa Dossi, L’altrieri (non lo seppe mai… mai…); Fogazzaro, Piccolo mondo antico (mai mai l’anima tua non è stata tutta con me); per la poesia, Gozzano, La via del rifugio (ma non ho pianto / mai, mai per altro pianto che il pianto di mia Madre). 5   Successivamente il modulo compare alcune volte in Monti (traduzione dell’Iliade) e una in Manzoni (Adelchi).

mai

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[45] ma non può innalzarsi / David, no mai, s’ei pria Saùl non calca (Saul) [46] ella non puote / quindi, no mai, pentirsene (Mirra)

Come raπorzativo di no, mai compare anche all’interno di formule di risposta: [47] io lasciarti? No, mai (Rosmunda) [48] Timoleone. Dammi quel ferro; in me… Echilo. No, mai… (Timoleone)

In Alfieri mai non+predicato aumenta ancor di più la sua rilevanza in termini quantitativi rispetto all’alternativa non+predicato+mai. Complessivamente, la situazione della poesia settecentesca è quella sintetizzata nel grafico che segue:

Fig. 23. Periodo 6-poesia.

In prosa non+predicato+mai si avvicina sempre di più a essere l’unica soluzione adottata dagli scrittori. Attestazioni di mai non sono ancora reperibili in vari tipi di testo (dalla prosa argomentativa del «Caffè» alla commedia di Goldoni), ma la loro entità è ormai pari al 2% delle occorrenze di mai, rispetto al 57% di non+predicato+mai. Si conferma l’impressione che l’impiego di mai non sia ormai finalizzato soprattutto a evitare mai NEG (con lo stesso scopo si ricorre a non mai, che fa registrare un ulteriore lieve incremento rispetto al periodo precedente). Sia mai non, sia non mai si presentano dunque ormai come forme estranee all’uso, adottate prevalentemente per arginare l’emersione di mai NEG. Uno sguardo a Goldoni ci permette di osservare altri fatti significativi. Per esempio, si nota qui per la prima volta l’uso olofrastico di mai senza la negazione: [49] Ala mai savesto gnente de so sorella? Mai. Ah, savè anca vu che la s’ha perso? (Goldoni, I due gemelli veneziani)

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È evidente che mai è introdotto per simulare il discorso orale: Goldoni lo colloca, in modo realistico, all’interno di una battuta in dialetto. Eccettuate concessioni come questa allo stile parlato, la funzione di formula olofrastica continuerà – ancora nella prosa del periodo successivo – a essere svolta da non mai. 1 Anche dal punto di vista semantico in Goldoni è possibile notare alcune particolarità. Mai è usato come semplice raπorzativo della negazione (dunque senza implicazioni sulla durata temporale) all’interno dell’espressione non credo mai:  

[50] Pussibile che la me li fazza penar? No credo mai (La bancarotta) [51] Betina? No credo mai (La putta onoraria)

Nel senso di mai è usato spesso mai più: 2  

[52] No l’era mai più stà a cavallo? (Il frappatore) [53] mai più in vita mia ho abuo tanta paura (I due gemelli veneziani)

Si segnala, infine, un’attestazione di mai e poi mai: [54] che mai e poi mai me lo sarei ricordato (La vedova scaltra) [56] che mai e poi mai me lo sarei ricordato (La vedova scaltra)

Fig. 24. Periodo 6-prosa.

Si considererà, ora, la fase che va dalla poesia neoclassica a quella leopardiana. 1

  Ma non placarlo, oh! Non mai (Foscolo, Ortis).   La possibilità che mai più indichi «una mancata realizzazione di una situazione nel passato» (Squartini 2010: 533; cfr. anche Ricca 2010: 723), che caratterizzava già la prosa delle origini, ha dunque una lunga tenuta a livello diacronico. 2

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Fig. 25. Periodo 7-poesia.

Nella poesia neoclassica non si registrano novità rispetto al tradizionale uso di mai non: nella traduzione dell’Iliade di Monti le occorrenze di questo modulo sono circa il doppio di quelle di non+predicato+mai. Né compaiono attestazioni di mai NEG: nei casi in cui mai è collocato in posizione iniziale di frase, la scelta ricade su mai non o – qualche volta – su non mai: [55] mai pari dolor […] in questo petto non cadrà [56] Non mai m’avria l’Atride / mosso all’ira

Negli Inni manzoniani mai è usato quasi sempre in senso AFF, come segnale di enfasi all’interno di contesti interrogativi: [57] Chiesa del Dio vivente; / dov’eri mai? [58] quai monti mai, quali acque / non l’udiro invocar?

Per l’uso di mai la poesia manzoniana non si discosta, nel complesso, da quella di Monti, sia riguardo alla prevalenza di mai non+predicato su non+predicato+mai, sia riguardo all’assenza di mai NEG. 1 Passando a Leopardi, nei Canti la preferenza per mai non+predicato rispetto a non+predicato+mai è quasi esclusiva:  

[59] altro mai non ispera (Canto notturno) [60] E mai non sento / mover profumo di fiorita spiaggia (Aspasia)

Il dato conferma, se ce ne fosse ormai bisogno, che tale costrutto era avvertito come tipico della lingua poetica della tradizione. 1   A ben guardare, tuttavia, nell’Adelchi si nota l’uso di mai – anziché di non mai – come formula olofrastica: Ansberga. Oh mai / stata nol fossi! Ermengarda. Oh mai! (Manzoni, Adelchi).

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Fig. 26. Periodo 7-prosa.

Anche in prosa non mai è usato spesso per evitare mai NEG. Uno degli autori che praticano maggiormente questa opzione è Cuoco nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799: [61] che non mai avrebbe essa potuto o voluto imitar gli esempi della Francia [62] non mai noi siamo stati tanto debitori agl’inglesi [63] non mai vicario alcuno di un re conchiuse un simile armistizio

Il Foscolo dell’Ortis e del Viaggio sentimentale tende a non inserire mai in prima posizione: non solo, dunque, è assente mai NEG, ma non si ricorre neanche – se non in caso di ellissi e contrapposizioni – a non mai. In un passo dell’Ortis questa espressione è usata come formula olofrastica: [64] ma non placarlo, oh! Non mai

La modalità sintattica con cui Foscolo realizza le frasi negative con mai – a parte un unico caso di mai non+predicato – è non+predicato+mai. La prosa foscoliana risolve dunque coerentemente in questo senso la scelta fra i costrutti alternativi. Il processo verso l’uso esclusivo di non+predicato+mai in prosa trova il suo definitivo compimento con Manzoni. Nei Promessi sposi si osserva un’assoluta sistematicità nell’uso di non+pred.+mai. Non solo è del tutto assente mai non+predicato; manca anche non mai (negli unici due casi in cui mai viene a trovarsi in prima posizione Manzoni non evita mai NEG). 1 Entrambe le strutture erano presenti nel Fermo e Lucia e nella Ventisettana, ma vengono eliminate nell’edizione 1840, a ulteriore testimonianza dell’intenzionalità con cui Manzoni sceglie uniformemente non+predicato+mai:  

1

  Che è quel sole che mai tramonta; se ne rodeva quanto mai si possa dire.

mai

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[65] che è quel sole che mai non tramonta (Fermo e Lucia) [66] qual luna non mai calante (Fermo e Lucia) [67] ma non mai cancellati del tutto (Fermo e Lucia) [68] non mai condotta in altre case (Fermo e Lucia) [69] lo attribuiva alla indole di lei, e non mai a un disegno profondo (Fermo e Lucia) [70] Ti aveva invitato tante volte; mai non volesti venire (Promessi sposi, ed. 1827) [71] che avrebbe pur voluto fare altrettanto, e mai non poté (Promessi sposi, ed. 1827)

Coi Promessi sposi del 1840 viene decretata una volta per tutte l’estraneità di mai non+pred. e di non mai+predicato alla lingua della prosa italiana, a vantaggio dell’adozione di un’unica soluzione sintattica, evidentemente coincidente con quella diπusa nella lingua parlata. Nelle opere narrative del periodo successivo, non mai tende a scomparire e il ricorso a mai non è alquanto raro: 1 in particolare, a√ora in alcuni scrittori che continuano a voler evitare mai NEG. La situazione che caratterizza la prosa da Verga e Svevo è illustrata nel grafico che segue, in cui le percentuali sono ormai simili a quelle ricavate per l’italiano contemporaneo dallo spoglio del PTLLI (cfr. 6.1.1): non+predicato+mai si colloca al 76% (al 78% nel PTLLI); mai AFF al 5% (così come in PTLLI); mai NEG all’8% (al 7% nel PTLLI). La diπerenza più consistente è rappresentata dal 4% che ancora raggiunge mai non+predicato (attestato, nel PTLLI, in una percentuale inferiore all’1%).  

Fig. 27. Periodo 8-prosa. 1   Anche per quanto riguarda la saggistica si può notare che De Sanctis tende a impiegare talora mai non+predicato per evitare mai NEG. Nella Storia della letteratura italiana ciò avviene in 6 casi: Mai più vasta e concorde comprensione non era uscita da mente; mai la poesia non s’era alzata a un linguaggio sì nobile; ecc. De Sanctis non giunge, comunque, a servirsi di non mai nelle contrapposizioni di concetti: bestia talora in tutto, mai in tutto uomo.

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Sia in Collodi, sia in Verga l’uso di mai si pone in continuità con quello manzoniano. Si notano non solo la scelta esclusiva di non+pred.+mai da parte di entrambi i prosatori, ma anche l’accoglimento – per due volte – di mai NEG nei Malavoglia: [72] Perché il motto degli antichi mai mentì [73] come mai se n’erano viste

In Mastro don Gesualdo si trovano i primi due esempi del corpus in cui mai NEG è posto davanti a una struttura nominale: [74] mai una risata allegra [75] mai un’ora come quelle che suo fratello Santo regalavasi in barba sua all’osteria!

Nella Coscienza di Zeno aumentano ancora le occorrenze di mai NEG: 1  

[76] sul quale pieno di speranza passai varie ore e che mai intesi [77] ciò che mai equivale a piangere [78] ch’essa mai vedrà

Anche nelle ellissi compare con regolarità mai NEG, come nell’uso contemporaneo: [79] accetterei di sposare Augusta, ma mai di promettermi con lei [80] Io ne usavo ogni giorno di quell’autorità; lei, invece, mai

Nella prosa postmanzoniana mai è ormai privo della negazione anche come avverbio olofrastico: [81] E non c’è mai l’obbligo di studiare? – Mai, mai, mai (Collodi, Pinocchio) [82] Ma è proprio vero, domandò il burattino, che in quel paese i ragazzi non hanno mai l’obbligo di studiare? – Mai, mai, mai (Collodi, Pinocchio) [83] Hai mai soπerto di malattia agli orecchi? – Mai!… E tu? – Mai! (Collodi, Pinocchio) [84] Copler le ha mai chiesto un bacio? – Mai! – rispose Carla con vivacità (Svevo, La coscienza di Zeno) [85] Non voglio procurarle dei dolori. Mai! (Svevo, La coscienza di Zeno) [86] Oltre, mai! (Svevo, La coscienza di Zeno) [87] Mai – disse con l’atteggiamento di chi giura (Svevo, La coscienza di Zeno) [88] Non dire questa cosa! Mai! Mai! (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) [89] Ma le altre comunicazioni, dunque? Non vi è certezza mai? – Mai (Fogazzaro, Piccolo mondo antico)

Per quanto riguarda mai AFF, sarà forse da collegare alla rinnovata diπusione di mai NEG la drastica diminuzione delle sue occorrenze (dal 22% del periodo 1   Tuttavia, per quanto ve ne compaiano ben 29 occorrenze, Svevo non evita del tutto mai non, presente in due contesti: Mai non fummo tanto e sì a lungo insieme; Mai non ebbi la certezza d’avviarmi proprio al matrimonio.

mai

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precedente al 5%). A scemare – specialmente in Verga e Collodi – sono anche i casi di impiego tendenzialmente pleonastico di mai, per i quali si è parlato di “segnale di enfasi”. Ne fa invece un uso piuttosto ricorrente Fogazzaro: [90] «Come mai» pensò bussando all’uscio «nasconderei qualche cosa a mia moglie?»

Per certi aspetti Fogazzaro presenta un uso di mai ancora volto al passato (alcuni esempi di mai non – e, in un caso di ellissi, di non mai; 1 assenza di mai NEG); ma proprio in Piccolo mondo antico, all’interno di un contesto di riproduzione del parlato, si trova un esempio di mai+sostantivo, una struttura alquanto moderna:  

[91] «Spropositi mai, sa…» aveva risposto Ester

Riguardo alle non molte peculiarità semantiche che permangono in questo periodo, si può notare che in alcuni casi Svevo e Fogazzaro usano ancora mai più con lo stesso significato di mai, sia nel valore di avverbio di tempo, sia nel senso di ‘no, per nessun motivo’: [92] Ingrassata! Mai più! Io volevo parlare solo della cera migliore della signora (Svevo, La coscienza di Zeno) [93] non la mi è mai più toccata in vita mia (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) [94] «Signor deputato politico», disse colui, «avrebbe veduto stamattina il signor Maironi di Oria?» «Io? Mai più. Il signor Maironi dorme, a quest’ora» (Fogazzaro, Piccolo mondo antico)

Inoltre mai può talora assumere il valore di ‘assolutamente’, ‘aπatto’: [95] Il signor Giacomo sapeva forse le cose che succedevano nel mondo della luna, ma basta; altro non sapeva mai! (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) [96] Ma le altre comunicazioni, dunque? Non vi è certezza mai? (Fogazzaro, Piccolo mondo antico)

Le forme mai non e non mai, escluse dalla prosa, divengono sempre più tipiche della poesia: ne è un esempio l’impiego che ne fa Carducci: [97] «Mai non pensammo forma più nobile / d’eroe». Dice Livio, e sorride (A Garibaldi) [98] Non mai più alto sospiro d’anime / surse dal canto (Il liuto e la lira)

Soprattutto, si incrementa l’uso di non mai, secondo la tendenza già constatata nella poesia precedente. Il costrutto, perse le sue specializzazioni funzionali, può comparire ora negli stessi impieghi sintattici di mai non: [99] Non mai fervesti, Bromio, ne i calici (Carducci, Alla mensa dell’amico) [100] io ci credeva che non mai, Rachele, / sarei passata al triste fiore accanto (Pascoli, Digitale purpurea) [101] non mai vince, chi non gioca (Pascoli, Il torcicollo)

Complessivamente, in Carducci, Pascoli e Gozzano non mai si avvicina a mai non 1

  Che da Castello menano al confine e non mai sulla via di Cressogno.

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quanto a numero di occorrenze. Ma ben attestato è anche non+predicato+mai. Si assiste, così, a fronte della razionalizzazione in atto nella lingua della prosa, all’oscillazione fra tre costrutti diversi con la stessa funzione sintattica. Non viene del tutto escluso neanche mai NEG: anche il suo impiego alterna con altre soluzioni negli stessi contesti sintattici. Ecco, per esempio, due casi di mai NEG davanti ad aggettivo e participio: [102] Ed a nessuno e in nulla mai secondo (Pascoli, Inno a Torino) [103] o insegne mai dal loro suolo svelte! (Pascoli, Inno a Torino)

Nei contesti che seguono, invece, il participio e l’aggettivo sono accompagnati da non: [104] di grandi aperti calici di fiori / non mai veduti (Pascoli, L’ultimo viaggio) [105] tristo al freddo, aspro al caldo e non mai buono (Pascoli, Il poeta degli Iloti)

Lo stesso accade in Gozzano: [106] sì perseguìta e non raggiunta mai (Il frutteto) [107] tra fiori mai veduti svettano palme somme (La più bella!)

In Pascoli mai e non mai si alternano anche negli usi olofrastici: [108] «E mai / non ci tornasti?» «Mai!» (Digitale purpurea) [109] Morto? Né prima, né dopo, / mai, Fabrizi Maramaldi! (A Verdi) [110] Questo, se forse domandi, / fonte, a cui lavo le vesti / ora, per ciò che non sai… / è l’Aretusa… Non mai! (Il ritorno)

Ecco il grafico che illustra la situazione della lingua poetica nel periodo appena esaminato:

Fig. 28. Periodo 8-poesia.

mai

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6. 2. 4. Ordine delle parole Fin dalle Origini, in caso di predicato perifrastico la collocazione non marcata di mai è, come oggi, quella interposta fra il verbo flesso e l’infinito (o il participio). 1 In particolare, la si adotta con regolarità quasi assoluta quando il verbo flesso è potere; si tratta di una caratteristica che si osserva ininterrottamente a livello diacronico:  

[1] Non vi porea mai dire (Giacomo da Lentini, Poesie) [2] Ond’io non pote’ mai formar parola (Petrarca, Canzoniere) [3] non può mai essere altro che cristiano (Giordano da Pisa, Esempi) [4] non l’avrei mai creduto (Boccaccio, Decameron) [5] non può mai oπenderlo (Caterina da Siena, Lettere) [6] In lei non si poté mai trovare una minima macoluzza che sonasse peccato (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [7] non vi poté mai entrare persona (Macinghi Strozzi, Lettere) [8] che non vi può mai penetrar coi raggi (Ariosto, Orlando furioso) [9] ch’ei non poté mai trarne altro che baci (Marino, Adone) [10] non potean mai portar la romana scena alla perfezion della greca (Gravina, Della ragion poetica)

La collocazione posposta è presente solo in 170 casi di predicati perifrastici (14%) su 1.201 totali. Per esempio: [11] che non si veggia stanco mai (Chiaro Davanzati, Rime) [12] Non fu veduta mai tal rapresaglia (Fiore) [13] non si poteo discioglier mai (Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna)

Non è facile stabilire, di volta in volta, se ci siano motivazioni particolari alla base della posposizione di mai. A proposito dell’italiano contemporaneo si è osservato come tale giacitura sintattica si possa mettere in relazione con fattori di tipo diverso, come la resa dell’enfasi del parlato o un ordine delle parole tipico dell’italiano regionale. Nel caso dei testi poetici va considerato anche il possibile condizionamento della rima (particolarmente diπusa quella con assai): [14] né seppi o volsi contra dirgli mai / […] di parlar d’esso e di lodarlo assai (Ariosto, Orlando furioso) [15] Un amoroso foco / non può spiegarsi mai. / Di’ che lo sente poco / chi ne ragiona assai (Metastasio, Semiramide) 1

  Accenni, sia pur generici, alla questione dell’ordine delle parole si trovano nei dizionari ottocenteschi: MAN (s. v.), che, come si è già visto, ammette solo l’uso con negazione, aπerma che «vi ha esempli del posporre, e dell’antiporre la particella mai al verbo, benché forse più frequentemente si posponga», facendo probabilmente riferimento all’alternanza fra mai non+predicato e non+predicato+mai. GB avverte semplicemente che mai, quando è usato in presenza di negazione, «si pospone al verbo» e riporta 13 esempi, di cui uno (non s’è mai fermato) presenta mai tra il verbo flesso e il participio.

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In generale si può constatare, nelle opere in versi, una frequenza più elevata di mai postverbale, che si spiega probabilmente anche con la presenza di una quota più ridotta di predicati perifrastici – conseguente alla maggiore semplicità sintattica della poesia rispetto alla prosa – nonché con la predilezione per l’ordine complemento-verbo: [16] che più nel primo stato non son mai! (Monte Andrea, Rime) [17] ch’altra non vidi mai (Ariosto, Orlando Furioso)

Bisogna poi tener conto dell’influenza di altri fattori: per esempio nell’Innamoramento di Orlando la formularità di alcune espressioni con mai posposto al verbo (per esempio: non fur vedute mai) porta a un incremento delle attestazioni che presentano questa giacitura. In alcuni casi la posizione postverbale di mai sembra assumere una valenza stilistica, determinando un incremento dell’enfasi e della solennità: si pensi – oltre che alle molte collocazioni posposte nelle tragedie di Alfieri – 1 al noto non posso essere vostra mai! dell’Ortis. A partire dall’Ottocento, nelle posposizioni di mai che caratterizzano le parti dialogiche dei romanzi sembra meglio riconoscibile l’eco del parlato:  

[18] Questi discorsi non dovresti farceli mai, davanti a tua madre (Verga, I Malavoglia) [19] non ne abbiamo avuti mai (Verga, I Malavoglia) [20] Io non ci sono stato mai (Collodi, Pinocchio) [21] questo, Luisa non l’avrebbe fatto mai (Fogazzaro, Piccolo mondo antico)

Passando all’osservazione di altre collocazioni di mai nel costrutto non+predicato+mai, appare complessivamente limitata la diπusione di sequenze che non sarebbero possibili oggi, per esempio con inversione fra l’infinito (o il participio o il nome del predicato) e il verbo flesso: [22] Ma tarde non fur mai gratie divine (Petrarca, Trionfi) [23] formar non saprien mai sì bella fonte (Marino, Adone) [24] restarsi egli non seppe mai (Monti, traduzione dell’Iliade)

Nel caso del costrutto mai non+predicato sono possibili due varianti: - mai+infinito(o participio)+non+verbo flesso: [25] che mai confessato non s’era (Boccaccio, Decameron) [26] mai svenar non puoi (Alfieri, Ottavia)

- infinito (o participio)+mai+non+verbo flesso: [27] dir mai non volse (Ariosto, Orlando Furioso) [28] potuto in modo alcun mai non avrebbe (Marino, Adone)

Si tratta, comunque, di configurazioni sintattiche che dopo il Trecento tendono a comparire prevalentemente in poesia. Nei testi poetici risulta inoltre 1

  Per esempio: più non sperava di rivederti mai (Virginia); non son felice io mai (Agamennone).

mai

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più frequente che in prosa la collocazione di mai prima di un soggetto postverbale: [29] nel cui amor non fur mai inganni né falli (Petrarca, Canzoniere) [30] veduta non fu mai tanta ruina (Boiardo, Innamoramento di Orlando) [31] tra quelle case ove non sta mai gente (Ariosto, Orlando Furioso)

Tipica della poesia è infine l’anteposizione di un complemento o di un avverbio a mai non+predicato: [32] a fin mai non venne (Ariosto, Orlando Furioso) [33] troppo mai non si tace (Metastasio, Ciro riconosciuto)

Per l’inventario completo delle giaciture di mai nei testi spogliati, si vedano le tabelle che seguono. non+predicato+mai POESIA periodo 1 totale occorrenze 261

interposto a un pred. perifrastico 75 (28,7%): - non+verbo flesso+mai+inf. (o part.) 72: non vi porea mai dire (Giacomo da Lentini, Poesie) - inf. (o nome del pred. o part.)+non+verbo flesso+mai 3: me ritrarne non posso mai (Monte Andrea, Rime) posposto al pred. 55 (21,1%): lo meo coragio non diparto mai (altri poeti siciliani) tra pred. e complem. 65 (24,9%): questi non vide mai l’ultima sera (Dante, Inferno) tra pred. e subord. 22 (8,4%): non credo mai ch’om de servir si penta (Guittone d’Arezzo, Rime) tra pred. e sogg. 18 (6,9%): il mondo no fo mai femena sì nobel per rason (Bonvesin de la Riva) pred.+sogg.+mai 3 (1,1%): non è lo core mai tanto gravato (Dante da Maiano, Rime) altro 18: non faccio altro mai che ‘l tuo piacere (Guittone d’Arezzo, Rime)

periodo 2 totale occorrenze 114

interposto a un pred. perifrastico 35 (30,7%): - non+verbo flesso+mai+inf. (o part.) 34: nol può mai fare (Petrarca, Canzoniere) - inf. (o nome del pred. o part.)+non+verbo flesso+mai 1: Ma tarde non fur mai gratie divine (Petrarca, Trionfi) posposto al pred. 38 (33,3%): Primavera per me pur non è mai (Petrarca, Canzoniere) tra pred. e complem. 20 (17,5%): non sperando mai ‘l guardo honesto et lieto (Petrarca, Canzoniere) tra pred. e subord. 11 (9,6%): non vidi mai che ella s’accorgesse del mio amore (Boccaccio, Filostrato) tra pred. e sogg. 10 (8,8%): e’ non si vide mai cervo né damma (Petrarca, Canzoniere)

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periodo 3 totale occorrenze 211

interposto a un pred. perifrastico 88 (41,7%): - non+verbo flesso+mai+inf. (o part.) 86: che non l’avrebbon mai rafigurato (Boiardo, Innamoramento di Orlando) - inf. (o part.)+non+verbo flesso+mai 2: veduta non fu mai (Boiardo, Innamoramento di Orlando)

periodo 4 totale occorrenze 132

interposto a un pred. perifrastico 36 (27,3%): - non+verbo flesso+mai+inf. (o part.) 35: non vi può mai penetrar coi raggi (Ariosto, Orlando furioso) - non+verbo flesso+inf.+mai+part. 1: Non fu da indi in qua rider mai visto (Ariosto, Orlando furioso) posposto al pred. 35 (26,5%): né seppi o volsi contra dirgli mai (Ariosto, Orlando furioso) - di cui 2 posposti al complem. o al nome del predicato: ch’altra non vidi mai (Ariosto, Orlando furioso) tra pred. e complem. 35 (26,5%): sì che non veggan mai altra bellezza (Stampa, Rime) tra pred. e subord. 14 (10,6%): non fia mai che descrivan l’ire e i sdegni (Stampa, Rime) tra pred. e sogg. 11 (8,3%): tra quelle case ove non sta mai gente (Ariosto, Orlando furioso) pred.+sogg.+mai 1 (0,8%)

periodo 5 totale occorrenze 154

interposto a un pred. perifrastico 39 (25,3%): - non+verbo flesso+mai+inf. (o part.) 33: non poté mai trarne altro che baci (Marino, Adone) - inf. (o part.)+non+verbo flesso+mai 6: veduto non fu mai maggior tesoro (Marino, Adone) posposto al pred. 50 (32,5%): fugge e fuggito poi non torna mai (Marino, Adone) tra pred. e complem. 27 (17,5%): non vide il mondo mai […] forme sì care (Marino, Adone) tra pred. e subord. 18 (11,7%): non fia possibol mai che vivo io n’esca (Buonarroti il giovane, La Tancia) tra pred. e sogg. 16 (10,4%): ma non fia mai quel dì (Marino, Adone) pred.+sogg.+mai 4 (2,6%): non vide il mondo mai (Marino, Adone)

mai

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periodo 6 totale occorrenze 111

interposto a un pred. perifrastico 19 (17,1%): e non fu mai con me sì ritenuto (Metastasio, La clemenza di Tito) posposto al pred. 59 (53,2%): non può spiegarsi mai (Metastasio, Semiramide) tra pred. e complem. 21 (18,9%): non tesse mai senza mistero (Metastasio, Achille in Sciro) tra pred. e subord. 7 (6,3%) tra pred. e sogg. 4 (3,6%) pred.+sogg.+mai 1 (0,9%)

periodo 7 totale occorrenze 14

interposto a un pred. perifrastico 5 (35,7%): - non+verbo flesso+mai+inf. (o part.) 4: Oh! Non avesse mai / viste le rive del Ticin Bertrada! (Manzoni, Adelchi) - inf. (o part.)+non+verbo flesso+mai 1: restarsi egli non seppe mai (Monti, traduzione dell’Iliade) posposto al pred. 7 (50%): non astringerlo mai (Manzoni, Il conte di Carmagnola) tra pred. e complem. 1 (7,1%) tra pred. e sogg. 1 (7,1%)

periodo 8 totale occorrenze 50

interposto a un pred. perifrastico 13 (26%): non l’aveva mai vista (Pascoli, Poemi di Ate) posposto al pred. 24 (48%): che non si estingua mai (Pascoli, A una morta) tra pred. e complem. 10 (20%): l’uno non ode mai dell’altro il pianto (Pascoli, Il poeta degli Iloti) tra pred. e sogg. 1 (2%) pred.+sogg.+mai 2 (4%)

non+predicato+mai PROSA periodo 1 totale occorrenze 57

interposto a un pred. perifrastico 14 (24,6%): non poriano mai discendere (Novellino) posposto al pred. 17 (29,8%): non si poteo discioglier mai (Francesco da Barberino, Reggimenti e costumi di donna) tra pred. e complem. 19 (33,3%): perché sanza amici non s’ha mai vita gioconda (Giamboni, Libro de’ vizî e delle virtudi) tra pred. e subord. 4 (7%) tra pred. e sogg. 3 (5,3%)

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periodo 2 totale occorrenze 247

interposto a un pred. perifrastico 91 (36,8%): non può mai oπenderlo (Caterina da Siena, Lettere) posposto al pred. 67 (27,1%) - di cui 1 posposto al complem. o al nome del predicato: ma il dì di oggi non riavrò mai (Giordano da Pisa, Esempi) tra pred. e complem. 65 (26,3%): non ne sentirete mai parola da lui (Boccaccio, Decameron) tra pred. e subord. 12 (4,9%): a me non parve mai che voi giudice foste (Boccaccio, Decameron) tra pred. e sogg. 11 (4,5%): non starà mai cosa che a grado ti sia (Boccaccio, Decameron) pred.+sogg.+mai 1 (0,4%)

periodo 3 totale occorrenze 172

interposto a un pred. perifrastico 64 (37,2%): non gli possono mai nuocere (Machiavelli, Il principe) posposto al pred. 21 (12,2%): el ben fare non si perde mai (Macinghi Strozzi, Lettere) tra pred. e complem. 60 (34,9%): di non fare mai compagnia con uno più potente (Machiavelli, Il principe) tra pred. e subord. 11 (6,4%): non pensò mai, in su la sua morte, di stare ancora […] (Machiavelli, Il principe) tra pred. e sogg. 15 (8,7%) pred.+sogg.+mai 1 (0,6%)

periodo 4 totale occorrenze 296

interposto a un pred. perifrastico 132 (44,6%): io non lo volsi mai torre (Aretino, Ragionamento) posposto al pred. 41 (13,9%): e’ par che non te cognoscessi mai (Dovizi, La Calandra) tra pred. e complem. 95 (33%): non udii mai cosa con maggior astuzia pensata (Dovizi, La Calandra) tra pred. e subord. 10 (3,4%) tra pred. e sogg. 18 (2%)

periodo 5 totale occorrenze 285

interposto a un pred. perifrastico 130 (45,6%): non fu mai possibile (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino) posposto al pred. 40 (14%): che non avea studiate mai (Bruno, Dialoghi) tra pred. e complem. 97 (34%): non si poteva venir mai a risoluzione che valesse (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino) tra pred. e subord. 9 (3%) tra pred. e sogg. 9 (3%)

mai

127

periodo 6 totale occorrenze 272

interposto a un pred. perifrastico 161 (59,2%): non vi ho mai impedito di farlo (Goldoni, L’uomo di mondo) posposto al pred. 42 (15,4%): che la storia non legge mai (Vico, Principi di scienza nuova) tra pred. e complem. 51 (18,8%): non lascia mai lo spondeo (Vico, Principi di scienza nuova) tra pred. e subord. 12 (4,4%): no credo mai che pensè… (Goldoni, L’uomo di mondo) tra pred. e sogg. 6 (2,2%)

periodo 7 totale occorrenze 251

interposto a un pred. perifrastico 141 (56,2%): non avrebbe mai approvate le teorie dei rivoluzionari (Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799) posposto al pred. 40 (15,9%): non ti ho abbandonata mai (Foscolo, Ortis) tra pred. e complem. 55 (21,9%): non seguirà mai i filosofi (Cuoco, Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799) tra pred. e subord. 10 (4%) tra pred. e sogg. 5 (2%)

periodo 8 totale occorrenze 336

interposto a un pred. perifrastico 161 (47,9%): che non si erano mai viste sugli scogli (Verga, I Malavoglia) posposto al pred. 85 (25,3%): non arriverebbe mai (Verga, I Malavoglia) tra pred. e complem. 72 (21,4%): non ebbi mai un dubbio (Svevo, La coscienza di Zeno) tra pred. e subord. 12 (3,6%): mentre io non so mai a che ora potrò essere alzato (Svevo, La coscienza di Zeno) tra pred. e sogg. 6 (1,8%)

mai non+predicato poesia periodo 1 totale occorrenze 250

(sogg.+) mai non+pred. 199 (80,6%): mai non si stanca (Giacomo da Lentini, Poesie) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 26 (10,5%): mai da me non fia diviso (Dante, Inferno) mai+sogg.(+complem.)+non+pred. 17 (6,9%): mai oldia non fo sì dolcissima (Giacomino da Verona, De Ierusalem celesti) mai (+complem.)+inf.+non+verbo flesso 6 (2,4%): mai raggiar non lascia (Dante, Purgatorio) inf.+mai non+verbo flesso 2 (0,8%): squagliare mai non deve (altri poeti siciliani)

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periodo 2 totale occorrenze 96

(sogg.+) mai non+pred. 68 (70,8%): mai non lassa seguir (Petrarca, Canzoniere) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 13 (13,5%): mai da lei non mi diparta (Petrarca, Canzoniere) mai+(complem.)+sogg.+non+pred. 6 (6,2%): che mai pietà non discolora (Petrarca, Canzoniere) mai+inf. (o part.)+non+verbo flesso 9 (9,4%): che mai fallito non ha promessa (Petrarca, Trionfi)

periodo 3 totale occorrenze 283

(sogg.+) mai non+pred. 252 (89,1%): e pur mai non la prende (Poliziano, Stanze) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 14 (4,9%): che da pendice mai non se divella (Boiardo, Amorum libri) complem.+mai non+pred. 3 (1,1%): ma tradimento mai né inganno o frodo / non troverrai ch’io facessi a gnun modo (Pulci, Morgante) mai+sogg.+(complem.) non+pred. 8 (2,8%): mai sol nascente nol trovò digiuno (Boiardo, Innamoramento di Orlando) mai (+complem.)+inf.+non+verbo flesso 6 (2, 1%)

periodo 4 totale occorrenze 151

(sogg.+) mai non pred. 104 (68,9%): e che mai non si scosse (Ariosto, Orlando Furioso) mai+complem.+non+pred. 20 (13,3%): mai contese non avren né liti (Ariosto, Orlando Furioso) complem.+mai non+pred. 13 (8,6%): al timor mai non diede albergo (Ariosto, Orlando Furioso) mai+sogg.+(complem.) non+pred. 7 (4,6%): come se mai castel non vi sia stato (Ariosto, Orlando furioso) mai (+complem.)+inf.+non+verbo flesso 5 (3,3%): mai veder non posso (Ariosto, Orlando Furioso) inf.+mai non+verbo flesso 2 (1,3%): dir mai non volse (Ariosto, Orlando Furioso)

periodo 5 totale occorrenze 130

(sogg.+) mai non+pred. 90 (69,2%): Ferro mai non vi tocchi (Marino, Adone) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 12 (9,2%): mai sovra il fiume non cada (Achillini, Poesie) complem. (o nome del pred.)+mai non+pred. 8 (6,2%): sazia mai non sarò (Marino, Adone) mai+sogg.+non+pred. 6 (4,6%): mai l’uomo non può arrivar a dire […] (Campanella, Scelta di poesie filosofiche) mai (+complem.)+inf.+non+verbo flesso 4 (3,1%): mai ceder non volse (Marino, Adone)

mai

129

inf. (o part.)+mai non+verbo flesso 10 (7,7%): coglier mai non si possa (Marino, Adone) periodo 6 totale occorrenze 194

(sogg.+) mai non+pred. 127 (65,5%): mai non la vidi in Tebe (Alfieri, Antigone) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 20 (10,3%): mai da questo foro non passo (Alfieri, Virginia) complem. (o nome del pred.)+mai non+pred. 18 (9,3%): pace mai non abbia il cor (Metastasio, Alessandro nell’Indie) mai+sogg.+non+pred. 8 (4,1%): se mai / tu non giungevi, ingrato, a questi lidi (Metastasio, Didone abbandonata) mai (+complem.)+inf.+non+verbo flesso 10 (5,1%): mai versar nol potrò (Metastasio, Demetrio) inf. (o part.)+mai non+verbo flesso 11 (5,7%): giovarti mai non vorrei (Alfieri, Ottavia)

periodo 7 totale occorrenze 36

(sogg.+) mai non+pred. 21 (58,3%): ei che mai non conobbe il fallir (Manzoni, La Passione) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 4 (11,1%): mai delle rie zuffe / di Marte non si sbrana (Monti, traduzione dell’Iliade) complem.+mai non+pred. 2 (5,6%): altro mai non ispera (Leopardi, Canto notturno) mai+sogg.+non+pred. 3 (8,3%): mai mortal non indossò (Monti, traduzione dell’Iliade) mai+inf.+(o part.)+non+verbo flesso 3 (8,3%): che mai creder non puote (Manzoni, Il conte di Carmagnola) inf. (o part.)+mai non+verbo flesso 3 (8,3%): che obbliata mai da noi non fia (Manzoni, Adelchi)

periodo 8 totale occorrenze 36

(sogg.+) mai non+pred. 33 (91,7%): e mai non giunsi il fine (Carducci, Traversando la Maremma toscana) mai+complem.+non+pred. 3 (8,3%)

mai non+predicato prosa periodo 1 totale occorrenze 97

(sogg.+) mai non+pred. 81 (83,6%): sì che mai non ne vide (Marco Polo, Il Milione) mai+complem.+non+pred. 10 (10,3%): che mai per loro volere non sarebboro partiti da quello giardino (Marco Polo, Il Milione) mai (+complem.)+inf.+non+verbo flesso 4 (4,1%): mai posa dare non può (Dante, Convivio)

130

maria silvia rati inf.+mai non+verbo flesso 1 (1%): dicere mai non si possa (Dante, Convivio) mai+sogg.+non+pred. 1 (1%)

periodo 2 totale occorrenze 308

(sogg.+) mai non+pred. 209 (67,9%): e mai non le tentammo (Boccaccio, Filocolo) mai+complem.+non+pred. 59 (19,2%): e mai in nostro cuore non portare odio (Giordano da Pisa, Esempi) mai+sogg.+non+pred. 18 (5,8%): che mai quello odore non si sentì (Giordano da Pisa, Esempi) mai+inf. (o part.)+non+verbo flesso 22 (7,1%): mai vestute non se aveva arme se non allora (Anonimo romano, Cronica)

periodo 3 totale occorrenze 126

(sogg.+) mai non+pred. 115 (91,3%): e quanto e’ lascivi mai non sieno né apresso gli altri con grazia riceuti (Alberti, Libri della famiglia) mai+complem.+non+pred. 3 (2,3%) mai+sogg.+non+pred. 5 (4%) mai+inf. (o part.)+non+verbo flesso 3 (2,3%)

periodo 4 totale occorrenze 28

(sogg.+) mai non+pred. 22 (78,6%): mai non vidi malizia simile (Dovizi, La Calandra) mai+complem.+non+pred. 3 (10,7%): mai il ver non vede (Dovizi, La Calandra) mai+sogg. (+complem.)+non+pred. 1 (3,6%) mai+inf. (o part.)+non+verbo flesso: 2 (7,1%)

periodo 5 totale occorrenze 26

(sogg.+) mai non+pred. 23 (88,5%): no che mai non nascesti, empio bastardo! (Marino, Adone) mai+complem.(+complem.)+non+pred. 3 (11,5%): cosa in me mai forza non ebbe (Marino, Adone)

periodo 6 totale occorrenze 7

(sogg.+) mai non+pred. 7 (100%)

periodo 7 totale occorrenze 1

(sogg.+) mai non+pred. 1 (100%)

mai

131

periodo 8 totale occorrenze 8

(sogg.+) mai non+pred. 4 (50%) mai+sogg. (+complem.)+non+pred. 4 (50%)

6. 3. Conclusioni su mai La storia di mai in italiano è la storia dell’alternanza fra due moduli sintattici: non+predicato+mai e mai non+predicato. Mentre nei primi secoli entrambi sono adoperati sia in poesia sia in prosa, a partire dal Cinquecento il secondo diviene tipico della poesia: nonostante che ancora nel secolo successivo si trovino autori (come Galileo) che continuano a servirsene in prosa, mai non+predicato può essere considerato un tratto caratteristico dell’italiano poetico classico: basti osservare le sue percentuali d’uso in autori come Metastasio, Leopardi e Carducci. Sul versante della prosa, già nel Cinquecento sono molti gli autori che fanno completamente a meno di tale costrutto: è infatti non+predicato+mai ad aπermarsi come opzione non marcata. Manzoni, scegliendo di introdurlo nella Quarantana con assoluta sistematicità, mostra di considerare la sua alternanza con mai non+predicato nei termini di un’opposizione tra lingua viva e lingua letteraria. Fra i moduli usati da Manzoni nel Fermo e Lucia ed eliminati nel lavoro correttorio successivo c’è anche non mai+predicato. Apparentemente, si potrebbe pensare che si tratti di una terza alternativa, intercambiabile coi due moduli sintattici finora considerati (e così viene impiegato, a dire il vero, alle soglie della dissoluzione dell’italiano poetico tradizionale, ossia in autori come Carducci, Pascoli e Gozzano). In realtà, per quasi tutta la storia dell’italiano letterario, non mai, oltre a essere una soluzione ben rara rispetto alle altre due, tende a essere impiegato solo in alcune precise situazioni sintattiche: a) davanti a un participio (o un aggettivo), un infinito o un gerundio; b) nelle contrapposizioni e nelle ellissi (dove oggi si usa mai senza negazione); c) negli usi olofrastici. 1 Di questa prassi – trasversale a prosa e poesia – si allegano esempi tratti dall’intero arco diacronico esaminato:  

[1] non mai di lacrime digiuno (Petrarca, Trionfi) [2] che non se pongono se no in su lo sterco, in su la sozura, in su flori non mai (Giordano da Pisa, Esempi) [3] quando si trovoe che ‘l fuoco non scaldasse? Non mai (Giordano da Pisa, Esempi) 1

  La possibilità che in italiano antico non mai venga impiegato come formula olofrastica è segnalata da Bernini: «non mai costituisce un’unità lessicale dal valore di avverbio negativo, suscettibile di comparire da sola in risposte a domande polari nonché all’interno di frasi. Diversamente da no, non mai non ha le caratteristiche delle profrasi, ma costituisce una risposta ellittica del verbo e dei suoi argomenti alla domanda precedente» (Bernini 2010: 1223).

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maria silvia rati

[4] questa beltà non mai veduta in prima (Boiardo, Amorum libri) [5] le quali cose Idio ce le manda solo per li peccati nostri, e non mai per altro modo (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [6] la qual cosa si fa di rado o non mai (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [7] alla stima spesso adviene essere ingannato: alla scienzia non mai, perché sempre è certa (Palmieri, Vita civile) [8] Pur tale ora alle nozze […] la mi pareva alquanto più che l’usato tinta; ma in casa non mai (Alberti, I libri della famiglia) [9] non mai unitamente deliberando (Guicciardini, Storia d’Italia) [10] in laudare altrui, spesso resta l’omo ingannato; in biasmarlo, non mai (Dovizi, La Calandra) [11] con la promessa di non mai di lui partirsi (Ruzante, L’Anconitana) [12] val virtù raro o non mai (Ariosto, Orlando Furioso) [13] raro o non mai (Stampa, Rime) [14] cose prima non mai vedute in terra (Bembo, Rime) [15] di rado o non mai (Guazzo, La civil conversazione) [16] sia umida sempre e non mai secca (Bruno, Dialoghi) [17] sempre pecchino nel soverchio e non mai nel meno (Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi) [18] non mai alienato dalla fede romana (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino) [19] sempre si generano e non mai sono (Gravina, Della ragion poetica) [20] costante e non mai interrotto (Vico, Principi di scienza nuova) [21] di raro o non mai («Il Caπè») [22] Donca, per obbedir, no mai per mancanza de respetto (Goldoni, L’uomo prudente) [23] non mai sicuro (Metastasio, Ezio) [24] non mai stanchi (Parini, Odi) [25] l’uno assai volte festi, l’altro non mai (Alfieri, Ottavia) [26] Oh ciel! non mai, non fia, no (Alfieri, Virginia) [27] dev’essere la forza del popolo, e non mai quella del governo (Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799) [28] rado o non mai si sacrifica al vero (Foscolo, Ortis) [29] non mai calcate in pria (Manzoni, Adelchi) [30] ‘l non mai domo aπetto (Carducci, Per Val d’Arno)

Com’è ben evidente dai contesti riportati, uno degli usi più frequenti di non mai è quello all’interno dell’espressione fissa di rado o non mai, con le varianti (di) raro o non mai, raramente o non mai ecc. Tale espressione è utilizzata anche da autori che impiegano mai senza negazione. 1 Sporadici, nei primi secoli, gli esempi di non mai davanti a un predicato di modo finito, come il seguente:  

[31] ed è ben cosa che non mai / pot’om meritare assai (Guittone d’Arezzo, Rime)

Tornando alla prassi correttoria di Manzoni, va detto anche che l’eliminazione di non mai e mai non+predicato avviene, in due casi, a vantaggio di mai con 1

  Bisogna arrivare a Pascoli per trovare in poesia di rado o mai (L’imperatore). In prosa l’espressione compare senza negazione già in Machiavelli (cfr. 6. 2. 2.).

mai

133

omissione della negazione (mai NEG). È questa una presa di posizione contro la regola bembiana (ancora d’attualità nelle grammatiche ottocentesche), la quale – proibendo l’omissione di non – andava evidentemente a collidere con l’uso vivo. Come si è visto, prima di Bembo e, in generale, della codificazione grammaticale, l’uso di mai NEG si era espanso fino al punto di diventare una soluzione adottata anche in posizione postverbale (ben al di là, dunque, delle sue modalità di impiego attuali); i Libri della famiglia di Alberti sono un testo chiave per osservare questo fenomeno: qui mai NEG si impone non solo in quanto modulo più utilizzato, ma anche per la sua collocazione in tutte le posizioni della frase. La coesistenza di mai NEG con mai AFF doveva tuttavia apparire, agli occhi della coscienza normativa cinquecentesca, come fonte di possibili ambiguità (nel corso della trattazione sono stati menzionati alcuni contesti – tratti da autori che usano sia mai AFF, sia mai NEG – in cui risulta eπettivamente arduo disambiguare il valore di mai senza ricorrere alla lettura di un’ampia porzione di testo). La norma grammaticale non ebbe, tuttavia, la forza di scardinare dall’uso scritto mai NEG, che era evidentemente radicato nel parlato, come dimostrano alcune espressioni cristallizzate – anche proverbiali – usate talora anche da autori che in altri casi respingono mai NEG. Lo stesso Fogazzaro – che ancora resiste all’uso di mai NEG – nel momento in cui riporta una battuta di dialogo non può fare a meno di inserire l’espressione nominale senza negazione spropositi mai. Nel Novecento tutte le grammatiche autorizzano ormai l’uso di mai NEG in posizione preverbale, senza far più alcun cenno a possibili collisioni con mai AFF. Considerando globalmente le vicende di mai, lo si può ritenere, per così dire, un antecedente illustre degli attuali assolutamente e aπatto; nel suo caso – sia pur dopo secoli – la norma ha ceduto alla pressione dell’uso, legittimando l’omissione della negazione (anche se con restrizioni sintattiche) e tollerando la coesistenza, in un solo avverbio, di un valore AFF e un valore NEG. Dal punto di vista dell’ordine delle parole, si è rilevata una notevole continuità in diacronia, scalfita solo marginalmente dalla presenza di inversioni e figure topologiche: la collocazione di mai oggi più frequente in presenza di un predicato perifrastico (I calciatori non dovrebbero mai dire la verità, Italo Cucci, «Talk Pomeriggio Mondiale», RaiSport, 6 luglio 2014) rappresenta la soluzione non marcata già nei primi secoli dell’italiano (Non poriano mai discendere, Il Novellino).

7. Mica

C

om’è noto, il concetto di ‘quantità esigua, infinitesimale’ a cui rimanda l’etimo di questo avverbio è un tratto semantico comune a diverse particelle completive della negazione (si pensi a punto, ma anche, in vari dialetti, a espressioni raπorzative che significano ‘goccia’, ‘briciola’, ‘filo’ ecc). 1 Rispetto ad altri avverbi NEG, mica si presenta semanticamente peculiare, in quanto «non raπorza la negazione, ma ne precisa l’impiego. Mica non nega un’asserzione, ma una presupposizione di quell’asserzione». 2 Alcune grammatiche contemporanee, come si è visto in precedenza (cfr. 1.3), ne sottolineano la caratterizzazione diamesica. Tale aspetto è rilevato anche dalla lessicografia: GRADIT e ZING adoperano per mica l’etichetta colloq., DELI quella di fam.; TRECC e DO non vi appongono marche d’uso, ma rilevano che si usa spesso nel linguaggio parlato. Può apparire notevole il fatto che, nonostante se ne riconosca questa marcatezza, mica sia l’avverbio di negazione più menzionato sia dai grammatici del passato, sia da quelli contemporanei (cfr. 1. 2 e 1. 3). 3 Vanno, comunque, distinti l’uso con negazione, attestato fin dai secoli più antichi, 4 e quello senza negazione, di cui i dizionari documentano esempi solo a partire dalla fine dell’Ottocento e che appare più marcato in direzione dell’oralità: 5 ci riferiamo alla consuetudine, tipica del linguaggio colloquiale (nonché, in generale, dei casi in cui si voglia attribuire «un certo rilievo enfatico»), 6 di impiegare mica, anziché come particella completiva della negazione (non siamo mica al mercato!), come negazione autonoma – per quanto esclusivamente in posizione preverbale (mica siamo al mercato!) o nelle ellissi e nelle contrapposizioni (sono cose vere, mica favole). 7 In questi contesti sintattici l’omissione di non è non solo possibile, ma tendenzialmente obbligatoria (nel PTLLI si registra un solo caso di non mica+predicato in Palazzeschi, I fratelli Cuccoli); 8 dal punto di vista del rapporto tra ordine delle parole e presenza  















1

  Rohlfs 1966-1969: 967; Serianni 1988: xii 54.   Manzotti-Rigamonti 1991: 284. 3   Per quanto riguarda la situazione attuale, il dato sarà da porre in relazione anche con l’elevata frequenza d’uso dell’avverbio (GRADIT classifica mica come «FO»). 4   Serianni aπerma che mica e punto sono le due particelle raπorzative della negazione «più comuni nella lingua letteraria» (Serianni 1988: xii 54). 5   Il primo esempio citato dal GDLI – dove si restringe tale impiego di mica alle «espressioni dialettali» e all’«uso parlato» – è di Pascarella. 6   Serianni 1988: xii 54. 7   A questo proposito i dizionari contemporanei non forniscono indicazioni precise: TRECC fa riferimento a un uso «anche senza negazione», senza specificarne le restrizioni sintattiche; DO, nel citare alcuni esempi con omissione della negazione, parla genericamente di mica come di «forma di negazione equivalente a ‘non’». 8   Si tratta del seguente contesto: Ma non mica a quella maniera. A quella maniera ci si taglia solamente al Casinò. 2

mica

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della negazione, sembrerebbe dunque di poter notare diverse a√nità tra mica e mai. Tipica del parlato settentrionale è l’omissione della negazione anche quando mica si trova in posizione postverbale (siamo mica al mercato!). Fra le accezioni, alcuni dizionari segnalano quella di ‘per caso’, che l’avverbio assume «in espressioni interrogative o esclamative» (non sarai mica oπeso? hai mica visto le mie scarpe?). 1 In questa accezione mica è usato – anche con omissione della negazione – 2 come semplice formula attenuativa per introdurre una domanda, 3 acquistando un valore simile a quello di non è che (non è che hai visto Mario?); in entrambi i casi si ha un esempio di espressione negativa il cui uso non comporta una negativizzazione del contenuto semantico, ma è semplicemente funzionale a introdurre una domanda in modo meno diretto. 4  







7. 1. Nella prosa letteraria Gli scrittori contemporanei si servono di mica piuttosto frequentemente: nel PTLLI le sue occorrenze sono 763. Si conferma, soprattutto, la forte marcatezza diamesica dell’avverbio, sia in presenza, sia in assenza della negazione. Le attestazioni appartengono infatti quasi sempre a contesti di discorso diretto: [1] Non ho mica pianto, sai (Berto, Il cielo è rosso)

o indiretto libero: [2] Mica avrebbero potuto dire di seminare il frumento su quelle montagne... (Vittorini, Le donne di Messina)

I casi in cui mica è utilizzato all’interno di un discorso orale rappresentano addirittura il 92,6% del totale. Si segnala, in particolare, l’ampio uso che Pasolini fa di mica riproducendo il parlato romanesco in Ragazzi di vita e Una vita violenta. Per esempio: [3] Mica se vole sprecà, sa’ (Ragazzi di vita) [4] Io mica so’ de Ostia! (Ragazzi di vita) [5] perché quelli mica erano dei morti di fame come gli altri compari, su alla borgata (Una vita violenta) [6] Sì, ce sto, ecchime qua, ma mica so’ nata ieri! (Una vita violenta) 1   Gli esempi sono ricavati dal GRADIT. Anche GDLI e ZING segnalano l’accezione, illustrandola solo con esempi in cui è presente la negazione. 2   Nel caso di questo impiego nei contesti interrogativi, come sottolineano Manzotti e Rigamonti, l’assenza della negazione con mica postverbale non è marcata in senso settentrionale, ma rientra nello standard (Manzotti-Rigamonti 1991: 285). 3   Il fatto che l’uso AFF riguardi i contesti interrogativi può essere visto come un’altra a√nità di mica con mai. 4   Manzotti e Rigamonti parlano di «una sfumatura di cortesia», in quanto mica «suggerisce […] che l’interlocutore possa rispondere negativamente, sollevandolo con ciò dall’obbligo di aderire alla sua richiesta» (Manzotti-Rigamonti 1991: 284).

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Si può notare che la costruzione sintattica adottata da Pasolini in questi contesti è mica+predicato (se ne osservano, in totale, ben 58 occorrenze su 61). 1 La distribuzione percentuale degli impieghi sintattici di mica in PTLLI è illustrata dal grafico che segue:  

Fig. 29. PTLLI.

In oltre la metà delle occorrenze (376) è presente la struttura più tradizionale non+pred.+mica: [7] non vorrai mica che entriamo nel giardino? (Pratolini, Un eroe del nostro tempo)

In 15 casi si rileva l’omissione di non in posizione postverbale. Gli autori che adottano questa soluzione sintattica sono 7, per la maggior parte (ma si noti: non tutti) di origine settentrionale: [8] «Morro il Grande, questa è mica male» commentò uno, invisibile, dal fondo (Buzzati, Sessanta racconti) [9] è mica perché ho paura (Cassola, La ragazza di Bube) [10] sembra mica vero (Arpino, L’ombra delle colline) [11] ti prenderanno mica le furie? (Petroni, La morte del fiume) [12] erano mica soldi miei (Levi, La chiave a stella) [13] sarà mica quel sorecillo che si appoggia allo stipite della chiesa? (Mazzucco, Vita)

1   In Ragazzi di vita è attestata anche l’esclamazione mica no: Con quell’occhi storti che c’aveva, lenticchioso e roscio, il Begalone si poteva senza meno considerare lì il più dritto di tutta la cricca: e difatti ci si considerava, mica no, mentre senza nemmeno guardarlo, con aria paziente, acchiappava con la mano per il collo il Piattoletta. Ravaro 1994, s. v. mica, la spiega così: «esclamazione di convinta conferma, di sicura constatazione, che non ammette contraddizioni o smentite», citando esempi di Berneri e Chiappini.

mica

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Si può notare che [11] e [13] sono frasi interrogative. In [8] figura mica male, espressione fissa usata più volte, nel corpus, con funzione aggettivale; 1 sulla tendenza all’omissione della negazione nelle frasi interrogative e in presenza di mica male ci si soπermerà meglio in séguito. È documentato, infine, anche l’uso di mica senza negazione nel significato di ‘per caso’:  

[14] credi mica che siamo alle Coste (Pavese, La bella estate) [15] sei mica matto che torneremmo ad aggiustarci su questa langa […] (Fenoglio, La malora) [16] L’ha mica visto Notorious? (Arbasino, L’anonimo lombardo) [17] Ha mica un po’ di filo e un ago? (Cassola, La ragazza di Bube)

Dal punto di vista dell’ordine delle parole la collocazione non marcata è quella interposta ai predicati perifrastici: 2  

[18] Tu sei piccolo, non puoi mica andare via di casa... (Moravia, Il conformista) [19] «Non lo avrà mica nascosto nella veste?» domandai (Eco, Il nome della rosa)

Rari i casi di posposizione a un predicato perifrastico, come il seguente: [20] non mi avete portato mica qui per ammazzarmi (Calvino, Ultimo viene il corvo).

7. 2. Nella prosa giornalistica

Fig. 30. CS.

Diversamente da quanto si è visto per la prosa letteraria, in quella giornalistica si nota una tendenziale predilezione per mica+predicato, per quanto 1   Cfr., per esempio, spettacolo mica male (Vittorini, Le donne di Messina); giovanotto eπeminato mica male (Arbasino, L’anonimo lombardo). 2   Come nel caso di altri avverbi AFF / NEG, nei vocabolari si aπerma genericamente che mica raπorzativo della negazione è «per lo più posposto al verbo» (GDLI); «spec. posposto al verbo» (ZING).

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sia ben attestato anche non mica+predicato. Tale preferenza si dovrà al fatto che mica+predicato, più marcato in senso colloquiale, si presta meglio, stilisticamente, a produrre uno scarto in direzione dell’enfasi e dell’espressività. Se è vero che nei giornali anche non mica+predicato si trova in contesti di tipo orale (nel CS figura spesso all’interno di discorsi riportati tra virgolette – 77,1% – e di frasi caratterizzate dall’uso della prima o della quarta persona verbale), nei passi contenenti mica+predicato il legame col parlato è spesso più accentuato. Ecco alcuni esempi: [1] mica casca Roma (15 gennaio 2013) [2] certo, lo so anch’io che è di√cile, mica sono cretino... (29 maggio 2013) [3] ma mica ho patteggiato! (1 marzo 2013) [4] I nostri impiegati mica possiamo mandarli a Bologna (23 novembre 2013) [5] La passionaccia mica si può conculcare (3 marzo 2013) [6] ma i soldi mica ce li mette (25 agosto 2013) [7] io questa frase mica l’ho sentita (28 ottobre 2013) [8] mica me li porto nel frassino i soldi (15 giugno 2013) [9] perché mica ce li siamo sposati quelli (21 ottobre 2013) [10] ma intanto a lui mica lo voto (22 febbraio 2013) [11] E mica sto per comunicare un segreto! (14 novembre 2013) [12] e mica possono prendere e uscire così?(16 giugno 2013) [13] Ma mica è finita lì (14 giugno 2013) [14] Ma mica è il solo e nemmeno il più estremista (8 marzo 2013)

Nei contesti riportati si può notare, in particolare, la presenza di dislocazioni, sia a sinistra ([4], [6], [7]), 1 sia a destra ([8], [9]). Nei restanti casi si osservano una ridondanza pronominale ([10]), punti esclamativi ([3], [11]), e e ma usati come segnali di apertura di frase ([11], [12], [13], [14]). Si segnala, inoltre, un esempio in cui mica+predicato è inserito nel contesto della riproduzione del parlato dialettale (viene citata una battuta di Totò), secondo una prassi che si è già osservata nei romanzi di Pasolini:  

[15] «E tu perché non hai reagito?» «Ecché mi frega, mica sò Pasquale io!» (28 aprile 2013)

Il costrutto mica+predicato si conferma, dunque, quello che presenta maggiori legami col registro colloquiale. 2 Di là dalle configurazioni sintattiche di mica, lo stesso ricorso a questo avverbio è da interpretarsi come un esempio della propensione giornalistica all’impiego di moduli brillanti mutuati da tale registro; 3 non a caso, le ricorrenze di mica si intensificano negli articoli di cronaca sportiva, dove, com’è noto, le forme espressive del parlato sono ac 



1

  Una delle dislocazioni più famose della canzone italiana (ma io questa cosa qui mica l’ho mai creduta, Claudio Baglioni, Questo piccolo grande amore, 1972), posta all’interno di una frase fortemente caratterizzata in senso parlato, presenta l’uso di mica+predicato. 2   Va sempre considerata, inoltre, la possibilità che, nel caso di discorsi riportati, vengano riprodotte le parole realmente pronunciate; la prevalenza di mica+predicato potrebbe dunque anche derivare direttamente da una sua maggiore diπusione presso i parlanti. 3   Cfr. Dardano 1986: 232 ss.

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colte con particolare disinvoltura. Un’ulteriore dimostrazione della funzione enfatica che mica assume nello stile giornalistico è data dalla sua frequente utilizzazione nei finali “a eπetto” degli articoli: [16] Alberigo sta per «re degli elfi»: il suo destino era nel nome, mica nel soprannome (16 ottobre 2013) [17] L’importante è non chiedergli soldi, qua non siamo mica a New York (9 ottobre 2013) [18] Non si illudano i milanisti: uno che è sopravvissuto al barrio di Fuerte Apache mica si lascia intenerire dai sentimentalismi (6 ottobre 2013) [19] Sarà mica paura di amare, Zygmunt? (7 settembre 2013) [20] Avrà mica avuto ragione il sindaco di Pantelleria? (24 agosto 2013) [21] Ed è tutto dire perché di pasticci fiscali ne abbiamo avuti mica pochi (21 agosto 2013) [22] Perché questo è il tempo della maglia rosa, mica di Babbo Natale (23 maggio 2013) [23] Mica un passatempo da ragazzini (20 maggio 2013) [24] Il campionato è lungo, ma parecchi punti li ha portati il caro vecchio pallone. Mica male (23 marzo 2013) [25] conferenza stampa in Sala Masaniello. Con quel nome, mica scelta per caso, dall’astuto Pisani (26 febbraio 2013) [26] Obbiettivo: «Una normalità eccellente». Mica poco (1 febbraio 2013) [27] mica che poi si finisce a dover sconfessare quel famigerato titolo... (30 gennaio 2013) [28] decisamente peggiorato da quando ha deciso di fare il solista. Ma non gliel’ha mica ordinato il dottore (6 gennaio 2013) [29] E magari nasce qualche coppia? «Ma no, giusto un flirt ogni tanto. Non siamo mica in un telefilm americano» (3 gennaio 2013)

Quanto all’omissione della negazione con mica postverbale, la si riscontra soprattutto nella riproduzione dei discorsi attribuiti a parlanti settentrionali: [30] Rocco era mica un pirla [parole attribuite all’allenatore di calcio Giovanni Trapattoni, nato a Cusano Milanino in provincia di Milano] (13 ottobre 2013) [31] Mica volevo far l’alleanza con Grillo, son mica matto! [parole attribuite al politico Pierluigi Bersani, nato a Bettola in provincia di Piacenza] (9 luglio 2013) [32] – «Sarà mica ‘na bella cosa quella lì eh...». L’antica saggezza milanese ha il volto bonario del pensionato in bicicletta (9 luglio 2013) [33] «siam mica qui a chiedere la patente nautica a Noè»; «Siam mica qui a incartare le uova con i giornali online» (citazioni da uno show in cui il comico Maurizio Crozza imita Pierluigi Bersani, 27 febbraio 2013) [34] «Oh ragassi, siam mica qui a ciucciar le matite» (citazione da Bersani in Twitter, 16 febbraio 2013) [35] «siam mica qui ad accordare gli spaghetti alla chitarra» (citazione da Crozza che imita Bersani, 13 febbraio 2013) [36] «Oh, ragassi... siam mica qui a spalmare l’Autan alle zanzare». «Oh, ragassi... siam mica qui a togliere le occhiaie ai Panda» (citazioni da Crozza che imita Bersani, 12 febbraio 2013)

In questi articoli – o nelle fonti in esso citate – l’impiego di predicato+mica si inserisce nella rappresentazione della regionalità linguistica settentrionale (anche in funzione parodica); ciò conferma che si tratta di un costrutto comunemente percepito come specificamente legato all’area regionale in questione.

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Gli esempi riportati sopra non sono, tuttavia, gli unici in cui viene omessa la negazione con mica postverbale. Si considerino i contesti che seguono, tutti rappresentati da frasi interrogative: [37] Ci sarà mica la «manina» del sindaco? (17 dicembre 2013) [38] Avrà mica votato per Beppe Grillo? (10 dicembre 2013) [39] Sarai mica juventino? (3 dicembre 2013) [40] Gigi sarai mica a letto? (27 settembre 2013) [41] Sarà mica paura di amare, Zygmunt? (7 settembre 2013) [42] Avrà mica avuto ragione il sindaco di Pantelleria? (24 agosto 2013) [43] Belèn, si sarà mica imborghesita? (24 agosto 2013) [44] Cercherà mica alibi, il nuovo tecnico nerazzurro? (29 luglio 2013) [45] si può mica obbligare a considerare i bambini alla pari degli adulti? (20 maggio 2013) [46] sarà mica colpa dei giornali? (26 febbraio 2013) [47] sarà mica un caso (26 febbraio 2013)

In questi esempi l’omissione della negazione non appare legata a una resa intenzionale del parlato settentrionale: i giornalisti di turno sembrano piuttosto usare predicato+mica senza avvertirne il carattere di regionalità. Nelle frasi interrogative, come si è visto in 7, mica può presentarsi privo di negazione nei casi in cui rappresenta una sorta di formula di cortesia e non nega il contenuto della proposizione; negli esempi riportati sopra, invece, mica equivale a non mica: si tratta, pertanto, di casi in cui l’ellissi della negazione, secondo le regole della grammatica italiana, non dovrebbe essere praticata. Il fatto che nel corpus giornalistico in esame questa regola venga ignorata 11 volte fa supporre che l’omissione di non tenda oggi a estendersi a tutti i casi in cui mica compare in frasi interrogative; anche tra gli esempi di predicato+mica nel PTLLI (che, si era notato, non appartengono tutti a scrittori settentrionali) i contesti con intonazione interrogativa sono più d’uno. Un terzo gruppo di esempi di predicato+mica non rientra né fra i casi di mimesi del parlato settentrionale, né fra i contesti costituiti da frasi interrogative: [48] Peccato, fin lì se l’era cavata mica male (29 settembre 2013) [49] Vero che ai tempi le assicurazioni rendevano mica male (13 novembre 2013) [50] Il progetto è mica da ridere (30 agosto 2013) [51] Ed è tutto dire perché di pasticci fiscali ne abbiamo avuti mica pochi (21 agosto 2013) [52] ma è mica facile cuocere un piatto dove i calamari non devono indurirsi per troppa cottura e il ripieno, invece, deve essere cotto bene (16 febbraio 2013) [53] Devo dire che la squadra era mica male (16 maggio 2013) [54] Per essere una riserva se la cava mica male (6 maggio 2013) [55] che durante la guerra, quando c’era la fame, il prestinaio se l’era cavata mica male (17 aprile 2013) [56] Recitare coperta di diamanti e baciare Leo Di Caprio – aggiunge – è stato mica male… (12 aprile 2013) [57] Se siamo in lotta con Milan e Inter significa che abbiamo fatto mica male [parole attribuite a Vladimir Pektovic´, allenatore della squadra di calcio della Lazio] (25 febbraio 2013)

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I passi riportati sono accomunati dalla presenza di sequenze mica+avverbio o mica+aggettivo, tutte con valore di litote, che tendono ad assumere lo status di espressioni fisse (nel caso di cavarsela mica male – presente in [48], [54] e [55] – la cristallizzazione include anche il verbo): sarà probabilmente la loro percezione come strutture lessicali unitarie a non far ritenere necessario l’uso della negazione. 1 Un’avanzata lessicalizzazione interessa in particolare mica male come locuzione aggettivale, attestato 33 volte nel corpus (specialmente negli articoli di cronaca sportiva). Per esempio:  

[58] un tipino mica male (28 dicembre 2013) [59] una lezione mica male, no? (20 dicembre 2013) [60] unico neo una punizione sprecata da posizione mica male (11 novembre 2013) [61] un gruppo mica male, Lentini, Cravero, Marchegiani, Casagrande, Martin Vazquez (27 novembre 2013) [62] con uno stipendio dimezzato, ma sempre mica male (16 settembre 2013)

Tirando le somme relativamente all’omissione della negazione con mica postverbale, ci sembra di poter concludere che nell’uso scritto contemporaneo questa struttura sia sempre avvertita come regionalmente marcata tranne nel caso delle frasi interrogative (non solo quelle in cui mica equivale a una formula di cortesia) e di alcune locuzioni (in particolare mica male). L’analisi delle occorrenze di mica nel CS porta alla luce, inoltre, l’uso peculiare di un’altra espressione lessicalizzata: mica tanto. Tale espressione, attestata 40 volte nel corpus, solo in due casi compare all’interno di un discorso citato tra virgolette (si consideri che, complessivamente, mica è inserito in contesti di discorso riportato nel 56,8% delle occorrenze). La scarsa propensione di mica tanto a figurare nei discorsi riportati si spiega col fatto che il giornalista tende a servirsene come una formula di dissociazione, ossia per prendere le distanze dalle parole di altri appena riportate. L’uso di mica tanto è, insomma, un espediente formale adottato tipicamente dal giornalista per esprimere il proprio punto di vista. Eccone alcuni esempi: [63] «dovrebbero comprendere l’umore di un uomo che riceve una multa di quasi 40 milioni e viene trattato da criminale». Mica tanto (23 ottobre 2013) [64] L’ultima sfida tra Juventus e Galatasaray il 2 dicembre 2003 si giocò a Dortmund, campo neutro (beh mica tanto: c’erano 40 mila turchi), a causa degli attentati che avevano sconvolto Istanbul (2 ottobre 2013) [65] che fino al 7 settembre allieterà (mica tanto) le notti di Nettuno (30 agosto 2013) 1

  Nel caso di mica male l’impressione è anche che si tratti di una locuzione così diπusa nel parlato settentrionale (ZING, s. v. mica, appone a questa sola espressione la marca sett.; a definirla «locuzione milanese» è già Panzini 1905) da poter sfuggire dalla penna di giornalisti nati o attivi nel Nord Italia. Forse, nell’àmbito della simulazione di parlato che caratterizza i discorsi riportati (quali sono per la maggior parte i contesti in cui si inserisce l’uso di mica), i giornalisti si sentono maggiormente liberi di inserire elementi regionali, propri del loro parlato o di quello degli individui di cui riferiscono i discorsi.

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[66] «Poi c’è sempre qualcuno più forte di te». Negli ultimi 7 anni in Italia mica tanto... (25 giugno 2013) [67] ovvio, direte voi; mica tanto, in una società solipsista come la nostra (22 giugno 2013) [68] «[…] sceglierà secondo le regole della democrazia come Paese indipendente». Tutto bene, quindi, almeno da quel versante? Mica tanto (28 febbraio 2013)

Si può notare che in [64] e [65] l’espressione si trova tra parentesi: è dunque collocata anche graficamente su un piano diverso rispetto a quello dei contenuti riferiti. In quasi tutti gli esempi, inoltre, è utilizzata come struttura nominale: in particolare, in [63] e [68] costituisce una frase autonoma. La possibilità di adoperare mica tanto come ingrediente dello stile nominale avrà senz’altro contribuito alla sua fortuna nel linguaggio giornalistico. Numerose anche le attestazioni di mica facile, che costituiscono gran parte degli esempi di mica+aggettivo. Spesso lo si usa come espressione ellittica del verbo, equivalente a mica è facile (le occorrenze di questo tipo sono 19): 1  

[69] mica facile, anche perché gli italiani non sono più troppo creduloni (28 dicembre 2013) [70] mica facile stabilirlo (14 ottobre 2013) [71] mica facile distinguere (9 ottobre 2013) [72] deve trovare le parole per conversare col vicario di Cristo: mica facile (23 agosto 2013)

Gli esempi [69] e [72] mostrano l’uso di mica facile come frase nominale, analogamente a quanto si è visto per mica tanto; lo stesso tipo di impiego può caratterizzare anche mica male e mica poco, come avviene in alcuni contesti citati in precedenza ([24] e [26]). Rispetto alle frasi nominali contenenti queste espressioni, sono meno frequenti quelle con mica+sostantivo (11 occorrenze). Per esempio: [73] Mica un passatempo da ragazzini (20 maggio 2013) [74] Mica cosa da poco, considerato lo scenario (29 gennaio 2013)

Dal punto di vista dell’ordine delle parole, nel costrutto non+predicato+mica la collocazione più frequente di mica è quella tra predicato e complemento: totale occorrenze 53

non+pred.+mica+complem. 32 non si fa mica la puntura (4 maggio 2013) non+mica interposto al pred. 10 non possiamo mica mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi (20 giugno 2013) non+pred.+mica+sogg. 7 Non c’è mica un TuttoShakespeare in Inghilterra (11 giugno 2013) non+pred.+mica+complet. 4 Mamma non penserai mica che questa è stata una festa? (15 settembre 2013)

Fra i casi in cui il predicato è perifrastico, sporadici sono quelli in cui mica è ad esso posposto. La posposizione al predicato è una delle possibilità che ca1

  Più rari gli esempi in cui è presente il verbo essere: mica era facile mettere una donna coi baritoni (13 ottobre 2013).

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ratterizzano il parlato reale, dove mica può essere collocato liberamente prima o dopo il verbo flesso; 1 sembra, invece, che il parlato simulato nella scrittura giornalistica tenda a selezionare quasi sempre la prima opzione.  

7. 3. Considerazioni diacroniche Periodo 1

Come segnalano GDLI e DELI, 2 mica è già attestato nel Ritmo su Sant’Alessio:  

[1] Sanctu Alessiu sì scultau, / le precepta de lu patre observao: / sacce, mica non morao

Si può notare la presenza della costruzione sintattica mica non+predicato, estranea all’uso moderno. Negli stessi testi antichi, anche allargando l’esplorazione al corpus OVI, se ne rintracciano ben pochi esempi: [2] lo messaio trovao Tarquinio sedere in uno orto fiorito con uno bastone in mano e mica no li respuse, ma lo bastone ferio per li arbori e li fiori ne iectao (Storie de Troia e de Roma) [3] mica no afendo / a voi, venendo / merzé cherendo (Pietro Morovelli) [4] vui con meco demorete e stagate, / et lu meo corpu mica no lassète (Leggenda del transito della Madonna)

Nella maggior parte dei casi la negazione è, come oggi, anteposta a mica. Queste le occorrenze che la LIZ riporta per il Duecento: 3  

[5] Ché poi n’ha, no ‘nd’ha mica, / ver che sperava averne (Guittone d’Arezzo) [6] Impercioe ke mee non pare ke ttue sii mica kortese cavaliere (Tristano Riccardiano) [7] Perché il minore lo maggior non cela, / però la luna non è mica grande / più che la terra che il suo lume vela (Cecco D’Ascoli, L’Acerba) [8] non mica sì per tempo né con tanta strettezza (Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna) [9] ch’i’ ho guardato voi parlando a voi / come alla degnità di re e signore, / non mica come a piacere o bellezza / d’omo terreno […] (Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna) [10] cantate con la mente a Dio rivolta, / non mica a vana gloria giammai (Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna) [11] dura e grassa più che magra / ma non mica impero ché troppo (Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna)

Nei quattro contesti di Francesco da Barberino, non mica modifica un singolo costituente frasale. In [5] e [7], nei quali modifica il predicato, la configurazione sintattica è non+predicato+mica, che, come si è visto, è quella ancor oggi prevalente nella lingua letteraria; in [7] l’a√nità con la situazione attuale si estende anche alla collocazione interposta al predicato perifrastico (non è 1

  Digitando in Internet stringhe come non voglio+verbo+mica se ne trovano numerose attestazioni nei forum online e in altri contesti caratterizzati da un’elevata dialogicità. 2   Nel TLIO non è ancora presente una voce mica. 3   Oltre alle forme con grafia mica, l’interrogazione della LIZ ha interessato anche le varianti miga, micha e micca.

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mica grande). In [6], dove mica modifica il predicato di una frase completiva, la negazione si trova all’interno della reggente. 2 In altri passi di autori duecenteschi mica figura all’interno della locuzione né mica, dove generalmente né non ha funzione di congiunzione correlativa, ma forma insieme a mica un’espressione lessicalizzata il cui valore semantico è sostanzialmente equivalente a quello del solo mica. 3 Ciò è dimostrato anche dal fatto che né mica tende a comparire accompagnato da non: 4  







[12] egli non si spaventòe né mica, ma·ssì come savio uomo disse che mai no volea (Il Milione) [13] quelli che vuole essere amato non dé essere né mica avaro, ma molto largo e fare larghezza a tutti (Andrea Cappellano, De Amore) [14] sappie che non t’ama né mica (Andrea Cappellano, De Amore)

Nel corpus OVI si possono reperire anche alcuni esempi in cui né mica si presenta senza non; ma si tratta perlopiù di casi in cui l’espressione è preceduta da un altro elemento negativo, come in [15], oppure si trova in presenza di ellissi o contrapposizioni, come in [16]: [15] dond’elleno sono meno vergognose e quasi né mica vergognose (Egidio Romano, Del reggimento de’ principi) [16] ed holla liberamente nodrita per maritarla onorevolmente, né mica per metterla ad onta d’avolterio (Filippo da Santa Croce, Deca prima di Tito Livio)

Sia mica, sia né mica possono essere usati nell’accezione di ‘niente, nulla’. Si vedano questi due esempi tratti dal volgarizzamento del Reggimento de’ principi di Egidio Romano: [17] e de’ quali ellino fanno poco o sie mica 5 [18] perciò ch’ellino mettarebbero il loro reame in pericolo per piccola ragione o per né mica  

Il significato prevalente di mica negli esempi visti finora è, ad ogni modo, quello di ‘per niente’, ‘aπatto’, e non sembra ancora possibile assegnargli, come oggi, una semantica peculiare rispetto a quella degli altri avverbi raπorzativi della negazione. Tuttavia, il fatto che in [10], [12] e [13] sia usato per introdurre uno dei due membri di una contrapposizione sembra già preludere all’uso moderno. 1   Si tratta, anche in italiano antico, della situazione non marcata. Nel corpus OVI si sono individuati solo 3 esempi di posposizione a un predicato perifrastico: Poi l’Amor vuol ch’io dica / quanto d’onor m’ha fatto / più ch’io non ho servito, / no ‘l vo’ celare mica (Poponi); Perciò non è besogno andarne mica, / per aventura ch’ella no ti crede (Lanfranchi, Sonetti); L’uomo non dee dire mica, io guadagno per li miei figliuoli (Libro di Sidrach). 2   Anche nel caso degli altri avverbi NEG tale prassi si riscontra a partire dagli esempi più antichi (cfr. 6. 2. 1). 3   Né mica è ancora oggi registrato come arcaismo dai vocabolari: cfr. GDLI, TRECC (che attribuisce all’espressione il significato di ‘neppure per un poco, neanche minimamente’) e DO (che la glossa con ‘nemmeno per sogno’). 4   Fermo restando che l’italiano duecentesco ammette – talora – l’uso di due negazioni in contesti sintattici di questo tipo (cfr. 6. 2. 1). 5   In italiano antico è attestata anche l’espressione né poco né mica: cfr. infra, esempio [46].

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Gli esempi con velare sonora riportati dalla LIZ per il Duecento appartengono tutti ad autori settentrionali: [19] Rason no feva miga / ked eo devess venir a tal albergaria (Bonvesin de la Riva, Libro delle tre scritture) [20] le oltre flor quel tempo non paren miga illora (Bonvesin de la Riva, Libro delle tre scritture) [21] il soe belle man me portano, no miga tute persone (Bonvesin de la Riva, Libro delle tre scritture) [22] ke Deo cum si no à miga (Giacomino da Verona, De Ierusalem celesti) [23] De ço k’el g’è mandà no ge desplase-l miga (Giacomino da Verona, De Babilonia)

Si nota anche in questi casi la prevalenza del costrutto non+predicato+mica e, in [21], l’uso dell’avverbio all’interno di strutture contrapposte. Periodo 2 Per il Tre-Quattrocento la LIZ oπre anche contesti con miga in autori toscani. Nelle opere di Boccaccio le occorrenze di mica (o, appunto, miga) sono piuttosto numerose: [24] ma a quel ch’i’ ebbi dall’aurata spada / per man d’Amor, che m’ha già presso a morto, / non è mica gran torto, / più ch’i’ non fo, doglioso dimostrarmi (Rime) [25] un leocorno fu, non miga vile (Caccia di Diana) [26] tese avean reti, e non miga in pantano (Caccia di Diana) [27] che con dolente animo ascoltava quello che non gli era mica occulto (Filocolo) [28] tosto ci vedrai ne’ cerchi tuoi / della città, non miga come amico (Teseida) [29] E’ nol voleva miga risvegliare (Teseida) [30] né miga dimostravan che lor caglia / di rivedere paese o magione (Teseida) [31] fatto con maestria, non miga in fretta (Amorosa visione) [32] il qual fu chiamato Guglielmo Borsiere, non miga simile a quegli li quali sono oggi (Decameron) [33] in apparenza e in costumi non miga giovane che a usura avesse prestato ma più tosto reale (Decameron) [34] e ancora vi dico di più, che voi non apparaste miga l’abicì in su la mela, come molti sciocconi (Decameron) [35] Tu non te ne avvedesti miga così tosto tu di quel che io valeva, come ha fatto egli (Decameron) [36] E fattesi venire per ciascuno due paia di robe, l’un foderato di drappo e l’altro di vaio, non miga cittadine né da mercadanti ma da signore […] (Decameron) [37] Signor mio, non sogno né mica, né voi anche non sognate, anzi vi dimenate ben sì, che se così si dimenasse questo pero, egli non ce ne rimarrebbe sù niuna (Decameron) [38] quella lascerò stare e una ne dirò, non mica d’uomo di poco aπare ma d’un valoroso re (Decameron) [39] non miga per quello che tu per li tuoi studi potevi sapere, ma a quello che per quelli ti sarebbe stato mostrato (Corbaccio) [40] e non miga come gentile, ma come cristianissimo poetando (Trattatello in laude di Dante)

Queste le attestazioni in altri autori:

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[41] et perché mitigato, nonché spento, / né micha trovo il mio ardente disio (Petrarca, Canzoniere) [42] e non si lascia miga prendere alla pulcella come si dice (Pucci, Libro di varie storie) [43] Quel non fo là miga (Francesco di Vannozzo, Rime) [44] e messer Dolcibene esce – Né mica disse istamane cotestui il paternostro di san Giuliano (Sacchetti, Trecentonovelle) [45] Gnaπe sì ch’io l’ho; ma né mica l’hai tu, tanto becchi volentieri (Sacchetti, Trecentonovelle) [46] e nessun intelletto gli tornò mai, né poco né mica; e così doppo pochi dì miseramente morì (Filippo degli Agazzari, Assempri) [47] però che se ‘l dimonio ti cogliarà né mica in piega, elli ti pericolarà (Filippo degli Agazzari, Assempri) [48] che non ce ne rimanga né mica (Bernardino da Siena, Prediche senesi del 1427) [49] Messer Dolcibene prestissimamente dicea: – Non mica tardi, se voi vorrete (Gherardi, Paradiso degli Alberti) [50] item, d’uno sdentato, suol dire: – Costui non tiene mica l’anima co’ denti! (Poliziano, Detti piacevoli)

Si confermano sia la prevalenza della sequenza non+predicato+mica – con sistematica interposizione di mica nel caso dei predicati perifrastici ([24], [27], [29], [42]) – sia la tendenza all’uso dell’avverbio all’interno di contrapposizioni ([31], [33], [36], [39]); riguardo a quest’ultimo impiego si può osservare che, come oggi, mica può essere collocato indiπerentemente nel primo o nel secondo membro della contrapposizione. Per quanto non siano del tutto assenti esempi poetici e in stile elevato, buona parte delle attestazioni si trova in testi influenzati dal parlato (specialmente le novelle) e in particolare all’interno di battute di dialogo (cfr. [34], [35], [37]). Oltre alla caratterizzazione diamesica, in alcuni dei contesti riportati sono già presenti anche peculiarità semantiche che mica presenta modernamente. In particolare, in [34] e [50], dove mica è usato nel contesto di citazioni da detti popolari (non apparaste miga l’abicì in su la mela; non tiene mica l’anima co’ denti), il valore dell’avverbio è quello di negare una presupposizione e appare del tutto confrontabile con quello moderno. Nell’attestazione petrarchesca ([41]) né mica è usato – come in esempi riportati in precedenza – nel valore di ‘niente aπatto’: né non si comporta da congiunzione, ma costituisce con mica una locuzione avverbiale che modifica i precedenti aggettivi mitigato e spento. A proposito di questo passo del Canzoniere, va segnalato che esso è citato s. v. mica in svariati dizionari dal Seicento a oggi (dalla terza impressione del Vocabolario della Crusca al TRECC online). È possibile che la popolarità lessicografica conosciuta per secoli da questa attestazione (che pure rappresenta un hapax all’interno del Canzoniere) abbia contribuito a legittimare nella lingua letteraria l’uso di mica – sostenuto anche dagli esempi boccacciani –, e abbia avuto un ruolo non indiπerente nel determinare le numerose menzioni di mica nelle grammatiche; l’autorità dell’esempio petrarchesco potrebbe essere insomma sta-

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ta decisiva nel far passare in secondo piano i legami di mica col registro colloquiale. Periodo 3 Nelle Prose della volgar lingua l’uso di mica è esemplificato – con un exemplum fictum – in questo modo: «Elli non hanno mica buona speranza». 1 In un passo degli Asolani Bembo ricorre invece al costrutto raro mica non+predicato:  

[51] ma che bellezza sia la loro, se tu non gli mirassi altresì, mica non potresti tu conoscere, più di quello che potesse conoscere un cieco la bellezza d’una dipinta imagine, che davanti recata gli fosse

In poesia adopera due volte né mica: [52] Porto, se ‘l valor vostro arme e perigli / guerreggiando piegâr né mica unquanco (Rime) [53] o voce udir, che ‘l cor dolente appaghi / né mica in questo lamentoso albergo (Rime)

La stessa forma figura anche nelle Rime di Della Casa: [54] Ma come sia del mio corpo ombra o parte, / da me né mica un varco s’allontana

Nel periodo considerato la maggior parte delle occorrenze di mica (12) si trova nelle novelle di Bandello. Per esempio: [55] – Castrare? – rispose Antonello. – Cotesto non farete mica. Come, diavolo! castrare? O cacasangue! [56] Nondimeno non era mica tanto disfatto, che a le native fattezze il soldano non le riconoscesse

In [55] si può notare, oltre alla spiccata espressività del contesto, la collocazione di mica in fine di frase, già notata per altri avverbi AFF / NEG nel caso di battute di dialogo che ricalcano da vicino l’andamento del parlato. Periodo 4 Un autore che si serve spesso di mica – prevalentemente nel costrutto non+predicato+mica – è Tasso: [57] tra’ rami si vedean, non mica acerbi / quasi a pena cominci, anzi maturi (Le sette giornate del mondo creato) [58] Non ci vedi mica: salta da valent’uomo (Intrichi d’amore)

Gli Intrichi d’amore documentano anche il raro uso olofrastico dell’avverbio: [59] Cornelia. È bello? Magagna. Questo non ha. Cornelia. È dotto? Magagna. Mica. Cornelia. È valoroso? Magagna. Questo li manca [60] Ersilia. Per pietà, almeno. Magagna. Mica. Ersilia. Oh, come sei crudele! 1   Nelle Prose, inoltre, Bembo usa non mica due volte in correlazione con ma: non mica da’ romani uomini, ma da quelli della corte che in Roma fanno dimora; non mica secondo il parlare, che era in uso e in bocca del volgo della loro età, scriveano, ma secondo che parea loro che bene lor mettesse a poter piacere più lungamente.

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Tale uso nelle risposte – con valore di ‘per niente, niente aπatto’ – non è registrato dai dizionari. Tra gli esempi di mica nel periodo considerato se ne segnala uno in cui l’avverbio si trova in combinazione con mai: [61] Non ho mica fatto mai perfezione di basciatore (Castelletti, Stravaganze d’amore)

In questo caso solo uno dei due avverbi NEG (mica) viene interposto al predicato, mentre l’altro (mai) è collocato tra il predicato e il complemento. Un altro passo delle Stravaganze d’amore può essere citato per la sua spiccata caratterizzazione parlata, resa evidente dalla presenza del segnale discorsivo ve’: [62] non son mica sordo, ve’ (Castelletti, Stravaganze d’amore)

L’esempio si presenta peraltro a√ne a espressioni frequenti modernamente come non sono mica scemo, non sono mica matto ecc. 1 Il legame di mica col parlato è evidente anche dalle altre attestazioni della stessa epoca, non a caso quasi tutte in testi teatrali. Per esempio:  

[63] Non ve lo credete mica ch’egli sia mutolo, perché andava pur gridando (Costo, Il fuggilozio) [64] Questo bestione non è mica venuto qua per spasso, vedete, ma sì bene per far il fatto suo (Latrobio, Il brancaleone)

Mica può ricorrere anche all’interno di un discorso indiretto: [65] E ’l buon monaco rispose ch’egli non s’era mica privo di tante ricchezze e venuto a farsi religioso per ingannar Domeneddio e ‘l prossimo (Costo, Il fuggilozio)

Da segnalare, in [64] e [65], la presenza della struttura non+predicato+mica (coniugato al passato o al trapassato prossimo)+per, con cui si dichiara enfaticamente di non aver fatto qualcosa per un certo fine, ma per un altro: tale struttura trova un perfetto riscontro nell’uso moderno. 2 Un’altra formula che ricorre anche nel parlato di oggi è non so mica se+predicato:  

[66] non so mica se mi darà l’animo di sostener rivali […] (Brignole Sale, Maria Maddalena)

1   L’elevata diπusione di espressioni come queste nel parlato di oggi trova riscontro anche nella lingua dei giornali: in CS non sono rari i contesti in cui mica si trova in combinazione con aggettivi come cretino, scemo ecc. (mica sono cretino, 20 maggio 2013; mica scema la nonnina Bernadette Lafont, 20 agosto 2013). Varianti meno ovvie di questi concetti si trovano nella prosa narrativa: non son mica un saltamartino come voi (Fogazzaro, Malombra); E lui non è mica una mosca senza capo (Imbriani, Dio ne scampi dagli Orsenigo); non sono mica così cordone da mandare ad un altro cacciatore le quaglie (Faldella, Le figurine). 2   Nel dizionario italiano-inglese online Wordreference.com, alla voce mica è riportata una lista di «discussioni nei forum nel cui titolo è presente la parola mica», dove si legge, per esempio: Non ho mica viaggiato attraverso l’Europa per niente.

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Complessivamente, a questa altezza cronologica si nota ancora una coesistenza, nei testi scritti, fra l’uso di mica come negazione di una presupposizione – che si può dire identico a quello attuale ed evidentemente (come si vede già dal proverbio citato nel Decameron) è esistito con continuità nella lingua parlata – e il suo impiego come semplice raπorzativo di una negazione, con un significato analogo a quello di altri avverbi NEG. Il primo valore è ormai predominante; nell’altra accezione mica è utilizzato in opere che non risentono del parlato e quasi soltanto in presenza di contrapposizioni. Così, per esempio, nelle Dicerie sacre di Marino: [67] non mica Olimpici né Pitici, ma Italici [68] Il moto degli elementi non è mica eterno, ma terminato

Quanto a né mica, si conferma che il suo uso, già osservato in Petrarca, Bembo e Della Casa, è divenuto specifico della lingua poetica, dove evidentemente l’attestazione petrarchesca mantiene ancora la sua e√cacia modellizzante: [69] Né mica per timor di spiedo o d’arco (Marino, Adone).

Periodo 5 Mica continua a essere attestato nei testi teatrali, anche se più debolmente: sono soltanto 7 gli esempi in Goldoni, e non è mai presente l’uso olofrastico. Più numerose le occorrenze nella «Frusta letteraria»: oltre al consueto impiego in correlazione con frasi avversative, può essere interessante notare, in [70] e [72], la presenza di non mica che+predicato (formula introduttiva che in italiano contemporaneo è attestata, come si è visto, senza la negazione) e di una tipologia di frase scissa – non è mica+(preposizione)+dimostrativo+che – usata anche oggi: 1  

[70] Non mica che a me dispiaccia il dialetto di Bologna [71] Non è mica per questi difetti che il Trissino e il Tasso sono inferiori all’Ariosto [72] non mica ch’io vada errato insieme col marchese nel credere […]

Si segnalano, infine, 11 attestazioni di mica negli Animali parlanti di Casti, sulle cui particolarità topologiche ci si soπermerà in 7. 3. 1. Periodo 6 Alcune attestazioni di mica si trovano in Monti, Porta, Berchet. Per quanto riguarda il primo Ottocento il dato più rilevante è la sistematica eliminazione di mica nell’edizione definitiva dei Promessi sposi (le occorrenze dell’avverbio erano quadruplicate nel passaggio dal Fermo e Lucia alla Ventisettana): mica «è eliminato per il suo sapore lombardo, nonostante Giovanna Feroci Luti avesse aπermato (relativamente a un passo del cap. xiv) che “mica 1   Come riscontro basterà citare la frase non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore nella canzone La leva calcistica della classe ’68 di Francesco De Gregori (1982).

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s’usa tuttora e dal popolo specialmente”». 1 L’unica attestazione di mica in Manzoni è, nella Storia della colonna infame, un minga con accanto la traduzione:  

[73] Rispose più apertamente, e come prendendo coraggio: «quell’unguento che ho detto, non ne ho fatto minga (mica)»

Per quanto concerne le sostituzioni di mica nei Promessi sposi del 1840, in quattro casi sono inserite altre particelle raπorzative della negazione: punto (di cui nel romanzo si contano altre 6 occorrenze nella stessa funzione) 2 due volte, già e davvero; c’è poi un caso di non mica che sostituito da non è che. In tutti gli altri contesti si assiste alla semplice cancellazione di mica. Si riporta, qui sotto, la lista completa di questi interventi (si può notare che i contesti sono sempre rappresentati da discorsi diretti o indiretti):  

1. Con chiacchiere, com’ella diceva, non mica belle → con chiacchiere, com’ella diceva, non punto belle (cap. iii) 2. non gli dirò mica, vedete, ch’io sappia da voi […] → non gli dirò, vedete, ch’io sappia da voi […] (cap. iii) 3. voleva dire… non intendo mica…→ volevo dire… non intendo dire… (cap. v) 4. Non son mica pesci che si piglino ogni giorno → non sono pesci che si piglino tutti i giorni (cap. vii) 5. Non mica che ella sia la badessa né la priora → non è che sia la badessa o la priora (cap. ix) 6. Il podestà non è mica un ragazzo né un matto → Il podestà non è un ragazzo né un matto (cap. xi) 7. e non mica gride senza costrutto → e non già gride senza costrutto (cap. xiv) 8. Non dico mica che debba andare attorno egli in carrozza → Non dico che deva andar lui in giro, in carrozza (cap. xiv) 9. Non son mica un signorino avvezzo nella bambagia, io → non sono un signorino avvezzo a star nel cotone (cap. xiv) 3 10. Non è mica ch’io l’abbia, come si suol dire, sgra√gnato → Non è ch’io l’abbia, come si suol dire, sgra√gnato (cap. xiv) 11. Non si fuggiva mica ve’ allora → non si sarebbe fuggiti, ve’, allora (cap. xiv) 4 12. non l’ho mica fatto per seccarvi → non l’ho fatto per seccarvi (cap. xv) 13. Non mica per loro, ma per fare un piacere a me → non per loro, ma per fare un piacere a me (cap. xv) 14. Oh! non son mica una bambina → Oh, non sono una bambina (cap. xv) 15. ma non siete mica voialtri soli a veder le cose a vostro modo → ma non siete voialtri soli a veder le cose a modo vostro (cap. xv)  



1

  Colombo 2011: 154.   A cui va aggiunta un’occorrenza dell’espressione né punto né poco (cap. xxviii). Vitale 1992 annovera gli inserimenti di punto fra i casi di «introduzione del fiorentinismo» (2831). 3   In questo caso all’eliminazione di mica è associata quella di un altro tratto del parlato, il pronome soggetto io collocato enfaticamente in fine di frase. 4   Anche questa volta l’emarginazione di mica è concomitante con quella di un contrassegno sintattico del parlato, l’imperfetto irreale. 2

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16. non si può mica cantare e portar la croce → non si può cantare e portar la croce (cap. xvi) 1 17. Non è mica un bel nome → Non è un bel nome (cap. xvii) 18. Il padre Cristoforo? Non c’è mica → Il padre Cristoforo? Non c’è (cap. xviii) 19. Non mica così in mano, diavolo! → Non così in mano, diavolo! (cap. xx) 20. Perché la disgrazia non è mica patire, ed esser poveri → Perché la disgrazia non è il patire, e l’esser poveri (cap. xxiv) 21. E non son mica belle parole → e non son belle parole (cap. xxiv) 22. non mica come tanti altri → non come tant’altri (cap. xxiv) 23. ché, a voler dir proprio in paese, un uomo di proposito non c’è mica → ché, a voler dir proprio in paese, un uomo di proposito non c’è (cap. xxvi) 24. non fu mica un vanto, una sparata, come si dice → non fu un vanto, una sparata, come si dice (cap. xxvii) 25. ché non siamo mica in viaggio per divertimento → ché non siamo in viaggio per divertimento (cap. xxix) 26. non son mica qui come quei nostri martori → qui non sono come que’ nostri spauriti (cap. xxx) 27. lo stato di Milano non è mica un boccone da ingoiarsi così facilmente → lo stato di Milano non è un boccone da ingoiarsi così facilmente (cap. xxxiii) 28. ma dove sia, non lo so mica → ma dove sia, non lo so davvero (cap. xxxiv) 29. Non le domando mica niente del suo → non le chiedo niente del suo (cap. xxxiv) 30. ma cattive azioni non ne ho fatte mica → ma cattive azioni non n’ho fatte punto (cap. xxxv) 31. ma non è mica giusto → ma non è giusto (cap. xxxvi) 32. egli è perché non sa mica… → è perché lui non sa… (cap. xxxvi) 33. non va mica a pensar cose di questa sorta → non va a pensar cose di questa sorte (cap. xxxvi) 34. Non rifiuto mica → Non dico di no (cap. xxxvii) 35. Ma il lazzeretto e la campagna, la morte e le nozze non son mica tutt’uno → Ma il lazzeretto e la campagna, la morte e le nozze, non son tutt’uno (cap. xxxviii) 36. non è mica quel latino lì che mi fa paura → non è quel latino lì che mi fa paura (cap. xxxviii)  

Mica è eliminato anche quando marca una correlazione tra due frasi avversative (13). La soluzione scelta quasi sempre da Manzoni (ossia la cancellazione, piuttosto che la sostituzione) si spiega, a nostro avviso, alla luce delle particolarità semantiche – di cui si è già detto – che distinguono mica dagli altri avverbi NEG. Non sarebbe stata possibile, per esempio, la sostituzione sistematica di mica con punto, che non ha lo stesso significato e dunque non si presta a essere usato negli stessi contesti (a meno che mica non assuma l’accezione di ‘per niente’ che si è osservata più volte nelle scritture meno legate al parlato). Negli unici due casi in cui Manzoni sostituisce mica con punto (1 e 30) il contenuto semantico subisce, infatti, una lieve modificazione, anche se priva di ripercussioni sul senso complessivo della frase. L’assenza di mica 1

  Qui viene resa in italiano l’espressione idiomatica milanese Se pò minga cantà e portà la cros.

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dai Promessi sposi non ha impedito, in séguito, che l’avverbio conoscesse una fortuna ben maggiore rispetto a quella di punto: si tratta dunque di uno dei casi in cui l’italiano non ha seguito la direzione manzoniana. Che nell’Ottocento mica non fosse diπuso soltanto nel parlato settentrionale è evidente dalle sue 37 attestazioni nei Sonetti di Belli. 1 Fra di esse troviamo già diversi esempi di quell’uso preverbale senza negazione che il GDLI documenta con un esempio di Pascarella e che Pasolini, come s’è visto, introduce copiosamente nei suoi romanzi. Ecco alcuni esempi di Belli:  

[74] Mica sò dde pasta [75] mica sò mmonnezza [76] Mica se frabbicò tutt’in botto [77] Mica è ggrano che casca! [78] Mica lavorerìa de scitazzione / pe appiccicamme addosso er visscigante [79] Mica er fregà ssò √aschi che ss’abbotteno [80] Mica sò bboni l’ossi sani soli [81] mica sò ttonta… [82] Mica c’abbi da dà la robba auπa

Soltanto tre gli esempi in cui compare la sequenza più canonica non+ predicato+mica: [83] Nun ve la venno mica pe ssicura [84] Oh, nnun è ccaro mica [85] nun è vvero mica

Talora è adoperata la formula mica che+predicato: [86] Mica cche siino st’ommini ammalati [87] Mica che a ppijjà ppasqua abbi er crapiccio

Interessante un caso di mica che modifica il verbo di una completiva (se ne era visto un esempio solo nel Tristano riccardiano): [88] Ma nun te crede che cascassi mica / sur una ssedia nova, cammerata: / de cazzi!

L’impiego di mica è frequente in Leopardi, ma esclusivamente nei testi di tipo argomentativo (41 le occorrenze nel solo Zibaldone) e nelle Lettere. Come mostrava già il ricorso a mica nella «Frusta letteraria» e, anche se sporadicamente, nel «Caπè» e nel «Conciliatore», la possibilità di usare l’avverbio come nesso correlativo tra due frasi contrapposte lo rende particolarmente adatto all’impiego nella scrittura argomentativa. Ecco alcune attestazioni leopardiane: [89] contuttoch’il volgo, non mica ieri né ierlaltro, ma da lunghissimo tempo abbia finito (Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica) 1

  Numerosi sono i moduli negativi attestati in Belli, che, «per dare rilievo alla negazione, tende a ricorrere spesso a elementi dotati di notevole forza connotativa» (Trifone 2012: 50).

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[90] che diletta ineπabilmente non mica i bisavoli, ma loro stessi (Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica) [91] Non veniva mica a patti, ma resisteva con tutte le sue forze (Zibaldone) [92] Diπerenza di disposizioni, non mica di facoltà (Zibaldone)

Come si vede, anche in condizioni sintattiche che oggi determinano l’omissione della negazione mica è ancora sistematicamente accompagnato da non. Talora le contrapposizioni di concetti introdotte da mica occupano porzioni di testo più estese, che vanno oltre la misura di un singolo arco periodale: [93] Ma la cagione non è mica l’amor della patria, come stima Luciano, e come pare a prima vista. E infatti stando nella tua stessa patria, tu provi lo stesso eπetto riguardo alla tua famiglia, e a’ tuoi più intimi conoscenti. La ragione è che noi desideriamo che i nostri onori o pregi siano massimamente noti a coloro che ci conoscono più interamente (Zibaldone)

Altri esempi dallo Zibaldone possono servire a documentare che – ancora all’altezza di Leopardi – non mica può essere usato come sinonimo di non aπatto, e dunque, in continuità con l’uso scritto più antico, risulta tendenzialmente depurato della connotazione espressiva che ha nel parlato: [94] Ovvero, che è più verisimile, raccorre, poniamo caso, tanti sassi quante sono le pecore: il che fatto, non potrebbe mica ragguagliarle esattamente coi sassi mediante veruna idea di quantità [95] Una lingua perfetta che sia pienamente libera ec. colle altre qualità dette di sopra, contiene in se stessa, per dir così, tutte le lingue virtualmente, ma non mica può mai contenerne neppur una sostanzialmente

In [95] l’inusuale anteposizione di mica al predicato perifrastico è dovuta alla compresenza con mai. Diversamente da quanto si osserva nelle scritture argomentative, nelle Lettere di Leopardi la presenza di mica potrebbe essere legata alle concessioni allo stile colloquiale: [96] Di Giordani appunto mi dite alcune cose, ma non mi dite mica se gli avete scritto ch’io gli ho scritto, come vi scrissi. Fuor di burla, fatemi questo piacere di dirglielo (a P. Brighenti)

Passando a Nievo e alle opere narrative, si nota che l’impiego di mica è già simile a quello che caratterizza oggi questo tipo di testi. Nelle 14 occorrenze rilevate nelle opere di Nievo l’avverbio è infatti utilizzato esclusivamente nelle parti mimetiche. Per esempio: [97] Sei matto?... Non son mica nata ieri… (Confessioni di un italiano) [98] Dio, ci vuol altro!... Veronica, non uscir mica di camera sai! (Confessioni di un italiano) [99] E non vi conto mica frottole, sapete! (Novelliere campagnolo).

Periodo 7 Mica è ben attestato nelle opere di Verga. Anche qui l’avverbio figura sempre all’interno di battute di dialogo – tranne in un caso ([100]), nel quale la formula non mica è usata per introdurre una contrapposizione. Ecco alcuni esempi:

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[100] Non mica ucciso, ma ferito; sicché non poté compire il tradimento (I carbonari della montagna) [101] Ma che vuoi farci? Non son mica una signora! (Per le vie) [102] Ma sentite! alla fin fine tutto ciò sarebbe mica gentile per me... se fossi innamorato di voi (Tigre reale) [103] Non mi fai mica soggezione, sai, coi tuoi galloni! (Tigre reale) [104] Io non posso mica chiuderle l’uscio sul muso (I Malavoglia) [105] Io non ho mica sonno io! (I Malavoglia) [106] Io son nato da maestri di bottega, mia cara. Non son mica un villano! (Novelle rusticane) [107] La mandavo quand’era uscito! Non posso mica farmi in quattro! (In portineria) [108] Vedi, la tua figliuola che non sta mica bene! (In portineria) [109] Mi lasci stare vicino a lei piuttosto, ché non la mangio mica! (Vagabondaggio) [110] Bene, qui ci vuole un consulto. Non avete mica una spina di fico d’India nel ventre! (Mastro don Gesualdo) [111] Non è mica una sciocca la signora Maio!... (I ricordi del Capitano d’Arce) [112] Non abbiamo mica il buon vino che bevete voi altri proprietari del paese... (Don Candeloro & C.) [113] Eh, non sposa mica lui! (Dal tuo al mio)

L’attenzione va posta in particolare su [102], che rappresenta il primo esempio – fra i contesti della LIZ – di omissione della negazione con mica postverbale, secondo la consuetudine settentrionale. Si tratta, tuttavia, di un caso isolato all’interno del corpus verghiano: in tutti gli altri esempi la costruzione usata è non+predicato+mica. Può essere interessante riscontrare la presenza di un’attestazione di mica nel manzoniano Collodi: [114] Non capita mica tutti i giorni un pesce burattino in questi mari (Le avventure di Pinocchio)

L’avverbio si trova qui all’interno di un’espressione lessicalizzata (non capita mica tutti i giorni) ancor oggi viva nell’italiano comune. 1 Cinque sono le attestazioni di punto; ma mica e punto, come si è detto, non sono tra loro intercambiabili e ha dunque un senso relativo confrontarne le rispettive ricorrenze. Nelle opere di Fogazzaro incluse nella LIZ si trovano ben 98 esempi di mica. Si dà ormai per scontato che nelle opere narrative (romanzo, novella) l’avverbio figuri nelle parti dialogiche; più interessante è notare che mica è utilizzato spesso alla maniera settentrionale, perlopiù a scopo di mimesi del parlato regionale. 2 L’omissione della negazione è praticata soprattutto in Malombra: 3  





1

  Per questa espressione il motore di ricerca Google oπre circa 66.000 risultati (consultazione del 30 settembre 2014). 2   L’uso di mica come settentrionalismo in Piccolo mondo antico è menzionato da Colombo 2011: 185. 3   Oltre ai contesti riportati sotto, va menzionata un’interrogativa in cui l’omissione della negazione non è marcata, in quanto mica è usato nell’accezione di ‘forse’: Ho mica da saperlo?

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[115] occhi neri, capelli neri, nera mica male anche la faccia [116] «Abbia mica paura, vede» diss’egli [117] È mica Malombra, è Crusnelli [118] ch’egli tenne qui dentro, come in prigione, la signora contessa, mica la mamma del padrone [119] Quest’aria Le va benissimo per tre o quattro mesetti l’anno, mica di più [120] È un gran vino; ma sarà mica traditore? [121] Del paese e mica del paese. Non mi ricordo [122] Ouf, mica vero [123] Ehi, guarda un po’, è mica da merlo quella risposta lì [124] Signora no, ne abbiam mica trovato di Momoli [125] E poi, ieri sera, io dormiva pacifico come un “tre lire”, mica ubbriaco, vede! [126] è proprio mica il mio sito. Ih! [127] L’hanno mica incontrato? [128] sono mica cose da far Lei queste [129] Ne so così delle cose io. È mica vero forse?

In [115] troviamo la locuzione mica male con funzione aggettivale, come nella scrittura giornalistica di oggi (cfr. 7. 2); [120], [127] e [129] contengono frasi interrogative con omissione di non: anche su questa tendenza ci si è soπermati commentando gli esempi del CS. Notevole è [118], che rappresenta il primo caso del corpus in cui la negazione viene omessa in presenza di strutture contrapposte. In [121] l’uso di mica nel significato di ‘non’ presenta un legame ancor più stretto con le abitudini dialettali; riprodurrà il parlato settentrionale anche la compresenza di mica e proprio – presente in vari luoghi del romanzo – 1 in [126]. Più numerosi sono, comunque, i casi in cui in Malombra Fogazzaro opta per il costrutto canonico non+predicato+mica (non mi abbandonerebbe mica, non è vero?). Le due soluzioni sintattiche vengono alternate anche all’interno di una stessa battuta di dialogo:  

[130] Non sono mica poi tanto povera. La vede. Son mica signora, magari, ma il mio vecchio guadagna ancora qualche cosa

Nelle opere successive di Fogazzaro si osserva un decremento delle occorrenze con omissione della negazione. 2 Il non si trova anche in frase interrogativa: 3  



[131] «Non è mica tornato?» chiese ancora il conte (Daniele Cortis) [132] Lo dico per lui e anche per lei. Non sarà mica una cosa sfumata? (Piccolo mondo antico) 1

  Per esempio: io non lo voglio. Non lo voglio, cara Lei. Non lo voglio proprio mica (Malombra); ma un altro Bergamo non c’è proprio mica, sa! (Daniele Cortis). 2   Sono comunque presenti battute che rispecchiano fedelmente il parlato settentrionale, come questa: Ma, so mica, ci sono per aria delle altre cose. 3   Tranne in un caso particolare, nel quale mica è eπettivamente privo di valore negativo: «Cara Lei» diss’egli finalmente, «ne ha altre? Sa mica che sono appena appena le sei e mezzo?» (Daniele Cortis).

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Due esempi di omissione di non appaiono, in Piccolo mondo antico, all’interno di dialoghi in cui sono presenti anche frasi in dialetto: [133] «Peso mica tanto,» disse il curato, ridendo. «Tâs giò, ti,» soggiunse rivolto al Pin, che aveva sussurrato irriverentemente: «Ona bella tenca» [134] c’è mica bisogno di farne cantare cinque o sei per amor del candirott e del vin bianch

Si noti la presenza dell’espressione mica tanto (su cui cfr. 7.2). Un’ultimo aspetto da segnalare relativamente all’uso di mica in Fogazzaro riguarda un’omissione di non nella sequenza mica+complemento (nei precedenti esempi documentati dalla LIZ la negazione è sempre espressa): 1  

[135] Mica per giuoco, ma insomma…! (Piccolo mondo antico)

Fra le attestazioni di mica nel milanese De Marchi, tutte con negazione espressa, si registra una sola eccezione: [136] Fa qualche volta anche dei sonetti che il padre Barca trova mica male (Arabella)

Si tratta di un altro caso – dopo quello osservato in Fogazzaro – in cui fa la sua comparsa nella prosa narrativa l’impiego tipicamente settentrionale dell’espressione mica male (cfr. 7.2). In Cuore di De Amicis – al cui «manzonismo dei contenuti e dell’andamento stilistico non corrisponde un pieno allineamento linguistico» – 2 le occorrenze di mica sono ben 17. Sia in De Amicis, sia in Imbriani compaiono esempi di non mica+complemento:  

[137] ma non mica per ischerno, tutt’altro (De Amicis, Cuore) [138] benché sapesse della nostra partenza e non mica per un viaggetto di svago! (Imbriani, Merope IV) [139] i morti sono apatisti e non mica per baja come Agostino Coltellini e quei suoi Accademici (Imbriani, Merope IV)

L’unica attestazione rintracciata in Chelli presenta mica preverbale, alla maniera di Belli e Pasolini: [140] Si facevano dei calcoli a memoria: mica Mario ci si era messo per scherzo! (L’eredità Ferramonti)

Complessivamente, nel secondo Ottocento si assiste a un netto incremento quantitativo dell’uso di mica nella prosa italiana. L’avverbio si aπaccia anche in poesia: [141] Buona, la sorte! Buona! Ché concesso / non gli era mica di salire al cielo! (Pascoli, Poemi conviviali)

1

  Per esempio: non mica per virtù, né per giustizia (Casti, Gli animali parlanti).   Serianni 1989: 211.

2

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In due dei quattro esempi del Fanciullino si segnala l’ellissi di non nelle contrapposizioni (finora osservata solo in Fogazzaro), oltre che nell’espressione mica tanto: [142] diceva «un pochino, mica tanto», «vivere, mica morire!»

Mentre Tozzi e Svevo, in contesti sintattici analoghi nonché davanti a un complemento, optano ancora per non mica: [143] Siamo uomini, non mica ragazzi! (Tozzi, Giovani) [144] Quando pare a lui! Ma non mica con me! (Tozzi, Tre croci) [145] Non mica per ipocrisia, ma per la più sincera convinzione (Svevo, La coscienza di Zeno) [146] e significava non mica solo l’irrisione alla mia ultima proposta (Svevo, La coscienza di Zeno)

Una postilla finale sulla frequente associazione, in Svevo, di mica con l’aggettivo facile, secondo la prassi ampiamente rilevata nell’italiano dei giornali contemporanei (cfr. 7. 2): [147] Non è mica facile di balbettare come se ci si trovasse […] (La coscienza di Zeno) [148] ma non era mica facile di adattarsi di rinunziare al caπelatte da cui distavo non più di mezzo chilometro (La coscienza di Zeno).

7. 3. 1. Ordine delle parole Si cercherà ora di sintetizzare le peculiarità topogiche che caratterizzano, dal Duecento al primo Novecento, il costrutto non+predicato+mica. Nella scrittura narrativa contemporanea si è già osservata la prevalenza della collocazione interposta a un predicato perifrastico. Tale posizione di mica nella frase si può considerare quella non marcata fin dalle Origini, e in alcuni autori costituisce un’opzione quasi esclusiva: in Tasso, per esempio, è presente 9 volte su 10. Ma, come si è già visto nel caso di altri avverbi AFF / NEG, nei testi che più risentono del parlato non è infrequente la collocazione postverbale. Il fenomeno si fa più rilevante a partire da Verga, quando i legami della scrittura narrativa con l’oralità divengono più stretti: [1] ché non la mangio mica! (Verga, Vagabondaggio) [2] non vi mangiamo mica… (Verga, Mastro don Gesualdo) [3] non scherzo mica, zio (Fogazzaro, Daniele Cortis)

Non a caso, mica postverbale ricorre in presenza di dislocazioni: [4] non te la mangio mica tua sorella! (Verga, Per le vie) [5] non le abbandono mica, le mie idee (Fogazzaro, Daniele Cortis) [6] non c’è mica, sai, il pranzo per te (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) [7] non ci abbandona mica il nostro zio (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) [8] non fuma mica, il padroncino (Tozzi, Con gli occhi chiusi) [9] i pranzi non s’improvvisano mica (Oriani, La disfatta)

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o di altri tratti del parlato: [10] non ci credono mica, sai, alla rovina! (Giacosa, Come le foglie) [11] Tanto che non mi pigliate mica! (Fucini, Le veglie di Neri) [12] Ma non c’è riuscito mica, veh! (Svevo, Senilità)

L’esempio [12] è notevole anche perché la posposizione di mica avviene nonostante che il predicato sia perifrastico. Nei romanzi di Svevo si possono osservare esempi di non+predicato+mica in frasi scisse (precedentemente se ne era notato uno in Baretti): [13] Non sono mica io che abbandono Emilio (Senilità) [14] Non era mica a sangue freddo ch’egli faceva quegli esperimenti (La coscienza di Zeno)

Al polo opposto rispetto ai contesti appena esaminati si collocano alcuni esempi in cui l’ordine delle parole è condizionato più che in altri casi dal filtro dell’elaborazione stilistica. Si vedano questi versi degli Animali parlanti di Casti: [15] non però mica a quel parere inclina, / ché leggerezza fora [16] né farne mica pretendiam la critica [17] Uopo mica non è ch’io qui dimostri / che di ministri bestie il Can parlasse

Inversioni di costituenti come queste caratterizzano in realtà pochissimi dei contesti della LIZ in cui è attestato mica; ciò sembra anche confermare il tendenziale legame con la lingua spontanea che l’avverbio mantiene per tutta la storia dell’italiano. Come altri avverbi AFF / NEG, mica tende a non essere impiegato come inciso. A utilizzarlo tra due virgole è, talora, il solo Imbriani (Dio ne scampi dagli Orsenigo): [18] non parlo, mica, in nome mio proprio [19] Non è, mica, l’imprudente parola, detta a diciotto o vent’anni […] che bisogna considerare [20] il che non è, mica, non è… [21] Non mi batto, mica, per amor tuo

Nella tabella che segue sono riportati i dati quantitativi (relativamente al costrutto non+predicato+mica) per ciascuno dei periodi considerati. totale occorrenze periodi 1 e 2 13

interposto a un pred. perifrastico 5 e non si lascia mica prendere alla pulcella (Pucci, Libro di varie storie) non+pred.+mica+complem. 4 Costui non tiene mica l’anima co’ denti! (Poliziano, Detti piacevoli) posposto al pred. 4 Quel non fo là miga (Francesco di Vannozzo, Rime)

mica totale occorrenze periodo 3 13

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interposto a un pred. perifrastico 7 ma io non sono mica stata così sciocca (Bandello, Novelle) non+pred.+mica+complem. 5 non sbigottito mica per questo (Firenzuola, Ragionamenti) posposto al pred. 1 cotesto non farete mica (Bandello, Novelle)

totale occorrenze periodo 4 15

interposto a un pred. perifrastico 9 io non mi sarei mica partito di casa mia (Costo, Il fuggilozio) non+pred.+mica+complem. 2 e non par mica vergogna (Redi, Bacco in Toscana) posposto al pred. 2 non ci vedi mica (Tasso, Intrichi d’amore) non+pred.+mica+complet. 2 non ve lo credete mica ch’egli sia mutolo (Costo, Il fuggilozio)

totale occorrenze periodo 5 20

interposto al pred. 12 non ho mica merendato (Goldoni, Le avventure della villeggiatura) non+pred.+mica+complem. 4 non hanno mica tanta pazienza (Parini, Dialogo sopra la nobiltà) non+pred.+mica+complet. 3 non voglio mica che perdiate il frutto dell’amor mio (Goldoni, La buona famiglia) non+pred.+mica+discorso diretto 1 non mi diceva mica: a voi preme questo, a voi preme quest’altro (Goldoni, Il padre di famiglia)

totale occorrenze periodo 6 48

interposto a un pred. perifrastico 22 non li vedrete mica professare più in là coteste filosoferie («Il Conciliatore») non+pred.+mica+complem. 9 non si può andar mica per gradi (Leopardi, Zibaldone) posposto al pred. 6 nun è vvero mica (Belli, Sonetti) non mica+pred. 2 ma non mica può mai contenerne neppur una sostanzialmente (Leopardi, Zibaldone) non+pred.+mica+sogg. 4 non essendoci mica nervi (Leopardi, Zibaldone) non+pred.+mica+complet. 5 ma non mi dite mica se gli avete scritto (Leopardi, Lettere)

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maria silvia rati

totale occorrenze periodo 7 340

non+mica interposto al pred. 198 non posso mica tirarmi indietro tutti quelli che vorrei (Verga, Per le vie) non+pred.+mica+complem. 91 che non si disturbi mica per me! (Fogazzaro, Malombra) non+pred.+mica+complet. 17 non ne discenderebbe mica che adesso si potesse impunemente irritare questa donna (Fogazzaro, Malombra) non+mica posposto al pred. 27 non sappiamo noi mica (Imbriani, Merope IV) non+mica+pred.+sogg. 7 non andiamo mica noi altri (Faldella, Le figurine)

7. 4. Conclusioni su mica Alla base della fortuna di mica – che, sia pur con alterne vicende, si può considerare ininterrotta nella storia dell’italiano – andrà posta, a nostro avviso, la sua peculiarità semantica e pragmatica (negazione di una presupposizione) rispetto ad altri avverbi NEG: tale peculiarità si aπerma precocemente e rende mica particolarmente adatto a introdurre discorsi in cui si controbatte l’opinione altrui. A proposito dell’“unicità” di questo avverbio, si è visto come Manzoni – che nella Quarantana ne fa a meno, evidentemente attribuendogli lo status di settentrionalismo – preferisca eliminarlo piuttosto che inserire al suo posto un altro avverbio. Il particolare valore di mica è forse anche all’origine della scarsa diπusione del suo uso olofrastico, di cui la LIZ oπre un solo esempio, negli Intrichi d’amore, e che oggi è del tutto assente (in alcune aree regionali sono al limite utilizzate espressioni come mica no e no, mica); mentre, infatti, gli avverbi olofrastici rappresentano generalmente solo un modo più energico ed enfatico di dire no, mica, oltre a essere connotato in senso espressivo, serve a dire qualcosa di concettualmente diverso. Si spiegherà, dunque, anche così – oltre che col prestigio del né micha petrarchesco e con una certa inerzia della tradizione grammaticale – il fatto che mica sia sempre stato fra gli avverbi NEG più citati dai grammatici, nonostante che lo si sia variamente percepito come marcato sia in diatopia (in quanto settentrionalismo, ma si è osservata anche la diπusione di mica+predicato nel romanesco) e in diamesia. Si tratta, a ben guardare, di uno dei pochi casi in cui la norma ha suggerito l’uso di un tratto così connotato. Nella recente grammatica scolastica di Beccaria e Pregliasco mica è collocato in prima linea tra gli avverbi NEG, senza specificazioni relativamente alla marcatezza diamesica: per quanto la sua menzione sia seguita da un esempio di natura squisitamente parlata (Mica siamo amici per modo di dire!) il lettore non viene esplicitamente avvertito del fatto che l’uso di mica è tipico dei contesti colloquiali.

mica

161

Avallato dai grammatici, l’uso di mica si è diπuso in diversi tipi di testo: prevedibilmente, in quelli narrativi e teatrali; ma la consuetudine di usare (non) mica come connettivo in correlazione con una frase avversativa lo ha reso funzionale anche all’impiego nella scrittura argomentativa (si pensi all’elevato numero di occorrenze nello Zibaldone); si può ricordare, infine, la discreta vitalità poetica di né mica. Nell’italiano contemporaneo mica continua a essere uno degli avverbi NEG più utilizzati (non, tuttavia, nella scrittura argomentativa di registro elevato). I dati provenienti dai testi giornalistici hanno mostrato, altresì, come sia ancora attuale la dinamica fra l’uso standard di questo avverbio e l’uso diatopicamente connotato, la cui spia più chiara – magari da verificare con sondaggi su testate giornalistiche di area non settentrionale – è la diπusione di mica senza negazione in due contesti specifici: le interrogative dirette e le frasi contenenti l’espressione mica male. Dall’esame del corpus giornalistico è emerso anche che la sequenza mica+predicato, in passato tipica di dialetti come il romanesco, oggi può essere considerata un modulo dell’italiano colloquiale: rappresenta, infatti, l’impiego sintattico di mica più attestato nel CS.

8. Già

O

ltre a fungere da avverbio di tempo, con molteplici valori, 1 già può essere impiegato come avverbio olofrastico e come segnale discorsivo. 2 I dizionari non si soπermano, generalmente, su tutti i significati e le funzioni che può assumere; per esempio DO, per quanto riguarda l’uso come «interiezione», si limita a introdurre una distinzione semantica che appare piuttosto artificiosa: «equivale a blando assenso se rivolta ad altri (già, hai ragione); serve a raπorzare se rivolta a sé (già, lo dovevo prevedere)». Se è vero che già funge molto spesso da segnale di blanda conferma quando è usato come formula di risposta, va tuttavia considerato che può essere presente una forza enfatica non solo nei casi in cui già è «rivolto a sé», ma anche in quelli in cui è «rivolto ad altri». Ecco alcuni esempi tratti dal PTLLI:  



[1] e lo sentivo accusarla volgarmente d’una stupida vanità per la sua uniforme («già, voialtre triestine!») esclamava con disprezzo, quasi fosse una gloria per lei uscire a passeggio con un u√ciale (Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger) [2] «La bambina vive con lei, signora Agata Peci?» «Già, da quando i suoi genitori se la sono squagliata lasciandomi senza un soldo...» (Maraini, Buio) [3] Già, bravo, – gli ha obiettato il generale. – Qui dove tutti ci spiano, e la segretezza della posta è una chimera (Ferrero, N.)

A proposito di impieghi del genere ZING parla dell’espressione di «ironia, dubbio o irritazione». Il legame di già con l’ironia è segnalato esplicitamente in passi come questo: [4] «Eh già», dicevano intanto i suoi occhi azzurri, pieni di rosse venuzze, lampeggianti di ironico trionfo, «eh già! Per vent’anni mi avete guardato con sospetto […]» (Bassani, Cinque storie ferraresi)

Il valore ironico / antifrastico – una possibilità che può riguardare, come s’è visto in precedenza, anche altri avverbi AFF – è, nel caso di già, particolarmente diπuso; 3 in TRECC si osserva opportunamente che in questi casi già  

1   Si prescinde, qui, dall’illustrazione dei diversi valori che già può assumere come avverbio di tempo. La complessità temporale del latino iam e dei suoi continuatori è così sottolineata da Bazzanella-Bosco-Calaresu-Garcea-Guil-Radulescu 2005: «Non si tratta solo della inevitabilità di intrecci aspettuali e modali che caratterizzano ogni codificazione verbale di un evento temporale […], ma della problematica specifica di IAM che coinvolge diversi piani temporali e la cui scalarità di durata in relazione ad una ‘precedenza’ variabile mette in gioco un sistema di attese spesso correlato alle conoscenze condivise» (51-52). Sui continuatori romanzi di iam si veda ora Ghezzi-Molinelli 2014. 2   A segnalare l’«evidenza» della domanda posta dall’interlocutore (Bernini 1995: 222). Serianni 1988 considera elementi come già, ecco, insomma a√ni alle «espressioni interiettive usate con valore fàtico, per attivare il canale comunicativo» (x 36). 3   La segnalazione del valore «spesso ironico» è presente nel GB, con la seguente allegazione di esempi: «Gli darete il vostro voto? Già… l’avrebbe a avere. La conduci alla festa? Già…

già

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1

«equivale anche a negazione». Altre volte già olofrastico sottolinea il tornare alla mente di qualcosa che si era dimenticato, e in questi casi vale ‘ah, sì’, ‘ah, è vero’:  

[5] Eh, il marito tuo! me ne scordavo, già... (Morante, L’isola di Arturo) [6] «Non lo so.» «Il seme amaro, già. Ora ricordo. Ecco il perché di questa conversazione» (Brignetti, La spiaggia d’oro)

Già è spesso associato a un’idea di freddezza e di distanza rispetto all’interlocutore: [7] Già, disse don Gennaro, sempre glaciale (Serao, Il paese di Cuccagna) [8] Sergio aveva risposto con un «già» freddo e duro, come una pietra tombale su quel nome (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli)

Talora è un’asserzione formulata distrattamente, per rispondere qualcosa: 2  

[9] Ieri sono andato alla banca per informazioni, nel suo conto corrente ci sono cinquanta lire. – Già. – Luigino rispose soprapensiero (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli).

8. 1. Nella prosa letteraria Il dato notevole che si ricava dallo spoglio del PTLLI è l’elevatissima frequenza dell’impiego come profrase. La seguente tabella pone a confronto il numero delle attestazioni di già olofrastico con quelle degli altri avverbi visti fin qui: assolutamente aπatto appunto infatti mai mica già

17 1 69 52 49 0 463

Ecco alcuni esempi, anche con già preceduto da interiezioni: 3  

Ho ordinato la carrozza». In entrambi i casi sono usati i puntini di sospensione per rendere la particolare sfumatura semantica di già. Già ironico è frequente anche nell’italiano contemporaneo, come dimostrano esempi tratti dal PTLLI: Il permesso, già, davvero... tu, secondo me, dentro la testa ci tieni una zuppa di scòrfani! (Morante, L’isola di Arturo); Già, perché lei di dov’è? In che posto è nata? Nella bambagia? (Testori, Il ponte della Ghisolfa); E già! Mi hai presa per una di quelle guagliottole che conosci tu? (La Capria, Ferito a morte); Già, poi finisci col dirmi che ti faccio venire la filossera, non lo sapessi! (Arpino, L’ombra delle colline). 1

  Nel passo che segue tale valore è reso esplicito dalla compresenza con no: «Bah, di speciale ha che è completamente bianco e ha un orecchio nero». «No, già...» (Brignetti, La spiaggia d’oro). 2   «Anche per semplice cerimonia o per invitare a continuare il discorso» (TRECC). «Talvolta è confermazione […] di cerimonia, o di sbadataggine» (TB). 3   La frequenza con cui le interiezioni accompagnano sì e no «nei registri del parlato» (Bernini 1995: 178) si nota anche per già. Nel PTLLI già è preceduto da e(h), ah, oh: e(h) già conta 57 esempi (12,3% delle occorrenze totali di già olofrastico), ah già 7, oh già 3.

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[1] «Già», concluse Faliero, e si sistemava la bicicletta sulla spalla (Pratolini, Un eroe del nostro tempo) [2] – Ti spogliavi? – E già, – disse Amelia (Pavese, La bella estate) 1 [3] «Vi eravate sbagliato: ecco tutto». «Già» (Moravia, Il conformista) [4] Eh già – sospirò: la lapide avrebbe dovuto essere rifatta (Bassani, Cinque storie ferraresi)  

Se non ci sono dubbi che già sia un avverbio particolarmente utilizzato dagli scrittori contemporanei – 2 forse proprio per il suo prevalente carattere di asserzione blanda, che lo rende pressoché equivalente a un semplice sì – va però evidenziato che esso non compare esclusivamente come formula di risposta. Innanzitutto, anche quando presenta questo impiego, è spesso accompagnato da un altro segmento di discorso, da cui, generalmente, lo separa una virgola: 3  



[5] Sembra creato per la sua figura. – Già, non si direbbe fatto per la Cina. Ci può essere in tutto quel paese una persona alta come me? (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [6] Disse: – Già, io non son mai andato con la pancia per terra, io mai (Fenoglio, La malora)

La presenza della virgola, pur isolando prosodicamente già, non individua uno stacco netto rispetto a quanto segue; al posto della virgola figurano talora anche i due punti, che evidenziano in modo ancor più chiaro la continuità con la frase che segue: [7] Ma forse ad autorizzarla sono io stesso, col mio atteggiamento. Già: ho una donna che mi piange addosso e sono immobile come una statua (Veronesi, Caos calmo) 4  

In casi come questo ci si potrebbe limitare a dire che già si comporta come un segnale discorsivo, 5 usato per scandire i passaggi del discorso. Ma si può  

1   L’interiezione resa graficamente con e è già presente in Manzoni (si veda 8.3, esempio [156]). 2   Un’importante eccezione è costituita dai romanzi di Pasolini, dove già olofrastico è del tutto assente; il dato non ci sembra aπatto casuale: la forte diπusione di già nella lingua letteraria dell’epoca avrà determinato una sua percezione come modo di esprimersi tendenzialmente artificioso, lontano dalla spontaneità del parlato. A conferma di una certa patina di eleganza che accompagnava già nel secolo scorso potrà forse valere questo passo tratto da un romanzo del 1978, Un altare per la madre di Ferdinando Camon: Una volta, invece di rispondere «Sì» a una domanda di mio padre, rispose «Eh già», in perfetto italiano e con tono ra√nato. Mio padre la guardò sbalordito. 3   Il fatto che come profrase già possa essere seguito «da elementi che aggiungono informazioni coerenti con il contenuto da essi rappresentati» è sottolineato da Bernini 1995: 222. 4   Già può essere seguito anche dal punto, dal punto esclamativo o da un cumulo di punti esclamativi; ma non sempre l’uso di un’interpunzione più forte determina un maggiore isolamento dell’avverbio dal punto di vista concettuale: «Sarebbe» disse «una cosa ragionevole, ma mia moglie vuol parlarti d’urgenza, ed è in relazione con il passaggio da Cagliari di un nostro caro e vecchio amico, che sarà nostro ospite. Già!» spiegò con un gesto rapido «si tratta del generale Marini, comandante della Scuola Militare di Modena» (Dessì, Paese d’ombre). 5   Quella di segnale discorsivo è una funzione che gli avverbi olofrastici svolgono frequentemente e che, come mostrerà l’excursus diacronico, nei testi letterari è tipica di già fin dall’Ottocento.

già

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andare anche oltre: dal momento che il segmento di testo introdotto da già si trova in un rapporto di causa-eπetto con parti del testo precedenti, gli si può attribuire lo status di connettivo interfrasale, a√ne a quelli esplicativi (infatti, in eπetti ecc.). 1 Rispetto agli avverbi che appartengono a questa categoria, peculiare di già è la presenza sistematica dello stacco prosodico dalla frase che segue. 2 Forse anche per questa peculiarità intonativa, non è sempre possibile stabilire una distinzione fra i casi in cui già ha valore di avverbio olofrastico e quelli in cui funge da elemento di connessione testuale; nel caso di altri avverbi che presentano entrambi i valori (come appunto e infatti) il confine si può tracciare più facilmente. A proposito di interpunzione, si può osservare che nelle opere spogliate lo stacco prosodico fra già e la frase adiacente non è sempre segnalato dalla punteggiatura. Ecco alcuni esempi in cui la virgola è assente:  



[8] già perché vuole sposarmi... diventerei la signora Locascio... (Moravia, I racconti) [9] «Non è il professore Dati?» «Già il professore Dati» (Buzzati, Sessanta racconti)

In [8] già si trova davanti a un connettivo causale; si tratta di una combinazione molto frequente: per esempio, nel Ponte della Ghisolfa di Testori perché segue già in 15 attestazioni su 22. 3 Un’altra tipologia di connettivi a cui già si unisce spesso sono quelli avversativi:  

[10] era educato, prediligeva i classici nelle sue letture, ma già, la biblioteca non era molto ricca di opere moderne (Arbasino, L’anonimo lombardo) [11] Già, ma questo viaggio vi costerà caro e non so se potrà rendervi altrettanto (Morazzoni, La ragazza col turbante) [12] Già, però le son venute spontaneamente, come lei dice (Parise, Il padrone) 4  

1   La funzione di connettivo testuale è del resto attribuita a già, per quanto riguarda il suo impiego nei giornali, in Dardano 2002 e 2012. Di connettivo parla Serianni a proposito di «sì» per il seguente esempio, anch’esso giornalistico: «E il settore dei servizi ha sì continuato a crescere, ma ha rallentato rispetto al mese precedente» (Serianni 2012a: 37-38). Che i segnali discorsivi possano fungere da connettivi è del resto aπermato da Bazzanella 2001, la quale, rispetto alla definizione di segnale discorsivo che aveva dato nella GGIC, sostituisce al termine «conversazione» quello di «testo», specificando che i segnali discorsivi «servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali» (Bazzanella 2001: 185). 2   Già può svolgere il ruolo di connettivo anche in casi nei quali è seguito da un segno di punteggiatura forte, come il punto esclamativo (cfr. p. 164, nota 4): per esempio Voi non sapete chi sia Lao Tzé! Già! Voi siete poveri calzolai! – disse fissandomi (Mastronardi, Il maestro di Vigevano). Anche qui, come nell’esempio riportato a testo, la funzione di già è quella di connettivo esplicativo. 3   Già, perché non ce n’era anche tra la sua gente di tipi cosí!; Già, perché voi quand’era il vostro tempo vi siete pur sposati come e quando avete voluto...; Già, perché le donne sanno aspettare, quand’è da piú di venti mesi che gli si parla insieme! ecc. 4   In 9 su 16 occorrenze di quest’opera già si trova in combinazione con connettivi avversativi. La frequenza di tali strutture è molto elevata anche in Prisco, Una spirale di nebbia (8 occorrenze su 13).

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Di preferenza, già è usato proprio per introdurre relazioni sintattiche di tipo avversativo. 1 Oltre ai casi in cui è collocato in posizione adiacente a ma o però, si vedano questi esempi:  

[13] Tutto qui. Già, tutto qui, ma alle nove e mezzo del mattino un’altra realtà, ben diversa da questa, ricompare con tutto il suo dolore (Parise, Il padrone) [14] – Già – Boesson annuisce, sembra divertito – E tuttavia... (Veronesi, Caos calmo)

Nell’arco diacronico coperto dal PTLLI si nota una progressiva espansione del valore testuale di già rispetto al suo impiego come formula di risposta; l’avverbio, che sempre più spesso è pensato piuttosto che pronunciato, 2 tende sempre di più a essere utilizzato come elemento che segmenta il monologo interiore dei personaggi. Emblematica, a questo proposito, la prassi osservabile in Caos calmo di Veronesi, il romanzo più recente all’interno del PTLLI, dove già conta ben 56 attestazioni, quasi mai come formula di risposta:  

[15] E io che faccio? Come mi difendo? Posso tentare di strozzarlo. Già. Ho sentito parlare di cani strozzati da uomini [16] E quando poi lei tornerà a riprenderselo troverà un cadavere. Già. Ci rimarrà male, è inevitabile, ma io le dirò che così va il mondo, baby, sopravvivono i più forti [17] Hanno sempre avuto la calligrafia quasi uguale. Già, Marta. Ora che mi ricordo, una volta è successo anche nella sua macchina [18] Devo stare attento a quest’uomo, qualunque cosa sia venuto a fare. Già, ma cosa è venuto a fare?

8. 2. Nella prosa giornalistica 3  

Si è già più volte fatto riferimento alla scarsa presenza, nei giornali, dell’impiego olofrastico degli avverbi AFF / NEG. Più che in formule di risposta, 4 nel CS già AFF ricorre come segnale discorsivo: 5  



[1] […] la senatrice Pd, «chiesta da Roma». Già, ma da chi? «Né da Morgante, né da Improta» (17 dicembre 2013) [2] «Da quando Baggio non gioca più / non è più domenica» cantava Cesare Cremonini. Già. Da quando invece il Brescia è in serie B, non gioca più di domenica, tranne rare eccezioni (29 dicembre 2013)

Talora svolge anche la funzione di connettivo: 1

  Si pensi, del resto, al «tipicissimo Sì, ma» (Sabatini 2012: 169).   «Già», pensò l’uomo «ma ci sono fuggiaschi e fuggiaschi» (Parise, Sillabario n. 2); «Già,» riflettevo io, nel momentaneo smarrimento dovuto alla preclusione pomeridiana (Montefoschi, La casa del padre); Già, rifletteva Sciarmano, è proprio così! (Di Lascia, Passaggio in ombra). 3   In questo caso lo spoglio ha riguardato il mese di dicembre 2013, per un totale di 2.246 occorrenze. 4   Che, ad ogni modo, non sono del tutto assenti, comparendo nei discorsi riportati: Già, diciamo che i Forconi non mi portano fortuna (10 dicembre 2013). 5   Come avverte Bazzanella, la funzione di segnale discorsivo è individuabile «solo all’interno del discorso» (Bazzanella 2001: 185). 2

già

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[3] la passione per la docenza è fortissima ed egli insegna letteratura spagnola all’Unitre e al Seminario vescovile locale. Già, come separarsi dal Don Chisciotte di Cervantes, dalle fantasie satiriche di Quevedo, dai personaggi di Lope de Vega, dal bestiario di Cortázar, dagli uomini di mais di Asturias e dalla moneta di ferro di Borges? (27 dicembre 2013) 1  

Frequentemente è associato a perché: [4] Ma di certo farà risparmiare diversi quattrini che, in questo momento, fanno un gran comodo. Oltre 10 mila euro, secondo una prima stima. Già, perché la spending review messa in atto a palazzo Loggia ha tagliato quest’anno anche gli auguri natalizi (22 dicembre 2013) [5] Massì che il coraggio uno se lo può dare, ascoltate Don Rafa: «Tutti dicono di no, ma noi pensiamo che qualificarsi sia possibile». Già, perché in fondo questa è una partita doppia (11 dicembre 2013)

Oltre che in questi impieghi particolari e nel prevalente valore temporale, ricorre in combinazione con la negazione (non già), a introdurre un segmento di discorso contrapposto a un altro: 2  

[6] la realtà vissuta e sperimentata da una vasta percentuale della popolazione americana, e non già una fiducia grossolana e ingenua (14 dicembre 2013).

8. 3. Considerazioni diacroniche Eccezion fatta per la voce del GDLI, non si dispone di trattazioni che si soπermino in modo analitico sulle vicende di già in italiano antico. Non è stata ancora allestita la relativa voce nel TLIO; non ci sono riferimenti nella Sintassi dell’italiano antico (che, per quanto riguarda le relazioni di temporalità, si soπerma esclusivamente sui connettivi subordinanti); la GIA illustra piuttosto sinteticamente i molteplici valori propri di già nella fase duecentesca. Pertanto, nonostante che alcuni di questi valori non abbiano attinenza con la riflessione sugli avverbi AFF / NEG (ma, come si vedrà, l’uso olofrastico potrebbe essersi generato dal valore temporale), si cercherà di tracciare un quadro complessivo degli impieghi semantici e sintattici di già dal Duecento al primo Novecento; nella ricostruzione verrà comunque attribuita una certa priorità all’osservazione di già come avverbio AFF / NEG. Periodo 1 Ampiamente attestato nel Duecento, 3 già presenta in questa fase una notevole  

1

  A proposito di già come «connettivo testuale posto all’inizio del periodo» Dardano 2012 (39) parla di «già giornalistico». 2   Cfr. 8. 3. 3   Sia il DELI, sia il GDLI assegnano la prima attestazione di già con valore temporale a Guittone d’Arezzo (av. 1294). Tra i primi esempi oπerti dalla LIZ e dal corpus OVI ci sono i seguenti: L’amoroso vedere / m’à miso a rimembranza / com’io già lungamente / a l’avenente – ò tanto ben voluto […] (Giacomo da Lentini); Eo non credo sia quello ch’avìa / lo spirito che porto, / ched eo fora già morto, / tant’ò passato male tuttavia (Guido delle Colonne). Già lungamente (o lungiamente) rappresenta una formula cristallizzata nella poesia duecentesca (il corpus OVI ne

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fluidità semantica e sintattica 1 e un impiego tendenzialmente diπerenziato tra prosa e poesia: mentre in prosa è usato perlopiù come avverbio di tempo, 2 in poesia compare più spesso come raπorzativo di negazioni come non, né, (non) mai, e dunque come sinonimo di ‘aπatto, proprio’: 3  





[1] Non credo già, se non vol meo dannaggio (Guittone d’Arezzo) 4  

In combinazione con non, già può anche presentare un significato a√ne a quello di mai: [2] O tracoitata e forsennata gente, / già non vidd’io miravigliarsi alcono / ch’al mio Dio ribellai sì lungiamente, / lo qual mi fece e fa quant’ho di bono (Guittone d’Arezzo) 5  

A proposito dell’uso di già in contesti NEG, nel TB è citato un esempio del Filocolo (ma già per questo niuna pietà rammorbidisce i duri cuori) per mostrare che già, in certi casi, può sostituire del tutto la negazione. A commento di questo contesto si aggiunge: «nel quale significato vogliono alcuni che egli si debba trovare sempre con le due particelle se, non». Nel passo del Filocolo la negaoπre svariati esempi). Nei poeti siciliani è inoltre documentata l’espressione già fa lunga stagione per ‘è già trascorso molto tempo’. Quanto a già come raπorzativo della negazione, due attestazioni appaiono nel Ritmo Lucchese (1213): Mei lo portò Uguicionello / quei che già no i fu Gainello; Alli altri aπar ogni om tenrà / che già Lucca non stoprà. 1   La varietà degli impieghi sarà comunque tipica di già anche nei secoli successivi; a questo proposito si può citare la definizione del TB, s. v.: «avverbio che si piglia in diversi modi, siccome il Jam degli aurei Latini, dal quale deriva». Nella linguistica moderna la molteplicità dei valori di iam è stata così motivata: «la compresenza inestricabile di temporalità, aspettualità, modalità è responsabile della varietà di esiti di iam e della sua persistente ‘flessibilità’, che permette continue estensioni e variazioni d’uso» (Bazzanella-Bosco-Calaresu-Garcea-Guil-Radulescu 2005: 59-60); secondo le stesse autrici, la compresenza di diversi valori già nel latino arcaico impedisce anche di formulare un’ipotesi genetica sullo sviluppo di iam, per quanto appaia verosimile la prototipicità del valore temporale. Nel GDLI, tra le svariate funzioni attribuibili a già figura anche quella di «preposizione»: «da, per (ad introdurre un complemento di tempo continuato)». Si preferirà, comunque, considerare questi casi come esempi di ellissi della preposizione, come dimostra l’esistenza di contesti tra loro analoghi che compaiono alternativamente con preposizione e senza preposizione; si vedano due passi tratti dalle Lettere di Santa Caterina da Siena: facendo quell’atto che già da grandissimi tempi non fu più; cioè in quello atto umile, non usato, già grandissimi tempi, della santa processione. In esempi come il seguente, invece, a essere omesso è il verbo essere: O colonna gentil, che già molti anni / purpurea, di cristallo, immaculata, / fusti tanto essaltata (Serdini, Rime); si veda un altro contesto dello stesso autore in cui il verbo è espresso: O Furie infernali, ov’io sperai / già son molti anni alla mia debil vita. 2   Già è detto so√cientemente dell’o√cio e della fine di rettorica (Brunetto Latini, La rettorica); e per questa via n’ha già molti schifati e fuggiti (Giamboni, Libro de’vizî e delle virtudi); ecc. 3   Nel GDLI, a proposito del suo uso «in proposizioni negative», si osserva che «dà un notevole risalto alla negazione». 4   Fra gli esempi in prosa, che come si è detto sono meno frequenti, si veda il seguente, in cui il valore raπorzativo emerge con particolare evidenza: Questa villania non farete voi già (Tristano riccardiano). 5   In tale accezione il GDLI menziona, oltre all’esempio di Guittone, il dantesco Né già con sì diversa cennamella / cavalier vidi muover né pedoni (Inferno).

già

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zione potrebbe tuttavia essere stata omessa per la presenza di niuna; si è già visto come in Boccaccio la negazione sia talora assente in cooccorrenza con un altro elemento NEG (cfr. 6. 2. 1). Il TB, riferendosi alla compresenza di già con se, allude a un altro impiego di già NEG attestato fin dai primi secoli: quello in proposizioni ipotetiche e a√ni. 2 Ecco alcuni esempi:  



[3] se già con greve doglia / la vita non conduce a mortal segno (Poesie musicali del Trecento) [4] e none a leggere, ché non istà troppo bene a una femina sapere leggere, se già no la volessi fare monaca (Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi) [5] Nessun vivo si legge, se già non fosse Enoch con Elia (Sacchetti, Rime)

Già poteva essere impiegato anche nel senso di più o come suo raπorzativo; 3 in quest’ultima funzione è ben attestato anche nei secoli successivi. 4 Già duecentesca è pure la diπusione del nesso correlativo non già… ma, che sopravvive ancora nell’italiano contemporaneo; 5 alle espressioni antiche già per ciò non, già per questo non 6 corrisponde invece oggi non per questo.  







1   Lo stesso accade in altri casi in cui siano presenti nessuno, niente ecc. Per esempio: Io so che questo già v’importa niente (Franco, Priapea). 2   Su si iam in latino cfr. Bazzanella-Bosco-Calaresu-Garcea-Guil-Radulescu 2005: 60. 3   Per esempio: Venùs allora già più non atende (Il Fiore); si vedano anche i contesti riportati in Ricca 2010: 722. 4   Non t’asconder già più, sorella mia (Guarini, Il pastor fido); Ma tu non gli udirai già più, che tu non hai l’orecchie (Croce, Piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino); Ma già più non ritorna, è ver? (Gozzi, La Zobeide); Qual brando è questo? ei non è già lo stesso / ch’io di mia man ti diedi... (Alfieri, Saul); ecc. 5   Ecco un’attestazione duecentesca: E ‘n sua propria magione / tenean corte e ragione: / ma non già di paraggio, / ché l’un’è troppo maggio, / e poi di grado a grado / catuna va più rado (Latini, Tesoretto); e una contemporanea: Da sessant’anni il fascismo ci fa compagnia. Non già perché in tutto questo tempo vi sia mai stato il pericolo di una sua reincarnazione […], ma perché da sessant’anni il fascismo è presente nel nostro discorso pubblico come un comodo (e dunque adoperatissimo) termine di paragone negativo a disposizione per giudicare sbrigativamente uomini e cose (CS, 29 dicembre 2013). Non già può introdurre, anziché un’intera frase, una singola parola o espressione contrapposta a un’altra: che Virtù spiega, / non già Fortuna (Tansillo, Canzoniere). L’esempio mostra come a volte non già non preceda il primo membro di una contrapposizione, ma il secondo (ciò si riscontra anche in italiano moderno: cfr. il contesto riportato in 8. 2). Inoltre fra non e già possono frapporsi altre parole. In poesia: In me tornato, io incomminciai a dolermi, / non d’amor già, ma de la mia fortuna (Niccolò da Correggio, Rime); in prosa: ma non erano già quegli ch’e’ credeva, ma questi che io ho narrati (Machiavelli, Il principe); Di cui io non cercherò già, come di cosa vera, appo voi d’acquistar fede, quantunque da degni autori si ritrovi scritta, ma lascerò a cadauno di voi tenerla o per istoria o per novella overo per favola (Erizzo, Le sei giornate); non viene già dal non voler marito, ma dal volerne uno a suo modo (Grazzini, L’arzigogolo). 6   Ma già per ciò io non facea lor motto (Il Fiore); e già per questo no.ssi fece Marco amico de’ Fiorentini, né’ Fiorentini di lui (M. e F. Villani, Cronica); Ma già per questo a me non sei in despetto (Serafino Aquilano, Rime); ecc.

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Periodo 2 La compresenza di già con mai – che mostrava una tendenza alla lessicalizzazione già nelle attestazioni duecentesche – è particolarmente ricorrente nel Canzoniere: 1  

[6] ma dentro dove già mai non s’aggiorna / gravido fa di sé il terrestro humore [7] s’io dormo o vado o seggio, / altro già mai non cheggio

Nella prosa del Trecento già NEG è maggiormente documentato: nelle Sposizioni di Vangeli di Sacchetti la forma già mai rappresenta la grande maggioranza delle attestazioni di già. La diπusione in prosa di già NEG, anche come modificatore del se ipotetico, prosegue nel Quattrocento (molti gli esempi nelle Prediche senesi del 1427 di Bernardino da Siena): [8] Oh, io sarei stato il buon pecorone! Non mi cogli già me, sì bene! (Bernardino da Siena, Prediche volgari del 1427) [9] «Per certo io il voglio provare», non credendo già di trovarla (Bernardino da Siena, Prediche volgari del 1427) [10] e questo non può fare la prudentia, fortezza, forza d’arme o di legge o di eloquentia, se già la benivolentia non l’aiuta (Ficino, El libro dell’Amore) [11] se già non vedessi di mandarle per man sicura, che solo tu l’avessi (Macinghi Strozzi, Lettere)

Nelle opere narrative, dove è prioritaria l’espressione dei rapporti temporali, risulta più frequente il valore di avverbio di tempo. Le Lettere di Macinghi Strozzi sono il primo testo della LIZ in cui ricorre la forma di già: 2  

[12] che di questa di già glie n’ho scritto [13] A dì 28 passato fu l’utima mia, e l’ho di già data a Lodovico.

Periodo 3 L’impiego di già come elemento raπorzativo in contesti negativi e in combinazione con se, specialmente in testi di tipo non narrativo, 3 risulta diπuso anche nel primo Cinquecento:  

[14] Col vino non parli tu già; parlo io bene con la smemorataggine (Dovizi, La Calandra) [15] – Io non so già, messer Ercole, – rispose mio fratello – se io così ora le potessi tutte raccogliere interamente (Bembo, Prose della volgar lingua) 1   Già vi compare anche associato a non – anche come non già correlativo (Pianger cercai, non già del pianto honore) – e a né (né credo già ch’Amore in Cipro avessi, o in altra riva, sì soavi nidi). Nel complesso sono vari, nel Canzoniere, i significati e gli usi sintattici di già; il TB cita proprio un esempio del Canzoniere per documentare l’accezione di già nel senso di ‘certamente’: Or sia che può; già sol io non invecchio. 2   I dizionari considerano di già (attestato anche nelle grafie diggià e digià) una forma raπorzata rispetto a già (cfr. DO, TRECC s. v. già; ZING s. v. di già). 3   In opere dallo stile narrativo come quelle di Guicciardini, Vasari, Bandello, Ramusio già è impiegato quasi sempre con valore temporale.

già

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[16] lo non ho già la pece ne l’orecchie (Aretino, Il marescalco) [17] Né son io già di que’ che dicono, che allora l’arte si scorda nel bisogno (Castiglione, Il cortegiano) [18] E sempre staranno ferme le cose di dentro, quando stieno ferme quelle di fuora, se già le non fussino perturbate da una congiura (Machiavelli, Il principe) [19] le leggi bene ordinate non giovano, se già le non sono mosse da uno che con una estrema forza le faccia osservare (Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio) [20] Talché, se uno esercito il quale, in su la opinione che fusse debilitato, andasse a trovarlo, si troverrebbe ingannato; se già, e’ non fusse lo esercito tale che d’ogni tempo, e innanzi alla vittoria e poi, potesse combatterlo (Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio) [21] E molte volte si vide che migliore frutto fecero i capitani romani che si facevano amare dagli eserciti, e che con ossequio gli maneggiavano, che quegli che si facevano istraordinariamente temere; se già e’ non erano accompagnati da una eccessiva virtù, come fu Manlio Torquato (Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio)

Gli esempi mostrano, in particolare, come Machiavelli, nell’illustrare i vari aspetti di una casistica, usi frequentemente il connettivo se già (non), specialmente come introduttore di frasi con valore eccettuativo (nel significato di ‘a meno che’). Frequente nel Principe e nei Discorsi è anche l’uso di già NEG in combinazione con i connettivi avversativi: [22] fu bene usato creare compagni a suo proposito: ma non fu già bene usato, come egli ebbe fatto questo, secondo che disopra dico, mutare, in uno subito, natura (Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio) [23] come la fortuna, per fare maggiore Roma, e condurla a quella grandezza venne, giudicò fussi necessario batterla (come a lungo nel principio del seguente libro discorrereno), ma non volle già in tutto rovinarla (Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio) [24] perché ciascuno Italiano dice «amare», «stare» e «leggere», ma ciascuno di loro non dice già «deschetto», «tavola» e «guastada» (Machiavelli, Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua) 1  

Nelle Storie fiorentine di Guicciardini (diversamente che nella Storia d’Italia) e in tutte le opere di Machiavelli è ben attestata la forma di già: [25] ancora che fussi di già scoperta la guerra (Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio)

Nei testi di impianto dialogico si può osservare l’impiego di non già come avverbio olofrastico, nel significato di ‘no di certo’. Ecco alcuni esempi: [26] Fannio. Tu non sai anche lui essere morto. Lidio Femina. Non già (Dovizi, La Calandra) [27] Fessenio. Oimè! Che cosa è questa? Oh, sventurato patron mio! Lo hanno preso? Samia. Non già (Dovizi, La Calandra) [28] Prelio. Vi duol che sia vivo, eh? Porfiria. Non già (Aretino, Lo ipocrito) [29] «Non già,» rispose il Frigio; «ma una non fa numero» (Castiglione, Il Cortegiano) 1

  Tale impiego è diπuso anche in altri autori. Per esempio in Bembo si trova: Non dico già tuttavia, che un suggetto, più che un altro, non possa piacere (Prose della volgar lingua).

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[30] E a’ nostri tempi D. Ugo di Moncada perduto ch’egli ebbe un occhio perdé egli per questo una sol dramma del suo valore? Non già, per quanto s’è veduto ne’ successi (Lando, Paradossi) [31] Druda. Non si nega che non voltino talora carta, e finghino di consolarle con paroline in composta: il fanno sì, ma sai tu perché? Papa. Non già (Aretino, Il filosofo)

Non già compare come sinonimo raπorzato di no anche in altri contesti sintattici e all’interno di esclamazioni: [32] «Terminato non già,» rispose la signora Duchessa; «perch’io non son così nemica degli omini, come voi siete delle donne» (Castiglione, Il Cortegiano) [33] «Credete voi, signor Morello,» disse allor il conte Ludovico, «che la bellezza sia sempre così bona come dice messer Pietro Bembo?» «Io non già,» rispose il signor Morello; «anzi ricordomi aver vedute molte belle donne malissime, crudeli e dispettose» (Castiglione, Il Cortegiano) [34] Bartolo. Anzi la traevate per nasconderla. Pacifico. Non già, per Dio! La traevo per rendere a lui, che uguanno me ne fe’ servizio (Ariosto, La Lena)

L’uso olofrastico di già sembrerebbe dunque riguardare, per il momento, il solo valore NEG. A meno che non si accolga l’interpunzione (adottata nell’edizione di riferimento) del seguente contesto tratto da De la bella creanza de le donne di Alessandro Piccolomini: [35] Raπaella. Tenevamo parentado insieme, ché la sorella sua era cognata del mio nipote. Margherita. Già, me lo diceva

Se ci fosse lo stacco prosodico sottolineato dalla presenza della virgola, si tratterebbe di un’attestazione di già olofrastico AFF notevolmente più antica rispetto al primo esempio riportato dal GDLI, tratto dai Promessi sposi; ma, non essendoci particolari indizi contestuali a favore di questa interpretazione, ci appare più prudente considerare già privo di autonomia sintattica e attribuirgli un valore temporale. Un uso che comincia ad aπacciarsi in questo periodo è, infine, quello di già che come connettivo. 1  

Periodo 4 Tra la seconda metà del Cinquecento e il Seicento si continuano a registrare tutti i valori fin qui osservati accanto a quello di avverbio di tempo: l’uso come raπorzativo della negazione (non+predicato+già, né già, già mai); non già ‘non’, ‘no’; se già, soprattutto nel significato di ‘a meno che’. 2 Ecco un esempio per ciascuno:  

1   Non si tratta ancora di una struttura particolarmente frequente. Gli esempi cominciano ad aumentare nella seconda metà del secolo; si veda in particolare la commedia (attribuita a Tasso) Intrichi d’amore: E già che quest’altra occasione vi dà il luogo e la buona fortuna, io direi che non la lasciaste passare; Vo’ argir dall’altra porta, già che da questa veggo uscir Magagna; ecc. 2   Questi impieghi di già caratterizzano sia la prosa, sia la poesia. Ecco alcuni esempi poetici: Cibo non prende già, ché de’ suoi mali / solo si pasce e sol di pianto ha sete (Tasso, Gerusalemme liberata); Sorridea quegli, e: – Non già, come credi, – dicea – son cinto di terrena veste (Tasso, Gerusalemme liberata); Ohimè, tu vivi, / altri non già (Tasso, Aminta).

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[36] Non nego già che fra noi ingiustamente non siano stati introdotti costumi perversi e repugnanti alle leggi della filosofia (Guazzo, La civil conversazione) 1 [37] Né già credo io che, s’Annibale avesse udito o Senofonte o Polibio o Panezio, egli così l’avesse disprezzato, come colui ch’egli udì mostrò d’avere in disprezzo (Tasso, Il Gonzaga secondo overo del giuoco) [38] Fuggi e scherza pur, se sai; già non fara’ tu mai che ‘n te mi fidi (Guarini, Il pastor fido) [39] e seguitavo alcune mie faccende, non già di molto momento (Cellini, Vita) [40] – Non già – rispose il letterato –, ché non sarebbe punto conveniente, ma debbono avere una bella veste per una indosso, l’una più ricca dell’altra (Costo, Il fuggilozio) [41] perché io non vi verrò mai più inanzi, se già voi non mi facessi venir co’ birri (Cellini, Vita)  

Riguardo a non già nel senso di non, esso è impiegato di preferenza per introdurre un concetto antitetico a un altro: [42] Fuligno. Sì, ma voi avete cera di medico. Giansimone. Non già di questi dal dì d’oggi, che paiano tutti quanti ripetitori o pedagoghi, tanto vanno a ordine grettamente (Grazzini, La Sibilla) [43] A qualcun altro il farà creder forse, / che poco sappia; a me non già, che sono / maestra di quest’arte (Guarini, Il pastor fido) [44] Rodiani, io vi dico che veniate alla mia casa per comprare pitture, e non già per intender nove (Garzoni, La piazza universale) [45] […] Son io, mi ra√guro al viso, / a l’abito non già (Tasso, Re Torrismondo)

Lo stretto legame di non già con la funzione sintattica avversativa si nota, del resto, nella struttura correlativa non già… ma e trova evidenza ancora maggiore nell’uso frequente di ma non già nella prosa argomentativa di Giordano Bruno, con esempi anche in Galileo e Tesauro: [46] facilmente concedo che da quel loco possano rivenir cotai parti come naturalmente al suo loco: ma non già venir tutta un’altra sfera (Bruno, De l’infinito universo e mondi) [47] La beltà dumque del corpo ha forza d’accendere; ma non già di legare e far che l’amante non possa fuggire (Bruno, De gli eroici furori) [48] la qual cosa […] io vi posso concedere, ma non già quello che ne vorreste dedur voi (Galileo, Il saggiatore) [49] Che il Sarsi con isquisita bilancia non abbia ritrovato diminuzion di peso in un pezzetto di 1

  La sequenza non+predicato+già include spesso il verbo negare. Ecco altri contesti, anche di epoche successive: Non niego già che ‘n te non sia gran merto (Franco, Rime); Non nego io già che non possa essere la poetic’arte d’alcun vantaggio producitrice («Il caπè»); Non nego io già che questo non sia pur suscettibile di eleganza (Leopardi, Zibaldone). Ma gli impieghi più frequenti riguardano il verbo sapere e i verbi d’opinione: Domandatemi, se volete, una cosa per volta, che io non so già a quale mi debba rispondere, tante ne avete dette (Grazzini, L’arzigogolo); non so già io quanto da commendare (Bargagli, Trattenimenti); ma gli altri non so già se s’acqueteranno a l’autorità (Tasso, Lettere); Questa tanta vergogna io non so già com’ella si sia fatta (Costo, Il fuggilozio). Con credere: Iniqua donna, / nol creder già, che amata io t’abbia mai (Alfieri, Filippo); Non cred’io già che fosser questi frali / Occhi deboli e corti, e spesso infidi (Manzoni, Trionfo della libertà); O donna, giunto / non creder già de’ miei travagli il fine (Pindemonte, Traduzione dell’Odissea).

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rame battuto e riscaldato più volte, glielo voglio credere; ma non già che per questo egli non si sia diminuito (Galileo, Il saggiatore) [50] ben concedo che molti corpi d’impresa puonno applicarsi a concetto singolare e universale, ma non già impresa formale che ha per anima il concetto e l’applicazione (Tesauro, Idea delle perfette imprese)

Nelle opere di Bruno l’uso nelle proposizioni avversative, fondamentali nella costruzione del discorso filosofico, prevale nettamente sugli altri impieghi di già. In generale, si può osservare che nel periodo considerato non già aumenta la sua frequenza e le sue tipologie d’impiego; spesso si trova anche in combinazione con che e regge una frase al congiuntivo, del cui contenuto nega la fattualità: [51] E non già che con le proprie mani lo piantasse, se non in quanto fu prodotto dalla potenza sua, quando produsse il tutto (Garzoni, La piazza universale) [52] Non già ch’altri mi sciolga, ma che lei mio parimente involga (Tasso, Rime) [53] gli vorrò ben, per non poter far altro, / ma non già ch’io gli voglia ben davvero (Buonarroti, La Tancia)

Può essere usato anche insieme a un altro avverbio raπorzativo della negazione, come punto: [54] dell’ultima non punto già minore e ben a’ tempi nostri tuttavia assai più propia (Bargagli, Trattenimenti)

Inoltre sono tipiche della poesia di questo periodo le espressioni con valore antitetico introdotte da non già: [55] Madre felice, la cui nobil alma, / non già il bel corpo, fe’ l’inclito parto (Tansillo, Canzoniere) [56] occhi, voi sete occhi non già, ma lumi (Tasso, Rime) [57] Questa vince e possiede / forza non già, ma fede (Tasso, Rime) [58] del sol non già, ma de’ begli occhi a’ rai (Marino, Rime amorose) [59] del ciel non già, ma sol tra’ neri dei / degna di star con la perduta gente (Marino, Rime amorose) [60] fera non già, ma sorda quercia e dura, / quercia non già, ma roza selce e viva (Marino, Rime boscherecce) [61] Piacemi assai che meraviglie puoi / formar sì nòve, ANGEL non già ma Dio (Marino, La galeria) [62] donna non già, ma nova dea d’amore (Marino, Adone) [63] non già una parendo, / ma tre per la prestezza (Poesie dell’età barocca, Stigliani) [64] beato Atlante che reggesti il pondo / del ciel non già, ma del signor del cielo (Poesie dell’età barocca, Muscettola)

Passando ad altri impieghi diπusi tra Cinquecento e Seicento, sono da segnalare diverse attestazioni della forma epanalettica già già, 1 che non appare  

1   Si può richiamare, a proposito di questa forma, il fatto che iam latino si poteva presentare nella forma raddoppiata iam iam (cfr. Bazzanella-Bosco-Calaresu-Garcea-GuilRadulescu 2005: 61).

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legata a particolari tipologie testuali e compare sia in prosa, sia in poesia; 1 come mostrano gli esempi che seguono, tale forma ricorre prevalentemente con funzione temporale: 2  



[65] Pur mi si levò dinanzi! Già già voleva ella cominciare a fare un mercato (Grazzini, La pinzochera) [66] Or su, già già gli uomini grandi vengono per voi, e però si conviene a voi venire nelle medesime case (Ramusio, Commentari di Sigismondo di Herberstain sulla Moscovia e sulla Russia) [67] Già già l’hai ritrovato (Della Porta, La fantesca) [68] che con scherzi lascivi / già già spirano aurette, e fioccan fiori (Marino, La galeria) [69] Sì dissi furibondo e, preso il foglio, / già già scrivea del secolo presente (Rosa, Satire) [70] Già già l’ira s’avanza e ‘l furor cresce (Poesie dell’età barocca, Artale) [71] Già già parmi l’altr’ier quando ero in culla (Poesie dell’età barocca, Gaudiosi)

Ancora una volta, in un testo teatrale figura un esempio di già che, in base all’interpunzione adottata dall’editore, risulterebbe impiegato come avverbio olofrastico: [72] Narticoforo. Dico se sei di qua. Nepita. Già, non son d’oltramare o d’oltra i monti (Della Porta, La fantesca)

In questo caso già sembra usato in realtà come raπorzativo della negazione (già non son varrà non sono certamente). Nella prosa argomentativa del Seicento è ampiamente usato già che in funzione di connettivo causale. Spesso introduce una frase parentetica: [73] poi che, per diligenza usata in cercar nella scrittura del signor Mario il luogo (già ch’egli nol cita), non l’ho saputo ritrovare (Galileo, Il saggiatore) [74] rimovete la considerazion della causa ed introducete il solo eπetto (già che voi aπermate che il vostro Maestro non ricercò la causa, ma il solo eπetto) (Galileo, Il saggiatore) [75] ma son fratelli mentali (già che non posso dir carnali) del concetto che l’uomo ha del suo sapere (Accetto, Della dissimulazione onesta) [76] se fingiam ch’egli sappia di quel favoloso non men che famoso anello di Pirro re (già che lo scrittore ne dice solo: Fama est, et habuisse traditur) (Bartoli, La ricreazione del savio) [77] Proseguiam nel medesimo stile (già che eziandio valentissimi uomini han così usato nell’insegnare, e prima di Platone, che in ciò fu eccellente, haec Socratis Musa fuit, disse Galeno, ut seria iocis misceret) a dimandar, de’ pianeti, come li sospese Iddio colasù in cielo (Bartoli, La ricreazione del savio)

1

  La prima attestazione documentata dalla LIZ si trova nei Ragionamenti di Firenzuola: Ma lasciamolo andare omai e ascoltiamo la canzona di Bianca, ché io veggio che la Reina, che già già voleva attaccarla meco, se le voltava per comandarglielo. Nei secoli successivi un autore che vi ricorre spesso è Alfieri: la infuocata spada / d’Iddio tremenda, che già già mi veggo / pender sul ciglio (Saul); nelle sue opere si contano 24 occorrenze di già già, 19 in poesia e 5 in prosa. 2   Il GDLI, s. v. già, attribuisce a già già una certa varietà di valori semantici: accanto a quelli temporali (‘proprio adesso’, ‘in un battibaleno’), di cui si evidenzia il carattere enfatizzato e il legame, talora, con un tono «alquanto sarcastico e canzonatorio», si annovera quello di ‘certissimamente, senza ombra di dubbio’.

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Di già continua a essere piuttosto frequente nelle prose di registro non elevato (come la Vita di Cellini). Periodo 5 Nel Settecento continua a essere attestato non già olofrastico: [78] Euriso. Ma forse / smarrilla il vecchio in sì lungh’anni, e forse / involata gli fu. Merope. Non già, ché Arbante / custodita appo lui sempre la vide (Maπei, Merope)

Tuttavia non se ne trovano esempi né in Metastasio, né in Goldoni. In entrambi gli autori va segnalata, piuttosto, la frequenza con cui già ricorre in combinazione col verbo sapere; 1 in questi casi, rispetto al valore temporale, sembra prevalere quello di raπorzativo dell’asserzione:  

[79] Già so che si nasconde / de’ Mori il re sotto il mentito Arbace (Metastasio, Didone abbandonata) [80] Siroe, già so qual sorte / Sovrasti a un traditor (Metastasio, Siroe) [81] So già quant’aria ingombra / La novella cittade (Metastasio, Ezio) [82] Rodope, corri: / Già sai... Quando sul lido / Saran discesi, ad avvertir ritorna (Metastasio, Issipile) [83] Già sai che per costume antico / questo festivo dì con un solenne / sacrifizio si chiude (Metastasio, L’olimpiade) [84] Belisario, già sai che a conseguire / Basta sol che tu chiegga (Goldoni, Belisario) [85] Già so che la mia morte oggi procuri (Goldoni, Belisario) [86] Addio, Florante; M’intendete, già il so (Goldoni, Rinaldo di Montalbano)

Già presenta anche con altri verbi il valore di ‘sicuramente, certamente’: [87] Già ti sovviene / che ‘l barbaro Alessandro, / di Cleonice genitor, dal trono / scacciò Demetrio il nostro re (Metastasio, Demetrio) [88] Io già vorrei / Essere Alcide. Oh generoso, oh grande, / Oh magnanimo eroe! (Metastasio, Achille in Sciro)

Nelle opere di Goldoni già con valore non temporale è impiegato molto spesso in prima posizione, perlopiù all’inizio di una battuta; sembra preludere all’impiego come segnale discorsivo l’esempio [89], dove si potrebbe segnare uno stacco prosodico dopo l’avverbio. In altri casi il valore di questo già iniziale appare vicino a quello di ebbene, invero, ecco, o anche di appunto, infatti; altre volte sembra valere, come si è visto sopra, di certo, sicuramente. 2 Spesso la sua semantica non appare univocamente definibile;  

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  Tale impiego è già documentato nel Duecento: Così fa quelli c’à povero core / di soπerire pene per amore, / e già sa egli ca nulla amistanza / non guadagna omo mai per vilitanza (Poeti siciliani, Rime); unque che fai, Amor, che non ti movi? / già sai che di neente le contendo (Onesto da Bologna, Rime). 2   In prima posizione già può assumere anche tutte le diverse accezioni che ruotano attorno al valore temporale. Per esempio, nel seguente caso sembra valere ‘ormai’: Via, signor Pandolfo; già ora tutto è scoperto, ci favorisca restare (La burla retrocessa).

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va sottolineata, in ogni modo, la frequenza con cui è usato ad apertura di enunciato: [89] Via state allegra, non piangete più il marito; già per quello che ne facevate? Egli stava a Benevento, e voi a Napoli (Il cavaliere e la dama) [90] poi voglio vedere io donna Aspasia avanti di lui, per avvertirla d’alcune cose. Già ella è del mio carattere, e facilmente fra di noi c’intendiamo (L’adulatore) [91] Venite nella mia, andiamo. Già io sto poco di qua lontano (Le femmine puntigliose) [92] Florindo. Che contraddote? Sarebbe ella stata padrona di tutto il mio. Beatrice. Già se ne pentiranno. Giuoco questa scatola d’oro, che se ne pentiranno (La figlia ubbidiente) [93] Ottavio. Faceva quello che io gli aveva ordinato di fare. Lelio. Già il signore zio ha sempre fatto più conto dei suoi servitori che de’ suoi parenti (I puntigli domestici) [94] Dottore. Faccio riverenza alla signora contessa. Beatrice. Già mio cognato è disposto a soddisfarmi, ed io sono contenta della sua buona disposizione (I puntigli domestici) [95] Policastro. A far che, a far che? Ci anderei. A far che, a far che? Geronimo. Già rispondete sempre a proposito (I malcontenti) [96] Che mi caschi la testa, se me n’importa un fico; / Già fra quanti qui vengono, niuno è mio vero amico (La donna di governo)

Inoltre già in prima posizione introduce spesso una battuta che conferma il contenuto di quella precedente; particolarmente frequente in questa funzione è l’espressione già si sa: [97] Siccome lo amo e lo venero infinitamente, non ho mancato di far per esso de’ buoni u√ci presso del mio padrone. / Elvira. Già me ne avvedo (L’adulatore) [98] Colombina. Signore, ella è disposta a far il voler di suo padre. Sancio. Già me l’immagino. Avete sentito? (L’adulatore) [99] Ma che fa Eleonora, che non esce di questa casa? Già me l’immagino: curiosità donnesca (L’avventuriere) [100] Rosaura. Cara amica, partiamo. / Beatrice. Già me n’accorgo (L’avvocato veneziano) [101] Placida. Per quello, che ne ho da far io, mi è tutt’uno. / Marzio. Già si sa. Oggi uno, domani un altro (La bottega del caπè) [102] Lelio. La fortuna qualche volta sa far giustizia, e amore non è sempre cieco. Ottavio. Già si sa; è il vostro merito, che vi arricchisce di pellegrine conquiste (Il bugiardo)

Nell’esempio che segue l’editore mostra di attribuire a già un valore olofrastico, inserendo una virgola tra l’avverbio e il resto della frase: [103] Beatrice. Di grazia, baciatele la mano alla signora superiora. / Rosaura. Già, l’ho sempre detto. Insieme non si sta bene (Il bugiardo)

Non sembra, tuttavia, che l’espressione già l’ho sempre detto debba necessariamente presentare uno stacco prosodico dopo già. 1 Più certa appare la presenza di già olofrastico nei seguenti contesti, in cui l’avverbio è anche preceduto dalle interiezioni eh e oh, secondo la consuetudine diπusa ancora oggi, evidentemente già propria del parlato dell’epoca:  

1   Per esempio, in un’attestazione ottocentesca di questa espressione (Già l’ho sempre detto! non si può fare il bene senza incontrare molti nemici (Borsieri, Avventure letterarie) non viene introdotta la virgola tra già e il resto della frase.

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[104] Rosaura. Prego il cielo di liberarvi presto da questo fastidio. / Eleonora. Eh già, spasimate per volontà di maritarvi (Il cavaliere di buon gusto) [105] Oh già, sempre mi dice così (Il contrattempo) [106] Eh già; non si può sputare, ch’ei non lo sappia (Il geloso avaro) [107] Eh già; non sono padrone io; non conto nulla io (I malcontenti) [108] Eh già, siete di buon gusto in tutto (La cameriera brillante) [109] Eh già; le serve per lo più sono la rovina delle famiglie (Le donne di buon umore) [110] Eh già, quel che si fa per abito, non si ritiene (Le smanie per la villeggiatura)

Si segnalano, inoltre, alcuni casi di quell’uso ironico che sarà anche in séguito tipico di già: [111] Ottavio. Io non vi ho detto insolenze. Siete voi, signora Beatrice, che interpretando le cose a rovescio... / Beatrice. Già, io sono una pazza (Il contrattempo) [112] Eh già tutti i vostri colori sono naturali (con ironia) (La donna di testa debole) 1 [113] Già, per niente. È il più buon ragazzo di questo mondo. L’averà licenziato per niente. (con ironia) (La villeggiatura)  

Nel complesso, nelle commedie di Goldoni sono diversi i casi di già interpretati dagli editori come impieghi olofrastici (ossia fatti seguire da una virgola). Spesso queste occorrenze si trovano negli “a parte” dei personaggi, il che sembra prefigurare quella connessione col monologo interiore che caratterizzerà gli esempi letterari contemporanei (cfr. 8. 1): [114] (Già; quando non si dice a modo suo si comparisce ignorante) (La famiglia dell’antiquario) [115] (Già, è l’usanza de’ commedianti: quando non sanno la parte, danno la colpa al suggeritore) (Il teatro comico) [116] (Già, non mancano seduttori) (La dama prudente) [117] (Già, queste signore elle sole vogliono esser belle) (L’incognita) [118] (Già; basta che io dica una cosa, perché non la voglia fare) (Le donne curiose) [119] (Già, queste ragazze fanno i loro contrabbandetti) (Il geloso avaro)

Tuttavia, come si è già sottolineato per alcuni contesti, spesso non si può avere la certezza che questi impieghi di già vadano interpretati come olofrastici; talora potrebbe trattarsi di quell’uso ad apertura di enunciato (dalla semantica non sempre definibile) di cui si è parlato sopra. Ciò vale, ad esempio, per il contesto che segue, dove la virgola dopo già sembra da eliminare: [120] Ottavio. Disgraziata! le romperò la testa. Ditemi, cara, che cosa è stato? Che cosa vi ha detto? / Corallina. Già, io mi pregiudico per far el bene. Ella si vuol rovinare; io le do de’ buoni consigli, ed in ricompensa mi strapazza come una bestia. Non ci starei più in questa casa, se credessi di farmi d’oro (La donna vendicativa)

In generale, nei passi goldoniani la possibilità di attribuire a già un valore olofrastico è resa ancora più incerta dal fatto che sono del tutto assenti bat1

  In questo caso l’editore non inserisce alcun segno d’interpunzione dopo già, ma il valore olofrastico è evidente.

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tute in cui l’avverbio compare da solo: lo si trova sempre seguito da un altro segmento di discorso. Per il resto, nel teatro di Goldoni può essere interessante rilevare espressioni con già che caratterizzano il parlato di oggi, come già che ci siamo: 1  

[121] Oh via, per questa volta, andiam, già che ci siamo (Il ricco insidiato) [122] Stiamoci chetamente già che ci siamo (Il buon compatriotto)

Così come nel resto del corpus dello stesso periodo, si mostra ormai consolidato il valore causale di già che: [123] Ma già che sono in villa per divertirmi, voglio che anch’ella mi serva di divertimento (Goldoni, La Castalda) [124] E il primo esser credei; ma, già che il sai, / Non trattenermi: è necessaria altrove / La mia presenza (Metastasio, L’eroe cinese)

Già è impiegato spesso da Goldoni anche come raπorzativo della negazione, soprattutto col verbo credere; in alcuni di questi casi la sua semantica si avvicina a quella di mica: [125] Oh, oh, la cameriera si risente. Non l’avete già fatta voi (Il contrattempo) 2  

Talora, come modificatore di un singolo costituente (in particolare i pronomi nessuno e tutti), sembra valere ‘assolutamente’, ‘proprio’: [126] (Già nessuno mi vede). (da sé) Tenete. (le dà la mano) (L’amante militare) [127] Venite qua: già nessuno ci sente (La serva amorosa) [128] Già nessuno ci sente, la cosa resta fra voi e me (Il tutore) [129] Già tutti proteggono quella gran dama. Io sono il cane del macellaio: ossa, e busse (Gl’innamorati) [130] Già tutti lo dicono: fratello e sorella sono due pazzi (Le smanie per la villeggiatura) 3  

Nel periodo in esame si assiste a una rarefazione di già come raπorzativo di frasi ipotetiche / eccettuative. 4 Tra gli usi prevalenti in prosa si annoverano le strutture avversative introdotte da non già:  

1   Ecco un riscontro nei giornali di oggi: Conclude l’assessore D’Alfonso: già che ci siamo potremmo portare a dibattito anche un’altra idea (CS, 16 dicembre 2013). Per quanto riguarda la presenza in Goldoni di «certe formule di conversazione legate a esigenze pragmatiche e del tutto usuali anche oggi nella conversazione corrente», cfr. Serianni 2005: 9. 2   Casi simili si hanno ancora nell’Ottocento: Divertitevi, buona gente, non siamo già lupi né orsi, ci vogliamo divertire anche noi! (D’Azeglio, I miei ricordi); Non siete già il conte Gozzadini, per compiacervi delle antichità bolognesi (Oriani, Gramigne). 3   A questi esempi è accostabile il seguente: Smeraldina, già siam qui sole; io vo’ liberamente, che tu parli sincera (Gozzi, Zeim re de’ Geni); in questo caso già sembra avere il valore di ‘completamente, del tutto’. 4   Solo in questo passo di Metastasio si è rintracciato l’uso di già all’interno di un contesto dal valore ipotetico: Chi sa che queste / Non fosser già le dolci ghiande altrici / Dell’innocente antica età? (Cantate e altre poesie).

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[131] Ma tutte queste grate notizie eran per me dolci cose ad udire, non già che valessero a sottrarmi dalle miserie e strettezze […] (Giannone, Vita scritta da lui medesimo) 1 [132] non già riposta di filosofi, ma volgare di legislatori (Vico, Principi di scienza nuova) [133] ch’i beni feudali portavano di séguito la laudazione del signore, gli allodi non già (Vico, Principi di scienza nuova).  

Periodo 6 Sia in prosa, sia in poesia si mantengono saldi il valore di raπorzativo della negazione e l’impiego nelle correlazioni avversative (non già…ma; ma non già). Continua inoltre a ricorrere l’uso di formule contenenti il verbo sapere, 2 anche in testi dialettali come i Sonetti di Belli:  

[134] Già sapete che questa è una vastissima città (Baretti, «La frusta letteraria») [135] Suπar. Ma, padre, il regno mio... Ombra. Già so (Gozzi, Zeim re de’ Geni) [136] Oltraggio / chiami ogni laude, che a virtù si rende; / già il so: ma che perciò? (Alfieri, Rosmunda) [137] «Per chi madamigella?» / «Oh, per qualcun, signori» / «Già lo sappiam» (Da Ponte, Le nozze di Figaro) [138] e già si sa, chi sta vegliando veglie d’amore, ha caldo, ma caldo assai («Il Conciliatore») [139] È casa d’un gran signore, già sapete (Manzoni, Promessi sposi 1827) [140] Già ella sa come è buona quella povera giovane (Manzoni, Promessi sposi 1827) [141] È casa d’un gran signore, già lo sapete (Manzoni, Promessi sposi 1840) [142] E già si sa che anche nei magnanimi ella è più viva e presente (Leopardi, Zibaldone) [143] Le lodi che le piace di dare al mio scritto, già si sa che non le posso accettare se non per testimonio della benignità sua (Leopardi, Lettere) [144] Unendosi con dei commedianti, che già sapete sono que’ vagabondi che divertono i mercati e le fiere con salti, capriole e simili burlette (Nievo, Novelliere campagnolo) [145] – Ecco – soggiunse ella – già sai che a sbalzi io sono anche troppo sincera (Nievo, Confessioni di un italiano) [146] Non è per questo, capitano; già si sa che un bravo soldato fa il suo dovere; ma è perché il generale vorrebbe conoscervi (Rovani, Cento anni) [147] Ne feci strage per un pezzo, prescegliendo, già si sa, quelli delle persone che le aveva udito ricordare con un po’ d’amicizia (Imbriani, Merope IV) [148] Ma zzitto, zitto: che sserve che strilli? / Già lo so er bene tuo si ccome è πatto (Belli, Sonetti) [149] Già lo sapevo: tu nun zei capasce / De fà ggnisun servizzio a cchi nun sbruπa (Belli, Sonetti) [150] Ebbene, cosa vuoi? Già sai che non son stato il primo... (Verga, Per le vie) 1

  Può essere interessante notare come in questo caso la proposizione introdotta da non già assuma un valore di concessività. 2   Lo stesso valore, a metà tra temporale e asseverativo, ma fondamentalmente lessicalizzato, può osservarsi in presenza di altri verbi di percezione: Già vi accorgerete ch’io parlo in generale, cioè della moltitudine («Il Conciliatore»); Quando diciamo i Romani, ognuno lo pensa già, non vogliamo dire tutti i Romani (Rovani, Cent’anni); E, già s’intende, fate ben conto di tornare... (Manzoni, Promessi sposi 1827); Già si vede che non era destinato... (Manzoni, Promessi sposi 1840). In Leopardi già s’intende è particolarmente frequente: Credete ancora, già s’intende, che il sapere, o, come si dice, i lumi, crescano continuamente (Dialogo di Tristano e d’un amico); già s’intende sempre, più particolari allo sposo (Lettere).

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È ancora possibile trovare esempi di non già ‘no’: [151] «E che? non son io siccome soglio?» «Non già, soggiunse Cleide madre aπettuosa, anzi mi attristi così vedendoti qual non ti vidi mai da prima» (Verri, Le avventure di Saπo) [152] Ma come tutto ciò? forse assolutamente? non già; ma relativamente all’uomo (Leopardi, Zibaldone)

Ma come formula olofrastica è ormai più ricorrente (eh) già AFF: [153] Eh già solita usanza, / Le donne ficcan gli aghi in ogni loco (Da Ponte, Le nozze di Figaro) [154] eh già colui è un birbone che farebbe di tutto per salvar la pelle (Manzoni, Fermo e Lucia) 1 [155] – Eh già! – pensava tra sé (Manzoni, Promessi sposi 1827, 1840) [156] «E già,» riprese poi, con un’aria d’indiπerenza, portata fino all’aπettazione: «e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?» (Manzoni, Promessi sposi 1840) [157] Ed il primo: «Utilitario! Tu non comprendi il sacro fuoco dell’amor della scienza!» «Eh già» ripigliava l’economista «voi altri siete e rimanete lavoratori improduttivi e meri agenti di consumo!» (Imbriani, Merope IV) [158] Chi lo conobbe?... un mangia­dormi a faccia da mascarpone?... con un eterno sorriso a crètta?... un seccatore atroce?... No? – Già; i connotati sono un po’ troppo comuni (Dossi, Vita di Alberto Pisani) [159] – Già – ebbe l’impudenza di dire la rinfichisecchita nell’appressarsi ad Alberto – lei, padroncino, è proprio tutto suo padre!... l’occhio principalmente...– (Dossi, Vita di Alberto Pisani) [160] Eh, già! La madre è degna del figliuolo. Così si spiega!... (Imbriani, Dio ne scampi dagli Orsenigo)  

Anche col solito valore antifrastico: [161] Walter. Qual tu chiedesti / qui fu condotta. Federica. Già!... Walter. Non lo volesti? (Verdi, Luisa Miller)

Un dato interessante è che a partire da Manzoni l’avverbio compare spesso con funzione di segnale discorsivo (talora, anche in questo caso, con valore antifrastico): [162] Eh qui non facciamo niente: costui gli spaventa tutti: toccare Don Rodrigo, già! per amor di Dio! chi l’oserebbe? (Manzoni, Fermo e Lucia) [163] e quel signore...! quell’uomo...! Già, me l’aveva promesso... (Manzoni, Promessi sposi 1840) [164] «Oh padre Cristoforo!» disse Renzo: «tocca a lei a far codeste cose? Ma già lei è sempre quel medesimo. La ringrazio proprio di cuore.» (Manzoni, Promessi sposi 1840) 1

  Nel Fermo e Lucia è ancora presente anche l’uso di già a√ne a ‘invero’, ‘infatti’ che si era notato nel Settecento: Lo dica pure, purchè non lo creda; e già non lo crede. E ancora: Facciamo i nostri patti: noi non vi faremo male, non vi toccheremo, ma voi non cercherete nè di fuggire nè di gridare: già è inutile, ma pure se voleste tentarlo, noi siamo qui, amici o nemici, come vorrete.

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[165] E poi già, non mi pare che si vorrà star tanto sodi sulle formalità (Rovani, Cento anni) [166] E poi già... quello che non saprebbe stasera, saprebbe domattina, e avrebbe ragione di lamentarsi con noi (Rovani, Cento anni) [167] Cuest’è la cuarta vorta che sse storna. / Già, madrimoni! Hai tempo uggne le rote, / Sempre er diavolo sc’entra co le corna (Belli, Sonetti) [168] Già, è stata la Madonna de l’Assunta / Che ha vvorzuto accusì ddelibberamme / Quanno ero ar priscipizzio in punta in punta (Belli, Sonetti) [169] Già, ddisce bbene er mannatar Micchele: / «Co ttanti galli nun ze fa mmai ggiorno» (Belli, Sonetti) [170] Già, ssei nata a la Scrofa, e ttanto bbasta (Belli, Sonetti) [171] Già, ttu ssei stato sempre un miπarolo (Belli, Sonetti) [172] Ciò è il meno, convulsioni isteriche. Già... il fondamento de’ suoi mali è l’isterismo, un male di moda nella donna (Tarchetti, Fosca) [173] Io tornerò a vagabondare pel mondo e a distrarmi. Già... fu un errore. Non era nato per la vita di famiglia io (Tarchetti, Fosca) [174] Ma, già, figuriamoci, chi avesse voglia di rimanere ipocondrico in quella brigata lì, composta per la maggior parte di giovanotti militari! (Imbriani, Dio ne scampi dagli Orsenigo) [175] Solo, verso il povero Maurizio, era ingiusto, davvero: già, con qualcuno, se l’aveva, pure, a prendere! (Imbriani, Dio ne scampi dagli Orsenigo)

In [164] si può notare l’uso di già nel senso di ‘è vero’, a sottolineare che ritorna in mente qualcosa di precedentemente conosciuto; si tratta, come si è ricordato in precedenza, di uno dei principali valori di già in italiano contemporaneo. In [175] i due punti segnalano la presenza di un rapporto di causa-eπetto tra la prima frase e quella introdotta da già (anche in questo caso come si è rilevato in autori contemporanei: si è parlato, a tale proposito, dell’uso di già come connettivo). In Nievo è presente un esempio di impiego olofrastico di già già: 1  

[176] «Già già! ad ascoltar te, le sarebbero tutte eccezioni» risposi io scrollando le spalle (Novelliere campagnolo)

Riguardo agli altri valori di già, in Nievo è frequente l’uso come raπorzativo dell’asserzione, in particolare nella formula di apertura ma già: [177] Ma già la si può figurare quanto a lungo possa tener il vino un secchiello bucato! (Novelliere campagnolo) [178] Ma già la chiarezza delle idee, la semplicità dei sentimenti, e la verità della storia mi saranno scusa e più ancora supplemento alla mancanza di retorica (Confessioni di un italiano) [179] Ma già credo che anche prima dell’assedio non mangiasse meglio (Confessioni di un italiano)

1   L’epanalessi di già continua a ricorrere anche in poesia: E già già tremano / mitre e corone (Carducci, Inno a Satana); No, non è inganno: a Steno già già sfugge la vita (Praga, Poesie).

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In casi del genere non è sempre facile assegnare a già un preciso valore semantico. Così come nell’esempio di Boito che segue, in cui il significato sembra vicino a quello di ‘davvero’, ‘è proprio vero che’: [180] Era un uomo di quarant’anni, coi ba√ neri. Mi picchiava e voleva ch’io gli trovassi danaro. Già tutti gli uomini si somigliano. Senti, senti com’è andata la storia... (Storielle Vane)

Passando a Leopardi, nella sua prosa si notano alcuni esempi di se già con valore eccettuativo: [181] nessuno, se già non fossero i pesci, ed eccettuati pure alquanti degl’insetti volatili, va lungamente scorrendo per solo diporto (Elogio degli uccelli) [182] e quindi dovrebbono guardar questa vita come abitazione veramente orribile per ogni parte e disperata, se già i loro desideri non si volgono ai gradi e condizioni inferiori (Zibaldone)

Nel tessuto argomentativo dello Zibaldone prevalgono – come già in precedenza nella prosa di questo tipo – le frasi avversative introdotte da non già. Nella Storia della letteratura italiana di De Sanctis, invece, si nota un decremento di queste strutture. Nella prosa di questo periodo non già continua talora a essere usato a introduzione di una proposizione col verbo al congiuntivo, anche nella prosa narrativa: [183] Non già che camminasse sempre; ma ogni sei o sette ore di via, due ore di fermata e poi avanti (D’Azeglio, I miei ricordi) [184] non già che la mia salute fosse migliorata, ma perché mi sarebbe stato impossibile rimanere più a lungo nel mio paese natale (Tarchetti, Fosca)

Per quanto riguarda particolari espressioni con già, soprattutto in Foscolo è frequente già tempo ‘tempo fa’, ‘in passato’: [185] Ho letto già tempo, non so in che poeta, che la loro virtù è una massa di ghiaccio (Ultime lettere di Jacopo Ortis) [186] che avea già tempo studiato in Padova (Ultime lettere di Jacopo Ortis) [187] Già tempo, il vero sapere era proprietà riservata ad alcuni pochi che di tanto in tanto ne facevano parte ai meno dotti di loro («Il Conciliatore»)

Se ne osservano esempi ancora in Verga: [188] e i loro parenti erano stati più ricchi del padrone, già tempo (Novelle rusticane).

Periodo 7 Nelle opere di Verga già è usato come avverbio di risposta e come segnale discorsivo: [189] Già! Voi non sapete dir di no, quando vi conviene, sghignazzava Piedipapera (I Malavoglia) [190] Già, voi non ne avete mai avuta, perché non sapreste dove metterla! Gli gridava don Giammaria (I Malavoglia)

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[191] già, tanto e tanto avrebbe potuto portarla ancora, la medaglia di Figlia di Maria! (I Malavoglia) [192] Gilda. Bontà sua. Non me lo merito. Carlini. Già!... Il cuore non si cambia da un momento all’altro… Vengono le amarezze, vengono i dispiaceri, ma il cuore è sempre quello!… (In portineria)

In [189] e [190], come si è osservato in esempi contemporanei, l’uso di già comporta una presa di distanza nei confronti dell’interlocutore. In [192] è presente il valore antifrastico. 1 La frequenza di già olofrastico aumenta ancora in Fogazzaro. Ecco solo alcuni esempi:  

[193] «È magari un po’ leggerina, sì, già» rispose vigliaccamente il pitòr (Malombra) [194] anzi era sempre più amabile, tanto che il conte tra i suoi già, certo, sicuramente, le lanciò due occhiate […] (Malombra) [195] Ne avrà anche Lei, già, di questi momenti (Malombra) [196] «Eccolo là! Un ragazzo!» «Già» fece Cortis, alquanto mortificato, «per le signore sarà impossibile, ma per me me ne andrei di certo» (Daniele Cortis) [197] «Oh già» riprese Pasotti, beπardo più di prima. «Lo informerò io il signore» (Piccolo mondo antico) [198] «Già, Lei, col suo Giusti!» mi ha detto D. (Piccolo mondo antico) [199] Non si vedeva niente. Già, era troppo presto (Piccolo mondo antico) [200] E tante altre piccole cose ci sono, tanti altri piccoli fatti spiacevoli, per cui, già, specialmente dato il carattere di certi colleghi, non si va avanti, non si va, ecco! (Piccolo mondo moderno)

In [198] si può notare ancora una volta l’impiego ironico. In [199] l’avverbio marca il legame di causa-eπetto tra le due frasi, e si comporta dunque da connettivo. Tale valore è presente anche in altri autori: [201] Il capoccio, Vanni, era bravo e aveva messo da parte, alla banca, alcune migliaia di lire; quasi da comprarci il podere, che ora teneva in a√tto. Già, suo padre aveva guadagnato molto nelle mercature e a far le stime dei poderi quando i contadini entravano a padrone nuovo o lasciavano quello vecchio (Tozzi, Altre novelle) [202] […] aveva l’aria molto severa. Ma già! Ognuno dinanzi alla macchina fotografica assume un altro aspetto (Svevo, La coscienza di Zeno)

In Verga ha una notevole frequenza anche l’impiego di già come elemento 1

  Altri esempi da opere di questo periodo: Già… gli altri hanno grandi chiacchiere, ma, quando si tratta di tirar fuori un quattrino, stanno a Melegnano, gli altri (De Marchi, Demetrio Pianelli); «Già, tutti compagni questi nobili» rispose il medico, «tutti a un modo […]» (Serao, La virtù di Checchina); «voglio vedere che fa questo innamorato mio» «Già, per far qualche scenata, qualche lite…» (Serao, Il paese di Cuccagna); Eh, già! Noi poveretti abbiamo sempre torto (Capuana, Il marchese di Roccaverdina); Tommy. In capo a dieci giorni avevo consumato tre vestiti. Massimo. O già, se ti vestivi di bianco! (Giacosa, Come le foglie); Già. Questo è il rifugio dei poltroni consapevoli. Vogliono poter dire che il male l’hanno fatto per ripicco (Giacosa, Come le foglie).

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introduttivo di un’asserzione, dalla semantica piuttosto fluida, di cui si sono visti esempi soprattutto in Nievo: 1  

[203] – Non voglio che mi accompagniate, – ripeteva Luca alla mamma; – già la stazione è lontana (I Malavoglia) [204] ‘Ntoni Malavoglia levava i pugni al cielo, e giurava e sacramentava per Cristo e la Madonna che voleva finirla, avesse dovuto andare in galera; già egli non aveva niente da perdere (I Malavoglia) [205] Voglio dir loro il fatto mio, e far ridere la gente. Già non ho paura di nessuno al mondo (I Malavoglia) [206] Adesso che il padrone va fuori per la spesa, appena arriva la balia non avrete più bisogno di me. Già mi toccherebbe fare la serva alla balia, se il padrone non può tenere altre persone di servizio (Il marito di Elena) [207] Accompagnate i miei nipoti Trao… Già siete vicini di casa… (Mastro don Gesualdo) [208] La vedete? Comincia ad aπezionarmisi. Già i figliuoli sono un gran legame (Mastro don Gesualdo) 2  

Spesso, in questi casi, già introduce un paragone: [209] Già gli uomini, sono come i gatti (Vagabondaggio) [210] che già le femmine sono come la gramigna (Mastro don Gesualdo)

Sopravvive, anche se con minore diπusione, l’uso come raπorzativo della negazione: [211] – E lasciamoli morire, – disse la signora Sganci alzandosi. – Già il mondo non finirà per questo (Verga, Mastro don Gesualdo) [212] «Voi non partirete già domani» diss’egli (Fogazzaro, Malombra) [213] Non sono già lo Spirito Santo per potere indovinare ciò che mulinano nelle teste bislacche! (De Roberto, I Viceré) [214] e non la oπenderei già per tutto l’oro del mondo (Faldella, Le figurine) [215] Ma i sorvissuti non sapean già nulla (Pascoli, Canti di Castelvecchio)

Sempre frequenti, invece, sono gli esempi di strutture avversative con non già: [216] non fu già perché la scena gli paresse degna dell’attenzione di chicchessia […], ma perché avendo una considerazione grave da mettere in luce, sentiva il bisogno di richiamare tutte le sue forze al cervello (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) [217] Aveva sposato il Berretta, non già perché il cuore le dicesse qualche cosa per quel povero martoro di sarto, ma perché così avevan voluto (De Marchi, Arabella) [218] Noi siamo qui per divertirci; non già per intisichire a tavolino! (De Roberto, Illusione) 1

  Del resto, ancora oggi «il siciliano usa spesso un già modale come segnale di conferma (ad esempio: “già c’è”, parafrasabile con sicuramente c’è)» (Bazzanella-Bosco-CalaresuGarcea-Guil-Radulescu 2005: 55). 2   Esempi anche in altri autori: non ho detto di avere amicizia per Lei, ho molta stima. Già non c’è amicizia tra le donne (Fogazzaro, Malombra); è meglio già, Dio…! Che vada via, che non mi cimenti! Dio! (Pratesi, L’eredità); Ma non voglio far più quei due piani. Già lassù c’è sempre della gente e lei farebbe una bella figura se tentasse di scappare (Svevo, La coscienza di Zeno).

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[219] L’acqua ci può. Sul fiume va l’alzaia, / non già per aria. L’aria è aria; nulla (Pascoli, Nuovi poemetti)

Si notano ancora una volta casi di non già+predicato al congiuntivo: [220] non già che egli si umili fino a chiederti perdono (Serao, Il paese di Cuccagna) [221] Non già che il marchese fosse innamorato come un giovanotto (Capuana, Il marchese di Roccaverdina)

In Fogazzaro già è usato come raπorzativo di no (no già): [222] eh no – no già – non saprei – insomma no (Piccolo mondo antico)

In Pascoli è ancora possibile trovarlo in combinazione con se non, con valore eccettuativo: [223] Se già non la lampada io sia, / che oscilla davanti a una dolce Maria (Canti di Castelvecchio) [224] Questa, la morte! Questa sol, la tomba… / se già l’ignoto spirito non piova / con un gran tuono, con una gran romba (Canti di Castelvecchio)

Una certa diπusione nella narrativa di questo periodo ha l’uso di già a inizio frase preceduto dalle congiunzioni e e ma: 1  

[225] Ma già un nuovo spettacolo attirava l’attenzione di tutti (De Amicis, Sull’Oceano) [226] e già scintilla nell’ara l’osceno bagliore della lama di un coltello… (Faldella, Le figurine) [227] e già il grave silenzio della notte incombeva sulla valle (Cagna, Alpinisti ciabattoni) [228] ma già qualche isolata scaramuccia nasceva (Serao, Il ventre di Napoli)

Infine, sono rintracciabili alcuni esempi di ah già nel valore attuale: [229] Ah già! Quella storica, dove Masaniello ha fatto la rivoluzione (Serao, Il ventre di Napoli) [230] Ah già. Sono io Max. Non mi ricordo mai che tu mi poetizzi a quel modo (Giacosa, Come le foglie).

8. 4. Ordine delle parole 8. 4. 1. Come avverbio di tempo In italiano antico già con valore temporale è collocato molto spesso in posizione preverbale, anche a inizio assoluto di frase; tale tendenza, osservabile fin dai testi duecenteschi, 2 si accentua in Boccaccio. La sintassi latineggiante di alcuni passi boccacciani nei quali già si trova in prima posizione farebbe pensare a un’influenza della costruzione della frase latina; 3 a partire dal Filo 



1

  Su impieghi analoghi di e e ma davanti a infatti, cfr. 5. 1. 1 e 5. 2.   Per esempio nella Rettorica di Brunetto Latini e nella Composizione del mondo di Restoro d’Arezzo la posizione iniziale di già conosce rare eccezioni. 3   In latino la posizione iniziale di iam è molto frequente, per quanto non sia ritenuta quella standard: nel Thesaurus linguae latinae si legge, alla voce collocatio: «secundo enuntiati 2

già

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colo, di cui è nota la «sostenutezza latineggiante del discorso», tale posizione ricorre con particolare frequenza, ed è pressoché sistematica nelle sequenze come+già+predicato (come già sostenemmo, come già dissi). Inoltre nei testi poetici già si trova frequentemente ad apertura di un componimento o di una strofa. 2 Tuttavia, diversamente da quanto si è notato per altri avverbi visti fin qui, la collocazione di già tende a essere anteposta anche in testi influenzati dall’ordo verborum del parlato. Per esempio, già preverbale non conosce quasi eccezioni nelle Lettere di Santa Caterina da Siena:  



[1] sì come già avete fatto per l’adietro [2] la quale già v’ha data, ma cresceràlla per la sua infinita misericordia

Del resto, il fatto che la tendenza alla posizione preverbale si noti fin dai testi più antichi fa ritenere che non si tratti di un fenomeno connesso soltanto all’elaborazione stilistica dei testi. Oltre alla posizione preverbale, già può occupare quella interposta tra due costituenti logicamente legati: i due elementi di un predicato perifrastico (Ho già preparata la querela del testamento, Goldoni, L’erede fortunata), il predicato e il suo complemento (ché io porto già lo tuo colore, Dante, Vita nuova), il verbo reggente e la proposizione completiva (Sentendosi già per tutta Italia che ‘l conte di Lando […] era per venire al primo tempo nella Marca, M. e F. Villani, Cronica), il predicato e il soggetto (Nelle contrade di Trento fu già un signore, Sacchetti, Trecentonovelle). Rara, almeno fino al Quattrocento, la collocazione postverbale. Gli esempi rintracciati sono specialmente poetici, come il seguente: [3] L’altra mattina in un mio piccolo orto / andavo, e ‘l sol surgente co’ sua rai / apparia già, non ch’io ‘l vedessi scorto (Lorenzo de’ Medici, Poemetti in terzine)

Vanno poi segnalate le sequenze in cui già occupa la seconda posizione, secondo il classico ordo verborum latino; sono i casi in cui la collocazione di già appare maggiormente condizionata dall’elaborazione stilistica: [4] Fu già in Eubea, che ora Negroponte si chiama, un giovane ricchissimo nominato Olimpio (Erizzo, Le sei giornate) loco (scilicet more encliticorum ex lege Wackernageliana)». Chausserie-Laprée 1969 si soπerma sul «iam d’ouverture et de preparation» come stilema tipico degli storici latini (in particolare Livio), attribuendogli una «vocation dramatique» (505); identifica, inoltre, un precedente di quest’uso nell’h[dh degli storici greci e nota la «même utilisation stylistique» anche in esempi di déjà a inizio frase nella letteratura francese (500). 1

  Manni 2003: 253.   Per esempio: Già fiammeggiava l’amorosa stella / per l’oriente, et l’altra che Giunone / suol far gelosa nel septentrione, / rotava i raggi suoi lucente et bella (Petrarca, Canzoniere); Già perch’i’ penso ne la tua partita, / donna, comincia ‘l pianto (Poesie musicali del Trecento); Già richiamava il bel nascente raggio / a l’opre ogni animal ch’in terra alberga (Tasso, Gerusalemme liberata); Già dal meriggio ardente il sol fuggendo / Verge all’occaso (Parini, Il giorno). Guardando agli antecedenti latini, iam a inizio verso ricorre spesso, per esempio, nell’Eneide, con la funzione di «fissare l’istante iniziale di un nuovo episodio» (Paratore 1983: 151); Chausserie-Laprée 1969 osserva che Virgilio «fit de ces iam d’ouverture l’une de ses techniques de style les plus constantes» (497). 2

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[5] Avevano già gli anni della fruttifera incarnazione dell’altissimo figliuol di Maria Vergine il termine passato del mdxxxx (Grazzini, Le cene) [6] Fu già un ricchissimo e riputato mercatante ch’aveva un sol figliuolo (Costo, Il fuggilozio) [7] Furono già in Venezia duo fratelli gemelli (Scala, Il teatro delle favole rappresentative) [8] Fu già un tempo nel quale quasi tutte le pene erano pecuniarie (Beccaria, Dei delitti e delle pene) [9] Fu già, cinquant’anni addietro, il buon vecchio un competente sonatore di viola (Foscolo, Viaggio sentimentale) [10] Fu già un tempo in cui, mentre i popoli in Europa facevano tra loro un concambio delle scoperte nelle arti e nelle scienze, respingevano poi con disprezzo le istituzioni o le leggi («Il Conciliatore»)

Come si vede, si tratta quasi sempre di incipit di opere narrative contenenti l’espressione fu già / furono già. In questo volume si è notato più volte come la posposizione dell’avverbio rispecchi solitamente un legame col parlato. Il TB attribuisce una carica enfatica alla collocazione postverbale di già: «già, posposto al verbo, ha talvolta più forza. Ve l’ho detto già». Gli esempi di già postverbale aumentano nel Cinquecento: 1  

[11] Ma mi pare che venghino già (Ariosto, Suppositi) [12] per la qual cosa mostratogli un modello, quale io avevo fatto già in Italia (Cellini, Vita) [13] Ah, ah, ah, eccolo comparito già: deh, vedi aria d’allocco! (Grazzini, La pinzochera) [14] Io scrissi già a Vostra Signoria (Tasso, Lettere) [15] Io l’ho destata già, che dormiva qui a basso, e non viene (Tasso, Intrichi d’amore)

Si tratta in quasi tutti i casi di contesti di discorso diretto o comunque in stile colloquiale. In [15] si ha un’inversione piuttosto inconsueta dell’ordine già+participio. 2 Collocazioni diverse da quella preverbale si fanno ancora più frequenti fra Settecento e Ottocento:  

[16] Ma, quando il soccorso giunse, Cosenza era già caduta (Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1999) [17] L’anima sua spasimava già d’impazienza (Foscolo, Viaggio sentimentale) [18] Io aveva già contate venti battute, e mi mancava poco alla quarantesima (Foscolo, Viaggio sentimentale) [19] Io mi posi a sedere sopra una seggiola avvicinata dalla cameriera che si era già dileguata (Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis) [20] poichè si è compiaciuta già di farmene l’apertura (Leopardi, Lettere) [21] Sappi che li avevo messi già nell’involto (Leopardi, Lettere) [22] E denari per la roba ci sono già (Verga, I Malavoglia) 1

  Se ne contano diversi casi anche in poesia: ch’io me l’ho posto già drieto a le spalle (Niccolò da Correggio, Rime); passat’è già più che l’undecim’anno (Sannazaro, Sonetti e poesie). 2   Si può osservare, inoltre, che in un passo del Principe di Machiavelli (come si vidde già che gli etoli missono e’ romani in Grecia) risulta modificato l’ordine della sequenza come+già+predicato, la cui tendenza a mantenersi fissa si era notata a partire da Boccaccio.

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Ma già preverbale rimane una possibilità frequentemente utilizzata: [23] e bench’io l’abbia scritta quand’io già m’era saldamente deliberato a questo partito d’allontanarmi (Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis) [24] e già m’era, prima che tu venissi, risolto di scriverne al parroco (Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis) [25] Già è cosa manifesta e notissima che i romantici si sforzano di sviare il più che possono la poesia dal commercio coi sensi (Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica) [26] Già me lo figurava che non avreste finito senza fare un complimento ai vostri Tedeschi («Il Conciliatore»)

Lo si trova spesso all’interno di una frase relativa, subito dopo il pronome: [27] il quale già incominciava a temere della passione di Jacopo (Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis) [28] sia che l’invidia si sforzi a un sentimento di giustizia, che già dee durar poco (Pindemonte, Prose campestri) [29] della quale già è uscito il primo volume («Il Conciliatore») [30] senza incorrere nel pericolo di riprodurre con troppa servilità ciò che già leggesi in Omero, Virgilio ed Orazio («Il Conciliatore») [31] una sesta moglie a cui già era destinata la scure quand’egli morì («Il Conciliatore») [32] quello che già c’era stato disseminato per la pratica di costoro (Manzoni, Promessi sposi 1827) [33] troncò le congetture che già cominciavano a brulicar ne’ loro cervelli (Manzoni, Promessi sposi 1840) [34] riflette i suoi raggi sul volto pallido ed alterato di un giovane, che già conosciamo (Verga, Sulle lagune) [35] Ma quello che già aveva fatto, le dava il diritto di tenere alta la testa in ogni contingenza (Chelli, L’eredità Ferramonti)

In definitiva, ci sembra che nel caso di già i rapporti tra ordine delle parole e parlato siano da considerarsi più articolati che nel caso di altri avverbi visti fin qui. Specialmente i dati provenienti dai testi teatrali fra Cinquecento e Settecento confermano l’ipotesi, sopra formulata, che la collocazione preverbale non fosse priva di legami con l’oralità: 1  

[36] Et eccolo che già torna (Dovizi, La Calandra) [37] «Io già l’ho detto», rispose il Conte (Castiglione, Il Cortegiano) [38] Se fosse un magazzin di vino, già l’arebbe trovato (Caro, Gli straccioni) [39] Che? Già la conoscete? (Caro, Gli straccioni) [40] Voi già vi contentate per i trenta scudi? (Della Porta, La fantesca) [41] perciò che già ti ho riconosciuto (Castelletti, Stravaganze d’amore) [42] Io parlo, che voi dite Camillo figlio di Alessandro genovese, il quale già è morto (Tasso, Intrichi d’amore) 1   Lo confermano anche alcuni esempi dialogici dei Promessi sposi, come il seguente: «Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia;» disse un notaio criminale, mettendo giù la penna, «ma già lo sapevamo».

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[43] Oh sì, signore, andate. Già ve l’ho detto, so andar da me; non ho bisogno di braccio (Goldoni, L’uomo di mondo) [44] poi pian piano tutti due ce ne anderemo in cucina. Io già avrò preparato il bisogno (Goldoni, La donna di garbo) [45] Già me l’immaginavo. Farò io, farò io (Goldoni, L’erede fortunata) [46] Sentite, io già me ne sono accorta. Il signor Florindo vi piace (Goldoni, Il vero amico) [47] Io son la commissaria, questo già lo sapete (Goldoni, Amante di sé medesimo) [48] Oh! Costa? Costa? già me lo ero immaginato (Leopardi, Lettere)

Nel caso di già con valore temporale, dunque, nei testi più vicini al parlato non viene alla luce quella preminenza della posizione postverbale che si è osservata per gli altri avverbi AFF / NEG. Ci sono anche contesti in cui la posizione preverbale appare obbligatoria: [49] No, non aver riguardo. Già il signor Cavaliere non parla (Goldoni, La famiglia dell’antiquario)

In questo passo già non si sarebbe potuto trovare in posizioni diverse da quella preverbale. Lo stesso vale per esempi analoghi in italiano contemporaneo: [50] e ha gettato un’ombra sui dipendenti pubblici, che già non godono di buona fama (CS, 18 dicembre 2013) [51] Noi non abbiamo soldi per levare ancora una volta quelle scritte, già non riusciamo a pagare il tetto, si figuri (CS, 5 dicembre 2013)

Spesso la posizione preverbale di già è legata a una sua marcatezza pragmatica. Nei testi otto-novecenteschi si leggono esempi come i seguenti: [52] Queste cose già le sai (Leopardi, Lettere) [53] Stella già pensa a una seconda edizione (Leopardi, Lettere) [54] si chiama Alì e già ha stretto amicizia con Vigilante (Verga, Storia di una capinera) [55] Donna Barbara la fermò quando già stava per correre ad aprire (Verga, Dal tuo al mio) [56] I preti già gliel’avevano guastata (De Marchi, Arabella) [57] Voleva forse scusarsi di avermi chiamato mentre io già avevo capito che aveva fatto bene a destarmi (Svevo, La coscienza di Zeno)

In questi contesti già è usato nel normale valore temporale, ma assume una particolare forza pragmatica, che proprio la collocazione preverbale consente di riconoscere. 1 Altre volte le posizioni preverbale e postverbale si possono considerare sostanzialmente intercambiabili; si vedano contesti tra loro a√ni come questi, tratti da Dal tuo al mio di Verga:  

[58] Questo lo so già [59] Questo già lo sa 1

  Si potrebbe dire che il «contrasto temporale tra il tempo previsto e quello reale, utile per compiere una determinata azione» (Bazzanella-Bosco-Calaresu-Garcea-GuilRadulescu 2005: 52), indicato normalmente da già temporale, risulti, in questi casi, particolarmente accentuato.

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Per quanto riguarda l’italiano contemporaneo, nella GGIC si parla della posizione preverbale di già come di una giacitura tipica non dello standard, ma di alcune varietà. 1 A ben guardare, nella prosa giornalistica già preverbale è piuttosto diπuso; in un numero del CS (31 dicembre 2013) se ne sono reperiti sei esempi: 2  



[60] Già mi era sembrato un miracolo quando aveva riaperto gli occhi e mi aveva riconosciuto [61] Alla fine di questa storia […] c’è la sentenza di primo grado – gli avvocati già promettono Appello [62] a tentare la scalata del gigante himalayano, che già è costato la vita a undici alpinisti del Terzo Reich [63] Fa specie che prima della fine dell’Ottocento, mentre ancora le Alpi presentavano «infiniti problemi da risolvere» […], già qualcuno pensasse seriamente ai giganti dell’Himalaya [64] […] sono stati trasferiti nel centro di accoglienza per soli rom di via Visso 12, chiamato «Best House Rom», dove già vivono altri 180 rom [65] Qualcuno, in verità, già la vide nel 2009, in piena crisi

[62] e [64] mostrano che la tendenza alla collocazione preverbale dopo un che relativo è rimasta intatta anche ai nostri giorni. 3 Ecco, inoltre, alcuni esempi giornalistici in cui l’anteposizione di già al predicato appare legata a una marcatezza pragmatica dell’avverbio:  

[66] Spinelli, a fine partita raggiunto da qualche coro di contestazione della Curva Nord, già sta pensando al mercato riparatore di gennaio (CS, 22 dicembre 2013) [67] L’appuntamento è per oggi ma i rumor non si sono fatti attendere e già si parla di un servizio di printing on demand per avere su carta le foto migliori (CS, 12 dicembre 2013) [68] In soli sei mesi, a Roma e in Calabria già sono iniziate le acquisizioni italiane (CS, 11 dicembre 2013) [69] Quanto al fatto che la Congregazione della dottrina della fede già si occupa del problema 1   Ricca 2010 aπerma che già occupa «tipicamente la posizione immediatamente successiva al verbo finito o all’ausiliare», mentre la posizione preverbale è usata «in alcune varietà» (721). 2   Più rara è invece, nei giornali, la posizione postverbale: La prossima sfida si è vista già contro la Fiorentina (CS, 10 dicembre 2013). 3   Nel CS sono numerosissimi i casi di frasi relative con già preverbale: quando un pullman di tifosi olandesi è transitato da piazzale Loreto dove già manifestavano i «forconi» (12 dicembre 2013); l’autore della bravata, il sindaco casertano Pio Del Gaudio, che già era finito sulle prime pagine con l’accusa (respinta) di essere omofobo, dice di non sentirsi per niente in colpa (12 dicembre 2013); Papà e mamma di due bambini che già hanno cognome italiano, ma non ancora sui documenti il timbro necessario per lasciare il Congo (8 dicembre 2013); È un vecchio gioco al quale Yanukovich ci ha abituato da tempo e che già costituiva la specialità del vecchio presidente Leonid Kuchma fino alla rivoluzione arancione del 2004 (7 dicembre 2013); diventa inevitabile che un Paese che già viaggiava a due velocità aumenti il suo divario (7 dicembre 2013); penso ad esempio alla Mille Miglia e certamente a tutto il mondo dell’impresa che già collabora fattivamente col Festival (5 dicembre 2013); Nell’Inter è aumentata la confusione, che già era notevole (5 dicembre 2013); Non è certo la prima committenza pubblica per la Laba, che già si è occupata del restauro del Teatro Grande (4 dicembre 2013); deposto nel medesimo sepolcro dove già erano tumulati due suoi figli (3 dicembre 2013); ma anche dove già esiste una significativa tradizione, mille ostacoli ne intralciano il cammino virtuoso (2 dicembre 2013); ecc.

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(non senza polemiche, a motivo del regime di segretezza che vige sulle pratiche disciplinari), il cardinale O’Malley ha spiegato […] (CS, 6 dicembre 2013)

In [68] l’espressione in soli sei mesi rende esplicita l’intenzione di dare un particolare risalto all’anticipo con cui l’evento in questione si è svolto rispetto ai tempi previsti. Spesso già preverbale compare in presenza delle forme verbali c’è, ci sono: [70] All’Atalanta i sostituti già ci sono (CS, 14 dicembre 2013) [71] Un progetto per la remise en forme già c’è (CS, 13 dicembre 2013) [72] A Brescia già c’è ed è in grado di rinnovare la sinistra (CS, 10 dicembre 2013) [73] voglio che entro il 2014 si inauguri anche una nuova linea tram che vada dalla stazione Termini a Trastevere. I binari già ci sono... (CS, 8 dicembre 2013)

Infine, in tutto l’arco diacronico considerato sono sporadici gli esempi in cui l’avverbio figura prosodicamente isolato, come in questo caso: [74] Era malandato, già, in salute (Fogazzaro, Malombra).

8. 4. 2. Come avverbio AFF / NEG Nei casi in cui già è usato per raπorzare la negazione, la posizione non marcata è quella postverbale: [75] Qual sia no ‘l dirrò già, perché molesto / forse serria (Serafino Aquilano, Rime) [76] La ragion non scio già (Niccolò da Correggio, Rime) [77] ma quella Castagnia non mi dimenticherò già (Ariosto, Suppositi) [78] Non vi credo io già, barbara, ingannatrice! (Goldoni, L’erede fortunata)

Meno frequenti gli esempi di collocazioni anteposte e interposte: 1  

[79] che è ch’io già non niego che le opinioni e gli ingegni degli omini non siano diversi tra sé (Castiglione, Il Cortegiano) [80] già non lo sposerei, è troppo serio (Capuana, Profumo) [81] né mi dovete già riputar per tanto ignorante, che non conosca la eccellenzia di Michel Angelo e vostra e degli altri nella marmoraria (Castiglione, Il Cortegiano)

Quanto a già AFF, usato nelle risposte o come segnale discorsivo, se è accompagnato da un altro segmento di discorso si trova quasi sempre a inizio frase; talora può occupare la posizione dell’inciso o quella finale: [82] Ma, già, quelli erano contadini (Tozzi, Con gli occhi chiusi) [83] Se anche io seguitavo ad ignorare ogni cosa, non tornava in vita, già! (Giacosa, I diritti dell’anima) [84] Quel grasso suo, tutto quel grasso, li insospettiva. L’edèma da fame, già! Ma chi altri se non Geo poteva aver messo in circolazione una simile storia […]? (Bassani, Cinque storie ferraresi) [85] Ah, è console? E trasferito, già, ma da quando, dove... (Arbasino, L’anonimo lombardo). 1

  Più prevedibile la possibilità di trovare già anteposto in poesia: se posso mettermi / a seder, già non credo che mi facciano, / s’io non sento altro che parole, muovere (Ariosto, La Lena).

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8. 5. Conclusioni su già Nella storia dell’italiano già svolge due funzioni principali: quella di avverbio di tempo e quella di raπorzativo della negazione. 1 È inoltre impiegato come connettivo – in combinazione con altri elementi – prevalentemente in relazioni sintattiche di tipo avversativo (non già, ma non già), ipotetico / eccettuativo (se già non) e causale (già che). Per quanto riguarda già come formula di risposta, il valore NEG – oggi uscito dall’uso – precede cronologicamente quello AFF: non già è infatti documentato a partire dal primo Cinquecento, mentre le prime attestazioni come avverbio olofrastico AFF si trovano nei testi teatrali settecenteschi, talora già accompagnate da interiezioni come eh e oh. Dal momento che nel Settecento, in vari tipi di testo, si ha un’ampia diπusione di formule fisse come già so, già sai, già si sa, l’uso AFF di già come avverbio di risposta potrebbe aver avuto origine dall’ellissi del verbo in queste espressioni; 2 del resto l’abitudine a usare già in formule fisse col verbo sapere, documentata fin dai primi testi della letteratura italiana, è viva ancora oggi, come dimostra l’interiezione settentrionale giassai, registrata dai dizionari (cfr., per esempio, DO) a partire dai primi anni Duemila. La stretta connessione di già col verbo sapere si ricava anche dalle parafrasi del contenuto di già suggerite da Bazzanella nella GGIC: «Lo sapevo / avrei dovuto saperlo (già) che X, purtroppo» per quanto riguarda già come «constatazione rassegnata»; «Lo sapevo / avrei dovuto saperlo (già) che dovevo X» per quanto riguarda già accompagnato dall’interiezione ah, con «presupposizione deontica». 3 In già AFF è frequente fin dalle epoche più antiche il valore ironico-antifrastico; l’abitudine all’uso della formula negativa non già potrebbe aver prodotto un’influenza sull’impiego AFF. Riguardo all’uso attuale di già, si è osservata in primo luogo la sua particolare fortuna come formula di risposta nei romanzi del Novecento, in particolare attorno alla metà del secolo; il suo legame col registro letterario è confermato dal fatto che Pasolini non se ne serve mai nei romanzi che riproducono  





1   Ricca 2010 (724) fa riferimento all’uso di già come raπorzativo sia dell’asserzione, sia della negazione: alla luce dei dati commentati qui, in italiano antico il secondo impiego appare notevolmente più diπuso del primo; non a caso Ricca, in sede di esemplificazione, riporta un contesto in cui già ha funzione di avverbio NEG, mentre non fornisce esempi per l’uso AFF. Un’importante conferma di questo stato di cose viene poi dal fatto che 11 grammatiche registrano non già tra gli avverbi NEG (si tratta dunque di uno degli avverbi più frequentemente menzionati in questa funzione; solo mica, con 14 citazioni, è citato un numero maggiore di volte), mentre una sola grammatica (ottocentesca) registra già tra gli avverbi AFF (cfr. 1. 2.). 2   Appare dunque condivisibile la spiegazione che si legge nel TB: «Già, aπermando, è ellissi di già s’intende, si sa: suppone cosa evidente». Nella GIA si parla dell’impiego olofrastico come prosecuzione dell’uso antico di già «per sottolineare enfaticamente un’asserzione» (Ricca 2010: 724); tale uso, che, complessivamente, non è molto diπuso in italiano antico, in presenza del verbo sapere a√ora in eπetti già a partire dal Duecento. 3   Bazzanella 1995: 221.

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le movenze del parlato. L’uso di già nelle risposte appare dunque, per quanto riguarda il Novecento, un’opzione che porta con sé un quid di artificiosità letteraria. Accanto all’uso come formula di risposta, fin dall’Ottocento è ben attestato quello come segnale discorsivo: in alcuni casi, nello strutturare il discorso, già assume lo status di vero e proprio connettivo; si è inoltre osservato che l’impiego come segnale discorsivo finisce per riguardare, a poco a poco, prevalentemente il discorso interiore dei personaggi. Quanto alla posizione nella frase, come avverbio di tempo già presenta una notevole libertà in tutto l’arco diacronico considerato, anche se a prevalere, nel complesso, è la collocazione preverbale, sia nei testi stilisticamente elaborati, sia in quelli che più risentono dell’andamento del parlato; in alcuni casi tale collocazione conferisce una particolare marcatezza pragmatica al riferimento temporale. Anche oggi, nonostante la maggiore diπusione della collocazione interposta al predicato, quella preverbale non si può dire estranea all’italiano standard. Come avverbio NEG, la posizione più ricorrente di già è invece quella posposta al verbo.

9 . Altri avverbi AFF / NEG n e g l i scrittori contemporanei

S

i procederà ora a qualche altra incursione nella prosa narrativa del PTLLI, dove gli avverbi AFF / NEG sono usati spesso come avverbi di risposta o segnali discorsivi. Si vedano, per esempio, le seguenti battute di dialogo, contenenti accumuli di formule olofrastiche: Certo, certamente, dica lei, signora e... senz’altro, senz’altro (Bontempelli, L’amante fedele); Alla morte di lui, certo, naturalmente, yes, sure, of course, la villa di Passy sarebbe rimasta a Mrs Colloretti (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme). Fin qui si sono osservati nel PTLLI gli impieghi olofrastici di assolutamente (17 occorrenze), aπatto (1), appunto (69), infatti (52), mai (49), già (463). L’inventario sarà ora arricchito dai risultati degli spogli riguardanti certo, certamente, sicuro, sicuramente, bene, perfetto, ottimo, esatto, esattamente. 1 Nel complesso, come si vedrà, emerge una notevole tenuta delle forme più tradizionali, come certo e bene. 2 Chiuderanno il capitolo alcune osservazioni sulla scarsa presenza nel PTLLI dell’avverbio NEG punto.  



9. 1. Usi olofrastici 9. 1. 1. Certo 3  

Occorrenze: 764 7 Berto, Il cielo è rosso; 15 Flaiano, Tempo di uccidere; 20 Palazzeschi, I fratelli Cuccoli; 1 Cardarelli, Villa Tarantola; 5 Vittorini, Le donne di Messina; 14 Pratolini, Un eroe del nostro tempo; 5 Angioletti, La memoria; 9 Malaparte, La pelle; 4 Pavese, La bella estate; 10 Calvino, Ultimo viene il corvo; 11 Moravia, Il conformista; 5 Alvaro, Quasi una vita; 12 Moravia, I racconti; 2 Calvino, Il visconte dimezzato; 12 Bontempelli, L’amante fedele; 22 Gadda, Novelle dal ducato in fiamme; 1 D’Arzo, Casa d’altri; 14 Soldati, 1

  Nell’elenco non compare okay: l’unico autore che si segnala per l’uso di questo anglicismo (nella forma contratta ok) è infatti Veronesi, che in Caos calmo vi fa ricorso 25 volte (e lei ok allora tra poco sono da te; e io sì, ok magari quando vieni su fatti vivo, come no, ciao, ciao; ecc.), impiegandolo anche come connettivo concessivo (Che cazzo ridi, se ti dico che non mi fa eπetto non mi fa eπetto. OK, i muscoli sono crollati, e sudo, e l’aria si è come solidificata, e all’improvviso mi ricordo nei minimi dettagli tutto il mio esame di maturità). Le uniche occorrenze in altri autori (Malaparte, Mazzantini ed E. Rea) fanno parte di inserti in lingua inglese o di dialoghi fra personaggi che si esprimono in questa lingua, così come accade, del resto, per tutte le attestazioni di yes. 2   Certo e certamente sono menzionati da Bazzanella 2001 (195) tra i segnali discorsivi già diπusi in italiano antico che persistono nell’italiano contemporaneo; Bazzanella parla inoltre di «persistenza parziale» a proposito di bene. 3   Nel DELI sono assenti riferimenti a certo olofrastico. Il GDLI non riporta esempi anteriori a Moravia, mentre segnala attestazioni di certo sì e certo no a partire da Boccaccio.

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Lettere da Capri; 13 Bassani, Cinque storie ferraresi; 13 Morante, L’isola di Arturo; 29 Buzzati, Sessanta racconti; 1 Testori, Il ponte della Ghisolfa; 9 Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo; 6 Pasolini, Una vita violenta; 4 Ottieri, Donnarumma all’assalto; 24 Arbasino, L’anonimo lombardo; 15 Cassola, La ragazza di Bube; 3 Sciascia, Il giorno della civetta; 2 La Capria, Ferito a morte; 5 Tobino, Il clandestino; 4 Mastronardi, Il maestro di Vigevano; 2 Ginzburg, Lessico famigliare; 2 Levi, La tregua; 3 Arpino, L’ombra delle colline; 1 Volponi, La macchina mondiale; 11 Parise, Il padrone; 5 Prisco, Una spirale di nebbia; 11 Sapienza, Lettera aperta; 3 Ortese, Poveri e semplici; 2 Romano, Le parole tra noi leggere; 2 Chiara, L’uovo al cianuro; 2 Piovene, Le stelle fredde; 8 Brignetti, La spiaggia d’oro; 7 Dessì, Paese d’ombre; 7 Petroni, La morte del fiume; 6 Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima; 19 Landolfi, A caso; 1 Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger; 2 Tomizza, La miglior vita; 2 Samonà, Fratelli; 2 Levi, La chiave a stella; 4 Sanvitale, Madre e figlia; 4 Gorresio, La vita ingenua; 30 Eco, Il nome della rosa; 6 De Carlo, Uccelli da gabbia e da voliera; 1 Parise, Sillabario n. 2; 1 Pomilio, Il Natale del 1833; 2 Citati, Tolstoj; 7 Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti; 8 Morazzoni, La ragazza col turbante; 8 Bellonci, Rinascimento privato; 17 Magris, Danubio; 1 S. Nievo, Le isole del paradiso; 3 Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia; 9 Mannuzzu, Procedura; 23 Pontiggia, La grande sera; 1 Vassalli, La chimera; 11 Volponi, La strada per Roma; 20 Tamaro, Per voce sola; 1 Ferrante, L’amore molesto; 7 Rea, Ninfa plebea; 3 Montefoschi, La casa del padre; 20 Di Lascia, Passaggio in ombra; 11 Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo; 4 Magris, Microcosmi; 26 Siciliano, I bei momenti; 11 Maraini, Buio; 8 Montesano, Nel corpo di Napoli; 10 Starnone, Via Gemito; 9 Mazzantini, Non ti muovere; 26 Rea, La dismissione; 6 Mazzucco, Vita; 10 Riccarelli, Il dolore perfetto; 61 Veronesi, Caos calmo.

Certo olofrastico può essere preceduto da ma (ben 54 occorrenze), 1 oh (7), e(h) (7), 2 ah (6), ma sì (2), be’ (1). 3 Come avverbio di risposta non presenta particolari connotazioni; diversamente da un altro avverbio molto frequente nel PTLLI, già, di cui si è vista la tendenza a esprimere freddezza e distacco, può essere legato all’espressione dei più diversi stati d’animo.  





[1] Certo. – Rispose con fierezza il padre (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [2] – Ma certo, certo – rispondeva il padre con entusiasmo (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [3] Riprese poi il telefono dicendo a caso: «Certo... Si capisce» (Moravia, I racconti)

La maggior parte delle attestazioni non è, però, rappresentata da formule di risposta: ancor più degli altri avverbi AFF / NEG, certo è usato come segnale discorsivo 4 e come connettivo interfrasale (con analogie rispetto all’uso di già descritto in 8. 1):  

1   «Nelle repliche di disaccordo positivo, certo è usato con pronuncia enfatizzata, oppure reiterato, oppure preceduto da ma» (Bernini 1995: 219). A menzionare ma certo! come forma enfatica è già il TB, che lo ritiene «più familiare» di oh, certo. 2   «E certo!» gli fece eco donna Peppina (Di Lascia, Passaggio in ombra); E certo, tu sei il filosofo, l’uomo che conosce… (Montesano, Nel corpo di Napoli). 3   Be’, certo. Ma è di√dente, chiuso (Maraini, Buio). 4   Alcuni esempi di certo come segnale discorsivo in italiano contemporaneo sono riportati da Ortore 2014: 27.

altri avverbi aff / neg negli scrittori contemporanei 197 [4] Amore di padre, certo, ecco il mio amore (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [5] Non sempre, certo, era la propria madre, né sempre la moglie o il marito o i figlioli (Vittorini, Le donne di Messina) [6] Allora la donna guardò il cielo sopra la città, e sentì che veniva di lassù. Certo, doveva essere un aereo amico, così solo, ma intanto lei tremava tutta (Berto, Il cielo è rosso) [7] Mi hai voluto ricordare che non ho il diritto di sacrificare la tua esistenza... Certo, sarò una vecchia quando tu sarai un uomo nel fiore della vita, ma ancora non è cosí... (Pratolini, Un eroe del nostro tempo) [8] «Siamo tutti uguali» incalzavano altri «basta con gli sterili rimpianti, il mondo è in cammino!» Il mondo, certo, correva verso stupefacenti, mirabolanti conquiste (Angioletti, La memoria) [9] Essere proprietario di uno schiavo negro voleva dire possedere una rendita sicura, una facile fonte di guadagno: risolvere il problema della vita, spesso diventar ricco. Il rischio, certo, era grave (Malaparte, La pelle) [10] Se no, galantuomo, risparmiati pure il sapone: tutto il resto non è che paesaggio. Non c’era da vantarsene, certo: ma mi par di conoscer parecchi che si son fermati un bel pezzo più in qua (D’Arzo, Casa d’altri) [11] egli si sentiva penetrare lentamente dal senso della propria solitudine e da un vago spavento: perché si trattava di una lapide commemorativa, certo: ma lui si era guardato bene dal leggere cosa c’era scritto sopra (Bassani, Cinque storie ferraresi)

Nei contesti da [6] a [11] certo è usato come connettivo; 1 in questa funzione l’avverbio ricorre, con stacco prosodico, 2 perlopiù all’inizio della frase, ma può anche, come in [8] e [9], costituire un inciso od occupare, come in [10] e [11], la posizione finale. [6] e [7] confermano la frequenza delle strutture avversative in correlazione con gli avverbi AFF (cfr. 8.1). 3 In [9]  





1   Come si è visto per già, certo può fungere da collegamento interfrasale anche quando è seguito da un segno di punteggiatura forte: «E l’ultima volta che è stata vista era molto lontana». Certo. Le navi da battaglia inglesi fanno ostriche sulle carene alla fonda, nel porto d’Alessandria. è questo il loro senso, il loro compito (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme). 2   La presenza di stacco prosodico (reso graficamente con la virgola o con altri segni di punteggiatura) è stata uno dei criteri per distinguere i casi in cui certo ha funzione di segnale discorsivo / connettivo da quelli in cui ha funzione di avverbio di frase. Non si tratta, tuttavia, di un criterio sempre praticabile: anche come avverbio di frase certo può trovarsi prosodicamente isolato (gruppetti di tre o quattro sostavano un po’ a parlottare e, certo, esaltavano la gloria secolare e l’abbondanza futura del formicaio […], Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo); inoltre, non in tutti i casi in cui la virgola è assente si deve supporre la mancanza di stacco prosodico («Meraviglioso no?» chiese il Vicedomini. «Meraviglioso certo» assentí il sindaco, Buzzati, Sessanta racconti). Di là dalla questione dell’autonomia prosodica di certo, la stessa distinzione fra l’impiego olofrastico e quello come avverbio di frase appare a volte, nel caso di questo avverbio, piuttosto labile (si veda un esempio come Nessuno certo, neppure il professore, si era accorto di questi segni piccolissimi… Buzzati, Sessanta racconti). 3   Altri esempi: la ragazza è convinta d’essere una imperatrice bizantina: la basilissa Teodora. Questa convinzione la accompagna in tutti gli atti della giornata. Spettacolo penoso, certo, ma oggi la demenza si cura, si guarisce (Bontempelli, L’amante fedele); Pensò che il nonno Mananti, certo, non aveva avuto alcuna ingerenza nella costruzione della rete. Ragazzo, gli pareva però d’aver sentito dire che i fratelli di lui vi avessero lavorato come giornatanti (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme); Era un amico, certo,

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certo introduce una contrapposizione concettuale, con prevalente valore di concessività; 1 l’uso di certo come connettivo avversativo-concessivo è molto ricorrente:  

[12] O all’osteria si scolavano un bicchiere. Certo, anche loro vedevano il sole e la collina (Pavese, La bella estate) [13] Era incinta, certo. Ma che piacere rivederla (Soldati, Lettere da Capri) [14] Cosí, adesso avevo saputo che era anche civetta, la mia cara innamoratella! Senza conoscersi, certo, ma lo era (Morante, L’isola di Arturo) [15] «Potrebbe assumere anche tuo padre» aggiunse dopo un po’. «Certo, bisognerebbe che smettesse di bere.» (Cassola, La ragazza di Bube) [16] Mica ci si sposa sempre nella vita anche quando s’è avuto un fidanzato. Certo, se nascono bambini, allora è un altro conto (Petroni, La morte del fiume) [17] Non posso negare a casa Weber gli spiriti cristiani, cattolici, che sono anche i nostri, e la devozione, e l’onestà (forse). Poi, certo, vi sono le diπerenze – ma, senza diπerenze, non vi sarebbe desiderio (Siciliano, I bei momenti) [18] Certo, non mi piace essere ostacolato nelle mie scelte, nel mio lavoro, ma che significa? Non per questo mi si può ritenere un uomo programmato, un volgare arrampicatore (Rea, La dismissione)

Come nel caso di già, il maggior numero di attestazioni di certo olofrastico (61 occorrenze) compare in Caos calmo di Veronesi, che lo impiega spesso come segnale discorsivo e come connettivo, sottolineando talora quest’ultimo valore coi due punti: [19] Oh no. Ecco perché è venuto. Ma certo: sa [20] Ah, ecco: c’è arrivato. Ha paura. E certo: l’avrà pur visto anche lui, che in rete il nome di Steiner ricorre più volte del suo

Fra gli usi particolari di certo olofrastico, in De Carlo se ne ha un esempio all’interno del discorso indiretto: [21] Livia si alza; dice «Fiodor, mi potresti accompagnare a casa?» Le dico che certo (Uccelli da gabbia e da voliera)

Non mancano i casi di impiego ironico: 2  

[22] «Ma io sono innocente», protestai «Certo, tu sei sempre innocente», replicò in modo secco (Rea, La dismissione)

Diπusa è l’epanalessi: però ancora non l’avevo identificato (Buzzati, Sessanta racconti); Certo, ma da amori legali (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo); Certo, nessuno me lo aveva chiesto. Ma io, dissi, non sono un semplice esecutore (Rea, La dismissione); C’era rabbia, certo, ma anche allegria e voglia di fare sentire la propria voce al mondo, i maledetti… (Riccarelli, Il dolore perfetto). 1

  Serianni parla di connettivo concessivo a proposito di un analogo uso di sì, che introduce «un’asserzione che sembra andare contro l’assunto generale, ma che sarà ridimensionata dalla successiva coordinata avversativa» (Serianni 2012a: 38). 2   Nel TB, s. v. certo, si osserva che ma certo, oh certo e sì certo possono «aπermando, negare e canzonare per soprappiù. Così lo Scilicet de’ Latini».

altri avverbi aff / neg negli scrittori contemporanei 199 [23] «Ah certo certo...» si aπrettò ad approvare il visitatore, «dicevo tanto per dire...» (Moravia, I racconti) [24] Certo, certo… qui dovrà rigar diritto… (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme)

In un caso l’avverbio viene replicato nella forma certissimo: [25] Ma certo, certissimo, hanno fatto bene a spendere finché hanno voluto, i miei figlioli (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) 1  

Certo si trova spesso in combinazione con che, a introdurre una frase: 2  

[26] Certo che sono in debito, e molto (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [27] Ma certo che ne ho baciati… (Pratolini, Un eroe del nostro tempo)

e nelle espressioni certo che sì e certo che no: [28] Ma no. Certo che no (Vittorini, Le donne di Messina) [29] Inutile farmi fare il viso rosso: certo che sì! (Landolfi, A caso)

Sì, certo (38 occorrenze) prevale su no, certo (4): 3 non a caso, come si è visto in 1. 2, nella tradizione grammaticale certo è considerato l’avverbio AFF per eccellenza.  

9. 1. 2. Certamente 4  

Occorrenze: 34 7 Moravia (3 Il conformista, 4 I racconti); 5 4 Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo; 3 Bontempelli, L’amante fedele e Parise, Il padrone; 2 Buzzati, Sessanta racconti; 1 Pratolini, Un eroe del nostro tempo, Testori, Il ponte della Ghisolfa, Arbasino, L’anonimo lombardo, La Capria, Ferito a morte, Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Tobino, Il clandestino, Brignetti, La spiaggia d’oro, Landolfi, A caso, Tomizza, La miglior vita, Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti, S. Nievo, Le isole del paradiso, Vassalli, La chimera, Montefoschi, La casa del padre, Di Lascia, Passaggio in ombra, Veronesi, Caos calmo. In tre casi certamente è seguito dal punto esclamativo.  

Alcuni esempi: [1] «Certamente», confermò il mio amico (Moravia, I racconti) [2] Certamente! Sono io il comandante dei partigiani (Tobino, Il clandestino) 1   Poiché in questo capitolo sono trattati solo gli usi olofrastici, si tralascia qui l’esame di certo come raπorzativo della negazione, ossia in contesti come non poteva certo finir meglio (Malaparte, La pelle); Né riuscirono certo a sopraπare le accese discussioni sull’opera di Grossgemüth (Buzzati, Sessanta racconti). Dal punto di vista quantitativo, certo si comporta, comunque, prevalentemente da avverbio AFF; le occorrenze come raπorzativo della negazione sono in numero decisamente inferiore. 2   In questa formula, derivante da è certo che, il valore originario di certo è aggettivale. 3   Si servono di certo in combinazione con no soltanto Eco, Morazzoni, E. Rea e Maggiani. 4   Nessun riferimento all’uso olofrastico di certamente nel DELI (dove manca la voce certamente) e nel GDLI; il TB lo menziona senza riportare esempi. 5   In 3 casi certamente è preceduto da ma.

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[3] «Allora posso dirti quello che vorrei veramente?» «Certamente. Cosa vuoi?» (Veronesi, Caos calmo)

Anche in epanalessi: [4] Certamente, certamente… Lodevoli intenzioni… (Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo)

Si rilevano 3 esempi di certamente no 1 e 3 di certamente sì 2.  



9. 1. 3. Sicuro 3  

Occorrenze: 55 12 Berto, Il cielo è rosso; 1 Palazzeschi, I fratelli Cuccoli; 2 Vittorini, Le donne di Messina; 4 Pavese, La bella estate; 3 Moravia, Il conformista; 1 Moravia, I racconti; 1 Bontempelli, L’amante fedele; 2 Gadda, Novelle dal ducato in fiamme; 4 Bassani, Cinque storie ferraresi; 3 Buzzati, Sessanta racconti; 3 Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo; 1 Tobino, Il clandestino; 2 Arpino, L’ombra delle colline; 2 Prisco, Una spirale di nebbia; 1 Sapienza, Lettera aperta; 1 Brignetti, La spiaggia d’oro; 8 Landolfi, A caso; 1 Sanvitale, Madre e figlia; 1 Eco, Il nome della rosa; 2 Tamaro, Per voce sola.

Anche se molto meno attestato di certo (e nessun autore del corpus lo utilizza dopo il 1991), presenta con esso diverse analogie. Si combina con che a introdurre frasi: [1] Sicuro che accetto... Per intanto, mi potresti anticipare una sigaretta? (Pratolini, Un eroe del nostro tempo)

Compare più volte preceduto da ma: 4  

[2] «Come addio?» «Ma sicuro! Voi dormite, e la selvaggina se la svigna» (Vittorini, Le donne di Messina) [3] Ma sicuro, mi ricordo benissimo di lei... (Moravia, Il conformista)

Talora è attestato come connettivo, specialmente in correlazione con frasi avversative: [4] Quelli che si amano si baciano, sicuro. Ma loro no (Tamaro, Per voce sola)

1

  In Chiara, L’uovo al cianuro; Eco, Il nome della rosa; Riccarelli, Il dolore perfetto.   In Malaparte, La pelle; Vassalli, La chimera; Maraini, Buio. 3   Nel GDLI il primo esempio che ne attesta l’uso come profrase è di Felice Romani. Prescindendo dalla distinzione tra impiego olofrastico e non olofrastico, in 1. 2 si è visto come sicuro sia presente tra gli avverbi AFF nella grammatica secentesca di Erico. In DELI e GDLI il suo valore di avverbio AFF è fatto risalire al Settecento; neanche la LIZ oπre occorrenze di sicuro come avverbio AFF in testi del Seicento, mentre documenta la notevole frequenza della locuzione al sicuro ‘di sicuro’, anch’essa registrata da Erico (che al sicuro conoscerai donde proceda questa tua disgrazia, Latrobio, Brancaleone; di questa sorte al sicuro – disse il Conte – non n’avrà richiesto il Vicerè, Pallavicino, Il corriero svaligiato). 4   Ma sicuro conta in tutto 6 attestazioni; per il resto, tra gli elementi interiettivi si segnala solo un caso di ah a precedere l’avverbio. 2

altri avverbi aff / neg negli scrittori contemporanei 201 L’esempio [4] rappresenta anche un caso di sicuro in posizione finale di frase; ecco un’altra eccezione alla prevalente collocazione in apertura: [5] Avrebbe frugato dappertutto finché non avesse trovato i dolci; sicuro (Calvino, Ultimo viene il corvo).

9. 1. 4. Sicuramente 1  

Occorrenze: 2 [1] «Sicuramente, sicuramente» convenne don Filiberto, divenuto per un attimo pensieroso. «Volete vedere la canonica?» (Tobino, Il clandestino) [2] Tra le sue rivolte e l’apatia scolastica c’era un rapporto? Sicuramente; per lo meno la radice doveva essere la stessa: il suo senso libertario (Romano, Le parole tra noi leggere)

Come certamente, anche sicuramente è scarsamente attestato come avverbio olofrastico. Per entrambi sono chiaramente prevalenti i valori di avverbio frasale 2 e di modificatore di un singolo costituente; quest’ultimo, come nel caso di sicuramente, può essere rappresentato anche da no: 3  



[3] Del resto, che ne penso io? Dirò, oggi, che Dorothea non mi ha amato e non mi ama? Sicuramente no. Anzi (Soldati, Lettere da Capri) [4] Certo dal padre e basta sicuramente no (Starnone, Via Gemito).

9. 1. 5. Bene Occorrenze: 390 106 Berto, Il cielo è rosso; 22 Flaiano, Tempo di uccidere; 1 Banti, Artemisia; 1 Palazzeschi, I fratelli Cuccoli; 1 Pratolini, Un eroe del nostro tempo; 2 Vittorini, Le donne di Messina; 2 Calvino, Ultimo viene il corvo; 1 Malaparte, La pelle; 1 Pavese, La bella estate; 2 Moravia, Il conformista; 1 Alvaro, Quasi una vita; 2 Calvino, Il visconte dimezzato; 1 Moravia, I racconti; 1 Gadda, Novelle dal ducato in fiamme; 2 Bontempelli, L’amante fedele; 13 D’Arzo, Casa d’altri; 1 Fenoglio, La malora; 1 Comisso, Un gatto attraversa la strada; 1 Morante, L’isola di Arturo; 24 Buzzati, Sessanta racconti; 4 Arbasino, L’anonimo lombardo; 4 Cassola, La ragazza di Bube; 1 Mastronardi, Il maestro di Vigevano; 12 Tobino, Il clandestino; 2 Arpino, L’ombra delle colline; 3 Parise, Il padrone; 2 Malerba, Il serpente; 6 Sapienza, Lettera aperta; 2 Ortese, Poveri e semplici; 2 Bevilacqua, L’occhio del gatto; 1 Chiara, L’uovo al cianuro; 5 Piovene, Le stelle fredde; 5 Brignetti, La spiaggia d’oro; 10 Dessì, Paese d’ombre; 5 Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima; 7 Landolfi, A caso; 42 Levi, La chiave a stella; 3 Sanvitale, Madre e figlia; 3 Gorresio, La vita ingenua; 19 Eco, Il nome della rosa; 3 De Carlo, Uccelli da gabbia e da voliera; 1 Parise, Sillabario n. 2; 1 Citati, Tolstoj; 2 S. Nievo, 1

  Il primo esempio con valore di risposta aπermativa riportato dal GDLI appartiene a Giuseppe Maria Foppa: Tu già vedesti / Isabella perir… – Sicuramente. / Ma perché il dimandate? 2   Cfr. Lonzi 1991: 387. 3   L’uso come raπorzativo della negazione è registrato dal GDLI, con esempi a partire da Segneri.

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Le isole del paradiso; 3 Bufalino, Le menzogne della notte; 2 Pontiggia, La grande sera; 7 Mannuzzu, Procedura; 1 Tamaro, Per voce sola; 5 Volponi, La strada per Roma; 1 Ferrante, L’amore molesto; 1 Montefoschi, La casa del padre; 1 Di Lascia, Passaggio in ombra; 13 Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo; 3 Siciliano, I bei momenti; 5 Maraini, Buio; 1 Montesano, Nel corpo di Napoli; 4 Starnone, Via Gemito; 1 Mazzantini, Non ti muovere; 1 Mazzucco, Vita; 1 Riccarelli, Il dolore perfetto; 1 Maggiani, Il viaggiatore notturno; 8 Veronesi, Caos calmo. 1  

Il dato quantitativo complessivo rischia di essere sovrastimato se non si tiene presente che il 28% delle occorrenze sono concentrate in un’unica opera (Berto, Il cielo è rosso: 106 occorrenze). Ma, anche ridimensionandone la frequenza d’uso in base a questa precisazione, bene risulta ugualmente uno degli avverbi olofrastici più attestati nel PTLLI. 2 È impiegato come formula di risposta e come segnale discorsivo:  

[1] «Bene, arrivederci allora», disse Tullio (Berto, Il cielo è rosso) 3 [2] Bene, io esco (Buzzati, Sessanta racconti) [3] «Bene» disse il teologo. «Cioè male, ma diciamo bene lo stesso» (Piovene, Le stelle fredde) 4  



Talora funge da elemento introduttore di una frase, ed è perlopiù seguito dai due punti: [4] Questa scoperta anziché terrorizzarlo, gli diede una strana tranquillità. Bene: ormai egli si trovava in mezzo al campo minato, era certo (Calvino, Ultimo viene il corvo) [5] Ora siamo sicuri a proposito del nostro rapporto, che non è stato un colpo di testa. Bene: su quali basi impostarlo? (Arbasino, L’anonimo lombardo) [6] Bene: ma chi? (Landolfi, A caso) [7] – Tu sai, – gli aveva chiesto, – che cosa sono le azioni? Bene: o loro o noi (Volponi, La strada per Roma)

Spesso marca il passaggio a un concetto nuovo, con un valore analogo a quello di ebbene: [8] Si sa che in liceo sono già studi... (lei li conosce) coi fiocchi; ma era più che altro il puntiglio d’un professore. Bene: crede lei che durante le vacanze abbia aperto mezzo libro di geometria? 1   Sono inoltre presenti 8 occorrenze di molto bene (2 Flaiano, Tempo di uccidere, 2 Moravia, Il conformista¸ 3 Moravia, I racconti, 1 Arbasino, L’anonimo lombardo); per esempio «Molto bene, allora» approvò lo zio con malignità (Moravia, I racconti); quanto ai casi in cui bene è preceduto da un’interiezione, si contano 6 occorrenze per ah, bene, 3 per oh, bene e una per sì, bene. 2   Ben(e) asseverativo è già «largamente presente in italiano antico» (Consales 2012: 62); si veda anche la bibliografia ivi indicata. Le grammatiche tra il Cinquecento e l’Ottocento menzionano bene come avverbio AFF soprattutto nella forma sì bene; alcune citano le espressioni ben sai e bene sì (cfr. 1. 2). 3   Ci sono altri casi in cui bene è usato come segnale discorsivo prima di un saluto di commiato (per esempio: Bene, ciao, arrivederci e grazie, Parise, Sillabario n. 2; bene, arrivederci, venite un’altra volta, Citati, Tolstoj); negli scambi dialogici reali è infatti posto spesso a chiusura di una conversazione. 4   La stessa correzione di bene in male scatta in un passo di Eco, Il nome della rosa: Bene. Cioè, male. Se il libro non è in questa stanza è evidente che qualcun altro, oltre Malachia e il cellario, era entrato prima. È evidente il valore di risposta meccanica attribuito a bene in questi casi.

altri avverbi aff / neg negli scrittori contemporanei 203 (Gadda, Novelle dal ducato in fiamme) [9] E quando vi sembra di trovarvi davanti al caso più strano del mondo, bene, pensate che non è ancora strano abbastanza (D’Arzo, Casa d’altri) [10] «Perché dovrei ridere» esclamò l’Andronico. «Ditemi, dite, dite pure.» «Bene, certi dicono che il drago manda fuori del fumo, che questo fumo è velenoso, basta poco per far morire.» (Buzzati, Sessanta racconti) [11] Non ci credo poi molto, ricordo fin troppo bene la grassa e la magra di cui si era finito per dire «se vi è cara la vita non parlate con Rita,» e «se la vita vi è cara non parlate con Clara»; bene, erano due donne sboccate e divertentissime e volgari come la merda (Arbasino, L’anonimo lombardo)

Lo si trova, come altri avverbi AFF, in correlazione con frasi avversative: 1  

[12] Bene: ho fatto da maniscalco, da dottore e da tutto, e non c’è cosa purtroppo che mi possa più far meraviglia. Ma questo mi è parso strano piuttosto... (D’Arzo, Casa d’altri) [13] «Bene» disse un collega noto per il suo candore. «Ma di questo passo?...» (Buzzati, Sessanta racconti) [14] Bene, ma possiamo dedurre chi fosse da molti certissimi indizi (Eco, Il nome della rosa);

con valore ironico o sarcastico: [15] Fai le domande a inghippo eh? Bene, e io non ti dico un bel niente, cosí impari (Buzzati, Sessanta racconti) [16] Vedo che siamo arrivati a parlare di viziacci! Bene. Mi compiaccio! Ti sei scordato i tuoi? (Sapienza, Lettera aperta);

in epanalessi (con o senza stacco prosodico): [17] Bene bene. Lasciamo in pace la vecchia talpa oramai. Spolveriamoci il cuore e non pensiamoci più (D’Arzo, Casa d’altri) [18] Hai quindici anni... Bene, bene, so io dove mandarti... (Arpino, L’ombra delle colline)

Per quanto riguarda la sua collocazione nella frase quando è seguito da altre parole, è usato quasi sempre in prima posizione (isolato prosodicamente). Talora è preceduto da una subordinata ipotetica: [19] Se questa vuol essere un’allegoria, bene (Flaiano, Tempo di uccidere) [20] E se una pianta può in qualche modo servire a dar l’idea di un cristiano, bene, un vecchio ulivo di fosso è quel che ci vuole per lei (D’Arzo, Casa d’altri).

1

  Consales 2012 (77) riporta una serie di esempi antichi di ben(e) asseverativo – non olofrastico – in correlazione con ma, ribadendo l’osservazione di Bazzanella (200: 198) relativa all’assenza di ben(e) concessivo in italiano contemporaneo. Se si prende in considerazione l’uso olofrastico, è possibile aπermare che la correlazione di bene con ma caratterizza anche l’italiano di oggi.

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maria silvia rati 9. 1. 6. Perfetto 1  

Occorrenze: 11 Dal momento che gli esempi non sono numerosi, converrà riportarli tutti: [1] «Ah, perfetto,» gridò con voce stridula e trionfante, «perfetto... in viaggio di nozze e tuttavia pronto a tradire sua moglie... perfetto.» (Moravia, Il conformista) [2] «Perfetto,» disse subito Lina trionfante, «cosí verrete giú con me...» (Moravia, Il conformista) [3] diceva – perfetto: non manca piú niente (Sciascia, Il giorno della civetta) [4] «Perfetto» commenta Lu (Arpino, L’ombra delle colline) [5] Essa è molto facile all’ira, ma per fortuna la rabbia le passa subito (perfetto!), diventa presto buona e mansueta (Romano, Le parole tra noi leggere) [6] Vedo, vedo: perfetto (Landolfi, A caso) [7] Lui dice «Perfetto. Allora. Se prendi un taxi e vieni qua andiamo a mangiare un boccone insieme» (De Carlo, Uccelli da gabbia e da voliera) [8] «Perfetto!» esclamò Saglimbeni. «Lo dice anche quell’aria del Donizetti» (Bufalino, Le menzogne della notte) [9] «Esatto. Perfetto, perfetto. è proprio quella.» (Montesano, Nel corpo di Napoli) [10] – Ma suona benissimo, – s’è infiammato lui. – Perfetto! (Ferrero, N.) [11] Perfetto. Allora se la sono inventata (Veronesi, Caos calmo) [12] Perfetto. Radio Barrie: l’unica radio al mondo senza pubblicità. Allora, accetti? (Veronesi, Caos calmo)

Oltre a un caso di epanalessi ([9]), si può notare l’uso ironico o antifrastico (cfr. [1] e [10]). 9. 1. 7. Ottimo 2  

Occorrenze: 5 [1] «Ottimo» disse, rimettendo la tazza sul vassoio e caricando stavolta la voce del maggior calore possibile proprio per il bisogno di sentirsi in ordine, rientrato nella regola (Prisco, Una spirale di nebbia) [2] […] e ha contorni regolari, bene, nei radiogrammi il cistico e il coledoco presentano calibro e contorni regolari, ottimo, assenza di immagini riferibili a calcoli radiotrasparenti, un sospiro di sollievo per Miriam (Malerba, Il serpente) [3] Chiar di luna o meno, baci ardenti o meno, qual è più sostanzialmente la suprema aspirazione d’una donna? – Andare a letto coll’essere amato. – Ottimo: questo si chiama saltar le tappe o le stazioni (di posta)! (Landolfi, A caso) [4] «Ottagonale,» dissi «Ottimo. E su ogni lato dell’ottagono, nello scriptorium, si aprono due finestre» (Eco, Il nome della rosa) [5] «Sì» risponde, deciso «Non c’è solo Jean-Claude, nel mondo, che ti stima». Ottimo. «Allora posso dirti quello che vorrei veramente?» (Veronesi, Caos calmo) 1   «Con valore interiettivo, esprime approvazione, soddisfazione» (GRADIT). TRECC riconduce quest’uso all’influenza del francese parfait. Nessun riferimento nel GDLI. 2   «Con valore interiettivo, esprime soddisfazione» (GRADIT). Nessun riferimento nel GDLI.

altri avverbi aff / neg negli scrittori contemporanei 205 Il passo di Veronesi ([5]) conferma la tendenza degli scrittori contemporanei a servirsi degli avverbi olofrastici – più ancora che nelle sezioni dialogiche – nella resa dei pensieri di un personaggio (che nell’esempio in questione coincide con la voce narrante). 9. 1. 8. Esatto 1  

Occorrenze: 8 [1] «E in testa, la bagnante, ha un cappello da prete.» «Esatto», dissi. «Ma in quale casa vedrai uno spettacolo tanto poco comune?» (Flaiano, Tempo d’uccidere) [2] – Non ci ho pensato. – Esatto (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [3] Procediamo per ordine, diceva. Di aver intrattenuto rapporti di carattere sentimentale con la vittima, virgola, ma nel contempo di non ricordare le sue generalità. Esatto, dicevo. Forse la vittima era, diciamo, una donna di costumi liberi? (Malerba, Il serpente) [4] – Cosa? – Il fatto. Comunque sia, da alcuni anni terrestri? – Esatto. Epperò penso che sarebbe tempo (Landolfi, A caso) [5] «Ma questa non è la vecchia zona archeologica che era chiamata “O Castiello”»? «Esatto. Perfetto, perfetto. è proprio quella.» (Montesano, Nel corpo di Napoli) [6] Michelangelo Buonarroti. Nella Cappella Sistina. Esatto (Starnone, Via Gemito) [7] «Lo ha detto lui?» «Esatto.» (Rea, La dismissione) [8] «Qualche appiglio, insomma, lo oπrirei...» «Esatto. Qualche appiglio: tutte queste carte, questi disegni, questa tensione...» (Rea, La dismissione).

9. 1. 9. Esattamente 2  

Occorrenze: 7 [1] Mi rispose semplicemente guardandomi. ‘Sì, come me. Esattamente.’ (D’Arzo, Casa d’altri) [2] «Come prima? Tornerà come prima?» «Esattamente.» (Bontempelli, L’amante fedele) [3] Come i camerieri, esattamente, ma chi al mondo, fosse pure cieco, avrebbe mai scambiato lui, Claudio Cottes, per un cameriere? (Buzzati, Sessanta racconti) [4] – Cosicché il cannocchiale sarebbero i miei occhiali? – Esattamente! (Mastronardi, Il maestro di Vigevano) [5] E difatto un di loro, per caso volgendosi, vide il Maestro quasi a colloquio con un olivo? Esattamente: come lo sapete? (Landolfi, A caso) [6] «Nella zona di Kambatoros e Lambom, quella del marchese De-Rays?» «Esattamente.» (S. Nievo, Le isole del paradiso) [7] – Houston, abbiamo un problema – dice, imitando malissimo la battuta del film, lì, come s’intitola, Apollo 13 – Esattamente (Veronesi, Caos calmo) 1

  «Come aπermazione o conferma: sì, esattamente» (GRADIT). TRECC precisa che il suo impiego al posto di sì è proprio dell’uso familiare. Nel 1990 Umberto Eco scriveva che «non vi è nulla di fondamentalmente inesatto nel dire esatto, salvo che chi lo pronuncia dimostra di aver appreso l’italiano solo dalla televisione» (Eco 1994: 134); il ruolo dei quiz televisivi nella diπusione di esatto è sottolineato anche da Patota 2006 (226) e Rossi 2010. 2   «Come aπermazione o conferma: sì, proprio così» (GRADIT). Anche TRECC registra quest’uso senza particolari marche.

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Gli esempi mostrano come, anche quando l’impiego è olofrastico, il valore di formula asseverativa tenda comunque a confinare con quello di avverbio modale. 9. 2. Il declino di punto 1  

In sede introduttiva si è sottolineato come ancora oggi diverse trattazioni grammaticali menzionino punto fra gli avverbi NEG, a volte senza circoscriverne l’uso (Sensini 1997), in altri casi facendo riferimento alla sua storica diπusione nella lingua letteraria (Serianni 1988), in altri ancora marcandolo come toscano (Gabrielli-Pivetti 2013); si è ritenuto opportuno, pertanto, osservarne l’impiego nel PTLLI. Il dato saliente che si ricava dallo spoglio è che punto risulta ormai decisamente raro anche nella lingua degli scrittori: nei suoi diversi impieghi sintattici e semantici, si trova attestato complessivamente 8 volte (rispetto alle 785 di aπatto e alle 382 di assolutamente). Gli autori che se ne avvalgono sono 5: Palazzeschi, Tomasi di Lampedusa, Landolfi, Di Lascia e Barbero (solo il primo è di origine toscana). Queste le attestazioni: - come avverbio raπorzativo in contesti NEG: [1] Non credete che esageri, mi sento dei brividi per tutta la persona, è l’oriente che si agita in me, non esagero punto dicendo questo (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [2] stato d’animo che non fu punto alleviato da una forte pressione che il premuroso giovanotto esercitava sul braccio di lei (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo) [3] anzi anzi, non voglio punto che la mia ineluttabile morte tragga seco quella dei miei cari sodali e congeneri (Landolfi, A caso) [4] Capiva bene però, che un tale discorso poteva piacere solo ai padroni, e che non sarebbe piaciuto punto ai fittavoli (Di Lascia, Passaggio in ombra) [5] Avendomi chiesto come mi piacesse Varsavia, non è parso punto sorpreso di udire che la giudicavo in tutto inferiore a Berlino (Barbero, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo)

- in coordinazione con poco: [6] Il padre non vedeva che per i loro occhi, tanto da non accorgersi del disaccordo ch’era sempre fra essi e del poco, o punto, aπetto che avevano per lui (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli) [7] Scriveva egli stesso le lettere a quelli che poco o punto sapevano scrivere (Palazzeschi, I fratelli Cuccoli)

- nell’espressione male o punto: [8] Perché vorresti uccidere la sorellina? Diamine: per procura, quale l’oggetto più prossimo, anche idealmente, a lei Alba (da te male o punto a√gurata) […] (Landolfi, A caso). 1   Il GRADIT lo marca come «RE tosc.». È ant. e letter. per il GDLI, che ne individua la prima attestazione in un componimento anonimo della Scuola siciliana databile tra la fine del Duecento e la prima metà del Trecento; il DELI lo data al 1353 (Boccaccio). Mediante la banca dati dell’OVI si può osservare il suo impiego come avverbio NEG in un volgarizzamento di Andrea da Grosseto del 1268: non sia punto diπerenza fra te de dire e d’aπermare le parole e de giuralle.

10. Co n clusioni

U

no degli aspetti emersi più volte in questo lavoro è l’impiego degli avverbi AFF come connettivi. Se per infatti si tratta di un ruolo ampiamente riconosciuto dai grammatici – che lo classificano come «congiunzione» –, nel caso di appunto le trattazioni grammaticali non fanno riferimento alla sua funzione di collegamento interfrasale, in realtà ampiamente diπusa nella scrittura contemporanea e che, per quanto riguarda i testi argomentativi, costituisce la modalità d’impiego più ricorrente di questo avverbio (ben attestata, del resto, già a partire dal Cinquecento). Quanto ad altri avverbi su cui ci si è soπermati, nell’italiano contemporaneo letterario e giornalistico possono svolgere un ruolo di connettivi anche già, certo, sicuro, bene, okay, i quali, tuttavia, mantengono sempre un’autonomia prosodica, apparendo formalmente indistinguibili dai casi in cui sono usati come avverbi di risposta o segnali discorsivi. Del resto quest’ultima funzione è strettamente legata a quella di collegamento fra le parti del testo (cfr. Bazzanella 2001: 185). L’esame diacronico ha inoltre reso evidente che elementi come infatti, appunto, già ricorrevano spesso (come accade anche oggi) nella prima posizione della frase. Consales osserva questa peculiarità a proposito di bene asseverativo: «In molti degli esempi selezionati, ben(e) compare in principio di battuta […] In generale, quando è in capo a un periodo ben(e) sembra avere un valore raπorzativo più marcato». 1 Non sarà da escludere che il frequente uso degli avverbi AFF / NEG in posizione iniziale sia all’origine del loro uso olofrastico. Situazioni di transizione possono essere viste in contesti come i seguenti:  

Annibale. E se non è tanto empio che li desideri la morte, almeno è più lieto quando il vede, o per mal tempo o per infermità, starsene ritirato in qualche cantone di casa. Cavaliere. Appunto, io vidi l’altro giorno far discorso d’un omaccio tanto avaro che per buon pezzo di tempo non volle consentire ch’un suo figliuolo dottore si pigliasse un servitore, in modo ch’egli era astretto, volendo uscir di casa, a valersi d’un pover’uomo suo vicino che per cortesia lo seguitava […] (Guazzo, La civil conversazione) Colombina. Signore, ella è disposta a far il voler di suo padre. Sancio. Già me l’immagino. Avete sentito? (Goldoni, L’adulatore)

La collocazione in posizione iniziale favorisce, inoltre, l’impiego di questi avverbi come connettivi. Alla questione dell’ordine delle parole è stata dedicata un’ampia porzione della ricerca, specialmente nel caso di assolutamente, aπatto, mai. Se si mettono, per esempio, a confronto i dati relativi a questi tre avverbi, che pure non formano una categoria omogenea (dato il valore prevalentemente temporale di mai), emergono alcune tendenze comuni, riconducibili alle diπerenze fra testi 1

  Consales 2012: 65, 67.

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letterari e argomentativi. La diπormità tra i due tipi di scrittura per quanto riguarda l’ordine delle parole è evidente, nella lingua di oggi, soprattutto nel caso della posizione posposta al predicato: assolutamente aπatto mai

PTLLI 43% 45,1% 17,2%

CS 0,3% 6,6% 3,5%

Parlando di posizione postverbale, qui non ci si riferisce, come avviene di solito, a qualsiasi collocazione dopo il verbo. Si ritiene infatti che, qualora un avverbio sia posto dopo il verbo ma sia seguito da altri elementi logicamente collegati al verbo (un complemento, il soggetto, una proposizione completiva), non sia da considerarsi posposto, bensì interposto tra due costituenti frasali. I casi di collocazione postverbale stricto sensu sono soltanto, a nostro avviso, quelli in cui l’avverbio si trova in posizione finale assoluta (per esempio non è inutile aπatto! De Carlo, Uccelli da gabbia e da voliera) o in cui, comunque, non è seguito da argomenti del verbo. La posizione interposta – che, complessivamente, è quella maggiormente attestata in tutti i tipi di scrittura – nel linguaggio giornalistico conosce sistematicamente percentuali più elevate: assolutamente aπatto mai

PTLLI 47,7% 54,7% 82,8%

CS 86,1% 93,4% 96,5%

La situazione descritta non è caratteristica del solo italiano contemporaneo: se ne sono trovati riscontri anche in fasi diacroniche precedenti. La presenza di numerose posposizioni al verbo in opere come le commedie di Goldoni (che, com’è noto, costituiscono un serbatoio di tratti del parlato dell’epoca) 1 e nelle parti mimetiche dei romanzi ottocenteschi ci ha indotto a ritenere che la collocazione posposta rappresentasse già in passato una tendenza del discorso orale. A questo proposito si può citare anche la diversa prassi che, nel caso di assolutamente, caratterizza le lettere di Leopardi (dove prevale la posposizione) rispetto allo Zibaldone (dove prevale l’interposizione). Poco frequente risulta, prima dell’Ottocento, la collocazione degli avverbi AFF / NEG in posizione di inciso: ciò può essere posto in relazione con la minore frequenza dei sintagmi parentetici in italiano antico notata da Baz 

1

  Cfr. Folena 1983: 95. Rossi 2007 pone l’accento sulla centralità di questo autore per lo storico della lingua, ritenendo, tra l’altro, che «lo studio approfondito del “toscano” di Goldoni porterebbe a retrodatare non soltanto singole forme ed espressioni, bensì proprio la nascita dell’italiano dell’uso medio, o almeno delle sue stilizzazioni in ambito letterario e drammatico» (162).

conclusioni

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zanella 2001 (190) a proposito dei segnali discorsivi. Per il resto, nel dominio dell’ordine delle parole è emersa più volte un’indubbia continuità fra italiano antico e italiano moderno: per quanto riguarda mai, in presenza di un predicato perifrastico formato col verbo potere (non può mai essere altro che cristiano, Giordano da Pisa, Esempi) la posizione interposta tra il verbo flesso e l’infinito è quasi esclusiva fin dalle Origini; anche per altri avverbi si osservano già in italiano antico le sequenze con interposizione al predicato perifrastico privilegiate dall’italiano di oggi (però la luna non è mica grande, Cecco D’Ascoli, Lacerba). L’indagine riguardante già ha poi portato alla luce come, per questo avverbio, la posizione preverbale – specialmente dopo un che relativo – non sia tipica solo dell’italiano antico, ma anche di quello contemporaneo (tra i molti esempi giornalistici: nell’Inter è aumentata la confusione, che già era notevole, CS, 5 dicembre 2013). Di recente Serianni ha posto l’accento sulla necessità di ridimensionare le diπerenze topologiche fra italiano antico e moderno, che spesso appaiono rilevanti in quanto ci si fonda, per il confronto, su testi antichi condizionati da un ordo artificialis tipicamente poetico e da influenze latineggianti. 1 Di là dalle questioni relative all’ordine delle parole, l’esame degli avverbi AFF / NEG ha fatto emergere spesso aspetti peculiari dei diversi tipi di testo: sia sul versante sintattico (per esempio i vari tipi di strutture nominali con mai diπusi nella prosa giornalistica), sia su quello lessicale (per esempio l’impiego di mica tanto – sempre nei giornali – come formula di dissociazione), sia su quello stilistico (per esempio la patina di artificiosità letteraria che caratterizza già olofrastico nel Novecento). Quanto al livello diatopico – che non rientrava programmaticamente nella prospettiva qui adottata – sono emerse alcune indicazioni per quanto riguarda mica: prescindendo dall’uso settentrionale con omissione della negazione, si è osservato che la sequenza mica+predicato, in passato tipica soprattutto dei testi romaneschi (da Belli a Pasolini), sembra aver perso la sua marcatezza areale per divenire un tratto dell’italiano colloquiale. L’indagine ha inoltre mostrato che alcuni avverbi AFF / NEG presentano caratteristiche diverse a seconda del loro impiego in poesia o in prosa. Istruttivo il caso di mai: dal Cinquecento in poi mai non+predicato ha rappresentato la sequenza tipica della poesia (lo si potrebbe aggiungere ai tratti della cosiddetta grammatica poetica), mentre non+predicato+mai è risultata quella normale in prosa. Le vicende diacroniche di mai si possono considerare, altresì, un caso esemplare di come una norma portata avanti per secoli dai grammatici (che prevedeva l’espressione obbligatoria della negazione con questo avverbio) abbia ceduto progressivamente il passo all’uso vivo, nel quale l’omissione della negazione – come si ricava dai testi più vicini al parlato – era evidentemente diπusa da secoli; fra  

1   Analizzando un testo pratico duecentesco, Serianni nota che «l’unico aspetto linguistico che ci è familiare è proprio l’ordine delle parole, che corrisponde esattamente a quello attuale» (Serianni 2015: 128-129).

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i diversi riscontri si può citare quello oπerto da Manzoni, che introduce più volte mai senza negazione nella Quarantana. La compresenza di valore AFF e NEG in uno stesso elemento lessicale ha dunque finito, nel caso di mai, per non essere più percepita come ambigua. Venendo alle ambiguità nell’uso attuale degli avverbi AFF / NEG – di cui si parla spesso a proposito di assolutamente e aπatto – uno dei fenomeni più significativi osservati è la diπusione, nella prosa giornalistica contemporanea, di aπatto+aggettivo usato indiπerentemente con valore AFF e con valore NEG: È un suo modo aπatto personale di leggere e sentire questo Rachmaninov e il pubblico ha mostrato di apprezzarlo (CS, 11 settembre 2013) Per il sindaco Gianni Alemanno «Roma è una città poco o aπatto pericolosa e la rappresentazione che la stampa oπre della sicurezza appare squilibrata» (CS, 20 aprile 2013)

Quanto agli usi olofrastici di assolutamente e aπatto, comunemente percepiti come “cattive abitudini” dell’italiano attuale, si è mostrato come si tratti di impieghi diπusi già in passato (per assolutamente le attestazioni più antiche risalgono addirittura al Cinquecento). Sull’espansione recente di assolutamente AFF avrà senz’altro pesato l’influenza dell’inglese absolutely, ma tale influenza non ha fatto che potenziare un uso già tradizionale; a confermarlo sono i dizionari ottocenteschi, che registrano assolutamente olofrastico assegnandogli esclusivamente il valore aπermativo. Nel complesso, per quanto riguarda gli avverbi olofrastici, è emersa una notevole tenuta nel tempo degli elementi lessicali più tradizionali, almeno nella lingua scritta: certo (citato come avverbio AFF per eccellenza fin nelle grammatiche più antiche) e bene (di cui è nota l’ampia fortuna in italiano antico) sono le forme che presentano il maggior numero di ricorrenze nella lingua letteraria contemporanea.

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I ND I CE DEI NOM I

Accetto T., 96 n., 175

Achillini C., 96 n., 128 Adone P., 14, 15 Alberti L. B., 97 n., 103 n., 104, 105, 106, 107, 112 n., 130, 132, 133 Alberto della Piagentina, 32 n. Alfieri V., 34, 35, 96 n., 112, 113, 122, 129, 132, 169 n., 173 n., 175 n., 180 Alighieri D., 32 n., 33 n., 61, 98, 105, 123, 127, 129, 130, 187 Allodoli E., 11 n., 18 n., 19, 20, 21, 22 Alvaro C., 65 n., 87 n., 195, 201 “Amico di Dante”, 47 Andrea Cappellano, 98, 144 Andrea da Grosseto, 206 n. Andreini G. B., 103 n. Angioletti G. B., 87 n., 88, 89, 195, 197 Angiolieri C., 98 Anonimo romano, 97 n., 102, 130 Arbasino A., 29 n., 39, 74 n., 89 n., 90, 137, 165, 192, 196, 199, 201, 202, 203 Aretino P., 63, 77, 97 n., 110, 126, 171, 172 Ariosto L., 96 n., 99 n., 103 n., 112 n., 121, 122, 123, 124, 128, 132, 172, 188, 192 Arpino G., 93, 136, 163 n., 196, 200, 201, 203, 204 Artale G., 175 Azzocchi T., 14 n., 15, 17

Baglioni C., 138 n.

Bandello M., 147, 159, 170 n. Banti A., 26 n., 31, 70, 86, 88, 201 Barbero A., 55, 75 n., 88, 89 n., 196, 199, 200, 202, 206 Baretti G., 34, 51, 158, 180 Bargagli G., 16 n. Bargagli S., 173 n., 174 Bartoli D., 175 Bassani G., 65 n., 88, 91, 162, 164, 192, 196, 197, 200 Battaglia S., 18 n., 19, 20, 21, 84

Bazzanella C., 38 n., 59 n., 162 n., 165 n., 166 n., 168 n., 169 n., 174 n., 185 n., 190 n., 193, 195 n., 203 n., 207 Beccaria C., 188 Beccaria G. L., 160 Belli G. G., 81, 152, 156, 159, 180, 182, 209 Bellonci M., 31, 85 n., 89 n., 93, 196 Bembo P., 17, 96 n., 100 n., 102, 105, 107, 109, 132, 133, 147, 149, 170, 171 n., 172 Berchet G., 149 Bernardino da Siena, 49 n., 76, 97, 99 n., 104, 105, 112 n., 121, 132, 146, 170 Berneri G., 136 n. Berni F., 49, 50 n. Bernini G., 12 n., 13 n., 17 n., 18, 19, 20, 21 n., 22, 27 n., 29 n., 59 n., 131 n., 162 n., 163 n., 164 n., 196 n. Berto G., 87, 93 n., 135, 195, 197, 200, 201, 202 Bevilacqua A., 74 n., 75, 201 Biglia P., 18 n., 19, 20 Binduccio dello Scelto, 49 Boccaccio G., 17, 49, 61, 96 n., 97 n., 101, 102, 105, 108, 121, 122, 123, 126, 130, 145, 169, 186, 188 n., 195 n., 206 n. Boccalini T., 51 Boiardo M. M., 96 n., 98 n., 103 n., 106, 107, 123, 124, 128, 132 Boito C., 35, 64, 183 Bonomi I., 25 n., 76 n. Bontempelli M., 74 n., 89 n., 92, 195, 197 n., 199, 200, 201, 205 Bonvesin de la Riva, 123, 145 Borgese G. A., 76 Borgogno G., 14, 15, 16 Borsieri P., 177 n. Borso d’Este, 103 n. Bosco C., 162 n., 168 n., 169 n., 174 n., 185 n., 190 n. Brignetti R., 38 n., 42 n., 65 n., 89 n., 94, 163, 196, 199, 200, 201

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indice dei nomi

Brignole Sale A. G., 148 Bruno G., 33, 97 n., 109, 126, 132, 173, 174 Bufalino G., 44, 56, 202, 204 Buommattei B., 14, 15, 16 Buonarroti M. (il giovane), 96 n., 103, 124, 174 Buzzati D., 27, 29 n., 31, 38 n., 39, 67, 74, 86, 87, 89, 136, 165, 196, 197 n., 198 n., 199, 200, 201, 202, 203, 205

Cagna A. G., 38, 186 n.

Calaresu E., 162 n., 168 n., 169 n., 174 n., 185 n., 190 n. Calasso R., 65 n., 66, 196 Cale√ G., 11 n., 14 n., 23 n. Calvino I., 86, 89, 91, 137, 195, 201, 202 Camon F., 74, 164 n. Campanella T., 78, 96 n., 128 Campanile A., 65 n., 87, 196, 201 Cappuccini G., 12 n., 14, 15, 16, 17, 22 Capuana L., 38, 40, 82, 184 n., 186 Cardarelli V., 65 n., 195 Carducci G., 96 n., 119, 120, 129, 131, 132, 182 n. Caro A., 16 n., 189 Cassola C., 65 n., 136, 137, 196, 198, 201 Castelletti C., 77, 148, 189 Casti G. B., 76, 149, 156 n., 158 Castiglione B., 171, 172, 189, 192 Caterina da Siena, 32, 97 n., 102, 121, 126, 168 n., 187, 192 Cauro A., 14, 15, 16 Cavalca D., 18, 97 n. Cecchi G. M., 76 n. Cecco D’Ascoli, 143, 209 Cellini B., 76 n., 173, 176, 188 Cesari A., 18 Chausserie-Laprée J. P., 187 n. Chelli G. C., 27 n., 53 n., 156, 189 Chiabrera G., 96 n., 111 n. Chiappini F., 136 n. Chiara P., 43, 196, 200 n., 201 Cialente F., 65 n., 67, 88, 162, 196 Cino da Pistoia, 98 Cinque G., 24

Citati P., 29 n., 196, 201, 202 n. Colella G., 18, 85 n. Collodi C., 14, 15, 16, 97 n., 118, 119, 122, 154 Colombo M., 150 n., 154 n. Colonna V., 96 n., 100 n., 107 n. Comisso G., 73, 201 Compagni D., 96 Consales I., 60 n., 202 n., 203 n., 207 Contini G., 47 n. Corso R., 14, 15, 17 n., 72 n., 83 Corticelli S., 14, 15, 17, 60 n. Costo T., 78, 148, 159, 173 n., 188 Cresti E., 54 n. Croce G. C., 169 n. Cucci I., 133 Cuoco V., 35, 63, 81, 97 n., 116, 127, 132, 188

D’Achille P., 23 n.

D’Arzo S., 90 n., 93, 195, 197, 201, 203, 205 D’Azeglio M., 27 n., 80, 179 n., 183 Da Ponte L., 180, 181 Dagnini A., 14, 15, 16, 45 n. Dante da Maiano, 123 Dardano M., 18 n., 19, 20, 21, 138 n., 165 n., 167 n. Davanzati C., 121 De Amicis E., 35, 57, 81, 156, 186 De Carlo A., 55, 196, 198, 201, 204, 208 De Curtis A., 138 De Gregori F., 149 n. De Marchi E., 82, 83, 156, 184 n., 185, 190 De Roberto F., 40, 81, 82, 83, 185 De Sanctis F., 63, 97 n., 117 n., 183 Delcorno C., 47 n. Della Casa G., 147, 149 Della Porta G. B., 175, 189 Della Valle F., 96 n. Della Valle V., 13 n., 19 n., 43 n., 44 n., 46 n. Dessì G., 65 n., 74 n., 89 n., 196, 201, 202 Di Lascia M. T., 89 n., 166 n., 196, 199, 202, 206

indice dei nomi Dolce L., 14, 15, 17 n. Dossi C., 82, 97 n., 112 n., 181 Dovizi B., 97 n., 110, 112 n., 126, 130, 132, 170, 171, 189

Eco

U., 65 n., 74 n., 87, 88, 89, 137, 196, 199 n., 200, 201, 202 n., 203, 204, 205 n. Egidio Romano, 144 Erico G. P., 14, 15, 16, 200 n. Erizzo S., 169 n., 187

Fagiuoli G. B., 52

Faldella G., 148 n., 160, 185, 186 Fazio degli Uberti, 61, 65 Fenoglio B., 90 n., 92, 137, 164, 201 Ferralasco A., 18 n., 19, 20 Ferrante E., 75 n., 196, 202 Ferrero E., 89 n., 93, 94, 162, 204 Ficino M., 170 Filarete, 103 n. Filippo da Santa Croce, 144 Filippo degli Agazzari, 146 Firenzuola A., 159, 175 n. Flaiano E., 27, 43, 65 n., 67, 87, 88, 89, 195, 201, 202 n., 203, 205 Fogazzaro A., 27 n., 35, 38, 53 n., 83, 97 n., 112 n., 118, 119, 122, 133, 148 n., 154, 155, 156, 157, 160, 184, 185, 186, 192 Folena G., 208 n. Foppa G. M., 201 n. Fornaciari R., 45, 72 n. Foscolo U., 35, 63, 96 n., 97 n., 114 n., 116, 127, 132, 183, 188, 189 Francesco da Barberino, 98, 121, 125, 143 Francesco di Vannozzo, 146, 158 Franco N., 169 n. Franco V., 77, 173 n. Frescobaldi D., 65 Fucini R., 57, 158

Gabrielli

A., 18 n., 19, 20, 21 n., 22,

206 Gadda C. E., 27, 31, 65 n., 68, 87, 90 n., 195, 197 n., 199, 200, 201, 203

221

Galilei G., 32, 62, 71 Garcea A., 162 n., 168 n., 169 n., 174 n., 185 n., 190 n. Garzoni T., 51, 173, 174 Gaudiosi T., 175 Gelli G. B., 34 Gherardi G., 33 n., 35 n., 106, 146 Ghezzi C., 162 n. Giacomino da Verona, 98, 127, 145 Giacomo da Lentini, 97, 121, 123, 127, 167 n. Giacosa G., 82, 158, 184 n., 186, 192 Giamboni B., 98, 125, 168 n. Giambullari P. F., 13 n., 14, 15, 16 Giannone P., 180 Ginzburg N., 27 n., 87, 196 Giordano da Pisa, 47, 97 n., 103, 121, 126, 130, 131, 209 Giusto de’ Conti, 49 Goidanich P., 18 n. Goldoni C., 34, 36, 37, 38, 39, 40, 51, 52, 63, 64, 69, 71, 78, 79, 97 n., 112 n., 113, 114, 127, 132, 149, 159, 176, 178, 179, 187, 190, 192, 207, 208 Gorresio V., 65 n., 196, 201 Gozzano G., 97 n., 112 n., 120, 131 Gozzi C., 78, 169 n., 179 n., 180 Gravina G. V., 97 n., 121, 132 Grazzini A. F., 16 n., 33, 39, 40, 49, 59, 77, 169 n., 173, 175, 188 Guarini B., 96 n., 103 n., 110, 169 n., 173 Guazzo S., 63, 77, 78, 97 n., 108, 132, 173 Guicciardini F., 32, 33, 62, 71, 97 n., 107, 110, 132, 170 n., 171 Guido delle Colonne, 32, 167 n. Guil P., 162 n., 168 n., 169 n., 174 n., 185 n., 190 n. Guittone d’Arezzo, 98, 99, 123, 132, 143, 167 n., 168

Iacopone da Todi, 98

Imbriani V., 38, 148 n., 156, 158, 160, 180, 181, 182

Jernej J., 18 n., 20, 21

222

indice dei nomi

L

a Capria R., 163 n., 196, 199 Lampugnani A., 14, 15 Lando O., 172 Landolfi T., 65 n., 70, 74, 196, 199, 200, 201, 202, 204, 205, 206 Lanfranchi P., 144 n. Latini B., 168 n., 169 n., 186 n. Latrobio, 148, 200 n. Leonello D’Este, 103 n. Leopardi G., 27 n., 33, 37, 38, 53 n., 63, 65, 66, 79 n., 80, 81, 96 n., 115, 129, 131, 152, 153, 159, 173 n., 180, 181, 183, 188, 189, 190, 208 Levi C., 94 Levi P., 61, 65 n., 74 n., 136, 196, 201 Lo Duca M. G., 18 n., 19, 20 Lonzi L., 18 n., 19, 20, 22 n., 24, 26 n., 31 n., 41 n., 44, 54, 84 n., 201 n. Lorenzo de’ Medici, 61 n., 96 n., 106, 187 Lubrano G., 96 n., 111 n.

Machiavelli N., 62, 71, 97 n., 106, 126,

132 n., 169 n., 171, 188 n. Macinghi Strozzi A., 61, 97 n., 103 n., 105, 121, 126, 170 Maπei S., 176 Maggiani M., 89 n., 92, 199 n., 202 Magris C., 65 n., 196 Malaparte C., 61, 74 n., 75, 87, 90, 91, 195, 197, 199 n., 200 n. Malerba L., 61, 201, 204, 205 Mambelli M. A., 14 n., 16, 17 Manetti A., 49 Manfredi P., 18 n., 19, 20 Manni P., 187 n. Mannuzzu S., 27 n., 89, 91, 196, 202 Manzini M. R., 24, 93 n. Manzoni A., 35, 53, 63, 69, 71, 79, 80, 96 n., 112 n., 115, 116, 125, 129, 131, 132, 150, 151, 160, 164 n., 173 n., 180, 181, 189, 210 Manzotti E., 12 n., 18 n., 19, 20, 21, 84 n., 85 n., 90 n., 92 n., 134 n., 135 n. Maraini D., 30, 86, 89, 162, 196, 200 n., 202

Marino G. B., 62, 96 n., 111, 121, 122, 124, 128, 129, 130, 149, 174, 175 Mastelloni F., 14 n., 15, 16, 17 Mastronardi L., 65 n., 165 n., 196, 199, 201, 205 Masuccio Salernitano, 103 n. Mazzantini M., 86, 195 n., 196, 202 Mazzucco M., 89 n., 136, 196, 202 Messina G., 46 n. Metastasio P., 63, 64, 96 n., 111, 112, 121, 123, 125, 129, 131, 132, 176, 179 Migliorini B., 45 n. Moise G., 11 n., 14, 15, 16 Moiso A. M., 18 n., 19, 20 Molinelli P., 98 n., 162 n. Monte Andrea, 98, 122, 123 Montefoschi G., 73, 74 n., 166 n., 196, 199, 202 Montesano G., 30, 91, 196, 202, 204, 205 Monti V., 96 n., 112 n., 115, 122, 125, 129, 149 Morandi L., 12 n., 14, 15, 16, 17, 22 Morante E., 87, 88, 89 n., 90, 91, 163, 196, 198, 201 Moravia A., 22, 27, 30, 56, 65 n., 67, 73, 90, 137, 164, 165, 195, 196, 199, 200, 201, 202 n., 204 Morazzoni M., 165, 196, 199 n. Morovelli P., 143 Muscettola A., 174 Muzio G., 103 n.

Niccolò

da Correggio, 169 n., 188 n., 192 Nicolò da Lonigo, 103 n. Nievo I., 51 n., 53, 61 n., 64, 76, 79, 80, 81, 153, 180, 182, 185 Nievo S., 89, 196, 199, 201, 205

Onesto da Bologna, 98, 176 n.

Oriani A., 26 n., 38, 40, 54, 57, 157, 179 n. Ortese A. M., 44, 74 n., 89 n., 91, 196, 201 Ortore M., 22 n., 196 n. Ottieri O., 90 n., 196

indice dei nomi

Palazzeschi A., 30, 42 n., 57, 64, 65 n.,

74, 75, 89, 92, 134, 163, 164, 195, 196, 197, 199, 200, 201, 205, 206 Palermo M., 12 n. Pallavicino F., 200 n. Palmieri M., 33 n. Panzini A., 141 n. Paolo da Certaldo, 169 Papini G., 70 Paratore E., 187 n. Parenti M. A., 45 Paria G., 14, 15, 16 Parini G., 34, 96 n., 132, 159, 187 n. Parise G., 30, 42 n., 65 n., 68, 165, 166, 196, 199, 201, 202 n. Pascarella C., 134 n., 152 Pascoli G., 96 n., 119, 120, 125, 131, 132 n., 156, 185, 186 Pasolini P. P., 65 n., 74, 89, 90 n., 92, 135, 136, 138, 152, 156, 164 n., 193, 196, 209 Passavanti I., 97 n., 103 n. Patota G., 12 n., 13 n., 18 n., 19, 20, 21, 22 n., 24, 43 n., 46 n., 59 n., 205 n. Pavese C., 74 n., 87 n., 137, 164, 195, 198, 200, 201 Pellico S., 34 n., 63, 81 Pergamini G., 14, 15 Pernicone V., 18 n., 19, 20, 21, 84 Petrarca F., 33 n., 61, 96, 97, 100, 105, 108, 121, 122, 123, 128, 131, 146, 149, 187 n. Petroni G., 136, 196, 198 Piazza E., 14, 15, 16 Piccolomini A., 172 Pietro da Bescapè, 47 n. Pindemonte I., 173 n., 189 Piovene G., 65 n., 74 n., 89 n., 196, 201, 202 Pivetti M., 18 n., 19, 20, 21 n., 22, 206 Poggiogalli D., 17 n. Poliziano A., 96 n., 106, 128, 146, 158 Polo M., 129 Pomilio M., 65 n., 196 Pona F., 79

223

Pontiggia G., 65 n., 74 n., 89 n., 196, 202 Ponza M., 14, 15, 16, 17 n. Poponi N., 144 n. Porta C., 149 Praga E., 182 n. Prandi M., 18 n., 19, 20 Pratesi M., 185 n. Pratolini V., 65 n., 74, 89, 136, 164, 195, 197, 199, 200, 201 Pregliasco M., 160 Prisco M., 65 n., 66, 73, 74 n., 89, 91, 165 n., 196, 200, 204 Pucci A., 49 n., 146, 158 Pulci L., 49, 96 n., 98 n., 106, 128 Puoti B., 14, 15, 16

Radulescu A., 162 n., 168 n., 169 n., 174

n., 185 n., 190 n. Ramusio G. B., 170 n., 175 Ravaro F., 136 n. Rea D., 89 n., 91, 196 Rea E., 73, 74 n., 195 n., 196, 198, 199 n., 205 Redi F., 96 n., 159 Regula M., 18 n., 20, 21 Restoro d’Arezzo, 47 n., 48, 186 n. Ricca D., 26 n., 114 n., 169 n., 191 n., 193 n. Riccarelli U., 30, 74, 196, 198 n., 200 n., 202 Rigamonti A., 12 n., 18 n., 19, 20, 21, 84 n., 85 n., 90 n., 92 n., 134 n., 135 n. Rogacci B., 13, 14, 15, 16, 18 Rohlfs G., 84 n., 134 n. Rolla G., 60 Romani F., 200 n. Romani G., 13 n., 14, 15 Romano L., 30, 196, 201, 204 Rosa S., 175 Rossi F., 205 n., 208 n. Rovani G., 27 n., 53, 80, 81, 180, 182 Rucellai O., 33 Ruscelli G., 13 n. Ruzante, 63, 97 n., 132

Sabadino degli Arienti, 103 n.

224

indice dei nomi

Sabatini F., 79 n., 166 n. Sacchetti F., 49, 76, 103 n., 146, 169, 170, 187 Salvi G., 18 n., 19, 20, 24 n. Salviati L., 76 Salvini A. M., 26 n. Samonà C., 196 San Martino M., 11 n., 14, 15 Sannazaro I., 96 n., 188 n. Sanvitale F., 42 n., 86, 88, 196, 200, 201 Sapienza G., 196, 200, 201, 203 Sarpi P., 34, 78, 79, 97 n., 109, 126, 132 Satta L., 46 n. Savoia L. M., 24, 93 n. Scala F., 188 Schiannini D., 13 n., 19 n. Schwarze C., 12, 18 n., 19, 20, 21, 60 Sciascia L., 22, 65 n., 89 n., 196, 204 Segneri P., 201 n. Segre C., 85 n. Sensini M., 12 n., 18 n., 19, 20, 21, 22, 45, 57, 96 n., 206 Serafino Aquilano, 169 n., 192 Serao M., 30 n., 38, 81, 82, 163, 184 n., 186 Serdini S., 168 n. Sergardi L., 79 Serianni L., 12, 13 n., 15 n., 17 n., 18 n., 19, 20, 21 n., 22 n., 23, 25 n., 27 n., 30 n., 32 n., 43 n., 45, 46 n., 60, 72, 92 n., 96 n., 111 n., 134 n., 156 n., 162 n., 165 n., 179 n., 198 n., 206, 209 Serra R., 38 Sgorlon C., 65 n., 74 n., 89 n., 196, 199 Siciliano E., 65 n., 74, 88, 90, 196, 198, 202 Simone di Rinieri, 47 Soave F., 14, 15, 16, 103 n. So√ci A., 70 Solarino R., 18 n., 19, 20 Soldati M., 42 n., 65 n., 66, 90 n., 195, 198, 201 Soresi P. D., 14 n., 15 Squartini M., 114 n. Stampa G., 96 n., 100 n., 124, 132 Starnone D., 74, 75 n., 196, 201, 202, 205

Stigliani T., 174 Svevo I., 36, 38, 53, 58, 82, 83, 97 n., 117, 118, 119, 127, 157, 158, 184, 185 n., 190

T

amaro S., 196, 200, 202 Tansillo L., 169 n., 174 Tarchetti I. U., 182, 183 Tasso T., 51, 96 n., 147, 157, 159, 172, 173, 174, 187 n., 188, 189 Tedeschi Paternò Castello V., 14, 15 Telve S., 12 n. Terrile A., 18 n., 19, 20 Tesauro E., 173, 174 Testa F., 18 n., 19, 20 Testori G., 65 n., 74, 88, 89 n., 90, 163 n., 165, 196, 199 Tito Livio, 187 n. Tobino M., 30, 38 n., 65 n., 196, 199, 200, 201 Tomasi di Lampedusa G., 65 n., 89 n., 196, 197 n., 198 n., 200, 206 Tomizza F., 39, 196, 199 Tommaseo N., 69, 72 n. Totò, vd. De Curtis A. Tozzi F., 53, 82, 157, 184, 192 Trabalza C., 11 n., 18 n., 19, 20, 21, 22 Trenta M., 14, 15, 16 Trifone M., 46 Trifone P., 18 n., 19, 20, 21, 152 n. Trissino G. G., 11 n., 14, 16

Ugolini F., 45, 72 n. Valeriani G., 45

Vanelli L., 11 n., 18 n., 19, 20, 24 n. Vanzon C. A., 11 n., 14, 15, 16 Vasari G., 170 n. Vassalli S., 73, 88, 93 n., 196, 199, 200 n. Verdi G., 64, 181 Verga G., 35, 38, 40, 53, 64, 81, 82, 97 n., 117, 118, 119, 122, 127, 153, 157, 160, 180, 183, 184, 185, 188, 189, 190 Veronesi S., 73, 74 n., 90 n., 91, 164, 166, 195 n., 196, 198, 199, 200, 202, 204, 205

indice dei nomi Verri A., 181 Vico G. B., 34, 51, 66, 68 n., 78, 79, 97 n., 127, 132, 180 Villani F., 169 n., 187 Villani G., 76, 77, 97 n., 102 Villani M., 169 n., 187 Virgilio, 187 n.

225

Vitale M., 150 n. Vittorini E., 31, 65 n., 66, 93, 135, 137 n., 195, 197, 199, 200, 201 Volponi P., 196, 202

Z

anuttini R., 84 n. Zena R., 27 n., 38

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indice delle forme e degli argomenti a fé / aπé, 15 aπatto, 11, 12 n., 13 n., 15, 19-20, 24, 41-58, 207-208, 210 aπermativo / asseverativo, valore, 13 n., 33, 39-40, 42-43, 45-47, 56 n., 84, 176, 180 n., 184-185 aπermazione e negazione, ambiguità tra, 12-13, 27, 43, 45-46, 57-58, 71, 85, 104-106, 133, 210 aggettivi: indefiniti, 19; raπorzati da assolutamente, 26-30, 34-35; raπorzati da aπatto, 43, 53, 56, 58, 210; raπorzati da niente aπatto / nulla aπatto, 44, 51 al certo, 15 al fermo, 15 al sicuro, 15 al tutto, 15 al tutto aπatto, 44 n. altroché, 12, 13 n., 25 n. anglicismi, 20, 22-23, 195 n., 207 anteposta, posizione, 23, 30, 32, 37, 55, 65, 92, 123, 143, 187, 191-192 anzichenò / anzi che no, 15, 25 n. apposizione, 68 appunto, 11, 12 n., 14, 19, 21, 23, 59-71, 165, 207 arcaismi, 44 argomentativi, testi, 26, 31-32, 38-40, 60, 62, 71-72, 79, 83, 106, 109, 152, 161, 173, 207-208 assolutamente, 11, 13, 15, 20-21, 23-24, 26-40, 46, 207-208, 210 assolutamente sì e assolutamente no, 12, 21, 27 n., 36, 40 n. avverbi: 11, 12 n.; confermativi delle risposte, 13 n.; di aπermazione e negazione, 11, 1314, 18-19, 21, 167; di contrarietà, 13 n.; di frase, 26 n., 197 n., 201; di giudizio, 18, 24; di grado, 26 n.; di predicato, 26 n.; di quantità, 19, 21, 41; di tempo, 19, 21, 119, 162, 168, 170, 193-194; di valutazione, 18; focalizzanti, 41 n.; modali, 18, 185 n., 206; modali epistemici, 18; olofrastici (vd.); raπorzativi dell’aπermazione e della negazione (vd.); scalari, 18 avversative: proposizioni, 174, 183, 200, 203; relazioni sintattiche, 147 n., 149, 151, 161, 166, 173, 179-180, 185, 193, 197; vd. anche connettivi ben(e), 13-14, 20, 60 n., 195, 201-203, 210; ah, bene, 202 n.; oh, bene, 202 n.; sì, bene, 202 n.; molto bene, 202 n., 207 ben sai, 14, 202 n. bene aπatto, 44 n. bene sì, 15, 202 n. buono, 15 causa, complemento di, 67 causa-eπetto, rapporti di, 67, 72, 165, 182, 184 censure, 12, 16-17, 22, 27, 40, 45-46, 57, 84 n., 109

228

indice delle forme e degli argomenti

certamente, 14, 18-19, 21, 199-200; ma certamente, 199 n. certamente sì e certamente no, 21, 200 certissimo, 199 certo, 13-14, 18-19, 21-23, 195-199, 207, 210; ah certo, 196; be’, certo, 196; e(h) certo, 196; oh certo, 196, 198 n.; ma certo, 196, 198 n.; no, certo, 199; (ma) sì, certo, 196, 198 n., 199 certo che, 199 certo che sì e certo che no, 15, 23, 199 certo sì e certo no, 195 n. che!, 21 chiaro, 15 col cavolo, 21 col cazzo, 21 col diavolo, 21 colloquiale: forma, 26, 46, 47, 134, 205 n.; parlato, 22; registro / stile, 20 n., 54, 57, 72, 77, 96, 138, 147, 153, 160-161, 188, 209 come comparativo, 67-68 come no?, 13 n. comparative, proposizioni, 84 completiva della negazione, particella, 15 n., 19, 43 n., 134 completive, proposizioni, 144, 152, 208 concessive, relazioni sintattiche, 180, 198, 203 n.; vd. anche connettivi concordo, 23 condivido, 23 condizionali, costrutti, 18 confermo, 23 congiunzioni, 11, 12 n., 72; approbative, 11 n.; conclusive, 72; dichiarative, 11 n., 72 n.; illative, 72; e a inizio frase, 73, 75-78, 138, 186; ma a inizio frase, 79 n., 138, 186 connettivi testuali, 60, 62, 66, 71-72, 83, 161, 165-166, 167 n., 171-172, 182, 184, 193194, 196, 200, 207; argomentativi, 12 n., 72; avversativi, 165, 171; avversativiconcessivi, 198; causali, 65, 67, 165, 167, 175, 179, 193; concessivi, 195 n., 198 n.; esplicativi, 72, 76-77, 165 contrapposte, strutture, 76, 116, 117 n., 131, 134, 144-146, 149, 152-153, 155, 157, 167, 169 n., 198 così, 15 così sta, 15 così sta bene, 15 credo di no, 16 credo(proprio) di sì, 15, 23 da nessuna parte, 21 da (buon) senno, 15 da uomo onesto, 15 daje, 23 davvero / da vero / da dovero, 13 n., 15, 20, 150 decisamente, 20 del tutto, 15 di bel patto, 15

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di buona voglia, 15 di certo, 14, 18-19 di già, 170-171, 176 di sicuro, 15, 18-19 diafasica, marcatezza, 22 dialetto, 92 n., 114, 134 n., 138, 155-156, 180, 185 n.; vd. anche diatopica, marcatezza dialogici, contesti, 38, 53, 55, 63, 77, 81, 83, 92, 133, 146-147, 153-154, 156, 189 n., 208 diamesica, marcatezza, 22, 24, 134, 146, 160 diatopica, marcatezza, 92, 121, 134 n., 135, 138, 141, 160-161, 209 dico ben, 15 dico di sì e dico di no, 15-16 dif(f)atti, 15 diπerenze tra prosa e poesia, 25, 107-108, 110-111, 115, 119-120, 122-123, 131, 168, 209 diπerenze tra scrittura letteraria e argomentativa, 25, 31-32, 38-40, 54-55, 58, 73, 75, 83, 95-96, 207-208 discorso diretto, 76, 91, 135, 150, 188 discorso indiretto, 91, 148, 150, 198; indiretto libero, 135 dislocazioni, 138, 157 dittologia, 76 divero / di vero, 14, 21 dubito di no, 16 è verissimo, 13 n., 15 ebbene (sì), 23, 202 eccettuative, proposizioni, 171, 179, 183, 186, 193 ecco appunto, 23 eπettivamente, 15 ellissi: del verbo, 142, 168 n., 193; della negazione, 13 n., 17, 42-43, 84, 86-87, 96-97, 100 n., 101-102, 104-110, 116, 118-119, 131-137, 139-141, 144, 152-157, 161, 167-168, 209; della preposizione, 168 n. enfatica: funzione, 49, 55, 84, 91, 111-112, 115, 119-120, 134, 138-139, 162, 188; ripetizione, 27, 90, 112 epanalessi, 50 n., 90 n., 112, 174, 182, 198, 200, 203-204 errori, 14 n., 40 n., 45 esattamente, 17, 20, 23, 205-206 esatto, 17, 20, 22, 23, 205 esclamative, espressioni, 135, 172 esornativa, particella, 15 n. espletiva, negazione, 84 n., 85 evidentemente, 20 fermamente, 15 finale, posizione, 24 n., 78, 81, 96, 147, 192, 197, 201, 208 finali, proposizioni, 67 focalizzatori, 59 n., 71 foderamento, 90 n. formula attenuativa, 135; vd. anche formula di cortesia

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indice delle forme e degli argomenti

formula di cortesia, 140-141 formula di dissociazione, 141, 209 formula di risposta, 12, 89, 113, 148, 162, 164, 166, 183, 192-194, 195-196, 202; vd. anche olofrastico formula di saluto, 202 n. formularità, 122 francamente, 15 francesismi, 45, 204 n. frasi scisse, 149, 158 già, 11, 15, 20, 23, 25, 150, 162-194, 207, 209; ah già, 186; eh già, 23, 177, 181, 193; oh già, 177, 193 già che, 172, 179, 193 già che ci siamo, 179 già per ciò non / già per questo non, 169 già tempo, 183 giammai / già mai, 170, 172 giustappunto, 70 giusto, 20, 23 gnaπe, 13 n., 15 iam, 168, 169 n., 174 n., 186 n., 187 n. il perché non si sa, 16 il perché non so, 16 in aπatto, 44 n. in buona fé, 15 in fede mia, 15 in modo alcuno, 16 in nessun caso, 21 in nessun modo / in niun modo / per niun modo, 16, 21 in niuna guisa, 16 in verità, 13-14, 21 in veruna maniera, 16 inciso, 24 n., 31, 65 n., 66, 74, 112, 158, 192, 197, 208 indubbiamente, 15, 20 indubitatamente, 15 infallantemente, 15 infallibilmente, 15 infatti, 11, 12 n., 15, 20, 23, 72-83, 165, 207 iniziale, posizione, 24, 38, 73, 77-81, 83, 88, 104, 115-116, 176-178, 186-187, 192, 197, 201, 203, 207 intensificazione semantica, 29, 34-35, 50 interausiliare, posizione, 24, 54-55 interiezioni, 23, 64, 163, 164 n., 177, 193, 196, 202 n., 204 n. interposta, posizione, 30-31, 38, 40, 55-58, 66, 75, 83, 95, 105-106, 121, 137, 143, 146, 148, 157, 187, 192, 194, 208-209 interpunzione, 90, 165; due punti, 77, 79, 164, 172, 175, 202; lineetta, 66; punto, 164 n., 197 n.; punto esclamativo, 59, 138, 164 n., 165 n., 199; puntini di sospensione, 163; virgola, 66, 74, 158, 164-165, 172, 177-178, 197 n.

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interrogative: espressioni, 135; proposizioni, 84, 97, 115, 137, 140-141, 154 n., 155, 161 invero / in vero / nel vero, 14 inversione, 32 n., 75-76, 99, 122, 133, 158, 188 ipotetiche, proposizioni, 84, 97, 168-170, 179, 193, 203 ironici-antifrastici, usi, 13 n., 59 n., 60 n., 64, 70, 72, 162, 178, 181, 184, 193, 198, 203-204 isolamento prosodico, 31, 38, 66, 74, 90, 93, 164-165, 172, 176-177, 192, 197, 203, 207 iussivo, valore, 104 latineggiante, sintassi, 186-187, 209 litote, 44, 58, 141 locuzioni, 67; aggettivali, 141; avverbiali, 18, 41, 44 ma anche no, 12 ma no!, 21 ma sì, 15 ma tu si paccio, 23 macché, 21 mai, 11, 12 n., 16-17, 19-22, 25, 84-133, 135, 148, 168, 207-210 mai che, 85 mai e poi mai, 21, 85, 114 mai sempre, 85, 99 maisì / mai sì e mainò / mai no, 14, 16, 21, 103 male o punto, 206 manco, 21 manzoniane, sostituzioni, 69-70, 116-117, 131-133, 149-152, 160, 209-210 me sa proprio de no, 23 meridionalismi, 21 n., 45, 47 messersì, 15 mi perdoni, 16 mica, 11, 15, 18, 20-22, 134-161, 179, 209 mica che, 149-150, 152 mica facile, 142, 157 mica male, 137, 141, 155-156, 161 mica no, 136 mica tanto, 141, 156-157, 209 miga, 145 minga, 150 monologo interiore, 166, 178, 194, 205 narrativa, prosa, 40, 61, 79, 82, 170, 188 naturalmente, 20 né, 19, 168, 170 n. né già, 172 né mai, 16, 98 né mica, 144, 146-147, 149, 160-161 né tampoco, 16 neanche / né anche, 16, 20 neanche per idea, 21

232

indice delle forme e degli argomenti

neanche per sogno, 21 necessariamente, 20 negativo, valore, 13 n., 29, 34, 39-40, 42-43, 45-47, 51, 53, 57, 64, 69, 84, 193 nemmanco / né manco, 16, 18, 21 nemmeno / né meno, 16, 18, 20 nemmeno per idea, 21 nemmeno per sogno, 21 nemmeno un po’, 21 neppure / né pure, 16, 18, 20 nessuno / niuno, 16, 19-20, 169 n., 179; con mai, 92-93 ni, 21 n. niente, 15, 17, 19-20, 169 n.; con mai, 92-93 niente aπatto / nient’aπatto, 15, 20, 41-45, 51-52 niuno, 16 no, 12-13, 16, 18 n., 19, 23 n., 163 n., 186 no?, 13 n. no, assolutamente, 29 n. no certo, 21 no davvero, 21 no già, 186 no in verità, 21 no mai, 112-113 no, mica, 160 nominale: struttura, 24, 118, 133, 142, 209; stile, 94-95, 142 non, 16, 18 n., 19, 30, 168, 170 n. non aπatto, 16 non è che, 135, 150 non è vero, 16 non ghiozzo, 16 non già, 15, 167, 169, 171-174, 176, 179-181, 183, 186, 193 non già che, 174, 183, 185-186 non giamai, 16 non guari, 16 non lo nego, 23 non lo so / nol so, 16 non mai, 15, 87-88, 103, 105, 109 n., 111, 113-117, 119-120, 131 non niente, 16 non nulla, 16 non per questo, 169 non può essere, 16 nossignore, 16, 21 nulla, 15, 17, 19-20; con mai, 93 nulla aπatto, 16, 51 okay, 20, 22-23, 195 n., 207 olofrastici (avverbi, formule, usi): 12-13, 18, 25-27, 33, 39-42, 44-46, 51, 54, 57-60, 69, 71-72, 74-76, 81-82, 84, 89, 103, 113-114, 115 n., 116, 118, 120, 131, 147, 149, 160, 162-163, 165-166, 171-172, 175-178, 181-182, 184, 193, 195-207, 210

indice delle forme e degli argomenti

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ombra, 21 oncia, 21 oralità, 38-40, 52-55, 57-58, 64, 78, 81, 90 n., 91, 102-103, 114, 117, 119, 121-122, 133, 135, 138, 141 n., 142-143, 146-151, 153, 157-158, 160, 163 n., 164 n., 187-190, 193-194, 208-209; vd. anche: colloquiale; diamesica, marcatezza oscillazioni nell’uso della negazione, 98, 102 ottimo, 20, 204-205 ovviamente, 20, 23 parentetiche, strutture, 24 n., 38 n., 175, 208 per aπatto, 44 n. per ( l’) appunto, 15, 18-19, 21 n., 69-71 per certo, 13 n., 14 per dire il vero / per vero dire, 13, 15 per fermo, 14 per mia fé, 15 per niente, 12 n., 16, 20, 24 per niuna guisa, 16 per nulla, 15, 21 per verità, 15 perché mai, 112 perché no?, 15 perfettamente, 17, 20, 22 perfetto, 20, 22-23, 204 perifrasi verbali, 24, 38, 57, 66, 86, 91, 121-122, 133, 137, 142-143, 144 n., 146, 157158, 209 più: con aπatto, 44; con mai, 85, 95-96, 114, 119 più che mai, 99 poco: con aπatto, 46; con punto, 46, 206; con già, 169 posposta, posizione, 23, 30-31, 37-38, 40, 54-58, 65, 72-73, 77-78, 91, 95, 121, 137, 142, 144 n., 157, 188, 194, 208 postverbale, posizione, 17 n., 31 n., 80, 83, 92, 102, 106, 122-123, 133, 135-136, 139-141, 154, 157, 187-190, 192, 208 pragmatica, marcatezza, 190-191, 194 precisamente, 15, 17, 20, 22 prefissati: con anti-, 34 n.; con in-, 29, 34-35, 40 preposizioni, 11 n., 168 n. preverbale, posizione, 22, 84, 86-87, 104-105, 109, 134, 152, 156, 186-191, 194, 209 profrase, 12, 18, 163 pronomi, 179; dimostrativi, 65; indefiniti, 19, 21; relativi, 189, 191 propriamente, 15 proprio, 18, 19, 155 proprio così, 20 proprio no, 21 proverbi, 17, 106 n., 133, 146 punto, 15, 20, 21 n., 45 n., 46, 150-152, 154, 174, 206 quantificatori negativi, 18-19 questo sì e questo no, 15-16

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indice delle forme e degli argomenti

raπorzativi dell’aπermazione o della negazione, 15 n., 18-19, 24, 33, 36, 39-42, 44-47, 49, 51, 53, 57, 84, 86, 90, 113-114, 134, 137 n., 144, 149-150, 168, 170, 172, 175-176, 179-180, 182, 185-186, 193, 199 n., 201 n., 206 relative, proposizioni, 189, 191 ridondanza pronominale, 40 n., 138 riempitiva, particella, 15 n. rima, 121 ripresa lessicale, 63 romanesco, 135, 152, 160-161, 209 scrittura giornalistica, peculiarità della, 25, 32, 42-43, 58, 62, 66-67, 94, 138-139, 141-142, 165 n., 167 n., 209 scritture online, 22-23, 143 n., 148 n. se già, 171-172, 183, 186, 193 segnali discorsivi, 38 n., 64, 68, 148, 162, 164, 165 n., 166, 176, 181, 183, 192, 194-197, 202, 208-209 semantiche, peculiarità, 35-36, 64, 76, 80, 102, 105, 107, 114, 119 sempre mai, 85, 99 senz’altro, 15, 18-19 senza: con aπatto, 53; con mai, 92, 95-96 senza dubbio, 15, 19 senza (alcun) fallo, 15, 18 senza meno, 15 settentrionali, varietà, 13 n., 24, 43 n., 47 n., 135, 139-141, 145, 149, 151-156, 160, 209 sì, 12-13, 18 n., 19, 23 n., 25, 164, 165 n., 198 n. sì, assolutamente, 29 n. sì bene, 14, 202 n. sì davero, 15 sì no, 13 n. sì padrone, 15-16 si sa bene, 15 sì, sì, 15 sì veramente, 15 siciliano, 185 sicuramente, 13, 15, 18-19, 21, 201 sicuramente no, 201 sicuro, 15, 18-19, 200-201, 207; ma sicuro, 200 sicuro che, 200 signorsì e signor no, 15-16, 20 similitudine, 68, 185 sinonimia, 46 sintagma: avverbiale, 64; preposizionale, 64, 67 sissignore, 15, 20 so, 15 sono d’accordo, 23 stilistici, fattori, 24, 39, 44, 54, 65, 74-75, 122, 138-139, 146, 158, 187, 194, 209; vd. anche nominale, stile

indice delle forme e degli argomenti

235

stimo di sì, 15 superlativi, 23, 29, 35, 51 televisivo, parlato, 29 n., 45 n., 205 n. tempo, complemento di, 66 temporale, valore, 167 n., 168 n., 172, 175, 176 n., 180 n., 186, 190, 207 tengo per fermo, 15 tipologia testuale, 24-25, 79 n., 83, 91, 174-175; vd. anche: argomentativi, testi; diπerenze tra scrittura letteraria e argomentativa; scrittura giornalistica, peculiarità della; scritture online toscanismi, 20, 206 totalmente, 15 tu menti per la gola, 16 tutt’aπatto / tutto aπatto, 44-45 un accidente / accidenti, 21 un cane, 21 un cavolo, 21 un cazzo, 21 un corno, 21 una madonna, 21 unque mai, 99 V. S. mi scusi, 16 V. S. si disinganni, 16 veramente, 13 n., 14, 18, 20 veramente no, 21 vero, 18, 20, 23 volentieri, 14 yes, 23, 195 n.

c omp ost o in carat t ere bask ervi lle s er r a da lla fabrizio serra edit or e, p i s a · rom a . impresso e ril egato in i ta li a n ella tip ografi a di agnano, agna no p i s a no (p i s a ).

* Giugno 2015 (cz2/fg13)

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I TA L IA NA p e r la s t oria de l l a l ing ua s cri tta i n i tali a c ollana dir e tta da luca serianni * 1. M. L. Altieri Biagi, Fra lingua scientifica e lingua letteraria, 1998, pp. 272. 2. P. Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, 2000, pp. 180. 3. G. Antonelli, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento. Sondaggi sulle lettere familiari di mittenti colti, 2003, pp. 274. 4. D. Colussi, La grammatica e la logica. La lingua e lo stile di Benedetto Croce, 2007, pp. 368. 5. C. Fabrizio, Idee linguistiche e pratica della lingua in Giovanni Gentile, 2008, pp. 108. 6. C. Scavuzzo, Un modello di prosa d’arte. L’italiano di Emilio Cecchi, 2011, pp. 216. 7. F. Magro, L’epistolario di Giacomo Leopardi. Lingua e stile, 2012, pp. 332. 8. M. Ortore, La lingua nella divulgazione astronomica oggi, 2014, pp. 268. 9. M. S. Rati, Aπermare e negare nella storia dell’italiano, 2015, pp. 244.