Abbas Kiarostami 9788880121473, 8880121472

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Abbas Kiarostami
 9788880121473, 8880121472

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Marco Dalla Gassa

Abbas Kiarostami

Le Mani

(^Rgi d sono Mihi due iìkkIi ili comunicare quello ili Spielberg e quello di Kiarostami» I mir Ktritiinca

Kiarostami è uno tra i pcxhi. oggi, a pniiicarv laflvnnazione del ci­ nema e il dubbio sul cinema in un unno gesto espressilo lina Mici ì 2000 Le Mani - Microart’s Edizioni, via dei Eieschi 1 16036 Rocco - Genova tei. 0185 730111 - fax 0185 720940 h(tp://www. lemanieditore.com e-mail: microarts^interbusiness.it

Grafica di Marco Vimercati

ISBN-88-8012-147-2

Indice

Introduzione pag. 7 11 cinema di Kiarostami negli anni 70/’80 ■ 12 Note biografiche - 12 Il contesto storico, le valenzepolitiche, lacensura 53 La trilogia di Kokér • 67 Poshteh, ovvero la dimora dcll'Amico - 70 Rudbar, ovvero il viaggio verso dove ? » 82 Koker, ovvero l’inizio e la fine - 94 Richiami, differenze, rapporti tra lepellicole - 101 La riflessione allo specchio - 118 Rapporto realtà/fìnzione • 118 Realismo, neorealismo, non realismo • 120 11 caso Close up - 125 Il dispositivo rivelato - 138 Nei film di Kamin - 138 Nella trilogia - 144 Autore, attore, spettatore: parole incrociate • 151 Il cruciverba, ovvero il rapporto tra regista e spettatore - 151 Il rebus, ovvero il rapporto traregista e attore * 157 Il sapore del gelso e della ciliegia * 167 11 vento ci porterà via - 189 Filmografìa * 219 Bibliografìa * 224 Indice dei nomi c dei film * 235 5

a Guglielmo e Elena

Un sentilo ringraziamento a Irene Amodci, Viviana Bertuzzi, Giulia Cariuccio, Fabrizio Colamartino, Teresa Crepaldi, Lino Dalla Gassa, Ada Ferrero, Farfianad Hashemi, Mirzaian Hossein, Roberto Quaran la, Dario Tomasi, Riccardo Zipoli. Ringrazio anche, per la loro passione c per il loro aiuto, i parteci­ panti al seminario su Kiarostami die ho tenuto presso l’università di Torino.

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Introduzione Quando Satyajit Ray morì ero molto depresso, ma dopo aver visto i film di Kiarostami ho pensato che Dio aveva trovato la persona giusta che potes­ se sostituirlo. E lo ringrazio per questo. Da qual­ che tempo in qua, mentre è in pieno declino il ci­ nema dei paesi sviluppati, le nazioni con una tra­ dizione cinematografica più giovane stanno pro­ ducendo film bellissimi. Akira Kurosawa

Nel 1988, un film iraniano intitolato Dou'è la casa del mio amico? vince il pardo di bronzo al Festival intemazionale del film di Locamo. Il regista, un certo Abbas Kiarostami, è sco­ nosciuto anche agli addetti ai lavori più preparati. Solo le note biografiche segnalano il dato più importante, ovvero che non siamo di fronte ad un autore esordiente, ma ad un regista con alle spalle quasi ventanni di lavoro. Il premio rappresenta il vero spartiacque nella carriera di Kiarostami. Se prima poteva essere considerato un bravo arti­ giano del cinema, per lo più conosciuto dai suoi connaziona­ li, da questo momento in poi la sua fortuna critica inizia a moltiplicarsi film dopo film. Il suo nome, infatti, circola sem­ pre più frequentemente in occidente, le sue pellicole parteci­ pano a numerosi festival (// sapore della ciliegia ha vinto, nel 1997, la palina d’oro a Cannes, il recente 11 vento ci porterà via il secondo premio a Venezia), la critica cinematografica si appassiona alla sua arte e accoglie ogni nuovo prodotto che arriva dall’Iran con molto affetto e ammirazione. Tutto il cine­ ma di Kiarostami desta curiosità e interesse: il Festival di Lo­ camo, ormai attentissimo alla sua opera, organizza, nel 1995, una retrospettiva molto accurata, i -Cahiers du Cinema» per l’occasione pubblicano un numero speciale a lui dedicato, qualche anno dopo un’analoga iniziativa è promossa in Sicilia dall’assessorato ai beni culturali. In questo stesso periodo la stampa specializzata dimostra di avere un occhio di riguardo verso il regista persiano, seguendone, passo passo, l’evoluzio7

Abbas Kiarostami

ne della poetica, ravvicinarsi a tematiche universali prossime alla sensibilità occidentale, lo stile che si rivela sempre più originale ed elaborato. Nonostante tutto quest’interesse nei suoi riguardi, l'opera di Kiarostami rimane sconosciuta ad una grande fetta di appas­ sionati, soprattutto per quella parte di produzione che ha ol­ trepassato i confini dell’Iran in rarissime occasioni. Leggendo con attenzione la sua Filmografia, ci si accorge che prima di raggiungere il successo di critica di Dovfè la casa del mio ami­ co?Kiarostami aveva già realizzato tre lungometraggi, quattro mediometraggi e undici cortometraggi, in altre parole una se­ rie di titoli tale da costituire un percorso artistico maturo. La difficoltà di circolazione e l’impossibilità della visione di tali pellicole, provocata dalla mancanza di rapporti sociali e cultu­ rali tra l’Iran e l’occidente, soprattutto nell’era Khomeini (solo di recente l’avvento di Khatami al potere sta lentamente modi­ ficando la situazione), o dai divieti della censura, ha di fatto sottrano al pubblico un’esperienza cinematografica unica. 1 primi film girati dal regista sono commissionati, come ve­ dremo, dal Kanun, l’istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e dei giovani adulti e sono veri e propri saggi di spe rimentazione grazie ai quali il cineasta -impara a fare- cinema, a sviluppare, in una realtà mollo protetta, un maturo stile di regia ed una capacità di espressione libera chi vincoli com merciali. Laurent Roth, nell’articolo introduttivo del numero 493 dei -Cahiers du Cinema» dedicato al regista persiano, pro­ pone un’interessante riflessione sui suoi esordi: Una prima constatazione si impone: là dove di solito la creazione di un artista c piuttosto tormentata, intendiamo nel quadro di un’opera di commissione, in un contesto istituzionale, rinforzate da un regime politico autoritario [...], noi assistiamo, al contrario, alla prodigiosa fioritura di un’opera che esplora, con soiprenden te libertà, tutte le ipotesi e le combinazioni passibili del cinema1.

Gli anni della lenta maturazione artistica sono quelli in cui Kiarostami è costretto a riflettere sulle problematiche educati ve, comprendendo poco alla volta il valore decisivo della |>edagogia nell’equilibrio di ogni comunità, nella crescita di cia­ scun individuo e nell'inserimento della persona nel tessute

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Introduzione

sociale e traducendolo in immagini. La prima parte dello sto dio cercherà di mettere in rilievo i molivi «del l’ossessione kiarostamiana-, le linee guida, gli aspetti che prefigurano la pro­ duzione degli anni novanta, facendo particolarmente attenzio­ ne al contesto storico in cui il regista si muove, al profilo pe­ dagogico, alle tematiche e ai procedimenti creativi c stilistici che di volta in volta adotta. Solo conoscendo la -gavetta- degli anni 70 e ’80, diventa possibile comprendere il tragitto che ha portalo l’autore per­ siano alla realizzazione delle sue opere più conosciute: stiamo parlando di Dovè la casa del mio amico?. di Close up. di E la vita continua, di Sotto gli ulivi, di 11 sapore della ciliegia ed in­ fine di 11 vento ci porterà via. Dei sei titoli, tre (Dovè la casa del mio amico?. E la vita continua. Sotto gli ulivi) possono es­ sere considerati una sorta di trilogia. Tofani, se la seconda pel­ licola racconta il ritorno sui luoghi delle riprese del primo film, la terza narra la storia d’amore nata sul set del secondo. L’altro posto/tappa, raggiunto il quale conviene fermarsi, sarà dun­ que deaerato dall’analisi dei tre lungometraggi c dal tentativo di disegnare tutti i fili che legano i film tra loro. La trilogia, nella sua costruzione e decostruzione continua, rappresenta uno dei momenti chiave della produzione dell’autore, dove la circolazione dei dati si fa frenetica, indiavolala, dove le carat­ teristiche più sensazionali prendono forma in una costruzione a segmenti e piani di lettura difficilmente ripetibile. 1 sei titoli citati possiedono, inoltre, una caratteristica che accomuna i loro destini: si tratta del richiamo alla tematica metacinematografìca. La riflessione sul mezzo artistico acqui­ sta, in ogni pellicola, un'importanza decisiva, perché sembra rappresentare il punto di riferimento, l’ago della bussola della narrazione. L’impressione non solo è confermala dalla presen­ za della cifra in quasi tutti i film kiarostamiani (anche quelli pedagogici c di commissione), ma sembra nascere da convin­ zioni teoriche che lo stesso regista fa proprie: «Nel momento di dirigere un film io incontro, ogni tanto, dietro la macchina da presa, degli episodi più interessanti e delle relazioni che si sviluppano fuori del mio tema principale, più attraenti e pieni di suspense del film stesso. Sono così attraenti che io sposto la cinepresa verso questi avvenimenti-2. Al di là delle dichiara­ 9

Abbas Kicirusramf

zioni, la cifra è così ricorrente che merita un’attenta indagine. Infatti, nonostante il metacineina non sia più una novità stili stira rilevante, dal momento che sono orinai numerosi i registi e i film che trattano il mondo dello spettacolo in tutte le sue forme, in Kiarostami esso sembra condizionare, in maniera determinante, l’itinerario artistico. Partendo dalla riflessione sul mezzo, possiamo arrivare alla comprensione delle sue idee sul mondo, sul ruolo che egli assegna al cinema, c so­ prattutto possiamo stabilire le peculiarità della sua opera, co me la predisposizione al dubbio e la ridefìnizione costante del rapporto tra finzione e realtà. Il dispositivo rivelato ci dà l’im­ magine di un cinema attento al proprio ruolo, riflessivo, capa­ ce di non dare nulla per scontato. La stessa regola della fin­ zione, su cui è fondalo il codice linguistico cinematografico, il patto, cioè, che si viene a creare tra spettatore e film sull’im­ pressione di realtà, è la prima ad essere messa in crisi dall’au­ tore. Proveremo, così, a stabilire in che modo la tematica me­ la cinematografica influisce sul rapporto tra regista c spettato­ re, vero motore della creazione kiarostamiana. La parte finale del libro sarà dedicata ai suoi ultimi due film, Il sapore della ciliegia e II vento ci porterà via, che han­ no consacrato Kiarostami nei templi del cinema d’autore e ne hanno fatto una delle firme più importanti del decennio. T due lavori mostrano una nuova direzione presa dal suo cine ma: pur mantenendo alcuni marchi di fabbrica (la ripetizione, i grandi paesaggi, le riprese in automobile), lo stile del regista si è poco alla volta epurato, rivolto e ripiegato su se stesso, in un tentativo di allontanamento continuo dai traguardi raggiun­ ti, seguendo direttrici non lineari. Cercheremo di evidenziare i punti di svolta che si trovano nella pellicola, i piccoli cambia menti che fanno del suo stile un modello in movimento. Un ultimo accenno alla metodologia. L’operazione che lo studio si prefigge segue le orme lasciate da Kiarostami nei suoi film: proporre un’idea e metterla in discussione nel mo­ mento stesso in cui è presentata. 11 viaggio sarà su un sentiero a zig zag, la precarietà come bussola. Sarà poi stratificato per toccare tutti i piani di lettura e gli scalini interpretativi che lo spettatore può salire. Faremo come Qasem in II viaggiatore, che insegne il suo obiettivo sia nella sfera del sociale, sia nel 10

introduzione

la sfera del magico, faremo come il protagonista di Soluzione che insegue la sua ruota di corsa fra il paesaggio e le strade che si biforcano, come Hossein di Sotto gli ulivi che cercherà ad ogni costo una risposta dalla sua Tahereh.

Note Laurent Rodi, Abbas Kiarostami, le dompteur de regard, in -Cahiers chi Cinema-, n. 493, 1995, p. 68. 2 . Abbas Kiarostami, Le monde d Abbas Kiarostami, in «Cahìeis du Cinema-, n. 493, p. 85. 1

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11 cinema di Kiarostami negli anni 70/’80

Note biografiche

Kiarostami nasce a Teheran il 22 giugno del 1940 da una famiglia della piccola borghesia iraniana. Il padre è artigiano decoratore ed è probabile che la predisposizione all’espres­ sione artistica e alla cura artigianale

  • ia

    chiede ben otto volte il latte da dare ai suoi ragazzi. 11 bambi no in fasce: è una delle ossessioni kiarostamiano come il sen­ tiero a zig zag, che ritorna di film in film. L’albero solitario, simbolo dell’amicizia: l’albero ha la stessa funzione di quello che stava sopra la strada a zig zag, nella trilogia. La tartaruga capovolta dal regista. 11 gesto, crudele quanto gratuito, sanci­ sce l’impossibilità di decidere del destino altrui. L’insetto: ri­ chiama anch esso, nel suo portare un peso troppo grosso e nel suo affossarsi in una buca, le peripezie dell’ingegnere. 11 continuo lavarsi del protagonista: è un tentativo, forse, di pu­ rificazione fatto da un uomo che spesso non si comporta co­ me dovrebbe (-Sono cattivo?- chiede a Farzhad). Il cimitero, che è simbolo della morte. Berzhad ci sale cinque volte. L’ap­ parire del gregge di pecore e mucche. Sembra poco impor tante, eppure vediamo il gregge in quasi tutte le inquadrature non di dialogo. In un caso è il passaggio di un gregge a bloc­ care la macchina di Behzad. La scena è l’immagine dell’attesa, dell’impossibilità di muoversi. L’osso della gamba: è un altro richiamo alla morte. I.a mac china fotografica: il rimando, que­ sta volta, è al cinema. L’ossessiva citazione della scuola, dei compiti, degli esami; Farzhad nomina dieci volte la scuola. La tematica pedagogica, come già era successo per Campiti a ca­ sa e per Dovè la casa del mio amico? si conquista uno spazio imporrante anche in questo film. La metafora si insinua anche nel ripetersi di alcuni episodi o nel riproporsi di alcune problematiche: il cellulare e il suo squillare nei momenti meno opportuni (interrompe le discus sioni con i ragazzi, con Farzhad c infine con il medico): squil­ la ben otto volte costringendo spesso il protagonista a salire sulla montagna. La telecomunicazione; è il rapporto tra lo sca­ vatore e l’ingegnere a ingarbugliare i dati. All’inizio rincontro è casuale, poi, con l’andare del film, Behzad arriva a dire di essere lui l’ingegnere che gli ha appaltato il lavoro, Questo cambio di ruoli serve al regista per proporre ancora una volta lo slittamento del senso, per rendere complessa la visione. Gli incontri in fuori campo: sono ventuno i momenti dove com pare la cifra (sommando i dialoghi con i ragazzi, con lo scava­ tore, la ragazza della cantina eccetera). Il sistema di bugie c menzogne che s’instaura nel corso del film. Il continuo ricor-

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    Abbas Kiarostami

    rcrc alle poesie: sono sei le scene dove un personaggio recita una poesia13. La cantina e il pozzo che ricordano l’interra mento e la morte. La maternità, argomento trattato nella di­ scussione tra la coppia nella sala da tè e con la donna in atte­ sa del decimo figlio. Questi oggetti o questi richiami tormentosi dilatano la ma­ glia del film, in altre parole si separano dalla loro funzione narrativa perdendo i loro tratti realistici, per acquisire valori simbolici. L’eccessiva presenza di oggetti, insieme alTannulIa mento dei colpi di scena narrativi, ovvero tutti quegli eventi che deviano improvvisamente il corso della storia, all’introdu­ zione di molli episodi gratuiti che non servono per la prose­ cuzione della vicenda ma che acquistano così immediatamen­ te un risvolto simbolico, a uno stile di ripresa piano e sempre al servizio della location, e insieme a una rappresentazione del tempo costante, senza veri punti di riferimento, permette a Kiarostami di creare un territorio di temi immenso. Lo spa­ zio d’inserimento dello spettatore (le caselle vuote, se voglia­ mo) assume cosi dimensioni mai raggiunte e le sue possibilità di interpretazione sono più che mai libere e feconde. Se pri­ ma egli si trovava di fronte a interstizi, fessure, fenditure in cui far penetrare la propria capacità di elaborare il film, ora queste spaccature nella parete del racconto filmico si fanno sempre più grandi. Poco sopra si diceva che Kiarostami, con II vento ci porterà ina, poneva a tulli gli atlanti del processo artistico (attori, spettatori, indigeni del luogo, egli stesso) una uguale doman­ da, e cioè dove bisogna andare, quali indicazioni occorre se guirc, così come si chiedevano i viaggiatori nella prima se­ quenza del film. La risposta ci è indicata ora: il suggerimento è quello di guardare altrove, di non aspettarsi le informazioni dove si crede possano essere (nel paesaggio, d’altronde, ci sono molti alberi solitari) ma trovarle in uno spazio -oltre-, ol­ tre le aspettative, oltre la realtà, oltre la stessa metafora della realtà. L’aver costruito un territorio così ricco di filoni, riman­ di, tematiche, simboli, non si esaurisce in sé, ma paradossal­ mente consiglia un passo più in là, che vedremo costituirsi tra poco come un’assunzione di responsabilità creativa. Confer­ mano le nostre ipotesi l'insieme dei fenomeni di slittamento

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    Il vento ci porterà via

    che mede in piedi il film, fenomeni che, impercettibilmente o esplicitamente, dirigono in altri spazi la riflessione. Pensiamo, innanzi tutto, alla presenza, per la prima volta massiccia e fondamentale, del fuori campo e delle ellissi. 11 dato stilistico rappresenta una grande novità. Fino a ora, il re­ gista aveva ripreso, nell’inquadratura, tutte le scene più im­ portanti delle proprie pellicole e aveva lasciato ad altri dispo­ sitivi (ad esempio i finali aperti, i campi lunghi, l’assenza della banda audio, i piani sequenza) il compito di rallentare, devia­ re o mettere in discussione la storia raccontata: la risposta di Tahereh a Hossein, per esempio, avveniva in campo, seppur lontanissimo dalla macchina da presa; rincontro ira Sabzian e Makhmalbaf ha luogo davanti alla cinepresa (in questo caso era la banda audio a essere assente); in 11 viaggiatore è l’e­ vento stesso (la panila di calcio) a mancare, ma lo sguardo di Kiarostami rimane incentrato, comunque, su Qasem; in Dov’è la casa del mio amico? l’arrivo del protagonista davanti alla casa tanto cercata avviene sotto i nostri occhi. Tutto sommato anche in II sapore della ciliegia, dove il finale era aperto a qualsiasi soluzione, la macchina da presa accompagna il pro­ tagonista fino a quando si sdraia nella buca. In questa pellico­ la lo sguardo trova il suo senso solo di fronte alla sottrazione dell’immagine. Il momento culminante del Film avviene in el­ lissi14: noi, infatti, non vediamo la cerimonia tanto attesa, arri­ viamo fino a un passo da essa (l’inizio del corteo in lutto), per poi ritrovarci molte ore dopo, nel momento in cui l’ingegnere sta per tornare a casa. Anche gli altri momenti importanti del­ la narrazione avvengono tutti in fuori campo: rincontro con la giovane ragazza, i discorsi con lo scavatore, la frana, cosa succede nella casa della vecchia malata. Troviamo lo stesso procedimento anche in episodi meno significativi: è il caso del dialogo tra la proprietaria della sala da tè e un anonimo parcheggiatore, è il caso di alcune voci di sottofondo dei pae­ sani che non vediamo, ma di cui sentiamo i commenti. La ci­ fra è portata alle sue estreme conseguenze, proprio perché rappresenta figurativamente il continuo mutamento di direzio­ ne cui è costretta la visione. Anche la narrazione subisce continui spostamenti di bari­ centro. impercettibili perche inseriti in un contesto reiteralo 203

    Abbas Kiarostami

    che vede l’ingegnere ripetere sempre gli stessi gesti (lavarsi, chiacchierare con Farzhad, andare sulla collina per rispondere al telefonino, parlare con lo spalatore, ritornare indietro), ma, insieme, determinanti: la vecchia poco per volta, invece di av vicinarsi alla morte, se ne allontana; l’umore di Behzad peg­ giora in maniera direttamente proporzionale ai miglioramenti della malata; l'ingegnere in un primo momento guida la mac­ china insieme ai suoi colleghi, poi lo fa da solo, infine finisce su una motocicletta con un dottore sconosciuto, l’unico che sembra tenergli testa nelle discussioni; il tesoro prima falsa­ mente cercato si trasforma nell’oro dei campi di grano e subi­ to dopo nell’oro piccolo ma intenso delle lampade del villag­ gio; la cerimonia tanto attesa perde poco a poco senso e, alla fine, quasi non ci si domanda più come sia. Il momento in cui, però, il meccanismo di slittamento della narrazione trova la sua massima manifestazione è il finale, co­ struito sul progressivo trasferimento del centro dell’attesa. Ve­ diamo come si svolge. Il medico ha appena annunciato all’in­ gegnere di guardare i campi di grano c la natura (saranno le ultimo parole che si sentiranno) quando un brusco effetto di fondo nero ci mostra, per la prima volta, il villaggio nella not­ te. Il buio si trasforma poco alla volta in luce e l’alba si sosti­ tuisce all’oscurità. L’ingegnere giunge dal suo viaggio in città proprio in coincidenza con la morte della vecchia. I pianti delle donne al di là della finestra inducono a questo tij>o di soluzione15. 11 protagonista invece di sincerarsi della situazio­ ne si allontana lentamente verso l’auto. La mette in moto, ma nel momento in cui ci aspetteremmo una sua fuga, ecco che passa il corteo funebre. Egli prende la macchina fotografica e scatta alcune istantanee. Non fa in tempo a passare qualche secondo che Behzad accende il fuoristrada e se ne va. La ci­ necamera rimane fissa a riprendere un vecchietto che cammi­ na. Invece di seguire il protagonista o il corteo, Kiarostami, at traverso un’altra ellissi, ci porta in pieno giorno. Le donne stanno cucinando, la cerimonia è finita, l’ingegnere lava la macchina per lasciare il paese. Ma Behzad, prima di partire, prende l'osso del femore rimasto sul cruscoito e lo getta in un ntscello. La cinepresa segue il femore e abbandona l’ingegne­ re. Inizia una musica di sottofondo, lo spettatore che conosce

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    // vento ci porterà uta

    il regista si aspetta i titoli di coda. Kiarostami però, prima di accontentarlo, trova ancora il tempo per deviare un'ultima volta l’inquadratura, spostando l’osso ancora una volta fuori campo. Come se il racconto fosse ancora sfocato e avesse bisogno di uno zoom per essere messo a fuoco e come se quest’ope­ razione dovesse essere ripetuta più e più volte, il finale del film manifesta tutta la sua capacità di spostare il centro della visione in uno spazio altro. Dalla luce al buio e viceversa, dal­ la consapevolezza della morte della vecchia alla fuga, dalle foto rubate al passo indietro per non filmare la cerimonia, dall’attesa dell’evento alla sua evaporazione, dalla partenza della comitiva al viaggio dell’osso, dal primo piano del femo­ re al fuori campo finale, ogni aspettativa è spiazzata e indica la necessità di avere uno sguardo diverso. Come a voler di­ mostrare questo nuovo approdo, Kiarostami risponde a chi si attendeva un finale aperto con un Tinaie chiusissimo. -Essendo un dato di fatto clic i film iraniani sembrano, negli ultimi tem­ pi, subire un’epidemia di finali aperti, io mi sono sentilo in dovere di rendere chiuso quest’ultimo film-16. Qual è allora Tentila -oltre- richiesta dal cineasta? In quale direzione occorre fare il passo più in la? Dove bisogna volge­ re lo sguardo? La risposta indica il coerente approdo ricercalo da Kiarostami in tutti questi anni, ovvero l’eliminazione del regista come unica figura responsabile del processo artistico. In altre parole il cineasta, con // vento ci porterà via, si libera del materiale film, evitando di darne una forma definita e at­ tribuendo agli altri atlanti il compito e la responsabilità di pla­ smare tale materiale. Non a caso il film è stato letto come una rieducazione alla vista. Afferma Bergala a proposito della sce­ na in cui il protagonista lava il vetro del fuoristrada: Perché quest’uomo, sostanzialmente miope, prova solamente ora a pulire il parabrezza, che si immagina coperto, dopo tulio quest’andirivicni, di un buon strato di polvere? Ma soprallulto: per ché Kiarostami sente il bisogno di consacrare una (bella) inqua­ dratura a quest’azione apparentemente anonima? Senza dubbio perché questa scena conclude nel modo più elegante e vivace un tema ira i più importanti in un film enigmatico, quello della rieducazione alla vista. Quest’uomo, che apparentemente si adal­

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    Abbas Kiarostami

    la molto bene alla sua miopia e ad una visione ridotta alia parte centrale del suo campo visuale, che una pulitina agli occhiali sa­ rebbe sufficiente ad allargare, piova per la prima volta a vedere anche dai bordi. Al termine di questo soggiorno, che lo rende professionalmente deluso, egli avrà almeno appreso che la visio­ ne periferica è altrettanto importante che quella centrale17.

    Lo sguardo miope dell’ingegnere raggnippa in sé quello dell’attore, quello dello spettatore, quello del regista. Questo professionista delle immagini, nel corso di lutto il film, dirige la propria attenzione verso elementi che non hanno alcun in­ teresse per la sua missione c che, come dicevamo, diventano, nello stesso momento in cui li guarda, simboli di un’altra di­ mensione. si pensi alfinsetto che spinge la sua pallina fin quando cade in una buca poco prima che accada la stessa co­ sa allo scavatore, oppure alla tartaruga che l’ingegnere rove scia sul dorso come per uccidere la vecchia. Si spiegano così tutte le figure che abbiamo illustrato in precedenza: il fuori campo e l’ellissi, la moltiplicazione dei simboli, i continui ri­ chiami alla precedente produzione kiarostamiana, rimandano a un nuovo territorio di indagine e soprattutto a investigatori con un nuovo compito. Non bisogna soltanto riempire le ca­ selle vuote, ma in un certo qual modo crearle, il finale è, an­ cora una volta, chiarificatore. 11 cineasta non chiede più allo spettatore di decidere tra un sì e un no (sono stati trovati i ra­ gazzi? Tahereh ha risposto di sì ad Hossein? Badi'i è morto?), ma gli passa direttamente il testimone, questo strano testimo­ ne a fonna di tibia. Il capovolgimento a 180° tra l’inquadratu­ ra in cui Behzad lancia l’osso e quella dove l’osso cade nel fiume connota l’awenuto scambio di ruoli. Sta allo spettatore descrivere il viaggio di un uomo (raffigurato da questa tibia che Behzad ha avuto sempre con sé), quale strada o corrente prende, sta alla cinecamera allontanarsi poco prima dei titoli di coda, come se il cinema potesse seguire la vita dei prota­ gonisti per un poco e poi fosse costretta a congedarsi. Paradossalmente, lassunzione di responsabilità creativa da parte del pubblico non toglie al regista il dovere della visione, della scella delfimmagine. Avviene, anzi, il contrario. 11 cine­ ma deve ripetutamente riposizionarsi alla ricerca di un nuovo equilibrio. Occorre una vigile attenzione sulle finalità e sulle

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    // ivnto ci porterà via

    possibilità del mezzo. Ecco perché, anche in questo film, Kia­ rostami parla di cinema, parla del proprio molo, sia in termini teorici sia in termini pratici. A prima vista, sembra die 11 vento ci porterà via non affronti la tematica metacinematografìca e una lettura del film in tal senso non possa essere fatta. La struttura narrativa si può considerare, nonostante i ritmi lenti e l’assenza di eventi capaci di modificare lo stato iniziale, una fiction in piena regola: il regista racconta, intatti, la storia di un ingegnere che va in un villaggio del Kurdistan. Tanti pie coli particolari ci indicano, però, l’esatto contrario. Behzad, questo professionista dello sguardo, è evidentemente, per trasposizione, lo stesso Kiarostami il quale mestiere consiste per forza nell’andare a cercare le immagini dopo le catastrofi - un terremoto per mostrare a Teheran o a Cannes a degli spettatori provetti dove niente garantisce che ne andranno a fare buon uso18.

    Behzad, Valter ego del regista, prova a fotografare, ma gli è vietato. Egli allora abbandona la macchina fotografica. Solo dopo questa rinuncia, può iniziare la sua rieducazione allo sguardo. Il piccolo stratagemma individua, in modo figurato, i limiti stessi del cinema, i confini oltre i quali non si può av­ venturare. Kiarostami più volte ha affermato di avere un -co­ dice deontologico19. Per entrare nei territori personali dell’uo­ mo, come la caverna della poesia, per indagare i sentimenti intimi dell’amore (riscontrabili nello scavatore e nella ragaz­ za), o la malattia e la morte (simboleggiati dalla vecchia), è meglio posare la cinecamera e abbandonare la propria veste di regista, per essere in prima istanza un uomo. Di fronte alla vita, ai paesaggi in fiore, ai viaggi formativi delle persone, egli non esita a riprendere (anzi fa di tutto per scegliere degli obiettivi che mostrino la maggior fetta possìbile di mondo), ma quando i territori narrativi si fanno personali, ecco venir fuori la delicatezza, il pudore c la sensibilità di una persona che conosce gli spazi dove si può muovere. Egli è disposto a oscurare perfino l’immagine. Avviene nella scena centrale del film, quando il protagonista entra nella caverna c lo schermo si fa nero per 20 secondi. Di nuovo ci troviamo in una di quelle strade che collegano questo film a 11 sapore della cilie-

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    Abbas Kiarostami

    già. Anche fi, con più enfasi, lo schermo si oscurava, proprio in occasione dei finale. Il cinema deve trovare un equilibrio tra la propria presenza e la propria assenza, sembra dirci il regista. Non è facile per­ ché si rischia l'ebollizione, come capitato prima al fuoristrada e poi a Behzad. I ragazzi, che rappresentano la troupe cine­ matografica, sono sempre all’esterno dell’inquadratura. Sem­ bra un dalo che sancisce la rinuncia alla rivelazione del dispo­ sitivo, quasi a voler seguire la strada opposta a Sotto gli ulivi, già imboccata con II sapore della ciliegia. Eppure, nonostante lutto, la macchina da presa compare. Bisogna stare molto at­ tenti, perché il regista si avvale di uno stratagemma impercct libile. Se si osservano attentamente le scene dove Behzad è ri­ preso in primissimo piano, si può notare che sui suoi occhiali compare, grazie al riflesso della luce sulle lenti, il cineopera­ tore intento a riprendere il protagonista. È un gioco di spec­ chi geniale, che prima di allora l’autore non aveva ancora adottato. Il momento in cui è pili facile accorgersi dell’esca­ motage è quando l’ingegnere si fa la barba guardando dentro la cinecamera. Ogni volta che sposta leggermente lo sguardo, si intravede la macchina da presa e alcuni prati sullo sfondo. 11 controcampo, dunque, è luogo diversissimo da quello pre­ sunto (dovrebbe trattarsi del balcone da dove parla la donna). In questo modo il regista ci mostra tutto il carattere Fittizio del mezzo cinematografico. Si può parlare di uno stratagemma fortemente cercato? Probabilmente no, ma è altrettanto diffici­ le pensare a un errore o a una svista, conoscendo la precisio­ ne e l’accuratezza del regista. A essere investila, così, è la stessa concezione teorica del cinema. Per sopravvivere, la settima arte, come la vecchia ma­ lata che ha più di cento anni e che forse sta morendo, deve riscoprire determinati valori, (e dunque andare in un paesino fuori dal mondo, dimenticare la macchina fotografica, entrare nella caverna, simbolo per eccellenza della maternità), c insie­ me non deve fermarsi in una nostalgica riproposizione dei so­ liti temi, determinando nuovi spazi di espressione. Il ripiega­ mento che il film porta con sé, riscontrabile nei richiami alle precedenti pellicole o nei ricorso ai soliti temi, serve dunque come trampolino da lancio per una nuova idea di cinema, co-

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    It venta ci porterà via

    me detto quella che rende responsabili della creazione anche gli altri partecipanti alla realizzazione filmica. Proprio per tentare di dar vita a uno spazio -oltre», l’opera del regista persiano si apre alle altre arti. In particolare alla poesia e alla pittura. Il vento ci porterà via, da questo punto di vista, rappresenta un esito mai raggiunto prima. Il titolo della pellicola prende spunto da una poesia, come già acca­ duto per Dov'è la casa del mio amico?. Se allora il testo lirico apparteneva a Sepchri. uno dei più importanti poeti iraniani, ora i versi scelti sono quelli della giovane poetessa Forùgh Farrokhzad. Più volte si citano i suoi componimenti lirici, o quelli di Khayyam: all’inizio della storia, quando il fuoristrada incontra il grande albero20, in una delle passeggiate di Farhzad e dell’ingegnere21; nella scena centrale della cantina quando Behzad recita i versi di due poesie alla giovane ragaz­ za che munge22; alla fine del film quando il medico spiega il proprio modo di vedere la vita2^. Il ruolo decisivo della poe­ sia è reso evidente dal contenuto di queste composizioni. Ognuna ha una funzione ben precisa. Nel primo caso il verso -Dopo l’albero, c’è un giardino che è più verde del sogno di Dio- rimanda ad un verso simile pre­ sente nella poesia Dov'è la dimora dell'Amico?-. -Non lontano da quell’albero si trova un sentiero boscoso / più verde del sogno di Dio». Qui la citazione serve per creare quel territorio di richiami cercalo con le prime sequenze del film. Al centro della storia troviamo un’altra scena dove la poe­ sia è protagonista. Behzad entra in una cantina per chiedere del latte. La macchina da presa inquadra solo le gambe della ragazza che gli viene incontro perché l’unica fonte di luce è una piccola lampada. La ragazza è timida c non parla, ma chiede all’ingegnere di recitare una poesia. Behzad inizia a declamare versi. La scena può essere considerata uno degli esiti più alti del cinema di Kiaroslami: -Ascolta, senti il frusciar dell’oscurità / Ora nella notte qualcosa sta passando / La luna rossa è in allarme / F. su questo retto, che in ogni attimo reme il crollo, / Le nuvole, come un popolo in lutto / Attendono il momento della pioggia / Un momento c subito dopo nulla più (...] Oltre la finestra un estraneo / Si preoccupa di me e di te / Oh corpo orgoglioso le tue mani come doloroso ricordo / 209

    Abbas Kiarostami

    Poggiale tra le mie mani innamorate / E le tue labbra, come una sensazione calda di vita / Lasciale carezzare le mie labbra innamorate / E il vento ci porterà con sé / E il vento ci por­ terà con sé-, I versi sono splendidi, mettono insieme paura e gioia, amore (E le tue labbra, come una sensazione calda di vita / Lasciale carezzare le mie labbra innamorale) e morte (-come un popolo in lutto»), un sentimento di incredulità, l’ignoto, la serenità. Questi passi reggono da soli il destino del film. Non c’è analogia tra impianto narrativo della pellicola c quello del­ la poesia, ma le sensazioni che quest’ultima dà, i messaggi che porta, sostengono l’opera cinematografica, quasi come se l’arte lirica trovasse, grazie al cinema, nuovi canali d’espressio­ ne e viceversa. Questa serie d’immagini che salgono una sul­ l’altra (la luna rossa, il frusciar dell’oscurità, il |X)polo in lutto, lo sconosciuto che si preoccupa), che ci parla di cose sconca scinte, ma che, contemporaneamente e all’opposto, ci condu­ ce all’amore, questa serie di sensazioni è tale da delineare lo spirito del racconto: farsi condurre dal vento o dal ruscello, verso l’oscurità, lasciarsi trasportare con serenità perché c’è •uno sconosciuto che si preoccupa di me e di te», entrare nella caverna buia sapendo che c'è sempre qualcuno che, pur non facendosi vedere, terrà in mano la lampada e darà luce. L’idea della magia come bussola del procedere umano inonda di fre­ schezza il film. Lo spettatore, nei tempi distesi della ripresa, nel suono suadente delle parole trova lo spazio, direi unico, dove lasciarsi andare, abbandonare la fatica dell’interpretazio ne per farsi cullare dai versi della poesia. T,a discesa nella ca­ verna rappresenta così l’apice della pellicola. Molti dati lo se­ gnalano: è inserita a metà del film, viene girata in piano se­ quenza, contiene il titolo del film e infine è incorniciata dallo schermo nero. Lo schermo nero, che in // sapore della ciliegia rappresentava la morte o il buio calato su Badi’i, ora diventa Tunico spazio di espressione. Ecco perché, forse, la cerimonia funebre non è più necessaria. Behzad è già entralo nel ventre della terra, ha già filmato quello che voleva. Arrivati alla fine, nella lunga passeggiata in motocicletta immersa in un paesaggio magnifico, ascoltiamo i versi citati, a memoria, dal medico del paese, una sorta di carpe diem riag-

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    // vento ci porterà eia

    ginn iato (-vivi ciò che hai c lascia le promesse»), sulla falsari­ ga della lezione di Bagheri sul sapore del gelso e della cilie­ gia. A prima vista inutili, dopo la scena della caverna, diventa­ no il miglior modo per evidenziare il ruolo centrale assunto da un’altra arte: la pittura. Le parole trovano la loro trasposi­ zione in immagine, sull’istante. 11 loro richiamo iconografico non può certo trovare soddisfazione nella trasposizione mec­ canica della realtà, sia essa una fotografia o un film. Accostare un componimento poetico a un magnifico paesaggio ha pro­ prio questa funzione: operare una sintesi tra soggettività del­ l’artista e rappresentazione del dato reale. La pittura è certo l’arte che ha nel suo DNA questa attitudine. Tuttavia il regista vuole che anche i suoi film raggiungano questa capacità di sintesi. Egli utilizza l’elemento ambientale, situandolo al cen­ tro della relazione tra le arti (analogo compito, si ricorderà, aveva il paesaggio anche nella trilogia di Kokér): esso serve a tradurre sia le immagini della mente, che sorreggono i com­ ponimenti poetici esprimendo la simbologia del testo, sia il carattere verosimile della realtà. Anche il titolo della pellicola ci segnala tale aspirazione. Il vento ci porterà via fa riferimen­ to, infatti, sia alla poesia, essendo un verso della poetessa Forfigh Farrokhzad24, sia all’impercettibilità di un agente at­ mosferico, che diventa insieme sensazione e presenza, realtà c assenza, sia al contatto con un territorio posto in un altro luogo sconosciuto. 1 tre luoghi (poesia, natura, sensazione) si raccolgono attorno alla figura del verno. Durante il film ci ac corgiamo delia sua presenza solo in relazione ad altri fattori: i campi di grano che fanno rimbombare il suo suono (nella scena della motocicletta), la polvere che si alza quando cade la frana sullo scavatore o quando l’automobile si muove, la collina, luogo dove arrivano le onde per il telefonino. Il ven­ to, in quanto presenza non visiva, richiama allora ad altre di­ mensioni che il cinema, per sopravvivere, deve saper scopri­ re. L’invito a cercare un -oltre», che il film pone allo spenatore e al regista come un’assunzione di responsabilità, è rivolto, cosi, più in generale alla settima arte che, di fronte alle nuove frontiere della tecnologia (digitalizzazione, computerizzazio­ ne) e all’apparire di nuovi strumenti di espressione individua­ le, deve ritrovare la sua posizione.

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    Il vento ci porterà via Io fa attraverso la commistione delle arti. Il film accoglie in sé la poesia, il quadro, la fotografia, il racconto, l’autobiografia e conferma questo tentativo di allar­ gare gli spazi. Li si ratificazione dei significati, teorizzata per tutti gli altri film, non vale per questo, almeno se per stratificazione si in tende una verticalità della conoscenza, un crescere o decre­ scere di grado. In questo caso, le discriminazioni di lettura del film avvengono. per così dire orizzontalmente, dove la diversità d'indagine è data dalla ricettività del simbolo, dalrallargamento dei punti di vista. La differenza con la trilogia di Kokér è evidente. Là, Kiarostami voleva scendere in profondità, investigare e, come in uno scavo archeologico, leggere la storia man mano che veniva a galla o che trovava nuovi -giacimenti* narrativi; in questi ultimi due film egli ha tentato, invece, di dilatare la maglia, di disegnare un territo­ rio ampio quanto i suoi paesaggi naturali, dove la presenza de) regista si riduce a un puntino in mezzo ai campi di gra­ no, guidato dallo sguardo dello spettatore, così come Behzad viene condono dalla motocicletta del dottore. Kiarostami da guidatore (si pensi al ruolo di Farhad in E la vita continua. sempre al volante della sua auto, o Keshavarz in Sotto gli uli­ vi che pilotava la storia d’amore tra Hossein e Tahereh), pri­ ma scende dalla macchina, come Badi’i in II sapore della ci­ liegia. e infine si fa accompagnare da qualcun altro in moto­ cicletta. Ut rinuncia al mezzo, sembra dirci il regista attraver­ so la casualità con cui Behzad perde la macchina per lasciar­ la alle persone che accompagneranno lo scavatore dal medi­ co in città25, è un sacrificio necessario ma non pienamente voluto dall’artista (chiunque esso sia), come se la commistio­ ne con le altre arti e la responsabilizzazione delle altre figure cinematografiche (che abbiamo segnalato essere le novità più significative del film) dovessero superare un certo egoismo del cinema, che non vuole perdere le sue prerogative, e del regista che deve abdicare al suo ruolo di unico demiurgo. II sacrificio, anche se un po’ controvoglia, conduce però l’arti­ sta a una nuova consapevolezza circa la propria professione, circa il perché del suo viaggio, e il cinema in generale a una nuova stagione di vitalità espressiva. 212

    // tentò ci porterà via

    Il Kurdistan è una regione ricca di rilievi sopra il bacino del Tigri e dell’Eufrate, all’interno della catena dell’Ararat. Po­ liticamente è diviso tra la Turchia orientale, l’Iraq settentriona­ le, la Siria meridionale e l’Iran nord occidentale. 11 popolo curdo è uno di quei popoli che hanno storie c tradizioni mil­ lenarie. Negli ultimi anni è salilo agli onori della cronaca, pri­ ma per la forte repressione die ha subito da parte del gover­ no iracheno, ultimamente per un’analoga dimostrazione di forza fatta dal governo turco e per la cattura del leader del Pkk, partito di lolla armata per l’indipendenza della regione, Apo Ocalan. 11 capitolo era iniziato con queste parole e così, ritornando sul tema-problema Kurdistan colpevolmente e vo­ lutamente ignorato fino ad adesso, abbiamo intenzione di concluderlo. Trattiamo solo ora la questione per farlo come se fosse il videotape finale di II sapore della ciliegia, ovvero co me una parte staccata dal resto del capitolo, ma fortemente centrale per la sua comprensione. Se da una parte il taglio con cui ora esamineremo il lema Kurdistan va certamente ol­ tre le intenzioni del regista, ed è quindi giusto separarlo dal discorso generale sul film, dall’altra, a nostro avviso, Il vento ci porterà via non può essere pienamente compreso se non si conosce la condizione del popolo curdo e non la si rende, a rischio di forzanire, cornice e sfondo di quest’analisi. Parliamo dalle dichiarazioni di Kiarostami: -Non c’è nessun messaggio politico nascosto tra le pieghe del film. Ero sempli­ cemente curioso di vedere come viveva questa popolazione, ho preso la macchina e sono parlilo-2**. E c’è da credergli. 11 film documenta la vita di un villaggio qualsiasi dell’Iran. Il re­ gista, infatti, non ha alcuna intenzione di schierarsi o di porta­ re un proprio messaggio. Egli sa bene quanto sia delicato il problema dei curdi e quanto una propria partecipazione emo­ tiva alla condizione curda possa sviare dal soggetto del film. Eppure la posizione di questo popolo è così emblematica che l’aver portato le cinecamere in un suo villaggio e, di con­ seguenza, aver fatto conoscere tale situazione in tolto il mon­ do, non può essere letto come un fatto secondario se si consi­ dera che questa comunità sta vivendo una -diaspora- terribile, costretta a vivere in quattro stati diversi c a subire discrimina­ zioni e sofferenze. 213

    Abbas Kiarostami

    Kiarostami, indirettamente, lascia aperte tutte le strade che spingono a una legittimazione politica c sociale del Kurdistan. È la costruzione del racconto, accanto allo stile di ripresa, che ci fa leggere il film da questo punto di vista. Pensiamo al meccanismo d’attesa generato dal soggetto. 11 continuo aspet­ tare la morte di una vecchia (vecchia27 come lo può essere il popolo kurdo), Tessere in balia di avvenimenti che non acca dono, porta lo spettatore a pensare che quest’attesa sia sim­ bolica. E allora viene naturale ipotizzare che la sospensione in cui ci lascia il regista sia quella che prova quotidianamente il popolo curdo. Un altro dato segue l’indirizzo critico proposto, e questa volta non arriva dal soggetto ma dalla scelta stilistica del fuori campo. Avevamo parlato, poco sopra, di stato fantasma sparti to territorialmente dalla Turchia, dall’Iraq, dall’Iran e dalla Si­ ria. L’uso così frequente di questa figura retorica potrebbe al­ lora avere anche un motivo politico, potrebbe essere un mo­ do per ricordare che il popolo curdo, per gli stati sovrani che hanno tentato di sopprimerlo (l’Iraq di Saddam in particolare, ma anche la Turchia), rappresenta un popolo -fuori campo-, che non fa parte, cioè, -dell’inquadratura- dello stato. Partendo da questa prospettiva, si fa spazio un’interpreta­ zione affascinante che riguarda il cinema c che coinvolge an­ che un grado di riflessione teorica: come il popolo curdo vive in una zona d’ombra, non ha un proprio stato, ma c pur sem­ pre ricco di tradizioni, speranze, contraddizioni, così il cinema d’autore, quello che ripudia la violenza, i ritmi vertiginosi, la tecnologia, pur non riuscendo a esistere da solo, è vivo e pie­ no di cose da dire. E allora l’attesa della morte della vecchia (a questo punto simbolo del popolo curdo e, di riflesso, del cinema) potrebbe essere un’attesa vana o inutile. L’anziana donna ha più di cento anni proprio come il cinema, e anche se alla sua morte si celebrerà una cerimonia funebre ed eco­ nomica al tempo stesso, ci sarà sempre il ragazzino, incapace di mentire, pronto ad andare a scuola e a imparare le tradizio­ ni del suo popolo. Al di là di tutto, il regista ha scelto il Kurdistan come tra­ sposizione visiva di questo spazio -oltre-, ricercato nel corso del film. Il villaggio di Siah Dareh, i campi di fragole, gli albe­

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    Il vento ciporterà via

    ri solitari, le montagne sullo sfondo sono i luoghi di un film, i modelli per un quadro, i soggetti per una fotografia, l’ispira­ zione per una poesia, Tambientazionc di un racconto, in altre parole la sintesi del processo creativo di Kiarostami. Si tratta di una bella responsabilità, alla stregua di quelle commissio­ nate allo spettatore e agli attori, per un paesaggio che è stato scelto da un autore che, per sua stessa ammissione, sta diven­ tando, giorno dopo giorno, un uomo che ha «difficoltà a lavo­ rare in luoghi chiusi e con la luce artificiale [...], cui non resta che cercare ogni volta un pretesto per andare a girare in mez­ zo alla natura-28. Ora non resta che aspettare la prossima mossa di Kiarosta­ mi, vedere se ha deciso di piantare le tende in quest’alito pa­ radiso terrestre (dopo quello del Gilan), oppure se ha preferi­ to cercare un altro paesaggio da fotografare. Resta da capire come intende proseguire il suo percorso poetico, quali altri sorprendenti cambi di direzione ha intenzione di adottare. Re­ sta da conoscere quale modello di auto utilizzerà nel prossi­ mo film (perché sembra essere un mezzo di cui non riesce più a fare a meno), quale scusa gli permetterà di oscurare lo schermo. T.’unica notizia che trapela dal cantiere Kiarostami è il titolo della prossima opera: I lavoratori stanno lavorando. Non si sa altro. Non resta che aspettare, così coni’è successo a Behzad: per sapere la natura della prossima cerimonia kiarostamiana, per scoprire dove comparirà l’osso lanciato nel torrente, e per riprendere, finalmente, il viaggio appena interrotto. Note 1. 11 protagonista Behzad chiama così le persone che lo accompagnano lungo il viaggio le quali però non si vedono, un po’ come avviene quando una troupe segue il suo regista. L’attrezzatura di cui si parla tanto, protagonista nella parte finale del racconto, è verosimilmente quella che serve per girare un film o un documentario: macchine da presa, microfoni eccetera. 2. Kiarostami dice in un’intervista a -la Repubblica- del 6 settembre 1999; -Il villaggio di Siah Dareh, dove ho ambientato questo film è nel Kurdistan iraniano a 700 km da Teheran e ci si arriva da una sola

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    Strada di terra molto accidentata. Ci vogliono ore per raggiungerlo e ogni volta che dovevo tornarci mi perdevo nell’immenso paesaggio di terra rossa e di grandi alberi solitari». 3. Stephane Goudet, Abbas Kiarostami, les yeux du coeur, in -Positif-, n. 466, dicembre 1999, pag. 15. 4. Parleremo più avanti degli aspetti metatcstiiali del film. Adesso è suf­ ficiente segnalare alcuni indizi che dimostrano la vicinanza tra l’inge­ gnere c il regista: la passione comune pcr la fotografìa, il rapporto delicato con i bambini, simboleggiato dalla difficoltà nel ricevere informazioni e nel costruire una fiducia reciproca (-Secondo te, sono cattivo?» chiede il protagonista al giovane amico), l’impotenza di fronte all’andamento delle cose (l’uno costretto ad aspettare che la vecchia muoia, l'altro deciso a farsi trasportare dal corso degli eventi, come hi Close up o in E la ulta continua), l’essere soli e responsabili nel proprio lavoro (»t ragazzi- dell’ingegnere, sempre in fi tori campo, richiamano alla troupe cinematografica) eccetera. 5. A una simile domanda Kiarostami non si smentisce: -Nel momento in cui realizzo un nuovo film, io non penso mai ai precedenti. Può es­ sere anche che se io ci pensassi, mi tratterrei dal girare», Stéphane Goudet, op. cit, p. 13. 6. Charles Tesson, op. cit. p. 27. 7. Thierry Jousse e Serge Toubiana, Un film 11'a pas de passeport... Entnetien avec Abbas Kiarostami, in -Cahiers du Cinéma-, n. 541, di­ cembre 1999, p. 318. -Per un momento ho pensato di intitolare il film 1 campi delle fragole...», Stéphane Goudet, op. cit., p. 12. 9. Thierry Jousse e Serge Toubiana, op. cit., p. 31. 10. Ne analizzeremo poco oltre l'importanza. 11. A conferma di un procedere multiplo della sccncggianira, arrivano le recensioni delle riviste specializzate. Mai come in questo caso, gli ar­ ticoli affrontano temi diversi tra loro. Di solito le critiche si concen­ travano sugli stessi aspetti del film. Ora avviene tutto il contrario: Charles Tesson, nei -Cahiers du Cinéma-, si sofferma sulla ricerca del tesoro, sul ruolo della luce e dell'oro del grano, Alain Bengala, sem­ pre dalle colonne dello stesso periodico, esamina la rieducazione al­ lo sguardo che il protagonista vive nel corso del film, Alain Masson, in -Positif-, si concentra sull’importanza del paesino, Ciarlo Charrian, su “Cinefonim”, preferisce analizzare i modi di agire del regista, le differenze e le analogie con il resto della sua produzione, Luca Fi­ natti, su -Nostro Cinema», studia il ruolo cardine dello spettatore ec­ cetera. 12. Charles lesson, op. cit., p. 27. 13. 1: sorto il grande albero, 2: nel dialogo tra Farhzad e l’ingegnere, 3 e 4; nella caverna, 5 e 6: recitate dal dottore. 14. Un altro dato significativo giunge dal confronto sulla durata della vi­ cenda: Il tento ci porterà via è il film che più dura nel tempo, contri­ buendo a dilatane ulteriormente il meccanismo. La vicenda si svolge

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    in almeno selle giorni. Dove la casa del mìo antico?, E la vita contì­ nua e 11 sapore della ciliegia duravano poco più di un pomeriggio; Il viaggiatore e Sotto gli ulivi si svolgevano in un paio di giorni. Questa breve inquadratura è l’unica ad indicarci la morte della vec­ chia. Il dato però non è certo. Lo stesso corteo, visto appena di sfug­ gila, potrebbe essere destinalo a celebrare la morte dell'anonimo scavatore, rimasto sepolto, il giorno prima, sotto una frana. È vero che il dottore aveva dello che l’infortunalo avrebbe dovuto trovarsi fuori pericolo, ma è altresì vero die lo stesso medico pensava che la vecchia con qualche medicina si sarebbe potuta riprendere senz’al­ tro. Il verdetto del medico, in un caso o nell’altro, si rivela errato. Stéphane Goudei, op. cit., p. l i. Alain Bergala, L'oset le pare-brise, in -Cahiers du Cinema-, n. 541, di­ cembre 1999, p. 34. Alain Bergala, op. cit., p. 34. -È il mio senso morale a limitarmi, non la censura- ha affermato du­ rante la conferenza stampa tenuta a Venezia in occasione della pre­ sentazione del film alla Mostra. -Dopo l’albero c’è un giardino I che è più verde del sogno di Dio-Se il filo del destino è tessuto di nero/neanche tutta l’acqua dell’uni­ verso lo renderà bianco-. Due sono le poesie che recita Berhad alla giovane ragazza: -Se verrai alla mia dimora, o generosa, / porta una lampada per me / ed uno spiraglio che mi faccia vedere / la strada della felicità-. -Nella mia piccola notte / 11 vento e le toglie si ritrovano / Nella mia piccola notte / La paura è distruzione / Ascolta, senti il frusciar dell’oscurità / Guardo meraviglialo questa felicità / Del mio pessimismo son di­ pendente / Ascolta, senti il frusciar dell’oscurità / Ora nella notte qualcosa sta passando / La luna rossa è in allarme / E su questo tet­ to che in ogni attimo teme il collo / Le nuvole, come un popolo in lutto / Attendono il momento della pioggia / Un momento e subito dopo nulla più / Dietro a questa finestra la notte trema / E la lena arresta il suo girare / Oltre la finestra un estraneo / Si preoccupa di me e di te / Oh corpo orgoglioso le lue mani come doloroso ricordo / Poggiale tra le mie mani innamorate / E le tue labbra, come una sensazione calda di vita / Lasciale carezzare le mie labbra innamoiale / E il vento ci porterà con se / E il vento ci porterà con se-. Sono due anche quelle pronunciale dal dottore: -Il mio angelo custo­ de è colui che io conosco / egli conserva il vetro accanto alla pietra-. •C’è chi il paradiso degli angeli suggerisce / e chi come me l’essenza del vino preferisce / vivi ciò che hai e lascia le promesse / che il canto della grancassa da lontano si affievolisce /vivi ciò che hai e la­ scia le promesse-. Scrive correttamente Flavio Vergerlo: -hmanzi tutto, una precisazione suirimperfella traduzione italiana del titolo che in origine suonava “U vento ci porterà con sé”. Mi pare che quel se accentui c sottolinei il senso misteriosamente religioso del film, quasi appunto che il vento

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    avesse una sua identità o fosse il segno di una presenza altra, non un semplice elemento naturale-, Flavio Vergerlo, lì vento ci porterà via, in -Film-, ottobre 1999, p. 9. Colui che guarisce il cinema è lo spettatore, interpretato dalla figura del medico. Il medico della città che salverà lo scavatore e soprattut­ to il medico generico che accompagna Berhad sulla motocicletta, un medico spettatore che non vuole specializzarsi per poter viaggiare tra i paesaggi del mondo e vivere la propria vita. Kiarostami cerca così risposte come uomo e come regista dal suo interlocutore privi legiato, il pubblico. Dichiarazione rilasciata alla conferenza stampa per la presentazione del film a Venezia. -Quanti anni ha?- chiede Berhad. Farzliad risponde -100 o forse 150*. L'ingegnere dice a sua volta: -Quando si supera i cento anni non fa più differenza, lo sai o no?». -No- risponde il ragazzo. Stephane Goudet, Abbas Kiarostami, les yeux du coeur, in -Positi!-, n. 466, dicembre 1999, p. 9.

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    Filmografia

    Il pane e il vicolo (Nan va koueheb, 1970) 35mm; seen.-. Taghi Kiarostami; f (b/n.): Mehrdad Fakhimi; mti: Obladì obladà; mo.: Manuchehr Oliai, suono: Harayer; ini.. Reza Hashemi, Mehdi Shahvanfar; distr.: Les Film du Paradoxe; d.: 12’. La ricreazione (Zang-e tafrib, 1972) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami da Masud Madani; f. (b/n): AH Reza Zarindast, Morteza Raslegar; mo.: R. Emami; suono: Harayer; d. 10’ 45". Esperienza (Tajrobeh, 1973) 35mm; s.r Amir Naderi; seen.: Abbas Kia­ rostami; f. (b/n): AH Reza Zarindast; mo.: Rajaya; suono: Ila raycr; int.: Hosein Yar Mohamadi, Parviz Naderi; d.: 60’. Il viaggiatore {Mosafer, 1974) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami;/: Firuz Malekzadeh; mo.: Amir Hassan Hami; int.: Hassan Darabi, Sahar e Masud Zandbegleb; distr.: Les Film du Paradoxe; d.: 72’. Due soluzioni per un problema (EX> rah-e hai baray eyek masaieh, 1975) 35mm; seen.: Ab­ bas Kiarostami; f: Morteza Rastegar; mo.: Abbas Kiarostami; suono: Changiz Sayad; distr.: Les Film du Paradoxe; d.: 5’. Anch'io posso (Man bam mitounam, 1975) 35mm; seen.: Abbas Kiarosta­ mi; f: Mostafa Hadij; anim.: Nafiseh Reyhani, Farzaneh Ta­ gliavi; mu.: Naser Chasmazar; mo.: Abbas Kiarostami; suono: Harayer e M. Haqiqi; d.: 3' 30”.

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    Abbas Kiatostami

    H vestilo per il matrimonio (l.ehas-e arousi, 1976) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami e Parviz Dezai; f: Homayun Payvar; mo.: Ahmad Mirshekari; suono: Changiz Sayad; hit.: Masud Zcndbeglu, Mehdi Nekui, R. Ashemi, Babak Kazemi; d.: 53’. / colori (Rangha, 1976) seen.: Abbas Kiarostami; f : Firuz Malekzadeh, Morteza Rastegar; mu.: Naser Chasmazar; mo.: Abbas Kiarostami: suono: Changiz Sayad; d.: 15’. JI palazzo di Jahan Nama (1976) d.: 30’. Come usare il tempo Ubero (Az ogbat-e faragath-e khod chegouneh estefadeh konim? 1977) d.: 7. il rapporto (Gozaresb, 1977) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami; f.: All Reza Zarindast; suono-, Yusef Shahab; mo.: Maialai Mirfendereski; int.: Kurosh Afshar, Shoreh Aghdaski; d.: 112’. Tributo agli insegnanti (Bozorgdasht-e mo’allem, 1977) 35mm; seen.: Abbas Kiaro­ stami;/: Mohammad Haghighi; d.: 20'. Soluzione (Rah-e hal-e yek, 1977) 16mm; seen.: Abbas Kiarostami;/: Firuz Malekzadeh; mo.: Abbas Kiarostami; suono: Changiz Sayad; d.: 11’. Primo caso, secondo caso (Ghazieb-e sbekl-e aval, 1979) 16mm; seen.: Abbas Kiaro­ stami; /: Bahafalu; mo.: Abbas Kiarostami; suono: Changiz Sayad; d.: 53'. Mal di denti (Bebdasbt-e dandan, 1980) 16mm, seen.-. Abbas Kiarosta­ mi;/: Firuz Malekzadeh; d.: 25’. Con o senza ordine (Be tartib va bedoun-e tartib, 1981) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami;/: Iraj Safavi; mo.: Abbas Kiarostami; suono: Chan­ giz Sayad, ejf. spec.. Mehdi Samakar; d.: 15’. // coro (Hamsorayn, 1982) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami; /: Ali 220

    Filmagniffa

    Reza Zarindast; mo.; Abbas Kiarostami; suono: Ahmad Asgari c Changiz Sayad; ini.: Yusef Moqaddam, AD Asgari, Teymur e i bambini di Rasht; distr.: Les Film du Paradoxe; d.: 17'. Concittadini (Hamshahri, 1983) 16mm; seen.: Abbas Kiarostami; f: Firuz Malekzadeh; mo.. Abbas Kiarostami; suono: M. Haqiqi; int.-. Reza Mansuri d’agente del traffico); d.: 52'. Gli alunni della prima classe (Avaliha, 1985) l6mrn; seen.: Abbas Kiarostami; f : Homayun Payvar; mo.: Abbas Kiarostami; suono: Changiz Sayad; int.: insegnanti, impiegati c allievi della scuola Tohid; d.: 85'. Dov'è la casa del mio amico? (Khaned-ye doost kojasl?, 1987) 35mm; seen.: Abbas Kiaro­ stami; f: Farhad Saba-, suono: Jahangir Mirshcnkarij e Asghar Shahverdi, Berhrouz Mo’avcnian; mo.: Abbas Kiarostami; int.; Babak (Mohammad Reza Nematzadeh), Ahmad Ahmadpur, Farhang Akhavan; distr.: Mikado film; d.: 85’. Compiti a casa (Masbgb-e shab, 1989) 16mm; seen.: Abbas Kiarostami; f.: Farhad Saba; mo.: Abbas Kiarostami; int.; Abbas Kiarostami e i piccoli scolari; distr.: Les Film du Paradoxe; d.. 86’. Close up (Namay-e nazdik, 1989) 35mm; seen.: Abbas Kiarostami;/: All Reza Zarindast; mo.: Abbas Kiarostami; suono: M. Haqiqi; int.: AD Sabzian, Hassan Farazniand, Abolfarz Ahankhah, Hushang Shahai, Mehrad Ahankhah, Moshen Makhmalbaf; distr.: Cadmo film; d.: 90’. E la vita continua (Zendegi edameb darad, 1992) 35mm; seen.: Abbas Kiaro­ stami;/: Homayun Payvar; mo.: Changiz Sayad, Abbas Kiaro­ stami; int.: Fahrad Kheradmand, Puya Payvar, gli abitanti di Rudbar e Rostamabad; distr.: Cat Imo film; d. : 91’. Sotto gli ulivi (Zir-e derakbtan-e zeytun, 1994) 35mm; seen.: Abbas Kia­ rostami; /: Hosein Jafarian, Fahrad Saba; mu.: Farshid Rahiman (Sotto gli ulivi), Domenico Cimarosa (concerto per oboe e violini); suono: Mahmud Samakbashi, Yadollah Najafì; mo.: Abbas Kiarostami; ass.: Jafar Panahi; interpreti: Hossein Rezai, Tahereh ladanian, Mohamad All Keshavarz, Fahrad Kherad-

    221

    Abbas Kia instami

    mand, Zarifeh Shiva, Babak, Ahmad Ahmadpur; prod.: Abbas Kiarostami; d.: 103’. Reperage (Episodio di À propos de nice, la suite, 1995) r.: Abbas Kia­ rostami, Parviz Kimiavi; seen.: Abbas Kiarostami; f: Jacques Bouquin; mo.: Anne Belin; suono: Jean Pierre Fenié; int.: Par­ viz Kimiavi (il regista), Simone Lecorre (la proprietaria del bar), Christine Heinrich-Burek (la tassista), Luce Vigo; prod, es.: Francois Margolin; prod.: Margo films, La sept cinéma. Il sapore della ciliegia (Ta'me gbilass, 1997) 35rnm; seen.: Abbas Kiarostami; f: Homayun Payvar; suono: Jahangir Mirshenkarij, Bagher Sasanpour; mo.: Abbas Kiarostami; scenogr.: Hassan Yekta Panah; int.: Homayun Ershadi (Badii), Abdolhossein Bagheri (l'addet­ to al museo), Sefar Ali Moradi (il soldato), Mir Hossein Noori (il seminarista); prod.. Abbas Kiarostami; distr.: B1M; d.: 105'. // vento ci porterà via (.Le vent nous emportera, 1999) 35mm; seen.: Abbas Kiaro­ stami da un’idea di Mahmoud Ayedin; f: Mahmoud Kalari; suono: Jahangir Mirshenkarij, Bagher Sasanpour; mu.: Peyman Yazdanian; mo.: Abbas Kiarostami; int.: Behzad Dourani (Beh­ zad) e gli abitanti di Siah Darch; prod.: Abbas Kiarostami e Marin Karmitz; distr.: BIM; d.: 118’. Tutti i film sono stati prodotti dal Kanun, ad eccezione di II rapporto, Sotto gli ulivi, Il sapore della ciliegia e // vento ci porterà via. Partecipazioni di Kiarostami alla sceneggiatura e al montaggio di altri film:

    1980 - L’autista (Ranandeb) di Nascr Zcra’ati; sceneggiatura e montaggio 1984 - Lo sguardo (Negati) di Ebrahim Furuzesh; montaggio 1984 - Zzr ricreazione (Zang-e darsi di Iraj Karimi; montaggio 1984 -1 momenti (Labzeh-ha) di Iraj Karimi; montaggio 1984 - Io, proprio io stesso (Khodam, man khodam) di Ebrahim Furuzesh; sceneggiatura e montaggio 1986 - La chiave (Kelid) di Ebrahim Furuzesh; sceneggiatura e montaggio

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    Filmografia

    1989 - Le iris selvagge (Zanbaqa-haye vashi) di Ebrahim Furuzesh, montaggio 1989 - Le tre facce di un delegato di classe (Seh chehreh azyek mobster) di Hassan Aqa Karimi; sceneggiatura 1995 - Il palloncino bianco {Badkonak-e sedif) di Jafar Panahi; sceneggiatura 1995 - LI viaggio (Safar) di Ali-rcza Raisian; sceneggiatura Film dedicati a Kiarostami:

    Abbas Kiarostami, writes et songes (Francia); r.: Jean-Pierre Li­ mosin; seen.: Ramin Jahanbegloo, Jean Pierre Limosin; intervi­ sta: Hengameh Panahi, Jean Pierre Limosin; f. video: JeanMarc Fabre, Hassan Karimi; mo.: Gabrielle Marsal Zubovic, Nadine Tarbouriech, Soudabeh Abadi; suono: Changiz Sayad, Hassan Zahedi; missaggio: Francisco Camino; prod.: I,a spt-Arte, Amip, e Ina; Video, colore, d.: 52’, documentario. Intervista a Kiarostami, parte della serie «Cinéastes de notre temps- dedicata ai più grandi registi della storia del cinema.

    // giorno della prima di *Close up», Nanni Moretti, (Italia) 3ómm, colore, prod.: Canal Plus e Sacher Rim; d.: 7', docu­ mentario. Al cinema Nuovo Sacher di Roma, Nanni Moretti attende ner­ vosamente con la cassiera e il proiezionista che qualcuno si decida ad andare a vedere il film di Kiarostami, mentre ai bot­ teghini sbanca il re leone, Pultima produzione Disney. Close up long shot, Mahmoud Chokrollahi, Moslem Mansouri; f : Farzin Khosrowshahi; mu.: Shahrokh Khadjenouri; mo.: Nasrollah Sheibani; suono: Baahman Heidari, int.: Hossein Sab­ zian, Fatemeli Sabzian; prod.: Mahmoud Chokrollahi. Crii autori del documentario cercano di ricostruire la vita di Alì Sabzian prima e dopo Pavento Close up. Attraverso alcune in­ terviste ai parenti c ai conoscenti e attraverso la stessa testi­ monianza di Sabzian, viene fuori un ritratto ancora più sfac­ cettalo dell’uomo, incapace di separare finzione e realtà, sem­ pre in bilico tra il proprio ruolo di attore e il suo essere una persona, ancora disposto a commettere reati, in ogni caso ai margini della six:ietà. 223

    Bibliografia

    Testi e sceneggiature di Kiarostami

    Abbas Kiarostami, Au trovers des oliuiers, tr. fr. par Ramin Jahanbegloo, in -Tratic-, été, vol. 7, 1993, testo originale aprile 1992. Abbas Kiarostami, De Sopbia Loren à •La dolce vita», in -Positif-, n. 400, giugno 1994, pp. 60 62. Abbas Kiarostami, L’amour el le mur, in -Positifr, n. 442, dicem­ bre 1997, pp. 101-104. Abbas Kiarostami, Le gout de la cerise, in «Avant-Scène Cinema-, n. 471, aprile 1998. Abbas Kiarostami, L'empereeur el moi. Abbas Kiarostami rencon­ tre Akira Kurosawa, in -Cahiers du Cinema-, n. 479-80, mag­ gio 1994, pp. 76 79Abbas Kiarostami, Propos sur la censure, in «Liberation*, 17 gen­ naio 1995. Abbas Kiarostami, Sur la photographic, in «Cahiers du Cinérna-, n. 493, luglio-agosto 1995. Abbas Kiarostami, Un film, cent reves, in -Le Monde Editions-, 20 mars 1995 Abbas Kiarostami, Un sacre citoyen/, in -Cahiers du Cinérna-, n. 493, luglio-agosto 1995, pp. 112-113.

    Interviste a Kiarostami Anonimo, Kiarostami tourne •Au travels des oliuiers* in «Cahiers du Cinérna-, n. 475, gennaio 1994, p. 12. Luciano Barisene, Conversazione con Abbas Kiarostami, in -Film­ critica-, n. 425, maggio 1992, pp. 222-225.

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    Bibliografìa

    Luciano Barisonc, A lungo, mi sono alzato presto la mattina, in -La Linea d’ombra-T n. 110, dicembre 1995, pp. 28-29. Michel Ciment, Entnetiens avec Abbas Kiarostami: les possibilités du dialogue, in -Positif-, n. 368, ottobre 1991, pp. 76-82. Michel Cimcnt e Stephane Goudet, Entretien avec Abbas Kiaro stami: Les six faces du cube, in -Positif-, n. 408, febbraio 1995, pp. 14-19. Janine Euvrard, Entretien avec Abbas Kiarostami. Retvouver l'enfance, in