A mani vuote. Il Decalogo di Kieslowski tra scandalo e falsa testimonianza 9788899193096, 8899193096

Mentre ci immedesimiamo con i drammi del Decalogo, lo sguardo di Kieslowski è altrove: su tutta una serie di dettagli in

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A mani vuote. Il Decalogo di Kieslowski tra scandalo e falsa testimonianza
 9788899193096, 8899193096

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INDICE PRESENTAZIONE FRONTESPIZIO COLOPHON RISORSE AVVERTENZA EPIGRAFE INTRODUZIONE DECALOGO8

(Trauma mon amour) DECALOGO2

(Ritratto di Signora) DECALOGO 2-BIS

(Si salvi chi può) DECALOGO5

cn grottesco e l'umorismo nero) DECALOGO i

(Hybris) DECALOGO 1-BIS

(Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli) DECALOGO3 (La ripresa)

DECALOGO4 (TI romanzo familiare del figlio)

DECALOGO7 (L,iinpero della l\fadre) DECALOGO9

(Soggetto a una donna particolare) DECALOGO6 (L,amore fila delfico) DECALOGO io

(Tirarsi fuori) BIBLIOGRAFIA

AVVERTENZA

I commenti non seguono l'ordine numerale canonico del Decalogo ma un ordine logico che si giustifica nel corso della loro lettura, autorizzato anche dalle relazioni di interdipendenza tra i dieci film suggerite dagli stessi autori (per esempio, un personaggio, un oggetto, un gesto di un episodio della serie compare brevemente in un altro episodio a segnalare qualcosa in comune, ma senza esplicitarla). Benché siano stati scritti indipendentemente dai rispettivi autori, i testi, come per certi concerti per pianoforte, devono intendersi realizzati a quattro mani, il che rende inutile specificare uno per uno la loro attnbuzione. Se ci si attiene alla metafora musicale, gli autori considerano questo laconico libello una sorta di composizione per duetto da camera. In tale contesto, la replica di Decalogo 1 e Decalogo 2 deve considerarsi un bis che si sono concessi con qualche notevole variazione e contrasto. La scelta per uno stile di scrittura laconico (si sono tralasciate perfino le

sinossi dei film), che vuole opporsi tanto alla prolissità del commento quanto alla schematicità della recensione, dice chiaramente che il libretto è destinato principalmente ai conoscitori del Decalogo, e nel migliore dei casi a chi lo leggerà immediatamente dopo la visione di ciascun film (è questo, invero, il lettore ideale che avevamo in mente): non sappiamo, infatti, che impressione potrà ricavarne chi è rimasto completamente digiuno di questa dura dieta polacca. L'origine dei presenti testi, rifatti ex-novo o interamente rivisti, si trova in un commento alla proiezione dei dieci film tenutasi a Pordenone nel 2007, "A vent'anni di ritardo dal Decalogo di Kieslowski", in collaborazione con Claudia Furlanetto, che ha curato la parte teologica, filologica e filosofica.

Per agevolare la lettura sono stati eliminati i segni diacritici dei nomi polacchi. Ad esempio: Kies1o,"-ski è diventato Kieslowski.

Diffido delle dichiarazioni di poetica degli autori - e di quelle di Kieslowski in particolare. Le intenzioni di un autore, quel che ha voluto dire e ha detto, non

sono cose che l'autore dice con l'opera; ma realmente, sono cose che dice l'opera, anche allmsaputa dell'autore stesso.

Liborio Termine, Le trappole di Kieslowski

INTRODUZIONE

È opinione comune che il Decalogo sia un'opera che prende spunto

dai Dieci Comandamenti per costringerci a riflettere sui motivi e sulle circostanze che inducono gli uomini a infrangerli praticamente ogni giorno. Il fine di questo capolavoro è di mettere in crisi tutte le nostre certezze, le prese di posizione indiscutibili, i giudizi netti e trancianti, per spingerci a dubitare: nessuno può permettersi di emettere un verdetto di assoluzione o di condanna sulle storie narrate nel

Decalogo senza fare i conti con l'arbitrio del caso, l'aleatorietà che caratterizza le vicende umane. Ogni morale che pretenda di valere come Legge universale, a prescindere dalla contingenza di ciascun caso particolare, può solo fallire. Kieslo,vski lo ribadisce con forza in articoli e interviste. Eppure abbiamo l'impressione che mentre ci immedesimiamo con i drammi del Decalogo - le cui sceneggiature sembrano fatte apposta per rilanciare l'interrogativo etico: Come avresti agito tu in simili

circostanze? Cosa avresti/atto se fosse capitato a te?-, lo sguardo di Kieslo,vski sia altrove: su tutta una serie di "dettagli inspiegabili, appena percettibili, che creano però, tanto nello spettatore quanto nel personaggio [del.film] un vago malessere, un lieve scollamento temporale»1 • Viene da qui quel curioso sentimento di irritazione che gli spiriti più sensibili hanno dichiarato di avvertire al termine dei film, in cui individuiamo una reazione sintomatica a questa peculiare cifra stilistica di Kieslo,,,ski. Così, proprio come in Decalogo 8 un quadro appeso alla parete non ne \-"Uole sapere di stare dritto, irridendo a loro insaputa l'inflessibile contegno morale delle due protagoniste, parimenti nel grandioso "progetto etico» del Decalogo qualcosa non quadra, inquieta e disorienta, senza peraltro interferire direttamente con le vicende del dramma che occupa la ribalta. Come scrive Thierry Jousse:

Le storie di Kieslo\\'ski [ ...] hanno come contraltare un'altra scena in cui si svolgono numerosi piccoli fatti curiosi eppure quasi insignificanti, che finiscono per renderne opaca la narrazione, per caricarla di un'insolita dimensione bizzarra [...] tutto un mondo parallelo che destabilizza il quotidiano 2 •

Tutto il Decalogo è disseminato di questi particolari destabilizzanti, disturbanti, inquietanti, vagamente ostili, che a poco a poco spodestano l'Io dal centro della rappresentazione; secondo la celebre espressione di Freud, l'Io scopre di "non essere più padrone in casa propria'\ Uno straccio sudicio che cade da un balcone tra i piedi di un uomo che lo raccoglie, il ritrovamento di una lepre congelata nel parco di un condominio, l'irruzione di un tizio strampalato nel bel mezzo di un seminario universitario, una sciocca e scurrile giaculatoria recitata in un momento drammatico: questi eventi, che possono durare anche alcuni minuti in un film che non raggiunge l'ora, non hanno alcun rapporto con la logica dei fatti narrati, non portano da nessuna parte e non hanno nemmeno un significato simbolico (a meno che non glielo si voglia attribuire per forza). Eppure si avverte chiaramente che non sono dovuti all'arbitrio, a qualche vezzo dell'autore (o d'autore), all1abile inserimento di quegli indizi che in un thriller hanno la funzione di depistarci o di metterci sulla pista giusta. Allora che cosa c'entrano col film? ~la forse dovremmo piuttosto dire: che cosa scentrano? In effetti, fuorviano - o anche: traviano - la sua prospettiva centrale, quella che determina le nostre identificazioni ai personaggi delle storie e alle loro vicissitudini, che ci fa prendere posizione sulle loro scelte, che fomenta il dibattito e l'interpretazione. Nonostante Kieslo\\'ski affermi che essi facciano parte di "una realtà che non si può capire e non si può sistemare in un ordine logico»3, noi li consideriamo come sintomi di un discorso nascosto che mira a sovvertire quello manifesto della narrazione. Grazie a questa "altra scena», vera cifra stilistica di Kieslo\\'ski, il Decalogo sfugge a quella falsa testimonianza che ne occulta lo scandalo radicale. Questo scandalo non è direttamente visibile: bisogna esumarlo dietro la

captatio benevolentiae di una petizione "etica» a cui pubblico e critica hanno aderito fin troppo zelantemente.

1

Thieny Jousse, "Elogio di un vivisezionista'1, in Kieslowsld, a cura di llalgorzata

FUrdal e Roberto Turigliatto, ~·Iuseo Nazionale del Cinema, Torino 1989, p. 56. 2

Ibid..

3 "Perché siamo qui?», intervista raccolta a Varsavia,

luglio e agosto 1989, in li. FUrdal, R. Turigliatto, Kieslowski, cit., pp. 13-35; dispomòile anche in formato pdf.

DECALOG08

(Trauma mon amour) Oblio e risentimento sono il sale che preserva l'avvenimento dalla decomposizione... In atre parole, un paradosso del tradimento è la fedeltà che il traditore e il tradito mantengono, dopo l'avvenimento, alla sua amarezza.

J ames Hillman, Senex et puer

In Decalogo 8 - indicato da Kieslo"•ski come la sintesi del progetto etico di tutta la serie1 - vengono presentate in un'aula universitaria "alcune storie di vita, nel corso delle quali un nodo etico ambivalente e complesso abbia reso, o renda, particolarmente impervia una via d'uscita"2 • Tra le storie viene inaspettatamente raccontata da una donna misteriosa che ha preso posto in aula, anche quella di Zofia, la docente di filosofia morale che tiene il seminario. Al tempo dell'occupazione nazista della Polonia, nel '43, Zofia e il marito si erano impegnati a fare da testimoni al falso battesimo di Elzbieta, una bambina ebrea di sei anni, per salvarla dalla Gestapo: il battesimo, infatti, era la condizione imprescindibile posta dai tutori per tenere la bambina. l,fa all'ultimo momento Zofia e il marito negarono l'aiuto promesso, adducendo la loro incapacità di mentire "di fronte a Colui in cui credono e che, pur imponendo misericordia, non permette di dire falsa testimonianza. Una simile menzogna, anche se a fin di bene, contrasta troppo con i loro principi"3. Per quasi quarant'anni Zofia, che non se lo è mai perdonato, è rimasta nella convinzione di avere mandato a morte quasi certa la bambina, senza sapere che Elzbieta fu salvata da dei parenti dell'uomo che quel giorno l'aveva accompagnata in casa di Zofia e di suo marito.

La bambina di un tempo, trasferitasi negli Stati Uniti e diventata traduttrice dei libri di Zofia, oggi è ritornata in Polonia dopo quarant'anni e siede in aula tra gli studenti, col preciso intento di raccontare pubblicamente la sua storia e guardare dritto negli occhi colei che l'ha tradita. Se per gli studenti questa storia è solo un'occasione come un'altra per deUe congetture filosofiche, Zofia, colpita dalla dovizia di particolari, riconosce trepidante nella requisitoria della donna adulta la bambina che un tempo non esitò a sacrificare: è il momento dell'agnizione.

Il dilemma etico è dunque chiaramente posto: è giusto ubbidire sempre e comunque al comandamento di non dire falsa testimonianza, anche a costo di sacrificare una bambina innocente? Scopriamo ben presto che "la falsità di un ragionamento apparentemente cattolico"4 fondato su un'astratta questione di principio era solo un pretesto che allora servì da copertura alla vera alternativa; si trattava in realtà di scegliere tra il sacrificio della bambina e il mandare a morte sicura molti dirigenti della Resistenza clandestina polacca, di cui Zofia e il marito erano punti di riferimento importanti; i tutori della bambina, che una delazione aveva insinuato essere dei traditori collaborazionisti (voce poi risultata falsa), a"Tebbero dovuto essere l'esca usata dalla Gestapo per smantellare l'organizzazione. Tutta questa ingarbugliata, farraginosa e poco credibile storia piena di false testimonianze (o che si rivelarono tali) ha per unico scopo fare

da contraltare al manicheismo di Zofia5, che ba il suo punto culminante in un'affermazione che è anche il climax di Decalogo 8: "Lo so. Non c'è idea, non c'è causa, non c'è nulla che conti di più della

vita di un bambino. Della vita ... »6. "L'unica cosa che valga oggi, secondo la moralista Zofia (che sembra dar voce al Kieslo\\'Ski moralista), osserva Gabriella Ripa di 1ieana, è che in ogni caso si salvi un bambino. In questa affermazione emerge quella sorta di captatio beneuolentiae 7, che non è rara negli altri film di Kieslo,,;ski, e molto meno si trova, invece, nella serie dei dieci film del Decalogo"S.

Decalogo 8 è realmente un "film filosofico"? Tutto sembrerebbe confermarlo; sennonché il film è disseminato di dettagli a dir poco bizzarri, che sembrano non trovare collocazione nella sua diegesi. Passiamone rapidamente in rassegna alcuni: un quadro appeso alla parete dell'appartamento di Zofia che non ne vuole sapere di stare dritto; uno strambo personaggio che irrompe nel mezzo del seminario universitario; la traversata dell'androne del vecchio appartamento di Zofia, da cui potrebbe cominciare un film di David Lynch; l'apparizione di un "uomo di gomma" - un contorsionista - designato nella sceneggiatura come una "testa parlante"; e altri ancora. Queste stramberie sono come degli intermezzi o addirittura degli

sketch che ci distraggono dal tono serio e contrito del film che cattura la nostra attenzione. Il quadro che non sta dritto nonostante i reiterati sforzi per raddrizzarlo ci dice che anche neUa storia che lega le due protagoniste di Decalogo 8 c'è qualcosa di storto, che non sta in piedi, e ci mette in guardia dall'"allinearci" con il loro dilemma etico. Prt'!ndiamo il personaggio strampalato che irrompe nell'aula universitaria. Go out! Fuori dai piedi! gli ringhia contro lo studente "extracomunitario", un elegantissimo, inappuntabile nigeriano dai modi raffinati che parla un inglese perfetto e non tollera che qualcuno venga a disturbare il suo chilissimo idillio con la cultura europea9. Se

ne uada! Gli grida la professoressa Zofia accompagnandolo alla porta; ma di questo episodio nessuno dei partecipanti al seminario sull'inferno dell'etica si fa il minimo problema etico. Cosa rappresenta questo personaggio che fa macchia nel quadro, se non l'irruzione di un lapsus che non può trovare posto nel discorso uruversitario - un discorso che si fonda sulla padronanza di un sapere che rifiuta di prendere in considerazione tutto ciò che può perturbarlo e sviarlo? Questa scena, di cui non c'è traccia nella sceneggiatura, è un tiro mancino giocato da Kieslo\\•ski alla captatio beneuolentiae: per il personaggio in questione non ce n'è affatto! Se proviamo a guardare il film dal punto di v-ista "go out", fuori dall'università, vediamo che Zofia e Elzbieta trascorrono dei momenti che potremmo definire piacevoli solo quando n on si torturano più con l'inferno dell'etica. Allora, finalmente libere dalla presa del passato, godono della loro presenza attuale. L'una comincia a interessarsi all'altra, a scoprire l'altra per la donna che è oggi, senza più incatenarla alla colpa, al rimorso, all'espiazione, alla riparazione. Spezzata la catena della loro reciprocità, della loro specularità, della loro complicità di traditrice e di tradita, Zofia per la prima volta può derogare al suo vitto da ergastolana e lasciarsi tentare da una colazione ricca di uova, burro, pane, latte, in barba alla ferrea "dieta morale" che da quarant'anni si è imposta. Comprendiamo così le ragioni del sarto (colui che avrebbe dovuto adottare la bambina ebrea) quando, incalzato dall'inesorabile Elzbieta, non ne vuole assolutamente sapere di iscriversi al partito del trauma e propone, invece di rievocare il passato, di confezionarle un tailleur. "Non voglio parlare dei fatti della guerra, non voglio parlare di ciò che è stato dopo la guerra. Posso parlare del presente. Posso cucirle un completo, un cappotto o un tai11eur"10 .

Il sarto vuole essere riconosciuto per il suo mestiere attuale, per l'uomo che è oggi e non per il salvatore di un tempo; vuole tirarsi fuori dal suo passato ma Zofia, in veste di psicologa, ci spiega che lui non v11ole ricordare perché "ha avuto molti, troppi problemi". In realtà il vecchio sarto ha tagliato - o vuole tagliare - il legame con una Causa del passato a cui ricondurre tutti gli effetti della sua vita presente, e questo le due donne - che di quella Causa, su cui fondano la loro complicità, hanno fatto una ragione di vita - non glielo possono perdonare:

Zofia ed Elzbieta hanno bisogno l'una dell'altra per venire al fondo del peccato originale che le separa, il senso del loro incontro è la memoria riconquistata[... ] da cui resta fatalmente escluso il sarto, [... ] l'unica vera vittima della falsa testimonianza di Zofia. Il sarto rimane ai margini della storia, compare solo nel finale, stretto in un silenzio doloroso e inconfessabile, ancora più pregnante dei discorsi e della maieutica di Zofia11•

Cosa rappresenta il contorsionista? Appare come un essere mitologico non privo di umorismo, che non ha alcun riguardo nel cercare di

piegare Zofia. r.ia alla fine sentenzia: "È troppo tardi". Zofia, che da quattro decenni ha trasformato la sua vita in un deserto dove praticare quotidianamente la sua ginnastica espiatoria, si può piegare solo fino a un certo punto, non ha più flessibilità, non le è più possibile modificare la sua vita. È troppo tardi anche quando si presentano inaspettatamente le condizioni che potrebbero piegarla al presente: non la scoperta che la bambina sacrificata di un tempo si è salvata ma il nuovo rapporto che ha cominciato a costruire con la donna che è oggi. In quanto a Elzbieta, non le è da meno. La sua figura tormentata rivela che anche lei è rimasta ferma in ilio tempore, all'età di sei anni.

La bambina abbandonata quella sera davanti a un portone ba votato la donna adulta a un'inflessibile missione di giustizia, appropriandosi della sua vita. Elzbieta è duramente fedele al trauma fino alla fine: abbiamo già ricordato il suo rifiuto di tutto ciò che il vecchio sarto

oggi le può offrire; egli la interessa solo in quanto significante del trauma del passato, come tutti. Nella scena che si svolge nell'androne delle scale del vecchio appartamento di Zofia (dove tutto ebbe inizio), andata alla ricerca della nuovamente perduta Elzbieta (la quale ne spia di nascosto l'angoscia), udiamo il ritornello di una beffarda cantilena che dice: "fanculo-fanculo!". Chi è il bersaglio di questa invettiva se non "l'inferno dell'etica"? Abituiamoci a diffidare di trappole intellettuali irresistibili come i dilemmi del tipo: se questo, allora quello: "Se mio marito muore, allora tengo il bambino avuto daU'amante; se vive, abortisco e lascio l'amante" (la "icenda di Dorota narrata in Decalogo 2 è espressamente ricordata da una studentessa nel "discorso dell'università"). Ma è tutta l'artificiosa sceneggiatura di Decalogo 8 che è insostenibile. Si sente che è stata pensata a tavolino: "Vorrei che ciascuno di voi, come sempre, cercasse di definire i caratteri dei personaggi, la motivazione e i giudizi sui loro comportamenti" 12• Sì, signora professoressa. "La cosa più importante è salvare un bambino". Sì, signora professoressa. La stessa parola "salvare" è già irreparabilmente compromessa con l'ideale: nella contingenza, perfino nell'urgenza più drammatica, non c'è il pensiero di "salvare". Un "bambino"? Una "vita"? La "solidarietà dei peccatori"l.3 annida in questo genere di espressioni il più implacabile moralismo: proprio per questo, per "tirarsene fuori"14, Kies)o\,;ski ha introdotto nel film dei segni destabilizzanti. l,fa anche dei personaggi destabilizzanti, come il vecchio Radice (lo ritroveremo in Decalogo 10), che riconosciamo "nell'uomo piuttosto anziano», accanito filatelico, che "i ene a mostrare a Zofia la sua ultima conquista: la serie degli "Zeppelin del 1931". Alla cortesia di circostanza di Zofia, che non lesina al bottino del vecchio collezionista uno sguardo di benevola commiserazione, fa eco il secco rifiuto di Elzbieta all'invito di dare un'occhiata ai francobolli. Per i loro alti profili morali segnati dal Trauma, il personaggio in questione, perso in simili puerilità, è poco più che una figura patetica. L'ultima immagine del film mostra il primo piano del volto del vecchio sarto che dalla vetrina del suo negozio osserva le due donne che si sorridono tranquille. Annientato dalle iniquità della guerra; sul punto di essere giustiziato a causa dell'accusa di collaborazionismo con la Gestapo - accusa che lo aveva marchiato d'infamia insieme alla moglie mentre si erano offerti generosamente e rischiosamente di sal\'are la piccola ebrea; ancora in sofferenza per gli strascichi che questa vicenda aveva avuto nel dopoguerra e per la morte della moglie, forse non estranea a quegli strascichi; quest'uomo ci appare come il resto tagliato fuori dall'intesa tra Zofia ed Elzbieta, nonché "l'unica vera vittima della falsa testimonianza di Zofia•. l,fa ci appare anche come l'unico che, in tutta questa storia, non ha ceduto sul suo desiderio. Mentre Zofia si ostina a perdonare, a capire, a giustificare, il sarto non perdona, non capisce e non giustifica, ma al contrario di Elzbieta, lo fa s enza risentimento e senza cercare la vendetta: imparando dal proprio mestiere, taglia corto con quell'innamoramento del Trauma - punto d'orgoglio e d'individuazione - su cui si sostiene l'odio che mortifica ogni esperienza del presente. Il fatto che Kieslowski abbia concluso il film proprio sul primo piano di quel volto, può farci pensare che non fosse estraneo al punto di vista del sarto, che rimane tagliato fuori dalla storia.

'li. Ciment, H. Niogret, •teL>écalogue: entretien avec Kr?}-sztofKieslowski •, in Positif, n. 346, dicembre 1989.

• Gabriella Ripa di Meana, La morale dell'altro. Scritti sull'inconscio dal Decalogo diKieslowsld, Lllleral hl>ri, Firenze 1998, p. 190; [edizione pdf (cfr. la Blòliografia),

p. 160]. Krzysztof Piesie1,icz, DectJlogo, trad. di :Malgorzata Furdal e Paolo Gesumunno, Einaudi, Torino 1991, p. 29L 4 Ibid., p. 287.

3 Krzysztof Kieslowski,

s "Il bene. Il bene esiste... è in ciascuno. È il mondo a sprigionareil bene o il male"; ibid., p. 292. 6 Ibid., p. 291. ; Nell'argomentazione retorica la captatio bene1:olentiae è quella parte dell'orazione che ha lo scopo di conquistare il favore degli ascoltatori. 8 G. Ripa di .!Ileana, La morale dell'altro, cit., p. 194 [edizione pdf, p. 163]. 9 Incomparabile qui l'ironia di Kieslowski . •0

K. Kieslowski, lC. Piesie1,icz, Decalogo, cit., p. 299.

"Stefania Rimini, L'etica dello sguardo. Introduzione al cinema di Krzysztof Kies/owski, Liguori, Napoli 2000, p.112. ,. K. Kieslowski, K. Piesie,,icz, Decalogo, cit., p. 281.

•s T. Sobolewski, La solidarietà dei peccatori in M. Furdal, R. Turigliatto, Kieslowski, cit., pp. 59-75. LI SUI "tirarsi fuori• cfr. più sotto, le nostre oss&vazioni a Decalogo 10.

DECALOG02 (Ritratto di Signora)

Dorota Geller, a dispetto del suo nome, non vuole doni e, soprattutto, non ha da dare niente; è seccata di trovarsi in questa situazione che rompe i suoi piani: questa gravidanza importuna la chiama a dover decidere e concludere qualcosa sulla propria vita. È probabile che tutto ciò non le sia capitato a caso: !>inconscio, spesso,

si diletta a costruire delle alternative inesorabili, quando reputa che è arrivato il momento improrogabile, quando la menzogna non può più reggere. L>inconscio di Dorota, un passo più avanti di lei, gliePha combinata bella, ma le offre !>occasione per non mentire più, per poter scegliere fino in fondo il suo destino in un legame: con il marito senza curarsi delPesito della sua malattia - o con }>altro uomo, invisibile, senza corpo, una voce sbiadita dentro una segreteria telefonica. Anche il marito, quanto a presenza, non è da meno: un relitto inanimato sul letto di morte che non dà che impercettibili segni di vita: i due uomini con cui ha a che fare Dorota esistono in sordina. E a lei va bene così.

Quanto al vecchio medico, alPinizio ha !>accortezza di tenersi lontano dalle irruzioni di Dorota, vive immobile in un tempo remoto, lo

speaker inglese che ascolta alla radio lo riporta a Radio Londra, agli anni della guerra e quell,attimo sospeso in cui ha perso tutti quelli che amava. Quando racconta alPamabile governante le puntate della sua \-ita perduta parla come se tutto fosse appena accaduto, come se lo spuntare dei denti del suo bimbo gli avesse fatto perdere il sonno della notte appena trascorsa, come se si preoccupasse della stanchezza di "Lei" che non ha potuto riposare: non ce la fa a chiamare per nome la

sposa perduta, è rimasta Punica donna della sua vita, un ideale da venerare. Solo la stanchezza della voce, !>assenza di tonalità rivela la consunzione del suo racconto. Quesfuomo tumulato nel suo lutto a prova di decenni, non resiste alPassedio di Dorota e cede poco alla volta al suo inganno: Paut-aut di una decisione posta come se riguardasse altri, altri che devono sbrogliarsela con il suo problema. Quando rivela al medico la sua storia, dopo aver invaso quella casa custodita immobile nel tempo, non può che compiacersi della propria commozione, del suo mostrarsi lacerata dal dolore. La manovra apparentemente incurante di spingere il bicchiere fino all,orlo del tavolo per farlo cadere con !>accenno di quel sorriso che le compare sulle labbra, rivela la sua vera intenzione: spingere gli eventi, come il bicchiere, a suo piacimento, in modo che qualcuno possa cadere; in fondo la caduta dei corpi è solo una legge fisica. Quando ha finalmente davanti il vecchio uomo, ancora greve della remota catastrofe, gli sbatte davanti il suo segreto, la sua questione di "ita o di morte. E così, oltre alla sigaretta, punta contro di lui la sua "bella gravidanza" con cui lo imbriglia nel suo disegno. Da questo momento il medico capitola e offre il suo lutto al segreto di Dorota; i volti amati della fotografia che aveva voltato gelosamente per nasconderli allo sguardo di Dorota, quei volti amati lo chiamano da troppo tempo e gli impediscono di dire di no a questa estranea di cui, in fondo, non sa nulla. Non si accorge che Paria contrita e solenne di Dorota, calcolata a tavolino, è la maschera che lo seduce: tocca a lui, finalmente, salvare per impedire che qualcuno muoia. Dorota vende il suo come un matrimonio d>amore, che non impedisce a una donna di amare due uomini: le servono entrambi, per tenere il piede in due scarpe e non appartenere a nessuno. E ora, armata di questo segreto, ne fa una questione etica assoluta, rimanendo sciolta da qualsiasi legame, lasciando la scelta al verdetto del medico, alla scienza oggettiva e neutrale. "Non è lecito desiderare di avere tutto": si congeda dal medico con le parole del suo trionfo, in quanto nulla avrebbe perso in qualsiasi modo. Dorota avrebbe potuto accogliere la gravidanza come un segno che la sua vita, dove tutto era incastrato a dovere, era arrivata al limite, senza la possibilità di un destino; invece usa il suo "stato interessante" per ottenere a tutti i costi che !>altro s>interessi di lei. Questo figlio possibile è il segnale delPinconscio, la possibilità di realizzare una vita sempre rinnegata per vigliaccheria; Dorota si rivolta al suo desiderio e punta tutte le armi contro chi le deve garantire un esito conveniente. I suoi gesti: sigarette puntate, mozziconi schiacciati sul pianerottolo, foglie inconsapevoli divelte dal loro fusto, prendono di mira }>altro perché non dimentichi quello che le deve. In lei, non vi è una autentica richiesta di aiuto né un solo pensiero per il bambino; !>apprezzamento del ginecologo è diretto, infatti, alla sua anatomia, nel corpo dalle forme che non sono mai visibili, infagottate sempre in maglioni e ampie gonne lunghe. Perché privarsi di una così "bella gravidanza"? Lei, che è una donna solo nel particolare anatomico visitato dal medico, può diventarlo solo a condizione di avere un uomo, fino in fondo. La vediamo sempre superba e sola, guardando tutti dalPalto, con un

incedere militante da sentinella sul pianerottolo per marciare contro la porta di casa del medico, o quando entra nella stanza d>ospedale, nello sguardo al marito agonizzante, non pietoso ma piuttosto distante e freddo. Lontana da tutti, armata e risentita. Dopo aver finito di raccontare all>amabile signora Basia }>ultima, breve, conclusiva puntata della sua storia, rivediamo il vecchio medico accasciato, spento, senza vita. 11entre sonnecchia nella stanza d>ospedale gli compare sulla porta Andrzej, il marito di Dorota, che celebra la sua resurrezione di miracolato senza voler sapere nulla, senza chiedersi nulla. Solo !>abbassarsi dello sguardo del vecchio, mentre risponde alla domanda del giovane: "Ma lei lo sa cosa vuol dire avere un figlio?", indica che anche la sua catastrofe è ora completa. La storia finisce male: un sigillo di complicità e di segretezza sulla sua

gravidanza è quello che ottiene Dorota dal medico, ingannando entrambi, marito e amante. Il vecchio medico, nella fedeltà ormai stanca e appannata al suo lutto, ha trovato un,altra Lei da venerare.

DECALOGO 2-BIS (Si salvi chi può)

Nell'intervista Perché siamo qui?1 }.1algorzata Furdal cerca di attribuire a Kieslo\\--ski il punto di vista della professoressa di

Decalogo 8: "L'unica cosa che conta - afferma l'intervistatrice - è la vita del bambino"'. Kieslow·ski ribatte: "Non analizzerei la cosa su questo piano, è il punto di vista della professoressa e non il mio." Dunque il punto di vista di Kieslo\'v-ski non è quello della morale cattolica, non intende prendere posizione a favore della vita come tale, come Bene rice,-uto in dono da Dio e pertanto comunque da onorare2 • Il Decalogo, pur prestandovisi anche troppo, non si lascia intrappolare entro la generalità dei grandi dibattiti morali. Sgombrato il campo da una falsa questione - vedremo fino a che punto Decalogo 2 ha a che fare con una falsa questione - veniamo subito al commento.

Il problema di Decalogo 2 potrebbe essere così formulato: chi si piglia la lepre congelata?3 Il portiere, una volta scopertala sotto la neve, si affretta a trovarle un destinatario. Il primo a cui pensa è l'anziano medico co-protagonista dell'episodio, che declina l'offerta4 e tenta di rifilare la lepre a Dorota, che a sua volta la rifiuta col suo tipico sussiego: ha ben altro a cui pensare, lei. Rimaniamo pertanto in sospeso sul recapito di questa Cosa morta, abbastanza ripugnante dopo tutto, e su chi alla fine se la piglierà. L'interrogarci sul senso di questo bizzarro oggetto che irrompe assurdamente sulla scena senza che nessuno, pubblico compreso, sappia cosa farsene, apre una prospettiva obliqua rispetto a quella che domina tutto il film: il "dilemma etico"' che Dorota impone categoricamente al dottore; o almeno è sotto questo aspetto che lui l'assume, proprio come la docente di Decalogo 8, che lo ripropone ai suoi studenti (e di conseguenza a noi spettatori) nientemeno che come esempio per eccellenza "dell'inferno dell'etica"'. Questa prospettiva obliqua possiamo delinearla un po' meglio attraverso una domanda tanto umoristica quanto sconcertante: "Non sarà che se mi prendo il problema etico al tempo stesso mi prendo anche la lepre?"'. Cominciamo con l'osservare che il sesso di Dorota - al di là dell'anagrafe, della biologia e del suo aspetto indubbiamente femminile, cioè dell'apparenza - è tutt'altro che scontato. Se per fare una donna ci vuole il rapporto con un uomo (e reciprocamente), Dorota, pur essendo circondata da uomini, si guarda bene dall'averne scelto uno. Suo marito è in agonia all'ospedale e non scambia in tutto il film una parola con lei, il che non gli impedisce stranamente di rianimarsi dalla sua catalessi non appena Dorota se ne va; il suo amante, che vive "nascosto nella segreteria telefonica" viene liquidato seduta stante con una determinazione implacabile; al vecchio medico Dorota dice senza complimenti di rimpiangere di non averlo schiacciato sotto l'auto come ha fatto tempo addietro con il suo cane; Janek, l'amico alpinista di Andrzej (il marito di Dorota) che si è recato a fargli ,isita, viene sbattuto fuori di casa; il giovane ambasciatore di

Witek (l'amante di Dorota), tutto preso dall'ammirazione per quella bella donna fredda e altera, riceve in cambio le attenzioni che si possono avere per un insetto. Alcune fini osservazioni di Gabriella Ripa di 1ieana ci serviranno a delineare con precisione i tratti ancora irrealizzati della femminilità di Dorota:

Dorota [ ...) sente ancora intatta l'autarchia femminile che finora l'ha resa infeconda. Nessuno, infatti, ha incrinato la sua autosufficienza, facendola diventare superflua. Infatti, se nella donna non si verifica questa particolare incrinatura, il figlio che attende diventa virtuale. E questo figlio finisce per essere percepito piuttosto che come un dono, come un'esperienza di profanazione e di violazione del nucleo solipsistico della sua identità sessuale. Di qui il falso dilemma: tenere o no il bambino, a seconda che il marito muoia o menoS.

D'altro canto: dall'uomo, vivo o morto, non si aspetta niente6

La decisione che Dorota deve prendere riguardo al destino della sua gravidanza è formulata attraverso un'alternativa che non contempla nessun interlocutore e nessuna dialettica, rivelandoci tutta la sua "vvlontà di potenza": se il marito muore, terrà il bambino dell'amante; se il marito vive, abortirà. Si capisce come entro una simile alternativa il posto per un figlio - sia che Dorota decida di partorire sia che decida di abortire - in ogni caso non c'è, così come non c'è un posto per un uomo e per un padre. Che il bambino abbia un padre, ovvero che sia pensabile in quanto figlio, è fuori questione perché allora Dorota do..,Tebbe affidarsi a un uomo e riconoscergli la paternità. Non c'è un solo momento in cui riesca a pensare al bambino che ha in grembo come a qualcosa di diverso da un problema da risolvere, non un solo momento in cui lo tolga dall'alternativa: se (non) questo

allora (non) quello. È proprio in questa trappola logica che il medico viene preso, nella misura in cui cede e accetta non tanto di nominare

il nome di Dio invano7, quanto di assumersi la questione con cui Dorota lo ricatta, e per giunta di assumerla come una questione etica. Certamente, potremmo affermare che questo cedimento ha una fortissima attenuante nella tragica privazione della paternità e di tutti gli affetti più cari che l'anziano medico ha patito; ma potremmo ugualmente affermare che è per soddisfare un suo desiderio che egli cede alla tentazione di farsi simbolicamente garante della paternità del figlio di Dorota. È la conclusione sostenuta da Gabriella Ripa di r.ieana nel suo commento:

Il primario non vuole salvare solo Dorota o il bambino, ma vuole soprattutto salvare la posizione simbolica in cui è stato messo dalla domanda di questa donna. [ ...] Dorota ha [ ... ] bisogno di essere aiutata a uscire dalla propria autarchia, dalla propria autosufficienza. Ha bisogno che qualcuno riesca, in un qualche modo, a impedirle di vivere la propria gravidanza come un fatto solo suo, ovvero come il concepimento di un figlio fatto solo da lei8.

?,,fa se avesse veramente sentito questo bisogno, Dorota avrebbe rivelato la verità al marito invece di ingannarlo. Scegliendo di parlare adAndrzej a"Tebbe rimesso a lui i propri peccati, e avrebbe lasciato a lui la decisione da prendere; solo in questo modo, accettando il rischio di poter essere respinta dal marito, avrebbe rea)mAnte incrinato la sua autosufficienza e il bambino non sarebbe più stato fatto o disfatto secondo il suo arbitrio. Non penso, di conseguenza, che Dorota abbia mai voluto qualcuno che decidesse al suo posto (non c'è un solo momento in cui non sia lei a tenere le redini), ma che il suo obiettivo sia sempre stato quello di servirsi di qualcuno che le permettesse di sistemare la faccenda. In effetti, anche quando la guarigione di Andrzej smentisce la diagnosi del primario, per Dorota questo fatto non cambia niente; alla fine sistemerà comunque la faccenda, e poco importa se per farlo ricorrerà proprio alla soluzione che aveva inizialmente escluso dalla sua alternati.va. La rammento: se mio marito muore tengo il bambino e

vado con l'amante (che senza il bambino non mi vuole); se vive, abortisco e resto con lui. Così, in un modo o nell'altro, sistemerò la faccenda, mettendomi anticipatamente al riparo da qualsiasi evento il destino abbia in serbo per me. Ecco perché Dorota pretende dal medico delle garanzie anticipate. Non appena le ottiene - "non lo faccia! (l'aborto) perché lui muore:

Dio mi è testimone" - rinuncia ad abortire. r.1a quando il marito miracolosamente guarisce, Dorota ha già la soluzione pronta: le basta ingannarlo con un omissis riguardo all'illegittimità di quel figlio e fargli credere che sia lui il padre. Dov'è qui il tanto sbandierato problema etico? Con un po'di cinismo potremmo tutt'al più dire che le "astuzie della ragione" di questa donna sono un vero modello di senso pratico, esempio per eccellenza del legame sociale attuale che si fonda più che mai su una logica "dorotea". Resta tuttavia un interrogativo: se il parere professionale del medico, giusto o sbagliato che sia, in realtà per Dorota non conta niente, a che cosa le serve il medico? Perché lo persegue con tanta implacabile determinazione, ricorrendo al disprezzo, al ricatto e alle minacce, se in definitiva della diagnosi non se ne fa niente? Che cosa vuole veramente Dorota dal medico? "Se Andrzej muore, tengo il bambino del mio amante; se invece vive, abortisco; anzi no, tengo il bambino e gli dico che è suo figlio: se invece... allora...", e si potrebbe andare avanti trovando un escamotage per qualsiasi evento che si prevede possa turbare lo status quo della propria vita, fondata sul principio che niente deve accadermi. Un principio - che comporta il coinvolgimento e la manipolazione delle passioni degli altri secondo il proprio arbitrio al tempo stesso semplice, sconcertante e omicida. Ed è proprio per questo che a Dorota serve qualcuno che "ci caschi", che scambi la sua volontà di uscire sempre illesa dal destino, per un dilemma etico, e in

tal modo se ne faccia il garante, ma allora anche il complice. Al contrario del vecchio sarto di Decalogo 8 (che non cade nella trappola di Elzbieta e rifiuta di svendere alla causa morale o religiosa della salvazione la sua decisione aver voluto prendere con sé quella bambina), il vecchio medico di Decalogo 2 , immerso nella contemplazione dolorosa del suo tragico passato, dopo un primo rifiuto ("I familiari dei degenti li ricevo ogni mercoledì dalle tre alle cinque del pomeriggio"9) si lascia irretire da Dorota e cede al suo ricatto, fornendole l'alibi di cui ha bisogno: "un sigillo di complicità e di segretezza sulla sua gravidanza"10• E poco importano i motivi di questo cedimento - il potere di soddisfare il desiderio di maternità della donna, o di l"f'alizzarP. il proprio desiderio di paternità simbolica, o di salvare la vita di un bambino perché è "l'unica cosa che conta" dato che il risultato è identico: "il nucleo solipsistico dell'identità sessuale della donna"' non viene nemmeno scalfito, il padre reale è ridotto a un mero strumento di procreazione, il padre putativo è ingannato - ed entrambi sono privati di ogni voce in capitolo mentre il bambino è disporubile per il miglior offerente: quello più conveniente a Leiu. Ritroveremo sotto altri "panni" (alla lettera), la lepre congelata in

Decalogo 5, dove è raccolta dal tassista che sarà vittima del furore omicida di Jacek: « All'improvviso un piccolo oggetto sfreccia vicinissimo a lui, per ricadere con un tonfo sull'asfalto. Un vecchio straccio bagnato. L'uomo lo raccoglie e guarda in su'a2 • "Qualcuno me l'ha tirato addosso", commenta il tassista; "E l'hanno preso?" risponde il portiere del condominio che aveva trovato la lepre in

Decalogo 2. Ci viene così rivelato il nesso che collega Decalogo 2 a Decalogo 5: l'assassinio.

' In 11. Furdal., R. Turigliatto, Kies.lowsld, cit, pp.13-35. ~ Ibid.:

~uanti bambini sono stati cancellati prima di formarsi in quanto.•.

bambini? Abbiamo forse perso dei geni, ma forse anche degli assassini; degli imbecilli o forse dei talenti, chissà...». s La lepre in questione è trovata all'inizio del film dal portiere del condominio Sto\\'Ski sotto la neve, in giardino. D portiere guarda in su, verso balconi e finestre, e si chiede a chi possa essere caduta. 4 D~magari" proferito dal dottore alla domanda del portiere se la lepre fosse caduta dal suo balcone non è nella sceneggiatura. s G. Ripa di Meana, La morale dell'altro, cit., p. 6o [edizione pdf, p. 47). 6 Ibid.,

p. 57 [edizione pdf, p. 44). 7 "DOROTA- Non ha voluto emettere sentenze sul conto di mio marito, ma non voglio che si senta a posto con la coscienza. Ha emesso quella contro mio figlio[... ] Tra un'ora andrò ad abortire. D PRThfARIO - Non lo faccia. [...] (riferendosi al marito di Dorota) È spacciato. DOROTA - Lo giuri! [ ...) IL PRntARIO - Dio mi è testimone.• K. Kieslowski, K. Piesie\\-iCZ, Decalogo, cit., pp. 71-72. 8

G. Ripa di ?.ieana, La morale dell'altro, cit, p. 7 1 [edizione pdf, p. 56).

9 K. Kieslowski, 10

K. Piesie,\icz, Decalogo, cit., p. 46.

Si veda sopra, Dewlogo 2 (Ritratto di Signora).

"Ibid. 10

K. Kieslowski, K. Piesi8\\icz, Decalogo, cit., p. 147 (così inizia nel testo della

sceneggiatura la storia di Deco./ogo 5).

DECALOG05 (Il grottesco e l'umorismo nero)

Nelle scene iniziali di Decalogo 5 Jacek fa rotolare lentamente un sasso verso l'estremità del corrimano di un cavalca·via, per farlo infine cadere sul parabrezza delle automobili che passano al di sotto. Il gesto è lo stesso di quello di Dorota in Decalogo 2, quando sospinge scrupolosamente un bicchiere fino al bordo del tavolo per farlo precipitare a terra, o strappa meticolosamente a una a una tutte le foglie di una pianta di ficus, assistendo impassibile alla distruzione di cui è l'artefice ma da cui è al tempo stesso completamente alienata. L'esatta corrispondenza formale dei due episodi rivela che il rifiuto di Dorota di affrontare il desiderio femminile costituisce la premessa della violazione del quinto Comandamento: non uccidere. Non è un caso dunqu.e se in Decalogo scompaiono Andrzej e Dorota "in stato di avanzata gravidanza"1 mentre cercano di salire sul taxi su cui salirà invece, al loro posto, Jacek, pronto per uccidere. Uccidere chi e a quale scopo? Tutta la questione di Decalogo 5 consiste precisamente in questo "uccidere~, che è senza scopo, perfettamente gratuito, privo di vantaggi e benefici, al punto che la vittima - un laido tassista che casualmente ha i requisiti adatti - ne è solo il pretesto. Come si dice "l'arte per l'arte", si potrebbe dire che Decalogo 5 è un film "sull'uccidere per l'uccidere" (prendendo il verbo all'intransitivo): dell'uomo senza la Legge nella prima parte, della Legge senza l'uomo nella seconda. Ancora una volta sgombriamo prima di tutto il campo da una fa1sa testimonianza, proprio come Decalogo 2 non si schiera in difesa della ..,;ta, Decalogo 5 non è un film d'impegno ci\.;Je contro la pena di morte. Per smentire l'immagine di un Kieslo\vski impegnato nelle grandi battaglie sociali è sufficiente osservare che i veri protagonisti del film sono il grottesco nella prima parte ("l'uomo senza la Legge") e

l'umorismo nero nella seconda ("la Legge senza l'uomo").

Il grottesco costituisce la massima accentuazione di ciò che è sensibilmente rappresentabile ... in questo senso le raffigurazioni grottesche sono insieme l'espressione della piena salute di un'epoca ... Certo, non si può contestare che, per quanto riguarda le forze istintive del grottesco, esiste un polo nettamente opposto. Anche le epoche di decadenza e i cervelli malati inclinano alla raffigurazione grottesca. In simili casi, il grottesco rappresenta il preoccupante segno del fatto che alle epoche e agli individui in questione i problemi del mondo risultano irresolubili... Quale di queste due tendenze stia dietro a una fantasia grottesca, come sua forza di propulsione creatrice, è riconoscibile al primo colpo d'occhio2 •

Nella prima parte del film ("l'uomo senza la Legge") domina l'umorismo grottesco, figlio dello sfacelo delle leggi, dei costumi, dei valori morali, e padre di una particolare figura di delinquente il cui prototipo può essere rappresentato da Joker, il nemico numero uno di Batman. Per il Clo\vn scellerato il prossimo ha un solo valore: essere l'oggetto di un godimento senza limiti che prende la forma di uno scherzo malvagio e coatto. L'umorismo grottesco è la comicità della ~forte in trionfo, il ghigno beffardo di una Vanitas ilare che annienta con la stessa indifferenza il giusto e l'ingiusto, il buono e il cattivo, l'innocente e il colpevole; è la celebrazione dei baccanali della peste che non risparmia nessuno: "Il popolaccio recava attorno in trionfo i cadaveri degli infetti, gridando: Vivat Cholera!"3; è l'apoteosi dei monatti descritta nei Promessi sposi: "Si disse [...] che monatti e apparitori lasciassero cadere apposta dai carri robe infette, per propagare e mantenere la pestilenza, divenuta per essi un'entrata, un regno, una festa"4. In Decalogo s il grottesco ha il suo emblema nella testa di demonio che penzola beffarda dal parabrezza del taxi, o nell'espressione sardonica della faccia grondante sangue del tassista in primo piano, dopo che Jacek gli ba appena spaccato la testa, o nel panino del tassista appena massacrato che il suo assassino degusta in un'estasi cannibalesca. In Kieslo\vski il ricorso al grottesco non si limita, come per altri autori, a denunciare la delinquenza dei costumi borghesi (come in un ~1arco Ferreri, per esempio) o a spingerci a identificarci col Cattivo invece che col Buono, per farci scoprire "l'estasi del delitto"; ma spezza l'illusione che tra Bene e J,.fale, Buono e Cattivo, esista realmente una contrapposizione. Liborio Termine ha il merito di averlo osservato riguardo al personaggio di Karol in Film bianco:

Kieslo,vski, per rappresentare insieme l'innocenza e la crudeltà, il sentimento e l'orrore, non poteva che articolare la drammaturgia del grottesco, che entrambe le cose discredita, dal momento che toglie loro l'illusione di una reciproca opposizione e le costringe, beffardamente, a riconoscersi identici [sic]5.

~1a la vera questione è: se l'innocenza di Jacek e la sua crudeltà sono la stessa cosa (e ben più radicalmente che in un Karol o in un Tomek),

che cos'è questa cosa che il grottesco rende visibile? n grottesco, in quanto "espressione della piena salute di un'epoca" (secondo la non proprio felice espressione di Fuchs) è la raggiunta consapevolezza di quella che Lacan chiama "la malvagità fondamentale della Cosa" che è in noi6, senza di cui non abbiamo alcuna speranza di accostarci alla verità del desiderio. Chi decide di andare sul serio al di là delle apparenze e inizia a farsi delle domande sull'inesorabile chiusura del sistema di vita in cui è inserito e che gli organizza e gli induce anche i desideri più comuni, non finisce per vomitare impotente indignate sentenze sull'ingiustizia della legge (o del mondo), come il predicatore Piotr, ma per ritrovarsi prima o poi a mangiare il panino di Jacek.

Il diritto si occupa della legge e non degli •

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Nella seconda parte di Decalogo s ("la Legge senza l'uomo") domina l'umorismo nero, un genere di comicità caratteristica dei paradossi del diritto e immancabile nel tipo del Giudice e del 11edico, che hanno l'autorità suprema di decretare o revocare sentenze di morte. Ne abbiamo un esempio quando insieme alla condanna a morte viene notificata a Jacek l'interdizione "a ..,;ta" dai diritti civili, o quando al reo vengono comminate una mezza dozzina di pene di morte o di ergastoli. L'accumulo di ergastoli e pene capitali è perfettamente logico per il diritto, per il quale la persona fisica è un semplice supporto della persona giuridica, la sola che il diritto contempli e si proponga di punire ("Non hanno condannato lei, ma quello che ha fatto", ca..,;Jia l'anima bella Piotr). Del più squisito umorismo nero è anche l'ultima sigaretta che ..,;ene offerta al condannato a morte, che la disdegna chiedendone una "senza filtro", offertagli dal boia; per non parlare del "bisogno" improvviso che colpisce Jacek nel momento fatidico e di cui gli è permesso sbarazzarsi un istante prima di essere impiccato: siamo tra gente civile, mica tra barbari!8

Solo qualche parola, per concludere, sul punto di svolta del film, vera e propria cesura costituita da una chiamata. Dall'alto di una finestra del tnòunale, a sentenza di morte appena decretata, di colpo l'avvocato d'ufficio Piotr chiama Jacekper nome: è il momento dell'agnizione. Là dove non c'era stato più nessuno a chiamarlo, là dove esisteva solo il silenzioso richiamo della sorellina morta e l'erranza omicida di Jacek in risposta, la chiamata di Piotr offre a Jacek una morte umana e dunque in extremis un nuovo desiderio di ..,;vere ("io ... non voglio!" sussurra a Piotr mentre i secondini già lo stanno afferrando). Grazie alla chiamata, il volto grottesco di Jacek, sigillato lungo tutto il film in un'apatica smorfia di disprezzo, ritrova i lineamenti umani; i suoi movimenti inerziali, in linea retta, che non conoscono ostacoli, ritrovano la misura e la distanza dall'altro uomo; la Legge del desiderio riaccende i suoi ricordi d'infanzia, ricompone i pezzi sparsi della sua vita in una storia che è la sua, gli fa ritrovare una voce per raccontarla e la richiesta di giacere in un loculo consacrato accanto al padre e alla sorellina, nel posto che era destinato alla madre. Grazie a un appello imprevisto, alla sorprendente inclusione nel desiderio di un altro, Jacek potrà avere una morte consacrata da una filiazione anziché l'orrore di una morte senza posto, errante, sconsacrata, una morte "senza fine".

È l'unica grazia che ci è fatta in un film dove non c'è alcuna speranza di uscire dal mondo degli assassini; un film lucido, dunque, perché integralmente immorale, se non fosse per l'ultima scena, dove siamo tentati di identificarci con la "fa1sa testimonianza" dell'indignato Piotr, che ci spiana la via di fuga di una comoda catarsi. ~feglio sarebbe stato, come osserva Gabriella Ripa di l\1eana, farla finita sul primo piano dell'impiccato, in quello stanzino senza finestre, senza ulteriori commenti, sans mot:

Decalogo 5 grida vendetta. Tuttavia nel suo grido non c'è che l'espressione di uno scandalo radicale che finisce per travolgere, se si prova a ignorarlo o a tradirlo9.

È proprio quel che succede se accogliamo la "falsa testimonianza"

sostenuta dalla sofisticata tesi di Piotr 10, secondo cui la pena inflitta

dal diritto non è che una forma dissimulata di vendetta sociale che trasforma l'assassino in vittima. :h-la il ricorso alla drammaturgia dell'umorismo nero e del grottesco (già presente nella scena di apertura della versione "lunga» del film, dove dei bambini hanno giustiziato tramite impiccagione un gatto reo di avere "assassinato" un topo) evita la trappola del discorso universitario sulla pena di morte, anche se alla fine Kieslo\-..-ski ha ceduto e non se l'è sentita di concludere con la violenza di Decalogo .1; forse era troppo, perché allora è a noi che sarebbe spettato il gesto iconoclasta di Krzysztof 11• J.\.ia questo cedimento è puntualmente e inevitabilmente ripagato con un'altra e ancor più insidiosa falsa testimonianza, la consolatio:

Nel prato in cui Piotr piange la fine solitaria di Jacek, [...], si spegne all'improvviso una luce. La vita e la dignità umana sono umiliate e offese, non resta che la disperazione: e anche quella sarà dimenticata12 •

'K. Kieslowsld, IC. Piesiewicz, Decalogo, cit., p. 156.

• Eduard FUchs, Tang-Plastik [La scultura dei Tang), cit. in \V. Benjamin, Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico, in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, pp. 79-123-

Memorie delle cose notabili successe in Milano intorno al mal contagioso l'aJtno z6so, del ricorso de' Signori della dttà a· Padri cappuccini per il governo del Lazzm-etto, ec. ec., raccolte da D. Pio L.\ CROCE: Milano, l!aganza 1730. 3

4

cap. XXXII.

s liborio Termine, Le trappole di Kieslowslci, Trauben, Torino 1999, p. 95. 6 Giustamente Serafino M:urri osserva che in Dwzlogo 5il delitto

è •a,nnaturato

alla \ila sociale, come ITl"Wmism.o che affonda le radici nel cuore stesso dei rapporti umani•; KrzysztofKieslowski, cit., }lilano 2002, p. 94 (corsivi dell'autore). 7 K. Kieslowsld a H. Niogret, Enretetien avec K. Kieslowski sur "Tu ne tuera. pas', in Positij, n. 332, novembre 1988. "lunga" di Breve film sull'uccidere, tagliata da Kieslowski nella versione per la tele\'lsione del Dwzlogo. 8 La scena è nella versione

9G. Ripa di l1eana, I.a morale dell'altro, cit., p.140 [edizione pdf, p. 115]. '" È così che Piotr definin la pena nel giorno del suo esame da procuratore. Questa

•teoresi" è ispirata da Il capro espiatorio di René Girard [Adelphi, J\tilaoo 1999], uscito in quegli anni, libro apertamente amminto da Piesie\\icz.

Nel linguaggio del Diritto lo potremmo definire un •delitto contro la personalità dello Stato». 11

12

s. :Murri, Krzys-ztofKieslowski, cit., p. 100.

DECALOG01

(Hybris)

Occorre molta fede per v-edere simboli in ciò che accade realmente.

Cristina Campo

Per colui che è giunto al termine di questa storia non c'è scampo, non può aver pace. Kieslo\vski fa andare gli eventi in un ordine così stringente che non si può smettere di pensare a ciò che è accaduto, pur prendendo tempo da qualcosa che insiste. Chi ha guardato questa storia fino in fondo si viene a trovare nelle condizioni psichiche di un reduce dopo l'intensità tragica dell'epilogo, di chi ha vissuto uno sfacelo e ha bisogno di riprendere le forze e il pensiero. Nessuno tratta più gli accadimenti in un modo simile, così aspro e senza riguardo: è vero, Kieslo,vski non ha nessun riguardo, non ha pietà né timore. Si può provare a banalizzare ciò che è accaduto e ridurlo a un fatto che può capitare a chiunque, alla prova più dura nella vita di un padre, un padre come ce ne sono tanti a cui capita la sventura della morte di un figlio. Chi guarda continua a ripetersi: non è colpa sua, il caso ha voluto così, non poteva farci nulla, è un buon diavolo.

Ci troviamo di fronte a una storia ordinaria che avviene in quei blocchi compatti e tutti uguali della periferia di Varsa"ia: l'ordinario viene dalle vite di condominio, fra incontri in ascensore, sui pianerottoli, campanelli che suonano, gente che spia la vita di altri; lo straordinario, invece, viene dal trattare queste storie comuni in un modo spietato, a tal punto che attraversano violentemente anche la nostra esistenza per chiamarci allo scoperto. In un episodio del Decalogo appaiono spesso personaggi di altri episodi, ci si imbatte in questa piccola comunità di persone di cui seguiamo la vita quasi al microscopio: una conduce ad un'altra, s'intrecciano, si confondono complicandoci la visione. È il modo quasi maniacale di KieslO\\'Ski di tenere tutto sott'occhio, di non mollare mai la presa e la meta a cui ha dedicato l'intera sua opera: un lavoro senza tregua contro tutte quelle barriere, quelle difese del pensiero che ci spingono a mettere a tacere, a evitare di pensare quando ci "capitano" certe cose. Le situazioni, gli accadimenti sono posti in un rilievo tale da scuoterci, da chiamarci fuori dai luoghi comuni, fino a stanarci dalla poltrona in cui ci siamo accomodati con l'idea di vedere un film. A'\'Vertiamo qualcosa di insopportabile, non vogliamo credere che sono le nostre stesse storie, che possono capitarci nella vita, quando avviene che gli accadimenti ci chiamano a decidere e ciò che abbiamo in mano per farlo non ci aiuta, gli argomenti della logica non sono risolutivi, e non serve perdersi in ragionamenti e in calcoli di

.

converuenza. Questa storia, il suo epilogo tragico, che non possiamo far finta di aver avuto davanti fin da una certa scena poco dopo l'inizio, questa storia non ci permette di tirare dritto, pretende che andiamo fino in fondo per far accadere in noi ciò che è accaduto sullo schermo. Fin dall'inizio non ci è risparmiato che un bambino è già morto, scomparso, rimpianto nello sguardo di un uomo accovacciato accanto a un fuoco, nel pianto di una donna che guarda un filmato. Sappiamo, allora, che non possiamo sottrarci davanti alla morte di un bambino. In questo incipit, come in tutti i segni e le presenze che seguiranno, il tempo rimane intrappolato, non è più possibile distenderlo in una cronologia, ciò che accadrà è già accaduto, i segni lo anticipano come un monito; non è il tempo del ricordo, che ha la sapienza di trattare l'evento e trovargli un posto; qualcosa rimane omliilmente inconcluso. Il volo di uno stormo di piccioni, il loro battito d'ali ci conduce rapidamente verso l'alto, alla finestra di Pa\vel; il suo sguardo, quello di un bambino, ci invita a stare nei suoi occhi e nei suoi pensieri, forse l'unico modo per guardare questa storia dove tutto si rivela molto più sottile di quanto sembri: la finezza di certi dettagli, dei segni che accadono, inavvertiti, sono le tracce da seguire per arrivare fino in fondo. È uno sguardo diverso quello di un bambino, che fa posto a certi fatti della realtà, a certi incontri che si presentano come stridenti, che disturbano fino a scardinare una certa forma di vita. Siamo liberi, naturalmente, di non farne nulla, di tirare dritto o di esserne angosciati e impotenti come Krzysztof, il padre di Pa\,;el.

Ci ricordiamo che Kieslo,vski amava fare il documentarista - è stata la passione inaugurale della sua opera - e dichiarava di annoiarsi a girare film dove tutto è sempre sotto controllo e in una dimensione di pre,;edibilità. Nel fare un documentario imbracciava la macchina da presa e usciva, pronto, attento a quei segni, a quei dettagli che, come una filigrana sommersa, brillano in certi istanti e mai più. Un bambino ha lo stesso sguardo, senza filtri, fulmineo, è sempre in corsa per non lasciarsi sfuggire nulla, un'attenzione che non si fissa ma è mobile; è sempre un passo avanti, corre e chiama gli altri nella sua corsa, se ne sono capaci; è disposto anche a concedere un piccolo vantaggio, pur di avere qualcuno accanto. Stiamo, allora, negli occhi di Pa\,•el, di un bambino come tanti, con un padre che lo ama, che si sente responsabile verso di lui. Fanno le cose insieme, condividono anche degli interessi, è tutto normale ma ci accorgiamo quasi subito che vivono diversamente: mentre il bambino, fin dall'inizio della sua giornata, è pronto a cogliere e a tenere quei segni di cui parlavamo, a pensarci, a fare domande, Krzysztof preferisce ignorarli, si trova a doverli subire come molesti nelle domande del figlio, che disturbano il suo risveglio. Pa,vel esce di casa una mattina e vede un cane morto, fradicio di neve, quello stesso cane che incontrava ogni giorno tra i bidoni dell'immondizia. L'incontro del bambino ha come testimone l'uomo silenzioso, nelle vesti di un vagabondo, quasi un personaggio biblico che si scalda a un fuoco in mezzo al ghiaccio e alla neve, una presenza ferma e puntuale in quasi tutti gli episodi del Decalogo. Pa,vel si ferma e accarezza il cane morto, affettuosamente, nella continuità che i bambini trovano sempre tra vita e morte; è dispiaciuto, rientra in casa con una domanda che ba la forma di quello che ba appena visto, ma il cui contenuto non è così importante. È qualcosa che strappa il padre dal suo quieto vivere, dalla lettura del suo giornale e lo chiama, non a dare delle risposte ma a essere accanto al figlio, a costruire insieme qualcosa di nuovo per entrambi. "Per questo le domande sono più nobili delle risposte - dichiarava Kieslo\\•ski in un'intervista - , e per questo le fanno i bambini". In queste occasioni, irripetibili, tra un bambino e un adulto, quest'ultimo

è chiamato ad aprirsi a una certa incertezza che lo fa figlio del proprio figlio nell'inventare qualcosa di nuovo: il bambino chiede all'altro d'intervenire proprio in quel punto che nemmeno lui, il padre, sa padroneggiare. Pa,vel, nella sua domanda, non vuole essere calmato, rassicurato, come di solito si pensa, ma vuole che l'altro stia con lui, con il suo dolore. Ecco l'errore che si fa continuamente con i bambini: anestetizzarli perché si temono i loro sentimenti, i loro pensieri. Il padre, quasi seccato dall'interruzione causata dalla domanda del figlio, accomoda la questione con delle risposte tecniche, di scienza spicciola, penose; si arrabatta per far finta che non sia successo niente, perché le cose vadano come ogni mattina, così da poter continuare in pace la lettura del suo giornale. Fissa Pav.,el come fosse un estraneo, qualcuno che non conosce e così manca

all'appuntamento con quello che il.figlio gli auevaportato, con l'inquietudine che lo incalza. Pa,vel riprova invano a stanare il padre e da questa scena iniziamo a percepire un pericolo: chi saprà cogliere tutti i segni che verranno, chi veglierà sul destino di questo bambino? Un torneo di scacchi: una ragazza appena adolescente è l'imbattuta campionessa, il padre di Pa,vel è uno dei tanti sfidanti, il bambino accanto lavora con lui, si sente la tensione allegra del suo pensiero. Suggerisce al padre la mossa vincente: è l'unica occasione, in tutto il film, in cui l'istanza del figlio è accolta senza obiezione. Kryszstof si lascia guidare dall'arguzia del bambino, forse perché si tratta "solo" di una questione tecnica, di un gioco. Pa\vel si accorge che la ragazza gioca a schemi e riesce a fregarla; ma quello che non coglie, nella sua ingenuità di bambino, è che anche il padre fa lo stesso gioco a schemi, e non solo quando gioca a scacchi. La casa tecnologica dove vivono Pa,vel e il padre, docente di

semiotica, dotata di un'attrezzatura di rubinetti e porte governata da un computer, ci indica il punto d'impotenza dell'uomo, un marchingegno informatico all'avanguardia che maschera qualcosa. Il computer si accende da solo, si attiva senza che nessuno gli abbia impartito un comando, afferma di "essere pronto". Sfugge a Krzysztof quello che sta succedendo, non capisce, è disorientato, inquieto, cerca una spiegazione che non trova. Pa,vel mostra orgoglioso alla zia quei dispositivi, svelandole solo dopo ciò di cui vorrebbe parlare. La sorella del padre entra in gioco come antagonista del fratello: offre

a Pa,vel un'altra via, a lei il bambino confida il desiderio della madre, un'incognita che Pa,vel vorrebbe conoscere e che il computer tiene in memoria, insieme ai dati della sua giornata tipo. "Cosa fa la mamma in questo momento?", chiede Pa,vel al computer? "Dorme", gli viene risposto. ~ia cosa sogna?" Il suo computer non lo sa. Il potente computer del padre, "lui si che lo saprebbe", ma il suo accesso gli è sbarrato dal padre, come lo è il suo desiderio, che Pa\,•el non conosce. "Sogna te" è la risposta consolante della zia. 1-la questo non basta: la zia è affettuosa, calda, lo accudisce con amore ma sembra temere anch'essa le domande di Pawel. Il suo volto luttuoso, anticipa, come in una delle prime scene, qualcosa che anche lei avverte, da cui vorrebbe tenere lontano Pa,vel, per salvarlo. Alle domande del bambino le risposte non sono in fondo molto diverse da quelle del padre, l'abbraccio con cui lo stringe non basterà a salvarlo. La telefonata al fratello, una sera, con la richiesta di iscrivere il nipote a catechismo, trovandogli un posto nella sua religione, è il tentativo vano di offrirgli un destino, di salvarlo. fl.{a chi veglia sul destino di questo bambino? Pa,vel desidera andare a pattinare sul laghetto e scopre in anticipo, come fa ogni bambino sveglio, il suo regalo di Natale, un paio di pattini lucenti che lo aspettano. Il padre mette in moto una procedura impeccabile per valutare la tenuta del ghiaccio a garanzia dell'incolumità del figlio: ufficio meteo, prova della bottiglia d'acqua, calcoli al computer, è impossibile sbagliarsi, tutto è a posto. l\.ia qualcosa insiste in lui, lo turba: un filo d'angoscia che non vuole confidare a Pa,vel e che mantiene segreto. La sera esce per accertarsi della tenuta del ghiaccio, lo vediamo

armato di un bastone, in un grande turbamento, che gli impedisce di accogliere ciò che lo sta aspettando quella notte: un fuoco ardente, un faccia-a-faccia con la presenza silenziosa di un uomo che sembra fatto di puro sguardo, poi una fila di persone, di tutte le età, dei volti nel buio che lui passando non smette di fissare, ma il loro sguardo è altrove, in quel punto della distesa ghiacciata in cui deve accadere qualcosa. Guardano e si tengono per mano, come unite da un legame; altre figure, in lontananza, si tengono vicine, con un lume in mano. Sono i legami che Kryszstof non conosce, una sfilata di anime morte. D'un tratto la sua colpa ci appare chiara. Fin dall'inizio della storia, Kryszstof ci è presentato come un uomo che cresce un figlio da solo e non vuole conoscere, come lo ,,iole Pa,vel, cosa sogna, cosa desidera l'altro. In quella camminata notturna è atterrito, spaesato, eppure, se solo abbandonasse tutta la superbia di chi pensa di aver sempre in mano le cose, se accogliesse i segni dell'angoscia che gli si impongono - dalla fila di queste ombre che già sanno ciò che accadrà, al fuoco ardente che scioglierà il ghiaccio - potrebbe ancora salvare il figlio. fl.ia de"'B tenere duro. Rientrato a casa, non riesce a parlare di quello che ha visto, non dice una parola sulla sua angoscia, e mente a Paw·el facendogli credere che tutto è a posto. Chi veglia sul destino di questo bambino? Anche nelle ultime scene, quando il succedersi degli accadimenti non

è più arginabile - la macchia d'inchiostro che si allarga e cade su tutto, Kryszstof che cerca di lavarsi via dalle mani quell'inchiostro, la bambina che suona alla porta e chiede di Pa\vel, la corsa dall'insegnante d'inglese in cerca del figlio - tutto questo andirivieni impotente lo porta sempre nello stesso punto, nel rifiuto di credere che qualcosa sia successo. Fino alla fine, rimane fisso nel suo pensiero che il ghiaccio non poteva rompersi, perché i suoi calcoli erano esatti. Ritto davanti alla vista dei corpi dei due bambini, mentre tutti si chinano a raccogliersi, legati nel dolore, egli si dibatte nell'ira, rimane fermo in quel posto che il primo comandamento rivela insostenibile per qualsiasi uomo. Ancora la superbia del suo essere solo, senza legami, fino alla fine, quando rovescia l'altare della l\fadonna nera. La cera dei lumi cola sugli occhi dell'icona, come lacrime, vere. "Che ci posso fare io - dice Kieslo,vski - se la cera era andata a gocciolare proprio in quel punto?"

DECALOGO 1-BIS (Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli)

Ci sono nell'infanzia terribili e indispensabili esperienze che scuotono violentemente il mondo chiuso e protetto del bambino, in cui irrompe l'estraneità di un avvenimento incommensurabile e incomprensibile, come la nascita, la morte, il godimento sessuale ... Queste esperienze sono per il bambino le occasioni per cominciare a porre delle domande fondamentali a colui o a coloro che sono supposti detenere le risposte, domande in cui è in gioco Pabbozzo di una prima separazione dal pensiero e dal linguaggio dei genitori e la difficile conquista di un'autonomia di giudizio. Alle domande di Pa\\·el - vero banco di prova del sapere del padre e nocciolo di Decalogo 1 - nate dallo sconvolgimento suscitatogli dall'incontro con un cane morto congelato vicino ai bidoni dell'immondizia, Krzysztof è incapace di rispondere su un piano diverso da quello banalmente razionalistico. "Perché la gente muore?" - chiede Pa,,vel; "Il cuore smette di pompare, il sangue non affluisce più al cervello, e così tutto finisce", risponde il padre, che, barando, sostituisce alla radicalità del "perché", un "come". Pa,vel non gli pone, infatti, una generica domanda sulle cause della morte; "Perché la gente muore?" per lui può solo sign.ificare: "Perché si 'muore come un cane•, nel freddo, nella solitudine, nell'indifferenza, abbandonato da tutti nel mezzo di un popolato condominio?" Insomma, benché Pa,vel, che vive con il padre, sia del tutto trasparente ("Chissà, sospira, se la mamma mi telefonerà per farmi gli auguri di Natale?"; ovvero: "Anch'io sono solo come un cane") a Krzysztof sfugge che il bambino si è identificato al cane morto; così la rabbia, l'indignazione, il turbamento, la profonda commozione che da lui trapelano, rimangono senza ascolto, come testimoniano le risposte che riceve dal padre, puramente oggettive, neutre e impersonali. Abbiamo qui la conferma che la domanda non è fatta per avere una risposta, che essa non mette alla prova il sapere ma il desiderio dell'altro, una verità che si palesa al massimo grado nelle domande del bambino. Non si tratta né di avere sempre la risposta pronta alle domande di un figlio, né di fare lo gnorri, lasciando cadere una domanda troppo impegnativa, che è giunta "troppo presto", ma di resistere alla tentazione di ricoprire tutta la realtà di significati e di spiegazioni; ci sono delle domande di fronte a cui si deve tacere, delle domande che impongono di ammutolire, perché qualsiasi risposta - la più intelligente, la più saggia - usurpa la dimensione di verità che le ha originate. Che cosa rivelano le domande di Pa\\•el, se non che la solitudine, come dice Genet, è la nostra gloria più certa? Che nessun Altro dell'amore risponderà mai più al suo appello di bambino se non dicendo falsa testimonianza? Ancora un passo nella direzione di questa precoce disillusione e il bambino arriverà a s coprire che questo supposto Altro dell'amore non solo è capace di omissione di soccorso ma di compiere atti di una malvagità senza limiti. "Ancora un passo" che però rischia di farlo cadere nel laghetto ghiacciato o di trasformarlo in uno Jacek (Decalogo 5). Fin da subito capiamo come il rapporto dell'adulto con questo bambino sia infinitamente delicato, arrischiato, precario, a causa del "singolare e sconcertante rapporto che Paw·el[ ... ] ha con la morte, o meglio con il desiderio di morte"1, di cui il padre e la zia non si accorgono, tutti presi dai loro principi: credere in Dio / non credere in Dio, Dio è in un abbraccio / Dio è in un linguaggio informatico. Come può un bambino avere un rapporto con il desiderio di morte? Gio,ranni Sias, dopo la lettura della prima stesura di questo testo, ha francamente ammesso che l'ipotesi del desiderio di morte nel bambino è per lui inconcepibile, chiedendone ragione. In effetti, se noi la sosteniamo possibile in un bambino, non è a causa di "traumi" legati alla sua peculiare \.ita personale, alla sua storia, e nemmeno perch.é egli ha dovuto precocemente affrontare (senza protezione) uno scandalo insostenibile per il suo pensiero; ma è a causa del fatto che il bambino scopre di essere solo a sostenere lo scandalo, scopre, cioè, che la colpa dell'adulto non è quella di averlo scandalizzato ma di non saper sostenere quello scandalo. Ed è proprio in questo essere lasciato solo che può affacciarsi il desiderio di morte, che nel bambino non si manifesta certo in forma di contrizione ma per esempio nell'indifferenza, se non nel vero e proprio sprezzo, del pericolo (}"'incoscienza" infantile del senso comune) e nell'azzardo. Indubbiamente, perché tutto questo si verifichi occorrono determinate condizioni: non condizioni "empiriche", come abbiamo detto, ma piuttosto la mancata vigilanza che non ha preservato il bambino da un sapere troppo precoce: Chi invece scandalizza anche

uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che glifosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. (Matteo, 18,6) Di che scandalo si tratta? Lo abbiamo visto: - la non risposta dell'Altro dell'amore all'appello del bambino, che rimane nell'Hiljlosigkeit, parola eminente dell'etica freudiana, cioè nell'abbandono e nella solitudine assoluta, senza soccorso e senza ricorso2 •

'

- la scoperta della malvagità "oscena e feroce" che alberga nel cuore umano. Pa\\•el, come tutti i bambini, non sa ancora significare la sua terribile scoperta, non sa che cosa lo sconvolge così tanto. Con le sue domande incalzanti non cerca delle risposte, meno che mai delle consolazioni, ma di accertarsi che anche il padre sia a conoscenza di quello scandalo, di come "i abbia reagito, di come abbia potuto tollerarlo, di come abbia potuto sopravvivervi. L'errore fondamentale del padre è invece di cercare di dare delle risposte, delle spiegazioni che, stupide o intelligenti, ignoranti o "informate"', suonano inevitabilmente a Pa,,•el non solo come terribilmente insoddisfacenti ma come false testimonianze. Il padre, scopre Pa\vel, nel suo goffo sforzarsi di rispondere, non sa, non ha voluto sapere, non vuole sapere. È questo a perdere il bambino che, rimasto solo a sostenere l'insostenibile, a un certo punto può lasciarsi andare al desiderio di morte.

Il peggio non è lo scandalo. Se il bambino ottenesse una prova che l'altro con cui si confida fosse anch'egli passato per lo scandalo, non solo riuscirebbe a sostenerlo ma, grazie alla conoscenza dello scandalo, potrebbe più facilmente separarsi da lui, "lasciare il padre e la madre" e conquistare una sua autonomia. Invece qualcosa in Decalogo 1 non passa tra il padre e il figlio, tra il figlio e il padre, e rimane nell'inconscio. Lo vediamo nel dialogo decisivo sul cane morto, dove Krzysztof elude

completamente l'emergenza dell'ira in Paw·el. Quest'ira è ciò che tende ad articolarsi in parole per significare lo scandalo e aprirsi un varco verso la sua denuncia. È il punto nodale, ciò che viene mancato. Non è un caso se in tutti i luoghi in cui nel Vangelo ci si riferisce allo scandalo, l'ira è incontenibile e il linguaggio parossistico: Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella uita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. (Mt., 18,8) E

se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco. (Mt., 18,9) Ciò che in questi e in altri passi bisogna osservare, è il nesso tra lo scandalo e l'ira, e l'estrema violenza del linguaggio, assai prossima all'atto. Krzysztof ignora Pira di Pa,vel fino a quando, anche se troppo tardi, arriva finalmente a riconoscerla in sé. Da qui l'acuta osservazione di Gabriella Ripa di Meana:

I personaggi di questo film vedono franare col ghiaccio del laghetto, il sistema di certezze con cui plasmavano il proprio destino. La morte del bambino introduce una dimensione di esilio radicale dalle rappresentazioni dell'essere. Non c'è

punizione, ma agnizione3.

L'autrice commenta così il gesto finale di Krzysztof, che nella sua ira abbatte l'altare della I\fadonna nera di Czestocho,\'a:

Il gesto iconoclasta di Krzysztof, sbalordito e scandalizzato da quanto è potuto accadere4, rappresenta con efficacia ciò che resta del soggetto dell'inconscio di fronte alla rappresentazione dell'impossibileS.

Contrariamente a tanti commentatori che hanno visto nel gesto di Krzysztofla capitolazione del suo ateismo ("Tu hai voluto portarmelo via") l'ira è appunto il segno non della "punizione" che Krzysztof avTebbe subito, ma della sua "agnizione": il riconoscimento di qualcosa che, di padre in figlio e di figlio in padre, solo ora è passato.

1

Gabriella Ripa di Meana, La morale dell'altro, cit, p. 42 [edizione pdf, p. 30].

2

Hilflos, »senza aiuto".

p. 49 [edizione pdf, p. 36) corsivi miei. L'agnizione, dal latino agnitio, riconoscimento, è descritta da .wtotele nella Poetica come un improv,iso e inaspettato riconoscimento che determina una svolta decisiva nella tragedia antica. 3 Ibid.,

tratta dello stesso sbalordimento e dello stesso scandalo pro\rato da Pawel, ma che "non passa" nel padre. 4 Si

s Ibid., p. 51 [edizione pdf, p. 38] corsi\1 miei.

DECALOG03

(La ripresa)

Un uomo e una donna legati cercano di slegarsi e gridano che li sleghino subito. O io mi sbaglio o sono due sposati per forza.

F. Goya, Caprichos, n.75, No hay quien nos desate? ("Non c'è nessuno che ci sleghi?")

Decalogo 3 è considerato unanimemente un film "sulla solitudine, sulla scommessa che la solidarietà esiste ancora e sullo spendersi per gli altri", anche a costo di lasciarsi trascinare fuori di casa e abbandonare la famiglia la notte di Natale, coinvolti in un assurdo giro a vuoto privo di qualunque attrattiva. Formalmente, pur non mancando di originalità, il film pagherebbe dazio a un certo filone di genere - quello della "solitudine esistenziale" - che segue convenzioni piuttosto diffuse. Sarebbe infine un film "irrisolto" sia sul piano della forma che del contenuto (sempre che si accetti una simile distinzione) e per certi versi irritante (anche se nessuno, a parte la sua supposta "inconcludenza", ha saputo precisare in che cosa lo sia); in ogni caso, l'episodio senza dubbio meno riuscito della serie1• Ritroviamo dunque tutti gli elementi della falsa testimonianza: proprio come Decalogo 1 (solo per fare un esempio) ci parla di cosa succede "Quando Dio è un computer", il tema di Decalogo 3 potrebbe intitolarsi "Depressi il dì di festa»2 • l\fa ancora una volta ciò che ci è dato da vedere, la prospettiva centrale a cui ci identifichiamo, così nitida, è distorta da qualcosa che in Decalogo 3 non si manifesta attraverso dei particolari incongruenti, come abbiamo visto per altri episodi, ma piuttosto nell'estetica del film. In effetti, il nostro sguardo viene ammaliato da una girandola di luminescenze - lampade, fanali, lampioni, candele, semafori, addobbi natalizi - che si riflettono sulla superficie di vetri, finestre, parabrezza, asfalti bagnati; tutto uno scintillio di luci colorate e intermittenti che forma una sorta di sfondo flou s u cui si stagliano i volti rigidi, marcati, tesi e disfatti dei protagonisti, insistentemente e perfino crudamente ritratti in primo piano dalla macchina da presa. È come se al di là del dramma incarnato da quei volti scavati e consunti - resi ancora più crudi dalle frasi aspre e violente con cui i due amanti di un tempo si lacerano mentre attraversano il paesaggio gelido e desolato di una Varsa\-ia deserta - ammiccasse, irraggiungibile, il perduto incanto di una fiabesca Notte di Natale così come può apparire agli occhi di un bambino non ancora strappato al tempo dell'infanzia. Certamente, nessuno potrà mai più ri\-ivere quella visione incantata come ha potuto farlo una volta, nel tempo mitico dell'innocenza; ma a chi non ha rinunciato a forzare i propri limiti e a cercare la verità, come Janusz e E"•a in quella folle notte, può capitare di scorgerne lo scintillio con la coda dell'occhio, come per certe stelle del firmamento invisibili a uno sguardo diretto.

La fiaba, che racconta in mille varianti l'impresa di far ritornare in vita il desiderio mortificato, è l'ispiratrice segreta di Decalogo 3: per liberarsi dal sortilegio che li ha stregati, Janusz e E,va devono affrontare prove fatali che mettono a repentaglio la loro vita, mentre vanno incontro, armati solo di astuzia e coraggio, a quell'ora fatidica che segna il limite oltre il quale tutto è di nuovo posseduto o tutto è definitivamente perduto.

"È come quel gioco", ricorda E,-..-a all'alba, quando tutto si è ormai concluso e lei e Janusz hanno infranto il maleficio che li teneva incatenati al cadavere del loro antico amore,

in cui se sbuca da dietro l'angolo un uomo avrai fortuna, se sbuca una donna no. Lo conosco - risponde Janusz - chiudo gli occhi e faccio un passo sul marciapiede, se finisco dentro la lastra la giornata andrà bene, se invece tocco un bordo andrà male.... Ci ho giocato oggi- conclude E,\'a -. l\1i sono detta che se fossi riuscita a passare con te la notte, fino alle sette del mattino ... non importa in che modo ...3.

In un tempo profano e profanato dove la festa è senza liturgia e senza consacrazione, Ev.·a offre a Janusz l'esperienza favolosa di cosa significa santificare la festa . A chi, trascinato fuori dal desco familiare e gettato negli orrori della notte di Natale - tra ospedali, centri di disuassefazione, morgue, tunnel senza uscita, stazioni ferroviarie -

ritenendosi complice e vittima di una folle peregrinazione continua a domandarsi: "che cosa ci faccio qui?" e vuole solo ritornare al più presto a casa, Decalogo 3 grida che non si può, ogg~ santificare la

festa in nessun altro modo. Solo così, da una , ruota celebrazione di routine si può precipitare verso un incontro con la verità del proprio desiderio:

Perciò, sembra suggerire Kieslow·ski, la vicenda di Janusz e di E\\•a [... ] è il racconto di una notte vuota e senza senso, il cui svolgimento rende possibile ai protagonisti un mutamento che, nel cantuccio colmo di una canonica festività, non si sarebbe verificato mai. [... ] Janusz ed E,va - segregati, loro malgrado, in un vincolo asfittico tempestato di fantasmi - arriveranno a tollerare una liberazione reciproca, proprio in virtù di quella corsa all'impazzata verso l'annicliilimento4.

Scopriamo allora che cos'è veramente in gioco in Decalogo 3: la

ripresa del desiderio attraverso l'invenzione di uno stratagemma rischioso, di un vero e proprio azzardo dove viene messa a repentaglio la vita. Alla fine del film, dopo aver raggiunto il suo scopo (trattenere con sé Janusz per tutta la notte fino alle sette del mattino), E,\•a estrae dalla tasca una pillola di cianuro e la lasc.ia cadere per terra: solo omettendo un fatto di questa portata ci si può immaginare che tutto quello che lei voleva da Janusz fosse una testimonianza di solidarietà o un conforto alla sua solitudine. Quando mai chi vive nella solitudine, anche quella più disperata e desolata, corre il rischio di mettere in gioco la propria "'vita? Al contrario, la vita la si rischia proprio perché si vuole rimetterla in gioco. Se rischiamo di affidare la vita al caso (ma non senza affidarci anche a tutte le nostre risorse: il coraggio, l'astuzia, la prontezza, la destrezza), è perché, come dice Kierkegaard, non accettiamo più che "la vita si riprenda tutto spietatamente e

perfidamente senza mai darci una ripresa.» La ripresa del desiderio si può pagare anche al prezzo del sacrificio dell'amore, quando l'amore si sostiene sul tradimento del desiderio. È questo a fare la differenza tra Evw·a e Janusz (che pure ne è attratto e tentato), che alla fine ritornerà diligentemente a rinchiudersi nel suo inferno domestico; più nessun sussulto nella vita di questo bravuomo che "cade comunque in piedi'\ che va premurosamente a "ritirare i vestiti dalla lavanderia", ma che pure abbiamo visto per un momento, grazie alla chiamata di Evira, ricominciare a desiderare, contrapporsi forte e coraggioso al guardiano sadico del centro di disassuefazione e rischiare in auto per due volte la vita per niente, per il desiderio di E,va: è l'unica scena erotica del film e forse di tutto il Decalogo, che non svende l'eros a buon mercato. All'inizio di Decalogo 3 Janusz incontra sul portone del condominio Sto,vski il protagonista di Decalogo 1, Krzysztof. ~lentre uno esce l'altro entra, come a sottolineare un passaggio di consegne. Krzysztof, si legge nella sceneggiatura, "segue Janusz con lo sguardo. Uno sguardo che può capire chi ricorda la recente tragedia del laghetto. Janusz non si accorge di quello sguardo, né ricorda la tragedia"5. Qual è il nesso che lega Decalogo 3 a Decalogo 1.? Quando incontra Krzysztof, Janusz è vestito da Babbo Natale, con tanto di barba bianca posticcia, voce artefatta da "vecchio» e cesta carica di doni per i figli. Dopo averli dispensati, mentre si sta struccando la moglie lo ringrazia per essersi prestato alla tradizionale pagliacciata. Ecco il punto: là dove Krzysztof è uscito suo malgrado, con il suo gesto iconoclasta, dalla recita del padre (e ifichal, in

Decalogo 4, non gli è da meno), Janusz vi entra bardato di tutto punto. E nonostante l'occasione che E"A'a gli offre di distruggere gli idoli del dì di festa, alla fine ritorna dalla moglie e decide di "non uscire mai più". Per quanto ci si arrampichi sugli specchi per costruire un compromesso, il desiderio non ci lascia alternative: o la sua rinuncia, ricompensata con il Bene da dispensare a piene mani ai propri "cari"; o la sua ripresa, a costo di ritornare a mani vuote in una casa deserta senza essere più nel ricordo di nessuno.

Riassumiamo varie recensioni a De(;alogo 3 uscite su quotidiani e riviste, in particolare quella di Francesco Bolzoni, Rivista del Cinematografo, n. 5/1990. 1

~ Elisa Lucchesini, nella sezione Psicologia del sito "Dica 33",

http://www.di", l'amore nella Legge, dove ci si fa carico di tutte le conseguenze dei propri atti sulla vita degli altri. Sono questi i temi che tutti i commentatori, concordemente, hanno isolato e descritto, lasciandosi portare docilmente là dove volevano gli autori. Proprio per questo suo messaggio così cristallino, che si sposa perfettamente con la sua bellezza estetica - la contrapposizione tra gli interni blu-nero e rosso-cupo, gli avvolgenti fondali notturni, lo strascico delle luci, il sapiente gioco delle immagini dei volti riflessi su vetri e finestre - Decalogo 6 ci si offre come una pietra preziosa che ci abbaglia con le sue marezzature, ma che rimane sigillata e superbamente isolata in una teca. In effetti, abbiamo la sensazione di trovarci, rispetto al film, nello stesso posto di Tomek rispetto a ~lagda: ammiriamo un "bellissimo oggetto" in cui ci rispecchiamo e ci identifichiamo, ma senza andare oltre la sua contemplazione sterile; come se, rispetto agli altri episodi della serie, mancasse un>effrazione, un taglio, che anche quando è praticato, come quello che lacera i polsi

di Tomek, non è mai "niente di serio" 2 • Che stia proprio in questo il nocciolo del film? Questa sensazione è acuita (stavo per dire aggravata) dalle dichiarazioni di Kieslo,\>'ski sul bisogno di attenzione e di comun1caz1one:

Dietro le finestre di ogni palazzo c'è qualcuno a cui vale la pena di dedicare un'ora e mezzo di attenzione[ ... ] se per qualsiasi motivo potessimo dedicare un po'di attenzione a chi ha bisogno di quest'attenzione, senza magari neanche rendersi conto di averne bisogno, e quindi, grazie a questo, riuscissimo ad aV\>icinarlo per un momento, avremmo raggiunto ... la comunicazione. In questa comunicazione, in questo piccolo scambio di frasi, o di sguardi, nel toccarsi la mano, in tutto questo, si manifesta all'improvviso la possibilità di un'apertura. Un'apertura verso il meglio3.

Un'apertura verso il meglio: quale "meglio"? Possiamo accontentarci di ridurre "il senso profondo che anima la concezione dell'intero

Decalogo" a una Einfiihlung, a un "patimento in comune" che, infrangendo l'incomunicabilità, ci permette una "comprensione" deli>altro, «per avvicinarlo e renderlo simile"?4 È il momento di tagliar corto e di ricordare l'osservazione di Liborio

Termine che abbiamo posto in epigrafe a questo opuscolo:

Diffido delle dichiarazioni di poetica degli autori - e di quelle di Kieslo"'ski in particolare. Le intenzioni di un autore, quel che ha voluto dire e ha detto, non sono cose che l'autore dice con l'opera; ma realmente, sono cose che dice l'opera, anche all'insaputa dell'autore stessos.

In effetti, tutto il Decalogo mostra, contro le dichiarazioni del suo autore, non lo sforzo per rompere Fincomunicabilità ma l'inganno della comunicazione, la menzogna insita nel voler "comprendere" gli altri, nel "patire in comune" con loro per renderli simili a noi. Quando Tomek dice improvvisamente a 1\1agda, sconcertandola: "Ieri sera lei ha pianto!", commette il suo primo atto impuro: il candore di quella frase, la sua sincera com-passione, dissimula la seduzione; non si tratta di un atto libero ma di un atto compulsivo, oltre che pervasivo, un atto che sancisce un'appropriazione, una padronanza. Eppure, nella logica della comunicazione, che è quella dell>Io e dell'identificazione, ci caschiamo tutti, irresistibilmente, perché quelle parole ci commuovono come se fossero vere e come se fossero state pronunciate da un'anima disarmata, che non sa fare a pugni, e che può solo incassare, inerme, umiliazioni e cattiverie. Ecco perché se qualcosa della verità può essere condivisa, se può "passare» da un soggetto all>altro, non è attraverso la comprensione, ma a nostro malgrado, a nostre spese, e perfino contro di noi proprio come nel Decalogo passa qualcosa della verità contro le intenzioni e le dichiarazioni del suo autore sulla sua opera; proprio come la verità del desiderio passa attraverso un lapsus, contro le intenzioni di chi parla. Per questo Decalogo 6 non ci sembra né un film sugli atti impuri né un (breve) film sull1amore, come è stato intitolato nella sua versione

"lunga", quella che ha aperto al regista polacco (insieme alla versione "lunga" di Decalogo 5), la via dell'"occidente" e del meritato successo internazionale. Ci sembra piuttosto un film che tratta dei rapporti di potere, in particolare di quello originale e più potente di tutti: il potere della ?.1adre; è il motivo per cui l'abbiamo collocato dopo Decalogo 7 e

Decalogo 9, a conclusione di un ideale trittico. L'oggetto del desiderio di questa storia non è il corpo traboccante sensualità di tlagda, B.F.L.D.S., ma il corpo asessuato, ·virginale, impotente, "libidicamente morto» di Tomek. Un corpo offerto al vampirismo di una vice-madre - la vecchia padrona di casa - che Yigila implacabilmente su quel corpo, ormai sua proprietà privata, conquistato servendosi astutamente della complicità involontaria ma decisiva dell'ingenua 11agda, manovrata ad arte per fare da esca all'abboccamento di Tomek ("l\fi curerò io di lui adesso"6). Il gesto con cui la "padrona"7 interpone le proprie mani a quelle di l\f agda (scena che ritorna due volte, all'inizio e alla fine di "Breve film sull'amore"), per quanto lieve e delicato è una barriera invalicabile per

il debole desiderio di quest>ultima, che desiste immediatamente dal cercare di raggiungere i polsi tagliati di Tomek per accarezzarli. Questa storia, che inclina all'amore filadelfico dove non c'è traccia della passione tra un uomo e una donna, passione "sublimata» in venerazione sororale (si pensi al finale di "Breve film sull'amore"8), si conclude senza il più piccolo gesto di rivolta, col trionfo di una 1\1:adre che gode di un figlio castrato, mentre Jviagda, che ha rinunciato completamente a lottare, è ormai convertita agli ideali del utomekismo", che sono poi i nostri: compassione, comprensione, ricerca della comunicazione, "condivisone della vita come solidarietà". Questa resa incondizionata al desiderio della 11 adre è efficacemente accompagnata, come una "sigla", dal dolente pizzicato per chitarra classica di Preissner; le teste chine e gli sguardi bassi di Tomek e l\fagda, ci parlano alla fine di un sentimento comune che è perfettamente connotato da una parola ormai caduca, in cui riconosciamo uno degli affetti che suggellano la rinuncia al desiderio ("Non la guardo più"): la mestizia.

1

2

S. l-lurri, KrzysztofKieslowski, cit., p. 101 (corsivi dell'autore).

K. Kieslowski, K. Piesie\\icz, Decalogo, cit, p. 233.

Kieslowski, K. Piesiewicz, Tre colori: Blu, Bianco, Rosso, Bompiani, i·filano 1994, p. 311. 3 K.

Cfr. l'appassionato commento a Deca.logo 6 di Chiara Simonigh, La. danza dei miseri destini. Il Decalogo di KT'Zgsztof Kieslowski, p. 187 e sg. 4

5 liborio Termine, Le trappole di Kieslowski, 6 K. 7

cit., p. 94 (corsivi dell>autore).

Kieslowski, K. Piesie\\icz, Decalogo, cit., p. 233.

Così chiamata nella sceneggiatura: "la padrona'\ senz'altra specificazione,

straordinariamente interpretata da stefania h\inska. 8 Attraverso il cannocchiale della stanza di

Tomek, llagda guarda la propria stanza, dove, sola, piangente, sconsolata, la bottiglia del latte rovesciata sul tavolo su cui è china, immagina l'arrivo di Tomek che le accarezza la nuca confortandola.

DECALOGO10

(Tirarsi fuori)

Se per entrare in possesso dei suoi beni bisogna aspettare la morte del padre, i figli :finiscono inevitabilmente (sia pure nell'inconscio) per augurargliela. Ecco perché per i figli l'eredità resta di proprietà del padre anche dopo la sua morte e si porta dietro qualcosa di illegittimo e di colpevole, quando addirittura non porta essa stessa la morte 1 • Non è dunque un caso se la storia scelta per rappresentare il decimo Comandamento riguarda paradossalmente proprio l'eredità patema (così come nel nono la "donna d'altri" è la propria moglie): in che modo i figli possono entrarne in possesso senza che appaia loro come "roba d'altri"? Non basta che un padre adempia ai suoi doveri, che sia presente, che ami protegga e comprenda un figlio. Decalogo 10 ci parla di uno scandalo: per un figlio, al di là dell'amore del padre - di quella nostalgia del padre, Vatersehnsucht, che, ci dice Freud, è all'origine della religione - c'è il suo desiderio, per il quale

il soggetto lascia, sia pure con acuto dolore, che siano in perdita gli oggetti che ama, mentre nel perseguimento del Bene [... ] si attacca all'oggetto e accetta, con le bugie della rassegnazione, che in perdita sia il desiderio 2 •

Così fra il latte per il figlio e i colori per il quadro, osserva Freud, l'artista non ha dubbi: il denaro, che non basta per entrambi, va per il colore3. Fuoco e fiamme: chi può tollerare oggi un simile scandalo? Là dove un biasimo plebiscitario ha il dovere morale di stroncare senza indugio un padre tanto ignobile, noi troviamo in Decalogo 10 questo dialogo tra fratelli:

Jerzy - [... ] ~iamma vendette l'orologio per comprare da mangiare... e lui si comprava i francobolli. Non gliene importava niente ... di niente al mondo. [...] Artur - ~fi piace il tipo.

Jerzy- Quale? Artur - Il vecchio. Si è tirato fuori così in maniera tanto

semplice... niente polverine, niente bere, niente iniezioni. .. 4

"Si è tirato fuon-»: non si tratta nemmeno più del padre (che non ce ne

sia più bisogno?) ma semplicemente di un "tipo" ("~fi piace il tipo"), cioè di qualcuno, uno qualunque, che ne sia stato capace. Da quel momento anche i figli, che all'inizio si presentano senza desiderio, possono tirarsi fuori dalle loro vite fallite, fuori dalle loro vite vissute fino a quel momento come roba d'altri. Così Artur, rifiutandosi di partire per l'ennesima tournée con il suo complesso rock, dirà di no a una vita che pretende di fare degli ideali delPinconcludenza e del carpe diem. gli strumenti

dell'anticonformismo; e Jerzy facendosi buttare fuori di casa dalla moglie dirà di no alla sua vita di impiegato dalle ambizioni piccolo borghesi5. L'essenziale di Decalogo 10 - Non desiderare la roba d'altri, è tutto in questo "si è tirato fuori", che un "tipo" ha lasciato a "due" che, per averne saputo fare la loro vera eredità, roba loro, lo hanno riconosciuto alla fine come un pache. Decalogo 10 rende esplicito ciò che rimane implicito in tutti gli

episodi precedenti: desiderare vuol dire "tirarci fuori", attraverso un'occasione, un pretesto, perfino un artificio (una bugia, una lettera, una sentenza di morte, un francobollo ...). Da che cosa? Anche se siamo disposti a fare e a subire di tutto pur di stare "dentro", tra tutte le ignoranze questa è l'unica veramente imperdonabile! ~folti i chiamati (fuori), pochi gli eletti, dice l'apostolo, che non mancava di umorismo; avrebbe dovuto piuttosto dire: "Molti i chiamati, pochi i reietti.,,. A che prezzo si paga l'elezione? Con la perdita dell'amore, di un figlio, della stessa vita; con la rottura dei legami familiari, con un'accusa di infamia, con lo sradicamento da tutto. Chi potrebbe mai volerla allora? E perché dovrebbe volerla? Kieslo,vski risponde brutalmente: !>elezione, il desiderio, il "tirarsi fuori", non lo si vuole se non malgré soi, nostro malgrado. Ci riesce E,,•a in Decalogo 3, a mani vuote, ma non Janusz, che tradisce la chiamata del proprio desiderio: "Non uscirò mai più". Ci riescono Michal e Anka (Decalogo 4), quando infrangono il tabù dell'incesto; Jacek (Decalogo 5) - non fosse che per la mezz'ora di vita che gli resta-; ~fajka perfino (Decalogo 7) e a che prezzo! E il vecchio sarto, tagliato fuori da tutto (Degalogo 8), per finire con Artur e Jerzy (Decalogo 10), ancora a mani vuote. E incredibilmente ci riesce anche Krzysztof (Decalogo 1) al prezzo più alto, con le mani più vuote di tutti. E anche l'altro Krzysztof, non disposto, alla fine, a barattare lo scandalo più intollerabile con le lacrime della falsa testimonianza, "perché, nell'universo di Kieslo,vski , ciò che manca in maniera radicale è proprio l'inganno della consolazione"6•

Si legga l'esemplare L'eredità Ferramonti (1884), di G. Carlo Chelli, da cui ~lauro Bolognini ha tratto un bel film nel 1976. 1

2

G. Ripa di ~leana, La morale dell'altro, cit., p. 208 [edizione pdf, p.174].

questo punto ha particolarmente insistito Giovanni Sias nel suo libro La follia, di prossima pubblicazione presso Alpes Edizioni: "La follia è tale perché nell'amore verso la cosa si è governati da una dedizione assoluta: non vi è più coniuge né figlio, né padre né madre, né confessore né padrone. Freud lo precisava bene con un1.ID.IIlagine tremenda: fra il latte per il figlio e i colori per il quadro l'artista non ha dubbi: il denaro, che non basta per entramb~ ser\'e per il colore". 3 SU

4

K. Kieslowski, K. Piesie,,.icz, Decalogo, cit, pp. 155-56 (corsivi nostri).

s Nel film Kieslowski ha tagliato completamente questa parte della sceneggiatura, benché non sia difficile intuire l'esito del matrimonio di Jeny attraverso gli accenni al suo rapporto con la moglie e il modo in cui è trattato nei suoi rientri a casa. 6 liborio Termine, Le

trappole di Kieslowski, cit., p. 112.

BIBLIOGRAFIA

Testi citati

Kieslowski, I