Ustica 40 anni dopo. Riflessioni su un caso aperto 8894926354, 9788894926354

La sciagura di Ustica (27 Giugno 1980) non è stata solo un dramma per le vittime e per i loro parenti, che ne hanno soff

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Ustica 40 anni dopo. Riflessioni su un caso aperto
 8894926354, 9788894926354

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FRECCE; 11

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Claudio E.A. Pizzi

USTICA 40 ANNI DOPO Riflessioni su un caso aperto

LoGisma editore

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Claudio E.A.Pizzi, Ustica 40 anni dopo. Riflessioni su un caso aperto (Frecce; 11) Copyright © 2020 – Claudio E.A. Pizzi LoGisma editore – www.logisma.it Isbn 978-88-94926-35-4 Stampato in Italia nel mese di maggio 2020

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SOMMARIO

Premessa

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1. Wikipedia sulla strage di Ustica. La doppia Wiki-verità . 1.1. Il metodo di Goebbels e il caso Ustica . . 1.2. Wikipedia in lingua italiana come fonte di informazioni su Ustica 1.3. Il caso Ustica nella voce di Wikipedia in lingua francese . 1.4. Il caso Ustica nella voce di Wikipedia in lingua inglese . 1.5. Raffronto comparativo tra le voci esaminate . .

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2. Il caso Ustica. Una nota su ciò che i media non dicono .

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3. Ustica. “Strane morti” e morti non sospette . . 3.1. I decessi sospetti “collegati ad Ustica” . . 3.2. Dai casi di Marcucci e Dettori alla strage di Ramstein 3.3. “Strani morti” fuori dai confini nazionali . .

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4. Il disastro di Ustica e quello di Capoterra: un confronto fotografico

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5. Il missile di Ustica e il mostro di Loch Ness . 5.1. Misteriose entità subacquee . . 5.2. In cerca di tracce . . . 5.3. Come salvare l’ipotesi del missile . 5.4. Il missile di Ustica nelle cronache giudiziarie 5.5. Recenti sviluppi . . . .

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6. Il caso Sandlin e l’inchiesta su Ustica . . 1. L’intervista di Purgatori a Sandlin . . 2. Il caso Sandlin visto attraverso Facebook .

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7. Ustica, Smolensk e il caso Bakkusch . . . . 7.1. La sciagura di Smolensk e l’accertamento delle cause . 7.2. L'intervista a Bakkusch su Ustica e la dissidenza libica . 7.3. Il basso Tirreno come luogo di deportazione . . 7.4. Più bomba che missile . . . . . 7.5. Riflessioni congetturali su alcune coincidenze cronologiche 7.6. Very Strong measures . . . . . 7.7. Le indagini su Smolensk e quelle su Ustica: un raffronto .

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8. Ustica e Bologna. Storia di un testimone scomparso . 8.1. Gheddafi e Jalloud: una coppia affiatata, o forse no 8.2. Ascesa e discesa di Jalloud . . . 8.3. La metamorfosi di Jalloud . . . 8.4. Jalloud nell’anno delle stragi . . . 8.5. Ustica: un delitto per procura? . . .

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9. La percezione del caso Ustica nel popolo del Web 9.1. La manipolazione del consenso nel caso Ustica 9.2. Quelli che “È risaputo che” . . 9.3. Apprezzamenti, invettive, insulti . . . 9.4. Ricostruzioni personali . 9.5. Commenti su Ustica in lingua inglese . 9.6. Un bilancio semifilosofico . .

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Nota biografica

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Indice dei nomi .

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PREMESSA

Sul disastro di Ustica, come si sa, è stata prodotta una mole di materiale cartaceo, mediatico e artistico così imponente da far pensare che il caso Ustica sia un labirinto senza via d’uscita o un gioco infinito di scatole cinesi. Questa impressione è comprensibile, ma a mio giudizio errata. È sconfortante, almeno per me, sapere che ci sono concittadini preparati e colti che ripetono frasi come «Ustica resterà sempre un mistero» o «la verità su Ustica non verrà mai a galla». Nelle mie intenzioni, i vari capitoli di questo libro vogliono trasmettere in modo più o meno implicito un messaggio che va nella direzione opposta. Alla base di ciò che vorrei comunicare al lettore sta innanzitutto l’idea che gli elementi in grado di consentire una ricostruzione corretta dell’incidente, anche se limitati, sono stati sostanzialmente acquisiti. Questo assunto preliminare si associa a un’altra convinzione: che se si riuscisse a rimuovere la pesante coltre di falsità, di invenzioni e di semplificazioni che si è sedimentata per decenni sul caso Ustica, verrebbero alla luce molti tasselli del puzzle grazie ai quali si raggiungerebbe un quadro completo tanto delle cause tecniche che delle responsabilità. Nel luglio 2010 si è tenuta, al Politecnico di Torino, una giornata di studio dal titolo “Ustica: la scienza ha ancora qualcosa da dire?”. A parte due speakers invitati in qualità di “consulenti e giornalisti freelance”, gli esperti presenti erano docenti di materie come Scienza delle Costruzioni, Sistemi Radar, Fisica della Materia, Tecnologia del Materiali Metallici e Chimica degli Esplosivi. Purtroppo le divergenze che emergevano tra questi esperti qualificati erano tali da lasciare perplesso il pubblico sull’attendibilità complessiva dei risultati raggiunti e, quel che è peggio, non offrivano affatto una buona immagine di quella che vorremmo continuare a chiamare scienza. Alla luce di quanto detto, se si dovesse organizzare un altro convegno su Ustica, il mio modesto consiglio sarebbe quello di ampliare gli orizzonti e di invitare, in luogo di giornalisti freelance, anche esponenti delle cosiddette scienze umano-sociali, e in primo luogo sociologi, massmediologi e internettologi. A loro si dovrebbe chiedere di spiegare come è possibile che, ad esclusione dei pochi che sono arrivati allo scetticismo estremo su una possibile verità, su Ustica si sia formato un pensiero unico diffuso che non ha nessun rapporto con i fatti accertati e, a ben vedere, nemmeno con quanto stabilito dalle diverse sentenze dei tribunali. Al proposito mi limito a constatare, per fare un esempio, che idee come quella di un Mig che sarebbe caduto sul-

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la Sila la notte stessa della sciagura o quella delle “strane morti” seguite all’incidente continuano a occupare l’immaginario collettivo, pur essendo ormai abbandonate anche da quei magistrati dell’area civile che, in spregio a quanto stabilito da precedenti sentenze penali, propugnano la tesi di una battaglia aerea nei cieli di Ustica. Se a questo ideale convegno si volesse poi invitare un metodologo, anche a costui si potrebbero fare delle domande interessanti. Gli si potrebbe chiedere, per fare un esempio, come è possibile che, in nome dell’oggettività della scienza, gli specialisti stranieri chiamati a dare un responso tecnico abbiano giudicato alla quasi unanimità “tecnicamente sostenibile” una sola ipotesi – quella dell’esplosione interna – mentre gli specialisti italiani si sono divisi su ipotesi diverse con toni aspramente polemici. Oppure gli si potrebbe chiedere di illustrare le patenti incongruenze metodologiche che si riscontrano nelle relazioni giudiziarie – come, per fare ancora un esempio, quella con cui si afferma che in quella fatidica sera c’era un “anormale” movimento di aerei nel mar Tirreno, senza che nessuno abbia mai pensato di accertare qual era il “normale” movimento di aerei in quel periodo dell’anno e in quella particolare area del Mediterraneo. Queste sono solo alcune delle domande che gli eventi di Ustica continuano a suggerire, e sono una delle motivazioni di questo libro. Libro la cui origine è in qualche modo legata a un libro precedente che ho scritto sul disastro di Ustica, Ripensare Ustica, pubblicato nel luglio 2017. Nel febbraio 2018 ho pensato di aprire un blog con l’idea di pubblicare aggiornamenti del libro, recensioni ricevute ed eventuali risposte a critiche e commenti. Il blog, intitolato “Riflessioni su Ustica”, è tuttora accessibile al sito www.claudiopizziit.wordpress.com. A partire dal giugno 2018 ho cominciato a caricare sul blog non solo annotazioni ma veri e propri articoli, inizialmente con lo scopo di sviluppare alcuni spunti che in Ripensare Ustica erano solo accennati. Con l’andar del tempo questi articoli hanno preso forme più elaborate e sempre più sganciate dai temi del libro. In tal modo, quasi inavvertibilmente, nel giro di un anno mi sono ritrovato ad avere in archivio del materiale che poteva essere usato per una nuova pubblicazione a stampa molto diversa dalla precedente. Il libro pubblicato grazie alla disponibilità dell’editore LoGisma vuole rivolgersi a un pubblico più ampio di quello a cui era destinato Ripensare Ustica. Da questo differisce infatti per gli argomenti e anche per certi aspetti formali: contiene fotografie e immagini, cerca di limitare al minimo l’uso delle note a piè di pagina e, nei limiti del possibile, anche dei tecnicismi. Ripensare Ustica conteneva delle analisi prevalentemente filosofiche, mentre qui il mio obiettivo è stato soprattutto quello di richiamare l’attenzione su un certo numero di fatti, informazioni e dati che, essendo poco noti, si prestano

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ad allargare il campo delle ipotesi e delle possibili riflessioni razionali. In effetti l’unica cosa che i due testi hanno in comune, a parte il tema, è l’ambizione di offrire ai lettori non la verità definitiva su Ustica ma, come si dice forse meglio in inglese, food for thought su un caso che più di ogni altro sembra esigere un esercizio puntuale del pensiero critico. Gli articoli qui raccolti sono nella sostanza quelli pubblicati sul blog, con qualche correzione e poche aggiunte. Le modifiche più importanti sono state imposte dal fatto che alcuni dei siti Internet citati negli articoli del blog nel giro di un anno sono stati disattivati o hanno cambiato nome. Questo ha creato un problema serio in un solo caso: quello della pagina Facebook dell’ex-marinaio della Saratoga Brian Sandlin, alla quale avevo dedicato la seconda parte dell’articolo “Il caso Sandlin e l’inchiesta su Ustica” (pp. 7379). La pagina Facebook che avevo analizzato nel testo è stata rimossa da Sandlin meno di un anno dopo la pubblicazione del mio articolo, ragione per cui è stato necessario introdurre una premessa esplicativa (pp. 73-74). Aggiungo che gli articoli non sono riprodotti nella sequenza cronologica originaria (la data di pubblicazione è riportata all’inizio di ognuno) e non hanno una concatenazione tematica. Una conseguenza di questo impianto dell’opera è che al lettore può capitare di trovare la stessa idea o lo stesso fatto riprodotti in punti diversi del libro: inconveniente di cui mi scuso, ma che spero compensato dalla possibilità che viene data al lettore di leggere gli articoli in qualsiasi ordine gli sia congeniale. La sciagura di Ustica non è stata solo un dramma per i parenti delle vittime, che hanno sofferto le conseguenze di questa assurda tragedia. È stata, ed è tuttora, causa di amarezza per chi vive in un paese, ex-patria del diritto, in cui sembra normale che in quarant’anni di attività giudiziaria tutto ciò che i tribunali hanno prodotto su un caso di questa importanza siano migliaia di pagine che ospitano una raccolta di verità giudiziarie in conflitto tra loro. I ringraziamenti con cui voglio concludere sono brevi perché li devo solo a tre persone. La prima è l’Ing. Antonio Bordoni, che non ho conosciuto direttamente ma che da vari anni mi fa avere con generosità, oltre ai suoi libri di argomento aviatorio, anche delle note su Ustica di cui ho fatto tesoro. Per i consigli e i suggerimenti ricevuti devo molto anche ad altre due persone, il C.te Franco Bonazzi e il Dott. Francesco Farinelli. Senza l’aiuto di Bonazzi la prima parte dell’articolo sull’ex marinaio Sandlin sarebbe molto diversa da come si presenta ora. Ma ciò che ho imparato da loro su Ustica va al di là degli scambi di mail che c’è stato tra di noi, pure abbastanza frequenti. Bonazzi e Farinelli infatti hanno recentemente pubblicato un libro, Ustica. I fatti e le fake news (LoGisma 2019), che ha segnato una pietra miliare degli studi su Ustica in quanto gli autori hanno stabilito, con la competenza che loro deriva da un’alta professionalità, quali sono e quali non sono i fatti in-

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controvertibili su cui basare le indagini. Con ciò non siamo affatto alla parola definitiva su Ustica. Siamo invece, come credo, solo all’inizio di un processo lento e difficile di recupero della verità i cui frutti, se ci saranno, saranno raccolti dagli storici delle prossime generazioni. Il libro che presento vuole essere un piccolo contributo a questi possibili sviluppi, nato dalla speranza e forse da una certa dose di ingenuo ottimismo. Milano, 11 maggio 2020

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1. WIKIPEDIA SULLA STRAGE DI USTICA LA DOPPIA WIKI-VERITÀ 1

1. IL METODO DI GOEBBELS E IL CASO USTICA Il gerarca nazista Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich, amava pronunciare una frase che è stata citata tanto spesso da essere quasi diventata una massima: «Ripetete una menzogna cento, mille, un milione di volte e quella diventerà la verità». Il detto colpisce per la rozza efficacia con cui descrive una pratica, forse già nota dai tempi antichi, che è stata largamente impiegata nel XX secolo nella manipolazione del consenso. La critica che si può muovere alla formula di Goebbels è che, per essere completamente attendibile, dovrebbe essere corretta con varie clausole restrittive. Una è sicuramente che, nonostante quanto suggerito dalla profonda favola del Re Nudo, il messaggio trasmesso non deve essere in conflitto con l’esperienza diretta e quotidiana dell’uomo della strada. Una seconda è che, se un messaggio non viene opportunamente variato, reiterarlo oltre un certo limite genera assuefazione e può essere anche controproducente. Una terza è che il martellamento mediatico esercitato da un soggetto A funziona purché non ci sia nessun altro soggetto B che ripeta allo stesso uditorio cento, mille, un milione di volte un’opinione contraria a quella di A. La massima di Goebbels è altamente funzionale, dunque, in qualsiasi sistema politico in cui sia ridotto al silenzio chiunque intenda trasmettere un pensiero difforme da quello di chi detiene il controllo completo dei mezzi di comunicazione. Duole constatare, purtroppo, che, il metodo funziona piuttosto bene anche entro società in cui, pur non essendoci limiti formali al libero scambio di idee, chi si oppone a un pensiero ripetuto all’unisono dalla grande maggioranza dei media non ha i mezzi o la volontà per contrastarlo. E va aggiunto che per il successo di questa pratica non è nemmeno necessario che ci sia la dittatura di una persona, di un gruppo o di una oligarchia a cui imputare un preciso disegno manipolatorio. Questo aspetto della comunicazione

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Pubblicato online il 29.01.2018.

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sociale è ben conosciuto, è stato ampiamente studiato dai sociologi e ha dato origine a una vasta letteratura.2 Per venire al caso specifico di Ustica, non occorrono indagini statistiche accurate per rendersi conto del consenso incontrastato di cui gode in Italia la tesi secondo cui il DC-9 ITAVIA sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato durante una battaglia aerea. Osservando che la stragrande maggioranza dei siti web che si occupano di Ustica presentano questa teoria non come un’ipotesi ma come una verità incontrovertibile, è plausibile spiegare il consenso ottenuto come frutto di un brain-washing persistente, anche se non necessariamente orchestrato da pochi artefici. Tuttavia, sempre a margine della dottrina di Goebbels, il caso specifico di Ustica si presta qualche osservazione supplementare. In primo luogo è evidente che l’idea di un duello aereo occultato da un complotto politico-militare, oltre che essere adatta a scaldare gli animi, è già di per sé altamente spettacolare. Non è un caso se su Ustica si è prodotto un numero di romanzi, film ed eventi teatrali che è molto più alto della media rilevabile per questo particolare tipo di fiction. L’influenza che queste opere hanno avuto sull’immaginario collettivo è stata innegabilmente incisiva. In secondo luogo, però, è opportuno ricordare quel fenomeno che gli psicologi chiamano Confirmation Bias. Si tratta di un processo mentale che «consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono».3 La tesi del missile aria-aria lanciato da americani o francesi è stata ben accolta dall’uditorio italiano soprattutto quando rafforzava preesistenti convinzioni circa l’invadenza arrogante degli americani o dei francesi. Ciò che emerge dai commenti rilevabili su Internet4 è che entro questo settore più politicizzato del pubblico sembra che pochi siano stati sfiorati dal dubbio che, se un missile è stato lanciato, avrebbe potuto essere inglese, italiano, jugoslavo o magari, come alcuni ipotizzano, israeliano. E se veramente si è verificato un duello aereo tra un MiG libico e l’aviazione americana o francese, come vuole la vulgata, non si vede cosa porti a escludere la possibilità che il missile killer sia partito dal caccia libico anziché da un aereo delle due potenze occidentali: ma anche su questo punto sembra che la pressione mediatica abbia inibito nel pubblico la capacità di ragionare considerando la combinatoria dei possibili.

2 Basti citare qui il libro recente di FABIO MARTINI, La fabbrica della verità. L’Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo, Marsilio, 2017. 3 Voce ‘Bias di conferma’ su Wikipedia, dove ‘Bias’ si può tradurre con ‘pregiudizio’. 4 Vedi per esempio i commenti ai video su YouTube discussi alle pp. 139- 159.

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C’è dell’altro. Goebbels aveva mancato di osservare un particolare: che ciò che i media omettono di dire, quando è rilevante per l’argomento, è almeno tanto importante quanto ciò che i media dicono espressamente. Sembra per esempio che sia largamente ignorato dal pubblico il fatto che, dal 2008 (quindi da dodici anni), è tuttora in corso un’inchiesta giudiziaria, promossa dai giudici Amelio e Monteleone, sulle cause della caduta del DC-9. Inoltre i media per lo più tacciono che le recenti sentenze risarcitorie che avallano la tesi della battaglia aerea, basate sugli standard più elastici richiesti per le sentenze civili, contraddicono sentenze penali passate in giudicato nelle quali era categoricamente escluso il verificarsi di una battaglia aerea nel cielo di Ustica. Preoccupati di colpire l’immaginazione con la tesi più sensazionalistica, i media hanno quindi messo in ombra l’aspetto forse più disturbante delle inchieste su Ustica: e cioè che su questo evento la magistratura ha manifestato una schizofrenia processuale che rischia di coprire di discredito, per non dire di ridicolo, lo stesso sistema giudiziario italiano. 2. WIKIPEDIA IN LINGUA ITALIANA COME FONTE DI INFORMAZIONI SU USTICA Nella valanga di dati scaricabili quotidianamente da Internet naturalmente non si trova solo propaganda o spazzatura mediatica. Chi aspira alla conoscenza oggettiva dei fatti dispone di un numero di risorse impensabile fino a pochi anni or sono. In Internet si possono leggere gratuitamente centinaia di riviste scientifiche, nonché migliaia di pagine che permettono l’accesso a informazioni selezionate. Una menzione particolare merita Wikipedia: risultato di un’iniziativa assolutamente lodevole che si propone di costruire un’enciclopedia universale, gratuita e senza pubblicità, in cui le voci sono scritte dagli stessi utenti e vengono sottoposte al vaglio di una commissione di moderatori. I moderatori non solo controllano la qualità del testo ma si preoccupano che venga raggiunto quello che è chiamato NPOV (Neutral Point of View): che è quanto dire che, dove ci sono divergenze di pareri, la voce non dovrebbe prendere una posizione unilaterale ma illustrare imparzialmente le diverse posizioni in gioco. Alla luce di quanto premesso è interessante la voce ‘Strage di Ustica’ destinata ai lettori di lingua italiana. Intanto bisogna rilevare che su Wikipedia ci sono altre voci in italiano che in varie forme toccano il tema di Ustica. Due voci, ‘Il Muro di gomma’ e ‘Ustica, una spina nel cuore’ sono dedicate a due film vertenti sulla strage. Altre voci correlate e subordinate a quella principale hanno questi titoli: ‘Condanna dello stato italiano nella strage di Ustica’, ‘Museo per la memoria di Ustica’, ‘Processo della strage di Ustica’. Al momento attuale (febbraio 2020) non risulta che la voce-base abbia ricevuto di recente aggiornamenti tali da modificare l’impostazione di base. La

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voce è stata sottoposta a un vaglio il giorno 1.3.2009 e nell’aprile 2015 ha ricevuto dai moderatori il giudizio “sufficiente”. La pagina in questione si apre con un avvertimento significativo scritto dai moderatori che riproduciamo qui di seguito:

La voce ‘Processo della strage di Ustica’ contiene una riserva analoga: «La neutralità di questa voce o sezione sull’argomento aviazione è stata messa in dubbio. Motivo: Molti paragrafi, se non tutti, riportano in modo prevalente il punto di vista di un giudice istruttore del processo (ovvero delle tesi accusatorie secondo l’ordinamento giuridico del tempo). Occorre dare maggiore spazio, di quello attuale, alle tesi difensive o comunque non riportare le tesi accusatorie come dati di fatto». Nella voce portante viene anche evidenziata una frase del testo – che riportiamo di seguito in corsivo – che è giudicata negativamente dai moderatori. Dopo aver detto che i tribunali penali hanno escluso la tesi della battaglia aerea l’estensore aggiunge: «In pratica, è convinzione comune che la battaglia aerea vi sia stata davvero [senza fonte] e che gli imputati – per la posizione ricoperta all’epoca – non potessero non sapere; che abbiano effettivamente commesso i fatti loro contestati e che siano stati assolti, semplicemente perché non sono state raccolte prove sufficienti per condannarli». Il moderatore aggiunge: «La parte selezionata (quella in corsivo) deve essere comprovata da una fonte affidabile». In realtà l’estensore della voce non ha fatto altro che riferire quanto abbiamo sottolineato, e cioè che sulla

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tesi della battaglia aerea si è ormai consolidato un comune sentire che appare impermeabile alla conoscenza dei fatti rilevanti, tra cui le risultanze dei processi penali. Limitiamoci comunque a un esame della voce portante. Da un primo sguardo d’insieme ci si rende conto che i punti deboli sono numerosi e che saltano all’occhio varie incongruenze. Circa la tendenziosità della voce il discorso è più complesso perché, per riprendere una precedente osservazione, questa si rileva non solo da ciò che gli estensori scrivono ma ciò che omettono di scrivere. Per quanto riguarda la qualità della presentazione, nella stesura è vistosamente chiara la presenza di mani diverse, come risulta dal solo fatto che la relazione del giudice Priore è chiamata a volte «OrdinanzaSentenza», a volte «Sentenza-Ordinanza».5 Non si è fatto niente nemmeno per uniformare i caratteri tipografici, che sono differenti in vari punti del testo. Di fatto, anche se nella bozza si riconosce un filo conduttore, la voce si presenta più come un patchwork malcombinato di paragrafi diversi che come un articolo compiuto. Per questo non è il caso di farne un’analisi puntuale, ma ci si limiterà a qualche rilievo critico su punti specifici. (Ridotto in formato pdf il file consta di 32 pagine, alle quali si farà riferimento per le citazioni). A. Nel sommario contenuto nella finestra visibile sulla destra della prima pagina l’evento trattato (qualificato come Incidente aereo) fino al gennaio 2018 si trovava descritto in questo modo: «Destrutturazione in volo per causa incerta (bomba collocata a bordo, missile o collisione con altro velivolo)». Questa descrizione è stata rimossa e sostituita recentemente con quest’altra, dalla quale è scomparso ogni elemento di incertezza: «Abbattimento da parte di aereo non identificato in scenario di guerra aerea». Nel preambolo alla voce, che si legge sempre nella prima pagina, viene detto che una delle ipotesi più seguite, ritenuta «più verosimile in sede penale e risarcitoria», è quella della battaglia aerea; e si aggiunge che «altre ipotesi si sono 5 La relazione finale dell’attività istruttoria del giudice Priore, depositata il 31 agosto 1999, si chiama Ordinanza-Sentenza perché è un’Ordinanza di rinvio a giudizio dei vertici dell’AMI per attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento, e inoltre di altri soggetti, per lo più militari, che vengono incriminati per reati minori. Come normalmente accade, è accompagnata da una Sentenza di non luogo a procedere nei confronti di altri soggetti indagati. Nella stragrande maggioranza degli articoli pubblicati sulla stampa e in rete questo documento ufficiale viene indicato come Ordinanza-Sentenza ma come Sentenza-Ordinanza. Non è dato sapere se questo persistente errore sia o meno intenzionale, ma è evidente che ha l’effetto di trasmettere al lettore l’impressione che i generali dell’Aeronautica siano stati oggetti di una sentenza di condanna, che tra l’altro il Giudice Istruttore non aveva la prerogativa di poter comminare. Di fatto, come si sa, i generali sono stati assolti in tre gradi di giudizio. La distorsione dell’informazione passa anche attraverso sviste di questo tipo, che se reiterate non sono innocue come sembrano.

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rivelate inconsistenti», in particolare quella di un «attentato terroristico (un ordigno esplosivo nella toilette del velivolo)», la quale sarebbe «smentita dalla scoperta di varie parti integre della fusoliera, quali vani carrelli e bagagliaio, che suggerivano che non vi fosse stata alcuna esplosione interna». Questa asserzione è curiosa: se una bomba esplode in una toilette, perché mai dovrebbe danneggiare i vani carrelli e il bagagliaio? Ma è più grave che si dica il falso scrivendo che la tesi della battaglia aerea è stata ritenuta la più verosimile in sede «penale e risarcitoria». Come già ricordato e poi riferito più avanti nella stessa voce, la tesi è stata accolta nei recenti processi civili (cioè risarcitori), mentre è stata ritenuta frutto di fantasia («fantapolitica o romanzo») nei processi penali. B. A pagina 5, parlando degli esami autoptici, si dice, a proposito dei minuscoli corpi estranei ritrovati nelle sette salme sottoposte ad autopsia, che «era comunque da escludere, per le caratteristiche morfologiche e dimensionali e per la esperienza dei periti in tema di lesività da esplosione, la provenienza dei minuscoli corpi estranei da frammentazione di involucro di un qualsiasi ordigno esplosivo». Si omette di dire che, come si legge nella Ordinanza-Sentenza Priore, p. 1729, che «per congettura più attendibile, la infissione dei corpi estranei potrebbe essere stata provocata dagli urti violenti e ripetuti dei corpi delle vittime (vero e proprio “sballottamento”) contro le strutture dell’aereo nelle presumibili altre fasi del disastro (cedimento delle strutture, decompressione, precipitazione, impatto)». Ė da escludere dunque che i frammenti ritrovati nelle salme provenissero dal violento impatto dell’aereo con l’acqua e da un evento esogeno, quale potrebbe essere la frammentazione di un missile o la distruzione delle pareti della fusoliera conseguenti a una esplosione esterna. Se questo non viene specificato, quanto scritto nella voce suggerisce la possibilità che la causa del fenomeno rilevato sia stato un evento verificatosi esternamente al velivolo. C. A pagina 5 si riproducono con un commento le ultime parole, pure frequentemente citate, del dialogo tra i due piloti registrato dal CVR e si scrive quanto segue: «“Sporca eh! Allora sentite questa... Gua...”. La registrazione si era interrotta tagliando l’ultima parola, che si ipotizza fosse un “Guarda!”. Questo particolare potrebbe indicare un’improvvisa interruzione dell’alimentazione elettrica». Quanto riferito è inesatto. Nell’ultimo fonema registrato dal CVR si sente una consonante velare che non si riesce a distinguere bene: si sa solo che è o /g/ o /c/, seguita dal dittongo “ua”. Quindi il dato registrato potrebbe essere riportato come «“gua...” o “qua...”». Ora, a parte che “qua” a sé stante è un avverbio della lingua italiana che non ha bisogno di completamenti, i completamenti del fonema “qua” che potevano essere appropriati in quel contesto (ricordiamo che un pilota si accingeva a

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raccontare una barzelletta) sono diversi: ad esempio, “quando” e “quasi”. Se invece la sillaba fosse stata “gua”, l’idea che “gua” fosse l’inizio della parola “guarda” è uno dei fattoidi che avuto più larga diffusione sui media, ma in realtà è condizionata dall’ipotesi indimostrata che uno dei due piloti avesse visto qualcosa di anomalo che intendeva segnalare all’altro. Tralasciando il fatto che “gua” è anche la sillaba iniziale di “guasto”, in realtà qualsiasi voce del verbo “guardare” senza ausiliari sarebbe adatta al completamento: “guardando”, ”guardiamo ”, “guardavo” … senza escludere composti come “guardiamoci bene dal...” “guardati dal...”. Nel testo della voce si dice anche che l’evento costituito dal discorso troncato «potrebbe indicare» un’interruzione dell’alimentazione elettrica. In questo modo si lascia intendere che potrebbero esserci state cause del fenomeno diverse dall’interruzione della corrente, o in altri terimini che la registrazione potrebbe esserci interrotta improvvisamente a causa di un diverso evento. Questa eventualità però è esclusa dal fatto che l’evento in questione avrebbe lasciato delle tracce acustiche, le quali, come concordemente stabilito, non risultano registrate. D. A pagina 6, il paragrafo “Le ipotesi” riporta le quattro ipotesi più studiate (cedimento, collisione o quasi-collisione, bomba, missile aria-aria). In realtà di queste viene trattata nel paragrafo solo l’ipotesi del missile ariaaria, dando rilievo alle varie irregolarità riscontrate nei registri e nel comportamento di alcuni militari. Si conclude a p. 7: «Da testimonianze risulta che se il disastro avesse avuto cause chiare (difetto strutturale o bomba) non sarebbe stato necessario occultare e distruggere prove di primaria importanza sul volo, come è stato stabilito dalle conclusioni della sentenza nel Procedimento Penale Nr. 527/84 A G. I.[39]». Questo discorso non è ispirato all’obiettività, a prescindere dal fatto che il condizionale controfattuale iniziante con le parole «se il disastro avesse avuto cause chiare» condensa un ragionamento ipotetico proposto dall’estensore stesso e quindi non «risulta» da nessuna testimonianza, contrariamente a quanto viene asserito. L’estensore infatti avrebbe dovuto notare che i presunti occultamenti e depistaggi non hanno impedito di acquisire nastri radar perfettamente integri, che sono proprio gli elementi a cui si rifà chi sostiene la tesi della battaglia aerea. È la stessa voce di Wikipedia che a p. 10 mostra un’animazione, a velocità raddoppiata, del tracciato del radar Marconi negli ultimi minuti del volo e i due famosi echi -17 e -12 che hanno fatto pensare alla presenza di un aereo. Si omette di dire che il radar Selenia di Fiumicino non registra i due echi suddetti, i quali secondo l’opinione degli esperti più autorevoli, tra cui l’Ing. Giubbolini, sono solo echi spuri. Per quanto riguarda l’occultamento e i depistaggi, che sarebbero alla base dell’ipotesi di reato contestata ai vertici dell’Aeronautica, è la stessa voce che più oltre scrive (p. 22): «Il 10 gennaio

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2007 la prima sezione penale della Cassazione ha assolto con formula piena i generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri dichiarando inammissibile il ricorso della Procura generale e rigettando anche il ricorso presentato dal governo italiano». E. Alla tesi della bomba viene dedicato un paragrafo che, nella sua brevità, è un concentrato di inesattezze (p. 16). Si dice: «Il giorno dopo il disastro, alle 12:10, una telefonata al «Corriere della Sera» annunciò a nome dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un gruppo terrorista neofascista, che l’aereo era stato fatto esplodere con una bomba da loro posta nella toilette, da uno dei passeggeri: tal Marco Affatigato». La verità è che la telefonata dei NAR o sedicenti NAR non faceva nessuna rivendicazione, non parlava di nessuna toilette e si limitava a dire che a bordo dell’aereo c’era Marco Affatigato, riconoscibile dall’orologio di marca che portava al polso. Più avanti (p. 21) si legge: «La perizia sulle suppellettili del gabinetto ritrovate ha confermato che erano intatte la tavoletta del water e il lavandino: inoltre secondo gli specialisti britannici del Dra di Halstead, nessuno dei pezzi della toilette, water e lavandino è scheggiato da residui di esplosivo». L’idea, insistentemente ribattuta dai media, secondo cui il lavandino sarebbe stato intatto è un’invenzione.6 Quando alla notizia che gli specialisti di Halstead abbiano stabilito che nessuno dei pezzi sia «scheggiato da residui di esplosivo» (per inciso: come possono i residui di esplosivo scheggiare qualcosa?) è di seconda mano, essendo ispirata da un articolo (citato dallo stesso estensore) scritto da A. Purgatori per il «Corriere della Sera» del 12 luglio 1994, il quale però non cita nessun documento a sostegno. F. Nel paragrafo intitolato “Testimonianze americane” (p. 12) si riferisce che «Il 19 dicembre 2017, Brian Sandlin, all’epoca marinaio statunitense sulla Saratoga, destinata dagli Usa al pattugliamento del Mediterraneo, intervistato nel programma televisivo “Atlantide” di La7 racconta che la sera del 27 giugno 1980 assistette al rientro di due aerei disarmati «che sarebbero serviti ad abbattere due MiG libici in volo lungo la traiettoria del DC-9» nel corso di un’operazione NATO affiancati da una portaerei britannica e una francese». Si omette di dire che la testimonianza di Sandlin non è stata suffragata da alcun riscontro e che Sandlin non ha mai realmente affermato che i fatti da lui ricordati si sono verificati la sera del 27 giugno. Inoltre nel 2019 di fronte ai giudici si è rifiutato di confermare la versione dei fatti riportati da Purgatori.7 Questo fatto recente annulla di fatto l’importanza della sua testimonianza ma non viene nemmeno citato nella versione attuale della voce, 6 Vedi in questo volume “Il disastro di Ustica e quello di Capoterra: un confronto fotografico”, pp. 46-51. 7 Vedi in questo volume “Il caso Sandlin e l’inchiesta su Ustica”, pp. 73-79.

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ed è a dir poco strano che nell’arco di quasi un anno nessuno abbia pensato di correggere o semplicemente sopprimere questo riferimento. G. È quasi incredibile che in una voce di enciclopedia si dedichi spazio a un paragrafo dal titolo “Il Memorandum e le intercettazioni di Massimo Carminati”(p. 23). In questo si riporta che il noto boss criminale in un’intercettazione telefonica attribuiva agli USA la responsabilità della caduta del DC-9. Se è per quello, sono anche note delle esternazioni su Ustica da parte del figlio di Vito Ciancimino, Massimo, il quale invece diceva di aver saputo dal padre che il missile era francese.8 Facendo un discorso più generale, c’è da capire perché mai si dia risonanza mediatica a “verità” propalate senza prova e senza competenza da criminali notori. Fortunatamente risulta cancellata rispetto alla precedente versione della voce un lungo paragrafo, intitolato Libro di Victor Ostrovsky, che era dedicato al fatto per cui questo ex- agente segreto del Mossad dava per certo che il DC-9 sarebbe stato abbattuto dagli israeliani perché pensavano erroneamente che trasportasse uranio.9 H. Nel paragrafo “Risarcimento vittime” si omette di ricordare che prima delle recenti sentenze risarcitorie i parenti delle vittime avevano già ottenuto dallo stato un indennizzo: a ogni famiglia degli 81 morti sono stati assegnati 200 mila euro (per un totale di 15,8 milioni), mentre i 141 familiari superstiti nel 2004 hanno ottenuto un vitalizio di 1.864 euro netti mensili rivalutabili, per un totale di altri 31 milioni alla data del 31 dicembre 2014. 3. IL CASO USTICA NELLA VOCE DI WIKIPEDIA IN LINGUA FRANCESE Uno dei meriti innegabili di Wikipedia è che viene pubblicata in un grande numero di lingue, per cui si presenta come uno strumento di conoscenza a disposizione di un pubblico planetario. Questo non significa che le voci dedicate a un certo argomento siano pubblicate in tutte le lingue o che, se compaiono, risultino dalla traduzione di una stessa ed unica voce. È ovvio che voci che sono importanti per un paese possono avere poco o nessun rilievo per un altro, per cui non dobbiamo aspettarci voci in lingue diverse esattamente coincidenti per uno stesso argomento. Ma è interessante esaminare i gradi e i modi di queste differenze. Per fare un esempio si veda la voce in lingua italiana ‘Volo American Airlines 587’. Si riferisce a un incidente 8 Vedi https://www.radiocittadelcapo.it/archives/ustica-massimo-ciancimino-ai-nostrimicrofoni-55874 9 Sulla discutibile figura di questa ex-spia vedi la voce ‘Victor Ostrovski’ sempre su Wikipedia.

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aereo avvenuto il 12 novembre 2001 a New York nel cielo del Queens, circa due mesi dopo l’attacco alle torri (11 settembre 2001) e quaranta giorni prima del fallito attentato del “terrorista della scarpa” Reid a un altro volo dell’American Airlines (22 dicembre 2001). Nel sommario l’evento è così descritto: «Sollecitazione eccessiva del timone e conseguente distacco causato da errore del pilota». L’ipotesi che si trattasse di un attentato terroristico viene trattata in poche righe. «L’opinione pubblica fu inizialmente spaventata dall’ipotesi di un altro attacco terroristico. Tuttavia, il terrorismo venne escluso quasi immediatamente dagli investigatori che indagarono sulle cause dell’incidente». Si guardi adesso all’edizione inglese. Il titolo è uguale e il sommario è identico: Separation of the vertical stabilizer following excessive rudder pedal inputs by the first officers pilot flying (PF). Nel preambolo si legge: «The location of the accident and the fact that it took place two months and one day after the September 11 attacks on the World trade Center in Manhattan initially spawned fears of another terrorist attack. Terrorism was officially ruled out as the cause by the National Transportation Safety Board (NTSB)». Più avanti si trova un paragrafo intitolato “Initial Terrorism Concerns” che non ha un corrispettivo in italiano. Nonostante queste discrepanze in ambedue le voci viene riportata la stessa versione dei fatti che è quella “ufficiale”, come è confermato dal fatto che nella bibliografia non viene citata nessuna fonte di orientamento contrario, come ad esempio i libri di Rodney Stich, DOJ-Judicial Crimes Against the People o History of aviation Disasters: 1950 to 9/11.10 Non deve essere un caso, per inciso, che Stich abbia messo sotto accusa non solo la neutralità del NTSB ma anche la neutralità della stessa Wikipedia.11 Guardando al resto di questa voce si ha conferma del fatto che l’edizione italiana, anche se non corrisponde a quella inglese, è ottenuta essenzialmente per sintesi di quella. Ora, data la somiglianza a volte sottolineata tra il disastro di Ustica e quello del Queens ci si aspetterebbe di riscontrare che le voci su Ustica in lingua straniera siano pure riproduzioni più o meno variate di uno stesso cliché. Come vedremo, invece, non è affatto così. Per cominciare, risulta che non esistono voci su Ustica in lingua russa, tedesca, spagnola e portoghese. C’è invece una voce in lingua francese e una in lingua inglese. Per l’esattezza in francese compare anche una voce ‘Ustica: The Missing Paper’, che riguarda il recente film di Renzo Martinelli, e un’altra voce, però ancora vuota, sul film “Il muro di gomma”. La voce francese dedicata al disastro si intitola “Tragedie d’Ustica”. È diversa dalla voce italiana per le dimensioni ma anche per il fatto che è chiaramente indipen10

Pubblicati rispettivamente nell’agosto 2012 e nel 2010. Vedi “Is Wikipedia controlled by the Government Oligarchy?” al sito https://www.linkedin.com/pulse/wikipedia-controlled-government-oligarchy-rodney-stich. 11

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dente dalla prima. Questo dà la misura di come la Francia si sia sentita particolarmente coinvolta nelle indagini svolte sul disastro. Non a caso la voce si premura di precisare: «Il faut cependant préciser qu’en 1981, la France ne participe pas aux opérations militaires de l’OTAN et n’était plus membre du commandement intégré depuis 1966». La voce è breve (quattro pagine in formato pdf) ma mostra un orientamento abbastanza preciso. Non si trova nessun commento dei moderatori che inviti alla revisione della voce. Si dice che la tesi della bomba è stata scartata dalle indagini più recenti. Si dà spazio alla tesi del missile francese, che in Italia è stata diffusa soprattutto per iniziativa del senatore a vita Cossiga nel 2007, ma evidenziando anche che «Paris nie avec constance avoir été impliqué dans l’affaire». Si dà molto spazio all’incidente di Castelsilano, esibendo anche una mappa colorata del presunto percorso seguito dal MIG caduto sulla Sila. A fronte di queste utili informazioni, saltano all’occhio sviste macroscopiche: a pagina 2 la celebre frase in cui si dice che la caduta del DC-9 sarebbe il prodotto di «un’operazione di polizia internazionale contro il nostro paese, di cui sono stati violati confini e diritti» è attribuita alla Commissione Stragi guidata dal senatore Pellegrino e non, come normalmente si fa, al giudice Priore.12 Si dà inoltre credito alla teoria delle morti sospette, negate peraltro dallo stesso Priore, la cui lista viene fatta iniziare con la morte del colonnello Pierangelo Teoldi (sic: il nome in realtà era Tedoldi). 4. IL CASO USTICA NELLA VOCE DI WIKIPEDIA IN LINGUA INGLESE La voce in oggetto si intitola ‘Itavia Flight 870’ e in riduzione pdf consta di sei pagine. Anche qui, come nella voce italiana, incontriamo un monito del moderatore che è addirittura duplice: «This article needs additional citations for verification (July 2016). This article may lend undue weight to certain ideas, incidents, or controversies. (January 2014)». Nel Sommario contenuto nella finestra di destra a p. 1 sotto la classificazione dell’evento come Accident si legge: «Disputed. Shoot down by an unidentified missile (Italian government); Terrorist bombing (Air Accident Investigation Branch)». La AAIB è un agenzia governativa che, come apprendiamo sempre da Wikipedia: «investigates civil aircraft accidents and serious incidents within the 12 In realtà questa frase riportata all’unisono dai media non si trova nella OrdinanzaSentenza. In questa si trova comunque qualcosa di analogo alle pp. 4965-4966: «Ma l’azione è principalmente un atto di guerra, guerra di fatto non dichiarata – com’è d’abitudine da Pearl Harbour in poi, sino all’ultimo conflitto nei Balcani – operazione di polizia internazionale, di fatto spettante alle grandi Potenze, giacchè non v’era alcun mandato in questo senso; azione coercitiva non bellica esercitata lecitamente o illecitamente, da uno Stato contro un altro; o atto di terrorismo, come poi s’è voluto, di attentato a un capo di Stato o leader di regime».

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United Kingdom, its overseas territorie and crown dependecis». In altri termini è l’omologo inglese dell’americano National Transportation Safety Board (NTSB). Nel paragrafo “Official Investigations” si ripete lo stesso errore riscontrato sopra nella versione francese, attribuendo alla Commissione Stragi la tesi della battaglia aerea: è chiaro quindi che su questo punto uno dei due testi è stato copiato dall’altro o da una fonte comune. Ma è più interessante il paragrafo sull’analisi delle cause: «Fourteen years after the accident, a 1994 joint investigation carried out by the British Air Accidents Investigation Branc (AAIB) and Italian investigators found conclusive physical evidence (as per the wreckage recovered) that a bomb had indeed exploded mid-flight in the rear lavatory. A large section of the aircraft’s fuselage around the lavatory was never recovered (presumably having disintegrated in the explosion). A test explosion in a DC-9 lavatory showed the resulting deformation in the surrounding structure to be almost identical to that of the incident craft. However, the Italian high courts dismissed this final report as insignificant to their own investigation, and the report was never considered». Stranamente non si fa menzione della commissione Misiti, di cui faceva parte il perito inglese Frank Taylor e altri esperti stranieri, tutti concordi nel sottoscrivere l’ipotesi della bomba. Non è l’unica negligenza: si omette di dire che la tesi dell’esplosione interna era già stata anticipata da una relazione dell’Ing. Ermanno Bazzocchi (1994) ed è stata sottoscritta da tutti i componenti del collegio Misiti, in maggioranza stranieri. Uno di questi, Göran Lilja, ha scritto l’unico libro su Ustica apparso in lingua inglese.13 In questo volume il perito svedese espone gli argomenti più forti oggi disponibili a favore dell’esplosione interna, e sorprende il fatto che il libro non venga citato nemmeno nella bibliografia della voce. A prescindere da queste omissioni, ciò che il lettore desume dal testo sopra riportato comunque è chiarissimo: in sintesi, si dice (i) che l’ipotesi della bomba è sostenuta da “evidenza fisica conclusiva” (quindi è rispondente ai fatti) per merito di indagini operate da un ente inglese che cooperava con investigatori italiani; (ii) che la scoperta non ha avuto seguito perché ignorata dalla magistratura italiana. Più oltre si trova anche un breve paragrafo dedicato all’ipotesi del missile, in cui si riporta che la tesi è stata sostenuta dal giudice Priore. Si dice poi che «according to Italian media» i documenti in possesso di Human Right Watch dimostrerebbero l’esistenza di una battaglia aerea. Ma la parte più significativa della voce è forse il paragrafo finale intitolato Dramatization, che si apre con un secondo avvertimento dei moderatori il quale, oltre a chiedere 13 GÖRAN LILJA, The Real Ustica Mystery, Ustica 1980 My Story, Stockolm, Instant Books, 2013. Trad.it. di Alberto Notari: Il Mistero e la Realtà dei Fatti. Un perito racconta la propria esperienza. Firenze, LoGisma, 2014.

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di aggiungere citazioni di fonti attendibili, dice così: «This article may lend undue weight to certain ideas, incidents, or controversies. Please help improve it by rewriting it in a balanced fashion that contextualizes different points of view». Non si può dire che il rilievo sia infondato. Al termine del paragrafo viene brevemente ricordato il film “Il muro di gomma”. Ma il resto del paragrafo ignora altri film ed eventi teatrali ed è tutto dedicato a un filmato intitolato “Massacre Over The Mediterranean” della serie canadese “Mayday”. Il video è dedicato alle indagini di un’équipe guidata da Frank Taylor e la voce riporta il risultato delle sue indagini che, come già detto, portano a concludere per l’esplosione interna. Vale la pena di riportare quanto segue: The documentary was highly critical of the Italian judiciary’s failure to officially release the third technical investigation to the public, or to consider its conclusion that missiles were not responsible. Interviewee David Learmount of Flight International magazine made the following comments: The judiciary in Italy just found Frank Taylor’s findings inconvenient. I don’t think they ordered it not to be published, they just made a decision that they wouldn’t publish it. I’m sorry, but Italy is a dreadful place to have an aviation accident. If you want the truth, you’re less likely to find it there than just about anywhere else in the world. È chiaro che giudizi sulla giustizia italiana di questo tenore non sono passati inosservati in Italia, dove hanno suscitato reazioni durissime soprattutto da parte della presidente della Associazione Parenti delle Vittime di Ustica, Daria Bonfietti. 5. RAFFRONTO COMPARATIVO TRA LE VOCI ESAMINATE Cerchiamo di fare un bilancio del discorso delineato nelle pagine precedenti. Il raffronto tra i tre articoli in italiano, francese e inglese dedicati a Ustica fa emergere alcune caratteristiche di Wikipedia che giustificano i sospetti sollevati da più parti circa la qualità dell’informazione trasmessa da questa. La questione non sarebbe importante se che da anni ormai Wikipedia non fosse diventata un punto di riferimento importante per chiunque voglia avviare una ricerca in qualsiasi settore dello scibile. Lo stesso fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales, ha ammesso onestamente che non si riesce ad evi-

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tare che le voci siano spesso scadenti e poco obiettive.14 Tralasciando ogni considerazione sulla voce francese, tanto la voce su Ustica in italiano che quella in inglese si presentano come carenti da diversi punti di vista, ma soprattutto proprio sul piano che per Wikipedia è essenziale: quello della NPOV, cioè della imparzialità. La singolarità da rilevare è che le due voci sono sì ambedue sbilanciate (biased) ma non nella stessa direzione: la voce italiana è sbilanciata a favore della tesi della battaglia aerea, quella inglese lo è favore dell’esplosione interna. Volendo farne una questione di nazionalità, la voce italiana è italocentrica, quella inglese è anglocentrica. Ma è più interessante constatare che in una certa misura le due voci rispecchiano le due verità giudiziarie incompatibili che, come già rilevato, in Italia hanno caratterizzato le risultanze processuali sul caso Ustica. Fatte queste premesse, non si può fare a meno di notare qualche differenza importante tra la presentazione della voce in inglese e quella in italiano. La quantità di inesattezze e falsità contenute nella voce italiana è proporzionalmente molto più alta di quella dell’omologa voce inglese. La voce inglese è fortemente unilaterale ma non per questo è infarcita di errori e di notizie fuorvianti e inutili. Vero è che le due voci si presentano come incomplete, per cui sono effettivamente aperte alle modifiche che ci si attendono dai lettori. Questo però vale solo in teoria. Di fatto, i lettori chiamati dai moderatori a correggere le voci sul tema Ustica sono da anni latitanti. A dispetto di ciò, però, le voci sono in rete da anni, vengono citate e copiate dalla stampa e addirittura in filmati scaricabili da YouTube. È un fatto dunque che, nonostante la loro dichiarata imperfezione, queste sintesi su Ustica hanno un impatto reale sulla formazione del pensiero del lettore medio. Certo si può sperare che, eventualmente per una ripresa di interesse sull’argomento, i lettori provvedano a riqualificare le voci nel prossimo futuro. Ma qui risalta la principale differenza tra la voce italiana e quella inglese. Mentre basterebbero alcune aggiunte e poche correzioni di quella inglese per dar luogo a una voce stringata ma equilibrata, quella italiana appare, almeno a chi scrive, incorreggibile: a parte le contraddizioni, gli errori, le ridondanze e le omissioni che vi si incontrano, se si volesse raggiungere la auspicata “Neutralità” (NPOV) l’unico modo sarebbe quello di tentare una difficile sintesi tra le informazioni della voce italiana e quelle della voce inglese, la quale però costringerebbe a una revisione completa della stessa struttura del testo. Si dirà che la voce italiana è, in termini quantitativi (32 pagine contro 6 in pdf), molto più estesa di quella inglese a ragione del minor interesse del pubblico anglosassone per la questione. Le cose non stanno esattamente così, in quanto non si tiene conto di un particolare: che la quantità di lettori che hanno accesso alla voce in inglese è enormemente superiore a quello italiano. Infatti, 14

Vedi https://www.punto-informatico.it/wikipedia-soffre-di-scarsa-qualit/

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i parlanti di lingua madre inglese in tutto il mondo sono da 460 a 485 milioni, mentre quanti hanno l’inglese come seconda lingua sono 220 milioni. Per l’italiano invece si fa la stima di 64 milioni per la madrelingua e 3 milioni per la seconda lingua. (Dove si leggono queste cifre? Purtroppo sempre su Wikipedia). Per avere un’idea della diffusione del tema Ustica nel mondo anglofono, basta guardare il breve filmato A Toilet Bomb Sends Flight 870 Down15 che ha ricevuto al giorno d’oggi (17.04.2020) 387.061 visualizzazioni, laddove il video italiano più cliccato, Atlantide Ustica l’Ultimo Miglio, a cura di A. Purgatori,16 ha raggiunto in data odierna 230.586 visualizzazioni. Quindi, nonostante l’argomento di Ustica sia meno conosciuto al di fuori dei confini nazionali, la quantità di persone che sono in grado di leggere e capire la voce di Wikipedia in inglese è all’incirca dieci volte superiore a quella italiana. E può darsi che il futuro ci metta davanti a un fenomeno che è auspicabile, anche se al momento remotissimo: il caso Ustica potrebbe, anzi dovrebbe, diventare oggetto di indagine da parte di una commissione di specialisti nominati a livello europeo o addirittura internazionale. Se ciò accadrà, in un contesto del genere la “verità italiana” su Ustica non riceverà certo un’attenzione proporzionale alle dimensioni della voce su Wikipedia. È un errore tipicamente italiano ritenere che il caso Ustica riguardi solo la politica e la giustizia italiana. Un semplice indizio del contrario si coglie nel fatto che i documenti dei servizi segreti libici su Ustica, acquisiti, per motivi non chiari, da Human Right Watch, sembra si trovino proprio in Inghilterra – anche se, per motivi sempre non chiari, non sono stati resi di pubblico dominio. Chi si deve muovere per arrivare all’acquisizione di questi documenti e – aggiungiamo – di altri documenti che sono sicuramente giacenti negli archivi di vari paesi stranieri, dalla Russia alla Francia? In mancanza di un’iniziativa europea, è ovvio che sta al governo e alla magistratura italiani cercare di coinvolgere i governi europei interessati facendo pressioni in direzione della ricerca della verità.17 L’alternativa a questa strategia è perseverare nell’attuale prassi di difesa degli interessi di lobbies e organismi che operano in ambito nazionale: una politica miope che si è espressa non solo nella passività dimostrata dallo Stato nei recenti processi risarcitori, ma nel persistente rifiuto opposto finora da tutti i nostri governi a una desecretazione completa dei documenti su Ustica. 15

Vedi https://www.youtube.com/watch?v=L68Hs0WYtQk&t=70s Vedi https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM 17 Va riconosciuto che il «Corriere della Sera» del 16 settembre 2011 riporta che l’expresidente del Consiglio Romano Prodi ha detto che «la proposta di una commissione di inchiesta del Parlamento europeo sul caso Ustica va certamente nella giusta direzione», purchè lavori a tempi rapidi. La proposta era stata lanciata da Daniele Osnato, uno degli avvocati del pool che ha in carico l’azione giudiziaria dei familiari delle 81 vittime del DC-9 Itavia. A distanza di nove anni, di questa lodevole iniziativa non si è saputo più nulla. 16

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2. IL CASO USTICA UNA NOTA SU CIÒ CHE I MEDIA NON DICONO 18

Un fenomeno piuttosto noto a chi si occupa di sociologia della comunicazione è quello del depistaggio mediatico. Questo si verifica quando i media, dopo aver acceso i riflettori su un certo caso, richiamano insistentemente l’attenzione del pubblico su certi aspetti del caso in questione, distogliendola in tal modo da altri aspetti di questo che potrebbero essere di uguale o maggiore importanza. Il modo in cui i mezzi di comunicazione hanno trattato la sciagura di Ustica si può citare come esempio paradigmatico di questo esercizio di illusionismo mediatico. Guardiamo infatti agli articoli pubblicati su Ustica leggibili in rete, per non parlare dei documenti di altro tipo visualizzabili sui frequentatissimi Social Networks. Si noterà che per la maggior parte questi hanno un centro focale comune costituito da due punti tra loro concatenati: 1) ci sono dati radaristici che attesterebbero l’anomala presenza di aerei “intorno al DC-9”; 2) la presenza di tali aerei “intorno al DC-9” ha un rapporto causale con la caduta del DC-9. Sulla catena causale che, stando al punto 2), collegherebbe la presunta presenza di aerei alla caduta del DC-9 non c’è unanimità. Nell’immaginario collettivo la causa del disastro è di solito vista nel lancio di un missile che avrebbe colpito il DC-9. Questa convinzione non è nata per caso, ma oggigiorno non ha una corrispondenza puntuale nelle conclusioni delle ricerche che hanno preso le mosse dai due punti sopra richiamati. Secondo alcune analisi, il DC-9 sarebbe caduto a causa di una collisione con un altro aereo. Secondo altre indagini, tra cui quelle su cui si basano le recenti sentenze della Cassazione Civile, si dovrebbe invece credere che il DC-9 è precipitato o per una quasi-collisione o per il lancio di un missile “a risonanza” – cioè di un tipo di missile, di cui peraltro non si è mai avuta scienza diretta, che sarebbe in grado di abbattere un aereo con la sola onda d’urto e trascurabile produzione di schegge. Queste teorie sono incompatibili tra loro ma i loro sostenitori concordano su una tesi di fondo: quella per cui il DC-9 si sarebbe trovato al centro di una battaglia tra aerei militari, nel corso del quale avrebbe subito un danno strutturale tale da provocarne la caduta. Nonostante le divergenze circa la dinamica dei fatti, la teoria della battaglia aerea nel cielo di Ustica è così diventata la “verità mediatica” diffusa, e c’è 18

Pubblicato online il 27.04.2020.

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motivo di credere che sia sostanzialmente condivisa dalla grande maggioranza degli italiani che si interessano al caso. Il primo problema posto da quello che è ormai diventato il modo di pensare comune su Ustica è che, a un esame anche sommario, risulta vacillante tanto la teoria della battaglia aerea quanto la coppia di premesse che ne stanno alla base. In primo luogo è bene premettere che nessun radarista vede sullo schermo nessun aereo. Ciò che il radarista vede è una sequenza di punti luminosi che rappresentano visivamente i cosiddetti plots: i quali, purché si presentino distribuiti in modo temporalmente coerente lungo segmenti di linea retta o curva, si possono interpretare come tracce prodotte da un corpo in movimento nello spazio. La precisazione è necessaria perché una percentuale abbastanza alta di plots è costituita da echi spuri, e tali sono con ogni probabilità i due plots scollegati registrati dal radar Marconi (i famosi -17 e -12) che hanno fatto pensare alla presenza di un caccia in fase di attacco nei pressi del DC-9. È chiara comunque una cosa: che per passare dalla rilevazione dei dati radaristici alla conclusione che il radar segnala la presenza di un aereo in un punto determinato dello spazio è necessaria un’interpretazione dei dati radaristici stessi. Questo ovviamente non crea problemi quando l’interpretazione di tali dati dà risultati univoci. Ma è purtroppo ben noto che nel caso di Ustica l’interpretazione dei dati radaristici è stata all’origine di aspre controversie tra i collegi peritali. Una delle conseguenze più negative di questa guerra di perizie è che ha lasciato ai giudici, soprattutto nei tribunali civili, un ampio spazio libero per trarre conclusioni in base a loro valutazioni largamente soggettive. C’è dell’altro. Data la ridottissima sezione di un missile aria-aria, nessun radar è in grado di rilevare gli echi radar di un missile di questo tipo e tanto meno di vedere se un aereo è o non è armato di missili. Pertanto la realtà dell’ipotetico missile non poteva essere stabilita da nessun radar ma poteva essere accertata solo in base al ritrovamento di frammenti del missile oppure alle tracce lasciate da questo sul relitto del DC-9. In conclusione, anche se i radar fossero riusciti a dare prova certa che c’erano aerei intorno al DC-9, non avrebbero potuto provare che questi erano armati di missili, che hanno sparato dei missili e che uno di questi ha colpito il DC-9. A ciò va aggiunto che non risultano tracce né di missili né di aerei caduti nei pressi del DC-9. L’ipotesi che la caduta del MiG libico sulla Sila il 18 luglio fosse da retrodatare al 27 giugno viene tuttora ripetuta per consuetudine da diversi media, ma da molto tempo non trova più seguaci tra gli esperti. Anche l’ipotesi della collisione tra aerei si può quindi considerare uno dei molti prodotti della fantasia umana. E quanto all’ipotesi della quasi-collisione, questa si scontra con diverse criticità, la principale delle quali è che il DC-9 sarebbe stato il

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primo aereo nella storia dell’aviazione a cadere per una near collision durante il volo di crociera. Si noti, per inciso, che l’interesse esasperato che i media hanno mostrato per i dati radaristici si è concentrato solo sullo stato del cielo nel tratto percorso in quell’orario dall’aereo tra Bologna e Ustica. Nessuno ha mai pensato di fare indagini radaristiche sul numero di aerei che si trovavano “intorno al DC-9” (espressione, si noti, tanto vaga da essere pressoché insignificante) in altre ore di quella giornata, oppure sul numero di aerei che volavano “intorno” ad altri aerei civili in quello stesso giorno o nei giorni immediatamente precedenti. Aggiungiamo a quanto detto che per conoscere lo stato del cielo in una certa zona dello spazio-tempo si sarebbero dovuti considerare non solo i tracciati radar ma le eventuali testimonianze oculari. E al proposito è obbligo ricordare che ci sono state dichiarazioni di piloti che hanno sorvolato la zona in momenti prossimi a quelli del passaggio del DC-9, che lo hanno incrociato o visto a distanza, e che concordemente hanno dichiarato che, in condizioni di ottima visibilità, non avevano notato nessuna interferenza di altri voli o aerei nella sua scia. Se la cosa può interessare, nessuno di questi piloti è mai stato chiamato a testimoniare nel corso delle indagini giudiziarie. Ma veniamo al punto nodale dell’argomento che stiamo cercando di sviluppare. Ciò che si vuole evidenziare è che l’insistenza spasmodica dei media sui dati radaristici, che verrebbe fatto di chiamare “ossessione radaristica”, ha messo in ombra una serie di elementi conoscitivi in grado di offrire un’immagine completamente diversa della vicenda occorsa al DC-9 in quel giorno. Per cominciare, i media avrebbero dovuto richiamare l’attenzione in primo luogo sul relitto e sulla distribuzione dei suoi frammenti sul fondo marino. La ragione per dare una priorità a questi dati è semplicemente metodologica: infatti, a differenza dei dati radaristici, l’osservazione di questi reperti non ha bisogno del filtro delle interpretazioni ma esige solo sani organi di senso e strumenti di rilevazione capaci di dare risultati univoci. La stessa priorità, naturalmente, avrebbe dovuto essere assegnata anche a tutti i dati acustici contenuti nelle registrazioni recuperate in buono stato dal CVR (Cockpit Voice Recorder) e sottoposte a perizie foniche. Dopo la ricostruzione del relitto, completata in modo soddisfacente per circa l’85% della fusoliera, si è letto spesso sulla stampa che lo sforzo di recupero ha avuto risultati deludenti perché «il relitto non parla». È certo che il relitto non parla ma è anche vero che dice abbastanza, anzi parecchio. Dice per esempio che non ci sono tracce visibili né di un missile a frammentazione né di un missile a guida radar. E mostra inequivocabilmente che c’è stata una distruzione quasi totale dell’unica toilette dell’aereo e che sui resti di questa non si notano le tracce di un agente esogeno riconoscibile. Ed è una

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leggenda mediatica quella secondo cui la perizia metallografica-frattografica avrebbe escluso la possibilità di un’esplosione interna nell’area toilette (su ciò si vedano in questo libro le pp. 49-51). Ma l’effetto più deleterio prodotto dalla concentrazione esclusiva dei media sui dati radaristici è stato, a giudizio di chi scrive, un altro: l’aver sviato l’attenzione della platea da quello che è stato il viaggio del DC-9 non dopo la sua partenza da Bologna alle 20:08 ma prima della partenza da Bologna, intendendo con ciò l’ultima sosta all’aeroporto Marconi, i precedenti tragitti aerei, le soste nei precedenti scali e la partenza all’aeroporto di Lamezia Terme alle 8:07 di mattina. In effetti su questo tema si è manifestata una disattenzione sistematica non solo da parte dei media ma anche da parte della magistratura inquirente. Questo fatto risulta evidente da alcuni particolari. Dopo aver acquisito, il 30 giugno 1980, le registrazioni radio e telefoniche, il 5 luglio fu disposto dalla magistratura il sequestro dei nastri radar di tutte le postazioni operanti sul mar Tirreno, a cui fecero seguito i sequestri di altri nastri, tra cui quelli di Marsala in data 3 ottobre. Non è quindi vero, come spesso ripetuto dai media, che i nastri siano stati fatti sparire o manipolati, anche se in una prima fase delle indagini furono acquisiti solo i nastri delle postazioni più prossime al percorso del DC-9. Fin qui niente da eccepire. Ma ciò che si vuole notare è che, visto che si era deciso di procedere a tempi stretti al sequestro dei documenti radaristici, si sarebbe dovuto fare lo stesso con i documenti relativi a tutti gli altri aspetti del volo del DC-9, e ciò allo scopo di scoprire eventuali anomalie nelle operazioni di carico e scarico delle merci, imbarco e sbarco dei passeggeri. Questa ricerca è stata fatta? Se è stata fatta, è stata fatta con negligenze che, esaminate a 40 anni di distanza, appaiono quasi incredibili. In primo luogo, non sono stati acquisiti gli elenchi dei passeggeri dei voli antecedenti l’ultimo. E il peggio è che questi ora non sono più acquisibili perché, a quanto è dato sapere, né l’ITAVIA, né la magistratura, né la Polizia ne hanno mai richiesto una copia, ragione per cui gli elenchi sono stati distrutti dopo dodici mesi, secondo la prassi codificata, dall’ente che li aveva in custodia (la British Airways). È strano che gli inquirenti non sapessero ciò che allora sapevano allora tutti gli esperti di terrorismo, e cioè che in quegli anni la pratica più comune negli attentati terroristici consisteva nel caricare una bomba su un aereo, impostare il timer, scendere e lasciare l’aereo al suo destino. Gli esempi sono diversi ma basta citarne due: la strage delle Barbados (dovuta a due bombe deposte nel volo precedente da due terroristi anticastristi il 6 ottobre1976) e la strage del Korean Airlines 858 (dovuta a una bomba lasciata a bordo da due agenti della Corea del Nord il 29 novembre 1987).

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Dunque non sapremo mai i nomi di chi si è imbarcato a Palermo per Bologna nella penultima tratta, non sapremo mai se le operazioni di imbarco a Palermo sono state regolari, non sapremo mai se qualcuno, magari vestito da steward o da personale delle pulizie, sia salito a bordo durante la sosta a Palermo. E lo stesso interrogativo si applica anche alle altre tratte precedenti, tenendo conto del fatto che un ordigno può essere montato a bordo da persone diverse in punti diversi del percorso e collegato al timer solo pochi minuti prima dell’atterraggio dell’aereo. Con ciò non si vuole intendere che siano mancate indagini sulla pista dell’esplosione interna. Certamente ci sono state e sono riportate anche nell’Ordinanza-Sentenza del giudice istruttore Priore. Ma, come già detto, gli investigatori si sono concentrati solo sull’ipotesi che la bomba fosse stata collocata durante la sosta dell’aereo a Bologna, ignorando altre possibilità. E per quanto riguarda la qualità delle indagini su Bologna c’è da notare, ancora una volta, che queste sono state a dir poco approssimative. Va ricordato che l’aereo era già passato da Bologna una prima volta. Arrivato a Bologna da Roma alle 10:50, ripartiva per Lamezia Terme alle 13:03 prolungando la sosta di 28 minuti. La sosta successiva a Lamezia fu ancora più lunga (41 minuti di eccedenza). La ragione di questi ritardi non è mai stato oggetto di indagine. Ma cerchiamo di focalizzare l’attenzione su ciò che è accaduto durante la seconda sosta nell’aeroporto Marconi di Bologna – l’ultima nella vita del velivolo – che ha avuto la durata di 1 ora e 4 minuti, superando di 19 minuti i tempi previsti per le operazioni di sbarco e imbarco. La Commissione Pratis, nominata nel 1988, esaminò seriamente la possibilità che a bordo fosse stato collocato un ordigno. Sappiamo che un acquazzone si era abbattuto sull’aeroporto e costrinse a rifugiarsi al coperto tutti coloro che erano all’aperto sui piazzali, riducendo anche la visibilità in quelle ore serali. Leggiamo nella relazione tecnica della Pratis quanto segue: «Può anche darsi che, dopo lo scarico dei bagagli o delle merci, i portelli degli appositi vani siano rimasti aperti, incustoditi in attesa dell’arrivo del nuovo carico (costituito poi da 44 valigie e 7 colli spediti). L’I-Tigi è sulla piazzola n. 6, la più lontana, quella che è meno in vista. A parte pertanto l’eventualità della presenza in cabina di ordigno esplosivo [c.vo nostro], in considerazione della situazione sopradescritta non si potrebbe del tutto escludere che persone estranee, malintenzionate, approfittando della scarsa vigilanza possano essersi avvicinate all’aereo per collocarvi in un modo o nell’altro una carica esplosiva».

Per questa ipotesi non sono emersi elementi di conferma, così come non sono emersi elementi tali da escluderla. Ma c’erano altri dati interessanti da

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prendere in considerazione. Da un libro di E. Amelio e A. Benedetti19 si viene a conoscere un tipo di evento che sicuramente non rientra nell’ordinaria routine dei voli civili. Durante la sosta a Bologna prima del volo fatale il comandante Gatti e il copilota Fontana, che si apprestavano a prendere i comandi del DC-9, scambiarono qualche battuta con il comandante Gentile e il suo secondo Ascione, i quali erano giunti da Ciampino alle 19:03 con un altro volo, il volo IH515, e si preparavano pure a partire anche loro per Palermo con scalo intermedio a Cagliari. Il comandante Gentile ricordava alcune delle frasi pronunciate da Gatti. «Sono passato a prendere il caffè e ho incontrato il comandante Gatti con il copilota Fontana, abbiamo preso il caffè e ci siamo detti “Eh, ma guarda se dobbiamo far ritardo ancora, due ore di ritardo – lui mi disse così – per aspettare dei detenuti, sarebbe meglio che li portassero con degli aerei militari”» (p. 19).

Quindi uno dei due aerei, sembra di capire proprio il DC-9, aspettava dei detenuti da trasportare, e si può anche supporre che il supplemento di ritardo del DC-9, cioè il ritardo di 19’ che andava a sommarsi al ritardo già accumulato, fosse da imputare all’attesa dei detenuti. Sono stati imbarcati o no i detenuti? Non se ne ha notizia. È comunque da escludere tassativamente che siano saliti sul DC-9 in quanto l’elenco dei passeggeri è stato vagliato con attenzione e non ne risulta la presenza. Ma a questa singolarità se ne aggiunge un’altra. A bordo del DC-9 non c’erano i detenuti attesi ma in compenso c’erano due carabinieri in borghese armati con pistole di ordinanza. Ambedue erano in forza al VII battaglione Laives (Bolzano), noto per ospitare la Compagnia Speciale Antiterrorismo (CSA), che fu istituita per contrastare il terrorismo altoatesino e che venne usata in varie altre operazioni, tra cui la lotta alla camorra. Si conosce il nome dei due militari – Giuseppe Cammarata e Angelo Guerino, siciliani, ambedue diciannovenni – e si sa anche che erano in permesso di 46 ore. Stando a quanto riportato nell’Ordinanza-Sentenza di Priore, Cammarata era in viaggio per assistere a un matrimonio. L’abitudine dei carabinieri di muoversi in coppia fa parte dell’immagine iconografica dei carabinieri in divisa, per cui non stupisce che due carabinieri, probabilmente amici (si è saputo anche che dormivano nella stessa camerata) facessero una trasferta in compagnia. Strana era piuttosto la coincidenza per cui due giovanissimi coetanei risultavano in permesso nello stesso giorno e con la stessa destinazione e inoltre affrontavano un viaggio aereo che doveva essere piuttosto costoso in rapporto ai loro miseri stipendi. Ancor più singolare la comune decisione dei due com19 AMELIO E. – BENEDETTI A., IH870. Il volo spezzato. Strage di Ustica: le storie, i misteri, i depistaggi, il processo, Editori Riuniti, 2005.

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militoni di viaggiare armati fuori servizio, ben sapendo che avrebbero dovuto deporre le armi al metal detector e comunicare la loro presenza al comandante dell’aereo.20 Può ben essere, naturalmente, che in questa storia non ci sia nessun mistero. Ciò che fa specie però è che il fatto sia emerso quasi per caso diversi anni dopo (per iniziativa dell’Ammiraglio Falco Accame, il quale arrivò addirittura a ipotizzare una sparatoria sull’aereo!) e che sia stato ammesso dal Ministro della Difesa Rognoni solo nel 1990 in risposta a un’interrogazione dell’On. Guido Pollice di Democrazia Proletaria. La laconica risposta del Ministro fu che, contrariamente a quanto asserito da Pollice, i due non erano in servizio e che «portavano una pistola di ordinanza, come ne avevano facoltà». Sarebbe stato interessante per gli inquirenti porsi diverse domande, per esempio per sapere qual era il motivo del permesso rilasciato al secondo dei due militari (di cui Priore non parla) o per sapere quando è stata fatta la prenotazione del loro volo e chi ha pagato il loro biglietto. Nessuna indagine risulta eseguita su questi fatti. Allo stesso modo, fa specie che nessuno abbia ritenuto di indagare sui misteriosi detenuti di cui si è detto sopra, se non altro per sapere se erano o no cittadini italiani e qual era il motivo della trasferta a Palermo. Ma un’indagine a tutto campo avrebbe dovuto porsi anche un’altra domanda: c’erano per caso altri carabinieri o poliziotti armati su altri aerei civili in volo in quello stesso giorno? Non sapremo mai la risposta ma la domanda non è banale: perché se per caso la risposta fosse positiva, la coincidenza farebbe ritenere che quel giorno i voli e gli aeroporti erano sorvegliati in modo speciale. Dunque non si possono incolpare solo i media di aver ignorato i fatti in questione dato che l’interesse per questi è mancato – fatto molto più grave – anche nelle indagini istruttorie e giudiziarie. Siamo di fronte dunque a un doppio depistaggio, mediatico e investigativo. Una colpa che si può rimproverare ai media è quella di aver fatto del sensazionalismo a senso unico e di aver ignorato, o finto di ignorare, che c’era materia per dare vita a costruzioni mediatiche molto più intriganti di quella dei presunti aerei che volavano “intorno al DC-9”. 20 La raccomandazione agli agenti di portare armi anche fuori di servizio è stata introdotta solo nel 2017 dopo l’attentato terroristico sulla Rambla di a Barcellona. Si apprende però che poi è stata normalmente disattesa perché, come si legge al sito https://www.ilgiornale.it/news/cronache/i-magistrati-s-i-poliziotti-no-ecco-follia-sul-portodarmi-1736390.html : «molti carabinieri e agenti che operano in borghese decidono di lasciare nell’armadietto la pistola d’ordinanza perché ‘troppo grande e pesante’». Su «La Repubblica» del 30.7.2019 una dichiarazione di un alto ufficiale di Polizia ribadisce che non c’è mai stato un obbligo di portare le armi fuori servizio ma solo una richiesta in questo senso, e che nella quotidianità «normalmente tende a portare l’arma fuori servizio solo chi lavora con incarichi delicati o a rischio».

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Il depistaggio mediatico ha anche altre responsabilità oltre a quelle sopra indicate. Una di queste è l’aver sviato l’attenzione dell’uditorio dal lavoro di una commissione, come la commissione Misiti, costituita da esperti di prestigio internazionale che hanno concluso unanimemente a favore dell’ipotesi dell’esplosione interna. Non ci dilungheremo a dire come siano state deformate o azzerate le notizie circa i processi e le sentenze, soprattutto civili, e come sulla stampa e sul web l’ipotesi della battaglia aerea sia stata presentata come la verità definitiva su Ustica. Vale però la pena di fare almeno un cenno all’oscuramento mediatico che è stato riservato a un fatto minore e tuttavia molto significativo. L’ICAO (International Civil Aviation Organization) è un organismo autonomo afferente all’ONU incaricato di curare la sicurezza del trasporto aereo. All’indomani di una sciagura aerea che occorre ad un velivolo, è d’obbligo per i paesi aderenti all’ICAO avviare un’indagine tecnica che porti all’individuazione della causa della sciagura, con l’obiettivo di evitare il ripetersi della stessa e quindi di migliorare la sicurezza del volo. Le indagini e la stesura del rapporto finale debbono seguire le indicazioni contenute in un documento che ovviamente è lo stesso per tutti i membri dell’ICAO. Dato che l’Italia è uno dei paesi che aderiscono all’ICAO, avrebbe dovuto attenersi alle regole prescritte. Ebbene, a distanza di 40 anni l’ICAO non ha ancora ricevuto la relazione finale sull’incidente di Ustica redatta secondo le norme prescritte. Il Segretario Generale dell’ICAO Fang Liu ha scritto di recente una lettera al Presidente Onorario dell’Associazione “Verità per Ustica” Giuliana Cavazza che contiene questo passaggio: «Si prega di notare che l’ICAO ha ricevuto il rapporto relativo all’incidente, che è stato sottoposto a ICAO dal Governo italiano il 2 giugno 1989. Tuttavia, conformemente al paragrafo 6,5 dell’allegato 13 della Convenzione Internazionale dell’Aviazione Civile (Convenzione di Chicago 1944), lo Stato è obbligato a rendere pubblicamente disponibile “la relazione finale” dell’indagine di un incidente. Pertanto l’ICAO, ad oggi, non può riscontrare la relazione dei dati sull’incidente o il loro contenuto».

Quindi, a distanza di 40 anni, l’Italia è inadempiente nei confronti dell’ICAO. Ci si chiede il perché di questa grave mancanza dei governi italiani, a fronte del fatto che nel 1989, cioè dieci anni prima che il giudice Priore depositasse l’Ordinanza-Sentenza che avallava la tesi della battaglia aerea, l’Italia aveva inviato un rapporto preliminare. Se manca una relazione finale stesa in conformità delle norme fissate dall’ICAO si riesce a immaginare un solo motivo per cui questo è accaduto: se questa relazione venisse scritta secondo le modalità richieste dall’ICAO questa non potrebbe offrire nessuna prova tecnicamente sostenibile di una battaglia aerea nei cieli di U33

stica. Se lo facesse, si avrebbe quindi come risultato che l’unica organizzazione che secondo le convenzioni internazionali ha titolo per stabilire la realtà dei fatti circa gli incidenti aerei sancirebbe che il DC-9 non è caduto a causa di un combattimento aereo. E in tal caso rischierebbe di crollare non solo il muro della “verità” costruita dai media su Ustica ma anche la credibilità di quei settori della magistratura che a questa costruzione hanno dato sostegno e copertura.

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3. USTICA. “STRANE MORTI” E MORTI NON SOSPETTE 21

1. I DECESSI SOSPETTI “COLLEGATI AD USTICA” Tra i vari fattoidi diffusi dai media sulla strage di Ustica (27 giugno 1980) quello che forse si è impresso più fortemente nella sensibilità collettiva è il fenomeno detto delle «strane morti». È largamente diffusa, infatti, la convinzione che un alto numero di persone che si suppone fossero a conoscenza di segreti importanti circa la caduta del DC-9 abbia trovato la morte in suicidi, malattie e incidenti che sarebbero in realtà omicidi mascherati. Il problema delle morti sospette era già stato affrontato dal giudice Priore nella sua Ordinanza-Sentenza con esito sostanzialmente negativo. Il capo 4 dell’Ordinanza-Sentenza (p. 4662) si apre così: «Questa inchiesta, come s’è caratterizzata per la massa di inquinamenti, così si distingue per il numero delle morti violente attribuite per più versi ad un qualche legame con essa. Questo numero viene però quasi azzerato, se si tien conto della durata delle indagini e quindi di un tasso fisiologico di decessi; ma di più, se tali vicende vengono vagliate escludendo deduzioni di fantasia ed usando solo rigorosi parametri di fatto...». E al termine della sua analisi (p. 4667): «È bene però su tanti episodi recidere immediatamente, così come si è fatto, ogni collegamento sia di pura che interessata fantasia. La maggior parte dei decessi che molti hanno definito sospetti, di sospetto non hanno alcunché». Cominciamo banalmente col notare che la teoria delle «strane morti» è di solito condivisa dai molti che ritengono che il DC-9 sia stato colpito per errore nel corso di una battaglia aerea, teoria di cui il giudice Priore è stato il sostenitore più importante. E se lo stesso Priore si manifesta scettico sulle morti sospette, a maggiore ragione dovrebbero esserlo quanti nutrono forti dubbi sulla tesi della battaglia aerea da lui propugnata. Prescindendo comunque dalle osservazioni di Priore, si possono avanzare altre riserve di principio. Chiediamoci innanzitutto se è possibile che qualcuno sia in grado di precisare, se non i nomi, almeno il numero approssimativo di quanti si possono dire “collegati ad Ustica”, come spesso si dice sulla stampa, nel senso sopra indicato. Come facciamo a sapere quante persone erano al corrente di importanti segreti su Ustica se queste notizie, 21

Pubblicato online il 9.9.2018.

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essendo per l’appunto tanto importanti che segrete, erano presumibilmente sconosciute anche ai conoscenti più stretti dei soggetti in questione? L’impossibilità di rispondere a questa domanda ha una conseguenza logica: se non siamo in grado di determinare le dimensioni e le proprietà di questo insieme incognito X, non possiamo neppure sapere se la percentuale di morti entro X è statisticamente più alta di quella che rientra nella norma entro ambienti paragonabili a quelli frequentati dai soggetti deceduti in modo sospetto. Ci sono altre considerazioni da fare. Chiediamoci, per fare un esempio, se un giornalista che ha scritto un paio di articoli su Ustica vada considerato come qualcuno che “è collegato a Ustica”. Forse sì, ma se ha firmato dozzine di articoli anche su altri argomenti vuol dire che potrebbe conoscere anche informazioni scottanti su diversi altri casi; cosicché, se lo vogliamo considerare “collegato” ad Ustica, lo dobbiamo considerare “collegato” anche a tutti gli altri casi da lui trattati. E se, poniamo il caso, in un certo giorno il coraggioso reporter viene assassinato, nessuno potrà dire che è stato eliminato per la sua conoscenza di verità scomode su Ustica piuttosto che per la sua conoscenza di verità scomode di altra natura. Chi oggi è in grado di dire perché è stato assassinato nel 1979 Mino Pecorelli, fondatore del periodico «OP» e conoscitore profondo dei più tenebrosi retroscena della politica italiana? Il discorso ovviamente si applica non solo ai giornalisti ma a qualsiasi altra categoria di soggetti con un profilo pubblico che siano stati operanti in quegli anni, soprattutto considerando che proprio a cavallo del 1980 in Italia c’è stata un incredibile susseguirsi di delitti clamorosi e mai completamente chiariti, dalla morte di Moro (1978) all’attentato a Wojtyla (1981), i cui risvolti più oscuri erano sicuramente noti a centinaia di persone. Quanto detto porta a mettere in dubbio il fatto stesso che si possa sensatamente parlare di un numero anomalo di morti sospette riconducibili ai segreti di Ustica. Ma la teoria delle strane morti comunque non regge per un altro motivo più semplice: guardando ai singoli casi di morti sospetti, risulta che quasi tutti ricevono una spiegazione causale plausibile che non ha niente a che vedere con Ustica, cosicché non c’è motivo di asserire che ci sia una catena causale tra la caduta del DC-9 e la morte della persona in questione. Vediamo uno per uno i casi esaminati da Priore e le sue conclusioni. 1) Pierangelo Tedoldi, colonnello dell’Aeronautica Militare destinato a prendere il comando del 4° Stormo e della base di Grosseto un paio di mesi dopo Ustica, muore il 3 agosto 1980 in un incidente stradale. Non provato un legame con Ustica. 2) Maurizio Gari, capitano dell’Aeronautica Militare. La sera del 27 giugno 1980 era in servizio come capo controllore del centro radar di Poggio Ballone (insieme al maresciallo Dettori, di cui si dirà oltre). Scrivono gli investigatori: «Dalle poche conversazioni telefoniche che sono state rintraccia-

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te si denota un particolare interessamento dell’ufficiale per l’incidente del DC-9 Itavia. Certamente la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità all’inchiesta». Muore il 9 maggio 1981 d’infarto, a poco più di trent’anni, ma non c’è nessuna prova che l’infarto sia stato effetto di cause diverse da quelle fisiologiche. 3) Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto nel 1980, funzionario del PCI. Forse aveva ricevuto delle confidenze dall’allora comandante della base di Grosseto. Muore il 23 gennaio 1983 investito da un motorino guidato da un sedicenne di Istia d’Ombrone. Assolutamente escluso ogni rapporto con Ustica. 4) Ugo Zammarelli, maresciallo dell’Aeronautica Militare, morto il 12 agosto 1988 in un incidente stradale. Nel 1980 era in servizio al SIOS di Cagliari. Escluso ogni rapporto con Ustica. 5) Antonio Muzio, maresciallo dell’Aeronautica Militare. Ucciso il 1° febbraio 1991 a Vibo Valentia. Nel 1980 era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme (dato rilevante forse per la caduta del MiG sulla Sila nel mese di luglio). Non è emerso alcun legame con Ustica. 6) Antonio Pagliara, maresciallo dell’Aeronautica Militare. Morto il 2 febbraio 1992 travolto da una Honda. Nel 1980 era in servizio al centro radar di Otranto (insieme al maresciallo Parisi) con la funzione di controllore di Difesa Aerea. Le indagini hanno concluso per la casualità dell’incidente. 7) Roberto Boemio, generale dell’Aeronautica Militare. Ucciso il 12 gennaio 1993 (13 anni dopo Ustica) a Bruxelles, in viaggio di lavoro come consulente per l’azienda Alenia. Nel 1980 era Capo di Stato Maggiore presso la Terza Regione Aerea di Bari. Scrive il giudice Priore: «Esaminato già per entrambi gli incidenti aerei del 27 giugno e del 18 luglio 1980, sicuramente un’altra sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe risultata di grande utilità».22 Mentre metteva l’auto in garage, venne accoltellato a morte da due giovani che gli hanno poi rubato il portafoglio. La magistratura belga non ha potuto identificare moventi e colpevoli dell’omicidio. Aveva prestato Servizio presso la NATO e nella sua vettura fu rinvenuta documentazione NATO classificata. Ma, come dice Priore, «tutto questo non appare assolutamente sufficiente a legare la sua morte con la conoscenza di circostanze non scoperte su Ustica». 8) Gian Paolo Totaro, maggiore medico dell’Aeronautica Militare. Morto impiccato il 2 novembre 1994. Nel 1980 era in servizio presso la base delle Frecce Tricolori di Rivolto. Rimangono sospetti sulle modalità del suicidio (si sarebbe suicidato con una corda appesa alla porta del bagno, a poco

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Ordinanza-Sentenza, p. 4669.

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più di un metro di altezza da terra), ma le indagini hanno attribuito la causa del gesto a una delusione sentimentale. 9) Recentemente si è molto parlato della morte di Michele Landi (che però non compare nell’inchiesta di Priore), consulente informatico della Guardia di Finanza e del Sisde nonché di alcune procure, trovato impiccato con le ginocchia sul divano la notte del 4 aprile 2002, nella sua casa di Montecelio di Guidonia. Sembra che Landi avesse detto al magistrato Lorenzo Matassa di essere a conoscenza di informazioni riservate su Ustica. Ma, a prescindere da altre considerazioni, molto banalmente ci si chiede perchè mai, avendo avuto ventidue anni per eliminarlo, i supposti killers non abbiano pensato di chiudergli la bocca prima. E lo stesso discorso vale per il generale dell’aeronautica in pensione Antonio Scarpa, deceduto il 2 dicembre 2010 per una ferita alla testa, che a tre decenni di distanza sarebbe una vittima di Ustica inspiegabilmente tardiva. 10) Generale Licio Giorgieri. Era Direttore Generale della Direzione generale delle Costruzioni delle Armi e degli Armamenti aeronautici e anche Capo del corpo del Genio aeronautico. Viene ucciso il 20.3.1987 da un gruppo denominato Brigate Rosse-Unione Comunisti Combattenti. Nessun rapporto con Ustica se non per il fatto che quella sera era in volo da Milano/Vicenza a Roma su un PD-808 assieme ad altri ufficiali dell’AMI. 11) Maresciallo Antonio Muzio, ucciso con tre colpi di pistola nell’addome mentre si trovava nella sua casa di Pizzo Calabro. Aveva lavorato all’aeroporto di Lamezia Terme: uno scalo direttamente coinvolto nella vicenda del MiG libico, del suo recupero sulla Sila e della sua restituzione a Gheddafi. Anche ammesso che sia stato ucciso perchè coinvolto (ma nessuno sa dire come e perché) nella vicenda del MiG libico, è stato provato nei processi penali che la caduta del MiG libico non ha collegamento con Ustica. Anche gli avvocati dell’associazione Parenti delle Vittime hanno preso le distanze dalla tesi, sostenuta vigorosamente da Priore nella OrdinanzaSentenza, secondo cui il MiG sarebbe caduto la sera stessa del DC-9. Il punto precedente è della massima importanza per commentare anche il caso del suicidio del maresciallo Parisi, maresciallo dell’Aeronautica Militare morto impiccato il 21 dicembre 1995. Il Venerdì 18 luglio 1980, giorno della caduta del MiG, Parisi era controllore della Difesa Aerea al centro radar di Otranto. È altamente probabile che la sua morte sia dovuta a motivi correlati a una sua possibile incriminazione per operazioni non regolari nel riconoscimento delle tracce radar lasciate dal MiG. Ma, come vogliamo ripetere, non è sostenibile che esista un nesso causale tra il disastro di Ustica e la caduta del MiG sulla Sila. Prima di continuare l’elenco supponiamo, con il gioco “facciamo finta che”, che tutti i casi enumerati siano stati realmente degli omicidi camuffati. Se fosse così, come già detto, nessuno è in grado dire se ciascuno di questi

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presunti omicidi riguardasse Ustica piuttosto che qualche altro fatto politicamente rilevante accaduto in quegli anni. E aggiungiamo un altro dettaglio: se anche riguardassero Ustica, non è detto che le vittime siano state eliminate da un’unica organizzazione anziché da diverse formazioni eventualmente in contrasto tra loro (come erano a quell’epoca, per fare un esempio, l’ala filoaraba e quella filoamericana dei servizi segreti italiani). Così come non è detto che, ove ci fosse stato un unico grande segreto da coprire, questo riguardasse la presunta battaglia aerea anziché altri dati indicibili relativi a Ustica, per esempio una serie di irregolarità nel controllo delle operazioni di imbarco che hanno consentito a qualche terrorista di collocare una bomba a bordo del DC-9. 2. DAI CASI DI MARCUCCI E DETTORI ALLA STRAGE DI RAMSTEIN Per completare il discorso restano da esaminare due casi, quelli di Sandro Marcucci e Mario Alberto Dettori, ambedue morti di morte non naturale, che erano accomunati non solo dal fatto di essere militari dell’Aeronautica ma anche dal rapporto di conoscenza che ambedue intrattenevano con il capitano Mario Ciancarella. Ciancarella, fondatore del movimento dei Militari Democratici, espulso dall’Aeronautica per insubordinazione, si è fatto paladino della tesi per cui il DC-9 sarebbe stato abbattuto dagli stessi italiani per incolpare la Libia e permettere di scatenare una rappresaglia contro Gheddafi.23 Si può desumere dalle testimonianze del Ciancarella che la tesi fosse condivisa anche da Marcucci e Dettori. Il Colonnello Marcucci precipitava col suo Piper il 2 febbraio 1992 sulle Alpi Apuane insieme al passeggero avvistatore Silvio Lorenzini. Il settimanale «L’Europeo» riportava queste notizie: «L’aereo brucia, va in fumo, c’è chi giura di aver visto l’aereo perdere stranamente quota e all’improvviso» [...] «Poi, mistero nel mistero, nella bara viene ritrovato un pezzo del motore: tutto fuso, tranne un tubicino di gomma. Il fuoco ha sciolto il metallo ma non la gomma. Ma chi l’ha nascosto nelle sue spoglie?».24 L’ipotesi che qualcuno, come Ciancarella, ha avanzato in alternativa a quella dell’incidente è che l’aereo sia caduto per una bomba al fosforo nascosta nel cruscotto. Interrogato a suo tempo da Priore, Marcucci aveva svolto indagini su Ustica rintracciando dei testimoni che avrebbero confermato la sua tesi. Il quotidiano «Il Tirreno» riferiva di un’intervista in cui, appena cinque giorni prima della sua morte, il Marcucci aveva duramente attaccato, accusandolo di corruzione, il generale dell’Aeronautica Zeno Tascio, comandante 23 24

Vedi il video https://www.youtube.com/watch?v=ctfxPKbuZVQ. Vedi https://www.militariassodipro.org/aereo-caduto-nel-92-riaperta-lindagine-uno-

dei/

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dell’aeroporto di Pisa dal 1976 al 1979, responsabile del SIOS dell’Aeronautica all’epoca del disastro di Ustica. L’organizzazione Rita Atria, con un esposto alla magistratura, ha reso possibile la riapertura delle indagini, ma ha evitato di parlare di attentato prima di avere le prove desunte dall’autopsia. Scriveva Priore:25 «Allo stato delle conoscenze, nonostante le evidenze equivoche, non c’è prova che la sua morte sia stata causata da un attentato» e a tutt’oggi (marzo 2020) non sono emersi elementi per modificare questa conclusione. L’altro caso, già menzionato, è quello del Maresciallo Dettori, trovato impiccato il 30 marzo del 1987 in un albero vicino al greto del fiume Ombrone (Toscana). Si ripete spesso che il maresciallo si trovava al radar di poggio Ballone la sera della strage, anche se il foglio di servizio del suo turno non venne mai ritrovato. Ricostruendo le testimonianze, sembra di capire che la sua convinzione fosse che il DC-9 sarebbe stato abbattuto da un missile a guida radar e a testata inerte in dotazione all’AMI. Quello che è certo è che l’episodio di Ustica causò nel maresciallo un grave stato di agitazione, aggravatosi dopo una missione in Francia. Il Dettori era in cura con dei calmanti e uno psichiatra con cui ebbe un colloquio lo qualificò come «delirante con ideazione di tipo paranoide e deliri sistematizzati». Era ossessionato dall’idea di essere controllato da microspie, al punto che, come ha dichiarato sua moglie, le fece buttare gli orecchini per paura che contenessero delle microspie.26 Recentemente, per pressione della famiglia, si è proceduto all’autopsia per stabilire se il suicidio non fosse in realtà tale, ma allo stato niente di quanto è stato riferito dalla stampa sull’esito dell’indagine consente di corroborare l’ipotesi dell’omicidio. La conclusione di Priore nell’Ordinanza-Sentenza sui casi dei due marescialli Parisi e Dettori stabilisce un collegamento con Ustica, ma nel senso che la catena causale originata da Ustica sarebbe costituita da fenomeni di ordine psichico: «E quindi, anche se non si raggiunge la prove di atti omicidiari, resta che gli atti di costoro, se suicidi, furono determinati da stati psichici di profonde prostrazioni connesse con gli eventi». Esaminiamo per ultimo un caso molto particolare che recentemente ha ricevuto dai media ampio risalto, anche per l’uso che ne sta facendo l’avv. Osnato, difensore degli interessi dell’associazione dei Parenti delle Vittime nelle cause civili per i risarcimenti. Nello spaventoso incidente occorso alle Frecce Tricolori a Ramstein (28 agosto 1988), che ha prodotto fra i civili ben 67 morti e 346 feriti, hanno perso la vita i piloti della pattuglia acrobatica Ivo Nutarelli e Mario Naldini, periti insieme al pilota Giorgio Alessio. Il presun25

Ordinanza-Sentenza. p. 4665. Vedi https://www.lidentitadiclio.com/il-furgone-e-appeso-allalbero-il-maresciallo-diustica-13-morti-sospette-parte-seconda/ 26

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to collegamento con Ustica consisterebbe nel fatto che il 27 giugno 1980 Naldini e Nutarelli erano in volo di addestramento durante il volo del DC-9 e avrebbero “squoccato” un segnale di allarme generale per segnalare la presenza di un aereo intruso. Per questo motivo, secondo quanto si ripete sulla stampa, sarebbero stati convocati dal giudice Priore per testimoniare ma sarebbero stati eliminati per chiudere loro la bocca prima del colloquio. Con gli «strani morti» di Ramstein c’è un salto di qualità rispetto ai casi esaminati nelle pagine precedenti: si passa infatti dalla dimensione dell’implausibile a quella dell’assurdo. Prima di tutto, contrariamente a quanto viene ripetuto da più parti (erroneamente anche dallo stesso Priore nel suo libro scritto con Giovanni Fasanella),27 nel 1988 il titolare dell’inchiesta non era Priore ma il giudice istruttore Bucarelli, il quale avrebbe lasciato l’incarico due anni dopo. Secondariamente non risulta che i due piloti fossero stati convocati a testimoniare, anche se sicuramente avrebbero potuto esserlo in un momento successivo. In terzo luogo, un allievo che era in volo con loro e che è stato testimone del presunto volo clandestino, Aldo Giannelli, è tuttora a vivo e in buona salute. In quarto luogo vale un discorso logico: anche ammesso che qualcuno abbia architettato un sabotaggio dei velivoli, non ne segue che questo fosse diretto a eliminare Nutarelli e Naldini piuttosto che a qualche altro obiettivo, come per esempio quello di danneggiare l’immagine dell’Italia o più semplicemente quella della base di Ramstein, ben nota come luogo-simbolo della presenza americana in Germania. Priore nella sua Ordinanza-Sentenza afferma: «Si deve perciò concludere che allo stato non sussiste né prova logica né prova di fatto degli ulteriori passaggi e cioè che il disastro di Ramstein fosse stato cagionato e realizzato per chiuder la bocca di quelli che erano a conoscenza di fatti di rilievo, prodromici alla strage di Ustica» (p. 4665). A quanto sopra detto va aggiunta una considerazione più generale, e cioè che si fa fatica a immaginare un modo per eliminare qualcuno più strampalato di quello che è stato supposto: un attentato difficile da organizzare e di esito altamente incerto, per non parlare dell’orribile distruzione di vite umane innocenti che non poteva non essere stata tenuta in conto dagli attentatori come probabile conseguenza. Volendo aprire e chiudere una parentesi, un’obiezione analoga alla precedente, facendo ovviamente le debite proporzioni, si può avanzare contro la tesi, ripetuta a getto continuo dai media, secondo cui a Ustica si intendeva eliminare il colonnello Gheddafi distruggendo il suo aereo con un missile aria-aria. Un attentato paragonabile a questo ha avuto successo una sola volta nella storia: l’eliminazione del generale Yamamoto, comandante delle forze armate giapponesi (18 aprile 1943). Gli americani gli tesero una trappola 27

G. FASANELLA - R. PRIORE, Intrigo Internazionale, Chiarelettere, 2010, p. 145.

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che funzionò egregiamente grazie all’intercettazione di un radiogramma cifrato: ma si noti che nel combattimento impari vennero impiegati non un solo aereo ma ben 16 aerei Lockheed P-38. Il progetto dell’agguato a Gheddafi non era quindi in sé assurdo; ciò che era assurdo era pensare che potesse funzionare nei modi e nelle circostanze presenti nella sera in cui si è verificato il disastro di Ustica. L’idea che si potesse abbattere l’aereo di Gheddafi entro un’aerovia civile di un paese straniero con il lancio di un missile che tra l’altro, secondo la tesi condivisa da Cossiga, poteva solo essere un missile “a risonanza” (cioè senza significativa produzione di schegge) è troppo ingenua per pensare che sia stata concepita da una mente dotata di un minimo di intelligenza strategica. 3. “STRANI MORTI” FUORI DAI CONFINI NAZIONALI La diffusione di notizie circa morti sospette seguite a un evento straordinario non è una novità. È già successo, per esempio, per la morte di Kennedy, e l’enorme impatto giornalistico che ha avuto il caso ha forse convinto molti giornalisti a farne una replica per il caso Ustica - replica che ha ricevuto, come prevedibile, la dovuta risonanza. Dobbiamo concludere che la teoria delle strane morti seguite a Ustica è infondata? Certamente lo è se teniamo conto solo dei fatti sopra enumerati. Ma stranamente ci sono dei fatti completamente estranei e indipendenti a quelli riportati che fanno pensare che forse ci sono state veramente delle morti sospette legate a Ustica. Per chiarire il punto è opportuno fare un passo indietro. Subito dopo il disastro di Ustica, l’evento suscitò grande interesse nei comandi americani, al punto che a tempi stretti venne costituita una commissione apposita per disposizione dell’ambasciatore americano a Roma.28 Ma è bene ricordare che l’interesse era altrettanto grande in URSS, dove pure il governo nominò, sembra in tempi rapidi, una commissione di esperti per studiare il caso. Al proposito c’è da considerare una notizia, riportata quasi incidentalmente dal giornalista Andrea Purgatori. È abbastanza noto che un ex-agente del GRU (l’intelligence militare dell’ex URSS) di nome Anatolj Ivanov, in un’intervista rilasciata al GR1 verso la metà del 1992, aveva ripetuto la tesi sostenuta dalla stampa sovietica già nell’immediatezza del disastro, cioè che il DC-9 sarebbe stato abbattuto da un missile della US Navy durante un’esercitazione.29 Non è l’unico caso di funzionario sovietico che si è sbilanciato in affermazioni simili (la testimonianza di uno di questi, intervenuto con il falso nome di Alexij Pavlov, si è dimostrata inconsistente). Ivanov affermò che quella sera un sottomarino 28

Vedi http://www.stragi80.it/ustica-analisi-documenti-declassificati-terza/. ANDREA PURGATORI, Ustica: 007 russo accusa gli USA, «Corriere della Sera», 19 gennaio 1993. 29

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sovietico vide tutto perchè stava svolgendo un servizio di vigilanza sulle attività della VI Flotta americana. Purgatori al proposito mostra un’apprezzabile cautela: «Certo, la situazione attuale in Russia è tale da lasciare aperto un buon margine di dubbio sulle dichiarazioni rese da Ivanov», e aggiunge che il giudice Rosario Priore dopo l’intervista ad Ivanov ha inviato una seconda richiesta di rogatoria internazionale a proposito della quale Purgatori osserva: «Ma non sarà facile. Incomprensibilmente, Mosca ha infatti rifiutato la prima rogatoria». Ma è molto interessante un’altra informazione che aggiunge Purgatori nel suo articolo: «… e intorno a queste dichiarazioni di Ivanov ecco affiorare un contorno, il solito sporco contorno, che fa da costante all’affaire da 13 anni al centro di manovre, depistaggi e pesanti interessi di servizi italiani e stranieri. In particolare: a) anche i sovietici, proprio come gli americani, crearono un gruppo di lavoro sulla strage di Ustica composto di ben 14 esperti tutti militari; b) di questi 14 agenti ne sarebbero rimasti vivi solo due e 12 sarebbero morti in circostanze più o meno chiare (l’ultimo, il generale Guzev, vicecomandante del GRU, fu investito il 18 novembre 1992, da un camion mentre era al volante della sua auto sulla circonvallazione di Mosca)». Uno dei due sopravvissuti, si noti, era lo stesso Ivanov.30 Dunque anche qui, a patto naturalmente di voler considerare attendibile la notizia riportata da Purgatori, emerge il fenomeno delle “strane morti”. Ma con una importante differenza rispetto a quelle che abbiamo prima considerato. A differenza dell’insieme fuzzy di quanti in Italia si prestavano a essere considerati “collegati a Ustica”, dobbiamo notare quanto segue: 1) qui siamo di fronte a un insieme prefissato di soggetti il cui numero è ben determinato (per l’esattezza 14); 2) si sa con sicurezza che questi avevano informazioni più o meno riservate su Ustica; 3) si conosce il numero esatto dei deceduti (12). La percentuale dei morti (86%) è quindi calcolabile con certezza matematica e può essere confrontata con la percentuale di decessi occorsi in gruppi di soggetti con caratteristiche confrontabili. Può essere comparata, per esempio, con la mortalità media entro qualsiasi insieme di cittadini ex-sovietici della stessa fascia di età o anche con la mortalità media riscontrabile entro gruppi di studio o commissioni di lavoro istituite in vari paesi con obiettivi analoghi. Certo, a differenza di quanto è stato acclarato per il caso italiano, le informazioni disponibili non ci permettono di stabilire quali cause di morte alternative siano ipotizzabili per ciascuno dei dodici specialisti scomparsi. Tuttavia la mancanza di questo dato non ci impedisce di condividere l’idea che lo stesso Purgatori suggerisce implicitamente nel suo articolo: la percentuale di decessi prematuri riscontrati nell’arco di tredi30 Così almeno secondo Leo Rugens in: https://leorugens.wordpress.com/2016/04/03/quel-mig-21-e-ustica-irrisolta/

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ci anni è talmente alto da far pensare ragionevolmente che molte di queste morti siano degli omicidi più o meno camuffati. Purgatori non fa ipotesi su chi potrebbe avere avuto interesse ad effettuare questo massacro sotto traccia. La CIA, la SDECE, i servizi segreti italiani? Difficile credere che per un decennio agenti al servizio di Stati stranieri abbiano avuto la possibilità di compiere un’operazione del genere in un paese come l’URSS, che era noto per avere un servizio di controspionaggio efficientissimo e ben finanziato. È più verosimile che la mente che ha deciso gli attentati, se ce n’era una, fosse da cercare dentro la stessa URSS. I motivi per cui i servizi segreti sovietici possono aver deciso di eseguire questa operazione sono solo essere oggetto di congettura. Ripetendo lo schema di quanto detto all’inizio, non c’è neppure certezza che i moventi degli omicidi siano legati ad Ustica piuttosto che essere dettati da problemi interni all’URSS e alla Russia nell’era post-Breznev, di cui siamo ovviamente all’oscuro. Il ricorso all’omicidio, anche se abituale nella prassi dei servizi sovietici ed exsovietici, è comunque pur sempre una misura giustificata da motivi estremamente gravi. Supponiamo però, come è tutto sommato plausibile, che il movente dei presunti omicidi fosse legato alle indagini su Ustica. In tal caso è lecito considerare tre possibilità alternative. La prima è che, come il sopravvissuto Ivanov, i commissari scomparsi fossero orientati verso l’ipotesi dell’abbattimento da parte americana o occidentale. In alternativa si possono immaginare solo due possibilità: o i commissari non erano in grado di dare una risposta circa le responsabilità del disastro o, se erano in grado di darla, avevano individuato le responsabilità in qualche paese che nel 1980 faceva parte del blocco orientale o era alleato dell’URSS. Nel primo dei tre casi è difficile capire perché qualcuno entro l’URSS avesse interesse mettere a tacere dei membri di quella commissione, anche se in URSS il quadro politico interno alla fine degli anni Ottanta era profondamente mutato dai tempi in cui la Libia riceveva dall’URSS un appoggio militare concreto. Lo stesso dicasi per la seconda alternativa, che avrebbe portato semplicemente a chiudere i lavori con un nulla di fatto (come è di fatto accaduto in Italia per l’inchiesta penale, che di fatto non ha individuato né le cause né i responsabili della strage). Resta per esclusione la terza possibilità, quella cioè secondo cui i commissari in questione avevano individuato i responsabili della strage nel blocco orientale o in paesi che erano nella sua area di influenza. E non c’è dubbio che la divulgazione di questa notizia avrebbe creato un problema politico serio alla dirigenza sovietica e post-sovietica. La soluzione dell’enigma è lasciata agli storici professionali, anche se è dubbio che oggi o in futuro si riescano a trovare i documenti necessari per accertare i fatti e per studiarne le cause. Qualcuno può voler concludere con la constatazione che ci sono più misteri di Ustica di quelli che i media hanno pre-

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sentato come tali. Ma ciò che suggerisce quanto rilevato sopra è un’altra considerazione: che forse sbaglia tanto chi pensa che Ustica sia stata una questione esclusivamente nazionale quanto chi pensa che sia stata il risultato di una contesa che coinvolgeva esclusivamente Italia, Francia, Stati Uniti e Libia. È plausibile invece tener conto di una terza possibilità: e cioè che Ustica sia stata solo un capitolo di una partita in gioco i cui confini geografici erano in realtà molto più estesi di quanto comunemente si sia portati a credere.

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4. IL DISASTRO DI USTICA E QUELLO DI CAPOTERRA: UN CONFRONTO FOTOGRAFICO 31

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1979 un DC-9 della compagnia ATI, in volo da Alghero verso Cagliari, si schiantava sui monti tra Capoterra e Sarroch mentre si accingeva a completare le manovre di avvicinamento all’aeroporto di Elmas. Il bilancio fu di trentuno morti: ventisette passeggeri e quattro membri del personale di bordo. Il risultato delle indagini non ha lasciato dubbi sulle cause del disastro. La commissione d’indagine appurava che l’incidente si era verificato a seguito di un’approssimativa quanto erronea manovra di avvicinamento all’aeroporto. L’errore compiuto dai piloti si era sommato con la negligenza del controllore di volo, che irresponsabilmente aveva autorizzato un avvicinamento a vista di notte. L’aereo era stato consegnato dalla McDonnell Douglas all’ATI nel 1975 ed era adibito al volo postale/passeggeri. L’incidente di Capoterra ha preceduto di circa nove mesi un altro disastro occorso a un altro DC-9 in una zona non lontana dalla Sardegna: la sciagura di Ustica. Nonostante la prossimità spazio-temporale e il fatto che gli aerei coinvolti fossero dello stesso tipo, le dinamiche dei due incidenti sono state completamente diverse, cosicché giustamente nessuno ha pensato di trarre dall’incidente di Capoterra informazioni utili a far luce sulle cause di quello di Ustica. In effetti le analogie riscontrabili tra i due eventi sono sostanzialmente irrilevanti, se non fosse per un dettaglio che può essere interessante esaminare con attenzione. Chi conosce le lunghissime e ancora non sopite polemiche sulle cause dell’incidente di Ustica sa che uno di punti più controversi riguarda le condizioni in cui è stata ritrovata la toilette del DC-9 ITAVIA e il relativo arredamento. Come è noto, la tesi condivisa dai periti della commissione Misiti (di cui faceva parte il superperito Frank Taylor) è che proprio nell’unica toilette dell’aereo sarebbe stato collocato un ordigno la cui esplosione, nell’arco di pochi secondi, avrebbe provocato la destrutturazione del velivolo. Per l’esattezza, l’ipotesi “bomba nella toilette” era giudicata dagli esperti della Misiti non assolutamente certa ma solo più sostenibile delle altre, e gli stessi periti ammettevano di non escludere la possibilità che l’ordigno – ammesso 31

Pubblicato online il 5.11.2018.

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che fosse stato l’unico esploso a bordo – fosse stato collocato in qualche altra posizione. È anche ben noto che la tesi della bomba a bordo è stata duramente contestata dai molti che erano orientati verso ipotesi esplicative diverse, come quella della quasi-collisione, della collisione con un altro aereo, o del missile a effetto “blast” (cioè con trascurabile produzione di schegge). Ciò che importa qui osservare è che i media si sono impossessati della questione “bomba nella toilette” mettendo in circolazione una larga massa di invenzioni che hanno avuto facile presa sul pubblico a cui erano destinate. Capita di leggere, soprattutto su Internet, che è impossibile che sia esplosa una bomba nella toilette in quanto questa sarebbe ritrovata intatta. Ciò è smaccatamente falso, in quanto il 90% della toilette e dell’area limitrofa non è stato recuperato nelle due campagne di recupero, e l’ipotesi della esplosione interna è quella che spiega nel modo più semplice la distruzione di questa parte del velivolo. Circolano però diverse varianti più credibili della stessa critica di fondo. Una molto diffusa è quella secondo cui la bomba avrebbe lasciato intatta una parte dell’arredamento. Quando si parla dell’arredamento della toilette il riferimento ricorrente è quello all’assicella del WC. È vero, infatti, che un’assicella del water infatti è stata ritrovata intatta durante le operazioni di recupero. Il reperto è stato acquisito come materiale probatorio, per quanto altre considerazioni, tra cui il fatto che non faceva parte della dotazione originale del velivolo, abbiano fatto pensare a una possibile diversa provenienza. Le simulazioni di esplosione ripetute al balipedio di Ghedi nel 1993 hanno comunque fortemente indebolito questo argomento, essendo risultato, in due esperimenti su tre, che un’esplosione ravvicinata a un simulacro di toilette non aveva prodotto nessun effetto sull’assicella del simulacro del water. Un’altra fake news frequentemente ripetuta è quella secondo cui il lavello sarebbe stato trovato intatto. Questo non è vero perché ciò che consta è esattamente il contrario: il lavello è ben lontano dall’essere intatto. Anche su questo argomento si riscontrano commenti variegati. Un argomento poco noto ma sicuramente interessante nasce proprio dal raffronto che è possibile stabilire tra i ritrovamenti del DC-9 di Capoterra e quelli del DC-9 di Ustica. Esiste infatti una fotografia del lavello del DC-9 precipitato a Capoterra che presenta pure gravi deformazioni: e ciò ha consentito a qualcuno di argomentare che, essendo il lavello del DC-9 di Ustica gravemente deformato, non ci sarebbe motivo di ipotizzare un’esplosione per spiegare le deformazioni di quest’ultimo.32 Una premessa sottintesa di questo argomento è che, stante che i due DC-9 erano di dimensioni simili e costruiti dallo stesso pro32 Vedi il documentario https://www.youtube.com/watch?v=riV6X0qPCdw, da cui è tratta la prima fotografia (minuto 48.03). La voce del commentatore dice che il lavabo «appare deformato e schiacciato proprio come quello dell’Itavia».

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duttore all’incirca nello stesso periodo, si può supporre che l’arredamento dei due aerei fosse stato realizzato sulla base di un modello comune e impiegando materiali dello stesso tipo: per cui il raffronto tra i due fenomeni risulta giustificato dalla natura uguale o molto simile dei due oggetti esaminati. L’unico modo per dirimere la questione consiste nel guardare direttamente la documentazione fotografica.

Nella prima delle tre foto riprodotte si vede il lavello ritrovato a Capoterra. È gravemente deformato, ma non frammentato. Presenta alcuni accessori ancora fissati al corpo del lavello ed è sostanzialmente riconoscibile.

Si guardino ora le altre due foto, che sono due immagini di uno stesso reperto registrato con il numero 1566, AZ558, e che rappresentano da angolature diverse ciò che resta del lavello del DC-9 caduto ad Ustica. Dire che in queste si vede un lavello deformato è un eufemismo, anzi si potrebbe dire semplicemente che è falso perché ciò che si vede non è nemmeno riconoscibile come un lavello. Ciò che si vede è il frammento di un oggetto metallico, 48

smembrato per effetto di qualche causa esterna, i cui bordi in alcuni punti appaiono quasi sfilacciati. Certo è giusto tener conto del fatto già ricordato che, anche se i due lavelli erano probabilmente di uguale fattura, le modalità dei due incidenti sono state completamente diverse. Il DC-9 I-TIGI non ha urtato contro il terreno ma è precipitato da 7500 metri, impattando ad alta velocità contro la superficie marina per poi inabissarsi. Il lavello è stato ritrovato alla profondità di circa 3500 metri e ha subito per circa dieci anni la corrosione dell’acqua e di altri agenti corrosivi presenti in questa, come il sale. Ma attribuire le caratteristiche del reperto riscontrabili nelle foto a un urto con un altro aereo, a un’esplosione esterna, a un cedimento strutturale oppure a un violento contatto meccanico con altri corpi che sarebbe occorso durante la caduta è qualcosa che non può essere sostenuto da un soggetto dotato di senso comune. Lo stesso vale a fortiori per una delle ipotesi sulla caduta del DC-9 ITAVIA che ha avuto credito, quella della quasi-collisione. Anche la lunga permanenza in acqua non può essere stata una causa del tipo di danneggiamento osservabile, dato che molti altri elementi metallici dell’aereo sono stati ritrovati sul fondo del mare pressoché integri, anche se in condizioni ovviamente deteriorate. Va aggiunto che il lavello, a differenza di altre parti metalliche dell’aereo, era in acciaio inox e che l’ossidazione/corrosione a quel livello profondità marina è meno aggressiva in quanto la quantità di ossigeno presente in acqua a quella profondità è inferiore a quella normale. Il confronto tra i reperti dei due disastri aerei di Ustica e Capoterra non è affatto un esercizio inutile. Se qualcuno ne vuole trarre una conclusione, questa però non è tale da refutare l’ipotesi di un’esplosione avvenuta all’interno del DC-9 ITAVIA ma semmai tale da offrire a questa ipotesi un elemento di conferma. Per completezza di argomentazione, tuttavia, bisogna tener conto di quella che è l’obiezione più ricorrente alla tesi della bomba: secondo quanto si sente spesso ripetere, la perizia metallografica e frattografica svolta dal Collegio Firrao-Reale-Robeni, di cui si dà conto nel Capitolo XXXI dell’Ordinanza-Sentenza Priore (p. 2217 sgg.), smentirebbe senza appello l’ipotesi che sia esplosa una bomba nel vano della toilette. Ma è proprio così? Andiamo a leggere ciò che viene detto circa il lavello a p. 2233: «le piegature ottenute per deformazione plastica nella zona anteriore del lavello stesso risultano quasi completamente raddrizzate prima di ulteriori deformazioni: il fenomeno di raddrizzatura sembra estendersi anche nella zona destra del lavello ad eccezione del bordino rialzato dell’estremità destra. Il fenomeno si estende anche alla zona posteriore. Tali fenomenologie sembrano coerenti con un’azione di trazione globale subita dal lavello in direzione prevalentemente alto-basso con i vincoli di reazione che possono essere costituiti dal fissaggio del lavello alla sua sede».

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Subito dopo la perizia riporta i risultati degli esperimenti di simulazione: «Analisi delle lamiere di acciaio inossidabili e dei lavelli sottoposti a prova di scoppio a La Spezia.33 Le prove condotte sui lavelli sottoposti a prova di scoppio hanno permesso di rilevare: – la totale dissomiglianza fra le deformazioni macroscopiche subite dai lavelli, per i quali la carica esplosiva era posizionata al di sotto di essi, e quella del lavello recuperato; – una forte analogia [corsivo nostro] delle deformazioni macroscopiche nel caso del lavello sottoposto a prova con carica esplosiva leggermente soprastante; – una discreta somiglianza [corsivo nostro] nel caso del lavello sottoposto a prova con carica esplosiva leggermente soprastante in simulacro di toilette. L’assenza nei campioni prelevati dal lavello recuperato di fenomenologie riconducibili all’effetto di onde di pressione o di temperatura, visibili invece nelle lastre e nei lavelli sottoposti a prova di scoppio». Dunque, per quanto è dato intendere a un non-specialista, tanto l’analisi frattografica che gli esercizi di simulazione non hanno affatto escluso che il lavello abbia subito l’azione di una carica esplosiva, anzi hanno evidenziato indizi positivi della possibile esplosione di una carica che si trovava collocata al di sopra di questo, escludendo altre posizioni. Sempre da non addetti ai lavori ci si può permettere di riprendere un’osservazione già fatta: come risulta dalla foto di cui sopra, quello che è stato esaminato non è a rigore un lavello ma ciò che resta di un lavello. La stessa perizia dice a un certo punto: «La porzione in esame [corsivo nostro] si presentava fortemente ripiegata ed accartocciata» (p. 2322). L’esame frattografico ha correttamente esaminato la struttura microscopica e la natura delle fratture riscontrabili nell’oggetto ripescato nelle operazioni di recupero. Su questo non c’è niente da eccepire, ma lo studio frattrografico, per limiti instrinseci di competenza, non ha dato nessuna risposta a domande che sono altrettanto se non più interessanti in sede di indagine giudiziaria: quale forza o insieme di forze ha trasformato quel lavello in una porzione ridotta di se stesso? Dove è finita la materia metallica staccatasi dal lavello originario? Quale forza o insieme di forze ha provocato in questo oggetto delle deformazioni tali da trasformarlo in una massa contorta e sfilacciata di metallo?

33 Si riferisce agli esperimenti di simulazione eseguiti al balipedio Cottrau di La Spezia nei giorni 26-30 aprile 1993.

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In alcune sue dichiarazioni rilasciate in sede non tecnica,34 il Prof. Firrao ha ribadito le risultanze del suo lavoro, aggiungendo però che era improbabile che la bomba si trovasse sopra il lavello, dato che sarebbe stata facilmente individuata. Questo però è un tipo di considerazione che, pur essendo di qualche interesse, dovrebbe esulare dalla competenza di un perito frattografico. Ciò che importa osservare è che gli indizi individuati del Prof. Firrao, anche se deboli, acquistano valore se congiunti a numerosi altri indizi di esplosione interna riscontrati da periti qualificati.35 E va notato anche che l’ipotesi dell’esplosione interna riceve una controprova da un altro risultato della perizia dello stesso collegio che non si ha motivo di mettere in dubbio: cioè che nessuno degli elementi acquisiti giustifica l’ipotesi di un’esplosione avvenuta esternamente al velivolo.36

34 A parte alcune interviste rilasciate dal Prof. Firrao alla stampa, vedi il video https://www.youtube.com/watch?v=xXUjlLm-Bnk&t=7s si tratta della registrazione di una lezione universitaria in cui il docente esprime a ruota libera anche sue personali considerazioni extra-scientifiche in materia storico-politica. 35 Vedi la cosiddetta Tabella Bazzocchi nel libro di G. LILJA, cit., p. 108 e le pagg. 173190 di F. BONAZZI - F. FARINELLI, Ustica. I fatti e le fake news, LoGisma, 2019. 36 Questo risultato è convergente con quanto stabilito dalla perizia balistico- esplosivistica Brandimarte-Ibisch-Colla: Vedi la Ord.-Sent. Priore Capitolo XXX - Perizia balisticoesplosivistica Ibisch ed altri, p. 2185 sgg.

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5.

IL MISSILE DI USTICA E IL MOSTRO DI LOCH NESS 37

1. MISTERIOSE ENTITÀ SUBACQUEE Il lago chiamato Loch Ness si trova nelle HighLands Scozzesi, a pochi chilometri da Inverness. Ha una profondità massima di 240 metri, è lungo circa 37 km e nel punto di maggiore ampiezza è largo 1,6 Km. È visitato ogni anno da circa un milione di turisti richiamati da quella che è la sua attrazione principale: un mostro, affettuosamente chiamato Nessie, che secondo una diceria vecchia di secoli abiterebbe nelle acque del lago. Normalmente Nessie viene effigiato in centinaia di souvenirs come un enorme serpente acquatico, più raramente come un dinosauro simile ai draghi di Walt Disney, con gambe corte e collo lungo. Le imbarcazioni che portano i turisti in gita fino al castello di Urquhart e anche oltre sono dotate un sonar che consente al turista di scrutare le profondità lacustri, dandogli a volte il brivido di vedere l’ombra di qualcosa che sembra un grosso animale scivolare nelle oscurità del fondo lago. La leggenda del mostro è alimentata da saltuarie testimonianze e anche da alcune immagini fotografiche. La più conosciuta è la famosa foto del mostro scattata nel 1934 da Robert Kenneth Wilson e soprannominata la “foto del chirurgo” (Surgeon’s Photograph). Purtroppo si è rivelata un clamoroso falso. Altri avvistamenti sono stati smascherati, ma la leggenda continua a sopravvivere, in parte per il fatto che non per tutti i presunti avvistamenti si è potuto dimostrare che sono il prodotto di un inganno intenzionale. Un missile e un serpente marino hanno in comune la sagoma siluriforme, ma per il resto ci sono differenze sostanziali. La più notevole è che Nessie fa parte della biosfera: quindi, a meno che non sia l’ultimo esemplare sopravvissuto di una razza di animali sconosciuta, deve essere parte di una famiglia in grado di riprodursi, mentre niente del genere si può ovviamente affermare di un missile. Quanto detto riguarda un generico missile. Se invece si parla del missile che, secondo un’opinione universalmente diffusa, avrebbe abbattuto per errore il DC-9 di Ustica la sera del 27 giugno 1980, possiamo riconoscere delle somiglianze non tanto nella natura dei due oggetti o nel fatto che ambedue, 37

Pubblicato online il 4.4.2019.

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se realmente esistono, si trovano sott’acqua, quanto in certe caratteristiche delle indagini che li riguardano. Ovviamente, se il missile è stato effettivamente lanciato ed è esploso, ciò che ci aspettiamo di trovare non è il missile nella sua integrità ma qualche parte dello stesso, e soprattutto il booster (il primo stadio) o il sustainer (cioè il corpo contenente il motore), che trasporta la testa di guerra. Lo stesso però vale in un certo senso anche per Nessie: i presunti testimoni a volte raccontano di aver visto solo le gobbe del mostro o la sua testa, quasi mai il corpo nella sua interezza. E se Nessie è esponente di una razza da poco estinta si può sperare di trovare tutt’al più qualche resto di lui e della sua famiglia e non l’animale in perfette condizioni. I punti interessanti che accomunano i due casi sono però altri. Il primo è questo: nessun soggetto ritenuto credibile ha mai visto o trovato il mostro o parti di questo, così come nessuno ha mai visto o trovato il missile di Ustica o parti di questo. Ne deriva quindi una domanda essenziale: se esistono o sono esistiti gli enti in questione (mostro o missile), perché nessuno ha mai visto o trovato né l’uno né l’altro? Per salvare le due teorie – esistenza del mostro, esistenza del missile – sono state fatte, o si possono fare, delle ipotesi in grado di spiegare il mancato ritrovamento. Per il mostro una prima ipotesi esplicativa che è stata avanzata à questa. Nessie non è mai stato visto da nessuno perché è un mostro molto timido: quando sente l’avvicinarsi di un’imbarcazione o di un aereo o percepisce a distanza le onde acustiche del sonar, si nasconde in anfratti e cunicoli per nascondersi alla vista. Una spiegazione analoga probabilmente fu a suo tempo ipotizzata a proposito degli dei dell’Olimpo. Quando qualcuno saliva sull’Olimpo con la speranza di vedere, per esempio, Apollo o Giove, questi si nascondevano o si rendevano invisibili perché non gradivano farsi vedere dai comuni mortali. Per quanto riguarda Nessie, l’inconveniente di questa ipotesi è che il suo contenuto è tale da rendere incontrollabile (Popper direbbe: non falsificabile) l’ipotesi stessa. Se il mostro non esiste, non lo vedremo mai; e se esiste, anche in tal caso non lo vedremo mai in quanto la sua indole è tale da precludere la possibilità di vederlo. E quindi, dato che è in linea di principio impossibile averne percezione diretta, è anche impossibile in linea di principio accertare se sia timido piuttosto che spavaldo. Naturalmente questa non è l’unica ipotesi che si può fare per spiegare la mancata visione diretta del mostro. Un’altra è la seguente. Si può sostenere che il mostro non si è mai trovato perché non c’è mai stato nessun interesse a trovarlo, anzi c’è stato un forte interesse a non trovarlo affatto. Infatti, nel caso fosse accertata la sua esistenza, qualche sconsiderato cercherebbe di

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passare alla storia uccidendolo insieme alla sua famiglia.38 Morto il mostro, nel giro di pochi anni finirebbe la curiosità per la sua possibile esistenza e verrebbe meno anche l’interesse turistico per il lago di Loch Ness. Per spiegare il mancato ritrovamento del missile si è ricorso pure a un certo numero di ipotesi ausiliarie che ricordano quella sopra delineata. Parallelamente a quanto già riferito per Nessie, si è detto che il missile non è stato trovato perché c’era l’interesse a non trovarlo. Anzi si è detto di più: si è detto che c’era un forte interesse a farlo scomparire. La ragione per cui questa ipotesi è stata più volte avanzata è questa. Si sa che il recupero del relitto nel 1987-1988 venne affidato ad un’azienda francese, la IFREMER. Ora, si è detto più volte che il missile che si suppone sia stato lanciato contro il DC-9 era un missile francese. Lo scenario ipotizzato è quello di un tentativo fallito di abbattere l’aereo di Gheddafi o, secondo altri, un MiG che si nascondeva nel cono d’ombra del DC-9. Per la verità non c’è mai stata nessuna prova che l’ipotetico missile sia stato lanciato dai francesi piuttosto che da qualcun altro, cosicché si potrebbe anche sostenere che l’assegnazione delle ricerche a loro indica che si dava per scontata la loro estraneità ai fatti. Ma l’argomento che viene spesso riportato dai media parte dall’ipotesi non dimostrata di una responsabilità francese e cerca nell’attività dell’IFREMER degli elementi di conferma. Ciò che si afferma è che è possibile che i francesi, per coprire la malefatta, abbiano ottenuto l’incarico di recuperare il relitto, magari per qualche accordo politico sottobanco, e abbiano poi fatto sparire i frammenti del missile. Il missile quindi non sarebbe stato trovato perché i francesi non avevano alcuna intenzione di trovarlo, anzi avevano il preciso obiettivo di farlo sparire. In effetti l’ipotesi dietrologica circa l’intervento dei francesi non solo è campata in aria ma non ha nessun aggancio con la realtà. In primo luogo i francesi hanno eseguito solo la prima campagna di recupero nel 1988 senza completare il lavoro programmato. I reperti da loro recuperati furono trasportati a Pratica di Mare. Nel 1991 il lavoro fu completato dall’azienda inglese Winpol, che ha setacciato la parte restante dell’area senza trovare nessuna traccia del missile. I lavori dell’IFREMER si sono svolti sotto il controllo dell’azienda Tecnospamec e della commissione peritale diretta dall’ingegner Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma. I passaggi dell’operazione sono stati filmati, anche se è stata messa in dubbio l’integrità dei video consegnati.39 Dai video depositati, risulta che il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile stava esplorando il Tirreno alla ri38 Farebbe così la stessa fine del drago Tarantasio che nel Medio Evo infestava il lago Gerundo, nei pressi di Lodi. Secondo la leggenda venne ucciso dal capostipite dei nobili Visconti e al fatto si richiama il simbolo di Milano, cioè il biscione con un bambino in bocca. 39 Vedi il link https://www.youtube.com/watch?v=W_OMunF_1I0).

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cerca dei frammenti del relitto. Alle 11:58 di quel giorno le telecamere inquadravano una forma particolare. Dal video si percepisce che uno dei due operatori dell’IFREMER scandisce in francese la parola ‘missile’. Alle 13:53 si intravede un’altra classica forma di missile. Per inciso, questo fa pensare che non ci fosse l’intenzione dolosa di nascondere frammenti del missile, altrimenti i francesi non avrebbero reso pubblico questa parte del filmato. Le ricerche dell’IFREMER comunque vennero sospese tre giorni dopo per decisione di Blasi. È da notare che a quell’epoca la commissione Blasi propendeva per la tesi del missile, anche se poi lo stesso Blasi nel 1990 cambiò orientamento insieme al collega Cerra in seguito a un aggiornamento delle informazioni circa i dati radaristici, mentre altri tre membri del collegio (Imbimbo, Lecce, Migliacci) restavano fedeli all’ipotesi iniziale. Dunque dobbiamo credere che fu trovato un missile e che per qualche motivo la scoperta venne occultata? Nel 1991 il quotidiano «La Repubblica» chiariva il mistero, come risulta dal titolo sotto riportato.

Il quotidiano scriveva: «La nave Valiant service ha recuperato i tre oggetti e ha scoperto che si trattava di tre segnalatori acustici militari: boe che gli aerei antisom lanciano in mare per avere riscontri diretti sulla presenza, in profondità, di sottomarini». Un piccolo mistero è come potessero sul fondo marino esserci tre oggetti analoghi a poca distanza l’uno dall’altro. Un’ipotesi ad hoc che è stata avanzata per puntellare l’ipotesi che qualcuno mirasse a far scomparire il missile è che le boe servissero a ispezionare il fondo del mare alla ricerca proprio di resti metallici del missile. Si è parlato molto anche di solchi paralleli che sono stati fotografati sul fondo marino (vedi figura seguente). Queste immagini hanno fatto pensare che qualcuno fosse sceso a ispezionare la zona del disastro prima dell’inizio della campagna di recupero. Dopo una certa data però non si è più parlato di questo fenomeno, così come del falso ritrovamento del missile. Pare altamente probabile che i solchi fossero tracce lasciate da una videocamera installata su un robot dell’IFREMER che si muoveva su una coppia di ruote.

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Pierre Papon e Jean Roux – il primo presidente della società francese; il secondo, dirigente della sezione recuperi marini e responsabile dall’inizio alla fine dell’“OPERA” (OPErazione Recupero Aeromobile) – furono interrogati a suo tempo dalla Commissione Stragi. La stampa racconta di imbarazzi, contraddizioni e stranezze nelle loro deposizioni.40 Il sospetto che serpeggiava in alcuni ambienti italiani era che la IFREMER fosse legata ai servizi segreti francesi, idea respinta sdegnosamente da Papon durante il dibattimento. Papon ha negato anche qualsiasi rapporto dell’IFREMER con il famoso comandante Cousteau. Non si può escludere comunque che il sospetto abbia avuto qualche ruolo nel determinare la decisione di sospendere le ricerche. Dunque i presunti ritrovamenti del missile da parte dei francesi erano una fake news. Ciononostante niente può impedire a chi lo desidera di credere che i fatti si siano svolti secondo un copione stabilito da accordi sconosciuti intervenuti tra le parti in gioco. Non c’è nessuna incoerenza nel pensare che segretamente i francesi abbiano provveduto, con il consenso tacito degli italiani, a far sparire i frammenti del missile e che anche gli inglesi della Winpol, magari per un accordo supplementare altrettanto occulto, abbiano provveduto a farlo. Per immaginare questo però dobbiamo immaginare una macchinazione, cioè un complotto. Questa ipotesi rientra nello schema delle cosiddette teorie cospirative della società, analizzate da Popper nel suo cele-

40 GIUSEPPE D’AVANZO, “Le strane foto dell’IFREMER”, «La Repubblica», 20.7.1991. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/07/20/le-strane-foto-dellifremer.html

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bre La società aperta e i suoi nemici.41 Come si sa, accade spesso che per spiegare un certo fenomeno storico si ricorra all’ipotesi di una cospirazione (ad es. ebraica, massonica, orchestrata dai servizi di intelligence ecc.) la quale per sua stessa natura è segreta, il che implica che quando è ben organizzata non fa trapelare nessuna informazione che renda possibile la scoperta della sua esistenza. Quando un complotto viene scoperto, come ogni tanto accade, se ne trae la conclusione che era male organizzato. Lanciare l’ipotesi di un complotto ben organizzato mai scoperto da nessuno dunque significa far ricorso a un’ipotesi che per sua stessa natura non può essere refutata da niente. Sono interessanti anche altre risposte possibili alla coppia di interrogativi che stiamo esaminando. Si è cercato di stanare il mostro attirandolo con delle esche di vario tipo (soprattutto salmoni), ma lo stratagemma non ha avuto alcun successo. I sostenitori dell’esistenza del mostro però hanno negato che questo insuccesso provasse la sua inesistenza, dicendo che può darsi che non fosse di suo gradimento il pasto che gli veniva offerto.42 Altri hanno obiettato che il mostro forse non è stato attratto dalle esche perché quando gli sono state offerte lui si trovava fuori dall’acqua. Per capire questa obiezione bisogna infatti ricordare che, secondo alcune testimonianze, Nessie in realtà avrebbe quattro zampe e amerebbe passeggiare sulla riva del lago, forse per scaldarsi al sole di Scozia. Questo nuovo elemento impone di rivedere l’immagine tradizionale del mostro, che secondo questa riconnotazione sarebbe un anfibio; in tal modo cade pertanto l’idea che avesse qualche affinità come quella a volte supposta con il plesiosauro, dato che il plesiosauro era dotato di pinne e non di zampe. Questo mutamento di prospettiva ha il vantaggio di offrire un appiglio per spiegare il mancato ritrovamento del mostro. Forse quando lo si cercava nell’acqua il mostro in realtà era sulla terra, dove potrebbe aver scavato la sua abitazione in qualche cunicolo. In tal modo si crea però una difficoltà nuova: mentre il lago ha una superficie determinata dai suoi bordi, la zona di terra emersa in cui il mostro potrebbe trovarsi ha dei confini indeterminati, cosicché nessuno è in grado di dire esattamente quale sia il perimetro dell’area in cui potrebbe trovarsi. Va notato che molte delle teorie cospiratorie si reggono su schemi di argomento analoghi a quello ora riferito. Citiamo da Wikipedia la voce ‘Teoria del complotto’, dove si fa l’esempio di un complotto per nascondere la realtà dei dischi volanti. «Un’altra obiezione che gli scettici muovono ai teorici del complotto è il ricorso costante a ipotesi ad hoc ogni volta che un fatto sembri 41 K.R. POPPER, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, trad. it. di D. Antiseri, Roma, Armando, 1973-1974, pp. 125-129. Per una sintesi sul complottismo, anche: U. ECO, “Conclusioni sul complotto. Da Popper a Dan Brown”, https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=278419 42 PAUL HARRISON, The Encyclopaedia of the Loch Ness Monster, Londra, Robert Hale, 1999.

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falsificare la loro teoria. Proseguendo l’esempio della teoria del complotto UFO, anche se si potesse accedere liberamente agli archivi del Pentagono (o di qualche altro ente governativo) e non si trovasse alcun riscontro, si può sempre sostenere che esiste un altro archivio segreto, da qualche altra parte, che contenga i documenti che dettagliano il complotto, ma a cui non si ha (ancora) accesso. E se si scoprisse davvero un archivio segreto del genere, ma che non contenga ugualmente documenti probanti del presunto complotto, allora si potrebbe ipotizzare l’esistenza di un terzo archivio, ancora più segreto, e così via all’infinito. Oppure si può sostenere che quei documenti siano stati distrutti, pur non potendo circostanziare quando, dove e da chi». Come è implicito nel brano precedente, la vaghezza delle circostanze menzionate nelle ipotesi ad hoc ha l’effetto di rendere queste infalsificabili. Se non si trova quello che si cerca nell’area X, si potrà sempre dire che si sarebbe dovuto cercare nell’area Y, e così via all’infinito. Non a caso la mancanza di precisione è una delle qualità che, come ha evidenziato Popper, distinguono più marcatamente la scienza dalla pseudoscienza. È interessante osservare che una risposta al problema del missile analoga a quella appena descritta è stata offerta da un tecnico di nome Robert Sewell. Sewell si è distinto da altri teorici del missile per il fatto che si è detto convinto (come anche il perito di parte civile ITAVIA Luigi Di Stefano) che siano stati sparati non uno ma due missili.43 L’ipotesi di per sè è plausibile, perché qualsiasi missile aria-aria (SAHR o a frammentazione) ha una probabilità di errore stimabile al 30%, per cui se si vuole avere la certezza pratica del risultato è realistico spararne due. Questo è quanto è realmente accaduto, per esempio, quando l’aviazione russa nel 1983 per abbattere il Boeing 747 sud-coreano sconfinato a nord dell’isola di Sachalin impiegò tanto un missile a guida radar che uno a infrarossi, che colpirono l’aereo in due punti diversi. Un doppio missile è stato usato anche nel recente abbattimento di un aereo ucraino da parte iraniana. Ora, se si ritiene veramente che il DC-9 sia stato abbattuto da due missili, questo chiaramente raddoppia le chances di trovare i resti di uno dei due missili o di tutti e due, in prossimità dell’aerea centrale dei ritrovamenti. In tal caso, però, risulta doppiamente sorprendente il fatto che non se ne sia trovata traccia: come è possibile che non si sia recuperato nemmeno un frammento di due missili sparati a pochi secondi di distanza? In un’intervista rilasciata da Sewell a Claudio Gatti nel 199344 l’intervistatore chiede: «Come mai delle ripetute operazioni di ripescaggio 43 FRANCO SCOTTONI, “Il computer sul caso Ustica. A colpire furono due missili’, «La Repubblica» del 27.5. 1995. Vedi https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/06/27/il-computer-sulcaso-ustica-colpire.html 44 C. GATTI, “Ustica. È stato un missile, anzi due”, «L’Europeo», 5 luglio 1993.

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del relitto non sono stati ritrovati resti dei due missili?». Riposta: «Ho l’impressione che non si sia cercato nella zona giusta». «E qual è la zona giusta?». «Attraverso la fusoliera il primo missile ha incontrato alcune delle strutture più resistenti dell’aereo e si è probabilmente spezzato in due parti principali… penso che i pezzi di quel missile debbano essere cercati a circa 3,4 miglia nautiche a nord-est del punto in cui si trovava il DC-9 al momento dell’esplosione». E il secondo missile? […] «Considerando i venti, penso che il punto di ammaraggio sia a circa 5,5 miglia nautiche a nord-est del punto in cui si trovava il DC-9 quando è esploso». La risposta sembra essere precisa ma, se si guarda attentamente a quanto riportato nell’articolo, non lo è affatto. Infatti, stando alla lettera del testo dell’articolo, Sewell identifica l’area del possibile ritrovamento facendo perno sul «punto in cui si trovava il DC-9 quando è esploso». Se stiamo alla lettera di questa espressione tale punto si trova in alto nel cielo, non sul fondo marino. Sewell voleva riferirsi presumibilmente alla verticale di questo punto sul fondo marino, calcolabile però con un margine di approssimazione tale da tener conto anche della forza del vento di quota e di altri fattori dinamici. Non si tratta quindi di un punto esatto ma di un’area che, per quanto ristretta, ha dei bordi non esattamente determinabili.45 A prescindere da questo particolare, le indicazioni di Sewell sono così vaghe da rendere sostanzialmente incontrollabile la sua ipotesi. Cerchiamo di vedere le cose in modo ravvicinato. Dato che un miglio nautico corrisponde a 1,850 Km, stando alle congetture di Sewell il relitto del primo missile (immaginando per semplicità che non fosse frammentato) si dovrebbe trovare a “circa” 6,29 Km a NE del punto di caduta, mentre il secondo dovrebbe trovarsi a “circa” 10,175 Km a NE di questo. Supponendo che i due corpi fossero allineati sulla linea del percorso del DC-9, calcolando la differenza, la distanza tra i relitti in fondo al mare dovrebbe essere dunque di circa 3,9 Km. Ipotizzando a titolo di esempio che l’aereo viaggiasse a 750 Km orari, vuol dire che in un minuto secondo percorreva circa 0,21 Km, cioè 210 metri. Facendo l’ipotesi estrema che i missili siano stati sparati a 5 secondi di distanza, le verticali dei rispettivi punti di impatto con il DC-9 dovrebbero trovarsi quindi a 210 x 5 = 1050 m. (1 Km circa) di distanza tra loro. Anche tenendo conto dell’azione del vento di quota e di altri fattori di deviazione dalla verticale, che però agivano 45 Nell’immediatezza dell’evento la confusione circa la determinazione di questo punto è stata enorme. Il Dott. Gianluca Salvatori, collaboratore della Commissione Stragi, rilevava: «In concreto, poichè i resti affioranti dell’aereo sono stati rinvenuti in posizione 39o 49’ Nord-12o 55’ Est, l’ultima battuta registrata dal sistema militare risulta distante circa 60 km in direzione Sud-Est dal punto del probabile impatto, mentre l’ultima battuta del sistema civile risulta distante circa 30 km in direzione Sud-Est» (dal sito http://www.strageustica.it/varie/taradash.htm, ora disattivato). In seguito si è trovato un sostanziale accordo sul punto 0 in base a calcoli fatti sull’ultima battuta in cui compare il trasponder segnalata dal radar Marconi.

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in egual misura sui due relitti, è arduo sostenere, come fa Sewell, che i relitti in fondo al mare dovrebbero trovarsi a una distanza di 3,9 Km l’uno dall’altro, cioè a una distanza circa quattro volte maggiore di quella che intercorre tra i punti di impatto nel cielo. Ancora più strano risulta il fatto che secondo Sewell il missile sparato per secondo dovrebbe trovarsi 4 Km a nord del primo. Stando al senso comune ci si dovrebbe aspettare di trovarlo non a nord ma a sud del primo, anche tenendo conto di eventuali diverse dimensioni dei missili e di diversi gradi di resistenza incontrati nell’impatto. Queste considerazioni sarebbero sufficienti a refutare la teoria del doppio missile, ma si noti che la vaghezza di dettagli come «a qualche secondo di distanza», «all’incirca a 3,4 miglia» ecc. nonché la possibile azione di fattori con valori congetturali come i venti e le correnti marine lasciano aperte sempre delle scappatoie in virtù delle quali l’ipotesi risulta di fatto immune da falsificazione. Il ricorso al probabilismo può offrire una via d’uscita a tutte le difficoltà di questo tipo. È evidente che la superficie in cui ricercare i frammenti del DC-9 non poteva essere nota con esattezza e determinata a priori. Tuttavia è stata setacciata un’area enorme dell’ampiezza di 35 Km2, sono stati recuperati al 85% tutti i frammenti dell’aereo e non si è trovato nessun frammento di nessun missile. Certo si può voler sostenere che i resti dei due missili fossero da cercare fuori dalla zona dove sono stati ripescati i resti del relitto. Ma, a parte le riserve metodologiche sopra esposte, la probabilità che i resti dei due missili siano caduti tutti in qualche luogo esterno all’area dei ritrovamenti, in base anche a considerazioni tipo balistico, è talmente bassa da potersi considerare trascurabile. 2. IN CERCA DI TRACCE A fronte delle difficoltà profilate, si potrebbe rinunciare alla possibilità di avere una visione diretta, anche se parziale, tanto del mostro che del missile, per ripiegare su un obiettivo più modesto. Prendiamo le mosse dall’idea, derivata dal common sense, secondo cui tutti gli oggetti fisici che hanno esistenza reale lasciano delle tracce. In base a questa premessa potremmo inferire da eventuali tracce di Nessie la prova della sua esistenza presente o passata. Non si può escludere, infatti, che il mostro fosse parte di una razza di animali recentemente estinta. Se è così, però, dovrebbero essere reperibili in misura abbastanza abbondante impronte, resti fossili, escrementi ecc. Il discorso quindi si sposta dal ritrovamento del mostro al ritrovamento delle sue tracce. Qui bisogna ricordare che si sono verificati alcuni presunti ritrovamenti dei suoi resti, alcuni dei quali rivelatisi però fasulli. Si ricorda in particolare il caso di un cacciatore esperto di nome

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Marmaduke Wetherell. Costui, inviato dal quotidiano «Daily Mail» a Loch Ness per indagare sul mostro, si fece ingannare da alcune finte impronte, che in realtà erano state lasciate da un portaombrelli avente alla base un piede di ippopotamo imbalsamato.46 Analogo ridimensionamento di obiettivo si potrebbe fare per il missile. In altre parole qualcuno potrebbe ragionevolmente dire: rinunciamo a trovare parti del missile e limitiamoci a cercare le tracce che il missile, se è stato veramente sparato, dovrebbe aver lasciato sull’aereo o in prossimità di questo. Il passo più semplice in questa indagine sta nell’esaminare il relitto completamente ricostruito, ora visibile da tutti al Museo della Memoria di Bologna. Qui dovrebbero ritrovarsi le tracce del missile, e cioè i segni o dell’esplosione o delle schegge o dell’urto diretto con il missile integro o con una parte di questo. In primo luogo, guardando ai frammenti del DC-9 usati nella ricomposizione del relitto prima a Pratica di Mare poi a Bologna, si nota che nessuno di questi ha i bordi introflessi. Stando a ogni apparenza, inoltre, non risultano schegge conficcate nel metallo o loro tracce lasciate da un missile a frammentazione, così come non risultano tracce dell’impatto del DC-9 con un corpo esterno. Se il missile era a guida semiattiva (SAHR) avrebbe dovuto dirigersi verso la fusoliera, dato che questa produce il maggior riflesso radar. Se invece era a guida infrarossi avrebbe dovuto dirigersi ai motori, attratto dal maggior calore dei gas di scarico. In ambedue i casi il missile avrebbe lasciato segni macroscopici su queste parti del DC-9, che però non si notano nemmeno a un esame attento. Il lato destro del relitto è molto più danneggiato del sinistro ma non si vedono tracce di schegge, e la probabilità che le schegge si siano infilate nei punti di frammentazione per poi scomparire durante la caduta è irrisoria. Sul lato sinistro si nota, come chiunque può vedere anche da molte foto del relitto, un largo squarcio con i bordi estroflessi. Secondo Di Stefano sarebbe il foro d’uscita del corpo di un missile che avrebbe attraversato la fusoliera allo stesso modo in cui uno spillo attraversa da parte a parte un palloncino pieno d’aria: idea quanto mai azzardata sul piano fisico, inoltre ardua da sostenere anche perché l’apertura riconoscibile sul lato opposto, che dovrebbe essere il foro di ingresso, non ha bordi introflessi. È molto più plausibile pensare lo squarcio come risultato di un’esplosione interna, che potrebbe essere stata quella di un ordigno esplosivo o di una bombola di ossigeno che era collocata alle spalle della cabina di pilotaggio. La spiegazione che la maggior parte dei periti dà dello squarcio tuttavia è che questo sarebbe il prodotto di una fortissima pressione esercitata sul metallo dalla torsione subita dal pezzo del velivolo durante la caduta: e la prova di ciò sarebbe che i bordi ripiegati combaciano perfettamente, mentre una bomba o un missile avrebbero di46

Vedi https://www.britannica.com/biography/Marmaduke-Wetherell

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strutto una parte del materiale metallico che costituiva i bordi del foro prima dell’impatto che lo avrebbe prodotto. Qualcuno ha creato un caso per il fatto che sono state trovate, nascoste nel flap, delle microsfere che avrebbero potuto essere il residuo di un urto di un missile a testata inerte, cioè priva di esplosivo. È stato provato però che queste potevano avere una diversa origine: probabilmente una vecchia azione di “pallinatura” sulle superfici interne del flap, poi dimenticata. Niente a che vedere quindi con l’azione di un missile a testata inerte, che nell’urto meccanico con le pareti di un aereo avrebbe prodotto certo qualcosa di più corposo di sferule di pochi millimetri di diametro. Un’altra ipotesi di salvataggio lanciata dai teorici del missile è che, essendo stato recuperato l’85% della superficie bagnata, le tracce del missile potrebbero essersi concentrate nel 15% non recuperato. Ciò venne sostenuto dai periti Algostino, Vadacchino e Pent con un calcolo probabilistico atto a mostrare che la probabilità che si verifichi un fenomeno di questo tipo è tutt’altro che trascurabile. Questo discorso può ricordare, per analogia, un argomento che è stata proposto dai tecnici del collegio Misiti per giustificare l’ipotesi della bomba nella toilette a fronte del fatto che ciò che resta della toilette in apparenza non presenta tracce inequivocabili di esplosione. Si è già visto (pp. 48 sgg.) che il brandello di lavabo ritrovato appare come segno di per sè eloquente di un’esplosione. Ma se, ignorando questo indizio, si vuole invece centrare la critica sulla mancanza di schegge, l’argomentazione probabilistica si applica al caso delle bomba con risultati molto più convincenti che nel caso del missile. La percentuale recuperata della toilette è infatti solo il 10%, il che rende ragionevole pensare che le schegge prodotte dall’ipotetico esplosione si siano concentrate nel 90% dell’abitacolo in quanto questo è andato distrutto proprio per effetto delle schegge stesse, sommato con l’effetto dell’onda esplosiva. 3. COME SALVARE L’IPOTESI DEL MISSILE Come è noto, nella prima fase del suo pensiero Popper ha introdotto il criterio di falsificabilità come criterio per demarcare la scienza dalla nonscienza. In questa prospettiva il filosofo della scienza ha l’onere di denunciare le diverse scappatoie illecite che gli scienziati potrebbero usare (e a volte effettivamente usano!) per salvare una teoria che viene messa in difficoltà da fatti non previsti o non spiegati dalla teoria stessa. Per esempio, quando si scoprì l’irregolarità dell’orbita di Urano questo metteva in crisi le leggi di Keplero e indirettamente la stessa teoria della gravitazione universale di Newton. Si sarebbe usciti facilmente dall’impasse lanciando l’ipotesi che Urano non era un “normale” pianeta ma un pianeta atipico, magari per la sua

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forma o per la sua massa. Ma in quel momento l’unica evidenza per affermare che Urano era un pianeta anormale era l’irregolarità della sua orbita. In tal modo dire che Urano aveva un’orbita irregolare perché era un pianeta anormale diventava una pura tautologia, quindi qualcosa che non può essere falsificata da niente. L’ipotesi corretta, come si sa, era che il moto di Urano fosse disturbato dal campo gravitazionale di un altro pianeta sconosciuto. L’ipotesi in quel momento non aveva conferme, ma fu confermata nel 1846 dalla scoperta di Nettuno. Un altro tipo di sotterfugio rapportabile al precedente è offerto da quelli che Popper chiama “stratagemmi convenzionalisti”. Il più semplice di questi consiste nel modificare il significato di uno o più termini contenuti nell’ipotesi in modo tale da disinnescare il controesempio. Se per esempio si incontrasse un corvo bianco, si potrebbe evitare la falsificazione della legge che tutti i corvi sono neri dicendo che il termine ‘corvo’ per sua definizione esclude la bianchezza come proprietà del corvo, per cui l’osservazione di un corvo bianco sarebbe in realtà l’osservazione di un non-corvo. Tornando nuovamente a Loch Ness, per spiegare la stranezza del mancato ritrovamento e delle mancate tracce si potrebbe ricorrere all’ipotesi che non solo Nessie è un mostro ma un mostro di tipo molto particolare. Già abbiamo visto che si è ipotizzato fosse un serpente marino dotato di zampe, il che è già di per sé una stranezza. Seguendo questa linea di pensiero però possiamo attribuire a lui e alla sua specie altre caratteristiche. Si può ipotizzare, per esempio, che le tracce non si siano mai trovate perché, come accade per alcuni animali di terra, la specie a cui il mostro appartiene è una razza speciale che ha l’abitudine di nascondere i propri escrementi e le proprie orme. Quanto ai resti fossili, è noto che non si trovano i resti fossili di migliaia di razze intermedie della catena evolutiva, per cui non ci sarebbe da stupirsi se anche in questo caso non si sia ritrovato niente che faccia pensare all’esistenza di una specie a cui Nessie appartiene. Orbene, per il missile di Ustica si è effettivamente ricorsi ad una scappatoia ad hoc costruita secondo la linea di pensiero sopra tratteggiata: si è detto infatti che il missile sparato non ha lasciato tracce perché non era un “normale” missile. Questa idea è diventata di uso corrente quando, nel 2007, il presidente emerito Francesco Cossiga, probabilmente con lo scopo di far riaprire le indagini su Ustica, parlò di un «missile a risonanza e non a impatto», che sarebbe stato lanciato dai francesi per abbattere l’aereo di Gheddafi che procedeva da Sud verso Nord. Non quindi un missile a guida radar o a frammentazione, ma un missile in grado di abbattere un aereo con la sola forza dell’onda d’urto associata a una trascurabile o nulla produzione di schegge. Poco importa che qualche tempo dopo Cossiga, il 3 giugno 2009, come riporta un’agenzia di stampa ANSA di quel giorno (ore 16:55) abbia dichiarato: «Non ho mai affermato di sapere che fu l’aereo di una po-

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tenza amica ed alleata ad abbattere per errore l’aereo di ITAVIA nei cieli di Ustica: a me è stato detto dall’allora capo del SISMI, l’ammiraglio Martini». Il problema che merita attenzione è semplicemente questo: allo stesso modo in cui non si ha notizia certa di animali con le caratteristiche straordinarie attribuite a Nessie, non si ha notizia certa dell’esistenza dei missili a risonanza citati da Cossiga.47 Questo non vuol dire che missili di questa natura che siano stati progettati e forse sperimentati in qualche occasione (ovviamente coperta da segreto militare). Ma l’idea che, oltre a non essere mai stati visti, possano essere stati usati per la prima volta in una battaglia aerea in tempo di pace appare come frutto di una fantasia che corre a briglia sciolta. A ciò si aggiunga un particolare: è normale considerare credibile un testimone quando è disinteressato, notoriamente veridico e via dicendo. Queste nobili qualità potevano essere forse attribuite a vari uomini politici dell’epoca ma non al senatore a vita Cossiga. Nel suo interessante libro scritto con Andrea Cangini, Fotti il potere,48 Cossiga, incurante del paradosso del mentitore, nella frase più citata del testo fa affermazioni che dimostrano il suo profondo rispetto per l’arte della menzogna: «la verità è che la menzogna, ben più della verità, è all’origine della vita, perché se gli uomini si sono evoluti è stato solo grazie alla loro capacità di mentire agli altri e a se stessi». Al proposito va notato che nella recente sentenza civile Proto Pisani la testimonianza di Cossiga non è stata nemmeno stata presa in considerazione perché si giudica che riportasse una voce non controllabile che girava nell’ambiente dei servizi.49 Stiamo comunque al giudizio degli esperti. Il Prof. Carlo Casarosa, a suo tempo membro della commissione Misiti, ha sostenuto che il DC-9 non era stato colpito da un missile a risonanza perché tale missile, a suo giudizio, non solo non si è mai visto da nessuno ma non può esistere per ragioni fisiche.50 Dunque l’esclusione di questa possibile causa dipende non dall’assenza di riscontri fattuali ma da una dimostrazione di impossibilità. Questo è concettualmente importante in quanto di solito è facile dimostrare che un oggetto X esiste, molto più difficile dimostrare in modo irrefutabile che un oggetto X non esiste,51 ma ci sono fortunati casi, in cui rientra quello 47 Per la verità non si capisce nemmeno bene quali siano i missili «a impatto» a cui si riferiva Cossiga, a meno di non intendere missili da esercitazione a testata inerte, non usati in combattimento. I missili conosciuti usati in combattimento sono missili a frammentazione o missili a guida radar semiattiva (SHAR). 48 FRANCESCO COSSIGA - ANDREA CANGINI, Fotti il potere. Gli arcana della poilitica e dell’umana natura, Aliberti, 2010. 49 Procedimento civile n. 10354-12865/2007 pubblicato il 20 settembre 2011, p. 13. 50 Università di Pisa, «Il Giornale dell’Ateneo», Strage di Ustica? Né missile né bomba 14.7.2010. 51 Popper sapeva che questo era un problema logico serio per il suo falsificazionismo.

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a cui ci stiamo riferendo, in cui la prova del fatto che X non esiste si deduce dalla prova del fatto che è impossibile che esista. Il caso di Nessie è ancora una volta esemplare. Di fatto l’unico knock down argument che porta a concludere che il presunto mostro non esiste è il seguente: «La piramide alimentare di un lago relativamente piccolo come il Loch Ness non potrebbe (corsivo nostro) sostenere la vita di una famiglia di predatori delle dimensioni del presunto mostro. Se per assurdo esistesse un solo mostro di Loch Ness, la specie sarebbe da considerarsi irrimediabilmente estinta; al contrario, se ne esistesse una popolazione in grado di perpetuarsi, non si spiegherebbe il fatto che non vi siano prove più convincenti di quelle portate dai sostenitori».52 La dimostrazione di impossibilità del Prof. Casarosa non ha mai ricevuto critiche. È strano però che Casarosa, il quale inizialmente aveva sottoscritto insieme agli altri membri del collegio Misiti la tesi della bomba, abbia lanciato anche una seconda ipotesi esplicativa la quale ha il difetto di non essere molto migliore di quella del missile a risonanza. Secondo questa seconda congettura il DC-9 potrebbe essere caduto per una quasi-collisione: in altre parole, la turbolenza innescata da uno o più aerei nell’inseguimento di un MiG avrebbe fatto cadere il DC-9 spezzando la punta dell’ala sinistra. Ma qui ci troviamo di fronte a un’ipotesi che ha un grado di attendibilità pressoché nullo. A memoria d’uomo, non si conoscono nella storia dell’aviazione casi di un aereo caduto per quasi-collisione durante il volo di crociera. Una semplice spiegazione di ciò è che gli aerei sono progettati in modo da evitare questo tipo di incidente: se così non fosse vortici e turbolenze di questo tipo farebbero cadere ogni anno centinaia di aerei. Basti pensare alle pattuglie acrobatiche di aerei che si muovono a distanza ravvicinata e a velocità diverse ma che non sono mai caduti per spostamenti d’aria di questo tipo. In effetti la teoria della quasi-collisione, pur essendo stata oggetto di critiche corrosive, ha riscosso un certo consenso in quanto ha un appeal dovuto a motivi che hanno poco a che vedere con la scienza. Lascia infatti aperta, anzi suggerisce fortemente, la ben nota tesi che non solo è gradita al pubblico ma sta a cuore a varie e potenti lobbies: quella per cui intorno al DC-9 si sarebbe verificato stato un duello aereo in cui il DC-9 è caduto come vittima incolpevole. 4. IL MISSILE DI USTICA NELLE CRONACHE GIUDIZIARIE Uno dei luoghi comuni più ampiamente diffusi circa il caso Ustica è quello secondo cui i più recenti giudicati della magistratura avrebbero accertato la tesi del missile. 52

Wikipedia cit.

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Su questo tema è bene riepilogare sommariamente i fatti. La tesi del missile fu lanciata per la prima volta in Italia dal proprietario dell’ITAVIA, Aldo Davanzali, nel dicembre 1980. A seguito di ciò, Davanzali venne incriminato per diffusione di notizie false e tendenziose.53 Per qualche motivo da spiegare l’incriminazione non ebbe seguito, ma la teoria del missile continuò ad avere seguaci sulla stampa molto prima che venisse ripescato il relitto, e anche in tempi più recenti. Per quanto attiene la posizione della magistratura circa l’ipotesi del missile il discorso è diverso. Contrariamente all’idea radicata nell’immaginario popolare, l’istruttoria che ha portato ai processi contro i vertici dell’aeronautica ha dovuto fare i conti con il fatto che il presunto missile ha la stessa natura fantomatica dello strano animale di cui si è discusso nei paragrafi precedenti. Qual era in realtà infatti la ricostruzione dei fatti prospettata da Priore nell’Ordinanza-Sentenza? In questa si legge che Priore appoggia in primo luogo (p. 4943) la tesi per cui l’aereo sarebbe caduto a causa di una quasicollisione: tesi che attribuisce con approvazione all’accurato lavoro dei periti Casarosa, Held e Forsching. Si prende atto comunque però che «Con onestà intellettuale pari allo spirito di chiarezza i detti periti rilevano poi che tale sequenza di break up s’adatta però sia all’ipotesi di quasi collisione che a quella di esplosione interna» (p. 4944). Resta da capire quindi perché Priore, dato l’apprezzamento che mostra per questo team di esperti, non dia credito anche all’ipotesi dell’esplosione interna. Proseguendo, leggiamo a pagina 4946 del documento: «Situazione complessa per effetto della quale potrebbe essere presunto – sempre per i segni di esplosione e di esplosivo, che seppure attenuati da serrate critiche, che minimizzano i primi e attribuiscono i secondi a contaminazione, pur restano – anche [sottolinatura nostra] il lancio di un missile». Il missile, aggiunge però il relatore subito dopo, dovrebbe essere un missile a effetto blast, cioè con trascurabile produzione di schegge, quindi sostanzialmente quello che Cossiga chiama missile a risonanza. Gli argomenti d’appoggio sarebbero forniti dalla relazione dei periti Algostino, Vadacchino e Pent. Il fatto che nessuno abbia mai ritrovato frammenti di un missile di qualsiasi tipo sembra essere completamente ignorato dal relatore. Alla luce di quanto detto, dunque, la tesi conclusiva di Priore non è determinata ma è in forma disgiuntiva: quasi-collisione o missile «a risonanza» – dove i due disgiunti, oltre ad avere singolarmente una probabilità statistica irrisoria, si escludono a vicenda per l’assoluta improbabilità che i due fatti ipotizzati si siano verificati simultaneamente. Va notato al proposito che Al53 “Dissi che era un atto di guerra, mi incriminarono”, http://www.noidellitavia.it/176334384

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gostino, Vadacchino e Pent hanno criticato con durissime parole la qualità scientifica della ricerca che ha condotto Casarosa alla tesi della quasicollisione,54 mentre a loro giudizio era sostenibile una tesi, quella del missile a risonanza, che invece Casarosa bolla come fisicamente impossibile. Dunque non solo le due tesi erano incompatibili ma le èquipes di periti che le sostenevano mostravano una forte ostilità reciproca, e forse sono state ambedue deluse dal giudizio con cui Priore le metteva salomonicamente sullo stesso piano. In realtà è chiaro che la conciliazione delle due teorie nella prospettiva di Priore non era dovuta all’incertezza ma era giustificata da questa considerazione: anche se le due ipotesi erano tanto improbabili quanto incompatibili tra loro, avevano in comune una possibile causa esplicativa, e cioè si potevano ambedue vedere come possibili effetti di una battaglia aerea. E ciò era sufficiente per allontanare l’ipotesi dell’esplosione interna, nonostante questa fosse stata sottoscritta da un collegio di periti di fama internazionale (il collegio Misiti) la cui nomina era stata confermata dallo stesso Priore. Un discorso in parte analogo vale per la recente sentenza civile Proto Pisani. Trattandosi di un giudizio civile, in base agli standard di valutazione più rilassati ammessi per questo settore, il giudice qui aveva il problema di dimostrare che l’ipotesi disgiuntiva di cui sopra ha una probabilità superiore al 50%. L’argomento di Proto Pisani è basato sulla premessa per cui ci sarebbero solo tre alternative da considerare: quasi-collisione, missile, bomba. Tutte e tre, si ammette all’inizio, hanno una bassissimo grado di probabilità. Già questa premessa lascia perplessi perché, escludendosi a vicenda, in teoria la loro disgiunzione a priori dovrebbe raggiungere il grado probabilità del 100%. Per raggiungere una conclusione che abbia una credibilità superiore al 50% nella sentenza Proto Pisani si ricorre a un certo numero di informazioni non provenienti dal relitto ma tali di consentire al giudice di discriminare tra le varie ipotesi. Queste informazioni sarebbero derivate dai dati radaristici. Ma che cosa dicono i dati radaristici? Qui si entra in un ginepraio, perché sono stati acquisiti tracciati radar diversi e su alcuni c’è il sospetto di una manipolazione. Proto Pisani si basa su alcune elaborazioni tecniche presentate dal collegio Dalle Mese-Tiberio-Donali nel giugno 1997, le quali però sono state duramente contestate da altri esperti. In ogni caso, anche se il profa-

54 A loro giudizio si tratta di «un testo puramente assertivo, con asserzioni talvolta contraddittorie, mai dimostrate, talvolta riferite a fonti anonime e quindi non verificabili e talvolta contrarie al più elementare senso comune». Si tratta cioè «di un testo che manca anche dei minimi requisiti formali per essere considerato un testo scientifico, perlomeno nel significato che si dà a questa espressione dal tempo di Galileo in poi». (Ordinanza-Sentenza, cap. CII, 3771-3772).

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no non ha gli strumenti per giudicare quale perizia sia la più credibile, può prendere atto di questi tre punti, il primo è un’ovvietà metodologica: 1. Nessun radar è in grado di “vedere” un missile. Tutt’al più, se c’è una sequenza abbastanza numerosa di plots che formano un segmento di curva o di retta, si può supporre che questa sequenza sia costituita da tracce di un aereo. 2. Si è ripetuto varie volte che i MiG libici si nascondevano nell’ombra radar degli aerei di linea, fenomeno che avrebbe fatto scatenare la ritorsione dei francesi o degli americani. Ora, se un aereo si nasconde al radar, non si può ricorrere ai radar per conoscere qualcosa che viene intenzionalmente nascosto al radar. Ciò che può avere qualche rilievo sono semmai le tracce precedenti e successive a quella del percorso dell’aereo in questione. Ma i dati radaristici disponibili non autorizzano a pensare che ci sia stato l’ingresso o l’uscita di un aereo dalla scia del DC-9. Di ciò al punto successivo. 3. I tracciati radar più importanti, quelli dei radar di Fiumicino (Marconi e Selenia), divergono tra loro nel punto critico in cui la traccia del DC-9 scompare dagli schermi radar. Il Marconi “vede” due plots in posizione -17 e -12 (intervallati da 5 giri di antenna che inesplicabilmente non hanno prodotto echi), mentre il Selenia non vede nulla. Il maggiore esperto italiano radaristico italiano, l’Ing. Giubbolini, ha mostrato in una perizia di alto livello tecnico (dicembre 1997) che ci sono tutti gli elementi per ritenere che i due echi incriminati siano echi spuri. L’argomento sviluppato da Proto Pisani per sostenere la stessa ipotesi disgiuntiva avanzata da Priore è sostanzialmente il seguente. Supponiamo per assurdo che sia esplosa una bomba. Dando per certo (ma senza prova, come già detto) che c’era un aereo che si muoveva nelle vicinanze, ne segue che si sarebbero verificati insieme due eventi improbabili che sono indipendenti tra loro: infatti il passaggio di un aereo non può far esplodere la bomba e neanche viceversa. Quindi – si conclude – è altamente improbabile che sia esplosa una bomba e simultaneamente ci sia stato un aereo nelle vicinanze. Ergo, dato che c’era un aereo nelle vicinanze, l’ipotesi che sia esplosa una bomba è altamente improbabile. Viceversa la presenza di un aereo nelle vicinanze è compatibile tanto con l`ipotesi della quasi-collisione che con quella del missile a risonanza: pertanto, si argomenta, alla luce di questo l’ipotesi bomba è meno probabile di ciascuna delle altri due. Il passaggio ulteriore che completa il ragionamento è lo stesso di quello sopra ricordato di Priore: porta cioè il giudice a concludere che il DC-9 è stato colpito nel corso di un duello aereo. Il fatto che l’ipotesi del duello aereo sia più probabile del 50%, cioè più probabile della sua negazione, dipende da una stima soggettiva dei valori probabilistici operata dal giudice stesso e meriterebbe una discussione dettagliata che esula dagli scopi di questa discussione.

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Il problema è che l’ultimo passaggio del ragionamento, per tacere degli altri, è ingiustificato. In primo luogo, quando si fanno due ipotesi per spiegare causalmente lo stesso evento queste non ricevono maggior forza si ipotizza una possibile causa comune soprattutto se, oltre a essere puramente congetturale, ha un grado di probabilità irrisorio. Nel caso di specie, le ipotesi della disgiunzione “quasi-collisione” o “missile a risonanza” sono singolarmente spiegabili senza immaginarsi inverosimili battaglie aeree. Supponendo per assurdo che una quasi-collisione abbia fatto cadere l’aereo, si possono citare centinaia di casi di near collisions che non sono provocate da battaglie aeree, e tra l’altro molte di queste si sono verificate proprio in quella zona. E quanto ai misteriosi missili a risonanza uno di questi (escludendo che sia partito per un errore del pilota), potrebbe essere stato lanciato nel corso di un’esercitazione, magari per centrare un radiobersaglio a scopo di sperimentazione. Oppure potrebbe essere stato sparato da un altro aereo deliberatamente, forse perché il DC-9 è stato scambiato per un aereo maltese che viaggiava a circa 14 minuti di distanza. Per i due casi vale in sostanza il principio metodologico chiamato “rasoio di Occam” (l’ipotesi esplicativa migliore è quella più semplice): non si vede perché ricorrere a un duello aereo la cui probabilità di verificarsi in tempo di pace si aggira intorno allo zero per spiegare ciò che si può spiegare ricorrendo a eventi meno complessi e statisticamente più frequenti. Se cade l’ipotesi esplicativa della battaglia aerea cade però l’intera impalcatura della sentenza civile che ha condannato i ministeri a risarcire, oltre ai parenti delle vittime, anche l’ITAVIA. I ministeri sono stati condannati perché, considerato l’intenso traffico di aerei stranieri nel basso Mediterraneo e la supposta probabilità di un grave incidente, avrebbero dovuto tener conto del rischio e prendere i provvedimenti adeguati. Al proposito si impone una riflessione: se ci si limitasse a ipotizzare una quasi-collisione o un missile a risonanza senza battaglia aerea e si raggiungesse una prova dell’uno o dell’altro evento, il risarcimento del danno dovrebbe essere richiesto allo Stato le cui forze armate sono responsabili del fatto. Ma sfortunatamente tra le evidenze disponibili non c’è niente che consenta di stabilire qual è lo Stato a cui si dovrebbe imputare il danno in questione. Lo stesso discorso vale per un’ipotesi che sorprendentemente è stata quasi completamente trascurata nelle indagini tanto penali che civili: l’ipotesi cioè che l’ipotetico missile sia partito da una piattaforma ferma che potrebbe essere una nave da guerra, una portaerei, un sommergibile o addirittura la terraferma. Dando credito all’idea di una battaglia aerea invece l’onere del risarcimento viene caricato sulle spalle dello Stato italiano, giudicato incapace di aver impedire un evento catastrofico di cui sarebbe responsabile non direttamente ma solo per omissione.

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5. RECENTI SVILUPPI Dalle osservazioni che precedono risulta che, contrariamente al comune sentire, l’idea del missile del missile come causa della caduta del DC-9 ha cessato di essere dominante negli orientamenti di chi fa indagini sul caso Ustica a titolo più o meno ufficiale. A riprova di ciò ha qualche interesse osservare che il giudice Priore ha partecipato alla presentazione del recente film del regista Martinelli “Ustica” (2016), avallando quindi implicitamente la tesi centrale della pellicola: quella per cui il DC-9 sarebbe caduto per la collisione con un aereo americano. Un articolo del giornale «l’Unità» del 2 marzo 2016, dal titolo “Ustica, collisione con gli aerei alleati”, contiene un’intervista a Priore55 in cui si legge quanto segue: INTERVISTATORE: «Alle 20 e 59 la scatola nera smette di registrare. Cosa può essere successo?». PRIORE: «Una collisione [corsivo nostro], una near collision tra il caccia Usa che giocava al gatto e il topo inseguendo il MiG, sfiora il DC-9. A quella velocità l’aereo civile può aver perso il controllo ed essere precipitato». Una collisione o una near-collision? Sono due cose completamente diverse. Della prima Priore non aveva mai parlato prima, mentre, come si è visto, nell’Ordinanza-Sentenza aveva parlato della seconda coniugandola con la possibilità di un missile a risonanza. 56 Qui ci troviamo invece di fronte a un mutato orientamento, dato che il giudice dice al giornalista: «Io non ho mai avallato l’ipotesi della bomba, tanta cara a molti politici italiani, nè quella del missile francese, preferita da Cossiga». La teoria della collisione in volo esclude tanto quella del missile che quella della quasi-collisione. È difficile dire se è più inverosimile delle altre due, ma non stupisce che abbia trovato dei seguaci perché consente di tenere in piedi la tesi del duello aereo, dando quindi credito alle conclusioni raggiunte per altre vie dal giudice Priore. Dunque sembra che la novità degli ultimi anni sia stata la risonanza che ha ricevuto la teoria per cui nei cieli di Ustica non ci sarebbe stato nessun missile ma un urto diretto tra due aerei, che avrebbe causato la destrutturazione in volo del DC-9. Questa tesi è da anni sostenuta anche da due ingegneri che da anni si occupano del problema di Ustica, Ramon Cipressi e Marco De Montis. È molto noto un libro da loro scritto con lo pseudoni55

https://www.stragi80.it/ustica-collisione-aerei-alleati-priore/comment-page-2 In un convegno tenuto a Firenze il 7.10.2016, a cui era presenta anche Martinelli, Priore ammette di avere una certa tendenza caratteriale alla suggestionabilità: «mi lascio affascinare da un’interpretazione… se mi viene presentata una nuova interpretazione mi convinco di questa nuova. Le interpretazioni più nuove hanno su di me un influsso piuttosto deleterio», https://www.youtube.com/watch?v=Nuq-qG8JdFk 56

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mo di Mark Demon e Ray Cipson, che si presenta come un saggio in forma di romanzo, La guerra di Ponza.57 Secondo la loro ricostruzione dei fatti un F-5 (aereo da caccia americano) sarebbe entrato in collisione con il DC9 colpendolo proprio nella zona in cui si trovava il generatore di corrente. Questo spiegherebbe perché sulla registrazione del CVR non ci sono tracce acustiche di nessun fenomeno esogeno, mentre si nota solo un’improvvisa mancanza della corrente. Nella sostanza è la tesi che si riaffaccia nel film di Martinelli. Anche se la teoria della collisione in volo sta ricevendo da poco una certa risonanza mediatica, la teoria in sé non è affatto una novità. È stata presa in considerazione periodicamente da tutte le varie commissioni di inchiesta a partire dal 1980 e sempre scartata per motivi che sembrano ovvi. Se un aereo ne urta un altro, l’urto è reciproco. E se uno dei due aerei addirittura si spezza secondo le modalità riscontrate per il DC-9, vuol dire che anche l’urto subito dall’altro aereo è stato di inaudita violenza. Che ne è stato allora del secondo aereo? Se è caduto insieme al DC-9 se ne sarebbero dovuto trovare i resti nell’area in cui si sono dispersi i frammenti del DC-9, che però nessuno ha mai visto. Se invece, anche se danneggiato, ha proseguito la sua corsa, con o senza guida di un pilota (che potrebbe essersi lanciato con il paracadute) il percorso dell’aereo avrebbe dovuto essere registrato dal radar di Marsala che ha continuato a registrare per quattro minuti, il che non risulta. Considerazioni radaristiche a parte, se ha finito la sua corsa sulla terraferma, qualcuno avrebbe dovuto accorgersene: ma dato che così non è, per esclusione deve essere finito in acqua in qualche punto del basso Mediterraneo. Qualunque sia stata la sequenza di eventi che si voglia ipotizzare, è costituita da una concatenazione di fatti stupefacente. Si vuole far credere che un paese alleato ha perso un aereo militare e che nessuno ha detto nulla, nessuno ha fatto ricerche, nessuno ha denunciato l’accaduto. Sul fondo marino ci sarebbe un relitto che nessuno ha mai visto, mai cercato e mai trovato. E la cosa sarebbe ancora più assurda se l’ipotetico aereo collisore fosse stato non un aereo straniero ma un aereo militare italiano. Per tornare al punto da cui è iniziata questa digressione, è abbastanza chiaro che nel repertorio di argomenti che oggi vengono usati a favore della battaglia aerea l’ipotesi del missile aria-aria non è di uso corrente. Può essere interessante quindi cercare di capire le ragioni per cui, nonostante non goda di ampio credito nella cerchia degli addetti ai lavori, la tesi del missile continui a essere persistentemente radicata nel modo di pensare comune. È possibile che qui entri in gioco non solo il Confirmation Bias ma l’innata tendenza della mente umana a privilegiare non il vero rispetto al falso ma il sempli-

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MARK DEMON - RAY CIPSON, La guerra di Ponza, Lo Vecchio, 2007.

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ce rispetto al complesso. L’indagine comunque va lasciata a psicologi e sociologi professionali e non tenteremo di farne un’analisi in questa sede. Una cosa è certa: come non dobbiamo stupirci se migliaia di turisti tornano dal lago di Loch Ness persuasi che un mostro sia nascosto in quelle acque oscure, così non dobbiamo stupirci se migliaia di visitatori che sostano a osservare il relitto del DC-9 nel Museo della Memoria di Bologna si confermano nella convinzione che il disastro sia stato prodotto dal lancio di un missile. In ambedue i casi - che non sono certo gli unici di cui si potrebbe dare notizia - ciò che l’occhio umano è in grado di vedere viene oscurato da ciò che l’occhio umano non vede, non ha mai visto e verosimilmente non vedrà mai.

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IL CASO SANDLIN E L’INCHIESTA SU USTICA 58

L’articolo che segue è la ripubblicazione di un articolo che ho caricato sul blog “Riflessioni su Ustica” il 28.7.2018. Contiene dei commenti alle dichiarazioni rilasciate al giornalista Andrea Purgatori da un ex-marinaio della Saratoga di nome Brian Sandlin, secondo il quale nella notte di Ustica dalla portaerei sarebbero decollati dei caccia armati, poi rientrati senza missili, così da far ritenere che fossero reduci da un duello aereo. Per i motivi che risulteranno chiari, a seguito di alcuni eventi imprevisti intercorsi dopo la pubblicazione, sono stato obbligato a introdurre nel testo originario un certo numero di modifiche, che comunque non ne cambiano il contenuto in modo essenziale. L’articolo si compone di due parti separate. Per la prima delle due ho un debito di riconoscenza verso il C.te Franco Bonazzi, che mi ha fornito generosamente informazioni circa gli aspetti militari dell’evento a cui non sarei mai arrivato da solo. La seconda si basa invece su una ricerca che ho effettuato in Internet dopo aver individuato una pagina di Facebook dell’ex-marinaio della Saratoga Brian Sandlin. Da questa sono risalito a una pagina Facebook della USS Saratoga Association Facebook group sulla quale Sandlin è intervenuto diverse volte in cerca di consensi a quanto da lui dichiarato nel corso della ben nota intervista resa l’anno prima. L’intervista è stata trasmessa da Purgatori su LA7 all’interno del documentario “Atlantide. Ustica l’ultimo Miglio” per la prima volta il 21 dicembre 2017.59 È stata poi ritrasmessa con alcune integrazioni il 27 giugno 201860 e il 27 giugno 2019.61

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Scritto il 28.7.2018. Vedi https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM 60 Vedi https://www.youtube.com/watch?v=iMpo4DzXCWg&t=191s 61 Vedi http://www.televideoteca.it/atlantide-con-andrea-purgatori-ustica-l-ultimomiglio/27-Giugno-2019-492431 59

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L’articolo originario del blog si apriva con queste parole: «Da recenti informazioni pare che i magistrati Erminio Amelio e Maria Monteleone stiano programmando un viaggio negli USA per interrogare un ex-marinaio americano, Brian Sandlin, nel quadro dell’inchiesta che stanno conducendo da anni sulle cause della strage di Ustica». Oggi sappiamo che il viaggio non si è verificato ma che, in una data imprecisata del 2019, i due magistrati hanno interrogato Sandlin in videoconferenza. Il risultato di questo interrogatorio merita attenzione. Come ha riferito lo stesso Andrea Purgatori al minuto 3.42 della terza messa in onda del suo documentario, l’exmarinaio si è rifiutato di confermare davanti ai giudici le affermazioni registrate a suo tempo dal giornalista. A ciò va aggiunto che Sandlin si è cancellato dai social networks dopo l’interrogatorio o probabilmente prima. La sua pagina personale su Facebook quindi è scomparsa, e così anche gli interventi di Sandlin a suo tempo leggibili sul sito della USS Saratoga Association Facebook group. La veridicità delle citazioni che riporto nell’articolo comunque risulta dalle testimonianze dei molti miei amici e colleghi che a suo tempo hanno letto l’articolo cliccando sui link indicati nel testo. Inoltre, per i regolamenti interni di Facebook, tutti i post cancellati sono conservati nell’archivio generale di Facebook e quindi in linea di principio sono a disposizione dei magistrati inquirenti, nel caso volessero acquisire agli atti questo supplemento di documentazione

1. L’INTERVISTA DI PURGATORI A SANDLIN Di seguito sono riportate alcune affermazioni di Brian Sandlin nel corso dell’intervista da lui rilasciata ad Andrea Purgatori nel documentario “Ustica, l’ultimo Miglio”, trasmesso nel dicembre 2017. * Circa la data dell’evento, Sandlin parla di «fine giugno», non di 27 giugno, ed è solo Purgatori che ripetutamente inserisce quel “27” - rilevabile, però, solo nella traduzione in italiano. Sarebbe interessante sentire la versione originale, visto che anche Purgatori pone le domande in inglese. Da quel poco che si sente dell’originale si possono notare differenze con la traduzione italiana. Da notare che lo stesso Purgatori dice (minuto 43.00): «La seconda possibilità è che si riferisca a un giorno diverso dal 27 giugno 1980, ma comunque prima o poco dopo», sorvolando sul fatto che il racconto di Sandlin potrebbe avere qualche significato solo se fosse avvenuto in coincidenza temporale con la caduta del DC-9. Se la storia da lui narrata fosse avvenuta «giorni prima o poco dopo» non avrebbe alcuna attinenza con il disastro di Ustica. * Nella seconda trasmissione del 27 giugno 2018 Purgatori trasmette una conversazione telefonica con un ex-commilitone di Sandlin, interpellato dal giornalista per confermare la testimonianza del Sandlin sui due aerei tornati disarmati. La conversazione è ascoltabile al minuto 3.45 del video di cui alla nota 60. Questo ex-militare riferisce di ricordarsi di due aerei tornati di74

sarmati, ma non si pronuncia sulla data dell’evento, riservandosi di fare un controllo sulle sua agende. Da allora non si è avuta più notizia di questa attesa conferma, e ci sarebbe da spiegare perchè Purgatori l’ha riprodotta nella terza trasmissione del 27 giugno 2019 presentandola come una novità che comproverebbe la testimonianza di Sandlin nonostante l’avvenuta ritrattazione. Non stupisce comunque il fatto che l’ignoto commilitone interpellato non abbia più dato sue notizie se si riflette su una frase in cui nella traduzione italiana afferma: «Se accadde qualcosa di significativo, certamente ne presi nota». Se accade qualcosa dell’importanza di una battaglia aerea, una persona non dovrebbe aver bisogno di consultare un’agenda per ricordarsene, anche a distanza di anni. * Nell’intervista Sandlin sostiene (minuto 2.57) che la Saratoga in quel giorno uscì dal porto di Napoli «intorno a mezzogiorno» mentre è stato stabilito in modo incontrovertibile dalle indagini di Priore che il 27 giugno la portaerei era all’ancora a Napoli alle 18:30.62 * Sandlin sembra ignorare che una portaerei come la Saratoga, soprattutto per un’operazione di sfida alla Libia come quella da lui indicata, non uscirebbe mai senza scorta di altre navi, fatto di cui non vi è riscontro in alcuna documentazione o testimonianza. È estremamente improbabile che un tale evento possa essere avvenuto in pieno giorno senza che fosse notato e annotato sui registri. * È certamente possibile che in qualche giorno del 1980 la nave sia uscita dal porto con dei propositi bellicosi. Da tener però presente è il fatto che la famosa “linea della morte” di Gheddafi che chiudeva il golfo della Sirte, proclamata il 19.10.1973, è a più di 1000 km da Napoli e a circa 20 ore di navigazione. * Sandlin racconta (minuto 85.00) che quella sera sarebbero andati in volo 20-30 aerei: si sarebbe trattato quindi di un’operazione in grande stile. Al minuto 44:05 il Nostro specifica: «ne abbiamo lanciati di più [dei 2 Phantom], sì, di più; fu detto che erano stati due Phantom ad abbatterli i MiG libici, tutti gli altri erano di supporto, cisterne per il rifornimento le abbiamo lanciate. Sono sicuro che abbiamo lanciato non tutti gli aerei, ma sicuramente i Phantom, gli A-6, gli A-7… La cosa insolita, quella sera, è che gli aerei sono partiti armati e sono tornati disarmati». Dal suo racconto dobbiamo desumere quindi che tutti gli aerei siano partiti con armamento e rientrati senza, compresi i caccia-bombardieri. Se ciò fosse vero, un tale impiego di armamento, soprattutto di bombe e i razzi da parte dei caccia-bombardieri cita-

62 Esistono delle foto della nave scattate il 27 giugno da alcuni sposi novelli dopo la cerimonia in quell’orario, il che rende impossibile ipotizzare che la nave fosse al largo poche ore dopo. Vedi https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/01/21/lasaratoga-era-in-rada.html

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ti, avrebbe rappresentato l’inizio di una guerra vera e propria, che però, a quanto risulta, non è mai avvenuta. * Sandlin dice di ricordare con certezza che due Phantom erano rientrati senza missili. Ma come faceva a vedere da quell’altezza (in qualità di timoniere sul ponte di comando) che non c’erano più i missili sotto due F-4 quando lui stesso riferisce (minuto 44.42): «Dalla mia postazione elevata non riuscivo a vedere molto in basso rispetto alla scala della plancia».? * Sandlin dice a un certo punto: «andavamo tutti al de-briefing in sala riunioni… si scambiavano le informazioni sulla missione», ma è assai poco credibile che a tali riunioni abbia partecipato un marinaio timoniere, in particolare in servizio al timone in quei particolari momenti. * Circa l’abbattimento dei due aerei libici in quel periodo anche Sandlin si stupisce (minuto 52.26) che non si trovi alcun riferimento in Internet, e parla di una prima missione di combattimento con gli F-4 nel 1981, cioè nell’anno seguente; e aggiunge: «quell’anno abbattemmo altri due MiG». Sembra ignorare che non potevano essere partiti dalla Saratoga, la quale nel 1981 era in cantiere a Philadelphia per manutenzione. * Non si ha notizia storica di abbattimenti di aerei libici nel 1980: infatti, il primo episodio del genere avvenne il 19 agosto 1981, quando due SU22 furono abbattuti da F-14 della Forrestal. L’episodio successivo avvenne il 4 gennaio 1989, quando 2 MiG-23 furono abbattuti da F-14 della portaerei Kennedy. Quindi né la Saratoga né gli F-4 hanno qualcosa a che vedere con gli abbattimenti di aerei libici di cui si abbia notizia nella memoria storica. * Sandlin aveva il grado di “BM3” (Boatswain’s Mate 3) equivalente a quello italiano di caporale, quindi decisamente basso per avere le conoscenze e competenze per ciò che afferma. * Sandlin sostiene che un militare della Saratoga, capo furiere, sarebbe stato ucciso a Napoli durante una rapina. In ciò Sandlin vede l’ombra di un complotto: «Me lo ricordo, sì, ricordo che è stato ammazzato. Con il senno di poi io ho qualche sospetto anche per la funzione che svolgeva, e perché, pur essendo in un gruppo, fu l’unico ad essere aggredito». Del fatto da lui riferito però non si ha notizia. Risulta invece che un militare della Saratoga di nome Marvin Eugene Blankenship fu assassinato in Spagna più di un mese dopo, il 13 luglio 1980; ed è più che probabile che la mente di Sandlin abbia costruito un evento immaginario deformando nella memoria un evento reale. 2. IL CASO SANDLIN VISTO ATTRAVERSO FACEBOOK È di qualche interesse esaminare alcuni aspetti delle attività online svolte da Sandlin dopo l’intervista del 2017. Prima che Sandlin cancellasse la sua

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pagina da Facebook questa era accessibile a chiunque e da questa risultava la presenza di 41 friends e 21 followers. Risultavano pochissimi post pubblicati da Sandlin nel 2017, mentre erano copiosi quelli del 2018. Non hanno sicuramente alcuna rilevanza per le indagini le idee politiche manifestate da Sandlin in diversi post della sua pagina, nei quali rivelava di essere un convinto sostenitore del presidente Trump. Un post condiviso con la East Tennessee Mountain Militia, in data 4 giugno 2018, rappresentava la Statua della Libertà con la scritta “Right Wing Extremist and Proud of it”. Il 23 dicembre 2017, due giorni dopo la messa in onda della prima trasmissione di Purgatori, Sandlin pubblicava un post in cui a grandi caratteri scriveva: «I have found new and wonderful friends in Italy». Si riferiva presumibilmente a un viaggio in Italia compiuto in qualche periodo immediatamente precedente al 23 dicembre. Tra i like ricevuti comparivano quello di Purgatori e di amici probabilmente conosciuti in Italia, tra cui Ramon Cipressi (coautore di un noto libro su Ustica) e Antonio Bovolato, presidente dell’associazione “Noi dell’ITAVIA”. Nel giro di pochi mesi Sandlin programmava un secondo viaggio in Italia, questa volta però poco fortunato. Infatti il 28 marzo Sandlin raccontava su Facebook di aver perso un volo per Roma per aver confuso l’orario del biglietto di andata con quello del biglietto di ritorno. Distrazione pagata a caro prezzo: l’ex-marinaio perde tutto il viaggio progettato – che doveva toccare anche Milano, Firenze e Pisa – e si lamenta per non aver ricevuto dall’American Airlines né rimborsi né biglietti sostitutivi. Questa disavventura fa pensare che la tendenza a confondere le date sia una costante caratteriale dei comportamenti di Sandlin, ipotesi confermata da quanto si dirà nel seguito di questa analisi. È più interessante, comunque, volgere lo sguardo alle attività di Sandlin registrate negli ultimi due mesi prima dell’agosto 2018. Sandlin infatti risultava essere membro della USS Saratoga Association Facebook group, un’associazione di ex-militari della Saratoga che attualmente conta 3912 membri (allora 3805), che è collegata, anche se non in modo organico, alla USS Saratoga Association.63 Prima di cancellarsi da questo gruppo Sandlin è intervenuto in varie discussioni tra membri dell’organizzazione citata. Una discussione del 5 aprile 2018 aperta da un certo Bill Serr64 riguarda una sfida alla cosiddetta “Linea della morte”, che viene descritta così: «On 23 March 1986, while operating off coast of Libya, aircrafts from the carriers Saratoga, Coral Sea and America crossed Libyan leader Muammar al-Gaddafi so-called the “Line of Death”».

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V. https://www.facebook.com/search/top/?q=uss%20saratoga%20association V. https://www.facebook.com/groups/23720802984/search/?query=LINE%20OF%20DEATH

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In risposta a un certo George Schneider, Sandlin scrive: «I recall Capt. Flatley announcing that two MiGs had been aggressive and we shot them down, NO?». Incassa un like da un amico, Anthony Florian, e un secco NO da parte di Schneider. Si noti che si parla di un evento del 1986, non del 1980, e fa specie che Sandlin non si renda conto di confondere due date che distano tra loro di più di cinque anni. Sandlin rincara: «I know some other people that remember that same anouncement. Even 60 Minutes did a show on it in 93». Allude a una trasmissione televisiva del programma “60 minutes” che era dedicata a Ustica, evento di cui Sandlin dice di non aver saputo nulla in precedenza. (Tra l’altro, se la trasmissione era centrata sull’annuncio dato da Flatley, come afferma Sandlin, non si capisce in che cosa consistesse la clamorosa novità delle rivelazioni da lui poi comunicate alla stampa). L’amico Florian risponde a Sandlin in un commento che non è stato cancellato e si può leggere ancora: «make it happen». Questo per quanto riguarda gli interventi di Sandlin nelle discussioni con gli ex-commilitoni. Ma Sandlin aveva anche collocato un suo post sulla pagina della Saratoga proprio pochi giorni dopo la seconda trasmissione di Purgatori. Più precisamente il 30 giugno 2018, sul sito https://www.facebook.com/groups/23720802984/search/?query=SANDLIN, Sandlin pubblicava il suo post (ora cancellato) con questa scritta: «Looking for anyone with info on 1980 shoot down of MiGs. Flatley announced over 1MC». (1MC è il tipo di altoparlante usato per la comunicazione). Riceve come risposta 4 likes (uno dei quali è un emoticon con la faccina esterrefatta) e 41 commenti. I primi commentatori rispondono richiamando due incidenti nel Golfo della Sirte, quello del 1981, e il secondo, già ricordato, che sarebbe avvenuto nel 1986. Sandlin appare leggermente spazientito e scrive, sempre il 30 giugno: «Please read the post... 1980 Med Capt. Flatley made an announcement on 1MC that 2 MiGs had been agressive and we had to shoot them down. Anyone from 1980 ONLY do you remember it? If not you need not comment. The incident has been scrubbed so you cannont google it». Il 2 luglio un certo Gunnar Kays risponde così: «Were sent south in May 1980 to test the 12 mile limit v 200 miles in 1980. Got msg in Tyrhennian Sea at night north of Lipari islands. I was on watch in CIC [Combat Information Center] with TAO [Tactical Actions Officer]. Vectored [guidato] the F-4s to jets heading toward us. VF 31 and 103”. Aggiunge poi in un secondo tempo: “May 12th in Gulf of Sidra nearer Tripoli. 96 hours I recall on station. Asst TAO and OOD [Officer Of the Day]. TF [Task Force] had been steaming the terr limit to see if Khaddafi would jump it acc his speeches. We had been in unrep [underway replenishment = rifornimento in navigazione] near Messina most of those weeks». Analizzando il messaggio di Kays, ai fini della domanda posta da Sandlin il senso della sua risposta è chiaro. Kays dice che nel maggio 1980 sono

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stati indirizzati due F-4 verso dei jets che erano lanciati in direzione delle forze americane, specificando che le squadriglie erano VF31 e 103. Non fa nessun cenno all’abbattimento di aerei, al lancio di missili e alla comunicazione di Flatley. Si tratta in ogni caso di un evento (probabilmente una scaramuccia senza conseguenze importanti) che sarebbe accaduto nel maggio 1980 in una data non specificata, ma ben lontana dal 27 giugno 1980. La precisione dei molti dettagli riferiti da Kays fanno supporre che si tratti di un testimone attendibile e disinteressato. Due mesi dopo, a conferma di ciò, su Facebook non risultava pervenuto nessun commento di Sandlin alle affermazioni di Kays. Il bilancio dell’iniziativa di Sandlin quindi è stato in buona sostanza questo: tra i circa 3800 membri della USS Saratoga Association che allora frequentavano Facebook nessuno è stato in grado di confermare i suoi ricordi circa il presunto abbattimento di un MiG nel giugno 1980. E non c’è da stupirsi che, quando si è avvicinato il momento di fare davanti ai giudici delle dichiarazioni testimoniali atte a comprovare le affermazioni da lui fatte di fronte ai media, Sandlin abbia deciso di cancellare da Facebook tutte le tracce che aveva lasciato a seguito di queste.

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7. USTICA, SMOLENSK E IL CASO BAKKUSCH

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1. LA SCIAGURA DI SMOLENSK E L’ACCERTAMENTO DELLE CAUSE Il 10 aprile 2010 a Smolensk (Russia) cadeva un aereo civile, un Tupolev Tu-154M. Nel disastro perdevano la vita i sette membri dell’equipaggio e ottantanove persone: tra queste il presidente della repubblica polacca Lech Kaczynsky e sua moglie, i capi di Stato maggiore dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, quattordici tra deputati e senatori, il governatore della Banca Centrale polacca e i rappresentanti delle famiglie delle vittime di Katyn. L’incidente si verificava nei pressi della foresta di Katyn, tristemente nota per essere stata la sede di un eccidio di cui oggi si sa con sicurezza quali furono i responsabili: come ammesso da Gorbaciov nel 1990, la strage fu decisa dal governo di Stalin e dagli alti ufficiali dell’esercito russo. Nel massacro vennero eliminati circa 22.000 polacchi, tra i quali 8000 ufficiali dell’esercito. L’operazione fu eseguita nell’arco di un periodo che andava dal 3 aprile 1940 al 19 maggio 1940. Nel disastro di Smolensk veniva immediatamente rilevata una coincidenza che non era singola ma doppia, anzi tripla. Da un lato dava da pensare il fatto che nei pressi di un aeroporto russo, con controllori di volo russi, fosse caduto un aereo che portava a bordo i vertici di una classe dirigente animata da un forte sentimento antirusso. Per rendersi conto della natura degli orientamenti politici dominanti tra i passeggeri è utile ricordare che il presidente della repubblica Lech Kaczynski, perito nell’incidente, pochi mesi prima, in data 27/11/2009, aveva firmato un emendamento, approvato all’unanimità dal Parlamento polacco, che introduceva il reato di apologia del comunismo. Con questa delibera veniva vietata e perseguita penalmente «produzione, diffusione (anche tramite Internet) e possesso di simboli, propaganda e idee legate al comunismo». La seconda coincidenza era geografica: quella per cui, in una stessa località (Katyn), veniva decapitata per la seconda volta nell’arco di un secolo, anche se in forme diverse, la classe dirigente polacca. Si aggiunga anche che gli esponenti politici a bordo, per quanto nessuno di loro facesse parte del governo, erano in missione proprio per commemorare l’eccidio di Katyn: per l’esattezza, ricorreva il 70° anni65

Pubblicato online il 24.08.2019.

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versario della carneficina e la data del 10 aprile era stata scelta con riferimento al periodo di aprile-maggio in cui questa si era verificata settanta anni prima. Si aveva dunque una coincidenza anche cronologica con la data del massacro. La sciagura non poteva non suscitare profonda emozione in Polonia e non scatenare aspre polemiche. La destra sosteneva l’ipotesi di un deliberato crimine ordito dai russi o da organizzazioni filorusse operanti in Polonia, mentre il fratello gemello di Lech Kaszinski, Jaroslav, senza fare accuse precise, ha sempre negato fin dall’inizio la tesi dell’incidente fortuito. Oltre alle coincidenze, molti fatti strani sembravano dare forza a questa idea. Uno dei presunti autori di un video amatoriale, in cui si sentono alcuni spari seguiti alla caduta dell’aereo, venne trovato assassinato.66 Inoltre la Russia, fino al 2013, si rifiutò di cedere il relitto richiesto dalla Polonia per l’esecuzione delle indagini. Altre circostanze facevano invece pensare a un incidente dovuto, come sfortunatamente accade, al sommarsi accidentale di circostanze che singolarmente prese sono altamente improbabili. In fase di atterraggio l’aereo viaggiava nella nebbia ed era in corso una tempesta.67 Inoltre uno dei piloti non conosceva il russo ed era impreparato a comunicare con la torre di controllo. Questi fatti rendevano credibile l’ipotesi che poi venne accreditata dalla commissione di inchiesta nominata dal governo di allora, presieduto da Donald Tusk. Secondo le conclusioni di questa commissione all’origine del disastro ci sarebbe stato un errore dei piloti, in seguito al quale l’aereo si sarebbe distrutto a causa della collisione con una grossa betulla. Lo scetticismo che venne espresso da molti polacchi su questa perizia era pregiudiziale ma non privo di fondamento: molto semplicemente era dettato dal fatto che le commissioni di inchiesta nominate da un governo quasi sempre esprimono le idee più convenienti al governo in carica, cosa che non dovrebbe accadere nei paesi in cui c’è un organismo in cui si entra per meriti scientifici (ad es. il NTSB negli Stati Uniti), che è deputato istituzionalmente alle indagini sugli incidenti aerei. Ha fatto discutere anche il fatto che Putin, dopo il disastro, sia corso ad abbracciare il presidente Tusk, che aveva caldeggiato fin dall’inizio la tesi dell’incidente. Jaroslav Kaczynski invece ha sempre sostenuto che Tusk aveva grosse responsabilità per la morte del fratello in quanto nella sua veste di premier avrebbe trascurato la sicurezza di un volo sui cui viaggiavano le personalità più importanti della nazione, con l’aggravante di aver lasciato poi 66 Il filmato, registrato con un cellulare, è stato controllato e sembra sia autentico almeno per la parte video: vedi http://smolenskcrash.eu/news-62-story-behind-the-quot124quot.html# Il filmato si può vedere al link https://www.youtube.com/watch?v=4rn4YXinczw&t=7s. 67 Così secondo quanto riferito dalla stampa. Nel filmato di cui alla nota precedente peraltro non si vede nebbia, almeno a livello del suolo.

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mano libera ai russi nella conduzione dell’inchiesta. Nel 2015 il governo di destra di Kaczynski, succeduto a quello di Tusk, decideva di riaprire le indagini nominando una nuova commissione (più precisamente, sottocommissione di una commissione più estesa). Questa si distingueva dalla precedente per la presenza di esperti internazionali e per l’assenza di nomi polacchi, anche se era polacco il suo direttore, presumibilmente di nomina governativa, Wacław Berczyński. I lavori della sottocommissione non sono attualmente conclusi ma ciò che finora è trapelato in forma non ufficiale è del massimo interesse. Il poco che è dato sapere, infatti, sorprendentemente ribalta i risultati della precedente commissione governativa. Stando alle dichiarazioni pubbliche rese dal più prestigioso elemento di questo team di esperti, Frank Taylor,68 non c’è ombra di dubbio che sul relitto ci siano segni di esplosione, e quindi che ci sia stato un atto di sabotaggio: «the evidence is that [an] explosion caused the wing tip to come off... There is no doubt there were explosions on board before the aircraft hit the ground». Altre dichiarazioni rilasciate da personalità vicine alla subcommissione parlano di due esplosioni che si sarebbero succedute a pochi secondi di distanza.69 In una pubblicazione online del 15.04. 201770 vicina alle posizioni del governo, si riferisce che «As shown in the presentation, the starting point of the aircraft’s disintegration in the air was at about 900 meters before the runway. According to the Sub-Commission, the final stage of the tragedy was caused by an explosion in the cockpit». Secondo un’altra fonte di stampa l’associazione dei parenti delle vittime di Smolensk ha condiviso la tesi della commissione Berczyński, anche alla luce di altre informazioni rilevanti: «The association also cites satellite images suggesting that some items of wreckage were moved during the day of the accident or the day after. Frank [Taylor] is cited in the Brusseks Times news website saying he found no explanation for this, adding fuel to the conspiracy theory».71 In effetti Taylor in un’altra sua dichiarazione pubblica non aveva lesinato critiche all’operato della precedente commissione: «I think they did not do a thorough investigation. It seems to me they came to that conclusion early on and sought evidence to justify it». In conclusione, con tutte le cautele imposte da un caso che potrebbe anche avere sviluppi imprevedibili soprattutto per le interferenze della politica, l’autorevolezza di esperti di prima caratura e presumibilmente immuni da 68

Vedi https://www.youtube.com/watch?v=hGFzRGAiYfs Vedi https://www.unian.info/world/10077158-smolensk-crash-report-disaster-resultof-mid-air-blasts.html 70 Smolenks Craash New Digest http://www.smolenskcrashnews.com/smolenskexplosion.html 71 Vedi https://www.euractiv.com/section/elections/news/law-and-order-banks-onsmolensk-conspiracy-theories/963037/ 69

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pressioni ambientali fa ritenere plausibile che l’aereo sia caduto a Smolensk per un’esplosione interna, accuratamente preparata con un preciso calcolo dei tempi. Non importa qui valutare le conseguenze politiche di questo mutato giudizio dei collegi peritali. Si può solo dire che certamente ha messo in difficoltà Tusk, il quale ha rischiato di essere incriminato per «tradimento diplomatico».72 2. L’INTERVISTA A BAKKUSCH SU USTICA E LA DISSIDENZA LIBICA Si ha notizia di importanti personalità politiche, come Mattei o Hammarskjold, perite in incidenti aerei che erano quasi certamente degli attentati. È anche potuto accadere che un’intera squadra di calcio sia scomparsa in un incidente aereo, come accadde per il Torino nell’incidente di Superga del 1949. Qualcosa di paragonabile alla sciagura di Superga è accaduto il 25 dicembre del 2016, quando a Sochi sul Mar Nero è precipitato un Tupolev diretto in Siria, su cui c’erano diverse personalità pubbliche che accompagnavano 64 membri del coro dell’Armata Rossa: sciagura che è stata rapidamente archiviata da una commissione governativa come incidente tecnico. Ma che in un incidente aereo scompaia una parte importante della classe dirigente di un paese, come è accaduto a Smolensk, è sicuramente un fatto straordinario. Tanto straordinario che si è portati a credere che sia stato un caso unico nella storia dell’aviazione. In effetti è molto probabilmente così, ma se dobbiamo credere a una notizia reperibile sul web, si dovrebbe concludere che c’è stato almeno un caso paragonabile a questo. Leggiamo infatti su Wikipedia in lingua italiana, alla breve voce dedicata a un uomo politico libico, Abdul Hamid al-Bakkusch: «Bakkusch è morto il 4 dicembre 2007 in un incidente aereo avvenuto nei pressi di Riad, in Arabia Saudita, durante un viaggio diplomatico. Con lui sono morti anche parte dello staff governativo e i suoi consiglieri». La prima cosa da fare è rilevare qualcosa che non ha niente di normale: la voce di Wikipedia italiana è l’unica fonte reperibile nel web che dà dettagli sulla morte del summenzionato Bakkusch. Le voci di Wikipedia in altre lingue dedicate a Bakkusch non riportano la notizia dell’incidente aereo; a volte riportano altre date, a volte (come la voce in língua spagnola) non parlano neppure della sua morte. Secondo un altro sito73 Bakkusch sarebbe morto ad Abu Dahbi il 2 maggio 2007, e anche la voce russa riporta la stessa data. Wikipedia francese è piuttosto dettagliata sulla vita di Bakkusch, ma conclude la biografia dicendo «Il aurait été exécuté à Tripoli le 12 novembre 72 Vedi “Tusk on trial? Poland opens new Smolensk inquiry”, https://euobserver.com/foreign/132154. 73 Vedi https://www.wikidata.org/wiki/Q307242?uselang=fr

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1984». Più o meno la stessa voce in lingua inglese: «He was reportedly executed in Tripoli, on November 12, 1984». Quanto riportato da queste due voci è un grossolano errore, e vedremo tra breve come si è prodotto. Un problema serio è che, stando alle informazioni reperibili nel web, non si ha notizia di un incidente aereo avvenuta in quella data in Arabia Saudita, e nemmeno ad Abu Dahbi. È dunque una fake news anche la notizia della sua morte in un incidente aereo? Possibile, anche perchè la voce italiana contiene un particolare sicuramente falso: Bakkusch a quell’epoca forse era a capo di uno staff, ma non di uno staff governativo. Ma perchè la falsa notizia si trova nel link italiano e in nessun altro? Perché qualche italiano si è inventata questa notizia con dovizia di dettagli? E soprattutto: dove, come e quando è morto realmente Bakkusch ?

Proviamo ora a stabilire quali sono gli antefatti dell’evento, cercando anche di capire chi era Abdul Hamid al-Bakkusch. Sappiamo che era nato a Tagiura in Libia nel 1933 e aveva preso una laurea in legge al Cairo, diventando poi, in Libia, un avvocato di grido. Era stato primo ministro del governo libico all’epoca di re Idris, precisamente dall’ottobre ’67 al settembre del ’68, lasciando il posto a un nuovo primo ministro, Wanis al-Qaddafi, poi ro-

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vesciato dal putsch militare (guidato da un suo quasi-omonimo) e incarcerato sotto il regime. Nel 1969 fu ambasciatore della Libia in Francia e fuggì all’estero dopo il golpe del 1° settembre. Il 1987 lo vede al timone di un raggruppamento di oppositori chiamato Libyan Liberation Organization, fondato nel 1982, con base al Cairo. Al proposito è opportuno aprire una parentesi sul fatto che fuori dalla Libia era operante non un solo raggruppamento ma una pluralità, anzi una galassia, di gruppi di fuorusciti ostili al regime di Gheddafi. Essendo divisi dagli obiettivi e dalle ideologie di fondo, erano complessivamente deboli sia sul piano politico sia in quello operativo. Ne facevano parte tanto formazioni di ultrà islamici come il Libyan Islamic Movement e Al Qaeda, quanto gruppi moderati filomonarchici. Fino all’87 il più importante di questi raggruppamenti è stato il Libyan National Salvation Front (LNSF), nato nel 1981 e capeggiato da Muhammad Yusuf al Magariaf, ex ambasciatore in India. Il movimento di Bakkusch inizialmente era aggregato a questa formazione. Nel 1984 un’altra formazione, l’Alleanza Nazionale Libica, nasceva dall’intesa tra nove movimenti di opposizione, uno dei quali era quello di Bakkusch. Il leader del movimento, Manus al- Kikhia, scomparve misteriosamente nel 1993. Non tutte queste formazioni anti-regime erano confraternite di mammolette. Nel maggio 1984 alcuni commandos del gruppo principale (LNSF) parteciparono a un attacco alla sede di Bab al-Azizia con l’obiettivo di assassinare Gheddafi. Il tentativo fallì e portò a una dura repressione con duemila arresti in Libia e otto condannati a morte per impiccagione. Il più feroce di questi gruppi antigovernativi si chiamava Al Burkan (Il Vulcano). Su Internet possiamo leggere:74 «Al Burkan (The Volcano), a highly secretive and violent organization that emerged in 1984, has been responsible for the assassination of many Libyan officials overseas. For instance, it claimed responsibility for the death of the Libyan ambassador in Rome in January 1984, and, a year later, for the assassination of the Libyan Information Bureau chief, also in Rome. A Libyan businessman with close ties to Qadhafi was shot dead on June 21, 1984, in Athens during the visit of Abdul Salam Turayki, Libya’s secretary of foreign liaison». Dunque i gruppi di dissidenti libici, con il probabile appoggio di settori dei servizi segreti occidentali, avevano ingaggiato una lotta senza quartiere contro il regime di Gheddafi usando in alcuni casi gli stessi metodi usati dall’arcinemico. Il bilancio dei caduti in questa guerra sotto traccia è stato in ogni caso numericamente a sfavore dei fuorusciti. In un documento parzialmente declassificato della CIA,75 e quindi da prendere con le dovute cautele, 74

Vedi http://www.country-data.com/cgi-bin/query/r-8220.html Vedi "The record of Lybian-sponsored assassination attempts", https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/DOC_0000256583.pdf) 75

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si afferma che tra il 1980 e il 1985 il governo libico è stato coinvolto in più di trenta assassinii eseguiti fuori dai confini. Per quanto riguarda l’Italia, è da notare il fatto che i morti siano concentrati nei mesi tra l’aprile e il giugno 1980, mentre di questo gioco al massacro aveva esperienza diretta Bakkusch, che prima del 1986 aveva subito almeno quattro tentativi di assassinio da parte dei sicari di Gheddafi. In un articolo di «La Repubblica» a firma di Guido Barendson (21 gennaio 1986) pubblicato con il titolo “Gheddafi mi vuole morto”, si racconta non solo dei vari tentativi di omicidio di cui era stato oggetto, ma di un’ingegnosa beffa escogitata dall’Egitto e da Bakkusch ai danni dei servizi segreti libici a seguito di un tentativo fallito di assassinio. In questo episodio, invece di sangue umano, si è fatto scorrere sangue di bovino adulto. Riportiamo dal quotidiano: «È stata l’agenzia di stampa libica “Jana” – la stessa che esultò per l’ultimo attentato a Fiumicino – ad annunciare il 16 novembre 1984 che il capo dell’Organizzazione per la liberazione della Libia era stato giustiziato da un commando suicida al Cairo perchè colpevole di «aver venduto l’anima ai nemici della nazione araba». Ma meno di ventiquattr’ore dopo Bakkusch apparve in una conferenza stampa al fianco del ministro degli Interni egiziano per annunciare la beffa giocata ai danni dell’ideologo del Libro verde. Fu uno dei colpi migliori mai inflitti all’“inquieto vicino” dai servizi segreti di Mubarak – col sostegno dell’Intelligence di altri paesi occidentali – quando Tripoli aveva già diffuso le foto del “nemico del popolo” – che appariva in un lago di sangue (di bue) – astutamente spedite in Libia attraverso i canali predisposti dai sicari, scoperti prima che potessero entrare in azione».

Si spiega così come su Wikipedia capiti di trovare la notizia della morte di Bakkusch il 16.4.1984. Era una falsa morte, ed è quasi incredibile che venga tuttora riportata come verità dalle più diffuse versioni di Wikipedia, quella in francese e in inglese. Che Bakkusch potesse essere nel mirino non solo della Libia, ma forse anche di altri paesi arabi, è un’ipotesi che si affaccia alla mente leggendo un suo articolo apparso nel 2002 sul quotidiano arabo-londinese «Al-Hayat» dal titolo: “Non è venuto il tempo di finirla di nascondere i difetti?”. In questo scritto Bakkusch denuncia con parole assai dure la tendenza degli arabi a non vedere la loro arretratezza, il loro ingiustificato complesso di superiorità e la loro sfrenata vocazione al complottismo.76 Per concludere, se si venisse a far definitivamente luce sulla morte di Bakkusch, nessuno sarebbe sorpreso di sapere che Bakkusch non è morto nel suo letto o per qualche imprevedibile incidente. E resta da capire perché sembra che a nessuno interessi andare a 76

Vedi http://www.ilvangelo-israele.it/news/isr_119.html

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fondo di questo singolare “buco nero” nella vita di un personaggio che, come vedremo subito, ha avuto dei rapporti molto stretti con le vicende italiane di quegli anni. Arriviamo così al punto che ci interessa, quello di Ustica. Nel 1987 ricorreva il settimo anniversario della strage di Ustica (27.6.1980). Il settimanale «Oggi», in data 24.6.1987 (pp. 72 sgg.), cioè tre giorni prima dell’anniversario settennale dell’evento, pubblicava un articolo dal titolo “Io so che fu Gheddafi ad abbattere quel DC-9”, a firma dell’inviato Pino Aprile. Il pezzo riporta un’intervista rilasciata da Bakkusch al giornale, interpolata con considerazioni del giornalista e anche con battute di un’altra intervista rilasciata da una personalità politica italiana, che sembra (ma non è chiaro) fosse l’on. Casini. Bakkusch rilasciava all’articolista le seguenti dichiarazioni, basate a suo dire su informazioni proveniente da informatori credibili molto vicini a Gheddafi: «“L’aereo fu bombardato per ordine di Gheddafi”. INTERVISTATORE: Perchè l’ha fatto? Bakkusch dà una risposta generica («Non so. C’erano dei problemi, in quel momento, tra Libia e Italia»). E una meno vaga. «Vendetta. L’Italia aveva preso degli agenti di Gheddafi». Più oltre si legge: INTERVISTATORE: E lei cosa fece appena lo seppe? “Avvertii certi circoli”. INTERVISTATORE: Allude ai servizi segreti? «Sì, ma non voglio chiarire chi ho avvisato. Posso soltanto dire questo: i servizi segreti americani furono i primi a ricevere l’informazione. Non importa in che modo. Quelli italiani la ebbero da loro e credo che provvidero a farla arrivare ai tedeschi. Anche gli egiziani lo sanno». Secondo questa dichiarazione dunque i servizi segreti americani e quelli italiani sarebbero stati informati della responsabilità di Gheddafi (che secondo Bakkusch avrebbe curato personalmente nei dettagli l’operazione) nell’immediatezza dell’evento. Dopo aver detto quanto riferito, Bakkusch lamentava che i servizi segreti occidentali, anche quando venivano procurate le prove di un delitto, avevano l’abitudine di chiudere gli occhi e di non fare pressoché nulla. Al proposito raccontava di un medico libico in Germania, condannato a 12 anni per reati contro dissidenti libici, che dopo tre mesi fu rispedito in Libia e poi divenne diplomatico libico a Vienna. Fin qui, con poche omissioni, le dichiarazioni di Bakkusch. Nell’articolo il giornalista si lancia poi in una sua divagazione sulla caduta del DC-9 e sul presunto MiG che avrebbe sparato il missile, insinuando

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che l’aereo responsabile dell’abbattimento fosse lo stesso aereo apparentemente caduto sulla Sila circa tre settimane dopo. In realtà, guardando alla lettera di quanto riferito dall’articolista, non risulta che Bakkusch nell’intervista abbia detto che il DC-9 fu abbattuto da un missile sparato da un aereo. Stando alle parole di Bakkusch riportate nel testo, si dice che l’aereo fu «bombardato» e che Gheddafi in persona ordinò di «buttarlo giù». Si sa che Bakkusch parlava un buon italiano, ma l’articolo non dice se l’intervista è tradotta dall’arabo o se riporta verbatim le parole dell’intervistato. Il verbo “bombardare” applicato a un aereo non è sintatticamente sbagliato ma in italiano è a dir poco inusuale: capita infatti di sentire che un aereo ha bombardato una città, una casa o un territorio, ma non capita mai di sentire che un aereo ne ha bombardato un altro. In realtà l’anomala espressione impiegata è compatibile sia con l’idea di una bomba (da cui deriva il termine “bombardare”), sia con l’idea di un cannoneggiamento che il DC-9 potrebbe aver subito da parte di un altro aereo, sia con l’idea di un missile, che però potrebbe essere stato tanto un missile aria-aria quanto un missile partito da una superficie ferma (portaerei, sommergibile). Quanto al verbo “abbattere”, si noti che la stampa ha concordemente usato la dizione «abbattuto da una bomba a bordo» in vari casi recenti tra cui, per esempio, quello dell’aereo russo caduto sul Sinai nell’ottobre 2015. Di fatto, guardando ai disastri aerei che sono risultati poi il prodotto di attentati libici (Lockerbie, Ténéré), si rileva che sono stati impiegati ordigni esplosivi a tempo e non missili, per cui un abbattimento deliberato da parte libica mediante un missile aria-aria sarebbe da ricordare come un evento molto singolare. L’intervista di Bakkusch ha avuto degli strascichi, uno dei quali immediato. Il 30 giugno 1987, cioè pochi giorni dopo l’intervista, partì una rogatoria internazionale dell’Italia verso l’Egitto allo scopo di «voler procedere all’esame testimoniale di al-Bakkusch Abdul Hamid» e di acquisire la documentazione in eventuale possesso di Bakkusch. In data 27.10.87, l’Ambasciata della Repubblica Araba d’Egitto in Roma rispondeva che, viste le considerazioni di ordine politico e la situazione del Sig. “Abdel Hasmid El Baccouche”, rifugiato politico, e in assenza di accordi di cooperazione giudiziaria in materia penale tra l’Egitto e l’Italia, non si poteva dar seguito alla richiesta, anche perché il il suddetto aveva fatto sapere di non aver altre informazioni al riguardo oltre quelle fornite alla stampa.77 L’Ammiraglio Martini fu ascoltato dalla Commissione Stragi nel gennaio 1996 sulle dichiarazioni di Bakkusch (vol. IV dei verbali). Martini è stato al vertice del SISMI a partire dal 1984, quindi molto più tardi di Ustica. Circa Bakkusch, che lui descriveva come «non propriamente un gentiluo77

Vedi https://www.stragi80.it/documenti/gi/Titolo1.pdf, alla p. 172.

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mo», Martini affermò: «mente sapendo di mentire». Si riferiva non alla tesi dell’abbattimento ma al fatto che Bakkusch avrebbe segnalato il fatto ai servizi segreti americani. Su questo punto alcuni commissari nel corso dello stesso dibattito però rilevavano subito una contraddizione con quanto dichiarato dall’ammiraglio nello stesso interrogatorio, osservando che Martini aveva sostenuto di non avere notizie su ciò che era avvenuto prima di diventare responsabile del servizio, e quindi non poteva sapere se Bakkusch aveva detto il vero o il falso circa un evento accaduto quattro anni prima. Può trattarsi naturalmente di una mera coincidenza, ma pochi giorni dopo la pubblicazione dell’intervista, il Venerdì 26 giugno, due cittadini libici a Roma uccidevano un fuoruscito libico. Il commento riportato da una fonte americana dice «The two killers claim to be members of the Revolutionary Committees, one of Gaddafi’s security services. The embassy was involved in supporting them». Si noti che la strage di Ustica si era verificata 7 anni prima, il 27 giugno, pure di Venerdì. Questa coincidenza è una delle molte che fanno pensare che alcune delle date scelte per alcuni attentati avessero valore simbolico o commemorativo. Tornando alla sciagura di Smolensk, forse chi aveva visto un simbolismo nella strage di Smolensk aveva colto nel segno, anche se le coincidenze rilevate potrebbero essere spiegate in altro modo.78 Come vedremo, anche per Ustica è rilevabile una serie di coincidenze che potrebbero far pensare a un messaggio simbolico preciso nell’abbattimento del DC-9. L’importante differenza con Smolensk è che queste non erano tali da poter esser percepite dalla grande maggioranza degli osservatori occidentali. Questo fatto però non è essenziale in quanto avevano le caratteristiche per essere riconosciute da chi, come i servizi segreti e gli esperti di terrorismo, sapevano decodificare, anche grazie a informazioni ricevute per vie non ufficiali, i messaggi trasmessi dall’attentatore. 3. IL BASSO TIRRENO COME LUOGO DI DEPORTAZIONE Da vari decenni nella stampa italiana è invalsa l’abitudine di qualificare degli incidenti che presentano qualche analogia con il disastro di Ustica come «la Ustica di...». Ecco dunque che sulla stampa oltre alla «Ustica del mare» (il rogo della Moby Prince), troviamo la «Ustica Ucraina» (l’incidente nel Donbass: 17.07.2014); la «Ustica francese» (il disastro di Cap D’Antibes: 11.09.1968); la «Ustica brasiliana» (la sciagura di Fernando di Noronha: 1 giugno 2009). Questo vezzo giornalistico è deplorevole e si auspica che venga abbandonato per sempre. Per quanto si dirà in seguito, però, 78

Su questo punto si vedano le considerazioni a p. 110.

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se qualcuno volesse connotare il caso di Smolenks come «la Ustica polacca» avrebbe qualche ragione per sentirsi giustificato. A un primo sguardo, le analogie tra i due casi che richiamano attenzione riguardano il contesto politico. La Polonia, come si è visto, aveva inaugurato una linea politica conflittuale con quella russa, anche se l’Unione Sovietica era scomparsa da tempo. Nell’agosto 2008 la Polonia e gli USA avevano siglato un accordo preliminare in collaborazione con la Repubblica Ceca per l’installazione di missili Patriot, che poi sarebbe stati acquistati dai polacchi all’epoca del governo Obama. Questo fatto presenta una certa analogia con quanto accaduto circa trent’anni prima in Italia. Nel 1980 il governo Cossiga chiudeva il capitolo dei governi di solidarietà nazionale, e, conseguentemente adottava verso la Libia una linea decisamente più filoatlantica di quella dei suoi predecessori. Come è noto, la Libia era ufficialmente un paese non allineato, ma in linea di fatto rappresentava un avamposto del blocco sovietico nel Mediterraneo. Per evidenziare il punto, basta osservare che il governo Cossiga va ricordato per essere stato l’unico, prima degli anni ’90, in cui non compariva tra i nomi dei ministri quello di Giulio Andreotti, cioè del grande tessitore che riusciva abilmente a mediare tra le spinte a cui si trovava sottoposto un paese che, come si disse più volte, si trovava nella condizione di avere «la moglie americana e l’amante libica». Anche nel caso italiano entravano in gioco dei missili NATO. In particolare, la decisione di installare i missili Cruise a Comiso, puntati evidentemente contro la Libia, era stata presa nel 1979 e Gheddafi ovviamente ne fu informato in tempo reale, anche se la delibera venne votata in Parlamento solo nel 1981. Per questo e altri motivi di cui si dirà in seguito, nel 1980 la tensione tra Italia e Libia era al più alto livello di allarme. Per darne la misura basta citare la rivolta di Tobruk (8 agosto 1980), in cui Gheddafi vide la mano dell’Italia, la quale venne repressa dal governo libico con l’aiuto di formazioni armate della Germania Orientale. La strage di Bologna ebbe luogo sei giorni prima di Tobruk (2 agosto 1980). La bomba esplose alle 10:25, cioè nello stesso intervallo di tempo in cui la delegazione italiana a La Valletta firmava la bozza del protocollo di intesa che sottraeva Malta all’influenza libica. Secondo la congettura avanzata da Giuseppe Zamberletti, allora sottosegretario agli Esteri, la strage di Bologna sarebbe stata la ritorsione libica per questo passo diplomatico che i libici interpretavano come un atto di gravissima ostilità nei loro confronti, mentre la strage di Ustica sarebbe stata un avvertimento preliminare, malauguratamente non percepito dalla Farnesina e dallo stesso Zamberletti.

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La tesi di Zamberletti, da lui esposta nel libro La minaccia e la vendetta79 e condivisa anche, a quanto risulta, dal capo della polizia Parisi e forse da Giovanni Spadolini, faceva perno sulla coincidenza temporale tra la strage di Bologna e la firma dell’accordo, coincidenza così vistosa da non potersi considerare fortuita. Si dice che Dom Mintoff, impegnato in quel momento con Zamberletti nella stesura del documento, abbia colto immediatamente la coincidenza come un segnale ben preciso e che per questo motivo abbia accelerato la conclusione dell’intesa. La cosa che fa specie è che né Zamberletti né altri dello stesso ambiente politico, tra cui i diplomatici italiani in Libia, sembrano invece aver percepito che anche per il disastro di Ustica c’era una serie di coincidenze notevoli, anche se meno appariscenti, che si sarebbero potute interpretare come un segnale preciso inviato al governo in carica. Le coincidenze che vogliamo evidenziare sono tanto geografiche che temporali. Omettiamo quindi di considerare coincidenze di altro tipo, come per esempio quella, di cui peraltro poco si parla, per cui quasi simultaneamente al DC-9 cadeva presso l’isola d’Elba un aereo con tre persone a bordo le quali riuscivano a salvarsi fortunosamente a nuoto. Per quanto la concomitanza fosse sicuramente singolare, allo stato delle conoscenze non c’è prova che questa abbia alcun rapporto con la caduta del DC-9 e con gli altri eventi accaduti nella sera del 27 giugno 1980. Cominciamo a richiamare l’attenzione sul luogo del disastro: Ustica. Si può innanzitutto evidenziare un’anomalia rispetto ad altri incidenti aerei identificati con il nome della località in cui si sono verificati, come, poniamo, il disastro di Montagna Longa o il disastro di Monte Capanne. Contrariamente a quanto fa pensare la dizione “strage di Ustica” o “sciagura di Ustica”, il DC-9 non è caduto sull’isola di Ustica e nemmeno nei pressi di Ustica. Molti abitanti di Ustica si sono adontati per il fatto che la stampa e la TV, immediatamente dopo il fatto, parlavano di una sciagura avvenuta nelle acque di Ustica, mentre questa in realtà si era verificata a una distanza notevole dall’isola. Alcuni usticensi inclini al complottismo hanno voluto vedere in questa inesattezza un primo tentativo di depistaggio.80 In realtà all’inizio è stato estremamente difficile stabilire, probabilmente per il malfunzionamento dei radar, quale fosse il punto esatto in cui si era verificato l’incidente in volo del DC-9, di cui si sapeva solo che cominciò a destrutturarsi in un punto che si trova “circa” a metà strada tra Ustica e Ponza. Oggi si può però essere più precisi. In corrispondenza del punto identificato con ragionevole approssimazione come quello di caduta dell’aereo, le distanze dalle località più vicine riportate sono queste: 79 GIUSEPPE ZAMBERLETTI, La minaccia e la vendetta. Ustica e Bologna: un filo tra due stragi, Milano, Franco Angeli, 2013. 80 Vedi https://www.usticasape.it/la-strage-di-ustica-non-accadde-a-ustica-intervista-algiornalista-franco-foresta-martin/

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– USTICA, km 116 – VENTOTENE, km.127 – PONZA, km 131 – ISCHIA, km 139 – CAPRI, km 144 Risulta quindi che Ustica è più vicina di Ponza al punto presunto di caduta, e anche più prossima a questa di quanto sia a tutte le altre indicate nella lista. In conclusione, è sostanzialmente esatto affermare che Ustica era la località geograficamente più vicina al punto di caduta: anche se si tratta pur sempre di una distanza notevole (116 Km), soprattutto se paragonata alla distanza tra Ustica e Palermo (67 Km). Considerato che l’aereo viaggiava alla velocità di circa 700 Km all’ora, al momento della caduta l’aereo si trovava a poco più di 10 minuti di volo da Ponza, a poco meno di 10 minuti da Ustica e a 3 minuti di volo da Palermo. Ora, a proposito del punto di caduta, sono stati in molti, anche tra i magistrati inquirenti, a restare colpiti da una serie di coincidenze tanto appariscenti quanto inspiegabili: 1) il DC-9 si inabissava nel punto più fondo del Mediterraneo occidentale (circa 3700 m.), così da rendere quasi proibitive le operazioni di recupero a breve termine; 2) l’aereo precipitava, alle 21 meno qualche secondo, nel punto di maggiore distanza dai due radar di Fiumicino che lo avevano sotto controllo, in un punto quindi in cui era maggiore l’imprecisione del radar e pertanto spiegabile una maggior frequenza di echi radar spuri. In quel punto l’aereo avrebbe dovuto entrare a carico del radar di Marsala che però (altra singolare coincidenza) esattamente alle 21:00 aveva in agenda un’esercitazione in simulato, la Synadex. Comunque Marsala ha continuato a registrare per altri quattro minuti prima dell’esercitazione prevista, che cominciò quindi 4 minuti dopo. Per aggiungere un’altra coincidenza, risulta che il radar di Siracusa era stato in manutenzione fino alle 21 esatte. 3) l’aereo cadeva nel cosiddetto punto Condor, un punto che si trova all’incrocio di un’aerovia civile e di una militare, nonché di un’area che qualcuno ha voluto vedere come un “triangolo della morte”, in cui si è verificato un alto numero di incidenti e near collisions. Questo rendeva plausibile agli occhi di molti l’idea che la caduta fosse dovuta a un incidente imprevisto – scontro o quasi-collisione – piuttosto che a un’azione deliberata. 4) Alle precedenti coincidenze aggiungiamo una circostanza a cui non viene di solito posta attenzione. Il DC-9 è caduto in un punto che si trova al centro di un’area in cui c’era un’alta concentrazione di luoghi di reclusione. Ustica è stata sede carceraria fino al 1961 (tra i reclusi, come è noto, ci fu anche Gramsci), mentre Ventotene era nota per essere stata luogo di confino di personalità

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dell’antifascismo. Ciò che potrebbe rivestire qualche significato è il fatto che molti dei reclusi in questi penitenziari non sono stati solo italiani ma stranieri. Quali stranieri? Ustica, Ponza, Caserta e Gaeta e Favignana sono stati luoghi di deportazione e di morte di un considerevole numero di libici nel corso della guerra italo-libica iniziata nel 1911 e proseguita fino alla metà degli anni ’30. (Per completare l’elenco dei luoghi di deportazione riservati ai libici bisognerebbe aggiungere anche le Isole Tremiti, a cui però Gheddafi riservò un’attenzione particolare arrivando a dichiarare, nel 1987, che dovevano ritenersi parte della Libia). Si guardi la seguente cartina.

Le rette intersecanti evidenziano che il luogo di caduta si trova in punto che, con una certa approssimazione, è al centro di un’area caratterizzata da una notevole concentrazione di penitenziari in cui hanno perso la vita centinaia di detenuti libici. La sede di Ustica è quella più prossima al punto di caduta e la sede di Favignana la più distante, anche se accidentalmente il punto di caduta si trova sul segmento di linea retta che collega Favignana e Gaeta. Sulla pagina disonorevole costituita dalla reclusione e deportazione dei libici da parte italiana si è creato per decenni da parte italiana un lungo black out informativo, in parte interrotto dalle meritorie ricerche dello storico Angelo Del Boca.81 Sull’argomento il governo italiano ha fatto ammenda sol81 Del Boca ha dedicato diverse opere al colonialismo italiano in Libia. Oltre al libro citato su Gheddafi vedi Gli italiani in Libia. Vol. 1: Tripoli bel suol d’Amore, Bari, Laterza, 1986. Gli italiani in Libia. Vol. 2: Dal fascismo a Gheddafi, Bari, Laterza, 1986. A un passo

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tanto in anni abbastanza recenti (a partire dal 1989), ponendo fine a un assordante silenzio che evidentemente era interpretato dal governo libico come una prova di ostilità. Di fatto, i governi italiani del dopoguerra tendevano a stendere un velo su tutto ciò che poteva danneggiare l’immagine delle Forze Armate nelle guerre coloniali: al proposito basta ricordare che un film prodotto dal governo di Gheddafi per ricordare la repressione italiana in Libia, “Leone del deserto” (1981), fu visto e apprezzato in tutto il mondo, mentre la proiezione dello stesso venne di fatto proibita nelle sale cinematografiche italiane. Rispetto alle altre sedi penitenziarie, Ustica è stato il centro che ha ospitato il maggior numero di libici in quanto questi sono arrivati a più riprese, anche dopo la Prima Guerra Mondiale. Questo rende difficile fare un calcolo esatto dei caduti, che potrebbero aggirarsi tra i 250 e i 300. Ponza è la sede in cui i deportati hanno ricevuto il trattamento migliore, mentre a Ustica si è registrato un alto numero di decessi dovuto alle condizioni inumane di trattamento dei reclusi. I morti della prima ondata di reclusi sono ricordati in un piccolo sacrario arabo che si trova nel cimitero di Ustica.

Come riporta Del Boca,82 nel novembre del 1988 Craxi, dopo un colloquio con il maggiore Jalloud,83 fece per la prima volta una dichiarazione pubblica sull’argomento: «Penso che occorra una riflessione morale con una tangibile sanzione di valore simbolico. Sì, lapidi, cippi e monumenti in ricordo degli arabi di Libia deportati a migliaia, e per precisione nelle isole, dalla forca. Atrocità e infamie dell’occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007. 82 Op. cit. p. 218. 83 Vedi su Jalloud l’intero Cap. 8.

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che furono condotti a morire con bruschi telegrammi» (alludeva ai secchi telegrammi con cui Giolitti autorizzò le deportazioni).84 In effetti l’atteggiamento italiano sul tema è cambiato proprio l’anno successivo alle dichiarazioni di Craxi, nel 1989, e poi in seguito, con i tentativi di riconciliazione con il governo di Gheddafi aperti, con alterne fortune, da Prodi prima e da Berlusconi poi. Vediamo per esempio la situazione di Gaeta. Su un giornale online, in un articolo scritto il 30 luglio 2010,85 si legge: «Il Sindaco di Gaeta Antonio Raimondi è stato invitato dall’ambasciatore libico in Italia, insieme ai sindaci di Ustica, Tremiti e Favignana, all’inaugurazione della mostra presso il centro culturale libico a Tripoli organizzata per ricordare i deportati libici nelle prigioni italiane nel 1910-11 quando l’Italia colonizzò la Libia». In quell’occasione Gheddafi ricevette la delegazione in una delle sue pittoresche tende, vestito con l’abito tradizionale dei tuareg. L’anno prima c’era stata una visita dei libici a Gaeta. In un video del 4.12.2009, intitolato Libyan lager in Italy,86si può vedere una cerimonia in cui viene ricordata la giornata dell’amicizia con l’Italia, che il governo di Gheddafi aveva sostituito alla precedente Giornata della Vendetta (7 ottobre). Per Gaeta si parla di 200 morti libici su qualche centinaio di deportati, mentre per Ustica, come già detto, le cifre sono molto più consistenti. Se l’Italia per vari decenni ha steso un velo di colpevole silenzio sul fenomeno delle deportazioni, dal punto di vista libico la visione dei fatti era ovviamente rovesciata. È anzi probabile che in Libia, soprattutto dopo la rivoluzione del 1969, ci sia stata un’esagerazione propagandistica di segno opposto. Sotto il governo di Gheddafi la data della prima deportazione dei libici su un piroscafo, partito da Tripoli il 26 ottobre 1911, fu trasformata in un anniversario nazionale col nome di “Ricorrenza dei defunti”. Chi scrive non sa dire esattamente quando sia stata istituita. Se è stata istituita nel 1969, anno della rivoluzione, nel 1989 ne ricorreva il ventennale. Se è stata introdotta nel 1970 insieme al giorno della Vendetta contro l’Italia (7 ottobre) vuol dire che nel 1980, l’anno di Ustica, ricorreva il decennale di ambedue. Che il 1980 sia stato un anno particolarmente importante nei rapporti ItaliaLibia è dimostrato dal fatto che in Sicilia, e precisamente a Catania, venne istituito per la prima volta un luogo di culto islamico con il finanziamento libico. Sponsor dell’impresa fu l’avvocato Michele Papa, che era anche mediatore di affari tra Aldo Davanzali e il governo libico, da cui Davanzali attendeva il rimborso di un pesante debito.87 84

Vedi in questo libro anche le pp. 122 sgg. Vedi https://www.h24notizie.com/2010/07/30/il-premier-libico-gheddafi-incontra-ilsindaco-di-gaeta-antonio-raimondi/ 86 Vedi https://www.youtube.com/watch?v=tNVczPgGMuw Lybian lager in Italy 87 Vedi anche la p. 131. 85

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Se per caso fosse sfuggito a qualcuno, è il caso di ricordare che recentemente, il 14 novembre 2018, nel corso della conferenza sulla Libia organizzata a Palermo, il presidente Fayez al-Serraj si è recato a Ustica a deporre una corona di fiori nel cimitero libico di Ustica, recitando poi versetti del Corano.88 Serraj non avrebbe avuto motivo di compiere questo passo se la deportazione dei libici in Italia, e particolarmente a Ustica, non fosse un avvenimento che continua tuttora ad essere vivo nella memoria del paese. E si noti che ciò è avvenuto nonostante che, dopo la scomparsa di Gheddafi, la ricorrenza del 26 ottobre sia stata cancellata insieme alle altre introdotte dal regime e precisamente: “28 marzo, Giornata del ritiro dei britannici”; “11 giugno, Evacuazione delle basi militari straniere”; “7 ottobre, Giorno della Vendetta (poi Amicizia) verso l’Italia”. Da tutto ciò risulta chiaro che nel pacchetto delle rivendicazioni del governo di Gheddafi verso l’Italia, di cui si dirà in seguito, c’era la richiesta del riconoscimento pubblico della responsabilità italiana per le deportazioni, il permesso di visitare i luoghi di detenzione, la ricostruzione delle liste dei deportati e la ricerca dei familiari di questi, forse accompagnata anche da una richiesta di indennizzo. 4. PIÙ BOMBA CHE MISSILE Le considerazioni che si possono fare sulle coincidenze geografiche sopra rilevate sono di varia natura. Come si sa, a distanza di quaranta anni, le cause della caduta del DC-9 sono tuttora oggetto di aspre polemiche, aggravate dal contrasto e dalla confusione creatasi tra sentenze penali e sentenze civili. Per semplificare, prescindendo per il momento dalla consueta contrapposizione bomba-missile, si possono distinguere le teorie proposte in due categorie: quella secondo cui l’abbattimento è stato deliberato e quella secondo cui è dovuto a un incidente imprevisto o a un errore. La tesi sostenuta da Bakkusch, come si è visto, rientra nella prima categoria. Prescindendo da altre considerazioni sulla figura controversa di Bakkusch e sui motivi che possono averlo spinto, dopo sette anni dall’evento, a fare una sua esternazione alla stampa sul tema, nel seguito dell’articolo ci proponiamo di vedere se la denuncia di Bakkusch regge alla prova dei fatti. Se c’è stato un abbattimento deliberato vuol dire che qualcuno ha deciso di compiere, con qualche mezzo non artigianale e tecnicamente adeguato allo scopo, un attentato ai danni di un aereo italiano. E dal momento che in quel giorno c’erano decine di voli che attraversavano la penisola in tutte le 88 Vedi https://specialelibia.it/2018/11/14/il-presidente-serraj-visita-le-tombe-dei-libiciad-ustica/

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direzioni, alla luce delle coincidenze sopra evidenziate ha qualche senso fare l’ipotesi che gli attentatori abbiano scelto di colpire non un aereo italiano a caso ma uno che in quel giorno doveva percorrere due volte, all’andata e al ritorno, il tratto tra Bologna e Palermo passando per il punto Condor. E, facendo un passo ulteriore, si può anche supporre che non solo il percorso ma anche l’ubicazione del punto di caduta potrebbe essere stato oggetto di un calcolo abbastanza preciso. Qualcuno può pensare che per far cadere un aereo in un punto determinato sia tecnicamente più efficace lanciare un missile piuttosto che collocare a bordo una bomba con timer. Su questo punto però è facile sbagliarsi. A prescindere dal fatto che non sono state trovate tracce di nessun missile né sul fondo marino né sulla carcassa dell’aereo, come più volte evidenziato, bisogna considerare in primo luogo che i missili a frammentazione hanno una frequenza statistica di errore pari a circa il 30%, ragione per cui per avere la sicurezza del risultato bisognerebbe spararne almeno due. In base a queste premesse dovremmo congetturare che un aereo straniero, armato con un doppio missile, avrebbe attraversato lo spazio aereo italiano (magari nascondendosi all’ombra dello stesso DC-9, come si continua a ripetere senza prova), sparato due missili nel punto Condor e poi sarebbe fuggito, a quanto pare senza lasciare tracce radar. C’è qualcuno che in effetti ha sostenuto questo scenario (Luigi Di Stefano89), ma è andato incontro a dure critiche. Non a caso la teoria viene sorretta da Di Stefano con l’ipotesi ad hoc, ritenuta da più parti fantasiosa, che sia stato operato un inganno elettronico. Esaminiamo invece l’ipotesi della bomba e la sottoipotesi che ragionevolmente viene data per scontata: quella per cui l’esplosione sarebbe stata innescata con un timer programmato manualmente per le 21:00.90 Ricordiamo che, al momento di partenza alle 20:04, il tempo stimato di volo da Bologna a Palermo era di un’ora e cinque minuti. Certo, quando il DC-9 è atterrato a Bologna, il presunto attentatore non poteva sapere a priori quale sarebbe stato il successivo ritardo dell’aereo eccedente i 45’ regolarmente previsti per le operazioni di carico-scarico, che di fatto è stato di 19’. Però costui era in condizione di calcolare vari valori possibili di questo ritardo supplementare e di valutare quali potevano essere i più probabili. A titolo esemplificativo consideriamo questi possibili valori: 0 minuti di ritardo (quanto mai improbabile ma possibile): la bomba sarebbe esplosa nell’aeroporto di Palermo durante le operazioni di sbarco o su89 Si vedano i due libri di LUIGI DI STEFANO, Il buco. Scenari di guerra nel cielo di Ustica, Vallecchi, 2005; ID.; Ragione e tradimento. Strage di Ustica, quaranta anni di verità nascoste, Altaforte, 2019. La stessa tesi è stata sostenuta dal perito americano R. Sewell, come riferito alle pp. 58 sgg. 90 Questo può sembrare ovvio ma non lo è. Come si dirà a p. 135, potrebbe esserci stato un errore nell’impostazione del timer.

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bito dopo. La bomba forse non avrebbe ucciso ma avrebbe avuto un’efficacia dimostrativa, quindi il valore di un avvertimento più che di un attentato vero e proprio. 3 minuti di ritardo: l’aereo sarebbe esploso nei pressi di Ustica. 19 minuti di ritardo (il ritardo aggiuntivo effettivamente verificatosi a Bologna): l’aereo sarebbe esploso tra Ponza e Ustica nel punto in cui è effettivamente precipitato. 30 minuti di ritardo: l’aereo sarebbe esploso nei pressi di Ponza. Con ritardi superiori ai 29-30 minuti l’aereo sarebbe esploso in punti più arretrati del percorso. Ma questi ritardi erano molto improbabili per un motivo che si può chiarire con le seguenti considerazioni. Guardiamo alla tabella dei ritardi progressivamente accumulati dal DC-9. Lamezia – Roma: l’aereo è stato eccezionalmente puntuale. Roma – Bologna: partenza con 2’ di ritardo (rispetto all’orario scheduled). Bologna – Lamezia: partenza con 33’ minuti di ritardo Lamezia – Palermo: partenza con 1h 20’(80’) di ritardo Palermo – Bologna: partenza con 1h 42’(102’) di ritardo Bologna – Palermo: partenza con 1h 53’(113’) di ritardo Il ritardo ha continuato ad aumentare in valore assoluto, ma questo non è vero per il ritardo differenziale, cioè per il valore di ogni singolo ritardo misurato rispetto al ritardo precedente. Vediamo questi valori differenziali: Roma – Bologna: + 2’ Bologna – Lamezia: (33’-2’) +31’ Lamezia – Palermo: (80’– 33’) +47’ Palermo – Bologna: (102’– 80’) +22’ Bologna – Palermo: (113’– 102’) + 11’ In altre parole, nei ritardi differenziali c’è stato un aumento di valori positivi fino alla partenza del Lamezia-Palermo, ma poi un decremento degli stessi in misura pari o superiore al 50% per ognuna delle tratte successive. Questo è comprensibile: a fronte di un aumento progressivo del ritardo assoluto, era naturale che, non potendosi ridurre questo, si cercasse almeno di ridurre almeno il ritardo relativo. In base a queste considerazioni è ragionevole credere che a Bologna, al momento dell’attesa partenza, ci si potesse realisticamente attendere che il ritardo differenziale sarebbe stato inferiore al ritardo differenziale immediatamente precedente (+22’).91 Supponiamo comunque di ipotizzare il più sfavorevole dei casi, cioè quello di un ritardo differenziale esattamente uguale a quello precedente, cioè di 22 minuti. In que91 Si noti che non stiamo tenendo conto del fatto che è possibile che il ritardo sia stato in parte determinato dall'attesa di detenuti che non si sono presentati, secondo quanto riportato a p. 31.

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sto caso il ritardo differenziale sarebbe stato superiore di 11 minuti rispetto al ritardo differenziale effettivamente verificatosi (+11’). Essendo stato il ritardo supplementare registrato a Bologna di 19 minuti, il ritardo supplementare massimo ragionevolmente prevedibile a Bologna quindi sarebbe stato di 19 +11 minuti, cioè di 30 minuti. Ma, per quanto già detto, se a Bologna l’aereo fosse partito con un ritardo di 30 minuti, l’aereo sarebbe caduto nei pressi di Ponza, cioè sempre nei limiti di quell’area critica a cui si è fatto cenno sopra. C’è anche un argomento diverso che si può sviluppare sui ritardi e che porta alla stessa conclusione. Dopo le penose ore di attesa inflitte ai disgraziati passeggeri, era difficile immaginare che l’ultimo ritardo avrebbe superato il ritardo medio calcolato sul totale dei ritardi. Facendo i calcoli, il valor medio dei ritardi calcolato sui valori assoluti (113’: 6) è stato di circa 19 minuti e questo, per una coincidenza probabilmente fortuita, è esattamente uguale al ritardo supplementare registrato a Bologna. Tutto quanto precede, ripetiamo, vale sotto l’ipotesi che sia stato montato nei voli precedenti o (come qualcuno sostiene) nell’aeroporto di Bologna, un timer di tipo ordinario, il cui puntatore sia stato impostato sulle 21:00. Se si ritiene che lo scopo fosse far cadere l’aereo in un punto determinato del percorso, questa ipotesi però non è affatto più verosimile di altre. A quell’epoca in realtà non era difficile progettare tipi di timer più complessi. Il timer avrebbe potuto essere attivato dalla partenza stessa dell’aereo o dal raggiungimento della quota di crociera. Inoltre, dato che era appena iniziata la discesa, si può anche ipotizzare che l’esplosione sia stata innescata da un dispositivo sensibile alla variazione di pressione conseguente all’inizio della discesa. Navigando in Internet, sulla costruzione di timers specializzati si trovano idee tecnicamente originali proposte dai lettori, che sono interessanti anche per chi, come noi, non è in grado di esprimere un giudizio tecnico. Scrive un partecipante a un forum sulla strage di Ustica col nickname Aamedeo:92 «converrà dunque collegare un attuatore a pressione (un integrato della National di quelli che citavi tu prima, che si attiva all’aumento della pressione), costo di allora forse 5000 lire, mettere in serie un oscillatore (2000 lire) ed un contatore in cascata (altre 2000), e con meno di 10000 lire ho la CERTEZZA che la mia bomba esploderà dopo il decollo, dopo il tempo che stabilirò io, esattamente. Con questo sistema (ovviamente non con questo scopo), con due interruttori manuali ed una manciata di led, in quel periodo ho costruito un cronometro digitale, rozzo ma precisissimo».

92

Vedi https://strageustica.forumfree.it/?t=22731734&st=75

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Altre idee si potevano leggere su un altro sito,93 nel quale un partecipante al dibattito parlava del problema, sollevato da più parti, secondo cui per un timer barometrico sarebbe stato necessario un sensore esterno alla cabina e scriveva: «Non è necessario un sensore esterno alla cabina. Il serbatoio di scarico dei WC, negli aeromobili più vecchi, non era pressurizzato. Basta una sonda che termini con un galleggiante (per stare sopra al pelo dei solventi chimici per il trattamento dei liquami) e si ha la possibilità di misurare la pressione esterna, dall’interno della toilette. Infatti negli aerei più datati lo scarico era particolarmente energico alle alte quote (deltaP massimo fra l’alta pressione interna e la bassissima pressione esterna), mentre per le basse quote entrava in funzione una pompa a vuoto che rendeva ugualmente possibile lo scarico. Gli aerei moderni hanno invece il serbatoio di scarico pressurizzato. Basta un cavetto di pochi mm. di diametro dentro il WC… e non mi si dica che sarebbe stato visto, perché se ipotizziamo una bomba nella toilette è evidente che qualcosa deve essere sfuggito. Per l’altra questione, basta un circuito semplice semplice (anche per gli anni ’80) che dia l’innesco solo quando la tendenza a scendere si mantiene costante per tot secondi… e si evitano tutte le esplosioni premature dettate dai vari cambiamenti di quota che ci sono anche in fase di crociera».

5. RIFLESSIONI CONGETTURALI SU ALCUNE COINCIDENZE CRONOLOGICHE A partire dall’anno dell’espulsione degli italiani dalla Libia (1970), il governo di Gheddafi ha insistentemente avanzato pesantissime richieste al governo italiano:94 la cifra iperbolica di 50 miliardi di dollari richiesta a titolo del risarcimento dei danni di guerra (da aggiungere a quanto già corrisposto dall’Italia a re Idris), la bonifica dei campi minati, una visita ufficiale del rais a Roma, la copertura dell’assassinio dell’imam sciita Moussa al-Sadr (1978), che Gheddafi intendeva scaricare sull’Italia. Tutto questo nel 1980 andava a sommarsi con i gravissimi motivi di tensione descritti all’inizio (missili Cruise e attriti per il controllo strategico di Malta). C’erano anche varie richieste di minor peso su cui l’Italia si mostrava insensibile: una di queste, già ricordata, era la richiesta di poter visitare i luoghi di deportazione per onorare i defunti. Era chiaro che la richiesta era sul tappeto da tempo, ma venne soddisfatta soltanto nel 1989. Non stupisce che per la cerimonia sia stata scelta come giornata (evidentemente dai libici) proprio il 26-27 ottobre, il giorno della commemorazione dei defunti istituita dal regime per ricordare le deportazioni. Per l’occasione a Ustica venne allestito un museo commemorativo in vista di una missione di duecento libici, ai quali venne concesso 93 94

Vedi http://www.paologuzzanti.it/?p=1778 (ora rimosso). Per maggiori dettagli vedi le pp. 122 sgg.

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il visto di ingresso. Ciò che non era previsto dalle autorità italiane fu l’arrivo a Napoli di una nave carica di ottocento libici che erano partiti da Tripoli con lo scopo di inscenare una manifestazione contro l’Italia. Il giorno dopo, che era un Venerdì 27 ottobre, Tripoli fu paralizzata da violente manifestazioni antiitaliane, mentre l’ambasciata e i consolati italiani in Libia venivano assediati dalla folla inferocita. Queste manifestazioni si ripetevano ogni anno negli stessi giorni, ma nel 1989 la tensione fu molto più alta, anche per la morte di un italiano, Roberto Ceccato, assassinato in circostanze mai chiarite. La manifestazione antiitaliana e il pellegrinaggio a Ustica dunque avevano luogo in un fine settimana islamico Giovedì 26 - Venerdì 27 in occasione della cosiddetta Ricorrenza dei Defunti, e non si può fare a meno di notare che la strage di Ustica si era verificata pure durante il fine settimana islamico, in un Giovedì 26 - Venerdì 27 di nove anni prima. Ora, stante che i giorni della settimana sono sette, e fingendo per semplicità che i mesi abbiano tutti trenta giorni, la probabilità che un certo giorno di un mese preso a caso sia un Venerdì 27 è di 1/30 x 7 = 1/ 210. Dunque la probabilità che un giorno dell’anno scelto a caso sia un Venerdì 27 è piuttosto bassa; viceversa è piuttosto alta la probabilità che la data non sia stata scelta a caso. Sono diverse le congetture che si possono fare sulle ragioni di quella che, a meno di una strana coincidenza, appare come effetto di una decisione deliberata. Può darsi che la scelta di quel giorno per il pellegrinaggio a Ustica sia stata fatta per richiamare l’attenzione su un disastro aereo accaduto in quella stessa località in un altro Venerdì 27, con il possibile intento di suggerire che tale disastro era stato non un incidente ma una giusta punizione (umana o divina) per i misfatti del colonialismo italiano. Un’altra ipotesi è questa: può essere che tanto chi nel 1980 ha scelto un Venerdì 27 per un attentato a Ustica quanto chi nel 1989 ha scelto un Venerdì 27 per la commemorazione dei deportati abbia agito in nome di una particolare importanza assegnata alla data di Venerdì 27, o eventualmente al semplice numero 27. (Senza entrare in dettagli numerologici, è il caso di ricordare che i tre numeri 7, 17, 27 hanno un significato particolare in molte religioni e sette esoteriche: per capirlo basta solo leggere il racconto del diluvio universale, dove i tempi degli eventi fondamentali sono caratterizzati dai tre numeri in questa successione95). In tal caso il secondo evento non sarebbe in relazione causale con il primo ma la coincidenza sarebbe prodotta dal fatto che ambedue avrebbero una causa comune. Uno schema di ragionamento analogo si può applicare se prendiamo in considerazione non il giorno della settimana (Venerdì) ma il giorno del mese, quindi la data del 27 giugno. Incidentalmente, guardando al calendario 95

Genesi 6-11, 8-14.

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del 1980, chi avesse voluto scegliere un Giovedì 26/Venerdì 27 per compiere un attentato non aveva altra alternativa che compiere l’operazione nel mese di giugno: nel 1980 solo in questo mese, infatti, ricorreva un Venerdì 27. Può essere interessante quindi chiedersi se eventi in qualche modo rapportabili a Ustica si siano verificati in data 27 giugno. Andando a ritroso nel tempo si scopre che il 27 giugno 1976, cioè esattamente quattro anni prima di Ustica, si era verificato il dirottamento di un aereo dell’Air France da Atene verso Bengasi, effettuato da due tedeschi (tra cui certo Wilhelm Böse) e da due elementi del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina). Il dirottamento aveva certamente l’appoggio libico: dopo essere andato a Bengasi per rifornimento, l’aereo si è spostato all’aeroporto di Entebbe in Uganda (paese islamico allora alleato della Libia), dove poi si sarebbe verificata la liberazione degli ostaggi grazie al leggendario blitz delle teste di cuoio israeliane. Si noti che secondo alcuni orientamenti di pensiero, incoraggiati tra l’altro dall’ex presidente Cossiga nel 1991, il FPLP sarebbe dietro alla strage di Bologna e, secondo quanto ha ipotizzato l’ex-senatore Giovanardi, anche dietro Ustica. Ma questo non esclude affatto la responsabilità libica. Come è stato notato da tutti gli osservatori, la Libia non ha mai gestito in prima persona le attività terroristiche: pur finanziando il terrorismo in molti paesi, come rivendicato orgogliosamente da Gheddafi, ha sempre usato per i suoi scopi la manovalanza offerta da gruppi con cui aveva rapporti variabili, determinati caso per caso dalle frammentazioni interne al terrorismo mediorientale. Non è escluso, incidentalmente, che per il 27 giugno fosse stata progettata un’azione ritorsiva contro l’Italia sotto forma di dirottamento aereo come quattro anni prima ad Atene, e che poi, per l’incalzare degli eventi, si sia ricorso un’azione più cruenta e di più facile esecuzione. Il discorso sulla data del 27 giugno potrebbe dilatarsi di molto. Anche perché, se vogliamo cercare nella storia del terrorismo islamico altri 27 giugno di sangue non c’è veramente nessun problema a trovarli, anche in anni recenti: 26-27 giugno 2015 (Venerdì di Ramadan): quattro attentati simultanei a Susa (Tunisia), Lione, Kuwait City, Leego (Somalia) (in totale 93 morti). 28 giugno 2016: strage all’aeroporto di Istanbul (45 morti). Se limitiamo l’attenzione al 1980, ci si rende conto che intorno al 27 giugno del 1980 si è verificato un addensamento di eventi notevoli. Per capire la successione dei fatti è essenziale fare un passo indietro esattamente di due mesi, al 27 aprile 1980: data memorabile per uno storico discorso tenuto da Gheddafi all’accademia miitare di Bengasi. In questa occasione il colonnello fissava all’11 giugno la data per il rientro dei dissidenti e preanunciava l’eliminazione fisica dei fuoriusciti che non avessero rispettato l’ultimatum. Si noti che il discorso si teneva un semestre dopo il 26 ottobre 1979 (Giorna-

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ta dei defunti: era probabilmente il ventennale dell’istituzione della ricorrenza), mentre l’11 giugno aveva pure un significato simbolico, essendo la festività con cui si ricordava lo sgombero della base americana di Wheelus Field. Nello stesso aprile il rais aveva autorizzato la formazione di un “Comitato popolare per l’eliminazione dei nemici della Rivoluzione”, affidandone la guida a un cugino. In effetti si registrò, soprattutto in Italia, un’intensificarsi delle esecuzioni nel periodo tra il 27 aprile e l’11 giugno: anche se in effetti l’eliminazione fisica dei dissidenti era stata avviata già da tempo e, dopo un periodo di interruzione, si sarebbe prolungata anche dopo il giugno 1980. I dettagli della mattanza dei dissidenti libici in Europa e soprattutto in Italia sono descritti in vari documenti a cui si rinvia il lettore interessato. Tra questi di particolare importanza la Ordinanza-Sentenza del giudice Priore (p. 4739 sgg.) e il documento semidesecretato della CIA già citato. Tutte le fonti danno per certo che in Italia l’attività dei sicari è stata agevolata dalla collaborazione dell’ala filolibica dei servizi segreti italiani, allora guidati dal Gen. Giuseppe Santovito, capo del SISMI dal ’78 all’’81. Basta citare questa parole che riportiamo dal sito https://www.colarieti.it/archives/427: «Il 9 giugno, alla vigilia della scadenza dell’ultimatum, il SISMI trasmette al Presidente del Consiglio Francesco Cossiga un appunto sulla presenza (e sulle sorti) dei dissidenti libici in Italia. Il nostro controspionaggio conosce quanti sono e dove sono ma, tuttavia, afferma che il problema non può che risolversi “al di fuori degli schemi tradizionali e consentiti” e con il “supporto politico che appare più che mai necessario, per affrontare quegli aspetti che, istituzionalmente, sono collocati al di fuori dei compiti e delle prerogative del Servizio”. Tradotto vuol dire che sarà Gheddafi, e i suoi squadroni della morte, a decidere per loro. Nel frattempo, tra Roma e Milano, cinque cittadini libici vengono assassinati e due si salvano per miracolo».

Il giorno 11 giugno, scadenza dell’ultimatum, vennero eseguiti in Italia ad opera dei sicari di Gheddafi due omicidi che sembravano chiudere, almeno pro tempore, la campagna in Italia. Il 15 giugno si tenne al Cairo una riunione degli oppositori libici, verosimilmente per organizzare una reazione all’ondata di omicidi. A distanza esatta di due mesi dal discorso di Bengasi, e cioè intorno al 27 giugno, seguivano tre eventi memorabili pressoché simultanei: 26-27 giugno 1980. Si ha la chiusura propagandistica della campagna per il rimpatrio dei dissidenti libici con la “marcia del pentimento” di Bengasi. Si trattava di una manifestazione di pochi esuli che avevano accettato di rientrare, in effetti alcune decine su una lista di circa 800 traditori. Angelo Del Boca nel suo libro Gheddafi. Una sfida dal deserto la descrive così: «ra-

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ramente si è visto uno spettacolo così triste, così penoso e tanto indecoroso per un regime che si ispira al Corano e che vorrebbe tradurre in pratica la ‘Terza Teoria Universale’».96 Con questa sceneggiata si concludeva, almeno formalmente, il ciclo della campagna di eliminazione preannunciata da Gheddafi due mesi prima. 27 giugno 1980. Viene ucciso a Beirut l’ultimo dei dissidenti eliminati nella campagna di primavera del 1980: Abdellatif Al Musatesser. 27 giugno 1980. Strage di Ustica. Per puro scrupolo di cronaca va ricordata un’altra coincidenza, probabilmente fortuita ma tuttavia singolare in quanto si riferisce a un memorabile incidente aereo avvenuto in Libia: 28 giugno 1980: 40° anniversario della morte di Italo Balbo, governatore italiano della Libia, morto sul suo aereo colpito da fuoco amico il Venerdì 28 giugno 1940.97 Un altro evento di minore rilievo ma immediatamente successivo a Ustica non porta la data del 27, anche se in un certo senso la evoca. Dieci giorni dopo Ustica, il 7.7.1980 (dove i due 7 ricordano il 27) si verificavano degli attentati a Malta contro sedi libiche e in particolare contro la compagnia aerea Lybian Airlines. Secondo uno storico francese, Henri Weill, le bombe sarebbero stato un segnale di avvertimento dei servizi segreti francesi, così come un altro evento di quegli stessi giorni, l’incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square.98 Possibile certo, ma potrebbe anche essere stato un segnale di avvertimento dei servizi segreti italiani, dei dissidenti libici o di qualche organizzazione maltese antilibica. Il fatto che sia stata colpita la compagnia aerea libica poteva anche nascondere un messaggio: quello di una ritorsione simbolica per il colpo mortale che era stato inferto a una compagnia aerea italiana. Il grafico che segue cerca di rendere evidenti i rapporti cronologici tra alcuni eventi che abbiamo ricordato: Il 26-27 ottobre 1979 cadeva la ricorrenza dei defunti (cioè la deportazione dei Libici), il 27 aprile 80 si teneva il ricordato discorso di Gheddafi che precedeva di due mesi Ustica, il 26-27 ottobre 1989 si teneva la celebrazione della ricorrenza dei defunti con il pellegrinaggio a Ustica.

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ANGELO DEL BOCA, Gheddafi. Una sfida dal deserto, Laterza, 1998, p. 109. La morte di Balbo fu una iattura non solo per l’Italia ma probabilmente anche per la Libia. La politica di Balbo verso i libici, a quanto si riferisce, viene ricordata come di apertura e di tolleranza. Alla sua morte il governatorato fu affidato al generale Graziani, noto ai libici per i metodi efferati di repressione durante la c.d. Campagna di Libia, che gli valsero il nome di “macellaio del Fezzan”. 98 Vedi Ordinanza-Sentenza, 1999, cit., p. 4715. 97

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6. “VERY STRONG MEASURES” Di fronte a questa serie di coincidenze cronologiche e alla strage di fuorusciti compiuta in pochi mesi su suolo italiano ci si chiede: per quale motivo Gheddafi avrebbe dovuto punire l’Italia con un’azione criminale, dato che l’eliminazione dei dissidenti su suolo italiano era stata resa possibile proprio dal SISMI, che aveva fornito ai sicari gli indirizzi delle vittime designate? Torniamo a leggere, alla luce di tutto questo, le dichiarazioni di Bakkusch alla rivista «Oggi». Bakkusch era studiatamente evasivo circa la causa della strage di Ustica ma, se stiamo all’articolista, nonostante questa reticenza enunciava due fatti precisi. Parlava in primo luogo di attriti tra Italia e Libia. Questo era assolutamente vero, come detto nelle pagine precedenti, e i motivi di conflitto in quei mesi stavano aumentando di intensità. Bakkusch poi aggiungeva che si sarebbe trattato di una vendetta per l’arresto dei killers libici. Anche questo è un fatto documentato, come del resto notava l’articolista Pino Aprile: «I sicari parevano godere di un scandalosa libertà d’azione. Poi, in poche settimana, in Italia, ne vennero arrestati tre o quattro. Fu anche preso un dirigente della compagnia aerea libica, ritenuto un capo della rete spionistica di Gheddafi nel nostro paese (p. 72)». Quindi l’Italia ha avuto nei confronti dei sicari libici un comportamento contraddittorio, che forse si spiega con le tensioni interne tra le correnti dei sevizi segreti italiani, forse semplicemente con il mancato coordinamento tra la polizia e i servizi di sicurezza. Come presupposto generale va notato che Gheddafi, così come il suo braccio destro che trattava sottobanco con l’Italia, il già ricordato maggiore Jalloud, era un militare e non si faceva problemi ad applicare e la ben nota idea di Clausewitz secondo cui la politica è il proseguimento della guerra con altri mezzi. Dal punto di vista libico, i dissidenti erano dei criminali agenti del nemico e la loro eliminazione era un dovere imposto da quello che era uno stato di guerra non dichiarata. Per lo stesso motivo, i sicari inviati da Gheddafi in Europa e nel Medio Oriente erano da considerare eroi della Rivoluzione. Di conseguenza, il fatto che questi siano stati in gran parte arrestati dalla polizia italiana, anche a poche ore dagli omicidi o tentati omcidi, non faceva che confermare, dal suo punto di vista, l’inaffidabilità del governo Cossiga e la sua pericolosità per la Libia. Gheddafi temeva che l’Italia, la 105

Francia e l’Inghilterra stessero tentando di rovesciarlo con la forza: idea niente affatto stravagante, considerando i vari tentativi di assassinarlo e l’imminenza della rivolta di Tobruk, che evidentemente era in incubazione da tempo. Per questo, dal suo punto di vista, era forse necessario celebrare la fine della campagna contro gli oppositori e chi li proteggeva con un segnale chiaro e forte che scoraggiasse definitivamente il nemico. In effetti prima di Ustica il governo libico aveva mandato all’Italia minacciosi segnali che sono stati resi di pubblico dominio solo diversi anni dopo. Si veda quanto scritto nella Ordinanza-Sentenza Priore, p. 4762, ove si riporta quanto si legge nella fotocopia di un telex giunto da Tripoli e acquisito dal SISMI in data 21 maggio 1980: «si rileva la protesta libica nei confronti del Governo italiano da parte del Segretario dell’Ufficio Relazioni Estere, Ahmed Shahati, alla catena di arresti e controlli seguiti alla uccisione dei dissidenti libici in Italia. Dissidenti definiti dal diplomatico libico “criminali usurpatori di ricchezze del popolo, nemici della rivoluzione circolano impunemente in Italia, ove, protetti da connivenza Autorità svolgono attività antilibica”. Il rappresentante libico teneva anche a sottolineare che “se costoro non saranno riconsegnati al popolo libico verranno prese very strong measures contro Italia e contro malfattori. Autorità italiane dovranno sopportare conseguenze di loro scelte». È opportuno notare il fatto che l’arresto dei killers non era in sé un episodio gravissimo, ma diventava tale se sommato ai numerosi e seri motivi di attrito tra Italia e Libia: per ricordare quelli probabilmente più pesanti, l’installazione dei missili a Comiso e la pressione italiana sul governo maltese. L’arresto degli agenti libici potrebbe essere stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso stracolmo di acqua. Aggiungiamo un particolare: dieci anni prima il decreto di espulsione degli italiani e di confisca dei beni venne promulgato il 21 luglio 1970 ma venne comunicato all’ambasciatore italiano Borromeo nel mese di giugno 1970.99 È possibile che fosse in progetto da tempo qualche azione dimostrativa contro l’Italia per commemorare questo fatto storico in qualche data di giugno o luglio 1980 (forse bombe contro le ambasciate, forse un dirottamento aereo come quello di Atene-Entebbe di 4 anni prima), ma sotto la pressione degli eventi l’azione prese la forma di un attentato a un aereo civile, in cui un certo simbolismo implicito nella scelta dei luoghi e dei tempi rendeva credibile la rivendicazione che sarebbe stata trasmessa dai servizi di Intelligence. Una legittima domanda è la seguente: se effettivamente c’è stato un messaggio nascosto nella strage di Ustica, è stato raccolto da chi di dovere oppure no? Zamberletti è stato probabilmente sincero quando ha detto di non averlo percepito prima di Bologna, ma può darsi che il messaggio sia arriva99

MINO VIGNOLO, Gheddafi, Rizzoli, 1982, p. 137.

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to, attraverso i servizi, a livelli più alti di quelli del sottosegretario agli Esteri.100 Può anche essere che Zamberletti non sia stato informato per non creare più problemi del necessario nella sua difficile trattativa con Dom Mintoff. Ma il ministro dell’industria Bisaglia, che poi fu il primo a prospettare un collegamento Ustica-Bologna, forse sapeva più di quanto poteva dire, così come forse sapevano qualcosa i diplomatici italiani in Libia e in altri paesi alleati a questa (ad es., la Romania di Ceasescu). Per raccogliere elementi utili a rispondere alla domanda viene naturale chiedersi qual è stata, dopo Ustica, la sorte dei sicari libici arrestati. Nel rispondere a questo interrogativo bisogna premettere che è possibile che ci siano stati casi non riportati dalle cronache e verificatisi prima dell’aprile 1980, su cui non è mai stata svolta nessuna indagine.101 Inoltre non si prenderà in considerazione il caso di Mohamed Meguahi Marghani, incriminato per l’assassinio, il 20 febbraio, di Salem el Ritemi, in quanto fu scarcerato per mancanza d’indizi il 16 agosto. Gli altri casi di cui si hanno notizie sono questi: 1) Youssef Uhida Msallat, arrestato subito dopo l’assassinio di Aref Abdul Giaidli il 19 aprile 1980: condannato all’ergastolo, ritorna in Libia il 5 ottobre 1986. 2) Mohamed Falhi El Khazuni, arrestato per aver assassinato il cugino il 10 maggio 1980: viene prosciolto il 24 novembre del 1980. 3) Abdelkader Alì Zedan, arrestato per aver ucciso il 20 maggio 1980 Mohamed Fuad Boujar: in appello fu prosciolto dalla Corte d’Assise. 4) Belgassem Mansur Mezawi, Salem Said e Salah Alì Aboubaker, arrestati per il tentato omicidio di 21 maggio 1980 di Mohamed Salem Fezzani, scampato per miracolo. Salem Said e Salah Alì Aboubaker vennero scarcerati. Salem fu trasferito dal carcere nella casa di cura Villa Mafalda l’11 giugno 1980 dopo una trattativa con il maggiore Jalloud.102 5) Suaait Mohamed Abdelmabi, arrestato per il tentato omicidio di Mohamed Saad Bigt sempre l’11 giugno (data della scadenza dell’ultimatum): verrà condannato a 19 anni ma morirà poco tempo dopo, 100 In questo contesto non teniamo conto del fatto che il messaggio potrebbe non essere stato colto al di fuori di ambienti ristretti in grado di recepirlo, per il fatto che la bomba potrebbe essere esplosa per errore in un punto non inteso del percorso. Su questo si vedano le pp. 136 sgg. 101 Sarebbe utile (ma non lo faremo in questa sede) completare il discorso ricordando episodi come il seguente, cit. nella Ord.Sent p. 4743: «Il 16 marzo del 76 all’aeroporto di Fiumicino furono arrestati tre cittadini libici trovati in possesso di armi. All’epoca si suppose che i tre avrebbero dovuto attentare alla vita dell’ex Ministro degli Esteri El Huni, giunto qualche giorno prima a Roma, e oramai esule in Europa essendosi schierato contro il regime di Gheddafi. I tre libici verranno prima condannati con sentenza del Tribunale di Roma emessa quattro giorno dopo il 20 marzo, e poi scarcerati con provvedimento di Grazia del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, concesso il 28 del mese seguente». 102 Su questo argomento vedi la p. 125.

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verrà condannato a 19 anni ma morirà poco tempo dopo, per infarto, nel carcere romano di Rebibbia. 6) Una menzione a parte merita il caso più eclatante, quello di Shahid Rashid. Fu identificato come la mente dell’assassinio di Azzedine Lahderi, ucciso nel reparto telefonico della stazione di Milano sempre l’11 giugno. L’esecutore materiale, identificato in Mohammed Khalifa, fu condannato all’ergastolo in contumacia insieme a Rashid il 27 novembre 1986 dalla corte d’Assise di Milano. Rashid era il funzionario più alto delle ferrovie statali libiche e non scontò mai la pena. C’è di più: nel 2009 firmerà con l’Italia un contratto per la costruzione di una rete ferroviaria. A conclusione dell’analisi si può dire almeno questo. Se vogliamo avanzare l’ipotesi che Ustica sia stato un segnale rivolto dalla Libia all’Italia per ottenere, come obiettivo immediato, la scarcerazione dei sicari, dovremmo concludere che per la Libia è stato un autentico successo. Se invece vogliamo intrattenere l’ipotesi forse più plausibile che la strage fosse rivolta ad ottenere, oltre a questo, altri obiettivi meno immediati ma più tangibili, anche qui, su un periodo molto più lungo, bisogna riconoscere che il pressing continuo della Libia sull’Italia ha ottenuto buona parte dei risultati sperati. Nel 1989, come già detto, il governo italiano e una parte della stampa rompevano il silenzio sui misfatti commessi dai belligeranti italiani in Libia e gli enti locali cominciavano ad organizzare esposizioni e mostre itineranti per ricordare questa pagina dimenticata della storia nazionale. E, quanto al risarcimento dei danni di guerra, è stato il governo di Berlusconi ad accettare di pagare quanto richiesto dalla Libia in cambio (ovviamente) di varie contropartite politiche ed economiche. Inoltre nel 2009 Gheddafi coronava il sogno da lui accarezzato dal tempo della gioventù, quello di essere accolto a Roma con tutti gli onori, ricevendo anche un baciamano dal capo del governo italiano Silvio Berlusconi. Contestualmente, l’uomo che Reagan definiva «il cane pazzo del Medio Oriente» veniva presentato da Berlusconi al pubblico televisivo come «un uomo che presenta elementi di originalità». Di fronte a questa serie di successi ottenuti dal governo libico viene spontaneo ricordare alcune parole di Bakkusch riportate nell’intervista a «Oggi»: «Gheddafi ai suoi ha spiegato come ci si deve comportare con l’Italia. Glielo ha insegnato l’esperienza. Lui dice: «Con l’Italia è facile: basta metterle paura e si può avere tutto» (p. 72). Il seguito della storia purtroppo si è incaricato di far piazza pulita di questa trama tessuta faticosamente dall’Italia in quarant’anni di incontri e scontri e anche di far scomparire fisicamente il leader che è stato protagonista dell’intera vicenda, proprio quando questi era diventato, da nemico, nostro fedele alleato.

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7. LE INDAGINI SU SMOLENSK E QUELLE SU USTICA: UN RAFFRONTO Cerchiamo di tracciare un bilancio della discussione ritornando al punto di partenza. Se veramente a Ustica si è verificata una strage non dovuta a fatalità ma determinata da un preciso progetto politico, allora ci sono gli elementi per ravvisare un certo numero di caratteristiche che accomunano questo episodio all’incidente di Smolensk. Abbiamo già evidenziato all’inizio il rapporto conflittuale che tanto l’Italia che la Polonia avevano con uno scomodo vicino (la Libia in un caso, la Russia nell’altro), vicino che era in grado di influenzare gli orientamenti del governo in carica. Altre somiglianze rilevanti riguardano soprattutto vari aspetti delle indagini, mentre per quanto riguarda la dinamica dei due incidenti si notano evidenti differenze. A differenza del Tupolev, il DC-9 di Ustica non è caduto sulla terraferma e la ricostruzione del relitto è stata completata circa venti anni dopo l’incidente. Inoltre il DC-9 è caduto in acque internazionali mentre era sotto il controllo del sistema radaristico nazionale, mentre il Tupolev è caduto in un paese straniero mentre era sotto il controllo di un sistema radaristico straniero. Ci sono però alcune analogie che potrebbero avere qualche interesse e che vanno evidenziate per scrupolo metodologico: (1) Al giorno d’oggi, stando alle informazioni delle agenzie turistiche, il volo Varsavia-Smolensk impiega in media 1h 29 minuti, mentre il BolognaPalermo impiega in media 1h 24 minuti. Sono tempi leggermente diversi ma tutto sommato simili. (2) Ambedue gli aerei prima dell’incidente sono partiti in ritardo (a Varsavia con 27 minuti, a Bologna con 19 minuti, da aggiungere però ai 102 già accumulati nei voli precedenti). (3) Volendo credere alle informazioni attualmente trapelate da fonti credibili su Smolensk, in ambedue i casi si sono trovate tracce di esplosivo TNT all’interno del relitto.103 (4) In ambedue i casi il disastro si è verificato pochi minuti prima dell’atterraggio nell’aeroporto di destinazione e in prossimità di luoghi che sono memorabili per il loro rilievo storico e politico. Questa somiglianza non è banale, perchè eventuali ricerche sulla tecnica usata nell’attentato di Smolensk (tra cui l’ipotesi che a Smolensk si sia verificato l’effetto di una doppia esplosione) potrebbero far luce sulla tecnica usata per quello di Ustica, e anche viceversa. Lo sviluppo delle indagini nei due casi presenta pure alcune affinità. Proviamo ad elencarle: 103 «As the journalists reported, traces of substances such as TNT used to manufacture explosives have been found on most of the 200 samples of the wreck of Tupolev provided by the Polish side»: http://smolenskcrash.eu/news-154-tnt-found-by-uk-lab-on-samples-of-planecrash-wreckage-that-killed-polish-president.html#.XoCaTNNxc2w

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a) Le cause ipotizzabili per ambedue gli incidenti sono state inizialmente controverse, nel senso che in un primo tempo ciò che risultava dalle informazioni, dalle registrazioni e dalle perizie radaristiche in ambedue due casi lasciava aperto il dubbio circa la natura volontaria o accidentale della causa del disastro. b) L’attentato al Tupolev si può spiegare con il fatto che l’aereo ospitava tutto insieme il fior fiore della classe dirigente del paese e che tale evento rarissimo offriva un’occasione imperdibile per chi aveva in programma un progetto criminale di intimidazione nei confronti della Polonia. L’aereo avrebbe però potuto cadere, considerato anche il ritardo alla partenza, in qualsiasi altro punto del percorso. L’ubicazione geografica del punto in cui è caduto, cioè nei pressi delle fosse di Katyn, e le notizie circolate sugli anomali eventi verificatisi sul luogo subito dopo il disastro, hanno fatto pensare che la coincidenza rilevata non fosse casuale ma che contenesse o un messaggio simbolico o elementi indiziari che rendevano abbastanza chiara la matrice dell’attentato. c) In ambedue i casi il responso iniziale delle commissioni di inchiesta non ha dato credito all’ipotesi di un attentato. Per la verità le commissioni di periti in Italia sono state diverse e non una sola come in Polonia. L’ipotesi del cedimento strutturale, che è paragonabile a quella polacca dell’incidente dovuto a fatalità, venne abbandonata quasi subito. Escludendo la prima commissione Luzzatti (1980), che parlava ambiguamente di deflagrazione di ordigno esplosivo senza specificarne la natura e la posizione, prima del 1990 vari collegi peritali hanno sostenuto con diverse varianti l’ipotesi che l’aereo poteva essere stato colpito da un missile. Più tardi alcuni periti come Casarosa e Held hanno sostenuto che c’era la possibilità che il DC-9 fosse caduto per una quasi-collisione nel corso di un duello aereo. d) In ambedue i paesi, Italia e Polonia, per risolvere le controversie, dopo diversi anni è stata nominata una commissione di esperti scelti unicamente per il loro prestigio in ambito internazionale, con lo scopo di garantire la massima oggettività e di evitare la pressione di ambienti locali. Il presidente della commissione nominata per il DC-9 è stato il Prof. Aurelio Misiti, omologo italiano di Berczyński. Non conosciamo ancora l’esito definitivo dei lavori della commissione polacca. Si può dire però con certezza che in ambedue i casi sono stati espressi giudizi di esperti qualificati che hanno escluso l’ipotesi dell’incidente e hanno dato credito all’ipotesi dell’esplosione interna. e) Tanto nella commissione Misiti che in quella Berczyński sono stati nominati nel ruolo di commissari o consulenti due specialisti scelti per il loro indiscusso prestigio internazionale: Frank Taylor e Göran Lilja. Lilja è noto

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per aver scritto un libro su Ustica tradotto anche in Italiano104 che illustra le motivazioni per la tesi dell’esplosione interna. Fin qui le analogie tra le indagini. Analogie che fanno emergere per contrasto anche le differenze, e soprattutto la principale differenza. In Polonia l’ipotesi dell’attentato, sulla base delle coincidenze di cui si è detto, è stata condivisa da una parte consistente dell’opinione pubblica, che ha poi dato enfasi ai risultati parziali delle indagini della commissione Berczyński e in particolare all’evidenza costituita dalle tracce di esplosivo. Ciò che si è cercato di evidenziare nelle pagine precedenti è che anche nel caso di Ustica c’erano varie coincidenze rilevabili che avrebbero potuto indirizzare verso l’ipotesi dell’attentato. Nel caso di Ustica i media però non hanno mai dato rilievo a tali coincidenze, anzi ciò che appare è che hanno mostrato una totale cecità nei loro confronti. Questo è singolare perché la stampa sensazionalistica basa di solito i suoi costrutti proprio sulla rilevazione di coincidenze vere o inventate: ne dà il migliore esempio il profluvio di articoli in cui si è dato spazio alla fantomatica battaglia aerea sulla base di coincidenze (come quella, per fare un solo esempio, del volo di Naldini e Nutarelli concomitante al passaggio del DC-9) il cui nesso con il fatto ipotizzato era tutto da dimostrare. Le indagini del giudice istruttore Rosario Priore che hanno portato all’incriminazione dei vertici dell’aeronautica hanno mostrato un analogo disinteresse per qualsiasi elemento indiziario che portasse verso la tesi dell’attentato. Anzi in Italia è accaduto qualcosa che sfugge alla comprensione di chi vive in paesi dove la giustizia ha un grado accettabile di funzionalità e, soprattutto, dove soltanto un perito può mettere in dubbio il giudizio di un altro perito. È successo infatti che Priore, dopo aver nominato per conferma la commissione Misiti, ne ha poi rigettato le conclusioni giungendo a proporre la tesi che causa probabile della caduta del DC-9 sarebbe stato un missile a effetto blast o una quasi-collisione verificatasi nel corso di un duello aereo – ambedue fenomeni sconosciuti nella storia dell’aviazione civile. Inoltre è accaduto che, nonostante fosse in contrasto con quanto sostenuto dai più prestigiosi esperti internazionali, questa sia diventata la “verità diffusa” su Ustica, condivisa dal pubblico e propalata acriticamente dai media. Il fatto che questa ipotesi sia stata respinta dalla magistratura giudicante nei processi penali a carico dei vertici dell’Aeronautica Militare pare che sia stata dimenticata tanto dal pubblico che dalla grande stampa. È successo, invece, che i media hanno dato grande risalto a recenti processi civili in cui, in base agli standard di giudizio più rilassati ammessi per questo tipo di sentenze, alcuni giudici hanno decretato che «era più probabile» che ci 104

G. LILJA,Ustica. Il mistero e la realtà dei fatti, cit.

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fosse stata una battaglia aerea anziché l’opposto. Davanti a queste nuove risultanze dei processi risarcitori la dietrologia cara al pubblico, alla stampa e al web è improvvisamente venuta meno. Ben pochi, infatti, si sono chiesti se ci fossero ben precisi interessi che stavano dietro la riabilitazione di una tesi che era stata giudicata inconsistente, con valide e motivate giustificazioni, nei processi penali. L’emergere di una “doppia verità giudiziaria” è dunque il fatto nuovo registrato negli ultimi sviluppi delle indagini su Ustica. A parte ogni valutazione di merito, si tratta di un’anomalia che è stata deplorata con parole molto nette da quello stesso giudice Priore che aveva sconfessato i risultati della commissione Misiti. In tal modo l’immagine della giustizia italiana, già nota per la tortuosità e l’esasperante lunghezza dei processi, ha colto una nuova occasione per esporsi al discredito internazionale.

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8. USTICA E BOLOGNA STORIA DI UN TESTIMONE SCOMPARSO 105

1. GHEDDAFI E JALLOUD: UNA COPPIA AFFIATATA, O FORSE NO In un articolo del 20 febbraio 2011, pubblicato sul suo sito personale con il titolo Major Jalloud, il noto e discusso giornalista americano Joseph Cringely (pseudonimo di Mark Stephen) dedicava un’analisi alla figura di un uomo che per molti anni ha avuto un ruolo di massimo rilievo in Libia, anche se poco evidenziato dai media, il Maggiore ‘Abd al-Salam Jalloud.106 L’articolo di Cringely cominciava sottolineando le somiglianze tra Castro e Gheddafi. Ambedue erano autocrati di fatto, anche se in apparenza subordinati a organismi rivoluzionari creati da loro stessi; ambedue facevano appello all’emotività delle masse con l’oratoria torrenziale e con uno studiato apparato scenico – uniforme militare e baseball per Castro, tenda e vestito da cammelliere per Gheddafi. Cringely osservava che, come molti dittatori, Gheddafi aveva bisogno di qualche soggetto completamente affidabile su cui scaricare il lavoro sporco e a cui assegnare la parte del cattivo, un ruolo che il suo braccio destro Jalloud aveva tutte le caratteristiche richieste per ricoprire. Cringely avrebbe potuto notare un altro aspetto che accomunava Gheddafi a Castro, e cioè il nepotismo: dal 1980 capo dei servizi segreti esteri libici fu lo spietato Abdullah al-Senussi, che era cognato di Gheddafi perché sposato con la sorella della seconda moglie, ma anche anche cugino di Jalloud e membro della sua stessa tribù. Cringely racconta di aver avuto un incontro con Gheddafi trentacinque anni prima del 2011 (quindi nel 1976) e di aver notato la differenza di temperamento tra Gheddafi e il suo inseparabile numero due. Jalloud viene descritto da Cringely come un uomo freddo, grigio e completamente privo di senso dell’umorismo, dote questa che non mancava del tutto all’istrionico leader. Un cronista polacco che accompagnava Cringely, Jacek Kalabinski, disse di Jalloud: «Nei suoi occhi puoi vedere la morte».

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Pubblicato online il 12.02.2020. Vedi https://www.cringely.com/2011/02/20/major-jolloud/

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Il Maggiore ‘Abd-al-Salam Jalloud.

Secondo Cringely Gheddafi stesso gli avrebbe detto in inglese, riferendosi a Jalloud. «Scary, isn’t he?», cioè: «Fa paura, vero?». Risposta del cronista: «Sì». Può darsi che l’aneddoto sia un’invenzione giornalistica ma c’è una discreta probabilità che non lo sia. In ogni caso la battuta si presta a qualche riflessione. Quando Cringely scriveva il suo articolo, nel 2011, in Libia era in corso una rivolta il cui esito in quel momento non era prevedibile. Scrive Cringely: «Now we have Libyan troops killing Libyan citizens in both protests and funeral processions. This is completely consistent with Major Jalloud. And it will continue until the government falls or all the protest leaders are dead. Not until the protests end — until the leaders are dead. That’s Major Jalloud’s way and the people of Libya probably know that by now».

Cringely riteneva che Gheddafi, oltre che uno showman, fosse soprattutto un ideologo e una figura carismatica, mentre Jalloud era l’uomo che aveva in mano il potere e soprattutto il potere di uccidere. Cringely prevedeva che al termine della rivolta ci sarebbe stato o il rovesciamento del regime o un colpo di coda di Gheddafi, il quale alla fine, secondo lui, avrebbe potuto riprendere in mano le redini del governo addossando la responsabilità dei massacri al suo numero due, per poi eliminarlo fisicamente. Le cose sono andate nel primo dei due modi pronosticati da Cringely. Gheddafi non ha ripreso in mano il potere e non ha scaricato le colpe su Jalloud. Ma il punto da rimarcare è un altro: Cringely si sbagliava nel pensare che Gheddafi in quel periodo potesse fare quanto da lui ipotizzato, perché nel 2011 i suoi rapporti con Jalloud non erano più quelli fraterni da lui descritti dopo il suo incontro nel 1974. Con il senno di poi si può anzi tentare un’altra interpretazione della frase «Fa paura, vero?», posto che sia stata veramente pronunciata. C’è da riflettere infatti su una domanda: a chi faceva paura Jalloud? Ovviamente al popolo, sottoposto alle vessazioni dello stato

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di polizia. Ma non è da escludere che facesse paura allo stesso Gheddafi in quanto, nel caso in cui il vento della storia si fosse messo a soffiare in altra direzione, il cinismo del suo braccio destro avrebbe potuto rivolgersi contro il suo sodale e superiore. In realtà le cose sono andate in parte così, ma per capire meglio il punto è bene inquadrare la figura di Jalloud e cercare di capire qual era il suo rapporto effettivo con l’uomo-guida della rivoluzione. 2. ASCESA E DISCESA DI JALLOUD ‘Abd al-Salam Jalloud è nato il 15 dicembre del 1941 nella cittadina di Mizda, a sud di Tripoli. Proviene dalla tribù dei Magarha, una delle 180 tribù, divise da odi secolari, che tuttora si spartiscono il territorio libico. Gheddafi invece faceva parte della tribù Qaddhafa, potente ma minoritaria rispetto alla tribù più grande, quella dei Warfalla, che pure all’inizio lo aveva appoggiato alleandosi con i Magahra. La diversa estrazione tribale dei due protagonisti è importante perché è in grado di spiegare una parte degli avvenimenti successivi. L’amicizia tra Gheddafi e Jalloud, ambedue islamici sunniti con forti convinzioni religiose, era sbocciata sui banchi della scuola elementare che i due frequentavano insieme a Sebha. Si era poi consolidata al liceo, quando Gheddafi fondò con Jalloud le prime cellule rivoluzionarie ispirate al nasserismo, e ancor più in seguito quando i due furono ammessi all’Accademia militare di Tripoli. Era diventata un patto di ferro quando i due organizzarono insieme il putsch destinato a rovesciare la monarchia senussita, ponendosi al timone di un raggruppamento chiamato dei Liberi Ufficiali Unionisti. Il golpe, iniziato il 26 agosto 1969, si concludeva in modo incruento pochi giorni dopo, il 1 settembre 1969. Jalloud faceva parte del consiglio dei dodici membri del Consiglio del Comando della Rivoluzione (CCR). Gheddafi era alla testa del CCR, ma Jalloud ne era il coordinatore e tale restò anche quando i dodici membri si ridussero, dopo varie disavventure, a soli cinque. Da questa posizione privilegiata derivava il suo enorme potere, da lui gestito al di fuori degli incarichi ministeriali e militari.107 Il potere che si concentrava nelle mani di Jalloud si può rilevare dalla considerazione di diversi fatti. In primo luogo, il Nostro si fa notare sempre in prima linea quando si tratta di commercio delle armi. Nel marzo 1970 si reca a Pechino per comprare una bomba atomica allo scopo di concludere nel modo che riteneva risolutivo il conflitto israelo-palestinese. Solo la saggezza di Ciu-en-Lai, che si rifiutò di parlare di compravendita di armi e ap107 Incidentalmente, si noti che Jalloud non è mai andato oltre al grado di maggiore dell’esercito, mentre dopo la rivoluzione Gheddafi, saltando il grado di maggiore, da capitano era diventato colonnello. Si tratta comunque di gradi alti, ma non altissimi, della gerarchia militare.

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parecchiature militari, evitò quello che avrebbe potuto trasformarsi in una catastrofe. Nel maggio del 1974 vediamo Jalloud volare a Mosca per stipulare il primo di una serie di accordi (i più importanti siglati dall’URSS con un Paese non comunista) che prevedevano importazione di armamento sovietico. La trattativa con la Francia portò all’acquisto dei modernissimi e costosi Dassault Mirage IIIC, di cui era già dotato Israele. Nella visione di Gheddafi l’aviazione era molto importante in quanto il rais sapeva che era essenziale per un’eventuale repressione delle rivolte interne – come si sarebbe visto in seguito – e accortamente collocò ai vertici dell’aviazione libica membri della sua tribù. Gheddafi si fidava di Jalloud non solo per la stretta amicizia che lo legava a lui ma per l’indubbia abilità che il suo alter ego dimostrava nelle trattative. Jalloud parlava non solo un ottimo italiano ma anche un inglese fluente per aver seguito dei corsi di perfezionamento in USA e Canada, e già questo gli dava un vantaggio come negoziatore. Il suo carattere coriaceo si manifestò subito nel 1969, nelle prime trattative per la chiusura delle basi inglesi e americane in Libia (eseguita nella prima metà del 1970) e soprattutto nel 1970-71 durante i negoziati con le compagnie petrolifere, conclusi con un aumento delle royalties incassate dalla Libia e in alcuni casi particolari con la nazionalizzazione. Secondo una testimonianza di Andrew F. Ensor, che partecipò ai negoziati sui prezzi del petrolio a nome delle famose “Sette Sorelle”, Jalloud posò una pistola sul tavolo per tutta la durata dei negoziati. L’argomento impiegato era rozzo ma convincente, come si vide poi dall’esito delle trattative. Dal 16 luglio 1972 al 2 marzo 1977 Jalloud fu capo del governo libico, incarico prima ricoperto dallo stesso Gheddafi e dopo di lui da Abdul Ati alObeidi. Jalloud decadde dal mandato in quanto il 2 marzo 1977 veniva introdotta la Jamaihiria (“Regime delle masse”), che sostituiva l’ordinamento repubblicano con una forma particolare di democrazia diretta ispirata alle idee contenute nel celebre Libretto Verde di Gheddafi. In seguito Jalloud fu vicepremier, Ministro della Finanza e dell’Industria e, per tutti gli anni Ottanta, alla guida dei Comitati Rivoluzionari. L’esistenza di una diarchia de facto Gheddafi-Jalloud si presta a una breve osservazione: se negli anni 72-77 Gheddafi fosse stato assassinato dai francesi o degli americani, questo da un lato avrebbe trasformato Gheddafi in un martire della rivoluzione rafforzando l’odio per l’Occidente, dall’altro il potere in Libia sarebbe passato nelle mani di Jalloud, che ne avrebbe proseguito integralmente la linea politica. Per quanto Gheddafi sia stato oggetto di un alto numero di attentati, questo fa pensare che in quel periodo l’obiettivo di eliminare fisicamente Gheddafi non fosse primario per le potenze occidentali, mentre poteva esserlo certa-

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mente per altri stati del Medio Oriente o per varie organizzazioni di dissidenti libici. Il 1974 vede Jalloud a Roma impegnato nella firma di un importante trattato di cooperazione con l’Italia: come riferisce Angelo Del Boca,108 il petrolio sarebbe stato pagato con l’impegno dell’Italia di costruire raffinerie e altre opere pubbliche. Mentre sulle aziende italiane arrivava una ricca pioggia di commesse, Gheddafi intensificava i suoi violenti attacchi verbali all’Italia e ai suoi crimini coloniali. Nel 1976 la banca libica LAFICO acquistava il 13% delle azioni FIAT e in quegli anni diventava titolare di diverse proprietà immobiliari in Sicilia, a Favignana e a Ustica. La familiarità di Jalloud con i vertici della politica italiana è testimoniata da quanto asserito da Cossiga in un’audizione della Commissione Stragi, in cui l’allora presidente della Repubblica raccontava senza problemi la sua disinvolta abitudine di fare strappi al protocollo in nome dello speciale rapporto con la Libia. FRAGALÀ. Ha mai saputo che il presidente Andreotti incontrava segretamente Jalloud ai Parioli e che i Servizi italiani erano chiamati a proteggere la clandestinità e la riservatezza degli incontri? PRESIDENTE. Per assecondare il Servizio libico. COSSIGA. Non capisco la prudenza del presidente del Consiglio Andreotti, perchè io, come Presidente della Repubblica, ricevevo Jalloud al Quirinale, non nella lista delle udienze, forse nella lista delle udienze con un nome falso, ma non avevo nessuna difficoltà, tutt’altro, data la natura dei nostri rapporti economici con la Libia, a ricevere Jalloud; mi ricordo anzi che fui colpito dalla eccezionale eleganza di Jalloud. (Cossiga non parlava a casaccio: si guardi la cravatta sfoggiata da Jalloud in questa foto di gruppo).

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ANGELO DEL BOCA, Gheddafi. Una sfida dal deserto, op.cit., p. 133.

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Ma non esistono amori eterni e già nel 1986 (l’anno del sanguinoso raid americano su Tripoli e Bengasi) il rapporto tra Gheddafi e il suo braccio destro cominciava a mostrare qualche incrinatura. Nel 1985 Gheddafi aveva scoperto che suo cugino Hassan Ishkal stava preparando un colpo di stato facendo un’alleanza con la tribù dei Magarha (quella di Jalloud), evento che gettava l’ombra del sospetto sulla fedeltà al regime del suo numero due. L’anno seguente le truppe libiche subivano una batosta nel Ciad e, stando a quanto racconta Del Boca nel libro citato, Gheddafi, furioso, addossò la colpa a Jalloud.109 Il seguito della guerra in Ciad fu fallimentare per Libia e alla fine si concluse con la perdita della striscia di Aouzou. Il colonnello Kalifa Haftar, oggi ben noto alle cronache per altri motivi, allora operava nel Ciad come militare libico e si mise a capo di una ribellione contro Gheddafi. Fallita l’operazione si traferì negli USA, dove dimorò venti anni ottenendo la cittadinanza americana. Nonostante gli alti e bassi, Jalloud per più di vent’anni è rimasto effettivamente il numero due del regime, in un ruolo che non era solo di esecutore passivo ma anche di consigliere. Al proposito va aggiunto che Jalloud rappresentava l’ala dei dirigenti “duri e puri”, e in quanto tale non era sempre incline a seguire il pragmatismo, spesso spregiudicato, di Gheddafi. Dove affiorò un contrasto netto tra Gheddafi e Jalloud fu in seguito alle sanzioni seguite alla strage di Lockerbie. Per questo attentato fu condannato in Inghilterra Abdelbaset Mohmed Ali al-Megrahi, della stessa tribù Magahra ai cui vertici si trovava Jalloud. Al-Megrahi era ufficiale dell’intelligence libica e capo della sicurezza della Libyan Airways. Insieme a lui fu condannato Lamin Khalifah Fhimah, responsabile della Libyan Airways presso l’Aeroporto Internazionale di Malta. Jalloud in quel frangente fu decisamente contrario a qualsiasi concessione agli angloamericani, mentre Gheddafi si mostrava malleabile. Come si sa, alla fine il colonnello accettò di consegnare i due accusati alla magistratura scozzese e di pagare il risarcimento alle famiglie delle vittime, pur negando formalmente ogni responsabilità della Libia nell’attentato. Nel 1993 Jalloud cade in disgrazia e viene accantonato per ragioni probabilmente più complesse della semplice divergenza su Lockerbie. In quell’anno Gheddafi infatti reprimeva nel sangue un tentativo di colpo di Stato organizzato dalle tribù Warfallah e Magarha (quella di Jalloud), che mordevano il freno per lo strapotere della tribù Qaddhafa. Dopo questo episodio Jalloud fu messo agli arresti domiciliari, anche se secondo alcune fonti viveva comodamente in una villa presso Tripoli senza alcuna restrizione. Ma non si era ancora alla sua scomparsa definitiva. Nel 2009, per pressione della tribù Magarha, al-Megrahi venne rilasciato per ragioni umanitarie perché 109

DEL BOCA, Gheddafi. Una sfida dal deserto, op.cit., p. 123.

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malato di un tumore alla prostata, e fu accolto trionfalmente a Tripoli come eroe nazionale. Nel 2010 vediamo ricomparire Jalloud in pubblico a fianco di Gheddafi, cosicchè apparentemente la sua posizione ritornava essere quella del comprimario. Ma i tempi erano cambiati e l’ammorbidimento del colonnello nei confronti dell’Occidente, maturata dopo il bombardamento di Tripoli, era irreversibile. Alla luce di questo fatto era chiaro che la linea accomodante scelta da Gheddafi non era compatibile con la rigidità di Jalloud, che rappresentava il pensiero rivoluzionario della prima ora. Nel merito basta ricordare un evidente punto di attrito: Jalloud sosteneva l’appoggio all’integralismo islamico in Algeria mentre Gheddafi prendeva le distanze dai terroristi, che peraltro aveva appoggiato nella prima fase della sua attività rivoluzionaria.110 3. LA METAMORFOSI DI JALLOUD Arriviamo così al 2011. All’inizio di quest’anno in tutto il Medio Oriente cominciavano le sommosse che i media occidentali hanno concordemente chiamato “Primavera araba”. In Libia la rivolta fu seguita da una durissima repressione, che portò poi il governo italiano a dissociarsi dal regime di Gheddafi. La barca di Gheddafi cominciava a fare acqua e un numero crescente di alti funzionari libici prendeva in considerazione l’idea di abbandonarla. Secondo una notizia riportata dalla stampa americana nel mese di maggio 2011 otto ufficiali dell’esercito libico avevano disertato e si erano trasferiti in Italia. Non bisogna stupirsi troppo della migrazione dei notabili libici in Italia dato che, dopo tutto, il nostro paese è quello occidentale geograficamente più vicino alla Libia. Ma da ciò non segue che fosse a loro dovuta una calorosa accoglienza come quella che di fatto fu accordata agli esuli di una nazione la quale, almeno ufficialmente, per vari decenni ha fatto parte del fronte avversario. La vicenda di Jalloud va compresa in questo contesto. Come già detto, Jalloud da parecchi anni aveva smesso il ruolo di eterno secondo. Qualcun altro aveva preso il suo posto come sgherro numero uno di Gheddafi: era il già ricordato Abdullah al-Senussi, cognato di Gheddafi e parente di Jalloud. Nel 1980 costui era stato nominato capo dei servizi segreti e, stando alle cronache, tutto fa pensare che sia stato diretto responsabile del più esecrabile dei crimini imputabili al regime, il massacro nel carcere di Abu Salim del febbraio 2011 (secondo le stime, 1270 morti).

110 Così almeno secondo il «New York Times», vedi https://www.nytimes.com/1992/04/01/world/sanctions-on-libya-likely-to-fuel-qaddafi-schaos.html

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L’aria cominciava a farsi irrespirabile e Jalloud nell’agosto 2011 usciva dalla lista degli alti papaveri del regime per entrare in quella dei profughi politici. Riportiamo da un quotidiano online: «Lasciata ieri Tripoli, Jalloud si è rifugiato prima a Zenten (Al-Zintan), città della Libia occidentale sotto controllo degli insorti, riuscendo poi ad arrivare nella notte a Remada, nel sud della Tunisia… Si è consegnato all’esercito tunisino prima di essere preso in consegna da dei qatarini,111 ha riferito una fonte del governo tunisino all’Afp. Di qui, la partenza con la sua famiglia dall’aeroporto di Djerba a bordo di un aereo maltese diretto a Roma».112 Nel giro di pochi giorni diventa chiaro che Jalloud non è un profugo qualsiasi. Alcuni organi di stampa italiana parlano della fuga di Jalloud come di un piccolo capolavoro diplomatico e organizzativo della Farnesina. Per lui in Italia comincia una seconda vita, segnata dalla ricerca di una nuova verginità politica. L’ex-numero due non fa niente per nascondersi, anzi dà interviste, come quella rilasciata nell’agosto 1911 all’Associazione della stampa estera a Roma113 nella quale denuncia il dispotismo di Gheddafi: «Gheddafi ha distrutto la Libia, la sua economia, il senso di appartenenza alla patria dei libici. È un tiranno, un faraone, ha trattato il suo popolo come un gregge e il Paese come una sua proprietà». Jalloud-2 ora si dichiara vittima della sete di potere del rais e si dice perseguitato, ma ambisce anche a mostrarsi politicamente costruttivo. È pronto infatti a fondare un nuovo partito: «Ho avuto un dialogo con le forze patriottiche dell’est, del sud e dell’ovest della Libia e abbiamo concordato di formare un partito politico, nazionalista, laico e liberale». La futura leadership sarebbe stata affidata ai giovani e – poteva mancare? – avrebbe dato largo spazio alla donna, «che è la forza e la locomotiva della società». È stata proprio una donna, Lucia Annunziata, ad invitare Jalloud nella sua trasmissione nell’agosto del 2011. L’intervista, riportata a stralci nei Tg, venne trasmessa in versione integrale da RaiNews24 e in seconda serata da RaiTre.114 Nella conversazione con l’Annunziata Jalloud, oltre a ribadire il suo nuovo credo liberale, ipotizzava la fine imminente del regime di Gheddafi e la fuga del capo. «È difficile che possa arrendersi, ma non ha il coraggio di 111

Il Qatar era uno dei pochi paesi arabi schierati apertamente a favore degli insorti. Vedi https://www.ilsecoloxix.it/mondo/2011/08/20/news/libia-fugge-il-braccio-destrodi-gheddafi-forse-a-roma-1.32930454 113 Vedi https://www.notiziegeopolitiche.net/libia-jalloud-formero-partito-laico-liberale-enazionalista/ 114 Particolare curioso: i fotografi hanno colto Jalloud accompagnato da due agenti dell’AISE, Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, che in nome della segretezza non avrebbero dovuto essere fotografati, e probabilmente furono rimossi per questo motivo. https://www.globalist.it/news/2016/05/08/le-foto-dei-due-007-bruciati-per-colpa-del-governo1863.html. 112

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suicidarsi come Adolf Hitler», «Avrebbe potuto salvarsi solo con un accordo internazionale per l’uscita di scena. Questa fase è passata». Precedentemente di fronte alla stampa aveva anche ipotizzato che il rais potesse fuggire travestito da donna (si presume con il volto coperto dal velo islamico).115 Ci si chiede naturalmente perché in Italia Jalloud abbia trovato senza problemi un porto sicuro e una accoglienza così calda. La risposta è in alcune dichiarazioni rilasciate dall’allora ministro degli Esteri Frattini a un giornalista che chiedeva: «Could one of those representatives be the regime’s former second in command, Jalloud, who took refuge in Italy the other day?». Risposta: «He certainly has all the characteristics for being one of them. It isn’t up to us to suggest that. He will clarify his position when he thinks the time is right. I am convinced that many would give him an important role in the construction of a new Libya».116 La benevolenza dell’Italia verso Jalloud e la protezione accordatagli rispondevano quindi a un progetto politico preciso. Progetto che comunque era espressione di un governo (quello Berlusconi, di cui Frattini era Ministro degli Esteri) il quale però era destinato a scomparire presto dalla scena politica. Il seguito delle vicende libiche, in cui il caos ha preso la forma di una guerra civile che è tuttora (marzo 2020) in corso con prospettive confuse oltre che allarmanti, non interessa in questa sede. L’unica cosa che si può dire è che nel momento attuale l’idea che Jalloud possa essere l’uomo chiave per la soluzione del conflitto civile libica è assolutamente irrealistica, oltre che improponibile per un fatto molto semplice: non si hanno più notizie di Jalloud, che sicuramente è vivo ma, per quanto se ne sa, potrebbe anche non essere più in Italia. 4. JALLOUD NELL’ANNO DELLE STRAGI Interessa vedere se nella biografia di Jalloud qualcosa ci può aiutare a capire che cosa è accaduto in Italia nel giugno-luglio 1980, quando due stragi, quella di Ustica e quella di Bologna, hanno insanguinato un paese già martoriato dal terrorismo interno e internazionale. Come premessa e senza ripercorrere qui gli aspetti di una vicenda su cui esiste un’ampia letteratura, è utile ricordare i punti del lunghissimo contenzioso che si era aperto tra Italia e Libia dopo la rivoluzione del 1969. Ricordiamo solo che tra gli obiettivi del governo Berlusconi c’era la chiusura del 115 Vedi https://www.santalmassiaschienadritta.it/2011/08/gheddafi-travestito-daamazzone.html e anche https://www.youtube.com/watch?v=phhUjLj8Q8g 116 Vedi https://www.esteri.it/mae/en/sala_stampa/interviste/2011/08/20110822_libia_arresto_saif.ht ml

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contenzioso che si concluse, come è noto, con la spettacolare visita di Gheddafi a Roma 10 giugno 2009, a cui seguirono altre due visite. L’importante Trattato di Bengasi (2008) fu il punto terminale di una lunga trattativa, il cui primo risultato, un decennio prima, fu il Comunicato Congiunto DiniMountasser (1998). 1) In primo luogo, il governo libico chiedeva il risarcimento dei danni del colonialismo italiano e della guerra, giudicando risibile l’indennizzo che l’Italia aveva già pagato alla monarchia di Idris per l’ammontare di 1,5, milioni di sterline (1956). L’esproprio e la confisca dei beni italiani in Libia era considerato un anticipo su quanto si riteneva dovuto, calcolabile in circa cinque miliardi di dollari. Gli aspetti giuridici della richiesta libica erano complessi in quanto la Libia dal 1934 era istituzionalmente parte dell’Italia. Per complicare le cose, la Libia era insolvente nei confronti di molte aziende italiane. Sul tema del pagamento dei danni l’Italia mostrò per decenni un alto grado di sordità, anche se era pronta a fare concessioni particolari, per esempio offrendo l’apertura di un grande ospedale o un istituto per bambini handicappati.117 Rifiutando queste proposte, la Libia rilanciava chiedendo la costruzione di un’autostrada lungo la costa libica dal confine tunisino a quello egiziano, opera del costo preventivato tra 1,5 e 6 miliardi di euro. 2) Gheddafi chiedeva di visitare ufficialmente Roma e il Vaticano. Su questo punto l’Italia faceva orecchio da mercante, probabilmente per non irritare eccessivamente gli USA. 3) La Libia chiedeva la bonifica dei campi minati - tema particolarmente sentito da Gheddafi, che in tenera età era stato ferito dallo scoppio di una mina, a causa del quale erano morti due suoi cugini. 4) La Libia chiedeva: (a) scuse formali per i danni morali causati dall’occupazione coloniale; (b) la ricerca dei familiari dei libici deportati nei centri di reclusione del basso Tirreno e dell’Adriatico (Ustica, Ponza, Gaeta, Favignana, Tremiti);118 (c) il risarcimento alle famiglie dei deportati; (d) il diritto di fare visite ufficiali a questi luoghi che per i libici avevano un valore simbolico importante, come risulta dal fatto che la data del 26 ottobre, giorno della prima deportazione nel 1911, fu trasformata in una giornata di lutto nazionale celebrata annualmente come “giorno dei defunti”. Durante questa ricorrenza venivano sospese tutte le comunicazioni con l’estero. L’ultimo punto citato è di particolare importanza in quanto sul tema dei campi di reclusione per libici la stampa italiana ha creato per decenni un black-out persistente. Ne dà la prova il fatto che, dopo un colloquio con Jalloud (1998), Craxi dichiarò di essere all’oscuro della vicenda delle deportazioni volute da Giolitti e per la prima volta si impegnò a costruire “lapidi, 117 Vedi M. BUCARELLI - L. MICHELETTA (a cura di), Andreotti e Gheddafi. Lettere e Documenti 1983-2006, Storia e Letteratura, 2020, p. 44. 118 Vedi quanto detto alle pp. 93 sgg.

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cippi e monumenti” per ricordare i morti libici in Italia, nonchè a far proiettare il film “Leone del deserto”, ipocritamente proibito in Italia. Stando a quanto riferisce Del Boca, alle parole Craxi non fece seguire i fatti.119 Ma in effetti, fosse o no merito di Craxi, l’anno successivo (governo Andreotti VI) il 26-27 ottobre 1989 l’Italia aprì per la prima volta le frontiere a una missione libica verso i luoghi di deportazione. Il fatto che il primo pellegrinaggio a Ustica si sia verificato nel fine-settimana islamico Giovedì-Venerdì 2627, come la strage di Ustica, si presta ad alcune considerazioni per cui si rimanda ad altre parti del libro.120 Il Governo guidato da Romano Prodi ha ripreso con attenzione questo aspetto della vertenza libica e vi sono stati, in crescendo, interessanti sviluppi positivi, culminati nel Convegno del 26 ottobre 2007 sui deportati libici. Abbiamo visto che nel 1980 il contenzioso tra Italia e Libia era aperto da tempo. Ma in quel periodo la tensione tra i due paesi era al calor bianco per il sommarsi di diversi motivi che si possono sommariamente enumerare così: 1) La fine del governo Andreotti e l’insediamento del governo Cossiga, di cui Andreotti – caso memorabile nella storia del dopoguerra – non faceva parte. 2) L’installazione dei missili a Comiso (installati nell’agosto 1981, ma per una decisione presa l’anno prima). 3) Il contrasto tra Italia e Libia per il controllo politico di Malta. Il sottosegretario agli esteri Zamberletti, che curava le trattative con Dom Mintoff, fece l’ipotesi che la strage di Ustica fosse un avvertimento non percepito e che Bologna sia stata la vendetta. 4) La scomparsa dell’Imam sciita Moussa al-Sadr, di cui Gheddafi chiedeva che l’Italia si facesse carico dichiarando che l’Imam era scomparso dopo essersi trasferito a Roma nel 1978.121 5) La cattura da parte dei libici di pescherecci siciliani in seguito a uno sconfinamento dalle acque territoriali. Per il rilascio di questi la Libia chiedeva contropartite politiche pesanti, che furono oggetto di trattative nel corso di una missione del generale Jucci. Si è già detto122 che le settimane precedenti al disastro di Ustica sono state caratterizzate da qualcosa che non è improprio chiamare strage, quella dei dissidenti libici espatriati. Esattamente due mesi prima di Ustica, il 27 119

DEL BOCA, op.cit., p. 218. Vedi pp. 100 sgg. Moussa al-Sadr era um Imam sciita libanese di origine iraniana. Cercando di stabilire la pace religiosa in Libano, si recò in Libia per un colloquio con Gheddafi (sunnita), dopo il quale si sono perse le sue tracce. Una fonte vicina all’intelligence libica riferì dopo diversi anni che l’Imam e i suoi accompagnatori vennero uccisi subito dopo il colloquio. 122 Vedi le pp. 85 sgg. 120 121

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aprile 1980 (a un semestre quindi dalla ricorrenza del 26-27 ottobre) Gheddafi tenne un durissimo discorso all’Accademia Militare di Tripoli in cui fissava all’11 giugno la scadenza per il rimpatrio degli esuli, dopo la quale si sarebbe provveduto alla loro eliminazione fisica. In Italia la mattanza terminò effettivamente l’11 giugno ma all’estero proseguì fino al 27 giugno (il giorno di Ustica).123 Nello stesso fine settimana islamico del 26-27 giugno il governo libico dichiarava conclusa l’operazione organizzando a Bengasi una manifestazione detta “marcia del pentimento”, a cui parteciparono poche decine di esuli rimpatriati. L’accanimento del governo libico verso i dissidenti poteva sembrare frutto della psiche paranoica di Gheddafi, ma si può fare il tentativo di darne una spiegazione razionale. In primo luogo, alcuni dei gruppi dissidenti non erano alieni dalla pratica dell’assassinio politico e furono protagonisti anche di tentativi di uccidere il capo supremo della rivoluzione.124 Gheddafi e il suo entourage verosimilmente ritenevano che Cossiga con l’appoggio delle grandi potenze stesse tentando di rovesciare con la forza il suo regime e che i dissidenti libici fossero pedine essenziali di questo disegno. La rivolta di Tobruk (4 giorni dopo Bologna, il 6 agosto) fornì a Gheddafi la prova che l’Italia sottobanco appoggiava i tentativi di destabilizzazione. Stando così le cose, si può pensare che Jalloud avesse un ruolo importante nella gestione della campagna per l’eliminazione dei dissidenti. Come si potrà vedere da ciò che segue, è stato proprio così. In effetti è provato che alcuni dei fuorusciti uccisi lavoravano per la CIA, come risultò tra l’altro da alcune sorprendenti ammissioni del capostazione della CIA a Roma Duane Clarridge. Consideriamo il caso più eclatante, quello di Azzedine Lahderi, ucciso proprio l’11 giugno in una cabina telefonica della Stazione di Milano. Citando la Ordinanza Sentenza di Priore: «nella successiva rogatoria nel maggio 96 a Washington…, essendo di certo ritornato con la memoria sugli episodi, [Clarridge] affermava che uno dei suoi agenti uccisi era stato freddato all’interno di una cabina telefonica alla stazione di Milano, che costui era persona di livello abbastanza alto quanto alla qualità delle notizie fornite, che si ‘sospettava’che lavorasse anche per l’intelligence italiana».125 Nello stesso giorno della morte di Lahderi (il fatidico 11 giugno) si aveva la scarcerazione di Salem Said, un esponente dei Servizi libici, che si qua123

Nelle Ordinanza-Sentenza Priore si dice «Quel regime colpì in effetti ovunque in Europa dimoravano od operavano libici. Gli attentati si verificarono in quel semestre, oltre che in Italia, in Germania, nel Regno Unito ed in Grecia. In Germania veniva ucciso il 10 maggio Omram el Medawi, ex diplomatico passato all’opposizione; nel Regno Unito il 25 aprile l’avvocato Mahmoud Nafa, oppositore e dirigente del Movimento filomonarchico; e in Grecia il 21 maggio l’oppositore Abdel Rahman Abu Baker» (p. 4767). 124 Vedi quanto detto alle pp. 85 sgg. 125 Ordinanza-Sentenza, p. 4753.

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lificava come consigliere del Ministro degli Esteri Libico. Era stato arrestato a Roma per pesanti sospetti di colpevolezza in seguito al tentativo di omicidio di un dissidente libico. La sua liberazione fu caldeggiata fortemente dall’ambasciata libica a Roma, e nella faccenda si inserì tempestivamente il SISMI. Salem Said, uscito dal carcere, venne accompagnato da elementi del Raggruppamento Centri CS di Roma alla Clinica Villa Mafalda. Da questa prigione dorata il 15 giugno Said telefonava al suo console e anche a Jalloud, il cui segretario lo rassicurava dicendogli che «le cose che lo interessano vanno bene». Una volta prosciolto, Said dichiarò: «Ancora vi prometto che farò del mio meglio con i fratelli in Libia e, per primo, con il maggiore Abdel Salam Jalloud, per riportare la situazione alla normalità e per risolvere tutti i problemi che vi interessano». Dunque Jalloud aveva rapporti diretti con agenti coinvolti nel massacro dei fuorusciti. Altre notizie interessanti su Jalloud riguardano il suo rapporto con il criminologo Aldo Semerari e con Claudio Mutti. Nel 1973 Mutti, amico e sodale del nazimaoista Freda, fondava l’associazione Italia-Libia, a cui non mancarono oblazioni da parte del governo libico.126 Negli anni ’80 Mutti ha diretto la rivista «Jihad» finanziata dall’Iran. Dall’articolo di Claudio Meloni “Strage di Bologna. La pista libica”127 si evince in particolare che Mutti avrebbe parlato di Semerari ai libici durante un convegno tenutosi il 9 marzo del 1974 all’Hotel Hilton a Roma, al quale avrebbe partecipato lo stesso Jalloud, vari palestinesi e rappresentanti italiani dell’eversione di destra. Sembra acclarato, come scritto anche nella Ordinanza-Sentenza Priore, che Semerari (ucciso dalla camorra il 25.3.1982) curasse i rapporti con la Libia per conto della P2. Venne incarcerato per una presunta partecipazione alla strage di Bologna e, una volta rilasciato nel 1981, anche lui, non a caso, fu trasferito alla clinica Villa Mafalda. Non è azzardato supporre che Semerari abbia pagato con la vita i molti segreti di cui era depositario. Le vicende di Villa Mafalda meriterebbero un capitolo a parte. Il titolare, Renato Era, era collaboratore dei servizi segreti e amministratore delegato della clinica. Veniamo ora al punto che più ci interessa. Il giornalista Gianni Lannes, noto per le sue tesi provocatorie su vari temi di scottante attualità, dai vaccini alle scie chimiche, recentemente si è fatto promotore della tesi per cui Jalloud sarebbe stata la mente della strage di Bologna.128 Scrive Lannes: «I riscontri che ho raccolto portano solo ed esclusivamente a Jalloud, ai nebulosi affari intercorsi tra il Sismi e il regime libico, in materia di armi in cambio di petrodollari, grazie all’omertosa benedizione 126 Vedi MARCO DOLCETTA, Quegli amorosi sensi tra Gheddafi e Freda, «Il Fatto Quotidiano», 9 aprile 2011, p. 11. 127 Vedi https://meloniclaudio.wordpress.com/2019/01/23/13840/ 128 Vedi https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2016/06/il-libico-jalloud-protettodall-italia.html

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dei governi italiani. Come mai il famigerato Jalloud non è mai stato sfiorato da una convocazione giudiziaria? Jalloud nel 1990 ordinò il sequestro di alcuni tecnici militari italiani, esperti in guerra elettronica, tra cui l’ex sottufficiale della Marina Militare, Davide Cervia, rapito a Velletri il 12 settembre 1990 da agenti del Sismi su commissione libica». Quali siano le informazioni in possesso di Lannes su Jalloud non è dato ricavare dalla lettura dell’articolo citato. Lannes richiama a suo sostegno la tesi di Zamberletti a cui si è fatto cenno sopra. Ma Zamberletti ipotizzava un collegamento ben preciso tra Ustica e Bologna. Perché allora non dire anche che Jalloud era dietro alla strage di Ustica? Lannes questo non lo può dire perché sarebbe si scontrerebbe con la contorta teoria da lui sostenuta in altre pubblicazioni, secondo la quale il DC-9 sarebbe stato abbattuto dagli israeliani per impedire un rifornimento di uranio all’Iraq. Nel corso dei suoi frequenti incontri con personalità della politica italiana del governo e dell’opposizione (memorabile il suo incontro con Achille Occhetto) Jalloud non poteva non rilasciare dichiarazioni sulla questione di Ustica. Si sa che le dichiarazioni di Gheddafi su Ustica sono state tardive, diverse e contraddittorie, ma avevano un nucleo stabile da cui Jalloud naturalmente non si è scostato. Leggiamo su «La Repubblica» del 12.2.88: «Parlando della tragedia di Ustica, [Jalloud] conferma poi che Gheddafi ha detto di avere le prove che ad abbattere il DC-9 dell’Itavia sarebbe stato un aereo USA. E i servizi segreti americani sanno che Gheddafi ha le prove. Domanda: le avete date al governo italiano? Risposta: No, perché gli italiani non ce le hanno ancora chieste». Nel libro di Sandro Bruni e Gabriele Moroni Ustica, la tragedia e l’imbroglio129 si legge che Jalloud durante una visita a Roma (presumibilmente nel 1988) disse parlando di aerei: «Due le vittime di Ustica, ma niente a che vedere con il MiG caduto sulla Sila». Questa dichiarazione non stupisce perché la tesi libica su Castelsilano è sempre stata che il MiG23 sarebbe caduto a causa di un malore occorso al pilota libico durante un’esercitazione militare. Ma Jalloud aggiungeva qualcos’altro che non si era mai sentito prima: «Le due vittime di Ustica sono il DC-9 dell’Itavia e un altro aereo finito in fondo al Tirreno… un MiG25». Strana affermazione: vuol dire che dopo aver perso un MiG25 in una battaglia aerea contro il nemico americano la Libia ha taciuto questo grave fatto per anni e non ha neppure chiesto la restituzione del velivolo, a differenza di quanto fece dopo la caduta del MiG23 sulla Sila. Certo Jalloud avrebbe dovuto spiegare che cosa ci faceva un MiG25 nel cielo di Ustica, ma il punto è un altro: nel corso delle due campagne di recupero del relitto di Ustica sul fondo marino è stata trovato di tutto, 129 SANDRO BRUNI - GABRIELE MORONI, Ustica, la tragedia e l’imbroglio, Edizioni Memoria, 2004, p. 12.

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tra cui uno Stukas della seconda guerra mondiale, ma nessuno ha mai trovato né un missile nè un MiG di qualche tipo. O Jalloud forse si confondeva con i due caccia libici abbattuti dagli F-14 americani il 19 agosto 1981 durante il primo scontro aereo sul golfo della Sirte, nel quale sono stati movimentati anche dei MIG-25? La ex-senatrice Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione Parenti delle Vittime, ha manifestato più volte la convinzione che su Ustica la Libia sapesse più di quanto dicesse di sapere, auspicando che fosse esercitata una pressione sul governo libico per costringerlo a raccontare quanto richiesto per una ricostruzione completa dei fatti. La fuga di Jalloud in Italia nel 2011 offriva un’occasione straordinaria per raggiungere questo obiettivo. L’avvocato Gamberini, avvocato della Associazione, depositava un’istanza il 27 giugno 2012 presso i magistrati Amelio e Monteleone che hanno in mano il fascicolo della inchiesta su Ustica, tuttora aperta. Nello stesso giorno il giornale «Il Fatto Quotidiano» scriveva, parlando di Jalloud: «Il suo legame con la strage aerea del 1980 si innesta sui documenti in possesso del governo libico. Documenti a cui si era riferito quasi un anno fa Peter Bouckaert, direttore del settore emergenze di Human Rights Watch, e che potrebbero raccontare qualche retroscena dell’Italia, dei legami libici con i servizi segreti del Belpaese, soprattutto con il Sismi, e delle attività a tutt’oggi non documentate tra le due nazioni che si affacciano sul Mediterraneo». È noto infatti che Human Rights Watch ha messo le mani, non si sa bene con quale autorizzazione, su documenti degli archivi libici. Nonostante la stampa abbia riferito che i documenti confermavano la teoria della battaglia aerea, a distanza di anni i documenti non sono mai stati resi pubblici e non se ne è saputo più nulla. La richiesta di ascoltare Jalloud comunque è andata a buon fine. I due magistrati hanno identificato il suo recapito e hanno eseguito un interrogatorio. Una notizia riportata dal quotidiano «Huffington Post» del 13 giugno 2013 racconta l’esito dell’incontro tra i due giudici con il supertestimone libico. Il resoconto che si può fare del colloquio è brevissimo perchè Jalloud si è chiuso nel silenzio più ostinato e, a quanto sembra, si è anche rifiutato di firmare il verbale.130

130 Non è la prima volta, almeno nella vicenda di Ustica, che personaggi che si mostrano piuttosto loquaci con la stampa, posti davanti a un giudice ammutoliscono o addirittura sconfessano quanto precedentemente dichiarato: è il caso, p.es. del medico Anselmo Zurlo, che dovendo chiarire davanti al magistrato il motivo della retrodatazione a più di 20 giorni prima della morte del pilota del Mig su cui aveva effettuato l’autopsia, ammise di aver fatto un errore di valutazione. Un altro esempio da manuale è il caso dell’ex-marinaio Sandlin di cui alle pp. 73-74.

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5. USTICA: UN DELITTO PER PROCURA? Dunque, l’uomo che, in sintonia con la persona che era al vertice della Libia, ha ripetuto più volte alla stampa italiana quale era la “verità libica” su Ustica si è rifiutato di dare conferma alle cose da lui stesso dette quando aveva il potere per dirle. Ci si chiede il perché di questo impenetrabile silenzio di un uomo che non era mai stato avaro di parole. L’interesse della domanda è motivato anche dalla considerazione di un fatto: Jalloud non poteva non sapere che i magistrati che lo interrogavano, così come la ex-senatrice Bonfietti, avrebbero probabilmente accolto con favore una conferma delle dichiarazioni da lui rilasciate all’epoca in cui rappresentava all’estero il governo libico. Infatti va ricordato che il magistrato Erminio Amelio è stato coautore insieme ad Alessandro Benedetti di un libro131 che è un atto di accusa contro i vertici dell’Aeronautica Militare Italiana, ritenuta responsabile di aver coperto la realtà di una presunta battaglia aerea durante la quale sarebbe caduto il DC-9. In primo luogo, è piuttosto chiaro che se Jalloud avesse avuto le prove o i documenti della versione dei fatti da lui precedentemente raccontata, avrebbe avuto un’ottima occasione per confermare il racconto della battaglia aerea. Se non l’ha fatto, vuol dire che tanto lui che il suo ex-superiore Gheddafi, sono stati portatori di una versione dei fatti che con ogni probabilità era una fake news. Va ricordato che subito dopo il 27 giugno 1980 la Libia su Ustica non fece nessun commento. È solo a partire dal 1988 che Gheddafi cominciò a rilasciare una serie di confuse e contraddittorie dichiarazioni alla stampa italiana, seguito, come si è visto, da Jalloud.132 Ci si chiede perché i libici non abbiano mantenuto la stessa linea di prudente silenzio inaugurata all’inzio degli anni 80. Le ipotesi che si possono fare sono diverse, ma ci limiteremo a tre. a) La prima ipotesi è, o sembra, inattendibile per la sua assoluta semplicità: il governo libico si è inventato una verità su Ustica semplicemente perchè non conosceva la verità su Ustica. Questa ipotesi non è del tutto assurda. In un telegramma del 16 febbraio 1989, inviato dalla nostra ambasciata a Tripoli e destinato al Consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio, a firma Reitano, si ribadisce il perdurare del silenzio libico sulla vicenda Ustica, e si conferma che tutte le risposte libiche sono state evasive o dilatorie. La spiegazione più semplice dell’atteggiamento assunto dalle autorità libiche – scrive l’addetto diplomatico – è che «Jalloud, e prima di lui Gheddafi, abbiano voluto sfruttare propagandisticamente una questione, quale quella di Ustica, sulla 131 IH870. Il volo spezzato. Strage di Ustica: le storie, i misteri, i depistaggi, il processo, Editori Riuniti, 2005 132 Per qualche dettaglio rimando a C.E. PIZZI, Ripensare Ustica, p. 256 sgg.

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quale non dispongono in realtà di elementi specifici, nel quadro della ormai tradizionale polemica contro gli Stati Uniti e più in generale contro i rischi connessi con la presenza militare delle superpotenze nel Mediterraneo». Tradotto: i vertici libici, pur non sapendo nulla, avrebbero sposato la teoria di una battaglia aerea innescata da un attacco a un aereo libico perché faceva gioco alla Libia nel suo rappresentarsi come vittima designata degli USA e della NATO. Questo in effetti spiegherebbe anche altre stranezze del comportamento libico. Pur dichiarandosi vittima di un atto di guerra, la Libia è l’unico paese che non ha mai risposto alle rogatorie internazionali. Nel 1990 il governo libico ha nominato una commissione per far luce su Ustica, la quale però è venuta in Italia a chiedere informazioni, lasciando delusi, se non sconcertati, quanti, come lo stesso giudice Priore, si aspettavano di ricevere proprio dai libici i tasselli mancanti per la ricostruzione completa dei fatti. Sull’esito dell’inchiesta non si è saputo nulla. E può anche darsi che, se negli archivi libici c’erano veramente dei documenti su Ustica ritrovati da Human Rights Watch, questi erano dei verbali in cui i magistrati libici avevano riportato alla lettera la tesi della battaglia aerea così come era stata confezionata in Italia. Al proposito comunque è utile ricordare quanto dichiarato da Bakkusch nell’intervista a «Oggi» già trattata nella parte: «Non esistono mai prove delle decisioni di Gheddafi. Tutto è fatto a voce». E altrove «Il solo documento scritto, in tutto il paese, è la lista degli stipendi». Se è così segue che, se anche fosse stato Gheddafi con il suo staff a deliberare l’abbattimento del DC-9, era ingenuo pensare che i membri della commissione nominata dal governo libico ne trovassero testimonianze e tracce scritte nei documenti prodotti dal governo libico. A parte questo, è anche ingenuo pensare che Jalloud non sapesse nulla di Ustica dato i suoi contatti quotidiani con i servizi segreti libici e i servizi segreti italiani. b) La seconda ipotesi è che Jalloud mirava a nascondere con il suo silenzio il fatto che era stata proprio la Libia ad essere responsabile della strage. Sulle possibili motivazioni della decisione di eseguire l’attentato e sulla dinamica degli eventi si possono fare diverse congetture, di cui si è parlato nelle pagine precedenti. Può darsi che la verità, per esempio, fosse quella raccontata da Bakkusch nella intervista sopra ricordata, in cui il dissidente libico asseriva di sapere per certo che l’abbattimento del DC-9 sia stato decisa direttamente da Gheddafi. Se le cose sono andate così Jalloud avrebbe potuto giustificarsi scaricando la colpa interamente su Gheddafi ma, date le sue precedenti dichiarazioni fatte quando era un notabile libico, rischiava un’incriminazione per concorso in strage. c) La terza ipotesi è che Jalloud non conosceva i dettagli della caduta del DC-9 per il fatto che il governo Libico aveva appaltato il delitto a qualche organizzazione collaterale la quale, dietro compenso o in cambio di vantaggi politici, si era incaricata di organizzare tempi e modi dell’operazione. Va ricordato che secondo la CIA la Libia ha finanziato duecento movimenti

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terroristici in tutto il mondo e che lo stesso Gheddafi ha rivendicato orgogliosamente questo attivismo.133 Un esempio dell’uso di manovalanza estera è offerto dalla strage del Ténéré nel nord della Nigeria, in cui un attentato fece precipitare un aereo francese della compagnia francese UTA (volo 772 del 19.09.1989: 170 morti). Gli investigatori francesi ottennero una confessione da uno dei presunti terroristi, un individuo dell’opposizione congolese, che aveva contribuito a reclutare un compagno dissidente per portare la bomba sull’aereo. La confessione di questo esecutore materiale portò alle accuse nei confronti di sei libici, uno dei quali era Abdullah al-Senussi, già ricordato come capo dei servizi segreti esteri della Libia e parente di Jalloud. Nel 1999 i sei libici furono messi sotto processo, ma poiché Gheddafi non consentiva la loro estradizione verso la Francia furono processati in contumacia. La Corte d’Assise di Parigi li condannò per l’esecuzione dell’attentato e la Libia accettò di risarcire le famiglie delle vittime, facendo un versamento su un fondo speciale, nel 2004. Dunque nel Ténéré la Libia si è servita di personale locale per l’esecuzione materiale dell’attentato. E non stupisce constatare, in base a vari indizi, che il metodo dell’appalto sia stato applicato sistematicamente dai libici anche in Italia. Non è solo per curiosità che vale la pena di soffermarsi su una notizia pubblicata da «La Repubblica» il 24.5.1995.134 L’articolo parla di una storia di mafiosi pentiti, Saverio Morabito e Michael Armandini. I due hanno raccontato ai giudici di una loro missione in Libia, attuata con la mediazione di un certo Franco Giorgi, costruttore amico di Armandini. Era il febbraio 1980. Secondo questa testimonianza i due (senza passaporto) sarebbero stati trasportati in aereo a Malta, e di qui su un aereo militare senza insegne in Libia. Con loro secondo le loro dichiarazioni viaggiava un terzo uomo, il famoso Frank Coppola “tre dita”. Riferiva Morabito: «Lì fummo trattati con tutti gli onori, ma non capii se la vigilanza armata ci teneva in ostaggio o ci proteggeva. In una villetta incontrammo Jalloud, il numero due libico, che ci consegnò una valigia con le foto e gli indirizzi delle persone da eliminare e i nomi degli uomini libici da contattare per appoggi nei vari Paesi». Oltre al denaro, Giorgi chiese in cambio della prestazione delle concessioni in Italia per la vendita di prodotti petroliferi e Armandini chiese che venisse fatta pressione su alcuni politici italiani per far liberare il boss Papalia. I libici risposero che su questi due punti non c’erano problemi, ma rifiu-

133 La letteratura su questo argomento è molto ampia. Per quanto riguarda gli aspetti che riguardano l’Italia Vedi ad es. V. SALVATORE LORDI, Terra di Nessuno. Il Terrorismo internazionale nell’Italia del dopoguerra, Historica edizioni, 2014. 134 LUCA FAZZO, “E Jalloud ordinò ai boss di uccidere i nemici della Libia”. https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/05/24/jalloud-ordino-aiboss-di-uccidere.html

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tarono la richiesta avanzata dai mafiosi, giudicata esosa, di due milioni di dollari. C’è da credere alle dichiarazioni di Morabito? È stato uno dei più celebri pentiti della ‘ndrangheta e gli è stato dedicato anche un film (“Lo spietato”, con l’attore Scamarcio nella parte dello stesso Morabito). La sua dichiarazione è stata ripetuta più di una volta di fronte ai giudici e confermata da Armandini, per cui c’è soprattutto da capire quale sarebbe stato il reale vantaggio di Morabito nel raccontare questa storia. Sospendendo il giudizio sulla verità del racconto, bisogna ammettere comunque che ha una certa plausibilità. I dissidenti in Italia e all’estero vennero assassinati da sicari libici: i quali (strano e forse imprevisto fenomeno) vennero tutti rapidamente assicurati alla giustizia, cosa che probabilmente non sarebbe successa se si fosse usata la manovalanza mafiosa, come forse era nelle intenzioni iniziali. Per il resto, va considerato che Gheddafi aveva fatto della Sicilia un suo obiettivo strategico e ivi aveva un referente ben preciso che era l’avvocato massone Michele Papa, fondatore nel 1974 dell’Associazione Siculo-Araba (ASA). A Catania venne costruita con denaro libico proprio nel 1980 il primo luogo di culto islamico in Italia. Secondo il citato articolo di Meloni, Papa era un fedelissimo di Richard Nixon ed è stato un anello di collegamento tra la mafia italo-americana e quella sicula. Nel 1978 avrebbe giocato un ruolo determinante come mediatore di affari tra la Libia di Gheddafi e l’uomo di affari Billy Carter, fratello dell’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy, che sarebbe stato al centro del cosiddetto Billygate. Oltre a ciò, va ricordato che trattava in particolare anche con la Libia un credito che il padrone dell’Itavia, Davanzali, vantava nei confronti del governo libico. È già stato detto che la Libia sulla questione dei fuorusciti minacciò di applicare very strong measures contro l’Italia se non fossero stati restituiti alla Libia i sicari arrestati, e si è visto come l’Italia si comportò nel caso di Said. Ma va ricordato che anche Zamberletti ricevette delle velate minacce da parte della delegazione libica per altri motivi, legati alla politica italiana verso Malta. Quello che si può dire con certezza è che i motivi per cui la Libia si riteneva minacciata dal governo Cossiga erano molteplici, e che l’installazione dei missili a Comiso era, già di per sè, un gravissimo motivo di attrito. C’erano parecchie organizzazioni, con cui la Libia aveva rapporti, che avrebbero potuto farsi carico di azioni dimostrative contro l’Italia di vari gradi di dannosità: un dirottamente aereo, una bomba all’ambasciata, un attentato ai treni o, per finire, alle linee aeree. Alcune di queste organizzazioni esterne erano competenti e affidabili: prima di tutto la mafia siciliana o calabrese (si ricordi che il DC-9, partito da Lamezia Terme, è passato una seconda volta per Lamezia Terme, facendo in seguito uno scalo a Palermo); i terroristi neri siciliani o bolognesi; le organizzazioni siciliane che guardavano

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con favore all’annessione alla Libia; i servizi segreti dell’Europa Orientale. Ma non bisogna dimenticare soprattutto i numerosi palestinesi presenti in Italia, che avevano ramificazioni potenti e motivazioni molto forti. Tra questi il più noto era il FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), sul quale negli ultimi anni sempre più frequentemente si sta puntando il dito in seguito ai fatti di Ortona135 e alla scoperta del c.d. lodo Moro. La tesi sostenuta da più parti oggi è che Ustica, Bologna o ambedue siano una vendetta per il mancato rispetto del lodo Moro: si chiedeva l’immediato rilascio di Abu Anzeh Saleh, rappresentante dell’FPLP a Bologna, nonchè l’indennizzo per la perdita del missile sequestrato. È notevole il fatto che questa tesi viene oggi sostenuta anche dal giudice Rosario Priore e dall’avvocato e ricercatore Valerio Cutonilli nel recente volume I segreti di Bologna.136 È interessante anche notare che la cattura dei sicari libici in Italia ha scatenato una reazione per motivi sostanzialmente analoghi a quella seguita ai fatti di Ortona: la cattura dei killers libici fu percepita come un tradimento dell’Italia la quale, forse attraverso una garanzia assicurata dai servizi segreti, aveva promesso l’impunità ai sicari. Fa anche riflettere, per analogia sulle scarcerazioni a suo tempo rilevate per i sicari libici, il fatto che Saleh venne prosciolto nell’estate 1980 per decisione della Cassazione. Ultimamente la pista libico-palestinese per Bologna ha ricevuto forza da un fatto nuovo e imprevisto. In un faldone dei documenti è stata scoperta quasi per caso, dallo storico Giacomo Pacini, una nota del SISMI del 12 maggio 1980, accompagnata da un’altra. Il rapporto del SISMI riferirebbe dell’incontro dell’11 maggio tra il colonnello Giovannone e un esponente del FPLP, che, tra l’altro, confermerebbe « la data del 16 maggio quale termine ultimo per la risposta da parte delle Autorità italiane alle richieste del “Fronte”, facendo sapere che «in caso di risposta negativa, la maggioranza della dirigenza e della base del FPLP intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere innocenti».137 Ma è interessante leggere il seguito: «L’esponente palestinese, riferirebbe ancora la nota degli 007 scovata dal ricercatore Pacini, ha lasciato capire 135 A Ortona nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 vennero fermati diversi membri di Autonomia Operaia mentre stavano trasportando due missili terra-aria spalleggiabili di fabbricazione sovietica, destinati alla guerriglia palestinese. Venne poi arrestato anche il giordano Abu Anzeh Saleh, garante dell’operazione. 136 VALERIO CUTONILLI - ROSARIO PRIORE, I segreti di Bologna. La verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana. Chiarelettere, 2018. 137 V. https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/08/03/strage-bologna-note-sismiultimatum-palestinesi-pronti-colpire-nnocenti_mr7XgRZiqBjeQm7P5pYd8N.html?refresh_ce https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/08/03/strage-bologna-spuntano-notesismi-prima-bomba-minacce-palestinesi_cIeGT9QEaTIOWRKofstihP.html

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che il ricorso all’azione violenta sarebbe la conseguenza di istigazioni della Libia, divenuta il principale ‘sponsor’del FPLP, dopo la rottura di quest’ultimo con l’Iraq e per effetto delle incerte relazioni con la Siria». Quando verranno completamente desecretati tutti i documenti che per la legge italiana ora si possono leggere ma non divulgare, forse sapremo se corrisponde a verità quanto asserito da due membri della commissione Fioroni, Giovanardi e De Biagio, che hanno riferito quanto si può leggere, anche se scritto al condizionale, su alcuni organi di stampa: «tra i tanti cablo che partivano con l’ok del capocentro di Beirut, il colonnello dei carabinieri Stefano Giovannone, fedelissimo di Aldo Moro, ce ne sarebbe un altro significativo, giunto al SISMI di Roma il 27 giugno 1980, il giorno stesso di Ustica: spiegava che i referenti locali dei nostri 007 da qualche giorno erano spariti nel nulla. Un segnale? Nel messaggio cifrato si sottolineava inoltre l’alto rischio per l’Italia suggerendo, pare, l’ipotesi di evacuare l’ambasciata».138 È veramente un caso, per inciso, che quel pomeriggio sul DC-9 viaggiassero due carabinieri armati? Come già ricordato, l’on. Zamberletti fece l’ipotesi che Ustica fosse un avvertimento di Gheddafi e Bologna la vendetta. Zamberletti pensava a una ritorsione per la pressione esercitata dall’Italia su Malta, mentre da quanto emerge si dovrebbe pensare che Bologna fosse una ritorsione palestinese per il mancato rispetto del lodo Moro. Anche in questo caso si potrebbe vedere Ustica come un avvertimento e Bologna come un atto di guerra. Si noti però che ultimamente, a seguito dell’impressionante scoperta secondo cui nella bara della Sig.ra Maria Fresu ci sarebbero resti appartenuti ad un’altra persona, ci sarebbe nel bilancio un ulteriore morto che non era stato calcolato, forse l’attentatore. Questo fatto riporta all’ipotesi che la bomba, trasportata per compiere un attentato in un altro luogo, sia esplosa per errore durante il trasporto, come asserito da Cossiga. Secondo alcuni questo spiegherebbe meglio la strana presenza a Bologna dell’esplosivista di Carlos Thomas Kram, che non è stato l’autore della strage ma quasi certamente non era arrivato a Bologna la sera prima in gita turistica.139 Su Bologna è stato scritto di 138

Vedi https://www.quotidiano.net/blog/boni/stragi-gli-allarmi-ignorati-su-ustica-ebologna-125.277‘ 139 Sembra che quella notte abbia pernottato a Bologna anche la terrorista Margot Krista Frohlich. La loro posizione è stata archiviata, per motivi che sarebbe interessante capire, nel 2015. Quanto ai rapporti tra Carlos e Gheddafi, va citata per scrupolo di documentazione questo brano tratto da un’intervista a Carlos, fermo restando che Carlos non era certamente la bocca della verità: «Il Colonnello Gheddafi non è un tipo loquace. Ma io ero molto amico del cognato del Colonnello, Abdallah al-Senoussi. Nonostante egli non parlasse inglese e il mio arabo all’epoca non fosse dei migliori ci incontravamo spesso, perché mi voleva molto bene ed era solito telefonarmi ogni qual volta ritornava dall’Europa, specialmente da Parigi. Era lui l’uomo di collegamento tra la Libia e la Francia. Il Colonnello Gheddafi e il Presidente francese Mitterrand si incontrarono segretamente a Creta nel 1983 circa [in realtà l’incontro av-

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tutto e non è questa la sede appropriata per una discussione, ma bisogna almeno fare la semplice considerazione che nessuna bomba può esplodere se il detonatore non viene attivato da qualcuno.140 La tesi della bomba esplosa per errore è stata sostenuta più volte anche per Ustica. La probabilità che a distanza di poche settimane si siano verificate due stragi tutte e due per errore è troppo bassa perchè l’ipotesi risulti credibile. La cosa più probabile che nessuna delle due bombe sia esplosa per sbaglio. Ma, dovendo ipotìzzare che ci sia stato un errore, sembra più ragionevole ritenere che questo si sia verificato a Ustica piuttosto che a Bologna. Ha un senso ipotizzare che il segnale inviato a Ustica non sia stato percepito come tale perché la bomba era destinata ad esplodere in un altro punto del percorso del DC-9 in cui l’esplosione programmata sarebbe stata più che evidente. Conseguentemente, si può pensare che la bomba di Bologna, lungi dall’essere un errore, abbia costituito un segnale alto e forte tale destinato a surrogare il primo e tale, a differenza di questo, da non passare inosservato. Un’ipotesi su Ustica frequentemente avanzata è quella per cui la bomba era destinata ad esplodere a Palermo dopo l’atterraggio o addirittura nell’hangar, ma che sarebbe esplosa in volo a causa del ritardo dell’aereo. Ma varie cose fanno pensare che questa ipotesi sia fuori bersaglio. Prima di tutto, se si voleva far esplodere l’aereo mentre era nell’hangar la cosa più semplice sarebbe stata quella di collocare la bomba nello stesso hangar, non certo durante il volo. Ma c’è un’altra riflessione da fare. Supponiamo che qualcuno, durante la sosta a Bologna o nel volo immediatamente precedente, avesse impostato il timer sulle 21:00. Sappiamo che, arrivato a Bologna con quasi due ore di ritardo, una volta terminate le operazioni di carico-scarico, il DC-9 ha accumulato altri 19 minuti di ritardo. Quando il DC-9 è precipitato tra Ponza e Ustica mancavano 13 minuti all’atterraggio. Se l’aereo fosse partito senza venne nel 1984, N.d.R.]. C’erano molti ufficiali maggiori e fu raggiunto un accordo dal cognato del Colonnello, Abd Allah al-Senoussi. Nonostante egli non parlasse inglese ed il mio arabo all’epoca non fosse dei migliori ci incontravamo spesso, perché mi voleva molto bene ed era solito telefonarmi ogni qual volta ritornava dall’Europa, specialmente da Parigi. Era lui l’uomo di collegamento tra la Libia e la Francia». https://www.fanpage.it/politica/usticacarlos-lo-sciacallo-la-sua-versione-e-il-muro-di-gomma/ 140 È noto che su Bologna recentemente è stata ripresa la pista fascista in seguito all’emergere di un fotogramma amatoriale scattato pochi minuti dopo la strage che incastrerebbe il terrorista nero Paolo Bellini. Un altro estremista nero di nome Picciafuoco, legato a Bellini, risultò ferito accidentalmente nell’esplosione e si fece ricoverare con una falsa identità. Sommando questi due nomi a quello di Kram, si avrebbe il numero di ben tre estremisti, anche se eterogenei, presenti a Bologna in prossimità della strage. Se si crede veramente che la valigia con la bomba fosse stata destinata ad essere trasportata altrove, allora, lavorando di fantasia, si anche può ritenere che Kram fosse l’uomo che doveva prelevarla e trasferirla a destinazione: perfetto esempio di collaborazione tra terrorismo rosso filopalestinese e terrorismo nero.

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ulteriori ritardi (ipotesi peregrina a cui poteva credere solo un ottimista a oltranza), sarebbe atterrato alle 20:54 e quindi, a causa dell’impostazione del timer sulle 21, la bomba sarebbe esplosa 6 minuti dopo l’atterraggio. Certamente c’era il rischio di fare vittime umane, ma la carica esplosiva di piccole dimensioni nell’aereo non pressurizzato avrebbe prodotto danni limitati. Il punto su cui richiamare l’attenzione è però un altro. Quando a Bologna l’aereo si trovava sulla pista, dopo 6-7 minuti di ritardo supplementare, l’ipotetico attentatore non poteva non sapere che la bomba sarebbe esplosa nella fase di atterraggio; e dopo altri 10-15 minuti di ritardo doveva essere chiaro per che l’aereo sarebbe esploso in volo. Al momento della partenza, con 19 minuti di ritardo, era assolutamente certo che l’aereo sarebbe caduto in mare. A parte il fatto che sarebbe stato sicuro un massacro, si sarebbe vanificato l’effetto propagandistico desiderato. Se si fosse voluto evitare questo inconveniente, l’attentatore o chi per lui dopo 10 minuti di ritardo aveva tutto il tempo per fare una telefonata anonima all’aeroporto per segnalare che c’era una bomba a bordo, e così bloccare la partenza dell’aereo. L’ipotesi che la bomba sia esplosa per un errore a causa del ritardo alla partenza non risulta quindi particolarmente credibile. Può essere che la bomba sia esplosa per qualche tipo di errore che non fosse quello dovuto al ritardo? La correttezza metodologica ci impone di prendere in considerazione tutte le ipotesi immaginabili, anche quelle che hanno un basso grado di probabilità, e valutare la loro capacità esplicativa. L’unica che si riesce ad immaginare in alternativa a quella del ritardo è la seguente. A quell’epoca i meccanismi usati per i timer potevano erano regolati sulle 12 ore, ma erano noti dispositivi che potevano essere regolati anche sulle 24 ore. Ricordiamo al proposito la strage di Barbados (1976), in cui furono collocate a bordo nello scalo precedente due bombe che esplosero a pochi secondi di distanza. Come riporta l’Ing. Antonio Bordoni in uno dei suoi libri sull’aviazione civile141 il terrorista Lozano, uno dei due autori della strage, durante l’interrogatorio descrisse minuziosamente il tipo di timer impiegato, alcuni esemplari del quale potevano essere regolati anche sulle 24 ore. Aggiungiamo un altro dettaglio su cui sembra che non si sia riflettuto: che se si voleva evitare l’inconveniente causato da eventuali ritardi dell’aereo la cosa migliore era mettere la bomba a bordo quando non c’era ragione di aspettarsi un ritardo, cioè prima o durante il primo volo del DC-9 previsto per quel giorno. Facciamo notare che il primo volo del DC-9, quello Lamezia-Roma, partì alle 8:07 in perfetto orario e l’atterraggio si verificò alle 8:55 con un solo minuto di ritardo. Alle 9:00 di mattina dunque l’aereo era già atterrato da cinque minuti a Roma, come previsto.

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A. BORDONI, Quando il cielo esplode, LoGisma, 2016, p. 96.

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Prendiamo ora in considerazione l’ipotesi che il progetto criminale fosse quello di impostare il timer sulle 9 di mattina in modo da far esplodere la bomba mentre l’aereo era già atterrato a Roma oppure nella fase terminale della discesa. Secondo questa ipotesi la piccola carica esplosiva collocata nella toilette o nelle cappelliere avrebbe fatto dei danni forse limitatamente gravi, ma in ogni caso non sarebbe passata inosservata. L’effetto dimostrativo e psicologico sarebbe stato forte. La stampa e la TV non avrebbero potuto non riportare la notizia, eventualmente accompagnata dal commento che si era sfiorata una strage di ampie proporzioni. Collocare una bomba a bordo a Lamezia Terme non doveva essere particolarmente complesso: secondo questa congettura forse la bomba è stata messa quando l’aereo era ancora nell’hangar, forse quando era sulla pista o forse durante il volo. Ora, secondo l’ipotesi che stiamo prospettando, invece, l’attentatore potrebbe aver commesso un errore di impostazione del timer confondendo le 9 di sera con le 9 di mattina. Quando si è visto che la bomba a Roma non era esplosa alle 9 di mattina, gli attentatori potrebbero aver pensato che la mancata esplosione fosse dovuta a un difetto dell’ordigno o dei contatti anziché a un errore nell’impostazione del timer, per cui si è lasciato l’aereo al suo destino. Proseguendo nell’esame di questa storia controfattuale: la bomba non venne scoperta nei voli successivi (l’ipotesi ritenuta più probabile è che fosse stata collocata all’interno del portasalviette) ma si noti anche che, se fosse stata scoperta, la scoperta avrebbe comunque avuto un grande effetto propagandistico e psicologico. Secondo l’ipotesi che stiamo analizzando la bomba invece esplose, a sorpresa, dodici ore dopo. Se le cose sono andate così, l’iniziativa degli attentatori si è risolta in un doppio fallimento: da un lato la strage andava al di là delle loro intenzioni, dall’altro, essendo l’aereo precipitato nel mare senza testimoni oculari, il disastro rischiava di non essere percepito come un attentato e pertanto non conseguiva l’obiettivo inteso. Le dichiarazioni dell’ITAVIA, che nell’immediatezza dell’evento parlavano di sabotaggio, furono seguite da una rapida retromarcia, per cui di fatto la percezione dell’evento da parte del pubblico, nelle settimane successive, fu quella di un “normale” incidente aereo. A ciò si aggiunga che non ci furono rivendicazioni credibili, a parte una strana telefonata fatta il giorno dopo a nome dei NAR al «Corriere della Sera» che poteva sembrare una rivendicazione (anche se in effetti non lo era). L’unico possibile evento anomalo che avrebbe dovuto far riflettere fu semmai un singolare necrologio pubblicato tre giorni dopo, a tutta pagina e in caratteri maiuscoli, sul quotidiano «L’Ora» di Palermo e che riportiamo qui nella sua interezza, anche se si trova riprodotto in altre pubblicazioni su Ustica:

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«IL CONSOLATO GENERALE DELLA GIAMAHIRIA ARABA LIBICA POPOLARE SOCIALISTA PARTECIPA SINCERAMENTE AL DOLORE CHE HA COLPITO I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA SCIAGURA AEREA DI USTICA E MANIFESTA TUTTA LA SUA SOLIDARIETÀ AL PRESIDENTE DELLA REGIONE E AL PRESIDENTE DELL’ARS PER QUESTO GRAVE LUTTO CHE HA COLPITO LA SICILIA».

Non c’è dubbio sul fatto che le condoglianze libiche avessero la funzione di ribadire la fratellanza siculo-libica, oltre a un evidente scopo propagandistico. Ma forse c’era dell’altro. Secondo una prassi comunemente applicata le condoglianze vengono comunicate ai governi per via diplomatica, non acquistando pagine di giornali. Non conoscendo il proverbio italiano sulla prima gallina che canta, la Libia dimostrava un interesse per la vicenda che sembrava ingiustificata nel caso di una sua totale estraneità ai fatti. E se l’ipotesi sopra prospettata ha qualche minimo fondamento, forse la partecipazione al lutto, come viene detto nel testo, era in un certo senso “sincera”: sincera solo perchè la Libia non si considerava responsabile di aver causato un danno differente, e più grave, rispetto a quello inteso. Torniamo a Jalloud e alla scena muta fatta di fronte ai giudici. Tra le varie ipotesi che si possono fare c’è quella per cui l’ex- numero due abbia taciuto per coprire un suo ruolo nell’organizzazione diretta o indiretta nell’attentato. Nel caso improbabile, ma non impossibile, di una bomba esplosa per sbaglio, certo Jalloud avrebbe potuto dire che un’organizzazione straniera era stata incaricata dai servizi segreti libici (nel 1980 gestiti non da lui ma da al-Senussi) di eseguire un attentato a scopo dimostrativo finito poi per errore in una strage. Ma queste parziali ammissioni su responsabilità che, se non erano direttamente sue, erano del governo di cui faceva parte, avrebbero aperto la strada ad altre domande imbarazzanti sul terrorismo di matrice araba in Italia in quel particolare periodo. E dal momento che si è molto discusso sul legame Ustica-Bologna e che l’inchiesta di Amelio e Monteleone era stata aperta in seguito alle ben note dichiarazioni di Cossiga, i due giudici non potevano non ricordare che è stato proprio Cossiga a lanciare la tesi della bomba palestinese per Bologna. E su questa seconda strage ci sarebbe stato motivo di chiedere varie spiegazioni a Jalloud. È motivo di rammarico sapere che nessuna inchiesta della magistratura su Bologna ha mai coinvolto Jalloud, e fa bene Lannes a chiedersi il perché di questo persistente omissione. Se la domanda di Lannes riguarda la possibilità tecnica dell’operazione la risposta però è facilissima. Jalloud negli ultimi anni non è stato interrogato dalla magistratura sui fatti di Bologna per il semplice fatto che, a partire da una data imprecisata, si è dissolto nel nulla. E sarebbe uno spunto interessante per un’inchiesta giornalistica indagare i mo137

di, e soprattutto le cause, per cui un testimone a dir poco importante della storia nazionale recente, sorvegliato dai servizi segreti italiani in una località identificata, è riuscito a far perdere le sue tracce nell’indifferenza generale della stampa e dell’autorità giudiziaria.

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9. LA PERCEZIONE DEL CASO USTICA NEL POPOLO DEL WEB 142

1. LA MANIPOLAZIONE DEL CONSENSO NEL CASO USTICA A chi studia da anni il caso Ustica e si scontra con l’impressionante massa di fantasie, inesattezze e distorsioni dei fatti propalate dai media, può capitare che in qualche momento di sconforto si affacci alla mente una domanda scomoda e disturbante: a quanti interessa seriamente, in Italia, la verità su Ustica? Osservando che su Ustica in Italia sono stati pubblicati circa quaranta libri, per tacere delle centinaia di articoli apparsi su giornali e riviste, si è portati a credere che in Italia l’interesse per la soluzione dell’enigma di Ustica sia stato costante e profondo. Le cose però stanno in modo diverso. Salvo eccezioni, i numerosi libri su Ustica contengono per lo più narrazioni romanzate o saggi scritti da giornalisti, militari in pensione e uomini politici, e sono poca cosa a fronte del grande numero di eventi teatrali, televisivi e cinematografici dedicati ad Ustica, elaborati non da esperti della materia ma da sceneggiatori, attori e registi come i notissimi Marco Paolini, Andrea Purgatori e Renzo Martinelli. Superfluo osservare che lo scopo di questo genere di attività artistica non è accertare i fatti ma confezionare prodotti in cui è strutturalmente vago il confine tra realtà e fantasia, e proprio per questo fortemente suggestivi per l’uditorio a cui sono destinati. In tal modo sono state trasmesse al pubblico narrazioni che si sono sedimentate nella memoria collettiva alla stregua di descrizioni di processi reali. Non sorprende quindi che su Ustica si sia formato un comune sentire che è incerto sui dettagli ma fermissimo nella fede in poche idee-chiave che, a quanto sembra, hanno raggiunto lo stesso grado di intangibilità dei dogmi: una battaglia aerea nel cielo di Ustica scatenata per colpire un aereo fantasma nascosto nel cono d’ombra del DC-9; un MiG caduto sulla Sila quella sera e fatto ritrovare con uno stratagemma ventun giorni dopo; occultamenti di dati radaristici messi in atto da militari di vario grado; depistaggi compiuti dai vertici dell’Aeronautica Militare, coperti da politici di bassa

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Pubblicato online il 28.01.2019.

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lega tuttora aggrappati a tesi obsolete come quella dell’attentato o del cedimento strutturale. Oltre a quanto detto sugli spettacoli teatrali e cinematografici è d’obbligo ovviamente ricordare l’influenza enorme della televisione e di Internet: luoghi mediatici che per anni su Ustica hanno fatto da cassa di risonanza al pensiero unico corrente mentre avrebbero potuto offrire, per fare un esempio, tavole rotonde o dibattiti tra i maggiori esperti italiani e stranieri di incidenti aerei. Ciò che fa specie è che la trasmissione di questi messaggi, reiterata sistematicamente con un metodo che abbiamo voluto paragonare a quello teorizzato da Goebbels,143 ha fatto centro presentando i luoghi comuni di cui sopra come risultati di una coraggiosa ricerca della verità che sarebbe stata raggiunta sfidando la barriera di un invisibile “muro di gomma” creato ad arte dall’establishment politico-militare. Non si può dire, dunque, che in Italia sia mancato l’interesse per la verità su Ustica. Il punto è però, come già rilevato nel Cap. 1, che tale interesse non è stato affatto diretto alla ricostruzione oggettiva dei fatti. In realtà il fruitore italiano medio si è interessato, e a volte sicuramente appassionato, alle indagini su Ustica nei limiti in cui il resoconto che ne riceveva dai media agiva a rinforzo delle proprie preesistenti “verità”, o semplicemente solleticava la sua personale vocazione per la dietrologia complottarda.144 Per farsi un’idea del modo in cui l’uditorio italiano ha recepito le informazioni su Ustica ricevute dai media è di un certo interesse dare uno sguardo ai commenti collocati in rete spontaneamente dagli utenti. A questo scopo esamineremo i commenti apparsi su YouTube, escludendo quelli apparsi su Facebook. Su Facebook infatti sono presenti diverse pagine dedicate ad Ustica, ma la platea che visita queste pagine è in certa misura selezionata. I commenti ai post ivi pubblicati sono quindi, salvo eccezioni, firmati da persone guidate da un interesse specifico per il tema e che, in quanto tali, non costituiscono un campione rappresentativo dei fruitori di medio livello. Da un punto di vista sociologico sono invece più interessanti invece le reazioni di un pubblico che, come quello di YouTube, risulta avere su Ustica nozioni derivate dalla lettura della stampa quotidiana, dalla televisione e soprattutto dal messaggio trasmesso dallo stesso filmato a cui si riferisce il commento. Come c’è da attendersi, la stragrande maggioranza dei siti su Ustica visitabili con YouTube presenta, in varie forme, la ben nota versione dominante dei fatti. I siti che presentano tesi discordanti dalla vulgata non verranno qui esaminati, in quanto, oltre ad essere in numero irrisorio, sono accompagnati da pochissimi commenti. Ne è esempio significativo il video Caso U143

Vedi l’inizio del primo capitolo di questo volume. Sullla sensibilità del pubblico, italiano ma non solo, al complottismo, è stato scritto molto. Per gli aspetti metodologici del complottismo vedi quanto detto alle pp. 57 sgg. 144

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stica - Racconto e Verità,145 il quale in data odierna (23.03.2020) risulta aver avuto 2161 visualizzazioni, ventidue like e due soli commenti – uno dei quali, positivo, scritto dall’autore del presente libro. Quanto al secondo dei due, lo riportiamo in nota solo per scrupolo documentario, dato che è difficile stabilire se sia o no dotato di senso.146 Per semplificare divideremo i commenti in tre categorie non rigide e in parte sovrapponibili: A) Commenti basati su informazioni date acriticamente per certe; B) Apprezzamenti, invettive e insulti di varia natura; C) Ricostruzioni alternative dei fatti proposte dallo stesso commentatore. Le pagine web di riferimento verranno identificate con il titolo e con l’indicazione del link. Alcuni di questi siti sono stati disattivati in tempi recenti, come quelli dei video relativi allo spettacolo di Paolini. A meno che non sia altrimenti esplicitato comunque, i siti e i commenti citati risultano visualizzabili alla data attuale. Chi vuole visualizzare direttamente questi commenti quindi deve indirizzarsi al link indicato oppure andare al sito www.youtube.com e digitare il titolo del video nella finestra che appare, applicando la funzione “Cerca”. I cognomi dei commentatori sono stati sostituiti dall’iniziale, mentre i nicknames sono riportati per intero. 2. QUELLI CHE “È RISAPUTO CHE” Iniziare un commento con la locuzione “È appurato che” o sue varianti come “È arcinoto che”, “È accertato che”, “Tutti sanno perfettamente che” è comunissimo e si ritrova in un largo numero di interventi. Per converso risalta in quasi tutti i commenti la totale assenza di costrutti come “probabilmente”, “è possibile che..:”, “è plausibile che”, “è ragionevole credere che”, che sembrano essere estranei al repertorio linguistico degli scriventi. Colpisce 145

Vedi https://www.youtube.com/watch?v=obKPqKua6AM&t=49s

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quindi la completa mancanza dell’esercizio del dubbio, di solito considerato carattere distintivo dei soggetti dotati di ragione. Colpisce anche il fatto, connesso ai precedenti, che chi dà per certe le proprie convinzioni non indica mai le fonti che stanno all’origine di queste. Al primo posto nella lista delle presentazioni c’è motivo di collocare i commenti di un certo Federico T., non per una loro superiore qualità ma perché sono quelli probabilmente più letti da quanti seguono il caso di Ustica sul web. Infatti Federico T. ha riprodotto lo stesso messaggio, con varianti inessenziali, pressoché in tutti i siti YouTube dedicati a Ustica, dimostrando così di avere una forte motivazione a diffondere il suo pensiero sull’argomento.

Cronaca di una strage, 27 giugno 1980 - Gianluca Marcon https://www.youtube.com/watch?v=RggBhBREgDs&t=5s

Il commento di Federico T. presenta aspetti che lo rendono in certa misura rappresentativo. Prima di tutto Federico T. non solo dà per certo che responsabile del crimine è stata l’aviazione francese ma è anche piuttosto preciso sulla natura dell’aereo killer (un Mirage) e sulla origine del volo: Solenzara in Corsica. A parte questo, va notato che la vendetta invocata per i responsabili (impalamento mediante missile eseguito dallo stesso Federico T.) a suo giudizio dovrebbe essere applicata non ai soli colpevoli diretti dell’abbattimento ma a tutti i francesi indistintamente. È anche notevole che a ciò venga aggiunto un auspicio che non segue dalle premesse: la punizione infatti dovrebbe essere inflitta non solo a tutti i francesi ma anche a tutti gli americani. Il perché di questa estensione della condanna agli yankees non è del tutto chiaro. Forse Federico T. pensa che l’operazione concertata sia stata franco-americana, ma non rende noti i dati che fanno pensare anche a un coinvolgimento USA. Un altro che ha certezze circa fatti arcinoti, anzi «stranoti», è un certo Davide C.M. Questo commentatore si sbilancia in affermazioni più dettagliate di quelle di Federico T., atte a dimostrare la sua conoscenza approfondita dei fatti.

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Atlantide Ustica. L’ultimo Miglio https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=705s

Qui non si dice niente che non faccia parte della narrazione standard, ma il testo è ugualmente da citare in quanto il commentatore sembra non percepire una stranezza. Resta infatti inspiegato perché, visto che i MiG potevano benissimo usare la rotta adriatica sicura e autorizzata, allungassero il percorso di centinaia di chilometri, con conseguente spreco di carburante, per passare sul Tirreno e viaggiare sulla testa della VI Flotta americana lungo una via che lo stesso Maurizio dichiara «rischiosissima». La stessa incongruenza ricorre nelle molte ricostruzioni per cui l’aereo di Gheddafi, che secondo la vulgata sarebbe stato nel mirino dei francesi, per andare da Tripoli a Varsavia avrebbe scelto la rotta tirrenica anziché quella adriatica, più breve e più sicura. (Per la cronaca, non esiste nessuna prova che l’aereo di Gheddafi fosse partito da Tripoli quella sera, ma la cosa non rileva nel contesto attuale). Fortunatamente la spiegazione dell’anomalia suddetta viene offerta da un altro commentatore che usa il nickname Deimos Station. La stranezza sopra segnalata viene spiegata da Deimos Station con una macchinazione astuta: qualcuno avrebbe fatto sì che l’aereo di Gheddafi venisse dirottato sulla rotta tirrenica, in quanto, data la maggiore profondità del basso Tirreno rispetto all’Adriatico, sarebbe stato più facile far scomparire le tracce del misfatto.

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Ustica 35 anni di bugie e depistaggi. Una verità inaccettabile! Francesco Quartararo. https://www.youtube.com/watch?v=llbRgaSI4mQ&t=2542s

Il seguente è il commento di un utente che ha visionato l’analisi della testimonianza dell’ex-marinaio Brian Sandlin caricata nel mio blog e ora riprodotta nel capitolo 6.

Atlantide Ustica, l’ultimo Miglio https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=705s

Una categoria a parte entro il gruppo dei ben informati è costituita da quanti traggono le loro certezze da informazioni trasmesse per via confidenziale. Quello che segue è il commento di qualcuno che, grazie al suo accesso privilegiato a informazioni riservate, sa per certo che c’è stata una battaglia aerea, e oltre a ciò comunica una novità straordinaria: l’incidente della GermanWings (dovuto, come si sa, alla follia di un pilota suicida tedesco) sareb-

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be in realtà accaduto perché l’aereo si è trovato al centro di un’esercitazione della NATO. Insomma una Ustica bis. Notevole il fatto che si affermi che queste informazioni sono certe ma «prive di riscontro», il che sembra un puro ossimoro.

Inchiesta tenuta nascosta sulla strage di Ustica e misteri italiani https://www.youtube.com/watch?v=3WojUHppEWw&t=156s

In tutti questi casi si manifesta quella che si direbbe “la sindrome dello smascheratore”. Scoprire un complotto o rivelare una verità nota a pochi privilegiati è appagante in quanto fa sentire lo smascheratore al di sopra dell’uomo del volgo, escluso dall’accesso a fonti nascoste del sapere. Ecco l’esempio di un altro che, in risposta a un interlocutore di nome Gaviano Fernando, dice di conoscere bene il gergo aeronautico, di cui farebbe parte il termine ‘parassita’. Forte di questa conoscenza specialistica, si fa rivelatore della verità.

Cronaca di una strage, 27 giugno 1980 - Gianluca Marcon https://www.youtube.com/watch?v=RggBhBREgDs&t=5s

L’idea che la toilette sia rimasta integra (ma qui si dice di più: «la parte più integra dell’aereo») è una tra le più frequentemente ribattute dai media, pur essendo frutto di invenzione (si veda in questo volume il Cap. 4). Per il resto secondo Davide D. sarebbe «provato» che vicino al DC-9 insieme a molti aerei della NATO c’era anche una portaerei (per inciso, come fa una portaerei a essere vicina a un aereo che vola a 7500 metri? Cerchiamo di non

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sottilizzare). Il perito Frank Taylor, membro del prestigioso Cranfield Institute of Aeronautics (UK), viene qualificato come «quel coglione» che ha eseguito la perizia su Lockerbie, peraltro mai contestata da nessuno. Se è così, si dovrebbe applicare la stessa qualifica anche ai due magistrati che hanno nominato Taylor membro della commissione Misiti insieme ad altri specialisti internazionali: il giudice Bucarelli (1984) e in un secondo tempo, per conferma, lo stesso giudice Priore. Quanto al resto: è proprio vero che Taylor per Lockerbie ha lanciato un’accusa ai Libici (non era nelle sue competenze fare di queste ipotesi) o è una fake news giornalistica? Inoltre: quando e come si è veramente scoperto che i registi della strage di Lockerbie erano stati i siriani? La Libia ha accettato di pagare un risarcimento per le vittime di Lockerbie e l’agente incriminato, Abdelbaset al-Megrahi, è stato scarcerato e accolto come trionfatore a Tripoli dal figlio di Gheddafi, Saif al Islam. Sicuramente la Libia, sotto il peso delle sanzioni, ha accettato di pagare il risarcimento per pura convenienza, ma questo non esclude la sua responsabilità, eventualmente condivisa con quella della Siria e dell’Iran di Khomeini, (non mancano indizi che fanno pensare che ci sia stato un accordo a tre per l’attentato147). C’è anche qualcuno che è stato informato «quasi in tempo reale» da fonti sicure su come sono andate le cose.

Ustica. Marco Paolini https://www.YouTube.com/watch?v=hosVxAKhmCk148 147 Vedi ad esempio https://www.telegraph.co.uk/news/uknews/terrorism-in-theuk/10688067/Lockerbie-bombing-was-work-of-Iran-not-Libya-says-former-spy.html. 148 Questo sito risulta attualmente disattivato, come riferito all’inizio del paragrafo.

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3. APPREZZAMENTI, INVETTIVE, INSULTI Le performances teatrali di Marco Paolini hanno avuto grande successo di pubblico e conseguentemente anche i video di Paolini che le riproducono.149 Il più visualizzato negli anni scorsi è stato il sito “Ustica - Marco Paolini”. Per motivi ignoti (per lo meno a chi scrive) questo sito, che aveva superato le 365.000 visualizzazioni, negli ultimi mesi risulta disattivato. Ciò che compare su YouTube è invece un filmato più recente: “Canto per Ustica – Completo”.150 I commenti al primo video sono più numerosi e più interessanti di quelli al video più recente: scegliamo quindi di riproporli anche se attualmente non sono visualizzabili. Istrione di sicuro talento, Paolini ha dato vita su Ustica a un applaudito monologo teatrale che nel video originario veniva presentato, forse dallo stesso soggetto che lo aveva caricato su YouTube, come “Documentario su attentato genocida (sic) contro aereo civile italiano provocato da coloro che i media ci spacciano per nostri alleati”. Solo una commentatrice ha sentito il bisogno di esprimere una riserva su questa titolatura.

Per il resto, nella stessa pagina si sprecavano gli elogi al regista-attore, entusiastici almeno quanto gli osanna che, in molte altre pagine di YouTube citate, sono generosamente tributati al giornalista-sceneggiatore Purgatori. I numerosi apprezzamenti apparivano accompagnati dal disprezzo per i pochi che cantavano fuori dal coro.

Qualcuno umilmente esortava a non dimenticare, mentre qualcun altro divagava:

149 Il testo della piece teatrale dal titolo I-Tigi Canto per Ustica del 2000 si può leggere nel libro di D. DEL GIUDICE - F. MARCHIORI - M. PAOLINI, I -TIGI da Bologna a Gibellina, Torino, Einaudi, 2009. 150 Vedi https://www.youtube.com/watch?v=a0NiOZF0t_g

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Nella sua giusta esortazione a ricordare sempre, Marianna G. avrebbe potuto almeno ricordare la data giusta di Ustica (il 27 giugno, non il 28). Ma è interessante quanto detto dall’interlocutore Riff B. che, cambiando discorso, faceva un parallelo tra Ustica e l’incidente della Meloria. Si riferiva è al più grave incidente subito dall’esercito italiano in tempo di pace. Il C 130 “Gesso 4”, partito da Pisa, assieme ad altri 9 velivoli da trasporto del 38° Gruppo della RAF con 46 paracadutisti italiani della Brigata Folgore non arrivò mai alla destinazione a cui era diretto in Sardegna. Quell’aereo si inabissò presso Livorno all’alba del 9 novembre 1971 e non si salvò nessuno dei 52 militari presenti a bordo. Sei di questi erano militari britannici ed erano tutti parte dell’equipaggio. Le cause della sciagura non sono mai state accertate e questo indubbiamente è anomalo. La storia del pilota inglese alcolizzato non si sa da dove spunti ma è chiaro il senso del raffronto che Riff intendeva stabilire con Ustica: in ambedue i casi saremmo di fronte a crimini, compiuti da militari stranieri di paesi alleati, che sarebbero stati insabbiati a causa dell’ignavia del governo italiano, succube delle grandi potenze dell’Alleanza Atlantica. Va rilevato al proposito che il tema dell’Italia come «paese a sovranità limitata» si incontra in decine di commenti che non è il caso di riprodurre qui per la loro banalità, anche se costituiscono senz’altro il leit motiv più ricorrente. Si è detto di apprezzamenti ed elogi diretti a uomini di spettacolo come Paolini e a quanti, come Purgatori, hanno promosso una lotta contro quello che a partire dal film di Dino Risi (1991) è stato chiamato il “Muro di gomma”. Molto più frequenti però sono le invettive, le maledizioni e gli insulti, lanciati all’indirizzo di soggetti diversi identificati come responsabili o occultatori della verità.

Cronaca di una strage, 27 giugno 1980 - Gianluca Marcon151 https://www.youtube.com/watch?v=RggBhBREgDs&t=5s

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Questo commento risulta ora cancellato.

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Qui americani e francesi sono accomunati nella responsabilità del crimine, come già constatato in altri interventi. Quanto all’addebito supplementare di aver nascosto la verità bisognerebbe notare che quando viene abbattuto per sbaglio un aereo civile con un missile si ha di solito, a tempi più o meno stretti, un riconoscimento del fatto, verosimilmente per l’impossibilità di tenere nascosta la dinamica degli eventi. È successo in particolare per l’abbattimento dell’AirBus iraniano Iran Air 655 il 3 luglio 1988 il da parte dagli Americani (che non solo hanno riconosciuto il fatto ma pagato un risarcimento concordato con l’Iran), e precedentemente per l’abbattimento dell’aereo della Korean Airlines da parte dell’aviazione militare russa (1 settembre 1983), incidente la cui dinamica è stata chiarita definitivamente da due inchieste dell’ICAO. Più recentemente, è ancora fresca la memoria dei due missili iraniani Tor-M1 sparati a 23 secondi di distanza che hanno abbattuto il volo 752 dell’Ukraine International Airlines, per un errore ammesso dopo pochi dal governo di Teheran. Altri associano alle invettive diretta contro francesi e americani anche gli inglesi.

Atlantide Ustica, l’ultimo Miglio https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=705s

Non è raro, anzi è comunissimo, incontrare giudizi più sintetici di quelli sopra riportati.

Le potenze occidentali non sono le uniche chiamate in causa per l’abbattimento del DC-9. Dopo l’ampia diffusione dei libri scritti dal giornalista Gianni Lannes, che ha puntato il dito su Israele come responsabile del massacro, non è raro trovare commenti di questo tipo

La strage di Ustica- 1980 volo Itavia DC-9 https://www.youtube.com/watch?v=lkLmwdHhftE&t=554s

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L’orientamento antiisraeliano emerge frequentemente. Si veda lo scambio di battute di un certo lovetrilogy contro un altro che usa il nickname Belli Story E Non Solo. Belli Story è un commentatore che sostiene (sulla linea di pensiero di Luigi Di Stefano) la tesi del doppio missile sparato non contro un MiG ma da un MiG.

Atlantide Ustica, l’ultimo miglio https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=705s

In altri interventi la riprovazione è generalizzata a vari paesi e tra questi viene incluso il nostro.

La storia siamo noi. Ustica la verità negata. https://www.youtube.com/watch?v=G5hU_4o1JF0&t=679s

Per qualcuno è responsabile, quanto meno degli occultamenti, solo il governo italiano.

Abbattiamo il muro di Gomma.Ustica. 34 anni dopo. https://www.youtube.com/watch?v=a89xmdLvJZ4&t=4130s

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Restringendo le responsabilità all’Italia, risulta che molto frequentemente al centro degli insulti sono i vertici dell’Aeronautica. Il fatto che i generali siano stati assolti in tre gradi di giudizio nei processi penali sembra ignorato da tutti.

La strage di USTICA - 1980 volo Itavia DC-9 (½) https://www.youtube.com/watch?v=lkLmwdHhftE&t=557s

Ustica punto di non ritorno - Fara Ludovico (Dj Farouk) Serie per non dimenticare. Sito disattivato

La.storia.siamo.noi.-.Ustica.-.La.verità.negata 1/6. https://www.youtube.com/watch?v=YZcD03ujJw4&t=6s

I giudizi più negativi sono quelle indirizzati al generale Enrico Pinto, scomparso nel dicembre 2017.

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La strage di USTICA - 1980 volo Itavia DC-9 (2/2). https://www.youtube.com/watch?v=fJFW1YCXzio&t=123s

Una menzione particolare merita un utente, il cui nome presumibilmente fittizio è Andy Nischen, che verso i generali dell’Aeronautica ha il dente particolarmente avvelenato. Come Federico T., Nischen è un commentatore monotematico seriale. A differenza di Federico T. però interviene su un numero limitato di siti e introduce diverse varianti espressive.

La Storia Siamo Noi Ustica, la Verità negata. https://www.youtube.com/watch?v=G5hU_4o1JF0&t=192s

Nischen ha reiterato anche recentemente la stessa idea di fondo. Poco chiaro il motivo della sua insistenza su un presunto sovrappeso di militari e di governanti.

La Storia Siamo Noi Ustica, la Verità negata. https://www.youtube.com/watch?v=G5hU_4o1JF0&t=192s

Atlantide Ustica, l’ultimo Miglio https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=3347s

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La strage di Ustica- 1980 volo Itavia DC-9. https://www.youtube.com/watch?v=lkLmwdHhftE&t=557s

4. RICOSTRUZIONI PERSONALI Sono numerosi i partecipanti che hanno elaborato in totale autonomia delle personali ricostruzioni dei fatti. Tutti hanno in comune una caratteristica: il rigetto assoluto e totale della tesi dell’esplosione interna. Un’eccezione, da citare per la sua singolarità, è questa.

Il precedente commento attualmente risulta cancellato, ma nella stessa pagina si legge questa risposta data da Renato A. a un certo Salvo5puntozero.

Ustica 35 anni di bugie e depistaggi. Una verità INACCETTABILE! Francesco Quartararo. https://www.youtube.com/watch?v=llbRgaSI4mQ&t=2542s

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Il rifiuto della tesi dell’attentato è cosi granitico da suggerire a qualcuno l’idea che la strage di Bologna sia stata frutto di un mostruoso disegno progettato per dare credito alla tesi della bomba sul DC-9 – il quale, come si sa, era partito proprio da Bologna.152

Atlantide Ustica, l’ultimo Miglio. https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=3347s

Un’idea analoga a quella precedente è esposta in questo intervento di un certo Luca D., che però propone una ricostruzione dietrologica più elaborata. Inutile dire che la maggior parte degli interventi, oltre a quello di Luca D., dà per certa l’esistenza di un complotto per eliminare dei testimoni scomodi (le cosiddette “strane morti”).

Atlantide Ustica, l’ultimo Miglio https://www.youtube.com/watch?v=P8jYbIEtCbM&t=3347s

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Il nome “villa Wanda” citato nel testo è il nome della residenza di Licio Gelli.

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Ovviamente non ci sono complotti senza omertà. Nel seguente commento (che oggi risulta cancellato) addirittura una delle bocche cucite sarebbe quella del pilota fiorentino Naldini che, come ripetuto innumerevoli volte dalla stampa e dal web, avrebbe visto insieme a Nutarelli un aereo intruso volare nell’ombra radar del DC-9. Secondo urbech la natura malvagia dei fiorentini sarebbe la chiave per spiegare non solo la mancata scoperta della verità su Ustica ma anche la mancata scoperta del mostro di Firenze.

Le voci che esprimono dubbi sulle ricostruzioni imperniate sul duello aereo sono rarissime. La seguente riguarda la ricostruzione proposta da Ramon Cipressi e Marco De Montis nel video, e merita una citazione per essere ispirata a un modesto quanto apprezzabile buon senso.

“Strage di Ustica-ricostruzione completa dell’evento”, https://www.youtube.com/watch?v=pTgcyt5ZJ0M&t=537s

Anche l’idea che l’aereo sia ammarato integro e poi fatto affondare ha avuto diversi seguaci. La tesi è stata sostenuta da vari soggetti considerati dal giudice Priore inquinatori delle indagini (Demarcus, Sinigaglia, Bonifacio) nonché dall’ufologo Umberto Telarico. Nel seguente commento di Andrea C. si introduce una variante inedita della tesi: il DC-9 sarebbe affondato perché colpito, non si capisce come, da un secondo missile.

Strage di Ustica. Sono stati i francesi !! https://www.youtube.com/watch?v=_WHJ8FuyBpM

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Come si è già visto le colpe dei francesi, in accoppiata vincente con gli americani, emergono da vari interventi. Nel seguente commento gli americani però «avrebbero finto di essere stati loro». L’accenno a Bardonecchia riguarda un recente sconfinamento dei doganieri francese per una questione di migranti.

Ustica – La strage della menzogna https://www.youtube.com/watch?v=DxMrnCJIgyg&t=178s. commento cancellato

Veramente notevole, perchè fuori del comune, la ricostruzione seguente. L’operazione Synadex era un’esercitazione virtuale mediante nastro, prevista per le 21:00 della sera del disastro, da effettuare alla consolle dei radar di Marsala. In questa ricostruzione invece diventa un’operazione militare pilotata da un sottomarino inglese. Curioso che si dica anche che il DC-9 caduto «galleggiava ancora», ore dopo, «per un motivo incredibile». È proprio così: incredibile come tutta la storia raccontata da Andrea T.

La strage di USTICA - 1980 volo Itavia DC-9 (1/2). https://www.youtube.com/watch?v=lkLmwdHhftE&t=561s. Commento cancellato

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5. COMMENTI SU USTICA IN LINGUA INGLESE Fin qui ciò che si trova su YouTube in lingua italiana. Viene la curiosità di fare un confronto con ciò che si trova su Ustica in altre lingue e soprattutto in inglese. Il video più gettonato in inglese ha il titolo “A Toilet Bomb Sends Flight 870 Down”153 e ha avuto al giorno d’oggi 373.084 visualizzazioni. Nel video viene illustrata, con toni che hanno uno scopo sicuramente propagandistico, la ricerca eseguita da una équipe condotta da Frank Taylor. Questa, appoggiandosi anche a esperimenti di simulazione, è giunta unanimemente alla conclusione che una bomba era esplosa nella toilette dell’aereo. I commenti al video in inglese (484 al giorno d’oggi) sono per lo più inclini a dare consenso ai risultati dell’indagine di Taylor, più raramente esprimono critiche e perplessità. Non mancano però giudizi nettamente negativi come questo, che non a caso proviene, come anche la risposta, da un commentatore con un cognome italiano.

Non manca, anche se è fortunatamente rara, la manifestazione esplicita di un pregiudizio antiitaliano.

Ma c’è una peculiarità che non si può fare a meno di segnalare. Poco meno della metà degli intervenuti si mostra divertita del fatto che il titolo in cui si parla di una “Toilet Bomb” fa pensare in prima istanza che l’aereo sia caduto per un’emissione di gas intestinali avvenuta nella toilette. Ci si può limitare a poche citazioni, in quanto moltissimi altri ripetono lo stesso concetto usando parole simili. 153

Vedi https://www.youtube.com/watch?v=L68Hs0WYtQk&t=23s

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6. UN BILANCIO SEMIFILOSOFICO Si può trarre qualche conclusione non banale dall’esame del campione di commenti presentato in queste pagine? I commenti in lingua inglese lasciano sconcertati considerando che sono molti a prendere lo spunto del disastro di Ustica per battute demenziali, che non solo non fanno ridere (dov’è finito lo humour anglosassone?) ma fanno trapelare una completa indifferenza per un gravissimo lutto sofferto da un paese straniero. Il panorama offerto dagli utenti italiani mostra, diversamente, una grande partecipazione emotiva e un diffuso interesse per un caso che evidentemente continua a essere percepito come una ferita aperta. Se guardiamo però al livello medio degli interventi italiani, lo sconcerto che se ne ricava non è meno forte e ci fa riproporre la domanda da cui siamo partiti, questa volta formulata in forma retorica: interessa seriamente a qualcuno, in Italia e altrove, la verità su Ustica? A margine della domanda si possono mettere in campo alcune considerazioni più generali come possibile spunto per qualche riflessione più approfondita. In un paese che ha dato origine e consenso al fascismo e, dopo la caduta di questo, al più forte partito comunista dell’occidente, vien fatto di pensare che dovendo scegliere tra le convinzioni ideologiche e i dati recalcitranti gli italiani siano per lo più inclini alla prima opzione, ponendosi così nel solco della celebre massima di ispirazione hegeliana: «se i fatti danno torto alla te-

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oria, tanto peggio per i fatti».154 Questo non stupisce perché l’uomo della strada, senza consapevolezza e senza colpa, segue il modello culturale dominante. E in un paese in cui l’educazione delle èlites è da secoli improntata alla nobile tradizione degli studi umanistici, il modello di cultura dominante è quello offerto da artisti, uomini di spettacolo, letterati, avvocati e uomini politici: personalità a volte di straordinario spessore umano ma estranee alla cultura e alle mentalità scientifica. Il che significa che non solo le masse ma anche, salvo eccezioni, gli stessi uomini di cultura non hanno interiorizzato l’imperativo minimale dell’etica scientifica che impone di distinguere tra i fatti e le ipotesi. Da questo imperativo consegue che ogni affermazione fatta in sede pubblica dovrebbe essere documentata o almeno accompagnata da un argomento a suo sostegno. Una cultura così radicata non si può modificare nel giro di poche generazioni. Vari indizi fanno anzi pensare che negli ultimi decenni la cultura filosofica italiana, anziché aprirsi alla scienza, tenda a riavvitarsi sulle proprie radici. Negli anni ’70 e ’80 l’epistemologia anglo-americana ha messo sotto accusa la tesi di origine positivista secondo la quale scopo della scienza sarebbe il raggiungimento della verità o l’approssimazione a questa. Questo orientamento antipositivista nella sostanza fa perdere senso a qualsiasi tentativo di demarcare la scienza dalla non-scienza e conseguentemente a quello di distinguere tra conoscenza e opinione: e non è un caso che questo modo di pensare abbia avuto larghissimo seguito in Italia dove, per così dire, sfondava una porta aperta. E allora – per tornare a Ustica – se vogliamo continuare le indagini su questo capitolo della nostra storia rassegniamoci anche per il futuro a presentare i risultati a un pubblico che non mostra alcun autentico interesse a distinguere tra fatti reali e fatti immaginari, e che continuerà inconsapevolmente ad applicare nei fatti la linea di pensiero rappresentata nel titolo di un fortunato libro del filosofo italiano Gianni Vattimo: Addio alla verità.155

154 In una graduatoria stilata recentemente dall’agenzia IPSOS su 38 Paesi, gli italiani risultano al dodicesimo posto su scala mondiale, e primi in Europa, per “dispercezione” dei fatti, cioè percezione errata dei fenomeni dovuta a ricezione distorta dell’informazione ricevuta. 155 GIANNI VATTIMO, Addio alla verità, Booklet Milano, 2009.

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NOTA BIOGRAFICA

Claudio E.A. Pizzi (Milano, 20.9.1944) è stato docente ordinario di Logica e di Filosofia della Scienza presso l’Università di Siena e ha tenuto corsi presso l’Università di Milano Bicocca e presso l’Università Bocconi. Ha scritto circa cento articoli per riviste nazionali e internazionali. Libri principali: Ripensare Ustica, Createspace (Amazon), 2017; Modalities and Multimodalities (con W. Carnielli), N.Y., Springer, 2008; Eventi e Cause. Una prospettiva condizionalista, Milano, Giuffrè, 1997; Una teoria consequenzialista dei condizionali, Napoli, Bibliopolis, 1984.

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INDICE DEI NOMI

Accame, Falco 32 Affatigato, Marco 18 Alessio, Giorgio 40 Algostino, Franco 62, 66 Amelio, Erminio 13, 31, 74, 128, 137 Andreotti, Giulio 90, 117, 122, 123 Annunziata, Lucia 120 Aprile, Pino 87, 105 Armandini, Michael 130, 131 Bakkusch [Abdul Hamid al-Bakkusch] 80, 83-89, 96, 105, 108, 129 Balbo, Italo 104 Bartolucci, Lamberto 18 Bazzocchi, Ermanno 22, 51 Bellini, Paolo 134n Benedetti, Alessandro 31n, 128 Berczyński, Wacław 82, 110, 111 Berlusconi, Silvio 95, 108, 121 Bisaglia, Antonio 107 Blankenship, Marvin Eugene 76 Blasi, Massimo 54, 55 Boemio, Roberto 37 Bonazzi, Franco 9, 51n, 73, 160 Bonfietti, Daria 23, 127, 128 Bonifacio, Sergio 155 Bordoni, Antonio 9, 135, 135n Böse, Wilhelm 102 Bovolato, Antonio 77 Brandimarte, Giovanni 51n Bruni, Sandro 126, 126n Bucarelli, Vittorio 41, 122n, 146 Cammarata, Giuseppe 31 Cangini, Andrea 64 Carlos [Ilic Ramìrez Sànchez] 133n Carminati, Franco 19 Carter, Billy 131 Casarosa, Carlo 64-67, 110 Casini, Pier Ferdinando 87 Cavazza, Giuliana 33 Ceasescu, Nicolae 107 Cerra, Raffaele 55 Ciancarella, Mario 39

Ciancimino, Vito 19, 19n Cipressi, Ramon 70, 77, 155 Clarridge, Duane 124 Colla (perito) 51n Coppola, Frank 130 Cossiga, Francesco 21, 42, 63-64, 64n, 66, 70, 90, 102, 103, 105, 117, 123, 124, 131, 133, 137 Craxi, Bettino 94, 95, 122, 123 Cringely, Joseph 113, 113n, 114 Cutonilli, Valerio 132, 132n D’Avanzo, Giuseppe 56n Dalle Mese, Enzo 67 Davanzali, Aldo 66, 95, 131 De Biagio, Aldo 133 De Montis, Marco 70, 155 Del Boca, Angelo 93, 93n, 94, 103, 104n, 117n, 118, 118n, 123, 123n Demarcus, Angelo 155 Dettori, Mario Alberto 36, 39, 40 Di Stefano, Luigi 58, 61, 97, 97n, 150 Donali, Franco 67 Eco, Umberto 57n Farinelli, Francesco 9, 51n Fasanella, Giovanni 41, 41n Ferri, Franco 18 Finetti, Giovanni Battista 37 Fioroni, Giuseppe 133 Firrao, Donato 49, 51, 51n Flatley, James 78, 79 Fragalà, Enzo 117 Frattini, Franco 121 Frohlich, Margot Krista 133n Gamberini, Alessandro 127 Gari, Maurizio 36 Gatti, Claudio 31, 58, 58n Gheddafi, Mu‘ammar 38, 39, 41, 42, 54, 63, 75, 85-88, 90, 93, 93n, 94, 95, 95n, 96, 100, 102-105, 106n, 107n, 108, 113-133, 143, 146 Giorgieri, Licio 38 Giovanardi, Carlo 102, 133

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Giovannone, Stefano 132, 133 Giubbolini, Marco 17, 68 Goebbels, Joseph 11-13, 140 Graziani, Rodolfo 104n Guerino, Angelo 31 Haftar, Kalifa 118 Held, Manfred 66, 110 Ibisch, Ehrenfried 51n Idris [Sidi Muhammad Idris al-Mahdi alSenussi] 84, 100, 122 Imbimbo, Ennio 55 Ivanov, Anatolj 42-44 Jalloud, ‘Abd al-Salam 94, 105, 113-130, 137 Kaczynski, Jaroslav 81 Kaczynski, Lech 80, 82 Kennedy, John F. 42, 76 Kram, Carlos Thomas 133, 134n Lahderi, Azzedine 108, 124 Landi, Michele 38 Lannes, Gianni 125, 126, 137, 149 Lilja, Göran 22, 22n, 51n, 110, 111n Liu, Fang 33 Luzzatti, Carlo 110 Marcucci, Sandro Martinelli, Renzo Martini, Fabio Martini, Fulvio Matassa, Lorenzo Megrahi [Abdelbaset al-Megrahi] 118, 146 Meloni, Claudio 125, 131 Mintoff, Dom 91, 107, 123 Misiti, Aurelio 22, 33, 46, 62, 64, 65, 67, 110-112, 146 Monteleone, Maria 13, 74, 127, 137 Morabito, Saverio 130, 131 Moro, Aldo 36, 132, 133 Moroni, Gabriele 126, 126n Mutti, Claudio 125 Muzio, Antonio 37, 38 Naldini, Mario 40, 41, 111, 155 Nixon, Richard 131 Nutarelli, Ivo 40, 41, 111, 155 Osnato, Daniele 25n, 40 Ostrovsky, Victor 19

Pacini, Giacomo 132 Pagliara, Antonio 37 Paolini, Marco 139, 141, 146, 147, 147n, 148 Papa, Michele 95, 131 Papon, Pierre 56 Parisi, Franco 37, 38, 40, 91 Pavlov, Alexij 42 Pecorelli, Mino 36 Pellegrino, Giuseppe 21 Pent, Mario 62, 66, 67 Picciafuoco, Sergio 134n Pinto, Enrico 151 Pollice, Guido 32 Popper, Karl 53, 56, 57n, 58, 62, 63, 64n Pratis, Carlo Maria 30 Priore, Rosario 15, 15n, 16, 21, 22, 30, 31, 32, 33, 35-41, 41n, 43, 49, 51n, 66-68, 70, 75, 103, 106, 111, 112, 124, 124n, 125, 129, 132, 132n, 146, 155 Prodi, Romano 25, 95, 123 Proto Pisani, Paola 64, 67, 68 Purgatori, Andrea 18, 25, 42-44, 73, 73n, 74, 75, 77, 78, 139, 147, 148 Putin, Vladimir 81 Rashid, Shahid 108 Reagan, Ronald 108 Reale, Sergio 49 Risi, Dino 148 Rognoni, Virginio 32 Roux, Jean 56 Rugens, Leo 43n Sadr [Moussa al-Sadr] 100, 123 Said, Salem 107, 124, 125, 131 Saleh, Abu Anzeh 132, 132n Salvatori, Gianluca 59n Sandlin, Brian 9, 18, 18n, 73-79, 127n, 144 Scottoni, Franco 58n Semerari, Aldo 125 Senussi, Abdullah [Abd Allah al-Senussi] 113, 119, 130, 137 Serraj [Fayez al-Serraj] 96, 96n Sewell, Robert 58-60, 97n Sinigaglia, Guglielmo S. 155

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Spadolini, Giovanni 91 Tascio, Zeno 39 Taylor, Frank 22, 23, 46, 82, 110, 146, 157 Tedoldi, Pierangelo 21, 36 Telarico, Umberto 155 Tiberio, Roberto 67 Totaro, Gian Paolo 37 Tusk, Donald 81-83, 83n Vattimo, Gianni 159, 159n Wales, Jimmy 23 Weill, Henri 104 Wojtyla, Karol 36 Yamamoto (generale) 41 Zamberletti, Giuseppe 90, 91, 106, 107, 123, 126, 131, 133 Zammarelli, Ugo 37 Zurlo, Anselmo 127n

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FRANCO BONAZZI – FRANCESCO FARINELLI Ustica, i fatti e le fake news Cronaca di una storia italiana fra Prima e Seconda Repubblica 368 p., ill. - Isbn 978-88-94926-18-7 - Euro 24,00 La strage di Ustica è rimasta intrappolata all'interno di un uso pubblico e politico della vicenda che ha di fatto impedito alla pubblica opinione di poter avere gli strumenti interpretativi necessari per comprenderne la complessità. Le numerose fake news sorte attorno all'evento fin dai primi mesi successivi all'incidente hanno ricevuto una capillare diffusione da parte del sistema mediatico, contribuendo così ad alimentare la forte polarizzazione sociale nel passaggio tra Prima e Seconda Repubblica.

GÖRAN LILJA USTICA. Il mistero e la REALTÀ DEI FATTI Un perito racconta la propria esperienza 160 p., ill. - Isbn 978-88-97530-45-9 – Euro 15,00 La testimonianza diretta dell’ingegnere svedese Göran Lilja, membro della Commissione Misiti. Opera già presentata alla Camera dei Deputati (Sala delle colonne di Palazzo Marini) il 26 novembre 2014: https://www.radioradicale.it/soggetti/100537/goran-lilja

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