Trasposizioni dell'antico. Saggi su le forme della grecità al suo tramonto

296 26 10MB

Italian Pages 207 [224] Year 1961

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Trasposizioni dell'antico. Saggi su le forme della grecità al suo tramonto

Table of contents :
Untitled002
Untitled003
Untitled004
Untitled005
Untitled006
Untitled007
Untitled008
Untitled009
Untitled010
Untitled011
Untitled012
Untitled013
Untitled014
Untitled015
Untitled016
Untitled017
Untitled018
Untitled019
Untitled020
Untitled021
Untitled022
Untitled023
Untitled024
Untitled025
Untitled026
Untitled027
Untitled028
Untitled029
Untitled030
Untitled031
Untitled032
Untitled033
Untitled034
Untitled035
Untitled036
Untitled037
Untitled038
Untitled039
Untitled040
Untitled041
Untitled042
Untitled043
Untitled044
Untitled045
Untitled046
Untitled047
Untitled048
Untitled049
Untitled050
Untitled051
Untitled052
Untitled053
Untitled054
Untitled055
Untitled056
Untitled057
Untitled058
Untitled059
Untitled060
Untitled061
Untitled062
Untitled063
Untitled064
Untitled065
Untitled066
Untitled067
Untitled068
Untitled069
Untitled070
Untitled071
Untitled072
Untitled073
Untitled074
Untitled075
Untitled076
Untitled077
Untitled078
Untitled079
Untitled080
Untitled081
Untitled082
Untitled083
Untitled084
Untitled085
Untitled086
Untitled087
Untitled088
Untitled089
Untitled090
Untitled091
Untitled092
Untitled093
Untitled094
Untitled095
Untitled096
Untitled097
Untitled098
Untitled099
Untitled100
Untitled101
Untitled102
Untitled103
Untitled104
Untitled105
Untitled106
Untitled107
Untitled108
Untitled109
Untitled110
Untitled111
Untitled112
Untitled113
Untitled114
Untitled115
Untitled116
Untitled117
Untitled118
Untitled119
Untitled120
Untitled121
Untitled122
Untitled123
Untitled124
Untitled125
Untitled126
Untitled127
Untitled128
Untitled129
Untitled130
Untitled131
Untitled132
Untitled133
Untitled134
Untitled135
Untitled136
Untitled137
Untitled138
Untitled139
Untitled140
Untitled141
Untitled142
Untitled143
Untitled144
Untitled145
Untitled146
Untitled147
Untitled148
Untitled149
Untitled150
Untitled151
Untitled152
Untitled153
Untitled154
Untitled155
Untitled156
Untitled157
Untitled158
Untitled159
Untitled160
Untitled161
Untitled162
Untitled163
Untitled164
Untitled165
Untitled166
Untitled167
Untitled168
Untitled169
Untitled170
Untitled171
Untitled172
Untitled173
Untitled174
Untitled175
Untitled176
Untitled177
Untitled178
Untitled179
Untitled180
Untitled181
Untitled182
Untitled183
Untitled184
Untitled185
Untitled186
Untitled187
Untitled188
Untitled189
Untitled190
Untitled191
Untitled192
Untitled193
Untitled194
Untitled195
Untitled196
Untitled197
Untitled198
Untitled199
Untitled200
Untitled201
Untitled202
Untitled203
Untitled204
Untitled205
Untitled206
Untitled207
Untitled208
Untitled209
Untitled210
Untitled211
Untitled212
Untitled213
Untitled214
Untitled215
Untitled216
Untitled217
Untitled218
Untitled219
Untitled220
Untitled221
Untitled222
Untitled223
Untitled224
Pagina vuota

Citation preview

VINCENZO CILENTO

TRASPOSIZIONI SAGGI SU

DELL'ANTICO

LE FORME DELLAG RECITA AL SUO T RAMONTO

MIL ANO

8517 C5



N APOL I

lliCCARDO lliCCIARDI EDITO R E M C M LXI

TRASPOSIZIONI DELL'ANTICO

VINCENZO CILENTO

TRASPOSIZIONI

DELL'ANTICO

SAGGI SU LE FORME DELLA GRECITÀ AL SUO TRAMONTO

MILANO · NAPOLI RICCARDO RI C C I A R D I EDITO RE M CM LXI

I�T R ODUZ I ONE

CONCETTO E LI MITI DELLA TRASPOSIZIONE Fu detto, poeticamente, che dalle mani di Di � tuttora intrise di argilla, calde e vibranti del brivido creativo, l'uomo cadde incompiuto su la terra perché, irrequieto e frenetico di vivere, si staccò, prima del tempo, dal Creatore. Ma questo - ch'è mito di verità divina per significare forse che Dio donò all'uomo la libertà affinché, in essa e per essa, raggiungesse perfezione e compimento - acquista pienezza di verità storica, riferita che sia ai pensieri, alle opere, alle creazioni dell'uomo. Il quale non c r e a dal nulla come Iddio, ma t r a s p o n e , semplice­ mente, pensieri e parole, forme ed eventi, categorie e sistemi, fantasmi e concetti, in una serie infinita di correlazioni di cui è contesta la storia. Questa oscilla tutta tra sopravvivenze e sopravvenienze, tra antico e nuovo, fra tradizione e progresso. La t r a s p o s i z i o n e è come il medio tra tali polarità. Il termine, usato al singolare e riferito solo al mondo plato­ nico, è della migliore filologia francese e fu adottato dal Diès e dal Festugière, con felice intuizione : l a tr a n s p o e i t i o n p l a t o n i c i e n n e . Tale nozione oflerse al Diès una serie di aspetti convergenti per la interpretazione del platonismo, nel quale confluiscono, in un gioco dialettico di opposizioni e ac­ cettazioni, sofistica e retorica, orfismo e misticismo, miti e dottrine, dèmoni e dèi : se pur v'è chi pensi che si possa invenVII

INTRODUZIONE

tare a vuoto e creare dal nulla un'opera e non dipendere in nulla dal proprio ambiente, questo non è certo dei geni veri, non è vero, comunque, per Platone. c c I l t r a n s p o s e » conclude Festugière. Creare, per Platone, è non diversa· mente dal ludus di Huizinga o dallo Spielen di Schiller - dar risonanza nuova e · significato profondo e piu intensa pronuncia a qualcosa che già preesiste, e trapassare dal caos al cosmos. Tale, il senso goethiano della cc poesia, figlia della dèa Occa· sione ». Creare, per Platone, importa un sapiente connubio di violenza e di seduzione su cieche e fatali preesistenza : lh' dvdy· XTJç �nmfA.ÉVTJç \m:ò :n:8L'3ouç ÈfA.c:pQovoç (Tim. 48 a 4-5). Ma la t r a s p o s i z i o n e, dal tipo esemplare platonico, vuoi essere estesa a tutta quanta la storia ideale del mondo, nelle visioni dell'arte, nelle strutture del pensiero, nelle forme della vita religiosa. Sono piani spirituali. Gradi della realtà. Trasfi· gurazioni. La poesia e la musica hanno consuetudine con tale continua operazione dello spirito : è un insieme di sguardi con­ vergenti, una serie di avvicinamenti scambiabili . Ciascun momento della t r a s p o s i z i o n e segna o un pro· gresso o un regresso ; ma è sempre, comunque, un aumento, un accento nuovo, un' istanza sempre piu forte. La t r a s p o s i · z i o n e non ha nulla di comune con l'imitazione che è qualcosa di morto ; essa è dinamica e vive della vita della sua stessa idea. Come l'aria del mattino, vinta a poco a poco dalla penetrazione del sole, si riempie via via, gradatamente, di mille correnti invisibili, cosi l'idea, ricca di virtu traspositiva, è penetrata di dinamismo : avventurosi cammini nel tempo, accostamenti, af­ finità, movimenti infiniti la tramutano e trasfigurano come la Fortuna dantesca : -

-

Le sue permutazion non hanno triegue.

(lnf.

VII,

88)

Gli uomini e i tempi ora versano in seno all'idea quanto di libero, nuovo, ardente hanno acquistato da altra fonte ; ora, al contrario, la fanno un po' rinchiusa e rientrata in se stessa e opaca. VIII

INTRODUZIONE

Baudelaire canta : Une ldée,

une Forme, un ttre

parti de l'azur et tombé dans un Styx bourbeux et plombé Où n ul oeil du c iel ne pénètre ...

( L'irrémédiable)

Dell'uso sovrano della t r a s p o s i z i o n e intesa in questo senso pieno e universale, Dante è artefice sommo. E verso noi volar furon sentiti, non

però visti, spiriti, parlando

alla mensa d'amor cortesi inviti.

( Purg. XIII, 25- 7)

La voce che passa, oltre la piana torrida, gridando « lo sono Oreste », può ben simboleggiare quel che noi intendiamo teori­ camente e quel che mostreremo, in varia esemplificazione : il continuo rinascere delle forme del passato, la perenne t r a s p o ­ s i z i o n e dell'antico. Multa renascen tur quae iam c edderc . .

T r a s p o s i z i o n e è rinascenza : l'anima umana è come un palinsesto in cui talora, per virtu di reattivi, riappaiono pagine intere di scritture da lungo tempo scomparse. Della trasposi­ zione, dicevo, sono ugualmente esperte la musica e la poesia. Che cosa è « la Sonata a Kreutzer » di T olstoi se non una t r a s p o s i z i o n e da un'allucinante angoscia sonora a un appassionato dramma umano narrato in un cerchio di vertigine ? Nel trapasso da Sofocle a Gide quanto cammino fece il mito di Filottete che assurse, nel poeta moderno, a strano simbolo delle « tre morali >> ! Che dire di Alcesti, soave in Euripide, soavissima in Rilke? I musicisti chiamano t r a s c r i z i o n e quel tipo speciale di composizione in cui, per esempio, il Concerto dell'estro armo· nico per 4 violini del Vivaldi viene registrato per 4 clavicembali da Bach : trasposizione musicale, dunque, che è naturalmente IX

I�TRODUZIONE

un fatto nuovo nell'arte, una creazione, per la risonanza e il carattere del diverso strumento. Tali ragionamenti, con i congiunti esempi che seguono nel libro,· non riusciranno graditi a quanti, ben diversamente dai Greci, smaniano alla ricerca del ' nescio quid novi ' o della originalità a tutti · i costi : di essa si hanno le prove infelici in tanta della cosiddetta > nelle antinomie tra i sostenitori delle fratture o catastrofi e i fedeli della conti­ nuità. È come un medio che da un lato ci arresta sul ciglio XIII

INTRODUZIONE

dell'abisso, dall'altro impedisce la monotonia di quel paesaggio uniforme ch'è la continuità. La t r a s p o s i z i o n e impedisce da una parte strane parentesi nel tempo ( ad esempio, il medio evo), e d'altra parte offre un ponte di passaggio oltre le rovine dei tempi e i silenzi della barbarie. T r a s p o s i z io n e non è simbolistica ; e non corre i rischi della simbologia : ponete Dante nelle mani di un tomista di gran talento quale il P. Mandonnet e questi, in un'opera celebre, della quale non si sa se ammirare piu l'acuta sottigliezza del­ l'ingenio o deplorare l'assoluta mancanza di senso e gusto este­ tico, ed egli imposterà una teoria simbolistica di fronte alla quale i nostri V alli e Pascoli sono semplici dilettanti. Beatrice saluta Dante novenne. Questo saluto - assicura P. Mandonnet dopo essersi divertito con gli interpreti realisti - significa < < l'admission de Dante à la clericature » . I l saluto rifiutato signi­ fica che Dante si fa laico ; e Beatrice, ch'è la beatitudine celeste, naturalmente se ne muore. Di qui una serie di trasposizioni che non haimo nulla che fare col senso che noi diamo al termine : Le metamorfosi di Beatrice ; Ella è > (Il Mac­ cabei, IV, 15) alla nascita dell'umiltà 1• Nella storia e nella civiltà di tutti coloro che, ovunque fosse la loro patria di origine, riconoscevano una piu alta patria e un piu nobile linguaggio nella Grecia e nella sua lingua, Elle­ nismo signi fica la grecità che si espande, lo spirito greco diffuso nel mondo, la sua umana pentecoste. In territori che all'orgoglio attico erano apparsi barbarici, in ambienti refrattari all'Occi­ dente, e persino in Gerusalemme, l'Ellenismo apparve sinonimo della stessa ragione umana e come tale fu accolto. Prova irrefragabile della vitalità della cultura greca, garanzia della sua universalità, l'Ellenismo non solo ebbe forza di espan­ dersi e di penetrare nell'oriente, si anche seppe suscitare in altre genti del tutto diverse dalle stirpi greche, con tutt'altra mentalità e storia e tradizione, una medesima volontà d'inserirsi nella corrente spirituale ellenica 2• Se p. es., l'Ellenismo porta Platone tra gli Ebrei, questo messaggio è cosi forte che non solo susci­ terà un Filone a platonizzare la Bibbia, ma suggerirà all'Ano­ nimo il parallelismo tra Omero e Mosé, nel campo del sublime. l

2

R . R. MARETT, The Birth of Humility, Oxford 1910. BIDEZ..CUMONT, Les maBes hellénisés, Parigi 1938.

l

I.

l. l

ELLENI S M O

' CONFINI DELL ELLEN I S MO.

t noto che il termine servi per la sua Geschichte des H elle­ nismus ( Gotha, 1877- 78) al Droysen ( che non lo coniò, come

si usa dire, perché esso si trova nella traduzione biblica dei Settanta [Il Maccabei, IV, 13]) allo scopo di denominare il periodo, di cui scrisse la storia, che va dalla morte di Alessan· dro ( 323) alla caduta dell'ultimo regno ellenistico, l'Egitto di Cleopatra ( 30 a.C.) . Ma Alessandro, secondo molti storici, piuttosto che aprire un'epoca, chiude la sua, l'epoca classica, con magnificenza. Si spiega assai bene la perplessità del Droysen a riunire, come poi fece, nella unitaria Geschichte des Hellenismus ( Gotha 1877·78) la Geschichte A lexanders des Grosses ( Berlino, 1883) la Geschi­ chte der Nachfolger Alexanders ( Amburgo, 1836) e la Geschichte der Bildung des hellenistichen StaatensystemJ ( Amburgo, 1843). Non manca chi, come il Pasquali, vorrebbe anticipare l'Ellenismo le cui manifestazioni appaiono già prima di Alessandro. Certo, il concetto della parentela di tutti gli uomini tra loro è piu antico di Alessandro e degli Stoici, e risale ai tempi di Aristofane. «Su­ bito dopo le guerre persiane- come avverte Gilbert Murray­ la Grecia capi che aveva una missione nel mondo, che l'Ellenismo optava per una vita umana piu elevata contro il barbarismo, e che era per l'areté o eccellenza contro la semplice mediocrità senza sforzo. Dapprima sorse il rigido patriottismo che considerò ogni greco superiore a qualunque barbaro ; poi subentrò la riflessione a far vedere che non tutti i Greci eran dei veri apportatori d i luce e non tutti i barbari dei nemici d i essa ; che l'Ellenismo faceva parte dello spirito e non dipendeva dalla razza a cui un uomo apparteneva e dal luogo dove era nato ; poi venne il voca­ bolo e il concetto nuovo di dv3Qroa:6t'llç, humanitas, che uni, per gli stoici, il mondo, come in una fratellanza. Nessun popolo della storia prima dei Greci formulò chiaramente questi ideali e quelli che hanno usato le parole in seguito non sembrano per lo piu che semplici ripetitori dei pensieri degli antichi greci »3• Quanto ai confini posteriori dell'Ellenismo, che di solito si arrestano al trionfo augusteo della romanità, si potrebbe osser­ vare che tra Ellenismo e romanità avviene tale compenetrazione che non è facile distinguere un puro Ellenismo da una romanità pura. Anche il Pantheon romano è ellenistico. Sin dal pinnato gradu della Musa, la letteratura romana è impregnata di Elle3 G.

Reaction to the Peloponnesian ]. Hell. Stud. », 1944, pp. 1-9.

MuRRAY,

Practice, in

«

2

War

in Thousht and

IXCONTRO COL CRISTIANESIMO

nismo. Il mo& maiorum si spense dopo che i Flavi favorirono culti non romani. Gli Antonini sono sovrani ellenistici. Marco Aurelio è un saggio che pensa da romano e scrive in greco. Adriano è un periegeta greco che vuoi adunare nella sua villa tutti i ricordi della otxOUJ.LÉ'Vfl. Cedendo al sincretismo religioso dell'epoca, Severo Alessandro accoglie nel suo larario Apollonio di Tiana e Cristo, Orfeo ed Abramo, Platone e Virgilio. A ragione, Giovenale esprime questa invasione dell'Oriente nel cuore di Roma con l'immagine fluviale : « lam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes '' ( Sat., III, 62) . La stessa religio Soli& invicti, trasposizione latina della greca religione del mon­ do, non è altro che Ellenismo. Occorre quindi darne una acce­ zione spaziale e temporale assai piu lata perché esso non è assorbito, come si usa dire, dalla romanità, ma assorbe la ro­ manità. Roma capta . La trasformazione spirituale del mondo avviene solo col Cristianesimo : qui è il confine dell'Ellenismo. 2.

ELLENISMO, O RIENTE E C RISTIAN E S IMO.

In virtu di tale significazione il termine non solo spazia per ogni tempo e ogni luogo, ma, lasciando cadere la vernice puri­ stica di cui è stato ricoperto specie dagli storici della letteratura greca, si riempie di un senso sacro e di una pregnanza catego­ riale, in quanto il suo stesso primitivo concetto nasce nelle scrit­ ture neotestamentarie e sta proprio agli incunaboli del cristia­ nesimo, al quale non apparve ostile e nemico, quale invece era apparso all'ebraismo ortodosso, nella Storia dei Maccabei. Si potrebbe, per enfasi, dire che questo ultimo libro dell'Antico Testamento attraverso il racconto della lotta tra Giudei e sovrani ellenistici è di spirito antiellenistico, mentre gli Atti degli Apo­ stoli, nel loro spirito di cattolicità, battezzano l'Ellenismo e preparano la piu grande conciliazione della storia 4• Pure, l'Autore del l libro dei Maccabei dovette sentire il fascino della figura di Alessandro, presentato, all'inizio, con rapido profilo : « Pertransiit usque ad fines terrae ... et siluit terra in compectu eius ... exaltatum est et elevatum cor eius >>. È noto che il/ Ma. contiene la storia delle guerre ebraiche con­

tro i Seleucidi ( Il s. a.C.) e contro coloro che, traditori del patto d'Israele, 11 aedificaverunt grmnasium in /erosolymis securulum leges Nationum "· In queste notazioni si hanno gli elementi dello scontro tra lo spirito dell'Ellenismo, · universale, e la tradizione " C

H.

Dooo, The Bible and the Greeks, Londra 1935.

3

I. ELLENISMO

giudaica, nel momento critico in cui questa fu per spegnersi . allorché perfino Gerusalemme, l a città p i u tradizionalista e xenofoba, corse il rischio di divenire ellenistica sotto il re di Siria Antioco Epifane. È l'epoca di Giuda Maccabeo, dell'at­ tentato fallito di Eliodoro, del tradimento dei sacerdoti ai quali si dovette « un accrescimento del modo d i vivere gentilesco e straniero » perché « patrios quidem honores nihil habentes, grae­ cas glorias optimas arbitrabantur (Il Ma. IV, 15). Le glorie dei Greci! Il conflitto tra le città di Giuda, nello spirito della tradizione d'Israele, e il processo della unificazione siriaca, perseguito da Antioco nello spirito dell'Ellenismo, è solo un episodio del rapporto complesso di pace e di guerra o di con­ cordia discors tra Grecia e Oriente, tra Ellenismo ed Orienta­ lismo. Fu il piu grande contrasto del tempo e una delle piu solenni crisi della storia. A capo di questa vibrante catena è un eroe : Alessandro ; e centro di questa raggi era è una città : Alessandria. Nel suo elogio di Alessandrio, Timeo di Tauromenio aveva scritto : « Egli ha conquistato l'Asia intera in meno anni di q uanti ne occorsero a l s oc r ate per scrivere il Panegirico su la guerra da muovere ai Persiani ! » (IIEQL {hpouç IV, 2): e non fu lode somma, questa, per gli antichi, se dobbiamo credere al commento iro­ nico che ne fa l'Anonimo. Ai Greci non piacque molto Alessan­ dro che andò con Achille e si fermò con Rossane e indossò paludamenti orientali e si fece Dio : « vendé l'Europa per una manciata d'incenso orientale >> ( D'Ors ). Il piu grande centro ellenistico fu Alessandria, che ebbe un destino unico nella storia del mondo per la sua posizione geo­ grafica, per la composizione eterogenea della sua popolazione, per la mirabile organizzazione del suo museo, per il genio libe­ rale dei suoi princi pi . Come un fiammante crogiuolo, essa era adattissima alla grande opera ellenistica di fusione tra i due mondi. Qui vi tutti i grandi popoli dell'antichità si dettero conve­ gno : l'Oriente si fece rappresentare dalle nazioni elette dell'Asia e dell'Africa, dalla Giudea, dalla Siria, dalla Ca l dea, dall'Egitto ; l'Occidente dalla Grecia, dalle città greche dell'arcipelago e dall'Asia minore, da Roma e dall'Italia. L'alto Oriente solo non apparve al convegno : sempre immobile e muto in questo movi­ mento e concerto di tanti popoli diversi, questo vecchio genio dei misteri e delle caste viveva in disparte nelle profondità e nei penetrali dei suoi santuari, quasi pietrificato in un unico tempio. Alle soglie dell' India s'era fermato il pezetero macedone. Piu fortunato, l'incontro tra Ellenismo e Cristianesimo. Gli 4

S . PAOLO E L'ELLENI SMO

"EUT)VLota( degli Atti degli Apostoli (VI, l ; IX, 29) ·s ono neofiti che fanno parte di quel « crescente numero dei discepoli » tra i quali gli « ebrei », già cristiani, si trovavano in una situazione di privilegio « nel quotidiano ministero di carità ». Gli ellenisti si lamentano di ciò con gli Apostoli, i quali istituiscono, a loro vantaggio, i diaconi : con questi appare il primo nome greco della gerarchia. Nella prima comunità cristiana, insomma, coe­ sistono ellenisti ed ebrei. Ma ecco il grave problema : gli ellenisti erano forse i Giudei della diaspora che parlavano il greco, cioè quella xoLVTJ lhdl.r.xtoç ch'è proprio la lingua ellenistica, o erano greci, ossia gentili convertiti al Cristianesimo, restii però a a passare per la trafila della circoncisione e dell'ebraismo ? « Ellenisti » sono pure chiamati, negli stessi Atti, coloro con i quali Saulo appena convertito, « s'intratteneva e discuteva». Ma questi ellenisti cercavano di ucciderlo : e sembra quindi che fossero ebrei, offesi da quel che consideravano tradimento, in Saulo. Il Droysen restò ai margini del problema e sentenziò che gli Ellenisti eran cosi chiamati, in contrapposizione ai greci puri dell' atticità, per via del loro greco corrotto degli ebraismi. Il contesto invece, come opinò il Pasquali, mostra che gli elle­ nisti sono ch iamati cosi solo perché parlano greco, in contrap­ posto con gli ebrei che si servon di una lingua semitica. In tutti i casi, ben presto, nell'ellenistica Antiochia, ellenisti ed ebrei si chiameranno cristiani. Paolo visse a lungo, prima e dopo la conversione, in una città ellenistica, a Tarso, antichissimo emporio commerciale al crocicchio tra la civiltà greco-romana a occidente e la civiltà semitico-babilonese ad oriente. Grecia e Oriente avevano in­ fluenzato il Giudaismo della diaspora. San Paolo pensava, par­ lava e scriveva in greco come nella sua lingua materna ; trasse immagini e forme dalla sua varia esperienza ellenistica. Dai Maccabei al Concilio cristiano di Gerusalemme, l'Elle­ nismo ha fatto molto cammino e, conciliato col cristianesimo, sale dalla contingenza storica alla categoria per indicare un modo eterno dello spirito umano, la ferma paideia che resiste ai labili imperi degli uomini. 3. E LLENI S M O

E POLI S. I L PROBLEMA DEI GRECI E DEI BARBARI.

Alla base dell'Ellenismo c'è la trasformazione politica del mondo greco, onde si passò dalla n6ALç alla otxo"J.IÉvT). La vecchia Grecia, la Grecia delle n6AeLç, ardenti a disputare tra loro e a disputare ad Atene, cuore dell'Ellade ( Ellàç "EUd8oç, 5

I. ELLENISM O

in epit. di Euripide ; cfr. : Vita Eur., 135 W.), l'egemonia, cede il passo alla Macedonia di Filippo e di Alessandro. Al tipico citta­ dino che si chiamava Milziade, Temistocle, Alcibiade, Cleone. Demostene, per i quali Atene è città e dea, sottentra il re che spesso sarà illuminato despota, ma sempre tiranno, un continua­ tore della splendida regalità di Alessandro. Ad Atene regnano il dialogo politico, il dibattito dell'agorà, l'arringa demostenica, il vecchio demos, in una parola ; nelle capitali ellenistiche do­ mina sovrana la volontà degli Antipatri, dei Tolomei, degli Antiochi e dei loro consiglieri. Anche Atene piegò la testa. Solo dodici anni dopo l'arringa della Corona ( 330), dal 3 1 7 al 307, la città è governata da Demetrio Falereo > ( Metaph., 1 075 a 19). Ma ora il cittadino libero non c'è piu. C'è il suddito. Lo schiavo, in un certo senso, può fare, salva la servitu, quel che gli piace ; può fare quel che vuole dell'anima sua. Cosi l'uomo dell'Ellenismo gode della sua libertà umana al posto della perduta libertà politica ; gode della sua cultura, dei tesori della sua vita interiore, arricchita di tutti gli ornamenti e le attrattive d'una civiltà compiuta. « Tutte le età 9

l. ELLENI S MO

che l'han preceduto hanno pensato e lavorato per lui : non ozio­ so ma occupato senza fretta egli posa sui beni ereditati, nel sole un po' tiepido dell'autunno inoltrato della grecità ». ( Rhode) L'Ellenismo è intimamente filosofico, piu di quanto lo sia la grecità, non già perché abbia prodotto, come l'età attica, geni filosofici quali Platone ed Aristotele, ma proprio perché lo spirito dei tempi è filosofico e l'uomo ellenistico è assetato di spiritua­ lità, di cultura, di senso religioso della vita. Il pensiero filosofico dell'Ellenismo non lotta piu per gettare uno sguardo nella realtà intima delle cose, per rinnovare o approfondire l'intera cultura, per idoleggiare la forma. Ma esso promette agli individui un terreno saldo ed un orientamento sicuro nella vita, esso vuole condurlo alla felicità, renderlo indi pendente secondo lo spirito ; esso diventa strumento precipuo di educazione morale. La meta­ fisica della forma è indebolita, battuta in breccia da tre lati diver­ si : dalla cura predominante della morale che anima lo stoicismo e l'epicureismo, dallo scetticismo che incide finanche sui succes­ sori di Platone, dall'erudizione che attira i successori di Ari­ stotele e li allontana dalla filosofia propriamente detta. Spirito comune a tutte le filosofie alessandrine è la creazione di un nuovo mondo interiore e una nuova fede. Il mondo è vecchio e stanco, logorato dai particolarismi civili e dalla moltiplica­ zione degli dèi. Occorre un impero e un dio unico. Piu degli altri sistemi, lo stoicismo rispondeva allo spirito dell'Ellenismo. Esso era cosmopolita, realistico, e voleva essere vita e non solo dottrina. L'uomo ellenistico è privo di spirito metafisico, nel senso che, caduta la fede nella ragione, non sente piu l'umano vigore e la lena del filosofare. E si volge al mistero, alla religione. Il saggio del Portico è un monstrum, senza passione e senza misericordia, invulnerabile, irreprensibile, perfetto, Darebbe il suo corpo a bruciare purché l'anima non fosse lambita dal fuoco della passione. Chi lo trova mai su le vie del mondo ? E su le vie dello spirito chi troverà mai gli dèi di Epicuro ? ne Laerzio, 62. 4 0 Resp. 427 b. 41

fon . 1 29 ss. ; t u t t a la t r a ge d i a è delfi ca.

26

ETHOS

piacere ad Erodoto ; né l'oracolo faceva cosa grata agli Ateniesi quando, con strana genealogia, faceva derivare i Persiani da Perseo ! Anche Tucidide è amaramente scettico quando osserva che ognuno ascoltava e interpretava l'oracolo sotto l'impero della sua passione 4 2 • L'oracolo, per altro, si salvava sempre nel campo della vita morale. Le leggi platoniche riconoscono santità e purezza solo a chi sia xafragfrdç xatà tÒv èx L\sÀè ftO'YQç cpav'l'aoiaç ROQUJ'1'1]CJ' xaì. q>roc; év T[i 'i'UXU mnei nQòc; 'I'Ò JlÉA>..o v.

34

TRA SPOS IZIONE POETICA

le bocche della grotta della Sibilla cumana, secondo che ci riferiamo all'uno o all'altro oracolo, all'uno o all'altro tempo, all'una o all'altra Pizia. La religione greca era libertà e non domma. L'oracolo era ragione e non n(anç, natura e non so· prannatura, Olimpo e non sopramondo. Quello che manca - o che io almeno non so trovare - nelle opere ormai classiche su la religione greca, è il senso storico del trapasso e della t r a s p o s i z i o n e , né solo il concetto di svol· gimento, che taluno come lo Amandry non manca di affermare, ma la storicità viva della mobile categoria religiosa che talvolta sentono i poeti come Keats e Swinburne, Heine e Carducci. Cosi, anche ad Apollo toccò la sorte degli altri dèi spodestati ; anch'egli dové confessare : ' lo son venuto via dal mio proprio petto, io ho lasciato la mia forte identità, il mio vero essere ' n. Ma il mito apollineo e l' cr amato alloro » significano sempre la forza trasfiguratrice per cui, quando la follia dionisiaca si sol· leva a tempesta, la ragione e la forma ristabiliscono l'umano equilibrio della vita e la catarsi del dramma. ·

75

K EATS, Hyperion 1 1 3 ss.

35

CAPITOLO I I I LI NCEO :

T RASPOS I Z I O N E F I LOSO F I C A D'UN M ITO

l . JL S ENSO D'UN NOM E M ITKO.

Nella selva dei miti che l'antichità classica tramandò per voce di poeti o di filosofi, uno de i piu s o ttili e profondi, e tuttavia meno esp l o rat o, è qu el l o dell'eroe argonauta Linceo. La te sti monian za p r eci s a che ne dà l'ultimo dei grandi filosofi greci, Plotino, nella V Enneade, m i suggerisce l 'a r gomen to di q u esta Nota, per un facile richiamo al nome e all o spirito del­ l'Accademia \ come se l'antico Veggente, che penetrava la lumi­ nosa sostanza dei cieli, la massa fluida dei mari, la salda com· pagine terrestre, valga q uasi eroe eponimo del sodalizio. Su Linceo, le testimonianze dei testi ant ichi , nonché far difetto, sono copiose e sicure, e tuttavia non abbastanza note, a segno che persino i p iu im ponent i repertori di antichità classiche non registrano, ad esem pi o, il testo pl oti n ian o che vogl iam o presentare. Se, nel mitico viaggio degli A rgonau ti , Orfeo significò la p oes i a e Giasone l'ardimento eroico ed E sculap i o la scienza pratica, Linceo, invece, con la sua vista acutissima, simboleggiò la scienza e il puro sapere nella lor prima (e forse ultima) espressione : la quale è O 'i' Lç, visione. Chi ig no r a che i Greci furono insaziabili di visione a guisa di bimbi ? E l' i n can to della loro arte non deriva appunto dalla chiarezza della visione onde seppero guardare il mondo con l'occhio penetrante di Linceo ? Tra Linceo ed Atena occhi-glauca - la dea che salutò la di­ scendenza di Linceo nello ' Scudo d i E racle ' 2 - sta, mitica­ mente, la loro storia, come, storicamente, il loro A6 yo� oscilla tra Arist o tele e Platone, se è ve ro che Linceo trapassa la terra l Questo breve studio fu presentato nella tornata dell' l l nov. all'Accademia dei Lincei. 1

XaLQne, Avyxijoç yeveÌ] 'fTJÀexAe�'toto (v. 327).

36

1950.

LA S UA STORIA POETICA

con lo sguardo, mentre Atena trapassa i cieli con i suoi occhi sereni. Nel mito si trova celato, come in una corteccia, il tallo vivo che diverrà scienza o filosofia. Certo, la scienza nasce là dove il mito muore ; e il mito al suo crepuscolo si distacca dal rito, dal culto, dal gioco, e trapassa dalla fede e dalla pratica alla critica e alla teoria. Perciò il saggio antico assai volentieri parlava per miti e per parabole ; e alle figure e ai testi sacri ricorre parimente il filosofo moderno. 2. LINCEO

NELLA POESIA.

La prima volta Linceo ci appare; nei Canti Cipri, cosi : Repente Linceo, sicuro del suo rapido passo, ascese il Taigeto e dall'alto volse in giro lo sguardo su tutta quanta l'isola di Pelope il Tantalide, e li per li, con i suoi occhi possenti, scorse celati nel cavo di una quercia l'uno e l'altro : Castore, doma­ tore di cavalli, e il vittorioso lottatore Polluce... )) 3 • Piii superba, naturalmente, la testimonianza di Pindaro : mentre il Linceo della leggenda ionica e omerica è visto appena nel gioco eroico della guerra che accomuna in un solo destino uomini e dèi, indifferentemente, il Linceo dorico è collocato dall'arte di Pin­ daro in un quadro arcaico, nel clima della solenne religiosità dorica, la quale arma repente di folgore la mano di Zeus per colpire l'eroe prometeico che aveva osato troppo v e d e r e per poi farsi giustiziere di Castore, figlio del dio. Udiamo Pindaro : «

Da l Ta ige to , in agguato, lui vide in un t ron co di quercia Linceo, con l'occhio piu acuto di tutti i mortali : repente, con celeri piedi, p iomb arono e immane misfatto operarono ra pid i entrambi gli Afaretidi ; ma piu rapida pena subiron da Zeus, ché, correndo, giunse il figlio di Led a ; ed essi li fermi al paterno sepolcro svellendo la stele de l'Ade, scolpita, la scaglian sul petto a Polluce ; e no n lo scalfiron né lo spinser d'un passo ; ma quegl i con celere dardo s'avventa e a Linceo vibra il ferro mortale nel fianco. Zeus, poi, su Ida il fiammante e fumido fulgure ruppe : ond'essi arsero insieme, solinghi. Lottare coi Nu mi », d ura impresa è ai mortali . . .

( Nemea, X, 61 -72) 4

3

4

/n Homeri Opera, ed. ALLEN, V, pp. 1 2 1 - 122. R ifer i a m o la prez iosa tt>st imon ianza dello Scol iasta : 1 1 4 a · a :n: ò T a ;; ·

37

I I I . LINCEO

È una stupenda figurazi one plastica che riempie le ultime volute strofiche dell'epinicio : una rapida scena di guerra e di morte che si termina con uno spettacolo di umana e fraterna pietà. In poco piu d'un giro corale, Pindaro stringe ( e chi saprà mai q ual fascino si sprigionasse dalla figura della danza dorica e dalla musica ! ) tante immagini concrete veloci vivissi­ me : un duplice agguato tra una vetta di monte e un incavo di quercia ; un guizzo di pupilla e un lampo di odio ; il lancio d'un cippo e lo scoppio del fulmine, tra le tombe ; il rogo soli­ tario di Linceo ; e, infine, la scena patetica tra i Di oscuri : Polluce, che piange su Castore, anticipa il pianto di Achille. Il mito, aperto con quello sguardo lampeggiante di lince, si chiude col gesto fraterno di Polluce che, rinunziando alla sua parte d'immortalità, riapre alla vita gli occhi di Castore, già sigillati nel sonno mortale. Il verso che segna la fine di Linceo e di Ida c aJ.L« l)' èx.a (ovt' f.Qij J.LO L » sembra fuso nel bronzo di Corinto ; e Pindaro si rivela come il piu grande poeta della visione. Non a torto si era paragonato, lui stesso, all'aquila. Assai pallida, al contrario, e aridamente descrittiva si dimoy é "t o u :ru: & a u y a t; ro v t 3 e A u y x e ù c; 3 Q u ò c; È v a u l é x u il l' e v o ; : o fJ ÈV 'AQUJ'taQxoc; à;1oi YQB«p€LV il i'Evov, àxolouftroc; 'tfi iv 'tOic; Ku:rtQioLc; leyoi'ÉV[I 1a'toQ(�· o yàQ 'tÙ KU:rtota auyyQa'ljlac; qrr) O Ì. 'tÒV Kna'tOQU Èv 't'[j 3Qut X QUcp6éV'ta ocp6ijvaL U:rtÒ Auyxéroc;· "t'[i &è a\l't'Ò Y Q Ocp'[j xai. 'A:rto1.. M 3roQoc; ( I II, l l , 2) XO'tTJXO).ou6 1)oE. :rtQÒc; ouc; ùc; T1)uyetov :rtQoaé�awE noaì.v 'taxéeaa' :rtE:rtOL6 roc;. cixQO'ta'tov &' civn�àc; 3Ls3éQxno vi)oov ci:rtaoav Tav'tali&ou ll éJ..o :rtoc;, l;axa &' ELOL68 xu&LI'Oc; tj Qmc; 3ELVOic; ocpftOÀfJ.OiOLV EO(J) 6QUòc; li.J.Icpro XOlÀl)c;1 Kcia'toQci 6 ' l:rt:rt61ia,...ov xai. àE6J..o cp6Qov llo>.ulieuxw vu;e 6' liQ' liYXL Otàc; f.loEytiÀ1)V 8Qùv xai. tà é; qc;. b o J.I ÈV ow KaatroQ iMxa tòv •Joov, cpJ)oLv, iv xoiJ..n ISQut XQUÙç; E8QUf.lE'V uxvoç; conclude Teocrito 8 • 3.

LIN C E O

NEI MITOGRAFI.

Assai lontano dall'atmosfera eroica e avventurosa colloca Linceo l'oscuro mitografo Palefato, nel suo scoHo ad Aristo­ fane 7 : « La gente diceva che Linceo vedesse pure sotterra e, discendendo, ne estraesse l'argento » 8 • Tale testimonianza non vuoi essere trascurata : il mito, vòlto a forme di pratica, segna qui il passaggio dal travaglio della guerra alla pacifica attività s

OL l"' 'AcpaQlJl"wi8aL Auyxeù . V a r i altri luoghi platonici sono de��u n t i da questa bella opera. 1 3 V. LABERTHON� I �RE, Idealismo greco e realismo cristiano ( versione di P. Gobetti, Firenze, 1922) c a p . J . 14 Plat., Tim . 22 b. NIETZSCHE, La na.H"ita della tragedia ( trad . R uta, Bari, 1 925), p. 1 1 3. 1 5 Oed. Col. 15 ss. 16 A iax 66.

.U)

TRA S PO S IZIONI CONTE M PLATIV E

3.

I TINERAR i

DELLA

CONTEM PLAZIONE



È noto che &sro Q (a 1 1 s i riannoda etimologicamente a &éa e FOQ ; e nella fusione delle due radici intensifica il senso di visione ; nata, ancor essa, sulle coste della lonia, fraterna alla ansia di filosofare che il Teeteto 18 mitizzò in Iride, figlia di Taumante, fu colei che mosse Solone, Ecateo, Erodoto 1 11 , i nomoteti di Platone ai loro viaggi teoretici e pure i membri delle deputazioni religiose, dette, esse stesse, &ero Q L«L 2 0 • Di questo termine, intimamente musicale, avviene come di certe stupende pagine di musica che vengono trascritte e regi­ strate per uno strumento di superiore perfezione. Ciò che io esprimo con la similitudine, il Festugière, sull'esempio del Diès, chiamò felicemente ' transposition 2 1 , ma il valoroso ellenista non varca le soglie del platonismo puro ; ora io vado vagheg­ giando una ulteriore JlStd3saLç, assolutamente necessaria, per l'interpretazione di Plotino e, forse, per l'intelligenza di tutto l'umano pensiero. Rifacciamoci, in compagnia del Festugière, brevemente, a Platone 2 2 • Questi rileva il termine dall'ardore maraviglioso degli

a

'

1 7 Il Jt'ESTUGIÈRE ( op. cit., p. 13) apre !"indagine con una d isamina etimologica che ponga la radice della parola alle sorgenti dell'idea. 8éa è visione pura e Foo ind ica, in origine, l'atto di ' prender cura ', di sorvegliare )l . ( c fr. ooooç, cii oa) ; i l 6e6ç visto d a i peri patetici è smen­ t i to da.I dorico iteaooç. Solo presso i La.tini contemplar ebbe già una valore religioso sin d alla origine ; e giova ricordare che templum ( v. Somnium Scip. 15-17) trapassò nella lingua nostra denso di sign ificato religioso : onde il Foscolo glossando il suo verso ' tra il com pianto dei tem pli acherontei osserva ch e i latini chiamavano ' tem pia ' anche i c ieli, pensando a Terenzio < Eunuch., atto III, se. 5) e ad Ennio ( presso V arrone, De lat. linsu.a, l. V I ) e citando gli ' Acherusia tem pia ' di Lu­ c rezio ( I II, 85). Tra i Greci, per con tro. questo senso non fu mai esclu­ sivo, il che spie ga la fl u ttuazione che v'è anche in Plotino e che rende perplesso R. ARNOU in llPA5Il: et 8EOPIA ( Paris, 1 92 1 ). Che se Teogn ide chiama itemooç, ' colui che consulta l'oracolo ' o, piu pro­ priamen te, il delegato ufficiale alla festa di un luogo di culto { come prec isa, col Poland, il BoESCH in Theoros, Untersuchuns zar Epanselie sriechischer Feste [ 1908 ] , p. 5 n. 2), in Eschilo invece ( Prom. 1 18, Choeph. 246) non si accompag.n a necessariamente l'idea religiosa, pur se il significato tecn ico d i ' assistere a uno spettacolo ' si Jl08!1a ben so­ spettare nel titolo della perduta traged ia 8emooi "l 'laitf.Luio-raL ; v . fESTUGIÈRE, o p . cit., p. 1 3 . 1 8 Theaet. 1 5 5 d ; Hesiod., Theos. 265. 1 9 Heroo, I 30, 4-6, Plat., Les. XII 95 1 a c •

'

zo 21

22

Phaed. 58 b.

F ESTUGIÈRE, op. cit., p . 43. F ESTUGIÈRE, op. c it ., cap. IV, p. 210 ss. 47

1 \· . C ONT E M PLA Z I O � �;

Ioni : Anassagora a ffe r m a di essere nato dç 3ewQ(av f!A i':ou xui GEÀ�v,ç xui OUQUVOU �3• Solone viaggia percorrendo cO t;

QLa grec a muore e si tramuta in tutt'altra cosa, nell'età mediev a le .

51

I V . C ONT E M PLAZION E rato, si r i fi uta a lungo e ril utta ad essere scrittore ; il terzo secolo è particolarmente arido : riapri rà la vena dello scrivere Agosti­

no : ' ergo scri bendum est . . . '. L'ultima trasposizione dell'anti ­ chissima -3EroQ (a, v i va da p i u di sette secoli, in un processo che i mistici d i ranno ' via eminentiae ' innalza, con un estremo colpo d'ala del gen io greco, la fort una di q uesto termine al suo culmine. Per Plotino ' contem plazione ' è creazione ' : essa è innalzata a principio cosmogon ico : è l'unica natura delle tre i postasi supreme e del mondo stesso. a ppunto perché è il prin ­ c i p i o comune di operazi one - creazi one eterna - ; l a ' visione ' dell'oggetto, di cui era cosi ingordo il greco della classicità, s'è tram utata, di J!Eta-3EaLç io J!Eta3EaLç, da atto psicologico, in i postasi metafisica ; la -3eroQ(a platonica era ancora razionalismo e dualità ; la plot i n i ana, per vene eraclitee ed euripidee, è una di alettica dell' unità e conduce all' Io infinito. In questa subli mazi one del term ine 3EroQ(a e nella congi unta equazione 3EroQ(a = 1tO Lll OLç, a noi sembra di trovare il punto centrale della meta fisica plotiniana e il vivo cuore di tutto il sistema. Le Enneadi studi ate alla luce della ' Contemplazione ' e nella prospettiva della no(llaLç si adunano in un insieme dot­ trinale saldissimo : la no( llOLç infatti, è il ponte piu alto tra Dio e il mondo : su b specie aeternitatis o sub specie generationis ? domanda l'antinomi a tomista o kantiana. Plotino si rifugia in seno all'eterno. A questo approfondimento metafi sico della 3EroQ(a il Nostro non gi unge immediatamente. Si può stabilire con sicurezza che essa esula affatto nei primi trattati : è una conquista della maturità. '

5.

IL TRATTATo

TieQ1 cpuaEroç xa1 3EroQ(aç,

xu1

toii

Évoç.

Il trattato ( I I I 8) s'inizia in tono sommesso, con brevi note di preludio. Cosi lo lesse Ficino che volle, questa volta in tutte le Enneadi, d istaccarlo dall'insieme del libro, sottraendolo alla numerazione dei capitoli, e aggiungendo al consueto sommario una speciale d idascali a : ' Proem ium de contemplatione ' . Si avverte sùbito che la cerchia intima della synusia questa volta è piu attenta, come in un presentimento . ' Ma si, c e l iamo in

prin c i p io, prima d i argomentare sul

serio : no i

potremmo dire, per esempio, cosi : Tu t to aspira a una contemplazione 35 Non c'è l'eco dell'in izio della Metafisica : e li)ÉVua'ç è ' ein schlafender Geist ', il ).6yoç estremo. Anche la natura rientra nello Spirito : freme in essa il movimento della vita. Tocchiamo il limitare dell'anima. L'ansia della ricerca, quel suo travaglio come di parto, la sua pregnanza, infine, suggeri­ scono al Nostro una similitudine : la creazione dell'arte. ' Giunta che sia essa alla sua particolare pienezza ' - egli dice - ' crea un'altra piccola arte quale può essere in un garzoncello che possegga una certa figura di tutta la grande arte del maestro '. Il processo, dunque, è il medesimo, in una trasposizione a una sfera superiore. Anche qui, come nella Natura, contemplante e contemplato ; anche qui la contemplazione crea un'altra contem­ plazione. Poiché, intanto, questo superiore processo si svolge nell'àmbito di ' cose già divine ' ( siamo nel regno della prima 56

1 I L RI S V EG LIO D E L L A N I M A

ipostasi, sulla via dell'ascesa contemplativa) già sentiamo il fremito dell'animazione universale, tro1t ex troijç. ' Si tratta, invero, di un'attività che tutto, dappertutto, precorre e non vi è un punto in cui manchi '. Nessun rumore, nella natura. Ma questo non basta, alle soglie dello spirito : un dio accenna col dito per un piu grande silenzio. ' Qui proprio nulla che affiori - dice Plotino - niuna esteriore contemplazione o azione che sia : nulla occorre all'anima se non di essere ' anima ', di essere, perciò, ' la Contemplante '. Quind'innanzi, la trattazione si svolge in un'atmosfera cosi rarefatta, in un rapido balenare di sottili astrazioni, da esigere il ' trapassar leggiero ' di altra logica. Il filosofo sfiora appena la nostra esperienza umana e ritorna ai suoi cieli contemplativi; E sembra ch'egli stesso voglia celarsi in quell' ' auriga che fa dono ai cavalli di quanto egli vide '. Esperienza incomunicabile per vie consuete. A noi non resta che guardare l'azione umana, la quale è, pur essa, orientata a contemplare : ' come se gli uomini ' - dice Plotino - ' impotenti a raggiungere qualcosa per diritta via, cercassero poi di conquistarla, con un giro smarrito '. Perché, ora, Plotino non celia piu. Ha cura di dircelo, quasi timoroso di }asciarci oltre in quell'atmosfera irreale, tra le om· bre della natura, presso alberi e pietre sognanti. E veramente a noi sembra di ritrovare in questa parola morta, su questo testo tormentato e malsicuro l'eco di quella parola del passato, il senso di quella trepidazione e la traccia di quell'incanto. Se vi furono presenti gli gnostici avversari - come vuole lo Harder - essi dovettero pur sentire quell'altra e superiore serenità contem­ plante, cosi lontana dalle loro intricate eogonie. Ormai si procede serrando da presso l'argomentazione di una • dialettica della contemplazione ' di cui Plotino ci lascia l'esem· pio piu compiuto, nell'antichità, in pagine che, a volte, sembran cadute dalla penna di un romantico, se pur non si debba dire che ad esse o direttamente o attraverso il gran fiume cristiano in cui si versò questa vena neoplatonica, divenute ormai patri­ monio universale dell'umanità, il pensiero di ogni tempo abbia attinto copiosamente. Anche la virtu creatrice dell'anima è in definitiva ' contem­ plazione '. Anzi, l'anima è la creatrice per eccellenza perché essa è vita. Quando Emerson disse che vivere è creare, mentre imitare è morire, chissà se pensò che sedici secoli prima Plotino aveva detto altrettanto, se pure in un tono piu basso e meno 57

l \' . CONTEM PLAZIONE

sentenzioso. ' La contemplazione che non seppe ancora appro­ priarsi tale dualità fa pensare a quei concetti che pur essendo presenti nell'anima non creano nulla. Ecco perché si esige che il concetto non sia qualcosa che derivi dal di fuori, ma sia, invece, reso tutt'uno con l'anima di colui che apprende, fino al punto ch'essa lo ritrovi essenzialmente suo ' . Queste considera­ zioni offrono non pochi spunti e suggestioni nei piu diversi territori dello spirito, nell'estetica in ispecie, se è vero, al dire di Michelangelo, che si dipinge non con le mani ma col cervello, e se Leonardo non creò mai tanto come q uando stava immobile dinanzi all'affresco intatto. Ma a noi preme restare nel campo del puro pensiero a perseguire questa dialettica teorica, la quale giunge a un approfondimento gnoseologico tale che ci fa restare a lungo perplessi tra Platone e Schelling, tra l'idealismo antico e il moderno. Ecco uno dei testi piu intensi : ' Vero è che l'an ima, allorché l'oggetto è stato unificato da essa me­ d iante a ppropriazione e si è pure, nondimeno, determinato in se stesso. lo enuncia e lo ha li pronto, a portata d i mano : gl i è che lo possedeva già, nativamentP, ed ora lo riconqu ista con l'apprend imento e a furia di vederselo li, ella si estran ia, in certa guisa, da se stessa e, per tra ­ mite d i pensiero d iscorsivo, scorge tale oggetto come qualcosa di estra­ r:eo e d i differente da se stessa ; e dire che anch'ella era un Myoç, anzi « Spirito " persino . . ' ( III 8, 6). .

6.

S EN S O D ELL' IDEA LI S M O PLOTINIANO.

Noi siamo ben consapevoli del rischio - piu o meno bello in cui s'incorre ogni volta che si studia un antico con sentimento moderno. Rodier e Festugière negano, con risolutezza, ogni inter· pretazione idealistica in senso moderno, al primo idealista antico - e noi siamo con loro ; ma non si vuoi dimenticare che è tutt'altro che certa la interpretazione del fr. 5 di Parmenide tÒ yàQ aÙtÒ 'VOEL'V eadv tE xat elvcu tra le posizioni antitetiche del Diels e del Burnet. Il Festugière dà prova di grande sotti­ gliezza nella lettura di questo tormentato frammento, ma si sbri­ ga troppo facilmente della interpretazione che Plotino stesso ne diede : ... [ Parmenide] dç taÙtÒ Òuvijyev òv xa\ vo'Uv ( V l, 8). O che gli antichi non si possano neppure interpretare con gli antichi ? Ma, quali che siano le soluzioni sulla natura dell'idea­ lismo platonico e di quello parmenideo ( non si comprenderebbe molto la venerazione di Platone per il ' Vegliardo ' di Elea se nell' eòv Platone avesse dovuto scorgere la ' sfera materiale ' del 58

' L I DEALISMO Q (a è ascesa oltre, dall'Anima) 8T}Aov6n 'Ì\a"l ( è evidente ormai) sv QLa - novissima Ebe - toglie il posto a Eros. Ma il frutto è il medesimo : nell'antica tazza di Ganimede si sono mescolate le stille amare della cicuta di Socrate e il succo ebbro di nettare platonico, per distillar piu prezioso, alla sete degli uomini, il liquore della vita, proprio quando il nappo olimpico è presso a infrangersi negli ultimi giorni del millennio romano ! La pace e la morte : Pace in mezzo all a genti, sul mare albàsia tranquill a priva di ven ti, sonno immune di duolo a chi gi a c e . ( Conv. 197 c, vers. Calogero).

Contemplazione è silenzio. Come insiste, Plotino, sul silenzio ! Un sentimento vasto, sconfinato di solitudine, di rapimento, di oblio l'accompagnano e lo fasciano ; ma esso non cade fuori della nostra esperienza psicologica, non trapassa sul terreno della cosmogonia, come in quelle torbide fantasie gnostiche che fecero della ' diade inetTa bile ' dell'Abisso e del Silenzio la generatrice del Nous. Concretamente, si tratta del silenzio infi­ nito dell'anima umana contemplante e dell'anima universale similmente contemplante e creante : esso suggeri il tratto che piacque ad Agostino : ' Si cui sileat tumultus carnis, sileant phantasiae terrae et aquarum et aeris, sileant et poli et i psa sibi anima sileat et transeat se non cogitando .. . ' ( Conf. IX 10, 24·). Proclo parafrasò questo luogo : ma è meglio leggere Plotino stesso : ' ... libera dall'inganno e dal fascino che hanno sedotto le a l tre anime, cont em pli , l'an ima : sia anche a lei pacato non solo il corpo

in serenità.

65

I V . C ONT E M PLAZIONE e

che la n • c i n g e pace la

il s uo t u m ul to, ma an !'ht• t u tto q u a n to la c ircon d a :

in

i n p a c e il m a re, e l ' a r i a e l o stcl'SO c ielo s i a n senza mov i ­

terra,

mento. E )'>f'n si, ella, che in q u es to cielo, d a ogn i parte i m m obile, u na a n ima dal d i

fuori si

rivers i e vi scorra d e n t ro

i r ragg i come i raggi del sole illuminano una

e

lo pervada tutta e lo

nube oscura,

aureola n d o l a .

dato ecco che lo desta dal suo i m moto torpore. Ed ora il della g u i d a intelligente del l'an ima, posto in eterno movi ­ un be a t o vivente. Cosi il c ielo deriva l a s u a d i g n i t à dal

C..osi l' a n i m a e n t r a t a n e l corpo celeste gli ha d a t o la vi ta, gl i ha

l'immo.r talità : ed c ielo, in virtu men to, d iviene

fatto che

l'an ima vi è stata ospitata, t'6SO che prima di t ale in grt'S!!O­

era un corpo morto, terra e acq u a . ch1� d ico ? , era e non

essere ; era " ciò che

è in ori io agl i cf è i

»,

oscurità di a tal uno

co me

materia piacque

d i re ' ( V l, 2 ).

Contemplazione che crea, nel silenzio ; anima umana che, avverte quest'an imazi one universale che da una tenebra morta trae l'ani m a[ magnum et perfectum ; il quale si adagia tutto, veracemente, nella contemplazione, ' quasi animai di sua seta fasciato ' ; perché - ed è questa un'altra idea cara all'intemperante panzoismo plotiniano - non è l'anima ch ' è nel mondo e nelle cose ; ma le cose sono nell'anima, come una rete nel mare 3 1 • Contemplazione è libertà. Il senso geloso d i indipendenza degli stoici, ascende per virtu di contemplazione, a libertà alcionica. O la fi sroQ(a fluisca, silentemente, in seno al trascendente o sovraccarichi la nostra casa d i argi lla, ella è sempre spontaneità creatrice. La spinoziana libertà dell'amor inteUectualis è semplicemente natura . Una seconda volta Plotino rifugge dall'abi sso gnostico del c a s o primordiale : e n'è tutto turbato. Nel piu teologico tra tutti i trattati plotiniani ( che Porfirio fece penultimo della Enn. VI ed è il 39. del canone cronol., non lontano dalla nostra tetralogia 30-33) Plotino ha d i fronte, nel tOÀJ.LTJQÒç A6yoç, un piu agguerrito gnosticismo, contro il quale avrà bisogno del concetto filoniano di libertà, per non cadere piu nello smarrimento di cui ci restano tracce evidenti : le quali stanno a documentarci uno stato d'animo tutto speciale, oscillante tra l'odio e l'amore, posto in mezzo com'è tra quella sua pura J.LEOOt1ll; ellenica e il tumulto inquieto del nuovo mondo nel suo lievito creatore : silenzio sa tra ged i a di un'anima eccelsa Anche qui, dunque, la itsroQ (a • nO L'lOLç spazia nella libertà, intesa come conformità al Bene. Le a zi oni, per contro, sono contemplando,

.

37 Ved i pure I V 3 , 9.

66

S U A TRA SPOSI ZIONE PERENNE

tutte soggette all'incantesimo. Solo la contemplazione sfugge alla magica trama delle cose e ai lacci del sortilegio ; rifugge dall'amore ch'è il primo incantatore : rifugge dall'odio ch'è il primo avvelenatore (L« nella sua piu alta J1etd&so�ç : Plutarco aveva dato il sublime nel campo morale, un Anonimo diede il sublime nel campo estetico ; Plotino offre il sublime, nell'Assoluto : doni, tutti, del Platonismo immortale. -

67

CAPITOLO V

IL DtMONE l.

IL 0 È M O N E STA ALL'AN I M A COM E LA C O N T E M P L A · O N E STA ALLO SPIRITO .

Zl

Un'altra parola universale del passato, di quelle che non muoiono - desinunt ista, non pereunt -, e trapassano, con nuovi sensi e contenuto ognora piu ricco, nella dotazione umana della soria, è 3a(J.Lrov. Ne fu patria la Grecia. Risalendo ai primordi del mondo ellenico e attraverso i secoli, tra fantasmi di poeti, concetti di filosofi e credenze popolari, subendo t a l o r a influenze straniere ma imponendo s e m p r e , ai barbari, la sua forma essenziale, il dèmone si dispiega in una storia prodigiosa - in cui rivive il sentimento delle forze misteriose che operano sul mondo - atteggiandosi con uguale facilità all'astrazione filosofica, alla finzione poetica, alla liturgia del culto. Natura proteiforme, a volte è ferma in uno splendore apollineo, a volte scorre e baccheggia, dolorando, come un Dioniso tragico : la sua categoria ideale s'addice bene all'A n i · m a , intesa plotinianamente nel suo valore ipostatico, come ( lo vedemmo altra volta) la categoria della Contemplazione si ad­ dice perfettamente allo S p i r i t o ; e se la Contemplazione è eterna forza creante, il dèmone è la sua eterna creatura : la &erop (a risplende nella gloria solare dello Spirito ; il 3a( J.LCOV è pallido come la luna, ove Plutarco raduna i dèmoni a torme 1 • 2. ITINERARi DELLA DA IMONIA .

Tra i filosofi, era stato ancora Talete il primo ad insegnare : ' Il mondo è un essere vivente pieno di dèmoni ' 2 • La Jonia e l a l

Plutarco, D e Facie i n orbe Luna e 30. D i o ge n e Laerzio, I 27 : ciQX'Ì)V at -rrov MV'r(I)V u6m Q Vmcm\CJO."tO, xul 'tÒV KOOJA.OV EJ''Iji\JXOV xul au�JlOV(I)'Y Mft QTI ( DIELS, Vo1"8okr.• 1 1 A l ( l 68, 28) e ss.) o nÀftQTI &soov ( Arist., De A nima A 5, 41 1 a 7).

2

68

J L CAM M INO DELLA DA J M ONIA

Frigia, rifugi di esuli Achei • , furono, notoriamente, paesi de­ moniaci. Tra i nuovi arrivati, irrequieti e sognatori, e la terra ionica, fumante di vulcani e squarciata da terremoti 4, corse un fiotto di simpatia : dalle paurose voragini, chiamate piu tardi ' plutonie ', i dèmoni, imperversando, turbavano la f e d e nascente a Colossi e ad Efeso :� ov'era regina proprio essa, la lunare Artemide 8• Ma in principio non fu cosi. Mori nella superstizione di Por­ firio e cadde poi nell'inferno cristiano lo Spirito demoniaco che era stato cosi puro e bello nel suo mattino come il suo biblico e stellare fratello, Lucifero. I dèmoni che pullulano tra le acque di Talete discendono, in linea diretta, dal �a(J.LroV eroico di Omero 7 ; il termine 8, anzi, è preomerico ed or fico e risale alla piu schietta religione ellenica nella sua apparizione cretese. Dal mito antichissimo alla poesia esiodea e da questa alla nascente filosofia, in tutto il suo cammino dal primo poeta all'ultimo filosofo, il �aLJ.LCOV si trasfigura come si trasfigura l'uomo nella storia ; ma prima che Socrate lo ascolti fermo sul campo di battaglia, come Giovanna d'Arco ascolterà le sue voci, prima che Platone lo tramuti in Eros vagante ' senza tetto e 3 Strabone, XIII l, 3 s. 4 Tacito, A nn. XIV 27 :

eodem anno [60] ex inlustribus Asiae urbi· bus Laodicea tremore terrae prolapsa, nullo a nobis remedio, propriis opibus revaluit '. s Col. 2, 15. 18.23 ; Eph. 6, 13. S. Paolo ha di fronte lo Gnosticismo. 6 Act. App. 19, 34 s. 7 V. UNTERSTEIN ER, Il concetto di 3ULJUO'Y in Omero, in • Atene e Roma », VII, 1 939, p. 93 ss. 1 3aLJ.L(I)V (o, f)) dio o dea è riferito da Omero ( Il. I 222 ; III 420) e 6aoç negli Inni omerici ( 19, 22) a divinità determinate e sostituiace in Od. VI 172 e XXI 201, in Pindaro e nei Tragici ; ordinariamente, però, ha il senso generale e un iversale di ' divin ità ' : OOLJ.LO'V � tooç Il. V 438 ' uguale o simile a u n d i o ' ; quindi potenza divina, divinità, numen in opposizione alla persona del dio : d i qui volon tà, vita intima del dio e, deducendo, sorte venuta dal favore o dal d isfavore della divinità : 'tVX1)V xaì OOLJ.Lovaç Plat., Resp. 619 c o 3aCJ.Lovoç Wx'l Pind., Ol. 8, 67 e Eur., lpp. 832 fortuna e caso : di conseguenza, destino delle cose e degli uomini, bea-t itud ine (evoo�J.LO'VLa) o morte : · OOLJ.LO'VU 3cOCJ(I) : di darò il tuo destino ', cioè la morte. Pure, già in Esiodo o\ 3aLJ.LOVl!c; significarono le anime degli uomini dell'età d'oro, sorta di geni tutelari in termediari tra gli dèi e gli uomini ( Op., 121). E, generalmente, dopo Omero sono dèi inferiori tra il dio e l'eroe ( Plat., Leg. 738 d ; Resp. 342 a), o al séguito degli dèi o nati dagli dèi ma non dèi essi stessi. Il senso estremo e deteriore, nella class i cità, fa coin cidere il 3aLJ.LCOV con l'an ima dei morti. Sono OOLf.I O'VEç gli spiriti dei trapassa-ti, le ombre che possono eMere evocate : Esch . Pers. 620 ; Eurip., Aie. 1 003 ; Luc., :n:EQÌ. :n:évDouç 24. •



.

69

V. IL DÈMON E

senza calzari ' ", la poesia ne ha già trapiantato la instabile natura dalla estrema figura fisica del mondo, nella personalità morale dell'uomo. Omero anticipa Eraclito che ne scolpisce il carattere etico : �flo; àv8Qro:n:q> 6 a ( 14rov 1 0 • 3 . DA 0M ERo A SoaL �OVLOV tL : ma qui l'uno e l'altro termine sono tuttora un enigma. Chi è Socrate? Quale il suo dèmone? 1 5 Certo, di fronte al dèmone omerico, giovanile e vivace, con· trapponendo questo socratico, quasi senile e inerte, che ferma in lunghi indugi quel Sileno senza ebbrezza, vien fatto di do­ mandarci se non sia forse un antidèmone tale spirito dissua­ dente che suggerisce solo inibizioni, questa forza celata che i rrigidisce come la torpedine. O siamo forse di fronte a una negazione della natura greca come pensava il Nietzsche allorché tentò di scacciare Socrate dalla grecità 1 6 ? È cristiano, Socrate ? Cosi il ba(�rov socratico arresta noi pure coi suoi divieti. Non fare. Non dire. Non conoscere, anche, se non, forse, se stessi, vale a dire il proprio dèmone. Non vivere, persino, come se fosse lui stesso, il dèmone, 1tE LO' L3dvatOç : perché finanche Alci­ biade, in balia del dèmone socratico, ha l'anima in tumulto e si trova in tali condizioni che non metta piu conto di vivere 17 • Morire, dunque. Aggiungiamo accanto a Meleto, Anito, Licone, quarto accusatore, il dèmone, che versa a Socrate l'ultima goc­ cia di cicuta. Davvero, tra il dèmone di Alcibiade che accorre, ignudo e splendente, al fianco della flautista, al convito di Agatone ( pen­ sate al dipinto del Feuerbach) e il dèmone che ha irrigidito il vecchio alla soglia, corre un abisso. Eppure noi non sappiamo pensare Socrate senza Alcibiade. Platone li ha uniti, per l'eter­ nità ; e Nietzsche non riesce a separarli. Il dèmone ha vietato a Socrate il coro e la tragedia per !asciargli la favola ! È lui che diffonde tra gli Ateniesi la voce che Socrate dia una mano ad Euripide nella sua tragedia borghese ; e noi possiamo con­ tare tra le malefatte del dèmone la rinunzia di un poeta - Pla­ tone - alla poesia. Ma, q uel che piu conta, il dèmone, sganciato ora dal rito orfico e dal mito esiodeo, s'è chiarito, nel procedi­ mento socratico, come un oracolo che a volte immane a volte trascende, a volte risuona dal di dentro, a volte chiama dal di fuori ma per mostrare ancora il di dentro 1 8 • Socrate non lo sa ; 15 C f r. V. DE C APRARIIS, Per una interpretazione di S ocrate, in « Pa­ rola del P assato » , II, 1947, pp. 1 68- 188. 1 6 F. NI ETZSCHE, La nascita della tragedia (vers. d i E. Ruta), Bari, 1925, p . 103. 1 7 Symp . 2 16. 1 8 M i sembra assai ò i scu t i b ile l'asserz i o n e d el Bou l a n ger : ' Quanto al

7l

V.

IL DÈMONE

ma lo sa bene Alcibiade : • Dico dunque che egli somiglia m ol ­ tissimo a quei Sileni . .. che poi, aper ti in due, fan vedere che nell'interno contenp;ono immagini di Dèi ' 1 11 • ' Quanto a me - continua Alcibiaùe - le vidi già una volta, e mi parvero cosi d ivine ed auree. e bell issime e meravigliose da dover fare senz'altro ciò che ord inasse Socrate ' 2 0 , Demonico è in Socrate quel suo rifuggire dalla stabile e sta · tica posizione dommatica, ond'egli sembra non gi ungere mai a una conclusione certa : ciò che gli preme è destare, in chi ascol­ ta, il turbamento e la critica, il dubbio e l'angoscia. L'interro­ gazione viva della dialettica, in cui r iconosciamo il s o c r a t i z z a r e , è vita demonica. Tra la x6A.1ç e Socrate non c'è altra conciliazione che la morte. Solo questa placa, nella serenità dell'ultimo dialogo, il dèmone di q�ella incomparabile vita . 4. IL DÈMON E PLATONICO.

Platone toglie il dèmone a Socrate e lo presenta in fi gu ra di 1 Eros - �llL!J. m J�Ie

E U R I PIDE A

> 4 •

2 Die Glaube der H ellenen. II. p. 4-98. 3 PLUTARQUE, Yies, I, Paris, 1957, p. XXXI. 4 H UIZINGA, Mein W'es zur Geschichte (originale, di W. Kaegi), Basel, 1947, p. 72. 111

inedito ;

vera.

ted.

\' 1 1 .

7 . L' u o M o

l ' L I T o\ R f : O

I S HCO

E D E LF I C O

E I L T E M Po.

Tant'è pe r la sto r i a plutarchea delle Vite. Qui in v e ce , nei q uattro trattati rel i g i o s i . si tratta proprio di questa qualità che lo storico persegue. In essi, inoltre, la storia plutarchea t e n d e a presentare un ritratto pi u ampio che non sia quello della singola persona, poiché m i ra a descrivere le condizioni, il genere di v i t a . .le idee politiche, morali, estetiche di quel periodo, a dare l'im­ magine del tem po e del destino umano. Non Aristide o Catone delle Vite, in parallel ismo tra loro, ma l'uomo universale in pa­ rallelismo col tem po e col destino. Soprattutto, la sensazione della vita d i quel tem po. In q ualsi asi tempo, in genere, la sensazione di esistere. per una creatura sensibile, dipende dal travaglio del passato e dal travaglio dell'avvenire, fusi in una sola angoscia. L'Ateniese dell'età fidiaca non era oppresso dal passato e n on era pensoso dell'avvenire. Era giovane, solo. Perciò ebbe un'arte cosi pura. Ma l'uomo plutarcheo dei Moralia non è piu l'eroe delle Vite che vibra solo nel presente. Il passato l'afferra pe r il lembo del suo mantello o il futuro lo chiama con mani invisibili. L'uomo, magari il piccolo uomo, del suo tempo, nella sua nascosta magnanimità. In particolare, i personaggi dei suo i dialoghi che Flacelière ha analizzati, ad uno ad uno, amorosa­ mente. Gli amici di Delfi e di Cheronea, gli ospiti di Roma. magistrati, consoli, principi. L'avo N icarco contemporaneo alla battaglia di Azio ( 31 a.C.) ; il longevo nonno Lamprias, il pad re Autobulo, il fratello Lamprias e Timone, la moglie Timossena, i figli Autobulo, Plutarco, Cherone, Soclaro, tutti avvolti in una temperie affettuosa dolcissima che alimentava il « gusto » del bene e della virtu. Personaggi, questi e gli altri, avidi di sapere cc desiderosi di vedere e d'intendere » come il brillante nobile Diogeniano q>LÀ.o3eaJ..I. ro v xal q> LA.'ll x ooç , come il platonico Am­ monio, maestro, in Atene, di Plutarco. È il suo Socrate. È la Grecia eterna, insaziabile di contemplazione ! E poi Clea, la sacerdotessa di l si de : la tacita virgo delfica. A legittimare questa nostra interpretazione storica dei Moralia delphica e isiaca di Plutarco ci aiuta Mare Bloch, che suggellò la sua opera storica con una morte degna degli eroi di Plutarco : > ; o ci fa con­ versare con i sacerdoti, alla maniera del vecchio ' maligno ' Erodoto. Ci par proprio di vederli vestiti di lino, di probità, di sapienza, e persino nei loro volti lisci glabri pallidi e regali : c• gli Egiziani desiderano che i loro corpi cingano le anime, agili e leggeri, e non soffochino e opprimano la parte divina con la preponderanza dell'elemento mortale > > ( De ls. et Os. 5). Ecco li uno scriba del tempio ; che c'è mai nel suo sguardo fermo e intento mentre svolge il volume di papiro su le ginoc­ chia incrociate ? Ascolta un dio, un re, un sapiente ? Una rive­ lazione, certo, è nelle pupille larghe e assorte, mentre lo stilo sembra cadergli da le dita stanche di aver tracciate i segni che saranno cosi misteriosi. Ed eccoci, nel De defectu, alla pagina piu suggestiva e poetica di Plutarco : il racconto di Epiterse. I naviganti che veleggiavano verso l'Italia, udirono, dall'isola di Passo, una voce misteriosa o, meglio, un grido che chiamava Tamo, il pilota egizio, e gli comandava di annunciare, appena fosse giunto nei pressi di Palode, la morte di Pan. Dopo molte esitazioni, infine, nella cc gran pace dei venti e dei flutti >> Tamo, da poppa, con lo sguardo rivolto alla riva esclamò come aveva udito : cc Pan, il grande, è morto >> . Egli non aveva n eppur finito che un immenso gemito, non di uno ma di tanti, s'innalzò misto a grida di stupore >> ( c. 1 7). Parabola o storia ? . Simbolo o realtà ? Tutto in questa pagina concorre a dare una impressione di mistero e di sgomento. Da Eusebio a Rabelais, da Welker a Nock, le interpretazioni piti diverse si sono avvicendate senza diradare il mistero di quel grido. cc Ce récit merveilleux peut faire rever ceux qui seraient tentés

1 15

\" I l .

P L L. T A R C O I S I A CO E D E L F I C O

d ' y chercher q uelq ue rapport mystérieux avec la mort du Christ. ,, cosi Paul Decharme 1• Fu Rabelais a subi re q u esta tentazione e a fare questo sogno : per lui. Pan è in linguagg i o poetico e bucolico, il bonus Pa.stor del V angelo che dà la vit a per il suo gregge, è Cristo stesso alla cui morte furono LA6Aoyoç 8è ( V ila 1 -1., 1 9·20), Plotino è filosofo e non fi l olo g o , nel senso st retto dei term i n i, e, per g i u n ta , fi l oso fo > ( IV 4, 9, 2 ; Phil. 30 d) è già fuori del leggendario mi­ tologico dal momento che noi - confessa Plotino - parlando di Zeus, ci riferiamo a volte al Creatore a volte al « principio 3 Cfr. A. WESTERMANN, MuOoyQcicpo,, Scriptores poeticae historiae Graeci, Brunswick, 1843. ' Cfr. Seneéa, Contr. V, 36, 38i : Non vidit Phid ias Jovem ... dignus

tamen illa art e

animus et concepit et exhibuit. 123

. VIII.

MITO

E POE S IA NELLE

ENNEADI

reggente di questo universo » ( IV 4, 10, 4) . Ma l'ambivalenza giunge fino all'ambiguità, anzi al sovvertimento di tutto l'or· dine tradizionale della teogonia esiodea : Zeus - dice Ploti· no - è il più vecchio tra gli altri dèi, ond'egli apre il corteo per condurli alla visione della bellezza ( V, 8, 10, 4). Quindi è che lo SpiritQ della Bellezza, che è poi, sic et simpliciter, lo Spirito, è più in alto della divinità mitica dell'Olimpo ; finché Zeus stesso via via si traspone, s'impregna, come di novella ambrosia, dell'alta temperie metafisica, sale in compagnia di Afrodite - oscillante, anche questa, oltre la dualità platonica di Urania e Pandemia - sino a categoria filosofica. Ma Pio· tino è restio a precisare e non sembra preoccupato di contrad· dirsi, mentre discorre nella selva dei miti. N o n h a n e s s u n a p r e o c c u p a z i o n e d i o r t o d o s s i a . Prende a caso, dove gli piace. Talora, c'è persino un'ombra di linguag­ gio cristiano e trinitario di vaga derivazione evangelica, arieg· giante al IIeQÌ. CÌQXWV di Origene là dov'è detto che l'Uno > e enuncia, come successive, verità simultanee. A tacere dell'abisso che separa la Trinità cristiana dalla Triade plotiniana, anche questa eter· nità della teologia plotiniana la distacca dalla concezione sto­ rica della Rivelazione cristiana. La corri s ponde n za tra Spi rito e Cronos è più accentuata. Vorrei dire che qui la fonte non è tanto quel po' di teologia che si poteva ricavare dalla tradizione m itologica, quanto, p iut -

.

.

-

125

V III. M I T O E

POE SIA NELLE ENNEADI

tosto, lo spirito religioso e la pietas di Plotino che, indulgente alle devozioni di Amelio, vuol esemplificare su le moribonde divinità dell'Olimpo, in q uesta malinconica Gotterdammerung , il suo più alto pensiero : la nascita, cioè, dello Spirito e del Reale. Plotino redime il mito crudele e torbido di Cronos in­ fanticida ( Hes., Theog . 1 26-210 ; 453-506 ; 617-753). t lo Spi­ rito che si dtializza e si moltiplica senza perdere gli oggetti del suo dualizzarsi e del suo moltiplicarsi . Come Cronos, lo Spi­ rito serra in sé la sua genitura per impedire che cada nella materia ( Rea). Il Cronos mitico suggerisce a Plotino questo tratto stupendo : u Incinto di una creatura bella, Egli ha sen­ z'altro generato in se stesso il Tutto e serra in sé senza dolore la sua pregnanza. Egli si compiace del suo nato ed esulta per la sua discendenza che trattiene presso di sé tutta quanta nella festante lietezza del suo e del loro splendore >> ( V 8, 1 2, 5-7). La gelosia snaturata e infanticida del Cronos esiodeo c c s'adou­ cit - nota Pepin - en un besoin assez noble de complétude et de satiété » 5 • Eccoci a Zeus che chiude la triade olimpica. La teogonia narra che questo ultimo nato fu sottratto alla ingordigia pa­ terna dallo stratagemma della madre Rea ( vv. 468-491). Filo­ soficamente, è Myoç anch'esso, come gli altri rimasti in seno al Padre, cioè nel regno dello S"p irito. Sono questi i Àoyo L h� ufOeto L. Zeus è l'unico Àoyoç nQOq>O Q LXoç: « Uno solo - dice Plotino, che accoglie l'esegesi stoica del mito - Zeus figlio, s'affacciò al di fuori » ( V 8, 12, 8-9). Imago Patris. Rappre­ senta l'Anima universale, il Demiurgo, la Vita. Zeus = tro"Jl . Plotino gli attribuisce la paternità delle anime individuali e la pietà per i loro legami e i loro errori . 3 . LA TRA S POS IZIONE DI

EROS .

Più delle altre divinità olimpiche, Eros piacque ai filosofi, a Platone come a Plotino, proprio per via della sua instabile natura demonica ; cc fuggitivo » come nell'idillio di Mosco e 5 PEPIN, Plotin et let. Mythes in " Revue ph i.lo soph i qu e de Louvain >> Lo stesso st u d io s o nota che l'identificazione pl ot in i an a , C ro nos = Sp i ri.to , è fondata su un a strana etimologia s to i c a , attestata d a Cicerone : " Saturnus autem est appellatus quod sawretur » ( De nat.

53, 1955, p. 22.

deor, Il, 25, 64). In latino

su o n a piu chiara che in greco : Satur + N us = Saturnus. KoQo� + vouç =KQ6vo� ( Cfr. Plat. Crat. 396 b). S. Ago st in o operò addirittura u na contaminatio, s cr ive nd o Satur voiiç ( De consensu �vangelistarum l, 23·35, ed. Weihrich CSEL 43, p. 33, 12· 1 1). Su tu.tto

126

LA DIALETTICA DI EROS

nelle pitture pompeiane, si trasforma e si traspone perenne­ mente nei concerti della filosofia, sfuggendo ad ogni ferma categoria. Su Eros grav i ta molta parte del platonismo ch'è una « filo­ sofia dell'amore , come ben vide Robin. Vi si fermò anche la pietà delfica di Plutarco. La forma omerica della leggenda si ammorbidi via via e si raggentili sino al delizioso racconto di « Amore e Psiche l> , che Apuleio tinse di magia ( Met. IV 28-35 ; V 1-31 ; VI 1 -24). Al complesso dei miti intorno ad Eros, Pio· tino volse piu volte la sua attenzione, all'inizio della sua atti­ vità di scrittore ( il IX trattato dell'ordine cronologico, corri­ spondente al VI 9, ultimo della tavola enneadica), nel momen­ to culminante del suo insegnamento ( XXVI = III 6, uno dei più ricchi di virtù speculativa), e infine, nella tarda vecchiezza ( L = III 5) in quel trattato çhe è apparso al Bréhier elemen­ tare e scolastico. Plotino afferma la sua varia esperienza di Eros xat EV yQaq>aiç xaì. ev J.nl6o Lç. Come Platone e come tutti i greci rispetta il grande dèmone. In omaggio al processo cronologico qui seguito, notiamo che la prima forma gli si presenta pro­ prio nella fresca favola di Amore e Psiche. Ma Psiche è iden­ tificata con Afrodite cioè con la divina bellezza perché essa è d�Q6ç cioè incantevole ( cfr. Phil. 30 d ; Phaedr. 246 e). Insen­ sibile all'elemento romanzesco e ostile all'elemento magico, Plotino riduce il mito alla sua semplicità nativa. L'anima è una cc vergine di nobile padre )) ( VI 9, 9, 35) come Nausicaa. ed è essa stessa, una Afrodite, cui è cc nunzialmente unito >> Eros. Non un Eros, uno degli Eroti, ma proprio lui, Eros, « le désir de Dieu » traduce P. Arnou. Eros che sdegna « gli amori di creature, mortali e funesti amori di fantasmi » ( ivi). Questo Eros, dio e dèmone, non è essere ipostatico ma atti­ vità inesauribile, è l'oggettivazione mitica del moto perenne dell'uomo e della storia, è piu alto « io l> , nella gradazione della vita spirituale. Il grado inferiore della daimonia è la nemica materia, odiata dai Numi, la mendicante, madre, non per dritta via, di un Amore scalzo e irrequieto che è il corpo del mondo, anch'esso dèmone ( II 3, 9, 45-4 7). La triade Eros Poros Peni a, corrispondente alla egizia Osiris Isis Horos, risaliva alla inter­ pretazione sincretistica di Plutarco ( De fs . et Os.). Ma qui questo cfr. P. HENRY, Plotin et l'Occident, Lou vain, 1934, pp. 79·82 e P. CouRCELLE, Les Lettres grecques en Occident, Paris, 1948, pp. 1 6 1 -3 .

127

\' I I I . M I TO

E POESIA NELLE ENN EADI

Plotino traspone le varie allegorie fisiche del mito su un piano metafisico e morale ; e somiglia piuttosto a Filone 8• Eros segna il passaggio tra il mito olimpico e la liturgia orfica. Di colorito or fico è l' ÈQaOJ.LL OV di VI 8, 15, l, che fa ricordare l'inno orfico LVIII. 57 : XLXÀ� oxro J.tÉyav, dyv6v, E• Q u ..l. O J1 l O 'V ! 't')uU'V c � ' "E QOOta. 4. LE

FONTI

E

l M ITI

ORFIC I .

Una caratteristica costante di Plotino è quella di rifarsi all'antico, all'antico vero e proprio, non all'arcaizzante e al callimacheo, ma all'antico e al classico. Il suo è un animus antiquus. Ecco perché ricorre ognora agli ' antichi, beati filo­ sofi '. Ai più antichi, anzi. llavu :taÀ.aLot ( VI , l, l , 2) ; roç :taÀ.aLotÉQrov À.a�6vtaç ( II 9, 6, 37 38 ) Critica i moderni, gli gnostici, roç tijç ÙQXa(aç "Ell't')VLXijç O'ÙX d:tt6 J!EVOL (Il 9, 6, 6-7). Non va a caccia di rinomanza col gettar biasimo su uomini già vagliati sin dall'antichità clvaQaç XEX( HJ.tÉVouç Èx :taÀ.aLOV ( cfr. anche V 1 . 8 , 12 e II 9, 10, 13). Tuttavia egli è nuovo e originale attraverso questa illusa e ingenua fedeltà d'interprete . Perché questa sembra essere la vera legge del nuovo ; l'autenticazione su l'antico, il quale. solo in tal caso, visto cioè con anima nuova, si presenta > . Nulla è passato. Tutto è contemporaneo. È qui il segreto della bellezza e la sua essenza. In questo senso Plotino è orfico, e non già nel senso che faccia sue quelle antichissime dottrine, nella tradizione pita­ gorica, cui è legato attraverso Platone, e neppure nella osser­ vanza del precetto di astenersi dal sangue ( cfr. Aristofane, Rane 1032) come ci dice Porfirio che materializza tutto. La dottrina e la vita pratica sono certo costitutive della persona ma non sono il tutto di essa. Ora Plotino, per noi, è uno spi­ rito orfico perché crede nella musica, nella bellezza, nella re­ ligione, nella purificazione. Crede nell'amore e non crede nella morte. > che sono appunto orfici 1• È molto probabile che ne conoscesse l'in­ nografia, come provano alcune corrispondenze, ad esempio, tra V 8, 4 e l'Inno orfico LXI, 2 8• Cosi s'alternano, nelle Enneadi, e sembrano bilanciarsi miti olimpici e miti orfici, superi ed inferi 11, la religione solare apollinea e la religione misterica e terrestre. Grande figura del pantheon orfico è Efesto presentato non già, omericamen­ te, al convito degli dèi, ma solo e sublime, nell'opera demiur­ gica del mondo : c c Ed ecco il punto dal quale si può cogliere, per usare una immagine, la visione di quella statua, immensa e bella, che sorse sia per un intimo fiato spirante sia ancora per l'arte di Efesto : stiano e sul volto e nel petto, rilucenti, le stelle ; ma anche altrove ve ne siano ... ( III 2, 14, 26-29). Piu tardi Proclo dirà quale concetto avessero di Efesto i teologi dell'orfismo : cc I teologi dicono che egli è il demiurgo e il creatore di questo mondo visibile ; ecco perché Omero dice che egli ha costruito le case per gli dèi ( Il. l, 607) >> . Nell'inno orfico 66, dedicato ad Efesto, l'etere, il sole, gli astri, la luna appaiono ai mortali come membra ( J.LÉ�:fl) d i Efesto. Appartengono altresi a una tradizione religiosa che mani­ festa la sua vitalità sino a Sinesio alcuni termini, trasposti già da tempo immemorabile, come avvertiva Teone di Smirne, in sede filosofica, e che Plotino adopera, con nuova e ricca pregnanza, o soli o congiunti a due a due o allineati in serie o ascendenti in climax, e stretti sempre in callida iunctura : ÒQX� . alti:a, �acn;, :n:TJ y�, !}(�a , !}o� '0 • 7 Cfr. Willy THEILER, Die Chaldiiischen Orakel und die Hymnen des Srnesios, p. l , n o ta l ; pp. 4-6 e passim.

8

Secondo il Kern gli Inni orfic i f u ro n o composti a Pergamo nel I sec. v o l ga re . Cfr. ABEL, Orphica, Leipzig, 1885, pp. 55-102. 9 TI mito p it a go ri co dell'in ferno è a d o mb r at o in IV 4, 45. IO l 6, 9, 41-42 ; xaì. 1tTJY'ÌJ" xnì àpx,i)v 'tOii xa Àoii · .

dell'era

Il 5 , 3, 40 xaì. ÙQX'ÌJ xaì. 1tTJY'ÌJ ÙÀTJitOii� 'lji\IXfi� t'E xaì \' OU. I l i l, 4. 5 otov d cput'oii éx Qit;TJ� 'tÌJV ciox'ÌJv EXOVt'Oç. I I I 3, 7. 8-9, I l . . . . t'Ò ttèv yàQ d; ev ncivt'a àoxi) . sx QLt;'l�1 1 1 6. n . 1 8 : o s; àoxiic; Tjv. I I I 8 . 9, 4, 38-39 : ào'tt l'oii 8È cioxfJ - àUà ÙQX'ÌJ 8w';68ou xai

..

.

I I I 8, 1 0, 5 :

àox'ÌJ t;roijç: xaì àox'ÌJ voii xaì t'rov ncivt'rov. V01}> ; 2 H . Plotino fonde qui, dinamicamente, Platone e Aristotele e forse anche Eraclito. Il suo intento è di confutare quelli che non attribuiscono realtà se non a ciò che è visto con occhi corporei, mentre quanto piu una cosa ha numero peso misura, tanto meno è reale per Plotino. Quanto al mito della luce e del fuoco, introdotto con splen­ dore da Platone nel VI della Repubblica, nell'analogia che pone tra Bene e mondo intelligibile lo stesso rapporto ch'è tra il sole e mondo sensibile, Plotino lo fa suo a tal segno che la sua dottrina è apparsa una > 28 • Sarebbe necessario, indugiando su i miti filosofici che sono i piu vicini a quelli che Plotino chiama i > ( Vita. 1 3 1 .

La parola plotiniana è u n mito e u n incantamento 3 2 • Del resto, ogni linguaggio è bugiardo per chi ignora la sua natura mitica e poetica, s pecie in una filosofia q ual'è la ploti niana che s'aggira nell' invisibile e nell' intemporale . Di qui il valore della continua correzione limitativa plotiniana, olov, ch'è un po' simile al ' forse ' la piu poetica parola secondo Leopardi ; perché non si tratta qui di ' filosofare a fior di labbro ' (d:n:' clxQOU xdAouç q>LÀOCJO> ( Vita, 1 4) ; chiamiamole immag�ni filosofiche, q ue­ ste ; e lasciamole ad altro discorso in cui non si parli proprio di fonti. Quelle dei poeti sono, per lo piu, visive. Queste dei filosofi sono immagini di operazione, di azione, di movimenti, di sforzo, di potenza. Tra tutte, indimenticabile, è quella del braccio che si leva in virtu di una forza indivisi bile e presente tutta iri ogni punto del braccio ; se la mano solleva una verga lunga parecchi cubiti, la forza reggente si estende sino al limite della verga, indivisa e presente ; se s'innesta un bastoncino alht cima della verga la forza si estende ancora piu in là, sempre indivisa e totale. Supponi ora eliminata la massa corporea della mano : la forza è sempre li, tutta, dappertutto 34 • t il pensiero di Eraclito reso come un esempio dinamico : cc Camminando e per quanto tu percorra l'intero cammino, non potrai ritrovare i confini dell'anima >> ( B. Fr. 45). Si tratta di suggestioni, di direzioni della nostra virtu intui ­ tivà. Chi ottiene questo è un poeta 3�. 1 0.

TRA S PO S IZIONl

DA

0MERO.

Ì. OeA."ll V'll V cpa(v�· àQ Ul:Qt!:ltÉa, ote t' E:ltÀEto v�VEJJ.Oç at-3� Q . Plotino : [= aotQa) :ltQÒç tÒ OÀOV à Q L :lt Q E :lt ii xaì. :ltQÒç t Ò OrtJJ.U(Vt!LV EOtL.

147

V I I I . MITO E POE S IA NELLE EN� EADI

Omero anticipa Saffo ( aatE(>E� !J.ÈV a!J.Ì. xdl.av od.avvuv). C'è qualcosa al mondo di meno allegorico della poesia di Saffo ? Ma l'epiteto omeric,l a(> UtQExt]ç si carica di valore semantico XQÒç tò OT) J.'a LVE LV nella concatenazione universale (xpòç tÒ oÀov ). 8. Dèi e uomini.

All'ignoto testo ionico citato da Plotino in Il 9, 9, 22 : ot ( a ç , q>T) o Lv , dno U LV O J.LÉ'VTJ . . .

n.e

ll t jbtro v a ,

Ploti no : Et �é nç È � UOt Q aq> ijv a L Mvc. uto f\ X«Q' uuto\i f\ tijç 'A -6 TJ v à ç uutij; eutux�oaç tij; EA�eroç, 3e6v te xal autÒV xal tÒ n:àv (l\petaL. 27. Gli dèi pellegrini nelle città degli uomini. Enn. VI 5, 1 2 , 30-33 = Od. XV II, 485 -6 . ( Cfr. Platone, Soph., 2 1 6 c e R esp. 381 d).

Omero : Kai: t e 3eoì. � é vo L o Lv È o L xo t s ç dU o �a xoi o Lv n: a v t O L O L t e À É 3 o v t e ç , È n: L O t {) ro q> oo o L n: O À TJ a ç . Plotino : • All' o�tO L J.LÈV o t 3eo(, on n: a v t o i o L t e A é a o '\1 t e ç È n: L o t Q (l) q> 00 o L n: 6 À TJ a ç l et; Axeivov � È at n:6AeLç Èn:LOtQÉq>ovtu L xal n:àoa yij xaì. n:ciç ouQav6ç . . . 28. Antropomorfismo. Enn. V I 7, 30, 25-29 = .

Il V, 426 = Od . Il l, 597. .

V, 92 -3 .

.

( Cfr. Symp. 2 03 b ; Enn. I I I 5, 9, 36-37) . . O mero : 11 e ( � TJ o e v �È n: a t 'Ì) Q dv8Qoov te 3eoov t e . ( Il. V, 426).

Plotino : otu. . . �Le&uo3eì.ç Èn:ì. to\i v éx t aQoç xaì. Èn:Ì. �aitu xaì. ÈodaoLv xaì. tò 11 e ( 8 TJ o e v 8È n: a t 'Ì) Q •





29. Minosse, confidente di Zeus.

Enn. V I 9, 7, 23-24 = Od. XIX, 1 78-9. ( C f r . Legg. l, 624 ab ; Minos. 319 be).

Omero :

€vita te M (vroç èvviroQo; �uo(bue A L ò ç 11eydAou ò a Q L o t 'Ì) ç . Plotino : ot a v toro; xal M ( v w ç XO LOUJ.Levoç ò u Q L o t 'Ì) ç to\i A L ò ç Èq>l)J.LL03TJ dvaL. In vocazioni e apostrofi alla maniera omerica : Enn. IV 9, 4, 7 ; V l, 6, 9- 1 1 ; V l, 34.

La figura dell'araldo omerico suggerisce l'immagine bella di IV 3, 1 3 . 9. 1 54

D:\

E S I OD O

Ma, sul tema della l hdaocJLç:, c i sarebbe molto da d i re, attra­ verso i bellissimi testi : IV IV

4, 35. 43 ; 9, 3. 6-9.

IV

4. 24. 32-33 : 1 \' -t. 4.0 ;

IV

-t..

41 ; IV

4. 43 ,

I�NI 0 M ERif:I

l. I lluminazione div ina In Cererem, 279 �È cpéyyo; ÀaJ.&"E &sci;

tijb

cbò XQobç

à6 a,•dt o L O

. • .

.,

aùxijc; a · b:At] a&lJ " UX LV Ò ; MJ.Loc; àat8QO"ij; c.o ; .

può corrispondere . secondo i l Creuzer e il Bouillet, a V . 1 7, 28-32 :

3

Xl>'Ìl lc.opaxévaL "LOt8Ul HV, 'Ìl VO J.L L�ELV "aQeiVaL 3tav ro a "E Q &eòc; àlloç dc; otxov xaÀouvtoc; nvoc; U&rov cpmdan· f\ J.L� a· U&rov o·�x Ecpronaev. t6te aà

CICLI C I.

Fondazioni di città. In III, 2, 18, 1 7- 18, Plotino osserva che dalla distruzione di citta, quali Troia ecc., in vendetta di un ratto , si originano poi altre fondazioni ( xd ae L c;) di città nuove e fiorenti. l l. T R A s

Po

s I z I o N 1 DA E s ioDo .

Di Omero, Plotino senti la poesia e non sem pre la tramutò in allegoria. A Esiodo, invece, Plotino tolse il mito, senza pero mai nominarlo 4 1 • Un solo mito umano, dopo quello della triade divina : Pandora 4 2 • Ma gli apportò tali mod ificazioni - nota Pepin - che non si r i c o nosce piu il mito esiodeo. Invece di almanaccare altre possibili fonti, crediamo che Plotino non avesse alcuno scrupolo ad accomodare i miti al suo intento o a trattarli con certa negligenza . u . 4 1 Enn. IV. 3 , 1 4, 1 - 1 7 . 42 S u Pan dora Sofocle scrisse

u n dr a mm a satiresco, del qu ale c i è pervenuta una ra p pr!'sen lazione v a srolare. Fid ia la effigiò su ll a base d i Atena Parthenos. 43

Apollodoro,

l, i

=

IV, 3,

J.t. 1 - 1 i.

1 55

C fr.

Corn u t us, Theol. rompen-

V I I I . M I TO E PO E S IA NELLE ENNEADI

Nel sistema gnostico - secondo la testimonianza di Tertul­ liano e di lreneo - Gesù è una specie di Pandora. Il mito era stato interpretato diversamente da Plutarco ( De aud. Poet. 23) e, anche dopo Plotino, avrà altre interpretazioni da Giuliano ( Discorso V I, 194) e da Temistio ( Orationes XXVI, 338). In breve, mentre per Esiodo ( Op. 80-82) Pandora è, essa, « il dono di tutti gli dèi )) , per Plotino, invece, Pandora è tale ex toii �OOQOU xat :rtcivtrov ; inoltre essa è plasmata non dall'Efesto esiodeo, ma da Prometeo che rappresenta la Provvidenza. Que­ sto pezzo d'argilla indurito dall'acqua fu dotato di voce umana e di forma simile a q uella delle dèe. Venere, le Grazie, e le dèe tutte le fecero doni . Epimeteo, saggio, rifiuta il dono di Prome­ teo, per vivere nel mondo dello Spirito ( Cosi pure Imerio : Eclogae, p. 745, ed. Vernsdorf). ESIODO l. Il fuso deUe

M oire

Enn. II 3, 15, 9 - 1 2

( Da P lat. Resp. 6 1 7 d-e, 620 d-e). =

Theog. 904-6.

( Cfr. Theog. 2 1 7) . Esiodo : M o ( Q a ç & ' , i); n:ì..e (atY)V n Jll}v :rtoQe Jl'Y) t Leta Zeu; Kì..w 6ro te A axe a (v te xal ··A t Q o :rt o v , ai: te � L�oiiaL 6-v 'Y)toiç àv&Qro:rto LaLv È;ç àv ayxaio v t �V tiA t Q o :rt o v en:ayE LV.

Plotino

� L à ti\; Éxdatrov

Quanto agli dèi, mentre l'Apollo plotiniano è di schietta ispi· razione orfico-pitagorica ( V 5, 6, 26-28), altre divinità terrene, come ad esempio Hestia e Demetra ( IV 4, 27, 16-18) signifi­ canti appunto l'anima vegetativa della terra, sembrano piuttosto di tradizione esiodea. 2. La prerogativa divina.

Enn. I I I 3, 6, 16- 1 7 = Op. 1 26. dium. 188 1 ( L a n g ) , p. 3 1 , 19 s s . Cornuto ( Lucio Anneo) africano è m ae· stro del poeta Persio, grammatico e filosofo : •EmbQO JllJ 'tatT) n; &v, t o u ( Cfr. Hes. Op. 126). Il tramite è Platone, Prot.

:i4 1

t

o to yiQaç.

e.

2 . La pace del Tutto.

Enn. V l, 2, 14- l i

=

Fr. 13

1 Dieh l 1 .

Simonide : Kil.o�·, eME �Qiq>oç, eùbirw l)È Q�l!tQOV XaXOV.

:n:

6 v t o ç , eu�itro

Plotino : "Hcruxov �È uùtii eatai:o uç ( v. 472) ; la dolcezza della vita superna : ÈXEL X . ( fr. 491 , cfr. fr. 593, Crizia ( ? ). Lo stesso Euripide in Suppl. 53 1 , 1 1 40 afferma lo stesso concetto che in Atene ebbe suggello nell'inscrizione per i morti di Poti dea : '' L'etere ha accolto le loro anime e i corpi la terra ». La distin­ zione di origine orfico-pitagorica tra 11:8Q LÉXOV e :n:SQ L8X6f.'S'Vov, suggeri forse a Plotino il suo sx6f.'EVO; tiU' oùx èxrov a pre­ ludio del passo splendido :

von

XELtaL yàQ Èv tfi \jiUXfi CÌ'VEXOUon aÙtÒ'V XUÌ. OÙbav àf.'O LQ6V ÉOtLV a'Ùti};, wç ilv SV ul)aoL l) (xtUO'V teyy6f.'8'VOV tTJ, OÙ l) uvdf.'S'VO'V �è autoii XO Leio3aL !v ci> Èonv· &Uà tÒ f.'ÈV Mx­ tUO'V ÈxteLVOf.iÉ\'T} ç T\5T} ti}; 3aÀaooT}; ouvsxdtataL, 3oov aùtò MvataL. ( Enn. IV 3, 9, 36-39). 164

DA t: :'i POETA LAT I :'iO

2 1 . DA ADES POTA. l. Preghiera e non preghiera .

Enn. I V 4, 42, 5 Plat. Alcib. I I , 1 4:i a. ( Cfr. A ntologia graeca, A despota 466, p. 2 1 7, Jacohsi us). =

Anonimo. Zeii �aaLÀI!\i, tù J.t.ÈV Èa6ì.d, fJJ TI OL, xal E 'Ù x o J.l. É v

dveuxt o L ç

o L

ç xut

'Ù X O J.1. É V O L ç; a:n:aÀ.É;E LV � • . ' Platino : dUà x a t Il E t e 'Ù x ii r; yLvEoituL t L 6otÉov xu1 E 'Ù x ii ç; civeu :n:aQ' a'Ùtoov. CÌJ.I.J.I.L 6 (6ou, tà �È �8 LÀ.à xal E

2. La prosopopea dell'Universo

Plotino : AJA.è

n

E :n: o ( TI x E

e

una iscrizione .fi cliaca.

-6eo;.

(Enn. I I I 2, 3, 20-2 1 1 .

�e LMaç; XUQ JA.L�ou utòç; • Aih1vaioç; J.l-1 � n o ( TI d i Zeus Olimpico ad Elis).

a

Ev

( alla base della statua 22. DA LUCR EZIO.

L Il saggio e la morte . I 4, 7, 27 = Lucrezio, De rer. nat. III, 874-5 ( Ernout l. ( Cfr. Usener, Epicurea n° 578 : d aocpòç av�Q tacpijç CJlQOV­

Enn. nei).

Lucrezio : . . . quamvis neget ipse c r e d e r e se quemquam si bi sensum in m o r t e futurum.

Plati no

:

xaxòv o

t "' (J e t a L u'Ùtcp tÒV a d v a t o v .

2. Il fondo amaro delle cose. Enn. II

3, 1 7,

23 24 -

=

De rer. n a t . IV, 1 1 33-34.

Lucrezio : nequiquam, quoniam medio de fonte leporurn surgit a m a r i a l i q u i d quod in ipsis floribus angat.

Plotino : ciyQ LOV xaì. è; UÀ.Tiç XE LQOVoç; otov urcoatd6JA.ll ç tOOV :71:QOfiYOU J.I.SVOOV 1CLXQàç; xa'l. :n: L XQ à :JI:O LOUOTit;; . 46

dnaAé�I!LY

Bur n e l ;

dnaÀE �OY Creuzer.

1 65

M I TO

VIII.

E

PO E S I A

N F:LL E

ENNEADI

3. Vox clamantis in deserto.

De rer nat. I V , 563-4. Lucrezio : Praeterea verbum .•aepe unum perciet au ris omnibus in populo Enn. I I I 8, 9, 26-28

=

Plotino : ·roo:n:F.Q d cprovijç xutexou otJç E QTJ f.' L av f\ xat f.'Età tijç EQTJ f.1 (aç xa t dv-3Qc.O:n:ouç E'V 6tqlouv toii ÈQ� �tou otij oaç o\tç ti]v cprovljv XOf.1 tei :n: à o av xaì. u\1 où :n:àoav.

( Enn. I I I 8, 9, 26-28) . . . . ro o:n:F.Q liÈ cprovijç ouaTJç xatà tòv déQa :n:ollax Lç xat A6you tfi cprov ii oÌlç f.'ÈV :n:aQÒ'V eaé; a to xut n o-3eto xat d ltEQO'V -3e(TJç f.'Eta;ù tijç E QTJ f.1 Laç , � A-3e xaì. :n:Qòç aùtò 6 �6yoç xuì. 'f) cprov� . .

EV

.

( VI 4, 12, 1-4; Cfr. V I l , 5, 5-61 .

.t.. L'abitudine logora la maraviglia del mondo.

Enn. I V 4, 3 7, 6- 1 1

=

De rer. nat. I l , 1026- 1039.

Lucrezio :

Sed neque tam facilis res ulla est, quin ea primum difficilis magis ad credendum constet, itemque nil adeo magnum neque tam mirabile quicquam quod non paulatim mittant mirarier omnes. Suspicio u coeli clarum purumque colorem, quaeque in se cohibet, palantia sidera passim, lunamque et solis praeclara luce nitorem ; omnia quae nunc si primum mortalibus essent, ex improviso si sint obiecta repente, quid magis his rebus poterai mirabile dici, aut minus ante quod auderent /ore credere gentes ? Nil, ut opinor : ita haec species miranda fuisset. Quam tibi iam nemo, fessus saliate vivendi, suspicere in coeli dignatur lucida tempia ! Ploti no : • AU" 'f) f.'F.Lç tà f.'ÈV auvéa, out" &; to'ii f.18V tTJtEL'V o\h;" d:n: unOU f.1EV, :n:eQ Ì. 8È trov aUrov trov �ro tou ouv �iou ç

liuvdf.'EOOV d:n: L OtOU f.'ÉV te roç SXE L lxaotov, xaì. t{i> douv"-3e t tÒ -3au f.1dte Lv :n:Qood-3ef.1EV iau fA.doavtEç llv xaì. ta'Ota, et a:n:eLQOLç U'ÙtOO'V o{lotv exaotO'V nç :ll:Q OocpÉQOO'V e;TJYELtO a'ÙtOO'V tàç 8uvdfA.ELç.

( IV 4,

46

p r i n c i p io M ss.

l

sus picito Bern ays

166

l

perc i p i to Lachman n .

37, 6- 1 1 ).

5 . Origine empirica e origine ideale del fu oco.

Enn. VI 7, I l , 38-39 = De rer. nat. V. 1 099- 1 10 1 .

Lucrezio : emicat interdu m fiammai fervidus artlor, mutua dum inter se rami stirpesque teruntur. Quorum utrumque cleclisse potest mortalibus ignem .

Platino : XUQ èJ.v n� ot'litE LTt ·

-

x66ev yciQ ;

o\t

y!ÌQ FX XU(I UTQ L�If.(ll;, w;

6. Il tormento dell'unione impossibile.

Enn. VI 7, 3-1., 14- 1 6

VI 9• 8,

29_30

}

= De rer. nat. IV, 1 1 1 1 .

Lucrezio : nec penetrare et abire in corpus corpore loto Plotino : JA. L JA.'l O �ç l)È tou r ou xul ol èvrauitu ÈQaatuì. xul ÈQW J48VO L auyxQÌ:VfU 30.ovreç . . . . . . OW JA.UOL JA.ÈV yàQ OW JA.ata xwÀveruL xOLvrovetv ÙÀÀO Lç. Minori loci paralleli s o n o i seguenti : Enn. IV 4, 30, 28-30 Lucanus, Phars. , V I , 44.3-4 Enn. I I 3, 9, 3 1 -39 Seneca, A d Luc., 41, 5 ( Cfr. V l , 2, 20-22 ). Enn. V 8, 10, 41-45 = Anonimi, de Su blimitate, XV I , 2 Enn. V 5, 3, 9- 1 3 A puleius, Met., XI, 8- 1 2 Enn. I 4 . 8 , 1 -2 Marcus Anton. A u r . ( ed. W . Thei­ =

Enn. I I I 2, 1 7, 1 2 - 1 6

ler, ( p. - - I d . Xl, Id. XI, =

Enn. I I I 2 , 8 , 26-28 Enn. I 4, 7, 19-2 1 Enn. I I I 2, I l , 1 3

Id.

= Id. Id . = Id. =

= =

Id.

Id.

Ziirich. 195 1 l, V I I , 3 3 160- 1 6 1 )

,

l

1 8 , 4 ( p. 264-5) 18. 24 ì p. 268-9 1 X I I , 12 a, l ( p. 282-3) IX, 4 ( p. 208-9) I X, 38 ( p. 2 2 2 -3 ) . I V, 26, 3 ( p. 84-5) I V , 48� l ( p. 94-5) IV, 42, 4 ( p. 142-3 1 .

2 3 . CoNCLU SIONE.

Abbiamo mostrato un certo n umero di testi poetici ai quali Platino piti o meno direttamente e piti o meno verisimilmente potrebbe essersi riferito. Che un poeta sia citato già da Platone 167

VIII. M ITO E POE S IA

N E LL E

ENNEADI

o da Aristotele, · questo non prova, di per sé, che Plotino non abbia avuto conoscenza diretta della fonte. Ch'egli trasformi a suo modo la fonte sino a }asciarne solo una fievole eco, questo è dovuto al grande pote re di assimilazione e alla forza della personalità di Plotino. Ma sarebbe imp r u de n te negargli una conoscenza letteraria anche piu completa di quella che poté ricevere nelle scuole di Alessandria e nell ' ambiente. Non era, si, un maestro di retorica, ma era un uomo completo. In tutti i casi, Plotino è di per se stesso un temperamento poetico e, piu dei testi riportati o imitati o para frasati o semplicemente accen. nati, non fosse altro che per una parola o un giro di frase, importano le sue pagine poetiche. Su queste i filologi non si sono fermati abbastanza e i comuni lettori mal riescono a sce­ verare dalla selva enneadica queste pagine immortali che sem­ brerebbero cadute dalla penna di Platone. Si è fuorviati dagli stessi titoli enneadici e porfiriani che sono solo una vaga traccia. Né la traccia risponde ai trattati, né i trattati alla traccia. Ma nella diatriba enneadica - che è un tipo a sé stante - la poesia è versata a piene mani. Non la poesia dei poeti, ma la poesia in sé quale categoria eterna. Come a proposito dell'arte ha detto il De Kayser che Plotino ha elaborato una teoria non di un'arte ma dell'Arte, cosi, in questa nostra ricerca, ci siamo convinti che Plotino non è un Plutarco che riversa una filatessa di testi, ma è uno spirito poetico che sente la poesia del mondo, ha l'entusiasmo per la filosofia e per i suoi dèi - i divini, beati fi losofi, Platone sopratutto - come Lucrezio. Poeta, dunque. E s'interessa al poeta, nell'atto del suo creare. Alla Bontà, all'Unità, all'Essere, al Pensiero, va aggiunta la Bellezza e la Poesia. Dio era paragonato al Poeta, nel trattato di Origene lSn JA.OVOç nO LT}TÌ)ç 6 �ac nÀeuç. Non è la mitica Moira che assegna le sorti. È Dio stesso autore del dramma dell'universo ( �Qa J.t atoç A6yoç dç, exc.ov lv autéi'> nollàç JA.d · xaç), autore della sinfonia dell'universo avente i suoni gravi e i suoni acuti ( I I I 2, 16, 36, 41 ) . L'esigenza metafisica del­ l'unità ha un suo corrispondente estetico : il simplex dumtaxat et unum della poetica oraziana ( I I I 2, 1 7, 74). 24. AL DI

LÀ DEL M ITO E DELLA POE SIA.

I L SILENZIO

Plotino dice : « Un musico tratta la sua lira finché gli è dato usarne ; altrimenti, o la muterà con un'altra o rinuncerà non solo ad usare q uella lira, ma si asterrà proprio dal suonare

168

IL

S I LENZIO

piu oltre su di una lira, poiché ha ben altro da fare, senza la lira ; e non badando neppure che essa gli giace dappresso, canterà senza accompagnarsi a strumento alcuno » ( I 4, 16, 23-27). M ito e poesia sono come due cetre diverse. Plotino le ha usate, ma senza crederle indispensabili. Tra le armonie mute e le armonie manifeste. egli preferisce le prime che sono, del resto, la fonte delle altre. È d"accordo con Eraclito (dQJAOV(T) dcpuvi}c; q>UVEQ'ijc; X Q E (tto v 4 ; ) ; prelude a Keats : Heard melodie& are sweet, but tlwse un lteard are sweeter ; tllerefore, ye so/t pipes, play on ; not to the sensual ear, but, m ore endea r'd, pipe to the spirit ditties of no Ione.

Canti senza cetra. Musiche senza parole. Silenzio. L'estasi è una filosofia senza mito, senza poesia, senza parola. La filoso fia del silenzio. Nelle Enneadi la invocazione del silenzio è continua. Chi non ricorda la pagina mirabile che commosse Sant'Agostino e i mistici di tutti i tempi ? "Hauxov 8È uùtn èauo J.'ft Jiovov tò �E(.HXE L J.isvov awJiu xuì. o tov aroJi«toc; xÀ:uBrov, àllà xuì. �dv tò �EQ téxov· ijauxoc; JAÈV yi} , i}auxoc; 8È &dAaaaa xul ài!Q xuì. uùtòç oÙQavòc; àJAE Lvrov.

( V l, 2, 1 4- 1 7 1 . « Si cui sileat tumultus carnis, sileant ph antasiae et aquarum et aeris, sileant et poli, et ipsa sibi anima sileat et transeat se non cogitando ... ( Confessiones, IX, lO, 25). La stessa armonia delle sfere « tantus et tam d ulcis sonus >> ( Cicerone) ha un senso puramente metaforico, per Plotino ; « le anime degli astri sono beate in sé, in virtu della loro aspi­ razione all'unita, e son proprio come corde di lira che mosse concordemente cantano una armoniosa canzone >> ( IV 4, 8, 50) . . Ma è un concerto silenzioso. Non c'è la Sirena di cui parla Platone, descrivendo il fuso delle Parche ( Resp. X, 617). Il silenzio cosmico è la facile e creatrice contemplazione dell'Anima e somiglia all'anima di un grande albero che ne governa la vita, senza travaglio, tacitamente (à�6vroc;, à'l'6WV LClV xaì. tit> \mò � l� �p�6aita L dp� ov (�. e,

Plotino attinse alle sue fonti. - Ma poi fu fonte lui stesso come dice Dante, un fonte che spande di parlar si largo fiume.

La sua onda, fresca e pura, entrò nel gran fiume cristiano e umano. E molti, coscienti, vi attinsero. A integrare, occorrono altri Entretiens : Plotino come fonte. 1 70

CAPITOLO

IX

LEOPARDI � EOPL:\TO \ I CO l . L'AMORE DELL' ANTIC:O.

Come quegli antichi che incontrò giovinetto nella biblioteca paterna, Giacomo Leopardi non senti o senti male e mal com­ prese il presente, la modernità, la storia, i n t o n·ca n d o il s u

o

n del l'ora

dalla to rre del bnrgo. E r a con forto 1Juesto s u o n , m i r i m e rn bra, a l le m ie no t t i .

E piu oltre : Ovc "l'i 'Onar, siccome u n g iorno

quando soleva ogn i lon tano acce n t o dal l a b b r o t u o l"h'a

ml'

g i u n gt·�se il volto

scolorarmi ?

Che se ci venisse voglia d i brucar versi ed emistichi e parole in cui ricorrono, assorte e intente, come nella prosa plotiniana, le immagini della v o c e nella poesia di Leopardi, queste ci verrebbero incontro. in folla : la v o c e antica ... muta ( A d A ngelo Mai) ; la v o c e dei morenti, nel boreal deserto, per le spiagge rutene ( Sopra il monumento a Dante) ; l'eco solinga ( Alla primavera) ; il solitario c a n t o dell'artigian ( La sera del dì di festa) ; la v o c e angelica di Elvira ( Consalvo ) ; il c a n t o del faticoso agricoltore sonante nelle valli ( A lla sua donna) ; la dolce p a r o l a del rosato labbro ( A Pepoli) ; le v o c i al­ terne sonanti sotto il patrio tetto ( Ricordanze l ; le festose v o c i della sua fanciullezza ( Ricordanze'l ; il c a n t o dei colorati augelli ( Ultimo canto di SaOo) ; e, soprattutto, le terzine del Primo amore : Ed io t i m i d o

e

cheto ed inesperto

ver lo balcone al buio protendea l'orecch io avido

e

l'occhio indarno aperto,

la voce ad ascoltar,

se

ne dovea

di quelle labbra usc i r. ch'ul t i ma fosse ; la

v

oce

,

ch'altro il cielo, ahi, mi togl iea.

Quante volte plebea voce percosse il dubitoso orecchio ... E poi che finalmente m i d i sct•se

la

c

a r a v o c e al core ...

Non sembra evidente l'analogia con la v o c e d e s i d e r a t a plotiniana ( V, l , 12) la quale cancella ogni altra voce plebea ? Cosi, in fine : 1 79

IX.

LEOPARDI NEOPLATONICO

e d i fanciulla c he al l'opre d i sua ma n l a not t e aggiun g«>

odo sonar n elle romit«>

stanze

l'arguto canto .....

7. I NCONTRO·

CON

TE STI PLOTINIAN I .

Anche se gli accennati confronti, in gran parte casuali, non sono forse venuti finora in mente a nessuno, il discorso che qui si svolge non mira affatto a fondare il neoplatonismo tar­ divo di Giacomo Leopardi su un vago incontro di parole. Ben altro è il m i o intendimento, nato già quando confrontai, la pri­ ma volta, circa vent'anni or sono, la versione leopardiana della Vita Plotini di Porfirio con quella d i Marsilio Ficino. E scri­ vere > . Tale persuasione maturò via via allorché i confronti verbali apparvero comunanza profonda di accenti. Mi si profi lava una visione del mondo, comune, nell'atmosfera crepuscolare ed elle­ nistica del neoplatonismo sino al tramonto malincon ico della scuola di Atene, sia nel filosofo - che errò, col suo agitato cuore di mistico, tra Egitto, Grecia, Roma, Minturno - sia nel doloroso poeta romantico che, ch i uso agli ideali dei migliori contemporanei, non trasse dalla sua fuga di citta in citta altro riposo fuor che presso il sepolcro di un poeta infelice al par di lui . Comunanza, dicevo, di accento ; e, soprattutto, ispirazione e aspirazione a un mondo diverso da questo. Se, come ho motivo di credere, Leopardi lesse il mirabile III 8 su la Contemplazione, la sua anima dovè restarne intrisa ; onde egli è il Poeta della Contemplazione, proprio perché ognuno dei suoi idilli non è altro che contemplazione di un suo stato d'animo. > . '

8. CONTEMPLAZIONE FILO SOFI CA E CoNTEM PLAZIONE POET K A .

Qui - dice il Croce - nella Contemplazione e nella rifles­ sione su questo mistero di dolore era l'unica fonte d'ispirazione della sua fantasia, l'unico punto di meditazione del suo pensiero. Naturalmente disposto alla contemplazione, egli crede, con il Rousseau, che > 14 • Ili

1 4 Zib. 4500, 4502. c i t a t o n e l terzo studio ( al quale dobbiamo molto) F. F I C U R ELLI, G. L. poeta dell'idillio, Bari, 1941, pp. 1 9 -20 ; 6 e passim .

181

I X . LEOPARDI NEOPLATONICO

Anche per lui « l'esistenza degli esseri finiti è cosi povera e limitata che, quando noi vediamo sol quello che esiste, non ne siamo mai commossi. Son le chimere che ornano gli oggetti reali e se l'immaginazione non aggiunge il suo incanto a cio che ci colpisce, lo sterile piacere che vi si prende si limita al­ l'organo e lascia ognora freddo il cuore » u . Certo, nes s uno spingerà ancora l'analogia che qui si fonda tra contemplazione filosofica e contemplazione poetica : cose di­ versissime. Gli è che la contemplazione filosofica di cui parliamo, e che ebbe - dal platonismo al neoplatonismo - il suo piu alto momento, è qualcosa tutta particolare, diversa com'è dalla meditazione razionale, e · confinante col territorio mistico sino alla sua consumazione con l'estasi . Al Leopardi non interessò in alcun modo la dottrina ploti­ niana delle lpostasi ; ma, parimente, non suscitarono in lui inte­ resse maggiore sia le dottrine dell'Illuminismo che quelle del Romanticismo. Leopardi, dicevamo, non credette nel progresso, non comprese il palpito dei nuovi tempi, non senti il brivido dell'azione. Ora, questa triplice limitazione o, meglio, negazione, fu pure del neoplatonismo, il quale, specie dopo Plotino, si adagiò e giacque in un languore di decadenza e chiuse gli occhi dinanzi al Cristianesimo, ostinandosi e illudendosi, con Giuliano, di ostacolarne il trionfo. Esso è come il Catone di Lu­ cano che preferisce legare il suo nome a una causa perduta anche se la causa vittoriosa piace agli dèi. Il Leopardi è anche lui con Bruto. E già nei suoi giochi fanciulleschi alterava la storia e faceva vincere Pompeo. 9. CoNTEMPLAZIONE

E

CON SOLAZIONE DELLA M ORTE.

La filosofia neoplatonica, sebbene intimamente ripudiasse tutti gli impulsi alla vita e alla gioia di vivere dell'antica grecità, credeva tuttavia di essere chiamata a combattere contro la nuova corrente religiosa che avanzava irresistibilmente, e a difendere gli antichi numi. I piu decisi, come Porfirio prima e poi l'impe­ ratore Giuliano, mossero alla lotta seguendo il genio dell'Ellade antica. Ma quando la battaglia fu combattuta e perduta, tutti videro che era stato un cadavere quello che, legato sul suo ca­ vallo, era mosso innanzi a quei guerrieri, come il Cid Campea­ dor, morto, cavalcava in testa ai suoi nella battaglia contro Mori. 15

Il, 1 308.

182

L'A:'\ T I C :O

Anche il Leopardi appoggia come un eroe plutarcheo la fronte l l u r a del s u o volu me L eopardi e .Vanzoni, Milano, 1960 ( cfr. pp. 37 1 -5 1 mi p o n g ono d i f ro n t e a " per­ suasive rispondenze » tra il fra s a r i o asce t ico di u n tra t l ato devoto esi ­ lltente nella biblio teca d i c a sa Leopard i e i pe n s ie r i dell'Infinito. N a­ turalmente, tali ri spondenze furon dovute a " sommesso t•cl evasivo d iletto e quasi d ivertimento d e l Pot> t a. di f r o n te a s e n t en z e d i t u t t'altro genere. f.erto è, comunque. c h e q ue s t i " può avPr ricev u t o, a gu isa d i rimembranza platonica, i l senso d i u na preKCienza pot' t i c a . i l sen so della preesistenza nel s u o s p i r i to. d e l l ' i d P a poetica delrJnfinito » : così conclude il Bacchelli, da l ragion a m r i o l a Avila di Santa Teresa. m a i tropici e gli anti podi. le Fi l i p p i n e e l a C a ta l og n a ; non il solo senechismo del padre che aveva tradotto il poeta-filosofo cor­ dovano, ma anche la roussea u v i a n a tem pra del l a madre opera­ rono in lui una bizza rra m esc o l an za . o n d ' egl i fu per gli spagnoli un yankee e per gli a m e r i ca n i fu p i u stran iero del Faraone. Per sua ste s s a con fessione, la sua filosofia può essere conside­ rata come una sintesi di q ueste v a r i e t r a d izion i o come un ten­ tativo di contemplarle da un l i ve l l o d a l q u a le i loro diversi messaggi possano ven i r rettamente int er p r et a t i . 2.

U NA

u

NAT URA R E G A L E

"•

1 :'11

S EN S O PLATON I C O .

Pur sapendo quanto sospetto rechi con sé l'accostamento di filosofia e poesia in una stessa persona, concordiamo con lrwin Erdman nel chiamare Santayana filosofo-poeta, non tanto per la sua opera poetica propriamente detta, per notevole che essa sia, o per la madreperla della sua prosa, ma per la sua opera filosofica, la quale, appunto per il suo nativo platonismo, reca in sé la tempra della poesia, in quel modo tutto regale che usò Platone. Era un sensitivo della mente ; e la su a mente era prin­ cipalmente una mente d i spettatore che godeva dello spettacolo della vita umana e trovava appagamento nella contemplazione. Nessun atto di volontà è nel suo filosofare che è spontaneo e poetico. La poesia, del resto, deve - secondo Santayana abbracciare l'universo intero, senza però che si celi la illuso­ rietà di tale abbracciamento. Nella filosofia stessa, ricerca e ragionamento sono soltanto una parte preparatoria e servite, che terminano nella intuizione e nella contemplazione di tutte le cose nel loro ordine e valore. Egli considerò la conoscenza stessa come una visione in cui l'immediato è il definitivo e l'ultimo è l'immediato. Ma la poeticità di questo filosofare è qualcosa di ben piu sostanziale. La intera visione della natura e della vita, la ferma, 187

X.

PLATON E A H A RVA RD :

SANTAYANA

e cosi cara a lui, teoria dell'essenza e dell'esistenza, la conce­ zione della poesia e dell'arte, della religione e della società, sono in se stesse intensamente poetiche, ed hanno quel carattere di liricità e quel sentimento cosmico che è proprio, del resto, della grande filosofia. A guardar _ bene, nei piu austeri pensatori che a uno sguardo superficiale appaiono impoetici, c'è maggior peso specifico di poesia che in molta canonizzata poesia : io parlo beninteso della grande filosofia creatrice. Nondimeno ( come forse appa­ rirà dal seguito del discorso) c'è qualcosa che non convince appieno in questa solenne contaminatio di immaginazione e di logica. Specie in estetica, il Santayana avrà la ingenuità di credere all'avvento di un poeta perfetto che adunerà insieme le virtu parziali di tre poeti·filosofi, Lucrezio, Goethe, Dante, ai quali dedica un brillante saggio. Con questo suo messianismo poetico, egli si accosta non volendo all'odiatissimo Hegel che faceva assommare in un termine la filosofia. Ma l'unica condi­ zione onde il m ondo non perisca, cosi nella sua poesia come nella sua storia, è che esso sia perennemente imperfetto. In tutti i casi, però, la filosofia è, per Santayana, opera di amore non meno di ogni religione e di ogni metafisica : non è forse vero - dice egli stesso - che la prima me�à della parola « filosofia >> significa amore ? 3.

TRA

S P O S I Z I O N E

D E L PLATON I S M O N E L (( LI M BO >> D ELLA

MATERIA.

Platonico, nel duplice esilio del tempo e dello spazio. E, tuttavia, nessuno ha, pari a lui, il dono di cogliere il tono della vita e il segno di questo nostro tempo : una delle più salienti caratteristiche della situazione attuale - scrive 1 - è che la confusione morale non si limita al mondo esterno, scenario sempre di profondo conflitto, ma ha penetrato lo spirito e il cuore dell'individuo. Mai forse furono gli uomini cosi simili tra loro e, interiormente, cosi diversi. Età critica, la nostra ; ambigua, anche. Quanto strida la con­ traddizione in ognuno di noi, egli lo fa sentire. Nel passato, la vita e la storia avevan toni crudi ( come disse Huizinga) e i campi di battaglia erano nettamente distinti. Guelfi e ghibellini, cattolici e protestanti. Il nemico era nemico e nient'altro. Bi­ sognava vincerlo non già comprenderlo. Nell'età moderna i l

SA "T-'VA:\ A. Il pen.� iero americano e

1 88

a

l t ri .�aggi, M ilano,

1 944, p. 1 3 .

:\1 :\ T E K I A

E :\ A T l. · K .\

nemici vogliono com prendersi. Oggi - dice Santayana - un vescovo può essere m oderni sta ; e la scienza si rassegna che la filosofia mini le sue fondamenta. Anche in filosofia si rivela una manifestazione postuma dell'anarchia romant ica . Da sua parte. anche egli dice no a tutti : all' idealista e al progmatista. Era cosi grande il timore in lui di apparire ideali sta che volle dichia­ rarsi u intellectually a conv inced materialist n 2 • Ma il suo non è il materialismo di coloro che credono non esservi altro che la materia e �li eventi distesi nello spazio-tempo della fisica . La materia, per lui. è solo uno dei quattro reami dell'essere : materia, essenza, spi rito, vero . Una tctralogia ontologica, in c u i ben tre termini sono spec i ficamente immateriali . All'idealismo, che inghi otte, vorace, uomini e dèi. ind ividui e mondi, il Santayana preferisce un franco naturalismo, di tem­ pra spinoziana, venato però di pessim ismo e di scetticismo. Egli non vede alcun antagonismo tra il suo materialismo e il plato­ nismo. al quale rim provera di non aver lodato Democrito per non ingelosire u il venerando Parmen ide >> ! Nella caverna pla­ tonica egli non vede ombre. Ombre, se mai, saranno le essenze. come vedremo. La materia del �ostro è una natura naturans e '' Colei che fa qualsiasi cosa n . u Certo - d ice - il mondo ma­ teriale è reale perché i fi losofi che negano l'esistenza della materia sono come i critici che negano l'esistenza di Omero » 8 • Platone, dunque, è capovolto. E tuttavia - non sembri as­ su rdo - egli resta platonico. Se la natu ra è materiale, non è però materialistica. La natura è viva e la materia non è mai inerte, non è una sostanza dormiente che attende la vita. Per lui, 11 nulla è più traditore della pace della natura, quando noi immaginiamo che le montagne siano state messe insieme, cosi solide e compatte, affinché durassero e dormissero per sempre. Questa pace m ateriale non è che un fenomeno di superficie, una maschera della guerra interiore, che non cessa mai. La materia è piena d i molle nascoste e di affinità inespres­ se ; una qualche furtiva infl uenza qui, un qualche segreto im­ pulso là, da un momento all'altro. metterà in moto una corrente insidiosa, destinata a spezzare totalmente quell'equilibrio >>'' . Non lasciamoci però ingannare da questa religione della ma­ teria. Nelle pieghe di questa, è nascosto un po' d'idealismo. Come in Taine, la vita è elemento comune alla materia e allo spirito, il quale è definito u luce vivente di discriminazione ,, 2 l o., Realms o f Beins. N . Y ., 1 942, p. 549 . 3 ID., Il pe ns i ero etc., p. 184. 4 Io., L'ultimo puritano, Milano, 1952, p . 1 85 .

189

X.

PLATO�E

A HAR\'ARD : S ANTAYA�A

( living light of discrimination). Giustamente il Banfi osserva che q ui > contenuto pure negli Obi"ter scripta ( London, 1 936) , l'arte è paragonata a una donna che prima s'allieta solo della sua bellezza e poi ricorre al trucco e al belletto, per piangere, infine, lacrime di rimorso e di peni­ tenza. Ma per noi l'arte è una donna eternamente giovane. Ci maraviglia che a sommo del suo volume Reason in art ( quarto della pentalogia The li/e of Reason) Santayana abbia posto il motto plotoniano i\ yàQ vou ÈvÉQye w tmt1 . Non doveva esso insegnar gli che la vita è attività dello spirito ? Ma egli, invertendo i termini, legge e interpreta, non so come, che la mente è attività della vita ! 195

X.

PLA TON E A H A R V AR D :

SA�TAYA�A

Libero, cosi, nella esegesi dei suoi stessi autori, il Santayana si serba libero anche nei confronti di se stesso e del suo sistema ; perché la filosofia si creerà sem pre la propria strada dall'interno di sé, in qualche direzione, in tutte le direzioni. verso l'infinito, disprezzando ogni legge tranne q uelle che imporrà a se stessa ad ogni momento col suo stesso vivere, senza lasciarsi molestare da alcun fatto, senza riconoscere alcuna condizioni, ma sempre creando lo scalino che dovrà successivamente salire. Perci o egli, anche in relazione al lavoro compi uto, < « parla del vero senza curiosità, del bene senza speranza e degli dèi senza credenza e senza disprezzo ,, � : cosi, non meno dei personaggi del suo ro­ manzo, non dissimili, in questo, dai personaggi di molti romanzi americani, anch'egli, avventuroso pensatore, u si è buttato alla grande fuga >> : he has gone on the grand sneak. E lui pure, come Peter Alden, non tornerà piu a casa ; e nell'esilio romano comprese un'altra virtu, la rassegnazione, durus amor fati, per rendere meno triste il suo vangelo di disillusione e di disso· luzione. Sembra che il suo autore e chi lo segua con > .' Per quanto si professi scettico e materialista è, in definitiva, platonico e crede nello spirito, nell'amore, nella .p ietà, nella bel­ lezza con accenti che si ritrovano solo nelle Enneadi : tutta la sua opera poetica sembra far cadere la corteccia materiale della sua filosofia. Lo spirito è sceso in lui - come nella bella lode ch'egli rese a James - ed egli con la fronte appoggiata nella mano lasciava cadere dal cuore parole d'oro, pittoresche, palpitanti, piene della conoscenza del bene e del male e, all'oc­ casione, pensieri di semplice sapienza e di melanconica pietà, tra i piu nobili e schietti che possano albergare in mente umana. Rovesciare Platone od Hegel, e fare di un punto di partenza il punto di arrivo o viceversa, per contrasti di scuola o di tradi­ zione, non importa poi molto se quello che scorre tra i due termini è vivo e concreto e aderisce alla piu profonda intimità 5 Do H L D c . W I L L I A M S , 0/ es.J ence o f Ph i l osophy, .J l , 1 954, p. 3 1 .

and existence and

196

S., i n The Journal

L' l" LTDI A PO E S I A

del filosofo e risponde al bergsoniano > a quei poeti del secolo decimosesto che si chiamano Chapman e Donne. Le questioni non impor­ tano ; sono le cose che importano, come dice George Herbert : Piu cose sono al serv izio dell'uomo d i quan te egl i non curi. In ogn i sentire egli calpesta ciò che è amico ...

Per la virtu della T r a s p o s i z i o n e , i poeti combinano i diversi campi della propria esperienza, in modo da poter evo­ care ciascuno di essi nei termini dell'altro. Emerson se ne valse con grande sensibilità nel capitolo di Nature, su la Bellezza : c< Datemi salute e un giorno ed io vi farò apparire insignificante la pompa degli imperatori. L'alba è la mia Assiria, il tramonto e l'aurora la mia Pafo e inimmaginabili regni fatati ; il vasto meriggio sarà l'Inghilterra dei sensi e dell'intelletto. La notte sarà la mia Germania della filosofia mistica e dei sogni » . Qui Emerson, prendendo a celebrare la bellezza di ciò che gli è vicino come superiore a quella di ciò che è remoto, anteponendo il comunemente umano all'eccezionale, è riuscito a darci un compendio della magnifica unità di presente e passato, e a mostrare come nel giro d'un giorno possa contenersi l'intero raggio del pensiero. L'antico, soggetto della t r a s p o s i z i o n e , non è il passato morto una volta per sempre, in antitesi col vivo presente, ma è qualcosa che ha il suggello della classicità e il segno dell'eterno. Ha valore categoriale e pertanto è come fuori del tempo. Non si tratta, qui, di una posizione nei confronti dell'annosa « que­ relle » settecentesca, impostata male e mai risolta, come furono male impostate le polemiche del genere. È l'antico di cui parla . Livio quando, ravvolto nei miti e nelle saghe come in una pretesta, svolge la poesia immensa delle sue deche ( res immensi operis), e si sente religiosamente ·

202

CONtLl: S I ON E

antico : Ceterum et mihi vetustas res scribenti nescio quo paclo antiquus fit animus et quaedam religio tenet ( 43, 13). Nella t r a s p o s i z i o n e , il profeta si ricorda degli anni ancor non nati e lo storico annunzia l'antico come una realtà dell'avvenire. L'animo si fa antico, non nel senso che si trasfe. risca in quel momento del passato che, preso nella sua contin­ genza individuata, fu sepolto nel nulla, ma nel senso che riper­ corra i gradi traspositivi della realtà e la dialettica del tempo risalendo a ciò che Goethe chiama il u regno delle madri " · L'antico non è il tempo della classicità ma la classicità del tempo, cui la storia pose il suo sigillo esistenziale si che, per esso, nella luce della trasposizione, noi possiamo dire : Il futuro è già cominciato. Alle cose che entrano davvero nel regno delle essenze, si può dire, con Dante : �ei mirabil i aspetti vost r i rio>plende non so che d i v i no c h e vi t r asmuta da' pri mi con ce t ti

( Par. I I I , 58-60 1

Con Dante, apparso già agli inizi di questo nostro tentativo di ordinamento delle idee poetiche umane, siamo già alle T r a s p o s i z i o n i d e l M e d i o E v o . Egli, anzi, ne segna il mo­ mento piu alto, avendo fatto confluire, nella sua poesia, tutta l'antichità, trasformata e trasmutata, come solo il suo genio seppe fare. Enfaticamente, il Divino Poeta invita al silenzio, di fronte ai prodigi delle sue trasmutazioni ( Inf. XXV), non solo Lucano ma lo stesso poeta delle Metamorfosi : ·

ché d ue nature mai a fron te a fron te

non t rasmutò , si a

c h ' am be d u e

le forme

cambiar !or materia fosser pron t i' . ( vv. 100-2)

Ma le trasposizioni dantesche vanno ben al di là della pena escogitata per i ladri fiorentini. Fu tutto un mondo quello ch'egli t r a s p o s e , partendo dalla sua stessa esperienza psicologica : E se la stella si cambiò e rise, qual m i fec' io, che pur d i mia natura t rasmutabile son pe r tutte guise !

203

( Par. V, 97-9).

C O N C L U S IONE

Gli è che Dante, congiungendo in modo unico la scienza dello Scolastico alla fantasia del Poeta, avverti la segreta virtu tra­ spositiva dei pensieri e delle cose, dell'uomo e del tempo : il creatore del u Virgilio medievale )) è lui, proprio nel momento in cui lo chiama « maestro e autore )) , Come Stazio, egli non ferma (( peso . di dramma )) senza l'Antico, e riconosce nella Eneide una forza materna al suo poetare ; ma sa pure di avere, naturalmente, una destinazione negata a Virgilio. Soprattutto sa applicare sempre, da buon Scolastico, ]a teoria aristotelica del passaggio dalla potenza all'atto, nel divenire delle cose, sia nel caso della generazione, sia nel caso della corruzione : Né

l ' u n né

l'alt ro già parea qu el ch'era.

come procede

innanzi

dall'ardore

per lo papiro suso un color bruno

che n o n è nero ancora, e

il

bianco

more.

( lnf. XXV, 63-66)

Per queste trasposizioni, qui adombrate, occorre un altro assai particolare discorso e una piu alta guida che non sia solo Musa della filologia, ma, somigliando alla Donna consolatrice di Boezio, unisca poesia a teologia, dantescamente. Anche nel Medioevo incontreremo, per esempio, il vecchio Dèmone greco : Alano di Lilla gli darà i1 nome latino di Genius con un po' di quel significato che vi aveva immesso dentro Orazio : scit Ge n ius, natale comes qui temperat astrum, maturae deus humanae, mortalis in unum­ q uodque caput, vultu

mutabilis,

albus et ater. (Ep. Il, 2

vv.

187-9)

Troveremo infine i1 puro Galaad, armato cavaliere in una badia nascosta nella foresta : non è t r a s p o s i z i o n e di u n sogno monastico q uel suo movere alla Queste dou Graal ? Pa­ rimente, sarà t r a s p o s i z i o n e dell'ideale cortese l'eroe del­ l' A nticlaudianus dello stesso Alano, la cui Natura, ultima tra­ sposizione dell'Anima plotiniana, terrà poi corte e parlamento nel Roman de la Rose. Li si fermerà Psiche errante alla ricerca di Eros : O ultima nata e di a:;sai la più leggiadra visione di tutta

3

K EA T S ,

l'appas!!ita

gerarchia

Ode to Psyche.

204

dell'Olimpo ! 3

I N D I C E INTRODUZIONE.

·

Concetto

e

l i m iti della Trasposizione.

CAPITOLO I . . Ellenismo : l a potenza di un'idea nella storia. ( p. 2).

Sommario : l. l confin i dell' Ellen ismo Oriente e Cristianesimo ( p. 3) . . 3. problema dei Greci e dei Barbari ( p. len ismo attraverso le d o t t ri ne ( p. 7 l. gione del mon do. Eros ellen istico ( p .

·

.

15

L'Oracolo degli uomini.

·

l

2. Ellen ismo, E l len ismo e Polis. I I 5) . 4 . Spirito d ell' El­ 5 . Da Tyche alla reli1 2).

-

CAPITOLO I I .

VII

Sommario : l . Il tripode delle .M a d ri ( p. 1 7 ). 2. A pollo 3. La Pizia delfica ( p. 2 0 ) . - 4-. I I sacerdozio del­ ( p. 19). fiso ( p. 23). 5 . Anfizion i a ( p. 24). - 6. Umanesimo delfico 7. G uelfismo e ghi bell in ismo ante litteram ( p. 26). ( p. 25). 9. L'ultimo responso 8. Il tramonto dell'Oracolo ( p. 27 ). ( p. 29). 10. Trasposizione solare di A pollo ( p. 33). . 1 1 . }l istero d i storia e rivelazione d i poesia ( p. 35). -

·

-

-

-

-

CAPITOLO I I I .

·

Linceo : trasposizione filosofica d'un mito.

36

Sommario : 1 . Il s e n so d ' u n n o m e m i t i co ( p. 36). 2. L i n reo n ella poesia ( p. 37). . 3. Linceo nei m i t ografi ( p. 39). - 4. Linceo nella filo.>ofia ( p. 40). -

CAPITOLO IV .

.

Contemplazione.

43

Sommario : l. Con templazione e bellezza nascon gemelle nel primo trattato plotiniano ( p. 43). - 2. Contemplazione, cate· 3. Itinerari goria essenziale dello spirito ellen ico ( p. 46). 4-. La trasposizione metafisica d ella Contem plazione ( p. 47) . d ella Con templazione, in Plotino ( p. 50). 5. Il t ra t ta to « N a­ t ura, Con templazione, l'Uno " ( p. 52). - 6. Senso dell'ideali­ smo plotin iano ( p. 58). - 7 . Struttura logica e senso meta fisico ( p. 59). -



·

205

I:'ODI C E CAPITOLO

V.

·

Il

68

dèmone. .

Sommario : 1 . 11 dèmone sta all'An ima come la Con templa­ zion e sta allo S 1)irito ( p. 68). . 2. Itinerari della Daimonia ( p. 68). - 3. Da O mero a Socrate ( p. 70). - 4. Il Dèmone platonico ( p. 72). - 5. Demonologia plutarchea ( p. 73). - 6. 7. L'ultima tr.a sposizion e gr e ca del Dèmone : Plotino ( p. 76) Trasposizione cristiana ( p. 80). - 8. Tras pos izio n e roman t ica ( p. 81). .



CAPITOLO V I. -

Euripide a Delfi, Racine a Port-Royal : storia di un mito apollineo. .

83

Sommario : l. Prologo ( p. 83). - 2. Gli incontri ( p. 86). - 3. G radi della vita s p irituale ( p. 86). - 4. Il tempio ( p. 88). 5. La tragica biblica di Racine : A thalie ( p. 89). . 6. Trasposizione mitica e biblica ( p. 90). - 7. Grecità e Orien te. - 8. La libertà interiore ( p . 95). - 9. Il dramma ( p. 96) . - 10. Lo scioglimento ( p. 97). - 1 1 . I problem i ( p. 98). - 12. La fortuna del m ito ( p. 100). - 1 3 . Una trasposizione moderna ( p. 103). ·

CAPITOLO

VII. - Plutarco isiaco e delfico.

106

Sommario : l. Platonismo della Storia ( p. 106). - 2. Uman ità della persona e dell ' o pe ra plutarchea ( p. 107). - 3. U m ane­ simo e sagg ezz a ( p. 107). - 4. Storia e vita m orale. M alinco­ n ia eroica ( p. 1 08). - 5. n sublime e la magnanimità. p. 1 1 0). 6. Sacerdozio delfico ( p. 1 10). - 7. L'uomo e il tem po ( p. 1 1 2). 8. Libera tras pos izione dei miti. Religione olimpica e re l i ­ gione de lfica ( p. 1 1 3). - 9. La consolazione della S toria ( p 1 14). - 10. L'ultima ascetica della morte e l a morte d i Pan ( p. 1 1 5). - 1 1 . L'uomo e il mito ( p. 1 16). - 12. S tile e simbo­ l ismo liturgico. I riti della rel igione ( p. 1 1 7).

VIII. - M ito e poesia nelle Enneadi di Plotino. Studio su le fonti.

CAPITOLO

Parte I : M ito. Sommario : l. Trasposizioni ne lla intima storia della persona umana ( p. 1 1 9). - 2. M iti de ll ' Olimpo e loro trasposizione, in Plat ino ( p. 123). - 3. La tras po sizione di Eros ( p. 1 26). 4. Le font i e i miti orfici ( p. 1 28). - 5. M i ti della tra d izione let teraria e poetica ( p. 1 3 1 ). - 6. V alor e e limite del m ito ( p. 1 33). - 7. I miti filosofic i ( p. 1 34). - 8. Il m ito della pa­ rola. A l d i l à del mito. Il silenzio ( p. 138). Parte II : Poesia. Sommario : 9. Lo sp 1 n t o poetico clelia poesia creat rice non com porta una contaminat io della filosofi ca con la poesia ( p. 1 40). - 10. Trasposizion i da Omero ( p. 1 42). - I l . Trasposi -

206

1 19

! � DI C E

zion i da Esiodo ( p. ) .).i l . · 1 2 . Da Sc n o ( a nc ( p . 1 .) 7 1 . • 1.1 . D a Tcogn i de l p . ) .) 8 1 . • 1 1. Da A r c h i loco ( l'· 1 .59 1 . - 1 .5 . Da Simon i d e ( p. 1 .59 1. 1 6. Da P i n d a ro ( p. 1 60 1 . . l i . T r a :< pns i · zion i d a l l a pOt'sia d ra m m a t i c a I JI. 1 6 1 J. - 1 8. Da Esch i l o ( p. 1 621. • 1 9 . Da So foclf' ( p. 1 63 1 . - 2 0 . Da E u r i p i d e ( p. 1 fJ3 J. 2 1 . Da A d espota ( J>. l 6.'J J . · 22. Da L u r rez io ( p. 1 6.'l l. - 23. Con clu sione ( JI. 167) . • 2-t A l di là rl c l mito t' dt·lla pat·� i a . I l s i lenzio ( p. 1 68 ).

CA PITOLO IX.

·

Leopa r d i neo platon i c o .

171

Somma rio : l . L'a more dcll'a n t it-o l p . ! i l i. 2. La sol i t u ­ d ine ( p. 1 72 1. • 3. Le E n m•a d i e i C a n t i : s t o r i a d i a n i m •· ( p. 1 73) . • 4. La d o g l i a cosm i c a l p. 1 i6 J. • .; , Favol e�l( i a nw n tn plotiniano e leopanl iano ( p. l i 7 1 . - 6. Sen,;i h i l i t à a v od e a suo n i ( p. l i8 ) . - 7. I n co n t ro con l t·sti plot in i a n i ( p . 1 80 1 . • 8. Con te m plazione fi loso fi c a e C o n t e m p l aziont· poe t il- a ( p . 1 8 1 ) • . 9. Con t e m p l azione e co n s o l a z i one rl t' l l a m o r i i· ( p . 1 8 2 1. IO. Il m i t o dell'a n t ico ( p. 183).

CAPITOLO X.

·

Platone a Harvard : Santay an a . .

1 86

L Pr i m iz ie pl a ton irhc i n America ( p. 1 86 ) . 2. U n a n atura regale in Sf' n so p l a ton ico ( p. 1 8 7 1 • 3. Tras posi­ zioni del pl a to n ismo n el « l i m bo , d t' I l a m a teria ( p. 1 88 ) . - l. Trasposizione della m a te.r i a i n D a i mo n i a ( p. 1 90 1. - 5 . Es­ senza ed esi stenza ( p. 1 90 1 . . 6. V i t a l i t à df'lla Fed e . L'in t u i ­ zione dell'esistenza ( p . 1 92 1 - i . Este t i c a e n o n es t e t i c a ( p. 194). Sommario :

CONCLU SIONE.

199

207

F I :" I T O DI N E L LO

STAMPARE

S T A B I L I M ENTO S.

B I A G IO D E l

IL

XX I X A PR I L E

« L'ARTE LIBRAI



MCM LXI

T I POG RA F I C .o\ ., :"; A POL I