Terapia delle malattie spirituali. Un’introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa 8821549305, 9788821549304

Cristo è medico delle anime e dei corpi. In base a questa concezione, la tradizione ascetica dell'Oriente cristiano

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Terapia delle malattie spirituali. Un’introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa
 8821549305,  9788821549304

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Jean-Claude Larchet

TERAPIA DELLE MALATTIE SPIRITUALI Un'introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa

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SAN PAOLO

Titolo originale dell'opera: ThérCipeutique des maladies ~irztuelles. Une introduction à la tradition ascétique de l'Eglise orthodoxe © Les Éditions du Cerf, Paris 199i Traduzione dal francese di Luigi Borriello

© EDIZIONI SAN PAOLO s.rJ., 2003

Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

INTRODUZIONE

Il fine del cristianesimo è la deificazione dell'uomo. «Dio si è fatto uomo perché l'uomo divenga dio»: questa è la formula con la quale i Padri1 , per secoli, hanno molte volte riassunto il significato dell'Incarnazione del Verbo. Unendo nella sua Persona divina, senza confondere né separare la natura divina da quella umana, il Cristo ha ricondotto questa al suo stato primitivo, apparendo così come nuovo Adamo, e inoltre l'ha ricondotta alla perfezione alla quale essa è destinata: la perfetta somiglianza con Dio, la partecipazione alla natura divina (2Pt 1,4). Egli ha così permesso a ogni persona umana che, nella Chiesa suo corpo, è unita a lui per mezzo dello Spirito, di divenire dio per grazia. Nell'economia della Santissima Trinità, che mira alla deificazione dell'uomo e in questi all'unione con Dio di tutti gli esseri della creazione2, l'opera propriamente redentrice del Cristo, che in particolare consiste nella sua passione, morte e risurrezione, costituisce un momento essenziale, quello della nostra salvezza: per suo mezzo il Diouomo ha liberato la natura umana dalla tirannia del diavolo e dei demoni, ha distrutto il potere del peccato, e ha vinto la morte, abolendo così tutte le barriere che dopo il peccato originale separavano l'uomo da Dio e gli impedivano di unirsi pienamente a lui. Come ha fatto notare Vladimir Lossky3, il pensiero teologico occidentale ha interpretato quest'opera redentrice e salvifica del Cristo in termini essenzialmente giuridici. 1 Per esempio: IRENEO DI LIONE, Contro.le eresie, V, Prefazione. ATANASIO n'ALEsSANDRIA, Discorso contro gli Ariani, I, 54. GREGORIO NAZIANZENO, Poesie dogmatiche, X, 5-9. BASILIO DI CESAREA, citato da GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, XLIII, 48. GREGORIO DI NISSA, Discorso catech._etico, xxv. CIRILLO D'ALESSANDRIA, Il Cristo è uno, se 97, p. 328. 2 E questo uno dei principali temi dell'opera di san Massimo il Confessore. Vedi il nostro studio: La divinisation de l'homme selon saint Maxime le Confesseur, Paris 1996, pp. 83-123. Su qw::sto tema nei suoi predecessori, vedi ibid., pp. 20-59. 3 A l'image età /,a ressembhnce de Dieu, Paris 1967, pp. 95-108.

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La comprensione della redenzione in termini di riscatto trova sicuramente il suo fondamento nelle Sacre Scritture e, in particolare, nelle lettere di san Paolo. Ma ciò non deve· farci dimenticare che, come fa notare Vladimir Lossky, , ma «assunta in questo senso particolare, la redenzione è un'immagine giuridica dell'opera del Cristo, accanto a molte altre immagini possibili»; «impiegando il termine redenzione [. .. ],nel senso di un termine generico che indica l'opera salvifica del Cristo in tutta la sua ampiezza, non bisogna dimenticare che questa espressione giuridica ha un carattere figurato: il Cristo è redentore allo stesso titolo che è un guerriero vittorioso sulla morte, un sacrificatore perfetto, ecc.»5• L'esclusivo uso dell'immagine del riscatto e la sua comprensione in un senso troppo stretto manifesta subito le sue insufficienze e porta anche a inconseguenze teologiche, come ha particolarmente sottolineato san Gregorio Nazianzeno6 • Uno dei nostri intenti, in quest'opera, è quello di mostrare tutta l'importanza che riveste nella tradizione ortodossa ciò che Vladimir Lossky chiama . Se i Padri, come vedremo, ne hanno fatto un uso così frequente nei loro insegnamenti, se la si ritrova in moltissimi testi liturgici in uso nella Chiesa ortodossa come nel testo del rituale della maggior parte dei suoi sacramenti, se molti Concili l'hanno inserita nei loro canoni, in breve se essa è accolta da tutta la Tradizione, è perché essa costituisce, noi lo dimostreremo, una maniera particolarmente adeguata di rappresentare il modo della nostra salvezza, con un valore almeno equivalente a quello del riscatto. Loc. cit., pp. 97-98. Ibid., p. 98. 6 Discorsi, XLV, 22.

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Questa immagine possiede, peraltro, un fondamento scritturistico particolannente solido. Il Redentore è anche il Salvatore; se noi siamo riscattati, siamo anche salvati: ora si dimentica troppo spesso che il verbo sOim (salvare), frequentemente usato nel Nuovo Testamento, significa, non solo . E il Cristo presenta se stesso, molto direttamente, come un medico (cfr. Mt 8,16-17; 9,12; Mc2,17; Lc4,1823). Del resto, è cometale che spesso i profeti lo annunciano (cfr. Is 53 ,5; Sal 102,3) e che gli evangelisti lo caratterizzano (cfr. Mt 8,16-17); la stessa parabola evangelica del Buon Samaritano può essere a buon diritto considerata come una rappresentazione del Cristo Medico8 • Durante la sua vita terrena, infine, diversi suoi contemporanei andarono da lui come verso un medico9 • I Padri, quasi unanimemente, e fin dai primi secoli, gli attribuiranno in modo corrente il nome di Medico, aggiungendovi spesso i qualificativi di «grande>>, «celeste>>, «supremo», precisando inoltre, secondo il contesto: «dei corpi>>, «delle anime>>, più frequentemente «delle anime e dei corpi», sottolineando che è tutto l'uomo che egli è venuto a guarire. Questa definizione appare al centro stesso della liturgia di san Giovanni Crisostomo e nella maggior parte delle formule sacramentali. La si ritrova costantemente in quasi tutti i servizi liturgici della Chiesa ortodossa e in molte formule di preghiera. Se il Cristo appare come un medico e la salvezza che egli porta come una guarigione, ciò vuol dire che l'umanità è malata. Osservando nello stato adamico primùrdiale lo stato di salute dell'umanità, i Padri e tutta la Tradizione vedono nello stato di peccato che caratterizza l'umanità decaduta in seguito al peccato originale uno stato di malattia multiforme che colpisce l'uomo in tutto il suo essere. Questa concezione di un'umanità malata di peccato trova un fondamento scritturistico (Mie 7 ,2; Is 1,6; Ger 8,22; 28,9; Sal 13,7; 143 ,5) approfondito dai Padri. Questi, sulla scia dei profeti, ricordano l'impo7 Si può sottolineare che questo duplice significato si ritrova in copto, e ai nostri giorni n:ella lingua italiana in cui indica sia «salvezza» che «salute>>.

8 9

Cfr. ORIGENE, Omelie su san Luca, XXXIV; Commento a san Giovanni, XX, 28. Cfr. A. HARNAK, Medicinisches aus der iiltesten Kirchengeschichte, TU VIII, 4, Leipzig 1892,

pp. 37-147.

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tenza degli uomini dell'Antica Alleanza a trovare un rimedio ai loro mali, tanto questi sono gravi; ricordano, altresì, la loro invocazione a Dio lungo le generazioni e la risposta favorevole di Dio che ha voluto l'Incarnazione del Verbo l'unico, perché Dio, in grado di compiere la guarigione che essi attendevano. È così che in questi momenti diversi, l'opera salvifica di Dio-uomo appare come il processo della guarigione, nella sua persona, dell'intera umanità che egli ha assunto e della restituzione all'umanità dello stato di salute spirituale che essa ha in origine conosciuto. In questo modo, il Cristo ha portato alla perlezione della deili.cazione la natura · umana così restaurata. Questa salute/guarigione di tutta l'umanità e la sua deili.cazione compiuta nella persona del Verbo di Dio incarnato sono offerte dallo Spirito Santo a ogni battezzato che nella Chiesa si unisce al Cristo. Ma tutto ciò è in potenza nel battezzato: questi deve assimilare tale dono in tutto il suo essere. In questo consiste il ruolo della vita spirituale e dell'ascesi. L'ascesi nella Chiesa ortodossa non ha quel senso stretto che spesso le viene assegnato in Occidente. Indica piuttosto ciò che ogni cristiano deve compiere per beneficiare effettivamente della salvezza portata dal Cristo. Agli occhi della grande Tradizione della Chiesa ortodossa, l'opera della salvezza appare come una sinergia tra la grazia divina donata dallo Spirito Santo e lo sforzo che ogni battezzato deve personalmente compiere per aprirsi a questa grazia e appropriarsene, sforzo che si compie in tutta la vita, in ogni momento e in tutti gli atti dell'esistenza. Del resto, il termine greco dskesis significa: «esercizio», «allenamento», «pratica», . Più ancora che questo, i termini che gli corrispondono in russo: podvig, podvijnitchestvo, derivati dal verbo slavo po-dvizatsia che significa: , traducono una concezione principalmente dinamica della vita spirituale e rivelano che questa è concepita come un processo di crescita, cioè quello dell'attualizzazione progressiva della grazia ricevuta nei sacramenti e in particolare nel battesimo, o ancora quello dell'assimilazione progressiva della grazia dello Spirito che incorpora effettivamente il battezzato al Cristo morto e risorto, permettendogli di appropriarsi personalmente la natura umana restaurata e deificata nella persona di Dio-uomo. Attraverso l'ascesi teantropica il cristiano, perla grazia dello Spirito, muore, risorge ed è glorificato con il Cristo; cessa di essere un 8

uomo decaduto e diviene un : il termine pathos, che significa «malattia>>, porta già in sé questa connotazione. Una tale nosologia è necessaria per considerare in modo efficace la terapia e ottenere la guarigione, cose che costituiscono lo scopo del1' ascesi. Ci proponiamo di mostrare, quindi, che è in modo del tutto sistematico e metodico che l'ascetica ortodossa presenta questa terapia, il che la fa apparire come una vera medicina spirituale dell'uomo totale. Vedremo, del resto, che colcìro che si dedicano ali' ascesi sono solitamente indicati nei testi patristici come terapeuti; terapeuti di se stessi innanzitutto, poi, quando sono progrediti sulla via dell' ascesi e sufficientemente esperti, di coloro che vengono a chiedere loro l'aiuto per guarire dalle malattie proprie: è così che nei testi patristici, i Padri spirituali sono abitualmente chiamati «medici». Tuttavia, se la definizione della terapia spirituale presuppone una precisa conoscenza delle malattie e delle loro cause, questa stessa conoscenza esige che si abbia una nozione precisa di ciò che è la malattia dell'uomo, poiché la nozione di malattia non acquista il suo senso se non in rapporto a questa. La terapia, in quanto mira al ristabilimento o all'acquisizione della salute, suppone anche che questa sia .chiaramente definita. Ecco perché inizieremo col presentare la concezione patristica di salute dell'uomo, concezione che ci guiderà lungo tutta la nostra ricerca. La nozione che lantropologia ortodossa ha della salute dell'uomo è indissociabile da quella di una natura umana ideale posseduta dal-. l'Adamo originale e, dovendo essere condotta da lui; nella sinergia tra la sua libera volontà e la grazia divina, alla sua perfezione, quella della deificazione. Ciò vuol dire che la natura umana ha un senso, che si trova nelle sue diverse componenti: essa è naturalmente orientata verso Dio ed ha come destino di trovare in lui il proprio compimento.

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Mostreremo come, secondo l'antropologia ascetica ortodossa, l'uomo è in uno stato di salute quando realizza il suo destino e quando le sue facoltà si esercitano conformemente a questa finalità naturale, e come il peccato, concepito quale separazione da Dio, allontanando l'uomo da questo fine che gli è essenziale, instaura in lui uno stato multiforme di malattia, che si caratterizza particolarmente con l'uso perverso, contro natura, di tutte le sue facoltà. Vedremo, perciò, come l'ascesi teantropica per mezzo della quale l'uomo si converte ontologicamente, costituisce una vera terapia in quanto essa gli permette di riallontanarsi da questo stato patologico contro natura e di recuperare la salute della sua natura originale nel ritornare verso Dio.

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PARTE PRIMA

PREMESSE ANTROPOLOGICHE SALUTE ORIGINALE E ORIGINE DELLE MALATTIE

I LA SALUTE ORIGINALE DELL'UOMO

I Padri accomunano la salute dell'uomo allo stato di perfezione al quale egli è destinato per sua natura. Ora, la perfezione per l'essere umano consiste nell'essere deificato: è iscritto nella sua stessa natura divenire dio per grazia. Dio, infatti, ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gn 1,26) e gli ha dato, fin dall'origine, iscrivendola nel suo stesso essere, la possibilità di conformarsi totalmente a lui. «lo riflettei: Siete dèi», ci dice attraverso la voce del salmista (Sal 82[81],6). L'uomo è una creatura che ha ricevuto il comandamento di divenire Dio, afferma san Basilio Magnc1. E san Gregorio Nazianzeno scrive: «Quando il Figlio immortale [. . .] ebbe creato l'uomo, gli diede come fine quello di essere egli stesso dio»2 • Al momento della sua creazione, l'uomo possedeva già una certa perfezione; quella innanzitutto delle sue facoltà spirituali, e in particolare la sua intelligenza, imitazione di quella di Dio3 , capace di fargli conoscere il suo Creatore; la sua volontà libera creata a immagine di quella di Dio e che lo rende capace di orientare tutto il suo essere verso di Dio. Tutte le sue potenze di desiderio e d'amore, tratti riprodotti in lui della carità divina4 , gli permettono di unirsi a Dio. La perfezione delle sue facoltà proviene, da una parte, dal fatto che esse sono create da Dio ad immagine delle sue stesse facoltà e che sono nell'uomo un'icona delle facoltà divine, e dall'altra, dal fatto che creano in lui la capacità di assimilarsi completamente a Dio, a condizione tuttavia che non si allontanino da lui pur se ne hanno la libertà, ma si aprano permanentemente e totalmente alla sua grazia. La relativa perfezione, che l'uomo possedeva al momento della sua Citato da GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi, XLIII, 48. Poesie, I, I, vm. . . 3 Cfr. per esempio GREGORIO PI NISSA, La creazione dell'uomo, V, PG 44, 137BC. NICETA STETAJ'OS, Centurie, DI, 4; 12. 1

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Ibid.

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creazione, non consiste solo nella semplice capacità, conferitagli dalle sue facoltà, di unirsi a Dio: Adamo fu creato realizzando già, in qualche misura, la somiglianza a Dio che aveva l'incombenza di portare a compimento. Fin dall'origine, egli era rivolto verso Dio5 e possedeva, nella sua stessa natura, creata a immagine di Dio, tutte le virtù. San Gregorio di Nissa scrive: > (Gn 1,28); «Siate santi per me, perché santo sono io» (Lv 20,26); «Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,48). Poss.iamo dunque dire, in senso dinamico, che l'uomo è naturalmente deiforme19 • Omelie sull'origine dell'uomo, I, 16. Discorsi, Il, 17. Cfr. Poesie, I, II, 9, 90-91. Vedi anche GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utz~ le all'anima. 17 Per esempio, GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 12. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 25; Centurie sulla teologia e l'economia, I, 13. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XII, 134. NICETA STETATOS; Centurie, III, 8; 11. 18 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Omelie sul Cantico dei Cantici, XV. 19 Cfr. V. LOSSKY, Théologie mystique de l'Église d'Orient, Paris 1944, pp. 96-97. M. LOT-BoRODINE, La déification de l'homme, Paris 1970, pp. 188-191. 15 16

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La somiglianza con Dio, se era stata data in potenza e si trovava spontaneamente abbozzata nell'immagine, supponeva, per essere compiuta nella sua perfezione, che Adamo stesso volesse realizzarla integralmente. Frutto della collaborazione della volontà umana con la grazia di Dio, essa non poteva essere che opera teantropica, realizzazione comune di Dio e dell'uomo volto verso di lui. L'uomo, infatti, in virtù della perfezione che Dio aveva voluto per lui e iscritto nella sua immagine in lui, possedeva una libertà totale che gli consentiva di unirsi a Dio, ma anche di rifiutare di collaborate con lui per realizzare il suo disegn.o2°. Tuttavia, Dio gli aveva dato un ordine (cfr. Gn 2,16-17) per aiutarlo a usare bene la sua libertà. Questa si manifestava in tutta la perfezione della sua natura originaria, nella sua vera finalità, fino a che si realizzava nella scelta costante e unica di Dio. Attraverso questa scelta stabilmente mantenuta con il libero arbitrio, Adamo si conservava nel bene in cui era stato creato e se l'appropriava sempre più. In questo stato primordiale, in cui realizzava la finalità vera della sua natura, Adamo pregava Dio continuamente, lodando e glorificando sempre il suo Creatore21, conformemente alla volontà di quest'ultimo22 • Coltivando con la sua anima pensieri divini e nutrendosi di essi23 , egli viveva in permanenza nella contemplazione di Dia24 • Riconoscendo la presenza dell'energia divina nelle creature, egli si elevava per mezzo di queste al Creatore25 e le elevava a sua volta verso Dio, lui che ne era stato costituito re, realizzando così la sua funzione di 26, compiendo la missione che gli era stata assegnata da Dio di unire il mondo sensibile al mondo intelligibile, di «riunire per mezzo dell'amore la natura creata con la natura increata facendole apparire nell'unità e nell'identità>>27 • Vedendo Dio continuamente in ogni essere, egli lo vedeva anche in se stesso, perché la purezza della sua anima gli permetteva di contemplarvelo come in uno specchia28. Egli poteva anche godere della visione di Dio a faccia a faccia29 •

°Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 12.

2

21 22

25

Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, GIOVANN1 DAMASCENo, loc. cit., 11.

I, 1. GIOVANNI DAMASCENO, loc. cit., 11; 30.

Cfr. ibid., 30.

Cfr. ATANASIO D'ALEsSANDRIA, Contro i pagani, 2. Cfr. GIOVf\NNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 30. 26 GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 30. Cfr. 12. GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, XXXVIII, 11; XLV, 7. 27 MAsswo IL CONFESSORE, Ambigua, 41. 28 ATANASIO D'ALESSANDRIA, Contro i pagani, 2. 29 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Discorso catechetico, 6. Sulla visione di Dio da parte di Adamo vedi anche MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coll. II), XLV, 1. 24 25

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«Non essendovi nulla che gli impedisse di conoscere il divino, scrive sant' Atanasio di Alessandria, la sua purezza gli permetteva di contemplare continuamente l'immagine del Padre, il Verbo di Dio»30 . Adamo in questo stato «dimorava in Dio che dimorava in lui»31 . Così, tutti i Padri ci presentano il primo uomo che intrattiene con Dio relazioni di familiarità (parresia) e il libro della Genesi ce lo mostra mentre conversa ogni giorno con lui, in tutta libertà, nel paradiso. Circondato dalla grazia divina32 , viveva in uno stato permanente di intenso godimento spirituale: i Padri ricordano costantemente la dolcezza, le delizie, la gioia, la felicità, la fortuna unite alla sua contemplazione33 e derivanti da questa relazione stretta con Dio che gli consentiva di partecipare alla stessa beatitudine della vita divina. L'uomo, afferma sant' Atanasio di Alessandria, viveva allora «la sua vera vita>>34 , cioè quella per la quale egli è stato creato, quella che costituisce la finalità normale della sua vera natura.. Poiché Adamo unificava se stesso e unificava tutti gli altri esseri.in lui attraverso la continua contemplazione in ogni cosa di Dio Uno, non vi erano affatto allora divisioni né nello stesso uomo, né tra l'uomo e i suoi simili35 , né tra l'uomo e gli altri esseri, né tra gli esseri stessi. Regnava la pace in tutti e in tutto. L'uomo conduceva in paradiso una vita «senza tristezza, né dolore, né preoccupazioni»36; «possedendo i doni di Dio e la potenza propria proveniente dal Verbo del Padre, [ ... ] egli viveva una vita senza inquietu>37 ; «non doveva temere nessuna malattia interiore: nella sua carne una perfetta salute, nella sua anima una serenità perfetta>>38 ; >J10. Sant'Isacco il Siro nota similmente: «La virtù è naturalmente la salute dell' anima>>111 • Si può anche dire che la virtù per l'anima è più che la salute per il corpo, perché, afferma san Basilio Magno, «le virtù hanno molto maggiori affinità con l'anima che la salute con il corpo»112• Solo attraverso la pratica delle virtù, in particolare di quella che è loro coronamento, ossia la carità, l'uomo è reso capace della conoscenza/contemplazione spirituale nella quale il suo spirito, ma anche tutte le altre facoltà113 , si esercitano conformemente alla finalità della sua natura. Infatti l'uomo, ricorda san Simeone il Nuovo Teologo, «è stato creato per contemplare la natura visibile e per essere iniziato al mondo intelligibile»114 • E Clemente d'Alessandria, che definisce l'uomo «vera pianta celeste>>115 , dice altresì che l'uomo è . 109 Capitoli gnostici, I, 41. Cfr. anche Grande lettera a Melania l'Anziana, I. 11 °Centurie sulla carità, N, 46. 111 Discorsi ascetici, 83. m Loc. cit. m Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 15. 114 Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 3. 115 Protreptico, X, 100, 3. 116 Ibid. 103

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trovano la pienezza della loro salute. «Ciò che la salute [è] per il {'.Orpo vivente, [. .. ] la conoscenza [lo è] per lo spirito», osserva san Massimo117. «Quando la natura razionale riceverà la contemplazione che la riguarda, allora anche tutta la potenza dello spirito sarà sana», scrive nello stesso senso Evagrio 118, che considera la conoscenza spirituale anche come >120 • Questa contemplazione al suo primo grado è quella delle ragioni (l6goi) spirituali delle creature, che i Padri chiamano «contemplazione naturale» (physzkè thearia). Se questa dà all'uomo una vera conoscenza degli esseri e soprattutto lo eleva fino al loro Autore, essa non resta tuttavia che una conoscenza indiretta di Dio. È nella .conoscenza/contemplazione di Dio stesso, che è un dono di Dio e si compie per mezzo dello Spirito, che l'uomo raggiunge il grado più alto di perfezione al quale egli è per natura chiamato, poiché è in questa conoscenza, o piuttosto in questa 59; «infatti è come se un soldato, equipaggiandosi a rovescio, portasse il suo elmo a rovescio ~ punto da nascondersi il viso e da lasciare il pennacchio inclinarsi all'indietro, è come se met~ tesse i piedi nella corazza, adattasse i gambali al petto, prendesse ciò che è a sinistra sul costato destro e gettasse l'armamento di destra sul costato sinistro». «I mali che patirà verosimilmente in guerra questo fante, conclude Gregorio, sono così quelli di cui patirà verosimilmente durante la sua vita colui che ha introdotto la confusione nel suo giudizio e invertito l'uso delle facoltà della sua anima.>~60 •

Omelie sulla lettera ai Romani, rv, 1. Sulla verginità, XVIII, 3. 58 Ibid. 59 Ibid. 60 Ibid. 56 57

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rn PATOLOGIA DELL'UOMO DECADUTO

1. Patologia della conoscenza

a) La perversione e la decadenza della conoscenza e dei suoi organi I Padri constatano che, nell'uomo decaduto, la conoscenza e i suoi organi sono malati. «Come si può parlare di salute per l'anima razionale, quando questa è malata nella sua facoltà di conoscenza?», si chiede san Gregorio Palamas 1• Questa malattia consiste fondamentalmente nell'ignoranza di Dio. Adamo, dice san Massimo, «era malato per l'ignoranza della sua propria causa>>2. Infatti, egli fa notare, «quello che la salute e la malattia sono per il corpo vivente[. .. ], la conoscenza e l'ignoranza lo sono in rapporto allo spirito»3 • Parimenti, Evagrio considera >.

' Centurie sulla carità, VI, 46. 4 Capitoli gnostici, II, 8. 5 TALASSIO, Centurie, Il, 2. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, II, 8. . 6 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 59, PG 90, 604B; Centurie sulla carità, Iv, 15; 44. ISACCO IL SIR.O, Discorsi ascetici, 84. NICETA STETATOS, Centurie, ID, 12. 7 EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, Il, 15. .

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simo precisa: «Il cattivo uso della facoltà razionale è l'ignoranza e la demenza (aphrosjne)» 8 • Mentre l'anima umana «è stata fatta per vedere Dio e per essere illuminata da lui>>9 , a causa del peccato essa in realtà si è pervertita, si è allontanata da Dio e dalle realtà spirituali per orientarsi verso realtà sensibili e per considerare solo queste10 • Il peccato dell'uomo, tuttavia, non consiste nel considerare le realtà sensibili. Dio gli ha dato l'intelligenza non solo affinché egli tenda alla conoscenza di Dio stesso, ma anche perché egli conosca le creature sensibili e intelligibili11 • Prima della sua caduta Adamo dunque le conosceva, ma le conosceva solo da un punto di vista spirituale. Egli contemplava naturalmente ciò che i Padri chiamano le loro > spirituali (l6goi); in altri termini, egli le percepiva nelle rispettive relazioni con il Creatore, le conosceva come aventi in lui il loro principio e il loro fine; egli le vedeva tutte in Dio, come se esse ricevessero da Dio il loro essere e le loro qualità, e vedeva in esse Dio presente con le sue energie. Difatti, come sottolinea san Massimo, «il mondo intero appare impresso misteriosamente nel sensibile in alcune forme simboliche, per coloro che sanno vedere, e il mondo sensibile tutto intero è in modo conoscibile contenuto nell'intelligibile e semplificato dall'intelligenza nei l6goi. Il mondo è nell'intelligibile attraverso i suoi l6goi e questo è in quello attraverso le sue impronte. E la loro realtà è come se fosse una ruota in una ruota secondo l'espressione impiegata dall'ammirevole e grande veggente Ezechiele (cfr. 1,16), quando parla, mi sembra, dei due mondi. Le sue perfezioni visibili si vedono a partire dalla creazione, grazie alle opere che le rendono visibili all'intelligenza. Così parla il divino Apostolo (Rm 1,20). E se le cose non apparenti si contemplano attraverso quelle apparenti, come è scritto, a maggior ragione, attraverso le non-apparenti, coloro che si dedicano alla contemplazione spirituale avranno l'intelligenza di ciò che appare. Difatti, la visione simbolica delle cose intelligibili per mezzo di quelle visibili è scienza spirituale e intelligenza delle visibili per mezzo di quelle invisibili» 12 • Adamo, dice san Massimo, era anche destinato, al termine della sua crescita spirituale a considerare le creature dal punto di vista di Dio 8

Centurie sulla carità, m, 3. Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utzle all'anima.

ATANASIO D'ALESSANDRIA, Contro i pagani, 7. 10 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 11 Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 83. 9

12

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Mistagogia, II.

·

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stesso, ad attingere da esse 16• Dio, vietando all'uomo di mangiare del frutto dell'albero, gli aveva indicato il pericolo che vi era ad entrare in questa seconda forma di conoscenza che fino ad allora ignorava: egli doveva innanzitutto crescere nella conoscenza del suo Creatore, dopo di che solo lui avrebbe potuto gioire senza danno della creazione visibile17. Ma Adamo ha anticipato il processo e, a motivo del suo stato infantile, si è dimostrato incapace di assumerè tale creazione spiritualmente ed è caduto nel peccato. Per mezzo del peccato, gli occhi spirituali di Adamo si chiudono, e al loro posto si aprono gli occhi della carne. Infatti > (Questioni a Talassio, 58, scolio 22). m Cfr. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, Il, 92. 112 Cfr. IsACCO IL Smo, Discorsi ascetici, 38. m Commento del Padre nostro, PG 90, 849CD. II 4 Ibid., 901A. Vedi anche: EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, III, 64; IV, 49; Trattato pratico sulla vita monastica, 32. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata, VI, 9, 75, 1. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 106. rn MAsSIMO IL CONFESSORE, Ambigua, 45, PG 91, 1353C. u 6 Sulla verginità, Xll, 4, 8. Vedi anche: Discorso catechetico, 8; La creazione dell'uomo, XIX, PG 44, 197B; XX, PG 44, 200C. 117 La creazione dell'uomo, XIX, PG 44, 197B. m Qµestioni a Talassio, 61. 119 Questo elemento distintivo è spesso souolineato dai Padri. Vedi per esempio: MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo. GREGORIO DI NISSA, Discorso catechetico, 6. 12°Commento del Padre nostro, PG 90, 904C.

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più immediatamente e facilmente accessibili121 dei godimenti spirituali verso i quali la sua natura lo faceva tendere, ma ai quali egli ancora non accedeva che parzialmente; il loro possesso perfetto non doveva essere ottenuto che al termine della sua crescita spirituale. Questi piaceri, che il Maligno propose all'uomo, erano legati al desiderio di realtà sensibili che l'uomo nel suo stato originale ignorava in quanto tali. Adamo era destinato a godere delle stesse realtà sensibili (cfr. Gn 2,16) 122 , ma a gioirne spiritualmente, cioè in Dio, per mezzo delle loro «ragioni>> spirituali, dei loro l6goi. San Massimo ci insegna che Dio, nel creare Adamo come , lo ha introdotto >175; l'uomo teme e respinge le cose desiderabili, mentre consacra ogni sua cura alle cose indesiderabili176, constata san Massimo. L'uomo decaduto si mette così a vivere in pieno

delirio. Tanto più che, nel perdere il senso del vero Dio, egli giunge, nel nuovo orientamento del suo desiderio e nella scoperta di nuovi godimenti, ad assolutizzare i desideri e i piaceri sensibili, e attraverso essi i loro oggetti, che egli pone così al posto di Dio, come spiega san Massimo: «Abbandonato alle sole emozioni dei sensi sull'esempio delle bestie prive d'intelligenza, l'uomo allontanato dalla bellezza spirituale e divina, trova attraverso l'esperienza della parte esteriore e corpoIbid. Questioni a Talassio, 61. 172 !:anima, 33; 34. 110

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173 Ecco perché Giovanni Crisostomo potrà dire: «Noi che abbiamo affidato i nostri cuori non ali' amore insensato, ma al più nobile, al più elevato degli amori» (Sulla compunzione, I, 2). 174 Questioni a Talassio, 61. · 175 MAssIMO IL CONFESSORE, Commento del Padre nostro, PG 90, 888C. 176 Questioni a Talassio, Prologo.

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rea della sua natura, una creazione che egli eleva al posto di Dio, perché essa risponde meglio ai bisogni del suo corpo» 177 • L'uomo allora si fa delle realtà sensibili una moltitudine di falsi dèi, di idoli, che sono della stessa natura dei suoi desideri perversi e a loro misura. In queste relazioni con le creature, l'uomo non ha più come scopo Dio, ma il proprio piacere, e non ha altra norma se non i propri desideri sensibili. Egli non considera né tratta più gli esseri relativamente al loro l6goi, alle loro «ragioni spirituali>>, ma relativamente al grado del suo desiderio nei loro riguardi, ed è dall'intensità del piacere che può trarre da essi che definisce la loro importanza e misura il loro valore. Il mondo diviene, così, per l'uomo una proiezione fantasmatica dei suoi desideri, le creature mezzi per soddisfare le sue passioni, strumenti del godimento sensibile. Le relazioni dell'uomo con tutti gli esseri della creazione e con gli stessi suoi simili vengono così a trovarsi degenerate, poiché questi, perdendo ai suoi occhi il loro valore spirituale, si vedono ridotti a oggetti di godimento dati in pasto alle sue molteplici passioni. I rapporti tra gli esseri umani divengono in fondo rapporti da oggetto a oggetto, affidati ai capricci dei desideri e dei piaceri sensibili. Mosso dal suo desiderio pervertito, l'uomo s'inganna costantemente nella definizione e. nella ricerca del suo bene, e del bene in generale. Desiderando Dio, l'uomo desiderava il vero Bene, e giudicava tutto esclusivamente in funzione di lui. Non conoscendo e non desiderando che Dio, egli rigettava il male. A causa del peccato, egli gusta il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male: per il suo desiderio del godimento sensibile, egli lascia il Bene assoluto e unico per fare l'esperienza del male e inaugurare un modo di esistenza in cui il bene e il male per lui arrivano a confondersi. Egli «accumula in sé, scrive san Massimo, una conoscenza confusa del bene e del male, prodotta per esperienza esclusiva dei sensi.>>178 • Il male, nella coscienza dell'uomo decaduto, non è più considerato come tale, ma è spesso scambiato per il bene. Nello stato di caduta, è il piacere che diviene il criterio del bene: la conoscenza del bene e del male, che gli uomini acquistano con il loro peccato, non indica più la vera conoscenza né il discernimento che essi avevano quando conoscevano il vero Bene e rifiutavano il male, ma piuttosto, come fa notare san Gregorio di Nissa, >186 • Il Maligno si presenta come un incantatore che strega letteralmente l'uomo consenziente, 187 • L'uom~, sotto il dominio di questa illusione, si pone in un mondo di apparenze, non vedendo e non considerando che la realtà sensibile come la sola che gli indica il suo desiderio decaduto, e crede che non esista il bene al di fuori di questa. 188 • Questa riduzione della realtà a una parte di se stessa, e la visione falsata che ne risulta, appare anche come uno stato delirante introdotto dal decadimento del desiderio, tanto più che l'uomo, nel desiderare gli esseri secondo la loro apparenza sensibile e al di fuori di Dio, e nel pretendere di goderne in loro stessi, desidera e gode di un fantasma, si attacca a qualcosa che non ha un'esistenza reale, come abbiamo già dimostrato. La perversione della loro facoltà di desiderio ha per gli uomini altre conseguenze particolarmente gravi. 189 • Essi si mettono, infatti, a elevare a dèi e ad adorare le passioni che Dio aveva loro proibito persino di concepire190; «essi onorano, così, scrive ancora, la causa stessa dell' annientamento della loro esistenza e inseguono essi stessi, senza volerlo, la 184 1"' 186 187

La creazione dell'uomo, XX, PG 44, 200B. Ibid., 200A.

Discorso catechetico, XXI. La creazione dell'uomo, XX, PG 44, 200C.

Contro i pagani, 8. Questioni a Talasszo, Prologo. 190 CTr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, XIII, 101-107. 188

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causa della loro corruzione»191 . I.:uomo decaduto, con i suoi desideri contro natura, si autodistrugge. «Gli uomini, come dei selvaggi, divorano la loro stessa natura», constata san Massima1 92 . Per il piacere sensibile, l'uomo avvelena se stesso, nota altrove 193 . >2 15• Avendo distolto la sua potenza di desiderio da Dio per volgerla verso le realtà sensibili in vista di trovarvi un piacere più accessibile e immediato, l'uomo vede la sua speranza di godimento profondamente delusa. Da quando egli ha fatto l'esperienza del piacere sensibile, appare in realtà il dolore. L'uomo, nel suo stato originario ignorava il dolore2 16: il godimento spirituale che egli provava nell'unione con la Santissima Trinità ne era totalmente esente. Ma, a causa del peccato, cessando di essere spirituale per divenire sensibile, ormai il piacere si accompagna inevitabilmente al dolore2 17 • /38. >248 • La potenza irascibile risulta particolarmente utile nella preghiera, quando, per giungere a una contemplazione pura, l'uomo deve respingere tutti i pensieri che cercano di allontanarlo da Dio. A questo proposito così scrive Evagrio: «Quando sei tentato, non pregare prima di aver rivolto con collera qualche parola a colui che ti opprime. Se tu dici qualcosa con collera ai pensieri, tu confondi e fai scomparire le rappresentazioni suggerite dagli avversari>>249 • Con la sua aggressività ben utilizzata, l'uomo, resistendo da ogni parte alla prova della tentazione, rivela la misura e il vero valore del suo attaccamento a Dio. «Vi è nello spirito l'odio conforme alla naQuestioni a Talassio, 55. Commento del Padre nostro, PG 90, 896C. 244 MACARIO n'EGITIO, Omelie (Coli. II),~ 51. . 245 Cento capitoli gnostici, 43. 246 Ibid., 62. 247 Cfr. Istituzioni cenobitiche, VII, 3, 3; VITI, 7-8. 243 Asceticon, II, 7. 249 Trattato pratico sulla vita monastica, 42. 242 243

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tura, e senza odio per l'inimicizia, l'onore non si rivela ali' anima>>, scrive Abba Isaia250 • b) Il secondo uso naturale e normale della potenza aggressiva consiste nel permettere all'uomo di lottare per ottenere i beni spirituali verso i quali egli tende per natura251 ; per raggiungere il regno dei cieli al quale egli è destinato, perché, secondo le parole del Cristo: >258 • La potenza aggressiva, quando si esercita in tutti questi modi, prenAsceticon, II, 8. Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 39. Cfr. ibid., scolio 1. 252 Trattato pratico sulla vita monastica, 86. 253 Commento del Padre nostro, PG 90, 896C. 254 Questioni a Talassio, 49, scolio 6. 255 Ibid., 49. 256 Trattato pratico sùlla vita monastica, 24. 2YI Cfr. ID., ibid. 258 Ibid. 250

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de la forma di una collera virtuosa, saggia e santa, quella di cui il salmista raccomanda di fare uso quando dice: «Montate in collera, ma non peccate» (Sal 4,5). Quando l'uomo usa così questa facoltà, conformemente alla natura e alla finalità normale di questa, egli è sensato259 e «cammina rettamente»260 • A motivo del peccato, tuttavia, l'uomo perverte questa facoltà, distogliendola da quest'uso normale e buono per fame un uso contro natura261 e irrazionale262 • È così che questa facoltà si ammala: >, constata con amarezza san Giovanni Climaco273 • E Abba Isaia osserva: «La collera conforme alla natura [...] per noi si è mutata in collera contro il prossimo per tutti i moventi irrazionali e vani>>274 ; «l' o-· dio conforme alla natura [.. .] per noi è stato rivolto contro natura; esso ci fa odiare e disprezzare il prossimo»275 • Anche sant'Esichio di Batos parla della «collera diretta contro natura verso gli uomini>>276 • San Niceta Stetatos, dopo aver fatto notare che zn, afferma anche il carattere anti-naturale del nuovo orienta~ mento che il peccato imprime a questo movimento dell'anima e proclama ugualmente il suo carattere irrazionale: «Se [l'uomo] arma la sua collera contro i suoi simili [ ... ], allora egli è mosso non razionalmente (ou logikos), ma egli vive contrariamente alla ragione (awfi5s)»m, cioè, ancora, in maniera insensata, folle. Ancora più folle è l'uso della potenza irascibile che l'uomo può fare contro Dio. Quando questa era stata posta nella sua natura affinché egli potesse lottare contro tutto ciò che cerca di allontanarlo da Dio, per il peccato egli giunge fino a fame un uso inverso, servendosene contro tutto ciò che può avvicinarlo a Dio, talvolta arrivando a volgerla contro Dio stesso. Così san Barsanufio fa notare: >, «opera di libertà>> o, sulla scia di san Giacomo (Gc 2,12), «legge della libertà>>3°0; ed è per lo stesso motivo che sant'Agostino può scrivere: «Non vi è che una vera libertà: quella dei beati e di coloro che aderiscono alla legge divina>>301 • Tutto questo segue l'insegnamento del Cristo Gesù: «Se rimanete nella mia parola, [. .. ] conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31). >307 • Tuttavia, Dio gli aveva dato, contemporaneamente a questa libertà, la conoscenza del suo buon uso e della sua funzione normale. Gli aveva indicato il mezzo per esercitarla in tutta la sua perfezione attraverso il comando di non mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (cfr. Gn 2,17). «Sapendo, scrive sant'Atanasio, che la volontà dell'uomo poteva essere incline nei due sensi, egli lo prevenne e gli impose una legge, fortificò la grazia che gli aveva dato»308 . L'uomo era, tuttavia, costantemente tentato dal diavolo di fare della sua libertà un uso diverso da quello che Dio, volendo che egli fosse realmente libero e che conoscesse il vero bene nel compimento integrale di se stesso e nello sviluppo perfetto della sua natura, gli aveva indicato. La tentazione, fintanto che Adamo non vi cedeva, aveva del resto un ruolo positivo: essa permetteva che la deificazione fosse voluta realmente dall'uomo e che questi manifestasse così il suo vero valore. «Occorreva che l'uomo fosse innanzitutto messo alla prova>>, scrive san Giovanni Damasceno. «Né messo alla prova, né tentato, l'uomo non è degno ad alcun titolo. Condotto alla perfezione per mezzo della tentazione nel rispetto del comando di Dio, avrebbe conosciuto l'incorruttibilità a prezzo della sua virtù>>309 • Nella tentazione la libertà si rivela veramente come tale, poiché, da un lato, vi si rivelano

'°' Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 22.

Ibid., Il, 12. MARCO L'EREMITA, Il battesimo, 22. Cfr. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, IV, 37, 2. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), XV, 25; 36; 40; XXVII, 10; 11. 308 Sull'incarnazione del Verbo, 3. 309 Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 30. 306 307

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le altre sue possibilità, e dall'altro, la volontà vi è messa alla prova e mostra qual è la misura dell'attaccamento a Dio, attraverso la forza del rifiuto che essa oppone a tutto quanto cerca di allontanarla da lui. L'uomo, malgrado tutti i beni che Dio gli offriva, cedette alla tentazione diabolica. Utilizzò il suo libero arbitrio allontanandosi da Dio, prendendo parte al male che gli suggeriva il Maligno, introducendolo in sé e nella creazione. Tutti i Padri insistono sul fatto che il male, nell'uomo ma anche nel mondo, è un prodotto del cattivo uso della libertà dell'uomo; il male è stato concepito, immaginato, inventato, creato e poi realizzato da una cattiva scelta del libero arbitrio dell'uomo, della sua volontà personale o, secondo la terminologia di san Massimo, «gnomico»310 • 3 17 • San Massimo mostra che l'uomo, a·motivo del peccato, dissocia e mette in disaccordo il suo libero arbitrio, la sua 348, praticava questa memoria ininterrotta di Dio349 . Ugualmente i santi, che reintegrano in Cristo la condizione primaria di Adamo e «si avvicinano alla perfezione, hanno continuamente nel cuore il ricordo del Signore GesÙ»350 . Per mezzo di questa memoria continua di Dio l'uomo può, infatti, conformemente alla finalità della sua natura, unirsi a lui. «L'unione spirituale è la memoria allo stato puro», scrive sant'Isacco il Siro351 . Attraverso il ricordo di Dio, l'uomo è fortificato nella custodia e nella pratica dei comandamenti; egli può, in altri termini, preservarsi dalle passioni e far crescere in sé le virtù352 . Il ricordo di Dio è, in modo particolare, la condizione dell'amore di Dio353 , che esso ricordo ha la proprietà di suscitare e di far crescere354, andando sempre di pari passo con l'amore355 . Ciò è vero, in primo luogo, nella sua forma più compiuta, che è quella della preghiera continua, ma anche del ricordo dei benefici di Dio. È così che san Marco l'Eremita consiglia: «Conserva davanti agli occhi i beni ricevuti dalla tua nascita fino a ora, sia corporali sia spirituali, medita su di essi e ripetili, secondo quanto è scritto: "Non tenere in oblio nessuno dei pp. 156s. e H. J.

SI!BEN,

, in Dictionnaire de spiritualité, X, 1980, coli. 1407-

M~

.

Cento capitoli gnostici, 59 . .,., Ibid., 61. 346 La preghiera, 83. m Ibid., 84. ' 48 DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, I, 1.. Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 11. >o DIADOCO DI FOTICEA,

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suoi benefici" (Sai 103 [102],2), affinché essi ti portino ad amare Dio prontamente e facilmente [. .. ] perché, spontaneamente, al ricordo di questi benefici e ancor più sotto un impulso proveniente dall'alto, il .tuo cuore sia ferito d'amore e di desiderio>>356• Il ricordo continuo di Dio nella preghiera costituisce così per l'uomo la chiave d'accesso alla contemplazione che, scrive sant'Isacco, «trova in lui la materia sulla quale gli è dato di basarsi»357 • San Callisto II il Patriarca dice allo stesso modo che esso «fa riflettere nello spirito purificato i raggi divini»358 • La memoria accompagna l'attività d~l­ lo spirito fino ai gradi più alti della vita spirituale359 • Ed è altresì «nella sua memoria», afferma sant'Isacco, che l'uomo «è rapito più in alto della natura» nella conoscenza/visione di Dio che lo Spirito gli comunica360. Per mezzo della memoria di Dio, l'uomo conserva Dio all'interno del suo spirito361 e lo fa dimorare nel suo cuore. «Ciò significa alloggiare Dio, scrive san Basilio, avere, per mezzo del ricordo, il suo Dio stabilito in sé. Così noi diventiamo il tempio di Dio fin quando le preoccupazioni terrene non interrompono la continuità di questo ricordo>Y 62• Per questo stesso motivo, il ricordo di Dio è per l'uomo che lo possiede la fonte di una gioia intensa3 63 , 364 , come dice il salmista: (cfr. Sal77[76],4). Per mezzo del ricordo permanente di Dio, l'uomo pensa «alla sola cosa necessaria>> e conduce un'esistenza tutta centrata su Dio, conformemente alla finalità della sua natura. 'In altre parole, la memoria di Dio implica l'oblio del mondo365 , l'assenza di ogni ricordo sensibile e mondano366 • Implica ugualmente per l'uomo l'oblio di sé. L'uomo spirituale, scrive sant'Isacco, «dimentica se stesso. Non si ricorda affatto di questo secolo; non smette di meditare e di concepire quanto_ riveIbid 6 m Dis;~rsf ascetici, L Questo punto sarà esaminato dettagliatamente nella VI parte, capitolo 3, 5. 356

Capitoli, 3. m Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33. 360 Ibid., 65. 361 CTr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 23. 362 Lettere, II, 4. 363 Cfr. ELIA ECDICO, Capitoli gnostici, 12. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 60. 364 CALLISTO Il, Capitoli, 3. 365 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 56. BASIIJO DI CESAREA, Regole lunghe, 6. 366 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8 e 10. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 37. 358

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la la grandezza di Dio». Egli ha una «memoria legata al genere di vita che conduce [ ... ]; non pensa alle cose di questo mondo, non se ne ricorda»367 . «Quando la memoria di Dio ha fatto dell'anima il suo pascolo, essa cancella ogni altro ricordo», continua a dire ancora sant'Isacco in sintesi368 • La memoria dell'uomo, essendo totalmente occupata nel, ricordo di Dio, è, nello stato originario e normale della natura umana interamente unificata, semplice e omogenea369 . Tutti i pensieri dell'uomo vi si concentrano verso ciò che costituisce per il suo spirito l'unico oggetto d' attenzione. Nel ricordo di Dio, osserva san Giovanni Cassiano, l'uomo «fissa tutta la sua attenzione verso un fine unico verso il quale [egli] fa attivamente convergere tutti i pensieri che si levano [... ]nel suo spirito»370. La memoria appare allora stabile e immobile371 , e conosce la calma372 • Essendo la memoria totalmente occupata dal ricordo di Dio e quindi «spogliata di ogni forma e di ogni figura>>, è ricordata proprio da sant'IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 65. ;si Discorsi ascetici, 43. 382 Cfr. Centurie sulla carità, I, 68. Cfr. anche, Questioni a Talassio, Prologo: «1? oblio dei beni della natura è il vizio dell'anima dotata d'intelligenza>>. m Capitoli fisici, teologici, etici e pratici, 46. Cfr. 50. ; 84 La legge spirituale, 61-62. 385 Ibid., 62. 386 Cfr. MARco LEREMITA, A Nicola, 10-13. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima.

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vagio sono l'ignoranza, la madre di tutti i mali, l'oblio, sua sorella, suo socio e suo aiuto, la negligenza, che tesse nell'anima un abito e un velo tenebroso di nuvole nere; essa consolida e fortifica le altre due, fornisce loro consistenza introducendo il male allo stato endemico e radicandolo nell'anima particolarmente noncurante. Il resto delle passioni cresce e si fortifica grazie alla negligenza, ali' oblio e all'ignoranza. Esse si sostengono mutuamente e non possono stare le une senza le altre. La potenza delle forze nemiche si manifesta attraverso di esse, come il vigore dei principi del male; attraverso di esse tutta l' armata degli spiriti di malizia s'insinua, si afferma e può reàlizzare i propri disegni>>387 • Abbiamo visto che è difficile determinare nel processo della caduta ciò che è primario: se è la seduzione del piacere sensibile che trascina l'uomo ad ignorare e a dimenticare Dio, o se al contrario è l'ignoranza e l'oblio di Dio che lo porta a rivolgersi verso la realtà sensibile. Vi è, lo abbiamo sottolineato, una dialettica di questi due atteggiamenti, che giustifica che si metta avanti ora l'uno, ora l'altro. Ad esempio, san Diadoco di Foticea privilegia la prima soluzione: sedotti dal piacere sensibile, Adamo ed Eva dimenticano Dio. «Che la vista, il gusto e tutti gli altri sensi, quando ne usiamo fuori misura, dissipino la memoria del cuore, la prima Eva ce lo insegna: infatti, fintanto che ella non ebbe guardato con piacere l'albero proibito, si ricordava coscenziosamente del precetto divino. Questo perché ella era ancora come al riparo sotto le ali dell'amore divino [. .. ]. Ma quando, con piacere, ella ebbe visto l'albero, quando lo ebbe toccato con ardente desiderio, e poi ebbe gustato il suo frutto con intenso piacere [. ..],ella diede tutto il suo desiderio-al godimento del presente, coinvolgendo Adamo nella sua colpa per la dolce apparenza del frutto. D'allora in poi, lo spirito umano non poté più che con pena ricordarsi di Dio e dei suoi comandamenti>>388 • Altri Padri propongono il processo inverso. Un apoftegma riferisce: «Gli Anziani dicevano: "Le potenze di Satana che precedono ogni colpa sono triplici: l'oblio, la negligenza, e il desiderio. Infatti, ogni volta che sopraggiunge l'oblio, questo genera la negligenza, dalla negligenza procede il desiderio, e il desiderio fa cadere l'uomo>>389 • Sant'Esichio di Batos dice allo stesso modo: > che richiamano il suo attaccamento passionale395 . San Massimo insegna: «Tre vie danno accesso nello spirito ai pensieri passionali: la sensazione, la costituzione fisica, la memoria [ ... ]. La memoria, quando fa rinascere il ricordo degli oggetti che ci appassionano, suggerisce parimenti allo spirito pensieri passionali>>396 . Ma spesso la memoria fornisce direttamente pensieri passionali397 , come sottolinea san Talassio che vede in questa facoltà la principale fonte di quelli, e i più temibili tra loro: «Vi sono tre cose attraverso cui tu ricevi i. pensieri passionali: i sensi, la memoria e la costituzione del corpo. I pensieri più spiacevoli sono quelli che provengono dalla memoria>>398 . La Capitoli sulla vigilanza, 32. Omelie (Coll. Il), LIV, 10. 392 Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 122. 393 Capitoli, 60. 394 Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33. 395 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 84, III, 42. 396 Centurie sulla carità, II, 74. 397 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 84. 398 Centurie, I, 46. 390

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memoria produce particolarmente tali pensieri perché essa conserva i ricordi delle colpe precedenti e i segni delle passioni precedentemente stabilite'99, e soprattutto quelli del piacere che era a loro legato400 , il . che dà alle sue rappresentazioni un forte potere di seduzione401 • Allora spesso la memoria è attivata ed eccitata dai demoni che cercano in particolare di ricondurla a quei ricordi402 • Per tutti questi motivi, la memoria diviene nell'uomo decaduto una delle cause principali per mezzo delle quali le passioni sono suscitate e trattenute403 • Ecco perché sant'Isacco vede in essa la sede delle passioni, il luogo in cui possiamo trovarle tutte404 • È così che il «ricordo del male (mné'tne tou kakou)» diviene nell'uomo decaduto una abituale disposizione (éxis) 405 • Il ricordo del male si sostituisce, in gradi diversi, al ricordo del bene, l'unico, all'origine, che occupava la memoria; per il fatto di non potervisi sostituire completamente, gli la~cia un posto più o meno ridotto. Tutto ciò ha, in ogni caso, come .effetto quello d'introdurre nella memoria un'altra divisione che essa ignorava in origine, quella di scinderla in due parti, come dice san Diadoco di Foticea: «Dopo che uno scivolamento del nostro spirito lo ha messo in uno stato di doppia scienza, è obbligato allora, anche se egli non vuole, ad avere nello stesso istante pensieri buoni e cattivi [... ]. A misura, infatti, che egli si affretta a concepire il bene, immediatamente si ricorda del male, perché, in seguito alla disobbedienza di Adamo, il ricordo dell'uomo si viene a trovare scisso in un duplice pensiero»406 • Ricordo del bene e ricordo del male non si avvicinano solamente, essi si mescolano, contribuendo ad accrescere la confusione che la memoria e l'intelligenza ricevono già dai molteplici e diversi pensieri che li investono407 • 399 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33. Evagrio Pontico osserva: «Se abbiamo dei ricordi passionali di una cosa, è perché ne abbiamo accolto prima gli oggetti con passione e, in· versamente, di tutti gli oggetti che accogliamo con passione avremo anche dei ricordi passionali>> (Trattato pratico sulla vita monastica, 34). 400 Cfr. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 93. MAss!MO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 19. 401 Cfr. MARCO L'EREMITA, A Nicola, 10. 402 Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33. MARco L'EREMITA, A Nicola, 10. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 10; 44-4.6. . 403 Cfr. TALASSIO, Centurie, III, 32; rv, 16. Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 85. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 33. 404 Cfr. Discorsi ascetici, 8. 405 Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici, 3; 5; 83; Discorso per l'Ascensione, 6. 406 Cento capitoli gnostici, 88. 407 Sulla confusione della memoria, vedi IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 85.

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Anche se l'uomo decaduto è, come afferma sant'.Esichio di Batos, «coperto da un abisso d'oblio»408 , il ricordo di Dio e del bene, dopo la colpa di Adamo non è reso impossibile, ma diviene più difficile. «D'allora in avanti, scrive san Diadoco di Foticea, lo spirito umano non può se non con pena ricordarsi di Dio e dei suoi comandamenti»409. 410 . Infatti, come abbiamo già visto, lo spirito dell'uomo è investito e occupato da una molteplicità di ricordi di oggetti di questo mondo e di pensieri, passionali o meno, ma in ogni caso estranei a Dio. Tali ricordi arrivano allo spirito dell'uomo a motivo del suo attaccamento a questo mondo, ma anche in ragione dell'azione dei demoni che cercano, particolarmente, attraverso questo mezzo, di tenerlo lontano da Dio411 . In ogni caso, in realtà, questi ricordi mondani escludono il ricordo di Dio. Il principio di economia messo in evidenza a proposito delle facoltà precedentemente studiate vale anche per la memoria: più essa si ricorda di Dio meno si ricorda di questo mondo; inversamente, più essa si ricorda di questo mondo, meno si ricorda di Dio.

6. Patologia dell'immaginazione .L'immaginazione (phantasfa) è una facoltà di conoscenza dell'uomo412, una delle più elementari413 . La sua funzione naturale è quella di permettere all'uomo di rappresentarsi le cose sensibili in quanto tali414 . È, dunque, direttamente Capitoli sulla vigilanza, 116. Cento capitoli gnostici, 56. 410 Capitoli, 61. 4 n Quest'azione si rivela chiaramente all'uomo che cerca nella preghiera di ritrovare Dio, come sottolinea in particolare Evagrio: >, che testimoniavano la salute della sua anima, come osserva san Massimo: «Quando l'anima inizia a sentirsi in buona salute, allora le immagini, durante il sonno, cominciano ad apparirgli semplici e senz~ turbamenti>>430 . Nel quadro della contemplazione naturale, questi sogni prendevano per di più la forma di visioni431, d'insiemi stabili e nettamente strutturati e ordinati di immagini432, ispirati da Dio e forniti di un significato spirituale definito, tali da elevare l'uomo a Dio, a motivo del loro carattere simbolico, fin nel sonno. Come san Massimo per i sogni «semplici>>, così san Diadoco di Foticea fa notare che tali sogni testimoniano la salute dell' anima: >451 • In questo modo, non solo ·essa «si oppone con tutta la sua forza alla preghiera pura»452 , ma ancor più essa non lascia alcun posto nell'anima al pensiero e al ricordo di Dio che normalmente dovrebbero occuparla. San Barsanufio paragona l' anima, nel suo stato normale, cioè quando essa è tutta occupata dal ri-

446 447

GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, III, 4. Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, II, 62. Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità,

II, 56. Sottolineiamo questa definizione di san Giovanni Clirrntco: «Un'immaginazione è un'alienazione dello spirito» (La Scala, III, 3 7). 450 GIOVANNI IL SOLITARIO, Dialogo, éd. Hausherr, p. 38. 451 Centuria, 64. 452 Ibid., 64. 448 449

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cordo di Dio, a un quadro già dipinto dove nessuna forma né alcuna figura, alcuna immagine, possono più trovarvi posto453 • Nello stato di decadenza dell'uomo avviene l'inverso: il quadro è interamente riempito dalle figure e dalle forme imposte dall'immaginazione e non lascia più sussistere alcuno spazio libero per il pensiero di Dio. Nella vita interiore dell'uomo decaduto, l'immaginazione occupa un posto tanto più grande e gioca un ruolo tanto più malefico quanto più essa si esercita in stretta relazione con le passioni. «Oggi, osserva san Massimo, l'uomo nel suo movimento è posseduto dall'immaginazione irrazionale delle passioni»454 • Da un lato, l'immaginazione suscita le passioni, offrendo ad esse i supporti sui quali esse possono esercitarsi e svilupparsi455 • Dall'altro lato e soprattutto, le passioni suscitano l'attività e le produzioni dell'immaginazione: nutrendosi prima di tutto dell'immaginario456 , esse inducono quest'ultimo a generare immagini (vecchie e nuove) che corrispondono loro e offrono loro il piacere che esse ricercano457 • Massimo fa notare: «Come lo spirito di un uomo affamato immagina il pane e quello di un uomo assetato immagina l'acqua, così lo spirito di colui che è ghiotto immagina ogni sorta di nutrimento, lo spirito di colui che ama il piacere immagina le forme femminili, lo spirito del vanitoso immagina gli onori che provengono dagli uomini, lo spirito dell'astioso immagina come vendicarsi di colui che lo ha offeso, lo spirito del geloso immagina come far del male a colui che invidia, e così via per tutte le altre passio-

San

ni»45s.

Questo avviene nello stato di veglia, ma anche nel sonno. «Vale lo stesso modo» per i sogni malsani e 467 • I sogni rivelano così con la loro presenza e con la loro forma la natura e la forza delle passioni dalle quali scaturiscono468 , e perciò manifestano che l'anima è malata, e persino di quali m.alattie e in quale di alcune sue parti essa è più particolarmente colpita, come fa notare Evagrio: «Quando nelle immaginazioni del sorino, i demoni, attaccandosi alla parte concupiscibile, ci fanno vedere radUni di amici, banchetti di parenti, cori di donne e altri spettacoli simili generatori di piacere; ci fanno così vedere che noi accogliamo queste immagini con sollecitudine, ed è proprio in questa parte che siamo malati e che la passione vi è forte. Quando, d'altra parte, essi turbano la parie irascibile, obbligandoci a seguire vie scoscese, facendo sorgere uomini armati, bestie velenose o carnivore, e noi siamo terrificati· davanti a queste strade, e, perseguitati da queste bestie e da questi uomini, fuggiamo, allora prendiamoci cura della parte irascibile>>469 • I Padri sottolineano che, in questa duplice relazione dell'immaginazione con le passioni, i demoni giocano un ruolo molto impOrtan. te, sia perché spingono l'uomo a immaginare in risposta alle sue pas" sioni e per loro mezzo, come abbiamo appena spiegato470 , sia perché suscitano direttamente in lui immagini e fantasmi471 al fine di attivare le sue passioni472 • In quest'ultimo caso, accade alle passioni di porre nello spirito dell'uomo, nel sonno come nello stato di veglia, immagini che per lui sono del tutto nuove, che non sono relative ad alcuna delle sue esperienze percettive presenti o passate473, che nemmeCenturie, II, 60. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 54. GREGORIO DI NISSA, La creazione dell'uomo, XIII, PG 44, 172D; 173C. 469 Trattato pratico. sulla vita monastica, 54. Vedi anche Pensieri, recensione lunga, 27. 47°Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 85. 471 Cfr. Storia dei monaci d'Egitto, Giovanni di Llcopoli, 19. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 85. 472 Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, loc. cit. 473 Ciò appare in modo caratteristico in questo racconto degliApoftegmi;n. 171: «Si racconta di un vecchio che andò a Scete portando con sé un figlio molto giovane, il quale non sapeva co· .sa fosse una donna. Quando dunque divenne uomo, i demoni gli mostrarono delle immagini di donne, ed egli ne informò suo padre che se ne stupì. Una volta che salì in Egitto con suo pa461

468

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no egli stesso ha mai create, e che in qualche modo s'impongono al suo spirito474 • Tali immagini hanno per scopo di far commettere all'uomo nuove colpe o di trascinarlo su cattive strade che non ha ancora percorse. In tutti i casi, per i demoni si tratta di fuorviare l'uomo e di mantenerlo lontano da Dio. Le immaginazioni sembrano la principale forma che assumono le suggestioni demoniache che spingono l'uomo al peccato475 : se i pensieri (logismo{) spesso sono associati alle immaginazioni nei testi ascetici, quelli si riducono spesso di fatto a queste, o hanno in esse la loro origine. Perciò, l'immaginazione appare come la prillcipale porta d'ingresso nell'anima di tali suggestioni. «Essa è come un ponte sul quale passano i demoni, i santi lo hanno detto», notano san Callisto e sant'lgnazio Xantopulo476• E sant'Esichio di Batos scrive: «l demoni ci spingono sempre a peccare con l'immaginazione ingannevole>>477 ; «Satana senza l'immaginazione non può suscitare pensieri e presentarli allo spirito per ingannarlo»478 • L'immaginazione, in ogni caso, appare come lo strumento principale dell'azione demoniaca sull'anima umana, nello stato di veglia, o nel sonno: per mezzo di essa i demoni tormentano l'uomo479 , cercando non solo, come abbiamo visto, di spingerlo a peccare e di risvegliare o eccitare le sue passioni, ma anche di turbarlo in molti modi480 , di suscitare particolarmente in lui tristezza e ansietà481 , d'ingannarlo482 e di fuorviarlo in illusioni diverse483 , e persino di asservirlo484 • Sant'Esichio di Batos fa giocare all'immaginazione persino un ruolo di primo piano nella caduta dell'uomo: >. Fintanto che l'uomo decaduto non ritrova questa vigilanza che caratterizza la sua natura nello stato di perfezione e di salute, il suo cuore resta aperto alle cattive suggestioni che il nemico gli insinua attraverso il canale dell'immaginazione, egli si lascia invadere, di giorno come di notte, dalle immagini che trascinano il suo spirito alla deriva e lo alienano, portandolo e tenendolo lontano da Dio. Fintanto che l'uomo immagina ciò che lo allontana da Dio, manifesta con questo che, non solo la sua immaginazione, ma anche la sua anima è completamente malata.

7. Patologia dei sensi e delle funzioni corporee

Non è solo a livello delle facoltà dell'anima che il peccato ancestrale introduce cambiamenti, produce deviazioni, genera malattie: le funzioni corporali e i sensi, il modo in cui l'uomo si serve dei diversi organi del suo corpo e i modi della sua percezione sensibile sono anch'essi pervertiti e per questo si ammalano. L'uomo è stato creato completamente a immagine di Dio, di con486 487

Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 64. 102. Vedi anche NICETA STETATOS, Centurie, I,

Lettere,

5.

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seguenza il suo corpo così come la sua anima488 , ed ha per missione quella di compierne interamente la somiglianza, e come fine quello di essere interamente deificato. La vita virtuosa, sottolineano i Padri, è una vita alla quale il corpo partecipa. Non solo vi sono delle «virtù · corporali>>, ma il corpo partecipa alla maggior parte delle virtù del1' anima. Alcuni carismi dello Spirito, fa notare san Gregorio Palamas, «agiscono con la mediazione del corpo»4S9 • Il corpo, in maniera generale, per mezzo delle sue facoltà ed energie, >8 • San Giovanni Climaco, da parte sua, afferma: «Non vi è, a motivo della sua stessa natura, né vizio né passione nella natura [dell'uomo]; Dio, infatti, non è il creatore delle passioni>>9; «Dio non è né l'autore né il creatore del male; s'ingannano coloro che affermano che De] passioni sono connaturali all'anima» 10 • Le passioni appaiono, perciò, come il prodotto di una invenzione dell'uomo stesso, in conseguenta del peccato ancestrale. San Macario insegna: è «per la disobbedienza del primo uomo [che] abbiamo ricevuto in noi un elemento estraneo alla nostra natura, la malizia delle passioni; passato nell'abitudine e nella predisposizione inveterata, esso è divenuto come nostra natura>>11 • San Massimo scrive ugualmente: «lo affermo, per averlo appreso dal grande Gregorio di Nissa, che le passioni sono state introdotte e come innestate nella parte irrazionale dell'anima a causa della caduta fuori della perfezione. È a motivo di tale caduta che invece di portare l'immagine beata e divina, fin dal momento della trasgressione l'uomo lia iniziato a rassomigliare chiaramente e visibilmente agli animali senza ragione» 12 • Le passioni sono, in altri termini, l'effetto di un cattivo uso del libero arbitrio dell'uomo, il frutto della sua volontà personale dissociata dalla sua volontà naturale in armonia con quella di Dio. A questo proposito così scrive sant'Isacco: «Le passioni vengono dunque ad aggiungersi, e la causa di questa aggiunta è nell'anima stessa>>13 • San Giovanni Damasceno 6

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lbid., 83. Ibid.

8 Capitoli gnostici, I, 41. •La Scala, XXVI, 50. 10 Ibid., 141.

Omelia (Coli. II), IV, 8. Questioni a Talassio, 1. 13 Discorsi ascetici, 82.

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precisa: «Tutto ciò che Dio ha fatto è molto buono, tutto ciò che permane come egli lo ha creato è molto buono. Ciò che si separa volontariamente dal naturale e va contro natura diviene cattivo. Tutto ciò che serve e obbedisce al Creatore è secondo la natura. Quando una creatura,volontariamente, si rivolta contro e disobbedisce al suo Creatore, costruisce il male in se stessa»14 • Solo le virtù, lo abbiamo dimostrato, appartengono alla natura dell'uomo, ed è allontanandosi dalle virtù che questi introduce in sé le passioni, di modo che queste ultime debbono essere in primo luogo definite negativamente come l'assenza, la mancanza delle virtù corrispondondenti, le quali costituiscono la somiglianza di Dio nell'uomo. San Doroteo di Gaza spiega così: «Abbiamo bandito da noi le virtù e introdotto al loro posto le passioni [ ... ]. Avviene naturalmente che ·noi possediamo le virtù che ci sono state date da Dio. Nel creare l'uomo, Dio le ha messe in lui secondo la parola: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza" (Gn 1,26) [...]; "a nostra somiglianza", cioè secondo la virtù [ ... ]. Dio, dunque, con la natura d ha donato le virtù. Le passioni, però, non sono naturali: non hanno né essere, né sostanza, somigliano alle tenebre che non esistono per se stesse, ma[...] esistono solo per la privazione della luce 15 • Allontanandosi dalle virtù per amore del piacere, l'anima ha provocato la nascita delle passioni, poi le ha consolidate in sé»16 • San Giovanni Damasceno afferma la stessa cosa: «Il male non è nient'altro che l' allontanamento dal bene così come la tenebra è l'assenza di luce. Ciò significa che se noi, uomini, rimaniamo nel nostro stato naturale, allora siamo nella virtù, ma se noi ci allontaniamo dallo stato naturale, giungiamo a uno stato contro natura (parà phjsin), vale a dire ai vizi>>17 • Le virtù costituiscono, lo abbiamo visto, nel funzionamento secondo la loro natura, o in altre parole, secondo la finalità che Dio ha loro assegnato nel creare la natura umana, delle facoltà, potenze o tendenze dell'uomo. Esse corrispondono all'uso e al significato normali erazionali (logik6s) di queste facoltà, che sono, lo abbiamo visto, quelli di orientare e di elevare l'uomo verso Dio; logik6s del resto, per i Padri, significa conforme al Logos, all'immagine e alla somiglianza con cui l'uomo è stato creato. Le passioni sono costituite, al contrario, dal funzionamento contro natura (cioè distolte dalla loro finalità naturale e Esposi'zione esatta della fede ortodossa, IV, 20. Doroteo rinvia a BASIIJO DI CESAREA, Omelie sull'Hexaemeron, II, 5. 16 Istruzioni spirituali, XII, 134. 17 Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 3 O.

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normale, cioè da Dio) delle facoltà dell'anima e degli organi del corpo18, dalla loro deviazione, dalla loro perversione, dal cattivo uso (pardchresis). San Giovanni Damasceno definisce, così, le passioni come una «deviazione volontaria da secondo-natura a contro-natura» 19. Anche san Niceta Stetatos ritiene che le «passioni dell'anima [siano] suscitate dalle potenze che vanno contro la sua natura>>20 . San Giovanni Climaco scrive allo stesso modo: «Siamo noi stessi che abbiamo cambiato in passioni le qualità costitutive della nostra natura»21 . San Talassio parla ugualmente della trasformazione delle virtù in vizi22 • E san Basilio Magno spiega: 24 • E san Massimo, che afferma spesso il carattere contro natura delle passioni25 , precisa allo stesso modo: «Nulla di ciò che è, è cattivo, ma solo il cattivo uso, a causa della negligenza del nostro spirito nel coltivarsi secondo natura>>26 ; , la quale include l'intellig=a o spirito (nous). 19 Esposizione esatta della fede ortodossa, rv, 20.

° Centurie, I, 37.

2

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La Scala, XXVI, 141.

Cfr_ Centurie, I, 89. Regole lunghe, 2. 24 Triadi, II, 2, 19. 25 Gr. Centurie sulla carità, II, 16; Questioni a Talassio, 55. Lo scoliaste di quest'opera parla abitualmente di (ibid. 39, scolio 4 e 9; 51, scolio 4). 26 Centurie sulla carità, ID, 4. 27 Ibid., 86. 22 23

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scibile e razionale, i vizi s'installano in essa>>28• Anche su questo punto vi è un insegnamento di Evagrio. Questi, che constata che i vizi distruggono >, è sufficiente >38 • Le passioni sono «le malattie dell'anima (psyches n6soi)», afferma più nettamente Clemente d'Alessandria39. Sant'Ammona le descrive allo stesso modo40 • San Niceta Stetatos parla della «malattia delle passioni»41, come anche san Macario42 • >44. Evagrio definisce , opposta alla virtù e ritenuta di conseguenza come l'insieme delle passioni, «malattia dell'anima>>45 • San Massimo insegna: «Ciò che la salute e la malattia sono per il corpo del vivente[...], la virtù e il vizio Do sono] in rapporto all'anima»46• E sant'Isacco il Siro scrive allo stesso modo: «Avviene per le cose 36 Catechesi battesimali, V, 4_ Cfr 5; 6; Omelie sui demoni, I, 7; Commento a san Matteo, IX, l; Omelie su 1 Corinzi, IX, l; 4. 37 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, N, 3. BARSANUFIO, Lettere, 17 (Questione); 62; 97; 98; 201; 250. TEODORETO DI CIRO, Discorso sulla Provvidenza, I, PG 83, 560A. ERMA, Il Pastore, Similitudini, VI, 5, 3; IX, 22, 3. GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi battesimali, VI, 22. GIUSTINO, Dialogo, 95. METODIO D'OLIMPO, Il Banchetto, V, 5_ SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XV, 48; 53; Inni, XX, 126-127. NICETA STETATOS, Centurie, I, 34. 38 Istruzioni spirituali, XI, 122. Cfr. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 463. ,. Protreptico, XI, 115, 2. 40 Lettere, XII, 5 (versione siriaca). 41 Centurie, II, 22. Cfr. rutto il capitolo, in cui le passioni sono presentate come malattie, così come nella Centuria I, 34; 35; 51. 42 Omelie (Coli. ill), XXV, 2, I. 43 Ibid., XXVII, 2; 4. In questo stesso passo, dice anche, 47 • «Se l'anima non si purifica dalle passioni, non guarisce dalle malattie del peccato», egli aggiunge48. «Vì sono molte malattie nell'anima», scrive Origene prima di elencare, a titolo di esempio, differenti passioni49 • Tutti questi esempi riportati finora sono solo alcuni tra quelli che vedremo nell'esaminare ogni passione5°. I Padri si sono messi a classificare queste passioni/malattie, elaborando così una vera nosografia spirituale. San Giovanni Cassiano spiega come sia possibile distinguerle e classificarle in riferimento alle differenti «parti» dell'anima o facoltà che esse colpiscono, ricorrendo, per la sua dimostrazione, a una precisa comparazione con le malattie fisiche: «Tutti i vizi, egli scrive, hanno una stessa fonte e un'identica origine. Ma, secondo la parte, e per così dire, il membro che è viziato nell'anima, essa riceve i diversi vocaboli delle passioni e delle malattie spirituali. L analogia delle affezioni fisiche fa talvolta da prova. Difatti, benché la causa sia unica, essa non cessa di diversificarsi in differenti tipi di malattia, a seconda del membro che ne è colpito. Se l'umore del peccato assedia la testa, che è come la cittadella del corpo, dà luogo alla cefalgia; se esso invade le orecchie o gli occhi, si ha l' otalgia o l'oftalmia; se esso si porta alle articolazioni o alle estremità delle mani, è la malattia articolare, o la gotta delle mani; se esso scende fino alle estremità dei piedi, l'affezione cambia nome per chiamarsi podagra o gotta dei piedi. Per una stessa fonte di umore maligno si usano vocaboli diversi a seconda delle parti o delle membra colpite. Parimenti, circa le cose visibili che passano alle invisibili, possiamo ben credere che l'energia dei vizi sia similmente localizzata nelle diverse parti e, per così dire, nelle membra.dell'anima. Ora i sapienti vi distinguono tre facoltà: quella razionale, quella irascibile e quella concupiscibile. Luna o l'altra sarà necessariamente alterata tutte le volte che il male ci attaccherà. Quando, dunque, la passione cattiva tocca qualcuna di queste potenze, è secondo l'alterazione che essa vi deDiscorsi ascetici, 83. Tutto il discorso è fondato su questo paragone. Ibid., 86. Allo stesso modo troveremo che le passioni sono considerate malattie nei Discorsi, 26,30, e a più riprese nella Lettera 4, in cui sant'Isacco il Siro scrive particolarmente: >. 49 Omelie sui Numeri, XXVII, 12. Vedi anche La preghiera, 29. 50 Sulle passioni considerate globalmente come malattie, vedi anche GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile alt'anima. 47

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termina, che il vizio particolare riceve la sua denominazione»51 • In questo testo, che possiamo considerare rappresentativo del modo di vedere dei Padri, la passione appare chiaramente concepita e definita come malattia non in modo allegorico o semplicemente per dare un'immagine, e neanche in virtù di una semplice comparazione, ma, come precisa lo stesso san Giovanni Cassiano, a motivo dell'analogia vera, ontologica, che esiste tra le affezioni del corpo e quelle dell'anima, e che autorizza a parlare delle une e delle altre in termini medici identici. Nella maggior parte dei casi in cui vedremo i Padri usare, per descrivere le passioni, il vocabolario abitualmente applicato alla patologia del corpo, dovremo sapere che non si tratta di figure retoriche, ma di un modo di esprimersi perfettamente adeguato alla realtà che essi vogliono descrivere, ossia di un modo preciso e diretto per dire le cose così come sono. L'analogia che vige tra i due ordini di realtà permetterà all'inizio di descrivere le affezioni somatiche in termini riservati, eventualmente, alle malattie dell'anima; e se è attraverso il vocabolario della patologia corporea che i mali dell'anima sono generalmente presentati, è più facile andare dal visibile all'invisibile che non l'inverso, particolarmente quando si tratta d'istruire coloro che hanno poca familiarità con le realtà spirituali. Molte passioni/malattie possono colpire l'anima dell'uomo decaduto, in corrispondenza ai movimenti patologici di cui sono suscettibili le sue diverse facoltà, potendo per di più alcuni di questi movimenti combinarsi tra loro. San Giovanni Cassiano offre così questa classificazione per illustrare le sue argomentazioni sopra citate: «Se la peste viziosa infetta la parte razionale, genera la cenodossia52 , l'esaltazione, lorgoglio, la presunzione, la durezza, leresia. Se ferisce la parte irascibile, essa partorisce il furore, l'impazienza, la tristezza, l'acedia, la pusillanimità, la crudeltà. Se corrompe la parte concupiscibile, produce la gastrimargia53 , l'impurità, l'amore del denaro, l' avarizia, desideri perniciosi e terreni>>54 • San Giovanni Damasceno,.che utilizza, nel suo Discorso utile al!'anima, lo stesso principio di classificazione, fornisce una lista più dettagliata55 • In un altro punto dello stesso Discorso, presenta un catalogo ancora più lungo sulla base della distinzione delle passioni dell'anima e delle passioni del corpo: >83 • Come qui indica san Giovanni Cassiano, sarebbe illusorio per l'uomo decaduto credersi esente dalle passioni, o anche solo da tale o talaltra. Se qualche passione sembra non essere in noi, è perché essa non ci appare o non s_i manifesta in quel momento; nondimeno essa esiste in un certo grado nell'anima e può manifestarsi in ogni istante nel caso che si offrano le circostanze. In ogni caso, vi è nell'anima un'economia delle passioni tale che quando una passione esiste con poca intensità e sembra persino assente, la sua mancanza relativa è compensata dal più grande sviluppo di una o di molte altre. Possiamo così constatare a contrario che alIl battesimo, 13. Sulla verginità, rv, 5. 82 Conferenze, V, 13. 83 Ibid. 80

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cune persone nelle quali tale o talaltra passione è particolarmente sviluppata sono pressoché esenti da altre passioni o almeno queste non le abitano che in grado lieve84 • Talvolta,' la semplice attività intensa di coloro che sono presi dagli affari e dalle occupazioni mondane basta in genere a far scomparire in essi certe passioni; questo tuttavia è vero solo provvisoriamente perché le possiamo vedere riapparire non appena questa attività perde d'intensità. San Giovanni Climaco cita un esempio di questo processo che ha potuto egli stesso osservare: >95 • Come il termine «carne» nel vocabolario paolino96 e patristico non indica generalmente il corpo (soma) ma le passioni che riguardano l'anima e il corpo come pure i soli pansieri passionali dell'anima, così il termine «mondo» usato in questo contesto non indica la creazione bensì G

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farlo somigliare a un animale selvaggio e feroce49 • In coloro che da queste passioni si lasciano profondamente invadere «tutto accade come se essi cambiassero natura, perdendo tutti i tratti della loro specie per mutarsi in mostri>>, scrive san Gregorio di Nissa.5°. Per tutti questi motivi, i Padri affermano che la filargiria e la pleonessia costituiscono vere e proprie malattie dell' anima51 • Essi insistono sul fatto che ciascuna, già grave in se stessa fin dal1' origine, diviene p·articolarmente temibile perché quasi incurabile se la lasciamo svilupparsi e radicarsi in noi: «Se non blocchiamo questa passione fin dall'inizio, una volta entrata, essa ci darà una malattia che non potrà più guarire», avverte san Giovanni Crisostoma52 • San Giovanni Cassiano afferma alla stessa maniera: «Se per negligenza, le si è concesso di entrare una volta nel cuore, essa diviene più pericolosa delle altre malattie e più difficile da respingere»53 • San Nilo Sorsky insegna la stessa cosa: «Se questa malattia si radica in noi, allora essa è peggiore di tutte le altre>>54 • Tutti, concordemente, i Padri non esitano a vedere in queste due passioni forme di follia.5 5 • Filargiria e pleonessia hanno come caratteristica fondamentale quella di essere insaziabili; questo permette di comprendere una parte importante della loro patogenia. I Padri frequentemente mostrano che queste passioni comportano una tendenza a svilupparsi sempre più, che non conoscono mai uno scopo definitivo, e che esse non sono mai appagate dagli oggetti ai quali si attaccano. Il desiderio che le sotten49 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla I Corinzi, IX, 4; Commento a san Matteo, XXVIII, 5; Commento a san Giovanni, LXV, 3; Discorso: A chi non nuoce__ _ 50 Sul!'amore dei poveri, 2. 51 Cfr. GIOVANNI CRisosroMo, Commento a san Matteo, IX, 6; LII, 6; Omelie sul tradimento di Giuda; Omelie sulla I Corinzi, XI, 4; Discorso: A chi non nuoce ... («Questa grave malattia,[ ... ] questa malatòa che rigetta ogni rimedio e attacca tutte le anime>>); Commento a san Giovanni, LXV, 3; Omelie sulla I Corinzi, XXIII, 5; 6. BASILIO DI CEsAREA, Lettere, CLXXXVIII, 14; Omelie contro le ricchezze, VI, 2. GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, VII, 2, 14; Conferenze, IX, 5. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XVI, 1. NICETA STETATOS, Centurie, II, 55. NIL SORSKY, Regola, V. 52 Omelie sulla 1 Corinzi, XI, 4. 53 Istituzioni cenobitiche, VII, 2. 54 Regola, V. 55 Cfr. GIOVANNI CRISOSfOMO, Consolazioni a Stagira, Il, 3; Omelie sulla 1 Corinzi, XXIII, 5; Commento a san Matteo, LII, 6; LXXXI, 3-4; Discorm: A chi non nuoce... ; SIMEONE IL Nuovo TuoLOGO, Catechesi, IX, 227 _TEOOORETO DI CrRo, Discorso sulla Provvidenza, VI, PG 83, 656CD. ANDREA DI CRETA, Grande canone penitenziale. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro i n"cchi, VII, 3; Omelie sul Salmo 14, II, 3. -

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de, non solo si esercita indefinitamente, ma si accresce sempre più a misura della sua manifestazione e della sua realizzazione56 • Per san Giovanni Crisostomo, filargiria e pleonessia sono una «bulimia dell' anima>>: «Non vi è, egli scrive, malattia più crudele di questa fame incessante che i medici chiamano bulimia; pur mangiando a iosa, nulla viene a calmarla. Trasportate una tale malattia del corpo all'anima; cosa c'è di più spaventoso? Ora la bulimia dell'anima è l'avarizia; più s'ingozza di alimenti, più essa desidera. Essa estende sempre più i suoi desideri al di là di quanto essa possiede»57 • Tale insaziabilità raggiunge, tra l'altro, sia i poveri che i ricchi58 • Sottomessi a questa passione, i poveri invidiano i ricchi, ma i ricchi invidiano quelli che sono ancora più ricchi di loro, perché, come osserva sant' Ambrogio, «ogni essere che possiede in abbondanza si ritiene sempre troppo povero>>'9• In questa insaziabilità si rivela il carattere tirannico della filargiria e della pleonessia che rendono l'uomo schiavo dei beni che possiede60, lo legano alle ricchezze che egli possiede o brama, lo trascinano in una corsa senza fine alla ricerca di nuove acquisizioni, subordinando tutte le sue facoltà ai loro scopi e ai loro oggetti61 e l'assoggettano al demonio più di tutte le altre passioni62 • Filargiria e pleonessia privano l'uomo della sua libertà, letteralmente lo alienano. Il desiderio sempre inappagato di possedere di più, ma anche quello di conservare ciò che si ha, provocano nell'anima, per tutte le ragioni ricordate sopra, un turbinio continuo, disagi e sconvolgimenti permanenti. Per coloro che sono colpiti dalla filargiria e dalla pleo~ nessia, «non c'è mai tranquillità, mai sicurezza per l'anima[. ..]; né la notte né il giorno porta loro l'acquietamento [ ... ];essi sono tormentati da ogni parte», afferma san Giovanni Crisostoma63 • La filargiria e la pleonessia, prima di tutto, generano nell'anima uno stato di paura, di ansia e persino d'angoscia. San Gregorio Magno descrive così lo stato interiore dell'avaro e dell'avido: «Quando egli ha 56 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XV, 19. GIOVANNI CRisoSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXII. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro la ricchezza, VI, 5; Omelie contro i ricchi, VII, 5. AMBROGIO DI MILANO, Nabot il povero, 50; 4. " Omelie sulla 2 Timoteo, VII, 2. 58 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Discorso: A chi non nuoce... 59 Nabot il povero, 50. 60 «Gli avari sono schiavi dei loro beni>>, osserva Giovanni Crisostomo (Commento a san Matteo, LXXXIII, 3). 61 Cfr. per esempio GIOVANNI CASSIANO, I.stituzioni cenobitiche, VII, 24. 62 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, XIJI, 4. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XVI, 1. 63 Commento al Salmo 142, 4. Cfr. Commento a san Matteo, LXXXIII, 3.

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abbracciato un mucchio di cose nella sua avarizia, la sua stessa congestione lo opprime. Quando la sua unica ansia è quella di cercare e conservare ciò che ha accumulato, questa sazietà lo angoscia. Il primo dolore che egli prova è il fastidio per tutte le domande che gli pone il suo desiderio smodato: come ottenere ciò che si augura? [. .. ]. Una volta poi soddisfatti questi desideri, insorge un altro dolore: l'inquietudine di preservare tutto ciò che con tanta pena egli ha acquisito64 • Egli è, dunque, esattamente oppresso da ogni sorta di dolori che sono per quaggiù il castigo della sua cupidigia e la preoccupazione di conservare ciò che possiede»65 • San Giovanni Crisostomo descrive allo stesso modo gli uomini sottomessi a queste passioni: >, osserva nello stesso senso Giovanni Crisostomo (Omelie sulla lettera ai Romani, XXIv, 4). 65 Moralia su Giobbe, "XV, 19. 66 Commento a san Matteo, LXXXI, 4. 67 La Scala, "XVI, 21.

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il riposo dello spirito che si trova nelle ricchezze?», si chiede san Giovanni Crisostomo. «Per me, egli risponde, vi confesso che io vi trovo solo motivi d'afflizione e di miseria [...] e un dispiacere che non dà affatto riposo»68 • L'avaro, egli constata altrove, «è tutti i giorni schiacciato da nuove inquietudini e protesta che la vita gli è pesante»69 • Egli è «incapace di godere di ciò che ama>>. «Non solo gli avari si privano della gioia di ciò che hanno e di ciò che non osano usare a loro piacimento, ma anche di quello di cui non sono mai sazi e hanno sempre sete: vi può essere qualcosa di più penoso?»70 • «L'attaccamento che [i filargiri] hanno per le loro ricchezze, egli afferma, non è la prova della soddisfazione che essi provano, ma della malattia e della sregolatezza del loro spirito>>7 1• L'ansia e la tristezza dell'avaro possono chiaramente tradursi in una patologia a un tempo somatica e psichica72 • La filargiria e la pleonessia generano e manifestano anche altri disturbi, di cui alcuni in particolare colpiscono la visione che l'uomo ha della realtà e delle relazioni che egli intrattiene con questa. La filargiria, come tutte le altre passioni, ottenebra l'anima e oscura l'intelligenza7'. «L'avaro vive nelle tenebre e diffonde una spessa notte sul mondo [che egli vede]»74 ; per lui, >88 . E altrove sottolinea a proposito di quelli che sono colpiti dalla stessa passione: «Coloro che vivono nelle tenebre della irrazionalità non riconoscono più la vera natura delle cose, essi si rotolano nella immondizia, e il letame non appare loro più come letame; posseduti dall'avarizia, sono insensibili al cattivo odore che quella emana>>89 . Egli nota ancora che l'avaro è vittima di un'illusione, allo stesso modo di colui che, nell'oscurità, scambia una corda per un serpente e i suoi amici per nemici. È chiaro che per lui è un vero delirio che la filargiria genera. La follia, del resto, è nella paura che l'avaro prova all'idea di perdere quanto possiede, come nella tristezza che l'accompagna. Queste, infatti, non sono oggettivamente motivate, ma provengono dalle false credenze che hanno la loro fonte unicamente nell'anima sregolata del passionale, così come mostra san Giovanni Crisostomo: «Molti uomini giudicano male le cose di quaggiù, così essi cadono nello scoraggiamento. È per questo che i folli si spaventano di ciò che non ha nulla di spaventoso, temono cose che spesso non esistono affatto e fugDiscorsi, xrv, 20. Ibid. 86 Ibid.,21. 87 Ibid. 88 Commento a san Matteo, LXIII, 4. 89 Commento al Salmo 9, L 84 85

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gono davanti alle ombre. Assomiglia a loro chi teme una perdita di denaro. Questo timore, infatti, non è imputabile alla natura ma alla volontà. Se in questo vi fosse un vero motivo d'afflizione, tutti quelli che hanno delle perdite di denaro dovrebbero essere infelici: ma se la stessa disawentura non produce in noi la stessa sventura, ne consegue che il principio dell'afflizione non è affatto nella natura delle cose, ma nella grossolanità dei nostri pensieri»90 • Il delirio si ritrova anche in un altro tratto patologico della filargiria: il carattere ossessivo91 e quasi allucinatorio che essa attribuisce al denaro e alle ricchezze materiali nello spirito di colui che essa abita. Costui, infatti, ossessionato continuamente dal pensiero dei beni che possiede o cerca di possedere, vede tutto attraverso di essi e deforma così la realtà che percepisce. «Dovunque, dice san Basilio ali' avaro, non vedi che il tuo oro, lo immagini dovunque. L'oro ossessiona i tuoi sogni la notte e ti abita di giorno. I folli non vedono il mondo reale, ma le allucinazioni del loro cervello annebbiato. Allo stesso modo, il tuo animo, preda della sua idea fissa, vede tutto oro, tutto argento»92. San Giovanni Crisostomo nota, in senso analogo, che l'uomo colpito dalla filargiria e dalla pleonessia, sotto l'effetto del suo insaziabile desiderio, arriva fino a volere le cose che non esistono, e si porta in un mondo fantasmatico e allucinatorio93 • Il carattere patologico della filargiria e della pleonessia si rivela anche nelle molteplici passioni/malattie che esse generano. Sulla scia di san Paolo (cfr. lTm 6,10), i Padri affermano che la filargiria è la radice e la madre di tutti i mali94 • Così san Niceta Stetatos si chiede: «Se questa malattia è un male tale da avere ricevuto il nome di seconda idolatria, quale vizio non scaturirà dall'anima che da sola si procura tale malattia?»95 • Filargiria e pleonessia, lo abbiamo dimostrato, distruggono la carità: esse generano per ciò stesso tutte le passioni che le sono contrarie: insensibilità, avversione, odio, inimicizia, risentimento, spirito di

Loc. cit. Cfr. BASILIO DI CESAREA, Omelie contro la ricchezza, VII, 1. 92 Ibid., VI, 1. 93 Cfr. Omelie su 1 Corinzi, VII, 2. Vedi anche ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8. 94 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, LIII, 4; Commento a san Giovanni, XL, 4; LXIX, l; Omelie sulla 1 Corinzi, XXIII, 5. GIOVANNI Mosco, Il prato spirituale, 152. EVAGRIO PONTICO, Sui diversi pensieri della malvagità, 1, PG 79, 1200. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VII, 2; 11. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XV, 19. TALASSIO, Centurie, I, 34. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. NIL SORSKY, Regola, V. " Centurie, II, 55. 90 91

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contestazione e lite, crimini, ecc. Abbiamo visto anche che esse producono la paura e la tristezza. Occorre osservare che possono anche generare nell'anima la collera% e diverse forme di violenza97 , ma anche la pigrizia98 , l'orgoglio 99 , la vanità100 , e quanto accompagna queste due ultime passioni: la sicurezza di sé101 , lo spirito di superiorità 102 , il disprezzo del prossimo 103 , l'irriverenza104 , l'insolenza, l'arroganza105 • Per terminare, segnaliamo ciò che favorisce lo sviluppo della filargiria e della pleonessia. San Massimo d insegna: «La filargiria ha tre cause: il piacere, la vanagloria e la mancanza di fede. Quest'ultima è più grave delle altre due»106 • Quanto a san Giovanni Crisostomo, egli offre le seguenti ragioni: «Voler prevalere sugli altri nel possesso dei beni carnali non ha altro principio se non l'indebolimento della carità; la cupidigia non ha altra fonte se non quella dell'orgoglio, dell'odio e del disprezzo degli uomini»107 •

96 Cfr. GIOVANNI CAsSIANO, Conferenze, V, 10. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, IV; 5. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 59. NICETA STETATOS, J;anima, 56. GIOVANNI CLI· MACO, La Scala, XVI, 21. "'Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXXI, 45. EsICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 59. 98 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 9, l; 11; Omelie sulla 1 Corinzi, XXIII, 5. · 99 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 9, l; 11; Commento a Isaia, ID, 7. 100 GIOVANNI CRlsOSTOMO, Commento al Salmo 9, 11. 101 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VII, 8. 102 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXXVII, 5. 10'

Ibid.

GIOVANNI CAssIANO, loc. cit. Ibid. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla 1 Corinzi, IX, 4. 106 Centurie sulla carità, ID, 17. 107 Omelie sulla lettera agli Efesini, XVIII, 3. l04

105

184

VI

LA TRISTEZZA

L'uomo, nella sua condizione paradisiaca, non conosceva la tristezza (ljpe) 1• Questa comparve dopo la colpa adamica2 • Essa è in relazione allo stato di decadimento nel quale si trova l'uomo. Non costituisce, dunque, un atteggiamento che appartiene alla natura primaria e fondamentale dell'uomo3 • Tuttavia, benché conseguente·alla colpa adamica, la tristezza non è ipso facto una passione cattiva e non è nemmeno esterna alla natura dell'uomo. Occorre, infatti, distinguere due forme di tristezza4 • La prima fa parte di quanto i Padri chiamano «le passioni naturali e irreprensibili>>5, cioè quelle che si sono integrate alla natura dell'uomo in seguito al peccato originale, e benché testimonino la sua caduta relativamente al suo stato primario di perfezione, non sono cattive6 • La forma di tristezza che fa parte di queste passioni naturali, non solo è «irreprensibile», ma può e deve servire da base a una virtù: la 12 • E così che la tristezza diviene 13 • I.:uomo manifesta, in questa passione, un comportamento doppiac mente patologico: da un lato, perché non si affligge, come invece dovrebbe continuamente fare, per quanto in verità costituisce una situazione affliggente - il suo stato di decadenza, di peccato, di malattia -; e dall'altro, egli si rattrista a proposito di oggetti, di stati, di situazioni, ecc., che non lo meritano realmente14 • La facoltà di afflizione di cui l'uomo dispone non solo non gli serve, come Dio aveva voluto facendogliene dono, per prendere le distanze dal suo stato di peccato, ma al contrario viene utilizzata fuori tempo, in modo assurdo e insensato in rapporto alla sua naturale finalità, a manifestare il suo attaccamento al mondo, e paradossalmente entra al servizio del peccato.

9

Questioni a Talassio, 1, PG 90, 269B.

10

Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 58, PG 90, 592D; 593B; 596A.

11

12

Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 58, 593A. Consolazioni a Stagira, III, 13.

B

Ibid., 14.

Va da sé che non includiamo in questa categoria la tristezza con la quale l'uomo si afflig. ge dei mali che colpiscono il prossimo e che è una delle forme della compassione. 14

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La tristezza (lypeJ appare come uno stato dell'anima fatto, oltre ciò che questo termine può indicare, di scoraggiamento 15 , di astenia16 , di pesantezza e di dolore psichico, d'abbattimento 17 , di sgomento18 , d'oppressione19, di depressione20, accompagnato frequentemente da ansia o anche da angoscia21 . Questo stato può avere molteplici cause, ma esso è sempre costituito da una reazione patologica della facoltà irascibile e/o dalla facoltà concupiscibile dell'anima, ed è essenzialmente legato alla concupiscenza o/e alla collera. «La tristezza, spiega Evagrio, sopraggiunge talvolta per una frustrazione dei desideri (stéresis ton epithymi6n), talvolta essa è anche una conseguenza della collera.>>22 • Ma essa può anche essere prodotta nell'anima da un'azione diretta dei demoni, o ancora vi può nascere senza un motivo apparente. Esamineremo in particolare queste diverse eziologie. 1) La causa più frequente della tristezza è la frustrazione di uno o più desideri. «La tristezza è costituita dall'insoddisfazione di un desiderio carnale», sottolinea Evagrio23 . San Giovanni Cassiano nota ugualmente che la tristezza «proviene talvolta dal fatto che ci vediamo delusi in una speranza che avevamo>>24, e che una delle sue principali specie «segue un desiderio contrastato»25 • Poiché «ogni desiderio è legato a ogni passione>>26 , ogni passione può costantemente produrre la tristezza; «colui che ama il mondo sarà rattristato molte volte», afferma ancora Evagrio27 . Essendo il piacere legato al desiderio, si può ancora dire, con lo stesso autore, che «la tristezza è la frustrazione di un piacere (steresis edones) presente o atteso»28 . San Massimo29 e san Talassio30 danno la stessa definizione. Abbiamo visto che san Massimo Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Consolazioni a Stagira, III, 13. lbid. 17 Cfr. DOROTEO DI G~, Istrnzioni spirituali, V, 67 . 18 Ibid. 19 Ibid. 2°Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, IX, 1. 21 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, V, 67. 22 Trattato pratico sulla vita monastica, X. 23 Gli otto spiriti della malvagità, 11, PG 79, 1156D. 24 Istituzioni cenobitiche, IX, 4. 25 Conferenze, V, 11. 26 EVAGRIO PONTICO, Gli otto spiriti della malvagità, 11, PG 79, 1156D. 27 Loc. cit. 28 Trattato pratico sulla vita monastica, 19. 29 Cfr. Questioni a Talassio, 58, PG 90, 593A. 30 Centurie, I, 75. 15

16

.

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sottolinea il fatto che il piacere sensibile è inevitabilmente seguito dal dolore, essendo quest'ultimo molto spesso più psichico che fisico, ossia, detto altrimenti, prende la forma della tristezza. Ecco perché san Massimo dice che la tristezza «è la fine del piacere sensibile»31 • Poiché detta tristezza è il risultato della frustrazione di un desiderio carnale (nel senso ampio del termine) e del piacere che vi si ricollega, essa manifesta in colui che essa affligge un attaccamento ai beni sensibili, ai valori di questo mondo. Ecco perché Evagrio sottolinea che essa è legata a tutte le passioni nella misura in cui esse implicano la cupidigia32 e scrive: «È impossibile respingere questo nemico se abbiamo un attaccamento passionale per ·questo o quel bene terreno»33 • San Doroteo di Gaza scrive allo stesso modo: «Colui che non disprezza ogni cosa materiale [ ... ] non può [. .. ] liberarsi della tristezza»34 • E san Giovanni Climaco osserva: «L'uomo che è arrivato a detestare il mondo è sfuggito alla tristezza. Ma colui che è attaccato a una qualsiasi cosa visibile non è ancora liberato dalla tristezza. Difatti come non rattristarsi se si è privati di ciò che si ama?»35 • Lo stesso autore fa notare ancora: «Se qualcuno crede di non avere nessun attaccamento a qualcosa e, nondimeno, avverte una certa tristezza nel suo cuore quando ne viene privato, non vi è assolutamente un'illusione più perfetta né più sicura della sua>>' 6 • Così vediamo spesso la tristezza provocata dalla perdita di un bene sensibile37 , da un qualunque danno che si subisce su questo stesso piano38. L'attaccamento passionale dell'uomo alla sua vita terrena e a ciò che essa comporta di soddisfacente per le sue passioni può anche far nascere la tristezza nella prova o il pensiero di tutto ciò che può metterla in pericolo: la malattia39, tutti i mali ai quali si trova esposto40, la morte41 • La tristezza può anche essere suscitata dalla voglia di qualche bene materiale o morale posseduto da altri42 • 31

Questioni a Talassio, 58, PG 90, 592D.

" Cfr. Gli otto spiriti della malvagità, 11-12.

" Trattato pratico sulla vita monastica, 19. 34 Sentenze, 3. 35 La Scala, II, 11. 36 Ibid., 17. 37 CTr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, V, 4; VII, 1. 38 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 11. 39 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, VII, 1. 40 Ibid. 41 Ibid., V, 4. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, III, 3; 9. 42 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 91.

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La tristezza può anche avere come causa una delusione nella ricerca di onori, e quindi sembra necessariamente legata alla cenodossia43 • Notiamo, inoltre, che la tristezza può non essere provocata dalla frustrazione di un desiderio particolare, che si riferisce a un oggetto ben determinato: essa può essere legata a una insoddisfazione generale, a un senso di frustrazione globale che si riferisce all'intera esistenza e rivela che i desideri profondi e fondamentali della persona (del cui vero significato questa non ha necessariamente una coscienza chiara) non sono soddisfatti. 2) La seconda causa della tristezza è la collera. «La tristezza, c'insegna Evagrio, proviene da pensieri di collera>>; «infatti, egli spiega, la collera è un desiderio di vendetta, e la vendetta non soddisfatta produce la tristezza>>44 • San Massimo si esprime allo stesso modo: «Tristezza e rancore vanno di pari passo. Se, dunque, lo spirito prova tristezza a raffigurarsi il volto di un fratello, quest~ è la prova che egli nutre del rancore contro di lui»45 • San Giovanni Cassiano afferma, ugualmente, senza meglio precisare: «La tristezza talvolta proviene dal fatto che noi stessi ci siamo messi in collera>>46 ; una sorta di tristezza «segue la collera che si spegne», nota ancora47 • La tristezza può essere in relazione con altri sentimenti oltre quello del rancore: spesso essa nasce in modo particolare dal sentimento di ccillera eccessivo o sproporzionato rispetto a ciò che l'ha causata, o che al contrario non è stato sufficiente in quanto non ha manifestato, cori abbastanza chiarezza, ciò che si prova o non ha provocato, in colui o in coloro ai quali essa si rivolgeva, la reazione che ci si aspettava. La tristezza può anche essere prodotta da un'offesa o da ciò che il soggetto crede esser tale: «Quando ci feriscono o riteniamo di essere feriti, siamo nella tristezza>>, constata san Giovanni Damasceno48 • In quasi tutti questi casi, detta passione rivela un attaccamento a se stessa ed è legata alla vanità e ali' orgoglio, come peraltro la collera che 43 Cfr. IsAcco IL SIRO, Discorsi ascetici, 1. EVAGRIO PONTICO, Gli otto spiriti della malvagità, XII, PG 79, 1158B. . 44 Gli otto spiriti della malvagità, 11, PG 79, 1156BC. Cfr. Trattato pratico sulla vita monastica, 19; 25. 45 Centurie sulla carità, III, 89. Cfr. 96. 46 Istituzioni cenobitiche, IX, 4. 47 Conferenze, V, 11. 48 Esposizione esatta della fede ortodossa, II, 16. Cfr. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati dalle loro opere, 180.

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la segue. Essa presenta una reazione dell'io frustrato nel desiderio di affermazione di se stesso (in ciò questa seconda eziologia si collega al, la prima) e considerato meno di quanto egli si reputi49 • Il rancore, al quale spesso si riallaccia la tristezza, è d'altronde il risentimento del1' orgoglio ferito, e la collera, fonte della stessa passione, esprime frequentemente una volontà di riaffermazione, di rivalutazione, di rias-' sicurazione dell'io di fronte a se stesso e agli altri: La tristezza si rive· la, allora, essere l'espressione del sentimento di fallimento o d'impotenza· che prova l'io in questo tentativo di riabilitazione di sé. 3) Talvolta, tuttavia, la tristezza sembra immotivata. «Accade, osserva san Giovanni Cassiano, che siamo pieni ·di angoscia improvvisa e senza motivo; ci sentiamo oppressi da una tristezza che è senza nessun motivo»50 • Lo stesso santo altrove afferma che vi sono due specie di tristezza: la prima comporta tutte le forme che abbiamo esaminato precedentemente, «l'altra proviene da un'ansia o da una dispe~ razione senza ragioni»51 • Allora diviene un po' più preciso il limite tra questa specie di tristezza e la passione dell' acedia che esamineremo nel prossimo capitolo. 4) Occorre sapere che i demoni giocano un ruolo importante nella nascita, nello sviluppo e nella perpetuazione di tutte le forme di tristezza, e particolarmente di quella che abbiamo presentato ultimamente. Se questa è detta immotivata, è perché non ha relazione diretta con un'azione precisa della persona che essa affiigge; perché non è, come le precedenti, il frutto dell'insoddisfazione di un desiderio o di un movimento· di collera, ma non perché non avrebbe assolutamente alcuna causa. I Padri riconoscono, infatti, che essa frequentemente è prodotta da un intervento diabolico. San Giovanni Cassiano sottolinea così che «talvolta, senza alcuna causa apparente che ci provoca a questa caduta, la malizia del nemico ci opprime improvvisamente»52• San Giovanni Crisostomo, analizzando lo stato del suo aniico Stagira che soffriva di una profonda tristezza, sottolinea anche, molto spesso, il ruolo dell'influsso demoniaca53 • Egli scrive più propriamente: > (Istituzioni cenobitiche, V, 1; X, l; Conferenze, V, 2). Cfr. anche: Conferenze, V, 16; xxrv, 5; Istituzioni cenobitiche, X, 2 (3). 12

13

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DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostici,

no alla vita spirituale: esso cerca cli allontanarli dalle vie dello Spirito, d'impedire in diversi modi le attività che una tale vita comporta e, particolarmente, di nuocere alla regolarità e alla costanza della disciplina ascetica cli cui ha bisogno25 , cli rompere il silenzio e la stabilità che la favoriscono26 • Per questo, san Giovanni Crisostomo la presenta come 27 • Essa rende lo spirituale 28 • Sotto l'influsso cli questa passione, il suo spirito «diviene ozioso e incapace cli ogni attività spirituale»29 ; diviene indifferente a tutta l'opera cli Dia3°, cessa cli desiderare i beni futuri31, giunge perfino a disprezzare i beni spirituali32 . Tutti i Padri vedono nell' aceclia uno dei principali ostacoli alla preghiera33 . San Giovanni Climaco la definisce come «un languore nella salmodia, una debolezza nella preghiera»34 • >54• «Essa devasta tutta anima, la pone nella confusione», nota san Marco l'Eremita55 . «Essa rovina l'anima», «essa sconvolge da cima a fondo il suo normale stato», dice ugualmente san Giovanni Crisostomo56 , che afferma altresì che rende lanima deforme57, «attaccando ciò che ha di più sano, corrompendo ciò che essa ha di più puro»58 • I turbamenti generati nell'anima dalla passione della collera. sono Commento a san Giovanni, IV, 5. Omelie, 10, Sulla collera. 46 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 16. GREGORIO NAZIANZENO, Poesie morali, XXV, 35-40, PG 37, 816A. BASILlO DI CESAREA, Commento a Isaia, PG 30, 424A. GREGORIO DI NISSA, La creazione dell'uomo, XII; Omelie sul Padre nostro, PG 44, 1164C; Sull'anima e sulla risurrezione, 38. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, VIII, 90. Vedi anche: EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 11. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 6. "'Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 11. 48 Commento a san Giovanni, XXVI, 3. 49 Omelie sugli Alti, VI, 4. 50 La Scala, VIII, 22. 51 Cento capitoli gnostici, 62. 52 La Scala, Ricapitolazione, 32. Cfr. VIII, 18. 53 Moralia su Giobbe, V, 45. 54 Ibid. 55 A Nicola, 8. 56 Trattato sul sacerdozio, III, 13. 57 Commento a san Giovanni, XLVIII, 3. 58 Commento a san Matteo, IV, 9. 44

45

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molti. Essa turba innanzitutto l'uso della ragione al punto che sembra escluderla59 . «L'aggressività distrugge tirannicamente l'esercizio della ragione e fa uscire il pensiero dalla legge della natura>>, scrive san Massimo60. «Questa passione bandisce la ragione, interdice all'uomo l'uso del ragionamento», nota da parte sua san Basilio61 • «Essendo allora la [sua] ragione seppellita nell'ubriachezza e nelle tenebre»62 , l'uomo diviene incapace di giudicare correttamente le cose63. Per questo così scrive san Giovanni Cassiano: «Fintanto che la collera occupa il nostro cuore e acceca il nostro occhio interiore, noi non possiamo giudicare con discernimento[ ... ]. Non possiamo più essere capaci di ottenere la vera luce spirituale, poiché, dice la Scrittura, "s'è spento nel dolore il mio occhio" (Sal 30[31],10); noi non saremo nemmeno capaci di ottenere la maturità del giudizio [. ..],perché "chi è pronto all'ira commette ogni stoltezza" (Pro 14,17)»64 • «Niente turba la chiarezza dell'intelligenza, niente offusca la penetrazione dello spirito come la collera», constata ugualmente san Giovanni Crisostomo65 . Di conseguenza, l'uomo vede le cose in funzione di ciò che la sua collera indica; la sua ragione è totalmente al servizio della sua passione66. Tutta la conoscenza che egli ha della realtà è così turbata, anche se da un punto di vista esteriore le sue facoltà cognitive sembrano esplicarsi in modo corretto e se sembra che egli rimanga capace di ragionamenti formalmente validi67 • L'uomo in preda all'aggressività cessa allora di percepire il reale così com'è per vederlo come non è: la sua passione provoca in lui una conoscenza delirante e in relazione a ciò modifica il suo modo di comportarsi di fronte alla realtà. «In verità, la collera non è meno folle del delirio, afferma san Giovanni Crisostomo: guardate come il demonio getta le sue vittime nel delirio, le priva assolutamente della ragione, persuade loro che sia tutto il contrario di ciò che i loro occhi consigliano. Essi non vedono nulla, non fanno nul" Cfr. BASIUO DI CESAREA, Omelie, IO, Sulla collera. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sugli Atti, VI, 4. San Gregorio Nazianzeno parla del.la «collera insensata che sconvolge la ragione>> (Discorsi, XXV, 7). 60 Commento del Padre nostro, PG 90, 888C. 61 Omelie, 10, Sulla collera. 62 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, IV, 5. MARCO L'EREMITA, A Nicola, 8. 63 Ibid. 64 Istituzioni cenobitiche, VIlI, 1. 65 Trattato sul sacerdnzio, III, 14. 66 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45. 67 Cfr. ibid.

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la in modo raziona!~; si direbbe che essi non abbiano più né senso né giudizio [. .. ];la collera li soggioga»68 • Lo stesso santo scrive anche, comparando la collera all'ubriachezza che egli ha detto che non essere altro che «la deviazione dello spirito al di fuori delle sue vie naturali, la deviazione del ragionamento, la perdita della coscienza»69 : «ID cosa coloro che sono in collera e quelli che sono ebbri di furore sono in una situazione meno grave di quelli che sono ubriachi di vino? Essi, infatti, dànno prova di una tale smoderatezza quando si scatenano contro tutti, senza controllare le parole, senza più saper distinguere le persone. Così come i folli (main6menoi) e i frenetici si gettano nei precipizi senza rendersene conto, così coloro che sono in collera o assaliti dal furore>>70 • San Basilio nota, come san Giovanni Crisostoma71, che, sotto l'effetto della collera, l'uomo cessa di rispettare i valori più fondamentali sia in se stesso che negli altri, arrivando persino ad ignorare il suo prossimo e non curando i suoi interessi più elementari72• Il delirio generato dalla collera ha anche come effetto quello di modificare la proporzione delle cose che l'uomo percepisce: gli avvenimenti non sono più percepiti né vissuti secondo le loro vere dimensioni, ma sono, per alcuni, smisuratamente e ingiustamente ingranditi, mentre per altri, contemporaneamente, sono occultati o essi vedono la loro importanza diminuita73 • Un altro aspetto patologico essenziale che pennette di assimilare la collera a una forma di follia o a uno stato di possessione è l'alienazione che ne deriva: colui che è vittima di questa passione non si controlla più, non sembra più agire sotto la guida del suo spirito e sotto l'impulso della propria volontà, ma si ritrova determinato a pensare e ad agire sotto la pressione di una forza esterna a se stesso, la cui padronanza sembra sfuggirgli completamente, forza che tiranneggia la sua anima e il suo corpo74 • L'uomo diviene letteralmente il giocat• tolo della propria passione75 • Una tale alienazione, tuttavia, non è legata solo alle forme violente della collera: la si può anche constatare nelle manifestazioni di ranOmelie sulla Genesi, LIII, 5. Catechesi battesimale, V, 4. 70 Ibid., 5. 11 Trattato sul sacerdozio, ID, 13. 72 Omelie, 10, Sulla collera. 73 Cfr. GIOVANNI CR!sOSTOMO, Commento a san Matteo, XVI, 8. 74 Cfr. ibid., IV, 9; Trattato sul sacerdozio, III, 13. BASILIO DI CESAREA, Omelie, 10, Sulla collera. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45. 75 MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 51. GREGORIO MAGNO, loc. cit. 68

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core o cli sordo odio, in cui tutte le facoltà dell'uomo sono concentrate sull'oggetto contro il quale si esercitano questi modi della passione, e in cui il soggetto è come determinato a ricordarsi permanentemente dell'offesa ricevuta e a definirè o ridefinire costantemente i mezzi per venclicarsene76 • Anche nei casi in cui la collera non è che una semplice irritazione, l'uomo nel suo comportamento sembra determinato da tina forza esterna e che in parte gli sfugge, quello che, per esempio, egli riconosce quando dice cli essere «cli cattivo umore>>. Infine, un ultimo sintomo patologico, essenziale nella collera, è quello dell'agitazione psicomotoria che lo caratterizza in gradi cliversi77 e lo avvicina, anche, a molte manifestazioni cli follia e a stati cli possessione diabolica. Il comportamento dell'uomo, che ne è vittima, diviene confuso, disordinato: costui si dedica alle azioni più strane, azioni che egli sconfesserà nel suo stato normale. «Coloro che si lasciano sorprendere dalla collera sono capaci cli ogni sorta cli disordini e di impeti d'ira», constata san Basilio; «è impossibile raccontare tutte le stravaganze che fa un uomo in questo stato; egli corre senza ordine e senza una meta>>, «si precipita e corre con impetuosità>>, «egli attacca tutti quelli che incontra>/8 • La collera, dicono i Padri, è per l'anima come un veleno79 per mezzo del quale il diavolo la corrode crudelmente dall'interno 80 • Il ricordo delle ingiurie, il risentimento, particolarmente il rancore, sono come un veleno che s'insinua facilmente in ogni parte dell' anima81 e avvelena il cuore 82 • I Padri la paragonano anche a un «verme che corrode lo spirito»83 o a un fuoco che tutto divora84 • Nel trattenere in sé la collera, il risentimento, il rancore e l'odio, l'uomo si strugge e si autodistrugge. «Voi credete di vendicarvi del vostro nemico e vi tormentate ·da voi stessi», constata san Giovanni Crisostomo; 85 • Cfr. BASILIO DI CEsAREA, Omelie, 10, Sulla collera. Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45; XXXJ, 45. 78 Omelie, 10, Sulla collera. 79 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, LXXXJ, 2; Commento a san Giovanni, XXVI, 3. GIOVANNI CLIMAco, La Scala, IX, 2. 80 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 47. 81 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, XXVI, 3. 82 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, IX, 2. 8' Ibid. 84 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, XX, 6; Commento a san Giovanni, XXVI, 3. 85 Omelie sulle statue, XX, 2. 76 77

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r.:uomo, sotto l'influsso dei suoi atteggiamenti passionali non ha più pace, ma si trova immerso in uno stato di pena e d'inquietudine permanente86. «Un furioso non può godere la pace; colui che ha un nemico e che conserva contro di lui odio non godrà mai», afferma san Giovanni Crisostomo87 • 93 . In altri termini, questo significa che lo Spirito Santo cessa di rimanere nell'uomo94 , lo spirito demoniaco richiamato dall'atteggiamento dell'uomo ne prende il suo posto95 . Privato dello Spirito che le conferiva particolarmente ordine e unità, l'anima viene a trovarsi disorganizzata e divisa: «Non appena l'anima viene privata dello Spirito Santo, osserva san Gregorio Magno, si vede trascinata in una evidente follia, e dispersa dall'intimo dei suoi pensieri fino nelle sue espressioni più superficiali»96 • Lo stesso santo aveva notato precedentemente che «quando la collera viene a colpire la dolcezza dell'anima, essa la turba, e, per così dire, la lacera e la fa a pezzi, in modo da dividerla contro se stessa»97 • Una volta che si è ritirato lo Spirito Santo che la illuminava, l'anima si ritrova improvvisamente immersa nelle tenebre98 • Innanzitutto sono 86 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, IX, 5. "'Loc. cit. 88 Commento a san Giovanni, XLVIII, 3. 89 BASILlO DI CESAREA, !oc. cit. 90 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, XV, 11. 91 GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45. 92 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 20. 93 Loc. cit. 94 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 18. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45. GIOVANNI CAssIANO, Istituzioni cenobitiche, VIII, 12. BASILIO DI CESAREA, !oc. cit. 95 GIOVANNI CAsSIANO, loc. cit. BASILIO DI CESAREA, loc. cit. . 90 Moralia su Giobbe, V, 45. "Ibid. 98 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VIII, 22. ISACCO ÌL SIRO, Discorsi asceti· ci,27.

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gli occhi del cuore che si ritrovano offuscati99 : i'uomo allora si allontana dalla vera scienza100. «Dio priva dell'irraggiamento della sua conoscenza lo spirito che la collera ottenebra con la sua confusione>>, nota san Gregorio Magno 101 . Lo spirito è incapace di contemplazione102. «Quale che sia la sua causa, il movimento della collera, nel suo ribollimento, acceca gli occhi del cuore e vi introduce la "trave" mortale di una malattia più grave, impedendole di contemplare il sole di giustizia», scrive san Giovanni Cassiano103 • Ed Evagrio: «Come quelli che hanno la vista malata e guardando il sole sono impacciati dalle lacrime e vedono nell'aria delle allucinazioni, così l'intelligenza (nous), quando è turbata dalla collera, è incapace di scrutare attraverso la contemplazione spirituale, ma essa vede come una nube posata sugli oggetti che cerca di guardare»104. Più precisamente, l'uomo diviene incapace di percepire la presenza del Cristo in sé1 05 • Ne segue, secondo quanto detto finora, che la collera costituisce un ostacolo alla preghiera106, che, afferma Evagrio, è proprio «un germoglio della dolcezza e dell'assenza della collera>>107 . «Opprimendo lo stato di preghiera» 108 , la collera distrugge la salvezza dell'anima legata a quello, e impedisce all'uomo di condurre la vita per la quale è stato fatto. .·. Quando la collera sviluppa e rafforza l'aggressività cattiva 109 , s'indebolisce altrettanto l'aggressività virtuosa data all'uomo per lottare contro il male. La forza dell'anima perde la conoscenza della lotta spirituale110 e allora si ritrova paralizzata111 • L'anima diviene impotente112 e ogni sforzo di ricostruzione per lei si rivela difficile113 •

99 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 26. GIOVANNI CASSIANO, loc.. cit. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 24. 100 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 24. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 136. 101 Moralia su Giobbe, V, 45. 102 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 20. 103 Istituzioni cenobitiche, VIII, 6. 104 Capitoli gnostici, IV, 63. 105 Cfr. MASsIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 7 6. 106 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 13; 21; 22; Sui diversi pensieri della malvagità, 32; Trattato pratico della vita monastica, 23. MASsIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, L 49; III, 20. 107 Sulla preghiera, 14. 108 Ibid., 27. 109 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 20. Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 47. 110 ESICHIO DI BA'.fOS, Capitoli sulla vigilanza, 31. 111 GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, Iv, 9. m Ibid. 113 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 47.

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Tutte queste conseguenze, aggiunte a quelle descritte precedentemente, sono catastrofiche per l'uomo: la collera, in definitiva, comporta la sua morte spirituale 114 , dato che essa scaccia da lui tutte le virtù115 e distrugge in primo luogo la carità116 • Conformemente alla sua normale finalità, cessando di distruggere i pensieri demoniaci, «essa distrugge allo stesso modo i pensieri buoni che sono in noi»117 • Essa genera correlativamente una folla di passioni. Tra le pr:inci~ pali, citiamo la tristezza118 , l'acedia119, la pusillanimità120 e l'orgoglio121 •

114 Cfr. Gb 5,2. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, N, 75. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45. 115 lsAIA DI SCETE, Asceticon, Il, 8. 116 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, V, 45. GIOVANNI CRisoSTOMO, Commento a san Matteo, XVI, 8. 117 ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 31. Cfr. 136. 118 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 20. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 89. 119 EVAGRIO PONTICO, !oc. cit., 23. MAssIMO IL CONFESSORE, !oc. cit., I, 49. 12°Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 70. m Ibid.

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IX IL TIMORE

I Padri classificano tra le passioni il timore (ph6bos) e tutti gli stati affini e ne costituiscono alcune forme o gradi, come la paura, lo spavento, il terrore, ma anche l'ansia, l'angoscia, la disperazione 1• Generalmente, il timore è provocato dal rischio di una privazione o di una sofferenza2 , dall'idea o dal sentimento che si perderà o che si potrà perdere ciò che si desidera, o ciò a cui si è attaccati.3. Tuttavia, il timore così definito può essere tanto una virtù che una passione. «Se il timore è anche una passione, non ogni timore è una passione», osserva Clemente d'Alessandria4 • Occorre, dunque, distinguere due tipi di timore. 1) Il primo, che Dio ha messo nell'uomo nel crearlo e che appar· tiene alla sua natura, ha una duplice forma. a) La sua prima forma è una forza che attacca l'uomo al suo stesso essere5 e gli fa temere di perdersi anima e corpo. Per mezzo di questo ·timore nelle sue manifestazioni più elementari, egli si attacca alla vita, all'essere e paventa tutto ciò che potrebbe corrompere e rovinare questi beni; prova repulsione riguardo al non essere, come spiega san Massimo, il quale sottolinea che questa tendenza appartiene alla natura stessa dell'uomo: questi ha >, insegna san Giovanni Cassiano49 • Questa passione dai Padri viene anche assimilata a una forma di follia: è il caso per esempio di san Giovanni Crisostomo50 che si riferisce a questa affermazione del libro dei Proverbi (14,29): «Chi è pusillanime mostra stoltezza>>. Come tutte le altre passioni, la pusillanimità rivela particolarmente il suo carattere patologico nel fatto che essa è un atteggiamento innaturale, che non corrisponde allo stato normativo nel quale l'uomo è stato creato da Dio. Ecco quanto insegna san Paolo a tale riguardo: >26 e che 38 • La sottigliezza della cenodossia è tale che può portare l'uomo, paradossalmente, a mostrarsi zelante nell'ascesi3 9 , a combattere alcune passioni40 e a praticare alcune virtù41 , come a ottenere alcuni doni42 • Occorre, tuttavia, aggiungere che ogni ascesi fatta sotto l'impulso della cenodossia si rivela vana e definitiva43 , così come le virtù praticate in questo modo sono illusorie44 e solo apparenti i doni ottenuti45 : così vediamo uomini raggiungere risultati spirituali sorprendenti nel tempo in cui si dedicano ali' ascesi sotto la spinta della GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XI, 1. Ibid., 4. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 30. 33 Lettere, 51. 34 Ibid. 35 Istituzioni cenobitiche, XI, 4. 36 Loc. cit. 37 La Scala, XXI, 5. 38 Trattato pratico sulla vita monastica, 30. 39 DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, Il, 32. 40 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, xrv, IO; XXI, 25; 27; XXVII, 45. 41 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coll. Il), V, IO. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 25. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, Il, 32. 42 Cfr. GIOVANNI CLWAco, La Scala, VII, 30. 43 Cfr. ibid., Il, IO. Apoftegmi, N 550. 44 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, Il, IO; XI, 37; 44. 45 Cfr. ibid., VII, 30. 31

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cenodossia, ma penare miseramente e inaridirsi quando sono posti nelle condizioni in cui questa passione che li ispirava non può più essere esercitata46 • Inoltre, i beni, così acquisiti, non solo non hanno nessun valore davanti a Dio, ma sono anche «simili alle ingiustizie», come sottolinea san Macario47 , che ricorda questa parola del salmista: «Egli ha disperso le ossa di coloro che vogliono piacere agli uomirii» (Sal 52[53],6)48 • Come da tutte le passioni, l'uomo trae dalla cenodossia un certo piacere49 che lo lega fortemente ad essa e per il conseguimento del quale è pronto a tutto, paradossalmente anche a soffrire'0 • A causa di questo piacere spesso potente che mantiene la sua filautia51 , l'uomo si dedica alla vanagloria52 • La cenodossia è considerata dai Padri una malattia53 e una forma di follia.5 4 • San Giovanni Crisostomo, per esempio, scrive chiaramente: «La cenodossia è una sorta di follia (mania tfs estin e kenodoxfa)»55 • Occorre notare' 6 che san Paolo stesso insegna che è una follia gloriarsi di se stessi (cfr. 2Cor 12,11), e nota altresì che il demone della cenodossia pone l'uomo fuori di sé, lacera il suo spirito e, dopo essersi impadronito della sua anima, «turba la sua ragione fino al delirio»57 • Il carattere patologico della cenodossia, come quello di tutte le al· tre passioni, sta essenzialmente nel fatto che essa è costituita dalla perversione di un atteggiamento naturale e normale, dalla deviazione del suo esercizio «secondo natura>>, conforme alla sua finalità essenziale, 46 Cfr. ibid., II, 9. Apoftegmi, N 550. "'Omelie (Coli. II), V, 10; Capitoli parafrasati, 56. Cfr. Omelie (Coll II), LIV, 2. 48 Vedi anche AMMONA, Lettera, m, 1-2. 49 Cfr. GIOVANNI CR!sOSTOMO, Sulla vanagloria, 13. MAR.CO LEREMITA, A Nicola, 3. 5° Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Consolazioni a Stagira, II, 3. 51 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo. 51 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, IV, 5. " Cfr. GIOVANNI CAsSJANO, Istituzioni cenobitiche, XI, 4. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla teologia e l'economia, I, 27; Questioni a Talassio, 56, Scolio 8. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo, XIX, 1. GREGORIO DI NAZIANZO, Discorsi, II, 51. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 22. 0RIGENE, La preghiera, 19. AMMONA, Lettera, XII, 5. 54 Cfr. ERMA, Il Pastore, Similimdini, VII, 4. GIOVANNI CRISOSTOMO, Consolazioni a Stagira, II, 3; Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXI, l; Commento a san Matteo, ID, 5; IV, 10; Sulla vanagloria, 8; 16. MAssJMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 59. GREGORIO DI NISSA, Sulla verginità, Iv, 2. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, Vill, 43. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XVII, 85. JEAN LE SOLITAIRE, Dialogue sur l'Jme et les passions des hommes, éd. Hausherr, p. 51. 55 Sulla vanagloria, 10. 56 Commento al Salmo 130. 57 Sulla vanagloria, 2.

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a un esercizio «contro natura>>. Dio ha dato alla natura dell'uomo la possibilità di tendere verso la gloria: ma è la gloria divina che eta destinato a ottenere attraverso la sua unione con Dio, non la gloria umana che la passione ricerca, e che la tradizione chiama 59• San Giovanni Climaco insegna allo stesso modo: «Naturalmente la no-. stra anima nutre amore peda gloria, ma tale amore dev'essere rivolto alla gloria del cielo e non a quella della terra.>> 60 • Questa distinzione tra le due forme di gloria, quella che proviene da Dio e quella che proviene dagli uomini, si ritrova in molti testi in cui si tratta della cenodossia61. La troviamo illustrata nel vangelo di san Giovanni (cfr. Gv 12,43 ); san Paolo vi si riferisce implicitamente quando dice di gloriarsi in Gesù Cristo pur mettendo in guardia contro il pericolo che vi sarebbe nel gloriarsi al di fuori di Dio (cfr. Fil 3,3; Gal 6,14). San Giovanni Climaco precisa chiaramente: «Vi è una gloria che viene da Dio, secondo la parola della Scrittura: "Glorificherò coloro che mi glorificano", dice il Signore (lRe [1Sam]2,30). Vi è una gloria che proviene solo dalla malizia artificiosa del demonio»62 • «Chi si gloria, si glori nel Signore», ripete per due volte l'apostolo Paolo (lCor 1,31; 2Cor 10,17). La gloria che l'uomo riceve da Dio per partecipazione alla sua gloria nell'unione al Cristo, è la sola che, scrive Origene, «ne merita veramente il nome»63 . È la sola ad essere reale, vera, assoluta, eterna. D'altra parte, è la sola che corrisponde alla finalità della natura umana e che sia a misura della grandezza che Dio ha voluto conferire all'uomo. Essa è, afferma san Giovanni Crisostomo, >88 • Quanto a san Diadoco di Foticea, fa notare che i demoni prendono soprattutto l'amore della gloria come occasione della loro perversità e che a causa di questa «essi saltano nell'anima come da una finestra oscura e la . devastano»89 • Questa passione distrugge la pace interiore90 , mettendo agitazione nell'anima in diversi modi. 114 • Distruggendo le virtù acquisite, la cenodossia innanzitutto fa (ri)apparire nell'anima le corrispondenti115 passioni e in seguito apre la porta a tutte le altre passioni 116 • I Padri, lo abbiamo visto, la annoverano tra le tre passioni generiche, che sono la fonte di tutte le altre. San Marco l'Eremita la definisce «radice dei cattivi desideri» 117 , «causa di tutti i vizi» 118 , «madre del male» 119 , e insegna che essa «conduce naturalmente alla schiavitù del peccato» 120 • Essa introduce prima di tutto l'orgoglio 121 : essa ne è il precursore 122 , l'inizio 123 , la madre124 , come di tutte le passioni che le sono legate: la bestemmia125 , il giudizio 126 e il disprezzo degli altri127 , lo spirito di dominio e l'amore del potere, l'indurimento del cuore128 , la disobbedienza 129 • Essa genera anche la 114 Istituzioni cenobitiche, V, 21 (3). "'GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 15. 116 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Pensieri, 15. AMMONA, Istruzioni, Iv, 28.

La legge spirituale, 98. Ibid 102 119 Ibé.'. 107: Cfr. Su coloro che pensano di essere giustificati per le opere, 144. 120 Su coloro che pensano di essere giustificati per le opere, 143. 121 Cfr. AMMONA, Istruzioni, IV, 15. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 13. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 61. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 23. 122 GIOVANNI CUMACO, La Scala, XXI, 2. 123 Ibid., 1. 124 Ibid., XXII, 2. 125 Cfr. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le opere, 80. 126 Cfr. MARco L'EREMITA, La legge spirituale, 123. 127 ]EAN LE SOLITAIRE, Dialogue sur l'dme et les passions des hommes, éd. Hausherr, p. 52. 128 Apoftegmi,"VIII, 6. · 129 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, 15. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, VIII, 43. 117 11•

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collera130 e tutti i suoi satelliti: l'odio 131 , il rancore132 , la gelosia133 , le discordie134, le discussioni135. Da essa provengono anche: la menzogna136, l'ipocrisia 137 , le parole vane 138, la pusillanimità139 , la lussuria140 , la filargiria e la pleonessia141 , e, come abbiamo già sottolineato, la tristezza142. Per terminare, notiamo che i demoni giocano un ruolo molto attivo nella nascita e nello sviluppo della cenodossia143 . Tutto ciò che si accompagna alla vanagloria proviene dal demonio, insegna san Giovanni di Gaza144. E san Barsanufio afferma che i demoni favoriscono questa passione allo scopo di far perire l'anima145 . Se non l'introducono, in ogni caso approfittano della sua nascita o della sua presenza nell'anima per dedicarsi attraverso di essa alla loro attività distruttric ce146. >. 8 Ibid., ill, 2. ' Ibid., II, 2. 10 Ibid., m, 2.

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sant'Antonio 11 , che la legge era stata data dai profeti agli uomini come mezzo di guarigione ma, egli constata, «ciò che poteva la legge contro i nostri mali, era quello di predisporci alla salute e renderci degni delle cure del medico», ma essa non poteva costituire una medicazione sufficiente12 • San Macario sottolinea la stessa cosa: «Come l'ombra non compie azioni né guarisce dalla sofferenza, così la Legge antica è stata incapace di guarire le ferite e le malattie dell'anima, perché non aveva vita»13 • E san Gregorio Nazianzeno: >25 • Sant'Antonio l'Eremita, in molte sue Lettere, riprende continuamente questo tema: - 28 • - «Vedendo che i santi, o piuttosto, che tutte le sue creature non arrivavano a guarire la profonda ferita delle loro membra e conoscevano l'infermità del loro spirito, egli, il Padre delle creature, manifestò loro misericordia e, nel suo grande amore, non risparmiò il Figlio unigenito che egli consegnò a causa dei nostri peccati per la salvezza di tutti>>29 • -«Le viscere [del Creatore] si commossero nei nostri riguardi. Nella sua bontà, egli volle ricondurci allo stato originale che non sarebbe mai dovuto scomparire. Non si risparmiò ma rese visita alle sue creature per salvarle>>30 • - «Coloro che erano rivestiti dello Spirito compresero che nessuna creatura poteva guarire questa profonda ferita, se non la bontà del Padre che è il Figlio unigenito, inviato per salvare il mondo. È lui il grande medico che può guarirci da questa profonda ferita. Così pregarono Dio e la sua bontà>>31 • «Il Creatore constatò che la piaga s'infettava e che era necessario ricorrere a un medico: Gesù, creatore degli uomini, vieni ancora a guarirli>>32 • Quanto a san Macario il Grande scrive: «La ferita inguaribile da cui siamo stati colpiti [. ..] solo il Signore poteva guarirla. È per questo che egli è venuto di persona, perché nessuno degli anziani, né la Legge, né i profeti, erano capaci di porvi rimedio. Solo lui, venendo, ha guarito questa inguaribile ferita dell' anima»33 • Egli, altrove, osserva che l'uomo «era così gravemente ferito che nessuno era capace di guarirlo, se non il Signore. Solo lui ne ha la possibilità. È venuto egli stesso e ha "tolto _il peccato del mondo" (Gv 1,29)». Mentre tutti erano impotenti, «è stato necessario che il Salvatore venisse, lui, il vero medico, che guarisce gratuitamente [. .. ]. Solo lui ha consumato la grande e salutare redenzione e la guarigione dell'anima. È lui che l'ha liberata dalla schiavitù, fatta uscire dalle tenebre, glorificata con la propria luce»34 • In Ibid., IV, 2. Ibid_, V, 2_ 30 Ibid., V bis. 31 Ibid., VI, 2. 32 Ibid_ 33 Omelie (Coli. Il), XXX, 8. "Ibid., XX, 5-6.

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un'altra omelia, egli dice ancora: «Quando Adamo violò il comandamento e divenne trasgressore, i figli della notte - cioè gli spiriti del mac le - ruppero le membra dell'anima e la lasciarono senza forze e senza vigore verso il bene, offuscandola e stravolgendola senza rimedio; non fu possibile a nessun patriarca o profeta guarirla: ne era capace solo il Signore che l'aveva creata. Ed è per questo che, nella sua infinita bontà, egli venne in una tale abiezione e umiltà per risollevare l'anima caduta nella peì-versità»35 . Non sono solo gli autori che abbiamo appena citato, ma anche tutti i Padri che vedono nel Cristo un medico venuto tra gli uomini per guarirli dalle malattie e dalla follia costituite dal peccato e dalle sue conseguenze, e che ricordano la salvezza che egli apporta in termini di terapia e di guarigione, e questo fin dai primi secoli. Così, per esempio, sant'lgnazio d'Antiochia scrive agli Efesini: «Non vi è che un solo medico (iatr6s), del corpo e dell'anima, generato e non creato, venuto nella carne, Dio, nella morte vita vera, nato da Maria e nato da Dio, nostro Signore»36 • San Giustino dice del Cristo: 40 • Nella sua omelia per la Festa della Teofania in cui la Chiesa celebra l'arrivo di Dio presso gli uomini, san Gregorio Nazianzeno scrive: «Festeggiamo la nostra guarigione dalla malattia>>4 1, e ancora: «Vediamo [in questa festa] le opere della guarigione»42 • San Gregorio di Nissa afferma: «Il vero medico delle 35 Omelie (Coll. ill), XXIV, 3-4. Vedi anche: ibid., XXV, 3, 2.3; Omelie (Coll. Il), XV, 47: «Egli stesso ha lavato le ferite degli uomini, li ha guariti e li ha introdotti nella sua celeste camera nuziale>>; XLVill, 3: >43 • E più avanti: >. E molti Padri ricordano la profezia di Isaia riguardante il Cristo: , ha come corrispondente greco il verbo scfzein, usato frequentemente nel Nuovo Testamento, che significa non solo > (Canone del 1° Tono del Mattutino); «Tu gua, risci il morso dato di buon grado con la tua passione subita volontariamente>> (Canone del 2° Tono del Mattutino); «Tutti siamo guariti per le tue ferite>> (Stichi del 3° Tono dei Vespri); «Nel seno della Vergine, o Maestro, tu hai guarito la nostra natura malata; o Verbo, tu l'hai unita alla tua divinità immacolata, l'unico rimedio efficace>> (Canone del 3° Tono del Mattutino); «Signore, tu hai guarito l'umanità dalla sua miseria, rinnovandola per mezzo del tuo sangue divino» (Canone del 4° Tono del Mattutino); (ibid.). 56 Questioni a Talassio, 61, PG 90, 629C. 51 5'

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rigione, divenendo l.).Omo senza cambiamenti e senza trasformazioni cli alcun tipo>>57 • Se egli è solo Dio, senza essere nello stesso tempo anche uomo, allora, afferma san Cirillo di Gerusalemme, «egli non ha assunto l'umanità e noi restiamo estranei alla salvezza>>58 , perché, come afferma san Gregorio Nazianzeno, «ciò che non è assunto non è guarito (tò gàr apr6slepton, athertipeuton)»59 , formula che riprende parola per parola san Giovanni Damasceno60, il quale afferma: «egli ha assunto tutto affinché tutto fosse guarito»61 • Il Cristo, infatti, guarisce , cioè guarisce l'uomo facendosi uomo, rivestendo la natura umana nella sua integralità. «L'infermità della nostra natura[. ..] non potendo essere più grande, aveva bisogno del rimedio più grande. Ora questo rimedio consisteva nel fatto che il Creatore divenisse uguale a noi, sue creature, che Dio divenisse uomo come noi», scrive san Sofronio di Gerusalemme62 • Il Cristo, osserva san Giovanni Damasceno, ci «guarisce» «con ciò che egli ha ricevuto da noi e come noi»63 • Lo stesso santo tra l'altro precisa64 : «Tutta l'essenza divina si è unita completamente a tutta la natura umana; infatti, di ciò che egli ha depositato nella nostra natura, il Dio Verbo, che all'inizio ci ha modellati, non ha evitato nulla, ma ha preso tutto, il corpo, l'anima, lo spirito, la ragione, e le loro peculiarità [. ..];egli mi ha assunto totalmente e si è totalmente unito a me per donarmi una salvezza totale, perché non può guarire quello che non ha assunto». «Egli ha assunto tutto affinché tutto fosse guarito», ripete più avanti65 • Il Cristo diviene, dunque, «per tutti tutto ciò che noi siamo: corpo, anima, spirito»66, ed egli assume tutto quello che costituisce la nostra natura umana. Il Cristo, nato verginalmente e, pertanto, esente dagli effetti del peccato ancestrale, ha assunto la natura umana nello stato in cui Dio l' aveva creata, tale e quale Adamo la possedeva all'origine: una natura tendente verso il bene ed esente da ogni tendenza al peccato, ma anche Ibid. Catechesi battesimali, XII, 1. 59 Let~ere teologiche, I, 32. 60 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 18. 61 Ibid., 20. 62 Omelie su Giovanni Battista, PG 84, 3822B. 63 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 1. "'Ibid., 6. 65 Ibid., 20. 66 GREGORIO NAZIANZENO, Lettere teologiche, I, 32. 57 58

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impassibile, incorruttibile e imriiortale67 • È così che san Gregorio Nazianzeno esclama nella festa della Natività, per la quale" la Chiesa celebra l'Incarnazione del Cristo: «Quante feste per celebrare i misteri cristiani! Ma di tutte queste, la più importante è quella di oggi: essa è il mio compimento, il mio ritorno allo stato originale, all'antico Adamo»68• La natura umana assunta dal Verbo era per sopraggiunta perfetta e deificata da parte della sua unione ipostatica alla natura divina, poiché le energie della natura divina la penetravano completamente69 , lasciando tuttavia sussistere intatte le sue proprietà naturali. San Gregorio Nazianzeno, san Massimo e san Giovanni Damasceno ricordano la pericoresi che si compie nella persona del Cristo tra le sue due nature70 , che sono distinte ma non separate, unite sebbene non confuse. «Se diciamo, spiega san Giovanni Damasceno, che le due nature del Cristo si compenetrano l'un l'altra, sappiamo tuttavia che questa pericoresi è venuta dalla natura divina; difatti questa si diffonde e penetra dovunque come vuole [ ... ] . Essa trasmette alla carne la proc pria gloria, rimanendo essa stessa impassibile»71 • Nell'unione ipostatica tra la natura divina e quella umana, ossia nell'unire questa a quel~ la nella persona del Verbo, il Cristo, attraverso la sua incarnazione, ha rovesciato la prima delle tre barriere che separavano l'uomo da Dio: la natura, il peccato, la morte72 • Egli restituisce alla natura umana la capacità di ricevere in sé la grazia divina increata dalla quale il peccato ancestrale laveva tenuta lontana. Il Cristo, pertanto, aggiunge a questa assunzione naturale dell'umanità un' assunzfone economica73 • Per amore degli uomini, egli prosegue la sua kenosi, si abbassa volontariamente fino a rinunciare in qualche modo a questa natura già impassibile, incorruttibile, immortale e deificata, per assumere la natura umana decaduta, come la possiedono gli uomini che subiscono gli effetti del peccato originaie; in altri termini, egli prende su di sé la natura passibile, corruttibile e mortale. Tuttavia, se egli assume queste conseguenze del peccato, e se Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21. Discorsi, XXXVIII, 16. 69 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 17. 7°Cfr. GREGORIO NAZIANZENO, Lettere teologiche, I, 31. MAsSIMO IL CONFESSORE, Disputa con Pirro, PG 91, 345D-348A. 71 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 7. Cfr. 3. 72 Cfr. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, III. 73 Questo concetto si ritrova in particolare in san Massimo il Confessore (vedi il nostro stu· dio: La divinitation de l'homme selon sainte Maxime le Confesseur, Paris 1996, pp. 318-319). 67

68

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in questo senso egli diviene, come dice l'Apostolo, «peccato per noi>> (2Cor 5,21), egli non assume il peccato stesso74 . «Egli è esente da colpa e da corruzione, spiega san Gregorio Nazianzeno, perché in realtà egli guarisce le passioni e le sozzure che ci vengono dal peccato. Ma, se egli ha preso su di sé le nostre colpe e ha fatto sue le nostre malattie, non ha subito il danno al quale bisogna porre rimedio; difatti, se egli è stato tentato in tutte le cose per essere simile a noi, egli non ha affatto commesso il peccato»75 . Il Cristo assume, così, le passioni umane, ma senza la tendenza al peccato76• In altri termini, egli assume «le passioni naturali e irreprensibili>>77, ma non le passioni cattive78. Egli ha altresì assunto volontariamente la fame, la sete, la fatica, il timore, la paura, le lacrime, il dolore, la sofferenza fin nella forma più atto.ce e, infine, la morte, o per meglio dire, tutte le imperfezioni e i limiti provenienti dal peccato, per poterci liberare da essi, da tutte le malattie, dalle dobolezze e dalle infermità della nostra natura, e poterci così guarire. A questo proposito osserva san Macario: «Ha dato egli stesso i rimedi che guariscono e ha curato coloro che erano feriti come se fosse egli stesso tino di loro»79 • E sant'Antonio precisa: «A causa della nostra follia, egli ha assunto la livrea della follia; a causa della nostra debolezza, egli ha assunto la livrea della debolezza; a causa della nostra indigenza, egli ha assunto la livrea dell'indigenza; a causa della morte ormai nostra, egli ha assunto la livrea di un comune mortale>>80 • La formula dei Padri, già citata prima, secondo cui ciò che non è assunto non è guarito, si applica non solo alla natura umana assunta in unione ipostatica dal Cristo totalmente, in corpo, anima e spirito, ma anche a· questa natura nel suo modo di esistenza decaduta che il Cristo, per questo motivo, si è ugualmente degnato di rivestire. Il Cristo, in breve, assume le conseguenze del peccato per distruggerle in se stesso. Egli può farlo perché, essendo e rimanendo puro da Cfr. MA.sswo IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21. Discorsi, XLV, 13. 76 Cfr. MA.sswo IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21. 77 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 20. MAsswo IL CONFESSORE, Ambigua, 42, PG 91, 1316D. SOFRONIO DI GERUSALEMME, Lette-~a sinodale, PG 87, 3173C. 78 Cfr. MARco LEREMrrA, A Nicola, 9. SOFRONIO DI GERUSALEMME, Omelia su Giovanni Battista, PG 87, 3328B. 79 Omelie (Coli. Il), XXVI, 25. "' Lettere, IV, 3. 74

75

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ogni peccato, egli non lo subisce e non offre in se stesso alcun accesso al male81 , perché in tutte le tentazioni· e le prove alle quali egli si sottomette volontariamente, conserva tutte le facoltà umane immutabilmente orientate verso il bene, la sua volontà umana immutabilmente sottomessa alla volontà divina. San Cirillo d'Alessandria scrive a questo riguardo: , scrive san Giovanni Damasceno84 • E san Gregorio di Nissa ricorda in questi termini la guarigione della nostra natura compiuta così dal Verbo incarnato: «La salute dell'anima sta nel fatto che la volontà divina trova una strada facile in noi; mentre, al contrario, cadere fuori da questa buona volontà è la malattia che conduce l'anima alla morte. Poiché, dunque, noi siamo malati, per aver abbandonato la vita sana che conducevamo in paradiso, poiché il veleno della disobbedienza ci aveva riempiti fino ali' orlo e poiché per esso la nostra natura era in preda a questa malattia perniciosa e mortale, Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21. Dialogo sull'Incarnazione dell'Unigenito, SC 97, p. 230. 83 Ibid. 84 Esposizione esatta del'la fede ortodossa, ID, 18.

81

82

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il vero medico è venuto, scacciando il male con i ·suoi contrari, se. condo la legge della medicina: gli uomini oppressi dall'infermità, perché si erano separati dalla volontà divina, eccoli di nuovo liberati da ogni male, attraverso l'adesione ai desideri di Dio»85 • San Giovanni Damasceno afferma la stessa cosa in simili termini: «[Il Cristo] si fa obbediente al Padre, guarendo la nostra disobbedienza»86 • A sua volta, san Cirillo d'Alessandria così scrive: «Come in Adamo la natura umana cadde malata di corruzione a causa della disobbedienza[ ...], così in Cristo essa ha ritrovato la salute; è infatti divenuta obbedient~ a Dio e Padre e non conobbe il peccato»87 • La guarigione della natura umana è operata dal Verbo incarnato lungo tutta la sua missione terrena, attraverso tutte le sue azioni salvifiche. · Con il suo battesimo, benché egli sia puro di per sé, egli purifica la natura umana, la rigenera e l'illumina, liberandola dall'influsso delle potenze del male e dall'ignoranza di Dio88 • Accettando di essere tentato nel deserto secondo le sue passioni naturali, ma resistendo vittoriosamente alle tentazioni e impedendo al male di avere qualche accesso in lui89, egli libera l'uomo dal potere tirannico delle potenze tentatrici90 e dalle passioni dovute alla sete di godimento91 • Accettando liberamente la sua passione e subendo volontariamente la sofferenza nella sua natura umana passibile, egli la vince per mezzo della sua natura divina impassibile, e libera l'uomo dal potere tirannico che essa esercitava su di lui92 , come pure dalle passioni che mirano direttamente ad evitare il dolore93 . e da quelle che si sforzano di alleggerirlo attraverso la ricerca del piacere94 • Per questo la Chiesa canta: 95 . Il "' Omelie sul Padre nostro, IV, 2. 86 Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 1. "Commento alla lettera ai Romani, PG 74, 789. 88 Vedi la liturgia dei Vespri e dei Mattutini della Festa della Teofania, in E. MERCENIER, La prière des Églises de rite byzantin, t. Il, 1, Chevetogne 1953, pp. 262-304. 89 Cfr. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, III, 20. 90 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 21. 91 Ibid. 92 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 61, 629C. " Cfr. ibid., 21. "'Cfr. ibid., 61, PG 90, 629C. 95 Mattutino della Domenica, 4° Tono, 4' ode del Canone.

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Cristo, guarendo l'uomo dalle sue passioni, gli fa recuperare l'uso normale delle sue facoltà, dà loro, in altre parole, la possibilità di orientarle verso Dio. Per questo così scrive san Massimo: «Colui che ha creato l'uomo [. ..] si fa egli stesso passione, per guarire le nostre passioni con la sua passione. Cancellando nella carne le nostre passioni al di là di ogni misura, nel suo amore per l'uomo rinnova nello Spirito le nostre facoltà»96 • Tra tutti gli atti salvifici del Verbo incarnato, la sua passione, morte e risurrezione occupano un posto centrale. È attraverso di essi, infatti, che egli rovescia le due barriere restanti - quella del peccato e quella della morte97 - , e che ci riconcilia totalmente con Dio (dr. 5,10; 2Cor 5,18), restituendoci così una salute piena; quella della nostra natura originale, conferendoci l'incorruttibilità e l'immortalità. «Tutto ciò», scrive san Gregorio Nazianzeno nel ricordare la passione, morte e risurrezione del Cristo, «era per Dio un mezzo per [...] guarire la nostra debolezza ristabilendo il vecchio Adamo nello stato dal quale era caduto e nel condurlo presso l'albero della vita»98 • Il mistero della redenzione rimane fondamentalmente incomprensibile all'uomo. Nessuna spiegazione può decifrarlo adeguatamente. La morte del Cristo sulla croce, in particolare, appariva, secondo le parole di san Massimo, come un «giudizio di ogni giudizio»99 • Così, questo mistero deve, secondo la raccomandazione di san Gregorio Nazianzeno, «essere venerato con rispetto nel silenzio»100 • È, dunque, in un atteggiamento apofatico che i Padri hanno l'abitudine di affrontarlo, ricorrendo a immagini di cui occorre sempre misurare il carattere relativo e inadeguato. Notiamo, tuttavia, che la prospettiva generalmente adottata dal cristianesimo occidentale che comprende la redenzione in categorie essenzialmente etiche e giuridiche come «soddisfazione» o «remunerazione», e che vede nel sacrificio del Cristo un debito che il Figlio paga al Padre allo scopo di placare la sua collera o di «soddisfare» la sua giustizia, è generalmente rimasta estranea alla visione dei Padri orientali e alla tradizione della Chiesa ortodossa. «Non è evidente>>, si chiede san Gregorio N azianzeno che rifiuta una tale concezione della redenzione, «che il Padre accetti il sacrificio non perché lo esiga o ne

Rm

% Centurie sulla teologia e sull'economia, m, 14. "' Cfr. NICOLA CABASILAS, I.a vita in Cristo, m. 98 Discorsi, ID, 25. 99 Questioni a Talassio, 43, PG 90, 408D; 61, 633D; 63, 684A; 685B. 100 Discorsi, XLV, 22.

282

senta qualche bisogno, ma per economia? Occorreva che l'umanità fosse santificata da un Dio che avesse assunto la natura umana; occorreva che egli stesso ci liberasse trionfando con la propria forza sul tiranno, che egli ci richiamasse a lui per mezzo del suo Figlio che è il Mediatore che compie tutto secondo la volontà del Padre al quale è obbediente in tutto»101 • Non è, dunque, una «soddisfazione>> giuridica che il Cristo compie con la sua morte, bensì una restaurazione ontologica della natura umana che egli ha assunto. E se solo il Figlio di Dio può riscattare l'uomo e se per questo deve morire nella sua carne, ciò non è perché solo lui sarebbe in grado di pagare il debito dell'umanità peccatrice verso Dio e solo la sua morte sarebbe capace di pagare questo debito, ma perché solo Dio era così potente da porre rimedio ai mali del genere umano. Questo sarebbe avvenuto solo assumendo la morte ed essendo >); V bis;

V,3. 104

Commento a san Giovanni, I, 37.

283

Croce per mezzo della quale gli uomini «ricevono la guarigione del-

!'anima e del corpo e di ogni malattia.>> 105 • Nell'assumere volontariamente la morte, che è principio e conseguenza del peccato, il Cristo, che è allo stesso tempo corruttibile e mortale nella nostra umanità, incorruttibile, immortale e padrone della morte e della vita nella sua divinità, distrugge per tutti gli uomini la corruzione, la morte, il peccatq e le sue conseguenze. Avendo nella sua umanitàiassunto volontariamente la morte, il Salvatore, che era Dio, non ha lasciato alcun appiglio alla morte. Quando il corpo del Salvatore fu deposto nel sepolcro, egli era corruttibile, perché il Cristo aveva assunto la corruttibilità; in quanto, però, corpo del Verbo incarnato, l'ipostasi divina del Verbo non era separata da lui ma gli rimaneva unita106 , e quindi rimase inaccessibile alla corruzione. Quando l'anima del Salvatore nello stesso tempo in cui soggiornava negli inferi, poiché rimaneva ipostaticamente unita al Verbo divino107, non lasciava alcun appiglio alle potenze che cercavano di impadronirsene. Presentandosi alla morte, alla corruzione e alle potenze infernali come un semplice mortale, egli le distrusse come Dio. Ricorrendo al simbolismo, nell'impossibilità in cui è l'uomo di spiegare razionalmente questa vittoria del Cristo, i Padri dicono spesso che la morte, la corruzione e il diavolo sono stati presi in trappola. A tale riguardo così scrive san Giovanni Damasceno: «La morte avanza, inghiotte l'esca del corpo e si ferisce all'amo della divinità, che non ha peccato affatto e avendo gustato il corpo che dona la vita, essa si corrompe e vomita tutto quello che aveva un tempo inghiottito. Le tenebre si cancellano quando giunge la luce, così scompare la corruzione sotto l'attacco della vita.>>108 • San Massimo mostra come già quando il Cristo è stato tentato nel deserto, ha fatto impigliare il diavolo nelle proprie macchinazioni, presentandosi a lui come un semplice uomo, ma sventando i suoi attacchi, utilizza la stessa im.i:nagine che userà san Giovanni Damasceno per mostrare come egli ha vinto nella morte le potenze del male109 • Ed egli dimostra come per questo il Cristo rovescia il processo della caduta: «Così colui che prima aveva sedotto 105

Tropario delle Lodi.

GIOVANNI DAMASCENO, Es-posizione esatta della fede ortodossa, III, 27. Ibid. 108 Es-posizione esatta della fede ortodossa, III, 27. 109 Questioni a Talassio, 64, PG 90, 713AB.

106

107

284

Cfr.

l'uomo facendogli sperare la divinizzazione e lo aveva inghiottito, fu a sua volta adescato dalla stessa carne dell'uomo e dovette vomitare ciò che aveva inghiottito. La potenza divina si manifestò così con fulgore: essa trionfò con la forza del vincitore servendosi come arma della debolezza della natura vinta. Ormai è Dio che prevale con la sua natura umana, e non il diavolo con la promessa della natura divina fatta all'uomo» 110 • Nella morte del Cristo muore definitivamente il vecchio uomo, l' antico Adamo, muore la forma decaduta e malata dell'umanità che subisce la tirannia del diavolo, del peccato e della morte. «Il nostro uomo vecchio fu crocifisso insieme con Cristo affinché fosse annullata la forza del corpo del peccato» (Rm 6,6). Una volta per tutte e per tutti, egli ha annullato il peccato con il suo sacrificio (cfr. Eb 9,26). >); 51, 1 (); 83, 2 («Noi che in questa vita siamo malati [...],abbiamo bisogno del Salvatore. Ci applica dolci rimedi, ma anche rimedi amari>>); 83, 3; 88, 1; 100, 1 (>), 47; XXVI, 23 (>). EVAGRIO PONTICO, Lettere, 42; Apoftegmi, Aro 180, 12; XVI, 18. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 30; XIX, 12 (, ecc.); Istituzioni cenobitiche, XII, 8. GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla verginità, 17 (Egli agisce «come il saggio medico che diversifica le sue prescrizioni secondo lo stato del suo malato»); Omelia sul testo: «La porta è str.etta ...», 2; Omelie sulla penitenza, IV, 4 («Correte dal medico delle anime>>); 7; 6; Commento al Salmo 6, 3; Esortazioni a Teodoro, I, 4; Omelie sulla Genesi, I, 1 («Il medico divino delle nostre anime>>); XXX, 6 (); Omelie sui demoni, I, 5 («Dio è il vero medico, l'unico medico del corpo e dell'anima>>); 6; Commento a san Matteo, XIIl, 1 (>); ill, 82. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, ill, 1. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, VII, 263-276 (). NICETA STETATOS, Centurie, II, 22 («il medico delle nostre anime>>); 23. ELIA EcDICO, Antologia gnomica, 33. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 52; IV, 14; 88; VI, 101; 103. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 1, 40, 42 («Che essi credano al Cristo [. ..] come all'unico medico degli spiriti»).

io

cio

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sce, qualunque ne sia la natura e la gravità, e una salute la cui qualità supera infinitamente quella che sarebbe possibile ottenere coi mezzi umani. Commentando i versetti 3 e 4 del Salmo 6 in cui il profeta Da-· vide invoca Dio come medico, dicendo: «Guariscimi, o Signore, poiché inaridite sono le mie ossa. I.: anima mia è molto turbata», san Giovanni Crisostomo stabilisce in tal senso un parallelo tra la medicina umana e quella divina: «Spesso nelle malattie trattate dai medici il ma~ lato fa gran conto della medicina e dei rimedi senza ottenervi nulla, perché la sua costituzione è debole, perché l'arte della medicina è divenuta impotente, perché i rii:nedi hanno perduto le loro virtù sotto l'influsso di qualche congiuntura funesta. Non è così quando il medico è Dio; per poco che siate con lui, la vostra piaga sarà guarita infallibilmente. Difatti qui non si tratta di un artificio umano soggetto a incertezza, ma di un'efficacia divina più forte delle costituzioni, delle malattie, delle infermità morali e di tutte le imperfezioni. È per questo che Davide si rivolge a Dio come a un medico» 123 • E san Macario dice nello stesso senso: «Il Signore stesso, mostrando l'impotenza dei medici di allora, ha detto: "Sono sicuro che mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso" (Le 4 ,23). Egli voleva dire: "Io non sono come coloro che non possono guarire se stessi. Io sono il vero medico[...]. Posso guarire ogni malattia e ogni debolezza dell'anima (cfr.. Mt 10,1). Io sono l'Agnello immacolato che è stato immolato una volta per tutte, e posso guarire tutti coloro che vengono a me". Infatti, la vera guarigione dell'anima può essere operata solo dal Signore>>124• Il Cristo, come medico misericordioso e compassionevole, vuole elargire le sue cure a tutti gli uomini, senza escludere nessuno dalla salvezza. Egli impiega tutti i suoi sforzi e dà prova della più grande pazienza riguardo a questi, anche se lo rinnegano e lo insultano con parole, pensieri e azioni. A coloro che sono vissuti fino ad allora nella follia del peccato e sono malati di passioni, senza volgersi indietro, egli concede il perdono e li cbiailla «alla salvezza che rende sani di spirito»125. «Un medico, fa notare san Giovanni Crisostomo, non ha loscopo di vendicarsi, ma quello di attrarci a lui. Un medico non si offende né si emoziona per le ingiurie dei malati in delirio, e non tralascia nulla per impedire che si avviliscano, considerando non il vantaggio personale ma il loro: se essi recuperano un po' del loro buon senso e Discorsi, II, 25. Omelie (Coli. Il), XLN, 3. 125 CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Protreptico, XII, 118, 5. 123

124

290

la cahna, il suo cuore si riempie di soddisfazione e di gioia, egli raddoppia le cure e i rimedi; lungi dal trarre vendetta dalle loro ingiurie, egli aggiunge benefici su benefici, fino a quando riesce a ridare loro la salute; Così Dio, quando cadiamo nell'ultima follia, non pensa di vendicarsi per il passato, non dice nulla, non fa nulla che non tenda a guarirci dalla nostra malattia.>>126 •

126

Esortazioni a Teodoro, I, 4.

291

II LE TERAPIE SACRAMENTALI

1. Introduzione

Cristo, nella sua persona, ha operato la guarigione della natura mnana e le ha dato una vera sanità, totale e definitiva. Le persone umane non possono godere di questi benefici che egli ha fatto acquisire alla natura umana ricapitolata in lui, se non a condizione di unirsi a lui. Soltanto nella Chiesa, che è il corpo divino-umano del Cristo, può realizzarsi questa unione. Soltanto per l'azione dello Spirito Santo essa può compiersi. Fondamentalmente nei sacramenti, per mezzo dell'energia dello Spirito Santo invocato dalla Chiesa, e attraverso i segni visibili che costituiscono i riti, noi siamo posti in relazione ontologica con il Cristo stesso, e divenendo membri della Chiesa, noi siamo a lui incorporati. Attraverso i sacramenti, noi diveniamo >9 • Poi, quando il sacerdote procede alla benedizione dell'acqua battesimale, egli chiede a Dio che quest'acqua «sia santificata dalla potenza, dall'azione e dalla discesa dello Spirito Santo», affinché scenda su di essa >, >56 , gli permette di crescere fino a raggiungere la statura di uomo adulto, perfetto, cioè deificato in Cristo. L'opera divina che si manifesta in questo sacramento è, scrive Dionigi l' Areopagita, , ma «dono del Cristo, divenuto per la presenza dello Spirito Santo efficace della sua divinità>>58• Il sacerdote effettua questa unzione tracciando il segno della croce successivamente sulla fronte del battezzato, sugli occhi, sulle narici, sulle labbra, sulle orecchie, sul petto, sulle mani e sui piedi, pronunciando a ciascuna unzione queste parole: «Il sigillo del dono dello Spirito Santo». È così che ogni facoltà dell'uomo riceve la grazia che gli consente di volgersi verso Dio e di attivarsi pienamente in un senso conforme alla sua volontà, beneficiando dell'assistenza dello Spirito, della sua energia vivificante, santificante, illuminante e deificante. Ovviamente, non sono solo gli organi unti che ricevono questo dono, ma tutte le altre facoltà del corpo e anche e soprattutto dell'anima, perché scrive san Cirillo di Gerusalemme, «da questo crisma visibile il corpo è unto, ma l'anima è santificata>>59 • L'unzione sulle diverse parti del corpo non ha solo un valore relativo a ciascuno: essa significa che è l'uomo nella sua totalità che riceve la grazia divina vivificante, illuminante e santificante, e che è in tutto il suo essere che è messa in 53

Vedi per esempio: CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mistagogiche, fil, 1-3. NICOLA CA-

in Cristo, m, 6; 8. Loc. cit., II, 5. " Ibid., I, 19. 56 Ibid., ID, 1. 57 La gerarchia ecclesiastica, IV, m, 12, PG 3, 485A. Cfr. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mistagogiche, m, 3. 58 CIRJLLO DI GERUSALEMME, loc. cit. 59 Ibid.

BASILAS, La vita 54

300

attività. San Cirillo di Gerusalemme aggiunge altrove: «Questo dono sacro è la salvaguardia spirituale del corpo e la salvezza dell' anima>>60 • Rivestito, mediante la crismazione, della corazza e della panoplia dello Spirito Santo61 , l'uomo può camminare con sicurezza in questa vita senza temere gli attacchi del nemico62 e senza temere alcun altro male, e può dire con l'Apostolo: «Tutto posso in Colui che mi dà forza: il Cristo» (cfr. Fil 4,13 )63 • Guarito dall'astenia spirituale e da ogni debolezza malsana generate dal peccato, vivificato nel suo desiderio, fortificato nella sua vofontà e in tutte le altre facoltà riorientate verso Dio, l'uomo è reso pieno di zelo e di fervore64 per agire, secondo lavolontà di Dio, nella via della virtù, in cui la sua natura trova piena salute, realizzandosi conformemente alla sua finalità.

4. La penitenza

Con il sacramento della penitenza (exomol6gesis), i peccati che sono stati commessi dopo il battesimo sono perdonati, e il penitente si riconcilia con la Chiesa. Il peccatore, in uno spirito di pentimento che manifesta il rimorso per le colpe commesse e la volontà di emendarsi, confessa i suoi peccati a Dio alla presenza di un sacerdote, e riceve da Dio, dal quale il sacerdote invoca il perdono, l'assoluzione dai suoi peccati65 • Egli riceve dal confessore anche dei consigli spirituali appropriati al suo stato, e alla fine una epitimia66 , il cui scopo è quello di aiutarlo a ritrovare la via delle virtù che aveva lasciato. Ciò che colpisce subito, esaminando il concetto e la pratica cristiana del sacramento della penitenza, è il carattere medicinale che essi rivestono. Non solo i Padri, ma anche tutta la tradizione della Chiesa e i testi rituali e liturgici, ricordano in termini medici la forma e gli effetti di questo sacramento come anche la funzione del sacerdote che

Ibid., 7. ': Ibid.,4. 62 Ibid. "Ibid.

. 60

ar. Rm 12,11. A. Alrnazov scrive: «In Oriente, si è sempre ritenuto che l'assoluzione fosse espressa dalla preghiera, e anche se si usava una formula esplicita, era però implicito che la remissione dei peccati era attribuita a Dio stesso» (citato da]. MEYENDORFF, Initiation à la théologie byzantine, Paris 1974, p. 260). 66 Esercizio penitenziale. 64 65

301

lo amministra. «Tu sei venuto dal medico; fa' attenzione ad andartene guarito», dice il confessore al penitente nella preghiera preliminare67: Parlando del periodo bizantino, padre Jean Meyendorff scrive: «Confessione e penitenza erano innanzitutto interpretate come forme di guarigione spirituale», questo derivava logicamente dal fatto che «nel1'antropologia cristiana orientale, il peccato stesso è prima di tutto una malattia>>68 ~ E P. Lain Entralgo nota nello stesso senso: «A metà del secolo III, il peccatore e il peccato sono considerati come se si trattas~ se di un malato e di una malattia. I testi che lo dimostrano sono numerosi e impressionanti>>69• Secondo la Didascalia, il vescovo (al quale spettava nei primi secoli l'incarico di ascoltare le confessioni e di dare lassoluzione) dev'essere «come un medico che ha competenza e compassione»70 • Le Costituzioni apostoliche, che essenzialmente sono una compilazione, fatta alla fine del secolo rv, della Didascalia, della Didaché e delle Diataxeis (o Tradizione apostolica), sviluppano lo stesso concetto. Vi si trovano particolarmente questi consigli: 72 • «Che egli guarisca [la pecora] che è malata [...].Che medichi quella ferita, cioè quella che è smarrita, abbattuta, o schiacciata dai peccati, al punto di zoppicare sul cammino, egli la medichi con parole d'incoraggiamento, la conforti per i suoi errori e le renda la speranza>>73 • E rivolgendosi al vescovo: «La Chiesa di Dio è la pace serena. Nell'assolvere i peccatori, li reintegri sani e irreprensibili [. .. ] ; come medico sperimentato e che ha compassione, guarisci tutti coloro che sono oppressi dai loro peccati [. .. ].Poiché tu sei medico (iatr6s) della Chiesa del Signore, assicura le cure adatte a ciascun malato, in ogni modo, cura, guarisci, e reintegrali in buona salute nella Chiesa»74 • «Come medico tompas67 Si può trovare il testo completo in E. MERCENIER, La prière des Églises de rite byzantin, t. I, Chevetogne 1937, p. 365. 68 Initiation à la théologie byzantine, Paris 1974, p. 261. 69 Maladie et culpabilité, Paris 1970, p. 86. Per uno studio più completo su questa questione del I e del IV secolo, vedi J. ]ANINI, 75 • Questi ultimi consigli sono abbastanza vicini a quelli che san Cipriano di Cartagine dà al sacerdote quando questi gli chiede di mostrarsi di fronte alle malattie dell'anima così energico e radicale come il medico di fronte agli ascessi del corpo: 77 • Sant'Anastasio il Sinaita, da parte sua, raccomanda di «trovare un uomo spirituale sperimentato, capace di guarirci, purché ci confessiamo a lui»78 • Come il medico, così il confessore deve fare attenzione ad adattare in ogni caso il rimedio conveniente. Abbiamo visto quanto le Costituzioni apostoliche gli raccomandano: >, scrive san Gregorio di Nissa103 • San Nicola Cabasilas definisce l'Eucaristia come l' «unico rimedio ai mali della nostra natura>>104. «Dobbiamo ricorrere a questo rimedio non una sola volta, ma continuamente[ .. .]; occorre che il medico ci prodighi continuamente le sue cure per guarirci», aggiunge più avanti105 . «Che le tue sante specie guariscano la mia anima e il mio corpo», chiede al Cristo il fedele prima di comunicarsi, in una preghiera composta da san Basilio106 • La stessa richiesta è espressa nella prima preghiera dopo la comunione107 . E ancora in un'altra preghiera, il cui autore è san Giovanni Crisostomo, il comunicando presenta al Cristo questo augurio: «Che la mia anima e il mio corpo siano resi alla piena salute»108 . San Giovanni di Gaza, a proposito dei santi misteri, scrive: 109 . Il corpo e il sangue del Cristo ricevuti dal comunicando, per la proprietà che le sacre specie hanno di spandersi nel suo corpo e nella sua anima e mescolarsi intimamente a essi110, manifestano il loro potere terapeutico in tutto l'essere. Essi purificano l'anima e il corpo del comunicando111 da ogni peccato e da ogni sozzura112 , lo guariscono da ogni malattia spirituale che ha potuto colpirlo dopo il battesimo per sua negligenza nel comportarsi secondo i suoi doni. La penitenza e

Commento a san Matteo, IV; 9. Discorso catechetico, 37. 104 La vita in Cristo, IV, 23. 105 Ibid., 35. 106 Testo in E. MERCENIER, La prière des Églises de rite byzantin, t. I, Chevetogne 1937,

. m

103

pp. 308-309. "' Ibid., p. 318. 108 Ibid., p. 31 L ' 09 Lettere, 464. 110

Cfr. GIOVANNI CR!soSTOMO, Commento a san Giovanni, XLVI, 3.

111

BASILIO DI CESAREA, Seconda preghiera prima della comunione, in E. MERCENIER, op. cit.,

p.308. 112

GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, IV, 13. NICOLA CABASILAS,

La vita in Cristo, IV, 51.

313

la lotta contro i peccati costituiscono già certamente dei rimedi, ma si dimostrano inefficaci se non vi si aggiunge questa terapia fondamentale che costituisce l'Eucaristia113 • Le sante specie, nota san Nicol.a Ca: basilas, hanno il potere di Protreptico, X, 106, 2. 131

· 134 135

13.

Lettera agli Efesini, XX, 2.

Ibid.

315

nito di volte. Se questo sacramento si rivolge prima di tutto a coloro che sono malati nel corpo, ha anche come scopo, ed è questo che giuc stifica il fatto che lo presentiamo qui, quello della guarigione delle malattie spirituali. Ecco perché la Chiesa russa lo dispensa a tutti i suoi fedeli il giovedì santo, e la Chiesa greca celebra correntemente l'uffi~ cio del sacramento nelle famiglie e lo dispensa al di fuori di ogni caso di malattia fisica; molti vecchi eucologi prescrivevano, del resto; l'unzione a tutti coloro che assistevano al rito. Nella sua forma normale, esso è amministrato da un'assemblea di sette sacerdoti, che sono gli anziani (presbytéroi) della Chiesa come ricorda l'apostolo Giacomo. Il rito è costituito da tre grandi parti di cui noi ricordiamo solo gli aspetti più salienti136 • · La prima parte è un «ufficio di consolazione» (paraklesis) per colui che sta per ricevere il sacramento. La seconda parte ha per oggetto la benedizione dell'olio santo che sarà utilizzato per le unzioni. Dopo aver pregato «perché quest'olio sia benedetto dalla potenza, dall'azione e dalla venuta dello Spirito Santo», i sette sacerdoti, successivamente, fanno questa preghiera: 3. Dio, rispettoso della libertà dell'uomo, non potrebbe, in realtà, imporgli la sua grazia e trasformarlo senza che egli lo voglia con tutto il suo essere; Dio non potrebbe sostituirsi all'uomo e agire al posto suo. «L'uomo, scrive san Macario il Grande, possiede per natura l'attività volontaria, ed è questa che Dio esige. La Scrittura prescrive, dunque, che in primo luogo l'uomo rifletta e, dopo aver riflettuto, egli ami; infine agisca volontariamente. Quanto alla mozione esercitata sull'intelligenza, a supporto del lavoro, in vista del compimento dell'opera, è la grazia di Dio che l'accorda a colui che vuole e che crede. La vo1

Trattati etici, X, 448.

Cfr. La vita in Cristo, I, 66; Spiegazione della divina liturgia, I, 2. 3 La vita in Cristo, I, 16.

2

318

lontà dell'uomo è, dunque, un ausiliario legato alla sua sostanza. Senza questa volontà, Dio stesso non fa nulla, benché lo possa, per rispetto del libero arbitrio dell'uomo. L'efficacia dell'intervento di Dio dipende, dunque, dalla volontà dell'uomo»4 • In altre parole, benché la guarigione e la salute abbiano la loro unica fonte nel Cristo e a noi siano concesse solo nella Chiesa e dallo Spirito Santo, questo suppone il consenso e anche la collaborazione attiva dell'uomo. Ciò esige, come afferma san Macario il Grande, che l'uomo «ponga 1a propria volontà in accordo con la grazia»5 • Questo deve avvenire in una sinergia tra la grazia divina e lo sforzo umana6. San Macario afferma che, se l'anima «non collabora con la grazia dello Spirito che abita in essa, allora è spogliata vergognosamente e ignominiosamente della sua dignità e privata della vita, poiché è divenuta [. .. ] inadatta alla comunione con il re celeste»7 • In tutti i sacramenti, e singolarmente nel battesimo, Dio dona all'uomo la sua grazia senza alcuna restrizione. È compito dell'uomo, però, non solo conservarla, ma anche appropriarsene, assimilarla e farla fruttificare in lui aprendosi ad essa, lasciandosi penetrare e trasformare da essa, sottomettendovisi, nel porre tutto il suo essere e tutta la sua esistenza in accordo con essa8 • A proposito del battesimo, san Diadoco di Foticea osserva: >12 • D'altra parte, l'uomo deve sforzarsi di sviluppare la grazia. Ciò non significa che la grazia sia stata data in maniera limitata, che gli sia stata data solo parzialmente. Al momento del battesimo, l'uomo riceve la. pienezza della grazia13 • Ma gli resta il compito di sviluppare se stess9_ in conformità con essa, in essa e per mezzo di essa. Ecco perché san Gregorio di Nissa fa notare che «la trasformazione della nostra vita operata dalla rigenerazione non può essere una trasformazione se nulla cambia nella nostra vita» 14 ; arriva persino a dire che, «se la vita che segue l'iniziazione non è diversa da quella che l'ha preceduta>>, se in tutto il nostro essere e in tutta la nostra vita non ci sforziamo di essere conformi all'immagine di Dio restaurata in noi, >52 • Così è indispensabile, in primo luogo, che l'uomo non rifiuti di considerare il suo stato, di vedere le sue malattie e, se egli ne prende coscienza, non rifiuti o almeno non trascuri di far appello a colui che può porvi rimedio. «A coloro che cercano sinceramente il rimedio, scrive san Giovanni Cassiano, la guarigione non può mancare di venire da parte del vero medico delle anime, a quelli soprattutto che non chiudono gli occhi sulle loro malattie, per scoraggiamento o trascuratezza ma, lungi dal nascondere le ferite o respingere insolentemente il trattamento [. ..], ricorrono con animo umile e vigilante al medico celeste, per le malattie che l'ignoranza, l'errore e una cattiva necessità ha fatto loro contrarre»53 • Nessun male è incurabile per il Medico celeste; basta che l'uomo si rivolga a lui e si rimetta a lui in tutta fiducia perché ne sia liberato. 56 • E sottolinea che ogni uomo, anche il più indebolito dalla malattia, è in grado quanto meno di adempiere questa condizione: «Se si è colpiti da una malattia o dalla febbre, ecco che il corpo è steso sul letto, senza poter fare nessun lavoro di questa terra; ma nello stesso tempo, la lingua parla di questo lavoro, e lo spirito non rimane in riposo: [ ... ] egli si mette alla ricerca del medico e invia i suoi amici a cercarlo. Allo stesso modo, dopo la trasgressione del comandamento, l'anima è caduta nell_a malattia delle passioni; è rimasta senza alcun vigore. Ma se si avvicina al Signore, se crede di poter ottenere l'aiuto e rinnega la sua prima e detestabile vita, anche se l'anima giace nella malattia del peccato senza poter compiere le opere della vita in verità, conserva sempre il potere di preoccuparsi della vita, di supplicare il Signore, di cercare il vero medico»57 • Si tratta, tutto sommato, di un modo di procedere poco costoso che Terapia delle malattie elleniche, V, 4. Conferenze, XIX, 12. 54 Catechesi battesimali, II, 6. 55 Lettere, XLVI, 6. 56 Omelie (Coli. Il), XX, 8. 57 Omelie (Coli. ID), XXVIT, 2, 4. 52 53

324

in partenza deve fare colui che desidera essere guarito58 • San Giovanni Crisostomo sottolinea che il semplice desiderio di guarire e il solo atto della nostra volontà sono sufficienti per ottenere dal Cristo la salvezza dell'anima: questo dovrebbe spingerci a occuparci di risanarla, mentre siamo portati piuttosto a dare tq.tte le cure al corpo, le cui malattie sono pertanto meno gravi spiritualmente e la cui terapia implica molte più preoccupazioni: > naturale e alla seconda la sua normale finalità. Nell'atto stesso della fede avviene la guarigione delle sue facoltà che il peccato aveva reso malate pervertendone l'uso. La fede, tuttavia, benché implichi permanentemente il desiderio e soprattutto la volontà67 - al punto tale che la si può definire come un «consenso volontario dell'anima»68 - , è correlativamente anche conoscenza. Essa è, scrive san Paolo, «garanzia delle cose sperate, prova per le realtà che non si vedono» (Eb 11,1). Essa è una certa conoscenza anticipata e indiretta delle realtà spirituali, secondo il modo che si addice loro, prima che avvenga la conoscenza/esperienza diretta69 , che ne sarà il frutto 70 quando la crescita del credente giungerà al suo termine. È la conoscenza che l'uomo acquisisce per mezzo dell'adesione volontaria dell'intelligenza e di tutte le sue facoltà alla verità rivelata dallo Spirito Santo agli uomini, per mezzo della parola del Cristo, per la testimonianza degli apostoli, dei profeti, dei santi71 • Nella misura in cui la fede orienta l'uomo verso Dio e l'unisce a lui, lo libera e lo preserva dall'attaccamento patologico a se stesso, cioè dalla filautia72 • .. Ma è soprattutto nella conoscenza, che essil costituisce e che a un tempo conferisce all'uomo, che appare la sua funzione terapeutica: come l'ignoranza è per l'uomo la causa prima della sua caduta e delle sue malattie, così la conoscenza che egli acquista nella fede è il principio della sua guarigione. La fede lo guarisce da ciò che san Giovanni Car66 67

Confessioni, VI, 4. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, III, 83.

TEODORETO DI CIRO, Terapie delle malattie elleniche, I, 91. Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia su: «Perché abbiamo uno stesso TEODORETO DI CIRO, loc. cit., 92; 94; 116. 70 Cfr. Gv 11,40. MAsSTh10 IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 25. 71 Cfr. NICOLA CABASILAS, La vita in Cristo, II, 79. 72 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, !, 28. 68 69

spirito di fede>>, I, 4.

327

pazio chiama >82 • Egli si riconosce come immagine di Dio destinata ad acquistare la sua somiglianza. Riconosce la dimensione spirituale della quale era stato amputato il suo essere a causa del peccato, e in essa, la sua umanità integrale. Per la fede, percepisce il veto significato della sua esistenza. Allo-' ra è libero dalle illusioni e dai modi di procedere che l'ignoranza della vita generava, come dal sentimento di assurdità, dall'angocia83 , Capitoli d'esortazione, 46. Apoftegmi, X, 141. 75 Frammento IX, éd. Otto, p. 258. 76 Prima vita di Pacomio, 47. 73

74

n Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXXIII, 90s. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 3, 42. Terapia delle malattie elleniche, I, 85-88. Terapia delle malattie elleniche, IV, 3. 81 GREGORIO DI NISSA, Discorso catechetico, 38. 82 Ibid. 83 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al salmo 115. 78

79

80

328

persino dalla disperazione di cui l'uomo, di conseguenza, poteva risentire. Egli >97 . Tutte le facoltà ritrovano in Dio, al quale l'uomo si unisce per la fede, la loro normale finalità e la loro salute, che si esercitano nell'armonia e nella pace, illuminandosi in conformità alla loro natura. Mentre l'uomo a causa del peccato era morto, a causa della fede egli rivive (cfr. Gv 3,15.36; 8,24; 11,25-26; 17,3; Rm 1,17; Eb 10,38) una vita che non avrà fine, la vita vera che il Cristo ha restituito all'urnastamento della dipsichia alla schizofrenia, per seducente che sia a prima vista, non potrà mai superare il quadro di una prossimità etimologica - dipsychia letteralmente significa: «anima doppia>>, e schizofrenia: «anima divisa>> o «cuore diviso» -, perché la cesura di cui si tratta nell'uno e nell'altro caso si situa su piani radicalmente diversi, benché si possa parlare nei due casi di . 88 89 90

GIOVANNI CRISOSTòMO, Commento al Salmo 115. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione esatta della fede ortodossa, 11. GIOVANNI CRISOSTOMO, Gmelie su queste parole: >151 • Tale dolore, tuttavia, non ha nessun rapporto con quello che è prodotto dal rimorso, stato patologico in cui il peccatore rimane rinchiuso nel suo peccato, con gli occhi fissi su se stesso, ed è passivo cli fronte ad esso. Nel rimorso, l'uomo perpetua il peccato sotto un altro aspetto, si rende malato in un altro modo. Rimane incentrato sulla colpa commessa e sul suo stato, non arriva a distaccarsene. Nel pentimento, al contrario, il peccatore ha cli mira Dio. Non è a causa del peccato stesso che egli sente il dolore, non è per il suo > del Signore162 • Occorre aggiungere a questo che nell'uomo quanto lo tiene lontano da Dio costituisce uno stato di peccato. L'uomo può, dunque, considerarsi come in uno stato di peccato :fintanto che non è unito a Dio, fintanto che non ha realizzato una piena conformità al Cristo. La penitenza è, dunque, «necessaria a tutti»163 , ed è una penitenza di tutti gli istanti che raccomandano i Padri. «Occorre sapere che, durante le ventiquattro ore del giorno e della notte, abbiamo bisogno di penitenza>>, scrive sant'Isacco il Siro 164 • L'uomo in ogni pensiero e in ogni azione deve constatare la propria insufficienza, deve considerare che egli è al di sotto di quanto dovrebbe essere secondo Dio, e di ciò che sarebbe se avesse realizzato, in una Discorsi ascetici, 50. Omelie sulla penitenza, VII, 4. 159 Vedi per esempio: l\1ARco L'EREMITA, Sulla penitenza, XII. 160 Vedi per esempio: BARSANUFIO, Lettere, 394. La preghiera che precede immediatamente 157

158

la comunione eucaristica chiede a Dio il perdono dei peccati commessi «consciamente o inconsciamente». 162

Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Discorsi ascetici, 30. Sulla penitenza, XII.

163

Ibid.

161

Discorsi ascetici, 50. Cfr, SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XXV, 58. >2u. Sant'Isacco il Siro, con una formula del tutto sor-. prendente, pone la penitenza tra i più alti e necessari atteggiamenti spirituali: «Colui che conosce i suoi peccati è più grande di colui che risuscita i morti con la preghiera. Colui che geme per un'ora sulla sua anima è più grande di colui che serve il mondo intero con la sua contemplazione. Colui al quale è stato dato di conoscersi è più grande di colui al quale è stato concesso di vedere gli angeli»214 .

4; Il rimedio della preghiera

a) Il ruolo della preghiera e i suoi effetti terapeutici Per mezzo.della fede, l'uomo riconosce Cristo come suo Dio ecome l'unico medico capace di guarire. Per mezzo della penitenza, si volge a lui pentendosi delle proprie colpe per ottenerne il perdono, si riavvicina a lui riconoscendo il suo stato di malattia per ottenerne la guarigione, manifesta davanti a lui la coscienza, dolente per le sue insufficienze, per riavvicinarsi a lui e non allontanarsene più. La prec ghiera appare come il complemento di questi due atteggiamenti: per mezzo di essa, l'uomo invoca l'aiuto di Dio per ottenere le cure di cui ha bisogno, essere guarito e purificato, aprirsi alla sua grazia, e unirsi a lui. Soprattutto attraverso la preghiera l'uomo può mettersi alla presenza di Dio, entrare in relazione con lui e unirsi a lui. Essa è, scrivé san Gregorio Palamas, 218 • San Dionigi l'Areopagita dice la stessa cosa in altri termini: «Se è vero che la Santissima Trinità· è presente in ogni essere, ogni essere non risiede in essa. Ma solo per mezzo di sante preghiere[ ... ] noi dimoreremo in essa»219 • La preghiera appare così come il principio dell'appropriazione di ogni grazia220 • Dio concede la sua grazia permanentemente, ma non la impone. Rispettoso com'è della libertà dell'uomo, egli aspetta che questa gli venga da lui richiesta. La preghiera costituisce il mezzo di questa richiesta, in cui si afferma in piena coscienza la volontà libera dell'uomo. Fin da quando l'uomo si rivolge a Dio, questi esaudisce la sua preghiera: il Cristo stesso e gli Apostoli ce lo ricordano continuamente: «Chiedete e vi sarà dato. Chi chiede riceve» (Mt 7,7 -8). «Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, l'otterrete» (Mt 21,22). «Chiedete e vi sarà dato; perché chiunque chiede ottiene» (Le 11,9-10). «Quanto chiederete nel mio nome lo farò» (Gv 14,13). «Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io lo farò» (Gv 14,14). «Qualunque cosa gli chiediamo, la riceviamo da lui» (lGv 3,22). Lo stesso Cristo ci dice che la grazia, quindi il dono, sono già presenti in noi: «Tutto quel216

Cfr. GREGORIO IL SINAITA, Sul!'esichia e sulla preghiera.

217

La vita in Cristo, VI, 98.

Triadi, II, 1, 30. Sui Nomi divini, III, 1, PG 3, 680B. 22°Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 32. 218 219

349

lo che chiedete nella preghiera, credete di averlo già ottenuto» (Mc 11,24). Se l'uomo non si è impossessato di questa grazia presente in lui, è perché egli non si è aperto ad essa, non si è volto con la preghiera verso Colui che gliel'ha donata e che è presente in essa e con essa: «Non avete perché non chiedete», ci rivela l'apostolo san Giacomo (Gc4,2). Perché la preghiera venga esaudita deve, tuttavia, essere fatta «come si deve>>221 : se «chiedete ma non ricevete>>, è «perché chiedete ma, le» ci dice san Giacomo (Gc4,3). La preghiera dev'essere fatta con fede (cfr. Mt 21,22). La penitenza costituisce un atteggiamento ugualmente primario e indispensabile, al punto tale che i Padri vedono in essa un elemento costitutivo essenziale della preghiera, che san Giovanni Cassiano arriva a definire come =. Evagrio scrive nello stesso senso: «Il carattere proprio della preghiera è quello di una gravità rispettosa accompagnata da compunzione e da dolore dell'anima nella confessione delle proprie colpe, fatta con gemiti segreti>>223 • Senza un tale atteggiamento di penitenza, la preghiera non potrà essere ef· ficace224• Per potersi avvicinare a Dio, l'uomo deve, in verità, considerare la distanza che lo separa da lui; per poter ricevere la guarigione dei suoi mali, deve prima riconoscerli e pentirsi delle colpe che ne sono la causa; per accedere alla grazia, deve fare innanzitutto l'esperienza dolorosa del bisogno che egli ne ha. Oltre alla fede e alla penitenza, le condizioni di una preghiera efficace sono: l'attenzione225 , la vigilanza e la sobrietà (nepsis) 226 , il fervor~7 , l'assiduità228 ,1'umiltà229 , e prima d'o221

Cfr. GIOVANNI CRrsOSTOMO, Commento al Salmo 4, 2.

222

Conferenze, IX, Il.

223

La preghiera, 42. Cfr. 0RIGENE, La preghiera, 33.

224

Cfr. ISACCO IL SIRO, Lettere, 4. Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei,

XXVII, 5; Omelie sulla Genesi, XXX, 5; Omelie contro gli Anomei, V, 6; VIl, 7; Omelia su Anna, rv, 6; Commento al Saf. mo 4, 2; Commento a san Matteo, XIX, 2. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 35. Questo atteggiamento e il seguente saranno esaminati in dettaglio in seguito. 226 Cfr. Col 4,2; 2Pt 4,7. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXX, 5; Omelia sulla Settimana Santa; Omelie contro gli Anomei, Vll, 7; Omelie sulla lettera agli Efesini, xxrv, 3. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 35. 227 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie contro gli Anomei, V, 6; VIl, 7; Omelie su Anna, IV, 6; Commento a san Matteo, XXVII, 5; XXIII, 4; Omelia sulla Settimana Santa. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), XXXI, 4. 228 Cfr. Rm 12,12; Col 4,2. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Omelie sulla lette~a agli Efesini, XXIV, 3; Commento al Salmo 7, 4; Commento a san Matteo, XXIII, 4. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, IX, 4. 229 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Commento al Salmo 4, 3; 4; Commento al Salmo 9, 6. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 21. 225

350

gn.i cosa la purezza di cuorè230 . Occorre, altresì, che l'oggetto della richiesta sia conforme alla volontà di Dia231 , il quale vuole il nostro bene, i nostri veri interessi. Essendo la preghiera il principio dell'acquisto di ogni grazia, essa è anche il principio della guarigione dell'uomo malato e del suo ritorno a esser sano. Per mezzo della preghiera, l'uomo si rivolge a Cristo-Medico per ottenere da lui la guarigione dei suoi mali. Solo in Dio egli può trovare il soccorso e l'aiuto di cui egli ha bisogno nella malattia. «Sappiamo bene, scrive san Barsanufio, che quelli che sono malati hanno sempre bisogno del medico e dei suoi rimedi[. .. ]. Per questo il profeta scriveva:· "Tu sei stato un rifugio per noi di generazione in generazione" (Sal 90[89],1). E se egli è nostro rifugio, ricordiamoci che egli ha detto: "Nel giorno dell'angustia chiamami ed io ti libererò, ma tu poi dovrai onorarmi" (Sal 50[49],15)»232 . San Giovanni Crisostomo osserva che il tempo della preghiera è quello in cui possiamo «mostrare le nostre piaghe al Me9ico e ottenerne la completa guarigione»233. Per questo così si rivolge a coloro che sono resi ammalati dal peccato: «Non cercare rifugio negli uomini, non guardare a un soccorso perituro; ma lasciando da parte questo, corri con il pensiero al medico delle anime. L'unico che può dare rimedio alle ferite del tuo cuore è Colui che ha fatto ciascuno di noi e che conosce tutte le nostre opere. Basta gridare dal fondo del cuore verso di lui e offrirgli le nostre lacrime»234 . Quanto a san Giovanni Climaco, egli raccomanda a colui che prega di prendere come modello dell'atteggiamento da adottare, «il modo in cui i malati, che stanno per essere amputati o cauterizzati, implorano il chirurgo»235 • In risposta alla sua preghiera, l'uomo riceve dal Cristo le cure adatte al suo stato e ottiene la guarigione dalle proprie malattie. Non sorprende, allora, che i Padri la considerino un rimedio236 particolarmente 230 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Omelie sulla penitenza, Iv, 12; Commento al Salmo 3, 3; Commento a Isaia, I, 5; Commento a san Matteo, LI, l; Omelie sulla 1 Timoteo, VIII, 1. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 4. 231 Cfr. lGv, 5,14. 232 Lettere, 424. 233 Omelie sulla Genesi, XXX, 5. 234 Omelie sulla penitenza, Iv, 4. 235 La Scala, XXVIII, 8. 236 BARSANUFIO, Lettere, 424. GIOVANNI CL!MAco, La Scala, XXVIII, 2. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5; Catechesi battesimali, VII, 25.

351

potente. 238; «è qui la nostra salvezza, il medicamento delle nostre anime e il rimedio ai mali che vi si sviluppano»239; 240 . Quanto a sant'Isacco il Siro, egli osserva che >247 . Allora la potenza terapeutica della preghiera si manifesta in primissimo luogo nella guarigione dei peccati. «La preghiera, scrive san Giovanni Crisostomo, è un antidoto contro il peccato, un rimedio alle colpe commesse>>248. E altrove insegna: «Noi riceviamo tutti i giorni numerose feriCommento al Salmo 7, 4. Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5. Catechesi battesimali, VJI, 25. 240 Omelie contro gli Anomei, V, 7. 241 Discorsi ascetici, 21. 242 La Scala, XXVIlI, 2. 243 Omelie sulla lettera agli Efesini, xxrv, 4. 244 Omelia: Contro coloro che abusano della parola dell'Apostolo, ecc., 12. 245 Omelie su Anna, IV, 5. Vedi anche: Omelie sulla Genesi, XLIX, 3; Omelie contro gli Anomei, Vll, 7. 246 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 37. 247 La preghiera, 33. 248 Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXVII, 5. 237

238 239

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te; a tutte queste ferite applichiamo i rimedi che sono loro propri, la preghiera. Difatti Dio, se lo preghiamo con spirito vigile, con animo infiammato, con cuore ardente, può concederci il perdono, la remissione delle nostre colpe>>249 • La preghiera, osserva da parte sua san Giovanni Climaco, è «lll1 rimedio sovrano per i peccati più gravi»250• E san Nicola Cabasilas scrive: 266 , >; «offre anche al corpo l'esperienza delle cose divine, e gli permette di provare le stesse cose dell'anima [. ..]»2%. Il corpo partecipa così direttamente dell'ordine, dell'unificazione e della pacificazione che la preghiera stabilisce nell'anima. Coinvolgendo il corpo, la preghiera fa agire le sue diverse facoltà in vista di un solo e medesimo fine: Dio. Essa l'unifica così in se stesso, ma lori-unifica anche all'anima: grazie ad essa, l'uomo ritrova l'unità armoniosa della sua costituzione psico-somatica naturale, e viene così abolito in lui lo stato di separazione dell'anima e del corpo caratteristica della natura decaduta. > (Le 22,40), raccomanda il Cristo. Il potere profilattico della preghiera è così grande che Esposizione esatta della fede ortodossa, Il, 22; m, 14. Omelie contro Anomei, VII, 7. 304 Omelie sulla lettera a Filemone, m, 2. 305 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sull'iscrizione degli atti, V, 2. 306 lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 21. 307 Ibid. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi, XXX, 5, 308 GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi battesimali, VII, 25. 309 Omelie contro gli Anomei, VII, 7. 310 La Scala, XXVII, 105. 311 GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie contro gliAnomei, 7, 7; Omelie sugli Atti, III, I. Esrcmo DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 61. 302 303

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GIOVANNIDAMASCENO,

«è impossibile che un uomo che prega con debito fervore e invoca Dio incessantemente cada nel peccato»312 • La preghiera fervida, infatti, ottiene sempre l'aiuto della forza divina che permette all'uomo di far fronte a qualsiasi avversario. La lotta contro le tentazioni si ricollega sempre, in realtà, a U1la lotta contro ì demoni che insinuàno tali tentazioni. La preghiera fortifica l'uomo in vista di questa lotta. Sta alla potenza irascibile dell'anima condurre questo combattimento: la preghiera le fornirà le forze necessarie per uscirne vittoriosa. Ma la preghiera fortifica e rende prudente anche lo spirito che «dirige le operazioni» dell'irascibilità «contro le potenze avverse>>313 , a favore di tutte le facoltà dell' anima.3 14 • I;uomo, di fronte a tutti gli attacchi dei suoi nemici, diviene allora invincibile e sventa tutte le loro astuzie, fino alle più sottili, riducendole a totale impotenza. «Colui che prega con tutto il cuore, starà immobile come una colonna, e nessun demone si prenderà gioco di lui», scrive san Giovanni Climaco315 • La preghiera, di conseguenza, preserva l'uomo da tutte le malattie e da tutte le forme di follia di cui i demoni sono causa diretta. Essa lo preserva particolarmente dalla temibile.angoscia che essi cercano di insinuare nell'anima316 • La preghiera aiuta, dunque, l'uomo a distaccarsi progressivamente dal mondo317 e da se stesso. Difatti, scrive sant'Isacco il Siro, >330 . Ad ogni modo, «quando la preghiera penetra nell'anima, ogni virtù entra con essa>>331 • Di conseguenza, l'uomo può per mezzo della preghiera ritrovare la salute di ogni sua facoltà e di tutto il suo essere, e può quindi godere in questo stato di «un'infinità di beni>>, di cui la · preghiera è il principia3 32 . Poiché, «attraverso la preghiera, il medico delle anime purifica lo spirito»333 , l'anima e il corpo dell'uomo, essa è per lui una delle principali vie d'accesso alla conoscenza spirituale. Guarendo l'uomo dalle passioni, il Medico divino lo libera da ciò che gli impediva di conoscere adeguatamente ogni realtà, inducendolo in errore, producendo in lui ogni sorta di illusioni, e immergendolo totalmente nell'ignoranza dell'essenziale. Purificato dalle passioni, l'uomo è pronto ad essere illuminato dallo Spirito Santo334 . Ciò che prima era incomprensibile all'uomo gli diviene comprensibile. La preghiera, PG 150, 1117B. Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 80. 324 San Gregorio di Nissa la definisce «conduttrice del coro delle virtù» (Sul fine da perseguire secondo Dio e la vera ascesi, 301D), e san Giovanni Climaco la definisce «regina di tutte le virtù>> (La Scala, XXVIII, 7). 325 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIII, 1. 326 Cfr. MAsswo IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 11. TEOLEITO DI FILADELFIA, Nove cagitoli, III. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 57; 58. 32 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 4, 2. 328 Discorsi ascetici, 35. 329 Ibid., 69. Centurie sulla carità, II, I. 331 Giovanni Crisostomo, citato da CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 29. 332 GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi battesimali, VII, 25. CTr. Omelie contro gli Anomei, V, 7. m EVAGRIO PONTICO, Sui diversi pensieri della malvagità, 3. 334 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie contro gli Anomei, III, 6; VII, 7. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 13. nz GREGORIO PALAMAS, 323



362

Egli giunge, prima di tutto, a conoscere se stesso adeguatamente. Sant' Esichio di Batos osserva che solo la preghiera conferisce all'uo- mo 335 . San Giovanni Climaco la considera in questo senso come >353_

Se quest'ultima formula alla fine ha «acquistato il monopolio», è perché essa comporta molteplici vantaggi. a) Costituisce una richiesta a Dio di aiuto, di misericordia e di perdono totale (il greco eléeson ha un significato più ampio di qualsiasi traduzione: «abbi pietà»), significato che in sostanza include le formule evangeliche delle preghiere dei dieci lebbrosi (cfr. Le 17,13), del cieco di Gerico (cfr. Le 18,38; Mc 10,47), e dei due ciechi (cfr. Mt 20,30). b) Ha un marcato carattere penitenziale, ancor più accresciuto quando gli si aggiunge la parola «peccatore», secondo l'esempio del pubblicano (cfr. Le 18,13 ): essa permette così di praticare quello che è, lo abbiamo visto, uno dei primissimi comandamenti del Cristo: >388, «è [la sua] attività più eccellente e la più propria>>389 : in questa attività esso «non si diffonde al di fuori, ma rientra in sé»390 , ritrova se stesso391 , e rimane unito al cuore. È così salvaguardato da ogni deviazione392 • È a questa seconda attività dello spirito che deve corrispondere la preghiera. Affinché esso possa dedicarvisi esclusivamente, occorre che cessi la prima. Occorre, detto in altre parole, «raccogliere lo spirito disperso al di fuori» e ricondurlo al di dentro, far rientrare lo spirito nel cuore, e mantenervelo. Basandosi sulla relazione che unisce, come abbiamo visto, il cuore fisico al cuore spirituale, i Padri esicasti consigliano il metodo psicofisico, relazione che deve permettere, a colui che la pratica, di pervenire più facilmente a «circoscrivere l'incorporeo nel[la] dimora corporea», come afferma san Giovanni Climaco393 • 384 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 2, 3; II, 2, 27-30. L'unione dello spirito e del corpo, e quindi del cuore, ~ messa alla prova come un fatto di esperienza, ma difficilmente spiegabile concettualmente. E così che san Gregorio Palamas scrive: > (lGv 3,22). > (Sal 119[118],9); >541. La speranza, inoltre, aiuta l'uomo a sopportare pazientemente le pene dell'ascesi542 , i cui frutti non sono immediati, e che per questo motivo offrono un terreno propizio allo scoraggiamento. San Macario il Grande scrive: «Colui che non ha dinanzi agli occhi [.. .] la speranza, dicendosi: "Raggiungerò la liberazione e la vita", non può sopportare le tribolazioni, portare il fardello, prendere la via stretta. Infatti, la presenza in lui della [. ..] speranza gli permetterà di soffrire e sopportare le tribolazioni>>543 . «È la speranza, fa notare san Giovanni Crisostomo, che, catena solida, sospesa e fissata ai cieli, sostiene le nostre anime durante la traversata, eleva a poco a poco fino a quelle altezze quelli che si attaccano ad essa fortemente, e ci toglie dal turbinio delle miserie terrene»544 . Cfr. DOROTEO DI GAZA, Lettere, 12; 197. Commento a san Giovanni, LXVII, 1. Cfr. Omelie sulla Genesi, XVII, 8. 537 Omelie sulle afflizioni, 1. 538 Omelie sulle statue, II, 3. Cfr. Commento al Salmo 110, 1. 539 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla lettera a Tito, VI, 4. 540 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Lettere, 14, 199. 541 Discorsi ascetici, 58. 542 Cfr. ibid., 56. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXX, 32; 33. 543 Omelie (Coli. Il), XXVI, 11. 544 Esortazioni a Teodoro, I, 2.

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393

Dalla speranza l'uomo trae la fiducia545 e la sicurezza (cfr. 2Cor 3,12; Eb 3,6) 546 di cui ha bisogno per combattere la buona battaglia. È sempre la speranza che gli permette di sfuggire al dubbio547 , e alla «dipsichia>> malsana548 , ragion per cui san Marco l'Eremita la chiama ,>565 • In genere, «essa chiude l'ingresso del cuore a tutti i vizi>>566 • Al tempo stesso in cui essa è una delle condizioni per la guarigione dalle passioni e preserva l'uomo dal ricadervi, la speranza è anche una delle fonti dell'acquisto delle virtù567 . Occorre sottolineare soprattutto la stretta relazione che intercorre con la più alta tra esse, e che le contiene tutte: la carità. Se, come abbiamo visto, la speranza deriva dalla carità, inversamente, quella è condizione di questa. Solo dopo aver raggiunto la speranza, insegna san Simeone il Nuovo Teologo, si può possedere «integralmente in essa l'amore nei confronti di Dio. È impossibile, infatti, a ogni uomo acquisire l'amore perfetto riguardo a Dio se non per mezzo di una fede Cfr. La legge spirituale, 14; Il battesimo, 28; Controversia con un avvocato, 17. Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 65_ 561 AMBROGIO DA MILANO, La morte è un bene, 20. 562 Trattato pratico sulla vita monastica, Prologo. 563 Cfr. GIOVANNI CAssIANO, Conferenze, VII, 5. 564 Cfr. Apoftegmi, Am 131, 1. 565 Libro, I. 566 GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XI, 6. 567 Cfr. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 34; La legge spirituale, 71. 559 560

395

sincera e una speranza ferma e incrollabile>>-568 • San Giovanni Climaco nota nello stesso senso: >9• Così, come ci insegna san Doroteo di Gaza, vivere secondo la virtù è semplicèmente «recuperare il proprio stato, è ritornare alla salute proprio come si recupera una vista normale dopo una malattia degli occhi, o la salute propria e naturale dopo qualunque altra malattia>>10. Abbiamo visto, infatti, studiando la patologia dell'uomo decaduto, come le passioni, malattie dell'anima, si costituiscono a causa di una perversione della natura dell'uomo, più precisamente per una deviazione di tutte le sue facoltà, in origine e naturalmente volte verso Dio, loro normale fine, ma allontanate da lui dal peccato per essere orientate contro natura e irrazionalmente verso le realtà sensibili. È chiaro, perciò, che il ritorno alla salute per l'uomo consisterà nel recuperare la sua natura originaria effettuando il movimento inverso, cioè nell'allontanare tutte le sue facoltà dalle realtà carnali per ti-portarle verso Dio. Si comprende con ciò come sia spesso in ter- · mini di conversione nel senso etimologico della parola, cioè di capovolgimento, di cambiamento di orientazione, che le Sacre Scritture11 e Capitoli gnostici, I, 41. Discorsi ascetici, 83. Istruzioni spirituali, XI, 122. 11 I termini più frequentemente usati sono: strépho (girare, girare in senso contrario, ritornare), epistrépho (girare verso, dirigere verso, girare in senso contrario, ritornare, tornare sui propri passi, tornare su se stessi, volgersi, voltarsi), epistrophé (azione di voltarsi, di rivolgersi). Itermini metanoéi'; e metanoia, che indicano un cambiamento di mentalità, di sentimenti, sono anche molto usati, ma riguardano piuttosto l'atteggiamento interiore di pentimento, di penitenza, che deve presiedere a questo cambiamento o ne è almeno la condizione, piuttosto che questo cambiamento stesso da un punto di vista obiettivo. Alcuni passi uniscono le due nozioni, così per esempio At 3.,19: >, scrive Clemente d' Alessandria7 • Questa operazione, attraverso cui l'uomo fa violenza a se stesso (cfr. Mt 11,12; Le 16,16), costituisce, se egli vuole guarire da tutte le sue malattie e raggiungere la salute e gli altri beni del Regno, il suo compito primario. Ritrovare la salute suppone, prima di tutto, che si combatta ciò che la altera. «Niente è più urgente che separarci innanzitutto dalle passioni e dalle malattie», fa notare Clemente d' Alessandria, che consiglia di conseguenza: «Sforziamoci di peccare il meno possibile»8 • «Se l'anima non si purifica da ogni passione, non guarisce dalle malattie del peccato», scrive da parte sua sant'Isacco il Siro9 • E san Giovanni Mosco riporta questo insegnamento di Giovanni di Ci~ sico che è nella stessa linea: «Colui che vuole acquistare una virtù non vi perviene se non inizia ad avere in orrore il vizio che gli è opposto»10• Le virtù non possono apparire fin quando le passioni prendono il loro posto e le ricoprono. Infatti, spiega sant'Isacco il Siro, «le passio'Cfr. ibid., II, 2, 23. 4 Triadi, II, 2, 24. 5 Asceticon, II, 4. 6

Vedi per esempio MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 68.

7

Il Pedagogo, I, VIII, 64, 3.

8

Ibid., II, 4, 2.

Discorsi ascetici, 86. 10 Il prato spirituale, 187. 9

414

ni sono un muro davanti alle virtù nascoste dell'anima. Se esse non cominciano a cadere[. ..], le virtù nascoste all'interno cli queste non si lasciano vedere[ ... ]. Nessuno vede il sole nelle tenebre, né la virtù dell'aruma fintanto che in essa rimane il turbamento delle passioni>> 11 • Poiché le virtù corrispondono allo stato naturale dell'uomo, e le passioni a uno stato anti-naturale, possiamo dire che il ritorno dell'uomo allo stato che gli è naturale non è J?OSsibile se non con l'eliminazione di ciò che in lui è contro hatura. «E con lo spogliamento da ogni elemento estraneo che avviene questo ritorno dell'anima allo stato che le è proprio e naturale», fa notare san Gregorio di Nissa12 • Abba Isaia scrive nello stesso senso: «Colui che vuole arrivare a essere conforme alla propria natura esclude tutte le sue volontà secondo la carne, fino a essere ristabilito nello stato naturale»13 • A questo scopo, osserva san Giovanni Damasceno, sono ordinate le diverse pratiche ascetiche: «L'ascesi e le sue prove sono concepite non per acquistare la virtù come se quest'ultima fosse qualcosa venuto dall'esterno, ma al contrario pei: scacciare da sé le passioni antinaturali venute da fuori; è un po' come la ruggine del ferro: non gli è naturale ma viene per la negligenza; con un po' cli fatica, noi la togliamo e riportiamo alla luce lo splendore naturale del ferro» 14 • Anche questo, ricordiamolo, è uno degli scopi principali che la pratica dei comandamenti persegue. Sant'Isacco ci ricorda che «al ricco che lo interrogava per sapere come ereditare la vita eterna, il Signore dice chiaramente: "Osserva i comandamenti'' (cfr. Le 10,25). E quando gli chiese quali erano i comandamenti, egli rispose cli allontanarsi innanzitutto dalle opere cattive» 15 • San Paolo stesso insegna che per essere «adatto per ogni opera buona>>, occorre che l'uomo «si conservi puro» (cfr. 2Tm 2,21), che per poter rivestire 21 • Così le passioni, fintanto che sussistono, impediscono alle virtù di apparire: occorre, dtinque, lottare contro quelle per suscitare queste. Inversamente,. la comparsa delle virtù, quindi la pratica del bene, fanno scomparire le passioni. Sant'Ireneo prosegue col dite: «Se dunque la morte impadronendosi dell'uomo ha espulso da lui la vita e ha fatto di esso un morto, a maggior ragione la vita, impadronendosi dell'uomo espellerà la morte e renderà l'uomo vivo»22 • Evagrio osserva che gli uomini virtuosi «imbavagliano tutte le passioni irrazionali del corpo ed escludono i vizi dall' aniilla per mezzo della partecipazione al bene»23 • E san Simeone scrive: 32 • Può sembrare incongruente affermare, come abbiamo fatto, da una parte, che l'eliminazione delle passioni restituisca l'uomo al suo stato naturale e faccia riapparire le virtù, e dall'altra, che una pratica attiva del bene sia necessaria per acquistare queste virtù: se le virtù sono là, si potrebbe dire, perché è necessario ancora uno sforzo per possederle? Ricordiamo che, ali' origine, le virtù sono per l'uomo germi che spetta alla sua libera volontà - collaborando con la grazia -, far crescere in lui, un dono della grazia che egli ha come compito di assimilare, il che avviene per mezzo della pratica del bene, per mezzo della collaborazione attiva di tutte le sue facoltà, in ciascuna delle loro attività, con la volontà di Dio, per mezzo della concreta realizzazione del progetto divino inscritto nella natura umana. La conversione spirituale avviene, dunque, nell'ambito di un processo dinamico di crescita che fa passare l'uomo dallo stato d'infanzia a quello di uomo adulto, per~ fetta e vero, realizzando la pienezza del Cristo (cfr. E/ 4,12-15). «Ogni giorno, scrive san Simeone il Nuovo Teologo, 1'essere umano prosegue la sua crescita spirituale, eliminando ogni traccia d'infantilismo e, progredendo verso la perfezione completa dell'uomo. Per questo a misura della sua età, egli vede cambiare le potenze e le energie della sua anima.>>33 • Questo processo di crescita, come quello della conversione spirituale che lo sottende, è, occorre sottolinearlo, teantropico: suppone la sinergia dello sforzo umano e della grazia divina. Nel corso delle precedenti considerazioni, abbiamo insistito soprattutto sul primo fattore, ma occorre aver coscienza che se gli sforzi dell'uomo sono indi29 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 70. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVII, 32. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XI, 113. 30 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 23. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XIT, 133. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 57; 72; 80; 86. 51 Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, op. cit., II, 3. 32 GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XVIII, 4. "Catechesi, XIV, III-115.

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spensabili affinché egli assimili la grazia, al contrario, solo la grazia permette la riuscita dei suoi sforzi (cfr. Mt 19,26; Mc 10,27; Le 18,27); è per essa che si compie molto bene sia la purificazione dalle passioni che l'acquisizione delle virtù verso le quali l'uomo tende; è per mezzo dello Spirito Santo che l'uomo è rinnovato, purificato, santificato e condotto alla perfezione. Così sant' .Antonio il Grande parla di «Spirito di conversione» che «viene in aiuto» a coloro che s'impegnano su questa strada, che

  • >59 : 60 • 4) Tra le otto passioni generiche, vi sono tre passioni fondamentali che generano le altre cinque, ossia la gastrimargia, la filargiria e la cenodossia61 • È necessario che queste siano eliminate affinché lo siano tutte le altre. «Colui che ha sbaragliato con l'aiuto dello Spirito di Dio le tre passioni ha distrutto anche le altre cinque; ma colui che non s'impegna a vincere quelle non ne supererà nessuna», insegna san Giovanni Climaco62 • È necessario conoscere l'ordine definito da questi quattro principi più come un ordine logico che non come un ordine cronologico: non si tratta di combattere successivamente ogni passione ignorando quelle che vengono dopo, poiché abbiamo notato che, dato il legame organico intercorrente tra le passioni, un tale combattimento contro una passione isolata si rivelerebbe vano; occorre condurre la lotta affrontando tutte le passioni, ma insistendo maggiormente sulle passioni più fondamentali, quelle che condizionano le altre e impediscono di raggiungerle profondamente fintanto che le stesse non siano distrutte. Il carattere radicale della formula di san Giovanni Climaco, precedentemente citata, ha soprattutto lo scopo di dimostrare che non è importante affrontare le passioni derivate se prima non si sono combattuti i loro «capifila>>. Questo non deve farci dimenticare che, lungi dall'essere vinte in un sol colpo, le passioni non saranno distrutte se non dopo che sono state combattute insieme e progressivamente indebolite nel corso di una lotta sempre lunga. L'acquisto delle virtù segue lo stesso ordine del combattimento contro le passioni, poiché queste, lo abbiamo visto, corrispondono a quelle. Quest'ordine, come quello delle passioni, va dalle più facili alle più difficili da raggiungere. >65 ; e acquistare le virtù derivate senza aver prima cercato di acquistare le virtù principali da cui esse procedono è inutile, e può persino, come sottolinea sant'Isacco il Siro, essere nocivo: «Se tu lasci la madre che ha generato le virtù, e se tu parti alla ricerca dei figli prima di aver scoperto la loro madre, queste virtù sono nel tuo animo come delle vipere»66. Quest'ordine, come quello del combattimento contro le passioni, è meno cronologico che logico e, lungi dall'escludere eh~ le virtù· devono essere praticate simultaneamente, vuole semplicemente sottolineare le priorità. Così compreso, esso permette la definizione di una scala (klimax) 67 di virtù, ciascuna corrispondente a un grado68 che conduce progressivamente l'uomo fino al sommo del suo sviluppo spirituale. «Le sante virtù>>, osserva san Giovanni Climaco, «somigliano alla scala di Giacobbe [. .. ]. Difatti le virtù, conducendo ciascuna alla seguente, portano colui che le sceglie fino al cielo»69 • In realtà, come le passioni non possono essere vinte in un sol colpo, così >, osserva san Giovanni Cassiano, «consiste in due punti: il primo è quello di conoscere la natura dei vizi e il metodo per guarire; il secondo quello di discernere l'ordine delle virtù e conformare [. .. ] la nostra anima alla loro perfezione»74 • La nosografia e la semiologia delle passioni sono già state definite. Non resta che presentare il metodo terapeutico che vi si applica e i mezzi per ritornare alla salute delle virtù e per condurla alla sua pienezza in Dio.

    74

    426

    Conferenze, xrv, 10.

    II

    CENNI DI TERAPIA DELLE FACOLTÀ FONDAMENTALI DELL'ANIMA PRATICA DELLE VIRTÙ GENERICHE

    1. Introduzione Poiché tutte le passiorii derivano dalla malattia delle tre principali potenze dell'anima, precisamente dalla perversione ·delle loro diverse funzioni, la terapia spirituale consisterà nel rimettere in ordine queste facoltà fondamentali. Restituendo a queste un uso conforme alla loro natura, l'uomo recupera la salute, come sottolinea san Niceta Stetatos: «Se l'irascibilità, il desiderio e la ragione dell'intelligenza si comportano e procedono da sé secondo la natura, rendono tutto l'uomo divino, simile a Dio, lo mantengono in salute e impediscono che si discosti dal cammino naturale>>1 • Questo riordinamento avviene per mezzo dell'acquisto di tutte le virtù; in primo luogo delle virtù dette principali o generiche (genikaì areta{), non nel senso in cui esse generano tutte le altre, ma nel senso in-cui esse sono le condizioni della loro acquisizione e in qualche modo costituiscono la base di tutto ledificio spirituale che esse devono formare2 • La guarigione della parte concupiscibile (epithymetik6n) dell'anima, preposta al desiderio, incomincia a realizzarsi nella virtù della temperanza (enkrdteia) 3 ; quella della parte irascibile (thymik6n), nella virtù del coraggio (andreia) 4 ; quella della parte razionale (logistik6n), nella virtù della prudenza (phr6nesis) 5 • A queste tre virtù generiche, i PaCenturie, I, 16. Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, Il, 49. ; EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. MAssrMo IL CONFESSORE, Centurie sulla carit!i, Il, 79; I, 65. lPadri citano spesso invece della enkrdteia, la sophrosjne. Questa è praticamente la stessa cosa, perché vedremo che questa è la forma compiuta di quella. 4 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. MAssIMO IL CONFESSORE, Disputa con Pirro, PG 91, 312A. 5 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carit!i, III, 3; cfr. Il, 79. 1

    · 2

    427

    dri spesso ne aggiungono una quarta: la giustizia (dikaiosjne) il cui ruolo «è quello di realizzare una sorta di accordo e di armonia tra le parti dell'anima>>6 • 2. La temperanza

    Abbiamo visto come a causa del peccato l'uomo abbia distolto da Dio la sua potenza di desiderio [concupiscibile] per rivolgerla verso il mondo sensibile, ricercando, anziché il godimento spirituale che Dio gli offriva, il piacere sensibile. Abbiamo visto come molte malattie del1' anima, molte passioni, provengano da questa perversione della potenza di desiderio ·e dall'attaccamento al piacere sensibile. La guarigione dell'anima implica che l'uomo segua il percorso inverso, cioè che egli allontani la sua potenza di desiderio dagli oggetti sensibili e la rivolga verso Dio, che si distacchi correlativa.illente dai piaceri sensibili e ritrovi le gioie spirituali che si confanno alla sua natura. In questo processo terapeutico che dà la possibilità alla potenza di desiderio, ma anche a tutte le facoltà che ne dipendono, di esercitarsi di nuovo secondo la loro vera natura e la loro finalità normale, cio.è di ritrovare la salute, la virtù della temperanza (enkrdteia) gioca un ruolo fondamentale. Anche san Basilio Magno concorda nel ritenerla come «il principio della vita spirituale>/. E sant'Esichio di Batos, a sua volta, osserva che: «Uno dei sapienti che conoscevano le cose di Dio ha detto: "L'inizio del frutto è il fiore, e l'inizio dell'ascesi è la temperanza"»8. Anche Evagrio attribuisce a questa virtù una grande im-. portanza, come fa per la carità9• Si può comprendere ciò, se si conosce il posto essenziale che la potenza di desiderio occupa tra le facoltà dell'uomo, e il ruolo fondamentale che essa gioca nel processo sia della caduta sia della salvezza dell'uomo. La virtù della temperanza consiste, infatti, essenzialmente in una 6 EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. Sulle quattro virtù generiche, vedi CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata, I. 20. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 79. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, II, 49. GIOVANNI DAMASCENO, Discorso utile all'anima. FILOTEO IL SINAITA, Qua·

    ranta capitoli neptici [di sobrietà], 8. Non presenteremo la virtù della giustizia che i Padri in genere si accontentano di menzionare. 7 Regole lunghe, 17. 8 Capitoli sulla vigilanza, 66. 9 Cfr. Lettere, 38, éd. Frankenberg, p. 585.

    428

    padronanza dell'appetito, o potenza, concupiscibile; essa si caratterizza in primo luogo per l'inibizione dei desideri carnali, passionali, sensibili, e per la correlativa rinuncia ai piaceri a essi legati: Nel senso più immediato e ristretto, essa è la padronanza dei desideri passionali del corpo 10 • È questa virtù che l'Apostolo manifesta quando rivela: «Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù>> (lCor 9.;27). I desideri passionali del corpo sono essenzialmente quelli che riguardano la nutrizione e la sessualità, ai quali si rapportano rispettivamente le passioni della gastrimargia e della lussuria, che i Padri chiamano 15 • Possiamo così dire in modo generale con Il Pastore di Erma che la temperanza consiste nell'astenersi da ogni desiderio perverso 16• Correlativamente, la temperanza consiste nell'astenersi da ogni piacere irrazionale, cioè dai piaceri sensibili che sono naturalmente legati ai desideri passionali. Se essa riguarda innanzitutto i piaceri provati dal corpo in relazione con, soprattutto, la gastrimargia e la lussuria, non si limita a essi17 , ma riguarda anche i piaceri provati dall'anima in relazione con tutte le altre passioni avide di piacere18 • È così che san Basilio consiglia: «Per ciò che riguarda le passioni dell'anima, non vi

    °Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 17; Lettere, CCCLXVI.

    1

    EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 35-36. M.AsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 64. 12 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 16. i; Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia sulla risurrezione dei morti, 2. 14 Lettere, 366. 15 Omelie sulla lettera a Tito, Il, 12. Diadoco da Foticea nota ugualmente che (Cento cCljJitoli gnostici, 42). 16 ERMA, Il Pastore, V!Sioni, ID, 8, 4. Sulla portata generale della temperanza, vedi anche: DoROTEO DI GAU, Istruzioni spirituali, X:V, 164. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, N, 80. TALASSIO, Centurie, I, 24. 17 Cfr. Cr.EMENrE D'ALESSANDRIA, Stromata, m, l; 7. BASILIO DI CESAREA, Lettere, 366; Regole lunghe, 16. 18 CTr. CLEMENTE n' Ar.ESsANDRIA, Stromata, III, 7. 11

    429

    è che una misura per fissare la temperanza: è la rinuncia totale a tutte quelle passioni che tendono al piacere colpevole>>19 • Occorre notare che la temperanza si esercita su tutte le manifestazioni corporee o psichiche che possono rispondere ai desideri passionali e alla loro ricerca di piacere: essa mira dunque a dominare le pulsioni del corpo20 , ma anche, e prima di tutto, i pensieri21 e i fantasmi22 • La temperanza àssume così la forma di una «custodia dell'anima>> e «custodia del corpo». Dire che la temperanza ha come scopo quello di mortificare la potenza concupiscibile23 non significa, lo abbiamo visto, che bisogna eliminare ogni forma di desiderio, rinunciare all'uso della potenza di desiderio: si tratta, inve.ce, di eliminare solo i desideri passionali, di rinunciare a ogni uso contro natura, quindi perverso, della potenza di desiderio. Astenersi dal piacere non significa affatto rinunciare a ogni godimento, bensì astenersi solo dal piacere sensibile. Allo stesso moc do, mortificare il corpo significa far morire solo le passioni che si radicano sulle sue tendenze. >47. Essa la guarisce innanzitutto dalle passioni, dette «del corpo»48, cioè principalmente dalla gastrimargia e dalla lussuria. Ma i suoi

    4;

    Centurie sulla carità, II, 56.

    Ibid., I, 21.

    . Cfr. GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XX, 2-3. 48 Trattato sulla verginità, VI, 2. 47 Capitoli gnostici, III, 35. 48 MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 64. Cfr. I, 65; N, 57; IV; 80; IV, 86; Discorso ascetico, 23; 19. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 35. 44

    45

    433

    effetti terapeutici si estendono anche a tutte le passioni dell'anima. San. Basilio scrive così, in modo generale, che >52 . Oltre alla sua funzione terapeutica, la temperanza ha una funzione profilattica. Preserva l'uomo da ogni colpa perché, mortificando in lui la concupiscenza, lo rende insensibile a ciò che la sollecita53, ma an~ che perché spezzando in lui il pungiglione della voluttà, gli toglie ogni attrazione al peccato54 . Come afferma san Massimo, 55. Essa toglie ai demoni ogni potere di turbare l'anima, sia nello stato di veglia che nel sonno56 . Allora essa mantiene nella pace la potenza concupiscibile dell' anima57 • Se il desiderio passionale è la malattia dell'anima, > o, meglio ancora, con «integrità spirituale»61 . Quanto al rapporto della temperanza con la castità, san Basilio scrive: 62 • «Colui che si domina consapevolmente [ ... ] attraverso la temperanza, spera di ottenere la castità», osserva nello stesso senso san Doroteo di Gaza63 . Poiché la temperanza impedisce alla potenza di desiderio dell'anima di dividersi e di disperdersi in molte passioni, e al contrario la riunisce e la volge in un solo desiderio verso Dio, essa riunifica non solo la potenza di desiderio, ma anche tutte le altre potenze che si allietano in essa o a causa di essa. Contribuisce, così, per gran parte, ad eliminare le molte divisioni che l'uomo decaduto conosce e riporta la sua anima all'unità e alla semplicità originaria64 • Poiché essa guarisce l'uomo dal peccato e dalle passioni, e in particolare da quelle che lo tengono schiavo del piacere sensibile, la temperanza dà all'uomo la libertà. , osserva san Basilio65 • Per essa, l'uomo ritrova la propria autonomia spirituale, e questa lo assimila a Dio. >, la chiama anche «l'arte delle arti>> (Sulla pratica monastii:a, 2122, PG 79, 748C-749B). 54 Gregorio Nazianzeno con ciò non vuole dire che l'anima sia divina per natura, perché questo è un concetto estraneo al cristianesimo. La precisazione che egli dà subito dopo permette peraltro di situare questa asserzione nel contesto ortodosso: l'anima è, con l'insieme del composto umano, chiamata ad essere deificata per grazia, a divenire divina per partecipazione. Vedi il co=ento di san Massimo il Confessore in Ambigua 7, contro gli origenisti che hanno cercato di usare questa formula in favore della loro concezione eterodossa. 55 Discorsi, Il, 16-17. 56 Ibid., 19. 52 5;

    454

    che pratichiamo è più laboriosa, e di gran lunga, più di quella che si esercita sui corpi: anche questo le conferisce un valore più grande»57 • La difficoltà del compito fa sì che siano molto rari58 coloro che sono in grado di esercitarla, anche se molti se ne credono capaci, tanto grandi sono i rischi di illusione al riguardo anche molto tempo dopo che si è raggiunta l'impassibilità59 • È per questo che necessariamente si riscontrano in quest'ambito «molti ingannatori e falsi maestri.>>60 • Per essere guide e terapeuti spirituali autentici, è indispensabile avere la conoscenza di «sane dottrine», cioè essere perfettamente ortodossi61, ed essere fedeli, nella pratica terapeutica, all'insegnamento degli antichi Padri62 • San Gregorio di Nissa scrive a questo riguardo: «Come gli uomini hanno scoperto attraverso I' esperienza la medicina un tempo ignorata e l'hanno vista rivelarsi progressivamente col favore di alcune osservazioni, cosicché l'utile e il nocivo, riconosciuti dalla testimonianza dell'esperienza, si sono introdotti così nella dottrina di quest'arte, e le osservazioni dei predecessori sono servite da norma per il futuro; come, adesso, colui che si applica a quest'arte non è obbligato a giudicare con la propria esperienza l'efficacia dei medicamenti, se siano perniciosi o benigni, ma, dopo aver ricevuto da altri le sue conoscenze, ha egli stesso praticato la sua arte con successo; così avviene per la guarigione delle anime, intendo dire la filosofia 63 , per mezzo della quale noi apprendiamo la terapia di ogni passione che colpisce l'anima: non è affatto attraverso le congetture e le supposizioni . che bisogna cercare questa scienza, bensì attraverso una grande capacità d'imparare, accanto a colui che ha acquisito questa disposizione con una lunga e ricca esperienza»64 • Questo, tuttavia, non può bastare. È importante, inoltre, che il padre spirituale non solo conduca una vita conforme ai suoi insegnamenti65, ma che egli abbia anche esperienza. È per questo motivo che san Simeone il Nuovo Teologo avverte: «Non affidarti a un mae~

    Ibid.

    Cfr. Apoftegmi, Eth. Coli.; 13, 6. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Antirretico, Cenodossia, 9. 60 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 49. 61 Cfr. GIOVANNI CLWACO, Lettera al Pastore, 97. 62 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 49. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14. 63 Sul significato cristiano che i Padri, ed in particolare i Padri cappadoci ~ Giovanni Crisostomo, dànno al termine , vedi A.-M. MALINGREY, «Philosophie», Etude d'un groupe de mots dans la Littérature greque des Présocratiques au IV siècle après ].C., Paris 1961, pp. 207s. 58 59

    64 65

    Trattato sulla verginità, XXIII, 2. Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14.

    455

    stro inesperto [ ... ],perché egli ti inizierà alla vita diabolica piuttosto che a quella evangelica.>>66 • San Giovanni Cassiano, a sua volta, offre questo consiglio: «Se vogliamo arrivare a un'autentica perfezione nella virtù, occorre che obbediamo a questi maestri e guide che, lungi dal sognarla in vuote disquisizioni, ne hanno fatto realmente l' esperienza.>>67. Se veramente per il padre spirituale si tratta di aver appreso dagli Anziani, è la forma pratica che questo apprendimento deve avere assunto: è la loro stessa esperienza che il padre spirituale deve aver acquisito nel condurre una vita simile alla loro68 • Occorre che, sotto la loro guida, il padre spirituale abbia egli stesso percorso tutto il cammino che egli ha il compito di aiutare i suoi figli spirituali a percorrere69. Occorre che egli stesso abbia eluso le trappole e superato gli ostacoli che si presenteranno sul loro cammino, occorre che egli abbia subìto vittoriosamente tutte le prove attraverso le quali essi dovranno passare70 , perché, ad immagine del Cristo, (cfr. Eb 2,18). Bisogna che egli abbia messo ordine nella propria casa prima di pretendere di riordinare quella degli altri, come suggerisce l'Apostolo: «Se uno non sa governare la propria famiglia come potrà aver cura della chiesa di Dio» (lTm 3,5). È necessario che abbia acquistato egli stesso tutte le virtù e le qualità che i suoi figli spirituali devono acquistare71 . In altri termini, occorre che il medico spirituale sia stato egli stesso guarito e sia in buona salute affinché la sua terapia sia efficace72 • «Se nella tua casa regnano il disordine e l'indisciplina, la parola "Medico guarisci te stesso" sarà rivolta contro di te da coloro che tu dirigi. Guariamo dunque noi stessi 'in pri" mo luogo», scrive san Basilia73 • Ciò è in linea con l'insegnamento stesso del Cristo che avverte: «Se un cieco fa da guida a un cieco, tutti e due cadranno nella fossa» (Mt 15,14; cfr. Le 6,39), e che fa notare: «Come puoi dire al tuo fratello: "Lascia che tolga dal tuo occhio la paCapitoli teologici, gnostici e pratici, I, 48. Istituzioni cenobitiche, XII, 5. 68 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XIV, 5·13. 69 Giovanni Climaco; in un passo troppo lungo per poter essere citato qui, paragona il per· corso del padre spirituale a quello di Mosè che successivamente supera tutti gli ostacoli innalzati contro di lui, ed è per questo reso capace di guidare i suoi fratelli, come Mosè ha guidato il popolo di Dio (cfr. Lettera al Pastore, 101). 7°Cfr. NICEFORO IL SOLITAR10, Sulla vigilanza e la custodia del cuore. 71 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 17. 72 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Antirretico, Cenodossia, 9. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, Iv, 6; Lettera al Pastore, 15. GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, Il, 13. 73 Omelie sull'origine dell'uomo, I, 19. Cfr. GIOVANNI CAsSIANO, Istituzioni cenobitiche, VIII,5. 66

    67

    456

    gliuzza", mentre la trave è là nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Mt 7,4-5; Le 6,42). In questa prospettiva, san Nilo stigmatizza coloro che «si precipitano alla direzione spirituale di altri e si assumono la cura di guarire gli altri, mentre non hanno ancora guarito le proprie cattive inclinazioni, e non saprebbero dunque condurre nessuno a una vittoria che essi stessi non hanno ancora riportato»74 • Al contrario, osserva san Giovanni Climaco, coloro che, colpiti da ogni forma di malattia, si sono impegnati a guarirne, «una volta tornati in salute, divengono medici [. .. ] per tutti, insegnando i sintomi di ciascuna malattia, poiché la loro esperienza li rende capaci d'impedire agli altri di cadervi>>75 • Quanto a sant'Antonio, egli sottolinea che è dopo aver soggiornato nel deserto ed essere stati guariti, che «gli antichi Padri sono divenuti medici e, dedicandosi agli altri, li hanno guariti.>>76• E sant'Ammona, ricordando che questi Padri «furono medici delle anime e poterono guarire le loro malattie», constata che essi «non [vennero] inviati [agli uomini] se non quando tutte le proprie malattie [furono] guarite», e che sarebbe stato impossibile che Dio li avesse inviati se fossero stati ancora malati77. Possiamo, così, infine, dire con san Giovanni Climaco che «il medico è colui che ha acquisito la salute [spirituale] dell'anima e del corpo e che non ha [più] bisogno di alcun rimedio»78 • Se si pretende di essere medico spirituale senza rispondere a questa definizione, non si può che cadere in malattie ancora più gravi79 • Sant'Isacco constata che molti, pretendendo di curare gli altri, 80 • Per questo egli consiglia: «Se[ ... ] uri uomo sente [ .. .] che sta perdendo la propria salute nel guarire gli

    Sulla pratica monastica, 23, PG 79, 749C-752A. La Scala, XXVI, 11. 76 Apoftegmi, N 603. n Lettere, IV, 2. 78 Lettera al Pastore, 4. 79 Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 25. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 58. 80 Discorsi ascetici, 2 L 74 75

    457

    altri, [. ..] un tale uomo si ricordi della parola dell'Apostolo che esorta e dice: "Il cibo solido è dei perfetti" (Eb 5,14); torni egli indietro per non ascoltare il Cristo che gli dice come nell'esempio: "Medico, cura te stesso" (Le 4,23 ). Condanni se stesso, conservi la sua forza [.. .]. Difatti anch'egli è malato, e più dei malati ha bisogno di essere gua~ rito»81 ; «quando si accorgerà che la sua anima è sana, serva allora gli altri, e li guarisca con la propria salute»82 • Il rischio di aggravare le proprie malattie, in cui incorre colui che vuole guarire gli altri anziché guarire se stesso, significa che egli non è ancora guarito, in particolare per quanto riguarda la funzione di guida e terapeuta spirituale che tende inevitabilmente a far sorgere e sviluppare queste due grandi e gravi passioni come la cenodossia83 e l'orgoglio, essendo quest'ultima, lo abbiamo visto, una frequente causa di caduta per spirituali molto avanzati. Colui che non è, egli stesso, in buona salute, rischia, d'altra parte, di essere contaminato o almeno colpito dalle malattie degli altri. È per questo che sant'Isacco il Siro ci insegna: «Il nutrimento solido [della paternità spirituale] è per coloro che sono sani, per quelli che hanno i sensi esercitati, e che possono mangiare di tutto. Voglio dire che essi possono sopportare le aggressioni che subiscono tutti i sensi, e che il loro cuore non viene deteriorato da tutto ciò che incontrano nell' ec sercizio della perfezione»84 • E san Simeone il Nuovo Teologo constata che solo i santi possono rimanere liberi dalle passioni che trattano e non essere affatto turbati da esse: «Il pensiero dei santi, pur se viene a chinarsi sul pantano delle passioni e delle vergogne umane, non ne viene insudiciato, perché la loro intelligenza è libera ed estranea a ogni cupidigia delle passioni. Se l'intelligenza decide, all'occorrenza, d'intraprendere l'esame di tali stati, essa lo fa col solo scopo di osservare e comprendere i movimenti disordinati delle passioni e dei loro effetti, per sapere da dove derivano e quali ne siano, di conseguenza, i rimedi che li neutralizzano come sentiamo dire che fanno i medici e come abbiamo sentito dire dagli anziani: essi sezionavano i cadaveri per comprendere la struttura del corpo, per rendersi conto così del1' organizzazione interna dei vivi e tentare in altri la cura di mali nascosti. Tale è, insomma, il metodo che pratica anche il medico spiri-

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    82

    Ibid., 56. Ibid. sottolinea questo legame (Antirretico, Cenodossi:i, 9).

    83

    EVAGRIO PONTICO

    84

    Discorsi ascetici, 56.

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    tuale, che vuole guarire le passioni dell'anima, con l'aiuto che gli viene dall'esperienza>>85 .· · Colui che vuole guarire gli altri, senza essere egli stesso perfettamente guarito, rischia non solo di aggravare le proprie malattie, ma anche di far contrarre a coloro che vuole curare 86 . Difatti non sapendo per esperienza in cosa consista la salute né, pertanto, qual è la vera natura delle malattie, non è in grado di porc tarli alla guarigione e può dar loro solo consigli che li fa deviare; essendo sottomesso alle passioni, non può avere la purezza che permette di conoscere i cuori e di fare una diagnosi con conoscenza di causa, nonché di prescrivere il trattamento adatto al malato. San Gregorio Nazianzeno fa notare a questo proposito: «Nei trattamenti che pratichiamo, un unico e stesso rimedio non è sempre e per tutti molto salutare o molto rischioso [...]. Questo dipende, mi sembra, dalle circostanze, dagli avvenimenti e da ciò che permette il carattere dei pazienti. Abbracciare tutti questi elementi con grande precisione per arrivare a far entrare tale medicina in un trattato, è impossibile, quali che siano le cure e l'intelligenza che vi si apporta: sono gli avvenimenti e la stessa esperienza che li fanno conoscere alla medicina e al medico»87. Ora, è importante che il medico sia sicuro e la sua esperienza giusta, perché 91. È l'iinpassibilità che permette al padre spirituale di essere illuminato da Dio nella sua funzione, di ricevere la luce dallo Spirito senza l'aiuto del quale non potrebbe essere un terapeuta efficace e una guida autentica, ma «un cieco che guida un altro cieco»92 • «Colui che non ha in sé la luce dello Spirito Santo», spiega san Siineone il Nuovo Teologo, è come colui che cammina nell'oscurità con una lampada spenta. Egli «non può vedere bene le proprie azioni, né avere la sicurezza che queste siano conformi al volere di Dio. Quanto a guidare gli altri, o a indicare loro la volontà di Dio, prima di tutto non ne è capace, non di più di quanto sia degno di ricevere i pensieri di altri [.. .] fino a quando non possieda, in maniera splendente, la luce [. .. ]. "Chi cammina nelle tenebre non sa dove va" (Gv 12,35). Se dunque quest'uomo non sa dove va, come mostrerà il cammino agli altri?»93 • L'illuminazione dello Spirito Santo conferisce al padre spirituale un potere che è particolarmente necessario per il suo ruolo: quello della cardiognosia. Questo carisma spirituale gli permette di leggere nei cuori, di conoscere direttamente e nella sua intimità >119 .

    113

    ùttera al Pastore, 79.

    Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 24. Ibid.,23. 116 La Scala, rv, 6. 117 Ibid., I, 19. m Ibid., IV, 77. '" Ibid., rv, 103.

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    115

    463

    Avendo presentato i requisiti che deve avere il padre spirituale, occorre ora mostrare come si esplica la sua azione terapeutica. Innanzitutto, è per mezzo della parola che il medico spirituale cura i ~uoi figli, perché come dice l'autore ispirato dei Proverbi: (Pro 12,18). Anche gli Apoftegmi ci mostrano, in effetti, che la maggior parte dei visitatori dei Padri del deserto si rivolgono ad essi in questi termini: «Padre, dicci una parola di salvezza>>. Essi con questo non chiedono consigli teorici, ma un vero sollievo per le loro anime. E il potere terapeutico della parola dei Padri si manifesta spesso immediatamente, come appare nelle Vite dei santi e in parecchi Apoftegmi, ove leggiamo di visitatori che vanno dagli Anziani in condizioni di tristezza, di abbattimento o d'inquietudine e ne ritornano pieni di pace e di gioia (cfr. Pro 12,25) 120 • Evagrio, nel riferire di una visita fatta in compagnia di altri fratelli a san Macario, ricorda «le parole piene di vita e di guarigione per le [loro] anime che aveva detto [loro] il grande Abba>> 121 • Con le sue parole il padre spirituale incoraggia122 suo figlio, «lo esorta, lo consola, lo cura come un membro malato»123 • Se gli dà un insegnamento, questo non ha un carattere astratto e speculativo, ma concreto ed efficace. San Giovanni Cassiano sottolinea il potere terapeutico124, ma anche profilattico di tale insegnamento: «Come i medici più esperti non si accontentano generalmente di guarire le malattie presenti ma, nella loro saggia esperienza, vanno alle malattie future e le prevengono con prescrizioni e rimedi salutari, così questi autentici medici delle anime, distruggendo in anticipo, nella conferenza spirituale, come con un celeste antidoto, le malattie del cuore prima che queste compaiano; impedendo che esse si sviluppino nello spirito dei giovani, svelano loro le cause delle passioni che li minacciano e i rimedi che restituiscono la salute»125 • Il padre spirituale non cura solo con le parole. Manifestando verso i suoi figli una preoccupazione incessante, prega per loro 126, affinché agisca su di essi la ·grazia terapeutica di Dio. >141. H san Giovanni Crisostomo precisa: >, scrive san Giovanni Climaco 156 • Questa fedeltà è la condizione necessaria per una continuità nella terapia, senza la quale questa non potrebbe essere efficace, perché il trattamento che permette di acquisire la salute spirituale è sempre lungo e può subire delle interruzioni. Avendo precisato ciò, l'obbedienza appare come il primo dovere Trattati etici, VI, 279ss. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 39. 156 La Scala, Iv, 79. Cfr. 103. 154

    155

    469

    del figlio spirituale riguardo al suo padre. L'Apostolo ci invita: 160. L'obbedienza al padre spirituale aiuta l'uomo arinunciare in particolare alla propria volontà161 , che è una delle fonti principali delle sue malattie, essendo il principio dell'orgoglio. Essa lo aiuta, pertanto, ad acquistare l'umiltà 162, che è, come vedremo, una delle virtù fondamentali più importanti, la porta principale della grazia divina. Grazie ad essa, egli può giungere rapidamente alla noncu~ ranza spirituale (amerimnia) 163, che è un'assenza totale d'inquietudine rispetto alle cose del mondo, quindi una forma di distacco da questo a favore dell'attaccamento a Dio, ma anche uno stato di pace interiore che corrisponde all'hesychia nel suo senso più elevato 164. L'obbedienza, occorre precisarlo, dev'essere totale; essa esclude che si contraddica165 e anche che si giudichi il padre spirituale in qualsiasi cosa166. Implica che ci si affidi a lui in tutta1 67 . Ciò significa che ci si deve sottomettere al suo giudizio e alla sua volontà fin nelle azioni in apparenza più insignificanti, ma la cui somma costituisce l'esistenza umana e che sono di grande importanza per la giusta relazione dell'uomo con Dio e per il suo progresso spirituale. «Nella misura del possibile, occorre che il monaco confidi agli anziani il numero di passi che fa e il numero di gocce d'acqua che beve nella sua cella, per

    Cfr. DoROTEO DI GAZA, Lettere, II, 187. CALllSTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14; 15. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15. 159 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 62. CAillSTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14. 1)7

    158

    160

    La Scala, XXVI, 22.

    161

    CTr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15.

    Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, N, 115. CALLLSTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologia; gnostici e pratici, I, 61. 163 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), Lill, 8. 164 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14; 15. 165 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 55; Catechesi, XX, 45s. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15. 166 Cfr. DoROTEO DI GAZA, Lettere, II, 187. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), ill, 8. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, IV, 8. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 24; 25. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 14. 167 Cfr. Apoftegmi, 109014. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, V, 68; Lettere, II, 187. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), Lill, 8. 162

    470

    sapere se in ciò non s'inganni>>, arriva a dire sant'Antonio l'Eremita168 •

    A fortiori, il figlio spirituale deve confidare al suo padre ogni suo pensiero, non deve nascondergli nulla della su-a vita interiore, ma rimetterla nelle sue mani169 , poiché la manifestazione dei pensieri nell'ambito della terapia e della direzione spirituale, lo vedremo, riveste un'importanza fondamentale. Qui ci basterà citare la seguente osservazione di san Giovanni Climaco: «Il medico non può guarire il paziente se questi non è venuto, prima di tutto, a consultarlo e non gli ha mostrato le ferite con totale fiducia>> 170 • Come indicato da questa osservazione, l'obbedienza al padre spirituale non è sottomissione a un'autorità che si.impone. Essa è piuttosto fondata sulla fede 171 , sulla fiducia 172 e soprattutto sull'amore173 • Il rispetto totale della libertà dei figli spirituali, del resto, costituisce una qualità dei veri padri, i quali propongono più che imporre, raccomandano più che comandare, applicando il consiglio dell'apostolo Pietro: «Pascete il gregge di Dio che vi è stato affidato, sorvegliandolo non per costrizione, ma di cuore secondo Dio; [.. .] non come se foste voi i padroni nella porzione degli eletti, ma facendovi modelli del gregge>> (lPt 5,2), e progressivamente sapendo scomparire davanti ai loro figli man mano che essi s'incamminano per arrivare alla statura di uomo . adulto in Cristo, applicando nei riguardi di ciascuno l'esempio di san Giovanni Battista: «Egli deve crescere, io invece diminuire» (Gv 3,30).

    serie alfabetica, Antonio, 38. Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Inni, IV, 25s. Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, wc. cit. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15. 170 Lettera al Pastore, 39. 171 Cfr. CALLISTO e IGNAZIO XANTOPULO, Centuria, 15. 172 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 180. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, IV, 7. m Cfr. GIOVANNI CLIMACO, Lettera al Pastore, 19. Si troveranno numerosi altri riferimenti e citazioni in I. HAUSHERR, Direction spirituelle en Orient autrefois, Roma 1955, pp. 201s. 168 Apoftegmi, 169

    471

    IV LA MANIFESTAZIONE DEI PENSIERI

    Nel quadro della relazione tra figlio e padre spirituale, nonché della terapia spirituale alla quale essa dà luogo, la manifestazione dei pensieri (exag6reusis ton logismon) gioca un ruolo fondamentale. Questa pratica si presta ad essere accostata alla confessione. Essa se ne distingue, però, notevolmente. Mentre la confessione è un sacramento, la manifestazione dei pensieri non lo è. Essa, dunque, non viene rivolta necessariamente a un sacerdote, ma a un padre spirituale che può essere un sacerdote, ma anche un semplice monaco, di cui solo le qualifiche spirituali autorizzano la funzione. E se spesso è la stessa persona, che si ha per padre spirituale ed è anche sacerdote, alla quale si manifestano i propri pensieri e ci si confessa, talvolta è a due diverse persone che si ricorre per queste due pratiche ben distinte. Mentre la confessione consiste nel confessare i propri peccati a Dio in presenza di un sacerdote - il quale, come dice il formulario ortodosso della confessione, non è che un testimone - e nel riceverne l'assoluzione, la manifestazione dei pensieri consiste nel raccontare al padre spirituale i pensieri, che non sono necessariamente peccati, per consentirgli di conoscere il proprio stato interiore al fine di ricevere consigli appropriati per progredire nella via spirituale della guarigione e della salvezza. Il fatto che si tratti cli manifestare dei «pensieri>> potrebbe, per un verso, suggerire di fare un accostamento almeno parziale di questa pratica alla pratica psicanalitica. Occorre, però, sottolineare ancora una volta, una differenza fondamentale: non si tratta per colui che manifesta i propri pensieri di rievocare il suo passato. I Padri proibiscono in modo assoluto anche il ricordo dettagliato del passato a motivo dei molti inconvenienti, ossia dei pericoli che esso rappresenta. San Marco l'Eremita, per esempio, scrive: «Arreca danno[. .. ] ricordarsi in particolare dei peccati passati, perché se essi generano tristezza, allontanano dalla speranza; se, al contrario, la loro rappresentazione lascia 472

    senza dolore, riportano all'antica sozzura»1• E aggiunge: «Quando lo spirito, grazie al rinnegamento di sé, si attacca unicamente alla speranza, allora il nemico, sotto il pretesto della confessione, gli pone davanti agli occhi un'immagine dei peccati passati, per riaccendere le passioni dimenticate per grazia di Dio e per fargli del male subdolamente. Infatti, anche se lo spirito è in quel momento luminoso e pieno di avversione per le passioni, diverrà necessariamente tenebroso, una volta di nuovo implicato nelle azioni passate. Se la sua anima è turbata e amica del piacere, non mancherà di soffermarsi con compiacenza nelle suggestioni, in modo che simile reminiscenza sarà di fatto una predisposizione al peccato piuttosto che una confessione»2 • I pensieri da manifestare al padre spirituale devono essere, dunque, i pensieri attuali. Non importa quali, ma quelli che si ripetono o che hanno una certa sussistenza nell'anima. San Giovanni di Gaza consiglia a uno dei suoi corrispondenti: «Non bisogna interrogarsi per tutti i pensieri che nascono nel cuore, perché ve ne sono di passeggeri. Ma occorre interrogarsi circa i pensieri che dimorano nell'uomo e gli fanno guerra»3 • «Se un pensiero persiste e ti fa guerra, dillo al tuo padre», raccomanda anche san Barsanufio4 • Sono questi, infatti, i pensieri che potranno dare al padre spirituale alcune indicazioni significative sullo stato, sulle tensioni, sugli impulsi, sulle disposizioni e sulle tendenze interiori del figlio spirituale, tutte suggestioni alle quali è sottomesso, sia per sua cupidigia5 , sia per l'azione diretta dei demoni. I pensieri di questa natura sono ugualmente rivelatori dei punti deboli dell'anima, delle sue zone fragili che i demoni prendono più volentieri come punto d'attacco, delle regioni convalescenti dove esiste un rischio di ricaduta, o più abitualmente delle sue parti ancora malate. In senso più ampio, tuttavia, I' exag6reusis (il termine greco è più ampio dell'espressione 13 • Catechesi, XXVI, 299-303. Vita dei Padri, V, 5, 13, PL 73, 876C-D. 8 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, IV, 43. 9 Inni, rv, 27-28. 10 Istruzioni spirituali, V, 61. 11 Asceticon, rv, 3. 12 Lettere, 375. n Conferenze, II, 11. Cfr. Istituzioni cenobitiche, rv, 9. 6

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    ..·Infatti, quando si tratta di manifestare i propri pensieri, occorre vincere numerose resistenze interiori dovute in particolare ali' orgoglio 14 e alla cenodossia 15 e, sulla base di queste due passioni, al timore di essere giudicati o vedersi rivolgere dei rimproveri16 • Occorre vincere anche le suggestioni dei demoni che si ostinano ad impedire questa pratica17 che essi temono particolarmente, poiché essa ha come effetto quello di sventare le loro macchinazioni18 • In genere, è nel tentare di far credere alla sua inutilità che essi vi si oppongono, come ben di. mostra questa testimonianza di un fratello, che, d'altra parte, ha il merito di sottolineare quanto l'astensione da questa pratica ostacoli la guarigione dell'uomo: «Avevo nell'anima una passione che mi dominava. Avendo sentito dire che Abba Zenone ne aveva guariti molti, così volli andare a trovarlo e aprirmi a lui [ ... ]. Spesso [. .. ] partivo per andare dall'Anziano per dirgli tutto, ma il nemico non mi lasciava parlare mettendo nel mio cuore la vergogna e insinuandomi: "Poiché tu sai come guarire da te, perché parlarne? Tu non ti trascuri, in realtà, tu sai ciò che i Padri hanno detto". Ecco cosa mi suggeriva l'avversario affinché io non manifestassi la mia malattia al medico e non fossi guarito [. .. ].Alla fine, afflitto e in lacrime, dissi alla mia anima: "Fino a quando, anima infelice, persisterai nel non voler essere guarita? Le persone che vivono lontano vanno dall'Anziano e sono guarite e tu, tu che abiti così vicino al medico, hai vergogna di farti curare?"»19 • La manifestazione dei pensieri non solo è utile, ma anche necessaria al progresso spirituale. San Basilio insegna: «Ciascuno [. .. ] (se almeno vuole realizzare progressi apprezzabili e vivere secondo i precetti di Nostro Signore Gesù Cristo) deve evitare di tenere nascosto nel tribunale della sua coscienza movimento alcuno. Al contrario, occorre scoprire i segreti del cuore a coloro che hanno ricevuto la missione di curare i malati con affetto e comprensione»20 • Un Padre giunge persinç> ad affermare: «Non vi è altra via sicura di salvezza, se non quella che ognuno confessi i propri pensieri a quei Padri che sono dotati di discernimento»21 • San Teodoro Studita afferma la stessa cosa quando scrive: «Che tutti sappiano che, per la salvezza (ivi compresa Cfr. Apoftegmi, 592/50. Cfr. AMMONA, Istruzioni, IV, 24. 16 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, Il, 12; 13. 17 Cfr. Apoftegmi, N 509-510. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala, IV, 75. 18 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, V, 64; 65; 66. 19 Apoftegmi, 509-510. 20 Regole lunghe, 26.

    · · 14

    15

    21

    Apoftegmi, in P. EVERGETINOS, Synagogé, Costantinople 1861, p. 68, col. l.

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    la perfezione), non vi è alcun mezzo comparabile alla manifestazione dei pensieri, né così rapida»22 • È opportuno sottolineare in modo particolare il valore terapeutico e profilattico di questa pratica, che nell'ambito della medicina spirituale riveste un'importanza di primo piano. La manifestazione dei pensieri consente di ricevere dal padre spirituale indicazioni sul significato e sul valore spirituali di ciò che gli riveliamo; consente, inoltre, di ricevere consigli sull'atteggiamento che bisogna adottare. Impassibile e dotato di discernimento, il padre spirituale autentico è capace di dare su ciò di cui gli parliamo un giudic zio obiettivo; illuminato dallo Spirito, è in grado di dare consigli opportuni. Per esempio, egli può dire qual è la natura di tale pensiero, cosa esso nasconde, quali conseguenze può avere, se è senza peso, oppure cattivo, e in che modo perciò bisogna affrontarlo e lottare contro di esso. Tale idea, tale ispirazione, che porta a intraprendere una certa azione, viene dai demoni o dobbiamo vedere un'ispirazione angelica e allora dobbiamo darle seguito? Tale rappresentazione, apparsa più volte, il tale desiderio nato nel cuore in una certa circostanza, o tale movimento dell'anima, soho essi innocenti, conformi alla volontà divina, o senza importanza, o addirittura cattivi?23 • Consultando il proprio padre spirituale, si otterrà una risposta sicura a questi interrogativi, risposta che consentirà di sfuggire agli inconvenienti del dubbio, agli errori e alle illusioni del proprio giudizio, alle trappole della propria volontà, la quale conduce l'individuo a comportarsi secondo le proprie norme e secondo i propri desideri anziché conformarsi alla volontà divina. Del resto, è insistendo sui rischi che si corrono nel seguire il proprio giudizio e la propria volontà che i Padri racco' mandano la pratica della manifestazione dei pensieri. Sant' Antonio l'Eremita scrive a questo proposito: «Ho conosciuto dei monaci che, dopo grandi fatiche, sono caduti e giunti alla follia per aver contato sulle loro opere e per aver eluso con falsi ragionamenti il comandamento di colui che ha detto: Interroga tuo padre ed egli ti insegnerà>>24• San Pacomio riferisce che, per non aver rivelato il loro stato interiore a un padre spirituale, >46 • La guarigione è in parte dovuta al fatto stesso della manifestazio37

    Grandi catechesi, éd. Papadopoulos-Kerameus, p. 623.

    38

    La Scala, IV, 51.

    Apoftegmi, 592150. Prima Vita di Pacomio, 96. 41 Lettere, 320. 42 Conferenze, II, 12. 43 Istruzioni 5P.irituali, Iv, 24. 44 La Scala, IV, 12. 45 Apoftegmi, 592150. 46 Typik6n di Evergetis, cap. citato da I. HAUSHERR, Direction 5P.irituelle en Orient autrefois,

    39 40

    Roma 1955, p. 226.

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    ne. Colui che ha appena manifestato i suoi pensieri si sente liberato dall'oppressione, dall'oscurità che essi provocavano in lui, è sollevato dall'inquietudine, dal timore, dalle tribolazioni interiori, persino dall'angoscia e dalla disperazione che è loro legata, prova un senti-_ mento di consolazione e di pace, si sente leggero e gioioso47 • «Cosa vi è di più luminoso di un'anima sempre dedita a questo esercizio? Lo sanno coloro che l'hanno sperimentato: quale speranza, quale sicurezza, quale libertà essi acquistano! E, ancora, quale assenza di timore [. .. ], sollievo dalle lotte, tranquillità dei pensieri e, infine, quale purezza d'anima!», afferma il patriarca Antonio Studita48 • I Padri insistono in particolare sullo stato di sicurezza spirituale (amerimnfa) procurata dalla pratica abituale dell' exag6reusis. Ricordando l'epoca in cui aveva come padre spirituale san Giovanni di Gaza, san Doroteo scrive: «Non avevo nessuna tribolazione, alcuna preoccupazione. Se mi capitava di aver un pensiero, prendevo la mia tavoletta e scrivevo ali'Anziano [. ..] e non avevo finito di scrivere che sentivo sollievo e profitto. Tali erano la mia mancanza di preoccupazioni (amerimnia) e la mia pace (andpausis)»49 • «Confidavo tutto all'Anziano, Abba Giovanni, egli riferisce, e mai mi permettevo di far qualcosa senza il suo consenso [...]. Mai mi permettevo di seguire il mio pensiero senza prendere consiglio. E credetemi, fratelli, ero in grande pace, in grande sicurezza>>5°. Questi effetti, in qualche modo immediati, della manifestazione dei pensieri, non devono farci dimenticare che gran parte della -sua efficacia terapeutica è dovuta ai consigli del padre spirituale che tale pratica suscita. Grazie alle indicazioni fornite dal figlio spirituale, il padre è in grado di conoscere esattamente lo stato interiore di questi, di fare una diagnosi precisa e decidere il trattamento adeguato. Senza questo, l'uomo non avrebbe mai l'opportunità di guarire. «Ciò che possiamo vedere nelle malattie del corpo», scrive il patriarca Antonio Studita, «si verifica anche nei mali dell'anima: il medico dà i suoi rimedi e applica la sua cura nel posto che ha ben diagnosticato e vede con i suoi occhi. Ma colui che pensa a modo suo e agisce secondo le proprie idee, senza far conoscere la malattia della sua anima ai padri spirituali attraverso la manifestazione dei pensieri, si attira il penoso ver-

    Se ne troveranno numerose testimonianze negli Apoftegmi. Citato da I HAUSHERR, Direction spìrituelle en Orient autrefois, Roma 1955, P- 159. 49 Istruzioni spin-tuaH, I, 25. 50 Ibid., V, 66. Cfr 68_ 47

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    detto: "Guai a quelli che sono saggi ai loro sguardi, e intelligenti davanti a loro stessi!" (Is5 ,21)»51 • In particolare, grazie a una manifestazione frequente e continua dei pensieri, il padre spirituale potrà praticare il trattamento spesso lungo che porterà alla guarigione di tutte le malattie dell'anima, perché conoscerà allora precisamente e globalmente lo stato, le tendenze e i'evoluzione del malato. È in questo senso che san Giovanni Cassiano scrive ricordando molte passioni: «Più sovente sono manifestati questi disturbi, più velocemente si giunge a guarirne»52 • Così ricorriamo al padre spirituale, al quale manifestiamo i nostri pensieri come verso un medico53 • San Basilio raccomanda di scoprire i segreti del cuore «a coloro che hanno ricevuto la missione di curare i malati>>54 • San Giovanni Climaco consiglia: «Scopri, metti a nudo la tua piaga davanti al medico e digli senza vergogna: "Ecco la mia ferita, padre, ecco la mia piaga"»55 , e san Barsanufio: «Di' al tuo padre il ·pensiero che in te si attarda e che ti fa guerra ed egli ti guarirà>>56• «Manifestiamo ai nostri Anziani tutti i segreti della nostra anima, e andiamo con fiducia a cercare da loro il rimedio alle nostre ferite>>, raccomanda san Giovanni Cassiano57 • Questa concezione medica del padre spirituale si traduce nelle formule di un buon numero di Typikd 58 • Il Typik6n del monastero del Precursore presso Serres, in Macedonia, esige «che vi siano dei padri spirituali nel monastero perché a colui che ciascuno avrà scelto, egli scopra le sue ferite conformemente alla tradizione dei santi canoni, per ricevere a seconda della ferita l'aiuto adatto da parte dei medici spirituali. Le ferite, sono i pensieri [. .. ]. È, dunque, molto utile avere il medico presso di s6>59 • La Typikè Didtaxis del monastero della Santissima Madre di Dio di Machaera, al capitolo 11 dedicato alla manifestazione dei pensieri, dichiara che «colui che esercita questo ruolo [. .. ] deve porre la cura più attenta ad ascoltare coloro che vogliono confessarsi e ispirare a ciascuno il rimedio appropriato»; se i pensieri che sono «facili da sopprimere e non causa-

    Citato da L HAUSHERR, Direction spirituelle en Orient autre/ois, Roma 1955, p. 159. Istituzioni cenobitiche, VI, 3. 5' Vedi per esempio Apoftegmi, N 509-510. 54 Regole lunghe, 26. 55 La Scala, rv, 68. 56 Lettere, 215. 57 Conferenze, Il, 13. 58 Un Typik6n è una raccolta di regole che organizzano in maniera pratica la vita di nn monastero. 59 Le Typikon du monastére du Prodrome, cap. 13, in Byzantion, 12, 1937, p. 50. 51

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    no turbamento persistente» potranno essere ascoltati da fratelli qua~ lificati che egli avrà delegato a questo compito, «dovranno essergli riferiti i pensieri che richiedono un trattamento medico più attento» ed egli «applicherà il trattamento adeguato»60 • Il padre spirituale esercita la sua funzione di terapeuta nell'ambito dell' exag6reusis, offrendo un ascolto attento e benevolo, consolando ed esortando colui che si è affidato a lui, prendendo su di sé le difficoltà che il suo figlio spirituale gli manifesta e anche pregando per lui. Spesso i Padri sottolineano questo ruolo d'intercessore del padre spirituale nel contesto della manifestazione dei pensieri e attribuiscono, perciò, l'efficacia terapeutica di questa pratica a un intervento della grazia divina che risponde alle preghiere appunto del padre spirituale61. Ecco perché san Besanufio precisa: «Di' il tuo pensiero al Padre ed egli ti guarirà da parte di Dio»62 • E un fratello dice la stessa cosa in questi termini: >2°, l' «opera del cuore»21, l'unico mezzo per purificare l'anima dal peccato e guarirla dalle passioni, non solo da quelle note ma anche da quelle nascoste22 • Come tutti i Padri, anche san Giovanni Crisostomo sottolinea l'importanza e, nello stesso tempo, la durezza di questa lotta23 : «Nessuna nazione selvaggia [fa] una guerra così accanita come i cattivi pensieri che rimangono nell'anima, come le passioni sregolate [ ... ]; e ciò si capisce, perché questi primi nemici ci attaccano dal di fuori, mentre dall'interno i secondi ci fanno guerra. Ora, che i mali interiori sono più disastrosi e perniciosi di quelli che vengono da fuori, è un' osservazione che possiamo fare costantemente [. ..]. Nulla è più fatale per la salute, per l'energia del corpo, delle infermità che vi si sviluppano Ibid., 71. Ibid., 91. 11 Ibid., Il, 72. 18 Istruzioni spirituali, XIII, 145. Yedi anche MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 20. Evagrio Pontico si chiede: «E la rappresentazione che fa scattare le passioni o sono le passioni che fanno scattare la rappresentazione? Questa domanda esige una riflessione. Alcuc ni, in realtà, sono per la prima opinione, altri per la seconda>> (Trattato pratico sulla vita monastica, 37). In realtà, questa divergenza d' opinioni non è reale: i due processi esistono e i Padri evocano l'uno o l'altro a seconda dei casi, senza considerare pertanto l'uno esclusivo cieli' altro. 19 Vedi per esempio BARSANUFIO, Lettere, 258. 20 FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 3. 21 lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 17. 22 Cfr. ibid. 23 Vedi anche MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 91; IV, 50. FILOTEO IL SrNAITA, Quaranta capitoli neptici, 1. 15

    16

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    internamente; le città soffrono meno per la guerra esterna, che per i loro dissensi interni; così anche l'anima non deve tanto temere le trappole che le vengono tese nel mondo quanto le malattie di cui essa stessa fornisce il germe»24 • Per questo san Macario Magno insegna: «Occorre, dunque, che tutta la lotta dell'uomo si rivolga verso i suoi pensieri»25. Lo stesso santo osserva ancora: «Colui che vuole veramente divenire cristiano, deve dedicarsi a una lotta non già carnale, ma spirituale, contrb i pensieri [. .. ]. È per mezzo di un tale combattimento che egli potrà ottenere la purificazione»26 • Proprio perché i pensieri sono trattenuti, suscitati, se non proposti dai demoni, la lotta contro i pensieri appare allo stesso tempo come un combattimento contro i demoni (abbiamo visto, del resto, che i Padri identificano spesso i pensieri passionali con gli stessi demoni). L'Apostolo indica chiaramente questa lotta quando scrive: «Non lottiamo contro una natura umana mortale, ma contro i prìncipi, con~ .tro le potenze, contro i dominatori di questo mondo oscuro, contro gli spiriti maligni delle regioni celesti» (E/ 6,12). Questa lotta corrisponde, a mo' di una guerra difensiva, alla vera guerra offensiva, permanente e senza pietà che i demoni intraprendono contro l'uomo e che san Filoteo il Sinaita descrive così: «È una guerra che gli spiriti del male conducono segretamente e che li mette alle prese con l' anima attraverso i pensieri. Poiché la stessa anima è invisibile, queste potenze malefiche, si adattano alla sua natura, e conducono verso di es-; sa una guerra invisibile. Si può così osservare, tra queste potenze e l' anima, armi, una battaglia campale, astuzie ingannevoli, una guerra terribile, l'accanimento nel combattimento, e, da una parte e dall' altra, vittorie e sconfitte»27 • · Il carattere sottile dei pensieri, le astuzie messe in opera dai demoni per sottomettersi gli uomini mediante tali astuzie, la difficoltà, in breve, della lotta da condurre, ma anche l'importanza della posta in gioco, fanno sì che «l'arte di combattere i pensieri>> («arte» intesa nel senso antico di «tecnica») venga ritenuta dai Padri > (Gc 1,14) 46 , o secondo sant'Isacco il Siro che scrive: «In tutte le tentazioni, condanna te stesso perché cauIbid., 143. '" Ibid 180 39 Cfr. -~éo L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 96; 111. 40 Ibid., 79. 41 Ibid., 78. 42 Cfr. BARSANUHO, Lettere, )J. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 88. MACARIO D'EGITIO, Omelie (Coli. III), :XXV, 1, 2. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 135. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 83; Apoftegmi, serie degli anonimi, 143. CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi, II, 3. 43 Vedi per esempio MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 74. 44 Cfr. Esro-rro DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 118; 119. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 7. 45 Cento capitoli gnostici, 88. 46 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Sisoe, 44. BARSANUF10, Lettere, 256. '1

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    sa di quelle che ti capitano»47 • Infatti, «dalle passioni nascoste nel-

    1'anima i demoni ricevono i mezzi per suscitare in noi i pensieri passionali», sottolinea molto precisamente san Massimo48 • E san Giovanni Cassiano osserva che l'anima, proprio come il corpo, è attaccata dalla malattia laddove essa presenta uno o più punti deboli: «Anche qui, accade come per il corpo umano. Quando capita un' occasione spiacevole, [ .. .] sono le parti più deboli che si lasciano scalfire e soccombono immediatamente; ed è solo quando la malattia vi si è stabilita che essa contamina le parti rimaste sane. La stessa cosa è per la nostra anima. Se sopraggiunge qualche vizio, essa.sarà fatalmente attaccata nella parte che, più delicata e più debole, offre minore resistenza agli assalti violenti del nemico e correrà il rischio di essere colpita là dove la sentinella, poco vigile, apre al tradimento un più facile accesso [. ..]. È con questo mezzo che la perfida malignità delle potenze spirituali s'industria a tentarci. Tali potenze tendono le loro trappole insidiose soprattutto verso la parte dell'anima dove la sentono più malata»49 • Occorre, tuttavia, sapere che i demoni possono anche proporre all'uomo pensieri e immagini senza rapporto con le sue disposizioni o predisposizioni, anche se egli s'illude ancora che queste rappresentazioni vengono da se stesso, come fa notare san Macario il Grande: «Vi è una potenza avversa, quella della malizia, che disorientando segretamente il genere umano lo conduce verso il male, e gli insegna invisibilmente, nel cuore, ogni sorta di empietà. Per questo, gli uomini non fanno altro se non quello che è stato loro suggerito segretamente, al livello della libera volontà di ciascuno; la maggior parte di essi non sanno da dove vengono queste suggestioni, ma credono a una tendenza naturale, a causa dell'abitudine di veder scaturire dal loro cuore i pensieri cattivi contro natura>>50 • L'azione demoniaca a questo riguardo non risparmia alcun uomo, adattandosi al livello spirituale di ciascuno51 • È così che gli stessi santi, che per ascesi teantropica hanno raggiunto l'impassibilità e ottenuto la purificazione delle loro colpe passate, in breve, nei quali non sussistono né disposizioni né predisposizioni, devono far fronte a quei pensieri proposti dai demoni, e che allora costituiscono per essi alDiscorsi ascetici, 80. Centurie sulla carità, II, 3 L Conferenze, xxrv, 17. 50 Omelie (Coli. III), XXV, 1, 2. 51 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 90. 47

    48

    49

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    trettante tentazioni52 • I Padrl sottolineano che lazione demoniaca cresce e quindi i pensieri suggeriti si moltiplicano a misura del progresso spirituale". Un adagio dei Padri afferma che l'uomo deve «aspettarsi la tentazione fino al suo ultimo respiro»54 , che fino al suo ultimo respiro egli dovrà lottare contro i pensieri suggeriti dai demoni55• Giobbe diceva: «Tutta la vita degli uomini sulla terra non è forse tentazione?» (Gb 7,1) 56 • >58 • «Come non è possibile camminare sulla terra senza fendere laria, scrive a sua volta sant'Esichio di Batos, così è impossibile che il cuore dell'uomo non sia continuamente combattuto dai demoni o segretamente tormentato da essi»59 • E san Giovanni Damasceno, ricordando in particolare gli otto tipi di pensieri cattivi che corrispondono alle otto passioni principali, osserva: «Che questi otto pensieri ci turbino o non ci turbino fa parte delle cose che non dipendono da noi>>60 • Lo scopo perseguito dai demoni nel suscitare i pensieri nel cuore dell'uomo è quello di far rimanere le passioni in colui che ne è abitato e di spingerlo al peccato d'azione, oppure è quello di farle ritornare in colui che se ne era liberato; lo scopo può essere anche quello di turbare la preghiera di quest'ultimo e di impedirgli di arrivare alla contemplazione61; in ogni caso, per i demoni si tratta di allontanare l'uomo da Dio62 e di metterlo contro di lui. Da questo punto di vista, ogni pensiero appare come una tentazione, tanto più che, come vedremo, l'uomo ha in tutti i casi la possibilità di seguire il pensiero che gli si presenta e fare così la volontà dei demoni, o respingerlo per fare lavolontà di Dio. Ogni pensiero che si presenta all'uomo appare così come una prova63 che può condurlo alla sua perdizione o alla sua salvezza, secondo la scelta che egli farà. Se l'uomo, cedendo alla tentaCfr. AMMONA, Lettere, XJJI, 5. MACARIO D'EGITfO, Omelie (Coli. Il), XVI, 3. Cfr. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, XXVI. 54 Apoftegmi, serie alfabetica, Antonio, 4. 55 Vedi per esempio ibid., Agatone, 9; Teodoro di Fermé, 2. 56 Cfr. 0RIGENE, La preghiera, 29: «Tutta la vita dell'uomo è una continua tentazione>>. 57 Discorsi ascetici, 83. 58 Capitoli teologici, gnostici e pratici, IIl, 3 L 59 Capitoli sulla vigilanza, 114. 52 53

    60 61

    Discorso utile alt'anima. Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 90.

    62

    Ibid.

    63

    Cfr. BARSANUHO, Lettere, 39; 483.

    492

    zione che ogni pensiero costituisce, può perpetuare il suo stato malsano o ricadervi, nel non cedervi egli, al contrario, può guarirne o evitare di ricadervi. Prendendo in considerazione. questo secondo aspetto, sant'Isacco il Siro afferma: > (Pro 16,17). E san Gregorio Palamas fa notare a questo riguardo: «"Bada a te", di105 Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XX, 3. GIOVANNI CUMAco, La Scala, XXVII, 39; 86. BARSANUFIO, Lettere, 269. GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 459. Apoftegmi, N 427; N 529. 106 Lettere, 459. 107 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVII, 18. 108 Lettere, 519. 109 Cfr. Apoftegmi, Collazione dei dodici anacoreti. BASILIO DI CESAREA, Omelia su queste parole: «Fa' attenzione a te stesso». - no Loc_ cit.

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    ce Mosè (Dt 15,9), cioè a te completamente: non a una sola parte di te stesso dimenticando il resto [...]. Poni, dunque, questa attenzione sulla tua anima e sul tuo corpo [. .. ]. Affidati, in breve, a questa custodia; a questa attenzione, non perdere il controllo di te stesso, o piuttosto bada a te, veglia e sorvegliati! [.. .] "Se lo spirito di colui che domina", cioè quello degli spiriti cattivi e delle cattive passioni, "si leva contio di te", afferma !'Ecclesiaste, "non lasciare il tuo posto", cioè non lasciare senza sorveglianza nessuna parte della tua anima, nessun membro del tuo corpo. Così, infatti, tu diverrai inaccessibile agli spiriti che ti attaccano dal basso»111 • Tuttavia, poiché, come abbiamo visto, è dai pensieri che derivano le azioni e soprattutto dipendono la nascita e la perpetuazione delle passioni, è su essi che i Padri raccomandano in particolare di portare l'attenzione e la vigilanza. È da questo, più propriamente, che dipende la guarigione spirituale dell'uomo, in quanto è soprattutto a questo livello che la vigilanza e l'attenzione appaiono come rimedi di grande importanza. In un'omelia su queste parole del Deuteronomio 4,9 e 15,9): 118 • Riguardo al secondo punto, san Gregorio Magno osserva: 119• La formula di un Anziano riassume questi due punti: «Il lavoro di un monaco è quello di veder giungere da lontano i suoi pensieri»120 • Possiamo ricordare a questo proposito le parole del Cristo: «Se il padrone di casa conoscesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa» (Le 12,39). 2) Essere attenti e vigilanti, vuol dire, in secondo luogo, esaminare ogni pensiero fin da quando lo si è notato121 , poi distinguere la sua natura in modo da vedere precisamente se si tratta di un pensiero buono, indifferente o cattivouz. Nel ricordare la prima di queste due fasi, san Giovanni di Gaza con115 Essa, a volte, è chiamata anche «rustodia dello spirito» (dr. EsIOilO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 113; 121. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 26). La prima espressione, però, è più adeguata, poiché la custodia dello spirito indica, in senso proprio, lo vedremo ulteriormente, l'evitare ogni rappresentazione anche buona: questo evitare è la condizione della preghiera pura e senza distrazione. Su questa distinzione, vedi Esrano DI BATOS, loc. cit., 3. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVI, 61. 116 Capitoli sulla vigilanza, 153. 117 Quaranta capitoli neptici, 7. 118 Omelia su queste parole: «Fa' attenzione a te stesso». 119 Moralia su Giobbe, XX, 3. 12() Apoftegmi, M 64. 121 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 85; 92. 122 Cfr. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), VI, 3. BASILIO DI CESAREA, Omelia su queste parole «Fa' attenzione a te stesso». GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 5. lsAIA DI ScETE, Asceticon, XXVI, 19. Esrcmo DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 121.

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    siglia: «Per tutti i pensieri agisci allo stesso modo: appena il pensiero arriva, esaminalo»123 . Sant'Esichio di Batos descrive così la vigilanza: 124 • Questa prima fase, l'esame del pensiero, ha come finalità la seconda: il discernimento della sua esatta natura. San Macario così scrive a questo riguardo: 129 • 3) Se si tratta di un pensiero buono e indifferente, l'uomo può lasciarlo penetrare in sé profondamente, perché non porterà conseguenze, eccetto nel caso in cui è in stato di preghiera, perché alcuni di tali pensieri ostacolano la preghiera pura. San Nilo Sorsky scrive a questo proposito: «Se non è durante la preghiera, ma nel corso di indispensabili occupazioni della vita, che entrano e rimangono nell'anima [questo tipo di] pensieri, allora una tale situazione è senza peccato: persino i santi hanno soddisfatto degnamente e senza colpa agli obblighi della vita del corpo. In ogni pensiero di questo genere, affermaho i Padri, il nostro spirito, se guarda se stesso con atteggiamento pio, rimane unito a Dio»130 • w Lettere, 86.

    Capitoli sulla vigzlanza, 6. Omelie (Coli. II), LIII, 14. 126 Capitoli sulla vigilanza, 22. 127 Apoftegmi, N 220. 128 Antirretico, Orgoglio, 17. 129 Lettere, 166. no Regola, 1. 124

    125

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    Non è così, però, nel caso si tratti di un pensiero cattivo. L'uomo allora deve assolutamente evitare di abbandonarvisi, e rifiutarlo prima di aver raggiunto, nel processo che abbiamo precedentemente descritto, lo stadio del consenso.

    5. Il rigetto dei pensieri cattivi Per respingere il pensiero cattivo quando si presenta, si possono assumere due comportamenti: a) Il primo, che possiamo chiamare «antirretico», consiste nell' autorizzare il pensiero a penetrare più a fondo, fino al primo grado del16 stadio del legame (syndyasm6s) in cui s'impegna con esso, come abbiamo già visto, in una discussione (omilia) sprovvista di ogni passione. Allora per l'uomo si tratta, nell'ambito di questa discussione con il pensiero, di contraddirlo e confutarlo, in una confutazione (antirresis) che consiste nell'opporgli diversi argomenti, i quali, in pratica, sono, molto spesso, brevi brani delle Sacre Scritture che gli rispondono esattàmente131. L'uomo deve, allora, scrive san Macario, 135 •

    Ricordiamo che Evagrio Pontico ha scritto un trattato intitolato Antirretico, in 8 ,libri. È di testi biblici contro i demoni tentatori, riguardante gli otto vizi capitali. In tale opera propone, per ogni rilevante tipo di pensiero, passi della Scrittura adatti a essergli opposti. 132 Omelie (Coli. Il), Lill, 14. 133 La Scala, XXVI, 62. 134 Apoftegmi, serie alfabetica, Giuseppe di Panefo, 3. m Capitoli sulla vigilanza, 44. 131

    una raccolta

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    Un tale modo di combattere i pensieri deve, tuttavia, essere riservato a coloro i quali sono sufficientemente avanzati spiritualmente per non lasciarsi sedurre, in questa discussione, dagli argomenti del ne~ mico e per non essere alla fine vinto 136 • Abba Giuseppe di Panefo implicitamente lo riconosce, quando a un altro visitatore che gli pone la stessa domanda, consiglia: «Non lasciare penetrare affatto [i pensieri] dentro di te»137 • Quanto a san Giovanni di Gaza, egli scrive mok to esplicitamente a uno dei suoi figli spirituali: «Il replicare non è per tutti, ma per i potenti secondo Dio, a cui i demoni sono sottomessi Infatti, se qualcuno di coloro che non hanno questa potenza [di confutazione] replica, i demoni lo tormentano deridendolo, per il fatto che egli è in loro potere e [pretende di] replica[re] loro»138 • San Barsanufio scrive la stessa cosa a uno dei suoi discepoli: 145 • Esso costituisce la «confutazione rapida>>. b) Questo secondo modo di combatti.mento, che deriva da una forma di esercizio della vigilanza, consiste nel non lasci.are affatto entrare il pensiero· che si presenta146, e per fare ciò occorre rigettarlo (i Padri dicono anche: reprimerlo, escluderlo, tagliar corto ... ) fin dal suo nascere, nell'istante stesso del suo primo apparire, cioè quando esso è ancora una semplice suggestione147 • «Occorre solo percepire De suggestioni demoniache], e immediatamente respingerle, fin da quando scaturiscono e attaccano», consiglia sant'Esichio di Batos148 • San Filotea il Sinaita, da parte sua, osserva: «Colui che resiste fin dall'inizio, cioè fin dalla suggestione [.. .]ha tagliato corto con tutte le infamie»149 • I Padri insistono su questo: occorre non accogliere il seme del nemico150, e a fortiori non soffermarsi sull'immagine o sul pensiero suggerito dal nemico 151 • In ogni caso, «stessa regola: non lasciar perdurare il pensiero», consiglia san Massi.mo 152 • Si tratta di bloccare nettamenCfr. A Nicola, VII. Lettere, 166. Cfr. DOROTEO DI GAZA, Lettere, VIII, 193. '"' Discorsi ascetici, 83. 146 Cfr. BARSANUFIO, Lettera, 257. Apoftegmi, X, 90. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 25. 147 Cfr. ESICHIO DI.BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 20; 22; 88. F!LOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 2; 26. Apoftegmi, serie alfabetica, Giuseppe di Panefo, 3. TEODORO DI SCETE, ibid., N 220; N 275. BARSANUFIO, Lettere, 432. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, ill,52. 148 Capitoli sulla vigilanza, 44. 149 Quaranta capitoli neptici, 36. 150 BARSANUFIO, Lettere, 256. O:R:!LLo DI GERUSALEMME, Catechesi battesimali, II, 3. 151 GIOVANNI DI GAZA, Lettere, 660. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 52. 0RIGENE, Commento ai Proverbi, 5, PG 17, 176CD. 152 Centurie sulla carità, III, 88. 143

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    te all'origine il processo della tentazione che abbiamo descritto precedentemente. Sant'Esichio di Batos così scrive a questo riguardo: «Se il nostro spirito è stato provato, se è stato istruito, se è nella condi-' zione di custodire se stesso e di vedere in tutta purezza, come in un cielo sereno, le immagini seduttrici e le illusioni degli spiriti cattivi; spegne immantinente e con facilità [...] le frecce infiammate del diavolo. Egli rifiuta di lasciarsi trasportare dall'immaginazione passio~ nale. Non accetta che i nostri pensieri, abbandonandosi alla passione, si conformino all'immagine che loro è apparsa, o s'intrattengono amichevolmente con essa, o vi si soffermino, o vi acconsentano»153 • Al con. trario, lasciare che questo processo si sviluppi, è, se non proprio cor· rere verso la perdizione, almeno votarsi poco dopo a una lotta più du; ra e che si sarebbe potuta evitare . È così che san Cirillo di Gerusalemme consiglia: «Non raccogliere il seme [... ].Prima che fiorisca, strappa il male fino alle radici, affinché la tua indolenza originaria non ti costringa più tardi (dr. Mt 3,10) a pensare di usare la scure e il fuoco. Comincia col guarire i tuoi occhi malati iri tempo opportuno, per non dover cercare il medico una volta diventato cieco»154 • Secondo una simbologia frequentemente usata dai Padri, se si lascia passare la testa del serpente, il suo corpo penetrerà facilmente. Per questo san Giovanni Cassiano scrive: «Dobbiamo ricordarci continuamente questo precetto: "Custodisci con cura il tuo cuore"_, e, secondo il comandamento principale di Dio, osservare con vigilanza la testa del serpente, cioè l'inizio dei pensieri cattivi, attraverso i quali il. diavolo prova a insinuarsi nella nostra anima. Per la nostra negligenza, non lasciamo invadere il nostro cuore da tutto il corpo di questo serpente - che è poi il consenso alla tentazione -, perché è molto evidente che, una volta introdotto, con il suo morso velenoso farà perire il nostro spirito ormai suo prigioniero» 155 • Per questo motivo così consiglia san Gregorio di Nissa: «Se vuoi evitare di vivere insieme al rettile, guàrdati dalla testa, cioè dal primo attacco del male. È a questo che si riferisce il comandamento illustrato dal Signore: "Ti insidierà al tallone e tu mirerai alla sua testa" (cfr. Gn 3,15)»156• Un altro Padre spiega allo stesso modo: >173 • «È impossibile scacciare la suggestione cattiva senza l'invocazione di Gesù Cristo», egli arriva persino ad affermare 174• Per mezzo della preghiera, infatti, l'uomo ottiene l'indispensabile aiuto di Dio, la cui onniscenza sventa le astuzie dei demoni e la cui onnipotenza annienta la loro forza. «Che mai cessi [ ...] la preghiera al Cristo Gesù nostro Dio. Infatti non troverai in tutta la tua vita soccorso più forte, al di fuori di Gesù. Solo il Signore, poiché egli è Dio, conosce le furberie, le frodi e le astuzie dei demoni», scrive sant'Esichio di Batos175 • «Ricorri a Dio contro [i tuoi nemici], gettando la tua impotenza dinanzi alla sua presenza, perché egli può non solo chiudere loro la bocca, ma anche ridurli all'impotenza>>, consiglia da parte sua san Barsariufio176• È solo la preghiera che può non solo respingere, ma distruggere il pensiero estraneo. «Ciò che spegne e dissolve subito ogni pensiero, ogni parola, ogni fantasma, ogni immagine, ogni male che suscitano in noi gli avversari, è l'invocazione del Signore», scrive ancora sant'Esichio di Batos177 • E san Filoteo il Sinaita osserva allo stesso modo: 178• . . Solo la preghiera può purificare totalmente il cuore 179 , cioè «distruggere fino al marchio e all'impulso della passione stessa>> 180, e cancellare completamente le tracce che i pensieri vi lasciano inevitabilmente dopo il loro passaggio, soprattutto se ci si è lasciati andare a discutere con essi, e quindi a mescolarvi i propri pensieri181 • È così che, per mezzo della preghiera unita alla vigilanza, e in particolare attraverso la preghiera di Gesù, 188• Con la preghiera, la pazienza appare come un mezzo sicuro per ottenere la vittoria. , consiglia san Marco l'Eremita189 • Ciò è conforme a quanto scrive l'apostolo san Giacomo: «Beato l'uomo che sostiene la tentazione, poiché, una volta collaudato, riceverà la corona della vita che Dio promise a quanti lo amano» (Gc 1,12); è anche uno dei significati di questa promessa del Cristo: «Chi avrà perseverato sino alla fine questi si salverà>> (Mt 10,22) 190 • L'uomo deve pregare per essere paziente, come deve pregare per essere vigilante191 : se la vigilanza suppone sforzo da parte dell'uomo, per essere efficace essa deve esercitarsi in sinergia con la grazia di Did92• Cfr. DOROTEO DI GAZA, Lettere, VIlI, 193; XIII. BARSANUFIO, Lettere, 118. Capitoli parafrasati, 132. 185 Cfr. MARCO L'EREMITA, A Nicola. 186 Vedi per esempio Apoftegmi, serie alfabetica, Isidoro, 3. 187 Cfr. GIOVANNI CARPAZIO, Capitoli d'esortazione, 30. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 68. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XIII, 144. 183

    184

    Lettere, IX, 2. Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 98. 190 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 118. 191 Cfr. MARCO L'EREMITA, Il battesimo, 23. EslCHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 10; 94. Fn.OTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 25. 192 Cfr. Apoftegmi, N 437. ESICHIO DI BATOS, loc. cit., l. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XII, 6, 2. 188

    189

    510

    È per questo che i Padri, nell'esortare l'uomo ad essere vigilante, ricordano che la vigilanza è un carisma193 , e tanto più quanto più essa è perfetta. Ora, è particolarmente per mezzo della preghiera, e soprattUtto per mezzo della preghiera di Gesù che l'uomo può ricevere questa gtazia194. Sant'Esichio di Batos scrive: , afferma un Padre2°1• E Abba Isaia scrive: «Il dolore è vigilanza perfetta: là dove non vi è dolore, non vi può essere vigilanza>>2°2.

    7. Effetti terapeutici L'attenzione, la vigilanza e ciò che le accompagna appaiono come la condizione di ogni progresso spirituale203 , e in primo luogo della guarigione spirituale dell'uomo. Essi sono, dice san Filoteo il Sinaita, i «rimedi che salvano l' anima>>204 • N elio stesso tèmpo questi atteggiamenti sono costitutivi della salute spirituale dell'uomo. «La ricchezCfr. BARSANUFIO, Lettere, 197; 267. MACARIO D'EGrrro, Omelie (Coli. Il), XXXI, 5. BARSANUFIO, Lettere, 197. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 26. 195 Capitoli sulla vigilanza, 94. 196 Ibid., 182. Cfr. 183.

    193

    194

    197

    Cfr. GIOVANNI CLIMACO,

    ci, 6; 15.

    La Scala, XIV, 21. F'ILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli nepti.

    Cfr. FILOTEO IL SINAITA, loc. cit., 6. 199 Cfr. ibid., 2; 6; 13. Esrcrno DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 17, 155; 189. 200 Cfr. FILOTEO IL SINAITA, foc. cit., 11; 13; 14. EsICHIO DI BATOS, loc. cit., 152; 168; 198

    176; 189.

    Apoftegmi, PE III, 35, 24-25. 202 Asceticon, 30, 4 B. 203 Cfr. DOROTEO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, X, 104. 204 Quaranta capitoli neptici, 14. 201

    511

    za e la salute dell'anima sono fatte di vigilanza e di attenzione>>, scrive sant'Isacco il Siro205 . Infatti, in questi atteggiamenti e in quelli che li accompagnano, lo spirito «ritorna al suo proprio ordine>>206 , ritrova il suo stato normale e la sua condizione naturale207 . La vigilanza in particolare è, come dice san Filotea il Sinaita, 2°8• Vladimiro Lossky riassume bene l'insegnamento patristico quando afferma: «Lo spirito umano, nel suo stato normale [. ..] è vigilante. Sono la sobrietà (nepsis), l'attenzione del cuore (kardiaké prosochl), la facoltà di giudizio e di discernimento delle cose spirituali (didkrisis), che caratterizzano l'essere umano nel suo stato d'integrità.>>2°9• Dire che lo spirito ritorna al suo ordine, che ritrova la sua normàle attività, significa dire in particolare che smette di essere trascinato, suo malgrado, dalle immagini e dai pensieri, di essere catturato da essi, di essere sempre distratto, disperso, diviso, e infine reso loro schiavo210, e attraverso di essi dei demoni211 . La vigilanza ridona all'uomo la perfetta padronanza dei suoi pensieri212 , perché nessuno di essi ormai sfugge alla sua attenzione, ma egli sottomette ciascuno di essi al discernimento e l'accetta o lo rigetta secondo la sua natura buona o cattiva. San Giovanni Cassiano scrive a questo proposito: 2 17-. E san Filoteo il Sinaita, dopo aver sottolineato che l'anima dell'uomo decaduto «è incatenata nell'oscurità e [che] i suoi occhi interiori so~ no accecati», scrive: «Quando l'anima comincerà a pregare Dio e a vegliare grazie alla preghiera, allora, grazie alla preghiera, essa sarà liberata dalle tenebre. È impossibile essere liberati in altro modo. Infatti, allora, l'anima può riconoscere che vi è all'interno del cuore un'altra lotta, un' altta opposizione nascosta, un'altra guerra contro i pensieri degli spiriti del male>>218 • Lo stesso autore dice ancora: «La vigilanza illumina e purifica innanzitutto la coscienza. Poi, quando la co~ scienza è stata purificata, come una luce occultata che si accende improvvisamente, essa scaccia le grandi tenebre. E quando le tenebre sono state scacciate da una continua e vera vigilanza, la coscienza rivela di nuovo ciò che era nascosto»219 • La presa di coscienza e la padronanza di tutti i suoi pensieri contribuiscono a realizzare ciò che costituisce il principale effetto della pratica assidua della vigilanza e della preghiera che va di pari passo con essa; ossia l'uomo, per grazia di Dio, arriva sempre più ad astec nersi dai peccati di azione e di pensiero, e a poco a poco si trova purificato dai peccati passati, liberato da tutti i cattivi pensieri, guarito da tutte le sue passioni, liberato da tutte le cattive disposizioni e predisposizioni, conscie e inconscie, in breve, liberato da ogni male che era in lui220 • È per questo che san Barsanufio raccomanda: «Sii vigilante per sterminare con forza le otto nazioni straniere»221 , cioè le otto passioni principali, e per ciò stesso tutte quelle che ne procedono: A proposito dell'attenzione, anche san Gregorio Palamas scrive: >, .nota sant'Isacco223 • «Se siamo attivi e molto vigilanti, non troveremo sudiciume in noi stessi», afferma Abba Poemen224 • E san Niceforo il Solitario scrive: «L'attenzione è il segno della penitenza compiuta [. ..], è lo spogliamento dalle sue passioni [. ..] , è la certezza sicura del perdono dei suoi peccati>>225 • San Diadoco di Foticea nota che l'anima, «quando ha iniziato a purificarsi per l'intensità della sua attenzione, sente allora, come un vero rimedio della vita, il timore divino che la brucia, come attraverso l'azione dei suoi rimproveri, in un fuoco· d'impassibilità»226• Quanto a sant'Esichio di Batos, egli considera la vigilanza e la preghiera come rimedi che permettono all'anima di vomitare tutti i pensieri avvelenati che ha assorbito: «Come i cibi nocivi danneggiano il corpo fin da quando li si ha assunti, ma colui che ne ha mangiati può, grazie a qualche rimedio, vomitarli subito appena sente il male e non riceverne nocumento, così lo spirito, quando ha ricevuto e assimilato pensieri cattivi e sente il loro amaro, li vomita facilmente e li rigetta completamente, per mezzo della preghiera di Gesù detta dal fondo del cuore. Ciò è quanto, grazie a Dio [. .. ], l' esperienza ha fatto conprendere a coloro che sono vigilanti»227 • Infatti, la liberazione dai pensieri cattivi e dalle passioni avviene progressivamente. Se l'uomo si applica con pazienza e assiduità e in maniera sistematica e costante a rigettare i pensieri fin dalla loro apparizione, riduce a poco a poco il loro numero e la loro forza e indebolisce a poco a poco le passioni228 , da cui essi procedono o che ne procedono, perché queste non trovano più nell'uomo il nutrimento che permetteva loro di sussistere. «I cattivi pensieri, se parli loro e se ti compiaci in essi, spingeranno sempre più le radici nel tuo cuore, cresceranp.o e non se ne andranno più dal tuo cuore. Se, al contrario, non parli loro, e se, anziché compiacerli, tu li hai in odio, periranno e usciranno dal tuo cuore», afferma un Anziana229 • ·Questa pratica permette, dunque, non solo di respingere i pensieri ma di arrivare fino a eliminarli e di distruggere le passioni stesse230 , e que. sto fino alla loro origine prima e fino a tutti i segni che essi hanno poDiscorsi ascetici, 30. Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 173. 225 Trattato sulla vigilanza e sulla custodia del cuore. 216 Cento capitoli gnostici, 17. · .m Capitoli sulla vigilanza, 188. 228 Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE; Centurie sulla carità, II, 11. 229 Apoftegmi, Eth. Coll 14, 47. Cfr. ibid., serie alfabetica, Poemen, 15; 20. 23 °Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV,.48. 223 224

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    tuto lasciare nell' anima231 • È per questo motivo che così scrive sant'Esichio di Batos: «Se è osservata da noi, come si deve, la purezza del cuore, cioè la sorveglianza e la custodia dello spirito [. ..], essa esclude dal cuore tutte le passioni e tutto il male fino alla radice>>232 • È per questo che egli definisce così la vigilanza: «Un metodo spirituale che, con l'aiuto di Dio, libera interamente l'uomo dai pensieri e dalle parole passionali come dalle azioni cattive, se è perseguita per lungo tempo e ardentemente»; «è questa, aggiunge, che è propriamente la purezza del cuore»23:. Liberando l'uomo dalle sue passioni, la vigilanza, insieme alla preghiera, contribuisce a collocare le virtù al loro posto234 • «L'attenzione, dice san Niceforo il Solitario, ci fa spogliare delle passioni per rivestirci delle virtù>>235 • E sant'Esichio di Batos insegna: . J.!,hesychia che ne risulta significa allora il silenzio di ogni rappresentazione qualunque essa sia, pace totale dello spirito esclusivamente e imperturbabilmente occupato nel pensiero di Dio in un cuore purificato. I!, attenzione diviene allora attenzione a Dio. E la vigilanza, il cui nome stesso vuol dire «stare in guardia>>, non significa più solo stare in guardia in rapporto a sé e alla custodia di sé, ma in rapporto a Dio e alla custodia di Dio in sé. È in questo duplice significato che i Padri considerano che la vigilanza realizza lo stare in guardia dello spirito250, e anche san Giovanni Climaco è dello stesso avviso quando scrive: 25 \ · che ha «uno spirito sempre in guardia>>252 . Qui si manifesta un altro effetto fondamentale della vigilanza: gua~ Cfr. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 178. Sui diversi significati di questo termine vedasi lo studio molto completo di I. HAUSHERR, «l:hésychasme. Étude de spiritualitb>, in Hésychasme et prière, Roma 1966, pp. 163-237. 246

    247

    248 Cfr. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 3. ESICHIO DI BATOS, Capitoli sulurvigilanza, 7. . 249 Cfr. ESICHIO DI BATOS, loc. cit., 3; 5; 10; 15; 27. NICEFORO IL SOLITARIO, Sulla vigilanza e la custodia del cuore. 25°Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 73. FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 27. 251 La Scala, XXVII, 3. 252 Ibid., 39.

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    rire l'uomo, sostituendo in lui i diversi stati patologici che il peccato aveva stabilito in lui e che sono, nei riguardi del suo vero essere, e soprattutto di Dio: il sonno spirituale253 , l'indifferenza254 , l' oblio255 , l'indolenza256, la negligenza257 , la distrazione258, l'incoscienza e l'ignoranza259, ove i tre più importanti (ai quali si possono ricondurre gli altri) sono l'oblio, la negligenza e l'ignoranza, che san Marco l'Eremita (seguito da san Giovanni Damasceno) 260 chiama «i tre giganti stranieri» o > (lCor 9;2.7). Sopra tutte le pratiche che la costituiscono, occorre citare il digiuno, le veglie, i lavori faticosi2, le metanie (o prostrazioni)3. Vi si possono, però, assimilare anche tutte le mortificazioni alle quali l'uomo si sottopone volontariamente4, o che accetta quando queste sopraggiungono senza che le abbia ricercate5, come per esempio le malattie, le afflizioni e le diverse tribolazioni che può subire lungo tutta la sua esistenza terrena. A questo proposito così scrive l'Apostolo: «In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fortezza, nelle tribolazioni, nelle angustie, nelle ahsie, nelle percosse, nelle carceri, nelle sommosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni» (2Cor 6,4-5); e ancora: «Sono stato nella fatica e nel travaglio, esposto a veglie senza nu-

    Vedi per esempio ANTONIO L'EREMITA, Lettere, I, 2. Vedi tra gli altri: AMMONA, Istruzioni, Il, 5. NIL SORSKY, Regola, Iv: 3 Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 8. Nn. SORSKY, Regola, Iv: 4 San Giovanni Damasceno ne offre un lungo elenco (Discorso utile all'anima, in Philokalia, t. Il, p. 232). 5 Cfr. NICETA S1ETATOS, Centurie, Il, 9. MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 47, 1

    2

    PG 90, 428AB. GIOVANNI CARPAZIO, Capitoli di esortazione, 21.

    520

    mero, fame e sete, digiuno frequente, freddo e nudità>> (2Cor 11,27; cfr. 11,23-26). Queste pratiche ascetiche non sono fine a se stesse, e la sofferenza più o meno grande che le accompagna molto spesso non è affatto legata a una volontà di autopunizione, di espiazione, o di «soddisfazione». Esse consistono, certamente, nell'indebolire il corpo6 e nell'assumerne le sofferenze, ma hanno altresì lo scopo di sottometterlo ali' anima, alla ragione, allo spiritc7; di puri:ficarlo8 , per mortificare le passioni9 che sono ad esso legate; e, attraverso di esso, di purificare l' anima; infine, di abolire alcuni stati che possono ostacolare alcune funzioni dell'anima e costituire un disagio per la vita spirituale. In ogni caso, l'ascesi fisica è al servizio dell'ascesi interiore. In qualche modo, essa gioca il ruolo di una terapia coadiuvante. Per questo i Padri considerano le sofferenze da essa generate come rimedi. Ecco quanto scrive a questo riguardo sant'Elia l'Ecdico: «Allontànati [dalla tua malattia] usando rimedi drastici con l'amore della sofferenza (philoponia), se hai cura della salute della tua anima»10 • I Padri considerano come rimedi anche quelle sofferenze che arrivano all'uomo dall'esterno, involontariamente, e che egli assume allo stesso modo delle precedenti. Se Dio non sempre le vuole (perché spesso queste sono manifestazioni del male), egli nondimeno vuole che, quando sopraggiungono, l'uomo le volga a suo profitto spirituale. È per questo che sant'Isacco il Siro parla di queste «prove» come «dei molti rimedi [che] il Medico vero invia per la salute del[l'Juomo interiore»11. Ed egli dice, rivolgendosi a Dio: «Tu hai voluto che io tragga il mio bene dalle mie prove e che la mia anima sia conservata sana · presso di te» 12 • San Massimo, da parte sua, ricordando le sofferenze volontarie e involontarie, sottolinea che quest'ultime sono inviate da Dio a ciuscuno secondo la forma più appropriata per la sua guarigione. «Come i medici che curano il corpo non dànno a tutti un unico e medesimo rimedio, così Dio, che guarisce le malattie dell'anima, non conosce un trattamento uguale per tutti, ma quando egli ha at-

    6

    ANTONIO L'EREMITA, Lettere, I, 2.

    Cfr. TALASSIO, Centurie, II, 5. NIL SORSKY, Regola, IV Cfr. ANTONIO L'EREMITA, Lettere, I, 2. Ibid. 10 Antologia gnomica, 32. 11 Discorsi ascetici, 8. 12 Ibid., 50. 7

    8

    9

    521

    tribuito a ciascuna anima ciò che le è necessario, egli compie le guarigioni. Noi che siamo curati in questo modo, rendiamo, quindi, grazie, anche se ciò che ci capita è una dura prova»13 • E san Marco l'Eremita osserva: «Tuttavia quando un'anima sprofondata nel peccato non accetta le tribolazioni che le capitano, allora gli angeli dicono a suo riguardo: "Abbiamo curato Babilonia ed essa non è stata guarita"» 14 ~ I Padri sottolineano, tra l'altro, che tanto più l'uomo subisce sofferenze involontarie quanto meno ha sottomesso se stesso alle sofferen" ze dell'ascesi15 , il che costituisce non un castigo per la sua negligenza, ma un dono della provvidenza di Dio per permettergli di ricevere beni spirituali che altrimenti gli sarebbero inaccessibili. Essi insistono sul fatto che non è possibile all'uomo, senza pena e senza sofferenza, non solo essere purificato dalla benché minima passione ma anche acquistare la benché minima virtù, passare dallo stato di creatura decaduta a quello di «creatura nuova». >23 • Posti questi preliminari, è necessario presentare con più precisione le finalità dell'ascesi fisica e di ciò che può sostituirla. Lo scopo più immediato dell'ascesi fisica è quell9 di porre fine alla sottomissione antinaturale dell'anima al corpo, di liberare l'anima .dal dominio del corpo, di sottomettere il corpo e l'anima alla sovra. nità dello spirito. Per questo san Talassio scrive: «È proprio della na.tura razionale sottomettersi alla ragione e trattare con durezza e asservire il corpo»24 • Abbiamo visto, infatti, come il peccato e le passioni abbiano asservito lanima contro natura alle cupidigie del corpo e come da quel momento l'abbiano alienata. In un certo modo, nota san Doroteo di Gaza, essa «si è trovata ad essere una sola cosa con il corpo, divenuta interamente came»25 • Ora, nota da parte sua, sant'Isacco, > (Rm 8,18). Perché l'ascesi fisica sia seguita da tutti questi effetti, è indispensabile che essa sia compiuta con moderazione. Se l'ascesi implica W1 certo indebolimento del corpo, non deve però né maltrattarlo né debilitarla79. Abbiamo sottolineato più volte che il cristianesimo non comporta in verità alcun disprezzo del corpo, ma, al contrario, invita al suo rispetto in quanto membro che partecipa interamente del composto umano creato da Dio e buono per natura nella sua integralità, e anche in quanto destinato a risuscitare e a conoscere, con l'anima, la deificazione. Il corpo in sé non è un ostacolo alla vita spirituale e non è né una prigione né una tomba per l'anima, se non quando questa si sottomette alle cupidigie passionali del corpo. Ed è contro queste che la lotta deve essere orientata. «Non lottiamo contro una natura umana mortale>> ci insegna san Paolo (E/ 6,12), che consiglia: «Ciascuno di voi sappia tenere il proprio corpo in santità e onore, non abbandonandosi alle passioni come fanno i pagani che non conoscono Dio» (lTs 4,4-5). E Abba Poemen afferma: «Non abbiamo imparato a ucDiscorsi, XXIv, 11. Triadi, II, 2, 6. 77 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, I, 91. 78 ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 9. 79 Cfr. GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità, XXII, 1. 75

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    530

    cidere il nostro corpo, ma a uccidere le nostre passioni»80• E dicendo ancora: «Se con lo spirito ucciderete le azioni del corpo, vivrete>> (Rm 8,13 ), l'Apostolo indica da una parte che l'ascesi non mira al corpo stesso ma alle sue passioni, e, dall'altra parte, che il suo fine ultimo è la vita in Dio. Lottare contro il corpo, questo sarebbe ingannarsi sul1' avversario e ignorare la finalità vera dell'ascesi. È per questo che san Paolo, pur dicendo: «Tratto duramente il mio corpo» (lCor 9;2.7), sottolinea: «Nessuno mai ha odiato la propria carne, al contrario la tratta con cura, come anche il Cristo la sua Chiesa» (E/5,29) 81 • ,Il corpo nella vita spirituale dev'essere il collaboratore dell'anima. Egli stesso deve compiere la volontà di Dio e servire l'anima in tutta lampiezza delle sue relazioni con essa, aiutandola con tutte le sue forze. Ecco perché, in tale prospettiva, l'uomo deve non solo non odiare il suo corpo, ma anche, come dice san Massimo, «amarlo, ma senza passione; mantenerlo, ma come semplice seivitore delle cose divine»82. Anche san Basilio di Ancira consiglia di curare il corpo come un aiuto senza il quale la vita spirituale sarebbe impossibile: «Occorre avere cura anche del corpo, non perché è il corpo, ma al fine di avere un aiuto, dico io, per la :filosofia83 , sia di essere in grado di leggere i :filùsofi, sia di concentrare come occorre nella preghiera lo spirito che langue nel corpo, sia, in modo generale, di fare tutto ciò che riguarda la filosofia»84 • Nel brano della sua Regola in cui ricorda l'ascesi fisica, san Nil Sorsky consiglia a questo riguardo: «Se il corpo è incapace, è opportuno fortificarlo per quanto è necessario»85 • Debilitare il corpo sarebbe renderlo inadatto al suo compito spirituale e ciò significherebbe indebolire l'anima (visto il legame che li unisce); vorrebbe dire anche, in alcuni casi, trascinarlo al peccato. Un'ascesi fisica mal condotta ed eccessiva, anziché contribuire all'indebolimento delle passioni, rischia di suscitarle e di dar loro forza, anziché elevare lo spirito, di abbassarlo a preoccupazioni terrene, a motivo, in particolare, del dolore sentito che, se è troppo forte, può diventare ossessionante e richiamare su di sé tutta l'attenzione. San Gregorio di Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 184. Cfr. l\IAss™o IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, III, 9. 82 Ibid. 80

    81

    83 Ricordiamo che, nel linguaggio patristico, «la filosofia>> indica generalmente la vita spirituale, più precisamente la prixis o l'ascesi nel senso ampio del tepnine e «i filosofi>> coloro che conducono una tale vita. Cfr. A.-M. MALlNGREY, «Philosophia». Etude d'un groupe de mots dans la Littérature grecque des Présocratiques au IV siècle après ].-C., Paris 1961. 84 Trattato sulla verginità, 11.

    85

    Regola, Iv.

    531

    Nissa e san Basilio di Ancira mettono molto in guardia contro questo pericolo86 • L'ultimo dei due scrive in particolare: «Se il dominio del corpo sull'anima è un impedimento ali' acquisto del bene, d'altro lato la sua debolezza, quando fa sì che lo strumento corporeo sia incapace di servire i desideri dell'anima, elimina allo stesso modo la corsa al bene>>87 • San Gregorio Magno consiglia in questa prospettiva: 89 • Sulla base di questo principio, la regola pratica dell'ascesi dev'essere, come indica san Gregorio di Nissa, quella «di guardarsi anche dalle mancanze di moderazione da una parte e dall'altra vegliando affinché la prosperità della carne non seppellisca lo spirito (nous) e affinché, al contrario, la sua estenuazione gratuita non lo debiliti totalmente, non lo prostri, lasciandolo assorbito dalle sofferenze fisiche. Sarebbe opportuno, altresì, ricordarsi della saggia prescrizione che vieta anche di voltarsi a destra o nella direzione opposta (dr. Pro 4,27)»90 • Si tratterà di fare in modo «che l'abbondanza non abbia nulla di troppo e che l'indigenza non manchi cli nulla>> (dr. 2Cor 8,15; Es 16,18), «ma eliminando ciò che passa la misura nell'uno o nell'altro senso, si avrà cura di aggiungere ciò che manca, e ci si guarderà con uguale zelo da ciò che rende il corpo inutilizzabile nell'uno e nell'altro caso: non spingendo affatto la carne, per un benessere eccessivo, all'indisciplina e all'indocilità, né rendendola, con un'oppressione eccessiva, malsana, debole e senza vigore per il servizio che essa deve rendere»91 • Le stesse raccomandazioni sono fornite da san Basilio di Ancira92 che scrive in particolare: «Con questo rivestimento [il corpo], al quale ci unisce un 86

    GREGORIO DI NISSA, Trattato sulla verginità,

    XII,

    1. BASIUO D' ANCIRA, Trattato sulla ver-

    ginità, 8.

    "'Loc. cit., 10. Cfr.

    11.

    Moralia su Giobbe, LXX, 41. Cfr. XXX, 18. 89 Trattato sulla verginità, XXII, 2. 90 Ibid., XXII, 1. 91 Ibid., XXII, 2. Cfr. BASILIO DI CESAREA, Sermone ascetico, III, PG 31, 876D. 92 Trattato sulla verginità, 8-11. 88

    532

    legame naturale, occorre avanzare nella corsa della virtù, evitando sia di troppo rilasciare le briglie sia di tirarle molto forte. Così per questa ragione, è opportuno esaminare accuratamente lo stato nel quale si trova il corpo»93 • Questo esame e la definizione della giusta misura dell'ascesi.fisica provengono da una delle funzioni della virtù della prudenza, cioè del discernimento spirituale94 , di cui abbiamo già parlato.

    •; Ibid., 8. Il grande asceta, che è sant' Arsenio, invita ad altrettanta moderazione nella sua Lettera (71; 72). Vedi anche TALASSIO, Centurie, ill, 12. 94 Cfr. GIOVANNI CAsSIANO, Conferenze, II, 16s. Occorre notare che il termine discretio, usato da san Giovanni Cassiano, possiede il duplice significato di «discernimento» (che corriSponde al greco ditikrisis) e di «rrrisura» (che corrisponde al greco métron). Vedi l'articolo >8• La lotta contro la passione si compie principalmente con la rinuncia al piacere sensibile che la suscita e la nutre. Tale rinuncia si realizza innanzitutto evitando le occasioni che favoriscono la gola e rifiutando la ricerca di cibi gustosi9 • Ma sussiste una difficoltà nel fatto che il piacere è naturalmente legato alla funzione nutritiva. Occorre allora sforzarsi, come raccomanda san Gregorio Magno, di dissocia3 L'inSegnamento di tutti i Padri si riassume essenzialmente in questi principi. Vedi per esempio: GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia: A colui che non nuoce a se stesso ... , 7. GIOVANNI DIGA7.A, Lettere, 161. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXX, 18. 4 Regole lunghe, 18. Cfr. 17; 19; Lettere, XXII. 5 Discorso ascetico, 23. Vedi anche DIADOCO DI FOTICEA, Cento capitoli gnostiei, 44; 51. 6 Regole lunghe, 18. 7 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, V, 19. 8 Cento capitoli gnostici, 43. 9 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XV, 161. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XN, 13.

    538

    re il piacere dal bisogno 10 badando a non legarsi al primo. San Gregorio di Nissa scrive allo stesso modo: 13 • Poiché la gastrimargia non riguarda solo la qualità degli alimenti, ma anche la quantità, i Padri raccomandano nello ·stesso tempo di evitare ogni eccessa14 e offrono come principio concreto di applicazione quello di non mangiare né bere a sazietà15 e di rimanere sempre con un po' cli fame e di sete16 • A questo riguardo san Giovanni Cassiano così scrive: > l'uomo deve sforzarsi di «spegnere la concupiscenza del mangiare>>31 e che egli non può liberarsi dalla schiavitù della carne e vincere la passione. se non concentrando il suo sguardo sulle realtà spirituali32 • E precisa: >, cioè fa parte di quelle passioni che hanno una relazione diretta ed essenziale con il corpo, non solo perché tali passioni non possono manifestarsi se non per suo mezzo, ma anche perché esso contribuisce a suscitarle. Ora queste passioni, come afferma san Giovanni Cassiano, >, di >15 . Se non è possibile l'isolamento, è indispensabile una rigorosa «custodia dei sensi», particolarmente la custodia dello sguardo che è con il tatto quello dei sensi che suscita più facilmente la passione16 • Questi mezzi, tuttavia, se costituiscono un aiuto prezioso e spesso indispensabile, non bastano affatto a vincere la passione 17 • La prima ragione di questa insufficienza è il fatto che la sede della funzione sessuale non è solo il corpo ma anche l'anima, che la sessualità umana è

    °Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istitu:doni cenobitiche, V, 11; 20; Conferenze, V, 10; XXII, 3.

    1

    Conferenze, XXII, 6. Ibid., V, 4. u Cfr. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala, V, 30. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 19; III, 13. 14 Conferenze, V, 4. 15 Istitu:doni cenobitiche, VI, 3. 16 Cfr. ibid., VI, 12. BASILIO DI ANCIRA, Trattato sulla verginità 4; 5; 13; 14. 17 Cfr. GIOVANNI CASS!AI'\JO, Istitu:doni cenobitiche, VI, l; 2. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala, XV, 16. 11

    12

    548

    psichica forse più ancora che fisica. Ecco perché è opportuno combattere la lussuria sul piano dell'anima forse ancor più che sul piano del corpo. Il Nemico, osserva san Giovanni Cassiano, «ci attacca su un duplice fronte. Occorre, dunque, resistergli su due fronti; e siccome egli trae la sua forza o la sua debolezza sia dal corpo che dall' anima, allo stesso modo può essere respinto solo da coloro che combattono su tutti e due i piani»18• Tutti i Padri insistono sul fatto che la castità non consiste solo né principalmente nella continenza corporea19 e che questa è inutile se l'anima rimane sede di desideri e d'immaginazioni impure. Poiché «la cupidigia che si compie con il corpo non viene dal corpo>>2°, il principio della castità è essenzialmente nell'anima, e consiste principalmente nell' «integrità del cuore»21 • Poiché i desideri, i pensieri passionali, le immaginazioni e i fantasmi nascono dal cuore (dr. Mt 15,19), è nella «custodia del cuore» che consiste la terapia principale della lussuria. San Giovanni Cassiano scrive a questo riguardo: «Occorre in primo luogo porre rimedio a ciò da cui si sa che deriva la fonte della vita e della morte, come dice Salomone: "Con ogni cura custodisci il tuo cuore, perché da lui sgorga la vita" (Pro 4,23). Infatti, la carne obbedisce alla decisione e al comando del cuore>?. Questa pratica, che suppone il discernimento e la vigilanza-sobrietà spirituali, consiste, lo abbiamo visto, nel respingere pensieri, ricordi e immagini cattivi fin dal momento in cui insorgono, quando essi non sono che suggestioni, per evitare di acconsentirvi e di gioirne e di fare così spazio alla passione prima nell'anima poi nel corpo23 • Nella lotta contro questa passione in particolare, a motivo della sua grande forza, è opportuno preferire il rifiuto immediato delle suggestioni alla confutazione antirretica dei pensieri, come insegna san Giovanni Climaco: «Non sperare di respingere il demone della lussuria con la discussione e la contraddizione, perché, avendo come arma la natura, egli troverà buone ragioni»24 • Istituzioni cenobitiche, VI, 1. Vedi, per esempio, GIOVANNI CASSIANO (Istituzioni cenobitiche, VI, 4; Conferenze, XII, 1011; XIlI, 5) il quale sottolinea che la continenza in qualche modo non è che l'inizio della castità, una «Certa castità parziale>>; la vera castità suppone >3 3 • Altre due attività spirituali contribuiscono a guarire l'uomo dalla lussuria, e in particolare a preservarlo dai pensieri (logismof) che questa suscita: la lettura e la meditazione attente delle Sacre Scritture34 (che san Giovanni Cassiano annovera tra i rimedi dell'anima) 35 , e > per l'uomo e per la donna il rimanere soli (cfr. 1Cor7,26), è per «condurli a ciò che [ ... ] conduce al Signore senza distrazioni» (lCor 7,35). Abbiamo visto che i Padri concordano nel dire che il desiderio sessuale non è originario nella natura umana e non gli appartiene nella sua essenza, ma è comparso come conseguenza della caduti'4 quando Adamo ed Eva smisero di volgere ogni loro desiderio solo verso Dio. > sensibili. Il fatto che il distacco circa i beni sensibili sia correlativo all' attaccamento ai beni spirituali, e viceversa, si spiega, come abbiamo più volte sottolineato, perché il desiderio non può rivolgersi simultaneamente a due «oggetti>> antagonisti, come giustamente insegna lo stesso Cristo a proposito della filargiria: (Mt 6,24) (in aramaico mamon significa «ricchezza»). E con ciò si comprende che l'uomo non può unirsi a Dio fintanto che è attaccato alle ricchezze materiali, il che ci consente di ricordare che lo scopo della guarigione dalla filargiria e dalla pleonessia è quello di permettere all'uomo di unirsi a Dio, di amarlo, con tutta la sua intelligenza, con tutta la sua anima e con tutte le sue forze, di liberare tutte le sue facoltà dall'attaccamento alle ricchezze sensibili affinché queste possano consacrarsi a Dio, secondo la loro finalità naturale. La situazione spirituale e il destino di tutto l'uomo dipendono dal tipo di ricchezze che egli desidera acquisire e alle quali egli si attacca; la questione fondamentale qui è di sapere se egli ammassa (Mt 6,19) o > (Mt 19,21). Il non-possedere si manifesta interiormente come assenza di preoccupazione riguardo ai beni materiali. >66; «comprendete la potenza di questo rimedio? Applichiamolo dunque a noi stessi>>67 • Egli, perciò, presenta i poveri come 70 . ··L'elemosina, come il non-possedere, libera l'uomo dalla sua alienazione a motivo del denaro e delle ricchezze terrene. Gli permette, altresì, di ritrovare di fronte ad esse un atteggiamento normale, di cessare di goderne egoisticamente per ritornare lamministratore dei beni dati da Dio a tutti gli uomini7 1, ossia di ridistribuire ciò che ha ricevùto da Dio (cfr. Mt 10,8) a questo scopo72 • D'altra parte, essa guarisce l'uomo da tutti gli atteggiamenti patologici che la filargiria e la pleones·sia generano nell'ambito dei suoi rapporti con gli altri uomini. Essa lo libera soprattutto dalla sua insensibilità73, essendo, tra l'altro una delle fin.alità che Dio conferisce ali' elemosina, quella di >83 • Per questo e altri motivi, lelemosina ha, inoltre, per effetto quello di favorire 1a preghiera e contribuire a renderla pura84 e feconda85 • In modo generale, essa nutre, fortifica e illumina l' anima86 ed è per questa fonte di gioia spirituale87 • n Omelie sulla lettera a Tito, VI, 3. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XVI, 11. 79 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XIV, 156. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla penitenza, lII, l; Catechesi battesimali, VII, 27; Omelie su: «Perché noi abbiamo uno stesso spirito difede», I, 9; III, 12; Omelie sulla Genesi, XXXI, 7; LV, 4; Commento a san Matteo, LXXVII, 5; Commento a san Giovanni, LXXXI, 3. 80 Omelie su Atti, XXV, 3. Cfr. Omelie sulla lettera a Tito, VI, 2. 81 Omelie sulla lettera a Tito, VI, 3. 82 Omelie sulla penitenZJi, VII, 6. 83 Omelie sulla lettera agli Ebrei, IX, 4. 84 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XVI, 14. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 140,5. 85 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 2 Timoteo, VI, 3. 86 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, XXIV, 3; LXXXI, 3. 87 Cfr. ibid., XL, 4. 78

    576

    Mentre >, e correlativamente, il distacco circa tutti i «beni» sensibili, arrivando fino al disprezzo di questi4 • San Massimo osserva a questo riguardo: «Chi Consolazioni a Stagira, III, 14. Istituzioni cenobitiche, IX, 1-2. ' Consolazioni a Stagira, III, 14. 4 Cfr. DOROTEO DI GAZA, Sentenze, 3. 1

    2

    578

    sfugge a tutte le bramosie diviene inaccessibile a ogni tristezza del mondo»5, e più avanti consiglia: «Contro [...]la tristezza, disprezza [... ]gli oggetti materiali»6 • San Giovanni Climaco constata allo stesso modo: 7. Anche Evagrio osserva: «Colui che fugge tutti i piaceri terreni è una cittadella inaccessibile al demone della tristezza. Latristezza, in realtà, è la frustrazione di un piacere, presente o atteso, ed è impossibile respingere questo nemico se abbiamo un attaccamento passionale per questo o quel bene terreno; infatti, esso frappone la sua rete e produce la tristezza proprio là dove vede che è diretta la nostra inclinazione»8• Poiché ogni passione ha come suo fondamento un desiderio carnale e la ricerca del piacere sensibile, ne segue che la terapia della tristezza è relativa alla terapia delle altre passioni. Evagrio spiega: «La tristezza sopraggiunge quando non otteniamo ciò che desideriamo carnalmente; ora a ogni passione è legato un desiderio: colui che ha vinto le passioni non sarà dominato dalla tristezza [. .. ]. Colui che domina le passioni domina la tristezza, ma colui che è vinto dal piacere non sfuggirà ai suoi lacd. Colui che ama il mondo sarà molte volte rattristato [... ]. Ma colui che disprezza i piaceri terreni non sarà più turbato dai pensieri tristi»9• I..:uomo sottomesso alla carne è avido non solo di beni materiali, ma anche di onori e di gloria umana, e abbiamo notato, esaminando la passione della tristezza, lo stretto legame che questa ha con la pa.Ssione della cenodossia, poiché la delusione nella ricerca degli onori e della gloria in questo mondo è una causa frequente di tristezza tanto per coloro che li possiedono già ma ne desiderano di maggiori, che per coloro che aspirano a uscire dall'oscurità. In questo caso, la terapia della tristezza implica il disprezzo di questa gloria e di questi onori mondani10 o, per meglio dire, implica una totale indifferenza nei loro riguardi, o che se ne sia beneficiati o che se ne sia privati: «Contro la tristezza, disprezza la gloria [e] l'oscurità>>, consiglia san Massimo 11 •

    Centurie sulla carità, I, 22. Ibid., ill, 13. 7 La Scala, II, 11. 8 Trattato pratico sulla vita monastica, 19. 9 Gli otto spiriti della malvagità, 11-12, PG 79, 1156D; 1157BC. 1°Cfr. DOROTEO DI GKZ.A, Sentenze, 3. 11 Centurie sulla carità, m, 13. 5

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    579

    2) Una seconda causa importante della tristezza è la collera, sia che essa ne sia il risultato, o che sia conseguenza di un'offesa subita, nel qual caso frequentemente assume la forma del rancore. I Padri sottolineano che la causa della tristezza non è in coloro contro cui siamo in collera e di fronte ai quali proviamo rancore, nemmeno in coloro che ci hanno offesi, ma solo in noi. Porre fine, in questo caso, a ogni relazione con le persone suddette non potrebbe, di conseguenza, costituire una terapia adeguata. Così scrive a questo proposito san Giovanni Cassiano: 13 • Egli, altrove, nota anche che per queste passioni 14. · Istituzioni cenobitiche, IX, 7. Ibid., VI, 3. 14 Conferenze, V, 4. Cfr. XIX, 6.

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    580

    È in tale prospettiva che i Padri raccomandano non solo di non volerne a colui che ci offende, ma anche di considerarlo un benefattore, come un medico che opera per la guarigione dell' anim:a, e di ringraziarlo. Se un fratello >55 • Altrove egli sottolinea: «Grande è il dominio della tristezza: è una malattia spirituale che richiede molta forza per resisterle coraggiosamente e per rifiutare ciò che essa ha di · cattivo, dopo aver preso ciò che essa ha di utile, perché essa ha la sua utilità. Infatti, quando abbiamo peccato, solo allora la tristezza è buona e utile; ma essa è inutile quando è causata da calamità umane»56 • San Barsanufio consiglia più laconicamente: «Non bisogna assolutamente rattristarsi per qualcosa di questo mondo, ma unicamente per il peccato»57 • La tristezza virtuosa non è, dunque, fondamentalmente di natura diversa dalla tristezza-passione; essa non ne differisce che per il fine che l'uomo le assegna, o per l'oggetto al quale la tivolge. Ma questo fine le dà, nell'uno o nell'altro caso, una forma diversa. San Giovanni Cassiano presenta così le rispettive caratteristiche: mentre la tristezza-passione «è aspra, impaziente, intrattabile, piena di rancore, di amarezza sterile e di una penosa disperazione», mentre essa «paralizza I'attività di colui di cui essa si è impadronita e lo distoglie dalla sofferenza salutare, perché è irrazionale», al contrario, la >3 • E Abba Poemen, da parte sua, osserva che «se l'uomo la riconosce per quello che essa è, egli ottiene la pace>>4 • Poiché, da un lato, la passione si manifesta, soprattutto per i soliLa Scala, XITI, 9. Istituzioni cenobitiche, X, 5. 3 Ibid. 4 Apoftegmi, serie alfabetica, Poemen, 157. 1

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    601

    tari, nel bisogno di lasciare la propria cella, di spostarsi, di entrare in contatto con gli altri, si tratta innanzitutto di riconoscere che le giustificazioni di questo bisogno che l'uomo si rappresenta non sono che vani pretesti dettati dalla passione stessa. Ciò l'aiuterà a non cedere a questo bisogno. I Padri, infatti, unanimemente raccomandano, quando si presenta la passione sotto questa forma, di combattere per resisterle, sforzandosi prima d'ogni cosa di non lasciare per nessun motivo il luogo in cui ci si trova. «Non bisogna, scrive Evagrio, lasciare la cella nell'ora delle tentazioni, per quanto possano essere plausibili i pretesti che ci si fabbrica, ma occorre rimanere seduti all'interno, essere pazienti, e accogliere coraggiosamente gli assalitori, tutti, ma soprattutto il demone dell' acedia [. .. ]»5 • «Quando lo spirito dell' acedia ti assale, non lasciare la casa e non schivare la lotta[. .. ]», consiglia ancora6. Anche san Giovanni Cassiano osserva che l'uomo deve combattere lo spirito dell' acedia in modo tale che >, osserva Evagria35, il quale scrive anche: «Versare lacrime è un grande rimedio contro le visioni della notte generate dall' acedia. Ora, questo rimedio, egli lo applicava saggiamente alle sue passioni dicendo: "A causa del mio gemere io sono consunto, inondo ogni notte il mio giaciglio e irrigo di lacrime il mio letto" (Sal 6,7)»36 • · Un altro rimedio importante è quello del «ricordo della morte» (mnéme thandtou) 37 , pratica ascetica fondamentale che consiste per l'uomo nel ricordarsi continuamente che egli è mortale e che la sua morte può arrivare in ogni momento. A questo «ricordo della morte>> si ricollega il consiglio, spesso formulato dai Padri, di «vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo», consiglio che tiene presente non tanto il fatto di preparare l'uomo a morire bene quanto di aiutarlo a vivere bene. Il ha, in realtà, la funzione principale di aiutare l'uomo a non sciupare il tempo prezioso per la salvezza, a «co-

    28 Trattato pratico sulla vita monastica, 27. Evagrio Pontico consiglia lo stesso trattamento antirrerico e propone lo stesso passo della Scrittura in Antirretico, VI, 20. 29 Cfr. Apoftegmi, XXI, 7. 30 La Scala, XIII, 16. 31

    Ibid.

    Apoftegmi, PA32, 7c. 33 Ibid., 16. 34 La Scala, XIII, 15. Cfr. XXVII, 84. 35 A una vergine, 39, éd. Gressrnann, p. 149. Cfr. Trattato pratico sulla vita monastica, 27. 36 Antirretico, VI, 10, éd. Frankenberg, p. 522, 32-35. Cfr. 19, éd. Frankenberg, p. 524, 2022: «Per lanima cbe immagina cbe le lacrime non servono a nulla nella lotta contro I' acedia e che non si ricorda di Davide che faceva questo mentre diceva: "Pane son diventate per me le mie lacrime, giorno e notte" (Sal 41[42],4)». 37 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XIII, 16. 32

    605

    gliere le occasioni>~ come afferma l'Apostolo (dr. E/5,16), e a vivere così ogni momento con il massimo d'intensità spirituale, evitando il peccato, praticando i comandamenti divini e affidandosi completamente a Dio. Il «ricordo della morte>> è particolarmente efficace nel caso dell' acedia nella misura in cui questa costituisce uno stato d'indifferenza, di letargo e di pigrizia spirituale, rende l'uomo negligente di fronte alla salvezza e lo spinge ad attività, spostamenti e relazioni futili che costituiscono, dal punto di vista spirituale, una distrazione e una perdita di tempo. Un Apoftegma riferisce: «Chiesero a un Anziano: "Perché non sei mai scoraggiato?". Ed egli rispose: "Perché ogni giorno mi aspetto di morire"».38 • Sant'Antonio l'Eremita insegna a questo proposito: > (Gb 8,9); «Sono poca cosa i giorni della mia esistenza>> (Gb 10,20)41 • A questo riguar~ do, egli ricorda l'insegnamento del suo Padre spirituale: «Ecco cosa diceva il nostro maestro molto santo e molto esperto: occorre che il monaco sia sempre pronto, come se dovesse morire l'indomani [... ]. Ciò, infatti, diceva, estirpa i pensieri dall' acedia e rende il monaco più zelante [...]»42 • Ciò si giustifica attraverso le precedenti considerazioni, ma anche per il fatto che, come nota Evagrio altrove, il demone dell'acedia «mette davanti [all'uomo] quanto sia lunga la durata della vita>>43 cercando di ispirargli con questo l'abbattimento e il disgusto dinanzi alle difficoltà future, e particolarmente dinanzi «alle fatiche dell'ascesi>>44 •

    Apoftegmi, XXI, 7. Vita di Antonio, 19. 40 Antirretico, VI, 25. 41 Ibid., VI, 32; 33. 42 Trattato pratico sulla vita monastica, 29. 43 Ibid., 12. 44 Ibid.

    38

    39

    606

    Anche il timore di Dio costituisce un antidoto potente contro quepassione; «nulla è così efficace», afferma san Giovanni Climaco45 • Tra i rimedi prescritti dai Padri, occorre inoltre citare il lavoro manuale46 • Questo, infatti, può aiutare l'uomo a evitare la noia, l'instabilità, il torpore e la sonnolenza che in parte sono costitutive di questa passione. Può contribuire a stabilire o a mantenere l'assiduità, la continuità di presenza, di sforzo e di attenzione che suppone la vita spirituale e che l' acedia tende a rompere. Prima di ogni cosa, il lavoro si oppone direttamente all'ozio, che è una delle forme principali che può assumere l'acedia, e che è fonte di innumerevoli mali. Riferendosi all'insegnamento di san Paolo, san Giovanni Cassiano presenta ampiamente il lavoro manuale come un rimedio all' acedia che egli considera essenzialmente sotto quest'ultima forma. «Il beato Apostolo, egli scrive, sia che abbia visto come questa malattia che nasce dallo spirito di acedia cominci già ad insinuarsi, sia che per la rivelazione dello Spirito Santo egli abbia previsto che questa si sarebbe diffusa, si affretta, come un autentico medico spirituale, a prevenirla con il rimedio salutare dei suoi precetti. Scrivendo, infatti, ai Tessalonicesi, egli rinforza prima di tutto, come medico molto competente, la debolezza dei suoi malati con la terapia attraente e dolce della sua parola. Egli inizia col parlare della carità e, su questo punto, rivolge loro delle lodi, fino a quando la ferita mortale addolcita da questa medicazione che lenisce possa supportare più facilmente i rimedi più energici, una volta soppressa l'irritazione del tumore>>47 • Dopo aver così sottolineato l'approccio terapeutico dell'Apostolo, san Giovanni Cassiano pone in evidenza i precetti che costituiscono i rimedi proposti: 1) «Studiatevi di vivere tranquilli>> (cfr. lTs 4,11) cioè, egli commenta, «rimanete nelle vostre celle e non lasciatevi turbare dai diversi rumori[...]»; 2) >, osserva Evagria56 • Oltre a questa pace, l'effetto principale della vittoria su questa passione è quello di «una gioia ineffabile» che riempie l' anima.57.

    56 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 12. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 72. Esrcmo DI BATOS, Capitoli sulla vigilanza, 136. "' Cfr. EVAGRIO PONTICO, !oc. cit.

    610

    VI TERAPIA DELLA COLLERA LA DOLCEZZA E LA PAZIENZA

    Poiché l'amore del piacere (:philedonfa) costituisce una causa fondamentale dell'uso patologico della pot~nza irascibile, è innanzitutto esso che occorre estirpare se si vuole guarire dalla passione della collera1• Essendo l'amore del piacere essenzialmente legato ai desideri sensibili, la terapia della collera suppone una mortificazione della concupiscenza2. A tale proposito così osserva san Massimo: «Noi assopiamo i latrati sconvenienti dell'aggressività (thym6s) che non ha più, per eccitarla e persuaderla di lasciarsi vincere dai piaceri familiari, la concupiscenza [ ... ]. Infatti, l'aggressività che, per natura, viene in aiuto della concupiscenza, cessa naturalmente d'infuriarsi quando vede la concupiscenza mortificata>>3 • Affinché l'uomo sia guarito dalla collera, è dunque necessario che abbia vinto le passioni legate alla concupiscenza, in particolare la gastrimargia, la lussuria e la filargiria che sono cause frequenti di questa passione, e che egli pratichi le virtù che ad esse sono opposte. I Padri insistono in particolare sulla lotta contro la filargiria, e paradossalmente presentano l'elemosina come rimedio essenziale della collera. Evagrio scrive a questo riguardo: «Occorre avvicinarsi al Medico delle anime, che guarisce la parte irascibile per mezzo dell'elemosina>>4 • San Massimo, il quale osserva che «certi rimedi [. .. ] indeboliscono e ridu1 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 99. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XIT, 131. La questione della terapia della collera è stata parzialmente esaminata

    nella IV parte, cap. II, 3, nella prospettiva della terapia della potenza irascibile da cui procede direttamente la passione della collera. Abbiamo dimostrato, in particolare, che la terapia implica una conversione dell'elemento irascibile che consiste nell'allontanarlo dal prossimo per applicarlo esclusivamente al male, ai demoni, alle passioni, al peccato, e che alla collera-passione poteva essere così sostituita una collera virtuosa. Non torneremo qui su questo aspetto, ma considereremo la terapia della collera e le virtù che le sono opposte sotto l'angolazione della relazione al prossimo, di cui la prospettiva precedente non aveva tenuto conto.

    Cfr. EVAGRIO PONTICO, 1a preghiera, 27. Commento del Padre nostro, PG 90, 885AB. 4 Sui diversi pensieri della malvagità, 3. 2

    3

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    cono le passioni», precisa che per la collera è opportuna l' elemosina.5: > 13 • San Doroteo di Gaza insegna che «là dove si trovano compassione e carità, la collera e il rancore non possono prevalere» 14 • San Giovanni Climaco, che raccomanda di unire la carità alla dolcezza e alla pazienza15 , aHerma categoricamente l'efficacia di questo rimedio: «Colui che ha un vero amore per il prossimo ha bandito la collera dalla sua anima>> 16; «un banchetto al quale la carità invita i suoi nemici dissipa la collera>> 17 • San Massimo, evocando il rancore, aHerma la stessa cosa: «Giunto alla carità e alla benevolenza per il prossimo, tu eliminerai dalla tua anima ogni traccia di passione>>18 • E, in maniera più generale, consiglia: «Vinci l'odio con la carità>>19 • Centurie sulla carità, Il, 47. Ibid., 1, 79. Cfr. GIOVANNI CLIMA.CO, La Scala, IX, 6. 7 Su questa opposizione, vedi per esempio EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 76. 8 Capitoli gnostici, III, 35. 9 Trattato pratico sulla vita monastica, 38. CTr. ibid., 15. CALLISTO e IGNAZIO XAmoPULO, Centuria, 78. 10 Centurie sulla carità, I, 66. 11 Ibid., Il, 70. 12 Trattato pratico sulla vita monastica, 20. 13 Ibid. 14 Istruzioni spirituali, VIII, 94. 15 La Scala, VIII, 36. 16 Ibid., IX, 5. 17 Ibid., 6. 18 Centurie sulla carità, III, 90. 19 Ibid., IV, 12. 5

    6

    612

    Poiché, d'altra parte, la collera procede dall'orgoglio e dalla cenodossfa, è applicandoci a queste due passioni che possiamo guarirne. San Massimo, che presenta la cenodossia come una delle ragioni per le quali 21 • Anche san Giovanni Crisostomo insiste sul ruolo eziologico dell' orgoglio e sulla necessità di applicarsi ad esso: «Per le malattie dell' anima, i nostri discorsi hanno due obblighi da compiere: prima guarire la malattia, poi, dopo la guarigione, impedire le ricadute. Attualmente, cerchiamo un metodo per una difficile terapia; non si tratta ancora di buona salute. Come estirpare questo difetto deplorevole? Come smorzare questa febbre crudele della collera? Vediamo da dove proviene e distruggiamo la causa. Da dove viene di solito? Da un eccesso di arroganza e d'orgoglio. Sopprimiamo questa causa, e la malattia scomparirà>>22 • Ora è l'umiltà che costituisce, come vedremo, I'antidoto della cenodossia e dell'orgoglio. Per guarire dalla collera, occorre dunque acquistare l'umiltà. Poiché la collera è «il sintomo di un grandissimo orgoglio, la conversione esige molta umiltà>>, fa notare san Giovanni Climacd3 , il quale osserva che l'umiltà conduce «a bandire dalla nostra anima tutti i moti e i trasporti della collera>>24 : «Come le tenebre si dissipano allorché appare la luce, così il profumo dell'umiltà fa svanire ogni traccia di amarezza e d'irascibilità>>25 • Quanto a san Gregorio di Nissa, egli scrive: 26• Occorre 35• A tutti i rimedi precedentemente citati, occorre evidentemente aggiungere la preghiera. San Giovanni Cassiano osserva che la collera, come tutte le altre passioni, «è guarita dalla meditazione del cuore»36 • E san Nilo insegna la stessa cosa quando afferma che >43 • Occorre, d'altronde, sottolineare «che non basta che non vi sia nessuno contro cui irritarci, poiché [. ..] possiamo essere in collera anche contro gli oggetti insensibili»44 • Ecco perché la fuga dagli altri non potrebbe costituire una valida terapia45, perché essa lascerebbe sussistere la causa vera della collera, che è interiore. Non irritarsi più suppone, dunque, prima di tutto uno sforzo per soffocare l'irascibilità, per costringerla a non manifestarsi. San Basilio consiglia: «Appena sentirete i primi assalti, trattenetela, assoggettatela alla ragione come si trattiene un cavallo con il morso»46 • Occorre, in primo luogo, esercitare un dominio sulle azioni e sulle parole attraverso cui la collera tende ad esprimersi: è sforzandosi di conservare il silenzio che si raggiunge più facilmente questo scopo. San Callisto e sant'Ignazio Xantopulo ricordano questo insegnamento dei Padri: «Il freno della parte irascibile è il silenzio opportuno»47 • «L'inizio della vittoria sulla collera è il silenzio delle labbra quando il cuore è agitato», insegna da parte sua san Giovanni Climaco48 , il quale sottolinea che «colui che difficilmente è portato a parlare, difficilmente è portato ad agitarsi per la collera»49 • Notiamo en passant che il silenzio costituisce anche l'atteggiamento migliore da adottare di fronte alla collera altrui, ed è proprio esso che contribuisce di più a spegnerla5°. Il trattenere la collera, però, non dev'essere fatto in modo da evitare solo le sue manifestazioni esteriori, la sua espressione in parole e in azioni. Esso deve avvenire innanzitutto a livello di pensiero. Al silenzio delle parole bisogna aggiungere 5 1• Occorre allora applicare ciò che è raccomandato nella Scrittura: «Non odiare Istituzioni cenobitiche, VIII, 17. Ibid., VIII, 19, 3. 45 Cfr. ibid. 46 Omelie, X, Sulla collera. 47 Centuria, 78. 48 GIOVANNI CLIMACO, La Scala, VIII, 4. 49 Ibid., XXVII, 6. 50 Cfr. BASILlO DI CESAREA, Omelie, X, Sulla collera. 51 La Scala, VIII, 4. 4'

    44

    616

    il tuo fratello nel tuo cuore» (Lv 19,17), perché è dal cuore che procedono i disegni perversi, i cattivi pensieri (cfr. Mt 15,18-19; .Mc 2,21), e da questi procedono le parole e le ;izioni. È a questo livello che l'uomo può al meglio dominare il processo della collera ed evitare che questo si sviluppi52 . Per questo san Basilio consiglia: «Occorre soffocare la collera alla sua nascita>>53 • Non autorizzare alcuna manifestazione della collera a livello dei pensieri e, a fortiori, a livello delle parole e delle azioni, suppone che si dia prova di una costante attenzione. Come insegna san Giovanni Cassiano, la collera non può essere «guarita [che] con una prolungata vigilanza>>54.

    È molto importante soffocare gli stessi pensieri non solo perché essi sono la fonte di tutte le manifestazioni della collera, ma anche perché questa passione può, soprattutto sotto la forma dell'asprezza, del risentimento, del rancore, condurre una vita esclusivamente interiore. Essa continua ad esistere in questo modo, danneggiando la vita di tutta l'anima, tanto più che non ha potuto manifestarsi ali' esterno. A questo proposito così insegna san Giovanni Cassiano: «Non basta estirpare la collera dalle nostre azioni, occorre altresì strapparla completamente dal fondo della nostra anima [ ... ]. Infatti, la parola evangelica ci ordina di tagliare le radici dei vizi piuttosto che i loro frutti. E lo spirito potrà rimanere costantemente in una totale pazienza e sanità quando la collera sarà stata scacciata non alla superficie dei comportamenti, ma all'interno dei pensieri>>55 • La padronanza dei pensieri appare come la principale via terapeutica nel caso in cui la collera assume la forma interiorizzata dell'odio o del rancore. Nella misura in cui questi sono legati a offese subite, il primo atteggiamento da adottare è quello di «dimenticare le ingiurie», in altri termini il perdono. San Massimo lo considera come uno dei «rimedi» fondamentali che 56 • È questo un insegnamento costante delle Scritture: «Il cammino di coloro che conservano il ricordo di una cattiva azione tende alla morte» (Pro 12,28); «Non serbare rancore ai figli del tuo popolo» (Lv 19,18). Cfr. DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, VIII, 91. Omelie, X, Sulla collera. 54 Istituzioni cenobitiche, VI, 3. 55 Ibid., VIII, 20, 1-2. 56 Centurie sulla carità, II, 7.

    52

    53

    617

    A questo rimedio ne deve essere aggiunto un altro: la riconciliazio- . ne con il prossimo, secondo quanto raccomanda il Cristo: «Se dunque tu sei per deporre sull'altare la tua offerta e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa a tuo carico, lascia la tua offerta davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; dopo verrai a offrire il tuo dono. Mettiti d'accordo con il tuo avversario subito, mentre sei per via con lui>> (Mt 5,23-25). San Giovanni Crisostomo insiste sul valore terapeutico di questo insegnamento: il Cristo, egli dice, «sapeva che questa passione aveva bisogno di un pronto rimedio. E come un medico abile non dà solo profilassi contro le malattie, ma le guarisce anche quando esse sono già sviluppate, Gesù Cristo fa la stessa cosa>>57 • San Giovanni Cassiano commenta allo stesso modo questa raccomandazione del Cristo: «Il medico delle anime che conosce i segreti del cuore, volendo strappare perfino le occasioni di collera, non ci obbliga solo, quando siamo stati offesi, a perdonare ai nostri fratelli, a riconciliarci con essi e a non conservare nessun ricordo dell'ingiuria ricevuta; ma ci comanda nello stesso modo, se sappiamo che essi hanno motivo di risentimento giustificato o non contro di noi, di abbandonare la nostra offerta, cioè le nostre preghiere, e di dar loro innanzitutto soddisfazione, e una volta placato il nostro fratello, offrire a Dio il sacrificio senza macchia della nostra preghiera>>58 • Rìconciliarci con gli altri suppone che assumiamo la parte di responsabilità che ci tocca quasi sempre quando il prossimo è irritato contro di noi. Ecco perché occorre prima di tutto biasimare se stessi59 e chiedere perdono al fratello per essere stati per lui occasione di irritazione60 • Non basta, però, all'uomo rinunciare a ogni forma di collera nei confronti del prossimo. Gli è necessario sostituire alla passione la virtù che le è opposta. Ora, riguardo al prossimo, la virtù opposta alla collera, è in primo luogo la dolcezza (prai6tes) 61 • Così san Doroteo di Gaza, dopo aver consigliato: «Qualcuno è collerico? Che non s'irriti più...», aggiunge: «Ma acquisti anche la dolcezza»62 • «Come combattere [la collera]? [...]. Con la dolcezza; combattere vuol dire essere dalla par,, Commento a san Matteo, XVI, 10. 58 Istituzioni cenobitiche, Vlll, 14. 59 Cfr. DOROTEO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, vm, 90. 60 Cfr. ibid., 90-94. 61 Vedi per esempio DOROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, XII, 133. GREGORIO DI NISSA, Omelie sulle beatitudini, II, 3. 62 Istruzioni spirituali, XII, 133.

    618

    te opposta>>, pr.ecisa san Giovanni Crisostomo63 • Essendo la collera e la dolcezza antagoniste, si escludono a vicenda. , fa notare san Gregorio di Nissa64 • Così, come la collera scaccia la dolcezza, la dolcezza possiede il potere di distruggere la collera e le impedisce di rinascere. , osserva san Giovanni Crisostomo65 • Evagrio sottolinea allo stesso modo che 67 , e inoltre: 68• San Giovanni Climaco, a sua volta, scrive: 69 • La dolcezza spirituale non ha nulla da vedere con l'indolenza né la mollezza70 • Non è un atteggiamento passivo, ma attivo. È uno stato di stabilità dell'anima71 , di serenità, vicina all'impassibilità quando essa raggiunge il suo compimentù72 • San Giovanni Climaco la defini. Sce così: «La dolcezza è unù stato immobile dell'anima che rimane uguale a se stessa tanto nelle umiliazioni quanto davanti alle lodi>>73 • Vediamo dunque che essa va contro non solo alla collera, ma anche ad altre pasioni che, nell'ambito delle relazioni con il prossin10, possono turbare l'anima. Occorre, però, aggiungere che essa è, altresì, una virtù positiva riguardo allo stesso prossimo, virtù che si traduce attraverso la preghiera per esso e con un atteggiamento generale di carità. «La dolcezza sta, quando siamo .tormentati dal prossimo, nel pregare per esso senza essere sensibili (ai suoi modi di fare) e sinceramente», afferma san Giovanni Climaca74 , il quale aggiunge: > 108 • Quanto a san Giovanni Cassiano, egli le associa praticamente tutte e due in un unico rimedio: «Appare evidente che il rimedio più efficace per il cuore umano è la pazienza, secondo la parola di Salomone: "Vìta del corpo è un cuore benigno" (Pro 14,30)». Dopo aver evidenziato che la pazienza estirpa la collera, ma anche altre passioni, egli prosegue: «Colui che è sempre dolce e tranquillo non si infiamma di collera [. .. ]. In verità, il saggio ha ben ragione di dire: "È meglio un uomo lento all'ira che un eroe, e chi domina il suo spirito val più di chi conquista una città" (Pro 16,32)»109 • Così egli considera la pazienza come la virtù che si oppone per eccellenza alla collera: se 110, inversamente la pazienza scaccia la collera: «Che i vizi cedano la vittoria al popolo d'Israele, cioè alle virtù che sono loro opposte [... ],la pazienza rivendichi il posto della collera.>>111 •

    ·1°2

    Centuria, 77.

    103

    Cfr. GREGORIO DI NISSA,

    104

    Ibid., 4.

    Omelie sulle Beatitudini, II, 1.

    XXIV, 6. Omelie sulla lettera agli Ebrei, XXII, 3. 107 La Scala, VIII, 36. ios Centurie sulla carità, II, 47. 109 Conferenze, XII, 6. no Istituzioni cenobitiche, XII, 3, 2. m Conferenze, V, 23. 105

    106

    622

    Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala,

    La pazienza 112 consiste nel sopportare con calma i mali che ci vengono inflitti dalle circostanze o da altri, e in particolare, in quest'ultimo caso, nel sopportare senza turbamento critiche, oltraggi, insulti, o altre parole che feriscono 113 • San Massimo ne dà questa definizione: >15 • Il timore, lo abbiamo visto, è legato all'orgoglio, e fintanto che l'uomo pone la sua fiducia nelle proprie forze è soggetto a questa passione. Per poterla vincere per mezzo della forza di Dio stesso, per ricevere questa forza e conservarla, l'uomo deve rinunciare a se stesso, riconoscere la propria impotenza, altrimenti l'energia divina non potrà trovare posto in lui. Per questo sant'Isacco raccomanda a colui che vuole essere liberato dal timore di pregare prima di tutto per acquistare l'umiltà: 25 • Abba Serapione fa notare che, se l'uomo «è attento a [Dio] nel timore in ogni momento, non può temere nulla dal nemico»26. Quanto a san Simeone il Nuovo Teologo, egli constata che «coh.ri che teme Dio non teme gli attacchi dei demoni, né i loro assalti impotenti, né le minacce dei cattivi»27 • Il timore di Dio può essere considerato, a ben guardare, come una

    Wtù fondamentale. Le allusioni a questa virtù sono frequenti nelle Sa-

    cre Scritture28 , e i Padri presentano il possederla come una condizione di salvezza29 . San Giovanni Cassiano così scrive a questo proposito: «Il principio della nostra salvezza e della nostra sapienza è, secondo la Scrittura, "il timore del Signore''>>3°. San Barsanufio afferma: «Se non testimoniamo nelle nostre opere il ricordo del timore di Dio e della compunzione che ne deriva, saremo condannati>>31 • Sant'Isacèo, da parte sua, afferma: «L'inizio della vera vita dell'uomo è il timore di Dio»32 •

    cario d'Egitto (Apoftegmi, Eth. Path. 417) e san Giovanni Climaco (La Scala, I, 29). Vedi anche Apoftegmi, XV, 127. · 24 La Scala, VI, 10. 25 Ibid., XX, 11. Cfr. EVAGRIO PONTICO, La preghiera, 100. 26 Apoftegmi, serie alfabetica, Serapione, 3. v Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 68. Cfr. 69. 28 Per il Nuovo Testamento, vedi: Le 18,24; 23,40; At 9,31; 10,2.22; 13,16.26; Rm 3,18; 2Cor 5,11; 7,1; E/5;2.l; Fil2,12; lPt 1,17; 2,17; Ap 14,7; 15,4; 19,5. 29 Vedi, per esempio, Apoftegmi, serie alfabetica, Euprepio, 6. >0 Istituzioni cenobitiche, N, 43. n Lettere, 397. 32 Discorsi ascetici, 1.

    631

    Vi sono, tuttavia, due forme di timore di Dia33 , corrispondenti a due gradi di questa virtù34 • a) La prima forma deriva dal timore del giudizio divino, attuale35 o futuro 36 e dalle pene che ne possono seguire37 e che i Padri indicano spesso con il nome di «castigo». Abbiamo dimostrato, d'altronde3 8 , che con questò termine non bisogna intendere la punizione che un Dio vendicatore e crudele infliggerà a coloro che trasgrediscono la legge, ma le sofferenze interiori, legate allo stato· di separazione da Dio e alla privazione dei beni spirituali, ai quali l'uomo stesso si condanna con il suo peccato e di cui il giudizio divino non fa che rivelare la piena misura39 • Questa prima forma di timore è «il timore iniziale», quello che conoscono i principianti40 • È così che è scritto: (Sal 111[110],10; cfr. Pro 1,7; 9,10). Tre ragioni, osservano i Padri, possono allontanare l'uomo dal male e unirlo a Dio: il timore del castigo, la speranza dei beni futuri, l'amore di Dio41 • Le prime due «sono tipiche degli uomini che cercano di progredire»42 , ma sono ancora servi (cfr. Gal 4,1); la terza caratterizza i perfetti; «essa è propria di Dio e di coloro che hanno acquisito la sua somiglianza»43 , di coloro che non sono più suoi servi ma suoi amici e suoi figli (cfr. Gal 4,7). «Se dunque, scrive san Giovanni Cassiano, qualcuno vuole tendere alla perfezione, partito dal primo grado, che è quello del timore, essendo propriamente servile, [. .. ] egli si eleverà con un progresso continuo fino alle vie superiori della spe3 ; Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, l, 81; 82. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XI, 6; 7; 13. DOR01EO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, N, 47-49. 34 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XI, 6; 7; 13. DOROTEO DI GAZA, !oc. cit. 35 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, Vll, 13. 36 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Elia, l: 44 • Vediamo che quando i Padri affermano che questa prima forma di timore è tipica dei principianti, essi con questo intendono coloro che non hanno ancora raggiunto la perfezione, che non sono ancora santi. E dunque, questo timore, anche spirituali proficienti possono e persino devono provarlo45 • San Doroteo di Gaza non esita a dire ai suoi monaci: «Questo timore iniziale è dunque nostro»46 • Tal~ timore, tuttavia, è chiamato ad· essere abolito e superato nella perfezione dell'amore, come ci insegna l'apostolo san Giovanni: «Nel1'amore non vi è timore; allzi il perfetto amore scaccia il timore, perché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell'amore» (lGv 4,18). Alla sua scuola san Massimo scrive: >55 • b) La seconda forma di timore è inerente alla carità perfetta.56 • Essa deriva dall'amore di Dio mentre la prima forma di timore è stata bandita da questo. È il timore di essere separato o allontanato da Dio, il timore di essere privato della >65 , (Qo 12,13 ); «Con timore e tremore lavorate alla vostra ~alvezza>> (Fil 2,12); «Comportatevi nel tempo del vostro passaggio sulla terra con un senso di timore» (1Pt 1,17). L'uomo non potrà progredire sulla via della praxis senza essere permanentemente (Sal 128[127],1) e !'Ecclesiaste: «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti>> (Qo 12,13) .. È per questo che i Padri intendono spesso per timore di Dio la stessa pratica dei comandamen-

    "" Conferenze, Xl, 13. 65 Istruzioni spirituali, IV, 47. 66 Ibid., 49. 67 Lettere, 393. 68 ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 1. Cfr. 18. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, I, 5. 69 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Salmo 111, l; Commento al Salmo 127, 1.

    637

    ti70• Difatti, l'uomo manifesta il vero possesso di questa virtù solo conformandosi alla volontà di Dio espressa nei comandamenti. Anche gli stessi demoni temono Dio, ma di un timore non virtuoso, perché, se suppone il riconoscimento della sua onnipotenza, non si accompagna al compimento della sua volontà. Il distacco da questo mondo, l'incuranza spirituale dinanzi alle cose terrene ne sono un'altra condizione71 • Anche la meditazione della morte72 e del fine ultimc73, come la solitudine74 , che sono molto legate agli atteggiamenti precedenti, lo favoriscono allo stesso modo dell'esame di coscienza75 , il regolare riconoscimento del proprio stato di peccatc76 , la sofferenza77 e le lacrime78 • I Padri raccomandano anche a coloro che cercano di acquistare questa virtù di frequentare assiduamente uno spirituale che già lo possiede79 • Non bisogna, però, dimenticare che, in quanto virtù, il timore di Dio è una ma,nifestazione della grazia, e se gli sforzi dell'uomo sono in- · dispensabili per acquistarlo, esso è tuttavia sempre un dono di Dio e dunque deve essere chiesto con la preghiera80 • È soprattutto con la preghiera che l'uomo può ricevere la purificazione che gli permette di provare il timore di Dio, che egli è incapace di provare da solo anche nei gradi più elementari, tanto egli è totalmente sottomesso alle passioni. Ecco perché >102.

    Il ti.more di Dìo >112 , lo rende fermo. e risoluto nelle sue vie 113 , n 4 , e questo tanto più in quanto gli dà una fiducia incrollabile in Dio115 • Per ciò stesso l'uomo riceve dal timore una grande stabilità interiore, sia di fronte ai tormenti di questa vita sia di fronte nemici che egli deve affrontare sulla via spirituale, mentre, al contrario, è tanto più dominato dal cambiamento e dall'alienazione quanto più l'ha abbandonato il timore116 • Se il timore è favorito dal pentimento, dalla compunzione e dalle lacrime, esso appare in cambio come una fonte di questi atteggiamenti penitenziali, come un fattore che li sviluppa e li rafforza117 •

    ru

    Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, XV, 2. lsACCO IL Smo, Discorsi asce#à, 1. Discorsi asce#à, 44. Omelie sulle statue, XV, 1. 109 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, Prologo. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 1, 7. Apof tegmi, serie alfabetica, Giacomo, 5. 110 Ibid. 111 EVAGRIO PONTICO, Trattato pra#co sulla vita monastica, Prologo, 8. 112 SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici" e pratici", I, 69. m Ibid. 114 GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VI, 13, 2. 115 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 81. 116 Cfr. lsACCO IL Smo, Discorsi ascetici", 1. 117 Cfr. ibid., 72; 18. BARSANUFIO, Lettere, 397. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulle statue, XV, l; Omelie sulla lettera ai Filippesi, ID, 4. 106

    liJI

    108

    641

    Il timore favorisce la preghiera e la rende fervente 118 • Rende feconda la preghiera di richiesta: , scrive san Barsanufio119 • Dal timore procede anche la preghiera di lode, così che è scritto: «Innalzate lodi al nostro Dio, [. .. ] voi che lo temete» (Ap 19,5); «Temete il Signore e dategli gloria>> (Ap 14,7). È sempre il timore che >2 1 • Ciò implica a fortiori il rifiuto di insegnare agli altri e persino di annunciare la parola, come sottolinea san Macario il Grande: «Colui che è invitato a parlare e viene costretto ad annunciare la parola deve rattristarsene, fuggire la cosa come il fuoco e respingere il pensiero al fine di sfuggirvi e di non cadere nella cenodossia a causa della sua parola>>22 • A questo proposito cita23 l'esempio di Mosè che, pregato da Dio stesso di annunciare la parola a Israele, «se ne scusò dicendo: "Io non sono un parlatore"» (cfr. Es4,10), lesempio di Geremia che ugualmente si scusò dicendo: «Non so parlare perché sono ragazzo» (cfr. Ger 1,6), e l'esempio di san Paolo che scrive: >32 • Il segno che l'uomo è guarito dalla cenodossia sta nel fatto che egli non prova nessuna sofferenza nell'essere umiliato in pubblico33 , non ha più rancore incontrando colui che lo ha offeso, disprezzato, insultato, che ha detto o ancora dice male di lui34 ; al contrario, lo ringrazia come se fosse un benefattore, sull'esempio dell'Anziano precedentemente citato. In questa prospettiva, si può comprendere la seguente affermazione di san Massimo: 35 • Assumere, e anche ricercare le umiliazioni, guarisce l'uomo dalla cenodossia in quanto essa ricerca la gloria mondana, l'ammirazione o solo la stima degli altri. Ma la cenodossia è anche una passione per mezzo della quale l'uomo si stima, si ammira e onora se stesso, e sigloria. Per combatterla a questo livello, l'uomo deve prima di tutto ignorare la propria ascesi e le proprie virtù, nascondere a se stesso ciò che c'è di buono in lui e il bene che ha fatto 36 • San Giovanni Crisostomo fa notare che il Cristo, «dopo aver biasimato la vanità [.. .] dà il rimedio a un'anima colpita da questo male [raccomandando]: [. . .] "Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra" (Mt 6,3 )»37 . Anche quando avrà compiuto tutta la volontà di Dio, l'uomo dovrà, come raccomanda il Cristo (dr. Le 17, 1O), considerarsi un servo inutile, che non ha fatto nulla di più di quanto doveva fare: questo è anche un altro mezzo proposto dai Padri per evitare la cenodossia38 • Ma molto prima di ciò, l'uomo deve esaminare la propria coscienza e considerare quanto è lontano dall'aver compiuto tutti i comandamenti39. Prima ancora, deve ricordarsi dei suoi peccati e piangerli, ciò estirperà la cenodossia sia in rapporto a se stesso che agli altri. «Se non perdiamo di vista i nostri peccati, i beni esteriori non potranno mai esaltare le nostre anime. Le ricchezze, la potenza, il rango superiore, le dignità, gli onori non avranno su di noi alcuna influenza», fa 32

    Ibid., 19.

    ;; Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXI, 39. ;. Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Iv, 43. 35

    Ibid., 75.

    36

    Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Matteo,

    XIX, 2.

    "Ibid. 38

    Cfr. Apoftegmi,

    N 299.

    "Ibid.

    649

    notare san Giovanni Crisostomo40 • E san Giovanni Climaco così consiglia: «Quando i nostri adulatori [. ..] cominciano a lodarci, riportiamo brevemente alla memoria i molti peccati commessi, e ci riconosceremo indegni di ciò che viene detto o fatto in nostro onore»41 • Notiamo, infine, il ruolo essenziale che la preghiera gioca nella guarigione dalla cenodossia42 come da ogni passione. Per mezzo della preghiera, l'uomo riceve da Dio l'aiuto senza il quale egli è impotente nel vincere qualsiasi passione. Ma nel caso della cenodossia, egli riceve anche il discernimento che gli è necessario per eludere tutte le trappole che questa gli tende. La preghiera gli permette altresì di staccarsi da questo mondo che la cenodossia ha come oggetto, e di unirsi a Dio .. Essa, infine, gli permette di glorificare Dio riconoscendo che «a lui spettano ogni gloria, onore e adorazione». Abbiamo osservato che la gloria che viene dagli uomini e quella che viene da Dio sono antagoniste ed esclusive l'una dell'altra. Se l'uomo deve rinunciare a ogni gloria umana, è per aver accesso alla gloria divina alla quale lo destina la sua natura. Fintanto che egli rimane attaccato alla gloria terrena non potrà mai gustare la gloria celeste. «Come il fuoco non genera la neve, così coloro che cercano la gloria quaggiù non ne godranno lassù», osserva san Giovanni Climaco43 • Ecco perché l'umiliazione è la via obbligata, la condizione indispensabile per partecipare alla gloria divina. È in questo senso che un Anziano consiglia: «Se vuoi essere conosciuto da Dio, devi essere ignorato dagli uomini>>44 • L'uomo, lo abbiamo visto, per natura tende alla gloria, ma la gloria che viene da Dio è la sola che gli conviene veramente. Per questo egli deve glorificarsi solamente in Dio, conformemente alla parola dell'Apostolo: «Glorificandoci in Cristo Gesù, non riponiamo la nostra fiducia nella carne» (Fil 3 ,3), e secondo la promessa di Dio: 46 • Non è meno vero che l'antidoto specifico della cenodossia è l'umiltà. San Doroteo di Gaza scrive a questo proposito: «Il medico delle nostre anime è il Cristo, che sa. tutto e che dà a ciascuna passione il rimedio appropriato, voglio dire i suoi comandamenti: contro la cenodossia, l'umiltà»47 • San Giovanni Cassiano consiglia allo stesso modo soprattutto a proposito della cenodossia: «Applicate dunque al membro o alla parte della vostra anima che abbiamo detto specificamente ferita, il rimedio della vera umiltà»48 • San Giovanni Climaco scrive: «Non appena [ .. .] la santa umiltà inizia a fiorire in noi, noi ci mettiamo subito [...] a odiare ogni gloria e ogni lode umana»49 • E, a sua volta, san Massimo: «L'umiltà libera lo spirito [. .. ] dalla cenodossia>>50. In seguito vedremo che molti mezzi raccomandati dai Padri per lottare contro la cenodossia sono mezzi raccomandati da loro anche per acquistare l'umiltà.

    2; Terapia dell'orgoglio Abbiamo visto, esaminando la cenodossia e l'orgoglio, che queste passioni sono così simili tra loro che alcuni Padri non ritengono indispensabile esaminarle separatamente. Per quanto ci riguarda, seguendo l'esempio di altri Padri, abbiamo considerato che fosse utile distinguerle e presentare le caratteristiche specifiche di ciascuna di esse. Ciò implica che esamineremo separatamente anche le loro terapie. Ma la loro vicinanza renderà inevitabili alcuni accostamenti, quindi alcune ripetizioni. La terapia dell'orgoglio, come quella della cenodossia, suppone preliminarmente una conoscenza dettagliata della passione, quantunque l'orgoglio non sia così sottile, multiforme e ingannatore come la ceLa Scala, XXI, 29. Istruzioni spirituali, XI, 113. Cfr. II, 29. 48 Conferenze, XXIV, 16. Cfr. 15. 49 La Scala, XXV, 4. 5°Centurie sulla carità, I, 80. 46 47

    651

    nodossia. Per questo, san Giovanni Cassiano che considera la nosologia un elemento fondamentale della terapia di quella.5 1, a proposito del1'orgoglio osserva che è importante conoscerne soprattutto leziologia: «Impareremo come evitare il veleno così pericoloso di questa malattia ricercandone le cause e l'origine. Mai infatti le malattie potranno essere guarite, né trovati i rimedi ai disturbi della salute se non si ricerca, prima di tutto, con una investigazione minuziosa, la loro origine e le loro cause»52 • La conoscenza generale della malattia dà all'uomo, in ogni caso, la possibilità di riconoscere in sé questa passione così capace di farsi ignorare o dimenticare. Tale capacità di riconoscimento è evidentemente una condizione della terapia, perché colui che non si ritiene malato non cercherà la guarigione. San Giovanni Climaco, a proposito di coloro che sono accecati al punto da non avere coscienza dell'orgoglio che è in loro, osserva: «Per questi malati vi sarà poca speranza di salvezza>>53. Vigilanza e discernimento permettono di individuare la malattia fin dal primo manifestarsi, e di evitare che si diffonda al punto da divenire quasi incurabile. A questo proposito così scrive san Giovanni Cassiano: «Si può essere totalmente indenni da questa malattia mortale se però ci si mette in guardia prima che i suoi pericolosi assalti abbiano già avuto potere su di noi; occorre quindi che un saggio e prudente discernimento prevenga ciò che potremmo indicare come le sue avanguardie»54. Fintanto che la malattia è contenuta in certi limiti, la sua terapia è possibile agli sforzi umani, che perciò devono praticarsi in molte direzioni. Sapere che lorgoglio, come la cenodossia, rendono vani tutti i nostri sforzi presenti o passati, e tolgono ogni valore alle virtù che si possono avere, avere coscienza del rigore del giudizio divino circa gli orgogliosi, della privazione della grazia e delle pene che risultano da questa passione possono contribuire a vincerla55 . È così che san Basilio, alla domanda: «Come guarire gli orgogliosi?» risponde: «Essi guariscono per mezzo della fede in Colui che ha detto: "Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli u:tnili" (Gc 4,6) 56 , in altre parole, per il timoCfr. Istituzioni cenobitiche, XL Ibid., XJI, 4, 2. La Scala, XXIl, 14-15. 54 Istituzioni cenobitiche, Xll, 29. 55· Vedi per esempio GIOVANNI CRrsOSTOMO, Omelie su 2 Tessalonicesi, I, 2. 56 Regole brevi, 35. 51

    52

    5;

    652

    re della sentenza in cui s'incorre a causa dell'orgoglio>>57 • Lo stesso Cristo si impegna a segnalare le conseguenze nefaste dell'orgoglio, dicendo più volte: «Chi si esalterà sarà umiliato» (Mt 23,12; Le 18,14), indicando che il fariseo, malgrado le proprie virtù, non sarà giustificato, a causa dell'orgoglio (dr. Le 18,9-14). Come nota san Basilio, il timore di Dio, però, non basterà a curare la malattia. Poiché l'orgoglio consiste, in genere, in un innalzamento di sé in rapporto ad altri uomini e in rapporto a Dio, non si potrà guarirne se non sforzandosi in ogni circostanza di evitare di esaltarsi, distruggendo l'abituale disposizione (éxis) della passione per mezzo di uno smorzamento progressivo dell'atteggiamento che lo caratterizza. Ciò implica che si dia prova diuna costante vigilanza interiore, e che si eviti anche di freguentare uomini manifestamente sotto il potere di questa passione. E per questo che san Basilio completa così la sua risposta: «Non ci si può liberare da questa passione se non astenendosi da ogni esercizio di superiorità, come non si disimpara una lingua o un mestiere se non smettendo del tutto non solo di praticare o di parlare noi stessi, ma anche di sentir parlare e vedere praticare gli altri»58. Saremo aiutati in questo compito considerando la vanità e la vacuità delle cose sulle quali l'uomo, nella passione, fonda la sua superiorità: instabilità di tutte le cose umane, fugacia delle ricchezze, del potere, debolezza e fragilità dell'uomo stesso sottomesso in questo mondo alla malattia, all'invecchiamento e alla morte, e che senza Dio non è che 72 • Condurre una vita dura e umiliante contribuisce altresì a combattere questa malattia73 • Abbiamo visto, in verità, nel capitolo dedicato ali' ascesi fisica, come l'anima sia, in una certa misura, colpita da quel,;; Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXII, 15; 31. Istruzioni spirituali, I, 10. Vedi, per esen;ipio, GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 2 Tessalonicesi, I, 2. 66 Centurie sulla carità, N, 61. · 67 Istruzioni spirituali, II, 38. 68 Il ricordo delle colpe è uno dei principali rimedi consigliati da Evagrio Pontico contro l'orgoglio (cfr. Trattato pratico sulla vita monastica, 33). 69 Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXII, 31. 7°Cfr. ibid. DOROTEO DI GAZ.A, Istruzioni spirituali, I, 10. 71 Lettere, 2. 72 La Scala, Ricapitolazione, 13. 73 Cfr. ibid., XXII, 15. 64

    65

    654

    lo che fa o subisce il corpo, e come, più in generale, le condizioni materiàli di esistenza dell'uomo abbiano una certa incidenza sul suo stato interiore. Le sofferenze fisiche e le diverse prove che l'uomo può essere portato a subire nel suo corpo lo purificano dalla sua passione nella misura in cui esse gli fanno constatare la sua debolezza e fragilità, e riducono l'illusione di auto-sufficienza legata all'orgoglio. Nella misura in cui lorgoglio consiste nell'immaginare un' esaltazione per le qualità naturali che si possiedono, il rimedio sta nel riconoscere che ogni bene viene da Dio, che ogni qualità ha la sua fonte nel Creatore della nostra natura. A questo riguardo è bene meditare la parola dell'Apostolo: «Chi ti distingue? Che cosa possiedi che non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto?» (1Cor4,7). In questa prospettiva, Evagrio fa notare all'orgoglioso: «Tu sei la creatura di Dio: non ripudiare il tuo Creatore»74. E san Giovanni Climaco: «Tutto ciò che ti è venuto dopo la tua nascita, così come la tua nascita stessa, è Dio che te l'ha donato»75 . Lo stesso autore osserva che «quando il nostro pensiero non si eleva più riguardo ai doni naturali, è segno che esso inizia a recuperare la salute»76 . Ma lorgoglio consiste soprattutto, per lo spirituale, nell'esaltarsi a motivo delle sue virtù. Il rimedio consisterà allora nel ricordo dei propri peccati, già menzionati a proposito della prima forma d'orgoglio. E, anche ammesso che queste virtù siano reali, colui che si eleva così prenderà facilmente coscienza della sua mediocrità, e ridurrà così la sua passione, considerando la perfezione dei santi77 , il che sarà favorito dalla· frequente e attenta lettura delle Vite dei Padri78 . Il rimedio essenziale consiste, tuttavia, nel riconoscere che «ogni donazione buona e ogni dono perfetto viene dall'alto, discendendo dal Padre delle luci» (Gc 1,16-17) e nell'attribuire a Dio quanto si è potuto fare di bene, come anche tutte le virtù che eventualmente si possiedono e tutte le azioni buone e i pensieri buoni che da esse procedono79. È opportuno qui· ricordare anche la parola dell'Apostolo citata precedentemente, come consiglia san Giovanni Climaco parafra-

    Gli otto spiriti della malvagità, 17. La Scala, XXII, 16. "Ibid., XXV, 22. n Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, Xli, 74

    75

    15. GIOVANNI CLIMACO, La

    Scala,

    XXII,21. 73 79

    GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXII, 21; 15. Cfr. MAsSlMO IL CONFESSORE, Centurie sulla

    carità, ill, 62.

    655

    sandola un po': «Cosa hai tu che non abbia ricevuto come un dono gratuito, sia da Dio stesso, sia grazie ali' aiuto e alle preghiere degli altri?»80 • Evagrio fa notare ugualmente: «Tu non hai nulla che non abbia ricevuto da Dio [. .. ]. Riconosci colui che ti ha donato e non ti esalta prima [. .. ].Tu sei aiutato da Dio, non rinnegare il tuo benefattore»81. E san Giovanni Cassiano insegna: >211 • Nell'ambito della praxis, l'umiltà è chiamata a occupare un posto fondamentale. Essa è, con la carità, la virtù cristiana per eccellenzà. Così san Giovanni Crisostomo non esita a dire: «Il fondamento della nostra filosofia è l'umiltà»212 • È il fondamento di tutto l'edificio spirituale che l'uomo ha il compito di edificare213 , il principio stesso della vita spirituale. Ciò si comprende perché l'orgoglio, che sta all'origine della caduta dell'uomo, è il principio dell'esistenza decaduta. Così l'uomo non può sperare di ricostruire se stesso se non prendendo come base l'umiltà che è rimedio all'orgoglio, quindi una delle principali Cfr. GIOVANNI CLIMACO, loc. cit. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 81. Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Titoe, 7. 203 Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XlI, 31. 204 Cfr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 48. 205 ar. ibid., fil, 14. . 206 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Titoe, 7. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 21. DoROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, II, 38. 207 Cfr. Mt 11,29. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 3; 68. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 20. 203 Cfr. BARSANUFIO, Lettere, 62. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XlI, 33. 209 Cfr. IsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 5. 21 Cfr. Apoftegmi, Arm II, 318 (84). BARSANUFIO, Lettere, 150. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, XlI, 8; 3 3. MACARIO D'EGITTO, Capitoli parafrasati, 86. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie su 2 Tessalonicesi, I, 2. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 35. 211 Discorsi ascetici, 20. 212 Omelia sull'umiltà, 2. Cfr. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXV, 44. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, XX, 204-207. 213 Cfr. ISACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 21. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a san Giovanni, XXXIII, 3. 201

    202

    °

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    fonti di guarigione. «È a questa umiltà, spiega san Giovanni Crisostomo, che Gesù Cristo dà il primo posto nelle sue beatitudini, perché questo diluvio di mali che inonda tutta la terra non ha affatto altra fonte se non quella dell'orgoglio [. .. ]. Visto che l'orgoglio era, per così dire, il male culminante dell'uomo, e radice e fonte di tutti i peccati del mondo, Gesù Cristo, per guarirlo con un rimedio contrario, stabilisce innanzitutto questa legge dell'umiltà, come fondamento incrollabile dell'edificio che egli vuole costruire. Quando questo fondamento sarà posto, colui che costruisce potrà senza timore elevare il resto dell'edificio; ma, se viene a mancare, l'edificio giungesse anche fino al cielo, necessariamente crollerebbe e cadrebbe in rovina»214 • San Doroteo di Gaza insegna: il Cristo «ci mostra la causa che del disprezzo e della trasgressione dei precetti di Dio [ossia l'orgoglio]; egli ce ne fornisce il rimedio affinché noi possiamo obbedire ed essere salvati. Qual è dunque questo rimedio e qual è la causa del disprezzo? Ascoltate quanto dice nostro Signore stesso: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,29). Ecco come brevemente, con una sola parola, egli ci mostra la radice e la causa di tutti i mali, con il suo rimedio, fonte di tutti i beni; egli ci mostra che è l'esaltazione che ci fa cadere, e che è impossibile ottenere misericordia se non con la disposizione contraria, che è l'umiltà>>215 • Nella misura in cui l'orgoglio è la causa prima della caduta, l'umiltà si presenta come la causa prima della salvezza. Così san Giovanni Climaco scrive: «Se solo questa passione [dell'orgoglio] senza il concorso di un'altra, ha fatto cadere dal cielo, possiamo chiederci se non sarebbe possibile salire al cielo solo per mezzo dell'umiltà, senza l'aiuto di alcuna altra virtÙ>>216 • Questa in ogni caso è la condizione sine qua non della salvezza217 : «Senza di essa, nulla entrerà mai nella camera nuziale», scrive san Giovanni Climaco218 , che la presenta, peraltro, come «la porta del Regno»219 • Senza di essa, non solo non è possibile nessuna perfezione22°, ma l'uomo rimane separato da Dio, come afferma categoricamente san Macario il Grande: «Là dove non c'è l'umiltà, non c'è nemmeno Dio»221 • Abba Isaia insegna: >23 • San Giovanni Crisostomo osserva la stessa cosa: «Colui che si è dato a Dio [ .. .] comanda alla collera, all'invidia, al1' avarizia, al piacere e a tutti gli altri vizi; esamina e medita continuamente i mezzi per non lasciar soggiogare la sua anima dalle passioni vergognose, né lascia asservire la sua ragione da una insopportabile tirannia, ma ha sempre lo spirito al di sopra di tutto questo»24 . Egli è come dice san Giovanni Climaco, 25 , cosa che afferma anche san Giovanni Crisostomo, per il quale è quella la vera regalità, cui ogni uomo è chiamato: «Infatti il vero re, è colui che comanda [. .. ] su tutte le passioni, che assoggetta tutto alle leggi di Dio, che conserva il suo spirito libero, e non lascia alla tirannia delle voluttà dominare nella sua anima.>>26 • Si potrebbe anche dire che piuttosto che la morte delle passioni, l'impassibilità è la morte dell'uomo alle passioni27. Essa corrisponde a quello che i Padri spesso chiamano «la mor· te al mondo»28 , risultato della crocifissione che costituisce la praxis, e che essi considerano condizione essenziale della salvezza29 • San Simeone il Nuovo Teologo si chiede: «Colui che è morto al mondo, per~ ché è questa la croce[. .. ], colui che ha fatto morire le sue membra ter" rene [. .. ] al punto da non essere più raggiunto da alcuna passione né da alcun desiderio cattivo, come riceverà anche minimamente dal mondo una sensazione di passione, o subirà un moto di voluttà, o infine sarà sconvolto nel suo cuore?»30 •

    Discorsi ascetici, 81. Paragone tra il solitario e il re, 1. 25 La Scala, VII, 43. 26 Paragone tra il solitario e il re, 2. n Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 49. . 28 Cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, VI, 20-21. Apoftegmi, Etb. Coli., 13, 45. 29 Vedi, per esempio, Apoftegmi, serie alfabetica, Macario, 23. '°Trattati etici, VI, 352-359. 23

    24

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    Questa morte al mondo implica indifferenza (adiaphorfa) alle cose di questo mondo, una perfetta noncuranza (amerimnfa) e una totale insensibilità (anaistheia) nei loro riguardi; questi termini, intesi in senso positivo31 , compaiono spesso, sulla bocca o sotto la penna dei Padri, per indicare stati prossimi all'impassibilità32 • Per l'impassibile, il disprezzo è divenuto simile alla lode, l'obbrobrio ali' onore, la povertà alla ricchezza, l'indigenza ali' abbondanza33 , il dolore al piacere34, latristezza alla gioia35 • «Le cose della carne sono [per lui] come estranee»36• Ma questo non significa che l'impassibilità sia una indifferenza o una insensibilità riguardo al prossimo37 ; essa sarebbe allora una passione. In seguito vedremo che essa, al contrario, è fonte di c;arità in tutta I'ampiezza di questo termine. Ciò non significa che questa sia una indifferenza riguardo alle cose stesse, poiché vedremo che essa sfocia anche · e immediatamente sulla contemplazione naturale, che è la contemplazione delle ragioni spirituali (o l6goi) delle cose. L'impassibilità, in verità, è uno stato in cui l'uomo non cessa necessariamente di considerare gli oggetti, ma cessa, quando li considera, di avere per essi un qualsiasi attaccamento e desiderio passionale, si mostra totalmente imperturbabile dinanzi ad essi, non è affatto colpito da essi. «Una prova d'impassibilità è, scrive Evagrio, il fatto che lo spirito [...] guarda gli oggetti con serenità»38 • «Come uno specchio non rimane macchiato dalle immagini che vi si riflettono, così l'anima impassibile non rima~ ne macchiata dalle cose che sono sulla terra»39 • Colui che è impassibile rimane saldo non solo dinanzi agli oggetti, ma anche dinanzi al loro ricordo. Per questo san Massimo scrive: «Non immaginarti di avere l'impassibilità perfetta, fintanto che I'oggetto non è presente. Quando esso appare, se tu rimani senza commuoverti, per lui prima, e per il suo ricordo in seguito, sappi allo.ra che hai raggiunto le sue frontìere»40. Anche Evagrio nota: «L'anima che possiede l'impassibilità, 31 Difatti questi atteggiamenti non sono virtuosi se non si esercitano di fronte al mondo. Se si esercitano nei riguardi di Dio e del prossimo, detti atteggiamenti sono passioni. 32 Sull'affinità tra amerimnfa e aptitheia, vedi I. HAUSHERR, Hésychasme et prière, Roma 1966, pp. 166; 216-221. 33 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Macario, 20. Ibid., Am 166, 4. 34 Cfr. MASSTh10 IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, Prologo, PG 90, 260D. NICETA STE- . TATOS, Centurie, I, 92. 35 Cfr. Apoftegmi, Am 166, 4. 36

    Ibid.

    Cfr. MARco L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 128. Trattato pratico sulla vita monastica, 64. 39 ID., Capitoli gnostici, V, 64. 4°Centurie sulla carità, VI, 54.

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    38

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    non è quella che non prova alcuna passione dinanzi agli oggetti, ma quella che rimane imperturbabile anche dinanzi al loro ricordo»41 • L'impassibile rimane imperturbabile anche dinanzi alle immagini de-· gli oggetti42; tali immagini, che gli si presentino nello stato di veglia o nel sonno, gli appaiono «pure e senza turbamento»43 • Essere impassibile non vuol dire non avere relazioni con gli oggetti né essere senza rappresentazioni (salvo nella preghiera pura e nella contemplazione pura di Dio), ma vuol dire avere ormai con gli oggetti solo relazioni esenti da ogni passione e avere solo ormai delle «rappresentazioni seni_plici e pure»44 , cioè prive di ogni connotazione passionale e che non suscitano più in lui alcun desiderio, alcun affetto, alcun moto carnale. Precisando che >62 , e altrove: «Quando al momento della preghiera tu hai sempre lo spirito senza materia e senza forma, sappi allora che tu hai raggiunto la piena misura dell'impassibilità»63 • Infatti, è nel grado più elevato d'impassibilità che gli stessi pensieri semplici sono assenti dallo spirito nel quale vi è posto solo per la preghiera. Occorre, però, sottolineare che l'impassibilità non è vera a questo livello se non quando i suoi gradi inferiori sono stati raggiunti, e quando questa totale vacuità dei pensieri è permanente (come del resto io.dica san Massimo, nei brani citati in precedenza) e che è permanente, correlativamente, la preghiera pura. Infatti l'eliminazione dei pensieri può facilmente realizzarsi provvisòriamente con una semplice tecnica mentale di concentrazione, lasciando sussistere completamente, soggiacenti e inconsce, le passioni. Ora occorre ricordare che l'impassibilità consiste prima di tutto nello stato di purezza che risulta dal fatto che, per ascesi teantropica, tutte le passioni, moti, desideri e pensieri passionali sono stati totalmente eliminati dall' anima64• Per questo san Simeone il Nuovo Teologo precisa: «Quelli che sono ancora trattenuti da una piccola cupidigia, qualunque essa sia, del mondo e degli affari, sono ancora molto lontani dal raggiungere il fine» 65 • 2) Le considerazioni precedenti non devono tuttavia farci dimenticare che l'impassibilità indica anche lo stato in cui l'uomo è in possesso di tutte le virtù. È così che san Giovanni Climaco scrive: «Le virtù sono l'ornamento dell'impassibilità>>66, e ancora: «L'anima possiede l'impassibilità quando le virtù sono divenute per essa una seconda natura»67 • Altrove egli precisa: «L'impassibilità non raggiunge la sua perfezione se trascuriamo anche una sola virtù, qualunque esCenturie sulla carità, I, 88. Cfr. III, 95. Ibid., rv, 42. 64 L'impassibilità s'identifica al punto tale con la pur=a che alcuni Padri la indicano esclusivamente con quest'ultimo termine. Così, per esempio, san Giovanni Cassiano, che ha l' abitudine di trascrivere i principali termini ascetici greci, non usa apdtheia né il suo corrispondente latino impassibilitas, mapuritas o anche tranquillitas mentis. Ciò si spiega certamente anche per ragioni storiche poiché sappiamo che san Girolamo, nel contesto della controversia pelagiana, ha violentemente attaccato la nozione di apdtheia, il che ha comportato l'esclusione di essa dalla tradizione ascetica latina. Vedi A. e GUJLLAUMONT, Introduzione a EVAGRE LE PoNTIQUE, Traité pratique, 170, Paris 1971, pp. 98-100; 103; 103-110. Il. 6; G. BARDY, «Apatheia>>, in Dictionnaire de spiritualité, I, coli. 727-746. La maggior parte dei Padri usa indifferentemente sia l'uno che l'altro termine (vedi per esempio DrAooco DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 98. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, VII, 1). 65 Trattati etici, IV, 21-24. 66 La Scala, XXIX, 1. 67 Ibid., 8. 62

    63

    se

    684

    c.

    sa sia»68 • Abbiamo visto che la conversione spirituale dell'uomo, con la quale avviene la guarigione, non solo esige che egli si astenga dal male, ma che inoltre faccia il bene. In questo senso, la pratica delle virtù appare come il completamento necessario per la soppressione delle passioni. Ecco perché san Giovanni Climaco vede, nell'impassibilità che consiste nel possesso delle virtù, un'impassibilità superiore a quella che consiste solo nell'astenersi dalle passioni: «C'è chi è impassibile; e c'è chi possiede un'impassibilità ancora più grande. Il primo odia fortemente il male, ma laltro possiede un impenetrabile tesoro di virtù»69 • «Una cosa è l'inerzia delle membra del corpo e delle passioni stesse dell'anima, un'altra cosa è lacquisizione delle virtù», scrive nello stesso senso san Simeone il Nuovo Teologo70 che, in un lungo trattato, mostra con precisione la distanza che separa la perfezione di ogni virtù dalla semplice assenza della passione corrispondente71 • Ma, d'altra parte, nella misura in cui le virtù scacciano le passioni sostituendosi ad esse, si può dire che l'impassibilità, in quanto indica l'assenza di passione e l'insensibilità alle passioni, deriva dalle virtù72 • È così che san Massimo scrive: «Come ricompensa, il duro sforzo della virtù ottiene l'impassibilità.>>73 • È nella misura in cui l'uomo possiede le virtù che non è più portato al male74 , non è più attaccato al mondo, e resta indenne di fronte agli attacchi dei demoni75 • Sono >130 • · L'impassibilità appare, d'altra parte, come ciò che permette all'uomo di accedere alla contemplazione (thearia) e alla conoscenza (gnosis) spirituali: alla contemplazione naturale (thearia physiki) prima di tutto, che è la conoscenza delle ragioni spirituali (l6goi) degli esseri; poi alla conoscenza di Dio (theologia) 131 • L'impassibilità è la condizione sine qua non di questa conoscenza superiore132 • A questo proposito san Massimo scrive: «Il cammino della conoscenza è l'impassibilità [... ]. Senza [di essa] non vedremo mai il Signore»133 • Infatti, per conoscere le realtà spirituali, e a fortiori Dio stesso, l'uomo deve necessariamente essere puro (cfr. Mt 5,8); 12 • Nella misura in cui la pratica dei comandamenti ha come fine il possesso delle virtù, si dice la stessa cosa affermando che la carità costituisce la più grande delle virtù principali (cfr. 1Cor 13,13 ), il vertice di tutte13 e la loro perfezione14, la testa del corpo dell'uomo adulto in Cristo che l'edificio delle virtù costituisce 15 , ma anche il principio, il fondamento16 e la somma di tutte le virtù17 • Con questo si comprende già che la carità appare come >3 9 , e fa notare che, per di più, «gli amici del Cristo perseverano sino alla fine nelloro amore»40 •

    I.: amore del prossimo, se è uno nella sua natura, tuttavia riveste for31

    Ibid., 43.

    Centurie sulla carità, rv, 82. Lettere, 2. 34 Centurie sulla carità, I, 17. 32

    33

    Ibid., 61. Ibid., 71. Ibid., 70. 38 Ibid., II, 10. 39 Ibid., N, 95. 40 Ibid., 98. 35

    ;o 37

    698

    me molteplici e varie41 , e inoltre, come abbiamo detto," «si estende a tutte le manifestazioni della virtù>>42 • Per questo san Paolo scrive: «La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non· cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (lCor 13,4-6). La carità si manifesta in particolare con la benevolenza, la bontà, la dolcezza, la longanimità, la compassione, la beneficenza... Nella misura in cui essa implica che si ami il prossimo come se stessi43, secondo il comandamento del Cristo (cfr. Mt 22,38; Mc 12,31; Le 10,27), le sue manifestazioni possono riassumersi in questi due precetti: non fare al prossimo ciò che non vorremmo fosse fatto a noi; fare al prossimo ciò che si vorrebbe che egli facesse a noi44 • Il primo precetto, in forma negativa, è dato nell'Antico Testamento dal giusto Tobia: «Non fare a nessuno ciò che non piace a te>> (Tb 4,15). San Paolo lo presenta così: «L'amore non procura del male al prossimo: quindi la pienezza della legge è l'amore» (Rm 13,10). Egli lo esprime anche, tra l'altro, e sulla sua scia i Padri, in molte raccomandazioni che mirano non solo all'astensione da ogni azione e da ogni parola pregiudizievole per il prossimo, non foss' altro perché ciò lo rattristerebbe45 , ma anche all'astensione da ogni pensiero o cattiva intenzione nei riguardi del prossimo, da ogni atteggiamento esteriore e/o interiore che implica una relazione con il prossimo che da un punto di vista spirituale sarebbe perversa. È così che la carità esclude per esempio che si invidi il prossimo46 , che lo si disprezzi47 , lo si giudichi sfavorevolmente48, si gioisca delle sventure o delle cadute che gli capitano49 e a fortiori che gli si auguri del malem, ci si rattristi per ciò che gli capita di buono51 ... Qui vediamo anche come la carità presuppon41 GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, X, 6. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Catechesi, I, 60-62. 42

    Ibid.

    4'

    Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia sulla perfetta carità, I. GIOVANNI DI GAZA, Lettere,

    339. 44

    45

    Cfr. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, X, 6. Cfr. DoROTEO DI GAZA, Istruzioni spirituali, III, 44. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sul-

    la carità, I, 41. Cfr. ICor 13,4. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 55. Cfr. GIOVANNI DI GA:ZA, Lettere, 342. Cfr. 1Cor 13,5. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 42; 57. 49 Cfr. 1Cor 13,6. MASSIMO IL CONFESSORE, loc. cit., I, 56. 5°Cfr. MAssIMO IL CONFESSORE, loc. cit. 51 Cfr. ibid., 55.

    . 46

    47

    48

    699

    ga l'impassibilità, poiché essa esclude tutte le passioni, le quali conducono, a un grado o a un altro, sotto una forma o sotto un'altra, colui in cui esse abitano a trattare male o solo a considerare sfavorevolmente il prossimo. Il secondo precetto, in forma positiva, è dato nel Nuovo Testamento dallo stesso Cristo: «Quanto dunque desiderate che gli uomini vi facciano, fatelo anche voi ad essi» (Mt 7,12; Le 6,31). Ciò implica in particolare che ci si senta solidali con tutti gli uomini e che si vada loro in aiuto secondo la raccomandazione dell'Apostolo: «Portate vicendevolmente i vostri pesi, così compirete la legge di Cristo» (Gal 6,2), e che ci si faccia loro servitore (cfr. Gal 5,13-14). Questo aiuto deve rispondere a tutti i bisogni del prossimo: a quelli materiali, per mezzo dell'elemosina in particolare52 , ma anche a quelli spirituali nel condurre il prossimo a Dio se se ne è allontanato53 , contribuendo a curare le sue malattie spirituali54 , ricercando il suo progresso spirituale e la sua salvezza55 , aiuto che si dimostra con la parola56, con il servizio57 , e soprattutto con la preghiera58 • La carità implica anche la compassione, ossia che si gioisca con il prossimo di quanto gli avviene di buono, e ci si affligga con lui per tutti i mali che lo colpiscono59 , prodigandogli consolazione e conforto60 • Notiamo infine che amare il prossimo come se stessi, vuol dire essere attaccati e uniti a lui quanto a se stessi. È caritatevole, potremmo dire con Evagrio, «colui che si ritiene uno con tutti, per l' abitudine di vedere se stesso in ciascuno»61 • Il primo fondamento dell'amore del prossimo è l'imitazione di Dio per quanto possibile all'uomo: > (Cv 15 ,12). E su questo fondamento l'Apostolo consiglia: «Camminate nell'amore sull'esempio del Cristo che vi ha amati>> (E/5,2). - All'amore dello Spirito Santo, dispensatore agli uomini dell'amore divino, dunque fonte del loro amore mutuo e del loro amore per Dio (cfr. Gal 5,22). Il fatto che la carità perfetta consista nell'amare tutti gli uomini allo stesso modo, ha il suo fondamento nel fatto che Dio ama tutti gli uomini senza eccezione e allo stesso modo. Amate i vostri nemici e non solo quelli che vi amano, raccomanda il Cristo, «affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa sorgere p_ suo sole sui cattivi come sui buoni e fa piovere sui giusti come sugli empi» (Mt 5,45); (Le 6,35); 62

    63

    Lettere, 2. Omelia sulla perfetta carità, 1.

    701

    >67 • Egli osserva anche, tra l'altro, che la carità consiste nell'onorare tutti gli uomini, «altrettanto quanto lo esige l'idea della natura che prescrive un onore uguale ed esclude dalla natura ogni ineguaglianza che lo spirito porrebbe nei riguardi del tale o del talaltro, perché essa li include tutti in sé al solo titolo d'identità» 68 • «Colui che [ ... ] possiede la carità perfetta>>, scrive ancora, 109• «La carità è figlia dell'impassibilità»110; >112. San Giovanni Climaco arriva a dire che > e 159. Lettere, I, 1. Omelie (Coli. Il), LVI, 3. 153 Regole brevi, 212. 154 Commento a san li.1.atteo, LIT, 5. 155 Lettere, 2. 156 Regole lunghe, 1. 151

    152

    157

    Nome che sant'Isacco dà spesso alla carità.

    Discorsi ascetici, 1. 159 Centuria, 89. 158

    714

    Questo ritorno dell'uomo ana sua natura originale, normale e sana, nella carità, avviene attraverso l'ascesi teantropica in un processo di conversione, secondo il quale l'uomo distoglie tutta la sua facoltà di desiderio [o concupiscibile] e la sua potenza d'amore dal mondo in cui, il peccato, pervertendola, l'aveva investita per rivolgerla verso Dio, suo fine originale normale, e re-investirla in lui160 • Per questo san Giovanni Climaco parla di «riportare» sul Signore l' am~re camale 161 • San Massimo osserva che >177• La carità è dunque, tutto sommato, il rimedio principale di tutte

    170

    171

    Lettere 2 L'altro fue è, lo vedremo, la conoscenza di Dio.

    Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, IV, 75. Cfr. EVAGRIO PONTICO, Trattato pratico sulla vita monastica, 89. 174 Centurie sulla carità, I, 66. Cfr. Il, 47; 70 (in questi due ultimi capitoli la carità è anche considerata come >, afferma san Massimo 182 • E sant'Isacco il Siro dice: >203 • Occorre notare che, se la carità >, dice ancora l'apostolo san Giovanni (1 Gv 4,16). Ecco perché sant'Isacco scrive: «Quando giungiamo all'amore, siamo giunti a Dio»224 • Se «colui che possiede la carità possiede Dio», 214 Cfr. Apoftegmi, serie alfabetica, Mosè, 18d. !SACCO IL SIRO, Lettere, 4. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia sulla perfetta carità, 2. NICETA STETATOS, Centurie, II, 2. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 36. 215 Cfr. Lettera di Barnaba!, 6. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXX, 16; 17. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 72. MAsSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 34. 216 Cfr. Didaché, I, 2. lsACCO IL SIRO, Lettere, 4. 217 La vita in Cristo, VIl, 108. 218 Cfr. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, 72. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXX, 19. MAssIMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. 219 Cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla perfetta carità, 1. 22°Cfr. MAsSlMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. ELIA EcDICO, Antologia, 2. 221 Cfr. CLEMENTE DI ROMA, Lettera ai Corinzi, 49, 5. ORIGENE, Omelie sul Cantico dei Cantici, PG 13, 101. lRENEo DI LIONE, Contro le eresie, IV, 12, 2. CLEMENTE D'ALESSANDRIA, Stromata, N, 7. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, I, 6; XV, 2. GREGORIO MAGNO, Moralia su Giobbe, XXVIII, 22. DIADOCO DI FoTICEA, Cento capitoli gnostici, 89; 90. lsACCO IL SIRO, Discorsi ascetici, l; 81; 85; Lettere, 4. MAsSIMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. GIOVANNI DAMASCENO, Omelia sulla Trasfigurazione, 10. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. Il), XXVI, 16; XL, 2. 222 Cfr. CLEMENTE DI ROMA, Lettera ai Corinzi, 49, 5. DIONIGI L'AREOPAGITA, Sui Nomi divini, IV, 13, PG 3, 712B (sul potere unitivo della carità, vedi 12, PG 3, 709C; 15, PG 3, 713B). MAssIMO IL CONFESSORE, Lettere, 2. TALASSIO, Centurie, I, 1. 223 Cfr. NICETA STETATOS, Centurie, Il, 2. 224 Discorsi ascetici, 72.

    721

    come dice san Massimo, è perché, secondo la parola di san Giovanni, «Dio è amore» (lGv 4,8.16) 225 • Poiché Dio è amore, colui che ama si rende simile a Dio226 , e ciò tanto più quanto più è perfetta la sua carità. Amando Dio, «diveniamo in certo senso ciò che egli è», afferma san Gregorio di Nissa227 • San Massimo scrive più arditamente: «La carità è dunque un grande bene, il primo dei beni, il bene supremo, essa tende a far sembrare un uomo come il creatore degli uomini per l'esatta somiglianza nel bene con Dio, per quanto possibile a un uomo»228 • In altre parole, la carità deifica l'uomo, e questa più di ogni altra virtù, poiché «Dio è amore>>. San Massimo scrive: 5 ' ed è indispensabile aggiungervi la contemplazione, la quale, lo vedremo, guarisce la parte razionale dell'anima (logistik6n) liberandola dall'oblio e dall'ignoranza6• 1 Assimiliamo qui la theoria alla gnosis; esse hanno infatti acquisito nell'ambito della spiritualità cristiana significati quasi equivalenti (vedi a questo proposito]. LE.\1A1TRE [pseudonimo di I. Hausherr], «Contemplation chez les orientaux chrétiens», in Dictionnaire de spiritualité, t. I, 1953, coll. 1762s). Poiché vi sono, come vedremo, molti gradi di conoscenza/contemplazione, saremo condotti in seguito, per comodità, a distinguerli usando termini diversi, mentre i Padri lo fanno ognuno a modo suo, essendo gli schemi a questo riguardo molteplici, pur corrispondendo l'uno all'altro. 2 Omelie (Coli. II), LIII, 4. ' Capitoli gnostici, I, 50; 87. 4 Trattato pratico sulla vita monastica, 79. 5 Ibid., 78. 6 CTr. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, Il, 5.

    «La praxis e la contemplazione non esistono l'una senza laltra>/. La contemplazione è indispensabile alla praxis come la praxis alla contemplazione, sottolinea lo scoliaste delle Questioni a Talassio, spiegando l'insegnamento di san Massimo a questo proposito: «Colui che ha mostrato la conoscenza incarnata per mezzo della praxis e la prdxis vivificata dalla conoscenza, ha trovato il modo esatto della vera teurgia. Ma colui che porta in sé solo una delle due separata dall'altra, o fa della conoscenza un'immaginazione inconsistente o della praxis un simulacro. Infatti la conoscenza priva della praxis non diHerisce in nulla dall'immaginazione: essa non ha in sé questa prdxis che la fonda. E la prdxis priva della ragione non è altro che un simulacro: essa non ha la conoscenza che vivifica>>8 • «Il mistero della nostra salvezza, afferma san Massimo, mostra che la praxis è una contemplazione attiva, e che la contemplazione è una pràxis iniziata>>9 • Se la conoscenza/contemplazione è il fine della prdxis nonché il suo compimento, la praxis appare come la condizione della conoscenza/contemplazione10. È questa che permette di accedervi. San Gregorio Nazianzeno consiglia: «Vuoi divenire un giorno teologo e degno della divinità? Osserva i comandamenti, progredisci per mezzo del1' osservanza dei precetti, perché la praxis è il mezzo per avvicinarsi alla contemplazione» 11 • «Coluh:he cerca il Signore attraverso la contemplazione senza la prdxis non lo troverà>>, afferma san Massimo, perché «non ha cercato il Signore con il timore del Signore», «cioè per mezzo della pratica dei comandamenti»12 • È solo «attraverso la praxis e i santi combattimenti» dell'ascesi, che si può «raggiungere la conoscenza» spirituale, insegna san Simeone il Nuovo Teologo 13 • Ciò non significa che la prdxis divenga inefficiente con il sopraggiungere della conoscenza/contemplazione: essa ne è la condizione permanente; è essa che le permette di mantenersi e che è il pegno del suo valore. Le opere della praxis sono i frutti che rivelano quanto vale lalbero, osserva Clemente d'Alessandria14 • E san Massimo arriva persino a dire che la conoscenza «non serve a nulla>> se non è tesa verso l'energia dei Frammenti su Luca, 72. Questioni a Talassio, 63, Scolio 32, PG 90, 689D-692A (=Scolio 9, CCSG 22, p. 183). 9 Questioni a Talassio, 63, PG 90, 681A. 10 CTr. ORIGINE, Omelie su Luca, 1. NICEFORO IL SOLITARIO, Sulla vigilanza e la custodia del cuore, PG 147, 948A. 11 Discorsi ascetici, XX, 12. 12 Questioni a Talassio, 48, PG 90, 440A. 13 Capitoli teologici, gnostici e pratici, Il, 10. 14 Cfr. CLEMENTE D'ALEsSANDRIA, Stromata, m, 5. 7

    8

    724

    0RIGENE,

    coma..ridamenri.>> 15 • San Marco l'Eremita scrive: «Là conoscenza non è ancora sicura se non si concretizza nelle opere proprie, anche se essa è reale, perché la praxis è l'affermazione di ogni cosa»16 • San Giovanni Carpazio osserva, nella stessa prospettiva, che «la conoscenza più vera è la praxiS>> ed egli consiglia: «Sforzatevi dunque di dare significato con le opere alla fede e alla conoscenza. Infatti colui che, dedicatosi solo alla conoscenza, è stato accecato, si sentirà dire: "Essi professano bensì di conoscere Dio, ma con le loro opere lo negano" (Tt 1,16)»17 • Il fatto che la conoscenza/contemplazione sia fondata sulla praxis riguarda il carattere specifico della conoscenza spirituale, che non ha nulla in comune con alcuna conoscenza mondana di qualunque natura essa sia, fosse anche quella delle «sapienze» (cfr. 1Cor 1,19-25). Questa opposizione tra la conoscenza spirituale e la conoscenza secondo questo mondo è sottolineata da san Paolo (cfr. 1Cor 1,19-25; 2,4-13; 8,2), e dai Padri 18, che mettono in guardia contro il rischio di scambiare per conoscenza/contemplazione spirituale ciò che non lo è, e che essi chiamano spesso «conoscenza semplice» (l6gos phil6s) 19 • Questi ultimi fanno spesso notare che molti, compresi i credenti, i teologi, e i più avanzati nella vita spirituale, s'illudono nel credere di possedere una tale conoscenza mentre non ne hanno in verità che una pseudoconoscenza (pseudonjmos gn8sis, gnòsis pseudès, pseudognosia) 20 , una conoscenza immaginaria21 , e non sono che degli 22. Allo stesso modo molti credono di avere raggiunto la vera contemplazione, mentre contemplano solo alla maniera dei demoni23 e la loro contemplazione ha per oggetto solo i fantasmi che essi stessi hanno suscitatc24 e i concetti che la loro ragione ha prodotto. La conoscenza spirituale è ali' opposto delle investigazioni dell'intelligenCenturie sulla teologia e sull'economia, I, 22. Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 12. 17 Capitoli sulla vigilanza, 17. 18 Cfr. lsACCG IL SIRO, Discorsi ascetici, l; 19. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati teologici, I, 27 ls. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, VI, 2. 19 Cfr. CLEMENTE D'.Al.EssANDRIA, Stromata, IIl, 5. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 31, PG 90, 372A. MARCO L'EREMITA, Su coloro che pensano di essere giustificati per le loro opere, 7; 11. 2°Cfr. lTm 6,20. EVAGRIO PONTICO, Ai monaci, 43. ISACCO IL SIRO, Lettere, 4. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati teologici, I, 271s; Trattati etici, l, 184-185; IX, 105-106. GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 1, 2; 12. 21 Cfr. ISACCO IL SIRO, Lettere, 4. 22 EVAGRIO PONTICO, Lettere, 62. 23 Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, VI, 2. 24 Cfr. lsACCO IL SIRO, Lettere, 4. 15

    16

    725

    za, che cerca di soddisfare la propria curiosità25 • Essa non è il frutto · dello studio né di una qualsiasi ricerca; essa non procede dalla speculazione intellettuale. Essa non è il frutto della riflessione. Non è nemmeno una conoscenza concettuale e teorica. San Simeone il Nuovo Teologo, per esempio, denuncia la «stupidità>> e l' «accecamento» cli coloro che «suppongono in modo insensato» che essa «sia identica al1' elaborazione di concetti prodotti dal loro pensiero»26 • Lungi dall'identificarsi con una qnalsiasi forma di conoscenza mondana, la conoscenza ~pirituale implica che vi si rinunci, che si escluda ogni sapienza di questo monda27 • Sant'Isacco il Siro così scrive a questo riguardo: «Credi tu veramente che colui che ha la conoscenza del mondo possa ricevere una tale conoscenza spirituale? Non solo gli è impossibile ricevere in tale condizione la conoscenza spirituale, ma non può nemmeno sentirla[ ... ]. Non è possibile che essa sia data a coloro che si sforzano di acquistarla solo per mezzo dello studio. Se alcuni tra loro vogliono avvicinarsi a questa conoscenza dello Spirito, non possono farlo neanche per poco, fintanto che non hanno rinunciato allo studio, ai raggiri sottili della sua ricerca, alle complessità del suo metodo, e non conservano un cuore di bambino. I: abitudine e i pensieri che lo studio genera sono un grande impedimento, fintanto che non sono stati cancellati .a poco a poco. Infatti la conoscenza spirituale è semplice [. .. ].Fintanto che l'intelligenza non è stata liberata dai numerosi pensieri, fintanto _che non ha raggiunto la semplicità della purezza, essa non può percepire la conoscenza spirituale»28 • Si comprende, così, perché una tale conoscenza non suppone alcuna particolare qualificazione intellettuale né è riservata solo a qualche iniziato29 : per accedervi > (Questioni a Talassio, 51, PG 90, 481C); poiché la conoscenza che l'uomo ne ha è correlativamente qualificata come , il termine gnasis indica allora la conoscenza di Dio. 46

    47

    729

    con sant'Isacco il Siro, si può definire la contemplazione naturale come 64 • Si vede, allora, tutto quello che separa la percezione della realtà che possiede colui che è adatto alla conoscenza/contemplazione naturale da quella che ha l'uomo decaduto. Fintanto che l'uomo rimane sottomesso alle passioni, resta schiavo della realtà sensibile, la sola che costituisce l'oggetto della sua percezione. Esaminando le passioni, abbiamo mostrato come, sotto l'influsso di queste, l'uomo non solo non considera altro che l'aspetto superficiale e visibile delle cose65 e percepisce il mondo come una realtà chiusa in se stessa, non rinviando a null'altro che a se stessa, ma ne ha per di più e in conseguenza una conoscenza totalmente falsata, una conoscenza che abbiamo persino potuto a più riprese definire delirante. Fintanto che l'uomo non è liberato dalle passioni, percepisce e conosce gli esseri in funzione delle passioni che sono in lui; egli entra in relazione con essi secondo un modo, determinato da queste passioni, che ne fa esclusivamente per le stesse passioni oggetti di godimento. Ricordando questa affermazione di san Gregorio Nazianzeno che > 69, 64

    Mistagogia, 2.

    Cfr. MAsSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 49, PG 90, 452AB. 10, PG 91, 1112AB. 67 MASSIMO IL CONFESSORE, Questioni a Talassio, 49, PG 90, 452B. 65

    66 Ambigua, 68

    Ibid.

    69

    Ambigua, 10, PG 91, 1193D.

    731

    cioè quanto alle passioni. I.:uomo, allora, non percepisce più gli esseri, relativamente al piacere che, secondo le sue passioni, egli può trarne o al dolore che, secondo queste stesse passioni, egli può subirne, ma «concepisce di tutte le cose pensieri puri>>7°. Egli non le coglie più nel loro aspetto esteriore, sensibile e superficiale71 , ma le percepisce nella realtà e nel significato profondi, che esse hanno in rapporto a Dio. «Liberato da ogni errore»72 , accede alla conoscenza vera di tutti gli esseri, la quale gli rivela un mondo nuovo, molto diverso da quello, fantasmatico, suscitato dalle sue passioni. «Lo spirito che si è spogliato delle passioni e vede ie intellezioni degli esseri non riceve veramente i simulacri che (arrivano) attraverso i sensi; ma è come se un altro mondo fosse creato dalla sua conoscenza>>, osserva Evagria73 • «Colui che ricerca impassibilmente trova nella contemplazione naturale la verità che è al centro degli esseri», scrive lo scoliaste delle Questioni a Talassia74; e anche san Massimo afferma che egli conosce 75 e 7 6 • Evagrio definisce questa tappa in maniera simile come >; «contemplerà allora il Modello per la propria bellezza come in uno specchio e un'immagine>>101 • Al94

    Commento a san Matteo, XXV, 4.

    95

    Cfr.

    SIMEONE IL

    Nuovo TEOLOGO, Trattati teologici, I, 250s; Trattati etici, IX, 443s. N1-

    CETA STETATOS, Centurie, Il, 35; 38, 39. 96 ANTONIO L'EREMITA, Lettere, I, 4.

    Ibid., IV, 7. Ibid., I, l; 4. Ibid., VII. 100 Omelie sull'Hexaemeron, IX, 6. 101 Sull'anima e la risurrezione. 97

    98 99

    734

    trove, egli spiega: «L'uomo interiore, il cuore, [...] una volta liberato della ruggine che sporcava la sua bellezza, ritroverà l'immagine originale. Così l'uomo, guardandosi, vedrà in sé Colui che egli cerca. Ed ecco la gioia suprema che riempie il suo cuore purificato: guarda la propria purezza e scopre nell'immagine il Modello. Quando si guarda il sole in uno specchio, anche senza alzare gli occhi verso il cielo, si vede il sole nello splendore dello specchio, ugualmente bene come se si guardasse lo stesso disco solare. Non potrete contemplare la luce in se stessa. Ma se ritrovate la grazia dell'immagine deposta in voi fin dall'inizio, avrete in voi l'oggetto dei vostri desideri>> 102 •

    In conclusione, la conoscenza/contemplazione naturale permette all'uomo di recuperare la conoscenza vera della totalità del mondo creato. Attraverso di essa, l'uomo è guarito da «questa malattia che è l'ignoranza della causa degli esseri»103 ; egli è liberato in ciò che loriguarda dalla conoscenza falsata, ossia delirante, che il peccato e le passioni avevano generato in lui. In questa vera conoscenza egli ritrova la salute, essendo la conoscenza vera >, osserva Evagrio 155 • San Gregorio Palamas così spiega a questo riguardo: «Poiché ogni uomo possiede i sensi e una intelligenza (nous) come facoltà naturali di conoscenza, come queste facoltà possono permetterci di conoscere Dio che non è né sensibile né intelligibile? Per nessuna altra via, certamente, se non quella degli esseri sensibili e intelligibili: queste facoltà costituiscono, in realtà, dei mezzi per conoscere gli esseri; esse sono limitate dagli esseri e manifestano il divino a partire da questi esseri. Ma coloro che possiedono non solo le facoltà di sensazione e d'intellezione, ma che hanno anche ottenuto la grazia spirituale e soprannaturale, non saranno limitati dagli esseri nella loro conoscenza, ma conosceranno anche spiritualmente, al di sopra dei sensi e dell'intelligenza, che Dio è Spirito, perché essi divengono totalmente Dio e conoscono Dio in Dio»156 • L'anima vede, dunque, Dio con un occhio diverso da quello che gli pennette di conoscerlo e di contemplarlo negli esseri creati157 • A questo grado superiore della conoscenza/contemplazione, in realtà, osserva san Simeone il Nuovo Teologo, 161 • È solo per un dono di Dio che l'uomo, essete creato, può essere reso capace di conoscere l'increato, spiega nello stesso senso san Simeone il Nuovo Teologo: «Se paragoniamo gli esseri prodotti al produttore, coloro che hanno cominciato ad esistere a colui che è da sempre, il creato all'increato, ali' essere senza inizio coloro che hanno ricevuto l'esistenza nel tempo, come questi potrebbero percepire in qualche modo la natura, la grandezza e il modo della sua nascita? Mai, se ciò non avviene pre: cisamente nel modo in cui l'Autore degli esseri creati [vuole rivelarsi]: come egli stesso accorda a ciascuno il soffio della vita, lo spirito (nous) e la ragione, così egli accorda anche per amore degli uomini, per quanto sia opportuno, il dono di conoscerlo. Altrimenti, come potrai dire che l'essere creato da Dio conosce il suo creatore? Al di là di ciò, non c'è mezzo per giungervi, e nessuno assolutamente ne è capace»162 • Quando l'uomo conosce Dio, è dunque lo Spirito che conosce in lui, e non le sue facoltà di conoscenza, non il proprio spirito. Occorre altresì ammettere, tuttavia, che le sue facoltà partecipano in certo . modo a questa conoscenza, perché, altrimenti, non si potrebbe dire 159 160 161 162

    742

    Triadi, I, 3, 18. Questioni a Talassio, 63, Scolio 17, PG 90, 689A (=Scolio 4, CCSG 22, p. 181). Questioni a Talassio, 22. Trattati teologici, I, 179-189.

    che l'uomo conosce, ed egli sarebbe in un certo senso escluso dalla conoscenza che avverrebbe per mezzo di Dio indipendentemente da lui. San Massimo, fa notare che, da una parte, 170 . Questa conoscenza/contemplazione che trascende ogni modo di conoscenza umana, che supera le capacità di 174• Se i termini «conoscenza>> o «intellezione» continuano ad esserle applicati, ciò non può essere che «per metafora>> e «per omonimia>> 175 • È preferibile il termine > (le due realtà sono spesso ricordate simultaneamente, per esempio da DIONIGI L'AREOPAGITA, Teologia mistica, I, 1). Per mezzo di questa Tenebra, Dio protegge l'uomo dall'abbagliamento prodotto dalla Luce (cfr. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Trattati etici, I, 12, 129-133. GREGORIO PALAMAS, Omelie, 34). È lui che «stabilisce queste tenebre che coprono non il suo essere, ma la nostra persona>> (SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, !oc. cit.). 1"'Ibid., 255-257. m Catechesi, XXVIII, 109-116. 188 GREGORIO. P ALAMAS, Capitoli fisici, teologici, etici e pratici, 69; 93. 189 Triadi, III, 2, 14. 190 Ibid., I, 3, 3. 184

    185

    745

    Questa luce non è né sensibile 191 né intellettuale 192 ; è una luce increata di natura spirituale193 ; correlativamente, essa non è «né una sensazione né una intellezione, ma una potenza spirituale, distinta, nella sua trascendenza, da tutte le facoltà cognitive create»194 • Quando l'uomo conosce per mezzo di questa luce, non conosce né secondo il modo di una sensazione né secondo il modo di una intellezione; pertanto, lo abbiamo detto, tutte le sue facoltà partecipano di questa conoscenza: egli conosce innanzitutto e soprattutto con la sua intelligenza (nous), ma anche con la sua anima e con il suo corpo 195 , i suoi stessi occhi percepiscono questa Luce. Ciò può avvenire perché le sue facoltà, a questo punto, sono trasformate dalla grazia, da questa Luce, per la potenza dello Spirito Santo, in modo da essere capaci di percepire questa Luce e vedere per suo mezzo secondo un modo che supera la loro propria natura. «Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo», dice il Signore (Ez 36,26). I santi, scrive san Gregorio Palamas, sono >200 • . Ecco perché questa Luce della grazia riempie l'uomo completamente, fa sì che l'uomo «sia tutto come una luce»201 , che l'uomo tutto intero conosca per mezzo di essa. «Allora, o miracolo, è Dio che guard[a] non solo attraverso l'anima che è in noi, ma anche attraverso il nostro corpo. Ecco perché noi [vediamo] allora distintamente, per mezzo dei nostri stessi organi fisici, la luce divina e inaccessibile»,. afferma san Gregorio Palamas202 . È :;i.nche per questa luce che l'uomo viene completamente divinizzato. Infatti, è per questa luce che egli è perfettamente unito a Dio, che viene comunicata a lui la grazia deificante. Per questo motivo san Gregorio Palamas preferisce parlare, come fa san Dionigi l' Areopagita20>, di unione piuttosto che di conoscenza204. L'uomo, in realtà, è assimilato a ciò che egli vede e a ciò attraverso cui egli vede205 . «Colui che partecipa dell'energia divina diviene egli stesso in qualche modo luce>>, scrive san Gregorio Palamas2°6; divenendo interamente luce, l'uomo è reso simile a ciò che egli vede, egli vi si unisce senza mescolanze2°7 • , osserva ancora lo stesso santc2°8 , che, seguendo san Massimo, aggiunge: «Dio e i santi hanno una sola e medesima energia>>209 • Anche san Simeone il Nuovo Teologo ricorda questa unione deific:;i.nte

    Vedremo ulteriormente in quale senso occorre capire quest'ultima espressione. Omelie (Coli. II), XLIV; 6. 201 GREGORIO PALAMAS, Omelie, 53. 202 Triadi, I, 3, 37. 203 Cfr. Sui Nomi divini, VII, 1, PG 3, 865C; IV, 11, 708D. 204 Triadi, I, 3, 20. 205 Cfr. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 3, 36. 199

    200

    Omelia sulla presentazione della Vergine al tempio. ID., ControAkindinos, IV, 16. 208 Tomo agioritico, PG 150, 1229D. 209 MAsSIMO IL CONFESSORE, Opuscoli teologici e polemici, 1, PG 91, 12B; 33A; Ambigua, 7 1 PG 91, 1076BC. GREGORIO PALAMAS, Lettera a Cabra. Cfr. Omelie, 35; Triadi, ID, 1, 33. Sulla concezione massimiana, vedi il nostro studio: La divinisation de l'homme selon saint Maxime le Confesseur, Paris 1996, pp. 553s. 206

    zin

    747

    dell'uomo nella sua totalità a Dio nella sua pienezza: «0 meraviglia! L'uomo è unito a Dio sia spiritualmente che corporalmente, poiché l'anima non si separa dallo spirito (nous), né il corpo dall'anima, ma nell'unità di essenza, anche l'uomo diviene triplice ipostasi, per grazia, e un solo dio per posizione (thésis), con la sua anima, il suo corpo, e lo Spirito divino del quale egli partecipa. È allora che si realizza ciò che ha detto il profeta Davide: "Io dissi: siete dèi, tutti figli del!'Altissimo" (Sa! 82[81],6)»210 • Occorre sottolineare, tuttavia, che questa unione non è confusione. L'uomo è, in realtà, unito a Dio nelle sue energie e non nella sua essenza. Ciò che è comune tra l'uomo e Dio, è la grazia, non la natura divina211 . «I santi, precisa san Gregorio Palamas, vedono e ricevono per partecipazione il Regno, la gloria, lo splendore, la luce ineffabile e la grazia divina, ma non l'essenza di Dio»212 . In questa unione l'uomo diviene Dio per grazia; egli è, secondo l'espressione dell'apostolo san Pietro, reso «partecipe della natura divina» (2Pt 1,4) secondo l'energia, e non secondo I'essenza213 ; egli non s'identifica con Dio. Parlando dell'anima unita a Dio, san Macario insiste sulla differenza assoluta che vige tra le due nature: «Egli è Dio, essa non è Dio; egli è Signore, essa è serva; egli è il creatore, essa la creatura; egli è l'artigiano, essa l'opera. Non vi è nulla di comune tra la sua natura e quella dell'anima.>>214. L'uomo, pertanto, è pienamente unito a Dio e realmente deificato, perché se Dio interamente non si manifesta ed è impartecipabile nella sua Essenza, nello stesso tempo egli si manifesta interamente ed è interamente partecipato nelle sue energie215 : «Dio è presente interamente in ciascuna delle energie divine»216 , «ciascuna potenza e ciascuna energia è Dio stesso»217 . «Dio, pur rimanendo interamente in sé, abita interamente in noi per la sua potenza superessenziale e ci comunica non la sua natura, ma la sua gloria e il suo splendore», scrive ·san Gregorio Palamas218 • San Massimo traduce bene il fatto che, nella deificazione, pur restando pienamente uomo, questi nella sua totaCatechesi, X'V, 72-79. Cfr. GREGORIO PALAMAS, Omelie, 35. 212 Ibid. 213 Cfr. ibid. 214 Omelie (Coli. Il), XLIX, 4. 215 GREGORIO PALAMAS, Della partecipazione di Dio. 216 ID., Triadi, ill, 2, 7. 217 ID., Lettera a Cabra. 218 Triadi, I, 3, 23. 210 211

    748

    lità diviene pienamente dio: «Pur rimanendo interamente uomo per sua natura, nella sua anima e nel suo corpo, egli diviene interamente dio nella sua anima e nel suo corpo, per la grazia e lo splendore divino della gloria beatificante che gli si addice interamente>>2 19 • Occorre notare, inoltre, il carattere personale dcll'unione con Dio: essa è la realtà di una persona umana che si unisce non a una deità i.11personale o soprapersonale, ma a un Dio personale e vivente220 • San Simeone il Nuovo Teologo lo sottolinea, pur affermando il carattere trascendente del modo in cui Dio appare all'uomo: «Allora, non è più come prima senza forma e senza figura che viene il Senza-forma e il Senza-figura, né è nel silenzio che egli realizza in noi la presenza e l' avvenimento della sua luce. Come .allora? Sotto una certa forma, forma di Dio tuttavia - benché non sia in un disegno o in un'impronta, ma prendendo forma in una luce incomprensibile, inaccessibile e senza forma, che Dio, essendo semplice, si mostra, perché noi non possiamo dire nulla o esprimere di più, ma in ogni caso egli si mostra allo scoperto -, egli si fa riconoscere in modo del tutto cosciente e si fa vedere in piena luce, lui, l'invisibile, invisibilmente parla e ascolta e, a faccia a faccia, come un amico con un amico, eglj, Dio per natura, s'intrattiene con gli dèi nati per grazia da lui»221 • Dire che l'uomo è unito. allora al Dio personale vuol dire che egli è unito al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Ogni energia divina, in quanto procede dall' essenza che è comune alle tre Persone divine, manifesta la Trinità. Secondo la teologia ortodossa, l'essenza divina non è né precedente né superiore alle ipostasi e non può essere considerata indipendentemente da esse. La luce increata è >246 • Che la purezza sia la"principale condizione per ricevere da Dio l'illuminazione della visione di Dio viene affermato dallo stesso Cristo: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). I Padri lo 240

    GREGORIO PALAMAS, Triadi, I, 3, 17.

    Centurie sulla carità, II, 26. Triadi, III, 3, 12. Cfr. GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, XLV, 3. 243 Sul fine da perseguire secondo Dio. 244 Ibid. 245 C&. SWEONE u. Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici, gnostici e pratici, II, 10; III, 22. MACARIO D'EGITTO, Omelie (Coli. II), XVII, 4. . 246 Omelie (Coli. II), IX, 7. 241

    242

    752

    ricordano quasi tutte le volte che evocano la conoscenza di Dio247. «Questa illuminazione [ .. .] è inaccessibile al cuore dei fedeli stessi, a meno che essi non siano stati purificati», afferma san Gregorio Palamas248. > (lGv 2,3-4). E il salmista, rivolgendosi a Dio, esclama: (ibid., 104). I Padri, da parte loro, insistono particolarmente su questa relazione. San Macario il Grande osserva che, se noi non conosciamo Dio, in altri termini se non sperimentiamo I'energia della grazia, è solo per le nostre mancanze, perché «Egli dice di manifestarsi a coloro che [ ... ] osservano i suoi comandamenti» (cfr. Gv 14,21) 262 • Sant'Isacco il Siro così scrive a tale 259 260

    Ibid., I, 3, 21. Ibid.; ill, 3, 12.

    Cfr. EVAGRIO PONTICO, Capitoli gnostici, V, 75; VI, 83. ISACCO IL SIRO, Lettere, 4. GIOVANNI CLIMACO, La Scala, XXVIl, 27. MAsSTh10 IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, I, 85-86; ill, 70. NICETA STETATOS, Centurie, I, 89; Il, 91. GREGORIO PALAMAS, Triadi, II, 3, 11. 262 Omelie (Coli. II), Lill, 4. Cfr. LN, 5; 8. 261

    754

    proposito: «Con l'osservanza dei comandamenti è dato allo spirito la grazia della contemplazione mistica e della rivelazione della conoscenza dello Spirito»263 ; «se tu desideri contemplare i misteri, metti in pratica in te i comandamenti.>>264 • È questo il motivo conduttore dell'insegnamento di san Simeone il Nuovo Teologo: il Signore, egli osserva, benedice «coloro che, per la pratica precedente dei comandamenti, hanno meritato di vedere e hanno contemplato in sé la luce rischiarante e scintillante dello Spirito»265 ; 267 ; «non si può arrivare a contemplarlo altrimenti che per l'esatta osservanza dei suoi comandamenti, occorre cioè che la loro pratica non sia intaccata da alcuna alterazione operata dalla negligenza o dal disprezzo; ma portata a termine con cura fervente. Di conseguenza, "tutti coloro che si atterranno a questa regola non saranno lontani dal regno dei cieli" (cfr. Mc 12,34); in proporzione del loro fervore e della loro pratica [. .. ], presto o tardi, più o meno, avranno il salario della visione di Dio e diventeranno partecipi della sua natura divina; saranno manifestamente dèi per adozione e figli di Dio in Gesù Cristo»268; >. Discorsi ascetici, 18. Vedi tra gli altri: Inni, "XV, 257-261; Capitoli teologici, gnostici e pratici, IIl, 22; Trattati teologici, I, 250s; 27 ls; Trattati etici, IX, 462s. 276 Trattati teologici, I, 304-308. m Cfr. Eb 12,14. GREGORIO NAZIANZENO, Discorsi, "XVI, 2. 278 Trattato pratico sulla vita monastica, 90. Cfr. Capitoli gnostici, V, 66. 279 Discorsi ascetici, 44. 280 Capitoli teologici, gnostici e pratici, 101. 281 Catechesi, xx:rv, 54-55. 274

    275

    756

    Ed egli offre questa immagine: la conoscenza di Dio è il tetto dell' edificio spirituale, il quale non può poggiare che sulle mura delle virtù282 • San Gregorio Palamas da parte sua spiega: 284 • «La vera umiltà genera la conoscenza>>, scrive sant'Isacco il Siro285 • «La conoscenza di Dio significa che è conosciuto da Dio colui che si edifica in essa attraverso l'umiltà>>, spiega san Niceta Stetato286 • Infatti, è solo se si è svuotato di sé che l'uomo può essere riempito dello Spirito Santo che gli permette di conoscere Dio; è solo se egli si è annullato davanti a Dio che può ricevere la suà energia che lo unisce a lui. «Colui che non possiede queste disposizioni non può unirsi allo Spirito Santo e, se non è unito a lui dopo la purificazione, non può inoltre raggiungere la conoscenza e la contemplazione di Dio», insegna san Simeone il Nuovo Teologa287 • Questi, d'altronde, mostra che l'uomo progredisce nella conoscenza in proporzione al suo progresso nell'umiltà, tanto che la più alta conoscenza e la più alta umiltà finiscono per coincidere, ragion per cui l'uomo, «quando è giunto alla misura della pienezza della conoscenza del Cristo ed ha assimilato il Cristo stesso e per davvero l'intelligenza del Cristo, [. ..] ha la convinzione di non sapere e di non possedere assolutamente nulla e si ritiene un servo vile e inutile>> e ritiene anche «che non vi è nel mondo un uomo più peccatore di lui»288 • Il ruolo della carità è ancora più importante. Sintesi e vertice di tutte le virtù, è veramente dalla sua perfezione che deriva la conoscenza, perché è attraverso di essa che si compie l'unione con Dio nella quale l'uomo riceve da Lui questa conoscenza. Tale legame tra la carità, frutto della pratica dei comandamenti, e la conoscenza, è indicata chiaramente dallo stesso Cristo: «Chi ha i miei comandamenti e

    Trattati etici, IX, 453s. Omelie, 34. 284 Catechesi, XX, 117; Inni, V, 24. 285 Discorsi ascetici, 16. 286 Centurie, ill, 80. m Capitoli teologici, gnostici e pratici, ill, 23. Cfr. ibid., 22 e 84. 288 Cfr. Trattati etici, IX, 462-497. 282

    2"'

    li osserva, è lui che mi ama. Colui che mi ama sarà amato dal Padre mio ed io lo amerò e manifesterò a lui me stesso» (Gv 14,21). Anche l'apostolo san Giovanni afferma: «Chi ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio» (lGv 4,7-8). Lo stesso san Paolo osserva che > (1Cor 13,8). Occorre sottolineare che, al contrario, la conoscenza genera la carità, o più esattamente l'accresce, e che, da quest'altro punto di vista, la carità appare come il fine della conoscenza. Secondo il primo punto di vista, la conoscenza sembra superiore alla carità; in base al secondo, è la carità che sembra superiore alla conoscenza. È per questo che l'Apostolo afferma: «Se anche [. .. ] conosco tutti i misteri e tutta la scienza, [. ..] ma non ho la carità, non sono niente» (1 Cor 13,2). Sant'Isacco ritiene la conoscenza di Dio come la condizione del1' amore di Dio quando scrive: «Se tu non conosci Dio, non è possibile che viva in te il suo amore. E non puoi amare Dio se tu non lo ve®>295. San Simeone sottolinea ugualmente che «non si può acquistare e conservare il perfetto amore di Dio se non in proporzione alla conoscenza spirituale»296 • Altrove afferma: 299. A sua volta, san Massimo così scrive: >, nota: > quando ci si astiene da ogni pensiero, >359 • San Massimo sottolinea nello stesso senso: «La grazia della preghiera unisce lo spirito a Dio, e, per questo, lo sottrae a ogni altro pensiero. Lo spirito, intrattenendosi allora con Dio, nella sua nudità, diviene deiforme»360 • Sant'Isacco il Siro nota più ptecisamente: «Quando l'anima è condotta dall'energia dello Spirito verso le cose divine, i sensi e le loro energie ci sono inutili, così come ci sono inutili le potenze dell'anima spirituale quando, per mezzo dell'unione i:rÌcomprensibile, questa si fa simile alla Divinità e viene a trovarsi illuminata nei suoi movimenti dal raggio della luce più alta»361 • Quanto a sant'Esichio di Batos, egli sottolinea il ruolo della vigilanza in questo accesso dell'uomo, nella preghiera, all'esperienza della visione della luce divina362 : «La custodia dello spirito sia chiamata con i suoi nomi propri che le dànno tutto il suo senso: fonte di luce, fonte di bagliori, effusione luminosa, portatrice di fuoco [.. .].Per queste luci :fiammeggianti che nascono da esse, occorre [. ..] chiamare con nomi preziosi questa virtù [. .. ]. Coloro che l'amano possono [. ..] contemplare i misteri e divenire teologi. Divenuti contemplativi, essi nuotano in questa luce purissima e infinita, la toccano con ineffabili sfioramenti, rimangono e vivono con essa, perché alla fine essi hanno assaporato quanto è buono il Signore»363 • San Filoteo il Sinaita sottolinea ugualmente il potere della vigilanza e dell'attenzione congiunte alla preghiera: «Se queste vanno di pari passo nel corso dei giorni, l' attenzione e la preghiera sono simili al carro di fuoco di Elia: esse elevano nell'alto del cielo colui che trasportano [. .. ]. Se questi, con cuore felice, porta o si sforza di portare a buon fine la vigilanza, [. .. ] nell' ordine della contemplazione e dell'elevazione misti,che, il suo cuore diviene lo spazio di Dio che nulla può contenere»364 • Triadi, Il, 3 , 11. Discorso ascetico, 24. 361 Discorsi ascetici, 32. 359

    360

    %2

    Su questo argomento, vedi anche FILOTEO IL SINAITA, Quaranta capitoli neptici, 24; 27.

    Capitoli sulla vigilanza, 171. Cfr. 166. ,.. Ibid., 27. 363

    767

    Occorre, tuttavia, ricordare che se l'uomo può avere l'esperienza della conoscenza/visione di Dio solo alle condizioni ricordate in precedenza, e in particolare quella della perfetta vigilanza e attenzione, questa esperienza non ne è l'effetto automatico e come determinato da una tecnica, ma resta un dono gratuito di Dio a colui che ha fatto gli sforzi necessari per esserne degno. Ecco perché sant'Esichio di Batos precisa: «Quando lo spirito è completamente spoglio di tutti i pensieri e delle forme che questi impongono, allora la beata luce della Divinità lo illuminerà, se però, grazie al vuoto di tutti i pensieri, questo splendore si rivela improvvisamente all'intelligenza pura>>3 65 • Insegnando altrove che , egli precisa: «0 piuttosto è Nostro Signore Gesù Cristo, senza il quale non possiamo fare nulla, che ti darà queste cose>>3 66 • I Padri fanno inoltre notare che il momento in cui la grazia della visione di Dio è concessa all'uomo è totalmente imprevedibile, sottolineando con ciò anche la sua gratuità. San Gregorio il Sinaita riferisce queste parole di sant'Isacco il Siro: «Le cose divine vengono da sole, tu ne ignori I'ora>>367 • . Quanto abbiamo detto in precedenza sullo spogliamento dei pensieri attraverso la vigilanza e l'attenzione, non deve farci dimenticare che la funzione delle sue attitudini è correlativamente quella di consentire all'uomo di concentrare tutta la sua potenza riflessiva nell'unico pensiero della preghiera, e di realizzare una preghiera pura da ogni pensiero estraneo a Dio368 ; è in questo senso che la preghiera pura è chiamata dai Padri anche «preghiera senza distrazione {aperispdstos)»369. Sant'Isacco il Siro scrive: «La preghiera è pura, o non è pura. Ecco come possiamo riconoscerla. Se nel tempo in cui lo spirito [prega] [...] si mescola ad esso un pensiero estraneo o una distrazione, si ·dice che la preghiera allora non è pura>>370 • E, alla domanda perché è proprio nel te:tp.po della preghiera che è data all'uomo la grazia

    Ibid., 89. Ibid., 117. 367 Sull'esichia e i due modi della preghiera, 10. 368 Cfr. BASILIO DI CESAREA, Regole lunghe, 5. GIOVANNI CASSIANO, Conferenze, XXIV, 6. SIMEONE IL Nuovo TEOLOGO, Capitoli teologici; gnostici e pratici, IIl, 32. 369 CTr. MAssIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla carità, II, 1; 5. 370 Discorsi ascetici, 32. 365

    366

    768

    della conoscenza/visione di Dio, egli risponde: «Perché in questo, più che in ogni altro momento, l'uomo è preparato e condotto a volgere verso Dio tutta la sua attenzione, desiderando e ricevendo ia sua pietà [... ].Nel tempo della preghiera, lo spirito contemplativo è attento solo a Dio, tende verso di lui con tutti i suoi movimenti, e non cessa di rivolgergli con fervore e calore le suppliche del cuore. È, dunque, in questo tempo in cui l'anima si applica all'unico necessario che dovrà sgorgare la benevolenza divina»371 . Ecco perché i Padri raccomandano costantemente di essere attenti alla preghiera372 , perché la preghiera pura deriva anche dall' attenzione373 . Qui l'attenzione assume la forma di una perfetta attenzione a Dio, e la vigilanza consiste nel vegliare per essere sempre completamente presenti a lui374 . Attenzione e vigilanza perseguono come fine il perfetto raccoglimento dello spirito375 e, più ancora, la concentrazione di tutte le facoltà dell'uomo in Dio nella preghiera. Abbiamo visto, infatti, che uno degli effetti che cerca di ottenere il >402 • Potremmo aggiungere che il corpo stesso, nella misura in cui partecipa a questa conoscenza, vi trova la salute spirituale.· È così che san Gregorio Palamas scrive in senso generale: > (cfr. Gal 6,15), condurre una vita nuova, compiere il suo qestino che è alla fine quello di glorificare Dio degnamente e con la pienezza dei mezzi che il Creatore gli ha dato, e vivere pienamente in Dio essendo lui stesso deificato dalla grazia. L'espressione stessa di salute in termini di guarigione presa in prestito dai medici del corpo e della psiche può anche sembrare che comporti certe insufficienze. Come ogni espressione simbolica, essa comporta una parte di adeguamento al suo oggetto, ma anche una parte di inadeguatezza, dovuta, nel nostro caso, al cara~tere specifico del1'ambito spirituale al quale essa si applica. Benché abbiamo insistito sul carattere sistematico, finanche a volte tecnico dell'ascetica ortodossa, e sull'importanza fondamentale dello sforzo umano, speriamo di avere sufficientemente lasciato intravedere ciò che distingue questa terapia spirituale dalle terapie semplicemente umane. Ricordiamo qui solo che si tratta in verità di una terapia divino-umana, nella quale lo sforzo umano, in qualunque modo esso sia definito nel suo orientamento e nelle sue forme, costituisce un elemento necessario ma non sufficiente della sinergia attraverso cui essa si compie. Lo sforzo umano, che agisce indipendentemente dalla grazia, potrebbe giungere ad alcuni risultati, ma questi resterebbero necessariamente limitati.

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    Essi sarebbero soprattutto spiritualmente vani, perché il fine ultimo dell'ascesi, ripetiamolo, è permettere all'uomo di partecipare pienamente alla vita delle tre Persone divine. Ciò che costituisce il valore della terapia cristiana e del suo fine è il fatto che essa ha come norma della salute e della perfezione l'umanità compiuta così come ce l'ha mostrata nella sua Persona il Verbo di Dio incarnato, Gesù Cristo. Ciò che costituisce la sua forza è che essa si fonda totalmente sulla grazia della salute e della deificazione acquistata all'umanità, secondo la benevolenza del Padre, dall'Incarnazione e da tutta l'opera salvifica del Fìglio, grazia che ciascuno può, essendo unito a lui nella Chiesa che è il suo corpo, ricevere dallo Spirito Santo, se solamente vuole, con tutto il suo essere, volgersi a Dio.

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