Teoria e analisi del film americano contemporaneo 8882482200, 9788882482206

Questa opera di analisi e di confronto pone sul tavolo anatomico dell'entomologo cinematografico, più che del criti

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Teoria e analisi del film americano contemporaneo
 8882482200, 9788882482206

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TEORIA E ANALISI DELT4LMAMERICANO CONTEMPORANEO Thomas Elsaesser & Warren Buckland

Cose il cinema? Cose un film? Con poco più di cento anni di vita, il cinema ha acquisito un valore collettivo e una notorietà tali da offuscar­ ne la comprensione stessa. Non è soltanto un mezzo d’intrattenimento eccezionale, una straordinaria macchina per raccontare storie, ma è anche in grado di comunicare una specie di presenza e immediatezza al mondo che è unica nel suo genere e mai nemmeno vagheggiata prima che il cinema fosse ‘inventato’.

Partendo da questa convinzione, i due autóri operano una ricognizio­ ne vigile e serrata su ciò che è stata è e probabilmente sarà il cinema americano Contemporaneo, da loro: individuato in opere (Chinatown, Ritorno al futuro, Die Hard, Il qumtaelemenìp, Il paziente inglese,Strade perdute, Jurassic Park) che si situano dalla prima metà degli anni Settanta alla seconda metà degli anni Novanta. Essere, nell’ottica appassionata e appassionante di Elsaesser e Buckland, coincide con significare. Alla luce di tale sfumatura, questa monumentale opera di analisi e di confronto pone sui tavolo anatomico dellentomologo cinematografico, più che del critico, una sèrie di film differenti per natura (narrativa e produttiva),j target e finalità che, magicamente, si dispiegano davanti agli occhi del lettore trovando una loro verità, si presume indipendente dalle volontà originarie dei loro autóri, e diventando ‘altro’, ovvero il riflesso artistico e industriale, in una parola mediatico, di un’intera società e di un intero mondo, il nostro, così pieno di immagini ma così vuoto di significati.

Thomas Elsaesser è Professore Emerito di Film and Television Studies presso l’Università di Amsterdam, e dal 2005 Visiting Professor all’università di Yale. Autore di numerosi testi in lingua inglese e tedesca, ha appena pubblicato, per la Piccola Biblioteca Einaudi, il volume Teoria del film. Un’introduzione.

Warren Buckland è docente di Film Studies presso la Oxford Brookes University. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni in lingua inglese. Attualmente sta lavorando a un libro sull’analisi narratologica del film L’impero della mente di David Lynch.

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Bietti Heterotopia 1

TEORIA E ANALISI DEL FILM AMERICANO CONTEMPORANEO Thomas Elsaesser & Warren Buckland

Titolo originale: Studying Contemporary American Film Prima edizione: Hodder Education, Hachettc Livre UK, 2002 © 2002 Thomas Elsaesser and Warren Buckland

Collana a cura di Roberto Donati Traduzione di Daniela Pedrazzani Hanno collaborato alla curatela del volume: Marco Grosoli c Luca Salvador

Design e AD: Panaro Design Srl © 2010 Edizioni Bietli - Società della Critica Srl, Milano ISBN: 978-88-8248-220-6

Indice

Nota del curatore 7 Introduzione ailed i zio ne italiana $ Premessa •1 1. Teorie cinematografiche, metodi, analisi 16 2. 1^ narrazione dassica/post classica (Die Hard - Trappola di cristallo) 4^ 3. Critica della mise-en-scène e analisi statistica dello stile (// paziente inglese) 102 4. Dalla critica tematica all’analisi decostruzionista (Chinatown) 143 5. S/Z, il film ‘leggibile’, e la logica del videogioco (// quinto elemento) 174 6. Teorie cognitive della narrazione (Strade perdute) 198 7. 11 realismo nelle immagini fotografiche e digitali (Jurassic Park e li mondo perduto) 227 8. Trame edipiche e componenti post-edipiche (Ritorno al futuro) 254 9. Il femminismo, Foucault e Deleuze (Il silenzio degli innocenti) 287 Conclusione 235 Bibliografia 336 Indice analitico 346

Nota del curatore

Avventurarsi nel lanciare una nuova collana di saggi dedicati al cinema oggi nel 2010 è una scommessa che può far sorridere alcuni e muovere a compassione altri. Difficilmente entusiasmerà, insomma. Le notizie che giungono da più parti sono le solite, e scoraggianti: l’editoria è in crisi, la sciatteria è un male editoriale comune, l’offerta mensile è elevatissima di contro a una domanda troppo esigua. Tutto verosimile, non si dice di no. La nostra scommessa - mia, come curatore, e di Bietti, come casa edi­ trice dalla lunga storia (nasce nel 1870) custodita con cura e rinnovata con passione da giovani di talento - va dunque in controtendenza; del resto anche il catalogo di narrativa è anomalo e, per questo, vivo e affascinante. La proposta editoriale è semplice: s’intende offrire qualcosa che manca in termini di studi freschi e ragionati su e attorno il cinema, attingendo ora all’ampio scenario delle pubblicazioni estere ignorate e inedite ora a tutto quel sottobosco accademico, in verità sorprendentemente ricco e fertile, che sono le produzioni dei tanti saggisti giovani e militanti. L’intenzione, in ogni caso, è quella di dar corpo, ovvero segno tangibile, a voci nuove c interes­ santi e potenti, che secondo noi, molto semplicemente, meritano di essere ascoltate. È la potenza quanto mai ordinaria, e però straordinaria insieme, del sasso gettato nello stagno che produce rivoli. Un discorso che non prenda la solita piega nazional-popolare del revival o della esaustiva, ma tutto sommato piatta o sterile monografia (agiogra­ fia?), ma che piuttosto insista nello sviscerare film, autori, generi, tendenze attraverso moduli trasversali e linee di originalità; ma soprattutto, forse, un discorso che, legandosi al cinema come veicolo di sogni, intende offrire una

qualità editoriale che, a nostro modo di vedere, dovrà necessariamente stu­ pire. Qualità esteriore c interiore, il che significa indagine di mercato, studio dei deficit e analisi delle esigenze, selezione accurata, cura maniacale del prodotto. Poche opere ma di vaglia, il risultato concreto. Potrà apparire scontato, invece non lo è. È da questa semplice premessa, in fondo, che nasce questo primo titanico sforzo editoriale, la prima traduzione italiana di Studying Contemporary American Film di 'Ihomas Elsaesser c Warren Buckland, pubblicato originariamente da Hodder & Stoughton Limited, un’analisi di cinema contemporaneo americano che è fra le più acute e se­ minali lette negli ultimi dieci anni almeno. Prendendo come campione una zona del tutto circoscritta, c per alcuni opinabile, del cinema mondiale contemporaneo, i due autori erigono un discorso - si direbbe davvero monumentale - legato certamente alla teoria accademica e alla semiotica di ciò che significa analizzare un film ma, come giustamente riporta Roy Menarmi nella sua introduzione, non si dimenti­ cano mai di parlare a un pubblico potenzialmente composto non solo da specialisti e non trascurano affatto la dimensione del ‘piacere dell'analisi’ Comunicare educando, verrebbe da riassumere in formula.

A noi piace leggere tanto, a noi piace pubblicare quanto. Roberto Donati

Introduzione all’edizione italiana di Roy Menarini

È un destino curioso, ma tutto sommato comprensibile, quello dell’analisi del film. Strettamente legata alle semiotiche tradizionali, sembrava dovesse nel tempo subire lo stesso appannamento della disciplina primaria, almeno di quella applicata al cinema, e perdersi quindi in mille rivoli, molti dei quali battezzati dal prefìsso 'post'. E invece in questi ultimi anni si sono moltiplicati i testi sull’analisi del film e sono proliferati persino i tentativi di inven­ tare nuove forme analitiche, tra cui stanno emergendo quelle stilometriche e multimediali. Che cosa significa? Che l’analisi del film, o del testo per immagini in movimento, continua a suscitare non solo forme di rispetto e attenzione ma anche sensazioni di utilità e necessità. In questa fase indubbiamente post­ teorica e piena di contraddizioni, l’analisi del film sembra quindi la disciplina più porosa e maggiormente in grado di adattarsi ai diversi contesti in cui la si utilizza. Analizzare, di per sé, non passa di moda, anche quando sono ormai numerose le metodologie e le griglie con cui lo si fa. Partendo da queste premesse, e con grande acume accademico, i due autori ('Ihomas Elsaesser e Warren Buckland) di questo libro ora in edizione italiana, hanno compiuto un gesto al tempo stesso semplice e inedito: offrire un panorama delle diverse tendenze d'analisi (compiendo, contemporaneamente, quasi una storia delle idee sul testo fìlmico) e immediatamente metterle in pratica su singoli film americani contemporanei. Dunque, il volume ottiene due scopi. Farci capire, con una sorta di bino­ colo rovesciato, le molte strade dell’analisi. E spiegarci qualcosa di più del ci­ nema americano degli anni Ottanta e Novanta. Ma cé anche un terzo aspetto,

cd è quello del ‘piacere dell’analisi*, ovvero poter leggere come studiosi di questo calibro (e, nel caso di Elsaesser, ampiamente conosciuti per opere di ricerca influenti e di largo respiro) si esercitano di fronte a determinati film. Nel volume, naturalmente, è interessante anche leggere in filigrana come vengono ‘restituite’ le teorie dell'analisi del film. In generale, piace di quest’opera un certo pragmatismo, non solo frutto dell’originaria natura di­ dattica del libro (ormai internazionalmente assurto a opera di studio con tutta la dignità del caso). I problemi vengono posti attraverso il linguaggio che li ha definiti nel corso del tempo, ma il linguaggio dell’analisi a sua volta viene storicizzato, il tutto con estrema precisione. Insomma, ci si trova di fronte al testo di autori molto seri c molto preparati intorno alla propria disciplina, il che significa poi soprattutto intenderla come tale e come tale esercitarla. A ben vedere, non tutte le otto categorie di analisi di seguito elencate - se si esclude il capitolo introduttivo - mostrano coerenza dal punto di vista formale. A volte un contesto di analisi viene spiegato da un concetto storiografico (in originale: classical/post-dassical narrative); altre volte da una griglia istituzionalizzata della teoria (thematic criticism/deconstructive analysis); altre ancora dai nomi degli studiosi che hanno provocato l’insor­ gere di flussi analitici (Foucault, Deleuze, Barthes, etc.). Ma proprio qui sta l’interesse del metodo. In pratica, Elsaesser c Buckland camminano su un terreno che è già stato definito dagli standard operativi dell’analisi del film; per cui possono permettersi di utilizzare categorie plasmate dall'analisi stessa e rimetterle a prova. Inoltre, per arricchire ulteriormente la complessità del volume, in ogni capitolo può facilmente capitare di vedere ricollegata la nuova teoria con quella delle pagine precedenti e dar vita a confronti comparati tra metodolo­ gie d’analisi. Si giunge poi a parlare anche delle ultime branche dell’analisi del film: dai problemi che la logica del videogame e il linguaggio digitale pon­ gono a chi opera sui testi cinematografici fino ad arrivare ai ‘neo-lacaniani’ e a Slavoj Zizek. Detto questo, non vorremmo dimenticarci che al centro dell’analisi ci sono appunto i film. E alcuni dei film scelti dai due autori per le loro applica­ zioni, ne escono arricchiti, irrobustiti, chiarificati, a volte suscitando stupore per come sembrano accogliere e stimolare un certo tipo di interpretazione (Trappola di cristallo o 11 silenzio degli innocenti, per esempio); altre volte pro­ ducendo effetti di senso più bizzarri e meno frequentemente evocati (Ritorno al futuro o II quinto elemento). In questo senso, dunque, Teoria e analisi del film americano contempo­ raneo ci invita alla ‘lettura’, in tutti i sensi cui il termine allude, e ci ricorda in quale modo ogni disciplina dovrebbe essere studiata e trasmessa se vuole ottenere il giusto rispetto nel novero delle scienze umane.

Premessa

Chuck Klcinhans racconta un aneddoto: in un paradiso tropicale abitato da una comunità che non ha mai trattato le scienze biologiche, vivono mi­ gliaia di specie di uccelli la cui osservazione è uno dei passatempi preferiti dagli abitanti del luogo, che con passione vi si dedicano in forma orale e scritta. Poi, un bel giorno, arrivano alcuni individui appartenenti a un’altra comunità. Spiegano

che anch’essi desiderano osservare gli uccelli c trattare (’argomento in forma orale e scritta* ma in modo diverso. I nuovi venuti sembrano altret­

tanto interessati a raccogliere informazioni sugli uccelli e ad apprezzarne

la bellezza. Passano giorni e giorni a studiare lo stesso esemplare» a discu­ terne i meccanismi del volo» le migrazioni» c le tecniche di costruzione

dei nidi che» anno dopo anno» rimangono invariate. Gli abitanti del luogo si fanno inizialmente gioco degli stranieri. La situazione sfugge però di

mano allorché i visitatori iniziano a sezionare e classificare i volatiti» con

la pretesa di conoscerli molto meglio degli abitanti del luogo» il che non è più da considerarsi come un semplice atteggiamento stravagante» visto che i visitatori hanno preso a trattare l’argomento utilizzando un lessico

del tutto nuovo. È davvero troppo!

(Kleinhans 1976)

Laneddoto è senz'altro applicabile allo studio accademico dei film. I film studies di stampo accademico hanno dato vita a un linguaggio analitico specialistico che riguarda soprattutto i film americani (e hollywoodiani in

particolare). Questo linguaggio specialistico è però solo la punta dell'ice­ berg: rappresenta un modo nuovo di vedere e pensare - quello delf'esperto’ - similmente alle scienze biologiche della storia narrata sopra, inesperto va al di là della visione di un film, che è immediata c dettata dal senso co­ mune (fruizione del film come intrattenimento o apprezzamento), e pone una serie di interrogativi che il senso comune non considera. Gli studiosi cinematografici sono esperti che nutrono una grande passione per le teorie 'insolite', e pongono ‘strane’ e ‘oscure’ domande sui film. Da dove vengono queste domande? Perché sono importanti? Che cosa è necessario sapere per formularle e potervi rispondere? Teoria e analisi del film americano contemporaneo si propone di ripercor­ rere le domande poste dagli studiosi di cinema, andare al di là del loro carat­ tere ostico, chiarirne il senso e il proposito e spiegare in modo esauriente il motivo per il quale tali domande sono importanti. Questo proposito verrà inoltre portato avanti in una maniera inedita: in ogni capitolo le premesse di una specifica teoria cinematografica verranno delineate nel modo più chiaro e conciso possibile, per poi ricavarne un metodo e procedere all'analisi di un determinato film. Nello stesso capitolo si analizza il medesimo film, utiliz­ zando un metodo derivato da un’altra teoria. Ogni capitolo è strutturato e scritto esattamente allo stesso modo, allo scopo di rendere la comprensione delle teorie e dei metodi d'analisi meno oscura e maggiormente accessibile per facilitare il confronto. Si intende dimostrare che le teorie cinematografi­ che e le loro metodologie hanno uno scopo, o possono risultare utili allorché se ne chiarisce esplicitamente l’intenzione. Il valore di ogni teoria e metodo emerge dai risultati raggiunti tramite l’analisi di ciascun film. È possibile che un lettore attento voglia stabilire se tali risultati siano raggiungibili senza ricorrere alle teorie e ai metodi delineati in ciascun capitolo. Si potrebbe forse ampliare l’aneddoto di Chuck Kleinhans e immaginare che alcuni degli abitanti del luogo che per tutta la vita si sono dedicati con passione all’osservazione degli uccelli, si siano interessati alle discussioni e agli scritti degli esperti. Ciò non significa che essi debbano accettarne le teorie, ma dimostra la loro volontà di impegnarsi a vedere e considerare le cose come gli esperti, applicando, modificando e sviluppando le loro idee. Il filosofo americano W.V.O. Quine suggerisce l’esempio ipotetico di un an­ tropologo che studia la lingua di una cultura a lui sconosciuta. L’antropo­ logo indica un coniglio; un abitante del luogo pronuncia la parola ‘gavagai’ e l'antropologo annota ‘gavagai = coniglio'. Tuttavia, all'ora del pasto, l’antro­ pologo scopre che ‘gavagai’ significa ‘cena’. Il patrimonio di conoscenze di uno specialista non è necessariamente superiore a quello di un autoctono, la cui percezione delle cose poggia sul senso comune. Entrambi pongono interrogativi diversi - nell'esempio citato da Quine, l'antropologo compila un dizionario, mentre l'indigeno pensa al suo prossimo pasto.

Nei film studies, lo studioso di cinema rivolge allo spettatore ’autoctono’ domande diverse dalle sue. Se però uno spettatore vuole considerare un film da angolazioni diverse, è pur sempre ai film studies che si deve rivolgere. Eppure, molti studenti rifiutano la teoria del cinema e i suoi metodi, soprat­ tutto perché, crediamo, non vengono introdotti con la necessaria gradualità al modo di pensare dello studioso; agli studenti si illustrano solo i risultati di quel modo di pensare. Questo libro non è fatto solo dei risultati raggiunti analizzando alcuni film contemporanei: abbiamo anche tentato di rendere accessibile la dinamica delle nostre riflessioni, mettendo a nudo le proce­ dure sulle quali riposa la nostra analisi, con lauspicio che si possano imitare, modificare e ampliare. Non intendiamo giustificarci per il fatto di aver illu­ strato una teoria cinematografica come una forma di conoscenza speciali­ stica; non possiamo e non vogliamo sottrarci da questa idea fondamentale. Ma vogliamo davvero rendere comprensibili quelle nozioni specialistiche. Solo dopo averle assimilate è possibile per gli studenti provare ad andare al di là di esse. Nietzsche sosteneva che un ateo doveva diventare sacerdote prima di attaccare la religione. Lo stesso dicasi per tutte le opinioni di questo mondo, incluse le teorie cinematografiche e i loro metodi di analisi. Dopo aver elaborato il contenuto e la struttura di ciascun capitolo, gli autori hanno suddiviso il libro in questo modo: Ihomas Elsaesser ha scritto i Capitoli 2, 8, 9, e la Conclusione. Warren Buckland ha scritto i Capitoli 3, 5,6,7 e la Prefazione. Entrambi gli autori hanno collaborato alla stesura del primo Capitolo, Warren Buckland si è occupato della prima metà del quarto Capitolo, mentre Ihomas Elsaesser ha scritto la seconda metà. Entrambi gli autori hanno commentato e rivisto l'uno i capitoli dell’altro.

Ringraziamenti Thomas Elsaesser ringrazia: desidero ringraziare Warren per la tenacia e la determinazione dimostrata nel realizzare questo libro e per la pazienza profusa nel gestire la logistica di due autori impegnati a lavorare allo stesso progetto in luoghi fisicamente separati. Desidero inoltre ringraziare l’inter­ vento dei miei colleghi dell’università di Amsterdam per i commenti ap­ portati ai capitoli: Gerwin van der Poi e Patricia Pislers per i Capitoli 2 e 9, Charles Forceville per le sue acute osservazioni relative al Capitolo 4 e Wim Staat per i generosi e costruttivi commenti apportati al Capitolo 8. Durante il semestre di primavera 2001, molti dei mici studenti frequentanti la New York University hanno assistito da vicino al procedimento di revisione, più di quanto avrebbero forse desideralo. Ho anche molto apprezzato Tumorisino e l'entusiasmo di Ed Branigan. Infine, questo libro è dedicato ai film hollywoodiani visti insieme a Warren, Michael Wedel e Peter Kràmer al

Tuschinski c al Bellevue.

Wamen Buckland ringrazia: questo libro nasce dalle frequenti sollecita­ zioni ricevute da Thomas a insegnare all’università di Amsterdam ncllambito del corso specialistico di studi cinematografici. I miei ringraziamenti vanno a Thomas per i suoi numerosi inviti e ai molti studenti che hanno assistito alla mia riformulazione di alcune teorie e tecniche cinematogra­ fiche. Il mio interesse per le teorie cinematografiche e metodi d’analisi risale alla metà degli anni ottanta. Fu al Derby College of Higher Education (ora Università di Derby), dove studiavo fotografia, che iniziai a considerare i film in maniera del tutto nuova. A Derby John Fullerton mi fece scoprire Bazin, Ejzenstejn e Metz, Quarto potere e Apocalypse Now e il cinema svedese delle origini (erano molti i film prodotti agli albori del cinema svedese). Nel 1999, John, che ora insegna all’università di Stoccolma, mi invitò a tenere un seminario di tre giorni sulla metodologia nell’analisi cinematografica. Il lavoro di preparazione in vista del seminario mi permise di dar forma e per­ fezionare molti dei capitoli contenuti in questo libro. E fu durante quel se­ minario che iniziai a provare nostalgia per quel periodo felice della mia vita quando, alla metà degli anni *80, John dedicava gran parte del suo tempo libero e delle sue energie alla mia iniziazione agli studi cinematografici. Mi auguro che i capitoli contenuti in questo libro dimostrino di essere valsi tutti i suoi sforzi. Altri amici e colleghi, tra cui Sean Cubiti, Peter Kràmer, Lydia Papadi­ mitriou, Jay Stone e Yannis Tzioumakis, ma soprattutto Alison McMahan, che in diverse occasioni mi ha evitato errori di stesura e di argomentazione, hanno letto o presenziato alla lettura di alcune bozze dei miei capitoli. Geof­ frey King ha contribuito con il suo bagaglio di conoscenze musicali all’intro­ duzione al capitolo II quinto elemento, mentre lo sceneggiatore John Lcary si è generosamente prestato a reperire videocassette, DVD e copioni. Ho presentato diversi capitoli in occasione di alcune conferenze: la se­ conda parte del Capitolo 3 (riguardante l’analisi statistica dello stile) è stata illustrata durante la conferenza ‘Style and Meaning: Textual Analysis, Inter­ pretation, Mise-en-scène' presso l'Università di Reading, 17-19 marzo 2000; la seconda parte del Capitolo 5 (logica del video game ne // quinto elemento) durante la conferenza ‘Consumption: Fantasy, Success, Desire’, Liverpool John Moores University, 21 -2 novembre 1998 (pubblicato in Moving Images, ed. J. Fullerton e A. Soderbergh (Londra: John Libbey, 2000): 159 -164); la seconda parte del Capitolo 6 (livelli di narrazione in Strade perdute) du­ rante la conferenza "Wild at Heart and Weird on Top: The Films of David Lynch’, Università di Sheffield, 13 febbraio 1999. Infine, ho presentato una versione della seconda parte del Capitolo 7 (mondi possibili in Jurassic Park

e II mondo perduto) alla Screen Studies Annual Conference tenutasi presso l’Università di Glasgow, giugno 1997 e in forma rivista, durante la confe­ renza ‘Technologies of Moving Images’ Università di Stoccolma, 6-9 dicem­ bre 1998. Il testo è stato successivamente pubblicato in Screen, 40,2 (1999): 177-92). Desidero ringraziare John Libbey editore e la Oxford University Press per il permesso accordatomi di ripubblicare il materiale.

Teorie cinematografiche metodi, analisi

Introduzione Cosé il cinema e che cost un film? Con solo centanni di vita, il cinema, nelle sue diverse manifestazioni, ha acquisito un valore collettivo e una notorietà globale tali da offuscare la comprensione di un fenomeno tanto singolare. Non è soltanto un mezzo di intrattenimento eccezionale, una straordinaria macchina narrativa; il cinema è anche in grado di comuni­ care una specie di presenza e di immediatezza al mondo che è unica e mai nemmeno vagheggiata prima che il cinema fosse ‘inventato’. Nessun’altra forma di comunicazione artistica sembra riuscire a trasmettere emozioni tanto intense; non et nulla che riesca a creare un coinvolgimento così di­ retto e tangibile nel mondo ‘là fuori’ e nelle vite degli altri. L’associazione di immagine, movimento e suono è naturalmente qualcosa di misterioso per l’effetto che riesce a produrre negli esseri umani, un effetto quasi magico e spesso descritto come una copia della vita stessa, una forma d'immortalità, uno specchio permanente ed eternamente affascinante. Allo stesso tempo, rappresenta anche un pericolo per la vita, minacciando di sostituirsi a essa, offrendosi come diversivo e distrazione, come mondo virtuale, come eterna fantasia sotto il peso della quale la realtà - o, in ogni caso, un'altra realtà sembra scomparire, corrompersi o dissolversi: il cinema, un mondo artifi­ ciale a metà strada tra l’assoluta verosimiglianza e la totale falsità. La familiarità e l’immediatezza del cinema creano problemi a chiunque voglia studiare la cinematografia. Christian Metz ha scritto che ‘un film è difficile da spiegare perché è semplice da capire’. Noi tutti abbiamo la ca­

pacità di intuire cosa sia un film e cosa questo significhi. Clic costi va allora approfondito negli studi sul cinema? E perché? Se andiamo al di là di queste domande fondamentali, dobbiamo confrontarci con un altro interrogativo: come si studia un film? Ci occuperemo di ciascuna domanda una alla volta. Un breve riassunto è presentato alla fine del capitolo.

1.1

Che cosa studiano gli esperti di cinema?

Come in qualsiasi forma investigativa, gli esperti di cinema devono sce­ gliere un 'oggetto d'indagine’ (il campo nel quale condurre la loro analisi)» per poi selezionare gli aspetti problematici di quel l'oggetto e risolverli. Il film proiettato al cinema o visto alta televisione altro non è che il prodotto finale di processi economici, tecnologici, sociologici, fisici e semiotici, il film non pone problemi di sorta solo se si ignorano tulli quei processi e ci si pone di fronte a esso come semplici fruitori. Gli studiosi di cinema sono fruitori critici poiché rìllettono anche sui processi che hanno portato alla realizzazione di quel film. Si individuano tre arce generali di indagine nei Jibrt stacfcs: la storia del cinema, le teorie cinematografiche e l'analisi del film. Il problema della vecchia storiografìa cinematografica, o di quella tradizionale, è che è stata scritta in maniera informale da storici dilettanti. La loro storiografia poggia su due presupposti fondamentali: uno teleologico, che concentra l’attenzione' dello storico solo su quei film che presentano qualche innovazione tecno­ logica, e uno essenziali st a, secondo cui i risultati tecnici raggiunti sono da ritenere importanti perché sfruttano l’essenza del cinema o le sue potenzia­ lità intrinseche. La storiografia cinematografica tradizionale comprende una serie di film catalogati in maniera lineare che spaziano dal cinema primitivo, di limitato valore tecnico o scarsamente innovativo (che non sembra avere a che fare con l'essenza del cinema), ai film più complessi (più 'cinemato­ grafici’). Questo tipo di storiografia olire di solito una visione d’insieme ge­ nerica, basata sulla memoria selettiva dello scrittore o su fonti secondarie approssimative che elaborano un genere di storiografia cinematografica im­ precisa. Nata negli anni 70, quando gli studi cinematografici fecero il loro ingresso negli atenei come materia d’insegnamento, la ‘Nuova Storiografia Cinematografica' ha sviluppato delle aree di ricerca più specifiche c circo­ scritte che utilizzano melodi rigorosi, sistematici ed espliciti, compresa la citazione estensiva di fonti primarie d'archivio, che hanno portato a rivedere e riscrivere le storiografie cinematografiche tradizionali. Le teorie cinematografiche non si occupano dello studio dei film come entità pre-stabilite e indiscutibili, ma come un mezzo complesso e scarsa­

mente indagato, con le sue caratteristiche e i suoi effetti culturali e sociali. 1 teorici cinematografici mettono in discussione e superano la comprensione ideologica di un film come forma d’intrattenimento innocua, ritenendo che sia un mezzo intrinsecamente significativo nonché parte integrante della società moderna e post-moderna del ventesimo secolo. Il problema legato all’analisi di un film è di rendere gestibile il proce­ dimento. Gli analisti studiano i film come oggetti astratti, idealizzati e al di fuori del loro contesto di produzione e fruizione. Benché possa essere percepito come un limite (è il caso per esempio di chi si occupa di studi della ricezione), questo processo di astrazione e idealizzazione di fatto costituisce la prima e necessaria tappa verso l'analisi. Rendere gestibile l’analisi di un film significa tracciare anzitutto i confini dell’oggetto analizzato. /\ tal fine l’esperto cinematografico dovrà considerare irrilevanti alcuni aspetti del film che verranno analizzati solo in una fase successiva. Questo spiega il passag­ gio dallo strutturalismo al post-strutturalismo; l’evoluzione aH’interno della teoria psicanalitica del cinema dallo studio dei meccanismi inconsci (come il voyeurismo e il feticismo), che determinano un rapporto di fruizione sta­ tica, alle teorie del fantasma, che considerano il rapporto dello spettatore con il film come un procedimento dinamico ed eterogeneo; il passaggio dall’analisi del film agli studi di ricezione, che vertono sui contenuti e i di­ battiti che si sviluppano intorno a esso; e, nella teoria cognitiva, il passaggio dallo studio delle attività raziocinanti dello spettatore a quelle emotive. L’analisi cinematografica ha sempre privilegiato la narrazione. Uno dei problemi posti dalla narrazione è di comprenderne la centralità all’interno del cinema, il che a sua volta potrebbe voler dire comprenderne la centralità nella nostra cultura e, in senso lato, nei sistemi rappresentativi occidentali. È in questo contesto che emerge un altro elemento da analizzare: il cinema americano cosiddetto ‘Nuovo’, ‘post-classico’ o ‘contemporaneo’ (soprattutto quello hollywoodiano). Due delle numerose problematiche da indagare ri­ guardano il ruolo della narrativa nel cinema americano contemporaneo e il rapporto fra questo e il cinema americano classico. Queste problematiche ci obbligano a esaminare il cinema americano come sistema formale e come dibattito ideologico, al fine di individuare il motivo che sta alla base del carattere spiccatamente narrativo del cinema americano classico, e stabi­ lire se il cinema contemporaneo sia post-narrativo o se la distinzione fra classico e contemporanco obbedisca ad altri criteri (il che presuppone che il cinema contemporaneo porti avanti la tradizione narrativa del cinema classico). Entrambe le problematiche vengono affrontate nel corso del libro c dettagliatamente esaminate nel Capitolo 2. Come si rapporta la teoria ai metodi e alla loro applicazione nel processo d’analisi? E’ opinione diffusa che la teoria funzioni come punto di riferi­ mento per il metodo, come schema concettuale che consente agli esperti

di cinema di analizzare e formulare problemi (per esempio: il cinema hol­ lywoodiano post-classico è governato dalla logica narrativa?) e di orientare lo studioso nella sua ricerca, indicandogli il modo migliore di analizzare un film. Nel suo libro Making Meaning, in un passaggio ormai celebre, David Bordwell mette in discussione il legame che secondo molti esperti cinemato­ grafici lega la teoria cinematografica, il metodo e l'analisi. Bordwell sostiene che l’analisi non è direttamente influenzata dalla teoria cinematografica e che sfrutta delle capacità cognitive e deduttive generiche, le stesse che ser­ vono per realizzare una coperta o dei mobili (Bordwell 1989). In questo libro ci proponiamo di sostenere lòpinionc comunemente diffusa secondo la quale esiste un legame stabilito tra la teoria, il metodo e l'analisi, vale a dire che la teoria gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del metodo e nel processo d’analisi di un film.

1.2

Perché si studiano i film?

La domanda andrebbe riformulata: perché si studiano i film americani classici e contemporanei? In primo luogo, è necessario capire il ruolo della narrativa nel cinema contemporaneo, perché è probabile che ci troviamo di fronte a una svolta, a una trasformazione del modo in cui si rappresenta e a un mutamento della logica di ciò che è visibile e che viene associato al cinema narrativo. Secondariamente, e con tutta probabilità, il cinema non sarebbe oggetto di studio se non vi fossero i film americani classici c contemporanci. Il cinema hollywoodiano è l’arte americana per eccellenza, cosi come la tragedia è l’arte dei greci, le piramidi sono associate alla civiltà egizia e le grandi cattedrali al Sacro Romano Impero. Da questo punto di vista, il ventunesimo secolo è stato il secolo americano e il cinema ame­ ricano - i suoi generi cinematografici, gli attori e i plot - ha continuato a sedurre un pubblico internazionale, rappresentando un successo storico tale da generare una vera e propria forma culturale. Il predominio del cinema americano ha anche soffocato ed emarginato molte altre espressioni cine­ matografiche; il suo enorme potere economico ha ‘colonizzalo’ il resto del mondo, investendone gli immaginari, la potenza creativa, gli stili di vita, i sogni, le aspirazioni c l'idea di realtà. Il cinema hollywoodiano è infatti un’industria mondiale, rappresenta un linguaggio universale, un sistema di comunicazione visiva potente, solido c perfetto. In quanto tale, è un’indubbia manifestazione di potere, non solo nel cinema e mediante il cinema: la codificazione delle immagini televisive, della politica, della pubblicità, degli stili di vita, etc., si realizza tramite la co­ dificazione di messaggi e significati all’interno e per mezzo delle immagini, c grazie al concorso di immagine e parola.

1.3

Come si studia un film?

L’aspetto riguardante il cosa e il come studiare un film è già stato af­ frontato. Ma la domanda più importante rimane: come si studiano i film americani contemporanei? Nel remainder si tenterà di rispondere a questa domanda, delineando il metodo di ricerca adottato dai vari film studies. I capitoli seguenti daranno sostanza al metodo, concentrandosi sulla pratica. Il metodo investigativo usato negli studi sul cinema comporta una triplice distinzione tra teoria (i), metodo (ii) e analisi (iii).

1.3.1

La teoria

I film si possono analizzare in base alla loro forma e struttura intrin­ seche. Tale struttura non risulta tuttavia immediatamente visibile. Alcuni suoi aspetti emergono invece da una determinata prospettiva teorica (così come altri aspetti risultano visibili da altre prospettive teoriche). Inoltre, possono anche verificarsi delle sovrapposizioni incongrue tra varie pro­ spettive teoriche. In generale, lo scopo della teoria è di rendere visibile la struttura invisibile che ordina e conferisce intelligibilità ai film. La struttura invisibile è sconosciuta, ed è impossibile rivelarla tramite procedimenti in­ duttivi come le tassonomie. Detto questo, la struttura non è inconoscibile, ed è rappresentabile come un sistema di ipotesi teoriche, concetti o sug­ gerimenti che hanno un valore puramente sperimentale o congetturale. Le teorie offrono pertanto approfondimenti di carattere esplicativo, piuttosto che generalizzazioni empiriche. La teoria consente all’analista di identifi­ care gli aspetti specifici di una struttura cinematografica, e di ‘guardare’ e ‘ascoltare il film in base ai valori propri della teoria stessa. Il cinema non si presta alla fruizione senza il ricorso a un insieme di valori. Lo scopo della teoria è di elaborare una serie di prospettive concettuali, ognuna delle quali è governata da un insieme specifico di valori. Una teoria di parte o carica di valori non è solamente una condizione imprescindibile, è la condizione stessa della conoscenza e dei metodi di applicazione che guidano l'analisi. La valutazione accurata dei valori di una teoria e dei suoi metodi d’analisi è il punto di partenza per la scelta di una teoria e per l’applicazione dei suoi metodi nel modo più consono. Per propria natura, tutte le teorie cinematografiche hanno orientato l’at­ tenzione dei teorici su aspetti particolari della natura generica di un film, o su ‘qualità essenziali’. Per esempio: •

i teorici classici del cinema hanno tentato di definire il cinema come espressione artistica, privilegiandone l’essenza, fondata sulla registra-





zionc fotografica del reale (es. André Bazin), o su tecniche formali del tutto originali che suggeriscono un modo diverso di vedere le cose (es. Rudolf Arnheim); gli esperti di semiotica del cinema hanno cercato di definire le caratte­ ristiche peculiari della cinematografìa come combinazioni specifiche di codici; i teorici del cinema di indirizzo cognitivo e psicanalitico esaminano la natura specifica della relazione che si instaura tra il film e lo spettatore: il modo in cui un film affronta i desideri e le fantasie, o il bagaglio culturale e la competenza specifica che permettono allo spettatore di capire un film.

Le teorie formulano delle ipotesi sulla natura generica dei film, e portano alla elaborazione di una conoscenza dichiarativa - nella terminologia utiliz­ zata dal filosofo Gilbert Ryle, il ‘sapere che’ (Ryle 1949). Un sistema teorico di ipotesi coerenti e provvisorie va giustificato - ovvero, motivato e testato, quantomeno in via di principio, tramite un procedimento analitico che si affida a metodi desunti dalla teoria.

1.3.2

II metodo

Tutte le discipline stabiliscono dei criteri di preparazione professionale, o cercano di adeguarvisi. La conoscenza dei film studies implica in larga misura la padronanza del metodo, perché è il metodo dei film studies a co­ stituire la strada comunemente accettata per intraprendere l’analisi del film. In questo contesto, il termine ‘metodo’ indica soltanto la conoscenza proce­ durale, piuttosto che la conoscenza dichiarativa. Ryle la definisce il ‘sapere come’, che utilizza delle competenze o procedure atte al raggiungimento di uno scopo (Ryle 1949). La conoscenza procedurale, o il metodo, mette a di­ sposizione degli strumenti analitici. Il metodo trasforma l’analisi di un film in una disciplina esplicita, sistematica e replicabile, che poggia su proce­ dure attendibili; evita di affidarsi all’intuizione, all’introspezione e alle mere ipotesi. Naturalmente tutto ciò potrebbe sembrare un ostacolo anziché un vantaggio, in quanto soffoca il pensiero creativo e limita il campo dazione dello studente all’analisi ripetitiva. Abraham Kaplan la definisce ‘compe­ tente incompetenza’, ovvero che ‘la capacità di fare una cosa è proporzionale all’incapacità di svolgerla in modo diverso’ (Kaplan 1964). L’apprendimento di metodi incompatibili, piuttosto che l’accettazione dogmatica di uno o due di essi, rende tuttavia possibile il superamento di questa incapacità. Gli esperti di cinema hanno pertanto tre opzioni di scelta:

• • •

basare la loro analisi su affermazioni dilettantistiche, vale a dire giudizi immediati e opinioni spontanee; accettare dogmaticamente una teoria e il suo metodo d’analisi e acqui­ sire di conseguenza una ‘competente incompetenza’; apprendere diverse teorie, in modo da applicarle in contesti appropriati, anziché utilizzare la stessa teoria per qualunque contesto.

Teoria e analisi dei film americano contemporaneo privilegia la terza op­ zione. Il nostro approccio all’insegnamento di diverse teorie e metodi di analisi è di chiarirne i procedimenti analitici, affinché li si possa applicare a qualunque analisi. A questo scopo si attingerà dalla retorica antica, in particolare da Larte della retorica di Aristotele. Per Aristotele, la retorica è un’attività generica che genera conoscenza. Non è legata ad alcun soggetto di studio particolare, né ricorre a orpelli linguistici per persuadere l’ascoltatore o il lettore della bontà di un’argomentazione contraria al suo interesse personale. In quanto disci­ plina che genera conoscenza, la retorica identifica l’aspetto discorsivo di qual­ siasi argomento e le fasi di un intero ragionamento. Aristotele equiparava la retorica allo studio della grammatica e della logica, conferendole lo status di strumento di conoscenza. Ne forte della retorica, Aristotele suddivide la retorica, ora considerata come disciplina generica, in varie fasi - inventio, disposilo ed elocutio - tra­ mite cui elaborare, organizzare ed esprimere delle argomentazioni in forma discorsiva. Due fasi secondarie, actio e memoria, vennero aggiunte alla reto­ rica successivamente ad Aristotele. In Making Meaning, Bordwell utilizza anche le prime tre aree della retorica antica per identificare i meccanismi tradizionali del procedimento analitico e dell’interpretazione cinematografica. La discussione che segue si ispira al libro di Bordwell e al volume Rethoric for the Modem Student (1999) di Corbett e Connors, in cui inventio, disposino ed elocutio sono ampiamente trattate.

Inventio All’inizio della propria impresa, gli scrittori devono sempre affrontare una pagina bianca, o anche un cursore lampeggiante su di uno schermo di com­ puter vuoto. Ma non sono certo gli unici. Nell'antica Grecia gli oratori che presiedevano le assemblee popolari erano invitati a trattare diversi argomenti. Invece di affidarsi all’ispirazione, ricorrevano a un procedimento tramite cui elaboravano - o inventavano - degli argomenti. L’inventio costituisce la prima fase di una dissertazione su un argomento qualsiasi di discussione e risponde alla domanda: ‘Come si inventano le argomentazioni?’ Corbett e Connors

(1999) scrivono che l'invenzione è 'un sistema o metodo usato per reperire argomenti, e suggerisce all’oratore o allo scrittore come “scoprire" qualcosa da dire a proposito di un determinato argomento’ Limporlanzadella invenfte Sta nel fatto che Lhrte de/la retorica di Aristotele (cosi come / topici) è in gran parte dedicata alldabnrazione di argomentazioni. Per Aristotele, i sillogismi rappresentano un metodo privilegialo di elabo­ razione. I sillogismi stabiliscono una griglia che genera argomenti, un sistema che i teorici classici avevano inventato per trovare qualcosa da dire. I sillogismi consentono allo scrittore o allibratore di svolgere 1 analisi logica dell’argomento trattato e includono; la definizione’, il 'confrontò ia ‘relazione’, la ’circostanza' e la ’testimonianza’, che insieme costituiscono un modello tramite cui organiz­ zare i pensieri, consentendo adoratore o allo scrittore di definire lessen za di un argomento, di identificare eventuali differenze o analogie, di stabilire delle relazioni e così via. La definizione comprende due fasi: si colloca l'argomento da definire in una categoria generica e si indicano le differenze specifiche che distinguono quel dato argomento da altri argomenti appartenenti alla stessa categoria. Per esempio, T ’uomo’ è definito come 'essere razionale1. In questa definizione il termine 'animale’ indica la classe generica d'appartenenza, mentre la parola 'razionale' si riferisce alla differenza specifica che distingue l'uomo dagli altri soggetti appartenenti alla stessa categoria generica di animale1. Similmente, questo procedi mento consente l'elaborazione di un qualsiasi argomento. Ab­ biamo già accennato al modo in cui i teorici della cinematografia classica hanno cercato di de fi [lire il cinema come espressione artistica, soffermandosi su ciò che ritengono essere l'essenza del cinema. Non a caso, la celebre colte' zionc di saggi di Bazin è intitolata Che cfitfrt è il cinema?, che è una domanda tuttora in cerca di risposta. La categoria generica entro cui rientrano le defi­ nizioni dei teorici del cinema classico è quella di 'arte' e la differenza specifica costituisce l’essenza del cinema, che lo separa da altre espressioni artistiche (questa è la parte contestata della definizione, vale a dire quella che Bazin definisce capacità di registrazione fotografica' c che Arnheim chiama 'forma’). La definizione è anche uno strumento tramite il quale confutare le argomen­ tazioni altrui, in particolare le argomentazioni che contengono definizioni vaghe, o che utilizzano lo stesso termine con significati diversi. Le definizioni possono risultare controverse e costituiscono il corpo principale di un trat­ tato. I teorici del cinema classico concordavano nei dire che il cinema fosse da considerarsi un’arte. Ma una definizione di questo genere si presta al dibattito e alla chiarificazione. Il significato del termine ‘film’ è condizionato dal l’inse­ rimento in una categoria artistica generica (questa definizione include i do­ cumentari, i film che trattano argomenti di medicina e cosi via?), ^elemento che differenzia e caratterizza il cinema rispetto ad altre espressioni artistiche è stato oggetto di controversia fra i teorici classici del cinema. La disputa, che

si protrae da tempo, riguarda fondamentalmente un problema di definizione. Gli esperti di semiotica del cinema hanno tentato di superare gli ostacoli in­ contrati dai teorici classici del cinema sul problema della definizione, chia­ rendo la differenza che distingue il cinema dalla categoria generica di ‘arte’ in termini di codici. Ne consegue che la definizione è un criterio fondamentale tramite cui inventare argomenti. Tuttavia, lo studente non dovrebbe limitarsi alla semplice citazione di una definizione da dizionario (o all’etimologia di una parola), senza integrarla alla propria trattazione. Le definizioni isolate non hanno scopo alcuno; tuttavia, se usate correttamente, possono corroborare e chiarire un’argomentazione. Un’argomentazione può anche scaturire dal confronto tra due temi e dall’individuazione e classificazione delle somiglianze e delle differenze ri­ levate (es„ ‘più o meno’, ‘migliore o peggiore’), consentendo allo scrittore di elaborare delle argomentazioni intorno al tema proposto. Il dibattito che si sviluppa attorno alla relazione tra i film hollywoodiani classici e quelli post­ classici si basa sull’utilizzo del confronto. Si potrebbe sostenere che esistono delle affinità fondamentali tra i film hollywoodiani classici e post-classici e invece delle differenze superficiali, o che le differenze abbiano maggior peso delle somiglianze (vedi Capitolo 2). I valori insiti nell’approccio auteuriste verso il cinema si avvalgono del confronto per evidenziare eventuali analogie e differenze nellàmbito della filmografia di uno stesso regista. Si utilizza a tal scopo il sillogismo complementare della classificazione per separare dunque i film degni di nota da quelli scadenti. Giudizi di questo genere sono natural­ mente soggettivi e vanno ulteriormente motivati. Il sillogismo del confronto consente anche di individuare somiglianze e differenze tra varie teorie cinematografiche, mentre il sillogismo comple­ mentare della classificazione permette di determinare quali tra esse facciano maggiormente al caso nostro. Per esempio, se privilegiamo l’esperienza sog­ gettiva di un film, la nostra analisi sarà incentrata sul soggetto - in altre parole, su ciò che avviene dentro di noi, nel soggetto. Al contrario, se l’attenzione verte sul film e non sulle sensazioni personali che il film suscita, l’analisi si svilupperà intorno all’oggetto - intorno a ciò che accade al di fuori. L’intro­ duzione dello strutturalismo agli studi cinematografici ha orientato l’analisi all’approccio oggettivo, che considera il film come testo da esaminare al di là dell’esperienza soggettiva. Gli strutturalisti hanno usato il sillogismo del confronto per evidenziare le differenze fondamentali che separano il loro orientamento oggettivo da quelli soggettivi e per dimostrare che il loro me­ todo è migliore di quelli adottati in precedenza. Le teorie post-strutturaiiste e cognitive integrano lórientamento oggettivo e soggettivo, ponendo l’accento sulle reazioni intersoggettive e inconsce (o pertinenti al subconscio, come nel caso della teoria cognitiva) prodotte da un film. Gli analisti cinematografici di questa estrazione partono dalle sensazioni che un film suscita nello spettatore,

per poi superare gli aspetti contingenti e privilegiare il ragionamento astratto e la speculazione (indicando uno dei modi tramite cui la teoria si rapporta all'analisi)1. Benché il sillogismo della ‘relazione1 contenga molti altri sillogismi com­ plementari» ne considereremo uno solo: quella di causa ed effetto. Un'argo­ mentazione può nascere dallo stabilire una causa e indicarne i relativi effetti, oppure può anche partire dagli effetti per indurne le cause. Gli analisti adot­ tano spesso quest’ultimo approccio» che comporta la spiegazione degli effetti di un film in termini di cause probabili. Per esempio» perché e in che modo Strafe perdute (1997) disorienta lo spettatore? La sua struttura narrativa offre una possibilità di risposta che anali zzeremo nel Capitolo 6. In che modo /urassfe Pnrfc (1993) riesce a produrre Ieffetto credibile del dinosauro che inte­ ragisce con uno sibndo fotografico? Attraverso la simulazione digitale degli effetti fotografici» come viene spiegato nel Capitolo 7. Il sillogismo della circostanza include sillogismi complementari: il 'possi­ bile c rimpossibile1 e ‘fatti passati e futuri’ Talvolta lo scrittore deve convincere il lettore del fatto che il soggetto trattato è realizzabile e che altri soggetti non la sono» oppure che alcuni fatti sono accaduti mentre altri devono ancora ac­ cadere. Lapproccio soggettivo all’analisi cinematografica considera entrambi i sillogismi complementari della circostanza. Elaboriamo argomentazioni da un punto di vista soggettivo, da ipotetici spettatori. È come se l'analista stesse commentando i pensieri e le impressioni di uno spettatore immaginario. In effetti, l'analista descrive le sensazioni provate dallo spettatore guardando un film (fatti passali), per poi ricavare considerazioni generali dalle sue impres­ sioni, partendo dal presupposto che chiunque vedrà il film in futuro reagirà esattamente allo stesso modo (fatti futuri). Inoltre, Fanalista descrive lo spettro di reazioni suscitate negli spettatori passati e futuri, ipotetici o immaginari, presupponendo che lutti provino o abbiamo provato le medesime sensazioni. Una polente incarnazione dello spettatore immaginario emerge nella teoria del cinema femminista, in particolare la nozione secondo cui i film narrativi elaborano una posizione maschile (basata sul voyeurismo c il feticismo) che tutti gli spettatori adottano durante la visione. Recentemente, lo spettatore ipotetico è stato aspramente criticato, in primo luogo dagli studi di ricezione» che analizzano una vasta gamma di possibili reazioni di spettatori passati o futuri (studi di ricezione storici; vedi Staiger 1992). Allo stesso modo, in una recensione ai saggi su Psyco, Leland Poague scrive: 1 ! $o$ten ita ri della teoria Cogli itiva mcl [crebbero sic uramenlc i n discuss io­ ne la nostra strategia, che è quella di uscire il sillogismo del confronto per identificare delle analogie fra La loro teoria e La teoria psicanalitica nel cinema. Preferiscono applicare il medesimo sillogismo per identificare la differenza fra il loro approccio e la teoria psicanalitica nel cinema, e utilizzare il sillogismo complementare della classificazione per sostenere che questa differenza colloca l'approccio coglili ivo a un livello superiore rispetto a quello psicanalitico.

15

Psyco presenta molti problemi di interpretazione - primo fra tutti la questione controversa secondo cui Hitchcock controlla le reazioni del pub­

blico, facendo dello spettatore, così trasfigurato, il ‘personaggio centrale'

del film. Il problema metodologico è ovvio. Come è possibile affermare con certezza come questi reagirà di fronte a un film? (Poague 1986)

Se i sillogismi precedenti implicano l’analisi logica del soggetto discusso, quello della testimonianza elabora argomentazioni basate su fonti esterne, in particolare l’autorità (le opinioni ben informate) e gli esempi. Negli studi ci­ nematografici è pratica comune elaborare argomentazioni mutuate da fonti autorevoli - i soggetti coinvolti nella realizzazione di un film (il regista, il direttore della fotografia, il produttore, ecc.), gli studiosi di cinema e, in par­ ticolare, le teorie importate da studi collaterali sul cinema (il femminismo, la psicanalisi, il marxismo, ecc.). Anche le citazioni e gli esempi presi diret­ tamente dal film servono ad elaborare un argomentazione. (In questo caso, ci stiamo allontanando dal significato retorico di esempio’ - che è simile al concetto di ‘precedente nell’accezione giuridica del termine2 - per utilizzare la parola con il significato di ‘citazione’, che è solo una forma di testimo­ nianza). Nell’analisi occorre considerare attentamente gli esempi tratti dal film e il modo e la frequenza con cui si adoperano. È ovviamente impossibile citare ogni scena. Importa invece il motivo che spinge a considerare una scena piuttosto che un’altra, giacché le nostre scelte vanno giustificate. In linea generale, gli esempi non provano automaticamente, né del resto smen­ tiscono, un’ipotesi teorica - per quanto la rendano probabile. Gli esempi hanno capacità di persuasione ma non offrono dimostrazioni logiche. Un altro metodo di elaborazione presuppone un problema c la formula­ zione di una domanda. Uno dei motivi per i quali si sceglie di trattare un ar­ gomento cinematografico non è ‘Mi piace questo film’, ma il fatto che il film aggiunge qualcosa di nuovo al cinema, qualcosa che non è stato detto prima. Un perfetto esempio in tal senso è rappresentato dagli effetti digitali utiliz­ zati nel film Jurassic Park, in particolare ciò che riguarda la loro aderenza ai codici del foto-realismo (vedi Capitolo 7). Un film può anche sollevare problemi di carattere generale: per esempio, come vengono rappresentate le donne? Coinè strutturata la narrazione? Molti di questi interrogativi scatu­ riscono da prospettive teoriche (es. il femminismo, la teoria narrativa) che governano l’analisi. Infine, le argomentazioni si possono elaborare anche sulla base dei li­ miti riscontrati nel lavoro condotto dai ricercatori precedenti, tracciando 2 II precedente: ‘una decisione legale presa in precedenza diventa un pa­ rametro di riferimento e di giudizio per la valutazione di casi analoghi* (Corbett e Connors 1999).

distinzioni più sottili delle loro. Questo procedimento si applica di solito alle recensioni letterarie, che indagano ricerche recenti. Il ricercatore colloca la sua indagine all’interno di un contesto più ampio, attraverso la lettura e la sintesi di questa produzione letteraria. Una recensione letteraria inquadra la ricerca e la giustifica, evidenziando i limiti riscontrati nelle ricerche altrui. La ‘definizione’, il ‘confronto’, la ‘relazione’, la ‘circostanza’ e la ‘testimo­ nianza’ e i rispettivi sillogismi complementari costituiscono i sillogismi comuni, che si possono applicare a qualsiasi soggetto per elaborare un'argo­ mentazione. Alcuni specifici soggetti, inclusa la teoria e l’analisi cinemato­ grafica, ricorrono a sillogismi propri. In Making Meaning (1989), Bordwell elenca una serie di sillogismi particolari che gli studiosi di cinema utilizzano ai fini dell’analisi e includono le seguenti affermazioni: ‘un film significa­ tivo dal punto di vista critico è ambiguo, polisemie© o dialogico’; ‘lo stile del film è talmente eccessivo da sembrare ironico o parodistico; ‘collocare i personaggi nello stesso fotogramma è un elemento di coesione’; il mon­ taggio evidenzia il contrasto’ (questa è una formulazione del procedimento euristico applicato a uno stesso fotogramma nel film II paziente inglese nel Capitolo 3).

Dispositio La dispositio rappresenta la seconda fase del processo di elaborazione e organizzazione di un’argomentazione. Secondo Corbett e Connors, la disposizione ‘riguarda l’organizzazione effettiva e ordinata delle parti che compongono un discorso scritto o orale. Una volta tracciate le idee e le argomentazioni, rimane il problema di selezionarle e organizzarle in ma­ niera logica per elaborare la conclusione (1999). Occorre poi decidere come organizzare le argomentazioni. Basta semplicemente metterle per iscritto in un ordine qualsiasi? Oppure, su che base si decide di organizzare un’argo­ mentazione? La questione riguarda la disposizione, in altre parole l’organiz­ zazione. Ne Carte della retorica, Aristotele suddivide la dispositio in quattro fasi: exordium, narratio, argumentatio e peroratio (esordio, esposizione, di­ mostrazione ed epilogo). Aristotele paragona l’introduzione a un preludio musicale, poiché entrambi stabiliscono la nota dominante di ciò che seguirà. La presentazione riguarda il racconto di fatti ed eventi (quella che gli analisti cinematografici chiamano la presentazione dell’analisi). La dimostrazione richiede allo scrittore di difendere la propria tesi e di confutare quella altrui (illustrando i risultati ottenuti dall’analisi e i limiti rilevati in altri studi). In ultima istanza, l’epilogo dovrà sintetizzare la ricerca, indurre il pubblico ad accogliere favorevolmente l’oratore, c allargare le proprie argomentazioni. In termini di presentazione, alcuni studiosi cinematografici seguono, ov­

vero riraccontano, la storia durante il suo svolgimento. La loro trattazione è quindi governata dal modo in cui il film è strutturato. Questo procedimento riscontra il favore della critica, che fonda la propria indagine sull’analisi del soggetto, poiché il soggetto (lo spettatore) percepisce il film in maniera line­ are (almeno al cinema). Altri critici privilegiano una scena soltanto, oppure scelgono una serie di scene che considerano fondamentali nello svolgimento del film, andando al di là dell’analisi del soggetto e considerando il film come oggetto o testo. La presentazione di due o più interpretazioni di uno stesso film può risultare significativa. Per esempio, un film contemporaneo può essere letto prima come un film di narrazione classica (nel quale i valori radicati nella prospettiva teorica concentrano l’attenzione dell’analista su de­ terminati momenti del film che ne confermano l’appartenenza alla narrativa classica), e poi come film post-classico. A seconda dei casi corrisponde una diversa inclinazione teorica.

Elocutio L’eiocutio rappresenta la terza fase del processo di elaborazione di un’ar­ gomentazione. Di solito, questa è anche l’ultima fase di studio. I retorici clas­ sici consideravano Veiocutio non come mero abbellimento, ma come parte integrante del discorso. Secondo Corbett e Connors ‘tutte le considerazioni retoriche di stile comportavano la scelta delle parole che di solito rispon­ devano a criteri di correttezza, purezza (come la scelta di parole autoctone piuttosto che straniere), semplicità, chiarezza, adeguatezza e abbellimento' (1999). I termini scelti ampliano il vocabolario, permettendo di utilizzare parole specifiche in contesti appropriati, anziché ricorrere allo stesso registro linguistico in ogni contesto. Arricchire il proprio patrimonio linguistico non significa soltanto acquisire la terminologia specialistica di una determinata disciplina. Oltre alla scelta dei vocaboli, l’etocufib comprende l’ordine delle parole, la selezione e l’uso di costruzioni sintattiche diverse e le figure retori­ che, evitando le locuzioni e i cliché. Il linguaggio mira a convincere il lettore della correttezza e dell'impor­ tanza delle nostre argomentazioni. Le figure retoriche che Corbett e Connors definiscono ‘deviazioni artistiche dal linguaggio comune scritto e parlato’ (1999) si collocano a un’estremità della scala stilistica e si allontanano tanto dagli schemi comuni quanto dal significato prevalente di una parola (tropi) (Corbett e Connors 1999). Andrebbe evitato l’abuso di figure retoriche nelle opere accademiche. Le locuzioni e i cliché si collocano all’estremità opposta della scala stilistica, [fanalista cinematografico deve essere consapevole dei cliché usati nei suoi scritti e in quelli altrui. Con il termine ‘naturalmente’, l’analista suggerisce Ibwietà dell’argomento trattato, quando in realtà sta cer­

cando di renderlo ovvio utilizzando il termine 'naturalmente1. In altri casi,, fanalista scrive 'è necessario’ - per esempio ‘è necessario considerare la re­ lazione tra l’inizio c la line di un film classico hollywoodiano! È necessario? Forse. Dopotutto, può darsi che l'analista abbia ragione. Il punto è che queste locuzioni non andrebbero prese alla lettera. Occorre anche analizzare atten­ tamente le espressioni causali c lineari, specialmente k frasi che iniziano con parole come 'Perciò! perché implicano una conclusione causale che utilizza il sillogismo della relazione. Ma è davvero causale la connessione tra l’argo­ mentazione e la conclusione?

e Afemor/a /tetro e memoria vengono raramente citati perché riguardano l'esposizione e non fclaborazione di un’argomentazione. L’ocfidsi riferisce all'arte oratoria e ad altre forme di comunicazione, come i supporti visivi, che includono la gestualità e la postura. La memoria è la capacità di memorizzare un discorso. Entrambe le funzioni sono ignorate, perché l’invenzione della stampa nel XV secolo ha spostato il baricentro dell’attenzione dalla produzione verbale a quella scritta. Tuttavia, in un contesto accademico, l’abilità oratoria è ancora considerata fondamentale nelle conferenze e nei seminarle nell'esposizione di studi monografici. Molti docenti e studenti trarrebbero grande vantag­ gio da lezioni governate dall'acro e dalla memoria. Queste capacità permet­ tono ai relatore di decidere come presentare un discorso (o libro o articolo), esporre un trattato o un compendio delle idee ivi contenute.

1.3.3

L’analisi

Dopo la teoria e il metodo, la terza e ultima parte della risposta alla do­ manda "Conie si studiano i film?* riguarda l’analisi. Uno degli obiettivi princi­ pali della lettura testuale di un film è quello di indagare il modo in cui un film genera significato. Si potrebbe formulare la domanda con l’aiuto dei paradossi. Non esiste forse una contraddizione fra, da un lato, la percezione di un film come esperienza continua, dove l'azione ha spesso inizio in media res (senza un narratore che inquadri una scena o introduca i personaggi, mentre la trama sviluppa il suo momentum, seguendo un percorso più o meno lineare tino alla fine) c, dall'altro, il fatto che il film, in quanto sequenza di fotogrammi, risulti costituito da segmenti discontinui, discreti c separati? Ogni segmento com­ prende inoltre una serie di scene distinte, che a loro volta includono decine o centinaia di fotogrammi individuali, perlomeno in forma fotografica. In quanto prodotti industriali e tecnologici, i film sono beni dì consumo

lucrativi e realizzati in base a una complessa e sofisticata ripartizione di com­ piti, che richiedono un alto grado di specializzazione in ciascun settore di produzione. Il testo di un film è la sceneggiatura, di per sé stessa una pratica storicamente evoluta, da un lato paragonabile a un programma di coordina­ mento, in base al quale si assegnano le mansioni, i piani di lavoro e di conse­ gna e si calcolano i fondi necessari, e dall’altro a una poesia, nella quale forme rigidamente convenzionali come la lunghezza, la rima e la metrica danno co­ munque spazio alla versatilità e all’ingegno. La tensione tra l’eterogeneità e l’omogeneità si applica tanto all’immagine quanto al suono, che al pari dell’immagine produce un’illusione di continuità. Il sonoro viene registrato separatamente e poi aggiunto alla pellicola. Il pro­ cedimento è lungo e impegnativo, poiché soddisfa una gamma complessa di funzioni narrative e visive. Per trasformare il suono o l’immagine in materiale filmico pregno di significato, occorre separare e scomporre diversi elementi per poi ricomporli. La fondamentale discontinuità dell'immagine e del suono si combina in modi diversi nella cinematografia americana classica e contemporanea. Le ©funzioni di base servono da indicatori spaziali che indicano la co-presenza di fonti e rappresentazioni sonore o, al contrario, lo spazio fuori campo. In quanto indicatore temporale, il sincronismo esprime simultaneità; tuttavia il suono spesso struttura lo sviluppo futuro della narrazione (per esempio, l’anticipazione di eventi, tramite l’uso di motivi musicali), o ricopre il ruolo di memoria narrativa (un’eco o una cosa che ne evoca un’altra). Il suono e l’immagine dialogano costantemente: il suono chiede ‘Dove?’ e l’immagine risponde ‘Qui’ (vedi Altman 1980). Questo gioco di domanda-risposta (o ‘dia­ logo’, che Noel Carroll definisce il principio ‘erotetico’ (1996a: capitoli 5 e 6)), ha lo scopo di creare un’illusione di presenza, di continuum spazio-temporale che genera un’impressione di realismo. In tal senso, anche il realismo dipende dalla separazione e dalla ripartizione. La relazione che lega il suono all’immaginc si potrebbe definire come la doppia conferma di un’illusione doppia: in questo caso, due illusioni producono una verità. Lo studioso di cinema tenta di spiegare il meccanismo di un film come forma di esperienza coerente e continuativa, che però crea due problemi: (1) Perché i film suggeriscono l’immagine di un mondo fluido e già dotato di un’esistenza propria al di fuori dei bordi dell'inquadratura e del tempo cine­ matografico, e al contempo raccontano una storia, sviluppano una struttura narrativa e una vicenda, un dramma che si compone di un inizio, un avve­ nimento inatteso, un momento di massima tensione e un finale? Il secondo problema è anche più complesso: (2) In che modo un film riesce a trasmettere l’impressione di un mondo 'là fuori’ (del quale siamo soltanto testimoni in­ visibili), laddove invece il film esiste solo per noi, “qui dentro", nascondendo subdolamente il fatto che si rivolga solo a noi? Si potrebbe dire che il primo

problema riguarda due tipi di logica: la logica dell'azione ai l'interno di un film e la logica del làttcggi amento dello spettatore nei confronti dell’azione. L’impressione di unità e coerenza prodotta è talmente torte da far sì che i film hollywoodiani in particolare sembrino obbedire a un principio di regola­ rità, se non addirittura a una sorta di ’legge! L’interrogativo che pone la logica dell'azione è se i film siano governati da un linguaggio o da una struttura grammaticale. In quest’ultimo caso, lo scopo delPanai isi diventa quello di de­ finire la grammatica e il linguaggio del cinema. Ne deriva un riorientamento degli studi cinematografici e il passaggio a una semiotica del cinema. Alla domanda se il cinema è organizzato in base agli stessi principi del linguaggio - utilizzando per esempio un vocabolario o semantica, e una grammatica o sintassi - si e semplicemente risposto 'sì’ o lnoì in gran parte grazie al lavoro svolto da Christian Metz. Benché apparentemente insoddisfacente, questa ri­ sposta ha agevolato il lavoro dei teorici, soprattutto nel campo dell'analisi. Tuttavia, alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che la linguistica non cifre sbocchi aisfudfes, arrivando addirittura a considerarla come un ap­ proccio forse del tutto erroneo al problema. Altri studiosi si sono semplice­ mente limitati a criticare quel tipo di modello linguistico (ad esempio, quello adottalo da Ferdinand de Saussure), sostenendo che altre modalità linguisti­ che (es„ Charles Sanders Peirce, Noam Chomsky, George l.akotf) potrebbero risultare più produttivi. Il rapporto dell’analisi cinematografica con la semi­ otica, la linguistica strutturale, la grammatica trasformazionale e lo studio delle metafore è staio integrato da dibattiti approfondili sulla narratologia, le teorìe narrative* la narrazione c ia definizione dei termini di un problema, per individuare il processo di coesione all’intero di un testo filmico e un ’sistema significativo’ Ai tempi doro della semiotica Metz aveva cercalo di classificare, correlare e ordinare le sequenze narrative nei film narrativi (vedi ‘Problems of Denotation in the Fiction Film’ (Metz 1974)). La narratologia si presta come possibile soluzione al secondo problema, che indaga la relazione che si instaura tra lo spettatore e il film e il modo in cui il film parla allo spettatore. Per descrìvere il livello enunciativo' rispetto a quello narrativo, gli studiosi sono di nuovi ricorsi alla linguistica strutturale (Émile Benvenistc) calla psicanalisi freudiana, per spiegare l’effetto realistico raggiunto da questo sistema narrativo classico e il fenomeno dell’idenlificazi one, che colloca per cosi dire lo spettatore a U’interno dell’azione filmica, ^approccio psicanalitico presuppone che il film assegni il ruolo di voyeur allo spettatore (trasformando il film in qualcosa che fa mostra di sé), implicando una forma particolare di sospensione del 'dubbio, o negazione', che è tipica del feticismo (‘Sì lo so, ma comunque.. ! Octave Malmeni). Questo approccio è stato tematizzalo dalla critica cinematografica femminista e dalle teorìe sul cinema, ed è associato, tra gli altri, a Laura Mulvey, Teresa de Laurel is, Kaja Silverman, Tania Modleski e Linda Williams.

La psico-semiotica non convince i sostenitori del ‘cognitivismo’, rappre­ sentati da David Bordwell e Edward Branigan, che hanno preferito esaminare le teorie ‘narrative’, anche prendendole in prestito da Gérard Genette, nel ten­ tativo di elaborare un modello di narrazione filmica svincolata da nozioni di enunciazione/identilocazione, o dal voyeurismo/feticismo, o dalla distinzione fra la ‘struttura narrativa e ‘l'identificazione’, sostituendole entrambe con il concetto di ‘narrazione’. Considerata come opera di strutturazione e organiz­ zazione che obbedisce a un ordine gerarchico e prioritario, la narrazione è in grado di occuparsi di tutti questi procedimenti, allo scopo di creare un’impres­ sione di struttura (della forma, dei modelli inerenti all’opera), comprensione e identificazione (soggetto-effètto, al di là del genere d'appartenenza), che ha condotto gli studiosi a porre l’accento sui livelli e i modelli narrativi (vedi Capitolo 6). Nel senso più comune del termine, la narrazione è un procedimento tra­ mite cui le relazioni che si instaurano fra il mondo esterno e il mondo interno sono manipolate e controllate. Eanalisi tenderebbe anche a ipotizzare che - se­ condo ragioni metodologiche, e di conseguenza più o meno puramente prag­ matiche o procedurali - il significato si colloca ’là fuori' nel testo. Tuttavia, definire un film come 'testo' è a prima vista un procedimento abbastanza con­ trointuitivo e arbitrario, dal momento che un testo è fatto di parole e si presta alla lettura, mentre un film si guarda e si ascolta e rappresenta un ambiente soprattutto sensoriale-perccttivo. Che sia di natura più o meno intenzionale, il testo e l'analisi ci rimandano allo studio della letteratura e ci rammentano che ciò di cui ci occupiamo negli studi sul cinema è in realtà storicamente e metodologicamente associato allo studio della letteratura e, in particolare, a un orientamento riscontrato nella letteratura che in passato era definito ‘critica pratica’ o ‘lettura attenta’: tale orientamento riguarda i romanzi, le opere teatrali e le poesie come opere in­ dipendenti. in una famosa citazione di Cleanth Brooks a proposito dello scrit­ tore inglese romantico John Keats, una poesia è come ‘un’urna ben lavorata’ - un oggetto bello da toccare, sollevare e osservare da più angolazioni. I banali si talvolta considera i film alla stessa stregua - svincolata dalle circostanze legate alla produzione del film e dal suo ideatore, c dal modo in cui viene recepito (cioè dagli spettatori e dal pubblico). Nel qual caso risulta probabilmente ap­ propriato trattare l’urna come una specie di ricettacolo in cui conservare le ce­ neri dei propri defunti dopo la cremazione - ed è forse anche opinione diffusa tra alcuni lettori che si avvicinano per la prima volta ai film studies: l'analisi è un modo per trasformare un film infuso di linfa vitale in un cadavere, se non addirittura in un mucchio di cenere. Ciò nonostante, l'analisi è diversa dall'interpretazione (qui intesa nell acce­ zione di ‘ermeneutica del sospetto’ - la ricerca di significati nascosti e repressi). In tal senso, l’obiettivo dell’analisi approfondita non è necessariamente l’ap­

prodo a un interpretazione nuova e sensazionale di un film o di una sequenza cinematografica, ma l’esatto contrario: chiarire quello che David Bordwell de­ finisce Teccessiva ovvietà' di un film hollywoodiano, basato sullo sviluppo tra­ dizionale di uno scenario cinematografico e sullazione reciproca ‘dcU’owietà e del codice citata da Raymond Bellour in un suo celebre trattato, in cui si esa­ mina una scena tratta da II grande sonno (Bellour 2000). Entrambi gli autori alludono al fatto che tutti sono in grado di capire e giudicare un film hollywo­ odiano, di reagire a esso, lutti hanno la facoltà di apprendere il meccanismo di costruzione di un film, attraverso lo studio dei blocchi di cui si compone e dei suoi principi strutturali. In effetti, i film hollywoodiani sembrano essere dotati di un manuale con le istruzioni per fuso (vedi Capitolo 2). Risulta interessante il meccanismo di un film come sistema di relazioni c rapporti interdipendenti, dotato di un complesso apparato di mezzi atti al raggiungimento di effetti semplici. Occorre pertanto indagare i procedimenti formali, simbolici, narrativi e figurativi tipici e standardizzati del cinema ame­ ricano: storicamente, questo sistema è rimasto immutato per circa 50 anni, dal 1920 almeno fino agli anni 70, e forse oltre. Bordwell, Staiger e Thompson (Thompson 1999; Bordwell et al. 1985) hanno spesso affermato che a loro avviso il cinema classico è rimasto intatto e ancora in uso. La loro opinione è ampiamente corroborata da numerosi esempi: basti pensare all'incredibile successo di film diretti da un regista classico contemporaneo come Steven Spielberg. Ma esistono anche esempi contrari, che indicano che il cinema americano contemporaneo è post-classico e post-narrativo. Il cinema classico non va considerato come regola indiscussa, ma come una delle tante tecniche cinematografiche possibili.

1.4

Contenuto dei capitoli e film alternativi

I capitoli 2-9 sono governati dalla stessa struttura. Si procede all'identifi­ cazione delle premesse fondamentali di una teoria cinematografica tradizio­ nale, per poi ricavarne un metodo e analizzare un film. Si individuano poi le premesse fondamentali di una teoria cinematografica più recente, se ne ricava un metodo e si analizza di nuovo il film. I capitoli 2-9 sono pertanto strutturati nel modo seguente: • • • • • •

Sezione 1: La teoria cinematografica tradizionale Sezione 2: Il metodo Sezione 3: Lanalisi Sezione 4: Le teorie cinematografiche recenti Sezione 5: Il metodo Sezione 6: Lanalisi

Dunque l’analisi viene scomposta per facilitare la comprensione e il confronto, nel tentativo di demistificare il procedimento legato all'analisi cinematografica, attraverso la separazione in fasi distinte e chiarendo il pro­ cedimento tramite cui le teorie si applicano al film. Il confronto risulta più semplice se tutte le teorie vengono illustrate allo stesso modo, consentendo il confronto tra concetti analoghi. In breve, un medesimo ordine rende mag­ giormente gestibile l’insegnamento, l'apprendimento e l’applicazione della teoria all'analisi cinematografica. I titoli dei capitoli sono organizzati allo stesso modo. Illustrano le teorie tradizionali, le teorie più recenti e il film o i film analizzati. Le teorie tra­ dizionali (nelle quali il termine ‘teorie’ comprende diverse scuole critiche) includono: la critica della mise-en-scène; la critica tematica e l’auteurùme; il post-strutturalismo (S/Z di Roland Barthes); la teoria cognitiva della narrazione cinematografica di David Bordwell; le teorie del realismo; la psicanalisi freudiana e lacaniana; il femminismo. Le teorie più recenti includono: l’analisi della lessicografia statistico-computazionale; la deco­ struzione; le teorie dei nuovi media (la creazione del videogame); la teoria ©cognitiva della narrazione cinematografica di Edward Branigan; le teorie del realismo digitale e della logica modale (teorie del mondo possibile); la Nuova Scuola Lacaniana (in particolare Slavoj Zizek); e le teorie della soggettività e di identità di genere di Foucault e Deleuze. I film americani contemporanei (oltre a due imitazioni) analizzati in­ cludono: Die Hard - Trappola di cristallo (John McTiernan, 1988); Il pa­ ziente inglese (Anthony Minghella, 1997); Chinatown (Roman Polanski, 1974); Il quinto elemento (Luc Besson, 1997); Strade perdute (David Lynch, 1997); Jurassic Park e II mondo perduto (Steven Spielberg, 1993 e 1997); Ritorno al futuro (Robert Zemeckis, 1985) e II silenzio degli innocenti (Jo­ nathan Demme, 1991). Il Capitolo 2 confuta la distinzione fra il cinema hollywoodiano classico e post-classico sulla base di dicotomie quali spettacolo/narrazione, e altri criteri di distinzione, e suggerisce di definire il concetto di post-classicismo come ‘classicismo eccessivo’, anziché considerarlo come rifiuto o mancanza di classicismo, o come il ricorrere nel film classico di momenti in cui ci viene mostrata la nostra stessa inclinazione teorica o metodologica, e che dunque, per cosi dire, ci restituiscono lo sguardo. I film hollywoodiani si prestano all’analisi (almeno) due volte, privilegiando in primo luogo la loro aderenza ai principi dell’estetica classica, e in secondo luogo, all’estetica post-classica (come il manierismo). Nel Capitolo 2, Die Hard - Trappola di cristallo è oggetto di una doppia analisi (classica/post-classica). Il Capitolo 3 affronta l’analisi della mise-en-scène de li paziente inglese, attraverso l’individuazione di alcune tecniche ‘euristiche’ che i critici della mise-en-scène svilupparono negli anni '50 e ’60 per analizzare i film hol­

lywoodiani classici (il primo piano e lo sfondo» il chiaroscuro, la collo­ cazione di oggetti distinti nella stessa inquadratura, l’opposizione fra il montaggio e il piano sequenza). Avremmo potuto scegliere altri film simili o altrettanto rilevanti, multi dei quali sono prodotti o co-prodotti in Gran Bretagna e basali sui classici della letteratura o sulla letteratura contem­ poranea, inclusi i film prodotti dalla 'Merchant Ivory’ come 1 bostoniani (1984), Camera con vista (1987), Maurice (1987), Casa /toward (1992), Quei che reita del giorno (1993), Surviving Picasso (1996) e Tire Goiden ftowl (2000). L'ultimo film di David Lean, Passaggio in india (1984), adat­ tato dal regista stesso, rientra in questa categoria (sebbene la fotografia di Ernest Day sia meno misurata di quella di John Seale ne li paziente inglese). Anche II talento di Mr Ripley (1999), film per il quale Anthony Minghella ha collaborato con John Scale e Walter March, si presta facilmente all'ana­ lisi della mise-cn-scè/tc. L'analisi statistica dello stile trattata nella seconda metà del capitolo quantifica lo stile cinematografico, in particolare i para­ metri della sequenza (dimensione, lunghezza, movimento e angolazione della cinepresa, efficacia del montaggio), per poi svolgere analisi statistiche che sfruttano la tecnologia computerizzata. Questo procedimento analitico è applicabile a qualsiasi film narrativo, benché i risultati ottenuti siano più affidabili nell analisi dei lungometraggi. La prima metà del Capitolo 4 traccia i criteri di base della critica cine­ matografica tematica e la teoria dell'atrteur. Entrambi gli indirizzi inda­ gano le idee di base sulle quali si sviluppa un film, in particolare le idee che conferiscono unità all’opera (o alle opere di un regista). La critica tematica c d’auteur sono forme di critica generiche in ambo i sensi del termine. Si applicano a qualsiasi film o gruppo di film e mirano a generalizzare, determinando ad esempio i significati astratti e impliciti di un’opera ci­ nematografica, ! significati astratti che fanno riferimento a esperienze umane fonda mentali come la sofferenza, l'alienazione, la libertà e la cre­ atività portano il procedimento critico a conclusione, poiché sembrano suggerire un epilogo 'naturale’: nel momento in cui la critica tematica o la teoria dell’auteur identifica queste esperienze umane fondamentali in un film, ne considera svelato il significato ultimo, non ritenendo necessario il ricorso a ulteriori procedimenti analitici. La critica tematica e d’rìwteur vengono indagate in relazione ai film di Roman Polanski, e in particolare al film CMtttiWn. Entrambe le teorie sono state criticale perla loro lettura riduttiva e totalizzante del cinema, in primo luogo dai decostruzionisti, per i quali le discrepanze e gli elementi disgreganti di un testo sono talmente rilevanti da minare il significato tematico dominante. La seconda metà del Capitolo 4 offre una rilettura di Cftfnatow, ponendo stavolta l’accento su una complicata trama di dettagli contrastanti che vanno ben al di là dei significati tematici convenzionali del film.

Il Capitolo 5 illustra la teoria post-strutturalista e il metodo descritti da Roland Barthes in S/Z (Barthes 1974), applicandoli a II quinto elemento, film di produzione francese che imita i film di cassetta hollywoodiani. I cinque codici fondamentali dell’analisi di Barthes (ermeneutico, proairetico, semantico, simbolico e referenziale) riguardano in particolare i testi convenzionali piuttosto che quelli d’avanguardia. Molti film contempora­ nei si possono scomporre sulla base dei cinque codici, benché a nostro giu­ dizio non identifichino tutti i codici dominanti rintracciabili ne li quinto elemento c che la narrazione del film sia strutturata come un videogame. Le regole fondamentali della logica che governa il videogame sono illustrate nella seconda metà del Capitolo 5 (la ripetizione seriale delle azioni, livelli multipli di fatti avventurosi, distorsioni spazio-temporali, trasformazioni magiche e camuffamenti, premi e punizioni, ritmo e interazione) e inda­ gate ne // quinto elemento. Esempi di film alternativi che ben si confanno all'analisi ‘video game' includono Matrix (Larry e Andy Wachowski, 1999), ed eXistenZ (David Cronenberg, 1999) - non per il contenuto (rappre­ sentano simulazioni di videogame durante la narrazione), ma soprattutto perché utilizzano la struttura del videogame (su cui verte principalmente l’analisi de // quinto elemento nella seconda parte del Capitolo 5). Le teorie cognitive della narrativa e della narrazione elaborate da David Bordwell e Edward Branigan indagano il modo in cui gli spettatori com­ prendono la strutture narrative. Mentre il processo di comprensione di una struttura narrativa semplice (le strutture narrative lineari e causali ruotano attorno ad alcuni personaggi centrali facili da identificare) é ben lungi dall’essere lineare, il valore di un’analisi cognitiva del processo nar­ rativo dà prova di sé quando si analizzano film caratterizzati da strutture narrative complesse. Nel Capitolo 6, il film Strade perdute di David Lynch è oggetto di due analisi cognitive, perché presenta delle difficoltà legate alla comprensione (o incomprensione) del film. Le teorie cognitive della narrazione evidenziano i momenti in cui la comprensione viene meno, e identificano i motivi per i quali una scena o una sequenza risulta incom­ prensibile, o difficile da capire. Altri film che avremmo potuto analizzare includono Atto di forza (Paul Verhoeven, 1990), che è interessante quasi quanto Strade perdute, perché confronta il protagonista, Doug Quaid, con tre livelli alternativi di realtà. Nei momenti cruciali del film, sia Quaid sia lo spettatore sono confusi e non capiscono quale sia il livello di realtà operante. Quaid è solo un modesto operaio edile che lavora sulla Terra? Oppure è alle prese con un viaggio virtuale su Marte offerto dalla Rekall, che impianta nella mente ricordi vividi e personalizzati? Viceversa, è un agente segreto su Marte che lavora in collusione con Cohaagen per uc­ cidere il capo della resistenza marziana? Una lettura cognitiva di Atto di forza non risolve queste ambiguità, ma le delinea più chiaramente. Anche

eXistenZ presenta tre livelli di realtà e genera confusione in relazione ai livelli di esistenza dei personaggi. Ma alla fine del film risulta chiaro che il film è iniziato al secondo livello (in un videogame), per poi avanzare al terzo livello (un videogame contenuto in un altro) e concludersi al primo (la vita reale dei personaggi) - sebbene un finale aperto 'metta in dubbio’ questa interpretazione. La confusione dei livelli è semplicemente causata dal fatto che ciascun livello imita gli altri. Il film inizia al secondo livello e non al primo. Infine, Memento (Christopher Nolan, 2000) presenta si­ mili problemi di comprensione perché gli eventi narrativi sono presen­ tati a ritroso. In particolare, gli eventi si snodano all’interno di ogni scena (tranne la sequenza d’apertura), mentre le scene successive rappresentano avvenimenti accaduti in precedenza. Scena dopo scena, il film percorre un lento cammino a ritroso nel tempo attraverso gli eventi narrativi. Il film è ulteriormente complicato da frammenti in bianco e nero di una lunga sequenza inseriti tra una scena e l’altra, in cui il protagonista, Lenny, è al telefono con colui che verrà successivamente identificato come il poliziotto Teddy. Il film contiene anche dei flashback che rimandano ad altri eventi. Il film presenta quindi tre strutture temporali: il presente, presentato al contrario; la telefonata (che diventa parte integrante del presente verso la fine del film); i flashback relativi all’assassinio della moglie di Lenny. II Capitolo 7 (come del resto il Capitolo 3 per la mise-en-scène e il Ca­ pitolo 4 per il cinema d’autore e la critica tematica) si propone di dimo­ strare, fra le altre cose, che le teorie classiche si possono applicare anche ai film contemporanei. Nel Capitolo 7, la teoria del realismo percettivo di Bazin risulta rilevante nell’analisi di Jurassic Park e ne II mondo perduto. Ci auguriamo che il capitolo incoraggi il lettore a verificare l’importanza di queste ‘vecchie’ teorie nell'analisi di film nuovi. Tuttavia, l’opera di Bazin non è in grado di articolare il carattere specifico dei film di dinosauri di Spielberg: in questi film gli effetti digitali sono volutamente ‘vincolati’ per imitare la realtà ottica’; in altre parole, gli effetti digitali sono invisibili (in quanto effetti digitali) e tentano di creare l’impressione di immagini ottiche. Effetti speciali di questo genere servono a risparmiare nei costi di produzione, che sarebbero molto alti se dovessero direttamente produrre effetti del genere senza il digitale. Nei film di Spielberg, gli effetti speciali digitali creano immagini foto-realistiche di oggetti inesistenti (o che non esistono più e che non si possono perciò fotografare): i dinosauri. Il Capi­ tolo 7 introduce la logica modale che indaga lo status di questi dinosauri foto-realistici ma inesistenti. Un film analogo è Matrix, nel quale la realtà digitale è presentata sotto forma di realtà ‘ottica’ (la premessa del film è che il mondo, cosi come lo conosciamo, è soltanto una simulazione com­ puterizzata). Tuttavia, la natura digitale di questa realtà ottica diventa tal­ volta evidente, soprattutto quando è falsata, giacché i personaggi principali

possono alterare le leggi gravitazionali e il tempo. Per esempio, li vediamo bloccarsi a mezzaria (mentre la cinepresa si muove intorno a loro), sfrut­ tando la tecnica del ’bullet-time’ elaborata dalla Manex Visual Effects. Il Capitolo 8 utilizza concetti freudiani, lacaniani e le teoria della Nuova Scuola Lacaniana per interpretare e analizzare Ritorno al futuro, nel quale la narrazione del viaggio nel tempo si unisce a quella edipica. Il film aderisce a un’interpretazione edipica, benché i termini siano qui rovesciati: Marty (il protagonista) viaggia a ritroso nel tempo e incontra i futuri genitori - la futura madre si innamora del figlio, mentre il futuro padre viene rappresentato come un personaggio debole e privo di auto­ rità. Un’interpretazione fondata sulla nuova scuola lacaniana (che prende spunto dal lavoro di Slavo) Zizek) evidenzia il significato post-edipico e post-patriarcale attraverso concetti quali la vergogna, l’umiliazione (incen­ trata sull’idea di paternità e virilità in relazione alla politica della razza), la sostituzione del padre totemico da parte dei fratelli, e la ridefinizione del ruolo del super-lo. Altre possibilità di scelta avrebbero potuto includere Atto di forza, Brazil, Pulp Fiction e ^esercito delle 12 Scimmie. 11 Capitolo 9 passa in rassegna le trasformazioni che coinvolgono la teoria cinematografica psicanalitica, in particolare il suo allontanamento dalla teoria femminista ispirata alle teorie freudiane e lacaniane e il suo avvicinamento a Michel Foucault e Gilles Deleuze, con un graduale pas­ saggio dal sesso (biologia) all’identità sessuale. Qucst’ultima appartiene all’aspetto discorsivo e rappresentativo, che implica un diverso genere di ‘politica sessuale’. L’importanza dell’identità di genere chiarisce perché il capitolo sia incentrato sulla teoria queer di Foucault e termini con Deleuze, allo scopo di determinare il valore della loro opera a fronte del modo in cui il cinema, come racconto, mette in scena dinamiche di genere. Il film analizzato in questo capitolo, Il silenzio degli innocenti, considera un ordine patriarcale irrealizzabile dal punto di vista di una giovane professionista. Analizzato da una prospettiva femminista classica, secondo cui il cinema perpetua le ineguaglianze sessuali, // silenzio degli innocenti gravita intorno alla figura di Clarice Starling e al suo ’problema': riuscire a sfondare in un mondo maschile, allorché gli indicatori della differenza e dell’identità di genere sono messi in discussione da figure patologiche come Buffalo Bill e, socialmente, da maggiori prospettive di carriera per le donne. Il film privilegia inoltre l’iniziazione edipica, stavolta legata a una figura femmi­ nile che riveste il ruolo strutturale di un uomo. Il film ci conduce infatti al limite della relazione che si instaura fra la differenza sessuale e la sua rappresentazione nel cinema. Il superamento di questi limiti implica la ricerca di un altro tipo di interpretazione fondata su concetti nuovi: i con­ cetti psicanalitici dell’assenza, del feticismo o del voyeurismo sono sosti­ tuiti dall’istituzione come discorso, dal potere e dalla disciplina, da diversi

@

livelli di visione, da regimi scopici, da sguardi intensi, dalla pazzia c dalla patologia, dalla persecuzione, dalle superici sensoriali, tattili e sonore (Foucault), olire che dalla crisi dell'immagine imperniata sull'azione, dalla deter ritorta] izzazione, dal corpo privo di organi, dal concetto di divenire e dalla metafora della piega (Deleuze). Altre opzioni di analisi potevano includere Seven e, naturalmente, Ha/imW.

1.5

Sommario

1.5.1

Cosa studiano gli esperti?

Si identificano tre aree di indagine negli studi sul cinema: « • •

la storia del cinema la teoria cinematografica 1'anaiisi dd film

La vecchia storiografia cinematografica si fonda su due ipotesi: l'ipotesi te/erjfqgrcfl, che concentra l'attenzione dello storico sui film che presentano qualche innovazione tecnologica, e un'ipotesi tssenzjflhs/tj, secondo cui i risultali tecnici raggiunti sono da ritenersi importanti perché coinvolgono l'essenza de! cinema. La ’Nuova Storiografia Cinematografica' (dagli anni *70 in poi), elabora aree di indagine specifiche e circoscritte (piuttosto che globali) e svolge la ricerca avvalendosi di metodi rigorosi, sistematici ed espliciti e di documenti d'archivio di primaria importanza.

1.5.2

Perché si studiano i film (americani classici e contemporanei)?

(I) Per capire il ruolo della narrativa nei film con temporanei. (2) Con tutta probabilità il cinema non sarebbe oggetto di studio se mancassero i film americani classici e contemporanei,

1.5.3

Come si studia un film?

Il metodo d’indagine applicato agli studi sul cinema implica una distin­ zione fra la teoria, il metodo e l’analisi. La Trarrti. Lo scopo della teoria è di rendere visibile la struttura invisibile

che ordina e conferisce intelligibilità ai film. I valori intrinseci delle teorie cinematografiche portano il teorico a orientarsi sugli aspetti particolari della natura generica di un film, o sulle sue qualità essenziali. Le teorie formulano delle ipotesi sulla natura generica dei film, e condu­ cono alla elaborazione di una conoscenza dichiarativa (’il sapere che’, Gilbert Ryle). Il Metodo. Il termine ’metodo’ si riferisce semplicemente alla conoscenza procedurale (‘Ryle: il sapere come’). La retorica identifica le fasi coinvolte nel ragionamento dall'inizio alla fine e comprende l’invenzione, la compo­ sizione e lo stile, ovvero:

• • •

inventio (invenzione, scoperta) disposino (disposizione, composizione, organizzazione) elocutio (elocuzione, stile)

Inventio

Secondo Aristotele, ‘i sillogismi’ erano lo strumento atto all’elaborazione di un’argomentazione e includevano: la definizione, il con­ fronto, la relazione, la circostanza e la testimonianza.

Definizione: si colloca l’argomento da definire in una categoria gene­ rica e si evidenziano le differenze specifiche che distinguono un argo­ mento da altri argomenti. Definizione di ‘uomo’ = ‘animale razionale’; ‘animale’ è la categoria generica; ‘razionale’ è la caratteristica specifica che distingue l’uomo dagli animali. Teoria classica del cinema: ‘film’ = ‘arte’ (categoria generica).

Bazin: la capacità di registrazione fotografica è la caratteristica speci­ fica che distingue il cinema dalle altre espressioni artistiche. Arnheim: l'unicità del cinema è la peculiarità che distingue il cinema dalle altre espressioni artistiche. Confronto: comparazione e contrapposizione di due o più argomenti; talvolta il procedimento prevede la classificazione (’migliore o peg­ giore’, ’più o meno’). Il dibattito incentrato sulla relazione tra il cinema hollywoodiano clas­ sico e post-classico utilizza il sillogismo del confronto.

I valori radicati nell’approccio auteuriste nei confronti del cinema sfruttano il confronto per orientare l’attenzione del critico sulle analo­ gie rilevate all’interno dell’intera produzione di uno stesso regista. Relazione: causa ed effetto, di cui si servono gli studiosi di cinema per illustrare gli effetti che un film è in grado di produrre sugli spettatori attraverso la ricerca di possibili cause. Circostanza: ‘il possibile e l’impossibile’; ‘fatti passati c futuri’. Lo studioso inventa uno spettatore ipotetico o immaginario e annota le sensazioni provate dallo spettatore durante la visione di un film (fatti passati) per poi ricavarne considerazioni generali, partendo dal pre­ supposto che chiunque vedrà il film in futuro reagirà esattamente allo stesso modo (fatti futuri). Inoltre, lo studioso che immagina un ipo­ tetico spettatore, descrive lo spettro di reazioni possibili che un film può suscitare.

Testimonianza: riferimento a fonti esterne, in particolare l’autorità (le opinioni ben informate) o gli esempi tratti dal film. Nell’analisi oc­ corre considerare attentamente gli esempi tratti dal film e il modo e la frequenza con cui si adoperano, cosi come il motivo che spinge a considerare una scena piuttosto che un’altra. Un altro metodo di elaborazione parte dalla formulazione di una do­ manda riferita a un problema specifico, oppure evidenzia i punti de­ boli e i limiti riscontrati nel lavoro condotto nell’ambito di ricerche precedenti.

DispOSÌtio Aristotele: introduzione, presentazione, dimostrazione, epilogo. Per gli studiosi di cinema la ‘presentazione’ è l’elemento chiave. Lor­ dine dato da alcuni studiosi dipende dal modo in cui il film è strutturato, mentre altri selezionano sequenze o scene specifiche. ElOCUtlO

Correttezza, purezza, semplicità, chiarezza, adeguatezza, abbellimento-, rifiuto dei cliché.

Analisi Uno degli obiettivi principali

dell’analisi è verificare in che modo un film produca significato. Non esiste forse una contraddizione fra, da un lato, la percezione e la ricezione di un film come esperienza continua,

e dall’altro, il fatto che il film come sequenza di fotogrammi risulti costituito da entità discontinue e discrete? Lo studioso esamina questa contraddizione concentrandosi sul film stesso, sulle sue unità di base e sul modo in cui sono correlate, o sulla relazione che si instaura fra il film e lo spettatore (dal punto di vista della psicanalisi o della scienza cognitiva).

La narrazione classica/ post classica (Die Hard Trappola di cristallo)

Introduzione Questo capitolo si propone di definire gli elementi che concorrono alla distinzione fra il cosiddetto cinema hollywoodiano classico e post-classico, passando in rassegna la gamma di definizioni relative a tale distinzione (economiche-istituzionali, legate a un momento storico preciso e storiogra­ fiche, stilistiche, politico-culturali, tecnologiche e demografiche), ponendo l’accento su quella stilistica, per poi esaminare la contrapposizione fra la componente narrativa e quella spettacolare, contrapposizione spesso citata ma non del tutto convincente, che divide la vecchia e la 'nuova Hollywood. Alcuni principi di base della narrazione cinematografica vanno ripresi per chiarire il significato di questi termini, descrivendo brevemente le premesse e i procedimenti di due orientamenti analitici che hanno dominato i film studies di stampo accademico: il primo è quello aristotelico o poetologico della sceneggiatura ben scritta, mentre il secondo è quello strutturalista deri­ vato dall’analisi dei miti di Claude Lévi-Strauss e dalla morfologia della fiaba popolare di Vladimir Propp, talvolta trasfigurato in una rappresentazione diagrammatica che è nota come quadrato semiotico' di A.J. Greimas. Per quanto riguarda la componente spettacolare, si prenderà in con­ siderazione la possibilità, o addirittura (obbligo di analizzarla in contrap­ posizione a quella narrativa. Non ci si propone pertanto di paragonare i due approcci analitici alle recenti teorie dello spettacolo, percorso invece intrapreso dalla teoria cinematografica femminista dell'identità di genere, in cui si evidenzia il contrasto fra la scopofilia/epistemofilia maschile (nar­

razione: ‘il sadismo richiede una storia’) c l’atteggiamento femminile pas­ sivo del far mostra di sé come oggetto per la vista (‘spettacolo: il concetto di to-be-looked-at-ness"); dagli storici del cinema delle origini (‘il cinema delie attrazioni’ contrapposto al ‘cinema dell'integrazione narrativa’); dai sostenitori di film caratterizzati da effetti speciali; o dai teorici dell' evento mediatico (‘spettacolo, cerimonia, festival’). Si utilizzerà invece un metodo più induttivo per ricavare una serie di termini di base dall’analisi del block­ buster Die Hard - Trappola di cristallo (prodotto da Joel Silver, diretto da John McTiernan, sceneggiatura di J. Stuart/S.E, de Souza, 1988, protagonisti Bruce Willis, Bonnie Bedelia e Alan Rickman). La nostra tesi parte dal presupposto secondo cui il film è al contempo ‘classico’ e ‘post-classico’, e dal fatto che la differenza dipende tanto dalla strumentazione analitica impiegata in ognuno dei singoli casi, quanto dalle qualità formali e tecnologiche oggettive’ del film. Si citeranno a tale fine alcune recensioni di Die Hard che tendono a concordare sul fatto che il film privilegia l’intenzione spettacolare a discapito di quella narrativa, benché non risulti chiaro se accolgano o lamentino questo cambiamento di pro®spettiva. Un'analisi testuale più accademica che evidenzia caratteristiche di Die Hard solitamente associate al cinema hollywoodiano classico piuttosto che post-classico verrà contrapposta alle recensioni apparse sui quotidiani, per poi proporre un’altra lettura, che sottolinea elementi per cosi dire post­ classici, sulla base, tuttavia, di un insieme di criteri leggermente diversi da quelli che sostengono la contrapposizione spettacolo/narrazione, e l’affer­ mazione secondo cui il cinema hollywoodiano post-classico prediligerebbe gli effetti speciali a discapito della trama. Alla fine del capitolo si constaterà come anche tra gli esperti di cinema sembra affiorare la tendenza a spostare la linea di demarcazione fra il cinema classico e post-classico a seconda del campo di studio che si tende a privilegiare, cosicché la distinzione stessa tra i due termini si fa confusa, portando alcuni critici a dubitare dell'utilità stessa del termine ‘classico’. In tal modo verrà concretamente attivata la di­ stinzione fatta nel capitolo I tra l’analisi e l’interpretazione, intesa come un mutamento di approccio piuttosto che di oggetto (in breve, si passa dalla percezione della differenza ‘là fuori’ a quella del ‘qui dentro’), attraverso una gamma di interpretazioni diverse - classica e post-classica, formalistica e culturalistica -, evitando di contrapporle in senso esclusivo. Il che anticipa anche l’approccio adottato nei capitoli seguenti, dove diverse analisi testuali si giustificano non tanto in virtù di una naturale corrispondenza tra il me­ todo e il film, né tanto meno perché riteniamo che alcuni prodotti del ci­ nema hollywoodiano contemporaneo meritino di essere analizzati con il supporto di una teoria prestigiosa o particolarmente ambiziosa. Lo scopo è piuttosto quello di mostrare che ipotesi differenti (es., quelle in cui emerge l'approccio dei cultural studies orientati all’analisi dell’identità di genere, o

quelle fondate su prospettive psicanalitiche c p osi-struttu cali ste) rivelano diversi aspetti dei testo fìlmico e dell'esperienza filmica» senza invalidare letture più mirate, formali e narratologiche. Abbiamo scelto Die Hard per svariati motivi. Al di là delle eterogenee recensioni di cui fu oggetto all'uscita sugli schermi, il film divenne da subito un grande successo di pubblico e un classico del nuovo film dazione, che predilige la spettacolarità e gli effetti speciali, piuttosto che la narrazione. Die /fard segna anche l'avvio della grande carriera dell'interprete principale del film, Bruce Willis, fino ad allora di attore soprattutto televisivo. Come si vedrà in seguito, il ruolo dell'eroe del film dazione da lui incarnato è una figura insolita, perché si rapporta in modo del lutto imprevedibile a tema­ tiche quali l'identità di genere, la classe sociale di appartenenza e la razza­ ta colonna sonora di Die Hard è stata esaltala dagli appassionati del genere e spesso citata nelle discussioni sull’uso di tecniche cinematografiche in­ novative nella filmografia hollywoodiana post-classica. Jl successo del film ha prodotto dei sequel (Die Hard 2 - 58 minuti per morire, Die Hard III Duri a morire) quasi altrettanto redditizi per il produttore, lo sceneggiatore e gli attori. Ciò suggerisce la presenza di diversi livelli di autorefe renzi al ita nell'industria cinematografica, che è poi un'altra caratteristica della modalità post-classica. In Die Hard - Trappolo di cristallo, il poliziotto John McClane (Bruce Willis) arriva a Los Angeles alla vigilia di natale con la speranza di ricon­ ciliarsi con la moglie Holly (Bonnie Bedelta), che lavora per una multi­ nazionale giapponese. McClane la raggiunge direttamente dall'aeroporto, per partecipare a un party per le festività natalizie che si sta svolgendo nd grattacielo della Nakatomi. Il grattacielo diventa però lo scenario di una rapina di un gruppo armato dì terroristi tedeschi capeggiali da Hans Gru­ ber (Alan Rickman) che prendono in ostaggio i dipendenti. Al momento dell'irruzione, McClane riesce a sfuggire ai terroristi, ma ben presto rimane intrappolato nei piani ancora in costruzione del grattacielo. Tra i terroristi high-tech e il poliziotto scalzo e in canottiera comincia una sfida tutta gio­ cata su colpi d'astuzia e d'arma da fuoco. Con l'aiuto di un collega di colore con cui è in collegamento radio all'esterno, il protagonista, impegnato in un serrato confronto armato con i terroristi, elimina la banda, ne uccide il capo, libera gli ostaggi e riconquista la moglie.

2.1

La teoria: Il cinema classico hollywoodiano

Il dibattito che si sviluppa intorno alla distinzione fra cinema hollywoo­ diano classico e post-classico spesso contiene una nota polemica. Di solito,

la domanda è formulata in questi termini: il cinema post-classico è rima­ sto immutato, oppure occorre cambiare le nostre chiavi analitiche per ren­ dere giustizia ai film girati a Hollywood a partire dalla metà/fine degli anni ’70? Una corrente (rappresentata per esempio da David Bordwell e Kristin Thompson) sostiene che non serve cambiare approccio, giacché anche i successi cinematografici hollywoodiani del nostro tempo per molti aspetti rispondono a criteri stilistici e narratologici che hanno pervaso il cinema tradizionale dagli anni '20 agli anni '60. Un’altra corrente (a cui apparten­ gono Thomas Schatz, Tim Corrigan, Scott Bukatman) ritiene invece che siano da chiarire le differenze, e non gli scenari immutati, per spiegare il grande ritorno del cinema hollywoodiano. Per esempio, se si considerano i diritti di produzione cinematografica, l’offerta, le nuove tecniche di mar­ keting e le reti di distribuzione globali come fattori chiave della trasforma­ zione del cinema hollywoodiano dalla metà degli anni '70 in poi, si potrà allora concludere che questa ‘nuova’ Hollywood dipenda da una sua diversa capacità di seduzione sulla platea e da un pubblico più giovane, flessibile e globale. Anche la componente narrativa presenta dei cambiamenti, benché più graduali e contradditori: primo fra tutti il cinema d'autore europeo degli anni 'SO e '60, che ha introdotto relazioni di causa ed effetto più blande, un protagonista meno calcolato e un finale aperto a diverse possibilità di solu­ zione; e come a contrastare questi mutamenti, si è assistito allo sviluppo di un percorso parallelo nel quale l’orientamento narrativo della cinematogra­ fia hollywoodiana è tornato a riferirsi ai miti primitivi e agli stereotipi, ora filtrati dalle formule stilistiche delle serie televisive di un tempo. I sostenitori della rottura ‘post-classica’ aggiungerebbero che sono gli effetti speciali, le coreografie sonore e le sensazioni fisiche tipiche piutto­ sto del luna park o delle montagne russe a caratterizzare più chiaramente l’estetica del Nuovo Cinema Hollywoodiano, e che l’orrore, le morti violente e le scene di sesso esplicito (inclusa la pornografia), sono passati dai film di serie B alla cinematografia mainstream. Gli stimoli sensoriali e gli ingre­ dienti tematici hanno cambiato il modo in cui si elaborano e visualizzano i film, che vengono di conseguenza interpretati (o fruiti) in maniera diversa dal pubblico. In tale contesto, il termine ‘spettacolo’ qui indicherebbe che questi film sono ‘vissuti’ piuttosto che visti, offrono uno spazio immagina­ rio da ‘abitare’ e non una finestra aperta sulla realtà. Laccento sull'impatto sensoriale e sul contatto emotivo suggeriscono che la narrazione ha perso la rilevanza tipica del periodo dello stile cosiddetto classico. Ma che cose o che cos’era esattamente lo stile classico?

2.1/1

Lo stile narrativo classico hollywoodiano; due modelli possibili

La descrizione di alcuni dei possibili prototipi della narrazione classica hollywoodiana rimanda a due gruppi o famiglie di ispirazione letteraria: il primo gruppo deriva dal dramma classico e dal romanzo (la poetica di Aristotele, il formalismo russo, Gérard Genette); il secondo da tradizioni orali quali i miti, le tavole e il romanzo primitivo (picaresco) (Lévi-Strauss, Propp, Bakhtin). Negli studi sul cinema, il primo c associato alla struttura narrativa tradizionale cosi come viene insegnata nei manuali di sceneggia­ tura e perfezionala nella poetica neo-formalista di David Bordwell (Bord­ well 1985); il secondo ha talora adattato la jMorpftofogy 0/tfte FcM 'ftìte di Vladimir Propp (1973) (es., Wollcn 1982) o elaboralo un'interpretazione strutturalista tradizionale della narrazione hollywoodiana classica grazie alla Strwc/Hra/ Antfjropafogy di Claude Lévi-Strauss (1972) (e modificata da Raymond Bellour 0 Fredric Jameson), che è stata ampiamente discussa da studi critici di primardi ne come il saggio collettivo apparso nei Copiers du Cinéma che prende in esame il film ditello da John Ford, A/fw di gloria (Nichols 1986); studi strutturalisti di alcune categorìe cinematografiche (il western, i film di gangster), o Tintcrpretazione ideologica di Colin MacCabc del 'testo realista classico nella letteratura e nel cinema (1985; 1986); infine, alcuni studiosi hanno derivalo un metodo di analisi (soprattutto riferito ai film non hollywoodiani) dalla teoria del testo 'dialogico’ o ‘etenoglossico’ di Mikhail Bakhtin (es.,Stam 1992). A questi si potrebbe aggiungere il modello narratologico sviluppato da Roland Barthes in S/Z, che verrà approfondilo nel Capitolo 5. In generale, questi modelli operano una distinzione fra il livello macroanalitico condiviso da tutte le espressioni narrative, a prescindere dai mezzi oda! materiali di supporto (orali, scritti, racconti cinematografici, fumetti, la pittura allegorica), e il livello micro-analitico, in cui si cercano espedienti stilistici medio-specifici ed elementi formali più pertinenti all'analisi - in questo caso - della narrazione cinematografica (la scala dei piani, il movi­ mento e la prospelli va della cinepresa, la composizione delle immagini, il passaggio da un'inquadratura all'altra, lo spettro di relazioni possibili fra il suono c l'immagine), Lévi-Strauss ha elaboralo alcune delle categorie più note dell’approccio macro-analitico, quali gli opposti binari, che fungono da blocchi costitutivi delle espressioni narrative più note. Il suo metodo si è rivelato influente non perché rappresenti una sorla di verità' sul mondo o sulla mente umana, ma perché il suo testo chiave in tal senso, vale a dire lo ’studio strutturale del mito' (1972), aderisce a un rigoroso formalismo ed evidenzia preoccupa­ zioni di carattere teoretico che sono condivise da qualsiasi analisi narrativa,

quali il problema della segmentazione, della categorizzazione e della classi­ ficazione, oltre a considerare la ‘differenza’ (percettibile) come la condizione minima di produzione del significato. Lévi-Strauss deduce anche delle in­ ferenze relative alla funzione socio-culturale delle espressioni narrative: il modo in cui esse elaborano un’idea della natura e del sovrannaturale, clas­ sificano relazioni di analogia (affrontando così la questione della differenza sessuale) e si occupano delle contraddizioni (indagando le categorie logiche delle forme narrative); infine, l’importanza che rivestono in quanto sim­ bolo delle relazioni economiche di una società (i loro sistemi impliciti di scambio ed equivalenza). A proposito della relazione che le forme narrative intrattengono con il mondo non narrativo dei fatti bruti e delle condizioni sociali dell’esistenza, Lévi-Strauss afferma che i miti sono ‘la risoluzione im­ maginaria delle contraddizioni reali’ che aiutano gli esseri umani a dar senso alla loro vita. Di contro, il modello aristotelico sembra sottolineare l’unità generale (di tempo, spazio e azione), piuttosto che la segmentazione, e verte sul ruolo dei personaggi nella veste di agenti iniziatori, che fungono da elementi centrali di una forma narrativa, piuttosto che sugli scambi interpersonali (funzioni). Questo genere di analisi continua tuttavia a distinguere delle unità discrete quali la divisione in atti (la tragedia greca o il ‘boulevard’), e chiarisce la relazione tra gli atti (secondo Aristotele, lMimprevisto è seguito dal ‘rove­ sciamento delle sorti, che conduce al ‘momento del riconoscimento’ c a una ‘risoluzione’). Aristotele osserva anche che le forme narrative drammatiche ruotano generalmente intorno a un unico protagonista. Pertanto, i com­ mentatori concordano nel dire che gran parte della forma narrativa classica hollywoodiana aderisce a questo modello: Cos’è la narrazione (‘una sequenza di azioni ordinate nel tempo c nello

spazio*) e che cos’è la narrazione hollywoodiana? I manuali di sceneggia­ tura si ispirano ai modelli del dramma, alla divisione aristotelica, o alla novella, l^a divisione in tre o quattro atti, lelaborazione dei personaggi, la trasformazione, la situazione di partenza, l’imprevisto» la risoluzione, le

conseguenze della stessa.

(Hauge 1988)

Questo atteggiamento contrasta con il modello proposto dal formalismo russo che da una parte si rifà a Vladimir Propp, il quale si limitava semplicemente a concatenare una serie di funzioni narrative, mentre dall’altra distin­ gue il materiale narrativo di base (la storia: un continuum spazio-temporale) e il modo in cui è organizzato (trama: distribuzione discontinua delle in­ formazioni) sulla falsariga di Victor Shklovsky. La distinzione operata da Shklovsky fra fabuia (la storia) e syuzhet (l’intreccio) è stata rielaborata da

David Bordwell nell’opera Tire Catticeli HollywoodCinema (scritto con Janet Staigere Kristin Thompson, 1985) e in Nrtrralion ót /he Ficficm Film (1985), dove si teorizzano le macro-si ruttare e i micro-livelli di una struttura nar­ rativa tradizionale sulla base di principi aristotelici e criteri tratti dal for­ malismo russo. (Nella prima parte del Capitolo 6 si utilizza Nurratrou ór f/te Fiction Filni per analizzare S/mde pen/ute). Bordwell mutua da Aristotele il nesso causate incentrato sul personaggio che guida l'azione e vi innesta la trama a doppio filo che sì incontra nei cinema hollywoodiano classico (intreccio avventuroso + intreccio sentimentale) e che ne regge la coerenza narrativa attraverso l’intersecarsi dei due fili e il loro porsi come reciproca risoluzione, l’uno rispetto all’altro, Dal formalismo russo, Bordwell deriva l'idea della narrazione intesa come distribuzione variabile di spunti, che lo spettatore deve mentalmente riordinare in un continuum spazio-temporale lineare. La doppia traina sposta l’attenzione su un altro metodo descrittivo del cinema hollywoodiano, che usa il modello di Propp insieme a quello di Levi- Strauss. Si potrebbe parlare di due livelli, anziché di una doppia trama, ognuno dei quali è organizzato in maniera specifica. In tal senso, la trama avventurosa rapprese alerebbe la ‘struttura superficiale’ di un film, mentre la storia d’amore delinca una ‘struttura profonda': l’una genera una struttura Logica visibile e l’altra una logica non visibile. Si potrebbe affer­ mare, forse semplificando, che un genere particolare di interazione collega la struttura superficiale alla struttura profonda, in cui il realismo’ (verosi­ miglianza) si confronta con la ‘fantasia1 (una commistione di desiderio e divieto), mentre Tintelligibilita si misura con la contraddizione tangibile'. Un'interpretazione psicanalitica comporterebbe una distinzione fra la 'lo­ gica razionale' c la 'logica del desiderio’. La prima è univoca, sequenziale e caratterizzala da connessioni causali. La seconda è legata al passato ed è quindi governata dalla ripetitività e da un andamento circolare. Entrambi i livelli sono in tensione fra loro. Tuttavìa il pubblico non è reso partecipe di questo rapporto. In effetti, l’invisihilità appartiene alla logica del desiderio, giacché per essere emotivamente e ideologicamente efficace deve rimanere a livello ‘inconscio’ Anticipiamo qui un aspetto dell’analisi dì Dìe Hard: in veste di agente ra­ zionale, McClane desidera riconquistare la moglie e lo pub fare salvando gli ostaggi e sgominando i terroristi. Parallelamente, o dietro una motivazione razionale, si cela la logica del desiderio - o ansia - che spinge il protagonista a tutelare la propria identità di maschio appartenente alla classe proletaria, il cui status è minaccialo dalla scalata al successo deile donne nel mondo (borghese) dirigenziale, dallo svilimento della produzione industriale do­ vuta all’ascesa delle multinazionali c dalla redistribuzione del lavoro in paesi dove la manodopera costa meno. Ne consegue che se a livello razionale Me-

Ciane agisce intenzionalmente, calcolando mezzi e fini, a livello del deside­ rio rimane caparbiamente fedele a se stesso, rappresentando in tal modo il maschio americano che si afferma attraverso valori ostentatamente virili, la forza bruta e il coraggio fisico. Il film (o il suo ‘funzionamento ideologico’) riesce abilmente a equilibrare entrambe le logiche, accorpandole a un'unica storia che risulta accettabile sotto il profilo emotivo e narrativo. Quello che appare naturale e palese a un pubblico concentrato sull’azione e la suspense potrebbe anche essere una manovra ideologica atta a riaffermare i prin­ cipi del patriarcato e della supremazia (bianca) in un periodo di profonda trasformazione economica e multiculturale. A livello di superficie, il film ricorre al meccanismo della minaccia esterna, rappresentata dai terroristi stranieri, i quali funzionerebbero piuttosto da copertura della “vera" minac­ cia che è tutta interna al quadro di riferimento dell’eroe, scisso dalla contrad­ dizione fra virilità patriarcale (espressa dal desiderio dell’eroe di non doversi mai scusare) e capitalismo finanziario (che vede figure femminili impegnate in ruoli imprenditoriali di gestione del personale, della comunicazione e dei servizi, a discapito di figure maschili semi-qualificate che lavorano nelle fabbriche). Attraverso la sostituzione di un insieme di problematiche (i ‘ter­ roristi’ o gangster) con un altro (l’identità di genere, la razza e la classe so­ ciale di appartenenza), la componente narrativa del film idea e mette in atto un processo di scambio fra una logica razionale e una invece del desiderio/ angoscia, il cui effettivo funzionamento rimane inconscio e rimosso tanto per il protagonista quanto per il pubblico.

2.1.2

La narrazione come sillogismo: il quadrato semiotico

Il dilemma psichico (del protagonista) o l’operazione ideologica (della componente narrativa) si può anche descrivere in termini di logica formale o strategia retorica. Si potrebbe considerare l’azione razionalc/il desiderio inconscio di John McClane come un processo tridimensionale e dinamico, di cui la narrazione è l’espressione lineare e sequenziale resa necessaria pro­ prio dalla sua radice invece stratificata e contraddittoria, anziché presentarla come mero contrasto (struttura superficiale/struttura profonda) di opposti binari (maschio/femmina; bianco/non bianco; americano/straniero). LéviStrauss sosteneva che una cultura ricorre al mito quando si confronta con esperienze contraddittorie che non è in grado di cogliere. Il mito conserva la contraddizione e allo stesso tempo la ‘risolve’ ricorrendo a strumenti e me­ todi diversi - per esempio, quello dell’arte o narrazione - che motiva la tesi di Lévi- Strauss, secondo cui i miti sono ‘la risoluzione immaginaria di con­ traddizioni reali’. Lévi-Strauss prende ad esempio il mito di Edipo per sta-

bì Li re una scric di equazioni consecutive caratterizzate da varabili multi pie ( A:B - C:D), per mostrare che una famiglia di racconti mitologici trasforma delle affermazioni inizialmente contraddittorie in equivalenze all'apparenza prive di incognite (vedi Lévi-Strauss 1972). Nel nostro caso, si tratta di 'ter­ roristi che prendono in ostaggio delle donne' = Tidentità maschile fondata sull'appartenenza alla classe proletaria viene presa in ostaggio da valori bor­ ghesi femminili’, consentendo in lai modo al l’idealità maschile di trarre in salvo ’le donne prese in ostaggio'. AJ. G rei mas (1983) aveva individuato nella rappresentazione di contraddizioni inconsce insite nella società umana uno strumento logico tradizionale simile al sillogismo aristotelico, che fissa le regole del ragionamento deduttivo (vedi Corbett e Connors, 1999). I lo­ gici operano una distinzione fra enunciati (quantità) universali e particolari e tra asserzioni (qualità) positive e negative, per dedurre conclusioni valide da premesse predeterminale. Una volta inserite le premesse nel cosiddetto ‘quadrato degli opposti1, è possibile verificare la validità degli enunciati, col­ locando i termini in questione in angoli diversi del rettangolo, a seconda che siano positivi o negativi (per es., umano/non umano), o che sostengano affermazioni di natura universale o specifica (tutti gli esseri umani/alcuni esseri umani). Le diagonali tracciale in alto e in basso, a sinistra e a destra, stabiliscono delle relazioni pertinenti, G rei mas ha desunto da tale esempio il cosiddetto quadrato semiotico, elaborando un modello strutturale che il­ lustra le condizioni di possibilità della narrazione. Il quadrato semiotico si compone di opposizioni (termini che si escludono recìprocamente), con­ trapposizioni (una doppia negazione genera un termine positivo) e impli­ cazioni (termini prodotti da relazioni complementari), e serve a rendere comprensibile la ’struttura elementare del significalo1, specificando i “vincoli semantici’ che sono alla base di forme narrative culturalmente significa­ tive. Per esempio, le ripetizioni, la verbosità e le relazioni di reciprocità indi­ viduate nella morfologia della fiaba popolare russa di Propp hanno condotto Greimas a ricondurre la successione lineare degli eventi narrativi di Propp ad un sistema circoscritto, nel quale le limitazioni semantiche del quadrato sillogistico potessero giustificare la sostituzione delle funzioni. Questo dopo che Propp aveva dimostrato che la molteplicità dei personaggi presenti nella fiaba popolare si può ridurre a un repertorio relativamente limitato di fun­ zioni e che azioni specifiche si possono inter prelare come azioni generi­ che'. Nel racconto, la trasgressione è l’incvitabite conseguenza del divieto, Cosicché un’azione sottintende l’altra, ed equivale alla manifestazione di un singolo comportamento. Greimas ha proposto la nozione dei sememi (unità minime di manifestazione semantica), organizzandole in uno schema com­ posto da quattro termini:

Questi quattro semi fissano delle relazioni logiche tra di loro. Il sema SI rappresenta il termine positivo. S2 instaura una relazione antitetica con SI; -SI è il contrario di SI; -S2 è sottinteso da SI. Per esempio, si conferisce un contenuto semantico/umanoa Si, S2 = /anti-umano/, -SI = /non umano/, e -S2 = /non anti-umano/. James Kavanaugh riconosce in questi semi i valori predominanti del film Alien di Ridley Scott (Kavanaugh 1980): Umano

Non anti-umano (il gatto Jones)

Anti-umano

Non umano (il robot Ash)

Greimas dimostra pertanto che una forma narrativa genera un senso di coerenza e di chiusura tramite una struttura che racchiude in sé la negazione, l’equivalenza, la contrapposizione e la contraddizione, intesi come tipi di relazione logica elaborati al fine di accogliere materiale ideologicamente o culturalmente contraddittorio. Fredric Jameson riassume i vantaggi del rettangolo semantico: il primo vantaggio del meccanismo elaborato da Greimas è di obbli­ garci ad organizzare concetti o termini apparentemente statici e a sé stanti

in contrapposizioni binarie ... che costituiscono il punto di partenza per poterli comprendere, il che si potrebbe ottenere tramite l’invenzione di un concetto intercessorio atto a colmare il divario prodotto [dalla contraddi rione], oppure attraverso un [meccanismo che funziona come) sistema di

valori, nel quale la materia prima proveniente dall’esterno è collocata nella

struttura rettangolare e al contempo trasfigurata in elementi simbolica­

mente rilevanti all'interno del sistema. (Jameson 1972)

Anche Jame&on ha desunto una serie di rettangoli semantici analoghi per alcuni film hollywoodiani quali Qnl’Jpomeriggio di un giorno do cani e Sfiining (Jameson 1990), raccogliendo in entrambi i casi il 'materiale' socio* politico che il film in questione sembra trasformare. Se considerato dall'esterno come un accumulo di 'materiale' cultural­ mente problematico, Die Hard si presenta come una sequenza di opposti binari. Sarà pertanto possibile vedere quali funzioni e relazioni vengono chiamate in causa allorché si elabora per opposti binari la 'struttura rettan­ golare di un quadrato semiotico: maschio e femmina, proletariato e borghe­ sia, stranieri e con nazionali, polizia e criminali potrebbero rappresentarc gli opposti binari che servono a stabilire le relazioni contraddittorie, contrarie e complementari a loro volta necessarie per determinare la conclusione immaginaria. Al Powell, il poliziotto di colore, incarna addirittura il 'con­ cetto intercessone che colma il divario': durante la trattazione si evidenzierà l’importanza non solo del personaggio ma anche del tema della ‘razza’ in rapporto allo sviluppo logico dell'azione nel film e agli sviluppi successivi della trama.

2.2

La narrazione classica hollywoodiana: il metodo

Per quel che riguarda il metodo, tanto il manuale di sceneggiatura quanto il modello strutturalista si possono utilizzare ai lini della segmentazione. Entrambi citano principi di divisione e differenza, definiscono gli elementi costitutivi delle unità discrete e applicano i procedimenti che uniscono le singole parti in modo da conferire alla narrazione un'impressione d’inte­ rezza e completezza. Identificano inoltre delle caratteristiche generiche qui suddivise in un insieme di definizioni culturali e formali.

2.2.1

Definizioni culturali del 'cinema classico1

Se da un canto Aristotele sosteneva che la funzione culturale del dramma era di ‘rimuovere’ le emozioni evocando la 'paura e la compassione, i forma­ listi russi definivano altrimenti lo scopo della narrazione. Di contro, LéviStrauss e i suoi sostenitori chiariscono ampiamente il motivo per il quale la narrazione e le forme narrative drammatiche sono caratteristiche universali condivìse da tutte le culture. A partire dagli anni 70, neiyi/rn studies queste spiegazioni sono state limitate a quelle indicate sopra, vale a dire all'ideolo­ gia c alT identità di genere (cui si sono aggiunte altre argomentazioni quali la

razza, l’etnia, la religione e il colonialismo). Il presupposto di base dell’ana­ lisi strutturalista, post-strutturalista, decostruzionista, post-moder ni sta e post-coloniale prevedeva che lo scopo della narrazione hollywoodiana fosse quello di individuare le contraddizioni ideologiche della società capitalista contemporanea e di applicare valori patriarcali sotto forma di eterosessua­ lità normativa. Lo scopo culturale e l’utilizzo delle forme narrative viene riconosciuto piuttosto unanimemente a partire dal concetto di ‘catarsi’ ela­ borato da Aristotele, alla semiotica degli strutturalisti, dall’orientamento ideologico dei cultural studies, all'analisi testuale’ post-strutturalista e alle routine di problem solving dei cognitivisti. Anche nel caso in cui i suddetti orientamenti non condividano gli stessi presupposti ‘culturalisti’ e ‘di in­ tervento politico’, o un programma di ‘identità politica’ preciso, i modelli qui illustrati producono una serie di caratteristiche comuni al macro livello del procedimento analitico. Se si considerano David Bordwell e Raymond Bellour come simboli dei modelli proposti, si può notare che: •





Concordano sugli effetti prodotti dall’evidenza (ideologica) e sui mezzi adottati per realizzarli: David Bordwell utilizza la definizione di 'cinema eccessivamente ovvio' in riferimento al cinema hollywoodiano classico: ‘il cinema classico è percorso da una logica sotterranea che non risulta percepibile sulla base di riflessioni dettate dal senso comune o derivanti da argomentazioni di stampo hollywoodiano. Forti di (concetti quali la norma, il paradigma, le alternative stilistiche, i livelli di funzione si­ stemica!, risulta evidente che quello stile {chiamato stile classico) or­ ganizza la causalità, il tempo e lo spazio (in maniera talmente chiara) che, come la lettera rubata nel racconto di Poe, ‘sfugge all’osservazione a forza di essere eccessivamente evidente’ (Bordwell et al. 1985). Ray­ mond Bellour parla invece deU’ovvietà e del codice: ‘Secondo la famosa formula di Rivette, “l’ovvietà è la caratteristica del genio di Howard Hawks”. La formula è sicuramente indubbia, purché si riconosca fino a che punto l’ovvietà divenga riconoscibile solo a condizione di essere codificata’ (Bellour 2000). Concordano sull’importanza deH’eterosessualità normativa: l’insistenza di Bordwell sulla trama amorosa riecheggia Bellour in relazione alla ‘formazione della coppia (eterosessuale)*. Convengono anche sul fatto che il cinema classico hollywoodiano sia stato un fenomeno cultuale straordinariamente omogeneo e duraturo: quello che Bordwell et al. chiamano 'metodo classico di rappresenta­ zione', copre un lasso di tempo che parte più o meno dal 1917 fino al 1960. Analogamente, Bellour fa risalire il cinema classico a The Lonedale Operator di D.W. Griffith (1911) e si conclude con Marnie, diretto da Hitchcock (1964) (vedi Bellour 2000).

2.2,2

Definizioni formali del ‘cinema classico1

Nelle' definizioni culturali sopra citate è implicito il riconoscimento della 'impressione di realtà del cinema hollywoodiano (vale a dire, far passare per naturale qualcosa che è invece di carattere storico o ideologico), che non si riferisce tanto al grado di realtà di ciò che si filma (il valore documentari­ stico o la veridicità di ciò che sta di fronte alla macchina da presa), ma all'ela­ borazione formale e al tipo dì radicamento culturale dei codici, delle norme o delle convenzioni che regolano la rappresentazione cinematografica. Non è la 'realtà1 a conferire verosimiglianza alle cose proiettate sullo schermo, quanto un sistema retorico e formale che racchiude in sé anche una logica culturale. Alcuni degli indici includono: .

*

La causalità incentrala sul personaggio e su fattori psicologici. Non si tiene conto delle dinamiche non psicologiche come agenti causali, se non come metafore dei conflitti psicologici del protagonista. Le guerre, le rivoluzioni, i disastri naturali e le intrusioni aliene rispecchiano per esempio i dilemmi intcriori, come nel caso sopra citato del dilemma con il quale il protagonista dì Die Hard, John McClane, deve confrontarsi. LIl cinema hollywoodiano classico propone individui psicologicamente definiti che lottano per risolvere un problema o per raggiungere uno scopo preciso,... Il personaggio cinematografico è periamo il principale agente causale, un individuo che possiede delie caratteristiche peculiari, tratti distintivi e un insieme di qualità evidenti e comportamenti espli­ citi e coerenti' (Bordwell, in Rosen 1986). Come già accennato, que­ sto contrasta con un modello caratteriale e di causalità strutturalista e post'Strutturalista di tipo fu azionai ista, relazionale, fondamentalmente a-causale e più 'logico' e 'semantico'. La ripetizione/risoluzione {che sla alla base della nascita della coppia): ’un ... effetto fondamentale tipico di molti film americani classici [è che] la mole testuale moltiplica e chiude due volte il suo raggio di espan­ sione. Laccumiliazione sistematica di simmetrie e asimmetrie nella ca­ tena fìlmica, scomposte da un lavoro di segmentazione generica, imita e riproduce continuamente (giacche l’uno genera l'altro) uno schema di rapporti familiari che danno forma allo spazio narrativo1 [...e] che fa della segmentazione la condizione testuale atta a favorire il passag­ gio da un contesto familiare a un contesto coniugale' (Bellour, 2000). Bellour evidenzia il fatto che il sofisticato sistema formale del cinema hollywoodiano classico sì presta a spostamenti da una categoria all'altra e ad una trasformazione logica, che è a sua volta necessaria al ’lavoro’ ideologico e che fa di Hollywood un'istituzione importante della ripro-

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dazione ideologica negli Stati Uniti e in maniera crescente, anche nel resto del mondo. Il montaggio in continuità (che crea un campo visivo spaziale lineare e un’unica diegesi tramite i seguenti schemi di montaggio: la regola dei 180 gradi, campo/controcampo, messa in scena con profondità di campo, raccordo della linea dello sguardo, montaggio entro un raggio di soli 180/30 gradi, attacco sul movimento) prevale sul montaggio di­ scontinuo (dove a una diegesi singola si sostituisce una diegesi multipla, una discontinuità spazio-temporale c la giustapposizione di immagini diverse). Nel cinema classico, il mondo immaginario è omogeneo: lo spettatore può reintegrare la discontinuità e la giustapposizione a un diverso livello di coerenza che non violi i principi di verosimiglianza (definiti genericamente) e di plausibilità in relazione all’azione, alle mo­ tivazioni che spingono i personaggi ad agire, o alla corrispondenza fra luogo e spazio. In pratica questo significa che, come si vedrà più avanti nella trattazione, tutto nel cinema classico è motivato e ha uno scopo, mentre le ‘regole’ che governano il montaggio in continuità garanti­ scono passaggi fluidi e invisibili (poiché previsti o dimostrabili attra­ verso una lettura retrospettiva) da una sequenza all’altra, o da segmento a segmento. La narrazione (distribuzione variabile di informazioni fra i personaggi e fra i personaggi e il pubblico). La narrazione non è da considerarsi an­ zitutto come una questione di forma o stile (melodrammatico/realista o faceto/grave), ma il modo in cui l’informazione arriva al pubblico e viene mentalmente o emotivamente elaborata, rappresentando un fat­ tore chiave del metodo che il cinema utilizza per rivolgersi al pubblico, coinvolgerlo, renderlo partecipe e influenzarlo. La funzione della nar­ razione filmica è di orientare l’attenzione visiva e stimolare la mente, il che potrebbe forse richiedere da parte dello spettatore una capacità di concentrazione ottica o cognitiva tale da coinvolgerlo nel film, o influenzare ciò che lo spettatore sa, giocando con il suo desiderio di vedere e osservare (voyeurismo, piacere visivo, scopofilia), o di sapere e dedurre (sf ruttando l’ignoranza, l'attesa o il saperne di più rispetto ai personaggi).

2.2.3

La logica delle azioni: la macro-analisi

Studiare la logica delle azioni è pertanto uno dei metodi tramite cui rag­ gruppare queste caratteristiche e comprenderne lo sforzo coordinato nel dare parvenza di unità e coerenza a un film narrativo nell’accezione classica: il comportamento dei personaggi e i motivi che stanno alla base delle loro

azioni, gli scopi prefissati e gli ostacoli incontrati. La narrazione classica in tal senso identifica un genere particolare di procedimento logico - in parti­ colare, un nesso logico temporale, spaziale e causale sorretto da una fiducia generale nel l’efficacia di procedimenti atti alla risoluzione di un problema. Svolge al contempo anche la funzione di operatore semiotico che coagula la relazione delle parti con il tutto, lordine gerarchico dei personaggi e delle loro funzioni, come clementi di un altro tipo di procedimento - il rica­ vare un senso dalle azioni piuttosto che dalle parole e dalle asserzioni, pur adempiere determinate missioni ideologiche, come quella di presentare va­ lori culturali specifici o relazioni sociali come se fossero naturali, evidenti e indiscutibili. Questo procedimento è dì tipo testuale, psichico e politico c ci porta al secondo tipo di logica, qui definita "logica del desiderio1 e logica delle azioni, che spesso si identifica con il complesso di Edipo, grazie al quale Freud iden­ tifica e chiarisce il modello di sviluppo dell’identità (maschile), ma anche una relazione contraddittoria fra la conoscenza e la credenza, fra i motivi che spingono all'azione e il processo di razionalizzazione consapevole cui sono sottoposti. A livello formale, il particolare rapporto di scambio che si instaura fra la struttura superficiale e quella profonda, il movimento lineare c la ripetizione ossessiva, costituiscono il ’percorso edipico’ della narrazione classica. Ne consegue che a prescindere dagli obiettivi, problemi o ambizioni con cui il protagonista si confronta a livello pratico e quotidiano, a livello simbolico o culturale si trova di solito alle prese con una crisi d’identità che lo porta a preoccuparsi di ciò che significa essere o diventare un uomo, della propria virilità o appartenenza etnica e della sua collocazione nel mondo. E mentre è cosi impegnato alla ricerca di se stesso, si difende dall’angoscia di castrazione e dalla minaccia della differenza (anatomica) fra i sessi. La logica edìpica è particolarmente evidente nei generi dazione e d’avventura, nel genere western, nei thriller e nei yì/rti ntirr. Una variante del genere po­ trebbe essere la logica del melodramma, in cui il protagonista è di solito una donna e dove il film rappresenta l’identità femminile, o piuttosto, l’impos­ sibilità di realizzarsi (che Mary Ann Doane (1987) ha definito il "desiderio di desiderare’). Un’analisi ari slot elica o prop pian a di solito non cerca di descrivere questo percorso edipico. Quando si chiariscono gli elementi che mandano avanti la narrazione e il/la protagonista, il modello neo-formalista non pro­ blematizza la relazione tra la trama avventurosa e quella sentimentale. Si limita a rilevare il conflitto che insorge fra il protagonista teso al raggiun­ gimento di uno scopo e il mondo (spesso incarnato da un antagonista ben definito), che ostacola il personaggio nel raggiungimento deH’oggetto del desiderio. Nel modello morfologico di Propp, l’assenza di una cosa o di una persona è il movente che spinge il protagonista a prodigarsi affinchè quella

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data cosa o persona ritorni al posto che le spetta, per esempio, ricondurre la principessa al re (suo padre) o recuperare l’anello magico dal drago mal­ vagio. In entrambi i casi, tuttavia, postulare un percorso edipico non inficia né contraddice la logica delle azioni. Al contrario, la arricchisce c le confe­ risce maggior spessore. Per esempio, identificare la 'mancanza con l'ansia da castrazione significa in un certo senso collegare l’oggetto del desiderio o l’oggetto mancante a una trasgressione: se nella tragedia aristotelica il prota­ gonista infrange la legge più o meno consapevolmente, con conseguenze che richiedono il suo intervento per porre rimedio alla violazione, utilizzando un linguaggio più psicanalitico si potrebbe affermare che sono le sue azioni a difenderlo dall’ansia della differenza (sessuale), attraverso l’adozione di oggetti feticisti e di un approccio narcisista alla propria identità fisica. Un film come Die Hard è un esempio alquanto eclatante di questo tipo di logica: McClane raccoglie parecchi oggetti feticisti e nutre un’attenzione ossessiva per il proprio corpo, tanto da spingerci a classificare queste caratteristiche come post-classiche, a condizione che il concetto di post-classicismo non sia sinonimo di non-classicismo o anti-classicisino, ma di eccessivo classi­ cismo. D’altro canto, se si considera il livello più generale e astratto della nar­ razione classica, si potrebbe anche riassumere la logica delle azioni come procedimento che ruota intorno a una violazione, in seguito risolta per ri­ costituire uno status quo ante. Secondo uno schema ancor più semplice, si potrebbe anche dire che qualsiasi struttura narrativa risulta completa quando è costituita da una struttura triplice: una situazione di equilibrio, compromessa da un elemento di disturbo che determina un disequilibrio e il ripristino di un nuovo equilibrio. Anche questa struttura si adatta alla situazione delineata in Die Hard: il nucleo familiare rappresenta l’elemento di equilibrio (insieme ai ruoli tradizionali maschili/femminili che emergono all’interno della famiglia). Tale equilibrio è compromesso dalla partenza di Holly per Los Angeles (Holly si fa carico dei bisogni della famiglia, assu­ mendo in tal senso un ruolo maschile). Si elabora la situazione di disequi­ librio creata (Holly è in pericolo di vita, John arriva a salvarla) allo scopo di ristabilire un nuovo equilibrio (alla fine, John riprende il controllo della situazione e Holly è forse pronta a riconoscergli nuovamente il ruolo di capo famiglia). Pertanto, uno dei doveri dell’analisi testuale - ovvero, una delle ipotesi connesse all’analisi di un film - è di chiedere quale sia la natura dello scopo da raggiungere, l’oggetto mancante o l’elemento di disturbo in questo film. Secondo l’interpretazione di Lévi-Strauss ci si deve chiedere quale sia la ‘vera contraddizione’ che la narrazione cinematografica risolve attraverso una risoluzione immaginaria, mentre il quadrato semiotico di Greimas pone un altro quesito: quali sono le relazioni di opposizione, contraddizione e

implicazione capaci di mantenere le forze in tensione tra loro in equilibrio, conducendole allo stesso tempo verso la generazione di un nuovo termine di mediazione? In lutti questi casi la risorsa formale più grande del cinema classico sem­ bra essere rappresentata dalla vastità di generi diversi di simmetrie, asimme­ trie e ripetizioni che sono generate da rapporti di reciprocità, duplicazioni, divisioni e rovesciamenti, ripetizioni e parallelismi. Questa caratteristica è un elemento centrale nell'analisi testuale di Bellour (contenuta nei saggi di Bel lour su Gli uccdft, Gigi e TAe Lon edaìe Operator, Bellour 2000). Tramite l'analisi di una sequenza del film Gli uccelli di Hitchcock (Melanie che aura­ versa Bodega Bay per consegnare una coppia di pappagallini), Bellour è per esempio in grado di dimostrare che diversi tipi di simmetria, asimmetria e alternanza riescono a dare coerenza strutturale alla scena, limitandosi a sfruttare tre tipi di opposti binari; cinepresa in movimento/cincpresa sta­ tica, Melanic che esserva/Meianie che viene osservata, mezzo primo piano/ campo lungo, Nel film di Minnelli, Gigi, Bellour considera il film nella sua interezza per dimostrare che ogni sequenza è organizzata in maniera del tutto simmetrica, cosicché il film si chiude come un origami e si schiude in unità relativamente semplici, simili a temi e variazioni musicali, che con­ corrono a elaborare una narrazione completa e apparentemente lineare. Il film non è solo strutturato come una poesia, giacche le sequenze concor­ dano luna con l'altra, tuttavia le sequenze individuali hanno spesso la stessa Struttura del film intero. In altre parole, si ripete a livelli diversi, come la morfologia dì una pianta, o come i frattali di Mandelbrot che i computer elaborano a partire da forme e programmi molto semplici. Nei caso di 7?jc Lottatale Operator di Griffith, Bellour sostiene che la narrazione cinematografica hollywoodiana progredisce e termina con quello che egli definisce l'effetto ‘ripetizione-risoluzione’, un adattamento microanalitico ddl’equazione di Lévi-Strauss con variabili multiple. In altre parole, le troppe e continue simmetrie della cinematografìa classica non sono mero ornamento o un gioco formale’; costituiscono invece gli cium enti semantici/ sintattici essenziali che la narrazione aggiunge al ‘lavoro testuale' per rea­ lizzare un effetto estetico (coerenza, omogeneità, unità naturale o organica) che assume anche il valore di un lavoro ideologico (la naturalizzazione dì diversi tipi di contraddizione culturale). Questo lavoro si può descrivere in due modi. In primo luogo, è il rapporto di ‘ripetizione-risoluzione’ teso a riconciliane o a rendere impercettibili i due livelli precedentemente citati, rispettivamente il livello superficiale e quello profondo. Se a livello super­ ficiale colpisce il ritmo incalzante di un film hollywoodiano, la logica di causa cd effetto che lo governa, del colpo e contraccolpo, della domanda e delia risposta, a livello profondo niente in realtà si muove, e la narrazione ripete di continuo la stessa con figurazione, come se il film - o il personaggio

principale del film - si trovasse di fronte al proverbiale muro. Questo effetto Bellour lo chiama ‘blocco simbolico’ (vedasi l'analisi del film Intrigo internazionale di Hitchcock, o le osservazioni contenute nel saggio su Gigi, Bellour 2000) e lo ricollega al complesso di Edipo, secondo cui gli uomini e le donne devono imparare a vivere all'interno della legge patriarcale, con tutta la diseguaglianza tra i sessi che questo comporta. La logica dell’agente razionale e quella del desiderio sono due facce della stessa medaglia, che ci aiutano ad affrontare le contraddizioni insite nella nostra cultura o la condizione deH’identità/soggettività umana. La formula di Bellour ha il vantaggio di unire la micro-analisi delle tecniche stilistiche della narrazione classica hollywoodiana e le sue caratteristiche formali, alla macro-analisi della valenza culturale di Hollywood e delle sue istanze “mo­ ralizzatrici”, allineandole in questo alla mitologia greca e al romanzo realista. Questi ultimi rappresentano ‘universi’ esteticamente appaganti e autonomi che esprimono una visione complessiva delle epoche o dei paesi che li hanno prodotti, e conservano una loro validità e veridicità anche per chi non con­ divide il loro sistema di valori o ideologia (o hanno smesso di farlo). Per certi versi, l'analisi neo-formalista della narrazione classica va di pari passo con la valutazione di Bellour e si potrebbe forse allargare, sostenendo che esiste una convergenza naturale fra le caratteristiche formali della nar­ razione classica e la struttura mentale. In altre parole i principi della narra­ zione hollywoodiana sono elaborati in base all’organizzazione percettiva e cognitiva della mente umana, il che spiega la longevità della forma e il suo fascino universale. Pur tuttavia, sarebbero in molti a non concordare con questo punto di vista e a considerarlo astorico e ideologicamente cieco, etnocentrico e incline a privilegiare gli Stati Uniti, il loro assetto economico e l'ideologia su cui si fondano, il capitalismo patriarcale e il loro ruolo egemonico nel mondo. Ne consegue che si può considerare da un altro punto di vista il ‘lavoro’ operato dalla narrazione classica, utilizzando una struttura semantica in gran parte basata sulla simmetria e la ripetizione, che insieme dissimulano il fatto stesso che si tratti di una struttura semantica e di una retorica spontanea. In altre parole, i personaggi, le loro azioni, reazioni, imprese e successi trasmettono dei messaggi che mirano a persuadere e a conseguire consensi. Gli anni ’70 hanno visto prevalere proprio questo tipo di critica fortemente ideologica alla narrazione classica hollywoodiana, vista come strumento del capitali­ smo e del sistema di valori borghesi. Negli anni ’80 questa prospettiva si è ulteriormente radicalizzata, allorché la critica femminista ha decostruito la critica anti-borghese, aggiungendo a essa le accuse relative alla patriarchia e alla differenza sessuale: la narrazione classica ha perpetuato degli stereotipi sessuali ed esasperato una situazione di squilibrio, ponendo l’accento non solo sulla trama sentimentale eterosessuale, ma soprattutto sugli strumenti

stilistici che garantiscono il montaggio contimio, in particolare il campo/ controcampo e il raccordo della linea dello sguardo, i quali suddividono il visivo secondo Imposizione ‘visto/non visto’ opposizione determinata da orientamenti di identità di genere. Negli anni ‘90, questo tipo di interpreta­ zione della narrazione classica ha nuovamente ceduto il passo a una critica storica e culturale piu ampia, che ha aggiunto la questione della ’razza’ ai precedenti paradigmi della critica ideologica e femminista, ora chiamati 'classe' e genere'. La presenza simultanea di tre orientamenti critici o argo­ mentazioni’ relative all'analisi della cinematografìa classica hollywoodiana verranno riesaminati e integrali alle ipotesi da noi formulate in riferimento alte possibili definizioni del concetto di post-classicità, oltre a corroborare la nostra tesi, secondo cui la definizione assolve una funzione critica valida che prescinde dal suo utilizzo come categoria stilistica e formale distinta.

2,2.4

La logica delle azioni: la micro-analisi

Condurre un'analisi completa di Die Hard sulla falsariga di Bellour o Bordwell prenderebbe molto più spazio di quello concesso in questo conte­ sto. Si passerà pertanto dalla macro alla micro analisi, selezionando in primo luogo un passaggio piuttosto esteso (l'apertura), per poi passare a una seg­ mentazione che evidenzia gli elementi prettamente fìlmici (l’uso del suono, delle immagini e dello spazio, gli spostamenti della macchina da presa e la siruttura/composizione visuale) e quelli non filmici, quali lo schema cor­ poreo cognitivo e le categorie spaziali (dentro-fuori, arrivo-partenza), op­ pure ruoli culturalmente sovradeterm inati ('marito-mogi le, ‘madre-padre, superiore-subordinato’) e attributi caratteriali (‘violento-vulnerabile’, ‘pre­ muroso-aggressivo'). Si tralasciano in questo contesto tanto l'analisi detta­ gliata di singole sequenze o fotogrammi, come quella condotta da Bellour ne It grande sonno (20(H)), in cui Bellour scompone e segmenta non più di dodici inquadrature per di mostrar ne il rapporto di coesione interna, quanto l'approccio analitico che distingue inquadrature diverse per categorie e spe­ cifica l’ordine in cui sono organizzate (tentativo fatto da Christian Metz con la grande (1974)). Alcune delle applicazioni più influenti di questo approccio micro-ana­ litico alla cinematografia classica hollywoodiana sono rintracciabili, oltre che nelle opere dì Bellour, negli scritti di Stephen Heath, autore di analisi interpretative di interi film da cui si possono trarre modelli esemplari e ge­ neralizzabili di analisi testuale (vedasi l'analisi del film di Welles Lui/er?la/e Qnmùm (Heath 1975). Bellour e Heath sono approdati a conclusioni analo­ ghe, che al di là dcllautorilà individuale potrebbero da un canto confermare l'omogeneità del sistema classico hollywoodiano o indicare punti di vista (o

problemi!) metodologici condivisi. Con particolare riferimento a quest'ul­ timo punto, il lavoro di Heath è stato fortemente criticato da David Bord­ well. Noèl Carroll ed Edward Branigan, che a loro volta hanno condotto approfondite analisi testuali di film e sequenze particolari, utilizzando dei modelli cognitivi al posto di quelli psicosemiotici (cfr. l’analisi di Bordwell di La finestra sul cortile (1985), c l’analisi di Branigan di Nelle tenebre della metropoli - Hangover Square (1992)). Bordwell offre anche un’analisi stili­ stica dettagliata e spesso basata sul confronto di fotogrammi e sequenze, e sulla descrizione dei sistemi che sottendono scelte compositive quali lo sfondo/il primo piano, la collocazione dei personaggi, la rappresentazione e la sospensione di un evento (successivo, es., l’analisi del cinema delle ori­ gini condotta da Barry Salt, Kristin Thompson o Yuri Tsivian, contenuta nell’opera di Bordwell dal titolo On the History of Film Style (1997)). L’analisi ‘classica’ di Die Hard parte da una breve descrizione del lin­ guaggio utilizzato nelle recensioni apparse sui quotidiani, per poi passare a una terminologia più erudita c di uso prevalentemente corrente nell’ana­ lisi strutturalista, come quella di Thierry Kuntzel, la cui analisi testuale di ©Im pericolosa partita, un film hollywoodiano non d’autore girato agli inizi degli anni ‘30, è in un certo senso esemplare, giacché si adatta perfettamente al nostro scopo e rappresenta una sorta di compendio teorico della fase formale dell’analisi applicata alla narrazione classica. Al contempo, abbrac­ cia anche motivi marcatamente ideologici secondo i quali il cinema attiva anche un ‘processo’ quando racconta una storia, nell’accezione esaminata sopra (Kuntzel 1980). Kuntzel ha assimilato le discussioni metodologiche su Propp, Lévi-Strauss e Greimas, ha seguito gli sviluppi narratologici su Barthes e Genette e si è occupato dei codici cinematografici identificati da Metz e Bellour, per poi riesaminare il modello freudiano del lavoro onirico allo scopo di rendere alcuni dei suoi concetti chiave, quali la condensazione e lo spostamento, utili all’analisi cinematografica.

2.3

L’analisi classica

2.3.1

Le recensioni

Si è già accennato al fatto che Die Hard sia generalmente considerato esemplificativo del nuovo film dazione hollywoodiano; è stato paragonato ai film di Rambo, a quelli interpretati da Arnold Schwarzenegger nel ruolo dell’agente di polizia (es., Predator) e ai film nei quali s’instaura un rapporto d'amicizia interrazziale (es., Arma letale). La stampa giudica questo genere o subgenere (talvolta definito 'male rampage film’) come forma di diver-

timento disimpegnato» governato da ritmi frenetici c sparatorie. Questa è opinione diffusa nelle recensioni di Die Hard apparse il 15 luglio 1988, nella settimana in cui il film è uscito nelle sale cinematografiche: strategia (del film] ... comporla l’utilizzo di molti stunt ed effetti speciali, come nd caso in cui Willis sfonda una finestra appeso ad una fune

infuocata, oppure lascia cadere degli esplosivi nella tromba dcH’asccn-

sorc. (Roger Ebert, Chicago Sun-Tintes)

Il nuovo film di Bruce Willis, Ore Hard, è una prodigiosa macchina­ zione logistica, inesorabilmente e spietatamente eccitante, con effetti mi­

rabili, il ritmo veloce di colpi poderosi e una struttura fluida e compatta.

Se a ciò si aggiunge la recitazione da grande star di un attore famoso ad un meccanismo all’avanguardia e suoni assordanti, il risultato finale sarà quello di ottenere un film di sicuro effetto e dai grandi incassi, prodotto

da un’importante casa di produzione. Non rimane altro che dar fuoco alla miccia.

(Hal Hinson, Washington Post)

[Una sceneggiatura debole fa di Die Hard] un disastro, il che è un

peccato, perché il film in realtà contiene eccellenti effetti speciali, stunt di grande effetto e buone interpretazioni, soprattutto da parte di Rickman nel ruolo del terrorista.

(Roger Ebert, Chicago Sun-Times)

Willis ha trovato il modo di viaggiare a rotta di collo sulla scia di Anna Letale e Beverly Hills Cops, mantenendo ferma la presa sul volante. Gli

unici requisiti di recitazione si limitano alla parlantina sciolta di Afoonlighting trasferita in un film per adulti e alTutilizzo illimitato di una Beretta calibro 92 [sic]. Poco importa che la sceneggiatura sia l’apoteosi dell'assurdità. Capeggiati da un certo Hans Gruber (Alan Rickman), che

inteqireta lo stereotipo del tedesco snob, appartenente a una minoranza di pochi eletti, gli invasori prendono d’assalto il grattacielo non per catturare

degli ostaggi, né per avanzare delle richieste, ma per rubare i soldi della

Nakatomi - più di 600 milioni di dollari custoditi in una cassaforte molto difficile dii aprire. (E allora perché prendersi la briga di fare irruzione du­ rante la festa per prendere i presenti in ostaggio, invece di svaligiare l’edi­

ficio di notte, senza tanti problemi? E perché proprio alla vigilia di Natale? E - ah, lasciamo perdere.)

(Desson Howe, Washington Post)

63

Mi sembra che il vice commissario sia nel film solo per un motivo:

aver sempre torto e fare da contrappunto ai risultati realizzati da Willis. Il personaggio è un tipico rappresentante della Sindrome da Traina degli

Idioti. fc così gratuitamente inutile e ottuso da riuscire a compromettere

l’ultima metà del film,

(Roger Ebert* Chicago Sun-Times)

McClane si trova in una suite al momento dell’irruzione dei terroristi nell’edificio. Per sgominarli si nasconde nei condotti d’aerazione, sopra

gli ascensori e in cima al tetto, ma è proprio il gioco del gatto con il topo

a decretare il successo del regista John (Predator) McTiernan, McClane cattura i cattivi uno alla volta. Il confronto più arduo avviene con il killer Karl (Alexander Godunov)* un duro dai capelli biondi infuriato con Mc­ Clane per avergli ucciso il fratello complice. Quando tutto è finito, l’edi­

ficio brucia* un elicottero dell’FBI viene abbattuto e le trame secondarie

superano in quantità le macerie circostanti* i personaggi di Die Hard si allineano letteralmente davanti alla macchina da presa per concludere le

loro personali vicende. 64

(Desson Howe, Washington Post)

l^e scene iniziali che precedono l’arrivo dei ladri e le sparatorie* sono incerte e sfocate. ... Die Hard e concepito in modo da presentare Willis

come eroe da film d’azione, alla maniera di Schwarzenegger e Stallone. Ha l’eleganza e la giusta dose di spavalderia per interpretarlo* oltre ad essere

divertente e un gran saccente. 11 film non gli dà però molte occasioni di esi­

bire la propria arguzia e spiritosaggine. Per quasi l’intera durata del film, Willis* scalzo e con indosso una semplice maglietta, non fa altro che cac­

ciarsi nei guai per poi tirarsene fuori con un misto di astuzia* faccia tosta e prestanza fisica straordinaria da supererò?.... ogni dettaglio del film è cal­

colato puramente per far presa sul pubblico. Il regista, John McTiernan ... non accenna a trovare una giustificazione per le proprie manipolazioni.

(Hal Hinson* Washington Posi)

Le recensioni fanno ricorso alla metafora della velocità, dell'energia, della violenza (fisica e spettacolare), per descrivere gli eventi che si intrecciano in Die Hard: gli 'stunt', gli effetti speciali', il ‘ritmo veloce di colpi poderosi', la ‘prodigiosa macchinazione logistica’, Willis pronto ad ‘accendere la miccia o intento a mantenere saldamente la presa’. Le scene d azione contrastano con ‘la sceneggiatura (che) celebra l'illogicità e l’andamento incerto e sfocato’ delle scene d’apertura, mentre alcuni personaggi sono il ‘prodotto della Sin­ drome da Trama degli Idioti’ che alla fine del film ‘si mettono letteralmente in fila davanti alla cinepresa per completare il loro percorso all'interno della

trama1. Il riferimento a valutazioni di natura puramente commerciale ac­ centua il contrasto fra la componente spettacolare e sensazionale e l'incon­ sistenza della trama; ‘il regista ... non si fa scrupolo delle manipolazioni messe in atto c dà alla casa di produzione ciò che chiede, “uno spettacolo estivo, lucrativo e di sicuro effetto". Benché i critici sembrino adottare il linguaggio (aristotelico) dello sceneggiatore, la loro metodologia argomen­ tativa si adatta perfettamente al modello strutturalista, giacché i contrasti utilizzali sono quasi lutti organizzati in opposti binari (spettacolo/narra­ zione, valore commerciale/arte, scioltezza di linguaggio/lampi di genio, ‘buone capacità interpretative? ‘requisiti minimi di recitazione’). Questo orientamento contiene un atteggiamento (polemico) di definire il passaggio dal cinema classico a quello post-classico e contrappone la presunta assenza di sostanza (narrativa) a pirotecnici effetti speciali ed emozioni forti che, ciò nonostante, affascinano i critici. Un modo per scavalcare questa polemica separazione fra la componente spettacolare e quella narrativa è di capire se è ancora possibile esaminare Die Hard al l’interno delle categorie descritte sopra per analizzare il cinema narrativo classico. I la senso come narrazione a sfondo psicologico che ob­ bedisce a una logica di causa ed effetto e alle tre unità? La coerenza della narrazione è tale da garantire che la ‘distribuzione delle informazioni’ (il cosa, il come e il quando) risulti comprensibile e al servizio della ‘suspense’ che sospende la tensione narrativa? O è giustificabile in base al modello strutturalista, seguirne la logica edipica, organizzare gli opposti binari di Contrasti come sistema di vincoli semiotici, per poi verificare se siano og­ getto di trasformazioni implicite nella ripetizione-risoluzione? La risposta, come già suggerito altrove, è si: entrambi i modelli desu­ mono significato dal film. Die Hard ha una struttura classica in ire alti. La sceneggiatura è scritta in maniera professionale, i gesti, le motivazioni che spingono i personaggi all’azione e i punti salienti della trama sono accura­ tamente elaborati. La narrazione è coerente e principalmente incentrala sul protagonista ('limitata’, secondo la terminologia usata da Bordwell), E in­ tricata trama mantiene notevole unità dazione, luogo e tempo e si svolge nell'arco di dodici ore circa, dall’alba al tramonto, alla vigilia di Natale, in un punto solo di Los Angeles. Una segmentazione dettagliata evidenzierebbe inoltre il fatto che il film obbedisce alle regole di Bordwell e Bellour. A loro volta, tali regole governano il rapporto fra la trasparenza e l’owietà delle scene drammatiche e la maniera velata, elaborata e stilizzata in cui vengono rappresentate. Si è già evidenzialo il percorso edipico del film e la nascita della coppia, la causalità incentrata sul protagonista e la (rama a doppio filo. La mancanza di verosimiglianza e plausibilità della trama (ma in base a quali parametri vanno misurali nel film dazione-avveniura?) è ampiamente compensata dai tessuto semantico, dalla preoccupazione ossessiva dell’iden-

tità maschile che si costruisce intorno al concetto di uomo bianco e dalla differenza sessuale a livello simbolico, oltre che da molteplici riferimenti agli studi culturali sulla questione della ‘razza-classc-genere-nazione’. Tuttavia, il fatto stesso che alcuni ‘eccessi’ elaborati attorno allbwietà occupino una posizione di primo piano (non solo nelle scene dazione) e che il film talvolta ostenti una consapevolezza particolare delle proprie convenzioni generiche (si burla per esempio del fatto di essere un rifacimento di Mezzogiorno di fuoco e presenta Gruber come uno snob ignorante convinto che John Wayne e non Gary Cooper fosse il protagonista), porta a concludere che il ‘lavoro ideologico’ svolto sul tema della ‘politica dell’identità’ non è inconsapevole c fuori posto, ma consapevolmente esibito. Per questi motivi, Die Hard si può anche considerare un esempio di cinematografìa ‘post-classica’, una tesi le cui implicazioni verranno indagate nella seconda parte dell’analisi.

2.3.2

L’analisi classica: l’apertura

Coerentemente con i punti elencati alla voce ‘Metodo’, ci si concentrerà sulla logica delle azioni, attraverso una commistione di elementi tratti dal modello aristotelico e da quello strutturalista. In virtù delle considerazioni appena fatte, la scena d'apertura acquista un ruolo privilegiato; rappresenta in un certo senso i termini stessi del sistema e propone un enigma, un di­ lemma, un paradosso che il film deve essere in grado di risolvere. Le scene d’apertura dei film classici sono una sorta di manuale di istruzioni che in genere si allega al prodotto acquistato. Come tale, un manuale fa parte dell’imballaggio in cui è inserito, ma ne è anche evidentemente distinto; per questo il manuale è anche un meta-testo, per usare un termine che normal­ mente non si associa ai manuali. Analogamente, si potrebbe considerare la scena d’apertura come un caso particolare di meta-testo separato dalla narrazione, ma facente parte della stessa, giacché fissa l’ambientazione, il luogo e il tempo in cui si svolgerà l’azione, oltre a introdurre il o i personaggi principali. Al contempo, è una sorta di meta-testo che nel presentare le re­ gole del gioco ci mostra come interpretare e capire un film. Da questo punto di vista, la scena d’apertura è diversa dal manuale, che di solito rappresenta la parte testuale riferita ad un oggetto, mentre la scena d’apertura di un film è fatta della stessa ‘sostanza’ di cui si compone un oggetto, ed è praticamente impossibile distinguerla dal (resto) del film. La critica è ricorsa a una serie di metafore per evidenziare la peculiarità testuale/meta-testuale della scena d’apertura dei film classici, considerandola ad esempio come una sorta di ‘compressione’ o ‘condensazione’ del film. Un altro termine utilizzato è quello della mise-en-abime - che letteralmente significa collocato nell’abisso. Inizialmente derivato dall'araldica medievale e dai puzzle barocchi, il ter-

mine allude ad un genere particolare di autorcferenz.ialità, un 'attirare l at­ te mi one su di sé1. Applicalo ad una scena dàpertura, indica l’economia di mezzi/significati con cui una sequenza d'apertura hollywoodiana inscena e spesso presenta brevemente (in forme o codici diversi) l'intero film. Questo processo di compressione o condensazione di un'unità più grande all'interno della scena d'apertura ha orientato l’indagine di Thierry Kuntzel all'analisi dei sogni di Frrud nel film Lrt pericolosa partita (1932, diretto da Schocdsack e Cooper) (Kuntzel 1980) e in quello diretto da Fritz Lang nel ] 932 intitolato M - /I mostro di Dù$sc/dor/(Kuntzel 1978), che egli definisce 'Il Lavoro del Film’ (Le TtavaiJ du film), Se si considera il sogno alla stregua di un testo, si noterà che la sua caraneristica distintiva è quella di sembrare una storia comune, visivamente coerente e persino logica, sennonché questa caratteristica cela un altro livello di significato, che ospita l’tm magma z ione inconscia. D’altro canto! il sogno può contenere scene vivide o violente, ma prive dì senso. La tensione che si crea fra il significalo manifesto e il signifi­ cato latente del sogno ha portato Freud a postulare una serie di processi tra­ sformazionali provocati dall’attività dell'inconscio che egli definisce lavoro onirico. ’Condensazione’, 'spostamento, ’ricordo di copertura, 'fantasia come appagamento di un desiderio', Talfìgurabililà! 'elaborazione secondaria! sono i processi più importanti individuati da Freud. L'analisi della scena daper­ tura di Die Hard prende spunto dall'applicazione di Kuntzel dei principi di Freud all'intera struttura e da una commistione di termini tratti da Propp, Lévi-Strauss, Bellour e Freud, anche alla luce di una recensione che sarà interessante verificare, in cui si sostiene che le scene d'apertura del film sono 'incerte e sfocate!

2.3.3

Apertura e introduzione (al film, alla storiai ai personaggi)

Le scene d apertura di Die Ilard coprono un lasso di tempo che parte dal momento in cui John McClane arriva a Los Angeles, al traversa l’atrio dell’ae­ roporto e vede un altro passeggero che si riunisce alla moglie o fidanzata, ritira il bagaglio e viene condotto in auto alla Nakatomi. Durante il viaggio intavola una discussione con Argyle, l’autista, con il quale parla della sua famiglia, delle musiche natalizie e della mancia che Argyle si aspetta di rice­ vete da luì, prima di arrivare davanti alla sede della compagnia. La sequenza è scandita da due arrivi (all’aeroporto c alla Nakatomi Tower), che sono co­ stellati da una serie di 'brevi incontri’: con il passeggero durante il viaggio in aereo, con la hostess, con la donna bionda in pantaloncini corti bianchi che per un attimo il protagonista pensa gli stia sorridendo, con laulista di colore Argyle, con la guardia giurata, con il direttore della Nakatomi c con Holly.

Gli incontri fatti dal protagonista fra un arrivo e l’altro strutturano la sequenza in unità dazione più piccole, che delineano una sorta di percorso narrativo per McClane. Al contempo, rivelano molte caratteristiche del per­ sonaggio: viaggia armato in aereo; non disdegna le altre donne (e viceversa); lo delude il fatto che Holly si ritenga troppo occupata per andare ad acco­ glierlo di persona (il che spiega l’immaginaria accoglienza da parte della donna bionda); rispetto al suo lavoro di poliziotto a New York, la moglie riveste chiaramente un ruolo importante all'interno della società per cui lavora se può permettersi di mandare un autista al suo posto. In conversa­ zione con Argyle, McClane rivela il nocciolo della questione (lo rattrista la separazione dalla moglie) e il modo in cui intende porvi rimedio (ricon­ giungersi con la moglie e la figlioletta in occasione del Natale, che rappre­ senta un momento di riunione familiare, pace e riconciliazione). Il bagaglio più ingombrante di McClane è un gigantesco orsacchiotto di peluche che presagisce il tema di ‘Babbo Natale’, che diventerà rilevante in un secondo momento (vedi sotto). Per chiudere ulteriormente la scena d’apertura come unità a sé stante e strutturata come mini-storia compiuta, Argyle, con il quale McClane ha parlato della propria situazione coniugale e della possibi­ lità di una riconciliazione, dice a McClane poco prima di accomiatarsi: ‘e la musica inizia a suonare c vissero felici e contenti - in caso contrario, questo è il mio numero di telefono. Ti aspetterò nel parcheggio’.

2.3.4. Ripetizione, alternanza e rovesciamento Già nella scena d’apertura si riscontrano delle ripetizioni formali, rap­ presentate ad esempio da una serie di incontri con personaggi secondari o addirittura apparentemente irrilevanti, giacché compaiono una volta sola e sembrano aggiungere poco alla trama. Tuttavia, la loro presenza è per altri versi indispensabile, perché oltre a svelare qualcosa del protagonista o a fornirgli lo spunto per mettere in luce le motivazioni che lo spingono ad agire e gli scopi che intende raggiungere, segnala anche il principio della ripetizione. Nel caso dell’incontro di McClane con il passeggero sedutogli accanto, il modo di parlare del protagonista presagisce - benché in maniera enigmatica - la conclusione. In questa scena, il principio della ripetizione in­ tesa come alternanza e rovesciamento è ripetuta ancora due volte. La prima volta, quando di fronte allo sguardo perplesso di McClane, al quale il pas­ seggero suggerisce il modo di evitare il malessere dajetlag, il protagonista si sente rispondere: ‘Si fidi, lo faccio da nove anni’, frase che McClane ripete subito dopo - con una leggera ma significativi variazione - in risposta allo sguardo sconcertato del passeggero nel vedere l’arma di McClane, mentre

questi allunga il braccio per prendere la giacca dal bagagliaio sopra i sedili: *Si fidi, faccio lo sbirro da undici anni" il secondo dialogo è strutturato esat­ tamente come il primo. Quando Argyle si accomiata da McClane rivolgen­ dosi a lui in modo quasi apologetico: È la prima volta che guido [driving] una limousine (come autista)» McClane ripete la stessa frase per rassicurare Argyle, affermando che anche per lui viaggiare [riding] in limousine è la prima volta (come passeggero)'. Ancora una volta, prima di bollare McClane come saccente e sapientone (che avrà presto quel che si merita), il gioco di botta e risposta funge da mise-ea-aWffie del principio della ripetizione.

2.3.5, Personaggi e funzioni: spostamento e sostituzione La questione dei personaggi irrilevanti implica quella del fidenti Reazione dello spettatore con un personaggio o una situazione, oltre ad indagare il ruolo dei personaggi secondari nella narrazione classica» che secondo la pro­ spettiva di Propp o Greimas si potrebbero considerare delle sostituzioni. In tal senso indicano uno spostamento, oppure innescano una catena di sosti­ tuzioni con l'aiuto della mtse-en-scéne e della narrazione - ovvero, delfinsieme di elementi formali relativi alla composizione, al punto di vista della cinepresa e alla gestione dell’attenzione dello spettatore. Nelle scene iniziali di Die Hard l'azione della cinepresa viene resa visibile, perché è funzionale alla storia (sottolinea i punti salienti della trama) e alla narrazione (manipolando la distribuzione delle informazioni). Dopo una scena di campo/controcampo incentrata sullo scambio di battute fra il passeggero e il protagonista, realiz­ zata con la tecnica del montaggio in continuità, che sfrutta il raccordo della linea dello sguardo, la cinepresa sembra assumere per un certo periodo di tempo un punto di vista indipendente da McClane» per poi riallinearsi con il punto di vista del protagonista (spingendoci in tal modo a commettere il suo stesso errore) e successivamente con quello di Argyle» attraverso un montaggio che c reso impercettibile dall'inquadratura di Argyle colto nel momento in cui si scontra con i carrelli porta bagaglio. Attraverso un triplice processo mimetico di equivalenza (che Raymond Bellour chiamerebbe rad­ doppiamento)» la cinepresa viene successivamente associata a punti di vista diversi» spostandosi con grande naturalezza da un luogo all'altro e riuscendo a far sì che il protagonista mantenga un ruolo di primo piano durante i suoi spostamenti. Narrativamente, questo spostamento è determinato dalla logica degli eventi e dal codice di verosimiglianza che li governa: le azioni compiute durante lo sbarco e l’arrivo in aeroporto. Figurativamente» il movimento della cinepresa mette a fuoco degli oggetti specifici (come l'orsacchiotto di pelu­ che che McClane ritira dal nastro trasportatore). Simbolicamente» elabora il

ruolo dei personaggi come sostituti: la donna in pantaloncini bianchi sosti­ tuisce Holly, mentre Argyle, del tutto impreparato come autista, sostituisce McClane, a sua volta non all'altezza dei dirigenti d'azienda. Per due volte il punto di vista della cinepresa è delegato al personag­ gio principale tramite un primo piano: di un oggetto che sfrutta il principio della soggettiva (dell'enorme orsacchiotto di peluche) e di un volto (quello della donna che sorride, che è una ripetizione del sorriso della hostess, la quale aveva notato lo sguardo ammiccante di McClane pur decidendo di ignorarlo). Il secondo primo piano identifica una situazione di collusione e partecipazione che coinvolge lo spettatore tramite l’inferenza, allorché è in possesso di maggiori informazioni rispetto a McClane (vede ciò che vede la hostess), o ne sa quanto il protagonista (anche lo spettatore crede che la donna con i pantaloncini bianchi gli stia sorridendo). Le inquadrature ci permettono pertanto di entrare nel campo visivo del personaggio, che può sembrare ingannevole, come nel caso dell’inquadratura giocata sulla ripresa soggettiva di McClane che guarda la donna bionda, e di penetrare le inten­ zioni del personaggio, i piani segreti da lui elaborati e i suoi pensieri, che lo spettatore desume dall'oggetto portato alla sua attenzione. Lo spostamento avviene dalla cinepresa all’oggetto, tuttavia il significato dell’inquadratura ha ben poco a che fare con l'oggetto, che sostituisce le motivazioni del personag­ gio, i suoi pensieri e le sue reazioni. Più in generale, in un film narrativo classico hollywoodiano come quello in oggetto, la vicenda coinvolge lo spettatore e il protagonista durante il suo svolgimento, utilizzando gli oggetti che popolano il film e i dialoghi per an­ ticipare eventi futuri e utilizzando i personaggi secondari come specchi di quelli principali attraverso la sostituzione e l’equivalenza. Una categoria com­ plementare di questa modalità di sostituzione è rappresentata dal principio erotetico’ della domanda/risposta, dove una scena ‘risponde implicitamente a quella precedente. Per esempio, in una scena del film Holly scaraventala fotografia di McClane sulla scrivania, quasi in risposta alla donna bionda che si getta nelle braccia dell’uomo di cui attende l’arrivo all'aeroporto. Altri simili agganci ironici ricorrono nel film, specialmente nella scena in cui si interrompe la comunicazione fra McClane e Argyle (in quanto aiutante inca­ pace), e in quella in cui si instaura una comunicazione di natura intuitiva fra McClane e Al Powell (che si dimostra inizialmente riluttante ad aiutarlo).

2.3.6. Il gruppo emblematico Le scene o le sequenze d’apertura tendono spesso a privilegiare un’imma­ gine o una composizione, che in un certo senso raduna e organizza elementi diversi ed eterogenei all’interno di una sola configurazione, il cui significato

appare chiaro a posteriori e che funziona pertanto come quadro emblema­ tico o come condensazione di svariati spunti narrativi, oltre ad implicare una struttura temporale di anticipazione e presagio. Nelle scene iniziali di DrV Hard coesistono una serie di simili coti figurazioni, prima fra tutte il dialogo fra McClane e il passeggero durante l’attcrraggio allàeroporto di Los Angeles, Nel notare la tensione del protagonista prima e durante latter raggìo, il passeggero si rivolge a McClane con queste parole: 'Quando arriva a casa, si tolga le calze e stringa le dita dei piedi a pugno’ Figurativamente, la frase rappresenta tre contrapposizioni centrali (o enigmi) che la storia cerca di risolvere: la relazione culturalmente difficile fra la virilità e il corpo nudo, la relazione ira la vulnerabilità e la violenza che produce ansia, e la relazione controintuitiva fra il senso comune e una strategia vincente. La contrapposizione piede/pugno e il suggerimento di togliersi le calze verrà rappresentata più volte e in maniera del tutto inaspettata nel corso del film. L'importanza del passeggero asiatico di origine americana è anche legata alletnia, che introduce il concetto di razza, utilizzato nel film tanto come categoria semantica (che causa una serie di contrapposizioni perti­ nenti che la trama utilizza per accelerarne la risoluzione), quanto come ca­ tegoria storico-culturale, giacché allude al gruppo di personaggi di origine americana, giapponese e tedesca che il film sfrutta per sostenere una lesi (anti-?) globalizzazione,

2.3.7. Uentgma Secondo Tzvetan Todorov, si può considerare la narrazione come una struttura di base inizialmente equilibrata e successivamente compromessa da un intervento, un'incursione (in Die Hard, la separazione di John e Holly McClane, l’irruzione improvvisa dei terroristi nell'edificio durante la festa di natale), che spetta alla storia neutralizzare ed eliminare per ripristinare un equilibrio simile a quello iniziale, ma carico di differenze significative. Come si è visto sopra, l'interruzione come elemento di disturbo assume anche la valenza di un’assenza, di un oggetto del desiderio smarrito Q, come in questo caso, di un enigma. A livello superficiale, Uelemento mancante o l’oggetto smarrito evidenziato in Die Hard è l’unità familiare che McClane ha il compito di ripristinare. A livello profondo, tuttavia, il suggerimento del passeggero americano di origine asiatica è l’enigma che tanto lo spettatore quanto McClane ignorano. NelFambito dell’analisi qui condotta, appartiene alla logica del desiderio, piuttosto che a quella dell'azione. La scena dàpertura non rivela la natura enigmatica del suggerimento, evidenziando di contro il gruppo da un altro punto di vista - quello di Holly e della Nakatomi Corporation. La scena in cui McClane atterra e lascia l’ae­

roporto s’incrocia con la festa di natale aziendale, con il discorso del diret­ tore e con la telefonata di Holly alla figlia. In tutto ciò, McClane rappresenta l’elemento di disturbo che richiama un parallelismo fra il protagonista e i terroristi. Questi ultimi fanno la loro comparsa nel segmento successivo, al momento dell’irruzione nell’edificio, benché compaiano in maniera del tutto discreta nella sequenza d’apertura per ben due volte. Nella scena in cui Argyle, a bordo della limousine, entra al Nakatomi Plaza, la cinepresa slitta sull’immagine di un furgone dall'aria sinistra in procinto di avvici­ narsi. 11 furgone è quello utilizzato dai terroristi per entrare nel parcheggio sotterraneo del grattacielo. Nello stesso istante, Argyle dice a McClane che lo aspetterà nel parcheggio. 11 film stabilisce in tal modo un parallelismo fra l’arrivo di McClane e quello dei terroristi come un'incursione nella vita di Holly, sconvolgendone l’equilibrio e quello della Nakatomi Corporation. La figura del terrorista anticipa tuttavia la sua apparizione nella scena a bordo dell’aereo, in cui il passeggero asiatico-americano nota l’arma di McClane. Un’arma a bordo di un aereo di solito significa una cosa sola: un dirottamento terroristico, deduzione poi confermata dalle parole di Mc­ Clane: ‘Non si preoccupi, faccio lo sbirro da undici anni!’. Anche questa scena stabilisce un parallelismo fra il terrorista e McClane, ma in qualità di poliziotto - un parallelismo che la trama riprende più volte, allorché la polizia aiuta inavvertitamente i terroristi invece di soccorrere McClane.

2.3.8. Un sistema di vincoli semiotici Le scene d’apertura offrono pertanto la possibilità di individuare la struttura superficiale e quella profonda e la loro correlazione. In questa istanza, il lavoro formale-testuale ricava il continuo dal discontinuo, at­ traverso un ispessimento testuale a livello sia verbale che visivo. Il testo hollywoodiano è ‘chiuso’ ma anche ‘aperto’: offre allo spettatore numerosi spunti, spesso ambigui. L’ambiguità è tuttavia intenzionale, stratificata e organizzata su livelli multipli. La sequenza d’apertura si presta anche a una lettura non ambigua, formalmente chiusa e semanticamente c sin­ tatticamente completa - nel qual caso è utilizzata come rni$e-en-abime e come versione miniaturizzata dell’intera struttura. Benché non separa­ bile dal resto della storia, la scena d’apertura di Die Hard è in ogni caso una storia a tutti gli effetti compiuta, giacché l’incontro di John c Holly al party di natale rappresenta di per sé una riunione e una riconciliazione che entrambi desiderano. Se questa fosse la conclusione di Die Hard, il film non avrebbe motivo di essere; d’altra parte, non sarebbe portatore di un vero e proprio messaggio ‘culturale’: una relazione di questo genere, per potersi reinstaurare, richiede uno sforzo da entrambe le parti. In tal

senso» l’intrusione dei terroristi rappresenta, per McClane e Holly, solo la motivazione superficiale che rende necessaria una mutua collaborazione, affinché il loro rapporto riprenda a funzionare. Il film dazione-avventura diventa uno spazio di riabilitazione terapeutica coppia-famiglia. Si evidenziano pertanto tre aspetti. In primo luogo, gli esempi illustrati dimostrano il modo in cui pochi elementi significativi operano al l’interno di un film classico hollywoodiano - soltanto pochi elementi filmici o eventi pro-filmici sono oggetto di numerose modifiche e combinazioni che pro­ ducono strutture complesse governate da un filo logico piuttosto astratto. La trama narrativa di un film hollywoodiano è strutturata in modo tale da far sì che rispetto alle motivazioni che spingono il protagonista al l’azione c alle informazioni trasmesse visivamente o verbalmente, le situazioni di conflitto e la psicologia dei personaggi serbino un andamento lineare, con­ sentendo alla vicenda di sviluppare una traina complessa. In tale contesto, ogni dettaglio è importante. Non si butta via niente: come ogni buon ma­ cellaio o casalinga, alla fine della giornata non ci sono o quasi rimanenze. O anche come una linea moderna di produzione automobilistica, dove il profitto dipende da un numero minimo di componenti, che arrivano al punto giusto e che possono essere assemblati anche su modelli diversi. Il pregio della sceneggiatura di un film hollywoodiano, alla cui stesura partecipano molle persone, non risiede solamente nella capacità di realiz­ zare una divisone in alti e ben definita, nell’impiego de li'imprevisto e dei capovolgimenti, o nel risolvere faccende rimaste in sospeso, ma anche in quella che David Thomson, in una recensione del Grande Sonno di Ho­ ward Hawks, ha definito 'la sudditanza del mondo organizzato'. Tutto è costruito, creato, ma anche sufficientemente denso e opaco da sembrare ’reale, e diventare parte integrante di un alternanza regolare di rottura e resistenza, differenza e separazione, creando l'impressione di una integra­ zione narrativa fra la storia e il 'mondo'. In secondo luogo, nel processo di scomposizione/ricomposizione del l’immagine materiale, il cinema classico si affida largamente alle rela­ zioni di somiglianza e differenza, in modo da ricavarne tutto il potenziale narrativo e semiotico tramite lo sfruttamento delle possibilità retoriche insite nel rapporto di corrispondenza somiglianza/diflcrenza, che è rap­ presentato dalla metafora c dalla metonimia. Alcune di queste somiglianze sono visive e verbali, come leco e la rima, mentre altre richiedono un procedimento di astrazione atto a renderle comprensibili. Pare dunque stabilirsi un legame di continuità fra la percezione e la dimensione co­ gnitiva, fra l'esperienza sensoriale e concettuale. Non è possibile separare nettamente la dimensione esterna rappresentala dall'immagine, dall’espe­ rienza interiore dello spettatore. Al contempo, è sempre sorprendente la mole di ‘lavoro’ che anche una

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scena semplice richiede (sceneggiatura e mise-en-scène, recitazione e pro­ duction values). In una scena apparentemente funzionale come quella in cui lauto della polizia guidata da Al Powell si dirige al Nakatomi Plaza in risposta a una chiamata d’emergenza, dove peraltro l’agente di polizia non rileva nulla di anomalo (il poliziotto è ‘cieco’ di fronte a ciò che sta accadendo), la colonna sonora fa riferimento ad un cantante cieco, ‘non Ray Charles ma Stevie Wonder’, mentre i fari dell’auto si accendono e si spengono a seconda del punto di vista, rispettivamente quello di Al che non sospetta nulla di irregolare, e quello dell’ansioso McClane. La pro­ spettiva narrativa cambia notevolmente in ogni scena e la mise-en-scène evidenzia tale differenza nel punto di vista morale (contrapposto a quello ottico) dei due personaggi, introducendo quello che alcuni commentatori attenti considerano essere un errore di continuità (i fari che si accendono e si spengono). Ma la continuità non ha ‘preso cantonate’, così come sono definite nel database delle gaffe (vedi Internet Movie Database che elenca gli errori commessi nel film). Il regista sembra essersi preso piuttosto delle libertà, giocando con la plausibilità, per il gusto di aggiungere profondità ©psicologica e coinvolgimento narrativo in maniera alquanto inaspettata per un film di cassetta hollywoodiano - ciò che un tempo era la gioia dei critici auteuriste e della mise-en-scène. Il terzo aspetto riguarda il ‘lavoro’ svolto in superficie e sul contesto tematico-narrativo di un film, che non è il ‘lavoro’ menzionato in prece­ denza, sia che lo si chiami lavoro onirico alla maniera di Freud, o lavoro ‘ideologico’, ‘testuale’ e volto alla ‘risoluzione di un problema', così come viene definito dalla critica culturalista, post-strutturalista e cognitiva. Ciò che viene identificato come livello di astrazione prodotto nella scena d’apertura di Die Hard è il ‘lavoro’ della ripetizione di gesti o azioni spe­ cifiche atte a generare un concetto, una relazione pregna di significato. È a questo punto che il ‘lavoro’ che in questa sede si cerca di identificare va al di là di una mera struttura binaria di contrapposizioni, configurandosi come sillogismo simile a quello del quadrato semiotico di Greimas. Fred Pfeil ha elaborato un ‘sistema di vincoli ideologici’ per i film dazione-avventura chiamati ‘male rampage films’, che oltre a Die Hard includono Arma letale I e II. Nel considerare i film come favole che met­ tono in ‘crisi la virilità*, opera una distinzione fra ciò che rientra nella sfera maschile e nel suo contrario, neHelcmento fallico e non fallico, fra lo stato (la polizia) e il sistema economico (la multinazionale), fra la giungla metropolitana e la vita familiare, in cui i buoni e i cattivi sono simmetrica­ mente opposti, benché ciascuno di loro ricopra il ruolo ambiguo dell’out­ sider sospeso fra due contesti (nel caso di John McClane, nel deserto non fallico dell’amicizia interrazziale fra due uomini e il mondo femminile della differenza sessuale e della famiglia, mentre Hans Gruber è sospeso

tra il mondo del l'autorità/dell a legge e quello ‘sterile’ delta multinazio­ nale). Nello schema di Pleil, Die Hard è rappresentato come esempio di narrazione ideologica che tenta di conciliare i valori dei Fordismo e del post-Forili sino attraverso un complesso cowi&fmitorre fatto di unità antro­ pologiche elementari: (La peritetene (SI)] i lo spazio nominabile ma mai mppreseatalo del

"Mondo violento e caotico* - il luogo dal quale proviene il protagonista

prima di atterrare a Los Angetes, che può essere il Vietnam (Arma Lrtflfc) o, come in Dfe Hard, un altro ben noto simbolo di conflitto razziale» New York. L'altra componente [S2| ospita la vita (eterosessuale) e domestica. In questi film, il Contrario [-SI | è il luogo elei lavoro aziendale 0 tecnico-

professionale. Infine, la legge, l'autorità c l'ordine incarnalo dallo Staio |-S2] sono l'inverso della vita domestica. (Pfcil 1993)

Partendo dall’analisi di Greimas si può stabilire un sistema di vincoli semiotici leggermente diversi, che sono elaborali come elementi di incom­ patibilità (culturali, ideologiche) fra la vita domestica e lavorativa e che presuppongono differenze (naturali» culturali) fra gli uomini e le donne. Benché il sistema approdi a conclusioni identiche, risulta utile alla com­ prensione di uno dei punti di svolta della storia, vale a dire il momento in cui McClane, ormai prossimo a darsi per vinto e convinto che per lui la fine sia vicina, chiede ad Al di riferire a Holly il proprio rammarico per il modo in cui sì è comportato. Il significato di questa scena in ter­ mini di contraddizione culturale è che la situazione di McClane promette una soluzione strutturale al problema iniziale, cioè quello di Holly come 'mamma che lavora', li protagonista si è effeminalo’ c il suo corpo mo­ stra i segni della femminilità (denotata dai piedi insanguinati ai quali il film attribuisce una connotazione di genere - vedi sotto). I suoi rapporti interpersonali sono improntati alla dipendenza emotiva (da Al, il poli­ ziotto comprensivo identificato come figura maschile non fallica) e alla tendenza a scusarsi (culturalmente connotata come attributo non virile). A livello della struttura edipica profonda, questo rappresenta il momento in cui egli ‘accetta la castrazione’: ideologicamente segna la fine della rinnegazione patriarcale della castrazione, mentre rispetto alitai one/agente logico razionale, è il momento di maggior pericolo e morte imminente, l.a narrazione è pertanto costretta a inventare una via di fuga per McClane, innescando un graduale ritorno alla virilità fallica c al recupero di valori patriarcali che conducono alla ri affermazione di un’identità virile appa­ rentemente tradizionale. Il modello di Greimas permette pertanto di deli­ ncare più accuratamente le operazioni semantiche e logiche che rendono

il lavoro ideologico possibile e piacevole per quella fetta di pubblico che s’identifica inconsciamente con le ansie di McClane, e desidera a livello conscio emularne la virilità presuntuosa.

2.3.9

Ripetizione/risoluzione

Come già stato più volte evidenziato, parte di quest’opera è in certo qual modo eccessiva e fa di Die Hard un esempio di ciò che Colin McCabe o Stephen Heath definiscono come elemento di necessaria instabilità del si­ stema classico e come costante rottura e ricomposizione delle configura­ zioni. Nel saggio ‘Narrative Space’ (1981), Heath rintraccia diverse tipologie di eccesso e instabilità nella ‘geometria rappresentativa’ di Hitchcock e nel diverso ruolo di due dipinti che compaiono nel film il sospetto. Si potrebbe sostenere che questa necessaria instabilità si manifesta in Die Hard negli effetti speciali, nel violento assalto all’edifìcio e alle persone, che è tipico dei film d’azione, ma inscenato con una sicurezza talmente ostentata da indurre il sospetto che un senso di panico serpeggi in tale violenza. Questa eccessi­ vità serve a sostituire e coprire altri tipi di instabilità: la ‘relazione’ sfasata fra il protagonista maschile e femminile, l'incongruenza fra ciò che John e Holly rispettivamente desiderano e ciò di cui hanno bisogno per chiarire i rispet­ tivi ruoli, e l’asimmetria che attanaglia la donna dirigente e l’uomo operaio in una situazione di conflitto e contraddizione. Una lettura improntata al pensiero di Bellour identifica il 'blocco simbolico' con l’impossibilità per McClane di accettare il secondo tipo di ‘castrazione’, che è di natura sociale (nel mondo globalizzato) e che lo porta a dare inizio a una situazione caotica e in qualche modo feticista, tramite cui spera di evitare l’accettazione della castrazione iniziale sotto l’egida della legge patriarcale. In tal senso, le azioni del protagonista sono motivate dal sentimento di colpa derivante dall’inca­ pacità di ‘portare a termine’ determinate situazioni (in relazione alla moglie e al suo lavoro di poliziotto). Questo genere di narrazione classica conferme­ rebbe pertanto che l’elemento femminile è in realtà fondamentale, benché la vicenda sembri ruotare intorno all’identità psico-sessuale maschile. Die Hard può effettivamente presentarsi come un film dove la posizione instabile della donna in un mondo maschile costituisce il ‘vero’ problema all’interno del sistema e non l’era del post-Fordismo. A livello superficiale, la difficoltà legata a un certo tipo di virilità spinge all’azione. Il risalto dato al desiderio e all’inquietudine maschile significa che la virilità diventa il motore trainante di una perfetta macchina logico-narrativa priva di interruzioni o pause, in cui si reintegrano anche i dettagli secondari e le deviazioni di percorso, o in retrospettiva nuovamente motivati, giacché concorrono all'elaborazione dei dilemma centrale, offrendo possibili soluzioni (le strade non imboccate dal

protagonista), o soluzioni impossibili (le insidie evitale dal protagonista). Una delle soluzioni impossibili evitate dal protagonista è rappresentata dalla trama secondaria che si sviluppa intorno alla figura di Ellis, collega di Holly, e rivale sessuale di McClane. Se da un canto Ellis è molto più rispet­ toso dello status professionale di Holly, il suo istinto sessuale predatorio, latteggiantenio servizievole e il tradimento sono duramente puniti dal film, La posizione negativamente intransigente del personaggio nei confronti di McClane e di Holly conferma a sua volta la bontà dell atteggiamento ir­ riducibile del protagonista anche verso la moglie. Una possibile soluzione non adottata dal protagonista riguarda la scena della coppia che, durante il party natalizio, irrompe nella stanza dove McClane e Holly stanno ten­ tando di fare pace, in cerca di un luogo dove slogare i propri istinti ses­ suali. La scena si ripete al momento dell’irruzione dei terroristi nel ledi fido, ed è doppiamente importante perché dimostra in modo scanzonato una sbrigativa soluzione di ri avvicinamento fra John e Holly. Ma innesca anche delle aspettative - peraltro false, come si vedrà in seguito - secondo cui la seconda volta sarà 1 occasione per abbandonarsi al piacere sessuale, quando in realtà costituisce una situazione di pericolo del lutto diversa. In questo contesto, la ripetizione non offre una soluzione, ma indica una strada senza uscita (per la coppia), poiché il ’lavoro' orientato al ripristino del rapporto fra i due va ben al di là del desiderio sessuale, che (come spesso accade nel cinema classico americano percorso da una vena puritana) ha delle conse­ guenze distruttive: l’impulso sessuale della coppia è direttamente associalo a quello criminale di Gruber e della sua banda. Un altro percorso non intrapreso da McClane riguarda il destino di Al Powell, il poliziotto di colore. Da un canto, i suoi obiettivi collimano con quelli dei personaggi principali, specialmente McClane, sia iti veste di poli­ ziotto (svolgere il suo dovere), sia come uomo (avere una famiglia). Rimane coinvolto nella vicenda sulla via di casa, in procinto di portare alla moglie incinta dei dolci di cui è ghiotta. In tal senso, il personaggio di Al è l’anti­ tesi di McClane, ed è destinato a pagare un prezzo terribile: il trauma di Al è quello di un poliziotto relegalo a mansioni d ufficio (che in molli film hollywoodiani simboleggia Tevirazione, come nel caso del personaggio in­ terpretalo da Robert Duvall in Un giorno di ordinariafollia) che in passato ha sparato per errore ad un ragazza, uccidendolo, e che ora deve redimersi come poliziotto e come professionista. Al pertanto presenta la soluzione (inaccettabile) al dilemma di McClane, perché la figura maschile amore­ vole e premurosa, per questo genere di film, è inevitabilmente ‘castrata1’ o traumatizzata.

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2.3.10. Riassunto dell’interpretazione classica Una lettura di tipo classico ha evidenziato una (macro) struttura costituita da tre atti, una scena d’apertura e un finale. La scena d’apertura termina con l’arrivo di McClane al Nakatomi Plaza e con I avvicinarsi dei terroristi. Il primo atto si chiude con il dialogo fra McClane e la moglie nei bagni della compagnia. Il protagonista maschile è vulnerabile (non indossa la camicia ed è scalzo), ma non sufficientemente pentito da raccogliere il duplice invito rivoltogli dalla moglie: dormire nella stanza degli ospiti (invece di condividere lo stesso letto) e intuire che la moglie ammette di sentire la sua mancanza. Esprime invece il suo rammarico per non aver appoggiato le aspirazioni di carriera della moglie. Il secondo atto termina con McClane ferito sul letto dell’edificio. In comu­ nicazione via radio con Al Powell, il protagonista gli chiede, nell’eventualità della propria morte, di riferire alla moglie il proprio rammarico. Il terzo atto si conclude con la morte di Hans Gruber e con il salvataggio di Holly (e degli altri ostaggi). Il finale ricuce situazioni ancora irrisolte, e sancisce la piena reintegrazione delle facoltà professionali di /\1 Powell. Dopo aver quasi ucciso Argyle - rischiando in tal modo il ripetersi di un precedente errore - elimina l’indistruttibile Karl. Segue un abbraccio interrazziale fra Al c McClane e il gesto ‘maschile’ di Holly nell’atto di prendere a pugni i telecronisti. I criteri della sceneggiatura ben fatta permettono anche di stabilire, come Bordwell, Straiger e Thompson hanno specificato in precedenza (1985; vedi anche Thompson 1999), che il protagonista del film è spinto all’azione da uno scopo, quello di riconquistare la moglie e rimediare al suo matrimonio, senza compromettere preferibilmente la propria virilità. Questo personaggio è collocato al centro di una trama motivata da fattori psicologici, nella quale ciascun personaggio ha la possibilità di perseguire i propri scopi in maniera lineare, determinata e dinamica. Secondo le regole, il film è caratterizzato da una trama a doppio filo intrecciata: la trama sentimentale e la trama dell’as­ salto terroristico che vede il protagonista alle prese con i terroristi e la polizia, per dare una svolta alla trama sentimentale. Il film si chiude positivamente con la morte dei terroristi, la formazione della coppia eterosessuale e la ria­ bilitazione di Al. Se l'analisi fosse stata condotta con l’aiuto di Propp e del suo approccio 'morfologico’, avrebbe prodotto una segmentazione leggermente differente, confermando tuttavia il formato tradizionale e la struttura complessiva del film. Si poteva ad esempio riformulare diversamente la questione dell’enigma, così da esprimere il concetto di mancanza/assenza più esplicitamente c in forma favolistica: Holly nei panni della principessa rapita (in primo luogo dalla Nakatomi Corporation che le ha offerto un’occasione imperdibile; suc­ cessivamente da Gruber e dai terroristi, che la considerano un ostaggio spe­ ciale quando vengono a scoprire che si tratta della moglie di McClane, il loro

antagonista), Spetta naturalmente a McClane salvarla e ri assegnarle la posi­ zione che le spelta: il focolare domestico. A tal scopo» McClane deve possedere le caratteristiche dell’eroe, che si profila, come in una fiaba, attraverso una serie di prove iniziali condotte con oggetti magici (per esempio, il contenuto della borsa del terrorista che riesce ad uccidere), i col laboratori (Al e Argyle), rinve­ stitura finale del protagonista maschile come ’eroe’ che affronta e smaschera il cattivo (benché questi si funga amico). McClane è degno di diventale un eroe attraverso il superamento di tre fasi: la ’prova, la conquista’ e il ’coronamento’ La questione dei collaboratori è più complessa» ma in linea con il modello di Propp. Molti di loro sono figure ambigue e ingannevoli e pongono una scric dì ostacoli: infatti, in Die Hard l’eroe, così come in molti film di Hitchcock, è in conflitto con i terroristi e la polizia. Alcuni cattivi si rivelano buoni collabo­ ratori (specialmente da morti) e viceversa. Il film gioca abilmente con queste ambiguità, specialmente intorno alle ligure dei poliziotti, che McClane con­ sidera dei col laboratori, i quali per contro aiutano accidentalmente Gruber; Argyle desidera essere daiuto, benché invano; anche la troupe televisiva aiuta inavvertitamente Gi uber, rivelando l’identità della 'signora Gennaro^ moglie di McClane, A fronte di una vicenda dall’andamento relativamente lineare, improntata all'azione c governata dal raggiungimento di uno scopo, ci siamo forse ecces­ sivamente concentrati sulla struttura profonda della trama incentrata sulla contraddizione e innescata dalla logica del desiderio. L'interazione fra i per­ sonaggi lega la trama a doppio filo, presentandosi come una sorta di campo di battaglia in cui si incrociano obiettivi diversi e incompatibili, ma anche rela­ zioni parallele che fanno da collante all’interno di ripetizioni apparentemente inesauribili. Diversi generi d’incompatibilità si rispecchiano l’uno nell’altro. Per esempio, gli obiettivi di McClane si rivelano incompatibili: vuole ripren­ dersi sua moglie (e recuperare il ruolo di padre e capofamiglia nella sfera domestica), ma desidera anche essere un buon poliziotto (per continuare ad avere stima di sé sotto il profilo professionale), 'lutto ciò implica una contrad­ dizione che si risolve nel vedere riflesso il proprio conflitto personale in altri personaggi. Holly McClane (Gennaro) aspira ad una posizione di responsa­ bilità (e far carriera alla Nakatomi corporation), pur mantenendo il ruolo di brava madre e moglie. Anche in questo caso due ambizioni od obiettivi per­ fettamente ragionevoli sono presentati come incompatibili e contraddittori: a livello superficiale, perché la donna è sposata con un poliziotto macho e suscettibile: a livello profondo, perché esistono delle tensioni sintomatiche che possono essere di carattere psicologico (della differenza sessuale e della sog­ gettività umana), o di natura ideologica (dei conflitti culturali’ nel l'America di Reagan durante gli anni ’80, quando gli Stali Uniti si trovarono a faccia a fàccia con l’impatto sociale e nazionale ddlcconomia globalizzata c globali zzante). Si è anche appurato che i personaggi secondari rispecchiano' quelli ccn-

g

trali in situazioni cruciali e vivono a loro modo una versione alternativa o una variante del dilemma centrale. Come si è visto, Al Powell ed Ellis ‘ri* specchiano’ il duplice dilemma di McClane, dilemma che da un lato deriva dal suo ruolo di poliziotto votato al rispetto dei valori ‘maschili’ della legge e dell'autorità. Dall’altro, la condizione di marito e amante pone il problema di accettare Holly come suo pari all’interno del matrimonio. D’altro canto, il per­ sonaggio di Ellis rispecchia il dilemma di Holly e ne rappresenta in certo qual modo falter ego, benché egli poi incarni la soluzione inaccettabile. È uguale a Holly nel senso che dà per scontate le ambizioni professionali di Holly e ne accoglie perfino lo status professionale, al punto da invidiarle il Rolex che porta al polso. Arriva anche a suggerirle il modo di risolvere il suo problema (di mamma single senza un compagno), proponendole di uscire con lei. Il problema in questo caso è egli che considera Holly solo come oggetto/partner sessuale e non è disposto a riconoscere o rispettare i suoi obblighi di madre. Ellis, come Holly, smole fare il capo, ma il modo in cui tenta di diventarlo ingraziandosi chiunque ricopra una posizione di potere - è vissuto da Holly come un esempio negativo e viene immediatamente eliminato (e secondo fottica del pubblico, meritatamente) da Gruber. Si potrebbero applicare simili analisi a molti altri personaggi minori, quali la governante spagnola di Holly (che vuole riunire la famiglia ma deve agire di nascosto perche è un’immigrata illegale); il giornalista (a caccia di uno scoop); c Karl (deciso a vendicare la morte del fratello, diventando per questo un ostacolo per Gruber): ciascuno ha le sue motivazioni e richiama la struttura di base di un rapporto esclusivo o di obiettisi che alimentano la narrazione. I ‘collaboratori di colore’ rappresentano un caso a sé: dalla parte dei terroristi, lo scassinatore pretende una parte del bottino, mentre dalla parte di McClane, Argyle, l’autista della limousine, pretende una mancia cospicua, stabilendo un parallelismo fra due poli opposti nell’intreccio secondario, che si ripete anche tra le forze dell’ordine. Il LAPD (Los Angeles Police Department) smole agire attenendosi fedelmente alle regole, sbagliando ogni mossa; l’FBI desidera sur­ classare il LAPD più di quanto non voglia sgominare la banda, finendo con il dare una mano ai terroristi nel tagliare la corrente, che apre accidentalmente la cassaforte. Questi personaggi hanno la funzione di generare complicazioni e ostacoli al protagonista, e sono anche in conflitto fra di loro. Più che personaggi a tutto tondo, sono delle funzioni che ruotano intorno all’incompatibilità degli obiet­ tivi perseguiti rispettivamente da John e Holly: l’apparente inconciliabilità fra la famiglia e la carriera, fra il poliziotto e la professionista, fra l’uomo e la donna al lavoro e tra le mura domestiche. In tal senso, ogni personaggio ha la sua controfigura, e tutti quanti sono legati gli uni agli altri tramite un sistema di parallelismi che si sviluppano e si intrecciano intorno alla contraddizione, all’opposizione e alla complementarietà. Le prove da affrontare sono una ver­

sione/variante dei dilemmi coti cui gli altri personaggi o protagonisti devono confrontarsi. La coerenza globale nella narrazione classica è pertanto lèf ietto dei macro-conflitti e delle micro-contraddizioni che si riflettono reciproca­ mente; la ripetizione (e la differenza) come risoluzione (e unità),

2.4

L’interpretazione post-classica: la teoria

Se la storia narrata in Die Hard risulta di facile lettura secondo il modello classico, è necessario indagare un altro livello di comprensione e prendere in causa la contestata distinzione classica/post-classica? Che cosa all’interno del film richiede ulteriori spiegazioni? Tali interrogativi riconducono a uno dei termini dai quali è partita l'indagine, vale a dire la componente spet­ tacolare (che è stata inizialmente esclusa per poter discutere la struttura narrativa), per poi considerare una implicita accusa polemica secondo cui la spettacolarità e la trama si escludono a vicenda. Dovrebbe risultar chiaro che se la componente post-classica attribuisce all'elemento spettacolare un ruolo prioritario rispetto alla trama, ne consegue che una simile definizione non è convincente. In base all'analisi condotta finora, mutuata dal ['aristote­ lismo (la logica lineare della sceneggiatura) o dallo strutturalismo (la logica edipica della narrazione), si può concludere che l'antagonismo delineato dalle recensioni è falso: pur presupponendo la rilevanza della com ponente spettacolare nei film americani contemporanei, a giudicare da Die Word, non sembra penalizzare la sceneggiatura e la trama, o l'indagine strutturale profonda operata dalla narrazione classica per conto dell'ideologia domi­ nante. Pertanto, non è possibile stabilire la differenza fra classico e post-classico sulla base della contrapposizione binaria spcllacolarità/narrazionc, né a par­ tire da altre contrapposizioni di sorta. Si è avanzata l'ipotesi secondo cui una definizione del concetto di post-classicismo sia da ricercare in un eccesso di classicismo, piuttosto che nella negazione o assenza dello stesso. Applicata a Die Hard. questa ipotesi comporta da un canto la rivalutazione della fun­ zione delle scene spettacolari (funzione narrativa, e propria della struttura profonda), come già più volte accennato, e dal l'altro, una decostruzione della componente 'narrativa' e 'spettacolare'. A questa si aggiunge anche il riesame di quegli elementi che sono stati finora associali agli opposti binari relativi ai nostri quadrati semiotici. il riesame è tuttavia preceduto da un breve excursus sulle definizioni applicabili all'identificazione dell’elemento post-classico come metodo di rappresentazione e stile, ma anche di produzione e ricezione.

2.4.1.

Il cinema americano post-classico: criteri di produzione e ricezione

Gli esperti cinematografici concordano in larga misura nel riconoscere i meccanismi responsabili dei mutamenti avvenuti nell’industria cinema­ tografica hollywoodiana fra gli anni ’60 e ’80. che hanno restituito nuova linfa vitale al cinema americano come forza economica e culturale. Uno dei fattori salienti ha riguardato il progressivo sgretolamento delle conseguenze prodotte dal decreto Paramount del 1947/48, che obbligava gli studi di pro­ duzione a privarsi delle loro sale cinematografiche e a interrompere l’integra­ zione verticale che aveva sostenuto l’industria cinematografica come trust o cartello nei venticinque anni precedenti. Le numerose fusioni e acquisizioni che ebbero luogo negli Stati Uniti nel settore audiovisivo, televisivo e delle telecomunicazioni durante gli anni ’70 e ’80 (favorite da una politica gover­ nativa anti-trust lassista, oltre che da mutamenti radicali nei vertici e nella gestione degli affari), garantirono il ripristino di una sorta di integrazione verticale, che fu portata a compimento entro la metà degli anni ’80. È tuttavia il film di cassetta a rappresentare il motore della rinascita, decretando il nuovo potere di Hollywood. Concepito come prodotto di in­ trattenimento audio-visivo multifunzionale, fortemente commercializzato e 'high concept’*, il blockbuster è anche servito come piattaforma di lancio per nuove tecnologie sonore (Dolby) e d’immagine (effetti speciali, imma­ gini computerizzate). Capace di attrarre nuove fasce di pubblico, ampia­ mente pubblicizzato dai media e distribuito su scala mondiale, il film di cassetta realizza incassi ingenti in un lasso di tempo relativamente breve. Sulla scia di questa forma di intrattenimento sono stati realizzati dei sequel, generi ibridi, o formule, oltre a incoraggiare il cosiddetto ‘pacchetto’, che permette agli attori o alle squadre di lavoro gravitanti intorno a un produt­ tore di monopolizzare il mercato in un sotto-genere specifico o ‘film high concept’, che spesso integra una proprietà di scrittura comprovata, uno stile visivo particolare e un espediente commerciale. Die Hard rispecchia il for­ mato ‘high concept’, giacché rientra in un sotto-genere, quello del film in cui si instaura un rapporto d’amicizia fra personaggi appartenenti a etnie diverse. Il filone rientra in un mercato di nicchia colonizzato da un gruppo di lavoro creativo, gravitante intorno ai produttori Gordon/Silver, e operante come unità semi-indipendente, che si avvale tuttavia di uno studio cinema­ tografico fra i più importanti, nel caso specifico, la Twentieth Century Fox, per distribuire i propri film: ‘E’ un genere di intrattenimento senza pretese, prodotto da Lawrence Gordon, Joel Silver e dagli sceneggiatori Jeb Stuart e Steven E. de Souza, che insieme hanno sfornato film come 48 Ore, Preda3 N.d.T. Un film ‘high concept’ è caratterizzato da una storia sufficiente­ mente semplice e prevedibile.

tor, Commando e Arnia Letale. Anche Die Hard è riuscito a divulgare una sorta di ‘fascino crudo’ e una battuta finale del film (‘Yippi-ky-aye, pezzo di merda’) che, come è accaduto per altri film (‘Coraggio fatti ammazzare’, ‘Stai parlando con me?!’), ha assunto una valenza propria nell’immaginario collettivo. In terzo luogo, il film di cassetta, cosi come altre produzioni hollywoo­ diane, rientra nelle aspettative di intrattenimento della cosiddetta ‘cultura giovanile’, che negli anni ’80 era progressivamente slittata dalla ‘controcul­ tura’ al coinvolgimento nell’esperienza culturale di massa dei centri com­ merciali, dei parchi a tema, delle sale giochi, dell’hip hop, dei rave e delle reti televisive musicali. La cinematografia commerciale convenzionale aveva a questo punto l’obbligo di imparare a rapportarsi a un pubblico diversifi­ cato, ma anche più volubile, caratterizzato da una segmentazione diversa da quella soddisfatta dal cinema e dalla televisione negli anni ’50 e ’60, con prodotti d’intrattenimento indirizzati alle famiglie. Il nuovo pubblico di Hollywood, maschile e femminile, nazionale e internazionale, si aspetta di provare sensazioni corporee e sensoriali, insieme al coinvolgimento emo­ tivo, attraverso tecnologie sonore c visive elettrizzanti.

2.4.2. La Hollywood post-classica: criteri formali e culturali Il coinvolgimento di forte impatto e tecnologicamente sofisticato che il cinema hollywoodiano aveva bisogno di attrarre a sé, ha trovato nella nozione di spettacolo’ un immediato denominatore comune. Il progresso tecnologico in campi molto diversi dell’intrattenimento popolare (come gli animatronics, i parchi a tema e la play station) e ad ogni livello della produzione cinematografica e delle tecniche di riproduzione sonora (dagli schermi della IMAX al suono digitale, dal morphing alla realtà virtuale), hanno fatto irruzione in una forma d’intrattenimento di massa tradizio­ nale come il cinema, influenzandone il prodotto principale, il lungome­ traggio. Una modalità interpretativa della contrapposizione spettacolo/ narrazione - e, con essa, la separazione fra il concetto di classico e post­ classico - considera che, così come in passato le nuove tecnologie cine­ matografiche incidevano sui criteri di produzione e ricezione di un film, è sempre stato compito della trama, della mise-en-scène e della narrazione assorbire tali cambiamenti, adattando la struttura narrativa e i generi. La cinematografìa hollywoodiana contemporanea dimostra di essersi trasfor­ mata e adeguata ai recenti mutamenti tecnologici, pur conservando le ca­ ratteristiche che ne hanno sancito il successo in passato. In tal senso si può affermare che il cinema classico è puramente reimpostato all’interno della

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prospettiva post-classica; non è stato né abbandonato né contrastato, o, come si è detto in precedenza, la modalità post-classica si identifica con la nozione di cinema classico eccessivamente classico. Rimane da chiarire in cosa consista questo eccesso (che da alcuni è considerata una 'deficienza'). Pertanto, il concetto di post-classico rimanderebbe all’idea di miscuglio classico, o a una citazione meta-discorsiva e autoreferenziale. Si potrebbe d’altro canto anche rappresentare un processo di assorbimento, scambio e modificazione bilaterale, in cui la tecnologia è solo uno dei molti fattori di riallineamento di Hollywood, dei suoi criteri di produzione e della sua abi­ lità narrativa, nonché delle aspettative del pubblico e dei suoi fruitori. Per esempio, la contrapposizione binaria fra la nozione classica e post-classica potrebbe scomparire del tutto se Hollywood - secondo alcuni pronostici che verranno ripresi in esame nei successivi capitoli - concentrasse i suoi sforzi sull’elaborazione di trame da utilizzare come modelli o progetti pi­ lota per giochi da computer interattivi. A prescindere da un’eventualità di questo genere, per il teorico la probabilità stessa basta a suggerire l’idea di storia interattiva come categoria più generica, con riferimento alla quale ciò che si definisce classico e post-classico non rappresenterebbe altro che una mera rassegna di casi limitati, transitori e straordinari. Questo ci riconduce all’aspetto culturale dello scambio dassico/postclassico, in particolare al fattore che abbiamo chiamato ‘lavoro’ e che riguarda i processi di elaborazione di un significato, in base ai quali i pro­ cedimenti (formali, stilistici, retorici) interni trasformano il materiale (so­ ciale, ideologico e referenziale) esterno in sostanza narrativa. Nel cinema, la trasformazione dei suoni e delle immagini del mondo in asserzioni e sensazioni sul mondo fa della narrazione, nel senso più ampio del termine, uno straordinario veicolo di comunicazione culturale e riproduzione so­ ciale. Che cosa accade allora a questo ‘lavoro’ nel cinema ‘post-classico’, che si potrebbe considerare come mera fase all’interno di un processo continuo di adattamento o riallineamento? A prima vista, e a partire dall’analisi testuale e ideologica di Die Hard condotta finora, tutto sembra rientrare nella norma. Si è peraltro notato che il film spesso evidenzia la propria componente retorica, così come il materiale ideologico che reca con sé e che trasforma. Secondo un registro interpretativo diverso, e all’interno di un conte­ sto filmico ‘post-modernista’ anziché post-classico, queste considerazioni preoccupano Fred Pfeil, che introduce il dibattito sul male rampage film*' come segue:

4 N.d.T. Nel male rampage film l’eroe bianco affronta il nemico attraverso una serie di imprese rocambolesche e azioni molto violente, che a livello profondo rappresentano la rialì'ermazione della virilità.

grazie a Arma letale e Die Hard, ho notato che... le pratiche culturali postm ode miste emigrano* vagano o vengono scambiate* come imita­ zioni illegali di articoli griffati o coperte infette* al confine permeabile

che separa la cultura di tendenza dalla cultura di massa. Infatti, una delle prime cose che mi hanno colpito in questi quattro film ... sono le loro

inquietanti analogie con le precedenti opere postmoderne. È pur vero

che la loro trama semplice ha ben poco in comune con le sorprese stra­ vaganti e le tematiche multiple presenti in Brazil o in My Beautiful Lau-

ndrctte.

Ma a un livello più formale dello stile fìlmico* della struttura

narrativa e di quella basilare del rapporto spazio-tempo, i film d'azione condividono* più di quanto si possa pensare* molti aspetti comuni con

film d'arte post-modernisti come Diva. (Pfeil 1993)

Pfeil elenca poi quelle che egli considera essere le più importanti carat­ teristiche che si intersecano fra loro: l’aspetto urbano dei colori ('sbiadite tinte pastello e cupe tonalità metalliche blu e grigie’)» il cronotopo bakhtiniano di due dimensioni spaziali fortemente contrapposte all’interno di un unico ambito temporale dicgetico (in Die Hard, ‘il nuovo grattacielo adi­ bito a uffici... e te viscere funzionali [dei] condotti di ventilazione e delle trombe degli ascensori’), dove le relazioni spazio-temporali sembrano ricondursi a una sola dimensione temporale (adesso) e spaziale (‘l’azione si svolge qui - e qui - e qui - in luoghi la cui distanza fra l’uno e l’altro non è fisicamente rilevabile, ma misurabile in termini di comportamenti e livelli d’intensità diversi’). Riguardo alla struttura narrativa dei film, Pfeil adotta il punto di vista da noi contestato nelle recensioni: una tipologia di struttura narrativa superata che parte da una situazione di stasi... per approdare a una nuova e più completa condizione di stasi, è sostituita ... da una sequenza illusoria di elementi autonomi ed esplosioni spettacolari’ (Pfeil 1993). Tuttavia, come si evince dall’applicazione di Pfeil del quadrato di Greimas, ciò che più gli interessa non è tanto un’analisi testuale approfondita della trama complessa e della mise-en-scène di Die Hard che riguardano l’aspetto virtuoso della narrazione classica, quanto piuttosto la manipola­ zione operata da film di questo genere nei confronti del concetto di razza, classe e genere, che egli imputa alla realtà politica dell’epoca reaganiana, con l’insabbiamento del caso Iran-Contra che vide il coinvolgimento di Ollie North, le realtà economiche della globalizzazione con la ristruttura­ zione del mercato del lavoro, la compressione della classe media (dell’indu­ stria manifatturiera), l’ascesa delle multinazionali e il tessuto multirazziale degli strati sociali meno qualificati:

I nostri film ... ritraggono una visione onirica del mondo capitalista bianco/etero/americano, internazionale c/o multinazionale ai vertici, c multirazziale alla base, in cui l'aspetto interrazziale viene erotizzato

proprio quando si riafferma una netta tensione fra il mondo maschile

e femminile: in cui qualsiasi tensione fra razze» classi sociali e identità

sessuali e trasgredita e ridefinita. Se i risultati di queste costruzioni ed

operazioni sono difficilmente apprezzabili quali esempi di produzione

culturale radicale o liberatoria ...» suggeriscono in ogni caso una nuova, frenetica tipologia psico sociale, un momento di flusso.

(Pfeil 1993)

Pertanto, benché ritenuta illusoria, la trama di Die Hard deve secondo Pfeil assolvere la tradizionale funzione di ‘costruzione e operazione ideolo­ gica, sebbene non più inequivocabilmente asservita ad un sistema di valori egemonici, ma portatrice di mobilità e flusso all’interno delle categorie di razza, classe e identità di genere. ‘Nuova mobilità’ e ‘momento di flusso’ sono termini che naturalmente appartengono al linguaggio (positivo) del ©discorso post-modernista, cosicché a questo punto il lavoro ideologico del film e quello critico del teorico assumono un carattere speculare. Tuttavia, Pfeil ben comprende che tale effetto è dovuto al fatto che la posta in gioco nella prospettiva post-modernista è proprio la scomparsa delle contrapposizioni binarie, incluse quelle di base, che per quasi tre de­ cenni hanno caratterizzato gran parte dell’analisi testuale, quali la contrappo­ sizione radicale/conservatore, progressista/reazionario, critico/egemonico, sinistra/destra. Ne consegue che l’approccio all’oggetto dell’analisi cambia giacché, invece di mantenere una distanza critica, la strategia dell’analista si rivolge adesso a nozioni di appropriazione, ‘cooptazione’ e ‘decost ruzione’. Quest’ottica presuppone che anche i conservatori e i teorici più eminenti adesso siano dei decostruzionisti, esperti nel leggere i segni mobili della commistione di elementi ibridi contenuti nei dibattiti radicali o critici svolti in passato sull’elaborazione del concetto di razza, classe, identità di genere e nazione.

2.5.

L’interpretazione post-classica: il metodo

la definizione di ‘post-classico’ prospetta in parte lo stesso dilemma, so­ prattutto se applicata al tentativo di trasformare l’analisi economico-tecnologica delle tecniche di produzione hollywoodiane contemporanee, e con esse, le definizioni formali-culturali che Pfeil applica al cinema postmoderno, in un ‘metodo* atto all’analisi stilistica dei film post-classici: in questa sede si

intende prospettare il concetto secondo cui sono da considerarsi post-classici soprattutto quei momenti all'interno di un film classico in cui le nostre teorie o metodologie fanno improvvisamente la loro apparizione con fare ammiccante o di solenne assenso. Un fenomeno analogo è riscontrabile nei capitoli successivi - specialmente quelli riguardanti Cfiffuitown (Capitolo 4), fiitorno rt/Juturo (Capitolo 8) e // silenzio efegh' ùmocenff (Capitolo 9) - e si cercherà di volta in volta di utilizzarlo allorché un metodo o un paradigma diverso entra in scena. Nel presente capitolo, in cui si indagano queste si­ tuazioni di déjà vu e di incontri singolari, tale fenomeno non approda a un paradigma differente, ma a una sorta di ripetizione dell'analisi classica da noi condotta per verificare in che modo sia possibile ritrovare quei momenti d'assenso e ammiccamento. • •



*



Si partirà ancora una volta dal riesame della struttura narrativa, alla ricerca di nuovi elementi, Si riprenderà anche in esame la distinzione euristica da noi operata fra la struttura super/tcmfe e quella pro/frida, per scoprire che il film offre un'interpretazione più letterale di quanto si vorrebbe, soprattutto in re* lazione alla logica eUipica. Questo ci permetterà di considerare i concetti di razza, identità efi ge­ nere c corpo maschile, per sostenere che alcuni tabù, divieti e approcci indiretti all'interno del metodo rappresentativo classico (del corpo, dell’identità di genere e della razza) sono stati svincolati', ma con il ri­ sultato di aver forse trasformato la 'trasgressione' in semplice effetto di superficie'. Nella sezione relativa al tema della globalizzazione transnaztonale/ post-coloniale, si sosterrà la tesi secondo cui una doppia prospettiva informa le tematiche socio-politiche del film: se da un canto la trama tocca chiaramente alcuni aspetti del capitalismo transnazionale da una prospettiva americana, il film è d’altra parte consapevole di appartenere a questo processo di globalizzazione, che sembra affrontare trasforman­ dosi in una sorta di specchio a due facce che riflette i cliché nazionali in un ambiente multiculturale. Per concludere, ciò che fissa lo specchio e lo spettatore nei rispettivi ruoli è la propensione del film per i giochi di parole, le battute ironiche del protagonista, i trucchi visivi e le ironie strutturali elaborate intorno a battute finali o frasi enigmatiche, riuscendo a tenere lo spettatore con il fiato sospeso e privandolo di qualsiasi punto d’appoggio, in virtù di quelli che vengono definiti signi/rennti variabili,

2.6.

L’analisi post-classica

2.6.1.

La struttura narrativa

A prescindere dalle osservazioni di Pfeil, l'ipotesi post-classica appli­ cata a Die Hard non regge dal punto di vista dello sviluppo della trama, che ricalca la struttura tradizionale della divisione in tre atti incentrata sul protagonista maschile. Tuttavia, il riesame della divisione in atti invita a riflettere su due aspetti: l'uno riguarda le scene violente ritmicamente inter­ vallate e disseminate all’interno della vicenda, l'altro 'ruota' la divisione in tre atti, imperniata sulla figura di John McClane, spostando la prospettiva sul personaggio di Holly Gennaro o di Hans Gruber. Benché l’andamento impe­ tuoso della vicenda sembri favorire John McClane, ciascuno dei tre atti offre punti nodali di sviluppo paralleli per gli altri personaggi. Per esempio, il primo atto si conclude con l’ammissione dell’amore che Holly ancora prova per John; il secondo atto termina con la scena in cui Holly viene presa in ostaggio da Hans Gruber, allorché questi apprende che si tratta della moglie di McClane; il terzo atto termina con la scena in cui la donna, per potersi salvare, si vede costretta a separarsi dal suo Rolex, che incarna lo status sociale e lavorativo della donna in carriera. Il finale si chiude con il pugno sferrato da Holly al giornalista televisivo, colpevole di aver violato e messo a repentaglio l’intera sua famiglia. Analogamente, è possibile tracciare l’ascesa e la caduta di Hans Gruber attorno alla medesima divisione in atti: l’entrata a sorpresa, la scoperta di quella che per lui è una 'canaglia’ all’interno dell’edificio, la dispersione/decimazione della banda c la fatale caduta, che sopraggiunge nel momento in cui afferra il Rolex. In tal modo, la vicenda acquista significato dal punto di vista dei tre personaggi principali. La storia è inframmezzata da scene spettacolari che coinvolgono McClane e Gruber quasi in ugual misura: alcune sequenze vedono McClane impegnato all'interno della tromba dell’ascensore o appeso a una manichetta antincendio, mentre in altre è spettatore delle decisioni prese da Gruber, che dirige le operazioni in una delle scene più agghiac­ cianti del film, in cui ordina l’assassinio di Tagaki, il capo di Holly. L’ipotesi di un’interpretazione post-classica non dipende pertanto dall assenza/pre­ senza di un formato narrativo tradizionale, fondandosi invece sulla ‘strati­ ficazione’ della sceneggiatura tradizionale, aprendola ad accogliere diversi attori o avatar c permettendo al film di spostarsi agevolmente dal grande schermo alle sale giochi e alla consolle di un video game. Insolito per un film classico, ma rilevante per uno scenario interattivo, è l’atteggiamento del cattivo, mosso da motivazioni sempre diverse: Gruber cambia idea almeno tre volte sulla motivazione che lo spinge a occupare l’edificio, passando dal

ruolo di terrorista intemazionale a quello di ladro, per poi rivestire i panni di un uomo mosso dal rancore e spinto all’azionecon il ricorso alle proprie facoltà 'mentali' e alle armi.

2.6.2

Struttura dì superficie e struttura profonda

Grande importanza si è attribuita alla distinzione fra struttura di super­ ficie e struttura profonda all'interno dell'analisi classica fin qui condotta. Tuttavia, i termini sono soltanto delle metafore spaziali che hanno lo scopo di orientare l'attenzione s uU'irrcgolarìtà del movimento drammatico, sulla tensione cognitiva o su alleggia menti emotivi e livelli di intensità diversi. Per altri aspetti invece* Die Hcini si comporta come se fosse consapevole di questa distinzione puramente euristica. Per esempio, allude continuamente alla propria struttura di superficie inscenando uno spettacolo straordinario sul tema del 'vetro! In Die Hard, alcuni degli eleni enti che concorrono alla definizione dì 'spettacolo’ sono infatti da ascrivere agli effetti speciali pro­ dotti dal vetro che va in frantumi e schizza ovunque: McClane manda in mille pezzi una finestra per spingere fuori il corpo, nel tentativo di attirare l'attenzione del poliziotto e fargli comprendere che le Cose non sono quelle che sembrano al Nakatomi Plaza; Gruber ordina a uno dei suoi uomini (in un tedesco incerto) di sparare al vetro per trasformarlo in un tappeto di schegge, allo scopo di lacerare i piedi di McClane; il sangue e la lesta spap­ polala di Tagaki offuscano la parete divisoria in vetro, impedendo a Mc­ Clane di vedere. Il vetro produce anche degli effetti sonori mollo intensi per lutta la durata del film, dove compare anche un quadro ispirato alla pop art di Roy Lichtenstein, raffigurante un pannello di vetro frantumato. Il quadro e appeso nell’ufficio di Holly e ricorre per due volte nel film - la seconda volta accompagnalo dal suono scoppiettante di una mitragliatrice. Analogamente, con riferimento alla struttura narrativa profonda, la lesi propugnata in questa sede è che la logica edipica della vicenda sì svolge proprio nella struttura profonda, 11 film si rivolge con un 'Ho-ho-ho' tanto a Edipo quanto al patriarcato; ir/ loro posto, ci dà Babbo Natale. Il fatto che uno degli autori delle recensioni chieda ‘Perché il Natale?* suggerisce che non ha guardato il film abbastanza attentamente. Infatti, il Natale è un evento cruciale in almeno due modi distinti, li un momento di riunione e ricon­ ciliazione, che induce McClane a ricongiungersi con Holly, f- anche una stagione festiva sorde terminata (bianca, tipica dei paesi industrializzati* cristiana) e efe qualcosa di decisamente dissonante nella partecipazione al party natalizio che si svolge alla Nakatomi Corporation (cosa che il film evidenzia incrociando la musica di Bach e Handel del party natalizio con

la musica rap della limousine). Il Natale, in una Los Angeles bruciata dal sole, porta sempre con sé un tocco surreale, con gli alberi spruzzati di neve finta. Questa incongruenza è rappresentata in forma dialogica nella scena d’apertura soprattutto da Argyle, che nell’auto ascolta musica hip hop e rap. L’atteggiamento faceto di Argyle nei confronti delle musiche natalizie ‘bian­ che’ è pertinente: quando McClane gli chiede: "Non hai musica natalizia?”, Argyle risponde: “Questa è musica natalizia” Ma il tema del Natale è anche più radicato nella struttura visiva, verbale e tematica del film, fungendo da risorsa semantica in diversi registri. La sod­ disfazione di Gruber nel vedersi fare un regalo di natale dall’FBI, che toglie l'elettricità e ‘accende il suo albero’, è un riferimento esplicito al Natale. Gru­ ber si aspetta un miracolo, che accade quando le luci si spengono e l’ultima porta della cassaforte si apre come un calendario dcU’Awento alla vigilia di Natale. Benché meno diretta, anche la battuta di McClane a proposito di uno dei malviventi, l’intellettuale Fritz, non sfugge all’attenzione. McClane estrae le sigarette, l’accendino, una mitragliatrice e un walkie-talkie dalla borsa di Fritz, traveste il cadavere da Babbo Natale dopo aver decorato la maglietta con la scritta ‘ho-ho-ho’, e lo cala giù per la tromba dell’ascensore, che metaforicamente evoca l’immagine del camino (“Babbo Natale scende giù per il camino”). Questo inganno visivo viene di nuovo sfruttato nella sequenza in cui McClane getta gli esplosivi nel condotto d’aerazione, che si incendia come il fuoco nel camino. Un altro elemento del rituale natalizio (anglo-americano) compare nella vicenda: è come se togliendosi i calzini, McClane avesse ‘invitato’ Babbo Natale a riempirgli la calza di doni, cosicché gli oggetti magici di cui ha bisogno per contrastare i rapinatori/terroristi, diventano per l’appunto i suoi regali di Natale. In altre parole, il ‘Natale’ è al contempo un ‘significante variabile' (vedi sotto), e un concetto pregno di significati culturali, visivi e cognitivi, che il film (in termini di sceneggiatura e mise-en-scène) sfrutta per dare consi­ stenza e una risonanza speciale agli eventi. Il Natale è un elemento di verosi­ miglianza all’interno della vicenda familiare ambientata nel contesto urbano di Los Angeles, che genera un’atmosfera dissonante ed evidenzia la tematica etnica; in relazione a Gruber e McClane, aggiunge un tono di ironia dram­ matica alla componente fiabesca del benefattore e dell'aiutante; il Natale offre a McClane lo spunto per mettere in atto dei tiri mancini alle spese del nemico, mentre per la mise-en-scène giustifica uno degli usi metaforici della configurazione spaziale dell’edificio incompiuto/di una faccenda ancora in sospeso (la tromba degli ascensori e i condotti d’aerazione/uccidere i ter­ roristi). Infine, l’allusione ai calzini/calza di Natale e alla figura di Babbo Natale rimandano in chiave ironica all’immaturità emotiva di McClane e alla ricerca di una nuova identità paterna e maschile.

2.6.3. Razza, identità di genere e corpo maschile Lesibizione esasperata del corpo umano intesa come indicatore aggiun­ tivo della ‘struttura di superficie’, che spesso si considera appartenere aliar* senate del cinema post-classico, non è sfuggita all’attenzione dei critici. Brace Willis interpreta un altro di quei ruoli d'azione hollywoodiani in cui la camicia dell'eroe viene ridotta a brandelli nelle prime sequenze, per mostrare allo spettatore quanto tempo ha passato in palestra.

(Roger Ebcrt» Chicago Sun-Times, 15 luglio 1988)

Ebert suggerisce che il film riflette una tendenza della cultura popolare, in particolar modo la cultura dei media, a privilegiare la componente erotica del corpo maschile, la pratica del body building, la serie televisiva Baywatch e il jogging. Questa tendenza ha portato un altro giornalista a definire Die Hard come un concentrato di muscoli ed esercizi cardiovascolari’ (Hal Hin­ son, Washington Post, 15 luglio 1988). A questo si aggiunge il fatto che grazie alla televisione, che ha confe­ rito un fascino fìsico agli sportivi attraverso la tecnica del primo piano, la rappresentazione del corpo maschile è cambiata radicalmente negli ultimi due decenni. La moviola e i replay hanno trasformato il calcio televisivo in una delle forme d’intrattenimento più lucrative di tutti i tempi, oltre ad attrarre un pubblico femminile verso uno sport tradizionalmente e tipica­ mente maschile. Il corpo maschile, cosi spettacolarizzato, è diventato fonte di grandi guadagni, contrapponendosi al corpo maschile classico, solita­ mente considerato un baluardo dell’astrazione dal punto di vista delle sue manifestazioni fisiche (fatta eccezione per la pornografia), escluso da un processo di erotizzazione o classificazione (per timore, pare, di cedere al sostrato omocrotico da sempre presente nei film hollywoodiani). Eccezion fatta per alcuni generi (i film sulla boxe e i film di guerra), alcuni attori (la canottiera a rete indossata da Clark Gable) e registi, in particolare i film western di Anthony Mann e quasi tutti i film di Robert Aldrich, i personaggi maschili nel cinema classico sono quasi sempre completamente vestiti e in perfetta forma fisica: le loro ferite edipiche sono relegate alla sfera simbolica, in modo da non intaccare l’involucro corporeo. Tuttavia, ciò non avviene in Die Hard, che esibisce il corpo di Bruce Willis. La vulnerabilità di McClane è messa a nudo attraverso le ferite fìsiche e le punizioni subite. Il corpo di McClane somatizza’, come pure lo spettatore, che avverte il dolore che si prova a camminare sul vetro mentre il piede si lacera e sanguina. Questa attenzione per la pelle maschile non è sfuggita ai commenti degli esperti cinematografici, che hanno teorizzato uno slittamento all’interno

delle relazioni di identità di genere, con particolare riferimento alla rappre­ sentazione degli omosessuali. Sia che si tratti di pin-up da mettere in mostra per soddisfare il piacere visivo di un pubblico maschile o femminile, o di scene di contatto fisico fra personaggi maschili appartenenti a etnie diverse, Hollywood non ha esitato a seguire le tendenze della moda, della pubblicità e di altri settori della (sub) cultura popolare, trasformando quella che in pas­ sato veniva chiamata devianza’ o ‘incrocio fra razze diverse’, in materiale di consumo. Si è già fatto riferimento a Fred Pfeil, che collega lo spostamento dei confini razziali tradizionalmente considerati tabù nella rappresentazione della figura maschile, alla comunità multirazziale della manodopera non specializzata da sfruttare come risorsa di riserva a basso costo nel settore terziario. Eppure si ha come l’impressione che chi ha realizzato Die Hard abbia letto tutti i testi più importanti dei cultural studies per poter dare qual­ cosa a tutti’. Attraverso la tematica dell’amicizia interrazziale fra McClane e Al Powell (accompagnata da un commosso abbraccio finale tra i due), la trovata spiritosa 'Johnson e Johnson’ riferita ai due agenti dell’FBI ('nessuna attinenza), e il ruolo strutturalmente identico della cameriera spagnola e di Al, entrambi premurosi rispettivamente nei confronti di Holly e di McClane, Die Hard fa sì che la comunità interpretativa degli studi ‘race-class-gender con tutto questo ci vada a nozze, soddisfacendo vecchi stereotipi e fondendo le categorie e le linee di confine per poter ottenere l'assenso, seppur mode­ rato, anche di attivisti radicali come Pfeil. Non così per Sharon Willis, la quale, in un saggio sul genere (Willis 1997), e sulla falsariga di Pfeil, è tuttavia attenta a operare una distinzione fra la formazione dell’identità di genere e razziale, sostenendo che quest’ultima rimane il fulcro inconfessato della costruzione ideologica del film, proprio in virtù della prominenza eccessiva di cui gode. Anziché considerare il film come meccanismo nel quale velate tematiche razziali si trasformano in velate tematiche di genere, Sharon Willis identifica un processo continuo di slitta­ mento e rovesciamento (indicativo di quello che la Willis definisce ‘scambio’ fra razza e identità di genere) che avviene dal punto di vista dell'identità maschile in crisi. Tale processo produce a sua volta delle ‘economie erotiche’ diverse, dalle quali il concetto di ‘nero’ e ‘donna risultano incompatibili fra loro e incapaci di coesistere entro lo stesso spazio narrativo. Secondo Sharon Willis è pertanto il tema della razza a rappresentare l’elemento traumatico dei film incentrati sull'amicizia interrazziale, che viene risolto tramite l’omoerotismo giocoso, la spettacolarizzazione dei corpi e una presentazione libe­ rale della comunicazione interrazziale che si snoda intorno alla difesa della legge. Questa strategia respinge l’impossibilità per l’America dei bianchi di imparare a comprendere, seppur con difficoltà, la propria mentalità razzi­ sta, soprattutto dal momento che i neri d’America non incarnano la legge, la portano impressa sui loro corpi negli istituti di pena, dei quali i detenuti

afroamericani rappresentano la componente largamente maggioritaria. Il liberalismo o 'licenza' della rappresentazione nel film» insieme alle allusioni sessuali e alla spavalderia di prove fisiche temerarie, è una maschera che un genere fondamentalmente reazionario indossa per riaffermare lo spazio sociale più limitato e narrativamente più stereotipato dei non bianchi» oltre a tracciare lince di confine più mareale fra differenze pertinenti alla categoria dell'identità sessuale e della razza.

2.6.4. La globalizzazione transnazionale/post-coloniale Le osservazioni di Sharon Willis e di Pfeil, secondo cui lorizzonte in­ trascendibile del cinema post-classico (o, posi modernista) è quello del ca­ pitalismo transnazionale» sono convincenti. Se si volesse identificare una struttura storica entro la quale collocare le stratificazioni e le superfici mulevoli dell'identità politica di Die Hard, 1'information economy, la terzia­ rizzazione della produzione industriale da parte di aziende multinazionali in paesi dove la manodopera costa poco e la condizione di disagio dei neri americani all’interno di un contesto urbano, seni brano argomentazioni con­ vincer! ti. Tuttavia, queste riflessioni politiche» in almeno due Casi, non fanno altro che gettarci loro stesse nei circoli viziosi e autoreferenziali così tipici della modalità post-classica. Anzitutto, Die /Jwnf si prende gioco delle condizioni stesse della propria realizzazione. Lallora Century Plaza, il grattacielo di nuova costruzione adi­ bito a ufficio c sede della Twentieth Century l:ox, la compagnia di produzione/distribuzione per la quale la Gordon e Silver hanno realizzato questo film e i sequel, è stato usato come principale location e sede delia Nakatomi Corporation. La burla ha una doppia valenza: la Fox ha realizzato un investi­ mento accorto nel proporre la propria sede come location; ai contempo sug­ gerisce ironicamente che il budget richiesto da un film di cassetta negli anni '30 stava cominciando a superare i costi di costruzione di un grattacielo. Il fatto che i produttori cinematografici utilizzino la torre ancora in fase di costruzione, per poi incendiarla e vederla crollare, è di per sé ironico. L'altro livello di autorefere ozia liti riguarda il dispiegarsi dei significati legali al termine nazione, quali i concetti di identità nazionale ed econo­ mia intemazionale, proiettati sullo sfondo delle vicende legate alla Seconda Guerra Mondiale. Se si ipotizza per la trama un interesse per le preoccu­ pazioni della classe operaia americana sul proprio future lavorativo, e più in generale» sulla competitività dell’economia statunitense nei confronti di quella giapponese ed europea (durante il periodo precedente al decollo della nuova economia» che negli anni '90 portò l'America a occupare una posi-

zione di preminenza mondiale), la scelta delle nazionalità e dei personaggi stranieri messi in gioco nel film risulta particolarmente perspicace: Anche i terroristi sono un gruppo multinazionale capeggiato da un

tedesco di nome Hans Gruber (Alan Rickman). Elegantemente vestito e con una barbetta curata, paria come un intellettuale che si reputa supe­ riore alla marmaglia che frequenta e che pensa di aver concertato un piano perfetto.

(Roger Ebert, Chicago Sun-Times, 15 luglio 1988)

La recensione di Ebert maschera il tentativo di rendere il tono della nar­ razione, riproducendo fedelmente gli stereotipi nazionali e la ‘precisione inappuntabile’ che rimanda inevitabilmente alla Germania (nazista). Que­ sta prospettiva consente di elaborare un altro rettangolo semantico giocato sull’asse nazionale/transnazionale. 1 cattivi sono di nazionalità tedesca, men­ tre i capi sono giapponesi: da una prospettiva americana, le due nazioni hanno molto in comune. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania e il Giappone furono acerrimi nemici degli Stati Uniti, mentre oggi sono annoverati fra i più stretti alleati politici dell’America. Tuttavia, al momento dell'uscita di Die Hard nelle sale cinematografiche, tanto il Giappone quanto la Germania rappresentavano ancora una minaccia economica, in partico­ lare per l’industria automobilistica statunitense e, di conseguenza, per il lavoro manuale che altre persone come McClane rischiavano di perdere. Agli opposti binari passato-presente si sovrappone un’altra coppia di opposti binari, diversamente ripartita ma altrettanto pertinente, perché collocata in un periodo storico intermedio. I terroristi vengono infatti identificati con una Fazione Tedesca dell’Armata Rossa risalente agli anni ’70, notoriamente anti-americana e pro-Vietnam e fautrice di attentati dinamitardi e terrori­ stici contro obiettivi statunitensi presenti nella Germania Occidentale. Gli agenti dell’FBI e del LAPD chiamati a sgominare i terroristi sono o troppo giovani per ricordare l’esperienza del Vietnam, oppure da essa traumatizzati o pronti a farne un altro. Se il film nutre del risentimento nei confronti della Germania, non risparmia comunque di includere i giapponesi, benché nel film facciano la parte dei ‘buoni’ Un’ostilità latente - a Hollywood peraltro non certo inedita - soggiace al timore della sopraffazione da parte dei giap­ ponesi. Basti pensare all’aggressività dimostrata negli anni '80 da aziende come Sony e Matsushita per l’acquisizione di studi cinematografici quali la Columbia Pictures e la Universal. Ironicamente, la Nakatomi Corporation ha sede in un altro studio cinematografico, la Twentieth Century Fox, di proprietà di un ‘orientale’ naturalizzato americano, ma di origine austra­ liana, di nome Rupert Murdoch. Emerge anche un conflitto più attenuato, seppur sovradeterminato,

fra gli Stati Uniti e il Regno Unito, che si manifesta attraverso Fattore Alan Rickman nel ruolo del garbato I lans Gruber, che scambia, alla maniera di James Bond, il nome e l'indirizzo del suo sarto con il capo della Nakatomi, prima di ucciderlo brutalmente e con nonchalance. Gli allori inglesi offrono sempre le migliori interpretaziuni del cattivo (a parte Rickman, si pensi a Lawrence Olivier ne G/r insospettabili e II maratoneta, o in tempi più recenti, Anthony Hopkins in Ha/intb«l Lecter, oltre a un eclettico, onnipresente e diabolico Gary Oldman). Dagli anni ’SO in avanti, la rappresentazione di una società multietnica si è imposta all’attenzione dell’industria cinemato­ grafica e televisiva statunitense. Il film include pertanto una rappresentanza nord europea (McClane), italiana (Holly), afroamericana (Al Powell) e ispa­ nica (la cameriera). Hans Gruber occupa un posto speciale nella semiotica interculturale e transnazionale di Die Hard: il personaggio è al contempo un terrorista intemazionale, un angelo vendicatore e un comune criminale. Da un canto, è determinato a dare una lezione di politica al Giappone e agli Stati Uniti; dall’altro, vuole rubare 600 milioni di dollari in titoli al portatore (stravaganti strumenti monetari di una nuova economia globale?). Tuttavia, è anche a suo agio negli eleganti abiti da “quadro" del capitalismo globale, come pure si evince dai modi signorili. Hans Gruber sembra pertanto un terrorista inter nazionali* fattosi banchiere internazionale, che in realtà altro non. è se non un ladro comune ma mollo accorto. A un altro livello (simbolico), è un personaggio tratto da un altro tipo di film, proprio in virtù della sua formi­ dabile qualità camaleontica. Terrorista, uomo daffari, rapinatore di banche, impiegato c vittima: il trasformismo ne fa un mostro, oltre che un criminale, proprio come nelle fiabe o nei film dell orrore. È come se Gruber (e Karl) fossero creature draculosche governate da un impulso' (anziché creature del desiderio’), all'apparenza invincibili e impossibili da sconfìggere perché dotate di poteri sovrannaturali: perfino la polizia e l’FBl, la televisione c i media aiutano Gruber. In ultima analisi, considerato strutturalmente in relazione al dilemma di McClane (classe sociale di appartenenza e status), Gruber funge da mediatore/alter ego: possiede la forza bruta e labilità ma­ nuale di McClane, pur appartenendo al inondo dirigenziale e al capitalismo globale al quale Holly aspira.

2.6»5. I significanti variabili A livello tecnico, Pre Hard presenta molti vantaggi, ma si getta la zappa sui piedi quando la sceneggiatura ricorre A futili orpctlL

(Roger liberi

15 luglio ]9B8)

Era sicuramente intenzione di Ebert usare un gioco di parole, tuttavia ci si chiede se in queste parole non ci fosse più verità di quanta Ebert stesso sospettasse. Il film sembra comunque esserne consapevole, giacché feticizza i piedi di McClane più di qualsiasi altra parte del corpo, incluso il petto nudo. A partire dal passeggero americano di origine asiatica che consiglia a McClane di stringere le dita dei piedi a pugno - forse in stile cinese - il riferimento ai piedi è sempre costante, ed evidenziato da primi piani di piedi scalzi e sanguinanti, bendati e trascinati sul pavimento, che così spesso atti­ rano l'attenzione e l'azione sulle estremità ferite di McClane. Ma, sulla scorta della frase di Ebert, come non pensare al nome dell'eroe del mito, e all’handicap che ne decise il nome: Edipo, colui che ha il piede equino? I giochi di parole che entrano ed escono dal testo possono essere indi­ catori di una componente post-classica: non come stile ma come struttura mentale per gli amanti del genere e degli studiosi. Il film non è certamente a corto di giochi di parole originali, complessi e ironici, che evidenziano il carattere beffardo e sagace del personaggio interpretato da Bruce Willis prima e dopo Die Hard. Questa tendenza è supportata dalle incursioni ope­ rate dagli esperti di marketing nelle produzioni di film di cassetta, invaria­ bilmente lanciati con slogan e frasi memorabili. Anziché definirli agganci o titoli, si è optato per un termine sintomaticamente semiotico chiamato ‘significante variabile', per indicare la relazione fra il significante e il signifi­ cato, dove il linguaggio sfrutta la pluralità del significante (allotropi verbali e visivi), mentre il film utilizza la pluralità del contesto (ambiguità, ironia e rovesciamento, che permettono ai significati di rimanere in superficie). Benché questo sia un mero prolungamento dell'uso strutturale della simme­ tria e della ripetizione nel cinema classico, i giochi di parole nella modalità post-classica sono al contempo inscenati e compressi, e concentrano l'atten­ zione sul meccanismo e l’invertibilità delle relazioni e delle situazioni a cui è diretta. Riconoscere i momenti di condensazione come significanti variabili ci permette anche di notare la loro ‘mutevolezza’ e ‘direzione’, giacché non si limitano soltanto a inserirsi fra referenti diversi, cosa che i giochi di parole di regola fanno, ma si spostano dal film alla promozione e alla presentazione del film, insinuandosi talvolta, insieme al grido di guerra di McClane, nel gergo popolare. In ultima istanza, occorre citare (e onorare) un’altra pro­ spettiva post-classica ampiamente condivisa, secondo la quale non tanto la profondità e l’interiorità, quanto l’estensione superficiale, il recto e il verso, sono i principi che governano il significato. Tuttavia, si auspica da parte no­ stra il rifiuto dell’idea predominante, secondo cui l’attenzione per l'aspetto di superficie è indice di ‘superficialità’ intellettuale ed emotiva. I nomi e i titoli sono un ottimo esempio di intervento sulla superficie ver­ bale di un testo cinematografico. Questo procedimento non è caratteristico del cinema, né tanto meno una peculiarità della componente post-classica.

Basti pensare ai romanzi di Charles Dickens, nei quali nomi come Mr Gradgrind, Mrs Sparsit, Mr Bounderby, Mr Harthouse e Mrs M’Choakumchild (Tempi difficili) definiscono di per sé stessi l’atmosfera morale di un universo narrativamente completo. Anche nel cinema classico sono riscontrabili nu­ merosi esempi in tal senso, quali il personaggio maschile sciovinisticamente chiamato Mrs Ruttland ne II grande sonno, oppure l’iniziale del secondo nome di Roger Thornhill, 'O’, nel film Intrigo internazionale. In un saggio sul film La pericolosa partita, Kuntzel evidenzia il triplice gioco di parole del titolo, peraltro quasi inutilmente, dal momento che nel film il Conte Zaroff, il cattivo della situazione, spiega il doppio senso del termine 'partita’. Ancora una volta, se l'elemento post-classico non si distanzia da questo ingrediente di base della narrativa popolare da tempo immemorabile, è pur vero che si spinge al limite. Non a caso il rivale di John [McClane] è Hans [Gruber], visto che i loro nomi sono identici nelle rispettive lingue. Il nome di McClane è associato al termine scozzese 'clan, che significa 'famiglia, e che si avvicina al significato originario del cognome della moglie, ‘Gennaro’. Gli anglo-americani associano il nome ‘Holly’ al Natale, mentre il nome del capo di Holly, ‘Tagaki’, in lingua giapponese significa ‘albero alto’ o paterfamilias. Johnson e Johnson, i due agenti dell’FBI, non rimandano certo al borotalco, ma al nome della più importante casa editrice di pubblicazioni afroamericane. Al Powell si rivela essere un vero e proprio paP power per il suo amico McClane. Inoltre, se Al Powell compra i propri dolci, uno dei 'terroristi' (incaricato di sorvegliare gli ostaggi) non resiste alla tentazione di rubare i dolci. In Die Hard, l'ambiguità, la polisemia e l’ironia si raccolgono intorno al titolo: l’ambiguità è riferita a McClane, perché è un individuo duro a morire e non si arrende facilmente; tuttavia, il termine può anche riferirsi a una persona che si rifiuta di morire, come nel caso del socio di Gruber, il perso­ naggio fuori controllo di Karl, che è incredibilmente indistruttibile. Il film é polisemia) perché il termine ’duro’ si riferisce all'immagine del macho interpretato da Bruce Willis; a McClane come uomo duro (che si scusa con la moglie solo quando sembra ormai troppo tardi per farlo), e allo status so­ ciale (ultraconservatore-virilità del proletariato). In ultima analisi, il film è anche ironico giacché - come Pfeil non manca di notare citando il Webster’s Dictionary - ’diehard’ significa anche ‘conservatore irriducibile’, come se il film sbeffeggiasse la critica progressista. I giochi di parole non sono soltanto verbali, benché anche le burle visive spesso esigano un punto di riferimento linguistico implicito: è Natale, l’idea della neve che cade è nell'aria, per quanto incongrua la situazione possa sembrare nella California del Sud e a dispetto della canzone di Bing Crosby o dell’atteggiamento derisorio di Argyle. Ma in una delle scene che si svol5

N.d.T. Pai = amico, compagno.

gono all'interno del Nakatomi, Ellis sniffa cocaina (‘neve’), e alla fine del film l’edificio in rovina assume le sembianze di una specie di albero di Natale, dal quale cadono lentamente a terra migliaia di fogli di carta rassomiglianti a fiocchi di neve che, dopotutto, regalano un bianco natale a John e Holly. Il fatto che questi giochi di parole e ironici effetti visivi pervadano anche le caratteristiche più insignificanti, la dice lunga sul livello di professionalità necessaria alla realizzazione di un film hollywoodiano pensato per offrire divertimento disimpegnato. Il meta-commento che si può leggere tra le pie­ ghe del film ricorda al pubblico la particolare capacità retorica del film di generare significato dalla differenza e dalla somiglianza, dalla metafora e dalla metonimia, per preparare lo spettatore all’introduzione, ad esempio, di un oggetto speciale, moltiplicandone e diffondendone il potere significante in diversi momenti c contesti. Un oggetto simbolico - e totemico - di quel genere è il Rolex di Holly. Lbrologio racchiude tutta una serie di motivi, quali la rapida ascesa di Holly all’interno dell’Azienda, la sua posizione la­ vorativa, il rapporto ambivalente della donna con Ellis, che preme conti­ nuamente affinché Holly mostri l’orologio a McClane, in parte orgoglioso e in parte invidioso di lei. Tuttavia, il momento di gloria per il Rolex soprag­ giunge quando Holly si vede costretta a separarsene per avere salva la vita. Quando finalmente McClane vede il Rolex, è solo per toglierglielo dal polso; l’orologio simboleggia l’indipendenza della donna, ed è parte integrante del dramma che si sta consumando. Richiama l’immagine delle manette, che spesso figurano nei film di Hitchcock, in un contesto nel quale la scelta è una questione di vita o di morte. Il fatto che Gruber lo tenga ben stretto è anche da considerarsi come uno spostamento del desiderio di Holly di aggrapparsi ad esso come simbolo della propria identità di ‘madre che lavora’, cosicché il fatto che sia McClane a sfilare il Rolex è un’immagine doppiamente ironica. Queste ripetute apparizioni del Rolex in diversi punti nodali della trama alimentano il film come una batteria semantica inserita nella corrente nar­ rativa. Anche l’orologio è, a modo suo, un significante variabile, soprattutto quando viene sfilato dal polso di Holly e di Gruber. Merita un’attenzione speciale un gioco di parole che a prima vista non sembra tale, giacché è al contempo un rompicapo e un mantra, caratteri* stiche tipiche dei linguaggio enigmatico al servizio di un’intenzione dram­ matica, e in tal senso non del tutto e unicamente appartenenti alla sfera post-classica. Il riferimento, nel caso specifico, riguarda il suggerimento che McClane riceve in aereo: ‘Stringa le dita dei piedi a pugno’. Nonostante i buoni propositi di cui è portatore, il mantra si rivela disastroso e provvi­ denziale in un contesto del tutto diverso da quello desiderato. È disastroso perché, nel metterlo in pratica, McClane viene scoperto nei bagni, non con i pantaloni calati (come Vincent Vega in Pulp Fiction), ma in ogni caso con i calzini alle caviglie. È provvidenziale giacché la fuga nel bagno significa

che può sfuggire al blitz e alla cattura. Come si è già argomentato a pro­ posito dell'analisi classica, la frase funziona anche figurativamente in un contesto più ampio, quello della contraddizione centrale del film fra l’uomo e la donna, per la quale profetizza e chiarisce i termini di una sua possibile risoluzione. In che modo? Attraverso l’uso delle connotazioni culturali delle parti del corpo aventi specifiche connotazioni sessuali. Il ‘pugno1 è un chiaro riferimento al [umiltà e alla violenza, ma qual è il significato della dila dei piedi’? 'Stringa le dita dei piedi a pugno' allude al piedi legati, che hanno una connotazione ovviamente femminile. Tale connotazione risulta evidente se ricondotta alle fasciature che McClane dovrà applicare più in là nel film per fermare l'emorragia. Le metonimie rappresentate dai termini dita dei pledi/piedi/piante dei piedi/sangue/bende rafforzano queste associazioni di idee legale all’universo femminile, suggerendo una chiave di lettura per il significato metaforico dei piedi insanguinati di McClane: i piedi del pro­ tagonista maschile fanno parte del processo di assimilazione di caratteri­ stiche femminili, oltre a indicare un doloro percorso di presa di coscienza che lo porta a scusarsi con la moglie, a imparare a diventare vulnerabile e a riconoscere l'aspetto intimo e meno nobile della propria ostinazione. La frase 'stringa le dita dei piedi a pugno' va interpretata da ogni angolazione possibile, per poter chiarire la soluzione al dilemma del macho McClane; schiudi il pugno1, in ah re parole, ammetti la componente femminile della tua virilità, apri la tua violenza alla vulnerabilità. Per essere un buon padre/ marito, il vecchio macho deve rinnovarsi - prima di ridiventare il macho di prima: queste sono le tappe emulate da McClane, e ricalcano la classica triade narrativa dello condizione di slasi/dcstabilizzazionc/condiziunc di stasi ridefinita, che secondo Pfcil manca in Die Hard. Visto in prospettiva, il suggerimento preannuncia il dramma di McClane; visto in retrospettiva (e al contrario, come velata argomentazione intorno al concetto di identità di genere), il messaggio del l'americano di origine asiatica, come l'enigma della Sfinge per Edipo, identifica il dilemma di McClane e gli offre i termini di una possibile redenzione. Holly intraprende un percorso parallelo di ride finizione del proprio ruolo. Deve spogliarsi di tutti i suoi attributi professionali (tradizionalmente associati all'universo maschile): all'inizio del film Holly ha il controllo della situazione, e (come un uomo), prende il comando quando il suo capo viene assassinato. Tuttavia, di fronte a Gruber, ritorna ad avanzare richieste fem­ minili: un divano per la collega incinta c la possibilità per le donne di usare il bagno. Holly viene poi fatta ostaggio non come capo della ditta, ma come moglie di John McClane, assurgendo ancora una volta a oggetto stereotipato di scambio fra uomini. In un'altra scena, la donna è seduta accanto alla col­ lega incinta, della quale si occupa con grande premura. Alla fine riconquista John, benché relegata ai ruolo di madre. La sua unica consolazione è striti-

gore le ‘dita’ della mano a pugno per sferrare un colpo al telecronista, poco prima di andarsene con McClane. La classica 'nascita della coppia diventa pertanto una ri-nascita post-classica. Considerata nell’ambito di associazioni audaci, della ‘trasgressione’, della sobrietà tematica e della forza di compressione, il significante variabile dita del piede/pugno è post-classico, per io meno per come è stato discusso in questa sede. Ancora una volta suggerisce che l’elemento ‘post’ è identico, seppur diverso, giacché la differenza va intesa nell’accezione (decostruzionista) di ‘differimento’, intesa come ‘rinvio’, che dopotutto è uno dei signi­ ficati del termine ‘post’, che opera uno slittamento temporale piuttosto che contenutistico e qualitativo.

Conclusione

9

Dopo che i termini della lettura post-classica ci hanno rimandati a quelli di una lettura classica, siamo ora in grado di risolvere la contrapposizione polemica ‘classico/post classico” o rispondere all’alternativa ‘spettacolo vs. narrazione’? Si è partiti dall’affermazione secondo cui gli studiosi di cinema tracciano una linea di demarcazione fra il cinema classico e post-classico in virtù della loro stessa impostazione critica, mentre il film come manufatto ed oggetto non afferma né richiede che lo si identifichi da un lato piuttosto che dall'altro. Una volta chiarito il significato di narrazione e spettacolo, è forse possibile iniziare a scorgere la linea di demarcazione che separa l’ele­ mento classico da quello post-classico nel contesto del film, non solo come ‘testo’ logicamente e narratologicamente leggibile, ma anche (alla luce della pressione esercitata dalla tecnologia, dal consumismo e dalle aspettative del pubblico sul cinema) come ‘esperienza’ coerentemente orchestrata. La tesi fin qui sostenuta riguarda il fatto secondo cui la categoria spettacolo va con­ siderata non tanto come ostentazione visiva, o come violenza fisica e manife­ stazione spettacolare della tecnologia, e forse nemmeno come momento nel quale lo spettacolo soverchia le motivazioni (narrative). In un contesto che si pone al di là di una contrapposizione binaria, identifica un genere diverso di consapevolezza dei codici che governano la rappresentazione classica e le convenzioni di genere, unitamente al desiderio di mettere in mostra tale consapevolezza e renderne il pubblico partecipe. Questo genere di spettacolo si manifesta, fra le altre cose, attraverso il significante variabile, inteso come eccesso di significato legato al materiale visivo, verbale e sonoro. Si presta in tal modo al gioco semantico (i giochi di parole), all’apparenza (patinata), ad effetti speciali sonori e visuali. Si è visto che il significante ‘vetro’ ricopre un ruolo importante in Die Hard, in quanto materiale semantico, oggetto, soggetto pittorico ed effetto sonoro. È anche narrativamente integrato alia

trama come risorsa drammatica che conferisce a Die Hurd una consistenza stratificata, multimediale e poli se mica. ]' questa consapevolezza, intesa come spettacolo e ruolo nella cultura popolare e politica, a conferire al film una molteplicità di spunti mirati a soddisfare le esigenze di fasce dì pubblico di versificate: appassionati del genere e della tecnologia, intellettuali radicali e studiosi a caccia di defini­ zioni. È anche al servizio della mercificazione dei prodotti hollywoodiani attraverso l’uso dei video game interattivi, dimostrando in tal modo che i film post-classici sono ben consapevoli di dover arrivare non solo ad un pubblico americano medio ed omogeneo, ma anche a fasce di pubblico più specializzate, culturalmente ed etnicamente segmentate c globali, all'interno delle quali il pubblico femminile occupa una posizione ragguardevole anche in relazione ai film dazione. In altre parole, l’elemento rilevante all’interno del cinema post-classico che definisce e sfida la categoria, è rappresentalo dal fatto che certi film sembrano ‘sapere’ di essere post-classici. Dal punto di vista della produzione, i film postclassici rientrano in una tradizione: hanno assimilato i codici del cinema clas­ sico e non temono di esibire questa loro capacità di assorbire, trasformare e far proprio anche ciò che si opponeva inizialmente al lei e mento classico - come le tradizioni filmiche quali il cinema d’autore europeo, il cinema orientale, la pubblicità televisiva e perfino le video-installazioni, le teorie antagoniste e le pratiche politiche come i dibattiti critici svolti attorno al concetto di razza, divisione in classi sociali, Identità di genere e nazione. In termini di ricezione, è questa consapevolezza - che forse, come abbiamo suggerito, non è altro che il riflesso del manifesto teorico o politico della critica, che non scalfisce la superficie patinata del film - ad attribuire validità alla definizione e al l’appli­ cazione del concetto post-classico. Il 'lavoro' della narrazione classica - inteso come lavoro onirico, testuale o ideologico - sta diventando, almeno così pare, la ‘play-station del post-post-classico. Il passaggio a un modello diverso si renderebbe indispensabile se ciò corrispondesse al vero.

Critica della mise-en-scène e analisi statistica dello stile (// paziente inglese)

Introduzione Un rapido sguardo sulla critica della mise-en-scène rivela un ampio con­ senso sul significato della definizione, che è generalmente intesa come in­ dagine della relazione fra argomento e stile (il cosa e il come). Per esempio, il critico della mise-en-scène potrebbe indagare il modo in cui gli stacchi da un’inquadratura all’altra si relazionano all’azione e al dialogo. In particolare, la critica della mise-en-scène studia la relazione che si instaura fra gli attori e (ambientazione, ossia il primo piano e lo sfondo. Jacques Joly si interroga su un punto: ‘Che cost la mise-en-scène, se non il confronto fra i personaggi c l’ambientazione?’ (Joly, citato in Hillier 1986). A livello più astratto, il critico della mise-en-scène potrebbe esaminare i personaggi e i gesti nello spazio (o astratti dallo spazio), e il modo in cui gli attori e gli oggetti si muovono all’interno di un fotogramma statico o in movimento. Michel Mourlet in­ tende il concetto di mise-en-scène in maniera ancor più astratta, vale a dire, come interazione fra luce e ombra, superfici e linee, all’interno di un’inqua­ dratura fissa o in movimento. 'Lenergia misteriosa che sostiene il turbinio di luci, ombre e suoni, prende il nome di mise-en-scène. È alla mise-en-scène che si rivolge la nostra attenzione, la maniera di organizzare un universo, di occupare lo schermo, l-a mise-en-scène, e nient’altro’. Aggiunge anche che la mise-en-scène è 'un incanto di gesti, sguardi, piccoli movimenti del volto e del corpo e inflessioni vocali collocati nel grembo di un universo fatto di oggetti sfolgoranti’ (Mourlet, citato in Hillier 1986). Esiste anche una posizione di dissenso. Nel senso teatrale e riduttivo

del termine, la mise-en-scène si riferisce soltanto a ciò che appare di fronte alla cinepresa - agli eventi pro-filmici e non ai meccanismi che trasferi­ scono quegli stessi eventi su pellicola. La critica è in ogni caso largamente concorde nel sostenere che la mise-en-scène si riferisce a ciò che si filma e al modo in cui lo si fa. Allo scopo di evitare di confondere il cosa c il come, Sergei Ejzenstejn ha coniato il termine mise en cadre: ‘Per designare le pe­ culiarità tipiche della mise-en-scène cinematografica... vorrei introdurre un termine speciale finora del tutto inesistente nella cinematografia. Se mise-enscène significa allestimento scenico, ne consegue che mise en cadre definisce l'allestimento scenico all’interno di una ripresa (Ejzenstejn, citato in Nizhny 1962). Gli esperti di cinema non hanno tuttavia adottato la definizione di Ejzenstejn, tranne Vlada Petrie (vedi Petrie 1982). Nel presente capitolo, mise-en-scène viene utilizzata nel senso più ampio del termine, per indicare il soggetto e lo stile del film e la loro relazione. La critica della mise-en-scène è il primo approccio di questo capitolo. Si evidenzieranno una serie di strategie utilizzate dalla critica ai fini dell’analisi di un film, per poi applicarne una in particolare (l’euristica degli elementi compresenti in una medesima inquadratura) al film // paziente inglese (Anthony Minghella, 1997). L'analisi statistica dello stile (anche chiamata ‘stilomelria’) è il secondo metodo illustrato in questo capitolo. La statistica ha il compito di quantificare le informazioni, per poi rappresentare l’andamento regolare che le governa. Nell'analisi di testi letterari e cinematografici, la statistica viene utilizzata per analizzare - o, più precisamente, quantificare - lo stile. La statistica gode di scarsa considerazione presso le discipline umanistiche, giacché considerata alla stregua di un meccanismo disuma­ nizzante, che riduce l’esperienza a fattori numerici, diagrammi a barre o tabelle. Lo stile filmico si presta in ogni caso all’analisi statistica, allorché si identificano i dati rilevanti da quantificare - ‘rilevanti’ perché sono ottimi fattori discriminanti dello stile di un film. Dai commenti di Ejzenstejn sulla mise en cadre, risulta chiaro che si può identificare c quantificare lo stile a partire dai parametri che governano l'inquadratura, in particolare i parame­ tri direttamente gestiti dal regista. Barry Salt (1974; 1992) è uno dei pochi studiosi di cinema a quantificare lo stile. Il suo lavoro verrà preso in esame al paragrafo 3.5 del presente capitolo, e successivamente applicato all’analisi de II paziente inglese nel paragrafo 3.6. Tuttavia, la nostra quantificazione si spingerà oltre quella operata da Salt, tramite l’uso di un software e della rappresentazione numerica e visiva dei risultati raggiunti. Si spera in tal modo di presentare un'analisi stilistica chiara, sistematica c rigorosa, che supera la propensione dei critici della mise-en-scène alla selettività e al sog­ gettivismo. È possibile che ad alcuni lettori questo genere di analisi stilistica risulti eccessivamente riduttiva e astratta - eccessivamente astratta dal tipo di esperienza che un film è in grado di indurre. Nondimeno, questo tipo di

analisi fornisce informazioni ihattese, che la mera visione di un film non è in grado di comunicare. Per di più, l'analisi statistica dello stile è una delle tante teorie applicabili alla cinematografia, a conferma del tema principale di questo volume. Così come per altre teorie, anche l’analisi stilistica dello stile poggia su un metodo che è portatore di informazioni esclusive.

3.1 .

La teoria della mise-en-scène

Al suo esordio (nei primi anni ’50), la critica della mise-en-scène definì il termine come presenza percettiva immediata di un film, e come resa fisica e concreta dello spazio e dei personaggi proiettati sullo schermo. I critici della mise-en-scène (Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Jacques Rivette, Francois Truffaut) valorizzano l’immediatezza e la presenza, criteri che si legano a loro avviso al carattere specifico di un film, alla sua qualità visiva e uditiva e alla sua aderenza alla veridicità dell'apparenza superficiale (vedi Hiller per un’antologia dei loro lavori, 1985). Nello stesso periodo (i primi anni ’50), alcuni dei critici sopra citati hanno mistificato il concetto di mise-en-scène, rendendolo qualcosa di in­ tangibile e associandolo alla nozione di spiritualità e creatività pura; in que­ sto modo, la mise-en-scène veniva sacrificata e ridotta alla visione del mondo del regista, a un’ispirazione individuale e non generalizzabile. Di contro ad una visione romantica o esistenzialista, è possibile elaborare un’interpreta­ zione che eviti la mistificazione: basta intenderla come serie di regole com­ positive che il regista utilizza per comporre le inquadrature, le scene e il film nella sua interezza. L’individualità viene recuperata nel vocabolario ‘non­ mistificatorio’ della critica, allorché quest’ultima si appresta ad indagare il modo in cui l’argomento di un film viene tradotto nelle caratteristiche spe­ cifiche della mise-en-scène (anziché tradursi nella ‘visione’ inspiegabile del regista). Il critico della mise-en-scène si concentra idealmente sullo sviluppo stilistico e tematico del film, ossia, su come il film viene man mano alla luce attraverso la progressiva manifestazione ed espressione dei suoi temi grazie alla mise-en-scène. Fred Camper fa da mediatore fra la prospettiva spirituale e quella ‘secolare’ della mise-en-scène, indagando il modo in cui la spiritualità profonda si manifesta visivamente e concretamente - o tangibil­ mente - all’interno dello stile visivo di un film, come si evince dall'analisi di Passaggio conteso condotta da Camper. La mise-en-scène definisce ciò che si vede e si ode sullo schermo. Rap­ presenta quello che lo spettatore guarda e ascolta, ma non necessariamente quello che vede e sente. La critica della mise-en-scène è una forma di exper­ tise che permette allo spettatore di individuare il significato di certi elementi della mise-en-scène. Secondo Victor Perkins: ‘A mio giudizio, la critica non

è valida perché la si condivide, ma perché evidenzia qualcosa del film che non si era notato prima, pur avendolo visto più volte’. Rileva inoltre la posi­ zione della critica cinematografica: ‘Aiutiamo gli spettatori non a distinguere i film di pregio da quelli mediocri, ma a vedere quello che cé in un film.... Non ci interessa educare al gusto, ma indurre consapevolezza’ (Perkins et al. 1963). I critici della mise-en-scène segnalano la rilevanza di certi elementi vi­ sivi e uditivi all’interno di un film. Il critico analizza il disegno della miseen-scène, ed evidenzia l’importanza di ciò che Io spettatore non esperto dà per scontato. Per esempio, un presupposto fondamentale della critica della mise-en-scène è che la relazione fra il primo piano e lo sfondo è significativa; questa relazione non è preordinata - ossia, ‘naturale’ o puramente denota­ tiva - ma è concertata dal regista, le cui scelte sono portatrici di significati diversi (connotazioni). Più in generale, un presupposto fondamentale della mise-en-scène è che la relazione fra il cosa e il come, fra lo stile e l’argomento trattato, non è arbi­ traria. I critici della mise-en-scène escludono il luogo comune secondo cui il regista deve solo limitarsi a collocare la cinepresa nel punto migliore. Girare un film presuppone una relazione fertile fra lo stile e l'argomento del film, relazione secondo la quale lo stile trasforma l’argomento. In questo senso, la critica della mise-en-scène assume un carattere valutativo, che giudica un film secondo la qualità artistica acquisita daH’argomento attraverso le pe­ culiarità del mezzo filmico. I critici della mise-en-scène valorizzano i film classici hollywoodiani (in particolare quelli diretti dagli auteurs), in base alla concreta trasformazione (economica e simbolica) dell’argomento in opera filmica. Tuttavia, con il declino degli studi cinematografici e l’età avanzata di alcuni auteurs hollywoodiani negli anni ’60, alcuni critici di spicco della mise-en-scène (a partire dagli autori dei Cahiers dii cinema negli anni '50 - Godard, Chabrol, Rivette, Truffaut, ma anche Victor Perkins in Movie) rilevano una diminuzione dell’uso creativo della mise-en-scène da parte dei registi appartenenti alla generazione della Nuova Hollywood. Il saggio (1992) di Adrian Martin individua tre categorie di base della mise-en-scène, ossia la mise-en-scène classica, espressionista e manierista, e serve a collocare il cambiamento di prospettiva della mise-en-scène all’in­ terno di un contesto storico. Secondo la definizione di Martin, i film che sfruttano la mise-en-scène classica ‘sono opere soggette a limitazioni stilistiche precise, nelle quali le modulazioni degli espedienti stilistici all'interno del film sono strettamente connesse agli sviluppi drammatici e tematici del film stesso’ (1992). Lo stile filmico della mise-en-scène classica è discreto, poiché è motivato dalle tema­ tiche e dagli sviluppi drammatici del film. Questo genere di film mantiene una situazione di equilibrio fra ciò che si mostra e ciò che si racconta, giac­

ché lo stile non è autonomo, ma legato alla funzione: ‘gli effetti e le decisioni stilistiche sono al servizio di un universo narrativo coerente. ... Ciò che importa è che l’universo immaginario rappresenta ['incarnazione e la dram­ matizzazione di una tematica tipica di un film'. La mise-en-scène classica ge­ nera un film coerente ‘nel quale, attraverso un esame minuzioso, un numero sempre crescente di elementi [filmici] funziona come parte integrante di un tutto e riflette aspetti della tematica globale’. Marc A. Le Sueur osserva che la mise-en-scène classica si basa su quello che egli chiama principio della sintesi classica: ‘Il principio della sintesi clas­ sica presuppone che il contenuto renda indispensabili le tecniche utilizzate c che, come sostiene Aristotele, nessuno di questi elementi tecnici si possa ridurre o scambiare se non a discapito dell’estetica. La forma e la sostanza sono intrecciate e sintetizzate all’interno di un’unica ragnatela’ (1975). La celebrazione della mise-en-scène classica trova una corrispondenza con il lavoro dei critici dell’arte che celebrano l’arte rinascimentale. Il classicismo nella cinematografia e nella pittura viene esaltato perché non snatura la ve­ rosimiglianza delle apparenze, ma le riproduce fedelmente. Victor Perkins è anche un esponente della mise-en-scène classica, che egli definisce in termini di credibilità e coerenza. Noèl Carroll osserva che, secondo Perkins, ‘un film narrativo deve anzitutto soddisfare il requisito re­ alistico della credibilità, dopodiché può esprimere la propria creatività nella costruzione di significati, pur attenendosi ai vincoli basilari imposti dalla credibilità' (Carroll 1988a). Ma cosa intende Perkins per credibilità? 'Un film narrativo risulterà più o meno credibile a seconda che le immagini in esso contenute siano coerentemente derivate dall’universo immaginario che ritraggono’ (Carroll, 1988a). Il concetto di credibilità si riferisce pertanto all’aderenza del film alla veridicità di un mondo immaginario. Carroll fa notare che nell’universo immaginario de Gli Uccelli di Hitchcock, è perfet­ tamente credibile che gli uccelli attacchino gli esseri umani. Un esempio più recente riguarda il mondo immaginario di Jurassic Park, dove l’immagine dei dinosauri che popolano questo mondo risulta a sua volta del tutto plau­ sibile. Ma risulta ugualmente verosimile vederli aprire la porta? È a questo punto che la credibilità del film viene meno. Benché la credibilità sia una condizione necessaria all’analisi della mi­ se-en- scène di un film, non è di per sé sufficiente. Per Perkins, la coerenza costituisce la seconda condizione: un film è tanto più apprezzabile quanto più risulta coerente. Identifica la coerenza con lo spessore acquisito dal film, che deriva dalla trasformazione creativa degli eventi nel film (quella che egli definisce ‘elaborazione cinematografica’). Il simbolismo aggiunto agli eventi tramite la mise-en-scène accresce il significato di un film. Tuttavia, il tentativo di generare coerenza attraverso il simbolismo non deve compro­ mettere la credibilità. Il simbolismo deve essere implicito e discreto: ‘Ciò che

accade sullo schermo non deve sembrare un “tocco” aggiunto dal regista e separato dal contesto drammatico, giacché comprometterebbe il lavoro di persuasione sullo spettatore, l'intervento del regista risulta ovvio soltanto se troppo evidente' (Perkins 1972), Il compito del regista non è di imporre un significato alla situazione drammatica simbolicamente enfatizzata, ma garantire che ulteriori significali emergano dalla stessa. Perkins esamina una scena di John»/ Guitar, nella quale un gruppo di uomini vestiti a lutto si appresta a catturare l'assassino dell’uomo appena sepolto. Emma» la sorella del morto, è alla guida del gruppo. Il vento le porta via il cappello con la veletta nera. La cinepresa nc segue il percorso, fino a quando il cappello si posa nella polvere. Il 1 movjmtnto' dui cappello arricchiste h nastra comprensione del person aggiri il dolóre provalo per la perdila del fratello non c il motivo

che spinge Eni ma all’az iojich dolore che è pcrah ro dimenticato ncll’esalta 7 ione ddrinKeguimentn. Nulla nella vicenda o tid dialogo obbliga il regista ad includere questo

movimento nella sequenza movimento Invece concepito per mettere in luce un aspetto particolare dd carattere e delle motivazioni di Enuna. Tut­

tavia, lo si può scmplicemi me recepì re come informazione; come qualcosa du? accade all'i n terno del film perché limma ha fretta di agire, e non perché

sia sigli itici live. (Perkins 1972)

La scena è comunque intelligibile indipendentemente dal fatto che lo spettatore sia più o meno consapevole del simbolismo in essa contenuto, dal momento che la credibilità della scena è più importante del simbolismo. Tuttavia, il simbolismo operante entro i confini della credibilità diventa va­ lore aggiunto per il film. La seconda categoria identificata da Adrian Marlin come mfse-en-scéffe espressionista caratterizza quei film ‘la cui economia testuale è espressa come accoppiamento di clementi stilistici e contenutistici. ... la codifica colori, il punto di vista della macchina da presa e il suono sono alcune delle strategie generiche atte ad evidenziare o rafforzare la ' sensazione' o signi­ ficato generale dell'argomento’ (Marlin 1992), Martin cita i film di Robert Allman, Michael Mann, Abel Ferrara, dei fratelli Coen e di zMan Rudolph, come esempi rappresentativi della mise-ert-scène espressionista, giacché uti­ lizzano lo stile filmico pur dare risalto a significati particolari connessi con l'argomento del film. Infine, nella mise-en-scène manierista, ‘lo stile opera al di fuori del pro­ prio percorso, giacché non è più discretamente asservita all'invenzione narrativa e al significato' (Marlin 1992). Lo stile c autonomo, slegato dalla

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funzione, ma concentrato su se stesso. In altre parole, lo stile non è motivato o giustificato dall’argomento, ma trova giustificazione in se stesso. È in filini di questo genere (soprattutto nella cinematografia hollywoodiana classica) che i critici dei Cahiers du cinénta e Perkins notano che il concetto di miseen-scène è inoperante, perché lo stile non è al servizio del contenuto. Martin condivide in parte l’opinione di questi critici quando scrive che, se la cine­ matografìa hollywoodiana post-classica ’acquisisce qualcosa di interessante e nuovo, sembra anche perdere molto di ciò che viene associato al concetto di mise-en- scène. In particolare, perde la capacità di dimostrare qualcosa in maniera più sottile, che viene associata alla distanza critica che separa il re­ gista dagli eventi messi in mostra’ (Martin 1992). Tuttavia, Martin, Perkins e la critica dei Cahiers du cinénta lamentano la scomparsa della mise-en-scène classica nei film manieristici, e non della mise-en-scène stessa. Anche Le Sueur definisce manierista questo genere di produzione ci­ nematografica (1975) e individua un parallelismo fra i film manieristi e la pittura manierista del sedicesimo secolo, che ignora il principio della sintesi classica della pittura rinascimentale. I pittori manieristi operano invece una separazione fra la forma e il soggetto, in base alla quale una forma incon­ gruente crea disarmonia anziché coerenza. I critici attribuiscono importanza alla mise-en-scène classica perché Io stile è portatore di contenuti e criticano il manierismo, giacché lo stile e le tecniche creano una frattura fra quest’ultimo e il contenuto. In altre parole, il manierismo sostituisce la verità dell’apparenza con l’artificio. Tuttavia, i critici che valorizzano il manierismo nel cinema sostengono che la mise-enscène diventa interessante quando si affranca dal contenuto, dalla necessità di rappresentare accuratamente l’argomento. Ne consegue per esempio che la mise-en-scène opera contro il contenuto, offrendo informazioni alterna­ tive e sovvertendo il tema dominante del film. Le Sueur sottolinea che queste forme di classificazione non sono asso­ lute e inconfutabili e che sono rintracciabili elementi manieristici in film altrimenti dominati dalla mise-en-scène classica, tra i quali include le opere di Josef von Sternberg, King Vidor, Vincent Minnelli e Orson Welles, oltre all’estetica manierista dei musical. Un’altra dimensione fondamentale della critica della mise-en-scène è il contrasto fra la sceneggiatura e la lavorazione di un film. Francois Truf­ faut spiega chiaramente questo contrasto in ‘Una certa tendenza del cinema francese’ (Truffaut 1976), in cui critica la tendenza dominante nel cinema francese degli anni ’40 e ’50 - la cosiddetta ‘tradizione di qualità’. Questo tipo di cinema è artefatto e stereotipato e proietta un’immagine borghese del buon gusto e della cultura. Secondo Truffaut, la tradizione di qualità offre solo la trasposizione fìlmica della sceneggiatura sullo schermo. Il successo o l’insuccesso di questi film dipende interamente dalla qualità della sceneg-

giallira. El privilegiare la sceneggiatura nd lambito della tradizione di qualità ha distolto lattcnzione dal processo filmico e dal regista. Truffaut (insieme agli altri critici dei Cnfirers du eritèma e ai registi della Nouvelle Vague) si di' chiara contrario alla letteratura, alla sceneggiatura letteraria e alla tradizione di qualità, esaltando invece 'il cinema' come tale. Il contrasto fra regista come a w tear e regista come metteur en scène emerge dall'opposizione fra la sceneggiatura e la lavorazione di un film. Etìwteur è un regista che non trasferisce meccanicamente la sceneggiatura nel l'opera filmica, ma trascende la sceneggiatura per imprimerle il proprio stile e punto di vista. Per il film, la sceneggiatura è solo un pretesto, e un film aufeuriste riguarda le pratiche filmiche coinvolte nella rappresentazione cinematografica di una sceneggiatura, anziché riguardare la sceneggiatura stessa. Un au/eur elabora il proprio punto di vista, fissando uno stile di mi$e-ert-$céne coerente che in genere eccede il semplice essere funzionale a una sceneggiatura. Di contro, il metteur en scéne e un regista i cui film dipendono dalla qualità della sceneggiatura - sono autori di film pregevoli derivati da sceneggiature altrettanto pregevoli, e di film mediocri basati su sceneggiature mediocri. Gli aufeur? producono di continuo film di qualità perché trascendono la sceneggiatura, apprezzabile o mediocre che sia.

3.2

II metodo della m/se-en-scèwe

Si può desumere un metodo d analisi dalla 'teoria1 sopraccitata della mise-en- scéne. Nel suo libro, David Bordwell formalizza le Strategie della cri­ tica della mise-en-scène ( 1989, Capitolo 8), benché ci si proponga in tal sede di andare oltre. Bordwell individua nella critica della nirse-en-scène un uso implicito dello 'schema del bersaglio’ e due 'euristiche': J euristica espressi vi­ sta e l’euristica commentativi (11 termine 'euristica' si riferisce a una strate­ gia informale del ragionamento che sei've a scoprire nuove idee. È pertanto simile ai sillogismi di Aristotele citati nel Capitalo I. ^euristica della miseen-scène permette al critico cinematografico di identificare modelli di co­ erenza nel film). I critici che formulano delle correlazioni fra livelli diversi all'interno di un film - in particolare, i personaggi, le ambientazioni e gli elementi di una struttura filmica (quali il movimento di macchina e il mon­ taggio) - utilizzano lo schema del bersaglio. Bordwell lo definisce schema dei bersaglio, perché per i critici della mise-en-scène i personaggi rivestono un ruolo centrale all'interno della narrazione (il centro del bersaglio), se­ guiti dalla mòie ntazi one (che rappresenta il secondo anello del bersaglio) e dalla struttura filmica (fanello più ester no del bersaglio). Si stabilisce una gerarchia fra il centro (i personaggi) e la periferia (la struttura filmica), ben­ ché la zona periferica del film sia più onnicomprensiva deUambicntazionc,

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che è a sua volta più onnicomprensiva dei personaggi. Lo scopo principale dello schema del bersaglio è di permettere ai crìtici di ascrivere coerenza al film, stabilendo un legame fra i tre livelli. Bordwell identifica due criteri di utilizzo di tale schema da parte della critica: i livelli di un film sono collegati dal centro alla periferia, o viceversa. 1 critici che partono dal centro per collegarlo alla periferia usano l’euristica espressivista, mentre coloro che operano nella direzione inversa si servono dell’euristica commentativa. Nell’euristica espressivista, ‘Il significato fluisce dal centro verso la perife­ ria, dai personaggi alle manifestazioni nel mondo diegetico o non diegetico’ (Bordwell 1989). In altre parole, lambientazione dovrebbe essere portatrice di significati che i critici collocano nelle azioni dei personaggi. Il significato delle ambientazioni e del corpo filmico si giustificano se riferite alle caratte­ ristiche salienti dei personaggi. Bordwell cita John Russell Taylor, secondo cui nei film di Fellini lo stato mentale e spirituale dei personaggi si manifesta e si riflette nel paesaggio. Il termine ‘euristica commentativa ‘suggerisce che qualcosa - la narra­ zione, la presentazione, il narratore, la cinepresa, l’autore, il regista, o altro è collocato al di “fuori” dell’ambito diegetico e genera significato in relazione a esso’ (Bordwell 1989). Il critico che utilizza l'euristica commentativa parte dal ‘complesso filmico’ (o talvolta dall’ambientazione) e osserva il modo in cui qualifica o inquadra le azioni dei personaggi. Un esempio stereotipato riguarda la messa a quadro non allineata, nella quale la collocazione obli­ qua del fotogramma rispetto al personaggio suggerisce che quest’ultimo è disarmonico. La messa a quadro e la disposizione di una scena chiariscono lo stato d’animo del personaggio. In uno dei suoi primi saggi, Bordwell ap­ plica l’euristica commentativa all’analisi di Notorious - Vantante perduta di Hitchcock, per mostrare il modo in cui lambientazione chiarisce la rela­ zione fra Devlin e Alicia: ‘Il romanticismo si smorza in una scena d’albergo. Alicia ha bruciato l’arrosto cucinato per la cena; sulla terrazza, la tensione fra i due aumenta e li allontana l’uno dall’altra, finché Alicia dice, “Fa freddo qui fuori”, e rientra disperata; il passaggio dal caldo al freddo rispecchia l’andamento della loro relazione’ (Bordwell 1969). Nella diegesi del film tale passaggio non opera soltanto a livello letterale, ma anche a livello simbolico - come simbolo che chiarisce la relazione fra i due personaggi. Nel cinema è rintracciabile una modalità esplicativa più generica nel modo in cui il complesso filmico preannuncia eventi futuri, come quando la cinepresa è posizionata in maniera tale da catturare gli sviluppi futuri della vicenda. La cinepresa (o un altro agente esterno agli eventi) “sa” in anticipo come si svolgerà la vicenda. Una tecnica di questo genere si può naturalmente accentuare, come sostiene Ian Cameron. ‘In un film del tutto rispettabile come La tana del lupo, la macchina da presa è collocata più o

meno dietro al personaggio, cosi da produrre un effetto drammatico' al­ lorché l’attrice volge le spalle al tavolo per rivolgersi alla cinepresa. D'altro canto, l'unica ragione del suo gesto in un momento cruciale del film è quello di trovarsi di fronte alla cinepresa per produrre un effetto. Dato che tutto viene falsato, lelfetto prodotto è inutile’ (Cameron, in Perkins et al. 1963). In questo esempio lo stile detta il cambiamento, piuttosto che dipendere da esso. Altre modalità esplicative che i critici tentano di individuare includono l'ironia e l’allontanamento. I euristica espressivista attribuisce significato ai film governati dalla mise-eM-scéne classica, dove le azioni dei personaggi e le ambientazioni giusti­ ficano il complesso filmico. Il significato scaturisce dalla vicenda, invece di essere imposto dall’esterno per in ano del regista. Di contro, i film governati dalla mise-en-scène manierista sono più adatti alleuristica com mentati va, perché l'operato di un agente esterno come il regista appare maggiormente evidente nei film manieristi, nei quali il corpo fìlmico non trova giustifica­ zione nei personaggi o nelle ambientazioni, ma dipende dalle circostanze esterne. Con riferimento alla discussione precedente, si identificano ulteriori eu­ ristiche della mise-c/i-scène, per poi esaminare esempi di critica della miseeri-scène che utilizzano queste euristiche.

1.

2,

La critica identifica implicitamente, e più raramente in maniera espli­ cita, il genere di mise-en-scène tramile il quale elaborare un film. La tri­ plice distinzione operala da Adrian Martin fra la mise-en-scène classica, espressionista c manierista, ha un valore euristico' la. Nella wirse-eri-scè/ie classica, lo stile del film è discreto, giacché motivato dalle tematiche e dagli sviluppi drammatici del film. Questo genere di film è in grado di creare una situazione di equi­ librio fra la componente visiva e quella narrativa, perché lo stile assolve una funzione invece di mantenere un carattere autonomo; la mise-en-scène ha un valore simbolico non invasivo, che con­ ferisce profondità al film, liuÀstica espressivista è utilizzala per esaltare la mise-en-scène classica, che Perkins evidenzia attraverso i concetti di credibilità e coerenza. 1 b. Nella mise-en-scène espressionista (da non confondere con turi­ stica espressi vista), lo stile e il contenuto si compenetrano. I c. Nella mise-en-scène manierista, lo stile è autonomo e svincolato da un carattere funzionale. In altre parole, lo stile non è motivato o giustificato dal contenuto, ma trova giustificazione in se stesso, ^euristica commenlaliva è utilizzata per dare risalto alla mùe-enscène manierista. Sceneggiatura/ripresa fìlmica: i critici della mise-en-scène privilegiano

3.

4.

5.

6.

7.

la ripresa filmica anziché la sceneggiatura. Parte integrante della critica della mise-en-scène è proprio quella di minimizzare la trama del film e concentrare l'attenzione sul meccanismo tramite il quale la sceneggia­ tura viene portata sullo schermo. Auteur/metteuren scène: questo tipo di euristica deriva direttamente dal punto 2. Se la qualità del film trascende la sceneggiatura, l’opera filmica è considerata opera di un auteur (che quindi dimostra la propria supe­ riorità sulla mise-en-scène). Se la qualità del film dipende dalla qualità della sceneggiatura (laddove la lavorazione del film è subordinata alla sceneggiatura, alla trasposizione della sceneggiatura in opera filmica), il regista è declassato al ruolo di metteur en scène. Primo piano-sfondo: tramite questa euristica, il critico individua la pre­ senza di una relazione significativa fra il primo piano e lo sfondo. Un ot­ timo esempio in tal senso è rappresentato dall’analisi della profondità di campo nell'opera cinematografica di Renoir, Welles e Wyler, dove tutti i piani dell'immagine rimangono a fuoco nella medesima inquadratura. Questa euristica si basa sullo schema del bersaglio e verte sulla relazione fra i personaggi (di solito collocati in primo piano) e l’ambientazione (lo sfondo). Euristica della premonizione: il complesso filmico presagisce gli eventi? (La premonizione fa parte delleuristica commentai iva). Euristica della compresenza nella stessa inquadratura: benché non an­ cora discussa, questa euristica è ampiamente utilizzata e postula che se i personaggi compaiono nella stessa inquadratura (fissa o con mo­ vimento di macchina), si stabilisce un legame fra di loro; al contrario, il montaggio genera conflittualità fra i personaggi, oppure li separa e li isola l’uno dall'altro. Bordwell (che definisce questo genere di euristica) cita l’esempio seguente: 'Laddove il montaggio viene utilizzato per iso­ lare i personaggi e le loro reazioni, il movimento di macchina reintegra lo spazio e riunisce il singolo al gruppo per stabilire un senso di inte­ rezza’ (William Paul, in Bordwell 1989). Montaggio o piano sequenza: rappresenta un altro tipo di euristica comunemente utilizzata nella storia della critica cinematografica. I re­ gisti possono scegliere di girare una scena nella sua interezza tramite un’unica ripresa, oppure con una serie di inquadrature. La prima op­ zione permette al regista di riprendere l’intero svolgimento della scena senza interruzioni, mentre la seconda opzione implica lo spezzetta­ mento dell’azione in riprese separate. Ciascuna ripresa prevede diverse posizioni e angolazioni della macchina da presa, diverse scale di ripresa c cosi via. Il regista deve soppesare i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le tecniche, giacché la scelta dell'una o dell’altra andrà ad influire sulle reazioni suscitate dal film nello spettatore.

3.2.1.

Esempi

Perkins non si esprime favorevolmente sui registi britannici della ‘New Wave degli anni '60 - Tony Richardson, Karl Reisz, John Schlesinger e Jack Clayton - e utilizza l’euristica del primo piano/sfondo per criticarli: ‘Richardson, Reisz, Schlesinger e Clayton risultano particolarmente carenti laddove si richiede da parte loro maggior forza espressiva, ossia nell’integrazione del personaggio con lo sfondo. Questa loro carenza li obbliga co­ stantemente a “fissare” un luogo tramite l’inserimento di inquadrature che servono solo a convincerci ulteriormente del fatto che la scenografia, benché “reale”, non intrattiene legami organici con i personaggi’ (Perkins 1962). Perkins cita a tal proposito una scena tratta dal film Una maniera d'amare, diretto da Schlesinger: la prima “scena d'amore" di Una maniera d'amare sfrutta la tecnica

del piano americano. Ambientata in un gazebo del parco, mostra due ra­ gazzi che si baciano. Ix pareti del gazebo alle spalle e ai lati dei due perso­

naggi sono ricoperte di scritte, nomi c cuori. L’ambientazionc illustra la situazione in maniera piuttosto ovvia ma incisiva. Schlesinger non mostra tuttavia di apprezzare la forza del suo apparato scenografico e ne distrugge

l’effetto, escludendo gli attori dalla scena per stringere la cinepresa sull'im­

magine dei graffiti, attraverso un primo piano del tutto privo di significato. Come se non bastasse, oltre al danno già arrecato, il movimento della cine­

presa prosegue, per andare a posarsi su di un dettaglio del lutto gratuito: un cartello che vieta di imbrattare e deturpare il gaz.ebo.

(Perkins 1962)

In questo esempio, Perkins sostiene che il regista illustra l’azione in maniera piuttosto ovvia ma coerente, collocando la parete del gazebo im­ brattata di graffiti alle spalle della coppia. Lambientazione diventa tuttavia invasiva e distrugge l’attendibilità del film quando la cinepresa si sposta dalla coppia alla parete. Perkins utilizza l’euristica della sceneggiatura/ripresa filmica e contrap­ pone implicitamente l'flufeur ai metteur en scène in una dissertazione sul film di Seth Holt, La casa del terrore. ‘Sceneggiature mediocri hanno pro­ dotto film di pregio - Il dominatore di Chicago è forse il locus classicus, ma vi sono molti altri esempi. La casa del terrore ci ricorda che esiste un livello al di sotto del quale una sceneggiatura diventa intrascendibile’ (Perkins 1962). Perkins riconosce la qualità del film di Holt, a dispetto di una sce­ neggiatura scarsamente lodevole: ‘Che cosa distingue La casa del terrore da altre produzioni cinematografiche britanniche? Rivela semplicemente che un regista è capace di creare, mentre altri registi si limitano ad illustrare

la sceneggiatura (Perkins 1962). Per corroborare la propria tesi, Perkins utilizza altre due euristiche della mise-en-scène correlate fra loro, ossia la mise-en-scène classica e l'euristica espressivista: ‘La distinzione [fra auteur e metteur en scène) è tanto facile da individuare quanto difficile da spiegare: naturalmente non ha nulla a che vedere con gli abili stratagemmi che al momento passano per stile. Si deve poter essere nella condizione di reagire al ritmo del film’ (Perkins 1962). Perkins elogia la mise-en-scène classica e critica il manierismo, che riduce alla stregua di abili stratagemmi' di stile. Uno dei momenti particolarmente riusciti de La casa del terrore, dove la mise-en-scène classica funziona appieno, è ‘la carrellata, dove la cinepresa segue [Ronald) Lewis giù per il sentiero lungo la scogliera e fino all’auto tratta in salvo, e comunica, attraverso il proprio movimento, la crescente inquietudine del personaggio’ (Perkins 1962). Perkins utilizza in questa sede l’euristica espressivista, nella quale il movimento di macchina non è soltanto giustificato dai movimenti del personaggio, ma esprime anche lo stato d’animo del personaggio stesso’ Fred Camper (1976) utilizza in maniera implicita la distinzione fra au­ teur e metteur en scène nell’analisi di Passaggio conteso ( 1939), film diretto da Frank Borzage. Camper parte dal riassunto della trama per indagare la relazione dei personaggi principali con la spiritualità e i mutamenti che accompagnano il loro percorso di avvicinamento ad essa. Secondo Camper, un riassunto di tal genere potrebbe riferirsi alla sceneggiatura o al romanzo di Lloyd C. Douglas da cui è tratto il film. Camper sostiene che il film suscita interesse perché Borzage riesce a trascendere la sceneggia­ tura: 'la bellezza visiva dello stile di Borzage è l’espressione più profonda di queste idee [spirituali]; ed è lo stile a trasformarlo in artista romantico, anziché farne un semplice traduttore o metteur en scène. Il suo stile non rappresenta soltanto la trascendenza spirituale, giacché è alla ricerca di modalità che conducono alla rappresentazione visiva del mondo e alla trascendenza’ (Camper 1976). Camper non riduce pertanto la mise-enscène di Borzage a concetti ineffabili e intangibili quali la trascendenza spirituale, ma la analizza in termini di elementi filmici concreti. Camper utilizza l’euristica del primo piano/sfondo, del presagio e della compre­ senza in una medesima inquadratura, e sostiene che per studiare il modo in cui un film rappresenta visivamente la trasformazione spirituale dei personaggi ‘Si deve anzitutto concentrare l’attenzione sulla posizione vi­ siva che i personaggi occupano nella concezione di Borzage delle cose’. Secondo Camper, i personaggi di Passaggio conteso non sono fissati sta­ bilmente nello spazio, giacché non esercitano la loro presenza fisica in relazione all’ambiente circostante. Cita l’esempio delle lezioni universitarie del Dr Forster: ‘L’inquadratura del [Dr Forster] nella quale gli studenti sono collocati sullo sfondo è priva di quel genere di profondità che confe-

rircbbc forza fisica al personaggio, distanziandolo dagli studenti ai quali sta facendo Lezione. Le riprese dallaltu all'interno della scena accrescono a malapena la sua presenza fisica. Tutti i personaggi esistono in due sole dimensioni e acquisiscono l'impalpabilità di figure umane che si librano in uno spazio astratto7. Il significalo di questa mise-en-scène è che presagisce la conversione dei personaggi al mondo spirituale, rendendo tale conver­ sione inevitabile, poiché la presenza impalpabile dei personaggi denota la loro non appartenenza al mondo fisico. La mancanza di una collocazione fissa dei personaggi all'interno del l'inquadratura è strettamente connessa alla loro intangibilità. Camper scrive a proposito di una scena che ritrae il Dr Forster e il Dr Cunning­ ham; Nella scena in cui Cunningham pronuncia il discorso della cerimonia

di laurea. Forslcr è seduto a desini Del quadro. Si potrebbe ipotizzare che sia logico mostrare Forster in quella positrone» giacché le sue convinzioni sono in ccidlilto con quelle di Cunningham. Tuttavia, per scarsa profon­

dili di campo il suo volto è legge irniente sfocalo, e non tosi vede reagire in maniera specifica al discorso; ma ciò che risulta maggiormente rilevante

è lo stacco della macchina da presa su Forster durante il discorso, per poi tornare su Cunningham, con Forster sullo sfondo.

Camper osserva che la scena si .sarebbe potuta girare diversamente (ossia in maniera più convenzionale)» mostrando Forster e Cium Ingham al Tinier no di un'inquadratura d'ambientazione, per poi ri tra rii separa­ tamente. In questo caso però (così come in tanti altri casi allTntemo del film), Borzage mantiene i personaggi nella medesima inquadratura» ma li filma da angolazioni e distanze diverse, tanto da creare l'impressione che la loro collocazione nello spazio non sia fissa» il che ancora una volta denota il loro carattere spirituale. Un ulteriore effetto di questo montaggio che mantiene i personaggi all'interno della stessa inquadratura, pur alte­ rando la loro col locazione, è quello di creare un legame fra Loro. Secondo Camper, il montaggio unisce i personaggi invece di contrapporli o isolarli. Benché utilizzi leu ri Stic a dello stesso fotogramma, Camper ne rovescia il significato - o perlomeno il significato attribuito da Bordwell. Walter Murch suggerisce una soluzione a queste interpretazioni dell'euristica della stessa Inquadratura; 'Negli Stati Uniti il montaggio [cuti sottolinea la separazione, mentre in Australia (e in Gran Bretagna) (join] evidenzia la coesione. (iMurch 1995). Richard Jameson definisce implicitamente Mamou lian come mero metteur en scène, poiché le sue regie non trascendono la sceneggiatura: 'Mamoulian rimane fedele alla trivialità dei suoi soggetti; li agghinda ma

115

non li trascende; sa essere brillante e abile, ma quando il materiale filmico si fa retorico (Sangue e arena) o difficile da elaborare (Resurrezione), anche il film lo diventa’ (Jameson 1980). Per converso, nel film Niente di nuovo sul fronte occidentale, Lewis Milestone tratta un soggetto importante uti­ lizzando le tecniche della mise-en-scène, oltre a ‘principi cinematografici fondamentali’ quali ‘l’unità visiva del primo piano e dello sfondo (giovani studenti e futuri soldati che dalle finestre dell'edificio scolastico assistono all’addestramento militare), il rapporto sinergico fra la cinepresa e i per­ sonaggi (che opera un sublime ritratto di Walter Burns, il personaggio in­ terpretato da Adolphe Menjou, nell’atmosfera assordante della tipografia), l'opportunità di utilizzare la sincopatila nel movimento di macchina e nel montaggio (sciami di soldati in marcia verso il fronte vengono ripresi da una carrellata laterale)’ (Jameson 1980). Jameson evidenzia poi due mo­ menti all'interno della stessa sequenza, dove l'uno è rappresentativo della regia di Milestone, mentre l’altro ne illustra i limiti: Nella scena in cui le (ruppe nemiche attaccano le trincee tedesche, una carrellata laterale scorre lungo il filo spinato in sincronia con i soldati che

cadono a terra sotto i colpi inferii, allorché entrano nel raggio d'azione

della macchina da presa; è come se la cinepresa stessa fosse una mitra­

gliatrice (una squadra mitragliatrici apre il fuoco nell’inquadratura pre­

cedente). Il film opera una lucida constatazione della guerra come fredda macchina trita-ossa, quando la controffensiva tedesca viene ripresa nello

stesso identico modo alcuni attimi più tardi. Tuttavia, un lungo combattimento corpo a corpo interviene a metà strada fra queste inquadrature. Milestone filma le trincee dall’alto, col­ locando la macchina da presa in un punto leggermente sopraelevato. La cinepresa arriva sui soldati impegnati a difendere la trincea dall’oifensiva

nemica. A differenza dell'espediente cinepresa-mitragliatrice, questa in­

quadratura manca di logica intrinseca; in particolare, è basata su di un

procedimento logico che é in disaccordo con quello che governa il resto della sequenza. 11 movimento sincronizzato della cinepresa è interamente

asservito ad una funzione spettacolare. Il moralista collocato dietro la cine­

presa è stato sostituito da un coreografo osceno. L'abilità tecnica è andata ben oltre il senso stilistico. E lo stile è la coscienza - finanche mancanza

di coscienza.

(Jameson 1980)

Jameson è pertanto un altro apologeta della mise-en-scène classica.

3.3.

Analisi della mise-en-scène: // paziente inglese

Il paziente inglese è una mega produzione cinematografica di sapore in­ tellettuale che unisce virtuosismo tecnico a una trama di ampio respiro. Meriti tecnici vanno ai veterani della cinematografia quali John Seale ASC6, ACS7, direttore della fotografia per 11 testimone (1985), Mosquito Coast (1986), Gorilla nella nebbia (1988), Rain Man - L’uomo della pioggia (1988), Oltre Rangoon (1995), La città degli angeli (1998), e // talento di Mr Ripley (1999); e Walter Murch. ACE8, autore del montaggio di La conversazione (1974), Apocalypse Now (1979), Ghost (1990), // padrino, Parte IH (1990) e Il Talento di Mr Ripley (1999) (ha anche lavorato come montatore del suono per molti di questi film). L’analisi seguente si propone di esaminare il contri­ buto di Seale (e per certi versi, quello di Murch) alla creazione della mise-enscène classica de II paziente inglese, e la possibilità di applicare il suo lavoro ad alcune delle euristiche della mise-en-scène elencate sopra. Dall’analisi emerge la pertinenza dell'euristica delia compresenza nella stessa inquadra­ tura applicata a questo film, cosi come la necessità di affinarla, allo scopo di includere la funzione del fuoco selettivo e della correzione di fuoco (in cui il fuoco selettivo cambia durante la ripresa). In un’intervista a John Scale dopo l’uscita nelle sale cinematografiche de Il paziente inglese, Mary Colbert scrive: Scale ottimizza l’uso assolutamente eccezionale delle metafore paesag­ gistiche per esprimere stati emotivi e psicologici» attraverso la giustappo­ sizione del doppio filo narrativo: i Ioni caldi e abbaglianti caratterizzano le sequenze passionali ambientate in Africa durante il periodo pre bellico, mentre le tinte cupe delle scene ambientate in Italia verso la fine della se­

conda guerra mondiale sono lo scenario in cui il Conte de Almàsy (Ralph Fiennes), vicino alla morte e affidato alle cure dell’infermiera canadese

liana (Juliette Binoche) in un vecchio monastero delia Toscana, riflette sui sentimenti passati e gli intrighi politici. (Colbert 1997)

Il colore della mise-en-scène opera pertanto a livello connotativo, giacché le tinte calde e brillanti dell'arancio e del giallo nelle sequenze ambientate nel deserto prima della guerra esprimono’ il desiderio c la passione, mentre i toni cupi e freddi del verde e del marrone delle sequenze italiane ’esprimono’ la morte del desiderio, della speranza e dell’amore. Colbert utilizza l’euristica 6 7 8

ASC: American Society of Cinematographers (U.S.A). ACS: Australian Cinematographers Society (Australia). ACE: American Cinema Editor (U.S.A).

del primo piano/sfondo e quella espressivista per instaurare una relazione fra il paesaggio e i personaggi e per mostrare che il paesaggio rispecchia gli stati d’animo dei protagonisti. Il passaggio da un ambiente all'altro as­ sume anche connotazioni psicologiche: mentre Almàsy ricorda il passato nel monastero toscano, una serie di graduali dissolvenze consentono di slittare sull'immagine del deserto, oltre a rappresentare lo coscienza di Almàsy che naufraga dalla condizione presente alla dimensione del ricordo. In un'intervista, John Scale manifesta la necessità di fissare una situa­ zione di equilibrio fra il primo piano e lo sfondo: Insieme ad Anthony (Minghclla] si è discusso sul fatto che il deserto,

in ultima analisi, non riveste un ruolo da protagonista nel film, ma svolge, come gli si confà, la funzione di palcoscenico dalle tinte vivaci. La tenta­ zione di scivolare nella ripresa da cartolina o da documentario di viaggio è

stata volutamente evitata. Il mio ruolo non è quello di utilizzare immagini

soverchiami. Non ho mai fatto panoramiche paesaggistiche, a meno che non servissero a dare continuità alla trama. Tutte le immagini sono collegale alla vicenda e le composizioni mantengono i personaggi in primo

piano.... Questo è un film di persone la cui vicenda si svolge nel deserto e

non un film sul deserto con delle persone sopra. (Colbert 1997)

In un'intervista apparsa nella rivista American Cinematographer, Seale spiega in che modo l'obiettivo mantiene i personaggi in primo piano: ‘Vo­ levamo far sì che i personaggi rimanessero in primo piano. A tal scopo abbiamo utilizzato l’obiettivo normale c quello a focale lunga per ridurre l'effetto di distorsione sugli attori, “mettendo a fuoco” lo sfondo per usare l'ambiente come “presenza” intorno ai personaggi, piuttosto che trattarlo alla stregua di un altro personaggio o soggetto’ (citato in Oppenheimer 1997). ^equilibrio fissato fra il primo piano e lo sfondo permette ai personaggi di dominare la scena, ed è indicativo dell'aderenza di Seale (e Minghelta) alla mise-en-scène classica. (Seale sostiene anche che filmare il paesaggio solo per il gusto di farlo - con inquadrature del tutto indipendenti dalla vicenda non avrebbe fatto altro che allungare ulteriormente un film di per se stesso già lungo, oltre ad orientare forse la mise-en-scène al manierismo). In risposta a una domanda relativa alla sua avversione per i movimenti banali di macchina, Seale ribadisce la propria predilezione per la mise-enscène classica: ‘Preferisco pensare che la macchina da presa sia tesa a evi­ denziare la collocazione fisica degli attori all'interno della scena o sul set e a conferire intensità ai movimenti dell’attore, invece di seguire i personaggi solo per il gusto di creare energia visiva quando le parole da sole forse non bastano. ... se il montaggio è ben fatto c la rappresentazione è adeguata, il

pubblico nc rimarrà conquistato, Muovere la cinepresa può distrarre tanto il pubblico quanto gli attori’. (Colbcrl 1997}, È qui che l’aderenza di Seale alla tnise-en-scène classica traspare chiaramente e viene dallo stesso ulterior* mente chiarita allorché critica la cinematografìa di Michael Ballhaus nc II cy/ortf dei soldi di Scorsese (in particolare le riprese a 360“ intorno agli allori servono solo a produrre energia visiva) (Colbert 1997). Seale prosegue inoltre nel dire: ’utilizzo lo zoom il più possibile come obiettivo “fisso”. Cereo di nascondere il movimento dello zoom dietro ima panoramica» un dolly o una carrellala, per far sì che il pubblico non ne per­ cepisca mai il movimento" riconfermando cosi la propria aderenza alla miseen-scène classica (citato in Oppenheimer 1997). [.analisi de II Paziente inglese di seguito presentala verte in primo luogo sulla sequenza che anticipa i titoli di testa, per individuare come questa si rapporti al resto del filmi per identificare momenti chiave della vicenda, nel quale il rnémige À truis, che coinvolge Almàsy, Katharine e il marito di lei, GeolTrey, è articolato secondo il principio della mise-en-scène (in particolare quello relativo all’euristica dello stesso fotogramma); e per utilizzare breve­ mente altre eurìstiche, allo scopo di analizzare alcuni momenti fondamen­ tali della mise-en-scène del film.

3.3,1.

La sequenza introduttiva

La sequenza riguarda il primo piano di un pezzo di carta sul quale si pro­ fila gradualmente l’immagine di una figura dipinta. Terminati i titoli di testa, 1'immaginc della figura dipinta si dissolve lentamente in una panoramica aerea del deserto. La figura bidimensionale, di colore marrone, assume una colorazione grigia e inizia ad interagire con il sinuoso paesaggio sabbioso del deserto, per poi scivolare e scomparire nel l’ombra di un biplano. La ci­ nepresa torna sull’i in magi ne del biplano in volo sul deserto. Si scoprirà in seguito che Almàsy e Katharine sono i due passeggeri a bordo del velivolo. La colonna sonora della sequenza d’apertura del film è altrettanto com­ plessa. Prima che i litoli di lesta inizino a scorrere si ode un picchi eli io, che più in là nel film è identificato con il tintinnio di fia Ielle contenenti oli medicamentosi. Si odono anche cori di voci maschili, una canzone popolare ungherese, musica orchestrale non diegetica e il suono diegetico del motore di un aereo. Le inquadrature iniziali e i suoni racchiudono una serie di as­ sociazioni che si tenterà in questa sede di chiarire. Parrebbe lecito sostenere che il resto del film elabora e dilata gli clementi della nuse-en-srihie condensati nella sequenza dei titoli di testa e nell’inqua­ dratura iniziale. La figura dipinta è uguale a quelle che Katharine dipinge nella Grotta dei Nuotatori,

@

Si potrebbe pertanto suggerire che l’immagine derivi dalla scena della Grotta c che sia Katharine a dipingere la figura. La Grotta dei Nuotatori è importante, perché rappresenta il luogo sepolcrale che accoglierà il perso­ naggio femminile nel momento della morte alla fine del film. Le dune di sabbia richiamano la forma della figura dipinta e momen­ taneamente sovraimpressa alle colline sabbiose. Tale somiglianza crea la metafora della sabbia che assume sembianze umane. La sovrimpressione d’immagini (ottenuta tramite quella che Perkins definisce elaborazione ci­ nematografica) genera significati più profondi o simbolismi impliciti. La metafora della sabbia compare nel primo flashback di Almàsy. Nella scena, il personaggio è ritratto in primo piano, seduto e intento a conversare con un abitante del deserto, al quale chiede come poter localizzare la Grotta dei Nuotatori. Almàsy disegna la grotta e traduce le parole del suo interlocutore - ‘Assomiglia alla schiena di una donna'. Ma poco prima della descrizione metaforica della grotta, un biplano atterra sullo sfondo. L’autoctono si inter­ rompe, vede l'aereo, riprende a parlare e suggerisce ad Almàsy la descrizione da questi poi tradotta. Poco più in là nel film si scopre che Katharine e il marito sono i passeggeri del velivolo. Le associazioni fissate in apertura fra Katharine e la Grotta dei Nuotatori vengono pertanto rafforzate a questo punto del film. Si può anche utilizzare l’euristica del primo piano/sfondo ed esami­ nare la relazione che si instaura fra di essi. La sovrapposizione operata in apertura collega la figura dipinta da Katharine a) deserto (in particolare, alla Grotta dei Nuotatori, che è facilmente identificabile perché richiama le fattezze di una schiena femminile) e all'ombra del biplano che trasporta Almàsy e Katharine. Alla fine del film risulta chiaro che Almàsy abbandona la Grotta dei Nuotatori a bordo del velivolo dopo aver recuperato il corpo di Katharine. Qualche attimo più tardi l’aereo viene abbattuto e Almàsy riporta delle gravi ustioni. Katharine è di nuovo associata alla figura dipinta e alla Grotta dei Nuotatori quando Geoffrey la paragona a un pesce, perché ama rimanere in acqua per ore. La figura dipinta è significativa anche sotto un altro aspetto: i dipinti di Katharine segnano l’inizio della storia d’amore fra Almàsy e Katharine ab­ bandonati nel deserto. Katharine offre alcuni dei suoi dipinti ad Almàsy, che in un primo tempo gentilmente rifiuta. Il mattino dopo ha un ripensamento e si dice onorato di inserirli nelle Storie di Erodoto che Almàsy utilizza come album per le proprie annotazioni. I suoni inseriti nella sequenza dei titoli di testa sono altrettanto rilevanti, sebbene non così ovvi. Si avverte il suono delle bottiglie contenenti gli oli medicamentosi quando un abitante del deserto medica le ustioni di Almàsy, c si ode la canzone popolare ungherese quando Katharine trascorre la notte con Almàsy nella sua stanza d'albergo. Il mattino seguente Almàsy suona la

canzone al grammofono che, come egli dice, gli veniva cantata quando era bambino.

3.3,2. Il ménage à fro/s e l’euristica della compresenza nella stessa inquadratura Caller raggio di Geoffrey c Katharine nel deserto al campo base dell’equipe di cartografi della Royal Geographical Society (i cui membri si definiscono con l’appellativo di international Sand Club’), viene accolto da tutti i soci del club che, a bordo di un camion, si recano a dare il benvenuto ai nuovi arrivati- Almàsy rimane tuttavia indietro, vicino al camion, e li osserva da lontano. Lcurislica dello stesso fotogramma è importante nella descrizione di questo momento del film, giacché l’equipe, Katharine e Geoffrey vengono ritratti in una sola inquadratura, menile Almàsy compare da solo. L’atteg­ giamento distaccato di Almàsy fa sì che questi venga presentato a Geof­ frey e a Katharine separatamente, ail’interno di una scena che consiste di 17 inquadrature e dura 60 secondi. Almàsy compare in otto inquadrature, inclusa l’inquadratura d’ambientazionc, mentre Katharine è ritratta in sette inquadrature (ma non nell’inquadratura iniziale del film). Altri personaggi fanno la loro apparizione nelle prime cinque inquadrature di cui Almàsy è protagonista (1, 2,4,6, 8), il che significa che quest’ultimo compare isolato mentre si svolge la scena (inquadratura LO, 12 e 16), Katharine non è mai isolata nelle inquadrature che la riguardano, ma ritratta nel fotogramma con altri membri del l'equipe e il marito (inquadratura ] 5 e 17). Verso la fine della scena, la discussione verte su diversi tipi di amore. Nell’inquadratura 15, Geoffrey menziona il genere d’amore da lui prediletto - ‘eccessivo amore per la propria moglie’, e poi bacia Katharine. Nell’inquadratura 16, Almàsy distoglie lo sguardo e dice, Non saprei’ Questo avrebbe potuto essere un finale di scena del tutto plausibile, se non fosse stata aggiunta l’inquadratura 17, che si attarda su Geoffrey c Katharine. Geoffrey si limita a sorridere in risposta al commento di Almàsy, mentre Katharine volge il capo dall'altra parte con un sorriso perplesso o forse imbarazzato. Questa inquadratura ag­ giuntiva rileva, in termini puramente visivi, possibili divergenze d’opinione fra Geoffrey e Katharine in materia d’amore. Benché entrambi i personaggi vengano ritratti nella stessa inquadratura, i gesti di Katharine denotano un suo probabile disaccordo nei confronti di Geoffrey. Forse allora è meglio volgersi a un’euristica diversa da quella della compresenza nella stessa in­ quadratura. Walter March, montatore de il paziente inglese, scrive: ‘staccare dal per­ sonaggio prima che abbia finito di parlare potrebbe incoraggiare il pubblico a fermarsi alle apparenze. Attardarsi sul personaggio dopo che questi ha

finito di parlare permette al pubblico di capire, dall’espressione degli occhi, che probabilmente il personaggio non sta dicendo la verità. Lo spettatore sarà pertanto incline a farsi un’idea diversa del personaggio e di ciò che dice’ (Murch 1995). A conclusione del dialogo, la scena in esame indugia tem­ poraneamente sulla situazione tramite l’inquadratura 17, anziché chiudersi semplicemente con l’ammissione da parte di Almàsy di non essere sposato nell’inquadratura 16. [.euristica commentativa del presagio offre una chiave di lettura dell’inquadratura 17, che rappresenta un momento di elaborazione cinematografica in cui si anticipa il futuro ménage à trois. Nella scena seguente, che ritrae rispettivamente Geoffrey e Katharine, Almàsy e Madox in due velivoli separati, avviene uno scambio di sguardi fra Katharine e Almàsy. Katharine dirige lo sguardo in su, verso Almàsy, che ricambia salutandola con un cenno della mano. Katharine lo guarda soltanto per un momento prima di voltarsi, rifiutando di rispondere al suo cenno. Un altro scambio di sguardi fra i due avviene intorno al fuoco dell'ac­ campamento, dove entrambi i personaggi intrattengono i presenti in modi diversi. Katharine racconta la storia di Gige tratta dalle Storie di Erodoto. La storia riguarda infatti un ménage 4 trois, dove l’amante uccide il marito della regina e ne prende il posto. Durante il racconto, una lenta carrellata ricon­ giunge Katharine ad Almàsy nella stessa inquadratura, che colloca quest’ul­ timo in primo piano e Katharine sullo sfondo. L’inquadratura è tuttavia elaborata attraverso il fuoco selettivo, che mette inizialmente Katharine a fuoco, sfocando l’immagine di Almàsy. Mentre Katharine racconta ed ella (la Regina] era più bella di quanto egli (Gige] avesse immaginato’, volge lo sguardo verso Almàsy, con un conseguente aggiustamento di fuoco, che sfuma l’immagine di Katharine, mettendo a fuoco quella di Almàsy. La si­ tuazione è di nuovo rovesciata alcuni istanti più tardi, quando Katharine racconta l’episodio in cui la Regina si accorge dello sguardo di Gige: «... un fremito la percorse senza dir nulla’. Katharine si interrompe e guarda, ricambiata, Almàsy, qui ripreso dalla tecnica del campo/controcampo. L’in­ quadratura di Katharine a fuoco sullo sfondo con Almàsy fuori fuoco in primo piano, viene ripetuta alcuni momenti più tardi, mentre Katharine racconta che Gige deve uccidere il re e prenderne il posto. Le inquadrature, il fuoco selettivo e il montaggio non si limitano soltanto a descrivere gli eventi, ma servono ad illustrarli e a collegarli a ciò che ancora deve accadere fra Almàsy, Katharine e Geoffrey, [.euristica della compresenza nella stessa inquadratura può servire a spiegare come la correzione di fuoco separa Almàsy e Katharine all’interno della stessa inquadratura (non sono a fuoco contemporaneamente, e l’alternanza del campo/controcampo contribuisce ulteriormente a dividerli). Leuristica commentativa può servire a spiegare in che modo l’azione e il complesso filmico si uniscano, o come quest’ultimo trasferisca il significato della storia narrata agli eventi presenti.

11 ménage à trois si ri presenta in una s igni ficai iva sequenza d'albergo, dove il Sand Club si riunisce per brindare alle mogli assenti. Katharine pro­ pone un brindisi ad Almàsy e lo guarda brindando alle future mogli. La cinepresa stacca in quel ristante su Almàsy, collocato sullo sfondo dell'inqua­ dratura, ma a fuoco al centro del quadro, mentre Geoffrey e Katharine sono posizionati in primo piano ma fuori fuoco, rispettivamente a sinistra e a de­ stra del quadro. Geoffrey si volge verso Katharine e alza il bicchiere, mentre l'espressione di Katharine rimane nascosta e Almàsy guarda fuori campo, chiaramente imbarazzato dal commento di Katharine. Impressione di Geof­ frey suggerisce che egli è ancora all’oscuro dell'attrazione fisica fra Almàsy e Katharine. La mise-en-scène si carica di ulteriori valenze premonitrici: Almàsy è letteralmente (ossia spazialmente) ritratto nell’alto di frapporsi fra Katharine e Geoffrey al l’interno della stessa inquadratura. [Raggiustarne nlo di camera, la posizione della macchina da presa e il fuoco selettivo collocano it re personaggi nella stessa inquadratura, ma non li uniscono. Al contrario, sono indicativi di conflitti imminenti. ^euristica della compresenza nella Stessa inquadratura e quella commentativa hanno di nuovo un peso note­ vole nel Panatisi di questo film. Tuttavia, nella scena seguente alcuni soci del Sand Club ballano a turno con Katharine. Le inquadrature di Almàsy e Kat bari ne durante il ballo sono brevemente interrotte da un primo piano di Geoffrey, mentre Katharine e Almàsy occupano lo sfondo insieme agli altri. La correzione di fuoco viene nuovamente utilizzata [questa volta molto rapidamente) per Spostare il fuoco dallo sfondo al primo piano. [Espressione di Geoffrey, ripreso nel momento in cui distoglie lo sguardo dalla pista da ballo, mostra segni di disagio nel vedere Almàsy ballare con Katharine, benché tale disagio non venga palesato da scambi verbali, ma semplicemente trasmesso attraverso l'inserimento di un'inquadratura di Geoffrey all’interno della scena al mo­ mento opportuno. Almàsy e Katharine incrociano altri sguardi nella scena in cui Geoffrey si assenta temporaneamente per effettuare delle fotografìe aeree. Almàsy consiglia a Geoffrey, in procinto di partire, di non lasciare Katharine nel dcsertos ma Geoffrey si limita semplicemente a chiedergli perché 'gente come lei si sente minacciata da una donna’ e si allontana. La scena termina con uno scambio di sguardi fra Almàsy e Katharine. La macchina da presa stacca da Almàsy, ripreso di spalle, a Katharine, sempre di spalle, benché siano almeno a 6-7 metri di distanza l’uno dall’altra. Entrambi i personaggi com­ paiono a turno in primo piano e sullo sfondo. Una disposizione spaziale così insolita (che ricorda le inquadrature di campo lunghi ssi ino/controcampo inserite in Quarto potere) è ambigua: con l’euristica espressivi sta, lo spazio coperto dal campo/controcampo può voler indicare che i due personaggi sono ancora emotivamente lontani l'uno dall'altra,, o destinati ad avvicinarsi

113

durante la temporanea assenza di Geoffrey. La cena d'addio dellìnternational Sand Club è una delle scene più signi­ ficative a cui applicare l’euristica della compresenza in una stessa inquadra* tura per analizzare il ménage ri trois. A questo punto della vicenda, Katharine ha già tentato di porre fine alla sua relazione con Almàsy, tanto più che tutti i commensali sembrano sapere della loro storia. Almàsy arriva in ritardo e completamente ubriaco. I personaggi principali (Almàsy, Katharine, Geof­ frey, Madox) vengono in primo luogo ritratti tramite inquadrature indivi­ duali, seppure in tre occasioni Katharine sia ripresa di profilo con Geoffrey sullo sfondo. Si utilizza in questo caso il fuoco selettivo e Katharine rimane a fuoco in tutti e tre i casi, mentre la figura di Geoffrey appare sfocata sullo sfondo. In due occasioni Geoffrey viene filmato di profilo e in primo piano, con Katharine sullo sfondo. Anche in tal caso si utilizza il fuoco selettivo per realizzare le inquadrature. Tuttavia, Geoffrey viene messo a fuoco nella prima inquadratura, ma non nella seconda. La prima di queste riprese di ‘profilo’ viene effettuata quando Almàsy rivolge una domanda a Madox, seduto fra Katharine e Geoffrey. Nell’inqua@d ratura, Katharine è ritratta in primo piano, Madox nel mezzo e Geoffrey sullo sfondo. Benché la domanda sia diretta a Madox, quest’ultimo non do­ mina il fotogramma e appare sfocato (soltanto il personaggio di Katharine è a fuoco). Un modo convenzionale di riprendere Madox sarebbe quello di continuare a filmarlo separatamente, tuttavia la scelta operata da Seale di allontanarsi da questa pratica trasmette, attraverso l'elaborazione cinema­ tografica, la distanza fra Katharine e Geoffrey, oltre al tentativo di Madox di mediare. La seconda inquadratura di ‘profilo’ è il contrario della prima. In essa, Geoffrey è collocato in primo piano, mentre Katharine si trova sullo sfondo. Madox si è alzato da tavola per cercare di controllare le reazioni di Almàsy. Geoffrey è sfocato nonostante la collocazione in primo piano; solo Katharine è a fuoco sullo sfondo. La terza inquadratura di profilo ripete la prima, ma senza Madox, men­ tre Katharine continua a rimanere a fuoco. La quarta inquadratura ripete la seconda: Geoffrey è collocato in primo piano, Katharine è sullo sfondo, mentre Madox è seduto a metà fra i due. In questo caso però, Geoffrey è a fuoco. La quinta e ultima inquadratura ripete la prima con Katharine in primo piano e a fuoco, mentre Madox è di nuovo collocato a metà strada, con Geoffrey sullo sfondo. In virtù della propria avversione per inutili mo­ vimenti di macchina, Seale utilizza una macchina da presa fissa e il fuoco selettivo, invece di operare una panoramica da Katharine a Geoffrey (o vi­ ceversa). In un’intervista apparsa sull’American Cinematographer, motiva l'utilizzo dell'aggiustamento di camera e della messa a fuoco nelle inquadra­ ture di profilo: ‘I due personaggi (Katharine e Geoffrey] non vengono mai

coltegli i tramite l'aggiustamento di fuoco durante le riprese, ma troiai r &THzn cambiare il fuoco» cosa che adoro fare, perché ritrae visivamente la storia c l’infedeltà di questi due personaggi1 (citato in Oppenheimer 1997). Questa è Ja prima scena in cui Almàsy e Katharine vengono ripresi in­ sieme, dopo il tentativo da parte della donna di porre fine alla loro relazione. La cinepresa inette a fuoco le reazioni individuali di Geoffrey e Katharine di fronte ai commenti di Almàsy. Nei manieriti citati precedentemente, si nota una discrepanza fra le reazioni di Katharine e di Geoffrey nei confronti di Almàsy; a partire dal primo incontro nel deserto, fino alla scena in cui Geof­ frey lascia Katharine nel deserto con Almàsy. Vi è un solo inserto, seppur ambiguo e molto breve, in cui Geoffrey esprime il proprio disagio nel ve­ dere Katharine danzare con Almàsy. Le cinque inquadrature di profilo espri­ mono chiaramente il disappunto di Katharine e di Geoffrey nei confronti di Almàsy, benché separatamente (e nonostante compaiono nella medesima inquadratura per ben cinque volte), sottolineando maggiormente quello di Katharine (a fuoco in quattro inquadrature su cinque). La sequenza crea continuità con le scene precedentemente citale in questa sezione, rilevando il conflitto emotivo e le tensioni provate dai personaggi principali - in parti­ colare Katharine, innamorata di due uomini contemporaneamente. Inoltre, i due uomini condividono con lei lo stesso tavolo c la scena mette in luce le reazioni c i conflitti dissimulati dalla donna.

3.3.3, Euristiche aggiuntive [ospedale militare da campo in cui si trova 1 lana viene improvvisamente bombardato nel momento in cui la donna apprende la notizia della morte del fidanzato. Il bombardamento non fa parte di una rappresaglia di più ampio respiro, né si rappresentano nel film le conseguenze del bombardamento. A livello letterale, il bombardamento costituisce un esempio di verosimi­ glianza (è una circostanza tipica della guerra), benché l’obiettivo principale di questo evento sia di esprimere lo stato d’animo di Hana al momento della notizia. Per utilizzare la terminologia di Perkins, il bombardamento è prima di tutto un elemento credibile all’interno del film, ed opera ad un livelle soltanto. Al di là del significato letterale, il bombardamento serve tuttavia ad esprimere le emozioni dei personaggi. Leuristica espressivista applicata al bombardamento permette di interpretarlo come evento atto ad estrinsecare la psicologia dei personaggi al finterò del film. Un altro elemento di elaborazione cinematografica caratteristico del film è costituito dagli slittamenti temporali dal tempo presente, ambientato in Toscana, a quello passato, fissalo durante il periodo pre-bel lice nel deserto. Si é già notato che i cambiamenti temporali si prestano a una lettura psico-

-

logica e rappresentano l’alternarsi degli stati di coscienza di Almàsy. Molti dei suoi ricordi prendono inoltre le mosse, in stile proustiano, da piccoli spunti. Il primo flashback è sollecitato dall’episodio in cui Almàsy rovescia sul pavimento il volume di Erodoto e tutto ciò che contiene. La dissolvenza ritrae Almàsy intento a disegnare la Grotta dei Nuotatori nel libro. Il ri­ torno a) tempo presente è caratterizzato da un’analogia visiva e non dal ri­ cordo. La cinepresa mette a fuoco il paesaggio frastagliato nel quale i due biplani volano sopra il deserto. La ripresa sfuma in un’inquadratura delle lenzuola spiegazzate di Almàsy, adagiato supino nel letto del monastero. La dissolvenza è giustificata dalla somiglianza visiva fra il paesaggio e le lenzuola. Il secondo passaggio si avvale del suono. Hana è intenta a giocare alla campana all’esterno del monastero. I suoni prodotti dal gioco provocano in Almàsy il flashback dell’accampamento nel deserto, che ha inizio con il medesimo suono tamburellante del gioco di Hana. (I suoni producono di­ versi flashback). Il terzo flashback è innescato da Caravaggio, che chiede ad Almàsy se il nome Katharine Clifton gli dice qualcosa. Il passaggio al tempo presente avviene durante la scena danzante di Almàsy e Katharine. Almàsy ritorna al presente al contatto fisico con Hana, addormentatasi sopra di lui. Come ultimo esempio di euristica del primo piano-sfondo e della com­ presenza in una stessa inquadratura, si citerà la descrizione di Seale di una scena che ritrae Hana e Caravaggio (interpretato da Willem Dafoe) all’in­ terno del monastero: In una delle scene ambientate nel monastero italiano. Hana, rischiarata dalla luce della lanterna che porta con sé. entra nella cucina del monastero per lavarsi, per poi scoppiare improvvisamente in lacrime, emotivamente

provata. ‘Willem Dafoe entra sullo sfondo', dice Seale. ‘La macchina da

presa mette a fuoco il capo di Juliette riverso sul tavolo invece di slittare su

Willem, giacché questa scena appartiene a lei sola c alle sue emozioni. Fo­ calizzare l’obiettivo sull'uomo significherebbe renderlo partecipe di quel

momento. Al contrario, viene trattenuto sullo sfondo e obbligato a venire avanti, cosa che egli fa, per poi chinarsi, cosi da metterne a fuoco soltanto il volto e le mani’. (citato in Oppenheimer 1997)

3.4.

L’analisi statistica dello stile: la teoria

L’analisi statistica dello stile cinematografico si configura anzitutto come versione sistematica della critica della mise-en-scène - o più precisamente, della critica della mise en cadre. Come si è visto, Ejzenstejn ha inventato il termine mise en cadre per concentrare l’attenzione sul modo in cui le inqua-

tirature vengono inscenate - ossia, il modo in cui i parametri di un'inqua­ dratura trasformano le azioni e gli eventi in materia filmica. Il vantaggio dell'analisi stilistica dello stile rispetto alla critica della mne-en-scène/cndre è quello di offrire un metodo analitico più imparziale, sistematico ed esplicito. Lanalisi statistica dello stile caratterizza lo stile da un punto di vista nume­ rico e sistematico - ossia, analizza lo stile misurandolo e quantificandolo. In poche parole, la misurazione implica il conteggio di elementi, o variabili, che riflettono lo stile del film, per poi realizzare test statistici su tali variabili. In particolare, l'analisi statistica dello stile si propone tre obiettivi: (1) offrire un'analisi quantitativa dello stile, di solilo realizzata allo scopo di in­ dividuare degli schemi/modelli, operazione ora resa possibile grazie all'uso del computer, Nei testi linguistici, l’analisi quantitativa dello stile e la'pattern recognition’’ (ovvero l'identificazione dì modelli) è di solito condotta tra­ mite l'analisi numerica delle seguenti variabili: lunghezza delle parole, nu­ mero di sillabe contenute in una parola, lunghezza della frase, distribuzione delle parti di un discorso (basata sulle diverse percentuali di nomi, pro­ nomi, verbi, aggettivi, ecc. presenti in un testo), calcolo della proporzione della parti di un discorso (per esempio, dei verbi in relazione agli aggettivi), analisi dell’ordine delle parole, della sintassi, del ritmo e della metrica; (2) l'attribuzione delle fonti relativamente a lesti anonimi o pseudonimi di cui si contesta la paternità (vedi Foster 2001 ); (3) identificare la cronologia delle opere qualora la sequenza della composizione risulti sconosciuta o messa in dubbio (esempio, Platone e le opere di Shakespeare). Il primo obicttivo, ossia l’analisi quantitativa dello stile, riguarda la sta­ tistica descrittiva, mentre il secondo e il terzo (attribuzione della paternità delle fonti e la cronologìa) coinvolge tanto la statistica descrittiva quanto l'inferenza statistica (o statistica induttiva). Come suggerisce il nome, la sta­ tistica descrittiva descrive il testo così come si presenta, attraverso la misu­ razione e la quantificazione delle sue caratteristiche numeriche. Ne risulta una descrizione dettagliata, interna e molecolare delle variabili formali del testo (o gruppo di testi). L'inferenza statistica utilizza la descrizione formale per elaborare dei pronostici, ossia, utilizza i dati come indice, soprattutto come indice dello stile di un autore, o per classificare l’opera di un autore in ordine cronologico, in base a cambiamenti di stile intervenuti nel tempo e misurati. Se la statistica descrittiva produce dati certi, l’inferenza statistica si affida alle ipotesi elaborate dallo statistico in base ai dati descrittivi. Le ipotesi sono retto dalla probabilità c non dalla certezza. V N.d.T. La Pattern Recognition si occupa Jello studio di metodologie e modelli di apprendimento automatico, al fine di riconoscere, classificareo rilevare entità o situazioni di interesse, il tipico paradigma della Pattern Recognition preve­ de la costruzione e la stima del modello a partire da esempi tratti dal fenomeno in questione.

3.4.1.

L’analisi quantitativa dello stile

Barry Salt è uno dei pochi studiosi di cinema ad applicare l’analisi stati­ stica dello stile ai film. Autore del saggio ‘Statistical Style Analysis of Motion Pictures’ (1974) e del volume Film Style and Technology (1992), Barry Salt descrive Io stile individuale dei registi tramite il raggruppamento sistema­ tico dei dati sui parametri formali dei loro film, per poi illustrare il numero e la frequenza di tali parametri tramite grafici a barre, percentuali e lunghezza media della ripresa (i metodi verranno ripresi nella sezione 3.5). Salt entra nel dominio dell’analisi statistica quando paragona e contrappone le opere di registi diversi. Lo stile in tal senso designa un gruppo di modelli misura­ bili, che esulano in maniera significativa dalle norme contestuali. A titolo di esempio, Barry Salt ha calcolato che la lunghezza media della ripresa di un film girato negli anni ’40 è di circa nove o dieci secondi. Un film degli anni ’40 dove la lunghezza media della ripresa è di 30 secondi si discosta ampia­ mente dalla norma, rappresentando un indicatore di stile molto rilevante.

3.4.2. Attribuzione dei testi L’attribuzione della paternità dei testi è un tema ricorrente nel Nuovo Te­ stamento, nei classici, nella cultura letteraria e nel diritto (serve per esempio a stabilire se l’imputato è l’artefice della propria confessione, o se questa sia in parte opera di una collaborazione scritta con la polizia). Lanalisi statistica dello stile ha dato un contribuito a queste aree d’indagine tramite la statistica computerizzata, producendo risultati controversi. Uno dei principi dell’attribuzione dei testi scritti è che l’esperto di sti­ lometria non deve limitare la propria analisi alle caratteristiche stilistiche inconsuete di un testo, ma indagare la frequenza di utilizzo delle parole co­ muni, in particolare, quelle secondarie o funzionali, avulse dal soggetto della trattazione o dal contesto. Queste parole includono le preposizioni (di, a, in) e i sinonimi funzionali quali genere-tipo, su-sopra. Lo scrittore evidenzierà una preferenza per l’utilizzo del termine su piuttosto che del termine sopra, o della parola genere al posto di tipo. (Gli esperti di stilometria '.'anno in ge­ nere alla ricerca di un gran numero di sinonimi nelle opere di un autore). Sulle prime parrebbe strano identificare uno stile a partire dall’analisi delle parole funzionali utilizzate involontariamente da uno scrittore, benché, come sostiene A.Q. Morton, queste parole offrano all’esperto di stilometria un punto comune di confronto fra diversi autori: Ì1 test d’attribuzione è una pratica condivisa da tutti gli scrittori, che ne fanno uso a propria discrezione e in percentuali diverse, per contraddistinguere il loro lavoro da quello al­ trui’ (Farringdon 1996). Ciò che conta è pertanto la quantità, o percentuale

di nomi comuni utilizzati, piuttosto che la loro presenza o assenza negli scritti di un autore. Si può inoltre sostenere che l’analisi stilometrica è simile alla rilevazione delle impronte digitali o all'esame del DNA. Gli esseri umani condividono gran parte del loro DNA con gli animali e sono solo i piccoli dettagli a distinguere la specie umana da quella animale. Inoltre, è proprio il DNA o, in maniera più convenzionale, una sene di piccole caratteristiche aggiuntive quali, in particolare, le impronte digitali, a differenziare gli indi­ vidui gli uni dagli altri. Una delle metafore più comuni dell’attribuzione sti­ lometrica è associata alla rilevazione delle ‘impronte digitali' di stile di uno scrittore. Anthony Kenny scrive; ‘Che cose l’impronta digitale stilometrica? E una caratteristica dello stile di uno scrittore a lui peculiare - per esempio una commistione di caratteristiche molto semplici quali la frequenza del termine come. Nulla vieta di utilizzare le caratteristiche stilistiche di basso profilo o addirittura triviali ai lini delPidentificazione: le spirali e i cappi sulla punta delle dita non sono elementi fondamentali o particolarmente rilevanti del nostro aspetto fisico’ (1982). Lo stile di uno scrittore è pertanto misurabile come uso costante di determinate caratteristiche o com binazioni linguistiche. Valga a tal scopo l’esempio di Raymond Chandler: Lo siile di Chandler, come quello di qualsiasi altro autore, consiste

ndPtuAonr di elementi cosi! tuli vi.... Gli eventi v il tono delle storie narrale

du Chandler sono in gran parie veicolati dal dialogo, die comprende in

media il 44% di luti? le parole di una storia; ad ogni milk parole di lesto corrispondono circa 30 scambi verbali della durala app rossi mal iva di 15 parole ciascuno. Per ugni mille parole di testo, le siane narrale da Chan­

dler contengono anche un termine gergale, tre similitudini, una parola volgare, nessuna oscenità e 3S ingiuntive coordinanti. (Sigclman e Jacoby 1996)

Questi dati identificano lo stile di Chandler - perlomeno da un punto di vista quantitativo - e si possono utilizzare come regola tramite cui attribuire una storia non firmata a Chandler. Se si pensa alle possibilità descrittive degli studi di attribuzione st Home trica nell’analisi cinematografica, si noterà che, come nel caso della critica della mise-ai-setae, é possibile utilizzare la statistica allo scopo di rendere la critica d'rtu/ewr più rigorosa - ossia, imparziale, sistematica ed esplicita - per consentirle di indagare la frequenza dei parametri stilistici comuni adoperati dai registi indipendentemente dal soggetto o dal contesto, anziché basare l'analisi su qualche caratteristica stilistica inconsueta del film. In altre parole, la dimensione descrittiva dell’attribuzione dei testi serve a indivi­ duare i tratti stilistici invarianti dellbpera cinematografica di un regista (in

primis, quelli connessi ai parametri dell'inquadratura). È debbiigo consi­ derare lo stile del regista come combinazione di tutti i parametri relativi all'inquadratura (quella che gli statistici chiamano analisi multivariata). La dimensione deduttiva dell’attribuzione dei testi trova un'applicazione più limitata nella cinematografia, benché alcuni film, quali Poltergeist, siano oggetto di attribuzioni controverse (la pellicola è stata diretta da Tobe Hooper o Steven Spielberg?). Lanalisi sistematica dei parametri delle inqua­ drature contenute in Poltergeist c il confronto dei risultati con altri film di Hooper e Spielberg, consente di identificare l’attribuzione del film (definita in termini di mise en cadre, o parametri dell’inquadratura). È chiaro che il passaggio dalla statistica descrittiva a quella induttiva comporta che i risul­ tati non siano mai del tutto certi, ma ipotizzati. Soltanto l’aspetto descrittivo dell’analisi è indiscutibile. In via precauzionale, occorre che le variabili scelte per determinare lo stile di un regista abbiano qualche valore (Salt risolve il problema racco­ gliendo informazioni relative alle variabili di competenza del regista) e che i risultati siano statisticamente significativi, anziché dipendere dal caso. Molti test statistici sono, infatti, test di significanza.

3.4.3. La cronologia La cronologia è la terza area d’indagine dell’analisi statistica dello stile, dove la statistica è ancora una volta descrittiva o induttiva. La descrizione quantifica e misura le variazioni nell’ambito di un insieme di testi, solita­ mente di un medesimo autore. In questo caso, l'opera dell’autore cambia in maniera prevedibile. Lo studio deduttivo utilizza la descrizione dei mu­ tamenti per riordinare cronologicamente il lavoro dell’autore» laddove la cronologia sia sconosciuta o dubbia. L'identificazione, la misurazione e la quantificazione dei mutamenti consente di riordinare cronologicamente l’opera di un autore. Il presupposto alla base di tutto questo è che il lavoro dello scrittore possieda un andamento rettilineo, in altre parole, che lo stile segua un percorso di trasformazione lineare. Il concetto di mutamento va inoltre conciliato con l’idea implicita negli studi di attribuzione secondo cui lo stile di un autore rimane costante. Gli studi cronologici nella cinematografia trovano un'applicazione de­ scrittiva atta ad identificare i mutamenti di stile che intervengono nell’opera di un regista. Lesempio più ovvio è quello di individuare eventuali varia­ zioni operate da) regista durante il proprio percorso artistico sui parametri dell’inquadratura, quali la lunghezza media della ripresa, la scala dei piani di ripresa e il movimento di macchina.

3.5.

Analisi statistica dello stile: il metodo

Nel trattato 'Statistical Style Analysis of Motion Pictures' (1974) apparso nella rivista Fihu Qutirteriy. Barry Sali si propone di identificare lo stile in­ dividuale dei registi attraverso la raccolta sistematica di dati sui parametri formali dei film» in particolare» i parametri formali direttamente gestiti dal regista, ossia: *

• • • •

la durata dell’inquadratura (c il calcolo della lunghezza media della ripresa); la scala dei piani di ripresa» il movimento di macchina; l’angolo di ripresa; Inflètto di montaggio (misurato come passaggio spazio-temporale da un’inquadratura all’altra).

Salt ha raccolto una serie di informazioni da questi parametri attraverso l’indagine dettagliata delle inquadrature» in particolare quelle inserite nei primi 30 minuti di ciascun film, che egli utilizza come campioni rappresen­ tativi del film stesso. Tale procedimento verrà ripreso (testandone la fattibi­ lità) ai fini del lana li si statìstica dello stile de fi paziente inglese nel paragrafo 3.6. Sali è anche interessalo a correlare i risultati di ciascun parametro» so­ stenendo per esempio che sarebbe utile unire la 'durata della ripresa alla 'scala dei piani di ripresa’ in ciascun film (se non addirittura neli’intei a opera cinematografica di un regista), per determinare 'il tempo complessivo di durata di ciascun tipo di inquadratura' (Salt 1974} in modo da ‘evidenziare la predilezione del l egista per un determinato genere di inquadratura’» per esempio, [’utilizzo dei primi piani per 20 minuti di film» dei campi lunghi per 30 minuti e cosi via. Dopo l’analisi a campione dei film girati da quattro registi diversi, Salt constala che sia la scala dei piani di ripresa che la lunghezza media delle riprese definiscono le caratteristiche del lo st ile di un regista. (Il calcolo della lunghezza media della ripresa comporta la divisione della durata del film per il numero di inquadrature), t.a distribuzione della scala dei piani risulta tuttavia simile in lutti e quattro i registi esani iti at i da Salt. Nell’analisi statistica dello stile applicata ai film dì Max Ophuls (Salt 1992: cap. 22), Salt si avvale di lesi stiloinctrici standard per esaminare la distribuzione dei parametri stilistici all’interno dei film. In primo luogo, gli istogrammi o i grafici a barra rappresentano il numero e i tipi di inquadra­ ture presemi in ciascun film (primi piani, campi lunghi, ecc.). Salt prende poi in esame il medesimo segmento di ciascun film» calcola il numero atteso ed effettivo di inquadrature e la varietà dei piani di ripresa presenti in ogni

131

sezione, per stabilire se corrispondono al mean o valore medio, o se si al­ lontanano da esso. Gli intervalli della medesima durata si prestano a diversi criteri di selezione: I. 2.

3.

Salt suggerisce intervalli di un minuto (ossia, intervalli di 30 m sulla pellicola da 35 mm). Il calcolo di diversi tipi di inquadrature permette di definire gli inter­ valli come numero di inquadrature (per es. 50) e calcolarne il numero atteso ed effettivo. Si considera e si analizza la lunghezza media della ripresa di un intero film, scena dopo scena (ogni scena è definita come unità spazio-tempo­ rale c come sequenza di eventi). Si calcola il numero atteso ed effettivo di inquadrature e la varietà dei piani di ripresa presenti in ogni scena. Se la lunghezza media della ripresa è di dieci secondi e la scena dura due minuti, ne consegue che 12 saranno le inquadrature previste per quella scena. Nell'analisi di Lettera da una sconosciuta, Salt osserva: nella scena 1 ci si aspetterebbe per esempio di trovare cinque inqua­ drature se il montaggio fosse omogeneo in ogni parte del film, quando in realtà la scena contiene soltanto tre inquadrature. La scena n. 5 ne contiene

invece ben quattordici, contrariamente alle sette previste. (Salt 1992)

Questo genere danalisi si applica anche al numero stimato ed effet­ tivo dei tipi di inquadrature contenute in ogni scena. Nellanalisi del film Nella morsa diretto da Ophuls» Salt dimostra futilità di queste informazioni nell’esame dello stile di un film: Nella mona è il primo film di Max Ophuls nel quale si riscontra una

netta riduzione della varietà dei piani di ripresa e della percentuale di

stacchi da una scena all’altra. Tutto ciò risulta particolarmente evidente allorché la scomposizione in segmenti della lunghezza di 30 m è applicata

ad una pellicola di 35 mm. La mezz'ora successiva al momento in cui nel

film, Isonora, sposata a SmithOhlrig, viene lasciata sola nella casa di lui»

si scosta solo minimamente dalla distribuzione media della scala dei piani di ripresa. Anche la percentuale di stacchi rimane costante per la durate di diversi minuti alla volta, a dispetto di scene di natura variamente dram­ matica. Soltanto i momenti di massima suspense» concentrati negli ultimi

12 minuti della pellicola» esulano dalla regola. (Salt 1992)

Salt è in grado di individuare il criterio di distribuzione delle inqua­ drature e dei piani di ripresa nel bini e il modo in cui il film sì rapporta ad altre opere cinematografiche dirette da Ophùls (‘Ndfa morsa è il primo film diretto da Max Ophùls nel quale si riscontra una nella riduzione della varietà dei piani dì ripresa e degli stacchi da una scena all'altra’). Salt svolge un'analisi storica sulla base delle ultime produzioni cinematografiche di Ophiils» e osserva che Ophiils limita ulteriormente la varietà dei piani di ripresa (affidandosi in maniera sempre più frequente al campo medio)» sfruttando riprese sempre più lunghe e spesso abbinate ad ampi movimenti di macchina. Per esempio» nel film Lti ronde - lì piacere e l’amore, nella scena del ragazzo con la cameriera» alle prime 11 inquadrature

fanno seguilo gruppi di inquadrature che arrivano a includerne anche 10 per volta e che utilizzano la stessa distanza di macchina In ciascuna ripresa. Le inquadrature sono per lo più piani americani o campi medi e il film

mantiene il medesimo andamento da questa scena in avanti. Una serie di

15 primi piani consecutivi si susseguono ad un certo punto del film» cosa

mai accaduta nei film diretti da altri registi coevi» cosi come si evince da

un breve esame.

(Salt 1992)

Nel complesso, l’analisi statistica dello stile è uno strumento di rilevazione molto preciso della continuità e dei cambiamenti di stile intervenuti nel corso della carriera cinematografica di un regista. Dnalisi statistica dello st ile indaga il modo in cui i film sono articolali e non come vengano recepiti. Barry Sali ha. condotto un’analisi statistica manuale che limitava la gamma dei test applicabili ai dati raccolti. La crescila esponenziale della tecnologia computerizzata e dei software avvenuta nel corso dell’ultimo decennio ne permette oggi l’applicazione all'analisi statistica dello stile. Ncll'analisi de « /wzjczrte ittgtese che segue, i dati sono stati raccolti manualmente e poi inseriti nel programma SPSS per Windows (Statistica! Package l’or Social Scientists). SPSS è uno spreadsheet composto da righe e colonne. Nell'analisi cinema­ tografica, ciascuna riga è automaticamente numerata e rappresenta un'in­ quadratura, mentre le colonne indicano un parametro dell’inquadratura. 1 parametri rilevati includono; la scala dei piani di ripresa» la lunghezza della ripresa, il movimento di macchina, Torienlainento della macchina da presa in movimento e l’angolazione della cinepresa. Linserimento dei dati consente la toro numerazione e rappresentazione visiva e l'analisi statistica, che viene condotta tramite una serie dì tesi statistici. I Jan alisi de lì paziente inglese che segue riguarda la rappresentazione vi­ siva e numerica dei dati raccolti (con grafici a barra c lahdlc di frequenza e

133

di percentuale), ai quali verranno successivamente applicati dei semplici test statistici: misurazione del mean o lunghezza media della ripresa; rilevazione della deviazione standard della lunghezza della ripresa; asimmetria dei valori relativi alla lunghezza della ripresa e ai piani di ripresa. (I risultati verranno anche confrontati con un’analisi analoga di Jurassic Park). Il mean indica il va­ lore medio di una gamma di valori, l^a deviazione standard è il contrario della misurazione del valore medio/mean, perché misura la dispersione o distribu­ zione di valori intorno al mean. Se il valore della deviazione standard è ampio, ne consegue che i valori saranno largamente distribuiti, ^asimmetria misura il grado di distribuzione non simmetrica dei valori intorno al mean. Il valore della simmetria sarà uguale a zero se i valori sono perfettamente distribuiti. Se più valori sono raggruppati alla sinistra del mean (ossia, se il loro valore è inferiore al mean), la distribuzione risulterà positivamente asimmetrica, o al contrario negativa, se i valori vengono raggruppati alla destra del mean. Questi test sono solamente applicabili ai dati proporzionali (laddove lo zero è un valore assoluto in termini di peso, tempo e cosi via). Solo la lun­ ghezza della ripresa va considerata, in senso stretto, come dato proporzionale. ©Nella scala dei piani di ripresa, i numeri vengono assegnati alle categorie, che rappresentano una scala nominale (il Campo Lunghissimo corrisponde al numero 7, ma non v’è ragione per cui non possa corrispondere al numero 1, etc). Tuttavia, la norma, la deviazione standard e l’asimmetria acquisiscono perlomeno un valore euristico tramite l’uso costante della scala nominale (1 = primissimo piano, 2 = primo piano, 3 = mezzo primo piano, ecc). Un’altra questione di stile (che non verrà tuttavia presa in esame in questa sede) riguarda l’inserimento delle scene nel programma SPSS e il calcolo della media numerica delle inquadrature presumibilmente e realmente contenute in ciascuna scena. Il riferimento alla collocazione delle inquadrature (per esempio, qual è la collocazione tipica dei primi piani in un film - la prima, la seconda o la terza inquadratura?) o il riferimento contestuale (i primi piani sono solitamente collocati dopo i campi lunghi?), consentono di raccogliere informazioni utili. Anche i percentili sono validi strumenti di misurazione del numero di variabili contenute in un testo ad intervalli regolari. A titolo esemplificativo, si conta il numero di variabili (es., i primi piani) rilevate in un film ad ogni 5 per cento, per scoprire se le variabili sono distribuite in maniera omogenea, o se invece risultano concentrate in un determinato punto del film. Una delle prove più interessanti tuttavia consiste nello stabilire una correla­ zione fra le variabili. Per esempio, qual è la correlazione fra la lunghezza della ripresa e la scala dei piani di ripresa? Ci si attenderebbe una qualche corre­ lazione, giacché i primi piani fanno solitamente una breve comparsa, mentre un campo lunghissimo è generalmente di più lunga durata. Ma è possibile appurare l’esistenza di una correlazione anche fra un qualunque tipo di varia­ bile - per esempio, fra movimento di macchina e lunghezza della ripresa, o fra

movimento di macchina e scala dei piani di ripresa.

3.6.

Analisi stilistica dello stile: // paziente inglese

I cinque parametri dell'inquadratura applicati ai primi 30 minuti de II paziente inglese, ossia lunghezza della ripresa, scala dei piani di ripresa, mo­ vimento di macchina, orientamento e angolazione della macchina da presa, hanno permesso di rilevare una serie di dati. Ai fini del confronto, gli stessi dati sono stati estrapolati dai primi 30 minuti di Jurassic Park. Barry Salt sostiene che ai fini dell'analisi 30 minuti sono un campione rappresentativo. Per verificare tale ipotesi si confronteranno i risultati dell'analisi statistica dei primi 30 minuti di Jurassic Park con l’analisi statistica dello stile di tutto il film. I test statistici applicati in questa sezione ai dati raccolti rappresentano i test di base del software SPSS: calcolo della frequenza delle variabili (es., conteggio), rappresentazione delle ripetizioni come percentuali, calcolo del mean, della deviazione standard e dcllasimmetria dei risultati. I primi 30 minuti de II paziente inglese (fino al momento in cui Cara­ vaggio si presenta a Hana e si reca insieme a lei nella cucina del monastero), includono 356 inquadrature. 1 valori principali relativi alla lunghezza della ripresa sono illustrati nella Tabella 3.1 (a pag. 139). La prima colonna indica i valori relativi alla lunghezza della ripresa (1 secondo, 2 secondi e così via); la seconda colonna illustra la frequenza con cui la lunghezza della ripresa compare nei primi 30 minuti de II paziente inglese (inquadrature da 1 secondo compaiono 41 volte, inquadrature da 2 secondi 84 volte); mentre la terza colonna indica la percentuale di inqua­ drature con ciascun valore (le inquadrature da 1 secondo rappresentano 1'11,5 per cento di tutte le inquadrature del campione considerato, mentre quelle della durata di 2 secondi costituiscono il 23,6 per cento di tutte le inquadrature del campione). La Tavola 3.1 indica soltanto le inquadrature che durano da 1 a 10 se­ condi. Sono anche compresi valori aggiuntivi della durata massima di 129 secondi (sequenza dei titoli di testa); tuttavia, la frequenza della lunghezza delle riprese sopra i 10 secondi è di solito minima - uno o due esempi sol­ tanto. Inquadrature della durata di 1-10 secondi costituiscono il 92 per cento di tutte le inquadrature incluse nel campione analizzato. La Tavola 3.2 indica che il mean o valore medio della lunghezza dell’in­ quadratura di questo campione è 5,1. In altre parole, la lunghezza media della ripresa del film è di 5 secondi (con in media, uno stacco ogni 5 se­ condi). 11 valore della deviazione standard della lunghezza della ripresa è 8,

ed indica un’ampia dispersione di valori intorno al mean, mentre l’asim­ metria dei valori è 10,97, il che suggerisce un’asimmetria di valori molto positiva, che privilegia i valori collocati sotto al mean. Ciò significa che molte inquadrature rientrano nella gamma di valori temporali che vanno da 1 a 4 secondi. Le informazioni si possono anche rappresentare visiva­ mente (Fig. 3.1, pag. 137). Il valore di queste informazioni può non risultare immediatamente palese e l’analisi comparativa è un metodo privilegiato di comprensione. I primi 30 minuti di Jurassic Park (fino al punto in cui Grant, Sattler, Mal­ colm e Gennaro vedono un uovo di dinosauro schiudersi in laboratorio) si compone di 252 inquadrature, contrariamente a II paziente inglese, che ne include 356, con una differenza di 104 riprese. Il paziente inglese contiene pertanto il 40 per cento in più di inquadrature rispetto a Jurassic Park, un risultato senz’altro sorprendente, poiché // paziente inglese è una mega produzione cinematografica di sapore intellettuale che imita l’estetica del cinema artistico, mentre Jurassic Park è un blockbuster dazione. Sono possibili molti altri paragoni. 1 valori di Jurassic Park relativi alla lunghezza della ripresa sono illustrati nelle Tabelle 3.3 e 3.4 (a pag. 140). La lunghezza delle riprese da I a 10 secondi rappresenta solo 1’80 per cento di tutte le inquadrature contenute nel campione considerato e suggerisce che il film di Spielberg possiede una varietà più ampia di lunghezze di ripresa. Ciò si riflette nel valore asimmetrico di 2,68 (il valore medio è di 7 secondi, mentre la deviazione standard è 6,69). Mentre il valore asim­ metrico de II paziente inglese è 10,97, in Jurassic Park è soltanto 2,68, ossia, i valori legati alla lunghezza della ripresa sono distribuiti intorno ad un valore medio di 7. Permane ancora una preferenza per i valori inferiori (al mean o valore medio), preferenza che è ben più trascurabile rispetto a // paziente inglese. Questi dati sono anche visivamente rappresentabili (vedi la Fig. 3.2 pag. 137). Le discrepanze relative ai valori della lunghezza di ripresa si prestano ad ulteriori approfondimenti. Ne II paziente inglese, il 52 per cento delle inquadrature copre una durata temporale da 1 a 3 secondi. In Jurassic Park, solo il 35 per cento delle inquadrature rientra in que­ sta estensione temporale. Vanno inclusi i valori compresi fino a 5 secondi, prima che Jurassic Park raggiunga la stessa percentuale (le inquadrature da 1 a 5 secondi costituiscono il 54 per cento della totalità del film). Tuttavia, l’osservazione dei grafici a barra indica uno schema analogo: un valore basso corrispondente a 1 secondo sale a 2 secondi per poi abbassarsi gra­ dualmente a 3 e 4 secondi.

fig- 3*1' ^l,,1gl1ezz3 della ripresa per i primi 30 minuti de II paziente inglese

Fig-

l-ungl1czza della ripresa per i primi 30 minuti di Jurassic Park

I ig. 3.3. Distribuzione della scala dei piani di ripresa in Jurassic Park (film in­ tero) (p.p.p. = primissimo piano; p.p. = primo piano; m.p. = mezzo primo piano; p.a. = piano americano; c.m. = campo medio; c.l. = campo lungo; di = campo lun­ ghissimo)

Inoltre, né la lunghezza della ripresa sopra i 4 secondi ne // paziente in­ glese» né quella sopra i 6 in Jurassic Park costituiscono più del 10 per cento dei valori totali. I risultati richiederanno un’indagine maggiormente approfon­ dita, a prescindere dalla loro appartenenza a schemi solamente condivisi da II paziente inglese e Jurassic Park, o dal fatto che siano più o meno caratteristici della lavorazione fìlmica, o un’anomalia. Le prove sopraccitate sono solo un piccolo esempio di ciò che è effettiva­ mente possibile realizzare attraverso l'analisi statistica dello stile e sono anche applicabili ai risultati ottenuti dagli altri quattro parametri dell’inquadratura. Giacché un’analisi di questo genere allungherebbe ulteriormente il presente capitolo, ci si limiterà a considerare il movimento di macchina e la scala dei piani di ripresa. Con i dati raccolti sul movimento di macchina, è possibile verificare l’affermazione di John Seale, il quale evita di muovere la macchina da presa sempre che non sia assolutamente necessario (vedi Tabella 3.5). La macchina da presa fissa è di gran lunga il valore più comune (1’85% di tutte le inquadrature), dove solo il 15 per cento delle inquadrature contiene il movimento di macchina, il che sembra confermare làffcrmazione di John Scale, il quale propende per l’uso della macchina da presa fissa. Di contro, Jurassic Park contiene i valori illustrati nella Tabella 3.6. Tali risultati potrebbero sembrare sorprendenti, in particolare l’alta percentuale di inquadrature fisse contenute in un film dazione. I valori percentuali sono tuttavia significativamente diversi da quelli relativi a II paziente inglese, giacché Jurassic Park, rispetto a // paziente inglese, contiene 1’11 per cento in più di inquadrature in cui sia la Mdp che il soggetto sono in movimento. In ultima analisi, la distribuzione della lunghezza delle riprese in entrambi i film concorda con quella che gli statistici chiamano ‘distribuzione normale’, che prevede il posizionamento dei valori più alti nel mezzo (il mean) e di quelli inferiori su entrambi i lati (vedi Fig. 3.3, pag 137). Il risultato di que­ ste distribuzioni normali è che la deviazione standard e i valori asimmetrici sono bassi. Entrambi i registi privilegiano l’utilizzo del mezzo primo piano (28 per cento in Jurassic Park, 33 per cento ne II paziente inglese) e del piano americano (21 per cento in Jurassic Park e 20 per cento ne // paziente inglese), benché Jurassic Park contenga solo la metà dei primi piani de II paziente in­ glese (9 per cento in Jurassic Park e 18 per cento ne II paziente inglese). Jurassic Park compensa il divario con un numero di campi lunghi tre volte superiore a quelli contenuti ne II paziente inglese. In breve, // paziente inglese contiene una gamma di lunghezze di ripresa della durata media di 5 secondi, fortemente orientate all’uso di inquadrature della durata di 1-3 secondi, ed una percentuale molto alta di inquadrature fisse. Jurassic Park presenta una distribuzione di lunghezze di ripresa più vasta della durata media di 7 secondi, con una preferenza (non così spic­ cata come ne II paziente inglese) per le inquadrature caratterizzate da valori

Tabella 3.1. Frequenza e percentuale di riprese incluse nei primi 30 minuti de Il paziente inglese

Lunghezza della ripresa (secondi)

Frequenza

1

41

11.5

2

84

23.6

3

61

17.1

4

46

12.9

5

28

7.9

6

28

7.9

7

14

3.9

8

12

3.4

9

6

1.7

10

6

1.7

inferiori c da una percentuale leggermente maggiore di movimenti di macchina. Il settantun per cento delle inquadrature incluse ne // paziente inglese sono a livello degli occhi, paragonate all’81 per cento in Jurassic Park. Inol­ tre, il 7 per cento di inquadrature de II paziente inglese sono inquadrature dal basso, a fronte dell’l 1,5 per cento di inquadrature analoghe contenute in Jurassic Park. Tale somiglianza è sorprendente, giacché Spielberg è noto per l’utilizzo delle inquadrature dal basso. I valori della scala dei piani di ripresa risultano maggiormente ’stabili’ in entrambi i film e corrispondono alla distribuzione di valori conforme alla media.

Tabella 3.2. Mean, deviazione standard e asimmetria della lunghezza della ri­ presa nei primi 30 minuti de II paziente inglese

Numero di inquadrature

356

Mean

5.1

Deviazione standard

8

Asimmetria

10.9

Errore standard di asimmetria

0.129

labella 3.3. Frequenza e percentuale di riprese incluse nei primi 30 minuti di Jurassic Park

Lunghezza della ripresa (secondi)

Frequenza

%

1

20

7.9

2

40

15.9

3

29

11.5

4

22

8.7

5

24

9.5

6

28

11.1

7

11

4.4

8

13

5.2

9

7

2.8

10

8

3.2

Tabella 3.4. Mean, deviazione standard e asimmetria della lunghezza della ri­ presa nei primi 30 minuti di Jurassic Park

Numero di inquadrature

252

Mean

7

Deviazione standard

6.69

Asimmetrìa

2.68

Errore standard di asimmetria

0.153

Va indagata in ultima analisi [affidabilità di fondo dei suddetti risultati - vale a dire se e quanto i primi 30 minuti di un film possano dirsi rappre­ sentativi. Ci si limiterà in questa sede a rilevare le somiglianze e le differenze principali fra l’analisi statistica dello stile applicata ai primi 30 minuti di Jurassic Park e l'analisi del film nella sua interezza. (Il primo dei due numeri illustrati si riferisce sempre al campione considerato della lunghezza di 30 minuti, mentre il secondo concerne il film intero). Si considererà in primo luogo la lunghezza della ripresa. Il mean relativo ai primi 30 minuti è di 7 secondi (252 inquadrature divise per 1.800 secondi), mentre quello relativo al film intero è di 6 secondi (1.145 inquadrature divise per 6.870 secondi), il che indica che la percentuale di stacchi aumenta durante lo svolgimento del film.

Tabella 3.5. Valori del movimento di macchina nei primi 30 minuti de it ptìziente inglese

Frequenza

________%_______

jMdp fissa

302

84.8

Panoramica

31

8.7

Carrellata

22

6.2

1

0.3

Gru

Tabella 3.6. Valori del movimento di macchina nei primi 30 mi nuli di /untare Parfc

Frequenza

%

Mdp fissa

187

74.2

Panoramica

33

13.1

Carrellata

26

10.3

Gru

4

1.6

Panoramica e carrellata

2

0.8

Questo aumento non è insolito per un film dazione caratterizzato da un finale mozzafiato, ma ciò che sorprende è l'esiguità di tale aumento. La deviazione standard rimane stabile fra i due campioni considerati, mentre l'asimmetria cresce da 2,68 a 3,58» con una preferenza per inquadrature di lunghezza ridotta in tutto il film. In effetti, la percentuale dì riprese della lunghezza di un I secondo rappresenta 1'8 per cento delle inquadrature airinierno del campione di 30 minuti considerato» mentre costituiscono il 14»5 per cento di tutto il film. Anche gii altri valori minori relativi alla lun­ ghezza della ripresa aumentano leggermente in tutto il film. Mentre, come si è detto» il 54 per cento delle inquadrature contenute nel campione di 30 minuti vada 1 a 5 secondi» in tutto il film il 54 percento delle inquadrature dura da 1 a 4 secondi, in altre parole, le inquadrature della durata da l a 5 secondi contenute nel film costituiscono il 63 per cento di tutte le inqua­ drature (di contro al 54 per cento del campione di 30 minuti). La scala dei piani di ripresa rimane pressoché identica in entrambi i campioni conside­ rati, così come il movimento di macchina (inaspettatamente, il numero di inquadrature fisse diminuisce solo dell1! per cento rispetto al 73 per cento di quelle contenute in lutto il film, nonostante aumentino le scene dazione). La percentuale di inquadrature dal basso tende quasi a raddoppiare quando si considera il film intero - dall' 11,5 per cento al 21 per cento. Le informazioni prodotte dal software SPSS sono semplice materia prima

da sfruttare per elaborare una trattazione dello stile de li paziente inglese c per confrontare lo stile del film con quello di altri film. tanalisi sopraccitata contiene solo una bassa percentuale di dati, e i test applicati ai modelli stili­ stici rintracciabili nel film sono anche meno. La differenza fondamentale fra questa analisi e l'analisi della mise-en-scène convenzionale è che l’analisi sta­ tistica dello stile è più sistematica e rigorosa, oltre che maggiormente mirata, dacché analizza esclusivamente i parametri dell’inquadratura. La lettura dei risultati di un’analisi statistica dello stile obbliga a considerare che il compu­ ter e la statistica sono meri strumenti atti al raggiungimento di un fine, ossia applicabili all’analisi dei dati stilistici, per permettere di quantificare lo stile e rendere più semplice l’individuazione dei modelli fondamentali.

Dalla critica tematica all’analisi decostruzionista (Chinatown)

Introduzione La visione di un film suscita generalmente degli interrogativi nel pubblico cinematografico: Che cosa significa questo film? Cosa tenta di comunicarci? Significa qualcosa o è semplicemente una forma di intrattenimento innocuo che possiede la consistenza dei popcorn e delle bevande gassale consumati durante la proiezione del film? A livello informale, queste domande rappre­ sentano il tentativo di identificare il 'tema' (termine mutuato dalla critica letteraria) del film. Quale che sia il testo di riferimento - romanzo, poesia o film - il tema allude alla sostanza del testo, all’idea guida che lo sottende, all'argomento trattato. Benché solitamente implicito o indiretto, genera di­ scussioni animate che vedono gli spettatori impegnati a estrapolare il tema implicito del film. 1 motivi di dissenso tendono a profilarsi laddove alcuni spettatori associano e riconducono determinati elementi del film a un’idea generale, mentre altri, pur privilegiando gli stessi elementi, li rimandano a idee generali diverse, oppure non concordano sulla scelta degli elementi da considerare degni di nota e stilano una lista personale. Questo genere di approccio, trattato nella prima metà del presente capitolo, è anche tipico della critica tematica, che verrà esaminata attraverso il riassunto di due ana­ lisi tematiche dei film di Roman Polanski e lo studio dei temi presenti in Chinatown (1974). La seconda parte del capitolo ripercorre Chinatown attraverso l’analisi decostruzionista e indaga le premesse fondamentali della teoria dell’tndew, che presenta molte analogie con la critica tematica, in particolare, la pre-

fetenza per i testi coerenti e coesi. Di contro, il decostruzionismo privi­ legia l’eccesso, il rinvio, la dispersione, il differimento, la contraddizione, l’indecidibilità, la semiosi illimitata e l’integrazione, ossia gli elementi di un testo che sfuggono alla coesione. Come tutte le teorie, anche la tematica e rauteurisme offrono una prospettiva parziale, nella fattispecie perché si con­ centrano sulle caratteristiche unificanti di un testo a discapito degli elementi che sfuggono alla coesione.

4.1.

Critica tematica: la teoria

(inalisi tematica di un’opera cinematografica contiene tre elementi di base: (1) l’individuazione di un tema generale all’interno di un film; (2) le regole che governano la relazione fra il generale e il particolare; (3) la natura delle categorie generali.

4.1.1.

Individuazione di un tema generale

L’interpretazione tematica di un film comporta l'individuazione del suo significato, che collega c riconduce i vari elementi del film a una struttura coesa. Roland Barthes sostiene che: ’La forza del significato dipende dal suo grado di sistematizzazione: il significato più pregnante appartiene a un sistema che accoglie il maggiore numero di clementi possibili e che sembra abbracciare qualsiasi aspetto degno di nota all’interno dell’universo seman­ tico’ (Culler 1975). Ciò comporta l’associazione di un determinato film a una serie di categorie generiche di comprensione. limalisi tematica ’riduce’ pertanto i film ad un gruppo di significati astratti. La validità di un simile procedimento dipende dalle ‘regole’ che il critico utilizza per spostarsi dal particolare al generale, e dal fatto che le categorie e i significati generali e astratti possano o meno risultare rilevanti ai fini della comprensione del significato di un film. Quando i critici sostengono di aver individuato il significato di un film, affermano di averne identificato ed esplicitato i temi o i significati impliciti. La critica tematica parte dalla natura particolare di un film, per poi as­ sociarla ad una serie di categorie generali e fondamentali. Risulta pertanto simile all’analisi simbolica, che interpreta l’opera cinematografica nel conte­ sto di valori umani generici e non in base a criteri intrinseci.

4.1.2.

Regole che governano la relazione fra il particolare e il generale

In che modo la critica tematica riesce a giustificare il passaggio dal parti­ colare al generale? Ossia, in che modo applica valori generici a film specifici? Uno dei problemi dei significati tematici riguarda il loro carattere implicito: i temi non sono immediatamente visibili’ o palesi’, giacche vanno dedotti o generati dal film. In altre parole, il tema non è una caratteristica semantica’ ma ‘pragmatica’ della cinematografia. Se da un canto gli esperti di semantica sostengono che i significati sono nascosti nei messaggi, i pragmatici sono del parere che vadano dedotti o prodotti dal ricevente, dato che il messaggio non è portatore di significato, ma si limita a offrire degli indizi in base ai quali elaborare i significati. Se il ricevente non possiede la capacità di dedurre il si­ gnificato del messaggio ricevuto, quest'ultimo risulterà ai suoi occhi privo di qualsiasi significato. Il procedimento deduttivo o la capacità di produrre si­ gnificato sono più complessi delle spiegazioni fornite in questa sede, e hanno a che fare con livelli multipli di significato. Se le azioni che si concatenano in un film come L'invasione degli ultracorpi (Don Siegei, 1956) risultano di facile comprensione, è possibile che lo spettatore non abbia la capacità di intuire il messaggio riguardo alla società occidentale degli anni ’50 che il film sta indirettamente cercando di trasmettergli. Meno ovvio è il significato, più si richiede abilità affinché esso venga prodotto. La critica tematica esamina le produzioni cinematografiche in maniera trasversale, allo scopo di individuare i messaggi indirettamente trasmessi. Ma la natura implicita dei significati indiretti alimenta il dibattito e la controver­ sia. Ciò risulta evidente nel modo in cui il tema de L’invasione degli ultracorpi è stato variamente interpretato dalla critica. Il film parla degli abitanti di una cittadina della California invasa da esseri spaziali che si replicano da enormi baccelli e copiano perfettamente gli abitanti, ai quali si sostituiscono, ma con una differenza fondamentale: non provano emozioni o empatia. Il tema del film si fa portatore di un messaggio indirettamente riferito al clima politico della Guerra Fredda - periodo durante il quale fu girato - c sembra comu­ nicare che i comunisti mancano di umanità, benché apparentemente uguali agli altri esseri umani. Il film rappresenta indirettamente i risultati prodotti da una possibile invasione comunista e dallasscrvimento degli americani a tale ideologia, illustrando le conseguenze di un ipotetico lavaggio del cervello ad opera del comuniSmo stesso, che trasforma gli individui in automi privi di emozioni, passivamente piegati ai regime totalitario. Il film però si presta anche a una lettura inversa, in quanto critica di un at­ teggiamento di placida accondiscendenza nei confronti dell’ideologia propu­ gnata dal governo americano contro la minaccia del comuniSmo. L’ideologia americana (come del resto qualsiasi altra ideologia) impose dei condiziona-

inenti al modo di vivere dei cittadini, fomentando un senso di isteria diffusa di fronte ad una invasione imminente dellAmerica da parte dei sovietici, appoggiati da presunti militanti del Partito Comunista in terra d'America. Incoraggiò altresì gli americani a snidare i comunisti (gli ‘alieni’), che erano considerati una minaccia per la sicurezza nazionale. Un altro esempio di analisi tematica contrapposta emerge dalle pagine di un articolo pubblicato nel 1955 in Sight & Sound, riguardante la sequenza finale di Fronte del porto (Elia Kazan, 1955). Il film segue la metamorfosi mo­ rale del protagonista, Terry Mallory (Marion Brando), scaricatore di porto coinvolto nelle attività criminali di una banda di malviventi che gestisce il sindacato dei portuali. Terry si ribella alla banda, perde il lavoro, e deve fare i conti con l’ostilità dei lavoratori portuali. Nella sequenza finale, il protago­ nista si scontra con il funzionario sindacale corrotto, Johnny Friendly, riesce ad avere la meglio su di lui e, benché malmenato, ottiene l’appoggio degli altri lavoratori, riconquistando il posto di lavoro. Lindsay Anderson si propone di individuare le intenzioni e le motivazioni che spingono Terry Mallory all’azione, e i principi per i quali si batte (Anderson 1955). Così come avviene per la stragrande maggioranza dei personaggi cinematografici, le azioni di Terry sono esplicite, mentre le ragioni del suo comportamento rimangono implicite. Anderson approda alla conclusione che siano difficili da indivi­ duare nella sequenza finale del film e tenta di identificare il tema dell’ultima sequenza, prendendo in esame le azioni degli altri personaggi - in particolare Padre Barry, Edie e i lavoratori portuali. Anderson offre una lettura simbolica del comportamento di Padre Barry e di Edie (le azioni di Padre Barry non sono dettate da una volontà personale, ma rappresentano la Chiesa Cattolica, mentre Patteggiamento di Edie è quello di ‘una madre spartana’). Secondo Anderson, le parole e le azioni dei lavoratori portuali sono indicative della loro debolezza e incapacità di autogestirsi e della necessità di un capo che li guidi, e arriva a concludere che Terry diventerà il loro nuovo capo dopo aver eliminato Friendly, il funzionario sindacale corrotto: ’Lèlaborazione di que­ sta sequenza mi sembra implicitamente (quand’anche inconsapevolmente) fascista’ (1955), giacché il finale non è in alcun modo interpretabile come momento di affrancamento per i lavoratori portuali. Al contrario, Anderson sostiene che il finale esprima il tema della disperazione, o implicitamente, quello del disprezzo per l’argomento trattato. Robert Hughes (1955) difende il film, sostenendo che la sequenza fi­ nale illustra temi diversi da quelli proposti da Anderson. Alla fine del film, Terry si ritrova a vivere in una terra di nessuno, fra la banda di malviventi e i lavoratori portuali. La sua posizione va specificata affinché il finale possa compiersi. Le ultime scene del film ritraggono le fasi decisive della trasforma­ zione morale di Terry e la presa di coscienza di tale trasformazione da parte degli altri lavoratori portuali, il cui sostegno nei confronti dei protagonista

noi) è indice dì debolezza, bensì di detenni nazione, che deriva loro dall aver compreso che Friendly, sconfitto da uno di loro, non ha più alcun potere sui lavoratori. Benché entrambi impegnati ad analizzare la stessa scena, con gli stessi personaggi, azioni e dialoghi, Anderson e Hughes identificano temi diversi o significati impliciti. In una recensione di Rosemary ■; fin by (Roman Polanski, 1968), Andrew Sarris esamina la natura implicita dei temi contenuti nel film e sostiene che le qualità di una buona trama sono La semplicità e il trattamento trasversale degli elementi essenziali! ftosemdrys B«by è brevemente ri assumibile in una frase: il film parla della vicenda della moglie di un attore consegnata al diavolo e ai suoi seguaci dal marito ambizioso, con l'intento di farle partorire il tiglio del diavolo, il fascino di questa vicenda è che cela il vero soggetto del film. A livello superficiale, fiowmniyì Baby sembra semplicemente il rovesciamento deirimniacolata concezione1 (1970). Sarris va al di là del significato super­ ficiale per identificare due temi: ‘due paure universali percorrono il film, la paura della gestazione, che consuma la personalità, e la paura di generare figli deformi, con tutte le complicazioni morali ed emotive che ciò comporta! Sarris sostiene che sarebbe insostenibile la visione di un film che opera un ritratto così diretto di queste fobie, mentre un approccio indiretto conferisce forza al film e ne rende sostenibile la visione. Analogamente, i valori umani sono fra gli argomenti maggiormente trattati dai film e dai romanzi.

4.1.3.

La natura delle categorie generiche

La critica tematica non è un esercizio arbitrario di analisi cinemato­ grafica basala sui parametri di valutazione estemporanei di un critico, ma riconduce i film e altre forme di comunicazione ad un insieme ristretto di valori di base universalmente condivisi da tutto il genere umano. Secondo Jonathan Culler, la critica tematica comporta l'analisi del testo come espres­ si one di un atteggiamento significativo nei confronti di un problema parti­ colare direttamente attinente agli uomini e/o al loro rapporto con Tu ni verso' (Culler 1975). 1 valori umani universali offrono pertanto un punto d'appog­ gio per la critica tematica; ‘le esperienze umane primarie sono punti termi di matrice convenzionale per il processo di interpretazione simbolica o tema­ tica! Analogamente, Barbara Smith sostiene che ‘le allusioni ai luoghi ‘natu­ rali’ di arresto riferiti alla nostra esistenza e alle esperienze personali - come il sonno, la morte, Tinvemo - tendono a conferire forza conclusiva’10 (Culler 1975). Barthes considera il corpo come fulcro dei significati simbolici (da lui

10 Interpretare i film in base a una scala di valori umani universali significa ridurre il testo a una gamma ristretta di alternative, anziché aprirlo a significati illi­ mitati.

trattati nel ‘codice simbolico’ di S/Z; vedi Capitolo 5)» mentre Todorov parla del rapporto dell’individuo con il mondo o con se stesso (vedi Culler 1975). David Bordwell compila una lista dei valori principali a cui aderisce la cri­ tica tematica: ‘il significato di un film [per la critica tematica] spesso ruota intorno a problemi individuali (la sofferenza, l’identità, l’alienazione, l’ambi­ guità delle percezioni, i misteri comportamentali) o a dei valori (la libertà, le dottrine religiose, l’intuizione, la creatività, l’immaginazione)’ (1989). La critica tematica è tutto fuorché arbitraria, ed è spesso criticata perché riconduce testi notevolmente diversi fra loro allo stesso insieme di significati generici astratti. Ciononostante, il critico tematico potrebbe replicare che i significati generici astratti legati alla natura umana e attribuiti ai testi sono rilevanti, perché abbracciano una vasta gamma di esperienze e coinvolgono tutte le forme di comunicazione umana. Questa rappresenta una delle tesi più forti della critica tematica, dal momento che spiega perché si fanno i film (al di là delle motivazioni economiche) e perché milioni di spettatori sono in grado di comprenderli e gradirne la visione, spesso al di là di significative differenze religiose, culturali e politiche.

s

4.2. •











La critica tematica: il metodo

La critica tematica parte dall'analisi trasversale di un’opera cinematogra­ fica, per individuare i valori umani indirettamente trasmessi dal film. Prima di procedere all'identificazione dei temi di un film, è utile tenere presente quelli comunemente rintracciabili in tutte le forme di comuni­ cazione umana elencate da Bordwell (vedi paragrafo 4.1.3.). Occorre poi individuare i temi che il film in questione rende evidenti. A lai scopo, una valida strategia d’analisi è quella di esaminare il film scena dopo scena, per capire il contributo apportato da ciascuna di esse al significato generale dell’opera. In particolare, ci si deve chiedere: quali sono i temi che i personaggi manifestano attraverso le loro azioni? Vanno inquadrati i temi che dimostrano un andamento logico e coe­ rente dall’inizio alla fine del film. La coesione é un aspetto importante della crìtica tematica. Un problema ricorrente della critica tematica è il fatto che sia talmente riduttiva da ricondurre il film ad un insieme di significati astratti che rendono banale qualsiasi approccio critico (un commento del tipo que­ sto film parla della vita' non ha valore alcuno). L’individuazione dei temi di base di un film o delle opere di un regista e la loro relazione, reintro­ duce un carattere di specificità nel procedimento analitico, permettendo in tal modo di aggirare l’ostacolo. Parte della critica tematica si propone di delineare l’atteggiamento del

regista nei riguardi dei temi trattati nelle proprie produzioni cinemato­ grafiche, e verificare la capacità del regista di essere al contempo ‘dentro’ i personaggi e ‘commentarli’. Gli esperti di cinema si sono spesso appel­ lati a questa doppia prospettiva nel loro lavoro di indagine del rapporto fra la critica tematica, il genere e gli studi d’duteur, per evidenziare la dimensione ‘critica’ che gli autori conferiscono ai generi cinematogra­ fici ‘conformisti’ quali il melodramma familiare (Douglas Sirk e il ‘tri­ ste lieto fine’), o i film che raccontano storie di donne (Max Ophùls in Lettera da una sconosciuta o Nella morsa). Lo stesso dicasi dei livelli di ‘intuizione (vedi sotto) o della doppia iscrizione dello spettatore ‘in­ genuo’ o ‘sofisticato’, in relazione alla distinzione fra la cinematografia hollywoodiana ‘classica’ e ‘post-classica’.

4.3.

La critica tematica: Panatisi (Roman Polanski)

Un'analisi tematica dei film di Roman Polanski sostiene che: ‘i lavori di Polanski si potrebbero considerare come il tentativo di tracciare la relazione precisa che si instaura fra l’instabilità del mondo contemporaneo e la ten­ denza alla violenza con la crescente incapacità degli individui a superare il loro isolamento e ad identificare qualche significato o valore al di là di loro stessi’ (Telone e McCarty 1998). Un’analisi di questo tipo, benché generica, in ogni caso delinea piuttosto accuratamente i temi di Polanski e non si li­ mita semplicemente ad affermare che i suoi film contengono un conflitto fra ‘il mondo contemporaneo’ e ‘l’individuo’ (informazione di per sé piuttosto imprecisa), ma aggiunge dei dettagli a ciascuna categoria contraria - un mondo contemporaneo violento e instabile; individui isolati senza fede o credo, per i quali diventa gradualmente difficile superare la condizione di isolamento nella quale riversano o credere in qualcosa. Telotte e McCarty operano una descrizione dettagliata dei temi dell’in­ stabilità e dell’isolamento. Con riferimento a quest'ultimo, in molti film di Polanski la vicenda si snoda attorno a un solo personaggio o ad un numero ristretto di personaggi alienati dalla società. Alcuni esempi (aggiunti alla lista di Telotte e McCarty) includono: // coltello nell’acqua, Luna di fiele e Pirati, dove la barca isola i protagonisti dalla civiltà; Cul-de-Sac, dove la vi­ cenda dei personaggi si consuma all’interno di un castello; Rosemary’s Baby c L’inquilino del terzo piano, film nei quali l’abitazione separa gli individui dal resto del mondo; La morte e la fanciulla, che relega i tre personaggi protagonisti in una casa lontana dal resto del mondo; un medico americano in cerca della moglie rapita a Parigi (Frantic). Telotte e McCarty sostengono inoltre che: ‘Tutti i personaggi [di Polanski] cercano continuamente di rcla-

zionarsi agli altri esseri umani, benché in maniera maldestra, per affrancarsi dall’isolamento e da una condizione di alienazione’. Telotte e McCarty ana­ lizzano le azioni e lo stato psicologico dei personaggi, pratica comunemente adottata dalla critica tematica. Utilizzano anche ‘l'euristica commentaliva’ (vedi Capitolo 3) per rappresentare la desolazione che un paesaggio sterile ed inospitale occupa nella psicologia dei individui: la ‘geografìa dell’isolamento (nei film di Polanski] è spesso simbolicamente trasformata in una geografìa delle mente perseguitata dal dubbio, dalla paura, dai desideri, se non addirittura dalla pazzia’. Per quanto riguarda il secondo tema fondamentale delle opere cinema­ tografiche di Polanski, ovvero la violenza del mondo contemporaneo, Telotte e McCarty non lo riconducono soltanto al tema dell'isolamento, ma eviden­ ziano anche l’atteggiamento di Polanski verso di esso: ‘(Polanski] adotta un atteggiamento ironico e molto comico nei riguardi del problema per eccel­ lenza (oltre che inevitabile), dell’umanità - una violenza endemica ed una malvagità che non si esauriscono per quanto veementemente ci si opponga ad esse’. Gli individui vivono in uno stato di isolamento e lottano contro la violenza e la malvagità del mondo contemporaneo, pur alimentando ciò a cui si oppongono. Uno dei film più famosi di Roman Polanski, Rosemary’s Baby, riassume un tema cosi complesso: ÌJevento di base di Rosemary's Baby - Rosemary porta in grembo il figlio del diavolo, figlio che teme ma che al­ leva proprio in virtù dell’amore naturale che una madre nutre per il proprio figlio - si potrebbe considerare un paradigma della concezione di Polanski del male e del suo operato nel mondo’. Virginia Wright Wexman nota l’influenza del teatro dell’assurdo e del sur­ realismo nei film di Polanski (Wexman 1979), dove la centralità dell’uomo in un universo privo di senso è un tema mutuato dal teatro dell’assurdo che, come spiega la Wexman, il regista elabora concentrando l’attenzione ‘sul trasferimento delle relazioni di potere, di solito precipitate dall’arrivo di un outsider all’interno del gruppo, che opera un rimescolamento forzato dello status e del prestigio sociale dei singoli’ (Wexman 1979). L’influenza de) teatro dell’assurdo nei film di Polanski è altresì rintracciabile nella vena fortemente pessimistica che li pervade. 1 film sono popolati da sfruttatori e aguzzini cinici e crudeli c da vittime compiacenti, oltre a essere caratterizzati da trame circolari, tanto che ‘alla fine del film, la condizione dei personaggi non è migliorata rispetto a quella iniziale’ (Wexman 1979). L’influenza del Surrealismo risulta particolarmente evidente nell’attenzione per i compor­ tamenti devianti e le manie di persecuzione. In ultima analisi, la Wexman non sostiene che Polanski adotta un atteggiamento ironico o comico nei confronti dei temi trattati, ma che il regista rifiuta di consentire al pubblico di provare per i personaggi quello che i personaggi sono incapaci di provare gli uni per gli altri’

4.3.

L Analisi tematica dì CA/natown

[l presente paragrafò analizza il modo in cui C/unafoHTt elabora i valori del protagonista, Jake Gittes (interpretalo da Jack Nicholson)» dopodiché prenderà in con siderazione due dei temi generali del film. Nulla scena d'apertura, l’investigatore privato Jake Gittes, specializzalo in questioni matrimoniali, consegna a un cliente di estrazione operaia di nome Curly, le foto della moglie colta in flagrante con un altro uomo. Tratteggia­ mento rilassato di Jake contrasta con l'ira di Curly Jake ha la situazione sotto controllo: olire da bere a Curly, fuma in sua presenza e gli dice che non dovrà corrispondergli limerò compenso. Nella seconda scena, Jake si rivolge in maniera formale e cortese ad una nuova cliente che si fa chiamare ’Evelyn Mulwray' moglie di Hollis Mulwray, alto funzionario del dipartimento idrico. (Si tratta in realtà di Eda Sessions, personaggio che si finge Evelyn Mulwray). Evelyn Mulwray é il contrario del precedente cliente di Jake: è una donna ricca, appartenente all'alta borghesia, sicura di sé e calcolatrice. Benché diversa da Carly, la donna avanza richie­ ste analoghe: sospetta il marito di tradimento e vuole farlo pedinare. Jake si dimostra capace di trattare con la nuova cliente, affrontando con lei le stesse questioni, in particolare il compenso monetario (con una differenza: le fa notare i costi che un compito investigativo può comportare). La differenza fondamentale fra la prima e la seconda scena è che Jake fuina nella prima, mentre nella seconda è ‘Evelyn Mulwray1 a fumare. Al contrario di molti investigatori privati protagonisti di/ì/rn noir classici, Jake è un investigatore privato benestante, ambizioso c molto disinvolto con i dienti (e con chiunque in generale). Nella terza scena» Jake presenzia ad un’assemblea pubblica che prevede l’intervento di Hollis Mulwray. Il detective è intento a leggere un giornale sportivo, dei tutto disinteressato alle questioni politiche discusse (la difficile posizione geografica di Los Angeles, collocata fra il deserto e il mare, la scar­ sità di acqua potabile e la proposta di costruire una diga), e si limita ad alzare lo sguardo durante il discorso di Hollis Mulwray. Jake si rende partecipe agli eventi quando un allevatore lascia che il proprio gregge invada di propo­ sito l'assemblea (accusando Mulwray di corruzione). Questa scena stabilisce l’est raniamento volontario di Jake dai dibattiti politici contemporanei. A Jake interessa svolgere il proprio lavoro e risolvere i problemi matrimoniali dei dienti. Il detective continua a pedinare e a fotografare Mulwray nelle scene 4 e 7. Nell’ottava scena, ambientata in un negozio di barbiere» Jake ha un alterco con un broker, che critica la natura disonesta del lavoro del detective, il quale difende strenuamente loncstà del proprio operato. Il litigio sembra costituire il motivo principale della scena, oltre a rivelare che la relazione ext racon iu*

>5*

gale di Hollis Mulwray è finita sui giornali. Nella scena 11, Jake va a trovare la vera signora Mulwray, e le parla del proprio lavoro. Gorgoglio e il lavoro di Jake sono stati intaccati, ed è deciso a scoprire chi abbia interesse ad ingan­ nare lui e i Mulwray e a spacciarsi per la signora Mulwray. Le motivazioni che lo spingono pertanto ad indagare sono di natura principalmente personale. I temi fondamentali del film emergono già dalle poche scene citate. I.e prime due pongono l’accento sul tema delle relazioni illecite ed extraconiu­ gali. Alla fine del film appare chiaro che questo è uno dei temi dominanti e ricorrenti di Chinatown, che in ultima analisi verte sulla relazione incestuosa fra Evelyn Mulwray e il padre, Noah Cross, e su quella fra Hollis Mulwray e la figliastra Catherine. Se ci si interroga sulla ‘sostanza’ o ‘idea principale’ del film, una possibile risposta potrebbe essere la violazione di una legge fondamentale, il tabù dell’incesto, che fissa il ruolo degli individui all’interno delle società umane. Le relazioni familiari definiscono il concetto di identità, pertanto la centralità delle relazioni umane in Chinatown sottolinea anche il tema fondamentale dell’identità e della sofferenza prodotta da relazioni illecite. Il primo tema è collegato a quello altrettanto importante della corru­ zione politica, introdotto alla fine della terza scena, dove un allevatore ac­ cusa Hollis Mulwray di corruzione. Jake ignora l'accusa, oltretutto falsa, dal momento che quello di Hollis è un atteggiamento di denuncia. Con l’assas­ sinio di Hollis il tema della corruzione assume contorni più chiari, allorché Jake avanza l'ipotesi che il marito di Evelyn sia stato assassinato a causa del suo atteggiamento di aperta denuncia. Jake prosegue l’indagine per scoprire chi abbia cercato di incastrarlo e cosa gli stia nascondendo Evelyn. Benché i suoi sospetti ricadano inizialmente sulla donna, l’investigatore scoprirà più avanti il ‘segreto’ di Evelyn, la cui figlia è il frutto di una relazione incestuosa con Noah Cross, padre di Evelyn. Quest’ultima suggerisce il possibile coin­ volgimento del padre in una vicenda di corruzione politica (e nella morte del marito). Soltanto alla fine del film Jake riesce a ricollegare il tema delle relazioni illecite e dell'identità con quello della corruzione politica, facendoli risalire a Noah Cross come unico responsabile. Parrebbe quindi lecito col­ legare entrambi i temi e sostenere che la ‘corruzione patriarcale’ all’interno della famiglia e in politica è il tema centrale di Chinatown. Chinatown contiene molti dei temi comunemente riscontrati nei film di Polanski. Il protagonista è un individuo isolato dalla società a causa del pro­ prio lavoro, ma non del tutto alienato come gli investigatori protagonisti dei film noir classici. Jake è comunque incapace di darsi dei valori che esulino dall’etica professionale; il motivo addotto dal detective a supporto dell’inda­ gine sulla morte di Mulwray è anzitutto di natura personale e la politica non sembra interessargli affatto. Il film ritrae un mondo violento, nel quale Jake è spesso in grave pericolo. Per di più, Cross in particolare ha le caratteristiche

dell’aguzzino cinico e spietato uso a pratiche trasgressive; la trama del film non arriva a una risoluzione, né si conclude con un lieto fine (Polanski ha riscritto il lieto fine di Robert Towne), ma evidenzia un andamento circolare, all’interno del quale la condizione dei personaggi non è migliorata rispetto alla situazione di partenza - al contrario, molti di loro si ritrovano in una condizione ben peggiore. Evelyn viene assassinata, Jake è ferito, rischia la licenza e perde la donna amata, mentre Catherine finisce nelle mani di Noah Cross, che sembra sfuggire alla cattura. Proprio a causa del finale, il film, inizialmente caratterizzato dall’arguzia e dall'abilità compiaciuta, si tinge di profondo pessimismo, e illustra il percorso di un personaggio presuntuoso, sicuro di sé e cinico, che scivola nella confusione morale e nell’inettitudine professionale.

4.3.2. La critica tematica e la teoria del Pat/tear Uno degli esempi tipici della critica tematica è la teoria dell’auteur, che fa risalire l’intenzionalità, il valore e il significato di un film ai regista, quale unica fonte ispiratrice. Inizialmente formulata a Parigi intorno ai Cahiers du cinema, fu successivamente ripresa dalla rivista Movie a Londra (vedi Capi­ tolo 3) e da Andrew Sarris a New York, che per un breve periodo pubblicò i “Cahiers du cinéma in English'9, mentre nel 1968 pubblicò The American Cinema: Directors and Directions (Sarris 1996), considerato la bibbia della teoria dell’tiuteur nel mondo di lingua inglese. Ciò che fece della teoria dell’auteur una dottrina radicale (una ’politica) durante gli anni ’50 in Francia e nei primi anni ’60 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, fu l’aver preso sul serio il cinema commerciale mainstream (e di conseguenza, un aspetto vitale della cultura popolare). I critici della te­ oria dell'auteur sfidano la tradizionale separazione fra le arti in cultura alta e cultura bassa, benché la vera provocazione sia da identificare nei criteri e nelle classificazioni dell’estetica tradizionale, che considera l'artista come entità creativa e concertante e sostiene l’idea di coerenza tematica e di conti­ nuità aH'intcrno dell’intero percorso artistico di un regista. In contrasto con le recensioni cinematografiche proprie della stampa quotidiana, i critici pro­ pugnatori della teoria dell’autewr hanno innalzato i generi e le produzioni cinematografiche dirette da Alfred Hitchcock, Howard Hawks, John Ford, Vincente Minnelli e altri ancora, al livello di espressione artistica, rivendi­ cando per questi registi (auteur) la qualifica di artisti di prima grandezza. Nel commentare l’influenza di Francois Truffaut sullo sviluppo dell’inter­ pretazione polemica del regista come auteur, Andrew Sarris osserva che: 'La maggior eresia di Truffaut [agli occhi della critica cinematografica tradizio-

naie] non è stata quella di nobilitare la regia come strumento creativo, ma di aver ascritto autorità ai registi hollywoodiani finora associati al cinema commerciale. Questo è stato il maggior contributo di Truffaut ai fermenti anti-establishment operanti in Inghilterra e in America (Sarris 1996). In particolare, i critici propugnatori della teoria dell’rtufeur hanno elevato un ristretto gruppo di registi hollywoodiani allo status di artisti classici ossia, artisti operanti all’interno delle istituzioni (nel caso specifico, gli studi di produzione hollywoodiani), ma nel rispetto delle convenzioni. Questa po­ sizione è in contrasto con il genere di regista che Truffaut e gli altri critici dei Cahiers du cinéma volevano diventare - e che effettivamente negli anni ’60 sono diventati: artisti romantici, il cui stile espressivo richiedeva la trasgres­ sione delle convenzioni e il tenersi fuori dal sistema istituzionale. Come si è visto, uno dei metodi privilegiati di identificazione delle qua­ lità che fanno di un regista un auteur (c non solo un metteur-en-scène o un regista vincolato da un contratto con uno studio cinematografico), è quello di dimostrare la coerenza e la ripetizione di determinati temi o idee in generi cinematografici diversi (per esempio, temi simili o complementari si ripetono nelle commedie, nei film western e dazione-avventura diretti da Hawks; la coesione di fondo dei musical e dei melodrammi di Minnelli), o nei film girati per diversi studi di produzione (Hitchcock per Selznick e la Universal; Preminger per la Twentieth Century Fox prima, e come produttore cinema­ tografico indipendente poi). Pertanto, l'analisi tematica delle opere cinema­ tografiche di un regista implica sempre la presenza di forze di contrappeso - in genere quelle esercitate dal produttore cinematografico e dallo studio di produzione, e solo occasionalmente dal genere cinematografico - contro le quali un regista-aufeurdoveva imporre il proprio stile per rimanere fedele a se stesso e alla propria ‘visione del mondo’. Applicata a Chinatown, la tesi dell’auteur indica che tanto la coerenza tematica quanto l’impronta stilistica del regista sono complicate dal fatto che la carriera di Polanski - nato a Parigi nel 1933 - prese l’avvio in Polonia negli anni '60, dove i condizionamenti di carattere economico e ideologico imposti ai registi erano diversi da quelli connessi all’industria cinematografica com­ merciale e mainstream. Polanski ha in parte proseguito la carriera di regista in Gran Bretagna, prima di trasferirsi a Hollywood c poi in Francia nel 1976, dove ha continuato a lavorare e a realizzare la maggior parte dei suoi film. In Polanski, le forze di contrappeso presumibilmente operanti all’interno del sistema hollywoodiano, e i mezzi stilistici e tematici dellauteur tramite i quali imporsi e contrastare tali forze, sono diversi da quelli che si ritiene abbiano negativamente o dialetticamente plasmato la carriera di un Sam Fuller o di un Nicholas Ray. D’altra parte, all’epoca di Chinatown, Polanski si era già cre­ ato una reputazione come regista molto particolare per via di un approccio anticonformista anche nei riguardi dei soggetti più convenzionali e per uno

spiccato orientamento esistenzialista che lo associava a generi cinematogra­ fici di vario genere, quali il film gotico’, espressionista, ‘noir’ e ‘horror’, spesso stravolti da Polanski con una sottile vena di umorismo nero e una comicità ai limiti dcllàssurdo. Il passaggio da una lingua all’altra (dal polacco all'in­ glese al francese) rappresenta la forza di contrappcso maggiormente evidente nella filmografia del regista, oltre alla sussistenza di condizioni di produzione diverse nei quattro paesi nei quali ha lavoralo, l-a situazione di Polanski è si­ mile agli auteur‘indipendenti’ appartenenti ad una generazione leggermente anteriore, quali Orson Welles o Joseph Losey, che si inserirono nel sistema di svariati settori cinematografici per poi staccarsene. Ma Polanski è anche paragonabile a una generazione di registi hollywoo­ diani apparentemente molto diversa, rappresentata da registi emigrati a Hol­ lywood negli anni '30 e '40, oppure obbligati dal clima politico del loro paese a rifugiarsi negli Stati Uniti, dove ebbero modo di proseguire la carriera ci­ nematografica. Tra essi si ricordano Hitchcock, Fritz Lang, Billy Wilder, Max Ophuls c Robert Siodmak, che si adattarono più o meno volontariamente al sistema hollywoodiano, costretti a confrontarsi con produttori invadenti (dal punto di vista dellautore-regista) e con studi cinematografici improntati alla rigidità (da una prospettiva europea), oltre ad adottare e personalizzare determinati generi convenzionali, trasformandoli o sovvertendone l’assetto (Hitchcock trasforma l'immagine dei personaggi femminili e il thriller; i re­ gisti tedeschi conferiscono tinte più cupe al ritratto ‘sociale’ della Weimar degli anni ’20; una vena altrettanto cupa pervade i film noir neo-espressio­ nisti degli anni ’40). Il percorso di Polanski non rientra nemmeno in questa categoria. Da un canto, lo si potrebbe considerare rifugiato politico fuggito dalla Polonia co­ munista, dove il disgelo post-staliniano degli anni '60 farà posto al perma­ frost socialista della Polonia governata dal generale Jaruzelski durante gli anni ’70. Dallàltro, il trasferimento di Polanski ad Hollywood obbedisce ad un percorso diverso, ossia quello del regista europeo di successo sedotto da proposte allettanti in terra d’America: in questo assomiglia più a Louis Malie, Jan Troll, Alan Parker, Philip Noyce, Ridley Scott, Paul Verhoeven, o Wolf­ gang Petersen - registi ‘importati’ a Hollywood dall’estero. Polanski diventa in effetti un rifugiato, ma all’inverso: fugge da Hollywood non per motivi politici, ma per sottrarsi all’accusa di corruzione di minorenne.

4.4.

La decostruzione: la teoria

La critica decostruzionista contempla la teoria e il metodo? Dopo tutto, i decostruzionisti disprezzano qualsiasi tentativo di sviluppare teorie generiche e sistematiche con l'ausilio di dottrine stabilite e metodi definibili e ripetibili.

Sostengono infatti che è impossibile imbrigliare i testi, essendo fondati sul paradosso e laporia. 1 testi eludono il controllo delle teorie, dei metodi e delle analisi totalizzanti che tentano di individuarne una volta per tutte il signifi­ cato o i temi in essi contenuti. L’impossibilità di totalizzare si apre tuttavia ad un’altra possibilità, ossia a ‘un’ermeneutica negativa’ che analizza i dettagli che tendono a superare o smantellare ipotesi di valore generico riferite all’ordine logico, al significato e all’intenzione del testo. Nell’analisi cinematografica, questo procedimento mette a fuoco i dettagli non narrativi che evidenziano in maniera trasversale un sistema di significati che contraddice i significati narrativi, li contrasta o interferisce con essi. La decostruzione non è pertanto una teoria, bensì una strategia che com­ porta la lettura attenta e scrupolosa dei testi, mette in risalto i dettagli discre­ panti o disgreganti, ed esamina i particolari marginali o le fioriture stilistiche secondarie che sfuggono al raziocinio. Non si tratta di un esercizio arbitrario ma specifico, che si può identificare e seguire, ma non semplicemente defi­ nire come procedimento.

4.5.

La decostruzione: il metodo

Come già precisato nel Capitolo I, lo scopo della teoria è di aiutare a fis­ sare dei principi metodologici generali di analisi testuale, benché secondo Abraham Kaplan, questo metodo rischi di condurre alla ‘competente incom­ petenza’ (1964). La soluzione proposta in tal sede è quella di insegnare agli studenti di cinematografia diverse teorie da applicare a contesti adatti, anziché limitare il campo dazione all'uso indiscriminato della medesima teoria. La soluzione proposta dai decostruzionisti è più radicale. Essi sostengono che tutti i suggerimenti teorici di carattere generico ostacolano la realizzazione di una lettura attenta, giacché limitano la prospettiva visiva dell’esperto, che cerca e trova soltanto ciò che desidera vedere. Decostruire significa ‘riguardare’ il testo e considerare gli dementi sfuggiti alla classificazione iniziale (in questo caso, all’analisi tematica e a quella dell’auteur). Jonathan Culler osserva che: quando si parla della struttura di un'opera letteraria, la si considera da una posizione di forza, partendo da nozioni relative al significato o agli effetti di una poesia, nel tentativo di individuare le strutture artefici di

quegli effetti. Si scartano le configurazioni o i modelli che non apportano

contributo alcuno. In altre parole, la comprensione intuitiva di una po­ esia funge da ‘fulcro* che governa la forma: rappresenta tanto un punto

di partenza - ciò che consente di individuare una struttura - quanto un principio limitante. (Culler 1975)

In che modo, allora, si inseriscono le anomalie, i capovolgimenti e le asimmetrie di Polanski come regista-rtu/eur nella valutazione della struttura di Chinatown qui operata, e i significati che si intende esaminare? Questa sezione del capitolo suggerisce due metodi 'decostruttivi’ da applicare alla critica dellaufeure alla critica tematica. Il primo si potrebbe definire 'poe­ tica della produzione, che esamina rivendicazioni di paternità in conflitto tra loro. In altre parole, prende alla lettera le forze di contrappeso, con le quali si confronta una lettura ispirata alla critica dell’auteur e a quella te­ matica. Il secondo metodo è chiamato ‘poetica della semiosi’, che esamina determinati elementi superficiali e dettagli stilistici del film, per valutarne la potenziale capacità di generare significato, senza doverli necessariamente integrare ad un tutto coerente, ma disperdendoli e disseminandoli, con Fin tento di 'contaminare' e rendere superflua qualsiasi rivendicazione a favore di un solo significato o di un'unica interpretazione autorevole e conclusiva. In altre parole, la poetica della semiosi considera letteralmente una delle premesse implicite della critica dell’auteur e della mise-en-scène, ossia il ri­ corso ai dettagli marginali o alle fioriture stilistiche secondarie per avvalo­ rare l’interpretazione di un intero film. Ciò che è stato spesso condannato come forma di expertise valutativa elitaria o snob, che interpreta i film sulla base di significati aggiuntivi caratterizzati da aspetti apparentemente banali e incoerenti (che hanno prodotto le recensioni ‘farneticanti’ e ‘aberranti’ di un Michel Mourlet o di un Fereydoun Hoveda), si può semplicemente considerare come il rovescio della medaglia semiotica. Di fatto, l’analisi dei significanti (la superficie verbale, visiva c uditiva) fa sì che la loro referenzialità risulti sempre molteplice, ambigua, instabile ed eccessiva. In linea di massima, il film si presta alla produzione di significati (semiosi) pres­ soché illimitati, a meno che non si decida di porre fine a tale processo, per esempio, attraverso l’applicazione delieuristica espressivista o commenta­ tiva mutuata dalla critica della mise-en-scène, o tramite la definizione di un insieme di significati suggeriti da uno o più schemi universali (paragrafo 4.1.3.). Pertanto, scegliere, come fecero i critici dei Cahiers, un'interpreta­ zione ‘perversa’, significa semplicemente ‘mettere in mostra il meccanismo’ stesso della chiusura. Alla fine del capitolo si citeranno alcuni esperti di cinema (quali, in par­ ticolare, David Rodowick, Tom Conley e Kaja Silverman), che con nomi diversi e per svariate ragioni, propugnano il ritorno ai metodi poetologici o alle tradizioni ermeneutiche in grado di generare una semiosi pressoché illimitata. La decostruzione stessa ci impedisce pertanto di tradurre la 'te­ oria' in ‘metodo’, se non attraverso il ritorno ad una versione della critica ‘tematica’ - per esempio, tramite l’individuazione di alcune traslazioni o tropi, quali i giochi di parole, la strategia degli opposti rovesciati, la doppia negazione che non genera un’affermazione, o il lapsus linguae che non can-



cella un’affermazione, ma la mette sous rature’. Ma rispetto a questo elenco, risulta maggiormente importante comprendere il principio che lo governa: la critica decostruzionista, più di qualsiasi altro metodo, permette al critico di partire praticamente da qualsiasi punto, sia dal testo che da fatti esterni, credenze e miti, purché il punto di partenza serva a generare delle diffe­ renze, intese come variazione percettibile o discrepanza, ma anche come ritardo o dilazione temporale. È ciò che ci si propone di dimostrare nella sezione successiva in relazione a questi due generi di poetica.

4.6.

La decostruzione: Panalisi

4.6.1. La poetica della produzione Un primo approccio decostruzionista nei confronti di Polanski come auteur di Chinatown, è quello di verificare le rivendicazioni del produttore Robert Evans, dello sceneggiatore Robert Towne e degli attori Jack Nichol­ son e John Muston, oltre che di Roman Polanski, al ruolo di iniziatore, forza dominante, fulcro creativo o fattore determinante del successo del film. Per esempio, in diversi manuali di sceneggiatura, così come per i maestri della sceneggiatura quali Robert McKee (1999), il testo di Chinatown scritto da Robert Towne è stato considerato esemplare per la struttura della trama classica hollywoodiana. L’apprezzamento per la struttura in 3 atti, per le sot­ tigliezze riscontrabili nell’introduzione alle vicende passate dei personaggi e per la raffinatezza dei doppi sensi contenuti nelle parti dialogate, raramente contiene una nota di merito per Polanski. Secondo un commentatore, negli ultimi venti anni, sette manuali di sceneggiatura su dieci hanno parlato di Chinatown. Una tipica valutazione del regista come colui che si limita sol­ tanto a 'portare alla luce l’essenza della storia’, è rintracciabile in The Tools of Screenwriting (1995), scritto da David Howard e Edward Mabley. Un fattore non trascurabile nella densa struttura del film è la recitazione del regista John Huston nel ruolo del patriarca Noah Cross. Agli inizi della carriera, Huston diresse il padre, Walter Huston (ne // tesoro della Sierra Madre), mentre il suo Freud: Passioni segrete è una sorta di anticipazione di forme diverse di mise-en-abime presenti in Chinatown (vedi Wollen, in Bergstrom 1999). Huston diresse il film La bibbio ( 1966), dove recitò (la voce di) Dio e il ruolo di Noè. Altrettanto rilevante è l’allusione a John Huston come regista del primo dei film noir moderni giallo-polizieschi, Il mistero del falco (film al quale Chinatown rende omaggio nelle scene d’apertura), tratto da un libro scritto da uno dei maestri del romanzo hard-boiled, Dashiell Hammett. In un film come Chinatown, che parla della fondazione e conti-

rotazione di una dinastia, John Huston recita il ruolo del patriarca, ruolo che a sua volta riecheggia l’appartenenza di Huston ad una dinastia perpetuata dalla figlia Anjelica, protagonista di alcuni suoi film. Ciò fa sì che fra Chi­ natown ed altri film quali II mistero del falco c II grande sonno (incentrato sul tema del travagliato rapporto padre-figlia spesso citato in Chinatown) si instauri una relazione per certi versi incestuosa. La scelta dell'attore per il ruolo di Noah Cross dimostra consapevolezza e conoscenza della storia del cinema e del carattere autoreferenziale c velatamente canzonatorio (ovvero la logica decostruzionista) del ‘Nuovo cinema hollywoodiano’, di cui China­ town divenne un esempio così eclatante. Chinatown rappresentò anche un punto di svolta nella carriera dell’attore maschile protagonista, Jack Nicholson, la cui presenza nel film fu deter­ minante per la capacità di attrazione che riuscì a esercitare su un pubblico eterogeneo, giovane, ma anche amante dei film d’essai, visto e considerato che il film era stato concepito per una produzione commerciale mainstream. Nicholson aveva raggiunto una certa (seppur modesta) notorietà con Easy Rider c altri film minori appartenenti al ‘Nuovo Cinema Hollywoodiano’, tuttavia, la fama acquisita con Chinatown gli garantì un sequel dal titolo II grande inganno (1990), sceneggiato da Robert Towne, prodotto da Evans e diretto non da Polanski, ma dallo stesso Nicholson. Il sequel non godette della stessa fortuna critica di Chinatown né raggiunse lo status di cult movie, il che, in retrospettiva, rivendicò la posizione di Polanski come ingrediente chiave del ‘successo’ sancito dalla collaborazione del 1974. Considerata da un altro punto di vista, questa collaborazione non si dimostrò altrettanto fortunata per i partecipanti, se, secondo quanto riferito da Andrew- Sarris, Polanski ebbe forti dissapori con Faye Dunaway, protagonista femminile del film, con Robert Towne riguardo al finale, e con Robert Evans, il quale, contrariamente al volere di Polanski, decise di sostituire i suoni aspri della colonna sonora originale, basata sull’utilizzo di strumenti musical a per­ cussione, con una partitura jazz più ‘romantica’ (Wexman 1979, citando Sarris). La tematica del film si potrebbe perciò considerare come il riflesso della sua complessa e difficile genesi. La rete di rapporti conflittuali di potere che confluì nella realizzazione di Chinatown, manifesta la possibilità di inter­ pretare il film non solo come storia ambientata in una Los Angeles in parte storica e in parte immaginaria, colta nella fase ‘eroica’ di espansione (e citata anche nel libro di Mike Davis, intitolato City of Quartz, che offre un quadro molto ben documentato di Los Angeles, ed altresì evocata dal personaggio di Hollis Mulwray, che richiama l’urbanista Mulholland). La corruzione, il conflitto erotico c politico, il gioco di alleanze, inganni e relazioni ince­ stuose, fanno di Chinatown una rappresentazione simbolica (‘allegorica’) del ‘Nuovo Cinema Hollywoodiano’ stesso, che segna il passaggio da una gene­

razione all’altra. ‘Chinatown', in quanto significante, rappresenta il mondo del cinema e della televisione, erede di un passato affascinante ora intorbi­ dito, pronto a ritornare e perseguitare il presente. Polanski, da cinico roman­ tico e outsider’ leggermente distaccato, sarebbe pertanto incline a definire ‘incestuosa’ la fusione di formule desunte dai romanzi gialli di HammettChandler e la riscrittura di scenari stile film noir inaugurati da Chinatown (a cui fecero seguito altri film prodotti nei primi anni ’80, quali Brivido caldo (Lawrence Kasdan, 1981) e li postino suona sempre due volte (Bob Rafelson, 1981, ancora con Nicholson) - riaffermando in tal modo il proprio status di auteur, in virtù della presenza del regista stesso ‘dentro’ il film c delle osser­ vazioni operate ‘dal di fuori’. Pertanto, sulla falsariga della critica dell’auteur, si tenderebbe in questa sede ad attribuire a Polanski una forma particolare di riflessività improntata all auto-critica, piuttosto che, ad esempio, a Robert Towne, autore della sceneggiatura di Chinatown che, come si è visto, è stata dichiarata ‘classica’, o a Robert Evans, il quale (oltre alla carriera di attore che negli anni ’50 lo vide recitare nel ruolo del produttore Irving Thalberg ne L'uomo dai mille volti, 1957) produsse per la Paramount molti film cosiddetti mainstream di autori-registi e registi commerciali, quali // maratoneta (John Schlesinger), Urban Cowboy (James Bridges), The Cotton Club (Francis Ford Coppola), Popeye - Braccio di ferro (Robert Altman), Sliver (Philip Noyce) e Jade (William Friedkin). A seconda del punto di vista, c comunque tenendo conto di queste dispute legate alla paternità del film, Chinatown si può considerare tanto come cinico riciclaggio di vecchi stereotipi cinematografici, quanto come ragguardevole reinvenzione della ‘vecchia Hollywood’, tramutata in ‘Nuova Hollywood’, e da alcuni ritenuta in grado di riscattare tanto i generi cinema­ tografici di serie B prima sottovalutati o scartati, quanto le serie televisive degli anni ’50, ricorrendo ad effetti speciali, tinte vivaci e star cinemato­ grafiche di prima grandezza. Il classico giallo era in bianco e nero; Richard Sylbert, direttore artistico di Polanski, ha saputo utilizzare una tavolozza di colori fatta di gialli e marroni (quella dei fiumi prosciugati e della boiserie scura degli uffici). Polanski opera al contempo un rovesciamento dei tratti distintivi della malvagità: omicidi e mutilazioni avvengono sia di giorno che di notte. Chinatown colma il divario fra generazioni diverse anche in relazione allo star system: riporta sulle scene il carisma di un veterano di Hollywood; la protagonista femminile è un’attrice (Faye Dunaway) salda­ mente ancorata a una versione antecedente della donna di potere (Bonnie & Clyde), che possiede il fascino della/èmmefatale degli anni '40, eternamente passiva e aggressiva al contempo; e ha il merito di lanciare un nuovo divo. A partire dalla metà degli anni ’70, Hollywood ha riconquistato un ruolo di prima grandezza, affrancandosi da 20 anni di crisi (durata dalla metà degli anni ‘50 alla metà degli anni ’70), in parte dovuta alla televisione, ma anche

accompagnala da un riallineamento della cultura cinematografica e della scuole di cinema. Benché non commercializzato quanto Lo squalo di Steven Spielberg (1975), Chinatown è ogni caso un ’prototipo” del remake tipico del cinema hollywoodiano degli anni ’80.

4.6.2. La poetica della semiosi (illimitata) Il secondo metodo considera l’attenzione dei critici della mise-en-scène per i dettagli marginali dello stile e la simbologia di superfìcie di un film. L’approccio decostruzionista applicato in questa sede all’interpretazione del film in oggetto, parte dalla predilezione manifestata dai critici della miseen-scène per gli aspetti evasivi e sottovalutati, allo scopo di valorizzare quei fattori che pur sfuggendo all’attenzione dello spettatore, sembrano nondi­ meno obbedire ad una certa logica. La prospettiva decostruzionista di David Rodowick e Tom Conley non riproduce passivamente i valori predominanti e indiscriminatamente ricorrenti nel cinema. Rodowick sostiene che la cri­ tica testuale ’non ripete il significato di un testo, ma offre la possibilità di elaborare delle prospettive di interpretazione nuove e imprevedibili’ (1991). Secondo Rodowick, l'interpretazione critica diventa pertanto un atto di in­ tervento creativo, nel quale l’interpretazione si confronta con il testo in un rapporto di differenza e non di uguaglianza. Analogamente, Conley elabora un approccio decostruzionista verso l'analisi filmica, interpretando la presenza della scrittura alfabetica nei film narrativi. Sulla falsariga dell’opera critica di Derrida sull’asservimenlo della scrittura alla comunicazione verbale, Conley colloca l’immagine accanto alla lingua parlata in contrapposizione alla lingua scritta, postulando quindi una differenza fondamentale fra l’espressione scritta e l'immagine fìlmica. Lo scopo precipuo di Conley è di tracciare l’andamento di questa differenza fra la parte scritta (titoli di film, insegne di negozi, segnali stradali, etc.) e le immagini fìlmiche in cui appaiono, ed osserva che entrambi i canali di comunicazione danno luogo a: ...un lavoro - o meglio, un piacere - dell’analisi che permette allo

spettatore di riscrivere e rielaborare il corpo fìlmico attraverso una serie di configurazioni, la cui definizione non dipende da ciò che si vede. Ci si

auspica che una rielaborazione di tal genere produca una visione politica

centrata sulla creatività, cosi da permettere all’aspetto letterale della ste­

sura di un film di utilizzare modalità di osservazione che non dipendono

interamente dall’analisi narrativa. (I99l:xxxi)

Conley si propone di articolare e politicizzare le fantasie personali degli spettatori, che recepiscono a livello inconscio i dettagli marginali (non nar­ rativi) contenuti neirimmagine filmica. Kaja Silverman fa anche notare che durante gli anni *80 le analisi svolte dai teorici cinematografici vertevano ripetutamente sul tema della razza, della condizione sociale e dell’identità di genere nel cinema hollywoodiano. Secondo la Silverman, il problema di un tale approccio è che riduce i film alla stregua di codici generici di carattere ideologico e considera ultimata l'analisi una volta illustrati i temi del film, ossia le questioni di carattere sociale e razziale e i rapporti di ineguaglianza fra i sessi. Pur prendendo atto dell'importanza di questo lavoro, la Silverman è del parere che ignori ‘le contraddizioni e perversità*dell’individuo (Hiiser 1997) e che sottometta gli aspetti estetici a quelli politici: ‘Si fa un gran parlare di "rappresentazioni di donne ”, “rappresentazioni di afro-americani”, “rappresentazioni di omoses­ suali", dimenticando che l’aspetto in questione è proprio la rappresentazione. ... l’arte si avvale della qualità estetiche a lei proprie per aiutarci a trascen­ dere i nostri limiti etici; limiti di cui in definitiva non siamo consapevoli”. È probabile che tali qualità estetiche’ non riescano sempre ad ampliare il significato della trama, o a conferire maggior spessore alla psicologia dei personaggi; ciò nondimeno, la comprensione degli effetti superficiali accresce il coinvolgimento esercitato dalle scene sullo spettatore, giacché ‘infittiscono’ il tessuto semantico del film, innescando degli attimi fugaci e particolarmente significativi che compaiono sulla struttura ‘riscritta” (che qualcuno definirebbe eccessivamente elaborata’ o ‘barocca’) di film appar­ tenenti alla “Nuova Hollywood”, come Chinatown. In ultima analisi, l’indi­ viduazione di questi effetti ci porterà a considerare, seppur brevemente, un interrogativo spinoso - che assai spesso ci viene posto dagli studenti più scettici - e cioè se i significati rilevati (o piuttosto, i significanti estrapolati dal critico per generare significato) siano intenzionali, fortuiti o il risultato di un ‘eccesso di interpretazione”. In relazione ‘al metodo’ o forma mentis, la predilezione decostruzionista per la ‘superficie’ si avvale degli strumenti utilizzati dalla critica della mise-en-scène (vedi Capitolo 3) e degli scritti più recenti di Roland Barthes. Senza indagare troppo a fondo le ragioni dell'insoddisfazione di Barthes nei confronti degli opposti binari dello strutturalismo classico, o l’ideazione dell’espressione ‘terzo senso’ di cui fu autore alla fine degli anni ‘60, l’impulso sempre crescente che guida la ricerca di clementi non sottintesi o non siste­ matici in una fotografia o in altre rappresentazioni visive è databile a partire dal saggio di Barthes (vedi Barthes 1977). Secondo Barthes, ‘terzo’ e ‘ottuso’ sono significati operanti al di fuori dei significati ‘informativi’ (primo, o denotativo) e ‘simbolici’ (secondo, o connotativo) della comunicazione con­ venzionale. Gli esempi tratti da Chinatown ed esaminati in questa sede non

sono, secondo il significato attribuito da Barthes, strettamente "ottusi1, ma quasi tutti scelti in virtù dei loro carattere ripetitivo, odi un ordine sequen­ ziale che lì organizza in schemi autonomi. Senza contare che concorrono ad aggiungere qualcosa ai ‘temi’, rappresentando in tal modo un ulteriore esempio di euristica commentativa della critica della mise-en-scène. Ciò che va sottolineato non sono soltanto i punti nei quali la trama si ‘addensa1 ma anche i momenti in cui la referenziai ita sembra essere in qualche modo sospesa, di modo che ’il fondo si stacca’ dal realismo fenomenico e dalla verosimiglianza percettiva del film, dando luogo a una super ti eie scivolosa e ai significanti variabili di una semiosi potenzialmente illimitata. Questo genere poliziesco è stato denominato ‘thriller delia paranoia1. Come si vedrà in seguito, Chmdtmvn rappresenta molte altre caratteristiche di questo sotto­ genere, e l’andamento narrativo del film rivela un numero sempre crescente di livelli di inganno e informazioni inattendibili o false. Il protagonista di Cfandtowi è tanto presuntoso nelle sue deduzioni quanta incauto e scon­ siderato nelle sue reazioni, ma del tutto incapace di interpretare correitàmente1 gli indizi di cui dispone (vedi anche Cawclti 1979}. I significanti variabili sono in gran parte verbali e visivi. Esiste per esem­ pio un gruppo semantico riferito al concetto di 'naso'. Nel film, Jack Ni­ cholson è costretto a portare una benda sul naso a causa di una ferita da coltello a serramanico infettagli da uno degli scagnozzi del ‘cattivo’, che non apprezza il suo ‘ficcanasare’ e decide di dargli una lezione. Per un ’detective privato, il cui lavoro è quello di ’ficcare il naso’ negli affari altrui, la puni­ zione rappresenta un alto di meritata giustizia sommaria, che trova riscon­ tro nelle battute a sfondo sessuale di cui lake è vittima da parte dai colleglli. La scena è alt resi memorabile, perché l'autore dell’aggressione è interpretato dal regista stesso, il cui intervento potrebbe sembrare uno stratagemma di stampo hitchcockianoj benché le apparizioni di Hitchcock fossero meno invasive e più metaforicamente giustificale (vedi Bellour 2000). Tuttavia, in Chinatown, la performance di Polanski si associa a tutte le altre compo­ nenti filmiche o non filmiche in gara fra loro per contendersi un primato letterario, narrativo o diegetico che sia. Basso di statura, il regista volge a proprio vantaggio la corporatura minuta di cui è dolalo, per trasformare una sua breve apparizione nel l’agghiacciante raffigurazione di un piccolo, ma potenzialmente letale - benché auto-ironico - psicopatico. Opera altresì il rovesciamento di un’altra partecipazione straordinaria, quella di Jean-Luc Godard, nel film // disprezzo, dove Godard impersona se stesso nel ruolo dell’assistente del regista (diegetico) Fritz Lang. Un altro gioco visivo si sviluppa intorno al tema del ‘vetro1, nella se­ quenza in cui Gittes segue Hollis Mulwray fino alla diga, dove l’acqua si ri­ versa nel mare. Stanco di piantonare c aspettare, Gilles affida il suo compito a un orologio che infila sotto la gomma dellauto parcheggiala di Mulwray,

163

partendo dal presupposto che il vetro dellbrologio andrà in frantumi alla partenza, così da indicare a Gittes la durata temporale della permanenza di Mulwray alla diga. Se da un canto questo genere di indicazione è una falsa pista, dall'altro il vetro rotto anticipa l’immagine degli occhiali frantu­ mati - indizio sbagliato ma portatore di deduzioni esatte - che più in là nel film rivestiranno un ruolo importante, inducendo Gittes a sospettare del coinvolgimento di Noah Cross nell’assassinio di Mulwray. Il ricorso all’espe­ diente dellbrologio non è soltanto sintatticamente significativo, in quanto assiste la trama nel suo svolgimento, ma è anche semanticamente rilevante: l’orologio rotto preannuncia simbolicamente la morte di Mulwray (le asso­ ciazioni ideali orologio/cuore; il legame etimologico vetro/occhiali [gkiss/ g/flsse$]). La scena è una dimostrazione (come sottolinea la critica della miseen-scène) del modo del tutto straordinario in cui l’informazione narrativa o la conoscenza dei principi tematici vengono continuamente presagiti nel cinema classico c fatti circolare fra i personaggi e gli oggetti ritratti sullo schermo e il pubblico. Un lapsus di carattere più spiccatamente verbale è associato invece al personaggio di Noah Cross, che continua a pronunciare in modo sbagliato il nome di Jake Gittes, indice della scarsa considerazione che nutre nei con­ fronti del detective, al quale si rivolge con l’offensivo appellativo di ‘Gits’, che trasforma ‘Jake (fake = falso) Gittes (git = imbecille)’ in una parodia deroga­ toria dei nomi virili di altri detective duri: Sam Spade, Philip Marlowe, Lew Archer (Cawelti 1979). I sintomi dell’isteria (femminile) di stampo freu­ diano si profilano nel personaggio di Evelyn Mulwray, che balbetta quando pronuncia parole che iniziano con la lettera ‘p-‘, in particolare la parola ‘padre’. Tale difetto di pronuncia ne richiama un altro di carattere culturale (il noto luogo comune per il quale i cinesi non riescono a riprodurre il suono della ‘r’), che diventa un lapsus freudiano, quando, come si vedrà in seguito, il giardiniere cinese rivela molto più di quanto sa o vuol far intendere. Si sfrutta in tal modo il potenziale ‘semiotico’ di gran parte del materiale di ri­ ferimento del film, fatto di ambientazioni, fatti, episodi, nomi di personaggi e luoghi, che si caricano di significati metaforici e che si prestano ai giochi di parole, alle frase ambigue e agli effetti acustici prodotti dall’eco. Questi elementi elaborano un intreccio superficiale di suoni e immagini che com­ pongono una trama di relazioni enigmatiche, le quali tendono a propagarsi come virus contagiosi o a disporsi intorno ad una forza negativa. Il nome del padre, Noah Cross, incarna a tal proposito la funzione di significante variabile più forte in assoluto. Se Noah allude all’acqua attraverso il riferimento al diluvio biblico, e al ruolo ambiguo del magnate nella gestione delle riserve d’acqua di Los Angeles, Cross (Croce) ricorre insistentemente nel film, tanto letteralmente quanto metaforicamente. Il simbolismo visivo dell’acqua elaborato intorno

a ‘Noah’ conferisce unità al film attraverso il riferimento all’acqua dolce e salata» o all'immagine della pozza di marea c alle origini della vita (Hollis Mulwray) che Noah Cross ha svilito allo stato di palude morale, invece di trasformare lo stagno in un elemento decorativo per il giardino della pro­ pria abitazione. Il concetto di acqua, generalmente associato alla vita, viene pertanto stravolto in maniera del tutto paradossale: è in tono sarcastico che il medico legale commenta il rinvenimento di ‘acqua salata nei polmoni’ del cadavere di Mulwray: ‘abbiamo la siccità e il capo del servizio acqua annega - solo a Los Angeles’. In una scena precedente si ode la voce fuori campo dell’assistente di Gittes, il quale, riferendosi a Mulwray, dice che ‘quel tizio ha l'acqua nel cervello’, mentre Gittes è intento a estrarre delle foto da un bagno di sviluppo. A Gittes viene poi affidato il compito di pedinare Mulwray e la sua ‘ragazza’ durante una gita in barca all’Echo Park: ‘di nuovo l’acqua', commenta (inutilmente) Gittes in tono sarcastico. Il riferimento al liquido rinvenuto nei polmoni di Mulwray assume il tono di una battuta ricorrente riferita al poliziotto Lou Escobar e al medico legale dell’obitorio cittadino, entrambi perennemente soggetti a tosse e raffreddore. Il nome ‘Cross’ è tuttavia portatore di un nodo semantico fondamen­ tale: Noah Cross inganna [ do uMe-crosses] Hollis Mulwray, suo socio in affari nonché genero, della cui morte è anche il mandante (/re crosses hint out], quando Mulwray inizia a sospettare il raggiro. Se da un canto il cineamatore potrebbe rilevare un riferimento al tema delle croci (crosses) in Scarface, film gangster del 1931 diretto da Howard Hawks, non è escluso che il pubblico contemporanco associ gli accoppiamenti fra soggetti consanguinei (uncros­ sed] appartenenti alla stirpe di Noah al simbolo cruciforme del cromosoma femminile, idea del resto suggerita anche dai riferimenti genealogici conte­ nuti nelle parole di Noah Cross in un dialogo con il ‘signor Gits’ a proposito dei ristagni d'acqua del mare che contengono forme di vita primitiva, e del desiderio di 'possedere il futuro’. Gittes stesso prende spunto dalla provo­ cazione di un poliziotto che alla battuta, ‘Che cosa hai fatto al naso Gittes? Ti ci hanno sbattuto la finestra di una camera da letto?’ risponde con tono aggressivo: ‘No, tua moglie si è eccitata e ha stretto le cosce [crossed her /etjs] un po’ troppo in fretta.’ Infatti, si potrebbe dire che Gittes derivi molti dei suoi atteggiamenti dalla gestualità chiasmica di Noah Cross, quando chiede al bibliotecario un righello per ‘leggere riga per riga’ (rood «cross], servendosene invece a mo di forbici per strappare verticalmente la pagina e alludendo metaforicamente alle ‘gambe incrociate’ (crossed /e#s). Dopodiché confronta [cross-c/recfcs] la pagina strappata dal catasto con i necrologi del giornale, e intuisce che pro­ prio come nelle definizioni dei cruciverba (crossword puzzle], i nomi, una volta ricomposti, corrispondono alle vittime della colossale truffa perpetrata da Noah Cross ai danni dei contadini. Le forbici sono un elemento rilevante

della colonna sonora: si ode il suono delle forbici nel negozio del barbiere dove Gittes si scontra con il broker e quello delle cesoie durante la prima visita di Gittes alla casa dei Mulwray. Come si vedrà più avanti, l’analisi semantica della ‘croce’ in relazione al personaggio di Noah Cross c a Chi­ natown non si esaurisce in questa sede» ciò nondimeno gli esempi illustrati dimostrano che una parola, o ‘sema’, è in grado di concentrare e disseminare spunti tematici in tutto il corpo fìlmico.

4.6.3. Analisi del significante variabile in Chinatown Il presente paragrafo analizza tre scene. Due di esse sono costellate da doppi sensi e giochi di parole, mentre la gag e le battute della terza scena hanno una connotazione mitologica che le carica di tinte fosche e che ri­ manda al simbolismo psicanalitico. Nella prima delle tre scene considerate, Gittes arriva alla casa dei Mulwray per la prima volta. Per tre volte Gittes cerca di aprirsi un varco nella vita di Mulwray e per tre volte trova il modo di aggirare l'ostacolo ogniqualvolta gli viene negato l'accesso. Ad ogni tentativo riesce ad accaparrarsi informazioni di fondamentale importanza che gli permettono di portare avanti l’indagine, pur lasciando agli avversari un vantaggio notevole. Il primo ostacolo è rap­ presentato dalla segretaria della Ripartizione Acque e Bacini, il secondo è Khan, il maggiordomo cinese di Mulwray, mentre nella terza scena l'ostacolo è Lou Escobar, che alla diga rivela a Gittes il decesso di Mulwray per anne­ gamento. Gittes ritorna negli stessi luoghi, dove i risultati prodotti dal primo incontro vengono amplificati e rovesciati. Nella scena analizzata, l'attenzione di Gittes (e dello spettatore) è distolta dallbsservazione del prato dal rumore apparentemente fuori campo del panno di camoscio usato dall’autista cinese per lavare la Packard della signora Mulwray. Lo straccio trasmette la pre­ senza grafica e acustica di una superficie - il vetro del finestrino posteriore dell’auto - ma mette anche in scena la ‘stratificazione’ della rappresentazione: ciò che sembra di fianco e fuori dal campo visivo può anche essere ‘dietro’ e fuori campo. Il maggiordomo riceve Gittes, che nel giardino della casa os­ serva pigramente il giardiniere cinese occupato ad estirpare le erbacce dallo stagno. Il giardiniere scambia qualche frase di circostanza, indicando un pezzo di terreno dove l’erba è appassita, dicendo ‘male pel elba’ [grass, erba, diventa g/uss). Inizialmente divertito dalla paronimia, Gittes si avvicina allo stagno, dove nota un bagliore sotto la superficie dell’acqua - causato, come si scoprirà più avanti, da un paio di occhiali. Prima che abbia il tempo di ripescare l’oggetto, viene interrotto dall'arrivo della signora Mulwray, che lo invita ad accomodarsi nel giardino e ordina un tè freddo per sé e per Gittes.

IJ gioco di parole erba/occhiali (jjrass/g/ass) sposta l’attenzione dalla parc­ hi mia/confusione verbale alla percezione visiva, ricalcando la precedente dislocazione dalla componente visiva a quella uditiva. In ciascun caso, gli elementi sostituiti rimangono presenti e significativi, nonostante distraggano e reindirizzino lattenzionc di Gittes. Questo principio è paragonabile a quello che Jacques Derrida definisce 'sous rature', secondo Cui le parola o le frasi rovesciate, negate o cancellale, rimangono comunque presenti e addirittura accrescono la loro forza semiotica. Nel caso della frase 'male pel ciba’, sarà Gilles a doverla ripetere durante il secondo incontro con il giardiniere, prima di scoprirne il motivo (e cioè il fallo che lo slagno contiene acqua salata) e prendere possesso degli occhiali ripescali dal giardiniere, che Gittes suppone appartengano a Hollis Mulwray. Il principio del fi nter prelazione 'sotto cancellatura' informa gran parte della sequenza - il confronto fra Evelyn Mulwray e Gittes - C il particolare sviluppo logico della trama, all'interno della quale i personaggi spesso ricor­ rono al ‘travestimentol La signora Mulwray giustifica la decisione improvvisa di ritirare la denuncia per diffamazione con queste parole: 'Holiis sembra con­ vinto della sua buona fede11’, frase alla quale Gilles replica con tono sfrontato: ‘Io sono stato accusalo di tante coso, ma mai di roba del genere!’ La risposta di Gittes cancella il concetto di innocenza intesa come ‘inconsapevolezza’, con il risultalo di rafforzarla e di evidenziare per contrasto la colpevolezza futura. La decisione di Evelyn Mulwray di 'ritirare la denuncia1, di spergiurare durante l'autopsia, di pagaie il detective per far sembrare che il pedinamento del marito sia una sua idea, e infine di assoldarlo per scovare lassassi no del marito, è in perfetto accordo con la logica particolare della sous rature' Ogni azione è un atto di cancellazione e auto-conlraddizìone che aggrava i sospetti di implicazione della donna nella vicenda, e sembra corroborare le prove contro di lei di cui Gittes ritiene di essere in possesso, impedendogli in tal modo di esserle d'aiuto. C/tmatown presenta concretamente il concetto di cancellazione nella scena in cui Gilles, nuovamente distratto da un rumore, apre la porta dell’ufficio ‘Ripartizione acque e bacini' e vede due operai impe­ gnati a raschiare e sostituire il nome di Mulwray con quello del suo (corrotto) Successore. Tuttavia, il principio della ‘sous rature' postulato da Derrida, oltre a suggerire l’idea della ri (nozione, che lascia tuttavia intravedere ciò che si è cancellato, indica anche una duplicazione temporale, che Derrida chiama dif­ ferimento, o dilazione e differenza, concetto che riprende ed elabora ulterior­ mente l’idea della differenza di Saussure e che in Derrida diventa ripetizione e ritorno temporale. Tale principio trova illustrazione in un'altra particolarità delia trama - ossia ‘ciò che fai prima o poi li ritorna' - che angustia molti personaggi e che Irova un primo riscontro in Hollis Mulwray durante il suo 11 N.d.T. [1 r iferimento al concetto d i innocenza risulta evidente nel I a versio­ ne americana del film: “M/hujirnffd scenr; to JifrzAc yow're an innocent man’

intervento all’assemblea del consiglio comunale, allorché Mulwray asserisce di non voler ripetere lo stesso errore. Se il concetto di ‘sous rature* è impli­ citamente contenuto nell’osservazione di Gittes in riferimento ai propri tra­ scorsi a Chinatown, dove il tentativo del detective di proteggere una donna sorti l’effetto opposto, l'incapacità di proteggere Evelyn Mulwray danneggia la donna e fa si che Gilles ‘ripeta lo stesso errore due volte’. La frase ‘male pel elba' ruota intorno a un paio di occhiali, che non sono quelli di Hollis ma di Noah Cross, che usa lenti bifocali. È come se il film ci imponesse di adottare una prospettiva visiva bifocale, giacché è nostra inten­ zione capire i fatti, e per farlo occorre imparare a guardare con gli occhi di Noah Cross, per comprendere la logica che percorre la trama e inquadrarne le caratteristiche salienti. In tal senso, la scena sembra suggerire che China­ town si sviluppa intorno al concetto di ‘erba’ e non di ‘occhiali’. Non gioca sull'assetto classico dell’apparato cinematografico (che pone l’accento sulla seduzione speculare), bensì sulla struttura rizomatica di radici superficiali e rami che proliferano incessantemente. La seconda scena si svolge attorno aH’upp/e-core, che emerge durante il pedinamento di Hollis Mulwray da parte di Gittes, oltre a preannunciare la scena che precede la visita del detective alla casa di riposo per anziani in compagnia della signora Mulwray. Come altre paronimie ed errori di pro­ nuncia o di ortografia di cui è pieno il film (come quello che compare nel cartello NO TREPASSING - VIETATO LACCESSO che apre la sequenza del viaggio in macchina di Gilles nella valle), apple-core fa parte di un mo­ dello: è il suono confuso della parola captata dal collega di Gittes durante il violento confronto fra Noah Cross e Hollis Mulwray prima della morte di quest’ultimo. Solo più tardi appare chiaro il riferimento al Club/Ranch che Noah Cross utilizza come base operativa, l’Albacore, che è anche il nome di un tipo di tonno, l’alalunga. Ma è (l’erronea) associazione del concetto di ‘mela (contenuta in una scena che dà particolare risalto all’aranceto: 'mele e arance’) ad inaugurare una serie di associazioni semantiche, quali il nome della signora Mulwray, Eve(lyn), che in un certo senso ‘tenta’ un innocente Adamo, coinvolgendo Gittes in una vicenda che lo porta a nutrirsi dall’albero della conoscenza. Tuttavia, le associazioni risultano maggiormente evidenti quando il nome con il quale viene acquistata la terra, cioè ‘Crabb’, è quello di una persona da poco deceduta, ed è anche il nome di una qualità di mela selvatica (crab apple). E nel caso in cui fosse sfuggito il riferimento, Gittes, dopo aver esa­ minato attentamente la lista, si ferma al nome ‘Crabb’ e dice: ‘ma guarda che roba12!’ Ma ‘crab’ (granchio) è anche il nome di un mollusco, che per 12 N.d.T. La battuta originale delia versione americana di Chinatown, 'how do you like them apples?, (idioma fam. USA), integra le associazioni semantiche e i giochi di parole.

associazione richiama l'immagine del mare e dei pesci e che ci riconduce al significato letterale, il simbolo del gagliardetto e la trapunta che le anziane residenti della ‘casa di riposo’ stanno confezionando ispirandosi ad ‘Alba­ core. Due tipi di associazioni si ‘incrociano’ c si intersecano intorno al nome ‘Crabb’, in un film nel quale quasi tutti i nomi propri di persona sembrano possedere significati aggiuntivi. Nella terza scena, lo squillo del telefono e la telefonata che segue in­ terrompono un momento di passione fra Gittes e Evelyn Mulwray, che si dilegua furtivamente e di gran fretta dalla casa. Gittes, prevedendo le mosse della donna intenta a rivestirsi, si allontana di nascosto c sguscia fuori dalla casa per poterla seguirla. Mentre Evelyn è intenta a medicargli la ferita al naso, Gittes nota una macchia nera nell’iride verde dell’occhio di Evelyn, che la donna definisce ‘un difetto dell’iride - una specie di voglia’. Per se­ guire Evelyn, Gittes decide di rompere con un calcio la copertura rossa di una delle luci posteriori dell'auto della donna, in modo da permettergli di individuare la vettura al buio, proprio in virtù del ‘difetto’ volutamente pro­ vocato (in questo caso bianco anziché nero), con la speranza di arrivare al cuore di un altro (tragico) difetto. La catena di significanti che spaziano dal difetto dell’iride al colore bianco della luce posteriore dell’auto include anche il vetro frantumato dell’orologio, che ora sembra anticipare la morte di Mulwray e l’angosciante sequenza in cui Evelyn, colpita fatalmente da una pallottola, urta violentemente contro il clacson posizionato al centro del volante, infilzandovi gli occhi. Il finale è già preannunciato in tono minore dall'occhio ‘nero’ (anzi rosso-bluastro) della moglie di Curly, punita per aver tradito il marito, e incastrata dalle foto esibite all’inizio del film. In entrambi i casi, le ferite agli occhi sono inferte a una donna, quando in realtà la cecità spetterebbe al ma­ schio ‘edipico’, giacché Edipo si punisce cavandosi gli occhi quando scopre di aver ucciso il padre e concupito la madre (per i temi edipici si rimanda al Capitolo 8). In C/nrnitown, il segno tangibile della natura colpevole di una relazione incestuosa è impresso sulla figlia, vittima degli abusi sessuali - non vendicati - del padre, e rimosso dalla morte di Hollis e Evelyn. L’ occhio’ della tragedia sofoclea (Evelyn Mulwray) è in netto contrasto con il ‘naso’ della commedia aristofanea (Jake Gittes). Se l’occhio e il naso sono segni culturali convenzionali che rappresentano gli organi sessuali, mentre le fe­ rite inferte simboleggiano la minaccia della castrazione, le loro implicazioni sono asimmetriche. La punizione farsesca di Gittes finisce con la tragica morte di Evelyn, mentre l’osceno potere fallico del padre viene ripristinato. Dalla scelta delle tre scene prese in esame si è scelto di escludere di pro­ posito quella cruciale e culminante, che riunisce gli slittamenti semiotici e quelli di carattere genealogico-patriarcale - ossia la scena in cui, alla con­ clusione dei film, Jake interroga/schiaffeggia Evelyn Mulwray. Si noti come

.

Jake, sopraffatto da un attacco di rabbia, schiaffeggia Evelyn diagonalmente, a guisa di croce, quasi ad imprimerle sul volto il cognome da nubile ‘Cross’, o come nel tentativo di cancellare la verità che la donna sta tentando di sve­ largli: ‘E’ mia sorella e mia figlia (mentre Gittes crede ancora che Catherine fosse l'amante di Hollis Mulwray e che Evelyn sia stata complice del delitto). Schiaffeggia Evelyn quando la donna gli rivela la verità, forse perché, come lei dice, ìa verità è troppo diffìcile per [lui)* Evelyn teme il padre ed è lace­ rata dal desiderio di proteggere la propria figlia, pur ‘negando’ che il padre làbbia ‘violentata’, e dimostrando in tal modo la condizione ambigua di una figlia ail'interno della legge Edipica/patriarcale. Chinatown approfondisce in questo senso il motivo tradizionale del film poliziesco, secondo il quale la femme fatale rappresenta e sintetizza la duplicità della donna nei film hol­ lywoodiani, Nel doppio ruolo fantasmatico di vergine’ e ‘sgualdrina’, è una proiezione dell’uomo giovane e l’emblema - con particolare riferimento ai protagonisti dei film noir - della jouissance oscena del patriarca, che ‘pos­ siede’ la donna come mai il protagonista potrà fare. Lo slittamento dei significanti che ricorre ossessivamente nel film, scmbra affondare le proprie radici in un trauma, che ricopre un ruolo centrale nella trama del film. I significanti figlia/sorclla sono di solito considerati reciprocamente esclusivi quando preceduti da un pronome personale e rife­ riti alla stessa persona, tuttavia, in questa sede possiedono un solo referente, ‘Catherine’. È come se la relazione incestuosa padre-figlia fosse talmente ‘in­ naturale’ da minacciare perfino il linguaggio. La relazione del segno con il referente si spezza e ‘provoca’ un diluvio di segni ingannevoli: altro aspetto di un generale clima di corruzione, la “siccità” politica e naturale è frutto del potere perverso che Noah Cross infligge agli uomini e alla terra.

Conclusione La ricerca di strutture rizomatiche e di riferimenti incrociati pervasi da giochi di parole, non aiuta ad ‘afferrare’ un film evasivo come China­ town, o ad individuarne le caratteristiche generiche e il registro temporale. Il film mette in scena ed ‘illustra’ i codici generici e simbolici del film noir. oltremodo espliciti, ripropongono un pastiche delle caratteristiche della narrazione classica edipica. Il tema dell'incesto, solitamente taciuto, viene esplicitato, capovolto e trasferito dal figlio al padre, e dalla madre alla fi­ glia. Analogamente, i temi ‘orientaleggianti’ o esotici di un film noir come quello diretto da Orson Welles, La signora di Shanghai, sono elaborati come spazio ‘multiculturale’, attraverso molteplici riferimenti enigmatici al cro­ notopo 'Chinatown (rappresentato come spazio e luogo, tempo presente e tempo passato). I concetti di razza e identità sessuale (e in misura minore,

di classe) emergono dai significati impliciti o sintomatici del cinema classico hollywoodiano, per integrarsi al repertorio tematico esplicito del film. Ma 'Chinatown è anche il significante di una crisi più generale di referenzialità - la mise-en-abime dei livelli di realtà, e il rovesciamento di quello che, nel caso specifico, si riferisce alle cosiddette ‘scatole cinesi’. Un simile capovolgimento coinvolge anche il registro temporale 'pre­ sente: passato’. Il film, ambientato negli anni ’30 ma prodotto negli anni ’70, genera, secondo Fredric Jameson (1992), un sentimento di ‘nostalgia per il presente’ e suggerisce che, da spettatori, siamo tanto all’interno del contesto temporale quanto all’esterno, incapaci di attribuire un significato emotivo al presente se non attraverso una sua collocazione nel passato. Il film si pre­ sta comunque ad approfondimenti più specifici. Seppur ambientato negli anni ’30, Chinatown appartiene all'era post-Watergate e si fa nuovamente portatore delle interpretazioni del film noir formulate dalla critica francese degli anni ’50 rapportate all’attualità dello scandalo Watergate (1973-74) e all’apatia e al cinismo politico che ne conseguirono, per poi trapiantarli in un momento storico da cui si sarebbe originato il film noir hard-boiled, con la sua visione pessimistica del mondo. Il film (e Io spettatore) è pertanto so­ speso fra due dimensioni temporali: il ‘tempo presente’ della narrazione, la Los Angeles degli anni ’30, e il ‘tempo presente’ della realizzazione del film, la Los Angeles del 1974. Lo spettatore osserva gli eventi socio-politici con il senno di poi e con l’ironia temporale che ne deriva, ma con la consape­ volezza che i funzionari più influenti della regione siano davvero capaci di organizzare cospirazioni di largo respiro e tramare insabbiamenti complessi, attraverso raggiri e aberrazioni della legge. È da tale consapevolezza che il film mutua verosimiglianza emotiva, ma è anche al dislocamento temporale del genere filmico e dei riferimenti che deve il proprio straordinario apprez­ zamento. Fin tanto che il presente è proiettato nel passato, e il passato viene interpretato attraverso le emozioni e la sensibilità del presente, una narra­ zione conferma l'altra e sostiene una ‘vera menzogna (storica)'. Il ‘genere della paranoia’ dei primi anni ’70 (Perché un assassinio, I tre giorni del condor, Tutti gli uomini del presidente) è utilizzato nel film per mettere il detective sulle tracce di una plausibile, ossia non avvalorata ma storicamente non impossibile cospirazione, che a sua volta spiega il com­ plesso gioco di parole incentrato sul termine ‘cross’ (rabbia e collera) e ‘double-cross’ (inganno e insabbiamento). ‘Cross’ richiama anche la strut­ tura lineare (la risoluzione del mistero) di Chinatown, pur ripiegandosi su se stessa, perché alla fine del film Jake Gittes non ne sa più di prima, ed è molto più vulnerabile e professionalmente indifeso: Chinatown rappre­ senta un momento di svolta per la carriera professionale di Jake, un bivio di fronte al quale il detective rischia di perdere la licenza di esercitare la professione, possibilità ventilata da Lou Escobar come segnale di avverti­

mento, o di mettere in gioco la propria vita, nel caso in cui, Noah Cross, invitto, decida di vendicarsi. Per altri aspetti, come si è visto, le tematiche del film (trattate nella prima parte del capitolo) affiorano alla superficie post­ classica del concetto di ‘intuizione’ (Robert Ray), ‘allusione’ (Noci Carroll) e auto-referenzialità, consentendo in tal modo di giocare con i codici generici della modalità classica. Chinatown ‘sa’ di essere un film noir più di qualsiasi altro film noir degli anni ’40 e dei primi anni ’50. E’ anche un film ‘liberale di sinistra', che insiste sulla figura di Roosevelt minacciata dall'avidità e dal tornaconto personale (‘l'acqua e il potere’). Le macchinazioni politiche e le questioni ambientali quali le riserve idriche di una città come Los Angeles, potrebbero effettivamente sembrare tipicamente ‘europee’. In conclusione, le interpretazioni tematiche dalle quali si è partiti c quelle decostruzioniste, a rigor di termini, non si escludono a vicenda. Da un canto, si completano reciprocamente, allo stesso modo in cui, nel capitolo relativo alla distinzione fra cinema hollywoodiano classico e post-classico, Die Hard sembra prestarsi ad una lettura aristotelica, proppiana e lévi-straussiana, mentre dall’altro ‘rispondono’ ad un esame più attento degli elementi su­ perficiali e degli effetti della mise-en-scène degli oggetti, della struttura se­ mantica e delle rappresentazioni simboliche. In generale, le interpretazioni ‘decostruzioniste’ quali quelle illustrate in questa sede, possono aiutarci a comprendere l’esigenza di applicare ai film hollywoodiani contemporanei una terminologia che include parole quali ‘postmodernismo’, ‘intertestualità’, ‘intermedialità’, ‘misterioso’, o *mise-en-abime'. Ciononostante non appare chiaro quale di questi termini risponda in maniera più consona ai ‘sintomi* (o caratteristiche) evidenziati nel testo, o quali di essi siano da considerarsi rispettivamente i sintomi e le cause. L’interpretazione operata in questa sede avvalora l’analisi testuale ed una lettura scrupolosa contro la teoria e, nel caso specifico, le generalizza­ zioni, imponendo un ‘limite’ alla semiosi illimitata tramite la scelta di stralci verbali-visivi-sonori di cui si riscontrano tracce nella tematica esplicita, bloccando qualsiasi altro percorso che non (ci) sembrava fissare dei mo­ delli significativi. Altre interpretazioni hanno sicuramente prodotto letture diverse (a giudicare dalla letteratura fiorita intorno a Chinatown), affian­ cando, se non addirittura contraddicendo, le letture illustrate nel presente volume. In senso generico, le letture decostruzioniste si discostano dalle letture tematiche, perché lo slancio interpretativo è diretto verso l’esterno, lontano dal centro di cui parla Culler, e punta su prospettive bifocali o multifocali. La lettura decostruzionista è centrifuga, in contrasto con le energie centripete mobilizzate nell'ermeneutica tematica, che mira a fissare coerenza e chiusura, ovvero, coerenza in quanto chiusura. Siamo dunque riusciti a dare una risposta alla domanda che ci chiedeva se per caso non stessimo sovra-interpretando? Sì e no: sì perché la dispersione, le reazioni a catena e

le contaminazioni associate ai significanti variabili non si esauriscono. Con ciò teniamo anche a segnalare che sfuggono al controllo dei singoli, sia che si tratti di persone fisiche o concetti critici. La decostruzione dell’fluk’ure i si­ gnificati variabili rappresentano pertanto il recto e il verso della stessa cosa, giacché entrambi sfidano un ordine basato non sui fatti, ma sulla ‘fiducia’ nell’ciuteur e in un’unica fonte di significato. Per altri versi, la risposta è no, perché dipende dal modo in cui viene percepita, vale a dire, come procedi­ mento arbitrario o come simbolo di devozione al testo e alla struttura.

S/Z, il film ‘leggibile’, e la logica del videogioco (// quinto elemento)

Introduzione Durante gli anni ’60, nelle facoltà umanistiche di molte università eu­ ropee (e nordamericane), lo strutturalismo e la semiotica offrirono una prospettiva teorica innovativa sulla cultura contemporanea, pur subendo un processo di trasformazione che è stato solitamente etichettato come av­ vicinamento al post strutturalismo. Tale mutamento è rintracciabile nelle idee e nei concetti elaborati nelle opere di Roland Barthes, la cui analisi strutturale e semiotica degli strumenti culturali raggiunse la sua massima espressione alla metà degli ’60. Ma nei quattro anni che seguirono, influen­ zato da Jacques Derrida e Julia Kristeva, Barthes iniziò a mettere in discus­ sione le rigide ipotesi scientifiche dello strutturalismo e della semiotica. S/Z1’, scritto da Barthes nel 1970 (e tradotto in inglese nel 1974: Barthes 1974), illustra chiaramente i risultati della rivoluzione post-strutturalista. Barthes parte dall’analisi di una novella di Balzac, ‘Sarrasine’, e la scompone in 561 frammenti, per stabilire in che modo i cinque codici si intrecciano nella storia così da creare quello che Barthes definisce il testo ‘leggibile’ (che colloca il lettore nella posizione di consumatore passivo di un significato pre-esistente). La prima metà del presente capitolo prende in esame i cin­ que codici (proairetico, ermeneutico, semantico, simbolico e referenziale) e la loro applicazione nella scena d’apertura del film di Luc Besson, Il quinto elemento (1997), film di cassetta di produzione francese che imita la formula del blockbuster hollywoodiano. 13

Roland Barthes, S/Z, Edition du Seuil, 1970.

La seconda metà del capitolo colloca il film in un contesto diverso. La prima parte del capitolo inserisce II quinto elemento nell'ambito del testo leggibile, tipico della letteratura ottocentesca. Benché classificabile come testo ‘leggibile’ piuttosto che ‘scrivibile’ (ossia come testo nel quale il lettore produce dei significati), il film contiene molti altri elementi non unicamente riconducibili al testo leggibile. 11 dibattito fondamentale della seconda metà del presente capitolo riguarda il criterio in base al quale la sequenza delle azioni all'interno del film (definito da Barthes codice proairetico) non è semplicemente elaborata sulla falsariga della causalità lineare della logica aristotelica, ma tende talvolta a trasformarsi in ‘narrazione digitale’, tipica del videogioco (e di altri testi elettronici e mezzi di comunicazione digitale in genere). La nascita della narrazione digitale nella società contemporanea verrà analizzata nella seconda metà del capitolo, per evidenziarne le carat­ teristiche salienti ed esaminare determinati momenti all’interno de 11 quinto elemento, dove la narrazione digitale struttura lo svolgimento del film. Si considererà in ultima analisi uno dei problemi relativi all’analisi della com­ ponente narrativa in un senso “digitale”, ossia il concetto di ‘interattività’.

5.1.

La teoria: i cinque codici di S/Z

S/Z si apre con la distinzione fra analisi strutturale e analisi testuale. ‘Lanalisi strutturale’ si riferisce ad un’attività che riconduce tutti i testi allo stesso sistema universale. Praticata da Barthes negli anni ’60, l’analisi strut­ turale culminò nella stesura del famoso saggio 'Introduction to the Structural Analysis of Narratives' (Barthes 1994). Trovare una grammatica narrativa universale era lo scopo precipuo dell'analisi strutturale, adottata non solo da Barthes, ma anche da altri formalisti e strutturalisti, quali Vladimir Propp, Claude Lévi-Strauss, and A.J. Greimas. (Eanalisi strutturale è trattata nel Capitolo 2). Nel contesto di S/Z, Tanalisi testuale' si riferisce all’analisi post­ strutturalista che concepisce il 'testo' come termine che identifica un pro­ cedimento anziché un oggetto. Non considera il 'testo' come oggetto finito e inerte da esaminare e sezionare (prospettiva strutturalista del testo), ma come atto di lettura, dove il significato non è riconducibile al medesimo sistema universale, ma deriva dalla relazione che si instaura fra molteplici significanti all’interno del testo. Il termine ‘significato’ assume tuttavia va­ lenze diverse per gli strutturalisti e i post-strutturalisti: per i primi, il signi­ ficato è fisso e connesso ad un sistema universale, mentre per i secondi il significato è plurimo e transitorio, e il testo è uno spazio nel quale numerosi codici contrapposti si intrecciano e si sovrappongono gli uni agli altri. Il post-strutturalismo attribuisce un significato diverso anche al termine 'in­ terpretazione', di seguito illustrato da Barthes:

Interpretare un lesto non e dargli un senso (più o meno fondato, più o meno libero), è invece valutare di quale pluralità sia fatto, Cominciamo

col porre l'immagine di una pluralità trionfante, che nessuna costrizione di rappresentazione (di imitazione) viene a impoverire. In questo testo

ideale, le reti sono multiple, e giocano fra loro senza che nessuna possa

ricoprire le altre; questo testo è una galassia di significanti, non una strut­

tura di significati; non ha inizio; è reversibile; vi si accede da più entrate, di cui nessuna può essere decretata con certezza la principale; i codici che mobilita si profilano a perdita d'occhio, sono indecidibili (il senso non vi

si trova mai sottoposto a un principio di decisione, che non sia quello di un colpo di dadi); di questo testo assolutamente plurale i sistemi di senso

possono si impadronirsi, ma il loro numero non e mai chiuso, misurandosi sull'infinità del linguaggio1415 .

1 post-strutturalisti prediligono gli autori modernisti come James Joyce e Lautréamont, che esaltano la 'natura testuale* del testo, anziché eliminarla (ne è forse un esempio Finnegans Wake di Joyce). Barthes definisce ‘scrivibili’ i testi modernisti, ai quali contrappone i testi classici ‘leggibili*. Secondo Bar­ thes, la caratteristica distintiva del testo scrivibile è che incoraggia il lettore a produrre significati e ad aprire il testo ad una molteplicità di letture, invece di relegarlo al ruolo di mero consumatore di un significato fisso e preesistente. Nel testo leggibile il lettore ‘si trova immerso in una sorta d*ozio*,s. Ciò accade perché il testo privilegia un unico significato surdeterminato, che permette poca libertà interpretativa. Di contro, il testo scrivibile ha molteplici signifi­ cati e ‘più il testo è plurale e meno è scritto prima che io lo legga’16. Barthes puntualizza però che la distinzione fra i testi leggibili e scrivibili non ha un valore assoluto. Un testo leggibile diffìcilmente si presta alfambiguità e ai significati aggiunti, ma assume un carattere (moderatamente) scrivibile attra­ verso l’analisi, e non solo tramite la lettura, come nel caso del testo scrivibile. La lettura di Finnegans Wake evidenzia la natura polisemica del testo scrivi­ bile, mentre il carattere scrivibile della novella classica (c pertanto leggibile) di Balzac emerge dalla scomposizione in frammenti di ‘Sarrasine’, attraverso la definizione dei codici in essi operanti. Tuttavia, Barthes ricorre alla distinzione fra leggibile e scrivibile soltanto nel testo stampato - distinguendo in particolare i testi realistici classici (leg­ gibili) dai testi riflessivi modernisti (scrivibili). Riguardo ai mezzi di comu­ nicazione elettronici quali l’ipertesto, si può sostenere che Barthes utilizzi il termine ‘scrivibile in senso metaforico. Applicata all’ipertesto, la definizione 14 Citiamo qui dalla traduzione italiana, S/Z - Una lettura di “Sarrasine"di Balzac, Einaudi, Torino, 1973, p. 11. 15 Ibid. p. IO. 16 Ibid., p. 15.

modernista perde qualsiasi rilevanza, benché il lettore, in quanto produt­ tore, diventi una realtà di fatto e non una semplice metafora. (Questa rilet­ tura di S/Z verrà ripresa nel paragrafo 5.4). Laspetto maggiormente rilevante di S/Z è rappresentato dai cinque co­ dici (proairetico, ermeneutico, semantico, simbolico e culturale/refcrenziale) identificati da Barthes nell’analisi nella novella di Balzac, ‘Sarrasine’. Il codice proairetico, che si riferisce alla sequenza delle azioni all'interno della narrazione, è già sviluppato (ma semplicemente chiamato ‘livello di azioni’) nell’analisi strutturale di Barthes. A partire da Propp, l’analisi strut­ turale ha prodotto una grammatica della narrazione, fondata sul ruolo dei personaggi c sulle azioni di cui si rendono artefici. Nel saggio ‘The Sequence of Actions’, Barthes osserva che la sequenza delle azioni dei personaggi de­ termina la leggibilità di un testo e una logica coerente che conferisce razio­ nalità narrativa al testo (‘The Sequence of Actions’, in Barthes 1994), che Barthes chiama ‘codice proairetico’, termine derivato dal greco proairesis, utilizzato da Aristotele per esprimere l’intenzionalità, la premeditazione delle azioni di un soggetto: '[la proairesi] definisce la facoltà umana di de­ liberare anzitempo i risultati di un’azione, di scegliere (secondo l’etimologia esatta del termine) fra due alternative, quella che verrà realizzata’ La frase d’apertura di ‘Sarrasine’ - “Ero immerso in una di quelle fantasticherie pro­ fonde" - ricorre al codice proairetico, ossia, alla facoltà del narratore di so­ gnare ad occhi aperti. Fra i termini retorici utilizzati nel primo Capitolo, il codice proairetico struttura la dispositio, ovvero l’organizzazione della storia - il suo ordine lineare, temporale ed ir reversibile. Anche il codice ermeneutico, come quello proairetico, struttura l’anda­ mento lineare, temporale e irreversibile del testo e definisce ‘l’insieme delle unità aventi la funzione di articolare, in maniere diverse, una domanda, la sua risposta e i vari accidenti che possono o preparare la domanda o ritar­ darne la risposta; o anche: la funzione di formulare un enigma e di apportare la sua decifrazione’”. In particolare, il codice ermeneutico si compone di diverse fasi:

• • • • •

il tema la formulazione di un enigma la posizione dell’enigma i rinvìi io svelamento

Il ‘tema definisce il soggetto o lòggetto del codice ermeneutico. La ‘for­ mulazione’ e la ‘posizione’ concorrono allélaborazione di un enigma intorno 17

SIZ-UMlettumdi"Sarrasine“diBalzac,F.inawli,Tori no, 1973,op.citata,p.21.

al tema. La risposta a questi enigmi è inevitabilmente rinviata allo scopo di mantenere vivo l’interesse del lettore per la storia e creare un clima di suspense e aspettativa. Barthes elenca una serie di strategie specifiche di rinvio: ...l’inganno, o esca (sorta di deviazione deliberata della verità), l’equivoto

(misto di verità e d'inganno, che mollo spesso, delimitando l’enigma,

contribuisce a infittirlo), la risposta parziale (che non fa altro che acuire l’attesa della verità), la risposta sospesa (arresto afasico dello svelamento) e

il blocco (constatazione d’insolubilità)1*.

Alla fine si svelano gli enigmi formulati e se ne stabiliscono altri, o si decreta il finale della storia in mancanza di altri enigmi da risolvere. Uno degli enigmi principali di ‘Sarrasine’ riguarda l’identità del vecchio, che fa la sua apparizione alla festa dei Lanty. Il vecchio incarna pertanto il ‘tema’ dell’enigma, che viene formulato e illustrato sotto forma di domanda: ‘Chi è il vecchio?’. La Marchesa di Rochefidc, invitata alla festa, rivolge la domanda al narratore anonimo, che conosce l’identità del vecchio e prende a narrare la storia dello scultore Sarrasine, la sua formazione al riparo dal mondo, il viaggio in Italia, dove si innamora perdutamente e fatalmente della bella cantante Zambinella. Soltanto alla fine del racconto il narra­ tore rivela l’identità di Zambinella, che non è una donna ma un castrato; racconta che Sarrasine è morto per aver scoperto la verità e che il vecchio è Zambinella. Il racconto è punteggiato da continui rinvìi, in modo parti­ colare dall’equivoco (giacché il lettore ha spesso l’impressione che il vecchio sia lo scultore Sarrasine), mentre all’interno della storia narrata Sarrasine ignora volutamente qualsiasi indicazione sulla vera natura di Zambinella (Barthes sostiene che Sarrasine continua ad ingannarsi). Gli ultimi tre codici non strutturano il testo allo stesso modo dei primi due. Mentre il codice proairetico ed ermeneutico conferiscono un anda­ mento lineare al testo (che include rinvìi e interruzioni), gli altri codici rap­ presentano i dettagli del testo - gli oggetti, le ambientazioni, i tratti salienti, le opinioni invalse, le conoscenze specifiche, e così via. Il sema è il codice connotativo che attribuisce una qualità o significato alle persone, ai luoghi e agli oggetti di una storia e che è riassumibile in una sola parola. Nell’analisi di ‘Sarrasine’, Barthes inquadra i semi che defini­ scono i tratti salienti dei personaggi: ‘Se si mettono da parte i semi di oggetti e di atmosfere, tutto sommato rari, (almeno qui), quello che è costante è che il sema è legato a un’ideologia della persona...: la persona non è che una collezione di semi. Così... Sarrasine è la somma, il luogo di confluenza di turbolenza, estro artistico, indipendenza, eccesso, femminilità, bruttezza, 18

Ibid., p. 72

natura composita, empietà, gusto dei tagliuzzamento, volontà, etc.)''9. Ana­ logamente, Zambinella viene descritta attraverso i semi stereotipi della femminilità (magra, delicata, bella); mentre in realtà, il castrato manipola i semi per produrre l’illusione di femminilità. Nei testi leggibili, i semi si raggruppano pertanto intorno ai personaggi, conferendo loro l’illusione di un’esistenza tridimensionale e a tutto tondo. In altre parole, il testo leggibile sembra riprodurre una realtà preesistente, mentre di fatto elabora una realtà immaginaria. 11 codice simbolico si riferisce alle categorie di base, generali ed astratte, all’interno delle quali una cultura organizza l’esperienza. Il testo è interpreta­ bile come manifestazione particolare dei codici di base. 'Sarrasine' illustra in apertura diversi generi di codici simbolici, quali la contrapposizione diretta fra gli ambienti interni ed esterni (il narratore siede nel vano della finestra, che fa da contrasto fra la notte gelida e la festa che si sta svolgendo nella re­ sidenza dei Lanty) e quella più generica e fondamentale fra la vita e la morte (rispettivamente rappresentate dalla Marchesa e dal vecchio). Lenigma di 'Sarrasine è inoltre fondato sul contrasto fra maschio e femmina, e sulla collocazione di Zambinella all’interno di tale contrasto. Il codice simbolico agisce pertanto su diversi livelli generici. In ultima analisi, il codice culturale (o referenziale) definisce il riferi­ mento del testo alle opinioni comunemente diffuse o invalse e a conoscenze specifiche: ‘I numerosissimi codici di sapere o di saggezza a cui il testo non lascia di riferirsi; li chiameremo in maniera molto generale codici culturali (benché veramente ogni codice sia culturale), o anche, poiché consentono al discorso di appoggiarsi a un'autorità scientifica o morale, codici di riferi­ mento’19 20. In quanto testo leggibile ‘realistico’, ‘Sarrasine’ opera innumerevoli riferimenti alla cultura parigina e italiana, all’arte, ai codici sociali di com­ portamento e così via. Secondo Barthes, Balzac sfrutta i cinque codici per intessere l’intero racconto. Barthes non si propone di ricomporre i codici identificati in un sistema: ‘è quindi deliberatamente che non cerchiamo di strutturare ogni singolo codice né i cinque codici fra loro: per assumere la plurivalenza del testo, la sua reversibilità parziale. Non si tratta infatti di manifestare una struttura, ma, nei limiti del possibile, di produrre una strutturazione’21. È tuttavia pratica comune raggruppare i codici in due categorie: i codici che elaborano lo svolgimento lineare e temporale del testo (il codice ermeneu­ tico e proairetico) e i codici che stabiliscono i dettagli tematici e referenziali (il codice semantico, culturale e simbolico). Per di più, il codice ermeneutico 19 S/Z - Una lettura di "Sarrasine" di Balzac, Einaudi, Torino, 1973, op. cita­ ta, pp. 173-174. 20 Ibid., p. 23. 21 Ibid., p. 24.

a,

MP

e proairetico sono necessariamente connessi fra di loro, giacché il primo struttura la sequenza delle azioni, mentre il secondo crea degli enigmi e rivela delle informazioni sulle azioni e i personaggi.

5.2.

Il metodo: S/Z e l’analisi cinematografica

La prima fase dell'analisi post-strutturalista di un testo leggibile com­ porta secondo Barthes un lavoro di separazione: ‘costelleremo quindi il testo, scartando, come farebbe un minuscolo sisma, i blocchi di significa­ zione di cui la lettura coglie solo la superficie liscia, impercettibilmente sal­ data dal fluire delle frasi, dal discorso filato della narrazione, dalla grande naturalezza del linguaggio corrente’1*. Questi blocchi di significato Barthes li chiama ‘lessie’ e riconosce che questo lavoro di ritaglio ... sarà quanto possibile arbitrario; non implicherà alcuna responsabilità metodologica’*’. In altre parole, Barthes non limita l’analisi all'aderenza ad unità linguistiche o di significato preesistenti tramite cui separare il testo. In più occasioni, nell'analisi di ‘Sarrasine’, ciascuna lessia termina in mezzo alla frase. Non­ dimeno, questo lavoro di ritaglio del testo è governato dalla necessità di osservare il gioco di significati operanti in superficie: ‘basterà che sia il mi­ glior spazio possibile in cui osservare i sensi... si richiede solo che per ogni lessia non vi siano più di tre o quattro sensi da enumerare’* 24. Questi sensi o significati sono naturalmente costituiti dai cinque codici. La seconda fase dell'analisi post-strutturale del testo leggibile si propone pertanto di identi­ ficare ed enumerare i codici rintracciabili in ogni lessia. Queste due fasi non si applicano soltanto ai testi scritti, ma a qualsiasi testo. Al pari della letteratura leggibile, anche i film leggibili possiedono uno strato superficiale collegato dal montaggio continuo, dalla narrazione e dalla struttura narrativa. Nel lavoro di frammentazione di un'opera cinematogra­ fica (per comodità, si continuerà a utilizzare in questa sede il termine ‘lessia’ introdotto da Barthes, poiché la creazione di un nuovo termine da applicare in ambito cinematografico è inutile e non gradita), non ci si limiterà all’ade­ renza alle unità filmiche preesistenti, quali la ripresa o la scena. Eanalisi non si propone di ricondurre i film ad un sistema di base, ma di ‘interpretarli' secondo l'accezione data da Barthes: ossia, rimanere alla superficie del film e districare il reciproco intreccio dei codici. Si indicherà esattamente il metodo tramite cui identificare i codici uti­ lizzati nei film leggibili e completare il lavoro d’analisi: 22 23 24

.VZ-O'wdenMrfldf'Sarrasine “df’Bfl/zrtC,Einaudi.Torino, 1973,op.citata.p. 18. Ibid., p. 18. Ibid . p. 18.



Il codice proairetico si limita semplicemente ad illustrare le azioni (AZN), che Barthes riassume in due fasi: (1) l’azione è ricondotta a una parola, verbo o sostantivo chiave; (2) la parola chiave viene allargata ad una frase e numerata, per indicare il livello della suddetta azione. Per esempio, il viaggio di Sarrasine dalla Francia all'Italia è rappresentato dalla lessia 197 alla lessia 2OO25. Ciascuna lessia illustra una tappa del viaggio. La lessia 197 è costituita dalla frase ‘Sarrasine partì per l’Italia nel 1758’, che Barthes analizza dal punto di vista del codice proairetico come segue: AZN. ‘Viaggio’: 1: partire (per l’Italia).

‘AZN’ denota che il codice proairetico si realizza nella lessia in oggetto; ‘Viaggio’ è la parola chiave (in questo caso un sostantivo) riferita ad un’azione generica; ‘1: partire (per l'Italia)’ indica la natura specifica di quell’azione (e la sua evoluzione). Il viaggio si conclude nella lessia 200, che inizia a metà frase: in preda al desiderio di iscrivere il suo nome ira quelli di Michelangelo e di Bouchardon. Così, nei primi giorni, divise il tempo tra i suoi lavori di scultura e l'esame delle opere d’arte che abbondano a Roma.26

Barthes analizza questa lessia come ‘AZN’. “Viaggio”: 4: restare (dipende anche dal codice referenziale, come si vedrà in seguito). Eanalisi del codice proairetico di un film narrativo prevede l’individua­ zione dell’evento generale principale, di quello specifico al momento della ripresa e della fase di svolgimento del medesimo. Gli eventi vanno numerati, perché alcuni di essi scandiscono l’intero film e la numerazione permette di rintracciarli facilmente. •

25 26

Il codice ermeneutico (ER.M) si riferisce ad un enigma stabilito dal testo, crea suspense (con il ricorso all’inganno, alle risposte parziali o rinviate e al blocco), per poi svelare l’arcano. Il primo enigma della vicenda nar­ rata in ‘Sarrasine’ riguarda il significato del titolo: a che cosa (o a chi) si riferisce? Il secondo enigma concerne la fonte della ricchezza dei Lanty, mentre il terzo è rappresentato dallbrigine della famiglia (le conversa­ zioni intessute durante la festa si svolgono intorno al secondo e al terzo enigma). Un quarto enigma si profila gradualmente durante la festa, re­ lativamente all’identità dei vecchio misterioso, che compare improvvisa­ mente. Il vecchio viene citato per la prima volta nella lessia 28: Ibid., p. 98. Ibid.. p. 98.

Gli osservatori, quella gente che tiene a sapere In quale negozio com­ prate i vostri candelabri, o che vi chiede il prezzo dell'aflìtto quando il vo­

stro appartamento le sembra bello, avevano notato, di quando in quando, in mezzo alle feste, ai concerti, ai balli, ai ricevimenti dati dalla contessa,

l'apparizione d'uno strano personaggio.2

Barthes osserva: ‘Un nuovo enigma viene posto (un senso di stra­ nezza) e sviluppato (si tratta di un personaggio) (ERM. Enigma 4: tema e posizione)*2*. Lanalisi del codice ermeneutico di un film narrativo prevede l’identifica­ zione del tema, della formulazione e della posizione degli enigmi; il ritardo nella loro risoluzione e la rivelazione di informazioni utili a svelarli. Come nel caso del codice proairetico, anche gli enigmi vanno numerati, perché alcuni di essi scandiscono l'intero film e la numerazione permette di rin­ tracciarli facilmente.



Il codice semantico (SEM) stabilisce dei significati connotativi specifici all’interno del testo - attribuisce delle caratteristiche alle ambientazioni (lambientazione suggerisce il sema della ricchezza o della povertà? etc.), ma soprattutto ai personaggi. Quando Sarrasine vede Zambinella per la prima volta, la descrizione del castrato avviene per mezzo di segni, o semi, riferiti all’universo femminile (specialmente nella lessia 226): • L'artista (Sarrasine] non si stancava d'ammirare la grazia inimitabile

con cui le braccia si attaccavano al busto, la rotondità prestigiosa del collo,

le linee armoniosamente tracciate dalle sopracciglia, dal naso, poi l'ovale

perfetto del viso, la purezza del suo vivo disegno, e l'effetto delle folte ciglia

ricurve che terminavano delle palpebre larghe e voluttuose.2''

Barthes chiama questa lessia ‘SEM. Femminilità (le ciglia folte, ricurve, le palpebre voluttuose)’0. Nell'analisi del codice semantico di un film narrativo occorre indivi­ duare il modo in cui si fissano le ambientazioni e i personaggi, che non sono (e non possono essere) presentati in maniera neutrale, ma in base a determinati valori (talvolta esasperati, come nel caso di Zambinella). Questi valori rappresentano i semi, riassumibili in un solo termine (es., ‘femmini­ lità’, come nell’esempio citato sopra).

27S/Z- UtM/etturfldrSflrra$ine’,d/B«/zac.Einaudi,Torino, 1973,op.citata,p.42. 28 Ibid., p. 42. 29 Ibid., pp. 105-106. 30 Ibid., p. 106.



Il codice simbolico (SIM) è quello più vasto, ed opera a livelli diversi d’astrazione, perché tutte le culture organizzano l’esperienza secondo categorie di base, generiche e astratte, molte delle quali riguardano il codice semantico. Una categoria di base che organizza l’esperienza è la contrapposizione - o, secondo la terminologia di Barthes, l’antitesi - fra l’interno e l’esterno. Dalla lessia 5 alla 12 Balzac fissa un'antitesi fra lo spazio esterno e quello interno della residenza. Il narratore è inoltre collocato al confine fra le due zone (siede nel vano duna finestra): Cosi, alla mia destra, la tetra e silenziosa immagine della morte; a si­

nistra. ì decenti baccanali della vita qui, la natura fredda, cupa, in lutto; lì, gli uomini in gaudio/1

Barthes chiama questa lessia (la numero 12) ’SIM. Antitesi: AB: rias­ sunto’ (pag. 26). Nelle lessie precedenti, i due termini della lessia 12, l’esterno (A) e l’interno (B), sono presentati separatamente, con il narratore nel ruolo di mediatore. In questa lessia, vengono illustrati insieme in forma riassun* tiva (da cui l’uso di Barthes del termine ‘riassunto’). La contrapposizione fra maschile c femminile rappresenta una catego­ ria di strutturazione più complessa. (Se ’femminilità’ è di per sé un sema, diventa un principio strutturale e un codice simbolico, laddove si stabilisce una relazione con il concetto di ‘virilità’). La descrizione di Zambinella so­ praccitata imita il criterio patriarcale di strutturazione della distinzione fra i sessi, secondo il quale la donna diventa un oggetto del desiderio maschile - dove lo sguardo dell’uomo è di natura voyeurista e feticista (strutture che nella psiche maschile proteggono la virilità dalla sessualità femminile). Nell'esempio sopraindicato, lo sguardo di Sarrasine esplora attentamente il corpo di Zambinella e il solo rimirarla è fonte di piacere sessuale (lessie 241-5)". Lanalisi del codice simbolico di un film narrativo impone l’astrazione delle categorie fondamentali dell’esperienza di cui si serve il film. Tale opera­ zione richiede la capacità di individuare il modo in cui i temi c i simboli del film sono strutturati e conglobati, di isolare gli elementi significanti del testo e di assegnare loro una funzione generica. Lanalisi del codice simbolico è simile alia lettura tematica di un’opera cinematografica (vedi Capitolo 4), in quanto comporta un lavoro di esplicitazione e spiegazione dei significati impliciti. •

31 32

Il codice referenziale (RIF) è il codice più semplice da identificare, per­ ché basta solo osservare il tipo di scienza alla quale il film si riferisce. ‘I S/Z-Unalettura di“Sarrasine"diBalzac, Einaudi.Torino.l 973, op.citata.p.29. Ibid., pp. 109-110.

codici culturali infine sono le citazioni di una scienza o di una saggezza; rilevando questi codici ci limiteremo a indicare il tipo di scienza (fisica» fisiologica, medica, psicologica, letteraria, storica, etc.) che viene citata, senza spingerci mai a costruire (o ricostruire) la cultura da essi artico­ lata’” Pertanto, il viaggio di Sarrasine in Italia si conclude nella lessia 200, nella quale Michelangelo e Roma vengono menzionati come fulcri artistici del mondo. Questi sono codici referenziali e Barthes denomina la lessia 200 (oltre al codice proiaretico) ‘RIE Storia dell’Arte”.

Nell’analisi del codice referenziale di un film narrativo occorre sempli­ cemente evidenziare i tipi di sapere ai quali il film allude per suffragarsi. Il codice referenziale ha un ruolo preminente nella cinematografia, proprio in virtù del carattere fotografico delle immagini, intrinsecamente legato alla descrizione fisica ‘reale’ delle ambientazioni e degli attori, che risultano per­ tanto facilmente riconoscibili (si rimanda al Capitolo 7 per una discussione sul termine ‘ritratto’.).

5.3.

L’analisi: S/Z e // quinto elemento

Nonostante l’importanza e il successo di cui gode all’interno della teoria letteraria post-strutturalista, S/Z è stato raramente applicato alla cinemato­ grafìa, eccezion fatta per l’analisi di Julia l>esage ( 1986) del film La regola del gioco (Jean Renoir, 1939). Anche Raymond Bellour cita il codice proaire­ tico ed ermeneutico, ed in particolare quello simbolico, nell’analisi di Intrigo internazionale, benché i termini elaborati di Barthes siano semplicemente integrati all'analisi largamente testuale di Bellour (vedi Bellour 2000). La lettura informale operata dalla Lesage sintetizza in maniera generica (ma utile) l’applicazione dei codici all’interno de La regola del gioco. La Lesage non ricalca il procedimento analitico operato da S/Z. Lanalisi che segue accompagna lo svolgimento de II quinto elemento, lo separa in lessie (basate sulla presenza dei codici all’interno del film e sulle relazioni che si instaurano fra di essi), riassume ciascuna lessia, per poi elencare e com­ mentare i codici. Ci si atterrà in questa sede alla prassi adottata da Barthes di separare i codici, contrassegnando i commenti con un asterisco.

Riassunto della trama. Il film inizia in maniera convenzionale, con un prologo ambientato in Egitto nel 1914,chehalafunzionedi introdurrei cin­ que elementi e la minaccia che colpirà la terra di lì a 300 anni. Il film opera poi un salto in avanti di 300 anni per presentare il protagonista, Korben 33 34

Ibid., p. 24. Ibid., p. 98.

Dallas (interpretalo da Bruce Willis), i suoi aiutanti, Padre Cornelius (lan Holm) e David, gli antagonisti - ‘il grande male’ (chiamato 'Mr Shadow'), raffigurato come una palla di fuoco in rotta verso la terra e in lega con Zorg (Gary Oldman) e i mangalores. I quattro clementi (la terra, il fuoco, l'acqua e l’aria) e il quinto elemento, incarnato da Leeloo, ‘la donna perfetta (inter­ pretata da Milla Jovovich) - vengono introdotti all'inizio del film, che stabi­ lisce una situazione di conflittualità da risolvere in breve tempo: la palla di fuoco torna sulla terra ogni 5000 anni per provocarne la distruzione totale e soltanto il quinto elemento, unitamente al potere delle quattro pietre, è in grado di contrastarlo. Il protagonista ha il compito di riportare i cinque ele­ menti sulla terra per salvare l'umanità, ma non ha che 48 ore a disposizione per farlo. Nel frattempo, i nemici tentano di sottrarre le pietre, ma, come da copione, i protagonisti hanno la meglio e Dallas può congiungersi con il quinto elemento, ovvero la donna perfetta. La morale del film è piuttosto ovvia e banale: la guerra e il male sono fattori negativi che solo l’amore è in grado di sconfiggere. Lessia (1): la sequenza dei titoli di testa. Nei film narrativi la sequenza dei titoli di testa denota il passaggio dalla dimensione non narrativa a quella narrativa. La dimensione non narrativa indica lo spazio occupato dallo spet­ tatore (la sala cinematografica o la televisione) e la lista dei partecipanti e dei realizzatori che compare nei titoli di testa e di coda. Le immagini collocate dietro i titoli definiscono lo spazio narrativo del film (la diegesi) che, ne II quinto elemento, è costituito da oggetti in movimento che entrano in scena dall’alto dello schermo e si dirigono verso lo spettatore, per poi uscire di scena nella parte bassa. La macchina da presa opera una panoramica ver­ ticale a salire per mostrare la galassia dalla quale provengono gli oggetti volanti. Il titolo del film viene quindi sovrapposto alla galassia. “RIE Com­ pagnia di produzione (Gaumont), regia di Luc Bresson, interpreti (Bruce Willis, Gary Oldman, Ian Holm, Milla Jovovich, Chris Tucker, Luke Perry). Il codice referenziale contiene anche informazioni di base relative ai quattro elementi (terra, fuoco, acqua e aria). *’E RM. Enigma 1: il tema. I quattro elementi, noti a tutti, si fanno por­ tatori del primo enigma del film - che cosi* il quinto elemento? •*“ SEM. Il mistero. La colonna sonora del film è musica elettronica e serve a creare tensione e mistero. (2) I titoli di testa continuano a scorrere dopo il titolo, ma stavolta suH’immagine della terra vista dallo spazio. Una nave spaziale aliena entra nello schermo da destra e procede verso il centro dell'immagine, per en­ trare nell’orbita terrestre. Una scena d’apertura di questo genere (di fatto stereotipa), è tipica dei film di fantascienza. La musica elettronica dell’inizio continua e si mescola con voci di basso alterate. Unitamente all’immagine della terra, la musica allude anche a 2001: Odissea nello spazio e a Lux Ae-



terna di Ligeti. ‘RIE Tecnici cinematografici. I film di fantascienza (2001) e la musica (Lux Aeterna). ”AZN. ‘Il viaggio’: 1: ingresso nell’orbita terrestre. (3) La ripresa ha inizio nello spazio, con una stella cadente (che probabil­ mente rappresenta l’astronave aliena al momento del suo ingresso nell’atmo­ sfera terrestre). La macchina da presa opera poi una panoramica verticale a scendere dallo spazio alla terra, per fissarsi in un campo lunghissimo del deserto con l’immagine di una tomba sullo sfondo. Un ragazzo sul dorso di un asino entra nell’immagine dalla destra dello schermo c avanza verso il centro. Note dissonanti si sovrappongono al suono assordante della mu­ sica elettronica, mentre le note semitoniche creano tensione. Musica araba etnica accompagna l’immagine del deserto. Un titolo si sovrappone all’im­ magine: ’Egitto 1914’. ’AZN. ‘Il viaggio’: 2: ingresso nell’atmosfera terre­ stre. ‘Tappa: I : viaggio nel deserto. ’’RIE Egitto; Prima Guerra Mondiale (‘1914’). **’SEM. Minaccia (musica elettronica). Etnicità (musica suonata con strumenti aerofoni). ””SEM. Antitesi I: A: spazio. B: terra. Questa antitesi è mediata dall’astronave aliena al momento del suo ingresso nell’at­ mosfera terrestre. Antitesi 2: A: mezzo di trasporto del futuro (l’astronave). B: mezzo di trasporto antiquato (l’asino). Sia l’astronave che l’asino entrano nello schermo da destra e procedono nella stessa direzione, stabilendo un parallelismo che evidenzia la separazione fra mezzi di trasporto così diversi. Il ragazzo trasporta acqua (simbolo di vita), mentre l'astronave aliena giunge sulla terra per sottrarre le quattro pietre e il quinto elemento, che ha il com­ pito di proteggere la vita. (4) Il ragazzo scende dall’asino e si precipita verso l’entrata della tomba, dove distribuisce un po’ della sua acqua agli altri ragazzi. I simboli dell’Egitto (i cammelli, la lingua egiziana, etc.) sono chiaramente visibili e udibili. ’AZN. ‘Tappa: 2: l’arrivo. ”SEM. Etnicità. (mezzi di trasporto, lingua, abiti). ”’S1M. Antitesi 3: A: l’esterno. Antitesi 4: A: ragazzi medio orientali. (5) All’interno della tomba il ragazzo si arresta e guarda i due archeologi. Sveglia un altro ragazzo (Aziz), che ha il compito di far luce all’archeologo più anziano (il professore), intento a decifrare i geroglifici. L’archeologo chiama Aziz perché ha bisogno di più luce. Larcheologo più giovane, Billy, ripete la richiesta del professore, ma senza alcun entusiasmo. ’AZN. ‘Tappa’: 3: portare acqua all’archeologo. ”S1M. Antitesi 3: B: interno. Antitesi 4: B: archeologi occidentali. Antitesi 5: A: vecchio. B: giovane (riferita agli ar­ cheologi). Antitesi 6: A: luce. B: tenebre. RIE La psicologia dell’uomo anziano (serio, presuntuoso) e di quello giovane (scarso interesse, noia). (6) Il professore inizia a decifrare i geroglifici (che profetizzano l’avvento di un disastro ogni 5.000 anni), mentre Billy prende appunti, disegna e ri­ sponde con scarso interesse. ’AZN. ‘Interpretazione’: 1: decifrare i gero­ glifici. ”SIM. Rappresentazione simbolica del disastro. ’’’RIE II carattere

psicologico del vecchio e del giovane apprendista. (7) Un anziano sacerdote compare dal nulla e congeda il ragazzo, toglien­ dogli (acqua di mano. Il sacerdote osserva gli archeologi. *AZN. ‘Tappa’: 3: portare acqua agli archeologi (l’azione non continua, ma viene trasferita dal ragazzo all’anziano sacerdote). Antitesi 5: A: vecchio. B: giovane (ora riferita agli egiziani). (8) Il professore continua a decifrare i geroglifici (di gente che raccoglie i quattro elementi vitali - acqua, fuoco, terra, aria - intorno al quinto, un ... quinto ... elemento’). *AZN. interpretazione’: 2: continuare a decifrare i geroglifici. **SIM. Rappresentazione dei cinque elementi. Il professore pro­ nuncia lentamente il titolo del film, tematizzandolo all’interno della diegesi de // quinto elemento. Il titolo è anche simbolicamente rappresentato come geroglifico (una persona). ••*ERM. Enigma 1: tematizzazione. (9) Nel sentire il professore pronunciare ‘il quinto elemento’, il sacerdote decide di avvelenare l’acqua, perché gli archeologi sanno troppo. * AZN. Uc­ cidere: i: avvelenare l’acqua degli archeologi, i quali sono a conoscenza di troppi fatti riguardanti il quinto elemento, che è un segreto da difendere ad ogni costo, e che come tale giustifica le intenzioni delittuose del sacerdote. Lacqua, simbolo di vita, (e uno dei quattro clementi), viene contaminala. *’ERM. Enigma 1: la formulazione dell’enigma. (IO) Il sacerdote si avvicina agli archeologi e offre loro l’acqua, mentre il professore svela al sacerdote le sequenze decifrate (il professore parla del bene e del male e di un'arma con la quale sconfiggerlo). Il professore de­ cide di gettare via l’acqua e di brindare con la grappa. Billy va a prendere la bottiglia. *AZN. ‘Tappa’: 4: portare l’acqua. ‘Uccidere’: 2: fallito tentativo di avvelenamento. ’Interpretazione’: 3: continuare a decifrare i geroglifici. •SIM. Antitesi 7: A: bene. B: male. (11) Lastronave aliena, incontrata per la prima volta nella lessia 2, atterra presso la tomba, creando una zona d’ombra. Il professore è ignaro dell’arrivo degli alieni e continua nel suo lavoro di decodificazione. Chiede ad Aziz di fargli luce, che invece riceve dagli alieni. L’archeologo si concentra sulla fi­ gura del quinto elemento (‘Quest'uomo, questo essere perfetto, so che questa è la chiave di tutto’). Gli alieni entrano nella tomba, uccidono il professore e aprono il sarcofago contenente i cinque elementi. Il sacerdote conosce gli alieni, i quali gli comunicano che a causa di una guerra imminente, le pietre vanno rimosse dal pianeta terra. ’AZN. ‘Viaggio’: 3: arrivo sulla terra. ‘In­ terpretazione’: 4: decifrare il simbolo del quinto elemento. **ERM. Enigma I: l’inganno (il professore opera un’interpretazione errata del simbolo del quinto elemento, interpretazione inficiata da una visione preconcetta che lo porta ad identificarlo come ‘uomo perfetto). ***RIE Prima Guerra Mon­ diale. *’*SIM. Antitesi 6 : A: luce. B: tenebre. Con la comparsa degli alieni il

film intesse una complessa trama di antitesi (vedi Fig. 5.1), che tuttavia ten­ dono a raggrupparsi durante la sequenza. Antitesi 8: A: umano. B: alieno. Morte (Male)

Vita (Bene)

Non-Occidentali (Egiziani)

Professore

Apprendista

Vecchio Sacerdote

Ragazzi

Fig. 5.1. Rete di codici simbolici nelle fasi iniziali de 11 quinto elemento

(12) La tomba custodisce le quattro pietre (simbolo dei quattro elementi) e un sarcofago contenente il quinto elemento. Gli alieni rimuovono i cinque dementi. *AZN. ‘Viaggio’: 4: recuperare i cinque elementi. *’SIM. I cinque elementi sono simbolicamente rappresentati in forma tridimensionale. (13) In risposta al sacerdote, che si rivolge con tono implorante agli alieni, dicendo loro che la terra è ora indifesa contro il male, il capo degli alieni osserva che ‘fra 300 anni, quando il male ritornerà, altrettanto faremo noi*. Sconvolto dalla presenza degli alieni e dall’assassinio del professore, Billy estrae la pistola e minaccia il capo degli alieni. Il sacerdote prova a persuaderlo del fatto che gli alieni sono ‘nostri’ amici (del genere umano), ma finisce solo per ‘alienare’ se stesso (perché Billy pensa che il sacerdote stia dalla loro parte). Billy scivola e fa partire un colpo, senza peraltro colpire nessuno. Gli spari fanno sì che la tomba si chiuda, imprigionandovi il capo degli alieni (che ha però il tempo di consegnare la chiave al sacerdote). Un sottofondo musicale di gusto etnico misto a musica elettronica che contri­ buisce ad instaurare un clima di tensione, accompagna l’intera sequenza. *AZN. ‘Difesa’: 1: sparare. ‘Viaggio’: 5: uscire dalla tomba. ’’SIM. Antitesi 9 : A: vita. B: male. Questa lessia aggiunge un livello più generico alla trama di antitesi rappresentate sopra, inserendosi fra la vita (gli umani e gli alieni) e il male (la morte e la distruzione). Billy ha anche la funzione di creare una

sorta di legame fra il sacerdote c gli alieni, interrompendo l’antitesi alieno/ umano. ***SLM. Etnicità e pericolo. (14) L’astronave parte e il sacerdote si fa carico della responsabilità di custodire la chiave. La musica di sottofondo si fa più torte e mischia musica etnica, suoni vocali e colpi di tamburo. *AZN. ‘Viaggio’ 6: lasciare la terra. ‘Custodire’: 1: proteggere la chiave della tomba. **SEM. Etnicità e pericolo. (15) La scena termina con il primo piano di un geroglifico che mostra il momento in cui, durante l'eclissi di tre pianeti, il male tornerà sulla terra. All’inizio della scena successiva, i tre pianeti vengono ritratti nella mede­ sima configurazione, ma sullo schermo di un computer. La ripresa succes­ siva, ambientata all’interno di un’astronave popolata da esseri umani, reca il titolo ‘300 anni dopo’ *SIM. Il momento che segna l'arrivo del male è simbolicamente rappresentato da geroglifici e dallo schermo di un compu­ ter. **RIF. Cronologia: 300 anni dopo (un lasso di tempo preannunciato dal capo degli alieni).

Eanalisi condotta finora copre soltanto i primi 11 minuti del film, che tematizzano e formulano l'enigma intorno al quinto elemento, oltre ad ela­ borare una complessa rete di antitesi. Ecnigma non pervade in ogni caso l’intero film, ma viene risolto in 25 minuti, all’interno di un film della durate di due ore (il quinto elemento è incarnato dalla 'donna perfetta’ - da qui l’inganno del professore). Svelato l’enigma, è l’imposizione di una scadenza temporale a creare tensione nel film: il male, rappresentato da una palla di fuoco in rotta verso la terra che distruggerà il pianeta in due giorni. Un eroe è chiamato a salvarlo a dispetto degli ostacoli che intralciano il pieno raggiungimento del suo scopo: l’astronave aliena in procinto di riportare le pietre sul pianeta Terra è vittima di un attacco nemico; Zorg tenta di impos­ sessarsi delle pietre, etc. (I ritardi strategici illustrati dal codice ermeneutico giustificano il moto rallentato degli eventi delineati nel codice proairetico). L’applicazione dei cinque codici di Barthes comporterebbe un lungo la­ voro di analisi di più pagine. In alternativa, si tenterà di analizzare l'intero film adottando una strategia diversa, che considera la struttura narrativa del film e il rapporto di quest’ultima con la narrazione digitale, propria del videogioco.

5.4.

La teoria: la fruizione dei contenuti digitali e il cinema narrativo La fruizione dei contenuti digitali richiede la totale immersione nel

lesto elettronico, fiducia nell’esistenza di un codice imposto da esperti

invisibili e padronanza del gioco. Fondata sulla capacità di distinguere ra­ pidamente i segni divulgati (ostili, neutrali o amichevoli) e di rispondervi

adeguatamente, una tale padronanza richiede abilità e rapidità di naviga­ zione. accompagnata da strategici e violenti movimenti digitali all'interno

di un lesto elettronico governato dal caos. (Gottschalk 1995)

Jerome Bruner ci rammenta che la narrativa non è una dimensione con­ tingente e opzionale delle società umane, ma una struttura essenziale ed ecologicamente necessaria attraverso la quale gli individui conferiscono un senso logico a fenomeni sociali compiessi (Bruner 1991; 1992). Nel processo di strutturazione dellésperienza sociale, la narrazione deve continuamente reinventarsi per offrire un’esperienza storica specifica. È dagli anni ’80 che le nuove tecnologie digitali interagiscono con quelle analogiche dell’ottica, della meccanica e della fotochimica del cinema del diciannovesimo secolo. Il ricorso agli effetti speciali digitali nei blockbuster è l’aspetto precipuo di questo rapporto di interazione. Benché la maggior parte dei film faccia an­ cora affidamento sulla riproduzione fotografica (eccezion fatta naturalmente per film quali Toy Story, Z la formica e A Bugs Life), spesso le immagini sono supportate dagli effetti speciali digitali. Le immagini filmiche digitalizzate sono oggetto di trattazione nel Capitolo 7, con particolare riferimento al modo in cui la tecnologia ha saputo trasformare la tecnologia analogica cinematografica, modificandone la forma (es., l’immagine filmica non è più unicamente relegata alla descrizione di eventi profilmici). Per questo mo­ tivo, la tecnologia digitale altera il nostro rapporto con le immagini, perché ciò che vediamo, pur essendo frutto di un’elaborazione computerizzata (al­ meno per quel che riguarda gli effetti speciali invisibili), acquista credibilità fotografica. Il remainder di questo capitolo accenna alle diverse strutture di cui si compone la narrativa digitale e l’inserimento di molte di esse ne // quinto ele­ mento. La digitalizzazione è riscontrabile nel modo in cui la narrazione ci­ nematografica utilizza le regole e le strategie del videogioco. (Tale influenza opera naturalmente in entrambe le direzioni, dato che molti videogiochi adottano l’estetica visiva e sonora dei film di fantascienza). La trattazione degli aspetti specifici della narrazione digitale e del video­ gioco è preceduta da un breve accenno all’opera di George Landow relativa all'ipertesto. Landow è stato il primo ad intuire che S/Z - e in particolare il

concetto di 'leggibilità’ elaborato da Barthes - trovava applicazione nell’iper­ testo: ‘In S/Z, Roland Barthes descrive una testualità ideale che corrisponde precisamente a ciò che nel campo dell’informatica prende il nome di iper­ testo - vale a dire, un testo aperto composto da blocchi di parole (o imma­ gini) collegate elettronicamente da molteplici percorsi o concatenazioni in una testualità infinita, descritta dai termini link, node, network, web e path' (Landow 1997). Questa testualità è il testo scrivibile, un testo plurimo ‘che nessuna costrizione di rappresentazione (di imitazione) viene a impoverire. In questo testo ideale, le reti sono multiple e giocano fra loro...’*5. Una delle possibilità offerte dall’ipertesto è di permettere al lettore di interagire con il testo e costruire un percorso personale svincolato dalla rigida linearità del testo leggibile e del significato predeterminato. Pertanto, il carattere inte­ rattivo dell’ipertesto identifica quest'ultimo con l’ideale del testo scrivibile prodotto dal lettore. In tal senso diventa un problema analizzare i film come narrazioni di­ gitali, perché per quanto digitale possa essere il contenuto narrativo, i film non sono interattivi. Nondimeno, la narrazione digitale è costituita da molte altre strutture di cui si tratterà a breve. Il problema della narrazione e dell’interattività verrà ripreso alla fine del presente capitolo.

5.5.

Il metodo: apprendere le regole del videogioco

Il videogioco possiede una sovrabbondanza di stimoli visivi e uditivi' ma anche ‘la promessa di regole attendibili’ (Gottschalk 1995). Tali regole, la cui attendibilità dipende dal loro carattere sistematico e inequivocabile (svincolato da implicazioni morali), costituiscono il campo d azione, o collo­ cazione, del vidcogioco, che esula dalle regole del mondo fisico. Il giocatore fruisce e trae piacere dal gioco principalmente tramite l’apprendimento di tali regole, apprendimento che si realizza nella comprensione della logica del gioco. Il desiderio di acquisire una tale padronanza può inoltre portare alla dipendenza da videogioco. Un tale coinvolgimento può a sua volta pro­ vocare un’alterazione psicofisica del giocatore e un momentaneo disorien­ tamento (vedi Fiske 1989: capitolo 2). Quello che segue è un elenco di alcune strutture generiche cui sotto­ stanno queste regole. Occorre individuare molte se non tutte le strutture durante l’analisi della narrazione digitale, perché considerate singolarmente non sono in grado di definire il carattere digitale di una narrazione. Solo una volta combinate insieme cominciano ad avere qualche influenza a livello di strutture narrative cinematografiche. IJelenco è al momento induttivo, 35

S/Z- Una lettunidi"Sarra$ine“diBalzae,Einaudi, Torino, 1973, op.citata.p. 11.

benché comprensivo delle regole che si riscontrano comunemente nel vi­ deogioco, quali:

• • • • • • •

la ripetitività delle situazioni (che permette di accumulare punti e padroneggiare le regole) l'azione è stratificata su livelli multipli distorsioni spazio-temporali trasformazioni magiche e travestimenti premi e punizioni immediati (feedback loop) ritmo interattività

11 videogioco è impostato sulla ripetitività delle situazioni, che permette di accumulare punti e acquisire padronanza nel gioco. Secondo Nicholas Luppa, ‘il giocatore applicherà a qualsiasi contesto la destrezza acquisita nel gioco. Portare il gioco su altri livelli è stato per molto tempo il segreto di un progetto di game design efficace’ (1998). In altre parole, l'utente è invogliato a ridefinire la propria abilità, applicandola a contesti simili ma molto più complessi. Le distorsioni spazio-temporali sono l’equivalente di un collegamento ipertestuale e veicolano il gioco ad un livello successivo, che catapulta il giocatore in una dimensione spaziale (e temporale) alternativa, caratteriz­ zata da un senso di frammentazione dello spazio. Una volta raggiunto il livello successivo, il personaggio manovrato dal giocatore ha la possibilità di trasformarsi o camuffarsi. Accumulare punti fa da feedback loop nel processo di apprendimento e applicazione delle regole: permette al giocatore di conquistare dei premi e gli trasmette la sensazione che l’abilità profusa nel gioco sia in continuo miglioramento. Analogamente, all’incapacità di apprendere e applicare le regole, che determina una perdita di punti o di vite a disposizione del giocatore, corrisponde la punizione immediata, che, se ripetuta più volte, determina la morte prematura del giocatore e la fine del gioco. Le stesse fasi del gioco si ripetono a ritmi molto più sostenuti o a livelli simili ma più complessi. Secondo Nicholas Luppa, il ritmo è una delle caratteristiche salienti del videogioco: ‘[il videogiocol ha bisogno di un ritmo e i tempi che lo scandiscono sono quelli che si stabiliscono fra le interazioni’ (1998), ossia, il giocatore gestisce il ritmo attraverso l’interazione, che conferisce un senso di controllo al giocatore medesimo - manovrare i personaggi in un ambiente digitale solitamente ostile. L'interazione deve anche possedere un carattere immersivo e composito, che obbliga l’utente a uno sforzo di concentrazione, oltre a dipendere dall’interfaccia grafica, che deve essere dettagliata ma facile da usare.

Il piacere che la fruizione di un videogioco suscita nell’utente e l’assue­ fazione che ciò comporta, non è meramente ascrivibile all'intensificazione di uno stimolo generalo da un apparato grafico e da effetti sonori e animati di prima qualità, ma è anche e forse soprattutto dovuto alle regole del vi­ deogioco e alla capacità dell’utente di farle proprie. Il potere trainante del videogioco non deve in ogni caso escluderne i contenuti, che di fatto sono riassumibili in un termine solo - la violenza: *11 presupposto fondamentale della “ videologia” è indubbiamente quello della violenza.... L’unico quesito degno di nota posto dalla videologia non è quello di stabilire se una situa­ zione richiede un intervento interccssorio o il ricorso alla violenza, ma di in­ dividuare il metodo più efficace tramite il quale gestirla’ (Gottschalk 1995). A questo si aggiunga che il nemico violento da annientare è sempre classi­ ficato come ‘altro’. I contenuti del videogioco tramandano pertanto i miti ideologici occidentali, e giocare - specialmente da soli - è da considerarsi alla stregua di un comportamento antisociale. Al di là di preoccupazioni di carattere sociale, esistono quelli che Fiske definisce importanti piaceri semiotici che il videogioco è in grado di procurare (vedi Fiske 1989: capitolo 2). Ci si auspica che la trattazione sopraccitata abbia in qualche modo con­ tribuito ad illustrare a grandi linee la genesi di un tale piacere.

5.6.

L’analisi: la logica del videogioco ne // quinto elemento

Così come l’immagine filmica è una commistione di elementi fotografici e digitali, lo sviluppo narrativo de // quinto elemento è una mescolanza di logica narrativa classica (cause ed effetti psicologicamente motivati) e logica digitale (il videogioco). Il presente paragrafo illustra le situazioni all’interno del film in cui compare la logica del vidcogioco. L’aspetto significativo de // quinto elemento è il modo in cui una vicenda banale e il semplice messaggio morale di cui si fa portatrice sono struttu­ rati e trasmessi allo spettatore. Nel saggio 'Infinite City, Nigel Floyd (1997) cita l’influenza del grafico (inteso come artista) sulla strutturazione visiva del film. Ma ancor più significativa è l’influenza delle regole del videogioco sull’impostazione di un’opera cinematografica. Identificare metaforicamente le regole del videogioco all’interno di un film è un compito semplice: per esempio, si potrebbe sostenere che il paesag­ gio urbano è una rappresentazione simbolica dei diversi livelli di gioco del film, o che la scena in cui i mangalores abbattono l’astronave che trasporta il quinto elemento è una trasposizione metaforica dell’interattività propria del giocatore. Non si intende in questa sede operare un’interpretazione metafo­ rica dei contenuti del film. Interessa invece il modo in cui i contenuti sono

letteralmente strutturati secondo la logica del videogioco. La prima parte del film delinea i personaggi, il rapporto che si instaura fra di essi e i loro obiettivi - impossessarsi delle quattro pietre e salvare/ distruggere la terra. Korben è il protagonista principale, attorniato da una serie di collaboratori quali Cornelius, Leeloo e la ‘Federazione’. Zorg è la forza antagonistica al servizio di ‘Mr Shadow’ che si avvale inizialmente dell’aiuto dei mangalores, i quali, in un secondo tempo, intraprendono la loro personale ricerca delle pietre. Alcuni aspetti del videogioco affiorano in questa prima parte del film: per esempio, Leeloo, proprio come un perso­ naggio da videogioco, viene magicamente ricreata/trasformata (riportata in vita); i mangalores sembrano aver ‘vinto il gioco' quando, per conto di Zorg, sottraggono lo scrigno contenente le pietre (i quattro elementi). Tuttavia, quando Zorg apre lo scrigno e lo trova vuoto, la ricerca delle quattro pietre ricomincia daccapo, mentre il capo dei mangalores subisce una punizione immediatamente da parte di Zorg, che lo fa saltare in aria (o gli permette di farsi esplodere). Tanto i mangalores quanto Zorg non hanno imparato le regole del gioco e subiscono un castigo (Zorg rimane a mani vuote, il capo dei mangalores si fa esplodere). Una volta fìssati i personaggi e il loro scopo, affiorano altri elementi ag­ giuntivi della logica del videogioco. Dopo i primi 50 minuti di film si scopre che le pietre sono nelle mani di Diva, che abita un mondo paradisiaco. Que­ sto pianeta rappresenta il livello successivo dell’impresa avventurosa che i protagonisti e gli antagonisti si apprestano ad intraprendere. La Federazione trucca il concorso che dà diritto alla vincita di due biglietti aerei per il pia­ neta, per far vincere Dallas. Dopo aver appreso la notizia alla radio, Corne­ lius e Leeloo si recano a casa di Dallas. Leeloo toglie la targhetta dalla porta di Dallas e la mette sulla porta del vicino. Poco dopo, la polizia, informata da Zorg, arresta Dallas (Zorg ha scoperto che Dallas è il vincitore dei due biglietti). Ma è il vicino di casa ad essere arrestato al posto di Dallas, grazie allo scambio di targhette di Leeloo. I mangalores a loro volta sottraggono Dallas dallo stato di detenzione. Poco dopo, Cornelius ruba i biglietti del vero Dallas, va all’aeroporto e consegna i biglietti a David c a Leeloo. David si finge Dallas, ma Dallas arriva all’aeroporto e riprende possesso della pro­ pria identità. Un mangalore si presenta all’aeroporto spacciandosi per Dal­ las, ma sbaglia travestimento (assomiglia al vicino di casa di Dallas). Fallisce nel tentativo di imbarcarsi e si vede costretto a sfuggire alla polizia (che lo scambia per Dallas). Anche l’assistente di Zorg si presenta alla biglietteria fingendosi Dallas. Lassistente di volo, ormai visibilmente seccata da azioni ripetute e continui travestimenti, gli impedisce di imbarcarsi. Non appena appresa la notizia, Zorg infligge al collaboratore una punizione immediata e lo uccide. Nel frattempo, Cornelius riesce a salire a bordo dell’aereo come clandestino, e insieme a Dallas e Leeloo (travestiti da turisti), viene traspor­

tato alla velocità della luce al livello di gioco successivo. Queste scene sono governate dalle regole del videogioco: la ripetizione, il travestimento, il tentativo di accedere al livello successivo, il feedback loop (che elimina i perdenti e premia i vincitori) e la distorsione spaziale. Ma giunti al nuovo livello, si scopre che i mangalores sono arrivati prima (il capo, prima esploso, adesso è travestito da cameriere). Anche Zorg sbarca sul pianeta a bordo della propria astronave. La ricerca condotta nel livello precedente (trovare le quattro pietre) si ripete nel nuovo livello. Come i mangalores siano arrivati sul pianeta e come il loro capo sia sopravvissuto all'esplosione, capire le motivazioni che spingono Zorg a far arrestare Dallas quando Zorg ha la possibilità di arrivare sul pianeta paradisiaco in tutta au­ tonomia, perché Leeloo scambi la targhetta sulla porta di Dallas e perché si crei tanta confusione all'aeroporto, interessa solo a chi desidera interpretare il film secondo i canoni della narrazione classica. Dal punto di vista della logica del videogioco, il film ha senso. Il gioco del primo livello si ripete al livello successivo con gli stessi personaggi, ma ad un ritmo accelerato. Un solo evento narrativo si svolge sul pianeta paradisiaco - i protagoni­ sti recuperano le pietre e fanno ritorno sulla terra (che rappresenta il livello finale del film). Questo evento è tuttavia subordinato alle sequenze d azione e al canto di Diva, mentre i personaggi che falliscono nel loro intento di impadronirsi delle pietre vengono uccisi prima che il gioco del livello suc­ cessivo sia completato. Zorg compare improvvisamente e sottrae lo scrigno dalla stanza di Diva, mentre quest’ultima è impegnata a cantare. Innesca una bomba, fugge dal pianeta e apre lo scrigno, che si rivela essere vuoto. Eupisodio riprende e ripete quello precedente, durante il quale i mangalores avevano consegnato a Zorg lo scrigno (vuoto). Zorg ritorna sul pianeta, ma l'insuccesso della missione lo conduce inesorabilmente alla condanna e pur disinnescando la bomba, viene ucciso da un ordigno lasciato sul pianeta dai mangalores (a loro volta vittime dell’esplosione). Il film termina con un finale narrativo convenzionale - la formazione della coppia eterosessuale, benché l’obiettivo ultimo della storia non riguardi la trasformazione dei personaggi, ma la sopravvivenza - tipica del video­ gioco. È l’azione a dare sostanza ai personaggi (come nel caso del video­ gioco) e non lo sviluppo narrativo (il film contiene pochi enigmi una volta rivelata l’identità del quinto elemento). Dallas non acquisisce lo spessore di un personaggio a tutto tondo; impara le regole del gioco e avanza al livello successivo, guadagna punti e sia aggiudica il premio finale: la donna per­ fetta.

5.6.1.

Spettacolo, interattività e i testi scrivibili

Narrare non è un gioco, è un’avventura. Ogni mezzo narrativo ha le

sue preferenze, le storie che non può raccontare.... Vogliamo raccontare

storie che richiedono interazione. Ma cosa significa tutto ciò? ... Qual è il tipo di storia che viene raccontata meglio quando l'utente vi contribu­

isce? (Crockford, n.d.)

La maggior risorsa degli strumenti digitali è rappresentata dall’interattività applicata ai testi. Secondo Barthes, il testo diventa scrivibile. Al lettore viene concesso il piacere di aprire il testo a una molteplicità di letture e di riscriverlo, anziché fruire un significato fisso e preordinato. E tuttavia, in che modo ('interattività interviene sui testi narrativi? Le scelte del partecipante sono semplicemente predeterminate da un computer? Una caratteristica peculiare della narrativa è la struttura predeterminata che la governa e che dipende da esiti particolari. Il contributo apportato dal partecipante non fa altro che distruggere tale struttura. La struttura predeterminata esclude l’interattività - in altre parole, l’interattività non è compatibile con la strut­ tura narrativa, che è pertanto intrinsecamente leggibile. Ciò spiega perché II quinto elemento si avvalga delle regole del videogioco sopraccitate, eccezion fatta per l'interattività. La narrazione intesa come spettacolo offre una chiave di lettura per com­ prendere il contrasto fra narrazione e interattività, il che potrebbe inizial­ mente sembrare disorientante, alla luce della contrapposizione operata dai teorici cinematografici dagli anni '70 in poi fra lo spettacolo e la narrazione (elaborata in particolare da Laura Mulvey in ‘Visual Pleasure and Narrative Cinema’ e da Stephen Heath in 'Narrative Space’, entrambi citati in Rosen 1986). Non si intende però qui ‘spettacolarità’ in senso stretto. In questa sede il termine gode di una connotazione più ampia, che si rifa a quella che Guy Debord identifica come ‘società dello spettacolo’, una società (il capitalismo moderno) in cui le esperienze dirette vengono sostituite dalle esperienze rappresentate. I film sono in tal senso degli spettacoli, ossia delle rappresen­ tazioni basate su dislocazioni spazio-temporali che creano una distanza irri­ ducibile fra l’opera cinematografica e lo spettatore. Ed é proprio tale distanza a limitare il rapporto di interazione fra il film e lo spettatore. Per diventare interattivo (o scrivibile), uno strumento deve superare il fattore spettacolare (e narrativo). Daniel Dayan e Elihu Katz (1985) operano una distinzione fra lo ‘spettacolo^ la ‘cerimonia’ e il ‘festival’. Contrariamente allo spettacolo, la cerimonia e il festival comportano l’interazione, seppur in modi diversi: il festival stabilisce un rapporto di interazione molto forte

fra il pubblico e l’evento in atto (come il carnevale), mentre la cerimonia instaura un grado di interazione misurata (grida e applausi) . Il fenomeno dell'interattività come pratica culturale recente sembra suggerire il supe­ ramento della ‘società dello spettacolo’, ossia del capitalismo moderno, e l’avvicinamento a quello che Fredric Jameson definisce tardo capitalismo o capitalismo multinazionale. In quanto invenzione scaturita dal capitalismo moderno, la cinematografia è saldamente radicata nella società dello spet­ tacolo. Gli strumenti digitali interattivi, di contro, e in quanto testi scrivibili anziché leggibili, trovano ragion d’essere nel festival e nella cerimonia.

36 Un film può diventare un festival secondo il senso attribuito al termine da Dayan e Kalz (come nel caso delle proiezioni di 7he Rocky Horror Picture Show). I film vengono talvolta applauditi (connotandosi temporaneamente come cerimo­ nie), ma queste sono eccezioni alla regola.

Teorie cognitive della narrazione (Strade perdute)

Introduzione Martha Nochimson avverte i critici c i teorici del fatto che gli strumenti linguistici e razionali da essi utilizzati non colgono o perlomeno travisano la peculiarità della filmografia di David Lynch, che rappresenta ‘un livello di energia non razionale in cui si consumano eventi pregni di significato’ (Nochimson 1997). Anziché suggerire l’abbandono da parte di Lynch del linguaggio e della razionalità, la Nochimson sostiene che il cineasta colloca il linguaggio e la ragione nel contesto del subconscio, con l’effetto di rin­ saldarne il ‘dominio’. Per di più, Lynch celebra l’energia non razionale del subconscio piuttosto che diffidarne, invitando lo spettatore a ‘sospendere il desiderio di controllo (razionale] attraverso un coinvolgimento empatico con il protagonista, il quale, per sopravvivere, deve imparare ad accogliere il subconscio, affinché l’io possa aprirsi all’universo’ (Nochimson 1997). Per Lynch, l’illusione razionalista di controllo e dominio ostacola e blocca l’ac­ cesso al reale. Nei suoi film, il regista prende le distanze dalla mentalità oc­ cidentale oltremodo razionale, consapevole dell’esistenza di ulteriori livelli di significato, oltre a comunicarci che il timore degli esseri umani di abban­ donare la razionalità trae origine da costrizioni di natura linguistica. Lynch si avvale del cinema per esprimere una forza non razionale in forma tangibile (visiva e sonora). Tale forza è nota a tutti, ma repressa dal linguaggio, dalla razionalità e dal tipo di istruzione ricevuta, il che in parte spiega l’apparente assurdità dei film di Lynch, che in ogni caso possiedono la capacità di evocare sensazioni forti. Girare film assurdi e privi di emozioni

è impresa alquanto semplice, perché i meccanismi in essi coinvolti sono estranei a qualsiasi coinvolgimento con l'energia non razionale che Lynch è invece in grado di sollecitare. Si potrebbe usare il termine ‘inquietante’ per descrivere le forti emozioni che l’energia non razionale ha il potere di suscitare. Il termine si riferisce soprattutto ad uno stato d’animo generato da una sensazione di incertezza e confusione, concomitante con la graduale trasformazione della quotidia­ nità in una dimensione dai contorni strani e disorientanti, che nei film di Lynch si allarga a qualsiasi situazione ed oggetto comune: il fuoco che arde nel camino, il semaforo che passa dal rosso al verde, il rumore del vento, un viaggio in automobile. Lynch non si limita tuttavia alla presentazione di avvenimenti strani, ma riesce ad infondere un senso di inquietudine nello spettatore. È il caso di Strade perdute, film del 1997 che mette in discus­ sione alcune delle certezze suggellate dal linguaggio e dal mondo razionale, provocando una sensazione di totale disorientamento nello spettatore. Lo strano mondo in esso rappresentato ci appare nondimeno familiare - è il luogo dell’esperienza repressa dal linguaggio e dalla razionalità. In tal senso, i film di Lynch toccano le corde del subconscio, sciogliendolo da vincoli inibitori. Di fronte ad un film come Strade perdute, il pubblico cinematografico, benché messo duramente alla prova, non è generalmente in grado di accan­ tonare la facoltà razionale a favore dell’energia non razionale sprigionata dal film. Il presente capitolo si propone di analizzare Strade perdute in termini di comprensibilità'; non di scavare nel film alla ricerca di significati recon­ diti, ma di comprenderne la struttura narrativa e il modo in cui la narra­ zione riesce a trasmettere allo spettatore la vicenda. Si tenterà di dimostrare che la teoria cognitiva della narrazione trattata per la prima volta da David Bordwell in Narration in the Fiction Film (1985) e ripresa successivamente da Edward Branigan in Narrative Comprehension and Film (1992), risulta particolarmente adatta all’analisi di film complessi quali Strade perdute. La teoria cognitiva fissa infatti delle norme, dei principi e delle convenzioni che rivelano i meccanismi normalmente coinvolti nella comprensione di un film; di conseguenza, essa può dirsi meglio attrezzata ai fini di evidenziare e illustrare determinate situazioni all’interno del film medesimo in cui la com­ prensione viene meno, ovvero, situazioni nelle quali l’opera cinematografica supera gli schemi mentali consueti e razionali di comprensione (’senso co­ mune’) messi in atto dallo spettatore. In questo modo, la teoria cognitiva può meglio identificare come l’energia non razionale ne abbia influenzato la struttura e il significato.

6.1.

La teoria: Narration in the Fiction Film

In Narration in thè Fiction Film, David Bordwell elabora una teoria co­ gnitiva mirata alla comprensione dei film, contrapponendola in maniera esplicita alla teoria psicanalitica del cinema. I teorici del cinema psicanali­ tico (trattati nei capitoli 8 e 9) non considerano la realtà come esperienza delimitata dai confini della coscienza (o ‘senso comune’), allargandola ad includere il mito, l’ideologia, i desideri inconsci e le fantasie. Secondo gli psicanalisti, il livello cosciente rappresenta solo la componente superficiale della personalità, che rimane in larga misura nascosta e repressa. Tuttavia, per i propugnatori della teoria cognitiva, la coscienza non è da considerarsi soltanto alla stregua di una superstruttura, in quanto costituisce il substrato stesso della personalità. Bordwell riprende la teoria cognitiva per soste­ nere che i teorici cinematografici dovrebbero partire da una spiegazione cognitiva dei fenomeni filmici, e avanzare spiegazioni di natura psicanali­ tica soltanto nel caso in cui un’interpretazione cognitiva fosse da ritenersi insufficiente: ‘La teoria da me propugnata concerne gli aspetti percettivi e cognitivi della visione di un film. Sebbene non sia mia intenzione negare l’utilità di un approccio psicanalitico nei riguardi dello spettatore, non v