Studi sulle actiones arbitrariae e l'arbitrium iudicis

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STUDIA

JURIDICA

XXX

BIONDI BIONDI

STUDI SULLE ACTIONES ARBITRARIE Ε

L'ARBITRIUM IUDICIS

EDIZIONE ANASTATICA

"L'ERMA" di B RETSCHNEI DER - ROMA 1970

INDIC£

Introduzione,

pag. Ι

I. Valore del termine `adio arbitrarla' nelle fonti claaiche e giustinianee. 1. Quadro delle fonti (pag. 51. - 2. La procedura interdittele per formular arbitrariam. Valore e significato

di

questo appellativo Ipag. 61. - 3. Secondo uno scolio di

Stefano sarebbe stata chiamata arbitraria l'azione che proteggeva

'

il dominus per le omis-

sioni dannose da parte dell'usufruttua ~o. Ragione di tale qualifica (pag. 12!. - 4. 11 nome di astio arbitraria dato alla cosi detta astio de eo quod certo loco.

Α

che cosa

'riconnettevasi tale denominazione (pag. 15). - 5. Concetto tecnico di astio arbitrava che appare net testi della c οmρilazio πe. Questo concetto è giustinianeo. Esame del § 31 •

Inst. IV. 6. Conclusione (pag. 16). - 6. Esame del fr. 14, 4 D. 4, 2 e 4, I D. 13, 4 :pag. 231. - 7. Esame del b. 3, 1 D. 22, 1

~ ρag. 24).-8. 11 fragmentum de formula

Fabiana ipag. 26). - 9. Conclusione sul valore del termine 'e aclio arbitrarla A nelle fonti genuine e net testi interpolati. (1 concetto giustinianeo di astio arbitrarla 'pag.

31).

IL Azioni penali.

§ L Actio quod metus causa .

pag.

38

1. La mancata restitutio rei nel diritto classico subordinava l'esercizio dell' azione; con Giustiniano è condizione alla condanna. Differenza fra i due concetti. Identica trasformazione operata dai commissari nell'astio contro il publicano qui v i ademerít 'pag. -

38. 2: argomento che si ricava da questo testo §§ 7-8 D. h. t. e del § 27 lust: IV, 6. ConI, 14 §§ 5, 1 1 h. t. si parla di arbit ~ um iu-

2. Interpolazione del fr. 14, 15 D. 4,

(pag. 42). - 3. Interpolazioni dei fr. 9 clusione (ρag. 45).

-

4. Nei fr.' 10 §

dicís: si pone la tesi che i giuristi dovevano parlare di arbitríum Praetoris ipag. 48). - 5. Fame della questione del pe ~mento fortuito della cosa, in cm principalmente opera

Il concetto di arbitrium iudicts; interpolazione del fr. 14 §§ 5 e 11 D. h. t. (pa-

gina 53).-6. Interpolatione del fr. 10 h. t. (pag. 59).-7. Conclusione. -e ηprova delle indagini fatte. II carattere dell'azione a causa de ll a innovazione giustinianea venne radicalmente trasformato: α) nel diritto classico l'azione era strettamente penale; influenza della condizione « nisi restituat a apposta all'esercizio dell'azione; come si spiega il divieto di cumulare l'azione con i mezzi reipersecutori.

b)

nel diritto giustinianeo l' azione

'

mista; in che senso è mista (pag. 60). - 8. Effetti di questa trasformazione riguardo ai rapporti fra l'astio quod metus e la restitutio in integrum. Fusione operata da Giusti-

niano fra questi due mezzi giuridici. L'assetto generale dell'istituto nel diritto giustinianeo (pag. 71). - 9. Il § 4 i b. 1 tit. 7 delle Sent. di Paolo è spurio; probabile sua origine (pag. 75).

§ 2. Astio doli.

pag. 78

1. Si pone la tesi che la possibilità concessa al convenuto nell'astio doli di restituire la cosa ed essere assolto none classica. Argomento che si ricava dall'ordine sistematico del cimento ad ed. di Paolo pag. 78 ι. - 2. interpolazione del fr. 18 pr. D. 4, 3. Ρerchè nel diritto classico la formula non poteva contenere una clausola restitutoria (pag. 80). - 3. interpolazione del fr. 18 §§ 1 e 4 h. t. lpag. 84 1. - 4. Del fr. 17, 1 h. t. pag. 89i.-5. Si riferisce all'astio doli anche il fr. 12, 1 D. 23, 3 (pagina 90. - 6. Natura dell'astio doli: penale nel diritto classico, mista nel diritto giustinianeo.. Esame dei principi che si riconnettono alle due concezioni dell'azione (pagina 92. - 7. Rapporti fra la restitutío in integrum e l'astio propter dolum nel diritto giustinianeo : la restitutio fu soppressa dai commissari. Conclusioni sull'istituto nel diritto giustinianeo pag. 99. ,

3. Actin in factum propter alienationem iudicii mutandi causa factam

.

.

. pag.' 106

1. Contenuto dell'editto sull'alienatio iudicii mutandi causa £acta : restitutio i ~~integrum ed actlo in factum (pag. 1061. -- 2. Nel diritto classico l'astio in factum non conteneva alcuna clausola restitutoria: int. dei fr. 4 § 6 e 7 D. 4, 7. Natura dell'azione penale nel diritto classico, reipersecutoria arbitrio iudicis nel giustinianeo (pag. 107). 3. Fusione operata dai compilatori della restitutio in integrum co1P astio in factum fpa:

gina 113).

.

Actio in factum adversus eum qui mortuum in locum alte . . . pag. 115 . . nus intulerít vel inferre curaient 1. E probabile che la formula di questa azione contenesse una clausola restitutoria; na nel diritto classico l'azione aveva per obbietto il pre ti um del luogo occupato e non aveva affatto carattere di pena. Diventa penale con Giustiniano perchè questi la estende all'ipotesi di illatio in sepulchrum; interpolazione del fr. _, 2 D. II. 7 e del fr. 7. 1 D e οd. ,pag. 115).

Azioni edilicie.

. pag.

119

I. Actif redhibito ~ a. 1. Obbietto della presente indagine (pag. 119). - 2. 11 coneetto di redhibitio nel diritto classico. Contenuto dell'actio redhibitoria nel diritto classico e ncl giustimanvro (pag. 120). - 3. La redhibitío nel libro siri romano (pag. 131 ). 4. L'aiio redh. nel diritto classico non era penale. Diventa penale solo con Giustiniano.

pag. 135). - 5 . I poteri del giudice nell'actio redh. Rapporti fra la redhibitonia e l'adii

'‚- ΤΙ

quan ti minons (pag. 141). - 6. II processo ciassico della redhíbitio e la formula del1'αε ~ο redhibitoria (pag. 143). - 1~. Actio in factum ad pretium reciperandum si mancipum redhibitum sit. (pag. 150). - ΙΙΙ. Actio ad redhíbendum si venditor non caveat (pag. 151). - 1V. Actio de ornamentis restituendís (pag. 1 53).

Actío rei uxoriae

. pag. 154

1. L' astio rei uxo ~ae, se pur in origine penale, non ha ρiìi nel diritto storico menomamente questo carattere. Rinvio della questione relativa alla clausola restitutoria in questa azione (pag. 154).

. pag 155

Actío rerum amotarum

1. Nell'astio rerum amotarum l'ipotesi della restitutio rei era concepita nel diritto classico come condizione negativa all'esercizio dell'azione e pertanto tale clausola restitutoria si conciliava col carattere penale di essa (pag. 155). - 2. Il giuramento dell'attore, da cui si è argomentato che il convenuto potesse restituire in iudicio, non è classico (pagina 160). - 3. Per diritto giustinianeo, pur mancando una espressa dichiarazione testuale, bisogna ammettere che il convenuto potesse evitare la pena restituendo la res prima della sentenza; analogia colla condictio furtiva (pag. 164).

Αziani Fabiana e Calvisiana

. pag. 165

1. Le azioni Fabiana e Calvisiana contenevano una clausola restitutoria ; ma non erano affatto penali (pag. 165).

Azioni con tr o il publicano qui vi ademerit o illicite exegerit. pag. 168 1. L' esercizio di queste azioni nel diritto classico era subordinato alla mancata restitutio rei; mentre nel diritto giustiníaneo il convenuto evita la pena restituendo la ces anche prima della sentenza (pag. 168). - 2. Natura penale di queste azioni nel diritto classico; mista con Giustiniano (pag. 170).

Actio Pauliana (?) .

.

. pag. 172

1. La congettura del Lend che per il diritto classico ammette l'esistenza di una estitutio in integrum al luogo dell' acto Pauliana è accettabile. L' astio Pauliana però, come la concepisce la communis opino, non poteva essere penale. Argomento che si ricava dal fr. 7 D. 42, 8 a favore della tesi leneliana (pag. 172).

Interdetti penali

.

. pag. 179

1. Nel diritto classico era ignoto il concetto di interdetto penale (pag. 179).-2. Taluni interdetti erano annali, intrasmissibili passivamente agli eredi e nossali; ma ciò dipendeva dalla particolare struttura dei singoli rapporti tutelati, e non dal preteso carattere penale dell'interdetto• (pag. 182). - 3. L'antitesi fra interdetti penali e reipersecuto ~~si

.

--

VIII



affaccia solo nella procedura giustinianea in cui l' intetdictum classico è riassunto nel sistema generale delle aziouú (pag. 190).

m. Azioni dirette ad un dare facere opintera.

Condíctío ed actío ex stípulatu .

. pag.

Azioni nossali .

. pag.

ludicia bonae fidei

• pag.

Azioni reali.

Origine della condanna pecuniaria

Condanna pecuniaria ed in ipsam rem

. pag. pag.

Contenuto ed estensione dell'arbitrium iudicis nel diritto classico e nel giustínianeo . . pag. Responsabilità del possessore per pe ~mento fortuito.

. pag.

Giuramento in lite .

. pag.

Conclusione

s

INTRODUZIONE SOMMARIO: 1. II concetto di actio arbitraria nella letteratura romanistica, Oggetto e scopo di questi Studi.

1. —11 concetto più diffuso sulle actiones arbitrariae e elm

'_'

i-

tuisce l'elemento comune di tutte le ricostruzioni, si racchiude in que-

sta proposizione : actiones arbitrariae sono quelle in cui il giudice per espressa disposizione della formula, deve assolvere il convenuto ove questi sodisfi spontaneamente in iudicio, dietro invito del giudice, la pretesa dell'attore, tesi ad esempio, restituendo la cosa oggetto della rivendica, facendone la exhibítio in caso di astio ad exibendum, ecc. La formula delle actiones arbitraríae conteneva adunque una clausola la quale fungeva da condizione negativa alla condanna; coal nella reivindicatio la condanna era subordinata alla condizione neque ea res Νs Is Al Al arbitratu tuo restituetur v; su questo tipo erano costruite le altre actiones arbitrariae, ed appunto la presenza nella formula di una tale clausola—chiamata comunemente clausola arbitraria— determinava nel diritto romano il concetto di actío arbitraria. Ma pur partendo dal fondo comune della clausola arbitraria, per ciò che riguarda í poteri che essa attribuiva al giudice e l'interpretazione datale dalla giurisprudenza, gli scrittori pervengono a risultati essenzialmente diversi. Così dalla dottrina che la clausola arbitraria autorizzava il giudice solo a rivolgere un invito (iussus, arbitrium, arbitratus) al convenuto di sodisfare l'attore, e di assolvere se ciò si effettuasse (I), si è pervenuto alla recisa affermazione di vari suit-

(t) Si possono vedere ad esempio : Keller-Wach, Civilprozess, Il Aull., pag. 137 e 467; Zimmern, Der rom. Civilprozess, pag. 205 e segg.; Scialoja. Procedura civile romana, (Lezioni 1894), pag. 537; Dem n b u r g, Geschichte und Theorie der CQrti-

-2— to~, sopratutto del Pernice (`), che cioè nelle actiones arbitrariae il giudice aveva i pii ampi poteri, perfettamente come nei iudicia bonae fidei; e solo con questa pa ~ficaziοne il Pernice credè di potere spiegare adeguatamente come mai i giuristi romani abbiano ritenuto del tutto superflua l'inserzione dell'exceptio doli nella formula delle actiones arbitrariae: qui, come nei iudicia bonae fidei, i poteri del giudice erano sufficienti. Ε nel medesimo ordine di idee il Naber ( 2) ariνò a mettere insieme actiones arbitrariae e iudicia bonae fidei in una categoria a se di azioni più libere in contrapposto ai iudicia strícta. Fra queste dottrine estreme v i sono degli scrittori i quali ammettono che nelle actiones arbitrariae il giudice avesse dei poteri ampi, ma in un certo senso ed in una certa direzione; da qui gli sforzi e le distinzioni spesso artificiose e sottili, appunto per distinguere i poteri del giudice nelle actiones arbitrariae da quelli nei iudicia bonae fidei, e - financo l'aequitas che veniva in considerazione nelle prime e quella che presentavisi al giudice nei secondi ('). Questo lo stato della letteratura romanistica sull'argomento. Da questa rapidissima rassegna spero che il lettore s i sari persuaso come la dottrina delle actiones arbitrariae e dell'arbit ~um iudicis ha bisogno pensatier, 11 Aufl., pag. 495 e Dernburg-Sokolowski. System des röm. Recht, VIII Aufl., pag. 238 e seg.; Baron, Pandekten, IX Aufl., pag. 168; Leonhard, institu ti onen, pag. 479; sostanzialmente anche Β e k ke r, Die Aktionen, vol. II, pag. 1 41 e seg.: per gli antichi vedi C u í a c í o , Opera (Neap. 1758), voi. 1, c01. 967 e vol. V, col. 148; ambiguo in questo punto invece D o n e l l o , Opera (Lucie 1766), νοl. Vi, col. 812-815 vo1. X, col. 1073 e seg. Labeo. I1 Aufl., vol. ii, 1, pag. 235, 255 n. 1, 288, 291. cui aderisce completamente Erman, Zeitschrilt der Sai. S ti ft., vol. XXV, pag. 255 e seg.; alla stessa concezione ed indipendentemente dal Pernice arrivano anche Ε i sel e, Die Compensation, pag. 372 e seg.; Wlassak, Röm., Ρrο zessgesetze, voi, 11, ραg. 312 n. 32, ed in PaulyWissowa, Real-Encyclopädíe, ad v. actio; A p ρ let on, Histoire dé la Compensation, ραg. 372 e seg.; cfr. pure So hm, Ins ti tu ti onen, XIII, Aufl., ραg. 315 e seg. Mnemosyne, vol. XXIV, pagg. 55-58; al Naber aderisce ora Perozzi, lstituzíoni, vol. Il, pag. 68. Identica sistemazione già anche in Windscheid, Pandette, trad. it., vol. I, pag. 194 in fine. Cfr. anche la definizione del S a i í g n y , Sistema, trad. Scialoja, vol. V, pag. 148. (~ In questo ordine di idee si vedano per tutti : Bethmann-Hollweg, Civilprozess, vol. 11, pag. 292 e § 90 n: 9 e 22; R u d o r f f , Röm. Rechtsgeschichte, vol. 11, § 42; Winne, Exceptio doli, ραg. 32. Anche la Glossa (ad § 31, Inst. 4, 6) si sforzava di distinguere le actiones arbitrariae dai iudicia bonae fidei. Cfr. inoltre L e n e I , Βe~träge zur kunde des ρräto~ schen Edikts, pag. 82 e segg. Si noti però che il Lenel qui,

per ~comprendere nella categoria delle actiones arbitrariae l'actio de eo quod certo

-3-di nuove e piú profonde indagini, esaminando il problema nei suoi molteplici aspetti ed in tutta la sua integ ~ti (t).. Molte questioni di gravissima importanza sono connesse colla dottrina dell'arbitrium iudicis, e di fronte a tanta importanza dell'argomento, fa meraviglia come, dopo tutto, gli scrittori si sono contentati di racimolare da qualche testo, segnatamente dal § 31 I πst. IV, 6, il concetto di aclio arbitraria, concetto che in fondo costituisce la dottrina tralaticia sull'argomento. Ed ogni indagine sulle actiones arbitrariae si è esaurita solo nel determinare quale importanza pratica potesse avere con Giustiniano questa categoria di actiones arbitrariae, comprendente in massima parte azioni reali, e per cui vige nel nuovo diritto il principio della restituzione della cosa manu militari. Tutto il resto si è accettato come un domma senza veruna discussione, ed il concetto di actio arbitraria è stato sempre riguardato come uno dei prodotti genuini e pi caratteristici del processo formulare classico. Or questa sicurezza, quando le indagini critiche sul corpus iuris vanno ogni giorno rilevando le continue e radicali modificazioni che Giustiniano apportò alle dottrine dei classici, non può condividersi, specie in una materia di diritto processuale come questa, in cui le divergenze essenzi ali fra la procedura classica e giustinianea, dovevano indurre i commissari a nuove e più profonde trasformazioni. In questi Studi appunto mi propongo di ricercare quanto di vero vi sia nel concetto . tradizionale delle actiones arbitrariae, e quanta parte nella formazione di esso debba attribuirsi a Giustiniano, per arrivare infine ad una concezione più comprensiva sui poteri del giudice nel diritto classico e nel giustinianeo.

loco, venne a negare che il concetto tecnico di astio arbitraria fosse

dato dalla clau-

sola arbitraria; credo però che il L e n e I non insista più su questa opinione dal momento che nell'Edictum perpetuum (pag. 239) nega espressamente l'appartenenza dell'astio

de ei q. e. I. alla categoria delle actiones arbitrariae. —Altri scrittori si limitano sole ad affermare che nelle actiones arbitrariae il giudice doveva apprezzare ex boni et aequo la

sodisfazione da prestare a ll'attore : rosi Bonfante, Istituzioni, IV ed., pag. 105 e seg.;

Girard, Manuel, led., pag. 1017 e moltissimi altri che sarebbe troppo lungo ricordare. (') Che io sappia, trattano a - parte delle actiones arbitrariae solo

due monografie

:

Bensey, Beitrag zur Lehre von den actiones arbitrariae, in Rheinisches Museum, vol. IV

(1833), pagg. 31 1-316 e G i m m e r t h a l, Das Eigenthum im Conflikte mit den übrigen Gebilden des Sachenrechts, und die actiones arbitrariae insbesondere,

II

Aufl. 1875;

ma entrambe si limitano solo ad un riassunto della letteratura sull' irgomento, ed a fare

il catalogo delle actiones arbitrariae, senza però alcun risultato degno di nota.

I. Valore del termine "actio arbitraria" nelle fonti classiche e gíustinianee. SOMMARIO: 1. Quadro delle fonti. — 2. La procedura interdittale per formular bitrariam. Valore e significato di questo appellativo. — 3. Secondo uno scolio di Stefano sarebbe stata chiamata arbitraria l'azione che proteggeva il dominus per le omissioni dannose da parte dell'usufruttuario. Ragione di tale qualifica. — 4. Il nome di astio arbitraria dato alla così detta actio de eo quod certo loco. Α che cosa riconnettevasi tale denominazione. — 5. Concetto tecnico di actio arbitraria che appare nei testi della compilazione. Questo concetto è gíustinianeo. Esame del § 31 Inst. IV, 6. Conclusione. — 6. -Esame del fr. 14, 4 D. 4, 2 e 4, 1 D. , 13, 4. — 7. Esame del fr. 3, 1 D. 22, 1. — 8. II fragmentum de formula Fabiana. — 9. Conclusione sul valore del termine k actio arbitraria a nelle fonti genuine e nei testi interpolati. Ii concetto giustinianeo di actio arbitraria.

1. — Una prima indagine che s'impone preliminarmente a chi voglia studiare le actiones arbitrariae e l' arbitríum iudicis nel diritto romano, è quella di determinare il signihcato ed il valore che a1 termine e actio arbitraria » o .c formula arbitraria s attribuiscono le fonti. Ecco il quadro dei luoghi in cui s'incontra nelle fonti il termine astio arbitraria o formula arbitraria. Fonti antegiustinianee : il termine e formula arbitraria s si rinviene in materia di interdetti due volte in Gaio (IV, 141, 163), ed una volta nei frammenti Viennesi dei libri institutionum di Ulpiano (V, 1) ; r arbitraria ss verrebbe inoltre chiamata l'astio Fabiana in un lacunoso passo del fragmentum de formula Fabiana (I, 1) ; i termini e astio s o e formula arbitraria u mai s'incontrano nei fragmenta Va-

-

6

-

ticana, nelle Regulae di Ulpiano, nelle Sententiae di Paolo, nella Collatio, nella Consultatio, e neanche nei pochi frammenti pervenutici dei Codici Grego~anο ed Ermogeniano (ed. Krueger), nè nel Codice Teodosiano (ed. Mommsen), nelle Constitutiones Sirmondianae (edizione Mommsen), e nelle Novellae posttheodosianae (ed. Meyer). Compilazione di Giustiniano : nelle Istituzioni al 31, IV, 6 si trova la notissima formulazione generale sulla categoria delle actiones arbitra~ae; nel § 33 ε. IV, 6 il termine actio arbitraria è riferito all'actío de eo quod certo loco. Nelle Pandette al fr. 3, 1 D. 22, 1 è riconosciuta una categoria generale di ' iudicia arbitraria >; nei fr. 2, pr., § 8, 4 § 1, 5, 7 pr., 8, 10, D. 13, 4, e 16, 1 D. 13. 5 chiamata col nome di astio arbitraria quella che dagli interpreti si suol chiamare actío de eo quod certo loco; nel fr. 14, 4 D. 4, 2 è chiamata arbitraria l' astio quod metus causa. Nel Codice íl termine astio arbitraria non s' incontra che una sola volta, cioè nella c. un. C. 3, 18, ma in rapporto ail'actio de eo quod certo loco. Nelle Novelle il termine astio arbitraria non compare mai. Per le fonti extragiurídiche, nessun passo registrano il Lexicon del Forcellini, il Thesaurus linguae latinae, ed il Lexicon zu Cicero del Merguet. 2. — Questi í passi delle fonti in base a cui dobbiamo ora determinare il valore del termine < astio arbitraria ». E bene incominciare dai passi di Gaio e di Ulpiano relativi alla procedura interdittale, sia perché essi rappresentano per noi la fonte genuina per eccellenza, sia perche le considerazioni che andremo svolgendo in proposito sono di grande importanza per 1' esame ulteriore dei testi. IV. 141 : Nec tarnen cum quid iusserit fieri aut fieri prohibuerit, statim peractum est negotium, sed ad iudicem recuperatoresve itur et íbi editís formulis quaeritur, an aliquid adversus praetoris edictum factum sit, vel an factum non sit, quod is fieri iusserit. et modo cum piena agitur, modo sine piena: cum piena, veluti cum per sponsionem agitur, sine piena veluti cum arbiter petitur. et quidem ex prohibito~is interdictis semper per sponsionem agi solet; ex restitutoriís vero vel exhibitoriis modo per sponsionem, modo per formular agitur quae arbitraria vocatur. Frag. Vind. V (Ulp. inst.): [aut per formular] (I) arbitrariam ({) Supplito dal Krueger (Collectío, II, 159).

-7— restitutorio vel exhibitorio interdícto explicantur aut per sponsionem formular accipit arbitra ~am » reddito La caratteristica dí questa formula arbitrar ~m sarebbe indicata da Gaio nel § 163: ζ ...accιρ it formular quae appellstur arbitraria, et iudicis arbitrio si quid restituí vel exhibe ~~debeat, id sine pe ~culo exhibet aut restituii, et ita absolvítur; quodsi nec restituat neque exhibeat, quanti ea res est condemnatur ». Nessun dubbio, si dice generalmente, che qui G α~ο conosce una formula arbitraria, la cui denominazione traeva o ri gine dal fatto che la formula conteneva una clausola εΡ nisi arbitrio tuo restituetur ». Cosi interpreta l'unhuersa opinio, ed anzi gli scrittori a proposito delle tunes arbitra~ae non hanno mai mancato di citare in prima linea quei passi gaianí quale fonte sicura ed indiscutibile. Or questa interpretazione a mio parere è ben luuìgi dal rispecchiare esattamente il pensiero di Gaio e dal cogliere la vera caratteristica della procedura interdittele ' per formular arbitra ~am ». Gα~ο, la fonte per noi precipua per la conoscenza del processo classico, c'informa che in base all'emanazione dell'interdetto s'ingaggiava un procedimento regolare in cui l'attore otteneva giudizialmente la realizzazione del suo diritto non sodisfatto spontaneamente dall' avversario in seguito all'ordine del magistrato; § 141: e ad iudicem recuperatoresve itur et ibi editis formulis quaeritur, an aliquid adversus praetoris edictun factum sit, vel an factum non sit, quod is heri iusse ~t ». Il processo poteva svolgersi in due modi: per gl'interdetti proibitori si agiva sempre per sponsionem, per gli interdetti restitutori od esibito~~invece da quello e per sponsi οnem >. Evidentemente,dunque, l'appellativo di « formula arbitraria > non stava qui in alcun rapporto colla clausola restitutoria. La differenza sostanziale e tipica fra le due procedure per spon-

Lene!, Das Edictum, pag. 434 n. 4; Rudorff, De iuris dictíone Edictum, ραg. 213; Schmidt, Das Interdiktenverfahren der Röme τ, 1853, ραg. 258; Pfersche, Die Interdikte des rom. Civílprozesses, 1888, ραg. 107 e seg. Ubbelohde, Cont. al Gl u ck, 1íb. 43-44, trad. it., vol. 1, ραg. 496; Schmidt, op. cit., pag. 259.

-9— sionem e per formulam arbitrariam, unitamente alla ragione di quest'ultima denominazione, risulta nel modo piYY netto e preciso se si esamini senza preconcetti la trattazione di Gaio. L'antitesi che costituisce la nota dominante in Gaio è data dall'agere cum piena o sine piena; § 141 : « et modo cum piena agitur, modo sine piena: cum piena, veluti cum per s µ onsionem agitur, sine piena, veluti cum arbiter petitur ». La sponsio qui non aveva funzione pregiudiziale 'come nell'astio in rem per sponsionem (cfr. Gaio IV, 95), ma era strettamente penale, ed il convenuto soccombente veniva condannato sia al quanti ea res est o alla restituzione della cosa, sia alla somma dedotta nella sponsio (§ 166 e 167); e pertanto, Gaio nel § 163 dice che nel processo per formular arbitrariam i l convenuto « i d sine periculo exhibet aut restituit », e per converso al § 165 dice che se il convenuto « tacitus de jure exeat », senza cioè aver preferito la formula arbitraria, « cum periculo res ad exitum perducitur, nam actor provocai adversarium sponsione ». L'antitesi fra í due procedimenti interditteli, come si vede, era netta e precisa e poggiava su elementi di sostanza. Ma perche uno di essi fu chiamato « per formular arbitrariam »? La ragione di ciò a mio parere è ben semplice e credo sia il caso dell'uovo di Colombo. Si osservi anzitutto che per Gaio questa formula arbitraria non costituisce un concetto che per determinati elementi comuni si rat tacchi ad un tutto più generale, ma è un puro e semplice appellativo. Il giurista non dice che la formula è arbitraria, ma parla di una formula « quae arbitraria tocatur» (§ 141) e « quae appellatur arbitraria » (§ 163). Α questo rilievo bisogna aggiungere un'altra constatazione. La procedura per formular arbitrariam aveva luogo solo quando il convenuto avesse chiesto in giure al magistrato la nomina di un « arbiter ». Sulla nomina dell'arbíter Gaio ed Ulpiano insistono costantemente; nomina dell'. arbiter e cóncessione della formula arbitraria sono due cose legate indissolubilmente; s i vedano i passi di Gaio, § 141 : « sine piena veluti cum arbiter petitur »; § 163 : « Namque si arbitrum postulaverit is cum quo agitur, accipit formulam quae appellatur arbitraria... Proculo placuit denegandum calumniae iudicium ei qui arbitrum postulaverit, quasi hoc ipso confessus videatur restituere se vel exhibere debere. sed allo lure utimur, et rede; potins enim ut modestiore via litiget, arbllrum quisque petit, quam quia confltetur »; § 164 : < observare autetn debet is qui vult arb ι-

--

10 —

‚rum petere, ut statim pelai, antequam ex iure exeat ;» ; § 165 : ι itaque si arbitrum non petierit, sed tacitus de jure exierit, cum periculo res ad exitum perducitur u. Analogamente Ulpiano nei ham. Vind. V: 'ι si quidem arbitrum postuleverit is cum quo agitur, formular accipit arbitrariam, per quam arbiter ;', ( 1 ). Ε Cicerone contrappone addirittura le due procedure interdittali nel modo seguente : Pro Tullio XXIII, 53 ; d et ego ipse tecto illo distirbato, si hodie postuler quod vi aut clam factum sit, ut aut per arbitrum restituas aut sponsione condemneris necesse est» (t). Ora è appunto in questa nomina dell'arbiter che risiede il perchè della denominazione di formula arbitraria (). Dal sostantivo α arbiter » deriva e arbitrarius» (`); e la formula in cui si nominava espressamente un arbiter potè benissimo esser chiamata dai classici arbitraria » senza attribuire a questa denominazione un significato tecnico e speciale. Questa derivazione conferma appunto Festo: ι Arbiter dicitur qui totius rei habest arbitrium et facultatem... arbitrarium

cum adbuc res apud arbitrum geritur» ('). Dunque, una delle due procedure interdittali si chiamava per formulam arbitrariam perche in essa si nominava un arbiter al quale era devoluta la conoscenza della questione. Non solo; ma nel fatto particolare che in que»ta procedura entrava in campo un arbiter, deve

(I) La

pergamena qui finisce.

(2) Come è facile immaginare e come si vedrà meglio oltre, colla scomparsa caratteristico processo interdittele classico, i lesti della compilazione

del

non conservan piú

traccia della formula arbitraria e dell'nttiviils dell'arbiter. In tulle le parli del Corpus iuris una sola volta é ricordato l'arbiter, nel fr. 8 D. 42, 8 (Venulejus, VI interd.) : cam

rem spud arbitrum ex causa animadvertendam r; è un testo certo sfuggito ai compilatori. Si noti però come non sia infrequente nei giuristi l'uso del generico « iudex , al luogo di e arbiter , : efr. Wlassak, Röm. Prozessgesetze, vol.

O

La verità é stata solo intuita vagamente

II, peg. 287 e seg.

dall'Huschke, Die Multa and des

Sacramentum, 1874, peg., 77 n. 185 : w von dem (arbiter) — nicht umgekehrt — die formula arbitraria ihren Namen erhielt, während die arbitrariae actiones von dem inhalt—dem in ihrer Formelhinzugefügten arbitriuni iudicis — so hiessen α. (1) Questa derivazione riportano' i migliori lessici : Forcellini, Lexicon, ad h. v., ed il Thesaurus, ad h. v.

(') Ad v. arbiter: vedi Bruns, Fontes, si troverebbe ancora

Il, peg. 3; in Vitruvio, de architectura 1l, 8

arbitraria communium ρarietum n con riferimento ai giudizi divisori

in cui, come é noto, nominavisi un arbiter; il testo é però emend a te in arbitrio corn-

,

munium parietum (F o r c e I I í n i , Lexicon, ad h. v.) o in arbitri (ed. Rose, Müller-Stru-

bine, Lipsiae 1867).

trovarsi a mio avviso la ragione per cui mentre G α~ο nel § 163 in rapporto alla formula arbitraria dice : r et iudids arbitrio si quid restilui vel exhiberi debeat », per la form υia derivante dalla sponsio dice solo : « nisi ei res exhibeatur aut restituatur (§ 165) e αΡ nisi restituat» (§ 166α) ('). È dubbio se, nonostante l'attestazione di G α~ο, quest'ultima formula contenesse nella clausola restitutoria le parole αΡ arbitrio tuo », come vuole il Lenel (2), ma ad ogni modo, limitate anche solo alla formula arbitraria, il loro valore é sicuro. Arbitrium iudicis qui è equivalente ad officium arbitri. Cosi Cicerone nel citato passo pro Tullio contrappone le due procedure per formular arbitra~am e per sponsionem nel modo seguente : ι aut per arbitrum restituas aut sponsione condemneris necesse est », e non altrimenti Ulpiano (frag. Vind. V), sebbene il passo sia monco: αΡ formular accipit arbitrariam per quam arbiter; ». Quest'uso di arbitrium ed arbitrium iudicis in rapporto all'arbiter nella terminologia romana è costante. Testo (de verb , sign. ad v. arbiter) ci attesta che αΡ arbitrium dicitur sententia quae ab arbitro sta-

( ~ ) Caduto il sistema classico degli interdetti, i compilatori dovettero naturalmente annullare ogni divergenza fra le due procedure interditteli. Non solo non s i parla piò della spo ~sio, della formula arbitraria, della nomina dell'arbiter (vedi sopra pag. 10 n. 2), ma l'arbit ~ um iudjcjs in materia d'interdetti è stato sistematicamente cacciato fuori dai testi; si conserva soli in due passi, nel fr. 10, 20 D. 42, 8, relativo all' interdictum fraudatorium (cfr. Le nel, Edictum,'pag. 479) e nel fr. 15, 11 D. 42, 24 per l'interdictum quod vi aut clam; nella c. 7 C. 8, 4 = c, 3 C. Th. 4, 22, s i dice : 'e ante eventum iudicialis arbitrii ». Nella maggior parte dei testi della compilazione si parla in generale di restituere od exhibere senz'altro; è possibile che essi siano stati manipolati dai commissari per fare scomparire ogni traccia del processo interdittele classico; ma per la loro genuinità, sta il fatto che identiche espressioni si trovano in Cic. Pro Caec. 22, in Gaio (IV, 154), nelle Sent. di Paolo (iV, 7, 6; V, 6, 10) e nel C. Th. (IV, 22, I e 4), ed i l considerare che í giu ~sti ponendosi dal punto di vista del risultato pratico degli interdetti restitutori od esibitori, potevano parlare senz'altro di restitutio e dí sχhíbi ιio. Sommamente sospetti sono invece quei testi in cui si parla di restituere od exhibere α officio iudicis »; i passi sono i seguenti: fr. 2, 18 D. 43, 8; fr. 15, 7-9 D. 43, 24; fr. 7, 3 D. eod., fr. 5 D. 43, 1; fr. 21 pr. D. 43, 24 [ad un interdetto proibitorio si riferiscono i fr. 2, 18 D. 43, 8 e 15 D. 39, 11. Di questi testi, interpolato è sicuramente i l fr . 7, 3 D. 43, 24 in cui però è tribonianeo tutto il brano a quod non... celebrare oportet » : cfr. Pernice, Labeo, Il, 1, pag. 95 n. 2. La s5stituzione di a iudex » ad s arbiter » nel fr. 5 D. 43, 1, ammette anche Se c k el, Heumanns Handlexicon, pag. 291; analoga sostituzione dovette essere operata nel fr. 21 pr. D. 43, 24. Nella c. 1 C. 8, 1 probabilmente è interpolata l'ampollosa frase a rem ad suam aequitatem redige[ ». (2) Das Edíctum, pag. 434 n. 4.

-- 12 tuitur ». 11 vetusto carme decemvirale (XII, 3) diceva: e si vindiciam falsam tulit, si velit is, tor arbitros dato, eorum arbitrio... fructus duplione damnum deciditi » ( 1 ); ed Isidoro (orig. V, 25, 10) : ι quae actio (sc. communi divídundo) íubet postulantibus arbitrum da r , cuius arbi‚rzlu res dividatur x. Riguardo ai testi giuridici, mettendo da parte í frammenti relativi ai iudicia bonae fidei, agli interdetti, ed all'arbiter ex compromesso, per l'uso di arbitrium iudicis in rapporto a µ 'arbiter, si possono vedere i passi seguenti (2) : fr . 62 (61) pr. D. 47, 2 (Ak. VIII quaest.) : αΡ Si servus cornmunis υ~~ex dominis furtum fece ~t, commuai dividundo agi debere placet et arbitrio iudicis continerí, ut aut... fr. 35 D. 38, 2 (Jav. III ep.) : (...optimum itaque erit arbitrum postulare, ut arbitrio e~us usus fructus in integrum restituotur » fi . 13, 2 D. 7. 1 (Ulp. XVIII ad Sab.) : (...ideo iudicem dare, ut e~us arbitrariu utatur...> ( 3) , Dopo l'esame fatto, la contrapposizione fra le due procedure interditteli appare sotto ben altra luce : non era menomamente l'esistenza di una clausola ι nisi restituetur» che dava la caratteristica essenziale al processo per formular arbitrariam. 1 due procedimenti si distinguevano nettamente per ragioni di sostanza: l'agere cum piena o sine piena. La denominazione di formula arbitraria si riconnetteva esclusivamente ad una speciale particolarità, cioè la nomina di un arbiter. Nessun rapporto e nessun nesso di causalità corre adunque qui tra l'appellativo di formula arbitraria e la clausola restitutoria. Questo a me pare sia il risultato sicuro che si ricava dalle fonti esaminate senza preconcetti, e credo che risponda appieno al pensiero ed alle stesse parole di Gaio quando parla in materia di interdetti di una e formula quae arbitraria vocatur ». 3. — I rilievi fatti sulla denominazione di formula arbitraria in materia di interdetti gettano nuova luce su di un punto tuttora oscuro relativo alla cautio usufructuaria.

()

Festa, ad ν . víndícíae. Per le costituzioni cfr. : ε. 4 C. Th. 2, 26; c. 2 C. Th. 8, 18. Perla nomina dell'arbiter in questa materia vedi k. 7, 2 D. 7, 1 e fr. 7, 3 D. eod.

-13-

É



merito del Karlowa (') e del De Ruggiero (') sulle orme di quest'ultimo, l'aver rilevato come indipendentemente e p ri ma dell'apparire della cautío, esistesse già un'azione speciale diretta a proteggere il dominus per le omissioni dannose da parte dell'usufruttuario, per le quali evidentemente risultavano inapplicabili i mezzi ordinari come l'actío legis Aquiliae, l'interdictu!n quod vi aut clam, ecc. Di questa azione tratta specialmente uno scolio di Stefano nei Basilici (XVI, 1, 13; Zachariae, Supplementum, pag. 70); ed ivi, sebbene la lezione sia dubbia ( 3), l'azione sarebbe chiamata arbitraria: ~~x α r ~χΙΤα ~~ υ dχητ ' ~~ ~ι %CAL 11Κ~ τπ ç ~~,τρα ~τωρ TìjV dρβιτραρ~αv δ~δ κε », la il perchè di questo appellativo, che probabilmente proviene dall'epoca classica ( 4 ), non è stato finora accertato. L'ipotesi recente del Bortoiucci (") che identifica senz'altro quest'azione con la comune actio prohibitoria deve respingersi per le seguenti ragioni : 1 ° La lezione dei Basilici, per quanto dubbia, non consente la decifrazione datane dal Bortolucci: ~νβ~πρ non può nascondere un πρ n( r3~ τπ gια ~'. 2° Quest'azione fu una creazione speciale del Pretore; vedi fr. 13, 2 D. 7, 1 : denique consultus, quo bonum fuit actionem polliceri Praetorem, cum competat legis Aquiliae actio, respondit, quia sunt casus, quibus cessat legis Aquiliae actio, ideo iudicem dar ut dus arbitrariu utatur », e conformemente lo scolio di Stefano : a 7red ιιωρ Τ ìj ν αρβt τρaριa ν δ~δωχε »; ciò esclude evidentemente che quest'azione sia un'azione già esistente nel sistema giuridico con proprio nome. 3 0 Il contenuto puramente negativo dell'astio prohibito~a credo che mal si adatti col contenuto che secondo i testi avrebbe avuto la nostra, azione la quale sarebbe diretta al c reficere quoque eum aedes... cogi n (fr. 7, 2 D. 7, 1), c cogi reficere ti (fr. 7, 3 D. eod.), cogi eum posse recte solere s - (fr. 9 pr. D. eod). Ed a torto sembrami che il Bortolucci invochi il fr. 9, 5 D. 39, 2 (Ulp. LITI ad ed.) :Celsus certe scríbit, si aedium tuarum usus fructus Titiae est, damni infecti aut dominum repromittere aut Titiam satisdare

(') Rom. Rechtsgeschichte, vol. 11, pag. 539. Sulla cautio usufructua ~a, negli Studi in onore di V. Scialoja, vol. I, pag. 71 e seg. Lo stesso Zacha~ae a questo proposito scrive: o In cod. ocul ιs sese obtulerunt i. e. i ~ 7τρ ~~ . Ex quibus &e β~ τ αριιιν facile efficitur. Reputes ductus hi : ~ν~iνα, enim, me forte in legendo et libra ~um in sc~ bendo allucinatum esse Cfr. Lenel, Das Edictum, pag. 336. (') Sulla cautío usufructua ~a, nel Bull. dell' Ist. di dir , rom., vol. XXI, pag. 1 10 e segg.

— 14— debere. quod si in possessionem missus fuerit is, cui dame infetti cavendum fuit, Titiam uti fruì prohibebit. idem alt eum quoque fructuarium qui non reficit a domino uti fruì prohibendum r ; la refectio di cui qui si parla non è la refectio imposta all'usufruttuario rispetto al dominus, come crede il Bortoiucci (op. cit., pag. 120), ma la refectio dell'edificio pencolante rispetto ai terzi ed in rapporto alla cautio dama infect ι : tutto il contesto del frammento e la chiusa ζ ergo et si de damno non cave!... prohiberi debet uti frui » non consente interpretazione diversa. Nè è possibile argomentare in favore della tesi del Bortolucci dal fr. 7, 2 D. 7, 1 (Ulp. XVII ad Sab.) : ‚ si qua tarnen νetustate corruissent, neutrum colti reficere, sed si heres refecerit, passurum fructuarium uti »; qui nessun obbligo alla refectio incombe nè all'erede nè all'usufruttuario, ma se l'erede ripara l'edificio, l'usufruttuario continuerà a godere dell'edificio riparato : argomentare da ciò, che il domino possa prohibere uti frui se l'usufruttuario non ripari, è estremamente fallace. L'aziοne dunque diretta a proteggere il dominus per le omissioni sul fondo usufruttuario, aveva una indívidualit propria, e probabilmente era chiamata arbitraria. Che questa denominazione tragga origine dalla presenza nella formula di una clausola e nisi restituai... condemna » é da escludersi, perche í pochi testi pervemitici non vi danno alcun appiglio, tanto vero che gli scrittori i quali finora non hanno saputo sdoppiare la qualifica di actio arbitraria dalla presenza nella formula della clausola é nisi restituat », non hanno potuto spiegare come mai lo scopo a cui tendeva la nostra azione avesse potuto rientrare nella normale e tipica potestà concessa al giudice nelle actiones arbitrariae ('). Ora per me è chiaro, che se questa azione destinata a garentire il domino per le omissioni dannose dell'usufruttuario, fu chiamata arbitraria », questa qualifica dovette trovarsi nello stesso rapporto della denominazione di formula arbitraria in materia di interdetti. Detta azione fu chiamata « arbitraria » perche in essa si nominava un arbiter. All' attività dell' arbiter ci richiamano sempre tutti i testi delle Pandette in cui si parla di questa azione: fr. 7, 2 D. 7, 1 (Ulp. XVII ad Sab.): i'... reficere quoque eum aedes per arbitrum cogi ... ». (') Cfr. B o r t o l u c c í , op. cit., pag. 1 13 ; non si pronunzia su tale questione il Lene!, tic. cit.

— 15 — fr. 7, 3 D. eod. :

α

Cassius quoque scribit... fructuarium per ar-

bitrum cogi reficere... »

fr. 13, 2 D. eod.: α... iudicem dan, ct eius arbitratu ctater... 4. — Assai importante per noi è l'esame di quei testi in cui 'c actio arbitraria » costituisce la denominazione tecnica ed esclusiva dí quell'azione che dagli interpreti vien chiamata comunemente g actio de eo quod certo loco ». Importante, perche, fatta la statistica di tutti i passi in cui s'incontra nelle fonti il termine actio » o 4 formula arbitraria », si avrebbe che fra i 17 testi che lo contengono, ben 10 si riferiscono alla cosi detta actio de eo quod certo loco. Sostenere che qui la denominazione di c actio arbitraria tragga origine dalla presenza nella formula di una clausola é nisi arbitrio un voler prescindere dalle fonti, in quanto queste non vi danno il benché minimo appoggio (`). Cosi già il Lenel sin dalla prima edizione dell'Edictum ( 96). Ed una constatazione veramente preziosa é quella dell'insigne ricostruttore dell'Editto, che c608 l'actio de eo q. c. I. non è un'actio arbitraria, ma l'actio arbitraria, .in altri termini, essa non ha nulla di comune col tipo schematico delle astio= nes arbitrariae. Ma perche l'astio de eo q. c. I. sia stata chiamata r arbitraria e come mai l'astio arbitraria abbia potuto coesistere colle actiones arbitrariae, da essa profondamente diverse, il Lenel non dice. Ora una risposta precisa al quesito proposto, che ha affaticato sempre gli scrittori, credo che si possa dare. Nei testi della materia si parla ripetutamente di arbitrium iudicis (fr. 3 D. 13, 4; fr. 8 D. eod.; fr. 10 D. eod.) e di officium iudicis (fr. 2 _§ 8 D. eod.; fr. 8 D. eod.). Lasciamo da parte per ora quale sia l'importanza e la [unzione generale dell'arbitrium iudicis nel diritto romano; ma per quel che riguarda la nostra azione, in un altro lavoro sull'astio arbitraria (') ho messo in rilievo come nei testi della materia, arbit ~ um iudicis denoti una certa larghezza nei poteri del giudice diretta esclusivamente a permettere al giudice di stimare e dedurre dalla somma dovuta l'interesse foci del debitore, unica funzione dell'istituto nel diritto classico ( 3 ). Ora, a mio parere, appunto da questo arbitrium iudi(t~~Naturalmente prescindo per ora dal fr. 4, 1 D. h. t., che sarà esaminato appresso. (2)

Sulla dottrina romana dell'actio arbitraria, 1911, pagg. 90-91.

(') Noto qui per incidens come il Beseler (Beiträge zur K ~ tik, 11, 170) si sba-

— 16 — cis, che, come si vede, nello svolgimento dell'azione aveva una importanza si essenziale e caratteristica, trae origine la denominazione di « actio arbitraria :>. Le precedenti considerazioni svolte sull'appellativo di formula arbitraria in materia di interdetti, ed il fatto che i testi della materia riferiscono sempre l'arbitrium iudicis alla aestimatio dell'interesse del debitore, e mai ad una possibile clausola neque arbitrio tuo), provano stupendamente la mia interpretazi ο~~ e. Nel linguaggio del Pretore e dei giuristi classici, adunque, la denominazione di actio arbitraria per l'astio de eo q. c. 1., ha il valore di un semplice appellativo, è un nome e non un concetto, come del pari non è che un semplice nome la qualifica di formula arbitraria in .materia di interdetti. In un sistema di diritto in cui si sconosce l'azione, ma si hanno solo determinate azioni aventi figura e struttura tipica, profondamente diverse l' una dal!' altra, il fenomeno degli appellativi per le azioni assume un aspetto quanto mai vario ed interessar_te. Qui è il nome del primo magistrato proponente che fornisce la denominazione dell'astio, nella maggior parte dei casi i l rapporto giuridico sostanziale che con perifrasi e circonlocuzioni serve di nome al giudizio, altrove í giuristi e la prassi di allora nel dare un determinato appellativo all' azione colgono appieno e designano esattamente la caratteristica particolare di essa, che la fa' divergere da tutte le altre: così per l'astio iniuriarum aestimatoria, così per l'astio de eo quod certo loco. I giuristi classici ed il Pretore di fronte a questa nuova azione, la cui funzione s i esauriva nella aestimatio dell'interesse del debitore, devoluta all'arbitrium iudicis, ad una certa latitudine cioè dei poteri del giudice, colsero perfettamente la caratteristica essenziale di essa, chiamandola col nome di astio arbitraria. 5. — Le illazioni che si possono trarre dai risultati finora ottenuti, sono di gravissima importanza per l'esame ulteriore del valore del termine ι astio arbitraria » nelle fonti romane. Fra í 17 passi che contengono il termine ' astio » o ι formula arbitraria), come si è visto, ben 13 si riferiscono o all'astio de eo q. c. 1. o alla procedura interdittele, ma in ambedue i casi l'aggettivo r arbitrarius ha il valore di un semplice appellativo. Fa somma merazza della mia test che cioè nel diritto classico si valutava solo l'interesse del debitore, ammettendo senz'altro l' interpolazione del tratto e nec oportebit... , nel fr. 8 D. 13,4. Ma le ragioni per cui è impossibile ammettere un'interpolazione in questo senso, ho detto già nel mio lavoro a pag. 39 n. 1.

— 17 — raviglia poi come negli altri quattro testi delle fonti il termine ι actio arbitraria » appare con un significato tecnico preciso e ben determinato: αΡ actio arbitraria » è quella in cui il convenuto può soddisfare in iudicio l'attore ed essere assolto; la quale peculiarità avrebbe permesso di comprendere ~n una categoria generale di actiones arbitrariae tutte le azioni in cui questo procedimento era applicabile. Or tutto ciò è strano, dirò anzi, impossibile. Se il diritto classico operò realmente con questo concetto tecnico di astio arbitraria, cioè di azione la cui nota tipica era data dalla clausola neque arbitrio tuo... » nella formula, non avrebbe forse apportato grave confusione nella terminologia il chiamare l'astio de eo q. c. 1. col nome di astio arbitraria, quando in essa mancava affatto detta clausola? La stessa considerazione, e forse con maggiore gravità, si presenta a proposito delle due procedure interdittali per sponsionem e per formulam arbitrariam : la formula in ambedue i casi, come s i è visto, conteneva la clausola 4 neque ea res restituetur » ; ora, se al diritto ςlassicο fosse stato noto questo concetto tecnico di astio arbitraria, come mai si sarebbe potuto chiamare αΡ per formular arbitrariam » una delle due procedure interdittali, la quale non si distingueva affatto da quella αΡ per sponsionem » per 1' esistenza della clausola a neque ea res restituetur » ? L'osservare, adunque, come nelle fonti classiche il termine « astio arbitraria» non sta in alcun rapporto con la clausola « neque... restituetur », rende assai legittimo il sospetto su quei pochissimi testi della compilazione in cui detta clausola costituisce la caratteristica di una categoria generale di azioni chiamate appunto _ αΡ actiones arbitraríae ». Il sospetto viene poi avvalorato dal silenzio assoluto di Gaio su questa categoria di azioni : se la clausola restitutoria, infatti, fosse stata quella parte della formula che forniva la caratteristica e la denominazione alle actiones arbitrariae, Gaio difficilmente ne avrebbe taciuto nelle sue Istituzioni ai § ς 39-44 del libro IV in cui ci descrive per esteso ed in modo completo le partes formularum: demonstratio, inten rio, adiudicatio, condemnatio; e se le actiones arbitra ~ae furono introdotte, come si ammette generalmente, per evitare la condanna sempre pecuniaria nel diritto classico, come mai Gaio non ne avrebbe fatto cenno al § 48 ~n cui dice- che íl giudice αΡ non ipsam rem condennat... sed aestimata re pecuniam eum condemnat >'? ( 1 ). ( 9 ) Non mi nascondo però che questo argomento a silentio non sia decisivo ed assoluto, data la lacuna in Gaio at § 114.



18



Il lettore faccia di queste considerazioni il conto che crede; a me basta solo l'averle enunciate, giacchè una conclusione sicura su ciò dovrà ricavarsi dagli altri quattro testi della compilazione giustiníanea che ormai ci restano da esaminare. Ed incominciamo dal 31 Inst. IV, 6 in cui il domma delle actiones arbitrariae trova la sua formulazione píY generale e completa: < Praeterea quasdam action εs arbitrarias id est ex arbitrio iudicis pendentes appellamus, in quibus nisi arbitrio iudicis is cum quo agitar acto~~satisfaciat, veluti rem restituat 'el exhibeat vel soivat ve! ex noxali casa servum dedat, condemnari debeat. sed istae actior_es tam in rem quam in personam inveniuniur. in rem veluti Publiciana, Serviana de rebus coloni, quasi Serviana, quae etiam hypothecaria vocatur: in personam veluti quibus de eo agitur, quod aut metus causa aut dolo malo factum est, item qua id, quod certo loco promissum est, petitur. ad exhibendum quoque astio ex arbitrio iudícis pendei. in his enim actionibus et ceteris similibus permittitur ludici ex bono et aequo secundum cuiusque rei de qua actum est naturam aestimare, quemadmodum acto~~satisfieri oporteat . Ma è proprio ad un giurista classico che dobbiamo attribuire questo pesante e prolisso elaborati? Gli attacchi in verità, sebbene parziali, . sono numerosi. Ad un rimaneggiamento del compilatori accenna vagamente il Ferrini (`); il Lend (') aveva ammesso che i commissari abbiano fuso malamente in uno due brani escerpiti da due diversi giuristi, ed ora (') attribuisce loro la proposizione < item qua... petitur ) ; il Riccobono (') avanza il sospetto che l'ultimo periodo < in his enim actionibus ... » fino alla fi ne appartenga a T~boniano allo scopo di ampliare il concetto classico delle actiones arbitra ~ae ('); anche il Fehr (``) di recente, dal suo particolare punto di vista, ritiene almeno interpolata la menzione del l'actio hypothecaria. Tutto sommato, non resterebbe in piedi che il concetto generale

(t) Fonti delle Istituzioni, nel Bull. dell'Ist, dir. rem., vol. XIII, pag. 194. Beiträge zur kunde des pritorischen Edikts, pag. 99. Das Edictum, pag. 239. (') Recensione al Lend, nel Bullettino, voi. XX, pag. 102. (') Questo periodo, per ciò che riguarda la natura cuiusque rei è attaccato anche dal Longo, Bullettino, vol. XVII, peg. 47 e seg. (6) Beitrage zur Lehre vom róm. Pfandrecht in der klassischen Zeit, 1910, pag. 49.

— 19 —

delle actiones arbitrariae e la esemplificazione. Ma chi νοrr attribuire ad un classico quella sciatta esemplificazione: 'e sed istae actiones tam in rem quam in personam inveniuntur. in rem veluti Publiciana, Serviana de rebus coloni, quasi Strviana, quae etiam hypothecaría vo catur: in personam veluti quibus de eo agitur, quod aut metus causa aut dolo malo factum est ....> ? La generalizzazione in principio ricorda molto da vicino ~l famigerato fr. 68 D. 6, 1, in- cui í commissari fecero dire ad Ulpíano, sempre in tema di actiones arbitra riae: ι haec sententia generá is est et ad omnia, sive interdicta, sue actiones in rem sue in personam sunt, ex quibus arbitratu iudicis quid restituitur, locum habet '. Ε poi, sebbene l'enumerazione non sia tassativa, perche il giurista menziona la Publiciana e non la reivíndicatio o l'hereditatis petitio? (') Ε perche avrebbe sentito la necessitY di parlare a parte dell'actio ad exhibendum con quella dura ed •inelegante proposizione: ι ad exhibendum quoque ac'io ex arbitrio iudicis peadet » ? L'impressione che si riceve da questo catalogo di azioni è invero quella di essere stato buttato giù alla lesta con poca ponderazione. Ma ciò che s ορrαtuttο fa dubitare fortemente della sua classicit il vedere come nelle fonti tutte queste azioni — se si eccettua l'actio de eo q. c. 1., la cui ragione dell'appellativo ho cercato sopra di chiarire, ed i l fr. 14, 4 D. 4, 2, manifestamente interpolato e che sar i esaminato più oltre — mai sono chiamate arbitrariae. Come spiegare infatti questo silenzio? Ma esaminiamo un po' da vicino i l concetto di actio arbitraria che risulta dal testo delle istituzioni. Sono « arbitrariae » quelle azioni ι in quibus nisi arbitrio iudicis is cum quo agitur attori satisfaciat, veluti rem restituat vel exhibeat, vel solvat vel ex noxali causa servum dedat, condemnari debeat >. Data questa formulazione tosi ampia, ed a parte ~l periodo finale ι in his enim actionibus et ceteris similibus », il valore di questa categoria di actiones arbitrariae appare molto dubbio; giacche, se actiones arbitrariae sono quelle in cui il giudice ha fac οlt di invitare il convenuto a sodisfare volontariamente l'attore—sodisfazione la quale, come enumera il testo medesimo, può avere per contenuto o un resti(I) Le stranezze e le lacune in

questa enumerazione

sono state sempre avvertite,

mai però convenientemente spiegate: cfr. Savigny, Sistema, trad. Scialoja, vol. V, pagina 56 e segg.;

Lene 1, Beitrage, pag. 90, Das Edictum, pag. 172; Fehr, op. cit.,

pag. 49; Buon amici, Procedura civ. rom.. 'il. 1, pag. 147 e seg.

-

20

-

tuere, o un exhíbere, o un solvere, o un noxae dare — è lecito domandare quali azioni non rientrino nella categoria delle actiones arbitrariae. La serie delle azioni, come ognun vede, é completa; e la necessiti di restringere, come si suol fare ('), quella amplissima formulazione, specialmente in riguardo al solvere e al noxae dare, a questa o quella azione, costituisce la prova della erronea formulazione che presenta il nostro testo (i). Questi argomenti hanno certo un valore relativo, poiché dopo tutto, potrebbe sempre trattarsi di una innocua generalizzazione e di uno sciatto catologo di azioni appiccicato da Giustiniano al testo classico. Dobbiamo dunque rivolgerci altrove per mettere in rilievo la formazione del nostro § 31 delle Istituzioni. Il Ferrini ( ') attribuisce a Gaio, res cottidianae, questo paragrafo. Vediamo ora se e come questo passo poteva entrare nel sistema delle res cottidianae. Non sto menomamente a discutere quale sia il carattere di quest'opera gaiana, ed í suol rapporti colle Istituzioni; a me solo preme rilevare come a proposito delle azioni Gaio seguiva un ordine sistematico sostanzialmente identico in ambedue le opere. Ciò mi sembra provato da un sommario c οn`rοntο della distribuzione delle materie tra il tit. IV, 6 < de actionibus » delle Istituzioni giustinianee, in bumma pa rt e ricavato dalle res cottidianae ( 4) e la parte corrisponde delle Istituzioni di Gaio. G. $$ 1-5 = Inst. §§ 1-15 : definizione di actio e distinzione fra actiones in personam ed actiones in rem; l'esposizione giustinianea più ampia ed in massima p ar te proviene dalle res cottidíanae (cfr. Fer rini, Fonti, pag. 191 e seg.).

(I) Vedi ad esemplo Savigny. Sistema, trad. Scialoja, ßo1. V, pag. 160; Zimmern, Der röm. Civílprozess, pag. 206 n. 2; Sohm, Institutionen, XIII Ad., pag. 316 n. 7; Bethmann-Hollweg, Civílprozess, iii. II, pag. 291; e già Donello, Opera, X01. VI, col. 820. (') S'appone certo nel vero B e t h m a n n -H o l l w e g, loc. cit., quando afferma che nella categoria delle actiones arbitrarïae il solvere ed il noxae dare theils anomal, theils zufällig ist a. Anche il K a r 1 o w a , Röm. Rechtsgeschichte, vol. II, pag. 1169, ammette che le azioni nossali furono incluse nelle actiones arbitrariae a freilich ungenau a; ad un vero e proprio arbitrium de noxae dedendo pensa invece il P eri z z i, Istituzion ~, vol. II, pag. 70 n. 1. (3) Fonti delle lstituzióni, nel Bullettino, vol. XIIi,, pag. 194. A fonte incerta invece attribuisce il passo lo Z o c c o -Rosa , lustiniani Inst. Palingenesia, 1911. vol. II, pag. 318 e seg. (t) Cfr. lo specchio del Ferrini, op. cit., pag. 191.

-21— G. §§ 6-9 = Inst. §§ 16-20 : distinzione fra azioni penali, reipersecutorie e miste. G. §§ 10-52 : esposizione del processo e delle formule, naturalmente omessa dai compilatori; in Giustiniano a questo posto (§§ 21-27) troviamo la distinzione delle azioni in simplum, in triplum ed in quadruplum, che il Ferrini (op. cit., pag. 193 e seg.) attribuisce a Gaio res coitidianae, con profonde alterazioni dei compilatori (cfr. pure P. Krueger, ad h. 1.). G. §§ 53-60 = Inst. §§ 33-35 : plus petitio, minus petitio, petitio di un aliud pro alí ο. G. 69 = Inst. §§ 36-40 : azioni i n cui non si ottiene il solidum. Come si vede, lo schema delle Istituzioni giustinianee di tutto il tit. VI, se si toglie il gruppo dei §§ 21-27, del resto di scarsa importanza, coincide con quellò gaíano. Restano ora i §§ 28-31 delle Istituzioni di Giustiniano corrispondenti ai §§ 61-68 di Gaio. - Il § 28 Inst. tratta dei giudizi di buona fede in questi termini : Actionum autem quaedam bonae fidei sunt, quaedam stricti iuris », trattazione che trova riscontro col § 62 di Gaio; sen οnchè, mentre in Gaio questa trattazione costituisce un incidens in materia di compensazione (§ 61 : ut habita catione eius quod invicem a~toremex eadem causa praestare oporteret... § 62 : sunt autem bonae fidei iudicia haec...) ( 1 ), in Giustiniano chiude la trattazione sulla distinzione delle azioni. Ε ciò spiega anche il fatto che í commissari sentirono ii bisogno di pospone ad essa la materia della plus petitio. 11 § 29 è fattura tribonianea non contenendo che l'innovazione giustinianea sul carattere bonae fidei dell'astio ex stipulatu per la dote. Il § 30 trova riscontro in parte col § 63 di Gaio; il resto non viene qui in considerazione perche parla della compensatio ex rescripto divi Marci, e dell'innovazione giustinianea i n questa materia. Resta infine il nostro § 31 che parla delle actiones arbitraríae; ma esso non entra affatto nello schema gaiano che noi abbiamo visto seguire fedelmente dai commissari : giacche Gaio nei successivi §§ 64-68 continua i l trattato della compensazione, occupandosi della compensatio dell'argentarius e deductio del bonorum emptor; ed il § 69 e seguenti coincidono perfettamente, come si e. visto col § 36 e seguenti di Giustiniano. ,

(I) Anche nel sistema delieditto s ι conserva questo rapporto : í1 titolo sui bonge fidei

segue quello

de compensationibus : cfr. Lenel, Das

£d.

iudicia

tit. XVII-XIX.

-22—

Il § 31 adunque non poteva entrare nel sistema gaiano. In astratto è possibile (') che Gaio nelle res cottidianae trattasse delle actiones arbitrariae, tacendone nelle sue institutiones, ma non s i arriva a spiegare come Gaio nelle res cotiidianae a proposito di compensazione avrebbe trovato i l destro di trattare di una categoria di azioni in cui nisi arbitrio iudicis is cum quo agitur accori satisfaciat ...condemnari debeat ». Il vero è che i l nostro § 31 figurava realmente nella trattazione gaiana, ma fu strappato dai commissari con varie alterazioni dal suo contesto originario, e venne ad acquistare così un aspetto nuovo. Un confronto tra il § 31 ed il § 163 di Gaio, svela la bellissima machinatio : § 31 Praeterea quasdam actiones arbitrarias id est ex arbitrio iudicis pendentes appellamus, in quibus nisi arbitrio iudicis is cum quo agitur actori satisfaciat, veluti rem restituai sei exhibent vel solvat vel ex noxali causa servum dedat, condemnari debeat.

Gaio § 163 Namque si arbitrum postulaverit is cum quo agitur, accipit formular quae appellstur arbitraria, ed iudicis arbitrio si quid restitui vel exiberi debeat, id sine periculo ,exhibet aut restituit, et ita absolvitur; quod si nec restituat ne que exhibent, quanti ea res est, condemnatur.

II confronto è luminoso : una derivazione dell'un testo dall'altro innegabile. Ora mentre in Gaio, come si è visto sopra, la qualifica di formula arbitraria è un semplice appellativo e non sta in alcun rapporto colla clausola « nisi restituat » della formula, per í compilatori il termine τ formula arbitraria » che diventò v astio arbitraria » staccato dal contesto gaiano, assume un significato tecnico ed un contenuto speciale che in Gaio non aveva affatto. Fu dunque Gaio che forni a i compilatori i l nome di astio arbitraria e l ο spunto per costruire una categoria generale di actiones arbitra~ae sulla base della condizione negativa æ nisi restituat » o simile apposta alla condanna ( 2). 1 commissari arrivati alla materia degli (i) Prescindo dall' ipotesi, forse troppo azzardata, messa avanti di recente dal K n í e p, Der Rechtsgelehrte Gaius, 1910, pag. 108, che cí08 le res cottidianae comprendessero solo tre libri; il che importa che Gaio in quest'opera non avrebbe trattato delle azioni. (2) Non è escluso che i compilatori abbiano preso come modello anzíchè le istitu-

— 23 — interdetti tagliar οnο fuori l'esposizione sulla procedura interdittele, ma credettero utile sfruttare la denominazione e le parole gaiane in cui si diceva di una formula quae appellatur arbitraria, per costruire una categoria generale di actiones arbitrariae, trasportando poi il tutto in sede materiae, cioé nel tít. VI fra le varie distinzioni delle azioni. Tirando le somme: la denominazione di ι actio arbitraria l'e arbitrium iudicis », il e nisi restituat vel exhibeat » fu fornito dalla procedura interdittele; non restava che generalizzare, ed i commissari aggiunsero quel!' infelice vel solvat vel ex noxali causa servum dedat », quella sciatta esemplificazione εΡ sed istae . actiones tam in rem quam in personam inveniuntur, veluti... » ed infine quel periodo conclusivo ι in his enim actionibus et ceteris similibus...» Questa l'origine del nostro § 31, ed ecco messa in luce la formazione del concetto tecnico di actio arbitraria e della categoria generale delle actiones arbitrariae. ,

6. —In due testi delle Pandette compare infine il termine astio arbitraria con quel significato tecnico e speciale che noi abbiamo visto i compilatori attribuirgli nel § 31 lust. 1V, 6 teste esaminato. I due passi riportati l'uno accanto all'altro s'illuminano a vicenda: fr. 14, 4 D. 4, 2 Haec autem actin cum arbitraria sit, habet reus licentiam usque ad sententiam ab arbitro datam restitutionem , secundum quod supra diximus, rei facere ; quod si non fecerit, lure me ~toque quadrupli condemnationem patietur.

fr. 4, 1 D. 13, 4 Interdum iudex, qui ex hac actione cognoscit, cum sit arbitraria, absolvere reum debet cautione ab eo exacta de pecunia ibi solvenda ubi promisse est. quid enim si íbí vel oblata pecunia attori Jicatur vel deposita vel ex facili solvenda? nonne debebit interdum absolvere? in summa aequitatem quoque ante oculos habere debet iudex, qui huit actíoni addictus est.

zioni di Gaio, il passo corrispondente delle res cottidianae; il che spiegherebbe anche le lievi divergenze formali fra il passo giustinianeo e quello gaiano.

— 24 — Che il fr . 14, 4 sia completamente opera dei compilatori, non dubbio : tanta dovizia di peculiarità dello stile bizantino non ha fatto esitare in ogni tempo i critici ad attribuire il passo a Triboniano (i); insistervi sarebbe dunque affatto ozioso : noto solo che questa interpolazione acquisterà altro rilievo nell'esame particolareggiato dell'actio quod metus causa che sari intrapreso più avanti. Anche l'interpolazione del fr. 4, 1 D. 13, 4 è evidente per ragioni di forma e di sostanza che cercai di mettere in rilievo in altro mio lavoro (') a cui rimando. In ambedue í testi la frase r cum sit arbitraria ha tutto il sapore di una motivazione di prammatica; ed i commissari con essa non fecero che sfruttare il concetto di actio arbitraria che abbiamo visto essere stato da essi formulato in via generale nel § 31 delle Istituzioni. 7.—In un testo delle Pandette infine, si parla di iudicia arbitraria: fr. 3, 1 D. 22, 1 (Papinianus, XX quaest.) : "In his quoque iudiciis, quae non sun! arbitraria nec bonae fidel, post litern contestatam acto~~causa praestanda est in eum diem, quo sententia dicitur : certe post rem iudícatam tempus a f ructibus dependendis immune est ). Che strano giro di parole avrebbe adoperato qui Papiniano, i l più conciso ed i l più rapido dei giuristi romani, per designare i giudizi di stretto diritto! Ma quel che sopratutto fa fortemente sospettare di questa frase è il vedere azioni arbitrane e di buona fede formare quasi una categoria a se di azioni più libere in contrapposto ai iudicia strida: questo è infatti il concetto delle actiones arbitrariae che trovasi formulato nettamente nel j 31 delle Istituzioni e che ho creduto di dovere attribuire a Caiustiniano. Papiniano al luogo di questo binomio posto dai compilatori, probabilmente doveva trattare dei giudizi di stretto diritto che tendevano alla restituzione di una cosa. Con questo riferimento, il contenuto del passo papinianeo s' inquadra perfettamente nei principi classici. La

Vedi già Fahr0, Rationaha, ad h. L; Gradenwitz, 1nlerpolationen, pag. 100; Palingenesia, iii. II, col. 463 n. 4; Longo, Studi in onore di V. Scialoja, 'n.1. 1, pag. 616; Se c k e l , Heumanns Handlexícon, ad i. licentia; Krüger, ad h. 1. () Sulla dott~ na romana de11'actio arbitra~a, pagg. 83-90 e pag. 104; 1' inierpolazione avverte già Beseler, Beiträge zur krítik des rom. Rechtsquellen, 1910, pag. 65. (1 )

Lend,

— 25 — e causa rei » di cui qui s i parla va intesa in rapporto ai fru tt i e non in rapporto alla stima della cosa dovuta; e ciò sia perchè il seguito del § come tutto il lungo estratto di Papiniano parlano sempre di frutti, sia perchè in tal caso il testo sarebbe interpolato, giacchè solo con Giustiniano che la cosa viene stimata secondo il valore al momento della sentenza ('), e nessuna traccia d'interpolazione fornisce il passo. Riferito quindi a i frut ti , il pensiero del giurista s' imperita sul principio generalmente ammesso dalla giurisprudenza classica, che cioè il convenuto deve restituire la cosa e cum ornai causa a, cιoè con tutte quelle accessioni e tut ti i fr utti che essa ha dal momento della litis contestatio : rosi per la reivindicatio ('), l' astio Fabiana (fr. 1, 28 D. 38, 5; fr. 38, 4 D. 22, 1) ( 3) ; ma anche per le azioni in personam di stretto diritto si ammise che il debitore fosse tenuto a restituire i frutti dalla lítís contestatio ; e ciò ad incominciare da Sabino. e Cassio: fr. 38, 7 D. 22, 1 (Paul. Vl ad Plaut.) ß quod si acceptum est iudicium, tunc Sabinus et Cassius ex aequitate fructus quoque post acceptum iudicium praestandos putant, ut causa res ti tuatur, quod puro rette dici s ; il che ci viene poi attestato come ius receptum dallo stesso Papiniano nel fr . 2 D. 22, 1 (VΙ quaest.) : αΡ luigi receptum est, ut, quamvís in personam actum sii, post litern tarnen contestatam causa praestetur : cuius opinionis ratio redditur, quoniam quale est, cum petitur, tale dati debet ac propterea postea captos fructus partumque editum restitui oportet . Vedi inoltre fr . 8, 2 D. 13, 1 (Ulp. XXVII ad ed.) e fr. 38, 1 D. 22, 1 (Paul. VI ad Plaut.) (i); e per i fedecommessi, Gaio 11, 280 e fr. 3 pr. D. 22, I (Pap. XX quaest.).

(i) Nel diritto classico per la stima de lla cosa nei iudicia stricta si guardava al momento dalla litís contestato: fr. 4, D. 13, 3, fr. 3, 2 D. 13, 6 (testo per altro rimaneggiato dai compilatori: Lenel, Das Edictum, pag. 246 n. 1 e gli autori ivi citati: Pernice, Labeo, vol. II, 2, pag. 155 n. 1). Interpolati í fr.i 3 D. 13, ? e 2, D. 47, 1; su Cò vedi Marchi, Studi in onore di V. Scialoja, vol. 1, pag. 173 e segg. Cfr. per tutti Ferrini, Pandette, pag. 435 e Girard, Manuel, V ed., pag. 343. 1 sospetti d'interpolazione su questo frammento non riguardano punto l'actio Fabiana: per la letteratura vedi Solazzi, Bullettino, vol. XV, pag. 155. La motivazione qui addotta per giustificare l'obbligo a restituire í frut ti (ratio autem haec est, quod, si sponsus non conveniebatur restituere fructus, licuerat ei negligere fundum) è dei compilatori come avverti già il Fabro, Rationalia, ad 1. 7, 1 D. 12, 4. Interpolata anche la limitazione espressa dall inciso c si in re mora f uit, ut ab illo, qui reddere debeat a: cfr. Segri, Studi in onore di B. Brugi, pag. 391 e segg.

— 26 — 8.—. Resta ancora da esaminare un lacunoso passo di quel frammento di pergamena trovato in Egitto, che va sotto il nome di fragmentum de formula Fabiana, in cui, se gli editori hanno decifrato bene, si dice che l' actio Fabiana era arbitraria ». Riporto qui il testo secondo la riproduzione fototipica di Ptaff ed Ho ff mann (') con la spiegazione delle sigle pí'ì comuni; í puntini denotano le lacune oluntidua . s... sunt qui contra sen ractu venít et cum eo contrahetur at formula quasi ex delitto vene ~t liberti et est in fa itraria etiam vi vere huic dic alienatum esse qui ipio accepit alienationem nobis ad domini translationibus referentibus

Le lacune sono colmate comunemente così: ' oluntidua (?) sed sunt qui con tr a sentiunt teneri eum quia haec actio ex contractu (Lene!) venir et cum eo contrahetur, licet ita concipiatur formula, quasi ex delitto venerít liberti, et est in factum et arbitrar~a etiam vi vere huic dic (2) alienatum esse, qui servum mancipio accepit, alienationem nobis ad dominii translationibus referentibus >. La decifrazione ι et est in factum et arbitraria D (9 che qui interessa a mio parere non è accettabile. Si osservi anzitutto che in questa lacuna dovevano figurar almeno dieci lettere, se si con fronta io spazio occupato in corrispondenza delle altre righe intere; mentre l'integrazione ιζ in factum arbitraria o in factum et arbitraria », anche nella scrittura distesa senza abbreviazioni ( 3) comprende 6 al più 8 lettere. Píiι gravi sono gli argomenti che possono ricavarsi dalla sostanza del passo medesimo. 11 § 1 come i seguenti 2 e 3 trattava certamente di una questione in materia di legittimazione passiva nell'actio Fabiana; ora non si arriva a comprendere come e percha a questo proposito il giurista avrebbe sentito la necessità di avvertire che l' actio Fabiana est in factum et arbitraria ». L'appellativo di α arbitraria, potrebbe stare qui nel medesimo rapporto che si è rilevato sopra per gl'interdetti, cioè in rapporto all a nomina dell'arbiter, sebbene cí ~~sia reso

(i) Mittheilungen aus der Sammlung der Papyrus Erzherzogs Rayner, tom. IV (I 888). Etiam Vivianus "ere huic dick (L e n ei); etiamsi vere hai' d&citur (M o m m s e n); et a muliere dícit (Krueger). (2) Gli editori danno comunemente per sicura la b di arbitraria; ma nella pergamena non è perfettamente visibile. ( 2)

( )

Invece nella nostra pergamena le abbreviazioni abbondano.

-27— poco probabile dal fatto che nei testi della materia mai è ricordato l'arbiter; o potrebbe riferirsi, secondo il concetto tradizionale, alla clausola restitutoria della formula; ma comunque, è ben dif fi cile spiegare la motivazione et est arbitraria A. La spiegazione che tempo addietro ne diede il Lenel (') infatti non è molto solida. Il passo, secondo il Lenel, trattava della questione contro chi dovesse proporsi l'actio Fabi ~ a, quando il liberto ha donato in fraudem patroni a Tizio il quale ha incaricato Seio di ricevere la cosa donata; secondo il tenore della formula, l' azione compete contro colui al quale il liberto ha alienato; orbene per alcuni giuristi il liberto ha alienato solo a colui al quale ha mancipato ; ora, osserva il Lenel: ‚ se la formula ere arbitraria, vale a dire prevedeva la restituzione della cosa alienata, non mostrava forse anche questo che si agiva conforme all'editto accordandola contro colui al quale era stata trasferita la proprietà che pertanto era il solo in grado di restituirla? Questo ragionamento, in fondo, attribuiscono al giurista l'Alibrandi (') ed il Ferrini ( 3) ; non s i pronunziano invece su ciò, illustrando il nostro frammento, nè il Krueger, nè il Gradenwitz, nè il Girard ( 3 ). Pfaff ed Hoffmann prudentemente rinunziano a ricostruire il contenuto del § 1 ed - il pensiero del giurista. L'interpretazione del Lenel () per più riguardi non persuade: ammettere che qui ii giurista decida che l'actio Fabiana possa proporsi contro colui al quale è stata mancipata la cosa, perchè è il ¢

(9 Sulla prima metà del fragmentum de formula F αb~α nα, nel Bullettino, "i1. ii (1889), pag. 142 e segg. Opere, pag. 572. Rendiconti del R. Istituto Lombardo, vol. XXXIII (1900), pag. 135. (+) Krueger, Zeit. derSav. Stift » rom. Abth.,vol. lX,pagg. 148-150; Gradenwítz, Zeitsch ~ ft cit., vol. IX, pagg. 394-403; Girerd, Nouvelle Revue histo ~que, iii. XiV (1890), pagg. 677-704. O Per l' « est in factum r non sono state date che spiegazioni vaghe, oscure e contraditto ~e. 11 Lene 1, op. cit., pag. 147, spiega: « riconoscendo questo significato della parola alienare (cioè in rapporto a colui al quale si è mancipato) si trova che la formula non lascia adito alcuno all'arbitrio del giudice, giacche essa è concepita in factum r. 11 Ferrini, loc. cit.,: red è in factum, e quindi specialmente dirigibile contro chi nel fatto stesso indicato come eccipiente r. L'Alibrandi, loc. cit.: « è azione in factum e peΤciò di una classe tale che _ i pio recenti discingono dalle azioni ex contractu ed ex delitto r. Lo sforzo di spiegare la motivazione r quia est in factum x è palese, anche a costo di attribuire al giurista ragionamenti oscuri e tortuosi e di snaturare il valore ed il significato di actio in factum.

— 28solo in grado di restituirla, sembrami in aperto contrasto con quello che precede , secondo l'integrazione dal Lenel stesso accettata: « teneri eum quia lιαec actio ex contractu venir et cum eo contrahitur, licet ita concipiatur formula quasi ex delicto venerit liberti >; a parte se sia esatto dire che l'actio Fabiana é ex contractu venir et cum eo (?) contrahitur » ('), questa motivazione richiama subito alla nostra mente quella di Giavoleno del fr. 12 D. 38, 5, in cui appunto il giurista decideva tutto l'opposto, cioè che l'azione va proposta solo contro colui a beneficio del quale è rivolto il negozio, pur non possedendo la res: Iaν. 111 ep.: k Libertus cum fraudandi patroni causa fundum Seio tradere vellet, Seius Titio mandavit, ut eum accipiat, ita ut inter Seium et Titium mandatum contrahitur. quaero post mortem liberti patronus utrum cum Seio dumtaxat qui mandavit actionem habet, an cum Titi0 qui fundum retinet, an cum quo velit agere ροssit ? respondit : in eum cui donatio quaesita est [ira tarnen si ad illum res peraenerit] (2 ) actio datur, cum omne negotium quod eius ooluntate gestum sit, in condemnσtionem eius conferatur... » Ma anche ad ammettere che il fr de formula Fabiana decida che solo colui al quale è stata mancipata la cosa è passibile dell'azione, il ragionamento che il Lenel attribuisce al giurista in quella motivazione « et est... arbitraria » non poteva entrare nell'ordine di idee di un giurista classico. 11 determinare ia legittimazione passiva dalla facultas restituendi, è un criterio che urmai studi più recenti hanno completamente bandito dal campo del diritto classico (s) ; í principi da (t) Diverse í π tegrazioti in Gí τ ard, op. cit., pag. 683; Ferri ~ i, op. cit., pa ging 135 n. 3; Alibrandi, loc. cit. (') L'inciso < ita tarnen .., pervenerit T è evidentemente tribonianeo : esso contrasta fortemente coll'ordine di idee di Giavoleno, e col seguito del testo in cui si suppone sempre che il donatario non abbia il possesso : a nec potest videri id praestaturus quod allos possidet'; l'interpolazione e stata avvertita da Heck,'Zeit. Sai. Stift., vol. X, pag. 132-134; cfr. pure Krüger, ad h. 1. Sospetta è anche la chiusa del testo 'quid cfr. Heck, loc. cit.; il passo si riferiva certo alla fiducia, e l'astio manenim'dicemus dati fu sostituita dai compilatori all'astio 6duciae : cfr. Grade n w i t z , Zeaschrift, vol. ΙX, ρα g. 402; Heck, lac. cit.; Giippert, Zeitschrift, vol. XIII, pag. 352. (2) Cfr. Siber, Die Passivlegitimation bei der Rei Vindicatio, 1907, pag. 26 e segg.; e la recensione del Kübler, nella Zeit. der Sai. Stift., vol. 29, ραg. 481 e segg. Per l'actío ad exhíbendum e la facultas exhibendi vedi Beseler, Beiträge, ραg. 20 e segg.; ed ora Riccobono, nella Zeitschrift cit., vol. 30, ραg. 349 e segg., in contrario vedi però Lenel, nella Grünhuts Zeitschrift, vol. XXXVII, pag. 515 e segg. ...

— 29 — cui muovevano i classici erano ben altri; ciò si può stabilire esattamente per un punto che ha stretta analogia cill'actio Fabiana, cioè per l' interdictum fraudatorium: se alcuno ha ricevuto una cosa dal fraudator per mezzo d'interposta persona, egli è passibile dell' interdictum fraudatorium pur non possedendo la cosa, ed è tenuto quindi solo a cedere l'astio mandati che ha contro il terzi; questo stato di diritto riproduce Ulpiano nel fr. 14 D. 42, 8: a Hac in factum actione non solum dominia revocantur, verum etiam actiortes restaurantur. ea propter competit haec astio et adversus eis, qui res non pissident, ut restituant, et adversus eis, quibus astio competit, ut actione cedant. proinde si interpisuerit quis personam Titii, ut ei fr~udator res tradat, actione mandati cedere debet. ergo et si fraudator pro filia sua dotem dedisset sciente fraudari creditores, filia tenetur, ut cedat actione de dote adversus maritum ( i ). Lo stesso ordine di ;dee sta a base della decisione di Gia νο leni nel fr. 12 D. 38, 5, a proposito dell'astio Fabiana: Q in eum cui donatio quesita est... actiq datur, cum orane negotíum quod eius voluntate gestum sit, in condemnationem eius cinferatur. nec potest videri praestaturus quod alius possidet, cum actione mandati consequi rem possit, ita ut aut ipse patrono restituat aut eum cum quo mandatum contraxi restituere cogat ›. Ε nessuna preoccupazione per la facultas restitjendi in ordine alla legittimazione passiva nell'astio Fabiana mostra di avere Paolo (XLH ad ed.) nel fr. 5 pr. D. 38, 5 in cui formula il principio generale che ι tenetur Fabiana acume tam is qui accepit ipse, quam qui iussit alü dar id quod ipso donübatur z ; e se realmente la motivazione é et est arbitraria fosse stato l'argomento potissimo per la legittimazione passiva di colui che ha ricevuto la cosa, noi ne troveremmo traccia nei testi, mentre al contrario Ulpiano (XLIV ad ed.) nel fr. 1, 26 D. eid. ci a•~verte proprio espressamente che v haec astio in personam est non in rem ». L'unico tentativo di spiegare adeguatamente perchè il giurista nel § 1 del frag. de form. Fabiana avesse sentito il bisogno di avvertire che l'azione g est in factum et arbitraria cade completamente. Se poi alle considerazioni svolte si aggiungono i risultati ottenuti sulla categoria delle actiones arbitrariae, e la circostanza che in tutte

(Ι) Il testo genuino doveva Edictum, pag. 477.

dire interdictum al

luogo di actin: cfr. Lenel, Das



30 —

le fonti a noi note l'actio Fabiana non è mai chiamata arbitraria, la esattezza della decifrazione et est... arbitraria» appare assai problematica; ed il volere indurre tale qualifica dalla probabile esistenza di una clausola ι neque restituat» di cui si fa cenno nel fr. 5, 1 D. h. t., dopo quanto si è osservato sulla procedura interdittele per formularn arbitra~am, dal punto di vista classico costituisce un`argomentazione falsa. Se si volesse cercare di colmare la lacuna fa....itraria» non si potrebbero fare che delle pure ipotesi p1ì1 o meno fondate; così ad es. se nel § 6 dello stesso frammento si dice : « dolum messe praetor arbitrαtur », chi può escludere con sicurezza che le poche lettere legibili nel punto che a noi interessa, non abbiano tale riferimento e che quella terminazione ι itraria» non provenga da qualche errore di copista? (1) Il vero è che in un frammento di pergamena come questo, in cui nel puntι, che c'interessa solo poche e sconnesse parole sono legibili, e da cui non è dato ricostruire neanche approssimativamente il pensiero dello scrittore, qualunque decifrazione ed integrazione ha sempre un grado molto relativo di probabilità. In queste condizioni forse è meglio astenersi da qualsiasi congettura. Α me basta aver rilevato come la decifrazione ι et est... arbitraria» per la terminologia abbia contro di se tutte le fonti a noi note, per la sostanza sia in aperto contrasto coi principi da cui muovevano í giuristi classici. Ma anche ammettendo che nella pergamena si trovasse realmente scritto ι et est... arbitraria », il lettore che si sia convinto dei risultati ottenuti nell'esame precedente, non si lascerà certo impressionare dal fragmentum de form. Fabiana. Non è nuovo od isolato il caso di opere e collezioni giuridiche classiche rivedute dopo la compilazione di Giustiniano e messe al corrente collo stato del nuovo diritto : gli scolii Sinaitici per l'Oriente (-), e la glossa torinese delle Istituzioni per l'Occidente (`) informino ( 4). Ed anche a non volere (') Sugli errori contenuti nella pergamena si tenga presente il rilievo del Krueger, Zeit. der Sai. Stift., vol. IX, pag. 145: 4. Manche grobe Irrt ~~mer sind durch Missverständniss der in der Vorlage stehenden Abkürzungen entstanden; auch sonst ist der Text durch Schreibfehler stark entstellt

~

.

(') Cfr. Riccobono, Bullettino, vol. IX, pag. 2 1 7 e segg.; ed ivi (pagg. 276-280) altri esempi di opere di diritto classiche rivedute dopo la compilazione. (+) Cfr. Fitting, 'Jeher die sogenannte Turiner nstitutionen Glosse, 1870, ρα g. 13 e segg.; Fcrrini, Archivio giuridico, vol. XXXVII, ραg. 392 e segg. (°) Gli stessi editori P f a f f ed H o f f m a n n, Mittheilungen cit., pag. li e seg„ son d'avviso che l'esame paleografico non 1uò dare un risultato sicuro intorno alla data in

—, 31 — ammettere ciò, _il nostro testo non proverebbe la classicità della qualifica di arbitraria » per l'actio Fabiana, giacchè se mai non farebbe che rispecchiare la prassi e la terminologia forense dei sec. IV e V; lo stesso rilievo fece di recente uno dei nostri critici ρ~~~~ eminenti, l' Eisele (`), intorno alla pergamena di Strasburgo contenente un tratto dei libri disputationum di Ulpiano ed in rapporto alla vessata questione della consumazione de11'actio de peculio e dell'interpolazione del celebre fr . 32 D. 15, 2 ('). Tutto ciò va detto a titolo di semplice pr οbabilit~, giacchè il contenuto brevissimo e per giunta lacunoso del frag. de form. Fabiana, non permette alcuna illazione sicura su questioni si delicate. La conclusione che si può dunque ricavare dal frag. de form. Fabiana è che esso non scuote per nulla i risultati ottenuti sul concetto ed il valore del termine actio arbitraria nel diritto classico e giustinianeo. 9. — Ed ora io ritengo esaurita la dimostrazione. Il diritto classico non conobbe il concetto tecnico di actio arbitraria e la categoria generale delle actiones arbitrariae la cui nota tipica ed essenziale era data dalla presenza nella formula di una clausola α neque restituat » o simile. . Questa conclusione è di importanza capitale per la soluzione di un grave problema che ha travagliato sempre gli scrittori, vale a dire la ricostruzione della formula e la struttura dell'actio de eo quod certo loco, chiamata insistentemente nelle fonti col nome di astio arbitraria. Gli scrittori dovettero necessariamente orientarsi in due direzioni : o ammettere una clausola neque restituat» o simile nella formula, pervenendo a risultati impossibili ed addirittura incompatibili coi testi,

cui la pergamena fu scritta. Ammettono però che essa cada in un tempo anteriore alla codificazione di Giustiniano, basandosi unicamente sui famosi divieti di Giustiniano di ricorrere alle opere classiche; sul valore e la portata reale di questi divieti vedi í noti rilievi del Riccobono, Bullettino, vol. IX, pag. 272 e segg., Μélanges Fitti ng, vol. Il, pag. 493 e segg. (1 ) Zeit. der Sai. Stift., vol. 30 pag. 117. (') In questo ordine di idee, riguardo alle Istituzioni di Gaio, sono noti í rilievi, certamente esagerati, del K n i e p , -Vacua possessio, vol. 1, pag. 461 e seg. (contra vedi Ferrini. Bullettino, vol. 1, pag. 31 e segg.) ed in via più generale di recente nel libro e Der Rechtsgelehrte Gaius ,, 1910, pagg. 38-50; e su di esso la recensione del Fe h r , in Zeit, der Sai. Stift., vol. XXXII, pag. 399 e segg.

— 32 — oppure riconoscere l'assurdo che ci οè l'actio arbitraria non abbia avuto nulla di comune colle actiones arbitrariae. L'enigma tormentoso ora si scioglie da sè : la categoria delle actiones arbitrariae, la cui caratteristica era data dalla clausola restitutoria, fu ignota al diritto classico; e si potè quindi, senza ingenerare confusione o contradízíone di sorta, chiamare l'actio de ei quod certo bd ' astio arbitraria », il quale appellativo, se, come si è visto, rispecchiava perfettamente la peculiarità di questa azione, non stava in rapporto con una ipotetica clausola neque restituai », nè coi poteri amplissimi che il giudice avrebbe avuto nelle actiones arbitrariae, Infatti, la qualifica di astio arbitraria non ne alterava per nulla il carattere di iudicium strictum : actío arbitraria e iudicium strictum non sono termini antitetici, tanto vero che í giuristi applicano all'astio de eo q. c. 1. tutti i principi peculiari dei iudicia stricta (I); e ci~~appunto perchè la denominazione i' actío arbitraria » non era che un semplice appellativo, e l'azione poteva benissimo entrare in una di quelle due categorie in cui la tecnica del diritto classico distribuiva tutte le azioni : iudicía strida e iudicia bonae fidei. Rispetto ai poteri del giudice, tutti i giudizi si distribuivano sin dal tempo di Cicerone in queste due grandi categorie; una terza categoria di actiones arbitrariae in cui i poteri del giudice si avvicinavano a quelli dei iudicia bonae fidei, fu estranea al diritto classico: il Pretore dal tempo di Quinto lucio ( 2) a Gaio (IV, 62) allarga sempre più la categoria dei giudizi di buona fede (t3), ma tutti gli altri che non entravano in questa erano

( 3) Cfr. fr. 8 D. 13, 4 e su di esso vedi il mio lavoro: Sulla dottrina romana dell'actío arbitrarla, pag. 98. Cfr. Cicerone, de off. 111, 17, 70; top. 17, 66. Questo progressivo svolgimento della categoria dei iudicia bonae fidei è un fatto innegabile per quanto dif fi cile ed incerto sia il determinare le fasi di tale evoluzione. Non pare però, come ritiene il Costa, C ic erone giureconsulto, 1911, 1,01. I1, pag. 168 e seg., che gli elenchi ciceroniani siano solo esemplificativi, giacchè il Segrè, Studi in onore di C..Fadda, vol. VI, pagg. 331-390, con ottimi argomenti esegetici ha rilevato come le azioni bonae fidei di commodato e di pegno sono ancora ignote a Cassio. Intorno alla enumerazione gaiana, pilι am p ia di quella di Cicerone, sono noti í dubbi che essa ha sollevato; è da ritenersi per certo però che al tempo di Gaio esistevano già le formule di commodato e di pegno, sebbene egli non le enumeri (cfr. Segrè, op. cit.); come pure è da escludersi che nel diritto classico siano state bonae fidei l'astio communi dividundo e l'astio familiae ercíscundae; per la letteratura su quest'ultimo punto vedi Berger, Zur Entwicklungsgeschichte der Teilungsklagen, 1912, pag. 144 n. 2.

-33— necessariamente iudicia st ~cta. L'antitesi esauriva tutto il campo delle azioni ed era rigorosa. Giustiniano invece concepì et attuò in legge il concetto • di una categoria generale di azioni, le actíones arbitrariae, in cui i l convenuto poteva evitare la condanna sodisfacendo l'attore p rima della sentenza. Questa nota caratteristica in verità non è che un aspetto di una concezione più larga e comprensiva dell'officium iuidicis,che viene a smantellare i limiti rigorosissimi fissati nel processo classico ai poteri del giudice nei iudicia st ~cta. Scomparse le formule, é il rapporto giuridico sostanziale che s i devolve in tutta la sua .interezza all'esame del giudice, il quale ormai ha per limiti nei suoi poteri non più un'istruzione categorica datagli dal magistrato, ma una legge secondo cui giudicare ('). Riguardo alle actíones arbitrariae, l'intento di Giustiniano si svela nel modo più chiaro in qualche formulazione generale che il legislatore bizantino trova il destro di mettere avanti. Così principalmente nella chiusa de i § 31 Inst. IV, 6: e in his enim actionibus et cete ~s similibιYs permittítur ludici ex limo et aequo secundum cuiusque rei de qua actum est naturam aestimàre, quemadmodum attori satisfieri oporteat ». Ed altrove, a proposito dell'astio de eo q. c. 1., il nuovo principio che anima tutta questa materia, profondamente modificata da Giustiniano, si trova racchiuso in una proposizione di questo tenore: fr.4, 1 D. 13, 4: a in summa aequitatem quoque ante oculos habere debet iudex qui huic actíoni addictus est. '>. Nel fr. 3, 2 D. 22, 1, come si é visto, giudizi di buona fede ed actiones arbitrariae formano insieme una categoria di azioni più libere i n opposizione ai iudicia st~cta. Ed è sempre lo stesso concetto che hanno presente i compilatori nell'interpolare la c. 2, 2 C. 12, 40: e divisionem arbitraria aequitate faciat »; la costituzione ge-

(i) Quali limiti abbiano ormai nel processo giustinianeo i poteri del giudice pnò rilevarsi dall'avvertimento che Giustiniano fa ai giudici nella Nov. 17 c. 3 : Sit tibi quoque tertium stadium lites cum omn Ι aequítate audire; vedi Nov. 25 e. 2 pr., c. 4 pr.; Nov. 26 c. 3; Nov. 29 c. 3; Nov. 125 c.- 1; Ed. 9,8; cfr. pure la formula di giuramento imposta al giudice prima di entrare in carica: Nov. VIIi, iusiurandum : e et orgnem aequttatem seroabo, secundum quod visum fuerit mihi iustum a. — Per íl diritto postclassico vedi le costituzioni di Costantino 8 C. 3, 1 : a placuit in omnibus rebus praecipuam esse iustitiae aequita~sque quam strict; iu ~s rationem a e 9 C. eod. (= Tb. 2, 18, 1) : eludi. ces oportet imprimis rei qualitatem plena inquisttione discutere s.

— 34nuinα di Arcadio ed mnon o conservata nel Codice Teodosiano (VII, 8, 5, 2) diceva: « divisionem arbitrii aequitate faciat ». Lo spirito ed il significato intimo della innovazione di Giustiniano fu colto benissimo dagli interpreti greci; vai la pena riportare le illustrazioni di Ciriluo e di Stefano sul concetto e la funzione delle actiones arbitrariae. Bas. 23, 3, 3 sch. 8 Cyr. (Heimb. II, 682): ι λ.ιy ι t yg, ~ ~r (C στο~κτ aι dσβιιρασιω - κινπτ~ρειωι ~ ιιρπ ~1' τιυι τι i ς (36).α y ιδε ιCyny ιíç ... .τ~iοω y ο i r στρικ Ì1i διιè τοΠτο (Ζ0ιτ ~(Kρια λεy ετvιι A (').

Bas. 60, 10, 6 sch. 1 Steph. (Heimb. V, 430): ι ... ?

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τι dρβ~ ΤO Ο)' ~~ €ι/.Ει το U &X ιιζο i'~ο $, Óσο ' καιà α y ω yRri υ α~ ι- ~ι, ι Ιξ κ α ì τ~~ ~~x αιο v u ( 2).

,τσι flj'

Questo concetto di actio arbitraria che noi abbiamo visto formulato in via generale qui e là da Giustiniano ed illustrato dai Greci, s'irradia largamente in tutta la legislazione e costituisce direi quasi la sintesi di un lavorio e di una elaborazione profonda compiuta dai commissari in tutto il campo del diritto. Molti istituti e norme classiche vennero alterate da Giustiniano guidato sempre da quel concetto di actio arbitraria. E l'esame particolare di tutte queste innovazioni giustinianee nel campo delle actiones arbitra ~ae e dell'arbitrium iudicis, ci dati modo di apprezzare convenientemente come e perchè Giustiniano pote sussumere in una categoria generale colla denominazione di actiones arbitrariae un gran numero di azioni, in cui nella somma dei poteri che la legge attribuiva al giudice si trovava questo: di assolvere il convenuto ove questi avesse volontariamente s ο disf~ttο l'attore p rima della sentenza.

(I) Trad. Heimbach: era in realt~ edittale e subordinava l'esercizio dell'azione, è chiaro che non poteva dire, come fanno credere le Pandette neque ea res arbitrio iudicis restituetur . L'editto, invece, diceva g neque ea res arbitrio mea restituetur », cioè Prae loris; il mea evidentemente fu sostituito dai compilatori per iudicis. Questa sostituzione di iudex » o competens iudex » a Praeter ed in genere ai vari magistrati giurisdicenti del periodo classico nel processo extra ordinem diventa un'operazione meccanica ( 2) : un confronto fra il codice giustinianeo ed i l teodosiano ammaestri (''). Specialmente poi riguardo all'actio q. m., questa soatítuzione era detta'.a da imprescindibili necessiti pratiche, in quanto era in rapporto colla trasformazione operata da Giustiniano sulla funzione della restitutk rei. Il fr. 23, 2 h. t. mostra come questa ipotesi non sia affatto azzardata : Ulp. IV op. : Si faenerator inciviliter custodiendo athletam et a certaminibus prohibendo cavere compulerit ultra quantitatem debitae pecuniae, his probatis competens iudex rem suae aequitati restilui decernat. L'emblema di questa frase finale è evidente, ed é ora registrato dal Seckel ( i). Nel diritto giustinianeo col venir meno della iurisdictio e della

(t) Per í testi vedi Seckel, Handlexiscon, ad v. tenere, n. 7. Cfr. Gradenwitz, Zeit. der Sai. Stift., ui. Ill, pag. 63 e seg.; Jörs, Untersuchungen zur Gerichtsverfassung der rom. Kaiserzeit, 1892, pag. 22. 25. e nella Pauly Wissowa, Real Encyclopadie, ad ν. Digests, pag. 536 e seg.; e per í numerosi testi interpolati vedi Seckel. Heumanns Handlexic οιι, αd ν. iudex, pag. 291-293. Vedi il Vocabolario del Marchi, nel Bullettino, vol. XVIII, ad v. iudex. (

)

Handlexicon, ad v. iudex.

-51 — funzione del Pretore (t), la cognitio iudicis subentra costantemente alla classica cognitio Praeto ~s. Basterà qui ricordare qualche esempio tra i più salienti che serva ad illuminare la nostra ipotesi a proposito dell'actío q. m. Nel fr. 5, 2 D. 16, 3, in materia di sequestro, si. decideva che se il sequestratario voglia abbandonare il suo officium : αΡ adire eum praetorem oportere et ex eius auclorilate denuntíatione facta... »; ma i compilatori concludono: αΡ sed oportet eam arbitratu iudicis apud aedem aliquam deponi »; la sostituzione di arbitratu iudicis al classico arbitratu Praetoris è palmare ( 2). — L'editto sul giuramento diceva: αΡ eum, a quo certum (3) petetur, solvere aut iurare cogam » (fr. 34, 6 D. 12, 2); la solutio od il giuramento d οvev~no compiersi in jute davanti il Pretore : fr. 34, 6 D. eod.: αΡ si non iurat, solvere cogendus est a Praelore ». e fr. 34, 7 D. cod.: αΡ iudictum ei Prietor non dabit ». Con Giustiniano invece tutto ciò è devoluto alla cognitio del giudice; vedi fr. 34, 5 D. eod.: ç si de qualitate iuramenti fue ~t inter partes dubitatum, conceptio eius arbitri iudicantis est>; Uipiano sicuramente qui diceva carbitri Praetoris est » ( 4 ); come del pari nel § 8 j compilatori fecër ο dire al giurista che αΡ officio iudicis conceptio hiuscemodi iurisiurandi terminetur. » e nel § 9: "cum res in iusiurandum demissa sit, iudex iurantem absolvit» ( 5); nella c. 9. C. 4, 1 si dice : "delata condicione iurisiurandi res... per iudicem solvere vel curare... necesse habet »; senza dubbio qui Diocleziano doveva dire per Praetorem; ed altrettanto ρυò ripetersi per il fr. 1 D. 12, 2 : αΡ iurisiurandi religio, qua vel ex pactione ipsorum litigatorum vel ex auctoritale iudicis deciduntur controversiae », mentre Gaio diceva αΡ ex auctoritate Praetoris» ( Β) o αΡ Prοcοnsulis» ( 7).—Per j εlas-

(') Cfr. Bethanann-Hollweg, Civilprozess, vol. 11I, pagg. 59, 66. Sul testo vedi già Fabro. Rationalia, ad h. 1.; Arangio-Ruiz, Archivio giuridico, vol. LXXVI, pag. 494; De Ruggiero, in Studi economico-giuridici pubblicati dalla facoltà giuridica di Cagliari, vol. I. pag. 133 n. I. Il testo delle Pandette dice « iusiurandum a ma non v'ha dubbio che l'editto classico dicesse « certum z : cfr. Lene!, Ed., pag. 229. Cfr. pure Seckel, Handlexicon, ad v. indicare. Probabilmente i §§ 8 e 9 sono per intero dei compilatori: vedi Lene!, Ed,, pag. 230 e n. 3. 4 (6) Vedi Demelíus, Schiedseid und Beweiseid, pag. 27. Lene!, Palingenesia, vol. 1, col. 199 n. 3; per il Kruger, ad. h. 1., il « νel ex auctoritate iudicis a sarebbe tutto tribonianeo. ()

()

-52.— sici è iustus possessor chi possiede auctorítate Praeto ~s : c fr. 11 D. 41, 2: «fuste possidet, qui auctore Procure possidet ); con Giustina:' questo principio assume la forma 'qui auctore iudice comparavít, bonge fidei possessor est » (k. 137 D. 50, 17 e k. 14, 1 D. 11, 7). — L'esame se il convenuto nella rivendica fosse possessore o meno era devoluto per i classici alla cognitío del Pretore, per diritto giustinianeo invece « offlcium autem iudicis in hac actíone in hoc e~t, ut iudex inspiciat an reus possideat n (k. 9 D. 6, 1) (t). La serie potrebbe continuare ma sarebbe ormai troppo fastidiosa ρeτ il lettore. Ora io credo che la medesima trasformazione documentata con questi esempi evidentissimi, sia avvenuta appunto a proposito dell'acne quod metus causa. Secondo l'editto ed i giuristi classici la restítutío rei si effettuava in jure arbitrio Praetoris, per Giustíniano invece ciò avviene arbitrio iudicis. Reputo del tutto superfluo mettere qui in luce la funzione é la importanza dell'arbitrimn ed in generale dell'officium Praeloris nel diritto classico (2); ma per chi volesse aver presenti i nasi in cui l'editto od i giuristi menzionano od operano coll'arbitrium Praetoris, potrei ricordare i seguenti testi : k. 1 b D. 4, 6 (Paulus XII ad ed.) per la restitutio in integrum; fr. 8 pr., §§ 10, 14, 15, 16 D. 2, 15 (Ulp. V de omn. trib.) relativo alla transazione in materia di alimenti; k. de form. Fab. § 6 per l'astio Fabiana; k. 1, 13 D. 25, 4 (Ulp. XXIV ad ed.) per l'editto de inspiciendo ventre custodiendoque partu; k. 34, 5 D. 12, 2 (Ulp. XXVI ad ed.) ρeτ il giuramento in giure (3); fr. 5, 2 D. 16, 3 (Ulp. XXX ad ed.) per il sequestro (3 ); fr . 5 §§ 9, 10, 14 D. 27, 9 (Ulp. XXXV ad ed.) per la vendita dei beni del pupillo; fr. 2, 1 D. 27, 2 (Ulp. XXXVI ad ed.) e c. 2 pr. C. 5, 50 (Alexander) per la misura degli alimenti da prestarsi dal tutore al pupillo;1fr. 15 pr. D. 39, 2 (Ulp. UII ad ed.) ρeτ la cautio dama infecti; c. 7, 1 C. 7, 7 (lustinianus) per la manumissio

(4) Cfr. Kiibler, Zeit. der Sa.. Stift.. vol. XXIX, pag. 487; Lenel, Griinhuts Zeitschrift, vol. XXXVII, pag. 529 e seg. Sull'οfficium od arbitrium Praetoris nel diritto classico si vedano le considera zioni dell'Erman, Nlélanges Ch. Appleton, pagg. 256-264. Vedi sopra pag. 51. Vedi sopra pag. 51.

-53~ fatta da uno dei condomini (i). Ed in generale per l'arbitrium dei vari magistrati classici, si possono vedere ancora: fr. 131, 1 D. 50, 16; fr. 1 D. 50, 9; ε. 1 C. 1, 30; ε. 4, 1 C. 1, 46; ε. 1 C. 5, 4; ε. 4 C. 5, 37; c. 1 C. Th. 11, 14; c. 25 C. Th. 15, 1. 5. — Dopo questi rilievi di ordine generale, veniamo ad esaminare la questione del perímento fortuito della cosa a proposito dell'actio q. m., in cui, secondo í testi della compilazione, opera principalmente il concetto di arbitrum iudícis. Il problema del pe ~mento fortuito della còsa nelle azioni in cui la condanna od il loro esercizio era subordinato alla mancata restitutuo rei, dovrebbe esaminarsi in tutta la sua integrità, giacchè alla divergenza di opinioni fra í giuristi e alla diversità fra i principi regolatori nelle va ri e azioni; si aggiungono continue e radicali modificazioni di Giustiniano. Ma qui, per non intralciare l'esposizione, devo limitarmi solo all'actío q. m. riserbandomi di esaminare la questione nella sua integrità nel corso 'di questi Studi. In materia di azioni penali, come è noto, vigeva il pri ~cípio per cui il perimento fortuito della res non faceva affatto venir meno la resροnsabilità del colpevole ( 2). Ma questo principio generale doveva evidentemente subire modificazione qualora l'esercizio dell'azione era subordinato alla mancata restitutio rei; cose per l'actio q. m., così, come si vedrà, per l'astio rerum amotarum; solo in questi casi í giu~sti si pongono il quesito se nonostante il perimento fortuito della cosa, il reo sia sempre passibile dell'azione penale. Della questione del perimento fortuito della cosa nell'astio q. m. trattano due lesti: il fr. 14, 5 h. t. ed íl fr. 14, 11 h. t.; il primo contempla l'ipotesi che la cosa sia perita presso un terzo estraneo, il secondo che la cosa sia perita presso .l'autore della violenza. a) Esaminiamo il primo. fr . 14, 5 h. t. (Ulp. XI ad ed.) : (Aliquando tamen et si metus adhibitus proponatur, arbitrium absolutionem adfert. quid enim si

(+) La costituzione é di Giustiniano; ma qui non fa che riferire l'opinione diffusa nel diritto classico per cui il proprietario pro parte era tenuto a eedere la sua quota all'altro condomino « prelio videlicet arbitrio Praeto~s constituendo «; sull'argomento vedi Ríccobono, Bullettino, vol. VIT, pag. 249 e seg. . (2) Per il furto vedi fr . 46 pr. D. 47, 2; fr . 50 pr eod.; fr . 1, 35 D. 43. 16; c. 9 C. 6, 2; c. 1 C. 2, 19 (20).

— 54 — mecum quidem Titius adhibuit me non conscio, Tes autem ad me per ven t , et haec in rebus humanis non est sine dolo malo reo: nonne iudicis officio abso/var? aut si servos in fuga est, aeque, si cauero iudicis officio me, si in rear potestatem pervenerit, restituturum, absolut debebo] unde quidam putant bona fide emptorem ab eo qui vim intulit comparantem non teneri nec eum qui dono accepit vel cui res legata est. sed rettissime Viviano videtur etiam his teneri, ne metus, quern passus sum, mihi captiosus sit. Pedius quoque libro octavo sc~bit arbit~um iudicis in restítuenda re tale esse, ut eum quidem qui vim

admisit iubeat restituere, etiamsi ad alium res pervenit, eum autem ad quern pervenit, etiamsi alius meturn fecit : nam in alte ~us praemium verti alienum meturn non oportet. Il brano chiuso in parentesi non è classico ('). Per la forma si osservi : τ arbitrium >' senza nessuna specificazione ; ; εfr. pure fr. 55 (54), 3 D. 47, 2;

fr . 66 (65) D. cod.; il fr . 54 (53), 1 D. eod., se pure non interpolato (cfr.

S c h u 1 z , Zeit. Sai. S ti ft., vol. XXX11, pag. 42), non contiene alcuna eccezione al prin cipio. Per l'astio vi bonorum raptorum vedi fr. 5 D. 47, 8. Nell'agio furti però l' intentjo della formula aveva per obbietto il α pro fare damnum decidere oportere

e quindi

il ladro si liberava dall'azione prestando per intero questo e damnum n che per altro aveva carattere di pena: cfr. fr . 7 pr. D. 13, 1;

fr . 46, .5 D. 47, 2; c. 13 C. 6, 2.

— 62 — subordinata alla condizione < s i id restitutum non erit » (fr. 1 pr. D. 39, 4), e per l'astio doli concessa solo ß si de his rebus glia actio non erit et iusta causa esse vídebitur > (fr. 1, 1 D. 4, 3) (1). Ε come in questi casi il carattere penale dell' azione non veniva meno, così anche per l'astio q. m. la natura dell'azione non veniva alterata dalla condizione a neque restituetur » apposta dal Pretore al suo esercizio. La natura dell'azione, invece, cambia radicalmente, se si ammette che il convenuto durante il processo e fino all' emanazione della sentenza abbia facoltà di restituire la cosa ed essere assolto. Qui i l carattere penale dell' azione manca affatto o per lo meno è intorbidato profondamente; giacche, con questo ordinamento lo scopo dell'astio non è più esclusivamente quello di attribuire all'offeso il diritto di vendicarsi mediante la punizione del reo, ma bensi quello di far ritornare colla restituzione della cosa il patrimonio dell' offeso nell'identico stato in cui trovavisi prima del delitto. I1 concetto di azione penale esula completamente o per meglio dire si sposta in modo notevole. Infatti, a proposito dell' astio q. m., si è dovuto riconoscere che l'azione è normalmente rivolta alla restitutio rei, e che il concetto di azione penale sorge solo allorquando il convenuto non obbedisca allo iussus de restituendo del giudice. Quindi, il fatto generatore della pena non è più la violenza usata od in genere il de- , litto, ma invece la inesecuzione dell' arbitratus iudicis : il diritto dell'off eso scaturente direttamente dal fatto delittuoso si esaurisce tutto nell' ottenere la restitutio rei. Dinanzi a queste deduzioni, in verità non poco strane, non hanno indietreggiato gli scrittori ( 2) nè la logica del sistema poteva portare a figurazioni diverse. Su questi concetti hi voluto un pò insistere, perche di recente sono stati disconosciuti dallo Zanzucchi. Questi in quel mirabile studio sul « Divieto delle azioni famose e la reverentia tra coniugi), a proposito del carattere penale dell'actio rerum amotarum, sostiene in generale che fra i presupposti cui poteva subordinarsi la concessione

(t) Cfr. anche l'astio depositi in duplum per il deposito avvenuto tumultus, íncendii, ruinae, naufragi causa: sebbene di quest'azione sappiamo poco o nulla (cfr. Le nei. Das Edictum, pag. 280 n. 8), essa naturalmente doveva pure essere subordinata alla mancata restitutio rei, tosi come l'azione ordinaria: fr. 1, 16 D. 16, 3 e e. 3 C. 4. 25.

(2) Cfr. Gradenwitz, Ungültigkeit obbligato ~sche Rechtsgeschäfte, 1887, pag. 3848; per gli antichi vedi G l ü c k, Comm. alle Pandette, lib , li, trad. it., pag. 101, e gli autoAl ivi citati.

— 63 — del diritto alla pena, poteva trovarsi anche che il danno non potesse venire o non venisse in qualche modo risarcito, includendo i n questa formulazione anche l' ipotesi che il danno non sia risarcito dopo la litis contestalo in seguito allo iussus del giudice ('). Questo concetto non è accettabile. Il caso in cui il risarcimento del danno costituisce condizione negativa all'esercizio dell'azione deve tenersi distinto da quello in cui è condizione alla condanna; nel primo, l'actio sorta per íI verificarsi delle condizioni volute, sar i sempre penale, nel secondo, 1' actio non tende piú esclusivamente ad ottenere una pena ( 2) • La condizione che il danno non sia risarcito dopo la litis contestatio, contrasta fortemente colla natura penale deil'actio. La clausola « neque ea res arbitrio tuo restituetur » nella formula è del tutto incompatibile col carattere penale dell' azione: un' actio poenalis non può contenere una clausola di tal fatta. Tanto vero ciò, che lo stesso Giustiniano, il quale, come si è visto per l'acro q. r. e come si vedrà appresso per altre azioni, diede fac οlt al convenuto di restituire la cosa usque ad sententiam, dovette trasformare queste azioni da penali i n reipersecuto ~e o miste. Assai istruttivo nell'ordine di idee qui accennato è il fr. 4, 6 D. 4, ,7 — un testo, come io credo, interpolato e che sar i esaminato oltre —: a haec astio non est poenalis sed rei persecutionem arbitrio iudicis continet ». E nel fr. 21, 1 D. 42, 8, anch' esso come s i ved~~interpolato, s i dice : α haec astio rei restituendae gratia, non pcenae nomine daretur, ideoque absolu solet revs, si restitue~t ». Come si conciliano questi passi colla tesi sostenuta dallo Zanzucchi ? Se da queste considerazioni generali si scende poi ai principi regolanti 1' astio q. m. in rapporto alla sua natura, si può osservare come i Digesti offrano in proposito due figurazioni diverse dell'azione: una strettamente penale che proviene dal diritto classico, l' altra reipersecutoria che trae la sua o rigine dai bizantini. Gin il primo apparire dell' astio q. m. — proposta nel sec. V ll dal pretore Octavíus e detta perciò formula Octaviana — c i richiama ad un mezzo penale di repressione delle estorsioni operate dai [au-

Ru. it. per le scienze giuridiche. vol. XLII (1906). pagg. 48-51. Si tenga presente la nota formulazione gaiana (1V, 6): sono penali quelle azioni in cui r agimus... ut poenam tantum consequamur a.

—J4— tori di Silla (cfr. Cic. ad Q. fr. 1, 1, 7, 21) (1); e sia che si voglia ammettere che detta formula Ottaviana s i modellasse sull'astio vi bonórum raptorum ('), o, come congettura meglio il Rudorff (), essa trovi il suo addentellato storico nel delitto delle repetundae, il suo carattε re penale, in quanto tendeva a punire un fatto delittuoso, non appar dubbio ( i). Il carattere penale dell' astio q. m. risulta poi, oltre che dalle precise attestazioni di Paolo (Sent. 1, 7, 4: aut quadrupli piena... peti potest) (') e di Ulpiano (fr. 14, 1 h. ι: si vult poenam evitare), dalla constatazione che tut ti í principi speciali delle azioni penali trovavano in essa la loro applicazione: così l' intrasmíssibílítà passiva agli eredi se non per l'id quod ad eis pervenerit (fr. 16, 2, fr. 14, 2 h. t., c. un. C. 4, 17, fr. 2 D. 40, 13), la nossalità (fr. 16, 1 h. t.), I' annalità (fr. 14 §§ 1, 2 h. t., c. 4 C. 2, 19, lex Rom. Burg. 38, 2). Sulla questione della natura penale dell'actío q. m. sono interessanti le induzioni che permette di fare il fr. 22, 1 D. 13, 7: Ulp. XXX ad ed.: Idem Papi ~anus ait et si metus causa servum pigneratum (e) debitori tradiderít, quem bina fi de pignori acceperat : nam si egerit quod metus causa factum est et quadruplum sit consecutus, nihil neque restituet ex ei quod consecutus est nec debito imputabit. La ratiz decidendi di questo testo è facile a determinare. Il creditore fiduciario a cui è stato estorto dal suo debitore lo schiavo in fiducia, non è tenuto a restituire al debitore il quadruplo conseguito coll'astio q. m., appunto perche il carattere patrimoniale esula completamente da quest'azione, così come nell' astio furti di cui trattava

(I) Vedi ora Costa, Cicerone giureconsulto, p. 1, 1911, pag. 142. Cfr. Girard, Manuel, V ed., pag. 417. (') Ueber die Octavianische Formel, nella Zeit , für geschichtliche Rechtswissenschaft, u!. XII, pagg. 131-170; cfr. anche Karlowa, Röm. Rechtsgeschichte, vol. II. pag. 1065. (') L'ipotesi del N a b e r, Mnemosyne, vol. 'XXI (1893), pag. 36, che cioè il Pretore Ottavio abbia proposto solo ua interdetto, parmi contrasti fortemente colle parole di Cicerone (in Verr. Il, 8 c. 65 § 152 ): a postulavi[ a Metello ut ex edicto suo iudicium daret in Apronium, quod per vim aut metum abstulisset, quam formular Octavianam et Romae Metellus habuerat s. L'altro passo di Cicerone (ad Q. fr. 1, 1, 7, 21) : « cogebantur Sullani homines quae per vim et metum abstulerunt, reddere » allude evidentemente alla clausola restitutoria dell'editto. (') Su questo passo di Paolo vedi pe Τ~~oltre in fine del presente §. (s) 11 testo si riferiva alla fiducia: Le nel, Palingenesia, voi. II, col. 618. ()

— 65 — lo stesso Papiniano nel § 1 del medesimo fr . e nel fr. 80 (79) D. 47, 2; e la pena ottenuta va tutta ad esclusivo beneficio dell'offeso; cfr. fr. 46

D. 50, 17 (Gaius, X ad ed. ρrov.): Quod a quoquo poenae nomine exactum est, id eidem restituere nemo cogitur. Α questa concezione netta e concorde dei classici sulla natura dell' actio q. m. si contrappone quella dei bizantini che appare in qualche passo della compilazione. L'actio q. m., come del resto molte azioni penali; nel diritto classico passa attivamente agli eredi; ma con Giustiniano c ~ò avviene perchè l'azione è reipersecutoria ; ed íl legislatore bizantino nella fr etta della compilazione non avvertì la stranezza di un' azione reipersecuuna che passa dal lato attivo ma non dal lato passivi; né questa stranezza, -frutto d'interpolazioni gíustinianee, come si vedrà (t), ~~isolata nella compilazione. Per l'astio q. m. si vedano í seguenti due testi fr . 16, 2 h. t. (Ulp. XI ad ed.): Haec astio . heredí [ceterisque successoribusj datur, [quon~am rei habet persecutionemj. in heredem autem [et ceterosj (2) in id, quod pervenit ad eis, detur non inmerito : licet enim piena ad heredem non transeat, attamen .quod turpiter vel scelere quaesitum est, ut est et resc ~ptum, ad compendium heredís non debet pertinere. fr. 14, 2 h. t. (Ulp. XI ad ed.): In causae autem cognitione versstur, ut, si glia astio non sit, tunc haec detur : et sane cum per metur η fasta inιuria anno et quidem utili exoleverit, idonea causa esse debet, ut post annum astio haec dar debeat. glia autem astio esse sic pitest: si is cui vis admissa est decesserit, heres eius habet hereditatis petitionem, quiniam pro possessore qui vim intulit possidet: pr ορteεΩ quod heredi non erit metus causa astio, quamvis, si annus largiretur, etiam heres in quadruplum experiri possit. [ideo auteurn successoribus :

datur, quoniam et rei habet perseculionem]. Queste due proposizioni stereotipate che ho chiuso in parentesi non provengono da Ulpiano. Nel primo testo il carattere penale dell'azione è troppo nettamente scolpito nella frase licet enim piena non transeat» ( 3) perch& noi possiamo attribuire al medesimo giurista la

(') Vedi il § 3 n. 2 di questo capitolo. Ceterisque successoribus; et ceteris, Tri&: Longo, Bullettino, vol. XIV, peg. I 57. Solo per la formae licet... attamen r sospetta di questa proposizione íl Ferrini,

-66— motivazione quoniam rei habet persecutionem » (i). Nel secondo la interpolazione si- tradisce per il fatto che il brano «idei... persecutionem » non si trova in alcuna conΙ essiοne colla questione trattata dal giurista: Ulpiano cimentava la disposizione edittale riferita nel § 1: post annum vero in simplum actíonem pollicetur, sed non semper, sed causa cognita »; nella causae cognitío bisognava vedere se 1' attore avesse qualche altra azione da esercitare, e pertanto decideva non competere l'astio q. m. all' erede il quale p υ~~esperire la hereditatis petitio. La questione della legittimazione attiva neIl'actio q. m. intra annum e la motivazione « quoniam et rei habet persecutionem » non c'entravano per nulla, e questa dà l'impressione di essere stata intrusa da chi volesse ancor una volta ribadire il principio che l'actio q. m. è reipersecuto ~a (i). Una questione essenziale nel campo delle azioni penali è senza dubbio quella riguardante il cumulo delle azioni penali colle azioni reipersecutorie nascenti ex eadem causa. L'esame di questo punto riguardo ali'actío q. m. non fa che ribadire le conclusioni a cui siamo unira pervenuti. Due attestazioni si hanno in proposito nelle fonti : una (fr. 9, 6 h. t.) si riferisce al concorso fra l'actio e la restitutio in integrum quod metus, l'altra (fr. 14 §§ 9, 10 h. t.) riflette il cumulo dell'actio e dell'exceptio q. m. ( 3).

Bullettino, vol. XIV, pag. 217 e seg.; ma l'interpolazione, se mai, sarebbe semplicemente formale. L' emblema di questa motivazione ammette già il Perozzí, Istituzioni, vol. 11, pag. 64 n. 2, il quale a questo proposito richiama opportunamente l' altra motivazione, pure interpolata, del k 11 D. 42, 5: quia et rei habet persecutionem. L'interpolazione probabilmente comincia da a quamvis si annua largiretur... r. Per lo scopo che si propone la mia indagine, pali mettersi qui da parte la questione del concorso fra l'astio q. m. e l'astio doli di cui si parla nel fr. 14, 13 D. h. t.: Eum qui met= fecit et de dolo teneri certum est, et ita Pomponius, et consumi alteram actionem per alteram exceptione in factum opposita ed in Paul. Sent. I, 8, 2: Qui dolum aut mecum adhibuit, ut res ad alium transiret, uterque de vi et dolo actione tenebitur a. Questo concorso elettivo fra le due azioni, dato il carattere sussidiario delΓ actι o doli, è stato sempre difficile spiegare (per í vari tentativi pm o meno artificiosi vedi Schneider, Die allg. subsidiären Klagen,

pagg.

333-338) e nulla pui dirsi con si-

curezza (cfr. Pernice, Labeo, 11, 1, pag. 224). Il testo delle Pendette è certo guasto

(A li brandi,

Opere. 1, pag. 176); e forse

il passo di Paolo è da interpretarsi nel senso

--

67



fr. 9, 6 h. t. (Ulp.): Licet tarnen in rem actionem dandam.exis= timemus, quia res in bonis est eius, qui vim passus est, verum non sine ratíone dicetur, si in quadruplum quis ege ~t, If in rem actionem ve! con tr o. Questo passo che esclude il cumulo fra la rei vindícatio rescissa alienatione (') e i'actio q. m., sembra apparentemente contrastare con quanto abbiamo sopra rilevato sul carattere penale dell'aclio q. m. : se questa fosse penale, si dovrebbe cumulare, secondo i principi generali, colla rivendica appunto perche mentre essa tenderebbe ad ottenere una pena, la rivendica ha per oggetto l' id quod ex nostro patrimonio abest. Dunque, se í giuristi escludono il cumulo, vuol dire che ambedue le azioni hanno identico obbietto e l'actío q. m. pertanto non è . penale. Α questo risultato perviene infatti l' Eisele (") ammettendo appunto 'che fra l'astio q. m. e la rivendica vi sia identità di obbietto, cioè la restitutio rei, giaçchè nell'odio q. m. il concetto di pena si presenta sol quando il convenuto non obbedisce allo iussus del giudice. L' interpretazione dell' Eisele, come si vede, poggia esclusivamente su quel concetto, che abbiamo sopra rinnegato per. íl diritto classico, di considerare l'astio q. m. come reipersecutoria e che solo

che

tanto il reo, quanto colui a cui vantaggio e stato commesso il delitto, sono respon-

sabili de vi e de dolo, secondo che

d

dolum aut metum adhibuit z. Se poi il cumulo

fra le due azioni era escluso, ciò non importava una eccezione al principio che numquam actiones poenales de eadem re concurrentes, olia aliam consumit r (fr. 130 D. 50, 17 : sul testo Eise le, Ar. für,. c. Pr., vol. 79, pag. 379 e seg.), me probabilmente era un effetto dei principi particolari dell'astio q. m. la quale era es ρe~ l le solo se il reo nui avesse sodisfatto l'attore, e deil'acto doli che era concessa a si fusta causa esse vídebitur s. (t) Non pare accettabile, sebbene per la presente questione sia del tutto indi ff erente, l'opinione dell'Apple ton. Histoire de le

ρτορτíété prét ο~enne, 1889, vol. 11,

pag. 103 e segg., che l'astio .in re m qui contemplata sia l'odo Publiciana; alla Publicana riferisce il testo anche l'Eisele, Sitato nella nota seg. In contrario vedi Erman.

Zeit, der Sai. S ιft., vol. XIII, pagg. 198-201. Sul valore da dare alla motivazione c quia res in bonis est eíus qui vim passus est T su cui si fonda principalmente l'Appleton, vedi nel testo. ()

Zur Lehre von der Klagenkonkurrenz, nell'Archiv für cu. Praxis, vol. LXXIX.

pag. 363; in questo senso ora Si ber, Die Ρassiνlegítimatiοn bei der Rei Vindicatio als Beitrag zur Lehre von der Aktionenkonkurrenz, 1907, pag. 135 e seg. nello stesso modo sembra intendere il passe anche Alibrandi, Opere, vol. I, pag. 175. —A torto il Beseler, Beiträge, I, pag.

73,

nessuna traccia di interpolazione.

ritiene tutto ii passo interpolato;. il testo non presenta

-68—

allora diventi penale quando il convenuto non obbedisca allo iussus iudicis. Ma a parte di ciò, l' interpretazione dell' Eisele non spiega una circostanza : come mai il giurista metta in rilievo che la cosa pervenuta già nel patrimonio dell'offeso (quia res in bonis est eius, qui vim passus est), quando Io stesso Eisele, e già l'Alibrandi hanno dimostrato che la semplice conventio nel diritto classico importava l'estinzione delle altre azioni concorrenti dirette alla eadem res. Ma il vero è che qui la consumazione processuale non veniva in considerazione. E non era menomamente l'identità di oggetto e di scopo che escludeva il cumulo fra actio q. m. e rivendica, ma bensi ciò era un effetto di quella particolare disposizione dell'editto che subordinava l'esercizio dell'astio q. m. alla mancata restitutio rei (I). E spiego. Se si agi prima colla rivendica rescissa alienatione, non si può più agire coll'actio q. m. perche questa ~n tanto è esperibile in quanto l'autore della violenza od il terzo possessore della cosa, non ne abbiano fatto la restituzione; e questa condizione deve ritenersi mancata sia che nella precedente rivendica il convenuto abbia restituito la cosa, sia che ne abbia prestato l'aestimatio. Ed allora il Pretore o negava senz'altro l'esercizio deH'actio q. m., oppure se questa era accordata, la clausola della formula « eamque rem redditam non esse » faceva si che il giudice doveva assolvere se il convenuto nella rivendica avesse restituito la cosa o prestata la aestimatio. O si agi prima co11'actio ~n quadruplum, allora è chiaro che non pυò più esperimentarsi la rei vindicatio, perche il convenuto si assoggettò alla pena appunto per non restituire ed avere per sè la cosa, quindi, egli i emptoris loco habendus est » come dice altrove

( 1) Questo concetto mette avanti lo Zanzucchi, op. cit., pagg. 50-54, a propoposito dell'actio rerum amotarum, e richiama opportunamente l'analogia della clausola penale in cui lo s ti pulante aveva diritto o al risarcimento del danno 0 alla pena. Ma non credo, come vorrebbe io. Z a n z u cc h í ; che questo concetto sia applicabile alle azioni con clausola arbitraria; non possono invocarsi sul riguardo i principi che regolano il concorso della vindicaijo contro colui qui dolo desiit possidere e gli altri mezzi reipersecutori : a parte í recenti rilievi del Siber, op. cit., pag. 11 e segg. e del Lenel, Grunhuts Zeitsch~ft, vol. XXXVII, pag, 535 e segg., è certo che se il proprietario ottiene la cosa con una azione, gli vien denegata l'altra non perche questa sia subordinata ad una clausola restitutoria, ma perchè c nihil petito ~s interest λΡ (fr. 95, 9 D. 46, 3 e 13, 14 D. 5, 3) íi che prova peraltro quanto poco carattere penale abbia l'azione contro colui qui dolo desiit possidere.

.

— 69 — Giuliano i n un caso simile (fr. 22 pr. D. 25, 2) (1), ed il Pretore dovrà negare pertanto la restitutio in integrum. Lo stesso ordine di idee sta a base della decisione di Giuliano contenuta nei fr. 14 §§ 9, 10 che riflette il concorso fra l' actio e l'exceptio q. m.: Sed et si quis per vim stípulatus cum acceptum non faceret, fuerit in quadruplum condemnatus, ex stipulatu eum agentem adversus exceptionem replícatione adiuvari lulianus putat, [cum in quadruplo et simplum sii reus consecutus]. Labeo autem etiam post quadrupli actionem nihilo minus exceptione summovendum eum qui vim intulit, dicebat: [quid cum durum videbatur, ita temperandum est, ,ut taro tripli condemnailone pkcta(ur, quarn acceptilationem omnimodo lacere compellatur. § 10: Quatenus autem diximus quadruplo simplum messe, sic hoc disponendum est, ut in condemnatione quadrupli res quidem orni modo contineatur et dus restitutio fiat, poenae autem usque ad triplum stetur]. Labeone negava che l' autore della violenza potesse realizzare il suo credito derivante dalla stipulatio estorta d οροchè aveva subito la pena del quadruplo, mentre Giuliano lo ammetteva probabilmente per le stesse ragioni per cui, come si è visto, Ulpiano nel fr . 9, 6, teste esaminato, escludeva l'esercizio della rivendica, esperita l'actio q. m. (cfr. il fr . 22 pr. D. 25, 2, sopra ricordato, dello stesso Ciuliano). Giustiniano approva l' opinione giulianea travisandone però il concetto che vi stava di .base: Giuliano non faceva questione di calcolo; se l'autore della violenza non facendo l' acceptílatio della stipulatio estorta si è assoggettato alla pena, egli ha acquistato un vero diritto alla somma stipulata non soggetto ad eccezioni. Secondo Giustiniano ciò avviene perche il legislatore limita la pena nell'actio q. m. solo al triplo, digu ~sachè nella prestazione del quadruplo è compresa la restitutio rei (2). Lo stesso concetto ribadisce Giustíniano

(') Per la reivindicat ~ο vedi anche Paulus : fr. 46 D. 6, 1. L'interpolazione del testo nei limiti segnati é concordemente ammessa e sarebbe troppo ozioso insistervi: cfr. già F a b r o , Coniecturae, 16, 19, de Err. Pragm. 18, 10 in 6n., Rationalia, ad h. 1.; Lenel, Palingenesia, vol. 11, col. 464; Eisele,.Zeit. der Sai. Stift. vol. XIII, pag. 119; Gradenwitz, IJngiiltigkeit. pag. 38 e segg.; Girard, Manuel, pag. 420 n. 3; Jors, ΡaυΙy-Wíssοwa, Real-Εncyclορédie, ad v. Digests, pag. 530; Kann, Klagenmerheit bei einem Delikt, 1900, pagg. 46-48; Se c k e 1, Heumanns Handlexicon, ad v. temperare. — Genuino ritiene invece il testo Sib er, op. cit., pag. 172. ()

-70_ nel successivo § 11 : r a rei condemnatione ideo relaxabitur, s i intra tempora iudicati actions moriatur, quia tripli piena propter facinus satisfacere cogitur p. Un altro testo, trascurato dagli scrittori, fu ritoccato dai commissari nello stesso ordine di idee: c. 4 C. 2, 19 (Imp. Gordianus): Si per vim vel return mortis aut c&uciatus corpo ~s venditío vobis extorta est et non postea earn consensu roborastis, iuxta perpetui forma r edicti intra annum quidem agentes, quo experiundí potestas est, si res non restituatur, quadrupli referetis condemnationem [scilicet reddito a vobis pretio]...

Se il compratore (autore della violenza) non restituisce, viene condannato nel quadruplo, ma egli trattiene la res, come il venditore il prezzo (I); la pena è dunque rappresentata sempre dal quadrupli; ma avendo Giustiniano ammesso che nella condanna in quadruplo fosse compresa la restitutio rei, cioè la pena si limitasse al triplo, decise qui che l'attore, cioè i l venditore, dovesse restituire il prezzo. Questo concetto messo avanti da Giustiniano che cioè nella condanna del quadruplo fosse inclusa la restituzione della cosa (res quidem omnmodo contineatur et eius restitutio fiat), se ben si guarda, non é che un ulteriore svolgimento di quel principio giustínaneo secondo cui era permesso al convenuto di restituire la cosa usque ad sententiam. Giustiniano non vuole nessun arricchimento da parte dell'attore, e nessun ostacolo d i procedura o di forma arresta il legislatore bizantino di fronte al risultato sostanziale: se íl convenuto non può o non vuole restituire ante sententiam, è giusto che nel quadruplo sia inclusa la restitutio rei e la pena vada pertanto limitata al triplo..

11 carattere dell'actio q. m. nel diritto classico s i delinea nettamente: l'actio era penale, giacche sorta a favore dell'offeso, tendeva sempre ed invariabilmente a punire il colpevole. Questa concezione con Giustiniano s'intorbida alquanto: l'azione .c habet rei persecutiofem » ρerchè il convenuto può restituire la cosa ante sententiam, e

(t) Vedi ε. 11 h. t. Non bene, a proposito della c. 4, ii Cuíacio (Opera, iii. 1H1, col. 464 e X, col. 6 ) 4) richiama la precedente ε. 3 in cui il convenuto deve restituire

il

prezzo, giacche ivi si tratta non dell'astio q. m. ma della restitutio in integrum, in cui

l'attore che agisce rescissa alienatione deve evidentemente sborsare

il prezzo ricevuto.

-71 — quindi l'azione normalmente è diretta a reintegrare il patrimonio dell'offeso mediante la restituzione della cosa estorta; e habet rei persecutionem ;> anche perche la condanna del quadruplo comprende non solo la pena ma pure l'indennizzo. L'azione dunque è mista in un doppio significato: nel senso che l'actio è normalmente rivolta alla restitutio rei, e quindi l'azione si risolve o nella restitutio rei o nella condanna alla pena, e nel senso che nella condanna del quadruplum si comprende anche il mero indennizzo. I due concetti peraltro, come si è rilevato teste, sono in dipendenza l'uno dall'altro. 8. — E interessante ora esaminare il nuovo assetto dato da Giustiniano all'actio q. m. da un altro punto di vista, cioè ~guardο ai rap. porti fra la restitutio in integrum e l'actio q. m. E intuitivo che questi due mezzi giuridici nel diritto classico dovevano essere perfettamente distinti: mezzo extra ordinem il prim ο, tendeva ad eliminare gli effetti patrimoniali del negozio estorto con violenza, ponendo il danneggiato nelle stesse condizioni in.cuí si sarebbe trovato se quel negozio non si fosse compiuto; lo scopo invece dell' actio q. m. esorbitava dai limiti strettamente patrimonial della restitutio, in quanto tendeva ad imporre una pena al reo. Quale fra questi due mezzi sia anteriore (') e se la scelta fra essi sia stata sempre lasciata al pieno arbitrio dell'attore (2), sono questioni difficili a isolversi e possono per altro dal nostro punto di vista mettersi da parte: a noi basta l'aver accennato alla diversa struttura e alla diversa funzione della restitutio in integrum e dell'actio q. m. Con Giustiniano le cose cambiano; l'abolizione dell'ordo iudiciorum, il venir meno dell'imperium del magistrato, e precipuamente la trasformazione operata dai commissari nella natura dell'actio q. m. determinano un sensibile avvicinamento fra i due mezzi della restitutio

(I) Per la letteratura e gli argomenti relativi a questo punto vedi Girard, Manuel, pag. 418 n. 1. E particolarmente cfr. ora Duquesne, Ciceron pro Fiacco, chap. 30-32 et l'in integrum restitutio, 1908, pagg, 18-31, 42 e seg. (estr. Annales de l' Université de Grenoble, vol. XX, n.° 2). (2) Veramente il fr. 9, 6 h. t. è esplicito in questo senso: Volenti autem datur et in rem actio et in personam rescissa acceptilatione vel Glia liberatione [vel neri liberatione Ulp.: Eisele, Zeit der Sai. Stift., vol. XIII, pag. 134]. Tentativi per toglier valore a questa asserzione in Appleton , 1 οc. cit., ma con scarso fondamento: cfr. E rm a n. Zeit. der Sai, Stift., vol. XIII, pag. 198 e segg. Esplicito anche il fr . 21, 6 h. t.

— 72 — e dell'actío q. m. Avendo, infatti, Giustiniano trasformato in reiperseculoria l'actío q. m., una profonda demarcazione fra l'actio e la restitutio in integrum, non poteva sussistere così netta e precisa come ne( diritto classico. Gia le idee dei commissari sulla restitutio in integrum in generale c i sono note: il loro intento era quello di far scomparire per quanto fosse possibile le tracce della restitutio in integrum ('), sia sopprimendola addi~ttura con la concessione senz'altro di azioni utili, sia fondendola con qualche altro mezzo giuridico (`) ; la unificazione dei due mezzi relativi alla fraus creditorim, la restitutio in integrum e l'interdictum fraudatorium, é per così dire, tipica (`). Della restitutio, come degli interdicta classici, sopravvive ormai solo il lato sostanziale: si tratta ormai di un mezzo giuridico che la legge accorda a favore di una determinata pretesa e si trasfonde nel concetto generale di azione ( 4). In questo laio ~o di unificazione credo appunto che possiamo sorprendere i compilatori a proposito dell'astio e della restitutio q. m. Nel cimento ad edictum dí Ulpiano si ha un testo del seguente lenire: fr. 9, 7 h. t.: Ex hoc edicto restitutio talis facienda est, [ιd est in integrum, οfβciο iudicis], ut si per vím tes tradita est, retradatur, et de dolo, sicui dictum est repromittatur... Il cimento ulpianeo a questa materia comprendeva tre parti per-

(') Cfr. di recente Duquesne, Translatio iudicii, 1910, pagg. 217-221. () Notevole la soppressione nel h. 32 D. 15.

1

della restítut ιο in integrum a pro-

posito della possibiΙiι di riproporre l'astio de peculio adversus ceteros : cfr. L e nel, Sit-

1161, Zeit. der Sai. Stift., vol. XXV, 276; R í c c o b o n o , Bullettino, vol. XVIII, pag. 216 e

zungber. der k. Berliner Ak. der W., 1904, pag. pag. 369, Das Edictum, pag.

segg. Per altri esempi in questa materia della consumazione dell'astio de peculio, sebbene dubitativamente, cfr. Erman, Zeit. der Sai. Stift., vol. XIX. pag. 337. n. 1, 342.— Vedi inoltre la fusione della restitutio e dell'astio propter alienaijonem iudicii mutandi causa factam: cfr. Lendl, Das Edictum, pag. 121 ; e plu avan ti il § 3 a ci ~~relativo. (I) Cfr. Lene1, Edictum, pag: 420 e 476 e segg. Vedi oltre Ô 10. () Impropriamente, quindi, si dice che taluni casi di restitutio sono bizantini (cfr. S olazzi, Studi per Scialoja, vol. corda tutela giuridica in

1,

pag. 689). Se Giustiniano interpolando alcuni testi ac-

van casi in cui il diritto classico la negava, e parla di un e sub-

venire callidítate eius r di un «impetrare veniam s ecc., non mi pare del tutto esatto dire che qui si tratti di restitutio : la restitutio come mezzo giuridico a sé é ormai scomparsa, e quei fr.' devono mettersi nella numerosa e multiforme categoria di testi in cui íl legislatore, accordando tutela giuridica ad una determinata pretesa, concede un'azione

ora utilis,

— 73 — fettamente distinte: la restitutio in integrum, l'editto promettente 1'actio q. m., e la formula di quest'ultima (i). Col fr . 9 § 6 si chiudeva il cimento alla restitutio e col § 7 riferito il giurista iniziava il cimento all' editto sull' actio q. m. ( 2) ; a questo editto e precisamente alla clausola neque restituetur » alludeva di sicuro Ulpiano colle parole ex hoc edicto restitutio talis facienda est ». Ma di questo editto nessuna traccia si ha nel titolo delle Pandette; il che impo rt a necessariamente che esso fu soppresso dai compilatori, e che pertanto a questi dobbiamo attribuire le parole id est in integrum, of ficio iudicis ». Ulpiano non poteva scrivere 'z id est in integrum » perche la sua trattazione si riferiva all'editto sull'astio q. m. ( 3) ; nè parlare di una restitutio a officio iudicis », p οichè noi sappiamo già come sia giustinianeo il principio della restitutio arbitrio od of ficio iudicis; e tanto meno poi mettere. insieme a id est in integrum officio iudicis »II ( 4) Questi rilievi sono ~ssai interessanti e costituiscono la chiave per determinare í rapporti fra restitutio in integrum e actío q. m. nel diritto giustinianeo. Delle tre parti di cui constava il cimento di Ulpiano, í compilatori conservarono il testo dell'editto sulla restitutio in integrum, e nel suo complesso il cimento relativo comprendente la definizione ed i caratteri della violenza. Invece, come si è visto, soppressero totalmente il testo dell'editto in cui si prometteva l'astio q. m. L'effetto di tutto ciò è : 10 che per diritto giustinianeo l'astio q. m. deve ritenersi sancita nella disposizione del fr . _ 1 h. t. 'z quod metus causY gestum erít ratum non habebo », disposizione che fu conservata dai commissari perchè

ora in factum, ora negotiorum gestorum, ora una condictio ecc. Per quanto in materia di azioni Giustiniano possa concepirsi e ala ein romantisch antiqua ~scher Restaurator » (Erman. Zeit. Sai. S tift., XIX, pag. 305 n. 1), é innegabile che al suo tempo la varietà dei mezzi processuali classici ha perduto ogni importanza pratica; per la restitutio vedi sopratutto S a v í g n y, Sistema, vol. VII, pag. 137 e seg. Cfr. Lenel, Edictum, pag. 108. Cfr. Lenel, Palingenesia, vol. Ii, col. 462 n. 2. lJn'interpolazione nel!' id est in integrum ammette l'Eisele, Zeit. der Sai. Stift., vol. XIII, pag. 134; ad una glossa pensano invece K e l l e r cit. in M o m m s e n, ad h. 1. e Lenel, Das Edictum, pag. 110 n. 1, Palinganesia, vol. Il, col. 462 n. 3. Le considerazioni fatte sul]' ordine sistematico del cimento ulpíaneo escludono senz'altro la interpretazione di queste parole data dal Landucci, Note al Glück, lib. 1V, pag. 71 n. a' che cioè a officio iudicis si riferisce all'azione risorta, la quale deve produrre il suo effetto a.

— 74 — per la sua indeterminatezza poteva riferirsi a qualunque mezzo giuridico ( 1 ); 2 0 che nel nuovo diritto restitutio in integrum e restitutio rei nell'actio q. m. sono termini equivalenti; il fr. 9, 7 esaminato c ex hoc edicto restitutio talis facienda est, id est in integrum, officio ludicis ιΡ che costituisce il trait d'union fra le due materie, è esplicito. Il risultato, adunque, è la scomparsa nel diritto giustinianeo della restitutio in inlegrum come mezzo giuridico a sè. Alla unificazione dei due mezzi giuridici messi a disposizione nel diritto classico a chi avesse sofferto violenza, ci richiama ancora il fr. 23 h. ι estratto dal uhr. IV opinionurn di lJipiano. § 1 : Si fusto metu perterritus cognitionem, ad quam ut vinctus iret, potens adversa ~us minabatur„ id quod habere licebat compulsus vendídit, res suae aequilali per praesidem provinciae restituitur. § 2: Si faenerator inciviliter custodiendo athletam et a certaminibus prohibendo cavere compulerít ultra quantitatem debitae pecun~ae, his probalis compe lens iudex rem suae aequilali restituì decernat. 3: Si quis, quod adversario non debebat, delegante eo per vim, appa~tione praesidis interveniente, sine notione iudicis, coactus est d ar e, iudex inciviliter exturta restitui ab ei, qui rei (') damnum priesilieri!, iubeat. quod si debitis satisfecit simplicí iussione et non ci gnitione habita, quamvis non ex tr a ordinem exactionem fieri, sed civiliter oportuit, tarnen quae solutioni debitarum ab eo quantitatium profecerunt, revocare incivile est. Tutto il frammento è stato rimaneggiato dai compilatori ('). I1 § 1 si riferiva certo alla restitutio ín integrum ( 1) ; ed i compilatori (I) Cfr. Savigny, Sistema, trad. Scialoja, iii. VII, pag. 242: 4 í1 passo dell'editto (cioè del k. 1 h. t.) è concepito in modo cast generico che in realtà si può applicare ad ambedue í mezzi di difesa e anche dagli antichi giureconsulti è stato inteso cast »; cfr. pure Bekker. Aktionen, vol. 1I, pag. 82 e seg.; Mommsen, Röm. S tr afrecht, pag. 654 n. 1. Per í classici, invece, l'editto del fr, 1 conteneva nient'altro che la semplice restitutio in integrum (così esattamente Karlowa. Röm. R. G., vol. 11, pag. 1064). Nel fr. 9, 3 h. t. si tratta a mio avviso dell'actio e dell'exceptio ex in integrum restitutione (diversamente 13e k k e r, lac. cit., S α ν i g π y, Sistema, vol. VII, pag. 129) ; la restitutio in integrum poteva infatti effettuarsi non solo colla concessione dell' azione rescissoria. ma anche per mezzo di una exceptío o di una replicatio ; cfr. Sa vi g n y. op. cit., pag. 284. Ei scr. Mommsen, ad h. 1. Anche il pr. fu ritoccato dai commissari: vedi F e r r í n í, Rí ν. it. per le scienze giuridiche, vol. XIV, pag. 261. (t) Ck. Bas. X, 2, 23, 1 (Heim. 1, 495).

-75— ne tolsero qualsiasi accenno sostituendovi quella frase e res suae aequitati... restitditur »; si osservi che i giuristi in materia di restitutio in integrum mal adoperano simili locuzioni, mentre esse, come si sa, sono predilette da Giustiniano : vedi , il fr. 14, 13 D. 11, 7: e iudicern iustum... solutius aequitatern sequi » (t) ed il fr . 14, 1 D . 13, 4: ι aequitatem... ante oculus habere debet iudex x (g). Nel § 2 la chiusa in corsivo è sicuramente interpolata: si osservi l'his probatis, il competens iudex, e nuovamente la frase ι rem suae aequitati restitui »; l'emblema è registrato dal Seckel II § 3 non è che un rimaneggiamento dei compilatori: ad essi almeno (4) deve attribuirsi la parte che ho trascritto in corsivo. Strano modo di scrivere sarebbe stato quello di Ul ρ~ αnο : dopo enunciato un caso pratico, noi ci aspetteremmo che il giurista decidesse competere o no l'azione, non che il giudice ι inciviliter extorla restitui iu beat'. Probabilmente qui bisogna sostituire e Praetor » o praeses provinciae » a ι iudex » e riferire íl passo alla restitutio in integrum, così come i §§ precedenti. Le alterazioni notate in questo frammento hanno tutte la stessa portata: fare scomparire le tracce della restitutio in integrum come mezzo giuridico a sè. In conclusione, Giustiniano nei due mezzi classici della restitutio in integrum e dell' actio q. m. vede solo il lato sostanziale: il ~p~ stinamento allo stato normale del patrimonio del danneggiato, o per usare la frase preferita da lui stesso il ι restituere suae aequitati»; che questo effetto si ottenga coll'azione rescissa alienalione vel liberatione, o co11'actío q. m., dal punto di vista giustinianeo é una supervacua subtilitas. Se il convenuto non reintegra il patrimonio del danneggiato, solo allora sorge il concetto di delitto e di pena; ma l'azione giustinianea in sè e per sè tende sempre alla restitutio rei. ().

9. — I risultati ottenuti sul rapporto fra restitutio in integrum ed ictiο q. m. nel diritti classico e nel giustinianeo non vengono me(t) Per la letteratura completa su questo celebre testo vedi Bertolini, Appunti didattici, pag. 1096. Vedi il mio lavoro: Sulla dottrina romana delI'actio arbitraria, pag. 97. Heumanns Handlexicon, ad v. decernere. (t) Anche il seguito da quod si... > fi no alla fi ne è sospetto: si osservi la parola iussione gl' indicativi satisfecit, oportuit, profecerunt, ed il plurale quantitatíum; del passo sospetta anche Seckel, Handlexicon, ad v. quantitas.

-76— nomamente scossi da un passo delle Sententiae di Paolo che qui trascrivo. 1, 7, 4: Integri restitutio aut in rem competit aut in personam. in rem competit ut res ipsa qua de agitur revocetur; in personam aut quadrupli piena intra annum vel simpli post annum peti potest. La distinzione fra restitutio in rem ed in personam ha qui un contenuto nuovo del tutto ignoto ai classici; per i classici la restitutio era in rem od in personam secοndοchè l'azione rescissoria era in rem od in personam; si veda in generale il fr. 13, 1 D. 4, 4 (Ulp. Xl ad. ed.) e per la restitutio q. m. i l fr . 9, 7 D. h. t. (Ulp. XI ad ed.) : € Volenti autem datur et in rem actio et in personam rescissa acceptila. time vel alla liberatione (cfr. pure c. 3 C. 2,19). Non possiamo, quindi, attribuire a Paolo ii concetto che la restitutio in personam non è altro che l'astio quod metus ! Qui vi ha una strana confusione fra astio e restitutio in integrum che non è sfuggita agli scrittori i quali infatti hanno dovuto riconoscere che il passo di Paolo è spurio ('). Dubbio è solo se la redazione attuale del passo devesi attribuire ad interpolazione dei Visígoti, oppure a rifacimento posteriore dovuto a qualche studioso medievale, come opinano il Burchardi e lo Haenel ( 2). Quest'ultima ipotesi a me sembra preferibile. Anzitutto, il basso in esame si trova solo in tre codici recenzio~~del Breviario: Par. 4409, Vat. reg. 1048 entrambi del sec. X, e Bern. 263 del IX sec. ( 3), e nessuna traccia se ne ha negli altri codici anteriori e maggiormente fede degni. II dubbio quindi che il passo paolino contenuto solo in quei tre codici—i quali hanno un intimo legame fra loro ( 4) e presentano del resto vari altri elementi spuri ( 3)—

(t) Per genuino lo ritenne il Cuiacio, Opera, vol. 1, pag. 66 e seg. L'origine non classica del passo paolino, fu notata, che io sappia, per primo da S c h u l t i n g, lurisprudentia velus anteiustinianea, Lipsiae, 1787, pag. 234 ; in seguito vedi Bure hard í Die Lehre von der Wiedereinse tz ung in der vorigen Stand, 1831, pagg. 43 e seg., 371; Haenel, Lex Rom. Wisig., 1849, ραg. 345 nota h.; Savigny, Sistema, vol. VII, pag. 328 nota a; Seckel e Kubier, lurisprudentia anteiustiniana, VI ed.,11, 1, ραg. 22 n. 7. (z) Lice. citt. Cfr. Haenel, Praefatio, pag. LXXI e seg. Vedi Haenel, loc. cit.: e m πifice hic codex consona[ cum Vat. 1048 et Bernensi 263 s. (') Tutti e tre i codici infatti contengono solo altri due passi senza riscontro cogli altri codici anteriori, e che gli editori riportano a Paolo : V, 4 15 e 21 ; ma entrambi sono adulterini: per il § 15 vedi già Cuiacio cil. in Seckel e Kübler, lur. ant., ad h. 1., per il § 21 anche Cuiacio, sit. in Schulting, lu ~spr. velus ant., pag. 446.

— 77 — non provenga dalla genuina legge Visigota, ma sia una delle tante intrusioni medievali a questa legge, attestateci da un gran numero di codici ed epitomi di detta legge, quali l' epitome Aegidi, l' epitome guelpherbitana, l'epitome parísiensis ecc. ecc. (t), appare quanto mai fondato. Si aggiunga che le costituzioni del Tedosiano pervenuteci . attraverso i l Breviario, e la relativa lnterpretatio, conservano ancora immutato il concetto ed i caratteri della restitutio in integrum classica li passo in esame, dunque, dovette insinuarsi nella legge Visigota verso i sec. IX e X. Ma dobbiamo attribuire í rapporti fra restitutio ed actio q. m. da esso risultanti a mera ignoranza od ingenuità dell' autore o piuttosto all' influenza della codificazione di Giustiniano che non presentava più alcuna differenza fra restitutío in integrum ed actio q. r.? Per quanto in Francia — da cui provengono i tre codici contenenti il passo che ci interessa ( 3 ) - sia stato scarso l'uso della legislazione di Giustiniano prima dei sec. XI e XII (S), non si può escludere quest'ultima ipotesi, gíacchè presso í Burgundi la codificazione giustínianea era nota e studiata fin ab antico () e nulla porta ad escludere che ivi abbia avuto luogo la notata intrusione nella legge Visigota che ora vediamo riprodotta in quei tre codici di questa legge. ,

(2)

(') Su questi codici ed in genere per le aggiunte posteriori medievali alla legge V i vedi per tutti: H a e n e 1, Praelatio, pag.

sigota

XIX e seg.; K r u e g e r, Praefatio, in

Collectjo librorum pur. ant., iii. Il, pag. 44 e seg.: C o n r a t, Geschichte der Quellen und Litteratur des röm. Rechts in früheren Mittelalter, vol. f, pagg. 143, 223 e segg. (2

) Vedi specialmente il titolo I1, 16 de in integrum restitutione.

(;) Cfr. Haenel, Piaefatío, pag. LXXI. (°) Cfr. Conrat, op. cit. pag. 37 e segg. (') Conrat, op. cit., pag. 33 e segg.

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2. Actío dolt. 3011ARIO: 1. Si pone la tesi che la possibilità concessa al convenuto nell'aclio diii

di restituire la cosa per essere assolto non è classica. Argomento che si ncava dall'ordine sistematico del cemento ad ed. di Paolo. — 2. Interpolazione del fr. 18 pr. D. 4, 3. Perche nel diritto classico la formula non poteva contenere una clausola restitutoria. — 3. Interpolazione del fr. 18 §§ 1 e 4 h. t. — 4. Del fr. 17, 1 h. t. — 5. Si riferisce all'astio doli anche íl fr. 12, 1 D. 23, 3.— 6. Natura dell'actio doli: penale nel diritto classico, mista nel diritto giustinianeo. Esame dei principi che si riconnettono alle due concezioni dell'azione.— 7. Rapporti fra la restitutio in integrum e l'astio propter dolum nei diritto giustinianeo: la restitutjo fu soppressa dai commissa ~ . Conclusioni sull'istituto nel diritto giustinianeo.

1. — Ad una clausola arbitrarla nell'astio doli accennano í segu'enti frammenti: fr. 18 pr. §§ 1, 4 D. 4, 3 e fr. 17 D. eod.; la azione si trova poi espressamente enumerata nel catalogo delle istituzioni (§ 31, IV, 6) ed in un testo dei Basilici, senza riscontro colle Pandette, è chiamata arbitraria: Bas. X, 3, 18 (Heimb. 1, pag. 501) : > { `H :~~~ì δ~íÏ ~t ' c~ y ~~ y ìì a~~ € rr ~rì O. ii propongo qui dimostrare che questa facoltà di restituire la cosa per evitare la condanna è completamente il prodotto di una innovazione giustínianea la quale riuscì a snaturare il carattere e la struttura classica dell'actío doli. Il luogo in cui è trattata ex professo la clausola restitutoria senza dubbio il fr. 18 h. t., e precisamente íl pr. ed il § 1. pr.: Arbitrio iudicís in hac quoque astiene restitutío cornprehenditur... 1: Non tarnen semper in hoc iudicío arbitrio iudicís dandum est: quid enim si manifestum sit restítui non posse Il testo fu estratto dal lib. XI del cimento ad edictum di Paolo; ?

,

(t) Questi sono í soli testi in cui si fa cenno o si allude alla clausola restitutoria nell'astio doli. Non comprendo come il Pacchioni, Corso di dir. rom., v i 1. 11, paglua 156 n. 2, possa invocare per il carattere arbitrario dell'azione la Ier lulia Municipalis 11 I : queíve iudicio fiducíae, pro socio, tutelae, mandati, iniu ~arum deve dolo malo condemnatus est erat.

— 79 — ora l'ordine sistematico di questo cimento — per quanto qui, come spesso, se ne abbiano scarse vestigia, ρerchè usato dai compilatori solo in via sussidiaria — permette di fare dei rilievi di non scarsa importanza per la nostra questione. L'editto che prometteva l' actio doli ci é conservato nel fr. 1. I h. t. del cimento di Ulpiano e diceva: Quae dolo malo facts esse dicentur, si de his rebus glia actio non erit et fusta causa esse videbitur, iudicium dabo ). A questa clausola a si de his rebus alla actio non erit et fusta causa esse vídebitur ' si riconnette in Ulpiano un ampio e dettagliato cimento. Altrettanto possiamo dire per il cimento di Paolo, per quanto í testi pervenutici siano frammentari. Per i frammenti in cui solo poche p ar ole furono escerpite di Paolo, per metterne in luce il valore, bisognerà richiamare i passi di Ulpiano cui servono di complemento: fr. 1, 8: Ulp.: Non solum autem si adversus eum sit abba act ~c ~dνersus quem de dolo queritur, fr. 2 Paul.: vel ab eo res servari pote ~t, fr. 3 Ulp.: non habet hoc edictum locum, verum etiamsi aciver sus alium fr. 4 Paul.: sit saio vel si ab al~ο res mihi servari potest. fr. 10 Paul.: id est usque ad duos aureos [Trib.] (9. fr. 11, 1 Ulp.: et quibusdam personis non dabitur... in factum. actionem dandam fr. 1 2.-Paul: ne ex dolo suo lucrentur. fr. 6 D. 37, 15, Paul.: nec servi corrupti agetur. fr. 13, 1 Ulp.: Item in causse cognitione versarí... ne in pupillum de dolo detur saio... fr. 14 Paul.: Quid enim... si de tutore mentitus pecuniam accepit... fr. 18, 2 Paul.:... non est de dolo actio, quoniam alise ex hoc oriuntur actiones. fr. 18, 3 Paul.: Trebatius de dolo dabat actionem. fr. 18, 5 Paul.: de dolo malo actionem in eum dandam... quia tu a me liberatus sis. fr. 22 Paul.: nam sufficit pe~urii piena. fr. 25 Paul.: de dolo actionem non dari quia alun modo mihi succurni potest. .

(í) Longo, Bullettino, vol. XIX, peg. 143.

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Dunque Paolo non fa che cimentare sempre la clausola ι si de his rebus glia actio non erit et fusta causa esse νidebitur ». Ora, come si spiega che nel fr. 18 al pr. ed al § 1 si occupi ex professo dell'arbitrium ~udicis, quando l' oggetto della sua trattazione era quello di ri cercare se competesse al danneggiato alcun'altra azione da esercitarsi 'in luogo dell'astio doli? E se a questa trattazione si riconnette direttamente ii precedente fr. 14 ed il § 2 dello stesso fr. 18 che segue (non est de dolo astio, quoníam alice ex hoc oriuntur actíones) ed i §§ 3-5, ποπ ha forse tutto il sapore di una intrusione quanto si afferma nel pr. arbitrio ~udicis in hac quoque acume restítutio comprehenditur ηΡ e nel § 1 ι non tamen semper in hoc iudicio arbitrio ~udicis dandum est » ? 2.— Esaminiamo un pi' da vicino quanto ci dicono questi passi. Fr. 18 pr.: Arbitrio ~udicis in hac quoque actione restítutio comprehenditur : et nisi fi at restitutio, sequitur condemnatio quanti ea res est. ideo autem et hic et in metus causa actione certa quantitas non adicítur, ut possit per contumaciam suam tanti reus condemna ~, quanti actor in litern iurave~t : sed of fi cio ~udicis debet in utraque acume taxatione iusiurandum refrenari. L' interpolazione da v ideo » fino alla fi ne, ad incominciare dal Fabro, è ammessa conto'demente (`). Si noti, tra l'altro, lo svarione preso qui dai compilatori nel dire che anche nell'astio quod metus, l'ammontare della condanna non era fisso, ma si determinava secondo il giuramento dell'avversario ( 2). Ma quello che precede può accettarsi veramente per classico? -

(') Fabro, Coniecturae, 1630, pag. 660 e 672; de E

rr . Pragm., 1658, pag. 238,

e seg. Rationalia, ad h. 1.; Solazzi, Archivio giuridico. vol. LXV, pag. 152; Seckel, Handlexicon, ad v. refrenari. Non sono decisivi gli argomenti in contrario del Bertolini, Giuramento, pag. 222 e seg., 243 e _scgg. (") Che nell'actio quod m. la condanna venisse determinata

in realtà secondo il giuin base

ramento dell'attore ammette i l Bertolini, op. cit., pag. 210 n. 6 e 225, solo

a questo passo e contro i dati piú sicuri che si hanno su questa anone. La esatta opinione trovasi invece sostenuta da Hefke, Bedentung und Anwendung der taxatio i m rom. Recht, 1879, pag.

108 e seg., sebbene questi non sia riuscito a sbarazzarsi del

fr. 18 pr. La tesi del C u í a c o (Opera, vol. 1, col. 964) accettata dal B e r t o l i n i, op. cit., pag. 243, che cioè l'attore giurava solo il simplum e su questo veniva fissato di fronte all'esplicito fr. 14, 7 D. 4, 2: Quadruplatur autem id

il quadruplo s'infrange quan ti ea res erít,

id est cum fructibus et ornai causa.

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-

-81 — Si osservi anzitutto che il nostro testo si adatta poco alla clausola « neque ea res arbitrio tuo restituetur » che si inserisce comunemente nella formula dell'actio doli. La frase " arbitrio iudicis... restitutio comprehenditur » accenna piuttosto ad una facolt insita nei poteri del giudice, anziché ad una clausola della formula. Se fosse esistita la clausola ι neque ea res arbitrio iudicis restituetur », il giurista certo non avrebbe scritto che la restituzione della cosa è compresa nell'arbitrium iudicis, giacché detta clausola faceva si che l'arbitrium iudicis si esaurisse proprio nel permettere la restitutio rei al convenuto. Ma allora, se non da una espressa clausola della formula, da che cosa proveniva al giudice il potere di assolvere il convenuto ove questi restituisse la cosa? Per diritto classico il problema posto in questi termini è insolubile. Il vero è che qui arbitrium iudicis è . inteso come potere dato dalla legge al giudice competente : nella somma dei poteri che questa gli conferisce è compreso anche quello di assolvere il convenuto se questi restituisca all'attore la res carpita con dolo. Ora, come ognun vede, un tal giudice non può essere che i l giudice del processo giustinianeo. Al medesimo risultato conduce ancora un'altra constatazione. Il fr. 18 pr. fa un continuo parallelismo fra l'atrio doli e l'actio quod metus; ma esso è esclusiva opera dei compilatori. Il raffronto errato riguardo all'ammontare della condanna, come si ammette concordemente, è giustiniane ο ; ma anche riguardi all'arbit ~um iudicis il testo vuol fare un parallelo fra le due azioni : arbitrio iudicis in hac quoque actione restitutio comprehenditur. I1 quoque, sia che si tenga presente il seguito del testo, sia che si osservi la continuità della materia, non potrebbe riferirsi che all'actio quod metus; ora il lettore che ci avrà seguito nell'indagine testé fatta su questa azione, ed avrà visto cioè come in essa furono per primi í commissari ad ammettere la restituzione della cosa ante sententiam, potrà apprezzare convenientemente il valore e la provenienza di questo raffronto fra l'atrio doli e l'actío q. m. Il quoque, infatti, in bocca al giurista non si spiega: solo í compilatori dopo l'innovazione fatta in materia di astio q. m. potevano trarre argomento da essa e scrivere che ι arbitrio iudicis in hac quoque actione restitutio comprehenditur ». Nè queste deduzioni dovranno apparire azzardate o prevenute; giacché per altra via noi siamo in grado di escludere che nella formula dell'actiο doli fosse contenuta una clausola restitutoria. L'editto riportato nel fr . 1, I h. t. diceva: ι Quae dolo malo

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fatta esse dicentur, si de his rebus alla actio non e ~ t et iusta causa esse videbitur, iudicium dabo ». A questo editto s i ricollega nelle opere dei giuristi una trattazione minuta comprendente una serie svariata di casi pratici con decisioni e motivazioni spesso sottili, destinate a determinare se a favore del danneggiato esista alcun altro mezzo giuridico da esercitarsi i n luogo dell'astio doli; tosi nella parola < actio » i giuristi comprendono azioni sia civili che onorarie, eccezioni, interdetti, restitutiones in integrum. La ragione di c ιò é chiara : l'actio doli era infamante; quindi, il Pretore nel suo editto ed i giuristi nella loro interpretatío cercavano di evitare per quanto fosse possibile l'esercizio di un'azione famosa (1). Notevole i n proposito quanto scrive Ulpiano nel fr. 7, 1 D. 4, 1 : a ... deceptis ... sussurri oportebit, cum etiam de dolo malo astio competere soleat, et boni praetoris est potius restituere litem, ut et ratio et aequitas postulabit, quam actionem famosam constituere, ad quam tunc demum descendendum est, cum remedio locus esse non potest ». Né a questo si limitò il diritto classico; il Pretore venne ad accordare un'actio in factum non infamante contro l'autore del d οla, nel caso che a favore di questi esistesse per parte del deceptus l'obbligo alla reverentia (e), oppure il suo •agire non avesse quella particolare malvagità che costituiva la nota- caratteristica del dolus ().

Per la letteratura e le opinioni divergenti sul fondamento della sussídia ~età dell'actio doli vedi infra n. 0 6. Per ora basterà ricordare a sostegno di quanto affermo nel testo, ih r. 7, 1 D. 4, 1 riportato, ed i fr.` 9, § 5 e I1, § 1 h. t. Per íl patrono ed í parentes vedi fr. 11, 1 h. t. (Ulp. Xi ad ed.).': Et quibusdam personis non dabitur, ut puta libe ~s. vel libertιs adversus parentes patronos' e, cum sii famosa, sed nec humíli adversus eum qui dignitate excellet dehet darí : puta plebei adversus consularem receptae aucto ~tatis, vel luxurieso atque prodigo aut alias v i h adversus hominem vitae emendatio ~s. et ita Labeo, quid ergo est? in horum persona dicendum est in factum verb is temperandam actionem dandam, ut bonge fidei mento fiat *. I1 testo in quest'ultima parte è certo corrotto : « dandam , del. R ic c o b o n o , ad h. 1.; ed il Pernice, Labeo, uol. II, 1, pag. 226, espunge come t ~ bonianee le proposizioni verbis temperandam , e « ut bonge fidei mentii fiat ». — Fra coniugi l'astio doli era terto permessa perche nel diritti classico í coniugi non avevano obbligo alla reverentia; interpolata la c. 1, 2 C. 5, 12 che in luogo dell'astio doli dà un'actio in factum: cIT. Zanzucchi, Riv. it. per le scienze gíur., vol. XLVII, pag. 4 e segg.; sul fr. 58 D. 23, 2 vedi Zanzucchi, op. cit., pag. 8 e seg. Vedi fr. 7, 7 h. t. : si tratta di un tale che aveva liberato uno schiavo legato; si domanda a an de dolo astio danda sit ,. Quinto ludo dis ti ngue a si non misericordia ductus feristi, furti tener ~s; si misericordia, in factum actionem dar debere a. In rapporto all'astio

— 83 — Ora tutto ciò per noi è assai interessante. Giacchè, dato che l'infamia colpiva l'autore del dolo solamente in caso di condanna (t), certo che se il convenuto avesse avuto fac οlt di restituire la cosa ed essere assolto, egli avrebbe potuto sempre evitare l'infamia (2). Non si arriva pertanto a comprendere questa linea direttiva seguita dal Pretore e dalla giurisprudenza di raffigurare cioè l'actio doli come un ultimo rimedio e di accordare in casi speciali delle azioni in factum, appunto per evitare al convenuto l'infamia. Questi sforzi diretti ad escludere per quanto fosse possibile l'esercizio dell'astio doli sarebbero stati un puro sport intellettuale degno di miglior causa, se il convenuto avesse avuto a sua disposizione un mezzo generale ed attuabile in ogni caso per sfuggire all' infamia : vale a dire restituire la cosa per essere assolto. Se non si vuole, adunque, riconoscere che al Pretore ed ai giuristi classici sia mancato il senso pratico, si deve ammettere che all'infuori del carattere sussidiario dell'astio doli e della concessione di actiones in factum, nessun rimedio generale come la restituzione della cosa ante sententiam, era possibile per far evitare al convenuto la condanna e la conseguente infamia. Ma anche da un punto di vista astratto, difficilmente per il diritto classico si saprebbe giustificare questa facoltà concessa al convenuto di restituire la res. Si prenda come termine di paragone la stessa astio quod metus che il nostro fr. 18 pr. mette a raffronto coll'astio doli. L'actío q. m., invero, era accordata solo se il convenuto non avesse restituito la cosa, ma si osservi che detta azione era rivolta al quadruplo, e, quel che pii importa, era esperibile contro

depositi fa la stessa distinzione Ulpiano (XXX ad. ed.) nel fr. 7 pr. D. 16, 3. Nel 16 in fi ne Inst. IV, 3 in questo caso è accordata un'actio in factum legis Aquihae, ma

il passo è tribonianea : A l ib r a n d i , Opere, vol. 1, pag. 159, Lene 1, Das Ed.,

pag. 199.— Un altro caso in cui sarebbe negata l'astio doli trovasi ~ef fr. 50, 4 D. 47, 2 (Ulp. XXXVII ad ed.).— Non è ben chiara la ragione per cui nel fr. 33 h. t. si nega

il Pernice, op. cit., pag. 228, conil testo genuino doveva riferirsi allo iudicium calumniae; in questo senso ora

l'actio dc'li, accordandosi solo l'astio in factum: gettura che

Lenel, Das Ed., pag. 107. (t) Vedi fr. 1 D. 3, 2: de dolo malo et fraude suo nomine damnalus -; - fr. 4, 5 D. eod.: de dolo malo damnalus

(su questo titolo delle Pandette vedi però i noti

111: a dolo Ed in generale Gaio, IV. 182: c quibusdam iudiciis damnali

rilievi del Le nel, Das. Ed., pag. 76 e segg.); lex lulia Municipalis, lin.

main cond'emnalus est

a.

Ignominiosi font a, cfr. pure Gaio, 1V, 60. (') Cfr. Mitteis, Röm. Privatrecht. vol. 1, pag. 320.

-84— qualunque terzo che s i fosse arricchito della cosa; quindi, era ben giusto che i l terzo estraneo alla violenza non fosse ritenuto senz'altro responsabile d i una pena si rilevante, e s i diede pertanto a lui la possibilità di restituire la cosa per evitare l'azione: Queste considerazioni stanno a fondamento della clausola restitutoria dell'editto; fr. 14, 1 D. 4, 2: ι sans clementer cum reo Praetor egit, ut daret e i restítuendi facultatem, si vult poenam evitare ;> ed il § 3 : ‚ nec cuiquam iniquum videtur ex alieno facto alium in quadruplum condemnari, quia non statim quadrupli est actio, sed si res non restituatur >. Questi presupposti mancano affatto per l'actio doli: la condanna nel diritto classico era diretta al quanti ea res erit, e l'azione era esperibile esclusivamente contro l'autore del dolo. Il Pretore qui fu indulgente verso i l reo, ai fi ni di fargli evitare l'infamia, accordando l'azione solo ι si de his rebus glia actio non erit et iusta causa esse videbitur ηΡ; ed i giuristi coll'interpretare estensivamente questa disposizione e col consigliare la concessione di actiones in factum resero in realtà l'actío doli infamante un ultimo rimedio da esperirsi in mancanza di qualsiasi altro mezzo giuridico. Ma ai di là di ciò non è verosimile che siano andati nè i l Pretore né la giurisprudenza. 3. — Dopo quanto si è cercato di dimostrare nel numero precedente, l'interpolazione degli altri testi che a proposito dell'actio doli parlano della restituzione della cosa, deve ammettersi a priori. Ma non mancano in ognuno tracce sicure dell'opera dei commissari. Ed anzitutto nel § 1 dello stesso frammento 18: ι Non tamen semper i n hoc iudicio arbitrio (i) iudicis dandum est : quid enim s i manifestum sit restitu ι non posse (veluti s i servus dolo malo traditus defunctus sit) ideoque protinus condemnari debeat i n íd quid intersit actons? a E un testo che è stato sempre frainteso, e non sari pertanto inutile spendervi qualche parola. Anzitutto, la punteggiatura_ è molto dubbia e tale da modificare sostanzialmente la decisione. Ho riportato il testo secondo la punteggiatura del Mommsen (ad h. l.), mantenuta dal Krueger, ed esso verrebbe a dir questo: se lo schiavo è perito, il convenuto dovrà forse essere condannato nell'id quod interest ?

(i)

Arbitrium Vulg.

-85— Ad accettare questa punteggiatura induce il congiuntivo ζ debeat in quanto fa ritenere trattarsi di una proposizione interrogativa indiretta. Le antiche edizioni, invece, dalla Glossa fino a quella Kriegel, mettono il punto interrogativo dopo defunctus sit, in modo che la decisione risulta completamente diversa: alla domanda, quid se il servo morto, si risponde che íl convenuto dovrà essere condannato nell'id quod interest. A favore di questa interpretazione stanno í Basilici (X, 3, 18; Heim. 1, 501). Ma nè l'una nè l'altra interpretazione riesce a spiegare il nesso fra la questione del perimento fortuito della cosa nell'actio doli e la proposizione posta a guisa di premessa: g non tarnen semper in hoc iudicio arbitrio iudicis dandum est ». Ε per vero, sia che si ammetta col Pernice (I) che queste parole siano rivolte al giudice, ed intendano dire che questi abbia facoltà di emanare lo iususs de restituendo senza esservi obbligato perentoriamente, sia che si accetti l'avviso del KarIowa (') che le riferisce invece al Pretore, il quale in certi casi non avrebbe inserito nella formula la clausola restitutoria, in ambedue le ipotesi il risultato non è diverso. Infatti: o si ritiene, seguendo la punteggiatura tradizionale, che il convenuto, perito fortuitamente lo schiavo, è condannato, allora non si comprende la necessità che in tal caso il Pretore od il giudice non dovessero dare od emanare lo arbit ~um de restituendo; giacchè, perita la cosa, e resa impossibile la restituzione, il meccanismo della formula con clausola restitutoria avrebbe sempre portato necessariamente alla condanna, e quindi la presenza o meno della clausola restitutoria, o l émanazione o meno dello iussus da parte del giudice, sarebbe stata cosa del tutto irrilevante. Se si ritiene, invece, colla punteggiatura del Mommsen, che il convenuto dovesse essere assolto, allora non si spiega affatto come la mancanza della clausola restitut ο. ria, o il fatto che il giudice non dovesse emanare lo iussus de restituendo, avesse potuto apportare all' assoluzione; dapoichè é solo in forza dell'arbitrium de restituendo dato nella formula ed emanato dal giudice, che è possibile l'assoluzione del convenuto. Da questo dilemma non si esce. Il Lend (") però nella propo-

(t) Labeo, vol. 11, I, pag. 230. Röm. Rechtsgeschichte, vol 1i, pag. 1074. Beiträge zur Kunde des prätorisch. Edikts, pag. 88 e segg.; Palingenesia, vii. Ι, col. 984 n. 1; a questa interpretazione si richiama ancora ne11'Edictum, pag. 112 n. I.

_ 86 _ sizíone inca semper arbitrio íudicis dandum est » attribuisce a questo arhitrium il significato volgare di facoltà riferendola alla delazione del giuramento di cui si parla nei pr. dello stesso fr.: il testo verrebbe a dire che non sempre é in facoltà del giudice dí deferire il giuramento. Ma questa interpretazione non è sostenibile, perche quel edandum est » del nostro passo non può alludere al giuramento: il giuramento per pa rt e del giudice si deferisce (defertur), ma, non si dà; dare iusíurandum nelle fonti è adoperato sempre nel senso di prestare il giuramento (ad es. fr. 5, 2, fr . 9, 1 D. 12, 1), ma non nel senso di deferirlo. Ora io credo che la chiave per la retta interpretazione del passo in esame si abbia nel pr. dello stesso fr . lví è detto che il convenuto coli' actío d οli il quale non restituisce la cosa è condannato in una somma determinata dal giuramento dell'attore; e questa condanna, che normalmente sari superiore al quanti ea rea erít, è concepita come una pena per la mancata restituzione della cosa: quello che si vuol punire è la disubbidienza, o con termine tecnico, la ιΡ contumacia allo iussus del giudice ; questo concetto è scolpito chiaramente nelle parole : e certa quantitas non adicitur, ut possit per contumaciam suam tanti reus condemna~. quanti actor in {item íuraie ~t a. Quindi, mesecuzione dell'arbitrium iiιdicis e condanna secondo il giuramento dell'attore, stanno in rapporto di causa ad effetto. Ma quid se il convenuto non può restituire perche lo schiavo è perito fortuitamente? Il principio che Giustiníano altrove formula in via generale è che la stima della cosa perita dovrà effettuarsi mediante giuramento in lite dell'attore (t). Ma nell'astio doli, per r la presente questione, la pena del giuramento dell'attore non poteva applicarsi; polche, se il giuramento dell'attore trova qui il suo fondamento nello scopo di punire íl conqualora la cosa è perita fortuitamente venuto per la sua contumacia e non può quindi farsene ρΥι la restituzione, non é logico e giusto che il convenuto risponda di un fatto a lui non imputabile. Questa appunto la ragione per cui-íl nostro testo dice che in tal caso ιΡ non ( 2 ),

(t) Vedi fr. 5, 4 D. 12, 3 e su di esso Marchi, Studi in onore di V. Scialoja, vol. I, p. 168. Su questo concetto di considerare il giuramento dell'attore come una pena per I' inesecuzione dello iussus iudicis — concetto che a mio avviso e come si vedrà nel corso di questi Studi devesi in massima parte a Giustiniano — vedi Heike, Bedeutung und Anwendungen der Taxatio, pag. 112 e segg. e B e r t ol í n i Giuramento, pag. 213. ( 2)

— 87 — tarnen semper. in hoc iudicio arbitrio iudicis dandum est ». Infatti, togliendo questo meccanismo dello lussus iudicis, non s i presenta più il concetto della contumacia e quindi, i l convenuto che non púò restituire la res percha perita fortuitamente, vena condannato, non secondo il giuramento dell'attore, ma nel quanti ea res est. Questa, a mio avviso, è l'interpretazione del testo. E mettendone in luce la sua vera portata ed i l suo intimo significato, credo di aver dato nello stesso tempo la dimostrazione più sicura che esso appartiene tutto a Giustiniano, giacché è solo a Giustiniano, come s i ammette ad incominciare dal Fabro e come si è rilevato sopra, che s i deve l' introduzione del giuramento nell' astio doli. Ed invero, anche la stessa forma del passo ci richiama subito ai bizantini (t) :.si osservi il quid enim si ? », l' τµο tFιηΙα quae statuta est von den Gesetzen bea r(i ροις, absconditum stimmte πρoaεσι ~~α sind, morbum vel diabolum , eine verborgene Krankpraecipiunt v~1ι o ι ut re- heit oder einen Dämon, so

erlauben die Gesetze ,

darf, kauft, und nun vor Ablauf der 6 Monate der gesetzlichen Prüfung findet, dass er eine verborgene Krankheit oder einen Dämon hat, kann er ihn zurück-

dhibeat eum servum viro dass er den Sklaven zu qui vendídit eum et re- dem Manne, der ihm cipial argentum quid de- verkauft hat, zurückschidit ei. Si vero impletí cke und das Geld, das er schicken und sein fuerint sex menses post- ihm gegeben , wiederbe- Geld zurückbekomquam emit eum neque komme. Wenn aber, nach- men. Wenn er aber dem er ihn gekauft, 6 vídit in cc morbum ab nach diesen Mo-

Monate voll werden, und

sconditum, non licet ei eτ nicht an ihm eine naten derartiges an redhibere eum domino verborgene Krankheit be- ihm findet, kann

suo priori. Its etíam an- merkt hat, so kann e τ ihn nicht mehr seinem cilla ei iure est. ersten Herrn zuríickschicken; ebenso eine Sklavin nach demselben Recht.

er ihn nicht mehr zurückgeben. Dasselbe gilt von einer Sklavin.

— 131 — L 39 Ferrini Si emerit vír servum tamquam servum bonum non fugitívum, tempus dai ei (v ~υος) ad probandum eum sex menses dierum : si non probatus sit ei, antequam impleatur tempus mensium , licet emptori ex VO'O redhi-

bere servum et tradere eum domino suo priori et recipere ab ei quam dedit. Si vero fugerit ei puer, quern emit tamquam servum bonum, antequam completi sínt sex menses et quaerit eum is qui eum emit, adprehendit et tradii ei, qui vendidit eum, et petit ab ei ΤΙ ι quam dedit pro ei servo ...Si vero emerit... ea lege ne homo revertatur... non potest reddere eum nisi invenerít in ei servo diabolum...

R. ΙII 39 Sachau

Wenn ein Mann einen Sklaven kauft als einen guten Sklaven, der nicht ein flüchtiger Ist, so gibt man ihm Zeit ihn zu prüfen, die Tage von 6 Monaten. Wenn er sich aber als nicht gut erweist, bevor die Zeit der Monate voll Ist, so kann der Kalif er nach den Gesetzen den Sklaven zurückgeben und ihn seinem ersten Herrn (wieder)übergeben, und von ihm die τι~αΙ) zurücknehmen die er bezahlt hat. Wenn der Sklave, der als guter Sklave verkauft ist, flieht, bevor die 6 Monate voll sind, und der Kaüfer ihn aufsucht, so packt er ihn und íibergibt ihn dem Νerkaíifer und fordert von ihm die ΤΙ ful), die er für den Sklaven gezahlt hat. Wenn aber... kauft... mit der Verabredung, dass keiner auf den anderen zurückgreife.., so erlaubt ihm das Gesetz nicht, dass er ihn zurückgebe... ausser wenn er in dem Sklaven einen Damon findet...

Wenn jemand einen Sklaven kauft, darf er ihn sechs Monate lang prüfen. Und wenn er ihm nicht ge-

fällt, darf er ihn seinem ersten Herrn zurückgeben und die bezahlte

τι α ì~

zurückbekommen. Nach sechs Monaten aber darf er ihn nicht mehr zurlickgeben, ausgenommen (?) wenn er ein Aussreisser ist. Wenn... kauft unter der Bedingung dass er nicht zurückgeben darf, so kann er mit Umgehung dieser Bestimmung ihn nicht mehr zurückgeben.

— 134 romana dei principi risultanti da questi $ ς del libro siriaco, se si eccettua la menzione del servus diabolus dovuta ad in fl uenza cristiana ed o rientale (`), a me non par dubbia. La resροnsàbilità per í vizi occulti della cosa venduta si rinviene presso quasi tutte le legislazioni anche orientali, ma profondamente vari ed oscillanti sono í principi di diritto che ne regolano l'ordinamento positivo ('). Ora l'uniformità del termine di sei mesi (") e degli effetti della redhibitio stabilita dal libro siriaco sono principi prettamente romani. Nel diritto greco, alla cui in fl uenza si è tentati attribuire la presenza di talune norme nel siriaco o la loro divergenza da quelle romane (i), la δ~κ η (h'ay ο y ; si prescriveva in un anno per l'epilessia, in sei mesi per gli altri vizi, mentre termini i più svariati ed arbitrari vigevano nelle altre legislazioni dell'Oriente ('). Quanto agli effetti della redhibitio, il diritto greco distingue il venditore sciente dall'ignorante inquantochè il primo risponde del duplum; e nell'ipotesi servo soggetto a possa si ha ancora una condanna in triplum (" ). Se poi la legge di Hammurabi regola gli effetti della redhibitio perfettamente come il siriaco ('), non si potrebbe inferire una derivazione od una influenza di quella su questo: a parte che il Mitteis (') ha rilevato in generale l'inconsistenza di una tale derivazione, è da avvertire che ta legge Babilonese a differenza del siriaco e del diritto romano stabilisce il termine di un mese alla prescrizione dell'azione, e pare non conosca in modo così generale l'istituto della redhibitio.

(t) Vedi Bruns, Syrisch-Römisches Rechtsbuch, pag. 210. (2) Cfr. Post, Giurisprudenza etnologica, trad. it ., vol. 11, pag. 469 e seg. (19) Sul computo del tempo vedi B r u n s , op. cit., pag. 20 6 e seg. (`) Gfr. Mitteis, Reichsrecht und Volksrecht, pag. 537 e seg.: Partsch, Zeit. der Sau. Stift., vol. XXX, pag. 367 e segg. (') Cfr. Besuchet, Histoire du droit prive de la republique athénienne, νοl. IV, pag. 152; Post, lac. cit. Il termine di sei mesi o di un anno è confermato dai papiri greco-egizi: vedi B. G. U. 316. (0) Dubbiosi su ciò Meier-Schömann-Lipsius, Der attische Prozess, νο1. II, pag. 717 e seg. Ma la cosa è sicura: cfr. Besuchet, op. cit., pag. 153. Del resto il dubbio é se il passo di Platone (XI, 2) che riferisce questi particolari alluda al solo

diritto attico. (') § 278, trad. it. Bonfante: Se alcuno compera uro schiavo o una schiava, e prima che decorra un mese essi sono colpiti dal male bennu, egli dovrà restituirli al ven-

ditore, e il compratore ~ceverà indietro l'argento che ha pagato. (') Das syrisch-römische Rechtsbuch und Hammurabi, nella Zeit. der Sau. Stift., νοΙ. XXV, pagg. 284-297.

— 135 — Le disposizioni contenute nel libro siriaco adunque ci confermano i risultati a cui siamo pervenuti riguardo al concetto ed agli effetti della redhibitio nel diritto classico; il siriaco infatti cDncepisce ancora classicamente la redhibitio, e nessuna traccia s i ha in tutte le sue redazioni del principio codificato da Giustiniano nel fr . 45 D. 21, 1 per cui il venditore è responsabile del doppio del prezzo. Νè ciò strano; ροichè, per quanto incerti siano i rapporti fra il siriaco e la codificazione di Giustiniano, pure è sicuro che le tracce del diritto giustinianeo sul siriaco sono sempre scarse ('). 4. —1 risultati ottenuti sulla funzione della redhibitoria c i permettono ora di determinare la natura di questa azione. L'universa opinio raffigura la redh. come un'azione penale; or chi ci ha seguito nell'indagine finora fatta si persuaderà di leggieri come questa costruzione può mantenersi solo per diritto giustinianeo. Ed invero, è solo con Giustiniano, il quale eleva al duplum la responsabilità del venditore, che nell'actio redh. si insinua un elemento di pena completamente ignoto ai classici. Al nuovo contenuto che nel diritto giustinianeo venne ad acquistare la redh. corrisponde un testo delle Pandette, il fr . 23, 4. D. h. t., in cui la penalità dell'azione è apertamente dichiarata: Ulp. ? ad ed. aed.: Si servus sit qui vendidit vel filiusfamilias, in dominum vel patrem de peculio aedilicia actio competit : [quamvis enim poenales uídeantur actiones, tarnen quoniam ex contractu veniunt, dicendum est eorum quoque nomine qui in aliena potestate sunt cornpetere. proinde et si filia familias uel ancilla distraxit, aeque dicendum est actiones aedilicias locum habere]. È facile persuadersi che il tratto in corsivo è tutto un elaborato sciattamente intruso dai compilatori. ( ~ ) Cfr. Br uns, Syr. röm. Rechtsbuch, pag. 332; Mitteis, 'Jeher drei neue Hand' schríften des syrisch-römischen Rechtsbuch, 1905, pag. 59 e pagg. 31-35 (dell'estr' aus den Abhand. der k. preuss. Akademie der Wissenschaften); Sa chau, Syrische Rechtsbücher, 1907, νοΙ. 1, pag. X. Peraltro, se talune norme del siriaco coincidono con una innovazione di Giustiniano, resta sempre 1 dubbio se fu realmente il principio giustinianeo a far modificare la norma del s~r~αεο, oppure Giustiniano introducendo il nuovo principio abbia fatto omaggio a quanto praticavasi già prima di lui in Oriente; un esempio cospicuo di quest'ultima probabilità forni di recente lo Z a n z u cc h i , Ruv, it. per le scienze giur., vol XLVII, pagg. 50-57; in questo ordine di idee cfr. pure Mani g k Glaübigerbefrie4igung durch Nutzung, 1910, pag. 69 n. 2.

.

— 136 — É strano come l aedilicia actio del brano genuino si trasformi inopinatamente ad un rigo di distanza in quel poenales actiones ed actiones aedilicias. Nè è del tutto esatto dire che le azioni edilicie t veniunt ex contractu '. Come pure, è soverchiamente banale l'avvertenza per la filia familias e l'ancilla. Sostanzialmente, poi, il tratto in esame è una divagazione priva di senso comune: i l dubbio se l'azione redhibito ~ a fosse penale o meno s i sarebbe affacciato qui al giurista relativamente alla questione se per le vendite conchiuse dai soggetti a potestà l'azione competesse de peculio o noxaliter; invece, il giurista dal carattere ex contractu dell'azione si sarebbe contentato di dedurre che eorum quoque nomine qui in aliena potestate sunt competere >; ora ciò è perfettamente ozioso: che per le vendite del soggetti a potestà competesse l'azione contro il paterfam ilias non era dubbio; dubbio poteva essere se dovesse competere de peculio o noxaliter secondo che l'azione fosse reipersecutoria o penale. Ma questo dubbio non poteva affatto presentarsi ad Ulpiano. Ad un giurista classico il quale costruiva la redhibitio sulla base della restitutío in íntegrum, che aveva scolpito nettamente il concetto che la redhibito~a ha la funzione di far ritornare il patrimonio del compratore e del venditore in quelle medesime condizioni in cui si sarebbe trovato se la vendita non si fosse . conchiusa, non poteva neanche lontanamente affacciarsi il sospetto che la redhibitoria fosse un'azione penale. Ad ammettere poi il carattere strettamente reipersecuto ~o dell'actío redh. nel diritto classico è decisivo: 1° che essa viene sempre accordata de peculio (fr. 57, 1 D. h. t., Paulus V quaest., fr . 2 pr. D. 15, 2, Paulus XXX ad ed., e la parte genuina del fr. 23, 4 h. t.). 2" La trasmissibilit passiva agli eredi (fr.' 19, 5; 23, 5; 31, 10; 48, 5 D. h. t.) (' ). 3° L'esclusione del cumulo cogli altri mezzi nascenti ex eadem causa. Su quest'ultimo punto occorre portare specialmente la nostra attenzione. La redh. concorre: a) coli'actio quanti minoris; b) coll'actio emptí; c) coll'actio ex stipulatu nascente dalla stipulazione edilicia ; d) coll'exceptio redhibitíonis. La redh. concorre elettivamente con la quanti minons; esercitata

(i) Sul passo di Cicerone, de o &. [il, 17, 71, vedi oltre pag. 140.

— 137 — l'una resta esclusa l'altra ed il convenuto può opporre l'exceptio rei iudicatae (`). Vedi fr. 25, 1 D. 44, 2, lulianus LI dig.: Est in potestate emptoris intra sex menses, redhibitoria agere mallet an ea quae datur, quanti minons homo cum veniret fue ~t. nam posterior actio etiam redhibitionem continet, si tale vitium in hom ~ne est, ut eum ob id actor empturus non fuerit ( 2) : quare vere dicetur eum qui alterutra earum egerit, si altera postea agat, rei iudicatae exceptíone summoverí. Ciò importa che entrambe le azioni hanno per obbietto una éademque res, c606 il pretium ; che il compratore lo domandi in tutto od in parte sec0ndochè agisce colla redh. o colla quan ti minons irrilevante, dapoichè in quest'ultimo caso egli ottiene la restituzione di parte del prezzo ma conserva la res. Invece, se la redhibitoria avesse avuto carattere penale, sarebbe stata inopponibile l' exceptío rei iudicatae, poiché mentre la redh. avrebbe avuto per obbietto una piena, la quanti minons era diretta al αΡ quanti minons empturus esset ‚. Le stesse considerazioni possono farsi anche riguardo al concorso fra l'acti0 redhibitoria e l'actio ex duplae stipulatione o ex empio di cui al k. 19,2D.h.t.: secundum quod incipiet is, qui de huiusmodi causa stipulanti spopondit, et ex stipulatu posse convenire et.redhibitoriis actionibus: non novum nam et qui ex empto potest c0nveni ~, idem etiam redhibito~is actionibus conveni ~~potest ). Che qui, come pure nel fr. 4 pr. 19, 1 (Paulus V ad Sab.), si tratti di concorso elettivo non è detto espressamente ( 2) ma ...

(I) Se il compratore agisce colla redh. dopo i sei mesi, può proporre ancora l'aedo quanti minons (fr. 48, 2 D. h. t.) appunto perche egli nel precedente giudizio non ha consumato alcun diritto, nello stesso modo che non è opponibile l'exceptio rei iudicatae a colui 4 qui heres non erat, heredítatem petet et postes heres factus eandem hereditatem petet (fr. 25 pr. D. 44, 2). Coll'actío quanti minons si poteva agire più volte, ma de allo vitio: fr. 32, 1 D. 22, 1; 47, 7 D. 21, 1; così pure ex duplae attpulaiione fr. 32, 1 D. 22, 1. L'inciso c nam posterior... fuerit s sari dimostrato interpolato oltre peg. 141 e seg. L'opinione del Bechmann, Kauf, Th. III, pag. 216 e seg. che qui si trattí'di concorso cumulativo si fonda su passi manifestamente interpolati per íl noto fine di limitare la consumazione processuale alla somma conseguita nel precedente giudizio. Cosi fr. 28 D. 19, 1: Pernice, Labeo, vol. II, 1, pag. 273, Eisele, Arch. für civ. Praxis, vol. LXXIX, pag. 392; fr. 41, 1 D. 44, 6: Alibrandí, Opere, vol. I. pag. 98. Pernice, op. cit., pag. 274, Eisele, op. cit., pag. 387; fr. 41 e 42 D. 17, 2: :

— 138 — facile argomentarlo dalla decisione or ora riferita di Giuliano riguardo al concorso tra le azioni redhibitoria e quanti minorís, e dalla esclusione del cumulo fra !'exceptio doli e l'azione per il duplum nascente ex duplae stipulatione o l'actío empti di cui ai fr. 17 e 18 D. 21, 2 ('). Il compratore che acquista una cosa viziosa convenuto « de pretio », anzichè pagare per poi agire colla redhibitoria, ρυ~~opporre una speciale exceptio redhibitionis (2) : fr . 5, 4 D. 44, 4 : < agenti venditori de pretio exceptio opponitur redhibitionis »; fr . 59 pr. D. 21, 1: . Riferire questo passo al giuramento in lite, come fa l'opinione, tradizionale, è un voler andare incontro ai dati p~ ìι sicuri sulla litis aestimatio nell'actio furti (per i testi e le varie questioni a ciò relative vedi per tutti Pam palo ni, Studi sopra il delitto di furto, 1, pagg. 121-128); tanto vero che

gli

scrittori si sono trovati costretti a limitare l'applicabilità di tale giuramento

solo all'ipotesi di perimento della re s (H e f k e , Bedeutung . und Anwendung der Taxatio, pag. 85), o peggio, a riferire il testo alla condictio furtiva (cfr. S ε h u l t ing. iotae, ad h. 1.). 11 testo va messo in relazione al fr. 192 D. 50, 16 e riferito alla demonstratio nell'actio furti : cfr. Lene 1, Ed., pag. 318 e seg. Gl'interpreti infatti hanno dovuto introdurre delle limitazioni arbitrarie all'applicazione de) iusiurandum in litern. Cosi per il Fabro, De err. pragm., dec. 80, err. 8 (Lugduni 1658, pagg. 378-380) la condanna nel quanti plurimi res fuit si aveva qualora si trattasse di cose di cui l marito fosse semplice detentore, oppure se è convenuto l'erede della moglie. Più 'diffusa e l'altra opinione secondo cui si giura in lite sol quando

il

convenuto rifi υ ta dolosamente di restituire o dolosamente si è messo in grado di non potere restituire (cfr. Glück, Pand., lib. XXV, trad. it., pag. 134). La spiegazione, come è detto nel testo, è puramente storica. Per diritto giustinianeo reputo preferibile quest'ultima opinione in quanto si ricollega col principio formulato in via generale da

Giu-

stiniano nel fr. 68 D. 6, 1. Applicazione di questo medesimo principio in materia di astio doli nel fr. 18,

1

D.

4, 3 e su di esso vedi sopra pag. 84. e segg.

('i) La condictio infatti è un giudizio di stretto diritto, ed in questi giudizi il giuramento in lite non è ammesso: cfr. Zanzucchi, O. cit., vol. XLII, pag. 52.

Tutto porta adunque a ritenere che í giuristi classici interpretavano il quanti ea res fuit (') della formula in quel modo che risulta dai fr. 21 § 4 e 29 di Paolo e Trifonino, e che il giuramento dell'attore è anche qui novità giustinianea. Le simpatie del legislatore bizantino per i l iusiurandum in litem furono già rilevate benissimo dal Fabro ('). Giustiniano ha una singolare preferenza per il giuramento i n lite che ai suoi occhi, temperato dalla taxatio del giudice, sembrava un ottimo mezzo per la litιs aestimatio qualora la semplice stima del valore della cosa non poteva aver luogo ο dalle particolari circostanze risultava insufficiente (a). 3. — Quella funzione classica della clausola restitutoria, che abbiamo accertato nell'indagine precedente, restò immutata nella compilazione di Giustiniano? Ο piuttosto subi quello stesso ampliamento che noi abbiamo rilevato sopra (pag. 38 e segg.) per l' astio quod metus ? Per quanto nessuna dichiarazione espressa contengano in proposito le Pandette, e per quanto non sia decisivo, come s i è visto, l'argomento dedotto dal giuramento in lite, pure a me sembra che per diritto giustinianeo bisogna riconoscere al coniuge convenuto coll'actio rer. am. la facoltà di restituire le cose sottratte anche prima della sentenza, ed evitare cosi la condanna penale. Α parte ogni altra considerazione di ordine generale, quello che sopratutto induce a 666 è la seguente osservazione più diretta. Giustiniano parifica l'actio rer. am. alla condictio furtiva; in un celebre testo ( fr . 26 D. h. t.) riconosciuto interpolato sin dal Fabro, s i dice che < astio rerum amotarum

(t) Cfr. Lenel, Ed., pag. 299. Non è. fondata l'opinione del Pampaloni, op. cit., pag. 154 che l'as tio rer. am. avesse per obbietto il duplum: in contrario vedi esattamente anche Zanzucchi, op. cit., vol. XLiI, pag. 38 e segg. () Vedi specialmente Coniecturae, lib. XVI. (3) Cosi egregiamente Sola zzi, Dell'iusiurandum in litem, nell'Archivio giuridico, vol. LX V, pag. 153 e segg. Ai testi .dichiarati interpolati dal Fabro e dal` S o l a z z í , 10cc. cítt., aggiungi: fr. 3, 2 D. 13,6 (cfr. Longo. Studi per Mo~ani, vol. I, ραg. 197; Segrè, Studi per C. Fadda, vol. VI, ραg. 336; Lend, Ed., pag. 246 n. 1); fr. 5, 4 D. 12, 3 (Marchi, Studi in onore di V. Scialoja, vol. I. pag. 168 ed ora Mitteis, Zeit. der Sai. Séft., vol. XXXII, pag. 5); fr. 25, 1 D. 24, 3 (cfr. B e ε h m a n n , Do talrecht, IL, pag. 323 n. 3). Non si riferisce a giuramento in lite la generalizzazione del fr. 34 pr. D. 12, 2 dichiarata interpolata dal M a n c a l e o n i , Filangie ~ , vol. XXVI, ραg. 267.

--- 165 — condictio est - ('); orbene, nella condictio furtiva è appunto ~íustíωiano che, contrariamente al principio classico, consente al ladro di restituire in giudizio la res furtiva come è detto nel fr. 55, 1 D. 26, 7: ß... duplum hac actione praestare et quasi specie condictionis aut ipsam rem aut eius aestimationem » (`). Interpreteremo dunque appieno il pensiero del legislatore bizantino, ammettendo che anche nell'actio rer. am. il convenuto potesse restituire la res ante sententiam.

ξ 8. Azioni Fabiana e Calvisiana. SOMMARIO: I. Le azioni Fabiana e Celvisiana contenevano una clausola restitutoria; ma

non erano affatto penali.

1. — Le azioni Fabiana e Calvisiana contenevano la consueta clausola restitutoria z neque ea res arbitrio tuo restituetur b ( 3). Per l'actío Fabiana l'esistenza di questa clausola risulta dal comento di Ulpiano (lib. XLIV .ad ed.) : fr. 1 § 12 D. 38, 5: Si quis in fraudem patronorum rem vendiderit vel locaverit vel permutaie ~t, quale sit arbitrium iudicis vídeamus. et in re quidem distratta deferrí conditio debet empto ~~utrum malit rem emptam habere iusto pretto an vero a re discedere pretto recepto... fr . 1 § 16 D. eod.: Sed et si fo rte res vilius distratta... uterque Fabiano iudicio convenietur... is tarnen qui emit si malfit rem restituere... Ed analoga clausola evidentemente deve ritenersi sia esistita anche nella formula dell' actio Calvisiana, sebbene nei testi non ve ne sia alcuna traccia.

(t) Su questo argomento e sulla letteratura relativa vedi Ζ e n z u cc h i , op. cit., volume XLII, pag. 33 e seg. (9) Sull'interpolazione di questo tratto vedi Pampa Ioni, Studi senesi, vol. XVII, pagg. 265-267; il testo sari esaminato oltre al 1 del cap. III. (3) Cfr. già A l i b r e n d i , Opere, vol. 1, pag. 88; L e n d , Ed., pag. w240. Per íl Lenel, l'argomento potissimo è dato dal frag. de formula Fabiana, in cui l'azione sarebbe chiamata arbitraria, Ma sul valore da attribuire e questa attestazione, ed in genere a tale qualifica, non debbo far altro che rimandare il lettore a quanto ho sostenuto nel Cap. I.

-166



Ma tanto la Fabiana che la Calvisiana erano forse azioni penali? Lo ammette la communis opinio (') attratta dalla analogia coll'actio Pau liana e dalla attestazione del fr. de form. Fabiana § 1 in cui si dice che l'azione nasce ex delitto. A mio avviso ciò è i l frutto di un abbaglio. L' analogia colla Pauliana costituisce un argomento contrario alla penalità di queste azioni ροichè, come si vedrà da qui a poco al § 10 di questo capitolo, la Pauliana non aveva menomamente alcunchè di penale. Ε se nel frag. de Form. Fab. § 1, per quanto il passo sia lacunoso ed oscuro (2), si dice che .l'azione < quasi ex delicto venerit liberti ,, falso argomentare da ciò la penalità dell'azione ( 2). Delic tuvn sta qui in quel medesimo significato che noi abbiamo rilevato s ορτα (4 ) a proposito della mancata denuncia dei vizi della cosa venduta: delictum denota qui la trasgressione avvenuta mediante alienazione del patrimonio in tutto ο in pa rt e, dell'obbligo imposto dal Pretore al liberto di lasciare la legittima al patrono. Ε se mai, il delitto sarebbe del liberto non del terzo a cui il liberto ha alienato, giacchè questi è passibile dell'azione anche se ignaro della fraus liberti: fr. 1, 4 D. h. t.: « Dolum accipere nos ' oportet eius qui alienavit, non eius cui alienatum est : et ita evenit, ut qui fraudis vel doli conscius non fuit, carere debeat re in fraudem patroni alienata). Si può concepire come penale l'azione contro l'acquirente di buona fede, appunto ρerchè nasce ex delicto liberti? Si verrebbe a questo bel risultato : che il liberto autore del delitto non risponde di nulla poichè l'azione s i dirige sempre contro l'acquirente, mentre questi, anche ignaro della frode, dovrà rispondere di una pena. I giuristi classici erano ben lungi dal concepire come nascente ex delicto l'obbligazione dell'acquirente : basterà osservare che la r e . sροnsabilità del servo che ha acquistato in frauder non sopravviv alla sua manomissione (fr. 1, 24 D. h. t.) mentre í1 principio gene rate era che « servi ex delicto quidem obligantur et, si manumittantur, obligati remanent (fr. 14 D. 44, 7). La funzione dell'actio Fabiana è poi ben chiara ai giurecon-

Cfr. Pernice, Labeo, iii. II, 2, pag. 92 n.

1; Schmidt, Pfhchttejlsrecht des

Patrons, pag. 96 n. 10 wi citato; Girard, Manuel, brag. 431. Vedi sopra pag. 26 e segg.

Sul rapporti fra actin ex delicto ed actin poenalis vedi sορτα pag. 97 n. 2.

Pag. 139.

— 167 — sulti : l'azione non ha lo scopo di punire il fatto stesso dell'acquisto in fraudem patroni indipendentemente dagli effetti patrimoniali dell'atto, ma invece essenzialmente quello di ricostituire il patrimonio del liberto; a questa stregua va considerata la decisione del fr. 1, 14 D. h. t. : ii liberto aliena in fraudem e dona ad un terzo il prezzo ricavato; si domanda se sia convenibile il compratore od il donatario, e Pomponio, coll'approvazione di Ulpiano, decide emptorem non esse inquietandum : fraus enim patrono in pretio f acta est : eum igitur qui pretium dono accepit Fabiana conveniendum) ( 1 ). II carattere reipersecuto ~o dell'azione ci viene peraltro dichiarato espressamente da Ulpiano nel fr. 3, 1 D. h. t.: Haec actio in perpetuum datur, quia habet rei persecutionem. Se questa attestazione di Ulpiano non avesse conferma, si sarebbe tentati di attribuire ai compilatori tale motivazione che richiama alla mente le analoghe motivazioni stereotipate ι quoniam habet rei persecutionem » ι quia et rei habet persecutionem » in tr use da Giustiniano rispettivamente nei fr. 16, 2 D. 4, 2 e 11 D. 42, 5. Ma per fortuna la conferma si ha nel fatto che l'actío Fabiana è trasmissibile attivamente e passivamente agli eredi (fr. 1, 26 D. h. t.) (~) ed è accordata de peculio (') come si dice nel fr. 1, 22 D. h. t. (Ulp. XLIV ad ed.) : Si servo men vel filio familias libertus in kaudern patroni quid dederit, an adversus me iudicium Fabianum competat, videamus. et mihi videtur sufficere adversus me patremque arbit ~oque iudícis con-tineri tam id, quod in rem versum ,est, condemnandi, quam id quod in peculio. Il testo è guasto, e fu forse malamente accorciato dai compilatori; il quesito che si proponeva il giurista appare troncato con quell' et mihi videtur ; sintatticamente, anche togliendo le parole

Nel medesimo ordine di idee dr anche fr. 12 D. h. t. e su di esso vedi sopra pag. 28. Ulpiano (fr. I, 27 h. t.) dice a questo proposito che magís enim fraudem rei non personae accipimus Χ. (9 None fondata nei testi l'asserzione del Perozzi, Istituzioni, vol. 1l, pag. 307. che le azioni Fabiana e Calvisiana competano nossalmente o de peculio secondo che il servo o il figlio sono in dolo o meno. Questa distinzione, di fronte al fr. 1, 4 D. h. t., ed alle considerazioni svolte nel testo, non mi sembra neanche logicamente accettabile.

-168adversus me patremque » e e condemnandi » (1), il periodo non va affatto. Ma ad ogni modo per ciò che riguarda la concessione de peculio dell'actio Fabiana, nessun sospetto può elevarsi ( 2), giacchè il giurista, píìι avanti al § 25, pone il quesito, e lo decide affermativamente, se cioè competa l'actio de peculio annalis dopo la morte l'alienazione, l'emancipazione del se rvo o del figlio: Item quaeri potest, manumisso vel mortuo vel alienato servo an intra annum agendum sit , et ait Pomponius agendum. Cfr. anche fr. de form. Fabiana § 5. In conclusione, mentre insussistenti sono gli argomenti addotti per la penalità delle azioni Fabiana e Calvisiana, si hanno invece elementi sicuri per ammettere il contrario. e

§ 9. Azioni contro il publicano qui vi ademerit o illicite exegerit. SOMMARIO: L L'esercizio di queste azioni nel dimetto classico era subordinato alla man-

cata restitutio rei; mentre nel diritto giustinianeo il convenuto evita la pena restituendo la res anche prima della sentenza. — 2. Natura penale di queste azioni nel diritto classico; mista con Giustiniano.

1. — Per i delitti commessi dai publican nell' esercizio del loro ufficio, l'editto pretorio accordava due azioni in factum: quod publicanus vi ademerit e quod publicanus illicite exegerit. Riguardo alla prima, il publicano evitava l'azione restituendo le cose estorte ( 3 ); ciò è detto nell'editto contenuto nel fr. 1 pr. D. 39, 4: Praetor ait: 'Quid publicanus eius publici nomine vi ademerit

Cfr. Lene 1, Palingenesia, vol. II, col. 714, n. 1 e 2; M o m m s e n , ad h. 1. 11 e sufficere a è frequentemente interpolato: K a n n, Klagenmerheit bei einem Delikt, 1901, pagg. 73-81 ; Seckel, Heumanns Handlexicon, ad h. v. Fra í testi interpolati qui raccolti non si trova pe τò il fr. I, 22 ; nö, che io sappia, è stato finora sospettato. E per mero equivoco che qualcuno si è richiamato all'editto del fr. 1 pr. ed al cimento del § 4 per sostenere che l'azione fosse arbitraria: cosi C o h n , Zum röm. Vereinsrecht. Anhang: Ueber das Publikanenedikt, pagg. 207, 211, 214 e seg. Ammesso anche per genuino il fr . 5 pr., ivi non si tratterebbe che di interpretazione giurisprudenziale della clausola restitutonia dell'editto. (')

— 169 — quodve familia publicanorum, si id restitutum non eri!, in duplum aut si post annum agetur, in simplum iudicium dabo...' TJlpiano al § 4 cimenta questa clausola edittale nei termini seguenti: et restituendi facultas publicano vi abreptum datur, quod si fecerít, orni onere exuitur et poenali actione ex hac parte editti liberatur. Qualcosa di píù invece ci verrebbe attestato da Gaio nel fr. 5, pr. D. h. t.: Hoc editto efficitur, ut ante acceptum [quidem] iudicium restituta re astio evanescat, post acceptum vero iudicium nihilo minus piena dura. [sed (amen absolvendus est etiam qui post acceptum iudicium restituere paralus est].

Ma la proposizione chiusa in parentesi è in aperto contrasto con quanto precede e col cimento ulpianeo e non può quindi appartenere a Gaio. Furono dunque í compilatori che, perfettamente come in materia di astio quod metus ), ampliarono notevolmente la funzione della clausola restitutoria dell'editto, accordando al publicano la facoltà di restituire la cosa anche prima della sententia del giudice. La medesima estensione operarono i compilatori anche per l'altra azione parallela quod publicanus illicite exege ~t. La c. 3 C. 4, 62 degli imperatori Valeriano e Gallieno è concepita nella compilazione in questo modi: Non soient nova vectigalia inconsultis p ~ncipibus institui, ergo et exigi aliquid, quid illicite poscatur, competens iudex vetabit et id quod exactum videtur, si contra rationem iuris extortum est, restitui ( 1

iubebit.

Questa costituzione, ove si metta in relazione colle altre notizie che abbiamo intorno a quest'azione contro il publicano, fa grande difficoltà. Gl'imperato ~~avrebbero rescritto che il giudice dovrà solo ordinare la restituzione dell'illicitum exactum ; ma da una costituzione di Severo e Caracalla (c. 2 C. 2,1 1) sappiamo che in questa azione si procedeva ad una condanna in duplum, la qual cosa ci viene confermata dal fr. 6 h. t. di Modestino, il quale, parlando a questo proposito di dupli astio, fa evidentemente supporre che l' azione avesse sempre per obbietto il duplum. La difficoltà a mio avviso si risolve pensando che anche l'eser-

(1)

Vedi sopra pag. 38 e segg.

— 170 — cizio dell'actio contro il publicano qui illicite exegerit fosse subo τdinato alla mancata restitutto rei e che pertanto il competens iudex della costituzione in esame, come spesso ('), fu sostituito dai compilatori alla menzione del magistrato. Lo scopo di questa interpolazione fu quello di accordare al publicano, anche per questa azione, la facolt di evitare la pena restituendo prima della sententia l'illicitum exactum. 2. — A queste modificazioni riflettenti il momento in cui poteva effettuarsi la restitutto rei corrisponde la trasformazione nella natura di entrambe le azioni. Nel diritto classico erano certamente penali. Per il caso della rapina è dichiarato espressamente da Ulpiano nel fr. 1, 4 D. h. t. (et poenali actione... Iiberatur) e da Gaio nel fr. 5 pr. D. h. t. (piena dure!). L'azione quindi si trasmetteva agli eredi del publicano limitatamente all' arricchimento (fr. 4 pr. h. t.), ed era_ accordata solo nossalmente (cfr. fr. 1 § 6, 3 pr. h. t.) Lo stesso deve ammettersi anche per l'altra azione relativa alla exactio illicita ; ne vi fa ostacolo la decisione di 1Vlodestino nel fr. 6 h. t. per cui r si multi publicaní sint, qui illicite quid exegerunt, non multiplicatur dupli actio » (cfr. pure Paolo nel fr. 9, 5 h. t.) : ciò infatti non è un' eccezione al principio generale che pi'i delinquenti rispondono in solidum; il concetto della personalità giuridica delle societates publicanorum (") operava favorevolmente a negare il moltiplicarsi dell'azione, e la clausola LL si id restitutum non erit » apposta all'esercizio dell' azione faceva si che questa condizione si dovesse ritenere mancata qualora uno dei publicani avesse restituito la res o prestata la pena in seguito alla condanna Con Giustiníano, invece, queste azioni perdono il loro carattere di pena e diventano miste. Per l'azione di rapina nel fr. 5, 1 h. t. è detto: Quaerentibus autem nobis, utrum duplum totum piena sit et (').

(').

Vedi sopra pag. 50 e segg. Sul rapporti fra la n οssalità delle azioni ed il loro carattere penale vedi sopra pag. 97 n. 2. (') Vedi di recente M i t t e l s , Privatrecht, vol. 1, pag. 403 e segg. (') Per applicazioni di questo concetto in materia di cumulo di azioni, vedi sopra pag. 68.

— 171 — praeterea rei sit persecutio, an in duplo sit et rei persecutio, ut piena simpli sit, magis placuít, ut res in duplo sit. E evidente che si tratta di un testo messo su dai compilatori. Sarebbe in verità assai strano che qui Gaio sollevi dei dubbi sul carattere dell'azione e riferisca per giunta che ζ magis placuít ut res in duplo sit », quando egli stesso nel pr. del medesimo frammento dichiarava apertamente la penalità dell'azione (nihilo minus piena duret) e quando la giurisprudenza posteriore fino ad Ulpiano non mette menomamente in dubbio che l'azione sia penale (fr. 1, 4 h. t.: et poenah actione). Se l'attestazione del fr. 5 § 1 è dunque falsa e contradittoria in bocca a Gaio, non è pi tale per i compilatori: sono í compilatori, infatti, che attribuiscono in via generale ed assolta carattere misto all'azione di rapina ('), di cui la presente azione contro il publicano una sottospecie; e d'altra parte, se ben si guarda, il carattere misto dell'azione contro il publicano non è che un corollario del beneficio a questi concesso da Giustiniano, di potere cioè restituire la res in qualunque stadio del processo; identico svolgimento abbiamo già rilevato in materia di actio quod metus causa ( 2 ). Una conferma di questa trasformazione nella natura dell'azione di rapina contro il publicano si ha in questo: è noto che i compilatori vollero assimilare l' azione di rapina coli' actio furti contro il publicano ('); ora appunto anche questa azione fu trasformata in mista dai compilatori (t). Si veda il fr. 9, 5 h. t. (Paulus V sent.) : Quod illicite publice privatimque exactum est, cum altero tanto passis iniuriam exs οlvitur. per vim vero extortum cum piena tripli restituiturj: amplius extra ordinem plectuntur: alterum enim utilitas privatorum, alterum vigor publicae disciplinae postulat.

(t) Vedi per tutti Ferrini, Pandette, pag. 730. (2 ) Vedi sopra pag. 70. (:) E dei compilatori, infatti, la menzione del furto e dell'actio furti nell'editto e nel cimento relativo alla rapina e al damnum iniuria datum commessi dai publicani : cfr. Lendl, Ed., ραg. 324 e seg., 374 e gli autori citati a ραg. 325 n. L (j) Anche il Pampaloni, Studi sopra il delitto di furto, 11, pag. 39, rileva che i compilatori vollero avvicinare il titolo dei Digesto de publicanis con quello furti adversus fautas, caupones, siabularios; e questa azione fu appunto trasformata dai compilatori in reipersecutoria: cfr, Pampaloni, Studi Senesi, voi.

XVIi, pagg. 260-262.

— 172 — L'inciso per vim... restituitur » è una evidente intrusione. Paolo sosteneva che l'azione contro i publicani qui illicite exegerint non si moltiplicava (vedi anche fr. 6 h. t.) e che essi sono puniti anche extr a ordmem. Che cosa c' entrava dire che la pena dell' actio furti contro il publican è del triplo perche nel quadruplo è contenuta la restitutio rei? Paolo avrebbe detto un errore imperdonabile scrivendo: e per uim extortum... cum piena tripli >. 11 ι per vim extortum ), i n bocca ad un giurista classico non può alludere che all' actio quod publicanus vi ademerit, ma questa era in duplum o i n simplum, secοndοchè si esercitava dentro od oltre l' anno. Questa terminologia si spiega invece colla tendenza dei compilatori, or ora rilevata, di assimilare le due azioni di furto e d i rapina contro il publicano.

§ 10. Actin Pauliana

(?)

SOMMARIO: 1. La congettura del Lenel che per il diritto classico ammette l'esistenza di una restitutio in integrum al luogo dell'acdo Pauliana è accettabile. L'actio Pauliana però, come la concepisce la communia opinio, non poteva essere penale. Argomento che si ricava dal fr. 7 D. 42, 8 a favore della tesi leneliana.

L — La communis opimo che ammetteva per la revoca degli atti fraudolenti del debitore l' esistenza nel diritto classico di due mezzi giuridici, l'actio Pauliana avente clausola arbitraria•e carattere penale, proposta nell'editto riportato al fr. 1 § 1 D. 42, 8, ed un interdetto, l' interdictum fraudatorium di cui al fr. 10 pr. D. h. t., or non è molto fu vigorosamente attaccata dal Lenel (') il quale venne alla conclusione che l'editto del fr. 1 § 1 conteneva solo la promessa di una restitutio in integrum, la quale dai compilatori fu sostituita senz'altro colla menzione dell' azione. Per íl Lenel, dunque, l' actio Pauliana, come si è concepita finora, non é mai esistita; actio Pauliana era solo chiamata l' actio arbitraria nascente dall' interdictum fraudatorium. Secondo la congettura del Lenel — che a me sembra, anche (t) Die Anfechtung von Rechtshandlungen des Schuldners im klassischen rom. Recht, 1903. estratto dal Festgabe für A. S. Schulze ; e Das Edictum, pagg. 419-427, 475-481.

— 173 —

per le ragioni che saranno svolte in fi ne del presente §, del tutto accettabile — dal mio punto di vista l'indagine dovrebbe dirsi a questo proposito esaurita, poichè la restitutio in integrum evidentemente non aveva carattere penale, e la questione della penalit o meno deii'interdictum fraudato ~um ρotr esaminarsi nel § seguente relativo appunto agli interdetti penali. Ma siccome le conclusioni del Lenel hanno trovato unanime diffidenza (t) e si è continuato ad ammettere l'esistenza deli'actio Pauliana, per lo scopo che si propone l'indagine del presente capitolo, sar~~bene prescindere dai risultati del Lenel e vedere qual fondamento abbia l'opinione dominante che costruisce l'astio Pauliana come un'azione penale ed avente clausola arbitraria. Che l'azione contenesse una clausola arbitraria è cosa assai verosimile, sebbene nei testi non ve ne sia alcun cenno ed í fr . 10 §§ 14, 19-22, 25 §§ 1, 4-6 D. h. t. e 38, 4 D. 22, 1 si riferiscano all'interdictum fraudatorium ( 2); ed a questo proposito potrebbe invocarsi l'analogia dell'astio Fabiana. Ma non pub dirsi altrettanto riguardo al suo carattere penale. Tanto poco i testi relativi all'astio Pauliana presuppongono la penalit~ di essa, che il Lenel pote riferire quei testi impunemente e senza incontrare per questo riguardo difficoltà di sorta, alla restitutio in integrum, cioè al mezzo reipersecutorío per eccellenza. Ma secondo í1 Solazzi (" ), gli elementi penali nella Pauliana sono cospicui; ed il Solazzi ar~vò anzi a costruire tutto l'edificio dell'azione sulla base appunto del suo carattere penale. Occorre quindi valutare brevemente la consistenza dei principali argomenti addotti.

Vedi sopratutto la rís ροstα del Solazzi, La revoca degli atti fraudolenti del debitore nel dir , rom. classico, nel Bullettino dell'Ist. di dir , rom., vol. XV, pagg. 127168; Girard, Manuel, pag. 427, e Un document cur !'édit ante ~eur a Julien, in Aus röm , und burg. Recht, 1907, pag. 32; Perozzi, Istituzioni, vo1. Il, pag. 425; Costa, Storia del diritto privato romano, pag. 329; B o n f a n t e , Istituzioni, pag. 462; dubbioso S o h m , Ins ti tutionen, pag. 449 n. 2. 1 risultati del Lene 1 accoglie invece il S e c k e 1, Heumanns Handlexicon, ad v. Paulianus; favorevole sembra anche Partsch, rec. al Lenel, nella Zeit. der Say. Stft., vol. XXXI, pag. 429. 11 fr. 38, 4 D. 22, 1 è riferito all'interdictum dal Lene 1, Anfechtung, pag. 18 e segg.; Das Ed., pag. 479; il Solazzi, op. cit., pag. 159 ritiene il testo interpolato. () La revoca degli atti fraudolenti, in Studi e documenti di storia e diritto, volume XXII (1901), pagg. 316-343, vol. XXlll, pag. 103, 107. Non pare che il Solazzi in proposito abbia mutato opinione: vedi olve pag. 175 n. 3.

— 174 — Nel fr. 25, 7 D. h. t., estratto da Venuleio lib. Vl interdictorum si dice che haec aclio etiam in ipsum fraudatorem datur... et praetor non tam emolumentum actionis intueri videtur in eo, qui exutus est bonis, quam poenam ». Il Solazzi, nonostante che il passo sia estratto dai libri interdictorum di Venuleio ed in tutto il testo si tratti sempre dell'interdictum fraudatorium, sostiene invece ripetutamente che il § 7 riportato debba riferirsi alla Pauliana ('); e per spiegare come questa sia esperibile contro il decotto, fa questo ragionamento: k í creditori hanno contro di lui (cioè il decotto) l' azione nascente dal credito, se quindi è concesso loro un altro mezzo giuridico, non può esserlo che a titolo di pena contro il fraudator ». Il ragionamento è assai strano. Perche mal il Pretore avrebbe sentito il bisogno di imporre al fraudator questa pena pecuniaria aumentandone il passivo? Quello che interessava ed urgeva ai creditori era che í beni tornassero a far parte del patrimonio del fallito ( 2), non l'imposizione di una pena a carico di questi. L'azione contro il fraudator può essere a titolo di pena solo nel senso che il curator bonorum o í creditori ottenuta la condanna avrebbero potuto effettuare la ductio del debitore; ma chiaro che ciò dipendeva da qualunque condanna; che l' azione che vi dava luogo fosse penale o reipersecuto ~ a era del tutto irrilevante. Della questione peraltro avremo occasione di occuparci nel § seguente. Nè gli altri argomenti ricavati dal diverso campo di applicazione dei due mezzi giuridici hanno maggior consistenza. Ammettiamo, come opina il Solazzi ('), che solo l'interdetto e non l'azione fosse esperibile contro il terzo ignaro della frode; ma quando íl Solazzi domanda come poteva venire in mente al Pretore di dare l' azione penale contro chi ignora la frode, vale a dire non è colpevole del delitto di cui dovrebbe pagare la pena? », potremmo rispondere che appunto azioni penali come l'actío quod metus erano esperibili anche contro il terzo di buona fede a cui fosse pervenuta la cosa. Per il Solazzi solo l'interdetto colpiva le omissioni fraudolente: αΡ chi oserebbe sostenere che io mi rendo colpevole d'un delitto giovandomi d'una pre-

()

(t) Studi cit., pag. 323, Bullettino cit., pag.

133.

('=) L'azione contro il fraudator aveva quindi luogo nel caso che egli conservasse il possesso della cosa alienata (cfr. Lene!, Das Ed., pag. 423); ed aveva lo scopo di far ritornare (j)

di diritto nel patrimonio del debitore quello che vi si trovava di fatto.

Studi cit., pag. 325, 331.

(') Op. ult. cit., pag. 332 e segg.

— 175 — scrizione maturatasi a mio favore? ; 1' argomento non regge : se i l terzo è conscio della frode, non trovo alcunchè di strano che egli aia passibile di quella medesima actio poenalis che il Solazzi stesso ammette esperibile contro lo sciens fraudis. Il diverso campo di applicazione dei due mezzi giuridici, adunque, giustifica la loro coesistenza nel diritto classico, ma nessun elemento ci dà per argomentare la loro diversa natura. Per la penalità dell'actio Pauliana si è invocata la sua intrasmissibilità passiva agli eredi ( 1 ), ma questa pretesa intrasmissibilità non consta; argomentarla a contrario dalla trasmissibilità dell' interdictum fraudatoríum è estremamente fallace. Ε se l'azione vien data intra annum (fr. 6, 14 D. h. t.) ciò non sta in rapporto al preteso carattere penale dell'azione, come vuole il Girard ('-), dal momento che anche l'interdictum fraudatorium, riconosciuto unanimemente reipersecutorio, accordato pure solo intra annum (fr. 10 § ξ 18, 24 D. h. t.). A favore del carattere strettamente reipersecutorio dell'astio Pauliana possono addursi invece argomenti sicuri (). Così l' azione sin dal tempo di Labeone era accordata de peculio: fr. 6, 12 D. h. t. (Ulpianus LXVI ad ed.) : Simili modo quaeritur, si servus ab eo, qui solvendo non sit, ignorante domino ipse sciens rem acceperit, an dominus teneretur. et ait Labeo hactenus eum teneri, ut restituat quod ad se pervenit aut dumtaxat de peculio damnetur vel s i quid in rem eins versum est. eadem in filio familias probanda sunt. sed s i dominus scit suo nomine convenietur. Gli scrittori però sono stati tratti ad affermare l'interpolazione 4 di questo passo ( ) ; ma è chiaro che tranne il preconcetto della natura penale dell'azione, nessun elemento ci autorizza ad ammettere qui una sostituzione tribonianea della res ρonsabil~tà de peculio a quella

(I) Solazzi, op. ult. cit., pag. 317; Girard, Manuel, pag. 430. Loc. cit. Anche il Solazzi, (Bullettino, vol. XXiV, (1912), pag. 160 e seg.) osserva ora che la decisione labeoniana del fr. 6, 10 D. h. t. difficilmente si spiega pensando che l'azione ivi contemplata sia un' azione ex delicto; il Solazzi è d'avviso che in quel testo si tratti della restitutio; ed a questo proposito avverte che dubita ora della sua vecchia tesi che negava l'esistenza di una τestitutio in integrum nel diritto classico; l'osservazione che íl S. fa a proposito del fr. 6, 10 esclude per ~~che egli intenda accedere alla test leneliana e tanto meno rinnegare il carattere penale della Pauliana. (+) Così Pampaloni, Studi sopra il delitto di furto, II, pag. 73; Solazzi, op. ult. cit., pag. 328; implicitamente Peruzzi, Istituzioni, voi. 11, pag: 306 e seg.

— 176 — noxaliter; or se gli argomenti per la penaliti dell' azione sono, come si visto, inesistenti, non possiamo affatto dubitare della precisa attestazione che fornisce il passo di Ulpiano il quale peraltro nè per la forma nè per il contenuto presenta alcuna traccia d i manipolazione dei compilatoti. L'avente potesti, adunque, per gli acquisti in fraudem creditores compiuti dai suoi sottoposti rispondeva dell'id quod ad se pervenir, oppure de peculio o de in rem verso ('). Anche da un punto di vista astratto, si pu ~~seriamente sostenere che per tal i acquisti i creditori al luogo di un vistoso patrimonio alienato in fraudem dal loro debitore, null'altro avrebbero ottenuto che uno schiavo in noxa? Certamente guasto è invece il fr. 12 D. h. t. in cui si discorre ancora di resροnsabiliti de peculio: Marcellus XVIII dig.: Si pater fil ~o familias liberam peculi administrationem dederit, non videtur e i et hoc concessisse, ut in fraudem creditorum alienaret : talem enim alienationem non habet. at si hoc quoque concessit filío pater, ut vel in fraudem creditorum facere possit, videbitur ipse fecisse et suf ficient competentes adversus eum actiones. etenim filii creditores etiam patris sunt creditores, cum eíus gene ri s videlicet habebunt actionem, ut his de peculio praestari necesse sit. ion nego menomamente che questo frammento da « at si... abbia subito la mano dei compilatori, come rilevo il Gradenwitz (2); ma non risulta affatto che essi abbiano qui voluto sostituire la responsabiliti de peculio a quella noxaliter. Dall' interpolazione questo solo pυ~~ricavarsi: che Giustiniano qualora il pater avesse permesso al figlio l'alienazione in fraudeur creditorum, concede l'azione limitata al peculio, mentre probabilmente nel diritto classico il pater rispondeva quid iussu, appunto perche videbitur ipse ferisse. Cfr. per 1' actio Fabiana il fr. 1, 23 D. 38, 5. Col carattere penale dell'azione contrasta infine apertamente la

(i) Cfr. il fr. 24, 3 D. 4, 4 relativo alla restitutio dei minori (Paul. I Sent.) : Si servus vel filiusfamilias minorera circumscripserít, pater dominusve quod ad eum peri ene~t restitueτe iubendus est, quod non pervenerit ex peculio eorum prestare... ». Zeit. der Sai. S ti lt., vol. VII, pag. 68; in questo senso rit. pure Lene 1, Pa lingenesia, vol. 1, col. 621 n. I; Pampaloni, bc. cit.; Solazzi, Studi e doc. cit., pag. 321 e nel Bullettino cit., pag. 130. Per il competentes actíones vedi pure Seeke1, ( 2)

Handlexícon, ad v. sufficere.

— 177 — funzione dell' istituto. L'actio Pauliana infatti aveva lo scopo essenziale non di imporre una pena a carico del fraudator o dell'acquirente, ma invece quello di revocare le alienazioni fraudolente, di ricostituire l'entit patrimoniale del debitore. Questa funzione dell'istituto, perfettamente parallela a quella dell'astio Fabiana (t) è chiara e netta nella mente dei giureconsulti. Non cito il fr. 38, 4 D. 22, I di Paolo poichè ivi la proposizione per quam quae in frauder creditorum alienata sunt revocantur x può dar luogo a qualche dubbio ( 2), ma nessuna ragione havvi per sospettare, come fa il Solazzi ("), di quanto dice Ulpiano ciel fr. 1, 1 D. h. t. : e Necessario praetor hoc edictum proposuit, quo edicto consuluit creditoribus revocando ea, quaecumque in frauder eorum alienata sunt Interessante in questo ordine di idee è ancora il fr. 7 D. h. t., che si riferisce all'editto del fr. 1 pr. (t), cioè all'editto sulla famosa astio Pauliana: Paulus LXII ad ed. : Si debitor in frauder creditorum minore predo fundum scienti emptori vendiderit, deinde hi, quibus de revocando ei astio datur, eum petant, quaesitum est, an pretium restituere debent. Proculus existimat omnimodo restituendum esse fundum, etiamsi pretium non solvatur : et rescriptum est secundum Proculi sententiam. L'azione, dunque, ha per obbietto non una pena ma il fundum petere; non solo, ma se l'azione contro l'acquirente conscio della frode era penale, il giurista non si sarebbe neanche proposto il quesito se i creditori che agiscono colla Pauliana debbano sborsare il prezzo pagato dall'acquirente ; se obbietto dell' azione era la pena, questa senza dubbio colpiva il reo indipendentemente da qualsiasi svantaggio patrimoniale che essa poteva cagionargli. 11 contenuto di questo frammento non è compatibile colla penalità dell'azione. Può dirsi ancora di più : a mio avviso nel testo in .

(t) Vedi sopra pag. 166 e seg. ( 2) Cfr. Lenel, Die Anfechtung cit., pagg. 19. 22 n. 32. (_) Op. ult. cit., pag. 343. Infondata é l'asserzione del Beseler, Beitrage, 11 pag. 84, che cíoé tutto il § I sia una glossa ροstçlassica. Del resto, il verbo revocare che scolpisce la funzione extrapenale dell'azione s'incontra frequentemente nel cimento ulpianeo : fr. 1, 2; 6, II Π. h. t. (1) Su ciò non cade evidentemente dubbio : dlr. Len el, Anfechtung cit., pag. 3. Paolo, infatti, nel lib. 62 occupavisi del mezzi giuridico contenuto nell'editto del fr, 1 pr., mentre dell'interdictum fraudatorium trattava nel lib. 68, ,

— 178 — esame si ha una nuova conferma della tesi leneliana che cioè l'editto del fr. 1 pr. conteneva la promessa d i una restitutio in mIegrum. Se si confronta infatti il § 6 Inst. IV, 6 col nostro fr. 7, íl contenuto di questo appare sotto ben altra luce e la ricostruzione al suo dettato genuino riesce sicura :

ξΡ 6 Irrst. Ι\ , 6

h. 7 D.

Paulus

Item si quis in fraudem creditorum rem suam alicui tradide~t , bonis eius a credito~bus ex sententia praesidis pissessis permittitur ipsis credito~bus rescissa Iraditione earn rem petere, id est dicere earn rem traditam non esse et ob íd in bonis debito~s mansisse.

Si debitor in fraudeur creditorum minore pretio fundum scienti emplir vendide~t, deinde hi, quibus de revocando eo astio datur, eum pelant, quaesitum est, an pretium restituere debent...

Si debitor in fraudeur creditorum minore pretio fundum scienti empiori vendiderit, deinde curator bonirum (1) rescissa mancipatione eum peta(n)t, quaesitum est an pretium restilucre debe(n)t ( 2)...

11 testo genuino di Paolo si riferiva adunque alla restitutio in integrum. In questo modo resta ora spiegato il ι fundum petere » diventata una locuzione abbastanza strana dopo soppresso dai compilatori l'accenno alla rescissione della mancipatio ("); e resta spiegato altresì perchè il giurista sollevi il dubbio se c~oè l'attore che agisce rescissa alienatione debba restituire in ogni caso il prezzo, giacché s i sa che appunto a proposito della restitutio in integrum che i giuristi si propongono il medesimo quesito e danno identica decisione : vedi fr 32, 4 D. 26, 7; 27, 1 D. 4, 4 ('), e la c. 10 C. 5, 71; diversa-

Cfr. Lenel, Die Anfechtung cit., pag. 6; Das Ed., pag. 420; Seckel, Hand. lexicon, ad v. revocare. Cfr. Lenel, Die Anfechtung cit., pag. 6 n. 7. Cfr. l'analoga soppressione nel celebre fr. 32 pr. D. 1 5, 1 : per la letteratura vedi sopra pag. 72 n. 2. (i) In questo testo la decisione favorevole all'acquirente è di Giustiniano: εfr. Rics pbono,

Riνista di dir. civ., vol. 111, pag. 60,

— 179 — mente invece nella c. 3 C. 2, 19 (20). Cfr. pure fr. 24, 4 D. 4, 4 e 47, 1 D. eod. Se non m'illudo troppo, nel fr. 7 esaminato abbiamo la prova testuale che l'editto del fr. 1 pr. prometteva appunto una restitutio in integrum ( i ).

§ 11. Interdetti penali. SOMMARIO : 1. Nel diritto classico era ignoto il concetto di interdetto penale.-2.

luni

Τa-

interdetti erano annali, intrasmissibili passivamente agli eredi e nassali; ma ció

dipendeva dalla particolare struttura dei singoli rapporti tutelati, e non dal preteso carattere penale dell'interdetto. — 3. L'antitesi fra interdetti penali e reipersecutori si affaccia solo nella procedura gíustinianea in cui l' interdictum classico è riassunto nel sistema generale delle azioni.

1.—Nell'esame fatto in questo capitolo abbiamo cercato di' porre ben netta l'antitesi conce τtuale fr α pena e restitutio rei. A rafforzare í risultati ottenuti, occorre ora determinare m che modo la struttura degli interdetti restitutori ed esibitori si atteggiasse di fr onte al carattere penale che taluni di essi avrebbero avuto. La distinzione fr α interdetti penali e reipersecutori, quantunque non sempre formulata in modo aperto dagli scrittori ( 2 ), pure si affaccia insistentemente in varie questioni. Cl' interdetti popolari sono penali o meno? (I). L'annalità, 1' intrasmissibilità passiva agli eredi,

(+) Anche í principi della responsabilità del pater per gli acquisti in fraudeur compiuti dai soggetti a potestà si adattano meglio alla restitutio in integrum: vedi sopra pag. 176. (2) Non casi però il Karlowa, Rom. Rechtsgeschichte, vol. 11, pag. 1016, il quale si fonda sul fr. 2, 2 D. 43, 1; ma si tratta di equivoco : in questo frammento gli interdicta quae rei persecutionem continent si contrappongono non ai poenalia, ma a quelli quae possessionem causam habent. Se questa antitesi sia classica o giustinianea, come afferma ora il P e r o z z i , Istituzioni, vol. II, pag. 71 n. 1, non c'interessa ; ma il testo non consente interpretazione diversa: per tutti cfr. Ubbelohde, Cont. al Gluck, lib. XLlll-XLIV, parte I e Il, pag. 70 e segg. (") Per la penalità vedi Fadda, Anone popolare, vol. 1, pag. 205 e seg., ed ivi la letteratura sull'argomento.

-181)-la nossalità stabilita per taluni interdetti non discende dal loro carattere penale? (1). Ora io credo che il concetto di interdictum poenale sia stato completamente estraneo alla giurisprudenza classica ( 7 ) e sí trovi in aperic contrasto con la funzione che gli interdetti avevano nel diritto classico. E per vero, l'ordine del magistrato prescrivente una determinata condotta alle parti, come l'actío che ne derivava, non poteva mai assumere contenuto penale. La tutela interdittale era una tutela puramente di fatto ('j.); l'interdetto poteva anche essere originato da un delitto, ma il Pretore col suo vim fieri veto, col suo restituas od exhibeas mirava sempre a ripristinare quelle condizioni di fatto turbate da un determinato agire anche delittuoso. Questa era in ogni caso la funzione ed il contenuto dell' interdetto, non quella di attribuire all'offeso una pena pecuniaria equivalente in origine ad un diritto di vendetta verso il reo. L'interdetto classico aveva sempre per obbietto l'id quod ex nostro patrimonio abest, mai la pena. Questo contenuto e questa funzione della tutela interdittale sempre viva ed operante nel pensiero del giuristi classici. Basterà ricordare solo Paolo, Sent. V, 6, 14 : Adversus eum, qui hominem liberum vinxerit suppresse ~t indu sent operamve ut id fieret dederit, tam ínterdictum quam legis Fabiae super ea re actio redditur : et interdicto quidem id agitur ut exhibeatur is qui detínetur, lege autem Fabia, ut etiam piena nummaria coerceatur. II concetto da cui muove Paolo è netto e preciso: l' interdictum de homine libero exhibendo e l'astio legis Fabiae nascono dal medesimo fatto delittuoso; ma 1' interdetto tende alla semplice exhibitio dell'uomo libero, a ripristinare lo stato di fatto anteriore, mentre l'azione ha per obbietto una pena.

e

(1) Cfr. U b b e l o h d , op. cit., pag. 393 e segg.; parte

V. pag. 109;

e special-

mente Karlowa. op. cit., pag. 1016 e segg.

(t) Della classicità della distinzione fra interdetti penali e reipersecutori ha dubitato solo il Pero zzi, il quale in una nota delle sue Istituzioni (vol. 11, pag. 75 n. 1) osserva: s v'ha chi distingue gli interdetti quae rei persecutionem continent e poenalia; le due distinzioni a mio avviso non sono classiche a, (3) Intimo a questa funzione generale degli interdetti cfr. per tutti Be t h man n Hollweg, Civilprozess, vol. I, pag. 203 n. 6; Karlowa, op. cit., pag. 1027 e gli autori ivi citati.

— 181 — Si considerino poi i due interdetti penali tipici, l'unde vi e il quod vi aut clam. i giuristi classici arrivano a concepire la deiectio violenta come un maleficium (fr. 1 §§ 14, 15 D. 43, 16), un facdnus (fr. 1, 43, fr. 3 pr. D. eod.), un delictum (Gai IV, 155, fr. 5 D. 43, 1, fr. 19 D. 43, 16), ma la sodisfazione accordata all'offeso coll'unde vi si esaurisce nella piena restitutio rei, come scrive UIpiano, < pristina enim causa restitui debet, quam habiturus erat, si non fuisset deiectus » (fr. 1, 31 D. 43, 16) (4). Ε ciò perche l'attribuzione di una pena esorbita dal contenuto e dalla funzione essenziale degli interdetti. Anche l'interdictum quod vi aut clam, che il Savigny ( 2) arrivò a comprendere fra le azioni vindictam spirantes, nasce ex facto delinquentis (fr. 2 D. 43, 24, fr. 3 pr. D. cod., fr. 5 D. 43, 1), ma esso è diretto non ad una piena ma alla pura e semplice restitutio operis ed eventualmente al risarcimento del danno, in una parola, ut ía orni causa eadem condicio sit actoris, quae futura esset, si id opus, de quo actum est, neque vi neque clam factum esset »; e pertanto, è accordato non solo a colui che abbia fatto la prohibitio, ma anche a chiunque vi abbia interesse (fr. 11, 14 D. 43, 24, fr. 16 pr. D. cod.), e non si cumula con gli altri mezzi giuridici tendenti al risarcimento del danno; vedi il fr. 15, 12 D. eod. (Ulpianus, LXXI ad ed.) : Quia autem hoc interdictum id quod interest continet, si quis glia actione fuerit cunsecutus id quod interfuit opus non esse factum, consequens erit dicere ex i ~terdicto nihil eum consequí oportere. Si osservi ρο~~ che l' ínt. quod vi aut clam ha tanto poco carattere penale, che l'auctor operis alienando il fondo non è più convenibile con l'interdetto, salvo ρο~~ a rispondere con quell'actio in factum relativa all'alienatio iudicii mutandi causa facta qualora l'alienazione presentasse í requisiti voluti. C ~ò , è dichiarato nel fr . 3, 2 D. 4, 7 (Gaius, IV ad ed. prov.) : Item si locum, in quo opus feceris, cuius nomine interdicto quod vi aut clam vel actione aquae pluviae arcendae tenebaris, alienavenis,

Prescindo evidentemente dalla repressione in via criminale dello spoglio violento che nella legislazione postclassica da Costantino in ρο~~ tende a trasfondersi nell' interd. ùnde vi (vedi Inst. IV, 15, 6): sull'argomento efh. la trattazione dell'Ubbelohde, Ο. cit., parte V, pagg. 545-567. Sistema, vol. II, pag. 132 e seg.

— 182 — clurior nostra εοndiciο [acta intellegitur, quia, si tecum agerelur, tuis impensis i d opus tollere deberes, nunc vero cum ircipiat mihi adversus alium actio esse quam qui fecerit, compellor meis impensis id tollere, quia qui ab alno factum possidet, hactenus istis actionibus tenetur, ut patiatur id opus toll (i). 11 principio che risulta da questo testo ( 2) è evidentemente incompatibile col carattere penale dell'interdetto: se l'auctor operis coli' int. quod vi aut clam rispondeva ex delicto di una pena, del tutto irrilevante per la sua legittimazione passiva sarebbe stata l'alienazione del fondo; ma ciò invece s i spiega stupendamente ammettendo che il Pretore colla sua tutela interdittele si preoccupa solo di ristabilire al pristino le condizioni di fatto, e queste è solo in grado di restituire il dominus attuale del fondo ('); se vi è un danno da risarcire, un'offesa da vendicare, questa sari attuata per mezzo delle azioni relative, ma l'interdetto in sè e per sè non mira a ciò. La tutela interdittele è profondamente logica ed armonica in ogni sua parte. Il Pretore accorda protezione possessoria anche al ladro, impone la restitutio operis senza badare se l'opus sia fatto iure o no; e ciò perchè in una società bene ordinata non sono permesse turbative arbitrarie alle condizioni di fatto attuali; obbietto degli interdetti non può essere adunque che la pura e semplice reintegrazione di queste condizioni di fatto; sarebbe oltremodo strano che il Pretore imponesse una pena senza distinguere se l'agente fosse giuridicamente autorizzato a quel determinato atto. 2. — Taluni interdetti sono dichiarati arnali, intrasmissibili passivamente agli eredi e sono accordati cum noxae deditione. Ma ciò non dipende affatto dal loro presunto carattere penale ('); ed è un (t) 11 tratto a nunc vero... bolli » per la forma appare manipolato dai compilatori : cfr. Baviera, Scritti giuridici, pag. 159 n. 1; ma non si tratta che di un semplice ampliamento giustinianeo. (2) 11 fr. 15 D. 43, 16 dice nulla in contrario, giacchè deve riferirsi sicuramente ad una perdita di possesso posteriore alla lítis contestatio nell'actio ex interdicto : n οtis1 il a dαmnandus es »; e neanche il fr. 16, 2 D. 43, 24 : a qui fecit nec possidet, impensam »; ciò, o ha lo stesso valore del 1 τ. 15 or ora ricordato, o si riferisce allactió propter alienationem iudicii mutandi causa factam. Il fr. 3, 2 D. 4, 7 riportato nel testo per me è decisivo. (·;) Per l'í πt. ex operis navi nunciatione vedi fr. 23 D. 39, 1. Cfr. fr. 2, 37 D. 4, 38. (4) Prescindo per ora dal fr. 35 pr. D. 44, 7 che sari esaminato Oltre: pag. 191.

— 183 — errore se gli scrittori hanno voluto intendere questi principi alla stessa stregua di quanto è stabilito per le azioni penali, perdendo completamente di vista la natura speciale dei singoli rapporti tutelati da tali interdetti. Riguardo aΙl'annalità, certamente il Pretore non partiva da considerazioni generali (t); come, _poi, porre il criterio della penalità a fondamento della prescrizione annale degli interdetti, quando, ad esempio, l'interdictum de vi armata era perpetuo, mentre quello de vi non armata era esperibile solo intra annum ? Del resto, tutti e tre gli interdetti annali venivano accordati dopo l'anno causa cognita o si dava un'actio in factum (1). Si trasmettono passivamente agli eredi, limitatamente all'id quod ad eis pervenit i seguenti interdetti : ex operís novi nunciatióne, quod vi aut clam,. unde vi e, secondo l'opinione particolare di Ulpiano, anche i'interdictum de precario (s). Ora questa limitazione nella trasmissibilità passiva degli interdetti ha un significato del tutto particolare e ben diverso da quello delle azioni penali. Riguardo al passaggio degli interdetti agli eredi dal lato- passivo, i giuristi classici si ponevano da vari punti di vista: (I ) Cfr. Ubbelohde, op. cit., pag. 394. (`) De vi non armata: fr. Vat. 312, fr. 1 Pr. D. 43, 16; interpolato per la unificazione dei due interdetti classici il fr. 3, 12 D. 43, 16 (cfr. Lenel, Ed. pag. 451). Fraudatoríum : fr. 10, 24 D. 42, 8 (i sospetti elevati su questo passo non colpiscono il punto in esame: eft. Lenel, Ed., pag. 480). Quod vi aut clam : fr. 15, 5 D. 43, 24. in generale vedi fr. 4 D. 43, 1. Esercizio dell'ago doli dopo l'anno : fr. 14 pr. D. 39, 3. Ma ii testo è genuino? O non si ha qui piuttosto una nuova violazione bizantina (vedi sopra pag. 103 e seg.) della suss ιdia~età dell' astio doli? Bisognerebbe ammettere, per salvare il testo, che al tempo di Capitone a cui appartiene ia decisione in esame, fosse ancora ignoto tanto l'esercizio dell' ml. quod vi aut slam anche dopo l'anno, quanto quella speciale azione in factum propter alienationem iudicii mutandi causa factam. () Per l'interdictum fraudatorium non si hanno che due testi delle Pandette in aperta contradizione: fr. 10, 25 D. 42, 8 (U1p. 73 ad ed.) : Haec astio [Ulp. hoc inter-dictum] heredt (ceterisque successoribusj competit : sed et in heredes (similesque personos] datur; fr. 11 D. 42, 8 (Venuleius VI it.): Cassius actionem introduxit in jd quid ad heredem pervenit. Non è possibile, come si fa comunemente, scorgere in quest'ultimo testo la regola generale relativa a tutte le azioni penali. E più probabile riferire ii passo all'azione per l'arricchimento post annum di cui al fr. 10, 24 D. eod. (cfr. L e v y . Sponsio fidepromissio Gdeiussio, 1907, pag. 55 n. 3; L e n e 1, Ed.. pag. 480 n. 1). Νè pepò è da escludere che si trat ts di evoluzione storica dal tempo di Cassio ad Ulρianο.

-184L' interdetto richiede un possesso qualificato da parte del convenuto : cosi 1' interdictum quod legatorum suppone il legatorum nomine possidere; í giuristi ammettono che questo titolo del possesso passi all'erede (fr. 1, 10 D. 43, 3) e pertanto contro di lui è esperibile l'int. quod legatorum (fr. 1, 19 D. eid.) (±). Lo stesso potrebbe ripetersi anche per g1' interdetti quorum bonorum, quem fundum e quam hereditatem (cfr. fr . 13 §§ 11 D. 5, 3). L'interdetto non richiede alcuna qualifica nel possesso, ma esperibile in genere contro colui qui ι factum immissum habet .>; in tal caso í giuristi non parlano mai di trasmissibilità passiva agli eredi; cosi l'int. ne quid in loco publico vel itinere fiat (fr. 2 §§ 37-44 D. 43, 8) e 1'ínt. ne quid in flumine publico ripave eius fiat quo peíus navígetur (fr. 1 §§ 21-22 D. 43, 12). L' interdetto presuppone avvenuto un atto per opera di una persona determinata, ed è esperibile pertanto solo contro colui qui id egit; è solo a questo proposito che í giuristi si pongono la questione se l'interdetto sia ο no trasmissibile passivamente agli eredi. Così sono dichiarati senz'altro trasmissibili gl' interdetti : ne quid in flamine publico fiat quo aliter aqua flust ( fr . 1 §§ 9-10 D. 43, 13), de migrando (k. 1, 6 D. 43, 32) e probabilmente il fraudatorium ( 2); sono invece trasmissibili limitatamente all' íd quod ad eis pervenit gl'interdetti ex navi openis nunciatione, quod vi aut clam, unde vi, e, secondo l'opinione ulpianea, l'int. de precario ( 3). Per í due interdetti ex open s noví n υη~~αtiοηe e quod vi aut

clam, che hanno stretta analogia fra loro, ciò risulta dai fr. 20, 8 D. 39, 1 per il primo e dal fr. 15, 3 D. 43, 24 per il secondo: fr. 20, 8 D. 39, 1 (Ulp. LXXI ad ed.) : Plane si quaeratur, an in heredem eius, qui opus fecit, interdictum hoc competat, sciendum est Labeonem existímasse in id quod ad eum pervenit dumtaxat dati oportere vel si quid dolo malo ipsius factum sit, quomi-

(') Sull'argomento vedi di recente Lot mar, Zeit. der Sai. Stift., vol. XXXI, pagina 118 e segg. (Q) Sulla questione vedi sopra pag. 183 n. 3. (3) 11 fr. 38 D. 50, 17 (Pomp. XXIX ad Sab.): αΡ Siculi piena ex delictb defuncti heres teneri non debeat, ita nec lucrum lacere, si quid ex ea re ad eum pervenisset , deve congiungersi col fr. 12 D. 44, 7 e non si riferisce alla materia degli interdetti : dr. Lene!, Palingenesia, vol. II, Pimp. n. 742, col. 138 n . 3. Α torto, quindi, Ubbelohde, op. cit., pag. 287, riferisce il fr. 38 ail'interdíctum de loco sacro.

.

— 185 —



nus perveniret. nonnulli putant in factum esse dandam, quod verum est. [r. 15, 3 D. 43, 24 (Ulp. LXXI ad ed.) : Hoc interdictum in heredem [ceferosque successores) datur in id quod ad [ens) eum (Ulp.) pervenit. Ma tale limitazione era una logica e necessaria conseguenza dei principi che regolavano questa materia e non ha nulla a che fare cii presunto carattere penale dell'interdetto; ed è il frutto di un preconcetto interpretare l'id quod ad eis pervenit, come si fa comunemente ( 1 ), nel senso di arricchimento e contrapporlo alla pena di cui sarebbe statu responsabile il defunto. Nella dizione dell'editto v quod vi aut clam factum est (=) i giuristi comprendevan ο anche l'erede dell'auctor ope ~s; cfr. fr. 5 §§ 8, 9 D. 43, 24 (Ulp. LXX ad ed.) : Haec 'erba `quod vi aut clam factum est' ait Mucius ita esse `quod tu aut tuo.um quis aut tuo iussu factum est'. § 9: L.abei autem ait plures personas contineri his verbis. nam ecce primum heredes eorum quis enumerat Mucius, confiner/ putat. Ma iiuristi comprendevano benissimo che l'interdetto quod vi aut clam si fondava non tanto sul fatto di colui che edificò 'ví aut clam quanto sul possesso del fondo; gli eredi, pertanto, ne rispondono non come eredi, ma iure dominii ( 3), ne rispondono cioè in quanto la qualità di erede è congiunta col dominio o col possesso del fondo in quo opus factum est ( 4 ); tanto vero, che essi a null'altro

(I)

Cfr. Schmidt, Das hterdiktenverfahren der Römer, pag. 166; U b b e l o h d e ,

op. cit., pagg. 288, 671 e seg.

1

recenti rilievi del Partsch, zeit. der Sai. S ti ft., vol. XXXI, pag. 432-434,

sulla genuinità della redazione impersonale dell'editto, non mi sembrano del tutto fondati, specie di fronte a quanto risulta dal cimento ulpianeo (fr. 5 §§ 8-14 Vedi in generale fr. 15 pr. hoc interdictum competit u ; fr. 23 D. 39, 1

D.

D.

h. t.).

43, 24: α semper adversus possessorem opens

interessante la decisione e la motivazione di Giavoleno

nel

relativo alla questione se sia legittimato all' mt. ex opens nui nuntia-

tíone il venditore o l'acquirente del fondo in quo opus novum nuntiatum est:

... em-

ptor, ι d est dominus praediorum tenetur, quia nuntiatio opens (operi Hofmann) non personae fi t et is demum obligatus est, qui eum beur possidet in quern opus novum nuntiatum est a.

() Cfr. per analogia i principi relativi alle azioni

nossali : fr. 1, 17 D. 9, 1:

...item adversus heredes ceterosque non lire successionis, sed eu jure quo domini sift, competit u; vedi pure fr. 42, 2

D.

9, 4,



1%



sono tenuti che al patientíam praestare (fr. 22 D. 39, 1) ('), e l'erede che ha il domino di tutto il fondo risponde in solidum sebbene sia erede pro parte (arg. dal fr. 9 pr. D. 43, 16). Ciò posto, è chiaro che nell'int. quod vi aut clam, come pure nell'int. ex opens nui nuntiatione, l'erede è responsabile in id quid ad eum pervenit, cioè in tanto e nei limiti in cui il fondo in quo opus factum est è a lui pervenuto; la misura della responsabilità dell'erede è determinata in proporzione della quota di proprietà che egli ha sul fondo. E Labeone che nel e factum est » dell'editto comprende anche gli eredi (fr. 5, 9 D. 43, 24) ed è Labeone stesso il quale introduce il principio che gli eredi rispondono in quanto e nei limiti in cui il fondo ad eis pervenenit (fr. 20, 8 D. 39, 1). Questo è il significato della trasmiss ~bílità limitata all'id quod ad eum pervenit degli interdetti quod vi aut clam ed ex opens fou nuntiatione, più conforme alla struttura di questi istituti. lntrasmìssibili passivamente agli eredi sono í due interdetti de vi ; contro gli eredi è accordata solo un'actio in factum diretta all'id quod ad eis pervenit : fr. 1, 48 D. 43, 16 (Ulp. LIX ad ed.) : Ex causa hulus interdicti in heredem et bonorum possessorem ceterosque successores in factum actio competit i n id quod ad eis pervenit. Cfr. pure fr . 2 D. eod. (Paul. LXV ad ed.), fr. 3 ρr., λ D. eod. (Ulp., LIX ad ed.), fr. 9 pr. D. cod. (Paulus, ad ed.), c. 2 8, 4 (Díocletianus); e per l'ipotesi della vis armata vedi fr. 3, 18 eod. (Ulp.) (d). Che cosa s i può ricavare da ciò? Non certo che l' interdetto contro il deficiente ha carattere penale; abbiamo visto che l' interdetto ha null'altro per obbietto che l'id quod ex nostro patrimonio abest, ,

Per 1' actío aquae pluviae arcendae secondo il fr. 6,

7 D. 39, 3 l'erede sa-

rebbe responsabile quasi ipse ferisse[. Ma none improbabile che il testo sia rimaneggiato dai compilatori e che debba ricostruirsi rosi: Celsus scribit, si quid ipse feci, quo tibi aqua pluvia noceat, mea impensa tollere me cogendum, si quid alius qui ad me non pertinet, suffcere ut patiar te tollere. sed si serins meus fece ~ t, (aut is cui heres sum hoc feci!, servum guider] noxae dedere debeo :

(quid autem is cui heres sum feci!,

XXXI. pag. 405, e seg., sebbene questi si fondi principalmente sulla chiusa del fr. 22 D. 39, 1 che sarà dimostrata interpolata oltre: pag. 192 e seg. Cfτ. Lenel, Ed., pag. 451.

perinde es! acque si ipse fecissem]~. Cosi Berger, Zeit. der Sai. Stift., vol.

— 187 — inquantοchè il reo è tenuto alla semplice restitutio rei (cfr. fr. 1 §§ 31, 41 D. eod.). Si ha solo questo che nell'ínterdelt ο contro lo stesso deficiente í giuristi prescindono dal suo possesso attuale, diguisachè lo rendono responsabile del perimento fortuito appunto perchè ritengono íl colpevole in mora sin dal tempo in cui è avvenuta la deíectio (fr. 1, 35 D. 43, 16 e fr. 19 D. eod.) ('). Può essere ciò una particolare norma svantaggiosa stabilita per l'autore della deiectio—come una norma svantaggiosa il principio che nell'actio aquae pluviae arcendae e nell'interdictum quod vi aut clam l'auctor openis è tenuto a tollere opus suis impensis, mentre ii terzo non risponde che del patientiam praestare — ma non si dirà mai che ciò sia una pena e che pertanto l'interdetto sia penale. I medesimi principi, infatti, valgono per la condictio furtiva : íl ladro è dalla giurisprudenza ritenuto in mora fin dal momento in cui avvenne il furto e risponde quindi del perimento fortuiio, ma c ~ò non pertanto la condictio furtiva azione reipersecutoria e niente affatto penale ( 2 ). Analoghe considerazioni .possono ripetersi anche per íl passaggio agli eredi dell'interdictum de precario secondo un testo di UIpiano (LXXI ad ed.) : fr. 8, 8 D.- 43, 26 : Hoc interdictum heres eius qui precario rogavit tenetur quemadmodum ipse, ut, sive habet sive dolo fecit quominus haberet vel ad se perveniret, teneatur : ex dolo autem defuncti hactenus, quatenus ad eum pervenit (').

La chiusa del fr. 19 è però sospetta al Pernice, Labei, vol. 11, 2, pag. 9 2 u. 3. Cfr. Pampaloni, Sopra la condictio furtiva, in Studi sopra íl delitto di furto,

11, pag. 65. (') La responsabilita degli eredi nell'mt. de precario di luogo a qualche dubbio. L'intrasmissibilità è dichiarata recisamente da Celso nel fr. 12, 1 D. h. t., fondandosi sulla natura eminentemente personale del rapporto (quippe ipsi dumtaxat, non etiam heredi concessa possessio est), tosi pure da P50l0, Sent. V, 6, 12. La tesi contraria si rinviene invece, oltre che nel fr. di Ulpiano riportato nel testo, nel fr. 11 D. 44, 3 di Papiniano e nella c. 2 C. 8, 9. Per la letteratura sull'argomento vedi le citazioni dello Z a n z u c c h i , Archivio giuridico, vol. LXXII, pag. 202 n. 1. Ma non dovrà apparire azzardato il sospetto che il passaggio agli eredi sia n ονiti bizantina da ricollegarsi col concetto giustinianeo di sussumere il precarium nel sistema dei contratti. Il sospetto è aivalorato specie di fronte alla c. 2 di Diocleziano : a Habitantis precario heredes ad restituendum habitaculum teneri contra eos interdicto proposito manifeste declaratur a. Come mai Diocleziano poteva parlare di un interdictum propositum contra eos, cioè gli eredi, quando, a parte Celai, Paolo nega il passaggio dell' interdetto agli eredi? Diocleziano avrebbe poi detto questa assurdità : nell' interdetto proposto contra eos, cioè gli eredi,

-188-Si avrebbe dunque per l'interdictum de precario qualcosa di simile alla rivendica contro colui che cessò dolosamente di possedere la res prima della litis c οntestatiο : gli eredi rispondono non pifi colla rivendica ma con un'actio in factum per il « quanto locupletes ex ea re fatti fuerunt s (fr. 52 D. 6, 1) (t). Ed a questo proposito deve notarsi che secondo l'opinione più diffusa e p~ù esatta ( 2) l'interdictum de precario non nasceva affatto ex delitto del preca~sta. Anche l'ordinamento della n οssalità in materia di interdetti diverge essenzialmente da quello delle azioni penali e costituisce la prova migliore dei concetti che abbiamo sopra esposto sul contenuto e" la funzione della tutela interdittele. Nelle azioni penali l'attore domanda una pena per l'offesa recatagli e quindi il paterfamilias s i libera da ogni responsabilità dando in nοxa il soggetto a potestà che abbia commesso il delitto. Negli interdetti, invece, l'attore non chiede la punizione dell'avversario, ma semplicemente, che vengano ripristinate le condizioni di fatto anteriori; e pertanto, la responsabilità' del pater non cessa o s i esaurisce colla semplice noxae deditio, appunto perchè questa non è punto sufficiente a reintegrare quello stato di fatto che il Pretore col suo interdetto proponevasi d i ristabilire ( 2 ). Cosi nell'unde v i non basta la noxae deditio, ma il pater ignaro del delitto è tenuto a restituire anche l'id quod ad eum pervenít (fr.' 1 §§ 15, 19, 16 D. 43, 16); e nel quod vi aut clam, se non vuole assumere la defensio del servo o del figlio,

manifeste declaratur che essi sono tenuti! Anche nel fr. 1 1 D. 44, 3 l'inciso: c quamvis enim preca~um heredem ignorantem non teneat nec interdicto recte conveniatur

*,

che

limita 1' intrasmissibilità a ll ' erede ignorante, e intruso (cfr. Pero z z ~~ , Istituzioni, vol. 1. pag. 570)) Nel fs. di Ulpiano riportato nel testo si noti il sospetto

sies-sive

e poi a te-

netur... ut... teneatur a. (f) Sul testo vedi Lenel, Grunhuts Zeitschrift, vol. ΧΧΧVII, pag. 356. Le idee del Savigny, Sistema, vol. V, pag. 63 e seg., che costruiva la rivendica contro colui qui dolo desiit possidere come un'azione penale, non possono ρi ι mantenersi dopo í recenti risultati del Siber e del Lene! su questa materia. Vedi, del resto, sopra pagina 68 n. 1 ('2) Cfr. U b b e l o h d e, op. cit., parte V, pag. 109 e seg. (3) Da questo concetto discende altresi che il pupillo ed il fu ri oso, se l'opus stato fatto iussu tuto ~s vel curatcris, rispondono sempre della patientia tollendo ope ~s (fr. 11, 6 D. 43, 24) mentre per regola generale ex ve1 fu~ esum non teneri.

dolo tutoris vel curatoris pupillum

.

- 189 — insieme alla dato in nixa del colpevole dovrà anche praestare patientiam tollendo opus (fr. 5 D. 43, 1, fr. 7 pr. 1, 14, 16 § 2 D. 43, 24) ('); come del pari, il dominus fundi ignaro dell'opus fatto dallo schiavo, è tenuto sempre alla praestatio patientiae anche dopo la manomissione o la vendita dello schiavo (fr. 14 D. 43, 24). Anche a proposito della nossalità, soccorre stupendamente l' analogia colla condictio furtiva: la condictio furtiva, come si sa, è azione reipersecutoria, ha per obbietto non la pena ma l'id quod ex nostro patrimonio abest, ed appunto perciò il derubato ottiene unitamente alla dato in fixa del colpevole anche l'id quod ad dominum pervenit (fr. 4 D. 13, I; c. 4 pr. C. 3, 41); ed il dominus resta sempre responsabile anche dopo. la vendita o la manomissione dello schiavo (arg. dal fr. 15 D. 13, 1). In conclusione, í principi della n οssalità e del passaggio agli eredi limitato all' id quod ad eis pervenit di taluni interdetti hanno un significato essenzialmente diverso da quello delle azioni penali, e devono ricollegarsi alla particolare struttura che í singoli rapporti tutelati da questi interdetti avevano nel diritto classico. Poche parole, infine, su di un argomento invocato specialmente dallo Schmidt (2) per ammettere la penalità dei due interdetti quod vi aut clam e unde vi. Lo Schmidt notava che per questi due interdetti, nel • caso di concorso di più persone, il diritto romano sanciva che non la conventio ma il sodisfacírnento effettivo da parte di uno dei coautori liberava gli altri, e ciò perfettamente come nelle azioni penali. Ma il lettore che ha presenti í risultati dell'Ascoli e dello Eisele in questa materia, saprà tenere nel dovuto conto l'osservazione dello Schmidt; la pretesa differenza fra le obbligazioni ex delicto e quelle ex contractu era ignota al diritto classico ( 3), ed ove alla litís contestato viene negata efficacia consuntiva siamo in presenza di interpolazione. Cosi per me non v'ha dubbio che i testi relativi agli interdetti unde vi e quod vi aut clam in cui si nega tale efficacia alla litís contestano provengano dai compilatori. Fr. 1, 13 D. 43, 16 (Ulp. LIX ad ed.) : Quotiens verus pro-

(') Identico principio vigeva anche per l'aedo aquae pluviae arcendae: fr. 6, 7.

D. 39, 3. (') Op. cit., pag. 200-203. (3) Per la letteratura vedi sopra peg. 43 n. 1.

-- 190 curator deiecerit, cum utrolibet eorum, id est sive domino sue procuratore, agi posse Sabinus ait et alterius nomine alteri eximi, [sic tarnen si ab altero eorum litís aestimatio fuerit praestila...] (I).

Fr. 15, 2 D. 43, 24 (Ulp. LXXI ad ed.) : Si in sepulchre alieno terra congests fuerit iussu reo, agendum esse quod vi aut clam mecum Labeo scribit. et si communi consilio plurium id factum sit, licere vel cum uno vel cum singulis (') experiri : opus enim, quod a pluribus pro indiviso factum est, singulos in solidum obligare. si tamen proprio quis eorum consilio hoc fecerit, cum omnibus esse agendum, scilicet in solidum : itaque alter conventus alterum non liberabit, quip immo perceplio ab altero : superiore denim casu alterius conuenIii alterum liberai (`).

Fr. 6 D. eod. (Paulus LXVII ad ed.) : Si ego tibi mandavero opus novum facere, tu alii, non potest videri reo iussu factum : te nebe~s ergo tu et ille : an et ego tenear, videamus. - et magis est et me, qui ínitium rei praestiterim, teneri: [sed uno ex his satisfaciente celeri Iiberantur].

3.—Nel diritto classico il concetto di interdictum poenale, come si è visto, contrastava colla funzione che aveva la tutela interdittele; ma non può dirsi altrettanto per il diritto giustinianeo in cui spunta la distinzione fra interdetti penali e reipersecutori. Ε non senza ragione. Nel nuovo diritto alla varietà, di essenza e di funzione, dei mezzi processuali classici tende a sostituirsi la uniformità del mezzo giuridico a garantiti di un determinato diritto tutelato dalla legge. Per gl'interdetti questa tendenza è sicura : l'interdetto classico può dirsi ormai scomparso; il legislatore bizantino sussume gl'interdetti nel

(t) Per l'interpolazione nei limiti segnati vedi Ascoli, Studi e doc. di storia e diritto, ßo1. Xl, peg. 162; Eisele. Arch. für civ. Praxis, vol. LXXVII, peg. 440;

P e r o z z i, istituzioni, vol. Il, ρα g. 1 1 2 n. 2. ('')

Vel cum singulis Glοssa : Kruger, ad h. 1.

({) Tutta la chiusa del testo « scilicet in solidum... liberal s è ritenuta interpolata dal Pernice, recensione ai Mitteis, individualisirung der Obligation, nella Zeitschrift für das ges. Handelsrecht, vol XXXIII, ραg. 440. L'interpolazione forse è più limitata; ma non credo che nel testo tutto sia in ordine togliendo « scilicet in solidum e mettendo un nec prima di perceplio, come vuole l' Eisele, op. cit., peg. 427-430. Probabilmente

íl

testo va ricostruito così : a scilicet in solidum, itaque alter conventus alterum

berabit, fquin immo... liberal] a.

(non] li -

— 191 —

sistema generale delle azioni. In una recente nota l'Albertario (') ha messo bene in luce l'uso bizantino di chiamare addirittura odio I' interdictum. Ma íl lavorio di Giustiniano non è di semplice termino!ogia; è píì vasto e complesso. I compilatori cercano di annullare quanto di caratteristico e di speciale avevano gl'interdetti classici, e di estendervi invece le norme vigenti in materia d ~~ azioni. Una revisione completa delle fonti in questo ordine di idee sarebbe altamente interessante, ma mi porterebbe fuori i l campo delle presenti ricerche. Qui basterà solo mettere in luce come Giustiniano estese agli interdetti la distinzione fra azioni penali e reipersecutorie ( 2). 1 classici, come si è visto, riguardo alla annalità ed alla intrasmissibilità passiva degli interdetti non partivano da considerazioni generali, e molto meno ricollegavano ciò colla penalità o meno degli interdetti. Con Giustiniano, invece, gl' interdetti si distribuiscono nella categoria delle azioni penali o reipersecutorie secondo che essi sono annali e intrasmissibili o meno. Così nel fr . 35 D. 44, 7 (Paulus, I ad ed. praet.) : In honorariis actionibus sic esse definiendum Cassius ait, ut quae rei persecutíonem habeant, hae 'etiam post annum darentur, ceterae intra annum. honorariae autem quae post annum non dantur, nec in heredem dandae sunt, ut tarnen lucrum eí extorqueatur, sicut fi t in actione doli meli et interdicto únde vi et simili/ms. illae autem quae rei persecutionem continent... Il testo è certamente guasto: l'esemplificazione delle azioni appare rimaneggiata ( 3 ); ad ogni modo la menzione dell'unde vi fra le azioni penali è di sicuro dei compilatori ( 4 ) e sta a dimostrare come essi intendano ricollegare l'annalit e l' intrasmissibilità dell'unde vi al suo carattere penale. Nel medesimo ordine d~~ idee ritengo interpolato anche il fr. 3, 1 D. 43, 16 in cui si insiste sul carattere reipersecutorie dell'actio in

(9 Actio e interdictum, 1911. Agli interdetti Giustiniano estende anche la classificazione fra azioni personali reali e miste; tosi nel fr. 37 pr. 1 D. 44, 7: cfr. Albertario, op. cit., pag. 8 e seg.; (')

e nel fr. 1, 3 D. 43, 1 : cfr. Eisele, Zeit. der Say. S tift., vol. XVII, pag. 8 n. 1. ( 3) La menzione de11'actio doli è però genuina : l'azione infatti nel diritto classico era penale e si dava intra annum, mentre nel diritto giustinianeo è reipersecuto ~a ed esperibile entro il biennio : su c ~ò vedi sopra pag. 92. e seg. (9 Cfr. A I b e r t a r í o, Zeit. der Sal,. S ti ft., vol. XXXII, pag. 312 e seg.

— 192 — factum contro l'erede del deiciente, con evidente antitesi alla penaliti dell'unde vi: Ulpianus LIX ad ed.: Haec actio, quae adversus heredem ceterosque successores pertinet ('), perpetuo competit, [quia in ea rei persecutio continetur]. Dire che nell'azione contro gli eredi rei persecutio contínetur per un classico non ha senso, giacche anche l' interdetto contro il deiciente, come abbiamo visto, a null'altro era diretto che alla pura e semplice restitutío rei. Altrove í compilatori mettono l'interdetto quod vi aut clam nella stessa categoria delle azioni nascenti ex delicto ed alla pari coll'astio furti; si veda il fr. 40, 4 D. 5, 3 (Paulus XX ad ed.) : Ad officium iudicis pertínebunt et noxales actiones, ut, si paratus sit possessor noxae dedere servum qui damnum dede ~t in re heredita~a vel furtum fecerit, absolvatur, [sicut fit in interdicto quod vi au! clam]. La strana collocazione di questo 'rsicut fit..., lo appalesa subito come una intrusione. Interessante è ancora il fr. 22 D. 39, 1 (Marcellus XV dig.) : Cui opus novum nuntiatum est, ante remissam nuntiationem opere facto decessit: debet heres eius patientiam destruendi operis adversario praestare: [far et in restituendo huiusmodi operis dius, qui contra edicturn feci!, piena versai un, porro autem in poenam heres non succedit]. Il