Studi Pergolesiani / Pergolesi Studies [10]
 3034316097, 9783034316095

Table of contents :
Indice
Prefazione • Paologiovanni Maione
Introduzione • Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore
Fra Palermo e Napoli. Attività musicali presso la Reale Cappella Palatina di Palermo • Ilaria Grippaudo
Oltre il viceré: mecenatismo musicale della nobiltà di corte a Napoli alla fine del Seicento • José María Domínguez
Musica nelle istituzioni religiose femminili a Napoli (1650-1750) • Angela Fiore
Il repertorio napoletano di concerti per strumenti a fiato Materiali per una ricognizione preliminare • Alessandro Lattanzi
Considerazioni su alcuni manoscritti napoletani di Giuseppe Scarlatti: testi, contesti e paratesti • Sarah M. Iacono
Neapolitan Sacred Music in Eighteenth-Century Britain: The Case of Pergolesi’s «Messa di S. Emidio» • Andrew Woolley
Musico Napolitano: indice delle maestranze musicali attive a Napoli • Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore, Rodolfo Zitellini
Indice dei nomi

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Studi Pergolesiani Pergolesi Studies

Studi Pergolesiani Pergolesi Studies Fondazione Pergolesi Spontini

Studi Pergolesiani Pergolesi Studies 10

a cura di / edited by

Claudio Bacciagaluppi Angela Fiore

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Fondazione Pergolesi Spontini | Comitato di studi pergolesiani: Presidente, Renato Di Benedetto; Membri effettivi, Francesco Cotticelli, Paologiovanni Maione, Dale Monson, Franco Piperno, Claudio Toscani www.fondazionepergolesispontini.com Questo volume è stato realizzato grazie a un contributo del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica. Il presente volume raccoglie i risultati di due incontri seminariali, svoltisi nel 2011 presso l’Istituto Svizzero di Roma e nel 2013 presso l’Istituto di Musicologia dell’Università di Friburgo.

ISBN 978-3-0343-1609-5 pb. ISSN 2235-2678 pb.

ISBN 978-3-0351-0871-2 eBook ISSN 2235-266X eBook

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Indice

Paologiovanni Maione Prefazione............................................................................................................ 7 Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore Introduzione..................................................................................................... 11 Ilaria Grippaudo Fra Palermo e Napoli. Attività musicali presso la Reale Cappella Palatina di Palermo.......................................................... 15 José María Domínguez Oltre il viceré: mecenatismo musicale della nobiltà di corte a Napoli alla fine del Seicento......................................................... 63 Angela Fiore Musica nelle istituzioni religiose femminili a Napoli (1650-1750)........... 99 Alessandro Lattanzi Il repertorio napoletano di concerti per strumenti a fiato Materiali per una ricognizione preliminare............................................... 125 Sarah M. Iacono Considerazioni su alcuni manoscritti napoletani di Giuseppe Scarlatti: testi, contesti e paratesti........................................ 159 Andrew Woolley Neapolitan Sacred Music in Eighteenth-Century Britain: The Case of Pergolesi’s «Messa di S. Emidio».......................................... 185 Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore, Rodolfo Zitellini Musico Napolitano: indice delle maestranze musicali attive a Napoli.......................................................................................................... 209 Indice dei nomi............................................................................................. 227

Prefazione

Lo stupore di Francesco Degrada dinanzi ai nuovi percorsi di ricerca, da lui promossi o a lui proposti, sembra ancora aleggiare all’interno dei suoi «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies». In questi anni l’insegnamento dello studioso resta ancora vivo grazie a un interesse crescente intorno al compositore jesino e al suo mondo; il persistente e tenace lavoro svolto sulla produzione e sulla vita musicale ‘napoletana’, in maniera pionieristica e con un taglio inedito, continua a dare, attraverso il suo magistero, risultati ancora sorprendenti. Il suo pensiero, sempre sollecito all’approfondimento e al confronto con altre prospettive, appare duttile e dinamico: gli scritti rivelano una capacità di rilettura stupefacente sempre tesa a rivelare come il processo di approccio a un argomento sia in continuo divenire. Capace di rivedere nel corso del tempo le proprie posizioni, ha lasciato un’eredità esemplare e un modello da perseguire con tenacia e umiltà: il rispetto per le indagini altrui era una cifra che lo contraddistingueva e il gusto per il sapere ha scandito la sua vita. Il presente volume insegue quelle tracce indicate dal maestro fornendo lavori di prima mano destinati ad arricchire ulteriormente l’identità di un territorio ‘musicalissimo’, che si lascia dissodare da volenterosi studiosi, nella speranza di non incappare in quegli svogliati, ma assai scaltri, ‘turisti scientifici’ che con poche campionature nel corso del loro itinerario, segnato da ‘tappe’ presso gli istituti di ricerca, pensano di risolvere e tirare le fila su problematiche assai intricate. Va da sé che il ‘turismo musicologico’ miete vittime innocenti e inconsapevoli: fondi copiosi sono ‘acquisiti’ in brevi soggiorni con sicumera e incompletezza grazie anche alla complicità di solleciti e pietosi funzionari facilmente irretibili! Tutto ciò appare chiaramente lontano dagli intenti che hanno mosso gli studiosi chiamati a raccolta per il progetto «Musica a Napoli sotto i viceré»: i risultati delle lunghe indagini, alcune ancora in itinere, sono di notevole interesse sia sotto il profilo documentario sia per l’argomento analizzato. Gli studi condotti hanno prodotto esiti in linea con quegli intenti programmatici ravvisati da Degrada per un futuro ampliamento

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PREFAZIONE

di interessi della rivista, per cui si è deciso di accogliere i contributi di questo workshop in un volume di «Studi Pergolesiani / Pergolesi Studies». I saggi delineano ambiti affini a quelli cari al progetto editoriale e aprono tracce di ulteriore riflessione sul contesto in cui visse Pergolesi nonché sulla musica del suo tempo. Le fonti documentarie rincorrono aspetti della storia musicale tra i più sfaccettati, facendo da apripista sia a nuovi percorsi di studio sia ad approfondimenti tesi a delineare sempre più fenomeni talvolta poco indagati o più complessi di quanto documentato sinora. Questa messe di materiale assolve a conoscenze plurime che creano talvolta i presupposti per leggere con maggiore chiarezza i sistemi di ricezione e di prassi esecutiva; i repertori e la loro realizzazione emergono da queste fonti ‘secondarie’ che tali non sono se offrono coordinate salienti per la pratica musicale coeva senza intermediazioni ‘teoriche’, rivelandoci meccanismi e soluzioni d’allestimento ‘reali’. Sarebbe interessante verificare in sede ‘pratica’ questi ensembles per cercare di comprendere il gusto ‘sonoro’ del tempo, fuggendo da illusioni di veridicità, senza eccessivi pressapochismi; tuttora le compagini paladine di attenersi a criteri filologici sembrano non informate dei progressi della ricerca mentre quelli che tali appaiono sulla carta, ostentando ‘informatori scientifici’, non lo sono ugualmente perché mal consigliate oppure sorde agli ‘investigatori’ cooptati. È pur vero che spesso bisogna scendere a patti con un pubblico che ha un proprio immaginario ‘sonoro’ per la musica antica: tuttavia, si potrebbe lentamente istruirlo sui tanti ‘timbri’ che caratterizzano i secoli ‘antichi’. La fascinazione dello spettacolo in età moderna sprona a esplorare i repertori più ‘esuberanti’ ma anche quelli più reticenti a mostrarsi. Da tempo le indagini sulla musica strumentale in area napoletana rivelano scenari inediti di un mercato estremamente evanescente ma non per questo meno battuto dall’industria musicale del tempo, assai sensibile ad appagare le richieste di un’aristocrazia e di un ceto civile avido di svaghi musicali. La letteratura strumentale va arricchendosi grazie ai nuovi ritrovamenti e rimpolpa un capitolo, un tempo esiguo, sulla consuetudine domestica con la pratica strumentale. E qui si infittiscono i sondaggi tesi a restituire un panorama articolato all’insegna di un variegato commercio di strumenti – che vede una pletora di artigiani chiamati in causa – e maestri destinati alla didattica, a dividere il leggio con i ‘dilettanti’ nel corso di accademie e trattenimenti e all’organizzazione musicale dei palazzi blaso-

PREFAZIONE

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nati. Non meno interessante appare la ricostruzione della ‘vita’ di raccolte e collezioni «attraverso la ricognizione delle caratteristiche materiali delle fonti» destinate a «tracciare i probabili contesti di manifattura/produzione, [e] di ipotizzare […] destinazioni d’uso e di analizzare le modalità di circolazione dei repertori» (S.M. Iacono). Ma anche i cantieri ‘aperti’ lasciano ben sperare per il futuro, come nel caso di quello orchestrato da Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore, Rodolfo Zitellini dal titolo Musico Napolitano: indice delle maestranze musicali attive a Napoli, un database destinato a raccogliere tutte quelle informazioni provenienti dai risultati delle molteplici indagini o concluse o in progress sulla cultura dello spettacolo a Napoli e i maestri ‘napoletani’. Questo patrimonio documentario messo a disposizione della comunità scientifica arricchisce la conoscenza e la visibilità di un fondamentale periodo della storia musicale europea e argina il dilagare di luoghi comuni e affrettate sentenze su meccanismi e generi – una testimonianza viene anche dal progetto Opera Buffa (Napoli 1707-1750) che raccoglie online i libretti delle commedie per musica finalizzato alla conoscenza di un fenomeno tanto sofisticato di cui molto si è parlato e di cui poco si sa () – alla ricerca di una propria dignità e definizione. Le nuove generazioni saranno ulteriormente chiamate a coltivare e tenere in vita questa umanità dedita al diletto dell’Europa intera all’insegna di un’italianità che aveva la sua cuna e suggello nel bel golfo sorvegliato dal laborioso Vesuvio mai sopito. Paologiovanni Maione

Introduzione

Il presente volume raccoglie i risultati di due incontri seminariali promossi dai curatori nel 2011 e nel 2013. Un primo seminario sul tema «Musica in Napoli sotto i viceré» si è tenuto dal 24 al 26 ottobre 2011 presso l’Istituto Svizzero di Roma, sotto l’esperta guida di Paologiovanni Maione. Tra i partecipanti al workshop romano vanno menzionate Danièle Lipp e Giulia Anna Romana Veneziano, non rappresentate in questo volume. Cinque membri del gruppo (José María Domínguez, Angela Fiore, Ilaria Grippaudo, Sarah M. Iacono e Alessandro Lattanzi), insieme ad Andrew Woolley, hanno presentato i risultati di ulteriori ricerche in due sessioni del XV convegno biennale sulla musica barocca a Southampton nel luglio 2012. Il 7 novembre 2013 un secondo seminario si è svolto in Svizzera, ospitato da Luca Zoppelli presso l’Istituto di Musicologia dell’Università di Friburgo e presieduto da Claudio Toscani. Per l’occasione, agli studiosi menzionati finora si sono aggiunti Luca Zoppelli, Livio Aragona e Rodolfo Zitellini.1 Un’ampia gamma di soggetti è stata affrontata durante i due incontri: di seguito ricordiamo i principali temi toccati dai saggi pubblicati. Nei secoli XVI e XVII, il prestigio musicale della Cappella Reale di San Pietro a Palermo, comunemente conosciuta come la Cappella Palatina, era fuori discussione. L’importanza di questa istituzione indusse il musicologo palermitano Ottavio Tiby ad affrontare per la prima volta la sua storia in un saggio del 1952, che è rimasto per molti anni l’unico esempio di analisi di attività musicale nelle istituzioni ecclesiastiche della città. Recenti ricerche presso l’Archivio di Stato di Palermo, tuttavia, hanno integrato le informazioni in nostro possesso, mostrando come Tiby abbia trascurato una parte della documentazione, fornendo un quadro sostanzialmente incompleto. In particolare, i dati confermano lo stretto legame tra la Cappella di Palermo e la Cappella Reale di Napoli, che era 1

  Ringraziamo qui il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica e l’Università di Fribourg per il generoso sostegno finanziario ai due workshop internazionali.

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INTRODUZIONE

fa­cilmente presumibile, ma finora non sufficientemente provato o sottolineato. L’obiettivo della ricerca di Ilaria Grippaudo è quello di ricostruire le attività della Palatina nei secoli XVI e XVII, inquadrandole più pre­ cisamente nel contesto musicale del periodo e mettendo in evidenza il rapporto tra le due più importanti istituzioni musicali del viceregno spagnolo in Italia. Recenti ricerche sui viceré spagnoli hanno consentito una migliore comprensione del loro patronato musicale. Il problema della continuità nel mecenatismo musicale sotto il sistema politico del viceregno è stata spesso affrontata dalla storiografia musicale. Il continuo cambio di viceré si contrappone, in questo senso, ad altri centri politici come gli Stati italiani del nord o le grandi corti europee. José María Domínguez ribalta la prospettiva osservando che poca attenzione è stata rivolta finora agli interessi musicali della nobiltà che ruota intorno alla corte vicereale. Tre esempi sono presentati, il marchese di Aitona, il duca di Lemos e il principe di Belvedere. Il contributo di Angela Fiore evidenzia il ruolo dei monasteri e conservatori femminili nella storia sociale e religiosa di Napoli. Questi erano enti privilegiati dalla nobiltà per accogliere giovani donne nubili. Le case religiose erano spesso responsabili per la produzione di musica sacra, e il materiale d’archivio ha fornito informazioni su tali istituzioni con molti riferimenti a un’importante tradizione musicale riguardante sia la sfera pubblica che quella privata. In tutti i tempi, monasteri e conservatori hanno collaborato con i musicisti più rappresentativi della città di Napoli, molti dei quali provenienti dalla Cappella Reale di Palazzo, per abbellire le diverse liturgie o per istruire le giovani donne e le suore nella musica. Ad oggi non ci sono ancora studi approfonditi sul ruolo effettivo che tali istituzioni hanno svolto nella Napoli vicereale. Alessandro Lattanzi propone un estratto dalle sue ricerche, tuttora in svolgimento, sui concerti per strumenti a fiato napoletani del Settecento. Poco si sa finora circa questo repertorio e i suoi cultori. Il contributo parte da una ricognizione storica sulla diffusione dello strumento a Napoli. Una sezione analitica ripercorre lo sviluppo formale dei concerti napoletani. Negli ultimi decenni del viceregno la forma tradizionale, nel solco di Albinoni e altri, viene soppiantata dalle nuove tendenze di ispirazione vivaldiana. Come conseguenza della trasmissione complessa, sorgono problemi di paternità e attribuzioni conflittuali con compositori stranieri,

INTRODUZIONE

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come dimostrato da molti casi nelle collezioni di Karlsruhe, Stoccolma e altre. Sarah M. Iacono mostra l’importanza sia codicologica che storica di una ricerca sulle collezioni librarie sull’esempio di tre manoscritti conser­ vati nella biblioteca del Conservatorio di Napoli e contenenti composizioni di Giuseppe Scarlatti. Più di ogni altro documento, le partiture forniscono gli elementi essenziali per la ricostruzione di testi e contesti per la diffusione delle cantate. L’esame incrociato dei documenti archivistici e delle fonti musicali consente oggi di ricostruire la storia di questi manoscritti pervenuti al collezionista Giuseppe Sigismondo e attraverso di lui nella loro attuale collocazione. In un volume della serie «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» non può mancare un contributo dedicato al compositore jesino. Andrew Woolley delinea una storia della ricezione pergolesiana nelle isole britanniche, partendo dalla diffusione delle fonti. La Messa in fa maggiore («di Sant’Emidio») costituisce il filo conduttore del suo percorso. Esecuzioni di musica sacra pergolesiana furono organizzate in vari cicli di concerti londinesi. Vengono identificati, fin dove possibile, i primi copisti locali di musiche pergolesiane, tra cui figurano degli italiani emigrati. La ricerca è suffragata da precise indagini sulle mani dei copisti e sulle filigrane delle partiture della Messa in fa conservate in Gran Bretagna o provenienti da collezioni britanniche (come un manoscritto oggi a Los Angeles). Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore e Rodolfo Zitellini, infine, presentano un nuovo database sulle fonti archivistiche che riguarda musi­cisti napoletani e professioni correlate. La banca dati, con il titolo Musico Napo­li­tano: indice delle maestranze musicali attive a Napoli, consentirà un confronto tra diverse fonti archivistiche edite e inedite, disegnando una mappa del personale e dei suoi spostamenti nel territorio cittadino. Le informazioni saranno riportate utilizzando vari indici (date, istituzioni, ecc.) e collegate dove possibile con dati bio-bibliografici sulle persone menzionate. Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore

Ilaria Grippaudo

Fra Palermo e Napoli. Attività musicali presso la Reale Cappella Palatina di Palermo

1. Introduzione Da più di quarant’anni i rapporti musicali tra Napoli e Palermo sono stati oggetto di interesse specifico da parte di vari studiosi che hanno affrontato la questione secondo prospettive di volta in volta differenti. Due esempi di contributi dedicati all’argomento sono inclusi negli atti del convegno La musica a Napoli durante il Seicento, pubblicati nel 1987: nel primo Paolo Emilio Carapezza si sofferma sul genere del madrigale e sui legami tra i musicisti siciliani e i compositori attivi in area partenopea, in particolare Jean de Macque e Carlo Gesualdo da Venosa;1 il secondo, a firma di Giuseppe Donato, analizza il rapporto fra Sicilia e Napoli in relazione all’editoria musicale e alla circolazione dell’opera in musica, mettendo in luce l’importanza della capitale del viceregno nel processo di im­portazione dei melodrammi rappresentati nell’isola a partire dalla metà del Seicento.2 Quest’ultimo aspetto era già emerso dalle ricerche di Roberto Pagano, alcune delle quali convogliate nel fondamentale articolo sulle attività musicali nella Palermo del Seicento,3 per poi essere ripreso in altre occasioni,

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  Cfr. Paolo Emilio Carapezza, ‘Quel frutto stramaturo e succoso’: il madrigale napoletano del primo Seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Napoli, 11-14 aprile 1985), a cura di Domenico Antonio D’Alessandro e Agostino Ziino, Roma, Torre d’Orfeo, 1987, pp. 17-27. 2

  Cfr. Giuseppe Donato, Su alcuni aspetti della vita musicale in Sicilia nel Seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento cit., pp. 567-623. 3

  Cfr. Roberto Pagano, La vita musicale a Palermo e nella Sicilia del Seicento, «Nuova Rivista Musicale Italiana» 3, 1969, pp. 439-466.

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ILARIA GRIPPAUDO

a margine di studi di carattere più generale4 o in contributi dal focus più specifico.5 L’importanza del binomio Napoli-Palermo sul piano politico, diplomatico e musicale ricorre anche in modo costante negli scritti di Anna Tedesco, in relazione a specifiche istituzioni (quali, ad esempio, la cappella di Nostra Signora della Soledad), a particolari generi musicali (il melodramma soprattutto, ma anche la serenata) e alle corporazioni dei musicisti.6

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  Per la questione della circolazione del melodramma fra Napoli e Palermo cfr. L orenBianconi, Funktionen des Operntheaters in Neapel bis 1700 und die Rolle Alessandro Scarlattis, in Colloquium Alessandro Scarlatti Würzburg 1975, a cura di Wolfgang Osthoff e Jutta Ruile-Dronke, Tutzing, Hans Schneider, 1979, pp. 13-111. Brevi accenni in relazione alla produzione di Francesco Provenzale sono presenti anche in Dinko Fabris, Music in Seventeenth-Century Naples: Francesco Provenzale (1624-1704), Aldershot, Ashgate, 2007, in particolare nel capitolo «Provenzale and Opera in Naples», pp. 154-185. zo

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  Uno di questi è sempre a firma di R. Pagano, Giasone in Oreto. Considerazioni sull’introduzione del melodramma a Palermo, in Musica e attività musicali in Sicilia nei secoli XVII e XVIII, a cura di Giuseppe Collisani e Daniele Ficola, Palermo, STASS, 1989, pp. 11-18. L’altro, più recente e di taglio specifico, è A nna T edesco, Francesco Cavalli e l’opera veneziana a Palermo dal Giasone (1655) all’inaugurazione del Teatro Santa Cecilia (1693), in Francesco Cavalli. La circolazione dell’opera veneziana nel Seicento, a cura di D. Fabris, Napoli, Turchini Edizioni, 2005, pp. 205-238. 6

  Sulla cappella della Soledad si veda A. T edesco, La cappella de’ militari spagnoli di Nostra Signora della Soledad di Palermo, in Giacomo Francesco Milano e il ruolo dell’aristocrazia nel patrocinio delle attività musicali nel XVIII secolo, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Polistena-San Giorgio Morgeto, 12-14 ottobre 1999), a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Laruffa, 2001, pp. 199-254. Sul melodramma e sulla serenata, oltre al contributo già citato nella nota precedente, cfr. E ad., La serenata a Palermo alla fine del Seicento e il duca d’Uceda, in La serenata tra Seicento e Settecento: musica, poesia, scenotecnica, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Reggio Calabria, 16-17 maggio 2003), a cura di Nicolò Maccavino, Reggio Calabria, Laruffa, 2007, vol. II, pp. 547-598. La committenza musicale del viceré d’Uceda è pure al centro di Juan Francisco Pacheco IV duca di Uceda uomo politico e mecenate tra Palermo Roma e Vienna nell’epoca della guerra di successione spagnola, in La pérdida de Europa. La guerra de sucesión por la Monarquía de España, Atti del VII Seminario Internacional de História (Madrid, 13-16 dicembre 2006), Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2007, pp. 491-548. Per quanto riguarda l’Unione dei Musici e il parallelismo con le corporazioni napoletane, cfr. E ad., Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano, Palermo, Flaccovio, 1992, in particolare il Capitolo I, «L’Unione dei Musici di Santa Cecilia di Palermo», pp. 9-43.

FRA PALERMO E NAPOLI

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Sono innanzitutto i legami politici fra le due città a spiegare l’esistenza di parallelismi tanto intensi, sui quali si sovrappone l’influenza determinante della dominazione spagnola. Di conseguenza fra XVI e XVIII secolo il modello napoletano di organizzazione delle attività musicali trova un rispecchiamento quasi perfetto nel variegato ambito palermitano, caratterizzato da profili istituzionali pressoché identici, nonché dalla circolazione di medesimi generi e repertori. Ne derivano rapporti estremamente articolati che, pur collocandosi nel tradizionale schema centro vs. periferia, lo riconsiderano in senso dinamico. Di fatto, durante il viceregno spagnolo, la Sicilia non si limita a recepire le novità napoletane, ma le rielabora in maniera autonoma, assumendo in alcuni periodi un ruolo di prestigio (si pensi alla scuola di polifonisti fiorita tra Cinque e Seicento) e ponendosi come interlocutore di un dialogo a più voci, evidente soprattutto a partire dalla seconda metà del Seicento. L’adeguamento al sistema napoletano si riscontra anche nell’organizzazione delle attività musicali presso le rispettive cappelle reali, argomento che finora gli studiosi hanno tralasciato di approfondire.7 In questo caso l’analogia non riguarda soltanto 7

  A differenza di quanto si può riscontrare per la Palatina di Palermo, la bibliografia sulle attività musicali nella Cappella Reale di Napoli è piuttosto vasta, a partire dalle preziosi informazioni contenute nel manoscritto di Salvatore Di Giacomo [Biblioteca Nazionale di Napoli, Di Giacomo, ms. XVII.14: ‘Real Cappella Palatina’] e dagli studi pioneristici di Ulisse Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in Il Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, a cura di Felice de Filippis e U. Prota-Giurleo, Napoli, L’Arte Tipografica, 1952, pp. 19-77; I d., I Teatri di Napoli nel secolo XVII, a cura di Ermanno Bellucci e Giorgio Mancini, Napoli, il Quartiere, 2002, vol. III. Fra coloro che se ne sono occupati in tempi più recenti segnaliamo D. Fabris, Strumenti di corde, musici e Congregazioni a Napoli alla metà del Seicento, «Note d’archivio per la storia musicale» n. s. 1, 1983, pp. 63-110; Francesco Cotticelli – Paologiovanni M aione , Le istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (17071734): materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Napoli, Luciano, 1993; R alph K rause , Documenti per la storia della Real Cappella di Napoli nella prima metà del Settecento, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici» 11, 1993, pp. 235-257; P. M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 4, 2000, pp. 1-129; D. Fabris, La Capilla Reale en las etiquetas de la corte virreinal de Nápoles durante el siglo XVII, in La Capilla Real de los Austrias. Música y ritual de corte en la Europa moderna, Atti del Convegno internazionale «La Real Capilla de Palacio en la época de los Austrias» (Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 14-16 dicembre 2000), a cura di Juan José Carreras e Bernardo José García García, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2001, pp. 235-250 (trad. ingl.: The Royal Chapel in the

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ILARIA GRIPPAUDO

la presenza di organismi strutturati in maniera simile, ma anche il legame con alcune delle istituzioni ecclesiastiche presenti nel territorio, evidente nelle frequenti collaborazioni con le chiese appartenenti agli ordini religiosi. Come nel caso di Napoli, una panoramica sulla vita musicale palermitana non può dunque fare a meno di un’analisi della situazione nelle istituzioni ecclesiastiche. Solo di recente alcuni studi hanno sottolineato il ruolo guida degli ordini religiosi nel promuovere attività musicali di rilievo, sia durante la normale liturgia, sia per le cerimonie più importanti.8 A Palermo la fitta rete di interscambi fra monasteri, conventi e altre chiese si strutturava attraverso la presenza di organici assimilabili al profilo di cappelle musicali, che però le fonti non definivano tali, per lo meno fino a metà Seicento. Di vere e proprie cappelle di musica si parla, invece, in relazione alle tre istituzioni più importanti del territorio quali, appunto, la Cattedrale, il Senato e la Cappella Reale di San Pietro, comunemente nota come Cappella Palatina. Dall’analisi dei documenti rimasti risulta evidente il ruolo leader della Palatina nel contesto musicale palermitano. Ulteriori ricerche hanno infatti mostrato come nelle istituzioni religiose fossero soprattutto i musicisti della Cappella Reale ad essere ingaggiati, allo scopo di aumentare la solennità delle celebrazioni di rilievo. Una ricostruzione più attenta della storia di questo organismo risulta quindi essenziale non soltanto in sé, ma anche e soprattutto in relazione al tessuto sociale Etiquettes of the Viceregal Court of Naples during the Eighteenth Century, in The Royal Chapel in the Time of the Habsburgs. Music and Ceremony in the Early Modern European Court, a cura di J. J. Carreras, B. J. García García e Tess Knighton, Woodbridge, The Boydell Press, 2005, pp. 162-172); P. M aione , Il mondo musicale seicentesco e le sue istituzioni: la Cappella Reale di Napoli (1650-1700), in Francesco Cavalli. La circolazione dell’opera veneziana nel Seicento cit., pp. 309-341; F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, in «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 5, 2006, pp. 21-54; D. A. D’A lessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana. Nuovi documenti, precisazioni biografiche e una fonte musicale ritrovata, in La musica del Principe. Studi e prospettive per Carlo Gesualdo, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venosa-Potenza, 17-20 settembre 2003), a cura di Luisa Curinga, Lucca, LIM, 2008, pp. 21-156. 8

  I frutti di questa ricerca sono inclusi nei due volumi della mia dissertazione dottorale, Produzione musicale e pratiche sonore nelle chiese palermitane fra Rinascimento e Barocco, Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’, 2010.

FRA PALERMO E NAPOLI

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palermitano e alle collaborazioni con altre istituzioni, sia in Sicilia che al di fuori di essa. Partendo da questa serie di considerazioni, le tematiche che affronterò nel mio contributo si incentrano su una particolare fase del periodo vicereale in Sicilia, compresa fra gli ultimi anni del XVI secolo e la prima metà del XVIII secolo (con ampie digressioni sulla situazione antecedente, fra Medioevo e primo Cinquecento). L’obiettivo è quello di ricostruire le attività musicali di una delle istituzioni più importanti del viceregno spagnolo in Italia, inserendole con maggiore precisione nel contesto del periodo e mettendo in luce i rapporti tra Palermo e Napoli, in particolare con la Cappella Reale di quest’ultima. Tali rapporti prendono le mosse dal rinvenimento di documenti attestanti la circolazione di musicisti in entrambe le istituzioni, per poi addentrarsi in questioni di carattere più specifico, relative al contributo dei musici della Palatina al quadro delle cerimonie cittadine e alla loro presenza nelle istituzioni ecclesiastiche della città. In tale percorso un ruolo fondamentale verrà assegnato all’analisi delle fonti scritte, in particolare dei documenti di archivio, che risultano fondamentali per comprendere le dinamiche di produzione e consumo per periodi di cui purtroppo rimangono pochi esemplari musicali, a fronte invece di un’attività indubbiamente prolifica e fruttuosa. 2. Musica e liturgia nella Cappella Palatina fra Medioevo e Rinascimento In quanto sede del potere reale, durante il Medioevo la Cappella Palatina si era proposta quale organismo principale del territorio siciliano e tout court del meridione d’Italia, cedendo il passo in epoca più tarda soltanto alla Cappella Reale di Napoli. Sul piano politico e religioso l’istituzione palermitana era arrivata ad usurpare il ruolo egemone della Cattedrale, proponendosi come teatro principale delle celebrazioni ufficiali, oltre che centro di irradiazione culturale e musicale.9 A differenza dell’istituzione napoletana ‘gemella’, la storia della Palatina affonda dunque le proprie origini in epoche più remote, dove peraltro va collocato il suo periodo di

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  La Cattedrale riuscirà a recuperare la propria funzione di istituzione egemone a partire dalla rivoluzione del Vespro del 1282 e ancor più nel Trecento e Quattrocento, secoli che le restituiranno il ruolo effettivo oltre che nominale di Maior Ecclesia.

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massimo splendore, sia politico che culturale.10 Fondata per volere di Ruggero II nella prima metà del XII secolo, essa divenne ben presto per antonomasia il «luogo in cui la potenza del monarca sempre sottolineata dallo sfarzo delle cerimonie, ebbe nel culto, soprattutto di fronte ai sudditi, l’esplicitazione della ideologia sacrale cui la monarchia stessa si ricollegava».11 Le vicende legate alla sua edificazione costituiscono peraltro uno straordinario esempio di sincretismo all’incrocio fra tre culture: normanna, araba e bizantina. Di questo fruttuoso incontro rimane traccia concretamente visibile nella preziosa decorazione del soffitto ligneo, già conosciuta ai musicologi per la presenza di numerose immagini raffiguranti strumenti musicali della tradizione musulmana.12 Un’idea più o meno precisa dell’interazione fra musica e liturgia sulla base delle consuetudini della Palatina viene offerta dai tropari 288 e 289 della Biblioteca Nacional di Madrid, il cui contesto di utilizzo è stato ricondotto da David Hiley all’istituzione palermitana.13 L’attribuzione si 10

  Per uno sguardo generale sulle vicende storiche, artistiche e politiche della Reale Cappella Palatina di Palermo si vedano, fra gli altri, Cesare Pasca, Descrizione della Imperiale e Regal Cappella Palatina di Palermo, Palermo, M. A. Console, 1841; A ndrea T erzi, La Cappella di S. Pietro nella Reggia di Palermo, dipinta e cromolitografata da A. Terzi ed illustrata dai professori M. Amari, Cavalieri, L. Boglino e I. Carini, 2 voll., Palermo, A. Brangi, 1872; Luigi Boglino, Storia della Real Cappella di S. Pietro della reggia di Palermo, Palermo, Tip. Boccone del povero, 1894; Filippo Pottino, La Cappella Palatina di Palermo, Palermo, Amministrazione della Cappella Palatina, 1970; Stefano Giordano, La Cappella Palatina nel Palazzo dei Normanni, Palermo, Edizioni Poligraf, 1977; Benedetto Rocco, La Cappella Palatina di Palermo: lettura teologica, Palermo, Accademia nazionale di scienze, lettere e arti, 1993; William T ronzo, The medieval object-enigma, and the problem of the Cappella Palatina in Palermo, in «Word & Image: A Journal of Verbal/Visual Enquiry» 9, 1993, pp. 197-228; I d., The Cultures of His Kingdom: Roger II and the Cappella Palatina in Palermo, Princeton, Princeton University Press, 1997; La Cappella Palatina a Palermo, a cura di Beat Brenk, 2 voll. – 4 tomi, Modena, Franco Cosimo Panini, 2010. 11

  Giovanni Isgrò, Festa teatro rito nella storia di Sicilia, Palermo, Cavallotti, 1981, p. 14.

12

  Cfr. David Gramit, The Music Paintings of the Cappella Palatina in Palermo, in «Imago Musicae: International Yearbook of Musical Iconography» 2, 1985, pp. 9-59; P. E. Carapezza , La musica dipinta, in «Nuove Effemeridi» 27, 1994, pp. 80-89. 13

  Cfr. David H iley, Quanto c’è di normanno nei tropari siculo-normanni?, in «Rivista Italiana di Musicologia» 18/1, 1983, pp. 3-28. L’articolo è estratto dalla dissertazione dottorale del musicologo inglese: I d., The Liturgical Music of Norman Sicily: A Study centred on Manuscripts 288, 289, 19421 and Vitrina 20-4 of the Biblioteca Nacional, Madrid, University of London,

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basa su alcuni indizi, come ad esempio la menzione nel secondo tropario di un comes – precisamente nell’Exultet della Veglia pasquale –, identificato con Ruggero ‘il gran conte’ o con il figlio Ruggero prima dell’incoronazione a re di Sicilia. Per quanto riguarda la datazione, per la prima fonte Hiley propone la fine del secolo XI, mentre la seconda viene collocata nel 1140, sebbene la stesura vera e propria possa esser anticipata agli anni ’30 del XII secolo. Inoltre, come la maggior parte dei manoscritti liturgicomusicali afferenti all’area siciliana, anche i due tropari rivelano l’influenza della tradizione normanna e l’adeguamento alle consuetudini liturgiche del rito romano-gallicano, in particolare della tradizione di Rouen.14 I canti presenti nei manoscritti siciliani erano dunque già ampiamente diffusi in molte fonti, ma presentano varianti testuali e melodiche che evidenziano versioni tipicamente normanne. Peraltro le concordanze con altri manoscritti siculo-normanni spingono a ipotizzare la presenza di caratteristiche abbastanza omogenee, sebbene la situazione sia molto più complessa di quanto possa sembrare all’apparenza.15 In linea generale si può comunque affermare che la specificità del repertorio siculo-normanno non risieda soltanto in varianti musicali, ma anche in aspetti liturgici e repertoriali, come la serie degli alleluia per le ventiquattro domeniche King’s College, 1981 (British Thesis: D70780.82). Lo studioso tornerà sullo stesso tema in altre occasioni, sottolineando l’importanza dei codici siculo-normanni nel quadro musicale del XII secolo. Cfr. I d., Ordinary of mass chants in English, North French and Sicilian manuscripts, «Journal of the Plainsong & Mediaeval Music Society» 9, 1986, pp. 1-56; I d., The Chant of Norman Sicily: interaction between the Norman and Italian Traditions, in Trasmissione e recezione delle forme di cultura musicale, Atti del XIV Congresso della Società Inter­nazionale di Musicologia (Bologna, 27 agosto-1 settembre 1987), a cura di Angelo Pompilio et al., II: Study Sessions; VII: Tradizioni periferiche della monodia liturgica medievale in Italia, Torino, EDT, 1990, pp. 92-105. 14

  Sulla relazione con la liturgia romano-gallicana si veda Pietro Sorci, La liturgia secundum consuetudinem Panormitanae Ecclesiae nei codici conservati all’ASDPa, in Storia & Arte nella scrittura. L’Archivio Storico Diocesano di Palermo a 10 anni dalla riapertura al pubblico (1997-2007), Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di Giovanni Travagliato, Palermo, Edizioni Ass. Centro Studi Aurora Onlus, 2008, pp. 407-423. 15

  Opportunamente Giacomo Baroffio ricorda che l’influsso normanno «non deve far dimenticare che la vita liturgica medioevale è caratterizzata da intrecci relazionali non sempre individuati e spesso non più rintracciabili» (Giacomo Baroffio, La tradizione liturgico-musicale a Palermo e nella Sicilia normanna, in Storia & Arte nella scrittura cit., pp. 355370: 358).

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dopo Pentecoste e la numerosa presenza di tropi, sequenze e conductus, «tutti brani di nuova composizione sia per quanto concerne il testo poetico […] sia anche sotto il profilo musicale».16 Dell’importanza che la Palatina dovette riservare alla pratica canora e musicale sin dai primissimi anni della sua attività abbiamo ulteriori testimonianze, per quanto sporadiche e di natura indiretta. Ce lo conferma, ad esempio, l’elenco dei diritti goduti dalle autorità ecclesiastiche sulle gabelle cittadine ante 1312, dove compaiono alcuni benefici destinati al Cantor 17 (in particolare «pro indumentis», oltre a un pesce sulle tonnare di San Giorgio e Solanto «pro honore Cantorie»)18 e le donazioni riservate al Magister scolarum e agli scolari della suddetta cappella «quos idem magister docet artem Cantus et discantus delatis in panormo ad expensas curie»,19 16

  A. Ziino, I codici musicali, in Catalogo dei manoscritti liturgici della Biblioteca centrale della Regione Siciliana ‘Alberto Bombace’ – I. I Codici, a cura di Maria Maddalena Milazzo e Giuseppina Sinagra, Palermo, Regione Siciliana. Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione. Dipartimento dei beni culturali ed ambientali e dell’educazione permanente, 2006, pp. 23-25: 23. 17

  Principale sovrintendente alle attività liturgico-musicali era il Cantor che poteva svolgere anche attività didattica, occupandosi dell’apprendistato dei giovani coristi. Su questo aspetto si veda Joseph Dyer , ‘Cantor’, in New Grove, vol. 5, p. 66. Per quanto riguarda la situazione siciliana, Gaetano Moroni sottolinea: «con questo nome appellasi per eccellenza il maestro del coro, e nelle chiese cattedrali, è dignità ecclesiastica specialmente in Sicilia, dove è detto ciantro […]. Fino dai primi tempi della Chiesa i cantori erano appellati canonici cantori, cioè registrati nel canone, o catalogo di quella chiesa cui servivano. Siccome poi fu istituita in ciascuna cattedrale la scuola de’ cantori, quegli, ch’era loro prefetto, secondo la diversità de’ tempi e de’ luoghi, fu chiamato cantore, procentore, primicerio, arcicantore […]. Questo prefetto della scuola dei cantori avea un altro compagno da lui stesso istituito, e mentre il primo chiamavasi cantor vel præcentor, il secondo dicevasi succentor; […] Dice il Macri alla parola Cantor, che ad esso tocca distribuire le antifone, le lezioni, le profezie ec. Portava poi il bastone, la verga, o lo scurisco, non solo qual segno di autorità e per contenere il coro, e regolare la salmodia, come oggi fanno i maestri di cappella nel solfeggio, ma per avvertire i fedeli di comportarsi con modestia nella casa di Dio» (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, Tipografia Emiliana, 1841, vol. VIII, pp. 23-24). 18

  Acta Curie Felicis Urbis Panormi. Registri di lettere, gabelle e petizioni. 1274-1321, a cura di Fedele Pollaci Nuccio e Domenico Gnoffo, Palermo, Assessorato alla Cultura-Archivio Storico, 1982 (rist. anastatica dell’edizione del 1892), vol. I, pp. 343, 345. 19

  Ibid., p. 346.

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seguite dalla lista delle elargizioni in vino, cacio, frumento e carne a loro dovute. Di conseguenza, già a partire dal XIII secolo la Regia Curia aveva cominciato a mantenere in modo stabile una persona incaricata dell’insegnamento di canto e discanto (o ‘biscanto’) per servizio esclusivo della Real Cappella di San Pietro. In determinati periodi abbiamo anche i nomi di alcuni di questi maestri, come Andrea di Leonardo nel 1284 o Giacomo di Milazzo nella prima metà del XIV secolo.20 A differenza del Magister scolarum, il cantore aveva il compito di presiedere il coro durante le ore canoniche, conformemente alla liturgia romano-gallicana in uso nella Cappella.21 Durante il regno di Federico III d’Aragona le sue mansioni furono notevolmente ampliate, includendo la giurisdizione sulle cause civili e penali riguardanti i costituenti del corpo ecclesiastico.22 In ogni caso sin dalle origini l’amministrazione della Palatina venne concretamente esercitata dal Cantor, per quanto ufficialmente affidata all’intero Capitolo della Cappella. Il primo a svolgere il prestigioso incarico fu un certo Simone, nominato dallo stesso Ruggero nel 1140, anno che non a caso coincide con la presunta data di redazione del tro­ pario 289.23 È comunque logico mettere in relazione la nomina del primo cantore con l’introduzione del canto nella Palatina, secondo quanto ci viene suggerito dalle parole di Francesco Peccheneda: «come s’introdusse nella Chiesa il lodevol costume della salmodia e del canto […] colui il quale esser dovea il Direttore di quel sagro canto, si disse per eccellenza 20

  Cfr. Luigi Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae Divi Petri in Regio Panormitano Palatio Ferdinandi II. Regni Utriusque Siciliae Regis jussu editum ac notis illustratum, Palermo, Ex Regia Typographia, 1835, pp. 91, 93, 100, 118. 21

  A proposito del rito gallicano in relazione all’ufficio del Cantor, così scrive Francesco Peccheneda: «Egli poi non è difficile intendersi, come il Cantore di quel Collegio, Ciantro comunemente si nomini, ove si rifletta, che con un tale istituto volle il Re Ruggiero adattarsi al Rito della Chiesa Gallicana, ove il Cantore in pian volgare Chantre si appella» (Francesco Peccheneda, Dimostrazione del libero diritto collativo che si appartiene alla Corona di Sicilia sopra la Cantoria, Canonicati, ed altri Benefiz j della Regia Cappella Collegiata del Palazzo Regal di Palermo, Napoli, Stamperia Simoniana, 1761, p. CXCII). 22

  Cfr. L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., p. 177.

23

  Il nome del primo cantore è riportato da Rocco Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, a cura di Antonino Mongitore e Vito Amico, Palermo, eredi di Pietro Coppola, 1733, vol. II, p. 1358.

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Cantore; ed in alcune Chiese collegiate era egli quel solo, che come Capo e Direttore di quella sagra funzione, presedeva al Coro».24 I privilegi riservati ai membri dell’istituzione vengono confermati da altri documenti, testimoniando il numero di benefici che i sovrani continuarono a tributarle sino almeno al XV secolo. Tuttavia, proprio a partire dal Quattrocento la Palatina comincia ad attraversare una fase di progressivo declino di cui rimangono diverse attestazioni e che toccherà il proprio apice negli anni ’30 del Cinquecento. Ne troviamo riscontro il 7 gennaio 1535, quando l’imperatore Carlo V d’Asburgo – diventato da poco re di Sicilia con il titolo di Carlo II – ordinava di raccogliere informazioni sullo stato della Cappella, rilevando una situazione a dir poco disastrosa; tutti gli ecclesiastici chiamati a testimoniare concordavano infatti nel ribadire che la Cappella Reale era «mala gubernata trattata et servuta tanto di missi quanto di ogni altro officio chi quando si dichi una missa si chi bisogna inprentarisi li vestimenti […] non ch’è né cruchi né campana […] et più chi non teni lampa innanti lo Sacramento».25 Informazioni simili sono incluse nella documentazione delle Sacre Regie Visite, relazioni ufficiali che venivano stilate in occasione delle visite di controllo effettuate da regi incaricati nelle diocesi dell’isola.26 Dopo Jacopo Arnedo nel 1559, è soprattutto Francesco Del Pozzo che nel 1583 segnala la decadenza dell’istituzione e lo stato di grave abbandono dei suoi componenti, ovvero le due dignità del Cantor e Thesaurarius, tre canonici, i due personati Subcantor e Magister scolarum, quattro clerici pueri e do24

  F. Peccheneda, Dimostrazione del libero diritto collativo che si appartiene alla Corona di Sicilia cit., p. CXCI. 25

  L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., p. 207.

26

  La documentazione inerente alle regie visite per le diocesi siciliane è conservata presso l’Archivio di Stato di Palermo (ASPa), nel fondo della Conservatoria del Real Patrimonio, organismo creato agli inizi del XV secolo allo scopo di controllare e registrare le scritture contabili che avessero attinenza con il patrimonio regio e con il fisco. A partire dal 1571, alla differenziazione dei compiti fece seguito l’articolazione dell’ufficio in due sezioni distinte, da una parte la Conservatoria di registro (che include oggi le Regie Visite) e dall’altra la Conservatoria d’azienda (cfr. Pietro Burgarella – Grazia Fallico, Archivio di Stato di Palermo, in Guida Generale degli Archivi di Stato Italiani, vol. III, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, 1986, p. 303). Sulle regie visite cfr. Paolo Collura, Le sacre regie visite alle Chiese della Sicilia, «Archiva Ecclesiae» 22-23, 1979-1980, pp. 443-451.

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dici sacerdoti. Se nel passato i membri del capitolo erano soliti ricevere più di 3.000 ducati all’anno dai redditi della Regia Curia sui proventi delle antiche gabelle della secrezia di Palermo, ai tempi della visita arrivavano a percepire solo il necessario sui redditi delle gabelle «neque etiam ecclesie ministeria ut solebant exercent sed remanserunt idem ministri quodammodo solo nomine»27 e solamente officiavano i vespri e la messa cantata nei giorni dedicati a San Pietro – 29 giugno, 22 febbraio, 1 agosto – e per l’Ascensione, nella processione che era solita partire dalla Cappella. Dallo stato di decadenza dell’istituzione prende le mosse Ottavio Tiby, musicologo palermitano che nel 1952 pubblica un saggio appositamente dedicato alla musica nella Cappella Palatina,28 per poi riaffrontare l’argomento in un capitolo del suo volume incentrato sui polifonisti siciliani di Cinque e Seicento, pubblicato postumo nel 1969.29 Per molti anni l’articolo di Tiby ha costituito l’unico esempio di contributo dedicato in modo specifico alle attività in una cappella musicale palermitana, di cui viene ricostruita la storia fra XVI e prima metà del XVII secolo. L’indiscusso prestigio dell’organismo e la presenza di un fondo documentario facilmente accessibile furono i principali motivi che spinsero lo studioso a focalizzare la propria attenzione sulla Palatina. Di conseguenza, nel portare avanti la propria ricerca, Tiby decise di basarsi quasi esclusivamente sul materiale archivistico del Tribunal del Real Patrimonio, conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo, che raccoglie la documentazione prodotta da uno degli organismi di controllo e di giurisdizione più importanti del viceregno, includendo numerose tipologie di documenti (memoriali, lettere, dispacci) e le scritture contabili che gli amministratori del denaro pubblico erano tenuti a presentare ai maestri razionali.30 Tuttavia la scelta di focalizzarsi su un unico complesso documentario – per quanto imprescindibile ai fini della ricostruzione della vita musicale 27

  ASPa, Conservatoria di registro, vol. 1326, c. 566v.

28

  Ottavio T iby, La musica nella Real Cappella Palatina di Palermo, «Anuario Musical» 7, 1952, pp. 177-192. 29

  Ci riferiamo al capitolo «La Cattedrale e la Cappella Palatina di Palermo» che però non apporta ulteriori dati rispetto all’articolo del 1952. Cfr. O. T iby, I polifonisti siciliani del XVI e XVII secolo, Palermo, Flaccovio, 1969, pp. 41-46. 30

  Per un quadro generale sul fondo del Tribunale del Real Patrimonio si veda P. Burgarel– G. Fallico, Archivio di Stato di Palermo cit., pp. 302-303.

la

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nell’istituzione – ha comportato diversi errori di valutazione, come l’ipotesi che prima del 1584 le attività musicali della Palatina non fossero coltivate e che probabilmente non esistesse una cappella di musica.31 Se in assenza di precisi riscontri documentari si può ipotizzare questa situazione per la prima metà del Cinquecento, lo stesso non si può dire per l’epoca medievale, in particolare per i secoli XII-XIV, come abbiamo avuto modo di vedere nel corso di questo paragrafo. Peraltro, secondo quanto sostenuto da Tiby, lo splendore musicale della Palatina fu circoscritto ad un periodo limitato, compreso tra la fine del Cinquecento e la metà del XVII secolo, affermazione che senza ombra di dubbio va ridimensionata alla luce delle ricerche effettuate nel corso degli ultimi anni. 3. Nuovi documenti sulle attività musicali nel Cinquecento: i rapporti con la Cappella Reale di Napoli Nel corso delle campagne di indagine presso l’Archivio di Stato di Palermo, la lettura a campione di alcuni volumi del fondo del Tribunale del Real Patrimonio ha permesso di accertare come le ricerche a suo tempo effettuate dal musicologo palermitano avessero tralasciato una parte rilevante della documentazione, offrendo un quadro essenzialmente incompleto. Da questo esame sono emersi i nomi di musici aggregati alla Palatina che Tiby non aveva segnalato o ai quali non aveva conferito il giusto rilievo, suggerito dal confronto con altre istituzioni. La scoperta di nuovi documenti ha consentito, inoltre, di precisare i periodi di collaborazione dei membri della cappella musicale e di reperire informazioni su anni di cui Tiby non aveva fornito indicazioni. Tuttavia con ciò non si vuole sminuire l’importanza del contributo del musicologo e il carattere pionieristico che esso ha avuto nell’ambito della ricostruzione delle attività musicali nelle istituzioni ecclesiastiche palermitane. Di fatto le ricerche di Tiby a tutt’oggi risultano il principale strumento di cui disponiamo per seguire le vicende di uno dei più importanti organismi musicali della città, la cui parabola viene analizzata a partire dagli anni ’80 del Cinquecento fino alla prima metà del secolo successivo. Sempre a Tiby va anche il merito di avere sottolineato l’importanza che nel processo di risollevamento delle sorti musicali della Palatina spet31

  O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 179.

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tò al viceré Marcantonio Colonna, il primo a riconoscere realmente le condizioni di abbandono in cui versava l’istituzione e ad adoperarsi in modo concreto per ricostituire il nucleo musicale, fondato nel 1584 e ratificato due anni dopo tramite decreto regio.32 È interessante notare come il primo nucleo della cappella di musica risultasse formato da soldati o ‘uomini d’armi’ particolarmente dotati sul lato canoro, analogamente a quanto era accaduto a Napoli trent’anni prima, in occasione della fondazione della nuova Cappella di Palazzo. Lo stesso Diego Ortiz, primo maestro del rinnovato organismo musicale, viene definito homo de arme da Salvatore Di Giacomo, insieme ai rimanenti musici della cappella napoletana egualmente appartenenti alle milizie vicereali.33 Per quanto riguarda Palermo, l’affiliazione dei primi cantori a compagnie di soldati trova conferma nelle ricerche effettuate presso l’Archivio General di Simancas, che hanno portato alla luce alcuni documenti contenenti i mandati di pagamento destinati ai membri della Cappella Reale.34 Se la maggior parte dei mandati cita musicisti che coincidono con quelli segnalati da Tiby, di un certo interesse risulta invece l’ordine di pagamento del maggio 1584 con cui si stabilisce il compenso di cinque mesi anticipati ai cantori della cappella, tutti appartenenti alla compagnia di don Gómez de Carvajal, ma diversi dai musici che il viceré Colonna aveva scelto e nominato nel gennaio dello stesso anno.35 Nemmeno si può ipotizzare che si trattasse di musicisti aggiunti, essendo più volte ribadito 32

  Ibid., pp. 180-182.

33

  Cfr. D. Fabris, The Royal Chapel in the Etiquettes of the Viceregal Court of Naples cit., p. 162; D. A. D’A lessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana cit., p. 61. 34

  L’archivio spagnolo presenta numerosi fondi che risultano di fondamentale interesse per lo studio della storia e della cultura siciliana durante il periodo della dominazione spagnola, in particolare la sezione delle «Visitas de Italia», inclusa nel fondo del Consejo de Italia, con documenti che vanno dalla fine del XVI ai primi anni del XVIII secolo. Su questo aspetto, si veda P. Burgarella – G. Fallico, Documenti di interesse siciliano negli archivi di Simancas e Madrid, «Archivio Storico per la Sicilia Orientale» 49, 1973, pp. 111151. Per le visitas spagnole cfr. P. Burgarella, I visitatori generali del regno di Sicilia (Secoli XVI-XVII), «Archivio storico per la Sicilia Orientale» 73, 1977, pp. 7-88; Geltrude M acrì, ‘Visitas generales’ e sistemi di controllo regio nel sistema imperiale spagnolo: un bilancio storiografico, «Mediterranea. Ricerche storiche» 13, 2008, pp. 385-400. Devo la segnalazione di questi documenti ad Anna Tedesco, alla quale va il mio ringraziamento. 35

  Cfr. Appendice, Doc. 1-2.

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che inizialmente la cappella era formata da sette esecutori, numero che viene sempre rispettato sia nelle fonti citate da Tiby sia nei documenti di Simancas. Invece è possibile che in questa prima fase l’organismo fosse caratterizzato da una certa instabilità e che le nomine cambiassero di frequente, situazione che probabilmente sarebbe rimasta invariata sino all’intervento di Filippo II. Allo stesso tempo alcuni di questi cantori li ritroveremo in organico gli anni successivi, come ad esempio Bernardo Clavijo del Castillo, Juan de Palacios, Juan de Leri e Juan Domingo, mentre degli altri tre (Miguel Monente, Domingo Garcia e Juan Paulo) non abbiamo trovato ulteriori notizie. Ai primi quattro fa riferimento Ottavio Tiby, citando semplicemente Juan de Palacios e Juan Domingo, e aggiungendo qualche informazione su Juan de Leri, in un primo momento impiegato come cantore e poi incaricato di suonare il cornetto, sia alla Palatina sia presso la cappella del Senato.36 Una sorte simile sembra accomunare de Leri a Bernardo Clavijo del Castillo, sul quale Tiby si sofferma maggiormente. Appartenente alla scuola tastieristica di Antonio de Cabezón, lo spagnolo viene assoldato nel 1584 come cantore e successivamente come organista dell’istituzione, dal 1587 sino al 1588. È in questo periodo che il musicista dà alle stampe un libro di Motecta ad canendum tam quattuor, quinque, sex et octo vocibus quam cum instrumentis composita, pubblicato a Roma nel 1588.37 Molto probabilmente Clavijo de Castillo fu maestro di cappella della Palatina prima che l’incarico venisse affidato ad un altro musicista spagnolo, Luis Ruiz, nominato a partire dal 1587. Tale notizia viene desunta dalla dedica dell’edizione a stampa dei Motecta, dove è il compositore stesso a dichiarare di essere stato un tempo maestro della Cappella Reale di Palermo, forse a partire dal 1569, anno in cui viene attestato per la prima volta all’interno 36

  O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 185. L’affiliazione di Juan de Leri alla cappella musicale del Senato è attestata in Archivio Storico Comunale di Palermo, Atti del Comune 1593-1594, fol. 146. 37

  Cfr. ibid., p. 184. Su Bernardo Clavijo del Castillo si veda in particolare Felipe Pedrell , Diccionario biográfico y bibliográfico de músicos y escritores de música españoles, Barce­ lona, Tip. de V. Berdós y Feliu, 1897, pp. 367-368; Robert Stevenson, Spanish Cathedral Music in the Golden Age, Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 1961, pp. 307-309; Carmelo Erdozain, Bernardo Clavijo del Castillo: estudio biográfico de este célebre músico, «Anuario Musical» 21, 1966, pp. 189-210; Luis Robledo, ‘Clavijo del Castillo, Bernardo’, in New Grove, vol. 6, pp. 20-21.

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dell’istituzione. L’informazione risulta interessante nella misura in cui confermerebbe che già in precedenza fosse attiva una cappella di musica, per quanto in condizioni disastrate, e che almeno si praticasse l’attività musicale, considerando peraltro la collaborazione con un giovanissimo Raffaele La Valle, chiamato a riparare l’organo proprio nel 1569.38 Nella medesima direzione sembrano spingere altre informazioni, alcune delle quali segnalate dallo stesso Tiby. Ad esempio tramite Rocco Pirri veniamo a sapere che fra il 1526 e il 1536, mentre era Cantore Fernando Rodríguez, venivano assegnate 20 onze annuali alla musica della Cappella («Eo Cantore in Regia Capella extabat Musica Regiis sumptibus, cui annuae unciae viginti solvebantur»)39 cifra certamente esigua, ma che persino nel periodo di massima decadenza dimostra una pur minima attività musicale legata all’istituzione. Ben più che a esecuzioni musicali di ripiego fa invece pensare la testimonianza riportata da Adolf Sandberger riguardo al breve soggiorno palermitano di Orlando di Lasso, attestato in più occasioni ma finora non suffragato da precise evidenze documentarie. Secondo quanto scrive il musicologo tedesco, il giovane musicista – giunto a Palermo nel 1545 al seguito del viceré Ferrante Gonzaga – rimase fortemente colpito dalla sontuosità delle cerimonie che si svolgevano presso la Cappella Reale, e in particolare dalle musiche che vi risuonavano: Und es muß auch auf Lasso Eindruck gemacht haben, wenn in der schönsten Schloßkapelle der Welt, der Palatina, die feierlich-mystischen Weisen der nie­der­ländischen und spanischen Tonmeister den unaussprechlich weihevollen Raum durchfluteten; verhallend «an den Mosaiken der Decke und Wände, deren Gold bald durch die schweren Weihrauchwolken gedämpft matter erglänzte, bald heller aufleuchtete unter dem hereinbrechenden Sonnen­licht oder dem Schein zahlloser Kerzen».40

38

  ASPa, Cancelleria, vol. 424, f. 178. Ringrazio Antonino Palazzolo per avermi segnalato questo documento. 39

  R. Pirri, Sicilia Sacra cit., p. 1365.

40

  A dolf Sandberger , Orlando di Lasso und die geistigen Strömungen seiner Zeit, München, Oldenbourg, 1926, p. 14. Il riferimento a Sandberger è presente in O. T iby, I polifonisti siciliani del XVI e XVII secolo cit., p. 42.

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L’annotazione di Sandberger è senz’altro intrigante, ma in mancanza di precisi riscontri non possiamo darla per certa, così come non è chiaro da chi esattamente queste musiche fossero eseguite, se dai membri stessi della Palatina o da musicisti appartenenti ad altre istituzioni. Quale che sia la risposta a questi interrogativi, l’unico dato finora certo riguarda il menzionato decreto del 12 dicembre 1586 con il quale Filippo II fondava il nuovo organismo musicale, finanziandolo tramite la dotazione di 1.841 ducati annui sui frutti delle sedi vacanti delle chiese di Sicilia («& constituta est Musica, quibus super spoliis Sedium vacantium, aliarumque mercedum satisfiebat»).41 Nel decreto è inoltre presente un riferimento esplicito al precedente intervento del viceré Colonna, al quale viene riconosciuta l’introduzione della musica, ovvero la costituzione del primo nucleo di cantori («y entretener la musica que intiendo introdujo Marco Antonio Colonna»)42 e la loro appartenenza alle milizie del regno («por haverles tenido assì asta a ora la mayor parte de los musicos en la Infanteria y Cavalleria de este Reyno»).43 Ulteriori somme erano poi riservate all’organista e al maestro di scuola – rispettivamente 35 e 45 scudi all’anno –, «personas dignas, & idoneas» che dunque, come gli altri ministri della Cappella, dovevano essere selezionate con particolare cura in relazione al prestigio dell’istituzione e alle necessità del culto divino.44 La nomina di determinati membri – fra cui l’organista e i musici – era di competenza del viceré, come specificato ancora una volta da Rocco Pirri:45 […] & solum Thesaurarii Ecclesiae nominationem, Sacristam, & Subsacristam, ipsumque Thesaurarium, Organistam, Musicosque omnes ipse Prorex eligit, & creat. Eorum autem institutiones per Capellanum Majorem, ipsum capitulum, vel aliam Ecclesiasticam personam à Regibus electam faciebant: ab anno vero 1582. semper ab Archiepiscopo Panormitano, loci Ordinario, conceduntur. 41

  R. Pirri, Sicilia Sacra cit., p. 1365.

42

  L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., p. 216.

43

  Ibid., p. 218.

44

  Ibid., p. 216.

45

  R. Pirri, Sicilia Sacra cit., p. 1369.

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Il decreto fu reso esecutivo nel luglio 1587, ma già in precedenza troviamo notizie su musici della Palatina, sebbene alquanto sporadiche rispetto alla continuità di pagamenti che si registrerà negli anni immediatamente successivi. Infatti, dopo le indicazioni del 1584, il primo esecutore di cui si è trovato il mandato di pagamento è Vincenzo Guzman che il 22 gennaio 1586 riceveva 73 scudi e 6 tarì per il servizio di quattro mesi, per poi essere riconfermato l’anno successivo.46 A Guzman nel medesimo periodo si affiancano altri quattro ‘musici della Cappella Reale’ – Giacomo Tagliavia, Simone Manso, Mariano Carusello e Pietro Garofalo – tutti sconosciuti a Tiby, che risultano in organico il 6 febbraio del 1586.47 Ad eccezione di Simone Manso, è interessante notare come quest’ultimi fossero già attivi in altre cappelle musicali cittadine, in particolare nella Cattedrale (Giacomo Tagliavia e Pietro Garofalo compaiono come cantori dell’istituzione, tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo) ed anche nella cappella del Senato.48 Mariano Carusello viene infatti documentato come uno dei piffari della cappella dell’Universitas,49 dimostrando come l’introduzione di strumentisti effettivi nella Palatina possa essere anteriore al 1587, contrariamente a quanto suggerito da Tiby.50 In questo fervore di rinnovamento si inseriscono alcune modifiche destinate alla ‘fabbrica’ dell’edificio, in particolare l’ampliamento del pulpito, la cui installazione nel complesso viene fatta risalire alla seconda metà del XII secolo e che probabilmente fu trasformato proprio negli anni ’80 del Cinquecento. Seguendo l’ipotesi di Cesare Pasca, William Tronzo mette in relazione l’ampliamento del pulpito con la rifondazione 46

  ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 2191, c. 703v. Come sottolineato da Tiby, ‘Vincenzo Cusman’ è presente nella formazione del 30 novembre 1587, ma non riapparirà più in seguito (cfr. O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 184, n. 30). Le sue mansioni non vengono specificate, ma dal confronto con i ruoli occupati in quello stesso anno si può ipotizzare che si trattasse di un basso. 47

  ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 1030, sub data.

48

  ASPa, Notai defunti – Stanza I, vol. 12625, c. 206v.

49

  ASPa, Notai defunti – Stanza I, vol. 9428.

50

  «Nel 1590-91 compare per la prima volta fra i musici effettivi della Cappella uno strumentista: è il suonator di cornetta Giovanni di Leri, al quale s’aggiunge qualche anno dopo il suonator di trombone Lorenzo Lo Giudice, pagati il primo con scudi annui 15, il secondo con scudi 5» (O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 185).

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della cappella musicale e con la necessità di aumentare lo spazio riservato ai musicisti, essendo l’originaria struttura troppo esigua per accogliere il nuovo numero di esecutori.51 Tale numero viene esplicitato alla fine del decreto – precisamente nella sezione riservata all’entrata in vigore del provvedimento – che contiene la dichiarazione dell’organico e l’esplicitazione di alcuni nomi di musicisti. Quest’ultimi dati confermano in maniera definitiva come una parte degli esecutori già incaricati nel 1584 venisse riconfermata tre anni dopo, vale a dire Bernardo Clavijo del Castillo (nel nuovo ruolo di organista), Gabriel Carvajal (qui erroneamente citato come «Carlos Val») e Juan de Palacios (menzionato come «Iuan de Palacius Contrabajo»). Accanto al maestro di cappella «Luis de Ruis» – stipendiato con 240 ducati all’anno –, erano proprio questi tre musici a ricevere la paga più elevata, percependo rispettivamente 220, 240 e 216 ducati all’anno.52 Grazie all’intervento risolutivo del sovrano, abbiamo dunque notizie specifiche sulla composizione della cappella, costituita nel 1587 dal maestro, dall’organista, da due soprani, un contralto, due tenori e due bassi. Tuttavia sin dall’inizio il confronto tra fonti diverse ha fatto emergere notizie contraddittorie, poiché i mandati di pagamento riportano spesso i 51

  «[…] istituitasi nella regia cappella la musica da Filippo II nel 1586, allora sembra probabile essere stato ingrandito [l’ambone] per la circostanza di collocarvi l’orchestra e ce ne porge indizio la irregolarità delle riquadrature da quella parte che riguarda il r[eal] soglio, e dal lavorio degli ornati a musaico differenti dall’antico» (C. Pasca, Descrizione della Imperiale e Regal Cappella Palatina di Palermo cit., p. 97). Della stessa opinione è William Tronzo: «the eastern portion of the pulpit, that is, the slightly recessed rectangular section with the lion, shows every sign of having been added on the existing structure of the western portion, which originally must have been a simple rectangular box. […] all of these factors bespeak the expansion of the pulpit with the addition of the eastern section to the western one, which may well have occurred in the late sixteenth century when Philip II installed musicians here» (W. T ronzo, The Cultures of His Kingdom cit., p. 80). Su questo argomento si veda anche M aria Giulia Aurigemma, Palinsesto Palatina. Le arti, le trasformazioni, gli usi e i restauri da Federico II ai Savoia, in La Cappella Palatina a Palermo cit., vol. II – t. I, pp. 203-272: 213. 52

  L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., p. 217. Da queste osservazioni è necessario escludere il soprano Onofrio de Arcos poiché – come viene esplicitato nel documento – in aggiunta ai 96 scudi che riceveva all’anno come stipendio, percepiva altre somme derivanti da una «plaza muerta que tiene, a parte por sus servicius».

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nomi di ulteriori musicisti al servizio stabile dell’istituzione; già a partire dall’anno successivo, nel 1588, i musici della Palatina risultano essere in numero di tredici, con l’aggiunta di due soprani, di un contralto e di un certo Gines Lo Sano di cui però non conosciamo l’esatta mansione.53 Non solo, pure nel primo anno di effettiva attività del nuovo complesso si può rilevare la presenza di un ulteriore contralto, Christóbal Tauste, e forse anche del tenore Filippo Trapanotta, che andavano ad aggiungersi all’organico ordinario di cui parlavamo in precedenza.54 Di conseguenza possiamo affermare che non soltanto nel 1587 tutti i posti erano normalmente ricoperti – smentendo quanto sostenuto a tale proposito da Tiby55 – ma che pure la realtà dei fatti prevedeva un numero superiore di esecutori rispetto a quanto veniva documentato in via ufficiale, senza contare tutti quei musici che venivano chiamati dall’esterno per aggiungersi agli esecutori stabili della cappella musicale. Come sottolineato dal musicologo palermitano, la mancanza di dati sui cantori e strumentisti che venivano reclutati per rinforzare il complesso musicale non consente di formarci un’idea su come realmente si presentasse la Cappella nelle giornate delle grandi cerimonie e dunque di prefigurarci le musiche che vi risuonavano.56 Tuttavia è sempre attraverso la preziosa documentazione del fondo del Tribunal del Real Patrimonio che possiamo ricavare tutta una serie di altre informazioni di certo utili per fare chiarezza sull’avvicendarsi degli incarichi nella prestigiosa istituzione. Già in relazione agli ultimi anni del XVI secolo il gruppo di esecutori elencati nel saggio del 1952 risulta lacunoso e non include diversi nomi di musicisti che invece è stato possibile rintracciare attraverso indagini – seppure a campione – dei volumi del fondo archivistico. Fra i nomi finora sconosciuti di cantori che prestavano servizio presso la Palatina troviamo il già citato Christóbal Tauste (documentato fra il 1587 e il 1588), il tenore Simone Manso (attivo dal 1587 sino almeno al 1601), Gines Lo Sano (pagato insieme ai precedenti nel 1588), e ancora Giovanni Battista Vagliese soprano (dal 1592 al 1594), Francesco Furnari tenore (dal 1592 al 1595), 53

  ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 2191, cc. 703r, 703v.

54

  Ibid., c. 178r.

55

  O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 183.

56

  Ibid., p. 179.

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Rocco de Monforte contralto (dal 1592 al 1595), Giovanni Domenico Granata contralto (dal 1592 al 1597), Pedro de Valladolid contralto (dal 1593 al 1594), Giuseppe de Taglia o Italia soprano (dal 1593 al 1594), Antonio Granata mezzosoprano (dal 1593 al 1594), Juan de Medina contralto (dal 1595 al 1596). Sfortunatamente non risultano mandati di pagamento per il 1589, ma da altre fonti veniamo a sapere che proprio nell’aprile di quell’anno un compositore del calibro di Jean de Macque esprimeva forti aspettative per il posto di maestro di cappella presso l’istituzione palermitana. È quanto si può leggere nelle lettere inviate da Napoli a Camillo Norimberghi, segnalate da Friedrich Lippmann alla fine degli anni ’70:57 Ma aciò V.S. sappia il perché ch’io non le posso scrivere affermativamte, ha da saper ch’io mi ritrovo al presente molto irresoluto nel terminare il corso de la vita mia, poi che se venisse in Sicilia la resoluzione di Spagna di un benefitio che aspetta il Maestro di Capella di quel Vice Re, io sarei subito chiamato in quel loco con 25 scudi il mese di provisione, et oltra questo io son’adesso in stretta pratica per congiungermi in matrimonio con una giovane ben nata che ha più di doi millia ducati di dote, Sì che V.S. può facilmente congietturar in che laberinto io mi ritrovo al presente.

Il musicista appare ancor più determinato nella missiva seguente, datata 28 aprile 1589, dove ribadisce il desiderio di fare ritorno a Roma, ma allo stesso tempo di non voler «giocarsi il suo bel posto napoletano per prospettive romane men che certe»:58 L’amorevolissima di V.S. di 14 del presente mi è stata più che carissima scorgendo in essa il gran desiderio che ha ch’io torni a ristantiare a Roma, per il che dice che havria fatto nascere occasione per trattare di farmi havere qualche honorato apoggio con l’Ill mi Sri Suoi patroni, il che se sarà seguita mi farà 57

  Lettera di Jean de Macque a Camillo Norimberghi, 7 aprile 1589 [Archivio Caetani, n. 18694]. Riportata in Friedrich L ippmann, Giovanni de Macque fra Roma e Napoli. Nuovi documenti, «Rivista Italiana di Musicologia» 13/2, 1978, pp. 243-279: 269. Corsivi nostri. 58

  Ibidem. Lettera di Jean de Macque a Camillo Norimberghi, 28 aprile 1589 [Archivio Caetani, n. 58194]. Riportata in F. L ippmann, Giovanni de Macque fra Roma e Napoli. Nuovi documenti cit., pp. 269-270. Corsivi nostri.

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gratia di avisarmene ogni particolarità aciò che conforme alla risposta ch’io havrò da V.S. intorno a questo particolare, et dal Sor Prospero n(ost)ro circa l’organo, io possi risolvermi di andare o di restare già che il primo disegno ch’io havea fatto di andare per far riverenza alli p(ad)roni et visitare li amici, et poi tornarmene, è hormai svanito, poi che sopraggiongendo li caldi, per andar per tornare, sarebbe per ponere manifestamente la sanità in compromesso, et di questo ne è veramente stato causa, quel partito di Sicilia, et poi il matrimonio che si è trattato, et pur queste doe cose stanno ancora vive, benché quella di Sicilia è per tardar ancora un pezzo per li rispetti ch’io scrissi già a V.S., onde l’altra è per concludersi o, escludersi fra 8 o dieci giorni, et di quello che seguirà la farò avisata.

Sappiamo come andò a finire la vicenda: de Macque non divenne mai maestro della Palatina e restò invece a Napoli, dove assunse prima l’incarico di organista della Santissima Casa dell’Annunziata, poi quello di organista di Palazzo, per essere infine nominato maestro della Cappella Reale, alla guida della quale rimase dal 1599 sino al 1615.59 Relativamente alla situazione della Cappella palermitana è di grande interesse anche una lettera del 31 gennaio 1586 – la prima indirizzata a Norimberghi di cui Lippmann abbia notizia – in cui de Macque affermava di aver pranzato il giorno prima con Bartolomeo Roy (allora maestro della Real Cappella napoletana) e con l’organista del viceré (probabilmente Cristóbal Obregón) che gli avevano riferito il messaggio di un certo Carnovale, cantore castrato già affiliato alla cappella pontificia. Carnovale, in viaggio verso la Sicilia, si era soffermato alcuni giorni a Napoli e non avendo potuto trovare de Macque aveva pregato i due musicisti di fargli sapere che era atteso con impazienza in Spagna e «che quelli cantori fiamenghi della capella di Sua Maestà non volevano altro Organista» 60 se non lui. Già l’indicazione della meta aveva fatto sorgere il dubbio che il musico potesse essere uno dei componenti della cappella musicale del Real Palazzo di Palermo, identificabile con il Gabriel soprano il cui cognome viene citato in modo sempre diverso (Carloval, Carlos 59

  Cfr. D.A. D’A lessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana cit., in particolare le pp. 34-53, 101-120. 60

  Lettera di Jean de Macque a Camillo Norimberghi, 31 gennaio 1586 [Archivio Caetani, n. 4301]. Riportata in F. L ippmann, Giovanni de Macque fra Roma e Napoli. Nuovi documenti cit., p. 254.

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Val, Carvajal). Che si tratti proprio del nostro musicista, assunto a Palermo nel 1584 e presente nell’organico della Palatina nel luglio del 1587, viene definitivamente confermato dai documenti relativi alla Cappella pontificia, dove si cita il nome per esteso del musico – Gabriel Carvajal soprano eunuco61 –, a riprova della presenza di cantori castrati nell’organico dell’istituzione palermitana. Il suo nome è anche incluso nelle Osservazioni per ben regolare il coro de i cantori della Cappella Pontificia, pubblicate nel 1711 da Andrea Adami da Bolsena, che di «Gabriele Carleval» riporta la città d’origine (Cuenca, in Castiglia).62 Non sappiamo di ulteriori movimenti del Carvajal, se rimase a Palermo o se si spostò alla volta di nuovi lidi, ma soltanto che a partire dal 1592 non compare più fra i musicisti stabili della Palatina, né troviamo il suo nome fra i mandati di pagamento che finora abbiamo avuto modo di consultare. Il «benefitio» al quale Jean de Macque fa accenno probabilmente non arrivò mai e il «maestro di cappella di quel vice re», Luis Ruiz, rimase in carica fino al 1595, anno della sua morte. Nel quadro degli avvicendamenti dei maestri alla guida della Palatina va pure ad inserirsi Juan de Palacios, basso stabile della cappella dal 1584 sino al 1595. Attraverso un inedito memoriale del 1596 veniamo a sapere che l’anno precedente, alla morte di Ruiz, de Palacios aveva assunto la reggenza della cappella, smentendo dunque l’ipotesi di Tiby che considerava Sebastián Raval il diretto successore del Ruiz. Il memoriale fa riferimento ad una serie di incombenze che Juan de Palacios aveva dovuto affrontare in relazione al licenziamento di due cantori della cappella a causa della debolezza delle loro voci («por ser voces flacas»): il contralto Giovanni Domenico Granata e il soprano (o tenore) Francesco Rizzo. Entrambi pretendevano il pagamento degli arretrati, nonostante fossero già stati sostituiti dal contralto Juan de Medina, chiamato a Palermo dalla città di Napoli. Come si legge nel documento, il maestro di cappella aveva già escluso i suddetti cantori e

61

  Cfr. Francisco Guerrero, Opera Omnia – Motetes I-XXI, a cura di José María Llorens Cisteró, vol. III, Barcelona, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, 1978 («Monumentos de la música española», 36), p. 30; J.M. L lorens Cisteró, La parte del «cantus» o soprano en la capilla pontificia, «Anuario Musical» 42, 1987, pp. 81-92: 88. 62

  Cfr. A ndrea A dami, Osservazioni per ben regolare il coro de i cantori della Cappella Pontificia, Roma, Antonio de’ Rossi alla Piazza di Ceri, 1711, p. 168.

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cancellato l’assento o contratto, come ordinato sia dal viceré che dal marchese di Geraci, presidente del Regno:63 Fray Juan de Palacios teniente de la Capilla Real exercitando el officio de maestro de capilla desde el tiempo que el mastro de capilla muerto faltó se proveyeron entre este tiempo dos placas de la capilla una de contralto y otra de tenor per ser boces flacas en corendados de san Pedro del palacio el uno se llama Francisco Ricio y el otro que es contralto Juan Dominico Granata y por que los sobre dichos cantores pretenden ser pagados del tiempo pasado aviendolos yo excluido por la ordinaria de la dicha capilla por dar lugar a que este sueldo quedase en baxas para socorer con las sobre dichas baxas dos cantores que oviar de venir y por que fueron excluidos tanto por el juez de la monarchia como por orden mia mande vuestra excelencia no sean ni oidos ni admitidos a su peticion pues no tienen derecho a ello el yta suplicat.

Proprio la presenza del contralto Juan de Medina, insieme al basso Antonio Potenza, conferma i rapporti che intercorrevano fra la Palatina di Palermo e l’ambiente napoletano, in particolare i legami con la Cappella Reale, ipotizzabili ma finora non dimostrati o adeguatamente sottolineati. Antonio Potenza compare fra i cantori nominati da Marcantonio Colonna nel gennaio del 1584, ma non nel gruppo del maggio del 1584. Questo elemento va spiegato alla luce del confronto incrociato con altre istituzioni e proprio con la città di Napoli; difatti, nel luglio dello stesso anno, troviamo Potenza nella capitale del viceregno, prima fra i cantori della cappella dell’Annunziata (stipendiato con la cifra eccezionale di 7 ducati al mese) e successivamente come basso della Cappella Reale, carica che manterrà sino al settembre 1614.64 Non era certamente un caso che nel 1590 Potenza fosse uno dei pochi musici a ricevere lo stesso salario del maestro di cappella, Bartolomeo Roy, anzi conferma la sua particolare valenza esecutiva che fu spesso apprezzata dai contemporanei e di cui ci rimane la preziosa testimonianza del conte Alfonso Fontanelli: quest’ultimo il 16 settembre 1594 – nel corso della sua permanenza a Napoli come ospite di Gesualdo da Venosa – in una lettera ad Alfonso II d’Este definiva Potenza «il primo basso di Napoli che […] hà veramente 63

  ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 1452, cc. 174r, 174v.

64

  Cfr. D.A. D’A lessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana cit., p. 68.

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una bella voce, et fonda soavissimamente, né la voce sua nelle basse è punto inferiore alle alte e alle mezzane ma tutte sono egualissime ch’è una bella parte».65 Nella Cappella Reale di Napoli risulta attivo pure il contralto Juan de Medina, che ivi operò dal 1585 sino al 1590.66 A questo musico abbiamo accennato in riferimento a Juan de Palacios e alla sostituzione dei due cantori, Rizzo e Granata, nel 1595. Secondo quanto ci dicono i documenti, de Medina era subentrato ad entrambi i musicisti, percependo così uno stipendio che di fatto, fino a quel momento, era stato elargito a due cantori – rispettivamente 4 scudi al mese a Domenico Granata e 5 scudi al mese a Francesco Rizzo – per un totale di 9 scudi al mese. L’entità della cifra era senz’altro considerevole, se paragonata alla media del periodo e della cappella, ma sicuramente adeguata alla fama che il musicista doveva avere, considerando l’attività nella Cappella Reale dove pure, a quanto pare, era abituato a ricevere una retribuzione di tutto rispetto. Tutto questo viene confermato dalle parole dello stesso musicista, in una supplica non datata che egli inviava al viceré Enrico Guzmán conte d’Olivares e nella quale affermava di aver servito la Cappella Reale di Napoli per alcuni anni allo stipendio di 12 scudi al mese. Nella supplica egli ci dice che il maestro di cappella del viceré (probabilmente de Palacios) lo aveva raggiunto da Roma a Napoli per informarlo dell’incarico palermitano e che dunque aveva preso licenza dalla cappella napoletana nell’ottobre del 1595, ma che ancora non era riuscito a partire perché da due mesi era in attesa delle galee che non potevano sbarcare a causa del maltempo, per cui chiedeva al viceré di essere pagato per quel periodo:67 Juan de Medina contralto d’esta Capilla Real dice que a servido en la capilla real de Napoles algunos años con doçe escudos de salario el mes sin otras graçias particulares que los vireyes le solian haçer, el maestro de capilla de vuestra excelencia viniendo de Roma le habló en Napoles para que viniese a servir a vuestra excelencia y ansi el suplicante pidio liçençia a diçiocho de 65

  Lettera trascritta in Nino Pirrotta, Gesualdo, Ferrara e Venezia, in Studi sul teatro veneto fra Rinascimento e età barocca, a cura di Maria Teresa Muraro, Firenze, Olschki, 1971, p. 316. 66

  Cfr. D.A. D’A lessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana cit., p. 90. 67

  ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 1452, c. 175v.

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otubre 1595 que a dos meses y dias y por el mal tienpo a estado esperando las galeras que antes se ubiera venido por lo que suplica a vuestra excelencia se le hagan buenos estos dos meses y dias avendo agastado y mal vendido muchas cosas por traer su casa honorosamente y venir a servir a vuestra excelencia que lo reçevira a graçia singularisima de vuestra excelencia.

Non sappiamo come finì la questione, se il viceré accolse le richieste di Medina e quando esattamente egli fu in grado di partire alle volte di Palermo. Tuttavia grazie ai volumi delle Regie Visite, in particolare alla relazione di Filippo Jordi del 1603, sappiamo che ancora in quell’anno egli operava nell’istituzione allo stipendio di 13 scudi all’anno,68 figurando insieme a musicisti già noti a Tiby o conosciuti tramite altre fonti. Al primo gruppo appartengono Giulio Oristagno – probabilmente ingaggiato nelle vesti di organista – e Lorenzo Lo Giudice, suonatore di trombone già segnalato negli ultimi anni del Cinquecento; al secondo Mariano Ragusa e Vincenzo Cardona, entrambi attivi nella Cattedrale, Ottavio D’Apa e Girolamo Muntiliana, che collaboravano con San Martino delle Scale. Fra gli strumentisti compare anche Antonio (o Antonino) Morello, figura poliedrica di musicista che tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo collaborerà con molte istituzioni palermitane, rivestendo l’incarico di maestro di cappella della Cattedrale.69 A sorpresa ritroviamo in organico anche il tenore Francesco Rizzo, stipendiato con 9 ducati all’anno, per quanto non si possa escludere che si tratti di un musicista diverso rispetto a quello che veniva licenziato nel 1595. Infine, nella parte conclusiva del documento vengono riportati due pagamenti destinati rispettivamente al ‘nunzio’ della cappella musicale («Nuncio ipsius Cappellæ») e a colui che era incaricato di scrivere libri di musica («Scriptori librorum Musicalium»), entrambi stabilmente integrati nell’ordinaria dell’organismo.70

68

  ASPa, Conservatoria di registro, vol. 1330, c. 222v.

69

  Su Antonio Morello cfr. I laria Grippaudo, I Gesuiti e la musica a Palermo fra Rinascimento e Barocco, in Musica tra storia e filologia. Studi in onore di Lino Bianchi, a cura di Federica Nardacci, Roma, Istituto Italiano per la Storia della Musica, 2010, pp. 279-311: 292. 70

  ASPa, Conservatoria di registro, vol. 1330, c. 222v.

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4. Musica, musicisti e occasioni cerimoniali tra XVII e XVIII secolo Le indagini sulle attività musicali della Palatina condotte da Tiby presentano come punto d’arrivo la metà del XVII secolo, interrompendosi sostanzialmente con Vincenzo D’Elia e con la sua nomina a maestro di cappella nel 1636. Dopo questi anni il musicologo fa riferimento ad una situazione di declino generale, con ricadute più o meno dirette sull’istituzione. Secondo Tiby «l’epoca non è certo tra le più floride per la musica sacra; in particolare poi la nostra Cappella è da considerare in decadenza: i musici son pochi e poco zelanti; i salari, dati i tempi, sono scarsi».71 Tuttavia le precedenti osservazioni sono contraddette da una serie di notizie che denotano sì una flessione rispetto allo splendore degli anni precedenti, ma che allo stesso tempo evidenziano un’attività stabile e continuativa, avvalorata dai frequenti riferimenti in altro tipo di fonti. Peraltro già agli inizi degli anni ’90 le puntualizzazioni effettuate da Anna Tedesco avevano dimostrato che la decadenza istituzionale post-1650 fosse in realtà del tutto immotivata, o che almeno si dovesse parlare di declino sul piano culturale, ma non certamente di inattività.72 Per quanto riguarda la prima metà del Seicento, il parziale ordinamento del fondo del Tribunale del Real Patrimonio – con una numerazione provvisoria e con volumi che spesso includono documenti di argomenti e periodi differenti – impedisce per il momento di approfondire ulteriori aspetti musicali tramite l’ausilio di ricerche sistematiche.73 Sporadiche indicazioni di natura indiretta si possono trovare in altre fonti, come nel caso di Ippolito Fersini, copista della Cappella Pontificia che, stando alle annotazioni del camerlengo Orazio Griffi, intorno al 1616 era passato al servizio del viceré di Sicilia.74 Tuttavia, nonostante la temporanea assenza 71

  O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 190.

72

  Cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., p. 37.

73

  Su questi aspetti cfr. Claudio Torrisi, Per una storia del ‘Grande Archivio’ di Palermo, Palermo, Archivio di Stato di Palermo – Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica, 2009, pp. 123-125. 74

  Cfr. Jean L ionnet, La cappella pontificia e il Regno di Napoli durante il Seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento cit., p. 548. Fersini fu copista del libro corale Ms Cappella Sistina 52 della Biblioteca Apostolica Vaticana, datato 1612-1613 e contenente messe di Palestrina (cfr. Clara M arvin, Giovanni Pierluigi da Palestrina: a Guide to Research, New York, Taylor & Francis, 2002, p. 115).

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di fonti dirette, l’utilizzo di altre tipologie documentarie può risultare di grande aiuto al fine di precisare il quadro in relazione agli esecutori impiegati e alle iniziative che a partire dal XVII secolo coinvolsero la cappella musicale della Palatina. Come si può rilevare dalla citata relazione di Filippo Jordi,75 nei primissimi anni del Seicento l’organico di base era costituito dal maestro di cappella, organista, tre soprani, tre contralti, quattro tenori, quattro bassi e da una serie di suonatori o ‘instrumentari’, per alcuni dei quali è possibile indicare il rispettivo strumento musicale (trombone nel caso di Lorenzo Lo Giudice, cornetto per Julio de Leri e forse piffaro per Antonio Morello). La presenza del tenore Filippo Trapanotta nel ruolo di maestro di scuola ribadisce l’importanza che l’insegnamento del canto e della musica continuava ad avere e la necessità di avvalersi di una persona adeguata allo scopo, come probabilmente doveva anche essere nei secoli precedenti.76 Il numero totale era, dunque, di una ventina di esecutori, confermando l’incremento quantitativo che il complesso aveva subìto in modo costante a partire dall’anno della fondazione sino agli inizi del secolo successivo. Tale numero sembra mantenersi nel 1633, stando almeno al contenuto della bolla di Urbano VIII, in cui si allude all’esistenza di due organisti, oltre a «viginti Musices peritis».77 L’incremento durerà anche nel periodo seguente, come ci viene attestato dall’immancabile penna di Rocco Pirri che negli anni ’40 del XVII secolo riferisce della presenza di trenta musicisti e della dotazione di 1900 ducati annui, dunque superiore rispetto a quella prevista da Filippo II. Lo scrittore prosegue nel fornire brevi indicazioni sugli altri ministri, testimoniando il relativo benessere della Cappella:78 Praeter excellentium Musicorum ad 30. numerum Capellam, cui Magister, & eo absente locumtenens praeest, quibus annui aurei assignati sunt 1900. sunt 38. Ministri, scilicet Cantor, qui est Prima dignitas Ecclesiae […]. Item duo 75

  Cfr. Appendice, Doc. 3.

76

  ASPa, Conservatoria di registro, vol. 1330, c. 224r.

77

  L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., p. 225; A. MongiSupplementum ad notitiam Regia et Imperialis Capella S. Petri sacri Regii Palatii Urbis Panormi, in R. Pirri, Sicilia Sacra cit., pp. 1370-1379: 1371. tore , 78

  R. Pirri, Sicilia Sacra cit., p. 1369.

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Personati, Primus Subcantor, ad quem spectat chori dispositivo in diebus non canonicalibus. Secundus Magister Scholarum, ejus muneris est pueros docere: cujuslibet valor sunt unciae 24. Almutio utuntur, & praecedunt omnes ex Clero. Item octo corredati, id est choro dati, ex antiquo nomine deducti: in prima enim institutione erant Regii Capellani, qui Regiis functionibus assistebant, & dicebantur Canonici. […] Alii vero divinis officiis cantandis assistebant, ideo Chorodati sunt iidem ac Capellani de cantu.

Viceversa, al fine di avvalorare l’ipotesi sulla decadenza dell’istituzione, Tiby riporta il contenuto di un decreto dell’arcivescovo e presidente del regno Pietro Martinez Rubeo, che nel 1659 intendeva riformare l’istituzione, riducendo la compagine a tredici musicisti. Secondo gli ordini di Rubeo al maestro di cappella doveva affiancarsi in maniera ufficiale un vicemaestro, scelto fra i membri del complesso musicale. Invece, nella sezione riservata agli strumentisti, troviamo due violini, un arciliuto e un fagotto, che andavano a sostituire (o forse ad aggiungersi) agli strumenti a fiato degli anni precedenti. La presenza del fagotto era già documentata negli ultimi anni del XVI secolo, mentre il violinista Francesco Soprano e il suonatore di arciliuto Gerardo Li Rapi compaiono rispettivamente nel 1621 e nel 1652.79 In relazione al documento del 1659, Tiby fa notare l’assenza delle voci del registro medio (contralti e tenori), concludendo dunque «che nelle esecuzioni polifoniche doveva farsi ricorso ad altri cantori assoldati per l’occasione», una consuetudine che egli considera non «profittevole dal punto di vista artistico».80 Tuttavia abbiamo già visto come ai decreti ufficiali non facesse riscontro una realtà dei fatti altrettanto rigida. Al contrario, proprio negli anni ’50 e ’60 del XVII secolo l’organico della cappella appare costituito da un numero elevato di esecutori – circa venti­cinque, inclusi tenori e contralti – dimostrando come le imposizioni dell’arcivescovo non fossero state messe in pratica. Il decreto di Ru79

  Anche dal punto di vista delle presenze strumentali si può sottolineare una forte analogia con la Cappella Reale di Napoli, dove troviamo gli stessi strumenti, introdotti più o meno negli stessi anni. Fanno eccezione i violini che a Napoli compaiono in organico in tempi precoci, ovvero già nel 1594, costituendo un caso eccezionale nel panorama musicale europeo di fine Cinquecento. Cfr. D.A. D’A lessandro, Giovanni de Macque e i musici della Real Cappella napoletana cit., pp. 83-84. 80

  O. T iby, La musica nella Real Cappella Palatina cit., p. 191.

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beo costituisce invece prova indiretta del numero sostanzioso di musici che a metà Seicento la Palatina comprendeva, creando malfunzionamenti nel servizio divino dovuti soprattutto a questioni di mancanza di puntualità. A questa situazione l’arcivescovo volle metter riparo riducendo il numero degli esecutori, tentativo che a quanto pare fallì miseramente:81 Haviendo mostrado la experiencia quan mala assistida, y servida es la Capilla di S. Pedro desse Palacio en el servizio dela musica para los divinos officios, que en ella se celebran, por que esto procede del mucho numero, que hay, los quales teniendos cortos salarios, no acuden con la puntualidad, que deven faltandose en esto a lo que S. M. (Dios guarde) tien mandado, […] he resuelto reducir los musicos al numero fixo, y señatarles salario competente, paraque con esto ne dexen de cumplir con sus obligaciones, y dar forma alo que se deve observar por lo venidero […].  

All’interno del medesimo decreto, di un certo interesse risultano anche le notizie relative alle sanzioni disciplinari, abbastanza utili per formarci un quadro dei servizi liturgici che i musici dovevano adempiere, sia durante il rito ordinario sia nelle feste straordinarie, con dettagli sulle ammende in relazione alle diverse inosservanze: Que el, que faltare tres vezes continuas en las fiestas ordinarias pierda el Sueldo de un mes, y en las fiestas solenes, que se suelen celebrare, el de dos. Con advertencia, quel el, que faltare asta que se haya cantado el kyrie sarà media falta, y cantado el credo, falta entera. En las visparas cantado el primero salmo sea falta, y en las quarenta horas, y assistencia de entretenimien [sic] despues de media hora, que huviere empezado la funcion, dejando a arbitrio del Iuez de la Monarquia excusar al que legitimamente le constare estar empedido sobre que darà el Chantro, o el, que governare la Capilla las ordenes convenientes, encargandoles, que hyan [sic] de tractar con modestia en las corectiones, que seles dieren.82

Ancor più specifiche sono le notizie che possiamo ricavare dal documento del 13 novembre 1685, nel quale il viceré Francisco de Benavides conte di Santisteban ribadiva le ordinazioni dell’arcivescovo Rubeo, sottolineando la necessità di scegliere musici adeguati (basandosi dunque sulla 81

  L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., p. 236.

82

  Ibid., p. 237.

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qualità delle voci, e non sulle pretese di coloro che esigevano una precedenza secondo il criterio di anzianità), di rinnovare il repertorio delle composizioni e di regolamentare i disservizi, analogamente a quanto nello stesso periodo avveniva nella Cappella Reale napoletana:83 1. Primeramente quedando en su rigor las ordenes despachadas por el Senor Duque de Alburquerque, que estan patentes en la Sagristia de la Capilla, se hayan de suplir las primeras, o segundas Visperas, que faltan en las festividades Canonicales, que se celebran, o en lo venidero se huvieren de celebrar. […] 3. Que el Maestre haya de repartir quales quier partes, assi leciones, passion de semana santa, como qualquiera otra parte alos musicos mas peritos, y de mejor voz, quittando el abuso delos, que pretenden ser preferidos por mas antiguos. 4. Que este ad arbitrio de la Cabeza del Coro en las festividades, octava del corpus oracion de las quarenta oras, y de mas, si se huviessen de cantar Visperas, completas, o entretenimento por la occurrencia de algun Santo, o en qualquiera otra funcion, o fiesta. 5. Que nombre el Cabildo un deputado, paraque con su assistencia haya de hazer executar lo sobre dicho, a quien el Maestre, y musicos deban obedecer, attendiendo principalmente a renovar las composiciones, sesun parecure [sic] necessario, paraque no se cante siempre una misma cosa.84

In questi anni i rapporti fra Palermo e Napoli diventano sempre più fitti, sviluppandosi su diversi livelli e in relazione a più generi musicali. Si pensi alla menzionata questione della prima diffusione del melodramma in Sicilia, caratterizzata dalla presenza di titoli già messi in scena nella capitale del viceregno. I melodrammi che probabilmente vennero composti per primi da musicisti locali furono invece L’Elena – messa in musica nel 1661 dal celebre cantante e compositore Marc’Antonio Sportonio di origini bolognesi, giunto a Palermo nel 1652 e affiliato alla Cappella Palatina – e Il Tito, rappresentato nel 1668 con musiche di Antonino Binitti, maestro di cappella alla Palatina.85 Sia Sportonio che Binitti appartenevano 83

  Cfr. P. M aione , Il mondo musicale seicentesco e le sue istituzioni: la Cappella Reale di Napoli (1650-1700) cit., pp. 320-321. 84

  L. Garofalo, Tabularium Regiae ac Imperialis Capellae Collegiatae cit., pp. 244-245.

85

  Cfr. A. T edesco, Francesco Cavalli e l’opera veneziana a Palermo cit., pp. 210-211.

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all’Unione dei Musici di Palermo, congregazione fondata ufficialmente nel 1679, ma già esistente nel 1653 e forse in forma embrionale alla fine del Cinquecento, come testimoniato indirettamente dal canonico Antonino Mongitore e dalla dedica del primo libro di madrigali a 6 voci di Giulio Oristagno.86 Il contributo dell’Unione dei Musici per l’introduzione del melodramma a Palermo è stato sottolineato più volte e da diversi studiosi. Anche relativamente a questo aspetto è possibile riconoscere uno stretto legame con Napoli e con i tanti sodalizi che in quella città erano sorti a metà secolo, seguendo il modello corporativo iberico.87 Sappiamo infatti che all’Accademia napoletana degli Armonici era affiliato Francesco Bevilacqua, detto Ponzano, che fu tra gli interpreti della Flavia imperatrice, 86

  Ad occuparsi delle vicende dell’Unione dei Musici a Palermo sono stati R. Pagano in Le origini ed il primo statuto dell’Unione dei Musici intitolata a Santa Cecilia in Palermo, «Ri­ vista Italiana di Musicologia» 10, 1975, pp. 545-563 e più recentemente Umberto D’A rpa (Notizie e documenti sull’unione dei musici e sulla musica sacra a Palermo tra il 1645 e il 1670, in Musica e attività musicali in Sicilia nei secoli XVII e XVIII cit., pp. 19-36), A. T edesco (Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., pp. 9-36) e G. Collisani (I musici del ‘primo atrio del paradiso’, «Regnum Dei – Collectanea Theatina» 49, 2003, pp. 129-137). Stando alla testimonianza di Antonino Mongitore, sembrerebbe comunque che un’Unione di Musici esistesse già nel XVI secolo e che originariamente avesse sede nell’antica chiesa di San Gregorio al Capo, notizia tratta dai Lustri storiali degli Scalzi Agostiniani (lus. 4, n. 29, f. 52), opera del padre Giovanni Bartolomeo da Santa Claudia. Ad ulteriore riprova di tale ipotesi sta anche la testimonianza di Giuseppe Ottavio Pitoni in relazione al Primo libro di madrigali a 6 voci di Giulio Oristagno, stampato a Vene­zia fra il 1583 e il 1586, in cui il suddetto compositore risulterebbe maestro di cappella «dell’Accademia degli Uniti della città di Palermo» (Giuseppe Ottavio Pitoni, Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica, ed. moderna a cura di Cesarino Ruini, Firen­ze, Olschki, 1988, p. 213). Questa affermazione viene decisamente rifiutata da Ottavio Tiby, il quale afferma che «a Palermo non esistette mai un’Accademia degli Uniti, né era usanza delle accademie siciliane avere una propria cappella musicale», ag­g iungendo inoltre che, poiché gli Uniti si trovavano a Napoli, è necessario ipotizzare un impiego dell’Oristagno fuori dell’isola o un errore di indicazione del Pitoni (O. T iby, I poli­fonisti siciliani del XVI e XVII secolo cit., p. 67). 87

  Sulle corporazioni di musici a Napoli si veda D. Fabris, Istituzioni assistenziali e congregazioni di musici a Napoli e nell’Italia meridionale durante il viceregno spagnolo, in Confraternite, chiesa e società, a cura di Liana Bertoldi Lenoci, Fasano, Schena, 1994, pp. 779-800; I d., Strumenti di corde, musici e congregazioni a Napoli alla metà del Seicento, «Note d’Archivio» 1, 1983, pp. 63-110: 74-80; A ngela Fiore , La Cappella di Santa Cecilia dei Musici di Palazzo di Napoli. Nuove acquisizioni dall’Archivio del Conservatorio della Solitaria, «Fonti Musicali Ita­ liane» 17, 2012, pp. 25-44.

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rappresentata al Teatro Rodino di Palermo nel 1669, e nel 1680 tra i fondatori dell’Unione palermitana.88 Le relazioni con Napoli emergono pure nei generi della serenata e dell’oratorio (quest’ultimo chiamato in Sicilia dialogo in musica) e quasi sempre, come nel caso del melodramma, si riallacciano alle attività e ai musicisti della Cappella Palatina. Per quanto riguarda la seconda metà del Seicento, informazioni approfondite sugli organici dell’istituzione le dobbiamo ad Anna Tedesco, che nel suo studio sul Teatro Santa Cecilia e sul Seicento musicale palermitano ha analizzato diversi documenti del fondo Conservatoria di registro, ricostruendo la formazione della Cappella dal 1655 al 1681.89 I dati raccolti rivelano complessi numericamente corposi e costituiti da validi esecutori, fra i quali Giacinto Quesada, Giuseppe Dia, Antonino Benitti, Marc’Antonio Sportonio, protagonisti indiscussi della vita musicale cittadina e compositori di melodrammi, oratori, mottetti e serenate. Molti dei membri della Palatina facevano capo alla già citata Unione dei Musici: lo stesso Benitti fu tra i fondatori dell’Unione e Baldassarre Gonzales, strumentista alla Cappella Reale, una delle figure più importanti per la nascita del nuovo Teatro di Santa Cecilia.90 Gonzales apparteneva peraltro ad una florida famiglia di musicisti, di cui rimangono diverse attestazioni documentarie. Ad esempio nel gennaio 1647 Dorotea Gonzales vedova di Vincenzo pubblicava l’inventario del marito, dichiarando di dover riscuotere91 stipendium curiae dicto condam Vincenzo debitum et maturatum et non solutum veluti musico reali Cappellae Sancti Petri in Sacro Regio Palatio huius urbis nec non etiam stipendium dicto condam Vincenzo debitum ab universitate huius urbis tamquam magistro cappellae et musico musicae dictae universitati […].

88

  Cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., p. 21.

89

  Cfr. ibid., pp. 36-55.

90

  Su Baldassarre e Vincenzo Gonzales in relazione alla costruzione del Teatro Santa Cecilia cfr. ibid., in particolare il paragrafo «Nuovi documenti: il memoriale inedito di Vincenzo Gonzales», pp. 71-79. 91

  ASPa, Notai defunti – Stanza V (serie II), vol. 4, c. 331r.

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Vincenzo aveva nominato suoi eredi le figlie femmine e i due maschi, Baldassarre e Gaspare, quest’ultimo documentato come violinista della Palatina fra il 1655 e il 1681.92 Il primo era invece suonatore di cornetto, sempre integrato nell’organico ordinario della Cappella Reale, sebbene i libri contabili del convento di San Domenico attestino un certo «Baldassaro Conzales» suonatore di viola ingaggiato insieme a Vincenzo e Gaspare, rispettivamente primo e secondo violino, in occasione delle Quarantore del 1643.93 Come il padre, anche Baldassarre riuscirà ad ottenere il posto di maestro di cappella del Senato, dove nelle vesti di ‘instrumentario’ opererà il figlio Vincenzo, violinista affiliato alla Palatina negli ultimi anni del XVII secolo.94 Spesso i membri della cappella musicale della Palatina erano imparentati tra di loro, come testimonia un documento dell’1 aprile 1650 nel quale il suddetto Baldassarre e Onofrio Matrascia si accordavano per dividersi la piazza di ‘musico della Cappella Reale di San Pietro’ del defunto Sigismondo Matrascia, zio del primo e padre del secondo (cfr. Appendice, Doc. 4). Anche Onofrio apparteneva ad una dinastia di musicisti, nella quale possiamo annoverare Cesare Matrascia, musico del Senato nella seconda metà del XVI secolo,95 Gaspare Matrascia, cantore e musico della Cattedrale attestato nel 1604,96 e ancora Bartolomeo Matrascia, membro dell’Unione alla fine del Seicento, Oliviero Matrascia, contralto della Palatina attivo agli inizi del Settecento e Francesco Matrascia, citato fra i musici firmatari di un documento del 1767.97 Il 16 giugno 1647 la sorella di Baldassarre, Anna Maria Gonzales, sposerà Cesare Nascia (o Nasca), suonatore di cornetto della Palatina,

92

  Cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., pp. 44-55.

93

  ASPa, Corporazioni Religiose Soppresse, Convento di San Domenico, vol. 578, c. 9r.

94

  Anche l’altro figlio di Baldassarre, Ferdinando Gonzales, era musicista. Egli infatti compare nella lista dell’Unione palermitana tra il 1680 e il 1699. Cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., pp. 245-253. 95

  Cfr. ASPa, Notai defunti – Stanza I, vol. 9428.

96

  Cfr. ASPa, Notai defunti – Stanza I, vol. 12625, c. 553v.

97

  Su questi ultimi tre musicisti cfr. sempre A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., pp. 53, 229, 254.

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aggregato all’Unione dei Musici come i precedenti Gonzales.98 Lo stesso rito si consumerà anni dopo, quando Anna Gonzales figlia di Baldassarre si unirà in matrimonio ad un ulteriore esponente della famiglia Nascia, Antonino, strumentista del Senato e membro della congregazione dei musici tra 1696 e 1698.99 Le precisazioni sui legami familiari fra i musicisti della Palatina non vogliono essere fine a sé stesse, ma confermano la presenza di un forte senso di appartenenza corporativa, riflessa non soltanto nella costituzione dell’Unione, ma anche negli intricati rapporti di parentela fra alcuni clan che si proporranno quali protagonisti della vita musicale palermitana tra XVII e XVIII secolo. Sebbene in questo periodo i contatti con la Cappella Reale di Napoli sembrino essere meno diretti, alla fine del Seicento il compositore che più di tutti esercita il proprio monopolio nella vita musicale delle rispettive città è Alessandro Scarlatti, com’è noto maestro alla Cappella Reale di Napoli dal 1684 al 1702 – con una pausa nel 1688-1689 – e poi ancora a partire dal 1708.100 Una connessione diretta e sicuramente significativa si può individuare a fine Seicento fra la Cappella Palatina e la rappresentazione palermitana del Pompeo (avvenuta nel 1690), nel cui libretto per la prima volta compare il nome del compositore nella dicitura «maestro di cappella della Reale di Napoli».101 Molti dei cantanti ingaggiati per quest’opera risultano affiliati alla cappella musicale della Palatina, fra cui il tenore Felice Mastrangelo che cinque anni prima si trovava a Napoli, nel ruolo di Orismondo per l’opera di Francesco Provenzale Diffendere 98

  Cfr. ASPa, Notai defunti – Stanza V (serie II), vol. 4, c. 692r.

99

  Come il padre e il suocero, probabilmente anche Antonino Nascia era suonatore di cornetto, secondo quanto si può ipotizzare da una clausola del testamento di Baldassarre Gonzales che lasciava al genero «tutti li cornetti ed un soprano ben visto a detto di Nascia, e questo pro bono amore». ASPa, Notai defunti – Stanza V (serie II), vol. 677, c. 565v. Il documento è riportato in A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., pp. 157-160. 100

  Su Alessandro Scarlatti rimandiamo a R. Pagano, Scarlatti, Alessandro e Domenico: due vite in una, Milano, Mondadori, 1985. 101

  Il Pompeo. Drama per musica del signor Nicolò Minato da rappresentarsi nel Teatro di questa felice città di Palermo nel presente anno 1690, Palermo, Anglese e Varese, 1690. Cfr. Sartori, n. 18945. Sul Pompeo cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., pp. 17-18, 266-267; E ad., Francesco Cavalli e l’opera veneziana a Palermo cit., pp. 231-232.

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l’offensore, overo La Stellidaura vendicata ripresa al teatro dei Fiorentini nel 1685.102 Fra gli interpreti del Pompeo spiccano i nomi di altri membri della Palatina, quali Giuseppe Saliceti «contralto della cappella reale di Sicilia», Giuseppe Acciaro «basso della cappella di detta catedrale di Palermo» e Giuseppe del Pane «basso della cappella reale di Sicilia». Ad essi si affiancano Pietro Antonio Fidi e Paolo Chirico, entrambi affiliati alla cappella del Duomo di Monreale,103 Nicola Travaglia nel ruolo di Farnace104 e due interpreti femminili, Rosa Russo e Rosa di Palermo, rispettivamente nel ruolo di Issicratea e Giulia.105 Alla fine dell’elenco compare anche Giovanni Battista Granara, contralto della Palatina, definito in altre fonti «virtuoso del viceré Uzeda».106 Dall’analisi di ulteriori documenti si è scoperto che Granara era presente a Monaco negli anni ’80 del Seicento, probabile interprete di alcune opere di Agostino Steffani e incluso fra i musici di prima classe della città insieme ad un altro Granara, Giovanni

102

  Si veda, ad esempio, Benedetto Croce , I teatri di Napoli. Secolo XV-XVIII, Napoli, Pierro, 1891, p. 191. Mastrangelo si era formato presso il Conservatorio della Pietà dei Turchini, come annota Vittorio Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli, Guida Editori, 1969, p. 204. 103

  Pietro Antonio Fidi figura anche nell’organico della Palatina fra il 1694 e il 1701 (cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., p. 53). 104

  Travaglia potrebbe essere identificato con l’omonimo cantore presente nella cappella laureatana dall’aprile 1696 al maggio 1732 (cfr. Paolo Paoloni, Musica e musicisti nella Basilica di San Nicola a Tolentino. Secoli XIV-XVIII, Firenze, Nerbini, 2005, p. 277). 105

  Le due cantanti erano nel cast del Ricimero re dei Vandali, rappresentato l’anno precedente «nel teatro di questa Felice Città di Palermo». Si tratta dei primi riferimenti a interpreti femminili in opere palermitane, ad eccezione di Antonia Rotina – moglie dell’impresario Pietro Rodino – che già era apparsa sulle scene nel 1669 come cantante principale de La Flavia imperatrice, libretto di Francesco Beverini e musiche di Marc’Antonio Sportonio (cfr. A. T edesco, Francesco Cavalli e l’opera veneziana a Palermo cit., p. 216). Il Beverini definisce Antonia Rotina «portento de’ nostri tempi» che espresse «nel personaggio la costanza del proprio animo e le oneste prerogative della sua virtù» (Giovanni Sforza, F. M. Fiorentini ed i suoi contemporanei lucchesi. Saggio di storia letteraria del secolo XVII, Firenze, F. Menozzi, 1879, p. 394). 106

  Informazioni su Giovanni Battista Granara sono presenti in A. T edesco, La serenata a Palermo alla fine del Seicento e il duca d’Uceda cit., pp. 578-580.

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Agostino.107 Dopo essere documentato a Palermo fra il 1690 e il 1695, nel 1696 il cantante si licenzia dalla Palatina e nel 1700 lo troviamo proprio a Napoli, nel cast dell’Odoardo, opera di Alessandro Scarlatti rappresentata al Teatro San Bartolomeo.108 Tuttavia a partire dalla metà del Seicento il legame fra le due Cappelle Reali si esplicita non tanto negli spostamenti dei musicisti da un’istituzione all’altra, quanto nell’organizzazione dei due complessi musicali e nei rapporti di quest’ultimi con le chiese conventuali e monastiche delle rispettive città. Per questioni di rappresentanza e visibilità politica, in occasioni particolarmente solenni il viceré ‘faceva cappella reale’ nelle più prestigiose istituzioni ecclesiastiche, portando con sé i musicisti della Palatina. Lo stesso avveniva a Napoli, soprattutto nelle istituzioni di regio patronato, così come all’interno dei monasteri femminili.109 Sfortunatamente le attestazioni palermitane risultano più esigue, ma non per questo meno degne di considerazione, nella misura in cui danno con­ferma del prestigio di cui tali musicisti godevano e che li rendeva particolarmente ambìti dagli ordini religiosi. È quanto si evince dalla documentazione del convento di San Domenico, in particolare durante l’Epifania, quando troviamo diversi pagamenti annotati dai primi anni del Seicento e giustificati dall’intervento della massima autorità durante la celebra­ zione del mattutino. Oltre ad acquisti di carta rigata per responsori, informazioni sul trasporto di strumenti e interventi dei piffari del Senato,

107

  Cfr. Colin T imms, Polymath of the Baroque: Agostino Steffani and his Music, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 33-34. 108

  Cfr. A. T edesco, Il Teatro Santa Cecilia e il Seicento musicale palermitano cit., p. 83.

109

  Queste osservazioni derivano da una serie di conversazioni e scambi di idee con Angela Fiore, sviluppatisi in seno al Colloque International «Musique de la foi, musique du pouvoir: musiques religieuses d’apparat dans les cours régnantes d’Europe au temps de Louis XIV» (Versailles, Centre de musique baroque de Versailles, 11-13 aprile 2013). In quell’occasione i confronti fra contesto napoletano e palermitano hanno portato a conclusioni simili, rilevando forti analogie sulla questione del rapporto fra Cappelle Reali e istituzioni religiose. I primi risultati di questo lavoro di comparazione sono con­fluiti in un joint paper intitolato Musica nelle istituzioni religiose del meridione d’Italia: ipotesi di confronto fra le Cappelle Reali di Napoli e Palermo, presentato al «III Encontro Nacional de Investigação em Música (ENIM 2013)» della Sociedade Portuguesa de Investigação em Música (Cascais, Palácio da Cidadela, 1-3 novembre 2013).

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le fonti archivistiche registrano il contributo dei musici del viceré, fra cui due cantori castrati nel 1622 e ben quattro per la celebrazione del 1623, unici casi finora riscontrati nei libri contabili delle chiese palermitane (cfr. Appendice, Doc. 5). A riprova dei fitti rapporti con i dominatori spagnoli, e ancora una volta seguendo il modello di Napoli, i maestri della Palatina furono inizialmente di origine iberica e successivamente quasi sempre italiani, imponendo una lunga tradizione che affonda le radici nel XVI secolo. Dopo infatti Bernardo Clavijo del Castillo, Luis Ruiz, Juan de Palacios e Sebastián Raval, nel XVII secolo troviamo Vincenzo Gallo, Cornelio Drago, Vincenzo D’Elia, Antonio Benitti e Giuseppe Dia, affiancati da due soli spagnoli, Giacinto e Francesco Quesada; il primo prenderà il posto di D’Elia, rimanendo in carica sino alla morte nel 1690.110 Di Giacinto Quesada abbiamo notizia tramite la relazione di Girolamo Matranga, dedicata alla descrizione dei funerali di Filippo IV, che ebbero luogo nel 1666 nella Cattedrale di Palermo con l’accompagnamento delle musiche del compositore spagnolo.111 Rimangono anche alcuni libretti di sue opere, come l’Orontea, «dramma musicale composto in musica dal Signor D. Iacinto Chesada Maestro della Cappella Reale del Regno di Sicilia» su testo di Benedetto Sportonio, rappresentato nel 1657 al teatro dello Spasimo di Palermo.112 A tutt’altro contesto si riferisce, invece, il libretto de Il sacrificio di Abramo, stampato a Roma nel 1648, la cui dedica è appunto 110

  Il 4 Iuglio 1690 entra in servizio Antonio Benitti, attestato fino al 1692, quando gli subentra Giuseppe Dia. Tuttavia in quello stesso anno risulta in carica anche il musicista Francesco Quesada, figlio di Giacinto, che nel libretto de La Gelidaura (Venezia, 1692) è definito «maestro della Cappella Reale di Sicilia». Cfr. Sartori, n. 11329. 111

  Cfr. Girolamo M atranga, Le solennità lugubri e liete in nome della fedelissima Sicilia nella felice e primaia città di Palermo, Palermo, A. Colicchia, 1666. Della cerimonia si è occupato U. D’A rpa, Notizie e documenti sull’unione dei musici e sulla musica sacra a Palermo cit., p. 25. 112

  Argomento dell’Orontea. Dramma musicale composto in musica dal Signor D. Iacinto Chesada Maestro della Cappella Reale del Regno di Sicilia dedicato dal dottor Benedetto Sportonio all’illus. Signor Don Giovanni Valdina Marchese della Rocca etc. rappresentato in Palermo nel famoso Theatro dello Spasimo l’anno 1657, Palermo, Pietro dell’Isola, 1657. Il frontespizio confermerebbe l’identificazione del «famoso theatro di Palermo» spesso citato nei libretti dei melodrammi palermitani del secondo Seicento con il teatro che era stato allestito nell’antica chiesa dello Spasimo, originariamente annessa ad un convento di padri olivetani e sede di rappresentazioni già a partire dalla seconda metà del XVI secolo.

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firmata da «Don Iacinto Quesada», suggerendo un suo contributo alla composizione delle parti musicali.113 Al 1659 risale invece il libretto dell’oratorio La fede di Zancla, eseguito a Palermo per la celebrazione della solennità della Madonna della Lettera e dedicato al già citato Pietro Martinez Rubeo, arcivescovo e presidente del Regno. Il testo è di Giovanni Battista Romano Colonna, appartenente all’Accademia messinese della Fucina, e Giacinto Quesada viene citato ancora una volta come «maestro della cappella reale di questo regno di Sicilia».114 Un possibile coinvolgimento del maestro della Palatina si può anche ipotizzare per le cerimonie solennizzate nella chiesa di San Francesco d’Assisi di Palermo, in occasione della festa dell’Immacolata Concezione. Sia nel 1655 che nel 1656 l’anonimo commentatore annota interessanti dettagli sulla celebrazione, riferendo dell’arrivo del viceré e del suo nobile seguito, giunti ad assistere alla messa solenne interpretata da otto cori di musicisti della Cappella Reale e del Senato (più di cinquanta cantanti), situati su due piattaforme separate, con sinfonie per diversi strumenti.115 Come già accennato, il prestigio musicale della Palatina non si limitò a Cinque e Seicento, ma riguardò anche il secolo successivo, elemento testimoniato da evidenze documentarie e iconografiche che comprovano la partecipazione della cappella musicale alle cerimonie più importanti del 113

  Il Sacrificio d’Abramo. Rappresentatione tragico-comica di Lelio Palumbo (= Paolo Belli) recitata in musica et dedicata all’illustriss. et eccellentiss. sig. D. Andrea Giustiniano principe di Bassano, castellano di Castel Sant’Angelo et nipote di N.S. Innocentio P.X., Roma, 1648. Cfr. Sartori, n. 20301; Saverio Franchi, Drammaturgia romana. Repertorio bibliografico cronologico dei testi drammatici pubblicati a Roma e nel Lazio: secolo XVII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1988, pp. 282-283. 114

  La fede di Zancla. Oratorio nella solennità della festa della Sagra Lettera scritta dalla gloriosa Vergine Maria à i Messinesi. Celebrata in Palermo a 3 di giugno 1659. Del dot. D. Gio. Battista romano Colonna, Academico della Fucina detto il Focoso. Composto in musica dal sig. D. Giacinto Chesada, maestro della cappella reale di questo regno di Sicilia. Dedicata all’eccellentiss. […] D. Pietro Martinez Rubio, arcivescovo di Palermo, presidente e capitan generale in questo regno, Palermo, Nicolò Bua, 1659. Cfr. Sartori, n. 9855. 115

  Cfr. Divote dimostranze fatte dal Senato della felice città di Palermo in maggior ossequio e veneratione della Santissima Vergine Madre di Dio Maria Signora Nostra sotto il titolo della sua Immaculata Concettione, Palermo, Nicolò La Bua, 1657. Anche questa cerimonia è analizzata in U. D’A rpa, Notizie e documenti sull’unione dei musici e sulla musica sacra a Palermo cit., p. 25.

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rituale cittadino. Di una di queste rimangono due interessanti incisioni, vale a dire dell’autodafè celebrato dal Tribunale del Santo Uffizio di fronte alla Cattedrale nel 1724. La prima incisione indica precisamente il recinto dove i musicisti dovevano prendere posto «costruito in forma di grande disco, allo scopo di collocarvi le carte di musica».116 La seconda illustra la processione che fece seguito all’evento, mostrando diversi cantanti, suonatori di viola e trombettieri, tutti vestiti in modo sontuoso, a ulteriore conferma della considerazione di cui essi godevano.117 Fra le occasioni cerimoniali che a Palermo prevedevano l’organizzazione di processioni il primato spettava comunque al Corpus Domini, rivelando ancora una volta l’influenza determinante dell’immaginario festivo e rituale di ascendenza iberica. Che la Palatina riservasse particolare attenzione, anche musicale, a questo evento ce lo conferma la dotazione annua che le autorità spagnole le avevano assegnato sin dal 1603, nello specifico 10 onze stanziate «pro musica et apparato in festo processionis generalis Smii Sacramenti».118 Di conseguenza è probabile che la ‘musica’ alla quale si allude nella descrizione del 1609 fosse stata eseguita proprio dai membri della Cappella Reale, come peraltro suggerirebbe il luogo di partenza della processione:119 Si conducio il santissimo Sacramento di Sancto Petro lu Palazzu, dove ci fôro li soi autari conzati in detto piano del Palazzo, con bellissimi apparati intor116

  A. Mongitore , L’atto pubblico di fede solennemente celebrato nella città di Palermo à 6 aprile 1724 dal Tribunale del S. Uffizio in Sicilia, Palermo, Agostino Epiro, 1724, p. 16. 117

  La vexata quaestio sulla precedenza nelle processioni fu un cruccio ricorrente dei membri della Cappella Palatina, come testimoniano diversi documenti datati tra XVI e XVII secolo, facendo allusione a controversie più o meno accese con il clero della Cattedrale. 118

  Archivo Histórico Nacional de Madrid, Estado, Legajo 1858; cit. in A. T edesco, Alcune note su oratorî e dialoghi a Palermo in Sicilia, in Tra Scilla e Cariddi. Le rotte mediterranee della musica sacra tra Cinque e Seicento, Atti del Convegno internazionale di studi (Reggio Calabria-Messina, 28-30 maggio 2001), a cura di N. Maccavino – G. Pitarresi, Reggio Calabria, Conservatorio di musica “F. Cilea”, 2003, vol. I, p. 225. 119

  Aggiunte al Diario di Filippo Paruta e di Niccolò Palmerino, da un manoscritto miscellaneo segn. Qq C 48. 1606-1628, in Gioacchino Di M arzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia. Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX pubblicati sui manoscritti della Biblioteca Comunale preceduti da una introduzione e corredati di note per cura di Gioacchino di Marzo, vol. II, Palermo, Luigi Pedone Lauriel, 1869, p. 51.

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no. La processioni fu in questo modo. Primo andavano tutti li conventi, et appresso il clero, et poi diversi signuri spagnoli con la sua torcia in mano, et appresso la nazioni Catalana; e poi veniva la musica, e poi il Santissimo portato dal cardinal D’Oria nostro arcipiscopo, et appresso tutto il Consiglio et il vicerè. E ci fôro dui bellissimi artificii di foco; tutti con li intorci allumati.

Dopo Giacinto e Francesco Quesada si spezza la continuità dei maestri spagnoli evidenziata negli ultimi due decenni del XVI secolo, tanto che negli anni successivi troviamo quasi sempre nomi di musicisti autoctoni o comunque provenienti da territori italiani. Da Napoli giungerà poi a metà secolo un compositore ben noto agli studiosi, David Perez, che sarà alla guida della Palatina dal 1739 sino al 1748.120 Perez collaborò anche con un’altra prestigiosa istituzione palermitana, la cappella della Soledad, alla quale si è fatto cenno nel paragrafo introduttivo. La cappella era sede della confraternita omonima, che si distingueva per la presenza di membri appartenenti esclusivamente all’aristocrazia militare spagnola. Anche in questo caso è individuabile un legame diretto con Napoli, sia con la Congregazione di Nostra Signora dei Sette Dolori, operosa nella promozione di oratori in musica tra fine Seicento e prima metà del Settecento, sia con il Conservatorio della Solitaria.121 A Palermo, come a Napoli, il momento devozionale più importante era costituito dalla processione del Venerdì Santo, durante la quale venivano eseguiti anche brani musicali, come testimonierebbe la presenza in un inventario della Palatina di «molti improperii per uso della processione della Solità» composti proprio da Perez. Per l’istituzione il napoletano ideò anche le musiche di alcuni oratori destinati ai sabati di Quaresima, fra cui El materno amor de Maria SS. de la Soledad (datato 1739) e La passione di Nostro Signore Gesù Cristo (eseguito nel 1742).

120

  Cfr. A. T edesco, David Perez maestro di cappella a Palermo, in David Perez tra Sicilia, Penisola Iberica e Nuovo Mondo, Atti del convegno internazionale (Palermo, 16-17 luglio 2001), a cura di A. Tedesco, «Avidi Lumi» 5/14, 2002, pp. 35-45. 121

  Cfr. A. T edesco, La cappella de’ militari spagnoli di Nostra Signora della Soledad di Palermo cit., in particolare il paragrafo «Il culto di Nostra Signora della Soledad in altri centri italiani», pp. 210-222. Sul Conservatorio della Solitaria, cfr. A. Fiore , Oltre le grate: percorsi storico-musicali al Conservatorio della Solitaria di Napoli, Napoli, Turchini edizioni, 2010; E ad., La Cappella di Santa Cecilia dei Musici di Palazzo di Napoli cit., pp. 25-44.

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5. Conclusioni Da quanto detto nelle precedenti pagine risulta evidente l’importanza della Cappella Palatina per lo sviluppo delle attività musicali a Palermo, importanza che mantenne pressoché inalterata per tutto il XVII secolo e che venne rinforzata da collaborazioni con rinomati musicisti, anche in epoca più tarda. A tale ricchezza, purtroppo, non fa riscontro un’adeguata presenza di fonti musicali, oggi rappresentate da pochissimi esemplari e quasi tutti datati dopo il Settecento. Eppure un’idea delle musiche che venivano eseguite nella Cappella Palatina ci viene fornita dagli inventari, soprattutto quello del 1795 conservato nell’archivio dell’istituzione. Da questo documento, redatto alla morte di Salvatore Bertini (successore di Perez dal 1748 al 1794), sappiamo che il fondo musicale della Palatina alla fine del XVIII secolo comprendeva numerosi manoscritti, soprattutto opere di Perez stesso (oltre trenta), nonché composizioni di altri musicisti, alcuni dei quali appartenenti alla scuola napoletana, come ad esempio Gennaro Manna e Francesco Durante.122 Esattamente due secoli prima, importanti notizie su fonti musicali riconducibili al contesto d’uso dell’istituzione vengono inoltre offerte dall’inventario ereditario del già citato Luis Ruiz ‘hispanus’ che alla sua morte nel 1595 risultava in possesso di numerose stampe e manoscritti musicali (quest’ultimi ridotti in cattivo stato, con diversi fogli mancanti).123 Particolarmente interessanti sono le edizioni a stampa, tra le quali segnaliamo libri di mottetti di Ferdinando di Lasso, Francisco Guerrero e Costanzo Porta, madrigali di Maddalena ‘Fasula’ (sicuramente Maddalena Casulana), messe di Giuliano Matteo Asola, salmi e vespri di Alessandro Marino e libri di musica di Cipriano de Rore, Cristóbal de Morales, Luca Marenzio, Orlando di Lasso e di altri ancora. Quest’ultimi esempi testimoniano in modo definitivo come in mancanza delle opere musicali siano i documenti di archivio a venirci in aiuto,

122

  Cfr. Giuseppina Monteleone , Il fondo musicale della Cappella Palatina, tesi di laurea, relatore: prof. Paolo Emilio Carapezza, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Palermo, Anno Accademico 1996-1997, vol. I, p. 33 e ss. 123

  ASPa, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 1452, c. 419r e ss. L’inventario di Luis Ruiz sarà oggetto di un mio ulteriore studio di prossima pubblicazione.

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gettando luce su un panorama altrimenti incompleto. Ovviamente rimangono numerose questioni da risolvere: ad esempio quali erano i legami tra la Palatina e le altre due istituzioni di riferimento della scena musicale del periodo, il Senato e la Cattedrale? Si limitavano alla compresenza dei medesimi musicisti, talvolta anche dei maestri di cappella, oltre a collaborazioni per occasioni particolari? In che modo si strutturavano i rapporti tra i musici della Cappella Reale e le chiese conventuali e monastiche di Palermo? E quali erano le musiche che risuonavano durante le cerimonie che avevano luogo all’interno della Palatina? Per dare risposta a queste domande è senz’altro auspicabile una consultazione più approfondita di molteplici tipologie documentarie (in particolare degli atti notarili), testimoni dei meccanismi di produzione, circolazione e fruizione musicale nei secoli passati. Solo attraverso un paziente confronto tra documenti d’archivio, fonti iconografiche, relazioni e cronache possiamo sperare di ricomporre i pezzi dell’intricato mosaico, allo scopo di arricchire di ulteriori dettagli la visione d’in­ sieme che le fonti, in questi anni di ricerca, hanno formato in relazione alla vita musicale in una delle più prestigiose istituzioni del meridione d’Italia. Appendice Documento n. 1 Archivo General de Simancas, Visitas de Italia, Legajo 201-8, anno 1584. Marco Antonio Colona Duque de Tallacoz y Paliano Virreij, Lugartenente y Capitan general en este reyno Por su Magestad Spectabile Guillelmo Pugiades del consejo de su Magestad y Thesorero general en este Reyno de quales quier dineros de vuestro cargo dad y pagad, a los infrascrittos siete cantores de la capilla d’este Real Palacio que tienen sus placas en la compania de don Gomez de Carvajal quinientos y veinti cinco escudos de adoze tarines cada escudo moneda d’este Reyno que les mandamos lebrar por su sueldo de cinco meses desde primero de Abril proxime passado hasta fin de agosto primero venidero d’este presente anno 1584 con que han de dar francas en los actos de essa Regia general Thesoreria de restituir a la Regia Curia lo que dexaren de servir por muerte o por qual quiera otra causa, y lo que a cada uno se ha de Pagar os lo siguiente,

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a Domingo Garcia setenta y cinco escudos por los dichos cinco meses a razon de quinze escudos al mes sc. 75 à Juan Domingo otro tanto sc. 75 à don Juan Paulo lo mismo por la dicha razon sc. 75 à Bernardo del Castillo idem sc. 75 à Juan de Illiri ut supra sc. 75 a fray Juan de Palacios lo mismo sc. 75 à Miguel Monente otro tanto sc. 75 sc. 525 Por manera que son cumplidos los dichos quinientos y venticinco escudos que se han de dar y pagar a los dichos cantores en la manera sobra decha y tomad la dicha fianca y su carta de pago con la qual y esta mi libranca tomandola razon della Melchior Perez por el officio de veydor general de la gente de guerra castillos y fortalezas d’este reyno y siendo assentada en los libros del sueldo de su Majestad del officio del spectabile conservator come contador en este casso por Domingo de Herrera coadjutor del y con fee del dicho Perez de Como se pagaron con su intervencion mandamos que os sean recividos y passados en quenta sen otro recaudo alguno. Fecha en palermo a 8. di mayo xij.e Indictionis 1584 Marc’Antonio Colonna [margine sx:] Tomose la razon in la vedoria general / Melchior Perez [margine dx:] Assentata en lo libros de su Majestad / Domingo de Herrera [verso:] dicimo noi Domingo Garzia Joan Domingo don Joan Paulo Bernardo del Castillo Joan de Illiri fray Joan de Palacios Miguel Monente siete cantores de la Capilla Real del regio palazio haber recebido quinientos y beinte y cinco escudos cioè escuti setanta cinque per uno per il salario nostro di mesi cinque, come particolarmente, si dice per la retro scrita libranza di sua excellenza et in fede della verità se a fatto la presente fermata de le nostre mane y en palermo adì 12. di maggio 1584. Hago fee que se pagaron con mi intervencion Melchior Perez  Domingo Garcia  Giovanni Domenico  don Giovanni Pauolo  Bernardo del Castillo  Zoiane de Lerij  fray Juan de Palacios  Miguel Monente

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Documento n. 2 Archivo General de Simancas, Visitas de Italia, Legajo 201-29, anno 1584. Die xij° May xij.e Indictionis 1584 Fuit provisum et mandatum per suam eccelentiam ad relattionem spettabilis regii consilarii rationem mandati Joanni Francisci lo Cadello quod reverendissimi illustri et spectabili domini deputati regni de quibquis pecuniis proventis et proveniendis in regia deputattione tam vigore presentis attus quam ordinariae provisionis infradittorum settem musicorum capelle sacri regii palattii computatum et salariorum totius anni presentis contenti in eadem ordinaria provisione expediti dati Panormi die 21. Januarii xij.e Indictionis 1584 solvere habeant videlicet Gabrieli Carlovall Vincenzo de Gusman Vincenzo de Verardo don Philippo Trapanotto don Petro Losquos Joanni Mines et don Antonio Potentia non obstante quod predittam ordinariam provisionem aliter eis ordinetur prestiti prius in attis ditte deputationis de restituendo Regia Curia totam illam pecuniarum summam quam importaret tempus in quo forte non serviverint in dittis officiis ac de presentando certam de serviciis ab officio spectabilis con­ silieris regii patrimonii etc. […] Die xiiij° mensis Maij xij.e Indictionis 1584 Magnificus don Petrus Loscos mihi cognitus interveniens ad hec tam propio suo nomine quam procuratorio nomine infrascriptarum personarum pro summis et rathis infrascriptis videlicet ipsiusmet don Petri pro summa unciarum viginti quatuor item magnifici Grabrielis Carloval pro summa unciarum triginta duorum item Vincentii Gusman pro summa unciarum viginti quatuor item Vincentii Virardo pro summa unciarum duodecim et tarenorum viginti quatuor item Philippo Trappanetto pro summa unciarum duodecim tarenorum viginti quatuor item Joannis Mineri pro summa unciarum decem et novem et tarenorum sex item don Antonini de Potentia pro summa unciarum viginti quinque et tarenorum decem et otto virtute procuractionis fatte in attis magnifici Notarii Sebastiani de Scalisio die xvj° Januarii proximo presente presens coram nobis quibus supra nominibus ac pro summis et rathis predittis sponte dixit et confessus fuit habuisse et recepisse a dominis deputatis huius regni absentibus me notario pro eis stipulante uncias centum quinquaginta et tarenos duodecim ponderis generalis per bancum magnifici domini Joanni Jacobi Gastodengho publici campsoris huius felicis urbis Panormi renuncians cui dittis nominibus solvuntur cum interventu offitii spectabilis veditoris generalis don Didaci de Harra et offitii spectabilis consilieris uti cuntaroris pro eorum solido mensium quatuor antecipatim soluto numerando a die primo instantis mensis maij per totum mensem augusti proximo venturo anni presentis xij.e Indic­ tionis et hoc virtute eorum ordinarie illustrissimi et excellentissimi domini

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proregis huius regni datum die xij.e Indictionis instantis renuncians etc. et iuravit etc. Unde etc. Testes magnifici notarius Vincentius Pupillo Andrea de Blasio et Vincentius Trippetta […] Documento n. 3 Archivio di Stato di Palermo, Conservatoria di registro, vol. 1330. Distributio dictorum scutorum trium milium & quingentorum inter ministros Ecclesiae & musicos iuxta antiquam & novam partitionem Pro Musicis et Cantoribus qui hodie sunt infrascripti Ducati 1841. Magistro Cappellae singulis mensibus sc. 23   Supranis Francisco Dulci sc. 7 Vincentio Cardona sc. 4 Don Antonino Bufalino sc. 4   Alti Gioanni de Medina sc. 13 Rocco Monforti sc. 8 D. Mariano Ragosa sc. 6. 6.   Tenori D. Francisco Rizzo sc. 9 Ottavio Apa sc. 8 Don Aloysio la Liotta sc. 5 Jacobo Colletta sc. 4   Bassi Don Stephano Grandi sc. 6 Fratri Josepho Frisi sc. 3. 5. Hieronimo Montiliano sc. 5   Instrumentarij Julio Oristagno sc. 10 Julio de Leri sc. 16. 6. Laurenzio de Judice sc. 7 Antonio Morello sc. 7 Nuncio ipsius Cappellae sc. 2 Scriptori librorum Musicalium d. 1841

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Documento n. 4 Archivio di Stato di Palermo, Notai – Stanza V, vol. 7. Die primo aprilis 3.e Indictionis millesimo secentesimo quinquagesimo Quoniam ob mortem condam Sigismundo Matracia olim musici Cappelle realis Santi Petri Palatij huius urbis, vacat platia quam habebat dictus de Matracia, ad quam pretendunt diverse personae et precise Honofrius Matracia filius di condam Sigismundi, et Baldassar Conzales nepos di condam, et quia cogitatur dicta platia fuisse translata in personam alicuius ipsorum de Matracia et Conzales, stantibus diversis memorialibus ad eorum instantiam presentatis sue excelsitudini ser.me ideo presenti de Matracia et Conzales pro evitandis aliquibus inconvenientijs forte eveniendj in eleptione fienda in personam alicuius ipsorum deliberant ad presentum contrattum devenire modo et forma quibus infra Id circo hodie presenti die prescripto predicti Honofrius Matracia et Baldassar Conzales mihi notario cogniti presentes coram nobis sponte prorunt seque sollenniter obligaverunt et obligant unicuique eorum ad Iuricem stipulationibus, ut dicitur caso che la sudetta plazza fosse transferita in persona di detto Honofrio Matracia s’obligha detto Honofrio servire solo la sudetta Cappella reale, et dare et pagare a detto Baldassare Conzales la metà di detta plazza, non obstante che detto di Conzales non servisse la sudetta cappella, quale metà si habia di pagare del proprio modo et forma che paga la sudetta cappella durante la vita di detto di Conzales, et questo in tutto ò in parte che detta plazza fosse transferita in persona di detto Honofrio Matracia, et non aliter. Et Viceversa predictus Baldassar Conzales promisit et se obligavit et obligat dicto Honofrio Matracia stipulanti, ut dicitur caso che detta plazza fosse transferita in persona di detto Baldassare ò in tutto ò in parte detto Baldassare s’obligha servire solo la sudetta Cappella con detta plazza, et dare et pagare a detto Honofrio Matracia la metà di detta plazza del proprio modo et forma che pagherà detta Cappella non obstante che detto Honofrio non servisse detta Cappella et questo durante la vita di detto Honofrio et non aliter nec alio modo. […] caso che la sudetta plazza fosse transferita in persona di altri terzi personi in tal caso il presente contratto s’intenda casso, irrito et nullo come se mai fosse stato fatto ex pacto etc. Documento n. 5 Archivio di Stato di Palermo, Corporazioni Religiose Soppresse, Convento di San Domenico, vol. 571. [28 dicembre 1622] Dedi unzi vintuno, e tarì dudici per la musica delli novi giorni e notte di Natale videlicet à Diego unzi dui e tarì sei, tarì sei per giorno e tarì dudici la notte di Natale.

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Al basso unzi dui e tarì sei. Al contralto unzi dui e tarì sei. Al canto novi giorni unza una e tarì vintiquattro. Al sonator della rebecchina unzi dui e tarì dudici. Alli dui eunuchi di sua altezza unzi quattro, a Vincenzo di Lia unzi tre al detto di più un unza e tarì sei, un unza per l’organetto, e tarì sei per la portatura di detto et unzi dui e tarì dudici alli pifari delli galeri […] [1 gennaio 1623] Dedi tarì vinti a mastro Antonino organaro per il terzo di Gennaro [6 gennaio 1623] Dedi unzi setti e tarì dudici a Vincenzo di Lia per la Musica nella festa della Epifania, cioè unzi cinque per il matutino et unzi dui e tarì dudici per la messa la matina, et li musici furono di numero quindici, inclusi in detto numero li quattro eunuchi di sua altezza Dedi alli pifari delli galeri per regalo tarì dudici

oz. 21. 12. oz. – 20.

oz. 7. 12. oz. – 12.

José María Domínguez

Oltre il viceré: mecenatismo musicale della nobiltà di corte a Napoli alla fine del Seicento

1. Introduzione Gli ultimi tre viceré della Napoli del Seicento furono il marchese del Carpio (1683-1687), il conte di Santisteban (1688-1696) ed il duca di Medina­celi (1696-1702).1 Il mecenatismo musicale di ognuno di loro ha ricevuto rinnovata attenzione negli ultimi anni.2 Il saggio di Lorenzo Bianconi

1

  Il contestabile Lorenzo Onofrio Colonna fu viceré ad interim tra il 22 novembre 1687 ed il 20 gennaio 1688, dopo l’improvvisa morte di Carpio a Napoli. 2

  I contributi monografici più recenti relativi allo studio del suddetto mecenatismo sono: L ouise K. Stein, ‘Para restaurar el nombre que han perdido estas Comedias’: The Marquis del Carpio, Alessandro Scarlatti, and Opera Revision in Naples, in Fiesta y ceremonia en la corte virreinal de Nápoles (siglos XVI y XVII), a cura di Giuseppe Galasso, José Vicente Quirante, José Luis Colomer, Madrid, Centro de Estudios Europa Hispánica – CEEH, 2013, pp. 415446; José M aría Domínguez , Roma, Nápoles, Madrid. Mecenaz go musical del duque de Medinaceli, 1687-1710, Kassel, Edition Reichenberger, 2013 e I d., Redes y mecenaz go musical en torno a Nápoles entre 1696 y 1702, in Studi sulla musica dell’età barocca, a cura di Giorgio Monari (Miscellanea Ruspoli, 2), Lucca, LIM, 2013, pp. 145-232. Manca uno studio complessivo sul mecenatismo musicale di Santisteban ma possiamo citare, per una sintesi sul suo ruolo come mecenate artistico, gli articoli di Vicente L leó, El virrey IX conde de Santisteban (1688-1696) e di M aría José Muñoz , El IX conde de Santisteban en Nápoles, entrambi in España y Nápoles: coleccionismo y mecenaz go virreinales en el siglo XVII, a cura di José Luis Colomer, Madrid, Centro de Estudios Europa Hispánica – CEEH, 2009, pp. 445-460 e 461-480. Una visione di insieme sui tre viceré che prende le mosse dai dati dell’importante studio di L orenzo Bianconi, Funktionen des Operntheaters in Neapel bis 1700 und die Rolle Alessandro Scarlattis, in Colloquium Alessandro Scarlatti, a cura di Wolfgang Osthoff, Tutzing, Hans Schneider, 1979, pp. 13-111 e 220-227 sarà pubblicata da José M aría Domínguez , Napoli e l’opera italiana nel Seicento, in Storia della Musica e dello spettacolo a Napoli – Il Seicento, a cura di Paologiovanni Maione e Francesco Cotticelli, Napoli, in preparazione.

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sulla cronologia librettistica,3 le ricerche su Alessandro Scarlatti,4 le in­ dagini di Paologiovanni Maione e di Domenico Antonio D’Alessandro5 così come gli studi di Louise K. Stein sul marchese del Carpio6 hanno contribuito a rendere chiaro il meccanismo del mecenatismo musicale nella cornice cerimoniale, festiva e politica della Napoli di fine secolo.7 L’interesse è stato posto sugli aspetti pubblici del mecenatismo e sull’opera, in relazione alla musicologia italiana e anglosassone, interessate soprattutto alla ricostruzione dell’opera nazionale sulla base del modello commerciale veneziano, degli aspetti istituzionali ed urbani e delle biografie dei grandi compositori come Francesco Provenzale e Alessandro Scarlatti. Tuttavia, il mecenatismo della nobiltà direttamente subordinata al viceré manca tuttora di una visione complessiva che ne analizzi i diver3

  L. Bianconi, Funktionen des Operntheaters cit.

4

  Thomas E. Griffin, The Late Baroque Serenata in Rome and Naples. A Documentary Study with Emphasis on Alessandro Scarlatti, Ph. D. dissertation, University of California at Los Angeles, 1983; Roberto Pagano, Alessandro and Domenico Scarlatti. Two Lives in One, New York, Pendragon Press, 2006 (traduzione e revisione dell’originale Scarlatti Alessandro e Domenico: due vite in una, Milano, Mondadori, 1985. L’edizione aggiornata è in stampa presso la LIM di Lucca). 5

  Per l’ampia bibliografia pubblicata da Maione si rimanda a ‘Esté cierto del puntual servicio de estos sugetos, como conviene’: la Cappella reale di Napoli all’aurora del Settecento, in Domenico Scarlatti: musica e storia, a cura di Dinko Fabris e Paologiovanni Maione, Napoli, Turchini Edizioni, 2010, pp. 25-40 con riferimenti ai suoi principali contributi nelle note 2, 17 e 28; Domenico A ntonio D’A lessandro, La musica a Napoli nel secolo XVII attraverso gli ‘avvisi’ e i giornali, in Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, a cura di Lorenzo Bianconi e Renato Bossa, Firenze, Olschki, 1983 (Quaderni della Rivista Italiana di Musicologia, 9), pp. 145-164. 6

  L.K. Stein, ‘Para restaurar el nombre que han perdido estas Comedias’ cit., con riferimenti bibliografici più specifici nelle note 7, 9 e 34. 7

  Sull’argomento sono fondamentali le monografie di Dinko Fabris, Music in SeventeenthCentury Naples. Francesco Provenzale (1624-1704), Aldershot, Ashgate, 2007 e Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della ‘Gazzetta’ (1675-1768), Roma, ISMEZ, 2011, anche se quest’ultima è lacunosa per gli anni 1682-1684, 1689-1691, 1699 e 1701-1702 (comunque completati con riferimenti bibliografici). Sui problemi della «Gazzetta» come fonte storica si vedano particolarmente pp. 11-16. Il recente manuale di storia di Napoli pubblicato a cura di Tommaso A starita , A Companion to Early Modern Naples, Leiden, Brill, 2013 offre una visione complessiva del quadro politico e culturale.

OLTRE IL VICERÉ

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si processi. Le poche ricerche sulla nobiltà di corte realizzate finora restituiscono un’immagine del mecenate come specchio o come emulatore (sia per imitazione, sia per contrasto, cioè per concorrenza) del viceré nei fasti musicali. Spesso le ricerche sono state incentrate su singoli personaggi vincolati alla mainstream musicale, come il caso di Aurora Sanseverino8 (nome legato al soggiorno napoletano di Händel); su specifici festeggiamenti di grande portata musicale ma concreti, di carattere dinastico e quindi straordinario, come succede con il duca di Atri;9 e infine su personaggi conosciuti attraverso una ricca documentazione storica facilmente accessibile come ad esempio il caso dei principi di Santobuono.10 Spostare il centro d’attenzione dall’apice del governo vicereale verso la costellazione aristocratica che lo attornia consentirebbe più facilmente una visione atomizzata e decentralizzata somigliante a quella di Roma o di Venezia, dove non era presente un viceré che eclissasse la sua orbita nell’universo della musica profana. E questo renderebbe, a sua volta, più semplice il lavoro di comparazione fra le suddette città. Cosa accadeva nei palazzi della nobiltà napoletana mentre i tre viceré producevano le grandi opere di Scarlatti al San Bartolomeo? Cosa accadeva in altri spazi al margine del teatro d’opera? Prendendo le mosse da queste riflessioni, l’obiettivo di questo articolo è ricostruire casi concreti di mecenatismo nobiliare attraverso una varietà di fonti più vasta di quelle tradizionalmente adoperate per lo studio dell’attività vicereale, fornendo di pari passo un modello di ricerca che affronti problemi diversi a seconda delle fonti adoperate per ogni caso. 8

  Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Aurora Sanseverino (1669-1726) e la sua attività di committente musicale nel Regno di Napoli. Con notizie inedite sulla napoletana Congregazione dei Sette Dolori, in Giacomo Francesco Milano e il ruolo dell’aristocrazia nel patrocinio delle attività musicali nel XVIII secolo, a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 2001, pp. 297-416. 9

  L ouise K. Stein, Opera and the Spanish Family. Private and public opera in Naples in the 1680s, in España y Nápoles cit., pp. 423-443. 10

  A nnibale Cetrangolo, Il Principe di Santobuono, Viceré del Perù, e le sue committenze musicali, in ibid., pp. 529-572. Sulla famiglia Caracciolo di Santobuono si veda pure Paolog ­ iovanni M aione , Episodi di vita musicale nelle carte dell’archivio dei Caracciolo di Santo Buono, in Napoli musicalissima, a cura di Enrico Careri e Pier Paolo De Martino, Lucca, LIM, 2005, pp. 29-44.

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Le domande centrali a cui tenterò di rispondere sono: 1. Com’è l’approccio dei nobili di diverso rango alla musica nella Napoli di fine secolo? L’uso della musica dipende del rango del nobile di turno? 2. Quali somiglianze e differenze ci sono tra di loro? Il mecenatismo vicereale è il modello da loro imitato? La seconda domanda parte dall’ipotesi seguente: l’idea che abbiamo del mecenatismo vicereale dipende dalla ricerca su questi nobili ‘minori’, subordinati alla corte napoletana. Questo punto di vista è utile ancora per mettere in discussione l’immagine tradizionale del viceré come imitatore del re, e dell’aristocrazia, a sua volta, come imitatrice del viceré e dei suoi usi culturali e soprattutto musicali. Gusti e modelli sono i due concetti fondamentali di questa ricerca. Si tratta di una challenge che, come si vedrà, è stata già affrontata per la storiografia dell’arte. In questa cornice ha un senso fondamentale considerare gli scambi con Roma che consentono di approfondire lo studio comparativo del gusto musicale tra le due città. Per rispondere a queste domande mi soffermerò sulle vicende di tre nobili che esercitarono diversi tipi di mecenatismo durante l’ultima decade del Seicento: il marchese di Aitona, il conte di Lemos ed il principe di Belvedere, con speciale attenzione a quest’ultimo. 2. Musica privata per il marchese d’Aitona Guillén Ramón Moncada y Portocarrero, VI marchese d’Aitona (16721727) sposò la figlia del viceré Santisteban nel settembre 1688.11 I novelli sposi arrivarono a Napoli due mesi dopo perché lui era stato nominato capitano della Guardia, diventando per alcuni mesi nel 1690 generale delle Galere ad interim.12 Siamo quindi di fronte ad uno spagnolo, parente 11

  Nei documenti italiani si trova pure come Aytona. Le date di nascita, di morte e del matrimonio sono citate da Joseph A ntonio Á lvarez de Baena, Hijos de Madrid ilustres en santidad, dignidades, armas, ciencias y artes, Madrid, Oficina de Don Benito Cano, 1790, tomo II, pp. 380-382. 12

  L’avviso del nunzio a Madrid descrive le cerimonie di congedo di Aitona ed i preparativi del viaggio per Napoli accompagnato dalla sposa e dalla viceregina sua suocera: Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Spagna, vol. 167, fol. 544. Sull’arrivo a Napoli il 12 Novembre 1688 e la presenza della coppia nelle rappresentazioni di Il Flavio (citato più avanti) si veda A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., Appendice in CD-ROM, pp. 34-35. Documenti che dimostrano la sua attività come generale

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stretto del viceré, rimasto per poco tempo in Italia,13 con delle aspirazioni politiche limitate o in ogni caso con una carriera politica che non aveva seguito l’abituale cursus honorum in Italia.14 Si potrebbe ipotizzare che queste circostanze furono strettamente collegate con il tipo di mecenatismo musicale che egli espletò a Napoli: discreto e, dal punto di vista metodologico, difficile da documentare. La «Gazzetta di Napoli» documenta la presenza del marchese d’Aitona e di sua moglie Ana María in diverse rappresentazioni dell’opera Il Flavio, tenutesi a Palazzo Reale e al San Bartolomeo, poco dopo il loro arrivo nella città nel novembre 1688.15 Nel gennaio 1690, di passaggio a Roma verso Firenze, probabilmente assistettero entrambi all’opera La caduta del regno dell’Amazzoni.16 Ma la cosa più interessante del Marchese fu di certo la musica da camera di cui godette praticamente ogni sera del mese di agosto di 1690 nella propria stanza del Palazzo Reale di Napoli. Questi ‘concerti’ sono documentati grazie ad un «Libro de gasto ordinario y extraordinario hecho por despensa» (libro dei pagamenti sia ordinari che straordinari fatti dalla dispensa) in cui si citano le spese fatte per le candele e per i «garrafones de bebida» «al cuarto del señor marqués … por haber música» (ovvero le caraffe per la bibita portate dal signor marchese … perché c’era stata la musica).17 Dodici pagamenti di questo tipo fatti tra l’11 ed il 28 agosto delle Galere si trovano presso l’Archivio di Stato di Napoli (ASN), Segreterie dei Viceré, Viglietti Originali, busta 767 (18 maggio 1690). 13

  Nel 1694 lo si ritrova infatti presso la corte di Madrid, secondo L ouise K. Stein, Desmarest and the Spanish Context: Musical Harmony for a World at War, in Henry Desmarest (1661-1741). Exils d’un musicien dans l’Europe du Grand Siècle, a cura di Jean Duron e Yves Ferraton, Sprimont, Mardaga, 2005, pp. 75-106: p. 98. 14

  Un percorso molto diverso da quello seguito da altri spagnoli quali il IX duca di Medinaceli o il IV marchese di Balbases. 15

  Si veda la nota 12.

16

  Biblioteca dell’Ambasciata di Spagna preso la Santa Sede, fondo manoscritti depositato nella biblioteca della Chiesa Nazionale Spagnola di Roma a Via Giulia, Manoscritto 404, fol. 78; Archivio Ducale di Medinaceli (Toledo), sezione Archivo Histórico (citato d’adesso in poi come ADM, AH), filza 9, ramo 3, lettera 15. 17

  I documenti amministrativi citati si trovano nell’ADM, sezione Contadurías, Contaduría mayor, filza 1, ramo 2: 1690. Mes de Agosto. Libro de Gasto ordinario y extraordinario hecho por Despensa para serv[ici]o de S[u] E[xcelencia].

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documentano altrettanti concerti da camera avvenuti nelle stanze del marchese d’Aitona. Questo a sua volta suggerisce un gusto discreto e scelto per la musica nell’ambito privato, contrastante con lo splendore e l’ostentazione pubblica utilizzati contemporaneamente dal viceré. Infatti, alcuni documenti archivistici di questa serie riferiscono di spese fatte per la rappresentazione di una serenata a Posillipo per la festa di Sant’Anna, in occa­sione dunque dell’onomastico sia della regina madre, Marianna d’Austria, che della novella sposa del re Carlo II, Marianna di Neoburgo. Da essi ci è dato sapere che i mu­sicisti si recarono a bordo di una feluca da Santa Lucia fino alla ‘tartana’, indicando probabilmente con questo termine un’altra imbarcazione o una sorta di teatro marittimo allestito presso la riviera di Chiaia per le serenate fin dall’epoca di Carpio, le cui feste Santisteban cercava di imitare. Così, il 31 luglio, Don Antonio de Mata y Arnas ordinò ad Eugenio de los Ríos, maggiordomo del viceré Santisteban, di pagare18 por las falucas que sirvieron el domingo pasado para Pusilipo, nueve que fueron sirviendo a Su Ex.a, y siete que sirvieron para conducir los músicos de la Serenata de Santa Lucía a la Tartana y volverlos a la noche. Son en todas dieciséis falucas que importan a quince reales cada una venticuatro ducados.

Il dettaglio delle spese per alcuni degli operai che lavorarono per mettere a punto la ‘tartana’ aiuta ad immaginare come essa fosse:19 Mas a Cesare Barbari veinte ducados por su trabajo y materiales que ha puesto en aderezar la tartana que sirvió con la música en Pusilico, y más a Antonio Frasca por la iluminación veinte y dos ducados. A Julio Canal por el aparato que puso en dicha tartana cuatro ducados. A Francesco Franquini dorador por haber teñido la tela que cubría la tartana cuatro ducados que en todo son cincuenta ducados 18

  «Per le feluche che servirono domenica scorsa fino a Posillipo, nove che furono servendo Sua Eccellenza e sette che servirono per condurre i musicisti della serenata da Santa Lucia fino alla tartana e farvi ritorno la sera. Sono in tutto sedici feluche a quindici reali cadauna, per un importo [totale] di ventiquattro ducati». Ibid., Cuaderno de los gastos extraordinarios del mes de julio del año de 1690. 19

  «Più a Cesare Barbari venti ducati per il proprio lavoro e materiali che ha messo nell’abbellire la tartana che servì con la musica a Posillipo ed in più ad Antonio Frasca per l’illuminazione ventidue ducati. A Julio Canal per l’apparato che ha messo nella detta tartana, quattro ducati. A Francesco Franquini indoratore, perché ha tinto le tele che coprivano la tartana, quattro ducati. Il che in tutto sono cinquanta ducati». Ibid.

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Le gazzette, diari ed avvisi di quell’anno non informano della celebrazione di queste serenate marittime, il che ha indotto alcuni musicologi a pensare che non siano mai esistite: «Perhaps these financial difficulties affecting the Royal Chapel in 1690 explain the lack of any serenata sponsored by the Viceroy that summer to mark the nameday of his two Queens».20 La pubblicazione recente di uno dei libri cerimoniali della corte vicereale aiuta però a contestualizzare l’informazione desunta dalla fonte amministrativa appena citata, confermando inoltre la periodicità cerimoniale, appunto, dei viaggi marittimi verso Posillipo. Soltanto per motivi di natura straordinaria, in alcuni anni essi potevano non avere luogo. Dice quindi il cerimoniale:21 Quando si va a Posillipo con cavalieri in pubblico, senza viceregina, si devono prendere nove lance o sia no[ve] filuche, oltre della gondola di Sua Eccellenza e quella di rispetto e la filuca della Camera, nella quale va il cameriere maggiore, il maggiordomo, l’uditore generale, il tenente del maestro di campo generale ed altri gentiluomini di camera, tre filuche per i musici, una per i paggi, altra per il maestro di cerimonie, due per i soldati di guardia, una per le trombe ed altra per i rinfreschi di Sua Eccellenza, che formano il detto numero di nove filuche.

Pensando a questo, si capisce bene che riferimenti poco precisi come quello di Confuorto sulle celebrazioni per la festa di Sant’Anna del 1690 non escludono necessariamente l’esecuzione di serenate,22 allo stesso modo in cui le omissioni sulla musica sacra nei Diari e le Gazzette non escludono che essa fosse presente continuamente e dovunque a Napoli. Si tratta perciò di una dinamica istituzionale che ci invita ad essere più prudenti di quanto non siamo stati fino ad adesso con i silenzi e le omissioni delle fonti nei confronti della musica profana. 20

  Th. E. Griffin, The Late Baroque Serenata cit., p. 173.

21

  ASN, Cerimoniali, n. 1489, fol. 131r-v, citazione tratta dal Cerimoniale del viceregno spa­ gnolo e austriaco di Napoli 1650-1717, a cura di Attilio Antonelli, Soveria Mannelli, Rubettino, 2012, p. 225, senza corsivo nell’originale. 22

  «A 26 detto, mercordì, festa della gloriosa sant’Anna, Sua Eccellenza fece cappella reale alla Chiesa del Carmine con le solite formalità, per li nomi d’ambedue le regine suocera e nuora, chiamandosi Maria Anna», Domenico Confuorto, Giornali di Napoli, citato in Th. E. Griffin, The Late Baroque Serenata cit., p. 173.

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Il cerimoniale appena citato documenta un discreto numero di occasioni in cui si faceva musica da camera a carattere privato in palazzo. Ciò suggerisce che serate musicali come quelle cui abbiamo appena accennato per Aitona fossero più frequenti di quanto le fonti adoperate maggiormente ci hanno permesso d’immaginare fino ad oggi. Un esempio è il caso della musica che il viceré ordinò di disporre quasi all’improviso per la visita dei figli del duca di Neoburgo (un’occasione che si può ritenere privata, cioè senza il grido e la pubblicità che avevano le serenate all’aperto o le opere in teatro). Il cerimoniale specifica che vennero chiamati quattro musicisti della Cappella a cantare ed erano collocati nella galleria del Palazzo: «Su Excelencia [scilicet il marchese del Carpio] mandó que le diessen un poco de música, como se hiço, se tomaron quatro músicos de la Capilla y se puçieron en la galería, allí cantaron un buen ratto, oyéronle con mucho gusto y se fueron».23 Probabilmente il repertorio eseguito allora consisteva in una scelta di cantate da camera, genere preferito probabilmente anche per le serate musicali nelle stanze di Aitona. Sicuramente queste sessioni si facevano di continuo, si ripetevano senza variazioni significative ogni giorno e perciò è difficile trovarne tracce documentali. In altre parole, le fonti storiche adoperate finora per ricostruire l’attività musicale della città occultano questi spazi musicali per­ché erano così frequenti da essere una consuetudine. Un altro esempio simile, che permette ancora una volta di intravedere le numerose occasioni musicali ancora da scoprire, è rappresentato dal costume di portare i musicisti della Real Cappella presso la certosa di San Martino quando il viceré si recava a pranzo dai frati nella festa del loro patrono. Si tratta di un’occasione regolamentata anche dal cerimoniale. Altri casi sono le cantate eseguite in onore della viceregina quando essa si recava al palazzo di Stigliano per vedere la processione dei quattro altari durante l’ottava del Corpus Christi, su cui mi soffermerò più avanti.24 Senz’altro, Aitona assistette alle serenate ed alle grandi rappresentazioni pubbliche promosse dal viceré malgrado le fonti non tramandino la 23

  «Sua Eccellenza [scilicet il marchese del Carpio] ordinò che si facesse per loro un poco di musica, come poi in effetti si fece: si chiamarono quattro musicisti della Capella e si collocarono nella galleria, dove cantarono per un buon tratto di tempo, furono ascoltati con molta soddisfazione e se ne andarono», ASN, Cerimoniali, n. 1483, fol. 119r, cito attraverso il Cerimoniale del viceregno cit., p. 410. 24

  Per entrambe le occasioni si veda ibid., p. 238 oltre alla nota 72 più avanti.

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sua presenza, forse anche per la brevità del suo soggiorno napoletano. Ad ogni modo, se è vero che egli svolse la carica di capitano della Guardia del Viceré (come afferma l’avviso del Nunzio a Madrid)25 allora dovette essere investito, come accadeva fin dai tempi dell’Oñate, della responsabilità istituzionale che essa comportava nei confronti delle compagnie di Febiarmonici. Infatti, come ha rilevato D. A. D’Alessandro, è probabile che dal capitano dipendesse «la concessione della licenza all’esercizio delle attività teatrali».26 Che Il Figlio delle selve di C. S. Capece fosse dedicato ad Aitona si spiega probabilmente soltanto per essere lui all’epoca il capitano.27 Le due dediche di libretti alla moglie di Aitona, Ana María Benavides y Aragón, si possono anche spiegare come omaggi rituali, cerimoniali. Queste furono L’Anacreonte tiranno, su libretto veneziano di G. F. Bussani con musica di A. Sartorio, del 1689 e La Rosaura, ancora su un dramma veneziano di A. Arcoleo musicato da G. A. Perti, del 1690. Con una esperienza musicale come questa, non è strano che il marchese divenisse, dopo il suo rientro in patria nel 1693, protettore del violinista napoletano Jacome Chissi (o Guisi).28  







25

  Si veda sopra, nota 12.

26

  Domenico A ntonio D’A lessandro, L’opera in musica a Napoli dal 1650 al 1670, in Seicento napoletano, a cura di Giulio Pane, Napoli 1984, pp. 409-430; 543-549: p. 548, n. 220. Nella stagione 1657-58 il capitano della Guardia Alemanna è nominato come giudice per decidere nell’eventualità di un mancato accordo nella produzione di opere: cfr. Ulisse Prota-Giurleo, I Teatri di Napoli nel secolo XVII, Napoli, Il Quartiere edizioni, 2002, tomo 3, pp. 188-189. Da parte sua, L. Bianconi, Funktionen cit., p. 18, n. 72 interpreta le dediche di opere al capitano (e ad altri personaggi diversi dal viceré) come un segnale che dimostra l’impossibilità della vita teatrale pubblica a Napoli senza l’appoggio istituzionale della Corte. Non esiste ancora uno studio musicologico dedicato complessivamente a tutti i personaggi che svolsero quella carica. Il caso meglio documentato è quello di Pompeo Azzolino all’epoca di Medinaceli. Sulla sua partecipazione nella produzione delle opere si veda J. M. Domínguez , Roma, Nápoles, Madrid cit., capitolo 3. 27

  «… il medesimo Dramma si mirò anche su le Scene di Napoli con vaghissima Musica nell’anno 1689 in cui si replicò parimente la stampa, dedicata a D. Guglielmo Raimondo Moncada, e Portocarrero, Marchese d’Aytona, e Grande di Spagna», secondo Giacinto Gimma, Elogi accademici della Società degli Spensierati di Rossano, Napoli, Carlo Troise, 1703, tomo II, p. 98, citato da L. Bianconi, Funktionen cit., p. 84. Bianconi suggerisce che la rappresentazione ebbe luogo nella stagione 1689-90. Purtroppo non essendosi conservato il libretto non possiamo averne certezza. 28

  L. K. Stein, Desmarest and the Spanish Context cit., p. 98.

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In sintesi, possiamo ritenere che il mecenatismo del marchese fu intenso, discreto nella sua proiezione pubblica e invece ragguardevole per quanto concerne l’aspetto privato che è inoltre il più difficile da documentare. Dal punto di vista politico, il mecenatismo di Aitona non sembra indirizzato a sottolineare la propria immagine o il proprio rango attraverso la musica, a differenza dell’uso più tipicamente vicereale e della nobilità. È il caso dei Lemos: malgrado il breve tempo trascorso a Napoli, approfittarono di ogni occasione per promuovere se stessi attraverso la musica. Riguardo ad Aitona, le frequenti dediche delle opere (cioè, l’aspetto più visibile del suo mecenatismo) si spiegano non tanto per le aspirazioni politiche quanto per la carica istituzionale che svolse e per la sua condizione di consorte della figlia del viceré. 3. Musica politica per i conti di Lemos Il secondo caso da esaminare è quello di Ginés Fernando Ruiz de Castro y Portugal, XI conte di Lemos (1666-1741). Nobile spagnolo, rimase a Napoli, così come Aitona, per un periodo breve di tempo, svolgendo anche lui la carica di capitano delle Galere. Lemos apparteneva però ad una famiglia da molto tempo vincolata alla città. Due suoi antenati erano stati infatti viceré all’inizio del Seicento: il VI conte, Fernando Ruiz de Castro (1599-1601) ed il VII, Pedro Fernández de Castro (1610-1616). Ma contrariamente ad Aitona, il suo mecenatismo musicale ebbe una proiezione pubblica molto più notevole, sia dentro che fuori il regno. Nella città, il conte approfittò del proprio passato familiare per sviluppare un’attività che andò ben oltre i doveri della sua carica. Così, il 1 novembre 1699 fu eletto governatore della Congregazione dei cavalieri spagnoli del collegio di San Francesco Saverio, istituzione già protetta in passato dalla VII contessa nel 1622. Ciò suggerisce che il conte godeva di un certo riconoscimento locale.29 È quindi probabile che questa familiarità del conte con diverse istituzioni della città condizionasse le forme del suo mecenatismo, sia artistico che musicale. 29

  ASN, Segreterie dei Viceré, Viglietti Originali, busta 1068, 14 novembre 1699. Sul ruolo della VII contessa, Catalina de la Cerda Sandoval, come protettrice del convento di San Francesco Saverio tra il 1626 ed il 1630 si veda Eduardo Nappi, I Gesuiti a Napoli. Nuovi documenti, «Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2002», 2003, pp. 111133: p. 112.

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Il conte di Lemos sposò nel 1687 Catalina Lorenza de Mendoza Silva Haro y Aragón (1669-1727), figlia del IX duca dell’Infantado. Arrivati a Napoli nel 1698, i due coniugi utilizzarono la musica per promuovere la propria immagine oltre i confini del Regno.30 Benedetto Croce aveva già accennato alla notevole attività festiva della coppia riferendosi alle serenate per il nome della regina, per il compleanno della contessa e alle commedie in cui gli stessi conti comparvero in scena nell’estate 1700.31 Una di queste serenate viene citata dalla Gazzetta di Madrid, a testimonianza di quanto fosse importante il mecenatismo dei Lemos anche fuori Napoli: «Y cerró esta grandiosa demostración un cielo de armonía, en una nobilísima serenata de escogidísimas voces e instrumentos, con que los Condes de Lemos festejaron a los virreyes en aquel su palacio».32 Da esempi come questo si capisce quanto i rapporti tra la coppia vicereale ed i conti fossero cordiali. Un altro indizio in questo senso non esente d’interesse musicale è che il conte fece da padrino nel battesimo del figlio di Barbara Voglia, nipote della famosa Angela Giorgina, che ebbe luogo, con gran musica, nel Palazzo Reale il 22 settembre 1698.33 I Lemos fecero anche uso propagandistico del proprio rango attraverso l’opera in musica: 30

  I dati anagrafici del conte si trovano in José Santiago Crespo, Blasones y Linajes de Galicia, A Coruña, Ediciones Boreal, 1997, vol. I, p. 521. 31

  Benedetto Croce , I teatri di Napoli: secolo XV-XVIII, Napoli, Arturo Berisio Editore, 1968 (prima edizione 1891), vol. I, p. 182. Più notizie sulla musica prodotta dalla coppia si trovano in Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Rappresentazioni operistiche di Silvio Stampiglia nella ‘Gazzetta di Napoli’, con particolare attenzione al periodo del viceré Medinaceli, in Intorno a Silvio Stampiglia, Atti del convegno internazionale di studi (Reggio Calabria, 5-6 ottobre 2007), a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 2010, pp. 173-210: pp. 189n-190n. 32

  «E fu chiusa questa grandiosa dimostrazione da un cielo di armonia in una nobilissima serenata [suonata] da sceltissime voci e strumenti, con cui i Conti di Lemos festeggiarono i viceré nel loro palazzo», «Gaceta de Madrid» n. 36 del 7.9.1700, p. 143. Un biglietto inviato il 15 luglio 1700 dallo stesso conte al viceré ricordava che ancora non si era disposta la polvere di cui si aveva bisogno per la festività di Sant’Anna «en que las galeras han de contribuir por su parte al regocijo de fuegos que se previene» («con cui le galere devono contribuire per parte loro all’allegrezza di fuochi che si sta preparando»), ASN, SV, VO busta 1085, datato 19 luglio 1700. 33

  B. Croce , I teatri di Napoli cit., I, p. 177. Per una descrizione dell’evento dal punto di vista cerimoniale si rimanda a Cerimoniale del viceregno cit., p. 476.

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la contessa fu, infatti, dedicataria de Il prigioniero fortunato di Scarlatti rappresentato nel 1698. Inoltre, nel libretto di Rodrigo in Algeri (1702), si dice, nell’avver­tenza al «Benigno Lettore», dopo essere stato citato Tomaso Albinoni quale compositore della musica, che «si segneranno l’arie del medesimo [scilicet Albinoni] col segno ¶ che vedi tutte le altre sono del Sig. Gio: Battista Stuch, Virtuoso dell’Eccellentiss. Sig. Contessa di Lemos».34 D’altra parte, la recente ricostruzione della visita di Corelli a Napoli, basata su documenti da poco ritrovati procedenti dall’archivio Ottoboni, ha dimostrato le ambizioni politico-musicali dei Lemos. La contessa cercò di fare emergere il violoncellista Jean-Baptiste Stuck, suo protetto, al posto di Pippo Amadei che aveva accompagnato Corelli e Matteo Fornari a Napoli. Per ottenere ciò, la contessa pretese che Stuck (chiamato Battistino Violoncello nelle fonti) fosse l’unico a suonare durante le rappresentazioni del Tiberio imperatore d’Oriente, opera allestita in occasione della visita di Filippo V, diretta da Corelli, impedendo in tal modo la presenza di Amadei. L’interesse della contessa per Stuck mise in imbarazzo l’agente dell’Ottoboni incaricato a Napoli di sorvegliare i movimenti dei musicisti. Egli dovette scrivere in fretta al cardinale proponendo, al conflitto generato dalla contessa, una soluzione poco favorevole ad Amadei, ma che tuttavia rappresentava l’unica forma possibile per evitare tensioni diplomatiche maggiori:35 Qui si è incontrato che la S.ra Contessa di Lemos aveva stabilito che sonasse a Palazzo et al Teatro nell’opera solamente Battestino Violoncello fatto venire a più chiamate da fuori, onde per non questionare con una dama giovane, figlia e moglie di grande e che si ritrovava troppo impegnata perché il suo Battestino avesse il primo luogo nell’orchestra si è stimato bene di non far sonare in detta opera il s.r Pippo, espediente preso da me come il meno azzardoso, e fare come si fece la prima sera e il passato giovedì, che al Re, e nelle sue camere soni solamente il s.r Pippo, non comparendovi affatto Battestino.

34

  Barry K ernfeld – Julie A nne Sadie , Stuck, Jean-Baptiste, in New Grove, vol. 24, pp. 619-620. 35

  José M aría Domínguez , Corelli, Politics and Music during the Visit of Philip V to Naples in 1702, «Eighteenth Century Music» 10, 2013, pp. 93-108: p. 106.

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Va inoltre sottolineato come il resto della lettera sia dedicato a misurare le conseguenze cerimoniali di questa decisione (costretta dalla volontà della contessa) e a placare una possibile risposta adirata del cardinale probabilmente indispettito dall’esclusione del suo protetto Amadei. I visitatori stranieri fecero eco al gusto musicale del conte. Il langravio d’Assia ed il marchese di Brué furono due dei viaggiatori ossequiati a Napoli con «sceltissima musica»:36 2 marzo 1700: «Partì ancora l’altro giorno, avendone qui dimorato alcuni pochi incognito, il sig. principe Langravio d’Assia […], quale dal medesimo sig. conte di Lemos fu […] condotto […] nella propria sua casa, dove gli fé godere di un nobilissimo festino […] il divertimento di sceltissima musica». 16 novembre 1700: «Lo accennato sig. Marchese di Brué, dopo aver vedute le cose più ragguardevoli di questa capitale, sentita la scritta opera in musica [I rivali generosi] (che già si rappresenta nel Teatro di S. Bartolomeo) ed altri divertimenti, tra quali uno nobilissimo di musica e ballo, con preziosissimi rinfreschi dal sig. generale delle galee conte di Lemos nella sua propia casa […] si partì egli sabato alla volta di Roma».

È molto probabile che tutta questa ricerca di fastosità e pubblicità attraverso la musica fosse strettamente vincolata alle aspirazioni politiche del conte. Le sue lettere dimostrano infatti che egli cercò, in una occasione, di ottenere il posto di viceré ad interim. Il 26 novembre 1700 scrisse infatti al cognato duca dell’Infantado: «no pudiendo dejar de encargarte pases tus buenos oficios con estos señores del gobierno para que, en caso de pasar mi virrey [scilicet Medinaceli] a Roma a la embajada de obediencia al nuevo pontífice del nuevo rey de España, se me dé el ínterin de este gobierno».37 Lemos non diventò mai viceré di Napoli, culmine di ogni carriera diplomatica dell’epoca, ma Filippo V in persona, poco dopo essere stato rappresentato il Tiberio, gli concesse un altro vicereame, quello di Sardegna. Siamo quindi di fronte a due strategie di mecenatismo musicale opposte, 36

  A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., Appendice in CD-ROM, pp. 94 e 100. 37

  «Non posso lasciar di chiederti di mettere in moto i tuoi ottimi servigi con quei signori del governo [di Madrid] perché, nel caso che debba passare il mio viceré [Medinaceli] a Roma per l’ambasciata di ubbidienza presso il nuovo pontifice da parte del nuovo re di Spagna, sia dato a me l’interim di questo governo [di Napoli]», Madrid, Archivo Histórico Nacional, Sección nobleza (Toledo), Osuna, cartas 156, documento 16.

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o almeno diverse: piacere privato, nel caso di Aitona, e necessità di Stato, nel caso di Lemos.38 4. Musica e poesia arcadica per il principe di Belvedere I conti di Lemos alloggiavano d’estate a Posillipo nel palazzo che apparteneva al principe di Belvedere, terzo dei mecenati da esaminare. Qui ebbe luogo, nel 1699, una serenata per l’onomastico della viceregina.39 Francesco Maria Carafa, III principe di Belvedere, fu un nobiluomo d’origine napoletana ma con stretti vincoli con la monarchia di Spagna. Belvedere fu anche membro di prima ora dell’Accademia dell’Arcadia fin dal 1691.40 Diversi sono gli spunti che si evincono, sulla sua biografia, nelle Notizie istoriche degli arcadi morti.41 Prima di tutto la sua partecipazione accanto al viceré conte di Oñate nella difesa di Portolongone contro i francesi nel 1650, dove, secondo il testo, Belvedere si fece notare, malgrado la sua gioventù, fino a meritare l’elogio del viceré e, addirittura, dello stesso monarca Filippo IV.42 Il testo mette inoltre in risalto il suo profilo di viag38

  Riprendo l’osservazione formulata da Anna Tedesco relativamente alla contrapposizione fra ‘piacere privato’ e ‘necessità di Stato’ in A nna T edesco, Juan Francisco Pacheco V Duca di Uceda, Uomo politico e mecenate tra Palermo, Roma e Vienna nell’epoca della guerra di successione spagnola, in La pérdida de Europa. La guerra de sucesión por la Monarquía de España, a cura di Antonio Álvarez-Ossorio, José Bernardo García García e Virginia León, Madrid, Fun­ da­ción Carlos de Amberes e Sociedad Estatal de Conmemoraciones Culturales, 2007, pp. 491-548: p. 518. 39

  A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., Appendice in CD-ROM, p. 93, n. 309. Sulla serenata del 1699 si veda B. Croce , I teatri di Napoli cit., vol. I, p. 182. 40

  A nna M aria Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, Roma, Arcadia, 1977, p. 188. È questa la fonte dei nomi e delle date di ingresso degli arcadi citati da qui in poi. 41

  La biografia del principe si trova nel tomo I delle Notizie istoriche degli Arcadi Morti, Roma 1710, pp. 213-218, relativa soprattutto alla Historia genealogica della famiglia Carafa pubblicata da Biagio Aldimari (Napoli, Bulifon, 1691). Da qui si riportano le citazioni e riferimenti che seguono. Il testo è firmato dall’arcade Nicasio Poriniano (Alessandro Pompeo Berti da Lucca), e contiene dei dati imprecisi come ad esempio che l’ordine del Toson d’Oro fu concesso al principe dal monarca Carlo II nel 1655 (p. 215) mentre è palese che il monarca nacque nel 1661. 42

  Non è da escludere che possa trattarsi in realtà di un eccesso retorico da parte del biografo.

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giatore. Infatti, il principe rimase a Venezia per quattro anni. Lì, oltre all’amicizia con il doge Niccolò Sagredo, conobbe Pietro Basadonna (1617-1684) che nel 1648 era stato ambasciatore a Madrid e poi a Roma (1660-1661). Malgrado le date della biografia arcadica non siano sempre precise, è possibile che il soggiorno veneziano di Belvedere avesse luogo prima del 1673, data in cui Basadonna fu creato cardinale.43 Il biografo afferma anche che Belvedere visse per tre anni a Madrid e suggerisce che andò anche a Vienna («e dall’imperatore stesso Leopoldo d’Austria in Vienna d’Austria di molti onori cumulato»). Dopo i viaggi, rientrato a Napoli, il principe si dedicò allo studio, erudizione e letteratura e si aggiunge che «ha più volte nelle pubbliche radunanze de’ Letterati fatto conoscere co’ suoi dotti discorsi ed argutissime composizioni poetiche la sua facondia, l’acutezza del suo ingegno, e l’eminenza del suo sapere» (p. 214). Il biografo prosegue sottolineando come Belvedere agì da «benefico mecenate de’ virtuosi», il che gli valse l’essere scelto come dedicatario di parecchie opere. Alcune sono riportate erroneamente nel testo arcadico, ma corrette risultano essere queste: Francesco A ntonio Cappone, Poesie Liriche e le Seconde Liriche Parafrasi sopra l’Ode contenute ne’ quattro libri e negli Epodi di Q. Orazio Flacco, entrambe pubblicate a Venezia per Zaccaria Conzatti nel 1675. Giuseppe Palombi, Poesie Liriche, parte prima, Napoli, Gio. Francesco Paci, 1675, che contiene un sonetto dedicato a Belvedere. Carlo Buragna, Poesie … colla vita del medesimo, scritta dal signor Carlo Susanna, Napoli, Giacomo Raillard, 1683. Leonardo di Capua, Parere intorno alla medicina, Napoli, Bulifon, 1681 (dedicatoria dello stampatore, non dell’autore).

Infine vi sono altri due dettagli interessanti nella biografia arcadica. Il primo è che Belvedere apparteneva al casato di Innocenzo XII Pignatelli e che visse a Roma durante gli anni del suo pontificato, tra il 1691 ed il 1700, con compiacenza del Papa e di tutta la corte e baronaggio della 43

  Così si deduce dal riferimento nel testo arcadico a Basadonna in cui si dice: «che poi fu cardinale», dove poi sta per indicare un tempo posteriore al soggiorno veneziano di Belvedere. Per la data di creazione si veda The Cardinals of the Holy Roman Church (, consultata il 26.2.2014).

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città. Nel carteggio tra il duca di Medinaceli (allora viceré) ed il cardinale Giudice si trova infatti riscontro delle aspirazioni di Belvedere a diventare cardinale. Giudice scrisse da Roma il 16 maggio 1698 che il principe era tornato da Loreto e che aveva incontrato il papa. Sua Santità commentò a Giudice nell’udienza di quella mattina che si era accontentato «en ver [scilicet en Belvedere] un lindo Abbatino», cioè, di vedere in Belvedere un lindo abbatino, probabilmente in riferimento ai suoi interessi letterari e poetici, tratti che distinguevano gli abati che popolavano Roma all’epoca.44 Ma la cosa più interessante è il commento nella risposta di Medinaceli che sottolinea, non senza ironia, che l’espressione del Papa era un cattivo segnale «para que pueda suceder lo que se discurría de haber de ser el príncipe uno de los Eminentísimos del Sacro Colegio».45 Belvedere non fu mai nominato cardinale probabilmente per evitare che egli diventasse cardinale nipote, conseguenza della politica antinepotistica già iniziata da Innocenzo XI Odescalchi e continuata dal Pignatelli. Il secondo dei dettagli interessanti nella biografia arcadica di Belvedere relativo al suo soggiorno romano è questo: che il suo Palazzo era una continua Accademia de’ più chiari ingegni, che in Roma allora fiorissero; e particolarmente lo frequentavano gli Arcadi, i quali ricevutolo nella loro adunanza col nome di Nicandro Tueboate, l’amarono e onorarono quanto mai dal libero Instituto che professano, veniva loro permesso.

Una bella dimostrazione dell’amore senza paragone degli arcadi verso il principe è la «ragunanza» ovvero adunanza accademica a carattere straordinario che si celebrò durante la malattia sofferta dal principe nel 1694 per invocarne la pronta guarigione, a cui ne fece seguito un’altra per festeggiare la sua ritrovata salute. I testi allora letti furono raccolti nel primo tomo delle prose di Arcadia. La biografia di Belvedere puntualizza che fu una «dimostrazione non più fatta in quell’Adunanza, nè prima nè dappoi per alcun’altro quantunque Sovrano». I manoscritti dell’archivio dell’Ar44

  Come per esempio Francesco Maria Paglia, Pompeo Scarlatti o l’abate Paolucci e molti membri dell’Arcadia. 45

  «Affinché riesca l’argomento trattato di dover diventare il principe uno tra gli Eminentissimi del Sacro Collegio». Entrambe le lettere in ADM, AH, legajo 27, ramo 1.

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cadia presso la Biblioteca Angelica confermano che la ragunanza per la ritrovata salute ebbe luogo il 22 luglio 1694. Tra le poesie che si lessero allora spicca l’Egloga di Silvio Stampiglia,46 scritta nel più puro stile bucolico con riferimenti eruditi a Sannazaro e alla vita dello stesso Belvedere. Nel poema compaiono personaggi quali i figli del principe, anch’essi membri dell’Arcadia, e vi sono anche riferimenti alla principessa della Scalea, Anna Beatrice Carafa, in questa terzina dove si gioca con il nome arcadico di essa, Amaranta Eleusina: Ninfa che il nome suo dai lauri prende e cento e cento armenti aver si vanta nobile sì che dagli dei discende

Altri arcadi a cui si fa riferimento nell’egloga di Stampiglia sono Francesco Berlini di Napoli (Eudamio Linio) e Giovanni Antonio Magnani di Roma (Saliunco Feneio), a cui si devono aggiungere i nomi degli accademici che dedicarono le loro poesie a Belvedere (raccolte nello stesso manoscritto 4 dell’Archivio dell’Arcadia). Furono soprattutto abati e arcadi di prima ora: Antonio Tommasi (Vallesio Gareatico, fol. 25), lo stesso custode Giovanni Mario Crescimbeni (Alfesibeo Cario, fol. 33), Giovanni Tomaso Baciocchi (Perideo Trapezunzio, fol. 39), Romano Merighi (Retilo Castoreo, fol. 56), Pompeo Figari (Montano Falanzio, uno dei fondatori dell’Arcadia, fol. 57), Domenico Muniaci di Napoli (Sicelio Caraceo, fol. 59). Un’altra opera contenuta nella stessa fonte letteraria ci aiuta a completare la cornice culturale romana del principe. Si tratta della favola pastorale L’Elvio, scritta da Crescimbeni e dedicata alla già citata Anna Beatrice Carafa (fol. 249). La cosa interessante è che i personaggi che compaiono sono gli stessi pastori arcadi, come spiega la doppia lista di «pastori arcadi che parlano» e «altri pastori arcadi nominati» che si trova quale dramatis personae della composizione letteraria. I pastori che parlano sono la stessa principessa dedicataria, monsignor Francesco Maurizio Gontieri (Gierasto), Vincenzo Leonio (Uranio), Leone Strozzi de’ duchi

46

  L’autografo comincia nel fol. 35r del ms. 4 dell’Arcadia. Nello stesso manoscritto si trovano altri quattro sonetti scritti da Belvedere (due a partire dal fol. 6; un altro nel fol. 53 e l’ultimo nel fol. 218r) ed un sonetto in più dello Stampiglia (fol. 17r).

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di Bagnoli (Nitilo), Vincenzo da Filicaia (Polibo) e il nostro principe di Belvedere (Nicandro).47 Lo stesso manoscritto 4 di Arcadia documenta anche l’attività di diversi nobili dilettanti come autori di testi per musica, tra cui il Belvedere. In esso è presente almeno un suo testo di cantata (sul quale torneremo più avanti). Presente nello stesso codice è la Lontananza del s.r duca di Bracciano detto Clearco Simbolio (fol. 84), un’altra cantata per musica vincolata all’attività creativa di un nobile quale il duca di Bracciano, simile nei gusti e nell’attività musicale a Belvedere.48 Gli incipit letterari di ogni sezione sono questi: R: Su quell’istesso lido | onde un tempo partir vide il suo bene A: Dolci aurette, che spirate | qui del mar tra i bei zaffiri R: Quando dall’Oriente | tutto raggi spuntare il sol si vede A: Lunga notte dell’ombre più nere R: Volgi, deh volgi o bella Filli il piede A: Torna o cara e porgi aita

È interessante mettere a confronto questi testi con scritti simili di altri nobili meglio conosciuti come per esempio Antonio Ottoboni, autore di una raccolta poetica intitolata Trattenimenti poetici. Diversamente dai testi ottoboniani tipici, sia la cantata di Bracciano che quella di Belvedere hanno una quantità maggiore di sezioni. Michael Talbot e Colin Timms hanno individuato come «if there is a ‘classic’ Ottobonian cantata design, it is RARAR»,49 mentre i testi degli altri due arcadi hanno più sezioni e finiscono con arie. 47

  Dall’altro canto i «pastori nominati» sono: Giovanni Antonio Magnani (Saliunco), Pier Luigi (Tessalo) e Tiberio Carafa (Tiberino: entrambi figli del principe), Carlo Carafa marchese d’Anzi (Armindo), Niccolò Aurissa (Pinaco), marchese Matteo Sacchetti (Eugenio), Tiberio Carafa principe di Chiusano (Eliso), Francesco Carafa de’ Duchi d’Andria (Elindo), Francesco Redi, medico del Gran Duca (Anicio), Vincenzo Gravina (Opico), Crescimbeni, principe Domenico Rospigliosi (Ligustrio), principe Niccolò Pallavicini (Silvano Callistio) e, finalmente, Francesco Berlini (Eudamio). 48

  Sugli Orsini ed il duca di Bracciano si veda A nne-M adeleine Goulet, Le cercle de la princesse des Ursins à Rome (1675-1701): un foyer de culture française, «Seventeenth Century French Studies» 33, 2011, pp. 60-71. 49

  M ichael Talbot – Colin T imms, Music and the Poetry of Antonio Ottoboni (1646-1720), in Händel e gli Scarlatti a Roma, a cura di Nino Pirrotta e Agostino Ziino, Firenze, Olschki, 1987, pp. 367-438, citazione a pp. 387-388. I Trattenimenti sono una raccolta di 228 testi per voce sola, tra cui 217 cantate e 5 serenate (pp. 382-383).

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Possiamo ipotizzare che la produzione poetica di Belvedere fu comunque somigliante a quella dell’Ottoboni. Oltre al rapporto arcadico che univa entrambi, ci sono documenti che testimoniano incontri privati tra i due in diverse città, come per esempio nel 1695 (primo incontro a me noto) quando i due si ritrovarono a Napoli durante la visita degli Ottoboni alla città:50 Del sig.r Vicerè fu visitato [scilicet il cardinale Ottoboni] la sera del Martedì, e fù portato in Comedia à S. Bartolomeo assieme col Sig.r Cardinal del Giudice, e Sig.r Pnpe. D. Antonio. Li Sig.ri Card.li Arciv.o e del Giudice hanno portato per Città detto Sig.r Card.le Ottoboni, e per le Chiese; ed il sig.r Pnpe. d’Ottaviano, Sig.r Pnpe. di Cellamare, e Sig.r Pnpe. di Belvedere hanno portato il sig.r Principe D. Antonio

Se qui sembra trattarsi di un incontro cortese o di tipo cerimoniale, i risvolti politici di queste trattative furono compresi pochi giorni dopo. Belvedere e don Antonio si incontrarono ancora una volta a Roma, dove si sparsero diverse voci sul vero motivo del viaggio degli Ottoboni a Napoli:51 Il medesimo giorno con tutto il cattivo tempo furono veduti a quel nobile et umido passeggio nella carrozza del sig.r duca di Medina, il sig.r duca di Ceri D. Livio Odescalco, il sig.r Pnpe. di Belvedere, et il clarissimo sier D. Antonio Ottobono. Et ecco scoperta la gran macchina spagnuola et il vero perche sono stati a Napoli così ben trattati da quel vicerè li due sig.ri Ottoboni, padre e figlio. Il negotiato è questo: vedendosi a Venetia poco bene accolto D. Antonio, e meno concorde con D. Marco suo germano, con il quale procura cambiare i beni di Venetia con quei di Roma, ma ancora non si è formata nè fermata la scrittura, ha saputo sì bene operare il sig.r cardinale suo figlio con i ministri della corona spagnuola, che ne ha cavato la Protettione, e la promessa del Grandato di Spagna con il titolo di un prencipato in Napoli, che porti seco tal grado, et onore, e forse può esser ciò in congiuntura di 50

  Biblioteca Nazionale di Spagna, Mss. 976, fol. 152r., lettera della Deputazione della fedelissima città di Napoli a don Pietro Fusco (Roma), datata Napoli, 1 gennaio 1695. Cfr. A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., Appendice in CD-ROM, pp. 56-57. 51

  Archivio Segreto Vaticano, Fondo Bolognetti (d’ora in poi ASV, FB), vol. 78, fol. 225 [17 gennaio 1695].

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farle presentare la Chinea et il tributo a Sua Santità nella ventura vigilia del Prencipe degl’Apostoli. Belle metamorfosi; anzi di più, è stato intentionato il sig.r cardinale Ottobono di essere provisto d’una grossa abbadia in Milano o in Regno di Napoli.

Se ciò fu vero, non è casuale che Belvedere si trovasse tra i protagonisti di due momenti chiave per le negoziazioni politiche tra gli Ottoboni e la monarchia di Spagna. La tradizione filoispanica della sua famiglia, i suoi viaggi frequenti tra Roma e Napoli (di conseguenze notevoli per gli scambi musicali, come si vedrà tra poco), ed i suoi rapporti con la principale famiglia proispanica dell’aristocrazia romana, i Colonna, sono segni che rafforzavano il ruolo di Belvedere come perfetto mediatore agli occhi degli Ottoboni. Probabilmente il comune interesse per la poesia e la musica di entrambi i nobili fu un richiamo in più a priori e costituì un vincolo a lungo andare. Si sa bene che il teatro, le conversazioni e le accademie erano spazi di socializzazione alieni alle norme del cerimoniale, facilitando in questo senso l’incontro e lo scambio tra i membri dell’aristocrazia. Affinità politica e gusto musicale sono perciò due aspetti che si rafforzano reciprocamente. Prima di esaminare fonti di maggiore interesse musicale, è necessario soffermarsi per confrontare i profili dei tre nobili ‘napoletani’ finora considerati. Stando alle testimonianze storiche precedentemente citate, Belvedere non appare semplicemente un melomane come Aitona e Lemos, ma si distingue da loro due per una particolarità: il suo agire da letterato. Belvedere è, quindi, un creatore, un artista anche se non è un compositore. Sembra che egli non aspiri a proseguire nella carriera politica o, almeno, non come il Lemos (perché non si propone per avere cariche superiori in relazione al cursus honorum per lui possibile all’interno della monarchia, come fece per esempio il principe di Santobuono che riuscì a diventare viceré del Perù). Cerca il riconoscimento soprattutto nella repubblica delle lettere. Se nel marchese d’Aitona si percepisce un personaggio che si compiace di avere musica nella camera privata, nel Belvedere si intravede (anche per quello che si dirà più avanti) un melomane con una certa competenza musicale, capace di formulare giudizi con un certo livello di sofisticazione sulle opere. Vediamo con più calma questo aspetto del principe Belvedere esaminando il suo carteggio con Filippo II Colonna (16631714). Egli, sua moglie Lorenza Colonna de la Cerda e suo cognato, Luis

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de la Cerda duca di Medinaceli, sono nomi da aggiungere alla cerchia romana di Belvedere. Sono parecchie le testimonianze che rendono un’immagine di amicizia tra Belvedere e Colonna nei primi anni Novanta. Nella primavera 1694, per esempio, Belvedere e Filippo si recarono assieme a Piacenza alle opere dove forse ascoltarono il Demetrio tiranno di A. Aureli e B. Sabadini, dramma per musica dedicato al duca di Parma.52 Due mesi dopo, ai due aristocratici si aggiunsero a Mantova Marc’Antonio Colonna (fratello di Filippo) ed il melomane duca di Sesto (parente anch’egli della famiglia romana) per andare a Venezia per la festa dell’Assunta. Essendo poi ri­ tornato a Roma, Belvedere si ammalò, come citato precedentemente, alloggiando allora a palazzo Colonna a Piazza Santi Apostoli.53 Fu in quest’estate ch’ebbero luogo le ragunanze straordinarie dell’Arcadia sopra­ citate: dopo la prima del 24 luglio, se ne fece un’altra il 23 settembre, probabilmente per celebrare la ritrovata salute del principe, in cui si lesse o forse si eseguì musicalmente la cantata Colui che fisso mira, su testo poetico scritto dallo stesso Belvedere, secondo il manoscritto 4 di Arcadia. A livello politico, la notevole amicizia con i Colonna e il rilievo dello stesso Belvedere quale principe napoletano a Roma divennero palesi durante le cerimonie di saluto dell’ambasciatore spagnolo a Roma, duca di Medinaceli, diventato nuovo viceré di Napoli nel 1696. Assieme al duca di Maddaloni, il principe accompagnò il Medinaceli durante il pranzo offertogli dal Colonna.54 Tuttavia, l’eccessiva confidenza tra il napoletano ed i Colonna fu sentita come una minaccia per gli interessi della fazione spagnola, agli occhi di alcuni suoi membri. Infatti, poco dopo la partenza del Medinaceli per Napoli, il francescano Francisco Díaz de San Buenaventura, che agiva da agente segreto per l’ambasciata spagnola a Roma, scrisse al nuovo viceré: A esto se añade la odiosidad que le concita [scilicet al Condestable] el señor príncipe Belveder, y aún esta fuera tolerable si sus dictámenes le encamina52

  Si tratta dell’unico libretto datato 1694 di un’opera rappresentata a Piacenza secondo il catalogo Sartori. 53

  I dati dei viaggi si ritrovano in ASV, FB, vol. 78, fols. 54, 78v, 91v.

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  Domenico Confuorto, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, a cura di Nicola Nicolini, Napoli, Luigi Lubrano, 1930-1931, vol. II, p. 204.

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ran a lo que V.Ex.a puede desear. Pero no es así, y permítame V.Ex.a que diga es justa remuneración de [i. e. el perjuicio que está causando al Condestable es consecuencia ‘justa’ de] permitirle demore por acá [scilicet por Roma], cuando no ignora V.Ex.a que ahí [scilicet en Nápoles] es conocido de todos, y no pudiera hacer algún mal, y aquí hace a V.Ex.a, a esta casa, y al público el [mal] que yo no puedo expresar. Pero le podrá V.Ex.a comprender muy bien de lo que conoció mientras se hallaba aquí, lo cual no podía ser tanto entonces por el respeto de Su Ex.ma presencia. Al señor condestable algo le he ya prevenido contra los consejos de este señor, pero no será menos necesario que V.Ex.a prevenga a mi s.ra la condestablesa porque le da demasiado crédito.55  

L’eccessivo ardore politico del padre Díaz faceva apparire l’influsso di Belvedere negativo per gl’interessi spagnoli a Roma. Forse il suo atteggiamento moralistico ha a che vedere con gli eccessi attribuiti dal pubblico romano al principe56 ovvero alle bizzarrie quale la serenata che egli, assie55

  «A tutto ciò si aggiunge l’odio che il principe di Belveder fa provare [al Contesta­ bile] che sarebbe sopportabile se i suoi consigli lo conducessero per il meglio che Vostra Eccellenza potrebbe desiderare. Ma non è cosi, e mi permetta Vostra Eccellenza di dire che ciò è giusta conseguenza di permettere [a Belvedere] di rimanere a Roma, quando Vostra Eccellenza sa benissimo che lì [a Napoli] è conosciuto da tutti e quindi non potrebbe fare male a nessuno, mentre qui fa [male] a Vostra Eccellenza, a questa casa [Colonna] ed al pubblico fino ad un punto che io non posso esprimere. Ma potrà Vostra Eccellenza capirlo benissimo se si ricorda di quanto conobbe mentre si trovava qua, il che comunque non poteva essere troppa [cattiveria] per rispetto alla Sua Eccellentissima presenza. Ho già messo in guardia il signor Contestabile contro le suggestioni di questo signore [Belvedere], ma è senz’altro necessario che Vostra Eccellenza avverta pure mia signora la contestabilessa perché essa gli dà fin troppo credito», ADM, AH, legajo 32, ramo 1, Francisco Díaz de San Buenaventura a Luis de la Cerda, Roma, 8 settembre 1696. Sulla stessa lettera, il segretario di Medinaceli scrisse un diplomatico promemoria per la risposta, finalizzata a diminuire le preoccupazioni del francescano: «… que tiene S. Ex. muy conocido lo que le significa acerca del Príncipe de Belveder, y no deja de estudiar algún modo para remediarlo, pero como no es fácil hallarlo, es forzoso irlo aguardando del tiempo y de las composturas» (che Sua Eccellenza conosce molto bene quanto si avverte sul Principe di Belvedere e che non manca di cercare come rimediarvi, ma siccome non è facile riuscire, bisogna per forza attenderlo dal tempo e dalla circospezione). 56

  Per esempio i commenti aggiunti al sopracitato viaggio a Mantova (si veda nota 53), raccolti dal diario del Fondo Bolognetti il 1. giugno 1696: «Giunti colà [scilicet a Mantova] li detti due prencipi [scilicet Colonna], con quello di Belvedere e duca del Sesto Spinola per poi passarsene alla delitiosa Venetia per la fiera dell’Ascensa, et avendo li primi due visitato separatamente et anche amorosamente la sudetta bella Cornelia, et invitata a portarsi con loro a Venetia, a ciascuno promise divisamente», ASV, FB, vol. 78, fol. 78v.

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me al Colonna, aveva inscenato poche settimane prima, e che fu commentata da tutta Roma:57 La medesima sera, ma concertamente il signor Contestabile Colonna condusse a casa del Principe di Belvedere a strada Gregoriana due canterine, dicono, fossero la Bolognese, e la Piemontese, e con Girolamo de Rospigliosi, e Pasqualino Tiepolo, et ivi fosse cantata la bella serenata dello Stampiglia, e musica del Bononcino, e mentre su le 4 ore stavasi sul fine comparve un cocchio scoperto con due cantarine mascherate, et un soprano, tutti 3 incogniti, et al piccolo spiraglio d’una lanterna si posero a cantare, et una di queste comincio con un’arietta a desfidare quelle di sopra, che tutte con i due Musici si erano poste su la ringhiera ad ascoltare, et una si bella armoniosa contesa durò sin dopo la mezza notte, e tutto il male fu, che da pochi fu ascoltata, perche fu posta insieme, e concertata all’improvviso.

Comunque fosse, l’amicizia tra Belvedere e la famiglia Colonna produsse un carteggio di grande interesse che ci permette di documentare un proficuo scambio di partiture e testi per musica tra Napoli e Roma in questi anni. Anche nella vita di Lorenzo Onofrio Colonna, padre di Filippo, il 31 agosto 1688, troviamo una preziosa testimonianza di questi scambi. In una lettera inviata da Napoli, Belvedere racconta delle notizie arrivate da Roma in riferimento a una serenata: «Le relationi della serenata di costà venute in Napoli l’han posta alle stelle e solo dicono che l’occasion della rissa che la turbò fusse una fischiata alla Coresi per lo che dico di nuovo che mostrorono molto senno quelle donne che non vollero cimentarsi con la Faustina».58 Probabilmente si trattò della serenata fatta rappresentare il 16 agosto dall’ambasciatore a piazza di Spagna: La Notte, il Giorno, ed il Merito.59 L’interesse di Belvedere per questo genere di rap­presentazioni 57

  Luca Della L ibera – José M aría Domínguez , Nuove fonti per la vita musicale romana di fine Seicento: il ‘Giornale’ e il ‘Diario di Roma’ del Fondo Bolognetti all’Archivio Segreto Vaticano, in La Musique à Rome au XVIIe siècle. Études et perspectives de recherche, a cura di Caroline Giron-Panel e Anne-Madeleine Goulet, Roma, École Française de Rome, 2012, pp. 121185: 161. 58

  Archivio Colonna di Subiaco (d’ora in poi AC), Fondo Lorenzo Onofrio Colonna, lettera del 31 agosto 1688 da Belvedere a Napoli. 59

  Anche se non mancarono altre serenate a Roma in quell’estate. Si veda Th. E. Griffin, The Late Baroque Serenata cit., pp. 145-152. Un’altra serenata ebbe luogo il 25 agosto, per San Luigi, sponsorizzata anch’essa dall’ambasciatore, con «two female singers as soloists»

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si può collegare con la serenata eseguita a Napoli poche settimane prima in vista del doppio sposalizio che unì suo figlio e Giuliano Colonna di Stigliano (principe di Sonnino e nipote di Lorenzo Onofrio) con le sorelle Vandeneiden, rispettivamente Elisabetta e Giovanna.60 Ma il genere musicale più interessante, che occupa una parte sostanziale nel carteggio con Filippo, è la cantata. Le lettere dell’estate 1691 descrivono il processo di composizione e circolazione di diverse cantate tra Roma e Napoli. Si trovano riferimenti ai rapporti tra mecenate e compositore, al gusto del pubblico, all’invio di opere, alla preoccupazione nell’assicurarsi che la musica riflettesse esattamente il senso del testo e, infine, ad aspetti interpretativi. La serie di lettere comincia nel giugno 1691. Belvedere invia da Napoli a Roma un testo poetico, che afferma essere scritto da un suo amico, per essere messo in musica. Belvedere lascia a Filippo la libertà di scegliere il compositore, invitandolo a eleggere «chi gli parerà che possa farlo con quella vivacità di spirito che [le parole] richieggono».61 Il principe dimostra in questo modo una grande fiducia nel gusto musicale del Colonna. Dalle lettere che seguono si può dedurre che, allo stesso tempo, il Colonna aspettava una cantata da Napoli messa in musica dallo Scarlatti.62 È probabile che la cantata su testo dell’ipotetico amico di Belvedere fosse composta ed inviata a Napoli in quindici giorni. È allora che Belvedere scrive queste parole: «La cantata rimessami da Vostra Eccellenza è riuscita bellissima et il cavaliere che la volse se n’è compiaciuto assai». E aggiunge ancora un commento piuttosto interessante: «et ha voluto aggiungervi altre poche parole per chiuderla con recitativo che rimetto a Vostra Eccellenza», dimostrando che la cantata fu cambiata note­volmente dopo i primi che potrebbero essere la Coresi e la Faustina a cui fa riferimento la lettera. L ouise K. Stein, ‘Una música de noche, quellaman aquí serenata’: A Spanish patron and the Serenata in Rome and Naples, in La serenata tra Seicento e Settecento: musica, poesia, scenotecnica, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Reggio Calabria, 16-17 maggio 2003), a cura di Nicolò Maccavino, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 2007, tomo II, pp. 333-372: p. 371. 60

  Th.E. Griffin, The Late Baroque Serenata cit., p. 140. Carlo Carafa, marchese d’Anzi, è identificato come figlio primogenito del Belvedere da A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., Appendice in CD-ROM, p. 33. 61

  Appendice 1, documento 1.

62

  Appendice 1, documenti 2 e 3.

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ascolti. C’è da chiedersi chi fosse l’autore del testo anonimo: forse lo stesso Belvedere (occultando la sua identità ad una cerchia aristocratica poco proclive a valorizzare questi intrattenimenti letterari) o forse un’altra persona che si valse del principe per ricavare il servizio di un compositore rinomato.63 Ad ogni modo, il fatto che il testo venisse riscritto doveva essere una pratica compositiva consueta.64 Assieme alla stessa lettera si allega un altro testo diverso (che però non è stato conservato), questa volta per essere composto da un musicista ben determinato: «acciò si compiacia di farle porre in musica dal Signor Melani, pregandolo a comporre con la solita vivacità di spirto quanto porta la tetraggine delle parole che il poeta in qualche luogo ha voluto far in due modi, acciò il compositore scelga quello che gli verrà acconcio per la musica».65 Dobbiamo sottolineare il riferimento ai «due modi» del testo poetico perché le due versioni testuali della cantata arcadica di Belvedere che verranno analizzate più avanti possono illustrare questa strategia di doppia proposta testuale rivolta ad un compositore. Appena tre giorni dopo, Belvedere scrive ancora: «la supplico far avvertire al Melani che si mantenga nelle corde di mezzo nel comporre la cantata […] e che la faccia quanto può allegra».66 Nelle lettere successive si richiede che il compositore non esca dalle «corde di mezzo del soprano», il che suggerisce che il cantante al servizio di Belvedere non era brillante negli estremi della sua estensione vocale.67 63

  L’epistolario del cardinale Medici documenta una pratica simile nei medesimi anni. Il 21 ottobre 1692, il cardinale scrisse a fra Lorenzo Cattani di Pisa: «Vengo pregato, da persona di mia grande estimazione, di far mettere in musica le accluse parole o cantata a voce sola di soprano per il cimbalo»; Cattani rispose otto giorni dopo inviando la musica e dicendo che avrebbe fatto del suo meglio, che avrebbe desiderato conoscere il poeta ed il musicista che «la deve cantare», suggerendo così che i difetti della musica sarebbero venuti dal non aver avuto queste informazioni: cfr. Francesca Fantappiè , ‘Un garbato fratello et un garbato zio’. Teatri, cantanti, protettori e impresari nell’epistolario di Francesco Maria Medici (1680-1711), tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2004, vol. II, pp. 160-161. 64

  Si vedano i casi di ‘scomposizione’ e ‘ricomposizione’ illustrati da T eresa M. Gial-

droni, ‘Bella città della real sirena | Ch’ami teatro e scena’. Silvio Stampiglia e la cantata, in Intorno

a Silvio Stampiglia cit., pp. 319-388: pp. 347-348. 65

  Appendice 1, documento 3.

66

  Appendice 1, documento 4.

67

  Appendice 1, documento 5.

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Si è già detto che il principe è l’autore di un testo di cantata letto nella ragunanza dell’Arcadia il 23 settembre 1694, le cui due prime strofe coincidono quasi completamente con le due prime arie della cantata Colui che fisso mira attribuita ad Alessandro Scarlatti.68 Il testo poetico senza la musica è conservato nel manoscritto 4 di Arcadia mentre si conservano partiture con la musica a Münster e nella British Library.69 Sia la fonte letteraria che le fonti musicali trattano la stessa tematica e hanno una struttura somigliante. Tuttavia il testo dell’Angelica è molto più denso che il testo dei manoscritti musicali. Essi hanno un lessico più topico e convenzionale che rende però il poema più atto ad essere messo in musica.70 Credo che questa cantata e le sue fonti illustrino bene il caso appena descritto nella lettera di Belvedere: lo stesso poema con due versioni di cui il compositore può scegliere la più adatta per essere messa in musica. Si tratta infine di un indizio in più per pensare che l’autore del testo trasmesso dalle fonti musicali di questa cantata attribuita a Scarlatti sia lo stesso Belvedere. Quando si eseguivano a Napoli cantate romane del tipo di quelle inviate dal Colonna? Un contesto ancora poco conosciuto ma senz’altro favorevole a queste occasioni musicali era la festa dei Quattro Altari, durante l’Ottava del Corpus. Mentre il viceré partecipava alla processione che usciva da San Giacomo degli Spagnoli, e proseguiva nei dintorni dell’attuale palazzo comunale, la viceregina andava a vederla a palazzo Zevallos71 dove doveva essere accolta con musica organizzata dai proprietari del palazzo, secondo il cerimoniale:72 68

  Edwin H anley, Alessandro Scarlatti’s ‘Cantate da Camera’: a Bibliographical Study, Ph. D. dissertation, Yale University, 1963, pp. 159-160 (cantata n. 136, di attribuzione dubbia). 69

  D-MÜs, Hs. 3915; GB-Lbl, Add. 14163.

70

  Si veda l’Appendice 2 per un confronto dei rispettivi testi.

71

  Oggi della Banca Intesa Sanpaolo.

72

  ASN, Cerimoniali, n. 1483, fol. 54v nella trascrizione del Cerimoniali del viceregno cit., p.  238. La versione italiana del cerimoniale n. 1489, fol. 147r-147v dice: «Si noti che, quando la viceregina va a vedere detta festa in questa casa deve montare sopra in portantina […] ed, entrando nell’appartamento dove deve stare, incomincerà a cantare la musica che deve stare pronta; l’invito della musica spetta alla padrona di casa e complimenta di rinfresco alla viceregina e tutto il seguito», in ibid., pp. 239 e 241. Ho corretto (senza aver visto la fonte originale) la lettura «dove montare» per la più logica «deve montare».

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Se aduierte que la virreyna quando va a veer la fiesta en esta casa ha de subir arriba con su silla […] y entrando en el aposento donde ha de estar, enpieça a cantar la música que ha de estar allí preuenida. Esto de la música toca a la dueña de la casa y dan de refresco a la virreyna y toda su familia

Una volta finita la processione, il viceré andava ad incontrare la consorte entrando nel palazzo dove si trovava ed una volta arrivato, dice il cerimoniale, «enpieçan los músicos a cantar; estará allí una media ora».73 Il palazzo Zevallos apparteneva allora al principe di Sonnino, i cui rapporti con Belvedere abbiamo già sottolineato. Sonnino aveva presentato a Roma la chinea nel 1690 e finì per ottenere nel 1715 il titolo di Grande di Spagna di prima classe,74 per cui abbiamo non solo un contesto ma anche un pubblico che poteva accogliere benissimo le cantate sollecitate da Belvedere. Pensiamo, infine, che i protagonisti di queste occasioni già codificate di grande rilievo cerimoniale sarebbero i tre ultimi viceré del XVII secolo. Una loro caratteristica e delle loro corti, come pubblico ipotetico di questa tipologia di occasioni, era il «buen gusto romano» (su cui si ritornerà a breve). Non è casuale che, come indicato dalle lettere di Bel­ vedere, le cantate di Roma sortissero un maggior interesse essendo con­ siderate «forestiere». Il cerimoniale specifica che mentre di solito il ricevimento musicale della viceregina durante la processione si faceva a palazzo Zevallos, «ahora suelen ir [los virreyes] en casa del correo mayor».75 Credo che in questo contesto vada inserita anche la notizia di un’ipotetica serenata di Ales­ sandro Scarlatti rappresentata per l’ottava del Corpus nel «palagio della Posta» il 2 giugno 1701 individuata da Thomas Griffin.76 Stando a quanto 73

  Ibid., p. 238. La versione italiana dice a questo punto: «dopo si sedono ed i musici principieranno a cantare, si trattengono una mezz’ora», ibid., p. 241. 74

  Ibid., p. 238, n. 191. La chinea era il cavallo bianco che si presentava al papa annualmente e che rappresentava il tributo pagato per la tenuta del regno di Napoli che era considerato, anche se sul piano simbolico, un feudo della Santa Sede. La cerimonia, di grande valore diplomatico per la Spagna durante la seconda metà del Seicento, era quindi denominata presentazione della chinea o, semplicemente, chinea. 75

  Ibid., p. 238. La versione italiana: «e adesso sogliono andare alla casa del corriere mag­ giore», ibid., p. 239. 76

  Th. E. Griffin, The Late Baroque Serenata cit., pp. 337-340.

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ci dice il cerimoniale, in realtà si potrebbe trattare di una cantata che, per essere eseguita la sera (il cerimoniale specifica che i viceré escono da Palazzo Reale per andare alla processione verso le 5 o le 6 «come li piace»), fu denominata serenata nella fonte segnalata da Griffin. Torniamo così al carteggio tra Belvedere e Colonna per ritrovare altri particolari riguardanti la circolazione ed il gusto attorno a queste cantate. Pare che all’epoca non fosse abituale rivelare il nome del compositore. Dopo l’arrivo di un’altra cantata romana, Belvedere scrisse: «et avrei caro sapere da chi sia stata composta».77 Così come accade oggi, anche nel Seicento era problematico stabilire la paternità musicale delle cantate. Finalmente, la coscienza di un gusto musicale collegato alla città di origine dell’opera può vedersi nel commento che fa Belvedere il 26 luglio 1691: «perche le cose forastiere da per tutto sono in maggior preggio, in Roma si desiderano le cantate di Napoli et in Napoli quelle di Roma. Se il Melani sdegniarà di porre in musica la cantata che inviai a Vostra Eccellenza, la potrà far porre dal signor Bernardo».78 Queste parole sembrano voler dire che Filippo Colonna non riuscì facilmente ad avere il compito assegnato al Melani. Anche se il carteggio non è completo in questo punto, possiamo ipotizzare che Filippo incoraggiò Belvedere a cercare un compositore per il suo testo a Napoli (probabilmente lo stesso Scarlatti), alternativa probabilmente disdegnata da Belvedere. Così si spiega meglio perché nella lettera il principe sottolinea che «le cose forastiere da per tutto sono in maggior preggio». Sembra che la cosa importante non sia il compositore (che sia Melani o Pasquini è indifferente), bensì che la musica provenga da fuori Napoli. In questa cornice acquisiscono nuova luce altri casi documentati di cantate composte a Roma per essere inviate a Napoli, come per esempio alcune di Lulier.79 Le frasi citate parlano anche di una curiosità del pubblico napoletano verso le novità straniere che spiegherebbe in parte il successo di compositori come Scarlatti ed invita ad approfondire lo studio degli scambi tra le due città, probabilmente più frequenti e veloci di quanto si pensava finora. Questi scambi sono ben noti nel 77

  Appendice 1, documento 6.

78

  Appendice 1, documento 5.

79

  Chiara Pelliccia, Le cantate da camera di Giovanni Lorenzo Lulier: studio e catalogo tematico, in Studi sulla musica dell’età barocca cit., pp. 21-143: p. 72.

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campo della storia dell’arte.80 Non sembra essere casuale che questo rafforzamento del gusto straniero, sia in musica che nelle altre arti, avesse luogo in coincidenza con i tre ultimi viceré del Seicento, caratterizzati dal loro «buen gusto romano».81 Il gusto per la novità straniera dimostrato dalle lettere di Belvedere non significa soltanto l’arrivo di musiche provenienti da Roma ma la loro immissione in un luogo con una tradizione locale forte e lungamente stabilita (rappresentata a Napoli da Provenzale, ma forse meno chiusa rispetto a quanto la storiografia ci ha mostrato finora). Si potrebbe dire che la nobiltà rappresentata da Belvedere, Lemos e Aitona ebbe un ruolo fondamentale nell’apertura della tradizione locale. In questo contesto la nomina dello Scarlatti a maestro di cappella invece di Provenzale acquisisce un senso diverso. Non appare più una decisione privata del viceré, bensì essa rappresenta la conseguenza di un cambio di gusto a livello strutturale. La novità straniera non era soltanto prodotto del capriccio vicereale ma anche una ricerca attiva di un ben più esteso ceto cortigiano. 5. Conclusioni I tre casi qui discussi illustrano tre forme diverse di mecenatismo musicale nella Napoli di fine Seicento. Soltanto nel caso di Lemos sembra chiaro che il modello imitato era quello del viceré, curiosamente l’unico più chiaramente motivato da aspirazioni politiche. Siamo quindi di fronte a comportamenti che vanno ben oltre il modello vicereale. Per ricostruire i tre 80

  Un caso da considerare è quello del pittore Francesco de Benedictis che introdusse nella tradizione decorativa napoletana elementi della sintassi romana nel decorare la volta di Santa Maria Donnaregina Nuova (1654). Essa consisteva nel dipingere la ‘gloria’ ‘a tutta navata’ invece di suddividerla in cassettoni. Questo gusto decorativo romano si rafforza precisamente negli anni Novanta con i lavori a Santa Caterina a Formiello e San Ferdinando del romano Luigi Garzi e del napoletano Paolo de Matteis che aveva fatto un lungo soggiorno a Roma. Cfr. Elena Fumagalli, Decorazione barocca tra Roma e Napoli: scambi di artisti e di modelli, «Paragone. Parte arte» 71, 2007, pp. 61-79: pp. 62-63 e 72. 81

  Giulia Fusconi, Il ‘buen gusto romano’ dei Viceré. I. La ricezione dell’effimero barocco a Napoli negli anni del Marchese del Carpio (1683-1687) e del Conte di Santisteban (1688-1696) e Jorge Fernández-Santos, The ‘buen gusto romano’ of the Viceroys. II. Christoph Schor and Francesco Solimena, Standard-Bearers of Arcadian Taste in the Service of the Duke of Medinaceli, in Le Dessin Napolitain, a cura di Francesco Solinas e Sebastian Schütze, Roma, De Luca, 2010, pp. 209-220 e 221-238.

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casi ho adoperato fonti molto utilizzate negli studi musicologici su questo periodo, come le Gazzette ed i libretti (per il caso di Lemos) accanto ad altre poco esplorate ma che offrono nuove prospettive. Ciò è dimostrato ad esempio dai documenti amministrativi per Aitona, oppure dal cerimoniale e dall’epistolario per Belvedere, testimonianze che possono essere collegate a partiture e testi poetici come quelli dell’Angelica. Ho quindi tentato di mettere alla prova un modello metodologico per dimostrare la ricchezza di documenti che ancora possono aprire nuove prospettive di ricerca sulla storia della musica a Napoli oltre i viceré. Dall’altra parte, andare oltre i viceré ci invita a riconsiderare alcuni atteggiamenti come quello che, fino a poco fa, difendeva l’isolamento musicale di Napoli.82 Ci permette anche di documentare quali erano la formazione e le aspettative del pubblico interessato alla musica. Nei tre casi considerati, si tratta di aristocratici con un interesse personale verso la musica che, oltre alla tradizione napoletana, ne conoscono stili diversi a cui sono interessati (ricordiamo che i tre ascoltarono opere a Roma e a Venezia). È interessante infine riflettere sui diversi usi che fa ognuno del proprio mecenatismo musicale: dal piacere privato come nel caso di Aitona fino all’autopromozione pubblica del proprio rango come Lemos, chiaro esempio di emulazione del viceré mosso da un obiettivo politico. Tra i due estremi, il caso di Belvedere rappresenta una scelta intermedia: il gusto dell’arte per l’arte, con una ripercussione pubblica limitata alle cerchie colte della repubblica delle lettere ma svincolata da qualsiasi aspirazione politica. Come il cardinale ed il principe Ottoboni, o come Pamphili, Belvedere probabilmente pensava a se stesso come un artista. Il suo interesse principale era perciò indirizzato verso la musica, il cui compito era quello di innalzare la qualità letteraria del testo. Torna così utile il mettere alla prova l’idea del nobile come mecenate imitatore del viceré e del viceré come imitatore del mecenatismo regio (una discussione già avviata tra gli storici dell’arte).83 Il meccanismo va inteso forse meglio alla rovescia: sono i viceré, nella loro 82

  «During Provenzale’s age, Naples was like an island, where the dynamics of patronage and production and the consumption of music and spectacle were part of an entropic and self-sufficient mechanism with few or no links with the main Italian or European cultural centres»; D. Fabris, Music in Seventeenth-Century Naples cit., p. XV. 83

  Diana Carrió -Invernizzi, Royal and Viceregal Art Patronage in Naples (1500-1800), in T. A starita, A companion cit., pp. 383-404: 383-384.

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stagione temporanea a Napoli, ad essere imitatori della nobilità locale e dei principi delle corti italiane. Perciò, conoscere i meccanismi e le strategie di questi aristocratici è utile per capire e contestualizzare il mecenatismo musicale dei viceré.84 Appendice 1: estratti delle lettere del principe di Belvedere (Napoli) a Filippo Colonna (Roma) conservate nell’Archivio Colonna di Subiaco, fondo Filippo II Colonna, anno 1691 Documento 1 Data: 2/6/1691 Da un amico sono stato richiesto con grandissima fretta il supplicare V.E. come fo a degnarsi di far porre in musica l’accluse parole da chi gli parerà che possa farlo con quella vivacità di spirito che richieggono. E forse martedì mi converra inviargli un’altra composition seria per l’istesso effetto. Documento 2 Data: 12/6/1691 Subito che sarà ritornato Scarlati in Napoli, ritrovandosi ora fuori servendo la S.a Viceregina procurarò d’aver la cantata che V.E. desidera per doversela rimettere con l’ordinario venturo. Documento 3 Data: 16/6/1691 La cantata rimessami da V.E. è riuscita bellissima e ’l cavaliere che la volse se n’è compiaciuto assai, et ha voluto aggiungervi altre poche parole per chiuderla con recitativo che rimetto a V.E. a chi similmente rimetto l’annesse parole aciò si compiacia di farle porre in musica dal S.r Melani, pregandolo a comporre con la solita vivacità del suo spirito quanto porta la tetragine delle parole che il poeta in qualche luogo ha voluto far in due modi acciò il compositore scelga quello che gli verra quivi acconcio per la musica. In somma, io darò la fatica di copiare e V.E. quella di stancare cotesti musici sicome farò con Scarlati subito che sarà ritornato a Napoli da dove manca che sono più giorni per poterne cavare la cantata che V.E. desidera. 84

  La ricerca per questo articolo si è svolta all’interno del programma ‘Juan de la Cierva’ e del progetto di Ricerca e Innovazione ‘La música de cámara en España en el siglo XVIII: géneros, interpretación, recuperación (2012-2014)’ HAR2011-22712, entrambi finanziati dal Ministero spagnolo di Economia e Competitività.

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Documento 4 Data: 19/6/1691 La supplico far avvertire al Melani che si mantenga nelle corde di mezzo nel comporre la cantata che inviai a V.E. e la faccia quanto può allegra. Documento 5 Data: 26/6/1691 Perche le cose forastiere da per tutto sono in maggior preggio, in Roma si desiderano le cantate di Napoli et in Napoli quelle di Roma. Se il Melani sdegniarà di porre in musica la cantata che inviai a V.E. la potrà far porre dal s.r Bernardo raccomandandogli la bizarria e il non uscir dalle corde di mezzo del soprano. Documento 6 Data: 3/7/1691 Rendo a V.E. infinite grazie degli avvisi e della cantata inviatami che non si è ancora provata per essermi pervenuta tardi, et avrei caro sapere da chi sia stata composta. Documento 7 Data: 10/7/1691 Sin che V.E. non avrà bisogno di procuratore Lei non sarà bene che l’eligga e la cantata è riuscita bellissima di che gliene rendo gratie infinite. Ma veniamo presto a quel che più importa. Documento 8 Data: 14/8/1691 Sono pochi giorni ch’io chiesi a Scarlati la cantata e me la promise; io l’affretarò per servire V.E. Documento 9 Data: 25/8/1691 [In un poscritto:] Scarlatti mi fa sperare di darmi la cantata per martedì prossimo. Documento 10 Data: 5/2/1692 Ciò che mi fa desiderare il portarmi in Roma non ha per ogetto il veder comedie ma il riverire e riveder V.E.

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Documento 11 Data: 10/3/1692 Ringratio l’Ecc.za V. delle compositioni inviatemi ma confesso aver veduto cose migliori nella morte d’Innocentio.

Appendice 2: versioni testuali della cantata ‘Colui che fisso mira’ Musicalmente le due fonti di Londra e Münster coincidono, con l’unica differenza che il manoscritto della British Library è trasportato una quarta giusta discendente rispetto alla versione della collezione Santini. Nella seconda colonna si trascrivono i testi del manoscritto Santini, indicando tra parentesi e in corsivo i pochi passi in cui la fonte di Londra rende una lettura diversa. Ms 4 di Arcadia Santini Hs. 3915 / British Library Add. 14163 [A1] A1 Adagio assai [Adagio] Colui che fiso mira Colui che fisso mira in voi tanta sì gran beltà di Clori la beltà se tosto non sospira se tosto non sospira ò è stolto, ò cor non ha. ò è stolto ò cor non hà. [A2] Ma se l’arciero Dio ferir per voi non può è che nel petto mio ogni suo stral vibrò.

A2 Largo [senza indicazione di tempo] Mà se l’arciero Dio ferir per Lei non può e che nel petto mio ogni suo stral vibrò.

R1 R1 Ne di ciò mi querelo, e se mi doglio Sì, che contro il mio core e se mi doglio tutta votò la sua faretra Amore. è sol perche vorrei Clori, Clori adorata offrirti più d’un core e più d’un alma. sii pur pietosa o ria Ma a una corporea salma tu sei l’affanno e tu la morte mia. tanto non lice e se la stanca mente S’io ti veggio adirata o pur l’isteso dio, che l’alma accende s’accrescon le mie pene. sorger potesse appieno S’io ti veggio placata tutti i pregi che il cielo in te ripose s’addoppian le catene. di sue virtudi al bello manto apese [Arioso:] Onde con giro eterno il numero infinito son l’Ision d’un amoroso inferno. adeguar non potrebbe

96 cioche assir si può da un debil core ne di tant’anni è proveduto amore. A3 Tanti strali amor non ha quanti son quegl’alti pregi onde l’anima ti fregi et adorni tua beltà. Se di tutte tue virtù facesse anni il dio d’amore tralasciar di dardi il core non potriano gli dei lasù.

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A3 Agitato da procelle solco un mar che non ha calma [sponda]. E s’un onda mi sommerge l’altra m’erge. Ma il tenor della mia stella anco in calma i legni affonda.

R2 R2 Per mille volte e mille Quindi mi veggio ogn’or naufrago e vagheggiando il tuo bello absorto volgo la mente a contemplar E pur non spero, e pur non bramo il porto. l’interno Ah come potrò mai fuggir da te della bell’alma che racchiudi in seno. senza lasciar me stesso e al ciel fo scala de tuoi cari lumi s’io t’ho sempre d’appresso. e specchio al viver mio de tuoi Per dove il pie rivolgo85 costumi. e dove il guardo giro Ma vinto da tuoi [sopra: quei] raggi Altro che te non miro. che da ciascun de’ gesti tuoi E quell’usato tuo risplende vario costume osservan gl’occhi miei osservar mi si vieta anco dove non sei. l’inbernal merto tuo, chi ogn’altro Or humile or altera crede or mansueta or fiera tali; e tante bellezze in se contiene io ti riveggio ahi lasso e forte del mio stato impietosito se miro un rivo, un fonte, un tronco, un impietosito il fato sasso. m’abbaglia sì che parte di quelle mai non osservate altronde vostre egregie virtud a me nasconde.

85

  La fonte di Londra inizia con questi due versi e presenta una parola cancellata, probabilmente «dovunque».

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A4 Se non posso difendere da mille strali il cor or che sacia dell’alma mea le giungesse a comprendere l’interno tuo valor.

A4 Adagio In te vivo in te respiro da te lungi alma non ho. Cosi in ogni loco portando il mio foco ovunque m’aggiro pur teco mi stò.

R3 R3 E pur l’anima mia Tu sei meco io son teco che più soffrir desia teco son’io per adorarti o cara sempre contempla in voi e sempre Meco tu sei [Meco sei tu] che d’una doglia tenta amara di scoprir cose nove e novi pregi. sempre mi pasci. Accogli pure insieme E nel capir in voi tutti i tormenti degl’oscuri abissi. qualche nova virtute E dì che sempre fissi sento uno stral che mi saetta e piace hanno dentro il mio sen posto il lor seggio provo un ardor che mi lusinga e sface. e pure io temo ohimè, temo di peggio. Onde viver non so da voi lontano quindi s’il corpo è lunge la mente a voi ricorre e solo in voi passa quest’essa vita i giorni suoi. A5 In te vivo in te respiro da te lungi alma non ho. Così in ogni loco portando il mio foco dovunque m’aggiro pur teco mi sto.

Angela Fiore

Musica nelle istituzioni religiose femminili a Napoli (1650-1750)

Negli ultimi decenni si è fatta strada l’esigenza di riscoprire il ruolo culturale dei monasteri e del monachesimo femminile di età moderna. L’impulso della letteratura gender ha incrementato varie ed articolate ricerche in questo settore, portando alla luce un grande dinamismo delle realtà claustrali femminili in diversi contesti geografici. Il dibattito storiografico sulle comunità monastiche italiane ha prodotto contributi anche riguardo Napoli. Le ricerche condotte fino ad oggi hanno puntualmente verificato l’esistenza di uno straordinario patrimonio e offrono sufficienti elementi per intuire quanto i chiostri fossero, anche nel meridione d’Italia, centri indiscutibili di cultura.1 La presente ricerca ha avuto quindi lo scopo di ricostruire le attività musicali delle diverse tipologie di istituzioni religiose femminili napoletane,2 attraverso la consultazione di fonti inedite d’archivio pubbliche e private. La documentazione interna degli istituti infatti permette di comprendere il ruolo svolto dalle comunità monastiche nelle dinamiche della 1

  Sulla storia delle istituzioni femminili partenopee si vedano: A nnamaria Facchiano, Monasteri femminili e nobiltà a Napoli tra medioevo ed età moderna, Altavilla Silentina, Edizioni Studi Storici Meridionali, 1992; Elisa Novi Chavarria, Monache e gentildonne. Un labile confine. Poteri politici e identità religiose nei monasteri napoletani, sec. XVI-XVII, Milano, Franco Angeli, 2001; Giuseppe Galasso – A driana Valerio, Donne e religione a Napoli. Secoli XVI-XVIII, Milano, Franco Angeli, 2001; A. Valerio, Istituti religiosi femminili a Napoli dal IV al XVI sec., Napoli, Voyage pittoresque, 2006; E ad., Istituti religiosi femminili a Napoli dal 1600 al 1861, Napoli, Voyage pittoresque, 2006; Carla Russo, I monasteri femminili di clausura a Napoli nel secolo XVII, Napoli, Istituto di Storia Medievale e Moderna, 1970; Helen H illis, Invisible City. The Architecture of Devotion in Seventeenth-Century Neapolitan Convents, New York, Oxford University Press, 2004. 2

  Questo saggio rappresenta una sintesi dei risultati ottenuti nel corso della mia ricerca dottorale svolta presso l’Università di Friburgo.

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vita urbana e determinare il peso e la funzione della musica nella quotidianità di queste istituzioni.3 La delimitazione temporale scelta – 1650-1750 – ha inteso coprire un periodo nevralgico della storia di Napoli, nel quale il viceregno passò dal dominio spagnolo a quello austriaco, per poi divenire regno autonomo: il rapporto fra gli elementi di discontinuità e la longue durée in ambito politico e culturale sono infatti particolarmente interessanti. Inoltre, da metà Seicento a metà Settecento furono celebrati a Napoli numerosi sinodi diocesani alla luce dei quali leggere i mutamenti di vita e concezione religiosa. La musica fu uno dei punti di contatto fra la comunità claustrale e la vita cittadina, ed è attraverso la produzione musicale ed artistica che i monasteri femminili diedero un contributo incisivo alla crescita culturale e artistica della Napoli vicereale. 1. Le fonti La ricerca si è basata non tanto sulle fonti scritte della musica, quanto sulla documentazione d’archivio, capace di registrare puntualmente il sistema di consumo in funzione del quale ha origine la stessa produzione musicale. Alcune informazioni sulla storia dei chiostri partenopei si trovano nelle guide e nelle cronache dell’epoca come Carlo Celano, Carlo De Lellis e nei giornali di Napoli di Innocenzo Fuidoro e Domenico Confuorto.4 Anche le cronache della «Gazzetta di Napoli» risultano essere 3

  Un breve tentativo di indagine sui documenti del fondo Monasteri Soppressi dell’Archivio di Stato di Napoli, venne intrapreso nel 2005 dal «Gruppo di lavoro Napoli» dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, team coordinato da Dinko Fabris e David Bryant che portò alla luce una serie di informazioni inedite sull’utilizzo della musica nei monasteri partenopei sia femminili che maschili, cfr. Dinko Fabris, Dal Medioevo al decennio napoleonico e oltre: metamorfosi e continuità nella tradizione napoletana, in Produzione, circolazione e consumo. Consuetudine e quotidianità della polifonia sacra nelle chiese monastiche e parrocchiali dal tardo Medioevo alla fine degli Antichi Regimi, a cura di David Bryant ed Elena Quaranta, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 227-281. 4

  Cfr. Carlo Celano, Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1692; Domenico Confuorto, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, Napoli, Luigi Lubrano, 1930-1931; Carlo D’Engenio Caracciolo, Napoli Sacra, Napoli, Beltrano, 1624; Innocenzo Fuidoro, Giornali di Napoli dal 1660 al 1680, Napoli, Società di Storia Patria, 1943.

MUSICA NELLE ISTITUZIONI RELIGIOSE FEMMINILI

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uno strumento fondamentale per la conoscenza degli eventi ‘spettacolari’ della città, molti dei quali legati alle istituzioni religiose.5 Esse fanno però riferimento, quasi esclusivamente, ad un’attività musicale pubblica svolta dalle istituzioni e legata soprattutto alle funzioni liturgiche. Fonti di particolare importanza che hanno permesso l’identificazione degli istituti con una attività musicale sono state le cedole di pagamento dei giornali copiapolizze dei sette antichi istituti di credito napoletani custoditi oggi presso l’Archivio Storico dell’Istituto Banco di Napoli. Esse documentano i pagamenti effettuati da istituzioni, privati, enti laici ed ecclesiastici. Nelle polizze i clienti usavano specificare la causale del pagamento, il che consente oggi di ottenere dati significativi circa l’attività di molte istituzioni della città.6 Necessaria è stata poi una classificazione delle diverse categorie di istituzioni: monasteri, conservatori, ospedali, collegi, ritiri. La terminologia utilizzata dalle fonti archivistiche, e in alcuni casi dalla stessa storiografia dell’epoca, non aiuta a designare e distinguere le diverse realtà, ma genera, al contrario, un’ambiguità di fondo: il termine ‘monastero’ è spesso utilizzato per ogni tipologia di istituto. Probabilmente questo accadeva perché anche gli istituti assistenziali, senza obbligo di clausura, adottavano rego5

  La «Gazzetta di Napoli» iniziò le sue pubblicazioni nel 1675, e svolse la funzione di organo ufficiale del governo fino al 1768. Lo spoglio delle cronache della Gazzetta, relativamente alle notizie di interesse musicale, è stato pubblicato da Ausilia Magaudda e Danilo Costantini nel 2009, cfr. Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della ‘Gazzetta’ (1675-1768), Roma, Ismez, 2009. 6

  Lo spoglio di alcuni giornali copiapolizze dell’Archivio Storico del Banco di Napoli è stato oggetto di un progetto di ricerca svoltosi dal 2007 al 2010, cui ho preso parte, coordinato da Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione e promosso dalla Fondazione Pergolesi-Spontini di Jesi, che si è dedicato allo studio dei materiali di interesse teatrale e musicale del decennio 1726-1736 desunti dai giornali di cassa dei sette antichi istituti di credito napoletani. I risultati del lavoro svolto presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli sono stati recentemente pubblicati in Francesco Cotticelli – Paologiovanni M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1726-1736, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 9, 2015, pp. 733-778. Nello stesso volume è pubblicata una prima ricognizione riguardante le attività musicali dei monasteri femminili sulla base delle notizie emerse dai materiali dell’Archivio del Banco di Napoli. Nel 2011 ho avuto poi la possibilità di portare avanti le ricerche sui monasteri, grazie al dottorato svolto presso l’Istituto di Musicologia dell’Università di Friburgo e al progetto di ricerca del FNS 137451, sotto la direzione di Luca Zoppelli.

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le e schemi monastici per la tutela e l’educazione delle figlie che ospitavano. Le istituzioni sono state quindi suddivise in due categorie: con e senza obbligo di clausura. Alle istituzioni con obbligo di clausura appartengono i monasteri. Le istituzioni senza obbligo formale di clausura sono invece i conservatori, i ritiri, gli educandati, i collegi, gli ospedali. Si tratta di istituti che vengono definiti ‘assistenziali’ o ‘caritativi’ che affiancarono i monasteri con lo scopo di accogliere e istruire fanciulle bisognose.7 Lo studio delle fonti archivistiche ha poi previsto lo spoglio sistematico della documentazione contabile delle singole istituzioni custodite presso il fondo Corporazioni Religiose Soppresse dell’Archivio di Stato di Napoli. Si tratta di documentazione in massima parte contabile: rendiconti dell’amministrazione, libri maggiori, registri di introito ed esito, conti di chiesa e di sacrestia, a cui si aggiungono fasci miscellanei composti da documenti di vario tipo. Parallelamente è stato condotto lo spoglio di alcuni fondi dell’Archivio Diocesano di Napoli. In primo luogo i resoconti delle Sante Visite 8 contenuti nei Libri Visitationum Monialium Monasteriorium Civitatis Neapolitanae. Si tratta delle relazioni delle visite pastorali effettuate dai cardinali di Napoli fra XVII e XVIII sec. Esse danno un quadro abbastanza chiaro degli aspetti meno conosciuti della vita claustrale e forniscono indicazioni riguardo le disposizioni disciplinari che potevano seguire la visita nelle istituzioni più ribelli. Le informazioni desunte dalle visite pastorali sono state poi confrontate con la documentazione del fondo Pastorali e Notificazioni, ovvero decreti, editti, disposizioni, proibizioni e lettere pastorali che i diversi arcivescovi inviarono nel corso dei secoli a tutte le istituzioni femminili. Inoltre sono stati studiati gli atti dei Sinodi Diocesani, un impo7

  Sono stati individuati 27 monasteri dei seguenti ordini monastici: sette istituti di benedettine, sette di francescane, cinque di domenicane, tre di agostiniane, tre di clarisse, uno di canonichesse laternanensi, uno di carmelitane. Sedici sono gli istituti di assistenza di cui abbiamo notizie relativamente alla loro attività formativa e musicale. 8

  Le ricerche sulle visite pastorali hanno consentito nuove indagini allo studio dei monasteri di carattere eminentemente economico-sociale. A questa tipologia di ricerca è ispirata la monografia di Carla Russo dedicata ai monasteri di Napoli nel Seicento attraverso le visite pastorali dell’arcivescovo Filomarino: C. Russo, I monasteri femminili di clausura cit.; si rimanda inoltre a Giuliana Boccadamo, Un ‘palombaro di palombe sante’. Squarci di vita quotidiana nei conservatori femminili napoletani sul finire del Cinquecento, in Munera Parva. Studi in onore di Boris Ulianich, a cura di Gennaro Luongo, vol. II, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, 1999, pp. 277-315.

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nente complesso di norme che stabiliva la disciplina della vita monastica. La documentazione più cospicua indagata presso l’Archivio Diocesano e che ha maggiore rilevanza per lo studio delle istituzioni religiose femminili corrisponde al fondo Vicario delle Monache, relativo all’ecclesiastico che su delega dell’arcivescovo trattava ordinariamente relazioni e problematiche con i diversi monasteri della città. Anche nelle scritture private intercorse fra arcivescovi e autorità religiose e civili, appartenenti al fondo Arcivescovi, si ritrovano notizie fondamentali per le attività religiose e anche di grande rilevanza per la storia delle istituzioni; infine le cronache dei Diari dei Cerimonieri, concernenti le cerimonie svolte nelle principali chiese e monasteri della città alla presenza dell’arcivescovo, permettono la ricostruzione di liturgie solenni come i riti di professione monastica. In alcuni casi è stato possibile consultare dei fondi archivistici privati, custoditi tutt’oggi dalle rispettive istituzioni. È il caso del conservatorio di Nostra Signora della Solitaria e del monastero di Santa Chiara. Questo ha consentito un’analisi più attenta e particolareggiata dell’attività svolta dalle due istituzioni. 2. Governo e controllo degli istituti Fondamentale ai fini della ricostruzione del contesto nel quale queste istituzioni si mossero è stata l’analisi del rapporto fra autorità religiose e istituzioni femminili in relazione alla pratica musicale. Fra XVII e XVIII sec. le diverse istituzioni femminili partenopee furono ininterrottamente controllate da differenti autorità ecclesiastiche con l’intento di moderare abusi e ripristinare l’osservanza della clausura imposta a tutti gli ordini monastici a seguito del Concilio di Trento.9 9

  La vita che si conduceva in monastero agli inizi del XVI secolo era infatti abbastanza libera e l’osservanza della clausura moderata: si ricevevano visite, era possibile uscire dai chiostri, si amministravano beni personali. Alcuni monasteri, pur avendo adottato la clausura ai tempi della fondazione, l’avevano in seguito abbandonata, allontanandosi dagli alti ideali che ne avevano ispirato la costituzione. Il Concilio di Trento si occupò specificamente della questione monastica, imponendo la reintroduzione della clausura per tutte le comunità monastiche femminili. La riforma prevedeva sostanzialmente la reintroduzione dell’istituto claustrale, l’osservanza dei tre voti di castità, povertà e obbedienza, una redistribuzione degli spazi claustrali e infrangere i legami fra nuclei parentali e religiose. Cfr. R aymond Creytens, La riforma dei monasteri femminili dopo i Decreti Tridentini, in Il Concilio di Trento e la riforma tridentina, Roma, Herder, I, 1965, pp. 45-84.

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Vescovi e vicari trattavano ordinariamente relazioni e problematiche con i diversi monasteri della città e nella loro opera erano coadiuvati anche dell’intervento delle congregazioni curiali presso la Santa Sede come la Congregazione del Concilio e in modo particolare la Congregazione dei Vescovi e Regolari. Esse si attivavano soprattutto in risposta ai memoriali che laici, ecclesiastici e nunzi apostolici inviavano a Roma per domandare un intervento risolutore nelle questioni più complesse. Visite pastorali, sinodi diocesani ed editti furono invece gli strumenti impiegati per indagare ogni aspetto dell’organizzazione religiosa delle singole istituzioni e proporre una riforma allorché si riscontravano abusi e imperfezioni. Le disposizioni che facevano seguito ai sinodi e alle sante visite riguardavano sovente anche l’impiego di musica nella vita dei chiostri. Le autorità ecclesiastiche ritenevano infatti che la musica potesse entrare in conflitto con la morale e ne contrastavano dunque una pratica troppo intensa. Le restrizioni proibivano la polifonia, il canto figurato, il possedere strumenti musicali nelle celle, accogliere insegnanti di musica esterni. I primi interventi si registrano già a partire dalla fine del Cinquecento. Nel 1586 l’arcidiocesi di Napoli inviava a tutti gli istituti religiosi femminili della città un ordine tramite il quale si vietava alle monache l’utilizzo del canto figurato e si aboliva l’impiego di qualsiasi strumento ad eccezione degli organi, permessi comunque solo nei luoghi non vincolati dalla clausura:10 Non si permetta à monache nelle lor Chiese canto figurato, mà solamente il canto fermo, et di più si toglino e cavino da ciascun monastero tutti i musici instromenti, salvo gl’organi i quali si permettono solamente nelle Chiese fuori della clausura.

Spesso alla non aderenza agli ordinamenti seguivano interdetti emanati dagli arcivescovi con la chiusura e ritiro del Sacramento dalle chiese aperte al pubblico e la sospensione di tutte le celebrazioni pubbliche di culto.11 Nel 1691, ad esempio, il cardinale Giacomo Cantelmo Stuart interdisse la chiesa del monastero di Donna Romita, poiché le monache avevano fatto ricorso ai musici della Cappella Reale per celebrare la visita della vicere10

  ASN, Corp. rel. soppr., 4509.

11

  Non mancano poi le suppliche inviate dalle badesse agli arcivescovi per chiedere sospensioni temporanee degli interdetti, soprattutto in relazione a particolari ricorrenze da celebrarsi con musica.

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gina ed emanò altresì un nuovo ordine per il buon governo dei monasteri femminili, chiedendo a tutte le istituzioni religiose il rispetto dei voti e della disciplina:12 Essendo molto convenevole, che la casa di Dio specialmente si riconosca nelle Chiese delle Monache, che sono spose di Giesù Christo, si deve perciò procurare che tutte le funzioni che in esse si fanno, siano totalmente dirette al culto divino senza alcuna apparenza profana causata dal concorso delle genti […]. L’Abbadesse, ò superiore di qualsisia Monastero non permettano in conto veruno, che tanto dalla parte delle Grati, quanto della Chiesa qualsivoglia monaca professa, novitia, educanda, ò conversa pigli lettione di cantare, ò sonare qualsivoglia instrumento, ne permettano che in coro, ò nelle Grate si canti figurato, ma solo in semplice canto gregoriano, sotto pena della privazione di officio ipso facto all’Abbadessa, ò superiore, che lo permetteranno, e di scomunica ipso facto à noi riserbata rispetto alle Monache et à chi l’insegnerà essendo secolare, et essendo persona à noi soggetta di carcere formale per sei mesi […]. 19 dicembre 1691 Giacomo Cardinal Cantelmo Arcivescovo.

Ordini e proibizioni si esprimevano anche sulla moderazione nelle spese per l’organizzazione di festività e cerimonie. L’intento delle gerarchie ecclesiastiche era appunto evitare che le liturgie finissero per somigliare a feste profane. Particolare attenzione era riservata ai riti della Settimana Santa, per i quali veniva richiesta una maggiore moderazione nei costumi, come si legge in un editto del cardinale Pignatelli del 1705: S’ordina alle Reverende Signore Madri Abbadesse, Priore, Sagrestane, et altre Monache delli infrascritti Monasteri a Noi soggetti sotto pena d’Interdetto di loro Chiese, ed in virtù di Santa Ubidienza, che debbano osservare, e farle osservare respettivamente le cose seguenti […]. Per cantare il Passio, nella prossima Settimana Santa, non si possano servire d’altri Preti, ò Clerici, che di quelli delle loro Chiese, e non essendovi il numero sufficiente, possano pigliare altri con nostra licenza in scriptis, con darci prima nota de’ loro Preti, e Clerici. Avvertendo, che non si ammettano à cantare il Passio altri, se non che Sacerdoti, ed ogn’uno di essi canti di canto fermo, e la sua parte solamente. Proibendo espressamente a’ detti Sacerdoti di cantare la parte della Turba in terzetto, ma che non recedono, né pure una nota dal canto fermo. L’Offici, Lamentazioni, Lezzioni, e Responsorii, si cantino di canto 12

  Archivio Storico Diocesano di Napoli (ASDN), Visite Pastorali, IV. Circa l’impiego dei musicisti della Cappella Reale di Palazzo si veda a pp. 112-114.

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fermo, senza trilli, e passaggi di sorte alcuna, e senza Organo, dalle Monache solamente, e non dalle figliuole secolari […]. L’Evangelio non si possa cantare con canto figurato, ma solamente in canto fermo sotto pena di scomunica alle Abbadesse, Superiore, Sacrestane, ò altre, che ciò faranno, e rispetto alli Preti sotto pena di carcere, ed altre a nostro arbitrio […]. Non si chiamino a cantare il Passio, o all’assistenza di Messe, Processioni, o altra funzione nella prossima Settimana Santa, Eddomadarij, o altri Preti, o Chierici della Chiesa Arcivescovale, né meno si chiamino Musici, o Periti di canto figurato […]. Dato dal Palazzo Arcivescovale questo dì 7 Marzo 1705.13

Numerosi decreti e ordini disciplinari erano dedicati alla consuetudine di organizzare commedie o rappresentazioni sceniche nei monasteri o in luoghi esterni ad essi adiacenti:14 Non si facciano comedie, né presentationi sotto qual si voglia colore [sic] i pretesto, né la Madre Abbadassa lo permetta in modo alcuno sottopena della privatione dell’officio suo.

Nel 1697 un commissario dello stesso Papa Innocenzo XII comandava alle religiose del monastero dei Ss. Pietro e Sebastiano la sospensione di commedie, intermezzi o rappresentazioni teatrali ad opera delle religiose, educande o converse.15 Si specificava inoltre che non era concesso alle monache il cambiarsi d’abito o mascherarsi:16 Similmente sotto precetto formale, e scomunica late sententie ipso facto incurrenda, commandiamo alle Madri Priora, e sottopriora pro tempore, che 13

  ASDN, Vicario delle Monache, 259 D.

14

  ASN, Corp. rel. soppr., f. 2702.

15

  Il teatro era una pratica comune nei monasteri italiani. Le performance teatrali in alcune situazioni erano parte dell’educazione e rappresentavano anche un salutare momento di convivialità per tutte le abitanti dei monasteri. Sul teatro monastico si veda Elissa Weaver , Convent Theatre in Early Modern Italy: Spiritual Fun and Learning for Woman, Cambridge, Cambridge University Press, 2002; e in particolare sul costume di festeggiare le fanciulle che prendevano il velo attraverso cantate, oratori, sacri drammi, cfr. A ngela Fiore , Et nunc sequimur in toto corde: riti e cerimonie di monacazione nei chiostri napoletani fra XVII e XVIII sec., in Celesti Sirene II: Musica e Monachesimo dal Medioevo all’Ottocento, Barletta, Cafagna, 2015, pp. 399-428. 16

  ASN, Corp. rel. soppr., 1407.

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non permettano nel sudetto Monastero si rappresentino dalle Religiose, anche converse e non meno dalle Signore educande, comedie, Intermezzi, opere ò rappresentazioni di qualsisia maniera, ne mutino habito, ò mascherarsi sotto qualsisia titolo, ò pretesto.

Il contrasto evidente tra il lusso combattuto e persistente e la sobrietà richiesta dalla Chiesa che si palesa dallo spoglio e dal confronto con la documentazione interna degli istituti ci porta a comprendere quanto il ‘modus vivendi’ dei chiostri risultasse essere tutt’altro che improntato su una ferrea osservanza dei voti e dei regolamenti. Dunque, se da un lato le autorità cercavano di eliminare ogni fasto superfluo, dall’altro le monache continuarono ad agire secondo abitudini radicate, beneficiando soprattutto del sostegno dei parenti. Lo spirito dei voti e di preghiera a cui erano chiamate le religiose non avevano fatto di certo molta strada fra i chiostri napoletani. 3. I monasteri I monasteri femminili napoletani furono luoghi privilegiati per accogliere le figlie della nobiltà destinate alla vita del chiostro. Buona parte degli istituti, soprattutto quelli di maggior prestigio, erano infatti retti da badesse provenienti dall’aristocrazia cittadina. La famiglia destinava parte dei propri beni al sostegno o alla creazione di una comunità monastica e controllava, attraverso le proprie figlie, non soltanto i chiostri, ma anche grandi patrimoni e strategici nodi politici e istituzionali. Nel corso dei secoli molti istituti femminili accumularono e gestirono enormi risorse economiche, grazie ad una fitta rete di scambi e di relazioni con il territorio. Scorrendo i registri contabili si legge infatti che le comunità monastiche amministravano case e terre e, coadiuvate da procuratori e governatori, gestivano investimenti finanziari. Le religiose tendevano a fare dei loro cenobi dei centri culturali oltreché spirituali, mentre i vincoli familiari permettevano loro di svolgere un ruolo importante nel contesto civico. Uno degli obiettivi principali delle monache partenopee fu l’acquisizione di visibilità nello spazio pubblico che avrebbe consentito loro di affermare il proprio peso nell’ambito cittadino. L’organizzazione di celebrazioni liturgiche ordinarie e straordinarie contribuì in maniera determinante al raggiungimento di tale scopo. Le spese per la gloria di Dio erano infatti assolutamente necessarie nell’economia di ogni istituzione per confermare il proprio posto nella gerarchia sociale della città. La musica

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aveva il compito di rendere fastoso e solenne ogni rituale e per tal motivo i monasteri si attorniarono nel corso dei secoli di rinomati compositori e musicisti, divenendo in tal senso produttori e committenti di molta musica sacra e svolgendo al contempo anche un ruolo centrale nella circolazione di tante maestranze musicali attive nella capitale e in tutto il viceregno.17 Le date del calendario liturgico solennizzate con musica erano numerose e differenti per ciascun ente, per lo più legate ai tridui per i santi patroni e alle ricorrenze mariane.18 L’anno dei monasteri risulta essere infatti ricco di devozioni per la Beata Vergine Maria: cinque istituti solennizzano la ricorrenza dell’Immacolata Concezione, sette quella dell’Assunta, cinque la Natività della Vergine, tre il titolo di Santa Maria delle Grazie, ma si trovano ancora la festa della Madonna del Rosario, della Visitazione e della Purificazione della Vergine, della Madonna del Carmelo e della Madonna dei Dolori. Tra i momenti del normale calendario liturgico che maggiormente richiedevano l’intervento di musicisti ingaggiati, spiccano naturalmente le celebrazioni relative all’Avvento, al Natale e all’Epifania. Dodici istituti registrano spese per cantori e strumentisti per messe solenni e per la novena di Natale. Ventuno istituzioni registrano spese per la musica del periodo quaresimale e per la Pasqua. Impiego di numerosi musicisti, rinomati maestri di cappella e allievi dei conservatori maschili è documentato per le principali feste mariane come l’Immacolata Concezione e l’Assunzione, per le liturgie delle Quarantore e per il Corpus Domini, per le quali erano previsti anche riti processionali. Ancora troviamo l’impiego di musica per le feste dei santi fondatori degli ordini religiosi. Ben sette monasteri organizzano commedie per il Carnevale con l’allestimento di un vero e proprio teatro all’interno delle mura claustrali. Assistiamo in diverse istituzioni a celebrazioni sontuose per la Quaresima e per il triduo pasquale, attraverso la preparazione di sepolcri, di processioni, di rievocazioni della Passione di Cristo, di messe solenni. In contrasto con il clima di silenzio prescritto dagli ordini delle autorità ecclesiastiche, le celebrazioni della Settimana Santa, erano di sovente arricchite con musica e con l’intervento di molti cantanti e strumentisti. 17

  Sulla circolazione dei musicisti e il ruolo svolto dalle istituzioni religiose cittadine si rimanda al saggio di Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore e Rodolfo Zitellini presente in questo stesso volume alle pp. 209-225. 18

  Sull’avvicendarsi delle differenti festività nella Napoli vicereale si veda: D. Fabris, Music in Seventeenth-Century Naples. Francesco Provenzale (1624-1704), Aldershot, Ashgate, 2007.

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Negli archivi napoletani19 si trovano infatti numerosi esempi di lezioni e lamentazioni composte per il triduo delle Tenebre da musicisti come Cristofaro Caresana, Gaetano Veneziano, Francesco Provenzale, alcuni di essi riportano specifiche dediche a suore (figura 1).20

Figura 1: Gaetano Veneziano, Zain. Repulit Dominus altare suum, Napoli, Archivio musicale della Congregazione dell’Oratorio.21 19

  L’Archivio musicale dei Girolamini di Napoli possiede buona parte delle composizioni destinate a delle religiose di autori come Cristofaro Caresana, Gaetano Veneziano, Gennaro Manna, maestri di musica e di cappella in diversi monasteri cittadini. Ad oggi il prezioso patrimonio dell’Archivio musicale dei Girolamini, inaccessibile agli studiosi dal 1980, è consultabile in parte online grazie alla digitalizzazione di diversi manoscritti. 20

  Il rito delle Tenebre rappresentava il momento di maggiore suggestione del ciclo pasquale. Si svolgeva in genere dal Giovedì al Sabato Santo e ciascun giorno del triduo era articolato in una struttura simmetrica di tre notturni. La denominazione di ‘Tenebre’ si riferiva al passaggio dalla luce all’ombra all’interno della stessa liturgia che terminava infatti a lumi spenti. Cfr. D. Fabris, Music in Seventeenth-Century Naples cit., pp. 4-5. 21

  La partitura di G. Veneziano è custodita presso l’Archivio dei Girolamini di Napoli, la riproduzione fotografica è tratta da .

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Si tratta della terza lezione da cantare durante la sera del Giovedì Santo composta da Gaetano Veneziano nel 1700, in cui si legge chiaramente la dedica ad una certa Suor Chiara. È probabile che esempi come questo venissero cantati direttamente dalle monache per le celebrazioni liturgiche della Settimana Santa, contravvenendo quindi alla pratica del solo canto gregoriano prescritta dagli ordini disciplinari. Non sempre i documenti d’archivio forniscono indicazioni sulla tipologia di repertorio utilizzato nelle differenti festività: spesso si riscontra una generica indicazione di messe e vespri cantati, solenni esposizioni, ottavari, novene e tridui con musica. Inoltre, difficilmente si hanno chiare indicazioni sul numero di musicisti impiegati o sulla compagine. In alcuni casi nei registri contabili vengono riportati i pagamenti per il numero o l’insieme dei musicisti coinvolti e viene nominato soltanto il maestro di cappella o l’organista, come ad esempio nel caso della messa cantata per la solennità dell’Epifania celebrata nel monastero benedettino di San Potito nel 1719: In gennaro […] per la messa cantata dell’Epifania del Signore […] Per sedici Istrumenti d. 25.3.10 A sette voci d. 23 Al mastro di Cappella Don Angelo Durante d. 4 A Don Andrea Amendola organista d. 2 Per affitto d’organo d. 1.2.10 Alli trombettieri numero cinque d. 2.122

Aveva infatti poca importanza citare i nominativi dei singoli musicisti, bastava più che altro evidenziare i nomi illustri, perché appartenenti alla Cappella Reale piuttosto che a quella della Cattedrale. L’esplicito riferimento, nella documentazione d’archivio o nelle cronache, a musicisti di chiara fama contribuiva infatti a chiarire l’importanza della manifestazione. In altri casi invece i documenti contabili permettono la ricostruzione pressoché integrale degli organici vocali e strumentali intervenuti nelle cerimonie. Un documento relativo alla festività di Santa Maria Egiziaca del 26 e 27 aprile 1749 avvenuta nell’omonimo monastero riporta questo tipo di descrizione, con l’indicazione dei musicisti e dei cantanti ingag22

  ASN, Corp. rel. soppr., 2940.

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giati, con la specifica del canto dei mottetti a loro affidato. Nella tabella seguente si propone la ricostruzione dell’organico della cerimonia, corredata dai nomi degli artisti, il ruolo ricoperto e i relativi compensi:23 Musica di Santa Maria Egiziaca 26-27 Aprile 1749

Bilancione Pascalino Don Giovanni Battista Sericci Don Francesco Orsi Palumbo Amadoro Meola Moro Capone Pirozi Almonte Muschese Camardella Clerici Orgetano Beneduce Caglione Marotta

Cantanti con mottetto con mottetto con mottetto con mottetto con mottetto per un mottetto Violini

per il Signor Vicario Trombe

Violoncello Prota Teodoro Blando Ambrisi Rossi 23

  ASN, Corp. rel. soppr., 5156.

Controbassi

Organista Maestro di Cappella

d.3.2.10 d.3.2.10 d.3.2.10 d.3.2.10 d.3.2.10 d.3 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.1 d.1.2.10 d.3.2.10

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I legami fra patriziato e istituzioni religiose erano maggiormente evidenti nei monasteri di regio patronato, una tipologia di istituzione che si sottraeva all’autorità episcopale per obbedire direttamente al Pontefice tramite i nunzi apostolici. L’essere denominati istituzioni regie permetteva ai monasteri di essere maggiormente legati al potere sovrano, di godere di benefici e privilegi, di essere liberi di agire e di disporre dei propri beni in quanto sottratti all’autorità episcopale. Questo però comportava il verificarsi di numerosi conflitti tra poteri laici, gerarchie ecclesiastiche e nobiltà, soprattutto perché gli equilibri fra le diverse parti erano resi ancora più precari dall’intervento di autorità come quelle dei nunzi apostolici e dei viceré.24 Essendo slegate dalle autorità ecclesiastiche locali, le istituzioni di regio patronato avevano maggiori concessioni anche riguardo l’impiego di musica. La realtà maggiormente significativa in tal senso è il monastero di Santa Chiara, prestigiosa istituzione regia, che si distinse per la magnificenza e il benessere di cui disponevano le monache, per lo spirito di intolleranza di queste ultime ai dettami tridentini.25 Fu sede di grandi cerimonie di Stato, delle incoronazioni e delle sepolture regali, e divenne simbolo del potere regio. Le clarisse di Santa Chiara furono protagoniste degli eventi più esclusivi della città di Napoli spesso testimoniati dalla Gazzetta di Napoli, che riporta la cronaca delle sontuose cerimonie organizzate presso il monastero in occasione di eventi legati alla corte e all’aristocrazia. Ad esempio solenni funerali con «scelta musica»26 furono celebrati per la prematura morte del figlio del Conte Daun, viceré di Napoli nel 1715; mentre l’incoronazione a re d’Ungheria di Carlo VI d’Asburgo, avvenuta il 22 maggio 1712, venne festeggiata dalle clarisse cantando un «solenne 24

  Sulle istituzioni sotto patronato regio si veda: E. Novi Chavarria, Nobiltà di seggio cit.; A ngela Fiore , La Chapelle du Palais Royal, la cour et les couvents dans le vice-royaume de Naples, in Musique de la foi, musique du pouvoir – Musiques religieuses d’apparat dans les cours régnantes d’Europe au temps de Louis XIV, Versailles, Centre de Musique Baroque de Versailles, in corso di stampa. 25

  Il monastero sorse per volontà del re Roberto d’Angiò e di sua moglie Sancia di Maiorca intorno al 1310. Sulle attività musicali del monastero di Santa Chiara si rimanda a: A. Fiore , La tradizione musicale del monastero delle clarisse di Santa Chiara di Napoli, «Rivista Italiana di Musicologia» 50, 2015. 26

  A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli cit., Appendice documentaria, 20 agosto 1715 (1).

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Te Deum e messa da’ musici della R. Cappella, animata dagli armonici concenti del rinomato Matteucci Sassano, la cui funzione seguì sotto la triplice scarica dell’archibugio del battaglione alemanno […]».27 Non mancano i festeggiamenti per l’ingresso di Carlo di Borbone a Napoli nel 1734 e del suo successivo matrimonio per il quale le monache di Santa Chiara «fecero illuminare tutto il monastero e cantare un solenne Te Deum nella loro chiesa con scelta musica, magnifico apparato e continue orazioni»;28 «pomposo apparato» e «scelta musica».29 Le clarisse di Santa Chiara si avvalevano quasi esclusivamente dei musicisti più in voga del panorama musicale e spettacolare partenopeo e in special maniera della prestigiosa Real Cappella napoletana, nonostante i decreti dei sinodi diocesani prescrivessero per tutte le istituzioni religiose, il ricorso ai musicisti della Cappella dell’arcivescovo detta anche della Cattedrale e agli allievi del conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo. L’arcivescovo Pignatelli infatti nel 1724 si era pronunciato proprio a riguardo dei musicisti da impiegare dai monasteri in occasione delle festività in cui era ‘diocesanamente’ concessa la musica:30 Per moderare gli eccessi introdotti dalle Monache nelle Musiche, concediamo loro che in quelle Feste, ed in quelle Chiese, nelle quali è loro permessa dalle Costituzioni Diocesane la Musica, e non altrimenti; e dove vi è il medesimo uso nella Monacazione, Professione, ò Velazione, e purche non siano solite di pigliare minor numero di voci, e d’istromenti, in tali casi solo possano pigliare diece voci inclusevi anche quelle che dicono del Trattenimento, e quindeci istromenti; e niente più affatto: inclusovi però nel sudetto numero la musica della nostra Cattedrale, secondo il solito: sotto pena dell’Interdetto ipso facto alla Chiesa, e di scomunica à chi la fa fare, ò Monache, ò Secolari; ed anche a’ Musici, e Sonatori […]. 26 settembre 1724. Francesco Cardinale Arcivescovo.

Tuttavia nelle istituzioni di regio patronato erano proprio musicisti e i cantanti provenienti dalla prestigiosa Real Cappella a provvedere al sostegno musicale. La badessa di Santa Chiara rispondeva dunque alle richieste 27

  Ibid., 21 giugno 1712 (1).

28

  Ibid., 7 gennaio 1738 (2).

29

  Ibid., 21 gennaio 1738 (5).

30

  ASN, Corp. rel. soppr., 2702.

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del cardinale impugnando direttamente il regio patronato e giustificando in tal senso il ricorso alla Real Cappella:31 Si è degnata Vostra Eminenza partecipare con sua stimatissima lettera l’ordine dateli dà Nostro Signore per l’osservanza de’ capi dell’editto ultimamente fatto pubblicare per li suoi monisteri, e chiese dà esse Religiose, però con tutta la venerazione dovuta à tali stimatissimi oracoli se li espongono con tutta rassegnatione le seguenti considerationi […]: Passando al terzo dè divieti delle musiche con restrizioni à sole diece voci, e quindeci Istrumenti inclusa la musica dalla Catedrale. In questo deve riferire Vostra Eminenza la stravagante ampiezza di questa Regal Chiesa quale essendo diece volte più d’ogn’altra Chiesa di monache merita giusto permesso di maggior numero; né in questo vi è alcun disordine quando che esse Religiose non hanno alcuno aspetto in Chiesa, e così cessa ancora il ritrovato delle Gelosie, che già in tante Chiese non si sono adoprate né meno dopo l’editto, come in San Domenico Maggiore, San Sebastiano, ed altre, mentre cessando il motivo di zelo dell’editto, cessa ancora la necessità dell’effetto medesimo; Oltrechè mai in detto Regio Monasterio si è chiamata, né si chiamerà la musica della Catedrale, non essendosi mai potuto comprendere nelle Costituzioni Diocesane dell’Arcivescovo; ma si avvale come Regio [sic] della musica della Regal Cappella; ed alle volte nelle funzoni Reali sono irreparabili di averne in maggior numero; onde su tali riflessi si rimettino alla prudente determinazione di Vostra Eminenza […].

Il potere delle famiglie aristocratiche si esplicitava soprattutto nell’organizzazione delle sontuosissime cerimonie di professione religiosa, che segnavano l’ingresso di giovani donne nell’universo claustrale.32 Come componente essenziale della liturgia, la musica costituiva un elemento determinante per il fasto della cerimonia. Alcune fonti documentarie napoletane riportano la descrizione sommaria o puntuale di questi riti e ci forniscono in tal modo una ricostruzione visiva della liturgia, delle modalità e delle pratiche gestuali, delle vesti e degli apparati spettacolari. 31

  ASN, Corp. rel. soppr., 2702.

32

  Su riti e liturgie di monacazione si rimanda a A. Fiore , Et nunc sequimur cit. Si veda inoltre Gabriella Zarri, Nozze mistiche e nozze sacre tra medioevo ed età moderna, in Recinti. Donne, clausura e matrimonio nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 385-388 e E. Novi Chavarria, Sacro, pubblico e privato. Donne nei secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2009, pp. 31-43.

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Il grado di fastosità e pubblicità della cerimonia contribuivano a rimarcare e rendere visibile il prestigio sia della comunità monastica in cui la novizia entrava sia della novizia stessa e della sua famiglia di origine. Per tal motivo alcune celebrazioni, come la professione religiosa della figlia dell’illustre principe di Cellamare, avevano l’aspetto di veri e propri eventi mondani. Avvenuta nel febbraio del 1645 presso il monastero della Croce di Lucca, la solenne cerimonia vide la partecipazione del cardinale Filomarino, arcivescovo di Napoli:33 S’apparò tutta la Chiesa, il trono di Sua Eminenza di broccato si preparò a man dritta dell’Altare maggiore […] in sotto all’organo con tre gradini […]. Si pose uno scanno di damasco rosso per i prelati con spalliere […]. Si posero 12 candelieri, e si tutti accesero nella funzione […]. Finita la Messa il sig. Cardinale con mitra e bacolo andò al trono ove levatosi il manipolo e la pianeta prese il piviale rosso […] intonò il Veni Creatori Spiritus mentre i musici seguitarono detto, il Signor Cardinale benedisse nel medesimo trono le vesti e altre cose per la monaca […]. Fatta questa benedizione il Signor Cardinale con mitra e bacolo andò alla sedia vicino al Communicatorio ove stando in silentio i musici vestì la monaca […]. Vestita la monaca nel medesimo luogo intonò il Te Deum Laudamus poi mentre questo hinno si seguitava […] presa la mitra e il bacolo andò al trono ove stette con piede senza la mitra fino al fine dell’hinno […] Mentre il signor Cardinale vestì la monaca, i Vescovi stettero seduti nello scanno loro. Mentre Sua Eminenza disse la messa et anco prima i musici cantarono mottetti nell’organo essendo mastro di Cappella Falconiero.

Una consuetudine era quella di chiamare illustri cantanti per far cantare mottetti. Il mottetto solistico era di certo il genere musicale maggiormente utilizzato nelle professioni religiose, esso permetteva agli artisti coinvolti di esprimere al meglio tutte le loro abilità vocali. Il celebre tenore Angelo Maria Amorevoli venne infatti ingaggiato su concessione dell’arcivescovo Giuseppe Spinelli nel 1739 presso il monastero di Donna Romita in occasione della professione religiosa della figlia del Conte di Potenza, purché, teneva a sottolineare l’arcivescovo, questa concessione 33

  ASDN, Diari dei Cerimonieri, vol. II, 1613-1655, cc. 6v-7r. Da notare la presenza di Andrea Falconieri indicato come maestro di cappella. Falconieri ritorna a Napoli nel 1639, risulta essere fino al 1647 liutista della Cappella Reale di Palazzo per poi prenderne la direzione nel 1648 alla morte di Giovanni Maria Trabaci. Cfr. D. Fabris, Andrea Falconieri Napoletano. Un liutista-compositore del Seicento, Roma, Torre D’Orfeo, 1987.

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non avesse poi dato adito all’introduzione di nuove spese ‘straordinarie’ destinate alla musica:34 Illustrissimo Signore. Mi viene fatta istanza per parte del Signor Conte di Potenza, che in occasione di dover professare in Donna Aromita [sic] la signora sua Figlia, si permetta ad Amorevoli di potervi cantare, […]: io le rispondo che quando la detta supposta musica sia solita, otterranno da lei la licenza, perchè vi canti il nominato musico, e che ne do a lei l’ordine, dichiarandonsi però, ch’io non intendo con questo di permettere la detta nuova musica, quando non sia cosa solita, non volendo introdurre nel Monisterio questa nuova spesa non necessaria […].

Anche il «rosignolo»35 della città di Napoli, Matteo Sassano, illustre cantore della Cappella Reale e protagonista indiscusso della scena sacra partenopea, fu ambitissimo per le monacazioni delle figlie appartenenti alle più nobili famiglie della città. Il suo nome infatti compare nei registri contabili di numerosi monasteri che riferiscono dei compensi dati al «musico Matteuccio», ma è presenza costante anche in cronache e gazzettieri che riferiscono spesso della «sceltissima musica» che accompagnava questi riti. L’ostentazione e la pompa di molte cerimonie di monacazione, in linea con le forme di rappresentazione della religiosità dell’epoca, segnavano pubblicamente il cambiamento nello status di vita della donna e l’inizio di un’esistenza nuova. Al pari di una festa nuziale alle liturgie di monacazione facevano seguito ricchissimi ricevimenti, con l’organizzazione di lussuosi banchetti, ‘ricreazioni’, ‘trattenimenti musicali’ e spettacoli teatrali. Le compagini che vi prendevano parte erano in genere le stesse cui era stato affidato il compito di solennizzare le liturgie mattutine. Inoltre per conferire maggior lustro alla festa spesso si aggiungevano musicisti e cantanti ‘soprannumerari’. In tali occasioni non mancavano numerosi regali e donazioni agli ospiti di prestigio: essi avevano la funzione di veicolare e favorire l’ingresso delle nuove professe nella comunità, permettendo di guadagnare più facilmente consenso e una ‘carriera’ futura nei vari uffici del monastero. Ad esempio per la solenne professione di 34

  ASDN, Vicario delle Monache, Corrispondenza Arcivescovi-Vicario, 172 D sec. XVIIXVIII. 35

  D. Confuorto, Giornali di Napoli cit, vol. II, p. 245.

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«Donna Marianna Lucina» nel monastero di Santa Maria la Nova di Nola duecento­cinquanta ducati rappresentavano non solo la somma «per abito […] Musica di Nola, Messa Cantata», per «una serie di musici di Napoli; et apparato per la Chiesa», ma anche per i «regali soliti da farsi cosi à Monsignor Vescovo, come, à Monsignor Vicario, et agl’invitati, et altri à quali è solito farsi […]».36 I monasteri napoletani furono con le loro liturgie, devozioni, musiche e apparati, per tutto il XVII e XVIII sec., un grande polo di attrazione, pur essendo proprio feste e cerimonie potenziali motivi di condanna e ammonimento da parte delle autorità ecclesiastiche. Organizzare sontuose e spettacolari celebrazioni significava infatti ostentare il potere che sottendeva ognuna di queste ricorrenze, intese come eventi non solo religiosi ma sociali. D’altra parte vi è anche da dire che le nobili famiglie di origine tentavano di rendere meno amara la segregazione nei monasteri, riproducendo nei chiostri il modello di vita mondana che era stato precluso a fanciulle molto giovani e spesso senza alcuna vocazione. 4. Gli istituti di carità Alla metà del Cinquecento i monasteri furono affiancati da istituti deputati all’educazione femminile. Sorsero così conservatori, collegi, ritiri, educandati, ospedali come istituzioni assistenziali con l’intento di rispondere alle gravi situazioni di disagio sociale presenti a Napoli. Essi si proponevano di accogliere orfane, donne ai margini da redimere e da proteggere, fanciulle da istruire e assistere in vista del matrimonio, garantendo loro un’adeguata formazione spirituale e culturale. Purtroppo vi è una grande difficoltà nello studio di queste istituzioni, dovuta principalmente al reperimento delle fonti. La documentazione interna degli istituti è praticamente inesistente, non vi sono tracce nel fondo Monasteri soppressi, pochi rimandi anche presso l’Archivio Diocesano.37 36

  ASBN, BPI, 13/III/1731, cfr. F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit. 37

  Questa tipologia di istituzione era inoltre esente da visite pastorali. I luoghi pii, gestiti o governati da congregazioni e confraternite di laici, non ricadevano infatti sotto il controllo arcivescovile. Sulla difficoltà delle visite pastorali nelle istituzioni assistenziali si veda G. Boccadamo, Un palombaro di palombe sante cit. Maggiori informazioni si hanno invece sull’educazione femminile e sulla nascita degli educandati a Napoli fra XVIII e

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La scansione del tempo, degli spazi, la distribuzione delle cariche interne e degli uffici era organizzata sulla base di quella degli istituti con obbligo di clausura.38 Le fanciulle erano accolte ‘in educazione’ verso i dieci anni e vi rimanevano fino al momento del matrimonio o della scelta monacale, intorno ai 20 anni. Di norma le giovani partecipavano alla vita religiosa e devozionale, curavano il giardino e si dedicavano alle cosiddette arti donnesche, come il cucito e il ricamo. Inoltre le ragazze potevano beneficiare dell’opportunità di avvicinarsi al mondo della cultura, essendo loro impartite lezioni di grammatica, lettura e scrittura. Anche la disciplina musicale faceva parte del sistema formativo ed era inoltre elemento indispensabile per le funzioni liturgiche, pertanto era consuetudine impartire lezioni di canto o lo studio di uno strumento. Nelle regole di alcuni istituti si trovano elenchi delle cariche che ricoprivano le monache che documentano la presenza di organiste e maestre di canto. Nelle regole del conservatorio dei Ss. Gennaro e Clemente, vengono, ad esempio, segnalati i requisiti per poter insegnare alle ospiti del conservatorio. La «Maestra delle Novizie e delle Educande» doveva formare negli anni del noviziato le educande alla «dottrina Cristiana», alle «regole dell’orazione, del Coro e del Conservatorio». Accanto ad essa, si trova anche l’indicazione della «Capo Corista, Organista, Maestra di Canto».39 In altri casi invece, il compito di istruire le educande spettava a musicisti professionisti. I ‘permessi di ingresso’ nei chiostri testimoniano che le monache ricevevano insegnanti esterni per lezioni di musica e i registri contabili ne attestano gli stipendi. Alcuni di essi avevano un impiego stabile, altri sembrano piuttosto occasionali. XIX sec. In proposito si vedano A ntonio I llibato, La donna a Napoli nel Settecento: aspetti dell’educazione e dell’istruzione, Napoli, D’Auria Editore, 1985; Carla Conti, Nobilissime allieve: della musica a Napoli fra Sette e Ottocento, Napoli, Guida, 2003. 38

  Gli istituti assistenziali probabilmente preferivano adottare regole e schemi monastici per la tutela e l’educazione delle figlie che ospitavano. Il rigore claustrale sembrava probabilmente più idoneo alla vita interna di enti che svolgevano un ruolo di controllo e di tutela per l’educazione di donne provenienti da situazioni di disagio. Si veda G. Boccadamo, Un palombaro di palombe sante cit. 39

  Un estratto del documento è citato anche in A. I llibato, La donna a Napoli cit. e in C. Conti, Nobilissime allieve cit., pp. 25-28.

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Una delle realtà maggiormente indicative in tal senso è il con­servatorio della Solitaria, istituto sorto a Napoli alla fine del Cinquecento con l’intento di ospitare le figlie orfane dei militari spagnoli di stanza nel viceregno partenopeo.40 Le prime informazioni41 relative all’insegnamento del canto si hanno a partire dal 1601, pochi anni dopo la fondazione del conservatorio stesso:42

Figura 2: Archivio Storico della Solitaria, Registro Copiapolizze 1601-1603, c. 35v.

Banco de Santyago y Vitoria Pagaran por nos Administradores del Colegio de nostra Senora de la Soledad a Don Dominico Manso mastro de canto de las viergines deste dicho Santo Colegio, cinco ducados que se le dan por su salario de cinco meses de primero Agosto 1601 por todo dicembre siguiente […]. 40

  Sul conservatorio della Solitaria si rimanda a: A ngela Fiore , Oltre le grate: percorsi storico-musicali al Conservatorio di Nostra Signora della Solitaria di Napoli, Napoli, Turchini Edizioni, 2010 ed E ad., Cerimoniali musicali presso il Conservatorio di Nuestra Señora della Soledad di Napoli, in Fiesta y ceremonia en la corte virreinal de Nápoles (siglos XVI y XVII), Madrid, Centro de Estudios Europa Hispánica, 2013, pp. 491-512. Inoltre dal momento della sua fondazione agli anni ’50 del Seicento la Solitaria fu anche sede della confraternita di S. Cecilia dei Musici di Palazzo. Sull’argomento A. Fiore , La Cappella di Santa Cecilia dei Musici di Palazzo di Napoli. Nuove acquisizioni dall’Archivio del Conservatorio della Solitaria, «Fonti Musicali Italiane» 17, 2012, pp. 25-44. 41

  Sul precoce inserimento della musica nei conservatori femminili si veda M arta Co Le fonti musicali nella Conservatoria del patrimonio storico, artistico ed archivistico dell’ex Reale Casa Santa dell’Annunziata di Napoli, in Fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, a cura di P. Maione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2001, pp. 42-78. La Columbro riporta documenti cinquecenteschi che testimoniano un’attività musicale non professionale svolta dalle fanciulle della Santa Casa. lumbro,

42

  Archivio Storico della Solitaria, Registro Copiapolizze 1601-1603, c. 35v.

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La Solitaria si attorniò nel corso dei secoli dei musicisti più in voga del panorama musicale napoletano, molti dei quali provenienti dalla Cappella Reale di Palazzo, come Cristofaro Caresana43 che fu maestro di musica delle figlie della Solitaria dal 1659 al 1670:44 don Cristofaro Caresana Maestro di Musica delle monache di questo Monastero deve a 11 Agosto 1659 d. 30 pagarli lo banco del popolo per conto delle fatighe che ha fatto dalli 22 maggio 1659 che ha cominciato ad insegnare dette monache et che sta facendo per l’advenire […].

Le figlie della Solitaria si dedicavano anche allo studio degli strumenti ad arco. Nel 1652 Onofrio Mirabello «Maestro de tocar rebichèn» viene stipendiato «por el travajo de enseñar las monjas de esta Santa casa a tocar rebichon […]»,45 seguito dal maestro di violino Juan Angelo Durso che aveva il compito «de enseñar las monjas de esta Santa Casa de tocar violin […]».46

43

  Cristofaro Caresana (1640-1709) fu allievo del celebre Pietro Andrea Ziani. Trasferitosi a Napoli nel 1658, Caresana entrò a far parte della Real Cappella di Palazzo come tenore e organista, fu inoltre maestro di cappella presso il conservatorio di Sant’Onofrio dal 1688 al 1690, e nel 1699 maestro presso la Cappella del Tesoro di San Gennaro. 44

  Archivio Storico della Solitaria, Libro Maggiore 1656-1662 11/VIII/1656, c. 150v.

45

  Archivio Storico della Solitaria, Manual 2 1644-1654.

46

  Archivio Storico della Solitaria, Manual 2 1644-1654. Nel documento redatto in spagnolo è possibile leggere i nomi di Andrea Anzalone, maestro di cappella della Solitaria, e di Jacinto de Hortega e Onofrio Mirabello insegnanti di ribeca. Nei conservatori napoletani maschili e femminili sopravviveva infatti l’uso della ribeca dotata di sole tre corde. Il nome dello strumento deriva dall’arabo rebab. Nei documenti della Solitaria si trovano infatti diverse denominazioni come rebichèn, rabel, ravel.

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Figura 3: Archivio Storico della Solitaria, Manual 2 1644-1654.

Francesco Antonio D’Angelo, musicista del tutto obliato, probabilmente attivo presso la Cappella Reale intorno al 1650, è «maestro de violini»47 delle monache dal 1656 al 1670, fino al 1695 quando è Pietro Marchitelli ad essere investito della carica di maestro di violino delle monache:48 Pietro Marchitelli che insegna le figlie della Casa, e Monache di suonare il violino con provisione di d. 4 il mese; deve a primo Gennaro 1696 d. 44 per 47

  Archivio Storico della Solitaria, Libro Maggiore 1656-1662, c. 151v.

48

  Archivio Storico della Solitaria, Libro Maggiore 1695-1703 1/I/1697, c. 144v. Relativamente all’insegnamento degli strumenti a corda alla Solitaria non mancano pagamenti effettuati in alcuni casi dalle stesse suore, per tutto ciò che era necessario all’esercizio della disciplina musicale, dall’acquisto di strumenti ad arco e a tastiera, alle corde, alla carta da musica e a spartiti. Cfr. A. Fiore , Oltre le grate cit., p. 51.

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sua provisione di mesi undici dal primo di Febraro 1696 per tutto decembre dell’anno 1696 […]

La Solitaria non fu l’unica istituzione ad avere un maestro di violino: Bonaventura Veneziano e Francesco Sabatini risultano essere maestri di violino presso Santa Maria di Costantinopoli; Nicola Consolo era attivo invece al conservatorio dell’Arte della Seta; Nicola di Napoli viene citato come maestro di viola del conservatorio delle Figliole di San Gennaro; un anonimo maestro di violino dava «lettione alle monache» presso il collegio di Santa Maria della Carità.49 In tali contesti le lezioni non sembrano essere indirizzate alla formazione professionale, ma tendono piuttosto ad offrire un complemento al percorso educativo e, forse, a garantire l’autosufficienza musicale degli istituti nella celebrazione delle funzioni liturgiche. L’aspetto fondamentale di queste istituzioni è la funzione che esse svolsero a livello locale ed educativo, la cultura e la formazione che esse diedero a queste giovani sorelle. I conservatori permisero che la musica divenisse occasione di espressione artistica per donne che non avrebbero potuto, per estrazione sociale, percorrere la via della pratica musicale. Bisogna sottolineare che questo è un aspetto del tutto nuovo per la città di Napoli, in quanto nel tempo si è consolidato il mito dei quattro antichi conservatori maschili come vere e proprie scuole di musica, lasciando passare l’idea che l’insegnamento della musica fosse esclusivamente loro appannaggio. Ciò che sorprende è che ci si aspetterebbe un programma formativo elementare legato alle nozioni basilari di lingua italiana, aritmetica, ricamo e cucito e in alcuni casi i primi rudimenti musicali, senza grandi pretese. Al contrario, i documenti d’archivio attestano la presenza di maestri di canto e strumento molto qualificati, gli stessi maestri che operarono nei conservatori maschili la cui funzione invece era decisamente ‘professionalizzante’. Ad oggi non ci sono sufficienti informazioni che facciano pensare a carriere svolte dalle educande partenopee al di fuori degli istituti. Non si può escludere però anche per Napoli la presenza di religiose compositrici o musiciste ‘professioniste’ così come si riscontrano in altre aree italiane. Pur non essendoci fino ad oggi, almeno in apparenza, un concreto riscon49

  Cfr. F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit., nel CD-ROM allegato.

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tro di un’attività professionale svolta da educande e religiose, è pur vero che vi era un’attività musicale formativa e performativa. Le polizze del Banco di Napoli ci danno notizia di «letioni di musica» che venivano impartite dal maestro di cappella e organista Francesco Trinchera «alle monache e figliole destinate per il coro» del conservatorio di Sant’Eligio,50 mentre la «Gazzetta di Napoli» documenta presso lo stesso istituto che il viceré in persona aveva ascoltato «un famoso oratorio, cantato da quelle virtuose educande, in lode del nostro invittissimo monarca […]».51 Anche nelle cronache riguardanti il conservatorio dello Spirito Santo viene descritta l’attività musicale svolta in prima persona dalle monache durante le liturgie, a più riprese definite «virtuosissime», a proposito delle loro esibizioni musicali avvenute in occasione di eventi civili come il funerale di Carlo II e la gravidanza dell’imperatrice Elisabetta. È inoltre attestata, sempre allo Spirito Santo, la presenza di maestri come Gaetano Veneziano52 e Nicola Fago, conosciuto anche come «Signor Tarantino»,53 indicato come «mastro di Cappella di detto loro Conservatorio». Conclusioni L’idea alla base di questo progetto non è stata tanto quella di ricostruire in senso prettamente documentario una serie di piccoli quadri a sé stanti su ognuna delle istituzioni cittadine indagate, né di limitarsi ad uno spoglio archivistico, ma piuttosto di far interagire fonti di diversa natura al fine di determinare il contributo fornito dal complesso delle istituzioni alla vita musicale cittadina. L’indagine sulle consuetudini di produzione e consumo ci dona una visione attendibile del fenomeno sonoro nel quotidiano della realtà femminili, portandoci a comprendere quanto le comunità 50

  F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit., appendice documentaria, BSE 950 5/IV/1729. 51

  A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli cit., Appendice documentaria, 3 luglio 1715 (2). 52

  La presenza di Gaetano Veneziano in qualità di maestro di cappella e compositore per le educande dello Spirito Santo è documentata intorno al 1713, cfr. Francesca T urano, La musica sacra di Gaetano Veneziano: qualche verifica e ipotesi di ricerca, in Musicisti nati in Puglia ed emigrazione musicale tra Seicento e Settecento, a cura di Detty Bozzi e Luisa Cosi, Roma, Torre d’Orfeo, 1988, pp. 37-48. 53

  A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli cit., p. 472.

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monastiche contribuirono allo sviluppo di tradizioni musicali, spettacolari, liturgiche. La ricostruzione della storia musicale dei grandi e prestigiosi monasteri così come delle comunità ‘minori’ e del loro impegno nell’organizzazione festiva cittadina amplia di fatto la prospettiva della storiografia musicale e aggiunge informazioni non secondarie sulle carriere di musicisti, su usi e costumi delle singole comunità e della città. L’attività e il ruolo dei monasteri femminili rientra così di diritto nel circuito delle grandi istituzioni napoletane – la Cattedrale, la Cappella Reale, i teatri cittadini, il Tesoro di San Gennaro – su cui si sono incentrati la maggior parte dei contributi sulla storia della musica napoletana. Da questa analisi emerge inoltre una presenza femminile viva e significativa che trae dagli atteggiamenti e dalle funzioni dell’attività musicale diversi benefici, a seconda se essa venga intesa come mezzo di espressione artistica, passatempo o strumento di riabilitazione sociale. Se nei monasteri la musica fu sostanzialmente un mezzo di evasione, di divertimento e di prestigio, e per tale ragione motivo di esplicita condanna da parte delle autorità ecclesiastiche, nei conservatori la musica ebbe invece un ruolo per così dire ‘riabilitativo’. La musica contribuì a rieducare giovani donne alla vita di società e a donare loro una cultura che diversamente non avrebbero potuto avere. Essa coopera al riscatto dell’onore perduto e all’immagine stessa della donna nella società. Il chiostro dunque non è più luogo di reclusione ma diviene risorsa e ricchezza, cenacolo di donne che gestiscono tempi, spazi, lavori, economie in autonomia, microcosmo in cui si trovano a convivere donne di differenti ceti sociali. Le vicende dei monasteri partenopei non solo fanno luce su quanto fosse estremamente varia l’offerta culturale da essi proposta, ma permettono soprattutto di recuperare una dimensione attiva e costruttiva dell’identità femminile nel contesto napoletano.

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Il repertorio napoletano di concerti per strumenti a fiato Materiali per una ricognizione preliminare

La vitalità della musica per strumenti a fiato nell’Italia del Settecento è oggetto d’indagine relativamente recente. In particolare la letteratura concertistica, costretta fra un repertorio internazionale all’ombra del primato tedesco e l’ingombrante tradizione violinistica nostrana, è rimasta vittima di un secolare preconcetto, che Walter Kolneder stigmatizzava contrapponendo ironicamente un «popolo degli archi» e un «popolo dei fiati» dimoranti l’uno di qua, l’altro di là delle Alpi.1 Che le premesse per una valutazione più equilibrata risalgano ad uno studioso vivaldiano come Kolneder non fa meraviglia, visto che fu proprio la riscoperta della vastissima produzione di Vivaldi per ogni genere di strumento a fiato a scalfire il mito di un Settecento italiano risuonante solo d’armonie di corda. Rinfrancata da questa rinnovata consapevolezza, ma apparentemente restìa a sottrarsi al fascino delle sue origini storiche, la successiva generazione di studi ha mostrato di prediligere compositori e virtuosi di area veneta (Marcello, Albinoni, Platti, Bissoli) o comunque settentrionale (Giuseppe Sammartini, Alessandro Besozzi), spesso attivi all’estero ed assoggettati a carriere itineranti che fatalmente penalizzano l’esame del contesto di formazione e produzione, a vantaggio di un approccio biografico più tradizionale.2 Tanto più scarsa è la letteratura critica sulla diffu1

  Walter Kolneder , Antonio Vivaldi, 1678-1741: Leben und Werk, Wiesbaden, Breitkopf & Härtel, 1965, p. 166, in polemica con la semplicistica ripartizione di A rnold Schering, Geschichte des Instrumentalkonzerts bis auf die Gegenwart, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 19272 , p. 117; facsimile Hildesheim [etc.], Olms, 19883 (Kleine Handbücher der Musik­ geschichte nach Gattungen, 1). 2

  Venezia è l’unico centro italiano fatto oggetto di due sintetici, ma pregevoli contributi sulla diffusione dell’oboe e del flauto traverso nel primo Settecento: cfr. A lfredo Bernardini, The Oboe in the Venetian Republic, 1692-1797, «Early Music» 26, 1988, pp. 372387; Federico M aria Sardelli, Il flauto nell’Italia del primo Settecento, con cenni particolari

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sione di quel repertorio nell’Italia meridionale, dove una prima ricognizione della musica strumentale – soprattutto violinistica – è il frutto più recente, fatalmente acerbo, degli studi sul Settecento napoletano.3 L’ampiezza della documentazione superstite, peraltro, s’impone con evidenza anche alla più sommaria delle ricognizioni, ed è muovendo da questa constatazione preliminare, meramente quantitativa, che ci accingiamo ad una disamina meno superficiale. Con questa debita avvertenza: benché qui si parli genericamente di strumenti a fiato, sarebbe più corretto limitare il nostro assunto ai legni acuti. A fronte di dozzine di concerti per oboe e flauto, dolce o traverso, non ne è stato finora individuato nessuno per strumenti come il fagotto, il corno o la tromba, che pure godono di una rispettabile letteratura di arie con accompagnamento obblia Vivaldi e Venezia, «Ad Parnassum» 3, 2004, pp.  104-152. Occasionali spunti su altri centri, come Roma, Parma e Torino, non sono stati finora sviluppati in maniera adeguata. A riserva di un manipolo di esecutori-compositori, Vivaldi è tuttora il solo compositore italiano la cui musica per fiati sia stata studiata convenientemente. 3

  Per un quadro d’insieme sulla musica strumentale napoletana nella prima metà del XVIII secolo si rinvia a Cesare Fertonani, Musica strumentale a Napoli nel Settecento, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, a cura di Francesco Cotticelli e Paolo­ giovanni Maione, Napoli, I Turchini, 2009, vol. 2, pp. 925-962, con brevi cenni sul reper­ torio per flauto dolce e traverso a p. 938. Vedi anche Luciano Bettarini, Appunti critici sulle ‘Sette sonate’ per flauto e archi di Alessandro Scarlatti, «Chigiana» 25, n.s. 5, 1985, pp. 239246; Edwin A. A lton, The Recorder Music of Alessandro Scarlatti, «Recorder & Music Maga­­zine» 4, 1973, pp. 199-200 (trad. it. La musica per flauto dolce di Alessandro Scarlatti, «Il Flauto Dolce» 4, 1973, pp. 7-9); Cecilia K athryn Van de K amp Freund, Alessandro Scarlatti’s Duet Cantatas and Solo Cantatas with Obbligato Instruments, Ph.D. diss., Northwestern University, 1979; Ugo Giani, Le sonate per flauto e archi di Francesco Mancini conservate presso la Biblioteca del Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, tesi di laurea, Cremona, Scuola di Paleo­ grafia e Filologia Musicale dell’Università di Pavia, 1986; Franz Müller-Busch, Alessandro Scarlattis Kantaten mit obligaten Blockflöten, «Tibia» 16, 1991, pp. 337-346; Ernst Kubit­ schek , Ein Sonatensatz von Francesco Mancini. Gedanken zu seiner Interpretation aus dem Blick­winkel der Komposition, «Tibia» 18, 1993, pp. XXIX-XXXII; Tommaso Rossi, Il flauto a Napoli durante il viceregno austriaco, tesi di laurea, Università degli Studi ‘Federico II’ di Napoli, 2010; M ariateresa Dellaborra, Il concerto per flauto di Nicola Porpora e il repertorio coevo, in Nicolò Porpora musicista europeo: le corti, i teatri, i cantanti, i librettisti, a cura di Niccolò Maccavino, Reggio Calabria, Laruffa, 2011, pp. 123-142 (Sopplimenti musicali, I: Documenti e studi musicolo­gici, 12); A lessandro L attanzi, The Instrumental Music of Domenico de Micco and Its Attribu­tion to Hasse in German Sources, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 8, 2012, pp. 435-451; Inês de Avena Braga, ‘Dolce Napoli’: Approaches for Performance. Recorders for the Neapolitan Baroque Repertoire, 1695-1759, Ph.D. (in corso), Universiteit Leiden.

IL REPERTORIO NAPOLETANO

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gato.4 Il lettore resti avvertito che si è scelta una definizione onnicomprensiva solo per semplicità di espo­sizione. I nuovi strumenti: l’introduzione del flauto traverso e dell’oboe a Napoli Non esiste trattazione sull’argomento che fatalmente non prenda le mosse dall’incontro di Quantz con Alessandro Scarlatti, così come è rievocato nell’autobiografia del flautista: a Hasse che insisteva per presentare il connazionale all’anziano maestro, questi ribadì dapprima la propria avversione per l’intonazione precaria degli strumenti a fiato; infine acconsentì ad accompagnare Quantz in una sonata (Solo), restandone così favorevolmente colpito da dedicargli due composizioni. Ich ersuchte den Herrn Hasse, mich mit seinem Meister, dem alten Scarlatti, bekannt zu machen; wozu er auch gleich bereit war. Allein er bekam zur Antwort: «Mein Sohn, – so pflegete ihn Scarlatti zu nennen – ihr wisset, daß ich die blasenden Instrumentisten nicht leiden kann: denn sie blasen alle falsch». Dem ungeachtet ließ Herr Hasse nicht ab, dem Alten so lange anzuliegen, bis er endlich die Erlaubniß bekam, mich hinzuführen. […] Hierauf accompagnirte er [i. e. Scarlatti] mir ein Solo. Ich hatte das Glück seine Gunst zu gewinnen, so gar, daß er ein Paar Flöten-Solos für mich componirte.5  

4

  La tromba affianca il flauto dolce come strumento di concertino, invero eccezionalmente, nella seconda Sinfonia di concerto grosso di Scarlatti (1715); ed. moderna in A les­ sandro Scarlatti, Sinfonie Nr. II, D-Dur, a cura di Raymond Meylan, Kassel [etc.], Bärenreiter, 1957 (Hortus Musicus, 146). L’assenza della parte di viola ha indotto Mi­ chael Talbot ad ipotizzare un’origine napoletana per il concerto per tromba, oboe e fagotto di Francesco Biscogli (F-Pc, D. 4892). Cfr. prefazione a Francesco Biscogli, Concerto for Trumpet, Oboe, Bassoon, Violins & Continuo, a cura di Michael Talbot, London, Musica Rara, 1972 (17th and 18th Century Sonatas, Concerti and Overtures for Trumpets & Orchestra, 10), p. III; M ichael Talbot, Biscogli, Francesco, in New Grove, vol. 2, p. 741. Risalgono alla seconda metà del secolo i due concerti per fagotto di Ferdinando Lizio editi da Giovanni Carli Ballola, Milano, Suvini Zerboni, 1974, e da Paolo Carlini, Albano Laziale, Boccaccini & Spada, 2001. È invece un arrangiamento dei solfeggi di Leonardo Leo, databile approssimativamente agli anni 1920-1930, il «Largo cantabile» per fagotto e orchestra d’archi che si conserva presso la Edwin A. Fleisher Collection con il titolo di Vocalise for Bassoon and String Orchestra by Leo (US-PHff, 901m). 5

  Johann Joachim Quantz , Herrn Johann Joachim Quantzens Lebenslauf, von ihm selbst entworfen, in Friedrich Wilhelm M arpurg, Historisch-kritische Beyträge zur Aufnahme der Musik, Berlin, Schütz, 1755, vol. 1/3, p. 228; facsimile Hildesheim [etc.], Olms, 1970. Versioni abbreviate dell’aneddoto sono tramandate da Charles Burney, The Present State

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La fugace apparizione di Quantz all’orizzonte napoletano nel 1725 è tradizionalmente salutata come apportatrice di una rinnovata sensibilità nei confronti degli strumenti a fiato, e la raccolta di 24 concerti per flauto di Scarlatti, Mancini, Barbella, Sarro, Mele e Valentine – datata anch’essa 1725 – pare corroborare quella tesi con straordinaria tempestività.6 Ma la coincidenza è solo apparente: l’annotazione «Fine 1725» corrisponde alla mera data di copiatura del manoscritto quale figura in calce ai concerti XVII e XVIII di Mancini,7 onde migrò, in una aggiunta ottocentesca di mano del vicebibliotecario Francesco Rondinella, sul frontespizio della parte di primo violino.8 Destinato ad un flauto dolce contralto, come suggeriscono tessitura e denominazione dello strumento, il manoscritto tramanda un repertorio in gran parte anteriore al soggiorno di Quantz a Napoli.9 A Roma il flauto traverso era stato introdotto da Jacques Hotteterre, detto appunto «le Romain», fin dal 1698; ed anche dopo il ritorno in patria di Hotteterre, la pletora di composizioni espressamente destinate al traversiere da parte di Händel, Caldara e Colombani tra il 1708 e il 1711 dimostra quanto rapidamente il nuovo strumento si fosse radicato nel­

of Music in Germany, the Netherlands, and United Provinces, London, Becket, Robson & Robinson, 1775, vol. 2 p. 185 (trad. it. Viaggio musicale in Germania e Paesi Bassi, a cura di Enrico Fubini, Torino, EDT/Musica, 1986, p. 204), e dallo stesso Quantz nel profilo autobiografico allegato alla lettera a Padre Martini del 26 giugno 1762, ora in Luigi Lupo, Il carteggio tra Johann Joachim Quantz e Padre Giovanni Battista Martini, in Italienische Instru­ mentalmusik des 18. Jahrhunderts: alte und neue Protagonisten, a cura di Enrico Careri e Markus Engel­hardt, Laaber, Laaber Verlag, 2002 (Analecta Musicologica, 32), p. 313. 6

  I-Nc, Mus. Strum. 34-39. Cfr. L. Bettarini, Appunti critici cit.; E. A lton, The Recorder Music cit.; Roberto Pagano – L ino Bianchi, Alessandro Scarlatti, con catalogo delle opere a cura di Giancarlo Rostirolla, Torino, ERI, 1972, pp. 228, 535; e più re­centemente Gianni L azzari, Il flauto traverso: storia, tecnica, acustica, Torino, EDT, 2003 (Biblioteca di cultura musicale: I Manuali EDT/SIdM, 12), pp. 91-92. 7

  Nella parte di flauto, l’annotazione ricorre anche alla fine del concerto II di Valentine e, in quella di basso, del concerto VIII di Mancini. 8

  La stessa data in I-Nc, Mus. Strum. 9477, copia ottocentesca dei concerti VII, IX, XII, XXI-XXIV di Scarletti. 9

  Cfr. infra, pp. 133, 155.

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l’ambiente romano.10 Eppure, nonostante la prossimità geografica ed i fitti legami parentali e politici con la nobiltà romana, le testimonianze della diffusione del flauto traverso nella Napoli vicereale – come l’aria di Venere «Aure dolci che spirate» nell’Arsace di Sarro (I, 1), dove l’ac­ compagnamento del flauto è evocato dal recitativo precedente («Bronte intanto | […] col suo flauto | accompagni il mio canto»)11 – sono estremamente sporadiche. In particolare, dobbiamo respingere l’ipotesi che l’introduzione del nuovo strumento nel Napoletano risalga già al 1711, come suggerirebbe la descrizione dell’ingresso in Capua di Pasquale Gaetani d’Aragona, conte d’Alife, e della sua novella sposa Maria Maddalena de Croÿ-Havré, al suono di «molti flauti ad uso germano».12 Ma per quanto invitante sia l’analogia con la terminologia inglese e francese (German 10

  Cfr. Saverio Franchi, Il principe Ruspoli: l’oratorio in Arcadia, in Percorsi dell’oratorio romano: da ‘historia sacra’ a melodramma spirituale, a cura di Saverio Franchi, Roma, Ibimus, 2002 (Colloquia, 1), pp. 280-281; F. M. Sardelli, Il flauto nell’Italia del primo Settecento cit., pp. 112-114. Per un perduto «quartetto» (concerto?) per flauto traverso, violini e basso di Colombani appartenuto a Fortunato Santini, cfr. anche Gianfranco Rostirolla, ‘Musica antica’: collezionismo e biblioteche musicali nella Roma di metà ’800, «Nuova Rivista Musicale Italiana» 42, 2008, p. 36. Per Händel, vedi l’aria di Giovanni «Così la tortorella» nella prima parte della Resurrezione, HWV 47 (con «traversiera»). 11

  Domenico Sarri, Arsace, introduzione di Howard Mayer Brown, New York – London, Garland, 1978 (Italian Opera, 1640-1770, 22), riproduzione del manoscritto conservato in I-Mc, Noseda G.11. Nella partitura autografa in I-Nc, Rari 1.6.24, c. 11r, l’aria di Venere è preceduta dalle prime battute, cassate, di un’aria differente per il medesimo organico, «Zeffiretto innamo[rato]». Il nome di Sarro ricorre anche nella tradizione della cantata Io son povera pellegrina (Brandenburg 44), altrove attribuita a Mancini (Wright 21x) e ad Astorga (Ladd 99); terminus post quem non per la composizione il 23 dicembre 1705, data di copiatura riportata in H ans Joachim M arx , Die ‘Giustificazioni della casa Pamphilj’ als musikgeschichtliche Quelle, «Studi Musicali» 12, 1983, p. 171, n. 133 («Cantata del Sig.r Mancini»). In una fonte adespota (D-MEIr, F. 580, cc. 12r-16r), l’aria «Amo, sì, ma dove sia» è trasposta e accompagnata dal flauto traverso («Traver.»). Ma a prescindere dalla controversa paternità della versione originale a voce sola, questo anonimo arrangiamento è privo di interesse ai nostri fini. 12

  Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Aurora Sanseverino (1669-1726) e la sua attività di committente musicale nel Regno di Napoli, in Giacomo Francesco Milano e il ruolo dell’aristocrazia nel patrocinio delle attività musicali nel secolo XVIII, a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Laruffa, 2001 (Sopplimenti musicali, I: Documenti e studi musicologici, 4), p. 358. Degli stessi autori cfr. anche Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della ‘Gazzetta’ (1675-1768), Roma, ISMEZ, 2009 (Ricerche e studi), p. 66.

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flute, flûte allemande), l’allusione a «molti» flauti impiegati all’aperto e in un contesto cerimoniale deve riferirsi non a traversieri barocchi, bensì a fiffari militari, comunemente indicati come flauti alla alemanna o d’A­ lemagna nelle fonti italiane dei secoli XVI-XVII.13 Per tutti gli anni Venti, il repertorio napoletano di concerti per flauto pare riservato al flauto dolce, ad eccezione forse della Sonata a due Flauti due Violini e Violoncello in la maggiore di Alessandro Scarlatti – a tutti gli effetti un concerto per due flauti, giuntoci attraverso una tarda copia di Fortunato Santini.14 Estraneo all’ambito del flauto dolce contralto, il re3 del primo flauto a battuta 14 del «Minuet» è un chiaro indizio dell’impiego del traversiere. Tuttavia è probabile che questo concerto, stilisticamente difforme dai sette dello stesso autore compresi nella raccolta napoletana, e certo più tardo di quelli, possa essere stato scritto a Roma: le ultime produzioni romane di Scarlatti (1718-1721) lo vedono in diretto rapporto con Francesco Maria Ruspoli, attivamente coinvolto nella gestione del Teatro Capranica, dedicatario del libretto di Griselda e forse responsabile in prima persona del suo adattamento,15 ma anche patrono di Hotteterre e nume tutelare del flauto traverso in Roma.16 13

  Quasi con le stesse parole del cronachista napoletano si esprimeva, un secolo addietro, Vincenzo Giustiniani a proposito delle scarse possibilità d’impiego del fiffaro nella musica cólta italiana. Cfr. Vincenzo Giustiniani, Discorso sopra la musica [1628], in Discorsi sulle arti e sui mestieri, a cura di Anna Banti, Firenze, Sansoni, 1981 (Raccolta di opere inedite e rare), p. 35: «Il suonare con Pìfero o sia Traversa all’usanza todesca, ma con termini di contraponto musicale, e con grazia e giustezza, non è a notizia di molti in Italia» (corsivo mio). La coeva terminologia francese, che distingue nettamente il fifre dalla flûte d’Allemagne, non espone al rischio di simili equivoci: cfr. M arin M ersenne , Harmonie universelle, contenant la théorie et la pratique de la musique, Paris, Cramoisy, 1637, parte 2: Traité des instrumens, libro 5, p. 243; facsimile Paris, CNRS, 19863. 14

  D-MÜs, Sant. Hs. 3957b, Nr. 7. Cfr. A lessandro Scarlatti, Sonate A-Dur, für 2 Querflöten (Alt-Blockflöten, Oboen), 2 Violinen und Cembalo (Klavier); Violoncello (Gambe) ad libitum, a cura di Otto Roy, Celle, Moeck, 1949 (Moecks Kammermusik, 37). 15

  Come più volte suggerito da R einhard Strohm, da ultimo in A Context for ‘Griselda’: The Teatro Capranica, 1711-1724, in Alessandro Scarlatti und seine Zeit, a cura di Max Lütolf, Bern [etc.], Haupt, 1995, p. 107. Per i rapporti tra Scarlatti e il principe Ruspoli cfr. Luca Della L ibera, Nuovi documenti biografici su Alessandro Scarlatti e la sua famiglia, «Acta Musicologica» 83, 2011, pp. 217-219, 221-222. 16

  S. Franchi, Il principe Ruspoli cit., pp. 280-281.

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È verosimile che a Napoli le apparizioni pubbliche del nuovo strumento, come in occasione della festa di San Gennaro nel settembre 1733,17 siano state precedute da una pratica collaudata in ambito privato dall’aristocrazia, come ricerche più fortunate potranno forse dimostrare. Una fase intermedia dev’essere collocata attorno alla metà degli anni Venti, quando nei conservatori fu ammesso l’insegnamento del flauto traverso, stimolo e riflesso ad un tempo della sua crescente diffusione: nel 1727 Paolo Pierro (spesso toscanizzato in Di Pietro) fu assunto dal Conservatorio di Santa Maria di Loreto come insegnante di oboe, flauto dolce, flautino e – per la prima volta – di «flauto à traversino».18 Ma è soltanto dal quarto decennio del Settecento che l’impiego del flauto traverso a Napoli si appoggia ad una autentica consuetudine, attecchita nel tramonto del viceregno. Quando, ormai nel 1738, Giovanni Alberto Ristori chiede di aggiungere all’orchestra del San Carlo «qualche altro strumento, specialmente un traversino» per il suo Temistocle,19 non fa appello ad una novità peregrina giunta da Dresda a Napoli a dirittura; ma nell’aria di Aspasia «È specie di tormento» (I, 12) richiede una coppia di flauti,20 quando l’orchestra del teatro reale non contava che due oboisti, dei quali uno soltanto, Antonio Besozzi, sicuramente pratico del flauto traverso; di qui l’esigenza di affiancare un sostituto al suo collega, l’oscuro Francesco Cervone, che evidentemente non aveva familiarità con quello strumen17

  Tra i musicisti ingaggiati per l’occasione figura un Pellegrino Antonelli, suonatore di flauto traverso: cfr. Francesco Cotticelli – Paologiovanni M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 5, 2006, p. 43; P. M aione , Cerimoniale musicale al Tesoro di San Gennaro tra Sei e Settecento, in San Gennaro nel XVII centenario del martirio (305-2005), a cura di Gennaro Luongo, Napoli, Editoriale Comunicazioni Sociali, 2007 (Campania Sacra, 38), vol. 2, p. 266. 18

  M ichael F. Robinson, The Governors’ Minutes of the Conservatory S. Maria di Loreto, Naples, «Royal Musical Association Research Chronicle» 10, 1972, pp. 49-50. 19

  Ulisse Prota-Giurleo, La grande orchestra del R. Teatro San Carlo nel Settecento (da documenti inediti), Napoli, a spese dell’autore, 1927, p. 10, dove la denominazione di «traversino» è ingenuamente assimilata all’ottavino. 20

  D-Dl, Mus. 2455-F-7, cc. [99r-101r]. Il documento citato da Ulisse Prota-Giurleo (cfr. nota 19) dimostra che gli strumenti indicati in partitura come «Flauti» – denominazione che in genere si riferisce ai flauti dolci – sono effettivamente traversieri.

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to.21 Da tanta e forse insperata disponibilità di flautisti non mancò di trarre partito Porpora, che nella seconda versione della Semiramide ricono­ sciuta, in scena al San Carlo giusto un mese dopo il Temistocle, prescrisse due traversieri per l’aria «Il pastor se torna aprile» (II, 6).22 Non serve dire che l’ascesa del flauto traverso non comportò l’eclissi repentina del flauto dolce, per effetto di quella che Federico Maria Sardel­ li, in una prospettiva geografica più ampia, ha felicemente descritto come «dissolvenza incrociata» tra le fortune dell’uno e dell’altro.23 I due strumenti convissero per qualche tempo, forse più a lungo che altrove, se ancora il 30 dicembre 1748 la commissione esaminatrice del Conservatorio di Santa Maria di Loreto, nelle motivazioni della nomina di Cherubino Corena ad insegnante di strumenti a fiato, ritenne di dover distinguere meticolosamente i meriti del candidato quale «virtuoso di oboé, flauto traverso, e flauto dolce».24 Risale in particolare a questi anni la pratica di eseguire sul flauto traverso, previ opportuni accorgimenti, musica originariamente concepita per flauto dolce; pratica che era diffusa fin dall’inizio del secolo, ma che allora procedeva più spesso in direzione opposta, dal traverso al flauto dolce. Un esempio delle insidie che si celano dietro tale consuetudine, animata prevalentemente da finalità commerciali, è offerto dalle dodici sonate per flauto traverso che vanno sotto il nome di Vinci 21

  U. Prota-Giurleo, La grande orchestra cit., p. 8. Nel 1742 il numero degli oboisti ascenderà a quattro, due dei quali, Francesco Papa e Cherubino Corena, flautisti di chiara fama: ibid., pp. 12-13, dove i due sono menzionati come Francesco Papa e Francesco Cherubino (!). Entro la metà del secolo, il numero dei flautisti-oboisti del San Carlo si sarebbe stabilizzato a tre. 22

  Nicola A ntonio Porpora, Semiramide riconosciuta, introduzione di Howard Mayer Brown, New York – London, Garland, 1977 (Italian Opera, 1640-1770, 30), riproduzione del manoscritto conservato in D-Dl, Mus. 2417-F-2. 23

  F. M. Sardelli, Il flauto nell’Italia del primo Settecento cit., pp. 110-111.

24

  Cit. in Giuseppe L a Valle , Storia di Coreno. Studi e ricerche, a cura di Giuseppe Parente, Coreno Ausonio, Comune di Coreno Ausonio, 1984, p. 91. Nelle carte dell’Archivio della Pietà de’ Turchini, la distinzione tra l’insegnamento del «flauto» e del «traversiere» è preservata fino al 1782: cfr. Francesco Nocerino, Gli strumenti musicali a Napoli nel secolo XVIII, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli cit., vol. 2, p. 793, nota 88. Ciò potrebbe però essere dovuto al moto inerziale caratteristico di ogni gergo burocratico, come quello dell’amministrazione dei conservatori, incline a mantenere in uso un formulario sclerotizzato ed altrimenti obsoleto; analogamente, la dicitura «maestro di cornetta» (cornetto) sopravvisse per decenni alla scomparsa dello strumento dalla prassi musicale.

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«and other Italian Authors», apparse a Londra nel 1746.25 A Vinci possono essere attribuite le prime due sonate della raccolta, diverse dalle altre fin nell’aspetto tipografico.26 La loro composizione è stata associata alla compresenza a Venezia nel 1725 di Vinci e Quantz, provvidenziale deus ex machina invocato con troppa disinvoltura per giustificare qualsiasi pagina per flauto traverso che mal si accordi con la cronologia tradizionale sulla diffusione di quello strumento in Italia.27 Tralasciamo la sonata n. 2, su cui grava il sospetto di scarsa plausibilità stilistica. Ma la sonata n. 1, che ben potrebbe essere di Vinci, presenta figurazioni caratteristiche del flauto dolce, ed è ragionevole supporre che l’editore stesso o la fonte a sua disposizione abbiano adattato al traverso l’originale perduto per l’altro strumento, opportunamente trasposto da fa a re maggiore. Le ricerche sulla diffusione dell’oboe a Napoli sono fortunatamente dispensate dalle ambiguità cui soggiace ogni indagine su tipologie di flauto vecchie e nuove. Diversamente dal traverso, destinato a divenire lo strumento più diffuso tra i dilettanti, l’oboe restò appannaggio quasi esclusivo di professionisti, con una conseguente contrazione quantitativa del repertorio se non per la parte amministrata in comunione con il flauto. Napoli ospitava fin dal primo Settecento celebri oboisti, molti dei quali – come Antonio Besozzi, Sante Aguilar, Pietro de Simoni, Giuseppe Caffro – istra­ dati in età borbonica verso una diaspora di dimensioni europee. Esemplare la figura di Ignazio Rion, la cui scalata alle istituzioni musicali cittadine 25

  Twelve Solos For a German Flute or Violin with a Thorough Bass for the Harpsichord or Violoncello Compos’d by Sig.r Leonardi [sic] Vinci and other Italian Authors, London, Walsh, [1746]. Cfr. William C. Smith – Charles Humphries, A Bibliography of the Musical Works Published by the Firm of John Walsh during the years 1721-1766, London, The Bibliographical So­ ciety, 1968, p. 336, n. 1513. 26

  R ichard A. McGowan, Italian Baroque Solo Sonatas for the Recorder and the Flute, Detroit, Information Coordinators, 1978 (Detroit Studies in Music Bibliography, 37), pp. 46-47. Entrambe le sonate attribuite a Vinci sono state pubblicate più volte in edizione moderna, ultimamente in L eonardo Vinci, Zwei Sonaten für Flöte und Basso continuo, a cura di Kurt Meier, Winterthur, Amadeus, 1998 (Camera Flauto Amadeus, 136). Il resto della raccolta attinge alle Sonate da Camera à due, Violino, e Baßo, potendo Servire ancora per il Traversier, Oboe, Cembalo, e per altri Strumenti &c. di Santo Lapis Accademico Filarmonico di Bologna Opera Prima […], Augsburg, Leopold, [s.d.]. 27

  Kurt Sven M arkstrom, The Operas of Leonardo Vinci, Napoletano, Hillsdale (N.Y.), Pendragon Press, 2007 (Opera Series, 2), p. 116.

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scandisce a rapide tappe l’affermazione del suo strumento nel viceregno.28 Appena giunto da Roma, Rion fu ammesso a Palazzo il 16 aprile 1712 come primo oboe della Real Cappella.29 Circostanze favorevoli per l’ammissione alla Cappella del Tesoro di San Gennaro maturarono nel 1721, quando si rese vacante la piazza di violino istituita a suo tempo per rimpiazzare quella di cornetto, soppressa vent’anni addietro.30 Ma già prima di allora Rion affiancava occasionalmente i membri della Cappella in veste di musico straordinario, come nella festa del Santo al Largo della Guglia nel settembre 1718.31 Il 31 maggio 1729 il viceré von Harrach gli accordò una licenza «per poter andare per suoi affari prima per Palermo et poi in altri 28

  Per l’attività precedente il soggiorno napoletano, che vede Rion impegnato prima a Venezia (1704-1705) e poi a Roma (1705-1711), si rinvia a A. Bernardini, The Oboe in the Venetian Republic cit., pp. 378-379. Alla luce di tre documenti in cui Ignazio Rion è inequivocabilmente indicato per mezzo del cognome, appare definitivamente risolta la controversa identificazione dello «Ignatio dell’Abuè» citato nei documenti romani, a lungo contesagli dal collega Ignazio Sieber: cfr. Patrizio Barbieri, An Assessment of Musicians and Instrument-Makers in Rome during Handel’s Stay: The 1708 Grand Taxation, «Early Music» 37, 2009, p. 607, e A lexandra Nigito, La musica alla corte del principe Giovanni Battista Pamphilj, Kassel, Merseburger, 2012 (Musik und Adel in Rom des Sei- und Settecento / Musica e aristo­ crazia a Roma nel Sei- e Settecento, 1), pp. 533-534, che vanno ora ad aggiungersi alla testimonianza già resa nota da A. Bernardini, The Oboe in the Venetian Republic cit., p. 386, nota 80. In particolare, il legame tra Rion ed i Pamphilj, già adombrato in H. J. M arx , Die ‘Giustificazioni della casa Pamphilj’ cit., p. 171, impone di rigettare la recente identificazione di Sieber quale destinatario della parte di oboe nel Delirio amoroso di Händel, HWV 99: cfr. K arl Böhmer , Zum Kontext und den ersten Interpreten von Händels ‘Delirio amoroso’, in Georg Friedrich Händel in Rom, a cura di Sabine Hermann-Herfort e Matthias Schnettger, Kassel [etc.], Bärenreiter, 2010 (Analecta Musicologica, 44), pp. 238-239. 29

  F. Cotticelli – P. M aione , Le istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Napoli, Luciano, 1993, p. 64, nota 20; R alf K rause , Das musikalische Panorama am neapolitanischen Hofe: zur Real Cappella di Palazzo im frühen 18. Jahrhundert, in Studien zur italienischen Musikgeschichte XV, a cura di Friedrich Lippmann, Laaber, Laaber-Verlag, 1998 (Analecta Musicologica, 30), vol. 1, p. 284. 30

  M arta Columbro – Paologiovanni M aione , La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli tra Sei e Settecento, Napoli, I Turchini, 2008 (I Turchini: Saggi, 5), p. 287, n. 185. Cfr. Salvatore Di Giacomo, I maestri e i musici del Tesoro di San Gennaro, «Napoli Nobilissima» n.s. 1, 1920, p. 40. 31

  F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit., p. 42; P. M aione , Cerimoniale musicale cit., p. 266.

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paesi».32 Ma a Napoli Rion non fece più ritorno: da Palermo passò a Madrid, e di lì ad Oviedo, dove nel 1731 entrò al servizio della Cattedrale e tra­scorse i suoi ultimi anni. Morì nel 1734.33 La carriera di Rion, per opera del quale l’oboe fu introdotto nelle due istituzioni napoletane più prestigiose, la Cappella Reale e il Tesoro di San Gennaro, percorre l’intero iter della legittimazione dello strumento, tranne la definitiva consacrazione per mezzo dell’insegnamento im­ partito nei conservatori: primato, questo, che spetta a Paolo Pierro alias Di Pietro, collega di Rion nella Cappella Reale, dove occupava la piazza di secondo oboista,34 nonché insegnante di «oboé» e di «qualsiv:a altro instromento di fiato» nel Conservatorio di Santa Maria di Loreto dal 1727 al 1748.35 Produzione e committenza La biografia di Ignazio Rion offre un altro motivo di riflessione. La «Gaz­ zetta di Napoli» ci restituisce una delle prime testimonianze della presenza in città di «Ignazio del boè» in occasione della Processione dei Battaglini del 3 giugno 1713: Nella medesima sera la principessa d’Angri, [Maria Geronima de] Mari, con altre principali dame e cavalieri, fu a godere detta processione nella casa ove abita lo scalco rinomato, Tomaso Vanni, che diede a tutta quella nobil brigata un picciolo nobile ed aggradito rinfresco; vi fu un bel concerto musicale, cantandovi la virtuosa Chiara Barretta tra l’altre scelte voci; e fra la quantità 32

  F. Cotticelli – P. M aione , Le istituzioni musicali a Napoli cit., p. 85, nota 71; Guido Olivieri, Tra Napoli e Vienna: musicisti e organici strumentali nel Viceregno austriaco (17011736), in Italienische Instrumentalmusik des 18. Jahrhunderts cit., p. 172, nota 32. 33

  Emilio Casares Rodicio, La música en la Catedral de Oviedo, Oviedo, Universidad de Oviedo, 1980 (Collección Ethos: Música, 1), p. 117. 34

  R. K rause , Das musikalische Panorama cit., p. 289. Il nome di Pierro è omesso nella trascrizione dello stesso documento in Ulisse Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in Il Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, introduzione di Felice De Filippis, Napoli, L’Arte Tipografica, 1952, p. 92. 35

  M.F. Robinson, The Governors’ Minutes cit., pp. 49-50, 97. Cfr. Salvatore Di Giaco I quattro antichi Conservatorii musicali di Napoli, 1543-1800, [Palermo], Sandron, 1928 (Collezione settecentesca, 27), vol. 2, pp. 220, 226. mo,

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di più rari strumenti, vi sonò Ignazio del boè, con grandissima soddisfazione di tutti loro.36

A monte della fulminea affermazione di Rion a Napoli pare di scorgere frequentazioni – e forse protezioni – altolocate. Il che avvalora il facile pronostico che, anche nei confronti degli strumentisti di valore, l’aristocrazia locale esercitasse la medesima funzione di patronato svolta, con maggiore abbondanza di riscontri, in seno alle «conversazioni» di cantanti. Per quanto rare, le dediche delle edizioni a stampa sono immediatamente rivelatrici, come quella dei XII Solos for a Violin or Flute di Mancini al console inglese Fleetwood.37 Un indizio meno appariscente dell’esistenza di rapporti clientelari può forse ravvisarsi tra le pieghe di un genere che stabilisce una relazione essenziale con la committenza privata: la serenata, dove gli strumenti a fiato acquistano un rilievo che, almeno nel primo quarto del secolo, viene di rado eguagliato dalle partiture destinate ai teatri pubblici. Tramite di un rapporto più immediato e personale tra musico e patrono è l’insegnamento privato. I dilettanti non si curavano dell’oboe, del fagotto e tanto meno degli ottoni; in compenso, entro il 1730 la definizione del flauto traverso come di uno strumento «des plus à la mode», secondo il giudizio espresso da Hotteterre fin dal 1707, era valida a Napoli non meno che in Francia e nel resto d’Europa.38 I banchi napoletani documen36

  «Gazzetta di Napoli» (6 giugno 1713), cit. in A. M agaudda – D. Costantini, Attività musicali promosse dalle confraternite laiche nel Regno di Napoli (1677-1763), in Fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, a cura di Paologiovanni Maione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2001 (I Turchini: Saggi, 1), p. 113; anche in A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., p. 63. Già in Thomas Griffin, Musical References in the ‘Gazzetta di Napoli’, 1681-1725, Berkeley (Calif.), Fallen Leaf Press, 1993 (Fallen Leaf Reference Books in Music, 17), p. 67, n. 289, dove peraltro l’identità dell’oboista non è chiarita.   XII Solos for a Violin or Flute. Dedicated to the Hon:ble John Fleetwood Esq: Consull Gen:ll for the Kingdom of Naples. By Sig:re Francesco Mancini. Which Solos are Proper Lessons for the Harpsichord, London, Barrett & Smith, [1724]; facsimile Firenze, S.P.E.S., 1994 (Archivum musicum: Collana di testi rari, 77). La dedica a Fleetwood, morto nel 1725, compare ancora nel frontespizio della seconda edizione, carefully Revis’d and Corected [sic] by M:r Geminiani, London, Walsh & Hare, [1727]. 37

38

  Jacques Hotteterre , Principes de la flûte traversière, ou flûte d’Allemagne, de la flûte à bec, ou flûte douce, et du haut-bois, divisez par traitez, Paris, Ballard, 1707, p. [I]; facsimile Firenze, S.P.E.S., 1998 (Archivum musicum: L’art de la flûte traversière, 53).

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tano l’ampiezza del fenomeno presso la nobiltà locale: nel 1731 Giuseppe Caracciolo, marchese d’Arena, commissiona due sonate per flauto a Domenico de Micco;39 nel 1733 Antonio Miroballo, duca di Campomele, acquista un flauto traverso;40 nel 1734 Antonio Monaco («Della Monaca») presta servizio come insegnante di flauto per Bartolomeo di Capua, principe di Riccia e duca di Airola.41 Il caso più eclatante di dilettantismo aristocratico è quello di Antonio Caputo dei duchi di Ferrarise, «uomo consumatissimo nella musica e di altrettanta pratica e probità», il cui parere la Real Giunta dei Teatri non esitava ad opporre – quanto temerariamente, non sapremmo dire – a quello di Cafaro e Jommelli.42 Del credito di cui Caputo godeva nell’ambiente di corte fa fede la serenata Ulisse in Cuma, eseguita in occasione del battesimo del primogenito di Carlo di Borbone, lo sventurato Filippo, il 4 febbraio 1748.43 La maggior parte 39

  Vedi CD-ROM allegato a F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1726-1736, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 9, 2015, pp. 733-778, anno 1731, doc. 202: «A Carlo de Castro duc. tre e per esso à Domenico de Micco, e sono per tanti che il signor Marchese d’Arena gli regala per due sonate di flauto fatteli quale pagamento dà esso si fa di presente denaro di detto signore il quale resta soddisfatto» (ringrazio Paologiovanni Maione per avermi consentito di prendere visione del documento prima della pubblicazione). Giuseppe Caracciolo, marchese d’Arena (1654-1733), era padre di Fabrizio (1696-1769), per cui vedi A. M agaudda , Le spese per la musica di una famiglia calabrese a Napoli: i Caracciolo di Arena, in Civiltà musicale calabrese nel Settecento, a cura di Giuseppe Ferraro e Francescantonio Pollice, Lamezia Terme, A.M.A. Calabria, 1994 (Ricerche musicali dell’A.M.A. Calabria, 3), pp. 111-118. Una coppia di sonate per flauto, violino e basso di Domenico de Micco si conserva in I-Gl, M.4.28.3/4: cfr. A. L attanzi, The Instrumental Music of Domenico de Micco cit., p. 435, nota 7. 40

  F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit., anno 1733, doc. 126: «a Francesco d’Orea per il prezzo di un flauto traverziero per servizio del Duca Don Antonio Miroballo». 41

  Ibid., anno 1734, doc. 883: ducati 4 ad «Antonio Della Monaca» per la «mesata di settembre prossimo passato 1734 […] come maestro di Flauto del Signor Principe della Riccia, e duca d’Airola». 42

  U. Prota-Giurleo, La grande orchestra cit., p. 32.

43

  Ulisse in Cuma. Componimento drammatico Cantato nelle Feste celebrate in Napoli Dall’Eccel­ lentiss. Sig. Duca di Medinaceli In occasione di aver tenuto come Padrino al Sacro Fonte in nome di S.M. Catt. Ferdinando VI. Suo Sovrano Il Serenissimo Real Principe Filippo Primogenito delle Maestà Regnanti delle due Sicilie, Napoli, Ricciardi, 1748. A p. 22: «La Musica è di Antonio Caputi de’ Duchi di Ferrarise».

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delle sue composizioni è però destinata al flauto traverso: concerti e sonate scritte forse anche a proprio uso, una delle quali pubblicata recentemente.44 Ai margini di un mercato alimentato dalle esigenze di dilettanti più o meno talentosi scorre un rivolo di musica che rimanda all’attività didattica dei conservatori, dove, analogamente a quanto accadeva negli ospedali veneziani, i maestri erano tenuti a provvedere gli allievi di nuove composizioni. Sappiamo, per esempio, che all’atto della sua assunzione presso il Conservatorio di Santa Maria di Loreto (1749), Cherubino Corena si impegnava a «fare i Con­­certi, ed anco fare qualche Composiz:ne di Sinfonia, ed altro».45 E pare di trovarne conferma sfogliando le composizioni attribuite agli insegnanti dei conservatori napoletani, come i tre concerti per flauto attribuiti a Francesco Papa, maestro di cornetto – com’era ancora genericamente designato l’in­ segnante di strumenti a fiato – in servizio a Sant’Onofrio dal 1727 al 1729.46 L’evoluzione del concerto solistico durante il viceregno austriaco Unico campione di questo repertorio che possa dirsi ben conosciuto, per quanto superficialmente studiato, è la già citata antologia di ventiquattro concerti per flauto «Di Diversi Autori»: dodici di Francesco Mancini 44

  I-Nc, Mus. Strum. 814. Cfr. A ntonio Caputi, Sonata in Re maggiore per Flauto e Basso Continuo, a cura di Renata Cataldi, Bologna, Ut Orpheus, 2010 (Canzone Suite Sonata, 68). Dei concerti, sono autentici quelli attribuiti a «Caputi» o «Caputti» in D-KA, Mus. Hs. 75; D-Rtt, Capuzzi 2 (stilisticamente insostenibile l’attribuzione a Giuseppe Antonio Capuzzi in Gertraut H aberkamp, Die Musikhandschriften der Fürst Thurn und Taxis Hof­ bibliothek Regensburg. Thematischer Katalog, München, Henle, 1981 [Kataloge bayerischer Musiksammlungen, 6], p. 35); I-Nc, Mus. Strum. 810-813; I-PS, Rosp. B. 247,14/I-II; S-Skma, FbO-R. Di un concerto perduto «del Sigr. Caputti» abbiamo notizia dal catalogo Breitkopf del 1766: cfr. The Breitkopf Thematic Catalogue: The Six Parts and Sixteen Supplements, 1762-1787, a cura di Barry S. Brook, New York, Dover, 1966, col. 244. 45

  M. F. Robinson, The Governors’ Minutes cit., p. 50. Come altri compiti degli insegnanti dei conservatori, anche questo era assolto malvolentieri: il 7 ottobre 1750 Corena ebbe un violento alterco col suo collerico collega Fiorenza «circa la composizione particolare che deve farsi da detto maestro di fiato per li suoi discepoli», di cui «si have assunto il peso il signor maestro Durante che è intervenuto per remediare»; cfr. S. Di Giacomo, I quattro antichi Conservatorii cit., vol. 2, p. 211. Di questa marginale attività come compositore recano testimonianza le Six Sonatas for Two German Flutes or Two Violins, with a Thorough Bass Composed by Sig.r Cherubino Corena of Naples, London, Waylett, [ca. 1750]. 46

  Cfr. Ingo Gronefeld, Die Flötenkonzerte bis 1850. Ein thematisches Verzeichnis, Tutzing, Schneider, 1993, vol. 2, pp. 268-269, nn. 790 (dubbio: Gerosa?), 1276, 2447.

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(nn. 1, 5, 6, 8, 10, 13, 14, 16-20), sette di Alessandro Scarlatti (nn. 7, 9, 12, 21-24) e uno ciascuno di Francesco Barbella (n. 3), Domenico Sarro (n. 11), Giovanni Battista Mele (n. 15) e Robert Valentine («Sig.r Roberto Valentini», n. 2); forse con troppa disinvoltura, l’anonimo concerto n. 4 viene generalmente attribuito a Barbella come il precedente.47 L’intero contenuto della raccolta è di origine napoletana, ad eccezione del concerto di Valentine; eccezione, forse, solo apparente, dal momento che vari indizi – in primis la scelta di dedicatari napoletani per due delle sue opere – la­ sciano ipotizzare un soggiorno del compositore a Napoli.48 Benché il manoscritto rechi il titolo collettivo Concerti di Flauto Violini Violetta, e Basso, le singole composizioni sono indicate come «Sonata». Ma, come ha osservato Michael Talbot, le convenzioni dell’epoca «non scorgevano nulla di illogico o di equivoco nell’avere titoli collettivi e individuali semanticamente non correlati: i primi [nel nostro caso, “concerti”] tendenzialmente astratti e pretenziosi, i secondi [“sonate”] concreti e d’uso comune».49 La maggior parte dei concerti compresi nella raccolta, in quattro o cinque 47

  Cfr. supra, p. 128. Edizioni dei singoli concerti a cura di Andrea Bornstein e Lucia Corini, Bologna, Ut Orpheus, 1995-1998. 48

  Cfr. J. Bradford Young, A Thematic Catalog of the Works of Robert Valentine, Canton (Mass.), Music Library Association, 1994 (MLA Index and Bibliographies Series, 27), p. IX; Cecilia L opriore , Robert Valentine: nuovi documenti biografici, «Nuova Rivista Musicale Italiana» 30, 1996, pp. 200-202. L’Op. 3 è dedicata a John Fleetwood, console inglese a Napoli dal 1707 al 1722, al quale dedicò le proprie sonate anche Mancini (cfr. supra, nota 37); dedicatario dell’Op. 12 è il patrizio napoletano Gennaro Vitagliano-Moccia, duca di Oratino, nei confronti del quale l’autore professa una «antica umile servitù». Vedi Robert Valentine , Sonate di Flauto a solo col Basso per il Cimbalo, o Violone Dedicate all’Ill.mo Sig.re, il Sig.re Giovanni Fleetwood Console Britanico in Napoli Da Roberto Valentini Inglese. Opera Terza, Roma, Mascardi, 1710, riprodotta in facsimile insieme all’Op. 2, Firenze, S.P.E.S., 1985 (Archivum musicum: Strumentalismo italiano, 64); I d., Sonate per il Flauto traversiero, col Basso che possono servire per Violino Mandola, et Oboé Dedicate all’Ill.mo et Ecc.mo S.re D. Gennaro Girol.o Vitaliano Moccia Duca dell’Oratino, e Rocca Aspromonte Barone del Busto, e Monte Vairano &c Da Roberto Valentini Inglese. Opera XII, Roma, Cleton, 1730, facsimile Firenze, S.P.E.S., 1985 (Archivum musicum: Flauto traversiere, 5). 49

  M ichael Talbot, The Concerto Allegro in the Early Eighteenth Century, «Music & Letters» 52, 1971, p. 15 (trad. mia). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi facilmente, ma ricorderemo almeno quella che, insieme al manoscritto di Napoli, è la più cospicua miscellanea italiana per flauto dolce del primo Settecento: le Sinfonie di Varij Autori per flauto e basso, I-PAc, Sanv. D.3, al cui interno troviamo composizioni intitolate indifferentemente «sinfonia» o «sonata».

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movimenti, risulta organizzata secondo convenzionali modelli di sonata da chiesa. All’eloquio sonatistico rimandano anche le frequenti trame polifoniche, e l’ideale dell’equilibrio tra le voci si riflette nella stessa scrittura per lo strumento solista, trattato spesso a mo’ di primus inter pares. Nelle pagine precedenti si è contestata la tradizionale datazione al 1725. Più in generale, l’equivoco da cui occorre sgombrare il campo è che il manoscritto tramandi un repertorio stilisticamente omogeneo, passibile di una datazione collettiva. Il nucleo più antico, corrispondente ai concerti di Scarlatti e, in parte, di Mancini, risale all’incirca al 1710-1715. Uno dei movimenti, solitamente il secondo o il terzo, è una fuga a quattro voci, mentre una forma rudimentale di ritornello, tipica del concerto più antico, rappresenta la principale caratteristica dei movimenti veloci non fugati: il motto è riproposto senza sosta da una tonalità all’altra, in blocchi tonali accostati l’uno all’altro come tessere di mosaico; generalmente ciò coincide con un’alter­nanza quasi meccanica di «solo» e «tutti», senza differenziazione motivica fra ritornello ed episodi. Occasionali indicazioni di «soli» sono, di conseguenza, prive di valenza strutturale: il loro impiego si risolve in effetti di chiaroscuro affidati a gruppi distinti che suonano, però, materiale uguale o simile, alla maniera del concerto grosso. Altrove il contrasto fra episodi solistici e orchestrali scompare quasi del tutto, soppiantato dalle movenze di danza dei finali in forma binaria, dove il flauto torna, per così dire, a prendere posto in orchestra. Tra i concerti di Mancini troviamo, però, anche esempi di transizione verso soluzioni formali più aggiornate. In Mancini, come in Scarlatti, i movimenti in contrappunto imitativo sono generalmente fughe rigorose, affatto dimentiche dell’esistenza di uno strumento solista: il flauto vi partecipa con pari disciplina delle altre voci, né le sue entrate tradiscono preoccupazioni di natura timbrica, ma di condotta, minacciata da tre strumenti – flauto e violini senza viola – attivi nello stesso registro. Nella fuga (Allegro) della Sonata XIV, invece, il flauto non interviene nel­ l’esposizione e nella controesposizione, ma soltanto nel primo e secondo divertimento; il corpo della fuga prosegue poi senza fare distinzioni tra le voci, ma è il principio di un ritornello fugato, in cui l’esposizione fa le veci del ritornello e i divertimenti degli episodi solistici.50 Nell’Allegro 50

  Ed. moderna a cura di Andrea Bornstein e Lucia Corini, Bologna, Ut Orpheus, 1997 (Canzone Suite Sonata [in seguito, CSS], 31).

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della Sonata XI di Sarro, dove ogni sezione della fuga trova il proprio corrispettivo nell’impianto tonale della forma-ritornello, lo schema è maneggiato con perizia ormai consumata: le entrate degli archi («tutti») confermano puntualmente la tonalità d’arrivo dei divertimenti modulanti («soli»), sempre introdotti dalla testa del soggetto.51 Dove Mancini mostra d’aver meglio assimilato la tecnica del concerto moderno è nell’Allegro conclusivo della Sonata XVI. Questo finale omofonico, che pare uscito dalla penna di Albinoni, è l’unico movimento dell’intera raccolta il cui ritornello consiste in più sezioni chiaramente articolate. Al nitore formale aggiunge smalto l’alleggerimento della scrittura a 2-3 parti, coi violini all’unisono adibiti a bassetto, e fluidità l’assenza di cesure armoniche, frequenti nei primi concerti. Nella sequela di cadenze sospese su dominanti secondarie, trascinata comicamente da batt. 12 fino a batt. 16, riconosciamo infine, dopo l’austero contrappuntista, anche il Mancini compositore di intermezzi e scene buffe.52 La forma-ritornello impronta anche la Sonata III di Francesco Barbel­ la53 e la Sonata XV di Giovanni Battista Mele,54 cronologicamente coeve dei primi concerti di Fiorenza. Ma più che di Mele, che dei sei autori rappresentati nel manoscritto è quello che esibisce il più ricco formulario ritmico galante, preferiamo occuparci del modo caratteristico in cui la forma-ritornello è declinata in un compositore, pur meno ispirato, come Barbella. Nell’ultimo movimento (Allegro) l’enunciazione del ritornello è seguita da episodi solistici che ripropongono parte del materiale tematico sullo stesso grado, ma in modo minore: al ritornello R1 in do maggiore si contrappone il solo S1 in do minore, che modula a sol minore; seguono R 2 in sol maggiore e S2 in sol minore, secondo un’applicazione radicale della tecnica, così diffusa negli anni 1720-1730, dello scambio modale.55 L’armonia bifocale è addirittura ostentata a batt. 26, dove il ritornello in 51

  Ivi, 1997 (CSS, 28).

52

  Ivi, 1997 (CSS, 33).

53

  Ivi, 1996 (CSS, 21).

54

  Ivi, 1997 (CSS, 32).

55

  Vedi M. Talbot, Modal Shifts in the Sonatas of Domenico Scarlatti, «Chigiana» 40, n.s. 20, 1990, pp. 25-43; Bella Brover-Lubovsky, ‘Die schwarze Gredel’, or, the Parallel Minor Key in Vivaldi’s Instrumental Music, «Studi Vivaldiani» 3, 2003, pp. 105-131.

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sol maggiore dei violini si sovrappone alla cadenza in sol minore di flauto e basso: un contatto urticante che autori meno proclivi del nostro a ruvide armonie napoletane avrebbero lenito introducendo una correzione modale in corrispondenza del punto d’arrivo della modulazione.56 Considerando il piano tonale del movimento dal punto di vista dei ritornelli, e ignorando il decorso parallelo dei soli, si ottiene lo schema I–V–vi–ii–I, non inusitato, ma poco frequente,57 dove la ripresa sulla tonica è preceduta dal secondo grado minore. Non va dimenticato che alla brusca successione di aree tonalmente instabili e imperiose affermazioni della tonalità d’im­ pianto il pubblico dell’epoca era accostumato dalla conclusione della sezione B dell’aria, immediatamente seguita dal ritornello della sezione A; e proprio nelle arie in maggiore la chiusa di B sulla sopratonica rappresenta talvolta un’alternativa all’impiego ordinario della mediante minore.58 Il concerto di Barbella termina come era cominciato, all’insegna di un’ambiguità tonale perseguita fin dal ritornello del primo movimento (Amoroso), che si trattiene sulla tonica per lo spazio di una battuta, per poi volgersi subito alla dominante della dominante. Da questa prospettiva dobbiamo forse interpretare anche un tratto in apparenza evoluto della forma-ritornello in Barbella: il mancato ritorno nel corso del movimento della tonica intermedia, che nella traiettoria di allontanamento dalla tonalità d’impianto risplenderebbe come un faro nella nebbia.59 56

  Esempi di questo artificio si trovano nel primo Vivaldi: cfr. Bella Brover-Lubovsky, Tonal Space in the Music of Antonio Vivaldi, Bloomington, Indiana University Press, 2008, p. 112. 57

  Cfr. per esempio Jehoash H irschberg – Simon McVeigh, The Italian Solo Concerto, 1700-1760: Rhethorical Strategies and Style History, Woodbridge, Boydell Press, 2004, p. 110. 58

  Sui rapporti tra forma-ritornello e aria con da capo, vedi John E. Solie, Aria Structure and Ritornello Form in the Music of Albinoni, «The Musical Quarterly» 63, 1977, pp. 31-47; Jutta Ruile-Dronke , Die Dacapo-Arie des frühen Scarlatti und die Entstehung des Vivaldischen Konzerttypus, in Colloquium Alessandro Scarlatti, Würzburg 1975, a cura di Wolfgang Osthoff e Jutta Ruile-Dronke, Tutzing, Schneider, 1979 (Würzburger Musikhistorische Beiträge, 7), pp. 117-132; Norbert Dubowy, Arie und Konzert. Zur Entwicklung der Ritornellanlage im 17. und frühen 18. Jahrhundert, München, Fink, 1991 (Studien zur Musik, 9). 59

  Riguardo alle asperità armoniche della musica di Barbella, cfr. il giudizio di Christoph Timpe (Violinmusik in Neapel in der ersten Hälfte des 18. Jahrhunderts, in Italienische Instrumentalmusik cit., p. 200) sul Concertino per tre violini e organo, le cui parti manoscritte in I-Nc, Mus. Strum. 182.31, recano una nota di possesso datata 1716: «In stilistischer Hinsicht verbindet die Komposition Elemente der venezianischen Konzertform mit harmonischem

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Nessun altro compositore napoletano, all’infuori di Provenzale, ha goduto di una rivalutazione critica tanto repentina e meritata quanto Nicola Fiorenza, il cui stile eccentrico, vigoroso, mai fatuo sarebbe stato – con felice arbitrio – riletto dalla generazione seguente alla luce dell’estetica del sublime di fine secolo: Tra i maestri di violino [di Santa Maria di Loreto] io vi conobbi circa 35. anni indietro il valente professore D. Nicolò Fiorenza, il quale faceva delle ottime sinfonie così piene d’estro, e di grazie, che dopo quelle, soltanto le sublimi produzioni di musica veramente Pindarica del Signor Haiden Tedesco, me ne anno [sic] risvegliata la memoria.60

Nei suoi cinque concerti per flauto, tutti apparentemente compresi entro il decennio 1725-1735, è infranta la consuetudine del secondo movimento in stile fugato, secondo la tradizione del concerto da chiesa fino ad allora imperante. L’unico movimento non omofonico è il primo Allegro del concerto («Sinfonia») in sol minore, dove le figurazioni in moto perpetuo del flauto si concentrano nei divertimenti, ostentatamente separati dalle altre sezioni della fuga.61 L’alternanza di episodi omofonici e polifonici fa parte della natura compromissoria per se del ritornello fugato, ed esempi analoghi non sono rari; tuttavia, un gusto così spiccato per il contrasto tra bravura e contrappunto, ricomposto nel superiore equilibrio di un nitido disegno formale, sembra trovare il suo modello d’elezione nella Roma postcorelliana.62 Reichtum und Modulierfreudigkeit, einem wesentlichen Vehikel des neapolitani­schen Affektgehaltes». Su Barbella, allievo di Cailò, vedi anche Guido Olivieri, Per una storia della tradizione violinistica napoletana del ’700: Giovanni Carlo Cailò, in Fonti d’archivio cit., pp. 239-240. 60

  Giuseppe Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, Napoli, Terres, 1789, vol. 3, p. 202; facsimile Sala Bolognese, Forni, 1989. 61

  I-Nc, Mus. Strum. 2258-2260. Cfr. Nicola Fiorenza, Concerto in Sol minore per Flauto, 3 Violini e Basso Continuo, a cura di Vera Alcalay e Stefano Bagliano, Bologna, Ut Orpheus, 2007 (Canzone Suite Sonata, 64). Sono in corso di pubblicazione gli Opera omnia, a cura di Giovanni Borrelli, ivi, 2010- (Napoli e l’Europa, 4). L’unico volume apparso finora è dedicato alle composizioni per violino di Fiorenza, «che nel sonare questo strumento non avea in quel tempo chi lo eguagliasse, come si rileva da’ trii, sonate, e sinfonie, che compose»: cfr. Carlo A ntonio De Rosa, Memorie dei compositori di musica del regno di Napoli raccolte dal Marchese di Villarosa, Napoli, Stamperia Reale, 1840, p. 186. 62

  Vedi per esempio i concerti Op. 7, n. 9 di Giuseppe Valentini e Op. 3, n. 6 di Giovanni Mossi: cfr. J. H irschberg – S. McVeigh, The Italian Solo Concerto cit., pp. 70, 158.

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All’ambiente romano, d’altronde, rimandano non poche caratteristiche solitamente assunte come altrettante patenti di napoletanità: elementi macrostrutturali, come l’impianto formale debitore del concerto da chiesa, con quattro o cinque movimenti di cui almeno uno fugato; strategie compositive, come l’insistenza, tipicamente previvaldiana, con cui la tonica si riaffaccia nel corso dello stesso movimento; aspetti di prassi esecutiva, come l’accompagnamento di violini e basso senza viola.63 Persino la caratteristica scrittura a tre violini, così diffusamente coltivata a Napoli per tutta la prima metà del Settecento, potrebbe avere radici romane, come suggeriscono le 58 sinfonie per quell’organico, oggi perdute, che figuravano nell’inventario dei beni di Carlo Mannelli, redatto nel 1697.64 Ma allo stato attuale delle conoscenze, postulare una diffusa permeabilità fra le due tradizioni è più prudente che assegnare un’incerta primogenitura all’una o all’altra. L’altro termine di paragone è naturalmente rappresentato dalla scuola veneziana. L’influenza esercitata da Albinoni sulla generazione di napoletani successiva a Mancini costituisce un problema storiografico a cui finora non è stata prestata conveniente attenzione. Il Teatro di San Bartolomeo aveva ospitato due suoi drammi già in età spagnola, durante il viceregno del marchese di Villena: L’inganno innocente, in scena il 19 dicembre 1702 con inserti di Jean-Baptiste Stuck e il titolo mutato in Rodrigo in Algieri (sic),65 fu la prima opera di Albinoni ripresa al di fuori di Venezia, 63

  Sull’assenza della viola nelle compagini romane a partire dal 1720, cfr. Sven H. H anOrchestral Practice at the Court of Cardinal Pietro Ottoboni, «Journal of the American Musicological Society» 19, 1966, p. 399; Paul J. Everett, A Roman Concerto Repertory: Ottoboni’s ‘what not’?, «Proceedings of the Royal Musical Association» 110, 1983-1984, p. 75; I d., Vivaldi Concerto Manuscripts in Manchester: III, «Informazioni e Studi Vivaldiani» 7, 1986, pp. 14-15; M. Talbot, ‘Lingua romana in bocca veneziana’: Vivaldi, Corelli and the Roman School, in Studi Corelliani IV, a cura di Pierluigi Petro­belli e Gloria Staffieri, Firenze, Olschki, 1990 (Quaderni della Rivista Italiana di Musicologia, 22), pp. 315-316; Giovanni Sgaria , Giovanni Mossi, musicista romano del primo Settecento, in Intorno a Locatelli. Studi in occasione del tricentenario della nascita di Pietro Antonio Locatelli (1695-1764), a cura di Albert Dunning, Lucca, LIM, 1995 (Speculum musicae), vol. 2, pp. 1155-1156. sell ,

64

  G. Olivieri, Tra Napoli e Vienna cit., p. 204. Giovanni Carlo Cailò, decano della scuola violinistica napoletana, fu probabilmente allievo di Mannelli: cfr. I d., Per una storia della tradizione violinistica napoletana cit., p. 230. 65

  La data di rappresentazione (19 dicembre, genetliaco di Filippo V di Spagna) si evince dalla dedica del libretto, p. 6, e dalla «Gazzetta di Napoli» del 26 dicembre 1702: cfr. Th. Griffin, Musical References cit., p. 34, n. 148; A. M agaudda – D. Costantini, Musica

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seguita dalla Griselda nell’estate 1706.66 Per il breve spazio della sua durata, il governo del cardinale Grimani – veneziano, sensibile all’arte musicale sia per inclinazione personale (suoi i libretti dell’Elmiro di Pallavicino, dell’Orazio di Tosi e dell’Agrippina di Händel), sia per vicende familiari (tra XVII e XVIII secolo i Grimani furono proprietari di tre fra i maggiori teatri cittadini)67 – parve preludere ad una stagione particolarmente favorevole ad Albinoni, inaugurata dalla sollecita ripresa di una delle sue più recenti fatiche teatrali: Astarto, rappresentato al San Cassiano l’11 novembre 1708 e riproposto al pubblico del San Bartolomeo il 28 dicembre 1709 sotto gli auspici di Grimani, a cui il libretto è dedicato.68 Ma già il 4 novembre Pimpinone, altra primizia albinoniana, era andato in scena a Palazzo Reale come intermezzo dell’Engelberta di Orefice e Mancini.69 Ricordee spettacolo cit., app., p. 110 (erroneamente 10 dicembre in Benedetto Croce , I teatri di Napoli, secolo XV-XVIII, Napoli, Pierro, 1891, p. 223, onde Barry K ernfeld – Julie A nne Sadie , Stuck [Stück], Jean-Baptiste, in New Grove, vol. 24, pp. 619-620; 15 dicembre in Francesco Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi Conservatorii, Napoli, Morano, 1882, vol. 4, p. 9, onde R emo Giazotto, Tomaso Albinoni ‘Musico di violino dilettante veneto’ (1671-1750), Milano, Bocca, 1945, p. 42, nota 1, e M. Talbot, Albinoni: Leben und Werk, Adliswil, Kunzelmann, 1980, p. 29). Sul coinvolgimento di Stuck, vigorosamente sostenuto dalla contessa di Lemos, cfr. José M aría Domínguez , Corelli, Politics and Music during the Visit of Philip V to Naples in 1702, «Eighteenth-Century Music» 10, 2013, pp. 96-97, 106. Al servizio della contessa di Lemos era anche Anna Maria de Piedz, interprete delle scene buffe nel ruolo di Serpilla: cfr. Franco Piperno, Buffe e buffi (considerazioni sulla professionalità degli interpreti di scene buffe ed intermezzi), «Rivista Italiana di Musicologia» 18, 1982, p. 277, nota 67. 66

  Nel libretto la musica è attribuita espressamente ad Albinoni («ottimo non solo Suonatore di Violino che contrapuntista famoso», p. 8), a riserva delle scene buffe e delle arie contrassegnate dal segno §, che sono opera di Sarro. Come ha dimostrato M arco Bizzarini (Griselda e Atalia: exempla femminili di vizi e virtù nel teatro musicale di Apostolo Zeno, tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2008, pp. 33-39), rimandano all’allestimento napoletano le Ariette della Griselda Del Sig.r Tomaso Albinoni in I-Mc, Noseda A.8.19. 67

  Lo stesso Albinoni esordì come operista ai SS. Giovanni e Paolo, storico teatro della famiglia Grimani (Zenobia regina de’ Palmireni, 1694). 68

  Il libretto napoletano tace il nome del compositore, ma è probabile che la versione originale dell’opera, accomodata per l’occasione da Nicola Fago, fosse quella di Albinoni. Cfr. R einhard Strohm, Italienische Opernarien des frühen Settecento (1720-1730), Köln, Volk, 1976 (Analecta Musicologica, 16), vol. 2, p. 292. 69

  La partitura dell’Engelberta napoletana in A-Wn, Mus. Hs. 18057, tramanda al suo interno l’unico testimone completo del Pimpinone, fonte A nell’edizione critica di Tomaso

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remo infine che a Napoli si conserva tuttora, altro possibile indizio della fortuna locale del veneziano, un manoscritto tardo ma autorevole delle Sinfonie e concerti à cinque, apparse a stampa come Op. 2.70 Gli stessi protagonisti della ricezione napoletana di Albinoni – pur critica e selettiva, mediata forse da filtri romani – non manifestano invece alcuna familiarità, o quantomeno interesse, nei confronti dello stile di Vivaldi. La febbre vivaldiana dilagava per l’Europa fin dal secondo decennio del secolo, eppure Napoli ne fu affetta con quasi vent’anni di ritardo, a dispetto di circostanze favorevoli come il ritorno di Angelo Ragazzi da Vienna nel 1722 e la presenza dello stesso Vivaldi a Roma nel 17231724.71 Ancora oltre questa data, il modello vivaldiano appare sostanzialmente estraneo ai concerti di Fiorenza, crocevia di arcaismi e novità, e fu soltanto a partire dagli anni Trenta che esso si impose ai compositori della generazione di Pergolesi. I concerti per flauto traverso di Antonio Palella, Carlo Cecere, Francesco Papa, Carlo Gerosa, Domenico de Micco e di almeno un’altra dozzina di compositori attivi attorno a questa data, adottano quasi senza eccezioni la forma-ritornello divulgata internazionalmente, di volta in volta declinata con minime ma significative variazioni. A fronte di una così grande abbondanza di fonti dall’aspetto esteriore omogeneo, anche scarti stilistici apparentemente trascurabili vanno valutati su base statistica e ricondotti a specifiche strategie compositive, con A lbinoni, Pimpinone. Intermezzi comici musicali, a cura di Michael Talbot, Madison (Wis.), A-R Editions, 1983 (Recent Researches in the Music of the Baroque Era, 43). Risale probabilmente alla ripresa del 13 novembre al San Bartolomeo la variante che si riscontra tra gli esemplari del libretto de L’Engelberta, o sia La forza dell’innocenza (Napoli, 1709), contenenti ora gli intermezzi di Vespetta e Pimpinone (I-Bu), ora quelli di Melissa schernita (I-Bc, Vgc, US-Wc). Cfr. R. Strohm, Italienische Opernarien cit., vol. 2, p. 187; Charles E. T roy, The Comic Intermezzo: A Study in the History of Eighteenth-Century Italian Opera, Ann Arbor (Mich.), UMI, 1979 (Studies in Musicology, 9), pp. 167, 173. La variante non è segnalata in Sartori, n. 8924. 70

  I-Nc, Rari 1.9.20. Copia manoscritta incompleta (solo le parti di violino I-II e violoncello) dell’Op. 2, preceduta dall’Op. 8 di Torelli, senza nome d’autore e perciò attribuita ad Albinoni come il resto della raccolta. Parzialmente autografa la parte di violino II, con explicit a c. 26r: «Finisque Laus Deo | D[eiparae] S[emper] V[irgini] O[mnibusque] S[anctis] S[uis] 1746 alli 5. di Ap[ril]e». 71

  Cfr. G. Olivieri, Tra Napoli e Vienna cit., pp. 175-176; Cesare Fertonani, Archetipi formali ed espressivi della musica strumentale di Pergolesi, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 5, 2006, pp. 217-219.

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risultati talora sorprendentemente eterodossi.72 Nel far questo, la mole del materiale da esaminare non rappresenta l’unico ostacolo, come si vedrà nel prossimo paragrafo. Napoli fuori di Napoli: esportazione del repertorio e conflitti di attribuzione Dopo una fase iniziale in cui l’influsso esercitato da centri come Roma, Venezia e Vienna pare agire a senso unico, si assiste alla parallela diffusione di concerti napoletani oltre i confini del viceregno. A partire dal 1720 – dunque con qualche ritardo rispetto alla letteratura violinistica – i percorsi di importazione e esportazione del repertorio pretendono di essere rilevati in partita doppia: Nella mattina di sabato passato [25 aprile 1722] […] li due principi bavari intrapresero colla diligenza delle poste il loro viaggio per Bologna e Germania ed il principe elettorale di Baviera regalò al virtuoso Nicolò Porpora, mastro di cappella napoletano, una tabacchiera di tartaruca bianca guarnita d’oro, piena d’ungari, per alcuni concerti musicali di flauto presentati a sua altezza che li trovò di suo genio, già che si diletta di sonare detto flauto.73

L’attuale distribuzione geografica delle fonti di musica napoletana per fiati riflette l’ampiezza della sua diffusione nell’Europa centro-settentrionale, e la presenza di una sonata per flauto di Mancini nel catalogo Ring­ macher del 1773 offre una singolare testimonianza della sua persistenza a nord delle Alpi.74 Il dato è sorprendente, se confrontato con l’orgoglio del primato nazionale ostentato da strumentisti, compositori e teorici tedeschi, giustificato talvolta con bizzarre speculazioni.75 Le dimensioni 72

  Per la varietà di stimoli sottesi alla produzione di una figura pur minore nella Napoli asburgica e borbonica, vedi A. L attanzi, The Instrumental Music of Domenico de Micco cit. 73

  «Gazzetta di Napoli» (5 maggio 1722), corrispondenza da Roma, in A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo cit., p. 66 (corsivo mio); omesso in Th. Griffin, Musical References cit. 74

  Christian Ulrich R ingmacher , Catalogo de’ Soli, Duetti, Trii … Berlin 1773, a cura di Barry S. Brook, Leipzig, Peters, 1987 (Musikwissenschaftliche Studienbibliothek), p. 58, n. 335. 75

  Nel rivendicare la superiorità dei tedeschi con toni schiettamente nazionalistici, Schubart attribuiva al clima mediterraneo, «spesso causa di asma», lo scarso sviluppo della musica per fiati in Italia: cfr. Christian Friedrich Daniel Schubart, Ideen zu einer

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del fenomeno hanno un paradossale indicatore nel proliferare di at­ tribuzioni contrastanti fra autori napoletani e tedeschi: problema che, più in generale, travaglia l’intero repertorio dei concerti per strumenti a fiato,76 ma rappresenta altresì un possibile indizio dell’irradiazione della musica strumentale napoletana, non meno di quella sacra e operistica, al di fuori dei propri confini. La sola critica esterna non offre, in genere, che armi spuntate per la soluzione di simili conflitti. Particolarmente problematica è la situazione delle fonti relative ad un compositore menzionato alternativamente come Gerosa o Geraso, che possiamo identificare con un Carlo Gerosa presente in una miscellanea napoletana di cantate di Scarlatti, Mancini, Astorga, Porpora, Leo ed altri, fiorito attorno al 1730.77 Il suo nome è coinvolto in un groviglio di attribuzioni contrastanti che chiamano in causa Hasse, Telemann e il suo conterraneo – tanto illustre allora quanto oggi oscuro – Francesco Papa.78 Dei tre concerti per flauto che gli sono attribuiti, ci soffermeremo su quello in sol maggiore (Gronefeld 1641) come su un caso rappresentativo delle insidie di questo repertorio.79 Nel 1741 lo stesso concerto fu pubblicato da John Walsh sotto il nome di Hasse (Op. 3, n. 7).80 Ästhetik der Tonkunst [1784-85], a cura di Ludwig Schubart, Wien, Degen, 1806, p. 58; facsimile Hildesheim [etc.], Olms, 20023. 76

  Si rimanda al contributo, ancora prezioso, di R aymond M eylan, Documents douteux dans le domaine des concertos pour instruments à vent au XVIIIe siècle, «Revue de Musicologie» 49, 1963, pp. 47-60. 77

  I-Nc, Cantate 21, cc. 104r-107v («Cantata à voce sola del Sig.r Carlo Gierosa 1730»).

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  Papa è definito il «primo oboista di Napoli» nella relazione del barone di Liveri al marchese di Salas (31 ottobre 1742), in U. Prota-Giurleo, La grande orchestra cit., p. 13. Fu primo oboe della Cappella del Tesoro di San Gennaro (1722-1752) e dell’orchestra del San Carlo (1742-1752), nonché maestro di strumenti a fiato nei conservatori di Sant’Onofrio (1727-1729) e della Pietà de’ Turchini (1734-1752). Di lui restano tre sonate per oboe (S-Skma, Alströmer-samlingen) ed altrettanti concerti per flauto (cfr. supra, nota 46). 79

  Manoscritti in B-Bc, Ms. 33827; D-MMm, Hs. 616; I-MTventuri, A. 88 (tutti attri­buiti a «Geraso»). 80

  Twelve Concertos in Six Parts, For a German Flute, Two Violins, a Tenor, with a Thorough Bass for the Harpsicord or Violoncello. Compos’d by Signor Giovanni Adolffo [sic] Hasse. Opera Terza, London, Walsh, [1741]; cfr. W. C. Smith – Ch. Humphries, A Bibliography cit., p. 180, n. 796. Copie manoscritte in D-MÜu, Rheda Ms. 368; S-Skma, FbO-R. Edizione moderna: Johann A dolph H asse , Konzert für Flöte, Streicher und Basso continuo Op. 3, No. 7, a cura

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L’attendibilità dell’Op. 3, con tutta evidenza assemblata all’insaputa del compositore, appare modesta: il testo è trascurato, spesso incoerente, e appesantito da una parte posticcia di viola maldestramente inserita tra i violini e il basso.81 Nemmeno il contenuto è omogeneo: i concerti nn. 1 e 10 costituiscono un caso di pirateria editoriale ai danni dell’olandese Gerhard Fredrik Witvogel, che li aveva pubblicati tre anni prima come Op. 1,82 mentre il n. 4 è un concerto per due flauti, aggiunto al solo scopo di completare la dozzina, che il fronte­spizio della raccolta omette persino di menzionare. Tutto induce a crede­re che Walsh si limitò a pubblicare dieci dei dodici concerti sulla base di altrettanti manoscritti attribuiti a Hasse tra quelli a sua disposizione. Il resto della tradizione, però, non è altrettanto concorde. Delle tre fonti del concerto n. 7 attribuite a Gerosa, una in particolare, d’origine napoletana, sembra risalire ad una data prossima a quella di composizione. Si tratta del Ms. 33827 del Conservatoire Royal di Bruxelles, appartenente al fondo della cattedrale di Sainte Gudule. Del fondo, raccolto a partire dal 1737 dal canonico Jan Bernard van den Boom,83 fanno parte una dozzina di concerti per flauto traverso, all’interno dei quali sono immediatamente riconoscibili due nuclei distinti: uno formato dalle composizioni del locale maestro di cappella, Henri-Jacques de Croes; l’altro, non meno omogeneo, di provenienza napoletana, contedi István Máriássy, Adliswil, Kunzelmann, 1990 (Kunzelmann Octavo Edition, 10244). La testa del tema ricorre identica in una sonata di Domenico Alberti, già attri­buita a Pergolesi (Paymer 7). 81

  Pippa Drummond, The German Concerto: Five Eighteenth-Century Studies, Oxford, Clarendon Press, 1980 (Oxford Monographs on Music), pp. 243-244. Già Arnold Schering riconobbe nella parte di viola un probabile intervento editoriale: cfr. prefazione a Instrumentalkonzerte deutscher Meister: J. G. Pisendel, J. A. Hasse, C. Ph. E. Bach, G. Ph. Telemann, Chr. Graupner, G. H. Stölzel, K. Fr. Hurlebusch, a cura di Arnold Schering, Leipzig, Breit­ kopf & Härtel, 1907 (Denkmäler deutscher Tonkunst, I, 29-30), pp. XXIII-XXIV. 82

  Rispettivamente i nn. 2 e 4 dei Sei Concerti Tre a Due Flauti Traversieri e Tre a Flauto Solo Violino Primo, Violino Secondo Alto Viola Violoncello e Cimbalo, Del Signor Giovanni Adolffo [sic] Hasse, Opera Prima, Amsterdam, Witvogel, [ca. 1738]. Per la data di pubblicazione, cfr. A lbert Dunning, De Muziekuitgever Gerhard Fredrik Witvogel en zijn fonds. Een bijdrage tot de geschiedenis van de Nederlandse muziekuitgeverij in de achttiende eeuw, Utrecht, Oosthoek, 1966 (Muziekhistorische Monografieën, 2), p. 48, n. 61. 83

  R ené L enaerts, The ‘Fonds Ste Gudule’ in Brussels: An Important Collection of Eighteenth Century Church Music, «Acta Musicologica» 29, 1957, p. 121.

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nente concerti di Giuseppe de Majo, Francesco Papa e Davide Perez.84 Sotto il profilo stilistico, qualsiasi confronto è pregiudicato dalla situazione delle fonti di Gerosa, di cui sono note solo opere di dubbia attribuzione; d’altra parte, il concerto non presenta nulla di estraneo allo stile di Hasse. La lite resta sub iudice, ma le riserve espresse fin qui valgono almeno ad ascrivere il concerto Op. 3, n. 7 al novero delle opere dubbie del Sassone. Gerosa è presente anche in una raccolta di Concerti per il Flauto Traversiere di contenuto napoletano che si conserva presso la Musik- och Teaterbiblio­ teket di Stoccolma.85 Dei quattro concerti contenuti nella raccolta, il terzo, di Antonio Palella, consiste in quattro movimenti secondo lo schema lentoveloce-lento-veloce, particolarmente longevo a Napoli. La stessa biblio­teca ne possiede altre due copie manoscritte attribuite a Hasse, prive però del movimento introduttivo («Andante amoroso è staccato») e ri­modellate secondo lo schema veloce-lento-veloce. È probabile che in questa forma, più appropriata al mercato internazionale, il concerto fosse raccomandato ad un pubblico più vasto: e quale migliore passaporto di un frontespizio su cui campeggi non il nome di Palella, bensì quello di Hasse?86 Naturalmente, ogni circostanza dev’essere giudicata a sé e non sempre il confronto si risolve a favore dei napoletani. È il caso del primo dei due concerti per flauto traverso attribuiti a Leonardo Leo da un manoscritto della Österreichische Nationalbibliothek,87 di cui si conserva un’altra fonte 84

  Tutti recano sul frontespizio il timbro «A[dmodum] R[everendus] D[ominus] Van den Boom Cant[or]». Allo zelo di van den Boom si deve anche l’acquisto di molta musica sacra di Scarlatti, Mancini, Sarro, Durante, Pergolesi, Terradellas: vedi il catalogo in appendice alla tesi di laurea di Jacqueline Bacq, Le Fonds Sainte Gudule. Son origine, sa composition, son importance, Université Catholique de Louvain, 1953, 3 voll. 85

  S-Skma, FbO-R. Sui concerti I e IV, cfr. R. M eylan, Documents douteux cit., p. 55, nn. 69-70. 86

  Altri potrebbe congetturare che un concerto in tre movimenti di Hasse sia stato adattato al gusto napoletano da Palella, non nuovo a drastiche revisioni di opere del Sassone (sugli interventi di Palella in occasione della ripresa sancarliana del Tigrane nel 1745, cfr. U. Prota-Giurleo, La grande orchestra cit., p. 17, nota 1). Ma attorno a quella data l’articolazione in quattro movimenti era ormai, anche a Napoli, un’opzione minoritaria, e l’aggiunta di una introduzione lenta sarebbe stata superflua. 87

  A-Wn, Mus. Hs. 3705, cc. 1r-15v. Cfr. L eonardo L eo, Concerto in G-dur für Flöte, zwei Violinen und Basso continuo, a cura di Brian Berryman, Winterthur, Amadeus, 1998 (Concerto Flauto Amadeus, 25).

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a Karlsruhe recante l’attribuzione «Del: Singe: Cheualie».88 L’iden­tifi­cazione di quest’ultimo con Amédée Le Chevalier, risibile sotto il profilo stilistico, risale a Eitner e si trascina fino ai repertori correnti, per effetto del moto inerziale che la bibliografia musicale è così incline a conservare.89 Candidati più plausibili sono il flautista Leopold Chevalier, di cui si sa soltanto che il 9 ottobre 1738 si esibì ad Amburgo «mit extraordinären neuen Italie­n i­ schen Piècen auf der Fleute [sic] Traversière»;90 o, meno verosimilmente, Piero Fruttel detto «Chevalier» o «Sevalié», oboista – e probabilmente flautista – della cappella ducale di San Marco dal 1766 (1765 more Veneto), morto nel 1789 dopo una lunga malattia.91 Quel che è certo è che questo concerto d’osservanza vivaldiana, risalente agli anni 1730-1740, è quanto di più dissimile dai concerti autentici di Leo, volutamente estranei a modelli veneziani.92 88

  D-KA, Mus. Hs. 81. Cfr. A rmin Brinzing, Thematischer Katalog der Musikhandschriften (Signaturengruppe Mus. Hs.). Mit einem vollständigen Verzeichnis der Werke Johann Melchior Molters (MWV), Wiesbaden, Harrassowitz, 2010 (Die Handschriften der Badischen Landes­ bibliothek in Karlsruhe, 14), pp. 164-165, n. 829. L’esistenza di un conflitto di at­t ribuzione non era sfuggita a R. M eylan, Documents douteux cit., p. 51, n. 25. Un concerto per flauto in sol maggiore, attribuito anch’esso ad un non meglio specificato «Chevalier», si trova in D-Rtt, Chevalier 1: cfr. G. H aberkamp, Die Musikhandschriften cit., p. 37. 89

  Robert Eitner , Biographisch-Bibliographisches Quellen-Lexikon der Musiker und Musik­ gelehrten der christlichen Zeitrechnung bis zur Mitte des neunzehnten Jahrhunderts, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1902, vol. 6, p. 97, onde Henri Vanhulst, Le Chevalier, Amédée, in New Grove, vol. 14, p. 547, e K atelijne Schiltz , Le Chevalier, Victor Amédée, in MGG2 , Personenteil, vol. 10, col. 1407. 90

  «Hamburgischer Correspondent», n. 159, cit. in Josef Sittard, Geschichte des Musikund Concertwesens in Hamburg vom 14. Jahrhundert bis auf die Gegenwart, Altona – Leipzig, Reher, 1890, p. 72; facsimile Hildesheim [etc.], Olms, 1971. Si tratta probabilmente dello stesso «Mr. Chevalier» che a Copenhagen, dal 1756 al 1759, impartì lezioni di flauto a Otto Ludvig Raben, la cui collezione musicale si conserva in DK-Kk, Aalholmsamlingen: cfr. Jens H enrik Koudal , Nodefundet på Aalholm Slot. En kort præsentation, «Cæcilia» 2, 1992-93, p. 267 (versione inglese abbr.: The Music Discovered at Aalholm Manor: A Brief Introduction, «Fontes Artis Musicae» 41, 1994, p. 273). 91

  Documenti sul suo stato di servizio in Francesco Passadore – Franco Rossi, San Marco: vitalità di una tradizione. Il fondo musicale e la Cappella dal Settecento ad oggi, Venezia, Fondazione Levi, 1996 (Studi musicologici, C: Cataloghi e bibliografie, 2), vol. 1, pp. 346, 352, 363, 364, 510, 513. 92

  Cfr. Douglass M. Green, Progressive and Conservative Tendencies in the Violoncello Con­ certos of Leonardo Leo, in Studies in Eighteenth-Century Music: A Tribute to Karl Geiringer on his

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L’esempio più noto di attribuzione incerta è però quello dei quattro concerti per flauto traverso tramandati sotto il nome di Pergolesi, due dei quali (Paymer 33 in sol maggiore, 34 in re maggiore) inclusi nell’edizione Caffarelli delle opere complete.93 La sola attribuzione incontrastata, quella del concerto in re maggiore, è palesemente inattendibile; per contro, il concerto in sol maggiore è riferito a Hasse nel catalogo della collezione musicale del barone von Wittenhorst-Sonsfeldt, conservata nella Bibliotheca Fürstenbergiana del castello di Herdrigen (Arnsberg).94 Rimanda ugualmente a Hasse un concerto, anch’esso in sol maggiore, che nel catalogo Breitkopf del 1763 è accompagnato dalla dicitura «di Sgr. Pergolesi»95 e che in questa veste è tramandato da due manoscritti: l’uno a Copenhagen, Seventieth Birthday, a cura di H.C. Robbins Landon, London, Allen & Unwin, 1970, pp. 261-271; Giovanni Carli Ballola, I concerti per il Duca di Maddaloni, in ‘Amor sacro e amor profano’. Leonardo Leo e la cultura musicale napoletana del ’700, a cura di Paolo Pellegrino, Lecce, Argo, 1997, pp. 87-92. 93

  Entrambi in S-Skma, FbO-R. Cfr. Giovanni Battista Pergolesi, Concerti e sonate, [a cura di Filippo Caffarelli], Roma, Gli Amici della Musica da Camera, 1940 (Opera omnia di Giov. Batt. Pergolesi, 21), pp. 71-85 (P 33), 86-94 (P 34). Sono classificate come opere dubbie in M arvin E. Paymer , Giovanni Battista Pergolesi, 1710-1736: A Thematic Catalogue of the Opera omnia, New York, Pendragon Press, 1977 (Thematic Catalogues, 1), p. 11. Lo stesso Paymer le avrebbe poi confinate tra le opere spurie in The Instrumental Music Attributed to Giovanni Battista Pergolesi: A Study in Authenticity, Ph.D. Diss., City University of New York, 1977, e infine escluse dall’edizione dei Complete Works, vol. 17: Instrumental Music, a cura di Marvin E. Paymer, Stuyvesant (N.Y.), Pendragon Press – Milano, Ricordi, 1993. 94

  Des Herren General Major Frey Herrn von SonsFeldt Musicalisches Cathallogium, D-HRD, Fü 3720a, c. 9r, n. 145; facsimile in Deutsches Musikgeschichtliches Archiv Kassel. Katalog der Film­sammlung, a cura di Jürgen Kindermann, Kassel [etc.], Bärenreiter, 1988, vol. 4/2-3, p. 157. Su questo catalogo tematico (compilato attorno al 1728, con aggiunte e integra­ zioni fino al 1760), cfr. Barry S. Brook – R ichard Viano, Thematic Catalogues in Music: An Annotated Bibliography, 2nd edn., Stuyvesant (N.Y.), Pendragon Press, 1997 (Annotated Reference Tools in Music, 5), pp. 193-194, n. 581. La collezione musicale di Friedrich Otto von Wittenhorst-Sonsfeldt passò ai conti von Fürstenberg-Herdringen nel 1738. 95

  The Breitkopf Thematic Catalogue cit., col. 100. Cfr. Charles L. Cudworth, Notes on the Instrumental Works Attributed to Pergolesi, «Music & Letters» 30, 1949, p. 324. Nella prefazione all’ed. Caffarelli, cit., p. [III], il generico rimando ad «un antico catalogo della casa Breitkopf e Härtel di Lipsia» è erroneamente riferito ai concerti P 33 e 34.

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proveniente dal castello di Aalholm,96 l’altro a Berlino, proveniente dalla copisteria di Breitkopf a Lipsia.97 La variante più appariscente ricorre nel ritornello del primo movimento, che nel manoscritto di Berlino inizia in battere, mentre in quello di Copenhagen è preceduto da un ottavo in levare. Provvisto di una parte di viola verosimilmente assente nell’originale, e sicuramente nei manoscritti in nostro possesso, il concerto riappare nel 1741 come numero 11 dell’Op. 3 di Hasse.98 Abbiamo già espresso riserve sull’autorevolezza di questa raccolta, edita a Londra da John Walsh; pur tuttavia bisogna ammettere che, sotto il profilo formale e stilistico, il concerto n. 11 rende omaggio ai clichés favoriti di Hasse. Unica stravaganza, il Largo centrale in mi minore, che si apre con una prima frase irregolare di 5 battute e, senza modulazioni intermedie, giunge alla cadenza finale nel breve giro di 16 battute. Non esiste alcuna sezione solistica: il flauto raddoppia il primo violino e l’accompagnamento del basso continuo è ininterrotto. In passato si è guardato con interesse al Largo dell’Op. 3, n. 11 come ad un esempio di «through-composed movement»,99 ma nel contesto di un linguaggio altamente standardizzato, come è quello dei concerti di Hasse, ogni eccezione si attira legittimi sospetti. Difatti la tradizione manoscritta ospita una soluzione più ortodossa, corrispondente o alla stesura originale o ad un radicale rifacimento della versione pubblicata da Walsh: non un gracile movimento durchkomponiert come quello dell’Op. 3, confacente piuttosto ad un concerto ripieno (tab. 1a), ma un’ampia forma binaria con alternanza di «tutti» e «solo» (tab. 1b). 96

  DK-Kk, mu 9709.2965 (= Aalholm-saml., 9). Il nucleo della collezione Aalholm consiste nella biblioteca del conte Otto Ludvig Raben (1730-1791), flautista dilettante che tra i suoi insegnanti ebbe Blavet: vedi J. H. Koudal , The Music Discovered at Aalholm Manor cit. 97

  D-B, Mus. ms. 17198; cfr. H elmut Hucke , Pergolesi: Probleme eines Werkverzeichnisses, «Acta Musicologica» 52, 1980, p. 223. Quella che sembra un’antica segnatura, R. III. 1, è invece l’abbreviazione di Raccolta III, n. 1, dei «Concerti da diversi Autori» in vendita presso Breitkopf nel 1763: cfr. The Breitkopf Thematic Catalogue cit., col. 100. Questo il contenuto delle quattro raccolte: Raccolta I – (1). Chr. S. Binder; (2). L. Carazzi («Carassi»). Raccolta II – (1). J. G. Harrer; (2). G. F. Händel (HWV Anh. B 332); (3). J. F. Klöffler («Klæffler»). Raccolta III – (1). G. B. Pergolesi; (2). F. Riedel; (3). Chr. Schaffrath. Raccolta IV – (1). G. Ph. Telemann (TWV 51: D3); (2). A. Vivaldi (RV 436; in D-B, Mus. ms. 22395/5: «R. IV. 2»); (3). J. G. Wiedner. 98

  R. M eylan, Documents douteux cit., p. 53, n. 47.

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  P. Drummond, The German Concerto cit., p. 265.

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Tab. 1a. Secondo movimento dell’Op. 3, n. 11 nell’edizione Walsh (Hasse) Tutti/Solo T Motivi a+b Tonalità i Battute 1-16 fl. col vl. I Tab. 1b. Lo stesso movimento nella tradizione manoscritta (Pergolesi/Hasse)100 Tutti/Solo T S S T Motivi a+b a+b' a' b Tonalità i i–III i i Battute 1-15101 16-27 28-43 43-49 fl. col vl. I b.c. tacet fl. tacet

D.C. [intendi: da batt. 28]

Ai margini della tradizione manoscritta si colloca la versione per mandolino «del Sig.r Sassone» (D-B, Mus. ms. Landsberg 313/8), che dell’originale per flauto conserva solo i movimenti esterni, ad incorniciare un nuovo Largo in sol minore.102 Concludiamo questo breve excursus pergolesiano ricordando che della collezione Aalholm di Copenhagen fa parte un altro concerto in sol maggiore attribuito a Pergolesi, mancante della parte solistica.103 In una 100

  Non mi è stato possibile prendere visione di due copie manoscritte del concerto Op.  3, n. 11 in S-Skma, FbO-R, entrambe attribuite a Hasse. Cfr. RISM A/II, ID nn. 190018462, 190018463. 101

  La frase iniziale è qui di 4 battute, con omissione della batt. 2 dell’ed. Walsh. Tolta questa importante differenza, il primo periodo è pressoché identico in entrambe le redazioni. 102

  Johann A dolf H asse , Konzert G-Dur für Solo-Mandoline, 2 Violinen und Generalbaß, a cura di Konrad Wölki, Köln, Gerig, 1958 (Werke für Jugend, Schule und Haus, n.R., 16). Cfr. James T yler – Paul Sparks, The Early Mandolin: The Mandolino and the Neapolitan Mandoline, Oxford, Clarendon Press, 1989 (Early Music Series, 9), pp. 33-34. 103

  DK-Kk, mu 9709.2964 (= Aalholm-saml., 8). Il copista è lo stesso del manoscritto cit. a nota 96. Dal castello di Aalholm proviene un’altra opera pseudo-pergolesiana, la sonata a tre per due flauti e basso in re maggiore, DK-Kk, mu 9709.3061 (= Aalholm-saml., 16), già nota in una versione per due violini e basso in si bemolle maggiore: cfr. M arvin E. Pay­ mer , Pergolesi Authenticity: An Interim Report, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 1, 1986, p. 211, n. 237. È probabile che l’attribuzione a Pergolesi sia stata sollecitata dal tema del primo movimento, che riecheggia l’«Inflammatus et accensus» dello Stabat mater. Il resto della tradizione pare invece confermare l’attribuzione a Filippo Ruge che figura nel catalogo Breitkopf del 1763 (The Breitkopf Thematic Catalogue cit., col. 91, in do maggiore).

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copia completa conservata a Stoccolma (S-Skma, FbO-R) lo stesso concerto reca il nome di Giuseppe Antonio Paganelli – compositore di origine veneta, ma attivo in varie corti e città tedesche.104 Conclusioni L’Ottocento napoletano, fucina di compositori, di virtuosi e di costruttori di strumenti a fiato, affonda le radici in una oscura ma laboriosa tradizione settecentesca, illustrata da oltre 130 concerti superstiti entro un arco di tempo che va da Alessandro Scarlatti alla morte di Cimarosa. L’origine di questo repertorio coincide cronologicamente con l’intro­ duzione di nuovi strumenti, l’oboe e il flauto traverso, accanto al tradizionale flauto dolce e all’ormai obsoleto cornetto. Dall’apporto iniziale di virtuosi forestieri come Ignazio Rion e Giuseppe Besozzi – il primo stabilitosi a Napoli nel 1712, il secondo nel 1734 – trasse origine una tradizione oboistica che in epoca borbonica acquisì rinomanza europea. L’affermazione del traversiere fu più stentata: dopo una serie di apparizioni sporadiche, la cui discontinuità possiamo solo in parte imputare ad una documentazione lacunosa o reticente (la più antica testimonianza data­bile con sicurezza risale al 1718), lo strumento divenne d’uso comune solo nella seconda metà negli anni Venti, avviando una convivenza almeno ventennale con il flauto dolce. Il breve soggiorno napoletano di Quantz del 1725, peraltro, non sembra avere il significato storico che gli è stato attribuito dalla letteratura musicologica, né ha alcun rapporto con la composizione dei 24 Concerti di Flauto Violini Violetta, e Basso Di Diversi Autori (I-Nc, Mus. Strum. 34-39), arbitrariamente datati 1725 nel corso del XIX secolo, ma in gran parte risalenti agli anni 1710-1715. L’evoluzione del concerto solistico negli anni del viceregno austriaco è puntualmente illu­ strata dal contenuto di questa raccolta, che rivela in misura crescente l’influsso di Albinoni e dei compositori della Roma postcorelliana. Alcuni tratti innegabilmente conservatori di questo repertorio vanno, se non ridimensionati, almeno contestualizzati: segnatamente la loro estraneità – o indifferenza – all’idioma vivaldiano, che colloca l’ambiente napoletano in posizione minoritaria, ma non storicamente isolata nel contesto italia104

  Augsburg, Braunschweig, Bayreuth, Gotha e Durlach: vedi Erich Schenk , Giuseppe Antonio Paganelli. Sein Leben und seine Werke, nebst Beiträgen zur Musikgeschichte Bayreuths, Salzburg – Wien, Waldheim-Eberle, 1928.

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no del primo quarto di secolo. Ancora nel decennio seguente i concerti della generazione di Pergolesi, palesemente vivaldiani per forma e ispirazione, convivono con pagine modellate sulla tradizione preesistente, come i concerti per violoncello di Leo (1737-1738). Dietro le soluzioni formali e gli orientamenti stilistici estremamente diversificati che si ri­ scontrano agli albori del regime borbonico si celano forse meri scarti generazionali, evidenti nel repertorio strumentale come in altri generi musicali. L’adesione a forme più largamente condivise ebbe come immediato riflesso una maggiore circolazione internazionale e, indirettamente, il moltiplicarsi di attribuzioni contrastanti fra compositori napoletani e stranieri, in particolare tedeschi. L’esame filologico della tradizione, pur irrinunciabile, giunge raramente a conclusioni definitive per difetto di fonti autorevoli, come manoscritti autografi o edizioni autorizzate. Un diffuso preconcetto tende ad attribuire alle edizioni a stampa maggiori garanzie di autenticità rispetto ai manoscritti, ma – come mostrano gli esempi addotti dai concerti di Hasse nelle edizioni londinesi di John Walsh – una stampa priva del consenso dell’autore non ha, di per sé, maggiore autorevolezza del manoscritto su cui è basata. La stessa attività di copisteria risponde a logiche commerciali non diverse dall’editoria musicale, sicché i compositori più celebri sembrano, deliberatamente o inconsciamente, favoriti rispetto a quelli di minor richiamo sui potenziali acquirenti: è soprattutto Hasse a contendere il frontespizio agli oscuri de Micco, Palella e Gerosa, così come, in senso inverso, sono i nomi di un Sarro o di un Pergolesi a soppiantare quelli dei loro colleghi d’Oltralpe. Sarebbe ovviamente inaccettabile pretendere di dirimere ogni conflitto di attribuzione con la rozza applicazione di questo principio, che conserva solo una validità generale: ciascun caso deve essere affrontato a sé, tramite criteri d’ordine stilistico che poggino su un adeguato campionario di informazioni organizzato su base statistica. Ma il dubbio sistematico rappresenta sia lo strumento critico per eccel­ lenza, sia la devianza potenzialmente perversa di ogni indagine su pro­ blemi di attribuzione. Pur rivendicando la necessità di affrontare l’esame di questo repertorio tramite un approccio statistico al maggior numero possibile di acquisizioni analitiche, occorre mettere in guardia contro il rischio di una applicazione miope della statistica. Nelle pagine precedenti si è visto come il quarto movimento (Allegro) del Concerto XVI di Man-

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cini manifesti un tale scarto stilistico rispetto al resto della raccolta da indurre quasi a dubitare della sua autenticità.105 L’esempio è prezioso, perché ci rammenta che il linguaggio di un compositore può essere soggetto ad evoluzione, specie in epoche di grandi rivoluzioni stilistiche: al musicologo che, in un ipotetico futuro apocalittico, disseppellisse opere come Feu d’artifice, Oedipus rex e Threni, non mancherebbero argomenti plausibili per confutarne la comune attribuzione a Stravinsky. In un arco di tempo sufficientemente lungo, il criterio dell’uniformità stilistica perde quasi per intero la sua attendibilità. Appendice: Flautisti, oboisti e fagottisti attivi a Napoli nella prima metà del XVIII secolo La documentazione raccolta dall’autore in vista di uno studio più ampio sul repertorio in esame comprende un primo tentativo di Repertorio bio-bibliografico di flautisti, cornettisti, oboisti, clarinettisti e fagottisti attivi a Napoli nel XVIII secolo. Per non appesantire il testo con informazioni relative agli strumentisti citati, ove non fosse necessario ai fini dell’argomentazione, si è preferito riversare le seguenti voci biografiche nel database Musico Napolitano: indice delle maestranze musicali attive a Napoli, (sito in costruzione). Vedi il contributo di Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore e Rodolfo Zitellini nel presente volume. In un contesto nel quale la pratica del polistrumentismo era invalsa, gli strumenti indicati accanto ai nominativi sono quelli ad essi espressamente associati nelle fonti documentarie; riferimenti ambigui o generici – come è talvolta il caso della dicitura «flauto» o della designazione, stereotipata ed oltre una certa data indubbiamente anacronistica, di «maestro di cornetta» – sono preceduti da un punto interrogativo. Sono esclusi i riferimenti ad altre famiglie di strumenti (archi, ottoni), di cui si dà notizia nelle singole voci. Abbreviazioni: flautino (flno), flauto traverso (fl), flauto dolce (rec), oboe (ob), cornetto (cnto), fagotto (fag).

105

  Cfr. supra, pp. 140-141.

158 Aguilar [Anchillara, Anguillara, Aquilar], Giuseppe († 1799): fag A ntonelli, Pellegrino ( fl. 1733): fl Battipede, Carlo ( fl. 1701-1724): rec, ob, cnto Besozzi [Besuzzi, Bezozi, Bizzossi], Antonio (1714-1781): ob Besozzi, Gaetano (1725-1798): ob Besozzi, Giuseppe (1686-1760): ob Brando [Brandi], Filippo ( fl. 17171734): ob Brando [Barando], Giuseppe sr. († 1717): fag Bravo, Antonio ( fl. 1733): ob Buontempo [Bomtempo], Francesco Saverio (1732-1795): ob Cervone, Giovanni ( fl. 1737): ob Comes, Giovanni: v. Gomez, Gio­ vanni Corena [Coreno], Cherubino (1713p. 1764): fl, rec, ob De Donato [Di Donato, Donadio], Girolamo ( fl. 1742-1795): fl, ob, fag De Filippis, Pasquale ( fl. 1757): ob Della Monaca [Della Monica], Antonio: v. Monaco, Antonio Di Pietro, Paolo: v. Pierro, Paolo Felice, Giuseppe ( fl. 1733): ob Filippelli [Filippetti], Nicola († 1756): ob Frezzolino, Pietro Baldassare († 1727): rec, ob, cnto Gannino, Giuseppe ( fl. 1734-1735): ob Gaviero [Gaverio], Michele ( fl. 1732): ?fl/rec Gomez [Comes, Gomes], Giovanni ( fl. 1723-1742): fl, rec, ob, ?cnto

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Ignazio del boè: v. R ion, Ignazio Izzarelli [Iazzarelle, Izarelli, Izzo­ rel­­ li], Francesco Antonio (1695dopo il 1737): fl, rec, ob, ?cnto, fag L aurelli, Domenico ( fl. 1702-1712): ?fl, rec Litta, Pietro ( fl. 1733): ob Lizio [Lisio], Ferdinando († 1778): fl, ob, fag Lizio [Licio], Giovanni ( fl. 1722): ob Lizio [Licio, Litio], Salvatore (1704dopo il 1750): rec, ob, fag Monaco [Della Monaca, Della Monica], Antonio ( fl. 1734-1735): ?fl/rec Narciso, Giuseppe ( fl. 1737): fag Niederberger [Niderbergher], Franz ( fl. 1716): fag Orta, Francesco ( fl. 1733): ob Pacchiarotto, Francesco ( fl. 17341735): fag Papa, Francesco († 1752): fl, rec, ob Pierro [Di Pietro], Paolo ( fl. 17221748): flno, fl, rec, ob Prota, Giuseppe († 1807): fl, ob, fag R ava, Gennaro († 1779): fl, ob R esta, Natale ( fl. 1734): ob R ion, Ignazio († 1734): rec, ob Russo [Rossi, Rozzi], Ferdinando ( fl. 1729-1734): fl, rec, ob, ?cnto Sardella, Giuseppe ( fl. 1733): fag Serpe [Serpi], Angelo ( fl. 1741-1742): ob Signorini, Carlo ( fl. 1734): ob T essitore, Gioachino ( fl. 1742-1768): ob Valletti, Giovanni ( fl. 1713-1717): ob Zizio [Lizio?], Antonio ( fl. 1737): fag

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Considerazioni su alcuni manoscritti napoletani di Giuseppe Scarlatti: testi, contesti e paratesti

1. Premessa Giuseppe Scarlatti (1718?-1777) è probabilmente il meno conosciuto tra i membri della famiglia di celebri musicisti. Nipote di Domenico o di Alessandro, negli anni Sessanta del Settecento si stabilì a Vienna, dove visse fino alla morte e dove poté intessere una fitta rete di rapporti professionali, grazie soprattutto all’amicizia e al sostegno del conte Giacomo Durazzo, direttore dei teatri imperiali. Pochissime partiture complete delle sue 21 opere serie sono giunte fino a noi e molte di esse sono, ancora una volta, collegate a Vienna, luogo di prima rappresentazione o di conservazione dei manoscritti. Un gruppo di arie tratte da questi drammi per musica è invece incluso in alcune raccolte custodite presso il conservatorio di Napoli. Pezzi singoli in volumi compositi o sorta di antologie, la caratteristica principale di questi codici è la loro provenienza dalla vastissima collezione di Giuseppe Sigismondo, fondatore insieme a Saverio Mattei della ‘biblioteca musica’ della Pietà dei Turchini e primo ‘archivario’ del Collegio di San Sebastiano, futuro «San Pietro a Majella». La ricerca si è snodata principalmente attraverso la ricognizione delle caratteristiche materiali delle fonti, che ha permesso di tracciare i probabili contesti di manifattura/produzione, di ipotizzare con buona approssimazione le destinazioni d’uso e di analizzare le modalità di circolazione dei repertori rappresentati. Come venne in contatto Sigismondo con opere messe in scena molto lontano da Napoli? La risposta a tale domanda costituisce l’obiettivo principale a cui mira questo contributo, che punta a ricostruire la storia di questi volumi, che seguono l’interesse del «bravo dilettante»1 in un percorso che si muove tra la capitale austriaca e quella partenopea. 1

  Così Francesco Florimo su Giuseppe Sigismondo. Cfr. Francesco Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, Napoli, Morano, 1881-1883 (rist. anastatica Bologna, Forni, 1969), vol. II, p. 64.

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2. I manoscritti Le fonti che danno argomento a questo studio sono tre manoscritti con segnatura 33.5.19, 34.5.10 e 34.5.11,2 contenenti alcune arie tratte dalle opere di Giuseppe Scarlatti. Databili alla seconda metà del XVIII secolo, presentano la tipica coperta con dorso verde e piatti marmorizzati, caratteristica delle legature utilizzate in conservatorio, in luogo delle originali, nell’ultimo quarto dell’Ottocento.3 Il risultato di tali operazioni di manutenzione dei volumi è stato quello di causare moltissimi problemi per chi volesse intraprendere un tipo di studio codicologico, come la perdita di informazioni riguardo all’aspetto originario dei vari fascicoli, molto spesso sciolti o diversamente legati. Nel caso specifico, gli ultimi due volumi elencati appaiono come dei compositi fattizi,4 specie di collage di brani vari, giustapposti senza un crite­ rio specifico. Si alternano perciò gruppi di cantate e arie, spesso dotati di un frontespizio proprio, e la stessa varietà riguarda le grafie, gli inchiostri e i tipi di carta. Inoltre, la struttura stessa di questi due tomi è fortemente interconnessa: due cantate incomplete di Alessandro Scarlatti (Ardo è ver per te e Sovra carro stellato) contenute in 34.5.11 trovano la loro conclusione in 2

  Dove non diversamente specificato, le segnature sono sempre riferite alla biblioteca del conservatorio di Napoli. 3

  Cfr. M auro A mato, La biblioteca del conservatorio ‘S. Pietro a Majella’ di Napoli: dal nucleo originale alle donazioni di fondi privati ottocenteschi, in Francesco Florimo e la musica del suo tempo, Atti del Convegno (Morcone, 19-21 aprile 1990), a cura di Rosa Cafiero e Marina Marino, Reggio Calabria, Jason, 1999, p. 647. 4

  Margaret Murata, nel suo famoso studio sulle cantate del Fondo Barberini della Biblioteca Apostolica Vaticana, avrebbe definito questi volumi come ‘miscellanee’. Si tratta in realtà di una definizione che attiene soprattutto al contenuto di un codice (volume che contiene testi diversi di uno o più autori), più che alla sua composizione materiale. Relativamente all’elemento strutturale ha senso parlare invece di manoscritti omogenei o compositi, suddividendo questi ultimi tra fattizi (messi insieme quasi per caso) e organizzati (cioè assemblati con un qualche criterio in epoche prossime alla redazione). Cfr. M argaret Murata, La cantata romana fra mecenatismo e collezionismo, in La musica e il mondo, mecenatismo e committenza musicale in Italia tra Quattro e Settecento, a cura di Claudio Annibaldi, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 254 (trad. italiana di Roman cantatas scores as traces of musical culture and signs of its place in society, in Trasmissione e recezione delle forme di cultura musicale, Atti del XIV Congresso della Società Internazionale di Musicologia, Bologna, 27 agosto1 settembre 1987; Ferrara-Parma, 30 agosto 1987, a cura di Angelo Pompilio et al., Torino, EdT, 1990, vol. I, pp. 272-284).

ALCUNI MANOSCRITTI NAPOLETANI DI GIUSEPPE SCARLATTI

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34.5.10.5 L’assetto dei fascicoli e la loro collocazione, l’antica foliazione, continua, sottostante alla seriore e la presenza dello stesso copista fanno pensare a una silloge preesistente, della quale i due brani avrebbero fatto parte.6 Invece 33.5.19 è una ordinata raccolta che ha mantenuto parzialmente la sua fisionomia primitiva, eccetto che per l’espunzione di sei arie, trasferite per formare un altro volume (Arie 83 olim 22.3.14),7 come è stato chiaramente annotato sull’indice iniziale da Francesco Rondinella, assistente di Francesco Florimo dal 1836.8 3. I copisti e le note di possesso La questione dell’identificazione delle scritture è fondamentale nel tentativo di ricomposizione dei volumi che si tenta di operare in questa sede, tanto quanto l’attenzione rivolta alle antiche cartulazioni, che spesso ricorrono sulle pagine manoscritte.9 Nelle fonti archivistiche napoletane tra Seicento e primo Settecento10 non sono registrati pagamenti effettuati nei 5

  Rosalind Halton si è recentemente occupata di una particolare cantata contenuta in questo manoscritto. Cfr. Rosalind H alton, Birthday tribute or cantata contest: Alessandro Scarlatti’s ‘A voi che l’accendeste’, in Devozione e Passione: Alessandro Scarlatti nel 350° anniversario della nascita, Atti del convegno internazionale di studi (Reggio Calabria, 8-9 ottobre 2010), a cura di Nicolò Maccavino, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2013 (Sopplimenti Musicali I, 14), pp. 383-424. 6

  Cfr. Appendice I.

7

  Si tratta di cinque arie tratte dall’Ipermestra (Napoli, S. Carlo, 1761) di Pasquale Cafaro (Di pena sì forte m’opprime l’eccesso; Se pietà da voi non trovo; Sai qual ardor m’accende; Tornerò perdon ti chiedo), un’aria da Armida di Tommaso Traetta (Già d’amor fra le ritorte) e un’aria estratta da una cantata di Pasquale Errichelli (Presso l’amabile volto). 8

  Cfr. Rosa Cafiero, sub voce ‘Francesco Florimo’, in Dizionario biografico degli italiani (, consultato il 12.3.2014). 9

  Per le questioni inerenti le antiche foliazioni in ambito napoletano, cfr. Sarah M. I a­ Una raccolta di cantate di Alessandro Scarlatti, «Fonti musicali italiane» 11, 2006, pp. 81-117: 84-85; E ad., Tra palcoscenico e camera. Le raccolte di cantate e arie degli Scarlatti nel conservatorio di Napoli, Ph.D. diss., Università del Salento, 2011 e Giulia Veneziano, Investigations into the Cantata in Naples during the First Half of the 18th Century. The Cantatas by Leonardo Vinci Contained in a ‘Neapolitan’ Manuscript, in Aspects of the Secular Cantata in Late Baroque Italy, a cura di Michael Talbot, Farnham, Ashgate, 2009, pp. 203-226: table 8.2. co­no,

10

  Il riferimento è agli Archivi del conservatorio, di Stato e del Banco di Napoli. Per quanto riguarda la biblioteca del conservatorio e la sua storia cfr. R. Cafiero, Una biblioteca per la biblio­teca: la biblioteca musicale di Giuseppe Sigismondo, in Napoli e il teatro musicale in Europa tra

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SARAH M. IACONO

con­fronti dei copisti. In assenza di documentazione che aiuti in un riconoscimento univoco, l’osservazione delle varie grafie è diventata un passaggio imprescindibile insieme con il rilevamento delle eventuali firme presenti nei manoscritti. Al contrario di quanto avviene solitamente, in questi libri i nomi abbondano e molti di essi sono riferiti ai responsabili della redazione del testo poetico.11 Non così per la musica, la cui compilazione assai frequentemente rimane anonima: tuttavia, dalla collazione delle grafie, risulta che tre delle sei arie di Giuseppe Scarlatti contenute in 34.5.10 sono stese da mani molto simili, che non sembrano essere presenti in altri codici della biblioteca. La scrittura di Per quel paterno amplesso (da Arta­serse)12 all’interno di 34.5.11 diverge totalmente dalle altre che compaiono nel volume: le dimensioni delle carte sono ridotte e il fascicolo sembra essere stato inserito tardivamente, visto che il susseguirsi regolare delle cantate di Alessandro Scarlatti (numerate dalla mano di Rondinella) viene spezzato dall’interpolazione di questo brano. Il caso di 33.5.19 è ancora una volta differente: è copiato infatti interamente con un’unica grafia, ben riconoscibile e ampiamente rappresentata in biblioteca, una grafia che evidenzia una caratteristica comune di questo volume e di parte degli altri due, cioè la loro provenienza da una collezione più ampia e antica. Prima di esaminare nel dettaglio questo aspetto è necessario fornire una breve panoramica dei nomi dei possessori che compaiono sulle raccolte. È stato già detto che molti tomi del conservatorio sono configurati come la combinazione più o meno ordinata di vari fascicoli: con l’esclusione dei manoscritti omogenei, sarebbe più corretto parlare, quindi, della comune origine dei ‘corpi bibliologici’ che li costituiscono.13 Per questo Sette e Otto­cento, a cura di Bianca Maria Antolini e Wolfgang Witzenmann, Firenze, Olschki, 1993, pp. 299-367: 301-302, T iziana Grande , Contributo alla storia della Biblioteca del Conservatorio di Napoli gli anni 1889-1935, «Fonti musicali italiane» 3, 1998, pp. 199-214. Esplicito riferimento ai copisti si fa invece in Rosa Cafiero – M arina M arino, La musica della Real camera e Cappella Palatina di Napoli fra Restaurazione e Unità d’Italia, Documenti per un inventario, «Studi musicali» 19/1, 1990, pp. 133-182: 134. 11

  Le sottoscrizioni relative al testo poetico non riguardano alcun brano di Giuseppe Scarlatti.

12

  Arbace, atto II, scena X.

13

  Cfr. M. A mato, Le antologie di arie e di arie e cantate tardo seicentesche alla biblioteca del conservatorio ‘S. Pietro a Majella’ di Napoli, Ph.D. diss., Università di Pavia, 1997. L’espressione ‘corpi bibliologici’ è utilizzata da Amato proprio per evidenziare la complessità della

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motivo le note di possesso che si avvicendano all’interno delle singole raccolte possono essere anche molto numerose. In 34.5.10 – che tra i tre è il tomo più consistente e il più composito – per esempio, se ne rinvengono diverse: il nome di Gaetano Tedeschi (o Todeschi)14 si trova, presentato come «padrone», su un gruppo di cantate che probabilmente devono aver fatto parte della collezione di questo personaggio, dal momento che appaiono uniformi per scrittura, inchiostro e tipo di carta. Tuttavia Tedeschi non raccoglie arie di Giuseppe Scarlatti, visto che non firma nessuno dei fascicoli con i pezzi di quest’ultimo. Un’ulteriore interessante figura compare sull’ultima aria dello stesso manoscritto: a c. 178r, su un frontespizio sobriamente decorato, si può leggere il titolo dell’aria (Se viver non poss’io), il nome dell’autore (Giuseppe Scarlatti) e della nobildonna proprietaria della copia (Vincenza Capece Scondito di Simone). Non sono molte le informazioni che la riguardano: componente della famiglia gentilizia dei Capece Scondito, dovrebbe essere identificata con la dama che sposò il marchese Filippo de Simone, primo ciambellano del re di Napoli. La coppia ebbe ben sei figli, uno dei quali, Domenico (1768-1837), divenne cardinale nel 1830, con una posizione molto prestigiosa nella Curia romana, sotto il papato di Pio VII e Gregorio XVI.15 Vincenza doveva essere sicuramente una musicista dilettante e una collezionista visto che la biblioteca del «San Pietro a Majella» conserva altri quattro suoi manoscritti: tutti con le stesse caratteristiche grafiche, contengono musica vocale di vari autori più o meno noti, sempre con l’accompagnamento completo di archi, strumenti a fiato e basso continuo.16 morfologia delle raccolte napoletane, nelle quali molto spesso si sovrappongono le caratteristiche di più tipologie di fonti (antologie, miscellanee, quaderni, ecc.). 14

  Non sembrerebbe corrispondere – per ragioni cronologiche – né al Tedeschi che pronuncia una ode in onore di Vincenzo Bellini nel 1876 (I-Vc, Torr. D/V/43) né al Todeschi, probabilmente danzatore, che fa parte del cast di alcuni balletti alla metà dell’Ottocento (cfr. I-Vgc, ROL 0070.37 e ROL 1281.14). 15

  Cfr. Philippe Boutry, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie Romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Roma, École française de Rome, 2002, pp. 365-366. 16

  ARIA / Del Sig.D.Pasquale / Errichelli / Scritta per uso / Della Ecc.ma Sig.a D.a / Vincenza Capece / Scondito (Arie 52 olim 34.3.5); Aria Originale di Franc:co / Gerardi / Fatta per S.a Ecc:za La Sig.ra / D.a Vincenza Capece / Scondito / di / Simone (Arie 353 olim 33.1.13); S. Carlo / Aria / Del Sig. D. Antonio / Mazzoni / Ti amerò sarò costante (Arie 70 olim 34.3.12); S. Carlo / Aria / Del Sig.re D. Gio. Adolfo Hasse detto il / Sassone (Arie 72 olim 34.3.15).

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SARAH M. IACONO

Tabella 1. Prospetto delle annotazioni manoscritte presenti nei volumi.17

Carte Annotazioni

34.5.10 4v Padrone Il Sigr. Gaetano Te[o?]deschi 8v Il Tedeschi P.ne / Il Bosi ha posto le / Parole / 1758 12v Finis coronat opus / Il Tedeschi P.ne 16v Finis coronat opus / Il Tedeschi P.ne 21r 1722 29r Raccolta di Cantate del Cavalier D. Alessandro / Scarlatti 73r Borrelli verba misit 77r Borrelli verba misit 78r Cinque cantate a voce sola / del Cav.e Alessandro Scarlatti / Sigismondo archiv. 81r Borrelli verba misit 84v Borrelli verba misit 88r Borrelli verba misit 96r Tomo V / Cantate 132v Per uso del Sigr. D. Giuseppe / Sigismondo 178r Aria / Del Sigr. D. Giuseppe Scarlatti / Scritta per uso di S.a Ecce.za Sig.ra D.a Vincenza / Capece Scondito / di / Simone / Se viver non poss’io 33.5.19 1r 2r 18r 23r 24r 27v 28r 33r 34r 41r 42r 51v 61r 68r 73r 80r 17

Scelta [sic] di Arie di varji ottimi Autori per uso del / Sigr. D. Giuseppe Sigismondo. Cantata dalla Sir. Gabrieli / Vienna / S. Carlo 30 Mag.o 1763 / Copiata Per uso del Sigr. Giuseppe Sigismondo. Sig.ra Gabrieli Per uso / del Sigr / d. Giusep-/pe Sigis-/mondo / 1763 / S. Carlo / 30 Maggio Sig.ra Gabrieli di Giuseppe / Sigismondo / Arch Gabrieli D. Giuseppe / Sigismondo / Padrone S. Carlo 30 Mag.o 1763 D. Giuseppe / Sigismondo / Padrone Cantato in Parma / dalla Sig.ra Gabrieli / e Sig.r Manzoli D. Giuseppe / Sigismondo / Padrone 1763 Per uso del Sigr / D. Giuseppe Sigismondo / An. D.ni 1763 / 1.o 7bre d Giuseppe Sigismondo / P.ne Anno D.ni / 1761 Venezia d Giuseppe Sigismondo P.ne / 1763

  È stato escluso il paratesto di mano di F. Rondinella. Nel ms. 34.5.11 non ci sono note manoscritte.

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Guardando alla ricorrenza dei nomi, si desume che quello di Giuseppe Sigismondo risulta essere il più frequentemente citato: spesso collegato alle arie di Giuseppe Scarlatti, il primo bibliotecario del Conservatorio è anche il possessore e/o estensore di molti dei fascicoli che compongono queste sillogi. Per orientarsi all’interno del labirinto delle provenienze, così articolato a causa della stratificazioni strutturali dei manoscritti, sarà necessario fare riferimento al cosiddetto Elenco, scoperto da Rosa Cafiero nell’Archivio di Stato di Napoli,18 nel quale sono registrate in dettaglio le «carte di musica» vendute dagli eredi dell’ ‘archivario’ all’indomani della sua scomparsa. 4. La «Biblioteca musica» e il fondo Sigismondo Come è noto, «Biblioteca Musica» è il nome attribuito da Saverio Mattei, regio delegato del Conservatorio della Pietà dei Turchini, al primo nucleo di ciò che sarebbe diventato l’archivio musicale del conservatorio che fu chiamato «San Pietro a Majella», a partire dal trasferimento nell’omonimo complesso.19 Giuseppe Sigismondo fu incaricato di curare e gestire la biblioteca già dal 1794, e contribuì a incrementare il numero di volumi disponibili con una prima vendita delle sue «carte da studio» al prezzo di circa 200 ducati.20 Il successivo acquisto della sua collezione privata da parte dello stesso istituto fu formalizzato l’8 marzo 1827, poco dopo la sua morte dunque, avvenuta nel 1826.21 18

  Cfr. R. Cafiero, Una biblioteca cit., Appendice II. D’ora in poi Elenco.

19

  Saverio M attei, Per la Biblioteca musica fondata nel Conservatorio della Pietà con reale approvazione. Memoria del consiglier Mattei, Napoli, 1795, pp. 10-11. Cfr. anche Paolo Fabbri, Saverio Mattei: un profilo bio-bibliografico, in Napoli e il teatro musicale cit., pp. 121-144: 140-144. 20

  Cfr. R. Cafiero, Una biblioteca cit., pp. 303, 308-309. Chi scrive si è occupata del fondo Sigismondo in rapporto alle raccolte di arie e cantate scarlattiane nella propria dissertazione dottorale. Cfr. sopra, nota 9. La collezione dell’archivario napoletano è stata recentemente oggetto di studio anche da parte di Giulia Giovani: le conclusioni che trae la studiosa sembrano collimare con alcuni risultati del presente studio. Cfr. G. Giovani, conferenza Ricostruire una biblioteca musicale: Giuseppe Sigismondo e la collezione di cantate e serenate del conservatorio ‘San Pietro a Majella’ di Napoli, Roma, Istituto Storico Germanico, effettuata in data 10.9.2014. 21

  La definizione delle collezioni di provenienza del patrimonio della biblioteca ha sempre rappresentato un problema considerevole per coloro che si sono accostati allo studio

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Le tre raccolte qui prese in esame, come si è potuto vedere, presentano numerosissime note di possesso di Sigismondo: tuttavia, lì dove queste mancassero, la sua grafia, facilmente individuabile, servirebbe a confortare l’ipotesi che ci si trovi davanti a un suo manoscritto. Non solo 33.5.19, che è evidentemente una antologia scritta tutta dal bibliotecario, ma anche 34.5.10 contiene numerosi pezzi appartenenti alla sua collezione e l’unica aria di Giuseppe Scarlatti contenuta in 34.5.11 è stata, ancora una volta, compilata di sua mano. A dare conferma di ciò, un particolare molto significativo: un numero, posto di solito in un angolo della prima carta dei singoli fascicoli, che fa riferimento proprio al citato Elenco. Viste le caratteristiche grafiche di queste annotazioni (inchiostro più scuro/di colore diverso rispetto al testo rimanente, tratto distinto e, frequentemente, di epoca più tarda) potrebbe trattarsi di un appunto preso in fase di vendita, per quantificare esattamente la consistenza del lascito e verificarne la corrispondenza rispetto all’inventario attualmente depositato presso l’Archivio di Stato di Napoli. Si tratta di un dettaglio di grande importanza, specialmente per quel che concerne i volumi compositi fattizi, che abbondano nel patrimonio librario del conservatorio. Se appare verosimile la posizione espressa da Cafiero riguardo la «‘dispersione’ dell’originario corpus del fondo musicale appartenuto a Sigismondo nel mare magnum della biblioteca napoletana»22 da imputare all’azione disgredel materiale ivi conservato. Oltre alle prime donazioni di Sigismondo e Mattei, è acclarato che a costituire il nucleo originario furono gli spartiti della regina Maria Carolina, i volumi depositati dai teatri cittadini per assolvere alle disposizioni reali e la raccolta del duca di Cantalupo, Antonio di Gennaro. In seguito, a partire dalla prima metà del XIX secolo, si aggiunsero la collezione privata del bibliotecario, il fondo Caracciolo, dei duchi di Noja, Giovanni e Pompeo Carafa, e quello Capece Minutolo. Cfr. M. A mato, La biblio­teca cit., pp. 645-646; Lucio T ufano, La musica nei periodici scientifico-letterari napoletani del XVIII secolo, «Studi musicali» 30/1, 2001, pp. 129-180; Sebastiano Giacobello – M arina M arino, Legislazione teatrale borbonica nel XVIII secolo: De’ Stabilimenti de’ teatri e spettacoli de’ reali dominij, in I percorsi della scena, cultura e comunicazione del teatro nell’Europa del Settecento, a cura di F.C. Greco, Napoli, Luciano editore, 2001, pp. 663-761. Nella relazione presentata al XX convegno annuale della Società Italiana di Musicologia nel 2013 (‘Il mio bibliotecario deve bibliotecare in biblioteca’: inventari e collezioni musicali della biblioteca del ‘San Pietro a Majella’), Antonio Caroccia ha ricostruito le ulteriori fasi di formazione della biblioteca attraverso i documenti archivistici napoletani: a contribuire allo sviluppo della raccolta sarebbero stati, fra gli altri, Michele Arditi e Giuseppe di Majo. 22

  Cfr. R. Cafiero, Una biblioteca cit., p. 301.

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gatrice di Francesco Florimo, questi numeri – se visibili e non rifilati in fase di legatura – costituiscono il filo di Arianna che può guidare nel dedalo della collezione scomposta dell’infaticabile bibliofilo. Sul frontespizio di 33.5.19, allora, compare chiaramente un «801», che nell’Elenco corrisponde al volume come era prima della suddivisione in due tomi. È molto probabile che l’inventario sia stato stilato ‘libri in mano’, cioè che tutte le specifiche (dettagliate o meno) ivi presenti siano state ricavate direttamente dai frontespizi e dagli eventuali indici che vi comparivano. Prova ne è che proprio al numero 801 non sia stata registrata l’aria Già d’amor fra le ritorte dall’Armida di Traetta (ora nel già ricordato Arie 83). Sull’indice a c. 1r di 33.5.19, dove – si è detto – precedentemente il pezzo era incluso, Sigismondo ha tralasciato di annotare accanto alla parola «Aria» l’incipit di questo brano, che è stato aggiunto in un secondo momen­to da Rondinella.23 Meno lineare è la spiegazione per la mancanza nell’Elenco dei duetti composti dallo stesso bibliotecario e da Giuseppe Scarlatti, che pure sono presenti sulla tavola del manoscritto: si tratta, probabilmente, di una dimenticanza/distrazione del compilatore del documento. La situazione di 34.5.10 è più complessa, vista l’articolata configurazione che caratterizza tale fonte. La tabella 2 fornisce un quadro delle corrispondenze tra quanto trovato sulla raccolta e ciò che è scritto sull’Elenco.

23

  Ringrazio vivamente Mauro Amato per questa segnalazione.

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Tabella 2. Corrispondenze tra manoscritto ed Elenco. 34.5.10 Elenco Autore Incipit Numero Carta Autore Numero e dettaglio materiale Scarlatti, – Del faretrato Nume N° 51… * 1r ? ? Alessandro – Io che dal cor di Fille – Clori superba e come mai – E come ohimè poss’io – Regie soglie, alte moli N° 515 17r Scarlatti, 515: Cantata a – Due tiranni nemici Alessandro voce sola di – Si conosco o Mitilde soprano ad 2. Bassi – Hor che di Febo ascosi N° 516 29r 516: Raccolta – A voi che l’accendeste di cantate – Là dove a Mergellina N. 509 57r 509: Cantata a’ voce sola Scarlatti, – Care luci del ben mio N. 508 64r 508: Cantata [Pietro] Scarlatti, – Langue Clori vezzosa N° 484 71r 484: Cantate a Alessandro – Deh torna amico sonno voce sola di – Nel centro oscuro di soprano spelonca II-III-IV – Fiamma che avvampa – Hor lungi che son io – Mitilde alma mia se N° 510 91r 510: Cantata a udiste voce sola di soprano – Stravagante non è l’amor N° 507 98r 507: Cantata a – Sotto l’amor d’un faggio voce sola di piangente soprano – Tu resti o mio bel nume – Qual or io veggio la vezzosa Irene Scarlatti, – Eccomi non ferire N° 515 125r 515: Cantata a Giuseppe voce sola di soprano ad 2. Bassi – Impallidisce in campo N° 158r ? ? [2 copie] [illeggibile] Scarlatti, – Lunga stagion dolente n. 515 172r Scarlatti, 515: Cantata a Alessandro Alessandro voce sola di soprano ad 2. Bassi *  Il numero è tagliato in rifilatura.

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Non deve stupire che le indicazioni riportate nell’Elenco siano declinate al singolare anche quando si riferiscono a piccole raccolte di più brani:24 come detto sopra, per il redattore deve aver fatto testo ciò che compariva sul frontespizio del primo fascicolo e anche per quanto riguarda gli autori, le informazioni si rifanno molto spesso al compositore che compariva in prima battuta. Nel documento archivistico, quindi, ci si trova davanti a delle notizie sommarie, di massima, come spesso accadeva nelle operazioni di inventariazione ottocentesche.25 Ricapitolando, gli otto testimoni delle arie di Giuseppe Scarlatti presenti in questi manoscritti sono le uniche attestazioni, nel conservatorio, dell’ope­ ra di questo autore e sono strettamente collegati con la figura di Sigismondo, il quale, in almeno la metà dei casi, ha fornito gli esemplari di tali brani, come scriba o come collezionista. Sorge però un’altra questione: attraverso quali percorsi il bibliotecario è giunto in contatto con le fonti dalle quali ha potuto trarre le copie delle arie e dei duetti napoletani, visto che la première di molti di questi drammi per musica è avvenuta lontano da Napoli? Uno sguardo generale ai testimoni delle opere potrà aiutare a dirimere la faccenda. 5. Tra Vienna e Napoli I titoli delle arie nelle tre sillogi sono sette (uno dei brani viene copiato due volte), tratte da cinque diverse opere di Giuseppe Scarlatti, rappresentate a Napoli, nel resto d’Italia e nella capitale dell’Impero negli anni tra il 1747 e il 1760.

24

  Sparsi, probabilmente, in uno o più volumi. Si verifica, per esempio, nel caso del N° 515, nota che si trova su più fascicoli con brani di autori diversi ma che nell’Elenco è registrato semplicemente come una singola cantata di Alessandro Scarlatti. 25

  Di qui la mancanza di Giuseppe Scarlatti nell’indice dei nomi fornito da Cafiero.

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Tabella 3. Schema riassuntivo in ordine cronologico. Per quel paterno amplesso Caro l’affanno mio Se viver non poss’io Deh lasciami in pace Prence è ver la morte attendo Eccomi, non ferir! Numi pietà Impallidisce in campo

da Artaserse da Adriano in Siria da Alessandro nell’Indie da Caio Mario da La clemenza di Tito da Issipile

(Lucca, 1747)26 (Venezia, S. Cassiano, 1752)27 (Reggio Emilia, Pubblico, 1753)28 (Napoli, San Carlo, 1755)29 (Venezia, S. Benedetto, 1760)30 (Vienna, 1760)31

Le partiture complete di queste opere fanno parte del patrimonio di varie biblioteche europee32 e Vienna costituisce l’attuale luogo di conservazione sia di Alessandro nell’Indie – di cui non sono testimoniate recite austriache – sia di Artaserse, messa in scena al Burgtheater nel 1763, tre anni dopo Issipile. L’odierna collocazione dei volumi sembra avere poco a che fare con il luogo in cui si sono svolte le diverse rappresentazioni. Certamente la partitura di Adriano in Siria che si trova presso il conservatorio di Firen26

  Cfr. Sartori, n. 2987. È stato recentemente rinvenuto, in A-Wn (alla segnatura 364.329-B.Mus), l’esemplare di un libretto di Artaserse, testimone di una rappresentazione avvenuta a Vienna nel 1763. Cfr. gli studi di Giuseppe Migliore – che ringrazio vivamente – per la sua tesi di Laurea Magistrale (Università di Palermo) intitolata Giuseppe Scarlatti. Un’ “isola disabitata” nel Settecento musicale europeo. Cfr. anche Corago. Repertorio e archi­vio di libretti del melodramma italiano dal 1600 al 1900, , consultato il 12/3/2014. 27

  Cfr. Sartori, n. 397. Le rappresentazioni si ripetono ancora a Lucca nel 1752 (Sarto n. 396); Livorno nel 1754 (Sartori, n. 400); e a Praga nel 1760 (Sartori, n. 410).

ri, 28

  Cfr. Sartori, n. 764.

29

  Sartori non contempla nessun libretto per quest’opera e nemmeno la «Gazzetta di Napoli» riporta notizia di una rappresentazione del Caio Mario di Giuseppe Scarlatti avvenuta nel 1755. Cfr. Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Na­poli attraverso lo spoglio della Gazzetta (1675-1768), Roma, ISMEZ, 2011. Ne parla però Croce, che scrive: «Pel gennaio ’55, il Caio Mario, musica di Giuseppe Scarlatti, ‘giunto da pochi giorni dalla città di Vienna’. C’erano nella compagnia i soprani Marianino e Luini, che al­ternava­ no». Cfr. Benedetto Croce, I teatri di Napoli, secoli XV-XVIII, Napoli, Pierro, 1891, p. 479. 30

  Cfr. Sartori, n. 5803. Esiste anche un altro libretto, che fa riferimento a una rappresentazione avvenuta nel 1757 nel Teatro Giustiniani di S. Moisé, che però non segnalerebbe Giuseppe Scarlatti come compositore in tutte le copie. Cfr. Sartori, n. 5799. 31

  Cfr. Sartori, n. 13923.

32

  Artaserse: A-Wn, B-Bc; Adriano in Siria: I-Fc, S-St; Alessandro nell’Indie: A-Wgm; Caio Mario: P-La; La clemenza di Tito: D-Bsp, F-Pn, P-La; Issipile: D-Bsp, I-Tn.

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ze può essere considerata una diretta testimonianza della vita musicale ‘cittadina’, viste le repliche avvenute a Lucca e a Livorno.33 Gli altri tomi invece, escluso il succitato Artaserse, devono aver seguito strade diverse per entrare nelle collezioni delle biblioteche in cui sono correntemente conservate. Da questo primo censimento, appare subito evidente che la presenza presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino della partitura di Issipile nel fondo Foà-Giordano34 sia collegata con la figura del conte Giacomo Durazzo: ambasciatore di Genova a Vienna (1749-1752), consigliere prima e Generalspektakeldirektor poi dei teatri imperiali (17531764) nonchè legato della corte viennese presso la Repubblica di Venezia (1764-1784), fu grande protettore di Giuseppe Scarlatti. Il catalogo dell’Ufficio Ricerche Fondi Musicali della Biblioteca Nazionale Braidense e l’OPAC RISM A/II indicizzano numerose copie dei singoli pezzi che sono presenti anche a Napoli. Tabella 4. Concordanze fuori di Napoli.35 Caro l’affanno mio Se viver non poss’io36 Deh lasciami in pace Prence è ver la morte attendo Eccomi non ferire! Numi, pietà! Impallidisce in campo

I-Fc, MC, Mc, PLc; US-SFsc A-KR; I-Gl; S-Uu I-Mc37 B-Bc; CZ-Pkřiž; D-MÜs; GB-Lbl; I-Gl, MAav, MC, Rama, Tf D-MÜs;38 D-SWl; US-BEm CH-Gc; D-GOl, MÜs; H-Bb; I-MC

33

  Adriano in Siria / Recitato a Livorno il carnevale 1754 / Dedicato a S. E. milord Anna Colles… Cfr. I-Fc, B.I. 142-144. 34

  Cfr. I-Tn, Giordano 44-46 e Isabella Fragalà Data – A nnalisa Colturato, Raccolta Mauro Foà. Raccolta Renzo Giordano, Roma, Edizioni Torre d’Orfeo, 1987. 35

  L’unico testimone di Per quel paterno amplesso è la copia del conservatorio di Napoli.

36

  Di questo brano esiste anche una versione a stampa, conservata presso l’Accademia Filarmonica Romana, con il seguente frontespizio: AL SIGNOR GIACOPO VEROLI. / Che nel nuovo Teatro / DELL’ILLUSTRISSIMO PUBBLICO DI REGGIO / Rappresenta egreggiamente [!] la Parte / DI GANDARTE / NEL DR AMMA DI ALESSANDRO NELL’INDIE / L’Anno 1753 […] / In Modena Per Francesco Torri 1753. 37

  Il manoscritto fa parte del fondo Noseda: è molto probabilmente di origine napoletana. Cfr. Carla Moreni, Vita musicale a Milano 1837-1866. Gustavo Adolfo Noseda collezionista e compositore, Milano, Amici della Scala, 1985 (Musica e Teatro, 1). 38

  Gli esemplari conservati nel fondo Santini a Münster sono inseriti in due raccolte monografiche dedicate a Issipile (Hs 3974) e a La clemenza di Tito (Hs 3972).

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Molto interessanti i testimoni che si trovano presso il conservatorio di Genova: ben due esemplari (alla stessa segnatura M.2.13)39 di Prence è ver e uno dell’aria Se viver non poss’io. Il duetto è compilato da mani sicuramente diverse, almeno per quanto riguarda la musica. Molto simile invece la grafia del testo poetico, anche se calligrafica l’una, più corsiva l’altra. La copia caratterizzata da quest’ultima scrittura, oltre a fare esplicito riferimento alla rappresentazione veneziana del 1760,40 presenta le modalità redazionali tipiche di copisti della Serenissima (specchio scrittorio racchiuso tra due linee verticali). È difficile disegnare con certezza il quadro dei rapporti tra i due testimoni: potrebbero essere l’uno la copia dell’altro, ma non ci sono elementi inconfutabili a sostegno di questa ipotesi.41 Sembrano invece non essere ‘imparentati’ con la copia stilata da Sigismondo dalla quale differiscono per la presenza in partitura di viole e corni e per il diverso organico vocale (S e T contro 2 S). La nota di possesso presente su Se viver non poss’io42 riporta un nome già incontrato tra le annotazioni dei manoscritti napoletani, quello di Giovanni Manzuoli:43 celebre cantante attivo dagli anni Trenta del Settecento, prese parte anche alle stagioni viennesi del 1760-1761, per le rappresentazioni dell’Armida su libretto di Durazzo-Migliavacca. È testimoniata la sua presenza, nel ruolo di Poro, nelle versioni di Alessandro nell’Indie musicate da Galuppi (1755), Traetta (1762) e Sacchini (1766),44 ma non sembra abbia cantato per quella di Giu39

  Di Giuseppe Scarlatti, sempre in M.2.13, sono presenti un altro duetto (Ecco l’amabile tua vaga Venere) e quattro arie da La clemenza di Tito (Getta il nocchier talor; Opprimete i contumaci; Parto ma tu ben mio; Quando sarà quel dì). 40

  L’esemplare (che chiamerò B) è datato: sul frontespizio sta scritto 1760 A S. Benedetto Opera 2.da Duetto del Sigr. Giuseppe Scarlatti. Cfr. Sartori, n. 5803. L’altro testimone (che chiamerò A), non datato, secondo la bibliotecaria del conservatorio di Genova Carmela Bongiovanni sarebbe di matrice sicuramente genovese. Ringrazio la prof.ssa Bongiovanni per avermi segnalato la presenza della seconda copia non indicizzata sul catalogo URFM. 41

  Desta qualche dubbio il fatto che A scriva quasi sempre per esteso la parte della viola mentre B si limita a indicare i momenti in cui questa differisce dalla linea del basso. 42

  Cfr. I-Gl, B. 2b. 62. A.1.18.

43

  Cfr. Tabella 1.

44

  Cfr. Sartori, nn. 769, 790, 801.

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seppe Scarlatti. Il fascicolo conservato a Genova potrebbe configurarsi allora come un’‘aria di baule’ del musicista, che avendo recitato nella prima di Issipile (1760)45 avrà sicuramente avuto contatti con il compositore.46 A tenere insieme queste due figure è ancora una volta l’eclettico direttore generale dei teatri imperiali, sotto la cui egida fu sancito l’arrivo di entrambi gli artisti a Vienna. Non ci sono informazioni sulla provenienza dei manoscritti genovesi: un’ipotesi affascinante potrebbe vederli collegati alle attività di Giacomo Durazzo, visto che, come è noto, anche nel periodo in cui egli soggiornava a Venezia era solito acquistare libri di musica. La sua collezione, dopo la morte, fu portata a Genova dal nipote Gerolamo, ultimo doge della città, e lì rimase per oltre un secolo, prima di essere suddivisa tra gli eredi.47 Ritornando al milieu napoletano, un’importante collocazione dei manoscritti del musicista è la biblioteca di Montecassino: nell’Abbazia si conserva un corpus di 12 sue composizioni sia strumentali che vocali che provengono – come si desume dalle note di possesso – dalla collezione di Vincenzo Bovio, famoso organista e abate di S. Matteo al Castello che riuscì a costituire una notevole raccolta di carte musicali. Come si è potuto vedere, tre delle arie scarlattiane custodite nel conservatorio hanno delle copie a Montecassino.48 Reinhard Strohm,49 in riferimento ad altri manoscritti conservati in entrambi i luoghi, ha suggerito che le fonti napoletane compilate da Sigismondo possano essere copie di quelle dell’abbazia. Questa ipotesi non appare applicabile in questo caso: sono nume45

  È Giasone nella rappresentazione tenuta al Burgtheater. Cfr. Sartori, n. 13923.

46

  Come ricordato alla nota 32, l’unica partitura completa esistente di Alessandro nell’Indie, da cui è tratta l’aria, si trova in A-Wgm. 47

  In merito ai passaggi ereditari della collezione di Giacomo Durazzo cfr. Emilio Podestà, Giacomo Durazzo, da genovese a cittadino d’Europa, Ovada, Accademia Urbense, 1992, p. 24. Sull’attività collezionistica dei Durazzo, cfr. A lberto Petrucciani, Biblio­fili e librai nel Settecento: la formazione della Biblioteca Durazzo (1776-1783), «Atti della Società Ligure di Storia Patria», Genova, 1984. 48

  Esattamente: 1 copia per Caro l’affanno mio (5-F-5-8b), 3 copie per Impallidisce in campo (5-F-5-7; 5-F-5-11; 6-A-19-5b) e due copie per Prence è ver (5-F-5-9; 5-F-5-10). 49

  R einhard Strohm, Italienische Opernarien des frühen Settecento, Köln, Arno Volk, 1976, vol. II, p. 230, citato da Kurt S. M arkstrom, The Operas of Leonardo Vinci, Napoletano, Hillsdale (N.Y.), Pendragon Press, 2007, pp. 178, 205.

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rose infatti le discrepanze in Caro l’affanno mio (tonalità d’impianto) e in Impallidisce in campo (organico strumentale e parte delle viole). Tuttavia, il duetto Prence è ver la morte attendo – unica copia redatta sicuramente dal bibliotecario – trova corrispondenza nella fonte di Montecassino in quanto coincide nell’organico vocale (come detto sopra, 2 soprani vs. soprano e tenore degli altri testimoni). Al di là delle questioni relative all’ecdotica, l’importanza di questi manoscritti è innegabile: Giuseppe Sigismondo, attivissimo bibliotecario, allievo di Durante, amico e copista di Jommelli, in questa maniera ha contribuito a rifornire la biblioteca del conservatorio di Napoli dei manoscritti dell’ultimo discendente della famiglia Scarlatti. Appendice: Catalogo dei manoscritti 33.5.19 (olim Arie 587) Ms., seconda metà XVIII secolo; I, 80c., II; cartulazione originale e ottocentesca di mano di Rondinella; 160 × 220 mm; Coperta ottocentesca in carta marmorizzata marrone con dorso in pelle verde su cui sta scritto in oro: A / 138. Fascicolazione: i-xx4  



A c. 1r: Scelta [sic] di Arie di varji ottimi Autori per uso del / Sigr. D. Giuseppe Sigismondo. Segue indice delle arie con autore. I titoli dei primi 6 brani sono depennati e Rondinella vi scrive accanto accanto: Passate nel vol 99. A c. 23r: Per uso / del Sigr / d. Giusep-/pe Sigis-/mondo / 1763 / S. Carlo / 30 Maggio. A c. 27v: di Giuseppe / Sigismondo / Arch. A c. 33r, 41r, 51v: D. Giuseppe / Sigismondo / Padrone A c. 61r: Per uso del Sigr / D. Giuseppe Sigismondo / An. D.ni 1763 / 1 7bre. A cc. 68r, 80r: d Giuseppe Sigismondo / P.ne Anno D.ni / 1763 ► Traetta,

Tommaso

* Aria del Sigr. D. Tommaso Traetta cantata dalla Sigr. Gabrieli / Vienna / S. Carlo 30 Mag.o 1763. (cc. 2r-17v) Io non cerco io non amo, aria (Armida) da Armida (S, 2ob, 2cor, 2vl, bc) * Aria del Sigr. D. Tomaso Traetta (cc. 18r-23r) Pur una volta al fine, Recit.vo (Armida) da Armida (S, 2vl, vla, bc) Oh dio ogni mio sdegno, [aria] (Armida) da Armida (S, 2vl, vla, bc)

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* Del Sigr / D. Tomaso / Traetta / Sig.ra / Gabrieli (cc. 24r-27v) Respira già contento, [aria] (Armida) da Armida (S, 2vl, vla, bc) * Del Sigr. / Tommaso Traetta / Gabrieli (cc. 28r-33r) Se l’affanno oh dio che sento, [aria] (Armida) da Armida (S, 2vl, bc) * Duetto del Sigr. D. Tommaso Traetta S. Carlo 30 maggio 1763 (cc. 34r-41r) Ah se lasciar non vuoi / Calma gli affanni, duetto (Armida / Rinaldo) da Armida (2S, 2vl, vla, bc) * Duetto del / Sigr. D. Tommaso Traetta / Cantato in Parma / dalla Sigra Gabrieli / e Gio. Manzoli (cc. 42r-51v) Nella mia dolce fiamma / Nel tuo gentil sembiante, duetto (? / ?) da Le feste d’Imeneo? (2S, 2vl, vla, bc) * Duetto / Del Sigr. d. Tommaso / Traetta (cc. 52r-61r) Torna la pace all’alma, duetto (Ippolito / Aricia) da Ippolito e Aricia (2S, 2vl, vla, bc) * Duetto / del Sigr. / Traetta (cc. 62r-68r) Se mai turbo il tuo riposo / Se mai più sarò geloso, duetto (Cleofide / Poro) da Alessandro nelle Indie (2S, 2vl, vla, bc) ► Sigismondo,

Giuseppe

* Orig.le / Aria / del Sigr d. / Giuseppe / Sigismondo (cc. 69r-72r) Nacqui agli affanni, duetto (? / ?) da Demetrio (?) (S, 2vl, vla, bc) ► Scarlatti,

Giuseppe

* Duetto del / Sigr. Giuseppe Scarlatti (cc. 73r-80r) Prence è ver la morte attendo, duetto (Sesto? / Tito?) da La clemenza di Tito (2S, 2vl, vla, bc) 34.5.10 (olim Cantate 261) Ms., prima metà XVIII secolo; I, 186 c., II; cartulazione contemporanea a matita; 215 × 280 mm; Coperta ottocentesca in carta marmorizzata marrone con dorso in pelle verde su cui sta scritto in oro: Scarlatti / Cantate diverse Fascicolazione: i-xvii4, xviii2 , xix-xxi4, xxii4(-1), xxiii4, xxiv6, xxv4, xxvi 

xxvii 4

xlii

6



, xxviii2 , xxix6, xxx 2 , xxxi4, xxii4(+1) xxxiii8, xxxiv-xxxvi8, xxxvii-xl4, xli2 ,

.

I brani sono numerati da mano ottocentesca.

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Per ogni brano è presente una foliazione antica e una ottocentesca, spesso con errori. A c. 100r: Conclusione dell’aria Quel vento che d’intorno, tratta dalla cantata Ardo è ver per te contenuta in 34.5.11 (cc. 11r-17v) mancante dell’ultima carta. A c. 112r: Conclusione dell’aria Si, si mi parto dalla cantata Sovra carro stellato contenuta in 34.5.11 (cc. 18r-30v) mancante dell’ultima carta. A c. 132v: Per uso del Sigr. D. Giuseppe / Sigismondo Vari copisti Contiene: 21 cantate di Alessandro Scarlatti, 5 arie di Giuseppe Scarlatti, 1 aria di Pietro Scarlatti ► Scarlatti,

Alessandro

* Cantata a Voce Sola di Sop.no Del Sigr. Caval.e Aless.o Scarlatti (cc. 1r-4v) [Del faretrato nume. Cantata. S, bc] HanS 182 Rec.vo Del faretrato nume amor tiranno Aria Ninfe belle che il sol infiorate 3/8, sol minore Rec.vo Si quel giglio ameno Aria Per tradir le semplicette 2/2, la minore * Cantata Del Sigr. Alessandro / Scarlatti (cc. 5r-8v) [Io che dal cor di Fille. Cantata. S, bc] Rec.vo Io che dal cor di Fille [A] Vorrà ch’io mora la bella ingrata 3/4, la minore Rec.vo Pur se a far che mi creda Aria Questa speranza sola C, si maggiore * Cantata del Sigr. Alessandro / Scarlatti (cc. 9r-12v) [Clori superba e come mai. Cantata. S, bc] Rec.vo Clori superba e come mai [A] Ingrata quanto sei C, fa maggiore Rec.vo Si che ingrata e crudele Aria Se tu vuoi ch’il duol m’uccida 2/2, sol minore

HanS 337

HanS 133

ALCUNI MANOSCRITTI NAPOLETANI DI GIUSEPPE SCARLATTI

* Cantata del Sigr. Alessandro / Scarlatti (cc. 13r-16r) [Là dove a Mergelina. Cantata. S, bc] Rec.vo E come ohimè poss’io [A] Da te lungi o bella 3/4, fa maggiore Rec.vo S’io mi rivolgo Aria Posso dir ch’a te somigli C12/8, si minore

177

HanS 222

* Cantata del Sigr. Caval.e / Alessandro Scarlatti (cc. 17r-20v) [Regie soglie alte moli. Cantata. S, bc] HanS 623 [R] Regie soglie alte moli Aria Giro il guardo tra faggi C, fa maggiore Rec.vo Vidi è ver tra voi Aria Spunta qui la violetta 2/2, mi minore * 1722 / Cantata a Voce Sola / Del Sigr. Caval.re Alessandro Scarlatti (cc. 21r-24v) [Due nemici tiranni. Cantata. S, bc] HanS 216 [R] Due nemici tiranni Amor fortuna Aria Che farete o miei pensieri C, i minore Rec.vo Dunque due ciechi numi Aria Più non sento la tua face C3/8, sol minore * Cantata a Voce Sola Del Sigr. Alessandro Scarlatti (cc. 25r-28r) [Si conosco o Mitilde. Cantata. S, bc] HanS 658 [R] Si, conosco o Mitilde che mendace [A] Tu vuoi Mitilde vaga C, la minore [R] Se di te vuoi che ogn’alma [A] Peno si, perché tiranna 2/2, mi minore * Raccolta di Cantate del Cavalier D. Alessandro / Scarlatti (cc. 29r-40r) [Hor che di Febo ascosi. Cantata. S, bc] HanS 511 Sinf.a [2vl, bc] [R] Hor che di Febo ascosi stanno Aria Cara notte che i furti giocondi C, re maggiore

178

SARAH M. IACONO

Rec.vo Ma chi m’addita oh dio Aria Si, si non dormite pupille Rit.o [2vl, bc] [R] Quindi da vostri sguardi [A] Vago fior ch’in notte algente C3/8, do minore Rec.vo Ma non riposa o bella [Arioso] Dormite posate pupille adorate * Cantata a voce sola del Sigr. Aless.o Scarlatti – Sigr. Scarlatti (cc. 41r-56v) [A voi che l’accendeste. Cantata. S, bc] HanS 9 [R] A voi che l’accendeste Aria Begl’occhi io non i pento C, re minore Rec.vo Che volete occhi belli Aria Più delle stelle luci gradite 3/8, sol maggiore Rec.vo Che se fuggon le stelle Aria Tanti pregi in voi ravviso C3/4, si minore Rec.vo Più che di Leda i figli Aria Se gli specchi son echi del guardo C3/8, re minore * Cantata / a Voce Sola / Del Sigr. Alessandro Scarlatti (cc. 57r-63v) [E come ohimè poss’io. Cantata. S, bc] HanS 356 Rec.vo Là dove a Mergellina Aria Ama chi t’ama C3/4, m minore Rec.vo E fia che nell’istesso mio pensiero Aria Mi fan guerra uniti insieme C, sol minore ► [Scarlatti,

Pietro] * Del Sigr. / Scarlatti (cc. 64r-69r) Care luci del ben mio, aria (A, vl, 2vla, bc) ► Scarlatti,

Alessandro * Cantata a voce Sola di / Soprano / del Sigr. Alessandro Cavaliere / Scarlatti (cc. 70r-73r) [Langue Clori vezzosa. Cantata. S, bc] HanS 367 Rec.vo Langue Clori vezzosa

ALCUNI MANOSCRITTI NAPOLETANI DI GIUSEPPE SCARLATTI

[A] Rec.vo [A]

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Corre il ruscello limpido e bello 3/4, si minore Pensa che su le piume giace Clori Per te ch’ingrato sei C, la minore

* Cantata a voce Sola di / Soprano / del Sigr. Alessandro Cavaliere / Scarlatti (cc. 74r-77r) [Deh torna amico sonno. Cantata. S, bc] HanS 181 Rec.vo Deh torna amico sonno [A] Con l’imago del mio caro bene ¾, si@ maggiore Rec.vo Sventurati miei lumi [A] Deh vieni o sonno pietoso e caro C12/8, re minore * Cantata a voce Sola di / Soprano / del Sigr. Alessandro Cavaliere / Scarlatti (cc. 78r-81r) [Nel centro oscuro di spelonca. Cantata. S, bc] HanS 448 Rec.vo Nel centro oscur di spelonca erbosa [A] Mio cor tu sei tradito C, la minore Rec.vo Giurò costanza e fede [A] Se adorai un bel sembiante 2/2, sol minore * Cantata a voce Sola di / Soprano / del Sigr. Alessandro Cavaliere / Scarlatti (cc. 82r-84v) [Fiamma che avvampa. Cantata. S, bc] HanS 260 Rec.vo Fiamma che avvampa a incenerirmi il seno [A] Alma mia se amar conviene C, sol minore Rec.vo Se per te Filli ingrata, ardo [A] Se vuoi che mora C3/4, la minore * Cantata a voce Sola di / Soprano / del Sigr. Alessandro Cavaliere / Scarlatti (cc. 85r-88r) [Hor che lungi son io. Cantata. S, bc] HanS 517 Rec.vo Hor che lungi son io [A] Un tormento così fiero C, sol minore Rec.vo Mie luci sventurate [A] Ite, ite ad Irene 3/8, la minore

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SARAH M. IACONO

* Cantata a voce Sola di Soprano / Del Sigr. Cavaliere Alessandro Scarlatti (cc. 89r-95v) [Mitilde alma mia se udiste. Cantata. S, bc] HanS 437 Rec.vo Mitilde alma mia se udiste [A] Abbandonato e solo sospira C3/8, si@ maggiore Rec.vo Oh quante volte oh quante il mio acceso desio [A] Vagabondo fiumicello lascia il mare 2/2, do minore * Tomo V / Cantate / Cantata a voce Sola di / Sop.no / del Sigr. Aless.o / Scarlatti (cc. 96r-99v) [Stravagante non è l’amore. Cantata. S, bc] HanS 693 [R] Stravagante non è l’amor ch’io sento Aria Filli vaga di Clori bella C, do maggiore Rec.vo Senza il crudo velen di gelosia Aria Stravagante ha il cor in petto 2/2, mi maggiore * Cantata a voce Sola con VVi / del Sigr. Cavaliere Alessandro / Scarlatti (cc. 100v-105r) [Sotto l’ombra d’un faggio piangente. Cantata. B, 2vl, bc] HanS 677 Rec.vo Sotto l’ombra d’un faggio piangente Aria Filli mia chi ha il cor piagato C, la minore Rec.vo Che non fé che non disse [A] Vieni o Tirsi in questo seno C12/8, si minore * Cantata con Violini di Basso del Sigr. Cavalier Alessandro / Scarlatti (cc. 105v-111r) [Tu resti o mio bel nume. Cantata. S, 2vl, bc] HanS 741 [Arioso] Tu resti o mio bel nume [A] Se tu sol sei mio conforto C12/8, fa maggiore Rec.vo Or dimmi qual ti sembro Aria L’istesso è il partire C, re minore * Cantata a voce Sola di Sop.o con VV del Sigr. Cavaliere Aless.o Scarlatti (cc. 113r-121r) [Qual or io veggio la vezzosa Irene. Cantata. S, 2vl, bc] HanS 587 [sinfonia] [2vl, bc] Rec.vo Qualor io veggio la vezzosa Irene

ALCUNI MANOSCRITTI NAPOLETANI DI GIUSEPPE SCARLATTI

[A] Rec.vo [A]

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Quando Irene è in bianca spoglia C3/8, la maggiore Forse Irene in al guisa In quel bel manto C, fa maggiore

► Scarlatti,

Giuseppe

* Del Sigr / Giuseppe Scarlatti (cc. 122r-125v) Deh lasciami in pace, aria (?) da Caio Mario (S, 2vl, vla, bc) * Aria del Sigr. Giuseppe Scarlatti (cc. 126r-130v) Eccomi non ferir, aria (Issipile) da Issipile (S, 2ob, 2cor, 2vl, vla, bc) * Del Sigr. D. Giuseppe Scarlatti (cc. 131r-147v) Impallidisce in campo, aria (Issipile) da Issipile (S, 2ob, 2 cor, 2vl, vla, bc) * Del Sigr. / Giuseppe /Scarlatti (cc. 148r-155r) Caro l’affanno mio, aria (?) da Adriano in Siria (S, 2vl, vla, bc) * Aria del Sr. D. Giuseppe Scarlatti (cc. 156r-171v) Impallidisce in campo, aria (Issipile) da Issipile (S, 2ob, 2 tr, 2vl, vla, bc) ► Scarlatti,

Alessandro

*Cantata del Sigr. Aless.o Scarlatti (cc. 172r-175v) [Lunga stagion dolente. Cantata. S, 2vl, bc] [R] Lunga stagion dolente vissi Aria Conobbi il danno C, si@ maggiore Aria Non v’è sì bel piacere 2/2, re minore ► Scarlatti,

HanS 404

Giuseppe

* Aria / Del Sigr. D. Giuseppe Scarlatti / Scritta per uso di S.a Ecce.za Sig.ra D.a Vincenza / Capece Scondito / di / Simone / Se viver non poss’io (cc. 176r-187v) Se viver non poss’io, aria (Gandarte) da Alessandro nell’Indie (S, 2fl, 2 cor, 2vl, vla, bc) 34.5.11 (olim Cantate 277) Ms., prima metà XVIII secolo; I, 72 c., II; cartulazione coeva; 220 × 275 mm; carte vuote: 48v, 53v, 57v, 65v.  



182

SARAH M. IACONO

Coperta ottocentesca in carta marmorizzata marrone con dorso in pelle verde su cui sta scritto in oro: Scarlatti / Arie / Diverse. Fascicolazione: i-iii2 , iv8, v2(+1), vi-x4, xi2 , xii4(-1), xiii6, xiv-xv4, xvi-xvii8. A c. Ir, annotazione di Rondinella: elenco delle cantate Vari copisti Contiene: 8 cantate di Alessandro Scarlatti, 1 aria di Giuseppe Scarlatti ► [Scarlatti,

Alessandro]

* Scarlatti / Alessandro (cc. 1r-4v) [Fida compagna del tuo alato amante. Cantata. S, 2vl, bc] HanS 261  [Sinfonia] vl, bc Rec.o Fida compagna del tuo alato amante Aria Tortorella scompagnata C3/8, sol minore * Cantata / 2 (cc. 5r-10v) [Appena chiudo gli occhi. Cantata. S, vl, bc] Sinfonia avanti vl, bc Rec.vo Appena chiudo gli occhi Aria Dolce sonno d’ogni mal quiete C, sol minore Rec.vo Se dell’idolo mio nel tuo dolce sonno Aria Amico sonno deh per pietà C, mi minore * N° 3 (cc. 11r-17v) [Ardo è ver per te. Cantata. S, fl, bc] Aria Ardo è ver per te d’amore C3/4, re minore Rec.vo T’amo si t’amo Aria Quel vento che d’intorno C, do minore * N° 4 (cc. 18r-30v) [Sovra carro stellato. Cantata. S, 2vl, bc] [sinfonia] vl, [vlc], bc [R] Sovra carro stellato Aria Crudi sassi che celate C, fa maggiore Rec.vo Dilli Filli mio ben

HanS 56 

HanS 62 

HanS 680 

ALCUNI MANOSCRITTI NAPOLETANI DI GIUSEPPE SCARLATTI

Se il tuo bel che m’innamora 2/2, sol minore Ma già spunta l’aurora Si si mi parto C12/8, re minore

[A] Rec.vo Aria

* N° 5 (cc. 31r-42v) [Dove fuggo a che penso. Cantata. S, vl, bc] [R] Dove fuggo a che penso ove m’ascondo Aria Se agitata da le pene C, mi minore Ritorn.o vl, bc Rec.vo Crudo Fileno ingrato Aria La memoria d’un ingrato 2/2, sol minore Ritorn.o vl, bc [R] A voi balze romite [A] Povera Clori tal’or dirò C3/4, fa# minore Ritorn.o vl, bc Rec.vo Insegnatemi o mostri Aria Ne le selve tra le belve 2/2, si minore ► Scarlatti,

183

HanS 212 

Giuseppe

* Del Sigr. Giuseppe Scarlatti (cc. 43r-48r) Per quel paterno amplesso, aria (Arbace) da Artaserse; II, 11 (S, 2vl, vla, bc) ► [Scarlatti,

Alessandro]

* N° 7 (cc. 49r-53r) [Fida compagna del tuo alato amante. Cantata. S, 2vl, bc] HanS 261  Rec.vo Togli per un momento [A] Se vuoi piangere un gran duolo C12/8, mi minore ► Scarlatti,

Alessandro

* Cantata a voce sola Del Sigr. Cav.re Alessandro Scarlatti (cc. 53r-57r) [Filli adorata e cara. Cantata. S, bc] HanS 272  [R] Filli adorata e cara

184 Aria Rec.vo Aria

SARAH M. IACONO

Se non giunge quel momento C, do minore Ma se vorrà la mia tiranna sorte Lungi da te mia speme 2/2, fa minore

* Cantata a voce sola / Del Sigr. Cav.re Alessandro Scarlatti (cc. 58r-65r) [Quanto piace agl’occhi miei. Cantata. S, bc] HanS 602  [A] Quanto piace agl’occhi miei C, sol minore Rec.vo Sai perché tanto t’amo Aria Il pallor che porta Irene 2/2, sol minore ► [Scarlatti,

Alessandro]

* Cantata a voce sola (cc. 66r-72v) [Se credete all’amor mio. Cantata. S, bc] [A] Se credete all’amor mio C, do minore Rec.o Qui dove suol Mirtilla Aria Pascete si pascete 12/8, do minore

HanS 643 

185 Andrew Woolley

Neapolitan Sacred Music in Eighteenth-Century Britain: The Case of Pergolesi’s «Messa di S. Emidio»*

Background Opportunities for Naples musicians to venture north, and the motivations for doing so, were numerous during the final period of the Viceroys and after. The reputation of Naples as a centre for the training of musicians of high calibre reached a peak with the fame of Leonardo Vinci, Leonardo Leo, and Giovanni Battista Pergolesi. Their successors and contemporaries, such as Nicola Porpora and Niccolò Jommelli, notably rose to prominence at foreign musical centres such as Venice, Vienna and Stuttgart in the middle of the eighteenth century, and thus secured the dominance of the galant style.1 In Britain, the reputations of Naplestrained composers was at a highpoint in the 1760s and 70s coinciding with the period of Charles Burney’s first musical tour of Italy, who reported on his experiences of the theatres and conservatories in Naples in The Present State of Music in France and Italy (1773). Burney was interested in the latest Italian opera and wrote positively of his hearing operas by later composers such as Niccolò Piccinni and Giovanni Paisiello. However, it was the music of these composers’ predecessors that made a more lasting mark in Britain around the middle and later portions of the century, particularly through the auspices of the Academy of Ancient Music, founded * In researching this paper I have received kind assistance from Harry Diack Johnstone, Michael Talbot, and Claudio Bacciagaluppi. I would especially like to thank the former for generously sharing his research on sources mentioned here in the Royal College of Music library and at Westminster Abbey. Research on the manuscript in the William Andrews Clark Memorial Library was made possible thanks to a Center for 17th- and 18th-Century Studies Fellowship at the University of California, Los Angeles. 1

  For an account of the rise to dominance of Naples musicians, and Neapolitan style, throughout Europe from the 1730s, see especially Daniel Heartz , Music in European Capitals: The Galant Style, 1720–1780, New York, W.W. Norton, 2003.

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ANDREW WOOLLEY

as a concert society in 1726.2 Summing up the achievements of the Academy in 1770, John Hawkins expressed a view that the music of Pergolesi and David Perez, especially their sacred vocal music, belonged to a pantheon of classics, beginning with Palestrina, whose works «abounded in evidences of the deepest skill and finest invention».3 Pergolesi and Perez, as Neapolitan successors of earlier Venetian masters such as Antonio Lotti, Francesco Gasparini and Benedetto Marcello, were the two youngest composers that Hawkins thought worthy of mention. Contact between Italian and British musicians was increasing in the late seventeenth century through the activities of British aristocratic tourists and merchants abroad, who were visiting the peninsula in larger numbers.4 Such contact led to the exchanging of scores and to performances of Italian instrumental music in Britain in domestic circles. A fascinating example is that of the merchant Philip Wheak, who when in Rome in the 1680s, sent home printed music that he was able to acquire for a circle of musical friends in London, in addition to reports of hearing the city’s leading organist, Bernardo Pasquini.5 More wealthy visitors were in a position to obtain manuscript copies of music directly from leading composers. In the case of keyboard players especially, ‘instructions’ that taught rudiments of continuo playing were also sought after. A notable example is the Scottish lawyer and politician John Clerk of Penicuik, who claimed to have received lessons from both Corelli and Pasquini, and was asked by a correspondent to obtain copies of Pasquini’s treatise on con2

  Documentation for the Academy of Ancient Music is patchy, but sources survive detailing early meetings, while the programmes of later ones can be recovered from published wordbooks. A quantity of wordbooks are digitised as part of Eighteenth-Century Collections Online (ECCO). For a consideration of the Academy, see Christopher Hogwood, ‘Gropers into Antique Musick’ or ‘A very ancient and respectable Society’? Historical Views of the Academy of Ancient Music, in Coll’astuzia, col giudizio: Essays in Honor of Neal Zaslaw, ed. by Cliff Eisen, Ann Arbor, Steglein, 2009, pp. 127–182. 3

  An Account of the Institution and Progress of the Academy of Ancient Music, London, 1770, p. 22. 4

  For English merchants in Italy, see especially Gigliola Pagano De Divitiis, English Merchants in Seventeenth-Century Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. 5

  See Bryan White , ‘Brothers of the String’: Henry Purcell and the Letter-Books of Rowland Sherman, «Music & Letters» 92, 2011, pp. 519–581.

NEAPOLITAN SACRED MUSIC IN EIGHTEENTH-CENTURY BRITAIN

187

tinuo playing.6 Pasquini’s considerable production of keyboard toccatas for unnamed patrons from outside of Italy is evident from an extensive autograph manuscript, which names several pieces according to their intended recipient or recipients. Several were intended for British clients and have inscriptions such as «p[er] il sigr. / Inghilese / p[er] il Francese» or «p[er] il Sigr. / Inghilese / Scoti».7 Evidence of musical exchange between Naples and Britain in the late seventeenth and early eighteenth centuries is less forthcoming. The dissemination in Britain, in the 1710s and 20s, of music by organist and composer Francesco Mancini (1672–1737) is, however, noteworthy.8 Mancini is not known to have set foot outside of Italy, but like Pasquini, may occasionally have taken opportunities to benefit from British tourism and mercantile activity. Mancini’s music was known in England as early as 1710 when L’Idaspe Fidele was put on at the Queen’s Theatre, London, a score of which had been brought there by the castrato Nicolò Grimaldi, known as Nicolini.9 Although it is unlikely that the composer had any influence on the London production, he had the distinction of being named in the published libretto despite his absence.10 Other music by Mancini in British sources prior to 1725 includes a keyboard toccata in D major.11 The wider dissemination of Mancini’s music was partly a result of his association with 6

  Clerk’s musical activities in Italy are revealed in a memoir and an important collection of letters. The letters have been considered most extensively to date in Kenneth Elliot’s introduction to Five Cantatas by Sir John Clerk of Penicuik, ed. by Kenneth Elliot, Glasgow, Musica Scotica, 2005 (Musica Scotica, 4). 7

  See Berlin Deutsche Staatsbibliothek MS L.215 (Bernardo Pasquini Autograph), facsimile edition, edited with an introduction by Alexander Silbiger, New York, Garland, 1988, pp. 227 and 229. 8

  For Mancini’s biography, see especially Josephine Wright, The Secular Cantatas of Francesco Mancini, Ph.D. diss., New York University, 1975. 9

  See Vice Chamberlain Coke’s Theatrical Papers, 1706–1715, ed. by Judith Milhous and Robert D. Hume, Carbondale, Southern Illinois Univ. Press, 1982, Document 85. 10

  Hydaspes. An Opera. As it is Perform’d at the Queens Theatre in the Haymarket, London, 1712.

11

  «Toccata del Sig. Fran. Mancini», in GB-Lbl, Add. MS 31577, a manuscript compiled in Britain between 1717 and 1723. See T erence Best, Georg Friedrich Händel: Klavierwerke I–IV. Kritischer Bericht, Kassel, Bärenreiter, 2000, at ff. 31v–34. The final movement of this piece, «Presto», was also copied into a retrospective anthology, dated «1778», by William Walond junior (GB-Lfom, Coke MS 1275, at pp. 98–99).

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ANDREW WOOLLEY

the British Consul in Naples, John Fleetwood (d. 1725), who was the dedicatee of his twelve recorder sonatas first published by John Barrett and William Smith in London in 1724.12 Fleetwood was additionally the dedicatee of Robert Valentine’s XII Sonate di flauto a solo, Op. 3 (Rome, 1710), suggesting that he was a recorder player.13 Since he spent a lengthy period in Naples, apparently from late 1708, until the summer of 1721, there would have been numerous opportunities for him to offer patronage to musicians.14 Fleetwood may also have known, and could even have been the recipient of, some of the repertoire in the early eighteenth-century Neapolitan manuscript entitled Concerti di Flauto, containing twenty-four quartets, and a smaller number of quintets, for recorder and strings.15 This manuscript’s contents is apparently unique and includes twelve works by Mancini and one by Valentine (other composers represented include Alessandro Scarlatti). It is known, however, that examples of Neapolitan concerti a quattro were brought to Britain by Francesco Scarlatti (1666 – c. 1741), since nine such concertos attributed to him are found in an English manuscript copied by Charles Avison (1709–1770).16 Scarlatti  



12

  Surviving copies include later reprints of John Walsh first issued in 1727. See William C. Smith – Charles Humphries, A Bibliography of the Musical Works Published by the Firm of John Walsh During the Years 1721–1766, London, Bibliographical Society, 1966, p. 223. 13

  For Valentine, see M artin M edforth, The Valentines of Leicester: A Reappraisal of an 18th-Century Musical Family, «The Musical Times» 122, 1981, pp. 812–818. 14

  A biographical notice for Fleetwood is in «R.W.B.», Contraband Two Hundred Years Ago, «Notes and Queries», 12th series, 2, 1916, pp. 281–282. Fleetwood’s correspondence in GBLbl, Add. MSS, 61522 and 28153 is concerned with military matters, politics and trade only. 15

  For recent discussions, see the notes by A lessandro L attanzi accompanying the recording by Corina Marti and Capella Tiberna, Francesco Mancini: 12 Recorder Concertos, Brilliant Classics 94324, 2011, and the contribution by L attanzi in the present volume. For a modern edition of Mancini’s concertos, see Francesco M ancini, … [Concertos] from the 24 Concertos in the Naples Manuscript (1725), 12 vols., ed. by Andrea Bornstein and Lucia Corini, Bologna, Ut Orpheus, 1997–1998. Lattanzi has pointed out that the «1725» date appears to be the date of the copy. 16

  See Francesco Scarlatti, Six Concerti Grossi, ed. by Mark Kroll, Middleton, A-R Editions, 2010 (Recent Researches in the Music of the Baroque Era, 159). The stylistic diversity of these concertos, individually called «Sonata» in the source – like the works in Concerti di Flauto – suggests that they could have been composed over a lengthy period.

NEAPOLITAN SACRED MUSIC IN EIGHTEENTH-CENTURY BRITAIN

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came to Britain as early as 1719 and – besides ‘star’ singers such as Nicolini – appears to have been one of the earliest Naples-educated musicians to go there for a significant period. Although the style of Scarlatti’s music has been linked to the esteem for Corelli in Britain at the time, his quartets also bear several of the distinctive fingerprints of the Neapolitan concerto/sonata a quattro. For instance, noteworthy are the lengthy subjects of the extended fugal movements, which are developed and transformed through modulation (i. e. the main subject appears in different keys, besides tonic and dominant, over the course of the movement).17 Such innovative features were probably not lost on Avison, who like a number of English contemporaries, seems to have looked to instrumental music by Naples-trained composers, Domenico Scarlatti in particular, as a stimulus for developing a post-Corelli style.18  

Neapolitan sacred music in eighteenth-century Britain: Pergolesi’s earliest London copyists Outside of the opera house, the main kind of Italian music known in Britain in the early eighteenth century was instrumental, or vocal chamber music. Towards the middle of the century, however, an ambition emerged to perform larger-scale sacred vocal works by Italian composers. This is reflected in the programmes of the Academy of Ancient Music, which began to include a small number of concerted sacred pieces by Pergolesi in concerts, alongside its existing repertoire focussed on earlier Italian vocal music and vocal music by sixteenth and seventeenth-century English composers. A series of seven wordbooks held in the British Library, dating from between 1746 and 1761, indicate that three motets «for voices and instruments» by, or attributed to Pergolesi, were performed at 17

  Comparison can be made, for instance, between the second movement of Scarlatti’s Concerto/Sonata I (Six Concerti Grossi cit., no. 1), and the similar stile antico second movement of Mancini’s sixth (no. 13 in Concerti di Flauto). 18

  Avison notably drew on Domenico Scarlatti’s keyboard sonatas in Twelve Concerto’s in Seven Parts … done from two Books of Lessons for the Harpsichord composed by Sig. Domenico Scarlatti …, London, 1744. His main source was Thomas Roseingrave’s anthology of XLII Suites de Pieces Pour le Clavecin … Composée par Domenico Scarlatti, London, [1739]. Handel’s borrowings from Domenico Scarlatti in his Op. 6 concertos (1739) is also noteworthy in this context. See A lexander Silbiger , Scarlatti Borrowings in Handel’s Grand Concertos, «The Musical Times» 125, 1984, pp. 93–95.

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the meetings from as early as 1749: a setting of Confitebor tibi, Domine with solo treble and counter-tenor parts, performed on 6 April 1749, 29 March 1750, and again on 29 April 1756, a Laudate pueri with a solo treble part, performed on 28 February 1751, and a Mass, classified as a «Motet for five voices with instruments», performed on 30 April 1761.19 Copies of these pieces appear to survive in manuscripts that Harry Johnstone has recently identified as having belonged to the Academy’s library, which are today preserved in the library of Westminster Abbey.20 A significant factor that certainly encouraged, and may have largely facilitated these performances, was the presence in London of a group of Italian musicians, who, in the 1750s, were engaged as copyists for the Academy and other patrons. Their use of Italian language captions, and certain characteristics of their handwriting, strongly indicate that they were Italian. The Spanish-born composer Domenico Terradellas (1711– 1751), who studied with Francesco Durante, was in London for a brief period around the same time and may have belonged to the same circle.21 Terradellas arrived in 1746, bringing with him a reputation as an opera composer at Rome and Venice; two of his operas (Mitridate and Bellerofonte) were put on at the King’s Theatre in 1746 and 1747. He also brought an example of his sacred music, a setting of Luminosa consurgit originally written in 1743 for the Spanish national church in Rome.22 There are two related sources for this work of British provenance, a score in West­ minster Abbey in the hand of an Italian copyist (GB-Lwa, C.G. 56), and an incomplete set of parts in the library of the Royal College of Music (GB-Lcm, MS 1029) copied collaboratively by this same copyist and another Italian. Watermarks indicate that both manuscripts were copied in Britain (see Appendix: Watermarks, for a to-scale reproduction of the mark in GB-Lcm, MS 1029). Since Luminosa consurgit fits squarely with the 19

  GB-Lbl, General Reference Collection 1042.i.8.

20

  See H. Diack Johnstone , Westminster Abbey and the Academy of Ancient Music: A Library Once Lost and Now Partially Recovered, «Music & Letters» 95, 2014, pp. 329–373. 21

  For Terradellas see M ichael F. Robinson and Rosa L eonetti, «Terradellas, Domingo Miguel Bernabé», in Grove Music Online. Oxford Music Online, , accessed 11 April 2014. 22

  I am grateful to Harry Johnstone for drawing my attention to the British sources for this piece, and to Claudio Bacciagaluppi for pointing out the origins of Luminosa consurgit.

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repertoire of Latin motets «for voices and instruments» performed at Academy concerts, it seems likely that these materials were prepared for a performance under its auspices.23 As an almost exact contemporary of Pergolesi, who could claim a musical training parallel to Pergolesi’s at the same conservatory in Naples (the Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo), Terradellas would doubtless have attracted the interest of the Academy’s members. Michael Talbot and Jasmine Cameron have recently identified that one of the copyists of the Luminosa consurgit parts was the flautist and composer Francesco Barsanti (c. 1690–1775).24 The corpus of manuscripts in Barsanti’s hand is considerable, and includes a score containing Pergolesi’s Stabat Mater, together with a copy of the Salve Regina in C minor transposed to A minor (GB-Lcm, MS 483).25 However, Barsanti was mainly engaged, over a period of several years, in compiling large and diverse anthologies of vocal chamber music. Recipients included the Academy of Ancient Music, but also in the case of one collection, Frederick, Prince of Wales (GB-Bu, Barber MS 5005), and in the case of the Stabat Mater manuscript, a certain «M.T.» named on the binding, suggesting a broad base of patrons. By contrast, Barsanti’s collaborator in copying the Luminosa consurgit parts seems to have specialised in larger-scale sacred music, and may have been present in Britain for a rather shorter period. Together with yet another another anonymous Italian, he was apparently respon­ sible for most of the early copies of Pergolesi’s in Britain (see Table 1; Figures 1a, 1b and 2). A 1750s date for his activity is suggested by the watermarks, such as that of GB-Lcm, MS 485, a Bend/GR mark with «J WHATMAN» countermark (see Appendix: Watermarks).26 23

  H. D. Johnstone , Westminster Abbey and the Academy of Ancient Music cit.

24

  See Jasmin M. Cameron and M ichael Talbot, Francesco Barsanti (c. 1690–1775): A life revisited, «Recercare» 25, 2013, pp. 95–154, and M. Talbot, An Unexpected Handel Copyist: Francesco Barsanti, «The Handel Institute Newsletter» 24/2, 2013, pp. [1–3]. 25

  I am grateful to Harry Johnstone for sharing information on the manuscripts in this copyist’s hand. There is also a score, which I have not consulted, of a Miserere in C minor attributed to Pergolesi, whose authenticity has been questioned by modern scholars (in GB-Lwa, C.G. 26). 26

  For Whatman and music paper, see especially Frederick Hudson, The earliest paper made by James Whatman the Elder (1702–59) and its significance in relation to G. F. Handel and John Walsh, «The Music Review» 38, 1977, pp. 15–32.

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Table 1: Manuscripts in the hand of the principal ‘London’ copyist of Pergolesi’s sacred music active in the 1750s.

GB-Lwa, C.G.52 Large folio manuscript in marbled boards, 47 × 29 cm, containing a complete copy of Pergolesi’s Mass in F major, entitled on f. [2] (first ruled leaf) «Messa Composta dal Sigr. Gio Batta Pergolesi». Watermark: Strasbourg bend/LVG with «IW» (Whatman) countermark. GB-Lwa, C.G.56 A score of Domenico Terradellas’s Luminosa consurgit.** US-LAuc, fM4145M4 Large folio manuscript, 42 × 27 cm, containing a complete copy of Pergolesi’s Mass in F major. The manuscript is bound in eighteenth-century marbled boards/half calf, apparently a binding of British provenance: flyleaves and endpapers feature a Fleur-de-lis/VDL watermark with an IV countermark. However, the manuscript itself is probably of Neapolitan origin. Copied mainly by an unidentified copyist with later additions in the hand of the principal ‘London’ copyist. GB-Lbl, Add. MS 31490, ff. 50–61 A setting attributed to Paradies of the duet «Prendi, o caro, in questo amplesso».** GB-Lcm, MS 485 Three unbound oblong quarto fascicles of «Stabat Mater à Due Voci del Sigr: Pergolesi». In a later hand is written «Concerts of Ancient Music, 1847.» The score is a vocal partitura lacking a second violin part. «Sigr. Guadagni» and «Mr. Bonson» are named on the manuscript. Watermark: Strasbourg bend/ GR with «J WHATMAN» countermark. For a sample page, see Figure 1a. GB-Lcm, MS 692, ff. 15–22 and ff. 143–158 Two arias: Anon. setting of «Fiere imagini» from Gaetano Roccaforte’s Antigone (set by Galuppi and many others), and «Aria del Sigr: Nicola Conforto» («Già del soglio allo splendore»). Watermarks: two Strasbourg bends with LVG initials and no countermarks visible. For a sample page, see Figure 1b. GB-Lcm, MS 932 Upright quarto manuscript of Leo, Dixit in F major. Inscribed «Concerts of Ancient Music». Watermark: Strasbourg bend/LVG with IV countermark.** GB-Lcm, MS 1029 Upright quarto parts for Terradellas Luminosa consurgit copied collaboratively with Francesco Barsanti. A later copyist provided a set of duplicates and additional parts for «Bassoon 1mo:» and «Bassoon 2do:». Watermark: Strasbourg bend/LVG with IV countermark.**

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Manuscripts in the hand of another Italian copyist of Pergolesi’s sacred music active in London probably around the same time GB-Lwa, C.G.25 Upright quarto manuscript of Pergolesi’s D major Mass entitled «Messa del Sigr Gio: Batta Pergolesi». The manuscript is evidently of British provenance judging from its watermark (Strasbourg bend). For a sample page, see Figure 2.** GB-Lwa, C.G.60 Folio manuscript labelled «Laudate Pueri / SIGR. PERGOLESI / LÆTATUS SUM / F. DURANT». There are two hands in this manuscript, the main one having also copied C.G.26. Watermark for portions in the main hand: Fleurde-lis with IV countermark.** **

I am grateful to Harry Diack Johnstone for drawing my attention to these manuscripts.

Figure 1a. Sample page from GB-Lcm, MS 485 (reproduced with permission from the Royal College of Music, London).

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Figure 1b. Sample page from GB-Lcm, MS 692, ff. 143–158 (reproduced with permission from the Royal College of Music, London).

Several manuscripts in this copyist’s hand are among those that appear to have once formed part of the library of the Concerts of Ancient Music, today held at the Royal College of Music. These manuscripts either bear an inscription indicating this origin, often dating from the nineteenth century, or a contemporary label on the front of the binding; they include the copy of a Dixit Dominus in F by Leo listed in Table 1 (GB-Lcm, MS 932). The implication is that the main copyist of Pergolesi’s sacred music in London was present in Britain for a lengthier period than is suggested by the internal evidence from the manuscripts themselves: the Concerts of Ancient Music, formed by the 4th Earl of Sandwich and others, was established only in 1776.27 However, it is clear that a number of manuscripts that came from the Concerts of Ancient Music library were in existence before that date. 27

  See Simon McVeigh in Nicholas T emperley et al., «London (i).», in Grove Music Online. Oxford Music Online cit.

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Figure 2. Sample page from GB-Lwa, C.G. 25 (© The Dean and Chapter of Westminster).

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They include, for instance, GB-Lcm, MS 689, an Italian collection of arias stamped on spine «ARIE / DIVERSE / TOM. / 1762 / CAM» (although this date cannot be taken as a copying date it seems likely that it was at least copied close to this date). Among the earliest manuscripts that seem to have been copied by the time the Concerts of Ancient Music came into being are GB-Lcm, MSS 2068 and 2069, in which music of the mid-1760s (by J.C. Bach and Gluck among others) has been entered by a copyist whose contributions dominate the two books, presumably an individual employed as an early ‘house’ copyist. While these later manuscripts contain music in other hands – and they also include several interpolated manuscripts that may be of earlier vintage – contributions of the earlier Italian copyists seem to be lacking entirely. The main copyist of Pergolesi’s sacred music in London seems to have been especially associated with the large-scale Mass in F for two five-part choirs and two orchestras, known as the «Messa di S. Emidio».28 There are two sources of this work connected to him directly, and later sources of British provenance seem to derive from them (see Table 2 for a list). The number of British sources suggest a particular fascination for this piece among musicians and collectors almost comparable to contemporary attachment to the Stabat Mater. I have not been able to ascertain the date of its first performance in Britain, although it is known that two unidentified movements from a «Messa a Due Cori» by Pergolesi were performed by the Academy of Ancient Music on Thursday, 8 March 1787.29 Other performances of masses by Pergolesi took place earlier at Academy concerts, but these could have been performances of the earlier Mass in D major. It seems that the Mass in D major was performed at the meeting on 30 April 1761, since it is called in the wordbook «Motet for five Voices» (see above). However, evidence presented below suggests that an attempt was made to perform the F major work in Britain earlier. With its learned five-part fugues for sections such as «Christe eleison» and «Propter magnam», the Mass in F major can be seen as a particularly fine specimen of a kind of music that would have appealed to the English contemporaries of Avison. 28

  For previous comment on this piece, see especially A llan W. Atlas, On the date of Pergolesi’s ‘Mass in F’, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 3, 1999, pp. 201–209. 29

  Information kindly provided by Harry Johnstone.

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Table 2: Sources of British origin of Pergolesi’s Mass in F major.

GB-Lbl, Add. MS 31661 Large folio manuscript. Watermark in music paper: Angoumois fleur de lis/ LVGs and IV countermark. Top right hand corner of first page of score is written «J. Malchair 1765» and underneath this, in a different hand, «to Wm Crotch april 22 / 1804».** GB-Lcm, MS 2031b Large upright quarto manuscript containing the Mass in F, Domine ad adjuvandum, Laudate Dominum and Confietibor. Watermark: Angoumois fleur de lis/GR with «J Whatman» countermark. GB-Ob, Mus. Sch. b. 11 Contains a copy of Pergolesi’s «Se il foco mio t’infiamma» from Act II of Lo frate ’nnamorato, in the hand of Brook and Paymer’s ‘Copyist 8’, followed by a copy of the F major Mass in the hand of John Awbery. See Barry S. Brook and Marvin E. Paymer, The Pergolesi Hand: A Calligraphic Study, «Notes» 38, 1982, pp. 550–578. GB-Lwa, C.G.52 See Table 1. GB-Cfm, MS Mus. 169 Not consulted.** Neapolitan source brought to Britain (c.1750?) US-LAuc, fM4145M4 See Table 1. Other sources with possible pre-1800 connections to Britain GB-Ge, R.d.6 Large quarto manuscript entitled «Messa a Due / Cori / Con Violini Oboe Trombe di Caccia e / Violetta / Musica / Del Sigr: Gio: Batta Pergolese» (f. 1). This manuscript is probably eighteenth-century in date and is of Italian origin. US-Wc, M2010 A2 P44 Manuscript of eighteenth-century Italian origin entitled «Messa a due Chori Del Sigr. Gio: Basta Pergolesi». Contained within a slip is the bookplate of the nineteenth-century collector James E. Matthew, which was presumably attached to the original binding (now discarded and replaced by a modern binding). **

I am grateful to Harry Diack Johnstone for drawing my attention to these manuscripts.

The Mass in F major has a complex early performance history and was revised several times in small ways by the composer. This is apparent from

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both revisions made to an autograph score – the largest extant Pergolesi autograph – preserved in the Pierpont Morgan Library, New York (USNYpm, Cary 438), and also from the existence of an autograph version for single choir and one orchestra of the «Kyrie» (I-Nc, rari 1.6.29/3). The sources demonstrably of British provenance preserve the latest version of the work for two choirs, as has been described by Allan Atlas, and latterly by Claudio Bacciagaluppi, who has identified two states for the double-choir version in the New York manuscript.30 The originating source for the British manuscripts was one of Neapolitan origin today preserved in the William Andrews Clark Memorial Library, Los Angeles (US-LAuc, fM4145M4). It has languished in anonymity since a title and composer attribution on the manuscript itself are lacking. These were, in all probability, lost when the leaves were cropped to fit its eighteenth-century binding of marbled boards. While the handwriting style and watermark of the music paper strongly indicate Neapolitan origins, the binding betrays the fact that it was brought to Britain in the eighteenth century. The watermark in the flyleaves, typical of northern European paper, supports the view that the binding is of British provenance (see Appendix: Watermarks). The Los Angeles manuscript possesses a number of characteristics of Neapolitan sources, and indeed, closely resembles the autograph in a number of respects. The necessity of providing a score with a sufficient number of staves per page resulted in a number of expediencies being taken by Pergolesi himself, which were then imitated by copyists. The solution adopted in the earliest copies involved acquiring paper intended as oblong quartos, which were left uncut. The result is a score with a ‘gap’ in the ruling where the leaves would ordinarily have been separated into two halves. Each leaf of the New York autograph, for instance, originally had 32 staves, which were cropped to suit the instrumentation of any given movement. Similarly, the Los Angeles manuscript was assembled from two paper types offering 24 and 20 staves per page. An indication that its main copyist was working from Pergolesi’s autograph is suggested by the way he closely imitates its layout in the majority of movements (see Figure 3a for an example). 30

  See A.W. Atlas, On the date of Pergolesi’s ‘Mass in F’ cit., and Claudio Bacciagaluppi, Pergolesi und die Neapolitanische Messe in Europa, Kassel, Bärenreiter, 2010. A digital copy of the New York manuscript can be viewed online: , accessed 30 April 2014.

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Figure 3a. US-NYpm, Cary 438, pp. 14–15 (above) and US-LAuc, fM4145M4, ff. [10–10v] (below) (reproduced with the permission of the William Andrews Clark Memorial Library,.University of California, Los Angeles).

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Figure 3b. US-LAuc, fM4145M4, ff. [10v]: detail illustrating second choir bass parts.

The connection of the Los Angeles score to the main ‘London’ copyist of Pergolesi’s sacred music is confirmed by the fact that he made several additions and alterations to it, which seem to reflect intentions to prepare the music for performance. The identification of the copyist’s involvement is confirmed by comparing several word formations found in the other manuscripts in his hand (see Figure 4). His additions to the Los Angeles manuscript can be classified into three types: 1) an example of a change of scoring and underlay; 2) supplementary information intended to clarify certain features; 3) additional part doublings not present in Pergolesi’s original. The nature of these additions suggest that he was working to facilitate the copying of a set of performing parts. They also suggest a consciousness of certain difficulties for performing the work in Britain.

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Figure 4. Principal ‘London’ copyist: comparison of word formations.

The first kind of alteration, the only one in which the musical substance of Pergolesi’s original has been changed, was the removal of a pedal point from the second choir parts in the «Kyrie II», which are doubling the first choir parts. The purpose of this change is not entirely clear, but it may be classifiable as an ‘improvement’: the deletion underscores the division between the two chorus parts, since the bass parts of the second chorus, in the ‘improved’ version, enter with all other vocal parts in the second chorus. The change is not carried over by the copyist into the Westminster Abbey score (GB-Lwa, C.G. 52), which may have been created simply to preserve what Pergolesi had written originally (see Figures 3a and 3b).

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The second kind of alteration is exemplified in several additions intended to clarify such features as instrumentation, underlay, and part doubling. These changes were presumably intended to help facilitate the interpretation of the manuscript by copyists in Britain. For instance, at the beginning of the «Gloria», the original copyist neglected to label most of the parts, information that was subsequently added by the later copyist. The original copyist also assumed an understanding of the Italian convention of doubling the bass part in the upper string parts when silent. In some cases, the original copyist supplied col basso or ut supra markings, or neglected to include them; the later copyist, in several instances, opted to make the doublings explicit by copying out the parts in full, or sometimes writes «col p[rimo] coro». The third kind of alteration is the most interesting. While the second copyist was conscious of a need to make part doublings explicit by copying them out in full, he also adds part doublings that are neither implied by the original copyist’s shorthand markings, nor present in the New York autograph (see Figure 5). These additional doublings (which were not carried over into the Westminster Abbey score) reflect the fact that the second choir part functions largely as a ripieno ensemble, and that its involvement has the potential to be increased or decreased ad libitum.31 The number of passages in which the first choir does not function as a self-sustaining entity are few. They occur, notably, at the conclusion of the «Cum Sancto Spiritu», where antiphonal writing emerges to exciting effect, and in concluding cadential portions of the «Christe eleison» and «Propter magnam» fugues, where Pergolesi took the opportunity to re-score the repetitions of the cadential figure so that they are heard antiphonally. These features would have prevented the work from being performed in a single-choir version that simply omitted the second choir’s parts. However, the tendency of the second copyist in the Los Angeles manuscript towards the maximising of the participation of the second choir – almost to the point of returning the work to a quasi-single-choir state – indicates that the reinforcement of individual lines was a particular priority. 31

  A similar situation is true of other instrumentally-accompanied double choir works derived from earlier single-choir versions. The 1736 double-choir version of Bach’s St Matthew Passion, for instance, has a similarly relegated function for the second choir. See Daniel R. M elamed, Hearing Bach’s Passions, Oxford, Oxford University Press, 2005, esp. Chapter 3.

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Figure 5. US-LAuc, fM4145M4, f. [22v]: second choir doubling parts added by the second copyist, not present in US-NYpm, Cary 438 (autograph).

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A potential explanation for this is that the additional part doublings would have helped to mask a deficiency if the number of competent singers available was insufficient. This seems particularly likely given that a minimum of four suitably capable boys would have been required (for the soprano parts) for a performance under the auspices of the Academy.

Conclusion It was a logical progression to attempt to perform Italian sacred music in Britain in the 1740s and 50s. These performances followed a lengthy period of favour enjoyed by Italian music, previously restricted to instrumental and vocal chamber genres, and a period when favour was beginning to gravitate towards music by Naples-trained composers especially. The Academy appears to have set the template for regular performances of Latin sacred music in a secular context in Britain later in the eighteenth century. Pergolesi’s music featured prominently in Lenten performances called «Concerto Spirituale» at the Drury Lane theatre and elsewhere, at which another large-scale piece, the Dixit Dominus, appears to have been performed.32 The favouring of large-scale pieces, which intensified in subsequent decades, is also reflected in the adding of chorus movements to the Stabat mater by Felice Giardini as early as 1756.33 I have been unable to locate further direct evidence of performances of Pergolesi’s masses in Britain in the later eighteenth century. However, it seems likely that an attempt was made to perform the two masses at an early date. It is unfortunate that the main early copyist of Pergolesi’s sacred music in London awaits identification. His manuscripts suggest the likelihood, however, that he came from a Neapolitan, or perhaps Roman, orbit. Whoever he was, he played a crucial role in disseminating this influential music in Britain, and probably played a part in facilitating its earliest performances there.

32

  One performance is advertised in World, 24 March 1789.

33

  See The Memoirs of J. Decastro, Comedian, London, 1824, pp. 220–221.

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Appendix: Watermark samples

Watermark sample 1a: GB-Lcm, MS 485 (Chainline widths: 2.7, 2.6, 2.7).

Watermark sample 1b: GB-Lcm, MS 485 (Chainline widths: 2.6, 2.7, 2.6, 2.7, 2.6).

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Watermark sample 2a: US-LAuc, fM4145M4 (Chainline widths: 4.2, 4.4).

Watermark sample 2b: US-LAuc, fM4145M4 (Chainline widths: 4.0, 4.0).

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Watermark sample 2c: US-LAuc, fM4145M4, flyleaves (Chainline widths: 2.6, 2.6, 2.6).

Watermark sample 2d: US-LAuc, fM4145M4, flyleaves (Chainline widths: 2.6, 2.6, 2.6).

Watermark sample 3: GB-Lcm, MS 1029 (Chainline widths: 2.6, 2.7).

Claudio Bacciagaluppi, Angela Fiore, Rodolfo Zitellini

Musico Napolitano: indice delle maestranze musicali attive a Napoli

1. La vita musicale napoletana La città di Napoli è stata per secoli cenacolo di musicisti che vi giungevano da diverse parti d’Italia e d’Europa. In particolar modo, i due secoli di dominazione spagnola e la successiva dominazione austriaca alimentarono un’intensa circolazione di musica e musicisti tale da far nascere e accrescere la fama di Napoli quale capitale musicale. Il nerbo della vita musicale napoletana era dato sia dai teatri che dalla rete della musica sacra, coltivata e praticata nelle numerosissime chiese, nonché nelle congregazioni e nelle confraternite. L’offerta spettacolare partenopea, sacra e profana, era infatti caratterizzata da una frenetica successione di eventi diversi che costituivano una vera e propria occasione di impiego per musicisti stranieri e artisti locali. Il circuito teatrale rappresentava di certo il settore di punta della Napoli vicereale. Il Teatro San Bartolomeo, storica sede del melodramma, eretto nel 1620 prosegue la sua attività fino al 17371 per cedere poi il testimone al Teatro di San Carlo.2 Regno della commedia per musica era invece 1

  Sulle vicende storiche del teatro San Bartolomeo si rimanda a: Francesco Cotticel– Paologiovanni M aione , Le istituzioni musicali a Napoli durante il viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Napoli, Luciano, 1993, pp. 41-57; F. Cotticelli, La fine della fascinazione. Il teatro di San Bartolomeo durante il viceregno austriaco, «Rivista Italiana di Musicologia» 33, 1998, pp. 77-87; F. Cotticelli – P. M aione , La nascita dell’istituzione teatrale a Napoli: il Teatro di San Bartolomeo (1707-1737), in I percorsi della scena. Cultura e comunicazione del teatro nell’Europa del Settecento, a cura di Franco Carmelo Greco, Napoli, Luciano, 2001, pp. 373-478. li

2

  Sul Teatro San Carlo: Il teatro del re. Il San Carlo da Napoli all’Europa, a cura di Gaetana Cantone e F. C. Greco, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987; Il Teatro San Carlo, 2 voll., Napoli, Guida, 1987; Ulisse Prota-Giurleo, La grande orchestra del R. Teatro San Carlo nel Settecento (da documenti inediti), Napoli, a spese de l’Autore, 1927; Gian Giaco -

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CLAUDIO BACCIAGALUPPI, ANGELA FIORE, RODOLFO ZITELLINI

il Teatro dei Fiorentini,3 cui si affianca nel 1724 il Teatro Nuovo, palcoscenico di virtuosi e cantanti di prim’ordine come il basso Giovanni Romanelli e la cantante Maria Natalizia Bisagi. Ai teatri più prestigiosi si aggiungono poi il Teatro della Pace attivo tra 1720 e 1730, il Teatro del Fondo inaugurato nel 1779 e dal 1790 il San Ferdinando. A ciascuna di queste realtà fanno capo non solo musicisti, compositori e cantanti ma anche una numerosa serie di operatori specializzati come maestri di ballo, impresari, librettisti, scenografi etc. destinata ad ulteriori esplorazioni e ricerche. Il panorama sacro era di certo quello più variegato e nutrito.4 Monasteri, chiese, conventi, cappelle avevano spesso una propria vita artistica e musicale e divenivano in tal senso committenti di molta musica sacra impiegata in messe solenni, novene e tridui per il culto dei Santi, suggestive Stiffoni, Il Teatro San Carlo dal 1747 al 1753. Documenti d’archivio per un’indagine sulla gestione dell’impresario Diego Tufarelli, in Fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, a cura di P. Maione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2001, pp. 271-374: 367-374; A nthony R. Del Donna, Behind the Scenes: the Musical Life and Organizational Structure of the San Carlo Opera Orchestra in Late-18th Century Naples, ibid., pp. 427-448; Lucio T ufano, L’orchestra del Teatro San Carlo nel 1780 e nel 1796, ibid., pp. 449-476. mo

3

  Sull’attività del Teatro dei Fiorentini, Teatro Nuovo e San Ferdinando si veda BeneCroce , I teatri di Napoli. Secolo XV-XVIII, Napoli, Pierro, 1891; F. Cotticelli – P. M aione , Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli: materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano, Ricordi, 1996; Stefano Capone , Autori, imprese, teatri dell’opera comica napoletana. Documenti per una storia del teatro napoletano del ’700 (1709-1737), Foggia, Books & News, 1992. detto

4

  Sul panorama musicale sacro napoletano si veda Dinko Fabris, Music in SeventeenthCentury Naples. Francesco Provenzale (1624-1704), Aldershot, Ashgate, 2007; I d., Dal Medioevo al decennio napoleonico e oltre: metamorfosi e continuità nella tradizione napoletana, in Produzione, circolazione e consumo. Consuetudine e quotidianità della polifonia sacra nelle chiese monastiche e parrocchiali dal tardo Medioevo alla fine degli Antichi Regimi, a cura di David Bryant e Elena Quaranta, Bologna, Il mulino, 2005, pp. 227-281; P. M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 4, 2000, pp. 1-129; F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies» 5, 2006, pp. 21-54 con CD-ROM allegato; Eid., Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1726-1736, in «Studi pergo­lesiani / Pergolesi Studies» 9, 2015, pp. 733-778 con CD-ROM allegato.

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esposizioni del Santissimo Sacramento.5 L’uso di solennizzare le feste principali con cantanti e strumentisti appositamente ingaggiati è costantemente documentato. Si riscontra la presenza di complessi musicali stabili e al contempo di compagini ad organico variabile che potremmo definire occasionali, composte da musicisti provenienti dai gruppi strumentali cittadini. Esse venivano costituite dal maestro di cappella o dall’organista in servizio presso l’istituzione e remunerate in base ad una determinata occorrenza festiva. La composizione e la grandezza degli organici rispecchiava in genere l’importanza dell’istituzione promotrice di un evento e la rilevanza dell’evento stesso, assieme a ragioni di ordine economico e logistico. Il numero dei musicisti stabili difatti era destinato ad aumentare in occasione delle festività più solenni con l’arruolamento di artisti aggiunti, detti anche «soprannumerari».6 Cenacolo di musicisti attivi nella capitale era la prestigiosa Cappella Reale di Palazzo,7 da sempre considerata la principale istituzione musicale 5

  Sulla vita degli istituti religiosi napoletani si rinvia a: Romeo De M aio, Società e vita religiosa a Napoli nell’età moderna (1658-1799), Napoli, ESI, 1981; Giuseppe Galasso – A driana Valerio, Donne e religione a Napoli. Secoli XVI-XVIII, Milano, Franco Angeli 2001; A. Valerio, Istituti religiosi femminili a Napoli dal IV al XVI sec., Napoli, Voyage pittoresque, 2006; E ad., Istituti religiosi femminili a Napoli dal 1600 al 1861, Napoli, Voyage pittoresque, 2006; Carla Russo, I monasteri femminili di clausura a Napoli nel secolo XVII, Napoli, Istituto di Storia Medievale e Moderna, 1970. 6

  Sul meccanismo dell’impiego e della soprannumerarietà si rimanda a F. Cotticelli – P. M aione , Le istituzioni musicali a Napoli cit., pp. 28-35; L. T ufano, Il mestiere del musicista: formazione, mercato, consapevolezza, immagine, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli/ Il Settecento, a cura di F. Cotticelli e P. Maione, pp. 773-804. 7

  Sulla Cappella Reale si vedano: Ulisse Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in Il Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, a cura di Felice De Filippis e Ulisse Prota-Giurleo, Napoli, L’Arte Tipografica, 1952, pp. 1977; Hanns-Bertold Dietz , A Chronolog y of Maestri and Organisti at the Cappella Reale in Naples, 1745-1800, «Journal of the American Musicological Society» 35, 1972, pp. 379-406; F. Cotticelli – P. M aione , Le istituzioni musicali a Napoli cit.; P. M aione , Il mondo musicale seicentesco e le sue istituzioni: la Cappella Reale di Napoli (1650-1700), in La circolazione dell’opera veneziana nel Seicento, a cura di D. Fabris, Napoli, Turchini edizioni, 2005, pp. 309341; D. Fabris, Strumenti di corde, musici e congregazioni a Napoli alla metà del Seicento, «Note d’Archivio» 1, 1983, pp. 63-110; I d., La Capilla Real en las etiquetas de la corte virreinal de Nápoles durante el siglo XVII, in La Capilla Real de los Austrias. Música y ritual de corte en la Europa moderna, a cura di Juan José Carreras e Bernardo José García García, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2001, pp. 235-250; R alph K rause , Das musikalische Pano-

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napoletana, attiva tra XVII e XVIII secolo, simbolo dell’opulenza e del potere, il cui compito era quello di accompagnare le cerimonie religiose e mondane della corte. Fondata nel 1555 dal viceré Pedro de Toledo, la Real Cappella vide in Diego Ortiz il suo primo maestro. Da fine Cinquecento a metà Seicento, la Cappella raccolse attorno a sé compositori e soprattutto celebri organisti come Jean de Macque, Giovanni Maria Trabaci, Ascanio Majone, Andrea Falconieri, Filippo Coppola, Pietro Andrea Ziani, Alessandro Scarlatti. La Cappella Reale di Palazzo si contendeva la scena sacra con la Cappella della Cattedrale di Napoli, conosciuta anche come Cappella Musicale dell’Arcivescovado, formazione composta da voci e strumenti alle dirette dipendenze della Curia, il cui compito era quello di soddisfare l’offerta liturgica delle innumerevoli istituzioni sacre partenopee. Non a caso i decreti dei sinodi diocesani prescrivevano il ricorso ai musicisti della Cappella dell’Arcivescovo per solennizzare liturgie e cerimonie e bandivano pertanto il ricorso ai musicisti della Cappella Reale.8 Non mancavano poi cappelle musicali stabili legate a specifiche istituzioni. La più prestigiosa di esse era la compagine musicale del Tesoro di San Gennaro,9 ensemble destinato ad avere un ruolo di grande importanza nel tessuto artistico cittadino nel corso dei secoli. Fra Sei e Settecento rama am neapolitanischen Hofe: zur Real Cappella di Palazzo im frühen 18. Jahrhundert, «Studien zur italienischen Musikgeschichte» 15, Laaber: Laaber-Verlag, 1998 (Analecta Musicologica, 30), pp. 271-295 e I d., Documenti per la storia della Real Cappella di Napoli nella prima metà del Settecento, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici» 11, 1993, pp. 235-257. 8

  La questione viene ribadita dall’arcivescovo Caracciolo nel Sinodo del 1726. Per evitare abusi e spese superflue si prescriveva l’impiego della Cappella della Cattedrale e del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo in quanto uniche istituzioni alle dipendenze dell’arcivescovo. Il documento è citato da Claudio Bacciagaluppi, Rom, Prag, Dresden: Pergolesi und die Neapolitanische Messe in Europa, Kassel, Bärenreiter, 2010, pp. 72-73. Tuttavia si riscontra soprattutto nelle istituzioni di regio patronato l’impiego di musicisti e i cantanti provenienti dalla prestigiosa Real Cappella a provvedere alla musica. Cfr. il saggio di A. Fiore in questo stesso volume, pp. 112-114. Sull’argomento si veda anche: A. Fiore , La Chapelle du Palais Royal, la cour et les couvents dans le vice-royaume de Naples, in Musique de la foi, musique du pouvoir – Musiques religieuses d’apparat dans les cours régnantes d’Europe au temps de Louis XIV, Versailles, Centre de Musique Baroque de Versailles, in corso di stampa. 9

  La minuta ricostruzione delle vicende artistiche e musicali della Cappella di San Gennaro si ritrova nel volume: M arta Columbro – Paologiovanni M aione , La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro di Napoli tra Sei e Settecento, Napoli, Turchini edizioni, 2008.

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si susseguirono alla sua guida Filippo Coppola, Giovanni Cesare Netti, Francesco Provenzale, Cristofaro Caresana, Nicola e Lorenzo Fago, Paolo Orgitano etc. Anche la Casa Santa dell’Annunziata,10 celebre istituto di accoglienza dedito alla cura dell’infanzia abbandonata, teneva particolarmente al servizio musicale. In quanto istituto caritativo formava e istruiva fanciulli e giovani figlie anche tramite la musica, e soprattutto si avvaleva di un complesso musicale stabile di cantori e strumentisti. Si succedettero all’Annunziata nella seconda metà dei Seicento Giovanni Maria Sabino, in carica fino al 1649, anno della sua morte, cui fece seguito per un solo anno il fratello Antonino Sabino, già primo organista dell’Annunziata, e ancora Filippo Coppola allievo dello stesso Sabino. Come l’Annunziata, le numerose istituzioni assistenziali maschili e femminili ebbero un ruolo centrale nella formazione e nella circuitazione dei musicisti.11 Fondamentali per Napoli furono i quattro conservatori maschili, istituti caritativi e al contempo scuole di musica in cui si formarono figure musicali di alto profilo poi assurte alla notorietà nella capitale del regno, come Francesco Provenzale, Alessandro Scarlatti, Giovanni Paisiello o Niccolò Piccinni. A partire infatti dalla metà del Cinquecento i Conservatori di Santa Maria di Loreto, Pietà de’ Turchini, Sant’Onofrio e Poveri di Gesù Cristo ospitarono ragazzi orfani per dare loro un’educazione finalizzata ad una occupazione. Gli allievi venivano istruiti anche nel canto e nella musica, per contribuire alle diverse esigenze liturgiche degli istituti, poi man mano l’attività musicale si sviluppò in modo professionale.12 10

  Sull’attività musicale dell’Annunziata si veda M. Columbro, Le fonti musicali nella Conservatoria del patrimonio storico, artistico ed archivistico dell’ex Reale Casa Santa dell’Annunziata di Napoli, in Fonti d’archivio cit., pp. 42-78. 11

  Soprattutto i conservatori femminili, ritiri, educandati, ospizi e ospedali furono impegnati nell’arginare le condizioni di una povertà dilagante in seguito anche alla crisi economica e politica che colpì la città di Napoli nel XVII secolo. Cfr. il saggio di A. Fio re in questo stesso volume, pp. 99-124. 12

  Sull’attività dei quattro conservatori maschili si vedano: Salvatore Di Giacomo, I quattro antichi Conservatorii di musica a Napoli, 2 voll., Palermo, Sandron, 1924-1928; F. Cotticelli – P. M aione , Onesto divertimento cit.; Rosanna Del Prete , La trasformazione di un istituto benefico-assistenziale in scuola di musica: una lettura dei libri contabili del conservatorio di S. Maria di Loreto di Napoli (1583-1703), in Francesco Florimo e l’Ottocento musicale, a cura di Rosa Cafiero e Marina Marino, Reggio Calabria, Jason, 1999, vol. II, pp. 671-715.

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I musicisti attivi nelle diverse istituzioni napoletane erano in genere affiliati a specifiche corporazioni e congregazioni. Si trattava di vere società assistenziali che svolgevano un ruolo di tutela nei confronti dei propri componenti e regolamentavano il diritto di esecuzione in pubblico e di insegnamento della musica.13 Dal 1640 in poi a Napoli figurano una numerosa serie di congregazioni di musicisti, fra cui Santa Maria degli Angeli, San Giorgio, Santa Brigida. Gli stessi musicisti della Real Cappella si raccolsero nel tempo in una propria confraternita sotto l’egida di Santa Cecilia che aveva sede orginariamente presso la chiesa del conservatorio di Nostra Signora della Solitaria di Napoli e successivamente nella chiesa di Santa Maria di Montesanto. I musicisti affiliati godevano del pagamento dei giorni di malattia e di messe in suffragio della loro anima. Alle numerose istituzioni cittadine si aggiunge poi l’impiego di musicisti presso i palazzi della nobiltà, la presenza di maestri presso le dimore aristocratiche permetteva infatti di offrire un’adeguata educazione musicale ai figli dell’aristocrazia. Il patriziato napoletano ospitava di buon grado esecuzioni musicali, organizzava intrattenimenti musicali, ricreazioni e ricevimenti. Alcuni nobili beneficiavano di un maestro di cappella alle proprie dipendenze assieme a piccoli gruppi di musicisti.14 L’appartenenza alla Real Cappella piuttosto che all’ensemble della Cattedrale permetteva al contempo ai musicisti di essere attivi nelle confraternite, oppure di interagire con i conservatori e i monasteri in veste di semplici maestri di musica e ancora di essere coinvolti nelle stagioni operistiche dei teatri cittadini. Raramente infatti un musicista attivo a Napo-

13

  Sull’argomento: Ausilia M agaudda – Danilo Costantini, Attività musicali promosse dalle confraternite laiche nel Regno di Napoli (1677-1763), in Fonti d’archivio cit., pp. 79-204; M arta Columbro – Eloisa Intini, Congregazioni e Corporazioni di musici a Napoli tra Sei e Settecento, «Rivista Italiana di Musicologia» 33, 1998, pp. 41-76; A. Fiore , La Cappella di Santa Cecilia dei Musici di Palazzo di Napoli. Nuove acquisizioni dall’Archivio del Conservatorio della Solitaria, «Fonti Musicali Italiane» 17, 2012, pp. 25-44. 14

  Cfr. L. T ufano, Accademie musicali a Napoli nella seconda metà del Settecento: sedi, spazi, funzioni, «Quaderni dell’Archivio Storico», Istituto Banco di Napoli, 2005/2006, pp. 113178; A. M agaudda – D. Costantini, Aurora Sanseverino (1669-1726) e la sua attività di committente musicale nel Regno di Napoli, con notizie inedite sulla napoletana Congregazione dei Sette Dolori, in Giacomo Francesco Milano e il ruolo dell’aristocrazia nel patrocinio delle attività musicali nel secolo XVIII, a cura di Gaetano Pitarresi, Reggio Calabria, Laruffa, 2001, pp. 297-415.

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li era legato ad un’unica istituzione, in genere negli stessi anni ricopriva ruoli molteplici per conto di istituzioni differenti. Ritroviamo pertanto maestri di cappella come Nicola Fago presso le monache domenicane del Divino Amore e al monastero di San Gaudioso, a Regina Coeli erano attivi Giuseppe e Nicola Conti mentre Francesco Durante era maestro di cappella al conservatorio di Sant’Eligio. Giuseppe De Bottis era invece maestro di cappella al conservatorio della Solitaria e contemporaneamente al collegio di Santa Maria delle Grazie presso il ritiro di Mondragone. Andrea Amendola alla guida della cappella dell’Arcivescovado era impiegato anche presso il monastero della Santissima Trinità e similmente provvedeva all’apparato musicale nella festività delle benedettine dei SS. Marcellino e Festo e di Santa Patrizia, San Gregorio Armeno e del monastero della Provvidenza.15 Nicola di Napoli era maestro di viola delle educande del conservatorio di San Gennaro, mentre Pietro Marchitelli, primo violino della Cappella Reale e al San Bartolomeo, istruiva nel violino le figlie ospiti del Conservatorio della Solitaria.16 Vi sono poi casi eccezionali di musicisti estremamente dinamici, i cui nomi si impongono decisamente sulle scene napoletane. Ad esempio Francesco Feo, formatosi presso il Conservatorio della Pietà de’ Turchini, attivo come operista al Teatro San Bartolomeo, maestro al Conservatorio di Sant’Onofrio e successivamente dei Poveri di Gesù Cristo, collabora contemporaneamente con la Cappella dell’Annunziata, il monastero di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone, la congregazione dei nobili eretta dentro la Casa professa del Gesù, la chiesa di Santa Maria delle Grazie alla Pietra del Pesce, il Monastero della Santissima Trinità, la chiesa delle Anime del Purgatorio ad Arco e ancora la chiesa del Monte della Madonna dei Poveri. Stesso dicasi per Gaetano Veneziano, Cristoforo Caresana, Domenico Sarro, Leonardo Leo, nomi di primo piano della scuola napoletana. Ma non stupisce di riscontrare la stessa poliedricità anche in personalità poco conosciute.

15

  Cfr. F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi, 1732-1733 cit.

16

  Cfr. A. Fiore , Oltre le grate: percorsi storico-musicali al Conservatorio di Nostra Signora della Solitaria di Napoli, Napoli, Turchini edizioni, 2010; E ad., Cerimoniali musicali presso il Conservatorio di Nuestra Señora della Soledad di Napoli, in Fiesta y ceremonia en la corte virreinal de Nápoles (siglos XVI y XVII), Madrid, Centro de Estudios Europa Hispánica, 2013.

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I celeberrimi studi di Prota-Giurleo, Croce, Di Giacomo17 uniti alle più recenti ricerche di studiosi delle fonti d’archivio napoletane, forniscono uno spaccato della vita spettacolare partenopea attraverso il reperimento di molti documenti dell’Archivio di Stato18 e dell’Archivio Storico del Banco di Napoli,19 come pure numerosi rimandi si riscontrano nelle cronache e gazzette dell’epoca.20 Preziosi indizi sulle maestranze attive nella capitale del Viceregno vengono forniti anche dagli studi sulla condizione sociale dei musicisti e dei loro committenti,21 sulle singole carriere,22 sull’attività di specifiche istituzioni,23 su congregazioni, confraternite e società assistenziali che tutelavano il mestiere del musicista.24

17

  U. Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte cit.; B. Croce , I Teatri di Napoli cit.; S. Di Giacomo, I quattro antichi Conservatorii cit. 18

  D. Fabris, Dal Medioevo al decennio napoleonico e oltre, cit.

19

  Lo spoglio dei giornali copiapolizze di cassa degli antichi istituti di credito napoletani custoditi presso l’Archivio Storico dell’Istituto Banco di Napoli ha fatto emergere numerosi ed importanti riferimenti su musica e spettacolo a Napoli fra 1726 e 1736. Cfr. P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit.; F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi, 1732-1733 cit.; Iid., Le carte degli antichi banchi, 1726-1736 cit. 20

  Cfr. Thomas E. Griffin, Musical references in the Gazzetta di Napoli, 1681-1725, Berkeley (Calif.), Fallen Leaf Press, 1993; A. M agaudda – D. Costantini, Musica e spettacolo nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della ‘Gazzetta’ (1675-1768), Roma, Ismez, 2009. 21

  Cfr. K eith A. L arson, Condizione sociale dei musicisti e dei loro committenti nella Napoli del Cinque e Seicento, in Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, a cura di Lorenzo Bianconi e Renato Bossa, Firenze, Olschki, 1983, pp. 63-77. 22

  Cfr. D. Fabris, Andrea Falconieri Napoletano. Un liutista-compositore del Seicento, Roma, Torre d’Orfeo, 1987. 23

  Cfr. M. Columbro, Le fonti musicali nella Conservatoria cit.; M. Columbro – P. M aione, La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro, cit.; A. Fiore , Oltre le grate cit.; E ad., Cerimoniali musicali cit.; E ad., La Cappella di Santa Cecilia dei Musici di Palazzo di Napoli cit. 24

  D. Fabris, Strumenti di corde cit.; I d., Istituzioni assistenziali e congregazioni di musici a Napoli e nell’Italia meridionale durante il viceregno spagnolo, in Confraternite, chiesa e società, a cura di Liana Bertoldi Lenoci, Fasano, Schena, 1994, pp. 779-800; A. M agaudda – D. Costantini, Attività musicali promosse dalle confraternite laiche nel Regno di Napoli (16771763) cit.

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Tuttavia nonostante su molti aspetti della scuola musicale napoletana e sui protagonisti di essa si sia fatta adeguata luce, ad oggi manca una comparazione organica e sistematica delle fonti a disposizione che permetta la ricostruzione delle vicende artistiche e biografiche di decine e decine di musicisti celebri e sconosciuti. Solo l’analisi, l’attenta lettura e il confronto fra fonti antiche e recenti può permettere una ricostruzione attendibile dell’attività e della circuitazione dei musicisti fra le diverse istituzioni sia civili che religiose. Da qui la necessità di uno strumento che metta in relazione le diverse informazioni riemerse dallo spoglio di fonti di diversa natura, utili a ricostruire i percorsi biografici di artisti noti e meno noti, a definire le carriere dei professionisti della musica.25 2. Il progetto ‘Musico Napolitano’ Il progetto intende creare un database contenente informazioni sui musicisti attivi nelle diverse istituzioni cittadine di Napoli. Nel database confluiranno informazioni provenienti da diverse fonti: innanzitutto si partirà da un vasto spoglio della bibliografia esistente al fine di reperire e inventariare i dati già pubblicati. Questo consentirà di incrociare e riportare alla luce notizie riguardanti centinaia di musicisti e la loro apparte25

  Il progetto Musico Napolitano nasce nel 2014 presso l’Istituto di Musicologia dell’Uni­ ver­sità di Fribourg diretto da Luca Zoppelli; grazie al sostegno del pool de recherche dell’Uni­ver­sità di Fribourg è stato infatti possibile avviare la creazione del database, la cui apertura e pubblicazione è prevista per la fine del 2015. Il comitato editoriale è composto da Claudio Bacciagaluppi e Angela Fiore, la realizzazione informatica è di Rodolfo Zitellini. L’idea del progetto scaturisce dalla difficoltà riscontrata dagli stessi autori nel comparare le numerose fonti edite oggi a disposizione. Tuttavia l’intenzione del progetto non è quella di rendere fruibili online ricerche e dati editi in precedenza e per opera di altri studiosi, ma esso si propone di creare uno strumento informatico che permetterà di far dialogare i dati delle fonti d’archivio oggetto delle tante autorevoli pubblicazioni più volte citate all’interno di questo volume. Un indice dunque di semplice consultazione, che avrà la possibilità di essere continuamente aggiornato e che mira ad essere uno strumento di sostegno agli studiosi delle fonti napoletane. Il comitato editoriale inoltre ringrazia gli studiosi Marta Columbro, Francesco Cotticelli, Paologiovanni Maione che hanno gentilmente messo a disposizione i file word delle trascrizioni dei documenti da loro pubblicati in M. Columbro – P. M aione, La Cappella musicale del Tesoro di San Gennaro cit., P. M aione , Le carte degli antichi banchi cit. e F. Cotticelli – P. M aione , Le carte degli antichi banchi, 1732-1733 cit.

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nenza a specifiche istituzioni della città. In una tappa immediatamente successiva, il programma di lavoro prevede l’inserimento di dati archivistici ancora non editi tratti da fonti documentarie conservate nei numerosi fondi archivistici della città di Napoli, quali: Archivio di Stato, Archivio Diocesano, Conservatorio di S. Pietro a Majella, Archivio del Banco di Napoli, Archivio Municipale. Il progetto beneficerà di numerosi dati provenienti da progetti di ricerca attualmente in corso a cura degli autori.26 Nelle ‘maestranze’ oggetto d’indagine sono intese tutte quelle persone coinvolte nelle diverse realtà musicali: non solo i musicisti in senso stretto (cantanti, suonatori, maestri di cappella), ma anche tutti quei nomi di professioni legate al mondo dello spettacolo (librettisti, impresari, scenografi, ballerini), che si rivelano importanti anelli per la ricostruzione del tessuto spettacolare e musicale partenopeo. È al vaglio la possibilità di includere anche i nomi di committenti e dedicatari, quali anelli di una catena ininterrotta che dall’occasione ricreativa o sacra porta alla singola esecuzione musicale. Il formato elettronico della banca dati, del resto, rende agevole l’aggiunta di nuove categorie di classificazione, oltre che naturalmente di nuovi nomi. La prima fase del lavoro sarà dedicata all’impostazione del programma informatico e alla definizione dei criteri metodologici. Lo sviluppo del software prevede l’implementazione di un sistema di catalogazione online mirato a contenere i dati prodotti dal progetto. Il risultato sarà un prototipo del database già utilizzabile dai collaboratori. La seconda fase del lavoro si articolerà attraverso la produzione di schede contenenti dati già pubblicati in altra forma, che permetteranno di avviare il database. La terza fase del lavoro vedrà la pubblicazione e contemporaneamente l’apertura del database verso collaboratori esterni, in vista dell’immissione di dati archivistici inediti. La banca dati prevede l’immissione online dei dati, pertanto la partecipazione di collaboratori anche geograficamente 26

  Si tratta delle ricerche di Angela Fiore nel contesto della tesi di dottorato («Musica nelle istituzioni religiose femminili napoletane 1650-1750», progetto diretto da Luca Zoppelli presso l’Università di Fribourg e finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica) e di Claudio Bacciagaluppi per conto del Centro Studi Pergolesi dell’Università di Milano, diretto da Claudio Toscani, nell’ambito dell’Edizione Nazionale di Giovanni Battista Pergolesi (ricerche finanziate con una borsa di studio del Fondo nazionale svizzero, «Text and context of selected sacred compositions by Giovanni Battista Pergolesi, 1710-1736»).

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lontani è assai agevole. Ogni studioso desideroso di contribuire riceverà, dopo l’approvazione del comitato editoriale, un codice d’accesso per poter inserire nuovi dati. Il database verrà gestito dal punto di vista scientifico da un comitato editoriale. L’infrastruttura informatica verrà mantenuta aggiornata da un programmatore. A un servizio informatico istituzionale sarà affidato il mantenimento a lungo termine dello spazio server. I dati resteranno esportabili in qualsiasi momento in un formato appropriato di interscambio. Ogni individuo verrà presentato in una scheda composta dalle seguenti categorie: Nome Si riporterà il nominativo dell’artista così come compare nei documenti, con le possibili varianti, appellativi, nomignoli. Nome standardizzato La categoria offre la possibilità di aggiungere le date di nascita e di morte o brevi cenni biografici (ove reperibili). Periodo di attività Si riporteranno gli estremi cronologici o la data del documento. Ruolo Verrà indicata, ove possibile, l’attività o ruolo che ricopre la persona nominata. I ruoli saranno scelti da una lista predefinita, con la possibilità di aggiungere nuovi termini. Istituzione di appartenenza Le istituzioni saranno scelte da una lista predefinita, con la possibilità di aggiungere nuovi termini. Riferimenti bibliografici Fonti archivistiche.

Sono previste varie possibilità di accesso ai dati. Vi saranno in primo luogo le risorse tradizionali di search e browse: una ricerca testuale libera e la possibilità di scorrere i diversi indici. Tutte le categorie elencate saranno accessibili in questi due modi fondamentali, tranne il periodo di attività. Per quest’ultimo sarà implementata una ricerca per data attraverso una ghiera temporale (slider). Un motore di ricerca ‘approssimato’ ( fuzzy) permetterà infine di ottenere risultati significativi nonostante la variabilità ortografica dei nomi nelle fonti archivistiche originali. Questo infatti, oltre a elencare i casi d’identità fra la stringa di testo immessa e i dati conte-

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nuti nell’indice, suggerisce anche alcune varianti che in base a un apposito algoritmo riesce a identificare come alternative plausibili. Ad esempio, una ricerca attraverso la parola «Scarlati» riporterà d’un lato tutte le precise occorrenze di «Scarlati» nella banca dati, ma proporrà all’utente anche ortografie alternative come «Scarlatti» o «Scarlata». 3. Contesto metodologico Il contesto metodologico in cui si colloca la presentazione dei dati online è duplice: il campo delle digital humanities e la network theory. Il primo, un approccio trasversale alle singole discipline umanistiche,27 parte dal presupposto che la specificità del supporto offre l’opportunità per sviluppare nuove conoscenze. Nel caso specifico, utilizzando gli strumenti informatici si vengono a creare relazioni significative all’interno dei dati raccolti che non sarebbe stato possibile mettere in evidenza utilizzando metodi non computazionali. La metodologia è dunque perfettamente complementare alla thick description e al close reading dei documenti che si applica negli studi culturali ispirati all’antropologia.28 Gli strumenti delle digital humanities si sono finora sviluppati più approfonditamente negli studi letterari e nelle scienze sociali. Del resto, questi rappresentano storicamente la culla delle digital humanities: nel 1949, padre Roberto Busa avvia una collaborazione con la IBM per realizzare elettronicamente le concordanze di San Tommaso d’Aquino.29 Il corpus della letteratura mondiale è accessibile in porzioni sempre più vaste in formato elettronico, e ricercare le occorrenze di una parola o di una frase in un determinato contesto è un compito agevole; all’epoca era una sfida, e il progetto di Busa è oggi con27

  Per un’introduzione all’argomento si vedano A lan L iu, The state of the digital humanities. A report and a critique, «Arts & Humanities in Higher Education» 11, 2011, pp. 8-41; David Berry, Introduction, in Understanding Digital Humanities, a cura di David Berry, Basing­stoke, Palgrave Macmillan, 2012, pp. 1-20. 28

  Cfr. Clifford Geertz , The interpretation of cultures: selected essays, New York, Basic Books, 1973 e New perspectives on historical writing, a cura di Peter Burke, Cambridge, Poli­t y Press, 1991. 29

  Roberto Busa, «Foreword: Perspectives on the Digital Humanities», in A Companion to Digital Humanities, a cura di Susan Schreibman, Ray Siemens e John Unsworth, Ox­ford, Blackwell, 2004 (, consultato il 25.2.2014).

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siderato l’atto di fondazione delle digital humanities. In campo musicologico, possiamo ricordare il lavoro pionieristico di Eleanor Selfridge-Field, e la serie di pubblicazioni «Directory of computer assisted research in musicology» – più tardi «Computing in musicology» – fondata nel 1985. È possibile distinguere due aspetti principali nell’applicazione di metodi computazionali negli studi umanistici: la gestione di una grande mole di informazioni e la visualizzazione grafica dei risultati della loro analisi. Per quanto riguarda l’aspetto quantitativo, è facile prevedere che nell’analisi computazionale di Big Data i risultati saranno differenti, e probabilmente in maniera significativa, da quanto è possibile intuire nello studio personale di un corpus. I metadata, e in particolare le notizie bibliografiche, permettono analisi di un numero altrimenti inimmaginabile di dati. Un esempio recente è il progetto londinese «A Big Data History of Music» (2014-2015), frutto della collaborazione tra il Royal Holloway e la British Library. Il progetto ha come oggetto la circolazione di musica tra il 1500 e il 1900 attraverso l’analisi dei dati convogliati da sette banche dati biblio­ grafiche esistenti, per un totale di cinque milioni di schede descrittive di fonti od opere musicali.30 Nell’analisi del contenuto di documenti storici, invece, si possono menzionare vari progetti online che estraggono nomi e date da un corpus di documenti per ordinarli in indici, permettendone una lettura puntuale e trasversale. Una opportuna presentazione permette, attraverso la sovrapposizione di più indici, di mettere in relazione dati che nelle fonti si trovano in contesti remoti. Una scelta di lettere di Mozart è stata pubblicata con questa prospettiva metodologica da Cliff Eisen nel 2011.31 Prendiamo altri due esempi pubblicati dall’ufficio svizzero del RISM. Una lista di brani eseguiti nel primo Ottocento nelle funzioni liturgiche festive del convento benedettino di Einsiedeln è stata trascritta e corredata di tre indici: per data, per compositore e per festività religiosa.32 I programmi di sala dei concerti organizzati dal conservatorio di Lau­sanne dall’Ottocento alla fine del Novecento permette di seguire l’evoluzione 30

  Cfr. la presentazione di Stephen Rose al convegno IAML ad Anversa nel luglio 2014 (, consultata il 25.2.2014). 31

  Cfr. Cliff Eisen et al., In Mozart’s Words (), versione 1.0, HRI Online, 2011, consultata il 25.2.2014. 32

  Cfr. , consultata il 25.2.2014.

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del gusto (e dei programmi d’esame).33 La possibilità di una ricerca fuzzy all’interno di Musico Napolitano rappresenta qui un’innovazione. Il motore di ricerca propone soluzioni su un continuum di probabilità, permettendo di ottenere risultati anche al di fuori dell’indice dei nomi standardizzati. In questo modo, pur se l’identificazione di un personaggio menzionato nei documenti è incerta, il nominativo non rischia di scomparire nella massa delle informazioni non indicizzate. Per quanto riguarda la presentazione dei risultati dell’analisi, questa può già di per sé produrre un salto di qualità epistemologico. Da questa premessa, o ipotesi, alla base delle digital humanities sono nati molti studi attorno alla visualizzazione di dati estratti da testi letterari o archivistici, e persino da rilievi archeologici. In questo senso sono vicine allo spirito dell’indice Musico Napolitano le numerose visualizzazioni di città legate a progetti realizzati dal «Center for Spatial and Textual Analysis» dell’università di Stanford, dalla mappa interattiva di Roma antica alla ricostruzione del contesto urbanistico e sociale di Rio de Janeiro nell’Ottocento.34 Un approccio simile si riscontra nel database del progetto Musici, strumento che fornisce numerosi riferimenti sui musicisti europei emigrati in Italia nelle città di Venezia, Roma e Napoli fra XVII e XVIII secolo.35 Esperimenti volti alla visualizzazione spaziale di dati bibliografici sono attualmente in corso presso RISM, nell’ambito della serie online A/II e della conversione online dei volumi bibliografici sulle stampe musicali dal 1500 al 1800.36

33

  Cfr. , consultata il 25.2.2014.

34

  Cfr. il sito del centro () e dei singoli progetti su Roma () e su Rio de Janeiro (), consultato il 25.2.2014. 35

  Il database rappresenta il risultato finale del progetto internazionale di ricerca «Musicisti europei a Venezia, Roma e Napoli (1650-1750): musica, identità delle nazioni e scambi culturali» sostenuto dall’Agence Nationale de la Recherche e dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft. Cfr. , consultata il 13.11.2014. 36

  Cfr. M arnix Van Berchum – L aurent P ugin, Visualising large data sets of music bibliographical records, presentazione al convegno IAML ad Anversa nel luglio 2014 (, consultata il 25.2.2014).

MUSICO NAPOLITANO

223

In stretta relazione con le possibilità computazionali di visualizzazione dei dati è la seconda fonte di ispirazione metodologica nella presentazione dei dati contenuti in Musico Napolitano, la cosiddetta network theory.37 L’analisi di una fonte permette l’identificazione di relazioni che possono essere visualizzate come una ‘rete’ composta di ‘vertici’, o ‘nodi’, e ‘spigoli’ che li collegano. Tipicamente, la teoria si può applicare a relazioni sociali. È importante, al fine di utilizzare proficuamente il concetto di network, mettere in evidenza relazioni socialmente significative. Se viene messa sullo stesso piano qualsiasi tipo di relazione presente nel corpus – ossia, se ogni compresenza di due nomi in uno stesso documento d’archivio produce un ‘nodo’ nella rete – la significatività del risultato è molto bassa. Per prendere un esempio napoletano, la relazione tra un agente incaricato di effettuare i pagamenti per conto di una banca e il singolo musicista è relativamente fortuita, sebbene periodicamente, a ogni versamento di stipendio, si venga a creare un legame tra questi personaggi in un documento conservato nell’archivio storico del Banco di Napoli. Costruendo invece reti legate a più variabili contemporaneamente, legando cioè i nominativi ai loro ruoli oppure alle loro istituzioni di appartenenza, le relazioni che si possono osservare sono invece potenzialmente molto più significative. Si rende così possibile un’indagine sul noto fenomeno delle maestranze operanti su più fronti, con più datori di lavoro, addirittura con più ruoli. I musicisti attivi in città si muovevano isolatamente, oppure erano organizzati in ensembles non designati ufficialmente come tali? Ossia, esistevano ‘reti’ informali al di fuori delle cappelle stabili, magari nate all’interno delle congregazioni dei musicisti? Quali erano gli scambi di ruolo più comuni, oltre a quelli più ovvi come tra violini e viole, flauti e oboi, trombe e corni? A queste e molte simili domande, l’applicazione della network theory ai dati archivistici raccolti in Musico Napolitano può contribuire a dare risposte plausibili.

37

  M ark E. J. Newman, Networks: an introduction, Oxford: Oxford University Press, 2010; Claire L emercier , Formale Methoden der Netzwerkanalyse in den Geschichtswissenschaften: Warum und Wie?, «Österreichische Zeitschrift für Geschichtswissenschaften / Austrian Journal of Historical Studies» 23, 2012, pp. 16-41.

224

CLAUDIO BACCIAGALUPPI, ANGELA FIORE, RODOLFO ZITELLINI

Conclusioni Il progetto Musico Napolitano intende dunque far interagire vecchie e nuove testimonianze documentarie attraverso un indice semplice da con­sultare e in continua fase di aggiornamento, i cui dati confluiranno nel tempo e per opera di più studiosi. La banca dati fornirà non solo indicazioni biogra­ fiche più circostanziate, ma soprattutto permetterà di osservare la presenza e l’integrazione dei musicisti nel tessuto urbano partenopeo, mettendo in evidenza, nell’ottica del confronto e della scoperta di richiami interni, la mobilità di essi sulla scena musicale partenopea, il loro status sociale e professionale. I dati forniti dal progetto mireranno inoltre ad ap­profondire le nostre conoscenze sulla professione musicale in epoca moderna. Appendice. Scheda tecnica Una base di dati informatica può essere creata sotto varie forme. Poiché l’accessibilità è uno degli scopi base di questo progetto, si è deciso di creare un’applicazione web che sia facilmente utilizzabile online. Il sistema informatico sottostante quindi deve assolvere vari scopi: memorizzare i dati e mantenere le relazioni tra di essi è ovviamente la parte più importante del software, ma allo stesso tempo deve essere sviluppata un’interfaccia che permetta poi agli utenti finali di consultare, modificare o immettere i dati. La struttura base dell’applicazione utilizza componenti e procedure di sviluppo standardizzate. Questo è importante per mantenere la compatibilità dei dati a lungo termine. In particolare la struttura interna con cui i dati sono memorizzati è progettata per rappresentare al meglio le relazioni tra i dati stessi, mentre l’interfaccia utente è costruita in modo che la creazione delle relazioni stesse sia automatica (ma controllata dal collaboratore). Questo permette, se fosse necessario in futuro, di cambiare completamente la parte di programma visibile agli utenti ma di mantenere i dati integri. Nonostante esistano numerose soluzioni per la base di dati, si è optato per utilizzare un database relazionale38 che permette di avere i dati in un formato relativamente standard e conosciuto. L’applicazione visibile dall’utente invece è sviluppata interamente in Ruby on Rails,39 di nuovo seguendo il più possibile tecnologie ampiamente note ed utilizzate. 38

  Il backend, cioè il sistema di memorizzazione, è interamente basato su MySQL . 39

  .

MUSICO NAPOLITANO

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I dati potranno inoltre essere convertiti in altri formati di memorizzazione, e, se necessario, essere importati in altri sistemi. Allo stesso modo dati provenienti da basi di dati esistenti possono essere convertiti ed immessi automaticamente in Musico. L’applicazione inoltre offrirà da subito due livelli differenti di accesso, utilizzatore e catalogatore, e sarà possibile facilmente aggiungere nuovi utenti catalogatori, in modo da incoraggiare future collaborazioni con altri studiosi.

Indice dei nomi

Il presente indice comprende i nomi di persone citati nel testo, esclusi i personaggi di fantasia e le figure mitologiche. Non sono stati indicizzati i nomi contenuti in citazioni di materiale d’archivio. In corsivo sono riportati i riferimenti a illustrazioni, tavole e appendici. Acciaro, Giuseppe 49 Acquaviva d’Aragona, Gian Geronimo (duca di Atri) 65 Adami, Andrea da Bolsena 36, 36n Aguilar, Giuseppe 158 Aguilar, Sante 133 Aitona (marchese di) → Moncada y Portocarrero, Guillén Ramón Alberti, Domenico 149n Albinoni, Tomaso 74, 125, 141, 144-145, 145n, 146, 146n, 155 Alcalay, Vera 143n Aldimari, Biagio 76n Alfonso II d’Este 37 Alton, Edwin A. 126n, 128n Álvarez de Baena, Joseph Antonio 66n Álvarez-Ossorio, Antonio 76n Amadei, Filippo (Pippo) 74-75 Amato, Mauro 160n, 162n, 166n, 167n Amendola, Andrea 215 Amico, Vito 23n Amorevoli, Angelo Maria 115 Annibaldi, Claudio 160n Antolini, Bianca Maria 162n Antonelli, Attilio 69n Antonelli, Pellegrino 131n, 158 Anzalone, Andrea 120n Anzi (marchese d’) → Carafa, Carlo Apa, Ottavio d’ 39 Arcoleo, Antonio 71 Arcos, Onofrio de 32n

Arnedo, Jacopo 24 Asola, Giuliano Matteo 55 Assia (langravio di) → Filippo d’AssiaDarmstadt Astarita, Tommaso 64n, 92n Astorga, Emanuele Rincón d’ 129n, 148 Atlas, Allan W. 196n, 198, 198n Atri (duca di) → Acquaviva d’Aragona, Gian Geronimo Aureli, Aurelio 83 Aurigemma, Maria Giulia 32n Aurissa, Niccolò 80n Avena Braga, Inês de 126n Avison, Charles 188-189, 196 Awbery, John 197 Aytona (marchese di) → Moncada y Portocarrero, Guillén Ramón Azzolino, Pompeo 71n Bacciagaluppi, Claudio 108n, 157, 185n, 190n, 198, 198n, 212n, 217n, 218n Bach, Johann Christian 196 Bach, Johann Sebastian 202n Baciocchi, Giovanni Tomaso 79 Bacq, Jaqueline 150n Bagliano, Stefano 143n Balbases (IV marchese di) → Spinola Colonna, Carlo Filippo Banti, Anna 130n Barbella, Francesco 128, 139, 141-142, 142n Barbieri, Patrizio 134n

228 Baroffio, Giacomo 21n Barone, Domenico Luigi 148n Barrett, John 188 Barsanti, Francesco 191, 192 Basadonna, Pietro (cardinale) 77, 77n Battipede, Carlo 158 Battistino → Stuck, Jean-Baptiste (Stuch, Giovanni Battista) Bellini, Vincenzo 163n Bellucci, Ermanno 17n Belvedere (principe di) → Carafa, Fran­ cesco Maria Benavides Dávila Corella, Francisco de (conte di Santisteban) 43, 63, 63n, 66, 68 Benavides y Aragón, Ana María 67, 71 Benedictis, Francesco de 91n Berchum, Marnix van 222n Berlini, Francesco 79, 80n Bernardini, Alfredo 125n, 134n Berry, David 220n Berryman, Brian 150n Berti, Alessandro Pompeo 76n Bertini, Salvatore 55 Bertoldi Lenoci, Liana 45n, 216n Besozzi, Alessandro 125 Besozzi, Antonio 131, 133, 158 Besozzi, Gaetano 158 Besozzi, Giuseppe 155, 158 Bettarini, Luciano 126n, 128n Beverini, Francesco 49n Bevilacqua, Francesco detto Ponzano 45 Bianchi, Lino 128n Bianconi, Lorenzo 16n, 63, 63n, 64n, 71n, 216n Binder, Christlieb Siegmund 153n Binitti (Benitti), Antonino 44, 46, 51, 51n Bisagi, Maria Natalizia 210 Biscogli, Francesco 127n Bissoli, Matteo 125 Bizzarini, Marco 145n Blavet, Michel 153n Boccadamo, Giuliana 102n, 117n, 118n Böhmer, Karl 134n

INDICE DEI NOMI

Bonson (esecutore?) 192 Boom, Jan Bernard van den 150, 150n Bornstein, Andrea 139n, 140n, 188n Borrelli, Giovanni 143n Bossa, Renato 64n, 216n Bottis, Giuseppe de 215 Boutry, Philippe 163n Bovio, Vincenzo 173 Bozzi, Detty 123n Bracciano (duca di) → Orsini, Flavio Brando, Filippo 158 Brando, Giuseppe 158 Bravo, Antonio 158 Brenk, Beat 20n Brinzing, Armin 151n Brook, Barry S. 138n, 147n, 152n, 197 Brover-Lubovsky, Bella 142n Brué (marchese di) → (?) Turinetti, Ercole (marchese di Prié) Bryant, David 100n, 210n Buontempo, Francesco Saverio 158 Buragna, Carlo 77 Burgarella, Pietro 24n, 25n, 27n Burke, Peter 220n Burney, Charles 127n, 185 Busa, Roberto 220, 220n Bussani, Giacomo Francesco 71 Cabezón, Antonio de 28 Cafaro, Pasquale 137, 161n Caffarelli, Filippo 152, 152n Caffro, Giuseppe 133 Cafiero, Rosa 160n, 161n, 162n, 165, 165n, 166, 166n, 169, 213n Cailò, Giovanni Carlo 143n, 144n Caldara, Antonio 128 Cameron, Jasmine 191, 191n Cantelmo Stuart, Giacomo (arcivescovo) 104 Cantone, Gaetana 209n Capece Minutolo (famiglia) 166n Capece Scondito, Vincenza 163 Capece, Carlo Sigismondo 71 Capone, Stefano 210n Cappone, Francesco Antonio 77

INDICE DEI NOMI

Capua, Bartolomeo di 137 Capua, Leonardo di 77 Caputi, Antonio → Caputo, Antonio Caputo, Antonio 137, 137n Caracciolo (famiglia) 166n Caracciolo, Carmine Nicolò (principe di Santobuono) 65n, 82 Caracciolo, Giuseppe 137, 137n Caracciolo, Innico (arcivescovo) 212n Carafa, Anna Beatrice (principesa della Scalea) 79 Carafa, Carlo (marchese d’Anzi) 80n, 86n Carafa, Francesco (de’ duchi d’Andria) 80n Carafa, Francesco Maria (III principe di Belvedere) 66, 76-93 Carafa, Giovanni (duca di Noja) 166n Carafa, Marzio (duca di Maddaloni) 83 Carafa, Pier Luigi 80n Carafa, Pompeo (duca di Noja) 166n Carafa, Tiberio (dei principi di Belvedere) 80n Carafa, Tiberio (principe di Chiusano) 80n Carapezza, Paolo Emilio 15, 15n, 20n, 55n Carazzi, Lorenzo 153n Cardona, Vincenzo 39 Careri, Enrico 65n, 128n Caresana, Cristofaro 109, 109n, 120, 120n, 213, 215 Carli Ballola, Giovanni 127n, 152n Carlini, Paolo 127n Carlo di Borbone (re di Napoli e Sicilia) 113, 137 Carlo II (re di Spagna) 68, 76n Carlo V (imperatore) 24 Carlo VI (re d’Ungheria) 112 Caroccia, Antonio 166n Carpio (marchese del) → Haro y Guzmán, Gaspar de Carreras, Juan José 17n, 18n, 211n Carrió-Invernizzi, Diana 92n Carusello, Mariano 31

229 Carvajal (Carleval, Carloval, Carlos Val, Carnovale), Gabriel de 32, 35-36 Carvajal, Gómez de 27 Casares Rodicio, Emilio 135n Castro, Carlo de 137n Casulana, Maddalena 55 Cataldi, Renata 138n Cattani, Lorenzo 87n Cecere, Carlo 146 Celano, Carlo 100, 100n Cerda Sandoval, Catalina de la (VII contessa di Lemos) 72n Cerda y Aragón, Luis de la (duca di Medinaceli) 63, 67n, 71n, 75, 75n, 78, 83, 84n Cervone, Francesco 131, 158 Cetrangolo, Annibale 65n Chevalier (Sevalié), Pietro → Fruttel, Pietro Chevalier, Leopold 151 Chirico, Paolo 49 Chissi, Jacome → Guisi, Giacomo Chiusano (principe di) → Carafa, Tiberio Cimarosa, Domenico 155 Clavijo Del Castillo, Bernardo 28, 28n, 32, 51 Clerk, John 186, 187n Collisani, Giuseppe 16n Collura, Paolo 24n Colombani, Quirino 128, 129n Colomer, José Luis 63n Colonna de la Cerda, Lorenza 82 Colonna di Stigliano, Giuliano (principe di Sonnino) 86, 89 Colonna, Filippo II 82-83, 84n, 85-86, 88, 90, 93 Colonna, Lorenzo Onofrio 63n, 85 Colonna, Marc’Antonio 83, 84n Colonna, Marcantonio (duca di Paliano) 27, 30, 37 Colturato, Annalisa 171n Columbro, Marta 119n, 134n, 212n, 213n, 214n, 216n, 217n Comes → Gomez, Giovanni

230 Confuorto, Domenico 69, 69n, 83n, 100, 100n, 116n Consolo, Nicola 122 Conti, Carla 118n Conti, Giuseppe 215 Conti, Nicola 215 Coppola, Filippo 212 Corelli, Arcangelo 74, 186, 189 Corena, Cherubino 132, 132n, 138, 138n, 158 Coresi, Antonia 85, 86n Corini, Lucia 138n, 140n, 188n Cosi, Luisa 123n Costantini, Danilo 64n, 65n, 66n, 73n, 75n, 76n, 81n, 86n, 101n, 112n, 123n, 129n, 136n, 144n, 147n, 170n, 214n, 216n Cotticelli, Francesco 17n, 18n, 63n, 101n, 102n, 117n, 122n, 123n, 126n, 131n, 134n, 135n, 137n, 209n, 210n, 211n, 213n, 215n, 216n, 217n Crescimbeni, Giovanni Mario 79, 80n Crespo, José Santiago 73n Creytens, Raymond 103n Croce, Benedetto 49n, 73, 73n, 76n, 145n, 170n, 210n, 216n Croes, Henri-Jacques de 149 Crotch, William 197 Croÿ-Havré, Maria Maddalena de 129 Cudworth, Charles L. 152n Curinga, Luisa 18n Cusman → Guzman D’Alessandro, Domenico Antonio 15n, 18n, 27n, 35n, 37n, 38n, 42n, 64, 64n, 71, 71n D’Angelo, Francesco Antonio 121 D’Arpa, Umberto 45n, 51n, 52n Daun, Wirich Philipp von (viceré) 112 D’Elia (Di Lia), Vincenzo 40, 51 De Donato, Girolamo 158 De Filippis, Felice 17n, 135n, 211n De Filippis, Pasquale 158 De Lellis, Carlo 100, 100n De Maio, Romeo 211n

INDICE DEI NOMI

De Martino, Pier Paolo 65n De Rosa, Carlo Antonio 143n Del Pane, Giuseppe 49 Del Pozzo, Francesco 24 Del Prete, Rosanna 213n DelDonna, Anthony R. 210n Della Libera, Luca 85n, 130n Della Monaca, Antonio → Monaco, An­ tonio Dellaborra, Mariateresa 126n Di Giacomo, Salvatore 17n, 27, 134n, 135n, 138n, 213n, 216, 216n Di Lia → D’Elia Di Marzo, Gioacchino 53n Di Napoli, Nicola 122 Di Pietro, Paolo → Pierro, Paolo Dia, Giuseppe (di) 46, 51, 51n Díaz de San Buenaventura, Francisco 83-84, 84n Dietz, Hanns-Bertold 211n Domínguez, José María 63n, 71n, 74n, 85n, 145n Donato, Giuseppe 15, 15n Drago, Cornelio 51 Drummond, Pippa 149n, 153n Dubowy, Norbert 142n Dunning, Albert 144n, 149n Durante, Francesco 55, 150n, 190, 215 Durazzo (famiglia) 173n Durazzo, Giacomo 159, 171-173, 173n Duron, Jean 67n Durso, Juan Angelo 120 Dyer, Joseph 22n Eisen, Cliff 186n, 221, 221n Eitner, Robert 151, 151n Elliot, Kenneth 187n Engelhardt, Markus 128n Erdozain, Carmelo 28n Errichelli, Pasquale 161n Everett, Paul J. 144n Fabbri, Paolo 165n Fabris, Dinko 16n, 17n, 27n, 45n, 64n, 92n, 100n, 108n, 109n, 115n, 210n, 211n, 216n

INDICE DEI NOMI

Facchiano, Annamaria 99n Fago, Lorenzo 213 Fago, Nicola 123, 145n, 213, 215 Falconieri, Andrea 115n, 212, 216n Fallico, Grazia 24n, 25n, 27n Fantappiè, Francesca 87n Faustina → Perugini, Faustina Felice, Giuseppe 158 Feo, Francesco 215 Fernández de Castro, Pedro (VII conte di Lemos) 72 Fernández-Santos, Jorge 91n Ferraro, Giuseppe 137n Ferraton, Yves 67n Fersini, Ippolito 40, 40n Fertonani, Cesare 126n, 146n Ficola, Daniele 16n Fidi, Pietro Antonio 49, 49n Figari, Pompeo 79 Filicaia, Vincenzo da 80 Filippelli, Nicola 158 Filippo d’Assia-Darmstadt 75 Filippo di Borbone 137 Filippo II (re di Spagna) 28, 30, 32n, 41 Filippo IV (re di Spagna) 51 Filippo V (re di Spagna) 74-75, 144n Filomarino, Ascanio (arcivescovo) 102n, 115 Fiore, Angela 45n, 50n, 54n, 106n, 108n, 112n, 114n, 119n, 121n, 157, 212n, 213n, 214n, 215n, 216n, 217n, 218n Fiorenza, Nicola 138n, 141, 143, 143n, 146 Fleetwood, John 136, 136n, 139n, 188, 188n Florimo, Francesco 145n, 159n, 161, 167 Fontanelli, Alfonso 37 Fornari, Matteo 74 Fragalà-Data, Isabella 171n Franchi, Saverio 52n, 129n, 130n Frederick (principe di Galles) 191 Frezzolino, Pietro Baldassarre 158 Fruttel, Piero 151 Fubini, Enrico 128n Fuidoro, Innocenzo 100, 100n

231 Fumagalli, Elena 91n Furnari, Francesco 33 Fusco, Pietro 81n Fusconi, Giulia 91n Gaetani d’Aragona, Pasquale 129 Galasso, Giuseppe 63n, 99n, 211n Gallo, Vincenzo 51 Galuppi, Baldassarre 172, 192 Gannino, Giuseppe 158 García García, Bernardo José 17n, 18n, 76n, 211n Garcia, Domingo 28 Garofalo, Luigi 23n, 24n, 30n, 32n, 41n, 43n, 44n Garofalo, Pietro 31 Garzi, Luigi 91n Gasparini, Francesco 186 Gaviero, Michele 158 Geertz, Clifford 220n Gennaro, Antonio di (duca di Cantalupo) 166n Geraso → Gerosa, Carlo Gerosa, Carlo 138n, 146, 148-150, 156 Gesualdo, Carlo (principe di Venosa) 15, 37 Giacobello, Sebastiano 166n Gialdroni, Teresa M. 87n Giani, Ugo 126n Giardini, Felice 204 Giazotto, Remo 145n Gierosa → Gerosa, Carlo Gimma, Giacinto 71n Giordano, Stefano 20n Giorgina → Voglia, Angela Maddalena Giovanni Domenico → Juan Domingo Giovanni Guglielmo (principe elettore del Palatinato) 70 Giron-Panel, Caroline 85n Giudice, Francesco del (cardinale) 78 Giustiniani, Vincenzo 130n Gluck, Christoph Willibald 196 Gnoffo, Domenico 22n Gomez, Giovanni 158 Gontieri, Francesco Maurizio 79

232 Gonzaga, Ferrante, principe di Molfetta 29 Gonzales (Conzales), Baldassarre 46, 46n, 47, 47n, 48, 48n Gonzales, Anna 48 Gonzales, Anna Maria 47 Gonzales, Dorotea 46 Gonzales, Ferdinando 47n Gonzales, Gaspare 47 Gonzales, Vincenzo jr. 47 Gonzales, Vincenzo sr. 46, 46n, 47 Goulet, Anne-Madeleine 80n, 85n Gramit, David 20n Granara, Giovanni Agostino 49-50 Granara, Giovanni Battista 49, 49n Granata, Antonio 34 Granata, Giovanni Domenico 28, 34, 36, 38 Grande, Tiziana 162n Gravina, Vincenzo 80n Greco, Franco Carmelo 209n Green, Douglass M. 151n Gregorio XVI (pontefice) 163 Griffi, Orazio 40 Griffin, Thomas E. 64n, 69n, 85n, 86n, 89, 89n, 90, 136n, 144n, 147n, 216n Grimaldi, Nicolò 187, 189 Grimani, Vincenzo 145, 145n Grippaudo, Ilaria 39n Gronefeld, Ingo 138n, 148 Guadagni, Gaetano 192 Guerrero, Francisco 36n, 55 Guisi, Giacomo 71 Guzman (Cusman, Gusman), Vincenzo de 31, 31n Guzmán, Enrico (conte d’Olivares) 38 Haberkamp, Gertraut 138n, 151n Halton, Rosalind 161n Händel, Georg Friedrich 65, 128, 129n, 134n, 145, 153n, 189n Hanley, Edwin 88n Hansell, Sven H. 144n Haro y Guzmán, Gaspar de (marchese del Carpio) 63, 63n, 64, 68, 70, 70n

INDICE DEI NOMI

Harrach, Aloys Thomas Raimund von 134 Harrer, Johann Gottlob 153n Hasse, Johann Adolph 127, 148, 148n, 149, 150, 150n, 152-153, 154, 154n, 156 Hawkins, John 186 Heartz, Daniel 185n Hermann-Herfort, Sabine 134n Hiley, David 20, 20n, 21 Hillis, Helen 99n Hirschberg, Jehoash 142n, 143n Hogwood, Christopher 186n Hortega, Jacinto de 120 Hotteterre, Jacques 128, 130, 136, 136n Hucke, Helmut 153n Hudson, Frederick 191n Hume, Robert D. 187n Humphries, Charles 133n, 148n, 188n Iacono, Sarah M. 161n Ignazio del Boè → Rion, Ignazio Illibato, Antonio 118n Infantado (duca del) → Silva y Mendoza, Gregorio de Innocenzo XI Odescalchi (pontefice) 78 Innocenzo XII (pontefice) 77, 106 Intini, Eloisa 214n Isgrò, Giovanni 20n Italia, Giuseppe de → Taglia Izzarelli, Francesco 158 Johnstone, Harry Diack 185, 190, 190n, 191n, 193, 196n, 197 Jommelli, Niccolò 137, 174, 185 Jordi, Filippo 39, 41 Juan Domingo → Granata, Giovanni Domenico Kamp, Cecilia Kathryn Freund van de 126n Kernfeld, Barry 74n, 145n Kindermann, Jürgen 152n Klöffler, Johann Friedrich 153n Knighton, Tess 18n Kolneder, Walter 125, 125n Koudal, Jens Henrik 151n, 153n Krause, Ralph 17n, 134n, 135n, 211n

INDICE DEI NOMI

Kroll, Mark 188n Kubitschek, Ernst 126n La Valle, Giuseppe 132n La Valle, Raffaele 29 Landon, H.C. Robbins 152n Larson, Keith A. 216n Lasso, Ferdinando di 55 Lasso, Orlando di 29, 55 Lattanzi, Alessandro 126n, 137n, 147n, 188n Laurelli, Domenico 158 Lazzari, Gianni 128n Le Chevalier, Amédée 151, 151n Lemercier, Claire 223n Lemos (VI conte di) → Ruiz de Castro, Fernando Lemos (VII conte di) → Fernández de Castro, Pedro Lemos (VII contessa di) → Cerda San­do­ val, Catalina de la Lemos (XI conte di) → Ruiz de Castro y Portugal, Ginés Fernando Lemos (XI contessa di) → Mendoza Silva Haro y Aragón, Catalina Lorenza Lenaerts, René 149n Leo, Leonardo 127n, 148, 150, 150n, 151, 156, 185, 194, 215 León, Virginia 76n Leonardo, Andrea di 23 Leonetti, Rosa 190n Leonio, Vincenzo 79 Leopoldo I (imperatore d’Austria) 77 Leri (Illiri), Juan (Giovanni) de 28, 28n, 31n Leri, Julio de 41 Li Rapi, Gerardo 42 Lionnet, Jean 40n Lippmann, Friedrich 34, 34n, 35, 35n, 134n Litta, Pietro 158 Liu, Alan 220n Liveri (barone di) → Barone, Domenico Luigi Lizio, Ferdinando 127n

233 Lizio, Giovanni 158 Lizio, Salvatore 158 Lleó, Vicente 63n Llorens Cisteró, José María 36n Lo Giudice (de Judice), Lorenzo 31, 39, 41 Lo Sano, Gines 33 Lopriore, Cecilia 139n Lotti, Antonio 186 Lulier, Giovanni Lorenzo 90 Luongo, Gennaro 102n, 131n Lupo, Luigi 128n Lütolf, Max 130n Maccavino, Nicolò 16n, 53n, 86n, 126n McGowan, Richard A. 133n McVeigh, Simon 142n, 143n, 194n Macque, Jean (Giovanni) de 15, 34, 34n, 35-36, 212 Macrì, Geltrude 27n Maddaloni (duca di) → Carafa, Marzio Magaudda, Ausilia 64n, 65n, 66n, 73n, 75n, 76n, 81n, 86n, 101n, 112n, 123n, 129n, 136n, 144n, 147n, 170n, 214n, 216n Magnani, Giovanni Antonio 79, 79n Maione, Paologiovanni 17n, 18n, 44n, 63n, 64, 64n, 65n, 101n, 117n, 119n, 122n, 123n, 126n, 131n, 134n, 135n, 136n, 137n, 209n, 210n, 211n, 212n, 213n, 215n, 216n, 217n Majo, Giuseppe de 150 Majone, Ascanio 212 Malchair, John ( Johann Baptist Malscher) 197 Mancini, Francesco 128, 128n, 129n, 136, 138, 139, 139n, 140-141, 144-145, 147148, 150n, 187, 187n, 188, 188n, 189n Mancini, Giorgio 17n Manna, Gennaro 55, 109n Mannelli, Carlo 144, 144n Manso, Simone 31, 33 Marcello, Alessandro 125 Marcello, Benedetto 186 Marchitelli, Pietro 121, 215 Marenzio, Luca 55

234 Maria Carolina (regina di Napoli) 166n Marianna d’Austria (regina madre di Spagna) 68 Marianna di Neoburgo (regina di Spagna) 68 Máriássy, István 149n Marino, Alessandro 55 Marino, Marina 160n, 162n, 166n, 213n Markstrom, Kurt Sven 133n, 173n Marpurg, Friedrich Wilhelm 127n Marti, Corina 188n Martini, Giovanni Battista 128n Marvin, Clara 40n Marx, Hans Joachim 129n, 134n Mastrangelo, Felice 48, 49n Mata y Arnas, Antonio de 68 Matranga, Girolamo 51, 51n Matrascia, Bartolomeo 47 Matrascia, Cesare 47 Matrascia, Francesco 47 Matrascia, Gaspare 47 Matrascia, Oliviero 47 Matrascia (Matracia), Onofrio 47 Matrascia (Matracia), Sigismondo 47 Mattei, Saverio 159, 165, 165n, 166n Matteis, Paolo de 91n Matthew, James E. 197 Mayer Brown, Howard 129n, 132n Medforth, Martin 188n Medici, Francesco Maria (cardinale) 87n Medina, Juan de 34, 36-39 Medinaceli (duca di) → Cerda y Aragón, Luis de la Meier, Kurt 133n Melamed, Daniel R. 202n Melani, Atto 87, 90 Mele, Giovanni Battista 128, 139, 141 Mendoza Silva Haro y Aragón, Catalina Lorenza (XI contessa di Lemos) 7374, 145n Merighi, Romano 79 Mersenne, Marin 130n Meylan, Raymond 127n, 148n, 150n, 151n, 153n

INDICE DEI NOMI

Micco, Domenico de 137, 137n, 146, 156 Migliavacca, Govanni Ambrogio 172 Milazzo, Giacomo ( Jacopo) di 23 Milazzo, Maria Maddalena 22n Milhous, Judith 187n Mirabello, Onofrio 120, 120n Miroballo, Antonio 137 Molfetta, principe di → Gonzaga Monaco, Antonio 137, 137n, 158 Monari, Giorgio 63n Moncada y Portocarrero, Guillén Ramón (marchese di Aitona) 66-68, 70-72, 76, 82, 91-92 Monente, Miguel 28 Monforte (Monforti), Rocco de 34 Mongitore, Antonino 23n, 41n, 45, 45n Montealegre, José Joaquín de (marchese di Salas) 148n Monteleone, Giuseppina 55n Morales, Cristóbal de 55 Morello, Antonio (Antonino) 39, 39n, 41 Moreni, Carla 171n Moroni, Gaetano 22n Mossi, Giovanni 143n Mozart, Wolfgang Amadeus 221, 221n Müller-Busch, Franz 126n Muniaci, Domenico 79 Muñoz, María José 63n Muntiliana (Montiliano), Girolamo 39 Muraro, Maria Teresa 38n Murata, Margaret 160n Napoli, Nicola di 122, 215 Nappi, Eduardo 72n Narciso, Giuseppe 158 Nardacci, Federica 39n Nascia (Nasca), Cesare 47 Nascia, Antonino 48 Neoburgo (duca di) → Giovanni Gugliel­ mo (principe elettore del Palatinato) Netti, Giovanni Cesare 213 Newman, Mark E.J. 223n Nicolini (Nicolino) → Grimaldi, Nicolò Nicolini, Nicola 83n Niederberger, Franz 158

INDICE DEI NOMI

Nigito, Alexandra 134n Nocerino, Francesco 132n Norimberghi, Camillo 34, 34n, 35, 35n Noseda, Gustavo Adolfo 171n Novi-Chavarria, Elisa 99n, 112n, 114n Obregón, Cristóbal 35 Ognate (conte di) → Vélez de Guevara, Íñigo Olivares, conte d’ → Guzmán Olivieri, Guido 135n, 143n, 144n, 146n Oñate (conte di) → Vélez de Guevara, Íñigo Orefice, Antonio 145 Orgitano, Paolo 213 Oristagno, Giulio 39, 45, 45n Orsini, Flavio (duca di Bracciano) 80, 80n Orta, Francesco 158 Ortiz, Diego 27, 212 Osthoff, Wolfgang 16n, 63n, 142n Ottoboni, Antonio 80-81, 92 Ottoboni, Pietro (cardinale) 74, 81, 145n Pacchiarotto, Francesco 158 Pacheco y Zúñiga, Juan Manuel Fernández (marchese di Villena) 144 Pacheco, Juan Francisco, duca d’Uceda 16n, 49, 49n Paganelli, Giuseppe Antonio 155 Pagano De Divitiis, Gigliola 186n Pagano, Roberto 15, 15n, 16n, 45n, 48n, 64n, 128n Paglia, Francesco Maria 78n Paisiello, Giovanni 185, 213 Palacios (Palacius), Juan de 28, 32, 36, 38, 51 Palazzolo, Antonino 29n Palella, Antonio 146, 150, 150n, 156 Palermo, Rosa di 49 Palestrina, Giovanni Pierluigi da 40n, 186 Paliano, duca di → Colonna Pallavicini, Niccolò 80n Palombi, Giuseppe 77 Pamphili (famiglia) 135n Pamphili, Benedetto (cardinale) 92 Pane, Giulio 71n

235 Paoloni, Paolo 49n Paolucci, Giuseppe (abate) 78n Papa, Francesco 132n, 138, 146, 148, 148n, 150, 158 Parente, Giuseppe 132n Pasca, Cesare 20n, 31, 32n Pasquini, Bernardo 90, 186-187 Passadore, Francesco 151n Paymer, Marvin E. 149n, 152, 152n, 154, 197 Peccheneda, Francesco 23, 23n, 24n Pedrell, Felipe 28n Pellegrino, Paolo 152n Pelliccia, Chiara 90n Perez, David (Davide) 54-55, 150, 186 Pergolesi, Giovanni Battista 146, 149n, 150n, 152, 152n, 153n, 154, 154n, 156, 185-186, 189, 191, 191n, 192, 193, 194, 196, 197, 198, 200-204, 218n Perti, Giacomo Antonio 71 Perugini, Faustina 85, 86n Petrobelli, Pierluigi 144n Petrucciani, Alberto 173n Piccinni, Niccolò 185, 213 Piedz, Anna Maria de 145n Pierro, Paolo 131, 135, 135n, 158 Pignatelli, Francesco (arcivescovo) 105, 113 Pio VII (pontefice) 163 Piperno, Franco 145n Pirri, Rocco 23n, 29, 29n, 30, 30n, 41, 41n Pirrotta, Nino 38n, 80n Pitarresi, Gaetano 16n, 53n, 65n, 73n, 129n, 214n Pitoni, Giuseppe Ottavio 45n Platti, Giovanni Benedetto 125 Podestà, Emilio 173n Pollaci Nuccio, Fedele 22n Pollice, Francescantonio 137n Pompilio, Angelo 21n Porpora, Nicola Antonio 132, 132n, 148, 185 Porta, Costanzo 55 Potenza, Antonio (Antonino) 37

236 Pottino, Filippo 20n Prota-Giurleo, Ulisse 17n, 71n, 131n, 132n, 135n, 137n, 148n, 150n, 209n, 211n, 216, 216n Provenzale, Francesco 16n, 48, 64, 91, 92n, 109, 143, 213 Pugin, Laurent 222n Quantz, Johann Joachim 127, 127n, 128, 128n, 133, 155 Quaranta, Elena 100n, 210n Quesada, Francesco 51, 51n, 54 Quesada (Chesada), Giacinto 46, 51, 51n, 52, 52n, 54 Quirante, José Vicente 63n Raben, Otto Ludvig 151n, 153n Ragazzi, Angelo 146 Ragusa (Ragosa), Mariano 39 Rava, Gennaro 158 Raval, Sebastián 36, 51 Redi, Francesco 80n Resta, Natale 158 Riedel, Fortunato 153n Ringmacher, Christian Ulrich 147, 147n Rion, Ignazio 133-134, 134n, 135-136, 155 Ríos, Eugenio de los 68 Ristori, Giovanni Alberto 131 Rizzo, Francesco 36, 38, 39 Roberto d’Angiò (re di Sicilia) 112n Robinson, Michael F. 131n, 135n, 138n, 190n Robledo, Luis 28n Rocco, Benedetto 20n Rodino, Pietro 49n Rodríguez, Fernando 29 Romanelli, Giovanni 210 Romano Colonna, Giovanni Battista 52, 52n Rondinella, Francesco 128, 161, 162, 164n, 167, 174 Rore, Cipriano de 55 Roseingrave, Thomas 189n Rospigliosi, Domenico 80n Rossi, Franco 151n

INDICE DEI NOMI

Rossi, Tommaso 126n Rostirolla, Gianfranco 128n, 129n Rotina (Rodina), Antonia 49n Roy, Bartolomeo 35, 37 Roy, Otto 130n Rubeo, Pietro Martinez 42, 43, 52 Ruge, Filippo 154n Ruggero I, re di Sicilia 21 Ruggero II, re di Sicilia 20-21, 23 Ruile-Dronke, Jutta 16n, 142n Ruini, Cesarino 45n Ruiz (Ruis), Luis de 28, 36, 51, 55, 55n Ruiz de Castro y Portugal, Ginés Fer­nan­ do (XI conte di Lemos) 66, 72-76, 82, 91-92 Ruiz de Castro, Fernando (VI conte di Lemos) 72 Ruspoli, Francesco Maria 130, 130n Russo, Carla 99n, 102n, 211n Russo, Ferdinando 158 Russo, Rosa 49 Sabadini, Bernardo 83 Sabatini, Francesco 122 Sabino, Antonino 213 Sabino, Giovanni Maria 213 Sacchetti, Matteo 80n Sacchini, Antonio 172 Sadie, Julie Anne 74n, 145n Sagredo, Niccolò 77 Salas (marchese di) → Montealegre, José Joaquín de Saliceti, Giuseppe 49 Sammartini, Giuseppe 125 Sancia di Maiorca (regina di Sicilia) 112n Sandberger, Adolf 29, 29n, 30 Sannazaro, Jacopo 79 Sanseverino, Aurora 65 Santa Claudia, Giovanni Bartolomeo da 45n Santini, Fortunato 95, 129n, 130 Santisteban (conte di) → Benavides Dávila Corella, Francisco de Santobuono (principe di) → Caracciolo, Carmine Nicolò

INDICE DEI NOMI

Sardella, Giuseppe 158 Sardelli, Federico Maria 125n, 129n, 132, 132n Sarri → Sarro, Domenico Sarro, Domenico 128-129, 129n, 139, 141, 145n, 150n, 156, 215 Sartori, Claudio 48n, 51n, 52n, 83n, 146n, 170n, 172n, 173n Sassano, Matteo 115 Scalea (principesa della) → Carafa, Anna Beatrice Scarlatti, Alessandro 48, 48n, 50, 64-65, 74, 86, 88-91, 127, 127n, 128, 130, 132n, 139-140, 148, 150n, 155, 159-160, 162, 168, 169n, 176, 178, 181-184, 188, 212213 Scarlatti, Domenico 159, 189, 189n Scarlatti, Francesco 188, 188n, 189, 189n Scarlatti, Giuseppe 159-160, 162, 162n, 163, 165-167, 168, 169, 169n, 170n, 171, 172n, 173, 175, 176, 181-183 Scarlatti, Pietro 168, 176, 178 Scarlatti, Pompeo 78n Schaffrath, Christoph 153n Schenk, Erich 155n Schering, Arnold 125n, 149n Schiltz, Katelijne 151n Schnettger, Matthias 134n Schreibman, Susan 220n Schubart, Christian Friedrich Daniel 147n Schubart, Ludwig 149n Schütze, Sebastian 91n Selfridge-Field, Eleanor 221 Serpe, Angelo 158 Sesto (duca di) → Spinola Colonna, Carlo Filippo Sforza, Giovanni 49n Sgaria, Giovanni 144n Sieber, Ignazio 134n Siemens, Ray 220n Sigismondo, Giuseppe 143n, 159, 159n, 165, 165n, 166, 166n, 167, 169, 172-174, 175 Signorini, Carlo 158 Silbiger, Alexander 187n, 189n

237 Silva y Mendoza, Gregorio de (duca del Infantado) 73, 75 Simone, Domenico de 163 Simone, Filippo de 163 Simone (primo Cantor della Cappella Palatina) 23 Simoni, Pietro de 133 Sinagra, Giuseppina 22n Sittard, Joseph 151n Smith, William 188 Smith, William C. 133n, 148n, 188n Solie, John E. 142n Solinas, Francesco 91n Sonnino (principe di) → Colonna di Stigliano, Giuliano Soprano, Francesco 42 Sorci, Pietro 21n Sparks, Paul 154n Spinelli, Giuseppe (arcivescovo) 115 Spinola Colonna, Carlo Filippo (duca di Sesto e IV marchese di Balbases) 67n, 83 Sportonio, Benedetto 51 Sportonio, Marc’Antonio 44, 46, 49n Staffieri, Gloria 144n Stampiglia, Silvio 79, 79n Steffani, Agostino 49 Stein, Louise K. 63n, 64, 64n, 65n, 67n, 71n, 86n Stevenson, Robert 28n Stiffoni, Gian Giacomo 209n-210n Stigliano → Colonna di Stigliano, Giulia­no Stravinsky, Igor 157 Strohm, Reinhard 130n, 145n, 146n, 173, 173n Strozzi, Leone 79 Stuck, Jean-Baptiste (Stuch, Giovanni Bat­t ista) 74, 144 Taglia (Italia), Giuseppe de 34 Tagliavia, Giacomo 31 Talbot, Michael 80, 80n, 127n, 139, 139n, 141n, 144n-146n, 161n, 185n, 191, 191n Tauste, Christóbal 33 Tedeschi, Gaetano 163, 163n

238 Tedesco, Anna 16, 16n, 27n, 40, 40n, 44n, 45n, 46, 46n-50n, 53n-54n, 76n Telemann, Georg Philipp 148, 153n Temperley, Nicholas 194n Terradellas, Domènech (Domingo, Do­ me­­nico) 150n, 190, 190n, 191, 192 Terzi, Andrea 20n Tessitore, Gioachino 158 Tiby, Ottavio 25, 25n, 26, 26n, 27-28, 28n, 29, 29n, 31, 31n, 33, 33n, 36, 3940, 40n, 42, 42n, 45n Timms, Colin 50n, 80, 80n Timpe, Christoph 142n Toledo, Pedro de (viceré) 212 Tommasi, Antonio 79 Torelli, Giuseppe 146n Torrisi, Claudio 40n Toscani, Claudio 218n Trabaci, Giovanni Maria 115n, 212 Traetta, Tommaso 161n, 167, 172, 174 Trapanotta (Trapanotto, Trappanetto), Filippo 33, 41 Travaglia, Nicola (Nicolò) 49, 49n Travagliato, Giovanni 21n Trinchera, Francesco 123 Tronzo, William 20n, 31, 32n Troy, Charles E. 146n Tufano, Lucio 166n, 210n, 211n, 214n Turano, Francesca 123n Turinetti, Ercole (marchese di Prié) 75 Tyler, James 154n Uceda (Uzeda), duca d’ → Pacheco, Juan Francisco Unsworth, John 220n Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberi­ ni) 41 Vagliese, Giovanni Battista 33 Valentine, Robert 128, 128n, 139, 139n, 188, 188n Valentini, Giuseppe 143n Valentini, Roberto → Valentine, Robert Valerio, Adriana 99n, 211n

INDICE DEI NOMI

Valladolid, Pedro de 34 Valletti, Giovanni 158 Vandeneiden, Elisabetta 86 Vandeneiden, Giovanna 86 Vanhulst, Henri 151n Vélez de Guevara, Íñigo (conte di Oñate) 71, 76 Veneziano, Bonaventura 122 Veneziano, Gaetano 109, 109n, 110, 123, 123n, 215 Veneziano, Giulia 161n Viano, Richard 152n Vichi, Anna Maria Giorgetti 76n Villena (marchese di) → Pacheco y Zúñiga, Juan Manuel Fernández Vinci, Leonardo 132-133, 133n, 185 Vitagliano-Moccia, Gennaro 139n Vivaldi, Antonio 125, 126n, 142n, 146, 153n Viviani, Vittorio 49n Voglia, Angela Maddalena detta Giorgina 73 Voglia, Barbara 73 Walsh, John 148-149, 153, 154, 154n, 156, 188n Weaver, Elissa 106n Whatman, James 191, 191n, 192, 197 Wheak, Philip 186 White, Bryan 186n Wiedner, Johann Gottlieb 153n Wittenhorst-Sonsfeldt, Friedrich Otto von 152, 152n Witvogel, Gerhard Fredrik 149 Witzenmann, Wolfgang 162n Wölki, Konrad 154n Wright, Josephine 187n Young, Bradford J. 139n Zarri, Gabriella 114n Ziani, Pietro Andrea 120n, 212 Ziino, Agostino 15n, 22n, 80n Zitellini, Rodolfo 108n, 157, 217n Zizio, Antonio 158 Zoppelli, Luca 101n, 217n, 218n