Storia universale. La seconda guerra mondiale [Vol. 24]

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Storia universale. La seconda guerra mondiale [Vol. 24]

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UNIVERSALE

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CORRIERE DELLA'SERA

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CORRIERE DELLA SERA

STORIA UNIVERSALE

VOLUME 24

LA SECONDA GUERRA MONDIALE



CORRIERE DELLA SERA

STORIA UNIVERSALE

Volume 24

© 2004, RCS Quotidiani Spa, Milano Edizione speciale per il Corriere della Sera pubblicata su licenza della RCS Libri S.p.A., Milano

John Keegan

La seconda guerra mondiale - 1939/1945 - Una storia militare Titolo dell'edizione originale The Second World War

© John Keegan © 1989, RCS Rizzoli Libri S.p.A., Milano © 2000, RCS Libri S.p.A., Milano

Edizione italiana a cura di Maurizio pagliano

Progetto grafico: Out of Nowhere srl

Art: Marco Pennisi & C.

Ricerca iconografica: Manuela Fugenzi Redazione: Asterisco srl, Milano

Le Grandi Opere del Corriere della Sera Direttore responsabile: Paolo Mieli RCS Quotidiani Spa

Via Solferino 28 - 20121 Milano

Registrazione Trbunale di Milano numero 537 del 19n/04 Sede Legale: Via Rizzoli 2 - Milano

Finito di stampare: gennaio 2005 ISSN 1824-4580

Grafica Veneta Spa - Trebaseleghe (Padova)

Tutti i diritti di copyright sono riservati

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

JOHN KEEGAN

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

PRESENTAZIONE di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

È da tempo che agli occhi degli storici la seconda guerra mondiale ha perduto quel carattere di evento compattamente unitario, di blocco di fatti ferreamente concatenati, che essa invece ancora conserva agli occhi di gran parte del pubblico. È accaduto, insomma, come se l'aspetto militare della guerra, ovviamente segmentato in una varietà di fronti di combattimento, collegati tra loro, certo, ma pur sempre notevolmente indipendenti l'uno dall'altro (secondo quanto gli storici militari han­ no sempre saputo, e basta a dimostrarlo il magnifico libro difohn Kee­ gan che il lettore si trova tra le mani) si fosse riverberato anche sull'a­ spetto Più propriamente storico1Jolitico, modificandone la percezione unitaria tradizionalmente accreditata. Tale percezione - che, ripeto, ancora oggi è forse maggioritaria pres­ so il grande pubblico - ha corrisposto (e corrisponde) a una valutazio­ ne eminentemente ideologica della guerra, scaturita nel corso stesso de­ gli eventi. Secondo la quale il conflitto sarebbe stato (e sarebbe da con­ siderare) in sostanza uno scontro tra il Bene e il Male - si ricordi la fa­ mosa definizione crociana della seconda guerra mondiale come «guer­ ra di religione» - uno scontro tra la civiltà e la barbarie. È difficile so­ stenere che in realtà non si sia trattato anche di questo. Chi potrebbe ne­ gare, infatti, che, se avesse vinto la Germania nazionalsocialista pa­ drona incontrastata del suo campo, si sarebbe stabilita nel cuore del­ l'Europa l'egemonia di una struttura socio-statuale ferocemente antili­ berale e razzista, impregnata di una spietata ideologia di dominio? E, di conseguenza, come chiudere gli occhi, come non tenere conto, del­ la spinta morale, dell'impegno fino al consapevole sacrificio di sé che animarono tanti che, provenienti dalle Più varie esperienze biografiche, sollecitati dai Più diversi motivi ideali, accorsero nelle file degli eserciti regolari o dei movimenti di Resistenza a combattere contro le potenze del­ l'Asse?

VIII

Presentazione

Tutto questo contò certo moltissimo e ha lasciato un marchio indele­ bile sull'evento seconda guerra mondiale. Un marchio che però, con le motivazioni soggettive di allora che ne hanno costituito la premessa, con le emozioni e le passioni di quel tempo, è valso per lungo tempo a na­ scondere i tratti di fondo del conflitto, gli obiettivi e le poste in gioco dei suoi attori massimi (cioè degli Stati e dei loro capi), insomma, la vera natura storico-politica di quanto accadde tra il 1939 e il 1945 nonché i suoi effetti di lungo Periodo. È fuor di dubbio che la seconda guerra mondiale sia stata una guer­ ra dal forte contenuto ideologico, anche se ciò vale a mio avviso so­ prattutto per la Germania hitleriana. Nello scatenamento delle ostilità, nel modo di condurle, di continuare l'attacco a oriente contro la Rus­ sia, anche dopo la vittoria sulla Polonia, nel mentre era ancora aperto lo scontro a occidente contro l'Inghilterra, nell'imPiego di una brutalità inaudita contro le popolazioni civili, per non dire della programmata eliminazione dell'ebraismo europeo, in tutto ciò è impossibile non vede­ re altrettante conseguenze dell'ideologia nazista, della sua visione del mondo. Entrambe strettamente intrecciate però al tema storico, vecchio di secoli, delle lotte per l'egemonia in Europa, nelle quali la Germania si era impegnata fin dagli anni Novanta dell'Ottocento con convinta volontà di primato, avendo avuto una parte decisiva nel dar fuoco al­ le polveri già nell'estate del 1914. La seconda guerra mondiale fu, per l'appunto, l'ultimo atto di que­ sta antica vicenda europea, sullo sfondo però di un panorama ideolo­ gico tutto nuovo, com'era quello dei totalitarismi, nel quale il nazismo immise una virulenza inaudita. Difficile credere, infatti, che il fasci­ smo italiano o il comunismo russo si sarebbero mai potuti imbarcare in una guerra generale sul continente: lo fece l'hitlerismo, invece, perché esso poteva far corpo con una spinta egemonica nazional-imperialisti­ ca, quella tedesca, che aveva dietro di sé una lunga storia. Ma il fronte opposto, quello degli avver.sari della Germania, non si può dire che sia stato sostenuto, e per così dire modellato, da un'ana­ loga spinta ideologica di segno contrario. Se una cosa colpisce, infatti, della condizione dell'Europa in cui scoppia la guerr a, nel settembre 1939, è proprio l'assenza di una qualunque mobilitazione ideologica e ideale di segno democratico. Gli anni Venti e Trenta dello scorso secolo, lo sappiamo, sono anni di sconfitte e di crisi profonda per la democra­ zia quale non noi la intendiamo, cioè per la democrazia liberale, e per

Presentazione

IX

i regimi politici che a essa si richiautunu, cioè Francia e Gran Breta­ gna. Sicché, quando inizia lo scontrv (e ancora per qualche tempo do­ po) in entrambi quei Paesi, e nei pochi altri che avevano ancora libere istituzioni, non vi è alcuna mobilitaziune contro il Terzo Reich, non si crea nessun clima di entusiasmo, di vuluntà di lotta, non vi è nessuna messa a fuoco delle grandi ragioni eucu-politiche che stanno da una parte dei contendenti. Nulla o ben PUtu: il campo antagonista sembra (ed è) motivato esclusivamente da ragzuni strategiche e di politica in­ ternazionale: la garanzia diplomatil-a unglo-francese offerta alla Polo­ nia pochi mesi prima gioca un ruoLu deàsivo. Tutto si decide nelle can­ cellerie. A Parigi come a Londra l'opzulUlte pubblica assiste rassegnata e in silenzio. L'esempio massimo di qUt::sla latitanza dell 'ideologia, di questo vuoto di reazione morale e ideak dì fronte agli eventi, si ha in quello che fino ad allora era stato il [untpu dell'antifascismo militante, sostenuto ed egemonizzato dall'UnìU'ne Suvietica. La fredda ragion di Stato che porta il 23 agosto al patto Ribbentrop-Molotov ha l'effetto di disintegrare all'istante anni d'impegnu e di mobilitazione. Con un vol­ tafaccia stupefacente, tutte le organtz:alzioni comuniste si allineano con Mosca, cessando ogni attacco all'A!1!1'e, e anzi cominciando a met­ tere sotto accusa l' «imperialismo» angLu-francese. L'effetto non potreb­ be essere Più catastrofico tra coloro che scorgono con chiarezza lo spettro incombente sull'Europa. È Hitler, in realtà, il vero artefice deLLa grande Alleanza antinazista che segnerà la sorte della guerra e il destino della Germania. È infatti la sua decisione di attaccare l'Unione Suvietica all'inizio dell'estate del 1941 che obbliga Mosca e Londra, e PUl Washington, a combattere dal­ la stessa parte. Senza l'attacco hitLe,lUhu, Largamente privo di motiva­ zioni che non fossero quelle di tipu 'U2.2.iule-ideologico, è davvero diffi­ cile immaginare che si sarebbe mai putulU [reare un fronte comune an­ glo-sovietico comprendente Più tardz a'tU;he gli Stati Uniti. Solo la ele­ mentare necessità di difendere il propriu territorio e/o di scongiurare il disegno egemonico paneuropeo della Germania obbligò e insieme per­ mise a soggetti storico-politici così etetugenei di stare insieme, sPingen­ doli altresì, dato il clima ormai aSJ'untu dalla guerra, a elaborare an­ ch'essi una comune motivazione ideulugna. Ma cosa poteva tenere in­ sieme in positivo regimi politici così dive;!1 i � Quale obiettivo poteva pro­ porsi la guerra di una coalizione cusì dzsparata? La risposta, come si capisce, non poteva davvero essere Uflt'ata nell'ideologia democratica

x

Presentazione

pura e semplice, data l'insormontabile difficoltà di arruolare in questo campo l'URSS di Stalin. L'antifascismo, invece, non presentava alcun problema, e fu così che esso divenne, a mo' quasi di succedaneo della de­ mocrazia, la Piattaforma ideologica della causa alleata. Sull'antifasci­ smo, infatti, potevano agevolmente convergere tanto le pulsioni classi­ ste e rivoluzionarie del comunismo sovietico quanto le aspirazioni clas­ sicamente liberali e democratiche della Gran Bretagna e degli Stati Uni­ ti soprattutto. I quali furono di fatto gli unici che tra il '41 e i '45 vis­ sero e propagandarono la dimensione ideologica della democrazia come una religione opposta e nemica di quelle dell'Asse e del Giappone impe­ riale, gli unici veri paladini di quella «guerra democratica» che avreb­ be dovuto essere, e che solo in parte, invece, fu. Nessuna meraviglia, dunque, che, cessate le ostilità lo schieramento alleato andasse in frantumi e l'unità antifascista cedesse il passo alle divisioni della «guerra fredda». Si trattò semplicemente del ritorno in primo Piano della realtà della scena storica di fronte a quella situazio­ ne di emergenza che era stata imposta in via solo transitoria, e con la forza, dall'aggressione tedesca. Non a caso, del resto, la realtà di fondo riprese i suoi diritti proPrio quando, avvicinandosi la fine della guer­ ra, divennero evidenti i fini diversi, talora opposti, che ognuno dei vin­ citori si assegnava sulla base della propria diversa natura: la Russia comunista alla ricerca di una espansione pura e semPlice e con ogni mezzo in barba a ogni democrazia (e vorrei dire anche in barba a ogni antifascismo rettamente inteso); la Gran Bretagna soddisfatta per aver impedito il disegno egemonico tedesco e ancora disponibile, sia pure per brevissimo tempo, a cullarsi nei propri antichi splendori imperiali; gli USA infine, decisi a sostenere la causa della democrazia liberale, a in­ staurarla dovunque possibile. Fedeli a questa ispirazione anche nel non rifiutarsi di vedere, in nome dell'antifascismo, la reale portata antide­ mocratica del progetto postbellico sovietico. Guardando il lungo Periodo si può dire che comunque la seconda guerra mondiale abbia realizzato in notevole misura l'ambizione ideo­ logica democratica che almeno formalmente guidò gli Alleati. Ma ciò è accaduto soprattutto per la smisurata potenza che l'esito della guerra dischiuse in prospettiva all'America e per la sconfitta che quell'esito si­ gnificò per tutto ciò che avrebbe potuto opporsi all'egemonia americana. Naturalmente, per ciò che riguarda l'Europa, con la differenza di cin­ quanta anni tra la sua parte occidentale e quella orientale: quanti ce

Presentazione

XI

ne vollero perché gli Stati Uniti, dopo aver vinto insieme all'Unione So­ vietica il nazismo nella guerra guerreggiata, vincessero a propria volta il comunismo in quella fredda. Ma la guerra scosse troppo in profondità la coscienza europea, trop­ po lunga e intensa fu la serie di orrori e di lutti che colPì il continente. Bombardamenti aerei di terrificante distruttività, rappresaglie, fame, as­ senza prolungata di ogni comodità di vita (dal sapone ai medicinali, al­ l'elettricità): tutto ciò non è rimasto senza effetto, ha radicato nell'in­ conscio del continente un rifiuto pressoché assoluto della violenza, della morte e dell'imPiego politico dell'una e dell'altra. Dal 1945 l'Europa è pacifista, non può che esserlo. Non nel senso banalmente politico-movi­ mentistico che il termine ha ormai finito per acquistare, ma in una ac­ cezione assai Più intima e pregnante. Nel senso del rifiuto della dimen­ sione del conflitto e del ricorso alla forza, dell'idea che nel mondo ideale l'uno e l'altra occuPino un posto difficilmente eliminabile. La seconda guerra mondiale ha dunque segnato, sì, il vero inizio della democrazia in Europa, prevalentemente per effetto della vittoria degli Stati Uniti, ma proprio per questo suo atto di nascita essa ha acquisito un carattere ori­ ginario che sembra destinarla in permanenza a rappresentare un polo significativamente dialettico rispetto alla democrazia americana.

INDICE DEL VOLUME

Prefazione

3

PROLOGO

L

II.

7

«Ogni uomo un soldato» Dalla prima alla seconda guerra mondiale - La militarizzazio­ ne dell ' Europa - L'i ncremento demografico - Lo sviluppo del­ l' economia - I progressi dell ' ingegneria - La coscrizione ob­ bligatoria - I Freikorps - Le Sturmabteilungen ( SA) .

34

Le origini del conflitto Il «putsch della birreria» - La crisi economica tedesca degli anni Trenta - Le elezioni del settembre 1 930 Le elezioni del luglio 1 932 Hitler al govern o - La reintroduzione della leva obbligatoria - La «Notte dei lunghi coltelli» - Il rafforzamen­ to delle Schutzstaffeln ( SS) - L'alleanza italo-tedesca - La « crisi cecoslovacca» - L'invasione della Polonia. -

-

PARTE PRIMA

III.

GUERRA IN OCCIDENTE 1940-1943

Il trionfo della

Blitzkrieg

59

Il FaU Celb: il «Caso Giallo» - La proposta Sichelschnitt il « Col­ po di Falce» - Le divisioni Panzer tedesche - L'eterogeneo schieramento alleato - L 'attacco all' Olanda - L'invasione del Belgio - La Blitzkrieg in Francia - La resa francese - La Francia divisa fra territorio occupato e governo collaborazionista di Vichy.

IV.

Operazioni aeree: la battaglia d'Inghilterra Le teorie di Giulio Douhet sul potere bellico dell ' aviazione ­ La dotazione della Luftwaffe - La ((battaglia della Manica» L'operazione ((Aquila» e il ((Giorno dell 'Aquila» - L ' offensi-

95

Indice del volume

XIV

va dell 'aeronautica tedesca - La battaglia di Londra - La vit­ toria dei «pochi ».

v.

I rifornimenti e la battaglia dell'Atlantico

PARTE SECONDA VI.

106

Economia e guerra - Gli U-Boot - La guerra sottomarina nel­ l' oceano Atlantico - Il con trollo dei c onvogli di rifornimento all ' Inghilterra - La resistenza industriale britannica - Gli aiuti statunitensi.

GUERRA IN ORIENTE 1941-1943

Il dilemma strategico di Hitler

127

Hitler e l ' Unione Sovietica - Il patto fra Roma, Berlino e Tokio - L' attacco italiano alla Grecia - Il patto di non aggres­ sione tra Molotov e Ribbentrop - I piani d' attacco contro l ' U­ nione Sovietica - L'operazione Barbarossa. VII.

I preliminari dell'attacco a Est

145

I Balcani, crocevia d'Europa - Il controllo britannico del Me­ diterraneo - Gli insuccessi italiani in Grecia e in Libia - La si­ tuazione jugoslava - L' invasione tedesca diJugoslavia e Grecia - La ritirata britannica. VIII.

Operazioni aviotrasportate: Creta

164

La tattica degli aviosbarchi - Il piano Student per l 'invasione di Creta - La difesa britannica - I reparti neozelandesi - La ri or­ ganizzazione tedesca - La conquista di Creta.

IX.

Barbarossa

179

La figura di Stalin - L'Armata Rossa - L'industria militare so­ vietica - L'attacco tedesco all'Unione Sovietica - Gli obiettivi: Leningrado, Mosca e Kiev - L' «interregno di 19 giorni» - L'as­ sedio di Leningrado - Le difficoltà tedesche - La controffensiva sovietica. X.

Produzione di guerra La «seconda rivoluzione industriale» nell ' Unione Sovietica L' economia bellica tedesca - Le «armi segrete» - La situazio­ ne giapponese - I progressi britannici nell ' economia - La pro­ sperità statunitense.

216

xv

India del volume XI.

Estate in Crimea - Inverno a Stalingrado

228

Il fronte russo - Il «pian o Azzurro» - L'avanzata tedesca in Cri­ mea - L' organizzazione della difesa sovietica - La battaglia di Stalingrado - La resa dell' esercito tedesco.

PARTE TERZA XII.

GUERRA NEL PACIFICO 1941-1943

Il dilemma strategico di Tojo

247

Il Giappone e l' Occidente - Toj o ministro della Guerra - L' at­ tacco a Pearl Harbor. XIII.

Da Pearl Harbor a Midway

259

La strategia nipponica - La flotta statunitense a Pearl Harbor - L'impreparazione americana - L' attacco giapponese alla Ma­ lesia e alle Filippine - La conquista delle Indie orientali olan­ desi e bri tanniche - La battaglia del mar di Giava - La capito­ lazione delle Filippine. XIV.

Operazioni aeronavali: Midway

279

La dotazione aeronavale giapponese - La battaglia del mar dei Coralli - Il lavoro dei criptoanalisti - La battaglia delle Midway e la vittoria statunitense. XV.

Occupazione e repressione

290

La preminenza giapponese in Estremo Oriente - Le condizio­ ni della Cina - La repressione tedesca nelle zone occupate - La coscrizione dei lavoratori - La politica agricola tedesca - I cam­ pi di concentramento e di stenninio - La «politica razziale». XVI.

La conquista delle isole

302

L'impegn o statunitense nel Pacifico - Guadalcanal - Gli scon­ tri nelle Aleutine, in Nuova Guinea, in Papuasia, nelle Salo­ mone e nelle Bismarck - La vittoria americana nel mare delle Bismarck - L'avanzata di MacArthur.

PARTE QUARTA XVII.

GUERRA IN OCCIDENTE 1943-1945

Il dilemma strategico di Churchill I rapporti con Roosevelt - Le trattative con Marshall - Gli im-

319

XVI

Indice del volume pegni con Stalin - La conferenza di Casablanca - La confe­ renza Triden t - La conferenza Quadran t.

XVIII.

Tre guerre in Mrica

329

L'invasione del Togo - La presenza britannica - L'Eti opia e l 'attacco italian o - La guerra in Libia - L' offensiva italiana con­ tro l' Egitto - L' operazione Battleaxe - La capitolazione di To­ bruk - La sconfitta di EI-Alamein - Lo sbarco delle truppe sta­ tunitensi - La sconfitta di Mussolini in Mrica. XIX.

L'Italia e i Balcani

356

L 'Italia nel primo conflitto mondiale - La situazione econo­ mica i taliana agli inizi della guerra - La campagna d' Mrica Gli sbarchi alleati in Sicilia - Il cambiamento di fronte di Ba­ doglio - L ' occupazione tedesca in Italia - L' avanzata statuni­ tense nella penisola - Roma « città aperta» - I problemi della campagna d'Italia. XX.

Overlord

383

L' offensiva aerea anglo-americana in Gennania - L'azione di Rommel sul fronte occidentale - Il piano Fortitude di di­ sinformazione del nemico - La strategia del generale Mont­ gomery - Lo sbarco sul continente - Il D-Day, il «giorno più lungo» - I combattimenti nella zona d'invasione - L'operazio­ ne Cobra - Il tentato assassinio di Hitler. XXI.

Scontri tra forze corazzate: Falaise

414

Il ridimensionamento delle azioni dei carri armati tedeschi La superiorità tecnologica tedesca - Gli errori strategici del co­ mando tedesco - Gli Alleati a Parigi - La resistenza francese. XXII.

Il bombardamento strategico

Le missioni aeree della RAF - Le strategie del generale Arthur

432

Harris, il «bombardiere» - I bombardamenti a tappeto - La «di­ rettiva di Casablanca» e l'azione statunitense - Il bombardamen­ to di Amburgo - La guerra aerea statunitense sul Giappone.

XXIII. Dalle Ardenne al Reno La difesa tedesca sulla Schelda - L ' obiettivo di Montgomery: la Ruhr - Il lento ripiegamento tedesco - Il piano �Va(ht am Rhein- I progetti hitleriani di riscossa - Il fallimento della nuo­ va offensiva tedesca - L' esercito anglo-americano sul Reno.

454

IndicI' del volume PARTE QUINTA

XXIV.

XVII

GUERRA IN ORIENTE 1943-1945

Il dilemma strategico di Stalin

471

La situazione dell'Armata Rossa - Lo sforzo bellico dell' Unio­ ne Sovietica - Il ruolo di Stalin nella direzione dell' esercito.

xxv.

Kursk e la riconquista della Russia

479

La con troffensiva tedesca dopo Stalingrado - La produzione bellica sovietica e il riequipaggiamen to dell 'Armata Rossa - La battaglia di Kursk - La sconfitta tedesca e la ritirata - L' offen­ siva sovietica - L' attacco contro la Finlandia - L'avanzata del­ l 'Armata Rossa fino a Varsavia.

XXVI.

Resistenza e spionaggio

508

La rivolta di Varsavia - Il massacro del Verc ors - La natura del­ l ' occupazione tedesca - La resistenza nelle regioni occupate ­ La stampa clandestina - Le formazioni partigiane sovietiche Il casojugoslavo - La decifrazione dei codici segreti - Enigma.

XXVII. Dalla Vistola al Danubio

532

Le Volksgrenadier, «divisioni del popolo» - I cambiamenti di fronte nei Balcani - La campagna d'Ungheria - La Prussia orientale in mano ai russi - Le violenze dell'Armata Rossa in Germania.

XXVIII. Combattimenti nelle città: l'assedio di Berlino

547

Il ritiro di Hitler nel suo bunker a Berlino - L'Armata Rossa all ' assalto della città - L'avanzata anglo-americana nella Ger­ mania occiden tale - La resistenza tedesca a Berlino - Il suicidio di Hitler - L' ingresso delle truppe sovietiche a Berlino - La fine del conflitto in Europa.

PARTE SESTA

GUERRA NEL PACIFICO 1943-1945

XXIX. Il dilemma strategico di Roosevelt L' atteggiamento politico di Roosevelt - La «neutralità» statu­ nitense - L'affondamento del cacciatorpediniere Reubenfames Le abitudini di Roosevelt durante il conflitto - La conferen­ za di Jalta.

-

565

Indice del volume

XVIII

xxx.

La sconfitta del Sol Levante

5 75

La Cina in guerra contro il Giappone - Le vittorie giapponesi sul suolo cinese - L' offensiva nipponica in Binnania - I successi ame­ ricani in Oriente - La battaglia dello stretto di Surigao.

XXXI. Operazioni anfibie: Okinawa

589

Il ruolo dei marines a Okinawa - Lo sbarco statunitense nel­ l ' isola - L'attacco dei kamikaze - Le perdite sui due fron ti.

XXXII . Le superarmi e la resa del Giappone

600

Il bombardamento di Tokio - L ' intransigenza giapponese - Il fallimento delle trattative c on il govern o imperiale - Il pro­ gresso tecn ologico nell'industria bellica - Le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki - La resa del Giappone.

EPILOGO

XXXIII . L'eredità della seconda guerra mondiale

615

APPARATI

Bibliografia

627

Cronologia

633

Indice dei nomi

641

Referenze fotografiche

650

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

PREFAZIONE

La seconda guerra mondiale è il più vasto evento che ha coinvolto l'umanità dagli inizi della sua slOria e venne combattuta in sei dei set­ te continenti del mondo e su Lutti i mari. Causò la morte di cinquan­ ta milioni di persone, ne ferÌ nella mente e nel corpo altre centinaia di milioni, devastando materialmente gran parte dei paesi civili. Nessun tentativo mirante a spiegarne cause, svolgimento e conse­ guenze nello spazio di un solo libro può avere successo. Invece di rac­ contarla come una sequenza ininterrotta di eventi, ho perciò deciso di suddividere la storia della guerra in quattro filoni (cronaca, analisi stra­ tegica, grandi battaglie e « temi bellici» ) e di servinni di questi quattro elementi per delinearne gli sviluppi: guerra in Occidente 1 940-1 943; guerra in Oriente, 1 941-1 943; guerra nel Pacifico 1 941-1 943; guerra in Occidente 1 943-1945; guerra in Oriente 1 943-1945; guerra nel Pacifi­ co 1 943-1 945 . Ogni sezione è preceduta da un'analisi strategica, foca­ lizzata sulla figura cui spettava principalmente l'iniziativa nel relativo periodo (nell'ordine: Hitler, Tojo, Churchill, Stalin e Roosevelt) . Le grandi battaglie sono state scelte per illustrare gli elementi fonda­ mentali di un particolare tipo di combattimento caratteristico di que­ sto conflitto: operazioni aeree (battaglia d'Inghilterra) , operazioni aviotrasportate (battaglia di Creta) , operazioni aeronavali (Midway) , scontri tra forze corazzate (Falaise) , combattimenti nelle città (Berli­ no) e operazioni anfibie (Okinawa) . I temi bellici comprendono la 10gistica, la produzione bellica, l 'occupazione e la repressione, i bom­ bardamenti strategici, la resistenza e lo spionaggio, le superarmi. Spero che questa impostazione garantisca al lettore un po ' d'or­ dine nel tragico caos degli awenimenti che affronto. John Keegan

PROLOGO

CAPITOLO PRIMO

«OGNI UOMO UN SOLDATO»

«La prima guerra mondiale spiega la seconda, e ne é stata in realtà la causa, per quanto un evento è in grado di causarne un altro » , scris­ se AJ .P. Taylor nel suo Origini della seconda guerra mondiale. «Il legame fra le due guerre fu più profondo. La Germania combatté la seconda guerra per capovolgere il verdetto della prima e per cancellare le im­ posizioni subite » . Nemmeno i più accaniti oppositori dell'opinione del dottor Tay­ lor sull'interconnessione fra le due guerre contestano questo giudi­ zio. La seconda guerra mondiale, nella sua origine, nella sua natura e nel suo svolgimento, è inspiegabile, se non si fa riferimento alla pri­ ma; e la Germania, che può essere o meno considerata responsabile del suo scoppio, e che fu comunque la prima ad attaccare, entrò in guerra nel 1 939 per riconquistare quel posto nel mondo che aveva perso con la sconfitta del 1 9 1 8. Tuttavia, collegare la seconda guerra mondiale alla prima non ba­ sta per spiegare ciascuna di esse, se si riconosce la prima come causa della seconda. Le loro radici comuni vanno ricercate negli anni an­ tecedenti al 1 9 1 4 e tale analisi ha impegnato le energie degli storici per buona parte di questo secolo. Sia che abbiano ricercato le cause negli awenimenti immediatamente precedenti, sia in quelli meno vi­ cini , le loro conclusioni hanno avuto ben poco in comune. Quelli schierati dalla parte dei vincitori hanno tutti preferito dare alla Ger­ mania, in particolare alle sue mire espansionistiche, la colpa dello scoppio del conflitto nel 1 9 1 4 e hanno poi dato nuovamente la colpa alla Germania per la guerra iniziata nel 1 939. Fino alla comparsa, nel 1 967, dell' eretica revisione da parte di Fritz Fischer della tesi nazio­ nale, gli storici tedeschi, in generale, hanno tentato di respingere l'imputazione della «colpa della guerra» attribuendola ad altri. Gli storici marxisti, di ogni nazionalità, hanno evitato di discuterne, pre­ sentando la prima guerra mondiale come una «crisi del capitalismo» nella sua forma imperialistica, in seguito alla quale le classi operaie europee vennero sacrificate sull'altare della competizione fra sistemi

8

Prologo

capitalisti in disfacimento, ma tutti sostengono che lo scoppio della seconda guerra mondiale fu dovuto al fatto che le potenze occiden­ tali preferirono puntare sulla riluttanza di Hitler a superare il limite estremo, piuttosto che accettare l'aiuto sovietico per fare in modo che non lo facesse. Queste opinioni sono inconciliabili. Nel migliore dei casi costitui­ scono un esempio della massima «la storia è la proiezione dell'ideo­ logia nel passato» . Non ci può dawero essere una spiegazione comu­ ne del perché il mondo si legò per due volte alla ruota della guerra di massa, finché gli storici non sì trovano d'accordo sulla logica e l'e­ tica della politica e se la prima sia la stessa cosa della seconda. Un approccio più fruttuoso, per quanto meno seguito, al proble­ ma delle cause si trova seguendo una strada diversa: quella che si po­ ne la domanda di come due guerre mondiali siano state rese possibili, � anziché del perché siano scoppiate. E stata la vastità delle conseguenze che derivarono dagli eventi dell 'agosto 1 9 1 4 e del settembre 1 939 a spingere gli storici a una ricerca tanto prolungata delle ragioni da spiegare. Non c ' è stata una spinta analoga alla ricerca delle cause del­ la guerra austro-prussiana del 1 866 o di quella franco-prussiana del 1 8 70, per quanta importanza abbiano avuto entrambe nello sconvol­ gimento degli equilibri di potere nell 'Europa del XIX secolo. Per di più si può affermare con sicurezza che se la Germania avesse vinto la battaglia d'apertura della prima guerra mondiale, quella della Mar­ na, nel settembre 1 9 1 4, come avrebbe benissimo potuto fare - ri­ sparmiando cosÌ all'Europa non solo le sofferenze della guerra di trincea ma anche tutto il successivo inasprimento sociale, economico e politico - non sarebbero mai state scritte le intere biblioteche di vo­ lumi dedicati alle relazioni internazionali di Germania, Francia, Gran Bretagna, Austria-Ungheria e Russia prima del 1 9 1 4. Tuttavia, visto che non fu la Germania, bensÌ la Francia, con l'aiu­ to britannico, a vincere sulla Marna, la prima - e di conseguenza la seconda - guerra mondiale divennero diverse da tutte le altre guer­ re combattute in precedenza, diverse per dimensione, intensità, estensione e costi in vite umane e materiali. E finirono per rassomi­ gliarsi in modo notevole. Sono queste differenze e queste somiglian­ ze che danno all 'argomento della loro causa un 'importanza cosÌ grande. Le cause delle guerre mondiali non sono più profonde né più o meno complesse delle cause di qualsiasi altro paio di conflitti collegati e cosÌ vicini. La loro caratteristica, d'altro canto, è stata sen­ za precedenti. Le due guerre mondiali hanno ucciso più persone, consumato più ricchezze e inflitto più sofferenze su una zona così va­ sta del globo, di qualsiasi altro conflitto precedente. L' umanità non

I.

"Ogni uomo un soldato»

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divenne più malvagia fra il 1 8 1 5 , anno che concluse l 'ultima grande serie di ostilità fra nazioni, e il 1 9 1 4; e indubbiamente nessun euro­ peo adulto e sano di mente in quest'ultimo anno avrebbe auspicato, se gli fosse stato possibile prevederle, le distruzioni e le sofferenze che la crisi di quell 'agosto dovevano comportare. Se gli fosse stato predetto che la guerra imminente sarebbe durata quattro anni, avrebbe causato la morte di dieci milioni di persone e avrebbe mes­ so a ferro e fuoco campi di battaglia tanto distanti quanto quelli del Belgio, dell' Italia settentrionale, della Macedonia, dell 'Ucraina, del­ la Transcaucasia, della Palestina, della Mesopotamia, dell'Mrica e della Cina; e se ancora gli fosse stato predetto che una guerra suc­ cessiva, combattuta vent'anni dopo dagli stessi belligeranti sugli stes­ si campi di battaglia, e anche su altri, avrebbe portato alla morte cin­ quanta milioni di persone, per lasciare poi il mondo in condizioni non migliori rispetto al giorno in cui era stata versata la prima goccia di sangue, si può sostenere che ogni impulso individuale o collettivo all 'aggressione si sarebbe spento in quell 'istante. Questo pensiero ci conforta sulla natura umana. E parla anche contro il modo in cui il mondo ha continuato a girare fra il 1 8 1 5 e il 1 9 1 4. Un europeo adulto e sano di mente in quest'ultimo anno avreb­ be potuto deplorare con ogni mezzo a disposizione la predizione del­ l 'olocausto che si sarebbe verificato e ripetuto. Ma, per farlo, avrebbe dovuto rinnegare la politica, l 'etica e, alla fine, anche la natura uma­ na e materiale dello Stato - qualsiasi Stato - cui apparteneva. Avreb­ be dovuto rinnegare le condizioni del mondo circostante. Perché la realtà della civiltà del XX secolo confermava che il mondo era gravi­ do di guerra. L' enorme aumento di risorse, ricchezza e popolazione provocato dalla rivoluzione industriale europea nel XIX secolo aveva profondamente modificato la società. Aveva dato vita a industrie di trasformazione e produttrici - fonderie, stabilimenti meccanici, tessi­ ture, arsenali navali - più grandi di quanto i padri intellettuali della rivoluzione industriale, cioè i razionalisti economici del XVIII secolo, avevano potuto prevedere. Aveva collegato le regioni produttrici del mondo mediante una rete di comunicazioni - strade, ferrovie, rotte marittime, cavi telegrafici e telefonici - più fitta di quanto avrebbe po­ tuto mai profetizzare il più preveggente entusiasta della scienza e del­ la tecnica. Aveva dato vita a ricchezze che avevano moltiplicato per dieci la popolazione delle città storiche e fatto insediare agricoltori e allevatori di bestiame su milioni di ettari che non avevano mai cono­ sciuto né il morso dell'aratro né il passo del mandriano. Aveva co­ struito l'infrastruttura - scuole, università, biblioteche, laboratori, chiese, missioni - di una vibrante, creativa e ottimistica civilizzazione

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mondiale. E soprattutto, in una drammatica e minacciosa contrap­ posizione alle realizzazioni di speranza e di promessa del secolo, ave­ va dato vita a eserciti, i più grossi e potenzialmente più distruttivi stru­ menti di guerra che il mondo avesse mai visto. È difficile descrivere la vastità della militarizzazione dell 'Europa in modo da comprenderne le dimensioni psicologiche e tecnologiche oltre a quelle materiali. La scala stessa è abbastanza ingannevole. Si può cercare di dimostrarne la grandezza mettendo a confronto l'o­ pinione che aveva Friedrich Engels dell'organizzazione militare del­ le città-stato indipendenti della Germania settentrionale - in cui fece il suo apprendistato commerciale - con le forze che gli stessi distretti militari tedeschi fornirono al Kaiser del Reich unificato tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale. La testimonianza di Engels è si­ gnificativa. Essendo uno dei padri della teoria marxista, non si allon­ tanò mai dall 'opinione che la rivoluzione avrebbe trionfato soltanto se il proletariato fosse riuscito a sconfiggere le forze armate dello Sta­ to. Come giovane rivoluzionario puntò le sue speranze sulla vittoria del proletariato nella battaglia delle barricate, mentre come vecchio e sempre più scoraggiato ideologo cercò di persuadersi che il prole­ tariato, ormai prigioniero delle leggi sulla coscrizione in Europa, sa­ rebbe riuscito a liberarsi solo sovvertendo dall'interno le forze arma­ te dello Stato. Il suo passaggio dalle speranze di gioventù ai dubbi del­ l ' età matura si può meglio seguire ripercorrendo la trasformazione delle truppe delle città anseatiche durante la sua vita. Nell 'agosto 1 840 cavalcò per tre ore dal suo ufficio di Brema per assistere alle ma­ novre combinate degli eserciti di Brema, Amburgo, della città libera di Lubecca e del granducato di Oldenburgo. Queste forze riunite co­ stituivano gli effettivi di un reggimento - diciamo, sbagliando per ec­ cesso, - di 3000 uomini. Nell' anno della sua morte, nel 1 895, quelle stesse città fornirono la maggior parte degli effettivi della 1 7a e di par­ te della 1 9a divisione dell'esercito tedesco, oltre a un reggimento di cavalleria e uno d'artiglieria, con un aumento per lo meno di quattro volte tanto. Ma qui si trattava soltanto di truppe di prima linea, di co­ scritti arruolati e sotto le armi. Dietro la 1 7a e la 1 9a divisione c'erano la 1 7a e la 1 9a divisione della riserva, alle quali le città anseatiche for­ nivano un ugual numero di riservisti - ex coscritti addestrati - all 'at­ to della mobilitazione. E dietro le divisioni della riserva c'era la Landwehr, formata da coscritti più anziani, che nel 1 9 1 4 avrebbero co­ stituito ancora gli effettivi di un 'altra mezza divisione. Nel loro insie­ me, questi reparti rappresentavano un incremento pari a dieci volte le forze disponibili fra il 1 840 e il 1 895, molto superiore al contem­ poraneo aumento della popolazione.

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Questa enorme moltiplicazione di forze era dovuta in primo luo­ go all'incremento demografico. La popolazione della maggior parte degli Stati che avrebbero combattuto la prima guerra mondiale rad­ doppiò e in alcuni casi si triplicò nel corso del XIX secolo. Così la po­ polazione della Germania, entro i confini del 1 87 1 , salì dai 24 milio­ ni del 1 800 ai 57 milioni del 1 900. La popolazione britannica salì dai 1 6 milioni del 1 800 ai 42 milioni del 1 900; se non fosse stato per la ca­ restia in Irlanda e la conseguente emigrazione negli Stati Uniti e nel­ le colonie, che comportò l'allontanamento di circa 8 milioni di per­ sone, si sarebbe triplicata. La popolazione dell'Austria-Ungheria, an­ che tenendo conto dei cambiamenti di confine, salì da 24 a 46 milio­ ni; l ' Italia, nei suoi confini del 1 870, passò da 19 a 29 milioni, nono­ stante l 'emigrazione di circa 6 milioni di persone verso le due Ameri­ che. La popolazione del Belgio salì da 2,5 a 7 milioni; quella della Rus­ sia europea, fra gli Urali e i confini occidentali del 1 94 1 , passò, quasi triplicandosi, da 36 a 1 00 milioni. Soltanto due degli Stati impegnati nel conflitto, la Francia e l'impero ottomano, non registrarono au­ menti analoghi. La popolazione francese, un tempo la più numerosa d' Europa, aumentò soltanto da 30 a 40 milioni, soprattutto a causa di una maggiore longevità; il livello delle nascite rimase quasi costante, conseguenza, secondo l'opinione del professor William McNeill, del fatto che i soldati di Napoleone riportarono in patria le tecniche del controllo delle nascite apprese durante le campagne. La popolazione della Turchia, all'interno dei suoi confini attuali, praticamente non aumentò; era di 24 milioni nel 1 800 e di 25 milioni nel 1 900. La situazione della Francia e della Turchia assume un 'importanza particolare che è interessante spiegare. L'aumento della longevità dei francesi era dovuto a un miglioramento delle condizioni di vita e del­ la salute pubblica, conseguenza dell 'applicazione della scienza nel settore agricolo, della medicina e dell 'igiene. Il mancato sviluppo del­ la popolazione turca ha una spiegazione esattamente opposta: gli scarsi raccolti dell 'agricoltura tradizionale e l'incidenza delle malat­ tie in una società senza medici fecero in modo che quella popolazio­ ne, nonostante un tasso di nascite elevato, rimanesse a un livello co­ stante. Ogni volta che un aumento della produzione agricola (o una tecnica migliore) si combinavano con alti livelli di nascite e migliora­ te condizioni igieniche, come accadde quasi dappertutto in Europa nel XIX secolo, l'effetto sulla popolazione fu notevole. In Inghilter­ ra, che era il centro del miracolo economico del XIX secolo, fu in­ credibile. Nonostante una massiccia emigrazione della popolazione dalle campagne verso le città, sovraffollate e spesso costruite con ma­ teriale piuttosto scadente, il numero degli inglesi raddoppiò nella pri-

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ma metà del secolo e salì del 75% nella seconda. La costruzione del­ la rete fognaria (che portò all'eliminazione del colera e di buona par­ te delle altre malattie diffuse dall 'acqua a partire dal 1 83 1 ) e la vacci­ nazione (che eliminò il vaiolo quando divenne obbligatoria nel 1 853) ridussero nettamente la mortalità infantile e aumentarono le speran­ ze di soprawivenza della popolazione adulta; i decessi dovuti a ma­ lattie infettive diminuirono di quasi il 60% fra il 1 872 e il 1 900. Rac­ colti migliori da campi fertilizzati e incolti e, in particolare, le impor­ tazioni di cereali dall'America del Nord e di carni congelate dall'Au­ stralasia contribuirono a formare una popolazione più numerosa, più robusta e più sana. L'aumento del contenuto calorico degli alimenti venne accresciuto da una riduzione dei prezzi di alcuni generi di lus­ so, come il tè, il caffè e soprattutto lo zucchero, che rendevano i ce­ reali più gradevoli e la dieta più variata. L'effetto combinato di questi miglioramenti dal punto di vista me­ dico e dietetico sulle popolazioni in aumento non fu soltanto quello di vedere crescere gli effettivi dei contingenti di giovani da chiamare alle armi ogni anno (le classi, come le chiamavano i francesi) - di cir­ ca il 50%, per esempio, in Francia fra il 1 80 1 e il 1 900 , ma anche quello di renderli più adatti, un decennio dopo l'altro, al servizio mi­ litare . C'è una necessità apparentemente irriducibile per un soldato in marcia, quella di portarsi addosso circa 22 chili di pesi estranei, zai­ no, fucile e munizioni. Più alto e robusto è il soldato, più facile sarà per lui portare quel peso lungo un percorso standard di 30 chilome­ tri di marcia al giorno. Nel XVIII secolo l'esercito francese aveva tro­ vato la fonte di questi robusti giovanotti nella classe degli artigiani di città, anziché fra i contadini. Il contadino, fisicamente denutrito e non particolarmente sveglio e intelligente, era di rado un buon sol­ dato; non era robusto, era ostinato, facile ad ammalarsi e capace di abbattersi fino alla morte se veniva sradicato dalla sua terra natia. Do­ vevano essere proprio queste caratteristiche negative a indurre Marx, cento anni dopo, a definire «irrecuperabili» i contadini per una cau­ sa rivoluzionaria. Tuttavia, a metà del XIX secolo, la popolazione con­ tadina di Germania, Francia, Austria-Ungheria e Russia era talmente migliorata nel fisico da fornire regolannente ai rispettivi eserciti na­ zionali una buona proporzione delle classi di nuovi coscritti, smen­ tendo di conseguenza le opinioni di Marx. La sua analisi può essere stata deformata dal fatto che il suo punto d' osservazione era l'In­ ghilterra, dove un'emigrazione su vasta scala verso le città aveva la­ sciato soltanto i meno intraprendenti sotto il controllo dei potenti lo­ cali. Nelle nazioni del continente, che si stavano industrializzando più lentamente dell' Inghilterra, erano le campagne a fornire le clas-

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si di robusti e alti giovanotti con i quali vennero formati i grossi eser­ citi del XIX secolo. Se l'aumento della popolazione dovuto a un 'alimentazione mi­ gliore, alle medicine e alla rete fognaria allargò la base del recluta­ mento degli eserciti europei, furono i sistemi perfezionati degli Stati del XIX secolo per quanto riguardava il censimento e la riscossione delle tasse a far sÌ che le reclute potessero essere individuate, nutrite, pagate, alloggiate, equipaggiate e trasportate in guerra. L'istituzione di censimenti regolari - in Francia nel 1 80 1 , in Belgio nel 1 829, in Germania nel 1 853, in Austria-Ungheria nel 1 857, in Italia nel 1 86 1 fornÌ alle autorità preposte al reclutamento i dati necessari all 'identi­ ficazione e alla classificazione delle reclute potenziali; ebbero cosÌ fi­ ne i tradizionali espedienti avventurosi del reclutamento forzoso, de­ gli allettamenti, dei ricatti e delle «razzie» che avevano consentito la costituzione degli eserciti dell ' An cien régime con gli elementi non ab­ bastanza veloci o furbi da evitare i sergenti reclutatori. Gli elenchi dei contribuenti, quelli elettorali e quelli scolastici documentavano il do­ micilio e gli spostamenti dei coscritti, mentre la concessione del voto e l'introduzione dell' istruzione gratuita per tutti comportarono nel­ lo stesso tempo una limitazione e un aumento delle libertà indivi­ duali. Nel 1 900, per esempio, ogni riservista tedesco era obbligato a conservare un documento di congedo che specificava il centro pres­ so il quale avrebbe dovuto presentarsi in caso di mobilitazione. L'enorme sviluppo delle economie europee stava nel frattempo costituendo la base imponibile mediante la quale i nuovi eserciti di coscritti venivano mantenuti; l' economia tedesca, per esempio, si espanse di un quarto fra il 1 85 1 e il 1 855, del 50% fra il 1 855 e il 1 875 e del 70% fra il 1 875 e il 1 9 1 4. Da questa nuova ricchezza lo Stato at­ tinse, per mezzo delle imposte indirette e dirette, compresa l'odiata istituzione dell'imposta sulle entrate, una fetta sempre crescente del prodotto interno lordo. In Gran Bretagna, per esempio, la percen­ tuale destinata alle spese militari dello Stato passò dal 4,8% del pe­ riodo fra il 1 860 e il 1 879 al 7,4% nel periodo 1 900- 1 9 1 4; in Germa­ nia dal 4 al 7, 1 % ; aumenti proporzionali si ebbero in Francia e in Au­ stria-Ungheria. La maggior parte di questi maggiori introiti fiscali fu destinata al­ l'acquisto di equipaggiamento militare, nel significato più vasto del termine. Artiglierie e navi da guerra rappresentavano le spese mag­ giori, le caserme quelle più significative. Il soldato dell' Ancien régime veniva alloggiato dovunque lo Stato trovava posto per lui, in osterie, soffitte o case private. Il coscritto del XIX secolo era alloggiato in edi­ fici appositamente costruiti. Le caserme munite di cinta muraria co-

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stituivano un importante strumento di controllo sociale; Engels le de­ nunciò come «bastioni contro il popolo» . Parimenti, i fiorentini del XVI secolo considerarono la costruzione della Fortezza da Basso al­ l' interno delle mura della propria città come un simbolo di limita­ zione delle loro libertà. Le caserme rappresentavano un importante mezzo per garantire una pronta disponibilità di forze, con le quali vennero represse, fra l'altro, la rivolta di Berlino del 1 848 e la Comu­ ne di Parigi del 1 87 11• Tuttavia, le caserme non furono soltanto sedi di reparti della poli­ zia antidisordini dell'epoca. Esse furono anche centri attivi di una nuova cultura militare in cui i coscritti impararono ad abituarsi al­ l'obbedienza e forgiarono legami di cameratismo che li avrebbero preparati ad affrontare sofferenze sul campo di battaglia assai più do­ lorose di quante i soldati ne avessero incontrato in precedenza. La nuova ricchezza degli Stati del XIX secolo permise non solo di alloggiare ed equipaggiare i coscritti, ma anche di trasportarli sul campo di battaglia e di fornire loro il rancio una volta arrivati. I sol­ dati dell' Ancien régime non erano riforniti molto meglio dei legionari romani: farina macinata nei mulini a mano del reggimento e un po' di carne ottenuta con la macellazione di bovini al seguito costituiva­ no la base del rancio. I soldati del XIX secolo erano nutriti con cibi conservati; la margarina e lo scatolame erano il risultato di una gara d'appalto organizzata da Napoleone III per adottare razioni che non andassero a male nello zaino dei soldati. Tuttavia, la necessità di do­ versi portare dietro le razioni viveri venne considerevolmente ridotta dalla subordinazione alle necessità militari della rete ferroviaria in via di sviluppo. In Germania, le truppe erano trasportate per ferrovia fin dal 1 839. Nel 1 859, quando la Francia intervenne a fianco dei pie­ montesi nell' Italia settentrionale contro l 'Austria, gli spostamenti per ferrovia erano già pratica comune. Nel 1 866 e nel 1 8 70 furono alla base delle vittorie prussiane contro austriaci e francesi. In quest'ulti­ mo anno la rete ferroviaria tedesca, che nel 1 840 era di soli 469 chi­ lometri, aveva già raggiunto una lunghezza di 1 7.2 1 5 chilometri; nel 1 9 1 4 sarebbe stata di 6 l . 749 chilometri, per la maggior parte (56.000 chilometri) sotto gestione statale. Il governo tedesco, fortemente sol­ lecitato dallo stato maggiore generale, aveva ben presto capito l'im­ portanza del controllo della rete ferroviaria, sia per scopi difensivi sia per quelli offensivi; gran parte di questa rete, soprattutto nei settori a basso sfruttamento commerciale, come in Baviera e nella Prussia orientale, era stata finanziata mediante prestiti raccolti dallo Stato e destinati a essere investiti seguendo le direttive della sezione ferrovie dello stato maggiore generale2•

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Le ferrovie trasportavano i soldati dell'era delle macchine a vapo­ re e quanto era loro necessario almeno fino ai capolinea (al di là di quel limite si tornava al vecchio sistema delle marce forzate) . La tec­ nologia che costruÌ le ferrovie fornÌ anche le armi con le quali i sol­ dati dei nuovi eserciti di massa si sarebbero inflitti a vicenda perdite enormi. Lo sviluppo di queste armi non fu programmato, per lo me­ no non all'inizio; in seguito probabilmente sÌ. Hiram Maxim, l'in­ ventore della prima mitragliatrice efficiente, sembra abbia rinuncia­ to agli esperimenti nel campo dell'ingegneria elettrica nel 1 883, die­ tro suggerimento di un collega americano, che gli disse: «Al diavolo la tua elettricità! Se vuoi fare fortuna, inventa qualcosa che permetta a quei pazzi di europei di ammazzarsi a vicenda più rapidamente » . Tuttavia, inizialmente, l a causa dell'apparizione d i queste armi a tiro rapido, a lunga portata, con buona precisione, servite da squadre di specialisti, che finirono per equipaggiare gli eserciti di leva fra il 1 850 e il 1 900, fu la particolare combinazione dell 'ingegnosità dell' uomo con le capacità industriali che resero possibile la loro fabbricazione. Quattro sono i fattori di rilievo. Il primo, la diffusione delle mac­ chine a vapore, che fornivano l' energia per la produzione di armi a livello industriale. Il secondo, lo sviluppo di un apposito procedi­ mento, soprannominato in origine «americano» perché era nato do­ po il 1 820 nelle fabbriche della valle del Connecticut che erano cro­ nicamente a corto di manodopera specializzata. Questo procedimen­ to industriale comportava la produzione di «parti intercambiabili » , fabbricate mediante u n perfezionamento dell'antico principio del pantografo, e consentÌ un aumento colossale della produzione. L'in­ dustriale prussiano Dreyse, inventore del rivoluzionario «fucile ad ago» (nel quale un sottile percussore comandato dall 'otturatore an­ dava a colpire la capsula d' innesco posta al centro del fondello di una cartuccia con bossolo metallico) , riuscì a produrre nel 1 847 soltanto 1 0.000 pezzi l'anno con i metodi tradizionali, pur godendo di un so­ lido contratto governativo per riequipaggiare l 'intero esercito. Per contro, nel 1 863, la fabbrica d'armi inglese Enfield, riequipaggiata con macchinari automatici, riuscì a sfornare 1 00. 370 fucili e nel 1 866 il governo francese riorganizzò l'arsenale di Puteaux con attrezzatu­ re per «pezzi intercambiabili» in grado di produrre 300.000 nuovi fu­ cili Chassepot l'anno. I progressi nell' ingegneria metallurgica sarebbero stati inutili sen­ za un miglioramento della qualità del metallo da lavorare; questo ven­ ne garantito dallo sviluppo di nuovi procedimenti per la fusione di ac­ ciaio in grandi quantità, in particolare da parte dell 'ingegnere bri­ tannico Bessemer dopo il 1 857 (anche lui incoraggiato da un premio

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offerto da Napoleone III) . Il forno convertitore di Bessemer costituì il terzo fattore di rilievo. Con forni simili, le fonderie tedesche di Al­ fred Krupp, specialista in cannoni, cominciarono dopo il 1 860 a pro­ durre lingotti d'acciaio dai quali si potevano ottenere a macchina can­ ne da cannone perfette. E i suoi pezzi da campagna a retrocarica, che equivalevano su scala maggiore ai fucili con i quali erano ormai equi­ paggiati tutti i fanti dell' epoca negli eserciti moderni, si dimostraro­ no un 'arma decisiva nella guerra franco-prussiana del 1 8 70-7 1 . Il quarto fattore di rilievo nella rivoluzione delle armi da fuoco venne fornito poco dopo da chimici europei, in particolare lo svedese Alfred Nobel, che realizzarono cariche di lancio ed esplosivi in grado di spin­ gere pallottole e proiettili a distanze maggiori, facendoli esplodere con un effetto dirompente mai visto prima. La portata effettiva delle armi della fanteria, per esempio, che dipendeva in ugual misura dal­ la tecnica industriale e dagli sviluppi delle polveri da sparo, salì da cento a mille metri fra il 1 850 e il 1 900. E quando il recupero dell' e­ nergia prodotta dalla deflagrazione chimica venne applicato al mec­ canismo delle armi individuali e dell' artiglieria, negli anni fra il 1 880 e il 1 900, nacquero la mitragliatrice e il pezzo d'artiglieria a tiro rapi­ do, strumenti determinanti per portare la morte velocemente anche a grande distanza. Le armi a lunga gittata e a tiro rapido costituirono la minaccia con la quale veniva a essere annullato ogni miglioramento delle forze of­ fensive dovuto alla rivoluzione industriale e demografica del XIX se­ colo. E questa è l'ironia della sorte. Il trionfo materiale del XIX se­ colo era stato quello di spezzare il circolo vizioso dell'alternanza di anni di vacche grasse e di vacche magre che condizionava la vita an­ che negli Stati più prosperosi, e di poter avere un ' eccedenza penna­ nente di generi alimentari, d'energia e di materie prime (anche se non di capitali, crediti o denaro contante) . Le fluttuazioni del mer­ cato mantenevano in vita il boom e la recessione nella pacifica esi­ stenza degli Stati. Le eccedenze trasformarono la loro capacità di fa­ re la guerra. La guerra, a qualsiasi livello al di là del rituale primitivo delle scorrerie e delle imboscate, aveva sempre richiesto un ' ecceden­ za, una sovrabbondanza, per poter essere alimentata. Tuttavia, la sto­ ria ci ha dimostrato che un accumulo delle eccedenze abbastanza ra­ ramente era stato tanto rilevante da poter finanziare guerre che si concludevano con una vittoria decisiva di una delle parti sull' altra; le guerre che si finanziavano da sole, in cui le spoglie della conquista so­ stenevano l'impeto di una campagna vittoriosa, erano ancora più ra­ re. La vittoria di una nazione su un'altra di solito veniva spiegata da fattori estranei: una grande disparità fra le opposte tecnologie belli-

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che, oppure la dinamica di ideologie opposte, oppure, come ha sug­ gerito il professor William McNeill, la facilità d'infezione rispetto a ceppi di germi poco conosciuti trasportati da un aggressore: questi so­ no indubbiamente motivi validi di fronte a successi militari sensazio­ nali come la distruzione da parte spagnola degli imperi azteco e inca, le conquiste islamiche del VII secolo e la distruzione da parte ameri­ cana delle tribù guerriere dei pellirosse. Nelle guerre europee fra la Riforma e la Rivoluzione francese, combattute fra Stati che si trovavano allo stesso livello di capacità bel­ lica, volontà di battersi e resistenza alle comuni malattie, questi fatto­ ri estranei non avevano avuto una parte decisiva, mentre i surplus di­ sponibili per l ' offesa erano stati fortemente controbilanciati dalla ne­ cessità di finanziare le difese, in particolare i reparti, i mezzi e le tec­ niche d'assedio. Una buona parte di questi erano stati impiegati nel­ la distruzione dei capisaldi feudali dai quali i potentati locali avevano sfidato l'autorità centrale, da quando, nell 'XI secolo, si era diffusa fra i proprietari terrieri europei la consuetudine di erigere castelli. Un' o­ perazione estremamente costosa, e a questi costi andavano aggiunti quelli per rimpiazzare le fortificazioni locali con altre a carattere na­ zionale nelle zone di confine per tutto il XVI, XVII e XVIII secolo. Gli investimenti in opere fortificate avevano avuto l'effetto collaterale di comportare sottoinvestimenti nelle infrastrutture civili - strade, pon­ ti, canali - che altrimenti avrebbero potuto rendere facile e decisivo il passaggio degli eserciti nelle campagne offensive. Fino al 1 826, per esempio, mentre la rete stradale britannica - in buona parte in Sco­ zia, deliberatamente costruita a scopi militari dopo la rivolta giacobi­ ta del 1 745 si stendeva per oltre 33.000 chilometri, quella francese, in un territorio tre volte più vasto, non era più lunga, mentre la Prus­ sia, che occupava la maggior parte del territorio strategicamente im­ portante nell'Europa settentrionale, aveva una rete stradale di soli 5300 chilometri, concentrati nelle sue province della Renania. Le zo­ ne orientali erano praticamente prive di strade, come rimasero quel­ le della Polonia e della Russia fino al XX secolo inoltrato, a tutto svan­ taggio di Napoleone prima e di Hitler poi. L'abbondanza portata dal miracolo economico nell' Europa del XIX secolo eliminò le conseguenze degli scarsi investimenti nelle opere stradali e dell' eccesso di investimenti nelle fortificazioni di confine. Gli eserciti di massa, trasportati e riforniti mediante la nuo­ va infrastruttura delle ferrovie, invasero territori di importanza stra­ tegica come una marea in un 'epoca di mutamenti di livello dei ma­ ri. Nel 1 866 e nel 1 870 gli eserciti prussiani dilagarono nelle regioni di confine della Boemia austriaca e dell'Alsazia-Lorena francese sen-

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za essere ostacolati dalle costose fortificazioni che dovevano proteg­ gerle. I movimenti strategici in Europa assunsero una fluidità pari quasi a quella che caratterizzò le campagne occidentali della guerra civile americana, combattuta da eserciti di massa in un territorio qua­ si del tutto privo di ostacoli artificiali. Le regioni disputate dai gene­ rali degli Asburgo e dei Borboni in duecento anni di campagne a ba­ se di colpi di spillo per trarre vantaggio da ogni cavità e da ogni an­ fratto lungo i rispettivi confini si sbriciolarono sotto i colpi di mar­ tello delle macchine a vapore in poche settimane di brutale rimo­ dellamento. Sembrava di essere alle soglie di una seconda « rivolu­ zione militare» simile a quella provocata dalla polvere da sparo e dal­ l 'artiglieria mobile all'alba del Rinascimento e della Riforma. San­ gue, ferro e oro - disponibili in quantità maggiori di quelle mai mes­ se a disposizione da qualsiasi altro ricco sovrano - promettevano vit­ torie addirittura più rapide e più complete di quelle di Alessandro Magno o di Gengis Khan. Queste vittorie vennero promesse, ma non necessariamente rag­ giunte, perché anche le più grandi ricchezze materiali non servono se mancano le qualità umane necessarie a utilizzarle. Ma anche qui il XIX secolo aveva cambiato, per così dire, il livello dei mari. Il soldato del XVIII secolo era una povera creatura, il servitore in livrea del suo re, e qualche volta - in Russia e in Prussia - un vero e proprio servo mandato al servizio dello Stato dal proprio signore feudale. L'unifor­ me era, in effetti, una livrea e coloro che la portavano avevano il mar­ chio di chi aveva venduto i propri diritti. L'uniforme stava a signifi­ care che avevano dovuto cedere «per bisogno o per necessità» , i mo­ tivi più comuni per arruolarsi; avevano cambiato bandiera (i prigio­ nieri di guerra voltagabbana costituivano una buona fetta di quasi tut­ ti gli eserciti) o avevano accettato di servire come mercenari sotto bandiere straniere (come decine di migliaia di svizzeri, scozzesi, ir­ landesi, slavi e altri montanari e boscaioli fecero durante tutto l'An­ cien régime) ; avevano ottenuto in cambio la libertà dal carcere dove si trovavano per piccole condanne o per debiti, oppure semplicemente non erano riusciti a correre più in fretta dei sergenti di arruolamen­ to. Ben di rado i volontari erano i soldati migliori. E dato che tanti compagni d'arme erano guerrieri loro malgrado, le pene per la di­ serzione erano molto dure e il codice penale militare era particolar­ mente severo. Il soldato del XVIII secolo veniva fustigato per infra­ zioni al servizio e impiccato per indisciplina, ed entrambe le accuse erano interpretate con molta larghezza. Il soldato del XIX secolo, al contrario, era un uomo che voleva es­ sere quello che era. Soldato per decisione propria, spesso entusiasta,

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era d i solito di leva, m a accettava i l suo periodo d i servizio militare (sia pure breve) come una giusta riduzione della propria libertà, da svol­ gere in allegria oltre che in piena obbedienza. Questo aweniva, per lo meno dalla metà del secolo in poi, negli eserciti degli Stati più pro­ grediti, prima di tutti e soprattutto in Prussia, ma anche in Francia e in Austria, mentre gli Stati minori e quelli meno progrediti si affret­ tavano a seguire il loro esempio. È piuttosto difficile documentare questo cambiamento di atteggiamento. Forse la sua manifestazione più tangibile è stata la comparsa degli oggetti-ricordo reggimentali, che cominciarono a essere fabbricati a decine di migliaia verso la fi­ ne del XIX secolo. L' oggetto-ricordo, in Gennania, era tipicamente un boccale di maiolica decorato con scene di vita reggimentale, re­ cava di solito i nomi dei camerati del plotone, qualche strofetta di ver­ si popolari, un saluto al reggimento - del tipo «Evviva il 1 2° Grana­ tieri» - e la scritta tradizionale: «A ricordo del mio periodo di servizio militare» . Il giovane soldato che era stato visto partire inghirlandato di fiori offerti dai vicini - una netta differenza dal saluto che veniva dato al servo coscritto russo del XVIII secolo, una messa da requiem celebrata dal pope del villaggio - quando tornava a casa in congedo si portava dietro il souvenir e lo collocava in un posto d'onore. Questo importante mutamento d'atteggiamento fu letteralmente ri­ voluzionario. Le radici di tale cambiamento erano svariate, ma le tre più importanti risalivano direttamente alla Rivoluzione francese e al motto principale della sua ideologia: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Il servizio militare divenne popolare nel XIX secolo perché costi­ tuiva un ' esperienza di uguaglianza. «Figlio di duca, figlio di cuoco, fi­ glio di cento re» , poté scrivere Rudyard Kipling del soldato britanni­ co inviato a combattere contro i boeri nel 1 900, e aveva in parte ra­ gione. L'entusiasmo popolare per la guerra portò veramente tutte le classi nelle file dei soldati semplici, ma si trattava, naturalmente, di vo­ lontari. La mobilitazione generale negli eserciti europei raccolse tut­ te le classi, che lo volessero o meno, in Prussia dal 1 8 1 4, in Austria dal 1 867, in Francia dal 1 889, e le impegnò nel servizio militare per due o tre anni. Ci furono variazioni nella proporzione delle classi arruo­ late anno per anno, e mutamenti nella lunghezza del servizio di leva. C'erano esenzioni dall' obbligo per i più istruiti; un esempio tipico è quello dei diplomati delle scuole superiori, che facevano soltanto un anno di leva e poi venivano passati nella riserva come potenziali uffi­ ciali. Tuttavia il principio della leva obbligatoria, che era in genere considerato valido, venne anche accettato come permanente. I riser­ visti, durante i primi anni dopo il congedo, tornavano annualmente al reparto per un periodo di aggiornamento; a mano a mano che in-

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vecchiavano, venivano trasferiti a una riserva del tempo di guerra (la Landwehr in Germania, l 'esercito territoriale in Francia) , mentre quando erano anziani, ma ancora validi, passavano alla milizia terri­ toriale. L'addestramento dei riservisti era sopportato di buon grado e spesso considerato una specie di vacanza esclusivamente per uomi­ ni. Freud, che era ufficiale medico della riserva nell' esercito austria­ co, scrivendo a un amico dalle manovre del 1 866, osservò che «sa­ rebbe da ingrati non ammettere che la vita militare, con tutti i suoi obblighi inevitabili, fa bene ai nevrastenici. Nel corso della prima set­ timana tutti i sintomi sono spariti» . Anche la coscrizione fu relativamente ugualitaria nel suo funzio­ namento. Gli ebrei, come Freud, venivano arruolati come i cristiani e nell 'esercito asburgico diventavano automaticamente ufficiali se ave­ vano l 'istruzione adeguata; in quello tedesco, gli ebrei potevano di­ ventare ufficiali della riserva, ma l 'antisemitismo presente nei reggi­ menti impediva loro di diventare ufficiali di carriera, anche se il fi­ nanziere di Bismarck, Bleichroder, riuscì a ottenere per suo figlio un brevetto di nomina regolare nella cavalleria della Guardia. L' ufficia­ le che propose Hitler per la Croce di ferro di I classe era un ufficiale della riserva ebreo. Questa era «emancipazione» nel suo aspetto mi­ litare e non riguardava soltanto gli ebrei. La coscrizione obbligatoria toccò tutte le nazionalità nelle terre dell'impero asburgico, polacchi e alsaziani-lorenesi in Germania, baschi, bretoni e savoiardi in Fran­ cia. Tutti, per il fatto di essere soldati, dovevano anche essere austria­ ci, tedeschi o francesi. La coscrizione fu non solo uno strumento di uguaglianza, ma an­ che di fratellanza. Dato che riguardava tutti nello stesso momento del­ la loro vita, e trattava tutti allo stesso modo, costituì, per i giovani eu­ ropei, un legame di fratellanza che non avevano mai provato prima. Un'altra novità dello stesso periodo, l 'istruzione universale obbliga­ toria, stava facendo uscire i ragazzi dalle loro famiglie per immerger­ li in un ' esperienza comune, quella dell'apprendimento scolastico. La coscrizione prelevava i giovani dal loro ambiente e li aiutava a cre­ scere, ponendoli di fronte alla prova di separarsi dalla famiglia, farsi nuove amicizie, misurarsi con i nemici, assuefarsi all'autorità, a in­ dossare uniformi diverse, a mangiare un cibo al quale non erano abi­ tuati3, ad arrangiarsi da soli. Era un vero e proprio rite de passage, in­ tellettuale, emotivo e, particolare non meno importante, fisico. Gli eserciti del XIX secolo, definiti «scuole della nazione» , assunsero molte delle caratteristiche delle scuole dell'epoca non solo perché va­ lutavano e miglioravano la capacità di leggere, scrivere e far di conto, ma insegnavano anche a nuotare, fare ginnastica e praticare sport al-

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l'aria aperta oltre a usare un 'arma da fuoco e l e arti marziali. Turn­ vater Jahn, pioniere dell'educazione fisica in Germania, ebbe una for­ te influenza sull'addestramento militare prussiano; le sue teorie ven­ nero diffuse in Francia con il «Bataillon de Joinville» , mentre in Italia il capitano Caprilli, inventore della «posizione avanzata» , fondò a Pi­ nerolo una scuola militare di cavalleria che doveva trasformare l'arte dell 'equitazione in tutto il mondo occidentale. La sana vita all'aper­ to durante il servizio militare, trascorsa accanto ai fuochi di bivacco e sotto la tenda, si sarebbe trasformata col tempo negli ideali dei movi­ menti giovanili tedeschi e nel codice di comportamento dei Boy Scout, facendo rifluire le abitudini militari nella vita civile e sociale. Il rite de passage della coscrizione obbligatoria non fu per tutti un ' e­ sperienza liberatrice. Come ha fatto notare il professor William Mc­ Neill, gli individui arruolati in un esercito da una società che si stava rapidamente urbanizzando e industrializzando, togliendoli dall'ara­ tro e dalla pompa del villaggio, «si trovarono in una società più sem­ plice di quella che conoscevano nella vita civile. Il soldato semplice perdeva quasi del tutto ogni responsabilità personale. Il rituale e la routine fissavano quel che si doveva fare praticamente per ogni ora di lavoro. E la semplice obbedienza agli ordini, che di tanto in tanto scandivano quella routine e incanalavano l'attività verso nuove dire­ zioni, serviva a liberare dalle ansietà derivanti dalla necessità di pren­ dere personalmente decisioni, ansietà che si moltiplicavano nella so­ cietà urbana, in cui l 'attenzione di ciascuno veniva richiamata insi­ stentemente da esponenti rivali, partiti rivali e alternative pratiche, come per esempio il modo di trascorrere almeno una parte del pro­ prio tempo. Per paradossale che possa sembrare, sfuggire alla libertà era spesso un 'autentica liberazione, soprattutto per elementi giovani che si trovavano a vivere situazioni in rapida evoluzione e che non era­ no ancora stati in grado di assumere in pieno il ruolo di adulti » . Ma l'importanza maggiore della coscrizione obbligatoria nel mo­ dificare l'atteggiamento nei confronti del servizio militare è dovuta alla sua relazione con la libertà nel suo significato politico, se non in quello personale. I vecchi eserciti erano stati strumento di oppressio­ ne dei popoli da parte dei sovrani; i nuovi eserciti dovevano diventa­ re strumenti della liberazione dei popoli dai sovrani, anche se, negli Stati che rimasero tradizionalisti, quella liberazione doveva essere strettamente istituzionale. I due concetti non sono reciprocamente in contraddizione. La Convenzione nazionale francese aveva decretato nel 1 79 1 che il battaglione organizzato in ciascun distretto doveva es­ sere unito sotto una bandiera con la scritta « Il popolo francese unito contro la tirannia» , il che racchiudeva il concetto, inserito nella Co-

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stituzione degli Stati Uniti, che «il diritto di portare le armi» , una vol­ ta reso comune, avrebbe rappresentato una garanzia di libertà diret­ ta. Due anni prima, l'esponente rivoluzionario Dubois-Crancé, che promosse la riforma del regime militare francese, aveva espresso un concetto analogo: «Ogni cittadino dovrà essere soldato e ogni solda­ to un cittadino, altrimenti non avremo mai una costituzione » . I l contrasto fra i principi d i conseguire l a libertà con attacchi ri­ voluzionari e di ottenerla in forma legale prestando servizio militare doveva paralizzare la vita politica europea per buona parte del seco­ lo XIX. L' eccesso di libertà ottenuto in Francia con la forza delle ar­ mi avrebbe provocato la reazione termidoriana e convogliato il fer­ vore dei sans-culottes verso le conquiste all'estero. Le vittorie degli eserciti «rivoluzionari » (dopo il 1 795 saldamente sotto il controllo dei loro ufficiali, molti dei quali erano, per ironia della sorte, ci-de­ vants ricomparsi) avrebbero allora avuto l'effetto di spingere i loro nemici, in particolare i re di Prussia e d ' Austria, a decretare una spe­ cie di levée-en-masse, la manifestazione originale della Rivoluzione francese nella sua forma militare, allo scopo di ottenere contingenti popolari, Landwehr, Landsturm, Freischiitzen, per opporsi ai francesi sui loro territori nazionali. Landwehr e Freischiitzen divennero un impiccio appena svolto il 10ro compito. Una volta rinchiuso al sicuro Napoleone a Sant'Elena, Prussia e Austria confinarono queste forze popolari, con i loro uffi­ ciali borghesi dalle idee troppo progressiste, alla condizione di con­ tingenti di riserva, col fermo proposito di non richiamarle mai in ser­ vizio attivo. Esse tuttavia sopravvissero fino al 1 848 «l'anno delle rivo­ luzioni» , quando i loro componenti parteciparono attivamente ai combattimenti per le strade per i diritti costituzionali a Vienna e a Berlino, dove vennero sconfitti dalla Guardia prussiana, l 'ultimo ba­ stione dell'autorità tradizionale. Nel frattempo esse si erano ripro­ dotte in Francia, dove la Guardia nazionale avrebbe mantenuto vivo il principio «liberale» nella vita militare per tutto il Secondo Impero e, dopo il ritiro dei prussiani da Parigi nel 1 87 1 , si sarebbe sollevata contro l ' esercito regolare della Terza Repubblica conservatrice in una sanguinosa Comune che costò loro ventimila morti. La lotta di queste forze cittadine contro gli eserciti della reazione, anche se si concluse in una sconfitta materiale, servì ugualmente a esercitare in modo indiretto la pressione che strappò ai governi con­ servatori europei i diritti costituzionali ed elettorali. La pretesa di questi diritti era nell'aria e l ' impOt du sang, la «tassa del sangue» , co­ me veniva chiamata in Francia la legge sulla coscrizione obbligatoria, non poteva essere riscossa mentre venivano rifiutati i diritti costitu-

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zionali, in particolare mentre gli Stati vicini stavano aumentando i lo­ ro eserciti e le loro riserve mediante la coscrizione obbligatoria. La Prussia, sempre all'avanguardia in campo militare, concesse una co­ stituzione nel 1 849, risultato diretto della paura provata l'anno prima davanti ai rivoluzionari in armi. Nel 1 880 sia la Francia sia l' impero tedesco avevano introdotto il suffragio universale maschile e la Fran­ cia istituÌ nel 1 882 un servizio militare per tutti della durata di tre an­ ni. L'Austria estese nel 1 907 il diritto di voto a tutti i cittadini maschi; perfino la Russia, il più autocratico degli Stati e il più esigente nelle sue leggi sulla coscrizione, che imponevano quattro anni di leva, ave­ va costituito nel 1 905 un 'assemblea rappresentativa, dopo la sconfit­ ta del proprio esercito a opera dei giapponesi in Manciuria e la suc­ cessiva rivoluzione di quello stesso anno. «Niente coscrizione senza rappresentanza» era, in poche parole, divenuto uno slogan inespresso nella politica europea mezzo secolo prima della Grande Guerra; e, dato che la coscrizione è in effetti una tassa (sul tempo se non sui guadagni dell 'individuo) , ricalcava con precisione la sfida dei coloni americani a Giorgio III nel 1 776. Para­ dossalmente, negli Stati in cui il voto era concesso a tutti, o quasi, i cit­ tadini liberi, ma in cui il servizio militare era ancora limitato a coloro che vi erano costretti «per bisogno o per necessità» - Stati Uniti e Gran Bretagna -, la popolazione venne colta da una strana passione per il servizio militare volontario durante la grande epoca dell' e­ spansione militare nell 'Europa del XIX secolo. Le fasi iniziali della guerra civile americana non avrebbero potuto essere combattute sen­ za l' esistenza precedente di una rete di reggimenti composti da sol­ dati non professionisti come i Liberty RiJles del New]ersey, la Mechanic Phalanx del Massachusetts, i Republican Blues di Savannah, Georgia, e la Palmetto Guard di Charleston, Carolina del Sud. Due anni prima la paura della guerra in tutta la nazione aveva portato alla costituzione di una rete assai più vasta in Gran Bretagna. I versi di Form, RiJlemen, Form del poeta inglese Alfred Tennyson avevano contribuito a far ar­ ruolare 200.000 civili in un servizio militare amatoriale, con grave im­ barazzo per il governo, che non riuscì a impedire loro di disegnarsi e acquistarsi le uniformi, ma che fu molto riluttante a vederli armati o a fornir loro le armi. I cittadini lo fecero ugualmente e il governo - che, come tutti gli altri in Europa fin dall ' istituzione dell ' ordine pubblico all' inizio del XVIII secolo aveva energicamente effettuato il disarmo della popo­ lazione - si trovò alla fine costretto a distribuire loro i fucili degli ar­ senali statali. La consegna dei moderni fucili, invece degli antiquati moschetti (la differenza sta nel fatto che i moschetti erano ad anima

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liscia e imprecisi, mentre i fucili erano ad anima rigata e con una pre­ cisione e una portata maggiori) , ebbe un 'importanza fondamentale. Il moschetto era, come la livrea indossata dagli eserciti dinastici, un marchio di servitù. La sua portata era talmente ridotta che la sua ef­ ficacia poteva essere utilizzata per vincere in battaglia soltanto schie­ rando i soldati che ne erano dotati in fitte schiere, mantenendoli «serrati» con la punta delle picche. Il fucile, invece, era un 'arma mol­ to perfezionata. Poteva uccidere un soldato, senza particolare espe­ rienza da parte di chi lo usava, a 400 metri di distanza; nelle mani di un tiratore scelto, poteva uccidere un generale anche a 800 metri di distanza. Di conseguenza i comunardi di Parigi erano convinti, come disse Thomas Carlyle, che «il fucile rendeva alti tutti gli uomini» . Un fuciliere poteva stare alla pari di chiunque altro. I fucilieri volontari britannici, grazie al prestigio e all 'importanza che la loro arma con­ feriva, decisero di non indossare la soffocante uniforme scarlatta del­ la «linea» , la fanteria regolare, arruolata «per bisogno e per neces­ sità» , ma i comodi abiti da caccia di tweed dei gentiluomini di cam­ pagna; a questa tenuta alcuni aggiunsero pantaloni al ginocchio «al­ la garibaldina» o i cappelli «da liberale» a larghe tese usati dai rivo­ luzionari del 1 848. In diverse gradazioni di colore - grigioverde, gri­ gio o cachi - e varietà di taglio, questa tenuta da cacciatore, buona in campagna per i galli cedroni o i daini, si sarebbe estesa a tutti gli eserciti europei (eccezion fatta per i francesi) entro il 1 9 1 4, a mano a mano che veniva dato in dotazione il fucile a lunga gittata e con pallottola ad elevata velocità d ' uscita. E nessun distintivo veniva ostentato con maggiore orgoglio di quello di tiratore scelto; i repar­ ti che per primi vennero dotati di fucile - designati schiitzen in Ger­ mania, jiiger in Austria, chasseurs in Francia, green jackets in Gran Bre­ tagna (l'espressione significa sempre, nelle varie lingue , «cacciato­ ri» ) - assunsero un particolare spirito di corpo come antesignani del soldato moderno. In realtà, però, tutti i soldati che scesero in campo nel 1 9 1 4 erano la dimostrazione della modernità degli Stati di appartenenza. Erano abili, forti, perfettamente equipaggiati e vestiti, dotati di armi di gran­ de efficacia e ispirati dalla convinzione di essere uomini liberi che, combattendo liberamente sul campo di battaglia, avrebbero conse­ guito rapide e decisive vittorie. E, soprattutto, erano numerosi. Nes­ suno al mondo schierò mai un tale numero di soldati come fece l'Eu­ ropa nell'agosto 1 9 1 4. L'ufficio informazioni militari dello stato mag­ giore generale tedesco aveva calcolato che ogni milione di abitanti di una nazione avrebbe potuto mantenere due divisioni di soldati di cir­ ca 30.000 uomini. Questa valutazione venne confermata di misura al-

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l'atto della mobilitazione: la Francia, con 40 milioni di abitanti, mo­ bilitò 75 divisioni di fanteria (e l O di cavalleria) ; la Germania, con 57 milioni, 87 divisioni (e I l di cavalleria) ; l 'Austria-Ungheria, con 46 milioni, 49 divisioni (e I l di cavalleria) ; la Russia, con 1 00 milioni, 1 1 4 divisioni (e 36 di cavalleria) . Dato che ogni divisione era tratta da una zona particolare - la 9a e la 1 0a tedesche, per esempio, dalla Sle­ sia inferiore, la 1 9a e la 20a francesi dal Pas de Calais, la 3a e la 5a au­ striache dalla regione di Linz (dove era nato Hitler) , la P, 2a e 3a rus­ se dagli Stati baltici -, la loro partenza privava da un giorno all'altro il loro distretto d'origine del fiore della gioventù. Nelle prime due set­ timane dell'agosto 1 9 1 4 circa 20 milioni di europei, quasi il 1 0 % del­ la popolazione degli Stati scesi in guerra, vestÌ l'uniforme, si mise il fucile in spalla e prese il treno per il fronte. A tutti era stato detto, e la maggior parte ci credeva davvero, che sarebbero tornati a casa «pri­ ma dell'autunno» . Passarono invece quattro anni e cinque autunni prima che i su­ perstiti facessero ritorno, lasciando sui campi di battaglia circa dieci milioni di morti. Giovani che rappresentavano il frutto del miracolo economico europeo del XIX secolo erano stati consumati dalle forze che avevano dato loro vita e benessere. Le divisioni originariamente mobilitate nel 1 9 1 4 erano state « ricostituite» almeno due volte, e in alcuni casi anche tre. Le divisioni mobilitate durante la guerra aveva­ no subito perdite simili perché la macchina della coscrizione conti­ nuò a funzionare per tutta la durata del conflitto, non solo consu­ mando le nuove classi che raggiungevano ogni anno l'età della leva, ma anche allargando le sue fauci per divorare i più anziani, i più gio­ vani e i meno abili, che in tempo di pace avrebbe scartato. Dieci mi­ lioni di francesi finirono sotto le armi fra il 1 9 1 4 e il 1 9 1 8, e su dieci arruolati quattro rimasero uccisi o feriti. I caduti tedeschi furono più di tre milioni, quelli austriaci un milione, come gli inglesi, quelli del­ l'Italia, entrata in guerra soltanto nel maggio 1 9 1 5 e che combatté sul più ristretto dei fronti, oltre 600.000; i morti dell 'esercito russo, che crollò nel 1 9 1 7 consentendo ai bolscevichi di salire al potere, non so­ no mai stati calcolati con esattezza. Le tombe dei soldati russi e quel­ le dei tedeschi e degli austriaci caduti contro di loro sono sparse dai Carpazi al Baltico; quelle di francesi, britannici, belgi e tedeschi ca­ duti sul fronte occidentale vennero concentrate lungo una ristretta fascia di confine e formarono cimiteri che sono divenuti significativi punti di riferimento. Quelli costruiti dagli inglesi - per i quali il gran­ de neoclassicista Edwin Lutyens progettò le linee architettoniche e Rudyard Kipling, che ebbe un figlio caduto nella Grande Guerra, scrisse gli epitaffi ( �Lm�2) i:? � �i�

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Attacchi SO\ ietid: 20 no\Cmbre 1939-31 gennaio 19�0

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Contrattacchi finlandesi: 27 dicembre 19.\9-5 gennaio 19�0

La guerra russo-finlandese (novembre 1 939-ma17..o 1 940) e la campagna di Norvegia (aprile-giugno 1 940).

Il. Le origini del conflitto

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dovuto passare attraverso il territorio norvegese, e cosÌ facendo avreb­ be non solo violato la neutralità norvegese, ma anche minacciato l'ac­ cesso tedesco al bacino minerario di Kiruna-Gallivare in Svezia, che era di importanza vitale per la sua economia bellica. Raeder, il gran­ de ammiraglio di Hitler, che mirava in ogni caso a ottenere le basi del­ la Norvegia settentrionale da cui operare contro la Royal Navy, solle­ citò Hitler per tutto l'autunno e l'inverno del 1 939 a precedere gli Al­ leati autorizzando un intervento in Norvegia. Preoccupato per la pia­ nificazione dell'imminente attacco sul fronte occidentale, Hitler non voleva interessarsene, anche se, dopo che Raeder fece in modo di far arrivare a Berlino il leader dei nazisti norvegesi, Vidkun Quisling, au­ torizzò l'OKVV a studiare se valeva la pena occupare la Norvegia. A metà febbraio la sua indifferenza venne cancellata da un colpo al suo orgoglio. Una nave da rifornimento tedesca, l'Altmark, che aveva ap­ provvigionato la corazzata tascabile Gra! Spee prima che venisse dan­ neggiata da una divisione navale britannica nella battaglia del Rio de la Plata il 1 3 dicembre e costretta ad autoaffondarsi, venne intercet­ tata in acque territoriali norvegesi dal cacciatorpediniere britannico Cossack, e 300 marinai britannici fatti prigionieri dalla Gra! Spee du­ rante le sue scorrerie in Atlantico vennero liberati. La sconfitta della corazzata tascabile aveva irritato Hitler e l 'incidente dell'Altmark peg­ giorò la situazione. Decise di conseguenza di interdire una volta per tutte agli inglesi le acque territoriali norvegesi, preferibilmente me­ diante un 'invasione e un'occupazione, e ordinò al generale von Falkenhorst, esperto della guerra di montagna, di predisporre il pia­ no relativo. Falkenhorst concluse rapidamente che sarebbe stato op­ portuno occupare anche la Danimarca, come «ponte terrestre» verso la Norvegia, e il 7 marzo Hitler assegnò otto divisioni all 'operazione. A questo punto i servizi segreti fecero sapere che i piani alleati d 'in­ tervento in Norvegia, che dovevano fornire il pretesto legale di ag­ gressione sul quale di norma Hitler insisteva, erano stati annullati. Raeder riuscì tuttavia a convincerlo che l'operazione era necessaria da un punto di vista strategico e il 7 aprile le navi da trasporto tede­ sche salparono. La Danimarca, del tutto impreparata a una guerra, quasi disarma­ ta e non sospettando che i tedeschi nutrivano nei suoi confronti in­ tenzioni ostili, si arrese sotto la minaccia di un bombardamento ae­ reo su Copenaghen la mattina dello sbarco delle truppe, il 9 aprile. I norvegesi furono anch' essi colti di sorpresa, ma erano anche decisi a combattere e a OsIo i vecchi cannoni della fortezza del porto tenne­ ro a bada gli invasori - affondando l'incrociatore Bliicher - per quel tanto che bastò al governo e alla famiglia reale per fuggire e rifugiar-

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si in Gran Bretagna. Poi i superstiti del ridottissimo esercito norvege­ se si raggrupparono alla meglio per opporsi all 'avanzata tedesca lun­ go la costa verso le città del centro, Andalsnes, Trondheim e Namsos, e per opporsi agli sbarchi tedeschi all'estremo nord, a Narvik. Ma non dovettero combattere da soli, perché, grazie ai preparativi fatti per l'intervento in Finlandia, inglesi e francesi avevano alcuni reparti pronti a partire e a sbarcare. Fra il 1 8 e il 23 aprile, circa dodicimila soldati, tra inglesi e francesi, sbarcarono a nord e a sud di Trondheim e affrontarono i tedeschi che risalivano da OsIo su per le grandi val­ late del Gudbrandsdal e dell' Osterdal. I tedeschi sconfissero la briga­ ta britannica di testa nel Gudbrandsdal il 23 aprile e la costrinsero a reimbarcarsi da Andalsnes, poi presero contatto con il loro contin­ gente appena sbarcato a Trondheim e costrinsero gli Alleati a eva­ cuare il resto delle loro truppe da Namsos il 3 maggio. Più a nord, le vicende della guerra ebbero un esito diverso. La ma­ rina tedesca subì un grave scacco nelle due battaglie di Narvik, com­ battute il lO e 1 3 aprile fra superiori forze britanniche e i cacciator­ pediniere che avevano trasportato i reparti da montagna del genera­ le Dietl. Dieci caccia furono affondati nei fiordi di Narvik, e con essi gran parte del contingente di Dietl. Questi riuscì a prender terra con soli 2000 cacciatori di montagna e 2600 marinai da opporre a 24.500 soldati alleati , che comprendevano anche la 6a divisione norvegese. Dietl si trovò assediato a Narvik dal 1 4 aprile e venne costretto a rom­ pere l'accerchiamento e ripiegare fino al confine svedese, che rag­ giunse alla fine di maggio. Tuttavia, il crollo del fronte alleato in Fran­ cia portò in quel momento al termine della campagna, perché ingle­ si e francesi ordinarono il ripiegamento immediato delle loro truppe da Narvik per ripianare le perdite subite dal l O maggio nelle battaglie della Blitzkrieg contro la Wehrmacht. Dietl, per quanto sotto molti aspetti il meno fortunato dei gene­ rali tedeschi del periodo 1 939-40, doveva diventare uno dei favoriti di Hitler; la sua morte, in un incidente aereo nel giugno 1 944, costituì per il Fiihrer una vera tragedia personale, in quanto il dittatore lo considerava insostituibile, al punto che tentò di nascondere la notizia ai finlandesi, fra i quali Dietl si era fatto una grande reputazione nel corso della guerra contro i russi, allo scopo di non scoraggiarli ulte­ riormente in un momento in cui dovevano affrontare l'ipotesi di una nuova sconfitta da parte dell'Armata Rossa. A Hitler Dietl piaceva per­ ché discuteva con lui in un modo soldatescamente aggressivo che for­ se gli faceva ricordare i tempi in cui era stato soldato. Gli piaceva an­ cor di più perché a Narvik gli aveva risparmiato un 'umiliazione. L'in­ successo dello sbarco aveva messo in allarme Hitler, tanto che aveva

II. LI' on"gini del conflitto

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ordinato a Dietl di riparare in Svezia e di fare internare i suoi soldati anziché correre il rischio di arrendersi agli inglesi. Alla fine, però, era stato convinto a non trasmettere quell'ordine, e la tenace condotta dell'assedio e della ritirata da parte di Dietl lo aveva in ogni caso reso inutile. Dietl rappresentava il modello di quello che secondo il Fiih­ rer doveva essere ogni soldato tedesco, il tipo che aveva in mente quando aveva iniziato il reclutamento e l'addestramento di migliaia di soldati per la creazione della nuova Wehrmacht. La prova della sue qualità era stata l' essere riuscito a strappare la vittoria dalle fauci del­ la sconfitta tra le montagne della Norvegia settentrionale nel giugno 1 940, mantenendo così intatto il primato dei successi militari tedeschi fin dal primo giorno di guerra. Nelle campagne che nello stesso pe­ riodo si stavano svolgendo nell'Europa occidentale, però, nemmeno Dietl avrebbe potuto aggiungere qualcosa alle dimensioni della vitto­ ria tedesca. Perché qui la Blitzkrieg, la guerra lampo, sembrò essere una magia che aveva galvanizzato tutto l' esercito.

PARTE PRI MA

GUERRA IN OCCIDENTE 1940-1943

CAPITOLO TERZO

IL TRIONFO DELLA BLITZKRIEG

Blitzkrieg, «guerra lampo» , è una parola tedesca, ma non la si co­ nosceva nell 'esercito tedesco prima del 1 939. Coniata da giornalisti occidentali, era stata usata per spiegare ai lettori almeno in parte la velocità e la micidialità delle operazioni aero terrestri dei tedeschi nel corso delle tre settimane di campagna contro l'esercito polacco, ma­ le equipaggiato e sopraffatto dal numero. Tuttavia, come hanno spes­ so ammesso gli stessi generali tedeschi, la campagna di Polonia non era stata una vera prova delle capacità del loro esercito. Nonostante qualcuno di loro abbia affermato che la Wehrmacht non aveva di­ mostrato di essere allo stesso livello del vecchio esercito tedesco - af­ fermazioni che provocarono una furibonda sfuriata di Hitler contro il comandante in capo, generale Walther von Brauchitsch, nel corso di una riunione alla cancelleria il 5 novembre -, le divisioni di fan­ teria polacche che si spostavano faticosamente a piedi non erano sta­ te un grosso ostacolo per le avanguardie motorizzate di Guderian e di Kleist. E Blitzkrieg definiva esattamente la sorte che si era abbattu­ ta sulla Polonia. Avrebbe avuto lo stesso effetto anche a occidente? Hitler ancora in ottobre nutriva la speranza che questo spettacolo convincesse Francia e Gran Bretagna ad accettare la sua vittoria in Polonia, ma il loro rifiuto, rispettivamente il lO e 1 2 ottobre, delle sue proposte di pace, avanzate in un discorso al Reichstag i1 6 ottobre, lo persuase che la Germania avrebbe dovuto continuare a combattere. Le sue ambi­ zioni richiedevano almeno la sconfitta della Francia, cosa che avreb­ be potuto indurre la Gran Bretagna a chiedere una pace separata e a inaugurare quell'accomodamento fra il proprio impero marittimo e quello continentale della Germania che la sua cultura di suddito del vecchio impero danubiano, esclusivamente terrestre, gli aveva fatto irrealisticamente sperare. Il 1 2 settembre Hitler aveva confidato al suo aiutante Schmundt di ritenere che una vittoria sulla Francia sa­ rebbe stata possibile entro breve tempo e che poi la Gran Bretagna sarebbe stata indotta a trattare. Il 27 settembre awertÌ i comandanti

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Parte prima. Guerra in Occidente 1 940-1 943

in capo delle tre armi che intendeva attaccare al più presto a ovest, e il 9 ottobre, ancor prima che Francia e Inghilterra avessero respinto le sue proposte di pace, aveva diramato la direttiva n. 6 per un'of­ fensiva in occidente. In un promemoria di accompagnamento, in cui si accusavano Francia e Inghilterra di aver tenuto debole e divisa la Germania fin dalla pace di Utrecht del 1 648, Hitler annunciò che era in gioco nien­ temeno che «la distruzione del predominio delle potenze occidenta­ li, allo scopo di lasciare spazio per l 'espansione del popolo tedesco» . La direttiva n. 6 descriveva i l modo i n cui effettuare questa distruzio­ ne: «Verrà predisposta un'offensiva [ . . ] attraverso Lussemburgo, Bel­ gio e Olanda, che verrà sferrata il più presto possibile, dato che qual­ siasi ulteriore ritardo [ . . ] comporterà la fine della neutralità belga e forse anche di quella olandese, a vantaggio degli Alleati. Scopo di questa offensiva sarà quello di sconfiggere la maggior parte possibile dell'esercito francese e delle forze degli Alleati schierati al suo fian­ co, e nello stesso tempo di occupare più territorio possibile in Olan­ da, Belgio e Francia settentrionale, da utilizzare come base per una fruttuosa prosecuzione della guerra aerea e navale contro l' Inghil­ terra e come ampia fascia di protezione per la zona d'importanza eco­ nomicamente vitale della Ruhr» . Il piano d'attacco, chiamato col nome convenzionale di FaU Gelb, «Caso Giallo» , doveva essere preparato nei dettagli dall'alto coman­ do dell' esercito (OKH) , perché, anche se Hitler nella sua qualità di co­ mandante supremo enunciava le linee strategiche generali, non si era ancora impegnato nelle questioni tecniche. Tuttavia, aveva idee pre­ cise, anche se non molto chiare, in merito a quello che il Caso Giallo doveva ottenere. E qui stava l'origine di un dilemma strategico che avrebbe messo in duro contrasto il Fiihrer e il suo esercito per i suc­ cessivi cinque mesi. Per tradizione storica, l 'esercito tedesco, e quel­ lo prussiano prima di lui, avevano sempre rispettato la finta tesi che il capo dello Stato fosse anche il signore della guerra, Feldherr, cioè il condottiero comandante in capo. Tuttavia, fin dai tempi in cui Fede­ rico il Grande aveva guidato personalmente i suoi soldati contro quel­ li dello zar e del Sacro Romano Impero, nessun capo di Stato aveva in realtà interferito con i piani dei suoi generali. Guglielmo I e Gugliel­ mo II, all 'inizio delle guerre contro la Francia nel 1 870 e nel 1 9 1 4, avevano trasferito la loro corte presso il quartier generale dell'eserci­ to, ma avevano ceduto il controllo diretto delle operazioni ai loro ca­ pi di stato maggiore - i vari Moltke, Falkenhayn e Hindenburg nel­ l 'ordine . Hitler sarebbe stato disposto a fare altrettanto se i loro suc­ cessori avessero condiviso la sua visione di ciò che la rinata Germania .

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poteva ottenere con l a Luftwaffe; m a i l comandante in capo Brau­ chitsch era un uomo pieno di dubbi e il suo capo di stato maggiore, generale Franz Halder, era troppo pignolo. Peraltro Halder era un uomo intelligente, un prodotto dell'Accademia di stato maggiore ba­ varese, che sfornava generali intellettualmente più elastici di quelli usciti dalla Kriegsakademie prussiana. La sua esperienza bellica, però, era stata quella di ufficiale di stato maggiore , che sfruttava la tat­ tica passo-passo del fronte occidentale; proveniva dall'artiglieria, an­ ch'essa dominata dalla tendenza a fare le cose un passo alla volta, ed era un devoto figlio della Chiesa luterana di Stato, e di conseguenza condizionato a rifuggire dalla brutale filosofia hitleriana di dominio, nazionale e internazionale. Propose uno svolgimento del Caso Giallo che, come ammise in altra sede, avrebbe rinviato fino al 1 942 la pre­ parazione di un 'offensiva decisiva contro la Francia. Come spiegò il 19 ottobre, il suo piano mirava a separare il corpo di spedizione bri­ tannico dall' esercito francese e conquistare terreno in Belgio, che avrebbe fornito basi aeree e porti affacciati sul mare del Nord per le operazioni della marina e dell 'aviazione tedesche contro la Gran Bre­ tagna, ma senza conseguire una vittoria decisiva. Così obbediva al contenuto della direttiva n. 6 del Fiihrer, ma riu­ sciva anche a privarla del suo significato. Quell'espediente lasciò tem­ poraneamente perplesso Hitler, che non aveva nell'ambiente milita­ re alleati che lo aiutassero a discutere con Halder. Il 22 ottobre sba­ lordì il suo capo di stato maggiore pretendendo che il Caso Giallo co­ minciasse addirittura il 1 2 novembre, e il 25 ottobre propose a Brau­ chitsch che l'esercito attaccasse direttamente in Francia anziché nel Belgio settentrionale. Il 30 ottobre propose al generale Jodl, che era il suo addetto personale alle operazioni, di lanciare i carri armati del­ la Wehrmacht attraverso la foresta delle Ardenne, dove i francesi non se li sarebbero mai aspettati, ma, senza l'appoggio di esperti militari che sostenessero la validità di queste proposte, non riuscì a far pro­ gredire il piano d'attacco. La resistenza dello stato maggiore poggiava su basi solide. L'autun­ no avanzato non era la stagione migliore per intraprendere operazio­ ni offensive, meno che mai nelle pianure fradice di pioggia dell'Euro­ pa settentrionale. Le Ardenne, anche se le sue strette valli portavano direttamente verso le pianure francesi a nord della fascia fortificata del­ la linea Maginot, non erano il terreno adatto al passaggio di carri ar­ mati. Di conseguenza i desideri del Fiihrer facevano la figura dei men­ dicanti in cerca di cavalli su cui montare, finché il piano di Halder non arrivò nelle mani dei suoi colleghi e la notizia della sua bocciatura giunse alle orecchie di Hitler. Ci volle del tempo, che evitò una revi-

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sione del piano, e portò, alla fine, a un risultato positivo, perché Hal­ der aveva ragione di sostenere che l'autunno era la stagione meno adatta per un attacco contro la Francia, ma si sbagliava nel ritenere che una strategia audace non avrebbe comportato grandi risultati. Gli uomini che si schierarono dalla parte di Hitler erano il coman­ dante in capo del gruppo d'armate A, Gerd von Rundstedt, e il suo ca­ po di stato maggiore, Erich von Manstein. La ragione del rifiuto da par­ te di Rundstedt del piano dello stato maggiore era la sua posizione d'influenza, in quanto era uno dei più alti ufficiali dell'esercito e il co­ mandante del più grosso contingente sul fronte occidentale. La ragio­ ne dell' opposizione di Manstein a Halder fu che godeva dell'appoggio di Rundstedt ed era uno dei migliori cervelli militari della Wehrmacht. In un primo momento non era a conoscenza dell'insoddisfazione di Hitler nei confronti del piano di Halder. Gli parve semplicemente un tentativo svogliato di affrontare un problema che l 'istinto gli suggeriva potesse avere una soluzione ben più audace. Tuttavia, a mano a mano che l'autunno si avvicinava all'inverno, il suo istinto lo indusse ad avan­ zare una critica dopo l 'altra, ponendo nello stesso tempo le basi di quello che sarebbe stato poi chiamato «piano Manstein» . Il 3 1 ottobre arrivò all ' OKH i l primo dei sei promemoria che avrebbe scritto. In esso sosteneva che obiettivo del piano doveva es­ sere quello di tagliar fuori le forze alleate con una puntata lungo la linea della Somme, e rientrava quindi nel concetto di Hitler di un at­ tacco attraverso le Ardenne. Brauchitsch, comandante in capo, lo re­ spinse il 3 novembre , ma ammise che sarebbe stato opportuno au­ mentare il contingente di forze corazzate del gruppo d 'armate A di Rundstedt. Mentre il maltempo portava a un rinvio dopo l'altro del piano Halder, Hitler dava sfogo alla propria irritazione nei confron­ ti dei generali che considerava pusillanimi. Era deciso a conseguire una vittoria, li ammonÌ alla cancelleria in data 23 novembre, e «chiunque la pensi diversamente è un irresponsabile » . Manstein chiese l'appoggio di altri ufficiali, in particolare Guderian, l 'esperto carrista, alla sua ipotesi di un attacco nella Francia settentrionale. Anche lasciando da parte la possibilità che francesi e inglesi com­ mettessero l'errore di impegnare in Belgio forze troppo consistenti - esattamente quello che stavano pensando di fare, anche se lui non lo sapeva - stava avvicinandosi sempre più alla convinzione che una puntata intesa a dividere le forze avversarie lungo la linea della Som­ me rappresentava la mossa giusta. L'assicurazione di Guderian che una formazione corazzata, se fosse stata abbastanza forte, avrebbe potuto superare le Ardenne, attraversare la Mosa e sferrare un colpo decisivo, lo convinceva di essere nel giusto.

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Hitler, nonostante le divergenze con Halder, stava ancora lascian­ dosi trascinare dalle sue smanie di vittoria, mettendo da parte i dub­ bi che aveva sul piano Halder. Il «giorno A)) , che doveva farlo scatta­ re, fu stabilito per quattro volte nel mese di dicembre, e alla fine ven­ ne fissato per il 1 7 gennaio 1 940. Tuttavia, il l O gennaio due ufficiali della Luftwaffe effettuarono un atterraggio di fortuna in Belgio con una borsa che conteneva parti del piano. Nonostante i loro tentativi di dare alle fiamme il documento, ne rimase una parte sufficiente, co­ me scoprì l'addetto militare tedesco in Olanda, a compromettere l'offensiva e costringere l'alto comando a spiegare la situazione a Hi­ tler. Una volta sbollita la sua ira - che comportò la destituzione del co­ mandante della 2a Luftf10tte e la sua sostituzione con Albert Kessel­ ring, uno dei migliori generali tedeschi del conflitto -, Hitler rinviò indefinitamente il piano e ne pretese uno nuovo, «basato soprattutto sulla segretezza e sulla sorpresa)) . Ecco, così, l'occasione per Manstein. Tuttavia, l' ultimo dei suoi sei promemoria aveva fatto perdere la pazienza a Halder, che nel dicem­ bre aveva chiesto che al capo di stato maggiore del gruppo d'armate A venisse dato il comando di un corpo d'armata, una promozione, in teoria, ma, dato che il corpo in questione si trovava nella Prussia orientale, un allontanamento, in pratica, di questo fastidioso subal­ terno da una posizione d'influenza. Tuttavia il protocollo richiedeva che i comandanti di corpo d'armata, all'atto della nomina, si recas­ sero in visita dal capo dello Stato. La cerimonia avrebbe dovuto esse­ re una formalità, ma in questa occasione il caso volle che al comando di Manstein a Coblenza si trovasse l' aiutante di Hitler, Schmundt, e che venisse a sapere del piano Manstein. Esso ricalcava in modo tal­ mente incredibile le aspirazioni di Hitler, anche se «in una forma no­ tevolmente più precisa)) , che fece in modo di far trascorrere a Man­ stein, il 17 febbraio, un'intera mattinata con il Fiihrer. Hitler rimase estasiato e da quel momento non lasciò più in pace Brauchitsch e Hal­ der finché non fece loro accettare il piano Manstein , che presentò co­ me una sua ideazione. A questo punto l' OKH dimostrò la sua forza costituzionale. Diretto discendente del vecchio stato maggiore generale prussiano, faceva semplicemente la parte del servitore di un forte padrone. Hitler ave­ va fino a quel momento dimostrato forza di volontà, ma non un 'in­ telligenza tale da evidenziare il proprio talento. Ora che aveva una chiara espressione della voce del suo padrone, lo stato maggiore del­ l' esercito concentrò gli sforzi per trasformare gli elementi del con­ cetto di Manstein e Hitler - un attacco da parte di forti contingenti corazzati attraverso la foresta delle Ardenne alle spalle dello schiera-

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mento franco-britannico a nord della Somme - in un ordine d'ope­ razioni dettagliato e perfetto. Fu un lavoro fatto alla svelta. Soltanto una settimana dopo quella mattina chiarificatrice tra Hitler e Man­ stein, venne presentata una proposta, denominata Sichelschnitt, «Col­ po di Falce» , che rappresentava una trasformazione delle loro idee formulate a metà. Tema di questo piano era il rovescio del piano Sch­ lieffen del 1 9 1 4. Quel grande capo di stato maggiore - già morto al momento dell'esecuzione sul campo di battaglia del suo concetto aveva basato il suo piano di vittoria sul presupposto che i francesi si sarebbero spinti in Germania a sud delle Ardenne, in modo da con­ sentire alle armate tedesche di accerchiarli passando per il Belgio. Il Colpo di Falce si basava sulla previsione che nel 1940 i francesi, e i lo­ ro alleati britannici, si sarebbero spinti in Belgio, permettendo alle annate tedesche di aggirarli passando per le Ardenne. Era una bril­ lante esercitazione in un doppio bluff, tanto più brillante in quanto rappresentava una garanzia anche nell' eventualità che la previsione non si fosse awerata. Perché, anche se l'esercito franco-inglese non si fosse spinto in Belgio, la puntata inattesa attraverso le Ardenne e la potenza e la massa delle forze corazzate con cui doveva essere sferra­ ta avevano un 'eccellente possibilità di arrivare alle spalle del nemico e di scompaginarlo. Il Colpo di Falce assegnava ai tre gruppi d'armate tedeschi i se­ guenti compiti: il gruppo d'armate B, quello più a nord, comandato dal generale Fedor von Bock, doveva attaccare in Olanda e nel Belgio settentrionale, con l 'intento di attirare le forze franco-britanniche il più a est possibile e occupare territorio dal quale aggirarle da nord. Il gruppo d'armate C, quello più meridionale, comandato dal gene­ rale Wilhelm Ritter von Leeb, doveva impegnare la guarnigione del­ la linea Maginot e, se possibile, sfondarla. Il gruppo d'armate A, al centro, quello di Rundstedt, doveva avanzare attraverso le Ardenne, occupare i ponti e i guadi sul grande ostacolo del fiume Mosa fra Se­ dan e Dinant, poi spingersi a nord-ovest, lungo la Somme, verso Amiens, Abbeville e la costa della Manica. Doveva impiegare nella sua avanguardia sette delle dieci divisioni corazzate disponibili, senza la­ sciarne nessuna a disposizione per Leeb e soltanto tre per Bock. Quest'ultimo, seccato per il ruolo di second'ordine che gli era sta­ to assegnato, sottolineò a Halder i rischi del piano in una brillante e caustica «analisi del caso peggiore». «Tu sfilerai adagio adagio a 1 5 chilometri dalla linea Maginot, col fianco scoperto , e speri che i fran­ cesi ti staranno a guardare senza reagire ! Stai concentrando la massa dei reparti corazzati lungo le scarse strade della zona montagnosa del­ le Ardenne come se non esistesse l'aviazione! E poi speri di riuscire a

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condurre l'operazione fino alla costa con un fianco scoperto meri­ dionale lungo 320 chilometri, dove si trova il grosso dell' esercito fran­ cese! » . Agli ufficiali tedeschi della loro generazione la critica di Bock a Halder faceva ricordare l 'ultima operazione «a fianchi scoperti)) del­ l'esercito tedesco in Francia nel 1 9 1 4, con le lunghe strade polverose affollate di truppe in marcia, i francesi che non si incontravano mai, le linee di comunicazione indifese che si allungavano sempre più, la grande fortezza di Parigi, stipata di truppe e di artiglieria, che si er­ geva intatta alle loro spalle, finché, come un improvviso colpo di tuo­ no, venne sferrato il contrattacco francese, la prima battaglia della Marna venne perduta, le avanguardie tedesche dovettero fare dietro­ front in disordine e i passi affrettati della guerra di manovra vennero soffocati dagli altrettanto affrettati colpi di zappa che scavavano le pri­ me trincee del fronte occidentale. Il generale Bock aveva ragione di sostenere che, se il Colpo di Fal­ ce della Wehrmacht fosse fallito, si sarebbe tornati a un fronte occi­ dentale tipo prima guerra mondiale, ma aveva torto nel dire che avrebbe potuto fallire come era accaduto nel 1 9 1 4 al piano Schlief­ fen. Prima di tutto, la linea Maginot non era, come la fortezza di Pa­ rigi nel 1 9 1 4, una piace d armes dalla quale un contrattacco avrebbe po­ tuto scagliarsi come una pantera contro il fianco dell'esercito tede­ sco. Al contrario, la sua conformazione e la sua struttura imprigiona­ vano la guarnigione, imponendole una difesa puramente frontale contro un attacco frontale, che non spettava a Rundstedt sferrare. Inoltre, l 'esercito tedesco non sarebbe «sfilato adagio adagio)) lungo la linea Maginot; le sue avanguardie corazzate, se fossero riuscite ad attraversare le Ardenne e la Mosa, si sarebbero lanciate in avanti a 50-60 chilometri al giorno, come avevano fatto in Polonia e come l ' e­ sercito francese, dovunque fosse la sua massa, non era organizzato a fare. Quanto all 'aviazione, era presente e pronta, ma la Luftwaffe era superiore sia per qualità di mezzi sia per la tattica delle operazioni coordinate terra-aria, notevolmente più forte nel numero e con un 'e­ sperienza di combattimento più elevata rispetto a quella dell'Armée de l'Air e dell 'Advanced Air Striking Force della RAF messe insieme. La Luftwaffe di Hermann Goring avrebbe rivelato le sue carenze molto più tardi, ma nel 1 940 la sua potenza era eccezionale. A diffe­ renza delle forze aeree inglesi e francesi, che avevano eccessivamen­ te diversificato i tipi, trovandosi poi costrette ad acquistarne di più ef­ ficienti in America, si era dedicata alla produzione in quantità eleva­ ta di pochi tipi di aeroplani, ciascuno dei quali corrispondeva esatta­ mente al ruolo che doveva svolgere. Il Messerschmitt Bf- 1 09 era un ec­ cellente esempio di quello che oggi verrebbe definito «caccia da su'

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periorità aerea» , veloce, maneggevole, potentemente armato e con una buona capacità di salita. Lo Junkers 87 era un formidabile bom­ bardiere in picchiata per l'attacco al suolo, soprattutto se protetto dai Me-l09 e fintanto che le difese contraeree si basavano sui pezzi a pun­ tamento ottico. L' Heinkel He-l l l era un efficace bombardiere me­ dio, per lo meno per le operazioni diurne. Altri velivoli tedeschi - co­ me il Dornier Do- 1 7 da bombardamento e il caccia pesante Me-l l O ­ dovevano dimostrarsi meno adatti, ma nel 1 940 la Luftwaffe non ave­ va in linea tipi di aerei antiquati, come invece avevano i francesi e gli inglesi. Per di più, annoverava fra i suoi generali un certo numero di elementi di grande valore - Milch, Jeschonnek e Kesselring - il cui trasferimento dall 'esercito all 'aviazione costituiva una prova della lo­ ro competenza; per contro, troppi generali delle forze aeree francesi e inglesi erano elementi di second'ordine che avevano abbandonato l ' esercito per ricominciare una nuova carriera. L'addestramento comune che avevano subito gli ufficiali dell'a­ viazione e quelli dell'esercito - Jeschonnek era uscito primo del suo corso alla Kriegsakademie assicurava il perfetto coordinamento delle operazioni aeroterrestri della Wehrmacht. I comandi delle sue dieci divisioni corazzate sapevano che, quando richiedevano l'appoggio ae­ reo, questo sarebbe arrivato in tempo, dove e come era necessario. E questo assicurava un enorme incremento della potenza delle truppe corazzate, che era in ogni caso formidabile. I carri annati tedeschi non erano molto superiori a quelli inglesi e francesi. Il Panzer IV, che sa­ rebbe stato in futuro il principale carro da battaglia, era ben corazza­ to, ma con un cannone insufficiente. Il Panzer III, che era il cavallo di battaglia tuttofare, era meno blindato del carro da fanteria Mark I in­ glese e del Somua francese. Ma i carri tedeschi erano integrati in for­ mazioni corazzate, le cosiddette Panzerdivisionen, che non solo erano composte soprattutto di carri armati, vale a dire prive di fanteria e ar­ tiglieria non motorizzate, ma anche addestrate a sfruttare al massimo le caratteristiche dei mezzi: rapidità, manovrabilità e autonomia d'a­ zione. Per contro, gli inglesi avevano soltanto una divisione corazza­ ta, che era ancora in fase di costituzione; i francesi, invece, che pos­ sedevano più carri dei tedeschi ( 3000 contro 2400) , li avevano distri­ buiti per la maggior parte ( 1 500) nelle lente divisioni di fanteria, e as­ segnato altri ( 700) a divisioni spurie di «cavalleria» e «motorizzate» , tenendone soltanto 800 per costituire cinque divisioni corazzate, di cui, nel 1 940, tre erano attive e una - comandata da Charles de Gaul­ le - ancora in formazione. Le dieci divisioni Panzer tedesche non so­ lo erano di composizione omogenea, per la riorganizzazione di quel­ le leggere in vere unità corazzate dopo la campagna di Polonia, ma -

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erano anche inquadrate in comandi Panzer a livello superiore, quel­ li di Hoeppner (XVI corpo corazzato) , Hoth (XV) , Guderian (XIX) e Reinhardt (XLI ) . I corpi di Guderian e di Reinhardt, oltre al XIV corpo d'armata meccanizzato di Wietersheim, una formazione di di­ visioni di fanteria motorizzata che comprendeva battaglioni carri, co­ stituivano in realtà un 'unità a parte, il Panzergruppe von Kleist. Si trattava, al momento della sua creazione, di una organizzazione rivo­ luzionaria, il più grosso contingente corazzato esistente al mondo e l'antenato delle grandi armate corazzate che avrebbero imperversato sui campi di battaglia fra il 1 941 e il 1 945. Erano questi fitti concentramenti di carri armati a rendere l' eser­ cito tedesco un nemico tanto minaccioso nei confronti degli Alleati occidentali, men tre le due parti si guardavano in cagnesco, in attesa, dagli opposti lati del confine franco-tedesco nella primavera del 1 940. L' esercito francese, forte di 1 0 1 divisioni, differiva ben poco, quanto a caratteristiche, da quello del 1 9 1 4; aveva gli stessi scarponi, la stessa artiglieria, l'adorato pezzo da 75 mm, e marciava al ritmo delle stesse canzoni del tempo di «papà» Joffre; molti dei suoi comandanti erano stati addetti ai comandi dei generali che li avevano portati in guerra in quel terribile agosto di ventisei anni prima. Per di più, era ancora un esercito a piedi e la sua velocità di spostamento era stabilita dal­ l'antico passo di marcia dei soldati e dei cavalli. Lo stesso poteva dir­ si del grosso dell' esercito tedesco, le cui 1 20 divisioni di fanteria era­ no sempre legate, come quelle del nemico, alle strade. Ma le l O divi­ sioni corazzate tedesche non erano vincolate alle strade; tanto meno, erano legati al terreno i gruppi della Luftwaffe che le appoggiavano. E insieme promettevano una minacciosa «guerra lampo» . Come po­ tevano i comandanti alleati sperare di tenerle in scacco? La strategia degli Alleati era basata, ovviamente, prima di tutto sul­ la convinzione dell 'inviolabilità della linea Maginot, quel «fronte oc­ cidentale di cemento armato» che aveva divorato i fondi disponibili del bilancio francese della Difesa fin dal primo stanziamento per la sua costruzione, votato nel gennaio 1 930. Tuttavia, l' impegno france­ se verso un confine militare «impermeabile)) era molto più vecchio. Fin dal 1 922 l'esercito francese aveva deciso che i suoi soldati non avrebbero dovuto mai più combattere una battaglia difensiva in cam­ po aperto come era accaduto nel 1 9 1 4, e ogni sviluppo demografico ed economico successivo - il declino delle nascite, la produzione in­ dustriale statica - aveva soltanto irrigidito questa decisione. Lo stan­ ziamento iniziale per la linea Maginot assommava a 3 miliardi di fran­ chi; nel 1 935 erano stati spesi già 7 miliardi , un quinto del bilancio militare annuale, ma erano stati completati soltanto 1 40 chilometri di

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fortificazioni. Gli esperti in questo campo erano soddisfatti - e gli eventi del 1940 dovevano dimostrare che avevano ragione - perché quel denaro aveva procurato una protezione efficace, almeno lungo tutto il tracciato della linea che seguiva il confine franco-tedesco. Però restavano altri 400 chilometri circa di confine completamente privi di fortificazioni, dove la Francia andava a incontrare il Belgio. N on solo erano mancati i fondi per terminare la linea fortificata, ma il mantenimento delle buone relazioni col Belgio aveva fatto in mo­ do che non venissero nemmeno trovati perché, al momento della rioccupazione della Renania da parte di Hitler, nel 1 936, il Belgio ave­ va impugnato il proprio patto militare con la Francia proclamandosi «indipendente» - anche se non neutrale -, facendo però presente che non intendeva essere lasciato dalla parte sbagliata della linea Ma­ ginot, se questa fosse stata prolungata verso nord. Nell'eventualità di un'offensiva tedesca che sembrava indubbia­ mente basata sullo sfruttamento della debolezza belga (come nel 1 9 1 4) , l'alto comando francese avrebbe dovuto far avanzare le pro­ prie forze in territorio belga, insieme con il corpo di spedizione bri­ tannico, senza però aver potuto in precedenza coordinare i piani con lo stato maggiore belga oppure effettuare una ricognizione del ter­ reno su cui battersi. I francesi dovettero comunque accettare questa base estremamente insoddisfacente su cui preparare una battaglia di­ fensiva. Il 24 ottobre 1 939, il generale Maurice Gamelin, comandan­ te in capo francese, ordinò un 'avanzata fino alla linea del fiume Schelda, in Belgio, nell 'eventualità di un attacco tedesco. Tre setti­ mane dopo, il 1 5 novembre, quando ci si rese conto degli svantaggi di questo piano, venne diramata la disposizione n. 8, che lo correg­ geva e che ordinava un 'avanzata fino al fiume Dyle, un fronte più ac­ corciato che collegava i due grossi ostacoli d'acqua belgi, l'estuario della Schelda e la Mosa, da dove era possibile con rapidi trasferimen­ ti coprire il varco tra questa zona e la linea Maginot. La disposizione n. 8 offriva il vantaggio di portare le forze franco­ britanniche più vicino allo schieramento difensivo previsto dell'eser­ cito belga, che contava su 22 divisioni all'atto della mobilitazione e che godeva di un'eccellente reputazione militare; nonostante tutto il di­ sprezzo che gli Alleati avrebbero in seguito riversato sulle forze belghe, i tedeschi li avevano considerati fin dal 1 9 1 4 come tenaci avversari e avrebbero continuato a farlo anche dopo la successiva débacle. Il loro fronte era inoltre protetto, come nel 1 9 1 4, da importanti fortificazio­ ni, soprattutto lungo la Mosa, per le quali erano state spese forti cifre. I belgi, anche battendosi indipendentemente, avrebbero potuto rallentare l'avanzata tedesca sul loro confine? La disposizione n. 8 pro-

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metteva una strategia efficace. Il suo successo sarebbe dipeso dall'ef­ ficienza operativa dei contingenti di manovra francesi e britannici. Di questi, il corpo di spedizione britannico presentava un elemento omo­ geneo, anche se di qualità mista. «Non è servito» , scrisse l 'ambascia­ tore britannico a Parigi a lord Halifax nel gennaio 1940, «far presen­ te la consistenza della marina e della RAF. [ . . ] L'opinione pubblica francese voleva un forte contingente di truppe britanniche in Euro­ pa» . Gli inglesi avevano fatto del loro meglio; avevano inviato in Fran­ cia, entro il dicembre 1 940, tutte e cinque le loro eccellenti divisioni regolari di stanza in patria. Tuttavia, dato che il sistema militare bri­ tannico era veramente regolare e comprendeva scarsissime riserve ad­ destrate rispetto agli eserciti di leva francese e tedesco, questa mossa esaurì in pratica le risorse militari britanniche. Bisognava formare al­ tre divisioni con la riserva volontaria, l' esercito territoriale, «i soldati del sabato sera» come li chiamavano gli inglesi, pieni d'entusiasmo ma a corto d'esperienza. Le cinque divisioni in più trasferite in Francia fra il gennaio e l'aprile erano tutte territoriali; altre tre, le ultime, in­ viate in aprile, erano talmente a corto di addestramento e di equi­ paggiamento che perfino gli inglesi le consideravano formazioni «di lavoratori» . Per di più tutte e tredici erano ancora, nel maggio 1 940, divisioni di fanteria; l'unica formazione di carri britannica, la l a divi­ sione corazzata, non era ancora pronta per il combattimento. Tutta­ via, il corpo di spedizione britannico possedeva una notevole capacità di organizzazione, coraggio e decisione. I regolari erano stati mobili­ tati con la tradizionale e allegra indifferenza di Tommy Atkins nei confronti dei nemici - o alleati - del re (