Storia di un'amicizia. Lettere inedite di Eleonora Duse 8875146470

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Storia di un'amicizia. Lettere inedite di Eleonora Duse
 8875146470

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MARIA OSTI GIAMBRUNI lettere inedite

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I UnAnictzia a cura di LUISA CHIARELLI OSTI

SCHENA EDITORE

COLLANA

TESTIMONIANZE E INEDITI A CURA DELLA FONDAZIONE “NUOVE PROPOSTE” PROGETTO IGNAZIO CIAIA

MARIA OSTI GIAMBRUNI

STORIA DI UN'AMICIZIA Lettere inedite di Eleonora Duse

a cura di

“LUISA CHIARELLI

OSTI

SCHENA EDITORE

La collana TESTIMONIANZE

E INEDITI

è diretta da Elio Michele Greco

© 1993.

Schena editore, viale Stazione, 177 - 72015 Fasano di Brindisi

ISBN 88-7514-647-0

Ai CHZ PaZZ IN VZZA

La Duse a New

York

574 EFIHAVENDE TIZOVVORK(45 VAZ

nel 1896.

Digitized by the Internet Archive in 20283 with funding from Kahle/Austin Foundation

https://archive.org/details/storiadiunamiciz0000osti

L'’AMICA DUSE

«Je déteste les amis », scrisse Eleonora Duse, mezzo-scher-

zando, in una lettera alla figlia. Effettivamente la grande attrice, abituata dall’infanzia alla folla, amava (0 credeva di amare) la

solitudine. Cresciuta fra poveri attori itineranti bramava il focolare, e dove poteva — anche in una camera d' albergo — disponeva accuratamente le sue cose, quadri, libri, preziose stoffe, nel tentativo di creare una domesticità anche se provvisoria, posticcia. Amava specialmente i focolari degli altri, e spesso andava ospite in case di amici. Non era un’ospite facile, come il lettore di questo libro vedrà. Accettando il generoso, spontaneo invito della giovane Maria Osti Giambruni, la Duse specifica che, quando non le va di pranzare in famiglia mangerà in camera, da sola. Eppure — anche se lei in alcuni momenti li detestava (una delle sue esagerazioni, certo),

i suoi amici

l’adoravano,

la circondavano

da

quell'amore che difficilmente trovava nei suoi rapporti d'amore con gli uomini della sua vita. Se la Duse era sfortunata in amore era invece fortunatissima nell'amicizia, e per l'amicizia aveva uno spiccato dono, un istinto. Era questo istinto che, negli anni bui della prima guerra mondiale, la portava ad attaccare discorso con tutti, soldati, profughi friulani, e a stringere dei legami che poi duravano per il resto della vita. Preziosa testimonianza di questa Duse amica si trova nelle memorie di uno di quei soldati, il siciliano Luciano Nicastro. Le lettere a Maria Osti Giambruni offrono la testimonianza di un'amicizia anteriore, altrettanto importante per tutte

e due le parti. Alla giovane vedova Maria, la Duse — affettuosamente invadente — dava nuove ragioni di vivere, una via d'uscita dall’inerzia del dolore; e all'attrice, allora ritiratasi dalla

scena, il focolare di Maria, con le due bambine in tenerissima età, rappresentava quel vivere familiare che le era sempre stato negato. Mentre, per ragioni di lavoro soprattutto, la Duse aveva dovuto affidare la propria figlia, Enrichetta, alle cure di altri durante l'infanzia e l'adolescenza, ora, praticamente disoccupata, si divertiva a comprare libri e altri regali per le ragazzine della Maria (le stesse ragazzine però sentivano una comprensibile in-

vidia della Duse che usurpava la madre per tanto tempo). Con una recita della Donna del mare di Ibsen, a Berlino nel gennaio del 1909, la cinquantenne Duse apparentemente aveva chiuso la sua carriera. Ma le era impossibile restare inattiva, e con il suo presunto ritiro si iniziarono subito i tentativi di istigare il suo ritorno all'arte. Lei intanto si occupava di vari progetti, di cui uno — l’infelice idea di una casa-biblioteca dove giovani attrici potevano riposare e istruirsi

(come aveva fatto lei) at-

traverso la lettura — era casualmente l'occasione dell'incontro con Maria. Seguirono vari progetti cinematografici — uno solo venne realizzato, la commovente versione di Cenere di Grazia Deledda — e anche l’ idea di una serie di letture pubbliche. A questa irrequietezza professionale fisica: la casa romana di Maria no essere rifugi, e lo erano, ma to spesso invocate dalla Duse,

corrispondeva una irrequietezza e, dopo, la villa a Tivoli doveva-

la pace e la solitudine, per quannon la soddisfacevano mai per lungo tempo, e trovava sempre un pretesto per spostarsi altrove, a Firenze, al mare, ad Asolo (dove, finalmente, comprò una casa propria che, ironia della sorte, conobbe solo per pochi giorni, prima di partire per l’ultimo fatale viaggio americano). Di questi spostamenti teneva regolarmente informata l’amica a Roma, che spesso — sotto pressante invito — raggiungeva la Duse per soccorrerla in momenti di sconforto o di malattia. Es-

sere amica della Duse non era compito facile, ma chi se lo assumeva raramente se ne lagnava perché il premio era grande: una compagnia stimolante, intelligente, forse possessiva. Ma chi non vorrebbe essere l'oggetto di tale prepotenza? Anche quando, negli ultimi anni, stanca e malata, l'attrice riprende la vita del palcoscenico, la storia non diventa felice. Ma quelle ultime estenuanti tournées hanno lasciato — forse ancora più dei folgoranti anni dell’apice della carriera — un solco profondo, pagine luminose nella cronaca della cultura. Chi la 6

vedeva allora riconosceva, come aveva riconosciuto Maria Osti

Giambruni, non solo un’ attrice ma un’ eroina, una donna che sftdava tutto, persino se stessa, e che insegnava agli altri di fare lo Stosso 06 INMG#3zapriles93

WILLIAM WEAVER

PREMESSA

Quando incontrai mia madre, il giorno in cui aveva appreso la notizia della morte della Duse, essa disse semplicemente,

sin-

ghiozzando: «E finita!». Ed effettivamente per lei era finita la cosa più importante che le era rimasta nella vita: l’amicizia per la Duse. Era amicizia? era amore filiale? era devozione? Forse erano tutte queste cose assieme — e tutte queste cose erano racchiuse nel suo cuore di donna pratica ma sognatrice, non molto tenera e poco espansiva. “La longobarda” le diceva la Duse riferendosi al suo aspetto fisico, ai suoi capelli biondi, ai suoi occhi chiari, alla sua persona alta ed eretta, ma forse c’era anche un riferimento alla durez-

za del suo carattere. Eppure, se vi è una nota particolare nell’amicizia che per quattordici anni ha legato queste due donne, è proprio quella di una estrema tenerezza reciproca. Morta la Duse, a mia madre rimase il tesoro delle sue lettere,

che lei conservava gelosamente, riordinandole e leggendole in continuazione, e, soprattutto, facendo vere acrobazie per sottrar-

si alle pressanti richieste di biografi e ammiratori che avrebbero desiderato almeno prenderne visione. Raccoglieva con scrupolo ogni articolo, ogni libro che si serivesse sulla Duse, e, invariabilmente, dopo averli letti commenta-

va: «Anche questo non ha capito». Forse intendeva dire che tutti si soffermavano più sulla vicenda Duse - Boito - Duse - d’ Annunzio che non sulle qualità dell’animo di quella creatura eccezionale.

Neppure amiche di mia madre quali Camille Mallarmé e Olga Signorelli poterono mai documentarsi per i loro scritti sull’epid)

stolario di mia madre. Tutt’al più essa copiava poche righe di una lettera su di un misero pezzettino di carta, e lo dava loro, «tanto

per accontentarle» — diceva.

Cosî facendo, anche lei contribuî a quel senso di geloso possesso che ciascuna delle amiche nutriva nei riguardi della “Signora Duse”. Anche quando la Duse era viva, questa gara delle persone che le erano intorno ad essere una più amica dell’altra, ognuna la preferita e quella che conosceva meglio i misteri della “grande anima” — come dicevano — era assai evidente. Non escludo che la Duse stessa non si rendesse conto di tutto questo e non se ne divertisse anche un poco. Ritornando

a mia madre,

come

ho detto, essa conservava

1

pacchi di lettere in una cassetta, come un tesoro, che teneva sempre nella sua camera, nella casa di Tivoli. Durante

la guerra, a causa

dei bombardamenti,

fummo

co-

stretti ad abbandonare la casa e a rifugiarci in una grotta naturale in fondo al giardino. Intanto, il comando

delle S.S. tedesche

occupò la casa che cosî divenne bersaglio dei cannoni alleati. Quando ritornammo, dopo la liberazione, ci si presentò la facciata della casa traforata da cinque granate, ma questo non fu nulla in confronto a ciò che trovammo internamente. Mia madre corse subito nella sua stanza ove trovò il pavimento letteralmente coperto da uno strato di mezzo metro di carte. Tra queste spiccavano i caratteri in inchiostro violetto di Eleonora Duse.

Davanti a un tale spettacolo, lei che aveva guardato impavida la rovina della casa, versò lacrime di disperazione. Ci mettemmo tutti alla ricerca affannosa di quelle lettere, mentre

lei, con in-

finita perseveranza, cercava di rimettere assieme i fogli sparsi. Cominciò cosf un lavoro di incredibile pazienza, quasi di mosaico, che lei doveva poi continuare per anni e anni. Pit

o meno,

riusci a ricostituire l’epistolario nella sua integrità, salvo qualche foglio che forse il vento portò chissà dove, e qualche busta ove i soldati tedeschi avranno trovato francobolli di particolare interesse. Fin verso gli ottant'anni mia madre condusse una vita molto attiva, ma poi, ammalatasi di diabete e sofferente di vari disturbi, costretta all’inattività fisica, si rinchiuse nella sua stanza con le 10

lettere dell’amica che continuò a riordinare e a trascrivere su un vecchio registro di conti. Intanto, scrisse e riscrisse infinite volte la storia del suo incontro con la Duse. Aggiunse vari appunti relativi alla sua obbedienza agli appelli dell’amica, ma, all’ultima pagina, alla pagina della morte, lasciò solo un appunto a matita in cui dice: «aggiungere foglio riguardante la morte avvenuta il 21 aprile 1924 a Pittsbourgh, il ritorno della salma sul Duilio a Napoli, le esequie a S. Maria degli Angeli e l’accompagno al Cimitero di S. Anna a Asolo».

Credo che non abbia mai avuto il coraggio di scrivere questa pagina di avvenimenti che pure lei aveva vissuto tanto da vicino. *

>_>

Quando la Duse frequentava la nostra casa, io ero bambina. A quei tempi, e con quell’ospite in casa, ai bambini non era concesso dire molte parole. Sicché io non avevo che da ascoltare — e ascoltavo — tanto che quando l’udii recitare, non potei trattenermi dal dire: «Ma la Signora Duse recita come parla». Ora, rileggendo le sue lettere non posso far a meno di dire anche, che scrive come parla. Per di più, rivolgendosi a mia madre, con la quale aveva tanta intimità, è naturale che non si preoccupasse di scrivere le cose per intero, di spiegarsi completamente — e anche di mettere tutti i punti, le virgole e le maiuscole necessarie. Confrontando queste lettere con quelle dell’epistolario con Boito — naturalmente, si ritrova lo stesso stile — stile che probabilmente, proprio da Boito e dalla scapigliatura, con la quale essa ebbe tanto a che fare, doveva venirle. E di Boito, più che di d’ Annunzio, mi pare che le tracce siano più evidenti. Si è detto e ripetuto che la Duse non sapeva scrivere le lettere, sebbene credo che Papini fosse di parere del tutto contrario, ritenendola quasi maggior artista nello scrivere che nel recitare. Probabilmente, si potrebbe anche vedere in quel suo stile, che

rispecchia sempre gli stati d’animo, quasi un precorrere i tempi in una modernità che forse noi non abbiamo ancora raggiunta. Le origini popolane, che l’intelligenza e la sensibilità possono aver cancellato nel tratto di lei, eccezionalmente raffinato, riapIl

paiono forse in questa corrispondenza tra pensiero ed espressione. Comunque, la pubblicazione di queste lettere non ha certo alcun intento letterario. È semplicemente la storia di un’amicizia tra due donne, di cui per caso una era la Duse e l’altra, una don-

na anche lei di notevole intelligenza, ma nata e cresciuta in un ambiente legato alle convenzioni e piuttosto rigido. Tuttavia, per affetto verso l’amica, essa dimentica il proprio convenzionalismo come dimentica il passato dell’altra, e, insieme, esse costruiscono un mondo tutto loro, velato di misticismo, che le por-

ta al superamento di ogni meschino formalismo. Se per la Duse Boito fu il Santo, per mia madre la Duse era la santa “che tutto aveva sopportato per amore dell’arte”.

LUISA CHIARELLI

OSTI

AI centro l’autrice Maria Osti Giambruni con a fianco le figlie Pierina (la più piccola) e Luisa.

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L'INCONTRO

Lungo il cammino della vita ci si presentano talora svolte inattese. Mentre mi trovavo nel più gran buio, la volontà assente, la sfiducia completa, immersa nel pit profondo dolore, in un annientamento disperato e cupo della mente e dell’anima, si apri una porta e, senza ch’io me ne rendessi conto, entrò per me la salvezza. Circa un mese prima, mio marito era partito dalla nostra casa,

che con tanto amore ci eravamo da poco costruita a Roma, nei pressi della via Nomentana, in quella periferia che allora era ai margini della campagna. La guerra di Libia era appena iniziata, e nulla si sapeva ancora di preciso. Il battaglione del I Reggimento Granatieri di Sardegna di cui mio marito era tenente aiutante maggiore aveva ricevuto l’ordine d’imbarcarsi a Napoli per ignota destinazione. Istruzioni precise sarebbero state comunicate durante la navigazione. Mio marito, militare per tradizione di famiglia, era soldato nel

più profondo dell’anima. Entrato a undici anni in collegio militare, a trentatré si sentiva pronto alla sua missione e fiero di quanto

avrebbe potuto dare alla patria. Io, ignara del suo destino, ma sgomenta, non ebbi il coraggio d’accompagnarlo alla stazione dove tanti andavano a salutare i partenti. Rimasi a casa con la nostra ultima bimba, che aveva allora sette mesi. La nostra piccola cresceva come un fiore, bianca e rosea, e, insieme alla prima, col suo sorriso ci faceva sentire la benedizione del Cielo. «Balocco di zucchero caro», le mormora-

va il padre stringendola al cuore. Nel momento in cui egli ci lasciava, col suo ultimo abbraccio, tuoni e lampi accompagnavano lo scrosciare della pioggia che s’era allora scatenata in un temporale pauroso. Era un presagio? Fu un addio per sempre!

Pareva che la natura avesse voluto prevenirmi della precarietà d’ogni felicità umana e della vita stessa, che noi giovani, con tanta sicurezza, consideravamo ci appartenesse. Era il 18 ottobre 1911. Dopo una breve sosta a Napoli, i granatieri sbarcarono a Tripoli il 23 ottobre. Pochi giorni dopo mi fu comunicato che mio marito era morto. Da quel momento fui presa da un incubo tenebroso. Non connettevo più, non potevo pit vivere. Cosî, lentamente, mi lasciavo morire. Nulla, più nulla esisteva dentro di me né intorno a me. Il sorriso delle mie bimbe, che tanto aveva allietato la nostra casa,

ora desolatamente vuota, mi rendeva più atroce il dolore di saperle orfane di quel padre amoroso. Gli occhi di mia madre, che mi guardavano ansiosi, pieni di lacrime, accrescevano il mio SsMarr”ri-

mento. Nulla, più nulla, aveva il potere di ricomporre quella mia anima stroncata. Il cuore arido, gli occhi asciutti, non potevo parlare e giacevo là, in quella poltrona, abbandonata, inerte. Vennero a trovarmi i parenti e mi consigliarono di trasferirmi a Parma, presso la terra che da secoli aveva appartenuto alla famiglia di mio padre, e lasciare la casa di Roma.

Mi fu annunciato allora che Eleonora Duse sarebbe venuta a visitare la nostra casa. Neppure questo poteva scuotermi, tanto ero indifferente a tutto.

Fu cosî che in quel lontano novembre 1911 Eleonora Duse entrò nella mia casa. Da due anni ella si era ritirata dalla gloriosa sua vita teatrale. Dopo una recita trionfale di Rosmerholn a Berlino, nel 1909, a cinquant’anni,

silenziosamente,

aveva

la-

sciato il teatro. Tanto avevano pianto i suoi bellissimi occhi, i suoi polmoni erano affaticati e stanchi, troppo amava l’arte sua per poter continuare in quelle condizioni minorate: almeno cosî mi disse poi. Eleonora Duse si trovava in quel novembre del 1911 a Roma e nel suo fervido animo accarezzava l’idea di offrire una casa accogliente alle giovani attrici, dove potessero trovare un rifugio sicuro nelle ore di riposo e coltivarsi leggendo utili libri di cui lei avrebbe offerto una buona raccolta, ascoltando conferenze e con-

certi che vi sarebbero organizzati. 14

Ricordando la sua giovinezza triste e tutto quello che, nel suo isolamento,

le era mancato,

lei che sapeva i pericoli e i disagi

della vita di teatro, avrebbe voluto dare alle giovani attrici la possibilità di Coltivarsi, innalzarsi, e — avvicinandole — trasfondere

in loro quell’amore dell’arte che era stata la forza dominante della sua vita, indirizzandole agli ideali più alti. Le fu detto che la nostra casa sarebbe stata disponibile e la condussero a visitarla. Non avevo mai avvicinato né visto sulla scena la celebre attrice, ma nello stato d’animo in cui mi trova-

vo non m’interessavo né potevo stupirmi di nulla. Nella stanza silenziosa, dove ero solita restare lunghe ore immobile, chiusa

nel mio dolore, vidi entrare alcune persone. Aspettavo che passassero oltre per visitare la casa. Si arrestarono invece di fronte a me. Udii pronunciare parole come patria, sacrificio, ma non potevo, né cercai, di afferrare il senso di quel discorso. Sentivo solo il vuoto delle parole. Non mi chiesi neppure chi fosse la persona che mi parlava. Notai, invece, una nobile figura di donna dai capelli grigi, vestita di velluto nero, che, rimasta in disparte, mi guardava commossa. Semplice e silenziosa, mi volse un lungo, intenso sguardo prima d’uscire. Senza che alcuno me l’avesse detto capii chi era: non

un’attrice, ma

una donna dal

cuore VIVO. i Fu come se mi svegliassi. Mi levai di scatto e, poco dopo, raggiunsi le scale mentre quel gruppo di persone se ne andava. Ricordo d’aver veduta lei sola, la signora dai capelli d’argento. Ella s’arrestò sorpresa e mi guardò col suo mesto, dolce, sorriso.

Vidi il suo sguardo triste e incoraggiante. Scesi i pochi scalini che ci dividevano e la raggiunsi. C’incontrammo cosî, sulla sca-

la, in un tenero abbraccio senza parole, che io sentii come una benedizione. Tornai in silenzio alla mia poltrona, al mio buio. Quella breve luce era passata. Ripresi la mia immobilità senza misura del tempo, nella stanza in penombra. Quanti minuti passarono? Non so. Forse un quarto d’ora, forse mezz'ora. A un tratto udii la voce chiara della mia figlioletta maggiore che mi chiamava. Si apri la porta e mi apparve la mia Pierina, di nove anni allora, che reggeva a stento un gran fascio di rose bianche, bellissime. La piccola venne a me correndo e me le rovesciò in grembo dicendomi: «Te le manda la signora Duse!».

Era in giardino, mi disse, quando vide sopraggiungere una vettura chiusa a un cavallo. La signora s’affacciò al finestrino e, chiamatala presso di sé, le mise tra le braccia quelle rose dicendole: «Portale alla mamma» ed era subito ripartita.

Ne fui profondamente commossa. Lacrime benefiche caddero sui biondi riccioli della mia bambina: il gelo del cuore s’era sciolto. Sono queste /e vie del Signore! Mi riscossi per esprimere subito la mia gratitudine con due parole scritte che le inviai. Il giorno seguente venne a trovarmi

lei sola. Mi parlò con quella sua voce dolcissima, che era tutta un’armonia e sapeva trovare le vie del cuore, e mi fece rientrare in me dicendomi: «Pensi allo strazio della sua mamma nel vederla soffrire. Pensi alle sue bambine che si schiudono alla vita e non è giusto che vivano nella tristezza». Furono le sue parole, ma più ancora il suo sguardo, la sua voce, che portarono il primo risveglio alla mia coscienza e una sosta al tormento della mia crisi spirituale. Prima di lasciarci ella prese amorosamente le mie tra le sue belle mani dicendomi: «Non prenda nessuna decisione ora. Mentre ci troviamo nel gran dolore, qualsiasi decisione può essere sbagliata!». Non si parlò più né della vendita della casa né del nostro trasferimento da Roma. Mi donò invece un libro che aveva con sé e, prima di lasciarmi, mi disse di leggerlo (Era il bel libro del Luzio! sui martiri di Belfiore). Ma io le risposi che ormai ero incapace di leggere, il cervello non mi reggeva, non sarei riuscita a giungere alla fine di una pagina. Lei ribatté: «Si sforzi e tra qualche giorno venga a trovarmi, ne riparleremo. L’aspetterò». Mi sembrò cosa incomprensibile. Ma tutto quel che diceva lei, proprio per il modo con cui lo diceva, era persuasivo. Mi chiese delle bambine e mi parlò di una moderna scuola con metodi innovatori che era allora all’inizio. Con quel suo fervido interessamento mi consigliò d’inviarvi la mia Pierina dicendomi che mi avrebbe fatto conoscere maggiori particolari dopo averne parlato con una sua amica, la marchesa de Viti de Marco, che vi mandava le sue bambine.

i

| ALESsANDRO Luzio, / Martiri di Belfiore e il loro processo, Seconda Edi-

zione, Milano

16

1908.

Sopravvenne il Natale e, insieme a un bambolotto per la mia bimba piccola e un libro di novelle per la maggiore, inviò a me una lettera, con quella sua scrittura di slancio, che aveva per me

il suono della sua voce e che come quella possedeva un potere magico sull’anima mia: «Cara Signora, il pensiero e il core è con lei. Non si desoli — non si rammarichi — accolga il gran dolore, amandolo. Le due piccole sono sue — tutte sue, e aspettano da Lei sorriso ed esempio, carezze e bontà.

Non pianga, io sento che Lei è tanto triste oggi, e mi duole non poter venire a parlarle, ma verrò appena potrò. Su buon coraggio e accolga anche queste mie parole, che non servono a niente lo so, ma Lei non è sola, nessuno di noi è so-

lo nel mondo e bisogna obliare e lenire la propria angoscia cercando sollevare quella altrui. Su! buon coraggio. Io detesto scrivere lettere, ma amo esserle accanto, e starle ac-

canto, oggi, vuol dire vivere ne/ cuore di tanti. Siamo tutti in attesa, in difesa — e si spera! A Lei di cuore — E. Duse» Ed aggiungeva poi: «Ho parlato alla Marchesa de Viti per la scuola Montessori. Verremo appena terminate queste cosiddette Feste. Verremo a prendere Lei e Pierina per accompagnarla a vedere la nuova scuola. Vedrà — La piccola crescerà bella, allegra, e forte, e Leale. Su, dunque, e diciamo sf alla sorte che forma la Vita».

Ogni frase, ogni parola era un incitamento di vita, mi spingeva fuori dalla tomba in cui mi andavo chiudendo senza speranza. Fu una vera salvezza per me. Nessuna delle parole di conforto che avevano potuto rivolgermi parenti e amici m’era penetrata nell’anima, sentivo in esse un formalismo, tante contraddizioni, che mi davano sofferenza e rivolta, che inacerbivano il mio

dolore facendomi ancor più rinchiudere in me stessa. Invece Lei aveva saputo trovare la via del cuore, che s’era spezzato, sî, ma poteva ricomporsi come per un potere magico. (9;

Non era l’attrice, bensî la donna incomparabile che mi faceva sentire con suprema delicatezza la solidarietà di chi ha molto sofferto e molto amato. Mi colpî, nella missiva, la parola “Leale” scritta con la lettera maiuscola riferentesi alla mia bambina, come affermazione per la sua formazione. E realmente la sincerità era al fondo della natura di lei, e la lealtà era ciò che dava tanto potere alle sue parole, come constatai poi sempre nel corso della nostra amicizia e riconobbi come il segreto della sua arte grandissima. In data 3 gennaio ricevetti questo biglietto a mano: «La signora Duse desidera farle conoscere la scuola della Dottoressa Montessori dove mando la mia bambina. «Se Ella fosse libera domani mattina potrei passare a prenderla, insieme alla sua bambina, per visitare la scuola. Verrei alle

dieci e tre quarti e la Signora Duse ci aspetterebbe alle undici per andare tutte insieme. Mi dica se può e vuole e mi creda con molta simpatia. Etta de Viti de Marco» Chi firmava era un’americana di nascita che aveva sposato il professor Antonio de Viti de Marco, nobil uomo pugliese, assimi-

landone con la lingua anche i sentimenti d’italianità. Era una peculiarità della Duse questo collegare amorosamente, con il suo tratto squisito, persone lontane e anime affini: non era teatro, ma vita. La visita ebbe luogo e fu questo un altro motivo per farmi riprendere interesse alla vita, facendomi uscir di casa e ponendomi innanzi i primi problemi dell’educazione della mia figlioletta. Conobbi cosî ai suoi esordi la scuola Montessori, che si trovava allora a Piazza del Popolo, e conobbi la Dottoressa, donna di superiore intelligenza e d’azione che, con criteri tutti moderni,

andava attuando nella sua scuola il nuovo metodo in opposizione a quelli passati. Il metodo andò poi estendendosi anche all’estero dove la dottoressa Montessori si trasferi affermandosi con grande successo, fondando molte scuole, sia in America che in Spagna e altrove. Per me fu allora un problema da risolvere. Ne apprezzai senz'altro tutto il valore, ma vi furono motivi di ordine pratico che

si opposero alla possibilità di far frequentare alla mia bambina 18

quella scuola, come avrei voluto. In primo luogo, la distanza da casa nostra in quel tempo in cui le distanze ancora facevano ostacolo. Ma ero rimasta assai commossa dall’interessamento di Eleonora Duse per la mia bambina e per me, grata che mi avesse lasciata perfettamente libera di decidere. Mi aveva fatto promettere che sarei andata ancora a trovarla, ma, alcuni giorni dopo, quando le feci chiedere se potevo recarmi da lei, mi rispose con questo biglietto: «Con gran piacere l’aspetterò, ma non posso né oggi né domani, perché ho cambiato Hòtel e sono nel pieno disordine delle stanze mutate. L’aspetterò Lunedì, se le conviene alle 5. Spero che lei potrà. Aurevoir? = Un bacetto a Pierina Sua. E. Duse»

Verso la fine di gennaio andai con Pierina alla pensione Albion, dove la Duse si era trasferita, e ne ricevemmo

la più cor-

diale accoglienza. Alcuni giorni dopo fu lei a venire da me. Ogni volta che la rivedevo per me era un gran dono! Mi accennò allora vagamente al disagio che provava nel trovarsi in quella pensione, dove l’avevano fatta trasferire. Mi venne spontaneo di offrirle ospitalità in casa nostra, se poteva adattarsi alla nostra semplice vita di famiglia; offerta che le feci timidamente, tanto mi pareva impossibile che lei, cosî abituata ai

grandi alberghi, potesse accettare. Ben sapevo quanto la mia buona mamma le era grata per il suo interessamento a me e per la bontà con la quale mi aveva salvata da quel doloroso letargo, quindi pensavo che anche la mamma avrebbe di gran cuore gradito che venisse nostra ospite. Il giorno dopo ricevetti una sua breve lettera a mano: «Ringrazio e oso sperare. Sarei cosî contenta, certa di non pesare troppo se mi si accorda una relativa libertà... Domando una risposta — Cominciare il primo o due febbraio. Grazie — Con speranze buone — Pierina deciderà. E. D.»

2 Nelle sue lettere spesso erano intercalate parole francesi, lingua che le

era familiare e che usava sempre nella corrispondenza con sua figlia che vi-

veva in Inghilterra. IC)

P.S. «Nei giorni che sono stanca o sto poco bene il pranzo dato nelle stanze». L'offerta che le avevo

fatta col cuore, con altrettanto amore

era stata accettata. Ma ora dovevo provvedere all’andamento di casa. Anche questo era un nuovo impegno a riprendere la mia vita normale. Sapevo di poter contare sul valido aiuto di una giovane donna, bravissima e affezionata, entrata in casa nostra prima della na-

scita della nostra ultima bimba. L’avevo conosciuta fin da quando ero fanciulla e ogni anno andavamo al Castello di Montalbo, dalla mia nonna materna. Giovanna, prima di numerosi fratelli,

era figlia di contadini della nonna, e, l’anno avanti, quando seppi che sarebbe potuta venire da noi a Roma, ne fui felicissima. Cost s’era trovata in casa nostra alla nascita di Luisa, e a lei si era

talmente affezionata che quando, al sopraggiungere della sventura, mi trovai nell’impossibilità di continuare l’allattamento della

piccola, fu la cara e buona Giovanna che si curò di lei con affetto materno. Sapevo dunque di poter fare affidamento su di lei per la venuta della eccezionale ospite. Trovo di quel tempo un altro biglietto dalla pensione Albion: «Sto meglio — Grazie — Speriamo tutto bene. L'aspetto domani, non manchi —

Grazie»

Probabilmente era della fine di gennaio del 1912 (com'è risaputo, difficilmente lei metteva la data nelle sue lettere), come pure quest'altra missiva: «Oggi ho una “/ettura” e domani anche, e queste “Letture” 3 terminano alle 6 1/2 di sera — e allora, sono troppo stanca — e amo entrare nella bella casa di Pierina col sole e La Luce! — Quindi,

rimettiamo la cosa a Sabato mattina. Spero tanto e desidero rivedere lei e le piccole — ed essere, alfine, fuori da questa banale casa Pensione e rimanere sotto l’Egida della sua tenerezza. E. D. Arrivederci Sabato mattina».

© Erano conferenze letterarie che teneva la scrittrice Giannina Franciosi, e

che la Duse stessa aveva promosse.

20

II.

L'AMICIZIA

Cosî ebbe inizio quella ospitalità che fu il principio della materna affezione da parte della Duse e della mia filiale devozione di tanti anni, fino alla sua morte.

Dopo la sua sistemazione presso di noi in due camere a lei destinate, fece venire da Firenze la sua cameriera personale, Salviola, e il suo cane, Selva, un bel setter bianco e nero che le era

stato da poco regalato. Ma, dopo poche settimane, partî per Napoli lasciando presso di noi Salviola e Selva. Fin d’allora mi resi conto della sua irrequietudine, della sua impossibilità di sostare, di trovar pace, com'era avvenuto sempre in quella sua vita affannata. Tuttavia, appena partita, il suo pensiero ritornava a noi. Un telegramma da Napoli del 20 febbraio diceva: «Spero che Salviola e Selva non le danno troppo disturbo. Saluti di cuore. Duse». AI suo ritorno da Napoli, dopo la breve assenza, le fecero visitare una villetta solitaria da poco costruita in via Pietralata, tra gli alti pini dell’antica Villa Massimo, con un piccolo giardino intorno e una magnifica veduta sulla pineta circostante. Le piacque, trovò nella stessa semplicità della villetta una maggiore attrattiva e si rese conto che questa, com'era suo intendimento, do-

veva essere la Biblioteca delle Attrici, fatta per il riposo e per il sogno, quale rifugio accogliente e armonioso, centro di cultura per le giovani avviate alla carriera teatrale. Ricordava la sua giovinezza misera e triste, quando il suo ani-

mo fervido fin d’allora anelava a coltivarsi, a leggere, a imparare per sottrarsi alla dura realtà della vita dei guitti. Ora, lasciato spontaneamente il teatro che le aveva dato la gloria e l'indipendenza economica, si sentiva portata ad aiutare le giovani che vi si erano dedicate, e indirizzarle, e trasmettere loro 7.21 PA

quell’amore dell’arte che l’animava ancora, e del teatro che, causa la sua salute, credeva ormai avere abbandonato per sempre. Dal suo appartamento di Firenze contava far venire una buona scelta di libri e mobili adatti. Firmò il contratto di affitto per la villetta e partî per Firenze per fare la scelta e la spedizione di quel che voleva donare per l’attuazione del suo progetto. Ecco un suo telegramma da Firenze del 28 marzo 1912: «Grazie caro telegramma e lettera. Arrivederci presto...». Aggiungeva poi alcune raccomandazioni per la sua cameriera Salviola, ma questa, essendo ormai prossima la Pasqua, aveva già deciso di lasciare il servizio e ritornarsene a casa sua. La Duse rimpiangeva sempre di non avere più con sé la vecchia cameriera Nina, che le era stata fedele compagna durante gli anni di lavoro, seguendola sempre nelle sue peregrinazioni e condividendo le sue pene nelle vicende dolorose, con la semplicità di cuore d’una contadina buona e affezionatissima. Ma questa, ormai anziana, viveva nel suo paese d’origine, in Toscana,

con un assegno mensile che la signora continuò sempre ad inviarle anche durante la guerra, quando lei stessa venne a trovarsi in difficili condizioni finanziarie a causa delle interrotte comunicazioni con la Germania. Nella sua vita la Duse guadagnò somme enormi, ma era inesorabilmente portata a dare e impegnare per gli altri più di quanto effettivamente poteva. Negli ultimi anni, prima di ritirarsi dalle scene nel 1909, dopo il dissesto finanziario causato dalla collaborazione con D’Annunzio, era riuscita a rimettere insieme un notevole capitale col quale poté restituire alla figlia la dote da lei prestatale e, per mezzo del banchiere-musicista Roberto Mendelsshon, amico devoto e marito dell’amica Giulietta Gordigiani, costituirsi, presso la banca Mendelsshon di Berlino, una rendita che le avrebbe per-

messo di vivere agiatamente per il resto dei suoi giorni. Naturalmente, allora nessuno avrebbe potuto prevedere l’entrata in guerra dell’Italia. Non è mia intenzione parlare dei rapporti tra la Duse e d’Annunzio, che appartengono a un tempo (1897-1902) in cui ancora non conoscevo la Duse, ma mi è necessario accennare alla rottu-

ra di questi rapporti per meglio chiarire l’animo e la situazione della donna che io conobbi. 22

Il teatro dannunziano, a cui l’attrice aveva dato tutto il suo animo, le era costato somme ingentissime, che non le furono mai re-

stituite. Con la sua generosità e il suo amore per l’arte, ella non aveva badafo a spese, pur di assecondare ogni richiesta di d’Annunzio per la dispendiosa rappresentazione dei suoi lavori teatrali. La messa in scena della Francesca da Rimini fu preparata con una ricchezza di mezzi fin allora sconosciuta. Dice la nota alla prima edizione della tragedia: «Quasi tutte le arti, maggiori e minori, furono chiamate a porre un'impronta di bellezza e di ric-

chezza su la suppellettile scenica». E cosi fino all’ultimo, anche per La figlia di Jorio, in cui la Duse non poté neppure recitare, con suo immenso dolore. Di ritorno da una tournée all’estero e poi dall’ Abruzzo (per studiare l’ambiente della tragedia), esaurita e febbricitante per una delle solite ricadute

del suo male 4, fu costretta al letto.

L’amica Matilde Serao la raggiunse a Genova e descrisse poi in un articolo nella “Illustrazione italiana” la scena pietosa di cui era stata testimone. Era stata negata una proroga per l’inizio delle recite e la Duse fu indotta a consegnare il vestiario e quanto aveva amorosamente preparato per la tragedia che il poeta aveva scritto per lei: Mila di Codro non fu dunque Eleonora Duse, ma Irma Gramatica. È nota l’ultima lettera da lei scritta a d’ Annunzio, in data 9

gennaio 1904, riportata in facsimile dall’amico e amministratore del poeta, Benigno Palmerio, nel suo libro Con d'Annunzio alla

Capponcina: «Allora è deciso — Gabrî — dolcezza, forza, speranza — sola cosa forte di vita mia! «È deciso! «To pure dico amen e cosî sia! «Avrò con questo tutto donato per la tua bella sorte — e se il core mi si rompe — ora quest'ultima volta... e cosî sia! «Ho sperato, mi sono illusa — ho sperato che una buona Luce avrebbe illuminato di pazienza e che avremmo potuto attendere prima di tutto donare — non si può!

4 È noto che la Duse era affetta da etisia e da enfisema polmonare.

«Hai donato la Figlia di J.— L'ho donata io pure, per te, per la tua bella sorte — e che il core se ne vada a pezzetti, non conta — non conta! «Ricordati, un giorno — che profondo amore — è quello che lo dona altrui! Eleonora»

Questa lettera rivela tutta la pena dell’attrice e della donna per il dramma da lei vissuto. Non era risentimento, ma dolore infini-

to: si sentiva stroncata dall’esclusione, dopo tanta paziente attesa e collaborazione, da quell’opera d’arte che aveva ritenuto fosse stata scritta per lei e per la quale aveva profuso tutto quanto le rimaneva dei proventi del suo lavoro. Tanti anni dopo, quando mi accennava a quel tempo, non ma-

nifestava, neppure allora, risentimento verso il poeta. Ricordava solo lo strazio (e ne serbava la cocente ferita) di aver dovuto con-

segnare a un’altra attrice quanto era stato da lei preparato per sé e di essersi trovata in quel momento stroncata, senza mezzi, malata.

Ma la sua vitalità era sorprendente e la forza le veniva dall’anima che non sapeva nutrire rancore. Cosî poté allora riprendere la sua vita d’artista, per le vie del mondo, col suo repertorio,

vecchio in gran parte, che, in fondo, era quello che il pubblico prediligeva. Era voce corrente che avesse donato il suo danaro al poeta. Ma a me più d’una volta disse che non per lui l’aveva dato, ma per amore dell’arte, perché trionfasse il teatro italiano. Tutto questo si riferiva al suo passato doloroso, di lotta e di vittoria, ma ora si trovava nella semplice vita che l’aveva portata sulla soglia della mia casa. Quel suo primo soggiorno in casa nostra, nel 1912, fu di circa un mese. La sua semplicità, la sua bontà squisita, la sua tenerez-

za per me e l’affettuosità con le bambine fecero sî che la sua presenza tra noi ci fosse di grande conforto. Tutta la casa, naturalmente, era imperniata su di lei, che, d’al-

tra parte, non aveva esigenze particolari; ma noi sentivamo di dover evitare qualsiasi cosa che potesse urtare la sua eccezionale sensibilità. E lei, d’ogni premura, d’ogni attenzione si dimostrava gratissima. Restava quasi sempre in camera sua e, per quelle difficoltà di respirazione dovute all’enfisema polmonare 24

di cui soffriva, rimaneva in letto sostenuta da una quantità di cuscini e quasi sempre si faceva servire i pasti in camera. To cercavo di nasconderle il più possibile la mia tristezza, ma lei, guardandomi negli occhi, s’accorgeva subito quando avevo pianto. Anche alla mia bimba più piccola, che ormai aveva quasi un anno

e cominciava

a camminare,

mostrava

tanta tenerezza.

Guardandola affettuosamente diceva che aveva «gli occhi d’uccello di nido» — «occhi novi» — espressioni che le venivano forse dal sentirsi lei tanto stanca, gravata dalla sua vita affaticata e penosa, mentre vedeva quella mia creatura ignara e innocente che si affacciava alla vita. Ma lei si rinnovava sempre e, tante volte, mi stupiva quando,

lasciatala poco prima abbandonata nel suo letto, con quella sua difficoltà di respiro, quasi senza forza, la vedevo poco dopo aggirarsi per la casa per cercarmi vestita d’un’ampia vestaglia di flanella bianca di taglio quasi monacale, chiamandomi con quella sua voce armoniosa, indimenticabile.

M’affascinava quella sua spontaneità, quella semplicità, e mi sollevava l’anima dai tristi pensieri, dalle riflessioni dolorose. Di sé parlava ben poco; della sua gloria, dei suoi trionfi, nulla diceva. Ma tanto e con commossa tenerezza parlava di sua madre, da

lei perduta quand’era ancora giovinetta. Talvolta, ricordava invece una certa sera in cui, a suo dire,

aveva recitato male. Come parlando a se stessa, dimostrava una coscienza sensibile e rivelava un profondo senso di responsabilità e di rispetto verso

il pubblico,

una sincerità assoluta, una

completa mancanza di vanità. Spesso mi parlava della sua figliola, della sua Enrichetta che,

sacrificando la propria tenerezza materna, lei aveva tenuta lontana dal teatro fin da bambina perché non dovesse soffrire quel che lei aveva sofferto. (Enrichetta allora viveva a Cambridge, sposata ad un giovane professore inglese, Edward Bulloug, lettore d’italiano in quella Università). In lei sentivo la madre affettuosissima che si compiaceva di quella sua figlia lontana, felice sposa e madre a sua volta. Si dimostrava tanto contenta di stare con noi, cosî ambientata

in famiglia, che deplorava di non aver vissuto una vita propria per aver dovuto seguire quella fittizia della scena. 25

Ma troppo era abituata a muoversi, e non far soste, sicché, appena si sentî un po” più in forze, pensando alla progettata opera della Biblioteca, partî per Firenze per effettuare la spedizione dei mobili e dei libri come aveva promesso. Né da questo progetto la distolse l’amarezza provata per alcune opposizioni e critiche apparse sui giornali, e venutele anche da compagne d’Arte che, mettendo da parte l’idealità (la trattavano da sognatrice), consideravano il lato pratico e i bisogni materiali delle attrici giovani piuttosto che quelli dello spirito e dell’anima, che, secondo la Duse, venivano negletti e sacrificati.

Tutto lasciava supporre che la Duse, effettuata la spedizione dei mobili, da Firenze sarebbe subito ritornata

a Roma, tanto più

che m’aveva telegrafato: «Arrivederci presto». Rimasi quindi in attesa, convinta che sarebbe ritornata a casa nostra.

Ma con lei Un giorno pressione, mi pagnate da un

vi era sempre l’imprevisto. d’aprile, in cui sentivo più che mai tristezza e devidi arrivare due bellissime piante fiorite accombiglietto:

«Cara donna Maria, sono tornata ieri notte — sto bene — e verrò trovarvi tutte = Mamma, Sorelle e piccole mimme, fra qualche giorno, perché sono all’ Eden con miei amici (forse Yvette Guil-

bert col marito) e per qualche giorno non potrò. Ma saluto con tutto cuore Eleonora». «P.S. Queste due piante sono per le due Sorelle Grandi. Quando verrò porterò due pianticelle piccole per le due sorelle piccole. Ossequio alla Madre delle figlie — Bacetti a Luisa e Pierina. BE.Do».

Le risposi inviandole rose del giardino per ringraziarla e dicendole che avevo Pierina in letto con febbre. Ma ecco dall’Eden Hòtel di rimando un suo biglietto a mano che mi diceva: «Come mi dispiace di Pierina! Spero — auguro che non sarà niente — Mi mandi notizie, dolente non poter venire, ma questo

freddo mi fa soffrire. Arrivederci appena potrò. Grazie per le RoE. D.». se Belle. Saluto tutta la casa! Ed il giorno seguente m’inviava quest'altro biglietto: «Grazie — stanotte male, ma adesso meglio. Prego tanto aver pazienza con caro Selva, che io amo tanto. Prego tanto di ripetere a Selva queste parole: “Caro cane, Caro cane” e lui sarà felice, 26

perché gli piace essere tenuto in considerazione. A nessuno piace essere umiliati — neppure ai cani! Scusi, mi dole tutto. A rivederci. Grazie. Saluto tutte. Eleonora «Ancorà una preghiera. Prego farmi, domani, una tazza di brodo bono — Scusi. Quanto domando!».

Lei attribuiva a quei buoni brodi casalinghi preparati da Giovanna un potere vivificante. Poi, riferendosi alla Biblioteca, diceva:

«Siamo

già a buon

punto. Io sono stata al Congresso? e devo tornare quest’oggi. Grazie, grazie. Saluto. — Scusare per Selva, non sapevo di ammalarmi cosî!». Andai in seguito a trovarla all’albergo. Fu allora che mi fece incontrare con Donna Sofia Cammarota, anche lei in stretto lutto, avendo perduto, pochi mesi prima, l’unico figlio, ingegnere costruttore aeronautico, una delle prime vittime del volo, di cui

era stato ideatore e realizzatore appassionato. Di quel tempo è quest’altro biglietto senza data: «Prego tanto scusarmi, ma resto a pranzo con le mie 2 amiche. Prego dunque non aspettarmi. Ma pazientare e dare un po’ di pappa al mio cane bono. Giulio ® lo accompagnerà e ritornerà a prendermi col cane per farlo muovere. Scusi — e mi voglia bene — Sono stata consolata vedendola. Lei, cara Donna Maria, accan-

to a quell’altra povera mamma; Sua affezionata Eleonora». E poi ancora: «Cara, La prego venire (e se possibile con Selva) alle undici alla casa Libreria. Son là a lavorare con due amiche che aiutano,

i mobili sono arrivati ieri e tutto va bene. Venga alle // — cosî indicherà una osteria per trovare colazione per 4 persone e poter farla mandare alla Libreria in un canestro qualunque — una cosa alla svelta. Grazie». Per lei i pasti avevano un’importanza relativa e di second’ordine.

5 Il Congresso Nazionale delle Donne Italiane che si svolgeva in quei giorni a Roma. 6 Giulio era un giovane da lei assunto come custode alla Libreria delle Attrici.

DI

Mi fece conoscere

allora la Signorina Le Maire, una donna

intelligente, semplice e modesta, pronta sempre ad ogni opera di bene, che dirigeva la Biblioteca del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, a Piazza Nicosia, ove organizzava conferenze e concerti per le giovani maestre e studentesse, dando loro utili consigli e aiuto nella scelta dei libri di quella biblioteca circolante. Malgrado l’aiuto delle due gentili amiche per la Libreria, la Duse s’ammalò. La sua salute non reggeva al minimo sforzo. «Ieri non potei scrivere oggi sto meglio. Spero tanto uscire da questo letto. Quando parte la Signorina Le Maire, spero che lei verrà due ore al giorno guardiana della mia porta. Sî?? Col cuore grazie».

Come poi mi resi conto, per la sua estrema sensibilità era sempre apprensiva quando si sentiva sola, ma le dava tranquillità aver accanto una persona di fiducia. Cosî, finché restò a Roma, costretta al letto, io andai ogni giorno da lei, come m’aveva chie-

sto. L'inaugurazione della Libreria dovette essere rinviata a causa del suo cattivo stato di salute. Prima di partire per Firenze, mi fece promettere che sarei andata in montagna nell’estate. Con quel suo modo affettuoso d’impegnare, mi disse che avrebbe tanto gradito che io le inviassi di quelle belle genziane che si trovavano nei boschi sulle Alpi, quei fiori di montagna di un azzurro tutto particolare che crescono spontaneamente lassù e che non si trovano dai fiorai. Lei intuiva che se mi avesse semplicemente raccomandato di fare un mese di soggiorno in montagna per rimettermi in salute e riprendere amore alla vita, difficilmente mi sarei decisa a non passare tutta l’estate nella nostra campagna di Parma come ero solita e dove, più che mai, avrei sentito la tristezza dei ricordi nell’ambiente familiare e dove mi sarei ritrovata nel doloroso stato d’animo dell’autunno precedente. Cosî ottenne la mia promessa e mi trovai nell’impegno di cercare le azzurre genziane, che ancora non conoscevo, e di inviargliele. Per mezzo di una signorina svizzera, ebbi l’indicazione di un alberghetto rustico e tranquillo, un po’ fuori dal mondo, come era mio desiderio, e vi andai con la mia Pierina. AI confine della

Svizzera con la Francia, era proprio quello che desideravo e che

28

occorreva per noi. In quei boschi avemmo la gioia di trovare le genziane e di spedirgliele. Come lei aveva preveduto, tanto io che la mia bambina, ne ri-

cevemmo ua apporto di salute straordinario. Quell’aria di montagna, quegli orizzonti, quei boschi, ci diedero una nuova vita. Tutto questo dovevamo ancora all’essere entrata Lei in casa nostra a portarci fuori dall’incombente tristezza. Al nostro ritorno in Italia, lessi su un giornale la notizia che

Eleonora Duse si trovava a Venezia ove si era incontrata col poeta Rilke e l’attore italiano Noissi, venuto dall’ Austria dove ave-

va ottenuto molto successo. Nella stessa corrispondenza si faceva larvatamente cenno che la “Grandissima” potesse pensare a un ritorno alle scene (Lettera di Rilke da Venezia).

Ai primi di ottobre, dalla nostra campagna ritornammo a Roma. Il 3 era l’anniversario del mio matrimonio avvenuto undici anni prima. Fui cosî riportata dai dolorosi ricorsi a rivivere le tristi giornate dell’ottobre precedente e ritrovavo quel vuoto incolmabile. Nel mese di novembre mi giunse inaspettata una lettera con i noti caratteri. Eccola: 14 novembre 1912 «Cara Donna Maria,

mi mandi sue notizie. Ho ricevuto in estate le belle Genziane della montagna — e risposi con un saluto. L’ha ricevuto? Sono stata e sono ancora malata di Bronchite e vado al mare per tentare di guarire. Mi scriva — Alassio — Riviera Ligure — Villa Mrs Gordon — Molino di Sopra. Bacio lei — le Bambine, la sorella e la

cara Madre sua. E. Duse». Poi un telegramma da Alassio in data 1 gennaio 1913: «Ricevo violette, indovino essere lei. Baci a lei, alle bambine.

Saluto reverente alla Madre e auguri alla sorella e a lei di tutto cuore. Eleonora Duse».

Forse in seguito a notizie di giornali che annunciavano il ritorno di truppe dalla Libia e probabilmente informavano di parate militari a Roma, questa lettera del 19 gennaio: «Cara, se oggi il core le duole e la casa le pare vuota, e la voce delle bambine, anche quella, la fa piangere... rialzi il respiro —, e se ne vada per le strade di Roma. Oggi Roma è, deve essere più bella che mai. Sf, cara, comprendo e penso a Lei — ma, bisogna 29

rialzare la testa, e non piangere per dare gioia e orgoglio alle sue piccole che le sono rimaste. Sia buona — e avanti... ecco, ho visto le parole sante e gliele mando qui accluse». (Era forse un ritaglio di giornale, che però non ritrovo). Altra lettera da Alassio del 6 febbraio per dirmi che sarebbe arrivata a Roma da pochi giorni, che mi avrebbe fatto sapere a quale albergo sarebbe scesa, e, intanto, si diceva contenta di ri-

vedermi. Un telegramma da Nizza del 10 marzo: «Tutto bene — fra tre giorni S. Margherita». Ed ecco ancora uno dei suoi lunghissimi telegrammi, del 16 marzo da S. Remo: «Desidero tanto rivedere Selva. Prego rispondermi se lei consente consegnarlo al Nanni” che manderei prenderlo oppure se lei volesse fare una corsa di due giorni fino S. Margherita dove sarò domani sera. Forse vedere mare farebbele bene se trova coraggio viaggiare. Notte Selva in treno sta sempre tranquillo tenendolo con sé nello stesso compartimento. Pensi e decida lei. Una corsa prima di Pasqua forse le sarebbe sollievo e io felice rivederla. Aspetterò risposta. Eleonora». Telegramma del 17 marzo forse in seguito a una mia risposta affermativa: «Che gioia l’aspetterò» — E da S. Margherita il 18 marzo altro telegramma, e di nuovo telegramma del 19 e poi del 21 marzo per dirmi: «Pioggia — Stagione poco propizia — Sono incerta se ritornare Roma stanotte — telegraferò». E pure in data 17 marzo da S. Remo aveva telegrafato a mia figlia Pierina con la sua solita tenerezza per le bambine: «Cara Pierina, ti prego di avere pazienza e lascia venire Selva. Quando tornerò a Roma, ti prometto che Selva ti sarà sempre fedele per accompagnarti alla scuola. Tanti bacetti con Luisella. Duse». Il 22 telegrafa da S. Margherita: «Piove — Melanconia — Torno lunedì — Aurevoir». E, lo stesso giorno:

? Suo ex giardiniere alla Porziuncola, la villa presso la Capponcina dove la Duse aveva abitato durante il legame con d’ Annunzio.

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«Cara Maria, prego dire domattina a Pierina che non ho dimenticato la promessa del libro Peter Pan — ma prego indulgere fino al mio ritorno. Stanotte non abbiamo trovato posti nel treno. Arrivedercilunedì — Ogni bene. Eleonora». Una lettera del 27 marzo dall’Hòtel Miramare di S. Margherita: «Cara, parto oggi per un faticone di dieci ore, tramezzerò il viaggio e stanotte si resterà a Pisa. Dopodomani a Roma Eden Hòtel. Cerchi di me nella giornata — Credo che il treno arriverà alle 5. Qui, fu, meno un giorno, sempre pioggia — Di cuore Eleonora». Il 27 marzo da Pisa: «Mi è necessario per salute rimanere Pisa prego tanto tanto dirmi se lei può venire con Selva. Sarei cosî felice. Eleonora». Ben lieta di questa ottima occasione di ritrovarla andai a Pisa col buon cane e lei ne fu tanto grata. Fummo cosî contente di ritrovarci dopo sî lungo tempo! Mi scrive ancora da Pisa la sera stessa della mia partenza: «Cara Donna Maria, Le dico grazie, grazie, grazie di tutto, e quanto mi dispiace sempre domandarle cose noiose! — Spero che ha trovato la piccola bene e tutte Bene. Me ne scriva a Firenze

via Robbia 54. Dopo partita lei... ho pensato a tanti dettagli, cose grandi e piccole che sono rimaste sospese a casa mia, da dove manco dal novembre. Se dunque è necessario che io vada al mare, è pur necessario fare un po’ d’ordine, e provvedermi delle cose d’estate, perché non ho con me che vestiti d’inverno. Faccio dunque una breve corsa a casa — questo non ho ben capito che dopo la sua partenza vedendo 1 miei bauli! — Cara, mi scusi per le noie a Roma. Mi voglia bene — e pazienza. E. D.». Il 2 aprile telegrafa da Firenze: «Speranza al ritorno nella mia piccola casa — tutto ricevuto — Grazie — Spero rivederla anche qui. Eleonora». Il 7 altro telegramma da Firenze: «Desidero sue notizie — Sto meglio ma tornata leggera febbre. Scriverò fra giorni. Grazie di tutto. Duse». Il 12 aprile: «Grazie cara lettera. Contenta che Luisella guarita Io sto meglio — cessata febbre ma occorre pazienza — Spero tanto che lei fine maggio verrà trovarmi qui — Ci pensi. Con affetto Eleonora». 31

Io, sempre

ritrosa, le diedi una risposta evasiva, e lei il 24

aprile mi scrisse: «La sua risposta non è una risposta perché non dice né sî, né no. Ma dica di sf — e a fine maggio faccia una corsa a Firenze — dica di sf — Troverò dove alloggiarla, bene, e in pace, e nella mia stessa strada perché nel mio appartamento non ho più camera per gli ospiti. Aspetto un si. Intanto, domenica mattina verrà per Lei un mio uomo d’affari, si chiama Luigi Gemmi e la prego consegnare a lui le due valigie delle quali ho bisogno. Per riconoscimento egli le porterà una mia fotografia che oso mandarle, solo perché Lei mi disse un giorno, di volerla ospite in casa sua. Ogni saluto di bene a Lei e alla cara Casa. Eleonora — Scrivo in fretta — febbre anche oggi».

Il 27 aprile giunse quel suo incaricato che mi portò, non una, ma tre bellissime sue fotografie. Una porta la dedica in calce: A/la casa di Pierina - Eleonora ringraziando, scritta con quella sua scrittura di slancio, come era solita, a matita; l’altra A Maria Osti Giambruni a lei riconoscente E. Duse, e la terza A Maria Osti

Giambruni dal cuore fedele — Eleonora. Un telegramma del 20 maggio diceva: «Cara, non ho potuto scrivere perché ebbi peggioramento causa forte raffreddore che trascino da tanto tempo. Dottore consigliami partire per Lago Maggiore. Forse parto giovedî, ma tanto mi duole non rivedere lei. Bacio affettuosamente. Mi dica lei come fare». Altro telegramma del 21 maggio da Firenze: «Cara, con tutta tenerezza e con cuore fedele le dico grazie — ma forse meglio aspettare occasione momento più calmo — Sono fra tante noie di diverso genere, e cosî poco bene, costretta partire, che tutto mi fa pena — Prego aspettiamo, amando con fedele amore — Scriverò appena potrò. Saluto». Lettera del 26 giugno, da Basilea, Hòtel Sommer Badenwiler: «Cara Donna Maria, Non le ho più scritto da Firenze, nel maggio, nei giorni che speravo rivederla — Avevo avuto un peggioramento improvviso, e ostinato, e ho lasciato Firenze — piena di vento caldo e di polvere in quelle giornate — e ho girato di qui e di là, a piccole giornate, senza affaticarmi, cercando un luogo

adatto per l’estate. Dopo molte ricerche fra Tirolo e Svizzera — ho trovato per indirizzo d’una cara amica, questo piccolo villag32

gio, a un’ora da Basilea — calmo e tranquillo, dove rimarrò tutto luglio. Questo Badenweiler è nella Forét noire — ottima, dicesi,

per respirare, e respirare bene — cara, ne ho bisogno. — Mi dia sue notizie Qui. Forse avete lasciato Roma pel caldo — ma spero qualcuno vi rimanderà questo saluto alle tre Generazioni Giambruni — Bacetti a Pierina. Saluto tutte e Lei di gran core — volendole, sempre, un bene bono e forte — mi scriva. El. Qui è un Sa-

natorio speciale per Enfisema — dunque — speriamo bene, faccio

la cura». Il 1° settembre da Viareggio: «Non so più niente di lei — non le ho scritto, è vero ma ho sovente pensato a Lei, e il mio indirizzo di Via Robbia 54 le è no-

to, quindi sperai ricevere, rimandata da Firenze, qualche parola sua — Mi scriva, cara Donna Maria, mi parli di lei e delle sue piccole. Auguri alla sorella, e saluti teneramente la sua cara Mamma. A lei, sempre di cuore E. D. Mio indirizzo: Casa Magrini, Al Secco, Viareggio — Mia salute meglio — un po’ meglio». E poi, il 20 ottobre, da Viareggio, Hòtel Mediterraneo:

«Prego darmi sue notizie. Mia Figlia è arrivata qui per qualche giorno parliamo di Maria Osti — Enrichetta desidera conoscerla — Perché non viene per qualche giorno? Risponda se può. Saluto teneramente — Eleonora Duse». Il giorno seguente: «Grazie Enrichetta sarà alla stazione con la sua busta della lettera che ricevo, la terrà in mano

per farsi riconoscere

da lei —

Grazie». Andai a Viareggio dove m’incontrai con Enrichetta, restando due giorni ospite della Duse al loro albergo. Anche con la figlia ci affiatammo subito. Avrebbero voluto fossi rimasta ancora un po’, ma non mi potei trattenere di più perché ero attesa dai miei nella nostra campagna di Parma per il ritorno a Roma. L’autunno si presentava umido e, come tutti gli anni, ci rimandava in città.

Io, ormai, avevo ripreso energia e sentivo la responsabilità di capo-famiglia.

8 Per suggerimento di Yvette Guilbert (la celebre mima-cantante immortalata dai disegni di Touluse-Lautrec) aveva intrapreso quella cura nella speranza di migliorare in salute e poter tornare al lavoro.

55

Telegramma del 24 ottobre da Viareggio: «Enrichetta e me la ringraziamo ma la visita fu troppo breve. Speriamo ritrovarci ancora. Prego far dei progetti di ritorno — Saluti tutta casa. Duse». Il 27 ottobre mi scriveva: «Cara Donna Maria, dal marzo a ottobre, per regolare un conto che doveva esser regolato subito! Prego, mi perdoni, perché sapevo di aver un debito con lei, ma sempre rimandato di giorno in giorno nella speranza sempre di rivederla! ... Le faccio fare un vaglia a suo nome che Lei riceverà dopo questa mia — Dispiacente di tanto ritardo. Dolente Lei non sia ri-

masta, e non parli di ritornare». Passò il Natale. Silenzio... Telegrafa da Firenze il 27 dicembre: «Le preparo una sorpresa per domani» e il 28 da Roma: «Siamo all’Eden, l’aspettiamo in giornata alle 2. Henriette». Andai a trovarle quel giorno e anche in seguito giornalmente durante il soggiorno di Enrichetta a Roma. Occupavano due stanze all’ultimo piano, con balconi prospicienti la Villa Malta, con la splendida vista di tutta Roma dominata dalla cupola di S. Pietro. La madre cercava di favorire il più possibile l’affiatamento di Enrichetta con me. Ma come erano diverse le loro due nature! Anche se si poteva notare una lontana somiglianza fisica e cosi nei gesti, come in certe inflessioni della voce e nel portamento. Enrichetta era più alta, ma non aveva la flessuosità della madre,

sebbene questa mi disse di essersi appesantita negli ultimi anni per una cura di sovralimentazione che le era stata consigliata dai medici. Ed era questo, mi diceva la Duse, che soprattutto le impediva di pensare a tornare alla scena. Lei ed Enrichetta, nel carattere, nell’attitudine interiore, erano

all’opposto. La Duse per sua figlia aveva un affetto e un’ammirazione sconfinati, e pur sentendo in se stessa la disparità, era sempre pronta a valutare le abitudini inglesi della figlia, la mentalità positiva e pratica, che s’era formata vivendo in Inghilterra. ° Erano piccole spese da me anticipate per lei quando si trovava nell’inverno precedente all’Eden Hétel e di cui non mi ricordavo neppure pit. Si Sera di sole 122,99 lire. Questo dimostra lo scrupolo che aveva in fatto di anaro.

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Enrichetta, che aveva solo due anni più di me, si mostrò grata

della mia filiale affezione per sua madre poiché, essendo costretta a tornare in Inghilterra dove il marito e i due bambini l’attendevano a casa, le dava tranquillità che sua madre avesse in me un appoggio sicuro e disinteressato ben sapendo come essa, sempre cosî fiduciosa e impulsiva, era soggetta a lasciarsi facilmente sfruttare. Enrichetta pensava che io avrei potuto esserle riparo ed aiuto nella vita pratica. Ma chi avrebbe potuto impedire quella impulsività, quella generosità istintiva e senza controllo di riflessione che erano le note fondamentali della grandissima donna tutto cuore qual era Eleonora Duse? Insieme ripartirono per Firenze, dove Enrichetta avrebbe scelto quel che voleva nella casa di sua madre in via della Robbia. Con quale gioia pareva che la Duse volesse proprio sbarazzarsi di tutto! Enrichetta non aveva allora alcuna religiosità, anzi, sembrava

compresa di spregiudicato positivismo. Fu la madre che, pur senza seguire le pratiche religiose, ma col suo senso mistico della vita e con i libri, come le Lettere di S. Caterina, la Leggenda Aurea e molti altri che allora le vidi tra le mani, influî sulla figlia che divenne poi fervente cattolica. Anche il marito, si converti al cattolicesimo, e i figli loro, Sebastiano ed Eleonora, dovevano poi prendere entrambi l’abito domenicano, divenendo infine en-

trambi superiori nei loro rispettivi conventi. *

*

>

La Casa delle Attrici era rimasta finora chiusa in attesa che l’iniziatrice ritrovasse la salute e la forza per potersene occupare.

Ma il 25 aprile 1914 la Duse, ritornata di nuovo a Roma all’Hétel Eden mi scrisse: «L’invito è per le cinque. È scritto nell’invito stampato che la Le Maire ha mandato. Grazie — a domani». Il 28 maggio 1914, in una bella giornata di sole, vi fu animazione nella villetta solitaria di Via Pietralata (Pietra-alata, come, per

buon auspicio, preferiva cime, mosse da un lieve giovani attrici che erano Libreria sotto l’impulso

chiamarla la Duse). E i cipressi dalle alte vento, pareva s’inchinassero a salutare le convenute per l’inaugurazione della loro generoso e protettivo di Eleonora Duse. W (al

Quando l’anno prima era stata annunciata dai giornali l’offerta di Eleonora Duse sotto il titolo “Un libro - un fiore”, la donatrice era stata amareggiata da alcune voci contrastanti che avevano fatto opposizioni alle lodi, attrici già arrivate, l'avevano tacciata di essere una “sognatrice”, facendo obiezioni di ordine pratico. Per gli impulsi del suo cuore lei non poteva accettare le riflessioni e i ragionamenti che tarpavano le ali al suo slancio generoso, ch’era di altro ordine. Nel contrasto tutto diveniva me-

schino e le ricordava antiche amarezze e indimenticabili rivalità. Trovo un piccolo ritaglio di giornale di allora che ho conser-

vato !0. «Ieri è stata inaugurata con un ricevimento di signore, di attrici e di attori e scrittori, la Libreria delle Attrici ideata da Eleonora Duse e da lei preparata per il riposo e la gioia delle attrici. La casa guarda sulla campagna romana. L'orizzonte è vastissimo, segnato dai segni caratteristici dei grandi quadri romani. «Nella casa sono disposte piccole stanze chiare che sembrano ignorare qualsiasi stagione che non sia la primavera. Tutto è disposto per la più completa tranquillità. I libri, che qui vedemmo ammassati in gran copia, saranno al più presto collocati nelle librerie e offerti alle ospiti dalle mani delle signore che aiutano Eleonora Duse nella sua Nobilissima impresa».

Tra gli invitati si trovava anche Gemma Ferruggia, la scrittrice amica da lontani anni di Eleonora Duse. Alcune pagine di un libro di ricordi della Ferruggia, forse riprese da un articolo da lei scritto al momento della inaugurazio-

ne, rievocano quella lieta giornata. Ne riporto qualche brano !!: «La gloriosa donna

che ha chiamato

a raccolta le colleghe,

sembrava nella sua casa ormai donata — una rondine — che avesse ripiegate le ali — questa l’immagine palpitante e consacrata della creatura di alto volo che raccoglieva armoniosa e trepida “In veste bianca e negra” una di quelle vesti che solo a lei si adattano, tunica e sobrio manto, oscura morbidezza ingentilita dal bianco delle sottomaniche ampie. «Nessuna folla conquistata e acclamante, vide Eleonora Duse — viva di mille bellezze — come poterono ammirarla le giovani

10 La Tribuna del 29 maggio 1914. !! GEMMA FERRUGGIA, La nostra vera Duse, Milano, 1924.

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che fecero corona sulla terrazza splendente al tramonto romano, mentre sventolava la bandiera italiana — che ella additò in silenzio — e nel profumo delle rose, ampie tende sbattevano come vele di una nave dal felice varo. «Nella festa dedicata alle donne del palcoscenico, nessuna teatralità — non discorsi alla grande Donatrice — non parola alle arrivate o aspiranti della gloria sulle scene di prosa. «La buona cerimonia di oggi è quella della mano nella mano » disse la stessa Eleonora Duse a una sua fedele. «Le avremmo volute veder tutte, veramente (con tutti i compagni) le compagne — tra autori, critici, personalità della politica, dame e gentiluomini, ché, c’era folla nel villino dedicato alla

Libreria delle Attrici». E segue la cronaca fatta dalla brillante scrittrice che conclude: «L'ora è tarda. Infaticabile la signorina Le Maire ed Emma Garzes continuano a coadiuvare la Duse nel suo compito di ospite. Sulla terrazza la grande attrice trattiene un momento ‘quel fiorentino spirito bizzarro’ che è la nostra Emma. Le dice “Cara a me come Emma - cara come Garzes...” «Lo so che il cuore, cucito alla bella sorte di Eleonora Duse,

si commuove evocando il marito (l’insigne attore morto alcuni anni prima). «Cosî l’ospite ha avuto un bacio o una carezza, o una parola; un sorriso o una stretta di mano per tutti. Tutte, tutti hanno avuto

più di quello che desideravano dalla dispensatrice di gioia... che ha diritto di riposo. Non è più ora di divagazioni incredule — non si discute una cosa compiuta con atto sincero. «Una giovinetta schiude la porta all’improvviso... non so chi sia: ma la Duse certo la riconosce — e questa Donna, veramente divina, si fa incontro alla giovinetta, le dà delle rose tolte da un

gran calice che è sul tavolino, le dice: “Non temere — prendi e va — offri queste rose alla mamma e dille che erano presso il Vangelo”. «È vero: finemente rilegato, il libro santo è If. «Prese da riverenza, noi lasciamo la creatura che ha vinto la

sua battaglia di rimpianto: usciamo dalla casa inaugurata. E siamo ben sicure che non la gloria punge l’anima invitta nelle ore del ricordo, ma l’ansia del lavoro — la stessa che per altra via l’ha condotta incontro a voi, attrici... 5a

«Le giovani hanno l’altro giorno incoronata Eleonora Duse della più bella corona che le offre il mondo: la nostalgia».

Questo resoconto dell’inaugurazione della Libreria, fatto dalla scrittrice con tanta fedeltà e vivacità, contrasta fortemente con

quanto lei stessa aveva scritto alcuni mesi prima, quando i giornali avevano dato la notizia dell’iniziativa di Eleonora Duse. In un foglio fiorentino la Ferruggia aveva pubblicato un suo articolo intitolato “La casa inutile”, facendo eco ad una lettera di Em-

ma Gramatica, pubblicata anche questa dai giornali, in cui l’attrice, discepola della Duse, aveva rifiutato di far parte del comitato d’onore che avrebbe dovuto aiutare l’attuazione di ciò che era dichiarato “sogno” della grande Maestra. E aveva osato dirle: «Da troppo tempo tu vivi lontana da noi, estranea a noi. Hai perduto il senso e fin la conoscenza di quella che fu pur la tua vita. Il tuo progetto è una chimera». E la Ferruggia aveva aggiunto: «L'arte drammatica vanta in Italia, una Cassa di previdenza che molto deve a Tommaso Salvini, e la pratica iniziativa di una Casa di riposo. Eleonora Duse

vuole seguire una via diversa?». E proseguiva con consigli tutti pratici, con criteri di beneficenza, tutti di materiale soccorso (proprio quello che non era nelle intenzioni della Duse) e soggiungeva poi: «Trovino esse allora, sî, col buon cibo, un buon li-

bro, un bel fiore, l’austera quiete riparatrice, e il conforto, 0 Eleonora Duse, della vostra presenza». Poi l’articolo proseguiva per una colonna circa di giornale, pieno di equivoci. L'ironia della scrittrice si basava sulla miseria delle attrici per dimostrare l’inutilità dell’offerta. Ero anch'io tra gli altri in quel giorno festoso dell’inaugurazione e, pur completamente estranea all’ambiente, mi trovai ad assi-

stere ad una botta e risposta tra la Ferruggia e la Duse. Ma il motivo lo compresi poi, quando molti anni dopo, lessi quel che ho riferito sopra, dedotto dal libro della scrittrice. Allora mi resi conto

del potere che aveva quella donna veramente grande di fermare, anche con due parole sole o con il lampo degli occhi, gli ingiusti apprezzamenti di chi non voleva entrare nel suo ordine di idee. La Ferruggia ammise la sua “innocente malafede” nei riguardi di quella iniziativa. Era proprio quello che la Duse non poteva tollerare! 38

Ritengo utile riportare ciò che Ofelia Mazzoni (la fine poetessa e dicitrice di poesia, che conobbe assai bene personalmente Eleonora Duse) scrisse in un piccolo libro pubblicato nel 1927 !?. Dopo aver definito la Duse ‘“ un’entusiasta diffonditrice d’entusiasmo”, a proposito della Libreria delle Attrici cosî si esprimeva: « SI fece un gran chiacchierare intorno a quell’utopia gentilissima... Ma la Duse, sempre larga del resto — anche negli anni che le furono difficilissimi — di materiali aiuti a chi sapesse in bisogno e le paresse meritevole, la Duse certo non riteneva inutile e tanto meno ironica l’offerta. È di ognuno l’attitudine a improntare di sé l’imagine dell’umanità. Non nella dimenticanza, ma nel ricordo appunto della sua giovinezza in lotta con la suprema povertà da vincere e con la suprema visione da conseguire, nel ricordo di giorni che per placare una necessità dello spirito ella ne avrà forse saputa dimenticare una della carne, la Duse,

attribuendo la propria sensibilità a tutte le attrici — specie alle giovani, alle nuove, alle principianti — pensò di offrire loro, con la villa romana, un primo centro di spirituale convegno, dove dimenticare, per un’ora al giorno, il tanfo della cameretta d’affitto, le bestemmie dei capocomici... «La Duse non rifletté che il poter dimenticare, con gli occhi alle pagine di un libro o alla corolla di un fiore, tante offensive degradanti maleolenti cose, non è, non può essere da tutti... «Per attrici fuor della realtà (e fuor della realtà quotidiana sono infatti le creature d’eccezione) la casa del libro e del fiore era,

sî, il punto di partenza al sognato cammino; per le altre era, se mai, un punto d’arrivo».

Dopo l’inaugurazione della Libreria delle attrici la Duse parti per Firenze e poi Viareggio. Di lf telegrafò il 2 luglio per farsi mandare Selva a mezzo del custode della Libreria: «Prego far partire Alberto — prego telegrafare ora di arrivo. Saremo o io o Desirée !3 aspettando Alberto nelle vicinanze dell’Hòtel Mediterraneo».

1? OFELIA MAZZONI, Con la Duse, Milano, 1927. 13 Desirée von Werthestein, ex compagna di collegio della figlia Enrichet-

ta, le era molto affezionata e cercava in ogni modo di rendersi utile, viaggiando spesso con lei. 39

Il giorno dopo mi scriveva un espresso: «Cara Maria, ricevo lettera dopo che Alberto è partito. Se avessi saputo che restavate a Roma, avrei lasciato Se/va per non rattristare Luisella, che for-

se vuole ancora Selva! Prego scusare perché credevo proprio E. D. Pace — Pace — Pace — Spepartiste il 4. Saluto di cuore ranza! Speranza!» (Si ebbero allora i primi timori di guerra). Da Viareggio il 4 luglio altro espresso: «Cara Maria, Ieri è arrivato Selva, il caro cane. Grazie — È un po’ stranito — certo cerca Pierina! Spero che le bambine non se ne dolgano, e non cre-

dano che poco le ami avendo ripreso la cara bestia. Prego tanto, far comprendere loro che è l’estate; le piccole vanno alla campagna, e i canetti al mare! «Arrivederci! — Maria, cara Maria, sento che il core le dole!

Cara Maria! Sua sempre — Eleonora». Poi il 25 luglio dal Royal Victoria Hòtel di Varenna: «Cara Maria, prego non piegar troppo dal lato tristezza — Rassereni l’anima che è Libera, e che non domanda

che sorridere

con indulgenza a qualunque pena! Ci rivedremo a Roma! Ho fatto un piccolo viaggio per veder Murri. Depressione e inquietudine, si alternano, cosî, eccomi qua. Egli mi aveva consigliato l’Engadina, ma... per varie ragioni non ho potuto compiere il consiglio — Di cuore sempre — Eleonora».

Di ritorno a Roma il 30 ottobre dall’ Eden Hòtel ricevetti questa lettera a mano che mi dimostra il suo ricordo dell’anniversario della morte di mio marito. Mi commosse profondamente che lei se ne fosse ricordata. «Maria, cara figlia — Il ricordo rimane (Pierina — Luisella)».

Poi il primo novembre altra lettera dall’Eden Hòtel: «Tutti i Santi Tutti i Morti «Maria mia — Per oggi impossibile venire — La pioggia — la stanchezza, ancora grande, e un telegramma della Mazzoni, che mi dice arriva oggi. Perché? Forse ha preso paura dei miei ultimi 40

bollettini e viene a verificare la cura !4? Non so — verso sera ti farò sapere. Io, per oggi, dunque, non potrò uscire — Prego scusarmi presso Mamma — E Maria mia, se può e vuole venire, per Lei sempre aperte le porte e il cuore». E da Firenze il 14 dicembre: «Cara Donna Maria — Non so più niente di tutte voi, grandi e

piccine. Volevo tornare giorno son ancora qua, chetta ho rare lettere, e za speranza. «Rientrare a Roma?

dopo pochi giorni, e invece di giorno in inutile a me stessa e agli altri. Da Enril’aspettarla, certi giorni mi par cosa sentante circostanze mi tengono incerta. Qui

abito nella stessa casa, l'antica mia, ma invece che al mio pianterreno, che fu affittato, eccomi a un secondo piano.

«Vedo lo stesso giardino, che rosaio per rosaio ho innestato e visto crescere. La speranza di Lavorare a Roma, cosa non mi avrebbe fatto lasciare? «Datemi notizie di voi tutte. Mi dica, come sta Lei? cara Don-

na Maria. Io ho il core troppo triste per scrivere. Uno stupidissimo raffreddore mi tiene in casa da due settimane... e il mondo,

non ha più un angolo di pace! «Ho tenuto con me Selva ma, è stato tanto male, povera besti-

na fedele. Non avendo più il giardino mio, l’ho tenuto in casa di un amico per due settimane, e andavo a vederlo. La povera cara bestia, è stata tanto buona con tutti, e pareva che capisse che non sapevo come tenerlo bene. Cosî da qualche giorno è morto e l’abbiamo seppellito nel piccolo giardino dei miei amici. «Selva, è un amico perduto! «Cara Maria — mi scriva — Che angoscia questa guerra! Quando ci rivedremo? Sua Eleonora». Il 24 aprile 1915 con espresso da Firenze: «Cara Maria, solo un saluto e un grazie per la cara lettera con

acclusa quella di Pierina. Sono arrivata ieri, pioggia dirotta lungo il viaggio e l’arrivo — ma oggi, un po’ di sole è tornato. Ma,

14 Ofelia Mazzoni le aveva consigliato una cura disintossicante che la fece molto dimagrire e insieme riprendere quell’agilità che le era necessaria per poter ancora tornare alle scene.

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non mi sono sentita in forza di uscire — e sono qua — senza farlo sapere a nessuno per non interrompere queste giornate di ansietà e di rimpianto. Cara Maria grazie di tutto — saluto tute, grandi e piccine — qui tutto è in fiore, ma, gli Inquilini che abitano al mio pianterreno hanno tagliato i rosai che formavano un tetto azzurro e verde — non bisogna abbandonare ciò che si ama — Eleonora». Questa frase era allusiva, però non me ne resi conto allora. Era un monito a se stessa. Si riferiva all’aver lasciato Boito per d’Annunzio e il suo Teatro. Mi disse poi che tutto quel che aveva patito con d’ Annunzio, l’aveva sempre sentito come un’espiazione per aver lasciato Boito (il Santo come lo chiamava). E il 27 aprile: «Cara Maria, Ho voluto scrivere domenica e poi, un raffreddore, e le conseguenze

sue mi tiene a letto e let-

tuccio, ma oggi sto meglio, ma, se non ho scritto non è oblio, ma tosse, e malinconia grande!! Inutile lagnarsi! Maria — Ecco il baule — prego far scaraventare dentro da Giovanna fedele, tutto quello che ho lasciato nella cara stanza di Ida — Prego Ida darmi notizie del suo ritorno al suo dominio, e spero, che ella accoglie

e sente tutta la buona riconoscenza e l’augurio che ho lasciato fra le sue 4 pareti! «... Prego Pierina di volermi bene, e Luisella di ridirmi un giorno: “è plonto” (come quando la piccola andava a annunciare che il pranzo era pronto) Prego Mamma di Maria di volermi bene — Cara Maria col cuore fedele sempre Eleonora». Era costante quel suo dono di cuore, quell’affetto che sapeva ricambiare cosî delicatamente a chi le dimostrava affezione. E il primo maggio: «Cara Maria mia — Ho ricevuto tutta l'insalata della mia roba — piegata cosf bene dalla buona Giovanna — Ahimé! — Ho voglia di tornare indietro! — Cara Maria — “partire è come morire un poco” ha detto qualcuno — ed è vero — qualche cosa si perde — e nessuno osa dire la pena sua! Ancora grazie di tutto, cara, buona Maria! Ma ora che l’insalata è aggiustata, bisogna che Maria mi parli di Lei — (che fa Maria mia?)

«Stasera, sono qua, dopo pranzo — ben sola e tranquilla. È la prima sera che non mi sento male da che son partita. E come mai osare abitare in casa altrui con un tal cerotto di salute? — Grazie a Ida per la sua letterina — Maria, mi scriva — e non mi dica sem42

pre quell’eterno: cara signora, non mi dica niente, e capirò quando Maria ha l’angoscia fra core e cervello. «Saluto di cuore da/ cuore». E poi il 55maggio: «Cara Maria, un saluto e tanti ricordi. Spero poter tornare a Roma, ma quando, non so — che ansietà di giornate! Saluto! Augurio!». Era ormai sempre l’angoscia della guerra che la teneva in ansia: «Maria mia — spero rivederci presto — Che giornate! Con tutto amore Eleonora» (12 maggio). Il 18 telegrafa: «Grazie spero poter venire presto». E il 20: «Che rammarico non essere a Roma oggi» !°. Il 28 maggio scrive: «Cara Maria mia — Sono stata male — Sto meglio, ma ho dovuto far chiamare, per forza, un dottore — e questo ordina anda-

re al mare, ma non ho forza di partire — e bisogna tacere e aspettare. Abbraccio Maria con tutto il cuore. Eleonora». «Che rammarico essere partita — Sono stata cosî male! — Oggi, sarei, con Maria e con Liliana — (la moglie del poeta Adolfo de Bosis) e con le piccole». Il 1° giugno segue quest’altra lettera: «Maria mia, non ho avuto forza di poter viaggiare fino a Viareggio, ma, ieri, il dottore e una mia amica, mi hanno trasportata in vettura chiusa in questa Villa Pensione, sui colli di Firenze —

per avere un po’ d’aria — L'indirizzo è: Villa Pestellini, ma non, non importa, mi scriva Maria mia, sempre a Via Robbia. Si fa più presto — qui, sono provvisoriamente per respirare un po’ di forza, perché ho avuto una bastonata forte — Che giornate d’angoscia ho passate! — ho sentito le campane di Firenze annunzianti la guerra... sola, di notte, senza una mano amica. Addio Maria mia,

non so cosa potrò «Baciovi tutte Alle difficoltà sietà per la nostra

fare. in casa con le mie piccole. Eleonora». per la sua salute cosî minata, si aggiunge l’anentrata in guerra.

15 Il 24 maggio l’Italia entrava in guerra a fianco degli alleati, contro gli imperi centrali e nei giorni precedenti a Roma, vi erano state grandi manifestazioni.

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Lei, che era tanto sensibile, viveva ormai nell’angoscia ora per ora. Ogni notizia penosa che dal giornale le veniva sottocchio, provocava un peggioramento alle sue condizioni di salute e un’ansia dolorosa. Senza contare le sue difficoltà economiche che ormai si andavano aggravando, poiché erano completamente

interrotti i rapporti con la Germania !°. E dall’H6tel Mediterranée di Viareggio il 9 giugno: «Maria mia, Son qui! — Sto meglio — il dottore dice che con 20 giorni di letto e riposo al mare, sarò rincollata. «Ieri una mia amica (francese) mi ha accompagnata qui. Quanti soldati incontrati a Pisa! che magnifica e magnanima gioventù! Viva l’Italia — Eleonora». E il 21 giugno: «Maria mia! che triste annunzio questo, che mi casca sotto gli occhi leggendo il Corriere. Questa poveretta, sola “col suo piccolo bimbo Ugo” — che annunzia, cosî, la perdita del caro solda-

to suo! — E si chiama Maria, anche questa! «Mi par di vederla, sola, in provincia, in quella triste e bella Ivrea, sola, col suo bambino in braccio, eccola là, senza nessuno

che la conforti! Maria mia — Lei, che sa che cos’è quel dolore le scriva una parola di conforto.

Lei è Santa, Lei, può scrivere a

quella poveretta. Sono certa che dicendo a quella poveretta: “So la sua pena — anch’io la conosco” quella poveretta si sentirà meno sola — Firmi col suo bel nome

di Maria Osti Giambruni, una

parola di cordoglio e di orgoglio! cara, Maria mia!

Eleonora».

Ho qui il ritaglio di giornale che mi aveva inviato: un semplice annuncio di morte di un ufficiale al fronte. Scrissi subito a quella poveretta come la buona grande anima mi aveva suggerito, come

il cuore mi diceva. Sapevo che in certe ore dolorose,

siamo troppo chiusi in noi stessi per poter leggere, udire e scrivere! Il 29 giugno: «Sapevo bene che Maria avrebbe risposto col core al core — Maria mia! Quanto mi dolgo d’esserle lontana — Quanto mi dol-

!© La guerra le impedirà di far funzionare la Libreria delle attrici essendole venuti a mancare i mezzi di cui credeva poter disporre in Germania.

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go d’aver lasciato Roma — in questa giornata più che mai volevo essere accanto a Maria! Son qua e vivo alla giornata. Il dottore mi dice d’andare in montagna — Ma dove? — Dove — non so decidere. Vorreisitornare a Roma, ma non cosî ma pit in forze, e per guadagnar forze bisogna respirare. Se ho forza d’andare cercare una montagna (quale?) allora tornerei metà agosto. Ma, bisogna prima guadagnar fiato! -— Maria — col core ti penso, e il core ti dà del tu—

come a mia figlia, lontana e divisa da me, ma che amo

pur lontana e divisa in me». Da Viareggio il 30 giugno: «Cara Maria, Ieri sera, nella mezza luce fra la sera e la fine della giornata, ho scritto la piccola lettera a Maria mia, che ho

impostato solo stamane, perché un grosso temporalone ha impedito uscire ieri sera. E un’ora dopo stamane, dopo spedita la lettera a Maria mia, ecco che ricevo la lettera di Maria Osti Giam-

bruni che mi dice venire qui prima d’andare a Carzeto! Che gioia! — Son qua — venire, venire, venire, al più presto. Ho telegrafato stamane a Signorelli per sapere se Courmayeur in Valle d’ Aosta sarebbe bono per me, e aspetto risposta. Calcolo partire per la montagna (se Signorelli non trova che è troppo alto) verso il /0 — va bene? dunque la visita di Maria mia e di Maria O.G. andrebbe benone. Venire — Venire al più presto — «Sempre con Maria e con Maria 0.G. Eleonora». Dopo una mia breve visita a Viareggio ricevetti questa lettera da S. Marcello Pistoiese. «Maria mia — sono partita domenica — Ebbi il telegramma, tanto caro! Son qua a mezza montagna, ma non posso salire subito a Boscolungo — tanta è la stanchezza e la tosse per la fatica

del viaggio di qualche ora — auf! — Spero rivedere Etta!” — e poi... vedremo cosa decidere. Prego scrivere: Boscolungo (Pistoia) fermo posta —- Maria mia, com'è triste questa estate. Grazie d’essere venuta. El. (14 luglio)». Da Boscolungo il 20 luglio: «Maria mia, son qua, queste prime giornate, quest’aria a quest’altezza, mi ha fatto tanto bene — respiro senza rantolare! resto qui qualche settimana, poi, verso la fine di agosto, ricercherò

!7 La marchesa de Viti de Marco.

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Maria per decidere cosa fare e dove andare — Ansietà grande, con questa pace del cielo il contrasto è anche più crudele. Maria mia — Grazie d’essere venuta — e bisogna ritrovarci. «Saluto tutte, tua

Eleonora».

«Cara Maria — ho parlato a Etta dell’opuscolo tricolore che Maria mia mi ha fatto leggere a Viareggio. Etta desidera averne molte copie per propaganda, qui, alla montagna. Prego ordinarne una cinquantina di copie e ne rimborserò la spesa. Prego farne la spedizione al pit presto possibile (parte la posta di fretta). Con amore

Eleonora

Chi lo ha scritto? la Giacomelli, parmi. (21

luglio) «Aspetto libretti — saluto di cuore» (2 agosto).

«Grazie, Maria mia — ebbi la tua buona lettera incrociatasi col mio saluto. Spero, sempre, sentire il core di Maria, e venirle incontro! — Saluto tutte —

«Opuscoli tricolori non ancora ricevuti. «Qui comincia a far freddo — Che annata lunga! Maria mia!» (7 agosto)

«Maria mia, grazie per gli opuscoli ricevuti da tre giorni. Un cambiamento

di temperatura mi ha tenuto cosî cosî, ma credo,

che di già fa troppo fresco per me, qui, e penso scendere in qualche luogo meno aspro — Darò indirizzo — Maria mia, sempre fedele e accanto a Maria!» (11 agosto)

Poi da S. Marcello Pistoiese il 21 agosto mi scrisse una cartolina: «Un vento di tramontana mi ha fatto partire da Boscolungo. Son qui a mezza montagna. Resterò qualche giorno — ma tutto intorno è cosî triste e angoscioso, che non so cosa decidere — Informerò ap-

pena le possibilità si faranno innanzi — Prego mandarmi un saluto fermo in posta a Viareggio — Sono dolente aver lasciato Etta a Boscolungo. Spero state tutte bene — che triste estate! Arrivederci». Il giorno dopo mi scrisse un’altra cartolina aggiungendo: «Ieri volevo impostare questa cartolina, ma tutto intorno era cosf angoscioso, che non ho avuto forza di andare fino alla posta

per impostare. Sono in un brutto albergo — sporco e chiassoso... La bella pace di Boscolungo e l’aria pura, e il contatto di Ftta,

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cosî tersa e lucente come è l’animo di Ftta, ecco è passato. Ahimé, che faremo ora, durante questo entrar di stagione! — Maria mia, ho sperato, venendo da Etta, poterti scrivere, vieni, t'aspetto a Viareggio, ma, a tutt'oggi, le cose si svolgono in modo che non so che cosa posso fare o non fare. - Gemmi, quel mio

antico omo d’affari, non ha potuto aggiustare le cose come lui e io avevamo creduto, e per ora, tutto è un problema, veramente matematico, di quelli che alla scuola dànno a Pierina, e io non so come risolverlo. Forse andrò direttamente a Roma, per vedere una persona che potrà consigliarmi su certe circostanze bancarie, alle quali, da sola io non so dare risultato favorevole alle necessità d’ogni giorno — quindi — non so dove dirti che dirigi una lettera — Ti scrivo, Maria mia, per dirti d’aspettare qualche giorno per vedere, come si risolvono molte cose che volano in aria. = Di qui, partirò domani o dopodomani — Etta mi ha telegrafato che forse domani mi viene a prendere con un’auto per portarmi fino a Bagni di Lucca, perché in vettura aperta, l’aria è già troppo acuta per me. Quanto

sono

stufa, Maria, di stare cosî cosî. Da

Bagni di Lucca, allora, in mezz’ ora, in ferrovia, sarò a Viareggio,

e da Viareggio, deciderò, secondo ciò che mi rapporterà Gemmi, se rimanere a Viareggio, o rifugiarmi a Roma. Ma Roma, senza Maria, e senza Etta, sarebbe triste solo che per qualche giorno potrei restare presso Liliana de Bosis, per aspettare una decisione finanziaria che regoli le cose — Maria mia! che annata! ». Dall’ Hétel Royal Continentale di Bagni di Lucca il 26 agosto: «Non far caso, Maria mia, a tutti questi stemmi, e non te ne im-

pensierire come se fosse un luogo di fasto e di lusso... son le parole che travisano la vita, che se non fosse, anche questa casona

di campagna potrebbe essere piacevole e benefica... ma, t'immagini con tutti questi stemmi... Maria mia. La tua tenerezza e il tuo bel viso da galantuomo, mi manca tanto! La sincerità tua mi rinfranca il core, mentre, qui tutto è coperto di vernice, ma, sotto, al posto del core, non c’è niente.

«Ti ho scritto da S. Marcello. Vorrei andare a Viareggio, e aspettarti colà per passare, insieme, come sperammo, qualche giornata di settembre, ma, tutto va a sghimbescio in questo mondo confusionato e non so come si risolveranno, certe circostanze

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mie, che mi tengono inquieta, e ho tanto desiderio di rivederti! Ho tante cose da dirti, ma, per lettere non posso. Scrivere mi affatica e poi, non saprei dirti! Ho anche saputo una grave notizia dalla mia amica Giulia di Robi M., ma per lettera non posso dire !8. Cosa desidero? non lo so — Enrichetta insiste perché io vada da lei — ma, è pit facile, per me, andare all’altro mondo, che

arrivare sana e salva a Cambridge. «Scrivimi qui, a questo indirizzo (Regale) Continente Hòtel — Se tu vedessi la mia stanzetta, che vorrei e non posso. A_Viareggio, se hai scritto, la lettera aspetterà. Aspetto lettere da Gemmi, e un telegramma da Giulia, e non so come decidere questo dilemma del momento». Due giorni dopo: «Maria mia — ho ricevuto tutte le tue lettere, e ti dico Grazie.

Sf, anche quella diretta a Viareggio, che l’ho fatta venir qui — Son qui, a pensare a coloro che amo, e a rodermi! «Vorrei esser con te, Maria mia, e vorrei esser con l’altra figliola mia, e vorrei esser in Francia, e vorrei esser al Fronte, e

vorrei non sapere più niente di tutti gli orrori che succedono nel mondo! — Cara, aspetto un telegramma per partire, e guarda che fili di partenza (Viareggio - Roma - Parigi). Tutte e tre le strade hanno ragione d'essere per me, e con te, Maria mia ho l’aria di

mancarti di parola, che t'avevo detto: “Arrivederci a Viareggio” e son qua, a rodermi, perché niente combina a modo! «Dunque, visto che non ho gambe bone, per arrivar fino in Francia, rimane il filo: Roma, ed è bene che io ci vada prima che

questo apparente benessere mi lasci - A Boscolungo sono stata bene, e poi, una sera, sono stata piu di là che di qua, e la barca

galleggia a furia di grosse spinte. «Se vado a Roma, vieni presto Maria mia.

«Da Liliana resterò una settimana, non più. «Se Rosadi (con Orlandi) !° potessero rompere quel mio nuovo anno di contratto = Con questi chiari di Luna, settemila fran-

18 Forse allora Giulia Mendelsshon le aveva data la prima notizia della malattia del marito, togliendole anche la speranza di ricevere qualche cosa di quanto aveva consegnato alla Banca di Berlino. !9 Giovanni Rosadi, allora Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, e l’avv. Antonio Orlandi legale della famiglia Osti.

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chi all’anno mi pesano molto. Se faccio una punta a Viareggio, Si potrei importunare Rosadi, e qualche cosa sapere! . Vieni presto, che la vita è crudele dovunque ». Da Roma il 13 settembre mentre io mi trovavo con la famiglia ancora in campagna: «Maria mia — Son qua. Il core è come settembre, tristezza e speranza insieme! T'’aspetto». Lal23: «Dimmi

come

stai, Maria mia, e come

stanno tutti i tuoi.

Quando torni a casa? Io fin-ora, sono stata bene, e spero partire a fine mese. Ho il core stracco e desidero tornare a casa! «Tua Eleonora». Dall’Eden Hòtel il 9 febbraio 1916: . tl prego, vieni dopo pranzo, se non diluvia — Anch'io sto poco bene oggi — il vento e quella pièce di ieri sera, dove è provato che nessuno sa aspettare né amare — che orrore ritornare sempre allo stesso punto». Con lei ero stata la sera prima a teatro e m’ero resa conto della sua nostalgia per il teatro quando aveva mormorato come tra sé: «Sento l’odore della stalla». E il 16 marzo: «Ogni giorno vorrei partire e ogni giorno son ancora qua. Questa comitiva francese parte il 15. Vorrei partire con loro: tanto sento che qui perdo forze... La vita è troppo lunga e io non so se partire o restare ».

In quest'epoca ebbe inizio il suo interesse per il cinematografo. Andata a Firenze frequentò molto le sale di proiezione. Dopo essersi convinta che avrebbe potuto, all’aria aperta, a contatto della natura, rappresentare meglio che nel teatro le vicende della vita (per quel suo bisogno di verità e sincerità che le faceva deprecare la montagna di cartapesta, come diceva lei del teatro), tornò a Roma e s’accordò con la Società Ambrosio Film

per la ripresa di un lavoro di sua scelta. La decisione fu per ‘“Cenere”, una semplice novella, più che romanzo, di Grazia Deledda, avvalendosi dell’ultima parte di quella tenue trama. Alla Duse piacque di rappresentare la figura tenera e dolorosa di una madre sarda che, data la sua miseria, aveva abbandonato

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il figlio ed egli, giovane studente, la ricerca e la ritrova quando lei è ormai alla fine dei suoi giorni. Il suo lavoro, come lei lo scriveva, ebbe inizio a Viareggio dove io con le bambine da lei invitate, l’avevamo preceduta, in una

villetta vicina a quella dei Nomellini 2°, a Fossa dell’ Abate. Ma il

giorno stesso che aveva avuto inizio il suo lavoro mi mandò a mano questo biglietto che era anche un saluto, essendo lei partita subito per Torino senza rivederci. Mi resi ben conto, fin d’allora, che per lei il lavoro era la sua

vera vita e la sua salvezza.

«La mia prima giornata di lavoro oggi! Sono consolata e tremante. Avrei voluto rivederti, ma sono più nel sogno che nella realtà. Ti penso e ti dico grazie — con l Anima. «Tu sai da che agonia esco!» (s.d. luglio 1916). Da Torino il 16 luglio telegrafa: «Arrivata alle nove, alle nove e mezzo ero allo Stabilimento — Gioia grande». Il giorno seguente: «Una delle film, è tanto ben riuscita. È quella che ti dicevo,

nel campo di fave, col fiore d’argento, lo stelo alto come il grano — e la donna che raccoglie le spighe. L’argento dei capelli armonizza cosî bene con l’argento del fiore del prato. «Parto adesso per un villaggio a due ore di auto, per una film omnibus campagnola. «Bacioti — Arrivederci = “Vivo” ». Il 6 agosto dall’ Hòtel Cavour di Milano: « ... Fra una settimana Febo Mari ritorna e riprendiamo il Lavoro — Della film, non so se ti ho detto: qualche cosa bellissimo qualche cosa, niente — Bisogna rifare. «Ho imparato molto. La tecnica sola, non basta, come non ba-

sta solo l’ispirazione. Sono ansiosa di riprendere dopo questa prima breve sosta di studio... Qui, una settimana di Luce! (Dio è

stato buono con me, con tutti!) » 21.

320 Il pittore livornese Publio Nomellini. 3 i a Ogni volta che andava a Milano e poteva avere un incontro con Boito ne traeva distensione e un gran conforto. 50

Da Torino, il 10 agosto: «... Sono qua accanita al Lavoro. Qualche cosa è riuscito cosî bello, e qualche cosa no — Avanti!».

Eolo5ai

«(Beati qui lugent...)»?2. «Maria mia — Perché non prendi il treno e vieni per 48 ore a Torino Hétel Europe? — Ora vedresti la film, con Grazia Deledda,

per te sola, e per il nostro sogno? Vuoi venire? ... Vieni. Rispondi venendo; Vieni — Vieni subito il core mi manca

se tu non sei

con me — ». Si riferisce ai lunghi discorsi fatti mentre si trovava a Roma e con me manifestava dubbi e speranze su quel suo lavoro per il cinema. In una sua lettera datata 25, ma forse la data è errata:

« ... Dei volumi da dirti, ma scrivere non posso! «Ho lavorato con gioia qualche volta, e molto con angoscia. Qualche cosa è riuscita bene; Qualche altra no... ho resistito bene».

E lo stesso giorno: «Insisto su preghiera a Maria venire per 48 ore — rientro adesso dall’aver visto film, lavoro quasi compiuto... ti rinnovo preghiera — dimmi sf » Andai a Torino dove mi trovai con Grazia Deledda e il marito per la visione del film, ma non potei capire se Grazia Deledda ne fosse rimasta soddisfatta o no dato il suo carattere chiuso. Quale

contrasto con quello di Eleonora! Il 13 settembre scrive da Torino: «Teri sono tornata fuori. Sette ore d’auto fra andare e venire. Fatto tre quadri — Belli — da introdurre prima come preparazione all’incontro con il figlio. Avanti! Non so quando partire di qua. Oggi piove. Ma, dal 17, in poi spero andare a Milano». Il 30 settembre telegrafa da Firenze: «Sono tornata via Robbia... ».

22 Questo era il motto impresso in una grande E sulla carta da lettera della Duse. Sil

E il 3 ottobre: « ... Tante cose in questa settimana! alti e bassi di speranze e disperanze — e la vita va, va, ed eccomi al momento

di partire

per Alassio dove già fui un inverno e dove vado per imbastire il secondo film. «Sono stata a Viareggio, una settimana per rifare la prima parte, quella col bambino — quella composta dal Mari (te presente) era semplicemente ridicola e assurda e senza cuore. L'ho rifatta in solitudine con quell’operatore Omegna e la spero più conforme all’anima della film — che pure ha un’anima — senza diuchess

«Sono stata una settimana a Milano ?}. Vita dell’anima mia — Ora, al lavoro... Ti manderò l’indirizzo di Alassio... Oggi Ambrosio ha spedito le 40mila del contratto». «... L'altro giorno ti scrissi che avevo ricevuto le 40 pattuite con Ambrosio, ma, lo dissi troppo presto — Dopo uno scambio di telegrammi che assicuravano la somma

totale, e in quel momen-

to appunto che ti scrivevo ne ricevevo uno (ecco perché dissi a te ho ricevuto), ecco, che ho ricevuto la metà della somma dicendo, che causa la guerra tutto è difficile, e che l’altra metà mi sarà

mandata a/ più presto possibile. Ho telegrafato, già prima che non potevo fare tale variante al contratto, ora, le cose sono so-

spese, Telegrafo a Orlandi...» (4 ottobre). Da Alassio il 19 ottobre: «Ero qua da 10 giorni per fare i primi abbozzi della nuova film. Non credere ai giornali, ma, certo, qualche cosa di vero c’è stato. Sulla strada alta, a picco sul mare, il mio automobile e un altro, venendo di corsa, si sono scontrati. Lo racconto, dunque

non mi sono fatta niente di grave, ma sono tutta ammaccata — e i vetri dell’automobile sbalzati in frantumi mi hanno ferita al viso e alla fronte. Sono tutta fasciata, solo un pezzetto d’occhi scoperto — come se avessi avuto un forte vaiolo. Sono a letto da qualche giorno, facendo bagni di sublimato e pennellature di jodio. AI collo, anche e mi dole una ferita in due punti... Pregoti,

5 ; 23 Per un incontro con Boito che, come sempre, le dava coraggio nel suo avoro. 52:

informare Orlandi, che dunque, non vado a Torino — e tutto si

aggiusterà come si potrà. Appena posso, domenica o lunedf scappo a casa da Caterina per avere assistenza. « Non ho febbre e tutto andrà bene — ma, brutto quarto d’ora...

è già passato. Scrivimi a casa Firenze. Andai a trovarla a Firenze. Anche in casi come questo lei non drammatizzava, tanto grandi possibilità di recupero ella aveva! Al mio ritorno a Roma mi raggiunse questa lettera del 31 ottobre: «Maria mia — tu hai viaggiato e hai agito dal momento che sei uscita da questa stanza...

io son rimasta in attesa e Dio sa,

quanta forza di me si sperde in questo vivere aspettando l’ora di agire e vivere. Vivere per Lavorare Vivere per veder vivere — (Dio volesse)

quelli che amo «Breve! — verso sera mi prese un tale attacco di melanconia, che, mandai Via Robbia vedere se avevo lettere e c’era la lettera

d’Ambrosio. Ho telegrafato subito a Orlandi che i/ conto è regolato, che te lo telefoni che inutile partire per Torino. La lettera d’Ambrosio,

se pur corretta (manda il suo chéque di 20mila) e

deplora la guerra che impedisce (dice) il guadagno sperato e scioglie ogni impegno per la seconda film, dicendo, che non può fare nuove spese — e che del resto fino a primavera non si potrebbe filmare. Dunque = in regola e Libertà ».. E il giorno seguente: «... T’ho scritto ieri sera un espresso. Forse a quest'ora l’hai ricevuto e Orlandi, avendogli telegrafato ieri sera (verso le otto, un po’ tardi) ti avrà, spero, telefonato che il pagamento, cioè l’acconto secondo il contratto, è sborsato, quindi inutile andare a Torino. Ora, si tratta di ricostruire con chi lavorare.

«Il pagamento di Ambrosio, sbarazza da discussioni noiose, ma non toglie questa ansietà (che è il mio male) perché, come

quelle sciocche persone, che se ribaltarono una volta essendo in una sgangherata barchetta, si peritano (come dice Ambrosio) di ritornare nello stesso guscio, cosî, io, ho terrore, di rientrare nel

senza indirizzo nel quale ho già (troppo) indugiato. «Penso, dove picchiare, e fu mi manchi, e non sei con me, e il

Santo, è lontano, assente e ignaro d’ogni bene e male che la Vita Oa](SO)

m’apporta — la Vita, che divisa da Lui, non ebbe pit armonia né pace per me! È cosi! «Penso se mandare

un allarme, un

“chi va là” a Renato Si-

moni — per agganciare Milano — ma se voglio con una parte di me, dall’altra, questa mancanza di confiance d° Ambrosio, mi pare come segno di non comprensione da parte sua, e da parte mia... forse... Maria — è meglio che non dica ciò che in questo momento mi pesa addosso! — Passerà ».

«Maria mia — Va bene — Hai ragione — La tua parola realizza chiaramente anche il mio pensiero, quindi — freno l’ansietà e mi oriento aspettando — Copio la lettera per d’ Ambrosio. «Ho ricevuto risposta da Claudel — una cara lettera che mi incoraggia — Dice sarà a Roma il 10 = Domani (il Santo) sarà a Roma — Dopo si fermerà qui il 10 per vedermi — Io, verrò a Roma, forse il /S per realizzare un concreto di Lavoro — Renato Simoni, torna oggi a Milano, al mio telegramma rispose sua sorella, e oggi saprò di lui direttamente. Credo che l’ambiente MilanoCorriere della Sera e Modernità, sarebbero più capaci comprendere l’opera di un Claudel, che Roma, non sa — Infine! — Vedre-

mo — Intanto io rileggo Claudel — «Ti telegraferò, Maria, per Boston o Eden Hòtel = Qui melanconia. Dov'è che non esiste rimpianto e ricordo? Bacioti — «Grazie che sei al mondo!» (2 novembre).

Il giorno seguente telegrafa da Firenze: «Quasi certo partirò domenica ore due. Vengo Eden Hòtel per una settimana. Domani confermerò con telegramma...» Il 5 novembre: «Prego Maria venire stasera stazione con vettura chiusa — Prego farmi avere stanze». Da allora rimase a Roma fino alla metà di gennaio. Fu allora che molto mi parlò dei lavori di Claudel che avrebbe pur voluto rappresentare tornando al teatro. Il 18 gennaio del ’17 era di nuovo a Firenze e mi telegrafava: «Salute resiste. Mancami Maria». E il I° febbraio mi scriveva da Via Lorenzo il Magnifico: «Maria cara, Ti telegrafai la verità dicendoti: Salute resiste “mancami Maria” — questo stato morale e materiale, ha durato 4 54

giorni — al 5° ero già presa — al 6° ero a letto con febbre, e Bronchite assai grossa. «... scrivere lettere rimane, per me, nella zona delle cose perdute poiché non sono più capace di farlo — A via Robbia, ci sono andata per i primi 4 giorni, ma poi, con questa raffica di neve e mancando il carbone, non fu più possibile. Sono in trincea e aspetto».

Due giorni dopo: «Sono Hòtel Italie —

casa Lorenzo insoffribile, salute incer-

ta».

Il 9 febbraio scrive: «... Il solo passare da via Lorenzo a qui, mi ha rimesso a letto, e solo da ieri comincio alzarmi. Sono stufa di tutto! — L’ani-

ma cosf opaca, che non so dir più niente — Sono nel più gran buio — Grazie per la tua lettera -f Comprendo — Comprendo anche te ci rivedremo? — Non so più niente — mi pare che sto assai poco bene, e che questa tosse durerà ancora!»

L’11 febbraio telegrafa: «Sto meglio, credo superata crisi...» «Non posso scrivere perché tutto mi fa male — È detto tutto — ma di sentirti cosî smarrita mi fa pena grande — l’aiuto è lontano quando non è già in noi — e non si può rimanere nella stessa z0na pur soffrendo della stessa pena! che vita! «... Oh rovine del Mondo! A che serve il pensiero che le constata! — Serve! lo so! — ma qualche volta, una ecatombe e il silenzio, è la sola soluzione che pare possibile! ... Mandami, ti prego, i libri... e altri (non ricordo quali) che avevo ordinati al

piccolo Libraio della salita capo le Case - Fammeli spedire che non ho da leggere — e agonizzo delle nottate intere se non fermo il pensiero... Son stufa! — non perdere coraggio — sono a letto, e mi dole tutta la schiena — scusa che non scrivo... che trombona di tosse! = che tosse anche mentre ti scrivo —- E quante medicine — ma credo che me la sentivo venire addosso, e malgrado tutto,

credo che è meglio che io sia qui, per non darti pena a vedermi cosf — son giù » (14 febbraio)

E il giorno dopo telegrafa: «Scrivere lettera mi è tanto difficile — scrivoti — abbi coraggio e avanti!» N (W,

Por*il':27%

«Ricevo tua cara lettera. Brava Maria; Coraggio e avanti! Spero vederti presto». Il 4 aprile: «Arriverò il sette. Ho già avvertito Eden. Maria mia, spero veder il viso caro alla stazione».

Esio:

«Maria mia — Vedi di tenerti libera il giorno sette, verso sera — Arriverò verso le otto di sera. Parto col treno delle 2. Vieni stazione».

Dopo il soggiorno di un mese a Roma, partî per Viareggio. Da lf mi scriveva V’undici maggio: «Stasera — Maria — tristezza grande». E quindi il 20 maggio: «Maria mia — solo un saluto — Riprendo coraggio — ma i primi, furono difficili. Ricerco Lavoro. Informerò ».

Il 23 maggio, da Milano: «Tua lettera mi arriva qui, Hòtel Cavour. Cerco combinare la-

voro informerò. Saluto di cuore». Ritornata a Firenze, il 17 giugno mi scrive: «Maria mia — Tanto tempo, e mi fu impossibile scriverti — Sono rientrata, a Viareggio prima, per chiudere casa e licenziare Nunziatina, perché, anche questa cameriera, non era Giovanna — Poi son rientrata qui a casa, per fare un po’ d’ordine alle mie cose — e riparto Domani per Milano (di dove ti telegraferò) e ritorno per trattative assai avanzate di filmare con la Silentium film che è la casa della Società degli autori e se combino relegraferò. Se non telegraferò vorrà dire che tutto rimane ancora sospeso. Troppo lungo scrivere e non potrò scrivere — Ti serbo nel core». E il lunedf 18 prosegue: «Maria mia, ieri il caldo e la grande stanchezza e ho dimenti-

cato di fare impostare questa lettera, cosî trascurata — in apparenza, ma è solo l’apparenza Maria mia, perché ti penso sempre, ma questa vita che bisogna vivere lontano da quelli che amiamo, diventa anche non raccontabile, perché non c’è niente che mi affatichi più che mettere su carta tutte le piccole e grandi cose che ne attorniano. Se ti dico che navigo, e guido la mia barca, credimi senza domandarmi i documenti della navigazione. 56

«Ho passato delle ore quasi d’angoscia... solazione, perché, la più grande consolazione sperare di ottenerla. Spero di essere arrivata basta! Le trattative di lavoro con la Silentium

e delle ore di conè quella di non più a codesto porto! E film — forse riusci-

ranno — e forse non riusciranno. Ci sono le stesse cose favorevo-

li sia per il sf che per il no. E entro questa settimana tu saprai se st o no. «Sono stata, durante la mia assenza, un po’ bene e un po’ male. Dunque, bilancia pari. «Ti voglio bene, Maria, Maria mia, e quante volte tu mi man-

chi, e quanto vorrei parlarti e aprirti il core cercando di ritrovare il tuo — ma di lontano non si può — bisogna credere e basta! «Ti bacio con Luisella Eleonora «Scrivimi Milano — Hòtel Cavour Parto oggi alle 2 ». Da Milano il 6 luglio: «Maria mia, detesto queste piccole lettere che mi mandi, senza carta, senza busta, senza parole °4. Perché non mi scrivi più a

lungo? Chissà cosa pensi — e quante cose inutili sta imparando quella tua Pierina! — Scrivimi di te — Io son qui. Ogni giorno pare che il contratto si faccia, e ogni giorno non lo si conclude per nuove difficoltà... e si parla inutilmente — Lunedî vado per una settimana in campagna, vicino a Bergamo. Scrivimi. Non ti allontanare, figlia, sai come ti amo».

Da Ponte S. Pietro °° il 26 luglio: «Domani torno Milano scriverò sempre affettuosamente». «Sono Hétel Cavour fino 31 luglio — Vorrei tanto vederti — Telegrafami se puoi venire fare una corsa in questi giorni» (27 luglio). Trovandomi nella campagna di Parma a breve distanza da Milano, andai subito a trovarla, e, come avveniva generalmente, le

24 Cosf definiva il biglietto postale da me inviatole: da allora mai più usai quei biglietti chiusi senza busta. 25 Ponte San Pietro — Casa Erni, antico convento adibito a luogo di riposo per giovani lavoratrici — Cenacolo vegetariano istituito dall’amica della Duse, signora Legler in ricordo di un suo figlioletto perduto, che si chiamava appunto Erni. 57

potei ridare coraggio e fiducia, non per merito mio, ma perché l’anima sua aveva bisogno di appoggio e di riversare in un’altra la sua pena. «Ricevo lettera — scrivo — Saluto teneramente» (28 agosto). Da Udine il 4 settembre: «Viva l’Italia! Eleonora». E da Firenze il 19 settembre:

«Son tornata lunedîf — stanchezza grande. Triste notizia impedito scriverti. Saluto con tristezza. Scriverò». Mi scrisse poi che la triste notizia era quella della morte di Roberto Mendelsshon. Il 25 settembre, sempre da Firenze, mi scrive: «Lo crederai se ti dirò che non ho avuto possibilità, non di

scrivere lettere, che questo dipende dall’anima più o meno disposta, ma non ho avuto gente sotto mano per mandarti un telegramma fino a stamane — Troppo lungo raccontare! — Cara, son dunque stata a Udine, fra andare e venire un mese — ne sono tor-

nata e vi ritorno fra pochi giorni — al 1° ottobre — Cosa fare qui? — Cosa faccio laggit? Poco — ma un po’ di sollievo all’anima lo trovo nell’incontro delle anime che là sono; qui è un lamentio noioso e idiota di gente che non sa né la guerra né la pace».

Nella sua angoscia per il doloroso momento che attraversavamo lei trovava un po’ di sollievo andando in zona di guerra dov'era stato allestito il Teatro al Fronte. Lei però non vi recitò, come alcuni affermarono, ma rimaneva tra il pubblico, a contat-

to dei soldati, per ricevere le loro impressioni e parlare loro umanamente. Riprende la lettera del 25: «Cara — per Udine, scrivertene? — Ci vorrebbero pagine e pagine — e ancora non direi tutto. Ho avuto e visto molte cose — belle, sciocche — tristi, consolanti, grottesche e magnifiche, no-

biltà e stupidità vanno cosî bene insieme per ogni telaio di nostra vita! ne parleremo, un giorno. «La notizia triste l’ho ricevuta a Udine (fra un bombardamento e l’altro) ed è una triste notizia. Il marito di Giulia (l’amica

mia che è a Berlino!) Suo Marito, del quale tutti non ricordiamo 58

che bene e amore, oggi, è scomparso. L'addio è pur triste, senza rivedersi, senza una parola! Ma è cosî — Bisogna far nostro il pensiero che l’anima amica che avevo in terra, oggi, è liberata — è altrove —"è a noi non bisogna che tacere! Se ti vedrò, ti dirò molte cose di queste settimane. Ora, scrivere, mi esaspera. «Sono andata a Viareggio, e in due giorni, con Emma — abbiamo trasportato tutte le cose mie riunendole a quelle di Firenze — e la casa di Viareggio, l’ho licenziata — Parto il primo ottobre per Udine, e ritornerò (spero e non spero) al 15 ottobre in Via Robbia — Scrivimi se ci vedremo verso quei giorni! Queste giornate sono state assai tristi — ma tutto passa». L’li ottobre telegrafa da Milano: «Sono Hotel Cavour — Sono stata sofferente, non potei ritor-

nare Udine, oggi sto meglio molto — solita tosse — Dimmi tuoi progetti». Andai a trovarla a Milano, prima di rientrare a Roma. Era all'Hotel Cavour dove abitualmente alloggiava allorché andava a Milano, e si trovava di fronte alla casa abitata da Boito, di cui poteva vedere le finestre al di là dei Giardini. Da Firenze il 30 ottobre: «Maria mia, Sono a casa — Resistere — ecco la sola parola. Mandami tue notizie. Patria!» Il suo stato d’animo era dovuto alle deprimenti notizie della guerra. Dal 21 al 26 ottobre vi fu il disastro di Caporetto. Intanto, anche nella nostra famiglia c’era molta tristezza per

due perdite dolorose: la morte al Fronte di un nostro caro cugino, quasi fratello, volontario a 18 anni, e la perdita di una cara zia, moglie del fratello di mia madre, lo scrittore Amerigo Scarlatti.

Il 4 novembre da Milano: «Maria mia! Sono con te nel dolore che ancora circonda la tua casa. Ma è anche, e soprattutto dolore di Patria! Ah Maria, che botta al core! quanto ti ho chiamata, Maria, in questa solitudine della casa! Se salute me lo avesse permesso sarei venuta a Roma (dopo la notizia di Udine) — ma la tosse mi spossa. Oggi, sono a letto — Fra qualche giorno, se sto meglio, farò una corsa — ah — amiamoci — il mondo fa terrore!

«Scrivo da letto, tossendo come un cane. Ti mando queste parole per tuo zio — scusami presso lui, ma è solo il conoscimento che vale e non la formula». Il 22 novembre da Firenze. «Sto meglio della tosse — sono senza febbre — conto i giorni per ripartire, e rivederti. Dimmi se possiamo combinare di venire io e Maria (quella milanese, che vedesti a Milano che mi ser-

ve provvisoriamente, perché ho tanto bisogno d’assistenza) dimmi se quando potessi venire (dicembre,

fine dicembre),

si po-

trebbe abitare da te... È l’ora delle parole e azioni franche...». Com'era naturale, le risposi subito affermativamente. E poi il 24 novembre: «... Si vive aspettando di 24 ore in 24 ore il Bollettino di Guerra!». B1190: «Maria mia — come vorrei essere a Roma! — E se fossi a Roma, come vorrei essere, per troppa nostalgia, a Milano! E se fossi a Milano, come vorrei essere a Udine, e a Venezia! — che an-

gosciose giornate. Resta dunque inteso che verrò, ma la data esatta non posso affermarla.

Dipende da tante cose. Intanto, io

mi dispongo a resistere (!) il più che potrò a casa mia. Ma tutto l’inverno, non sarà possibile. Più le giornate sono dure e angosciose e più mi nascondo, ma se un po’ di certezza ritorna nel nostro cuore... ritroverò un po’ di coraggio per muovermi dopo tanta angoscia. Aspettami dunque, o a fine decembre, o a fine gennaio. Ma, resistere, ora che ho la casa rifatta, bisogna, è do-

vere! — Non ti dico di più, Maria mia, ogni parola che non è attesa della nostra guerra, mi pare assurda». Il 4 dicembre: «Sf, Maria mia — aspetteremo giorno per giorno e ora per

ora. Io, qui ho qualche impegno da disimpegnare, e essendo lavoro per Profughi, si tratta d’aiutare di persona, quindi ritardo ma verrò certo °°. Passato il grosso dell’inverno la pena, forse, È DO: ; E: 5 pon Seppi poi dalla comune amica, la scrittrice francese Camille Mallarmée, residente a Firenze, che la Duse vendette allora una quantità di libri di valore e quanto le rimaneva per soccorrere i profughi. 60

sarà più acclimatata in noi. Se vivrò, verrò. Ti avvertirò anche per le tessere per il vitto. Se vengo a fine gennaio, allora non porto con me la donna. Se vengo prima... allora... infine — la vita è di gomma, la tasca anche, le spese enormi, e bisogna contar tutto — Ma verrò o a fine decembre o a fine gennaio. Se campo fin là! tua El. «P.S. Non scordare le tessere — anche qui le abbiamo. Qui, per il vitto, questa donna fa economia, ma ciò che costa è la legna e la vettura, visto che non ho gambe per camminare a piedi!!». ExIWs:dicembre: «Maria mia, Sto meglio — Sono alzata. Un’altra batosta è passata. Per due giorni sono stata male, oggi, l’ansietà di guerra ha ridonato energia e reazione — reazione!... «Grazie della tua lettera, Maria mia. Verrò certo, non subito,

ma quando la prima amarissima ondata che allaga, sarà affondata nella terra... Intanto, resto qui, sola, fra le mie cose, cercando

conforto fra i libri, come posso. Verrò appena i grandi freddi cominceranno. Ma dove abitare io e Maria Avogadro? e ormai sono costretta ad avere una domma con me perché ho bisogno di assistenza. Dove abitare? quale Hòtel? e tu verresti a prendermi? Parleremo, combineremo appena l’angoscia sarà meno forte — allora, penseremo a noi. Arrivederci. Tienimi al corrente di ciò che tu credi sia meglio fare. Scrivimi tu!». Quindealdo:

«Da qualche giorno... “io alzo gli occhi al monte per vedere donde verrà l’aiuto” “il tuo aiuto ti verrà dal Signore” “di giorno il sole non ti ferirà, né di notte la luna... «Cara, distraggo e aiuto l’anima mia quanto più posso, ma, vivo un’ora assai penosa, difficile. Tutto è... accettazione, ma pur

preghiera che non sia! — Il Santo è malato. «Dal giorno del disastro di Caporetto, fu una gran botta per lui — e d’allora, tutto lui fu sconvolto. Le lettere, che seguirono al disastro, si rianimarono con la redenzione nostra del Piave, ma, da qualche giorno, il silenzio di lui, e le lettere di altre persone,

non mi lasciano dubbi sulla gravità della cosa! 61

«Ho tenuto duro, anch'io più che ho potuto, ma oggi, da tre giorni, sono a letto, con tosse, tosse, tosse di spasimo — il solito male. Ti scrivo, perché l’anima mia ti cerca! — non so come faremo a Vivere ancora!

«Telegrafai a Milano, che sarei partita per Milano... e non ho potuto! Ora non so». E poi un seguirsi di telegrammi; il 14: «Sempre consolazione rivederti, ma non partire finché non stai bene. Qui troverai stanza, ma senza stufa! Sto molto meglio,

stai tranquilla. Informami di te. Grazie».

ILIELOx «Migliori notizie per tutti. Ripeto sempre consolazione rivederti, ma prima rimettiti bene. Aspettoti quando potrai». tia i76 «Cara Maria — prima di decidere partenza aspetta mia lettera».

E sempre 11 17 scrive: «Maria mia — mettiamoci in forza, contro le cose avverse e ac-

cettiamo con fermo animo quelle che /a Vita compone, da sé, e non sono né avverse né amiche — ma: tali e basta. «Dunque — cara Maria, come io non posso andare a Milano, tu

non puoi venire a Firenze. Le ragioni sono diverse, il risultato uguale. Io sono stata male, sto meglio, ma il mio meglio è sempre precario — e mentre ti scrivo, se pur alzata (fuori di letto) pure tossisco alla maledetta, e se uscissi di casa, tornerebbe e febbre e altre delizie del caso. Intanto, cara, si unisce questa circostanza

che a Firenze, da qualche giorno, in ogni casa si prende provvedimento contro il vaiolo — e oggi stesso, oggi che sto meglio della febbre e tosse, bisogna far buon viso alla vaccinazione che sarà

fatta in tutto il casamento — perché se pur esistono due scuole, una che ci crede e l’altra che non crede all’efficacia, pure, è meglio fare la vaccinazione che non farla — e tiriamo innanzi! «Cosî, Maria mia, ti ho telegrafato stamani, per prevenirti di aspettare mia lettera, ed ecco la lettera, dove ti prego di non venire perché, il viaggio è disastroso quanto mai, senza riscaldamento, e con andare e venire di profughi, e altre cose — che Fi62

renze è in un momento

di non piacevole sosta, per ogni cosa, e

alla difficoltà del riscaldamento, aggiungi quella dei viveri, e io avrei inquietudine di tirarti in una città infetta da un brutto male — e che un cambiamento di clima non è cosa da trascurarsi in questo momento. Ogni treno da Roma arriva da Roma con due ore di ritardo, ma riforna a Roma, con tre — e i treni sono pieni, e

la tristezza friulana, è ben dura e immeritata pena a quei miei compaesani! o miseria! «Dunque — finché le cose non si sgroppano da sé, è meglio aspettare. «Io, non so se e quando potrò andare a Milano e tutto dipende da questa prima possibilità... e Dio sa qualche ne sarà la risposta della nostra sorte — Dunque, bisogna aspettare, niente altro — Se tu pensi bene, vedrai, che non c’è che questa parola: aspettare. «(Interrompo scrivere perché ecco il Dottore per la vaccinazione) — Dunque — pazienza anche per questo — ti scriverò e ti bacio con tutta fenerezza». Il 2 gennaio 1918 telegrafa da Milano: «Da una settimana sono a Milano in casa amica?” saluto di cuore — Indirizza tue notizie Firenze dove ritornerò quando potrò — fedelmente». Le condizioni di Boito non miglioravano cosî il 9 gennaio scriveva ancora da Milano: «Cara Maria mia — Di giorno in giorno ho rimandato la mia partenza — e per quale triste circostanza! — Ora, ieri ho telegrafato a casa per farmi rimandare la posta e spero stasera o domattina ricevere da Firenze tue notizie. Intanto ti prego recarti via Campania n. 59, domanda indirizzo al Fronte del Conte Francesco Salimei, il quale mi scrive una lettera dal Fronte, e dimentica di dirmi a che reggimento, arma e zona appartiene! E allora, come posso rispondergli? a casa sua, l’antica casa coniugale che egli ha voluto serbare in ricordo di sua moglie, forse sapranno il suo indirizzo di Soldato e cosî tu me lo trasmetterai a Firenze. Io,

ripartirò il giorno 15 — che la fede sia con l’Italia! «Ti bacio caramente».

27 A casa della signora Antonietta Pisa.

63

Il 10 gennaio telegrafa da Firenze: «Tornata solamente stamane credevo trovar tue lettere desidero vederti quando e se potresti venire». AI mio annuncio che sarei andata a Firenze mi rispose: «Cosî contenta, ricordati che stanza tua senza stufa — Ringrazia tutta tua casa» (20 gennaio). Andai a Firenze. Da lei incontrai Miss Maci, l’artista americana che viveva a Venezia, ricordata da d’ Annunzio. Buona, be-

nefica e semplice, imperterrita fumatrice. Ricordo che la Duse le riempf le tasche di pacchetti di sigarette. Partecipai alla Duse la notizia delle mie trattative a Tivoli per l’acquisto di una vecchia casa di campagna con l’uliveto. C’era in me la speranza che là anche lei avrebbe potuto far sosta e trovar pace. Il 27 gennaio, poco dopo il mio ritorno a casa, ricevetti questo telegramma:

«Spero arrivata sana salva — augurio di bene — Ti ringrazio di essere al mondo». E il 31 scriveva: «Maria mia! Aspetto notizie di fe — Se il tuo silenzio vuol dire che stai trattando o non hai potuto combinare non darti pena! Troverai altrove — Rimaniamo

fedeli alla Volontà di Libertà, e

questa otterremo».

Il primo febbraio su una cartolina illustrata di Via di Pietralata: «Fa conto d'incontrarmi a questo angolo di strada e parlami della nostra speranza. Dimmi se l’avremo il caro rifugio!» Potei finalmente scriverle di aver concluso l’acquisto della vecchia casa al Quintiliolo di Tivoli. Lo stesso giorno mi telegrafava: «Grande consolazione!» (1 febbraio).

E poi mi scriveva: «Maria mia, ieri sera ti scrivevo e mentre appariva La Stella e io ero seduta nel cantone che tu ricordi — ecco la lettera con la notizia. «Grande Consolazione — È la vita in tutte le sue forme è il cerchio che si ristabilisce in una nuova apparenza e attività. «Ti bacio Brava Maria — Tua El». 64

E il 22 febbraio: «Maria mia! /eri i tuoi doni — e tu hai sentito non la data anniversaria, ma la profonda depressione che tento di scuotere. La speranza dél rifugio con te, è la sola cosa che mi aiuta. Parlamene! Vorrei rivederti. Vorrei partire Stassera». Il 13 marzo: «Maria mia — Hai sentito la depressione che ho? — Ho la stessa tua pena di non averti con me, e la stessa fedeltà d’aspettarti! Pazienza! Verrò appena potrò, forse, prima che tu faccia il contratto».

Il giorno seguente: «Ti voglio bene con tutto il core — Ho il core in tormento. Perdonami quando non so più sopportare la Vita. Grazie dell’amor tuo».

E due giorni dopo: «Per ora non posso viaggiare — Al tuo passaggio per Firenze pregoti fermarti — mi troverai sempre». Il 30 marzo scriveva: «Che giornate, Maria! Ieri il Bollettino di Francia era più rassicurante — e aspetto la sera solo per leggere il Bollettino di ieri! — Che giornate — Che angoscia! che crudele cosa l’orgoglio, nel mondo, e la stolta ferocia!».

E il 3 maggio: «Maria mia, son tanti giorni che non so più niente di te. Sei a Tivoli? Sei a Roma? — Non ho che questa cartolina panorama per orientarmi dove tu sei, cartolina mandatami l’8 aprile — prima del tuo passaggio di qui. E qual è l’indirizzo tuo? Mettiamo Quintiliolo e spero ti arrivi. Nostalgia grande — Dimmi quando sarà possibile rivederti». Lo stesso giorno seconda lettera per Quintiliolo: «Ecco! Basta che io mi spintoni a realizzare il mio pensiero, cioè a buttare una lettera in posta, ed ecco una tua che arriva subito subito, calda calda, come un chiama e rispondi.

«Dunque:

Quintiliolo - Dunque: ci siamo! Dimmi quand’è

che potrò venire. Dimmelo, cara, e mi metto in treno — Mi basta

avere un letto, — ah, certo scordavo! Andrò all’ albergo. Bene! Bene! Dunque io verrei tra il 15 e il 20 e resterò due o tre giorni per vedere e fissare con te quando rivederci in estate — Viva l’Italia! «Si fa tutto con ansia — Ansia di guerra!» 65

Dovevo far fare lavori per la sistemazione, sia pure sommaria della vecchia casa acquistata da poco e per non far trovare la Duse a disagio, con gli operai in casa, le avevo detto che avrei intanto potuto farla alloggiare in albergo. Ma lei era sempre insofferente di ogni indugio. Da Firenze il 7 maggio: «Maria mia — Credevo oggi martedî 7 maggio — ricevere risposta ai miei due espressi — ma niente — Hai ricevuto? — Ho un colpo di Nostalgia che tento tenere a freno. Ma quando, la pioggia, come oggi, rallenta l’arsura d’estate, allora, tento persuader-

mi che devo venire solo a Giugno — quando l’estate sarà completa — Rispondimi su questo, per darmi forza a sopportare la guerra e la Vita. Scrivimi — non sono sicura dell’indirizzo».

Belidak: «Maria mia, sarei già partita, dopo il primo forte attacco di nostalgia, ma, la temperatura sbal/zesca dal caldo al freddo m’ha

dato il solito malessere (oggi sto meglio) e poi sono in vendita, cioè, sto realizzando il collocamento definitivo delle perle della

Duchessa 28, e questo mi prende degli andarivieni che mi riportano in là, e fare in fretta, una vendita, non si può, perché il mondo è birbone! «Ma verrò ai primi di giugno — ma, non per ripartire dopo due giorni come avrei fatto se fossi venuta in primavera, ma per stare con te qualche settimana — Dimmi dunque se il possesso di tua casa è fattibile — E le tessere? e per la mia donna come fare? Essa domanda qualche quindicina di giorni per andare a casa sua (è piena di soldi questa donna), per i primi dovrò andare a pranzo al’Hòtel? — E le tessere? — Porterò con me quelle che ho qui — e provvederemo.

25 Erano gli ultimi gioielli rimastili: due gocce di perle che le erano state regalate dalla duchessa de Palmelle, della grande famiglia portoghese. Probabilmente la duchessa gliele aveva donate in Spagna, allorché la Duse aveva

avuto un trionfo eccezionale e le dame, all’uscita dal teatro, avevano stese a

terra le loro mantiglie al suo passaggio. La Duse affermava che queste perle provenivano da Madame de Staél, con la quale la duchessa era imparentata.

66

«Maria mia — Che voglia di star zitti e di parlare del cosmo con te — Sono stufa del mondo! — E la guerra è sempre la mia angoscia!... Mi è di sola consolazione pensare che ho una Maria

per me!

©

«Ti bacio e conto i giorni di rivederti — Eleonora «Arrivederci con certezza — Grazie del telegramma — Ora tutto si è rallentato intorno».

Emomiglo: «Ho ricevuto la tua lettera da Roma, ma in essa tu non rispon-

di alla mia domanda per le tessere che ti mandai qualche giorno fa. Sappimi dire: « 1° Ti ripeto che son qua per sbrigare una vendita che senza me non si può fare. «2° che la donna di servizio, vuole andare a casa sua per qualche giorno, dunque verrei nei primi giorni di giugno sola. «3° Ti amo — Rispondini, per la tessera del Pane — tua Eleon.». Quindi il 28:

«Maria mia — vedi che mi succede! Da /6 giorni aspetto ricevere le mie perle dalla banca Pisa, che, silenzio incomprensibile,

non risponde all’invito. Ieri ho bombardato di telegrammi la S7gnora Pisa (!) ed essa si scusa dicendo che l'ordine fu dato...

etc... ma il fatto sta che da 16 o 17 giorni aspetto... col danaro offerto, e alla mano! E il compratore, che sarebbe un inglese, parte il 30 per l’Inghilterra, e arrischio di perdere l’occasione di vendita... e a ottobre saremo allo stesso punto. «Poi che è che non è: vendono la casa di via Robbia e me l’han dichiarato, e per Novembre eccomi a ricercare casa e dove andare? A Firenze vi sono più di 30 mila profughi tra ricchi e poveri e ogni genere di casa è preso. Da quattro giorni ho avuto la notizia dalla padrona di casa, e ne sono malata di noia e d’incertezza, e, fatica da scontare perché rimballare la roba mi fa spa-

vento... E cosîf non avendo ancora concluso per le perle, dovendo di già mettermi in vista di un altro appartamento. Oh — povera me, non ho pace in queste giornate! // mio baule per partire e venire da Maria è lf pronto — e non potrò muovermi! L'altro giorno, domenica, con una Signora inglese di mia conoscenza sono 67

andata a vedere due Casette di campagna fuori di Firenze per tentare di orientarmi ma, niente di possibile — L’inquilina di sotto, qui, di via Robbia, la moglie del Dottore, è in cerca anche lei,

e tutta la casa è in agitazione, e non si fa che parlare di questo! — E bisogna per lo meno intavolare qualche cosa adesso, perché durante la grande estate, spero starmene in pace con te, se mi sopporti, e dopo, Dio me la mandi buona! — Ecco le notizie brutali, che rendono impossibile che io parta al primo di giugno — e mi toccherà anche tra questo, vivere alla giornata.

«Ma finirò per mettermi in treno... per non sentir più parlare! Maria mia, quanto mi manchi! Se tu fossi qui! Eleonora. «P.S. Verrò, fuggirò appena potrò! per giunta è tornata pioggia e fresco autunnale!» E il giorno seguente: «Maria mia — Andiamo avanti non ho ancora riperduto coraggio — se pure, qualche attimo di fatica mi è pesato sul core. Ma, ho voluto andare avanti — e, moralmente ci sono riuscita. Fisicamente, anche, lo stesso, un po’ su e giù, com’è l’avvelenamento

stesso della malattia. Spero hai ricevuto due telegrammi miei, uno al tuo ritorno, e uno, ieri, dopo aver ricevuto la tua lettera —

cosî, anche nel telegramma ti dicevo che vado avanti — (ma dove?) — Intanto, tu, fa quello che è necessario al tuo gregge senza angosciarti — né affrettarti — È bene che tutto si faccia bene. Sarò contenta quando mi dirai che hai trovato buona gente che ti vivono accanto. Dimmi anche se le piante di frutta sono arrivate e messe al sole. Dimmi come sta la mia fontana °° — e goditi l’aria che ti riconforta — Sono certa del tuo istinto e il luogo che tu hai scelto ti sarà propizio, in ogni senso perché tu l'hai scelto, tu non puoi sbagliare — Abbiti questa certezza! Ringrazia la mamma tua e Ida per me — Dirai loro quanto sono grata per tutto — Grazie ancora d’esser venuta — Sta tranquilla.

: 2° Quella fontana del mio giardino che in seguito lei chiamò, in ricordo di Boito, la fontana del “Santo”, forse per le ore che trascorse accanto ad essa pensando a lui. 68

E, finalmente, il 31 maggio: «Maria mia — Ti dirò tutto a voce — ti dico solo, che ho le per-

le in mano mia — e che per consenso speciale ho ottenuto, dopo parlare, parlare e parlare, di dilazionare l’affitto di casa, e da maggio (oggi) al maggio venturo, sarò qui — (il tempo deciderà — altro che questo!!) Maria mia, non vedo l’ora di partire! Ho sete di rifugiarmi accanto a te, nel core fedele, e scordare queste an-

gosciose ore! «Conto partire fra il 7 e il 10 dico: sette e dieci perché ho ancora tante cose da serrare insieme. Ti dirò tutto a voce! Il 5 ti scriverò (o telegraferò) confermando le date fra 7 e /0 e allora

tienti sul chi va là — perché non voglio restare a Roma, e voglio solo nascondermi con te, venir da te subito a veder l’acqua che

passa!! 3° Maria mia che gioia ritrovarti, che giornate d’angoscia viviamo! — E in Francia! e noi al Fronte uno di questi giorni! Maria mia a ben presto, fra il 7 e il 10 partirò. Aspettati dal 5 in poi la conferma — tua El». Poi, il 2 giugno: «Maria mia — Conto le ore di rivederti — Le notizie di Francia mi dànno tanta ansietà! — Il giorno 5 non ti telegraferò perché il 7 non potrò partire, ma invece sono quasi certa di partire il /0 — T'informerò a tempo...». Il 6 giugno: «Maria mia, spero hai ricevuto la mia lettera dell’altro giorno dove ti dicevo che non partivo il 7 ma quasi certa di partire il 10 — Se non sarà il /0 però non andrà oltre il 15, perché sono triste di non vederti mai, e voglio vederti —

El.

«Siamo intese non oltre il 15 — Qui ho noiose cose d’affari da regolare».

Il giorno seguente: «Maria mia — ricevo la tua, mentre tu ricevi la mia. Se dunque sabato e domenica no — allora, se ieri dicevo il 15 — oggi, dico e

confermo: lunedî 17. Partirò di qui alle 5 e tante del mattino (di notte, non posso) e viaggerò di giorno e arriverò dopo mezzo-

30 La casa di Quintiliolo, dove lei stava per venire, si trova di fronte alle Cascate dell’ Aniene, a Tivoli.

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giorno — e ti troverò alla stazione di Roma dove avremo tutto l’après midi per partire per Tivoli = E cosî sia! contiamo le ore». Il 10 giugno: «Maria mia, resta inteso che lunedî 17 parto, al mattino col

primo treno per Roma - e arrivo alle undici del mattino — resta inteso che ti troverò alla stazione di Roma — lunedì 17. Tua Eleonora. Rispondi conferma». Sopraggiunse intanto l’annuncio sui giornali della morte improvvisa per infarto di Arrigo Boito, a Milano, mentre si trovava

in clinica in attesa di essere operato.

Il giorno dopo: «Ieri — quando ti scrissi, Maria mia, non sapevo — Ora non sento che un dolore morto, una profonda stanchezza. Non so se avrò forza di viaggiare da sola — Se puoi, verresti a prendermi? potresti essere qui domenica, e ripartire, con me lunedì? — Tutta la Vita che se ne va! El».

Andai a prenderla a Firenze, come lei mi chiedeva e venimmo al Quintiliolo. Era molto abbattuta e triste - Avevamo preparato per lei la stanza migliore, con la veduta delle cascate, ma s’accorse di non sopportare il rumore dell’acqua, che la innervosiva, e cosî si trasferi in un’altra stanza con la finestra rivolta verso il monte. Riuscf, tuttavia, a interessarsi all’arredamento della casa e mi diede vari suggerimenti, di cui, naturalmente, feci tesoro. Rimase con noi circa un mese e ne trasse giovamento per la sua salute. Ripartîf per Firenze alla fine di luglio. Da Firenze il 31 luglio telegrafa:

«Ti accompagnerò sempre nel tuo lavoro di vita. Saluti a tutti... Eleonora» E poil’8: «Grazie lettera — ferma fede — mandami cognome tenente Mario?! per ricordarmi a lui — Saluto tutti di cuore — Eleonora Duse»

3 Il tenente Mario Mulzone nipote della moglie di mio zio Americo Scarlatti.

70

L’11 agosto scrive: «Maria mia — Tu hai potuto scrivermi una buona lettera — io non ne sono stata capace — T°ho mandato un telegramma chiedendoti del Tenente Mario, il suo cognome... Maria Avogadro malata a Milano... Giustina, la tappezziera che viene di tanto in tanto, non ha potuto venire... la donna (la terza) quella che fa la spesa... c’è altro? = E cosî, la casa è senza riposo — e me ne stanco — ma, infine,

resto qui, perché altrove, non saprei dove andare poiché tu te ne vai. «Ti ripeto, Maria, il mio grazie sincero per il tuo invito — Te ne ringrazio perché ho la certezza che è nel tuo cuore, e ti felicito d’aver trovato una strada, un interesse, una faticosa cosa da fare

per vivere — non c’è altra salvezza — Quando potrò, verrò (sempre) a cercarti nel tuo rifugio, che amo con te, e che comprendo cosî bene, forse, piu che tu non credi — ma tutto dire in parole non SI può — Andiamo avanti, sicure del core nostro, che è fatto di fe-

dele comprensione, cosf il tuo, che il mio. Non so quando potrò partire per Milano — Ho tanta nostalgia di Venezia! — non so se una mattina o l’altra non scapperò là a rifugiarmi! La notte, per non essere tutta sola nel casamento dorme qui, nel salottino piccolo, la figlia di Luigi il falegname, che ha 12 anni. Mi piace vederla dormire, l’infanzia, quieta e tranquilla. «Giornate un po’ tristi, ma non troppo calde a notte respirare. Ti bacio — Saluto Ida — Bacetti a Luisella e Pierina — Saluto Mamma tua e la ringrazio d’ogni sua bontà per me». Il giorno seguente: «Maria mia, Maria mia — Ha bastato scriverti ieri, che oggi ricevo la tua cartolina. Incontro del core che vuole lo stesso bene — Anch'io sono fra mille noie di operai... ma spero scappare a Milano, o a Venezia. Spero Sabato, partire per Venezia! Te ne informerò — Viva l’Italia — Viva la Guerra! Il 16 agosto: «Maria! quante noie — non mi ricordo se ti ho detto, che dal 15 Settembre incominciano gli operai in casa, per restaurare le due facciate (strada e giardino) e pavimenti, infine il prezzo dell’appartamento sarà triplicato (6 mila) — è quanto dire che devo sloggiare. Sono tutta stranita e stanca della notizia. T’ho scritto, ma non mi ricordo più se te l’ho detto — anche le donne di servizio mancano in casa — e passo le giornate in modo assai faticoso. 71

Spero fuggire — Maria! Sia Benedetta la tua casa se ti dà attività e interesse alla Vita! Amala come si ama una persona, e ne avral sostegno. Quando ci vedremo?

non so, cara, ho una stanchezza

El» infinita dell’infinito. Tua Il 22 agosto telegrafa da Firenze: «Sono casa rifugio, tenerezza pensandoti — Ogni bene tua vita nuova — Aspetto telegramma notizie — Saluti tutta casa - Eleonora» Da Bologna il 28: «Maria mia — Da una settimana sono fuori di casa — Ero partita per andarmene a Venezia, ma nella traversata dell’ Appennino, in un treno, che poco a poco s°era fatto stipato di /2 persone per compartimento mi sono sentita soffocare, e arrivata a Bologna, ho dovuto scendere per riprendere forze, e rianimarmi di volontà! Ora son qua — aspettando ancora fino al 30 — e allora, o mi sentirò in forza e riprenderò il viaggio, o se rimango in questo stato di malessere, ritorno a casa.

«Ti mando questo saluto Maria mia, perché tu sappia che penso a te, e sono con te. Che peccato non essere insieme Maria mia,

che raccontare la vita non è vivere, e dopo aver patito l’ora della solitudine, mi è troppo gravosa cosa, per sola consolazione, rac-

contarla. È come soffrirla due volte. Ecco perché non ti scrivo di più. Intanto Bologna, mi è cara, e ho girato le vecchie strade e i portici come ambiente che conosco, ricordo, e affeziono — «Scrivimi a Firenze — è quasi deciso che forno a casa, riman-

dando la mia corsa a Venezia = me ne dispiace, ma viaggiare è un’agonia fra tanti fluidi... e fra tanta gente che non si lava!! «Serberò la mia forza per andare a Milano in settembre — spero poter avere un posto in vagone letto, senza di che, non ho forza per rimanere 10 o 12 ore come sardine — Ti bacio e ti dico ogni bene — Scrivimi di te — Stanchezza — ma speranza! Tua El.» Ancora da Bologna il 31 agosto: «Neppure l’amore per Veneza cara, amata Veneza! ha potuto farmi vincere questo orrore che ho della folla serrata a chiave in un compartimento. E, forse, son partita in un momento di troppa stanchezza! Ho voluto (in questa tristissima Estate) una consolazione d’anima, e per questo volevo andare alla casa di mia madre a Venezia, ma non ho potuto! Pazienza!

«Scrivimi a Firenze — A te di cuore 72

El.»

Di nuovo da Firenze 1’ 11 settembre: «Son cosî stufa di tutto cara Maria — Tutta la giornata fra tira e molla di cese stupide. Ho anche congedato la Maria Avogadro, e ora cerco nello spazio e nel tempo una supplente. «Fra pochi giorni bisogna che vada a Milano — ma l’inverno ho deciso di passarlo in Riviera. Dov'è che si può trovare un po” di pace? E che cos’è la pace?? «Dammi tue notizie — Sta all’erta — Lavora e cerca la tua luce (forse l’hai già trovata) e la troverai.

El.»

IS9: «Parto per Milano, la notte di /unedì 23 — Sarò nel vagone letto, che parte da qui a mezzanotte e 30. Ma come e dove vederti? ti dico il treno, ma non credo che sarà possibile». Eau 2L «Maria mia, t’ho scritto e aspetto tua risposta dicendoti che passerò la notte del lunedì 23 — ma ho errato. Partirò la notte del 23, è vero, ma dopo calcolato meglio, ho visto, che mezz'ora do-

po che sarò in viaggio, sarà già il 24 — Dunque, è a/ mattino del 24 martedì che passerò da Parma. A che ora? non so, ma partendo da Firenze alle 12, 1/2 e arrivando a Milano alle 8 del mattino (martedì 24) sarà facile vedere le ore. — Del resto, perché non

verresti passare 2 o 3 giorni a Milano, di giorno con me in casa Pisa e di notte da qualche tua zia che, certo avrai, perché le zie

sono la tua Provvidenza 3°. Vieni — resta con me sul treno e Viva l’Italia! Rispondi con telegramma. Eleonora»

Da Milano mi telegrafa il 7 novembre: «Ricevo tua lettera, prego telegrafarmi notizie salute — raccomando molto non affaticarti durante convalescenza influenza. Vorrei essere con te per dirti quanto bene ti voglio — prego perseveranza e coraggio — io sto bene, spero rivederti — rispondi subito Eleonora Duse»

32 Andai per qualche giorno a Milano e la trovai nel bellissimo palazzo della Signora Antonietta Pisa. Ma al mio ritorno nella nostra campagna fui presa dalla febbre Spagnola che allora infieriva. Fortunatamente fui presto in convalescenza.

73

[IKI2fsenve; «Maria mia, sarò contenta quando saprò che sei fuori convalescenza. Abbiti molti riguardi, più adesso che durante la malattia — Non uscire pei campi e non faticare — Sappimi dire quando sarete in grado di viaggiare verso Tivoli — Qui malgrado tutto nessuno è ferito e speriamo sia detto in tempo e per ora resto qua — Ma di giorno in giorno bisogna che prepari il ritorno a casa mia — ma, son cosf stufa di tutto — In Riviera non è il caso di parlare e di andare — È triste la guerra! — cara Maria, sta sana — non fare imprudenze. Ti bacio, cara» E il 16 sempre da Milano: «Maria mia — Libertà! Il resto d’Italia si farà — Maria mia — respiro per le tue notizie — Sono stata in pena per un facile errore — sempre succede cosî — Parto stamane a mezzogiorno e 40 per Firenze — Non mi sarei mossa perché l’ospitalità qui me ne incoraggiava — e la stanchezza — Ma una lettera di Rosadi mi forza andare a Firenze performalità concernenti la cosa che tu sai, an-

nunziata questa estate 3} — Pare che si tratti di una piccola, ma grossa somma, in questi tempi — e le formalità, per avere questo danaro per me, e la parte, uguale, per Enrichetta, mi forzano andare a Firenze — Scrivimi a Firenze — Spero che avrò forza per resistere ancora. Ti bacio e ti vorrei con me, come l’anima mia».

Da Firenze il 28 novembre: «Dunque?! — Sono qui — Sono partita il 18 — una nottata di treno senza riscaldamento, un freddo tutta la notte — e al mattino

all’arrivo né vetture né omnibus alla stazione — La strada a piedi — sotto un vento di tramontana che toglieva il respiro — Una settimana a letto — Tosse — Tosse — Ma niente forma d’influenza o d’infezione,

quindi, stassera, tossisco ancora,

ma

posso

dirmi

che ne sono fuori. A via Robbia, impossibile andare per mancanza di riscaldamento, son qua in una cameretta, Lungarno della

Zecca — Hotel Paoli. Appena potrò, domani o dopo vedrò Rosadi per le formalità che sai.

3 Si trattava della piccola eredità lasciata dal marito, l’attore Tebaldo

Checchi, a lei e alla figlia Enrichetta. Questa fu per lei una vera sorpresa, perché era da tanto tempo separata e non sapeva più nulla del marito.

714

«Son stufa — Maria — questa è la sola parola che so dirti. Scrivimi Hòtel Paoli — quando avrò sbrigato le cose affari, o tornerò a Milano, cin Riviera. Stanchezza atroce!

Eleonora»

Ile «Finalmente ricevo telegramma sono in pena dimmi se febbre persiste quanti gradi — Confermoti indirizzo Palestro — Urge che tu abbia cura di te —- Rispondimi — Eleonora» Il 4 dicembre telegrafa: Dopo miglioramento raffreddore, da quattro giorni influenza

— Emma

scrive dando notizie — Pensoti affettuosamente»

Il 14: «Maria — Quanto sono stata male — l’influenza è finita — (la febbre) ma sono in uno stato di continuo svenire senza svenire,

per esaurimento nervoso — e non ho nessuno del core vicino — Ho un’infermiera

della Croce Rossa, odiosa —

e tutto instabile e

provvisorio, intorno a me... Ho telegrafato a quella norvegese per pregarla di venire, e andare, almeno, a casa — qui, tutto or7r7bile. Sono Hòtel Paoli Lungarno — che male mi sento». Andai a trovarla per rassicurarla sulla mia salute e impensierita per la sua. La trovai a Via Robbia, e lei subito, avendomi vicina, si rialzò di tono.

Il 27 telegrafa: «Continua miglioramento — proseguo con buona volontà — pregoti provvedere bene alla casa tua — quando tutto in ordine allora ritornare ma stai tranquilla volontà buona — Saluto tutti Eleonora» Il 6 gennaio 1919: «Maria mia, sta tranquilla. Non sono tornata indietro per le strade perse ma sono andata avanti — te lo direi se avessi perso il filo, ma non l’ho perso, e vado avanti con coraggio — Ho rinunziato all’idea di andare in Riviera — non è possibile — Difficoltà enormi di viaggio, ed io con poca forma, e la Riviera è zeppa di gente malata — Lo so da molte informazioni — e rischierei di tro-

34 Emma Garzes la vedova dell’attore Francesco Garzes.

varmi nelle insalate dell’Hétel Paoli, è meglio che io resti a casa mia! Questo restare a casa, aiuta anche te, cosî, potrai prima aggiustare le cose tue, e poi, a fine mese, o anche più tardi, fare la

corsa a Firenze, ma, per ora non c’ènessuna angoscia per farlo, e ti ripeto, non ho perso coraggio — Sta tranquilla — non viaggiare in questi giorni! «La Inglese va bene, la Giaconi è sempre tanto buona con me e si va avanti, ecco tutto.

«Ho una novità da dirti — figurati che ieri ho ricevuto una lettera da Salvatore di Giacomo, V autore popolare del teatro Popolare — non so se tu lo conosci — come arte (e lo stimo) è nel gene-

re di Deledda, la stessa sincerità e austerità — e la vita del popolo la sa bene — Egli mi propone di andare a Napoli per fare un film, composto da lui — non ho né rifiutato né accettato, ma è una cosa da pensarci, e pensare... è vivere — «Ti bacio e ti voglio bene — e confido usciremo da questa strettoia, Tua

Eleonora».

Il 25 gennaio: «Maria mia, ricevo adesso la tua —

Grazie —

Grazie — Grazie.

T'aspetterò dunque alla fine della settimana, perché ho imballato tante cose, e le stanze sono ancora ingombre — Ieri è partito il primo blocco di roba per Venezia — Coraggio e avanti. T’aspetterò dopo giovedì — Tua Eleonora» Andai a trovarla a Firenze e rimasi qualche giorno con lei. La lasciai più sollevata. Il 15 febbraio scriveva: «Maria mia, faccio quel che posso per mantener parola e trovar coraggio per andare avanti. Grazie d’essere venuta! e non so abituarmi a questa nuova separazione! qui tutto continua fra le due scriteriate, ma l'elemento più dissolvente è quella del nord — che guaio! Intanto siamo tornate al Cioffini, ma senza di te, nep-

pur l’aiuto del Cioffini mi è stato giovevole 35.

5a Il Ciofini era una piccola trattoria vicina a casa della Duse, dalla quale veniva portato il pranzo.

76

«E fa cosî freddo! — È morto il buon Gemmi — Ho perso un vero amico —

e me ne dolgo — “Altro non dico”, dice S. Caterina

da Siena — einfatti, parole aggiungono e non tolgono il rammarico del non averti con me! «Ti ringrazio — ogni bene sia con te - Eleonora» Il 25 febbraio: «Non mi piace niente, Maria mia, che hai la febbre! — È segno che qualche cosa del tuo organismo reagisce contro un malessere latente e non palese. Ti pregherei d’insistere su quel disinfettante Arnaldi — che è veramente buono, e disintossicante, e giovatene, poiché sei a Roma e puoi consultare il D. Arnaldi stesso,

o un altro buon medico nel quale tu abbia più o altrettanta fiducia. «Ma non lasciare rodere l’organismo da una leggera febbre,

che io considero più minacciosa che una febbre grossa ed effimera — Provvedi al fisico, decidendo una cura, senza sfaticarti a

far 30 kilometri al giorno su e giù per le tue contrade! — chissà quanti acquazzoni di Primavera stai inzuppandoti ogni giorno. Hai fatto bene anche di liberarti da quei ferri vecchi del ‘“conciliabolo femminile”. Aspetta nuovo tempo, nuova barca, e nuove

vele. Prepara te stessa cosî al primo soffio di gente giovane e moderna, sarai pronta.

«Qui, un'insalata!!! un litigare di queste donne, da sera a mattina. Son tanto stufa di essere fra queste fante donne scontente — ognuna ha ragione, a modo suo, e ognuna ha torto — 10 provo una stanchezza morale e mentale fra queste vane ciance, da non poterne più — Ieri pensavo di chiudere casa e di licenziar tutte, ma, fa ancora freddo per avventurarsi fuori di casa — Si passa dal Ciofini al focolare di cucina, di giorno in giorno in un’alternativa di pignatte rotte e non pulite — che peste! «Scrivimi come stai — bacioti Eleonora» Due giorni dopo: «Maria mia, quella leggera febbre che ti ritorna, è un “all’erta” che il fisico ti dà per provvedere. È vano lasciare che la febbre si consumi da sola, è invece urgente che tu provveda. Evidentemente vi è, o per prima o per dopo l’influenza, vi è nel tuo organismo qualche rotella, che non va, chiama un orologiaio! — o 79%,

chiamane uno di tua fiducia, o chiama il reprobo Arnaldi — nel quale credo io. Ma, qualche cosa bisogna che tu faccia. Una donna giovane, sana e nel fiore della tua forza come tu sei, se ha una

leggera febbre, da mesi, è necessario riorganizzare le ruote della macchina — chiama un “chaffeur” (se non il dottore) di tua fidu-

cia. Sei sicura di non aver un po’ di malaria nell’ossa... Provvedi subito e scrivimene. «Qui al solito, bufere, piatti, tegami e pentole rotte. Ne son molto stufa. Le donne di governo, rovinano la casa — è ben vero — meglio sarebbe mandarle a spasso tutte — ma ricominciare con altre, sarà la stessa minestra! Evviva Giovanna che torna! Prov-

vedi a te stessa — Scrivimi Eleonora»

Il 25 marzo telegrafa: «Stamani ricevuta tua lettera — grazie consiglio — hai ragione — scriverò — arrivederci — rimpiango vederti».

llXXfaprile: «Ogni giorno ho voluto scriverti, ma, tante cose me lo hanno

impedito, e se non dello spirito, però del fisico una stanchezza stragrande che non trova riposo. «... Luisa, m’ha portato in casa una cucitrice di casa spero sotto la sua protezione riposarmi, un poco, perché pevo che è cosî faticoso spazzolar da sé scarpe e vestiti, e m'ha tanto scrollata — Passerà — Ecco la stupida ragione

sua... e non sala tosse per cui non ti ho scritto! — e poi tanta melanconia — sarà la primavera. «Per l’eredità di Lisbona, tutto fu liquidato con /a metà del preventivo Rosadi. Pazienza — per il vitalizio, ancora non voglio scrivere né decidere — aspetterò — Dio provvederà! Quando ti rivedrò? Per Venezia sono sorte difficoltà... non so più se il trasloco è fattibile — che vita, troppo lunga! Eleonora» Il 19 aprile: «Maria mia... scrivere! — Lettere! — io non so più vivere cosf!

— Non so se hai ricevuta la mia ultima lettera, non ricordo la data, ma era a matita e ti dicevo in blocco di Venezia — di Lisbona — ... Ora ti dirò di Cambridge: Enrichetta scrive, cose giuste e sante — che, date le condizioni del paese lei non arrischia i bam-

bini al viaggio e al regime vitto-Latte che si può aver in Italia al 78

momento attuale, quindi non viene! e ha ragione. Trovo saggio e giusto di non venire. Ora, però, il 5° anno si compie di non vedersi fra lei.e me, e essa insiste e prega, che io vada. «Eh? —

come farò? — non lo so — ma ho detto di si, perché an-

ch’io sono stanca di essere stanca, e di morire a goccia a goccia, e se la temperatura si addolcisse, mi metterò come un baule, in

un vagone e andrò — e sarà quel che sarà! — son stanca di tutto. «L'avvocato Ciani, ha accettato di accompagnarmi fino a Parigi, perché pare che alla frontiera ci son molte noiose formalità. Si arriva alla frontiera alle 2 di notte, e sono due o tre ore assai

rischiose da passare all’aperto - Dicevamo di partire di botto, il 28 corrente (perché Ciani non potrebbe che più tardi) ma per il 28 non posso io — non son mai uscita di casa — e manco di tutto quel che la stagione domanda — Queste le notizie materiali — ah — no! Ancora una: la persona che doveva venire per vendere le P. (che tu sai) non può venire, dunque, le porterei con me, per vender/e lassi in Londra — consiglio di Enrichetta — giusto e saggio anche questo — «Domani Pasqua! Resurrezione di che! «Sei ben sicura, col tuo muretto di cinta 39, fra l’ondata che ne

circonda? Parlami di te — se stai meglio e se ti senti la forza che l’ora domanda, perché tu sola puoi proteggere la casa e le piccole! Ti bacio di cuore — non posso scrivere di più — Stanchezza atroce. Eleonora» I122°apuile: «Avrai ricevuto il mio telegramma di ieri? Possibile che non si possa essere sicuri di niente! «Dalla tua lettera di Pasqua — (ahimé! tu parli di “Ressurrezione”! ieri non vidi cenno alle diverse cose che ti dicevo nella mia precedente lettera — e allora, ho telegrafato. Dunque: Lisbona: Liquidato, con la metà della metà — Berlino: Scrissi a Giulietta — nessuna risposta — altro, altro tenta-

re non voglio fare — trovo il tuo consiglio di “finanze vitalizie” giusto, ma, io non mi sento di farlo — aspettare.

36 Il muro di cinta che veniva costruito al giardino della casa di Quintiliolo per far fronte ai furti di galline!

no

Venezia: I Zaniol, scrivono, che sono sempre pronti a dare la ca-

sa, ma non hanno soldi per fare i lavori, perché hanno assunto impegno difare una società a Roma — hanno affittato colà, casa e stabile, e Venezia diventa per loro una succursale

di

Lavoro, e non più la Casa centrale, quindi... La famiglia (e loro) restano a Roma... Per parte mia, non posso assumere i Lavori. Cambridge: Enrichetta — con questi chiari di luna e non avendo certezza di trovare a Venezia 4 litri di latte (o 4 1/2) al giorno, che occorre per i bambini — dice che non può venire — Insiste perché vada io — Se avessi forza andrei per uscire da questa inerzia! «Non so niente di che cosa deciderò, vivo, non più alla giornata, ma di ora in ora sperando che natura mi liberi presto! Sono stanca! (a non dirlo più)... = Dove andare? = Non so! Enri-

chetta scrive buone lettere pregando, supplicando di andare da lei! e forse è la sorte — forse, la liberazione! E se fosse accanto a Enrichetta, sarebbe ancora che la sorte avrebbe pietà! «L'avvocato Ciani, dice che m’accompagnerebbe fino a Parigi — e anche lui mi consiglia partire. Ma non so se ho la forza per 4 giorni di viaggio! «E tu scrivimi. Vorrei vederti — Parlarti! — Vita senza gioia! Enrichetta dice andare subito — Ciani dice che per 1°8 maggio potrebbe accompagnarmi — Cosa deciderò — non lo so! Sapere almeno che ricevi lettere e telegrammi! Bacioti El.

Il 28 aprile: «Maria mia, fra i movimenti del mondo, anche noi rinnoviamo progetti — Ho deciso di ritardare la mia partenza per Angleterre = non è il momento che io arrivi alle frontiere di Francia, e Angleterre, senza sapere niente di preciso sul mio paese — quindi aspettare ecco la mia parola che scrivo, assieme

a te e a Enrichetta.

D'altra parte fa cosî freddo — ed è cosî duro questo tornare inverno e ho la tosse ben ostinata. Ho deciso anche di non lasciare cosî sospeso fra sf e no l’affare Zaniol — Loro hanno ragione se Roma gli attira e io ho ragione se Venezia mi chiama — Quindi io penso fare una corsa a Venezia prima di partire per Cambridge. A Enrichetta ho scritto che vado, e certo andrò — ma quando sarò meglio in salute. Su questa parola salute non ho troppo insistito con Enri80

chetta per non darle pene inutili e ho detto: Vengo presto, appena potrò ma con te posso dirti che da stanotte ho deciso di andare in Angleterredurante l'estate, dunque ho margine per me. Il più giusto sarebbe andare in fine agosto e restare con Enrichetta l’inverno che, non avrei né casa né personale. Un altro inverno come questo del Paoli, e delle molteplici Scriteriate intorno, poco mi

piacerebbe! Speriamo e andiamo avanti! Io ti prego dunque, Maria mia, di venire a Venezia e non più a questa esaurita Firenze — Potrai? — Io, spero partire per Venezia fra /0 e 15 maggio — a metà maggio Venezia è tanto bella — rispondimi. Eleonora» Dal Palazzo Vendramin il 18 maggio scrive: «Maria mia, pagine e pagine per dirti tutto quello che è successo...

e come decisi, fare uno sforzo: venire a Venezia, per ve-

dere da vicino le cose mie, e poi partire verso Enrichetta. Le cose si sono sciupate facendole — e ora, qui non si trova niente di

possibile, e Enrichetta insiste perché io vada... e io mi sento cosf poco bene, che ho paura di perdere quel po’ di forze, e decido andare verso Enrichetta senza aspettare più — «La casa di Murano, non è più per me, e i miei mobili restano, parte a Firenze (i migliori), e parte qui presso i Zaniol... «Ho sperato protrarre la mia partenza per l'Inghilterra, ma, le circostanze del mondo non sono tranquillizzanti e Enrichetta insiste per andare finché si è in tempo! = che fare? — Qui a Venezia, per ora, case con prezzi altissimi, impossibili per me. «II Ciani acconsente accompagnarmi fino a Parigi, ma vuole la linea Mediterranea, e 10, piuttosto che avventurarmi sola di qui fino a Genova, rientro a casa a Firenze per riunirmi al Ciani e partire — Vorrei vederti! Maria mia perché non sono certa di ritornare di laggil! «Tu riceverai questa mia, diciamo Martedî o Mercoledie 10 ti telegraferò Giovedî e tu mi risponderai Via Robbia — Firenze. Se puoi fare una corsa di poche ore per salutarci — Sono triste di tutto, e non ho la forza per scrivere con tranquillità = Aspetta un telegramma Giovedi 22. «Ti bacio — Tua Eleonora» «Enrichetta insiste che io vada e tutto mi angoscia! — Ti bacio — son triste di lasciarti! cosî lontane! — son triste di tutto, del bene e del male — e del bene soprattutto!». 81

Il 21 maggio telegrafa da Firenze: «Partirò con Ciani fra 26 e 28 dammi risposta qui lettera da Venezia». Le telegrafai che sarei andata a Firenze e lei mi rispose per teleeramma: «Ti aspetto». La raggiunsi dunque a Firenze e insieme a lei ci trovammo alla stazione con il buon avv. Ciani. Salirono sul treno per Parigi. Il grosso avvocato, come lei lo chiamava, si era intanto seduto nello scompartimento e lei rimase in piedi davanti al finestrino, mentre io mi trovavo sul marciapiede per l’ultimo saluto. Ero fortemente emozionata: m’aveva detto prima di salire: «Forse è un addio per sempre!» Erano tempi d'incertezza per tutti, in cui nulla si poteva prevedere per il domani — e lei si allontanava di tanto, per andare verso sua figlia e i nipotini, lontano dall’Italia che tanto amava. Il treno cominciava a muoversi ed io lo seguivo lungo il marciapiede. La rivedo ancora: la figura eretta, l’indice verso l’alto, lo sguardo quasi assente e pur concentrato in promessa e attestazione di fede sicura. La rivedo come scolpita in quel suo gesto solenne che non era teatrale, ma ieratico — in una certezza d’anima che s’allontanava pur restando presente. Ne rimasi colpita, né potrei dimenticarla finché io viva. E sono passati quarantasei anni da allora! Da Cambridge il 4 giugno telegrafa: «Parlo di te con Enrichetta — Spero rivederti - Eleonora Du-

se» Il giorno seguente: «Maria mia — La prima parola che scrivo è per te — Ma le parole non ti diranno gran che — e bisogna scordare tante cose per tener forte all'ora che noi dobbiamo vivere — «Il viaggio, fino a Paris, bene, ma, dopo, assai faticoso — Ma, a un tratto, sul battello di mare ho ritrovato un’orientazione migliore — La traversata fu buona, e l’acqua cosî meravigliosa di colore e freschezza! ora, son qua, da ieri — La prima parola che scrivo è per te, dopo aver parlato, in treno, con Enrichetta, e quasi sempre di te. — Maria, scriverti di Dettagli non posso, e neppure delle cose essenziali — Ricordati solo, che il core fi conosce e tisa—e ti resta fedele. — Sempre Eleonora». 82

Il 6 giugno di nuovo telegrafa: «Ancora un saluto, Maria mia, e solo ti dico che ti rivedrò e

che ti amo dal fondo del cuore — L’ho detto anche a Enrichetta. Ti scriverò quando potrò — Eleonora» Il 9 giugno: «Maria mia — quand'è che ti rivedrò? — Ecco la sola domanda del core — Il resto non è raccontabile, perché la Vita non che viverla non si sa neppure dirla. — Se ritorno di qua verrò cercarti Maria mia perché nel lasciarti ho sentito quanto mi sei cara, e quanto il core ti predilige — Scrivimi, Verrò quando ritornerò — tua Eleonora» Scrive da Cambridge il 3 luglio: «Maria mia, Ho ricevuto tutte le lettere tue = cinque = io ti ho scritto meno — parmi che questa è la terza — Ci rivedremo = non so dirti altro — forse, a voce, mi riuscirà. «Ti amo, e ti benedico. Aspettami, cara, perché verrò cercarti

El. Forse, partirò di qui alla fine di Luglio, o a metà Agosto — non so con precisione» E 1°8 luglio: «Maria mia — Ecco ancora una lettera tua, ed eccotene

una

mia — la tua è la sesta, questa mia parmi la 4° (ti ho scritto l’altro giorno). Leggo fra le linee che molte cose ti turbano — (Ma la lontananza mia, figlia, non deve angosciarti). K.; mentre le noti-

zie del paese nostro non sono tranquillizzanti! — Ahimé! mondo inquieto! «Con Enrichetta abbiamo

che

deciso che è meglio che io ritorni,

troppe sono le difficoltà di vita e di clima qui (come in Italia del resto) e poiché i bambini devono andare al mare alla fine del mese, cosî, alla fine del mese rientrerò anch'io. Passerò per la Riviera (invece che per Modane) e mi fermerò a Cannes qualche giorno, due o tre, per vedere i due Orano, poi rientrerò — e ci rivedremo — o tu verrai da me o io da te, e parleremo di tutto. È stata una tappa una sosta di pochi giorni questa, e bisogna ringraziare la sorte. Aurevoir El. Tienmi al corrente se sei a Carzeto o resti dove sei??» Magagnosc — Près Grasse, 2 agosto: «Maria, dimmi

dove sei — Sei a Carzeto? — Le condizioni

d’Italia lo hanno permesso? Quel Tivoli è cosf lontano che indirizzo a Carzeto perché mi pare d’esserti più vicina.

«Sono

partita d’ Angleterre — eccomi

in Francia,

vicino alla

Frontiera, in un piccolo paesetto, vicino a Cannes — sulla Linea di Ventimiglia, che è poco distante — ... mentre ti scrivo sento passare il treno che va da Cannes

a Ventimiglia Genova,

strada che

E quando? Alla fine d’agosto —

prenderò per venire a cercarti. «Eccoti il mio indirizzo... «A fine agosto rientro Italia — Son qua in casa dei due Orano — e abbiamo parlato di te — Il mio progetto è questo — rientrare a fine agosto — Vederti, forse a Genova se tu potessi fare una corsa da Carzeto — io, prenderei dopo la linea Genova — Padova Treviso e andrei a Asolo un villaggio poco distante da Venezia, come tu sai e dove vorrei rifarmi un domicilio, perché a Venezia sono sorte delle difficoltà con i Zaniol, che solo fra un anno permetterebbero riprendere il progetto Venezia — Ma, l’inverno bisogna abitare in qualche luogo — e ho pensato a Asolo — per delle ragioni che ti dirò a voce — «Dimmi, Maria mia, se possibile incontrarci sulla Linea Ge-

nova il giorno che io partirò di qua — verso fine agosto — Studia il tuo orario per comporre il mio, che qui, agli Orano, non hanno orario. A voce = di tutto — Ho vissuto degli anni, nelle settimane di Cambridge = A voce ne parleremo — Parlami di te. Eleonora» Da Magagnose il 12 agosto: «Dove sei Maria mia? Ogni giorno aspetto la tua risposta alla lettera che ti ho scritto arrivata qui... non ricordo la data, ma mi pare verso il 4 0 5 agosto — e a quest'ora, da Carzeto avrei dovuto avere risposta — a meno che tu non sia ancora a Tivoli... quel Tivoli cosf lontano nell’universo! — Ma, forse oggi avrò lettera — in ogni modo ti ripeto, che il core conta su te. Bisogna che ci rivediamo — Ho tante cose, sul core, da Cambridge in qua! ma, per lettera, non ho la forza di scriverne. E, manco

farlo apposta, ho

buscato uno dei miei soliti raffreddori, che ho trascinato in piedi a casa di Enrichetta, e che da 25 giorni mi stanca tanto!

«Per ora, dunque, son qui dai due Orano, che sono perfetti di cortesia e premura verso di me (La loro vita, è un esempio come l’amore può resistere contro la vita!). Ma, prima, che l’inverno e

la frescura arrivi, voglio rientrare in Italia. «Aspetto la tua risposta se tu potrai venire a Genova (come ti scrivevo) e stamane mentre sento difficile partire da sola fino a 84

Genova (!!!), il core è tanto stanco e desideroso di te, che, penso

se un miracolo non potrebbe portarti fin qui, a prendermi a fine agosto (o anche primi settembre se ti conviene meglio come data) e portarmi con te in Italia — Se tu potessi, senza danno tuo, assentarti da casa tua per 2 settimane quante cose potremmo cercare e rincollare nelle strettoie di vita in cui ci troviamo! «Aspetto dunque — Maria, non tardar troppo a rispondere! Eleonora» Il 14: «Finalmente!

Maria mia — ieri (13) ho avuto la tua del 7 —

Dunque, finalmente, sai che son tornata e che vogliamo rivederci — Quante cose sul core! — Dunque — se le lettere vanno cosî lentamente è meglio fissare, in blocco, le cose —

Dunque: fu puoi

senza danno assentarti dal tuo gregge? — Dunque: tienti pronta verso il 27 o 28: meglio il 27 = Se non ho slancio di arrivare fino a Genova — allora, preparati, a far te, un corsone lungo lungo,

fino a Ventimiglia. «Ahimé, abbi pazienza! Io, da Cannes, o di ruffe o di raffe a Ventimiglia arriverò — ma, fino a Genova, mi sarebbe affannoso

— Dunque, ci troviamo a Ventimiglia — (meglio Ventimiglia, che qui per varie ragioni, compreso il passaporto che ti sarebbe necessario) — Dunque! Ventimiglia — e tu studia bene gli orari, e prenderemo la linea Genova - Padova Treviso — «Se mi sento stanca ci fermeremo una giornata a Padova, do-

ve c’è = Giotto = che tu devi vedere — (Vedrai in lui e fede e sincerità) «= Poi, andiamo a Treviso — carino paesello, dove troveremo

una osteria qualunque, che speriamo avrà resistito alle bombe — e da Treviso — andiamo a Riese (Paese del Sarto) e poi Asolo — e di questo paesetto te ne parlerò a voce — se Dio vole! — «Forse di lontano la speranza di Asolo ti pare assurda 37, ma da vicino capirai meglio — Vi andremo insieme e vedrai. «Da ieri mi sento meglio, prima, per la tua lettera che mi assicura di te — (mai temo di fe, ma delle circostanze) e poi l’aria è

37 Questa lettera è sufficiente a smentire quel che da molti biografi è stato affermato che da anni la Duse aveva la propria casa ad Asolo. 85

meno afosa — Ho bisogno di un’aria più tonica. I due Orano sono stati più che cortesi, ma l'inverno qui, per me, sarebbe impossibile — Parleremo di tutto — Cerca di ottenere una lunga licenza “vacanza” dal Regno di casa. «Bacetti a Luisella, saluti a Ida e amore bono a Mamma tua. El.» Dopo un ultimo telegramma da lei inviatomi, andai a Ventimiglia. Poiché non possedevo un passaporto, non l’avevo potuta raggiungere a Magagnosc dov'era ospite di Camille Mallarmé e Paolo Orano. Attesi per lunghe ore in quella buia stazione di confine in cui era rimasta ancora la desolante impressione del dopo-guerra. Le poche lampade non riuscivano a vincere il buio incombente di quella notte. Ogni tanto arrivava silenziosamente qualche raro treno: arrivava e ripartiva. Da un convoglio proveniente dalla Francia vidi scendere poca gente silenziosa, povera gente con bambini, fagotti, miseria, gente che rimpatriava dopo chissà quante dolorose vicessitudini. Ed io rimasi là in attesa, in quel silenzio, in quella mezz’ombra, in quell’incertezza dell'ora presente, ma con sicurezza di cuore, all'unisono con l’anima che mi aveva chiamata. Passò la mezzanotte. Finalmente fui scossa dal monotono scampanio del segnale di un treno in arrivo, poi questo lentamente entrò in stazione. Vidi la Duse al finestrino, mentre lei scorgeva me. Subito la raggiunsi. Che gioia ritrovarsi nella fiduciosa sicurezza della vita in quei burrascosi momenti! Il mattino seguente ripartimmo per fermarci, come lei desiderò, per riposarci a Ponte S. Pietro, presso Bergamo, nel quieto asilo di pace dov'era stata qualche mese prima, presentata alla buona Signora Legler, fondatrice di quella casa Erni, da Ofelia Mazzoni, la poetessa, dicitrice di poesia, che le era sommamente devota. Dopo vari giorni di riposo l’accompagnai a Asolo da dove ripartii per Carzeto. Da Asolo il 21 settembre scrive: «Pare bonaccia, nel cielo, nel vento e nell’aria, ma di lontano, dal giorno dopo la tua partenza sorgono gran nuvoloni dalla valle e non so guanto durerà questa mezza sosta fra pioggia e bel tempo — Ho ricevuto il tuo saluto da Venezia e da Parma — Sei già NO

lontana — e navigare bisogna! Dirti il dettaglio e il tutto delle giornate? — Non so farlo Maria mia, tanto ogni ora, mi conforta,

ormai pensare: “anche questa è passata!” «= I dettagli? — non valgono = le cose profonde? vivono se pur non se ne parla — «Un laconico telegramma di Giulietta = eccolo = «“Sto bene auguri a te” Giulietta — mi ha deciso stamane scriverle una lettera, con tono pacato, ma fermo di annessione (di-

ciamo cosf) — alla mia domanda di parlarne — Il resto, quando si svolgerà te lo farò sapere — Stanchezza = ma tengo fermo in ciò che ti ho promesso = Resterò qui il più che potrò e dopo vedremo — = Ti amo e ti benedico — El.» «Spero che hai trovato tutto bene in casa tua».

Il 21 settembre: «Il sole si è nascosto il giorno dopo, due giorni dopo la tua partenza, Maria mia, e ancora non è tornato — Grandi piogge e neve sul Grappa — l’atmosfera però tonica invece che deprimente, e mi sento bene, e la tosse è calmata, se non scomparsa del

tutto — Sto bene qui — e mi contento (!?) e aspetto di rivederti — Non si sa quando Pierin Casale verrà a Roma — ma spero poter viaggiare con lui verso di te — «Ebbi la lunga lettera tua da casa tua... tu puoi scrivere e dire l’anima tua, io non posso, Maria mia — Ma tu sai la certezza che

è fra no1. «Scrivimi sovente — o cartolinami tanto per dar segno di vita — Intorno a me e in me, nulla che valga la pena di essere raccontato — Speranza dell'anima, sempre quella che sopravvive — Eleonora «Arrivederci — arrivederci — Sta tranquilla io voglio star benel!»

E il 30 settembre: «Maria mia — Bisogna scrivere delle lettere per tenere il filo??? «Io ti penso vicina e dopo fatta una cosa parmi che tu la sappia senza che io te la racconti... Ma intanto, non ti ho scritto che sono in trattativa d’affitto per una casa. 87

«(Un piano — fatto a due piani di casa) con belle finestrone, dove potrò depositare la mia roba — perché, quel lasciarla a Firenze vuol dire lasciarla in pericolo... E tutto questo mi stufa, di Firenze, più che mai — Intanto, dunque, son qua e cercherò di starci i/ pit possibile che mettermi nei treni di Bologna mi fa orrore e schifo — qui, intanto, per affittare c’è una casona in vista che non è male — è tenuta da una inglese, dunque, già dirozzata e pulita al prezzo di lire /800 annue — «Vedremo — se si conclude te ne parlerò — Intanto i Casale tentano di affittare (coi mobili) a qualche americana che possa dare il valore che la cara casetta ha — Se avessi voglia di scrivere ti racconterei dei volumi — ma, proprio, non posso — Intanto, ti ripeto e ti affermo il patto di vita, che non ti mancherò mai, finché l’anima tua cercherà la mia — «Vorrei mandarti il tuo Libretto Indiano, ma non ho buste = le cercherò — Ti bacio e ti amo Eleonora» Dalla villa dei Casale a Asolo il 6 ottobre: «Maria mia, oltre che vivere bisogna anche scrivere e scrivere lettere — e dire che cosa succede?! — Ahimé! — Me ne sento cosf poco capace — e questo lenzuolo di carta steso, a riempirlo mi passa il coraggio di vivere — Ti dico solo questo — che sei la sola persona che desidero rivedere — il resto — ne parleremo = qui, intanto pare che potrò affittare l'appartamento (mobiliato sommariamente) della signora inglese — forse è bene che io l’abbia, forse, no — chissà! Intanto si va a colpi di remo, ma il mare non è

tranquillo, e neppure io! Tua

Eleonora»

Asolo 7 ottobre: «Maria mia — ieri dopo averti scritto e detto che non ti sapevo scrivere, è arrivata la tua cartolina, che dice non lontano il tuo ritorno a Roma — Spero che questo /enzuolo di carta ti arrivi prima della tua partenza — e ti ripeto “Maria mia, sei la sola persona che desidero rivedere!” — Ecco la verità = Dunque, ci rivedremo e staremo insieme — senza angoscia dell’anima... Bastando quelle di guerra del mondo! — «Qui, niente di deciso ancora per la nostra partenza, ma, credo che tutto ottobre si resterà qua. Io viaggerò coi due Casale — e non mi fermerò a Roma che per riabbracciarmi a te se verrai a prendermi a Roma per andare al Quintiliolo = Va bene? — 88

«Di tutto quello che succede (e non succede) ne parleremo a voce = Questo solo per dirti che siamo intese e ferme e serene nella tempesta. «Sempre per te. Eleonora» Il giorno seguente: «Tu dici “martedî prossimo”, ma quale martedî? quello scaduto ieri — o quello venturo? — Vi sono tanti martedî quanti Pietro e Paolo — e non so discernere il conto che fai — Ti scaravento,

Maria mia, questo lenzuolone per saluto solo per dirti che dopo ottobre Ogni treno mi porterà a Roma — o verrò coi Casale, o verrò (da Venezia) sola, insomma, verrò. Parleremo di tutto a vo-

ce, che mi esaspera per lettera, parlarti delle cose incerte e sospese = e quante! = «Di salute, sto veramente meglio — e più che mai spero non

esser di peso (per salute) all’aria buona della tua casa — Il resto, a voce — Queste prime giornate d’autunno son cosî belle e cosî riposanti... «Intanto cerco dei Libri — cercane tu pure a Roma, in attesa. «Agire per non morire d’inedia — «Bacioti di cuore Eleonora» Il 15 ottobre: «Maria mia, come si fa a raccontare la vita? Sarebbe come voler fermarla, e tutto va, va, va — e intanto, tu non sei più a 6 ore

di distanza... ma tutto lo Stivale per arrivarti! — E ancora! — Intanto, queste giornate qui sono state eccellenti, fino a ieri — ma da ieri, il freddo ha dato il primo segnale e io mi sento non più in quel benessere progressivo che, ogni giorno, ho guadagnato forza stando qui, ma oggi sento, fisicamente, un che di freddo al corpo... mentre è forse, solo freddo al core di sapere te più lontana da me, e reso difficile per la distanza, questo aiuto immediato che le anime sentono e invocano! Mah! cosi è. La sola cosa a fare: cercare di non perdere l’ orientamento interiore! «Intanto — che dirti? — Questi miei amici, fanno e disfanno, ogni giorno, anche loro, i loro progetti per il poi — Dei giorni si rassegnano a vendere la casa — dei giorni, è un dolore per loro — Dei giorni vogliono affittarla... dei giorni vogliono impiantare un'industria di merletti o di “Thea Room” per affrontare le diffi89

coltà che la guerra ha complicato intorno anche a loro — Stamane parlano di andare a Venezia (!?) per qualche giorno = io mi sento un po’ “incerta sul ramo” e non so cosa risolvere coinvolta nella loro incertezza = Ma sono buoni, con me, e ci vogliamo be-

ne. Vedremo! «Intanto di Giulia M. nessuna risposta = chi lo crederebbe? = Ho telegrafato a Ina Borghese dove lei era = risponde che “è partita” e da Firenze, Luisa G. telegrafa che non è arrivata = Son stanca di cuori incerti — «La vendita a Londra? = Da Enrichetta mai una parola in proposito = Dignità maritale! = e da Miss Elsie incaricata della vendita una offerta di un terzo meno del prezzo domandato = Oggi, ho scritto da un’altra parte, e aspetto riposta = Intanto, qui, l’affitto che pareva concluso, oggi, pare sconcluso = e il contratto di assicurazione dal Sestini di Firenze, mai venuto, solo una lista degli

oggetti abboracciata in modo che non riconosco più gli oggetti depositati perché nominati a modo del Sestini, e buona notte. «Sono stanca — perché il mondo è un essere complicato!!! «Un’ora dopo — Secondo post scriptum = Dunque!! Ho riparlato coi due amici di qui. Stamane, paiono decisi di rifugiarsi non più a Roma, ma tornare alla loro Venezia, e fondare un ma-

gazzino “The Room” (all’inglese) e trovare una soluzione nel lavoro — Allora, poiché qui fa freddo pensano che è meglio scendere alla città e aspettare là il compratore della Villa di qui, o l’affittuario, e cercare un magazzino (per loro) e una pensione (per loro) e non più venire a Roma — come si era detto — Dunque, se ricevi un telegramma che io sono a Firenze o Venezia — tu sai, per quale vento ho dovuto navigare — «Per paura della posta, ti mando questo bollettino raccomandato, e se parto da Asolo ti telegrafo = Per fortuna mi sento bene, e potrò seguire i miei amici fino a Venezia, e poi, vedremo fin dove potrò far vela. «Ti bacio e ti amo con fedeltà Eleonora «P.S. Scritto dopo! «Se dunque questi miei amici vanno a Venezia per affari loro (fra qualche giorno) forse, andrò io pure con loro — ma avrò poi la forza di scarrozzare e tornare in su? — D'altra parte, qui mi pare, che quando uno è in ballo deve ballare, ma le mie gambe son stanche quanto il mio cuore. — Enrichetta scrive che ha i due 90

bambini malati di scarlattina —- dunque, imagino che è per questo, e non per dignità maritale che non ha mai risposto alle domande mie della vendita. «= Ora mi gira per la testa questo andare a Venezia dei miei amici, che non era nel programma, e non so se una volta là... i0 non farei meglio fare una tratta fino a Firenze, ed a Firenze — con Luisa? fare tutto un salto in un Hitel riscaldato, a Roma, per non dar noia a nessuno. «Ti scrivo, Maria mia, questi minimi alti e bassi per farti ve-

dere la situazione fluttuante, e come il core si disinteressa, alla fine, di far resistenza a una vita cosî difficile! — Pure, finché mi resta l’amore di te, andrò avanti -f Tua Eleonora»

«Scrivimi qui in ogni modo perché i miei amici sono fluttuanti anche loro e non sanno decidere»

I ragionamenti la infastidivano! Il 18 ottobre, con quella sua fine ironia delle cose del mondo, mi scriveva:

«Maria mia — Non siamo più partiti per Venezia = benone = Tutte le ragioni erano prima per andare, ma poi, tutte le ragioni furono per restare... e come 2 e 2 fanno 4, siamo ancora qua = Il

sole splende — meglio cosîf — Queste giornate d’ottobre sono state quasi tutte, uno splendore e un senso di grandezza bella è nell’aria —- Ogni giorno guadagno forza... e sopporto di vivere — Ma, amare di vivere è un sentimento di gioventù — Non lo sento

più — Stamani leggevamo coi Casale il programma del Costanzi di Roma — pare vi sarà la Valkiria — e questo ha fatto ritornare Roma pei Casale sulla bilancia —- Roma per tre mesi d’inverno = Lucia Casale diceva “e se venissi anch'io a Tivoli?” — Magari (dissi 10) forse Maria Osti ci razzolerebbe tutti al Quintiliolo???? — EN! chissà (dissi 10) in ogni caso gliene scrivo, e tu rispondimi — se al Quintiliolo o a Tivoli o a Sant’ Antonio (!!) ci sarebbe mo-

do di ospitare i due Casale — beninteso che domandano di concorrere alle spese di casa, e certo spendere meno di un milione al

giorno — Cosa dici? Si può trovare per meno di un milione al giorno dove abitare nei tuoi dintorni? Scrivimi — Ogni giorno mi avvicina al rivederti — tua Eleonora»

38 La Signora Giacone che aveva a Firenze un laboratorio di cucito. Sl

E il giorno seguente: «Maria mia, ti dicevo ieri che non siamo più partiti per Venezia, e questo fu un bene, perché rotolare a Roma mentre tu prepari il Quintiliolo mi turbava un poco, tanto desidero e voglio perdere in vane soste agli Hòtel questo vero benessere fisico che mi accompagnerà fino al Quintiliolo senza disastri invernali - Dunque — parliamo di noi! Dunque, resto coi Casale il più che posso, e ora, pare che anche per loro (grazie alla musica che daranno al Costanzi) Pierin, il marito di Lucia, trova che Roma è i/ solo luogo

dove andare - Benone!... ma... la bellezza di Tivoli, e le ville, e le fontane, e il Subasio e 1’ Aniene attirano gli amici miei e Lucia,

mentre Pierin va a Roma per le Walkirie vorrebbe tanto restare con me, con te, col villaggio di Tivoli! = Dunque, non ci sarebbe modo di aggiustarli provvisoriamente anche loro? — Tutto è provvisorio ora, e dimmi di te, se non hai la casa piena, non si potrebbe fare in modo, che /oro si ancorassero vicino a te, e cosf passare il duro dell’inverno, e poi tutti insieme si tornerebbe a Asolo? =

Cosa ne pensi? — Se non hai altri impegni — e se l’idea e le persone ti vanno a genio, fra noi si passerebbe un inverno aiutato da letture, musica, e scambio d’idee per non morire Maria, perché l’animo ha bisogno di segreto sf, ma anche di rapporti — Dimmi te!? — Scrivere a lungo per decantarti i pregi e tuoi e nostri e del Quintiliolo, non ho la pazienza di farlo - Ma tu comprendi a volo — e forse, rispondi con qualche progetto pratico e fattibile — (Lucia è donna di casa che darebbe una mano a tutto) e nessuna etichetta è fra (noi tutti), nessuna etichetta, dunque nessuna finzione =»

Sulla busta aggiunge: «fare il Ponte fra Asolo e il Quintiliolo». Il 21 telegrafa da Asolo: «Tre lettere ho spedito sembra venire tutti a Tivoli aspetto tua risposta secondo tue possibilità —- Buono fedele saluto Eleonora» Il 23 ottobre: «Maria mia — Aspetto tua risposta alle mie lettere (tre mi pare) e al mio telegramma — Agiremo dunque come si può e secondo le possibilità di ognuno = E su questo che deve essere una certezza d’anima fra te e me andiamo avanti. Ti accludo le tre fotografie fatte qui. DO

«Ho ricevuto una atroce lettera — della quale non posso parlartene che a voce — Atroce = È una lezione — anche questa — che certe idealità. non si concretano in vita corrente e che bisogna vedere le cose e le persone come sono e non come vorremmo fossero = Nella prima ferita ti avevo scritto una lettera che poi non ho spedito — Meglio tacere e imparare — «Ti ripeto che resterò qua il più che posso il più che potremo — L'inverno è lungo e aspettiamo, prima di muoverci di sapere cosa sia possibile al Quintiliolo o a Tivoli — e tu ne guiderai — Intanto i miei amici si danno attorno, non più per fondare un The Room, ma adesso una scuola di merletti e tutto aiuta a vivere...

(e a morire — speriamo!) Aspetto e aspettiamo tue indicazioni — Viviamo — Amandoci — (ma senza veleni! ahimé!) = Quanto ne

ho visto in un cuore da quella lettera! Amen!

Bal2% «Maria mia — Grazie per noi due e per i nostri amici Casale della tua buona risposta. Lettere e telegrammi accettano con la tua schietta cordialità la nostra proposta di venire di approdare tutti a Tivoli — Infatti! — Poiché ci vogliamo bene! — Restano solo i dettagli — e questi bisogna pure delinearne parecchi, la spesa giornaliera, 1 Casale domandano — prima di venire via di qua... dove finora la stagione è stata meravigliosa d’aria, di colori e di temperatura. Da stamane cerchiamo riscaldare con una stufetta la mia stanza... che alla sera restiamo al pianterreno dove Pierin ha il suo pianoforte col suo Beethoven e basta — «Dunque i Casale per varie ragioni, hanno ancora molte cose

da risolvere prima di poter venir via, e venir via, per loro, vuol dire accasarsi per tutto l'inverno per poter fare un solo viaggio fino al ritorno qui a Primavera. Loro assicurano che tutto novembre qui è sempre temperato, e quasi affrontabile sarebbe secondo loro, anche l’inverno, se non che da Gennaio in poi fino a Aprile il clima ha qualche giornata (rara) ma rigorosa. Dunque (per loro), (è

necessario) partire da Asolo solo la metà di Decembre — verso Natale — E per me? = Poiché loro garantiscono che il novembre è dolce, e poiché oggi appunto mettono, per me, una stufetta per la mia stanza... — poiché tu sei presa fino al 6, dici, a Roma, e il 6 degli operai d’oggi vuol dire il 10 o il 15 — (non si sa mai!) e poiché il viaggiare sola mi è difficile, io ritardo anche per me questo Spin93

tone di traversar tanta strada prima di arrivare a te. = Se per una combinazione di affitto (o vendita) che i Casale aspettano, loro potessero (forse) partire ai primi di Decembre, allora, tanto varrebbe che io aspettassi (colla stufetta in camera mia) di imbarcarmi con loro — e risparmiare a te traballamenti penosi di venirmi ancora incontro, = e potrei anche, forse, far sosta io da Venezia a

Firenze per sistemare diverse cose rimaste sospese da Sestini e Luisa — e forse, Luisa potrebbe, lei, accompagnarmi da Firenze a Roma, come del resto le abbiamo offerto — Infine! — Per il mese di novembre io credo prudente temporeggiare per vedere come si svolgono le cose dei Casale — e anche diverse piccole cose sospese mie, perché ho anche bisogno di vedere il Ciani — (dunque fermarmi a Firenze) per certe firme che devo sempre rifare! —

«Intanto mi arriverebbe del danaro da Londra perché, pare, che ora si trovi un compratore onesto e equo per la mia vendita, intanto riceverei anche una lettera che mi si annunzia dalla Banca M. per il mio deposito vitalizio, che (dimenticai dirti) la Ban-

ca M. regolerà tutto in modo vantaggioso per me, sicché io non abbia danno fra la guerra e la pace = Amen! 3° «Poco m'importa di un pane che ho cosî poca voglia di mangiare ormai e solo m'interessa rivederti. Maria mia, e risanare l’anima mostrandoti quello che a me parve il vero e non era il vero di un altro cuore! — Amen! — «Dunque: = i Casale temono ritardando (loro) il loro arrivo al

Quintiliolo, tu non abbia pit la stessa possibilità di ospitarli = io ho risposto, che tu hai buona testa per tutti e che se tu non avessi potuto farlo — tu non avresti detto di farlo — Dunque, tu confermerai (scrivendo a Lucia) quali date sono per te buone, e quali no — Loro, i Casale, amerebbero venire dal

/5 20 Decembre a

tutto Marzo = va bene — o non va bene? — = Io, vorrei venire subito, ma, anch’io ho dei piccoli rospi in pentola, che raspano e sono rospi di veleno, e bisogna tenerli a freno, quindi femporeggio, e m’illudo che acquisto un po” di forza, perché quest'aria mi ha fatto gran bene e cosî sbarcherò meglio il prossimo inverno —

39 Dalla Banca Mendelsshon le fu poi liquidata la somma che prima della guerra lei aveva depositato in buone lire italiane, con marchi che ormai non valevano più nulla a causa dell’inflazione.

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«A Firenze, devo pur andare, e se potessi farmi accompagnare da Luisa fino a Roma (fine di novembre o primi di dicembre) andrebbe bene. «Ma per fissare questo, senza scaraventare te a venirmi in-

contro (ancora una fatica!) bisogna che io scriva a Luisa e senta se lei può — (credo di sf) cosî a volta di corriere ti saprò dire co-

me si svolgono le cose — Ma, già sapendo che vengo trovo più coraggio... e ho tanto bisogno di rivederti — ma bisogna saper aspettare! «= Ho avuto una gran botta al cuore dalla lettera forse, è colpa mia! — Se fossi rimasta (allora), sotto la del Santo, niente del male del Mondo mi avrebbe Niente! — Ma allontanata dalla sola luce di mia vita,

di G. ma, cara mano intaccata! io divenni

incapace di Leggere nei cuori altrui e ho subfto e fatto del male, senza volerlo!!4° «L'anima

mia non domanda

perdono che al Santo...

e a te,

Maria mia, raccomando questi ultimi giorni — e che la tua Luce mi guidi all'oblio! tua Eleonora» Il giorno seguente: «Maria mia — Spero, ma non sono certa di essermi ben spie-

gata ieri nella mia lunga raccomandata sull’ingranaggio delle rotelle che compongono il movimento del mio viaggio a Tivoli — «Dunque: 1° vorrei venire subito = ho il core grosso di rivederti! 2° non potrò viaggiare da sola — 3° non voglio che tu faccia un’altra sfaticata di venire a rimorchiarmi — 4° aspetto del danaro da Londra — 5° ho bisogno di fermarmi a Firenze almeno due giorni — ed è inutile tenere te lontana dalla tua casa quei giorni (oltre la fatica) mentre io devo fare il comodaccio mio a Firenze —

6° i Casale mi mettono proprio oggi una stufetta di terra in camera — partire mentre mettono la stufetta parrebbe scortesia —

40 Qui la Duse accenna ancora alla lettera scrittale da Giulietta la quale, dopo la scomparsa del marito Roberto Mendelsshon, dimostra un incredibile astio verso l’amica d’un tempo.

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7° i Casale vogliono venire anche loro a Tivoli — dunque dicono che viaggiare insieme semplificherebbe 8° Se resisto qui semplifico molte cose — e molte cose sono pendenti e incerte, che sono in sospeso, ma dirle tutte ci vogliono

9° pagine di lettere fra le altre: ho dato da tingere quel mio vestito di maglia viola - dovevano darmelo dal 15 e ancora lo aspetto! — e senza vestiti d’inverno non posso viaggiare! e: /0 decimo comandamento... Son tanto stanca di tutto! Che posso dirti di più e di meno? ...» E la sera dello stesso giorno (cartolina panoramica di Asolo): «T’ho scritto stamane una raccomandata — aspetto (aspettiamo) risposta — Ho il cuore grosso di rivederti Maria. Vorrei fosse oggi — e invece bisogna aspettare ancora! Scrivimi presto. Il 30 ottobre: «Maria

mia — Aspetto risposta alle mie lettere, ma

stamane

non mi ricordo quante sono — e tanto per controllare ti dico che mi paiono 2 — una raccomandata e una coi dieci comandamenti, dove ti dicevo, alla meglio, le cose che mi spingono (e quanto) a rivederti e riavere il tuo cuore e i dettagli che mi trattengono qua = Intanto = dunque, dopo la lettera dei /0 comandamenti viene questa: e in questa mia ti dico, che i Casale si scusano con te se io ho detto dal mezzo Dicembre a marzo ma che loro sarebbero felici poter venire almeno per un mese e dopo un mese loro penserebbero rifugiarsi presso un loro parente a Napoli. Essi, i Casale, temono molto di disturbarti troppo, e nello stesso tempo anelano a venire. Ma, in ogni modo, per reciproca convenienza dicono: cominciare con un mese e poi decidere essendo a Tivoli come sbarcare il resto del Lunario d'inverno. Spero che questa volta son stata chiara nel trasmetterti le loro idee — Tu, Maria

mia, ti prego di essere chiara anche te — (o luminosa Maria mia!) e di dire magari a loro direttamente o a me... «... per parte mia, ti dico e ripeto, che l’anima mia ha gran bisogno di ritrovarti perché mi sento come se avessi visto un volto di Medusa, un lato bieco e intricato dell’anima umana - e vorrei

rifarmi gli occhi e le labbra a un’acqua senza veleno — la tua — quella della 4a anima — ... Ho tanto bisogno di rivederti! Per ora non posso dirti di più!» 96

Il 31 ottobre (anniversario della morte di mio marito, di cui lei

sempre si ricordava mandandomi un pensiero) «Maria mia — Con oggi = il ritorno d'ottobre s’allontana dai giorni scritti, dai giorni vivi, e continuano

i giorni dell’anno,

quelli che viviamo — poiché ogni giorno, ogni attimo è un aniversario! Penso a te e spero e attendo che tu ti dislacci (sic) an-

che da questo, che è pur parte del tuo respiro! — Ma è bene che tu ricordi, che tu senta e sappia — // tuo passato è la tua forza — ...» Il 1° novembre: «Maria mia — Fino a ieri è stata la stagione dolcissima, stamane la neve ha coperto le alture, non solo quelle del Grappa — ma le più vicine — e il freddo è pungente, e la stagione dei Morti è nell’aria che si respira — Quando ti rivedrò? — I giorni scorsi col sole — ho fatto itinerari di pazienza e di solidarietà amicali coi Casale — ben volendo partire con loro — ma, loro, hanno tanti in-

teressi a restar qui... e — io, invece, non so come dirti — Ma, da qualche giorno sento un peso di piombo sul cuore per quella lettera di G. e non posso aver consolazione che parlandone con te — Qui, imprudentemente,

loro conoscendo

i miei amici d’un tem-

po, ho detto qualche cosa, che oggi mi dolgo di aver detto — Non si raccontano le anime — a te — io, non ho mai raccontato niente

ma, la tua luce vide dentro di me — invece, quel raccontare le parole, per me sposta disperatamente il valore delle cose e dopo parlato si accresce il disgusto delle cose vedute da altri occhi — ahimé! — tutto è errore — = Non mi ricordo se ti ho detto che il figlio (il figlio di Robi) mi ha scritto una lettera cosî cara, pregandomi di non soffrire per la durezza di sua madre — Quando ti vedrò?? Non so se avrò pazienza di restare ancora qui fino a Decembre — Ho il core che patisce e sento te sola vicina al core e vorrei rivederti! Eleonora»

Ils «Maria mia — il tuo espresso del 2 arriva oggi con la cartolina acclusa che ho consegnato a Lucia Casale — e ho letto a lei qualche brano della tua lettera. Essa ti ringrazia e ti scriverà ella stessa, cosf grata e quasi commossa del tuo buono accogliere — io pure, per lei, ti dico grazie e lascio a Lucia di scriverti e schiarirti la sua gratitudine e la sua giornaliera incertitudine di ogni suo proDi

getto — Ogni giorno questi cari “vendono o affittano” questa loro casa, e ogni giorno o nuove circostanze, o speranze — O progetti dilazionano le loro risoluzioni — cosî che, la miglior cosa da fare è aspettare che essi stessi decidano ciò che vogliono decidere — Stamane, per esempio, hanno ricevuto una domanda di due Signore Americane, e ora, dicono, che aspettano queste signore da Capri (!) perché lasciare la casa sola — con questi chiari di luna; non'sarebbero tranquilli:-ete-..etesrmetche

«Io, Maria mia, ho deciso di partire a/ più tardi: fra una settimana = Non sono ingrata ai Casale e riconosco di quante cortesie mi hanno colmata, ma, non ho più filo da torcere e col rigore della stagione, è bene che io me ne vada finché (la neve è sul Grappa) le gambe mi portano. «To, riconoscente a loro, e sicura della tua attiva e ardente anima, sono stata il trait d’unione fra loro e te, ma, ora, il mio cuo-

re ha bisogno di rivedere te e non posso dilazionare più oltre la decisione di partire. «D'altra parte, loro, amano

questo luogo, e si capisce il loro

combattimento interno a doverlo o vendere o affittare — e come ogni giorno si aggrappano a una qualunque speranza pure di serbare questo loro rifugio! — È giusto! — È umano e anche gentile di essere attaccati alla sua terra! — «Cara Maria mia, aspettati dunque un telegramma mio d’avviso da Firenze = o di ruffe o di raffe, io arriverò a Firenze — e di là ti telegraferò se per caso, qualche cosa impedisse Luisa — ma, credo di no — e cosf, portando Luisa con me, faremo un viaggio e due servizi — che Luisa ci tiene a venire da te, e cosî sarà contenta anche lei — E a voce il peso, grande, buio, velenoso, del core — non il mio, ma un altro cuore, che è buio e avvelenato - = Il mio? — come dirti? Mi pare che da quel lato là, non sente più nulla,

tanto il “veleno dell’argomento” mi pare fuori ragione — «Maria mia — Arrivederci fra il 10 e il 15 = non più oltre = cuore a te. Eleonora» LIO: «Maria mia Luminosa! — Questa nostra vita (di tutti) si può raccontarla in due parole, 0, ci vorrebbero infiniti volumi di pagine e pagine! = Ma, restiamo sulle due parole, come a un anello di vita, a un segno. 98

«Maria mia — Ho ricevuto ieri (sabato) il tuo telegramma ove mi dai corda (se necessario) fin dopo le elezioni... ohimé! — Il

vento della bufera lo si sente anche qui — e qualche volta, guardo come in un sogno questi miei due amici ospiti che possono dil/azionare il loro pensiero a parole!!! per delle ore sopra una infima necessità pratica!! — mentre, un tal vento spiffera, da tutte le parti! Mah! — Ognuno è un mondo a sé — Gran grazia, Maria mia luminosa, se alla tua luce io ti Discerno, e verso te mi oriento! =

Verrò dunque, ti ripeto — il più presto possibile = Ma, qual è questo possibile? = Ti ripeto, qui, soffia un vento di bufera (ma cal-

ma per ora) e chissà nei centri! In ogni modo, al Quintiliolo ripareremo! — Intanto sta a sentire. Ti dico le cose come sono senza esagerare, ma nello stesso tempo perché tu veda le mie resistenze-eileimiedforze =

«Dunque, ieri — ho avuto una noia — Una forte dose di sangue

dal naso *! — È niente — e nello stesso tempo, ha un po” turbato la mia resistenza, perché da molti giorni mi sentivo torbida di pensiero e di pesantezza alla testa — Non so se questa valvola di sangue dal naso, non ha forse, impedito altre coagulazioni noiose, ma il fatto sta, che, ora, anche per questo, bisogna aspettare qual-

che due o tre giorni di più per darmi tempo di non ripetere — «Ero uscita di casa (dopo una settimana di malessere morale)

ero uscita di casa a fare una visita a una vecchia Signora Inglese — e... voilà! — Allora, ho dovuto far chiamare la mia ospite, la

quale, ha insistito perché andassi a letto — mentre io avrei voluto un aereoplano per andar via al più presto! — Del resto, ieri, sono rimasta in riposo, senza far scale, e oggi mi sento bene — Dunque,

diciamo, che per giovedi di questa settimana (oggi è domenica dunque la settimana comincia domani) non si può viaggiare

per... politica!! 4 — Giovedî, forse invece, tu riceverai, o avrai già ricevuto questa mia — e 10, o ti telegraferò, o ti avrò mandato lettera che seguiti, che prosegua il nostro filo — e ci ritroveremo oa Romao a Firenze — Da Asolo a Venezia, m’accompagna uno dei due Casale — Da Venezia a Firenze — vagone letto, e non avrò bisogno di niente — Sta tranquilla — Intanto, questi miei ospiti,

4! Le capitava spesso quando qualcosa le dava pena o angoscia. 4 Poiché erano indette le elezioni per quel giorno.

DO,

oggi (!) parlano di “fondare” una scuola di merletti — Beh! — SI vedrà = Io ti presentai la loro domanda — Io, ho dato a loro, /a tua

risposta — Tutto Bene — e ognuno deciderà ciò che potrà = Io so che fra /0 giorni — diciamo il 20 Novembre — sarò in strada verso di te non so altro! Tua Eleonora «Oggi, domenica, l’ufficio telegrafico è chiuso — Ti telegraferò domani Lunedi, dicendoti di pazientare qualche giorno — la parola pazientare è per me!! » Il 10 telegrafa: «Grazie telegramma ricevuto ragionevole aspettare ancora pochi giorni — ieri spedito lettera — arrivederci presto scrivo sempre Eleonora»

Il giorno seguente: «Maria mia — non so se oggi avrò lettere tue — io /mposterò prima che la posta sia distribuita per non perdere la giornata — Del resto, siamo d'accordo sul trovarci al più presto possibile — il resto, sono dettagli che, o subiremo —

0 demoliremo — Intanto, teri

lunedî ti ho telegrafato d’urgenza, per dirti che acconsentivo per ragione di ragione a rallentare di qualche giorno — La mia idea di oggi sarebbe questa: Partire di qui il /5 = restare a Venezia fino al 20- e là studiare bene l’orario per studiare se fosse possibile, per me, evitare Firenze e mettermi in un vagone letto che mi portasse verso Roma — nel migliore dei modi possibile - = Qui non è possibile concludere itinerari, perché quando si lega il fagotto da una parte con un buon nodo, e tutto par “preveduto” con ammirabile “prudenza e previdenza ecco che salta fuori un impreveduto” e al domani bisogna rifare ogni progetto — Questo pensare troppo previdente mi stanca lo spirito in modo indicibile = Non è cosa conforme alla mia forma di mentalità, che fu abituata ad assumere sempre una responsabilità e non amo prevedere ogni cosa! — La Vita è già cosf amara! — Lo sapevo (in gioventi) che la vita è naufragio, ma, non mi sono mai, non mi sono

mai provveduta

d’infinite barche e barchette per rimediare a ogni cosa! = e ho sempre “calcolato” che “navigare era necessario” (secondo il detto notissimo) e che naufragare era condizione finale — «Dunque — Aspettati un telegramma da Venezia — Aspettati che io filerò più strada che potrò per venirti vicina = forse fino a 100

Pisa = per poi telegrafarti e farti venire a rimorchiarmi = Ma finché non ti telegrafo vieni, non ti muovere perché io spero uscirne dal rotto della cuffia — Sta tranquilla — “Una sola cosa è necessaria” disse Gesù a Marta —- Tua. Eleonora»

Lt: «Né questa penna, né questa carta e matita, niente mi aiuta a scuotere questo malessere dell’anima. E, qui, ormai mi è di peso restare — Ho tentato tante volte di tagliar corto e andarmene, ma ti dico, prudenza e previdenza, barche e barchette adatte ai nau-

fragi mi hanno rallentato la volontà. La discussione dei dettagli fa perdere il filo centrale!! «E ora, per le elezioni, fino a Lunedi che sarà il 17, non si parla di poter avere una vettura per rotolare al piano! — Intanto ieri sera, ho scritto a Luisa — Il mio piano sarebbe questo: Il 17 rotolare dal colle al piano, fino a Venezia — 17 notte arrivo — 18 e 19 restare a Venezia per cercare un vagone letto che mi porti dritto a Roma - e saltare Firenze — Ho orrore di fermarmi a Firenze,

ora — A Luisa, ho scritto di venire lei per 48 ore a Venezia. «Se Luisa dice di si, allora 10 ti telegrafo e da Venezia, d’ur-

genza, spero fare a tempo confermarti se ho vagone letto — allora, Luisa con lo stesso posto, scende a Firenze e forse tu potresti venirmi incontro a Firenze alla stazione e Luisa scendere dal vagone letto, e tu prendere il suo posto — Penso sempre a questa combinazione, che pare difficile, e non lo è, che pare facile, e non lo è, e a furia di barche e barchette di previdenza consumo la

mia forza! — In ogni modo — poiché è cosî complicato, anche per la mia salute, resistere a un lungo viaggio, non ti muovere se non te lo dico con certezza, perché guai a sperdersi!! — Dicono che

solo l'Hotel Danieli (sulla riva degli Schiavoni) è riscaldato a Venezia, e che il resto degli alberghi è impossibile — = Allora, andrò al Danieli (un Hétel di re spodestati!) = Cerco di reggere, d’aiutarmi, ma, ti ripeto, la corda è corta — mi sento in quello

stupido stato d’animo che mi ricorda una — una stampa fuori di moda, naive, e più sentimentale — La stampa è un paesaggio romantica, che guarda una gabbia vuota

vecchia stampa del 700 che ingenua, ma anche romantico, una ragazza e dice = “L'oiseau est

mort”, cui, cui, qualche cosa cantava nel mio cuore e ora, sento

che non canta più! — E non è già il mio amore e riconoscenza per 101

la stragrande bontà di Robi, che per tanti anni ha consolato la mia vita, non è quella profonda tenerezza che è morta che quella è parte di me, e vive inconscientemente in me, ma è la gioia di

poterlo dire! — = Una brutale lettera ha rotto l'incanto! = La porterò con me, e la leggeremo insieme — = «= Tu non me ne scrivere — e se ricevi posta per me (da De-

sirée o Enrichetta) conserva fino al mio arrivo — = Dopo il giorno 20, ogni ora sarà d'arrivo — «Aspetta un mio telegramma

Eleonora»

Da Venezia il 19 telegrafa: «Sono Hétel Monaco — telegraferò itinerario — aspetta telegramma — Sta tranquilla tutto bene - Eleonora» Arrivò a Roma da Venezia col vagone letto, e, insieme salim-

mo sul treno per Tivoli ove alla stazione trovammo la solita carrozzella per portarci a casa — Là trovammo la semplice ma festosa accoglienza di mia madre dal cuore tenero e pronta alla commozione, mia sorella e le due mie figliole anch’esse felici per l’arrivo della ineguagliabile amica nostra. Trascorsero cosî tranquillamente alcuni giorni, poi volle più d'una volta andare a Roma per trovarsi con persone che potesse-

ro darle qualche possibilità di lavoro poiché si sentiva spinta a tornare al teatro — Ma una delle sue gravi crisi d’asma la colpf dopo poche settimane dal suo arrivo e fu presa dalla febbre. Il medico giudicò che fosse febbre di malaria, forse presa nelle sue visite al Fronte. — Alla fine si riprese — Ma era ansiosa, inquieta.

Si sentiva qui isolata per ogni trattativa di lavoro. Era in pena per la sua roba lasciata in deposito a Firenze. Mentre lei riprendeva forza col sopravvenire della primavera e respirava l’aria salubre della campagna, io capivo che al Quintiliolo non trovava quella pace, quel bene che avevamo sperato. Il paesaggio non le dava quella distensione, quella dolcezza che le offriva il paesaggio toscano o quello veneto. Cercai allora di poter trovare a Roma una sistemazione, per lei e per la sua roba lasciata in abbandono a Firenze, offrendole la possibilità di vivere con le sue cose e di avere quei contatti che le erano necessari per il suo lavoro. Sembrava cosa impossibile da effettuare. Mi parve un miracolo trovarle una casa in quel dopo-guerra, con 102

tanta penuria di abitazioni, e la trovai in una zona centrale ma tranquilla. In una grande villa, con una scaletta indipendente, che, con uria sola rampa, portava al secondo piano a un appartamento di poche ma grandi stanze, circondata da un terreno alberato e con una vista magnifica su Roma dalle belle finestre a bifora che le davano un carattere austero. La villa, che era co-

struita sugli antichi orti sallustiani, quindi circondata da verde e silenzio — era semplice e signorile. Mi pareva che nulla di più adatto si potesse trovare per lei in quel momento. L’affitto, modesto allora, mi consentiva di assumerne l’onere e di offrirle quel

rifugio. Scrisse a Firenze per fare arrivare il suo mobilio lasciato là in deposito e che le dava ansietà d’insicurezza. Ne fui felice per lei e per la sua roba sistemata. Ma quando giunse il giorno di potervi andare ad abitare, al mattino, alzandomi, ricevetti a ma-

no da lei al Quintiliolo questa lettera: Da casa tua Quintiliolo Aprile (29) «Maria mia — Ti dicevo che Dovere dice al core partire e che il core risponde: mi dole — È ben vero — pure, l’incontro dell’anima tua di Luce, e della mia, deve aiutarci in ogni traversata di vita, e arrivare alla chiarezza, che solo le anime che vogliono ama-

re e comprendere, forse, possono raggiungere. Sento e non so dire come “vedo” la tua tenacia al bene, e la purezza, e la luce, che sempre viene da te! —

Da tanti giorni ritardo e dilaziono questa mia partenza, e tu, forse, senti che il rientrare a Roma è tutta una pena per me. Né te, né io, né la nostra pura amicizia, né l’ansietà che ne gui-

da di arrivare alla migliore comprensione delle anime che vivono in terra e in lotta, insomma, niente di noi può nulla contro questa corrente di pensiero, e di vita, che è — che è la vita stessa,

e reclama, a ognuno di noi di seguirla, di non trasgredirla —

«Nei giorni d’inverno che fui malata, qui, e che smarrendomi, ho temuto lasciare in mani estranee le poche cose amate, le carte, i pochi frantumi del naufragio della mia casa... e tu vedendomi in quell’affanno, ti sei fatta avanti, con quel coraggio che è la tua lealtà, e hai offerto, il cuore, la fede, la pazienza nella ricerca

del modo come giovarmi, e il danaro che fu necessario per farlo, e per darmi pace — 103

«Ma, ora, eccoci al dunque — al momento di entrare nella casa offerta — «Eccoci come tutti quelli che non muoiono nell’ora della estrema stanchezza, e poi, si ritrovano a dover riprendere la strada, e la salita —

«- Ora, se guardo a quei giorni Maria mia, io non vedo realizzate in niente le possibilità che allora erano in vista. «Niente è concluso intorno a me, anzi, le possibilità paiono e sono rimpicciolite, e nello sconquasso del mondo, io non armo-

nizzo con questo che per dividerne la difficoltà generale! — «Nel travaglio, siamo, tutti, di vivere ancora!

«Io, non lavoro, non produco, e non sento possibile, pur benedicendo le mani che mi tendono aiuto, non sento possibile una salvezza qualunque, se io stessa non la guadagno per me! — «Tu hai fatto piu che il possibile, più che una bella amicizia consente! io non ho fatto nulla per scuotere tanta disfatta — «= La sola cosa che ho sentito il dovere di fare fu di scrivere a Mrs M. a Paris, per pregarla di sospendere le lettere che tu

conosci 4 e la sola cosa che trovo urgente, di fronte a te, è di dirti questo mio stato d’animo, che si allarga ogni giorno come una conoscenza dell'anima che avverta l’anima, poiché dopo tanto e cosî lungo rifugio al Quintiliolo, non posso, né devo prendere posto in una casa a Roma che sarebbe un Lusso per me, e

per te— «Con quale sicurezza abiterei i0, una casa, in questi tempi, basata su che? — Vivente sul prezzo che tu sai (!) e che tu ancora mi offri?!? «Per quale incertezza, per quale contraddizione dell’anima in pena, tu, che hai saputo rifugiare le tue figliole alla campagna, per quale pena, ora, aggiungeresti oggi una spesa in città cosf grave? e in un ambiente cosî di lusso? — e cosî in evidenza? «Mi hai visto in pena, e hai voluto sottrarmene, ecco la ragione del cuore, ma non è quella che né te né io possiamo lasciare abbia presa su noi e — mentre l’anima ti dice grazie — il bene e la

Do; Era un’ammiratrice

americana,

ricchissima,

che avendo

saputo delle

difficoltà finanziarie della Duse, le aveva inviato alcuni assegni da Parigi dove passava l'inverno.

104

fede che ti ricambio, mi fanno scorgere che hai varcato un limite, che è nostro dovere rimettere, e subito, al suo posto —

«— Non è possibile nelle condizioni in cui sono che io possa ancora accettare un aiuto simile — «Lo stesso cuore che si dole di andar via da questa tua pace di campagna non può acconsentire a confermare uno squilibrio, che solo il core e la paura di soffrire mi ha fatto comporre e supporre possibile, mentre, in realtà, non può esserlo — «Cara — Maria mia — Io non so a che cosa devo ancora obbedire nella mia povera vita, ma, questo parmi d’intravedere nella pena presente: che io troverò la forza di soffrire meno andandomene di qua! « Se sento e realizzo che la mia volontà di lotta e di rassegnazione, si rialza, e se la sorte mi consente riparare al naufragio che

il mondo minaccia, bisognerà pure che anch'io faccia qualche cosa per meritare salvezza! — «= Cosî non mi salverei! — «— Il mio rifugio deve essere creato da me, nei limiti delle mie sole possibilità, e senza le complicazioni materiali (tante!) e

quelle spirituali (fante infinite!) che la casa e l’ambiente di Roma centuplicherebbero intorno a noi — « Nessuno è solo nel mondo, e ognuno di noi deve essere, non

passivo, ma responsabile — «Io stessa domando Pace, a queste annate d’angoscia che tutti noi traversiamo, ma la pace non è se mi corico, e mi lascio portare da te! — «L’umiltà di vita che intravedo mi sarà possibile non è nelle condizioni d'ambiente nel quale rischierei di trovarmi a Roma = Bisogna vedere il vero — Aiutami solo a comprendere ciò che è nel bene di tutti noi — «L’anima tua aspira alla luce, e in quella ti amo e domando che una minima parte me ne sia riservata e che io rimanga serena e degna — Eleonora «Parleremo a voce, alla meglio, core a core d’ogni dettaglio che è, parmi, ancora riparabile — = Se abbiamo sbagliato, ripareremo



Sulla busta: «A Maria Mia — 29 aprile 1920»

Dopo la lettera scrittami a casa, a Tivoli, andammo a Roma. Lei stessa vide che quella casa di Roma poteva essere un possi1bile accomodamento per il momento. Ma io troppo bene mi ero resa conto del mio errore e della mia illusione. Avevo perduto ormai la mia fiducia di poterle essere d’aiuto — Ormai era cosa finita per me. Lei, qualche giorno dopo, da Roma, riparti per Firenze ed io me ne tornai tra i miei ulivi al Quintiliolo.

Avevo perduto fiducia, non in lei, ma in me stessa e in quella forza disinteressata di bene che avevo sentita dirigere le mie azioni e darmi aiuto. Mi aveva scritto una volta, in una bella let-

tera ai primi tempi del nostro incontro: «Diciamo sf alla sorte che forma la vita». Non potevo io mutare quello che era nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti spontanei. Con tutto il cuore avevo cercato di aiutarla a rimediare il rimediabile, ma io avevo una mia logica, ero pronta in ogni modo

all’offerta, ma lei era insofferente di ogni aiuto. La sua lettera m’aveva aperto gli occhi alla sua verità, che era al di sopra di ogni logica, nella sfera del suo grande destino. Ecco un telegramma da Firenze del 18 maggio: «Banca spedisce oggi Firenze, aspetto per rispedire ho fede un giorno comprenderai era necessario fare ciò che feci — Saluto dal cuore Eleonora». Si trattava del danaro della vendita delle perle e lei voleva usarlo per rimborsarmi di quanto avevo speso. Non ve ne sarebbe stata necessità alcuna per me, ma per lei era intollerabile ogni dilazione. Fa seguito una lettera del 19: «Maria mia, non è lontananza quella che mi grava sul cuore, ma il come tu la interpreterai! non è il sentirmi sola, ma è il sen-

tirmi sola perché voglio rendere Luminosa, e non avvelenata dalle cose di vita ordinaria un’amicizia bella, e purissima come la

nostra. Ma sono partita, assai depressa — Ho sperato che in te, il vedermi raddrizzare sulle gambe, dopo tanto abbandono delle mie forze, ho sperato, che tu avresti sentito lo sforzo (immane

talvolta) che il ricostruire questa frantumata vista (moralmente e materialmente)

ho sperato, dico, che il vedermi

riprendere

la

strada e lotta, da sola, avrebbe avuto accoglienza d’animo comprensiva da te! — ma, questo buon riconoscimento, non ho ancora sentito in te. 106

«Cara, non bisogna amare solo perché uno soffre, perché è s0lo, perché èpovero, perché è malato e cerca casa d'affitto, ma bisogna amarlo appunto perché anche lui, vuole entrare nella zona di gioia, che è quella che sorpassa la solitudine, la povertà, la malattia, e grazie a Dio, sorpasserà anche la morte = questa è la gioia che spero dal tuo spirito — Finora, invece, ti ho visto sf, è vero, dolente del mio partire, ma non del come e perché ahimé! — partivo — e con quanto dolore ti ho parlato = ora ho il core stanco Eleonora» Contemporaneamente giunse una lettera a mia madre: «Cara Signora Margherita — Passano le ore buone! — e furono quelle del Quintiliolo! — Ma, passeranno anche queste, che sono quelle della lontananza — La lontananza, in amore, è il peggiore dei mali! — Ma, io spero / ho fede / che Lei — e Ida — e Maria — sapete, di quanto bene tenace, e leale è composto questo mio amore per la vostra casa! e quanta riconoscenza! Ogni bene, e ogni ricordo — sempre Sua Eleonora Duse. «Auguri alle due sorelle: Pierina e Luisa — Ho con me le roselline di Luisa — » Il 21 maggio: «Maria mia, Siamo a venerdi 21 — al mattino, ore 7 — e anco-

ra non ho ricevuto il vaglia annunziatomi l'indomani del mio arrivo dicente: “Banca spedisce oggi vaglia, scrivo...’ = aspetto la posta! = «Sono andata in cerca della C.ssa Rucellai — È stata quanto mai buona e gentile = Ancora un po’ di passato” che aiuta 1/ presente — S'è ricordata quando

siamo

andate

a Asolo, insieme,

quando lei era “ragazza”, prima del suo matrimonio e come cercammo, allora, casa = Essa ne ha due in Asolo, e ha telegrafato subito, al suo amministratore, per regolare che una delle due sia

per me. Del resto (la più piccola), quella che piacerebbe a me, è vero che è affittata, ma solo fino a Giugno = è vero che un Si-

gnore Inglese la vuole per lui, ma da 4 anni egli è assente, e non paga l’affitto, ora essa (la C.ssa Rucellai), pensa che io potrò

avere o l’una o l’altra casa — «Cosî sono costretta a restare qui ancora 24 ore per vedere di sciogliere e legare qualche cosa — Cosî, arrivederci a Asolo con 107

qualche cosa di fatto, senza pesare sui Casale — = Mi scuoto e cerco di aiutare me stessa = È il primo dei doveri — Ho visto Ciani Lo aspetto adesso, stamane, per fare anch’io la denunzia di ciò che ho e non ho, avendo io, legalmente, domicilio a Firenze... infine — noie! — ma bisogna farle — Te ne parlo, solo perché tu veda che non dormo - e se non ti scrivo di cose dell’anima, è

perché ho da fare, con i domicili del corpo e con gli avvocati — «Spero che la mia lettera dell’altro giorno ti avrà fatto bene al cuore, perché col cuore ti ho parlato — Da te non ho ricevuto, finora: niente e avanti!! Eleonora «La Rucellai, ha perduto un figlio di 20 anni in guerra = non piange (dice), ma dice, che, anche lei, ha dato e avuto il suo martirio. La guardavo, ieri, mentre lei parlava. Quel suo viso fresco

di giovinetta, è, ora, sotto al suo viso di oggi, appesantito e pallido. Quel viso di bambina che ella aveva 25 o 30 anni fa = e come rideva, lei, allora! — Ora, eccola, anche lei, consolata all’idea

che un giorno, anche lei troverà pace! = Cosî sia! — È stata, ti ripeto, quanto mai gentile e accogliente — e abbiamo ricordato il passato pensando a Asolo per il domani! —» Il 22 maggio telegrafa: «Ricevo e rispedisco, spero poter partire martedî — Scrissi due mandami una parola Eleonora» Lo stesso giorno: «Stamane ho ricevuto da Milano e subito ti ho telegrafato ed ecco che spedisco... «La tua lettera mi ha consolato — perché, mi son sentita spersa e dolente senza di te — Il caldo mi fa star male, e ho una stan-

za senz’aria. L'orizzonte del Quintiliolo rende piccolo ogni paesaggio, e una finestra bella è rara cosa, come un’anima in pace! «Vorrei scriverti di tutti i dettagli, ma non posso scrivere — per oggi — voglio subito non perdere l’ora della posta e fare la spedizione — «Domattina, appena sveglia, son più riposata e ti scriverò di noi due. Il resto si aggiusterà — La Rucellai pare che voglia agire sul serio con l’Inglese che tiene la casina senza scale e non paga l'affitto — e se tutto va bene, allora, te lo dirò — Baciami Luisella e Pierina, e Mamma e Ida — Son stata stupida con Giovanna, alla quale scriverò appena snebbiata da questa fatica che sento — 108

«Il Dentista, mi fa sentire i nervi — e l’oculista anche lui — «Maria mia — m’hai scritto una buona lettera, e ora mi sento

meglio — TI dico grazie d’ogni bene ricevuto da te, dal Quinti-

liolo e amandoti vado avanti. Aspetta mie lettere. Tua

Eleo-

nora»

«Spero partir martedî — ma non sono certa — Bacioti con tutto il cuore sempre, per te tua Eleonora» Espresso del 23 maggio (indirizzato a Piazza Sallustio 19, Roma Villa Maccari) da Firenze, Hòtel Italia.

«Siamo già al 23! — Ma qualche cosa si è concluso? — forse — Vorrei liberarti al più presto della noiosa e faticosa spedizione e imballaggio della roba — (che affare!!) non finisce mai!! ma non potrò partire che, o domani sera, o martedî mattina — Qui, mi sono stancata, fra il caldo, e le cose noiose — Dunque — con la Rucellai (è tornata anche ieri) siamo rimaste cosf: che io vado alla

villetta della sua Mamma che si chiama Le Mura — è una casetta piccola, coperta d’edera all’entrata del villaggio dove c’è la fontana — te ne ricordi?? = Cosî non si deve traversare tutto Asolo per arrivarci — (è comodo anche per il furgone) — (i Casale, se ti ricordi stanno dopo il traversar Asolo) — questa invece è appena al principio delle case d’entrata = Lei, mette questa casina a mia disposizione per tutta l’estate — e non vuole pagamenti e intanto scrive a New York per persuadere questo Inglese americano che ha da 4 anni l’altra casina, quella che piace a me (e non manda il prezzo d’affitto) a cederla alla Rucellai che ne è la padrona e la Rucellai dice che allora tratterò il prezzo con il suo uomo d’affari — Il quale si chiama avv. Sebastiano Galanti —- = Le ho chiesto se potevo scaraventare addosso a questo Galanti il mio furgone di roba rotta, lei dice che crede di sî, ma che è meglio domandare a lui personalmente — Dunque: io ti telegraferò da Asolo confermandoti il nome del nuovo omo d’affari (perché io ora a Cantoni non oso più chiedergli niente se non combino con lui nienLES)

«... Io, cerco darmi forza interessandomi a questo ricostruire perché la giornata passa con meno angoscia se ci s’illude d’obbedire a una legge. Il vedere te costruire, al Quintiliolo mi dava rimorso sempre

maggiore della mia inerzia intorno alla tua energia, e, ora, vorrei ricostruire coi miei frantumi un angolo di casetta, rionorando le 109

cose offese, le cose povere della cucina che furono tutte abbandonate. «La tua lettera (la prima), che ricevetti dopo averti spedito il vaglia (lo riceverai?) mi ha consolata — Ne avevo bisogno — Niente giova, Maria mia, se non imparare = La prova è appunto questa apparente lontananza tra te e me, che rafforzerà l'amicizia purissima e bella — = T'aspetto a Asolo con animo risanato — e vedi tu pure, che lotto, pur di meritare il bene sommo che è la vera amistà! Tua Eleonora» Alla stessa data: «Stamane spedito espresso Roma Sallustio contenente nome cognome agente affari Rucellai ad Asolo giovedî sarò Asolo — Telegraferotti se agente accetta allora spedirai entro settimana —»

Il 28 maggio: «Improvvise difficoltà occorrono tre giorni prima di confermare spedizione Eleonora» Asolo 29: «Saluto di cuore confermoti indirizzo Avvocato Sebastiano Galanti come scrissi nella lettera — Tutto bene mi ricordo di te e

aspettoti qui

Eleonora»

IS4: «Indirizza al primo destinatario Ing. Cantoni Castelfranco Veneto per Asolo — Necessario Gondrand sappia Asolo staccato da ferrovia domandare se ha rappresentanze seguenti fino Asolo Eleonora»

Il 3 giugno: «Maria mia, Asolo è in festa — (Corpus Domini), i canti della Chiesa accanto, arrivano fin qui! — È bello — e dolce al cuore! —

Ti scrivo due parole sole, perché non ho ancora eliminato la stanchezza del viaggio — e tutto quello che ho trovato qui... è troppo e troppo lungo da scrivere, non posso, Maria mia — Ti ho telegrafato solo le cose materiali. Dunque: Ingegnere Cantoni (non più l’avv. S.G.), il resto, ne parleremo! Questo solo voglio dirti: parliamone fa di venir presto Maria mia — Non mi par giusto di 110

aspettare due mesi per rivederti! Vedi, una volta che avrai scaraventato la roba nel furgone, se puoi prendi il treno di notte e arriva qui sid pure per poche ore! — L’anima riconoscerà, subito, che è quello che dovevamo fare — Parliamone! = Se puoi vieni! Sono certa che potrai, verrai. Non so dirti altro per la gran stanchezza che sento! — Il mio indirizzo qui, è all’entrata del villaggio = La casa si chiama “Le Mura” è la vecchia casa Rucellai, è come ognuno di noi: piena di difetti e piena di qualità. Maria! che stanchezza fisica! ma, moralmente, spero che tu senti che sono con te — Vieni se puoi!! El.» Il 4 giugno telegrafa: «Domani riceverai espresso al quale spero tuo consenso. Ti aspetto qui... Eleonora» Ma lo stesso giorno arriva la disdetta: «Circostanze complicate. Se finora non han spedito pregoti sospendere spedizione aspettando una settimana Duse» Il 15 giugno: «Maria mia — non voglio parlarti che delle cose usibili materiali, perché ho troppo il core grosso per parlarti d’altro, e non saprei, e mi ci vorrebbero pagine e pagine. «Concludo dicendoti 1) Vorrei tanto rivederti — e non so altro

— Ogni giorno aspettato, muoiono parole e fatti che hanno il loro valore, non perché passano ma perché esistono. 2) Dunque — capisco tutte le circostanze tue — e verrai quando potrai! — 3) ma vieni perché questa estate sarà assai inquieta, e assai lunga! — Intanto l’estate vera non è ancora venuta — Da 15 giorni, qui, pioggia, pioggia e pioggia — e niente che pioggia, e pensieri tristi — 4) Non ho concluso niente per Asolo = 5) Tutto pareva fattibile — poi (troppo lungo raccontare), tutto s'è disfatto. 5) Sono sul ramo e non ho, per il momento, che un camerone dove metterò la roba... (nell’antica casa che avevo affittata dal

Cantoni, che è assente per sopra mercato!) 7) e sono senza casa daccapo — 111

8) Inutile parlarne — 9) Dovrò lasciare casa Rucellai, perché malsana, per cabinet-

ti e insetti. 10) Andrò cercare, se trovo, un alloggio a Padova. A questa conclusione

siamo arrivate, parlandone tutta la santa (stupida),

giornata, e sballottate da mille cose (io e Desirée) e con una quasi insurrezione degli Arditi in paese — (cioè a Treviso e Castelfranco)

«Attendo angosciosamente la roba, per illudermi di metterla in salvo — quando avrò fatto questo, se non trovo proprio più niente a Asolo — andremo a Padova — dove vi è una tradizione di cultura — Università — Libri — Giotto e la Chiesa del Santo — Forse questo simbolo aiuterà! «Se ti telegraferò da Padova sarò all’ H6tel Fanti Stella d'Italia Piazza Garibaldi — E si vedrà! = Se tu vieni, forse, le cose si

sciolgono alla luce dello spirito tuo, che intravede sempre il Bene — «Sono mortificata per quella enorme Lista, che m’hai mandata. È fatta o da /da o da Pierina — cosî mi pare la calligrafia — Ahimé! ancora ho pesato su voi tutte!! Ma Dio provvederà! — Ti aspetto — non so dirti altro — la pioggia, il freddo, l'umidità calda, mi fanno star poco bene — 7î aspetto — non so dirti altro — El.» Il 21 giugno telegrafa: «Spero auguro Luisella ristabilita, prego darmene notizie. Ieri arrivato e ripartito furgone. Aspetto qui vagone rimediando le cose alla meglio, secondo possibilità del momento. Saluto di cuore prego scrivermi Eleonora» E il 22 sera scriveva: «... Ecco, è arrivato ora il Vagone. Ora sarà finita con tante cose materiali che ti sono pesate addosso! Ti prego scusarmene e perdonarmene. «Domattina ti telegraferò, perché stassera non è possibile = Qui per la casa ancora niente. Non mi è possibile di parlartene — tanto mi è di peso il sopportare un tale stato di cose! Domani ritorna Cantoni — e forse, con lui troverò qualche cosa. Spero in

una offerta che ebbi ieri — e lo saprò fra 15 giorni. Non ho cuore IRE

di scriverti — Ho il core stracco, e tutto rivolto verso di te, spe-

rando che tu leggi dentro. A Padova non vado. Ho una immensa stanchezza!»

23: «Arrivato vagone perdonami le tante noie e fatiche — Ringrazio chi ha scritto la lunga lista. Pregoti darmi notizie Luisella — Vicina sempre Eleonora» ME 5: «Maria mia — non ti so, scrivere le cose e i pensieri, e ti accludo questa cartolina, che trovo nel mio buverd, che è /a casa

del Santo — e che volevo mandarti da Padova, e non ti mandai =

Ciò che tu dici è sempre vero, ciò che tu pensi è sempre giusto, ma, chiedendoti (qualche giorno fa) di venire a Padova, ben mi ricordo, nel core, non era per chiederti aiuto di ricerche materia-

li (che io stessa a Padova non conosco gente di questo modo) ma era solo per rimanere in silenzio e in pace alla casa del Santo, cercando la pace interiore, e i pensieri che vedono il passato, presente e futuro, e non per affaticarti, cara Maria mia, con nuove ricerche! = Questo soltanto rispondo alla tua cara lettera, e, ora aspetto notizie di Luisella. Qui, niente ancora di deciso. Ho due

possibilità però in vista, ma troppo lungo il raccontarti l’intreccio delle circostanze e come ti dissi, l'avvocato Galanti (mala-

to), e l'ingegnere Cantoni, assente (bandiere bianche, per le strade) tutto questo ha ritardato, incagliato ogni ricerca. Del resto sono stata cosî depressa di forze, che poco ho potuto fare anch’io “e, chi fa da sé fa per tre” (dice la tua nonna). «Per il momento Desirée e io siamo rifugiate al Sole! a quel piccolo alberghetto dove scendemmo

insieme

(ti ricordi?) le

stesse stanze — e fra una settimana saprò cosa fare. I frantumi del-

la mia roba 4 sono tutti ammassati in un camerone e ieri, guardando quello sfacelo, non riconoscevo più niente = Ma, ho visto,

44 La Duse aveva subito un furto a Firenze, in via della Robbia, se ben ricordo, nell’estate del ‘19,e, oltre ciò che era stato asportato molte cose erano state danneggiate. 113

nell’armadio (fracassato) la custodia del quadro del Santo

e

questo basta. Ho visto assai poco e raramente, i due Casale, che hanno molto da fare, per il loro laboratorio. Ho fatto venire dei Libri dal libraio di Firenze, e fra tutti i Libri, sono pochi, e sem-

pre quelli che si rileggono. = Tu hai qualche Libro di via Gregoriana 4° da propormi? Tristezza dell’estate, cara, Maria mia — il

core ti ricorda e ti saluta.

El.

«Quanta fatica materiale ti ho costato! che l’anima te ne libe-

ri e te ne compensi! Saluto di nuovo! «Quell’omone di Rosadi, visto che io non gli scrivevo più, ha scritto lui a Enrichetta domandandogli mie notizie. Ecco un daltro che mi crede ingrata — e non la sono».

Lettera senza data, con disegno di pecorelle (il timbro postale è del 28 giugno): «Maria mia, cosî vorrei correre per cercare tue notizie. Chissà se la posta di oggi mi porterà tue lettere. Ma, non vorrei più parlarti di mobili e di nodi! Ti dico solo che col ritorno dell’Ing. Cantoni, mi sono rimessa in circolazione e fra qualche giorno avrò la decisione della casa. E di te? — Tu, che sei a posto, non

hai un’ora di raccoglimento... «Ora si va avanti — Sono contenta che Luisella sta bene — Dammi notizie di te. El.» Il 29 giugno: «Eccolo per finire questo triste mese di Giugno! Intanto domani si potrà tornare alla casa Rucellai, che abbiamo dovuto lasciare, questi giorni, perché vi era un guasto (essenziale a una casa), un guasto “alla fogna” — e abbiamo dovuto rifugiarci all’alberghetto per dar tempo e modo ai muratori di sopprimere il male. Domattina torniamo alla casa, che è quieta e che fu offerta con

tanta simpatia umana...

4 Quella custodia che lei gelosamente si portava anche all’estero, ma che nessuno sapeva cosa contenesse. Qui è rivelato che conteneva il ritratto di Boito. 53) Qui allude alla Società Teosofica che aveva sede in via Gregoriana 7 e che lei aveva frequentato sporadicamente. 114

«Ho il core stretto, Maria mia, e non so scriverti di cose di

pensiero. Rimpiango di non poter parlartene — ma, ogni esistenza, è un mOndo a sé — Saluto di cuore El.» Il 2 luglio: «Maria mia — conto 1 giorni di rivederti = Dunque: dal /0 in poi, conterò le possibilità dei freni in arrivo, e non più dei giorni — cosî va bene — = Ho fame e sete di rivedere Venezia! e finché ti aspetto, e finché finiscono i Lavori... in casa Rucellai — Vado a

Venezia = Ieri è stato qui il Dotftorino dei matti, quello che venne a Tivoli — abbiamo parlato di te — e questo mi è piaciuto tanto — Vado a Venezia, non con lui, ma dove lo troverò (è ripartito sta-

mane) per aiutarmi a cercare Hòtel—

credo troverò posto al Bri-

tannia (se non al Monaco). Desirée, s'intende, viaggia con me —

«Ti aspetto — Vado a S. Marco» Da Venezia il 6 luglio: «Aspettoti Hòtel Britannia essendo Asolo troppo caldo proseguiremo dopo Briga Trentino per aria salubre. Spero acconsentiral».

Non potei raggiungerla a Venezia perché stavo per partire per la Francia dove dovevo accompagnare mia figlia Pierina per un soggiorno estivo.

Da Trento il 23: «Troppo caldo, troppa tosse — rinuncio Merano — Domani ritorneremo fermandoci Levico Grand Hotel — Nostalgia rivederti». Da Levico il 28 luglio: «Maria mia, ricevo stamane la tua lettera — Dunque sei ancora a Carzeto — Indirizzo dunque a Carzeto — Se sei partita, Ida farà seguire — Spero che resterai in Francia i/ più possibile, qualche settimana, e cosf orientarti, e stare con te. Quando sarai di ri-

torno me lo farai L’aria è eccellente gna aspettare tutto casa mia non sarà

sapere — Io non so quanti giorni resterò qui. — Asolo, in questi giorni è un forno — e bisoAgosto — poi, rientrerò a casa Rucellai... e la disponibile che il 20 ottobre = Quanti fagotti 115

la vita! — Son stata poco bene. Il raffreddore è diventato il solito raffreddorone, e ho dovuto interrompere il viaggio, perché oltre 6 ore di ferrovia, non avevo resistenza fisica per sopportarle. Ma è stato un bene! Una cosa buona tanto è arrivata! — La sera che io partivo da Venezia, arrivava a Venezia la figlia di Robi = Eleonora M. = che veniva a cercarmi a Asolo — Pensa la mia gioia a rivederla! — Come se il core me lo dicesse, che qualcuno mi cercava, mi sono fermata a Levico, invece che andare più in là! E la

cara figliola, non aveva che poche ore per sé — perché doveva raggiungere suo marito (s’é maritata da un anno) e giusto ieri fu l’anniversario — e per quel giorno, essa, che era in visita dalla S7gnora Madre a Firenze, fu accompagnata alla stazione di Firenze, dalla madre, per raggiungere il marito in Svizzera. Aveva dunque (Eleonora), il biglietto per Firenze-Milano, ma il fratello (Francesco), l'aveva provveduta di nascosto alla madre, di un se-

condo biglietto: Firenze-Bologna-Venezia, e diede lui le istruzioni a Eleonora, dicendole, fino a Bologna, resta qui in questo treno, poi, a Bologna, cambia, e va a Venezia invece che a Milano.

E cost i due fratelli d’accordo, si misero alla mia ricerca. E cosi fu. Solamente che, non avendo certezza che io fossi ancora a Asolo, essa, non telegrafò, e allora, essa, arrivò la stessa sera del-

la mia partenza... io mi son sentita poco bene, e mi son fermata a mezza strada, e non so perché (un’inquietudine che m’impediva di andare più in là) telegrafai al Britannia, il mio fermarmi a Levico (non so perché poi!) e cosî potei ancora ritrovare Eleonora che era scesa al Britannia a cercarmi. Essa, non ha potuto fer-

marsi che poche ore, una notte, dalle 11 di sera alle 11 di mattina! Ma che gioia! che gioia! che gioia! — Abbiamo parlato di tutto — e tutto sarà bene, e nessuna ombra è nel cuore dei figli! anzi, al contrario!!

«Intanto la cara Eleonora, è ripartita subito per essere alla scadenza dell’anniversario di matrimonio col marito a Bellinzona, e telegrafare alla madre che era bene arrivata, e al fratello (rimasto con la madre), una parola convenzionale per dirgli che mi aveva trovata. La cara piccola ha viaggiato in terza classe... pensa... perché essendosi maritata minorenne e contro la scelta della madre, la madre, non le ha dato un soldo di dote. Il marito,

è un giovane artista pianista, che sperano, farà grande carriera... Avrei tante, tante cose a raccontarti, ma scrivere non posso per116

ché ho la tosse, ma ho l’anima in un balsamo! cara, cara Maria MIQMMNSEl:

«Mio irfdirizzo stabile è sempre Asolo». Il 12 agosto inviò una lettera a mia madre a Carzeto, poiché io mi trovavo ancora in viaggio in Francia. Dal Parc Hitel Faloria di Cortina d’ Ampezzo. «Cara Signora Margherita — questo saluto, che è anche un augurio di bene, le arriverà, mentre Lei (e noi tutti) aspettiamo il ri-

torno di Maria — Ogni augurio di bene, sempre, e la speranza di ritrovarci un giorno, con lo stesso cuore fedele, e con la stessa

speranza di vita. Se lei può mi faccia sapere, cara Signora Margherita, che il mio saluto lei lo accoglie, e lo accoglie con quella sua placata bontà, che è la sua forza, e che io rispetto e ammiro. MI dia lei, notizie di casa — e nel dire casa, dico casa Giambru-

ni e casa Osti. Ho mandato un piccolo telegramma a Maria al suo Lyceum, e spero lo avrà ricevuto. Ma aspettiamo ora il ritorno, e di cuore

saluto, Tutti,

e Lei cara e buona

signora Margherita.

Eleonora Duse» Quindi, sempre da Cortina, il 16 agosto, scriveva di nuovo a

mia madre una cartolina illustrata con la piazza del mercato di Asolo: «Cara Signora Margherita, Grazie della buona attesa; Maria

le ritornerà per amore e per fede.

E. Duse»

Al mio ritorno a Carzeto trovavo questa breve lettera inviatami il 22 agosto, sempre da Cortina: «Maria mia, sei tornata? — Scrivimi a Asolo — rientro domani

— Son rimasta queste giornate in montagna per rinforzarmi un po’ — Ora, rientro. Ho molte cose da dirti, ma oggi scrivere non so. Da Asolo — te ne parlerò — Maria mia — Sei tornata? Il core è sempre con te». Da Venezia il 26 settembre: «Maria mia, sono venuta a Venezia per una quantità di circostanze complicate (che per lettera non ho pazienza di dirti) e perché speravo riuscire a fare una corsa io a Parma — e ora, ti scrivo, perché vedo che non posso... per tante circostanze e una, 117

l’odio dei treni, dove ho viaggiato bestialmente anche da Castelfranco a Venezia. E tu stai per rientrare a Roma! I miei progetti di lavoro mi portano a Milano, a Torino, e a quando mai un po” di pace?!

«Marco Praga” arriverà qui domani, o dopo domani, e se lui viene (forse con Talli) e io vado a Parma proprio in quel giorno?? — «A Asolo dovetti telegrafarti di ritardare, perché i Rucellai sempre assenti da anni, si annunziano proprio fra il 15 e 20 — Ecco le cose di vita! — Maria mia — cosî fosse che si potesse affrontare la nuova annata con mentalità liberata cosi fosse! — Mi duole della mamma di Francesca — mi duole di te di non vederti — È appunto perché tu dici che în questi giorni non puoi muoverti che volevo venire io... ma — anche io son come una corrente d’aria, e se decido di Lavorare, ne tremo — e se decido di non La-

vorare, ne muoio d’inerzia! — e se potessi parlarti, solo questo mi consolerebbe! Tua El.» «Giornate di vera ansietà! — Ti penso e ti parlo col pensiero — El.»

Da Firenze il 1° Novembre: «Cara Maria mia, la forza delle cose: e io te ne scrivo perché le cose intorno a noi si svolgono dominate, in gran parte da questa necessità. «La casa di Asolo: essa rimane rifugio e speranza, ma, per questi tre mesi d’inverno (che cominciano proprio oggi) non m’è possibile abitarla.

Il freddo, 1’ Umidità,

il tetto da riparare, la

pioggia allaga le stanze, le stufe, la legna (che quelle che ho a carbone là, non vanno), e la mancanza d'’operai di qualsiasi genere, dal facchino che non vuole, al Legnaiolo che non accetta. Breve = Ho fatto chiudere la casona, tutto ragranellato (ho dato

ordine al Cantoni di ricevere e ritirare il mobile che tu gli manderai) e per ora, sono alla ricerca di un po’ di sole, perché la tosse mi ha ripresa.

l 47 Marco Praga, il commediografo di cui la Duse, durante i suoi ultimi an-

ni, recitò La porta chiusa. Credo ci fosse in lei la speranza che Praga le dedicasse un altro dramma.

118

«I progetti di Lavoro, sono, come ogni cosa: metà apparenza, metà realtà! io sola posso misurare e vagliare fra luna e l’altra metà, e per questi tre mesi d'inverno, credo, ho fatto bene a non mettere firme a nessuna proposta. Ne ho di buone e di sballate,

— e quel tanto di buono che è nel Lavoro, lo valuto e su quella possibilità cerco di pazientare ancora! «Non ho potuto scriverti prima d’oggi, perché... 1 gatti, gattini, tigri e conigli furono molti da pelare... e non ho forza di fare due cose in una volta. «Ora, viene il più difficile. «In questa crisi d’alloggi, tutti i ‘“gazti, gattini, tigri e conigli”

dicono (a modo loro), che a Napoli la crisi alloggi HÒtel, è meno gravosa che altrove. «Il mio bravo Dottore, che mi vede ripresa dalla tosse, mi consiglia, anche lui, di andare al sole — (il Dottore “è a parte”, non

fra tigri e conigli!!) «Firenze, è piena di vento, e i ricordi di pene passate, qui mi cascano addosso come foglie morte... e cerco di scansarmi quanto più posso... «Nel dubbio di tutto, ti scrivo di questo e non ti telegrafo, che,

forse, viaggerò con questa lettera (se mi decido a scaforchiarmi di qui), e forse resterò qui, chissà ancora quanto aspettando un colpo di vento alle mie vele!! — «Non so niente, ecco la gran parola! — So solamente che ti voglio bene con tutto il mio cuore, che ti ho chiamata, in ispirito, te-

stimone in cor mio, del come le cose che mi attorniano si svolgono intorno a me, e che nelle ore di sconforto e melanconia,

ho

pensato a te, come a una buona forza della natura! — Il resto è vanità. Il resto... è vanità!!!... tua El» Il 6 novembre: «Cara Maria mia, La forza delle cose: Partenza era fissata per

l’altra notte alle 12 = alle // mi sono sentita assai poco bene, — tosse, e sangue dal naso — e sono stata costretta a rimanere. Son rimasta ancora una giornata (il 4) in osservazione di me stessa, e ieri (5) non sentendomi in gamba ho chiamato il Dottore — Dice trattarsi di un po’ di bronchite, e crede che ne uscirò fra qualche

giorno. E cosî sia! 119

«Teri fu di passaggio qui il caro dott. Ravà di Bologna, che, mi ha rimontata un po’, dicendomi che tornerà a Firenze fra una settimana per accompagnarmi, lui, a Napoli. «Ti scrivo di questo, non già perché ne sia turbata, no, niente (mi è cosî indifferente essere qui o altrove!), ma solo per darti un segno di vita e perché ho ricevuto la tua diretta a Asolo. Spero che tu abbia ricevuto il lungo espresso che ti ho spedito due o tre giorni fa credendo di partire. Là, ti spiegavo meglio le circostanze. Oggi, non mi sento di scrivere più a lungo, perché la testa mi dole, e ho un po’ di febbre. È la solita entratura dell’in-

verno — ma non è niente — passerà anche questa.

«Ti voglio bene e ti penso con affezione». Il 18 novembre: «Cara Maria mia — Sono ancora qua, perché ho ancora un po” di (lieve) temperatura, e tosse, e aspetto a volo il dott. Ravà per viaggiare (non importa con che treno), pur di viaggiare con qualcuno che tiene testa alle cose. Rinunzio a viaggiare col vagone letto, perché impossibile saperlo a tempo. Da due giorni esco di nuovo ed è sempre la stessa storia. «Spero che hai ricevuto la mia lunga épître, dove ti dicevo che la forza delle cose aveva reso impossibile rimanere ora, alla casa di Asolo per mancanza di stufe, e operai adatti al rafazonamento della casa. Dalla tua piccola lettera non rilevo se hai ricevuto questa, ma, non importa, te lo dico solo perché scrivere due volte, non mi riesce. Spero che stai bene, che la casa va bene, e

set in Luce — il resto... la “forza delle cose agisce da sé” «Sempre lo stesso affetto Eleonora» «Chissà quando potrò traversar Roma per Napoli = Io vivo ora per ora» Sempre da Firenze il 22 novembre: «Maria mia, le nostre lettere scritte al 18 (mi ricordo che anch’io ti scrissi il 18), si sono incrociate e come io ricevo la tua stamane, lunedî, tu riceverai la mia stamane. E bene, almeno da quel lato, che non sia partita ieri, che, essendo domenica, pensavamo con Desirée, di “andare” che forse

c’era meno gente in treno. Mi sono stancata di aspettare a volo il dr. Ravà e bisogna aiutarci perché il cielo ti aiuti. Ma... mi sento 120

presa da una cosî profonda apatia — è forse il contrasto delle mezze febbri che ho avute, delle iniezioni di canfora che mi hanno

fatto due v6lte al giorno — infine — mi sento smontata. «Ieri dopo tre settimane quasi di malessere, ho avuto un’ora di sollievo e mi son presa a volo anch’io, e sono andata in vettura,

ben imbacuccata (un vento d’inferno) fino alla porta di Papini — Tu sai che Papini ha un potere d’animo assai forte sopra di me. E infatti, mi ha fatto del bene. Intanto, la sua figliola (Viola) che era sulla scala, quando mi riconobbe mi è venuta incontro... con

un “Oohh!” cosî carino! cosî luminoso. Qualche cosa della pietà paterna è in quella piccola, solo che è gaia (perché nuova) e la piccola mi ha fatto salire. Papini, è stato (come sempre), cosî generoso con me — Allora, ieri sera mi sono sentita meno Vuota, e

con Desirée, ho potuto parlare di te, che a quell’ora, verso le 8-9, eri, forse, al caminetto, al Quintiliolo. «Stamane, volevamo partire fra il /usco e il brusco, ma, una gran stanchezza... e infine, forse, partiremo domani. Dovrei es-

sere contenta di andare a/ mare, ma... non me ne importa niente — Ti racconto questo stato miserabile, solo per darti segno di come vivo. L’anima ti riconosce, e spero ritrovarti, un giorno El.» Da Napoli il 30 novembre: «Maria mia — eccoti il mio indirizzo: Parker Hòtel. Stanchezza infinita, dell’anima, e del corpo — troppo lungo dirti del viaggio — non posso — Scriverò più tardi —»

Da Napoli il 26 dicembre: «Maria mia, Tanto comprendo il tuo stato d’animo in quanto è uguale al mio, è forse, la stessa pena. Anch'io m’ero acclimatata, d'animo, con te, e tu fosti per me l’anima che faceva parlare la mia, ma le cose materiali sono fatte di distanze e di lontano,

parlare all’anima non si sa! — «Cosî, tu pure, t’accorgi di non avere vicina quella che capiva il tuo silenzio e il tuo rimpianto alla vita — Che fare? Fra tante guerre, e rovine, e case disfatte, e furti, e vendite andate a male?

Io, ho tentato rimaner sui miei piedi senza pesare su nessuno, e ho tentato rifarmi, con dei frammenti un domicilio — e questo, crea la lontananza, perché di lontano alle correnti dell’anima, è 2

difficile, almeno che non sia per forma di letteratura poter ritrovare il tono che aiuta. E questo inverno, sarà lungo. «Poiché tu non vieni a Napoli, io penso allora, anticipare il mio ritorno verso l’alta Italia — e farò ben presto, una tappa di due o tre giorni a Roma, per rivederti, e poi proseguirò per la R7viera, rifugiandomi in qualche piccolo paesetto, fino al giorno che potrò rifugiarmi sotto al Grappa. Non so bene il giorno della mia partenza, ma, potrebbe essere: Martedi (fra due giorni), Mercoledî? Giovedî? — «Dipende da dettagli che ti dirò a voce — Ti telegraferò e mi fermerò solo per rivederti cara Maria mia» Venne a Roma ove c’incontrammo e, come al solito, trascorremmo insieme tutto il tempo di cui disponeva, tra i suoi vari impegni. Ma, dopo alcuni giorni, ritenni opportuno lasciarla libera e me ne ritornai a Tivoli. Era completamente presa dall’idea del suo ritorno al teatro e, ormai, viste le difficoltà per formare una

compagnia propria, si delineava la sua collaborazione con Ermete Zacconi.

L’11 gennaio del 1921, dopo la mia partenza, mi telegrafava a Tivoli: «Confido che stai meglio riposata bene qualche giorno io rimango ancora una settimana certezza di cuore

Eleonora»

Si trattenne cosf a Roma più del previsto, e, verso la fine di gennaio, parti per Firenze per preparare le recite con Zacconi. Scelsero Torino come prima città e “La donna del mare” per il primo spettacolo al teatro Carignano.

La nostra corrispondenza diviene ora soprattutto telegrafica, perché la Duse era troppo occupata per poter scrivere lettere. Da Torino il 16 marzo: «Maria mia, son qua. L’animo è sempre verso la stessa luce. Non posso scriverti, Mi ritroverai (resto qui fino al 16 maggio).

Ancora da Torino il 14 aprile: «Rimani. Data 21 rimandata scenografo e vestiti in ritardo. Quando sarà deciso farò sapere. Saluto di cuore Eleonora» 122

Eale22: «Lavoro prosegue: tutto sarà pronto in maggio. Spero sempre ricevere tuè lettere appunto perché non posso scrivertene saluto fedele» E*por1l229: «Pregoti rinunziare tua venuta qui. Ambiente incerto per scioperi meglio non rischiare tuo viaggio — A fine maggio sarò Bologna allora ci ritroveremo — Saluti a tutta la casa amica» Il primo maggio: «Certezza reciproca — ci ritroveremo» Il tre maggio: «Rattristami tua poca fede — Io ti dico in verità che data fu rimandata sempre per cause complicate impreviste — Ambiente ricolmo di cose ignote. Duolmi aggiungere rammarico nostro mentre sono con te in ispirito traversando appassionata fatica».

Il 26 maggio: «Grazie ginestre care. Per 5 giugno sarò Milano se vuoi puoi venire sola difficoltà alloggio notte ma tu potresti abitare parenti Buroni decidi con fede e libertà di cuore» Il 7 giugno da Milano: «Non comprendo tuo silenzio — aspetto ancora risposta — Sono Hétel Cavour — Serboti due poltrone posti al teatro». Fu con grande rammarico che dovetti rinunciare a raggiungere la Duse a Milano ove oltre alla “Donna del mare” avrebbe recitato anche “La porta chiusa” di Marco Praga. Mia sorella s’era ammalata gravemente di tifo e non potevo lasciare sola mia madre a curare l’ammalata e in tanta preoccupazione. Il 13 giugno: «Finalmente ho tue notizie. Rammarico ma ancora spero auguro miglioramento — Se potrai partire telegrafami domani»

Tli22: «Assai spiacente mando auguri — Primo luglio ritorno Asolo, poi Cortina d’ Ampezzo. Spero ci ritroveremo — Fede ferma». HRS: «Aspetto notizie auguro bene — Primo luglio parto montagna allora scriverò - Memore affetto». Il 2 luglio ancora da Milano: «Da ieri sono libera di lavoro —- Domani Asolo — Spero ci ritroveremo».

parto per Venezia

Ed ecco giungere da Asolo il 12 luglio un suo telegramma che con una parola esprime il sentimento e il sollievo dell’animo SUO: «A casa Eleonora» Da Cortina il 26 luglio: «Mio indirizzo Cortina d’ Ampezzo Cadore Hòtel Miramonti — Non potei rimanere Asolo perché stanchezza grande impossibile affrontare fatica di assettamento casalingo — Tutto rimane in attesa - Come sempre spero rivederti» Da Cortina il 13 agosto: «Maria mia, cara Maria, ecco la tua lettera da Carzeto, mentre l’aspettavo, e mi dolevo di non averla. Essa è in risposta al mio

telegramma che ti diceva sommariamente, le circostanze Asolane, che mi hanno spinta fin quasst. Ho lasciato il Lavoro, che ero non

stanca, no, ma uscita da quella fornace

sentivo, non

stan-

chezza, ma un bisogno di silenzio e di casa mia e di rifugio. «Avendo vissuto al fuoco,

e domandavo ciò che la vita d’arte

non consente mai, cioè, la tregua. Sono arrivata a Asolo e tutto era... come poteva essere, cioè, in abbandono — e tra il bisogno di rifugio e la confusione degli oggetti buttati alla rinfusa — 1’ apparenza era cosî diversa dal bisogno di pace interiore. Son rimasta una settimana lavorando di braccia e di testa a far dipanare la matassa delle cose in disordine, e poi, il caldo, la polvere, la gran quantità di cose materiali, che avevano bisogno l’una del muratore, l’altra del falegname, il pavimento e il tetto, soffitta, da rin-

collare — l’afa e la pioggia che penetravano con la polvere dalle fessure del tetto e del pavimento... infine... mi son cascate le 124

braccia, e non ho trovato altro bisogno che non tossire più quindi, non affaticarmi più... e rassegnarmi alle cose che hanno la loro forza — Amare

la propria casa, vuol dire: viverci, e lavorare

per lei -— ma come posso far questo, se ho dovuto accendere i /umi alla ribalta uno per uno, con le mie mani, col mio fiato, e il-

luminare alla meglio, le mie montagne di carta pesta, quelle della Donna del mare? e...? sarà quello che Dio vorrà!... e ho finito per rassegnarmi. Se la mia limitata forza fisica, non mi consente di far tutto da me — e son venuta quassti. Ora, son qui da quasi un mese — La montagna incomincia a incupirsi, e prima che lo scossone di neve e freddo arrivi quassù — (già lo dicono vicino) scendo a Merano — dove aspetterò la fine d’agosto — In settembre? — Potrò tornare a Asolo? — non lo spero molto, perché, a ottobre devo riprendere questo che io chiamo il mio lavoro — e ho molte cose da organizzare, e prove da fare con i nuovi attori (la mia società con Zacconi era per breve durata) e forse sarà necessario, che io mi metta non lontana da Milano, dove han sede

gli affari e gli attori di questa mia barca da manovrare per orga-

nizzare il lavoro d’inverno — = Che fare? = È cosî! = «Tu, mi sei mancata tanto Maria mia — Mi son chiusa in me, e ho tenuto testa a varie correnti nell’ambiente del mio lavoro, ma, tante volte, tante volte, ho sentito il dono e la benedizione che è una persona amica, e non t’ho trovata vicina — Da lontano, il co-

re si serra, e le piccole difficoltà usano la nostra migliore energia — «In ogni modo, se a settembre, potessi darti un indirizzo preciso, e non fossi molto lontana da Milano, per esempio sul Lago di Como — parmi che Milano-Parma-Como-Carzeto forse sarebbe realizzare una breve sosta per rivederci e ritrovare la corrente dei buoni pensieri che aiutano a sopportare la vita — Con questo spero di ritrovarti. Eleonora» Da Merano — Lunedî 29 agosto: «Maria mia, eccoti un saluto al momento di partire per Asolo dove vado per lasciare i vestiti d’estate e prendere quelli d’inverno. Fra una settimana il mio programma di lavoro sarà meglio deciso che fino a ieri era basato su alcune probabilità che oggi sono modificate, quindi le cose si avvicinano, dunque si chiariranno bene. Intanto ti dico che ho accettato una proposta di 125

lavoro a Roma e che per certo lavorerò a Roma — quindi RomaTivoli, vuol dire: rivederti e questo nello spazio di quasi due mesi. Da Asolo telegraferò o scriverò le decisioni di settembre. Tua Eleonora»

Da Venezia il 7 settembre: «Sono Venezia H6tel Europa. Necessità affari rendono impossibile Cadenabbia. Sarò Roma fra pochi giorni — Ignoro se ricevesti mia lettera da Merano». Sempre da Venezia il 16: «Affari mi hanno trattenuta ancora qui — Sarò Roma fra pochi giorni — Fedele saluto». Da Roma 1l 30 settembre:

«Sono Hotel Royal t’aspetto».

Dopo una mia breve visita mi telegrafava il 10 novembre: «Mi dispiace che non sei rimasta». Da Napoli il 12 dicembre: «Rimango qua tutto il 19 — Spero potrai fare una corsa — t’aspetto». Andai anche a Napoli, e lei poi mi telegrafava il 22 dicembre: «Ancora grazie per essere venuta — Circostanze e stagione inverno consigliano accettare Palermo — Partirò dopo Natale — Telegraferò accettare e armonizzare con te circostanze che ricordano — Spero rivederti». Il giorno seguente: «Permane

stanchezza.

Stamani

volli conciliare le cose, ma

credo maggior saggezza non fare una settimana viaggio andata e ritorno Palermo. Cerco conciliare venendo Roma primi gennaio. Telegraferò». Il trenta dicembre: «Arriverò Roma solamente la sera del 31. Regolati».

126

Da Roma il 3 gennaio 1922: «Lontano e vicino» Bal7e

«Consolazione 4». A Roma, il 12 gennaio, vi fu la prima del Cosi sia di Tomma-

so Gallarati Scotti, in cui la Duse fu acclamata non ostante l’insuccesso del dramma. Trionfò, invece, negli Spettri e nella Città morta. Parti per Firenze dove rappresentò La donna del mare e La porta chiusa. Da lf andò a Genova dove anche ebbe un successo enorme. Da San Remo il 18 febbraio: «Sono Hòtel Bellevue. Domando

notizie».

Da San Remo il 22: «Maria mia, sto traversando un periodo di gran depressione — A Genova le cose del Lavoro andarono assai bene, ma quelle dello spirito, senza armonia. Forse, è stanchezza! Ma... troppo lungo sarebbe raccontarti! tutto ciò che mi tormenta, perché è “tutto” e la giornata diventa un peso e un peso d’angoscia — Passerà? Intanto ora, si avvicina un gira gira che mi stancherà molto — in un me-

se devo traversare: Bologna Venezia Trieste e fra una devo essere già a Bologna (Hòtel Brin) e rifare la stessa «Non ti scrivo nulla Maria Mia, perché ho il core di lo scherno milanese dice nelle canzonette del popolo sia! — «Ho avuto due lettere tue...

e non so consolare

settimana storia! sasso che = E cosf

la tua pena,

tanto mi sento chiusa in un muro tondo». Da San Remo il 25 febbraio: «Maria mia, che stanchezza! — che smontatura! — non so par-

larti di niente tanto mi sento in fondo al pozzo. Ebbi la tua a Ge-

48 Forse si riferisce alla rappresentazione lirica della Francesca da Rimini, diretta da Riccardo Zandonai, che avvenne il 6 sera a Roma, al Teatro Costanzi, a cui la Duse assistette e ne rimase molto colpita.

27

nova — ma a Genova, ha incominciato questo tenebrone e non potei scrivere — Ti ho scritto una volta di qui, e oggi, ecco. Ma, parlare, che giova! Devo partire di qui per Bologna — e sarò il 28 0 29 a Bologna Hòtel Brin». «Inutile lagnarsi!» Da Venezia il 18 marzo: «Grazie lettera. Sono qua Grand Hòtel. Fedele alla vita».

E ancora da Venezia il 27: «Parto per Verona — Hòtel Londre — Giornate grevi, non posso scrivere lettere — Cerco comprensione da te pregandoti scrivermi». Da Verona il 2 aprile:

«Maria mia, ecco la tua lettera — Chi è che può raccontare la vita? Domani parto per Padova (non so che Hòtel) — freddo — fatica — noia (profonda). Non so dirti altro! Quando sarò uscita da questa acqua stagnante che si è fatta intorno a me, te lo dirò. Dovrò andare ancora a Padova — Brescia — Parma — Trieste...? Torino — e sarò Libera (Ma dove andrò?) (Verso chi?) Sempre di cuore a te. El. «Andrò a Asolo — Verrai? — La casa è quasi in ordine». Da Padova il 7 aprile: «Sono Hòtel Stella d'Oro — Memore

saluto»

Da Trieste il 3 maggio: «Ho passato settimane difficili: oggi sto meglio. Un saluto di cuore. Sono fino al 12 Savoia H6tel». Sempre da Trieste il 16 maggio: «Maria mia, sempre — ecco la sola parola che vale per un’amicizia leale come la nostra — Sono stata male, e sto male, non ho

potuto scriverti. Ho lavorato con grande fatica. Poi per una settimana ho dovuto sospendere. Ieri, stavo meglio, e mi sono impegnata per stasera, ma, stamane mi sono infranta. Dovrei partire dopo domani per Livorno — Palace Hòtel, ma non so se potrò — poi, dovrei tra il 27 e il 30 essere a Torino — e dopo sarò libera dal 128

contratto teatrale — E la Vita? non la so pit. Sono stata molto giù d’anima e fisicamente. Faccio quello che posso sempre. El. «Qui chie amorosa accoglienza, che fede in questa gente di razza» E da stupirsi, considerando la sua fragile salute, come la Duse riuscisse a portare a termine questa tournée tanto faticosa. Da Livorno il 19 maggio: «Sono Livorno Palace Hétel — dammi tue notizie».

La raggiunsi a Livorno. Mi resi conto, anche questa volta, quanta fatica le costasse lavorare e, direi, quanto eroismo le era

necessario per proseguire. Da Torino il 5 giugno: «Maria mia, mi sono slegata da questa catena, ma, domani io parto per Parigi, per legarmi a un’altra. Bisogna preparare il Lavoro per questo inverno, e bisogna seminar oggi per raccogliere (forse), domani. Mio indirizzo Paris — Hòtel Regina — Rue de Rivoli — Ho Lavorato e Lavorerò, ecco la vita! — »

A Parigi doveva trattare con agenti teatrali per le recite a Londra. Da Milano il 25 giugno: «Sono Hotel Cavour fino domenica ventura — Se puoi vieni». Dall’ Hòtel Regina di Parigi 11 13 luglio: «Maria mia, dopo averti telegrafato da Milano, sperando tu potessi venire... molte e diverse cose si sono accumulate intorno ame... ti pregai venire, perché le vedevo venire tutte codeste cose e ti chiesi presenza, amore e consiglio — Quando tu non potesti venire... 10 rimasi a galla, ma (dopo varie vicende che ti dirò a voce), ho dovuto tornar qui, a Paris per conclusione di affari —

Oggi, ti scrivo, perché per buona sorte ho trovato qui Francesco (il figlio di Robi) e lui mi aiuta a fare il viaggio fino a Bale, dove resterò con lui (e Desirée) due o tre giorni — poi, spero star meglio in forze, e continuare il ritorno in Italia. In Italia, non so 129

ancora se andrò dritta a Asolo, o se (per il caldo) mi fermerò al

fresco, prima vicino a Milano per non affaticarmi a attraversar Lombardia e Veneto per arrivare a casa... — Fatica! — tanta! —f ma inutile lagnarsi...» Il 15 luglio, sempre da Parigi: «Maria mia, ti ho scritto qualche giorno fa, non ricordo la data, indirizzando a Tivoli, lettera raccomandata. Oggi ricevo la tua dell’11, forse, ti ho scritto nella stessa data. Maria mia — son

stata nel vento, per tanti giorni, solo da ieri un po” di luce e pace è tornata! È tornata perché ho accettato la nuova fatica e impresa che la vita m’impone, è tornata, perché la provvidenza mi ha data grande consolazione — cioè, ecco qua... Non mi ricordo più se ti ho scritto — la signora Morrison, padrona della casa di Asolo—

è morta = Il contratto scadeva con lei, ma, la cara donna che

mi conosceva solo per nome, ha fatto in modo che gli eredi mi lasciano inquilina di casa, e non la vendano. Pensa — Secondo contratto avrei dovuto sloggiare entro tre mesi — Ma la lettera salvatrice è arrivata qui... forse lo stesso giorno che ti scrivevo. «=Il dottor Ravà mi aveva consigliato per calmare il mio asma, andare a Monaco Baviera—

e da Milano vi andai. Ma l’or-

rore fu tanto... che son tornata qui dove ho ancora affari importanti da regolare. La tosse mi scrolla, e fa freddo e piove, piove, piove... è triste la pioggia d’estate in una stanza d’Hòtel, ma... niente lagnarsi... È cosî! — Scrivimi di te. Io resto qui una settimana — non posso mettermi in viaggio finché ho quest’asma cosf rabbioso — e una mia amica qui, mi ha fatto fare delle inie-

zioni di ossigeno per calmarmi — Infine! niente lagnarsi — è cosil»

Da Milano il 28 luglio: «Arrivata ieri Hòtel Cavour — Lunedî o martedî parto per Asolo — preparati venire Asolo oppure se preferisci viaggiare con me vieni Milano — Per Milano spicciati».

La raggiunsi infatti a Milano e insieme andammo ad Asolo dove fui sua ospite nella sua casa. Erano terminati i lavori con gli operai ed aveva sistemato i suoi mobili al secondo piano.

130

Da Milano il 12 settembre: «Saluto del mattino». Da Trieste il 10 ottobre: «Ricominciato lavoro! resistenza magnifica. Grazia ricevuta. Mando giornali. Arrivederci presto». A Trieste, questa volta, la Duse recitò La città morta di d’ Annunzio e il Cosî sia di Gallarati Scotti che, contrariamente a

quanto era avvenuto a Roma, ebbe un grande successo. Da Genova il 29 novembre: « Maria mia, non posso scrivere. Traverso momento difficile.

Sarò costretta partire America. Parleremo di tutto a Roma. Arriverò il due Hòtel Royal. La vita è cosî». Fu in questa occasione che Mussolini, il quattro dicembre, andò a renderle omaggio all’ Hòtel Royal e lei, pur ringraziando, non approfittò dell’aiuto che egli le offriva. Da Milano il 19 dicembre: «Giornate difficili: resisto. Informerò: nulla di deciso. Caro saluto». E il 1° gennaio 1923: «Maria mia, La tua lettera, stamane. È forse l’angelo buono che ti manda — perché io sono stata preda dei demoni, tanto il mio pensiero è stato preso da queste cose d'affari che non so sgarbugliare. Maria mia! Grazie. Andiamo avanti — Parto stanotte per Firenze Hòtel Italie. Se potessi vederti! — almeno un’ora — almeno un’ora — tante cose da decidere — Niente è stato concluso per me fuorché andare Verona — Mantova — Piacenza. Ironia delle cose — non pensiamoci. Sempre tua Eleonora. «Dopo Firenze dovrei andare in quei tre paesi, poi tornare qui — che stanchezza! Maria mia!» Da Firenze il 4 gennaio: «Forse abbrevio soggiorno qui, telegraferò». Dall’Hétel Royal di Roma il 7 gennaio (data incerta):

«Sono arrivata adesso — vieni — Dopo Verona sono stata 20 Sal

giorni a letto con l'influenza. Stanotte ho potuto partire né potei telegratarti». Fu una sorpresa sapere che la Duse era a Roma, e per di più a pochi passi da me, poiché, in quei giorni, ero ospite di miei parenti in via XX Settembre, la stessa strada in cui si trovava 1’ H6tel Roval. Naturalmente corsi subito da lei che trovai in condizioni non troppo buone. Tuttavia, dopo la sosta a Roma, dovette riprendere la sua tournée e andare a Napoli. Ma qui si ammalò e non pote recitare. Da Napoli il 23 febbraio: