Le Lettere di Giovanni 8830802069, 9788830802063

È un commento che fa coppia con il "Commento al Vangelo spirituale di Giovanni" dello stesso autore (Cittadell

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Le Lettere di Giovanni
 8830802069, 9788830802063

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Raymond E. Brown

di

Lettere

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cittadella editrice assisi

titolo originale THE EPISTLES OF JOHN della collana • The Anchor B ible

•,

vol. 30

traduzione di CLAUDIO BENETAZZO

revisione redazionale di ANTONIO DAL BIANCO

© per la lingua inglese DOUBLEDAY e C. · NEW YORK 1982

© per la lingua italiana CITTADELLA EDITRICE



ASSISI 1986

THE ANCHOR BIBLE è un nuovo, agile approccio al piU grande classico del mondo. Il suo intento è di rendere la Bibbia accessibile al lettore moderno; il suo metodo è di pervenire al si­ gnificato della letteratura biblica attraverso un'esatta traduzio­ ne e un'ampia esposizione, e di ricostruire l'antico ambiente del racconto biblico, come pure le circostanze della sua trascrizione e le caratteristiche dei suoi trascrittori. THE ANCHOR BIBLE è un progetto con intento internazionale e interconfessionale: studiosi protestanti, cattolici ed ebrei col­ laborano ai singoli volumi. Il progetto non è sponsorizzato da nessuna organizzazione ecclesiastica e non intende riflettere nessuna particolare dottrina teologica. Preparato sotto la nostra congiunta supervisione, THE ANCHOR BIBLE è uno sforzo per rendere disponibile tutta l'importante conoscenza storica e lin­ guistica che riguarda l'interpretazione del documento biblico. Questo progetto segna l'inizio di una nuova èra di cooperazione tra studiosi nella ricerca biblica, formando così un corpo co­ mune di conoscenza da condividere con tutti.

DAVID NOEL FREEDMAN - WILLIAM FoxWELL ALBRIGHT EDITORI GENERALI

prefazione

Per spiegare il mio scopo e approccio in questo commen­ tario, devo subito dire alcune parole essenziali riguardo alle lettere giovannee che esso tratta. 2Gv e 3Gv sono gli scritti più corti del Nuovo Testamento ( d'ora in poi NT). Sono lettere di una pagina scritte da un uomo che si definisce « il Presbitero ». In 2Gv, mentre il Presbitero fa parte di una chiesa (v. 1 3), scrive direttive a un'altra chiesa alla quale si rivolge in modo simbolico come a « una signora eletta e ai suoi figli » ( v. 1 ). Egli sottolinea la necessità di amore dentro quella chiesa e insiste sulla esclusione di maestri i quali possono arrivare a negare «Gesù Cristo che viene nella carne » (v. 7). In 3Gv, il Presbitero scrive a Gaio lodandolo per l'ospitalità che ha offerto a missionari itineranti ed esortandolo a nceverne altri che verranno, specialmente Demetrio (v. 1 2 ). La ra­ gione per cui indirizza la lettera a Gaio è che la preceden­ te lettera del Presbitero « alla chiesa » (v. 9) è stata igno­ rata da Diotrefe che desidera essere primo nella chiesa e rifiuta di accogliere ogni missionario e, anzi, espelle dalla chiesa tutti coloro che lo fanno (v. 1 0 ). In ambedue le lettere, il Presbitero esprime la speranza di visitare i destinatari; ma in 3Gv egli ammonisce che, se verrà nella chiesa di Diotrefe, solleverà la questione dell'ostilità di quel capo nei suoi confronti. L'autore della molto più lunga l Gv non identifica mai se stesso per mezzo di un titolo; e mentre per analogia la sua opera viene classificata nella nostra Bibbia come una

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Prefazione

lettera, non c'è niente al suo interno che lo suggerisca. La principale preoccupazione di lGv è di rafforzare la fede e la moralità dei lettori contro un gruppo che sta facendo il lavoro del diavolo e dell'anticristo (2, 18; 4, 1-6): un grup­ po che si è staccato dalla comunità (2, 19) ma sta ancora tentando di guadagnare un numero maggiore di seguaci. I loro errori sono sia cristologici che etici. Non riconoscen­ do Gesù Cristo venuto nella carne, essi negano l'importan­ za di Gesù ( 4, 2-3); e sebbene affermino comunione con Dio, non attribuiscono importanza all'osservanza dei co­ mandamenti e pretendono di essere liberi dalla colpa di peccato ( 1 , 6.8; 2, 4 ) . In particolare, essi non mostrano amore per i fratelli (2, 9-11; 3, 10-24; 4, 7-21). Ripetutamen­ te, l'autore offre criteri per una giusta posizione contro tali errori, così che un celebre studio di lGv da parte di Robert Law è stato con buona intuizione intitolato The

Tests of Life. Le tre lettere sono state qualche volta lodate come uno splendido richiamo alle cose fondamentali, offrendo una valida base per la dottrina cristiana. Non vi è dubbio che, occasionalmente, l'autore di lGv si esprima con eloquenza, in particolare nella sua descrizione dell'amore: «Dio è amo­ re ... In questo, quindi, consiste l'amore: non che noi ab­ biamo amato Dio ma che egli amò noi e mandò suo Figlio come riparazione per i nostri peccati» (4, 8-10). Non è mai stato offerto un testo più pratico di quello che si trova in 4, 20: «La persona che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto ». C'è una intuitiva stringatezza nella sintesi dell'autore dell'ob­ bligo cristiano: «Dobbiamo credere al nome del Figlio suo Gesù Cristo e dobbiamo amarci l'un l'altro proprio come il comandamento che diede a noi» (3, 23 ). Ma, nonostante questi momenti gloriosi, non posso esse­ re d'accordo sul fatto che le lettere siano realmente dei capolavori autonomi dell'insegnamento cristiano primiti­ vo. Nessun'altra lettera nel NT, forse a eccezione di Eb, ci dice così poco a riguardo del suo autore come fa lGv. Anzi, è una congettura che le tre lettere siano tutte della stessa persona, congettura fondata principalmente sul fat­ to che 2Gv e lGv sembrano attaccare gli stessi errori e usare espressioni analoghe. In lGv è virtualmente impos­ sibile scoprire una successione di pensiero strutturata e

Prefazione

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l'autore si ripete di capitolo in capitolo. Nonostante il carattere quasi elementare del greco, le frasi dell'autore sono spesso oscure in modo irritante ( 1 , 1 -4 ; 3, 1 9-20 ), co­ me lo è il suo simbolismo, anche quando sta trattando un punto principale (5, 5-8 . 1 5-17). Solo con moderata esagera­ zione è stato detto che, a motivo delle imprecisioni grammaticali, ogni frase in 1 Gv può essere interpretata in tre modi diversi. E questa imprecisione sembra essersi trasferita sul pensiero. Ad es., l'autore condanna coloro che rivendicano: cc Noi siamo liberi dalla colpa di pecca­ to ... Noi non abbiamo peccato » ( 1 , 8 . 1 0 ), solo per afferma­ re lui stesso che ognuno che dimora in Cristo non com· mette peccato e non può essere un peccatore ( 3 , 6.9 ). Si dice ai lettori di vivere proprio come Cristo visse (2, 6; 3, 3.7 ), ma non c'è informazione su come Cristo visse. Nonostante le sue energiche condanne degli avversari, co­ nosciamo poco a riguardo del loro pensiero, così che gli studiosi discutono se c'erano molti gruppi oppure uno solo, se essi erano giudei o cristiani, se la loro condannata cristologia era troppo bassa ( Gesù non fu il Messia o il Figlio di Dio) o troppo alta (il Figlio di Dio è venuto ma non fu un vero essere umano ). Di fronte a loro, l'autore insiste sulla necessità di osservare i comandamenti; ma egli non ci dice mai quali sono questi comandamenti, tranne il comandamento di amarsi l'un l'altro ( 3 , 23 ; 4, 21 ). Ed è precisamente sul problema dell'amore che incon­ triamo la grande anomalia nelle lettere giovannee. Il più eloquente autore del NT sulla necessità di amare è parti­ colarmente privo di amore nel trattare con coloro che non sono d'accordo con lui. Egli denigra gli avversari che sono stati membri della sua stessa comunità come demoniaci anticristi, falsi profeti e mentitori (2, 1 8-22; 4, 1-6; 2Gv 7) , ai quali non si deve permettere di varcare la porta o anche di ricevere normali saluti (2Gv 1 0 ). Anzi, il loro peccato è così grave che non si deve nemmeno pregare per esso ( l Gv 5, 1 6-17). Dopo queste osservazioni piuttosto poco lusinghiere, come posso giustificare un lungo commentario alle lettere gio­ vannee ? Le parole chiave nella frase iniziale del preceden­ te capoverso sono state « un caso a sé ,,_ L'autore delle lettere ( se, per il momento, accettiamo che ci fu un solo autore ) non sognò mai che il suo incoraggiamento ai

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Prefazione

lettori contro gli avversari sarebbe stato letto in modo staccato dalla tradizione della sua comunità che rendeva le sue osservazioni intelligibili. Non solo egli presuppose questa tradizione, ma si riferisce a essa ripetutamente come a ciò che era « dal principio >> ( l Gv l , l ; 2, 13.1 4.24 ) e « la parola che udiste già » {2, 7 ). Anzi ( dopo il prologo), le prime parole di l Gv sono : « Questo è il vangelo che noi abbiamo udito da Cristo e che dichiariamo a voi » ( l , 5 ) un vangelo che, dice l'autore, è « il vangelo che udiste dal principio » (3, 1 1 ). Ora, mentre non ci è stata preservata tutta la tradizione della comunità che l'autore presuppo­ neva, noi abbiamo uno splendido esempio di quella tradi­ zione nel vangelo secondo Giovanni ( d'ora in poi vangelo di Gv ): un vangelo con una teologia e uno stile particolari nei quali l'autore delle lettere si è immerso. ( Egli ha fatto questo fino al punto che solo un esperto può ricordare se una isolata citazione giovannea come « Dio è Spirito » o « Dio è luce », si trovi nel vangelo di Gv o in l Gv). Le lettere giovannee si devono intendere, quindi, non in se stesse ma in relazione al vangelo di Gv. L'importanza di collegare le lettere al vangelo di Gv, se­ condo il mio punto di vista, va al di là dell'aspetto ovvio. Io affermo che la lotta in l e 2Gv tra l'autore e i suoi avversari è centrata su due opposte interpretazioni della tradizione della comunità giovannea come ci è nota nel vangelo di Gv. Due gruppi di discepoli giovannei si stanno combattendo a motivo delle loro idee su Gesù, sulla vita cristiana, sulla escatologia e sullo Spirito. Lette così, le lettere giovannee acquistano un valore che va al di là del messaggio in esse contenuto. Esse ci dicono che cosa accadde alla comunità che si riteneva l'erede de « il disce­ polo che Gesù amava >> ( Gv 2 1 , 24 ), il discepolo che com­ prese Gesù ancora meglio del più rinomato dei dodici : Pietro. Questa comunità aveva combattuto ' i giudei' (Gv 9, 22 ) e anche altri credenti (8, 31 ss) in nome di una elevata cristologia in virtù della quale Gesù poteva di­ re di essere esistito prima che il mondo cominciasse ( 1 7, 5 ) e poteva affermare : « Chiunque ha visto me ha visto il Padre » (14, 9). Ma nelle lettere la polemica è puntata contro precedenti membri della comunità che avanzavano una valutazione di Gesù ancor più « progres­ sista » (2Gv 9) . Grazie alle lettere, noi scopriamo che an-

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che la profonda e innovativa cristologia del vangelo di Gv conteneva dei pericoli, così che un dramma di storia co­ munitaria, di sociologia religiosa e di sviluppo teologico si dischiude davanti ai nostri occhi. Anzi, si può affermare che in un certo senso attraverso la combinazione del vangelo di Gv e delle lettere interpretate criticamente, riguardo alla storia interna della comunità giovannea noi possiamo scoprire di più di quello che conosciamo ri­ gu.ardo a qualsiasi altra chiesa del NT, a eccezione di quella paolina. È una conoscenza che si stende da « il principio )) (lGv l, l) a « l'ultima ora » (2, 18). Il tentativo di fare in modo che le lettere abbiano un senso nell'ambi­ to di una tale storia ha reso per me emozionante scrivere questo commentario e spero di poter portare i miei lettori a condividere parte dell'emozione.

Nessuno scrittore può sperare di convincere molti lettori ad accostarsi al proprio libro esattamente come egli in­ tende. Ma per studiosi che stanno seriamente lavorando sulle lettere giovannee per la prima volta, raccomanderei di leggere l'INTRODUZIONE due volte : una volta, prima di leggere il commentario vero e proprio e una volta dopo. Nella INTRODUZIONE esporrò gli intricati problemi che ren­ dono queste lettere un campo di battaglia di disaccordo scientifico e darò ragione delle mie concezioni sulla situa­ zione della vita nella comunità. Il mio punto di vista presentato in modo esauriente è quindi necessario per comprendere il commentario riga per riga. D'altra parte, solo quando i lettori si sono faticosamente aperti un varco attraverso le lettere tentando di comprendere ogni riga, possono ritornare all'INTRODUZIONE e fare intelligenti giudizi personali decidendo se ho visto i problemi e se li ho trattati tutti. Dopo l'INTRODUZIONE, divido le lettere in unità. Scoprire ciò che l'autore intese per unità non è un compito facile, ma dispositivi stilistici e coesione di pensiero forniscono una guida. La discussione di ciascuna unità comincia con la traduzione fatta da un testo greco criticamente stabili­ to. La mia traduzione inglese del greco si preoccupa più

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Prefazione

di essere fedele al modo di esprimersi dell'autore ( e alla sua ambiguità ) che alla raffinatezza letteraria. ( Sono più letterale di quello che sono stato nella mia traduzione del vangelo di Gv 1: il vangelo di Gv può essere ragionevol· mente chiamato un capolavoro, ma quella designazione non si può assolutamente giustificare per le lettere). S e i critici vogliono lamentarsi che occasionalmente la tradu· zione inglese potrebbe essere più scorrevole, una parziale risposta è: « Così potrebbe esserlo il greco originale ». In ciascuna unità, la traduzione è seguita da dettagliate NoTE, che servono da veicolo a una informazione reale e tecnica; ad es., problemi testuali, problemi di traduzione, interpre­ tazioni discusse. Il significato fondamentale dell'unità, come lo intendo io e in quanto armonizza con la visione globale dell'autore, costituisce il soggetto del CoMMENTO, posto dopo le NoTE. Forse dovrei spiegare perché, rispetto al CoMMENTO, in questo volume le NoTE sono molto più lunghe di quelle in ABJ. C i sono due ragioni. Prima, a motivo della lunghezza del vangelo di Gv (15.416 parole in greco), anche il mio commentario di 1.400 pagine non è stato abbastanza lungo da permettere accurati studi com­ parati di vocabolario e di stile giovannei. Le lettere, molto più corte (2.60 1 parole; un sesto di lunghezza), lasciano spazio nelle NOTE per tali studi; e anzi essi sono ora necessari a motivo di questioni quali se l'autore delle lettere si identifica con l'evangelista e fino a che punto il pensiero delle lettere differisce da quello del vangelo di Gv. Una seconda ragione per le lunghe Nora è la diffusa oscurità della grammatica in queste lettere, come ho già detto. Dal momento che gli studiosi competenti sono divi· si sul significato di quasi ogni verso 2 , le interpretazioni l Nel citare il vangelo di Gv, normalmente userò la mia tradu­ zione che si trova nell'Anchor Bible, voll. 29 e 29A (d'ora in poi ABJ di cui indicheremo anche i riferimenti della traduzione it. [N.d.R.]}, sebbene a volte per amore di confronto dovrò tradurre singoli passi del vangelo di Gv più letteralmente. 2 Quando io assegno i nomi di un gruppo di studiosi a una o a un'altra idea riguardo a un problema, non pretendo di elencare tutti coloro che sostengono quell'idea. Gli elenchi vogliono solo dare al lettore un senso della divisione e della sua importanza. Siccome inevitabilmente farò degli errori e siccome alcuni studiosi a volte si esprimono in modo ambiguo, mi scuso in anticipo se ho

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hanno bisogno di venire discusse a lungo. Di questi det­ tagliati dibattiti ce ne furono molto meno per il vangelo di Gv e poterono venire incorporati nel CoMMENTO. Ma farlo qui, significherebbe rendere il COMMENTO illeggibile e creare nei lettori l'impressione di interminabili disaccordi e di non chiara linea di pensiero. Quindi, ho scelto di mettere i dibattiti nelle NoTE e di fondare il COMMENTO sul punto di vista che ritengo maggiormente ragionevole. Ovviamente, questa decisione ha uno svantaggio per colo­ ro che scelgono di leggere solo il COMMENTO: essi non possono rendersi conto della grande diversità di interpre­ tazioni. Ma si può rimediare a questo anche con un breve sguardo alle NoTE (e nelle note in calce al CoMMENTO richiamerò l'attenzione sulle NoTE importanti ) 3• A mio giudizio, il vantaggio di avere il CoMMENTO significa qual­ cosa di chiaro e conseguente che supera gli svantaggi. In nessun modo, quindi, invito il lettore a saltare le NOTE, poiché in questo volume rappresentano l'anima dell'inda­ gine e ne contengono il materiale più significativo. Il mio metodo è piuttosto un tentativo per impedire che il letto­ re perda di vista la foresta a motivo degli alberi. Letto di seguito, quindi, solo il CoMMENTO offre una spie­ gazione di l Gv, 2Gv e 3Gv di maneggevole lunghezza per la persona che desidera una visione d'insieme. D 'altra parte, con le sue lunghe NoTE il commentario nel suo insieme è una fonte di materiale per coloro che hanno bisogno di una dettagliata informazione sui singoli passi. Ho fatto un consapevole sforzo per venire incontro alle necessità di diversi tipi di lettori. Nell'Appendice I ci sono specchietti che mettono a con­ fronto le lettere tra loro e con il vangelo di Gv. (Essi andrebbero meglio nella INTRODUZIONE; ma, dal momento che vengono poi richiamati anche nel commentario, mi è sembrato meglio collocarli insieme dove si possono trova­ re più facilmente). L'Appendice II parla di C erinto, freclassificato in modo errato uno studioso su un particolare pro­ blema. 3 Il mio tentativo di essere completo nelle NOTE spiegando alcune interpretazioni, significa che gli studiosi e i maestri che non sono d'accordo con la mia scelta espressa nel CoMMENTO hanno nelle NoTE tutto lo spazio necessario per proporre un'altra teoria.

Prefazione

quentemente proposto come l '�vvers�rio attaccato in, l Gv; le Appendici III e IV trattano di questioni particolari che sorgono dalle aggiunte latine a l Gv. L'Appendice V tratta della forma epistolare come sfondo per la struttura di 2Gv e 3Gv. Per incoraggiare ulteriori letture;:, ci sono ampie bibliografie sia generali (come l'ultima unità del., l'INTRODUZIONE) che settoriali (alla fine di ogni unità); Mentre spero che le mie personali intuizioni abbiano valo­ re, rientra nel mio scopo l'aver compendiato per i lettori una vasta gamma di indagine. Le bibliografie rappresenta­ no il mio tributo e il mio debito a tutti coloro che mi hanno preceduto. In questo commentario, come in altri che ho scritto, sarò appagato se avrò incluso con sufficien­ te completezza il lavoro precedente in modo da fornire una conveniente base per un'ulteriore riflessione e un testo che possa fare da piattaforma per il proseguimento dello studio. e

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Parte della ricerca per questo volume venne fatta a Geru­ salemme mentre ero in congedo sabbatico dalla ' Union Theological Seminary' (NY.), e sono debitore all' 'Albright I nstitute of Archaeological Re$earch' ( in passato l' 'Ameri­ can School') per avermi ospitato come suo professore annuale durante quel periodo e all'Beole Biblique dome­ nicana per la disponibilità della sua biblioteca. Un altro mezzo anno sabbatico, durante il quale ho steso parte del primo abbozzo, venne trascorso nel seminario di San Pa­ trick, Menlo Park, California, su invito dell'arcivescovo John R. Quinn di San Francisco; e desidero esprimere la mia gratitudine a lui e al rettore del seminario e della facoltà per l'atto di ospitalità puramente disinteressato. John Kselman, il professore di quel seminario e ora della •catholic University of America', Washington, D.C., mi ha aiutato in modo significativo a stendere questo volume, come nei precedenti scritti, leggendo il dattiloscritto e correggendo gli errori. Stephenson Brooks, Marion Soards, Robert Van Voorst e Robert Wollenburg laurean­ di alla 'Union Seminary', mi assistettero benevolmente Verificando i riferimenti biblici è bibliografici nel mio dattiloscritto e leggendo le bozze.

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Prefazione

Ancora una volta sono debitore al personale dell'Anchor Bible, in particolare a Noel Freedman, Eve Roshevsky, Donald Hunt e Cyrus Rogers - che furono di grande aiuto soprattutto rivedendo e incoraggiando. Forse la più grande gentilezza di Doubleday è stata la sua pazienza nel permettere, dopo aver finito il commentario al Vangelo di Giovanni (ABJ ) in due volumi ( 1 970), di dedicarmi a un commentario sui racconti dell'infanzia in Mt e in Le, The Birth of the Messiah ( 1 977), prima di completare il volu­ me sulle lettere di Gv. Il decennio tra i miei studi delle due parti del ·corpo giovanneo è stata un dono del cielo, poiché mi ha dato la necessaria distanza per vedere tutta la storia della comunità giovannea e per trarre profitto dal dialogo con il lavoro molto importante del mio collega della U­ nion Seminary, J. L. Martyn . Se io avessi scritto il com­ mentario alle lettere subito dopo quello al vangelo di Gv, sarei stato competente, credo, ma non sarebbe stato ecce­ zionale. La mia visione di queste lettere come il documen­ to di una lotta teologica di vita e di morte in una comu­ nità alla fine del primo secolo, mi ha invogliato a renderle più familiari ai lettori (e anche alle chiese ) alla fine del XX secolo. Se sono nel giusto, l'autore di queste lettere lottò nel suo piccolo con problemi che hanno tormentato il cristianesimo da allora in poi e che oggi sono ancora at­ tuali. Pasqua 1981

RAYMOND

E. BROWN

principali abbreviazioni

Oltre alle comuni abbreviazioni dei libri biblici sono usate in quest'opera: Per i libri deutero canonici dell'AT: Tob I e II Mac Sir Sap Bar

Tobia I e II libro dei Maccabei Siracide o Ecclesiastico Sapienza di Salomone Baruc

Per i libri apocrifi legati all'AT: Jub. E n. III, IV Macc Il Bar. Ps/Pss Sol T. di Levi ecc .

Giubilei Enoc (etiopico) III, IV Maccabei Il Baruc (siriaco) Salmo/Salmi di Salomone Testamento di Levi ecc. e analogamente per i te­ stamenti di ognuno dei patriarchi contenuti nel· l'opera Testamenti dei dodici patriarchi

Per gli scritti proto-cristiani e patristici: Barn. II Clem. D id. Ef. Erma Man. Erma Sim. Erma Vis . Filad. Filip. Magn. Rom. Smirn. Trall.

le

Lettera di Barnaba I e II lettera di Clemente Di dache Lettera di Ignazio agli Efesini Pastore di Erma, Mandata Pastore di Erma, Similitudine Pastore di Erma, Visione Lettera di Ignazio ai Filadelfi Lettera di Policarpo ai Filippesi Lettera di I gnazio ai Magnesi Lettera di Ignazio ai Romani Lettera di Ignazio agli Smimesi Lettera di Ignazio ai Trallesi

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Principali abbreviazioni

Per i Rotoli del Mar Morto (Qumran) e per opere rabbiniche; CD l Q, 2Q lQH LQpHab lQM lQS lQSa TalBal TalJer

Cairo (testo della Genizah) , Documento di Damasco Numerazione delle grotte di Qumran Hodiiy ot ( Inni di ringraziamento/della grotta l) Pesher ( commentario) di Abacuc Rotoli della Guerra Manuale della Disciplina (o Regola della Comunità) Appendice alla Regola della Comunità Talmud Babilonese Talmud di Gerusalemme

Abbreviazioni di Pubblicazioni, Versioni, ecc .: AB ABJ AnBib AN F AsSeign AT ATR ATRsupp.ser. AUSS BAG BAGD B DB BDF

BeO BETL BFCT Bibl.eb BibSac BibS(F) BJRL BT BTB BU BVC BZ BZNW

Anchor Bible The Gospel According to John di R. E. Brown (Anchor Bible 29 & 29A ; Garden City, N.Y.: Dou­ bleday, 1966, 1970) Analecta Biblica The Ante-Nicene Fathers Assemblées du Seigneur Antico Testamento Anglican Theological Review Anglican Theological Review, supplementary series Andrews University Seminary Studies W. Bauer ( tradotto da W. F. Amdt e F. W. Gingrich) , A Greek-English Lexicon of the New Testament ( University of Chicago, 1957) W. Bauer (tradotto da W. F. J\mdt, F. W. Gingrich , e F. W. Danker) , A Greek-English Lexicon of the New Testament (2 ed. ; University of Chicago, 1979) F. Brown, S. R. Driver, e C. A. Briggs, Hebrew and English Lexicon of the Old Testament (Oxford: Clarendon, 1907) F. Blass and A. Debruner ( tradotto da R. W. Funk) , A Greek Grammar of the New Testament and Other Early Chr;Jstian Literature (University of Chicago, 1961) . Riferimenti ai paragrafi. Bibbia e Oriente Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovanien­ sium Beitdige zur Forderung christlicher Theologie Bibel und Leben Bibliotheca Sacra Biblische Studien (Freiburg) Bulletin of the John Rylands Library ( Manchester) Bible Translator Biblical Theology Bulletin Biblische Untersuchungen Bible et Vie Chrétienne Biblische Zeitschrift Beihefte zur Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft

Principali abbreviazioni CBQ cc CPL esco CSEL CTM DBS DBSup EB EKK EspVie EstBib EstEcl ETL EvT Exp T FRLANT GCS GPM HNT HNTC HSNT HSNTA HTKNT HTR I BNTG ICC IEJ In t ITQ JAOS JB JBC JBL JEH JR JTS KD KJV LavTheolPhil

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Catholic Biblicai Quarterly Corpus Christianorum Clavis Patrum Latinorum (CC, 2 ed., 1961) Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium (Lou­ vain) Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum (Wien) Concordia Theological Monthly H. Denzinger e C. Bannwart, Enchiridion Symbo­ lorum, rev. di A. Schonmetzer (32 ed.: Freiburg: Herder, 1963) . Riferimenti ai paragrafi. Dictionnaire de la Bible - Supplément Etudes Bibliques Evangelisch-katholischer Kommentar zum Neuen Testament Esprit et Vie Estudios Biblicos Estudios Ecleshisticos Ephemerides Theologicae Lovanienses Evangelische Theologie Expository Times Forschungen zur Religion und Literatur des Aiten und Neuen Testaments Die Griechischen Christlichen Schrifsteller ( Berlin) Gottingen Predigt·Meditationen Handbuch zum Neuen Testament Harper's New Testament Commentaries Die Heilige Schrift des Neuen Testamentes E. Hennecke e W. Schneemelcher, New Testament Apocrypha (2 voli. ; Philadelphia: Westminster, 1963, 1965) Herders theoiogischer Kommentar zum Neuen Te­ stament Harvard Theologicai Review An ldiom-Book of New Testament Greek di C.F.D. Moule ( Cambridge University, 1960) Intemational Criticai Commentary lsrael Expioration Joumai lnterpretation Irish Theoiogicai Quarteriy Joumal of the American Orientai Society Jerusaiem Bible The Jerome Biblical Commentary, a cura di R. E. Brown e altri ( Englewood Cliffs, N.J.: Prentice-Hall, 1968) . Riferimenti ad articoli e paragrafi. Joumal of Biblicai Literature Journal of Ecclesiasticai History Joumal of Religion Joumai of Theologicai Studies Kerygma und Dogma King James Version or Authorized Version Lavai Théologique et Philosophique

18 LD LFAE u

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Principali abbreviazioni Lectio Divina Light (rom the Ancient East di A. Deissmann (ed. riv. ; New York: Doran, 1927) The Legends of the lews di L. Ginzberg (7 voli.; Philadelphia: Jewish Publication Society, 1909-38) Lumière et Vie I Settanta ( H .A.W. Meyer) Kritisch-exegetischer Kommentar iiber das Neue Testament J. H . Moulton, Grammar of New Testament Greek ( 4 voll. ; Edinburgh: Clark, 1908-76) Moffatt New Testament Commentary Manoscritto l i Miinchener theologische Zeitschrift New American Bible New English Bible The Nag Hammadi Library, a cura di J. M. Robinson ( New York: Harper & Row, 1977) New lntemational Commentary on the New Testa­ ment Novum Testamentum Novum Testamentum, Supplementi Nouvelle Revue Théologique Nuovo Testamento New Testament Abstracts Neutestamentliche Abhandlungen The New Testament Background: Selected Docu­ ments, a cura di C. K. Barrett (London: SPCK, 1956) Neues Testament Deutsch New Testament Studies Patrologia Graeca-Latina (Migne) Patrologia Latina (Migne) Revue Biblique Recherches Bibliques Review and Expositor Revue de Qumran Revue Thomiste Religion in Geschichte und Gegenwart (3 ed., se non indicato altrimenti) Revue d'Histoire Ecclésiastique Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses Regensburger Neues Testament Recherches de Science Religieuse Revised Standard Version Revised Version Studii Biblici Franciscani Liber Annuus La Sainte Bible de Jérusalem Society of Biblica! Literature Abstracts and Seminar Papers Society of Biblica} Uterature Dissertation Sertes Society of Biblica! Literature Monograph Series

Principali abbreviazioni SBLSBS SBS SBT se SNTSMS SP SSNT St-B

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Society of Biblical Literature Sources for Biblical Study Stuttgarter Bibelstudien Studies in Biblical Theology Sources Chrétiennes Society for New Testament Studies Monograph Series Sacra Pagina, a cura di J. Coppens e altri (Louvain, 1959) Semitische Syntax im Neuen Testament di K. Beyer (Gottingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1962) H. L. Strack e P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch (5 voli.; Miinchen: Beck, 1922-55) Studia Evangelica (Studi degli Oxford lntemational Congresses of NT Studies; Berlin: Akademie Verlag) Torch Bible Commentaries A Textual Commentary on the Greek New Testa­ ment di B. M. Metzger (New York: United Bible Societies, 1971) Twentieth Century New Testament Theology Digest Theological Dictionary of the New Testament, a cura di G. Kittel e G. Friedrich Today's English Version Theologie und Glaube Theologische Rundschau Theologischer Handkommentar zum Neuen Testa­ ment A Translator's Handbook on the Letters of John di C. Haas, M. de Jonge, e J. L. Swellengrebel (Lon­ don: United Bible Societies, 1972) Theologische Literaturzeitung Testo Masoretico Theologische Quartalschrift Theological Studies Theologische Studien und Kritiken Texte und Untersuchungen Theologische Zeitschrift United Bible Societies Greek New Testament Vigiliae Christianae Verbum Domini Vetus Latina Vetus Syriaca Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Te­ stament M. Zerwick, An Analysis of the Greek New Testa­ meni (2 voli.; Roma: Istituto Biblico, 1974, 1979) Zeitschrift ftir die alttestamentliche Wissenschaft

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ZBG ZKG ZNW ZTK ZWT

par. parr.

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Principali abbreviazioni� M. Zerwick, Biblical Greek ( Roma, Istituto Biblico

1963) . Riferimenti ai paragrafi Zeitschrift fiir Kirchengeschichte Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft Zeitschrift fiir Theologie und Kirche Zeitschrift fiir wissenschaftliche Theologie

Versi paralleli, particolarmente negli altri vangeli sinottici. Indica la stesura originale di un manoscritto, in quanto distinta da correzioni posteriori. Nell'AT, la numerazione dei versi della KJV ( King James Version) e della RSV (Revised Standard Version) a volte differisce dalla numerazione ebrai­ ca seguita dalla maggior parte delle altre 'tradu­ zioni. Io seguo sempre l'ebraica, mettendo tra pa­ rentesi il numero della RSV. Analogamente, quan­ do la numerazione dei capitoli dei LXX differisce da quella ebraica, dò sempre la numerazione ebrai­ ca, anche quando sto discutendo parole greche. A volte, .come in Ger, dò la numerazione dei LXX tra parentesi; ma suppongo che il lettore conosca che nel Salterio la numerazione dei LXX è geJ;J.e­ ralmente un salmo indietro rispetto a quella ebrai­ ca (TM Sal 130 LXX Sal 129) . Nei riferimenti al quarto vangelo che implicano ca­ pitolo .e verso, userò la designazione Gv ; ma dove non 'si imp licano numeri, Gv può essere ambiguo, poiché abbraccia sia l'autore (putativo) che il van­ gelo. In quei casi uso sempre vangelo di Gv per il vangelo. In un elenco di studiosi che sostengono una parti� colare concezione, un punto interrogativo dopo il nome dello studioso generalmente significa che lo studioso ha dato un appoggio alla concezione con qualche esitazione ; occasionalmente significa che il pensiero dell'autore non mi è chiaro. =

Vangelo di Gv

( ?)

Per opere patristiche che sono abbastanza disponibili io dò librQ, capitolo e sezione ( Padri apostolici ; Giustino ; Adversus haereses [Adv. haer.] di Ireneo ; Contra Celsum di Origene ; Historia eccle­ siastica [Hist.] di Eusebio) . Per altri, dò l'edizione ( CC, CSE�, GCS, PG, PL) , il volume e anche il numero della pagina. Le Costituzioni apostoliche. sono citate secondo l'edizione di F. X. Funk (2 ·voli., Schoeningh, Paderborn 1906) ; e la Didascalia Apostolorum secondo l'edizione di R. H. Connolly ( Clarendon, Oxford 1929) . Le opere mandee vengono citate secondo le edizioni dei relativi titoli di M. Lidzbarski.

introduzione

t informazione dalla tradizione



Dei 27 libri del NT, tutti tranne 6 sono comunemente classificati come epistole o lettere 1• Tra le 21 lettere, le 1 3 della raccolta paolina sono intitolate secondo i loro desti­ natari menzionati ( Rm, Tm, ecc.). La lettera non-paolina agli Bb è intitolata secondo i destinatari congetturati dai contenuti. Le restanti 7 lettere sono intitolate secondo i loro autori che nel caso di Gc, l Pt e 2Pt e Gd sono nominati negli stessi scritti, ma congetturati in l Gv, 2Gv e 3Gv.

A. Designazione come lettere cattoliche e lettere di Gv

Già nel IV secolo, Eusebio (Hist. 2.23.25 ) nota che l'agget­ tivo katholikos ( « universale » ) veniva applicato a queste sette lettere 2, da cui la frequente designazione di 'cattoliQuesto capitolo è il più tecnico dell'INTRODUZIONE. Mentre logi­ camente l'informazione che esso contiene va messa prima, il non specialista può preferire trattarla come una fonte di riferimento e cominciare a leggere il punto I I . l Più avanti , nella nota 191 discuterò s e c'è differenza tra un a epi­ stola e una lettera. Le 6 eccezioni sono i 4 vangeli, Atti e Apoca­ lisse (ultimo libro della Bibbia) ; ma anche quest'ultimo comincia con lettere alle sette chiese. 2 La storia di come le lettere non giovannee vennero accettate nel canone tra le 7 non ci riguarda qui. Il valore simbolico può avere guidato il numero 7, specialmente là dove ( con l'inclusione di *

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Introduzione

che' o di tgenerali'. Questo aggettivo può essere stato usato originariamente per l Gv 3 e poi essersi esteso alle altre sei. In oriente, generalmente, si pensò che la desi­ gnazione dicesse qualcosa sui destinatari : Je sette lettere non furono indirizzate a una particolare comunità, come furono le lettere paoline a Roma o a Corinto, ma encicli­ che indirizzate a più vasti gruppi dispersi in vari posti o anche a cristiani in generale ( la chiesa cattolica ) 4• In realtà, comunque, la designazione non è poi del tutto appropriata, poiché l Pt è indirizzata a chiese specifiche, 3Gv a una persona ( Gaio) e 2Gv a una chiesa specifica. In occidente, compare un'altra interpretazione, secondo la quale funiversale, cattolico' non si riferisce al carattere generale del pubblico ma alla generale accettazione di queste lettere 5• Questo si vede nella designazione epistulae canonicae; ad es., si può supporre che Junilius ( PL 68, 19C) dica che ai libri chiamati tcanonici' ( l Pt, lGv) molti ne aggiunsero altri cinque ( Gc, 2Pt, Gd, 2Gv e 3Gv). Cassiodoro ( De institutione divinarum Litterarum 8; PL 70, 1120B ) intese fcanonico' come una qualifica per tutte e sette le lettere. Qualunque significato si dia al raggruppamento delle sette lettere fcattoliche', quel raggruppamento non ha una par­ ticolare importanza per l'interpretazione di lGv, 2Gv e Eb) la raccolta paolina fu calcolata a 14. La disposizione, che è diventata comune (Gc, l Pt, 2Pt, lGv, 2Gv, 3Gv, Gd) , venne probabil­ mente determinata in parte dall'ordine dei nomi in Gal 2, 9. Alcuni antichi codici e scrittori della chiesa (Alessandrino, Atanasio, Giro­ lamo, Cirillo di Alessandria) collocarono queste lettere dopo gli Atti degli apostoli, mostrando di credere che gli scrittori fossero di rango apostolico. 3 Apollonia, uno scrittore antimontanista del 200 d.C. circa, accusò Temiso di comporre una certa katholiké epistolé a imitazione dell'apostolo ( Gv? - si veda Eusebio, Hist. 5.18.5). Tra le lettere giovannee, lGv serbò la sua posizione come la lettera cattolica, come vediamo nel titolo fornito dal codice L del IX secolo : « Let­ tera cattolica del santo apostolo Giovanni ». 4 Ecumenio attesta questa interpretazione di katholikos nel X ( ?) secolo (PG 1 19, 453A) . s Questa interpretazione non fu assente in oriente, poiché Origene (si veda Eusebio, Hist. 6.25.5, 8) parla di Pietro che afferma una certa cosa nella sua « lettera cattolica »; con questa espressione egli intende lPt, una lettera comunemente accettata come canonica, per distinguerla da 2Pt a proposito della quale c'era controversia.

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3Gv. :È vero che ci sono alcune somiglianze se confron­ tiamo l Pt o Gc con lGv 6; ma queste derivano da problemi e situazioni comuni affrontati dagli autori di tali lettere; ad es., la fine dell'era apostolica e dei grandi maestri, diversità nell'ambito della stessa comunità e la necessità di concentrarsi sulla cura pastorale di un gregge in cui il cristianesimo non è più una novità. Per il resto, l Gv, 2Gv e 3Gv non sono per nulla più vicine alle 'lettere cattoliche' di quanto non lo siano, ad es., alle pastorali paoline. Questo spiega perché nell'Anchor Bible Gc, 1Pt-2Pt e Gd sono state trattate in un unico volume ( 37 ), mentre le lettere giovannee sono trattate a parte da un altro autore, responsabile del commentario al vangelo di Gv (29, 29A). I più stretti legami delle lettere giovannee sono con il quar­ to vangelo. Se l'antica designazione di ' lettere cattoliche' non è parti­ colarmente utile, che cosa dire riguardo all'altro antico tentativo di identificare queste lettere come ' la prima, la seconda e la terza lettera di Gv' 7? Tali titoli appaiono in tutte le Bibbie moderne e i lettori indistintamente tendo­ no a dare loro una autorità superiore a quella che i fatti autorizzino. Le tre lettere in discussione originariamente non avevano titolo. Solo verso la fine del II secolo venne­ ro preposti ai libri del NT dei titoli che rappresentavano intelligenti (ma non necessariamente corrette ) congetture a riguardo della paternità data dagli studiosi cristiani di quel periodo. A volte, queste congetture vennero fondate su tradizioni precedenti, ma spesso su tradizioni che fu­ rono semplificate troppo e mescolate. A volte, le congettu­ re vennero fondate su una analisi dei contenuti del libro del NT. La scarsità di solida informazione riguardo alla 6

Elenchi comparativi si possono trovare in Holtzmann: « Problem ( IV) » 478-79 ; Johnston: « Will » 238 ; Weiss: Briefe 8-9. 7 Questi sono titoli che appaiono nei codici greci più importanti, ma si veda la prima NOTA a lGv e Appendice III. Le tre lettere si trovano nei codici Vaticano e Sinaitico del IV secolo e nel codice Alessandrino del V secolo. Il codice di Beza (V secolo) ha perso 67 fogli, parte dei quali contenevano il greco di 1Gv, 2Gv e 3Gv ; tut­ tavia, conserva in latino 3Gv 1 1-15. Il codice rescriptus di Efrem ( V secolo) contiene lGv fino a 4, 2 e 3G v 3-15. Un papiro del III secolo, F9, contiene 1Gv 4, 1 1-12.14-17, mentre p74, un papiro di Bodmer ( XVII) del VII secolo, contiene sezioni di lGv, 2Gv e 3Gv.

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paternità del NT diventa evidente quando ci rendiamo conto che solo nelle lettere di Paolo, Gc, Pt e Gd e nell'Ap ( 1 , 1 .4.9 ) il libro stesso ci fornisce il nome dell'autore. Eppure in questi casi si richiede prudenza; ad es., non c'è ragione per identificare il profeta Giovanni dell'Ap con qualche altro 'Giovanni' a noi noto nel NT (e specificata­ mente con Giovanni figlio di Zebedeo) e, nel caso del­ le lettere, un discepolo può avere adoperato il nome di un personaggio cristiano più importante ( Paolo, Gc, Pt) per indicare la sua dipendenza dal pensiero di quel maestro. Per un lettore moderno può essere sconcertante che un fattore così importante come la paternità non venisse meglio definito nell'antichità, e che l'autorità sot­ tostante al messaggio fosse nell'antichità cristiana un problema molto più grande della identità dello scrittore. Ad es., quello che i datori di titoli del II secolo chiamaro­ no 'il vangelo secondo Marco' si presenta semplicemente come « il vangelo di Gesù Cristo » (Mc l, 1 ). Concesse queste limitazioni generali, dovremo esaminare ogni a­ · spetto delle affermazioni implicite nei titoli 'la prima, seconda e terza lettera di Gv'. Queste opere sono tutte lettere? Sono tutte di una stessa persona ? Se cosl, fu egli l'autore del quarto vangelo ? Ancora, in caso affermativo, si tratta di Giovanni figlìo di Zebedeo, o di qualche altro Giovanni (ad es., Giovanni il Presbitero menzionato da Papia ABJ 29, xc-xci ; tr. it. cviii s ), o di uno scono­ sciuto ? In che ordine vennero scritte queste opere 'gio­ vannee'; vennero scritte allo stesso tempo? Nel rispondere alle questioni, cominceremo con la ristretta informazione a riguardo di queste tre 'lettere di Gv' fornita dall'antichità. -

B. Atteggiamenti nei confronti di queste lettere nei primi cinque secoli

Tra gli scrittori cristiani non c'è una prova sicura di una conoscenza di qualche lettera giovannea prima della metà del II secolo. Naturalmente, questo non significa che esse vennero scritte così tardi poiché, come vedremo, per la loro composizione una data attorno al 100 è molto plausi­ bile. Ma la mancanza di antica attestazione ci rende pru-

Informazione dalla tradizione

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denti nel supporre che lungo tutto il II secolo ci fosse una solida tradizione che le attribuiva a una figura conosciuta chiamata Giovanni . Comincerò con la testimonianza che suppone una conoscenza delle lettere fin dai primi tempi 8• l. Possib ili

echi prima del 175 d.C.

I seguenti paralleli, suggeriti da diversi studiosi, a mio giudizio sono abbastanza inadeguati per stabilire una co­ noscenza delle lettere giovannee: - La Prima lettera ai Corinti, attribuita a Clemente di Roma e datata dal 96 circa, dà questa istruzione ( 49, 1 ) : « Colui che ama Cristo adempia i comandamenti d i Cri­ sto )). l Gv 5, 3 fa una connessione tra amore e osservare i comandamenti, ma il vocabolario delle due opere è molto diverso. !Clem. 4 9, 5 e 50, 3 descrivono il popolo di Dio come « perfetto in amore )), una espressione che ricorda l Gv 2, 5 ; 4, 1 2. 1 7- 18 ; ma dai due autori non viene usata la stessa forma del verbo ( teleioun). Inoltre, come mostrerò più avanti nella NoTA a 1 Gv 2, Sb ( « ha raggiunto la perfe­ zione » ), il complesso di idee ha la sua origine nel giu­ daismo ed è attestato altrove nel NT. Un Dio che è fedele e retto (pistos, dikaios) è salutato sia in lClem. 21, 1; 60, l che in l Gv l , 9 ; ma questo è un motivo troppo comune nell'AT per stabilire una interdipendenza delle due opere cristiane. - Le lettere di Ignazio di Antiochia sono datate dal 1 10-15 circa e quindi dentro l'ambito di circa una decade della composizione delle lettere giovannee e di circa due decadi della composizione del vangelo di Gv. Ignazio, che veniva da Antiochia, visitò e scrisse alle chiese esistenti in Asia Minore, non lontano da Efeso, avendo quindi contat­ to con le due città più spesso proposte come il centro del cristianesimo giovanneo. Non sorprende che alcuni stu­ diosi abbiano discusso se un contemporaneo cronologico e

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Sebbene buona parte di questa testimonianza non sia convin­ cente in modo tale da stabilire dipendenza dei rispettivi autori dalle lettere giovannee, si dimostrerà utile per fare vedere quante idee giovannee sono in armonia con i modelli del comune pensiero

cristiano.

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Introduzione

geografico avesse potuto conosce rè il vangelo. di Gv 9 e/o lGv. Se qui ci limitiamo· alla ·conoscenza di 1 Gv, Ef. 11, l menziona gli ultimi tempi, mentre l Gv 2, 18 menziona l 'ultima ora; Ef. 15,3 menziona che Dio verrà rivelato davanti a noi, come fa l Gv 3, 2. I paralleli sono lungi dall'essere letterali, e ancora una volta abbiamo a che fare con ordinarie idee giudaiche. Si veda più avanti lNTRODU· ZIONE IV B3b per somiglianze tra gli oppositori di Ignazio e coloro di l Gv e 2Gv: somiglianze che possono sorgere dal comune ambiente. - La Didache venne scritta non si sa dove tra il 90 e il 1 20 d.C. ( sebbene i più preferiscono una data precedente ). In 10, 5 ha in comune con l Gv (e con lClem., menzionato più sopra) il tema di perfezionare la chiesa nell'amore. Questo parallelo diventa alquanto più impressionante quando proprio nel verso seguente ( Did. 1 0, 6 ) parla del mondo che sta scomparendo, come fa l Gv 2, 1 7 ( con un vocabolario leggermente diverso ). Il problema di mettere alla prova coloro che parlano nello spirito appare in for­ ma affermativa in lGv 4, l e in forma negativa in Did. 11, 7, ma con un vocabolario diverso. Dal momento che ci sono anche paralleli tra Didache e il vangelo di Gv ( si veda ABJ 29, 248; 29A, 673 .746; tr. it. 321; 812.908 ), non è impossibile che ci siano stati alcuni contatti tra il pensie9 Una rassegna fino al 1940 viene offerta da Burghardt: « lgnatius »; per materiale posteriore, si veda ABJ 29, lxxxi ( tr. it. xlv s) . Tra coloro che sostengono una probabile o sicura dipendenza lettera­ ria ignaziana dal vangelo di Gv ci sono: Battifol, Bernard, Bumey, Calmes, Camerlynck, Knabenbauer, Lebreton, Lietzmann, Moffatt, Resch e Streeter. Tra coloro i quali pensano che certamente o probabilmente non ci fu una tale dipendenza ci sono: Abbott, Bacon, Carpenter, Harnack, Réville, Schlier e Schmiedel. Tra co­ loro che trovano troppo difficile decidere ci sono : Burghardt, Holtzmann, Lightfoot, C. Richardson, Sanday, Strachan, Tillmann, Westcott e Zahn. I punti di somiglianza proposti includono il linguaggio cristologico (Magn. 8, 2: « Un Dio che manifestò se stesso per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio il quale è la sua Pa­ rola » = Gv 17, 3 ; l, 1 ) , il linguaggio eucaristico ( •• carne » e •• s an­ gue,. di Cristo in Filad. 4, l e « la medicina di immortalità, l'an­ tidoto che non ci farà morire ma vivere per sempre » in Ef. 20, 2 = Gv 6, 51-56) e il linguaggio appartenente allo Spirito (il quale « conosce donde viene e dove va » in Filad. 7, l= Gv 3, 8 ; 8, 14) . A quanto sembra, giovannei sono i termini « vita vera » ( alethinos) in Trall, 9, 2 e « acqua viva » dentro il cristiano in Rom. 7. 2.

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ro giovanneo e quello di Didache, anche se non c'è prova di contatto letterario. Più adeguati sono i seguenti paralleli proposti, che io ho

messo in ordine ascendente di probabilità (così che solo l'ultimo considererei seriamente come probatjvo di con� scenza di una o più lettere giovannee): - La Lettera di Barnaba (130 circa? ) ha un passo su Gesù che rivela se stesso « come il Figlio di Dio venuto nella carne » ( 5 , 9-11 ; anche 12, 10 ) che si avvicina all'e­ spressione di 1Gv 4, 2 e di 2Gv 7. Un altro passo (Barn. 14, 5): « ... che, quando Gesù venne rivelato, poté redimere dalle tenebre i nostri cuori consegnati all'inganno [plane] della iniquità [anomia] », ha paralleli con temi in 1Gv 3, 4 ( anomia), 3, 7 (planan ) e 3, 8 : « La ragione per cui il Figlio di Dio venne rivelato fu per distruggere le opere del diavolo ». - La Seconda lettera di Clemente ai Corinti (150 circa?) chiede (6, 9 ) : « Chi sarà il nostro avvocato [parakletos] , se noi non siamo trovati ad avere opere pie e rette ? ». 1Gv 2, 1 parla del giusto Cristo come nostro parakletos. Proba­ bilmente parakletos, una parola giovannea nel NT, ebbe un uso cristiano più vasto dalla seconda metà del I I secolo, e così i l suo impiego non è sufficiente per stabilire conoscenza di lGv da parte dell'autore di 2Clem. '0• IO

Anche se si dovesse sostenere una dipendenza letteraria basata sull'uso di un termine comune al vangelo di Gv e a 1Gv (come parakliUos) , si dovrebbe essere prudenti nel decidere quale opera fu la fonte. Ad es., trovo molto poco convincente la tesi di Pheme Perkins che il (forse) gnostico Apocrifo di Giacomo del III secolo (?) fece uso di 1Gv (SBLASP [ 1979] § 1 16) . L'argomento si accentra su I 1 1 , 5-6 (NHL 34) dove Gesù dice: « Io intercedo per voi presso il Padre, ed egli perdonerà a voi molto », come una eco di lGv 2, 1-2: « Se qualcuno pecca, abbiamo un parakletos [ intercessore?] alla presenza del Padre, Gesù Cristo, colui che è giusto ; ed egli stesso è una riparazione per i nostri peccati ». Comunque, nel­ l'Apocrifo tutti i passi limitrofi riguardo a Gesù che se ne va ( l 10, 22-23) , riguardo a l « diletto » che implora i l Padre che darà loro (l 10, 30-34) e riguardo alla tragedia di coloro che mancano di un avvocato (l 1 1 , 1 1-12) , richiamano l'attenzione sul racconto dell'ul­ tima cena nel vangelo di Gv ( 14, 12-16 ; 16, 4b-10) ; e così l'idea del­ l'intercessione di Gesù presso il Padre e del perdono di peccati può congiungere Gv l , 29 e 14, 28. Nessuna opera gnostica primitiva fa manifesto uso di lGv, mentre il vangelo di Gv è un preferito tra gli ·gnostici (più avanti, nota 148) .

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Introduzione

- Il Pas tore di Erma ( prima del 150 ) ha numerose inte­

ressanti somiglianze con lGv. In Erma Man. 3 . 1 troviamo : « Il Signore è verace in ogni parola e in lui non c'è menzogna », che rassomiglia a lGv 2, 27 dove l'unzione da parte di Cristo viene descritta come « vera e libera da gni menzogna ». L'incoraggiamento di Brma Man. 1 2.3.5 : « Osserverete facilmente [i comandamenti ] , poiché essi non sono duri », rassomiglia nel pensiero a lGv 5, 3 : « Os­ ·serviamo i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono gravosi ». In Erma Sim. 9.24.4 si dice al cristia­ no: « Del suo [ del Figlio di Dio] Spirito avete ricevuto » , proprio come lGv 4, 1 3 asserisce : « Egli ( Dio) ha dato a noi del suo stesso Spirito ». - Sia le Apologie che il Dialogo di Giustino Martire ( 1 50 circa) contengono somiglianze con le lettere giovannee. Il riferimento al sangue di Cristo che purifica coloro che credono in lui (JApol. 32, 7 ) assomiglia all'affermazione di lGv l, 7; essa sarebbe un'idea cristiana troppo comune per poter essere minimamente persuasiva se il versetto successivo (JApol. 32, 8) non parlasse del « seme di Dio, la Parola », che abita nel credente - temi che si trovano in l Gv 2, 14 e 3 , 9. Se si utilizza Dialogo 123.9 : « Noi che {)Sserviamo i comandamenti di Cristo siamo chiamati au­ tentici figlioli di Dio - e quello è ciò che noi veramente siamo », si trova uno stretto parallelo con il frequente tema presente in lGv di osservare i comandamenti (2, 3 ; J , 22; 5, 3 ) e più specificatamente con 3, 1: « Nel metterei in condizione di essere chiamati figli di Dio - come real­ mente lo siamo », - La Lettera a Diogneto, un'altra opera apologetica di incerta data (congetture variano dal 125 al 225 ), afferma (10, 2-3 ): « Dio amò gli esseri umani ... ai quali mandò il suo unico Figlio ... Quanto grandemente amerai lui che per primo amò te ? ». Questa espressione si avvicina molto a quella di lGv 4, 9 . 1 9 . In Diogn. 11, 4 la Parola viene de­ scritta come « quella che era dal principio », una fraseolo­ gia che ricorda 1Gv 1, l ; 2, 13-14. - La Lettera ai Filippesi di Policarpo, che difficilmente può venire datata dopo il 140, fornisce il primo importan­ tissimo parallelo con le lettere giovannee. Parlando di falsi fratelli ingannatori (6, 3 ) i quali non riconoscono la croce, in 7, l Policarpo dice : « Poiché ognuno che non

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confessa Gesù Cristo essere venuto [inf. perf.] nella carne è Anticristo »; si avvicina in modo singolare ai due passi giovannei : « Molti ingannatori sono usciti nel mondo, uo­ mini i quali non confessano Gesù Cristo che viene [par· tic. pres.] nella carne. Ecco ... l'anticristo » (2Gv 7); « Ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto [partic. perf.] nella carne ... Ogni spirito che non confessa Gesù . è dell'anticristo » (cfr. lGv 4, 2-3 ) 1 1 • La probabilità di una vera eco delle lettere giovannee viene aumentata quando ri­ chiamiamo l'attenzione sull'espressione « appartenere al diavolo » nella riga successiva di Policarpo 7, l e in l Gv 3, 8. In Policarpo è pure importante il verso successivo (7, 2 ) : « Ritorniamo alla parola trasmessaci da [ ex] il prin­ cipio », poiché il tema di ciò che fu noto o udito « da [apo] il principio » si trova in l Gv 2, 7.24 ; 3, 11. Tuttavia, si noti la differenza di preposizioni. Dalla seconda serie di paralleli suggeriti, sembra chiaro che dalla seconda metà del secolo, idee, temi e anche slogans delle lettere giovannee (o, per lo meno, di lGv ) venissero citati i n altre opere cristiane. M a nessuna delle somiglianze proposte consta di una citazione alla lettera, così che è ancora molto difficile essere certi che qualcuno degli autori menzionati avesse davanti a sé un testo di una lettera giovannea. Nondimeno, la probabilità che l Gv fosse disponibile a Policarpo viene accresciuta dall'infor­ mazione di Eusebio (Hist. 3.39 . 1 7 ) che Papia, il quale fu un contemporaneo di Policarpo (3.36.1-2 ), « fece uso di testimonianze dalla prima lettera di Gv » 12 • .

.

I l Nell'insieme, Policarpo si avvicina di più a 2Gv, sebbene la di­ sposizione delle parole dell'espressione « nella carne » sia più si­ mile a lGv. Egli sembra avere compreso l'ambiguo partic. pres. di 2Gv come una venuta nel passato. Per il disputato testo greco di 1Gv 4, 3, importante per questa questione, si veda più avanti la NorA a questo verso. 12 La designazione 'prima lettera' o • lettera anteriore' riflette la conoscenza di Eusebio nel IV secolo, di altre lettere giovannee ; ciò non significa che all'inizio del II secolo Papia le conoscesse. Un esempio proposto, ma dubbio, che Papia conoscesse una o più lettere giovannee, è la sua asserzione citata da Eusebio (1Iist. 3.39.3) che egli trovò piacere in « coloro che ricordano i coman­ damenti dati da parte del Signore per fede e che arrivano ( a noi) dalla verità in persona (verità stessa) ». l Gv insiste sull'origine divina del comandamento dell'amore (2, 7 ; 4, 21) e 3Gv 12 parla di testimonianza " dalla verità stessa » ,

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2. Dal tardo II secolo al V secolo Le

prime innegabili citazioni delle lettere giovannee ricor­ rono nel 180 d.C. circa, nello scritto di Ireneo di Lione del quale, quando ancora giovane si trovava in Asia Minore, si dice abbia udito la predicazione di Policarpo ( Eusebio, Hist. 5.20.6 ). In tre passi dell 'Adv ers us haereses ci sono dirette citazioni 13 come parte della polemica antignostica di Ireneo : 1 . 16.3 cita 2Gv 1 1 (come se fosse di Giovanni, il discepolo del Signore) 3.16.5 cita 1Gv 2, 18-19.21-22 3.16.8 cita 2Gv 7-8 ; lGv 4, 1-2 ; 5, l .

Ireneo, quindi, conosceva 2Gv come pure l Gv, sebbene forse non come lettera separata. Quando cita 2Gv in 3.1 6.8, egli si riferisce alla citazione proveniente dalla let­ tera che ha già citato, che deve essere l Gv citato in 3 . 16.5. Inoltre, dopo aver citato 2Gv egli continua con altre cita­ zioni da « questa lettera », cioè l Gv 4, 1-2 e 5, l . Una testimonianza più oscura di lGv e 2Gv è quella del frammento o canone muratoriano, un elenco latino di libri che vennero accettati come canonici. (Il latino bar­ baro probabilmente rappresenta una traduzione dal gre­ co ). Solitamente, il frammento è stato datato dalla fine del II secolo (e quindi all'incirca contemporaneo di Ire­ neo) e collegato alla chiesa di Roma 14• Esso racconta che Gv scrisse il vangelo ; poi si riferisce alle « sue lettere », nelle quali egli affermava di scrivere « ciò che noi abbia­ mo visto con i nostri occhi, udito con le nostre orecchie e toccato con le nostre mani >> ( cfr. l Gv l , 1 ). Più avanti, il frammento fa un altro riferimento alle lettere giovannee, 1 3 Ci può essere una implicita citazione di 1Gv 4, 6 in 1 .9 .5 ( « spiriti di inganno ») , e una implicita citazione di 1Gv l, 1-4 in 5 . 1 . 1 . (« u­ dire con le nostre stesse orecchie , ; « noi possiamo avere comu­ nione con lui » ) . 1 4 La data più comune è stata messa in discussione da A. C. Sundberg, Jr.: « Canon Muratori: a Fourth Century List » , HTR 66 ( 1973) 1-41, che l'attribuirebbe all'oriente piuttosto che a Roma. Non è ancora chiaro se Sundberg abbia molto sèguito nella sua tesi e, a mio avviso, essa solleva più problemi di quelli che ri­ solve.

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che normalmente viene tradotto così : « Certamente la let­ tera di Gd e due del summenzionato Gv sono accettate nella chiesa cattolica » 15• Se la traduzione è corretta, sicu­ ramente ]e due sono 1 Gv e 2Gv. Proprio verso la fine del II secolo, 1 Gv venne citato sia in occidente che in oriente. Ad es., Tertulliano (morto nel 2 1 5 ) cita 1 Gv circa quaranta o cinquanta volte, riferendosi a essa come all'opera di Gv. Clemente di Alessandria (morto nel 220 circa) non solo cita 1 Gv 16, ma parla di essa come de « la lettera più lunga » ( Stromata 2.15.66; GCS 1 5.148), così che egli conosceva per lo meno un'altra lette­ ra giovannea. Questo viene confermato dalle Adumb ratio­ nes che contengono il commento di Clemente a 2Gv 17• Quando noi accostiamo Clemente a Ireneo e al frammento muratoriano, vediamo che dal 200 d.C. 2Gv veniva accolto fianco a fianco di 1 Gv. Prima della metà del III secolo, troviamo tra gli studiosi alessandrini la prima attestazione dell 'esistenza di 3Gv (ma anche in questo caso la nostra testimonianza è di seconda mano). Secondo Eusebio (Hist. 6 .25.10), il celebre Origene ( morto nel 253 ) conosceva sia 2Gv che 3Gv, .ma 15 « Epistola sane Jude et superscricti[o] Johannis duas in catholica habentur ». Presumibilmente, superscricti[o] è una scrittura erro­ nea per suprascripti. P. Katz: « The Johannine Epistles in the Mu­ ratorian Canon », JTS 8 ( 1957) 273·74, sostiene che " catholica » non significa " chiesa cattolica ,. ma « lettera cattolica ,. ; e quindi egli interpreta Muratori cosi: " Certamente, sono accettate la lettera di Gd c due delle summenzionate di Gv, oltre alla lettera cattolica [ lGv ] ». Questo significherebbe conoscenza e accettazione di tre lettere giovannee. Holtzmann: " Problem ( IV) ,. 484, sostiene che Muratori stava riferendosi a 2Gv e 3Gv quando menzionò " due ,. per il motivo che 1Gv venne messa assieme al vangelo di Gv, quasi come parte di quel vangelo. Egli offre come prova l'abitudine di alcuni MSS. occidentali tardivi di collocare 1Gv (ma anche 2Gv e 3Gv) i mmediatamente dopo i vangeli e prima di At ; ad es., il codice di Beza di Cambridge. 16 Ad es., Stromata 35.44 e 3 .6.45 (GCS 15, 216-17) cita 1Gv 2, 4.18-19, mentre Quis dives salvetur 37.6 (GCS 17, 184) cita 1Gv 3 , 15. 17 Si veda GCS 17, 215. Le Adumbrationes sono una traduzione la­ tina ( spesso attribuita a Cassiodoro, del 540 circa) di parte del testo greco Hypotyposeis di Clemente andato perduto. Riferendosi a quest'ultima, Eusebio, Hist. 6.14.1 , fa un'osservazione generale sul fatto che contiene un commentario su Gd e su « altre lettere cattoliche "• ma ciò è insufficiente per provare che pure Clemente conobbe 3Gv.

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Introduzione

anche che « non tutti le considerano autentiche )) 1 8 • Il discepolo di Origene, Dionigi di Alessandria (morto nel 265 ), sostenne che l'apostolo scrisse sia il vangelo che la « lettera cattolica », ma non l'Ap; ed egli sapeva che c'era una « presunta seconda o terza lettera di Gv » ( Eusebio, Hist. 7.25.7-8 . 1 1 ). Le Sententiae Episcoporum ( 38 1 ) del set­ timo concilio di Cartagine (256 d.C.) mostrano che all'in­ circa in questo stesso tempo 3Gv era conosciuta anche in Nord Africa fianco a fianco di 2Gv ( Harnack e Manson 19 hanno sostenuto che la traduzione latina di 3Gv tradisce una mano diversa da quella del traduttore di 2Gv : una osservazione che probabilmente implica una storia diversa e posteriore di accettazione in occidente di 3Gv). Ciò nonostante, nessuna delle due brevi lettere giovannee venne citata da Cipriano di Cartagine ( morto nel 258 ) 20 che citò 1 Gv. All'inizio del IV secolo, Eusebio di Cesarea collocò 1 Gv tra i « libri riconosciuti )> della Scrittura, mentre 2Gv e 3Gv, sebbene « ben noti e riconosciuti dai più», vennero elenca­ ti tra i « libri disputati » ( Hist. 3.24.17 e 3.25.2-3 ). A quanto sembra, non era chiaro alle persone se le brevi lettere giovannee fossero state scritte dall'evangelista o da qual­ che altra persona 21 • Eppure, nella sua Demonstratio evan­ gelica ( 3 .5.88; GCS 23, 126-27 ), Eusebio dice che l'apostolo autore del vangelo scrisse anche quelle lettere nelle quali egli chiama se stesso un presbitero : un'osservazione che abbraccerebbe 2Gv e 3Gv. 18

I n realtà, comunque, mentre Origene adopera frequentemente lGv, non cita mai 2Gv e 3Gv. Nelle sue opere esistenti, l'unica testi­ monianza della sua conoscenza di più di una lettera giovannea si trova nella . traduzione latina ( il greco è andato perduto) delle Omelie su Giosuè (7, l ; GCS 30, 328) dove egli si riferisce alle « lettere » dello scrittore giovanneo ; ma nella stessa opera ( 7, 4 ; GCS 30, 331) egli parla di « questa lettera ». 19 Si vedano gli articoli citati più avanti nelle note 24 e 25 . 20 Il fatto che normalmente Cipriano parli d i « Giovanni nella sua lettera » ( in epistula sua) , ha condotto alla falsa conclusione che egli potesse conoscere una sola lettera giovannea. P. Schepens, RSR 11 ( 1921) 87-89, ha mostrato che Cipriano usa la stessa espressione in riferimento a Paolo, che si sapeva avere scritto molte lettere. In realtà, essa non significa niente altro che « in una sua lettera ». Cipriano fu al già menzionato concilio di Cartagine e, pertanto, doveva conoscere più di una lettera giovannea. 2 1 Si veda più avanti II A dell'INTRODUZIONE.

Informazione dalla tradizione

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Nella metà del IV secolo, il canone mommseniano del Nord Africa ( Cheltenham ) elencò tre lettere di Gv, ma una glossa marginale lo corresse con « una sola ». Verso la fine del secolo, Girolamo riferì che molti attribuivano 2Gv e 3Gv al Presbitero che era una persona distinta dall'aposto­ lo Giovanni 22 • Un canone posteriore, un tempo attribuito al patrono di Girolamo, papa Damaso I ( morto nel 384 ), parla di due lettere giovannee soltanto, una dell'apostolo Giovanni, l'altra del Presbitero. Nessun uso di 2Gv e 3Gv venne fatto da Giovanni Crisostomo (morto nel 407 ) o da Teodoro di Mopsuestia ( morto nel 428 ) : figure influenti nell'esegesi orientale. Ciò nonostante, l'accettazione delle tre giovannee, fondata sulla supposizione che fossero state scritte dall'apostolo Giovanni, fu all'ordine del giorno nel tardo IV secolo, come si può vedere dalla trentanovesima lettera festiva di Atanasio ( 367 d.C.), dal Sinodo di Ippona (393 ) e dal Concilio di Cartagine ( 397 ) al quale fu presente Agostino 23 . Lo studioso alessandrino Didimo il Cieco ( mor­ to nel 398 ) scrisse un commentario su tutte e tre, mostran­ do che esse venivano considerate una unità. La presenza di tre lettere giovannee nei grandi codici della Bibbia del IV e del V secolo fu un altro segno della loro sempre più ampia accettazione nelle chiese di lingua greca e di lingua latina. Nella chiesa orientale di lingua siriaca, forse Afraate ( 340 circa) e sicuramente Efrem (morto nel 373 ) conobbero l Gv, e nel V secolo solo quella lettera giovannea poteva trovarsi nella peshitta, la Bibbia maggiormente usata dai diversi gruppi cristiani di lingua siriaca. Solo più tardi e ancora non universalmente, 2Gv e 3Gv fecero la loro ap­ parizione nelle Bibbie siriache; ad es., nella versione filos­ seniana all'inizio del VI secolo, mentre non veniva ancora accettata dai nestoriani. Come spieghiamo una storia così peculiare di conserva­ zione nei confronti di l Gv conosciuta e accettata nel la viris illustribus 9 ; PL 23, 655B . Ma in una lettera a Paolino (Epistula 53.8 ; PL 22, 548) senza segno di esitazione Girolamo Ii attribuì a un apostolo Giovanni. 23 L'importante commentario di Agostino a lGv (In Epistolam /oannis ad Parthos ; si veda SC 75) , scritto nel 415 d.C., è incom­ pleto, fermandosi a 5, 2.

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metà del II secolo; con 2Gv che cominciò a venire scar­ samente accettata più tardi in quel secolo; con 3Gv che non venne menzionata fino al III secolo 24 ; e con dubbi riguardo alla paternità e alla canonicità di 2 Gv e 3Gv trascinatisi fino a molto più tardi ? Anche se le tre lettere furono scritte da una persona quasi allo stesso tempo (cosa che testimonianza interna favorisce ), chiaramente esse non furono conservate fianco a fianco o valutate allo stesso modo. Se il solo problema fosse la mancanza di citazione da parte degli scrittori della chiesa, si potrebbe giustamente sostenere che 2Gv e 3Gv sono le opere più corte del NT e ci sarebbe stata scarsa occasione per citarle. Ma implicitamente c'è di più poiché, quando 2Gv e 3Gv sono menzionate nel III e nel IV secolo, c'è un forte dubbio a loro riguardo. Parte della risposta sta sicuramente nel fatto che nell'ultima parte del II secolo l Gv, che non fornisce diretta informazione a riguardo del suo scrittore, venne accettata fianco a fianco del vangelo di Gv come avente lo stesso autore apostolico. Comunque, 2Gv e 3Gv descrivono il loro autore come « il Presbite­ ro » : informazione che portò molti a ritenere che egli non fosse l'apostolo al quale attribuivano l Gv. Questa distin­ zione venne facilitata pensando che l'informazione di Pa­ pia (Eusebio, Hist. 3.39.4 ABJ, xc-xci; tr. it. cviii s) si­ gnificasse l'esistenza di due uomini chiamati Giovanni, l'uno discepolo del Signore, l'altro « il Presbitero ». La mancanza di paternità apostolica costituiva un grave osta­ colo all'accettazione come Scrittura di queste brevi lette­ re. Quando ciò venne superato supponendo che l'apostolo Giovanni chiamasse se stesso semplicemente « il Presbite­ ro » per modestia, proprio come l'apostolo Pietro chiama­ va se stesso « il co-Presbitero » ( l Pt 5, l ), una distinzione riguardante la canonicità poté ancora essere fatta tra 2Gv rivolta a una chiesa e 3Gv rivolta a un individuo - i libri biblici erano parola di Dio rivolta alla chiesa 25 • 24 Questi tre stadi vengono accuratamente distinti da T. W. Manson : « Entry into Membership of the Early Church "• JTS 48 ( 1947) 25-33, specialm. 32-33. 25 Nel discutere il frammento muratoriano, A. von Harnack, ZKG 3 ( 1879) 379-80, sostiene fermamente che i due criteri per la canonicità erano paternità apostolica e destinazione alla chiesa cattolica .

I l . problemi di paternità giovannea

Nell'unità precedente, alla fine della sezione A, ho posto una serie di importanti questioni riguardo all'origine e alla paternità delle lettere giovannee, questioni non risolte semplicemente ripetendo i titoli a esse dati nell'antichità. Poi, nella sezione B ho passato in rassegna la testimo­ nianza dei primi cinque secoli per vedere se nella tradizio­ ne primitiva si poteva trovare una risposta a quelle questio­ ni. Ma, in effetti, quella tradizione si mostrò abb astanza incapace di dirci chi scrisse le lettere, in quale ordine e come siano collegate al vangelo di Gv. Senza trascurare quella tradizione esterna, che però è confusa, dobbiamo ora rivolgerei alla testimonianza interna delle stesse lette­ re per il problema della paternità. Possiamo concentrarci su tre questioni : (A) lo stesso autore scrisse tutte e tre le lettere ?; (B) lo stesso autore scrisse il vangelo di Gv e le lettere ?; e (C) in quale successione furono scritti il vange­ lo di Gv e le lettere ?

A. Lo stesso autore scrisse tutte e tre le lettere?

A questa questione è stata data una risposta negativa da molti studiosi antichi e moderni 26• La più comune forma 26 Nell'antichità: Origene, Dionisio di Alessandria, Eusebio, Am· brogio, Girolamo ; più recentemente: Balz, Bergmeier, Bousset,

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di risposta negativa attribuisce l Gv a una persona (spesso l'evangelista) e 2Gv e 3Gv a un'altra 27; ma alcuni autori moderni optano per tre diversi scrittori per le tre lette­ re 28• Dubbi a riguardo della comune paternità provengono da numerosi fattori. Come abbiamo visto, le lettere venne­ ro accolte come Scrittura canonica separatamente e in tempi molto diversi: un fatto che non incoraggia una tesi di paternità comune. Abbiamo pure visto la difficoltà cau­ sata dal fatto che l'autore di lGv non identifica mai se stesso con nome o con titolo, mentre l'autore di 2Gv e di 3Gv chiama se stesso « il Presbitero » 29• Inoltre, una chia­ ra forma epistolare (mittente, destinatario, messaggio, conclusione ) stacca 2Gv e 3Gv da l Gv, che è completa­ mente priva di forma epistolare 30• Sfortunatamente, 2Gv e 3Gv sono così brevi da non offrire sufficiente materiale per fare un confronto dettagliato tra le tre lettere, e cosi non è possibile avere certezza a riguardo della loro pater� ri.ità. Tutto ciò che si può sperare di fare è di stabilire una probabilità. Come ha riconosciuto Dodd, Epistles lxii, i paralleli tra 3Gv e l Gv non sono sensazionali. Di conse� guenza, il metodo usuale di procedimentò nel determinare se si trattò di un solo autore è di fare un confronto tra Bultmann, Clemen, Ebrard, Harnack; Heinrici, Heise, Hirsch, Langbran dtner, Moffatt, Peake, Pfleiderer, Renan, Schleiermacher, Schwartz, Selwyn, von Dobschiitz, von Soden, J. Weiss. 27 L'apparente distinzione di Papia tra Giovanni il discepolo del Signore e Giovanni il Presbitero, menzionata al termine dell'ul­ tima unità, continua ad alimentare questa teoria. J. Moffatt, An lntroduction to the New Testament (Scribners, New York 1922 ; che ristampa la 3a ed., 1918) , 479-81 , attribuisce non solo 2Gv e 3Gv a Giovanni il Presbitero, ma accetta anche l'antica teoria ( di Dio­ nisio di Alessandria) che egli scrisse l'Ap. 28 U na pecul iare variante è quella di Hirsch, Studien, 177, il quale pensa che lGv sia composito ; il secondo scrittore di quella com­ posizione sarebbe l'autore di 2Gv e 3Gv. 29 L'argomento che l'autore di lGv non può essere un apostolo per il mot ivo che non si identifica come tale ha scarso valore ( anche se io non penso che l 'autore fosse un apostolo) . Esso suppone che lGv sia una lettera, il che probabilmente non è vero ( si veda più avanti, V Cl) . Ci può essere .una certa validità nel­ l'argomento che l'autore di vere lettere come 2Gv e 3Gv, che ri• chiedono una identificazione del mittente, non si qualificherebbe come « il Presbitero » se fosse un apostolo. 30 La forma epistolare del NT verrà discussa in dettaglio nell'Ap­ pendice V.

Problemi di paternità giovannea

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3Gv e 2Gv e, poi, di fare un confronto tra 2Gv e l Gv. Un giudizio affermativo, risultante dai due confronti, stabili­ rebbe logicamente lo stesso autore per tutte e tre le lettere. l . Paternità comune per 2Gv e 3Gv ?

Queste due lettere sono di lunghezza quasi uguale - in greco rispettivamente 245 parole/ 1 1 26 lettere e 2 1 9 paro­ le/ 1 1 05 lettere, la lunghezza essendo stata sicuramente im­ posta dalla misura di un foglio di papiro 30a. Esse hanno virtualmente le stesse formule di apertura e di chiusura. Nei primi quattro versi di ciascuna lettera, un mittente che si designa come « il Presbitero » assicura il destinata­ rio : « In verità io vi ( ti ) amo », e apre il corpo della lettera con le parole : « Diede a me molta gioia », mentre loda il destinatario poiché cammina nella verità. Quanto alla chiusura del corpo della lettera e alla formula di conclusione, una citazione illustra il parallelismo : 2Gv 12-13: Sebbene abbia molto di più da scrivervi, non voglio farlo con carta e inchiostro. Invece, spero di venire da voi e avere una conversazione fatta col cuore in mano, così che la nostra gioia possa es·sere completata. I figli della tua sorella eletta ti mandano i saluti. 3Gv 13-15: Io avevo molto di più da scriverti, ma non voglio scrivertclo con penna e . inchiostro. Piuttosto, spero di vederti presto, e poter avere una conversazione fatta col cuore in mano. Pace a te. Qui i diletti ti mandano i saluti ; saluta ivi i diletti per nome.

Da queste somiglianze, che staccano 2Gv e 3Gv dalle altre lettere del NT, la maggior parte degli studiosi ha concluso che esse vennero composte dalla, stessa persona. Tuttavia, nei tempi passati, Clemen e Schleiermacher argomentaro­ no contro quella conclusione e Bultmann e Heise attri­ buiscono la somiglianza a un falsario. (e 3Gv come la composizione più originale ). Chiaramente bisogna prendere in considerazione sia le somiglianze che le differenze. Né la somiglianza nella lun30a La misura classica sembra fosse « 8 per 10 », o 20 per 25 cm. Deismann, LFAE 179-94, cita lettere dall'Egitto ( 150-200 d.C.) che constano di 1 124 lettere. Già Origene ( E usebio, Hist. 6.25.7) nota la brevità delle lettere giovannee minori ( « poche righe ") .

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ghezza né nella forma epistolare ( specialmente nell'aper­ tura e nella chiusura) provano molto, dal momento che J e lettere tendono ad avere una forma fissa, specialmente quando vengono scritte nello stesso tempo all'incirca. Si potrebbe sostenere che le variazioni minori nell'apertura e nella chiusura di 2Gv e 3Gv sarebbero più intelligibili se ve­ nissero da uno scrittore che non si fosse ripetuto con asso­ luta coerenza, mentre un falsario sarebbe stato più incline a copiare esattamente. ( Si osservino le variazioni minori nell'apertura e nella chiusura tra le lettere paoline indi­ scutibilmente autentiche). Quanto alla sostanza della parte centrale di 2Gv e 3Gv - la parte centrale è l'area dove ci si aspetta di trovare le maggiori differenze tra le lettere spesso chiamata 'il messaggio', le due lettere hanno poco in comune 3 1 ; ma ciò non sorprende, dato che trattano ar­ gomenti abbastanza diversi. Da un confronto stilistico, poi, non c'è niente che renda la paternità comune o impossibile o improbabile. Mentre non c'è modo di respingere la possibilità che una lette­ ra sia stata copiata da un falsario 32, ci si può chiedere perché un falsario avrebbe scelto come suo modello l'una o l'altra di queste due lettere che, evidentemente, godeva­ no poca fama nella chiesa antica e furono tra le ultime a essere accettate come Scrittura canonica. Perché un falsa­ rio avrebbe scelto una lettera il cui autore rivendicava solo il modesto titolo de « il Presbitero » ? In particolare, la tesi che 2Gv sia stata una finzione copiata da 3Gv crea il paradosso (non impossibile, ma divertente) che la finzione venne conosciuta e accettata come Scrittura ca­ nonica prima dell'originale ! A mio giudizio, la probabilità favorisce la paternità comune e, come vedremo in seguito, lo stesso periodo di composizione. 2. Paternità comune per 2Gv e JGv?

S e la stessa persona scrisse 2Gv e 3Gv, fu questo 'Presbi31

Se confrontiamo 2Gv 5-1 1 con 3Gv 5-12 , il verbo ergazein, « con­ seguire "• ricorre nel v. 8 in 2Gv e nel v. 5 in 3Gv. 32 L'incontrollabilità di fantasiose proposte scientifiche è ottima­ mente illustrata dalla tesi di E. Hirsch secondo cui tutte e tre le lettere giovannee sono composizioni fittizie !

Problemi di paternità giovannea

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tero' anche l'autore di l Gv? 33• Spesso le statistiche offerte per rispondere a questa questione sulla base dello stile sono raccolte qua e là confrontando 2Gv e 3Gv con lGv e con il vangelo di Gv presi insieme ( supponendo che ci sia un vocabolario e uno stile giovannei comuni alle due ultime opere). In un tale confronto, è stato osservato che il 70 % delle parole significative di 3Gv si trovano in l Gv o nel vangelo di Gv, e 1'86% di quelle in 2Gv 34• Ho elencato le più importanti di queste somiglianze nello specchietto uno dell'Appendice I, e uno sguardo mostra l'affinità di 2Gv con l Gv. A mo' di ulteriore analisi, sono interessanti i dettagli forniti da Marty, « Contributions » 203-4 1 . Egli ha trovato 74 punti di precisa somiglianza tra 2Gv-3Gv e l Gv, e 54 punti di somiglianza tra 2Gv-3Gv e il vangelo di Gv ( e di quest'ultimo, 1'80% sono con Gv 14- 1 7 : l'ultimo discor­ so ). Pertanto, egli giudicherebbe che le due brevi lettere sono vicinissime a l Gv e a una sezione del vangelo di Gv che molti non attribuirebbero all'evangelista ma a un redattore 35, Mentre tali somiglianze, specialmente quelle tra 2Gv e l Gv sono impressionanti, ancora una volta alcuni studiosi le attribuirebbero alla copiatura di un falsario. Ad es., la tesi precedentemente menzionata che il falsario di 2Gv copiò le formule di apertura e di chiusura di 3Gv, continua propo­ nendo che questo falsario copiò la parte centrale di que­ sta lettera da lGv (ad es., 2Gv 7 da lGv 4, 1-2 ). Non c'è modo per confutare una tale tesi; ma, ancora una volta si deve notare che non ci sono citazioni alla lettera ma sempre varianti minori: un fatto più consono con lo stes­ so autore che riformula se stesso piuttosto che con un falsario. Se, come i più suppongono, 2Gv fu scritta verso 33 O fu egli uno degli autori di 1Gv? Langbrandtner, Weltferner Gott, 402, propone che il Presbitero di 2Gv fosse uno dei " noi » di lGv 1 , 1-4. 34 La più bassa percentuale in 3Gv è spiegata dal fatto che il sog­ getto di quella lettera è abbastanza diverso dal comune soggetto di 2Gv e lGv (la correzione di difettosa cristologia e di comporta­ mento etico) . 35 Si veda ABJ 29, xxxvi-xxxviii (Stage 5) ( tr. it. xxxviii-xlii [Stadio 5]) per la teoria di un redattore del vangelo di Gv. La possibilità che l'autore delle lettere non sia stato l'evangelista ma il redattore del vangelo di Gv verrà discussa più avanti nell'INTRODUZIONE V D2b .

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lo stesso tempo di 1 Gv e ha trattato lo stesso proble­ ma 36, ci si sarebbe aspettata una somiglianza di messaggio. Inoltre, la tesi della falsificazione si trova di fronte all'o­ biezione del perché qualcuno avrebbe fatto una cosa simi­ le. Dal momento che 2Gv non racconta niente di significa­ tivo oltre a quello che già si trova in 1 Gv, perché il proposto falsario non spedì l'originale invece di creare una lettera spuria? D 'altra parte, un'obiezione contro la paternità comune di 2Gv e di lGv è stata sollevata a motivo di discordanze minori 37 nel pensiero e nell'espressione presenti nelle due opere. Menzionerò le più importanti : - Il mittente identifica se stesso in 2Gv ma non in 1Gv. La risposta è che 2Gv è una lettera in cui si richiede l'identificazione, mentre 1Gv non lo è (più avanti, INTRO­ DUZIONE V C l ). - In 2Gv l ci si rivolge al pubblico come ai tekna (« figli » ) di una chiesa locale personificata in una signora (si vedano pure i vv. 4 . 1 3 ), mentre in lGv il plurale tekna si riferisce ai figli di Dio e non del diavolo, e altri plurali ( teknia, paidia ) sono usati per il pubblico come « figli(o­ li ) » dell'autore. Comunque, come vedremo ripetutamente; gli scrittori giovannei passano da un sinonimo all'altro, così che la variazione tra tekna, teknia e paidia non è particolarmente significativa. Inoltre, l'autore di l Gv a quanto sembra vive tra coloro a cui si rivolge come suoi figli(oli), mentre in 2Gv egli sta rivolgendosi a una chiesa giovannea lontana che egli spera di visitare; e così diventa comprensibile uno spostamento di indirizzo dai suoi ai figli della chiesa. - Si è creduto che l'uso di « eletta » ( eklek tos ) in riferi­ mento a signore che simboleggiano le chiese in 2Gv 1 , 13

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Ambedue trattano di coloro che sono « usciti » (si sono separati) e che negano Gesù Cristo venuto/che viene nella carne e pertanto sono anticristi e ingannatori. Ambedue mettono in risalto l 'im­ portanza di amarsi l'un l 'altro. E l'autore di ciascuna manifesta la sovrana fiducia che la sua concezione di ciò che è vero in cri­ stologia ed etica sia conforme a ciò che era da principio. 37 t:: interessante che Heise adoperi somiglianze per sostenere che 2Gv fu copiato da l Gv, mentre Bergmeier e Moffatt adoperino dis­ somiglianze per provare la diversa paternità.

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non fosse giovanneo, poiché non si trova in l Gv o nel vangelo di Gv. Comunque, nessuna di queste due ultime opere sembra rivolgersi a una comunità lontana. Inoltre, termini comuni di indirizzo a una chiesa appaiono in l Gv (ad es., « fratelli ») , e così non abbiamo modo di conoscere se il suo autore non userebbe « signora eletta », che è un termine per una chiesa attestato in l Pt 5, 13 (« coeletta ») . Certamente, nel pensiero giovanneo non c'è nulla contro il considerare i cristiani come gli « eletti » ( ekleghesthai) di Gesù ( Gv 6, 30; 13, 1 8 ; 1 5 , 1 6.29 ). - 2Gv 2 parla de « la verità che dimora » in noi, e nessun'altra opera giovannea adopera « verità » come sog­ getto del verbo « dimorare in » ( menein en). Comunque, gli scrittori giovannei come soggetto di questa espressione indicano realtà virtualmente equivalenti ( NOTA a lGv 2, 6a ) e il fatto che « verità » diventi un soggetto in 2Gv ma non altrove è sicuramente casuale. Pure einai en, « essere in », è spesso sinonimo di menein en; e l Gv l, 8 ; 2, 4 pone « verità » come soggetto di einai e11. - 2Gv 3 parla di « Gesù Cristo, il Figlio del Padre » . Mentre l'espressione i n corsivo è unica nel NT, essa uni­ sce i molto comuni concetti teologici giovannei di 'Padre' e 'Figlio'; e in realtà l'espressione in discussione non è molto diversa da 1 Gv 5, 20: « Figlio suo Gesù Cristo ». - L'espressione « nella verità e nell'amore » in 2Gv 3 mette insieme due sostantivi che non si trovano uniti in nessu­ n'altra parte negli scritti giovannei. Comunque, questi so­ no sostantivi giovannei molto usuali e la grammatica che li regge, dove la preposizione en abbraccia due sostantivi senza articolo, è giovannea ( NoTA a lGv 3, 1 8ab ). - L'espressione « camminare nella verità », che appare in 2Gv 4 e in 3Gv 3 , non ricorre in nessun altro luogo nel NT. Comunque, « camminare nella luce » ricorre in l Gv l , 7 ( si veda NOTA a l Gv l , 6b ), e « luce » e « verità » sono · quasi interscambiabili nella teologia giovannea; ad es., Gv 8, 1 2 e 14, 6. - Bergmeier, « Verfasserproblem » 96-97, sostiene che il dualismo che contraddistingue (con variazioni) sia il van­ gelo di Gv che l Gv non c'è in 2Gv. In quest'ultimo, ad es., sebbene ci siano riferimenti a « verità », non vi è contrap­ posta « menzogna », come in lGv 2, 21 .27. Tuttavia, in 2Gv 7 ci sono riferimenti a « ingannatore » (planos ) e a « in-

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gannare, inganno » (planan, piane); questa terminologia �ostituisce una opposizione dualistica a « verità » in lGv 2, 26 e 4, 6, ed è un sinonimo di « menzogna ». - Bergmeier afferma che « verità » in 2 Gv è diventata equivalente a « insegnamento » (2Gv 9 ), qualcosa che può trovarsi in e appartenere a una comunità 38• In verità, la sua posizione non ha ottenuto molto favore. Bultmann e Schnackenburg 39 insistono che non si può così facil­ mente identificare « verità » e « insegnamento » in 2Gv; ad es., « camminare nella verità » in 2Gv 4 implica più che essere fedele all'insegnamento. D'altra parte, come ve­ dremo nel commentario, un elemento di « verità » come giusto insegnamento di fronte a falsità appare in l Gv. Quindi, è lungi dall'essere chiaro che le lettere giovannee differiscano notevolmente tra loro sul concetto di « veri­ tà », La maggior parte di queste differenze 40 sono certamente esempi di capricci dello stile giovanneo che si possono tro­ vare anche dentro la stessa opera e non provano diversità di paternità per lGv e 2Gv-3Gv. In effetti, se si esaminasse l Gv 4, 1-6 e 5, 4b-8 (sezioni che prese insieme sarebbero equivalenti per lunghezza a 2Gv), si troverebbe più diffe­ renza tra queste sezioni e il resto di lGv di quella che si trova tra 2Gv e lGv. A mio giudizio, 2Gv è troppo corta e la testimonianza è troppo ristretta per costruire una pro­ va per una significativa differenza di pensiero da l Gv. E così sotto ogni rispetto rimane più plausibile la teoria che la stessa persona abbia scritto ambedue le opere. 38 In « Verfasserproblem ,. 100, egli confronta lo sviluppo teologico di 2Gv e 3Gv rispetto a l Gv/vangelo di Gv con quello delle lettere paoline rispetto alle lettere paoline autentiche su ciò che significa 'fede'. 39 Si veda Bultmann, Epistles 108 e ( in dettaglio) Schnackenburg, « Begriff » ; anche Houlden, Epistles 143 ; Langbrandtner, Weltferner Gott 374 ; de la Potterie, La vérité 2, 548 ss. Comunque, Klein, « Licht » 307, è più favorevole alle tesi di Bergmeier. Le mie obie­ zioni alla sua tesi appariranno in dettaglio nelle NOTB a 2Gv. 40 Ci sono altre differenze minori ; ad es., l'impiego di « che viene nella carne » in 2Gv 7 in contrasto con « venuto [pass.] nella carne , in 1Gv 4, 2 ; la particella condizionale ei tis ( « se qualcuno ») in 2Gv 10 in contrasto con ean tis adoperata circa 15 volte nel vangelo di Gv ; koinonein, « partecipare », in 2Gv 1 1 in contrasto con koinonian echein, « essere uniti in comunione », in lGv l, 3.6.7. Spiegherò nelle rispettive NOTB che queste non sono differenze significative.

Problemi di paternità giovannea

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In questo commentario, sebbene riconosca che non può essere provata, lavorerò con l'ipotesi che lo stesso autore scrisse le tre lettere giovannee; e sulla base di tale ipotesi è possibile una interpretazione perfettamente coerente delle lettere. B . Lo stesso autore scrisse

il quarto vangelo e le lettere?

Ora passiamo a una questione più importante per com­ prendere le lettere e il loro posto nella storia del pensiero giovanneo. Che la risposta non sarà facile viene suggerito dall'impressionante numero di studiosi che sulla questione hanno scelto opposti partiti. Tra coloro che optano per un solo autore per il vangelo di Gv e l Gv 41 ci sono: Abbott, Bacon, Baumgartner, Bernard, F.-M. Braun, Brooke, Bur­ ney, Chaine, Charles, Clemen, de Ambroggi, Feuillet, Fin­ dlay, Gaugler, Grimm, Harnack, Hauck, Headlam, Hilgen­ feld, Howard, Jacquier, Jiilicher, Law, Lepin, T. W. Man­ son, Marshall, W. Michaelis, Michl, Nunn , Percy, Schnei­ der, Stott, Streeter, Turner, Vrede, B. Weiss, Wendland, Wernle, Westcott, Williams e Wrede. Tra coloro i quali sostengono che l'autore di l Gv non fu il principale autore del vangelo di Gv « l'evangelista » 42 ci sono : Matthew Ar­ nold, Balz, Barrett, Bauer, Baur, Becker, Bornkamm, 41

Ho incluso qui coloro che affermano che l'autore del vangelo di Gv affidò la stesura materiale di 1Gv a uno scriba ohe copiò fon­ damentalmente quello che l'autore aveva ordinato (così F.-M. Braun, Epitres 240-41) . Una variante particolare è la tesi di C. F. Burney secondo cui, dopo che il vangelo di Gv venne tradotto dall'ara­ maico in greco, le lettere vennero dettate dall'autore del vangelo di Gv direttamente in greco allo stesso amanuense che aveva tradotto il vangelo di Gv in greco. L'Ap, comunque, venne scritta dallo stesso autore del vangelo di Gv nel suo greco imperfetto. Si veda The A ramaic Origin of the Fourth Gospel di Bumey, Cla­ rendon, Oxford 1922, 149. 42 Ho incluso qui coloro che, pensando ci siano stati un evange­ lista e un redattore per il vangelo di Gv, attribuiscono 1Gv al redattore ; si veda INTRODUZIONE V D2b. J. Becker, " Abschiedsreden » 236, vede parecchie mani giovannee all'opera nei capp. 13-17 del vangelo di Gv e attribuisce 1Gv allo scrittore dei capp. 15-16.

Introduzione

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Bousset, Bretschneider, Briickner, Bultmann, S. Davidson, Dibelius, Dodd, Heitmiiller, Hirsch, Hoekstra, Holtzmann, Hors, Houlden, Keim, G. Klein, Kreyenbiihl, Lange, Léon­ -Dufour, McNeile, Marty, Moffatt, Pfleiderer, Réville, Rich­ ter, Riddle, Scaliger 43 , Schmiedel, Schnackenburg 44 , Sch­ wartz, Scott, Soltau, Strauss, Von Dobschiitz, Weizsacker, Wellhausen, Wendt e Wilder. Nelle pagine che seguono, discuterò gli argomenti di cia­ scuna parte. Se dedico più pagine agli argomenti contro la paternità comune, è per il motivo che B. H. Streeter 45 ha ragione quando dice che « le tre lettere e il vangelo di Gv sono così strettamente imparentati nel tenore, nello stile e nella visione generale che il peso della prova ricade nella persona che vorrebbe negare la loro paternità comune ». l . L'argomento per l a paternità comune

fondato su somiglianze stilis tiche

La prima documentata discussione critica del problema risale a Dionisio di Alessandria (morto nel 265 ) il quale sostenne che, mentre l'Ap non fu scritta dall'evangelista, l Gv lo fu chi aramente ( Eusebio, Hist. 7.25 . 1 8-23 ) 46• L'ar43 Secondo Holtzmann, « Problem IV » 462, J. J. Scaliger fu tra i primi studiosi moderni a negare la paternità apostolica ( del van­ gelo di Gv) alle tre lettere. 44 Si vedano le « Erganzungen », ed. 5 ( 1975) di Johannesbriefe di Schnackenburg 335, dove egli rigetta la sua posizione preceden­ temente sostenuta che gli autori delle due opere fossero identici. 45 The Four Gospels (ed. riv., Macmillan, London 19 30) 460. 46 Da Girolamo a Robert Browning il quadro romantico dell'an­ ziano Gv alla fine della sua vita è stato influenzato dalla teoria che egli (l'evangelista) avesse scritto pure lGv. Questa lettera ri­ pete il comandamento di amarsi l 'un l'altro e ciò sembra avere influito sul racconto narrato da Girolamo ( In Galatas 3.6 su v. 10 ; PL 26, 433) : in tarda età Giovanni continuava a dire ai suoi di­ scepoli riuniti : « Figlioli, amatevi l'un l'altro », con la spiegazione : « È un comandamento del Signore. Anche se si fa solo questo, è sufficiente ». Nel suo poema ( l Gv 5, 6) 172 • Nel commentario, sosterrò che si deve associare « acqua » al battesimo di Gesù, mentre « acqua e sangue » significa morte per cro­ cifissione, echeggiando la scena in Gv 19, 34 dove sangue e acqua sgorgano dalla ferita del fianco di Gesù 173• Se i .

di chiaramente polemico in l, 14. Anzi, quando si considera tutto quel verso, se si vuole attribuirlo al redattore, solo con difficoltà un tale redattore potrebbe venire identificato come l'autore della lettera, poiché l'autore di lGv evita la parola « gloria », che appare in l, 14. 1 71 Una frase adoperata da Pagels, Johannine Gospel 13, per descri­ vere i valentiniani del II secolo, si adatta molto bene qui: " I teologi gnostici non negano necessariamente che gl i eventi pro­ clamati di Gesù accaddero nella storia. Ciò che essi negano è che la realtà di questi eventi importi teologicamente "· 172 Questo passo fluttua nel suo impiego di " in » e « con » , ricor­ dandoci che « venuto nella carne " non ha la stessa forza di « ve­ nuto in acqua », Nel primo, « in » si gnifica « nella sfera di » ; nel secondo, « in " significa « per · mezzo di, tramite " · 173 In ABJ 29A, 945-46 ( tr. it. 1 181) ho sostenuto che 19, 35 non è

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secessionisti fossero stati cerintiani (più sopra, IV B3d), so­ stenendo che il Cristo discese su Gesù nel battesimo ma se ne partì prima della crocifissione, difficilmente avrebbero ricavato la loro cristologia dal vangelo di Gv. La presenza del discepolo diletto presso la croce ( 1 9, 25-27 ) e l'accen­ tuazione sul compimento della Scrittura ( 19, 24.28.36-37) avrebbero poco senso se il Cristo era partito e la morte di Gesù fosse stata una sciarada per ingannare le menti rozze. Nel vangelo di Gv, il principio spirituale (che è ciò che Cerinto chiama « il Cristo » ) è chiaramente presente fino a quando Gesù muore sulla croce ( 19, 30). Comunque, se non si pensa alla posizione secessionista in termini cerintiani, « Cristo venne in acqua » potrebbe significare che l'incarnazione del preesistente Cristo avvenne in rela­ zione al battesimo di Gesù. Potrebbe una tale interpreta­ zione essere stata desunta dal tipo di tradizione giovannea a noi noto nel vangelo di Gv ? I lettori del vangelo di Gv normalmente interpretarono « la Parola divenne carne » nel senso che l'incarnazione avvenne al concepimento di Gesù. Comunque, mentre il concepimento è un tema di Mt e di Le, non viene mai menzionato dal vangelo di Gv. Prima dell'asserzione che la luce stava venendo nel mondo ( 1 , 9 ), il prologo di Gv descrive il ruolo di Giovanni Battista ( 1 , 6-8 ). Dopo l'asserzione che la Parola divenne carne ( 1 , 14), il prologo afferma che Giovanni il Battista rese testimonianza alla Parola incarnata annunciando la sua preesistenza ( 1 , 1 5 ). Il prologo è seguito immediatamente da una scena di apertura centrata sulla testimonianza del Battista, che include una ripetizione del suo annuncio della preesisten­ za di Gesù ( 1 , 3 1 ). Nel vangelo di Gv, il Battista ha visto lo Spirito discendere su Gesù e ha battezzato con acqua, così che Gesù potesse venire rivelato a Israele ( 1 , 31-32 ) 174• Indipendentemente dalla questione che ci interessa qui, R. H. Fuller 175 ha adoperato tale testimonianza del vangelo redazionale, indipendentemente da ciò che uno può pensare a ri· guardo di 19, 35. 174 Il vangelo di Gv non dice che Giovanni ha un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati ; il suo battesimo non ha nessun scopo tranne quello di rendere testimonianza a Gesù. 175 « Christmas, Epiphany, and the Johannine Prologue », in Spirit and Light, E. N. West Festschrift ; a cura di M. L'Engle e W. B . Green ; Seabury, New York 1976, 63-73.

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di Gv per sostenere che per l'evangelista lo spostamento dal Logos asarkos ( « Parola senza carne ))) al Logos ensar­ kos ( « Parola incarnata » ) venne in relazione al bat tesimo. Successivamente, Fuller 176 modificò la sua posizione, rico­ noscendo (giustamente, secondo la mia opinione ) che il « divenire carne » di Gv l , 14 può avere avuto una applica­ zione più ampia del battesimo; ma la sua precedente posizione mostra come il vangelo di Gv potesse venire letto dai secessionisti in termini di una incarnazione al battesimo : « Venne con/in acqua )). O, se non spinsero la formula così lontano, potrebbero almeno avere collegato alla scena del battesimo il dono fondamentale dello Spiri­ to e la fondamentale rivelazione di Gesù come Figlio di Dio ( Gv l , 33-34 ). Contro i secessionisti l'autore ( lGv 5, 6 ) insiste : « Non in acqua soltanto, ma in acqua e in sangue ». Se questo implica che una insistenza sulla morte di Gesù corregge l'errore secessionista, dobbiamo chiederci se la presunta mancanza di interesse secessionista nella morte di Gesù potesse essere scaturita dalla loro interpretazione della tradizione rappresentata dal vangelo di Gv. Quel vangelo parla dell'« ora » di Gesù ( sotto la cui rubrica descrive la passione, morte e resurrezione di Gesù) come ritorno al Padre e manifestazione della sua gloria ( 1 3 , l ; 17, l ; 12, 23-24) 177 • Nel vangelo di Gv, tre volte (3, 1 3 ; 8 , 28; 12, 32) Gesù guarda alla sua morte come a un « innalzamento » un interessante contrasto con le tre predizioni della pas­ sione e della sofferenza nella tradizione sinottica ( ABJ 29, 145-46; tr. it. 1 90 ss). Nel racconto giovanneo dell'arresto, del processo e della crocifissione di Gesù, egli non è una 1 76

" New Testament Roots to the Theotokos » , Marian Studies 29 ( 1978) 46-64. 177 Si veda R. E. Brown, " The Passion According to John », Worship 49 ( 1975) 126-34. U. B. Mtiller, " Die Bedeutung des Kreuzestodes im Neuen Testament • , KD 21 ( 1975) 49-71, confronta la concezione giovannea con quella degli oppositori di Paolo a Corinto i quali non condividevano l 'enfasi di Paolo sulla croce, dal momento che per il vangelo di Gv la morte fisica di Gesù non ha un rilievo particolare se non come una manifestazione della doxa, « gloria ». Certamente, il quadro giovanneo della morte di Gesù differisce da quello dell'inno in Fil 2, 8, dove la morte sulla croce è l'infimo punto dell'umiliazione del servo. Il Gesù giovanneo « sale ,. sulla croce.

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vittima ma uno che ha controllo sovrano : « Io do la mia vita allo scopo di riprenderla di nuovo. Nessuno l'ha tolta da me; piuttosto, la do da me stesso. Io ho potere di darla e potere di riprenderla di nuovo » ( 1 0, 17-1 8 ). Una tale affermazione può venire contrapposta alla concezione pre­ sentata in Eb 5, 8 dove si dice che Gesù ha imparato l'obbedienza attraverso la sofferenza. Il Gesù giovanneo non cade mai sul terreno del Getsemani nel dolore e nella supplica come fa il Gesù sinottico ; piuttosto, soldati ro­ mani e polizia giudaica cadono sul terreno del giardino davanti a lui quando pronuncia il maestoso « lo SONO » ( 1 8, 6 ). Nella scena del processo romano, il Gesù giovan­ neo dice chiaramente che Pilato non ha potere su di lui se non quello che viene dato dall'alto ( 1 9, 1 1 ) e, anzi, ci viene detto che Pilato aveva paura di incontrare il Figlio di Dio ( 1 9, 8 ) ! Sulla croce, Gesù non è solo e rifiutato come negli altri vangeli; egli è circondato da importanti discepoli che costituiscono la sua famiglia ( 1 9, 25-27), gli inizi della chie­ sa. Egli ha un tale controllo che solo quando egli decide : « t?. finito », china il suo capo ed emette lo Spirito ( 1 9, 30). Questa affermazione sovrana è lontana dal grido del Gesù marciano : « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandona­ to ? » ( 1 5, 34) - un grido che sarebbe inconcepibile sulle labbra del Gesù giovanneo che di fronte alla diserzione dei suoi discepoli aveva affermato : « Io non sono mai solo per il motivo che il Padre è con me » ( 16, 32). T. Fore­ stell 178 formula bene la peculiarità della prospettiva giovan­ nea sulla morte di Gesù : « In Gv la croce di Cristo viene valutata precisamente in termini di rivelazione in armonia con la teologia dell'intero vangelo, piuttosto che in termi­ ni di sacrificio vicario ed espiatorio per il peccato )). Per­ tanto, chiaramente nella tradizione del vangelo di Gv ci sono elementi che potrebbero aver condotto i secessionisti a svalutare la crocifissione come 'venuta' salvifica e a considerarla semplicemente come una continuazione di 1 78 The World of the Cross: Salvation as Revelation in the Fou rth Gospel, AnBib 57, Istituto Biblico, Roma 1974, 191. Pure S. Tala­ vero Tovar, Pasian y Resurrecci6n en el IV Evangelio, Universidad, Salamanca 1976, specialm. 172-223: la passione è una rivelazione di Gesù come re che viene in questo mondo ma il cui regno non è di questo mondo.

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quella rivelazione della gloria del preesistente cominciata attraverso il battesimo con acqua del Battista ( l , 1 4.3 1 ). 3. Etica secessionista e quarto vangelo

Uno sguardo allo specchietto quattro nell'Appendice I mo­ stra che, mentre fu categorico nella sua condanna della cri­ stologia secessionista, l'autore dedicò invece maggiore at­ tenzione a una critica del loro atteggiamento nei confronti del comportamento morale, del peccato e del comandamen­ to di amore 179• In questa area, dove egli sembra avere vera­ mente citato slogans secessionisti, la teoria che i secessio­ nisti ricavarono le loro idee dalla tradizione trovata nel vangelo di Gv potrebbe spiegare lo strano modo con cui l'autore ha argomentato contro di loro. Ad es., avendo citato affermazioni (secessioniste) di conoscenza di Dio e di dimorare in Dio e nella luce ( lGv 2, 4.6.9 ), l'autore non contraddice queste affermazioni dicendo che nessuno co­ nosce Dio o che nessuno dimora in Dio o nella luce. Le affermazioni secessioniste erano in se stesse chiaramente difendibili dalla teologia giovannea ( rispettivamente in Gv 1 7 , 22.23.26; 14, 7; 3, 2 1 ; 8, 1 2 ). Il disaccordo dell'autore con i secessionisti è centrato non sulle affermazioni ma sulla loro mancanza di ricavare implicazioni comportamentali dalla affermata relazione con Dio; ad es., l'affermazione di conoscere Dio senza una insistenza sull'osservanza dei comandamenti, o l'affermazione di essere nella luce men­ tre si odia il proprio fratello. (a) MANCANZA DI ENFASI SUL COMPORTAMENTO MORALE. Più sopra ( IV B2b ), ho sostenuto che i secessionisti non erano libertini noti per comportamenti scandalosi, ma erano indifferentisti che non attribuivano valore salvifico al comportamento morale dei credenti. Un tale atteggiamen­ to sarebbe stato compatibile con la loro cristologia che 1 79 Ecco quello che io intendo per 'etica'. L'opportunità di ado­ perare questo tennine nel discutere la teologia del NT è stata messa in questione per la ragione che non c'è niente nel NT di abbastanza sistematico da assomigliare a ciò che Aristotele chiamò 'etica'.

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non dava valore salvifico alla vita terrena di Gesù. Ma potrebbero avere ricavato un tale atteggiamento dalla tra­ dizione trovata nel vangelo di Gv ? Direi di sì in termini sia di affermazioni fatte nel vangelo di Gv che del suo strano silenzio su questioni etiche. A riguardo di afferma­ zioni, alcune asserzioni del Gesù giovanneo sembrano rela­ tivizzare l'esistenza terrena: « Voi non appartenete al mondo poiché scelsi voi dal mondo » ( 1 5, 1 9 ), ed: « Essi non appartengono al mondo più di quello che io appar­ tengo al mondo » ( 1 7 , 16). Se la vita eterna consiste nel co­ noscere Dio e colui che egli ha mandato, come afferma il vangelo di Gv 1 80, i secessionisti possono bene avere affer­ mato l'intimità con Dio sulla base del loro 'conoscere' lui senza enfasi sul comportamento. Quanto al silenzio etico del vangelo di Gv, ci si ricordi del famoso assioma di Bultmann che il Gesù giovanneo fu un rivelatore senza una rivelazione 181 • Proprio il fatto di poter fare una tale asserzione, comunque esagerata, indica fino a che punto la cristologia (nel senso di autoidentificazione ) dominò l'an­ nuncio giovanneo. Nella sua imponente opera sul concetto giovanneo di verità, I. de la Potterie 182 mostra che il concetto ebraico « fare la verità >> (AT, Qumran), il quale significava osservare fedelmente le prescrizioni della legge, sia stato interpretato nella letteratura giovannea come adesione alla verità di Gesù. La prima lotta cristiana sulla relazione tra fede e opere ( Paolo, Gc ) è stata risolta da Gv 6, 28-29 in un modo che dimostra fede in Gesù, l'« opera di Dio » per eccellenza. Tali atteggiamenti significano che il vangelo di Gv è carente di preciso insegnamento morale se confrontato con i vangeli sinottici. Ad es., non c'è nulla nel vangelo di Gv che pure lontanamente rassomigli al discorso della montagna di Mt. Se Mt 7, 1 6 offre al segua­ ce di Gesù un criterio di comportamento : « Dai loro frutti li conoscerete », in Gv 15, 5 troviamo questo linguaggio di portare frutto spostato sull 'adesione a Gesù : « Colui che 180 Per quello che Gv 17. 3 significa e se si tratta di un'afferma­ zione gnos tica, si veda ABJ 29A, 752-53 ( tr. it. 915 ss) . 181 Theology of the New Testament, 2 voli., Scribners, New York 1955, 2.66: egli « non rivela nulla tranne che è il rivelatore ». Si veda la critica di Brown, « Kerygma » 392-94. 1 82 La vérité 2.480-83, 516.

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rimane in me e io in lui è colui che porta molto frut­ to » 1 83 • In tutti e tre i vangeli sinottici, il discepolato è contrassegnato dal fare la volontà o la parola di Dio (Mc 3, 35; M t 12, 50; Le 8, 21 ); ma per Gv 8, 3 1 : « Se dimorate nella mia parola, sarete davvero miei discepoli ». L'appello al pentimento o alla conversione ( metanoia/metanoein ), che è una parte molto importante dell'annuncio sinottico del regno (Mc l , 4 . 1 5 ; 6, 1 2 ) e della prima predicazione cristiana negli At (2, 38; 3, 1 9 ; 5, 3 1 ; 8, 22; ecc.), non si trova nel vangelo di Gv 1 84 • Piuttosto, il fattore movente è la parola detta da Gesù ( Gv 15, 3 ). Nel vangelo di Gv, non viene menzionato nessun specifico peccato di compor­ tamento, escluso il grande peccato di rifiutare di credere in Gesù ( 8 , 24; 9, 4 1 ) 1 85• Particolarmente interessante nel collegare etica a cristologia è l'asserzione del Gesù gio­ vanneo a riguardo del mondo ( 1 5 , 22) : « Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non sarebbero colpevoli di peccato ». t!., quindi, molto probabile che una mancan­ za di interesse secessionista per il comportamento morale, a osservare i comandamenti e ai pericoli di peccato possa essere stata modellata dal predominio della cristologia nella tradizione giovannea e dalla mancanza di specifiche direttive morali. ( b ) PERFEZIONISTICA LIBERTÀ DA PECCATO . In lGv 1 ,8.10 ven­ gono adoperati due slogans per formulare un'affermazione secessionista : « Noi siamo liberi dalla colpa di peccato » e: « Noi non abbiamo peccato ». Mentre l'autore non contraddice altre affermazioni dei secessionisti ma le con1 83 Pure il vangelo di Gv riconosce l'importanza di buone opere nell'andare a Gesù (3, 19-21 ; 9, 3) , ma la necessità di quelle opere dopo essere diventato credente non è così chiara. 1 84 Comunque, la necessità di un certo cambiamento di vita sem­ bra presupposta in Gv 5, 14 ( « non peccare più ») e 8, 34 ( « ognuno che agisce peccaminosamente è uno schiavo del peccato ») . 1 85 Da Ireneo (Adv. haer. 1 .5.3-6) sembrerebbe che per gli gnos tici ci fosse un'ignoranza originale piuttosto che un peccato originale . Il suo quadro è abbastanza accurato se possiamo giudicare dal Vangelo di verità (l 17, 10-17 ; NHL 38) : « I gnoranza del Padre de­ terminò angoscia e terrore ... Per questa ragione l 'errore divenne potente ; esso modellò la sua materia stoltamente, non avendo conosciuto la verità "· I secessionisti possono avere rappresentato un primo stadio di tale pensiero in cui l'ignoranza di Gesù costi­ tuiva il peccato fondamentale .

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diziona ( 1, 6; 2, 4.6.9 ), egli dice immediatamente che questi due slogans sono ingannevoli e fanno di Di o un mentitore. È quello un modo dell'autore per asserire che afferma­ zioni di innocenza non possono essere giustificate dalla tradizione giovannea? Penso di no per il motivo che alla fin fine l'autore fa le sue proprie affermazioni di innocen­ za ( 3 , 6.9; 5, 1 8 ). Di nuovo, l'autore sta attaccando una comprensione di una tendenza innocente, perfezionista, che viene dalla tradizione giovannea, mentre lui stesso ne sostiene un'altra. Esaminiamo ciascuna delle due afferma­ zioni secessioniste. Il primo slogan secessionista : « Noi siamo liberi dalla colpa di peccato » ( hamartian ouk echein; si veda NoTA a l, 8a), viene facilmente collegato al vangelo di Gv quando ricordiamo che la terminologia « colpevole di peccato )) e « schiavi del peccato )) viene ivi usata per i non credenti. In Gv 8, 3 1 -34 Gesù si rivolge ai giudei che hanno creduto ( in modo inadeguato ) in lui così : « Ognuno che agisce peccaminosamente è uno schiavo del peccato », mentre : « Se dimorate nella mia parola, sarete davvero miei disce­ poli ; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi ». Dal momento che a differenza del non credente il credente è liberato dal peccato, i secessionisti starebbero riformu­ lando il discorso solo lievemente se affermavano di essere liberi dalla colpa di peccato. Anzi, nel racconto dell'uomo cieco del vangelo di Gv ricorre proprio l'espressione « colpevole di peccato )) (echein hamartian) . L'uomo nato cieco (e, pertanto, accusato di essere nato nel peccato: 9, 34) viene illuminato. D'altra parte, si dice che, se i farisei avessero riconosciuto la loro cecità, non « sarebbe­ ro colpevoli di peccato )) ; ma per il motivo che affermano di vedere, il loro peccato rimane (9, 4 1 ). Una supposizione logica sarebbe che l'uomo cieco, il quale riconobbe la propria cecità, non è colpevole di peccato, e il suo peccato non rimane 1 86 • L'evangelista voleva che il lettore si iden1 86 S i veda anche Gv 8, 24: « A meno che non arriviate a credere che Io SoNo, sicuramente morirete nei vostri peccati » ; 15, 22: " Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non sarebbero colpevoli di peccato » ; 16, 8-9: « Il Paraclito proverà che il mondo sbaglia ... riguardo al peccato - in quanto rifiuta di credere in me » . Tutte queste cose implicano che i credenti non saranno più colpevoli di peccato.

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tificasse con l'uomo cieco, e i secessionisti hanno fatto proprio ciò, considerando se stessi come coloro che sono stati illuminati e, quindi, non colpevoli di peccato. Ma, potrebbero i secessionisti aver giustificato con il van­ gelo di Gv il loro slogan perfezionista : « Noi non abbiamo peccato » ( 1 , 1 0 ) ? Se questa affermazione significava che essi non avevano mai peccato nella loro vita per il motivo che erano venuti in questo mondo come figli di Dio, allora i secessionisti dovrebbero forse venire classificati come gnostici ; ma come ho mostrato in precedenza ( IV B3c), è molto dubbio che i secessionisti affermassero di essere figli di Dio per natura, invece che per battesimo. E certa­ mente una tale concezione non si potrebbe ricavare dal vangelo di Gv, che mette in contrasto nascita naturale e un nuovo stato che viene attraverso il credo nel nome di Gesù ( 1 , 12-1 3 ) e attraverso « acqua e Spirito » (3, 3-6 ) che, quasi sicuramente, è un riferimento al battesimo (ABJ 29, 14 1-44; tr. it. 1 86 ss). e vero, ci sono passi nel vangelo di Gv che mostrano un orientamento o una predisposi·zione verso il diventare figli di Dio; ad es. : « Nessuno può venire a me, se non è concesso a lui dal Padre ,, ( 6, 65 ; 10, 3 ). Forse l'evangelista li intese in termini di stile di vita prima di incontrare Gesù, cioè, una innocenza o una rettitudine che allontana da Gesù o avvicina a lui quando egli viene: « La luce è venuta nel mondo, ma alcuni uomi­ ni hanno preferito le tenebre alla luce per il motivo che le loro opere erano maligne ... Ma chi agisce in verità viene alla luce, così che si possa mostrare che le sue opere sono fatte in Dio » ( 3, 19-2 1 ). Quindi, se i secessionisti erano nella tradizione giovannea, essi pensavano al loro stato come figli di Dio e alla conseguente perfezione come qual­ cosa di acquistato tramite il diventare cristiani piuttosto che come qualcosa che possedevano quando vennero nel mondo. Supponendo, quindi, che l'affermazione secessionista « noi non abbiamo peccato » si riferisse a una incapacità di peccare dopo essere diventati cristiani - potrebbe questo slogan venire giustificato dalla tradizione giovannea del vangelo di Gv ? Si potrebbe sostenere che, dal momento che i credenti battezzati sono diventati figli di Dio tramite generazione divina, essi sono uguali al Figlio di Dio che domandò: « Qualcuno di voi può convincermi di pecca-

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to ? » (8, 46 ). Tutti i cristiani giovannei non venivano forse istruiti di avere ricevuto lo Spirito che dà potere sul peccato (20, 22-23; si veda ABJ 29A, 104 1-45 ; tr. it. 1 3 12 ss) ? Non venivano istruiti che chiunque credeva nel Figlio non veniva giudicato (3, 1 8 ; 5, 24 )? Dopo tutto, Gesù aveva detto a Simon Pietro: « La persona che ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi ... è tutta pulita >> ( 1 3 , 10). Che la tradizione giovannea si presti a una tesi della innocenza del credente a imitazione della innocenza del Figlio di Dio viene il lustrato dalla stessa affermazione dell'autore della lettera in 3, 5-6 : « Voi conoscete bene che Cristo venne rivelato per togliere i peccati, e non c'è niente di peccaminoso in lui. Ognuno che dimora in lui non commette peccato ». Egli poi passa (3, 9) ad associare la rivendicazione di innocenza all'essere generato da Dio: « Ognuno che è stato generato da Dio non agisce pecca­ minosamente per il motivo che il seme di Dio dimora in lui ; e così non può essere un peccatore per il motivo che è stato generato da Dio ». Se i secessionisti e l'autore sembrano patrocinare un per­ fezionismo che conduce a innocenza, qual è la differenza tra loro ? La teologia dell'autore della lettera in 3 , 6.9 e in 5, 18 non si diagnostica facilmente, e nella lunga NoTA a 3, 9cd dovrò discutere le molte interpretazioni proposte. Ma anche in questa INTRODUZIONE si può mettere in evidenza una chiara differenza. Senza prendere in considerazione ciò che dice a riguardo dell'innocenza, l'autore ammette che di fatto coloro che sono già cristiani com mettono peccato : « Figlioli miei, sto scrivendo questo per custo­ dire voi dal peccato. Ma se qualcuno pecca, abbiamo un Paraclito alla presenza del Padre, Gesù Cristo, ... ed egli stesso è una riparazione per i nostri peccati >> (2, 1-2 ). Egli critica i secessionisti per una teoria di innocenza che non mette il rilievo sul continuo perdono ( 1 , 7.9) , evidente­ mente per il motivo che essi non ne ammettevano la possi­ bilità : « Se qualcuno pecca ». ( c ) AMORE DEI FRATELLI 187• Ripetutamente ( specchietto 1 87 Nell'uso moderno si dovrebbe pensare a 'fratelli e sorelle', poi­ ché la sezione femminile della comunità è presupposta nelle let­ tere, anche se mai menzionata. Comunque, in una traduzione,

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quattro: B9-15) 1 Gv ritorna sul tema dell'amore per il pro­ prio fratello o di amore dell'un per l'altro. Anzi, l'autore mette tale amore sullo stesso livello di importanza del corretto credo in Gesù Cristo : « Ora, questo è il coman­ damento di Dio : dobbiamo credere al nome del Figlio suo Gesù Cristo; e dobbiamo amarci l'un l'altro proprio come il comando che diede a noi » ( l Gv 3, 23 ). Se egli conside­ rava i secessionisti carenti su un punto, quasi sicuramente egli li considerava carenti sull'altro. Il suo impiego del termine « comandamento » in altri passi che trattano di tale amore (2, 7-9 ; 4, 2 1 ; 5, 2-3 ; 2Gv 4-6 ) suggerisce che, quando altrove egli accenna che i secessionisti non osser­ vavano i comandamenti ( plurale : 1Gv 2, 3-5 ; 3, 22 ), questa accusa può limitarsi al loro non amare i fratelli. Una tale limitazione del conflitto etico a un problema sarebbe in­ telligibile sullo sfondo del vangelo di Gv dove, quando Gesù parla a riguardo di un comandamento o di coman­ damenti ( plurale ) per i suoi discepoli, c'è sempre menzio­ ne di una richiesta di amare ( 1 3 , 34-35; 14, 1 5 ; 15, 10.12. 1 7 ), quasi che il comandamento di amare, specialmente « di amarsi l'un l'altro » , includesse tutti gli altri comanda­ menti (ABJ 29, 504-5 ; tr. it. 1438 s ). Se è vera l'implicazione dell'autore che i secessionisti non amavano i loro fratelli, come potrebbero aver ricavato o giustificato il loro atteggiamento dalla tradizione a noi nota nel vangelo di Gv? Wengst (Hiiresie 53-59) pensa che essi avessero spostato il loro amore su Dio poiché, dal momento che consi deravano se stessi come figli di Dio, generati da lui, pensavano di essere capaci di amare Dio connaturalmente e in un modo diverso da coloro che non erano figli di Dio. Egli pensa pure che fossero elitari e benestanti, disprezzanti i comuni cristiani, meno informati e impoveriti, della comunità giovannea ( l Gv 2, 1 5-1 7 ; 3, 1 7 ). Ciò può essere vero, ma non penso che vada al cuore del problema. Al di là della possibilità che i secessionisti rendere la sua presenza più chiara aggiungendo costantemen te 'e sorelle', specialmente nella critica di 1Gv a coloro che non amano i propri fratelli, potrebbe suggerire che lo scisma implicasse una questione antifemminista ; e di ciò non c 'è prova . Nel vangelo di Gv, le donne hanno molta importanza ; si veda R. E. Brown, « Roles of Women in the Fourth Gospel », TS 36 ( 1975) 688-99, ri­ stampato in Community 183-9 8 ( tr. it. 217-235) .

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possano non avere messo in risalto l'amore per i fratelli o possano averlo praticato in modo inadeguato, affermavano nella loro teoria etica che non era necessario amare i propri fratelli ? Ciò sarebbe una diretta contraddizione del Gesù giovanneo: « Questo è il mio comandamento: 'Ama­ tevi l'un l'altro come io ho amato voi' » ( 1 5, 1 2 ) ; « Da questo tutti identificheranno voi come miei discepoli, dal­ l'amore che avete l'un per l'altro » ( 1 3, 35 ). In linea con la mia teoria che i secessionisti non contraddicevano la tra­ dizione del vangelo di Gv 1 88 ma si servivano di essa, pro­ pongo che fosse perfettamente possibile per i secessionisti affermare : « Noi ci amiamo l'un l'altro, come comandò Gesù », e guadagnarsi lo stesso la condanna dell'autore della lettera per non amare i fratelli. La chiave di questo paradosso sta nella definizione di « l'un l'altro » o dei « fratelli » che si devono amare. Più avanti, nella NoTA a 2, 9b difenderò in dettaglio la posizione che il vangelo di Gv non articola una richiesta di amare tutti gli esseri umani o di amare i propri nemici - solo i veri credenti in Gesù sono figli di Dio e, quindi, fratelli. Se applicato alla situazione della lettera, questo significa che per l'au­ tore « fratelli » erano quei membri della comunità giovan­ nea che erano in comunione ( koinonia ) con lui e con gli altri testimoni della tradizione, e che accettavano la sua interpretazione del vangelo giovanneo (anghelia ; si veda l Gv l , 4-5 ). I secessionisti avevano lasciato e non erano più fratelli; anzi, proprio il loro abbandono indicava la loro mancanza di amore. Egli non riteneva di violare il comandamento di amarsi l'un l'altro quando aspramente condannò i secessionisti, caratterizzandoli come demoniaci anticristi e falsi profeti, e come l'incarnazione dell'ini­ quità escatologica (anomia; 2, 1 8 .22; 4, 1 -5 ; 3, 4-5 ). Sebbene egli esortasse i suoi seguaci ad amarsi l'un l'altro, l'autore 1 88 Altri studiosi pensano che i secessionisti contradicessero il vangelo di Gv, per il motivo che non vedevano connessione tra amore dei fratelli e amore di Dio o per il motivo che mettevano così in risalto la relazione di un individuo con Dio da non avere il senso della comunità. Comunque, l 'autore li tratta come un gruppo o una comunità, non offrendo indicazione che tra loro fos­ sero meno comunitari dei seguaci dell'autore. In alcune afferma­ zioni che egli attacca, i protagonisti parlano in quanto « noi » ( lGv l, 6.8. 10) , proprio come fa l'autore in ciò che afferma ( l , 1-5) .

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di 2Gv subito dopo (vv. 10-1 1 ) disse loro di trattare i secessionisti in un modo che difficilmente era amoroso : « Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegna­ mento, non ricevetelo nella casa e non salutatelo, poi­ ché chiunque lo saluta partecipa alle sue opere mali­ gne » 189• Se apostasia fu il peccato grave di l Gv 5, 15-17, come sembra probabile, l'autore raccomandò di non pre­ gare per i secessionisti. Possiamo non supporre che i secessionisti avessero avuto la stessa comprensione di amore per i fratelli, e avessero considerato l 'autore e i suoi seguaci esattamente come egli li considerò? Dal loro punto di vista, quindi, il co­ mandamento li avrebbe vincolati ad amare i loro compa­ gni secessionisti ma non il gruppo dell'autore. Dal suo punto di vista, la mancanza di amore per i seguaci dell'au­ tore era una mancanza di amore per i soli fratelli o figli di Dio che egli riconoscesse : « Chiunque ha una conoscenza di Dio ascolta noi, mentre chiunque non appartiene a Dio rifiuta di ascoltare noi » ( 4, 6 ). Se questo è vero, la limita­ ta comprensione di amore fraterno proclamata sia dall'au­ tore che dai secessionisti è prova eloquente che ambedue aderivano alla tradizione del vangelo di Gv, poiché un concetto più ampio di amore era noto ad altre tradizioni cristiane (Mt 5, 44; Le 10, 26-37). Anche il rifiuto di pregare per coloro che avevano lasciato la comunità potrebbe essere un 'transfer' dell'atteggiamento del Gesù giovanneo che pregò per i suoi ( 17, 6) e per coloro che essi avrebbero convertito ( 1 7 , 20), ma rifiutò di pregare per il mondo ( 17, 9 ). Abbiamo visto già che la cristologia incarnazionale giovannea potrebbe diventare violenta se portata all'estre­ mo; così pure le tendenze dualistiche presenti nella tradi­ zione del vangelo di Gv potrebbero diventare pericolose se trasferite nel dibattito interno al cristianesimo.

1 89 C'è poco da guadagnare dalla dubbia osservazione che questo fosse trat tamento amoroso, dal momento che l'autore lo stava facendo per la salvezza di questi falsi maestri. La sua intenzione non cambia il carattere della sua azione e lo stesso Presbitero in 3Gv 9- 1 0 si irrita aspramente perché Diotrefe fa ai suoi emissari esattamen te ciò che in 2Gv egli ha detto ai suoi seguaci di fare nei confron ti dci secessionisti.

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C . La relazione dell'autore delle lettere con il quarto vangelo

Avendo mostrato come le concezioni secessioniste rico­ struite possono essere state prese dalla tradizione nel vangelo di Gv, passerò a delineare più accuratamente co­ me le lettere giovannee possono essere state collegate al vangelo di Gv - un obiettivo un po' meno speculativo dal momento che l'autore ha esposto le sue concezioni e non dobbiamo ricostruirle da un documento avversario. So­ sterrò che il genere, la polemica, l'argomentazione e pure la struttura di l Gv dipendono essenzialmente dal vangelo di Gv 190, come pure la comprensione che l'autore ha di sé in quanto latore della tradizione nella 'scuola' giovannea. l . Genere letterario di JGv

Se la stessa persona scrisse lGv, 2Gv e 3Gv ( una tesi che, come abbiamo già visto in II A, offre il minore numero di difficoltà ), le ultime due opere mostrano che egli conosce­ va perfettamente bene la forma classica delle lettere. Anzi, qualche volta 3Gv è stato definito come l'esempio più perfetto di forma epistolare nel NT 19 1 • È sempre più sorprendente, quindi, che tutti gli elementi della forma 190

Sebbene io possa essere soddisfatto di mostrare che l'autore di lGv conosceva il tipo di tradizione contenuta nel vangelo di Gv, penso sia più probabile che egli conoscesse una stesura dello stesso vangelo di Gv, anche se scrisse prima della redazione finale del vangelo di Gv (più avanti . V D2b) . 1 9 1 In questo volume, adopero (in inglese) 'epistola' e 'lettera' in modo interscambiabile, anche se A. Deissmann rese popolare per un po' una distinzione tra le due. In LFAE 228-29 egli offrì queste definizioni. « Una epistola è una forma letteraria artistica . . . pro­ prio come il dialogo, l'orazione o il dramma. Non ha niente in comune con la lettera se non la sua forma » . D'altra parte: « Una lettera è qualcosa di non letterario, un mezzo di comunicazione tra persone che sono separate una dall 'altra . . è destinata solo alla persona o alle persone alle quali è indirizzata e niente affatto al pubblico o a qualsias i tipo di pubblicità ». Queste precisazioni sono troppo nette per molte opere del NT, incluse le principali epistole/ lettere paoline ; e lGv non ha la forma richiesta dall'una o dal­ l 'altra definizione. ( In questa traduzione, adoperiamo solo 'lettera' [ N .d.T.)) . .

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epistolare siano assenti in 1 Gv 192 • Questo venne notato concisamente un secolo fa da Westcott ( Epistles xxix): « Nessun indirizzo, nessuna sottoscrizione, nessun nome è contenuto in essa di persona o luogo; non c'è nessuna traccia diretta dell'autore, nessuna indicazione di qualche destinazione particolare ». Delle ventun opere del NT normalmente classificate come lettere, per forma 1 Gv è la meno simile a una lettera 193• �. quindi, appropriato chie­ dersi se la tradizione ha reso giustizia a 1Gv nel chiamarla epistola o lettera : una questione che ho visto delinea­ ta già dal tempo di Heidegger nel 1681 (e Bengel attorno al 1 750). A prima vista vi è il sospetto che una tale opera venisse classificata come lettera per il motivo che c'erano molte lettere nel NT; e ovviamente non conteneva una delle note alternative (un vangelo; un tipo di storia simile agli Atti; o un'apocalisse come l'ultimo libro della Bibbia ). Affrontando la questione del preciso genere letterario di l Gv, si dovrebbero notare i pochi fatti indicatori interni; ad es., le 13 volte che l'autore asserisce che sta scrivendo, e i 22 indirizzi a un « voi » (plurale ). Sebbene questi siano qualche volta citati come prove del genere epistolare 194, essi indicano semplicemente che ci troviamo di fronte a una forma letteraria scritta per un pubblico e a esso indirizza­ ta. Posso aggiungere che bisognerebbe evitare un facile richiamo alla categoria della 'lettera non-vera' o 'lettera enciclica' 1 95 • Nel mondo ellenistico, l' 'epistola' o 'lettera' 192 La forma epistolare verrà discussa nell'Appendice V . Non trovo impressionante l'assunto di Bultmann (Epistles 2) che l 'espres­ sione « ho scritto questo a voi » di lGv 5, l3 sia la solita conclu­ sione delle lettere. � vero che 3Gv, che ha la struttura della let­ tera, contiene le parole: « Scrissi qualcosa alla chiesa » (v. 9) , ma questa non è una conclusione. lGv sta probabilmente echeggiando la conclusione del vangelo di Gv : > (2, 20 ); « L'unzione che riceveste da Cristo dimora in voi; e così non avete bisogno che alcuno insegni a voi » (2, 27 ). Il suo non sembra essere il potere di insegnare e di correggere dei presbiteri-vescovi descritti nelle lettere pastolari paoline, i quali dovevano « rimanere saldi alla 21 2 Molti commentatori propongono che il Presbitero avesse l'auto­ rità di rimuovere Diotrefe, ma rifiutò di esercitarla per riguardo agli ideali di Gesù e della comunità. In realtà, non c'è un briciolo di testimonianza per tale giudizio, c dietro esso ci sta spesso la supposizione che il Presbitero fosse Giovanni , uno dei dodici apo­ stoli .

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parola sicura, come insegnata, per essere in grado di istruire nella sana dottrina e di confutare coloro che la contraddicono » (Tt l , 9 ). l Tm 5, 1 7 dà doppio onore a quei presbiteri che operano nell'insegnamento - una fun­ zione o incarico reso superfluo da l Gv. Che ci fossero una diversa comprensione e un diverso stile di autorità nella comunità giovannea viene energicamente suggerito dal vangelo di Gv. Mentre altri libri del NT ci mostrano che spesso le chiese di fondazione apostolica reagirono alla morte dei loro apostoli stabilendo una struttura stabile di presbiteri-vescovi per conservare l'insegnamento apostolico e proteggere il gregge contro innovazioni, il vangelo di Gv tratta il problema dell'insegnamento ordinario in un modo molto diverso 2 13• Il Paraclito, lo Spirito Santo, è il mae­ stro che abilitò la prima generazione cristiana a portare la testimonianza ( Gv 1 5 , 26-27 ); e questo maestro, mandato dal cielo da parte di Dio e di Gesù, non viene messo in discussione dalla morte di quella generazione, poiché egli abita per sempre nel cuore dei credenti che amano Gesù e osservano i suoi comandamenti ( 14, 1 5-16). Egli guida i cristiani (giovannei ) « alla verità tutta intera » ( 1 6, 1 3 ) e « i nsegna tutte le cose » ( 14, 26 ) un passo che sembra stare alla base di l Gv 2, 27: « la sua [ di Cristo] unzione insegna a voi riguardo a tutte le cose ». Sia che ci fossero o no ministeri speciali e perfino presbiteri nelle chiese della comunità giovannea 2 14 , ad essi non si poteva asse­ gnare il ruolo dell'insegnamento che apparteneva solo al Paraclito. Proprio questa mancanza di una struttura ec­ clesiastica composta di autorità docenti rendeva la co­ munità giovannea vulnerabile quando i membri dissenti­ vano su ciò che lo Spirito stava loro insegnando. Per -

2 13 Si veda ABJ 29A, 1 14143 ( tr. it. 1498 s) ; Brown, Community 86-88 ( tr. it. 100 ss) . 21 4 Non penso che ci sia una vera testimonianza per l'assunto di Schweizer, Church Order 127 ( l2c) : « Qui [nelle lettere giovannee in con tinuità col vangelo di Gv] non c'è più nessun tipo di mi­ nistero speciale, ma solo una unione diretta con Dio attraverso lo Spirito che viene su ogni individuo ; qui non ci sono né inca­ richi e neppure carismi diversi ». Lo Spirito che viene su ogni in­ dividuo non preclude necessariamente i ministeri, gli incarichi o i carismi ; esso l i relativizza. Per una discussione critica della tesi di Schweizer, si veda Pastor, « Comunidad ».

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combattere i secessionisti che affermano la norma dello Spirito, tutto ciò che l'autore de}la lettera può fare è di esortare i suoi seguaci: « Non credete a ogni spirito; piut­ tosto, mettete questi spiriti a una prova per vedere quale appartiene a Dio » ( l Gv 4, l ). (c) I « NOI » DELLA SCUOLA GIOVANNEA. In l Gv ci sono alcuni testi che sembrano contraddire l'indicazione del vangelo di Gv che l'insegnamento deve essere fatto dall'inabitante Paraclito e, anzi, contraddire anche la stessa asserzione dell 'autore della lettera : « Non avete bisogno che alcuno insegni a voi » ( lGv 2, 27). Tra i testi che sono stati visti come favorevoli all'esistenza di maestri umani autorevoli è lGv 4, 6 : « Chiunque ha una conoscenza di Dio ascolta noi ,, ; e questo si può collegare all'affermazione « noi ,, del pro­ logo della lettera: « Questo è ciò che annunciamo a voi : ciò che noi abbiamo udito, dò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che noi guardammo e toccammo con le nostre stesse mani ». Alcuni studiosi pensano che questo « noi » . si riferisca agli apostoli e dicono che l'auto­ re stia affermando l'autorità apostolica. ( Nella NoTA a lGv l , l ci sarà una lunga e dettagliata discussione delle diver­ se interpretazioni dei « noi »; pertanto, qui riassumo bre­ vemente). Comunque, dal momento che nessuna opera giovannea menziona gli 'apostoli' 215, è solo in modo inesat­ to e per armonizzazione con la letteratura non giovannea che si può parlare di 'noi apostolico'. Nel prologo di l Gv il « noi ,, è distinto da un « voi » che sono i destinatari : « Ciò che noi abbiamo visto e udito annunciamo a nostra volta a voi » ( 1 , 3 ). Questo stesso fenomeno ricorre nel vangelo di Gv in passi che hanno pressappoco lo stesso tema del prologo di l Gv, cioè, il tema della testimonianza di un testimone oculare alla verità riferita da un « noi ,, a

2 1 5 Apostolos appare una volta nel vangelo di Gv ( 13, 16) nel senso

non tecnico di « messaggero " · Se si volesse sostenere che lì do· vrebbe essere tradotto con « apostolo », il verso diventa uno 'svi· limento' degli apostoli da parte di Gesù: « Nessun apostolos è più grande di chi Io mandò "· II verbo apostellein, « mandare », nel vangelo di Gv è evidentemente interscambiabile con pempein , e coloro che sono mandati costituiscono un gruppo più ampio di quello degli apostoli di altri scritti del NT.

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un « voi » 21 6 • Quindi, i « noi » non hanno bisogno di essere un corpo di dirigenti costituiti della chiesa né un gruppo di maestri autorevoli, ma un gruppo di testimoni. Il disce­ polo diletto fu il testimone giovanneo par excellence, e così tutta la comunità giovannea può parlare di sé come « noi >> per il motivo che condivideva la sua testimonian­ za 21 7 ; ad es., nel prologo del vangelo di Gv: « La Parola divenne carne ... e noi abbiamo visto la sua gloria » 218 • Ma in l Gv, dal momento che precedenti membri della comu­ nità si sono staccati e sono andati propagando (ciò che l'autore considera come ) una erronea interpretazione della tradizione ricavata dal discepolo diletto, l'autore ha occa­ sionalmente bisogno di indicare tra i cristiani giovannei fedeli un « noi » che può riassicurare un « voi ». Ora che i secessionisti hanno lasciato, se il « voi » è il generico gruppo di discepoli che costituisce la comunità giovannea, in questo caso il « noi » comprende i latori della tradizio­ ne e gli interpreti che stanno in una particolare relazione con il discepolo diletto nel loro tentativo di conservare la sua testimonianza 219• Certamente, parte di quel tentativo implicava scrivere; e così i « noi », che erano compagni e 21 6 Ad es., 19, 35 : « Questa testimonianza è stata data da un testi­ mone oculare e la sua testimonianza è vera. Egli sta dicendo ciò che egli sa essere vero così che anche voi possiate avere fede », se questo passo viene combinato con il relativo passo in 21, 24 : « È il discepolo che Gesù amò che è il testimone di queste cose .. . e noi conosciamo che la sua testimonianza è vera " · 2 1 7 Langbrandtner, Weltferner Gott 403, parla di lui come primus inter pares. 218 In ABJ 29, 13 ( tr. it. 18) , correttamente ma in modo inadeguato, ho mostrato che il « noi » in Gv 1 , 14 non è l'umanità, ma i te­ stimoni oculari (apostolici) ; io ora insisterei che è la comunità cris tiana ( giovannea) come erede della testimonianza del testimone oculare. Barrett, Gospel 143, ha ragione quando dice che può si­ gnificare solo « noi , la chiesa », « noi cristiani », ammesso che egli aggiunga « giovannea/i » prima di « chiesa, cristiani ». Il quarto evangelista sa che ci sono altri autentici cristiani al di fuori della comunità giovannea (Gv 10, 16: « Altre pecore che non apparten­ gono a questo ovile >>) , ma essi non sono il centro della sua at­ tenzione. La supposizione è che, alla fine, essi si uniranno alla comunità giovannea come un unico gregge. 21 9 Thyen, « Entwicklungen » 293 , pensa che la testimonianza del discepolo diletto potrebbe forse venire invocata contro i secessio­ nisti per il motivo che egli morì opponendosi allo scisma. Thyen lo ritiene un antidoceta.

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discepoli del discepolo diletto, includono gli scrittori gio­ vannei. Innanzitutto, tra loro ci sarebbe stato l'evangelista che era più responsabile di ogni altro di custodire gelo­ samente la testimonianza del discepolo diletto, un vangelo portante vita a tutti coloro che credono (si vedano i testi nella nota 2 1 6 ). Dal momento che l'autore di 1Gv si consi­ dera come scrivente per conservare la testimonianza del suo vangelo ( 1 , 5 ), egli è parte del « noi », come lo è pure il redattore del vangelo di Gv 220 • Questa, pertanto, è la scuola giovannea che ha un posto speciale nella comunità giovannea 221 • La loro autorità non è di maestri ma di testimoni i quali sono veicolo del Paraclito, l'unico mae­ stro. Per la comunità giovannea, il discepolo diletto fu il massimo esempio di un testimone attraverso cui il Para­ dito portò testimonianza e insegnò (Gv 19, 35; 1 5 , 26-27). La prossimità dei « noi ,, della scuola giovannea al disce­ polo diletto li rende pure i portavoce del Paraclito, lo Spirito di verità ( Gv 14, 1 7 ; 1 5 , 26; 1 6, 1 3 ). Infine, la pre­ senza della scuola giovannea nella comunità giovannea rende capaci tutti i cristiani di quella comunità, in k oi no­ nia o comunione con quella scuola ( l Gv l , 3 ), di portare te­ stimonianza alla vera tradizione su Gesù. Penso che questo sia il senso da dare all'affermazione dell'autore della lette­ ra : « Chiunque ha una conoscenza di Dio ascolta noi, men­ tre chiunque non appartiene a Dio rifiuta di ascoltare noi.

22o Si veda il « noi » di Gv 21, 24. Più sopra, la nota 7l incorpora la mia comprensione delle principali figure giovannee.

22 1 In Community 101-2 ( tr. it. 1 17 s) io discuto l'eccellente School di R. A. Culpepper che ha esaminato l'uso del termine 'scuola' per altti gruppi dell'antichità (pitagorici, l'accademia di Platone, il li­ ceo di Aristotele, ecc.) e ha mostrato che nella situazione gio· vannea si trovano le caratteristiche di una scuola. Infatti, Culpep­ per vuole estendere il termine 'scuola' a tutta la comunità gio­ vannea, proprio come io sostengo che spesso il « noi » si estende al tutto. Tuttavia, io sosterrei che un termine come 'scuola' sta ottimamente per il « noi » quando quel « noi » è distinto dal « voi » della comunità - in altre parole, per i latori dalla tradizione e per i testimoni quando essi parlano come un gruppo distinto. Seb­ bene l'autore della lettera parli 15 volte ai lettori come « fratelli » in l Gv, egli si rivolge a loro come « figlioli » 7 volte, un impiego che significa che in un certo senso egli è uguale agli altri cristiani giovannei, ma in un altro senso egli ha una posizione distinta (come membro della scuola giovannea, nella mia terminologia) .

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Da questo possiamo conoscere lo Spirito di verità e lo spirito di inganno » ( l Gv 4, 6). In modo parentetico, aggiungerò che la particolare rela­ zione dell'autore della lettera con il discepolo diletto può spiegare la sua designazione di sé come « il Presbitero » in 2Gv e 3Gv dove egli non si presenta più nelle vesti dell'evangelista, ma scrivendo una lettera in nome pro­ prio. Nelle NOTE a 2Gv l si sosterrà che il più plausibile significato giovanneo di « Presbitero » è in armonia con l'impiego in Papia e in Ireneo, dove viene adoperato per designare una generazione che aveva ricevuto la tradizione dai testimoni oculari - persone che avevano una certa autorità per il motivo che avevano visto e udito altri che a loro volta avevano visto e udito Gesù. Attraverso il prisma giovanneo questa catena di autorità che raggiunge « il Presbitero >> sarebbe come segue : solo Gesù aveva visto e udito Dio e poteva dar prova di questo; di coloro che videro e udirono Gesù, rl discepolo diletto era il più pros­ simo e la sua testimonianza fu « vera » nel senso più pieno; la scuola giovannea, o lo speciale « noi », videro e furono particolarmente vicini al discepolo diletto e pote­ vano, quindi, dare sicurezza agli altri membri della comu­ nità giovannea (il « voi » ) riguardo alla continuità del van­ gelo ( l Gv l , 5 ; 3, 1 1 ). A quanto sembra, questa ultima generazione di testimoni venne conosciuta come presbiteri. ( d ) « DAL PRINCIPIO >> - TEOLOGIA GIOVANNEA PIÙ ANT ICA In l Gv, proprio per il motivo che egli parla nella veste di evangelista che custodiva gelosamente la testimonianza del discepolo diletto nel vangelo di Gv 222 , l'autore di l Gv si può riferire a « ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi .

222 Secondo il mio modo di intendere la tradizione giovannea , proprio come il discepolo diletto reinterpretò la tradizione a ri­ guardo di Gesù piuttosto che semplicemente ripeterla, così anche l'evangelista diede nuove prospettive nel reinterpretare la tradi­ zione che egli ricevette dal discepolo diletto. Alla base di tutta questa libertà sta la nozione del Paraclito, che Gesù introdusse così : « Io ho molto ancora da dire a voi, ma ora non potete portarne il peso. Quando però egli verrà, lo Spirito di verità, guiderà voi alla verità tutta intera » ( 16, 12-13) - un'affermazione che implica prospettive che vanno al di là di quelle disponibili nel ministero di Gesù ( si veda anche Gv 2, 22) .

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abbiamo visto con i nostri occhi, cio che noi guar­ dammo e toccammo con le nostre stesse mani » ( 1 , 1 ). Pure i secessionisti stanno argomentando in base al van­ gelo di Gv, ma essi sono così progressisti che hanno perso le loro radici nell'insegnamento di Cristo (2Gv 9 ). Essi non comprendono il « vangelo » come era « dal principio » mentre l'autore lo fa 223• A volte, l'autore non può negare gli slogans secession isti presi dalla tradizione rappresenta­ ta nel vangelo di Gv ( anche se egli li accuserà di trascura­ re le implicazioni di tali affermazioni ); ma egli raggira questa difficoltà scegliendo temi giovannei più antichi che sono alquanto sommersi nel vangelo di Gv e mostrando che l'interpretazione progressista dei secessionisti del vangelo di Gv è una contraddizione di tale antica tradi­ zione. Questo non è un ingiustificabile raggiro dal mo­ mento che il vangelo di Gv venne scritto in una lotta contro esterni e, quindi, pone in risalto solo quelle parti della tradizione giovannea messe in discussione da esterni. Nella concezione dell'autore è tutta la tradizione giovan­ nea, compresi i presupposti del vangelo di Gv, a confutare le interpretazioni secessioniste. Questo stile di argomenta­ zione dà a 1 Gv l 'aria di essere più arcaico e meno progre­ dito del vangelo di Gv. Se, ad es., ci sono molti elementi giudaici in 1 Gv (più sopra, II C2a ), ciò deriva dal fatto che la comunità giovannea cominciò come un gruppo giu­ deo-cristiano 224 , e l'autore desidera mettere in rilievo ciò che era « dal principio ». Il tentativo dell'autore della lettera di riandare ai presup­ posti del vangelo di Gv è maggiormente evidente nella sua difesa dell'importanza della carriera umana di Gesù. Il vangelo di Gv non doveva difendere l'umanità di Gesù l Gv 1 , 1 ; 2, 7.13.14.24 ; 3, 1 1 ; 2Gv 5-6. Piper, « I John » 437-40, scopre 30 passi dove l'autore si riferisce alle verità sostenute dal suo pubblico. Egli sta appellandosi a una fede comune che i suoi lettori dovrebbero conoscere senza dubbi o riserve : una combina­ zione di affermazioni di fede, di assiomi teologici e di profezie escatologiche. 224 Brown, Community 27-34.172.175.178 ( tr. it. 26-36.204s.207s.212) . In­ sisto ancora una volta che tali caratteristiche giudaiche arcaiche non devono essere bistrattate per datare lo scritto di lGv molto presto o per determinare la componente etnica dei suoi bene­ ficiari Esse ci dicono delle origini, non della composizione. 221

.

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contro 'i giudei' o i giudeo-cristiani, e il suo silenzio su questo punto era stato sfruttato dai secessionisti che ne­ gavano l'importanza di Gesù come il Cristo venuto nella carne ( l Gv 4, 2-3 ). Scrivendo una propria forma del prolo­ go, in lGv l , 1 -4 l'autore corregge l'interpretazione seces­ sionista del prologo del vangelo di Gv, offrendo una cri­ stologia più 'primitiva'. Se possiamo sospettare che i secessionisti si concentrassero su righe come : « In princi­ pio [precreazionale] era la Parola » e: « Noi abbiamo visto la sua gloria » (Gv l , 1 . 14 ), l'autore della lettera trat­ ta « i!l principio » de « la parola di vita >> come un princi­ pio di autorivelazione di Gesù ai suoi discepoli 225 ; e non c'è menzione di gloria, ma solo una successione di cre­ scente tangibilità : « Noi abbiamo udito ... visto ... guar­ dammo ... toccammo » ( l Gv l , l ). Può essere vero che il Gesù del vangelo di Gv dia scarso insegnamento etico specifico (per il motivo che la comuni­ tà giovannea e 'i giudei' non litigavano sulla moralità) ; ma tutti i presupposti dell'antropologia giovannea sono che i credenti sono figli di Dio a immagine di Gesù, il Figlio di Dio, un Gesù che poteva affermare di essere senza peccato ( Gv 8, 46). E, così, l'autore di lGv può proporre un kathos ( « proprio come ») etico: « Camminare proprio come Cri­ sto camminò >> (2, 6 ) ; rendere se stesso > ? L'asserzione di Ireneo ( più sopra, IV B3d) che Giovanni venne contrapposto a Cerinto può es-

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Al tempo dello scritto, i maestri secessionisti non avevano an­ cora raggiunto la lontana chiesa giovannea di 2Gv 10-1 1 . Il timore del Presbitero suggerisce che in tali chiese ci fossero coloro che po­ tevano essere persuasi dalla teologia secessionista. Mentre l'approc­ cio polemico delle lettere aveva lo scopo di arrestare questo pro­ cesso, esso può in realtà avere catalizzato un ulteriore scisma e separazione forzando le persone a prendere partito . Si noti la si­ tuazione un po' simile in Ap 2, 6.15: nello stesso periodo di tempo, i n icolai ti erano un gruppo distinto ( da essere odiato) nella chiesa di Efeso, mentre nella chiesa di Pergamo non erano distinti in modo visibile. In modo analogo, più tardi, con gli gnostici valenti­ niani ( si veda più sopra, p. 104) .

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sere una semplificazione storica del fatto che certi opposi­ tori di lGv divennero cerintiani. Noi non abbiamo prova esterna che i secessionisti si la­ sciassero conquistare dal tipo di docetismo combattuto da Ignazio di Antiochia ( più sopra, IV B3b ), secondo cui l 'umanità di Gesù era solo apparente. Eppure, prima o poi durante il II secolo, il mancato riconoscimento secessio­ nista del valore salvifico della carriera umana di Gesù il suo essere « venuto nella carne » - sarebbe stato esage­ rato in una direzione docetista, e i discendenti della se­ cessione avrebbero certamente fatto causa comune con i doceti contro le autorità della chiesa che proclamavano la teologia di una umanità salvifica. Se i secessionisti difendevano le loro intuizioni come ispi­ rate dallo Spirito Paraclito, un ulteriore passo nella stessa direzione sarebbe stato l'affermazione di Montano ( 1 60 circa) di essere l'inabitazione del promesso Paraclito (un termine del NT adoperato solo negli scritti giovannei). I secessionisti vengono chiamati « falsi profeti » in l Gv 4, l , una designazione che può significare che chiamavano se stessi « profeti »; e il montanismo fu l'effusione di profe­ zia par excellence. In particolare, Montano fece uso di due profetesse donne, Priscilla e Massimilla, che es taticamente rivelavano le parole del Signore. Questa non sarebbe una inconcepibile conseguenza dal vangelo di Gv sul mistero di Gesù in cui alcune donne ebbero una posizione straor­ dinaria come proclamatrici della parola 244• Quanto alla relazione dei secessionisti con i movimenti gnostici posteriori, possiamo cominciare con l'uso degli gnostici del vangelo di Gv. Secondo Ippolito ( Refutatio 5.6.3 ss e 5 . 1 2 . 1 ss; PG 1 63, 3 1 26 ss, 3 1 59C ss) , testi del van­ gelo di Gv giocarono un ruolo sia nella teologia naassena che peratea. Tra gli gnostici valentiniani, Tolomeo inter­ pretò il prologo del vangelo di Gv ( Ireneo, Adv. haer. 1 .8.5 ) ed Eracleone è responsabile del più antico commen­ tario conosciuto al vangelo di Gv 245• Le prime Odi di 244 Si veda Gv 4, 39 ; 1 1 , 27 ; 20, 18 ; e il mio Community 183-98 ( tr. it. 217-235) . Ovviamente, donne annunciatrici potevano essere vere o false, e Ap 2, 20-23 mostra la presenza di una falsa profetessa in una comunità primitiva collegata alla lontana con la comunità gio­ vannea. 245 Questa interpretazione valentiniana, come esposta da Pagels,

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Salomone hanno affinità col vangelo di Gv, e molti studio­

si pensano che siano gnostiche o semignostiche 246 • Più sopra, in IV B3c ho raccolto dagli scritti gnostici di Nag Hammadi i molti temi che mostrano una somiglianza col pensiero secessionista. Un'altra recente scoperta, Il vange­ lo segreto di Marco, che è in qualche modo collegato con i carpocratiani, può riflettere una conoscenza del vangelo di Gv nella metà del II secolo 247 • La popolarità del vangelo di Gv nei circoli gnostici è tanto più sorprendénte se ricor­ diamo quanto sia scarsa la testimonianza della conoscenza e dell 'apprezzamento del vangelo di Gv tra gli scrittori dell'inizio del II secolo che in seguito la chiesa giudicò ortodossi 248• Una spiegazione plausibile di questa storia è che gli avversari secessionisti di lGv sarebbero stati il ponte attraverso cui il vangelo di Gv arrivò tra gli gnosti­ ci. Sebbene gli stessi secessionisti possano ancora avere creduto che la generazione divina del cristiano avvenisse tramite la venuta alla fede, il loro denigrare l'importanza salvifica della successiva vita del credente sulla terra po­ trebbe averli condotti ad accettare i sistemi gnostici in cui i credenti erano considerati come figli smarriti e intrappo­ lati sulla terra fino alla venuta di Cristo - una preesi­ stente generazione e una completa inutilità dell'esistenza terrena. La loro capacità a fornire un'opera teologica della Johannine Gospel, è considerevolmente più tgnostica' della posizio­ ne secessionista da me ricostruita . 246 Per una interpretazione opposta, si veda J. H. Charlesworth, « The Odes of Solomon - Not Gnostic », CBQ 31 ( 1 969 ) 357-69. 247 R. E. Brown , « The Relation of tThe Secret Gospel of Mark' to the Fourth Gospel », CBQ 36 ( 1974) 466-85. Esso può attingere indi­ rettamente a1Ia forma scritta del vangelo di Gv, o può riflettere la tradizione orale giovannea. 248 Ho discusso le varie valutazioni scientifiche in ABJ 29, lxxxi­ lxxxiii ( tr. it. xciv-xcvii) . In sintesi, non c'è una specifica cita­ zione del vangelo di Gv in Ignazio d i Antiochia, sebbene sembra abbia conosciuto le idee giovannee (più sopra, nota 9) . Più curiosa è l'assenza di una citazione del vangelo di Gv in Policarpo, Filip­ pesi (prima del 140 d.C.) , per il motivo che si dice abbia conosciuto Giovanni (ABJ 29, lxxxviii-xc ; tr. it. cv ss) ; e per il motivo che egli sembra citare lGv e 2Gv (più sopra, pp. 30 s) . Mentre nella metà del II secolo Giustino Martire conobbe certamente una cri­ stologia del Logos ( « Parola ») , non è chiaro se egli conobbe o ado­ però lo stesso vangelo di Gv. Il primo indiscutibile impiego orto­ dosso del vangelo di Gv fu da parte di Teofilo di Antiochia ne11a sua Apologia ad Autolico nell'ultimo quarto del II secolo.

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portata del vangelo di Gv può anche avere catalizzato lo sviluppo teologico dello gnosticismo cristiano fornendo vocabolario e immaginazione con cui formulare il mito gnostico. Lo slogan dell'iniziato gnostico datoci da Ireneo ( Adv. haer. 1 .2 1 .5 ) : « Io asserisco di essere da lui, il quale è preesistente, e ritorno al mio posto dal quale uscii )), potrebbe concepibilmente essersi sviluppato applicando al cristiano le parole del Gesù giovanneo: « Io ho vita a motivo del Padre » (6, 57); « Io uscii dal Padre ... e sto ritornando al Padre )) ( 1 6, 28). 2 . Il sentiero che conduce dalle let tere alla grande chiesa

Se il movimento secessionista percorse un sentiero che nel II secolo condusse a ( una o più varietà di ) cerintia­ nismo, montanismo, docetismo e/o gnosticismo, quale fu il destino dei seguaci dell'autore dopo l'aspra reazione allo scisma espressa nelle pagine di l Gv e 2Gv ? L'autore stesso sembra pessimista, sebbene dobbiamo ammettere un'esa­ gerazione retorica : lo scisma era il segno dell'ultima lotta prima della parusia, un'ultima ora contraddistinta da falsi profeti e anticristi incorporanti l'iniquità finale ( lGv 2, 1 8-28; 4, 1-6 ). E nonostante la verifica un po' tenue degli spiriti, i secessionisti stavano aumentando di numero ( 4, 5 ). Inevitabilmente, quando i seguaci dell'autore si tro­ varono di fronte a una tale tetra prospettiva, avranno riflettuto su altre chiese cristiane che stavano sopravvi­ vendo con più successo a movimenti di divisione perché avevano sviluppato una struttura autoritaria della chiesa e maestri ufficiali per correggere l'errore - le chiese che diventeranno la « grande chiesa )). Potevano le chiese gio­ vannee accettare un simile sviluppo strutturale per so­ pravvivere, o era insopportabilmente alieno alla loro tra­ dizione teologica, che sottolineava il Paraclito come maestro e i credenti come discepoli uguali (o tralci della vite ) ? Negli scritti giovannei ci sono due passi che posso­ no riflettere la lotta su questo problema, cioè, 3Gv 9-1 0 e Gv 2 1 . ( a ) 3Gv E ORDINE DELLA CHIESA. Riassumendo qui dalla

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trattazione che verrà data a 3Gv nel corpo del commenta­ rio, affermo che l'ostilità tra il Presbitero e Diotrefe, che egli critica, non riguardava la dottrina - Diotrefe non era un secessionista - ma la sola questione che il Presbitero menziona, cioè, che Diotrefe affermava una certa supre­ mazia in una chiesa locale e la adoperava per tenere lontano i missionari amici del Presbitero. Dal momento che 2Gv 1 0- 1 1 ritrae gli inviati secessionisti come propa­ gatori del loro insegnamento, c'è un fondamento per la con­ gettura che anche il Presbitero stesse adoperando gli in­ viati come propagatori della sua interpretazione della tra­ dizione giovannea. Perché Diotrefe li avrebbe osteggiati se egli non era un secessionista? La risposta a questa que­ stione può trovarsi nel cercare di immedesimarci nel di­ lemma di una chiesa provinciale giovannea visitata da missionari, provenienti dalla metropoli della comunità giovannea, i quali stavano annunciando interpretazioni in contraddizione con la tradizione giovannea. Si doveva permettere ai missionari di predicare così che i membri della chiesa locale potessero stabilire quale era l'interpre­ tazione autentica ? Ciò non significherebbe quasi sempre fornire una piattaforma per l'errore il quale era destinato a guadagnare alcuni seguaci ? Una soluzione pratica sareb­ be stata rifiutare di accogliere predicatori esterni di tutte le convinzioni e dipendere dal consiglio locale riguardo al modo di interpretare la tradizione. Una tale soluzione equivarrebbe a dare precedenza a una figura locale che sarebbe virtualmente il maestro della chiesa. La situazione che ho appena descritto non è semplicemente speculativa poiché l'incontriamo nella Didache ( 1 00 d.C. circa) dove una comunità viene regolarmente visitata da maestri e profeti, alcuni dei quali a giudizio dell'autore sono danno­ si. La sua soluzione ( 1 5 , 3 ) è di esortare la chiesa locale a sviluppare un ministero di vescovi e diaconi per subentra­ re al ministero di tali maestri e profeti. Il Diotrefe di 3Gv può essere la personificazione di un tale passo, con l'ulte­ riore sviluppo che egli escluse maestri e profeti che face­ vano visita. L'ostilità del Presbitero nei confronti di Diotrefe si poteva fondare proprio sul giudizio che un tale passo rappresen­ tava un radicale allontanamento dalla tradizione giovan­ nea dove il Paraclito era il maestro e c'era uguaglianza tra

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discepoli. Ma se il Presbitero era un purista giovanneo, figure come Diotrefe possono essere state più intuitive a riguardo dell'unico modo pratico di conservare la sostanza della tradizione giovannea contro infiltrazioni secessioni­ ste. Se una tale teoria è corretta, non fu l'autore-Presbite­ ro delle lettere ma l'affiorante capo della chiesa giovannea, alla s tregua di Diotrefe responsabile della confluenza del resto giovanneo nella grande chiesa. ( b ) LE LETTERE E LA REDAZIONE DEL VANGELO DI GV. Come si inserì la redazione del vangelo di Gv nel movimento gio­ vanneo di confluenza nella grande chiesa 249? Fu il redatto­ re del vangelo di Gv l'autore delle lettere ? La tesi che una o più lettere venissero scritte dal redattore viene sostenu­ ta da Becker, Bousset, Hirsch, Richter e Schwartz, mentre persone diverse sono postulate da Bacon, Soltau e altri. La risposta alla questione presenta enormi difficoltà, non ultima quella dell'incertezza riguardo a quali parti del vangelo di Gv devono essere attribuite al redattore 250• In ABJ 29, xxxvi-xxxviii (tr. it. xxxviii-xlii), ad es., ho tro­ vato clementi redazionali nel prologo del vangelo di Gv, in 3, 3 1 -36; 6, 5 1-58, e nei capp. 1 1 . 12 . 1 5 . 1 6 . 1 7 e 2 1 ; ma altri studiosi assegnerebbero al redattore un ruolo più mode­ s to. Coloro che identificano l'autore di l Gv con il redatto­ re spesso propongono questi tre argomenti : ( l ) Il redat­ tore aggiunse i capp. 1 5-17 al vangelo di Gv, e la maggior parte degli evidenti paralleli tra lGv e vangelo di Gv si trovano in quei capitoli. ( 2 ) Il redattore fu responsabile in tutto o in parte del prologo del vangelo di Gv; e si ritiene che Gv l , 1 4 : « La Parola divenne carne », sia antisecessio­ nista, equivalente a l Gv 4, 2 : « Gesù Cristo venuto nella carne ». ( 3 ) Il redattore aggiunse tocchi 'ecclesiastici' al vangelo di Gv quali l'escatologia finale e il ritratto di Pietro, il pastore ; e le lettere, qualche volta chiamate le 249 Si ricorda al lettore che la designazione di •redattore

ecclesia­ stico' viene proposta da Bultmann. 250 Anche questo maschera il problema se ci fu solo un redattore. Mentre molti attribuiscono Gv 15-17 a il redattore, in numerosi ar­ ticoli dedica ti all'ultimo discorso, J. Becker, ZNW 60 ( 1969) 56-83 ; 61 ( 1970) 21 5-46, trova in questi capitoli testimonianza di tre o più differenti concezioni teologiche e scrittori. .

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'pastorali giovannee', hanno in comune la stessa atmosfera ecclesiastica. Esaminerò questi punti uno per uno. Primo, 1 Gv e l'ultimo discorso nei capp . 15-17. Di circa 1 1 5 somiglianze tra l Gv e vangelo di Gv elencate nel lo spec­ chietto due dell'Append i ce l, circa 35 suppongono Gv 1 517, c i oè una su tre. Il redattore, che aggiunse i capp . 1 5-17, scrisse 1Gv? La nota 250 ci ha messo in guardia che nei capp. 1 5-17 non possiamo semplicemente supporre un u­ nificato punto di vista e un'unica mano. Inoltre, la fre­ quenza del paral1elismo di questi capitoli con l Gv è spie­ gata parzialmente dalla situazione immaginata, poi c hé na­ turalmente la lettera indirizzata a credenti avrebbe più somiglianze con la parte del vangelo di Gv dove Gesù parla ai suoi seguaci, cioè, con il libro della gloria che consta dei capp. 1 3-20, di quelle che avrebbe col libro dei segni (capp. 1 - 1 2 ) dove Gesù frequentemente si indirizza a ostili non credenti. Una statistica di somiglianze più vali­ da di quella ottenuta confrontando 1 Gv prima a Gv 1 5- 1 7 e poi a l resto del vangelo d i G v sarebbe quella ottenuta adoperando 1 3 , 3 1 - 1 4 , 31 e 1 5-17 come le sezioni del vange­ lo di Gv da confrontarsi con lGv - cioè, la forma d e ll ' e­ vangelista del d iscorso di Gesù ai suoi seguaci e la forma del redat tore dello stesso discorso. Delle 1 1 5 somiglianze nello specchietto due, circa 27 suppongono Gv 1 3 , 3 1 - 14 , 3 1 , cioè all'incirca una s u quattro, che non è una per­ centuale notevolmente diversa da quel1a che implica Gv 1 5-17. Inoltre, contro l'identificazione del redattore(i) che sta dietro Gv 1 5- 1 7 con l'autore di l Gv è l'assenza di polemica contro altri cristiani nei capitoli del vangelo di Gv, una polemica che corre lungo tutto 1Gv. Anche Gv 1 5-17 contiene idee che sarebbero state maggiormente utili ai secessionisti, e noi difficilmente possiamo immaginare che l'autore della lettera fornisca argomenti ai suoi avver­ sari. Ad es., l'immagine della vite e dei tralci in Gv 1 5 rende Ja diretta adesione dei credenti a Gesù l'un ico crite­ rio per portare frutto, mentre l G v l , 3 rende la comunio­ ne con il « noi » dei latori della tradizione un intermedia­ rio necessario per la comunione con il Padre e con Cristo. L'autore di 1 Gv avrebbe dovuto mettere in rilievo il ruolo dello Spj rito Paraclito come fanno Gv 1 5 , 26-27 e 1 6, 7-1 5 quando i secessionisti stavano appellandosi allo Spirito ? Che egli non volesse fare questo viene suggeri to dalla

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scarsità di riferimenti allo Spirito in l Gv e dalla assenza di terminologia del Paraclito per lo Spirito. Di più, dal momento che l 'autore della lettera mette in rilievo la carriera di Gesù nella carne e la necessità di un vivere cristiano etico, difficilmente egli può essere stato innamo­ rato del detto di Gv 17, 16 che avrebbe potuto servire come lo slogan par excellence del movimento secessioni­ sta : « essi non appartengono al mondo più di quello che io appartengo al mondo ». Il minimo che si possa conclu­ dere è che, se i capitoli 1 5-1 7 e l Gv vennero scritti dalla stessa persona, essi furono scritti in periodi molto diversi della sua vita, e che i capitoli del vangelo di Gv vennero scritti prima che fosse avvenuta la secessione. Secondo : « La Parola divenne carne » (presumibilmente redazionale ) come antisecessionista. G. Richter 251 ha ener­ gicamente sostenuto che un redattore antidoceta aggiunse Gv l, 14- 1 8 al vangelo di Gv e compose l Gv come una difesa apologetica del Figlio di Dio venuto nella carne. Ma è Gv l, 1 4 realmente antidoceta? Sarei d'accordo che se i se­ cessionisti negavano l'incarnazione e postulavano solo una vita apparente sulla terra ( completo docetismo), Gv l , 1 4 li confuterebbe 252• M a questa non è l a mia comprensione della cristologia secessionista (più sopra, V B2 ) essi potrebbero avere accettato l'intero l, 14 come uno slogan : « La Parola divenne carne ... e noi abbiamo visto la sua gloria ». Non è a caso che Kasemann (più sopra, nota 167), che interpreta il vangelo di Gv come un veicolo di un ingenuo docetismo che si avvicina alla teologia secessio­ nista come io l'ho ricostruita, usa l , 14 come chiave di volta della sua tesi. Terzo, un atteggiamento 'ecclesiastico' condiviso dal re­ dattore e dalle lettere. Questo vago argomento di paterni­ tà comune diventa molto incerto quando si focalizza sullo -

251 Per una sintesi di questa teoria, si veda A. J. Mattill, « Johannine Communities behind the Fourth Gospel: Georg Richter's Analysis » , TS 38 ( 1977) 294-315 ; anche Brown, Community 174-76 ( tr. it. 207-209) . Per questo punto particolare, si veda Richter, « Fleischwerdung » . 252 Anche questo non è ammesso da K. Berger, « Zu 'Das Wort ward Fleisch' John. I 14a » , NovT 16 ( 1974) 161-66, che in opposizione a Richter insiste sulla testimonianza del II secolo che una tale espres­ sione poteva facilmente venire letta nel senso : « La parola apparve nella carne » una lettura abbastanza aperta al docetismo. -

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specifico. Da parte di molti si pensa che il redattore abbia aggiunto al vangelo di Gv l'accentuazione sacramentale sul battesimo e sull'eucarestia in Gv 3, 5 ( « acqua ») e in 6, 5 1 -58 ( « carne e sangue »), che si potrebbe paragonare all'accentuazione su acqua e su sangue ( in l Gv 5, 6-8 ). Comunque, relativamente pochi studiosi pensano che il battesimo e l'eucarestia siano il riferimento fondamen tale di « acqua » e « sangue » in l Gv 5, 6 253 , e nelle lettere non c'è nessun altro accenno di interesse sacramentale. Un altro tocco 'ecclesiastico', qualche volta assegnato al re­ dattore del vangelo di Gv, è l'aggiunta di riferimenti al­ l'escatologia finale : una prospettiva escatologica condivisa da lGv. Tuttavia, come ho precedentemente mostrato nel­ la nota 229, parte dell'escatologia finale del vangelo di Gv venne sicuramente dall'evangelista, e forse non è un tema peculiare del redattore. In questo argomento 'ecclesiastico' molto spesso si ri­ chiama il cap. 2 1 , la sezione del vangelo di Gv più comu­ nemente assegnata al redattore. Certamente 2 1 , 24, che dice del discepolo diletto: « Noi sappiamo che la sua testimonianza è vera », è molto vicino alla mentalità della scuola giovannea di l Gv l , 2 : « Noi abbiamo visto e testi­ moniamo e annunciamo a voi », e alle tre affermazioni « noi sappiamo » di l Gv 5, 1 8-20. Ma quella somiglianza permarrebbe se il redattore di Gv 21 fosse diverso dall'au­ tore di l Gv, ammesso che i due fossero membri della scuola giovannea ( insieme con l'evangelista - più sopra, nota 71 ). Il migliore esempio di distinta atmosfera eccle­ siastica in Gv 21 è nei vv. 1 5-17 dove Gesù istruisce Simon Pietro : « Pasci i miei agnelli ... pasci [poimainein ] le mie pecore », dandogli così un'autorità per governare 254• Tutta­ via, questa autorità è stranamente assente in lGv. L'imma­ gine del pastore era popolare per i presbiteri-vescovi in certe chiese dell'Asia Minore negli ultimi tempi del NT 255 ; 253 Nel

CoMMENTO a lGv 5, 6-8 sosterrò che è una reinterpretazione di Gv 19, 34 (un passo attribuito in modo dubbio al redattore) . Se 19, 35 viene dal redattore, allora l'autore della lettera e il redattore hanno reagito in modi diversi a 19, 34. 254 Si veda ABJ 29A, 1 105 ( tr. it. 1397) per poimainein nel senso sia di « sorvegliare » che di « comandare, governare » . 255 Ai presbiteri efesini di A t 20, 17 venne detto di sorvegliare come pastori (pbimaineìn) il gregge o la chiesa di Dio di cui lo Spirito

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e Ignazio di Antiochia ( Rom. 9, 1 ) paragona il suo ruolo come vescovo in Siria a quello del pastore, poiché in sua assenza essi devono confidare in Dio come pastore e in Gesù Cristo come vescovo. Quindi, presentando Gesù che assegna un ruolo pastorale a Simon Pietro, Gv 2 1 si è avvicinato in modo notevole agli ideali di ordine della chiesa che reggeranno la « grande chiesa ». In questo filo­ ne, E. Ruckstuhl 256 ha fatto alcune interessanti proposte che desidererei sviluppare. Il redattore in Gv 21 protegge la memoria e lo stato del discepolo diletto e così non c'è manifesto tradimento dell'eredità giovannea. ( Il destino del discepolo diletto venne stabilito da Gesù, ed egli non ha minore dignità di Simon Pietro, anche se non fece una morte da martire come Pietro 2 1 , 20-23 ). Ma il capitolo viene proposto per raccomandare Pietro al lettore giovan­ neo, sottolineando l'accettabilità del suo ruolo pastorale. La triplice domanda e affe):"mazione di amore ( 2 1 , 1 5-1 7 ) dà garanzia che Pietro è un discepolo autentico, ed è su questa base che Gesù stesso gli ha dato autorità pastorale. Dal momento che non viene dato un analogo ruolo pasto­ rale al discepolo diletto, possiamo trovarci di fronte a una descrizione simbolica della differenza strutturale tra i due tipi di chiesa. Alle chiese con pastori-vescovi sta dicendo che devono riconoscere la legittimità delle chiese del di­ scepolo diletto, che non avevano pastore umano, mentre a queste ultime si dice che i ruoli pastorali dei vescovi non sono contrari al volere di Cristo. Per quale motivo ci sarebbe dunque una tale necessità di mutua assicurazio­ ne ? Una necessità di riassicurare i vescovi della « grande chiesa » affiorante che i seguaci del discepolo diletto erano veri discepoli di Gesù potrebbe facilmente essere sorta se ( particolarmente in Asia Minore e a Efeso ; nota 255 ) essi avessero incontrato i secessionisti giovannei. La necessità di riassicu rare la comunità giovannea a riguardo dei pa­ s tori-vescovi nelle chiese limitrofe potrebbe essere sorta -

Santo li aveva fatti vescovi (20, 28) . Ai presbiteri dell'Asia Minore venne detto in lPt 5, 2 di « sorvegliare come pastori [poimainein ] il gregge di Dio, esercitando l'episcopato •. 256 « Zur Aussage und Botschaft von Johannes 21 », in Die Kirche des Anganfs ( H . Schiirmann Festschrift ; a cura di R. Schnacken­ burg et al. ; St. Benno, Leipzig 1977) , 339-62, specialm. 36().61.

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dopo che un membro dirigente della scuola giovannea si fosse opposto alla venuta di un « ispettore ,, della chiesa come Diotrefe in 3Gv 9- 1 0 257• Questa lettura di G v 2 1 postula che il redattore-autore di 21 e l'autore della lette­ ra fossero scrittori diversi con una differente opinione sul come le chiese giovannee dovevano continuare in quanto a struttura 258• Certe somiglianze nel loro pensiero suggeri­ scono che essi erano ambedue antisecessionisti ( sebbene ci sia troppa poca polemica nell'opera del redattore ); ma per il redattore non era un tradimento degli ideali gio­ vannei accettare contro lo scisma l'aiuto di una struttura autoritaria della chiesa con pastori-vescovi. Il suo ragio­ namento può essere stato quello che Ignazio stava svilup­ pando quasi contemporaneamente : « Come figli della luce di verità, fuggite da divisione e da errata dottrina e andate come pecore dove è il pastore >> (Filad. 2.1) 259. (c) TESTIMONIANZE DAI PADRI DELLA CHIESA . La teoria ripor2 57

Langbrandtner, Weltfemer Gott 397, riconosce che Diotrefe e il redattore sarebbero stati abbastanza vicini alla linea giovannea. Am­ bedue sono innovatori che vanno contro una tendenza nel vangelo di Gv di porre solo Cristo sopra i discepoli ; ad es., Gv 13, 12-17. A mio giudizio, Thyen, « Johannes 13 » 355, esagera quando afferma che tali passi furono scritti contro Diotrefe, come esagera quando rende il redattore responsabile della maggior parte del vangelo di Gv (e, quindi, il vero evangelista) : un'opera scritta come parte di una lotta tra il redattore e Diotrefe. 258 Sebbene Bacon, Fourth Gospel 189-90, pensasse che l'autore di l Gv avesse scritto la maggior parte del vangelo di Gv, riconobbe che l'autore della lettera non sarebbe mai stato d'accordo col cap. 2 1 . Nonostante i limiti della categoria del 'cattolicesimo primitivo', la mia tesi significa che il redattore sarebbe stato più vicino a quel concetto di cristianesimo di quello che fu o l'evangelista o l'autore di 1Gv. 259 Ho riferito un esempio di come l'autore della lettera e il redat­ tore (e implicitamente l'evangelista) differivano ; ce ne sono altri . Klein, « Licht » 303, vede un impiego assoluto de « l'ora » di Gesù senza determinazione temporale, cioè, una importanza della pre­ senza divina che rende insigni,ficanti le categorie di tempo lineare e non permette un'altra ora od ore future ; per l'autore della let­ tera ci sono una serie di ore ed egli sta vivendo ne « l'ultima ora » ; per il redattore c'è « l'ultimo giorno » in un senso positivo, come se le realtà apocalittiche del tempo della fine avessero un significato positivo. Naturalmente, Klein ottiene questa distinzione dal discuti­ bile (e improbabile) procedimento di attribuire tutta l'apocalittica nel vangelo di Gv al redattore.

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Introduzione

tata sopra è una ricostruzione speculativa che spiega bene gli scritti giovannei. Non c'è modo di confermarla diret­ tamente dai Padri della chiesa del II secolo; ma, per lo meno, si può fare una verifica negativa vedendo se essa spiega la sorte del vangelo di Gv in quel secolo. Nella mia ricostruzione, l'alta cristologia fu il segno distintivo della comunità giovannea dal principio della sua esistenza fino alla sua « ultima ora ». Ciò che innanzitutto distinse que­ sta comunità da altri gruppi giudeo-cristiani fu la sua comprensione di Gesù come l'« Io SONO », il Figlio dell'uo­ mo già sceso dal cielo. Questa affermazione della divinità di Gesù fu considerata da alcuni giudei come una nega­ zione del monoteismo e, così, alcuni membri della comu­ nità vennero espulsi dalla sinagoga e perseguitati. Alla fine, la · comunità stessa si divise sulle implicazioni della Parola-divenuta-carne per l'importanza della carriera ter­ rena di Gesù. Per la comunità giovannea originale, la vittoria definitiva fu di vedere accettata dalla « grande chiesa » la propria cristologia della preesistenza e diventa­ re ortodossia cristiana. E così può non essere troppo romantico pensare che, mentre alcuni seguaci dell'autore delle lettere stavano accomodando se stessi alla ecclesio­ logia e alla struttura della « grande chiesa » ( forse con dispiacere dell'autore), quella chiesa stava accomodando se stessa alla cristologia dei cristiani giovannei 260• Ad es., sebbene in un periodo precedente Mt e Le avessero attri­ buito affermazioni cristologiche alla concezione verginale di Gesù senza un accenno di preesistenza, Ignazio di An­ tiochia, l'ispiratore par excellence de ' la chiesa cattolica', sentì parlare sia della vergine Maria ( Ef. 1 9 , 1 ) che d i Gesù come Parola d i Dio. L'ultimo riferimento in Magn. 8, 2 è in un contesto che è marcatamente giovanneo : « C'è un Dio che manifestò se stesso per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio il quale è la sua Parola procedente dal silenzio, che sotto tutti gli aspetti piacque a lui tanto da mandar260 Due fattori possono avere facilitato questa accettazione: primo, tendenze di cristologia della preesistenza c'erano già in altre comu­ nità cristiane come la paolina (anche se quella cristologia era un po' diversa dalla cristologia giovannea) . Secondo, una tendenza della comunità giovannea (i seguaci dell'autore) aveva mostrato che una tale alta cristologia non sfociava necessariamente nel docetismo o nello gnosticismo.

Teoria adottata

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la » 261 • Ignazio fu in testa a un lungo elenco di Padri della chiesa che videro la cristologia dell'infanzia matteo-lucana e la cristologia giovannea della preesistenza non come contraddittorie ma come consequenziali, così che si po­ trebbe affermare che la Parola divenne carne nel grembo della vergine Maria. Una tale combinazione può essere ciò che Ignazio intese nella sua succinta descrizione di Gesù come « sia di Maria che di Dio » ( Ef. 7, 2). Ci sono sufficienti riferimenti ignaziani a idee e termini giovannei ( più sopra, nota 9 ) per proporre che, anche se egli non usò o non ebbe a disposizione il vangelo di Gv, ebbe qualche contatto con il pensiero giovanneo. Alcuni decenni più tardi nel II secolo, Policarpo di Smirne fornì prova eloquente da quale parte propenderebbe la simpatia dei Padri della chiesa nel caso dovessero scegliere tra le due comunità che affioravano dallo scisma di l Gv 2, 19 poiché, mentre egli non cita mai il vangelo di Gv, ha un passo che si avvicina molto a 1 Gv 4, 2-3 e a 2Gv 7 che condanna come anticristi coloro che non confessano Gesù Cristo essere venuto nella carne (più sopra, pp. 30s) . Nella metà del II secolo, la cristologia del logos di Giustino Martire si avvicinò al pensiero giovanneo anche se Giustino non citò mai espressamente il vangelo di Gv. ( Per la vicinanza di Giustino a 1Gv, si veda più sopra, p. 30) . La migliore spiegazione di questo modello cristologico nei Padri della chiesa 'ortodossa' del primo II secolo è che essi non si trovavano a proprio agio con il vangelo di Gv proprio per il motivo che i secessionisti, che costituivano la parte più ampia della comunità giovannea, avevano portato via con sé il vangelo di Gv quando si incammina­ rono per i sentieri del cerintianismo , montanismo, doce­ tismo e gnosticismo. Il vangelo di Gv si era mostrato troppo riconducibile a commento e interpretazione gno­ stici per andare bene a molti conservatori nella « grande chiesa », e gli antichi storici de1 1a chiesa ci forniscono alcuni esempi interessanti di opposizione antieretica al vangelo di Gv 262• Secondo Epifania (Pmzarion 5 1 .3 ; PG 4 1 , 261 In questa citazione, elementi giovannei possono essere i riferi­ menti alla Parola, a Gesù come inviato e al suo essere uscito dal Padre (anche Magn. 1, 2) ; ma non-giovannea è l'immagine della Pa­ rola di Dio che procede dal silenzio. 262 Il materiale a riguardo di questi primi oppositori del vangelo di

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Introduzione

892AB ) gli Alogoi, un oscuro gruppo a quanto sembra in Asia Minore, associarono le opere di Gv 263 a Cerinto; ma nonostante la sua avversione per questi Alogoi, Epifanio dice chiaramente che essi erano cristiani ortodossi che sembravano « credere nelle stesse cose in cui noi credia­ mo ». Ireneo (Adv. haer. 3 . 1 1 .9 ) conobbe un gruppo che rifiutava « il vangelo di Gv, nel quale il Signore promise che avrebbe mandato il Paraclito » , un'affermazione che suggerisce una opposizione antimontanista agli scritti gio­ vannei 264• Eusebio (Hist. 2.25.6; 3. 28.20; 6. 20.3 ) ci dice che Gaio (o Caio ), un istruito ecclesiastico romano della fine del II secolo, ha attaccato Cerinto e ha accusato gli gno­ stici di inventare vangeli; altra informazione 265 suggerisce che egli può avere combattuto il vangelo di Gv come un vangelo cerintiano o forse per motivi antimontanisti. Con tale opposizione, possiamo comprendere perché sia il frammento muratoriano che Ireneo siano alquanto schivi nel richiamarsi al vangelo di Gv come a uno dei quattro

Gv è sparso e confuso. Per una breve guida , si veda H . P. V. Nunn, The Authorship of the Fourth Gospel, Allen e Blackwell, Oxford 1952, 71-86 ; molto più dettagliata è la trattazione di Bludau, Gegner. Ci fu opposizione al vangelo di Gv anche per motivi diversi da quelli di eresia, ad es., l'opposizione di Aniceto della metà del I I secolo come presbitero d i Roma a Policarpo, vescovo d i Smirne, sulla data da assegnare alla pasqua, anche se Policarpo citò la tra­ dizione giovannea ( Eusebio, Hist. 5.24.16) . Ci fu anche un'inquietu­ dine sulla mancanza di accordo del vangelo di Gv con i vangeli si­ nottici, come attestato in Tertulliano, Adv. Marcion. 4.2.2 (CC l , 547) e i n Eusebio, Hist. 3.24.1 1-13. 263 Questo significa per lo meno vangelo di Gv e Ap . Altrove ( Pana­ rion 5 1 .34 ; PG 41, 949C) , Epifania palesa il fatto che egli sta solo ipotizzando che gli Alogoi rifiutassero le lettere giovannee. Una di­ stinzione tra gli scritti confermerebbe una primitiva capacità orto­ dossa a tollerare 1Gv più del vangelo di Gv. 264 Bludau, Gegner 10-40, rifiuta la tesi di Harvey, Dollinger, Schanz e altri che questo gruppo fosse esso stesso montanista (una tesi supposta in ANF l, 429, dove il termine 'montanisti' viene ardita­ mente introdotto nel testo) . Più intelligentemente, si deve intendere che esso attaccasse l'effusione dello Spirito e del profetismo tra i montanisti. 265 Ippolito ( morto nel 235) scrisse in difesa del vangelo di Gv e dell'Ap ; egli compose pure un'opera contro Gaio. Dionisio Bar Sa­ libi (morto nel 1 171) ebbe a disposizione parte di questo materiale perso ; e, in una prefazione al suo commentario aii'Ap , ci dice che Gaio attribui il vangelo di Gv a Cerinto.

Teoria adottata

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vangeli 266• Ireneo ( Adv. haer. 3.1 1 ) fece quasi una forzatura confutando gli gnostici dal vangelo di Gv - un'opera che essi avevano virtualmente monopolizzato - e, anzi, affer­ mando che il vangelo di Gv era stato scritto contro Cerin­ to e gli gnostici nicolaiti. E non fu a caso che fra le sue citazioni del vangelo di Gv, Ireneo ( 3 . 1 6.5, 8) mescolasse citazioni di lGv e 2Gv, e che il frammento muratoriano ( più sopra, I B2 ) nella sua lunga difesa delle peculiarità del vangelo di Gv (che venne scritto con l'approvazione dei coepiscopi di Giovanni ! ) avesse anche una citazione di lGv. Quest'ultima, ritenuta dello stesso autore del vangelo di Gv, fu una prova innegabile che il vangelo di Gv non era gnostico o cerintiano. E così , dopo la sua morte l'au­ tore delle lettere può avere reso il suo contributo definiti­ vo alla storia giovannea. Durante la sua vita terrena egli riuscì a salvare solo (piccola? ) parte della comunità gio­ vannea da una cristologia e da un'etica eteree mantenen­ dola fedele a « il vangelo che abbiamo udito da Cristo » ( l Gv l , 5 ; 3, 1 1 ). Quei seguaci possono essere riusciti a rimanere attaccati alle cose essenziali della sua interpre­ tazione de « il vangelo » solo facendo concessioni eccle­ siastiche che egli non avrebbe approvato e fondendosi nella « grande chiesa ». Può sembrare che i secessionisti, forse il ramo più ampio emergente dallo scisma, abbiano trionfato portando con sé il vangelo di Gv lungo sentieri che conducevano a cristologie ancora più outré che sa­ ranno rifiutate come eresie. In quei gruppi, il vangelo di Gv venne tesaurizzato e diventò la base di speculazione gnostica. Ma, alla fine, il commento modellato sul vangelo di Gv che l'autore della lettera lasciò dietro di sé (a noi noto come l Gv ) raggiunse lo scopo per cui era stato scritto - da allora in poi salvò il vangelo giovanneo, non più per l 'eletto della comunità giovannea ma per la « grande chiesa » e per il più importante nucleo di cri­ stiani. 266

Ehrhardt, « Gospels » 32-33, nel discutere il frammento murato­ riano afferma che l'accettazione del vangelo di Gv da parte della chiesa di Roma fu un ramo di olivo proteso ai cristiani orientali (forse sulla controversia della pasqua) . L'ascesa del montanismo costrinse Roma a prendere una benevola decisione che non avrebbe allontanato l'oriente. Lo strumento che le autorità romane adope­ rarono nel superare le obiezioni degli Alogoi fu l Gv.

V I . struttura e testo

Non c'è problema riguardo alla struttura di 2Gv e 3Gv, due lettere che seguono da vicino la forma epistolare classica (Appendice V). Invece, come abbiamo visto (più sopra, V C l ) , non c'è reale prova che l Gv sia una let­ tera. Questo fatto crea dei problemi, non solo riguardo al genere letterario di lGv (che ho diagnosticato in termi­ ni di commento modellato sul vangelo di Gv ), ma anche riguardo alla struttura o modello secondo cui venne si­ stemata dall'autore. L'altro argomento che si deve più brevemente considerare in questa unità è il testo originale delle lettere giovannee, come viene riflesso sia nelle testi­ monianze testuali greche che nelle divergenti testimonian­ ze latine.

A. La struttura di 1 Gv

Nel primo dei grandi commentari patristici scritti su l Gv, Agostino (Prologus in Epistolam Ioannis; SC 75, 1 04 ) disse che « in esso Giovanni parla a lungo e quasi tutto il tempo a riguardo dell'amore », che è un modo delicato per parlare della evidente mancanza di articolazione e di svi­ luppo di pensiero in questa opera. Calvino fu più duro nel giudicare che non vi era ordine continuo in l Gv. Nel 1 74 1 , J. Operinus pensò d i poter scoprire u n modello d i pensieri fondamentali, anche se egli si decise per una struttura di cinque capitoli. All'inizio dell'era moderna, Westcott ( E-

Struttura e testo

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pistles xlvi ) riassunse il problema: « Nessuna singola si­

stemazione è capace di tenere conto del complesso svilup­ po di pensiero che esso offre, e delle molte connessioni che esistono tra le sue diverse parti » 267• Quasi un secolo dopo Bruce ( Epistles 29 ) trovò la situazione migliorata di poco : « Tentativi di tracciare un argomento ben connesso per tutto l Gv non hanno mai avuto successo )), Con una certa mancanza di regolarità, Wilder ( « lntroduction » 2 1 0 ) l'ha paragonato al fiume Meandro serpeggiante attraverso l 'Asia Minore che in pratica ritorna su se stesso. Con fantasia, Bogaert lo pensa come il Cantico dei Cantici del NT nel senso che l'amore è il soggetto principale , ma noi non siamo sempre certi di chi siano le concezioni che vengono proposte e sembra ci sia poco progresso nell'a­ zione. La logica dell'autore è così oscura che quasi a piacere si potrebbero spostare da ogni parte le unità e lGv verrebbe ancora letto altrettanto bene come lo è adesso. ( In parte, l'assenza di chiara successione è collega­ ta alle teorie della fonte discusse precedentemente [ I I I A, B ] - e gli studiosi furono costretti a postulare l'unio­ ne di diverse composizioni ). Se in qualunque punto di una mezza dozzina di passi di lGv il resto dell'opera fosse andato perduto, nessun lettore posteriore avrebbe avuto il minimo sospetto che qualcosa fosse mancante. Questo è riflesso nella teoria di Bultmann che la composizione ori­ ginale si fermava a 2, 27 e che diversi brani giovannei slegati vennero attaccati a essa, una teoria respinta da altri per la paradossale ragione che non possono spiegare perché qualcuno avrebbe aggiunto brani che dicono poco o nulla che non fosse già detto in l , 5 - 2, 27! Di fronte a una tale mancanza di articolazione, molti studiosi arrivano a postulare una libera associazione di idee ( de Ambroggi), spirali di argomenti o pensare ciclico ( Houlden, Malatesta) o, più misteriosamente, « modelli di

267 Questa concezione non fu condivisa da tutti ; ad es., Law, Tests 2, ammettendo di essere un audace affermò: « Più si studia da vi­ cino la lettera, più si scopre che essa è, in modo singolarissimo, una delle parti degli scritti del NT più organicamente articolate ». Vedremo che, mentre alcuni confermano la scoperta di Law, la maggior parte giudicherebbe che l'articolata struttura proposta da Law è una invenzione piuttosto che una scoperta.

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Introduzione

pensiero semitico » 268 • Infine, alcuni hanno detto che è inutile cercare un modello o una struttura C B rooke, Hauck, Holtzmann, Jiilicher, Reuss, Rothe, per nominarne alcuni ). In realtà, comunque, tali belle dichiarazioni nor­ malmente si arrendono alla realtà di dover dividere l Gv in una grossolana struttura di pericopi o sezioni, per scrivere od ordinare il proprio commentario. Inoltre, sia il vangelo di Gv che il libro dell'Ap hanno una ben precisa struttura, anche se è difficile discernere con precisione le righe che dividono una pericope da un'altra e qualche volta il pensiero è ripetitivo. Un tale riconoscimento suggerisce che ci può essere una struttura anche in l Gv; e, anche se in modo esitante, la maggior parte dei com­ mentatori hanno proposto una divisione dell'opera che possa corrispondere all'intento dell'autore. Il numero di parti distinte nelle divisioni proposte va da due a dodici. Alcune delle proposte sono state altamente idiosincratiche o sono cadute in disuso; ma divisioni in due parti, tre parti (la più comune) , e sette parti hanno un rispettabile seguito e sollevano i problemi base che verranno discussi più avanti. Pertanto, io dò un elenco piuttosto lungo di differenti esempi di queste divisioni nello specchietto cinque dell'Appendice I 269 • Tenendo pre­ sente quello specchietto, discuterò ora fattori che contri­ buiscono a decidere riguardo alla struttura di lGv: come riconosciamo le unità? Si possono scoprire modelli di pen­ siero ? Altre opere ci forniscono un 'analogia nello scoprire la struttura? In particolare, come è la struttura di l Gv in relazione a quella del vangelo di Gv ?

268

Bogaert, « Structure » 33-34, in parziale dipendenza da de la Potterie, costruisce una complicata serie di inclusioni. Dal mo­ mento che una tale teoria ammette molte eccezioni e variazioni nel meraviglioso modello( i) che scopre, essa maschera il crudo fatto che non vi è un modello regolare discernibile. 269 Una classificazione delle divisioni viene complicata dalla man­ canza in alcuni studiosi di esatta distinzione tra le divisioni prin­ cipal i ( « parti ») e le sottodivisioni, o di indicare se il prologo o l'epilogo viene considerato come una parte. Altre divisioni diverse da quelle che si trovano nello specchietto cinque avrebbero quattro parti ( Baumgarten, Biichsel [ ? ] , Davidson, Thompson, Wiesinger) , cinque parti ( Belser, Ebrard, Gaechter, Hofmann, Operinus) , sei parti ( Michl) , dieci parti ( Liicke) e dodici parti (O'Neill) .

Struttura e testo

181

l . Individuazione delle unità

In l Gv ci sono alcune unità, delineate chiaramente dal loro argomento, che nessuna divisione proposta rompe; ad es., 2, 1 2-14; 2, 1 5- 17 ; 4, 1-6. Ciò nondimeno, queste unità hanno una connessione diretta poco evidente con ciò che precede e ciò che segue, e così il loro ruolo nel piano della lettera non è chiaro. Meno nettamente definite (ma ancora alquanto definibili) sono sezioni nelle quali ricorre con frequenza un particolare modello di scrittura. Ad es., in 1, 6 - 2, 2 tre volte una frase ean eipomen ( « se diciamo [ci vantiamo] » ), è seguita da una proposizione contrastan­ te introdotta da ean ( « ma se » ) 270• In 2, 4-1 1 ci sono tre proposizioni introdotte da ho legon ( « la persona che dice [ afferma] ,, ), ciascuna seguita da un verso o due di svilup­ po. Si potrebbe contrassegnare come cornice di una unità 2, 18, che è indirizzato ai « figlioli » (paidia) e che riguarda l'ultima ora, e 2, 28, che è indirizzato ai « figlioli » ( teknia ) e riguarda l a parusia, specialmente dal momento che tra 2, 18 e 2, 28 ci sono tre richiami a « quanto a voi » ( [ kai] hymeis ). Nell'unità successiva, 2, 29 - 3, 10 ci sono sette proposizioni dove pas ho (« ognuno che ») è seguito da un participio. Alla fine di 1Gv, tre proposizioni oidamen (« sappiamo ») contraddistinguono 5, 1 8-20. Tali modelli hanno dato adito alla teoria di fonti diverse discusse più sopra in III AB; ma anche se la maggioranza degli studio­ si pensa che queste unità con modelli fi ssi siano state composte dall'autore ( piuttosto che rilevate da lui ), la divisione che si adotta deve riuscire a spiegarle 21 1 . Uno sguardo allo specchietto cinque mostrerà come le unità che hanno modelli grammaticali o stilistici fissi toc­ chino le diverse divisioni proposte dagli studiosi. Nello 270 Alcuni troncherebbero l'unità con l, 6-10, non essendo d'accordo che la proposizione ean in 2, lb faccia parte dello schema ; ad es., Bultmann . 271 Uno studioso, Smit Sibinga ( " Study , 196 ss) , segue un principio di divisione fondato sul calcolo delle sillabe (che egli pensa sia pu­ re verificabile nell'omelia pasquale di Melitone di Sardi, 165 circa) ; ad es., l , 1 - 2 . 26 ha 1450 sillabe ; 2, 27 - 4, 6 ha 1370 sillabe e 4, 7 - 5, 21 ha 1450 sillabe. Questa divisione con le sue sottodivisioni spesso non rispetta l'unità della struttura suggerita dalla logica o dallo stile grammaticale.

182

Introduzione

schema tripartito più in voga, i due posti favoriti per far terminare parte uno di l Gv sono 2, 1 7 e 2, 27-29. La propria scelta tra queste opzioni dipende se si pensa che l'unità discussa nel paragrafo precedente, 2, 1 8-28 (o 2, 1 8-27 , o 2, 1 8-29), vada con ciò che segue (nel qual caso 2, 1 7 con­ clude parte uno), o con ciò che precede (nel qual caso, 2, 27.[28.29 ] conclude parte uno). Se consideriamo un altro punto cruciale nello schema tripartito, vediamo che Hort e Westcott non riuscirono mai a mettersi d'accordo m se parte tre dòveva cominciare a 4, l o a 4, 7 rispettivamente ; e questa disputa è continuata tra gli studiosi. Tutti rico­ noscono 4, 1-6 come una unità, ma non si è d'accordo se essa vada con ciò che segue ( nel qual caso 3, 22. [23.24 ] conclude parte due ) o con ciò che precede (nel qual caso 4, 6 conclude parte due ). Analogamente, 5, 1 8-20 viene rico­ nosciuto come un raggruppamento che si deve tenere insie­ me, anche se alcuni studiosi non sono d'accordo se quel raggruppamento debba essere unito a 5, (12) 1 3-17 o tenuto da solo come il termine di l Gv. Se il lettore è perplesso perché nel precedente paragrafo ho discusso divisioni che concludono parte uno a 2, 27 o a 2, 28, o a 2, 29 e parte due a 3, 22, o a 3, 23, o a 3 , 24, o parte tre a 5, 12 o a 5, 13, la risposta sta nell'esistenza di 'versi cardine' negli scritti giovannei, cioè, versi che conclu­ dono una sezione e cominciano un'altra avendo temi di ambedue (ABJ 29, cxliii; tr. iL clxxv) . Tali versi facili­ tano transizioni, ma rendono difficili precise demarcazioni e divisioni. Anzi, si potrebbe anche scrivere un verso cardine come 2, 28 due volte, alla conclusione di una unità e di nuovo all'inizio della seguente. Fin qui mi sono concentrato sul come modelli stilistici e grammaticali aiutino gli studiosi a diagnosticare le unità. Alcuni sono contenti di fermarsi qui e di pensare che l Gv consti di una serie di unità indipendenti non strettamente intercollegate da uno schema globale ( Houlden, Epis tles 3 1 ) . Per scopi pratici, quella impressione è dovuta alle teorie che parlano di un gran numero di 'parti' in l Gv che sono virtualmente contigue a unità strutturali; ad es., la divisione in sette parti di Houlden, più prologo ed epilogo, 272

In « Divisions », A. Westcòtt discute la corrispondenza tra suo padre, B. F. Westcott, e Hort stùla struttura di l Gv.

Struttura e testo

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o la divisione in dodici parti di O'Neill. Comunque la maggior parte degli studiosi opta per uno schema biparti­ to o tripartito dove le unità sono organizzate in una successione più ampia. Discuteremo ora i due modi prin­ cipali di intercollegare le unità che stanno alla base di tali divisioni; primo, il tentativo di trovare una successione tra le unità sulla base di modelli di pensiero; secondo, la scoperta di un modello in l Gv sulla base di analogie con altri scritti. 2 . Organizzazione delle unità tramite modelli di pensiero

L'idea che lGv fosse una lettera ha inevitabilmente condot­ to alla proposta che in qualche modo lo schema di siste­ mazione sia quello di altre lettere del NT dove una sezio­ ne 'dottrinale' è seguita da una sezione 'parenetica' (esor­ tativa, morale) I73 • t> ( 1 , 1 5 ) ; poi il corpo del vangelo comincia: « Ora, questa è la testimonianza che diede Giovanni » ( 1 , 1 9 ). Dopo l'affermazione del prologo di l Gv: « Ciò che noi abbiamo visto e udito annunciamo [apanghellein] a nostra volta a voi >> ( 1 , 3 ), il corpo di l Gv comincia : « Ora, questo è il vangelo [anghelia ] che noi abbiamo udito da Cristo e dichiariamo [ananghellein ] a voi >> ( 1 , 5 ) 290 • CONCLUSIONE ED EPILOGO. Ancora una volta una completa discussione di questo si troverà nel COMMENTO a l Gv

5 , 13-2 1 , e così qui riassumo semplicemente. In Gv 20, 3 1 l'evangelista asserisce : « Ho scritto queste cose a voi così 290 In greco, il parallelismo tra Gv e

l , 19 ( kai aute estin he martyria) lGv l, 5 ( kai estin aute he anghelia) è evidente.

Struttura e tes to

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che possiate credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e, credendo ciò, possiate possedere vita nel suo nome ». In l Gv 5, 13 l'autore della lettera asserisce letteralmente : « Ho scritto queste cose a voi così che possiate sapere che possedete questa vita eterna - voi che credete nel nome del Figlio di Dio ». Sebbene ciascuno di questi versi sia una conclusione, ivi segue del materiale aggiunto. Nel vangelo di Gv quel successivo materiale (cap. 2 1 ) venne probabilmente aggiunto dopo e da un'altra mano e, a mio giudizio, viene giustamente chiamato un epilogo (ABJ 29A, 1 077-82; tr. it. 1 361-1 367 ). Sebbene molti autori parlino di un epilogo in 1 Gv, io sosterrò nel CoMMENTO che c'è una insufficiente testimonianza per questo 291 • Di conseguenza, in l Gv dovremmo parlare solo di una conclusione amplia­ ta, in cui l'autore della lettera ha riflettuto per esteso sulla conclusione originale del vangelo di Gv 292 • Se ci sono alcuni paralleli tra Gv 21 e 1Gv 5, 14-2 1 , ciò può derivare dal fatto che il redattore del vangelo di Gv conobbe l Gv 293• PARTI UNO E DUE. Molto più discusso è se la struttura di

1 Gv sia bipartita a imitazione del vangelo di Gv. In favore di questa tesi si può mettere in risalto che c'è più attacco frontale contro avversari secessionisti nei primi capitoli di l Gv, e indirizzo più amoroso verso i seguaci dell'autore negli ultimi capitoli 294 - un parallelo con il modello in­ terni / esterni delle due parti del vangelo di Gv. Comunque, non c'è una chiara rottura tra le due parti di 1 Gv parago­ nabile alla chiara rottura tra la fine del cap. 1 2 e l'inizio del cap. 13 nel vangelo di Gv. La maggior parte degli studiosi che sostengono una divisione bipartita di 1 Gv 291 1Gv S, 14-21 è strettamente collegato al resto di lGv, e ci sono

pochi motivi per pensare che sia di un'altra mano. Il peccato grave in S, 16-17 è probabilmente il peccato degli oppositori che sono stati criticati per tutto lGv ; e le tre asserzioni « sappiamo » di S, 18-20 rappresentano un triplice schema tipico dell'autore della let tera, 292 Nel testo sopra riportato, ho indicato un parallelismo tra lGv S, 13 e Gv 20, 3 1 ; ma lGv S, 20 continua il parallelismo: « Sappiamo, infine, che il Figlio di Dio è venuto e ha dato a noi intelligenza per conoscere Colui che è vero ... poiché siamo nel Figlio suo Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e ( la) vita eterna >> . 293 Si veda la nota 210. 294 Si noti il corsivo 'più' ; ciascun tema appare anche nell'altra parte.

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Introduzione

collocano la divisione alla fine del cap . 2, così che sia in l Gv che nel vangelo di Gv la prima metà termina con un riferimento al giudizio finale ( Gv 12, 48; lGv 2, 28). Se Gv 1 3 , l comincia la seconda metà del vangelo di Gv : « Aven­ do amato i suoi che erano in questo mondo, egli ora mostrò il suo amore per loro proprio fino alla fine », si può indicare 3, l come l'inizio della seconda metà di l Gv : « Guardate quale amore i l Padre h a donato a noi nel metterei in condizione di essere chiamati figlio di Dio )) 293• Nondimeno, io penso sia meglio porre la divisione tra le due parti di lGv dopo 3 , 10. Tre argomenti sorreggono questo. Primo, una tale divisione ci dà parti ragionevol­ mente proporzionate. Nella mia traduzione, io divido i versi di l Gv in righe quasi poetiche, e in parte uno ( 1 , 5 - 3 , 1 0 ) ci sono 1 68 righe, mentre in parte due (3, 1 1 - 5 , 1 2 ) ci sono 142 righe. ( Pure nel vangelo di Gv il libro uno è più lungo del libro due ). Secondo, ciascuna parte comincia allo stesso modo : « Questo è il vangelo )) : le uniche due volte in cui l Gv usa quella espressione . ( I n altre parole, l'autore può averci detto dove dividere). Di­ scuterò nella NOTA a l , Sa la possibilità che anghelia, « vangelo » , possa essere la designazione della comunità per il vangelo di Gv. Terzo, la definizione fornita dall'au­ tore nella sua frase : « Questo è il vangelo », cioè « luce » in l , 5 e « amore » in 3 , 1 1 , propone il tema per la rispetti­ va parte che quella frase introduce 296• Illustrerò ciò evi­ denziando il tema in ciascuna parte. In parte uno, il tema di Dio come luce nel quale non ci sono tenebre viene chiaramente echeggiato da l , 5 fino a 2, 1 1 dove ci sono avvertimenti di camminare nella luce e non nelle tenebre. La scelta tra luce e tenebre è il lin« Structure " 202.210, porterebbe H parallelismo fondato su questa divisione anche oltre. Nella prima parte di ogni opera, egli trova uno schema A/B/ A' /B' di negativofpositivofnegativofpo­ sitivo, e nella seconda parte di ognuna un modello A/B/C/A'/B'/C'. Ho il timore che tali schemi sistematici siano più nell'occhio del­ l'osservatore che nella mente dell'autore. 296 Non sto ritornando in modo indiretto al principio di divisione trovato inadeguato precedentemente, cioè, « Dio è luce » e « Dio è amore "· A mio giudizio, le due parti non si interessano principal­ mente di Dio, ma degli obblighi. ,dei credenti, in reazione alla rive­ lazione della luce e dell'amore divini in Gesù, rispettivamente di camminare nella luce e di amarsi l'un l'altro.

295 Feuillet,

S t rut tura

e

testo

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guaggio che il vangelo di Gv adoperò per un giudizio che separava i discepoli credenti da un mondo miscredente (Gv 3, 1 9-2 1 ), e così non sorprende di trovare che anche in 1Gv camminare nella luce e camminare nelle tenebre separi i due gruppi. Il primo gruppo comprende i seguaci dell'au­ tore a cui egli si rivolge come « figlioli » in 2, 12-17 e che vengono messi in guardia dal mondo e dai suoi piaceri. Il secondo gruppo comprende gli ostili secessionisti che vengono descritti con terminologia apocalittica in 2, 1 8 - 3 , 10. È venuta l'ultima ora, il momento di giudizio per coloro che sono stati den tro la comunità; e coloro che lasciano personificano l'atteso anticristo e il mentitore e incarnano l 'iniquità. Il tema di un giudizio che separa arriva eloquentemente a un punto culminante in 3, 10, l'ultimo Yerso della parte uno: « in ciò i figli di Dio e i figli del diavolo vengono rivelati ». Quello stesso linguag­ gio venne usato nel vangelo di Gv per descrivere i creden­ ti e i non credenti (particolarmente 'i giudei' - più sopra, V C2a); e ambedue le opere hanno parte uno che termina con il tema della separazione definitiva dei due gruppi 297• Nella parte due di l Gv, la frase iniziale ( 3 , 1 1 ) definisce il vangelo così : « Dobbiamo amarci l'un l 'altro », un coman­ damento che si trova nella parte due del vangelo di Gv ( 1 3 , 34 ), che si concentra sul gruppo credente che è affio­ rato da parte uno. Anche in lGv, sebbene i secessionisti non siano mai assenti, l'intensità di indirizzo ai seguaci dell'autore diventa più pronunciata, quando l 'autore nel parlare ai suoi lettori scambia tra loro « fratelli », « fi­ glioli » e « diletti ». E per tutta la parte due domina il tema dell'amore 298 , un amore per il quale Gesù fornisce il modello. Parte due del vangelo di Gv ( 1 3, l ) comincia così : « Gesù era conscio che l'ora era giunta per lui di passare da questo mondo al Padre. Avendo amato i suoi 297 I n

Gv 12, 46 quella separazione è espressa in termini di Gesù che è venuto come luce così che i credenti non devono più rimanere nelle tenebre. 298 Dei 7 usi del sostantivo agape, « amore », nel vangelo di Gv, 6 si trovano nella parte due ; dei 18 usi del sostantivo in lGv, 15 si trovano nella parte due. Dei 36 usi del verbo agapan, « amare », nel vangelo di Gv, 25 si trovano nella parte due ; dei 28 usi del verbo in 1Gv, 25 si trovano nella parte due. Dei 6 usi dell'aggettivo aga· petos, « diletto », in 1Gv, 4 s i trovano nella parte due.

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Introduzione

che erano in questo mondo, egli mostrò il suo amore per loro proprio fino alla fine )). Parte due di l Gv contiene queste parole all'inizio ( 3 , 14.16): « Che siamo passati da morte a vita noi lo sappiamo perché amiamo i fra­ telli ... Per noi Cristo diede la sua vita; così bisogna che noi a nostra volta diamo le nostre vite per i fratelli )). Se nella parte due del vangelo di Gv ( 14, 1 7 ; 1 6 , 7-1 4 ) Gesù parla del Paraclito / Spirito di verità che è l'oppositore del (principe di questo ) mondo, così pure nella parte due di lGv (4, 3-6 ) l'autore parla dello Spirito di verità, che è contrapposto allo spirito di inganno, operante nei seces­ sionisti che appartengono al mondo. Verso la fine della parte due del vangelo di Gv ( 1 9, 34), l'evangelista descrive sangue e acqua sgorganti dal fianco di Gesù morto (con l'acqua a quanto sembra simbolo del dono dello Spirito ora che Gesù è stato glorificato, come promesso in 7, 39) una scena che l'evangelista o il redattore commenta in termini del discepolo di1etto la cui attestazione di testi­ mone oculare è vera ( 19, 35 ). Verso la fine della parte due di 1 Gv (5, 6-8 ) l'autore parla di tre che danno testimonian­ za, lo Spirito, l'acqua e il sangue, dei quali lo Spirito è la verità. Ammessi questi paralleli, trovo plausibile la tesi che il corpo di l Gv si possa dividere in due parti, influenzate dal modello del vangelo di Gv e seguenti lo stesso flusso di pensiero. ( Non immagino uno studio meticoloso del van­ gelo di Gv da parte dell'autore della lettera; sto parlando di un semplice modello base che presumibilmente plasmò la tradizione giovannea - un modello sintetizzato nell'in­ no della comunità, il prologo [Gv l , 1 1-12] , dove si consi­ derano dapprima e in modo polemico coloro che non credono, poi in secondo luogo e affettuosamente coloro che credono). Io penso che proprio come l'evangelista ci diede la chiave della sua divisione in 1 3 , l , così l'autore della lettera può avere fornito una chiave della sua divi­ sione quando si fermò due volte ( 1 , 5 ; 3, 1 1 ) per asserire che egli stava commentando « il vangelo )). Ma non penso che l'autore strutturò attentamente le due parti del suo scritto nel preciso pensiero o nei modelli numerici men­ zionati più sopra (VI A2 e A3a ): modelli che riflettono più il genio dell'interprete che l'intenzione dell'autore. All'in­ terno delle due parti, designerò le unità su basi quali frasi

Stru t tura

e testo

195

ripetute (i tre « se ci vantiamo » in l , 5 - 2, 2 ), forme ripe­ tute di indirizzo ( il duplice « figlioli » in 2, 28 - 3 , 1 0 ), e inclusioni (gli « spiriti >> in 4, 1-6 ) - caratteristiche gram­ maticali e stilistiche - piuttosto che sulla base di temi scoperti che sono irregolari e non forniscono in verità successione logica 299 • Queste unità, ciascuna delle quali costituirà una sezione per TRADUZIONE, NOTE e COMMENTO, vengono elencate nell'Appendice I, specchietto sei, dove ho offerto un profilo di l Gv, seguendo uno schema di prologo, due parti e . una conclusione. Confido che gli avvertimenti e le precisazioni date precedentemente chia­ riscano che non mi illudo di avere diagnosticato esatta­ mente la mente dell'autore e che, al massimo, spero che il mio profilo renda un po' di giustizia alle intenzioni del­ l'autore. S iccome penso che l'autore scriva nascondendosi sotto le vesti dell 'evangelista, trovo in lGv la stessa quasi-poesia che compare nei discorsi di Gesù del vangelo di Gv (ABJ 29, cxxxii-cxxxv; tr. it. clx-clxv). Con questo non intendo niente altro se non che si può dividere il suo greco in righe con significato abbastanza definito e di lunghezza relativamente simile, abbinate da un ritmo non troppo rigido. Il lettore dovrebbe essere avvertito che, avendo impostato la traduzione inglese in forma poetica, non ogni parola greca corrisponde sempre a una parola inglese, così che un equilibrio tra le righe inglesi non sempre può essere possibile. Ma rifiuto di fare ciò che hanno fatto SBJ e JB sacrificando l'equilibrio nel greco per ottenere equilibrio nella traduzione ; per me, il greco è il fattore determinante. Bultmann ( più sopra, III A2 ) pensò che le antitesi in lGv venissero da una fonte poetica e, così, nel suo commentario solo il materiale della fonte putativa viene presentato in forma poetica. ( Tuttavia, nel trattare il vangelo di Gv Bultmann mise tutti i discorsi in forma poetica anche se solo poche righe contenevano stretto parallelismo ! ). A mio giudizio, mentre le antitesi possono 299 La prova più sicura a favore del mio approccio rispetto a ogni altra affermazione di successione logica è che si può omettere quasi ogni unità (forse a eccezione dell'unità che contiene il verso iniziale di ciascuna parte) senza turbare in modo notevole la suc­ cessione e senza perdita di significato in lGv.

1 96

Introduzione

essere un genere di poesia più chiaro (e occasionalmente una poesia più chiara appare pure in certe righe dei discorsi del vangelo di Gv), il modello ritmico di ciò che ho chiamato quasi-poesia pervade la maggior parte di lGv.

B. Il testo delle lettere

Per comprendere specifiche questioni riguardo al testo di lGv, 2Gv e 3Gv, bisogna comprendere i problemi testuali e i metodi in generale del NT, che io presuppongo (si veda JBC 69 # # 1 1 9-50) . IL TESTO GRECO. È consuetudine classificare i MSS. greci dei principali libri del NT in quattro gruppi : alessandrino (meglio rappresentato dal codice Vaticano 300) ; occidentale (spesso un gruppo misto ; rappresentato dal codice di Beza e dal testo che sta alla base della VS e della VL); cesaren­ se (gruppo di minuscoli di Ferrar e di Lake; codice Cori­ denziano ) ; e bizan tino o koine ( spesso rappresentato da MSS . minuscol i tardivi, e nei vangeli dal codice Alessan­ drino). Le lettere cattoliche non sono la sezione più fre­ quentemente letta del NT, né privatamente né nelle fun­ zioni liturgiche; e così per esse c'è minore testimonianza testuale che per i vangeli e le lettere paoline. (Ad es., il codice di Beza non contiene le lettere cattoliche ). Né alle lettere cattoliche è stata accordata la stessa quantità di attenzione scientifica data ai vangeli e alle lettere paoline. Per diverse ragioni, quindi, non è chiaro se la classifica­ zione sopra riportata di quattro gruppi si applica alle lettere giovannee. Ad es., Duplacy ( « Texte » ) parla di una divisione tra studiosi sulla questione se ci fu un testo occidentale per esse ; e sebbene Muriel Carder ( « Text » ) sostenga l'esistenza di un testo cesarense, quella teoria è stata energicamente messa in discussione da Aland ( « Be­ merkungen » ) e Richards ( « Classification » ). Quest'ultimo studioso, usando il metodo di Caremont Profile, classifica 81 MSS. delle lettere giovannee in tre gruppi: alessandri­ no ( con tre sottogruppi), bizantino ( sette sottogruppi) e 300

Spesso anche dal codice Sinaitico, sebbene questo codice abbia anche letture occidentali.

Struttura e testo

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misto ( tre sottogruppi ). Nelle NOTE ai vari versi, dove c'è una lettura testuale discussa, darò un elenco rappresenta­ tivo (non esaustivo) delle importanti testimonianze te­ stuali. IL TESTO LATINO. Generalmente, in quelle stesse NorE mi interesso al latino solo come testimonianza del greco che è fondamentale. Comunque, le testimonianze latine per l Gv offrono supporto per tutta una serie di letture che hanno scarsa o nessuna attestazione in greco 30 1 • Una di queste, il latino di l Gv 5, 7-8, chiamato 'il comma giovan­ neo' è così famosa che merita un 'Appendice ( I V ) a sé. Un'altra in 4, 3: « Ognuno che 11ega l'importanza di Gesù » , che ha qualche supporto tra gli scrittori greci, ha ottenuto l'approvazione da parte degli studiosi più in vista e verrà discussa nella NoTA a quel verso. Ma Harnack ( « Textkri­ tik » ) ha attirato l'attenzione su letture latine molto meno note 302 come indicatrici che nel I I secolo ci possono essere state in circolazione testimonianze testuali greche per le quali non abbiamo diretti discendenti. Nella maggior par­ te di questi casi, comunque, altri studiosi hanno giudicato che le letture latine vengono da traduttori che cercarono di chiarire o espandere il testo greco a noi noto. Brooke (Epistles 1 9 8 ) formula bene questo pensiero : « Pure la testimonianza [ latina interna] addotta conferma la conce­ zione che la tendenza ad aggiungere glosse interpretative ed esplicative al testo della lettera è assai diffusa e risale ai primi tempi ». 301 Brooke, Epistles 197-223, h a un 'appendice sulle letture della Vl.

Il titolo di lGv 'La lettera di Gv ai Parti' (si veda Appen> e le incidentali « ciò che >> di vedere, udire e toccare che seguono il lb-e e che devono riferirsi all'esistenza incarnata di Gesù. Comunque, si può sostenere che proprio come il prologo del vangelo di Gv va dalla preincarnazione all'incarnazione (da l , l a l, 14), così gli incisi di lGv l, l si devono intendere in modo consequenziale. Non altrettanto fa-

228

lGv

cilmente si riesce a risolvere un'altra obiezione secondo la quale lGv parla di « da il principio », cosa molto diversa dal precreazionale « in principio » del prologo del vangelo di Gv. ( Gli ariani sarebbero stati molto contenti dell'espressione « dal principio era la Parola » ). Sebbene in Ab l , 12 e in Sir 24, 9 i LXX usino questa espressione « da » per un principio precrea­ zionale, in nessuno degli altri 9 esempi di lGv e 2Gv essa ha quel significato; si vedano più avanti le NoTE ai singoli passi ( lGv 2, 7.13.14.24; 3, 8.1 1 ; 2Gv 5.6) e de la Potterie, « Commen­ cement ,. 396-402. ( B ) In Gv 8, 44 leggiamo : « Il diavolo ... fu un omicida dal principio •; e lì arche significa il principio della storia della salvezza veterotestamentaria sia che l'autore stia riferendosi a Gn 2, 17; 3, 4.19 dove la bugia del serpente portò morte, o alla storia di Caino e di Abele riferita in Gn 4, 8-9 (ABJ 29, 358 ; tr. it. 465 ). Chiaramente, quest'ultima è nella mente di lGv 3, 8: « Proprio dal principio il diavolo è colui che pecca », dal mo­ mento che noi troviamo 4 versi più avanti (3, 12): « Non come Caino, che era dal maligno e uccise suo fratello ». Comun­ que, solo da un tale contesto specifico si può capire che arche significa il principio della storia della salvezza e tale contesto non ha qui o negli altri esempi della lettera il « dal principio ». Non vedo motivo per invocare questa interpretazio­ ne per l'arche del v. la. (C) Gesù stesso può venire identificato con l'arc1re, come ve­ diamo in Ap 22, 13 dove Gesù ( si veda 22, 16) dice : « lo sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine 11. Dal mo m ento che Ap 3, 14 si riferisce a lui come a « l'Amen ... il principio· della creazione di Dio », non c'è dubbio che un tale titolo abbraccia il periodo precedente la carriera terrena del Figlio di Dio. Alcuni tradurrebbero Gv 8, 25 con : « ( lo sono ) il principio che parla a voi » ( ma si veda ABJ 29, 34748 ; tr. it. 451 s). Ciò nonostante, un tale significato di arche non si in­ contra mai chiaramente nell'espressione « dal principio », anche se alcuni soste1,1gono sia equivalente a « lui che ... dal principio » ( lGv 2, 13-14). (D) La vera alternativa alle tre precedenti interpretazioni di arche, ognuna delle quali mette in relazione il principio con la carriera preincarnazionale del Figlio di Dio, è che « il princi­ pio » si riferisca alla carriera terrena di Gesù. La prima possibi­ lità in questo senso è di intendere « dal principio » come un accenno all'incarnazione di Gesù ( Bultmann [ ? ] , Schnacken­ burg), che generalmente si pensa abbia avuto luogo alla sua concezione. Non c'è prova, però, che negli scritti giovannei o in altri scritti del NT arche si riferisca qualche volta alla conce­ zione di Gesù. ( Nei contesti che avrebbero permesso un tale

Prologo

229

uso, Mt l , 18 usa ghenesis, > di l Gv 2, 1 9 ). t!. il « noi » del prologo della lettera ( rappresentan­ te l'autore c gli altri latori della tradizione ) implicitamen­ te distinto da tutta una catena di tradizione e dal soste­ gno di testimone oculare rivendicati dai secessionisti per le loro interpretazioni del vangelo giovanneo? 25• Un im22 La

colonna B contiene l riga completa e parti di altre 2. A e B in­ sieme occupano S righe o un quarto del prologo. 23 Esso occupa S righe e mezza - più di A e B insieme. 24 Segalla, « L'esperienza », mostra che il vangelo di Gv tende a esprimere l 'esperienza mediante « vedere », « udire ,. e « conosce­ re ». L'assenza del verbo " conoscere » è degna di nota nel prologo di l Gv. È per il motivo che nelle loro incipienti tendenze gnostiche i secessionisti accentuavano troppo la gnosis, « conoscenza »? Si veda l'affermazione « conosco Dio » in l Gv 2, 4. 25 I secessionisti erano sulla strada dello gnosticismo. Per il fatto che Ireneo confutò gli gnostici citando una catena di tradizione rappresentata da vescovi , ad es., a Roma (Adv. haer. 3 .3 .2) , si è supposto che questo gruppo tendenzialmente gnostico non fosse in­ teressato a una catena di tradizione. Comunque, i vangeli gnostici e gli apocrifi vennero attribuiti a celebri testimoni del NT ( Giovan• ni, Giacomo, Filippo, Tommaso, Maria Maddalena) ; e lo gnostico

Prologo

265

portante latore della tradizione della scuola giovannea si era perso per strada e aveva dato origine alla secessione ? Noi non lo sappiamo; ma è chiaro che, parlando alla prima persona plurale, l'autore sta sostenendo che i se­ cessionisti si stanno opponendo non soltanto a lui ma anche ad altri che formarono la tradizione e la trasmise­ ro 26 in modo vicario alle persone a cui Gesù fece la rivelazione « dal principio » del suo ministero. Nel prologo di lGv, la distinzione tra « noi » e « voi » non è completa­ mente estranea al vangelo di Gv rr, poiché 20, 29 distingue tra coloro che hanno visto e coloro che non hanno visto ma hanno creduto lo stesso, mentre 1 7, 6.20 distingue tra coloro a cui Gesù rivelò (phaneroun ) se stesso diretta­ mente e coloro che credettero in lui sulla parola ( logos ) del primo gruppo. Pertanto, anche nella comunità giovan­ nea, dove il ruolo del Paraclito come maestro di tutte le cose era dominante ( 1 4, 26), c'è un posto per una catena umana di latori de J la tradizione. In ABJ 29A, 1 1 40 ( tr. it. valentiniano Tolomeo, del I I secolo, nella sua Lettera a Flora parlò del « l'apostolica tradizione che noi pure abbiamo ricevuto me­ diante successione, per il motivo che possiamo provare tutte le nostre asserzioni dall'insegnamento del salvatore » ( Epifania, Pa­ narion 33.7 .9 ; PG 41 , 568B) . Si veda pure Perkins, Gnost ic Dialo­ gue 144. 26 Difficilmente, egli avrebbe potuto fare questo se i suoi lettori avessero pensato che la sua rivendicazione a parlare in questo modo era assurda, donde il mio assunto che egli può bene essere stato un discepolo del discepolo diletto. La tesi che egli stava falsa­ mente affermando di essere o il discepolo diletto o l'evangelista è improbabile, poiché l 'uso di « noi » per esprimere una tale riven­ dicazione sarebbe troppo ingegnoso. Non mancava un precedente giovanneo nel menzionare il discepolo diletto se l'autore della let­ tera avesse voluto assumere la sua identità. O, se l'autore stava fal­ samente pretendendo di essere l'evangelista, egli doveva semplice­ mente riferirsi a « ciò che io precedentemente scrissi nel libro dei segni che Gesù compì alla presenza dei suoi discepoli », imitando Gv 20, 30. Molto più probabile è l 'assunto che l 'autore seguisse un uso giovanneo esemplificato in 2 1 , 24, che distingueva il « noi » dal discepolo diletto e dal compositore del vangelo, mentre allo stesso tempo associava le distinte fazioni - in breve, la scuola giovannea. n La distinzione non è importante, poiché nel vangelo di Gv, spe­ cialmente nell'ultima cena , i discepoli possono essere sostituiti dai cristiani giovannei, così che quando Gesù si sta rivolgendo ai di­ scepoli, egli sta parlando alla comunità giovannea ( ABJ 29A, 582 ; tr. it. 696) . Neppure in lGv la distinzione tra « noi » e « voi » è im ­ portante, poiché non viene conservata dopo il prologo.

266

lGv

1 496) ho sostenuto che quasi ogni cosa detta a riguardo del Paraclito nel vangelo di Gv era stata precedentemente detta a riguardo di Gesù, così che il Paraclito sta a Gesù come Gesù sta al Padre. L'autore della lettera ha la stessa mentalità, ma egli mette in risalto il « noi » invece del Paraclito. In Gv 3, 3 1 -32 Gesù viene descritto come colui che era venuto dal cielo : « Ciò che ha visto e udito ('lì), è quello che egli anche testimonia ». Non a caso l Gv l , 2-3 descrive il « noi » con lo stesso linguaggio : « Abbiamo visto e testimoniamo ... ; ciò che noi abbiamo visto e udito, annunciamo a nostra volta a voi ». Il mutamento diventa intelligibile se i secessionisti stavano affermando che lo Spirito Paraclito autenticava il loro insegnamento (come possiamo sospettare dall'ordine, in 1 Gv 4, 1 .6, di mettere al­ la prova gli spiriti per distinguere « lo Spirito di verità » : altro nome per il Paraclito i n Gv 1 4 , 1 7 ; 1 5 , 2 6 ; e 16, 1 3 ) . L'autore della lettera confuta una tale affermazione mo­ strando la mancanza di accordo secessionista con i testimo­ ni umani per mezzo dei quali il Paraclito parla, come indi­ cato in Gv 1 5 , 26 dove la testimonianza del Paraclito viene posta fianco a fianco dell'insegnamento : « Voi pure dovre­ te rendere testimonianza a me, per il motivo che siete stati con me dal principio ». Tutto quello sfondo giovanneo sta dietro l'asserzione dell'autore : « Ciò che era dal prin­ cipio ... ciò che noi abbiamo visto e udito, ( lo ) annunciamo a nostra volta a voi )). Ritornando di nuovo allo specchietto che tratta del mo­ dello di pensiero nel prologo, troviamo che la colonna D rivaleggia con C per importanza 28 • L'autore non era semplicemente un laudator temporis acti nel mettere in rilievo ciò che venne udito, visto e toccato nel passato ( C ) ; egli è interessato all'attuale comunicazione per mezzo di testimone, parola, annuncio e scritto. Di fronte ai se­ cessionisti, che vedono valore salvifico solo nell 'incarna­ zione, l'autore sta affermando un ruolo salvifico tanto della carriera terrena di Gesù allorché egli rivelò se stesso ai suoi discepoli, quanto dell'annuncio ininterrotto di quella rivelazione alla comunità giovannea. L'elemento

28 Delle 19 righe del prologo, sono dedicate al tema di D.

3 righe complete e parti di altre 2

Prologo

267

'comunità' diventa esplicito nella colonna E 29 dove l'an­ nuncio attuale della rivelazione che venne vista, udita e toccata nel passato determina una comunione ( koino­ nia ) tra il « noi )) e il « voi )) , Quindi, l'isolamento di un « noi » dentro la storia giovannea non costituiva una vio­ lazione della tradizione giovannea nella quale nessuno viene chiamato apostolo e tutti sono discepoli, e non era l'introduzione di una gerarchia. La gioia del « noi » viene completata solo quando si determina una comunione con il « voi » e viene eliminata la distinzione tra i due gruppi. Due supposizioni dell'autore sono degne di nota: il « noi )) è già in comunione col Padre e con il suo Figlio, Gesù Cristo 30, e il > . Lì, l'unità sembra implicare un gruppo più antico di credenti e uno più nuovo uniti tra di loro, come pure col Padre e col Figlio 35• Questa nevralgica differenza tra l'autore e i secessionisti a riguardo dell'unione con Dio si può riflettere nella sua 33 Qui, c'è ambiguità per il motivo che coloro che probabilmente

leggeranno 1Gv sono (ancora) dal lato dell'autore e non hanno (ancora) ceduto alla propaganda secessionista. In un certo senso, quindi, essi sono già uniti al « noi », ed ecco perché in tutto il resto di 1Gv l'autore può usare un « noi " inclusivo che comprende i lettori e perché in 5, 13 egli dice : « Ho scritto questo a voi cosl che possiate sapere che possedete questa vita eterna ». Marshall, Epistles 105, osserva argutamente: « Il verso 3 non sta necessaria­ mente prescrivendo la condizione per entrare nella sequela, ma per continuare nella sequela ». 34 O si potrebbe richiamare a un passo quale Gv 14, 23: « Se qual­ cuno ama me, osserverà la mia parola. Allora il Padre mio amerà lui e noi verremo a lui e costruiremo la nostra abitazione presso di lui ». Si veda Balz, Johannesbriefe 164. 35 De Jonge, « Who Are We » 153, intende correttamente il pensiero dell'autore: « Ciò che è essenziale è la fedele tradizione da genera­ zione a generazione, nella quale i testimoni oculari del passato han­ no una funzione essenzialmente diversa da quella degli attuali cre­ denti e nella quale gli attuali credenti si riferiscono, per la loro relazione con Dio, alla loro relazione con i testimoni oculari " ·

269

Prologo

scelta del termine koinonia, « comunione », che non appare mai nel vangelo di Gv. Schnackenburg (Johannesbriefe 64) ha ragione quando dice che koinonia può essere una regolare espressione per ciò che il vangelo di Gv descrive mediante verbi di inabitazione (più sopra, nota 3 1 ). Comunque, i secessionisti, che impiegavano con piace­ re i verbi per esprimere l'unione con Dio, sarebbero stati contenti di questo sostantivo che nell'uso del NT veniva più frequentemente usato per l'unione tra i cristiani 36 che per l'unione con Dio? 37• Come ho mostrato nella NoTA al v. 3c, è una parola con uno spiccato tono 'ecclesiastico' che l'autore può volere accentuare contro i secessionisti. Mentre i secessionisti avevano una certa forma di unione tra loro, la loro teologia di diretta unione con Dio proba­ bilmente significava che essi non potevano dare a una unione tra loro il valore salvifico attribuito alla comunio­ ne tra credenti in l Gv l , 3 , dove essa diventa un sine qua non dell'essere uniti a Dio 38 • Certamente, essi non accetta­ vano l'interpretazione di koinonia di lGv, che implicava adesione all'interpretazione di ciò che venne visto e udito come proclamato dalla scuola giovannea ( di cui l'autore faceva parte ). Un ulteriore sguardo alla colonna E dello specchietto mostra che lo scopo di tutto il processo rivelatorio, de­ scritto nel prologo, non è soltanto comunione ma gioia : « Stiamo scrivendo questo così che la nostra gioia possa essere completata ». Proprio come l'autore della lettera ha modificato la tradizione del vangelo di Gv di una diretta relazione tra i credenti e il Padre/Figlio ( mediante l'intro­ duzione della comunione con « noi » per formare un mo­ dello triangolare ), così egli ha modificato la tradizione a riguardo della gioia che lega Gesù e i credenti : « Ho detto 36

Si veda A t 2, 42 ; Fil l, 5 ; Gal 2, 9 ; 2Cor 8, 4 ; 9, 13 ; Rm 15, 26 ; Fm 6 ; Eh 13, 16. 37 Con lo Spirito Santo in Fil 2, l ; 2Cor 13, 13 ; con Cristo in lCor l , 9 ; 10, 16 ; e con Dio in Filone, Mosè 1 .28 # 158. 38 Nella teologia posteriore, questa condizione sarebbe diventata più formalmente ecclesiastica, ad es., Ignazio, Magn. 7, l : « Come il Signore fu unito al Padre e non fece niente senza di lui . così voi non fate niente senza il vescovo e i presbiteri » ; Cipriano, De ecclesiae catholicae unitate 6.149-50 ; CC 3, 253 : « Non si può avere Dio per Padre se non si ha la chiesa per madre » . ..

1Gv

270

questo a voi perché la mia gioia possa essere vostra e la vostra gioia possa essere completata 39 ». L'autore ha reso pure questo triangolare parlando di « nostra gioia >>, cioè, la gioia della scuola giovannea quando, con essa e trami­ te essa, i credenti sono uniti in comunione con il Padre / Figlio 40• Forse, ancora una volta egli poteva giustificare questo facendo ricorso al tipo di tradizione trovato in Gv 17, dove Gesù distingue tra i suoi discepoli immediati e « coloro che credono in me per la loro parola >> ( 17, 20 ) e dove prega « che possano partecipare della mia gioia in pieno » ( 1 7, 1 3 ). Per l'autore, quella seconda generazione di cristiani giovannei poteva entrare in questa gioia piena, ma non poteva aggirare coloro che avevano visto, udito e toccato.

BIBLIOGRAFIA RIGUARDANTE lGv l , 1-4 de Jonge M., « An Analysis of I John l , 1-4

»,

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sence (Nashville : Abingdon, 1974 ) 148-66. Drumwright H., « Problem Passages in the Johannine Epistles : A Hermeneutical Approach », Southwestern Journal of Theo­ logy 13 ( 1 , Autunno 1970) 53-64. Feuillet A., Le prologue du quatrième évangile ( Paris : Desclée de Brouwer, 1968 ) 210-17.

39

Gv 15, 1 1 ; si veda pure 16, 24. Nel passo ai Magnesi, ci tato nella nota 38, I gnazio dice : « Ci sia in comune una preghiera, una sup­ plica, una mente, una speranza in amore, nella gioia che è senza colpa, cioè, Gesù Cristo ». 40 Houlden, Epistles 41, riconosce che il significato del vangelo di Gv è stato alterato, ma si domanda se la gioia non sia stata resa insignificante per il fatto che ora si riferisce al piacere dello scrit­ tore nel raggiungere il suo obiettivo desiderato. Bultmann, Epi­ stles 14, comunque, ha ragione quando riconosce che l'autore sta parlando di gioia escatologica, che corrisponde a pace o vita (ABJ 29A, 681 ; tr. it. 823) . Si confronti Gv 10, 10: « Che possano avere vita e l'abbiano in pienezza >> . Inoltre, poiché la gioia viene dall'in­ trodurre il « voi » nella comunione con il Padre/Figlio (mediante la comunione col « noi ») , si confronti Gv 17, 3: « La vita eterna consiste in questo: che conoscano te, l'unico vero Dio e colui che manda­ sti, Gesù Cristo » .

Bibliografia riguardante il Prologo

271

Grayston K., « 'Logos' in I John 1 , 1 », ExpT 86 ( 1974-75 ) 279. Gryglewicz F., Articolo ( in polacco) sui due Prologhi giovan­ nei condensato in NTA 3 (Autunno 1958 ) # 106. Guy H. A., > è una parte fissa della formula e non si dovrebbe attribuirle per forza un grande valore teologico. Invero, la sua comparsa qui è stata facilitata dal fatto che nel vangelo di Gv la prima frase dopo il prologo diceva così : « E questa è la testimonianza di Giovanni » (Gv 1 , 19). Quanto alla copula « è » , nel greco di queste formule normal­ mente il verbo segue il dimostrativo; solo qui lo precede ( kai estin haute). Inevitabilmente, alcuni scrivani ( ad es., il codice alessandrino ) hanno spostato la disposizione per ottenere il solito modello. Sebbene Westcott e altri sostengano che qui la diversa disposizione delle parole dà maggiore enfasi al predica­ to nominale, probabilmente si tratta di una variante priva di significato. La parola chiave anghelia ricorre solo due volte nel NT, qui e più avanti in 3, 1 1 . ( I l [correttore del ] codice alessandrino, il rescritto di Efrem e le versioni copte leggerebbero il più fami­ liare epanghelia, « promessa, annuncio », che ricorre 52 volte nel NT ed è la corretta lettura in 2, 25). Molti commentatori contrappongono anghelia, « notizie », a euanghelion, « buone no­ tizie », la parola normalmente tradotta con « vangelo ». ( Si veda più sopra, NorA a 1 , 2c per queste parole collegate tra loro). Comunque, poiché euanghelion non ricorre mai negli scritti giovannei, anghelia può bene essere il suo equivalente tecnico giovanneo. Nei LXX, l'uso di ananghellein anghelian in Is 28, 9 non è molto diverso dall'uso di euanghelizein in Is 52, 7; e in Prv 12, 25; 25, 25 si trova l'espressione agathe anghelia, « buone notizie ». Funzionalmente, in 1Gv anghelia potrebbe essere usa­ to come « vangelo », poiché è un annuncio da parte dei latori della tradizione della comunità (l'ananghellein di l, 2-3 che an­ ghelia riprende in l , 5 ) ; questo vangelo viene da Cristo ( 1 , Sb); ed è salvifico per il fatto che lo scopo dell'annuncio è la

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lGv - Parte prima

comunione ( koinonia ) con Dio e con gli altri cristiani. ( Si può aggiungere che il verbo corrispondente anghellein ricorre due volte nel NT, ambedue nel vangelo di Gv : la prima volta nella tradizione testuale occidentale di Gv 4, 51 dove i servi dell'alto funzionario reale gli vennero incontro « con le (buone) notizie che il suo ragazzo sarebbe vissuto »; e la seconda volta in Gv 20, 18 dove Maria Maddalena annuncia : « Ho visto il Signore » - un messaggio di resurrezione che è il cuore del vangelo cristiano ). Come vedremo, il contenuto dell'anghelia di lGv, come esposto in l, 5 e 3, 1 1 , è intimamente collegato a ciò che si trova nel vangelo di Gv; e così c'è motivo di ritenere che, quando i credenti giovannei parlavano a riguardo dei contenuti di ciò che noi chiamiamo vangelo di Gv, possono essersi riferiti a esso come l'anghelia. Sb. che noi abbiamo udito. Questo è lo stesso tempo perfetto di akouein usato nel prologo ai vv. lb e 3a; e il « noi » è di nuovo la scuola giovannea di latori della tradizione che parla al « voi >> della comunità giovannea. da Cris to. Alla lettera : « Da lui »; ma grammaticalmente e teo­

logicamente ci possono essere pochi dubbi che il riferimento è a Gesù Cristo, l'ultima terza persona menzionata prima (3e). ( Brooke, Epistles 1 1 , è in pratica il solo tra i commentatori moderni a difendere un riferimento a Dio). Solo un riferimento a Gesù ha senso, ammessa la comprensione di « ciò che era dal principio » scelta per il v. la. E sebbene nel pensiero giovanneo Gesù incorpori e trasmetta una rivelazione ricevuta da Dio, Hodges, « Fellowship », probabilmente esagera quando sugge­ risce che lGv scelse deliberatamente l'ambiguo « lui » per ab­ bracciare Dio e Gesù. Bultmann, Epistles 15, trova sorprendente l'uso di « lui » al posto di una precisa designazione; ma le cose non stanno così se l'autore presuppose che il suo pubblico conoscesse che stava scrivendo in difesa della sua interpreta­ zione del Gesù che si trova nel vangelo di Gv. Il « Cristo » (implicito ) e il « Dio » (esplicito ) di l , 5 si accoppiano in modo inclusivo con gli espliciti « Padre » e « Gesù Cristo » che si trovano alla fine dell'unità (2, 1 ). Il « da » è apo, invece del più normale para giovanneo ( che non compare mai in lGv). Diversi commentatori, come Westcott e Bultmann, hanno sostenuto che apo si riferisce a una fonte definitiva ma non necessariamente immediata o che viene usato per indicare che l'anghelia non veniva necessariamente dal Gesù storico. Io metto in dubbio tale precisione grammaticale e con­ sidero apo come una variante insignificante di para che segue il verbo akouein (BDF 21()3; 1731 }, giustificata forse per alliterazio­ ne dal momento che ci sono quattro esempi di alpha ( a ) iniziale

Note

a

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l , 5 - 2, 2

in cinque parole. In particolare, anghelia apo può echeggiare l'apanghellein di l , 2-3. L'autore di lGv avrebbe inteso questo vangelo come proveniente « da » Gesù alla stessa stregua che ogni parola proferita nel vangelo di Gv si pensava venisse da Gest1. Il fatto che tutte quelle parole venissero dal Paraclito/ Spirito che insegnava ogni cosa ( 14, 26 ) non voleva dire che non fossero da Gesù, poiché il Paraclito non parlava in proprio ma solo di ciò che riceveva da Gesù ( 1 6, 13-lS). Anzi, Gesù è pure un Paraclito ( lGv 2, 1 ) . Se. e dichiariamo a voi. Il verbo è ananghellein ( NOTA a l , 2c), molto spesso usato nel vangelo di Gv ( 16, 13.14. 1S) per l'azione del Paraclito che « dichiara » ai discepoli ciò che aveva ricevu­

to da Gesù. Ancora una volta, coloro che scoprono una minu­ ziosa precisione nella grammatica giovannea sosterrebbero che ananghellein venne qui usato al posto deii'apanghellein di l , 2-3 a motivo dell'interesse per la direzione del messaggio (an, « a » , non ap, « da » ). Comunque, dal momento che un « a voi » è implicito in tutti e tre i versi, non c'è una tale fine connotazione direzionale. L'impiego di Paraclito nel vangelo di Gv ( dove ananghellein ha un modello simile « da [ e k ] . . a ») fu più deter­ minante per l Gv di tali meticolosità grammaticali. P. JoUon, «Le verbe ananghello dans Saint Jean », RSR 28 (1938) 234-36, met­ te in ri lievo che il verbo non significa semplicemente « annun­ ciare »; il significato classico e giovanneo è « riferire », cioè di­ chiarare a qualcuno qualcosa detto da qualche altro. (J. Schnie­ wind, > sarebbe troppo forte, secondo Giurisato, « Struttura », 364. .

Sd. Dio è luce. Un ho ti, « che » (che io non ho tradotto), intro­

duce ciò che tecnicamente si dice discorso indiretto dipendente dal anghelia, « vangelo », del v. Sa ( BDF 3973 ). Il dimostrativo « questo », discusso nella NoTA a Sa, è normalmente seguito da una proposizione esplicativa introdotta o da hori (qui; S, 1 1 . 1 4 ) o d a hina (3, 1 1 .23 ; 2Gv 6 ; si veda lGv 5, 3ab ). In 2, 2 5 e i n 5, 4 è semplicemente seguito da un altro sostantivo che spiega il primo. Ci sono tre descrizioni giovannee di Dio : Dio è Spirito (Gv 4, 24) Dio è luce ( l Gv l, 5) Dio è amore ( l Gv 4, 8)

pneuma ho theos ho theos phos estin ho theos agape estin

La copula « essere » ( è/era), mancante nella formula del vangelo di Gv, è il verbo giovanneo specifico per Dio e per la Parola; gli

lGv · Parte prima

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esseri umani « diventano » o « hanno » o agiscono. In tutte e tre le formule, il predicato è anartrico. C'è una tendenza dei predi­ cati nominali a essere anartrici a eccezione, forse, delle asser­ zioni di identità (ABJ 29, S; tr. it. 6), e così i commentatori hanno concluso che queste non sono asserzioni di identità ma, al massimo, descrizioni di una qualità di Dio ( Plummer, Broo­ ke) o asserzioni esistenziali riguardo all'attività di Dio nei con­ fronti degli esseri umani, ad es., il Dio che è amore mostra quell'amore dando il proprio Figlio ( lGv 4, 8-10). Ciò nonostan­ te, queste formule toccano pure il mistero dell'essere proprio di Dio. Ad es., il Gesù giovanneo parla non solo dell 'amore di Dio per gli esseri umani, ma ( logicamente) prima di tutto dell'amo­ re di Dio per lui, il Figlio ( Gv 3, 3S; S, 20; 10, 17; 1S, 9), un amore che è il modello dell'amore di Dio per i seguaci di Gesù ( 17, 23 .26 ). In 17, 24, Gesù dice chiaramente che egli sta parlan­ do di un amore preincamazionale che esisteva prima della creazione nel rapporto tra Dio e la sua Parola. Quindi, in tali formule « Dio è », mentre c'è enfasi sull'attività di Dio, quella attività è internamente collegata a ciò che Dio è prima della creazione. Dodd, Epistles 107-10, fa rilevare che le formule greco-pagane riguardo a Dio hanno un tocco diverso. Tra i filosofi, le asserzioni tendono a parlare dell'essenza di Dio piut­ tosto che della sua attività. La letteratura ermetica è meno astratta e mette in risalto l'attività (Dio è creativo, vivificante), ma la personalità di Dio non è mai chiara - egli è una forza di vita. Se. e in lui non ci sono affatto tenebre. Questo modello antiteti­ co di una asserzione positiva (Sd) seguito da una negativa (Se) è biblico, ad es.: « Dio è fedele, e non c'è ingiustizia [in lui] » (Dt 32, 4); « Il Signore mio Dio è giusto, e non c'è ingiustizia in lui » ( Sal 92, 16 [ lS ] ). In questo modello, la proposizione negativa riceve l'enfasi, specialmente quando, come qui, si ha una dupli­ ce negazione : « In lui non ci sono tenebre, proprio per niente », Nel vangelo di Gv, il parallelo verbale più vicino è 19, 1 1 : « Tu non avresti più potere su di me, proprio per niente ,,, I due rispettivi sostantivi per « tenebre », skotos e skotia, ricorrono 47 vol te nel NT Skotia, usato qui, ha la preferenza giovannea, con il vangelo di Gv e 1Gv che presentano 14 dei 17 usi del NT, mentre solo 2 usi di skotos, sui 30 del NT, sono giovannei (Gv 3, 19; 1Gv l , 6). Si veda ABJ 29, S1S-16 ( tr. it. 14S8 s). Questo è il nostro primo incontro epistolare con einai en, « essere in ,,, una delle due frequenti e rivelanti espressioni giovannee per l'interiorità; si veda Malatesta, Interiority 27-32. ( L'altra è menein en, « dimorare, abitare in »; essa verrà discus­ sa alla prima occasione nella NorA a 2, 6a). L'espressione einai .

Note a l , 5 - 2, 2

281

en ricorre 13 volte nel vangelo di Gv e altre 14 volte col verbo « essere » chiaramente sottinteso. In 1Gv, einai en ricorre 18

volte, con altri 4 esempi in cui il verbo « essere » è chiaramente sottinteso. L'uso si può dividere in tre titoli : (A) INABITAZIONE RIGUARDANTE DIO. Binai en è usato per de­ scrivere la presenza del cristiano in Dio e in Gesù e viceversa. ( La formula più frequente per questo, comunque, è menein en,· e io posporrò la discussione generale dell'immanenza divina fino a 2, 6a; si veda pure ABJ 29A, 602-3 ); ( tr. it. 722 s). I 9 esem­ pi di questo uso nel vangelo di Gv e i 3 in 1Gv ( uno con verbo implicito : 4, 4) si possono analizzare così : - del cristiano in Dio : 1Gv 2, 5 - del cristiano in Gesù: Gv 14, 20; 15, 2 - del cristiano nel Padre e in Gesù : Gv 17, 2 1 ; 1Gv 5, 20 - di Gesù nel cristiano : Gv 14, 20.23; 17, 23.26 - di Gesù nel Padre : Gv 14, 20 - del Padre in Gesù: Gv 17, 23 - sia di Gesù nel Padre che del Padre in Gesù: Gv 10, 38; 14, 10. 1 1 ; 17, 2 1 - dello Spirito d i verità nel cristiano: G v 1 4 , 17; 1Gv 4, 4. Questo uso di einai en non è esclusivamente giovanneo, ad es., At 17, 28 : « In lui viviamo, ci muoviamo e siamo ». Nelle lettere paoline, ci sono 165 esempi dell'espressione « in Cristo » o del suo equivalente e ci sono pure esempi di Cristo nel cristiano il verbo « essere » viene spesso adoperato in queste espressioni ( si veda JBC 79 # 138 ). ( B ) INABITAZIONE DI ALTRE REALTÀ NEL CRISTIANO. La dualistica concezione giovannea del mondo divideva le persone in confor­ mità del loro essere più intimo, così da poter dire che varie realtà si trovavano nei cristiani e non nei loro oppositori. Ci sono all'incirca 5 esempi di questo uso di einai en nel vangelo di Gv e 7 in 1Gv. Nei seguenti esempi, si dice che realtà collegate a Dio o a Gesù si trovano nel cristiano : - luce : Gv 12, 35 - la gioia di Gesù: Gv 15, 1 1 - l'amore che il Padre ebbe per Gesù : Gv 17, 26. Molto più spesso veniamo a conoscere delle realtà divine nel cristiano da un'asserzione riguardo alla loro assenza negli oppositori. Si dice che le seguenti cose positive non sono in coloro che gli autori giovannei disapprovano ( ad es., 'i giudei', i secessionisti, il diavolo ): - luce : Gv 1 1 , 1 0 - amore del Padre : 1 G v 2, 15 - verità: Gv 8, 44; 1Gv l , 8 ; 2, 4 ( cfr. 2, 8 ) - parola d i Dio : 1 Gv 1, 10 ( cfr. Gv 8, 37 ).

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lGv - Parte prima

A proposito di confronto, possiamo notare che in Magn. 5, 2 Ignazio dice: (A meno che non scegliamo di morire al mondo per Cristo ), " la sua vita non è in noi ». Ritornando agli scritti giovannei, troviamo detto che le seguenti cose negative non sono in Cristo o nel vero cristiano: - disonestà (adikia ) : Gv 7, 18 - peccato ( hamartia ) : lGv 3, 5 - pietra di inciampo (s kandalon ) : lGv 2, 10. (C) USI TEOLOGICI ETEROGENEI . Questi sono spesso corollari del dualismo rispecchiato nel precedente raggruppamento, ma non si prestano facilmente a schematizzazione. Le seguenti realtà sono il soggetto o l'oggetto di einain en : - luce o tenebre : Dio nella luce ( lGv 1 .7); colui che odia il proprio fratello non sta nella luce ma nelle tenebre ( l Gv 2, 9ac. l l ); non ci sono tenebre in Dio ( lGv l, 5 ) - vita: ciò che nella Parola cominciò a esistere era vita ( Gv l , 4 ); vita eterna nel Figlio di Dio ( lGv 5, 1 1 ) - amore : nessun timore in amore ( lGv 4 , 18) - nel mondo : Gesù ( Gv 1 , 10; 9, 5; 17, 1 1 ); cristiani ( 1 3, l ; 17, 1 1 ; lGv 4, 17); spirito dell'anticristo o il maligno ( lGv 4, 3.4); cose maligne ( lGv 2, 15-16). 6a. Se ci van tiamo. Questa è la prima di sei proposizioni ean, « se », che vanno da l , 6 a 2, l in tre paia (apodosi negative/po­ sitive), come indicato visualmente nella mia traduzione. Queste non sono eventualità puramente possibili, ma riflettono il lin­ guaggio di giurisprudenza. Si veda la mia INTRODUZIONE III B l per l'assunto d i Nauck che i l modello condizionale riflette i codici della legge del Pentateuco che sgorgano da richieste di alleanza e che specificano le possibilità di osservanza e non osservanza. Esse sono « aspettative » ( THLJ 33), equivalenti a « ogni qualvolta ». Il « noi » non è più il « noi » di latori del­ la tradizione ( la scuola giovannea ) distinto dal « voi )) del pubblico, ma è comprensivo dei due e rappresenta la co­ munità giovannea che resta dopo che i secessionisti han­ no lasciato (2, 19). La sostanza del « vantarsi » (alla lettera, « dire ») è un'asserzione in linea con la teologia secessionista e tradisce il fatto che, mentre si indirizza ai suoi seguaci, l'autore è preoccupato riguardo alle incursioni del pensiero secessioni­ sta. Windisch, Briefe 1 1 1 , senza necessità postula che un gruppo caduto in errore è rimasto dopo che i falsi maestri hanno lasciato. Piuttosto, la questione riguarda un errore anticipato, da cui la condizione. « Noi siamo in comunione con lui ». Il greco è in discorso indiretto. Il « lui » è chiaramente Dio ( che è luce), l'ultima precedente terza persona. In tutta questa unità, Dio viene men-

Note

a

l , 5 - 2, 2

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zionato per nome solo in l, Sd, ma ci si riferisce a lui in modo pronominale (autos ) nei vv. 6a.7b.10bc. La nozione di avere comunione ( koinonia ) riprende il tema di l , 3; e l'autore vi ritornerà nel v. 7c, che sarà l'ultimo uso di koinonia in l Gv. Come abbiamo visto, il vangelo di Gv formula il tema dell'im­ manenza in forme verbali, e forse anche i secessionisti lo face­ vano. Questa può essere la personale formulazione dell'autore del loro vanto, fatta con lo scopo di contrapporre la sua idea di koinonia.

6b. mentre continuiamo a camminare nelle tenebre. Alla lette­ ra : « E noi camminiamo », un congiuntivo parallelo a « ci van­ tiamo » e retto da « se ». Il kai, « e », iniziale ha un valore avversativo (BDF 4421 ), mentre il tempo presente indica il ca­ rattere abituale dell'azione. L'errore non sta semplicemente nel vantarsi, ma nel vantarsi unito al contraddittorio camminare nelle tenebre. Qui « tenebre » è, per eccezione, skotos invece di skotia ( NOTA a Se); ma tentativi di vedere una differenza tra i due sostantivi (ad es., astratto contro concreto) non sono ne­ cessari. Al massimo, l'uso del femminile sko tia in l , 5 e del maschile skotos in l , 6 possono essere stati intesi come una tecnica poetica per esprimere collettività. Né vi è modo per convalidare la proposta di M.-E. Boismard, RB 68 ( 196 1 ) 514, che lGv possa qui avere subito l'influsso di Ef 5, 6-8 : « Nessuno inganni voi con parole vuote ... poiché un tempo eravate tenebra [s kotos ] , ma ora siete luce nel Signore - camminate come figli della luce ». L'uso di peripatein, « camminare >>, per perseguire un modo di vita e di azione è un semitismo. Esempi ebraici di questo idioma comprendono : « Camminiamo nella luce del Signore » ( Is 2, 5 ) ; « Io cammino sulla via della giustizia » ( Prv 8, 20); « Dio creò gli esseri umani per governare il mondo e assegnò a .;!SSi due spiriti nei quali camminare fino al tempo della sua visita: gli spiriti di verità e di iniquità » ( lQS 3, 17-19). Qualche volta il verbo « camminare » è accompagnato dal sostantivo « via »; in altri esempi, il solo sostantivo porta l'idea, come nei 19 usi di « via » nel Sal 1 19. Questo uso di « camminare » non è troppo frequente in altre parti nel NT al di fuori di Paolo, ma esempi includono : Mc 7, 5: « Camminare secondo la tradizione degli antichi »; A t 21, 2 1 : « Non camminare secondo le consuetudini [dei giudei ] »; Rm 14, 15 ed Ef 5, 2: « Camminare secondo [o nella] carità »; Col 4, 5: « Camminare in saggezza »; ed Ef 5, 8 : « Camminare come figli della luce » . Comunque, l'idioma è mol­ to giovanneo; nelle lettere troviamo « camminare in verità » 3 volte ( 2Gv 4; 3Gv 3.4 ) ; « camminare nei/secondo i comanda­ menti » 2 voltè (2Gv 6) e « camminare come Gesù camminò »

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l Gv - Parte prima

una volta ( l Gv 2, 6). L'assai più frequente immagine di cammi­ nare nella luce ( giorno) o nelle tenebre ( ABJ 29, 340; tr. it. 44 1 ) non è un simbolismo forzato ed è l'unico uso metaforico di « camminare » nel vangelo di Gv (5 volte : 8, 12; 1 1 , 9.10; 12, 35 ) e, a eccezione di 2, 6, l'unico uso in 1Gv ( 3 volte : qui, l , 7; 2, 1 1 ) Si veda pure Ap 21, 24: tutte le nazioni cammineranno alla luce della Gerusalemme celeste. Come sfondo, possiamo ricordare che l'immagine della luce in lGv l, 5 subì l'influsso del prologo del vangelo di Gv dove la creazione della luce era presente, assieme al racconto della caduta contenuto in Gn 3, 8 quando Adamo non poté più camminare con Dio (ABJ 29, 25-27; tr. it. 35 ss). Oltre all'immagine di « camminare », gli scrittori giovan­ nei parlano di « essere nella luce/tenebre » e di « dimorare nella luce/tenebre » ( 1Gv l , 7; 2, 9-1 1 ; Gv 12, 46). Alla radice del simbolismo della luce come contesto per una buona condotta di vita e di quello delle tenebre come contesto per una cattiva condotta, sta il fatto che la notte, con la sua mancanza di luce, offre opportunità e protezioni ai criminali. Gb 24, 13-17 descrive come l'adultero e il ladro operano di notte; e in Sir 23, 18-19 l'adultero si chiede : « Chi mi vede? Sono circondato da tenebre ». Eloquente è ls 29; 15: « Guai a loro ... le opere dei quali sono nelle tenebre e dicono : 'Chi ci ha visto?' ». Per Gv, naturalmente, tenebre sono più che un conte­ sto per operare il male; sono un simbolo di un principio da cui viene il male. .

6c. siamo mentitori. Alla lettera : « Noi mentiamo ,, (verbo pseudesthai). In Gv, i temi di luce e di verità stanno insieme come vedremo nella riga successiva di questo verso; e così fanno i loro opposti, tenebre e falsità. Nel dualismo giovanneo, come parte dell'opposizione alla verità, ci sono termini come phaulos, « malvagità » ( Gv 3, 20-21 ); adikia, « disonestà » (Gv 7, 18; cfr. 2Ts 2, 12); hamartia, « peccato » (Gv 8, 32-34.45-46; si veda l Gv l, 8). Ma la principale opposizione viene espressa da due serie di termini indicanti falsità : quelli dalla radice pseud- tradotti mediante parole collegate a « menzogna » e quel­ Ii dalla radice pian- tradotti mediante parole collegate a « ingan­ no ». Elenco qui gli usi giovannei del primo gruppo di termini (e del secondo gruppo sotto 1, 8b ): - pseudesthai, « mentire », solo qui - pseudos, « menzogna », Gv 8, 44; lGv 2, 21 .27 - pseustés, « mentitore », Gv 8, 44.55; lGv l , 10; 2, 4.22; 4, 20; 5, 10 - pseudoprophétés, « profeta falso e menzognero », lGv 4, 1 1 . Nel corpo paolina, verità è contrapposta in modo dualistico a pseudos, « menzogna », in Rm l , 25 ed Ef 4, 25; e Dio viene

Note a 1 , 5 - 2, 2

285

radicalmente contrapposto alla menzogna in Tt l, 2, poiché egli « non mentisce mai » ( apseudés ). Nel pensiero ellenistico in­ fluenzato da categorie platoniche, in cui si trova un altro mon­ do di assoluta verità e bellezza, il terreno è una menzogna per il motivo che è illusorio. In alcune forme di pensiero gnostico, il mondo con le sue menzogne era la creazione di un vagante eone o demiurgo; ad es., nello gnostico Vangelo di verità ( I 17, 14-29; NHL 38) una creatura viene fatta per errore, un sostituto della verità; e questa « creatura di menzogna » viene contrapposta alla suprema verità « immutabile, imperturbabile, perfetta in bellezza ». Quanto al pensiero ebraico, nell'AT tro­ viamo che la menzogna (seqer) è una perversa malvagità equi­ valente a violenza ( Os 12, l ) ; e coloro che dicono menzogne costituiscono un gruppo contrapposto a Dio ( Ger 9, 2 [ 3 ] ) come esemplificato soprattutto dai profeti falsi e menzogneri. Nei manoscritti del Mar Morto, « menzogna » ( kiiziib o seqer) viene usata per descrivere i nemici specifici della setta, ad es., « l'uo­ mo della menzogna » ( lQpHab 2, 1-2; 5, 1 1 ); « i profeti della men­ zogna » ( lQH 4, 16); « Una congregazione gravida di opere men­ zognere » ( lQpHab 10, 1 1-12). Tali titoli si addicono a coloro che hanno deformato la legge ( lQH 4, 10; CD 5, 21-6, 2) interpretan­ dola in un modo diverso dalla comunità di Qumran o che non osservano la legge. Comunque, nel dualismo di Qumran lo spiri­ to di verità non viene contrastato dallo spirito di menzogna ma dallo spirito di « iniquità » ( 'iiwel), ad es., in lQS 3, 18-19; 4, 23 ; 5, 10. Contro questo sfondo ebraico, non ci sorprende che gli scrittori giovannei considerino la posizione dei loro oppositori non come ignoranza ma come menzogna; e non una menzogna di autoin­ ganno, ma una menzogna che implica attiva ostilità nei con­ fronti della verità: « Ogni menzogna è estranea alla verità » ( lGv 2, 2 1 ). Il diavolo, il grande oppositore di Gesù, è un menti­ tore (Gv 8, 44; si veda ABJ 29, 365 ; tr. it. 475 ); i maestri seces­ sionisti o anticristi sono profeti falsi e menzogneri ( lGv 4, l ) ; e la cristologia dei secessionisti e il loro disinvolto atteggiamento nei confronti dei comandamenti non sono niente altro che dire delle menzogne (2, 22; 2, 4; 4, 20). 6d. e non agiamo nella verità. Alla lettera : « Noi facciamo [poiein ] la verità » - un altro semitismo. In lGv, ci sono rife­ rimenti a fare le seguenti cose: il volere di Dio (2, 17), ciò che è gradito a lui (3, 22 ), giustizia (2, 29; 3, 7.10); peccato (3, 4.8-9 ); e iniquità (3, 4 ). L'espressione « fare una menzogna » ricorre in Ap 2 1 , 27; 22, 15 e implica agire falsamente ( si veda lQpHab 10, 1 1-12 nella NoTA precedente). L'idioma « fare », applicato a

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realtà divine, suggerisce che esse si possono concretizzare in un comportamento umano. L'espressione « fare la verità ,, contiene il primo uso epistolare di aletheia. Dei 109 esempi di questo termine nel NT, quasi metà sono giovannei, con 25 nel vangelo di Gv e 20 nelle lettere. ( Per i rispettivi aggettivi alethes, « vero » e alethinos, « vero, reale », si veda più avanti la NoTA a 2, 8ab ). In proporzione, la maggiore frequenza nelle lettere si spiega con il fatto che il pensiero giovanneo tende a identificare la « verità » con la rivela­ zione in Gesù e per mezzo di lui, e a giudizio dell'autore quella rivelazione viene ora attaccata dai secessionisti. In ABJ 29, 499-501 ( tr. it. 1439 ss), ho discusso le due principali scuole di pensiero riguardo allo sfondo della nozione giovannea di verità: la tesi di Dodd-Bultmann di uno sfondo greco in virtù del quale per Gv verità è una realtà celeste quasi-platonica; la tesi di de la Potterie di uno sfondo veterotestamentario e intertestamen­ tario in virtù del quale per Gv la verità viene predicata a proposito del misterioso piano salvifico di Dio, rivelato agli esseri umani. Da allora, de la Potterie ha pubblicato il suo imponente studio, La véritè, rendendo la sua tesi ancora più convincente; e Aalen, « Truth », e Mundle, « Wahrheitsver­ sHindnis », pensano in un modo simile. La parola ebraica per « verità » ( 'emet) è collegata a una radice ( 'mn) che trasporta la nozione di fermezza o solidità come base per una sicura accet­ tazione. Quando la verità della rivelazione di Dio viene accetta­ ta dal credente, essa diventa la base che fa vivere quella perso­ na; e se si agisce nella verità ( si fa verità), non si sta sempli­ cemente seguendo un modello esteriore di ciò che è giusto (che sarebbe platonico), ma si sta agendo in forza di un principio interiore. Questo diventa evidente nei manoscritti del Mar Mor­ to, dove l'identità viene espressa in termini di una relazione interiore con la verità, così che i membri della comunità sono i « figli di verità » ( lQS 4, 5-6 ) o « uomini di verità » ( 1QH 14, 2), « generazioni di verità » ( lQS 3, 19), « testimoni di verità » ( lQS 8, 6). La comunità stessa è una « comunità [yabad ] di verità » ( l QS 2, 24.26 ) e una « casa di verità » ( lQS 8, 9). L'espressione « fare la verità ,, ( 'asiih 'emet ) ricorre due volte nella Bibbia ebraica : in Ne 9, 33, in riferimento alla fedeltà di Dio in azione e in 2Cr 3 1 , 20, in riferimento all 'eseguire la prescrizione della legge del re Ezechia. L'espressione greca let­ terale (aletheian poiein ) è più frequente nei LXX, ma pressappo­ co ha la stessa estensione di riferimento; ad es., Gn 32, 10 in riferimento all'azione di Dio; Gn 47, 29; Is 26, 10; Tb 4, 6; 13, 6 in riferimento a una gamma di azioni umane (essere fedele, agire retto). « Fare la verità » è molto frequente nell'ebraico di Qumran e nelle opere intertestamentarie conservate in greco,

Note e l , 5 - 2, 2

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spesso pervase dall'idea che ciò che si trova nella legge (o nella interpretazione di essa ) è verità. Questo è implicito in lQpHab 7, 10-1 1 : « Gli uomini di verità, quelli che fanno la legge », ed è esplicito in lQS 8, 1-2, che parla dei dirigenti della comunità come « perfettamente informati in tutto ciò che è rivelato della legge per fare la verità ». In T. di Beni. 10, 3 c'è una istruzione : « Fare la verità, ciascuno al suo prossimo, e osservare la legge del Signore e i suoi comandamenti » - una combinazione di comandamenti e di amore del prossimo attestata in Gv ( si veda pure T. di Ruben 6, 9). Per i cristiani giovannei, Cristo ha sosti­ tuito la legge come base di operazione e così « verità », come principio interiorizzato, è più personale in Gv che a Qumran esso si avvicina alla sapienza dell'AT e allo spirito di verità di Qumran. De la Potterie insiste che fare la verità non è la stessa cosa di camminare nella luce : esso implica, credo, un interme­ diario tra la verità (il principio interiorizzato) e l'azione este­ riore che corrisponde alla propria fede. Personalmente, trovo la distinzione troppo ingegnosa. Per maggiori dettagli, si veda Zerwick, « Veritatem facere »; de la Potterie, La vérité 2, 479535 e ABJ 29, 134-35.148-49 ( tr. it. 177.195 s). 7a. Ma se camminiamo nella luce. L'autore comincia i tre pe­ riodi che esprimono una posizione secessionista deformante la tradizione giovannea con proposizioni : « Se ci vantiamo » (ean eipomen in l, 6.8.10). In modo corrispondente, i tre periodi che esprimono la comprensione dell'autore della tradizione comin­ ciano pure con una proposizione « se » ( ean in l , 7.9; 2, 1 ). L'avversativo « ma » si può esprimere chiaramente come qui (de) o restare implicito come in l , 7 ( nessuna particella) e in 2, l ( kai avversativo ). Questa proposizione « se » prende il suo tema dalla descrizione negativa della posizione secessionista fatta in l , 6b ( « mentre continuiamo a camminare nelle tene­ bre »); si veda quella NoTA all'idioma 'camminare'. 7b. come egli stesso è nella luce. Per « egli » (autos ) come Dio, si veda la NoTA al v. 6a ( « comunione con lui » ). Per l'espressio­ ne einai en, « essere in », si veda NoTA al v. Se ( « in lui non ci sono tenebre » ). L'immagine dell'essere nella luce di Dio che è nella luce rappresenta un cambiamento rispetto a « Dio è luce » (Sd); e la nuova immagine ha migliori paralleli biblici: Sal 104, 2 : « Tu ti copri di luce come di un manto »; Dn 2, 22 : « Egli conosce quello che è nelle tenebre e la luce è con lui »; Is 2, 5 : > ( si veda pure Enoc 5 8 ) . Degno di nota è T. di Levi 14, 3-4 : « Come allo sguardo del Signore il cielo è più puro della terra, così dovete pure. voi , le luci di Israele, essere più puri dei gentili. Ma se siete ottenebrati a motivo del peccato, che cosa faranno i gentili, che vivono in cecità ? >> . E T. di Neftali 2 , 10: « Né mentre siete nelle tenebre potete compiere le opere della luce >> .

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Seconda protasi. L'autore disapprova anche il vanto in 1, Sa: « Noi siamo liberi dalla colpa di peccato ». La rela­ zione tra tenebre e peccato ( i temi della prima e della seconda protasi) è evidente nel racconto del cieco nato : mentre egli viene illuminato tramite la fede in Gesù, i farisei che rifiutano di credere anche se affermano di vedere, sono « colpevoli di peccato » ( Gv 9, 4 1 ). Nell'INTRO­ DUZIONE (V B3b), ho mostrato come l'affermazione di esse­ re libero dalla colpa di peccato 28 si potrebbe giustificare col leggere passi nel vangelo di Gv che identificano non credenti con coloro colpevoli di peccato. Quindi, il pro­ blema sollevato dal vanto di l Gv 1 , Sa può essere stato che nell'opinione dell'autore fosse giusto pensare che di­ ventando un credente il cristiano giovanneo veniva reso libero dalla colpa di peccato, ma fosse errato pensare che questa condizione· restava automaticamente dopo il credo, indipendentemente da ciò che si faceva. Che una tale errata concezione esistesse nel cristianesimo primitivo viene attestato da Giustino Martire che deve argomentare contro di essa in Tritone 141 .2. Egli sostiene che il Sal 32, 2 ( « beato colui a cui Dio non imputa pecca­ to » ) non significa che, se i peccatori conoscono Dio, nes­ sun peccato verrà loro imputato. E Ireneo, Adv. haer. 1 .6.2, critica la teoria gnostica secondo cui, mentre i cri­ stiani ordinari hanno bisogno di opere per salvarsi , il pneumatico che è spirituale per natura viene sicuramen­ te salvato, indipendentemente dalla condotta 29• L'autore di l Gv è turbato dal vanto di ispirazione secessionista per il motivo che egli considera che i peccati, commessi dopo la venuta alla fede in Gesù, siano tanto più colpevoli in quanto sono contrari allo stato del credente come figlio di Dio. La disputa non riguarda principalmente la colpevo28 Per questa traduzione del greco, che dice letteralmente: « Noi non abbiamo peccato », si veda NoTA a l, 8a. 29 Non c'è prova che i secessionisti giovannei abbiano fatto risa­ lire la loro sicurezza a una tale fonte metafisica quale una natura spirituale diversa dalla natura degli altri cristiani, o anche a una speciale rivelazione concessa agli iniziati. Nella mia teoria, i seces­ sionisti avrebbero sostenuto che tutti i cristiani ( giovannei) ave­ vano lo stesso privilegio. Aggiungo �giovannei', non per il motivo che avrebbero per forza negato il privilegio aì cristiani non gio­ vannei, ma semplicemente per il motivo che erano interessati solo ai cristiani della loro tradizione.

Commento

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lezza psicologica, ma una questione teologica : per l'auto­ re, il peccato viene dalle tenebre e ogni tentativo di conci­ liare luce con peccato è una forma di menzogna.

Terza protasi. Le tendenze secessioniste si riflettono pure nel vanto di l , lOa : « Noi non abbiamo peccato ». nella NoTA, ho proposto che il vanto comportava probabilmente una negazione di avere peccato dopo essere diventato credente; e nella INTRODUZIONE (V B3b ) ho tentato di mostrare come una tale negazione si potrebbe fondare su una comprensione del vangelo di Gv secondo cui i cristia­ ni in quanto figli di Dio venivano così conformati a Gesù il Figlio di Dio che potevano dire, come fece anche Gesù : « Qualcuno di voi può convincere me di peccato? » ( Gv 8 , 46) . Pertanto, tutti e tre i vanti derivano da una esagera­ zione dello stesso principio, cioè, che nel momento di diventare discepoli i credenti ricevevano enormi privilegi - un principio perfezionis ta pienamente di casa nel van­ gelo di Gv. Eppure, i tre vanti mostrano una crescente esagerazione delle implicazioni ricavate dal principio per­ fezionista. L'affermazione di avere koinonia con un Dio di luce mentre si cammina nelle tenebre mostra insensibilità verso ciò che è giusto e ciò che è errato. L'affermazione di non avere colpa di peccato riconosce che le opere sono errate, ma sostiene che non hanno effetto. L'affermazione di non avere peccato nega la possibilità di iniquità. Ve­ dremo ora come le tre apodosi si accordano con la cre­ scente esagerazione delle tre protasi. ( b ) APODOSI COMPOSTE. Le tre asserzioni (p. 328 ) che de­ scrivono i cattivi risultati provenienti dagli erronei vanti sono formulate in termini di menzogna e verità. Lo spo­ stamento da luce/tenebre a verità/falsità non sorprende per parecchi motivi. Primo, la stessa mescolanza di simbo­ lismo si trova pure nella letteratura intertestamentaria di tendenza dualistica. In T. di Asser 5, 3, leggiamo : « Non si può dire che verità è una menzogna ... ogni verità è sotto la luce )). Nei manoscritti del Mar Morto, I QS 3, 17-2 1 è particolarmente dettagliato : « Dio ha assegnato per gli esseri umani due spiriti nei quali camminare fino al tem­ po della sua visita : gli spiriti di verità e di iniquità. Le generazioni di verità zampillano da una fontana di luce,

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ma le generazioni di iniquità da una fontana di tenebre. Tutti i figli di rettitudine sono sotto il dominio del princi­ pe della luce e camminano nelle vie di luce, ma tutti i figli di iniquità sono sotto il dominio dell'angelo di tenebre e camminano nelle vie di tenebre ». Nel fortemente elleni­ stico Filone, leggiamo : « Verità è luce » (Su Giuseppe 14 # 68). E in Mandaean Liturgy, Oxford Collection 28 (Lidzbarski, p. 1 98 ) : « I vostri occhi sono occhi di men­ zogna; i miei occhi sono occhi di verità. Gli occhi di menzogna ottenebrano e non mostrano la verità ». Secon­ do, luce/tenebre e verità/falsità sono virtualmente inter­ scambiabili nel vangelo di Gv; ad es., Gesù che è la luce del mondo è anche la verità ( Gv 8, 1 2 ; 14, 6) 30• Il diavolo è un mentitore e il padre della menzogna (8, 44 ); e quando satana entra in Giuda, il traditore esce nella notte ( 1 3, 27.30 ). Se i cristiani vengono spinti a camminare nella luce ( l Gv l , 7a), allora devono camminare nella verità ( 2Gv 4 ). Terzo, e maggiormente importante, la compren­ sione giovannea della rivelazione considera il camminare nelle tenebre un vero tradimento della verità. Non si afferra la forza del pensiero giovanneo se si pensa alla rivelazione semplicemente come a una comunicazione in­ tellettuale di una verità che viene ricevuta mentalmente. Piuttosto, nell'atto di rivelazione Gesù porta una realtà divina, una vita e una presenza divine che trasformano radicalmente i credenti da carne a spirito. La sua comuni­ cazione dello Spirito Santo, come il soffio divino in Gn 2, 7, è creativa di un nuovo essere umano ( Gv 20, 22 ; ABJ 30 De la Potterie, La vérité 2, 514, sostiene che « luce » è rivela­ zione dal punto di vista della sua origine, mentre « verità » è rive­ lazione dal punto di vista della sua entrata nella sfera dell'attività umana. Pertanto, egli teorizza {2, 1010) che la teologia giovannea poteva affermare che « Dio è luce » ma non che « Dio è verità » , poiché verità implica la venuta d i Gesù. A mio giudizio, una tale distinzione è troppo sottile, e non si può provare che l'assenza della formula « Dio è verità » nei testi giovannei conservati sia importante o intenzionale. Si può pensare a Gv 17, 17: « La tua pa­ rola è verità », unito a l, 1 : « La Parola era Dio » . Mentre penso che l 'analisi di de la Potterie del concetto giovanneo di verità sia molto più profonda di quella di Bultmann, ritengo che Bultmann abbia ragione su questo punto: « Proprio come Dio è 'luce' (v. 5) , così è pure 'verità', e proprio come 'luce' è (si vuole che sia) il modo dell'esistenza umana, cosi pure è 'verità' ,. (Epistles 19) .

Commento

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29A, 1 022-23; 1037-38; tr. it. 1287; 1 306 s ) . Essere figli della luce e continuare a camminare nelle tenebre è, quindi, ve­ ramente una menzogna per il motivo che il comportamento non combacia con la realtà (e aletheia è sia « verità » che « realtà » ). Quindi, a modo suo, l'autore della lettera sta operando da un principio perfezionista, come pure i suoi oppositori. Dallo stato esaltato del cristiano, i secessionisti deducono una posizione di indifferenza verso ciò che il cristiano fa. Dallo stato esaltato del cristiano, l'autore deduce una posizione accentuante l'importanza di ciò che il cristiano fa. La loro è una concezione statica della perfezione che Dio ha dato al cristiano; la sua è una concezione dinami­ ca. Noi vediamo ciò se esaminiamo i due elementi in ciascuna delle apodosi composte in l , 6.8.10. La prima proposizione di ciascuna riguarda mentire ( « siamo menti­ tori »; « inganniamo noi stessi »; « facciamo di lui un mentitore >> ). La seconda proposizione di ciascuna di esse riguarda la mancanza di verità ( « non agiamo in verità » ; « l a verità non è i n noi » ; « l a sua parola non è in noi >> ) . L'atteggiamento dinamico è evidente nel fatto che l a pri­ ma deriva dalla seconda - verità divina, come vita divina, è una realtà inerente a noi che deve essere attiva. « Se dimorate nella parola, sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi » ( 8 , 3 1-32 ). Così intesa, l'accusa di mentire va oltre un'accusa di dire una falsità. Una menzogna indica ·che uno è: un figlio di te­ nebre piuttosto che un figlio di luce - uno il cui padre è il diavolo, un mentitore. ( Nelle NoTE a l , 6c e l , 8b, abbiamo visto che i rispettivi termini per mentire e inganno appaio­ no nel giudaismo dualistico del periodo intertestamentario come descrizioni delle forze contrarie a Dio ). Proprio co­ me ci fu una progressione da male in peggio nei vanti ( le protasi), così nelle apodosi c'è una progressione nella proposizione che tratta della menzogna, ma non nella proposizione che tratta della verità. La proposizione della verità fornisce la base dell'azione ( menzogna ), e la base resta la stessa. In sintesi, pretendere di avere comunione con la luce mentre si cammina nelle tenebre ( 1 , 6ab ) e, pertanto, dire che la propria azione non cambia sostanzialmente nulla, mostra che si è un lT'entitore ( 1 , 6c), poiché se si cammina

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nelle tenebre, si deve stare vivendo nelle tenebre. Rico­ noscere che le proprie azioni sono inique, ma dire che un'azione iniqua non crea colpa in un figlio di Dio ( 1 , Sa), è peggio che essere un mentitore; è scegliere di ingannare se stesso ( l , 8b ) e, quindi, essere volontariamente dalla parte dello spirito di inganno. Ancora peggio è negare che le proprie inique azioni siano veramente inique ( 1 , 10a); questo significa cambiare la luce in tenebre, la verità in falsità, il diavolo che è un mentitore farlo Dio ( 1 , lOb ) .

2 . L e condizioni approva te

Se l'autore della lettera avesse avuto soltanto l'interesse di confutare una cattiva teologia secessionista che poteva pervertire i suoi seguaci, avrebbe potuto rimanere soddi­ sfatto dei tre periodi condizionali esprimenti la sua di­ sapprovazione. Ma egli è pure interessato a comunicare ai suoi seguaci il positivo influsso della tradizione giovannea su questioni rese oscure dalla propaganda secessionista. E così l'autore ha opposto a ogni periodo condizionale di disapprovazione un periodo condizionale di approvazione. Le tre condizioni approvate si possono disporre così : (a) PROTASI 7ab : 9a: 2, lb

Ma se camminiano nella luce come egli stesso è nella luce Ma se confessiamo i nostri peccati Ma se qualcuno pecca

( b ) APODOSI COMPOSTE 7c: 7de: 9bc : 9d: 2, led:

siamo uniti in comunione l'un con l'altro e il sangue di Gesù, suo Figlio, purifica noi da ogni peccato Colui che è fedele e giusto perdonerà a noi i nostri peccati e purificherà noi da ogni iniquità. abbiamo un Paraclito alla presenza del Padre, Gesù Cristo, colui che è giusto, 2, 2abc ed egli stesso è una riparazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri peccati ma anche per tutto il mondo .

Seguendo lo stesso modello usato per le condizioni di­ sapprovate, considererò ora ogni componente delle condi­ zioni approvate. ( a ) PROTASI. Considerate in se stesse, le tre protasi creano

Commento a 1 , 5 - 2, 2

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un interessante contrasto. La prima insiste sul camminare nella luce; le altre due, riconoscendo che alcuni cammine­ ranno nelle tenebre, dicono che cosa fare a loro riguardo. Ma, naturalmente, queste protasi delle condizioni appro­ vate non possono essere semplicemente considerate in se stesse, poiché costituiscono il contrario delle protasi delle condizioni disapprovate 31 • Al vanto di ispirazione seces­ sionista di essere in comunione con Dio che è luce mentre camminano nelle tenebre ( 1 , 6ab ) è opposta l'idea di camminare nella luce corrispondente alla luce divina ( 1 , 7b ) 32• Al vanto di ispirazione secessionista di essere libero dalla colpa di peccato ( 1 , Sa) è opposta l'idea di confessare pubblicamente i peccati ( 1 , 9a). Al vanto di ispirazione secessionista negante il fatto di avere peccato ( 1 , l Oa ) è opposta una asserzione che suggerisce la proba­ bilità del peccato (2, l b ). Il termine « opposta » non è esatto, poiché nella seconda condizione la protasi appro­ vata fa più che negare la protasi disapprovata. In risposta al vanto: « Noi siamo liberi dalla colpa di peccato », l'au­ tore non dice semplicemente : « Noi non siamo liberi dalla colpa di peccato ,, , ma propone una confessione pubblica di peccato 33• ( b ) APODOSI COMPOSTE. In questa serie di condizioni appro­ vate, le apodosi portano il peso della teologia dell'autore della lettera. Come le apodosi delle condizioni disapprova­ te, queste sono composte. C'è meno regolarità nella prima proposizione del periodo composto, ma la seconda proposi­ zione tratta sempre di un rimedio al peccato ( purificare o riparare ). Nelle condizioni disapprovate, noi abbiamo trova­ to un modello : la prima proposizione asseriva che un com­ portamento iniquo o peccaminoso costituiva una menzo31 13.

interessante notare che nel primo paio condizionale le protasi (disapprovate e approvate) sono più lunghe di quelle del secondo e del terzo paio - l'autore era interessato a modelli. 32 Si veda la NoTA a l, 7b per il mutamento da « Dio è luce " ( l , Sd) a « Egli è nella luce »: uno spostamento da Dio come il fonda­ mento della attività cristiana a Dio come modello . 33 Nella NoTA a l, 9a, ho sostenuto che questo significa confessione davanti alla comunità giovannea e riflette la teologia dell'autore che koinonia l'un con l'altro è essenziale per avere koinonia con Dio ( 1 , 3) . II peccato è nocivo ad ambedue le forme di koinonia.

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gna o un inganno per il motivo che ( seconda proposizio­ ne ) non si poteva fondare sulla verità. In altre parole, nelle condizioni disapprovate l'apodosi metteva in risalto che il dono di Dio era dinamico e non poteva produrre inganno peccaminoso. Ora, invece, avendo mostrato in reazione ai vanti di ispirazione secessionista che egli di­ sapprova l'indifferenza verso il camminare nelle tenebre e nel peccato, l'autore viene alle prese con il fatto che qualche volta il comportamento dei cristiani non è degno della luce. I secessionisti si trovarono di fronte allo stesso problema, ma lo risolsero affermando che un comporta­ mento iniquo non aveva importanza o non doveva creare una colpa o non era realmente peccaminoso. L'autore evita tali menzogne e vuole che i cristiani riconoscano e confes­ sino pubblicamente che un comportamento iniquo è te­ nebra e peccato, che non può venire dalla vita, dalla luce e dalla verità di Dio che è dentro di loro. Questi peccati riconosciuti privano allora i credenti di quella vita, di quella luce e di quella verità ? Affatto! Proprio per il motivo che il dono divino inerente in loro è dinamico, esso non solo abilita i credenti a camminare nella luce e nella verità, ma porta anche perdono e purificazione quando il credente cade. Il vero vangelo non consiste nel fatto che con l'iniziazione al ·c ristianesimo i credenti sono inaccessibili al peccato, ma che sono stati iniziati a una religione che ha potere efficace contro il peccato. I peccati non distruggono l'esistenza cristiana; e questo non per il motivo che i peccati sono incensurabili o privi di valore, ma per il motivo che il Dio che è luce è anche fedele e giusto. Pertanto, egli possiede gli attributi del Dio dell'al­ leanza che cerca la salvezza del suo popolo e non lo abbandona quando è infedele ( si veda la NoTA a l , 9b per giustizia in senso salvifico ). Ammesso che noi conosciamo le pratiche penitenziali del cristianesimo primitivo, l'atteggiamento giovanneo è libe­ rale nei confronti di peccati commessi dopo che uno è divenuto credente 34 • In Eb 1 0, 26 - 27, abbiamo una teolo­ gia della riparazione simile a quella di l Gv, ma un atteg-

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Nelle NOTE a 1 , 7e e Sa ho rifiutato le proposte che lGv stia par­ lando del peccato originale o stia interessandosi solo della giustifi­ cazione iniziale.

Commento a l, 5 - 2, 2

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giamento molto più severo nei confronti del peccato : « Se pecchiamo volontariamente dopo avere ricevuto la cono­ scenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio » 35• Più tardi, Erma (Man. 4.3.6 ) istruisce : « Dopo la grande e santa chiamata, se una persona viene tentata dal diavolo e commette peccato, ha possibilità di pentimento; ma se pecca e si pente ripetutamente, per una tale persona esso è infruttuoso. Con difficoltà otterrà vita eterna » . Nei primi secoli, fu disciplina ecclesiastica non perdonare i peccati di adulterio e di apostasia. Ma l Gv immagina una purificazione « da ogni peccato » e « da ogni iniquità », e una riparazione « non solo per i nostri peccati ma anche per tutto il mondo ». In modo curioso, quindi, l'autore è allo stesso tempo severo e comprensivo : egli non tollererà peccato se non come un male che si può perdonare 36 • Nella sua teologia del perdono entrano due fattori che costituiscono un implicito attacco al pensiero secessioni­ sta. Nella prima apodosi ( 1 , 7cde ), egli collega « comunio­ ne l'un con l'altro » a purificazione dal peccato (come fa implicitamente nella seconda protasi [ l , 9a] quando parla di confessare i peccati pubblicamente ). La nuova vita, data da Dio, fa del credente un figlio di Dio, ma assieme agli altri figli di Dio - non esiste vita cristiana al di fuori della comunione cristiana dei credenti , una comunione ( koinonia ) che a giudizio dell'autore i suoi oppositori hanno lasciato 37 • Forse l'autore trovò che il vangelo confermava 35

L'autore può riferirsi specificatamente all'apostasia, che è il soggetto di 10, 32-36. 36 Kasemann, « Ketzer ,. 182, vede lGv come anticipante la teologia di simul iustus et peccator. Meno anacronisticamente, l'autore non è lontano da Sap 15, 1-2: « Ma tu, nostro Dio, sei buono e vero, lento all'ira e tutto governi con misericordia. Ma anche se pec­ chiamo, siamo tuoi e conosciamo la tua potenza ; ma non pecche­ remo, conoscendo che apparteniamo a te ». 37 Si veda Michl, Briefe 204. Alcuni studiosi hanno proposto che sa­ rebbe più logico leggere 7de prima di 7c, così che la nostra purifi­ cazione dal peccato operata da Gesù potrebbe introdurre all'idea della nostra comunione dell'un con l'altro. A parte la supposizione che successione verbale significhi successione storica, questa pro­ posta riflette una interpretazione doppiamente errata. Primo, essa suppone che purificare dal peccato significhi giustificazione iniziale. Ma 1Gv sta parlando a riguardo del nostro essere purificati, che significa la purificazione, di coloro che sono già cristiani, da pec-

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questo nella lavanda dei piedi compiuta da Gesù nell'ul­ tima cena, un'azione simbolica del potere purificatore del­ la morte di Gesù ( 1 3, 8 . 1 0 ; ABJ 29A, 562 ; tr. it. 670 ) che è stata interpretata a livello subordinato come riferentesi agli effetti del battesimo 38. lvi, Gesù insegna ai suoi disce­ poli che, se egli ha lavato i loro piedi , essi devono lavarsi i piedi l'un l'altro ( 1 3, 14 ). Pertanto, comunione dell'un con l'altro è un contesto perché Cristo possa purificare. Un secondo fattore antisecessionista nella teologia del perdo­ no dei peccati dell'autore della lettera può essere l'accen­ tuazione posta sulla morte cruenta di Cristo, specialmente se i secessionisti pensavano che la salvezza si compì sem­ plicemente tramite la venuta della luce nel mondo 39• Nella prima apodosi ( 1 , 7de ), leggiamo che « il sangue di Gesù ... purifica noi da ogni peccato » 40; e nella terza apodosi (2, 2), che il giusto ( dikaios ) Gesù, un Paraclito alla pre­ senza del Padre, è « egli stesso una riparazione per i nostri peccati » : un ri ferimento al rituale veterotestamen­ tario del giorno di riparazione quando il sommo sacerdote portava il sangue di un animale senza macchia nel Santo dei Santi per espiare i peccati del popolo 41 • Noi non cati che hanno commesso dopo la conversione. Secondo, la pro­ posta non rende giustizia alla successione in l, 3, dove comunione « con noi » precede comunione con Dio. 38 Molti MSS. leggono 13, 10 con una espressione che ho scritto in corsivo: « L'uomo che ha fatto il bagno non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ; ed è tutto pulito » ; e si pensò che ciò significasse che la persona battezzata non ha bisogno di un ulteriore bagno (battesimo) , ma solo di una lavanda più piccola (penitenza per i peccati posteriori) . Alcuni studiosi pensano che questo fosse il si­ gnificato originale ; si veda ABJ 29A, 567-68 (t r. i t. 677) . 39 Da lGv S, 6 si congettura che i secessionisti avrebbero negato che Gesù Cristo « venne in sangue », affermando solo che egli « venne in acqua » . Presumibilmente, questo significa che essi ac­ cettavano il valore salvifico della prima manifestazione di Gesù, simboleggiata dal battesimo con acqua di Giovanni (Gv l, 31) , ma non della sua morte quando sangue e acqua sgorgarono dal suo corpo ( 1 9, 34) . > e di >. Il tema del conoscere Dio o del conoscere Cristo ( sotto vari titoli) ricorre 11 volte in lGv, sempre con gh inos kein (2, 3 .4. 13; 3, 1 .6; 4, 6.7.8 ; 5, 20). Nel vangelo di Gv, il primo impiego di ghinoskein per conoscere Dio o conoscere Cristo si trova nel prologo ( 1 , 10), e poi viene usato in 8, 55; 10, 15; 14, 7; 16, 3 ; 17, 3.25, mentre eidenai ( oida ) viene usato i n l , 26.3 1 .33 ; 7 , 28.29; 8, 19.55; 14, 7; 15, 2 1 . L'impossibilità di una netta distinzione viene illustrata da due asserzioni del vangelo di Gv : ( Esd 7, 1 1 ). 4a. La persona che afferma : « Lo conosco ». Alla lettera : « Co­ lui il quale dice che io ho conosciuto lui ». Questo è il primo dei tre participi presenti sing. masch. del verbo « dire » (2, 4a.6a.9a ) che introducono affermazioni che l'autore rifiuta. Brooke e Westcott sono tra coloro i quali pensano che i tre participi nel cap. 2 indichino che la minaccia è più reale di quella espressa dalle tre condizioni « se diciamo [ci vantiamo ] » del cap. 1 . Comunque, il participio greco può essere tradotto in modo condizionale; e il participio in 2, 4a viene con trappos to a una frase semicondizionale in 2, Sa, proprio come le condizioni nel cap. 1 furono contrapposte a condizioni contrarie. Se c'è qualche differenza di tono tra le tre tesi disapprovate nei capp. l e 2, essa sta nell'uso della prima persona nel cap. 1 ( « noi » ) e della t�rza persona ( « uno, persona » ) nel cap. 2 . Le errate asserzioni qui si possono considerare esatte citazioni dai seccs-

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sionisti, mentre quelle nel cap. l possono essere state di ispira­ zione secessionista ma riformulate nel modo di dire dell'autore. Nel presente passo, ho ti (o il non tradotto « che » di discorso indiretto ) è omesso dagli scrivani della tradizione testuale bi­ zantina a imitazione di 2, 6a.9a, dove è genuinamente assente. Il vanto che l'autore rifiuta è: « Lo ho conosciuto » - lo stesso verbo (ghinòskein ) e lo stesso tempo (perf., equivalente a pre­ sente ) usati in 2, 3a dove l'autore approvò la possibilità di conoscere Dio! Chiaramente, quindi, il rifiuto del vanto da parte dell'autore dipende dalla proposizione in 4b : « Senza osservare i suoi comandamenti ». Il parallelismo con 2, 3a, dove molto probabilmente il « lui » è Dio, e con 2, 6a ( « la persona che afferma di dimorare in lui » ), dove il « lui » deve essere Dio, e il fatto che in lGv « comandamenti » ( pl. in 2, 4b ) si riferiscono sempre a Dio, rende difficile sostenere un riferimento a Cristo in 2, 4a, sebbene quell'idea si trovi altrove in lGv (2, 13b.l4d: « Avete conosciuto lui che è stato dal principio »). 4b. senza osservare i suoi comandamenti. Alla lettera : « E non osservando i suoi comandamenti », che continua la costruzione participiale di 4a. La negazione è me, come di solito avviene con participi nel NT e, quasi senza eccezione, negli scritti giovannei ( BDF 430• ). 4c. è un mentitore. Per la relazione pseustes con altre parole pseud-, si veda la NoTA a l, 6c : « Siamo mentitori ». L'afferma­ zione di Westcot t e Brooke che il sostantivo « mentitore » può essere pitt rivelatorio del carattere della persona che fa la falsa affermazione di quello che sia il verbo « mentire >> impiegato in 1, 6c, è un altro esempio della tendenza dei più antichi com­ mentatori a conferire importanza a ciò che sono soltanto varia­ zioni stilistiche. 4d. e non c'è verità in una tale persona. Alla lettera : « In quest'uno >>, una espressione che il codice sinaitico omette, leg­ gendo piuttosto : « E non c'è verità di Dio >> a imitazione dello scrivano dell'espressione « amore di Dio » nel prossimo verso. La « e » iniziale è omessa dal codice alessandrino. Come per l, 8 ( « se ci vantiamo ... la verità non è in noi ») e l, lO ( « se ci vantiamo ... la sua parola non è in noi » }, questo è un esempio della classificazione B della formula einai en già discussa più sopra nella NorA a l, Se. Sa. Ma chiunque osserva la sua parola. Questa proposizione illustra la costruzione del nominativo assoluto (o casus pendens della grammatica semitica : BDF 4662) per mezzo della quale,

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per focalizzare l'attenzione su « questa persona )) di Sb, la sua identificazione viene espressa con una proposizione che nel contesto viene posta in evidenza e sta in una libera connessione grammaticale con ciò che segue. Essa è più drammatica ed enfatica che se l'autore avesse adoperato una semplice proposi­ zione relativa : « Veramente, nella persona che ha osservato la sua parola ... ». Il relativo indefinito hos d'an ( « ma chiunque » ) h a una forza non diversa dall 'ean d e usato nella condizione avvertiva di l, 7a ( « ma se ») in quanto ancora una volta, dopo avere attaccato un'affermazione che riflette la teologia dei suoi oppositori, l'autore contrappone una frase ( semi )condizionale che mostra come affrontare correttamente il problema. Quanto a « la sua parola », Westcott, Epistles 48, sostiene che la posi­ zione del pronome « sua » è enfatica; comunque, non c'è motivo per pensare che l'autore stia contrapponendo la parola di Dio alla parola dei suoi oppositori. Come ho indicato alla fine della NoTA a 2, 3b, non trovo differenza tra « la sua parola )) e > ( teleiosis ) dell'amore di Israele per lui. Anzi, dal momento che lGv 2, 5b parla dell'amore di Dio che raggiun­ ge la perfezione, è l'amore umano per Dio che più facilmente viene concepito come perfettibile. (b) Amore di Dio per gli esseri umani. In relazione a 2, 5b, il genitivo soggettivo viene difeso da Bengel, Bonsirven, Bult­ mann, Calvino, Gaugler, Heise, Houlden, Lazure, Schlier, West­ cott, Jb e THLJ ( ?). Il migliore argomento è che questo è il principale significato che Gv dà ad agape, come più sopra abbiamo visto. ( Anzi, può essere il significato dominante in tutta la Bibbia se si giudica da BDB 13 ). Si tratta dell'unico significato possibile in alcuni degli 8 casi giovannei dell'espres­ sione genitivale; ad es., il parallelo con « il mio amore », che adopera un aggettivo in Gv 15, 9, mostra che l'espressione geni­ tivale in 15, 10 si deve leggere soggettivamente. L'obiezione che l'amore di Dio è già perfetto e non può « raggiungere la perfe­ zione >> ( l Gv 2, Sb ) non è convincente : nel senso giovanneo, esso è perfettibile ( teleioun) in quanto deve essere esternato nelle nostre vite. Gv 13, l adopera una parola imparentata quando dice che Gesù, « avendo amato i suoi che erano in questo mondo, mostrò allora il suo amore per loro proprio fino alla fine » [ telos ] . Un passo che si avvicina molto a quello in discus­ sione è l Gv 4, 12: « Se ci amiamo l'un l'altro, Dio dimora in noi ; ed he agape autou ha raggiunto la perfezione in noi ». A motivo del contesto immediatamente precedente, dove « l'amore di Dio » (4, 9) deve significare amore di Dio per noi, l'espressione greca

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in 4, 12 si dovrebbe tradurre soggettivamente : « Il suo amore », piuttosto che « l'amore di lui ». Il fatto che 4, 12 e il presente passo parlino dell'amore di Dio che raggiunge la perfezione nella persona che osserva la parola di Dio suggerisce, per parallelismo, che qui si tratta di un genitivo soggettivo. ( c.d.e ) Passando alle ultime tre possibilità in relazione a 2, 5b, ( c ) viene sostenuto da Brooke, de Ambroggi ( ? ), Hoskyns, Schneider e Windisch; ( d ) viene sostenuto da Schnackenburg e NEB; mentre (e) viene suggerito da THLJ. Tutte e tre riflettono un disagio a decidere tra ( a ) e (b). Ci si può chiedere se almeno implicitamente l'autore della lettera non si sia mai chiesto che tipo dì genitivo intendesse; o adoperò semplicemente un'espres­ sione fatta con tutto un complesso di significati che egli non rifinì ulteriormente? Qui, penso sia impossibile sapere con cer­ tezza cosa l'autore intendesse, sebbene egli abbia certamente incluso il significato ( b ) . Io adopererò il non impegnativo « a­ more di Dio », che ha l'incerto vantaggio di non escl udere niente.

ha raggiunto la perfezione. Il predicato verbale di 2, Sb adopera il tempo perfetto passivo di teleioun, « completare, rendere perfetto ». THLJ 47 mette in rilievo che qui il tempo perfetto è equivalente a un presente; analogamente, BDF 344 vede questo come un raro esempio dell'uso greco che il greco classico fa del tempo perfetto in asserzioni generali. Teleioun (23 volte nel NT) è usato per un totale di 5 volte nel vangelo di Gv : per il completamento da parte di Gesù dell'opera che il Padre gli diede da fare (4, 34; 5, 36; 17, 4), per il completo adempimento della Scrittura ( 1 9, 28 ) e per portare coloro che credono in Gesù alla perfezione dell'unità ( 17, 23 ). In lGv, esso viene usato 4 volte, sempre per la completezza o perfezione dell'amore ( qui, 4, 12. 1 7.18); e il rispettivo aggettivo teleios appare (uso solo giovanneo ) come una descrizione dell'amore in 4, 1 8 : « L'amore perfetto scaccia il timore » . Dal momento che osservare i co­ mandamenti (o la parola di Dio) implica certamente esternare il comandamento di amarsi l'un l'altro, l'amore di Dio mostra­ taci in Gesù Cristo raggiunge la sua perfezione quando lo stesso amore viene manifestato a vicenda e al Dio che dimora nel cristiano. Abbiamo visto che l'idea di amare Dio è ben docu­ mentata sia nell'AT che nel giudaismo intertcstamentario; ana­ logamente, ivi troviamo che amore e perfezione sono in relazio­ ne con l'osservanza dei comandamenti. L'amore della Sapienza è identificato con l'osservanza delle sue leggi in Sap 6, 18. Pro­ prio come « coloro che amano Dio » è un'autoidentificazione della comunità di Qumran, così lo è pure « coloro che cammi­ nano perfettamente in tutte le vie di Dio, osservando i suoi

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precetti » ( lQS 2, 2; 4, 22; 8, 20-2 1 ; 1QM 14, 7; 1QSa 1, 17.28 ). Molto chiaramente, questo faceva parte del concetto di alleanza della comunità di Qumran la quale credeva che Dio l'avesse costituita come una « casa di perfezione e verità » per stabilire un'alleanza secondo i precetti eterni ( 1QS 8, 9-10). Nel NT, « essere perfetto » ( teleioun, teleios, ecc.) è una meta frequentemente enunciata ( lCor 2, 6; 14, 20; Col l, 28; Ef 4, 13 ), considerata molto chiaramente un ideale di alleanza da M t 5, 48 : « Dovete essere perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto ». Per M t 19, 2 1 , la perfezione viene determinata dalle buone opere fatte per il povero; Gc 1, 25 vede l'operatore di buone opere come colui che vive secondo « la legge perfetta di libertà " · Per Paolo ( lCor 1 3 , 8.10), agape è ciò che rimarrà quando tutto il resto scomparirà - 'il perfetto' che supera in durata l'imperfetto. In Eb, è particolarmente forte l'idea che la perfezione, impossibile attraverso la legge e attraverso le opere e i sacrifici che comandava (7, 1 1 .19; 9, 9; 10, l ), è stata conse­ guita attraverso Gesù, il perfezionatore ( 12, 2), il sommo sacer­ dote che fece riparazione per mezzo del suo sangue ( lO, 14; 12, 23-24 ). (Si veda P. J. Du Plessis, Teleios. The Idea of Perfe­ ction in the New Testament [ Kok, Kampen, circa 1960] ; A. Wikgren, « Pattern of Perfection in the Epistle to the He­ brews >>, NTS 6 [ 1 959-60] 159-66 ). Pertanto, nel NT ci sono s� pravvivenze di un ideale giudaico secondo il quale perfezione avviene facendo ciò che Dio ha comandato ; ma questo viene modificato dal credo che solo il compimento di Dio in Gesù ci dà la possibilità di fare ciò che Dio realmente vuole. Vicino a lGv nel collegare la perfezione dell'amore all'osservanza dei comandamenti è JClem. ( più sopra, p. 27 ) e Didache 10, 5 che prega : « Ricorda, Signore, la tua chiesa ... per renderla perfetta nel tuo amore ». Alla fine del r-sec., quindi, in tali documenti la vita della chiesa veniva considerata come l'arena per la perfe­ zione dell'amore. Bultmann, Epistles 26, mette in rilievo anal� ghe connessioni tra perfezione e amore negli scritti mandei : « Amatevi l'un l 'altro nella fedeltà e portate a perfezione il vostro amore » (Diritto Ginza 1 .20.8; Lidzbarski p. 22). Perfe­ zione e 'il perfetto' costituiscono un solido tema anche nello gnosticismo; si veda W. Schmithals, Paul and the Gnostics ( Abingdon, Nashville 1972 ) 99-104 per possibili radici nel NT del posteriore uso gnostico. Comunque, gli gnostici normalmente collegherebbero la perfezione più con la conoscenza che non con l'amore e l'osservanza dei comandamenti.

Se. Da questo possiamo essere sicuri. La stessa espressione ( en touto seguito da ghinoskein ) venne adoperata in 2, 3a. Qui, c� munque, en tout6 non è seguito da una proposizione subordina-

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ta che modifica il touto; esso appartiene alla classificazione ( B ) piuttosto che alla classificazione ( A ) discussa nella NoTA a 2 , 3a; e così, grammaticalmente, il « da questo » può riferirsi o a ciò che precede o a ciò che segue o ad ambedue. Se si collega con ciò che precede, esso forma una inclusione con 2, 3a chiudendo ermeticamente questa sottounità (Chaine ). O, dal momento che 2, 3a portava alla prima asserzione : « La persona che afferma » in 2, 4-S, anche 2, Se potrebbe guidare a ciò che segue, cioè, alla seconda asserzione : « La persona che afferma » in 2, 6 (Williams comincia qui una nuova unità : 2, Sc-1 1 ) . Un problema sollevato da tale ragionamento è che 2, 3 introduce l'intera unità, non soltanto i vv. 4-5; e così non c'è necessità strutturale che 2, Se serva come introduzione a 2, 6. Favorevoli a una relazione con ciò che precede sono Bonsirven, Bultmann, de Ambroggi, de La Potterie, Haas , Nestle, THLJ, Schnackenburg, Schneider e la KJV. Favorevoli a una relazione con ciò che segue sono Balz, Brooke, Bruce , Dodd, Ewald, Heise, Holtzmann, Stott, West­ cott, Williams e la NEB, RSV e TEV. Che si riferisca ad ambedue viene proposto da Chaine e Wilder. La differenza di significato tra queste concezioni non è significativa. Giudicherei che, fondamentalmente, si riferisce a ciò che precede, riassu­ mendolo; ma, allo stesso tempo, è una transizione a ciò che segue - « siamo in lui » alla fine del v. Se conduce all'afferma­ zione « dimorare in lui » in 6a.

siamo in lui. L'espressione di relazione è così improvvisa che molti traduttori parafrasano, ad es., « in unione con lui »; ma ciò oscura il fatto che questo è un esempio (il primo) di einai en, « essere in », adoperato come una formula di divina imma­ nenza o inabitazione (Dio o Cristo e il cristiano ). Questo appar­ tiene al raggruppamento (A) di einai en discusso nella NoTA a l,Se. La formula più frequente per immanenza è menein en, « rimanere in », che ricorre nella prossima riga (v. 6a ), e io posporrò la discussione generale di inabitazione fino a quel punto. Nella presente riga, la identità del « lui » viene determi­ nata dalla propria decisione a riguardo del « lui » in 3a, dove io ho optato per « Dio ». Alcuni studiosi pensano che qui il riferi­ mento sia a Cristo (Dodd, Heise, Stott, Williams); ma virtual­ mente la stessa espressione nella prossima riga (2, 6a : « dimo­ rare in lui ») deve riferirsi a Dio. Sd. Noi troviamo qui la prima delle letture latine ( INTRODUZIONE VI B) con scarsa o nessuna attestazione in greco : si in ipso perfecti fuerimus (o consummati inveniemur), « se siamo stati resi perfetti in lui ». Questa si trova nel commentario di Agosti­ no. ( In Epistolam 1 .9; SC 7S, 1 34 ), ma anche in Pseudo-Agostino,

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Beda e nella volgata spagnola, come pure in un MS. greco del VIII secolo (psi; Thiele, « Beobachtungen » 68, sostiene un origi­ nale greco ). Grammaticalmente, questa cambierebbe radical­ mente 2, Se, poiché en touto avrebbe ora una continuazione e do­ vrebbe riferirsi a ciò che segue (classe [A] nella NoTA a 2, 3a ) : « Da questo possiamo essere sicuri che noi siamo i n lui, cioè, se siamo resi perfetti in lui ». Il modello di una proposizione « se » che continua en touto è stato stabilito in 2, 3 e può avere influito sugli scrivani nel fare un'aggiunta qui. 6a. La persona che afferma di dimorare in lui. Alla lettera : « Colui che dice », come in 2, 4a, ma qui seguito da un infinito piuttosto che da una proposizione hoti di discorso indiretto. Il distintivo uso di ekeinos per Cristo in 2, 6c rende qui chiara l'identità di autos ( « lui » ) come Dio, sebbene Biichsel, Heise e altri sostengano un riferimento a Cristo. Menein, un verbo di preferenza giovannea (55% dell'uso totale del NT; 40 volte nel vangelo di Gv ), fa la sua prima comparsa epistolare (24 volte in 1Gv, e 3 in 2Gv ). Esso ha una vasta gamma di significati; e Pecorara, « De verbo » 1 64, elenca 7 significati per Gv : « rimanere, abitare, restare, vivere, persiste­ re, perseverare, essere intimamente unito a ». Ciò nondimeno, per i nostri scopi « rimanere » e « dimorare/abitare » offrono un adeguato raggio di traduzione. Particolarmente tra gli studiosi tedeschi, anche quel raggio viene messo in discussione per quanto riguarda la formula menein en che maggiormente ci interessa. Heise, Bleiben 172, rifiuta la traduzione wohnen, « a­ bitare, dimorare » a favore di bleiben, « rimanere », mentre Schenke, « Determination » 209-10, rifiuta bleiben per la ragione che menein implica molto più una durata. Lammers, Menein 166-69, insiste che nell'uso giovanneo il verbo è più escatologico che temporale, implicando una partecipazione alla pienezza e alla perfezione di Dio. Nella maggior parte dei casi, nel vangelo di Gv e in 1Gv ho preferito « dimorare » per esprimere la rela­ zione vitale in questione; ciò nonostante, il simbolismo della vite e dei tralci in Gv 1S rendeva lì più comprensibile « rima­ nere », poiché un tralcio non dimora nella vite. L'espressione einai en, « essere in », e menein en, « dimorare in », sono quasi interscambiabili. Nella NoTA a l, Se, ho diviso gli usi teologici di einai en sotto tre titoli che si possono adoperare anche per menein en, una espressione giovannea an­ cora più frequente ( 1 9 volte esplicitamente o implicitamente nel vangelo di Gv, 22 volte in 1Gv, 3 volte in 2Gv): (A) INABITAZIONE RIFERITA A DIO. Menein en viene adoperato per descrivere la costante presenza del cristiano in Dio e in Gesù e

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viceversa. ( Una discussione di immanenza seguirà questo rag­ gruppamento di usi ). I 10 esempi di questo impiego di menein en nel vangelo di Gv e i 14 esempi in 1 Gv possono essere così analizzati: - per il cristiano in Dio : 1 Gv 2, 6; 3, 24; 4, 1 3 . 1 5.16 - per il cristiano in Gesù : Gv 6, 56; 15, 4.5.6.7; 1Gv 2, 27.28; 3, 6 - per il cristiano in Gesù e nel Padre : 1Gv 2, 24 - per Dio nel cristiano : Gv 3, 24; 4, 12.13.15.16 - per Gesù nel cris tiano : Gv 6, 56; 15, 4.5 - per il Padre in Gesù : Gv 14, 10 - menein para è usato per lo Spirito di verità che dimora con il cristiano in Gv 14, 17 ( si veda 1Gv 3, 24; 4, 13). (B) INABITAZIONE DI ALTRE REALTÀ NEL CRISTIANO. Ci sono due e­ sempi di questo uso di menein en nel vangelo di Gv e 7 in 1 Gv e 2Gv. Le frequenze per einai en sono state rispettivamente 5 a 7; ma la formulazione con einai en è stata quasi sempre negati­ va, mentre menein en è spesso positivo; ad es., si dice che le seguenti realtà dimorano nel cristiano : - la parola : Gv 15, 7 ( di Gesù ); 1Gv 2, 14 (di Dio) - la verità : 2Gv 2 - ciò che il cristiano udì dal principio: 1Gv 2, 24 - l'unzione ricevuta da Cristo : lGv 2, 27 - il seme di Dio : 1Gv 3, 9. Si dice che le seguenti realtà positive non rimangono o dimora­ no in coloro che gli autori giovannei disapprovano ( ad es., fi giudei', i secessionisti ) : - l a parola d i Dio : Gv 5, 38 - la vita eterna : 1Gv 3 , 15 - l'amore di Dio : 1Gv 3, 17. Si deve notare che la « parola di Dio », « la verità » e l'« amore di Dio » sono realtà sia negli elenchi einai en che menein en sotto (B). ( C ) USI TEOLOGICI ETEROGENEI. Ancora una volta, questi sono spesso corollari del dualismo riflesso nel precedente raggrup­ pamento, ma non si prestano facilmente a una schematizzazio­ ne. Le prime tre voci che seguono si possono trovare anche nell'elenco einai en sotto (C). Si può dimorare o rimanere in : - luce o tenebre: colui che ama il proprio fratello nella luce ( lGv 2, 10); nessun credente nelle tenebre ( Gv 12, 46 ) - vita o morte : l'uomo senza amore nella morte ( l Gv 3, 14) - amore : il cristiano nell'amore (Gv 15, 9.10; 1Gv 4, 16); Gesù nell 'amore del Padre (Gv 15, 10) - parola: il cristiano nella parola di Gesù ( Gv 8, 3 1 ) - insegnamento : i l cristiano (ma non i l secessionista troppo progressista ) nell'insegnamento di Cristo (2Gv 9). Avendo, quindi, classificato gli usi giovannei di menein en, mi

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concentrerò ora sul raggruppamento (A) di cui il presente pas­ so è il primo esempio nella lettera. Il fatto che questo raggrup­ pamento per einai en ( NOTA a l , Se) e menein en abbia virtual­ mente la stessa gamma di relazioni indica che le due espressio­ ni non sono molto diverse. Anzi, in certi passi esse sono quasi interscambiabili; ad es. : « Il Padre è in me ... il Padre che dimora in me » ( Gv 14, 10). t:. vero per ambedue i verbi che inabitare in Cristo è più comune nel vangelo di Gv, mentre inabitare in Dio è più comune in 1Gv. Einai en è più frequente per le relazioni divine interne (il Padre in Gesù e viceversa). Menein en, che in proporzione è più frequente in 1Gv che nel vangelo di Gv, esprime due punti importanti : primo, la relazio­ ne del cristiano con Dio non è solo una serie di incontri, ma un modo stabile di vita; secondo, che la stabilità non implica inerzia, ma una vitalità visibile nel modo di comportarsi ( = camminare). Nel cercare uno sfondo, dobbiamo distinguere tra il vocabolario di immanenza e il concetto. Cominciando con il vocabolario, troviamo scarso aiuto per un esatto parallelismo nella Bibbia o nel mondo ellenistico. Biblicamente, menein en è quasi esclusi­ vamente una espressione giovannea per inabitazione divina. Si dice che Dio « rimane per sempre » in passi dell'AT (greco di Sal 9, 8 [7] ; 102, 13 [ 12] ; Dn 6, 27 [26 ] ), ma non si dice che « rimane in » individui. (Analogamente, si dice che realtà divine « rimangono per sempre »; si veda NOTA a 2, 17d, e Heis�. Bleiben 1 7 1-72 ). Nel NT, sebbene Paolo parli frequentemente di essere in Cristo egli non adopera menein en in questo senso. Quanto al pensiero religioso ellenistico, Dodd, Epistles 32, commenta che, tra le molte formule per l'unione mis tica con Dio, la formula menein en non ha posto. Né è di uso corrente in Filone o negli stoici. ( Lammers, Menein 1 66, mette in rilievo che nel culto mitraico menein syn, « rimanere con », descrive w1a relazione divina ). Anzi, l'impiego giovanneo di menein en può essere servito per mantenere distinta la concezione giovan­ nea di immanenza divina, poiché F. Hauck, « menein » TDNT 4, S76, sostiene che ques ta formula evita quella identificazione con la divinità che contrassegnava molti sistemi ellenistici, citando Corpus Herme ticum S. l l : « Poiché tutto ciò che voi siete io sono ... poiché voi siete tutto e niente esiste oltre a voi ». Quan­ do andiamo oltre il vocabolario verso il concetto di inabitazione divina, c'è un importante sfondo per l'idea giovannea negli scritti dell'AT e del giudaismo intertestamentario, come spie­ gherò nel COMMENTO a 2, S. 6bc. bisogna che essa stessa camm ini proprio come Cristo camminò. Alla lettera: « Bisogna, proprio come quello [ekei-

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nos] camminò, che anche questa persona cammini così » - un impacciato paragone che pone l'enfasi su « questa persona », un riferimento retrospettivo al soggetto del v. 6a : « La persona che afferma di dimorare in lui [autos] ». Difficilmente, l'au tos alla fine del v. 6a e l'ekeinos di 6b possono essere la stessa cosa. t:. logico che l' autos si riferisca a Dio ( come è stato fatto nelle discutibili affermazioni di l, 6a e 2, 4a), mentre l'ekeinos si rife­ risce a Cristo dal momento che « camminare » ( = comporta­ mento ) si adatta meglio alla carriera umana. Alcuni formule­ rebbero la regola generale per tutto lGv che ekeinos si riferisca a Cristo (Brooke, Chaine, Plummer, Schnackenburg, THLJ, Vel­ lanickal, Westcott, Williams-Bultmann, Epistles 24-25, si è con­ vertito a questa concezione). Marshall, Epistles 128, pensa che « i cristiani erano così abituati a parlare di Gesù che •quello' era un termine ovvio ». La regola non è improbabile, poiché la maggior parte dei 6 impieghi di ekeinos in lGv ( qui; 3, 3.5.7.16; 4, 17) è in paragoni quasi uguali al presente. Ciò nondimeno, studieremo ciascun caso quando ricorrerà, poiché nel vangelo di Gv, a seconda delle circostanze, ekeinos si può riferire a Dio (5, 19.37.38; 6, 29; 8, 42 ), a Gesù ( 1 , 1 8 ; 2, 2 1 ; 3, 28.30; 9, 37) o anche al Paraclito ( 14, 26; 15, 26; 16, 8.13.14 ). Brooke, Epistles iv, sostiene che solo in Gv 19, 35 c'è un esatto parallelo nel vangelo giovanneo dell'uso che 1Gv fa di ekeinos, e che nei circoli giovannei ci fu una crescente tendenza ad adoperare ekeinos quasi come un nome per Gesù. Ciò nonostante, a motivo della frequenza di autos e di ekeinos nel discorso ordinario, Painter, John 120, dubita che i lettori avrebbero afferrato la sottigliezza di una convenzione secondo cui un pronome si riferiva sempre a Dio e un altro a Cristo. A ogni modo, è degno di nota che ekeinos poteva venire adoperato sia in modo onorifico, come quando i pitagorici si riferivano al loro morto maestro come ekeinos ( Giamblico, De vita Pythagorica 35155 ), che in modo spregiativo, come quando le autorità giudaiche si riferivano a Gesù come a « quel tizio » senza adoperare mai il suo nome ( Gv 7, 1 1 ; 9, 28; 19, 21 ) - una pratica che continuò poi nel giudai­ smo quando Gesù fu considerato regolarmente 'oti hii.'iS, « quel­ l'uomo ». Il « bisogna » non è dei, « deve », l'imperativo divino (Gv 3, 7.30; 12, 34; ABJ 29, 146; tr. it. 193 ), ma una forma di opheilein, descrivente un obbligo che viene dalla stessa natura delle realtà trattate. I due usi nel vangelo di Gv forniscono un interessante contrasto : 'i giudei' dicono che secondo la legge bisogna che Gesù muoia per il motivo che si è fatto Dio ( Gv 19, 7 ) ; Gesù dice di avere dato ai suoi discepoli un esempio secondo cui bisogna che essi si lavino i piedi l'un l'altro ( 13, 14) - la legge è la fonte dell'obbligo giudaico, mentre l'esempio di Gesù è la

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fonte dell'obbligo cristiano. Quell'esempio, come fondamento di obblighi dell'uno verso l'altro, è presente in l Gv non solo qui, ma anche negli altri tre usi epistolari di opheilein: « Per noi Cristo diede la sua vita; così bisogna che noi a nostra volta diamo le nostre vite per i fratelli » ( 1 Gv 3, 16); « Se Dio amò noi così [nel mandare suo Figlio ] , bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro ,, ( 4, 11 ); dal momento che i missionari partirono per amore de « il Nome », da parte nostra « bisogna che sosteniamo tali uomini » ( 3Gv 7-8 ). Nel presente passo, l'esempio viene espresso con l'avverbio kathos, « proprio come », seguito nella riga successiva dall'avver­ bio houtiis, « quindi, così ». Sebbene questa sia una costruzione comparativa normale, essa è resa un po' goffa dal kai, « e, anche ,, che introduce la riga (6c ) che contiene I'houtos. Come ha mostrato Westcott, Epistles 159, un tale kai può sostituire l'houtos, come fa venendo dopo kathos in 1Gv 2, 18; 4, 17; e ciò può parzialmente spiegare l'omissione di houtos in 2, 6c da parte degli scribi nei codici vaticano e alessandrino, nella Vol­ gata e nella Peshitta siriaca. (0 l'omissione può derivare da omoioteleuto, per il fatto che houtos segue alla somigliante parola autos ). La parola kathos ricorre 31 volte nel vangelo di Gv e 13 nelle lettere, ed è la chiave per una serie di paragoni che riflettono la serie giovannea di rivelazione. ( Plummer, Epis tles 39, lo consi­ dera diverso dal più generale avverbio comparativo hOs, poiché kathos richiede un'esatta imitazione ). Nel suo articolo, « KA­ THOS , , de Dinechin analizza quattro distinti paragoni giovannei espressi tramite questa parola. lo li adatto come segue : ( l ) « Proprio come è scritto » o « proprio come dissi , - con­ fronti fondati sulla Scrittura (Gv l, 23; 3, 14; 6, 3 1 ; ecc.) o sulle stesse parole di Gesù ( 1 3, 33). La realtà presente è simile a ciò che venne scritto o detto da queste indiscusse autorità. ( I l ) Proprio come il Padre al Figlio, così Gesù ai discepoli confronti fondati sulla relazione tra Gesù e suo Padre (si veda anche più avanti, IV). Così in Gv 17, 1 8 : « Proprio come tu mandasti me nel mondo, così io mandai loro nel mondo » (si veda 20, 21). Altri esempi includono azioni di ascoltare (5, 30), insegnare (8, 28 ), parlare ( 12, 50), comandare ( 14, 31; 15, 10), a­ mare ( 1 5, 9; 17, 23), dare la vita (6, 57-58 ) e dare potere ( 17, 2). ( I II) Proprio come fu o fece Gesù, così devono essere o fare i discepoli - confronti fondati su Gesù e sul suo comportamen­ to. Questo confronto viene succintamente formulato in Gv 13, 1 5 : « Dovete fare esattamente come io ho fatto per voi ». Gli esempi del vangelo di Gv implicano amore ( 1 3, 34; 15, 12) e non appartenenza al mondo ( 1 7, 16). Ci sono forme modificate di questa relazione di kathos in lGv 2, 6.27 ; 3, 3.7; 4, 17 dove la

Note a 2, 3-1 1

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base di confronto non è soltanto ciò che Gesù fu nel passato. ma Gesù come è ora. Forse, si devono qui includere lGv 3, 23 e 2Gv 4 ( « proprio come il comandamento che Dio diede a noi » ), poiché l'autore sta pensando al comandamento di amare dato da Dio per mezzo di Gesù durante il suo ministero (2Gv 6). In l Gv 2, 27e, « proprio come la sua unzione insegna a voi », l'un­ zione è da Cristo (2, 27a ). ( IV ) Proprio come il Padre al Figlio, così i discepoli ad altri un altro gruppo di confronto fondato sulla relazione tra Gesù e suo Padre, un gruppo che combina un aspetto della prima metà di II con la seconda metà di III. Esempi sono Gv 17, 1 1 .2 1 .22 : « Che essi possano essere uno proprio come noi siamo uno ». L'unità del Padre e del Figlio è un fatto; l'unità dei di scepoli è un desiderio; e la seconda viene determinata dalla prima. Al di fuori degli scritti giovannei, ci sono frequenti esempi di I, ma gli altri tre confronti sono relativamente rari. ( Esempi paolini di III sono Rm 15, 2-3 .7; lCor 1 1 , l; Ef 5, 1-2 ). La teolo­ gia giovannea ha dato al Figlio l'autorità esemplare che nel linguaggio kathos del resto del NT viene attribuita alle Scritture giudaiche. ( Naturalmente, altre opere del NT esortano i cristia­ ni a fare ciò che Gesù fece, ma non nel linguaggio kathos ; si veda Rm 15, 5; Eb 12, 2. Sebbene in quei confronti del NT la vita terrena di Gesù serva da analogia solo occasionalmente, ad es., la sua mancanza di peccato [ Eb 4, 15; l Pt 2, 21-23 ] , implici­ tamente i vangeli sinottici presentano Gesù come una base di confronto). C'è poco di platonico nella concezione giovannea di come il celeste sia modello per il terreno. Solo in IV, tutta la base di confronto è staccata dal mondo, e pure allora c'è un elemento di causalità che richiede un intervento divino in que­ sto mondo. I confronti I I e III implicano il ministero terreno di Gesù che costituisce il principale interesse dell'autore in lGv e 2Gv. Heise, Bleiben, un importante studio di menein, viene guastato dall'accettazione acritica dell'approccio alla lettera se­ condo la fonte di Bultmann e dalla supposizione che l'autore della lettera conoscesse e accettasse un mito di redentore gno­ stico in cui preesistevano sia il redentore che le anime dei credenti. Noi vediamo gli effetti di queste supposizioni quando Heise ( 124-25 ) sostiene che qui « camminare » non significa il comportamento di Gesù durante la sua vita, ma il suo « cam­ minare » dal e al Padre, la sua discesa e ascesa. Questo può ben essere il modo in cui gli oppositori intesero l'imitazione di Cristo, ma non è certamente l'analogia nel confronto dell'auto­ re, come mostrano i passi che più sopra abbiamo elencato sotto I I e III. 7a. Diletti. Agapetos ricorre 6 1 volte nel NT, di cui 10 nelle

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lettere giovannee ( mai nel vangelo di Gv o nell'Ap ). « Diletti >> è un indirizzo plurale in l Gv 2, 7; 3, 2.2 1 ; 4,1 .7. 1 1 . I traduttori latini variano tra il letterale dilectissimi e il carissimi, della volgata; quest 'ultimo può spiegare la comune traduzione ingle­ se : « caramente amati ». Sebbene la tradizione bizantina legga qui adelphoi, « fratelli », si tratta di una correzione degli seri­ vani sotto l'influsso di lezionari in cui « fratelli» veniva adopera­ to per introdurre pericopi dagli scritti del NT attribuiti ad apo­ stoli. ( Per l'unico uso in l Gv di «fratelli » come un vocativo, si veda, 3, 13). Nel greco dell'AT, agapiUos viene qualche volta ado­ perato per tradurre yiil;z1d, «diletto in modo unico », una desi­ gnazione che si può applicare a un figlio particolare (ad es., !sacco ) e che si può tradurre anche con monoghenes ( si veda più avanti, NoTA a 4, 9b ). Questo sfondo si riflette nell'uso sinottico di agapetos per Gesù come « Figlio diletto » di Dio (Mc l, 1 1 ; 9, 7). Un altro uso di agapetos nel greco dell'AT è come aggetti­ vo per descrivere il popolo diletto di Dio ( Ger 6, 26; 31 [38 ] , 20; Sal 60, 7 [5] ; 108, 7 [ 6 ] ; 127, 2). Questa designazione di alleanza viene trasferita nelle lettere del NT, dove i cristiani sono « di­ letti di Dio chiamati santi >> ( Rm 1 , 7). Fondandosi sul generale impiego del NT di agapetos come un indirizzo associato in modo particolare a « fratelli », Spicq (Agape 1, 188-89 ) sostiene che nella religione è un titolo onorifico equivalente a « reveren­ di o stimati fratelli ». Comunque, ammessa in lGv l'enfasi su agape, « amore » ( NoTA a 2, Sb ), l'autore sicuramente vuole che il titolo abbia una connotazione teologica per una comunità la cui persona modello era « il discepolo che Gesù amava ». I cristiani sono « diletti » per il motivo che Dio li ha amati; in 2, 7, ciò che segue l'indirizzo riguarda il loro obbligo di amarsi l'un l'altro. La logica dell'autore è qui implicita ; è esplicita nell'uso di agapetos in 4, 1 1 : « Diletti, se Dio amò noi cosi, bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro ». Alcuni studiosi considerano il vocativo all'inizio di 2, 7 come un segno che sta cominciando una nuova sottounità ( Hauck, Plummer, Westcott, Williams ); ma, come « figlioli miei » in 2, la, questo è un dispositivo esortativo che serve all'autore per applicare alla vita dei suoi lettori la precedente discussione teorica.

questo non è un comandamento nuovo che scrivo a voi. Conti­ nuando in 2, 7a, l'autore scivola su una posizione « io » e « voi » che spiega il « noi >> adoperato in 2, 3-5 - egli ha fatto la stessa cosa nella parentetica 2, la. Il concetto di entole, « comanda­ mento », è stato discusso nella NoTA a 2, 3b dove abbiamo visto che, quando viene adoperato al singolare in Gv 13, 34; 15, 12; lGv 3, 23 ; 4, 21; 2Gv 5-6, si riferisce al comandamento di amarsi l 'un l'altro. Questo è sicuramente ciò che si intende anche qui :

Note a 2, 3- 1 1

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esso dà senso all'indirizzo « diletti » e prepara la discussione su amare il proprio fratello in 2, 9-1 1 . Comunque, a motivo della negazione che si tratti di un comandamento nuovo, alcuni stu­ diosi hanno dubitato che l'autore stia riferendosi al comanda­ mento di amare, il quale viene specificamente chiamato un « comandamento nuovo » in Gv 13, 34. Una proposta alternativa è che i vv. 7a e Sa si debbano leggere così : « Non è il coman­ damento nuovo [di amarsi l'un l'altro] che io scrivo a voi ... Pensadoci meglio, ho intenzione di scrivere a voi a riguardo del comandamento nuovo [ di amare] ». Tuttavia, mi sembra im­ probabile che l'autore della lettera, che pose così tanta enfasi sull'amore, dica che non intendeva affatto scrivere a riguardo dell'amore . Inoltre, quando confrontiamo la riduzione da « os­ servare i suoi comandamenti » in 2, 3-5 a un singolo comanda­ mento in 2, 7, ci ricordiamo di una simile riduzione in Gv 15, 10-12: « Rimarrete nel mio amore se osserverete i miei co­ mandamenti ... Questo è il mio comandamento : amatevi l'un l'altro, come io ho amato voi ». Se in 2, 7a l'autore sta scrivendo riguardo al comandamento di amare, perché ne nega la novità? Forse, egli si sta proteggendo da una accusa dei suoi oppositori di stare imponendo ai suoi seguaci comandi nuovi al di là di quelli che si trovavano nella tradizione. Secondo la concezione dell'autore, i suoi oppositori sono i « progressisti » ( 2Gv 9), ed è importante per lui giu­ stificare il suo vangelo come quello tenuto dal principio ( lGv 3, 1 1 ) ; da qui il rifiuto della novità. Ma su quale base i suoi oppositori potrebbero averlo accusato di scrivere un « coman­ damento nuovo [ recente] »? Per rispondere a questo, bisogna riconoscere che la parola « comandamento » sta facendo un duplice servizio in 2, 7a. L'autore si riferisce non soltanto al comandamento di amare, ma anche a ciò che egli ha appena detto nel v. 6: « La persona che afferma di dimorare in Dio bisogna che essa stessa cammini proprio come Cristo cammi­ nò ». Questo opheilein, « bisognare », è un comandamento rivol­ to ai secessionisti, ed essi non mancano di obiettare alla sua imposizione di questo nuovo obbligo. L'autore nega ogni novità, poiché il suo kathos, « proprio come Cristo camminò », è insito nel grande comandamento che tutti i cristiani giovannei devono riconoscere : « Amatevi l'un l'altro come [ kathos] io ho amato voi ». 7b. ma un comandamento antico che avevate dal principio. Il tempo imperfetto del verbo « avere » è durativo. Un altro sug­ gerimento è che sia anche un imperfetto di azione incompleta o incompiuta adoperato qualche volta con verbi di comandare ( BDF 328 ) e implicante che mentre « voi Io avevate dal princi-

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pio », esso non è stato reso completamente attivo. Sebbene in Gv 13, 34; 15, 12 il comandamento di amare venga dato da Gesù ai suoi discepoli, quel comandamento viene descritto in lGv 3, 23 ; 4, 2 1 come proveniente da Dio. Ciò nonostante, la descri­ zione qui di >. La differenza di significato non è enorme. I l greco di lOb parla di uno s kandalon (che io ho tradotto con « occasione per inciampare » ), l'unico esempio giovanneo di questo sostantivo. Non è una parola classica; si trova nei LXX, nel NT e nei papiri ; e il significato originale sembra essere stato « laccio, esca in una trappola ». Vicent Cernuda, « En­ gafian » 172, accentuerebbe qui quel significato come parte della sua tesi che in 2, 8c paraghein significa fuorviare : le tenebre ingannano, ma nella persona che si trova nella luce non c'è nulla che possa ingannare. Bultmann, Epistles 28, difende il significato « macchia » per skandalon. Comunque, il significato tradizionale « pietra d'inciampo » si adatta bene qui, special­ mente se in 2, 1 1 si trova un accenno che la persona che cammina all'oscuro sta per inciampare. Viene in mente Lv 19, 14: « Non metterai uno skandalon davanti al cieco ». Gli altri usi di skandalon del NT si riferiscono a un ostacolo o a un motivo di tentazione (Mt 16, 23 ; 18, 7; Ap 2, 14) o di offesa ( l Cor l, 23; Gal 5, 1 1 ) quest'ultimo è pure il significato dei 2 usi del verbo s kandalizein nel vangelo di Gv (6, 6 1 ; 16, 1 ). Che cosa può significare nel presente passo « non occasione per inciampare » ? Significa « niente » destinato a fare i n modo che l a persona inciampi o « niente » destinato a far si che altri inciampino ? (B. Weiss, Briefe 52, pensa che l'autore non intenda specificare). Normalmente, uno skandalon è una pietra di inciampo per altri, come è nei due esempi giovannei di skandalizein; e si potrebbe congetturare che il cristiano giovanneo il quale ama suo fratello non scaccerà altri dalla comunità nelle braccia dei secessionisti. ( Ciò è più plausibile della proposta che l'autore stia pensando a uno scandalo per i pagani ). Ma è più semplice pensare che l'amore · per i propri fratelli impedirà alla stessa persona di lasciare la comunità o la salverà da peccato contro la koinonia, lo spirito di comunione che lega uno a Dio. Brooke, Hoskyns, Malatesta, Plummer e THLJ sono tra coloro i quali pensano che l'autore stia parlando riguardo a uno skandalon per la persona stessa. Buoni paralleli dell'AT sono Sal 1 19, 165 : « Coloro che -

Note a

2, 3-1 1

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amano la tua legge hanno grande pace; non c'è niente in loro che li porti a inciampare »; Os 4, 17 ( LXX ) : « Essendosi alleato con gli idoli, Efraim ha posto una pietra di inciampo per se stesso >>. Gdt S, 20 eguaglia il peccato commesso dal popolo a « una pietra di inciampo in esso >> ; e in Giubilei l , 21 Mosè prega Dio per il popolo con cui sta facendo un'alleanza : « Crea in esso un cuore puro e uno spirito santo, e non lasciare che sia intrappolato nei suoi peccati ». Nauck, Tradition 39-40, attira l'attenzione sulla cerimonia dell'alleanza a Qumran : « Maledetta sia la persona che entra in questa alleanza ... innalzando davanti a se stessa la pietra di inciampo di iniquità così da potere apostatare » ( l QS 2, 1 1-12). In 2, 10, l'autore della lettera è inte­ ressato all'esclusione di una tale pietra di inciampo. l l a. Ma la persona che odia suo fratello è nelle tenebre. Questa espressione participiale è la perfetta antitesi a quella in lOa, spostandosi solo da menein en, « dimorare in » , usato con il termine amore all'einai en, « è in >>, usato con odiare (9c). Que­ sto einai en rappresenta la classificazione ( C ) discussa nella NOTA a l, Se. Di nuovo, l'opposto di amore è odio ; come osserva Bultmann, Epistles 28 : « � esclusa una terza possibilità, una relazione neutrale col proprio fratello. Tertium non datur », l l bc. Cammina all'oscuro senza idea di dove sta andando. Alla lettera, due proposizioni principali coordinate : « Ed egli cam­ mina ... ed egli non conosce ». Questo è il primo uso epistolare di aida ( eidenai, « conoscere » ) ; nella NoTA a 2, 3a, l'ho confron­ tato con ghinoskein e ho sottolineato l'inattuabilità di postulare chiare d� tinzioni tra i due. Il verbo « camminare » viene ripre­ so da 2, 6, e l'espressione 'camminare nella luce/tenebre' d3. l, 6-7. Gli oppositori non sono solo nelle tenebre ; essi cammina­ no nelle tenebre. In l, 6, camminare nelle tenebre è stato con­ trapposto a essere in comunione con Dio; qui, viene contrap­ posto a essere nella luce ( si veda CoMMENTO). Qui l'uso di « camminare >>, mentre è ancora essenzialmente simbolico ( = comportamento morale), inclina al realistico (necessità della luce per camminare fisicamente ), per cui si tratta di un tipo di parabola desunta da esperienza ordinaria. L'autore si sposta da inciampare a non conoscere la propria direzione per accennare alla perdita che ha colpito coloro che hanno lasciato la comuni­ tà. Ma, oltre a mancanza di scopo, camminare nell'oscurità implica catt iveria. l l d. poiché le tenebre hanno accecato i suoi occhi. Questa è la terza menzione delle tenebre in un verso. Klein, « Licht » 279-80, trova ingombranti le ripetizioni nei vv. 9-1 1 , e certamente c'è

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una certa tautologia. Comunque, con « accecare » viene intro­ dotta una nuova nota di malizia. Le tenebre non sono una neutrale assenza di luce; sono una forza che provoca mancanza di vista. L'aoristo è complessivo (BDF 332 ), descrivendo i risul­ tati di un lungo processo; e ancora una volta può essere che l'autore si serva dell'ordinaria esperienza secondo cui qualcuno che è stato per lungo tempo in tenebre assolute, può uscirne cieco. Nel NT, la cecità colpevole viene spesso associata alla mancanza di fede; ad es., una serie di passi (Mt 13, 13-15 e par. ; A t 28, 25-27; Gv 12, 39-40; Rm 1 1 , 9 ) applica alla miscredenza as­ serzioni dell'AT quali : « Essi hanno accecato i loro occhi per paura di vedere con i propri occhi » ( Is 6, 10) e: « Si offuschino i loro occhi così che non possano vedere » ( Sal 69, 24 [23 ] ). In 2Cor 4, 4 leggiamo : « Il Dio di questo mondo ha accecato le menti degli increduli »; e mentre in queste righe di 1Gv non viene menzionata la forza satanica, « il maligno » apparirà nella prossima unità (2, 13-14) e l'anticristo nella successiva (2, 1 8.22).

COM M ENTO La critica di false affermazioni derivanti dalla teologia secessionista, che è cominciata nella precedente unità ( 1 , 5 - 2, 2 ), continua in questa (2, 3-1 1 ) 1 • Sebbene alcuni studiosi vedano sottili sviluppi di pensiero passando da una unità all'altra ( Malatesta, Interiority 120), secondo me il motivo principale per distinguere due unità è che false affermazioni sono espresse con diversi modelli grammati­ cali, rispettivamente tre vanti condizionali in l , 6.8 . 1 0 e tre affermazioni participiali in 2, 4.6.9. Comunque, il modello di antitesi non è così nitido nella presente unità come lo è stato nella precedente e, così, non vi è unanimità nell'in­ dividuazione della sottostruttura. La frase iniziale in 2, 3 ha certe somiglianze con l'inizio della precedente unità in l , 5, sebbene quella fosse più t Dodd, Epistles 32 : « In questo passo, il nostro autore non sta solo rifiutando pericolose tendenze nella chiesa del suo tempo, ma di­ scutendo un problema di perenne importanza, quello della validità dell'esperienza religiosa ». Io direi, piuttosto, che lo scopo dell'au­ tore era limitato alle pericolose tendenze del suo tempo che egli pensava fosse « l'ultima ora » (2, 18) , ma ciò che ha detto è di pe­ renne importanza.

Commento a 2, 3-1 1

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comprensiva. Il verso 3 continua il linguaggio del « noi » che ha dominato in l , 5 - 2, 2, ma che significativamente sarà mancante nel resto della presente unità, ricorrendo solo in 2, Se: una frase che è molto simile alla prima riga di 2, 3. Non sorprende, quindi, che alcuni studiosi esten­ dano l'unità da l , 5 - 2 , 2 fino a includere 2, 3-5 , e cominci­ no una nuova unità solo con 2, 6. Il loro ragionamento viene rafforzato dal fatto che solo in 2, 4-5 si trova una falsa affermazione in un verso, immediatamente corretta da una vera affermazione nel verso successivo - il model­ lo fisso che è comparso tre volte in l , 5 - 2, 2. Comunque, ci sono controargomentazioni per collegare 2, 3-5 a ciò che segue. Il primo verso (2, 3 ) può essere considerato come una frase topica che introduce una uni­ tà, proprio come l , 5 ha introdotto la precedente unità 2• Quella unità ha commentato « Dio è luce e in lui non ci sono affatto tenebre » escludendo ogni forma di cammino nelle tenebre a motivo del peccato - un approccio al­ quanto negativo. La p�esente unità commenta più positi­ vamente, sottolineando l'osservanza dei comandamenti, specialmente del comandamento di amare. Il tema del comandamento, mai menzionato nella precedente unità, corre lungo tutto 2, 3-1 1 , unendolo insieme 3 , come fa pure il modello participiale ripetuto tre volte : « la persona eh� afferma . . ». E così il comune modello strutturale rende logico il trattare questi versi come una unità. Negli ultimi versi ( 9-1 1 ), comunque, ricorre il tema della luce e delle tenebre, che ha aperto la precedente unità, determinando una inclusione. Questa somiglianza tra l , 5-7 e 2, 9-1 1 ci dà un lungo trattato che consta di sei vanti o affermazioni (formulate in tre condizioni e tre participi) che l'autore rigetta - un trattato divisibile in due unità. Nell'ambito di questa seconda unità, si scopre la seguente sottostruttura, allineata secondo i versi 4: .

2 3

Ma pure l, 5 ha introdotto tutta la parte prima di lGv. Anche Dodd (Epistles 29) , il quale pensa che l 'unità vada da l, 5 2, 6, riconosce che in 2, 3 c'è un nuovo inizio . 4 Nella struttura proposta da Law ( p . 185) , la somiglianza stilistica delle tre affermazioni (2, 4.6.9) è ignorata e 2, 3-5 fa parte dell'esame dell'obbedienza (esame morale) che va da l, 8 a 2, 6, men tre 2, 7-1 1 fa parte dell'esame dell'amore (esame sociale) che va d a 2 , 7 a 2, 17. Nella ricercatezza di Stott, 2, 3-6 presenta tutto l'esame morale, e

390 3:

4-S:

6-8:

9-1 1 :

lGv - Parte prima Tema generale: noi possiamo essere sicuri di conoscere Dio osservando i comandamenti. La prima affermazione errata raccoglie dal v. 3 il tema di co­ noscere Dio: 4: Gli oppositori affermano di conoscere Dio senza osservare i comandamenti ; sono menti tori. Sab: Antitesi: chiunque osserva la parola di Dio è perfetto nell'amore di Dio. Se: Asserzione riassuntiva (che è uguale al v. 3) : noi possiamo così avere la certezza di essere in Dio. La seconda affermazione errata raccoglie da Se il tema del­ l 'essere in Dio: 6: Gli oppositori affermano di dimorare in Dio ; bisogna che essi camminino come Cristo camminò. 7-8 : Nuovo o antico? Il comandamento non è nuovo nel senso di recente ; dal principio fece parte del comando di amare come Cristo amò . � nuovo nel senso ohe deve venire ester­ nato in questa ultima ora quando le tenebre stanno scom­ parendo e la luce sta splendendo. La terza affermazione errata raccoglie dal v. 8d il tema del­ la luce : 9: Gli oppositori affermano di essere nella luce mentre odia­ no i loro fratelli ; essi sono ancora nelle tenebre. 10- 1 1 : Paio di antitesi : La persona che ama suo fratello di­ mora nella luce ; la persona che odia suo fratello è nelle tenebre che l'accecano.

A. Conoscere Dio osservando

comandamenti (2, 3)

La seconda unità della parte prima comincia con il tema della conoscenza di Dio, un ideale religioso quasi univer­ sale nell'antichità. Dodd (Epistles 29-30) mostra come nel periodo greco classico ci fosse una illimitata fiducia nella ragione umana, così che Platone poteva postulare una conoscenza di realtà eterne del cielo che si potevano con­ templare con la pura ragione. Nel periodo ellenistico, la fiducia vacillò, e la possibilità di conoscere Dio passò dalla filosofia alle religioni misteriche con le loro partico­ lari rivelazioni. Naturalmente, Israele postulò sempre una particolare rivelazione per il popolo di Dio : « Chi vuole gloriarsi si vanti di questo : che egli comprende e conosce 2, 7-1 1 presenta tutto l'esame sociale. Malatesta, lnteriority 1 19-2 1 , trova u n complicato disegno d i schemi concentrici (sotto l'influsso di de la Potterie) che danno la struttura 2, 3-6.7-8.9-1 1 , la quale pure ignora le molto più ovvie tre affermazioni participiali.

Commen to a

2, 3-1 1

391

me, ché io sono il Signore » ( Ger 9, 23 [24 ] ). Il compimento di quella sfida sarebbe stato facilitato negli ultimi giorni: « La terra si riempirà di conoscenza della gloria di Dio » (Ab 2, 14). L'inno qumranico che esprime i sentimenti dei membri annuncia: « La mia giustificazione è in Dio ... la mia luce è sgorgata dalla sorgente della sua conoscenza » ( l QS 1 1 , 2-3 ). Mt 1 1 , 27 e Le 10, 22 parlano di conoscere il Padre come un privilegio speciale dato qui e ora a coloro a cui il Figlio desidera rivelarlo, mentre Paolo distingue : « Ora conosco in parte, ma allora conoscerò completa­ mente » ( l Cor 1 3 , 1 2 ). Gv 17, 3 identifica la vita eterna (che viene data ai credenti da Gesù) con la conoscenza del Padre e del Figlio (si veda ABJ 29A, 752-53; tr. it. 9 1 5 s). Filone, Sul decalogo 16 # 81, considera come una meta suprema avere « conoscenza di lui che veramente esiste » ; e il Midrash Sifre 4 9 ( 85a) del I I secolo d . C . dice su Dt 1 1 , 12: « Studia l'haggada; allora conoscerai Dio e starai unito alla sua via ». Nel misticismo orientale greco, il Corpus Hermeticum 1 0.9 afferma : « Colui che ha conse­ guito conoscenza [gnosis] ... è già divino » . Perché l'autore della lettera ha scelto di introdurre qui questo concetto della conoscenza di Dio ? Abbiamo visto che il prologo di l Gv ha seguito da vicino il prologo del vangelo di Gv, e che anche il motivo luce/tenebre della precedente unità ( 1 , 5-2 , 2 ) probabilmente è venuto dal prologo del vangelo di Gv. Lì, dopo il riferimento alla luce venente nel mondo ( Gv l , 9 ), ci viene detto che « il mondo non lo conobbe » ( 1 , 1 0 ). Poi , il prologo del vangelo di Gv si rivolge positivamente a coloro che lo accettarono e diven­ tarono figli di Dio ( 1 , 1 2-1 3 ) con l'ovvia implicazione che essi lo conobbero. Quella sequenza può avere condotto l'autore della lettera a passare a parlare della conoscenza dopo avere discusso di luce/tenebre. La teologia secessio­ nista interpretava in modo errato l'implicazione della tra­ dizione giovannea su Dio come luce; interpretava pure in modo errato quella tradizione sulla conoscenza di Dio. Contro tale errata interpretazione, l'autore sostiene che non si può conoscere Dio senza osservare i suoi coman­ damenti. Qui, la sua logica proviene in parte dalla prece­ dente unità dove, in relazione al tema di Dio come luce, egli ha sostenuto che non ci sono affatto tenebre in Dio e, così, i credenti non dovrebbero camminare nelle tenebre o

392

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nel peccato. ( La condizione di non peccato, comunque, si doveva ottenere non negando il peccato, ma chiedendo perdono ). Da quella sequenza si potrebbe avere l'impres­ sione che il comportamento umano si può fare discendere da una conoscenza di Dio. Ma è pure vero il contrario : si ottiene una conoscenza di Dio tramite il comportamento, quando quel comportamento è sorretto dai comandamenti di Dio. Osservare i comandamenti è più di un modo esterno per verificare una affermazione di conoscere Dio; è piuttosto un criterio che ha una relazione essenziale con l 'affermazione fatta 5 • Nella comprensione semitica, la co­ noscenza va oltre l'intellettuale, poiché implica una espe­ rienza di tutta le persona - ecco perché « conoscenza » può essere adoperata per intimità sessuale. Conoscere Dio significa partecipare alla sua vita, come si può vedere dal parallelismo tra « lo conosco » in 2, 4a e « dimorare in lui » in 2, 6a. Condividere la vita divina significa vivere secondo la sua volontà, e osservando i suoi comandamenti si viene a conoscere la sua intimità 6• La sequenza da azione a conoscenza è pure evidente in l Gv 4, 7: « Ognuno che ama è statç� generato da Dio e conosce Dio » 7, e in Ap 3, 8 . 1 2 nell'equazione tra coloro che hanno osservato la parola di Cristo e coloro che riceveranno il nome di Dio. La connessione tra modo di vita e conoscenza di Dio riflette, in particolare, l'atmosfera della nuova alleanza del pensiero giovanneo 8• Nell'alleanza collegata all'Esodo, Dio s

C'è un problema con la tesi di R. Law in base alla quale lGv fornirebbe le " prove " per scoprire la presenza della vita divina (nota precedente) , come esemplificato dalle molte espressioni: " Da questo possiamo essere sicuri ,. (si veda NOTA a en touto in 2, 3a) . L'idea di criteri esterni è comune ; ad es., Mt 7, 20: " Dai loro frutti li conoscerete » ; o Aristotele, Etica nicomachea 1 .3.16: « Non gno­ sis, ma praxis » . Ma, per lo scrittore giovanneo ciò che viene of­ ferto è più che una prova ; è un mezzo. 6 Bultmann, Epistles 25 : « t:: senza dubbio quasi più corretto dire che « osservare i comandamenti » (come « in comunione l'un con l 'altro », 1 , 7) non è una condizione, quan to piuttosto la caratteri­ stica della conoscenza di Dio " · 7 La connessione con 2, 3 è evidente quando riconosciamo che il comandamento fondamentale è quello di amare. Chmiel , Lumière 137, trova uno sfondo per questa cara tteristica giovannea in Dt 30, 16, dove ascoltare i comandamenti di Dio e amarlo si trovano uno a fianco dell'altro. s Per i cristiani e per i giudei, il significato originale di « nuova » in nuova alleanza non era « nuova al posto di vecchi a », ma « rin -

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si fece conoscere per mezzo delle azioni che compì nelle liberazione d'Israele dall'Egitto ( Es 7, 5 . 1 7 ) ; e promise che la sua abitazione cultica in mezzo al popolo nel Taberna­ colo avrebbe dato a Israele la possibilità di conoscere il Signore suo Dio (Es 29,45-46) . I profeti considerarono la costante azione storica di Dio nello schiacciare i nemici di Israele come un modo per conoscere la signoria di JHWH (Ez 25, 5 . 1 1 . 1 7) . Dall'altra parte della medaglia, quando Israele fu infedele, anche l'azione punitiva di Dio fornì un mezzo per conoscere la sua signoria ( Ez 6, 7 . 1 0. 1 3 ). Osea (4, 1-2) associa la mancata osservanza dei dieci co­ mandamenti a « nessuna conoscenza di Dio nel paese », Gb 36, 1 0-12 dice che coloro che non danno ascolto ai co­ mandamenti del Signore muoiono senza conoscenza. I figli di Eli, che violarono i comandamenti, vennero stigmatizzati come « coloro che non conobbero il Signore » (l Sam 2, 1 2 ; s i veda pure Is 1 , 3-4). Per correggere tali situazioni, venne promessa una più intima conoscenza di Dio quando Dio avrebbe rinnovato la sua alleanza con Israele. Nella nuova alleanza, Dio avrebbe posto la sua legge nei cuori degli israeliti; ed essi non avrebbero più avuto bisogno di per­ sone che insegnassero loro a conoscere il Signore : « Poi­ ché tutti conosceranno me, dal più piccolo al più grande » (Ger 3 1 , 33-34) . « Darò loro un cuore per conoscere che io sono il Signore » (24, 7). « Darò a voi un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo ... e vi provocherò a camminare nei miei statuti e farò in modo che voi vi preoccupiate di osservare le mie leggi » ( Ez 36, 26-27 ). I settari di Qumran, reputandosi la comunità della nuova (rinnovata ) alleanza, affermavano che Dio aveva messo uno spirito di verità 9 dentro gli esseri umani come illu­ minazione per i loro cuori allo scopo di mostrare loro come osservare le leggi di Dio ( l QS 4, 2-3 ; 5, 20-22 ). Il compositore degli Inni di Qumran può ringraziare Dio per navata ». Verso la fine del periodo neotestamentario , specialmente in Gv e in Eb, aveva preso piede il motivo della sostituzione. Per Gv, l'antica alleanza è stata sostituita da una nuova, come si può giudicare dal cambiamento dell 'acqua per le purificazioni giudai­ che nel « vino migliore » a Cana. 9 Questo spirito è qualche volta personificato da un angelo, ma al­ tre volte ha un ruolo impersonale dentro il cuore umano. Si veda più avan ti, NoTA a 4, la.

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avere permesso all'alleanza di illuminarlo ( l QH 4 , 5 ) e per avere nascosto la legge divina dentro di lui (5, 1 1 ) 10 • 1:. proprio questo principio interno di conoscenza, promesso nella nuova alleanza, che dà senso all'atteggiamento del­ l'autore della lettera nei confronti dei comandamenti. Co­ loro che « osservano ,, 11 i comandamenti di Dio stanno agendo secondo lo Spirito che Dio ha messo nei loro cuori, anzi secondo i nuovi cuori (o nature ) che Dio diede loro quando li generò dall'alto come suoi figli. E quei nuovi cuori e la vita secondo i comandamenti abilitano i figli a conoscere il Padre connaturalmente. Sia vangelo di Gv che l Gv adoperano in modo interscam­ biabile il plurale e il singolare di comandamento 12 • Su uno sfondo giudaico, il plurale normalmente significherebbe i comandamenti imposti da Dio a Israele per mezzo dell'al­ leanza, specialmente i dieci comandamenti. Questo è vero per l'unico esempio sinottico comune del plurale (Mc 1 0, 19 e par.; si veda pure Le l, 6) . Ora, il significato non è escluso dal vangelo di Gv, ma n il corpo dei comandamen­ ti viene visto sotto l'aspetto del comandamento di amarsi l'un l'altro come Gesù ha amato. Come abbiamo visto nella INTRODUZIONE ( V B3ac ), mentre questo può essere uno splendido concetto, significa che nel vangelo di Gv si pensa poco a comandamenti specifici. Dal momento che l'autore della lettera sta commentando la tradizione del vangelo di Gv 13 per rafforzare i suoi seguaci contro gli IO Si veda J . de Caevel, « La connaissance religieuse dans les Hym­ nes d'action de gràces de Qumràn », ETL 38 ( 1962) 435-60. H Spesso, questo idioma giovanneo non significa altro che « osser­ vare » (NOTA a 2, 3b) . Nondimeno, qui può comprendere la conti­ nuità di comportamento che l'autore della lettera desidera incul­ care. Il fatto che gli oppositori si siano allontanati (2, 19) rende i verbi di continuazione ( « dimorare », « osservare ») molto importanti emotivamente in lGv. 12 Per le statistiche e i testi pertinenti all'uso giovanneo di « co­ mandamento( i) » si veda la dettagliata NorA a 2, 3b ; pure ABJ 29A, 638 ( tr. it. 767) . Il Anzi, tutto il passo in 1Gv 2, 3-5 ha un senso limitato senza lo sfondo fornito dal vangelo di Gv ; ad es.: « Se mi amate e osser­ vate i miei comandamenti • ( 14, 15) ; « Chiunque osserva i coman­ damenti che ha ricevuto da me è la persona che mi ama ,. ( 14, 21) ; e: « Chiunque non ama me, non osserva le mie parole » ( 14, 24) . Muiioz Le6n, « El origen » 230-31 , usa questo come un esempio per la sua tesi che le antitesi di 1Gv provengono da quelle del van­ gelo di Gv.

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attacchi dei secessionisti che pure affermano l'appoggio del vangelo di Gv, egli non è libero di introdurre un vocabolario completamente nuovo. Mentre egli non può evitare e non eviterebbe l'equiparazione fatta dal vangelo di Gv tra comandamenti e il comandamento di amare, parlando due volte a breve distanza di comandamento(i) e riferendoli sempre a Dio e mai esplicitamente a Gesù ( il contrario dell'uso del vangelo di Gv ), egli implicitamente ricorda ai suoi lettori in modo più vigoroso i dieci co­ mandamenti. Quando passa a Gesù (ad es., v. 6 ), egli volge a proprio profitto l'idea che nel vangelo di Gv Gesù cam­ minò in obbedienza a un comandamento o ai comanda­ menti. Egli non solo chiede che il cristiano obbedisca ai comandamenti di Dio, ma mette anche in rilievo l'interio­ rizzazione dei comandamenti così che l'azione morale è conseguente a ciò che veramente si è.

B. La prima affermazione errata e la sua antitesi ( 2 , 4-5)

La difficoltà dell'autore non è semplicemente con peccato­ ri riconosciuti i quali non osservano i comandamenti ; è con pretesi santi i quali non pensano che osservare 1 comandamenti sia collegato alla conoscenza di Dio. I suoi oppositori ritengono di conoscere [ghinoskein ] Dio. Quale tipo di conoscenza pensano di possedere ? Balz e Hauck sono tra coloro che pensano che i secessionisti siano degni del nome gnostico ( INTRODUZIONE IV B3c ), cioè, che professino la gnosis 1 4 • Certamente, il « conosco Dio » di 2, 4a può essere una affermazione secessionista alla lette14 Che significato ha il fatto che l'autore non usi questo termine greco nella sua polemica antisecessionista? Esso sarebbe stato una parola emotivamente meno carica alla fine del I secolo che alla fine del Il, quando lreneo aveva scritto la sua opera in cinque vo­ lumi contro quella che « falsamente è detta gnosis » (Adv. haer. 2. 1 . 1 ) . Eppure, dobbiamo ricordare che questa caratterizzazione peggiorativa di gnosis venne da ITm 6, 20, un'opera grosso modo contemporanea a IGv. Di conseguenza, l'autore di IGv può non avere pensato che i suoi oppositori fossero colpevoli della stessa falsa gnosis che affliggeva gli avversari delle lettere pastorali, se il termine aveva acquistato un valore fisso.

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ra, ma non c'è bisogno che in essa ci sia un tono gnostico peggiorativo, dal momento che l'autore ha fatto esatta­ mente la stessa affermazione in 2, 3a. Le rispettive affer­ mazioni in 2, 3a e 2, 4a avvalorano la mia tesi che i seces­ sionisti fossero cristiani della tradizione giovannea i quali avevano in comune con l'autore molti ideali ( INTRODUZIONE V A). L'affermazione dell 'autore e dei secessionisti di co­ noscere Dio è semplicemente una riflessione del vangelo di Gv, che adopera quel linguaggio circa una dozzina di volte ( NoTA a 2, 3a). Non c'è prova che si differenziassero per il motivo che i secessionisti affermavano una cono­ scenza completa 15 , o una speciale rivelazione, o una co­ noscenza mistica di Dio, o una conoscenza per mezzo di miti. La ragione per cui si differenziavano viene data dall'autore : i secessionisti combinano l'affermazione gio­ vannea di conoscere Dio con una indifferenza riguardo al modo in cui la vita morale entra in quella affermazione. Mentre affermano l'intimità con Dio implicita nel « cono­ scere >> lui, non vedono la necessità di vivere secondo il modo di vita divino espresso nei comandamenti. Questo li rende mentitori, non solo nel senso che insegnano una falsa interpretazione della tradizione ma, in modo più importante, nel senso che essi incarnano una contraddi­ zione tra un principio interno affermato (vita divina, in­ timità, conoscenza ) e la manifestazione del principio ( una vita indifferente ai comandamenti divini). L'autore intende 2, 4d alla lettera : non c'è verità in una tale persona. Confrontando 2, 4 con l , 6 ci si accorge di come l'autore ripeta tematicamente e stilisticamente la sua obiezione ai secessionisti : l, 6:

Se ci vantiamo: « Noi siamo in comunione con lui mentre continuiamo a camminare nelle tenebre, siamo mentitori

•,

15 Gli gnostici condannati da Ireneo, Adv. haer. 2.28.9, affermavano « una conoscenza universale di tutto ciò che esiste, essendo essi pari a Valentino, o Tolomeo, o Basilide, o qualsiasi altro di coloro che sostengono di avere scoperto le cose profonde di Dio " · Anch'essi avevano un complesso di superiorità: « Essi hanno una conoscenza sublime a motivo della quale sono superiori ad altri " (2.10.3) . I secessionisti giovannei possono anche avere avuto un complesso di superiorità, ma pure lo ebbe tutta la comunità giovannea mo­ dellata sul discepolo che Gesù amava particolarmente (si veda Brown, Community 84-85 ; tr. it. 98 s) .

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2, 4:

non agiamo nella verità. La persona che afferma: « Lo conosco », senza osservare i suoi comandamenti, è un mentitore e non c'è verità in una tale persona.

In 2, 5, avendo corretto l'affermazione degli oppositori, l 'autore offre a mo' di antitesi la propria affermazione 16 • Dal momento che egli ha appena negato verità alla perso­ na che non osserva i comandamenti, ci si sarebbe aspetta­ to dicesse che, in chiunque osserva i comandamenti ( paro­ la), la verità di Dio ha raggiunto la perfezione 17 • Da un lato, questo ci ricorda l'interscambiabilità di termini gio­ vannei quali verità e amore - Westcott (Epistles 48 ) osserva : « Amore è la verità attuata in una relazione personale ». Dall'altro lato, noi dovremmo riconoscere che la scelta di « amore » non è fortuita, poiché si tratta del comandamento di Gesù par excellence. Ho dedicato una lunga NoTA a 2, Sb su ciò che 'Significa « l'amore di Dio ». In origine è un amore che vie rie da Dio al cristiano e si incorpora nella donazione che Dio fa del suo unico Figlio ( l Gv 4, 7-10). Questo amore non fu motivato da qualche valore posseduto dagli esseri umani; piuttosto, esso crea il loro valore rendendoli figli di Dio. Osservare i comanda­ menti, e specialmente osservare il comandamento di a­ marsi l'un l'altro come Cristo amò noi, implica la perfe­ zione dell'amore di Dio, poiché significa che l'amore di Dio per noi viene esteso ad altri e permette di ricrearli come figli di Dio. La perfezione può anche avere implicato amare Dio in risposta al suo amore per noi 18 e, quindi, 16 Se l 'affermazione di 2, 4 e il vanto di l, 6 si rassomigliano, l'anti­ tesi in 2, 5 non rassomiglia da vicino all'antitesi in l, 7. La carenza dell'autore di portare a termine i suoi modelli in un modo che ab­ bia senso per un lettore moderno è ciò che rende una discussione dell'intenzione strutturale dell'autore cosi complicata per noi. 17 O anche la vita di Dio, come in Gv 8, 5 1 : « Se un uomo osserva la mia parola, non vedrà mai la morte ». 18 Alcuni studiosi hanno proposto che gli oppositori dell'autore par­ lassero dell'amore di Dio esclusivamente nel senso di un amore per Dio, ignorando il comando di amarsi l'un l'altro. Nell'INTRODU· ZIONE ( V B3c) , ho affermato che i secessionisti probabilmente dice­ vano di amarsi l'un l'altro ; ma è impossibile dire se dessero al­ l'amore per Dio maggiore risalto di quello che ha fatto l'autore. Essi possono anche avere parlato dell'amore di Dio che raggiunge la perfezione - un'idea attestata in Did. lO, 5 ; JClem. 49, 5 ; 50, 1 .3 -

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stabilire una mutualità tra Dio e il cristiano sul modello della mutualità di amore tra Dio e Gesù. Questo è il sogno di cui l'autore ha osato farsi portavoce in l , 3 : « Così che voi possiate essere uniti in comunione con noi. Sì, poiché la comunione che abbiamo è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo ». Amore divino che crea figli di Dio è ciò che portò all'esistenza la comunità giovannea, e il dinamismo di tale amore si rivela nell'osservare i comandamenti che legano i cristiani a Dio e tra di loro. Nella teologia gio­ vannea, osservare i comandamenti non è il primo gradino per un più grande amore nel quale non ci saranno più comandamenti 19; esso è la perfezione dell'amore, poiché i comandamenti sono semplicemente un'espressione della volontà di Dio e del suo stesso essere. Tutto ciò rende logico il riassunto in 2, Se: « Da questo possiamo essere sicuri che siamo in lui ». Qui, noi ab­ biamo un esempio della teologia giovannea di imma­ nenza ( il cristiano in Dio/Gesù; Dio/Gesù nel cris tiano ; Dio e Gesù tra loro ) che viene espressa circa 3S volte nel vangelo di Gv e nelle lettere nelle formule einai en, « esse­ re in », e menein en, « rimanere/dimorare in » ( NoTE a l , Se; 2, 6a) 20 • Dal momento che i comandamenti, incluso quello di amare, derivano dall'intimo essere di Dio, osser­ varli esemplifica unione con quell'essere. Interrogandosi sul preciso significato giovanneo di immanenza o inabita­ zione, alcuni studiosi parlano di misticismo (una esperien­ za che normalmente si pensa sia il privilegio di pochi ). Ma lo sfondo veterotestamentario del concetto punta in altre direzioni 21• Primo, c'è una inabitazione cultica di Dio tra il suo popolo. Quando Salomone costruì il Tempio, egli si chiese se Dio avrebbe abitato sulla terra con esseri umani

ma presumibilmente una perfezione intesa in un modo diverso da quello dell'autore. 19 Nel pensiero giovanneo, Dio diede al Figlio un comandamento che antidatava la sua entrata nel mondo (Gv 10, 18 ; 12, 49) , e così non ci sarà mai un ttempo' nel quale non ci sono comandamenti. 20 Come con i comandamenti, così anche con l'inabitazione, quan­ do si confronta 1Gv col vangelo di Gv, la relazione con Dio è più preminente in 1Gv di quello che sia la relazione con Gesù. 21 Per lo sfondo generale, si veda Feuillet, Le mystère 99-103 ; pure la vasta opera sull'argomento di Malatesta (lnteriority) e ABJ 29. 510-12 ; 29A, 602-3 ( tr. it. 722 s ; 1452 ss) .

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(2Cr 6, 1 8 ); ma Ez 48, 35 predisse che questo avrebbe costituito una parte così importante del futuro che il nome della nuova Gerusalemme sarebbe stato « là è il Signore » . In Zc 2, 14-15 ( 1 0-1 1 ), il Signore promette nel­ l'ultimo giorno : « Io verrò ad abitare in mezzo a te ». Nel periodo intertestamentario, questo viene continuato in Giubilei l, 1 7 .26 : « Io costruirò il mio santuario in mezzo a loro e abiterò con loro ... discenderò e abiterò con loro per tutta l'eternità ». Uscendo dal cultico, noi troviamo Dio che fa abitare in Israele la divina Sapienza che era uscita dalla sua bocca ( Sir 24, 3.8). In Sap 7, 25.27, Sapien­ za, che è una pura emanazione della gloria dell'onnipoten­ te, entra nelle anime sante, rendendole amiche di Dio. Molto di questo sfondo deriva dalla mentalità della rela­ zione di alleanza, sia antica che nuova ( rinnovata ). Certa­ mente, l'inabitazione cultica di Dio fu un corollario fon­ damentale del fatto che Israele venne scelto come popolo di Dio. L'interrogativo di Israele nel deserto fu : « Il Si­ gnore è in [mezzo a] noi sì o no ? » ( Es 17, 7 LXX). Quando Israele violava l'alleanza, poteva chiedersi : « Questi mali non sono forse venuti su noi per il motivo che il nostro Dio non è più in [tra ] noi ? >> ( Dt 3 1 , 1 6-17). I passi di Sap sopra riportati sono una riflessione dell'affermazione che la legge divina è stata posta in mezzo a Israele (come simboleggiato dalle tavole del decalogo nel Tempio di Gerusalemme ). Nelle riflessioni profetiche della nuova al­ leanza, questa presenza divina doveva venire interiorizzata nei singoli israeliti. I passi sopra citati (pp. 392-394 ), che promettono una intima conoscenza di Dio come parte della nuova alleanza ( Ger 24; 3 1 ; Ez 36), collegano tale conoscenza con una immanenza dello spirito divino e del­ la legge in coloro che accettano l'alleanza. Nella teologia giovannea, Gesù è la parola divina discesa dal cielo per abitare tra il popolo di Dio ( nella « tenda » o « tabernaco­ lo » : Gv l , 1 4 ), e così egli rappresenta sia la presenza cultica di Dio che l'inabitante legge e Sapienza. Oltre a ciò, nella persona del Paraclito/Spirito Gesù rende possi­ bile una presenza divina che dimora dentro coloro che osservano i comandamenti ( 1 4, 1 6- 1 7 ) . Questa immanenza va al di là delle attese della nuova alleanza prospettata dall'AT, poiché ha una mutualità : non solo Dio nei suoi

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figli, ma i suoi figli in Dio 22• La ragione di questo sviluppo risiede nel fatto che il modello per l'immanenza è l'intima relazione tra Padre e Figlio rivelata da Gesù. L'immanenza della nuova alleanza cristiana è nuova a motivo dell'ideale di Gesù : « Che tutti loro possano essere uno, proprio come tu, Padre, sei in me e io in te, che anch'essi possano essere uno in noi » ( 1 7, 2 1 ) 23• Questo non è un misticismo per pochi, ma una nuova condizione spirituale per tutti coloro che veramente credono in Gesù 24•

C . La seconda affermazione errata

e il comandamento nuovo (2, 6-8) La seconda ( implicitamente discutibile ) affermazione im­ plica un dimorare in Dio senza camminare come Cristo camminò. Essa riprende il tema dell'immanenza dal verso precedente (2, Se), proprio come la prima affermazione errata in 2, 4 prese il tema della conoscenza di Dio da 2, 3 . I o parlo di una affermazione implicita discutibile. I n questa unità, la prima affermazione ( 2 , 4 : conoscere Dio senza osservare i suoi comandamenti ) e la terza afferma­ zione (2, 9 : essere nella luce mentre si odia il proprio fratello ) sono chiaramente affermazioni errate, poiché l'autore descrive il rivendicatore rispettivamente come un mentitore o come colui che è nelle tenebre. Che ci sia una affermazione errata dietro 2, 5 lo si deduce implicitamente quando l'autore dice che la persona la quale afferma di dimorare in Dio deve camminare come Cristo camminò. Presumibilmente, la ragione per cui l'autore sceglie di 22

Nella benedizione dell'alleanza su Beniamino in Dt 33, 12, c'è un insolito accenno di mutua inabi tazione: il Signore dà asilo a Be­ niamino che abita presso di lui, mentre il Signore fa la sua abita­ zione tra le braccia di Beniamino. ( Forse, questo è un riferimento alla collocazione dell'arca prima della costruzione del tabernacolo in Silo) . 23 Essere in Dio non è solo una questione di esistere in un posto (come essere in uno spazio) o di presenza passiva ( come essere nel bagliore di una luce per mezzo della quale si viene riscaldati) ; è una comunione che produce unità. 24 Schenke, " Determination » 209- 10, propone che dimorare in Dio sia un sinonimo di essere generato da Dio.

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trattare la seconda affermazione in questo modo insolito è che il « bisogna » conduce al tema del comandamento che egli vuole sviluppare. L'obiezione dell'autore all'affermazione non è sulla possi­ bilità di dimorare in Dio, che è legittima teologia giovan­ nea che egli e i suoi oppositori condividerebbero 25 • L'obie­ zione è sul dimorare o inabitare quando è staccato dal modo in cui si conduce la propria vita ( si cammina ). Insistendo che la persona la quale afferma l'inabitazione deve camminare proprio come Cristo camminò, l'autore mostra che la lotta contro i secessionisti su principi mora­ li è in realtà fondata sulla cristologia (si veda INTRODUZIO­ NE V B2, 3 ). Secondo la mia teoria , i secessionisti legano il dono salvifico della vita eterna essenzialmente all'incarna­ zione di Gesù, non alla sua vita e morte 26• Dal momento che non attribuiscono valore al modo in cui egli « cammi­ nò », essi non attribuiscono valore al modo in cui i cri­ stiani camminano. L'autore insiste su ambedue gli aspetti e vede l'obbligo di camminare proprio come egli camminò come un'ovvia specificazione del comandamento giovan­ neo : « Amatevi l'un l'altro come io ho amato voi » ( Gv 1 3 , 34; 1 5 , 1 2 ) . Ecco perché egli può insistere che la sua richiesta non è qualcosa di nuovo ( recente ), ma un co­ mandamento che si ebbe « dal principio » dal momento 25 Gv 17, 21 è l'unico passo del vangelo di Gv a postulare l'inabita­ zione ( einai en) del cristiano in Dio ; ma Gv 14, 20 ; 15, 2 ( einai en) e Gv 6, 56 ; 15, 4.5.6.7 ( menein en) postulano l'inabitazione del cri­ stiano in Gesù, il quale è uno col Padre ( 10, 30) . E così non posso essere d'accordo con l'affermazione che dimorare in Dio debba es­ sere la riformulazione dell'autore di una affermazione degli opposi­ tori ( Heise, Bleiben 123) o che fosse da lui aggiunta a una fonte (Bultmann, Epistles 25-26) . Se gli oppositori erano antichi cristiani giovannei, come ci viene detto in 1Gv 2, 19, questo è precisamente il modo in cui avrebbero formulato la loro affermazione di mutua inabitazione con Dio. Io non sono d'accordo neppure con Westcott e Hauck i quali vedono una voluta progressione nelle affermazioni « conoscere lui », « essere in lui " e « dimorare in lui » in 2, 4a .Sc .6a . Questi sono modi alternativi di descrivere la stessa intimità con Dio. 26 1Gv 4, 7-1 1 mostra che il comandamento di amarsi l'un l'altro come Cristo ci amò venne combinato nella tradizione giovannea con Gv 3, 16: « Dio amò il mondo così tanto da dare il suo unico Figlio •. Nell'INTRODUZIONE (V C2d) , ho messo in risalto che in quell'assioma l'ambiguo verbo « diede ,. può essere stato inteso in modo diverso dai secessionisti ( « diede "' nell'incarnazione) e dal­ l'autore ( « diede » nella morte) .

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che venne insegnato da Gesù ai suoi discepoli nell'ultima cena e insegnato ai cristiani giovannei alla loro entrata nella comunità giovannea. ( Ancora una volta, come ab­ biamo visto alla fine del CoMMENTO alla precedente unità, l 'ambiente di vita da cui l'autore ricava i suoi argomenti può essere stato la parenesi di conversione/iniziazione/ battesimo ). La sua richiesta riflette il comandamento co­ nosciuto nei circoli giovannei semplicemente come « la parola » della nuova alleanza ( l Gv 2, 7c; si veda NoTA ), proprio come i dieci comandamenti o gli accordi dell'Eso­ do vennero conosciuti come « le parole >> del Signore nel­ l'AT. In una NoTA a 2, 6c, ho discusso a lungo l'uso di kathos « proprio come », nello scritto giovanneo. In Gv, si usa porre domande modellate su azioni passate di Cristo ( pro­ prio come egli camminò, amò, morì ) e sulla sua condizione presente (proprio come egli è puro, giusto, o proprio come egli è). I confronti non sono molto specifici riguardo a quale azione morale si deve compiere o quale azione immorale si deve evitare TT. In parte, come ho sostenuto nell'INTRODUZIONE (V B3a), ciò dipende dal fatto che vir­ tualmente il vangelo di Gv non offre istruzione morale specifica né a parole né a fatti. Comunque la mancanza di specificità ci ricorda soprattutto che il confronto « pro­ prio come Cristo » implica più dell'imitazione di un mo­ dello. I cristiani hanno la stessa vita eterna che Gesù ebbe ed ha 28; questa vita, come un principio interno, si deve esprimere allo stesso modo che in lui si espresse e si esprime. Il punto in cui l'autore si differenzia dai seces­ sionisti sta nella concezione che questa vita ( anche verità, conoscenza, luce, amore ) è un elemento dinamico che si esprime in comportamento piuttosto che un possesso sta­ tico. Avendo negato di voler imporre un ordine recente, l'auto­ re ammette, ripensandoci meglio (2, 8ab ), che la sua spe­ cificazione del comandamento di agire proprio come Gesù agì è nuova. Nella NoTA, ho spiegato che, anche se l'autore 'Il A mio avviso, la disputa con i secessionisti non fu su peccati specifici, ma su tutto il punto di vista riguardante l'importanza del comportamento. 28 Se l'autore fosse interessato solo al Gesù terreno come modello, egli avrebbe relegato al passato questi confronti kathos.

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può avere adoperato il termine « nuovo » così come nella tradizione esso era stato abbinato a questo comandamen­ to ( Gv 1 3 , 34), il termine ha tutta una sua tonalità spe­ cifica. Per Gesù, la novità del suo comandamento era di tipo escatologico, annunciata nel « l'ora » in cui si stava per dare a esseri umani un potere interiore ( la stessa vita di Dio ) che li avrebbe resi capaci di amare come Dio amò. L'autore della lettera fa uso di questa idea quando dice che il comandamento è nuovo « come è vero [alethes] » sia in Cristo che nel cristiano. « Vero » implica una cor­ rispondenza con la propria realtà interiore e, così, il co­ mandamento di amare diventa realtà ( = vero ) nei cristia­ ni quando la vita eterna che Cristo diede ai credenti si esprime in opere amorose. Esso è veramente nuovo in Cristo per il motivo che egli non soltanto morì per altri nel passato come riparazione per i peccati, ma per il motivo che egli continua il purificante effetto di quella riparazione come un Paraclito alla presenza del Padre (2, 1 -2 ). Mi fermerò a considerare l'affermazione dell'autore di non voler realmente scrivere qualcosa di nuovo e tuttavia, ripensandoci, di stare scrivendo una cosa nuova - questa ammissione è una cruciale precisazione della sua insisten­ za di annunciare un vangelo che si ebbe « dal principio » . Non è a caso che anche la descrizione giovannea della relazione del Paraclito con Gesù implichi l'idea di niente di nuovo, ma anche una capacità di dichiarare le cose future ( Gv 14, 26; 16, 1 3- 1 5 ). Il quarto evangelista deve essersi considerato come uno strumento del Paraclito quando nel vangelo di Gv egli riferì ciò che Gesù disse e fece ma allo stesso tempo lo reinterpretò completamente. L'autore della lettera sta giocando lo stesso ruolo del Paraclito in relazione al vangelo di Gv ( si veda INTRODU­ ZIONE V C2c ). La sua comprensione di una tradizione avuta « dal principio )) non è più statica della sua com­ prensione della vita eterna. Ritornando ora a 2, 8, l'improvvisa introduzione di tenebre e luce nelle ultime righe del verso ci ricorda che l'autore sta ancora lottando per interpretare il prologo del vangelo di Gv contro i secessionisti. La relazione di 2, 8b ( « come è vero [alethes ] sia in Cristo che in voi )) ) con 2, 8cd ( « dal momento che le tenebre stanno scomparendo e la vera

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[alethinos ] luce sta già splendendo » ) viene un po' chiarita quando ci ricordiamo temi del prologo del vangelo di Gv : « La luce splende nelle tenebre, poiché le tenebre non la vinsero » (Gv l, 5) 29 seguito da : « La vera [alethinos] luce stava venendo nel mondo » ( l , 9). Per il vangelo di Gv, con l 'incarnazione di Gesù la vera luce splendette sulla terra offrendo alle persone una scelta tra luce e tenebre ( 3 , 1 9-2 1 ). Le tenebre non potevano vincere né la luce né coloro che vennero alla luce, ma vinsero coloro che non camminavano nella luce di Gesù ( 12, 35 ). l Gv ha ragione, quindi, quando parla di una novità avveratasi sia in Cristo che nel cristiano in relazione all'idea che le tenebre stan­ no scomparendo. Come Bultmann, Klein 30 e altri hanno messo in evidenza che l'autore della lettera ha storicizzato la lotta escatologica tra luce e tenebre. Ma si esagera la differenza se non si riconosce una iniziale storicizzazione anche nel vangelo di Gv nel senso che esso lascia spazio per il futuro sviluppo della vittoria ottenuta da Gesù. Nell'> dà l'impressione che essi fossero cristiani di lunga data, e in quel senso siano sia più anziani che più maturi dei neanis koi. Co­ munque, si dovrebbe caratterizzare come una pura congettura la tendenza di Houlden, Epistles 70-7 1 , a considerare i pateres e i neaniskoi come funzionari della chiesa giovannea paragonabili ai presbyteroi/episkopoi e ai neoteroi/diakonoi delle chiese delle lettere pastorali paoline. Non sono d'accordo con la sua ulterio­ re congettura che, dal momento che 1 Gv non ha una paragona­ bile forma femminile di indirizzo, la comunità giovannea non accordava preminenza alle donne, contrariamente alle chiese paoline, dove esse avevano una parte importante ! L'argomento grammaticale è debole per il motivo che, frequentemente, nel greco del NT un sostantivo maschile plurale comprende sogget­ ti di ambedue i generi ( MGNTG 3, 22 ) ; e da una analisi del vangelo di Gv concluderei che le donne ebbero un ruolo straor­ dinariamente importante nella tradizione giovannea, superiore in grado al ruolo nella tradizione paolina (si veda Brown , Community 1 83-98; tr. it. 217 ss). TERZO, L'INTERPRETAZIONE DI HOTI. In tutte e sei le proposizioni principali di 2, 12-14, la forma verbale (grapho/egrapsa ) è seguita da un hoti che introduce una proposizione subordinata. Questa congiunzione può essere tradotta in modo causale, « per il motivo che, dal momento che », o dichiarativo, « che >>. ( He­ ring, « Aramaismes » 1 16-19, introdurrebbe un'ulteriore compli­ cazione proponendo che hoti sia una traduzione letterale dell'a­ ramaico d• che significa « che » e « il quale », e così originaria­ mente questa può essere stata una proposizione relativa mo­ dificante i « figli », i « padri » e i « giovani » ). I seguenti studiosi appoggiano una traduzione causale : Belser, Brooke, Bultmann, Charue, de Ambroggi, Dodd, Gaugler, Holtzmann, Marshall, Plummer, Schneider, Spicq, B. Weiss, Westcott e Windisch. Essa appare nella volgata ( quoniam; Agostino ha quia), RSV e TEV. Nonostante il fatto che Westcott, Epistles 58, affermi vigorosamente: « Non ci può essere dubbio che la particella è causale e non dichiarativa », i seguenti studiosi appoggiano la dichiarativa : Balz, Bengel, Boismard, Bonsirven, Lindeskog, Ma­ latesta, Noack, Rivera, Rothe, Schnackenburg e THU. La que­ stione non può essere definita su ragioni grammaticali soltanto. Nelle lettere, grapho è seguito da hoti solo in un altro esempio ( l Gv 2, 2 1 ), e quell'esempio è altrettanto oscuro quanto 2, 12-14.

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Per il resto, comunque, grapho è seguito da un oggetto diretto ( sostantivo o pronome), un fatto che favorisce un significato dichiarativo per hoti. Ma i proponenti del significato causale possono rispondere che in 2, 12-14 graphofegrapsa regge la lettera come oggetto diretto implicito ( « scrivo/scrissi questa 'lettera' a voi » ), così che ho ti può significare « dal momento che ». Marshall, Epistles 136, sostiene che la scelta non cambia molto il significato; tuttavia, essa tocca la relazione di questa azione con ciò che precede e ciò che segue. L'autore si è ora spostato dalla confutazione di discutibili affermazioni o vanti ispirati o formulati dai secessionisti, e si sta rivolgendo affettuosamente ai suoi « figli ». Quale significato dà hoti causativo ? Egli stareb­ be scrivendo per il motivo che i loro peccati sono stati perdo­ nati, per il motivo che conoscono il Padre e Gesù e per il motivo che sono forti. Questo implicherebbe la sicurezza che essi stanno saldamente dalla sua parte, anche se ingegnosamen­ te egli starebbe rendendo loro imbarazzante essere diversamen­ te. Pertanto, si è sorpresi dall'ammonizione che segue in 2, 15-17 se l'autore scrive ai « giovani » in 2, 14e-h per il motivo che sono forti e hanno vinto il maligno, perché c'è bisogno di am­ monirli : « Non abbiate amore per il mondo » (2, 15)? D'altra parte, se hoti è dichiarativo, l'autore starebbe scrivendo per il motivo che ha sentito la necessità di dire ai suoi « figli » che i loro peccati sono perdonati, che conoscono il Padre e Gesù, e che sono forti. Questo implicherebbe un pubblico demoralizzato, insicuro di sé e del proprio stato. Questo quadro corrisponde ai vanti « noi » di l, 6.8.10 dove l'autore sembrava avere paura che i suoi stessi seguaci potessero declamare teologia secessionista e dove le sue antitesi ( 1 , 7.9; 2, 1-2 ) hanno avuto lo scopo di rafforzarli su argomenti quali il perdono di peccati e il ruolo di Gesit Cristo, e (2, 3) la conoscenza di Dio. Il senso dichiarativo di hoti spiega, dunque, ciò che segue in 2, 15-17: il motivo che egli ha sentito la necessità di assicurarli, non impedisce di ammonirli. Pertanto, la logica di tutta la sequenza di pensiero mi fa essere d'accordo con l'energico appello per una traduzione dichiarativa fatto da Noack, « On I John ». Egli ha ragione nel dire che se 2, 12 stesse autonomamente, quasi tutti tradurrebbero istinti­ vamente hoti con cc che ». ( Tuttavia, alcune antiche traduzioni fecero ciò, anche se poi passarono a usare « per il motivo che » nelle altre proposizioni ). Ciò nonostante, Marshall, Epistles 136-37, ha un punto a suo favore quando osserva che i lettori greci potrebbero non avere fatto una netta distinzione tra i due significati di hoti che i grammatici hanno scoperto. Per quella ragione, ho scelto di non tradurre hoti, ma di adoperare i due -

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punti, che orientano il lettore verso un significato dichiarativo, ma non escludono un sottotono causale. Avendo ora trattato i tre fondamentali problemi generali per la globale interpretazione di 2, 12-14, mi volgerò ad alcuni singoli punti in 2, 12-17. 2, 12a. Scrivo. Come in 2, la ( si veda NorA ivi ) l'autore preferi­ sce ora la prima persona singolare allo « stiamo scrivendo » di l , 4a. 12b. i vostri peccati sono stati perdonati. Questa è la stessa forma di perfetto passivo di aphienai che si trova nei migliori MSS. di Gv 20, 23 ( « se perdonate i peccati degli uomini, i loro peccati sono perdonati ») e che è stata il soggetto di molta discussione sacramentale (ABJ 29A, 1023-24; tr. it. 1288 ). Là, faceva parte di una frase condizionale e il tempo presente è stato un'appropriata traduzione : quando perdonate i peccati degli uomini, in quel momento Dio perdona quei peccati ed essi rimangono perdonati. Qui in 1Gv, la volgata adopera un tempo presente, e ciò non sarebbe estraneo all'idea di ordinario per­ dono per mezzo di Cristo menzionato in 2, 1-2. Ciò nonostante, poiché nelle altre proposizioni i verbi retti da graphi5 in 2, 1 3 sono al tempo perfetto ( « avete conosciuto », « avete vinto » ), il contesto suggerisce che in 2, 12 l'autore stia pensando essen­ zialmente a un perdono passato che resta efficace (Westcott, Plummer). De la Potterie ( « La connaissance » 9 1 ) parla di uno stato escatologico del cristiano in cui il perdono è una realtà permanente. a motivo del nome di Cristo. Alla lettera : « Il nome di lui », sollevando ancora una volta la questione se « lui » è Dio o Cristo. Il « lui » menzionato per ultimo (2, 8b ) era sicuramente Cristo; ma anche senza quell'aiuto sintattico, BDF 2823 ha ra­ gione nel descrivere questo come una espressione fissa dove il « suo » viene facilmente compreso dal comune uso cristiano. « A motivo del mio nome » viene associato a Gesù in Gv 15, 21 e in diverse altre parti (Mt 10, 22; 24, 9; Mc 13, 1 3 ; Le 2 1 , 17; Ap 2, 3 ) , proprio come sarebbe l'espressione « a motivo del suo nome » ( si veda At 4, 30; 1Cor l , 10). La preposizione è dia con l'accusa­ tivo, che normalmente fornisce le ragioni per le quali si compie qualcosa, mentre dia con il genitivo significa « tramite ». Quindi, l'idea non è tanto che i peccati sono perdonati tramite o per mezzo del nome di Gesù, ma sono perdonati da Dio a motivo del nome di Gesù. Questo è il primo esempio epistolare di to anoma che ricorrerà altre tre volte con una particolare sfumatura teologica : 3, 23 e 5, 13 parlano di credere ne > ( lQS 3, 17-21 ). « Poiché Dio ha assegnato gli spiriti in uguale misura fino al tempo finale e ha posto un conflitto eterno tra le loro divisioni » (4, 16-17). Gli altri riferimenti del NT a « il maligno » concordano che la sua attività continua ed è pericolosa per il cristiano. Mt 13, 19 dipinge il maligno che porta via il seme buono della parola prima che metta radice, mentre 13, 38-39 mostra il diavolo che semina erbacce che sono « i figli del maligno ». La preghiera del Signore in Mt 6, 13 insegna ai cristiani di pregare : « Liberaci dal maligno ». In Ef 6, 16, lo scrittore paolino esorta i suoi lettori : « Prendete lo scudo della fede con il quale potete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno », mentre in 2Ts 3, 3 li assicura : « Il Signore è fedele: egli vi fortificherà e custodirà dal maligno ». 14a. Figlioli. Questo è il primo uso epistolare di paidion, dimi­ nutivo di pais e un sinonimo di teknion, « figlioletto », discusso nella NoTA a 2, la. 14b. il Padre. Si veda la NoTA a l, 2e sulla predilezione giovan­ nea per « Padre » come titolo di Dio.

14d. lui che è stato dal principio. Il codice vaticano legge un neu­ tro, « quello che ». In 2, 12-14, solo nei vv. 13b e 14d c'è una

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proposizione nel primo gruppo di tre esattamente uguale a una proposizione nel secondo gruppo e, così uno scrivano può avere deciso di creare un contrasto cambiando 14d nella linea di l, l a : « Ciò che era dal principio ». 14f. siete forti. Questo indirizzo ai « giovani >> contiene l 'unico impiego giovanneo di ischyros (9 volte in Ap). Fortezza e giovi­ nezza ovviamente vanno insieme : « Giuda Maccabeo è stato forte in potenza dalla sua gioventù >> ( lMac 2, 66 ). Tuttavia, il concetto biblico di fortezza non è puramente fisico : « Anche la gioventù faticherà e sarà stanca ... ma coloro che aspettano il Signore rinnoveranno la loro forza » ( ls 40, 30-3 1 ). Eb 6, 1 8 parla di un « forte incoraggiamento [paraklesis ] dato ai cristiani » ; pure E f 6 , 10: « Attingete forza n e l Signore e nel vigore della sua potenza ». 14g. poiché la parola di Dio dimora in voi. Alla lettera : « e ». Le tre proposizioni in 14fgh sono coordinate; tuttavia, esse sono collegate tra loro nel senso che 14g e 14h spiegano la forza dei giovani ( 14f). Questo è un esempio della classificazione ( B ) dell'uso d i menein e n discusso nella NoTA a 2, 6a; e negli esempi del vangelo di Gv ivi citati si è detto che la parola ( logos ) di Dio non dimora ne 'i giudei' (S, 38), mentre si è detto che le parole ( rhema ) di Gesù dimorano nei suoi seguaci ( lS, 7). Nel­ l'unico uso analogo dello strettamente parallelo einai en ( l Gv l, 10), si è detto che la parola ( logos ) di Dio non era in coloro che si vantavano in chiave secessionista. La « parola >> qui non è il Logos personificato del prologo del vangelo di Gv, ma « l con i co­ mandamenti era già stata fatta nell'AT : > ( kosmos ) verrà discusso nel CoMMENTO, ma si vedano le NotE a 2, Sb e a 2, 2c rispettivamente. lSb. né per le cose che sono nel mondo. Il verbo einai non è espresso ma sottinteso, come indicato nella riga parallela in lSd: « In lui non c'è amore del Padre ». L'uso implicito di einai en in l Sb esemplifica una specie di classificazione ( C ) discussa nella NotA a l, Se, dove varie persone e realtà devono o non devono essere nel mondo, secondo il loro posto nella prospetti­ va dualistica giovannea.

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lSd. in lui non c'è amore del Padre. Degli 8 esempi giovannei di espressione genitivale descrivente l'amore della divinità, questo è l'unico che parla di lui come « Padre »; da qui la tendenza di alcuni scrivani (alessandrino, rescritto di Efrem ) a sostituire « Dio ». Nella NoTA a 2, Sb, ho discusso S modi diversi di com­ prendere « amore di Dio/Padre ». Di quelli, il genitivo oggettivo, 'amore per il Padre', viene proposto qui da Barrasse ( ?), Broo­ ke, Chaine, Coppens, Loisy, Marshall e Schnackenburg. Esso ha a suo favore il fatto che il contrasto, « non abbiate amore per il mondo », è chiaramente oggettivo. Il genitivo soggettivo, 'amore dal Padre', viene favorito da Bonsirven, Houlden, Malatesta, Schlier e Wengst. Esso ha a suo favore il fatto che questa classe ( B ) di espressioni einai en ( NOTA a 1, Se) normalmente implica una realtà divina che si dice non esserci in un avversa­ rio. Che ci siano buoni argomenti da ambedue i lati della questione si riflette nel numero di studiosi che, con diverse sfumature, credono siano implicati ambedue i tipi di amore : Balz, Bultmann, de Ambroggi, Gaugler ( ?), THU e Westcott. Balz, Johannesbriefe 114, lo formula bene : « L'amore per il Padre è solo un riflesso dell'amore che viene dal Padre ». 16a. tutto quello che è nel mondo. Come nel v. 1Sb, il verbo einai, « essere », non viene espresso ma sottinteso : nel citare il testo, i padri latini inserirono una copula proprio come ho fatto io. Mentre l Sb ha parlato al plurale del « le cose ( che sono ) nel mondo », qui il singolare tende a unificare i tre fattori che seguono. ( Ciò nonostante, enfatizzare la distinzione tra sing. e pl. non risponde al vero stile giovanneo, dove sostantivi come « comandamento » e « parola » possono venire adoperati inter­ scambiabilmente in ambedue i numeri ). Dopo avere caratteriz­ zato i tre fattori che seguono come nel mondo, l 'autore parlerà di essi in 1 6f come del mondo. Egli non asserisce che questi tre fattori costituiscano tutto ciò che è nel mondo; essi sono esem­ pi di ciò che è nel mondo. 16bcd. Prima di trattare gli elementi separatamente, li discuterò insieme, elencando Je espressioni greche con una traduzione letterale : h è epit h ymia tés sarkos h è epithymia ton ophthalmon he alazoneia tou biou

il desiderio della carne i l desiderio degli occhi la superbia di vita.

Come la maggior parte dei raggruppamenti di 1Gv, esso manca di perfetto equilibrio : uno si sarebbe aspettato tre diversi sostantivi reggenti, o lo stesso sostantivo adoperato tre volte, ma perché due uguali e uno diverso? La maggior parte degli

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studi ritiene che i primi due genitivi siano soggettivi ( la carne e gli occhi introducono il desiderio ) e il terzo sia oggetti­ vo ( la vita/mezzi di sussistenza è l'oggetto della superbia). Mentre più avanti metterò in discussione quest'analisi, tali difficoltà hanno condotto alcuni studiosi a scoprire una subor­ dinazione tra le tre espressioni. Per Houlden, la prima è la categoria generale sotto cui la seconda e la terza sono specie; per Findlay, la prima e la seconda vanno assieme descrivendo il male che sorge da desiderio, mentre la terza riguarda il male che sorge da possesso. Inoltre, in relazione alla proposizione di apertura in 16a ( « tutto quello che è nel mondo » ), l'autore vuole dire che i due desideri e la superbia (e, quindi, le azioni) sono nel mondo? O sta egli alquanto spensieratamente indican­ do che la carne, gli occhi e la vita (i soggetti) sono nel mondo? Il più delle volte, gli studiosi suppongono che i non menzionati oggetti dei due desideri e il menzionato oggetto dèlla superbia sono nel mondo, così che si può liberamente tradurre : « Ciò che la carne desidera, ciò che gli occhi desiderano, la vita di cui uno è superbo - tutto quello è nel mondo ». Forse, non do­ vremmo forzare in modo troppo preciso la grammatica dell'au­ tore, poiché nella sua generalizzazione egli può avere fatto in modo che la logica si sottomettesse all 'effetto drammatico. La tendenza a elencare tre fonti o specie di male è molto diffusa e può illustrare il dominio di tre caratteri esemplificati in un racconto (ad es., uno scozzese, un irlandese e un inglese in uno scherzo). Piuttosto romanticamente, degli studiosi hanno contrapposto le tre componenti giovannee di amore del mondo ai tre fattori sinottici nell'amare Dio (M t 22, 37: « Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente »; ma si veda il quarto: « Con tutta la tua forza », in Mc 1 2 , 30; Le 10, 27 ). Altri, includendo Agostino, hanno collegato la triade giovannea alle tre tentazioni di Gesù in Mt 4, 3-1 1 ; Le 4, 3-1 3 : la tentazione a cambiare pietre in pane essendo collegata a « il desiderio della carne »; la rappresentazione di tutti i regni del mondo, a « il desiderio degli occhi »; e il gettare se stesso dal pinnacolo del Tempio, al « la superbia della vita » (si noti la disposizione lucana delle tentazioni). Naturalmente, le tre ten­ tazioni non sono narrate nel vangelo di Gv (ma si veda ABJ 29, 308 ; tr. it. 398 ), e i punti scelti per questo confronto difficilmen­ te costituiscono la nota principale dei racconti matteano/luca­ no. Filone, Sul decalogo 28 # 153, riconduce tutte le guerre al desiderio, « il desiderio di denaro, o di gloria o di piacere » : una triade che appare anche in Luciano ( Herrnotirnus 7.22 ). Giubilei 7, 20-24 riconduce il diluvio a « tre cose » : fornicazione, impurità e ogni iniquità. CD 4, 15-18 descrive « le tre trappole di Belial » con cui imbriglia Israele dal momento che gli dà l'ap-

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parenza di rettitudine : impurità, ricchezza e la profanazione del santuario. Pirqe Aboth 4.21 asserisce : « Invidia, desiderio e ambizione portano un uomo fuori del mondo »; e all'incirca allo stesso tempo Giustino (Dialogo 82.4) menziona la triade : « amo­ re di denaro, amore di gloria, amore di piacere ». Questo appare nel medioevo come la triade « piacere, avarizia e superbia »; e Tommaso d'Aquino (Summa theologica I-llae, q. 108, a.3-4 ) a­ dopera 1 Gv 2, 16 per ridurre i piaceri mondani a tre ( onori, ricchezze e piaceri ) e per suggerire che i tre voti religiosi di obbedienza, povertà e castità furono progettati per controbilan­ ciarli. Una triade meglio conosciuta nei tempi moderni è « il mondo, la carne e il diavolo ». La possibilità di volgere il passo giovanneo in una intelligente triade viene colta dalla traduzio­ ne : « Sensualità, superficialità e capacità di interessare il pub­ blico ». Ma quando si cominciano a studiare in dettaglio i fattori mondani menzionati da 1Gv 2, 16, ci si rende conto che tali confronti e interpretazioni sono troppo facili. 16b. natura umana piena di desiderio. Nell'espressione he epi­ thymia tes sarkos, « il desiderio della carne », il genitivo è sog­ gettivo ( desiderio sorgente dalla carne; Moule, IBNTG 40 ) o almeno qualitativo (il tipo di desiderio associato alla carne; MGNTG 3, 2 1 3 [ ?] ). Questo può essere determinato non solo dal parallelismo fornito dalla prossima riga ( « il desiderio degli occhi ») dove il genitivo non può essere oggettivo, ma anche da altro uso del NT; ad es. : , e da Schweizer, « Komponente »: quando i desideri sono criticati, è per il motivo che sono contrari al controllo della ragione. Comunque, nel greco dei LXX, i > ( Es 20, 17; Dt 5, 21 ). Nel giudaismo postesilico, appare il concetto di due inclinazioni negli esseri umani, una buona, l'altra cattiva. Si è tentati di equiparare questo concetto di

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ye$er, « inclinazione, tendenza », con epithymia, sebbene il Sir greco; che adopera epithymia frequentemente, non l'usi in 15, 14: « Dio creò l'uomo in principio e lo lasciò in balia della sua inclinazione [ebraico : ye$er] ». Per Filone, Interpretazione allegorica 3, 47-5 1 # # 139-49, epithymia è una delle quattro passioni ( pensiero stoico ) e deve essere soppressa, poiché negli esseri umani costituisce la radice del male. Il secondo sostantivo, sarx, « carne », descrive nel greco classi­ co l'aspetto più fisico della corporalità umana, cioè, ciò che implica mangiare, bere e sesso. Per gli scrittori platonici, « carne » può servire come un sostituto per « corpo » quando si sta mettendo in rilievo l'imprigionamento dell'anima. Come un equivalente del platonico « desideri secondo la carne » ( epi­ thumiai kata sarka ), i filosofi epicurei tenderebbero a parlare di > ; e così nel mondo ellenistico i desideri della carne vennero considerati sempre più crudamen­ te carnali e irriconciliabili con la pietà. Nel pensiero ebraico, > e « mediante l'amore essere servi l'un dell'altro >>. L'espressione che noi incontriamo in 1Gv 2, 16b : « Desiderio della carne », che come tale non ricorre nell'AT o a Qumran, appare parecchie volte negli scritti di Paolo. In Rm 13, 14, dopo avere parlato di gozzoviglie, ubriachezza, contesa e gelosia, Paolo dice : « Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite i desideri della carne ». In Gal 5, 16-17, egli dice : « Camminate

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nello Spirito e non soddisfate il desiderio della carne, poiché la carne ha desideri contrari allo Spirito »; poi, in 5, 19 egli elenca le opere della carne, includendo impurità, immondezza e impu­ dicizia e in 5, 24 conclude : « Coloro che appartengono a Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri ». Altrove, nel NT, l Pt 4, 2-3 contrappone i desideri degli esseri umani che vivono nella carne e la volontà di Dio, e poi prosegue elencando i vizi associati ai primi. 2Pt 2, 10 parla di coloro che vanno « dietro alla carne nel desiderio impuro ». Di fronte a un tale sfondo, che cosa intende lGv con « il desiderio della carne ,,? Lazure, « La convoitise », divide gli studiosi a seconda se accentuano lo sfondo greco e l'intendono come il desiderio del piacere che sorge dal lato carnale della natura umana ( Chaine, Charue, Dodd, Malatesta, Selwyn, Schna­ ckenburg ), o accentuano lo sfondo ebraico e l'in tendono co­ me la tendenza che sorge dalla natura umana priva di aiuto divino (Asmussen, Bonsirven, Huby, Kuhn, Schweizer). I due elenchi di studiosi che ho dato sono approssimativi, poiché su questo punto risulta difficile classificarli esattamente. Si può distinguere un altro gruppo che consta di coloro i quali inter­ pretano che l Gv si riferisca in un senso paolino alle generali tendenze cattive della gente peccaminosa ( Bultmann, Lazure, Nauck). Due osservazioni sono d'obbligo : come ammonisce Michl, Briefe 213, non si dovrebbe saltare alla conclusione che « carne » significa sesso e « il desiderio della carne ,, concupi­ scenza; e come insiste Wengst, Hiiresie 69, non si dovrebbe troppo presto leggere gli scritti giovannei con gli occhiali pao­ lini, anche quando ambedue gli scritti usano la stessa espres­ sione. Per Gv, « carne » non è un principio cattivo o peccami­ noso; dopo tutto, « la Parola divenne carne » ( Gv l, 14). Quel­ l'asserzione mostra anche che carne si riferisce a più che a un corpo e, a fortiori, a più che ad aspetti fisici del corpo un equivalente potrebbe essere 'uomo' od 'umano'. Come nell'AT, anche in Gv « carne » è l'umano in quanto distinto dal divino. « Carne genera carne, e Spirito genera Spirito » (Gv 3, 6), e così senza essere generati dallo Spirito non si può entrare nel regno di Dio ( 3 , 5 ). Giudicare secondo la carne è giudicare con model­ li umani (8, 1 5 ). Lazure, « La convoitise » 202, ha ragione quan­ do insiste che « la volontà della carne » in Gv l, 13 non ha significato morale, ma quando è unita a « sangue » ( il sostanti­ vo che la precede ), abbraccia l'ampiezza della generazione u­ mana. Pertanto, è probabile che in l Gv 2, 16b « il desiderio della carne » sia diretto verso tutto ciò che soddisfa le necessi­ tà e i voleri degli esseri umani in quanto tali. L'implicito contrario non è il nobile desiderio dello spirito umano, ma il desiderio dei figli di Dio generati dall'alto. Certamente, alcuni -

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desideri della carne sarebbero grossolani e peccaminosi, ma altri sarebbero neutrali e anche nobili secondo schemi secolari. La mia traduzione, « natura umana piena di desiderio », è fede­ le al pensiero giovanneo. 1 6c. occhi affamati di tutto quello che vedono. Nell'espressione hé epithymia tOn ophthalmlm, « il desiderio degli occhi », è di nuovo un genitivo soggettivo ( desideri che sorgono dagli occhi ). È allettante collegare la ripetizione di epithymia con il fatto menzionato più sopra che due dei dieci comandamenti comin­ ciano : « Non desidererai [ epithymein ] », dal momento che il riferimento a « parola di Dio » in 2, 14g suggerisce che l'autore aveva in mente i comandamenti (parole), specialmente il deca­ logo ( dieci parole). Questa espressione non ricorre nell'AT, a Qumran, o altrove nel NT. Essa differisce da « il desidèrio della carne » attirando attenzione su quei desideri che provengono dalla parte conscia della natura umana. Ancora una volta, essi non sono necessariamente desideri malvagi, poiché Ez 24, 16 adopera: « Le cose desiderate [ epithyméma] dagli occhi » per la visione del santuario di Dio. Il Tes tamento di Ruben men­ ziona sette spiriti dati agli esseri umani durante la loro crea­ zione per renderli attivi; e il secondo, immediatamente dopo lo spirito della vita stessa, è lo spirito della « vista che fa sorgere desideri » (2, 4-5 ). Ciò nonostante, nell'A T seguire con gli occhi la propria inclinazione è molto spesso equivalente a opporsi alla volontà di Dio. Nel racconto della Genesi (3, 6), l'albero proibito venne ritenuto da Eva « essere piacevole agli occhi e desiderabile ». Nm 15, 39 ammonisce : « Vi ricorderete di tutti 1 comandamenti del Signore per metterli in pratica, e non vi volgerete indietro verso la lascivia del vostro cuore e dei vostri occhi ». Ai membri di Qumran veniva data l'ammonizione : « Che nessuno cammini nell'ostinazione del suo cuore smarren­ dosi dietro il suo cuore e i suoi occhi e il desiderio della sua inclinazione [ye$er l » ( lQS 5, 4-5 ). L'occhio diventa, pertanto, una occasione di peccato ( Mc 9, 47 ). Nel Testamento di lssacar, viene lodato colui che evita gli « occhi ( diventati) cattivi trami­ te l'errore del mondo, per non essere costretto a vedere la perversione di qualche comandamento del Signore ». Verso che cosa viene probabilmente attirato « il desiderio degli occhi »? L'AT indica almeno tre possibili atteggiamenti : ( a ) Superbia. « Occhi superbi » o gli « occhi del superbo » è un' espressione comune ( ls 5, 15; Prv 6, 17; 2 1 , 4; Sal 101, 5), che si può combinare con un « cuore superbo ». Comunque, questo significato è meno adatto in un idioma dove « occhi » viene combinato con « desiderio ». ( b ) Avarizia o cupidigia, quando gli occhi sono diretti verso la ricchezza. In Qo 4, 8, viene criticata

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la persona « i cui occhi non sono mai sazi di ricchezza » ( pure Sir 14, 10 [ 9 ] ), mentre Qo 5, 10( 1 1 ) dice che grandi ricchezze non sono di molta utilità se non per saziare i propri occhi su esse. Alcuni attribuiscono questo significato a l Gv, combinando « il desiderio degli occhi >> con il terzo fattore, « la superbia dei mezzi di sussistenza ». l Gv 3, 17 critica alcuni che hanno sufficienti mezzi di sussistenza di questo mondo, ma non hanno compassione. ( c ) Desiderio sensuale, specialmente brama ses­ suale. Houlden, Epistles 74, che prende « il desiderio della carne » in un senso paolino di tendenze umane peccaminose, intende che « il desiderio degli occhi » includa sia cupidigia che brama. Gn 39, 7 associa gettare gli occhi su qualcuno con un forte desiderio di rapporto sessuale; e quel pensiero viene ripetuto frequentemente ( Gb 3 1 , l ; Sir 9, 5.8; Giub. 20, 4; 1QS l , 6; Mt 5, 28; 2Pt 2, 14), anche nel senso ampliato in cui adulte­ rio significa falsa adorazione e gli occhi sono rivolti verso idoli ( Ez 6, 9). Sir 23, 4-6 chiede a Dio : « Non dare a me occhi irrequieti e allontana da me il desiderio [epithymia] ; non m i vincano né l'attrazione sensuale né l'unione carnale [sarx] » . Quegli studiosi i quali intendono che « i l desiderio della carne » sia la concupiscenza, spesso sostengono che « il desiderio degli occhi » sia la brama. Agostino (In Epistolam 2, 13; SC 176) interpretò quest'ultimo come « ogni specie di curiosità », spe­ cialmente quella di frequentare gli spettacoli pagani ( che pre­ cedentemente Tertulliano, De spectaculis 8, 10; CC l, 235, aveva condannato come partecipazione all'idolatria). Mentre questi significati non si possono escludere dall'inten­ zione di lGv, nel pensiero giovanneo trovo scarsi elementi per sostenerli. Dodd, Epistles 4 1 , si avvicina molto al segno quando interpreta l'espressione come « la tendenza di essere attirato dall'apparenza esterna delle cose senza indagare sul loro vero valore ». Come carne e spirito esprimono il dualismo giovan­ neo, così è per la capacità di vedere solo l'aspetto terreno, ( carne ), contrapposto alla capacità di vedere al di là: al celeste (Spirito ). In Gv 4, 35, Gesù invita i suoi discepoli ad aprire i propri occhi e a guardare al significato della messe dei samari­ tani. Dodici volte Gv adopera « occhi » in relazione all'uomo cieco del cap. 9, in cui il vero significato non è che Gesù aprì gli occhi dell'uomo alla vista fisica, ma a quella spirituale di Gesù come colui che era stato mandato da Dio, nei confronti del quale i farisei erano ciechi ( sebbene potessero vedere fisi­ camente ). lGv critica « il desiderio della carne » non princi­ palmente per il motivo che è peccaminoso in se stesso, ma per il motivo che non è del regno dello Spirito. E, così, non è improbabile che nell'espressione successiva l Gv critichi la ten­ denza che gli occhi siano colpiti dal visibile e non da ciò che

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viene dall'alto ed è fisicamente invisibile. Una traduzione lette­ rale potrebbe essere : « Il desiderio per ciò che l'occhio vede fisicamente », che meno prosaicamente ho reso con : « Occhi affamati di tutto quello che vedono ». 16d. vita materiale che gonfia la sicurezza di sé. Una traduzione letterale di hè alazoneia tou biou è complicata da una doppia incertezza: l'esatto significato giovanneo dei sostantivi e il tipo di genitivo implicato. Alazoneia abbraccia tutto l'ambito di superbia, arroganza e vanagloria. Nel greco classico, la conno­ tazione più frequente fu « vanità », mentre nel greco ellenistico l'esatta sfumatura è più spesso « ostentazione >>. Nei LXX, ala­ zoneia appare solo in composizioni tardive ; ad es., per una vanagloriosa ostentazione di potere e successo (2Mac 9, 8 ; 1 5 , 6 ) , d i sapienza ( Sap 1 7 , 7 ; 4Macc. 8 , 19), e d i ricchezza ( Sap 5, 8). Una relazione tra il 20 • Egli sta chiaramente contrapponendo i suoi seguaci ( il . Questo è il primo esempio di parresia, una parola che ricorre 9 volte nel vangelo di Gv e 4 volte in 1 Gv, costituendo il 40% dell'uso totale del NT (31 volte ). Etimologicamente, essa viene da pan-resia, « dire tutto »; e la sua gamma di significato include : parlare aperta­ mente piuttosto che segretamente; dire la verità piuttosto che la falsità; parlare coraggiosamente piuttosto che rimanere si­ lenzioso per timore o rispetto; parlare chiaramente piuttosto che oscuramente. Peterson, « Parresia », e Van Unnik, « Free­ doro », danno utili compendi dello sviluppo dell'idea. Mentre è infrequente nei poeti e drammaturghi greci, parresia fu un importante concetto nella democrazia attica, essendo più ag­ gressivo di « libertà » ( eleutherostomia) nell'esprimere il diritto di parlare contro il tiranno. Tra amici, esso include il diritto di correggere sbagli morali, e fu adoperato in quel modo special­ mente dai cinici e da Isocrate. Sebbene relativamente infre­ quente nei LXX, questo sostantivo assunse nella letteratura giu­ deo-ellenistica ( Filone, Qiuseppe Flavio) un significato che non si trova in nessun'altra parte : il diritto a parlare apertamente con Dio; ad es., di Mosè come un amico di Dio. L'uso del NT sembra servirsi di ambedue gli sfondi. Paolo ( 10 volte ) lo collega alla aperta predicazione del vangelo, il cui mistero e vittoria sono resi manifesti. Negli Atti (5 volte) si applica a predicazione non ostacolata e a sicura interpretazione di profe­ zia. Il solitario uso sinottico (Mc 8, 32) si riferisce al parlare aperto di Gesù della sua sofferenza. Cinque passi del vangelo di Gv si riferiscono a Gesù che parla in pubblico, apertamente, o

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senza timore; 4 si riferiscono al suo parlare chiaramente, senza figure retoriche e senza offuscamento. In tutti e 4 gli usi in 1Gv, esso si riferisce alla fiducia che uno ha davanti a Dio o a suo Figlio quando fa petizioni (5, 14) o affronta il giudizio (2, 28; 4, 17), o ambedue (3, 21-22 ). Questo è lo stesso significato che parrésia ha in Eb 4, 16; 10, 19. Nella chiesa primitiva, si dice che i martiri hanno parrésia sia sulla terra contro i loro oppositori che in cielo di fronte a Dio (poiché essi sono i suoi amici ). Questa concezione viene trasferita a '' fiducia ,. nell'in­ tercessione dei santi. Nelle liturgie orientali e occidentali, la recita della preghiera del Signore, che osa chiamare Dio « Pa­ dre •, venne considerata come un atto di parrésia o '' audacia ». L'autore di 1Gv rende manifesto che alla rivelazione di Cristo la fonte di « fiducia » è dovuta al fatto che i cristiani hanno dimorato in lui, e così egli viene come un amico affettuoso e non come un giudice. 28c. e non ci ritiriamo da lui con vergogna alla sua venuta. H « lui » e il « sua » sono ambedue forme di autos, che ha lo s tesso riferimento dell'autos in 28a (probabilmente Cristo ). I verbi « vergognarsi » aischynesthai del NT ricorrono per un totale di 16 volte, ma questo è l'unico uso giovanneo. Qui, la forma di aischynesthai può essere letta come un tempo medio, « allontanarsi con vergogna da lui », o come un passivo, « esse­ re svergognato ». Il passivo riflette una situazione legale dove uno è disonorato, mentre il medio ha più l'aspetto psicologico dell'individuo che sente vergogna. Bultmann e Schnackenburg preferiscono il passivo, ma l'impiego della preposizione « da • favorisce il medio. (Normalmente, i verbi prenderebbero un accusativo; e MGNTG 2, 460, suggerisce che apo, « da », riflette un semitismo, mentre Schnackenburg lo tratterrebbe quasi come se fosse hypo, « da parte di [lui] », una possibilità rico­ nosciuta da BDF 2102), Il passivo creerebbe due passi da 2, 28b e 28c, cioè avere fiducia ( prima del verdetto ) e non essere fatto oggetto di vergogna ( dal verdetto ). È preferibile postulare un parallelismo chiastico, dove ambedue le righe dicono la stessa cosa in disposizione diversa : così che (A) quando viene rivelato, ( B ) possiamo avere fiducia ( B' ) non ci ritiriamo con vergogna da lui (A') alla sua e venuta. Un tale parallelismo tra parrésia e non vergognarsi ricorre in modo opposto in Prv 13, 5 : L'empio si vergogna e non ha parrésia ». L'idea di vergogna alla rivelazione finale davanti al giudice divino è comune : in ls l , 24.29, quando il Signore viene con ira a compiere giudizio sui trasgressori, si dice al popolo :

Note

a

2, 28

-

3, lO

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« Vi vergognerete delle querce in cui vi compiaceste e vi vergognerete dei giardini che sceglieste » ( pure Ger 2, 35-36). In Ap 6, 1 5-17 ci sono i re che nascondono le loro facce davanti a colui che siede sul trono mentre chiedono : « Il gran giorno dell'ira è venuto e chi può resistere a esso ? » La parola che ho qui tradotto con « venuta » è parousia, adope­ rata 24 volte nel NT ma solo qui nella letteratura giovannea. La sua scelta può essere dettata dalla somiglianza di suono con parresia nella riga precedente. ( Altri termini del NT per la [seconda ] venuta di Cristo, a parte il passivo del verbo phane­ roun discusso sotto 2, 28b, includono epiphaneia, « epifania », e apokalypsis, « rivelazione », nessuno dei quali viene adoperato nella letteratura giovannea ). Il fatto che l'autore non debba spiegare questo termine tecnico suggerisce di nuovo una tradi­ zione giovannea apocalittica ( non rappresentata nel vangelo di Gv ). Nel mondo antico, parousia ha un pertinente duplice si­ gnificato : (l) la venuta di una divinità nascosta che fa sentire la sua presenza col suo potere o miracoli; ( 2 ) la visita di un re o imperatore a una provincia ( latino : adventus ). I cristiani accolsero il secondo aspetto per descrivere in che modo Cristo sarebbe ritornato. 29a. Una volta capito che egli è giusto. Alla lettera : « Se [ean ] voi conoscete [ eidenai] ». La condizione che esprime realtà è normalmente ei con l'indicativo (BDF 372) piuttosto che ean con il congiuntivo. Quest'ultima costruzione qui non vuole met­ tere in discussione la certezza che « egli è giusto », ma portare il pubblico all'autointerrogazione : hanno essi capito che egli è giusto ? ( La proposta di THLJ di « dal momento che » o « dato che » perde questa sfumatura ). Di nuovo, noi ci troviamo di fronte al problema dell'« egli » (espresso nella forma verbale) dell'autore - Dio o Cristo? Come abbiamo visto, ci sono stati tre esempi di autos ( che qui manca) nel v. 28, due dei quali nell'ultima riga; ed essi probabilmente si riferivano a Cristo. C'è pure un autos nella prossima riga (29b ), che probabilmente si riferisce a Dio. ( Un occasionate impiego di un nome proprio da parte dell'autore sarebbe stato molto utile ! Ci si chiede se l'autore rifletta una riluttanza giudaica ad adoperare nomi di­ vini ). Che qui l'« egli » si riferisca a Dio viene preferito da Bonsirven, Bruce, Biichsel, Camerlynck, Chaine, Loisy, Plum­ mer, Stott, Vrede, B. Weiss, Wilder e Windisch ( ?) per queste ragioni : ( a ) Dio viene descritto come « giusto » in lGv l, 9; Gv 17, 25 ; ( b ) un riferimento a Dio evita un duro passaggio alla prossima riga, dove autos significa Dio. Che qui l'« egli » si riferisca a Cristo viene preferito da Balz, Brooke ( ?), Haring, Hauck, Marshall, Schnackenburg, Schneider, THLJ, Vicen t

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Cernuda e Westcott per queste ragioni : (a) l'autore ha chiama­ to Cristo « giusto » in 2, l; ( b ) dal momento che neppure un pronome è apparso per segnare un cambiamento di riferimento dalla riga precedente, l'« egli » è lo stesso dell'autos là, cioè, Cristo; ( c ) l'idea del v. 29 è che ognuno che agisce giustamente è stato generato da Dio per il motivo che quella persona rassomiglia a colui che è giusto - il quale, quindi, deve essere il Figlio di Dio; ( d ) v. 29 rassomiglia fortemente a 3, 7 dove non vi è dubbio che è Cristo ( ekeinos) a essere giusto. Il fatto che proprio il prossimo verso ( 29b ) parli di un autos che è proba­ bilmente Dio non costituisce affatto un serio argomento per intendere l'« egli » di 29a come Dio, proprio per il motivo che là l'introduzione del pronome autos può segnare un cambia­ mento di riferimento. In 5, 1 , che ha paralleli con 2, 29 c'è un analogo movimento da Cristo in una proposizione a Dio nella successiva : « Ognuno che crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio ». Gli argomenti che favoriscono un riferimen­ to a Cristo sono qui chiaramente più forti. Per l'uso giovanneo di dikaios, « giusto », si veda la NorA a l , 9b. Là, ho messo in risalto che mentre giustizia implica opposizione a peccato, certi aspetti di questa opposizione in­ cludono compassione perdono e remissione del peccato. In 2, l , « giusto » è stato applicato a Gesù Cristo che funge da Paracli­ to alla presenza del Padre, che espia per i nostri peccati e che, quindi, vince la causa per noi. Qui, esso è applicato a Cristo che ritornerà nel giudizio, non come un nemico ma come un amico che dà fiducia perché sta perdonando.

sapete. Qui, la forma di ghinoskein può essere dell'indicativo o dell'imperativo. La lettura dell'imperativo è preferita dalla vol­ gata, dalle prime versioni inglesi e da de Wette, Dodd, Hauck, Vellanickal, Vicent Cernuda, Westcott e Windisch, i quali ri­ mandano agli imperativi dei versi limitrofi ( « dimorate >> in 2, 28a; « guardate » in 3, la). La lettura dell'indicativo è preferi­ ta dalla KJV, RSV e da Balz, Biichsel, Bultmann, Chaine, Plummer, Schnackenburg, Schneider, THLJ e B. Weiss che mostrano le asserzioni all'indicativo « conoscete » ( eidenai) in 2, 20.2 1 . Io ho optato per quest'ultima, per il motivo che in lGv conoscenza viene descritta come un fatto già esistente derivan­ te dal fatto che l'autore è un cristiano (2, 3.5.20.2 1 ; 3, 16.19.24; 4, 2.13; 5, 2). Alcuni studiosi vedrebbero una differenza di si­ gnificato nello spostamento dell'autore da eidenai, « conoscere, capire », all'inizio di 29a a ghinoskein qui alla fine di 29a; ad es., da conoscenza intuitiva a conoscenza esperienziale ( Plum­ mer), o da conoscenza assoluta a osservazione ( Westcott, de la Potterie). Io vedo solo un'artistica variazione giovannea ( si

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veda ABJ 29, 5 1 4 tr. it. 1456; più sopra, NoTA a 2, 3a); si trova il modello eidenaijghinoskein in Gv 13, 7 ; 2 1 , 1 7 ; e il contrario in 14, 7 (proprio come la Bibbia ebraica, occasionalmente, muta il modello Giacobbe/Israele in Israele/Giacobbe.

anche questo: ognuno che. Questa proposione hoti è retta da ghinoskein discusso nella precedente NoTA. Un kai, « e, anche », viene Ietto tra I'hoti e 1'« ognuno » in testimonianze testuali come il sinaitico, l'alessandrino, il rescritto di Efrem, la sahi­ dica, la peshitta siriaca e la volgata ; ma viene omesso dal vaticano, dalla tradizione bizantina e da alcune testimonianze latine - una valida combinazione, che Westcott accetta. La presenza del kai costituisce una lettura difficile che gli scrivani avrebbero molto più probabilmente evitato ( per omissione ) che creato. Come tradurre il kai è un problema discusso da Vicent Cernuda, « La filiaci6n », il quale rifiuta qualsiasi significato puramente intensivo a favore di « in un certo modo >> (pure in 3, le; egli difende questo attenuato kai in EstBib 32 [ 1973 ] 5776). La maggior parte deglì studiosi ( Chaine, Malatesta, Nestle, Schnackenburg, THLJ, B. Weiss ) intende che il kai significhi « anche ». Questo concorda con la forma indicativa di ghinoskein dando alle due parole di conoscere Io stesso significato : se sapete questo, sapete anche quello. 29b. Ognuno che agisce giustamente. Alla lettera: « Ognuno facente giustizia [dikaiosyne] ». Nella NoTA a 2, 23ab, ho fatto notare l'idioma giovanneo che impiega pas « tutto, ogni » con un participio ( presente) per fare una piena classificazione dualisti­ ca: tutti coloro che sono coerentemente impegnati in una par­ ticolare azione o destinatari di essa, appartengono a un certo gruppo, buono o cattivo. Questa unità ha sette proposizioni di questo genere (2, 29b ; 3, 3a.4a.6ab.9a.10b ) che presentano chi fa ciò che è giusto opposto a chi commette peccato; e ognuno che è stato generato da Dio opposto a ognuno che non appartiene a Dio. Come ho spiegato nella INTRODUZIONE ( I I I Al), queste asserzioni antitetiche costituirono la spina dorsale della teoria della fonte di von Dobschiitz, che Bultmann rilevò (attribuendo 29b alla fonte : Appendice I, specchietto tre). L'espressione « fare giustizia » ricorre 3 volte in lGv, tutte in questa unità. Sebbene contrapposta a fare peccato (3, 7-8 ; cfr. 3, 4), essa significa più di non peccare, poiché giustizia (NOTA a l, 9b ) implica santità. (Ap 22, 1 1 mette fare giustizia in paralle­ lismo con essere santo, e l'oppone ad agire ingiustamente e a essere impuro ). Si può fare giustizia solo se si agisce secondo una santità che abita dentro di noi, proprio come « fare la verità » ( NOTA a 1, 6d ) significa agire secondo la verità interna

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al cristiano, per il quale Gesù è la verità. Cristo è giusto per sua stessa natura in quanto Figlio di Dio, e automaticamente egli fa la volontà di Dio per il motivo che egli e il Padre sono uno. Se gli esseri umani fanno ciò che è giusto, è perché essi sono figli di Dio generati a somiglianza di Cristo. ( Plummer, Epistles 10, si domanda se qui l'articolo determinativo adope­ rato davanti a dikaiosyne non debba essere tradotto con « suo », dal momento che un tale articolo indica qualcosa di familiare, e l'autore ha appena detto : « Egli è giusto » - la traduzione è troppo forte, ma l'istinto è giusto ). Westcott, Epistles 83, correttamente afferma che per Gv dikaiosyne non è la condizione, ma la conseguenza dell'essere figlio di Dio. In Mt 6, l , i discepoli vengono messi in guardia dal « fare giustizia >> davanti agli uomini per essere visti da loro; ma, probabilmente, Gv non potrebbe concedere quella possibilità, poiché l'azione sarebbe « giusta » solo se venisse da un principio santo. In Rm 10, 5-6, Paolo contrappone « fare giustizia » basata su ciò che la legge comanda a una giustizia fondata sulla fede in Cristo.

è stato generato da Dio. Questo è il tempo perfetto passivo di ghen nan, « generare, dare nascita a », o [ passivo ] « essere gene­ rato/nato », seguito dall 'espressione preposizionale « da lui » [autos ] .Grammaticalmente, non c'è possibilità per conoscere se autos si riferisca a Cristo come i tre impieghi di autos in 2, 28, o se viene adoperato, dopo il precedente riferimento a Cristo (2, 29a - nella forma verbale « egli è » ), per fare passare l 'azione a Dio. Una terza possibilità è che au tos si riferisca in modo impreciso sia a Cristo che a Dio Padre ( Vicent Cernuda ). Per il motivo che la grammatica offre scarso aiuto, la decisione si può fondare sul consueto uso di ghennan che ricorre 18 volte nel vangelo di Gv e 10 volte in lGv. ( All'attivo, solo in Gv 16, 2 1 ; lGv 5, 1 ). Il passivo viene spesso adoperato con una espressione che indica origine, retta dalla preposizione ek, « da/di »; ad es., « da Dio » ( Gv l , 13; lGv 3, 9; 4, 7 ; 5, 1 .4. 1 8 ) ; « da (acqua e ) Spirito » ( Gv 3, 5.6.8 ); « da carne » ( Gv 3, 6). Dal momento che non c'è mai un esempio di ghennan ( passivo) con l'ek che regge Cristo e ci sono 8 esempi con ek che regge Dio, quasi tutti gli studiosi accettano che qui autos sia Dio (tranne Westcott). Pure difficile è la decisione se tradurre il passivo con « essere nato » (da una femmina ) o « essere generato » (da un maschio). Sebbene alcuni non facciano distinzione, parafra­ sando in termini di « figlio », la KJV, RSV, alcune traduzioni cattoliche dal latino, Alexander, Hauck e Houlden preferiscono « nato », mentre JB, RV, Plummer e Wilder preferiscono « ge­ nerato ». Dal momento che il prossimo impiego di questa e­ spressione (3, 9) contiene un riferimento al « seme » di Dio,

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sembra più probabile che lo scrittore stia immaginando una generazione divina. Altri scrittori del NT condividono l'idea di cristiani come figli ii Dio e che ricevono vita da Dio, ma solo gli scrittori giovannei parlano del cristiano come generato da Dio, adoperando ghennan. Strette approssimazioni all'uso gio­ vanneo includono : l'uso di l Pt di anaghennan, « rigenerare, generare di nuovo », per Dio che ha generato noi a una speran­ za imperitura ( 1 , 3), e per noi che siamo stati generati con un seme imperituro ( 1 , 23 ); l'uso di lPt di artighennetos (2, 2) nel descrivere i cristiani come « bimbi appena nati »; il riferimento in Tt 3, 5 a Dio nostro salvatore avendoci salvato per mezzo dell'acqua di rigenerazione (palinghenesia ) e il rinnovo dello Spirito Santo; e l'uso di Gc di apokyein, « dare na scita, figlia­ re » ( 1 , 18), nel dire che Dio ci portò all'essere per mezzo della parola di verità. Quali sono le radici dell'idea della generazione divina degli esseri umani ? ( La più ampia idea di essere figli di Dio verrà discussa nel prossimo verso; quella include la possibilità di adozione). Bultmann, Epistles 4546, è sicuro : « Sebbene l'e­ spressione "nato da Dio" non sia attestata nella stessa forma nelle religioni misteriche e nello gnosticismo, ciò nonostante non vi può essere dubbio che questo modo di parlare, cioè, la nozione nato da Dio, proviene da questa sfera ». Vellanickal ha dedicato un intero libro (Sonship), controllando pazientemente tutti i testi pertinenti, per mostrare che vi sono seri dubbi riguardo a una tale affermazione. Quando Bultmann prosegue col dire che lo scrittore giovanneo e lo gnostico hanno in comune un credo che senza assistenza divina gli esseri umani non possono raggiungere la salvezza ma esigono un rinnova­ mento dell'essere, egli ha ragione. Quella concezione è sostenu­ ta in una forma o in un'altra da molti scrittori biblici, inclusi quelli dell'AT i quali insistono che la scelta che Dio fece di Israele come suo popolo fu un atto creativo il quale dava uno stato salvifico che il popolo non avrebbe mai potuto ottenere da solo. Il problema, quindi, non è credo nella necessità di un intervento divino, ma la descrizione del modo dell 'intervento. Nell'AT, nonostante i riferimenti in generale o in particolare a israeliti come figli di Dio, il linguaggio di generazione divina è raro. Poeticamente, l'ebraico di Dt 32, 18 ricorda a Israele « la Roccia, che ti generò ... il Dio che ti diede nascita », che nei LXX diventa « il Dio che ti generò ... il Dio che ti nutre ». In modo più cospicuo viene detto che Dio generò il re davidico come suo figlio nel giorno dell'incoronazione del re ( Sal 2, 7 ; LXX Sal 1 1 0 [ 109] ,3 ). Si veda G . Cooke, ZAW 7 3 ( 1 961 ) 202-6. Analogamente, a Qumran in lQSa 2, 1 1-12 è lasciata aperta una futura possibilità che Dio genererà il Messia. Filone, nell'In-

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terpretazione allegorica 3.77 # 219, parla di creazione come una generazione divina, ma non adopera questa idea di generare per spiegare lo stato di Israele, in quanto figlio di Dio. È molto dubbio che egli consideri i patriarchi generati da Dio come alcuni hanno affermato (si veda R. E. Brown, The Birth of the Messiah [Doubleday, Garden City, N. Y. 1977] 52 1 ; tr. it. 708. Nella Migrazione di Abramo 7 # 35, Filone parla di idee che sono seminate nell'uomo dall'alto, una immagine che egli può avere preso in prestito dalle religioni misteriche. In realtà, comunque, le nostre conoscenze del cerimoniale delle religioni misteriche non ci permettono di dire con sicurezza che per gli iniziati si adoperasse l'espressione di essere generati da Dio ( s i veda F . Biichsel, TDNT l , 669-70). Nel Discorso 4.10.16 d i Epite­ to Dio genera un essere umano come suo figlio. Nel giudaismo rabbinico, ma forse dopo i tempi del NT, il linguaggio di nuova nascita venne applicato a convertiti; ad es.: « Un proselita appena convertito è simile a un bambino appena nato » (TalBab Yebamoth 22a). Comunque, il ruolo di Dio in questo sembra essere soprattutto quello di creazione e di formazione ( K. H. Rengstorf, TDNT l, 666-68 ). Nel NT, l'immagine nel Sal 2, 7 sulla generazione del re come figlio di Dio è applicata a Gesù in diversi modi : in Eb l, 5; 5, 5 è applicata a lui nella sua vita terrena; in At 13, 33 è applicata a lui nella sua resurrezione; il testo occidentale di Le 3, 22 considera il battesimo di Gesù come la sua generazione; e Le l, 35; M t l, 20 considerano la sua concezione come la sua gene­ razione. Si è tentato di pensare che l'idea del Messia ( Cristo) generato da Dio si estese al cristiano generato da Dio; ma ciò è improbabile dal momento che le opere del NT che si riferisco­ no alla generazione del Messia non si riferiscono alla genera­ zione divina del cristiano, e la letteratura giovannea che si riferisce al cristiano generato da Dio non dice mai che Gesù fu generato da Dio. (Si veda ABJ 29, 1 1-12-13 - tr. it. 16s. 19 - per il rifiuto della lettura « egli fu generato » in Gv 1 , 1 3, e della traduzione « unigenito » in 1 , 14; si veda pure più avanti, NorA a 5, 18b ) . Piuttosto, l'idea della generazione divina del cristiano probabilmente si sviluppò tramite una analogia fondata sulla vita terrena. Dal giudaismo intertestamentario, che esprimeva l'idea che Dio darebbe e (a volte) aveva già dato ai suoi eletti seguaci la vita dell'età futura (ABJ 29, 506-7; tr. it. 1447 ss), i cristiani giovannei svilupparono la nozione che i seguaci di Gesù già possedevano questa vita (eterna ). Questo portò a un confronto in virtù del quale, proprio come la vita ordinaria viene data da generazione umana, la vita eterna viene data da generazione divina. Questo è esplicito in Gv 3, 3-7 ed è implicito in lGv 3, 9, che parla del seme di Dio. ( Bultmann, Epistles 46,

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rifiuta fermamente che lGv contenga l'idea della physis, « natu­ ra » di Dio [2Pt l , 4] presente nel cristiano. Anche se tecnica­ mente egli ha ragione, la vita di Dio come principio è nel cristiano; e ciò non è molto lontano da quella che i teologi posteriori intendono con 'natura'). Generazione riflette il potere creativo di Dio (condiviso molto visibilmente dagli esseri uma­ ni nel loro pote re di dare vita), da qui il richiamo in Gv 3, 5 allo Spirito come l'agente nella generazione - lo Spirito operò nella creazione ( Sal 104, 30). Per Gv Dio genera nel momento in cui l'uomo crede ( Gv l, 12-13 ); esso è accompagnato da batte­ simo con acqua (3, 5; si veda ABJ 29, 141-44; tr. it. 186 ss). Un ambiente battesimale sembra pure essere immaginato dai passi di rigenerazione in lPt l, 3.23 ; 2, 2 e Tt 3, 5. Ciò nonostante, dal momento che la giovannea « generazione dall'alto » ( anothen) potrebbe venire intesa come « nato di nuo­ vo » (ABJ 29, 130-3 1 ; tr. it. 171 ), il motivo della rigenerazione restava esposto a una interpretazione gnostica secondo cui coloro che erano già figli di Dio prima della loro nascita naturale venivano rigenerati allorché scoprivano questo fatto per mezzo di speciale conoscenza ( gnosis ) delle loro origini e destino. Negli Estratti da Teodoto conservati da Clemente di Alessandria noi leggiamo : « I valentiniani dicono che quando il corpo fisico venne formato, un seme maschile venne impiantato dal Logos nell 'anima eletta mentre dormiva » ( 2, 1 ). Il ruolo del salvatore è di svegliare l'anima fecondata (3, 1 ), e questa è la seconda nascita (80, 1 - GCS 17, 105-6, 131 ). Nel resoconto di Ippolito ( Refutatio 5.7.40; PG 163, 3139A ), gli gnostici naasseni del II secolo sostenevano che « ogni nascita naturale è mortale, ma quella che si origina nel cielo è immortale, poiché da acqua soltanto e dallo Spirito è nato l'uomo spirituale, non l'uomo della carne ». Il Corpus Hermeticum 13 del III secolo d.C. è un trattato sulla « rinascita » (palinghenesis ), vista come un dono di Dio che viene tramite conoscenza che aliena dal mondo : « Egli che è nato da quella nascita è un'altra persona : egli è un Dio e un figlio [pais ] di Dio » ( 13.2). L'attenzione che l'autore della lettera presta all'espressione « generato da Dio » rende ragionevolmente certo che i secessio­ nisti stessero adoperandola, ma la proposta che egli l'abbia presa in prestito da loro è quasi superflua. Gv 3, 5 rende più probabile che la generazione divina facesse parte del linguaggio di ammissione alla comunità giovannea e, quindi, un'eredità comune sia ai seguaci dell'autore che ai secessionisti. Quale interpretazione secessionista di generazione divina sta confu­ tando l'autore ? Dal momento che egli non attacca mai l'affer­ mazione che i cristiani sono figli di Dio prima della nascita, credo sia improbabile che i secessionisti fossero già entrati nel

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pieno mito gnostico. Ciò che l'autore critica è la mancata coerenza nel tirare le giuste implicazioni derivanti dall'essere generati da Dio. Questo diventa evidente quando mettiamo assieme le asserzioni di lGv sulla generazione divina : 2, 29: Ognuno che agisce giustamente è stato generato da Dio 3, 9: Ognuno che è stato generato da Dio non agisce peccamino­ samente Egli non può essere un peccatore per il motivo che è stato generato da Dio 4, 7: Ognuno che ama è stato generato da Dio 5, 1 : Ognw1o che crede che Gesù è il Cristo è stato generato da Dio 5, 4: Tutto ciò che è stato generato da Dio vince il mondo 5, 18: Nessuno che è stato generato da Dio commette peccato Colui che è generato da Dio è protetto ... il maligno non può toccarlo.

L'asserzione in 5, l indica che la giusta fede è una condizione necessaria per essere generato da Dio; cosi, presumibilmente. l'autore negherebbe che i secessionisti sono generati in questo modo. Le restanti asserzioni mostrano che la generazione divi­ na non solo porta il dono di vita, ma si manifesta in un modo di vivere, specialmente nell'agire rettamente (e non peccamino­ samente ) e nel manifestare amore. ( Bultmann mette in risalto che il Corpus Hermeticum 13, con tutta la sua concentrazione sulla rinascita, non menziona mai l'amore ). Se si giudica l'u­ manità di una persona non semplicemente dal suo essere stata generata da genitori umani ma dal suo vivere in un modo umano, la stessa cosa può essere detta della relazione di una persona con Dio. De la Potterie, in La vérité 2, 604 ss, esprime questa valida idea ; ma, con la sua solita predilezione per la teoria di una precisa grammatica teologica giovannea, soster­ rebbe che i 6 impieghi giovannei di ghennan al tempo aoristo si riferiscono all'accoglienza della parola divina che genera, men­ tre gli 1 1 impieghi al tempo perfetto indicano durata ed espri­ mono l'idea di appartenenza a Dio come suo figlio.

3.1a. Guardate quale amore. « Guardate » è la forma pl. del­ l'imperativo ide che viene adoperato almeno 6 volte nel vangelo di Gv in una formula rivelatoria ( 1 , 29.36.47 ; 19, 14.26.27 ) in cui un personaggio rivela il mistero della missione della persona che egli sta additando ( ABJ 29, 58; tr. it. 76 s ), Westcott, Epi­ stles 95, commenta l'eccezionale uso in questo caso, poiché normalmente l'oggetto di ide sarebbe visibile. (La volgata lo rende come vide te, « vedete » , piuttosto che ecce, « ecco • ). Co­ munque, visibilità può essere la sfumatura voluta. Mentre la parusia di Cristo (2, 28 ) qui non è ancora vicina e l'amore che

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si può già vedere nella prima venuta garantisce la qualità amorosa della seconda venuta. Il « quale » del testo, che mo­ difica il sostantivo « amore », è potapos, un interrogativo elle­ nistico adoperato là dove il greco classico adopererebbe poios, per esprimere sia quantità che qualità; quindi quanto amore e quale meraviglioso amore. Per il concetto giovanneo di agape, « amore », si veda più sopra la NorA a 2, 5b.

il Padre ha donato a noi. Il codice vaticano legge « a voi [pl.] », probabilmente sotto l'influsso di tre forme del verbo alla se­ conda pl. in 2, 29 e 3, la. L'autore adopera a il Padre » piuttosto che « Dio », perché si adatta bene con la menzione di figli nella prossima riga; si veda più sopra, NoTA a 1, 2e. La posizione di « noi » è alquanto enfatica in armonia con l'esaltazione che in questa unità l'autore fa dei suoi seguaci; esso può pure avere la sfumatura di a a persone come noi ». Alcuni commentatori vedrebbero qui nel tempo perf. di didonai, a dare », un'accen­ tuazione sui risultati permanenti e duraturi dell'azione divina. Comunque, come ho mostrato più sopra a p. 234, il perf. e l'aoristo (letto qui dal codice alessandrino ) sembrano essere adoperati quasi interscambiabilmente; ad es., l'aoristo di dido­ .nai è adoperato in 3, 23.24; 5, 1 1 per Dio che ha dato a noi il comando di amare, lo Spirito e la vita eterna ( tutti molto dura­ turi ), mentre in 4, 13; 5, 20 il perf. è adoperato per Dio che ha dato a noi lo Spirito e l'intelligenza. Più importante del tempo è il verbo didonai stesso, che gli scrittori giovannei tendono ad adoperare per realtà celesti. Nel vangelo di Gv ( a ) Dio dà a Gesù: il nome divino ( 17, 1 1 .12), vita eterna (5, 26), gloria ( 1 7, 22.24 ), potere sulla carne ( 1 7, 2), potere di giudicare (5, 22.27 ), cosa dire ( 12, 49; 17, 8), le opere che doveva fare (5, 36; 17, 4), il comandamento riguardo alla sua morte ( 14, 3 1 ; cfr. 18, 1 1 ), i suoi discepoli (6, 37.39.65 ; 17, 6.7.9.24 ; 18, 9), in breve, tutte le cose (3, 27.35 ; 10, 29; 1 1 , 22; 13, 3). ( b ) Dio d à a esseri umani : i l suo unico Figlio (3, 16), i l Paraclito ( 14, 16), pane di vita (6, 32), e qualunque cosa viene chiesta nel nome di Gesù ( 15, 16; 16, 23 ). ( c ) Gesù dà a coloro che credono in lui: potere di diventare figli di Dio ( 1 , 12), lo Spirito (3, 34 ), vita eterna ( 10, 28), acqua sorgente di vita (4, 14-15), il pane di vita (6, 27.5 1 ), gloria ( 17, 22 ), pace ( 14, 27 ), le parole del Padre suo ( 17, 8.14), un comandamento nuovo di amare ( 13, 34) e un esempio di servizio ( 13, 15). Tale frequente impiego comunica la concretezza e la realtà dei doni divini. Nell'esempio di amo­ re, Dio non lo rivela semplicemente, ma lo dà perché abiti nel cristiano. 1b. nel metterei in condizione di essere chiamati figli di Dio. Alla lettera : « Che [ hina ] dovremmo essere chiamati ». L'hina è

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epesegetico, spiegando in che cosa consista l'amore; ma ogni significato di scopo nell'hina non è perso, dal momento che questo è pure lo scopo dell'amore. « Essere chiamati » equivale spesso a « essere » ( si veda A. Vicent Cernuda, Augustinianum 15 [ 1975 ] 445-55). Ad es., le due espressioni sono parallele nei LXX di Os 2, l ( RSV l, 10): « Il numero dei figli di Israele sarà come la sabbia del mare ... e saranno chiamati i figli del Dio vivente »; e in Le l, 32 : « Egli sarà grande e chiamato il Figlio dell'Altissimo ». Si può pure confrontare M t 5, 9: « Saranno chiamati figli di Dio », e Le 6, 35: « Sarete figli dell'Altissimo »­ Qui, l'« essere chiamato » ha l'insinuazione aggiunta che lo sta­ to sarà conosciuto pubblicamente. Tramite l'amore di Dio, ai cristiani viene data una nuova vita (eterna ) e una nuova identi­ tà, e così essi hanno un nuovo nome. Questo è il primo uso di teknon (pl. tekna ), « bambino/figlio ». Nella NorA a 2, la, mentre esaminavo le parole per « figli » adoperate dall'autore nel rivolgersi al suo pubblico ( teknion, paidion ), ho discusso teknon che non viene mai adoperato dall'autore in quel modo. Viene adoperato in Gv 8, 39 per i figli credenti di Abramo, e in 2Gv e 3Gv per i figli della chiesa. Il suo uso più frequente, comunque (6 su 12 volte), è per i figli di Dio (Gv l, 12; 1 1 , 52; lGv 3, 1 .2.10; 5, 2). Teknon è il termine giovanneo tecnico che abbraccia figliolanza divina maschile/ femminile, dal momento che hyios, « figlio », è riservato a Gesù in relazione a Dio. Altri autori del NT non sono così precisi. Paolo, ad es., chiama i cristiani i tekna di Dio in Rm 8, 16.17.2 1 ; 9 , 8 , e gli hyioi d i Dio i n Rm 8 , 14.19 ( sebbene egli non chiami mai il singolo cristiano « il figlio di Dio » ). Ci si sarebbe potuto aspettare che Paolo distinguesse i termini, poiché fa una di­ stinzione tra i cristiani come bambini/figli di Dio adottati ( Rm 8, 15; 9, 4 ) e Gesù che è costituito Figlio di Dio in potenza ( Rm l , 4). Il linguaggio che Gv adopera per la generazione da Dio rende l'immagine dei « figli di Dio » più realistica di quello che sarebbe se parlasse di adozione; anch'essa avvicina lo stato dei cristiani a quello di Gesù, Figlio di Dio. Sia Paolo che Gv, nonostante la differenza adozione/generazione, collegano lo sta­ to del cristiano al battesimo e allo Spirito ( si veda Gal 3, 26-27 ; 4, 6; Rm 8, 15-16; Gv 3, 5). Per « figli di Dio » in Paolo, lGv e vangelo di Gv, si veda R. A. Culpepper, NTS 27 ( 1980-8 1 ) 24-3 1 . I n ABJ 29, 13941 ( tr. it. 182 ss), ho delineato l'uso di bambi­ ni/figli di Dio nell'AT e nella letteratura intertestamentaria, dove dapprima venne adoperato per tutto il popolo d'Israele e poi, nel periodo postesilico, per singoli israeliti. A motivo della loro pietà, tali individui sono già figli di Dio ( Sap 2, 13) o si uniranno ai figli di Dio dopo morte ( Sap 5, 5). Filone, Sulla confusione delle lingue 28 # 147, afferra l'ambiguità dell'ultima

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situazione : « Poiché se non siamo ancora diventati idonei a essere ritenuti figli di Dio, possiamo però essere i figli della sua invisibile immagine, la Parola santissima ». Due fattori spicca­ no in questa storia del termine. Primo, lo stato di Israele come figlio di Dio è una relazione di alleanza. Dio stabill Israele come suo figlio tramite l'atto salvifico della liberazione dall'E­ gitto ( Es 4, 22-23 ) che fu un atto d'amore : « Quando Israele era un bambino, io lo amai e dall'Egitto chiamai mio figlio » ( TM di Os 1 1 , 1 - i LXX sono leggermente diversi, ma adoperano agapan e tekna, il vocabolario di lGv 3, 1 ). Il tema continua nel giudaismo rabbinico : « Diletti [di Dio] sono gli israeliti, poiché essi sono chiamati 'figli' dell'Onnipotente; per uno speciale amore venne reso noto a loro nella Scrittura : 'Voi siete i figli del Signore vostro Dio' » (Mishna Aboth 3, 14). Il passo citato è Dt 14, l , che parla agli israeliti della loro dignità filiale mentre dà loro i comandamenti secondo cui essi devono vivere. Questo porta al secondo aspetto della figliolanza divina di Israele : dal momento che è una relazione di alleanza, il popolo deve vivere come figlio di Dio. Il passo di Osea sopra citato inizia un rimprovero profetico ai figli di Dio i quali, nonostante la sua amorosa preoccupazione paterna, si sono allontanati da lui e dalla sua legge. Lo stesso tema appare in Dt 32, 18, l'unico passo deli 'AT che parla della generazione divina di Israele : « Tu hai scordato la Roccia, che ti generò e dimenticasti il Dio che ti ha procreato ». In Ger 3 1 , 9 Dio dice : >. La questione dell'impeccabilità venne sollevata nella controversia agostiniano-pelagiana nel V secolo, e dopo la ri­ forma in dibattiti con gli antinomiani. Al di là della generale questione del posto che l'innocenza e l'impeccabilità hanno nella teologia cristiana, in lGv c'è un particolare problema riguardo alla consistenza del pensiero dell'autore; ed è su una questione che la maggior parte dei commentatori ha posto la propria attenzione. In l, Sa, l'autore ha condannato una asserzione (di ispirazione secessionista ) : « S e c i vantiamo: 'Noi siamo liberi dalla colpa d i peccato [ ha­ martian echein ] ', inganniamo noi stessi ». In 1 , 10, c'è stata un'altra condanna : « Se ci vantiamo : 'Noi non abbiamo peccato

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(perf. Jzamartanein ] ', facciamo di lui [Dio ] un mentitore ». L'au­ tore della lettera non sta facendo ora lo stesso vanto lui stesso, presentandolo come un necessario corollario dell'essere cristia­ no? Inoltre, in l , 9 l'autore ha detto : « Se confessiamo i nostri peccati, egli ... perdonerà a noi i nostri peccati ». In 2, 1-2, sebbene egli abbia insistito che stava scrivendo per custodire il suo pubblico dal peccato, egli lo ha assicurato : « Se qualcuno pecca, abbiamo un Paraclito alla presenza del Padre, Gesù Cristo, ... ed egli stesso è una riparazione per i nostri peccati ». In S, 16, egli chiederà preghiere di intercessione « se qualcuno vede suo fratello peccare ». Come può l'autore che dke tali cose asserire in 3, 9c che il cristiano non può peccare? Com'è possibile per i cristiani confessare i peccati e pregare per i fratelli che peccano quando, dice l'autore in 3, 6a.9a e S, 1 8a , nessun cristiano commette peccato? Nessun altro autore del NT contraddice se stesso così chiaramente dentro uno scritto così breve, e inevitabilmente molta ricerca scientifica è stata dedicata per provare che non esiste contraddizione. Qualche volta, questo sforzo deriva da una teoria dell'ispirazione che vieta contraddizioni tra passi della Scrittura; ma può anche derivare da una regola molto pratica di esegesi: non dovrem­ mo mai supporre che gli antichi autori fossero stupidi o illogici e non potessero vedere difficoltà, soprattutto dentro la stessa breve composizione scritta. Altri commentatori (ad es., Stott, Epis tles 130-36 ) elencano soluzioni a questo problema. Io prefe­ rirei raggruppare le soluzioni secondo il loro influsso principa­ le, e scopro sette approcci principali. ( l ) Sono implicati due diversi autori. Windisch, Briefe 136, as­ serisce : « La contraddizione implicata da una parte tra l'avviso di confessare il peccato ( 1 , S ss ) e intercedere per il peccatore (S, 14 ss), e dall 'altra la professione di innocenza (3, 9 s ; S, 1 8 ) pos­ sono essere chiarite con la tesi che quest'ultima venne aggiunta più tardi [da un redattore] ». Bultmann attribuirebbe almeno parte di S, 16 al redattore ecclesiastico. ( 2 ) Le asserzioni dell'autore sono dirette a due diversi gruppi di avversari. In 1, 8-2, 2, dove egli insiste che i cristiani peccano e hanno bisogno di perdono, egli sta opponendosi a coloro i quali pensano che il possesso di gnosis li renda così perfetti da non peccare mai. Nei capp. 3 e S, dove egli dice che i cristiani non peccano o non possono peccare, egli sta opponendosi a indifferen tisti i quali pensano di stare al di sopra di ogni esigenza morale, così che il loro commettere peccati non ha importanza. Studiosi come Dodd, Stagg e Stott hanno presenta­ to una proposta del genere. ( 3 ) L'autore sta pensando a particolari specie di peccato quan­ do egli dice che il cristiano non pecca o non può peccare.

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Agostino, Beda e Lutero pensarono a peccati contro l'amore per la frequente enfasi sull'amore in lGv e 2Gv. Belser sug­ gerisce impurità, mentre Galtier pensa al male fondamenta­ le di rifiutare di credere in Gesù come il Cristo. A motivo della distinzione dell'AT tra peccati volontari ( quelli fatti con arro­ ganza) e peccati involontari, alcuni hanno pensato che l'autore stia riferendosi solo a peccati volontari. A motivo della distin­ zione in 1Gv 5, 16-17 tra peccato grave e peccato non grave, è stata suggerita l'idea di peccato grave ( secessione ?). Alcuni studiosi cattolici hanno spiegato che questo vuoi dire che sono implicati peccati mortali ( gravi ). ( 4 ) L'autore sta pensando solo a cristiani particolari o elitari quando dice che i generati da Dio non peccano o non possono peccare. Egli sta parlando di coloro che tengono fede al loro stato dimorando in Cristo (3, 9 ), ed egli riconoscerebbe che la maggior parte dei cristiani non si adegua a questa richiesta. Galtier, « Le chrétien » 1 40 , attribuisce questa concezione a Massimo il Confessore; ma essa è pure riflessa in molte inter­ pretazioni moderne che accettano per scontato che 3, 6.9 non dia una reale descrizione del cristiano medio. Bonsirven, ad es., dopo avere sostenuto (correttamente ) che qui il vero punto in questione è la contraddizione tra peccato e il principio che sta alla base della vita cristiana, prosegue insistendo che ci sono diverse categorie di cristiani distinti secondo le loro disposi­ zioni morali, e che pochi si adeguano all'ideale di non commet­ tere peccati. ( 5 ) L'autore intende dire che i cristiani non peccano o non possono peccare abitualmente anche se ci sono cadute occasio­ nali. Plummer, Epistles 77 dice : « Sebbene qualche volta il credente pecchi, tuttavia non il peccato, ma l'opposizione al peccato, è il principio che regola la sua vita », Alcuni, come Stott e Zerwick, stabilirebbero questa distinzione su una base grammaticale. ZBG 25 1 ( pure MGNTG 3, 72) mostra che in 2, 1 : « Sto scrivendo questo per custodire voi dal peccato », viene adoperato il tempo aoristo ( = commettere un peccato }, mentre in 3, 6 viene adoperato il tempo pres. ( = non continua una vita peccaminosa ) e in 3, 9 un inf. pres. ( = non può continuare una vita peccaminosa) e in l, 10 l'autore condanna un vanto perfe­ zionista che è espresso al tempo perf. ( « noi non abbiamo pec­ cato » ) , un tempo che si suppone continui a essere vero nel presente. Alexander, Dodd e Prunet dubitano che l'autore fac­ cia poggiare una così importante distinzione su una sottigliezza grammaticale così fragile. I lettori percepirebbero tale sotti­ gliezza? ( 6) L'autore porta avanti la sua riflessione su due piani diversi. Quando richiede che i crist.iani riconoscano i peccati e implori·

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no perdono ( 1 , 8; 2, 1-2), sta parlando su un piano reale o pastorale. Quando dice che i cristiani non peccano o non pos­ sono peccare (3, 6.9; 5, 18), sta parlando su un piano ideale. Questa è la concezione di Alford e Diisterdieck. Vicino a essa ci sono Belser e Clement i quali sostengono che realmente l'auto­ re sta esortando i cristiani a non peccare. Houlden, Epistles 94, pensa a una aspirazione espressa nella forma di un risultato conseguito. Chaine, EpUres 1 85, suggerisce un modo di parlare esagerato come nella filosofica stoica. Brooke, Epistles 90, men­ ziona « il linguaggio assoluto del profeta •, mentre Bultmann, Epistles 51 .53, si riferisce a una richiesta imperativa posta dall'autore, che sta parlando di una possibile realizzazione. Un altro aspetto di questa! spiegazione è l'assunto che, quando l'autore riconosce che i cristiani peccano, egli sta parlando su un piano individuale o empirico, mentre le asserzioni sull'inno­ cenza e impeccabilità descrivono lo stato dell'intero gruppo i figli di luce di fronte ai figli di tenebre. A dispetto del diavolo che è stato menzionato nel contesto, i cristiani hanno il potere di opporsi al peccato : « La parola di Dio dimora in voi, e avete vinto il maligno • (2, 14). Un'altra proposta ancora ( de la Potterie, « lmpeccability » 190) fa una distinzione nelle asser· zioni di innocenza tra il punto di vista divino ( dal quale le asserzioni sono incondizionali ) e dal punto di vista umano ( dal quale esse sono vere in modo condizionale, cioè, se non ponia­ mo ostacolo all'aiuto di Dio ). (7) L'autore sta parlando in due contesti letterariamente diver­ si. Una forma di questa concezione è sostenuta da de la Potte­ rie e da Vellanickal. In l, 8 e l, 10 - 2, 2, in un contesto kerigma­ tico egli sta facendo un'esortazione in cui ricorda ai lettori l'annuncio del perdono che essi udirono quando vennero con­ vertiti ( « dal principio » ). In 3, 6.9 c 5, 18, egli sta parlando ;n un contesto apocalittico nel quale è venuta l'ultima ora (2, 1 8 ), che implica una lotta contro il male ( l'anticristo, coloro che ingannerebbero, il mentitore, l'iniquità). Nell'attesa apocalittica gi udai ca, il periodo finale sarebbe stato senza peccato da p!irte di coloro che erano vicino a Dio. Come parte della nuova alleanza, Ez ( 36, 29 ) registra una promessa che il Signore libe­ rerà da ogni impurità. Enoc 5, 8-9 predice : « Allora, anche la sapienza verrà conferita agli eletti; ed essi vivranno tutti e non peccheranno mai più, né per negligenza né per superbia » . In un passo di Giubilei (5, 12), che nel suo idealismo può riferirsi al futuro, leggiamo che Dio fa « per tutte le sue opere una natura nuova e giusta, così che esse non debbano peccare per sempre in tutta la loro natura, ma siano sempre giuste, ciascu­ na secondo la sua specie . n Test. di Levi 18, 9 promette : « Nel tempo del sacerdozib [dell'Unto] il peccato scomparirà •·

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A colui che entra nella comunità di Qumran viene assicurato : « Dio lo purificherà da tutte le opere malvage con lo spirito di santità ... che egli possa insegnare la sapienza dei figli del cielo ( gli angeli ] ai perfetti della via [ gli altri settari ] ... Non ci sarà più iniquità, e tutte le opere di falsità saranno oggetto di vergogna » ( lQS 4, 21-23 ). Il risultato è che i settari designarono se stessi come « gli uomini di perfetta santità » (CD 20, 2.5.7 ). In tali opere apocalittiche, c'è normalmente una sensazione che queste aspettative di innocenza non sono ancora state attuate; ma in l Gv i segni dell'ultima ora hanno condotto l'autore a concludere che l'impeccabilità è attuabile a motivo dell'intimità derivante dall'inabitazione divina. Si può dibattere se nelle precedenti proposte ci sia qualcosa che allontani veramente l'apparente contraddizione; e alcune di esse, sebbene ingegnose, difficilmente sono diagnosi dei testi. Contro ( l ) c'è il fatto che la teoria dell'autore e del redattore ha oggi scarso seguito nella ricerca di lGv; inoltre, quella teoria è una confessione sulla irriconciliabilità delle asserzioni giovannee. Contro (2) io ho sostenuto che è possibile scoprire solo un gruppo di avversari ( INTRODUZIONE IV B l ). Non c'è niente nel contesto di 3, 6.9 che incoraggi l'accogUmento di ( 3 ) o (5,), l e quali relegano l e asserzioni a peccati particolari o modi di peccare; e ( 4 ), che limita le asserzioni a particolari cristiani, è esclusa dall'idioma giovanneo « ognuno che » con cui intende includere tutto il lato buono di un mondo diviso in modo dualistico. Fino a un certo punto ( 6 ) e ( 7 ) si sovrappon­ gono, con ( 7 ) più vicino alla mentalità dell'autore. Ma anche riguardo a ( 7 ) ci si può chiedere come l'autore avrebbe potuto formulare le sue asserzioni kerigmatiche ed escatologiche/apo­ calittiche con sfumatura così sottile da apparire quasi contrad­ dittorie. I cristiani a cui rivolge l'esortazione kerigmatica a conoscere e confessare i peccati - non stanno vivendo nell'ul­ tima ora ? E perché le asserzioni escatologiche/apocalit tiche in 3, 6.9 sono lasciate senza la distinzione fatta in 3, 2 - una di­ stinzione (anche nell'ultima ora ) tra ciò che noi siamo e ciò che saremo ? Indubbiamente, c'è del vero nelle proposte (6) e ( 7 ), ma rimangono serie difficoltà. Non importa come si modificano o si relativizzano le afferma­ zioni di lGv di innocenza e di impeccabilità, la verità in quelle affermazioni viene dal principio divino che generò i cristiani e che rimane attivo in loro. Osservazioni su come i secessionisti e l'autore potrebbero differenziarsi sulla messa in atto di que­ sto principio verranno fatte nel commento. lOa. In ciò i figli di Dio e i figli del diavolo vengono rivelati. Questa è una costruzione en touto, classificabile come B ( NoTA

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a 2, 3a) dal momento che non è seguita da una proposizione subordinata e, quindi, può riferirsi o a ciò che precede o a ciò che segue. Tra coloro i quali pensano che si riferisca a ciò che precede ci sono Belser, Camerlinck, Plummer e B. Weiss; tra coloro i quali pensano che si riferisca a ciò che segue ci sono Bruce, Biichsel, Bultmann, Calmes, Chaine e Loisy; e tra coloro i quali pensano che si riferisca ad ambedue le direzioni ci sono Marshall, Schnackenburg e Windisch. Un riferimento a ciò che segue implicherebbe che agire · giustamente e amare il proprio fratello costituiscano il punto di distinzione tra figli di Dio e quelli del diavolo, mentre un riferimento a ciò che precede implicherebbe che peccare costituisca il punto di distinzione. Dal momento che peccare includerebbe certamente agire in­ giustamente e odiare il proprio fratello, la questione non è cruciale. Strutturalmente, sembra produrre miglior senso se en touto si riferisce a ciò che precede, mentre ciò che segue (3, lObc ) è visto come transizionale alla prossima unità. L'as­ serzione en touto in 3, 10a, quindi, diventa la conclusione del­ l'intero tema apocalittico che ha cominciato con la menzione del « l'ultima ora » in 2, 18. « Rivelati » qui non è il passivo di pl1aneroun ( adoperato 5 volte in questa unità: 2, 28 ; 3, 2.5.8. ), ma è il corrispettivo aggettivo phaneros ( adoperato solo qui nella letteratura giovannea ). Il suo uso col verbo « essere » dà un tono statico all'affermazione : ci sono due gruppi che già esistono quando l'autore scrive, cioè, i seguaci dell'autore e i secessionisti ( la cui rivelazione venne menzionata in 2, 19). Questo è l'unico esempio nel NT di persone che sono chiamate « figli del diavolo », sebbene quel titolo potrebbe essere deriva­ to da Gv 8, 44 che parla del diavolo come « il padre » di alcuni. Elimas il mago è chiamato un > in At 13, 10; e Mt 13, 38 parla dei semi tra le erbacce come >; ed ecco perché egli formula la raccomandata preparazione per il futuro in termini di « dimorare » . L'autore dice : « Sappiamo . noi saremo simile a lui », non « sapremo » (3, 2c ). Anche se ci potrà essere una rivelazio­ ne futura, questo non contraddice la precedente afferma­ zione che « la sua unzione vi insegna tutte le cose » (2, 27e ). Dicendo « sappiamo », l'autore sta supponendo che ciò che egli asserisce riguardo alla rivelazione futura faccia parte della conoscenza che i suoi seguaci già pos..

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siedono 1 3• Sebbene l 'autore non ci dia alcun dettaglio apo­ calittico riguardo ai benefici della rivelazione futura, i commentatori speculano riguardo a che cosa « saremo )), THLJ ( 78 ) menziona l'idea che l'autore non può volere dire che i cristiani diventeranno simili a Dio, mentre Westcott ( Epistles 1 00 ) dubita che si possa vedere il Padre come egli è. Questa può essere una difficoltà moderna, poiché Atanasio ( De incarnatione Verbi 54.3 ; SC 1 99, 458 ) non esitò a parlare di una futura deificazione ( theopoiei­ sthai ), e teologi medioevali come Tommaso d'Aquino anti­ ciparono una visione beatifica che vedrebbe Dio nella sua essenza. Né tali idee mancano di uno sfondo biblico. Uo­ mini e donne furono creati con una certa somiglianza a Dio 14 • La tentazione del serpente in Gn 3, 5 fu: « Sarete tutti come Dio )), e non è mai chiaro se quel destino fosse completamente al di fuori dei piani di Dio, o solo tempo­ raneamente così, mentre Adamo ed Eva si trovavano in un periodo di prova. Nell'inno in Fil 2, 6, che probabil­ mente aveva intenzione di contrapporre Gesù e Adamo, Gesù viene descritto come colui che è « nella forma [ morphe] di Dio )) ma non desidera essere « uguale [ isos] a Dio )) 1 5• Tuttavia, a causa della sua umiltà, specialmente nella crocifissione, Gesù viene esaltato e a lui viene dato ciò che venne rifiutato ad Adamo, cioè, lo stato divino come colui che ha « il nome che è al di sopra di ogni altro nome )) ( Fil 2, 9 ). Il pensiero del vangelo di Gv è alquanto diverso : Gesù già possiede il nome divino sulla terra ( 1 7, 1 1 . 1 2 ), poiché egli è venuto in quel nome (5, 43 ; 12, 1 3 ). Quanto all'uguaglianza con Dio, Gesù non si fa « uguale [ isos ] a Dio » 16 , come 'i giudei' accusano (5, 1 8) , poiché egli

B ; e io ho menzionato testi sinottici che mostrano la venuta di falsi profeti negli ultimi tempi, cioè, di coloro che inganneranno molti pro­ fetizzando nel nome di Gesù, dicendo : « Signore, Signo­ re », senza condurre una vita conforme a una tale confes­ sione 11 • Nei manoscritti del Mar Morto, troviamo che il tempo dei falsi profeti è già arrivato : « Falsi profeti han­ no sviato il tuo popolo ... ma tu, o Dio, disprezzi tutti i disegni di Belial » ( lQH 4, 7.12- 1 3 ). Sia gli autori degli inni di Qumran che di l Gv hanno storicizzato l'attesa apocalit­ tica identificandoli con i nemici dei loro rispettivi gruppi. Nelle comunità cristiane, la difficoltà di mettere alla prova coloro che confessavano il Signore veniva accresciuta dal ricordo della vita terrena di Gesù, durante la quale i suoi nemici attribuirono al principe dei demoni le opere fatte dal Figlio di Dio - questo fu il peccato contro lo Spirito Santo (Mc 2, 22.29 ). Il pericolo di attribuire allo spirito maligno una vera profezia che viene dallo Spirito santo ha lasciato il suo segno in Didache 1 1 , 7-8 dove, sebbene la comunità sia afflitta dalla presenza di falsi profeti/ maestri, l'autore avverte : « Non mettete a prova [peira­ zein] o giudicate [diakrinein] , nessun profeta che sta parlando in spirito, poiché "ogni peccato verrà perdonato, ma questo peccato non verrà perdonato" . Ma non ognuno 1 1 M t 7, 21-23 ; 24, 1 1 .24 ; Mc 13, 32 ; anche il T. di Giuda 2 1 , 9: « Ci saranno fals i profeti » ; si veda più sopra, p . 466 .

Commento a 4, 1-6

691

che parla in spirito è un profeta - solo colui che ha il comportamento del Signore. Dal comportamento, quindi, verrà conosciuto il falso e il vero profeta ». Mentre Dida­ che e lGv sembrano differire in materia di provare, Dida­ che concorda con l Gv nel considerare il comportamento un criterio. E anche in materia di prove, Didache può stare semplicemente mettendo in guardia da un procedi­ mento formale, poiché Didache 12, l adopera il verbo usa­ to in l Gv per insistere : « Ricevete ognuno che viene nel nome del Signore; poi, mettendolo alla prova [dokima­ zein ] verrete a conoscerlo, poiché avrete la sapienza di distinguere tra destra e sinistra » . Lo stesso problema rimane nel Il secolo 12, come vediamo da Erma (Man. 1 1 , 7): « Metterete alla prova [ dokimazein ] il profeta e il falso profeta: giudicate dal suo modo di vita l'uomo che ha lo Spirito divino ». I vescovi della chiesa tentarono di esaminare [peirazein ] lo spirito che era in Massimilla, la profetessa montanista, ma vennero ostacolati dalle sue complici dal fare così ( Eusebio, Hist. 5 . 1 6 . 1 6- 1 7 ). Negli scritti pseudo-clementini, c'è un mettere alla prova profeti che venivano ritenuti da molti capaci di predire il futuro. In Riconoscimenti 4.21 .5-6 ( GCS 5 1 , 1 5 7 ) si dice che spiriti demoniaci operano dietro gli oracoli per ingannare le persone, qualche volta mescolando verità con falsità per ingannare ancora di più. Nelle Omelie 1 . 19.8; 2.6-1 1 ( GCS 42, 33-39) viene affermato che si deve provare il vero pro­ feta sia dalla sua conoscenza che dalla corretta precono­ scenza. Quindi, una volta provato, lo si deve ascoltare senza questione, « perché senza di lui è impossibile che alle persone possa venire qualche certezza ».

12 Si veda pure Policarpo, Filip . 1, dove l Gv 4, 2-3 e 2Gv 7 sono ci­ tati in forma combinata come una prova di eresia: « Poiché ognu­ no che non confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne è anti­ cristo ».

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l Gv - Parte seconda

B . Distinguere tra chi appartiene a Dio e chi appartiene al mondo ( 4, 4-6)

Avendo discusso i due spiriti ( di Dio e dell'anticristo ) 1 3, l'autore si volge ora meno astrattamente ai due gruppi di persone che manifestano quegli spiriti. Egli si rivolge direttamente ai suoi « figlioli » come « voi », proprio come ha fatto in una precedente unità quando stava discutendo sull 'anticristo (2, 20.24 .27 ). Di fronte allo sfondo di quella orribile figura dell'ultima ora, in ambedue le unità egli vuole assicurare i suoi seguaci che essi sono dalla parte di Dio, non da quella degli oppositori di Dio. Proprio la necessità di assicurare che il suo pubblico ha conoscenza, ha l'unzione con lo Spirito e sta vincendo è una indicazio­ ne che le prove dell'autore non sono realmente operanti, e che i secessionisti stanno avendo un apparente successo per quanto riguarda il numero. Che cosa significa, quindi l'affermazione dell'autore : « Avete vinto quelle persone » ? È un corollario per dire che essi sono dalla parte d i Dio poiché, nella tradizione giovannea, a dispetto delle appa­ renze, è quella parte che è vittoriosa nella lotta contro il mondo (nel quale i secessionisti sono usciti ). « Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo », annuncia Gesù (Gv 1 6 , 33 ). Il Paraclito, lo Spirito che il Padre e Gesù manda­ no/danno 14, prova che il mondo sbaglia mostrando che il principe di questo mondo è stato condannato ( 1 6 , 8-1 1 ). Ci si può chiedere se l'affermazione di l Gv di vincere con­ tenga pure una colorazione storica. Noi abbiamo visto (p. 649 ) la possibilità che i secessionisti fossero benestanti e numerosi. Essi possono avere pensato che la loro partenza avrebbe determinato il decesso della comunità giovannea fedele all'autore, ed egli può stare annunciando che egli e i suoi seguaci hanno vinto la battaglia della sopravvivenza. A ogni modo, la battaglia si deve combattere su due piani : il piano degli spiriti coinvolti nel combattimento, e 13 L'« ognuno » di 4, 2b.3a è alla lettera « ogni spirito » ; si veda NOTA a 4, 2bc. t4 Nella NOTA a 4, 4cd, ho sostenuto che u colui che è in voi ,. non è Dio o Cristo , ma il Paraclito/Spirito Santo ( « lo Spirito di Dio » di 4, 2a) , come pure « colui che è nel mondo » è il diavolo ( « lo spirito dell'anticristo » di 4, 3c) .

Commento a 4, 1-6

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il piano dei loro ospiti umani. Come ho mostrato nella NoTA a 4, l a, questa concezione del mondo si avvicina a quella dei manoscritti del Mar Morto, in cui i due spiriti angelici di verità e di inganno sono coinvolti nella lotta, come lo sono i figli di rettitudine e i figli di iniquità che camminano secondo questi spiriti. L'autore sta insistendo moltissimo che questi oppositori secessionisti « appartengono al mondo », >, l'autore si riferisce a un « noi » che « sta per la chiesa nella sua totalità, che parla tramite i suoi maestri responsabili, i quali incorporano l'autentica tradizione apostolica » 21 • Io trovo questo abbastanza improbabile su molti punti. Pri­ mo, 1 Gv si interessa della comunità giovannea e non de « la chiesa nella sua totalità » - un concetto che non è provatamente giovanneo. Gv 10, 1 6 menziona che ci sono « altre pecore » di Gesù, ma esse non fanno parte di « questo ovile », e cosi non c'è testimonianza che uno scrittore giovanneo avrebbe pensato che la sua comunità fosse nella stessa « chiesa » di altri cristiani. Secondo, 20

Effettivamente, nel pensiero cattolico romano è prevista la pos­ sibilità di un papa eretico. L'infallibilità è invocata solo quando egli sta ufficialmente insegnando la fede della chiesa. 21 Dodd (103-6) prosegue trovando qui la subordinazione della cor­ rente profetica alla corrente apostolica ; ma quell'interpretazione è un po' dipendente dall'elenco paolino dei carismi dove vengono elencati in primo luogo gli apostoli e in secondo luogo i profeti ( lCor 12, 28 ; Ef 2, 20 ; 4, 1 1) . Si veda più sopra, nota 5.

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lGv Parte seconda •

difficilmente l 'autore parlerebbe di « maestri responsabili » in quanto in 2, 27 egli ha negato la necessità di maestri ! A quanto conosciamo, per la comunità giovannea l'unico maestro contemporaneo era il Paraclito che sostituiva Ge­ sù ( Gv 14, 26). Terzo, l'idea di tradizione apostolica è estranea a un corpo di scritti che non adopera mai il termine 'apostolo'. La comunità ebbe l'idea di una vera testimonianza resa a Gesù da un discepolo che Gesù a­ mò 22 , ma pure quella testimonianza fu opera del Paraclito ( 1 5, 26-27). Quando si mettono da parte supposizioni derivate da altre opere del NT, il criterio autoritario a cui l'autore si ri­ chiama è una cristologia che egli ritiene tradizionale nella comunità giovannea 23 • Essa fu modellata sotto la guida del Paraclito; è stata trasmessa dai latori della tradizione della comunità ( l Gv l , 1-5 ) ; e coloro che sono in accordo con essa (ascoltando « noi » ) riflettono lo Spirito di verità. ( Pertanto, il criterio non è sostanzialmente diverso da « la sua unzione vi insegna tutte le cose » [2, 27] ). In altre parole, l'autore sta ammonendo i suoi seguaci che vacilla­ no: se rimanete d'accordo con noi, siete dalla nostra parte, e la nostra parte è la parte di Dio. Ovviamente, i secessionisti rigetterebbero la necessità di essere d'accor­ do con l'autore e i suoi seguaci, ma dentro i propri circoli i secessionisti farebbero probabilmente la stessa richiesta di essere ascoltati. A mio giudizio, il criterio aveva scarsa possibilità pratica di successo e, alla fine, alcuni seguaci dell'autore possono avere trovato più sicu­ ro il criterio dei maestri gerarchici i quali attribuissero a 22 Sebbene egli non sia mai stato identificato come un apostolo, al­

cuni hanno sostenuto che il discepolo diletto era Giovanni il figlio di Zebedeo, uno dei dodici apostoli. ( lo sono ora meno incline verso quella identificazione di quanto non sia stato in ABJ 29, lxxxviii-cii ( tr. it. civ ss) , sebbene anche lì abbia sostenuto che la testimonianza non era probativa) . Anche se ciò fosse vero, la mancanza degli scrittori giovannei di chiamarlo apostolo indiche­ rebbe che la stima nei suoi confronti si fondava su un'altra base . 23 « Interpretazione tradizionale » non è lo stesso di « tradizione apostolica » di Dodd. Essa non richiede affatto una affermazione di un apostolo al quale ci si potrebbe riferire, ma semplicemente un modo costante di intendere Gesù. L'autore di lGv l, 3 mette in evidenza la koinonia, " comunione », con una scuola di latori della tradizione, non obbedienza ad alti funzionari della chiesa.

Commento a 4, 1-6

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sé un'autenticazione apostolica (si veda INTRODUZIONE V D2 ) - il vero incarico che Dodd pensò fosse qui implica­ to, ma che fu veramente presente in altre chiese cristiane; ad es., nelle chiese delle pastorali paoline e di l Pt. Una tale autorità umana di insegnamento sarebbe stata una intrusiva novità sulla scena giovannea, ma può essere stata l'unico modo per confutare i secessionisti che pure stavano insistendo : « Chiunque conosce Dio ascolta noi ». Essa può essere apparsa l'unica alternativa alla distruzio­ ne causata da ulteriori divisioni.

B I BLIOGRAFIA RIGUARDANTE

l Gv

4, 1-6

de la Potterie I., La vérité l, 282-3 10, sullo spirito di verità e sullo spirito d'inganno. Minear P., « The Idea of lncarnation in First John », lnt 24 ( 1970) 291-302. Serafin de Ausejo, « El concepto de 'carne' aplicado a Cristo en el IV Evangelio », EstBib 17 ( 1958 ) 41 1-27, spec. 416-20 su lGv 4, 2 e 2Gv 7. von der Goltz E. F., « Eine textkritische Arbeit des zehnten bzw. sechsten Jahrhunderts », TU 17 ( Heft 4, 1899 ), spec. 48-50 su 4, 3. La dottrina dei rotoli del Mar Morto sui due spiriti

Daniélou J ., Une source de la spiritualité chrétienne dans les manuscrits de la Mer Morte : la doctrine des deux esprits », Dieu Vivant 25 ( 1953 ) 127-36. Holstein H., « Les 'deux esprits' dans la Règle de la commu­ nauté essénienne du Désert de Juda », Revue d'ascétique et de m)'stique 31 ( 1955 ) 297-303. Martini C., « Il discernimento degli spiriti in un testo antico del deserto di Giuda », La Civiltà Cattolica 107 ( IV: Nov. 17, 1956 ) 395-410. Treves M., « The Two Spirits of the Rule of the Community », RevQ 3 ( 1 961 ) 449-52. Wernberg-Moller P., « A Reconsideration of the Two Spirits in the Rule of the Community », RevQ 3 ( 196 1 ) 413-4 1 .

IX. amarsi l'un l 'altro è il modo di dimorare in Dio e di amarlo 1 Gv 4 , 7 - 5 , 4a

7a 7b 7c 7d Ba Bb 9a 9b 9c JOa JOb l Oc JOd

7DILETTI, amiamoci l'un l'altro dal momento che l'amore è da Dio. Ognuno che ama è stato generato da Dio e conosce Dio. 8Chi non ama non ha conosciuto niente di Dio, poiché Dio è amore. 9Da questo l'amore di Dio venne rivelato in noi : che Dio h a mandato i l suo unico Figlio nel mondo così che noi abbiamo vita tramite lui. 10ln questo, quindi, consiste l'amore : non che noi abbiamo amato Dio ma che egli amò noi e mandò suo Figlio come riparazione per i nostri peccati.

11 a llb

11DILETTI, se Dio amò noi così, bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro. 12Nessuno ha mai visto Dio. Tuttavia, se ci amiamo l'un l'altro, Dio dimora in noi; e il suo amore ha raggiunto la perfezione in noi. 1 3Da questo possiamo conoscere che dimoriamo in lui ed egli dimora in noi : dacché ha dato a noi del suo stesso Spirito.

12a 12b 12c 12d 13a 13b

Note a 4, 7 - 5, 4a 14a 14b l Sa 15b 16a 16b

16c 16d 16e 1 7a 1 7b 1 7c

l Ba 18b l Be 18d 19

20a 20b 20c 20d 20e 21a 21b la

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1-4Quanto a noi, abbiamo visto e possiamo testimoniare che il Padre ha mandato il Figlio come salvatore del mondo. 150gni qualvolta qualcuno confessa che Gesù è il Figlio di Dio, allora Dio dimora in lui ed egli dimora in Dio. '60uanto a noi, siamo arrivati a conoscere e a credere all'amore che Dio ha in noi.

16cDio è amore, e la persona che dimora nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lei. 17In questo l'amore ha raggiunto la perfezione con noi, con il risultato che possiamo avere fiducia nel giorno di giudizio perché già in questo mondo siamo proprio come Cristo. 18L'amore non ha spazio per il timore; anzi, l'amore perfetto scaccia il timore, p oiché il timore porta con sé il castigo. L 'amore non ha raggiunto la perfezione in colui che è ancora timoroso. '90uanto a noi, amiamo perché egli amò noi per primo.

20Se qualcuno si vanta: « lo amo Dio », mentre continua a odiare suo fratello, è un mentitore. Poiché la persona che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto. 21 E il comandamento che abbiamo avuto da lui è questo : la persona che ama Dio deve amare anche suo fratello. 5 10gnuno che crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio,

700

lb 2a 2b 3a 3b 3c 4a

lGv . Parte seconda

e ognuno che ama il genitore ama anche il figlio generato da lui. 2Da questo possiamo essere sicuri che amiamo davvero i figli di Dio, ogni qualvolta amiamo Dio e obbediamo ai suoi comandamenti. 3Poiché l'amore di Dio consiste in questo : che osserviamo i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono gravosi, 4perché tutto ciò che è generato da Dio vince il mondo.

NOTE

4, 7a. Diletti, amiamoci l'un l'altro. Per « diletti », si veda la a 2, 7a. La proposizione echeggia la seconda parte del comandamento che si trova in 3, 23 : « Dobbiamo amarci l'un l'altro [agapomen allelous] proprio come il comandamento che diede a noi »; e il risultato qui è una allitterazione : agapetoi agapomen allelous. Qui, è possibile dare al greco un significato durativo o iterativo : « Continuiamo ad amarci l'un l'altro • ( BDF 3 1 8 2,3). Per il tema e il vocabolario dell'amore, si veda la NoTA a 2, 5b.

NoTA

7b. Dal momento che l'amore è da Dio. Questa è l'espressione einai ek che altrove io ho tradotto « appartiene a », dal momen­ to che indica sia appartenenza che origine ( NOTA a 2, 16ef). Qui , comunque, è la principale origine, come indicato nelle frasi che seguono e che sviluppano questa asserzione. 7c. Ognuno che ama è stato generato da Dio. Sebbene in greco ci sia un kai, « e » introduttivo, la proposizione non è retta da « dal momento che » della frase precedente. Il codice alessan­ drino aggiunge « Dio » dopo « ama », che riflette una tendenza dello scrivano a specificare l'oggetto dell'amore. Schnacken­ burg, Johannesbriefe 227, osserva che l'autore sta parlando dell'« amore » senza specificazione. Charlier, « L'amour » 59, lo formula vigorosamente : « Non è amore fraterno, né amore per Dio, né l'amore di Dio, ma amore in se stesso. Il mondo semitico a cui Gv appartiene ignora le nostre distinzioni di oggetto e soggetto ». Comunque, se vi è una specificazione implicita, sarebbe in termini di amore del proprio « fratello » giovanneo piuttosto che di amore di Dio, come alcuni padri

Note a 4, 7 - 5, 4a

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della chiesa latina riconobbero. ( Bultmann, Epistles 65, sostie­ ne contro Schnackenburg che per l'autore l'amore è sempre amore fraterno - anche se io qui ammetto come possibile un riferimento implicito all'amore fraterno, trovo inesatta la gene­ ralizzazione di Bultmann; si veda più sopra, p. 360 ). Nella NorA a 2, 23ab, ho mostrato la tendenza dell'autore ad adopera­ re pas, « tutto, ogni », con il participio presente e articolo quando si tratta di generalizzazioni che riflettono la sua pro­ spettiva dualistica che divide in modo netto le persone. Il tempo perfetto del verbo ( « è stato [e rimane ] generato » ) rende improbabile l a deduzione che amando uno è generato da Dio; l'amore di un cristiano non determina la generazione divina ma sgorga da essa. In 3, l , abbiamo letto : '' Guardate quale amore il Padre ha donato a noi nel metterei in condizio­ ne di essere chiamati figli di Dio ». Ora, ci viene detto che i figli di Dio manifestano se stessi nell'amore ; esso è un aspetto essenziale della loro connaturalità. Il v. 1 1 darà priorità all'a­ zione di Dio, che a sua volta impone l'amore dell'uno per l'altro. Argomentando erroneamente da ciò, Plummer, Epistles 100, interpreta così lGv: « Se un Socrate o un Marco Aurelio ama gli altri uomini, è per grazia di Dio che fa ciò ». Gli scrittori giovannei stanno parlando dell'amore di altri cristiani (giovannei ) e non si interessano del modo in cui i pagani si amano tra loro. 7d. e conosce Dio. Abbiamo visto che questo verso comincia con una allitterazione, e continua con una consonanza nella sequenza dei verbi ghennan, « generare », e ghinos kein, « cono­ scere ». Il contrasto, comunque, tra il tempo perf. nel primo verbo e il tempo presente nel secondo attira l'attenzione ( si veda la prossima riga con il tempo aoristo greco : « Non ha conosciuto niente di Dio » ). Alcuni studiosi spiegano la sequen­ za di tempo perf.-pres. in termini di una sottostante costruzio­ ne ebraica wayyiqtol, dove il secondo verbo al tempo indefinito ha il valore del primo verbo al tempo finito. Altri ancora tradurrebbero il secondo verbo « e continua a conoscere Dio », con l'implicazione che, sebbene il cristiano prima conosca Dio e poi lo ami, l'amore aumenta la conoscenza. Tali teorie non sono necessarie. Secondo il pensiero giovanneo, non si tratta semplicemente che la conoscenza di Dio sgorghi dai nos tri atti passati di amore, né che il nostro amore porti a una futura conoscenza di Dio. La relazione è sincronizzata : amando (il proprio fratello ), si viene a conoscere Dio ( che è amore ). Char­ lier, « L'amour » 6 1 , asserisce che per lGv : « L'amore non è solo un esempio di incarnazione divina ; è una divinizzazione umana ».

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lGv - Parte seconda

Bultmann pensa che questa riga (7d) non appartenesse alla fonte ipotetica, e che 7c fosse originariamente seguito da Sa. Tuttavia, nel CoMMENTO mostrerò che c'è un antitetico paralle­ lismo e chiasmo tra il testo attuale di 4, 7cd e 4, Sab. Sa. Chi non ama non ha conosciuto niente di Dio. Il soggetto participiale negativo è l'antitesi del soggetto participiale positi­ vo nel v. 7cd : « Ognuno che ama ». ( Sebbene altrove io abbia tradotto le costruzioni participiali con « la persona che » [l, 4.6.9; 3, 7.8.24 ] , qui adopero « colui che » per mostrare visi­ bilmente l'antitesi ). Il predicato è l'antitesi della seconda parte del predicato di 7cd: « E conosce Dio ». Il codice alessandrino e alcuni minuscoli rendono più preciso il contrasto leggendo qui un tempo pres . ( « non conosce Dio » ), mentre il correttore del sinaitico legge un tempo perf. di « conoscere » per intonarsi al perf. c è stato generato » di 7c. Il tempo aoristo, comunque, è confermato dalla maggior parte delle testimonianze testuali, ed è corretto. Non è un aoristo gnomico con forza di presente (BDF 333 ), ma nega assolutamente. ( La sequenza dei tempi presente e aoristo di ghinoskein, « conoscere », in 4, 7d.8a è stata precedentemente incontrata in 3, l : « La ragione per cui il mondo non ci riconosce [conosce] è che mai riconobbe [conobbe] lui »; e li pure l'aoristo implicava una negazione assoluta ). L'energica negazione dell'autore può avere di mira una affermazione secessionista della conoscenza di Djo. Wilder, « Introduction » 219, renderebbe l'aoristo ancora più forte prendendolo come incoativo ( BDF 33 1 ) : « Non ha neppure co­ minciato a conoscere Dio ». � interessante fare un confronto con 1Cor 8, 2-3 : « Se uno crede di conoscere, non ha ancora conosciuto [aoristo] come bisogna conoscere; ma se uno ama Dio, è da lui conosciuto ». 8b. poiché Dio è amore. Come nelle altre due descrizioni gio­ vannee, c Dio è Spirito » (Gv 4, 24 ) e c Dio è luce » ( 1Gv 1, 5; si veda NorA ivi per la formula « Dio è » ), il predicato è anartrico. L'autore non dice semplicemente, c Dio ama » (uno stile che egli adopera per il cristiano giovanneo; ad es. : c Ognuno che ama » nel v. 7c), poiché amare non è solo un'altra azione di Dio, come governare. Piuttosto, ogni attività di Dio è attività amorosa (Dodd, Epistles 1 10; THU 107 ). Né l'autore dice : « L'amore è da Dio », poiché egli si interessa dell'attività amo­ rosa di una persona, non di definizioni astratte ( Feuillet, Le mystère 194). Come Wilder, c Introduction » 280, dice della formula giovannea : c Il presente verso richiede una concezione personale di Dio ».

Note a 4, 7 - 5, 4a

703

9a. Da questo. In questa unità, ci sono 5 esempi della costru­ zione en touto (4, 9.10.13.17; 5, 2). I primi 3 sono seguiti da una proposizione hoti, « che », e cadono sotto la classificazione A delle costruzioni en touto discusse più sopra nella NoTA a 2, 3a, cioè, esempi in cui il « questo » è spiegato da una proposizione seguente. Nel presente esempio, per lo meno, la maggior parte degli studiosi concorda che il riferimento è a ciò che segue.

l'amore di Dio. L'espressione « l 'amore di Dio » venne discussa più sopra nella NoTA a 2, Sb, dove sono state presentate 5 diverse proposte riguardo al significato. Qui, la mia traduzione riflette la convinzione che in questo caso nessun dibattito è possibile : il genitivo è soggettivo, e ciò che segue nei vv. 9-1 1 mostra che l'autore sta pensando all'amore di Dio per noi.

venne rivelato. Questo è l'aoristo passivo di phaneroun, discus­ so nella NoTA a l , 2a. Il suo prevalente uso giovanneo è diret­

tamente cristologico: la rivelazione di Gesù nella sua carriera terrena o dopo la resurrezione. Ma in altri casi vengono rivela­ te realtà divine impersonali, ed è a quest'ultima categoria che appartiene l'unico riferimento giovanneo alla rivelazione del­ l'amore di Dio. Indirettamente, come vedremo, questa rivela­ zione è cristologica, poiché Dio manifesta il suo ainore nel mandare suo Figlio.

in noi. L'espressione en hemin ricorre di nuovo in 4, 12d ( « il suo amore ha raggiunto la perfezione in noi ») e in 4, 16b ( « l'amore che Dio ha in noi » ), mentre in 4, 17a noi troviamo me th hemon ( « l'amore ha raggiunto la perfezione con noi » ). Fino a che punto, tali espressioni sono interscambiabili? En hemin significa più di « a noi »? Bisogna discutere diverse alter­ native grammaticali. L'espressione può essere letta con il so­ stantivo « amore », piuttosto che con il verbo « rivelato »; ad es. : « L'amore di Dio per noi venne rivelato » ( Balz, Houlden [ ?] , JB). Questo sarebbe in armonia con il tema in 4, lOc. l la che Dio ci amò; pure con 4, 1 6b: « L'amore che Dio ha in [ = per] noi ». Certamente, questa traduzione viene favorita dalla dispo­ sizione delle parole greche in 4, 9a, che alla lettera è: « In questo venne rivelato l'amore di Dio in noi ». Comunque, Gv 9, 3 ha esattamente la stessa disposizione di parole ( « perché potessero essere rivelate le opere di Dio in lui » ), e là l'espres­ sione « in lui » non si può tradurre « per lui » e deve essere abbinata al verbo « rivelate ». La maggioranza degli studiosi legge l'espressione en hemin in 4, 9a con il verbo « rivelato »; ma ciò lascia ancora due possibi­ lità. (a) En hemin è equivalente a un dativo ( « a noi, per noi, nel nostro caso ») dal momento che qualche volta, benché

704

l Gv

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Parte seconda

raramente, en con il dativo ha quel significato (ZBG 120; BDF 2201 ); ad es., 2Cor 5, 1 1 : « Noi siamo stati rivelati a Dio [ dati­ vo ] e anche, io spero, alle nostre coscienze [ en con dativo] ». Non ci sarebbe nulla di non giovanneo riguardo all'idea che per mezzo del Figlio l'amore di Dio venne rivelato a noi, come indicato in lGv 3, 16: « Da questo siamo venuti a conoscere ciò che significa l'amore : per noi Cristo diede la sua vita ». Ciò nonostante, per un tale significato la preposizione eis sarebbe più appropriata di en, come in Rm 5, 8: « L'amore di Dio per [eis] noi »; e ancor più appropriato sarebbe il semplice dativo, come in lGv l, 2: « Questa vita eterna ... venne rivelata a noi ». (b) En hemin deve essere preso più alla lettera come il luogo della manifestazione dell'amore ( « in noi, tra noi, in mezzo a noi >> ). Questo è precisamente il significato dell 'identica costru­ zione in Gv 9, 3 citato alla fine del precedente paragrafo. Que­ sta comprensione, appoggiata da Brooke e Schnackenburg vie­ ne formulata concisamente da Plummer, Epistles 102: « Piut­ tosto in noi che 'verso di noi ' : noi siamo la sfera nella quale l'amore di Dio viene manifestato ». Io trovo sostegno in Gv l, 14: « La Parola divenne carne e costrul la sua abitazione tra [ en ] noi », e in lGv 4, 12: « Se ci amiamo l'un l'altro, Dio dimora in noi >>. Comunque, a un più attento esame queste ultime citazioni mostrano un'ambiguità. Se en hemin viene preso in senso locale, esso significa « tra noi >>, con il « noi » che si riferisce a esseri umani, o significa « in noi », con il « noi >> che si riferisce ai cristiani ( giovannei )? Se è il primo, l'amore è manifestato nell 'incarnazione; se è il secondo, l'amore è mani­ festato nell 'incarnazione e nell'inabitazione. Il resto del v. 9 indica il secondo, poiché 9b descrive l'incarnazione ( « Dio ha mandato il suo unico Figlio nel mondo » ), mentre 9c descrive gli effetti dell'inabitazione divina ( « che noi abbiamo vita tra­ mite lui >> ), che diventa esplicita nel v. 12. 9b. che Dio ha mandato il suo unico Figlio. La disposizione delle parole sottolinea l'oggetto. Monoghenes, « unico di una specie >>, ricorre 5 volte nel NT in riferimento a Gesù, sempre nella let teratura giovannea (Gv l, 14. 18; 3, 16.18; qui in lGv). Sebbene in questi passi Girolamo lo traducesse con unigenitus, « unigenito », la traduzione latina più corretta sarebbe stata unicus, « unico », come nei passi non cristologici che si trovano nella volgata ( Le 7, 12; 8, 42; 9, 38; si veda ABJ 29, 13-14; tr. it. 19). La soggiacente parola ebraica è yii�1d, « diletto in modo particolare », un significato che si riflette nei due termini in cui i LXX lo tradussero : monoghenes, « unico, particolare », e a­ gapetos, « diletto ». Per !sacco, figlio particolarmente amato da Abramo venne adoperato yii�'id/agapetos ( Gn 22, 2.12.16), come

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anche monoghenès ( Eb 1 1 , 17). Isacco venne collegato alla promessa di Dio che per il germe/seme di Abramo tutte le nazioni della terra li benedirebbero o sarebbero benedette (Gn 22, 18; Sir 44, 2 1 ; Giub. 18, 1 5 ) , una promessa che i cristiani videro adempiuta in Gesù. E cosi il linguaggio di Isacco venne trasferito a Gesù, con Gv che adopera monoghenès e Mc che adopera agapètos ( 1 , 1 1 ; 9, 7 [ 12, 6 ] ), per descriverlo come par­ ticolare e diletto Figlio di Dio. ( L'uso di monoghenès per la Sapienza [ Sap 7, 22] può pure avere contribuito a questa ter­ minologia). A quanto sembra, gli scrittori giovannei hanno fat­ to una distinzione: tutti i cristiani giovannei meritano la de­ signazione agapètos, « diletto » ( NoTA a 2, 7a), in quanto figli ( teknon ) di Dio, ma solo Gesù è monoghenès in quanto Figlio (hyios) di Dio. Naturalmente, in monoghenès c'è un accenno dell'amore di Dio per suo Figlio, un tema reso esplicito in Gv 17, 26. Questo è il primo riferimento della lettera al « mandare » Gesù da parte del Padre, una nozione comune nel vangelo di Gv. Per « mandare », il vangelo di Gv adopera sia pempein che apostel­ lein senza differenza di significato (se non per coloro che uni­ formemente trovano nelle interscambiabili parole giovannee sottili finezze di significato ). L'unica differenza verifica bile tra i verbi è quella di tempo e modo ( Kilpatrick, « ldioms » 27). Pempein, in riferimento a Gesù, ricorre sempre nel vangelo di Gv (23 volte ) nella forma di un part. aoristo attivo che descrive il Padre come colui che l'ha mandato; esso non appare mai nelle lettere. Apostellein, in riferimento a Gesù, ricorre 17 volte nel vangelo di Gv nei tempi finiti ( 15 volte aoristo; 2 volte perf. [5, 36; 20, 21 ] ) in asserzioni a riguardo di Dio che manda il Figlio. Esso ricorre tre volte nelle lettere, cioè, in 1 Gv 4, 9 (perf. ), 4, 10 (aor. ) e 4,14 ( perf. ). Mentre alcuni studiosi, come Lightfoot, insisterebbero che il perf. di apostellein è più dura­ turo dell'aoristo, Bultmann, Schnackenburg e altri hanno ra­ gione di argomentare contro questa distinzione (Moule, IBNTG 14; MGNTG 3, 69-70). Ambedue i tempi si riferiscono all'atto di mandare, che costituisce la rivelazione; i risultati permanenti « per noi » di quell'atto sono contenuti, non nel verbo, ma nel contesto. 11 mandare stesso implicava un tempo e un luogo determinati.

nel mondo. Per gli usi positivi e negativi di kosmos, si veda più sopra la NoTA a 2, 2c. B. Weiss, Briefe 120, accentua il negativo, poiché egli parla del Figlio mandato in un mondo decaduto, opposto a Dio. Comunque, in queste formule incarnazionali, « mondo » è positivo, come confermato più avanti in 4, 14. 9c. così che noi abbiamo vita tramite lui. Bultmann pensa che

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il « noi » di 9a e il « noi ,. di 9c possano riferirsi a tutti gli esseri umani; ma io sarei d'accordo con la maggior parte degli studiosi che in ambedue le righe il riferimento è a cristiani giovannei. ( « Vita ,. è vita eterna che può essere data solo a coloro che credono in Gesù ). Luise Schotroff, Der Glaubende und die feindliche Welt (WMANT 37; Neukirchener Verlag, 1970) 287, va nella direzione opposta di Bultmann quando nega qualsiasi estensione universale nel riferimento al mondo in 9b, poiché il mondo non è l'oggetto dell'amore di Dio, solo il suo luogo di manifestazione. Che il mondo debba essere qualcosa di più del luogo di manifestazione noi lo vediamo da 4, 14, dove lGv parla di Gesù come del « salvatore del mondo » . Il mio assunto è che la differenza tra « il mondo » di 4, 9b e il « noi » di 9c rifletta la storia della salvezza. Dio ebbe un vero amore per il mondo; ma alcuni preferirono le tenebre e rifiutarono l'amore di Dio, e cosl solo il « noi » cristiano ricevette la vita. Per quella ragione, io prenderei questa riga come una proposi­ zione consecutiva piuttosto che come una finale ( quest'ultima è preferita da THU ). Lo scopo dell'invio del Figlio fu di salvare il mondo e che ogni credente potesse avere vita eterna ( Gv 3, 16-17 ); ma, di fatto i « noi ,. cristiani sono scelti dal mondo per la vita eterna. Questo è l'unico esempio epistolare di zen, « vivere ,. (che corrisponde al sostantivo zoe, « vita »; NOTA a l , 2a), che ricorre 17 volte nel vangelo di Gv. In passi come Gv 5, 25; 6, 57; 1 1 , 25; 14, 19, Gesù promette ai suoi discepoli (colo­ ro che credono in lui e mangiano il pane di vita ) che vivranno. In lGv, noi vediamo la promessa realizzata. « tramite lui » è dia con il genitivo. Si veda in ABJ 29, 283 ( tr. i t. 366 ) la discussione di dia con l'accusativo in riferimento all'affermazione di Gesù : « Proprio come il Padre che è vivente mandò me e io sono vivente a motivo de [dia] il Padre, così colui che mangia di me vivrà a motivo di [dia] me » (Gv 6, 57). Normalmente, un tale uso con l'accusativo non significa causa, ma quello è il significato sia là che qua. lOa. In questo, quindi, consiste l'amore. Alla lettera : « In que­ sto è l'amore », una costruzione en touto seguita da proposizio­ ni con ho ti ( « che »), che interpretano il « questo » (NOTA a 2, 3a ) - in questo caso, virtualmente tutti i commentatori sono d'accordo. Nel v. 9, l'autore ha detto che l'amore di Dio è stato rivelato; ora, egli ci dice in che cosa consista questo amore. Non ci sorprende che alcuni scrivani ( sinaitico, sahidico ) ab­ biano aggiunto « di Dio » dopo « amore » a imitazione del v. 9a. Una tale specificazione non è affatto necessaria ; l'autore sta parlando di un amore comprensivo.

Note

a

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lObc. non che noi abbiamo amato Dio ma cl1e egli amò noi. Per « noi » (hemeis) ed « egli » ( autos, sebbene l'alessandrino abbia ekeinos ) vengono usati pronomi allo scopo di aumentare il contrasto. La costruzione « non ... ma » si trova altrove negli scritti giovannei ; ad es., Gv 15, 16: « Non foste voi a scegliere me, ma io a scegliere voi » ( pure 6, 38; 12, 6; 2Gv 5). Un paralle­ lo interessante è Tt 3, 4-5 : « Quando apparvero la bontà e la benevolenza amorosa di Dio nostro salvatore, egli salvò noi, non a motivo di opere fatte da noi con rettitudine, ma secondo la sua stessa misericordia ». Il secondo verbo « amò » in questa asserzione è chiaramente aoristo; e la maggior parte delle testimonianze testuali hanno un aoristo anche per il primo verbo, ma il codice vaticano e alcuni minuscoli hanno il tempo perf., che è la lettura più difficile e, probabilmente, da preferirsi. (Gli scrivani avrebbero tentato di conformare i due verbi). Curiosamente, Schnacken­ burg, Johannesbriefe 230-3 1 , il quale non trova distinzione di significato tra il perf. di « mandare » nel v. 9b e l'aoristo nel v. 10d, distinguerebbe tra il perf. di « amare » in 10b ( durativo ) e l'aoristo in 10c ( atto singolo ). Dal momento che il perf. in lOb è negato, il durativo ( « abbiamo continuato ad amare » ) sembra improbabile. Ma, chiaramente l'« egli amò noi » di 10c si rife­ risce a un'azione specifica da parte di Dio nel mandare suo Figlio ( 10d). Più importante è la questione se il « non che noi abbiamo amato Dio » rappresenti una negazione di una affer­ mazione secessionista. Molti pensano che i secessionisti, i quali non amavano i loro fratelli, affermassero di amare Dio, u­ n'affermazione che l'autore sta negando. ( In parte, questo può riflettere la tesi di Nygren, discussa nella NoTA a 2, 5b, che l'amore umano per Dio non fosse un puro ideale cristiano ). Altri pensano che i secessionisti, i quali amavano i loro fratelli, non facessero l'affermazione di amare Dio. Io sosterrei che sia l'autore che i secessionisti affermavano di amare Dio e il fratel­ lo. L'autore sta discutendo con i secessionisti non riguardo a una priorità che essi attribuiscono all 'amore per Dio, ma ri­ guardo al fatto se la morte riparatrice di Gesù (v. lOd) costi­ tuisse una parte necessaria dell'amore salvifico di Dio. 10d. e mandò suo Figlio. Il tempo di apostellein è aoristo, sebbene il codice alessandrino legga un perf. per rendere que­ sta frase conforme nel tempo ai perfetti in 9b (si veda NoTA) e 14b.

come riparazione per i nostri peccati. In una NoTA a 2, 2a che trattava hilasmos come « riparazione », ho sostenuto in base a quel contesto ( 1 , 7 : « Il sangue di Gesù, suo Figlio, purifica noi da ogni peccato ») che l'autore abbia pensato a Gesù

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come a un sacrificio espiatorio che rimuove il peccato, nel ruolo di celeste Paraclito che sta alla presenza del Padre inter­ cedendo. Qui l'autore sta pensando alla morte di Gesù e non semplicemente all'incarnazione quando egli menziona l'invio del Figlio come riparazione. In 2, 2 l'autore ha specificato la portata della riparazione : « Per i nostri peccati ... ma anche per tutto il mondo ». Qui, nel verso precedente (4, 9) l'autore ha menzionato un invio salvifico del Figlio « nel mondo », e ora menziona « per i nostri peccati ». La preposizione « per » è peri come lo è stato in 2, 2a (si veda NoTA ivi ), probabilmente sotto l'influsso del vocabolario dei LXX adoperato nel descrivere gli effetti del sacrificio dell'AT. Nelle descrizioni non sacrificali di Cristo che dà la propria vita per il popolo, la più normale preposizione è hyper (NoTA a 3, 16b : « Per noi Cristo diede la sua vita » ). l la. Diletti. Questo è l'ultimo dei 6 impieghi di questo indirizzo in 1 Gv ( NOTA a 2, 7a). Anzi, dopo questo verso l'autore abban­ dona proprio fino alla fine di 1Gv (5, 21 ) la sua abitudine di frequenti titoli di indirizzo.

se Dio amò noi così. La condizione è ei con l'indicativo, che normalmente indica la realtà di una supposizione ( BDF 37 1 1 ). Il tempo di agapan, « amare », è aoristo come in 10c ( « egli amò noi » ). Il « così » è houtos, adoperato precedentemente in 1Gv 2, 6bc ( si veda NoTA ivi ) in connessione con kathos : « La perso­ na che afferma di dimorare in lui bisogna che essa stessa cammini proprio come [ kathos ... houtos] Cristo camminò ». Qui l'impiego ha subito sicuramente l'influsso dall'uso di houtos in Gv 3, 16 ( « Dio amò il mondo tanto da dare il suo unico Figlio » ), un passo a cui tutta questa sezione è un com­ mentario. Tutti questi fattori concorrono a rendere chiaro che « amò così » implica la carriera storica ( « camminare ») e la morte storica di Gesù, interpretate come Dio che dà il suo unico Figlio allo scopo che potessimo avere vita e perdono dei peccati. In altre parole, I'houtos in questa prima riga di una nuova sottodivisione suppone tutta la precedente sottodivisione (vv. 7-10). Spicq, « Notes » 368, mette in rilievo che houtos pone l'accento sul carattere verticale dell'amore di Dio, e indica questo uso di « così ,, nei LXX di Is 54, 10 ( « così la mia miseri­ cordia non ti abbandonerà »; si veda pure lMac 3, 60 ). Spicq tradurrebbe houtos : « in un modo così eccessivo [intensamen­ te] », rendendolo un « così » che richiede risposta o imitazione. l lb. bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro. Il testo greco si trova in 1Gv 3, 16: « Da questo siamo venuti a conoscere ciò che significa l'amore : per noi Cristo diede la sua

Not.e

a 4, 7 5, 4a •

1r1J

vita; così bisogna ·che noi a nostra volta diamo le nostre vite per i fratelli ». Si veda pure Gv 13, 14: « Se lavai i vostri piedi ... così bisogna che a vostra scelta vi laviate i piedi l'un l'altro ». Il kai iniziale è fortemente sequenziale; da qui la traduzione « a nostra volta ». La posizione del pronome « noi » è enfatica, stabilendo un contrasto con « Dio » che si trova nella riga precedente. Nel discutere il verbo opheilein nella NorA a 2, 6bc, abbiamo visto che questo « bisogna » non deriva dalla legge, ma dalla stessa natura delle realtà implicate. In 2, 6, citato nella precedente NorA, l'obbligo cristiano è stato fondato sull'esempio di Gesù come Figlio di Dio; qui, la pre­ senza del Figlio di Dio è implicita in base a 4, 10d. (Lo stesso verbo ricorre in Rm 13, 8: « Non dobbiate niente a nessuno, se non di amarvi l'un l'altro » ). In 1Gv 3, 23c e in 4, 7a, l'espres­ sione « amarci l'un l'altro » è stata agapan allelous; qui, la disposizione greca è invertita per accentuare « l'un l'altro ». 12a. Nessuno ha mai visto Dio. Alla lettera : « Dio [ anartrico] nessuno l'ha mai visto ». Westcott, Epistles 172-74, sostiene che l'uso anartrico mette in risalto la concezione generica di divini­ tà, cioè, « Dio come Dio ». Comunque, l'autore può stare imi­ tando il prologo del vangelo di Gv : « Nessuno ha mai visto Dio » ( 1 , 18), dove l'oggetto è pure anartrico. In altri quattro esempi in cui gli scrittori giovannei negano che qualcuno abbia visto Dio, si adopera il verbo horan ( Gv 1, 18; S, 37; 6, 46; 1 Gv 4, 20 ); qui, il verbo è theasthai. Sebbene Plummer, Epistles 103, trovi la sfumatura particolare di fissare e contemplare Dio, sono d'accordo con W. Michaelis, TDNT S, 34S ( si veda ABJ 29, 503; tr. it. 1442) nel rifiutare una distinzione. Esibendo la sua predilezione per un vocabolario che varia, qui l'autore può semplicemente avere optato per theon ... theasthai per intonarsi all'allitterazione di agapan allelous nell'immediato contesto. :e purè plausibile la tesi di van der Horst, « Wordplay )), che qui theasthai implichi un gioco sull'etimologia di theos, « Dio » (una connessione già attestata nel II secolo a.C.). Questo gioco sarebbe appropriato in una sezione che deduce dei corollari dall'asserzione « Dio è amore ». In un certo senso, questa negazione è sorprendente, poiché in Gv 14, 9 Gesù disse ai suoi discepoli : « Chiunque ha visto me ha visto il Padre ». Difficilmente questo venne inteso come un privilegio esclusivo di quei primi discepoli che videro Gesù fisicamente durante il ministero, dal momento che in 16, 1 6 Gesù promise a i discepoli che l o avrebbero visto d i nuovo « fra poco »,- cioè, dopo la sua morte e il suo ritorno - una visione a cui presumibilmente i cristiani giovannei parteciperebbero come discepoli della seconda generazione. Ciò nonostante, do-

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vremmo concludere che la visione del Padre in Gesù non è la stessa cosa di vedere Dio, poiché in lGv 3, 2 l'autore promette che come futura ricompensa : « Lo vedremo come egli è ,., Nel vangelo di Gv, l'asserzione che nessuno ha mai visto Dio ( 3 volte ) venne adoperata per difendere l'unicità d i Gesù contro affermazioni giudaiche ( reali o possibili) di superiorità di Mosè o Elia. ( Per il dibattito intragiudaico riguardo al fatto se Mosè vide Dio sul Sinai o per una assunzione in cielo dopo morte, si veda ABJ 29, 36 e 225 (tr. it. 49 e 290); pure Giuseppe Flavio, Ant. 3.5.3; # 88; Dt 34, 7.10). Ancora una volta, l'autore ha trasferito una polemica antigiudaica dal vangelo di Gv e l'ha usata nella sua lotta contro i secessionisti; si veda più avanti, CoMMENTO.

12b. tuttavia, se ci amiamo l'un l'altro. (L'avversario è implicito nel contesto ). Diversamente da l la, questa condizione è espres­ sa da ean con il congiuntivo, una costruzione che non fornisce certezza sulla realtà di ciò che è descritto ma che può esprime­ re un'attesa ( BDF 3714). Qui, l'autore ritorna alla disposizione delle parole agapan allelous ( NOTA a 4, l lb ). 12c. Dio dimora in noi. Per la formula menein en adoperata per inabitazione divina, si veda la NoTA a 2, 6a. � peculiare di lGv (come pure differenziato dal vangelo di Gv) adoperarla per I'inabitazione di Dio nel cristiano. Il primo esempio di quel tema è stato in 3 , 24 e verrà ripetuto in 4, 13.15.16. Qui conti­ nua l'enfasi dell'iniziativa divina a favore degli esseri umani. 1 2 d. e il suo amore ha raggiunto la perfezione in noi. Ci sono documen tate tre diverse disposizioni delle parole greche per le ultime quattro parole. Forse alcuni scrivani furono confusi nel trovare l'espressione « in noi » in due righe consecutive : se l'espressione fosse stata omessa dalla presente riga ( come lo è in un codice minuscolo), ci sarebbe stata confusione riguardo a dove col locarla quando venne reintrodotta. In 1 Gv, teleioun è adoperato 4 volte nella forma del perf. passivo per desclivere ln perfezione o completezza dell'amore (NOTA a 2, 5b), ma que­ sto è l'unico esempio in cui la costmzione è perifrastica ( un part. p i ù il verbo « essere », come in G v 1 7 , 23 ). Questa è semplicemente una variazione stilistica (MGNTG 3, 88), ma può avere contribuito a creare confusione negli scrivani riguardo alla disposizione delle parole. In tre passi della lettera (2, 5 ss; 4, 17; e qui ) è chiaro che la perfezione dell'amore implica l'amore dei cristiani tra loro. Alla lettera, il greco qui legge : « L'amore di lui )), una costruzione che è aperta a cinque possi­ bili interpretazioni de « l'amore di Dio » discusso nella NoTA a 2, Sb. Dal momento che l'amore raggiunge la perfezione « in noi », molti sostengono che questo deve essere un genitivo

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oggettivo che comprende il nostro amore per Dio ( Belser, Ca­ merlynck, Chaine, Dodd, Hauck, Holtzmann, Lutero, Moffatt, Plummer, Vrede, Windisch ). Dal momento che l'autore stava parlando dell'amore di Dio per noi ( l la), e dal momento che egli ha parlato di quell'amore rivelato « in noi », si può avere un motivo ancora migliore per il genitivo soggettivo, che si­ gnifica il suo amore per noi (Bonsirven, Brooke, Bruce, Btich­ sel, Bultmann, Charue, Schlier, Schtitz, Stott, THLJ, B. Weiss, Wengst). Hoskyns sostiene sia il significato soggettivo che og­ gettivo, mentre Schnackenburg, Vellanickal e Westcott sosten­ gono un genitivo qualitativo che non è né soggettivo né ogget­ tivo ( amore divino) ; e Marshall opta per una combinazione di soggettivo e qualitativo. La mia traduzione riflette la scelta del genitivo soggettivo per i motivi che 12d continua 12c: Dio dimora in noi e l'amore che viene da lui raggiunge la perfezio­ ne nel nostro amore per altri (si veda Schtitz, Vorgeschichte

4-5 ). 13a. Da questo possiamo conoscere. Alla lettera : « In questo conosciamo [ghinoskein ] ». Nelle varietà di en toutO classificate nella NoTA a 2, 3a, questa cade sotto (A), cioè in un passo in cui c'è una successiva proposizione subordinata con hoti che se­ gue, di cui la prima ( resto di 13a) spiega ciò che « conoscia­ mo », e la seconda ( 1 3b ) è epesegetica di « in questo » che spiega come conosciamo. ( Cfr. l'hoti ... ean in 2, 3 e l'lzoti ... ean in 5, 2, dove la prima e la seconda proposizione hanno lo stesso ruolo dell'hoti qui ). La maggior parte degli studiosi (ad es., Brooke, Dodd, Marshall, Stott, Westcott, Wilder) attribuisce una spinta in avanti a en touto, sebbene B. Weiss sostenga un riferimento a ciò che ha preceduto, e Painter un riferimento in ambedue le direzioni.

che dimoriamo in lui ed egli dimora in noi. In greco il secondo

« dimora » è sottinteso, non espresso. Nella NOTA a 2, 6a, che tratta l'uso di menein nel senso di inabitazione divina, abbiamo visto che nel corpo giovanneo solo lGv 3, 24; 4, 13.15.16 descri­ vono una mutua inabitazione di Dio e del cristiano. Nel verso precedente è stato menzionato solo il dimorare di Dio in noi. 13b. dacché ha dato a noi del suo stesso Spirito. Sebbene Bultmann, Epistles 70, preferisca tradurre hoti con « perché », c'è poca differenza tra quella connotazione e intenderlo come un « che » epesegetico di « in questo » di 13a. Alcuni commenta­ tori rimangono sorpresi di trovare lo Spirito introdotto im­ provvisamente come un criterio di inabitazione divina ( si veda CoMMENTO), sebbene l'autore abbia preparato questa idea in 3, 24cd: c Ora, in questo possiamo conoscere che egli dimora in

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noi : dallo Spirito che diede a noi ». Là, il verbo si trovava all'aoristo senza un hoti introduttivo; qui, il verbo è al perfetto con un ho ti introduttivo. ( Il codice alessandrino e il minuscolo 33 armonizzano leggendo qui l'aoristo di « diede » ). Sebbene Westcott e de la Potterie accentuino l'aspetto durativo del perf. ( cfr. Gv 14, 16 dove il Paraclito « sarà con noi per sempre »}, il criterio qui offerto è una azione determinata di Dio che ha dato lo Spirito, simile all'azione di Dio che ha mandato suo Figlio (perf. nel v. 9b, aoristo in l Od, perf. in 14b ). Se la diversità di tempo è, quindi, insignificante, io ho anche suggeri­ to che in ambedue le frasi il « de [ek, 'da'] lo Spirito » abbia lo stesso significato partitivo. 14a. Quanto a noi, abbiamo visto e possiamo testimoniare. L'iniziale, enfatico kai hemeis, « e noi », è simile al « quanto a voi » ( [ kai] hymeis) adoperato per segnare plausibili sotto­ divisioni in 2, 20.24.27 ; 4, 4. Comunque, una sottodivisione sembra qui improbabile, dal momento che il tema della dimora divina e della mutua inabitazione che si trovano nei vv. 12-13 ritorna nel v. 15. Il tempo perf. di theasthai, « vedere », e il pres. di martyrein, « testimoniare », sembrano echeggiare pre­ cedenti asserzioni presenti nel prologo di lGv ( 1 , 1 .2 ) : « Ciò che noi abbiamo visto [aoristo theasthai] con i nostri stessi oc­ chi ... come abbiamo visto [perf. horan] e testimoniamo [pres. martyrein ] ». ( Come al solito, alcuni scrivani hanno armonizza­ to; ad es., aoristo di theasthai qui nel codice alessandrino ). Due volte il vangelo di Gv adopera l'espressione « avere visto [perf. horan] e testimoniare » ( l , 34; 19, 35). Probabilmente, l'uso di theasthai qui è stato dettato dal suo precedente uso in 4, 12a: « Nessuno ha mai visto [ tempo perf. ] Dio ». Se Dio non è stato visto, suo Figlio lo ha visto. Sta l'autore ritornando al « noi soggetto/oggetto » distintivo dj l, 1-5, che si riferisce alla scuola giovannea di latori della tradi­ :zione che ereditò e continuò la testimonianza del discepolo diletto il quale fu un vero testimone oculare? ( La tesi del « noi » speciale viene sostenuta da Balz, Bonsirven, Brooke, Chaine, Dodd, Hauck, Holtzmann, Schnackenburg, Schneider, Stott, B. Weiss e Westcott). L'uso di « vedere e testimoniare » in riferimento al discepolo diletto in Gv 19, 35 rende questa possibilità molto probabile. Comunque, l'argomento che thea­ sthai debba riferirsi alla vista fisica è troppo dubbio per rin­ forzare quella possibilità (ABJ 29, 503 ; tr. it. 1442 ) ; e il motivo del testimone oculare è chiamato in causa dal riferimento in 14b al vedere che Dio ha mandato suo Figlio come salvatore, una visione che deve essere diversa da quella fisica. Inoltre, il v. 16 ( « quanto a noi, siamo arrivati a conoscere e a credere » ),

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che echeggia 14a, sembra riferirsi all'esperienza di tutta la comunità. (Il « noi » non distintivo è sostenuto da Bruce, de Jonge, Hoskyns [ ?] e Marshall, qualche volta formulato [ infeli­ cemente] come « la chiesa nel suo insieme » ). Io lo prendo in quest'ultimo senso : il « noi » che ha visto e può testimoniare non è la scuola giovannea soltanto, ma i membri della comuni­ tà giovannea fedeli all'autore, ai quali ricordano il loro partico­ lare privilegio alla luce dell'affermazione generale : « Nessuno ha mai visto Dio » ( 4, 12a). 14b. che il Padre ha mandato il Figlio come salvatore del mondo. Per l'uso giovanneo di « mand�re » e per l'alternanza tra il tempo perf. (4, 9 e qui) e aoristo (4, 10), si veda più sopra la NoTA a 4, 9b. Sia 4, 9 che Gv 3, 17 menzionano « il mondo » positivamente nel contesto di Dio che manda il Figlio; e il successivo tema della salvezza è condiviso da Gv 3, 17 e dal presente verso. Quel passo del vangelo adopera il verbo sozein (6 volte nel vangelo di Gv, più un impiego del sostantivo astratto soteria ); solo qui le lettere adoperano una parola dalla stessa radice : soter, « salvatore », che appare nella confessione di fede della samaritana in Gv 4, 42 : « Noi stessi abbiamo udito e conosciamo che veramente questi è il salvatore del mondo >>. ( Si noti l'interscambiabilità di udire e vedere che Gesù è il salvatore ). Nell'AT, JHWH è la salvezza di Israele e del singolo israelita (Dt 32, 15; Sal 24, 5 ; Is 12, 2), passi che sono tradotti nei LXX con « salvatore >>. Il re messia non è chiamato salvatore; tuttavia, si veda Zc 9, 9 dove i LXX hanno « che salva » per > fu attribuito all'imperatore Adriano ( regnò dal 1 17 al 138 d.C. ). C'è un aspetto polemico nell'uso giovanneo del titolo? La lotta

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Parte seconda

contro il culto dell'imperatore è chiara nell'Ap ( a quanto sem­ bra per l'uso imperiale dei titoli « Signore ,. e « Dio » ), ma non in 1Gv o nel vangelo di Gv, sebbene l'atmosfera della persecu­ zione di Diocleziano sia stata scoperta in quest'ultimo da F. Vouga, Le cadre historique et l'intention théologique de Jean ( Beauchesne, Paris 1977 ) 97-1 1 1 ; si veda il mio Community 65 ( tr. it. 73). L'idea che ci sia una polemica epistolare contro un titolo adoperato nelle religioni misteriche ha una validità che dipende dal fatto se i secessionisti si dedicarono o meno a tali culti, una concezione per la quale trovo scarsa testimonianza. 15a. Ogni qualvolta qualcuno confessa che Gesù è il Figlio di Dio. Alla lettera : « Chiunque [ hos ean] confessa »; la forma più elegante hos an è stata vista più sopra in 2, Sa, ma BDF 107 mostra che ean sta diventando interscambiabile con an nel greco del NT. La costruzione letterale ( « chiunque confessa ... Dio dimora in lui » ) rende tutta la prima riga un casus pendens ( BDF 4662), in cui un sostantivo o pronome che fa parte della proposizione principale viene preposto e menzionato con anti­ cipazione per metterlo in evidenza. Renderlo come una frase condizionale significa mettere a tacere la grammatica; si veda BDF 377 per l'equivalenza greca tra « chiunque • e « ogni qual­ volta qualcuno ». Il verbo homologhein è qui all'aoristo con­ giuntivo, come contrapposto al pres. congiuntivo in l, 9a ( « se confessiamo i nostri peccati » ) in cui era appropriato un conti­ nuo riconoscimento. Sebbene il codice alessandrino legga qui il pres., l'autore sta ora parlando riguardo alla ( personale ) fon­ damentale confessione pubblica di fede che rende uno un cri­ stiano. Ovviamente, egli suppone che la persona che fa la confessione continui a crederci, ma egli non sta immaginando una costante ripetizione orale della confessione come un fon­ damento della dimora divina. Nella NOTA a l, 9a, abbiamo visto che negli scritti giovannei 9 casi su 10 homologhein è cristolo­ gico. In 1Gv 2, 23, la confessione ha riguardato il Figlio; in 4, 2 ( e 2Gv 7) ha riguardato Gesù Cristo venuto nella carne; qui, riguarda « Gesù [è] il Figlio di Dio •. ( Per armonizzazione, il codice vaticano e qualche testimonianza versionale hanno « Ge­ sù Cristo è il Figlio di Dio » ). Il predicato ha l'articolo, il quale implica che « il Figlio di Dio » sia una precisa e ben nota designazione (MGNTG 3, 183; BDF 273 ). Pertanto, il problema non è chi sia Gesù, ma se il ben noto Figlio di Dio sia Gesù. 15b. allora Dio dimora in lui ed egli dimora in Dio. Come in 4, 13a, in greco il secondo « dimora » è sottinteso invece di essere espresso. I due precedenti riferimenti alla mutua inabi­ tazione tra Dio e il cristiano (3, 24b; 4, 13a) hanno collocato

Note a 4, 7 5, 4a ·

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prima la dimora in Dio del cristiano; la disposizione inversa qui suggerisce che non vi è priorità fissa. Per la formula menein en, si veda la NOTA a 2, 6a.

16a. Quanto a noi. Un kai hemeis come p1u sopra in 14a. Ci sono meno ragioni per sostenere che qui il « noi » è distintivo ( la scuola giovannea di latori della tradizione), dal momento che comprendere e credere sono chiaramente attribuibili a tut­ ta la comunità giovannea. ( Schnackenburg, il quale opta per il « noi » distintivo in 14a, pensa che l'autore sia qui ritornato al « noi » giovanneo generico! ). siamo arrivati a conoscere e a credere. Come in 14a, due verbi seguono il « quanto a noi », alla lettera : « Abbiamo conosciuto e creduto », e sono i tempi perf. rispettivamente di ghinoskein (NoTA a 2, 3a) e di pisteuein ( NOTA a 3, 23b ). L'autore sta di nuovo parlando della fondamentale conoscenza e del fonda­ mentale atto di fede implicito nella conversione/iniziazione/ battesimo. Alcuni scrivani (codice alessandrino, minuscolo 33 ) hanno cambiato il secondo verbo al tempo pres. ( « e continuia­ mo a credere » ); ma quello non è il punto della questione. Il più delle volte questi due verbi si trovano allo stesso tempo, ma pure in perf./aoristo con combinazioni futuro/pres. : - Gv 6 , 69 : « Siamo arrivati a credere [ perf.] e a conoscere [ perf. ] che tu sei il Santo di Dio ». - Gv 8, 3 1-32 : ai giudei che credettero [perf.] in lui : « Cono­ scerete [fut.] la verità ». - Gv 10, 38 : « Credete [ pres. ] in queste opere affinché possiate venire a conoscere [ aor. ] e conosciate [ pres.] ». - Gv 14, 7-10: « Se conosceste [ perf. ] veramente me, allora conoscereste [ fut.] anche il Padre mio; fin da ora lo conosce­ te [pres. ] ... Non credi [ pres.] che io sono nel Padre e il Padre è in me? ». - Gv 17, 8 : « Conobbero [aor.] veramente che uscii da te e credettero [aor. ] che mi mandasti ». - lGv 4, 1-2 : « Non credete [ pres. ] a ogni spirito ... Ora, da questo potete conoscere [ fut.] lo Spirito di Dio )). Un rapido sguardo a questi testi dovrebbe convincere chi non è già compromesso che vi è poca differenza tra gli usi del tempo aoristo e del perfetto di « conoscere », e che non vi è fissa sequenza di priorità tra conoscere e credere. Chaine, EpUres 206, è convinto che vi sia una notevole differenza tra il « siamo arrivati a credere e a conoscere » di Gv 6, 69 e il « siamo arrivati a conoscere e a credere » del presente verso, dal momento che Chaine ci vede un processo conoscitivo che conduce alla fede, che a sua volta porta a una più perfetta conoscenza. De la

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lGv - Parte seconda

Potterie, La vérité l , 302, insiste che nel vangelo di Gv la fede è sempre anteriore alla conoscenza e si irrita della 'pretesa' di Schnackenburg secondo cui non c'è differenza nella disposizio­ ne delle parole. A mio giudizio, non si tratta di pretesa : la disposizione delle parole non fa differenza per una ragione che de la Potterie stesso conosce : in queste combinazioni « cono­ scere » e « credere » sono due mQdi di descrivere una azione composita. Per tale ragione, rigetto anche l'assunto di We­ stcott (Epistles 155) secondo cui nel presente verso la cono­ scenza sia più prominente della fede : « Dobbiamo avere una vera, anche se limitata, conoscenza dell'oggetto di fede prima che possa esistere la vera fede ». 1 6b. all'amore che Dio ha in noi. Questo oggetto accusativo è retto dall'azione composita dei due verbi della precedente riga, non semplicemente dal verbo (Brooke, Bruce, Houlden, Marshall, Metzger, Plummer, Schneider, Stott, B. Weiss, Westcott, Windisch). I tentativi degli scrivani di mettere oun e un oggetto diretto riflettono una loro sensibilità per quella che sarebbe stata una costruzione più normale col congiuntivo. Il congiuntivo è favo­ rito dal parallelismo con 4, 7a: « Diletti, amiamoci l'un l'altro ». L'indicativo è favorito dal parallelismo con 4, 14a.16a, dove c'è un hemeis, « noi », introduttivo. Non c'è veramente modo per decidere, ma il tono di fiducia che pervade tutta questa sotto­ sezione favorisce l 'indicativo, poiché « amiamo » implica che « siamo capaci di amare ». Non solo alcuni scrivani, ma anche alcuni commentatori mo­ derni hanno discusso riguardo all'oggetto implicato da « amia­ mo ». Bonsirven, Houlden e B. Weiss sostengono che esso si­ gnifica (principalmente ) « amiamo Dio >>, mentre Bultmann e Schnackenburg vedono un riferimento all'amore fraterno. Pro­ babilmente, l'autore sta pensando a tutto l'amore che merita la designazione di agape senza riflettere se quell'amore sia diretto a un fratello cristiano o a Dio. Solo nel prossimo verso egli tira la conseguenza per l'amore fraterno. 20abc. Se qualcuno si vanta: « lo amo Dio », mentre continua a odiare suo fratello, è un mentitore. La parola per « mentitore » è il sostantivo pseustes. L'autore è ritornato allo stile delle

asserzioni avversarie adoperate all'inizio di lGv, cioè, delle tre asserzioni : « Se ci vantiamo » di l, 6.8.10, e delle tre asserzioni : « La persona che afferma » di 2, 4.6.9. (Questo parallelismo mostra che qui l'autore sta pensando ai secessionisti e non semplicemente enunciando una massima generale, secondo Ale­ xander). In particolare, la presente asserzione rassomiglia a l , 6: « Se ci vantiamo : "Noi siamo in comunione con lui" , mentre continuiamo a camminare nelle tenebre, siamo menti­ tori [pseudesthai] », sebbene ci sia pure una somiglianza con 2, 4: « La persona che afferma : "Lo conosco" , senza osservare i suoi comandamenti, è un mentitore [pseustes] ». In tutti questi esempi, c'è un'affermazione riguardo a una relazione con Dio che può essere valida per la sfera dell'attesa giovannea ma è negata dal comportamento dei contestatori. Pertanto, in questo

Note a 4, 7 5, 4a -

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verso l'autore non sta rigettando l'ideale di amare Dio (si veda NorA a 2, Sb ). Ci si sarebbe potuto aspettare che egli contrap­ ponesse l'affermazione di amare Dio all'indifferenza nei con­ fronti del proprio fratello. Comunque, nel dualismo giovanneo né indifferenza né insufficiente amore sono l'opposto di amare - quell'opposto viene descritto come un non-amare assoluto (4, 20d ) od odiare (4, 20b ), come abbiamo visto nella NoTA a 2, 9b. Di nuovo, ci si sarebbe potuto aspettare che l'autore accusasse ogni persona, che afferma di amare Dio e continua a odiare suo fratello, di essere colpevole di fraintendimento o incompiutezza; ma il dualismo giovanneo è più duro. Proprio come l'odio è opposto all'amore (e Dio è amore ), cosl la men­ zogna è opposta alla verità (e Gesù è la verità ). Come ho messo in risalto nell'esaminare il termine « menzogna ,. nel vocabola­ rio giovanneo ( NoTA a 1, 6c ), con questo sistema l'autore sta accusando una tale persona di appartenere al regno di satana per il quale la menzogna è il linguaggio naturale (Gv 8, 44 ). Se Dio è presente nell'amore, « il padre della menzogna » è presen­ te nell'odio. 20de. Poiché la persona che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto. Alla lettera, questo implica un chiasmo artistico del tipo A, B, B', A': « [A] Colui che non ama [B] il fratello che ha visto, [B'] il Dio che egli non ha visto, [A'] egli non è capace di amare ». Contro i codici vaticano e sinaitico, che avvalorano il testo che io ho tradotto, molte tradizioni pensarono che una domanda retorica ( « come può egli amare il Dio ... ? ») sarebbe stata più drammatica o stilisticamente più elegante (codice alessandrino, e le versioni latina, peshitta, boharica, armena ed etiopica). Comunque, essi stavano uniformando lo stile di 4, 20 a quello di 3, 17, un passo in cui si trova un simile pensiero : « Quando qualcuno ha sufficienti mezzi di sussistenza di questo mondo e scorge che suo fratello ha bisogno, ma esclude ogni compassio­ ne nei confronti di lui - come può l'amore di Dio dimorare in una tale persona? ». In ambedue i versi, l'autore sta parlando a riguardo di un fratello che si vede fisicamente ( rispettivamente theorein e horan, senza differenza di significato). Nel primo testo, la domanda retorica ha suggerito che l'amore di Dio non poteva dimorare in una persona che trascurava suo fratello; qui, egli è più esplicito dicendo che una tale persona non può (dynasthai; si veda p. 568 ) amare Dio. 4, 20de rappresenta la cristianizzazione di un aforisma secolare? Come vedremo, ciò può ben essere vero più avanti in 5, lb; ma qui ne dubito per diverse ragioni. Un aforisma secolare (pagano) parlerebbe di un « dio mai visto »? Quello è il linguaggio dell'autore in 4, 12a.

lGv

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·

Parte seconda

Inoltre, il parallelo in 3, 17 è stato· certamente opera dell'auto­ re, e cosi c'è una buona ragione per pensare che anche questo possa esserlo. Se si attribuisce questa asserzione all'autore, in che modo intende egli l'incapacità che descrive? (Si veda Dodd, Epistles 124 ). � semplicemente incapacità reale o pratica dal momento che un amore fa da gradino indispensabile all'altro ? ( Un esempio di questa incapacità è che una persona che non sa come leggere, non può ricevere un'educazione da libri di lettura - il più facile deve precedere il più difficile ). O è una incapacità più radicale che deriva dalla natura dell'amore? ( Una persona che è ritardata mentale può venire istruita alla lettura fondamentale, ma essere ancora incapace di ricevere un'educazione dai libri ). Io propenderei per quest'ultima che deriva dalla nozione giovannea che ogni agape viene da Dio e si deve esprimere nell'amore del fratello (come pure nell'amore di Dio ). E cosi una persona che non ama suo fratello non può amare Dio, non tanto per il motivo che non ha fatto il primo, più facile gradino, ma per il motivo che non ha amore ( da Dio ) con il quale amare (si veda CoMMENTO). 2 l ab. E il comandamento che abbiamo avuto da lui è questo: la persona che ama Dio ·deve amare anche suo fratello. Alla

lettera :

« E questo comandamento noi abbiamo da lui che

[hina] la persona ... ». L'«

e » connette strettamente il v. 21 al verso precedente, di cui esso è un commentario. Sebbene il duplice comandamento di 3, 23 abbia dominato tutta questa unità, questa è la prima esplicita menzione di un comandamen­ to da quel verso e l'unica menzione nel cap. 4. « Comandamen­ to » sarà un motivo forte nei versi seguenti. La proposizione hina è epesegetica di « questo comandamento » (MGNTG 3, 139), ma può conservare una tonalità di scopo : l'amore è la sostanza e la meta del comandamento. Alcuni scrivani per chiarezza hanno interpolato « Dio » al posto di « lui » (codice alessandrino, volgata clementina ) ; la lettura testuale può essere errata, ma l'interpretazione del « lui » è corretta, come è d'ac­ cordo la maggior parte dei commentatori moderni ( Brooke, Chaine, Plummer, Schnackenburg, Schneider, B. Weiss, West­ cott) sulla base del contesto. Il tentativo di Hauck, Houlden e della NEB di interpretare il « lui » come Cristo non è plausibile - se l'autore stesse improvvisamente invocando Cristo, avreb· be probabilmente adoperato ekeinos come in 4, 17. Nonostante il fatto che nel vangelo di Gv Gesù stesso diede il comanda· mento, abbiamo visto in 2, 3-4 e in 3, 22-24 che più plausibil­ mente l'autore della lettera in modo coerente attribuisce il comandamento a Dio; 2Gv 4 parla senza ambiguità de « il co­ mandamento che ricevemmo · dal Padre ». Nelle altre cinque

Note a 4, 7 - 5, 4a

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asserzioni giovannee del comandamento dell'amore (Gv 13, 34; 15, 12.17; 1Gv 3, 23 ; 2Gv 5 ), la fraseologia è amarsi « l'un l'al­ tro »; questo è l'unico caso in cui viene formulato come uno « deve amare suo fratello ». Questa equazione avvalora la tesi che sono andato difendendo, che il comandamento si riferisce sempre all'amore dell'altro cristiano (giovanneo ) ed è più ri­ stretto del comandamento sinottico di amare il prossimo (NoTA a 2, 9b ) Nel prossimo verso, l'autore confermerà questo par­ lando dei credenti figli di Dio. .

5, la. Ognuno che crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio. Abbiamo visto che tutti gli usi di pisteuein, « credere », in lGv (NoTA a 3, 23b ) sono cristologici, o direttamente ( come qui ), o indirettamente (come in 4, 16a, l'unico altro impiego in questa unità ). In 5, Sb, il prossimo esempio di pisteuein, l'auto­ re parlerà della persona che « crede che Gesù è il Figlio di Dio ». Così, 5, l e 5, 5 insieme invocano la piena confessione giovannea : « Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio » ( Gv 20, 3 1 ). Era conveniente affermare che ciò che viene richiesto non è la fede in una verità intellettuale a riguardo di Gesù, ma la fede in una persona con cui si entra in relazione. Mentre non nego que­ st'ultimo aspetto, insisterei che c'è un contenuto intellettuale nella richiesta giovannea di fede, e che si deve intendere Gesù correttamente per avere una relazione salvifica con lui. Broo­ ke, Epistles 128, intelligentemente afferma che « l'autore a­ vrebbe considerato il credere che Gesù è il Cristo come inseparabile dalla fede in Gesù come Cristo ». Klein, « Quasi­ modogeniti ,, 207, ha ragione nella sua osservazione che per l'autore il problema non è la legittimità cristologica del titolo « Cristo » (o « Figlio di Dio » ), ma la sola e incondizionata applicabilità di quel titolo a Gesù nella sua carriera terrena. Ci si sarebbe potuto attendere una disposizione inversa in virtù della quale la fede precederebbe la generazione divina, come in Gv 20, 3 1 la fede porta al dono di vita divina. Tuttavia, Gv l, 12-13 è in armonia con il presente passo, dal momento che descrive i credenti come coloro che furono generati (aoristo ) da Dio. Alcuni studiosi non sono d'accordo : Chaine, Epitres 2 1 0, seguito da Vellanickal, vede l'amore come una conseguenza ma la fede come una causa di filiazione; tuttavia, Stott, Epi­ stles 172, vedrebbe la fede come una conseguenza della nuova nascita; e Brooke, Epistles 128, sostiene che l'autore non è chiaro sulla questione della causa o conseguenza. (Si può tro­ vare simile ambiguità in Paolo paragonando Gal 3, 26: « Per fede voi tutti siete figli di Dio », a lCor 12, 3 : « Nessuno può dire : 'Gesù è Signore', se non per mezzo dello Spirito Santo » ). Probabilmente, ·gli scrittori giovannei pensano alla fede e alla

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generazione come a due cose che stanno insieme e che sono simultanee, anche se la fede confessata può servire come segno che si è stati generati. Alcuni gnostici del II secolo, i quali ave­ vano una loro teoria della preesistenza del salvato, poterono in­ terpretare una formula come questa a loro favore : il vero cre­ dente è quello che è stato generato da Dio (prima della vita in questo mondo ). II tempo perf. di ghennan, usato qui per « generato da Dio », è adoperato dagli scrittori giovannei 9 volte per l'origine divina del cristiano. ( Si veda la NoTA a 2, 29b per quale motivo « gene­ rato » è preferibile a « nato » ). Tutte le altre asserzioni di 1 Gv (2, 29; 3, 9; 4, 7; 5, 1 8 ) collegano la generazione divina al com­ portamento del cristiano ( agire giustamente, non peccare, e amare ) - una indicazione che fede e comportamento sono due aspetti della stessa lotta in 1Gv, poiché l'autore sta definendo Io stato dei figli di Dio in termini che escludono i secessioni­ sti. lb. e ognuno che ama il genitore ama anche il figlio da lui generato. Alla lettera : >. In Fil 4, 13, Paolo dice : « Posso fare tutte le cose in colui che mi dà la forza ». Erma (Man. 12.4.3-5 ) afferma : « L'uomo che ha il Signore nel suo cuore è capace di dominare tutte le cose e tutti questi comandamenti; ma coloro che hanno il Signore sulle loro labbra mentre il loro cuore è indurito ... per loro questi comandamenti sono faticosi e difficili da segui­ re ... Metti il Signore nel tuo cuore, e conoscerai che niente è più facile o più amabile o più prezioso di questi comandamen-

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ti ». Forse questo è ciò che JClemente 49, l intende : « Chi ha amore in Cristo esegua le cose ordinate da Cristo ». Il modo giovanneo di esprimere questo sarebbe che l'amore di Dio per noi rende possibile l'osservanza del comandamento di amarsi vicendevolmente. La ragione specifica che l'autore offre nella prossima riga perché i comandamenti non sono gravosi non è esattamente uguale a nessuna delle precedenti, ma è vicinissi­ ma a (d ). 4a. perché tutto ciò che è generato da Dio vince il mondo. In 5, lb, l'autore ha parlato de « il generato da lui » e in 5, 18a egli parlerà di « ognuno che è stato generato da Dio » - ambedue maschili. In 4, 4, ha parlato ai suoi « figlioli » al plurale maschi­ le: « Voi appartenete a Dio, e così avete vinto » (si veda pure 2, 13). Tuttavia, qui l'autore adopera il neutro per descrivere coloro che furono generati e che vincono. Un uso alquanto simile del neutro dove ci saremmo aspettati il maschile, è stato il « ciò che » di 1, la (si veda NoTA ivi); e il neutro è frequente nel vangelo di Gv; ad es., « ciò che » o « tutto ciò che » il Padre ha dato a Gesù, che si riferisce a persone in Gv 6, 37.39; 17, 2.7.24, e « ciò che è generato dalla carne » in 3, 6 BDF 1381 offre questa spiegazione: « Qualche volta il neutro viene adope­ rato in riferimento a persone se si deve mettere in evidenza una qualità generica, e non gli individui in quanto tali » (pure MGNTG 3, 21 ). In questo caso significherebbe : « Tutti coloro che sono generati da Dio in quanto generati »; esso sottolinee­ rebbe il potere di generazione divina. MGNTG 2, 437 vede u­ n'accentuazione sull'aspetto collettivo : in quanto gruppo, colo­ ro che sono generati da Dio vincono, ZAGNT 305 ( per Gv 6, 37) suggerisce l'influsso dell'aramaico kol de che significa indiffe­ rentemente « ognuno che, ogni cosa che ». C'è del vero in più di una di queste proposte, ma nessuna di esse spiega perché nel giro di pochi versi l'autore passi dal maschile al neutro e viceversa, uno spostamento che può più semplicemente riflette­ re il suo gusto per la verità. Se si deve presentare una ragione per un neutro qui (ma non in 5, lb e in 5, 18a), essa può essere il desiderio dell'autore di innalzare una categoria di ciò che Dio ha generato contro un'altra categoria, « il mondo ». Inaspettatamente, ci viene detto che la vittoria sul mondo da parte di coloro che sono stati generati da Dio impedisce ai comandamenti di essere gravosi. Nello scervellarsi sull'ostacolo collocato dal mondo che renderebbe gravosi i comandamenti di Dio ( cioè, presumibilmente il comandamento di amarsi l'un l'altro ), bisogna ricordarsi che altrove lGv adopera nikan, « vincere » ( NOTA a 2, 13d), contro il maligno (2, 13.14) e gli anticristi secessionisti ( 4, 4 ). Il mondo tenta i cristiani affinché

Note a 4, 7 5, 4a

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-

amino lui piuttosto che amarsi l'un l'altro (2, 15-17), così che l'autore sta pensando a una battaglia contro modelli pagani ( Dodd )? Il mondo o il suo principe maligno tenta di portare i cristiani a odiare, una azione caratteristica del mondo (3, 12-17 ) ? Cercano i secessionisti, i quali appartengono al mon­ do e parlano il linguaggio del mondo (4, 5 ), di confondere i seguaci dell'autore che cercano di capire chi sono i fratelli che dovrebbero amare? L'ultimo suggerimento è vicinissimo al te­ ma generale di questa sezione, ma l'autore non fa nulla per rendere chiaro il suo significato. Anzi, ci si chiede s e egli non stia appunto offrendo un incoraggiamento pastorale con questo aforisma giovanneo, senza meditare in dettaglio sulle questioni appena discusse. Né è chiaro fino a che punto si deve spingere il tempo pres. ( « vince », « sta vincendo ») per attirare l'atten­ zione su una ordinaria battaglia tra figli di Dio e il mondo, specialmente dal momento che 5, 4b adopererà un aoristo per riferirsi alla vittoria del mondo come una azione passata e conclusa. Ciò che è chiaro è che la vittoria di Gesù (Gv 16, 33: « Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo » ) è stata estesa alla comunità di coloro che credono in lui.

COM M ENTO

Dopo l'unità sugli spiriti messi alla prova, l'asserzione : « Diletti, amiamoci l'un l'altro », può sembrare aspra e sconnessa. Anzi, la sconnessione ha condotto un gruppo di studiosi a considerare 4, 7 l'inizio di una nuova divisione principale di lGv ( normalmente la parte terza )1• Comun­ que, l'asprezza del cambiamento di concetto viene ridotta grandemente se ricordiamo il duplice comandamento di 3, 23 che l'autore presumibilmente ha inteso come una guida per ciò che sarebbe seguito: « Ora, questo è il comandamento di Dio: dobbiamo credere al nome del Figlio suo Gesù Cristo; e dobbiamo amarci l'un l'altro proprio come il comandamento che diede a noi ». L'unità 4, 1-6, che ha cominciato con « diletti », è stata collegata alla prima parte di quel comandamento, poiché la prova degli spiriti si è concentrata su « ognuno che confessa Brooke, de la Potterie, de Wette, Ewald, Haring, Jones, Law, Mala­ testa, Nagl, Schwertschlager, Smit Sibinga e Westcott.

t

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Gesù Cristo venuto nella carne » (4, 2). La presente unità, che comincia con « diletti », è collegata alla seconda parte di quel comandamento, poiché essa loda « ognuno che ama >> ( 4, 7 ), una lode che è specificata poi nella unità : « Il comandamento che abbiamo avuto da lui è questo : la persona che ama Dio deve amare anche suo fratello » ( 4, 2 1 ). Se ciascuna delle due unità sviluppa rispettivamen­ te una parte del duplice comandamento, c'è pure una sequenza di pensiero da una all'altra 2 • La prima unità divide nettamente coloro che « appartengono al mondo » da coloro ( noi ) che « appartengono a Dio >> . Dal momento che il secondo gruppo è odiato dal primo, c'è urgente necessità per coloro che « appartengono a Dio » ( 4, 6) di tenersi uniti amandosi l'un l'altro, soprattutto dal momen­ to che l'« amore appartiene a [è da] Dio » (4, 7). Lo Spiri­ to di Dio, prominente nella precedente unità, ritorna qui ( 4, 13), al pari del tema della corretta confessione di Gesù (4, 1 5 ) . C'è molto poco consenso tra gli studiosi s u dove finisca l'unità che comincia con 4, 7 3• Varie proposte indicano queste delimitazioni : 4, 7-1 2 ; 4, 7-2 1 e 4, 7 - 5 , 4 4• Discutere­ mo ognuna di queste proposte. ( a ) L'unità come 4, 7-12 ( Balz, Dodd, Haring, Marshall, Stott, Wilder, Williams ). Il principale argomento è che l'amore è il tema dominante di quei versi, mentre 4, 1 3-16a sposta il fuoco su cristolo­ gia e fede. Comunque, il tema dell'amore riappare in 4, 1 6b e continua vigorosamente fino a 5, 4. I noltrè, se si comincia una nuova unità con 4, 13, si dovrebbe comincia2 Wurm, lrrlehrer 142-43, criticò gli studiosi del XIX secolo i quali

non videro connessione tra 4, 1-6 e 4, 7-15, ad es., Bisping, Braune, Liicke, Luthardt, Mayer e Rothe. Tra coloro che videro una connes­ sione ci furono Diisterdieck, Ebrard e Haupt. Più tardi, Bonsirven, Epitre 198, poté ancora ritenere impossibile che vi fosse una connes­ sione. Per Dodd, Epistles 107, l'unità 4, 1-6 costituisce una parentesi, con 4, 7 ss che ritorna al tema principale. 3 Dal momento che quasi tutti gli interpreti riconoscono 4, 1-6 come una unità, c'è scarso dibattito riguardo a dove comincia la pre­ sente unità. 4 Pochi si spingerebbero oltre, ad es., Wilder a 5, S. Alcuni, che con­ siderano 4, 7-12 come una unità, vedrebbero 4, 13-21 o 4, 13 - 5, 4 come un'altra unità. Klein, « Quasimodogeniti », sostiene 5, 1-5 come una 5, unità autonoma delimitata da chiasmo (5, laa = 5, 4b-5 ; 5, 1ab 4a ; 5, 1ba 5, 2b-3 ; 5, 1bb 5, 2a - si noti che 1aa si riferisce alla prima metà della riga la, e 1ab alla seconda metà) . =

=

=

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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re un'altra unità con 4, l6c, poiché 4, l 3-l6b non è per tema più vicino a ciò che lo segue di quello che è a ciò che lo precede 5• Quindi, sembra cosa migliore considerare 4, l 3-l6a come una deviazione di secondaria importanza che collega il tutto a 4, 1-6, piuttosto che come una nuova unità a sé stante. ( b ) L'unità come 4, 7-21 (Brooke, Bru­ ce, Feuillet, Hort, Hoskyns, Jones, Malatesta, Schneider, Westcott, Windisch ). Di nuovo, l'argomento principale è che dopo 4, 2 1 il tema si sposta in 5, l a su fede e cristolo­ gia. Comunque, solo 5, la menziona la fede, e il tema dell'.amore ritorna in 5, lb per alcuni versi ancora. ( c ) L'unità come 4 , 7 - 5, 4 , (Alexander, Schnackenburg, TH­ LJ ). Per essere più preciso, io terminerò l'unità con 5, 4a come fa Alexander, poiché una volta iniziato il tema della fede e della cristologia in 5, 4b, non ritorna più il tema dell'amore. Non si può avere assoluta certezza, ma questa comprensione delle delimitazioni dell'unità ha due vantag­ gi. Primo, essa mantiene unita la trattazione principale dell'amore (con brevi interruzioni che appartengono alla fede in 4, l 3-16a e 5, l a ). Secondo, essa termina l'unità sul tema dell'amore e dei comandamenti ( 5 , 2-3 ) che è stato introdotto in 3, 23, un passo che è servito da guida nel determinare le due unità che siamo andati discutendo nel cap. 4. Così, si determina una specie di inclusione. C'è ancor meno accordo tra gli studiosi nel discernere le sottodivisioni dentro l'unità. Da un lato, Hoskyns non indica alcuna divisione dentro 4, 7-2 1 ; dall'altro, altri stu­ diosi hanno suggerito interruzioni per un totale di oltre dieci casi, come qui sotto esemplificato 6 : 10/ 1 1 : 1 1 / 12:

Dideberg, Ha d ng, Malatesta, Schnackenburg, Schnei­ der, Westscott de Ambroggi, Moody

5 Dodd pensa che la parte terza, « la certezza di fede >>, vada da 4 , 13 a 5, 13. Haring vede una alternanza tra amore e fede così : amore (4, 7-12) ; fede (4, 13-16) ; amore (4, 17-21) ; fede (5, l a) ; amore (5, 1b-4) ; fede (5, 5-12) . 6 L'elenco che ho più sopra riportato si deve leggere così: gli stu­ diosi menzionati dopo 10/ 1 1 propongono una rottura t ra 4, 10 e 4, 1 1 , così che 4, 11 comincia una nuova sottodivisione. Esso sup­ pone che coloro i quali vogliono cominciare una nuova unità con un verso (ad es., 4, 13 o 5, 1) preferiscano qui, a fortiori, almeno una sottodivisione.

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l Gv - Parte seconda

12/13: 13/14: 14/15: 15/16: 16b/16c: 16/17: 18/19: 19/20: 21/5, 1 :

Alexander, Balz, Brooke, Bruce, Bultmann, Dodd, Haring, Hort, Law, Marshall, Michl, Stott, Wilder, Williams, NEB, RSV, TEV Malatesta, B. Weiss de Ambroggi Hort Balz, Brooke, Haas, Hauck, Schneider, Westcott, Wil­ liams , Windisch, NEB, TEV. Bonsirven, Bultmann, de Ambroggi, Gaugler, Haring, Law, Malatesta, Michl, Moody, Schnackenburg, THU Balz, Bonsirven, Bultmann, de Ambroggi, Dodd, Hort , Malatesta, Michl, Moody, Schnackenburg, Wilder, TEV Alexander Balz, Brooke, Bruce, Chaine, de la Potterie, Feuillet, Hiiring, Hauck, Hort, Hoskyns, G. Klein, Jones, Malatesta, Michl, Schneider, Stott, B. Weiss, Westcott, Wil­ liams, Windisch, NEB, RSV, TEV.

Una volta di più, la mia personale inclinazione è di adope­ rare, dove possibile, le apostrofi o termini di indirizzo dell'autore come guida. Questo è di aiuto per le prime due sottodivisioni, poiché egli si rivolge alla comunità come « diletti )) in 4, 7 e in 4, 1 1 . Dopo ciò, i segni di sottodivi­ sione sono meno chiari; e così nelle quattro sottodivisioni che elenco qui sotto sono lungi dall'essere sicuro di avere percepito l'intento dell'autore : 4, 7-10, che consta di 1 3 righe 7 • Esso comincia con « dilet­ ti » e tratta dell'origine dell'amore. In 4, 7, l'autore asse­ risce : « L'amore è da Dio »; in 4, 1 0 : « Egli amò noi [per primo] » - una specie di inclusione. 4, 11-16b, che consta di 14 righe. Il suo inizio in 4, 1 1 ( « diletti, se Dio amò noi così, bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro » ) corrisponde all'inizio della precedente sottounità in 4, 7 ( « diletti, amiamoci l'un l'al­ tro dal momento che l'amore è da Dio » ). Dideberg, « E­ sprit )) 97, osserva che la prima sottounità tratta dell'ori­ gine dell'amore di Dio, mentre la seconda tratta del suo terminus nei credenti. Una specie di inclusione delimita questa sottounità, poiché in 4, 1 1 l'autore asserisce : « Dio amò noi così », mentre in 4, 1 6b egli parla de « l'amore che Dio ha in noi ». Il tema del dimorare di Dio ricorre in 4, 12 e 4, 15 (il secondo e penultimo verso). 7 Riporterò la lunghezza di ciascuna sottodivisione secondo il nu­ mero di righe presenti nella mia traduzione, così che il lettore può avere un'idea dell'approssimativa lunghezza.

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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4, 16c-19, che consta di 1 1 righe. Questa è la sottodivisione meno determinabile e sembra essere una riflessione pa­ rentetica su delle precedenti sottounità. Il tema di Dio che dimora in noi e dell'amore che raggiunge la perfezio­ ne, che è comparso all'inizio della seconda sottounità, compare anche all'inizio di questa sottounità. E sia la seconda che la terza sottodivisione terminano mettendo in rilievo ciò che noi facciamo (conosciamo e crediamo ; a­ miamo ) in risposta all'amore di Dio per noi. La maggior parte della terza sottodivisione si interessa dell'opposizio-­ ne tra amore reso perfetto e timore. 4, 20-5, 4a, che consta di 1 5 righe. L'autore ritorna al tema dell'amore dei fratelli (cioè, dei figli di Dio ), non menzionato specificatamente da 4, 12, che ha parlato di amarsi l'un l'altro. Egli vede questo come una componen­ te necessaria dell'amore di Dio. Viene alla ribalta la no­ zione di comandamento, che corrisponde all'introduzione ( delle due unità del cap. 4 ) in 3, 23 : « Questo è il coman­ damento di Dio ... dobbiamo amarci l'un l'altro proprio come il comando [comandamento] che diede a noi ». Ci sono pure inclusioni tra questa quarta sottounità e Ja prima sottounità : « Ognuno che ama è stato generato da Dio » (4, 7} corrisponde a: > ricorre qui, a volte rendendo più precise le asserzioni di una precedente unità. Nel discutere 2, Sb, ho dovuto dedicare una lunga NoTA per mostrare che l'ambigua espressione « l'amore di Dio », molto spesso significa l'amore di Dio per noi, piuttosto che il nostro amore per Dio. In 4, 7, all'inizio di questa unità l'autore dice meno oscuramente : « L'amore è da Dio », mettendo enfasi su Dio come fonte piuttosto che oggetto del nostro amore. In 3, 1 , l'autore ha parlato de « l'amore [che] il Padre ha donato a noi nel metterei in condizione di essere chiamati figli di Dio » ; qui, viene resa esplicita l'idea che la generazione da Dio rende possibile l 'amore ( 4, 7b ). In 3, 1 0bc, l'autore ha asserito che chiun­ que non ama suo fratello « non appartiene a Dio » ; qui, egli specifica che una tale mancanza di amore mostra che una persona non ha capito niente di Dio (4, 8 ). In 3, 16, l'autore ha definito l'amore in termini di Cristo che diede 8 Alcuni studiosi tendono a scoprire precisi modelli in queste tre unità sull 'amore, ad es., luce implica amore in 2, 3-l l ; vita implica amore in 3, 1 1-19a ; e l'amore stesso viene trattato in 4, 7 ss (Alexan­ der) . Mentre ci sono rig.he che potrebbero contribuire a una tale analisi, difficilmente il pensiero dell'autore è così preciso. Meno pretenziosa è l'analisi che fa Dideberg della progressione ( « Esprit » 97) : in 2, 3-l l l'amore fraterno esprime l'osservanza di un comanda­ mento ; in 3, lOc-24 l'amore fraterno è. l'imitazione di Cristo · che diede la sua vita ; in 4, 7-21 l'amore fraterno è collegato alla sua fonte nel Dio che è amore.

Commento a 4, 7 5, 4a ·

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la sua vita per noi; qui, egli specifica che questa morte fu una riparazione per i nostri peccati ( 4 , 1 0 ) . Tali specifica­ .:z;ioni e chiarimenti sono utili, ma difficilmente riescono a. giustificare la composizione di tutta una nuova unità. Ma ci sono alcuni sviluppi in questa unità degni di essere chiamati 'nuovi' 9 • Uno di essi è la mescolanza di afferma­ zioni riguardo alla cristologia e alla fede nella trattazione dell'amore (4, 14- 1 5 ; 5, la). Brooke, Epistles 1 1 6-17, ritiene che questa terza trattazione dell'amore in 1 Gv è utilissima nel chiarire che fede e amore ( il cristologico e l'etico). sono inseparabili 10 • Quanto a nuovi sviluppi riguardo alla stessa agape, qui l'autore fa due volte la lapidaria asser­ zione : « Dio è amore » (4, 8b . 1 6c). Egli descrive anche l'an­ titesi tra amore e timore ( 4 , 1 8 ) . Infine, egli drammatizza in modo così efficace come non è mai stato fatto in nessuna letteratura la contraddizione tra l'amore per Dio e l 'odio per un altro essere umano : « La persona che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto » (4, 20de ). Il risultato è che questa terza trattazione dell'amore in lGv è quella che è stata citata di più nella riflessione e nella letteratura çristiana sull'argomento.

9 Altri sono più pessimisti. Bultmann, Epistles 75, nega che ci sia

qualche « nuovo pensiero e sviluppo di pensiero » nella maggior parte di questa unità, cosl che « ciò che qui abbiamo non è una composizione originale e coerente », Vellanickal, Sonship 303, pensa che il nuovo in 4, 7-21 è che l'amore non è più presentato come un comandamento. Io non sono d'accordo, poiché in 3, 23 l'unità viene introdotta con l'asserzione che l'amore è un comandamento, un'idea ripetuta in 4, 21 e 5, 2-3 - in IGv non c'è fprogressione' su questo punto. Se entole, « comandamento », ricorre 6 volte in 2, 3-1 1 , ri­ corre 4 volte in 4, 7-5, 4a (più 3 volte in 3, 23-24, che introduce que­ sta unità) . De la Potterie, La vérité l , 313, pensa che gli 'eretici' vengono virtualmente persi di vista in questa unità. Di nuovo, non sono d'accordo: i secessionisti sono nello sfondo dappertutto, e in modo specifico in 4, 8.20 ; 5, l . IO Questo significa che l a trattazione che Bultmann fa di 4 , 7 ss com� omiletico non rende giustizia a questo passo.

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lGv - Parte seconda

A_ L'amore è dal Dio che è amore

(4, 7-1 0)

L'autore comincia con il suo solito « diletti », il quale come introduzione a una unità che rigurda l 'amore, è qui ancora più appropriato di quello che è stato in 4, l . Echeg­ giando il duplice comandamento di 3, 23, la sua esortazio­ ne in 4, 7a è cosl energica che le sue parole sono equiva­ lenti a un comandamento : « Amiamoci l'un l 'altro » 1 1• Egli vuole che coloro che « appartengono a Dio '' ( 4, 6 ) si ami­ no l'un l'altro « dal momento che l'amore è da Dio » ( 4, 7b ). Inculcando questo amore, l'autore spera di preser­ vare i suoi seguaci dal cadere sotto l'influsso dello spirito di inganno e dall'uscita nel mondo (4, l d.6 ), un mondo in cui l'odio dei fratelli è una caratteristica ( 3 , 1 3 ). L'idea che l'amore è da ( o appartiene a) Dio il quale è amore domina questa sottodivisione. Come verità, luce e vita, agape, « amore ,, , è una realtà dall'alto, proprio come è la generazione divina e, anzi, Gesù stesso ( Gv 3, 3.31 ). La logica è che coloro che appartengono a Dio, o sono gene­ rati da Dio, o conoscono Dio quindi ameranno. Due serie interscambiabili di espressioni, una che collega l'amore a Dio, l'altra che collega l'amore allo stato di cristiano dato da Dio, spiegano la sistemazione chiastica che contraddi­ stingue 4, 7cd e 4, Sab : 4, 8a Chi non ama non ha conosciuto niente � di Dio poiché Dio è amore. e conosce Dio ----- '\. 8b

4, 7c Ognuno che ama è stato generato. da Dio 7d

La connessione di idee è questa: Dio è amore; il germe che genera deve essere segnato dall'amore 12; amando, i figli arrivano a conoscere il loro Padre. Questa è un'appli­ cazione del principio generale che gli esseri umani sono fatti a somiglianza di Dio, ma ora quella somiglianza non avviene tramite creazione ma tramite fede e amore. I l L'autore evita la forma più diretta della seconda persona plurale di agapan: « Amatevi l'un l 'altro », e preferisce associarsi al suo pubblico nell'obbligo. 12 Se il chiasmo fosse perfetto, ci si sarebbe aspettato che 4, 8b leg­ gesse: « E non è stato generato da Dio •· Comunque, una tale im­ plicazione si può ricavare dalla logica delle osservazioni dell'autore: il Dio di amore non può generare figli che non amano.

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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Alcuni commentatori notano che, mentre l'autore dice : « Ognuno che ama è stato generato da Dio >>, egli non dice : « Ognuno (che è stato) generato da Dio ama ». Essi speculano che per l'autore sarebbe stato troppo pericoloso fare la seconda asserzione per il motivo che i secessioni­ sti, i quali come precedenti cristiani giovannei erano stati « generati da Dio >>, non amavano, e così l'asserzione non sarebbe stata vera. Io metto in discussione questo, poiché penso che l'autore avrebbe potuto dire : « Ognuno (che è stato) generato da Dio ama » . Per lui, la mancanza di amore proverebbe che, nonostante le loro affermazioni, i secessionisti non erano stati generati da Dio 13 , proprio come la loro partenza dalla comunità aveva provato che essi non erano mai appartenuti alla comunità (2, 1 9 ). Dal momento che nel pensiero giovanneo si diventa parte del popolo di Dio ( Gv 3, 3-7 ) tramite generazione divina, l'affermazione che l'amore serve da criterio per la genera­ zione divina 14 può essere collegato all'idea dell'A T che l'amore (fzesed ) costituiva il criterio di appartenenza al popolo di Dio (Os 6, 4-6; Mie 6, 8 ). 1 Gv presenta l'amore anche come un criterio per la co­ noscenza di Dio (4, 7d), una affermazione resa intelligibile dal ruolo parallelo di fede e amore in quest'opera, poiché nel pensiero giovanneo la f�de è collegata alla conoscenza (ABJ 29, 5 1 2-1 5 ; tr. it. 1 454 ss). L'autore dice : « Ognuno che ama .. conosce Dio ». Argomentando proprio come ho fatto più sopra, io insisterei che egli avrebbe anche potuto

13 Vellanickal, Sonship 357, sostiene che nel pensiero giovanneo la figliolanza divina può essere perduta, ed egli trae questa conclusione dall'osservazione che la figliolanza è dinamica e deve crescere. Men­ tre sono d'accordo su questo secondo punto - ma sempre con l'in­ sistenza che per Gv noi siamo figli di Dio (l 'autore nell'originale in­ glese fa qui una distinzione teologica tra child [figlio, bambino: usato per i credenti] e son [figlio in senso proprio usato solo per Cristo] che non è possibile rendere in italiano. [N.d.r.] - ho il so­ spetto che nel caso dell'evidente perdita di una persona l'autore negherebbe che le parti interessate siano state in passato figli di Dio. Gesù non perde mai coloro che gli vengono realmente dati dal Padre. L'evidente eccezione è Giuda, ma egli apparteneva al mali­ gno ( Gv 17, 12 ; 6, 64-70) . 1 4 Altri criteri di generazione divina sono la fede (Gv 1 , 12-13 ; lGv 5, l) e la libertà dal peccato ( lGv 3, 9 ; 5, 1 8) . Si veda più sopra, pp. 533-34.

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lGv - Parte seconda

dire : « Ognuno che conosce Dio ama » 15 • I secessionisti affermano di conoscere Dio; ma, dal momento che non amano, la loro affermazione è falsa. Se paragoniamo que­ sto a 2 , 4 ( « la persona che afferma: "Lo conosco", senza osservare i suoi comandamenti, è un mentitore » ), noi vediamo l'interscambiabilità tra amare e osservare i co­ mandamenti come un indice della conoscenza di Dio 16 • Anzi, non è semplicemente una questione di un indice o criterio esterno - esistenzialmente, solo mediante l'osser­ vanza del comandamento di amarsi l'un l'altro si ottiene la conoscenza del Dio che è amore 17 • Ancora una volta, questo è vero per la descrizione dell'AT dove T:zesed o amore di alleanza è caratteristico di Dio, e l 'assenza di questo amore sulla terra è equiparata a una assenza della �onoscenza di Dio (Os 4, 1 ). L'asserzione negativa dell'au­ tore ( 4, 8a ) : « Chi non ama non ha conosciuto niente di Dio », colloca i secessionisti (contro i quali essa è diretta ) sullo stesso piano da 'i giudei' di Gv 16, 3 che « non conobbero mai il Padre » e del mondo che « mai conobbe [ riconobbe] Dio [lui] » ( l Gv 3, le) . Alla fine del v. 8 troviamo che l'autore s i è spostato dalla sua precedente affermazione : « L'amore è da Dio », al­ l'affermazione : « Dio è amore ». La capacità di mutare formulazioni è già stata vista in 1 , 5 : « Dio è luce », quan­ do confrontato con 1 , 7: Dio « è nella luce ». Essa ci ammonisce che non ci troviamo di fronte a precise defini­ zioni di Dio, ma a descrizioni di lui in relazione agli esseri umani. Comunque, la descrizione non è puramente fun­ zionale, poiché se Dio è amore verso di noi, è perché egli è amore in se stesso 18 • Se egli manifesta amore verso gli 1 5 Questo viene confermato dalle controparti negative: in 3, 10, egli asserisce che ognuno che non ama suo fratello non appartiene a Dio ( uno stato equivalente a essere generati da Diò) ; e in 4, Ba egli asserisce : « Chi non ama non ha conosciuto niente di Dio ». 16 In 4, 6, l'autore ha offerto un altro criterio: « Noi apparteniamo a Dio e chiunque ha una conoscenza di Dio ascolta noi ». Egli ora ha detto : « L'amore appartiene a [è da] Dio ... Chi non ama non ha conosciuto niente di Dio ». Queste due asserzioni rendono chiaro che se la comunità (il « noi soggetto/oggetto ») serve da criterio, è perché i suoi membri rimangono fedeli al comandamento divino di amarsi l'un l'altro. 17 Per la funzione noetica dell'amore e per la sua capacità di assi­ milare uno a Dio, si veda Mouroux, « L'expérience » 183. 1 8 Si veda la NOTA a « Dio è luce » in l, Sd per la sfumatura della

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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esseri umani dando suo Figlio, egli amò il Figlio prima che il mondo cominciasse (Gv 17, 24) . « Dio è amore » (4, 8b . l 6c) può essere il più famoso detto del NT 19 • Sant'Agostino scrive ferventemente : « Se niente altro a lode dell'amore fosse stato scritto nel resto della lettera, o meglio nel resto della Scrittura, e noi avessimo udito dalla bocca dello Spirito di Dio solo quella asserzio­ ne : 'Dio è amore', non dovremmo cercare niente altro » 20 • È una vergogna, quindi, che per troppo uso e per errata comprensione questo detto sia spesso diventato comune e fuorviante. Che esso sia complesso venne riconosciuto già nella esegesi patristica, come vediamo dallo studio di Di­ deberg sulla sua interpretazione da parte di Agostino che lo citò circa 58 volte 21 • In tre diversi periodi della sua vita, Agostino interpretò l'amore di Dio in tre diversi modi. In un primo periodo, verso il 393, egli vide lo Spirito Santo come l'amore del Padre e del Figlio, una interpretazione che ha qualche giustificazione nella asso­ ciazione di 4, 10 e di 4, 1 3 (Dio amò noi; Dio ha dato a noi del suo stesso Spirito ). Durante il suo periodo intermedio, verso il 407, Agostino era solito parlare di amore fraterno ( carità ) come un modo di unione con Dio o, come direbbe 1 Gv, di conoscenza di Dio. Prima del 4 1 8 e del concilio di Cartagine contro i pelagiani, Agostino interpretava la cari­ tà come dono di Dio agli esseri umani, anzi come la presenza di Dio stesso tra noi, una interpretazione che può essere collegata all'espressione l'« amore è da Dio » di 1 Gv. Nonostante il carattere astratto delle interpretazioni di Agostino, esse sono spesso più vicine all'intento di 1 Gv di alcune recenti riflessioni su « Dio è amore ». Alcuni ve­ drebbero un contrasto tra il concetto di giustizia di Dio formula « Dio è », Spicq, « Notes » 363-65, sostiene che agape, anche in relazione a Dio, è sempre amore che è stato reso manifesto o rivelato, ma dalle manifestazioni si viene a conoscere la fonte. 19 Meno eloquente, ma simile nel concetto è il « Dio dell'amore » di Paolo in 2Cor 13, 1 1 . 20 In Epistolam 1 , 4 ; S e 75, 320. 21 Dideberg, « Esprit » 99. Nei suoi primi scritti, Agostino tradusse agape con dilectio, « amore » ; più tardi, passò a caritas, « amore », carità ». In Sermo 53.10.1 1 ( PL 38, 369) egli dice : « Caritas non è niente altro che dilectio ».

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dell'AT e il concetto di Dio come amore del NT. Questa prospettiva intende erroneamente il concetto biblico di giustizia come essenzialmente punitivo 22 e ignora passi dell'AT che presentano tzesed, « amore e misericordia di alleanza » , come caratteristico di Dio 23• La reale contrap­ posizione giovannea implicata in « Dio è amore » è nei confronti di un mondo che odia ( Gv 1 5 , 1 8 ; 17, 14; lGv 3 , 13 ). Io giudicherei negativamente pure l'assunto di Holtzmann (Evangelium 232) che, mentre gli avversari gnostici potrebbero arrivare a riconoscere che Dio è Spiri­ to (Gv 4, 24 ) e Dio è luce ( l Gv l , 5 ), essi non potrebbero riconoscere che Dio è amore, poiché ciò va al di là della religione naturale. In realtà, comunque, tutte tre le for­ mule « Dio è » vanno al di là della religione naturale, poiché tutte sono cristologiche. Noi conosciamo che Dio è Spirito perché Gesù comunica lo Spirito (si veda ABJ, 29, 328-29 [ tr. it. 425 s ] , e Gv 7, 39: « Non c'era ancora lo Spirito, dal momento che Gesù non era stato glorificato » ) . Noi conosciamo che Dio è luce tramite Gesù, la luce del mondo (Gv 8, 12; si vedano più sopra, pp. 323-27) 24• Noi sappiamo che Dio è amore tramite Dio che manda il suo unico Figlio nel mondo. Se gli avversari di l Gv potevano dire che Dio è Spirito e luce, essi potevano anche dire che Dio è amore (nonostante la posizione contraria di Feuillet, Holtzmann, Plummer e Wilder). Essi non erano sempli­ cemente propositori di una religione naturale o gnostici ; essi erano stati cristiani giovannei, e l'amore aveva potuto fare parte del loro vocabolario 25• Probabilmente, il disac22 Si veda la NOTA a l , 9b. Schtitz, Vorgeschichte 12-15, mette in ri­

lievo somiglianze tra « l'amore di Dio » di 1Gv e « la giustizia [di­ kaiosyne] di Dio » di Paolo (ad es., Rm 1 , 17) , la quale è una pro­ prietà di Dio in favore degli esseri umani (Fil 3, 9) . Dentro 1Gv, si può mettere a confronto « ognuno che ama è stato generato da Dio » (4, 7) e « ognuno che agisce giustamente [dikaiosyne ] è stato generato da Dio » {2, 29) . 23 Ad es., Sal 130, 7: « Con il Signore l'amore è saldo ». Si noti anche l'uso del rispettivo aggettivo �asid: « 'lo sto amando' dice il Si­ gnore » (Ger 3, 12 ; Sal 145, 8) . 24 Feuillet, Le mystère 202, commenta che, mentre « Dio è luce » sembra sottolineare la trascendenza di Dio e la sua distanza da noi, « Dio è amore » ha l'effetto opposto. Piuttosto, ambedue im­ plicano l'incarnazione, poiché mandare il Figlio di Dio manifesta Dio come luce e come amore. 25 Quando propongo che i secessionisti affermavano di amarsi l'un

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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cordo tra l'autore e i secessionisti in questa area riguar­ derebbe l'estensione dell'elemento cristologico nelle for­ mule « Dio è ». Rivelò Gesù ciò che Dio è, semplicemente venendo nel mondo, o ebbero un valore la sua vita e morte ? Un altro disaccordo avrebbe riguardato il valore salvifico che ha per i cristiani l'attuare nelle proprie vite le implicazioni di queste formule. Tali disaccordi emergono di più in 4, 9-1 0 quando l'autore spiega in che modo l'amore di Dio venne rivelato 26 e in che cosa esso consista. Esso venne rivelato nel Figlio di Dio e per suo tramite. Come ho già insistito, questo non significa che non vi era amore divino prima della venuta del Figlio di Dio nel mondo. Dio è amore ; egli non diven­ ne amore nell'incarnazione, ma solo rivelò ciò che già era. Come il prologo del vangelo di Gv indica ( 1 , 1 6-17 ; si veda ABJ 29, 1 5-16; tr. it. 23), la grazia amorosa (charis) rivelata nell'incarnazione prendeva il posto dell'amore già mostra­ to in Mosè. La Parola che divenne carne era la stessa Parola che era con Dio prima della creazione, la stessa Parola per mezzo della quale Dio creò, e la stessa Parola che fu la sorgente di vita e di luce per gli esseri umani prima che le tenebre tentassero di vincerla rt. Ma ora, in un contesto nel quale parlerà riguardo alla perfezione dell'amore ( 1 Gv 4, 17-1 8 ), l'autore della lettera è interessa­ to alla definitiva rivelazione dell'amore di Dio. Ciò che è nuovo in questa rivelazione di Dio come amore è che egli ha dato il suo particolare e diletto Figlio, proprio come Abramo fu disposto a dare Isacco 28• Nel v. 10d, il riferi­ mento a questo dare o mandare « come riparazione per i nostri peccati » mostra che l'autore sta pensando non solo l'altro, sto unendo due affermazioni giovannee, cioè, che i secessio­ nisti appartengono al mondo ( lGv 4, 5) e che il mondo ama [phi­ lein ] i suoi (Gv 15, 19) . Quando propongo che i secessionisti affer­ mavano di amare Dio, sto basandomi su lGv 4, 20a: « Se qualcuno si vanta: " lo amo Dio" ... ». 26 Balz, Johannesbriefe 192, attira l'attenzione sulla successione di tre asserzioni, ciascuna con il suo contributo: « L'amore è da Dio » (4, 7) ; « Dio è amore » (4. 8) ; « L'amore di Dio venne rivelato » (4, 9) . La successione logica di queste asserzioni sarebbe due, uno, tre. rT In ABJ 29, 25-27 (tr. it. 35 ss) . è stato proposto che Gv l , 3-5 si riferisca al racconto della caduta di Gn. 28 Si veda la NorA a 4, 9b per lo sfondo dell'A T riguardo all'uso gio­ vanneo dì monoghenes, « unico ».

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all'incarnazione ma anche alla morte di Gesù, proprio come precedentemente in 3, 1 6 : « Da questo siamo venuti a conoscere ciò che significa l'amore : per noi Cristo diede la sua vita ». L'elemento di morte volontaria corrisponde ai modelli stessi di Gesù: « Nessuno può avere un amore più grande di questo : dare la propria vita per coloro che si ama )) (Gv 1 5 , 1 3 ). Noi possiamo parlare di una triplice rivelazione : primo, che Dio ha un solo diletto Figlio; secondo, che egli è disposto a mandare o dare questo Figlio, fino alla morte; terzo, che egli è disposto a fare questo per noi, « per i nostri peccati », e « che possiamo avere vita in lui » . Come l'autore delle Odi di Salomone ( 3 , 3-4 ) esclama: « Io non avrei saputo come amare il Signore se egli non avesse continuamente amato me. Chi è capace di discernere l'amore se non chi è amato )) ? In questo passo l'autore della lettera può stare commen­ tando il tema che appare in Gv 3, 1 6-1 7 : « Dio amò il mondo tanto da dare il suo unico Figlio, che ognuno che crede in lui non perisca ma abbia vita eterna. Poiché Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma che il mondo potesse essere salvato per mezzo di lui )) 29 • Da paralleli usi cristologici neotestamentari di « da­ re )) ( Rm 8, 32; Gal l , 4 ; 2, 20), in ABJ 29, 134 (tr. it. 1 7 6 ) ho sostenuto che quel passo del vangelo di Gv si riferiva alla morte di Gesù come pure all'incarnazione; ma altri stu­ diosi non sono d'accordo (ad es., Schnackenburg, John l , 399). Questa divisione tra interpreti moderni del vangelo di Gv rende molto plausibile l'idea che l'autore della lette­ ra e i secessionisti non fossero d'accordo su questo punto. I secessionisti possono avere interpretato la teologia gio­ vannea classica del dare e del mandare il Figlio da parte di Dio solo in termini della sua entrata o dell'incarnazio-

29 Il linguaggio di Dio che manda il Figlio era una terminologia cri­ stiana comune, ma non aveva un significato univoco. Nella tradizio­ ne sinottica, essa si trova nella parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12, 1-9 e par.) , che probabilmente si deve intendere in termini del mandare un profeta. Molti prenderebbero come un riferimento al­ l'incarnazione Rm 8, 3 ( « mandando Dio il proprio Figlio nella so­ miglianza di carne peccaminosa ») e Gal 4, 4 ( « quando venne la pie­ nezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna ») , ma ciò non è chiaro ( si veda il mio Community 45-46 ; tr. it. 50 s) . Si veda E. Schweizer, • Sendungsformel », e il suo articolo in TDNT 8, 375-76.

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ne. L'autore ( giustamente, a mio giudizio ) ha interpretato che il dare e mandare includesse tutta la carriera di Gesù, compresa la sua morte riparatrice per i peccati. Qui, egli stava collegandosi a una comune catechesi cristiana; ad es. : « Nostro Signore Gesù Cristo che diede se stesso per i nostri peccati » ( Gal l , 4 ); « Dio non risparmiò il proprio Figlio ma lo diede per tutti noi » ( Rm 8, 32). Questa cate­ chesi faceva parte dell'entrata nel cristianesimo per mezzo di conversione/iniziazione/battesimo 30 ? Ciò aiuterebbe a spiegare la connessione che l Gv fa di questa formulazione cristologica dell'amore con l'essere generato da Dio ( 4, 7 ), con il nostro avere vita per mezzo del Figlio ( 4, 9 ), e con il suo essere una riparazione per i nostri peccati ( 4, 1 0 ). La frequenza con cui le idee di lGv 4, 7-10 compaiono unite contribuisce alla teoria conversione/iniziazione/battesimo ; ad es., Ef 2, 4-5 : « Il grande amore con cui Dio ama noi, e anche quando eravamo morti per le nostre trasgressioni, ci rese vivi insieme a Cristo »; e 2Tm l, 9-1 0 : « Dio salvò noi ... non in base alle nostre opere, ma in virtù del suo stesso proposito e della grazia data a noi in Cristo Gesù ... che ora è stata rivelata con l'apparizione del salvatore nostro Gesù Cristo illuminante, il quale abolì la morte e portò la vita » 31 • Questa teoria aiuta anche a spiegare l'uso fortemente collettivo del « noi soggetto » e del « noi ogget­ to » lungo tutta questa unità della lettera - Dio in quanto amore è presentato non come 'mio salvatore personale', ma come il salvatore di un popolo. D'altra parte, l'autore non è interessato a1 l'universalismo del disegno salvifico di Dio sebbene egli parli di Dio che manda suo Figlio « nel mondo » ( Gv 3, 1 7 ; l Gv 4, 9; si veda 2, 2 ), come « salvatore del mondo » (Gv 4, 42; l Gv 4, 1 4 ). L'autore della lettera è

30 Wilder, « lntroduction ,. 283: « L'anziano invoca varie formule cor­

renti di confessione intese come tipiche della chiesa fin da prin­ cipio ». 31 Questo riferimento nelle pastorali (si veda anche Tt 3, 4-5) è tanto più importante a motivo della teoria di Boismard che la catechesi battesimale è la base comune che sta sotto lPt, le pastorali e parti di lGv (più sopra, pp. 594-97) . Dal momento che « riparazione " di lGv 4, lOd contiene la nozione di sacrificio di sangue per i peccati ( si veda l, 7 ; 2, 2) , è utile notare che lPt l , 19 parla di riscatto con il prezioso sangue di Cristo, simile a quello di un agnello, e l, 22 richiede: « Amatevi l'un l'altro •.

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interessato ai « noi » giovannei i quali hanno vita per il Figlio ( l Gv 4, 9bc ) 32. Nella NoTA a 4, 9a, ho preso le parti di quegli studiosi i quali sostengono che « rivelato in noi » è inteso letteral­ mente e non semplicemente come sinonimo di « rivelato a noi ». Nel parlare della rivelazione del Figlio di Dio come atto di amore, l'autore della lettera vuole dire più di Gv 1 , 1 4 : « La Parola divenne carne e costruì la sua abitazio­ ne tra [in] noi ». Quando egli dice : « Dio mandò suo Figlio ... che noi possiamo avere vita tramite lui » ( 4, 9 ), egli mostra che parte della rivelazione è ciò che accade dentro i cristiani. Nel processo giovanneo del dono della vita, il Figlio riceve la vita dal Padre ; e il credente dal Figlio ( Gv 5, 26; 6, 57; 1 Gv 5, 1 1 ). Pertanto, il modo in cui i credenti cristiani vivono fa parte del piano amoroso, sal­ vifico di Dio. I secessionisti potevano condividere l'idea che l'amore di Dio è stato rivelato « a noi »; essi potevano condividere che era stato rivelato dalla Parola che abita « tra noi » ; ma ( se li ho intesi correttamente ) non poteva­ no mai condividere una rivelazione « in noi » nel senso appena spiegato, poiché ciò avrebbe dato un valore sal­ vifico al modo in cui i cristiani vivono.

B . Il Dio di amore di mora in noi (4, 1 1 -1 6b)

La precedente sottodivisione è iniziata con : « Diletti amiamoci l'un l'altro » (4, 7). Avendo posto un fondamento a questo enunciando il principio che l'amore è da Dio il quale è amore, all'inizio di questa sottodivisione l'autore ritorna sullo stesso tema: « Diletti, se Dio amò noi così , bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro » (4, 1 1 ) 33 • L'amore di Dio incarnato in Gesù deve diventare 32 Quindi, sono d'accordo con Preisker contro Bultmann (Epistles

66) , che opta per un più ampio « noi » dal quale solo coloro che rifiutano di credere verrebbero esclusi. lGv si interessa di « noi » e di coloro « che uscirono » (2, 19) . Certamente, ci sono credenti non giovannei, ma qui non costituiscono un manifesto interesse . Non sarei d'accordo, comunque, con Schotroff il quale pensa che l'autore vorrebbe negare l'universalità dell'intenzione salvifica di Dio. JJ La seconda sottounità è una applicazione pratica che sgorga dal-

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incarnato nei cristiani ; e l'amore, che viene ricevuto nella vita divina e con essa, deve come quella vita essere attivo. Ci si sarebbe potuto aspettare che l'autore dicesse : « Se Dio amò noi così, bisogna che noi a nostra volta amiamo Dio ». Ma, mentre l'amore divino ha un elemento di reci­ procità (che -l'autore può stare supponendo ), esso è essen­ zialmente espansivo verso altri, a imitazione di Dio stesso. Questo fa parte della rivelazione « in noi » appena discussa. Alcuni commentatori caratterizzano questa sottounità co­ me la più nobile trattazione dell'amore in lGv, perché l'obbligo di amore è fondato su ciò che Dio è ed ha fatto piuttosto che su un comandamento. Tuttavia, il fatto che in 4, 2 1 e in 5, 2-3 l'autore ritorni al linguaggio del coman­ damento senza il minimo segno di contraddizione mostra che questa è una falsa distinzione 34 • I comandamenti di Dio sono sue parole che vengono dal suo essere interiore ; per l'autore sarebbe senza senso distinguere tra un obbli­ go fondato sul fatto che Dio è amore e agisce amorevol­ mente - egli dà il comandamento di amare per il motivo che egli è amore. Nel pensiero giovanneo, la Parola che divenne carne e la parola che dice che dobbiamo amarci l'un l'altro sono intrecciate. Il dare o mandare il Figlio a morire una morte riparatrice fu sia un atto di amore di Dio ( l Gv 4, 9- 1 0 ) che un comandamento del Padre (Gv 1 0, 1 8 ; 14, 3 1 ). Che l'autore della lettera menzioni o non menzioni il comandamento, egli sta commentando una tra­ dizione che ha: « Voi dimorerete nel mio amore se osser­ vate i miei comandamenti, proprio come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore ... Questo è il mio comandamento : amatevi l'un l'altro »

l'analisi teologica dell'amore nella prima sottunità. Secondo la teo­ ria di Bultmann , l'autore stava aggiungendo riflessioni omiletiche al materiale mutuato dalla fonte, ma io sosterrei che sia l'asserzione teologica che l'applicazione omiletica provengono dall'autore. Egli sta fondando il suo argomento non su una fonte scritta ma su teo­ logia e catechesi giovannee comuni, insegnate all'entrata nella co­ munità e custodite gelosamente per noi nel vangelo di Gv. 34 L'impossibilità della distinzione viene il lustrata confrontando l Gv 2, 5 con 4, 12, che parlano dell'amore di Dio che raggiunge la perfezione rispettivamente nella persona che osserva la parola di Dio o i comandamenti e nelle persone che amano gli altri sulla base dell'amore che Dio ha avuto per loro.

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( 1 5, 1 0 . 1 2 ). � quella tradizione che spiega perché ora in 4, 12 improvvisamente l'autore introduca l'idea di Dio che dimora in noi se ci amiamo l'un l'altro. L'autore fa precedere la sua affermazione di inabitazione divina dalla massima : « Nessuno ha mai visto Dio ». Come ho spiegato nella NoTA a 4, 1 2a, nella tradizione giovannea questa massima derivò dalla lotta contro la sinagoga riflessa nel vangelo di Gv che esaltò Gesù come l'unico che avesse mai visto Dio, in contrapposizione alle possibili rivendicazioni giudaiche a favore di Mosè ed Elia. Nel contesto di 1 Gv, in cui l'autore ha affermato che il Dio dell'amore, il quale non è mai stato visto, è stato rivelato « in noi », questa massima ha un tocco antisecessionista ? Una risposta affermativa è data da alcuni studiosi i quali pensano che i secessionisti, influenzati dalle religioni mi­ steriche greche, stavano affermando una diretta intuizione o visione di Dio che li rendeva migliori degli altri cristiani (Alexander, Bourgin, Dodd ) 35, Non c'è modo per provare o disapprovare ciò ; ma il mio principio generale che i se­ cessionisti fossero leali nei confronti delle chiare afferma­ zioni della tradizione espressa dal vangelo di Gv, rende probabile che pure essi affermassero che nessuno ha mai visto Dio. Quindi, io considereri 4, 1 2a non come un prin­ cipio antisecessionista, ma come un principio generale giovanneo 36 che rende l'inabitazione divina sempre più mirabile. L'influsso antisecessionista comincia in 4,- 1 2b, dove l'auto­ re si azzarda a rendere l'inabitazione divina ( in qualche modo una intimità con Dio superiore a quella del vederlo ) dipendente dal nostro amarci l'un l'altro ed espressa per

35

L'idea di vedere Dio nelle religioni misteriche viene svolta da W. Michaelis, TDNT 5, 322-24. Mentre lo gnosticismo potrebbe affer­ mare che l'altissimo Dio è invisibile, lo gnostico che è stato deifi­ cato potrebbe vedere Dio mediante la conoscenza. La gnosi rende possibile la visione di Dio ; anzi, è la visione di Dio. 36 Anzi, Dio come invisibile e non visto è un principio generale cri­ stiano ( Col 1 , 15 ; lTm 1 , 17 ; 6, 16) . Un equivalente della tradizione Q è Mt 1 1 , 27 e Le 10, 22: « Nessuno conosce il Padre se non il Fi­ glio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo ». Dodd, Epistles 1 12-13, mette in rilievo che l'incapacità di vedere Dio non sembrerebbe una terribile privazione per i giudei, poiché il pensiero ebraico dava supremazia all'ascolto di Dio.

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mezzo di esso 37 • Se Dio è amore, la sua presenza deve essere contrassegnata dall'amore. Anzi, l'amore che Dio rivelò nel mandare suo Figlio a morire per noi e a darci la vita raggiunge la perfezione (passivo di teleioun) quando ci amiamo l'un l'altro con quello stesso amore ( 4, 12d). L'obiezione che l'amore di Dio, dal momento che viene da lui, deve essere perfetto indipendentemente dagli esseri umani è fondata su una concezione filosofica di Dio ab­ bastanza estranea al pensiero giovanneo. Il fatto che la Parola era già con Dio prima della creazione implica un Dio che è proteso verso l'esterno, poiché una parola ha bisogno di un pubblico. Questo Dio è colui che è quando è amoroso. Il suo amore non è perfettamente ciò che dovrebbe essere fino a che non genera figli a sua immagi­ ne i quali a loro volta amano. In Gv 17, 23, Gesù prega suo Padre per coloro che credono in lui : « Che possano essere portati a perfezione nell'unità; così il mondo possa arrivare a conoscere che mandasti me e li amasti proprio come amasti me » . Westcott, Epistles 1 52, intuisce bene che l'amore è portato alla perfezione nel credente quando il credente è portato alla perfezione nell'amore. Gesù stesso, incarnazione dell'amore divino, mostrò il suo amore per i suoi fino alla fine (telos : Gv 1 3 , l) dando la sua vita per loro. Questa fu la perfezione dell'amore divino in Gesù 38• Un precedente passo in l Gv (3, 1 6 ) ha già invitato a una imitazione di quell'esempio : « Per noi Cristo diede la sua vita; così bisogna che noi a nostra volta diamo le nostre vite per i fratelli ». Avendo introdotto il tema di Dio che dimora in noi (4, 1 2 ), in 4, 1 3 l'autore offre un criterio per la mutua inabitazione di Dio e del cristiano 39 • Sia il tema che il criterio, cioè lo 37 Egli non intende che quando cominciamo ad amarci l'un l'altro,

allora Dio viene ad abitare in noi ; piuttosto, il nostro amore è la prova dell'inabitazione di Dio. Nel parlare di dimorare di Dio in coloro che si amano l'un l'altro, dopo avere parlato della loro vita ricevuta dal Dio che ama ( 4, 9c) , l'autore sta riformulando il tema di 3, 15: la vita eterna non dimora in colui che o dia suo fratello. 38 Wilder, « Introduction » 281-82, osserva che l'idea giovannea del­ l'amore reso perfetto implica il suo essere realizzato o messo in atto. 39 L'intensità del tema « dimorare » nei prossimi versi spinge al­ cuni a parlare di una parentesi o digressione ( Schnackenburg) . Loisy, Evangile-Epitres 566, trova 4, 13-16a così ripetitivo che egli

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Spirito, devono sembrare sconnessi a tutti coloro che cominciano la parte terza di l Gv con 4, 7 (p. 739 ). Non sono sconnessi per coloro tra noi che pensano a 3 , 23-24 come transizionale alle due unità 4, 1-6 e 4, 7 - 5, 4a e come una guida ai loro contenuti. Ho già insistito che il duplice comandamento (3, 23 ), a credere in Gesù Cristo e ad a­ marci l'un l'altro, fornisce i rispettivi temi principali delle due unità. In 3, 24cd, l'autore ha detto : « Ora, in questo possiamo conoscere che lui [ Dio] dimora in noi : dallo Spi­ rito che diede a noi ». Nella precedente unità (4 , 1-6 ) , l'au­ tore ha identificato lo Spirito di Dio come la forza motivan­ te per credere in Gesù Cristo: « Ognuno che confessa Gesù Cristo venuto nella carne riflette lo Spirito che appartiene a Dio » (4, 2bc) . Non sorprende, quindi, di trovare un rife­ rimento allo Spirito anche in questa unità sull'amore. Molti studiosi collegano la menzione dello Spirito in 4, 13 direttamente all'amore 40 ; e vi è un precedente per questo in Paolo: « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che è stato dato a noi » ( Rm 5, 5 ). Tuttavia, dal momento che 4 , 13 non men­ ziona l'amore e dal momento che il prossimo verso dice « che il Padre ha mandato il Figlio come salvatore del mondo », alcuni studiosi collegherebbero invece lo Spirito alla fede ( Law, Michl, Nauck). Altri (de la Potterie, Ha­ ring, Lauck) pensano che lo Spirito sia collegato sia all'a­ more che alla fede, mentre Blichsel e Chaine parlano di carismi 41 • Alcuni invocherebbero la menzione della testi-

Io chiama il ripensamento di un redattore, mentre Windisch, Briefe 129, pensa che fu aggiunto affinché lo Spirito completi il quadro trinitario ! Con 4, 13, Dodd apre una parte completamente nuova ( terza) di lGv con 4, 13, mentre B. Weiss sostiene che ovviamente 4, 13 chiude la precedente unità, poiché « in questo » si riferisce a ciò che precede e il verso è una inclusione con 3, 24. 40 Bonsirven, Bultmann, Camerlynck, Charlier, Charue, Kohler e Plum­ mer, per nominame solo alcuni. Una teologia trinitaria, in virtù della quale lo Spirito è l'amore tra il Padre e il Figlio, difficilmente è nelle intenzioni dell'autore. Gli scrittori giovannei parlano de « lo Spirito di verità » ; non sono sicuro se si troverebbero a loro agio con « lo Spirito di amore » di Westcott (Epistles 152) . Paolo può dire in Gal 5, 22 : « Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace . . . ». 41 De la Potterie, La vérité l, 297-306, compie un utile esame di varie opinioni. Alcuni studiosi evitano il problema collegando 4, 13a a ciò che precede (l'inabitazione viene collegata all'amore) , così che il

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monianza nel prossimo versetto per spiegare in che modo lo Spirito Santo sia il criterio di inabitazione divina. Dodd 42, si appella alla interiore testimonianza dello Spi­ rito e, in secondo luogo, alla testimonianza esteriore in una pubblica confessione di fede. Mentre non c'è modo per confutare tali proposte ( anche se l'idea di carisma e di testimone interiore non è chiaramente attestata nella teologia giovannea ), è importante ricordare che in 4, 13 il criterio di inabitazione divina offerto dall'autore non è esattamente lo Spirito, ma il fatto che Dio ci ha dato del suo Spirito 43 • Quando egli in 4, 9 ha parlato della rivela­ zione dell'amore di Dio in noi, egli si è riferito a Dio che ha mandato il suo unico Figlio nel mondo e a noi che abbiamo la vita tramite lui. Non potrebbe egli pensare al dono dello Spirito Santo come a un secondo ininterrotto momento ? Si tratta dello Spirito di Gesù che continua la sua missione (essendo mandato nel suo nome : Gv 14, 26 ; 16, 7); è uno Spirito che genera vita divina ( 3 , 3.5 ) e, anzi, può essere chiamato « il datore di vita » { 6 , 63 ) ed essere simboleggiato nell'acqua viva (7, 39). Proprio per il motivo che il dono dello Spirito li ha generati come figli di Dio, in 4 , 14 i cristiani giovannei possono parlare come un popolo che ha un privilegio speciale. Nonostante il fatto che « nessuno ha mai visto Dio », essi possono dire : « Quanto a noi, abbiamo visto » 44 riferimento allo Spirito in 4, 1 3b è autonomo (si veda la NoTA a 4, 13a) . 42 Epistles 1 14-16. Egli insiste che il cristianesimo non dipende da una testimonianza esterna soltanto, poiché viene confermato da una convinzione interna elaborata dallo Spirito di Dio. Si può provare questo da Rm 8,15.16.26. Ma dove è la prova che questo è pensiero giovanneo? Altri, come Schneider (Briefe 176) , rifiutano qui il testi­ mone interno, dal momento che si pensa che l'autore stia parlando di un evidente possesso dello Spirito. Ma, nel pensiero giovanneo il mondo non può vedere o conoscere il Paraclito (Gv 14, 17) . In questo verso, né consapevolezza interiore dello Spirito né presenza osservabile possono essere il pensiero dell'autore - egli sa che Dio ha dato del suo Spirito perché il Gesù giovanneo così aveva detto ! 43 B. Weiss, Briefe 125, spiega bene questo punto. Il partitivo in 4, 13b ( « del suo Spirito ») indica che la nostra conoscenza non è ve­ nuta direttamente dallo Spirito ma da Dio che condivide con noi il suo Spirito. L'amore è riflesso nell'illimitato dono dello Spirito di cui si parla in Gv 3, 34. 44 Nella NOTA a 4, 14a, ho sostenuto che il « noi ,. qui non è la distin-

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- non Dio in se stesso ma Dio in Gesù, il Padre nel Figlio. La capacità di vedere· Gesù nel suo ministero come il Figlio di Dio e il salvatore del mondo fa parte dell'opera del Paraclito/Spirito. Gesù è andato al Padre e il mondo non può più vederlo; ina, il Paraclito prova che il mondo sbaglia nei suoi riguardi ( Gv 1 6 , 1 0 ). Gesù venne in questo mondo per giudizio : « Affinché coloro che non vedono possano essere capaci di vedere, e coloro che vedono possano diventare ciechi » (9, 39), e lo Spirito continua il suo ruolo. Accanto al vedere, 1 Gv 4� 14 menziona il testi­ moniare o il portare testimonianza. Anche questa seconda funzione costituisce l'opera del Paraclito/Spirito nella comunità : « Quando il Paraclito viene, lo Spirito di veri­ tà ... egli renderà testimonianza a mio favore. Voi pure dovete rendere testimonianza perché siete stati con me dal principio » (Gv 1 5 , 26-27) 45• Nel vedere e testimoniare che il Padre ha mandato il Figlio come salvatore del mondo, i cristiani giovannei stanno continuando l'opera del discepolo diletto il quale stette ai piedi della croce e « vide e testimoniò » ( Gv 1 9 , 35 ) come i doni salvifici del sangue e dell'acqua (che simboleggiano lo Spirito - si veda ABJ 29A, 949-50; tr. it. 1 1 86 s) sgorgarono dal fianco squarciato di Gesù 46 • In che modo si armonizza questa forte enfasi in 4, 1 4 sul vedere e sul testimoniare con la lotta dell'autore contro i secessionisti che sono per cosl dire cristiani credenti? E. il « quanto a noi )) in contrapposizione a loro ? Esistono opposte teorie. Per alcuni, i secessionisti non avrebbero avuto problemi riguardo a Gesù in quanto salvatore del mondo, poiché essi erano stati attratti dal paganesimo superiore e dalle religioni misteriche ed erano « usciti nel tiva scuola giovannea di latori della tradizione, ma il " noi ,. di tutta la comunità (che include i latori della tradizione) . 45 Si veda più avanti la discussione di lGv 5, 9, che mette in rilievo la testimonianza di Dio. Una combinazione di testimone/testimo­ nianza umana e divina si trova in At 5, 32: " Noi siamo testimoni di queste cose e così è lo Spirito Santo che Dio ha dato a coloro che obbediscono a lui » ; e in At 15, 28 : " Sembrò cosa buona allo Spirito Santo e a noi ». 46 Anche se 19, 35 fu un'aggiunta al vangelo di Gv da parte del re­ dattore che scrisse dopo la composizione di lGv, difficilmente egli fu un inventore di questo ritratto del discepolo diletto ; spesso ha introdotto antiche tradizioni nel vangelo di Gv.

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mondo » ( l Gv 4, 1 ). Per altri, i secessionisti furono doceti o gnostici i quali avevano rifiutato il mondo materiale e si erano maggiormente interessati a un Gesù che è uno che salva da il mondo 47 • Se si lasciano da parte tali congetture e si lavora con l'informazione che i secessionisti erano stati cristiani giovannei, essi non , avrebbero avuto pro­ blemi riguardo al titolo di « salvatore del mondo », che venne adoperato con .l'approvazione di Gesù in Gv 4, 42. Ogni disputa tra loro e l'autore sarebbe stata incentrata molto probabilmente sul significato de « il Padre ha man­ dato il Figlio come salvatore del mondo ». In 4, 10, l'autore ha detto chiaramente che egli interpretava il mandare in termini di una morte riparatrice per i peccati, e presumi­ bilmente i secessionisti avrebbero rigettato quella inter­ pretazione. La confessione nel prossimo verso (4, 1 5 ),. che verbalizza la testimonianza di 4, 14, è un altro tentativo per sottolineare la disputa cristologica tra l'autore e i secessionisti . Origi­ nariamente, tali formule, che presumibilmente presero forma nella tradizione che ruota attorno a conversione/i­ niziazione/battesimo, avevano lo scopo di identificare Ge­ sù; ad es., che egli è « il Figlio di Dio » 48• Ma come cristia­ ni di discendenza giovannea, sia l'autore che i secessioni­ sti sarebbero stati d'accordo sul Figlio di Dio come l'in­ viato divino che salva. Il loro disaccordo sarebbe stato sull'interpretazione che l'autore fa della confessione tradi­ zionale, cioè, che il Figlio di Dio è il Gesù che camminò tra noi e morì sulla croce ( si veda INTRODUZIONE V B2 )� Presumibilmente, tutti i cristiani giovannei credevano che « la Parola divenne carne » ( Gv l , 14 ), ma l'autore sta scrivendo per mettere in rilievo un aspetto dell'incarna­ zione : « Ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi ...

47 In realtà, il quadro gnostico è complicato, W. Foerster, TDNT 7 , 1019-20, mostra che « salvatore » come titolo probabilmente entrò nello gnosticismo sotto influsso cristiano, e nello gnosticismo valen­ tiniano viene preferito a « Signore » come titolo per Gesù . t:. fre­ quente nella raccolta di Nag Hammadi. Negli Atti di Tommaso 10 ( gnosticismo siriano del III secolo) , Gesù viene descritto come « il salvatore di tutta la creazione, colui che dà la vita al mondo » . 48 Questo fu l'intentò del vangelo di Gv nei confronti de 'i giudei' e dei credenti giudeo-cristiani non del tutto in comunione: « Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio ,. (Gv 20, 31) .

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e toccammo con le nostre stesse mani » ( l Gv l , 1 ) . La prima parte del duplice comandamento di 3, 23 è sta­ ta : « Dobbiamo credere al nome del Figlio suo Gesù Cri­ sto » ; e coloro che osservavano il suo comandamento po­ tevano conoscere che Dio dimorava in loro dallo Spirito che egli aveva dato loro ( 3 , 24). Nella precedente unità, che ha costituito il primo passo dell'autore nell'interpre­ tare quel duplice comandamento, abbiamo sentito : « O­ gnuno che confessa Gesù Cristo venuto nella carne riflette lo Spirito che appartiene a Dio » (4, 2). Nella presente unità, che costituisce il secondo passo dell'autore nell'in­ terpretare il duplice comandamento, leggiamo che Dio ci ha dato del suo stesso Spirito ( 4, 1 3 ) e così « ogni qualvol­ ta qualcuno confessa che Gesù è il Figlio di Dio, allora Dio dimora in lui » (4, 1 5 ) . Ovviamente, le due confessioni guidate dallo Spirito sono in armonia : il Gesù Figlio di Dio è « Gesù Cristo venuto nella carne ». Ma il tema principale della presente unità (e sottounità) è stato l'altra metà del doppio o duplice comandamento di 3 , 23 : « Dobbiamo amarci l'un l'altro proprio come il comandamento che diede a noi » (si veda 4, 1 1-12), ed è sul tema dell'amore che l'autore ritorna in 4, 1 6ab . Avendo cominciato la sottodivisione in 4, l l a : « Diletti, se Dio amò noi così », egli la termina in 4, 1 6b parlando de « l'a­ more che Dio ha in noi ». Il suo « quanto a noi » ( 4, 16a) si riferisce ai suoi seguaci (come distinti dai secessionisti ) che professano una corretta cristologia fondata sul mini­ stero e sulla morte salvifica di Gesù 49• Tramite questa cristologia, noi siamo venuti a conoscere e a credere al­ l'estensione e alla profondità dell'amore di Dio - un amore proprio fino alla fine ( Gv 1 3 , 1 ) nel dare se stesso per gli altri ( 1 5 , 1 3 ). E questa non è una conoscenza pu­ ramente intellettuale, poiché l'amore, che Dio ha, è « in noi ,, ( l Gv 4, 1 6b ) nel senso che esso ci ha conformato a suo Figlio facendoci suoi figli 50, e il modo in cui viviamo è

49 La NOTA a 4, 16a afferma che in questo verso il « noi » oggetto/sog­ getto non è il " noi » distintivo della scuola giovannea di latori della tradizione, ma il " noi » della comunità dell'autore. 50 Chaine, Epitres 206, non è preciso quando afferma che lo Spirito e la fede sono princìpi di filiazione, e l'amore ne è la conseguenza. L'autore sta parlando dell'amore di Dio che genera figli.

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una manifestazione dell'amore di Dio. L'esperienza di quell'amore fa crescere il cristiano giovanneo in cono­ scenza e fede 5 1• In questo, si completa la preghiera di Gesù per i futuri credenti (Gv 17, 26) : « E feci conoscere loro il tuo nome ; e continuerò a farlo conoscere, così che l'amore che avesti per me possa essere in loro, e io possa essere in loro » s2.

C . L'amore ha raggiunto la perfezione in noi , scacciando il timore (4, 1 6c- 1 9)

Molti studiosi riconoscono che il v. 1 6 è importante per una nuova sottodivisione in questa lunga trattazione del­ l'amore; ma essi sono divisi riguardo al fatto se tutto il v. 1 6 appartenga alla precedente sottodivisione o solo parte di esso: se il v. 1 6c cominci o meno la prossima sotto­ divisione. Io ho optato per questa seconda possibilità per due motivi . Primo, « in questo » del v. 17 probabilmente si riferisce a ciò che precede e, quindi, non può cominciare una sottodivisione. Secondo, se il v. 16c viene considerato l'inizio di una sottodivisione, allora c'è un parallelismo tra gli inizi del le tre sottounità : 4, 7, 4; 1 1 e 4, 16s rispettiva­ mente, come mostrato a p. 744. In particolare, i combinati temi dell'amore, della dimora divina e del raggiungimento della perfezione hanno cominciato la precedente sottouni­ tà (si veda 4, 1 1 -12) e cominciano anche questa (4, 1 6c-17 ). Anzi, siamo spinti a chiederci perché tutta questa ripeti­ zione, dal momento che « Dio è amore » di 4, 1 6c ripete 4, 8b, e « la persona che dimora nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lei » di 4, 1 6de ripete 4, 12bc. Oltre a un certo ritmo ottenuto mediante ripetizione, una risposta parziale è la sfumatura; ad es., la prima asserzione « Dio è amore » ha trovato la sua principale verifica nel mandare il Figlio, mentre la seconda sottolinea il risultato (la diSt

Si con fron ti Gv 8, 32 con 8, 4546 per conoscere la verità e cre­ dere alla verità ; conoscenza e fede, amore e verità sono stretta­ mente collegati nel pensiero giovanneo. 52 Si n oti Filone, Sulla posterità di Caino 20 # 69: « Mosè definisce vivere in accordo con Dio, come un amarlo, poiché egli dice: .. La nost ra vita è amare lui che è" • .

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l Gv - Parte seconda

mora divina ) nel cristiano. Analogamente, la prima asser­ zione di inabitazione divina ( dimora) ha messo in rilievo il mirabile risultato dell'amore, mentre la seconda accentue­ rà le implicazioni per il cristiano. Una dimora del cristia­ no nell'amore è una condizione che rende possibile l'inabi­ tazione divina. Precedenti condizioni sono state osservare i comandamenti (3, 24 ) e amarsi l 'un l'altro (4, 1 2 ), e con­ fessare che Gesù è il Figlio di Dio. Questi sono vari modi di formulare le fondamentali richieste di alleanza che i cristiani hanno conosciuto fin dal momento che entrarono nella sequela di Gesù. I dieci comandamenti o le fonda­ mentali richieste dell'alleanza dell'AT implicavano l'accet­ tazione del Dio di Israele e una peculiare relazione con lui e dell'un con l'altro in un comportamento amoroso. Le richieste di alleanza del NT implicano l'accettazione di Gesù come Figlio di Dio e una peculiare relazione di amore dell'un verso l'altro a motivo di lui. Ciò che è importante in 4, 1 6cde è il promemoria che questo amore non è qualcosa che possiamo fare da noi stessi, poiché esso viene dal Dio che è amore. Dimorare in amore, quin­ di, è più di una condizione per l'inabitazione divina amando noi sperimentiamo l'inabitazione divina 53 • L'op­ posto di « dimorare » è « uscire » , proprio la cosa che hanno fatto i secessionisti 54• L'amore raggiunge la sua perfezione nella vicendevole i­ nabitazione che lega Dio e i cristiani (4, 1 7a) 55 • Per esse­ re veramente espressivo del Dio che mandò il suo uni­ co Figlio, l'amore deve essere efficace in noi in termini di amore per gli altri 56 ; quindi, « siamo proprio come 53 Abbiamo visto che « dimorare » (menein ; si veda NoTA a 2, 6a) è

un concetto attivo, non stativo o passivo. Dodd, Epistles 1 18, ha ragione nel mettere in guardia contro la lettura sentimentale di 4, 16cde, poiché è un riassunto teologico di 4, 7-15. 55 Nelle NoTE a 4, 17a (una riga molto discussa) , spiego perché io ritengo che « in questo » si riferisca a ciò che precede e perché « con noi » si debba prendere alla lettera e non semplicemente co­ me « a nostro riguardo ». Nella NoTA all'altrettanto discusso 4, 17c, ho sostenuto che l'autore non ha sbagliato nel non dire « come Cri­ sto fu », poiché « in questo mondo » si riferisce a noi, non a Cristo. 56 Presumibilmente, i secessionisti fondavano la perfezione sulla co­ noscenza del mistero dell'origine di Cristo e sul credere in lui piut­ tosto che sull'amarsi l'un l'altro. 54

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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Cristo » (4,17 c) , un Cristo che ci amò tanto da morire per noi e che continua come Paraclito alla presenza del Padre compiendo una riparazione per i nostri pec­ cati (l, 1-2 ) . Questa somiglianza abilita i cristiani giovannei ad accostarsi al giorno del giudizio con fiducia ( 4, 1 7b ) 57. In 2, 28 - 3, l, quella fiducia è stata collegata a « l'amore [che ] il Padre ha donato a noi nel metterei in condizione di essere chiamati figli di Dio » ; qui, essa è collegata a un amore che ha raggiunto la perfezione in una inabitazione divina che ci rende « proprio come Cristo ». Questi sono due modi diversi di esprimere la stessa conseguenza del­ l'amore. In 4, 1 8 , l'autore sviluppa il tema della fiducia cristiana parlando eloquentemente di come l'amore escluda il timo­ re 58• l Pt 2, 17 può esortare : « Amate la fraternità e temete Dio », ma l Gv assicura i lettori che il timore non è affatto necessario. ( Nella NoTA a 4, 1 8ab, ho menzionato le conce­ zioni di coloro i quali pensano che l Gv stia escludendo solo il timore servile, ma nessun timore è presentato positivamente negli scritti giovannei 59). Se i secessionisti pensavano di essere già salvi e che non ci sarebbe stato un ulteriore giudizio, non c'era per loro motivo di temere. Ma i seguaci dell'autore, sentendo che egli sottolineava il tema di giudizio finale come una correzione della teologia morale secessionista, potevano considerarlo come qualco57 t:.

plausibile che nella teologia secessionista l'unico giudizio fosse quello portato da Gesù (e superato con successo da coloro che cre­ dono in lui - più sopra, p. 578) , mentre l 'autore rivive il tema di giudizio finale, che fece parte della tradizione cristiana dal princi­ pio ( INTRODUZIONB V C2d) . 58 Plummer, Epistles 107, sostiene che 18bc sono parentetici, cosi che 18a ( « l'amore non ha spazio per il timore ») collega direttamente a 18d ( « l'amore non ha raggiunto la perfezione in colui che è an­ cora timoroso ») . Io preferisco un'analisi più poetica in cui la prima riga ( 18a) si accoppia con la terza ( 18c) : « L'amore non ha spazio per il timore .. . poiché il timore porta con sé il castigo » ; e la se­ conda riga ( 18b) si accoppia con la quarta ( 1 8d) : •• Anzi, l 'amo­ re perfetto scaccia il timore ... l 'amore non ha raggiunto la perfe­ zione in colui che è ancora timoroso ». 59 Bengel parla di quattro stadi di reazione umana: uno stadio nel quale non c'è né timore né amore di Dio ; uno dove c'è timore ma non ancora amore ; un altro ancora dove c'è sia timore che amore ; e il culmine dove c'è amore senza timore. Forse, l'autore della let­ tera considererebbe veramente cristiano solo l'ultimo stadio.

766

lGv - Parte seconda

sa che incuteva timore. Questa non è affatto l'intenzione dell'autore. Quando l'amore è stato reso perfetto dalla inabitazione divina, come si può avere paura del Dio che già dimora nel proprio cuore ? Avere paura di Dio è già stare soffrendo la punizione di un giudizio negativo. Né in questo mondo né nel giorno del giudizio un cristiano può essere giudicato negativamente da un Dio che abita amo­ revolmente dentro di lui. Quando l'autore dice in modo incoraggiante : « L'amore non ha raggiunto la perfezione in colui che è ancora timoroso ,, ( 4, 1 8d), egli non sta implicitamente ammettendo l'esistenza di amore imperfet­ to. Ogni vera agape viene da Dio e si muove verso l'e­ spressione perfetta. Quando è frustrata, viene abortita; e la persona implicata diventa uno il quale non ha l'amore di Dio che dimora in sé. In 4, 1 8 , comunque, l'autore non sta discutendo tali nega­ tive possibilità, ma mettendo in rilievo le positive. Il fatto che parecchie volte in lGv egli debba prevedere che le sue ammonizioni possono produrre timore e infiacchire la fiducia gettano luce sulla delicata relazione che egli ha con i suoi seguaci. Costantemente, egli ha bisogno di proteggere il suo messaggio contro possibili contrattacchi secessionisti, poiché essi si serviranno di opportunità offerte da fraintendimenti. Non si deve dare a loro la possibilità di avere il sopravvento sui suoi spaventati se­ guaci mediante il loro confortante vangelo che esclude giudizio futuro, peccato e preoccupazione nella relazione con Dio una volta che si è creduto. In 4, 19, l'autore continua implicitamente questo tema di fiducia : « Quanto a noi, noi amiamo » � - noi non temia­ mo. Qui, il « noi » si oppone non tanto agli oppositori reali, quanto alla possibilità teorica che un gruppo di « noi ,, (cristiani giovannei ) possa essere timoroso. Le sue precedenti asserzioni di assicurazione (4, 1 4a; 4, 1 6a) sono state formulate in modo analogo : « Quanto a noi, abbia­ mo visto e possiamo testimoniare », e « quanto a noi, siamo arrivati a conoscere e a credere ». Le ammonizioni sono per gli altri ; noi siamo figli di Dio. Questa non è

NoTA a 4, 19 per la probabilità che questo sia un indi­ cativo piuttosto che un esortativo ( « amiamoci •) .

M Si veda la

Commen to a 4, 7 - 5, 4a

767

arroganza, dal momento che il nostro stato e modo di vita vengono da Dio ( « amiamo perché egli amò noi per pri­ mo » ). Questa affermazione (4, 1 9 ) fa terminare la presente sottounità con lo stesso tema con cui l'autore ha fatto terminare le precedenti sottounità ( 4, lOc: « Egli amò noi » ; 4, 1 6b : « L'amore che Dio ha in noi » ). Essa costi­ tuisce pure una inclusione con la riga che ha aperto tutta questa unità: « L'amore è da Dio » ( 4, 7b ). Se tutti questi versi concordano nel dare supremazia a Dio come l'origine dell'amore, diventa chiaro che non vi è contraddizione tra l'autore che esorta « noi » ad amare e la sua affermazione che noi già amiamo. L'amore che viene da Dio non è statico e richiede la nostra cooperazione (il « con noi » di 1 7a), e così rimane spazio per esortare a non bloccare un amore già posseduto 6t .

D . Amare il proprio fratello come comandato da Dio

(4, 20 - 5 , 4a)

Nelle precedenti sottodivisioni di questa unità, i secessio­ nisti sono stati presenti ma solo come sfondo, poiché l'autore si è soprattutto interessato dell'auto-riflessivo « noi » della comunità giovannea. In 4, 20ss, il tono cam­ bia 62 dato che si rivolge direttamente contro la falsa teo­ logia dei suoi avversari in uno stile che ricorda le polemi­ che di l , 5 - 2 , 2 e 2, 3-1 1 , e di nuovo cita la posizione seces­ sionista per mostrare che cosa vi è di errato in essa. Egli definisce i suoi avversari come mentitori. Egli non sta più semplicemente esortando all'amore vicendevole coloro che hanno bisogno di qualche incoraggiamento; egli sta teolo­ gicamente difendendo l'amore del fratello 63 • A p. 744, ho 61 Bourgin,

« L'amour ,. 36: l'amore di Dio non è semplicemente un élan che ci trascina automaticamente ; noi dobbiamo d imorare nell'amore e dimorare è un atto libero. 62 Sebbene alcuni assegnino v. 19 come inizio di questa nuova sotto­ divisione, a p. 744 ho spiegato che il parallelismo con le finali della prima e della seconda sottodivisione favorisce considerare v. 19 come la conclusione dell'ultima sottodivisione. 63 Schnackenburg, Johannesbriefe 249, nota qui il cambiamento in favore di uno stile esortativo molto più energico, ma pensa che il

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1Gv - Parte seconda

mostrato che le tre precedenti sottodivisioni di questa unità iniziano e terminano allo stesso modo; la quarta sottodivisione fa eccezione, presentandosi in forma auto­ noma come la conclusione dell'ultima trattazione dell'a­ more in 1 Gv. Il tema fondamentale viene esposto in 4, 20-2 1 : amore per Dio e amore per il fratello sono due aspetti dello stesso amore ( « la persona che ama Dio deve amare anche suo fratello » ), così che dove uno è assente, è assente anche l'altro. L'idea sottostante è stata esposta nelle precedenti sottodivisioni di questa unità: ogni agape viene da Dio; se essa deve dimorare nel cristiano, deve attivamente espri­ mersi in amore per il proprio fratello (assieme all'amore per Dio 64 ). La ragione, come diventerà chiaro in 5, 1-2, è che il proprio « fratello >> è un figlio del Dio dal quale viene l'amore, e Dio Padre esprime interesse per i suoi figli attraverso l'amore che ciascun figlio ha per l'altro. Come ho indicato nella NoTA a 4, 20de, l'affermazione : « La persona che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto », non è semplicemente un argomento a minori ad maius 65, ma esprime una necessità che sorge dalla stessa natura di un amore che viene da Dio 66• Ma, perché l'autore esprime questo argomento in termini del visibile e dell'invisibile ? Che nessuno abbia mai visto Dio è un dato che venne a lui dalla tradizione (si veda 4, 12a). L'idea di non amare il fratello che si è visto può essere derivata dalla storia della

cambiamento cominci col v. 19, dove egli legge un congiuntivo esor­ tativo ( nota 60) . Dodd, Epistles 122-24, riconosce che 4, 19-21 è col­ legato a 5, 1-5. 64 Dappertutto, ho sostenuto contro Bultmann e altri che l'amore per Dio è sia possibile che necessario nel pensiero giovanneo e non è identico all'amore per il fratello. L'autore non intende che si possa amare Dio solo nel proprio fratello ; piuttosto, l'amore per un fratello e l'amore per Dio coesistono. 65 Per questo argomento, chiamato dai rabbini qal wiUz6mer, si veda St-B 3, 223-26. Esso viene invocato qui da Baumgarten, Biich­ sel, Rothe, Schnackenburg e B . Weiss. 66 Si veda Wengst, Hiiresie 71. A volte, si richiama l'attenzione sul famoso epigramma di Pascal: noi dobbiamo conoscere gli esseri umani per amarli, ma noi dobbiamo amare Dio per conoscerlo. Co­ munque, l'autore della lettera direbbe : noi dobbiamo amare le per­ sone per amare Dio.

Commento a 4, 7 - 5, 4a

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comunità, come illustrato in 3, 17 che parla di qualcuno che esclude la compassione nei confronti di suo fratello che egli scorge nel bisogno. Là, ho suggerito la possibilità che i secessionisti fossero membri benestanti della comu­ nità la cui partenza aveva lasciato i loro precedenti con­ fratelli nell'indigenza. I secessionisti possono avere rifiuta­ to di aiutare questi « fratelli » nel bisogno e, quindi, avere mostrato che essi non hanno amore per coloro che un tempo vedevano regolarmente 67• La messa in discussione che l'autore fa dell'affermazione di amare Dio ( una affer­ mazione perfettamente possibile nella tradizione giovan­ nea ), può, quindi , fondarsi su una situazione pratica. Na­ turalmente, come ho mostrato a p. 1 35 , l'autore non è più amoroso verso i secessionisti, suoi precedenti fratelli, di quello che essi sono verso di lui e i suoi seguaci. In 4 , 20-2 1 , si riconoscono facilmente tipiche caratteristi­ che dualistiche giovannee : la mancanza di un terreno in­ termedio tra l'amore e l'odio; l'accusa che la persona la quale odia (o non ama ) è un mentitore e, quindi, implici­ tamente appartiene a satana; e la delimitazione del co­ mandamento dell'amore in termini del proprio fratello piuttosto che del proprio prossimo. Ma, non dobbiamo trascurare caratteristiche in comune con contemporanei autori giudaici e cristiani. Filone (Sul decalogo 23 # 120) descrive il proprio padre e la propria madre come dei visibili che copiano l'Increato e si domanda : « Come può essere data riverenza all'invisibile Dio da coloro che mo­ strano irriverenza agli dei che sono a portata di mano e sono visti con gli occhi » ? In Mt 25, 40, nella parabola del giudizio (un ambiente invocato in 1 Gv 4, 1 7 ), il regale Figlio dell'uomo dice : « Ciò che faceste al più piccolo di questi miei fratelli, lo faceste a me ». Un agraphon (un detto attribuito a Gesù, ma non riportato nel NT ) 68 legge : Il tempo passato in 4, 20d ( « che ha visto ») può riflettere la si­ tuazione che, essendo usciti (2, 19 ; 2Gv 7) , i secessionisti non ve­ dono più fraternamente i seguaci dell'autore. In 3, 17, il tempo è al pres., ma scorgere il fratello nel bisogno può rappresentare una situazione presente causata dalla secessione. Comunque, non è sag­ gio insistere troppo su un uso troppo preciso di tempi. 68 Si trova in Clemente di Alessandria, Stromata 1 .19.94 e 2.15.70 (GCS 15, 60 e 150) ; e in Tertulliano, De oratione 26, l (CC l , 273) . Si veda J. Finegan, Hidden Records of the Life of Jesus, Pilgrim, Phi­ ladelphia 1969, 1 3 1 .

67

lGv - Parte seconda

770

« Avete visto vostro fratello, avete visto Dio >>. Frequente­ mente, il comandamento in l Gv 4, Z I : « La persona che ama Dio deve amare anche suo fratello >>, viene descritto come l 'equivalente giovanneo di Mc 12, 28-3 1 ( che combina Dt 6, 4-5 e Lv 1 9 , 1 8 : « Il primo comandamento è ... 'Ame­ rai il Signore Dio tuo' ... Il secondo è questo : "Amerai il prossimo tuo come te stesso" ». Tuttavia, l'autore giovan­ neo non parla di due comandamenti, né egli dà priorità all'amore per Dio 69• L'unico comandamento include sia l'amore per il fratello sia l'amore per Dio; e se vi è priorità pratica, è per amore per il fratello. Il verso l a del cap. 5 introduce improvvisamente il tema del creditore; e come ho menzionato a p. 74 1 , molti com­ mentatori considerano questo come un segno che qui comincia una nuova unità con la fede come suo tema principale piuttosto che l'amore che ha dominato in 4, 7-2 1 . Comunque, dal momento che la fede è menzionata solo in questa prima riga, e il tema dell'amore continua da 5, lb a 5, 4a 70, io considero che i primi versi del cap. 5 facciano parte della stessa unità a cui appartiene la fine del cap. 4. ( Così anche Alexander, Bultmann, Marshall, Schnackenburg, THLJ) . Il tema del comandamento, assen­ te da 3, 23-24, è ritornato in 4, 2 1 in riferimento all'amore; e così nel prossimo verso (5, l a ) l'autore menziona l'altra metà del duplice comandamento di 3, 23, cioè, il coman­ damento di credere al nome di Gesù Cristo. Pure 4, 20 ha descritto la persona che odia suo fratello come un menti-

69 L'asserzione di Gesù in Gv 14, 15: « Se amate me e osservate i miei comandamenti [cioè, il comandamento di amarsi l'un l'al­ tro] . », si deve leggere come una richiesta simultanea. La prospet­ tiva giovannea non è esattamente la stessa di quella di Paolo in Gal 5, 14: « Tutta la legge trova la sua pienezza in una sola parola: 'Amerai il prossimo tuo come te stesso' » . Né è uguale alla sempli­ ficazione del manoscritto del Mar Morto, dove Mie 6, 8: « Cammina umilmente con il tuo Dio » , viene mutato in : « Cammina um ilmente con il tuo prossimo » ( lQS 8, 2-3 si veda Boismard, " First Epi­ stle " 160) . 70 Coloro che vogliono cominciare una nuova unità con 5, l , qual­ che volta faranno ricorso a temi che si alternano : fede in 5, la ; amore in 5, lb-4 ; fede in 5, 5-12 (cosl, con variazioni, Brooke, Hort) . Altri sostengono che, nonostante le apparenze, la fede domina in 5, 1-4, poiché l'amore manifesta la fede e la sua esistenza dipende da essa (cosi, Chaine, de la Potterie, Vellanickal) . ..

-

Commento a 4, 7 - 5, 4a

771

tore. In 2, 22, la figura maligna attesa nell'ultima ora è stata così identificata: « Chi, dunque, è il mentitore ? Nes­ sun altro se non la persona che nega che Gesù è il Cristo ». E così in 4, 20 e 5, l l'autore descrive l'opposto del « menti­ tore » come la persona che ama suo fratello e crede che Gesù è il Cristo. Un altro modo ancora per connettere la fine del cap. 4 con l'inizio del cap. 5 viene suggerito da Schnackenburg (Johannesbriefe 250-5 1 ) , il quale trova una sequenza di tre argomenti per l'amore del fratello, intro­ dotti in 4, 20abc : il primo argomento (4, 20de } implica l'impossibilità di amare l'invisibile Dio senza amare il fratello visibile ; il secondo ( 4, 2 1 } è che c'è un positivo comandamento di amare il proprio fratello; il terzo ( 5 , l ) è che l'amore per il generato sgorga dall'amore che si ha per il genitore. Ammesso tutto questo, io trovo che l'unità dominante in questi versi deriva da polemiche contro i secessionisti, i quali affermano di amare i loro fratelli ma di fatto non amano i seguaci dell'autore che sono stati loro fratelli nella comunità giovannea. In 4, 20-2 1 , l'autore ha menzio­ nato tre volte « fratello », e queste successive osservazioni chiariscono quel concetto. In 5, la, egli ricorre a una familiare affermazione di fede giovannea che riguarda i figli di Dio, simile all'asserzione nel prologo del vangelo di Gv ( 1 , 1 2-1 3 ) : « A coloro che [la Parola] la accettarono, diede il potere di diventare figli di Dio, cioè, a coloro che credono nel suo nome )), ( L'ultima espressione è chiarita in Gv 20, 3 1 , che parla di credere « che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio )) ). In 5, l a, l'autore non intende introdurre un nuovo tema di fede; piuttosto, il credo « che Gesù è il Cristo » viene menzionato per il motivo che fa parte della descrizione classica di coloro che sono generati da Dio, una cosa che non può essere negata dai secessionisti 71 • L'argomento dell'autore è che i suoi seguaci, i quali conti­ nuano il credo nel nome di Gesù che è stato tradizionale nei circoli giovannei, sono veramenti generati da Dio e, quindi, sono i fratelli che si devono amare se si ha inten71 Essi potrebbero negare le altre descrizioni che l'autore offre come ( suoi personali?) critèri per coloro che sono generati da Dio: « Ognuno che agisce giustamente » (2, 29) ; " Ognuno che ama • ( 4, 7) ; chi non agisce peccaminosamente (3, 9 ; 5, 18) .

lGv - Parte seconda

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zione di amare Dio 72 • Egli conferma questo argomento con l 'aforisma ( 5 , l b ) : « Ognuno che ama il genitore ama an­ che il figlio generato da lui ». Questo non è un semplice argomento a minori ad maius, non più di quello che è stato 4, 20de ( « la persona che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto » ) . Esso ricorda al lettore la somiglianza con il geni­ tore che rende uno un fratello, così che amare il proprio fratello è realmente un modo di amare il genitore. Vellanickal (Sonship 320 ) sostiene che, dal momento che qui l'autore parla di credere (pisteuein ) piuttosto che di confessare ( homologhein ), egli vuole mettere in rilievo l'aspetto interiore di fede. Ma sicuramente l'intero punto riguarda l'identificazione del fratello, e così la fede di 5, l a deve essere professata. Una confessione pubblica è impli­ cita nell'appello dell'autore a una tradizionale formula giovannea di fede. Esaminando gli oscuri versi di 5, 2 ss, dobbiamo ricordare che una fede usata per mostrare qua­ li sono i fratelli diventa un modo di dare del menzognero ad avversari che affermano di amare i loro fratelli . Un chiasmo in 5, 2 adopera il precedente aforisma così 73 : 5, lb: 5, 2:

Ognuno che ama il genitore ama il FIGLIO generato da lui Amiamo i FIGLI di Dio ogni qualvolta amiamo Dio e ob­ bediamo ai suoi comandamenti

A molti questo può sembrare un ragionamento circolare :

si prova l'amore per Dio tramite l'amore per i fratelli ( 4, 20-2 1 ) e poi si prova l'amore per i fratelli tramite l 'amore per Dio. Ma la catena di pensiero dell'autore implica l'incapacità dei secessionisti di amare Dio dal momento che non possono amare i loro fratelli in nessuno dei due punti. Primo, a proposito dell'oggetto, egli pensa che, come abbiamo più sopra visto, i secessionisti non hanno nel loro gruppo « fratelli » da amare, dal momento che solo coloro che hanno una vera fede cristologica sono figli di Dio e, quindi, « fratelli ». Secondo, a proposito 72 Come interpretato dall'autore (fede in Gesù C risto venuto nella

carne) , questo criterio esclude i secessionisti dall'essere figli gene­ rati da Dio ; e così, a suo giudizio, l'autore non viola nessun co­ mandamento quando non li ama come fratelli . 73 Io lavoro qui con ciò che mi sembra il modo più ragionevole, dei molti possibili, di leggere 5, 2a (si veda NoTA) .

Commento

a

4, 7 - 5, 4a

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dell'agente, egli pensa che i secessionisti non possono amare con quell' agape che viene da Dio, poiché parte di tale agape è amare Dio e osservare i suoi comandamenti. Essi possono affermare di amare Dio, ma non mettono enfasi sull'osservanza dei comandamenti 74 ; un amore au­ tentico è amore obbediente (de la Potterie, « Le croyant » 392 ). Essi non hanno tra loro né figli di Dio né amore di Dio 75 • E. degno di nota che nell'associare l'amore per Dio e l'obbedienza ai comandamenti l'autore sta di nuovo ri­ specchiando un'eredità giudaica. Sap 6, 18 asserisce : « L'amore [della Sapienza] significa l'osservanza delle sue leggi »; e Midrash Sifre 33 su Dt 6, 6 collega l'amare Dio « con tutto il cuore » a prendere a cuore le sue parole (comandamenti). Avendo attaccato i suoi avversari sulla questione dei co­ mandamenti, ancora una volta l'autore mostra una ap­ prensione pastorale che le sue richieste scoraggino i suoi seguaci, .rendendoli più vulnerabili a incursioni secessio­ niste. E così egli termina questa trattazione dell'amore con una nota incoraggiante che per i figli di Dio i coman­ damenti non sono gravosi (5, 3). Proprio lo stato di genera­ ti da Dio fa sì che i cristiani partecipino alla vittoria di Gesù sul mondo (5, 4a, si veda Gv 16, 33), un mondo che ora include i secessionisti ( 1 Gv 4, 5 ) 76• L'autore sta ripe­ tendo il suo precedente tema ( 4, 4 ) : « Quanto a voi, figlio­ li, voi appartenete a Dio, e così avete vinto quelle persone, poiché colui che è in voi è più grande di colui che è nel 74 Se qui l'autore implicitamente rifiuta l 'affermazione di amare

Dio senza obbedire ai suoi comandamenti, in 2, 4 egli esplicitamente rifiuta l'affermazione di conoscere Dio senza osservare i suoi co­ mandamenti. 75 Questo non costituisce una logica convincente per esterni ; ma l'autore non sta offrendo prove nel senso ordinario della parola - egli sta applicando le massime della teologia giovannea in un di­ battito giovanneo interno. 76 Nella NOTA a 5, 4a, ho indicato che non è chiaro come la vittoria sul mondo renda i comandamenti di Dio meno gravosi. Forse stia­ mo di fronte alla classica retorica giovannea di incoraggiamento. Se qui l'autore asserisce che essere generato da Dio (e, quindi, sperimentare l'amore di Dio) dà a uno la capacità di osservare i comandamenti così che non siano gravosi, in Gv 14, 23 noi trovia­ mo la disposizione inversa, dove osservare i comandamenti porta una presenza divina: « Se qualcuno mi ama, osserverà la mia pa­ rola ; allora il Padre m io lo amerà e noi verremo a lui » .

lGv - Parte seconda

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mondo » . E in 2, 17 egli ha messo in ril ievo : « Il mondo sta scomparendo ... ma la persona che fa la volontà di Dio rimane per sempre » .

BIBLIOGRAFIA RIGUARDANTE l Gv

4, 7 - 5 , 4a

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X . la fede vincitrice del mondo e il ruolo della testimonianza 1 G v 5 ,4 b - 1 2

4b 4c

Sa Sb 6a 6b 6c 6d 6e 7 Ba 8b

9a 9b 9c

9d l Oa JOb JOc JOd

"'ra, questo è il potere vincente che ha vinto il mondo: questa nostra fede. 5Chi è, dunque, colui che vince il mondo ? Nessun altro che la persona che crede che Gesù è il Figlio di Dio : 6Gesù Cristo - questo è colui che venne con acqua e sangue. Non in acqua soltanto, ma in acqua e in sangue. E lo Spirito è colui che testimonia, poiché lo Spirito è la verità. 7Infatti, ci sono tre che testimoniano: 8lo Spirito e l'acqua e il sangue, e questi tre sono d'accordo.

9Se accettiamo la testimonianza umana, la testimonianza di Dio è ancora più grande; poiché questa è la testimonianza di Dio : che egli ha testimoniato a favore del suo stesso Figlio. 10La persona che crede nel Figlio di Dio possiede quella testimonianza dentro se stesso, mentre la persona che non crede a Dio ha fatto di lui un mentitore rifiutando di credere nella testimonianza che Dio ha testimoniato a favore del suo stesso Figlio.

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11 a llb

Jlc 12a 12b

110ra, questa è la testimonianza: che Dio diede a noi ( la ) vita eterna e questa vita è nel suo stesso Figlio. 12La persona che possiede il Fig lio possiede ( la ) vita ; mentre la persona che non possiede i l Figlio di Dio non possiede ( la ) vita.

NOTE 5, 4b. Ora, questo è il potere vincente che ha vinto il mondo. La formula kai houtos estin (NOTA a l, Sa), seguita da un sostanti­ vo, rende una affermazione riguardo alla fede più energica che se l'autore adoperasse una costruzione aggettivale equivalente a « vittorioso ». La normale traduzione inglese del sostantivo nike è « vittoria », ma tale resa fa scomparire la connessione con il verbo nikan, « vincere », che lo segue. (Nike ricorre solo qui nel NT, e anzi nel greco ellenistico stava diventando meno frequen­ te del sostantivo nikos ). Io preferisco « potere vincente » a « conquista », poiché qui nike è una metonimia per i mezzi di vittoria, o il potere che concede vittoria (BAG 54 1 ; BAGD 539). Per il verbo nikan, si veda la NorA a 2, 13d. Al participio aoristo adoperato qui sono stati dati valori temporali diversi ( Schna­ ckenburg, Johannesbriefe 254 ), che toccano il signifiato del passo. ( Originariamente, i participi non avevano valore tempo­ rale assoluto, ma esprimevano condizioni di azione in relazione al verbo principale ). Se ne possono distinguere tre : ( 1 ) Si­ gnificato presente la volgata lo tradusse come vincit, « vin­ ce », e quella traduzione esercitò un influsso su Wycliffe, Lute­ ro, Tyndale e la KJV (pure NEB e Moffatt ). Nikan è stato adoperato al tempo presente nella riga precedente (5, 4a), e il participio presente apparirà nel prossimo verso. La presente traduzione, quindi, presenta qui la minima difficoltà per quanto riguarda il senso. Grammaticalmente, essa è possibile, poiché si può postulare un aoristo comprensivo ( BDF 332) che compren­ de una vit toria che deve ancora avere luogo (Vellanickal ), seb­ bene per darle quel senso sarebbe più normale un tempo perfetto. Si concluderebbe, quindi, che lo spostamento da un participio aoristo in 5, 4b a un participio presente in 5, 5 è solo una predilezione giovannea per le variazioni senza differenza di significato. Ciò nonostante, un participio aoristo normalmente indicherebbe azione precedente il verbo principale e, quindi, un

Note a 5, 4b-12

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passato relativo ( BDF 339). (2) Significato di trapassato pros­ simo : egli ha vinto e continua a vincere - una traduzione che evita un conflitto diretto con i tempi presenti limitrofi di nikan. Un tempo perfetto ( finito ) di questo verbo è stato adoperato dall'autore in 4, 4: « Voi appartenete a Dio, e cosl avete vinto quelle persone, poiché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo ». Comunque, l'uso di un participio aoristo con un senso perfetto sarebbe più difendibile se si trattasse di un racconto (BDF 340: il vangelo di Gv mostra un sottile uso del perfetto). ( 3 ) Significato di vero aoristo : una vittoria passa­ ta che è stata completata prima del tempo presente del verbo principale. Questo è grammaticalmente migliore, ma presenta il maggior conflitto nel significato. Come può « la nostra fede » avere vinto il mondo nel passato quando l'autore dice, sia prima che dopo questo verso, che i cristiani, come coloro che sono stati generati da Dio, stanno vincendo il mondo ora? Le risposte si possono di nuovo dividere in tre gruppi : ( a ) fu Gesù che nel passato vinse il mondo ( Gv 16, 33 : « Io ho vinto [perf.] il mondo » ); e mentre per mezzo della fede i cristiani hanno una parte in quella vittoria, essi devono compiere una continua vittoria nelle loro proprie vite. Spesso, per questa posizione si cerca sostegno ( Bonsirven, Bruce, Schnackenburg, ecc.) nell'uso di diversi significati di nikan nell'Ap. L'aoristo è adoperato in Ap 5, 5 per la vittoria di Gesù : « Il leone della tribù di Giuda ha vinto »; l'aoristo viene pure adoperato in 12, 1 1 per i cristiani che partecipano alla vittoria di Gesù : « Essi [il diavolo] lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'a­ gnello »; ma il pres. è adoperato come chiarificazione che i cristiani non hanno finito di vincere : « lo concederò a colui che vince [pres.] di sedere con me sul mio trono, come io stesso vinsi [aoristo] » (3, 2 1 ; pure 2, 26 ). Si veda pure 1Cor 15, 57 : « Siano rese grazie a Dio che dà a noi la vittoria [ nikos ] per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo ». Non si può negare che una tale interpretazione di lGv sia possibile e anche pro­ babile; ciò nonostante, non rende esatta giustizia all'idea che la nostra fede ha vinto il mondo. (b) La conversione e il battesi­ mo dei lettori cristiani di 1 Gv costituirono il momento passato nel quale la loro fede vinse il mondo (Brooke ?, Stott ?). Questo è in armonia con il prossimo verso, il quale dice che il vincito­ re del mondo è colui il quale crede che Gesù è il Figlio di Dio (5, 5). « Gesù è il Figlio di Dio » è una formula di fede, forse associata alla conversione o al battesimo; e così l'autore può stare riferendosi all'espressione di fede adoperata quando i suoi lettori entrarono nella comunità giovannea. Questa inter­ pretazione rende comprensibile pure 5, 4a : « Tutto ciò che è generato da Dio vince il mondo », poiché il cristiano è stato

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generato da Dio al momento del battesimo per mezzo di acqua e di Spirito ( Gv 3, 5). L'idea sarebbe che questa vittoria passata ottenuta per la fede alla conversione o al battesimo continue­ rebbe ad attuarsi nel modo in cui il cristiano vittorioso vive e si scontra con le manifestazioni del mondo. Ad es., il rigetto di lusinghe secessioniste sarebbe una vittoria presente. Lotta co­ stante e vittoria passata sono state combinate in 1Gv 2, 14: « Giovani, vi ho scritto : siete forti, poiché la parola di Dio dimora in voi, e avete vinto [perf. ] il maligno ». ( I l riferimento alla parola di Dio può collegare la vittoria passata al momento in cui essi per la prima volta udirono la parola). ( c ) La vittoria passata fu l'espulsione dei secessionisti. (Questa concezione, preferita da Stott e B. Weiss, è menzionata come possibile da Brooke e Schnackenburg). Dal momento che quella lotta sta ancora continuando, la combinazione di tempi passati e presen­ ti sarebbe molto intelligibile. Chiaramente, in 4, 4 e forse in 2, 14 l'autore adopera il tempo perfetto di nikan per riferirsi a una vittoria già ottenuta sui secessionisti. In sintesi, sebbene io preferisca il significato di vero aoristo del verbo, non vedo possibilità di accertare a quale azione passata si riferisca qui 1Gv. 4c. questa nostra fede. La tradizione bizantina legge « di voi », una lettura che, se non fosse così priva di sostegno tra le grandi testimonianze testuali, potrebbe avere un diritto per essere accettata come la lettura più difficile ( cioè, uria lettura che gli scrivani probabilmente avrebbero cambiato ), poiché nel contesto non vi è un pronome alla seconda plurale, mentre ce n'è uno alla prima plurale nel verso precedente (5, 3b ). Il verbo pisteuein, « credere, avere fede », è stato discusso nella NorA a 3, 23b ); ma questa è l'unica ricorrenza del sostantivo pistis, « fede, credo », nel corpo giovanneo ( esso ricorre 4 volte nella Ap). Come ho già insistito ( si veda 5, 1 ), la fede intesa dall'au­ tore non è un atto puramente interno, ma implica la pubblica professione di ciò che uno crede. Inoltre, essa non è solo un atto mediante il quale uno affida se stesso a Gesù, ma ha anche un contenuto cristologico che specifica chi è Gesù. Questo si può vedere dal parallelismo tra 5, 4bc e 5, 5 : prima, l'autore dice che la nostra fede ha vinto il mondo; poi, egli dice che la persona che crede che Gesù è il Figlio di Dio vince il mondo « la nostra fede » è la fede che Gesù è il Figlio di Dio. Miguens, « Testigos » 79, sostiene che pistis, affine a pistos, « fedele », ha un senso di fedeltà a Cristo, e questa fedeltà aiuta uno a vincere. In quel caso, il presente verso sarebbe equivalente ad Ap 2, 26 : « Colui che vince e conserva fino alla fine le mie parole ,,_

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Sa. Chi è, dunque, colui clze vince il mondo? Un de, « quindi », appare prima del verbo « è » nel codice sinaitico e dopo di esso nel vaticano, mentre è assente nell'alessandrino, nella tradizio­ ne bizantina, nella volgata e nella sahidica. Un « quindi » è implicito nello stile della domanda, proprio come lo è stato in 2, 22 : « Chi, dunque, è il mentitore ? », dove la testimonianza testuale è più chiaramente contro la sua esplicita presenza. ( Qui, la posizione in cui il vaticano colloca de è insolita e può avere indotto gli scrivani a trasportarla o a ometterla ). « Colui che vince » è il part. pres. di nikan, per contrasto al part. aoristo in 4b. Alcuni Io tradurebbero con « colui che può vince­ re »; ma ciò potrebbe implicare un dubbio a riguardo della vittoria, mentre l'autore vuole dire che la vittoria cristiana è inevitabile, derivandola dal fatto che il mondo è già stato vinto da Gesù. Le sette lettere dell'Ap terminano tutte con una promessa a « colui che vince ( part. pres. di nikan : 2, 7.1 1 .17.26; 3, S.12.21 ), e là si ha come l'impressione che qualcuno nelle varie comunità non vincerà. Ma quella non è l'idea del nostro caso, poiché tutti dentro la comunità giovannea partecipano della stessa fede. Coloro che non vincono sono « usciti » per il motivo che mancavano di vera fede. Sb. Nessun altro che la persona che crede che Gesù è il Figlio di Dio. Proprio come la domanda in Sa aveva avuto la stessa formulazione della domanda in 2, 22, così in ciascun caso la risposta comincia con ei me, « se non », che io traduco con « nessun altro ». Il greco della proposizione oggettiva retto da « crede », è esattamente lo stesso di quello in 4, 15 ( « ogni qualvolta qualcuno confessa che Gesù è il Figlio di Dio » ). Come in 5, la ( « ognuno che crede che Gesù è il Cristo » ), l'enfasi è che il detentore del titolo divino è il Gesù che visse e morì. 6a. Gesù Cristo - questo è colui che venne. Alla lettera : « Questo è colui che venne con acqua e sangue Gesù Cristo ». Per riprodurre l'enfasi greca, sembra sia meglio spostare « Ge­ sù Cristo » all'inizio. L'impiego di « Cristo >> immediatamente dopo « Gesù è il Figlio di Dio », e l'accentuazione sul suo essere venuto con acqua e sangue confermano ciò che è stato detto alla fine della NoTA precedente. Con varie modifiche ( kai houtos estin,· houtos [de] estin ), la formula « questo è .. » è comune tra gli scrittori giovannei ( si veda NoTA a 1, Sa); e l'impiego di un articolo determinativo dopo di essa mette in risalto la specifica o ben nota qualità del predicato ( BDF 273 ; MGNTG 3, 183 ). Ne l presente caso, Brooke, Epistles 134, parla così di quella qualità: « Egli è colui il cui incarico od opera viene ·

.

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giustamente caratterizzata dalla descrizione fatta ». Negli altri esempi di lGv, il predicato è un sostantivo astratto o imperso­ nale. Qui, E. Norden, Agnostos Theos (Teubner, Leipzig 1913) 183-88, collegherebbe il predicato personale alla formula giovan­ nea « Io soNo » (ABJ 29, 533-38; 'tr. it. 1482 ss) dove un predicato venne adoperato da Gesù per descrivere se stesso, e alla formu­ la confessionale « tu sei » dove un predicato venne adoperato da altri per descrivere Gesù ( come Figlio di Dio, re di Israele [ l , 50] ; profeta [4, 1 9 ] ; il Santo di Dio [6, 69 ] ; Cristo, Figlio di Dio [ 1 1 , 27 ] - cfr. Mc l, 1 1 : « Tu sei il mio diletto Figlio » [pure 3, 1 1 ; 8, 29; 14, 61 ] ). Esempi della formula « questo è » adopera­ ta cristologicamente includono Gv l, 34 (eletto di Dio o Figlio di Dio ); 4, 42 (salvatore del mondo) ; 7, 40 ( il profeta); 7, 4 1 (Messia ). Alcuni esempi sinottici sono M t 3, 17 ( « questo è il mio diletto Figlio ») e 26, 26 ( « questo è il mio corpo » ). Partico­ larmente istruttivo per i nostri scopi è il confronto tra : « Questo è il pane che discende/discese da cielo » ( Gv 6, 50.58 ) e : « Io sono il pane vivo che discese dal cielo » (6, 5 1 ). E così, anche se l'autore di lGv sta formulando questo verso in un modo particolarmente polemico, egli sta seguendo un classico modello confessionale.

con acqua e sangue. Questa è la lettura del codice vaticano, VL, volgata, pershitta e Tertulliano. Comunque, codici sinaitico e alessandrino, la copta, siriaca ardea e Origene aggiungono « e Spirito [ Santo] » all'espressione, una lettura accettata da Dodd, Manson, Merk, Moffatt, Vogels e von Soden. Altre testimonianze ( minuscoli greci, armena, etiopica) inseriscono « e Spirito » tra « acqua » ed « e sangue », mentre ancora altri minuscoli greci sostituiscono « sangue » con « Spirito ». Molto probabilmente, l'introduzione di « Spirito » in queste varie letture venne sugge­ rita agli scrivani dalla sua comparsa come fattore con « acqua e sangue » nel prossimo verso; alcuni scrivani avrebbero pure subito l'influsso dalla menzione di « acqua e Spirito » di Gv 3, 5, e dall'associazione dello Spirito con il battesimo di Gesù (che si pensò fosse simboleggiato da « acqua » ). Qui, la preposizione è dia e i due sostantivi al genitivo sono anartrici; normalmente, questo significherebbe che « acqua e sangue » costituiscono una unità. Moule, IBNTG 57, suggerisce che qui dia significa circostanze concomitanti, mentre Chaine, Epltres 213, nega che esso si riferisca ai mezzi tramite i quali Gesù venne. Comunque, BAG 178 (BAGD 179) sostiene che il significato principale non è una circostanza, ma una precisa descrizione del modo mediante il quale Gesù venne. Questo concorderebbe con la proposta di prendere il part. aoristo « colui che venne >> come un riferimento storico destinato a

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unire « Figlio di Dio >> e « Cristo » a Gesù in particolari circo­ stanze della sua carriera terrena. « Colui che sta venendo » (part. pres.) fu un titolo unito a Gesù nel vangelo di Gv ( 1 , 15. 27 ; 12, 13); esso è applicato qui a quel passato. 6bc. non in acqua soltanto, ma in acqua e in sangue. Un modello di espressioni o proposizioni « non ... ma » ricorre al­ cune dozzine di volte nelle lettere ; ma, il parallelo che più si avvicina alla presente costruzione si trova in 1Gv 2, 2 : « Non soltanto per i nostri peccati ma anche per tutto il mondo », che pure impiega il neutro di monos, « soltanto, solo », come un avverbio. ( In 5, 6b, il codice vaticano sostituisce l'aggettivale mono, che modifica il sostantivo « acqua »; si veda MGNTG 3, 226 ). Ci sono tre differenze tra 6bc e 6a: prima, qui la preposizione è en non dia; seconda, la preposizione è ripetuta davanti a ciascun sostantivo ( quindi tre volte), mentre prece­ dentemente l'unico dia ha abbracciato due sostantivi; terza, ciascun sostantivo ha l'articolo determinativo, assente in 6a. Quanto al primo punto, alcuni studiosi sosterrebbero una si­ gnificativa differenza tra le preposizioni. En, « in », più facil­ mente descrive circostanze che accompagnano, simile a un dativo di modo ( BDF 1984, 2194). In 6bc, le circostanze di acqua e sangue sarebbero quelle che accompagnarono la venuta stes­ sa di Gesù, e la sua venuta renderebbe l'acqua e il sangue pieni di significato per altri. Windisch considera che la differenza tra dia e en sia uguale a quella tra venire « tramite » e venire « con ». A fondamento di quest'ultima, si possono citare i LXX di Lv 16, 3 dove Aronne viene con (en) un giovenco; pure lCor 4, 2 1 : « Dovrò venire con [en] un bastone o con [en] amore? », Bonsirven e Wilder sostengono che dia si riferisce alla causa o strumento tramite cui Gesù agisce, cioè, i sacramenti ( si veda più avanti ). Altri parlano di un movimento di preposiziom verso la sfera in [en] cui Gesù salva. Klopper, « I John » 383-84, pensa che en dia enfasi alla durevole natura della venuta. Comunque, la maggioranza degli studiosi non vede significativa differenza nella variazione di lGv tra dia ed en ( Barth, Bruce, Bi.ichsel , Bultmann, Chaine, Dodd, Schnackenburg, B. Weiss, Wengst ). Nei LXX, ambedue le posizioni greche possono tra­ durre l'ebraico b'. Nel NT, sia Eb 9, 12 che 9, 25 parlano del sacerdote che entra nel luogo santo con sangue, ma il primo adopera dia mentre il secondo adopera en. Sia Rm 6, 4 che Col 2, 12 parlano di essere sepolti con Cristo nel battesimo, ma il primo adopera dia mentre il secondo adopera en. La probabili­ tà di avere in 5, 6a e 5, 6bc una variazione insignificante di preposizioni è, comunque, di scarso aiuto per il motivo che, come abbiamo visto, il significato di dia non è chiaro.

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La seconda differenza tra 6a e 6bc è di maggiore importanza, poiché la ripetizione della preposizione en nel secondo sugge­ risce a molti interpreti che « acqua » e « sangue » vengono ora trattati come entità o simboli separati, mentre in 6a erano uniti. Una tale conclusione è, comunque, incerta, poiché l'auto­ re sta negando una venuta « in acqua soltanto », ed egli può avere ripetuto en per mettere in rilievo l'importanza piuttosto che la separazione del sangue nell'espressione « ma in acqua soltanto e in sangue ». Anche la terza differenza ( l'impiego dell'articolo determinativo in 6bc ) non è chiara nella sua implicazione. Molti insistono che, come la preposizione ripetuta, l'articolo determinativo tende a rendere distinti l'acqua e il sangue; ma THLJ 1 19 sostiene : « L'uso dell'articolo serve a mostrare che 'acqua' e 'sangue' si riferiscono a ciò che è stato detto nella prima parte del v. 6 », Prima di passare al preciso significato del simbolismo in queste prime tre righe del v. 6, bisogna sollevare qualche problema. Il verbo « venne » abbraccia sia la preposizione dia che en. Il « venne con/in acqua e sangue » descrive come Gesù Cristo venne, e non come « Cristo » venne a Gesù. Parte della goffag­ gine di questa descrizione può derivare dall'uso di « venne con/in 11 da parte degli avversari il cui linguaggio l'autore sta piegando alla sua formula. Abbiano essi creato o no l'espres­ sione, evidentemente i secessionisti possono adoperare « venne in » con riferimento ad « acqua )) - ecco perché l'autore dice che Gesù Cristo non è colui che venne in acqua soltanto. Negavano completamente gli avversari che egli venne in san­ gue, o solo che egli venne sia in acqua che in sangue? Mentre non abbiamo ancora discusso il riferimento a « lo Spirito » che si trova alla fine del v. 6, in qualche modo quella nozione si adatta al quadro della venuta con/in acqua e sangue. Rifletten­ do su questi punti, chiediamoci ora quale precisa manifestazio­

ne di Gesù Cristo, Figlio di Dio, fu implicata quando egli « venne con/in acqua e in sangue ». Non mi dilungherò a discu­ tere opinioni antiquate; ad es., che acqua e sangue significano l'innocenza e il sacrificio di Gesù ( Grotius ). ( l ) « VENNE CON/IN ACQUA E SANGUE » SI RIFERISCE AI SACRAMENTI DEL BATTESIMO E DELL'EUCARESTIA. ( In questo caso, « lo Spirito » in 5, 6de potrebbe riferirsi a un terzo sacramento, ad es., un­ zione prebattesimale - si veda NoTE a 2, 20a; 5, Sa). In questa teoria, dia/en significa « con » : Cristo venne a portare i sacra­ menti. Ci sono numerose variazioni di questa teoria. Che il significato sacramentale sia principale in tutte tre le righe ( 6abc ) viene suggerito da padri della chiesa del IV e del V secolo (Ambrogio, Agostino, Crisostomo, Cirillo di Alessandria)

Note a

5, 4b-12

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ed era ancora in voga nel secolo scorso (Bisping, Karl). Altri pensano che il significato sacramentale venga solo in secondo luogo dopo un riferimento principale a qualche evento( i ) nella vita di Gesù. Tertulliano (De baptismo 16. 1-2; CC l, 290 ), ad es., pensa che « acqua » si riferisca al battesimo stesso di Gesù e, secondariamente, al battesimo dei cristiani. Westcott, Epistles 182, è uno dei tanti studiosi moderni ( Bonsirven, Windisch ) che pensa che 6a (dia ) si riferisca alla carriera storica di Gesù, ma 6bc (eu) si riferisca ai sacramenti. Il cambio di preposizione mostra che « S. Giovanni sta parlando di una continuazione della prima venuta in una forma un po' nuova ma analoga >> . ( La teoria che, mentre tutto il v. 6 si riferisce alla carriera storica di Gesù, il passo nei vv. 7-8 si riferisce ai sacramenti, verrà discussa più avanti nelle NoTE a quei versi ). La testimo­ nianza giovannea usata per confermare questa comprensione simbolica di « acqua » e « sangue » include quanto segue; in Gv 3, 5, « generato da acqua e Spirito » è un riferimento al batte­ simo; 6, 54-56 : « La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda », è un riferimento all'eucarestia; inoltre, c'è un possi­ bile riferimento ai due sacramenti nel sangue e nell'acqua che sgorgano dal fianco di Cristo in 19, 34. Le obiezioni a questa teoria sono serie. L'autore starebbe sce­ gliendo un modo considerevolmente oscuro di riferirsi ai sa­ cramenti, così che si dovrebbe postulare che questo era un ben noto linguaggio intracomunitario. La preposizione dia può si­ gnificare circostanze che accompagnano quando il contesto punta in quella direzione, ma qui non c'è nulla nel contesto che ci incoraggi a intendere « venne tramite o con acqua e sangue » nel senso di portare i sacramenti. In lGv, non abbiamo testi­ monianza che i secessionisti negassero i sacramenti. Nel vange­ lo di Gv, ci possono essere stati avversari giudeo-cristiani che rifiutavano un'enfasi sul sangue ( eucaristico ) di Gesù (6, 53-66), e i discepoli di Giovanni il Battista che rifiutavano il battesimo nello Spirito di Gesù ( 1 , 33, più 3, 22-26 - si veda il mio Community 69-7 1 .78-80; tr. it. 79 ss. 91 ss). Ma i secessionisti sono precedenti membri della comunità giovannea che avrebbero dovuto condividere parte della implicita prospettiva sacramen­ tale contenuta nel vangelo di Gv. t:: vero che Ignazio di Antio­ chia critica un gruppo antieucaristico ( presumibilmente di giu­ deo-cristiani ) insistendo sul sangue (e sulla carne) di Gesù (Smirn. 6-7 ); ma, nella INTRODUZIONE ( IV B3b ) ho sostenuto che questi oppositori di Ignazio non sono necessariamente i doceti da lui attaccati altrove, i quali hanno alcune affinità con gli avversari secessionisti di lGv. Pertanto, il tono polemico di 5, 6abc sembra escludere una interpretazione sacramentale del simbolismo di quelle righe ( ma non necessariamente di 5, 7-8 ).

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l Gv Parte seconda -

(2) « VENNE CON/IN ACQUA E SANGUE » SI RIFERISCE ALL'INCARNA· ZIONE. Questa tesi è stata energicamente difesa da Richter, « Blut », i cui argomenti sono stati messi in discussione da Wengst, Hiiresie 19-20. ( Gli argomenti di Richter suppongono che il vangelo di Gv sia chiaro riguardo a quando avvenne l'in· carnazione - alla concezione o alla nascita ma non al battesimo di Gesù - ma, di fatto, il vangelo di Gv non è specifico riguardo a quando la Parola divenne carne). La testimonianza giovannea per questa interpretazione include : l'uso del verbo « venire » per l'entrata della Parola nel mondo (Gv l , 1 1 : « Egli venne da [ eis ] i suoi » ); si veda pure 16, 28 ( « sono venuto ne [ eis ] il mon· do ») e 5, 43 ( « sono venuto nel nome del Padre mio » ). Altrove nelle lettere, il verbo viene adoperato solo due volte con la pre­ posizione en ( l Gv 4, 2; 2Gv 7), ambedue le volte in riferimento a Gesù Cristo che viene nella carne. Non può « venne con/in acqua e sangue » essere un'altra forma di « venuto nella car­ ne »? La supposizione di Richter è che gli avversari di lGv fossero doceti i quali negavano che Gesù fosse veramente uma­ no, affermando che egli aveva solo un corpo apparente, com­ posto di acqua. Egli sostiene (p. 128 ) che nella fisiologia del tempo si riteneva che l'embrione umano fosse composto del sangue mestruale della donna e del seme maschile (Sap 7, 2), e che l'insistenza dell'autore su « acqua e sangue » fosse un'as­ serzione riguardo alla realtà del corpo. ( In ABJ 29A, 947; tr. it. 1 1 84, ho esposto la tesi che gli dei non avevano un sangue ordinario, ma sangue mescolato ad acqua ). L'obiezione a questa teoria si concentra sulla tesi implicita degli avversari. Noi non abbiamo testimonianza che essi fosse­ ro veri doceti che negavano il corpo umano di Gesù. Inoltre, nessuno dei molti documenti doceti posteriori asserisce che il corpo di Gesù fosse composto soltanto di acqua, come contrap­ posta a sangue. ( È vero che i mandei [Diritto Ginza 1 .29.5 ; 2.53 .3 ; Lidzbarski, pp. 29.48 ] sostennero che l'Enosh-Uthra o salvatore venne vestito con un abito [corpo] fatto di acqua, ma essi non stabilirono un'antitesi con il sangue). Quando Ignazio di Antiochia mette in evidenza contro i suoi oppositori il san­ gue di Gesù (Smirn. 1, l ; 12, 2), egli sta sottolineando la passio­ ne e la croce, non l'incarnazione. Avrebbero potuto precedenti membri della comunità giovannea negare che Gesù aveva san­ gue quando sangue e acqua uscirono dal suo corpo morto ( Gv 19, 34 - non parte dell'aggiunta del redattore in 19, 35)? Natu­ ralmente, i secessionisti potrebbero avere allegorizzato il san­ gue del racconto della crocifissione (ad es., il doceta Atti di Giovanni 101 [HSNTA 2, 234] : « Sangue sgorgò da me; tuttavia non sgorgò » ), ma si desidererebbe qualche positiva testimo­ nianza giovannea per la tesi di Richter. Inoltre, quella tesi non

Note a 5, 4b-12

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spiega veramente l'invocazione dello Spirito nell'ultima parte di 5, 6, poiché il vangelo di Gv associa lo Spirito al riconoscimen­ to di Gesù da parte del Battista e alla morte di Gesù, ma mai all'incarnazione o venuta nel mondo. ( 3 ) « VENNE CON/IN ACQUA E SANGUE » SI RIFERISCE AL BATTESIMO E ALLA MORTE DI GEs ù . Con variazioni, questa è la teoria più comu­ ne ( Bengel, Bruce, Bultmann, Heitmiiller, Holtzmann, Marshall, Michaelis, B. Weiss, Windisch, Winterbotham ) e, almeno in parte (battesimo ), era già in voga al tempo di Tertulliano (200 d.C.). In questa teoria, « che viene » non è semplicemente l'en­ trata nel mondo ma la missione salvifica - il senso nel quale Gesù venne salutato come « colui che sta venendo >> ( erchome­ nos), non soltanto nel vangelo di Gv ma anche nelle opere che non mostrano conoscenza dell'incarnazione (Mt 1 1 , 3; Le 7, 20). Così, colui che > giovannei. Terzo, sebbene egli adoperi una formula tradizionale alla prima persona plurale: « Amiamoci l'un l'altro » ( NOTA a Sd), il suo uso di « noi » in Se e in 6b rende plausibile l'idea che egli stia deliberatamente includendo se stesso nell'esortazione. Egli può essere preoccupato che la mi­ nacciata visita dei falsi maestri (vv. 9-1 0 ) disgreghi l'amo­ re non soltanto tra i figli della « signora eletta >> (creando una secessione in quella chiesa), ma anche tra loro e lui (e i suoi seguaci ). I maestri cercheranno di mettere i figli della « signora eletta » contro il Presbitero, con la cui cristologia ed etica essi non sono d'accordo 13 • 13 Il tentativo del Presbitero di escludere i maestri dalla casa (chiesa?) dei cristiani a cui si rivolge, sia che abbia successo o no,

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2Gv

Mentre questi tre punti hanno un fondamento relativa­ mente solido nel testo di 2Gv, molto meno sicuro è l'as­ sunto di Klein, « Licht » 506, che 2Gv 5-6 tradisca una perdita di senso escatologico nei confronti di l Gv e, a fortiori, nei confronti del vangelo di Gv. Per Klein, il riferimento in Gv 1 3 , 34 a « un comandamento nuovo » riflette « l'ora » che trascende il tempo e fa nuove tutte le cose. In l Gv 2, 7-8, ha avuto luogo un processo storicizzante ( più sopra, pp. 403-05 ), poiché il comandamento viene descritto come non nuovo ma antico e, quindi, è stato inserito in una sequenza di tempo, così che esso venne dato molto tempo prima. Tuttavia, l'autore di l Gv correg­ ge se stesso ( « pensandoci meglio, il comandamento che scrivo a voi è nuovo » ), indicando che egli ha ancora qualche sensibilità escatologica. Ma 2Gv Sb asserisce senza precisazione : « Non è come se io stessi scrivendoti qual­ che comandamento nuovo ». Comunque, mi chiedo se Klein sia metodologicamente corretto nel forzare questo argomento dal silenzio, fondato sulla omissione di una precisazione, quando egli sta paragonando opere di così diversa lunghezza come lGv e 2Gv? Anche se supponiamo che ci siano stati due autori, se l'autore di 2Gv conobbe 1 Gv, omise egli la riflessione sulla novità del comanda­ mento perché aveva una concezione diversa, o fu guidato dalla progettata dimensione di 2Gv ( determinata dalla lunghezza di un foglio di papiro ) così da poter menzionare solo cose essenziali ? Se la novità del comandamento face­ va parte della tradizione giovannea custodita in Gv 13, 34, può non esserci stata la necessità di metterla in risalto. E certamente enfasi sulla novità non è stato lo scopo del Presbitero quando ha cercato di mettere in guardia i destinatari da maestri progressisti.

O. Messa In guard ia contro gli anticristi e

i l loro insegnamento (w. 7-1 1 )

Il Presbitero si sposta dal comandamento di amarsi l'un l'altro alla necessità di confessare Gesù Cristo che viene produrrà certamente una propaganda contro il Presbitero da parte dei maestri, se essi non gli sono già ostili per conflitti passati.

Commento

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nella carne. La connessione grammaticale tra i due ( « poi­ ché ») rafforza l'impressione che egli si riferisca a un gruppo di oppositori. ( Si confronti il duplice comanda­ mento di credere e di amare in 1 Gv 3, 23). Il linguaggio apocalittico che egli adopera per quegli oppositori ( « l'in­ gannatore ... l'anticristo » ) chiama bruscamente in causa la tesi di Klein che 2Gv sia il più deescatologizzato degli scritti giovannei, poiché adopera lo stesso linguaggio usa­ to per i secessionisti in 1 Gv 2, 18-27 ; 4, 1-6 14• Ambedue le opere ritengono che « coloro che sono usciti [nel mon­ do] » (2Gv 7; 1 Gv 2, 1 9 ; 4, 1 .5 ) siano un segno degli ultimi tempi, poiché i secessionisti incarnano l'attesa dell'anti­ cristo (NoTA a 1Gv 2, 1 8a) e sono i falsi profeti attesi che inganneranno anche gli eletti 15 . Il loro inganno che va contro (anti) Cristo viene manife­ stato nel rifiuto di confessare « Gesù Cristo che viene nella carne ». ( Come abbiamo già molte volte visto, la mentalità giovannea non attribuisce a ignoranza la manca­ ta confessione de « la verità » ; la mancanza è sempre dolosa e una manifestazione diabolica 16 ) . Non c'è sufficien­ te contesto in 2Gv per permetterei di supporre ciò che l'autore intende con questa formula, e cosl la maggior parte degli studiosi la interpreta tramite l'analoga formula in 1Gv 4, 2 : « Gesù Cristo venuto nella carne », facendo appello al più ampio contesto di quell'opera ( si veda NoTA a 2Gv 7b ). Il tempo passato in 1 Gv è più vicino al centro dell'errore secessionista di quello che lo sia il tempo pre­ sente di 2Gv 17 , poiché a quanto sembra quell'errore consisteva nel non dare superiore valore salvifico al mi­ nistero terreno di Gesù (e non in una negazione deJI'in14 2Gv 7 è cosi vicino a 1Gv che Ireneo, nel citare alla lettera il passo di 2Gv, ne parla come se appartenesse alla medesima lettera di 1Gv 2, 18-19 ( INTRODUZIONE I B2) . 15 Termini come « l'ingannatore » e « il mentitore »(2Gv 7 ; 1Gv 2, 22; cfr. 4, 6) possono essere collegati alle attese escatologiche degli ingannatori falsi cristi e falsi profeti (Mc 13, 21-22) e dell'in ganna­ tore uomo di iniquità (2Ts 2, 3.9-12) . 16 In Gv 13, 27.30, satana entrò in Giuda ed egli « uscì ,. dalla com­ pagnia di Gesù. 17 Ma una interscambiabilità di tempo viene suggerita mettendo a confronto descrizioni di Gesù che usano il tempo passato di « ve­ nire » in Gv 3, 19 ; 9, 39 ; 12, 46 ; e 18, 37 e una descrizione con il part. pres. in 1 1 , 1:1.

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2Gv

carnazione stessa). Il linguaggio di « venire » in relazione a Gesù può essere sorto dall'insistenza in MI 3, l che l'angelo dell'alleanza verrebbe 1 8• Per i cristiani, Gesù era « colui che deve venire » ; l Gv e 2Gv stanno insistendo sul fatto che nella teologia giovannea la venuta non fu com­ pletata con l'incarnazione, ma continuò nel tipo di vita che Gesù condusse ( « nella carne » ). L'uso del tempo pre­ sente ( « colui che viene » ) in 2Gv 7 ripete il linguaggio tradizionale, ma lo adopera per esprimere un contrasto escatologico con l'anticristo. Ambedue le attese escatologi­ che sono state realizzate, così che la persona la quale nega che nella sua carne Gesù è « colui che deve venire » diven­ ta la personificazione del maligno oppositore di colui che deve venire. E l'apparizione di quest'ultimo (l'anticristo, l'ingannatore ) è un segno che l'ultima ora è imminente ( l Gv 2, 1 8 ). Questo significa che la parusia è imminente e « colui che deve venire » verrà di nuovo ( cfr. lGv 2, 28 ). Proprio come l Gv ha ammonito i lettori a essere pronti per ciò ( « così che, quando viene rivelato, possiamo avere fiducia e non ci ritiriamo da lui con vergogna alla sua venuta » ), cosi 2Gv 8 ammonisce : « State attenti a voi stessi », una classica formula apocalittica (si veda NoTA ). In l Gv, abbiamo visto che parte dell'errore secessionista riguardava una mancanza di enfasi sulla parusia; per loro, il giudizio era già avvenuto e non ci sarebbe stato un secondo giudizio fatto da Dio sulle loro vite, dal momento che non aveva importanza il modo in cui si camminava. Quindi, con l'unica formula: « Gesù Cristo che viene nella carne », il Presbitero può stare colpendo in pieno l'ingan­ no secessionista : essi non accettano tutti gli effetti della prima venuta e trascurano la seconda. L'implicito motivo della parusia (con il giudizio concomi­ tante ) spiega il riferimento che il Presbitero fa nel v. 8 a ricompensa e a perdita di « quello che abbiamo consegui­ to » 19 • Gv 17, 12.16 mostra che perdere la compagnia di Gesù porta al regno del male : Gesù custodisce i suoi « salvi dal maligno » cosi che « nessuno di loro andò per18

Mowinckel, He that Cometh, Abingdon, Nashville 1954. 19 Lo stesso contesto si trova in Ap 22, 12: « Ecco, io ho intenzione di venire presto e la mia ricompensa è con me per dare a ciascuno secondo la sua opera ».

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duto, se non il figlio di perdizione [ perdita] » . L'ultimo è un riferimento a Giuda che era « uscito » ( nota 1 6 ) . L'idea di conseguire una ricompensa si deve intendere alla luce di Gv 6, 29, che illustra la portata del termine « opera » descrivendo la fede come un'opera. Coloro che sono di­ ventati figli di Dio tramite la fede in Gesù Cristo vedran­ no Dio come egli è ( l Gv 3, 2 ). Se i secessionisti vengono e li traviano con un falso insegnamento su Cristo, perderanno proprio il fondamento di una tale ricompensa. Il v. 9 ripete questo in un altro modo : i destinatari non continueranno a possedere Dio se non rimangono radicati nell'insegnamento di Cristo 20 • Nella NoTA a 9a, ho sostenu­ to che l'« insegnamento di Cristo » significa essenzialmente un insegnamento che viene da Cristo. Molti commentano questo passo alla luce di altre opere posteriori del NT che mettono in evidenza i temi della fedeltà all'insegnamento originale e di nuove idee pericolose. In Gd 3, si trova un apprezzamento per « la fede trasmessa ai santi una volta per tutte », e in 2Tm 4, 3-4 un'apprensione che « verrà giorno in cui delle persone non sopporteranno più la sana dottrina [didaskalia ] , ma, seguendo le loro preferenze, raduneranno maestri i quali diranno loro ciò che vogliono ascoltare; e allontaneranno le loro orecchie dalla verità, per i miti ». Il Paolo di At 20, 30-3 1 ammonisce : « Di mezzo a voi sorgeranno uomini che dicono cose perverse allo scopo di attirare discepoli dietro di sé, e così dovete vigilare >>. Il Paolo delle pastorali ammonisce in lTm l , 3 di tenere a freno « certe persone che insegnano altre dottrine >>. Di tali persone egli scrive : « Se qualcuno in­ segna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e il pio insegnamento, costui è acceca­ to e non comprende nulla » ( l Tm 6, 3-4 ). Attraverso i tempi, tali passi hanno rafforzato la lotta cristiana contro auto­ delusioni ; ma essi hanno pure offerto una fonte retorica per coloro i quali pensano che tutti i nuovi pensieri siano pensieri cattivi. Nel valutare l'attacco di 2Gv contro i pro20 Nel v. 9, l'attacco contro « chiunque è così 'progressista' da non rimanere radicato nell'insegnamento di Cristo » allude principal­ mente ai secessionisti ingannatori ; ma, se i destinatari si uniscono alle fila degli ingannati, si applica anche a loro. Inoltre, sono i destinatari, non i maestri secessionisti, che il Presbitero spera raggiungere con questa lettera.

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gressisti, Dodd, Epistles 1 50, lamenta : « L'autore si è im­ prudentemente espresso in termini che potrebbero sembra­ re stigmatizzare ogni tipo di 'progresso' come slealtà alla fede, e così condannare la teologia cristiana a permanente sterilità ». Mentre in questo commentario non mi sono sen­ tito in obbligo di difendere le molte espressioni infelici del­ l'autore della lettera, in questo caso penso che la sotti­ gliezza del suo pensiero sia stata trascurata. L'unico « progressista » che il Presbitero critica è colui il quale non rimane radicato nell'insegnamento di Cristo. La spe­ cificazione suggerisce ·che in sé l'idea di essere un progres­ sista non costituiva un anatema nella tradizione giovan­ nea. Dei quattro vangeli, solo il vangelo di Gv tradisce una riflessa consapevolezza che ciò che Gesù dice non fu capi­ to durante il ministero di Gesù ma riflette una visione postresurrezionale ( Gv 2, 21-22; 7, 39). Quella consapevo­ lezza probabilmente fu effetto di una linea difensiva quan­ do la comunità giovannea fu criticata da altri cristiani perché le sue tradizioni ( cristalizzate nel vangelo di Gv) erano andate molto oltre ciò che noi oggi chiameremmo « il Gesù storico » 21 • La particolareggiata attenzione al Pa­ raclito come legittimo interprete di Gesù si spiega meglio se nella comunità è sorto il dubbio se Gesù avesse detto veramente alcune cose a lui attribuite nella tradizione della comunità. Il Gesù giovanneo risponde a una tale obiezione annunciando : « io ho molte altre cose da dirvi, ma voi non le potete sostenere ora. Quando lo Spirito di verità verrà, vi guiderà alla verità tutta intera. Poiché non parlerà da sé, ma parlerà solo ciò che ode e vi annuncerà tutte le cose che devono venire ... E. da me che riceve ciò che annuncerà a voi » ( Gv 16, 12-1 5 ). Questo passo spie­ gherebbe perché il Presbitero condanna i maestri che non rimangono radicati nell'insegnamento di Cristo - anche il Paraclito rimane radicato in ciò che era « dal principio ». Qui, ci avviciniamo molto all'insistenza di 1Gv sulla neces­ sità di annunciare ciò che è stato udito, visto con gli occhi, guardato e toccato con le mani ( 1 , 1 ). 21

Non penso che la questione moderna venisse sollevata nel I secolo, ma verso la fine del II secolo Clemente di Alessandria ri­ conobbe che il quarto vangelo aveva un tono diverso dagli altri chiamandolo « un vangelo spirituale » ( Eusebio, Hist., 6.14.7) .

Commento

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La condanna che il Presbitero fa dei progressisti, quindi,

non è uguale alle condanne presenti in altri libri del NT che provengono da chiese che avevano una fissa gerarchia di presbiteri o un corpo fisso di dottrina apostolica. Nella situazione giovannea, il controllo è effettuato dal Paracli­ to, e la catena di testimoni costituisce la guida per ciò che è stato udito dal principio. Un atteggiamento progressista dentro queste linee maestre non sarebbe stato condanna­ to 22• La relazione dinamica tra l'insegnamento di Gesù (il primo Paraclito : Gv 14, 1 6 ) e il Paraclito/Spirito· di verità il quale rimane nel cristiano come maestro ordinario 23 può spiegare perché il Presbitero possa insistere alterna­ tivamente sul fatto che il cristiano deve permanere nel· l'insegnamento di Cristo e che la verità deve rimanere/ dimorare nel cristiano (vv. 9 e 2 ). Ciò può pure spiegare perché il Presbitero possa dire che la persona che perma­ ne nell'insegnamento possiede sia il Padre che il Figlio il Paraclito che impartisce l'insegnamento di Cristo è dato o mandato dal Padre ( Gv 14, 16.26 ) e costituisce la conti­ nua presenza di Gesù, Figlio di Dio tra noP4• La « ricom­ pensa piena » per i cristiani giovannei che già possiedono il Padre e il Figlio avverrà quando Cristo verrà rivelato alla sua venuta ( 1 Gv 2, 28 ), poiché allora, sebbene siano « figli di Dio già ora » , essi « saranno simili a lui » per il motivo che essi lo vedranno come egli è (3, 2 ) . Nei vv . 7-9, i l Presbitero è andato presentando una ammo­ nizione generale ai destinatari sui progressisti che perso­ nificano l'ingannatore e l'anticristo, ma in 1 0-1 1 egli fa un discorso dettagliato sul pericolo e così ci fornisce la pos­ sibilità di capire la situazione della chiesa. Egli si aspetta che alcune persone vengano dalla « signora eletta » e ne­ ghino la sua affermazione cristologica su Gesù venuto 22

Nella mia concezione, solo in 3Gv e con Diotrefe incontriamo cristiani giovannei i quali, da amara esperienza, possono essere giunti a credere che una corretta alternativa escluda di essere progressista . 23 t:. rischioso spiegare i testi di 2Gv appellandosi alla figura del Paraclito del vangelo di Gv. Ma 2Gv non offre contesto ; e cosi ci si deve accontentare rinunciando a qualsiasi spiegazione o fare ricorso al più plausibile parallelismo giovanneo. 24 Nella teologia del vangelo di Gv, la vita eterna viene data per mezzo della generazione divina tramite lo Spirito (3, 5) , e quella vita è la vita di Gesù, il Figlio, che l'ha ricevuta dal Padre (6, 57) .

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nella carne. La grammatica ( NOTE al v. 1 0 ) rende impro· babile che egli stia parlando di casuali viaggiatori o anche di generici missionari. Egli sta pensando a coloro che verranno specificatamente per insegnare una contraddit­ toria interpretazione della venuta di Cristo. Harnack, « iiber » 1 8 , suppone che la pratica dei missionari visitatori debba essere relativamente nuova dal momento che su questo fatto in 2Gv c'è un insegnamento molto dettaglia­ to. Io penso che sia più probabile il contrario : per il motivo che i destinatari sono abituati ad avere persone che vengono ad annunciare l'insegnamento giovanneo di Cristo 25 , il Presbitero li deve mettere in guardia perché ora arriveranno coloro che portano un insegnamento che non è di Cristo, un insegnamento che tradisce la tradizio­ ne. ( Egli non sta rimproverando i destinatari per essere stati troppo ospitali nel passato, poiché fino ad ora non c'è stato motivo per non essere ospitali). Se così fosse, significherebbe che le varie chiese giovannee costituivano una rete, con inviati che abitualmente andavano da una all'altra ( una: situazione confermata in 3Gv). Solo recen­ temente, è sorto un pericolo a motivo di ex cristiani giovannei (ora « usciti » ) i quali portano un insegnamento diverso. Questo quadro avrebbe senso se 2Gv fosse stato scritto poco dopo lo scisma descritto in l Gv 2, 19. I seces­ sionisti non esisterebbero tanto a lungo da essere automa­ ticamente riconoscibili nella loro diversità, e così il Pre­ sbitero sta fornendo un criterio dottrinale a una chiesa lontana che i missionari secessionisti non hanno ancora raggiunto, ma presto raggiungeranno. Nei confronti di questa tesi, si può sollevare un'obiezione ricavata dalle lettere ordinarie di raccomandazione che conosciamo da altri scritti del NT (più avanti, NotA a 3Gv 12a). Queste sono lettere scritte da una nota figura cri­ stiana per garantire eventuali viaggiatori cristiani, inco­ raggiando le chiese nei luoghi visitati a riceverli e ad ascoltarli. Come potevano i previsti ingannatori di 2Gv sperare di essere ricevuti dalla « signora eletta » senza una tale lettera, e la sua assenza non sarebbe stato un modo 25

In 3Gv, l'ospitale accoglienza nei confronti di coloro che parti­ rono per amore del Nome è una pratica usuale e desiderabile, e il Presbitero è sconvolto che Diotrefe rifiuti di seguirla.

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facile di scoprirli ? Si potrebbe speculare che essi avreb­ bero lettere di raccomandazione dai loro capi e che un pericolo maggiore nella secessione starebbe nel suo essere proposta da rinomati capi giovannei 26• In l Gv, comunque, non vi è traccia di ciò, poiché l'autore sembra fiducioso perché parla usando il « noi » della scuola giovannea. Più plausibilmente, si può speculare che la pratica delle lette­ re di raccomandazione non si fosse ancora sviluppata nella rete giovannea di chiese proprio perché questa co­ mtmità era legata molto saldamente. Forse, la crisi del presente momento rese necessaria l'introduzione di quella pratica, e vedremo i suoi inizi in 3Gv 1 2 . A ogni modo, è chiaro che i l Presbitero non pensa di trovarsi di fronte a un problema cagionato da cristiani bene intenzionati ma in errore. Egli vede i suoi oppositori come zelanti propagatori che stanno andando da una chiesa giovannea a un'altra diffondendo la secessione tra• mite il loro falso insegnamento. Questi maestri intendono danneggiare i destinatari che il Presbitero ama « neiJa verità », cioè, ama sulla base della comune fede giovannea a riguardo di Cristo (2Gv l ). Essi lo possono fare solo se vengono ricevuti nella chiesa domestica parlando ai desti� mitari riuniti e anche ricevendo da loro il sostegno per andare in un'altra chiesa (3Gv 6b ). Quindi, il « non ricevete­ lo nella casa e non salutatelo » del v. 10 non è un invito a una meschina vessazione mediante il rifiuto di conforto; è un tentativo di tenere lontano i maestri dalla chiesa 27 e di mettere ostacoli alla loro ininterrotta missione. Se riceve­ re gli inviati del Presbitero è « diventare cooperatori con la verità » (3Gv 8 ), ricevere i maestri secessionisti è parteci­ pare alle loro opere maligne (2Gv 1 1 ) e diventare coope­ ratori del l 'inganno. Dal momento che il verbo « partecipa• re » nel v. 1 1 è koinonein, salutare i maestri secessionisti 26

Di nuovo, dobbiamo ricordare che dal punto di vista degli av" versari di lGv e 2Gv è stato l'autore della lettera ad allontanarsi dalla tradizione (forse col non essere abbastanza progressista) ed essi possono avere parlato del suo allontanamento da loro. n Le chiese domestiche verranno discusse all'inizio del CoMMENTO a 3Gv, e il fatto che in quella lettera siano quasi certamente im­ plicate chiese domestiche aumenta la possibilità che la « casa ,. in 2Gv 10 si riferisca al luogo dove risiede la « signora eletta », cioè, la casa dove la chiesa si incontra ( NOTA a lOcd) .

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come altri cristiani è avere koinonia con loro; ma nel pensiero dell'autore di l Gv, per avere vita eterna si deve avere koinonia con lui e con gli altri membri della scuola giovannea ( l Gv l , 3) escludendo coloro che ne sono usciti. Koinonia con quell'autore e con i suoi altri testimoni implica koinonia « col Padre e col Figlio suo, Gesù Cri­ sto ». Koinonia con i maestri secessionisti, dice il Presbi­ tero, implica koinonia con il maligno le cui opere essi manifestano ( NOTA a 1 1 ). L'inospitalità esortata dai vv. 1 0-1 1 fa parte dello stato di guerra tra Gesù e l'Anticristo, tra lo Spirito di verità e lo spirito di inganno ( 1Gv 4, 6 ), tra le persone che appartengono a Dio e le persone che appartengono al mondo ( l Gv 4, 2.5 ; 2Gv 7 ), tra i figli di Dio e i figli del diavolo ( l Gv 3, 1 0 ) 28• Nel valutare questo atteggiamento inospitale, possiamo cominciare col discutere la sua relazione con un altro pensiero del NT. Ci sono passi del NT che patrocinano la gentilezza anche verso coloro con cui si è in disaccordo : « Se salutate soltanto i vostri fratelli, state facendo qual­ cosa di straordinario? Non fanno così anche i pagani ? » (Mt 5 , 47). Però, noi non vi troviamo l'invito a una illimi­ tata gentilezza verso precedenti cristiani o precedenti. membri di una chiesa : « Se una persona rifiuta di ascolta­ re anche la chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano » (Mt 18, 1 7 ). In l Cor 5, 4-5 , il giudizio di Paolo nei confronti di un altro cristiano con il quale è in disac­ cordo è severo : « Quando voi siete radunati insieme ... dovete consegnare quest'uomo a satana per la distruzione della sua carne, così che il suo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore ». Le lettere pastorali continuano questa tradizione : « Quanto a un uomo che sia fazioso [ hairetikos ] , dopo una o due ammonizioni, non abbiate più niente a che fare con lui » (Tt 3, 10). In Ap 2, 2, Giovanni il 28

Bonsirven, Epitres 251, pensa che nei vv. ll). l l il Presbitero stia pronunciando una scomunica contro i maestri che ingannano. Piut­ tosto, nella prospettiva giovannea il Presbitero sta attirando l'at­ tenzione sulla loro scelta di « uscire » dalla comunità e, quindi, sul rivelare ciò che essi già erano. Il Presbitero non accenna che tale resistenza ai maestri li porterà a vedere i propri errori. Pro­ babilmente, egli pensa che essi non hanno più possibilità di con­ versione di quella che ha il principe di questo mondo il quale è già stato condannato (Gv 16, 1 1 ) , poiché sono « usciti nel mon. do " che è suo.

Commento

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profeta presenta Cristo che loda l'angelo della chiesa di Efeso : « So che non puoi tollerare uomini malvagi, e che hai messo alla prova coloro che dicono di essere apostoli ma non lo sono e li hai trovati mentitori ». In un racconto riportato da Ireneo (Adv. haer. 3.3.4 ), quando Giovanni il discepolo del Signore incontrò Cerinto nei bagni di Efeso, evitò ogni contatto con questo « nemico di verità >> , proprio come Policarpo vescovo di Smirne scansò Marcio ne : « Io non ti conosco, primogenito di satana » . Ireneo commen­ ta: « Tale era il terrore degli apostoli e dei loro discepoli di avere anche comunicazione verbale con i corruttori della verità ». L'atteggiamento di evitare contatto con i fratelli che de­ viano può essere stato intensificato dalla situazione mis­ sionaria. Ospitalità a correligionari viaggiatori era un te­ ma estremamente importante tra i primi cristiani 29• Fino a un certo punto, l'atteggiamento si poteva fare risalire alla richiesta di Gesù ai suoi discepoli : « Chiunque riceve voi riceve me, e chiunque riceve me riceve colui che mi mandò » (Mt 10, 40; Mc 9, 37). Coloro che si servivano dell'attesa ospitalità per disseminare false dottrine, alla fine del I secolo divennero in molti luoghi un problema. Il come differenziarsi tra correligionari è un disagio evidente in Didache 1 1 , 1-2 : « Ogni qualvolta qualcuno viene e in­ segna a voi tutte queste cose di cui noi abbiamo parlato, ricevetelo. Ma se il maestro stesso ha deviato insegnando un'altra dottrina che contraddice queste cose, non ascolta­ telo ». Ignazio scrive agli Smirnesi ( 4, l ) : « Vi premunisco in anticipo da bestie che vengono nella forma di uomini che voi non solo non dovete ricevere ma, se possibile, nemmeno incontrare - solo pregate per loro » 30• In Ef. 29 Rm 12, 13 ; 1Tm 5, 10 ; Eb 13, 2 ; 30 Nell'incoraggiare preghiere per

1Pt 4, 9 ; Mt 10, 1 1-14. essi, Ignazio è più magnanimo dell'autore di lGv 5, 16cd, il quale scoraggia la preghiera per il peccato grave ( dei secessionisti) . In Smirn. 7, 1-2, Ignazio parla di cristiani i quali non confessano che l'eucarestia è la carne di Gesù Cristo che soffri per i nostri peccati: « � giusto stare lontano da tali persone e anche non parlare di loro in privato o in pubblico "· Egli non si allontana dalla mentalità del Presbitero il quale vuole che i suoi destinatari stiano lontano da cristiani che negano Gesù Cristo che viene nella carne, né si allontana dall'attacco di lGv contro coloro che non prestano attenzione alla morte di Gesù come riparazione per il peccato ( 1 , 7 ; 2, 2) .

2Gv

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7, l , Ignazio critica coloro « che prendono · l'abit�dine dj portare in giro il Nome con malvagia astuzia e fanno certe altre cose indegne di Dio; questi voi li dovete sfug� gire come bestie feroci » 31• Egli continua in 9, l : « Ho appreso che hanno soggiornato tra voi alcuni esterni che avevano una perversa dottrina; ma chiu�endo le vostre orecchie non avete loro permesso di seminarla tr@. voi »: Naturalmente, questo non fu un problema peculiare del cristianesimo. Trifone, il discepolo giudeo del Dialogo di Giustino (38, l ), viene rappresentato nell'atteggiamento di dire ai cristiani : « Noi avremmo dovuto obbedire ai nostri maestri quando sancirono la legge che non dovevamo avere rapporti con voi ... poiché voi. dite molte cose bla­ sfeme ». Nel mandeo Diritto Ginza 9 . 1 ( Lidzbarski, p. 224) noi leggiamo : « Mio discepolo, non porgere il saluto al profeta, né stender( gli ) la tua mano ». Una mentalità dualistica ha prodotto la direttiva in 2Gv 1 0-1 1 , ed essa aveva molti paralleli nell'antichità; ma alcu� ni commenti testimoniano la sua ripetizione attraverso i secoli. Ireneo, Adv. haer. 1 . 16.3, la rese contemporanea quando la applicò a oppositori gnostici che si erano sepa� rati dalla chiesa e avevano dato ascolto a favole : « Gio­ vanni il discepolo del Signore ha intensificato la loro condanna quando egli ci invita a non rivolgerei a loro nemmeno con una frase come .. tanti auguri" ». Con logica latina, Tertulliano (De praescriptione haereticorum 37, 1-7 : C C l , 2 1 7- 1 8 ) conclude che gli eretici non hanno diritti nella chiesa ; e nei secoli posteriori, i cristiani sono arriva� ti alla conclusione che il modo per essere sicuri che non vengano insegnate idee eretiche è di giustiziare gli eretici. E ai nostri tempi, 2Gv 10-1 1 è stata adoperata come giu­ stificazione per sbattere le porte in faccia ai testimoni di Geova e ad altri missionari che vanno di porta-in-porta. Tipico di un certo genere di commento è Plummer, Epi­ stles 1 39 , il quale riconosce che « la severità di ingiunzio­ ne [ i n 2Gv] è quasi senza un parallelo nel NT », ma poi prosegue dicendo : « La carità ha i suoi limiti : essa non deve essere fatta a un uomo in modo tale da provocare grave danno ad altri ». A coloro che nella ingiunzione di 31

In 3Gv 7, coloro che « partirono per amore de il Nome espressione per indicare i missionari .



è una

Commento

937

2Gv riconoscono i limiti dovuti al tempo, Alford repliche..: rebbe:· noi non siamo « liberi di scartare in questo modo dirette ingiunzioni etiche degli apostoli del Signore ». Dodd, Epistles 1 52, d'altra parte1 sostiene : « Analogamen­ te, noi possiamo rifiutare di accettare l'ordine del Presbi� tero come guida adeguata per un comportamento cristia­ no », poiché è « incompatibile con la portata generale del­ l'insegnamento del Nùovo Testamento ». Mentre gli esem­ pi dal NT più sopra citati tirano in ballo l'ultima parte dell'asserzione di Dodd, la prima parte è ovvia. Fiera esclusività, anche in nome della verità, normalmente sì titorce contro coloro che la praticano; e in 3Gv troviamo il Presbitero adirato quando proprio la pratica che egli patrocina nei confronti dei missionari secessionisti viene attuata contro i suoi stessi missionari. Retrospettivamen­ te; il ' Presbitero può avere ragione nel chiedersi se non sarebbe stato più saggio comportarsi con gli avversari nel modo in cui egli avrebbe voluto che essi si fossero com­ portati con lui. Stott, Epistles 2 1 3-14, tende a giustificare il Presbitero per i motivi che il problema disputato coin­ volgeva l'essenza del cristianesimo e che il Presbitero possedeva la verità. Il problema è che nella storia della chiesa quasi ogni disputa è stata considerata da una delle parti come implicante una questione essenziale, e che quasi ogni drastica azione è stata giustificata in quanto fatta per amore della verità. L'interrogativo di Dodd tocca il vero problema : « Ha la verità maggior successo se non siamo già in buoni rapporti con coloro la cui concezione della verità differisce dalla nostra "'" per quanto disastro­ so il loro errore possa essere » ?

E. Promessa di una visita,

chiusura del corpo della lettera (v. 1 2)

Tra le classiche caratteristiche concernenti la chiusura del corpo della lettera greco-romana (Appendice V C) vi erano una asserzione riguardante lo scrivere la lettera e un proposito di ulteriore contatto tramite una visita. Il carat­ tere stereotipo di tali caratteristiche deve essere tenuto presente quando analizziamo in che modo il Presbitero chiude il corpo di questa lettera.

938

ZGv

Molti commentatori hanno inte rp re tato : « Ho molto di più da s crive rv i » ( 1 2a) come se ciò contenesse una chiave per l 'origine di questa lettera e per l 'i nte rdipendenza della corrispondenza giovannea. Ci si è chiesti : perché il Pre• sbitero non ha scritto di più ? Se 1Gv era stata scritta prima, perché egli non ha allegato una copia di essa a 2Gv, così da supplire al « molto di più » che egli voleva scrivere ? O aveva il pubblico già ricevuto 1 Gv, nel qual caso appare problematico che cosa poteva ancora essere detto ? Potrebbe essere che il Presbitero non abbia avuto la possibilità di fare la prevista visita ed è stato costretto a scrivere l Gv dopo 2Gv 32, così che 1Gv è diventato il « molto di più » che egli voleva scrivere ? (Si veda Houl­ den, Epistles 140). Il « molto di più » riguardava argomen­ ti confidenziali che egli non ha voluto menzionare in una lettera pubblica a una chiesa; ad es. , argomenti che ri­ chiederebbero la menzione di nomi (si veda Schnacken­ burg, Johannesbriefe 3 1 8 ) ? Mentre concedo che il Presbi­ tero sicuramente aveva da scrivere più di quello che ha potuto scrivere, affermo che la proposizione riguardo allo scrivere di più in 12a è virtualmente i nsignificant e ; e la sua presenza in 3Gv 13 mostra che essa era per lo scritto­ re semplicemente un modo per finire una lettera una volta giunto vicino al fondo di un foglio di papiro ( INTRODUZIONE II Al ). Anche oggi, una tale proposizione può avere una funzione di ripiego per portare una lettera a una rapid a conclusione. Pertanto, il v. 12a non ci dice nulla riguardo al rispettivo ordine delle lettere giovannee. Esso rafforza semplicemente l'informazione ottenuta dal v. 10 che i maestri secessionisti non sono ancora giu nt i nella chiesa a cui si rivolge ed essa non è ancora divisa, così che una parola di avvertimento che giunge in tempo può allonta­ nare il bisogno di una maggiore polemica . « Ho molto d i più da scrivervi » è una formulazione propria del Presbi­ tero della riflessione sul motivo dello scritto che conclude molte lettere greco-romane. La particolare espressione « molto di più » ( polla ) può essere stata influenzata dal l2 In lGv, non c'è promessa di una visita e ciò viene proposto come prova di questa teoria. Tali teorie poggiano su supposizioni non provate, ad es., che lGv sia una lettera, o che sia coinvolto lo stesso pubblico.

Commento

939

documento della comunità giovannea che godeva la mas­ sima autorità, poiché originariamente il vangelo di Gv terminava con queste parole : « Gesù compì pure molti altri [polla:] segni alla presenza dei suoi discepoli, segni non registratì in questo libro » . Alcuni commentatori hanno pure speculato sull'in forma­ zione che si trova nel v. 12bc: « Spero di venire da voi e avere una conversazione fatta col cuore in mano >>. Perché il Presbitero scriveva se intendeva fare una visita? Era il pericolo di falsi maestri così imminente da dover salva� guardare i beneficiari durante l'intervallo precedente il suo arrivo ? Si trattava del fatto che egli non voleva appa� rire arrogante istruendoli da lontano e così ha raddolcito la sua missiva promettendo di venire e « dialogare >> con loro ? Dal momento che in 3Gv c'è una simile promessa rivolta a una diversa situazione della chiesa, stava il Pre� sbitero progettando di visitare ambedue i luoghi durante lo stesso viaggio, ed erano queste chiese giovannee nella stessa indefinita regione ? Mentre non nego tali possibilità, io insister.ei dì nuovo che non si dovrebbe leggere troppo in una espressione che è piuttosto standard nelle lettere del tempo (e da allora in poi ). Il fatto che essa ricorra alla fine sia di 2Gv che di 3Gv 33 suggerisce che essa può essere stata parte dello stile normale per il Presbitero che scrive a chiese lontane. Questo non significa che il Presbite­ ro sia insincero nella sua speranza di visitare i destinatari, non più di quanto uno scrittore di una lettera moderna è insincero terminando una lettera con l'osservazione : « Spero di rivederti presto )). Possiamo avere a che fare con una velleità piuttosto che con un preciso piano ri� guardo al quando e al come di una visita, proprio come nel precedente paragrafo abbiamo visto che non c'è bi­ sogno che il Presbitero abbia avuto una precisa idea su cosa e quanto ancora volesse scrivere. Si può obiettare che una progettata visita non può essere stata così inde33

Bultmann, Epistles 1 15, sospetta che 2Gv 12 sia stato copiato da 3Gv 13-14, così che l'imitazione spiega la somiglianza delle due chiusure del corpo. Questa teoria non spiega le differenze minori (che successivi scrivani appianarono, illustrando l'istinto del vero copista) , specialmente quando il greco della proposizione di 2Gv è ancora più goffo di quello del passo di 3Gv ( si vedano NOTE al v. 12) .

940

2Gv

terminata, . poiché in 3Gv almeno il Presbitero ne parla anche precedentemente nel corpo della lettera ( dove essa potrebbe non essere semplicemente una caratteristica ste• reotipa della forma) : « Se verrò, rinfaccerò [a Diotrefe] ciò che va facendo nel diffondere maligne assurdità riguardo a noi » (v. 1 0 ). Ma, il linguaggio condizionale in cui viene collocata quella asserzione riafferma che la speranza « di venire a [o vedere] voi » in 2Gv 12 e 3Gv 1 4 non è ben precisa. Il contatto mediante lettera è stato fatto per paura che la speranza della visita non si realizzi per niente 34• La maggior parte dei commentatori non vede nulla di teologico nell'espressione « spero » che, quindi, S(lrebbe diversa dalla speranza di vedere Dio in l Gv 3, 2-3 fondata su Dio stesso. Ma qui, il parallelismo con altre lettere del NT ci rende prudenti. In l Cor 16, 7, la speranza che Paolo ha di visitare e di rimanere è « se il Signore permette » ; . e in lTs 2, 1 7-1 8 il desiderio che Paolo ha di visitare e di vedere la chiesa è stato ripetutamente fru­ strato perché « satana ce lo impedì » . Nella dualistica concezione giovannea del mondo, anche le più semplici speranze probabilmente venivano considerate dipendenti dalla lotta tra lo Spirito di verità e lo spirito d'inganno. Nel v. 1 2a, il Presbitero parla dello scopo della visita sperata : « Così che la nostra gioia possa essere completa­ ta ». Il completamento della gioia è un comune tema giovanneo ( NOTA a l Gv l , 4b ); ma in 2Gv, come parte della chiusura del corpo, costituisce una inclusione con l'inizio del corpo che si trova nel v. 4. Là, il Presbitero ha scritto : « Diede a me molta gioia trovare alcuni tuoi figli che camminano nella verità >>. Il suo scopo nel corpo della lettera (incorniciato da apertura e chiusura ) è stato di tenere i destinatari uniti insieme in mutuo amore e in una corretta confessione di Gesù Cristo - un amore e una fede che li porterà alla loro piena ricompensa. Se il Pre­ sbitero li visiterà e sarà ricevuto bene, sarà perché l'anti­ cipato furioso assalto di maestri anticristi non li ha sviati ( ingannati ) dalla verità. Ciò sarà veramente il completa­ mento della gioia che egli ha fin qui sperimentato nella 34

Altamente problematica è la speculazione che il Presbitero foss� incerto riguardo ai suoi progetti di visita a motivo della condizione della chiesa giovannea in cui viveva, ormai lacerata dalla seces­ sione.

Bibli o grafia

941

sua relazione con la « signora eletta e i suoi figli ». In lGv l, 4, il completamento della gioia è stato fondato sull'esse­ re i lettori uniti in koinonia ( « comunione ») con la scuola

giovannea di testimoni ( « noi soggetto/oggetto » ) e, quindi, col Padre e col Figlio. In 2Gv, una visita amichevole del Presbitero alla « signora eletta » avverrà se saranno stati conservati la koinonia e l'amore tra « coloro che sono venuti a conoscenza della verità » (v. le).

F. Formula di conclusione

(v. 1 3)

Delle tre tipiche caratteristiche che costituivano la formu· la di conclusione di una lettera nel periodo romano (Ap· pendice V D ), un'espressione di saluti (aspazesthai ) è l'u· nica che appare regolarmente nelle lettere del NT. Fre· quentemente, Paolo unisce ai suoi propri saluti quelli di menzionati cooperatori. Né in 2Gv né in 3Gv, il Presbitero manda i suoi saluti; egli manda piuttosto quelli dei cri­ stiani giovannei dell'area dove egli abita. (Questo può riflettere la koinonia che fonda la sua comprensione di unità in Cristo ). Nella formula di apertura di 2Gv, i desti· natari sono figli della « signora eletta », e nella formula di conclusione i saluti provengono dai figli della sua sorella eletta. Questo costituisce una inclusione che drammatizza la relazione familiare tra credenti, il cui stato di figli deriva in ultima analisi dal loro essere generati da Dio (Gv l , 1 2-1 3 ).

B IBLIOGRAFIA RIGUARDANTE 2Gv

( Vedi anche la Bibliografia dell'Appendice V sulla forma epi­ stolare) Bacon B . W., « Marcion, Papias, and 'The Elders' », JTS 23 ( 1922) 134-60, a proposito del « Presbitero » in 2Gv, l e in 3Gv, l . Bartlet V., « The Historical Setting o f the Second and Third Epistles of St. John », JTS 6 ( 1905) 204-16. Bergmeier R., « Verfasserproblem ».

942

2Gv

Bornkamm G., « Presbys, presbiteros ... », TDNT 6, 670-72, a proposito del c Presbitero » in 2Gv, 1 e in 3Gv, 1. Bresky Bennona, Das Verhiiltnis des zweiten Johannesbriefes zum dritten (Miinster: Aschendorff , 1906). Chapman J., « The Historical Setting of the Second and Third Epistles of St. John », JTS 5 ( 1904) 357-68, 517-34. DOlger F. J., « Domina Mater Ecclesia und die 'Herrin' im zweiten Johannesbrief », in Antike und Christentum (6 voli.; Miinster: Aschendorff, 1929-50) 5 ( 1936) 21 1-17. Donfried K. P., « Ecclesiastical Autority in 2-3 John », in L'E­ vangile de Jean, ed. M. de Jonge (BETL 44; Gembloux: Duculot, 1977) 325-33. Funk R. W., « The Form and Structure of II and III John », JBL 86 ( 1967 ) 424-30. Gibbins H. J., « The Problem of the Second Epistle of St. John », The Expositor, sesta serie, 12 ( 1905) 412-24. - « The Second Epistle of St. John », The Expositor, sesta se­ rie, 6 ( 1902) 228-36. Harris J. R., « The Problem of the Address in the Second Epistle of John », The Expositor, 6a serie, 3 ( 1901 ) 194-203 . Kasemann E., « Ketzer und Zeuge: Zum johanneischen Verfasserproblem » , ZTK 48 ( 1951 ) 292-3 1 1. Citato secondo la ristampa in Exegetische Versuche und Besinnungen (2 voli.: Gottingen : Vandenhoeck und Ruprecht, 1960) l , 168-87. Marty J., « Contribution à l'étude des problèmes johanniques: Les petites épitres 'II et III Jean' », Revue de l'Histoire des Religions 91 ( 1925) 200- 1 1 . Munck J . , « Presbyters and Disciples o f the Lord i n Papias », HTR 52 ( 1959) 223-43, a proposito del « Presbitero » in 2Gv, 1 e in 3Gv, l . Polhill J. B., « An Analysis of I I and III John », RevExp 67 ( 1970) 461-7 1 . Ramsay W . M., « Note o n the Date o f Second John » , parte dello « Historical Commentary on the Epistles to the Corin­ thians », The Expositor, 6a serie 3 ( 1901 ) 354-56. Schepens P., « 'Joannes in epistula sua' ( San Cipriano, pas­ sim ) », RSR 1 1 ( 192 1 ) 87-89. Schnackenburg R. « Zum Begriff der 'Wahrheit' in den beiden kleinen Johannesbriefen », BZ 1 1 ( 1967) 253-58. van Unnik W.C., « The Authority of the Presbyters in Irenaeus' Works », in God's Christ and His People, ed. J. Jervell e W. A. Meeks (N. A. Dahl Festschrift; Osio : Universitet, 1977) 248-60. Wendt H. H., « Beziehung ». - « Zum zweiten und dritten Johannesbrief », ZNW 23 ( 1924) 18-27.

LA TERZA LETTERA DI G IOVAN N I Una lettera del Presbitero a Gaio con cui sollecita la sua ininterrotta ospitalità ai missionari (e a Demetrio in particolare) - un'ospitalità ora tanto più importante perché Diotrefe l'ha rifiutata nella chiesa che lui presiede.

Xlii. la terza lettera

di Giovanni

FORMULA DI APERTURA :

Mittente : 1Il Presbitero, Destinatario : al diletto Gaio,

b nella verità io ti amo.

Augurio di salute: 2Diletto, spero tu sia in buona salute e così ti vada bene sotto ogni altro aspetto spirituale.

b

come in quello

CORPO DELLA LETTERA :

3lnfatti mi diede molta giOia avere i fratelli che vengono e testimoniano la tua verità b come è esemplificato dal tuo modo di camminare nella verità. 4Niente dà a me una gioia più grande dell'udire che i miei figli stanno cam­ minando nella verità. 5Diletto, tu dimostri fedeltà in tutto il lavoro che fai per i fratelli, b anche se sono forestieri. 6Infatti, essi hanno testimoniato il tuo amore davanti alla chiesa; b e farai buona cosa aiutandoli a continuare il loro viaggio in un modo degno di Dio. 7Poiché fu per amore de « il Nome » che essi partirono, b e non hanno accettato nulla dai pa­ gani. 8Pertanto, da parte nostra bisogna che noi sostenia­ mo questi uomini, b diventando così cooperatori con la verità. 9Ho scritto alcune cose alla chiesa; b ma Diotrefe, che de­ sidera essere primo tra loro, non presta attenzione a noi . 10Pertanto, se verrò, b rinfaccerò ciò che sta facendo nel dif-

946

3Gv

fondere maligne assurdità riguardo a noi. e Ed egli non è contento di ciò! d Lui stesso rifiuta di accogliere i fratelli, e e in più ostacola coloro che vogliono fare così f e li espelle dalla chiesa. 11Diletto, non imitare ciò che è c a t t ivo ma ciò che è buono. b Chiunque fa ciò che è buono appartiene a Dio; a chiun­ que fa ciò che è cattivo non ha mai visto Dio. 12Demetrio, ha una testimonianza da tutti b anche dalla verità stessa. c Anche noi diamo il nostro testimoniale d e tu sai che la nostra testimonianza è vera. 13Io avevo molto di più da scriverti, b ma non voglio scri­ vertelo con penna e inchiostro. 14Piuttosto, spero di vederti presto, b e poter avere una conversazione fatta col cuore in mano. FORMULA DI CONCLUSIONE :

15Pace a te. b Qui i diletti ti mandano i saluti; i diletti per nome.

c

saluta ivi

NOTE

la. Il Presbitero. Si veda NoTA a 2Gv la. al diletto. La tentazione di tradurre con « al mio caro [Gaio] »

deve essere respinta, poiché l'incolore « caro » del linguaggio epistolare non rende giustizia al valore di agapetos,-Uno dei tipici modi del NT per rivolgersi ad altri cristiani. Paragonabi­ li ai 6 esempi di questo indirizzo in lGv sono i 4 esempi in 3Gv. Qui, è unito a un nome personale (come in Rm 16, 5.8.9.12), mentre nei tre indirizzi diretti dei vv. 2.5. 1 1 esso sta da solo (si veda Gd 3; l Pt 2, 1 1 ; 4, 12). Come abbiamo visto nella NOTA a lGv 2, 7a, Gesù è il « diletto » di Dio per eccellen­ za e, tramite lui, i cristiani sono i diletti di Dio. La logica del perché i cristiani adoperino questo indirizzo l'un per l'altro viene riassunta in lGv 4, 1 1 : « Diletti, se Dio amò noi cosi, bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro ». Gaio. Dalla lettera non risulta chiaro (si veda CoMMENTO) se Gaio frequentasse la chiesa domestica di cui Diotrefe era il capo ( v. 9), o appartenesse, come capo o come membro, a un'altra chiesa domestica nella stessa indefinita regione. Noi non conosciamo niente di certo di lui a parte quello che si può

Note

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ricostruire da questa lettera. Dubbia è la tradizione trovata nelle Costituzioni apostoliche (7.46.9; Funk l , 454), datate nel 370 d.C. circa, che Giovanni ordinò Gaio vescovo di Pergamo dubbia per il motivo che essa suppone che il Presbitero fosse Giovanni l'apostolo, che nel tardo I secolo ci fosse una regolare pratica di ordinazione all'episcopato e, anzi, che in questo periodo esistesse un solo tipo di vescovo nel cristianesimo giovanneo. ( Findlay, Fellowship 306-7, adopera questa iden­ tificazione per sostenere che 2Gv e 3 Gv vennero inviate a Pergamo). Il nome Gaio o Caio (il prenome di Giulio Cesare) era molto comune nell'impero romano, e fu portato da altri due o tre cristiani menzionati nel NT : (a) Gaio, abitante a Corinto, che Paolo battezzò durante la sua permanenza là all'inizio degli anni 50 ( lCor 1 , 14) e che nell'anno 58 ospitò Paolo durante la sua visita a Corinto ( Rm 16, 23 ): « Gaio che mi ospita e tutta la chiesa ». Origene, Commentario a Romani 10.41 ( PG 14, 1289C ) ci riferisce una tradizione secondo cui egli divenne il primo vescovo di Tessalonica. (b) Un Gaio macedone che fu compagno di viaggio di Paolo e che nell'anno 56 venne coinvolto in una sommossa a Efeso (At 19, 29 ) per le statue di Artemide. (c) Un compagno di Paolo durante il ritorno a Geru­ salemme da Corinto (A t 20, 4 ) alla fine de 'il terzo viaggio missionario' nella primavera del 58. Egli venne chiamato Gaio derbese; e se l'aggettivo significa che egli è di Derbe, lo si deve tenere distinto dalle altre due persone con lo stesso nome. La verosimiglianza che il Gaio a cui ci si rivolge in 3Gv debba essere identificato con qualcuno di questi compagni di Paolo è molto scarsa 1b. nella verità io ti amo. Alla lettera: « Che io amo nella verità », proprio come in 2Gv 1b ( si veda NoTA ivi), sebbene 3Gv non estenda questa proposizione come fa 2Gv. � probabi­ le che « nella verità » (anartrico) sia qui teologico come lo è stato là e, quindi, non sia semplicemente equivalente all'avver­ bio « veramente ». Credere in Cristo, che è la verità, rende uno figlio di Dio e costituisce la base dell'amore. La somiglianza con 2Gv rende problematica l'ipotesi di leggere in 3Gv 1 un velato riferimento al Diotrefe del v. 9: « Io ti amo anche se Diotrefe non lo fa »; o: « Io amo te piuttosto che Diotrefe ». 2a. Diletto. Questo indirizzo verrà ripetuto nei vv. 5.1 1 ; si veda NOTA a 1Gv 2, 7a. spero tu sia in buona salute e così ti vada bene sotto ogni altro aspetto. Alla lettera : « A riguardo [peri] di tutte le cose spero [euchesthai] che ti vada bene [eudousthai] e tu sia in buona

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3Gv

salute [hyghiainein] ». Alcuni vogliono leggere pro al posto di peri nell'espressione iniziale, quindi, « sopra tutto spero », u­ n'espressione molto comune nelle lettere secolari ( MGNTG 3, 270; BDF 2292). Comunque, non c'è sostegno testuale per la lettura pro, e l'espressione peri non può essere interpretata come « sopra tutto ». Accettando peri, Breisky, Verhaltnis 26, suggerisce che panti5n sia maschile, e l'espressione significhi « su tutto ». BAG 650 (BAGD 644 ) le, ha maggiore seguito nell'interpretare peri pan ti5n come « sotto tutti gli aspetti », una espressione che si deve legare con l'infinito « andare be­ ne », piuttosto che con il verbo principale « spero ». Euchesthai è un verbo adoperato nelle lettere secolari per esprimere l'augurio o la speranza dell'autore per il benessere del beneficiario ( più avanti, Appendice V A). Può pure si­ gnificare « pregare » ( sebbene in questo senso sia più comune proseuchesthai), ma allora esso è normalmente seguito da una espressione chiarificatrice; ad es., « Dio ». Forse è possibile venire a un compromesso tra « augurare >> e « pregare », come fa Chaine, EpUres 252 : « Un augurio che è allo stesso tempo di gentilezza e di ispirazione religiosa » (la traduzione inglese « io prego >> sarebbe equivalente a « io auguro » ) . B. Weiss, Briefe 185, è troppo forte quando paragona l'euchesthai di qui all'eu­ che di Gc 5, 15: « La preghiera fatta con fede salverà il malato ». Nelle lettere secolari, l'uso del verbo come un gentile augurio di buona salute significa che i destinatari di una lettera del NT l'interpreterebbero allo stesso modo se non ci fosse una indi­ cazione contestuale di intento più profondo, qui assente. Eudousthai, « andare bene, prosperare nella propria via », è comune nei LXX e nei papiri. Altrove nel NT, si trova all'inizio di Rm ( 1 , 10) e alla fine di l Cor ( 16, 2). Bartlett, « Historical Setting » 215, fa l'incontrollabile proposta che il verbo rappre­ senti un gioco basato sul nome Euodio ( forma maschile di un nome che si trova in Fil 4, 2), il nome portato dal predecessore di Ignazio ad Antiochia, cosi che 3Gv diventa la chiave per come Gaio Euodio divenne vescovo di Antiochia ! Hyghiainein, « essere in buona salute, essere sano », è regolar­ mente impiegato verso la fine della formula di apertura nella forma epistolare in riferimento alla salute fisica. Nelle pastora­ li paoline ( lTm l, 10; 6, 3; Tt l, 9.13; 2, 1 ) , è adoperato per « sano >> insegnamento o « sane » parole, o per essere saldo nella fede. 2b. come in quello spirituale. Alla lettera: « Proprio come [ ka­ thi5s ] la tua psyche va bene [euodousthai] ». Inevitabilmente, c'è una tendenza a interpretare la speranza o l'augurio del Presbite­ ro in 2a e in 2b in termini di salute del corpo (soma) e dell'ani-

Note

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ma (psyche) come le fondamentali componenti umane. Spesso, si trova un parallelo in Filone, Chi è l'erede 58 # 285 : se un uomo verrà « nutrito con pace, egli morirà, avendo raggiunto una vita calma, serena ... benessere nel corpo, benessere nell'a­ nima [psiche] ... salute [ hygheia] e forza ... gioia nelle virtù », Alcuni passi del NT menzionano anima e corpo; ad es., Mt 10, 28 : « Non abbiate timore di coloro che uccidono il soma ma non possono uccidere la psyche »; pure Ap 18, 13. Comunque, 6 dei 10 usi del vangelo di Gv di psyche e ambedue gli usi di 1Gv (NorA a 3, 16b ) non si riferiscono ad « anima », ma a « vita )) - una vita che si può dare, differenziata da zoe, « vita eterna »; ad es., Gv 12, 25: « La persona che ama la sua psyche la distrugge, mentre la persona che odia la sua psyche in questo mondo, la preserverà per la vita eterna [ zoe] ». ( Cfr. Mc 8, 35 : « Chiunque vuole salvare la sua psyche la perderà; ma chiunque perde la sua psyche per amore mio e per il vangelo la salverà » ). Gli altri due impieghi del vangelo di Gv ( 10, 24; 12, 27 ) mostrano la psyche come capace di sentimento, cioè, capace di stati di sospensione o di turbamento. Pertanto, possiamo dire che per gli scrittori giovannei psyche rappresen­ ta l'aspetto sensibile e più prezioso dell'esistenza umana, un aspetto umano piuttosto che divino. Il fatto che Gaio è « nella verità » (v. lb) riguarda la sua vita eterna, ma ora il Presbitero sta riferendosi al benessere su un altro piano. Ci sono altri membri della chiesa che sono « nella verità »; ma Gaio se ne è distinto, come vedremo, per la sua fedeltà ai fratelli anche se essi sono forestieri. Tale generosità e dignità sono segni di uno spirito nobile. L'unire salute fisica e spirituale nell'augurio del Presbitero in 3Gv 2 è qualcosa di più di una fantasiosa presunzione. Ad es., Gc 5, 13-16 suppone una relazione tra malattia e peccato, così che la guarigione del malato è collegata al perdono dei suoi peccati, e lCor 1 1 , 29-30 attribuisce la malattia fisica alla rice­ zione indegna dell'eucarestia. L'impiego che il Presbitero fa di kathos in questo confronto è significativo, poiché la congiunzio­ ne è stata frequentemente adoperata nelle lettere per introdur­ re come base di confronto o il comportamento di Gesù o la rivelazione di Dio (III nella NoTA a 2, 6bc). 3a. Infatti mi diede molta gioia. Questo è lo stesso greco che si trova in 2Gv 4a con l'aggiunta qui di un gar, « poiché, infatti ». (Alcuni scrivani resero perfetto il parallelismo !asciandolo ca­ dere, come nel codice sinaitico e in alcune testimonianze latine, copte, etiopiche e armene). Pertanto, il Presbitero collega il benessere spirituale di Gaio ( v. 2b) al fatto che all'unanimità si racconta che egli sta camminando nella verità. lPt l, 22 costi-

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3Gv

tuisce un interessante parallelo nell'unire psyche a aletheia : « Avendo purificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità fino al punto di un sincero amore per i fratelli ». Tutte tre le lettere giovannee menzionano « gioia » nei versi iniziali (NOTA a lGv l , 4b). vedere i fratelli che vengono e testimoniano. Alla lettera : « Mentre i fratelli stanno venendo ... », una costruzione con il genitivo assoluto. Il tempo pres. del part. può implicare che si intenda più di una occasione. Il Presbitero, quindi, sarebbe una persona la quale era abituata a ricevere cristiani viaggia­ tori e i loro resoconti di viaggio. Gaio avrebbe dimostrato ospitalità per un periodo di tempo e non semplicemente in questa emergenza quando Diotrefe ha rifiutato di essere ospita­ le. Il primo verbo suggerisce che i fratelli si sono recati dal Presbitero provenienti da una chiesa lontana, cioè, dalla chiesa in cui Gaio vive. Chi sono questi « fratelli » che sono venuti ? lGv adopera frequentemente « fratello » per descrivere un al­ tro cristiano come distinto da un secessionista (si veda NoTA a lGv 2, 8b ). Un'ulteriore identificazione dipende dal fatto se i fratelli di questo verso si devono identificare con i fratelli del v. 5 che per Gaio sono forestieri ( Harnack, « Ober » 9, nega che essi siano necessariamente gli stessi; tuttavia, le probabilità favoriscono l'identificazione in una tale breve lettera). Quella identificazione significherebbe che i « fratelli » non provenivano dall'area di Gaio che è la stessa di quella in cui Diotrefe esercitava supremazia o si trovava vicino a essa. Ci sono per lo meno due possibili spiegazioni per questa situazione. Prima, i fratelli possono essere composti esclusivamente di cristiani giovannei della stessa area del Presbitero i quali sono andati nell'area di Gaio e sono stati da lui ricevuti con ospitalità e ora sono ritornati dal Presbitero con il loro resoconto. Seconda, i fratelli possono comprendere cristiani giovannei da varie aree distanti da Gaio (inclusa l'area del Presbitero ). Tali cristiani giovannei viaggiatori sarebbero stati ricevuti da Gaio e poi sarebbero andati nella chiesa del Presbitero. L'identificazione dei fratelli del v. 3 con quelli del vv. 5-8 rende probabile che il termine includesse missionari i quali « partirono per amore de 'il Nome' ». Una ulteriore parziale identificazione con i fratelli dei vv. 9-10 indicherebbe che essi includevano missionari i quali, essendo stati mandati dal Presbitero, andarono prima da Diotrefe e non ricevettero da lui ospitalità a motivo del loro rapporto col Presbitero. In questo caso, l'ospitalità di Gaio li soccorse dall'inospitabilità di Diotrefe, e sono serviti da pre­ cursori di Demetrio del v. 12 il quale a quanto sembra ora andrà direttamente dal Presbitero a Gaio. Molta congettura è

Note

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implicita, ma considero questa seconda interpretazione come la più probabile (si veda CoMMENTO). 3ab. testimoniano la tua verità come è esemplificato dal tuo modo di camminare nella verità. Alla lettera: « Testimonianti la verità di te proprio come [ kathos] tu cammini in verità •. MGNTG 3, 177-78 trova l'impiego dell'articolo davanti al primo esempio di « verità ,. inspiegabile con le regole dell'anafora (cioè, l'articolo non viene normalmente adoperato quando sta per essere introdotto un argomento). Comunque, « verità ,. è già stata menzionata senza articolo nel v. 1b ( « nella verità • ) . Pure in 2Gv ci sono stati 2 esempi anartrici di «nella verità» nei vv. 1 .3 accanto ad un uso artrico di a: verità •· Più importante è la questione di ciò che significa la « tua verità •. B. Weiss, Briefe 186, suggerisce che il Presbitero avesse precedentemente udito una critica di Gaio ( forse da sostenitori di Diotrefe, menzionato nel v. 9), ma ora egli ha trovato testimoni per testimoniare la verità di Gaio ( la « tua verità » ) o la sua orto­ dossia. Ma una più semplice controparte al pronome « tu » nel v. 3 è il pronome « io • nel v. 1b (Schnackenburg), e non c'è bisogno di postulare un netto contrasto con Diotrefe prima che sia menzionato. Quanto a a: verità •, ne abbiamo visto nelle lettere un uso cristologico ( lGv 2, 21-23; 4, 2.6; 5, 10.20; 2Gv 7 ) come anche un principio d i comportamento ( l Gv 1, 6; 2 , 4 ; 3 , 18-19; 4 , 20). Mentre i l Presbitero non parlerebbe della verità di Gaio se Gaio non avesse una corretta cristologia, noi vedremo che non vi è prova che Diotrefe avesse una falsa cristologia. Di conseguenza, se c'è qualche elemento di anticipato contrasto con Diotrefe in riferimento a Gaio ( v. 3 ) che cammina nella verità, quell'elemento implica il suo comportamento nei confronti dei fratelli, infatti egli mostra loro amore e Diotrefe no. lo condivi­ do questa concezione con Bultmann, Marshall, Schnackenburg e Westcott e, pertanto, non sono d'accordo con Bergmeier, Bon­ sirven, Brooke e Biichsel i quali pensano che il problema principale sia la posizione dottrinale di Gaio. Una conferma per questa interpretazione si troverà nel v. 5, dove un'azione fatta per i fratelli illustra l'espressione a: cammini in verità » nel v. 4. Se la verità di Gaio (v. 3a) è illustrata dal suo comportamento ospitale, qual è la forza di kathos nel v. 3b? Bultmann, Epistles 98, sostiene una forza comparativa: a: Come infatti tu cammini nella verità ». Ma non è chiaro che cosa venga confrontato dal momento che sia la proposizione principale che la subordinata riguardano Gaio. Può essere la verità di Gaio confrontata con il suo camminare nella verità? (Un kathos comparativo non è qui cosi chiaro come il kathos in 1Gv 2, 6 : « La persona ...

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bisogna che essa stessa cammini proprio come Cristo cammi­ nò » ). Una spiegazione più semplice è che, invece di essere un comparativo, ka thos significhi qui « al punto che » o « come esemplificato dal fatto . che ». ( Si deve lasciare aperta la com­ plementare possibilità .che questo sia un esempio di kathos che introduce un discorso indiretto : THU 150; BDF 4532 ; BAG 3925; BAGD 3915). Le parole che seguono kqthos sarebbero, quindi, l'asserzione propria del Presbitero: « Stai camminando nella verità », un rafforzamento delle identiche parole dei fra­ telli: « Sta camminando nella verità », BDF 396 mostra che un particolare aspetto di hos, una variante di kathos, è che esso ci dice non soltanto « che » ma . « come ». Qui, una tale enfasi significherebbe che i fratelli hanno detto al Presbitero non solo che Gaio stava camminando nella verità, ma come egli stava facendo questo.

4. Niente dà a me una gioia, più grande dell'udire che i miei figli stanno camminando nella verità. Alla lettera : « Più grande [meizoteros ] di queste cose io non ho gioia [chara ] che [hina ] io odo ... ». Meizoteros è un doppio comparativo ellenistico [ « maggiormente più grande »], una forma sviluppatasi quando il normale meiz6n perse la sua forza (MGNTG l, 236), così che si formò un comparativo del comparativo. Quanto a significato implicito, il minimo che sì possa dire è che il Presbitero si sta dimostrando enfatico. Uno stretto parallelo sintattico a questa frase è Gv 15, 13 se tradotto alla lettera: « Più grande [meizon] di questo nessuno ha amore che [hina] qualcuno dia la sua vita per i suoi diletti ». Parallelo in vocabolario e idea è 2Gv 4 : « Diede a m e molta gioia trovare alcuni tuoi figli che cammi­ nano nella verità ». Nel presente passo, il codice vaticano, la boharica e alcune testimonianze latine leggono charis, « gra­ zia », al posto di chara, « gioia »; e Chaine, Epitres 253 , opta per « una grazia non più grande » come la lettura meno banale. Comunque, « grazia » può essere stata introdotta da scrivani che cercavano varietà evitando due riferimenti di fila a « gioia » (vv. 3.4) e furono influenzati dall'uso che Paolo fa di charis all'inizio delle lettere (Rm l, 5; Fil l , 2; lCor l, 3; ecc.). La menzione di « gioia » come inizio del corpo di una lettera è classica ; essa si trova in 2Gv 4, e qui sembra la lettura più plausibile. La proposizione hina è epesegetica di « queste cose » nella proposizione principale, ma il dimostrativo pl. che antecede è insolito - testimone il dimostrativo sing. che antecede in Gv 15, 13 citato più sòpra. Alcl:mi suggeriscono che esso rifletta i plurimi resoconti impliciti nel v. 3, altri che ci può essere un contenuto di scopo neJl'hina ( Harnack, « Ober » 8; rifiutato da

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B. Weiss, Briefe 187 ) così che la proposizione non è completa­ mente epesegetica. Più semplicemente, possiamo trovarci di fronte a insignificanti stravaganze della grammatica giovannea. « Miei figli » adopera il plurale di teknon ( NoTA a 1Gv 2, la) con l'aggettivo possessivo. Alcuni troverebbero questo ultimo enfa­ tico, che significa « miei stessi » ( si veda MGNTG 3, 191 ) e adoperato per distinguere i convertiti del Presbitero o partico­ lari amid da altri che non lo sono (B. Weiss). Comunque, non si deve esagerare nel tradurre l'aggettivo possessivo · di prima persona singolare che è così frequente nello stile giovanneo { oltre la metà di tutto l'uso del NT ); esso può essere semplice­ mente il modo greco ordinario di dire « mio » in quella regio­ ne ( BDF 285 : « Koine dell'Asia Minore? »). Mentre 2Gv 1 .4 (cfr. 2Gv 13) si riferisce ai destinatari come figli della « signora eletta » (cioè, della chiesa), 3Gv si riferisce al destinatario come a uno dei « miei figlf ». In analogia all'impiego che Paolo fa di figlio/figli in Gal 4, 19 e Fm 10, alcuni hanno suggerito che Gaio fosse uno dei convertiti del Presbitero; ma dal v. 3 si ha l'impressione che il Presbitero non abbia mai incontrato Gaio e dipenda da informazioni di seconda mano. Inoltre, sebbene Paolo possa scrivere : « Figli miei ... vi generai tramite il vange­ lo » ( 1Cor 4, 14-15), nel pensiero giovanneo è Dio che genera i cristiani come suoi figli ( Gv l , 13; 3, 3.5) e non un predicatore umano. Con ogni probabilità, nell'adòperare il termine « miei figli >> (pl. dì teknon ), il Presbitero sta riferendosi a cristiani con i quali egli è unito in koinonia e dai quali egli si attende rispetto come latore della tradizione giovannea. :E. incerto per­ ché 1Gv adoperi teknion ( « figliolo ») al plurale esattamente con la stessa connotazione del teknon di 3Gv, specialmente se le due opere hanno avuto lo stesso autore. Una proposta è che egli adoperi il diminutivo in 1Gv, che è indirizzato a quelli con cui vive, e il termine più formale in 3Gv in riferimento a coloro che sono lontani. Di nuovo, ritengo più probabile che ci troviamo di fronte a una variante insignificante di stile giovan­ neo. Il Presbitero è venuto a sapere che i « miei figli stanno cam­ minando nella verità », una costruzione participiale simile a quella trovata in 2Gv 4 ( « trovare alcuni tuoi figli che cam­ minano nella verità » ). Comunque, qui per eccezione, un ar­ ticolo determinativo è adoperato nell'espressione « nella veri­ tà », mentre esso è stato assente nei cinque precedenti esempi epistolari (2Gv 1 .3.4; 3Gv 1 .3) come pure in Gv 4, 23.24; 17, 19 ( si veda IBNTG 1 12). Alcuni scrivani riconobbero questo pro­ blema, e così l'articolo venne omesso nel codice sinaitico e in gran parte della tradizione bizantina. Comunque, l'articolo si trova qualche volta in esempi giovannei di questa espressione

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3Gv

( Gv 8, 44; 17, 17); e la giustapposizione dell'espressione artrica in Gv 17, 17 e dell'espressione anartrica in 17, 19 illustra la variazione giovannea senza differenza di significato (de la Pot­ terie, La vérité) 2, 648 ). Per l'idioma semitico di « camminare •, si vedano NoTE a lGv l, 6b e a 2Gv 4a. Sa. Diletto. Questo indirizzo è stato adoperato con il nome Gaio nel v. lb, e poi da solo nel v. 2a; si veda NoTA a lGv 2,7a. Funk, c Form • 429, mostra che esso può servire per indicare dove si dovrebbe dividere una lettera (contrassegnata nella nostra convenzione con un paragrafo ), una caratteristica che ho trova­ to suffragata nel suddividere lGv (4, 1.7). tu dimostri fedeltà in tutto il lavoro che fai. Alla lettera: « Tu fai [il] fedele/sicuro qualunque cosa tu operi [ergazein] •· Nella sezione della petizione che si trova all'inizio del corpo di una lettera greco-romana (più avanti, Appendice V C), [ kalos ] poiein, « far bene », spesso appare come una elegante forma introduttoria; e quella espressione ricorrerà in 3Gv 6b. Qui, l'espressione piston poiein, « fare [il] fedele/sicuro », è un equivalente cristiano che ha parecchi possibili sottintesi teolo­ gici. L'interpretazione che essa significhi « fare qualcosa sicu­ ro/degno [di una ricompensa] • sta alla base della lettura del codice 80 del VI secolo, che ha messo misthon, « ricompensa • ( si veda 2Gv Sb), al posto di piston. In questa esegesi, le azioni di Gaio verrebbero considerate come degne di fiducia da parte di Dio. Un impressionante elenco di studiosi (Bultmann, de Jonge, Schnackenburg), interpreta l'espressione nel senso di « agire fedelmente/lealmente •; e sebbene ci siano pochi paral­ leli per questa traduzione, essa è possibile (BAG 670, lb; BAGD 665, lb). Gaio verrebbe, quindi, lodato per essere un « servo buono e fedele [pistos ] » ( Mt 25, 21 ). Ma, tale interpretazione ci lascia ancora con la questione di come si intenda questa lealtà o fedeltà. t:. essa fedeltà a precedenti istruzioni da parte del Presbitero riguardo all'ospi­ talità? Ciò è improbabile dal momento che il Presbitero sem­ bra cercare di mettersi in contatto con Gaio per la prima volta sul tema dell'ospitalità. Più probabilmente, Gaio viene lodato poiché agisce come un vero fedele, in conformità a una fede (pistis ) che si sta mostrando nelle opere ( Bernard, Bonsirven, de la Potterie, Estio, Ecumenio, Wilder, Zorell). In questo senso, piston poiein si avvicinerebbe molto a « camminare nel­ la verità ». La conferma che Gaio viene lodato come un creden­ te si trova nell'espressione in parte parallela ghinesthai pistos, « diventare/essere fedele », adoperata in Gv 20, 27 : « Non per­ sistere nella tua incredulità, ma diventa [un] credente •. L'in-

Note

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terpretazione ha senso specialmente se, come sosterrò nel

CoMMENTO, Gaio viene incoraggiato a offrire ospitalità a un

gruppo che include missionari impiegati dal Presbitero per combattere i secessionisti. È possibile dare una forza futura a questa espressione : « Tu dimostrerai fedeltà » ( si veda BDF 323 per un impiego futuri­ stico del pres.). L'implicazione potrebbe essere che il Presbite­ ro è così fiducioso di Gaio da potere adoperare il tempo pres. per un'attività futura come se essa già venisse esercitata. Ma B. Weiss, Briefe 187-88, spingerebbe la nota futura in modo ancora più chiaro suggerendo che il Presbitero sta esortando Gaio a fare ciò che prima non ha fatto. Certamente, alcune delle specifiche richieste del Presbitero implicano nuova azio­ ne; ad es., nel v. 6b dove egli adopera il futuro, e in 8 dove dice: c Bisogna che noi ». Qui in 5, comunque, come ricono­ scono Bonsirven e Schnackenburg, il tempo pres. implica che Gaio sta osservando ciò che viene suggerito. Che sia o non sia già stato attaccato da Diotrefe (v. 9), Gaio viene sorretto dal Presbitero a continuare una linea di azione nella quale egli si è imbarcato ma che ora diventerà più difficile a motivo di Dio­ trefe. La proposizione subordinata: « Qualunque cosa tu operi/fac­ cia •, consta di un congiuntivo aoristo introdotto da ean, sosti­ tutivo di an ( BDF 107). Come vedremo, l'aoristo presenta difficoltà di traduzione; il codice alessandrino e alcuni minu­ scoli lo hanno sostituito con un pres. per conformarsi al tempo del verbo principale. B. Weiss sosterrebbe di nuovo una impli­ cazione futura, indicando l'an e il congiuntivo aoristo in Gv l, 33 : c Quando vedi [vedrai ] lo Spirito discendere e rimanere su qualcuno ». Di conseguenza, la traduzione del v. 5 sarebbe : « Tu dimostrerai fedeltà con tutto ciò che farai ». Più plausi­ bilmente, a mio giudizio, MGNTG 1, 1 1 6 suggerisce un aoristo constativo (o aoristo complessivo: BDF 332) che comprende un gruppo di azioni intese come un tutto. Esso include, quindi, ciò che Gaio ha fatto, ciò che sta facendo, e ciò che continuerà a fare. Mentre la gamma del verbo ergazesthai ( « operare o fa­ re » ) è ampia, esso si trova (assieme a ergon, il rispettivo sostantivo per « opera/lavoro » ) in riferimento ad attività pa­ storale in una chiesa cristiana; ad es., in 1Ts 5, 12-13 dove Paolo esorta i cristiani a tenere nella massima considerazione coloro che sono preposti a loro nel Signore « a motivo del loro lavoro ». Da questo riferimento, comunque, non si può conget­ turare che Gaio abbia una funzione ufficiale come capo di una chiesa domestica, poiché chiaramente il Presbitero sta pensan­ do all'opera di Gaio per i fratelli come volontaria e caritatevole ( Bultmann, Schnackenburg). È interessante notare l'impiego

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di ergon in Tt 3, 13-14 dove Paolo esorta Tito ad « aiutare nel loro viaggio » due cristiani: « La nostra gente deve imparare a compiere opere di bene in modo da potere provvedere ai biso­ gni urgenti ». Sab. per i fratelli, anche se sono forestieri. Alla lettera : « Per i fratelli - e questo ( questi) forestieri »; si veda BDF 29()5; 4429; pure lCor 6, 6: « Un fratello va in giudizio contro un fratello - e questo davanti a increduli ». Come ho menzionato nella NorA a 3a, Harnack pensa che i « fratelli » che testimo­ niano a Gaio in quel verso non siano gli stessi « fratelli • menzionati qui. Comunque, l'asserzione nel prossimo verso (6) che i « fratelli » di 5 hanno testimoniato l'amore di Gaio sugge­ risce che per lo meno vengano inclusi alcuni di coloro che hanno già testimoniato la verità di Gaio ( 3 ), anche se il presen­ te verso è più generale nello scopo, abbracciando passati, pre­ senti e futuri beneficiari di ospitalità. Demetrio, che il Presbi­ tero presenta a Gaio nel v. 12, è uno dei « fratelli » verso cui Gaio è esortato a essere fedele nella sua opera ospitale. 6a. Infatti, essi hanno testimoniato il tuo amore. Qui, l'aoristo può riferirsi a un unico esempio di testimonianza; o può essere complessivo ( come discusso alla fine della NorA a Sa), in­ cludendo una serie di testimonianze. I participi presenti nel v. 3 ( « che vengono e testimoniano ») sarebbero in armonia con l'ultima interpretazione. Nel v. 3, la testimonianza è stata fatta alla verità di Gaio; qui, è al suo amore ( sebbene alcuni minu­ scoli leggano « verità e amore » per armonizzare 6 con 3). Dal momento che per Gv « verità » ha in sé un elemento cristologi­ co, la verità di Gaio implica il suo stato di figlio di Dio. « Amore » implica obbedienza al comandamento fondamentale dato da Gesù ai figli di Dio, e così diventa una manifestazione esterna di « verità » (de la Potterie, La vérité 2, 878 ). davan ti alla chiesa. Questo è un esempio di enopion ( un sostan­ tivo neutro ) che funge da preposizione. Nei LXX, questo impie­ go probabilmente subì l'influsso dell'ebraico lipne « alla presen­ za visibile di, al cospetto di » (MGNTG 4, 69; si veda Gv 20, 30; l Gv 3, 22 ). Non c'è l'articolo determinativo nel greco, ma la perdita dell'articolo dopo preposizioni non è insolita ( BDF 255 ). L'espressione « nella chiesa » ricorre in modo anartrico in lCor 14,19.35. Questo è il primo esempio di ekklesia negli scritti giovannei, e apparirà due volte nei vv. 9.10. Il fatto che quei due impieghi siano in relazione alla chiesa di cui Diotrefe desidera essere il capo ha condotto alcuni a speculare che la teologia giovannea è contraria all'idea di chiesa e che il manca­ to uso di ek klesia ( se non in un contesto peggiorativo) è voluto.

Note

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Trovo questa tesi molto improbabile. Il libro dell'Ap, un lon­ tano cugino degli scritti giovannei, adopera ek klesia 20 volte, una possibile indicazione che il tennine non è estraneo alla tradizione giovannea. L'assenza di ekklesia dal vangelo di Gv non ha valore, dal momento che il tennine è assente anche da Mc e Le - probabilmente, non faceva parte della tradizione delle parole di Gesù, e la sua presenza in Mt si spiega meglio come un inserimento retrospettivo di terminologia postresur­ rezionale. Si potrebbe essere tentati di dare importanza all'as­ senza di ekklesia da lGv fino a quando non si riflette che è pure assente da 2Tm e da Tt ( che insieme sono lunghe quasi quanto lGv). Sappiamo che in quest'ultimo caso l'assenza non è ideologica, dal momento che quelle due opere furono scritte dall'autore che scrisse lTm, il quale adopera ekklesia 3 volte (proprio come 3Gv l'adopera 3 volte). In breve, può essere casuale che l'autore adoperi la parola in una delle sue opere e non in un'altra. Quanto a 2Gv, abbiamo visto che « signora eletta » è un nome simbolico per una chiesa locale. Infine, l'impiego di «chiesa » in 3Gv 6a è promettente e riflette l'accet­ tazione del termine da parte del Presbitero. Quale chiesa viene qui coinvolta, la chiesa di Gaio ( che può o non può essere la stessa chiesa di Diotrefe) o la chiesa del Pre­ sbitero? O è essa una terza chiesa a cui i fratelli riferiro­ no le notizie riguardo a Gaio prima di recarsi dal Presbi­ tero? O, infine, è la Chiesa in un senso più ampio riferen­ dosi alla totalità dei cristiani giovannei ? Forse, dobbiamo congedare l'ultima proposta semplicemente per il fatto che non vi è testimonianza di tale impiego di ekklesia negli scritti giovannei, ma con la cauta reiterazione che, dopo tutto, il termine ricorre solo 3 volte e non al di fuori di 3Gv. Quanto alla prima proposta, se fu la chiesa di Gaio a udire la testimonianza dell'amore di Gaio, perché il Presbitero deve parlarne a Gaio? Non vi è modo per confutare la possibi­ lità di una terza chiesa, ma ciò sembra una complicazione non necessaria. Pertanto, sembra maggiormente probabile che il Presbitero stia riferendosi alla chiesa in cui egli stesso vive, una proposta che concorda con il v. 3 dove i fratelli stanno venendo a testimoniare. 6b. e farai buona cosa aiutandoli a con tinuare il loro viaggio. Alla lettera: « cui tu farai bene avendo mandato loro in avan­ ti ». Nella NorA a Sa (e più avanti, Appendice V C), io attiro l'attenzione su kalos poiein, « fare bene [agire gentilmente] », come un modo classico nella forma epistolare per introdurre la richiesta che incorpora tutto lo scopo della lettera. Due esempi dove esso accompagna un tema simile a quello di 3 Gv sono Gc

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2, 8 ( « se adempirete la legge regale che si trova nelle Scrittu­ re: 'Amerai il prossimo tuo come te stesso', farete bene ») e Ignazio, Smirn. 10, l ( « fate bene a ricevere come diaconi di Dio Filone e Reo Agatopo, che mi seguirono nella causa [Zogos] di Dio; ed essi pure sono riconoscenti al Signore per voi perché voi li ristoraste in tutti i modi » ). Le antiche versioni riconob­ bero la goffaggine grammaticale di questa proposizione relativa in 3Gv, e alcune di esse passarono a una nuova proposizione come ho fatto io. Altri scrivani notarono la complicazione di un verbo futuro ( "' farai ») seguito da un part. aoristo ( « aven­ do mandato » ), dal momento che i fratelli non possono avere testimoniato nel passato su ciò che Gaio avrebbe fatto nel futuro. Di conseguenza, nel codice rescritto di Efrem c'è un cambiamento cosl che il verbo principale viene letto come aoristo e il part. come un futuro. Comunque, questo trascura la sottigliezza del Presbitero il quale sta lodando ciò che Gaio ha fatto nel passato, e sta facendo, in modo da invitare Gaio a una manifestazione futura di amore. Normalmente, un part. aoristo indicherebbe azione che precede quella del verbo prin­ cipale, ma a volte esso mostra la coincidenza delle due azioni (anche se ciò è infrequente quando il verbo principale è futu­ ro: MGNTG 3, 79-80; pure Brooke, Epistles 185, che presenta papiri paralleli). Qui, l'aoristo dà un tono di sicurezza ( l'azione è come se fosse fatta ), oltre che fornire un fondamento per la continuità con il futuro. Il verbo propempein, « mandare avanti », in questo contesto ha quasi un senso tecnico di procurare ai missionari scorte che diano a loro la possibilità di viaggiare fino alla prossima tappa (At 15, 3; lCor 16, 6.1 1 ; 2Cor l, 16; Tt 3, 13; Rm 15 24). Policar­ po, Filip. 1, l, considera l'azione descritta da questo verbo come una manifestazione di amore: "' Mi rallegro grandemente con voi nel Signore Gesù Cristo che avete seguito il modello di vero amore e avete mandato avanti nel loro viaggio coloro che erano legati in catene ». ,

in un modo degno di Dio. Non è chiaro se questa espressione avverbiale modifichi ciò che Gaio sta per fare (equipaggiare il viaggio), o ciò che i missionari stanno per fare ( il viaggio ), o ambedue (più probabilmente). A ogni modo, il viaggio deve essere degno del suo scopo, che sta per venire spiegato nel v. 7. Il linguaggio di tutto questo passo deriva probabilmente da parenesi cristiana. In lTs 2, 1 1-12, quando Paolo sta esortando e consolando i suoi figli come fa un padre, scrive: « Dovete camminare in modo degno di Dio » un impressionante pa­ rallelo dal momento che in 3Gv 4 il Presbitero si è rallegrato che i suoi « figli stanno camminando nella verità » e ora egli -

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sta esortando un tale figlio ad aiutare altri nel loro viaggio • in un modo degno di Dio », Analogamente, l'autore di Col ( 1 , 10) prega che « possiate camminare in modo degno del Signore . portando frutto in ogni opera buona •, proprio come il Presbi­ tero ha lodato l'opera di Gaio. .

.

7a. Poiché fu per amore de « il Nome ». I primi scritti cristiani spesso adoperano « il Nome » senza chiarimento esplicativo (Barnaba 16, 8 ; Ignazio, Filad. 10, 1 ) ; e nella NoTA a 1Gv 2, 12b ho discusso l'ambiguo « suo nome • alla luce della tesi giovan­ nea che Dio diede il suo nome a Gesù. Come interpretazioni dell'espressione • per amore de [ hyper ] il Nome », si possono menzionare le tre seguenti possibilità. (a) Il • Nome • è il nome di Dio (Bengel, Bonsirven, Biichsel, B. Weiss), una tesi che è confermata dal tono assoluto di questa espressione, che adopera l'articolo determinativo. Per lo sfondo dell'AT, si veda ABJ 29A, 754-56 (tr. it. 218 ss). Nell'uso giudaico, « il Nome • ( ha.Ssem ) è un sostituto da leggersi per il tetragramma YHWH. Il pensiero farisaico del I secolo a.C. si trova nell'indirizzo a Dio nei Salmi di Salomone 7, 5(6): « Mentre il tuo nome abita in mezzo a noi, noi troveremo misericordia ». L'impiego cri­ stiano alla fine del I secolo d.C. si trova in Didache 10, 2: « Ringrazio te, Padre santissimo, per amore de [ hyper] il nome di Dio ». In 3Gv, una tale interpretazione stabilisce una buona sequenza dall'espressione che ha appena preceduto: « . in un modo degno di Dio - dal momento che fu per amore del [suo] nome che essi partirono ». (b) Il « Nome » è il nome della « fraternità » giovannea, o della causa cristiana (Houlden), o si riferisce alla designazione di credenti in Gesù come 'cristiani' (At 1 1 , 26 ). Chapman, « Historical Setting » 358, ipotizza che i menzionati in 3Gv fossero partiti da Roma durante la persecu­ zione neroniana verso la metà degli anni 60 quando le loro vite furono in pericolo perché erano stati identificati come cristia­ ni. (Questo si accorda con la sua tesi che la « signora eletta » di 2Gv sia stata la chiesa di Roma, e che il Demetrio di 3Gv sia stato il Dema che disertò Paolo a Roma - si veda più sopra NoTE al titolo di 2Gv, e più avanti 3Gv 12a). La sua tesi viene confutata da Bartlett, « Historical Setting » 205, il quale sostie­ ne che hyper significa « a favore di » e non « a motivo di » (che richiederebbe dia [Gv 15, 21 ] o en [ lPt 4, 14] ). Ciò nonostante, l'impiego di hyper in At 5, 41 dove i discepoli soffrono « a motivo del Nome » ci mette in guardia da un argomento fonda­ to sulla precisione nell'uso delle preposizioni. (c) Il « Nome » è il nome portato da Gesù (una tesi preferita dalla maggior parte degli studiosi). In Rrn, l, 5, Paolo parla di un apostolato ricevu­ to tramite Gesù Cristo « per ottenere l'obbedienza alla fede tra ..

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tutte le nazioni, per amore de [ hyper] il suo nome ». lGv 2, 12 scrive in modo incoraggiante: « Figlioli ... i vostri peccati sono stati perdonati a motivo de [ dia ] il nome di Cristo ». Probabilmente. dobbiamo collegare questo linguaggio all'usan­ za di essere battezzati in (nel ) nome di Gesù (At 8, 16; cfr. 1Cor 1, 13.15) o al parziale equivalente giovanneo di credere ne (a) il nome di Gesù (Gv l, 12; 3, 18). In tali espressioni, gli scrittori possono pensa,re a un nome specifico dato a Gesù o adoperato nell'annunciarlo; ad es., Signore, Figlio dell'uomo, Figlio di Dio. La consuetudine missionaria è implicita in Igna­ zio, Ef. 7, 1 : « Ci sono alcuni che sono abituati a portare in giro il Nome con malvagio inganno ». In sintesi, bisogna riconoscere che il contesto in 3Gv non è specifico, ma le ragioni più valide possono essere ritenute ( a ) e (c) più sopra Si può rendere giustizia ad ambedue se si rico­ nosce che nella tradizione giovannea il nome divino è portato da Gesù il quale è uno col Padre (ABJ 29A, 754-56; tr. it. 918 ss). Per analogia con altri testi del NT, THU 153 suggerisce che il nome divino specifico adoperato per Gesù può essere stato « Signore )) ( Rm 10, 9; lCor 12, 3 ; Fil 2, 9-1 1 ), ma nella tradizione giovannea il nome può essere stato « Io SONO » (ABJ 29, 533-38; tr. it. 1482 ss). Annunciando il nome divino dato a Gesù, i « fratelli » missionari di 3Gv avrebbero enunciato Gesù come la presenza di Dio nella carne. Coloro che hanno l'appro­ vazione del Presbitero starebbero sottolineando « nella carne » in contrapposizione ai missionari secessionisti (2Gv 7.10). che essi partirono. Il verbo exerchesthai, « uscire », è stato precedentemente adoperato per i secessionisti in 1Gv 2, 19; 4, 1 ; 2Gv 7 ; ma noi non possiamo essere sicuri che il Presbitero stia facendo un deliberato contrasto. At 14, 20 adopera il verbo per descrivere i viaggiatori missionari paolini da una città a un'al­ tra; anzi, in 15, 40 descrive la partenza per 'il secondo viaggio missionario'. Nonostante l'uso dell'aoristo (che normalmente non viene adoperato per un'azione ripetuta), il Presbitero sembra stare generalizzando sulla ragione per cui i missionari cristiani hanno lasciato le loro case. Non vi è necessariamente la connotazione che questi missionari « uscirono » dalla chiesa in cui si trova il Presbitero.

7b. e non hanno accettato nulla dai pagani. Questo traduce un part. pres., che serve a confermare il carattere generale del­ l'aoristo, « partirono », come ho più sopra menzionato. Chap­ man, « Historical Setting », riordina in modo improbabile la frase per cui costoro sarebbero profughi dalla persecuzione in Roma : essi partirono dai pagani, senza prendere con sé :pessun

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bene. La negazione meden ( forma di ouden con il non-indica­ tivo) ha spesso forza modale e può designare una determina­ zione di non prendere nulla. Non è implicito che i pagani abbiano offerto qualcosa; piuttosto, l'idea è che l'annuncio di Gesù viene fatto senza aspettarsi sostegno o senza chiedere sostegno. Improbabile è la tesi di Horvath, « 3John l lb », che le comunità costituite da cristiani giovannei venissero tassate per il sostegno dei missionari. Se così fosse, il Presbitero avrebbe menzionato tra i crimini di Diotrefe (vv. 9-10) il suo interrom­ pere la tassa. Piuttosto, il Presbitero obietta contro il fatto che Diotrefe trattiene coloro che vogliono aiutare i missionari. La lode della generosità di Gaio suggerisce che il sostegno dei missionari poggiava su base volontaria, con la speranza che coloro i quali non « partirono » sarebbero stati generosi nel sostegno, proprio come coloro i quali partirono furono genero­ si nell'attività. Quanto allo spirito, non siamo lontano dagli esseni nel modo descritto da Giuseppe Flavio (Guerra 2.8.4; # # 124-25 ) : cc Quando qualcuno della setta arriva da lontano, tutti i beni del gruppo sono messi a disposizione proprio come se essi fossero suoi. Egli entra nelle case delle persone che non ..ha mai visto prima come se fosse l'amico più intimo. Pertanto, egli non porta assolutamente nulla [ouden ] con sé nei suoi viaggi ... In ogni città c'è uno del suo rango nominato espres­ samente per badare ai forestieri ». Filone, Ogni buon uomo 12 # 85, dice degli esseni : cc La porta è aperta ai visitatori che vengono da ogni dove, i quali condividono le loro convinzioni ». Ethnikos, « pagano, gentile », appare solo altre 3 volte nel NT, tutte in Mt. Gli scrivani della tradizione bizantina leggono qui ethnos (sing. « nazione »; pl. « gentili ») che viene adoperato 162 volte nel NT. Ethnikos raffigura una distinzione più netta dai giudei (e anche sprezzante come possiamo giudicare da Mt 5, 47 ; 6, 7 ), poiché il sing. di ethnos può riferirsi a giudei come pure a gentili. È interessante che in 3Gv, invece di riferirsi al non-giudeo, ethnikos si riferisca al gentile non-cristiano (dal momento che non vi è ragione di pensare che il Presbitero stia escludendo un sostegno da cristiani gentili [convertiti di recen­ te] ). Sa. Pertanto. Testualmente, questo è l'unico impiego autentico di oun nelle lettere giovannee rispetto ai 194 usi nel vangelo di Gv! Ma si veda la prudente valutazione di questa statistica più sopra a p. 49. Qui, la forza è parenetica, in quanto un propo­ sto piano di azione viene affermato in base a ciò che è stato detto. da parte nostra bisogna che noi. Il pronome di prima persona

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enfatico e significa « noi credenti giovannei » in opposizione ai pagani. (Chiaramente, qui non è equivalente a « io » ). L'uso di opheilein, « bisognare », è significativo dal momento che i suoi precedenti usi nel vangelo di Gv e in Gv (la maggior parte delle volte in relazione ad amare) suggeriscono che esso si riferisce a un obbligo che nasce dalla propria identità come cristiano (giovanneo); si veda NoTA a lGv 2, 6bc. è

sosteniamo. Sebbene la tradizione bizantina legga apolamba­ nein, « ricevere, accogliere », la lettura meglio attestata hypo­ lambanein ha più senso: « ricevere amicalmente con sostegno e protezione » (si veda G. Delling, TDNT 4, 15). Esso recupera un tema dal lambanein, « accettare », della precedente frase: dal momento che i fratelli non accettano (ricevono) nulla, noi dobbiamo sostenerli ( riceverli). Un simile gioco sui due verbi si trova in A t l, 8-9, dove gli apostoli ricevono ( lambanein ) potere con la venuta dello Spirito, come le nuvole ricevono o sottraggono ( hypolambanein ) Gesù. questi uomini. L'uso di toioutos del NT è, spesso incolore, non significando niente più che hou tos, « questo » (BDF 304); ma qui, probabilmente, esso dovrebbe essere preso alla lettera : '' Di questo genere », come negli altri due impieghi giovannei (Gv 4, 23; 9, 16). L'autore sta riferendosi ai missionari che sono così generosi da partire per amore del Nome senza accettare nulla.

8b. diventando così. Alla lettera : « Cosi che noi possiamo di­ ventare », Sebbene a volte ghinesthai, « diventare », significhi poco più che einai, « essere », de la Potterie, La vérité 2, 892-95, sostiene che nel vangelo di Gv esso ha la sua precisa forza quando è accompagnato da un predicato sostantivo o aggettivo. L'impiego qui può essere paragonato a quello in Gv l , 12 (diventare figli di Dio) e 15, 8 (diventare discepoli). Tutta­ via, non si deve forzare tale logica fino al punto di concludere che i cristiani giovannei non erano ancora in qualche modo « cooperatori con la verità ». Paradossalmente, il Presbitero sta dicendo ai suoi lettori che un sostegno attivo dei missionari li renderà ancora di più ciò che essi già sono. Bultmann e Schna­ ckenburg hanno ragione nel mettere in risalto che l'idea implica provare se stesso, come parte del tema generale della lettera che realtà cristiane interne devono trovare espressione esterna. Si deve camminare secondo ciò che si è. cooperatori con la verità. Questo pl. di synergos, « co-operato­ re », regge un dativo. ( I codici sinaitico * e alessandrino leggo­ no « chiesa » al posto di « verità », probabilmente per il motivo

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che « chiesa » ricorre nel prossimo verso e a motivo della difficile immagine di cooperare con un concetto astratto come « verità » ). Né i LXX né il NT adoperano il dativo con questo sostantivo, che normalmente regge il genitivo o eis con l'accu­ sativo. Comunque, il dativo ricorre con il verbo affine syner­ ghesthai, « operare con ». Come si deve intendere il dativo? (Si veda Hall, « Fellow-Workers » ). Un dativus commodi ( 'di v an� taggio' : BDF 188), che significa « per, a favore di, al servizio di », è appoggiato da Alexander, Bergmeier, Hauck, Loisy, Plummer, B. Weiss, JB e TEV. L'idea, quindi, sarebbe di opera� re con i missionari per la verità. Un dativo significante , « con », che corrisponde alla componente syn del sostantivo, è appog­ giato da Brooke, Bruce, Chaine, Charue, de Ambroggi, de la Potterie, Hall, THLJ, Westcott e Windisch. ( RSV e altri tradu­ cono « nella verità », che sin tatticamente è vago). L'idea, quin­ di, sarebbe di operare con la verità che è già all'opera nei missionari. L'obiezione che un tale dativo richieda un oggetto personale può essere controbattuta ricordando che « verità » viene qualche volta personificata nello scritto giovanneo; ad es. : « La verità vi farà liberi » ( Gv 8, 32). Paralleli per l'uno o per l'altro tipo di dativo si trovano nelle parole costruite con syn-. Per il dativus commodi, si veda 2Tm 1 , 8, che adopera synkakopathein quando Paolo invita Timoteo a « soffrire insie­ me per amore del vangelo »; e Fil 1, 27 : « Combattendo insieme [synathlein] per la fede del vangelo ». Per il dativo significante « con », si veda Gc 2, 22 che adopera synerghesthai descrivendo Abramo: la fede « operava con le sue opere ». A proposito di testimonianza fuori del NT per synergos con questo tipo di dativo, si veda l'esempio del papiro del II secolo a.C. in U. Wilcken, Urkunden der Ptolemiierzeit (2 voli.; de Gruyter, Berlin 1927, 1957 ) l, 632 # 146, e la pseudo-clementina Omelia 17.19.7 (GCS 42, 240) dove Pietro propone a Simon Mago di « operare insieme [synerghes thai] con la verità [ dativo] » e di « diventa­ re cooperatori con noi ». In sintesi, io penso che la testimo­ nianza favorisca la connotazione di « cooperazione con » piut­ tosto che « servizio di ». Qual è il senso di « verità » in « cooperatori con la verità »? Una proposta comune è che esso sia equivalente al vangelo del messaggio cristiano annunciato dai missionari (così, con varia­ zioni: Bergmeier, Blichsel, Bruce, Chaine, Charue, Dodd, Hall). Non solo il contesto rende questo possibile, ma ci sono paralle­ li in Paolo; ad es., dove il vangelo viene personificato come un potere che salva ( Rm l, 16), o dove i cristiani sono considerati partecipi del ministero di Paolo quanto alla predicazione del vangelo ( Fil 4, 14-16). A mo' di sostegno, si cita Gv 17, 17: « La tua parola è verità ». Là, comunque, il contesto indica che

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l'evangelista non sta pensando a una predicazione esterna ma a una verità interiorizzata ( « consacrali nella verità » ). Anzi, il generale uso giovanneo rivela il senso cristologico di « verità ». Così, Belser, Brooke e Windisch pensano che in 3Gv 8 la verità possa essere Gesù (Gv 14, 6), o lo Spirito ( lGv 5, 6), mentre de la Potterie e Schnackenburg pensano a una rivelazione in Gesù e di Gesù che è stata fatta propria per mezzo di fede e interiorizzata. Tali aspetti di « verità » possono essere messi insieme: Gesù è la verità; coloro che credono hanno la verità rivelata in Gesù che abita in loro; essa non è un principio inerte; e c'è uno Spirito di verità dentro il credente che inter­ preta la verità: questo Spirito porta testimonianza a favore di Gesù, e lo Spirito fa questo nei cristiani e tramite i cristiani ( Gv 15, 26-27). I missionari che « partirono per amore del No­ me » permettono alla verità che sta dentro di loro di trovare un modo per esprimersi e sono gli strumenti dello Spirito di verità. Considerando come un atto di amore l'aiuto che danno, cristiani come Gaio sono cooperatori della verità. Il Presbitero sta semplicemente offrendo al suo « diletto » un'altra forma del suo appello che si trova in 1Gv 3, 18: « Figlioli, non facciamo affermazioni di amore con parole, ma mostriamo la sua verità con opere ». De la Potterie, La vérité 2, 868-73, indica utili paralleli nei Te­ s tamenti dei dodici patriarchi ( T. di Ruben 3, 6; T. di Dan 1, 7) dove synerghein è abbinato a « spirito ». Particolarmente uti­ le è il T. di Gad 4, 7 : « Lo Spirito di amore opera insieme in pazienza con la legge [dativo] di Dio per la salvezza degli esseri umani », mentre lo spirito di odio opera insieme a sata­ na per la morte. Il Presbitero crede che i suoi missionari, i quali annunciano Gesù Cristo che viene nella carne, siano cooperatori con lo Spirito di verità, e sicuramente egli consi­ dera i missionari secessionisti come cooperatori con lo spirito di inganno ( lGv 4, 6). 9a. Ho scritto alcune cose alla chiesa. Nessun articolo davanti a « chiesa » nel greco del v. 6, ma qui sì. Sebbene spesso l'articolo determinativo indichi riferimento a un soggetto men­ zionato precedentemente (BDF 2521 ), la chiesa qui menzionata che il Presbitero potrebbe visitare (v. 10) è diversa dalla chiesa nel v. 6, che a quanto sembra è la chiesa in cui egli vive. Invece, in 9a l'articolo indica che la chiesa di cui Diotrefe desidera essere il capo è una chiesa nota a Gaio (a cui 3Gv è rivolto). Il fatto che il Presbitero dica di avere scritto alla chiesa piuttosto che a Diotrefe non ci dice nulla a riguardo della struttura della chiesa poiché, anche quando ci sono auto­ rità locali ( lTs 5, 12), Paolo scrive alla chiesa ( lTs), proprio

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come fa Ignazio il quale è un grande difensore del ruolo di un solo vescovo. (Ciascuna delle sette lettere di Ap è rivolta a « l'angelo della chiesa », ma ciò probabilmente significa l'angelo protettore piuttosto che [direttamente o solamente] un vesco­ vo locale). Il contesto insinua che Diotrefe poté ignorare que­ sta lettera scritta (aoristo) nel passato, una possibilità che suggerisce che la chiesa a cui si rivolge fosse già sotto la sua supervisione. Tale irrilevanza nei confronti della lettera del Presbitero mise a disagio gli scrivani che pensavano che 3Gv fosse stata scritta dall'apostolo Giovanni; e così alcune testi­ monianze greche minori hanno aggiunto la particella an che introduce un elemento congiuntivo: « Avrei scritto » (pure la latina e la siriaca). Un altro stratagemma degli scrivani si riflette nel : « Tu [Gaio] hai scritto qualcosa » (codice di Beza, copta ). Alcuni interpreti ( Hoskyns, « Epistles » 673 ) si muovono nella stessa direzione intendendo il verbo come un aoristo particolare: « Io sto scrivendo » in questa lettera. Ma, avrebbe il Presbitero formulato un riferimento alla stessa 3Gv in modo così maldestro : « Ho scritto alcune cose alla chiesa »? lGv 5, 13 mostra che egli avrebbe detto: « Ho scritto [aoristo] queste cose ». Una teoria diversa è che il v. 9 si riferisca non a 3Gv ma a un'altra lettera che l'accompagnerebbe, così che il mes­ saggero avrebbe portato sia 3Gv a Gaio che una lettera alla chiesa anche se l'autore anticipa il rifiuto da parte di Diotrefe di quest'altra lettera. Non si può smentire una tale teoria; ma, la lettera si legge armonicamente se il v. 9 descrive un'azione passata da parte del Presbitero, mentre il v. 10 descrive una alternativa a lui dischiusasi ora che la lettera ha fallito il suo scopo. Se si prende l'aoristo come un'azione passata genuina, che cosa erano le « alcune cose » che aveva scritto? Pochissimi studiosi hanno sostenuto che si trattasse di lGv (che non è indirizzata a una chiesa). Molti studiosi hanno sostenuto che le « alcune cose » fossero 2Gv indirizzata « a una signora eletta » che è una chiesa (Belser, Bresky, Calmes, Dibelius, Findlay, Hauck, Holtzmann, Jiilicher, Loisy, McNeile, Meinertz, Moffatt, Strath­ mann, B. Weiss, Wendt, Zahn). In questa teoria, è implicita l'idea che, dal momento che 2Gv riguarda i secessionisti, Dio­ trefe abbia ignorato la lettera perché era un secessionista o un simpatizzante secessionista. Ma allora ci si sarebbe aspettato che 3Gv sollevasse la questione della secessione per comunica­ re il messaggio che Diotrefe aveva ignorato. ( Inoltre, ci si chiede se il Presbitero si sarebbe riferito al suo pressante attacco contro la secessione in 2Gv o, a fortiori, in lGv come ad « alcune cose »?). Le « alcune cose » scritte nel passato si devono collegare al perché 3Gv viene mandato a Gaio. Proba-

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bilmente, questa lettera venne considerata da Diotrefe come un'interferenza nelle cose della chiesa di cui egli era capo. Di conseguenza, la maggior parte degli studiosi pensa che il rife­ rimento nel v. 9 non sia a un'opera giovannea conosciuta, ma a una lettera perduta che Diotrefe distrusse. Chapman e Win. disch propongono una lettera testimoniate per un missionario ( si veda il v. 12); Bonsirven pensa a una lettera di avvertimento e di ammonizione per la chiesa in cui Diotrefe vive, alquanto simile alle lettere in Ap 2-3; Streeter pensa che contenesse una richiesta di rivolgersi alla chiesa tramite i missionari. A ogni modo, che il Presbitero sia stato così sconvolto per il fatto che Diotrefe aveva ignorato la lettera significa che un tale rifiuto costituiva una rottura maggiore della precedente relazione del Presbitero con la chiesa. 9b. Diotrefe. Il nome ( « Dio-nutrì • ) non è troppo comune, ma non cosi raro da giustificare la proposta di Findlay che esso apparteneva all'aristocrazia. BAG 198 (BAGD 199) mostra le ricorrenze in Tucidide e in Diodoro Siculo, e in iscrizioni greche. che desidera essere primo tra loro. Il plurale « loro » dopo il singolare « chiesa » è un esempio di concordanza pronominale a senso ( MGNRG 3, 40); esso non può essere adoperato per sostenere che c'erano fazioni nella chiesa o che essa constava di parecchie comunità domestiche. Il pronome di terza persona rende improbabile che Gaio (al quale coerentemente ci si ri­ volge con la seconda persona) debba essere considerato un membro della chiesa. La forma del verbo è un part. pres.: « Il desiderante-essere-primo-Diotrefe », costruzione la quale impli­ ca che ciò che segue ( « non presta attenzioni a noi �> ) deriva dal suo desiderio di essere primo. In greco, il verbo philopri5teuein si trova solo in 3Gv e negli scritti patristici che dipendono da 3Gv, un fatto che ha condotto Bultmann, Epistles 100, a pro­ porre che l'autore lo coniasse per evitare il vero titolo di Diotrefe (episkopos, « vescovo »), che il Presbitero denigrereb­ be. Comunque, le parti che lo compongono (philos, « diletto », e pri5tos, « primo ») sono estremamente comuni, e il corrispon­ dente sostantivo philopri5teia e l'aggettivo philopri5tos sono no­ ti nel greco secolare. Alcuni eserciterebbero pressione sul ver­ bo per farlo significare che Diotrefe non era ancora diventato il capo riconosciuto nella chiesa, ma solo desiderava o amava quella posizione; ad es. : « Volere-essere loro capo » (NEB). Le azioni che seguono nel v. 10, comunque, indicano un attuale esercizio di autorità: Diotrefe può rifiutare di prestare atten­ zione al Presbitero; egli può rifiutarsi di offrire ospitalità (la

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cui pratica costituisce il dovere del presbitero-vescovo delle pastorali paoline : lTm 3, 2; Tt l , 8); ed egli può espellere individui dalla chiesa domestica (o mediante comando diretto o persuadendo la chiesa a farlo). Chiaramente, il Presbitero non approva l'ambizione di Diotrefe, ma la necessità di scrive­ re 3Gv testimonia l'indipendenza di Diotrefe, il quale è riuscito a rendere vani gli scopi del Presbitero. La supremazia di Dio­ trefe è una realtà, quindi, non solo un desiderio. non presta attenzione a noi. Nel v. 8, il « noi » si è riferito ai cristiani giovannei in generale; ma questa proposizione descri­ ve una reazione a « ho scritto », e così il significato deve essere più limitato. Un certo numero di studiosi parla di un plurale editoriale o di maestà, così che « a noi » è equivalente ad « a me ». Altrove in questa lettera, comunque, il Presbitero coeren­ temente scrive usando la prima persona singolare quando vuo­ le dire « io »; e certamente quella è la situazione nell'immedia­ to contesto (9a: « Ho scritto »; lOa : « Verrò ... rinfaccerò »). Per tutto questo commentario, ho ammesso che lo stile giovan­ neo è pieno di varianti insignificanti, un principio che Schna­ ckenburg invoca qui. Tuttavia, questo è un contesto dove il Presbitero avrebbe voluto che la gravità della sua lamentela fosse chiara, e così nella scelta del « noi » può essere implicato qualcosa di più che una variante stilistica. :t:. qui il pronome un pl. genuino che distingue il Presbitero e alcuni altri ( NoTA a « noi » in lGv l , lb)? :t:. possibile che qui si indichi il Presbite­ ro e coloro che hanno parteggiato per lui nella lotta secessio­ nista (Wendt). Questa spiegazione collocherebbe Diotrefe dalla parte opposta, con i secessionisti, ma non vi sono altre indica­ zioni di ciò in 3Gv. Un'altra spiegazione è che il Presbitero stia parlando come membro della scuola giovannea (INTRODUZIONE V C2c ), così che qui il « noi » si riferisce ai latori della tradi� zione menzionati in 1Gv l, 1-5. ( Se questo è vero, l'argomento per la paternità comune viene fortificato). A mio giudizio, quest'ultima interpretazione viene rafforzata dal v. 12: « Anche noi diamo il nostro testimoniale », poiché la funzione principa­ le della scuola giovannea è di portare testimonianza (dare testimonianza ) alla tradizione. Il tempo presente del verbo ( epidechesthai) indica che l'azione di Diotrefe non fu un incidente isolato, ma parte di un atteg­ giamento permanente. Questo verbo ha due sfumature di si­ gnificato, ciascuna delle quali può essere applicata qui. ( a ) Il significato « ricevere o accogliere )) potrebbe indicare che Dio­ trefe stia rifiutando ospitalità al Presbitero. Il verbo ha esatta" mente quel significato nel prossimo verso, il quale asserisce che Diotrefe rifiuta di accogliere i fratelli. Ma 3Gv non dà

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indicazione che il Presbitero abbia voluto fare una visita e ne venisse respinto; e così si potrebbe supporre che egli conside­ rasse la sua lettera come una sostituzione della sua presenza (B. Weiss ). Il rifiuto di ricevere la sua lettera significava un rifiuto di ricevere lui ( come rappresentante della scuola gio­ vannea). ( b ) Il significato « ammettere, accettare, riconoscere » indicherebbe che Diotrefe aveva rifiutato il ruolo del Presbite­ re (e della scuola giovannea) nella sua responsabilità per la tradizione. Presumibilmente, Diotrefe attribuiva quel ruolo a se stesso come capo della chiesa locale. Troppo libera è la tradu­ zione della NEB : « Non avrà niente a che fare con noi », anche se concede spazio all'interpretazione di Kasemann secondo cui Diotrefe è un vescovo il quale non entrerà in comunione con il Presbitero eretico. Il v. 9b non esclude i contatti di Diotrefe con il Presbitero considerato un fratello cristiano giovanneo; esso esclude che Diotrefe ammetta che il Presbitero abbia il diritto di intervenire e di essere ascoltato. Contro questo secondo si­ gnificato di epidechesthai c'è l'obiezione che il verbo avrebbe allora il significato (b) nel v. 9b e il significato (a) nel v. 10d; ma quel fenomeno si trova in 1Mac 10, 1 ( « accogliere ») e in 10, 46 ( « accettare » ). Secondo la mia concezione, ambedue i significati di epidechesthai sono presenti in 9b : la lettera è stata considerata come un'estensione della presenza del Presbi­ tero nel suo ruolo di membro della scuola giovannea; i suoi missionari avrebbero avuto esattamente la stessa funzione. Il rifiuto di accogliere i missionari ( lOd) e di accettare la lettera (9b) sono due aspetti della medesima linea di condotta. Ciò nonostante, io trovo carente di prova la tesi che il rifiuto di Diotrefe di accettare la lettera fosse fondato sulla dottrina in essa contenuta (W. Bauer, Kasemann, Wendt ). lOa. Pertanto. Dia touto, « proprio per questo, per questa ra­ gione », è stato discusso nella NoTA a 1Gv 3, lde. Qui, esso non è seguito da una proposizione epesegetica e così si riferisce a ciò che precede (come pure in lGv 4, 5). Nei due esempi di lGv, esso introduce un'azione ostile da parte del mondo; qui, esso introduce un'azione ostile da parte del Presbitero contro Diotrefe. se verrò. Ean seguito dal congiuntivo normalmente ha dell'ipo­ tetico. Tuttavia, sulla base del v. 14 alcuni interpreti sostengo­ no che il Presbitero intende sicuramente venire, e così essi traducono : « Quando verrò ». Ciò è possibile, poiché ean può significare « quando » (NoTA a lGv 2, 28b ), e qualche incertezza può incentrarsi sul tempo piuttosto che sull'eventualità. Ciò nonostante, io qui preferisco « se » per due motivi. Primo adoperando una costruzione ipotetica il Presbitero indica che

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egli non desidera venire in un modo così ostile e finemente esprime la sua speranza di non dovere fare così. Secondo, dal momento che io non penso che Gaio fosse un membro della chiesa domestica di Diotrefe ( si veda CoMMENTO), non è sicuro che l'espressa speranza di visitare Gaio ( v. 14) comporti neces­ sariamente una visita alla chiesa di Diotrefe. l Ob. rinfaccerò ciò che sta facendo. Alla lettera : « Le opere [erga] che egli fa [poiein ] ». Parole della stessa radice ricorro­ no nella lode di Gaio nel v. 5 ( « tu dimostri [poiein ] fedeltà in tutto il lavoro che fai [ergazesthai] per i fratelli » ), così che il Presbitero sta mettendo in contrapposizione Gaio e Diotrefe, anche se ambedue > legati al Presbitero, Demetrio verrà mandato con una lettera testimoniate di spiegazione ( 3Gv ) a Gaio la cui casa è aperta ai fratelli del Presbitero 9• L'attraente ipotesi di Malherbe incontra parecchie obiezioni di secondaria im­ portanza. Io non suppongo che 3Gv 9 significhi che Gaio conosce la lettera precedente mandata dal Presbitero o i suoi contenuti 10 • Anzi, il fatto che il Presbitero deve dire a Gaio che precedentemente egli ha scritto « alcune cose alla chiesa » di Diotrefe è un argomento che avvalora la tesi che i due uomini non appartengono alla stessa comu­ nità. Soprattutto, metto in dubbio l'assunto di Malherbe che « la chiesa » significhi una entità più ampia, compren­ dente parecchie comunità domestiche. Io ritengo che nel v. 9, come nel v. 6, « la chiesa » significhi una comunità locale o chiesa domestica. Nelle lettere paoline, « chiesa » viene adoperato per ogni comunità domestica; ad es. : « La chiesa nella casa di Prisca e Aquila >> ( Rm 16, 4-5 ; l Cor 16, 1 9 ), e: « La chiesa nella casa di Ninfa » ( Col 4, 1 5 ). Di conseguenza, se la teoria di Malherbe riguardo ai ruoli di Gaio e di Diotrefe fosse corretta, ci si aspetterebbe che il v. 9 dicesse : « Ho scritto alcune cose alle chiese ». Un'al9 Si veda il Martyrium S. Iustini 3 del II secolo per quanto ri­ guarda i cristiani che, visitando una città sconosciuta, vengono accolti . to � vero che il Presbitero non espone a Gaio i contenuti della let­ tera che egli ha mandato alla chiesa, ma ciò può essere per il mo­ tivo che quei contenuti non sono ciò che ora preoccupa il Presbi­ tero. Il problema è ora diventato la non accettazione della lettera (e tutto ciò che implica) , non i suoi contenuti.

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tra obiezione alla tesi di Malherbe è che 3Gv non dà l'impressione che Gaio e Diotrefe siano su uno stesso piano. Si può rispondere che, sebbene ambedue siano capi di chiese domestiche, Diotrefe è diventato arrogante nel potere che rivendica, mentre Gaio rimane decorosamente modesto. Comunque, la differenza di livello non deriva semplicemente dagli atteggiamenti dei due uomini, ma dall'atteggiamento del Presbitero verso di essi. Ad es., perché precedentemente il Presbitero scrisse a (la chiesa di ) Diotrefe e, a quanto sembra, non a Gaio ? Alla luce di questi problemi, voglio proporre una possibile variazione della tesi di Malherbe. Gaio non è un membro della chiesa domestica di Diotrefe, ma non è neppure esattamente l'ospite o il capo di un'altra chiesa domestica. Si noti che, mentre il Presbitero ha scritto a « la chiesa » di cui Diotrefe desidera essere primo, ora egli scrive di­ rettamente a Gaio come se una chiesa non fosse così direttamente implicata. Gaio può essere un benestante cristiano giovanneo in un'area non lontana da Diotrefe dove ci sono seguaci (e, forse, anche amici ) del Presbitero - coloro che egli vuole salutare per nome o individual­ mente nel v. 1 5 . Il Presbitero può non conoscere Gaio personalmente dal momento che egli non è l'ospite di una chiesa; ma, nell'emergenza creata dal rifiuto di ospitalità di Diotrefe, « i fratelli » in parecchie occasioni sono andati nella casa di Gaio ed egli ha dato loro ospitalità 11• La loro relazione al Presbitero ( vv. 3 .6a) può avergli suggerito un piano per il futuro. Non solo egli chiede a Gaio di conti­ nuare l'ospitalità (vv. 6b .8 ); ma, spiegando la situazione di Diotrefe 12 , egli può implicitamente suggerire che Gaio I l Buona parte di 3Gv ha senso solo se Diotrefe ha recentemente cambiato linea di condotta nella sua chiesa, dopo che il Presbitero ha scritto alla chiesa la lettera menzionata nel v. 9 e se Gaio è stato recentemente visitato da ospiti verso i quali egli si è mo­ strato disponibile. La duplice menzione di testimonianza a Gaio nei vv. 3.6 implica qualcosa di recente, degno di nota. :t:. possibile che coloro che furono rifiutati da Diotrefe non abbiano detto a Gaio tutti i dettagli quando andarono da lui, per fare in modo che egli non dubitasse di loro come possibili provocatori di guai. Solo la riassicurazione da parte del Presbitero convincerebbe Gaio che un ospite della chiesa come Diotrefe è in errore. 12 Se Gaio non è il capo di una chiesa domestica rivale, allora l'unica chiesa esistente che interessa il Presbitero in 3Gv è la chiesa di Diotrefe ; da qui l'articolo determinativo nel v. 9a.

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dovrebbe destinare la sua casa a posto d'incontro della chiesa. In altre parole; la situazione che Malherbe imma· gina può essere futura piuttosto che presente. Se Gaio, alla fine, divenne l'ospite di una chiesa giovannea, la lette­ ra a lui indirizzata venne conservata da quella chiesa come parte dell'eredità della comunità giovannea (a meno che non si supponga eh� il Presbitero ne abbia tenuto una copia che è pervenuta a noi). Per lo meno Diotrefe, che aveva distrutto una precedente lettera, non ebbe successo nel bloccare quest'altra o nel gettarla nel cestino dei rifiuti .

2. La posizione di Diotrefe La posizione che Diotrefe ha nella chiesa è più chiara di quella di Gaio. Ciò che non è chiaro è la motivazione e la sfumatura di questo atteggiamento nei confronti dei mis­ sionari e del Presbitero. Egli occupa la prima posizione in una chiesa 13; lo raggiunge una lettera da parte del Presbi­ tero alla chiesa, ed egli può ignorare sia la lettera e sia il Presbitero (v. 9 ) ; il massimo che il Presbitero può fare per rappresaglia è venire e rinfacciare davanti alla chiesa ciò che Diotrefe sta facendo. La portata di quel « facen­ do » colpisce il Presbitero ( diffondendo maligne assurdità contro di lui ), « i fratelli » ( rifiutando di accoglierli ) e i membri della chiesa di Diotrefe (ostacolandoli nell'acco­ gliere i fratelli ; espellendo coloro che lo fanno ). Presumi­ bilmente, tutte le azioni sono collegate : il diffondere ma­ ligne assurdità contro il Presbitero continua l'opposizione precedentemente espressa nel rifiuto della lettera; e « i fratelli » sono missionari che aiutano il Presbitero, così che il rifiuto di loro è un rifiuto di lui. Perché l'ostilità tra Diotrefe e il Presbitero ? Le risposte possono essere classificate sotto parecchi titoli. Un disac­ cordo ecclesiastico, che riguarda la forma di governo della 1 3 Si veda la NOTA a 9b : la propoSIZione « che desidera essere primo tra loro ,. esprime la sfavorevole opinione del Presbitero su una supremazia esistente. La contrapposizione del Presbitero sug­ gerisce che Diotrefe non assunse un incarico con i poteri che egli esercita ; piuttosto, egli creò l'incarico.

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chiesa o la portata dell'autorità o il modo di esercitarla, viene suggerito come fonte di ostilità da Bornkamm, F.-M. Braun, B ruce, Donfried, Haenchen, Harnack, Kriiger, Mar­ shall, Pastor, Schnackenburg, Schneider e von Campen­ hausen. Questa interpretazione è fondata sulle asserzioni in 9b-10. Un disaccordo dottrinale, che riguarda la cristo­ logia o l'etica o ambedue, viene proposto da W. Bauer, Bresky, Kasemann 14 e Wendt. Questa interpretazione è fondata sul tema secessionista di l Gv e 2Gv, con la sup­ posizione che la secessione ha pure colpito la chiesa de­ scritta in 3Gv. L'impiego di « verità » in 3Gv 1 .3.4.8.12 viene presentato come una prova che il problema riguarda la dottrina; tuttavia, non si dice mai che Diotrefe non appartiene alla verità, solo che Gaio e il Presbitero vi appartengono. Un disaccordo sia ecclesiastico che dottri­ nale è stato proposto da Hilgenfeld, Houlden 15 e Wilder. Dentro tali classificazioni generali, ci sono molte variazio­ ni. Ad es., tra coloro che propongono un disaccordo dot­ trinale c'è disaccordo riguardo a chi di loro rappresenti 1'« ortodossia ». E così bisogna indagare su alcune princi­ pali teorie con più precisione. Verranno discusse sei pro­ poste; le prime tre comportano disaccordo ecclesiastico, mentre le seconde tre comportano disaccordo dottrinale. Sono possibili combinazioni di queste proposte. ( l ) Diotrefe è un esempio dell'affiorare del presbitero-ve­ scovo 16, l'unica massima figura della chiesa locale, come descritto con entusiasmo alcuni anni più tardi da Ignazio di Antiochia. L'affermazione di Harnack (« Ueber )) 2 1 ) è diventata famosa: Diotrefe è il primo vescovo monarchico di cui conosciamo il nome. Variazioni minori di questa teoria riguardano il modo in cui Diotrefe raggiunse la sua 14 Il suo approccio viene rigettato da Bornkamm, TDNT 6, 671 ; Haenchen, « Literatur » 277·81 ; Schnackenburg, Johannesbriefe 299. 1s Houlden, Epistles 8 : c'è « un momento in cui una congrega­ zione desidera emanciparsi da quegli individui o gruppi ai quali, forse, essa deve la sua fondazione, il suo possesso e la formula­ zione della fede cristiana » . 1 6 Finora, le chiese domestiche giovannee possono avere avuto ospi­ ti che non esercitavano una funzione di comando o di insegna­ mento. Filson, « Significante » 112, comunque, ha ragione nel dire che l'ospitare una chiesa divenne inevitabilmente un terreno di tirocinio per coloro che emersero come capi ufficiali dopo la morte delle grandi figure della prima generazione.

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posiZione. Per Michaelis, egli è una persona del collegio presbiteriale venuta dal nulla, una proposta che suppone l'emergere di un solo vescovo tramite l'iniziativa di una personalità dominante tra i presbiteri fin qui uguali. Altri suppongono che egli sia un vescovo venuto da una chiesa non giovannea, introducendo così un nuovo sistema di governo che era estraneo alla tradizione giovannea. Anco­ ra un'altra proposta è che nella chiesa di 3Gv i secessio­ nisti giovannei optarono per un governo episcopale a mo­ tivo della loro preferenza per maestri autoritari ( l Gv 2, 27). Variazioni più rilevanti di questa teoria riguardano lo stato del Presbitero che si può ritrarre come uguale, superiore o inferiore a Diotrefe. (a) Il Presbitero può essere uguale a Diotrefe, nel senso che anch'egli è un presbitero-vescovo. Ma egli sarebbe un rappresentante di uno stile di governo presso un gruppo di presbiteri-vesco­ vi (il « noi » ), mentre Diotrefe sarebbe diventato un vesco­ vo che rivendicava supremazia sugli altri vescovi. Che un presbitero potesse scrivere a un'altra chiesa dando consi­ gli sul governo della chiesa è confermato dalla Prima lettera di Clemente ( di Roma alla chiesa di Corinto ) 17• (b) Il Presbitero può essere stato superiore a Diotrefe (Don­ fried, Harnack, Pastor, Schneider, Zahn). Spesso l'aposto­ lo Paolo viene eretto a parallelo del Presbitero, dal mo­ mento che Paolo si considerava superiore agli ammini­ stratori della chiesa locale e pretendeva di essere da loro obbedito. Il confronto con Paolo sembra naturale per coloro che identificano il Presbitero con l'apostolo Gio­ vanni 18• Harnack parla di un modello per mezzo del quale il Presbitero (Giovanni ma non l'apostolo ) controllerebbe un gruppo di chiese servendosi di una rete di missionari. Donfried, « Ecclesiastical » 328, ritiene che il Presbitero 1 7 Ma Clemente non usa né titolo né nome personale ; la sua let­ tera viene da « la chiesa di Dio che abita in Roma ». E. una intelli­ gente congettura che Clemente fosse un (prominente) presbitero della chiesa romana, ma difficilmente il solo vescovo. 1 8 Sia il frammento muratoriano che Girolamo e Agostino pensa­ rono che Gv presiedesse un gruppo di vescovi in Asia Minore, at­ tribuendo al I secolo una situazione della chiesa propria dei loro tempi. Baur (« Briefe » 334) , il quale pensò che lGv fosse stata scritta nel tardo II secolo, paragonò Diotrefe al vescovo romano Vittorio (morto nel 199) , considerato come « vescovo di vescovi "·

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sia « il più importante presbitero in una rete regionale di chiese ». Streeter, Primitive Church 9 1 -92, ritiene che la sua importanza sia collegata al suo essere situato nella sede apostolica di Efeso, la quale lo rendeva una specie di metropolita o arcivescovo in relazione a Diotrefe (vesco­ vo); pertanto, il Presbitero è « presidente della chiesa madre dell'Asia >>. (c) Il Presbitero può essere stato di livello strutturale inferiore a Diotrefe ( Bornkamm, Kase­ mann. Schweizer, von Campenhatisen ). Per von Campen­ hausen, Ecclesiastical Authority 12 1-23, il Presbitero è « un profeta o maestro di stampo più antico ». ( � una sfortuna che von Campenhausen, Dodd, Donfried e altri introducano 'maestro' in questa discussione dal momento che, se il Presbitero scrisse 1Gv 2, 27, egli non fu certa­ mente un maestro) . Una tale posizione fondata sul carisma personale conterebbe poco agli occhi dei vescovi (come Diotrefe ) che rappresentano una chiesa formalmente strutturata. Infatti, Diotrefe può essere impegnato a pu­ rificare la sua chiesa da incontrollabili carismatici come quelli che il Presbitero chiama « fratelli ». Kasemann, « Ketzer » 1 73-74, caratterizza Diotrefe come « un vescovo monarchico il quale ritiene di trovarsi di fronte a un falso vescovo e agisce di conseguenza ». (2) Diotrefe rappresenta una forma carismatica di dire­ zione di chiesa, dove la guida viene fornita dallo Spirito piuttosto che da un detentore di cariche. In questa teoria, è il Presbitero che rappresenta l'autorità della chiesa maggiormente strutturata (un apostolo, o un compagno degli apostoli, o un vescovo, o uno dei presbiteri ). Di conseguenza, Diotrefe conserverebbe una forma più antica di direzione, mentre il Presbitero diventerebbe il portavo­ ce di un affiorante cattolicesimo primitivo che non tollera né incontrollabili carismi né atteggiamenti inizialmente gnostici. Diotrefe starebbe opponendo resistenza a tale innovazione e, a motivo di una luce interna o di una guida dello Spirito, espellerebbe certe persone. La chiesa, im­ pressionata dai suoi carismi, sta permettendogli di fare questo. ( 3) Diotrefe ha messo la sua casa a disposizione di cri­ stiani giovannei che si trovano nell'area, e ora comincia ad adoperare il suo ruolo di ospite per dirigere gli affari della chiesa e per controllare ciò che ci si insegna. Questo

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eserciziò di privilegi rassomiglia, per certi aspetti, al mo­ do di. funzionare del ( l'emergente ) vescovo che descriverà Ignazio. Comunque, noi non conosciamo il titolo di Dio­ trefe ( Schnackenburg), né abbiamo bisogno di postulare una precedente storia di governo da parte di gruppi di presbiteri. Diotrefe non sta affermando un nuovo incarico o adottando un nuovo titolo; altrimenti in 3Gv ci sarebbe una forte accusa di innovazione rivolta contro di lui. Diotrefe può essere un benestante dato che ha una casa abbastanza ampia da ospitare tutto un gruppo cristiano giovanneo, mentre i presbiteri-vescovi descritti dalle pa­ storali paoline ricevono salari ( l Tm 5, 1 7-1 8). Di fronte a Diotrefe, il Presbitero rappresenta la scuola giovannea di latori della tradizione e il principio che Gesù (o il Paracli­ to che parla al suo posto ) è l'unico maestro (Gv 14, 26; 16, 1 3 ). Se si può giudicare da 1 Gv, il Presbitero pensa che l'amore, non l'autorità, distingue il cristiano e, a fortiori, l'ospite della chiesa cristiana. ( 4) Diotrefe è uno degli ingannatori, degli anticristi o dei secessioniti attaccati in 1 Gv, e uno dei progressisti attac­ cati in 2Gv (W. Bauer, Bresky, Wendt ) - questa è la concezione più comune tra coloro che postulano un disac­ cordo dottrinale. Diotrefe è un maestro che ha convinto una chiesa domestica giovannea alla quale era giunto co­ me missionario (cfr. 2Gv 9-10). In verità, 3Gv può essere stata scritta alla stessa comunità della « signora eletta » a cui ci si rivolge in 2Gv se quella comunità non obbedì al Presbitero e permise a Diotrefe di entrare e di fare prose­ liti. Quando in 3Gv 9 il Presbitero dice : « Ho scritto alcune cose alla chiesa », egli può riferirsi a 2Gv, una lettera che non ebbe successo nel suo intento di arrestare la diffusio­ ne della secessione dalla signora eletta. ( 5 ) Diotrefe è dottrinalmente un rappresentante della grande chiesa ( INTRODUZIONE V D, nota 242 ), come pure un vescovo monarchico. Il Presbitero, d'altra parte, è un pre­ cedente membro del collegio di presbiteri che è stato espulso per eresia, proprio come i suoi « fratelli » stanno ora per essere espulsi da Diotrefe. Questa tesi patrocinata da Kasemann è collegata alla concezione che il vangelo di Gv sia un'opera gnostica in quanto tale o tramite le sue fonti. Si può richiamare la concezione di Bultmann che il vangelo di Gv abbia potuto essere accettato dalla grande

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chiesa solo dopo essere stato rivisto dal redattore ( censo­ re ) ecclesiastico. Una variante di questa teoria è che Dio­ trefe, sia nel suo episcopato che nella sua teologia, rap­ presenti un cristianesimo giudaico, simile a quello di Gia­ como o de « i fratelli del Signore » (che sono criticati come non credenti in Gv 7, 5 ) un cristianesimo critico verso le tendenze ellenizzanti e gnosticizzanti del pensiero giovanneo 19• Un'altra variante venne proposta da Hilgen­ feld, secondo cui Diotrefe rappresenterebbe una più anti­ ca tendenza giovannea legata al giudaismo e alla Giudea (e, qualche volta, al libro dell'Ap ), mentre il Presbitero rappresenterebbe una nuova tendenza giovannea legata a uno dei centri gentili ( e al vangelo di Gv ) 20 • ( 6 ) Diotrefe e il Presbitero condividono la stessa opposi­ zione ai secessionisti. Nella maggior parte delle forme di questa teoria, si suppone che la dottrina non abbia un ruolo nell'ostile situazione descritta in 3Gv. È possibile, comunque, che Diotrefe e il Presbitero stiano litigando sui mezzi più efficaci per combattere i secessionisti. A favore di questo sta il fatto che 2Gv ( 10-1 1 ) e 3Gv ( 12 ) condivido­ no la pratica di rifiutare l'ospitalità a maestri viaggiatori provenienti dall'esterno. 2Gv solleva il problema a motivo del pericolo che i maestri missionari diffondano dottrine secessioniste. Può essere stato anche il motivo di Diotre­ fe ? Si può obiettare che, dal momento che il Presbitero incoraggia i missionari in 3Gv, essi devono essere antise­ cessionisti. Ma quando dei viaggiatori vengono e chiedono di rivolgersi a una chiesa domestica locale, come fa l'ospi­ te a conoscere che cosa diranno se prima non hanno effettivamente parlato e, forse, fatto danno 21 ? L'incapacità di dire la differenza tra maestri e profeti viaggiatori ac-

19 Nel mio libro Community 73-81 ( tr. it. 84 ss) , viene suggerita l'osti­ lità del vangelo di Gv nei confronti di un gruppo di giudeo-cristia­ ni. Si veda pure J. L. Martyn, Gospel 83-84. 20 Naturalmente, si può pensare a Efeso, ma Hilgenfeld pensa pure a Roma a motivo della lotta tra Gerusalemme e Roma sulla que­ stione del quattordicesimo giorno, che implicava una datazione gio­ vannea ri guardante il giorno della morte di Gesù (ABJ 29A, 555-56 ; t r. i t . 661 ss) . 2 1 Questo sarebbe vero specialmente se non esisteva un modello di lettere di raccomandazione. Come vedremo, il testimoniale dato a Demet rio in 3Gv 12 può costituire il tentativo del Presbitero di porre un rimedio a ciò che è diventato un problema.

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cettabili e non accettabili costituisce un problema di pri­ maria importanza secondo Didache 1 1 , un'opera scritta al­ l'incirca nello stesso tempo di 3Gv. Di fronte a un tale dilemma, Diotrefe può avere deciso che l'unico rimedio sicuro fosse di rifiutare tutti i missionari. Con questo passo, che colpisce anche i missionari del Presbitero, Diotrefe può sperare di mantenere tutta la disputa al di fuori della sua chiesa e, così, conservare la pace per mezzo della quarantena. Nel valutare queste sei proposte, la questione è quale di esse dimostri di essere la meno improbabile. Non è possi­ bile né certezza né, forse, alta probabilità. Se in seguito citerò argomenti contro qualche proposta, non pretendo che gli argomenti siano decisivi, solo dissuasivi. Innanzi­ tutto, mi sia permesso di valutare insieme le proposte l , 2 e 3 , che riguardano differenze ecclesiastiche e, poi, 4, 5 e 6 che riguardano differenze dottrinali. Le proposte l e 2 si trovano di fronte alla stessa obiezio­ ne, cioè, che negli scritti giovannei noi non abbiamo te­ stimonianze dell'esistenza di vescovi (presupposta in l ) né accentuazione di carismi ( 2 ) come fattori importanti nella vita della comunità. Queste proposte traggono il loro so­ stegno da analogie con la storia della comunità paolina (rispettivamente, con le pastoriali e con l Cor) e dagli scritti dei padri apostolici. Nella proposta l , trovo molto improbabile la teoria che il « vescovo » Diotrefe fosse un esterno proveniente da una chiesa non-giovannea, stabili­ tosi nella chiesa di cui è ora capo. Nella sua polemica, il Presbitero non avrebbe omesso una accusa di influsso estraneo se si fosse trattato di ciò. Sicuramente, Diotrefe appartiene alla chiesa a cui si rivolge e ha un fondamento di sostegno in quella chiesa, che rende difficile al Presbi­ tero di correggerlo. ( L'idea che il Presbitero abbia il pote­ re di allontanare Diotrefe ma non scelga di farlo, non si adatta né al tono della sua ostilità verso Diotrefe né alla sua prontezza nel prendere energiche misure evidenziate in l Gv e 2Gv ). Bisogna rendere giustizia a due fatti : primo, il Presbitero che ha scritto l Gv, 2Gv e 3Gv prevede di essere ascoltato e rimane offeso quando non lo è; se­ condo, il suo non è uno stato che gli dia la possibilità di allontanare Diotrefe con un semplice ordine. Pertanto, egli non sembra essere un dirigente della chiesa in posizione

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strutturale superiore a Diotrefe (non un apostolo, né un metropolita, né un vescovo monarchico ). Né il suo unirsi con un « noi » a dei testimoni, che predicano facendo uso­ di argomenti fondati su una tradizione tenuta dal princi­ pio, suggerisce autorità carismatica. Delle prime tre pro­ poste, quindi, la terza ha il senso migliore sullo sfondo­ giovanneo a noi noto. Le ultime tre proposte riguardano questioni dottrinali� con 4 e 5 che suppongono che il Presbitero e Diotrefe siano su sponde diverse nel movimento secessionista di­ scusso in l Gv e 2Gv. Gli argomenti per quella supposizio­ ne sono deboli. l Gv e 2Gv sono quasi monomaniaci nel­ l'attaccare cristologia ed etica secessioniste, ma in 3Gv non vi è una sola parola riguardo a Gesù il Cristo, né viene esplicitamente menzionato il comandamento dell'a­ more. Se Diotrefe sostenesse le concezioni secessioniste, sarebbe virtualmente inconcepibile che il Presbitero tra­ lasciasse di menzionarlo nel suo attacco 22 • La tesi di Kasemann che il Presbitero sia un eretico ( semi-) gnostic(} è, a mio giudizio, ugualmente indifendibile. Si può dire· invece qualcosa in rapporto alla scoperta di tendenze pro­ to-gnostiche nel vangelo di Gv; in verità, il mio assunto in tutto questo volume è stato quello di dimostrare che i secessionisti stiano interpretando il vangelo di Gv in un modo che condurrebbe allo gnosticismo. Ma lGv e 2Gv costituiscono una energica confutazione di alcune possibi­ lità gnostiche del pensiero giovanneo; e se il Presbitero di 3Gv ha scritto 2Gv, è inconcepibile che Diotrefe 23 avesse·

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Occasionalmente, 3Gv 1 1 viene citato come un'implicita accusa dottrinale contro Diotrefe ( « chiunque fa ciò che è buono appar­ tiene a Dio ; chiunque fa ciò che è cattivo non ha mai visto Dio ») , poiché esso ha paralleli con il dualismo antisecessionista di lGv (ad es., 3, 6: « Ognuno che commette peccato non ha mai visto lui [Cristo] ») . Si può concedere che il Presbitero consideri il rifiuto, dell'ospitalità di Diotrefe come un'offesa contro il comandamento di amare il proprio fratello, contro il quale anche i secessionisti mancano. Ma ciò difficilmente costituisce una prova che Diotrefe condivida le aberrazioni cristologiche ed etiche dei secessionisti. 23 Perché la tesi di Kasemann abbia senso, Diotrefe deve essere un esterno non giovanneo per il quale tutti i cristiani giovannei sa­ rebbero progressisti, anche un moderato come il Presbitero. Più sopra, ho sostenuto che la polemica di 3Gv avrebbe probabilmente­ incluso l'accusa di pensiero o di influsso estranei se Diotrefe non fosse un cristiano giovanneo.

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potuto considerarlo un secessionista progressista. Inoltre, meno di non supporre che la precedente lettera alla chiesa (v. 9) fosse stata scritta prima che Diotrefe assu­ messe qualsiasi supremazia, il Presbitero ha scritto quella lettera supponendo che la chiesa di Diotrefe fornisse ospi­ talità a fratelli missionari della convinzione del Presbitero - una supposizione difficilmente possibile se i due uomini erano dottrinalmente divisi. ( La rete di chiese sorelle im­ plicata nelle formule di conclusione di 2Gv e di 3Gv rende probabile, a mio avviso, che il Presbitero sia informato di ciò che sta accadendo in altre chiese giovannee). E così io ritengo che, delle ultime tre, la sesta sia la proposta maggiormente plausibile. In sintesi, io propongo che la terza combinata con una forma della sesta permetta una ricostruzione intelligibile della situazione di 3Gv. Diotrefe è stato per un certo periodo l'ospite di una chiesa domestica giovannea e, fin qui, egli non è stato in conflitto con il Presbitero, che vive nella città della comunità giovannea principale e che è un membro della scuola giovannea di testimoni della tradi­ zione. Pertanto, i due uomini hanno ruoli diversi e uno non è strutturalmente inferiore all'altro. Nella tradizione giovannea, un ospite di una chiesa domestica offre ospita­ lità per incontri e a visitatori, ma egli non è un maestro autorevole 24, come sarebbe il presbitero-vescovo nelle chie­ se domestiche della tradizione delle (pastorali) paoline. Ora, la secessione e i missionari secessionisti hanno com­ plicato la scena giovannea. Il Presbitero pensa che si possa mostrare chi è dal lato giusto provando gli spiriti ( l Gv 4, l ) e chiedendo professioni di fede cristologica (4, 2; 2Gv 7), ma tali appelli possono essere stati insufficien­ ti ad arrestare il movimento secessionista ( l Gv 4, 5). Invero, in 2Gv 1 0-1 1 il Presbitero è concreto dicendo a coloro che gli sono fedeli di rifiutare l'ospitalità a missionari secessio­ nisti non rivolgendo loro nemmeno la parola. Diotrefe sembra aver proseguito oltre in quella linea di condotta rifiutando ospitalità a tutti i pretesi missionari, salvando -così la chiesa da possibile contaminazione dovendo ascola

lGv 2, 27 : « Non avete bisogno che alcuno insegni a voi "· Si osservi che il Presbitero chiede a Gaio di offrire ospitalità, ma non gli chiede di insegnare.

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tare missionari e scoprendo solo troppo tardi il loro peri­ coloso insegnamento. Nel fare questo, Diotrefe ( implici­ tamente almeno ) sta erigendosi a maestro della chiesa e allontanandosi dalla pura tradizione giovannea del Para­ dito quale unico maestro, così cara al Presbitero. Non sorprende, quindi, che il Presbitero lo critichi per il suo desiderio di « essere primo tra loro » - Diotrefe sta di­ ventando un presbitero-vescovo sullo stile delle pastorali, o anche il vescovo-unico sullo stile di Ignazio. Nella sua brutale praticità, Diotrefe può essere stato più efficace del Presbitero nel preservare la tradizione giovannea da con­ taminazione secessionista 25• La mia INTRODUZIONE V D2b ha suggerito che in ecclesiologia Diotrefe si avvicinerebbe più del Prebitero al redattore del vangelo di Gv, un redat­ tore che in 2 1 , 15-17 mostra Gesù che nomina Simon Pie­ tro pastore terreno del gregge di Gesù. E, in termini di unione definitiva tra una parte della comunità giovannea e la grande chiesa, i vescovi pastori di quest'ultima com­ prenderebbero l 'atteggiamento autoritario di Diotrefe 26 più facilmente del rifiuto che il Presbitero pone nei con­ fronti di una qualsiasi necessità di maestri umani. Avendo teorizzato riguardo alla situazione generale che ha provocato 3Gv, ritorno ora alle singole sezioni della lette­ ra. Ricordo al lettore che Appendice V sulla forma episto­ lare abbraccia sia 3Gv che anche 2Gv, e non ripeterò quello che là è detto.

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Secondo la mia opm10ne, dalle situazioni descritte nelle lettere affiorano tre gruppi di cristiani giovannei: i secessionisti ; il Pre­ sbitero e i suoi seguaci antisecessionisti ; Diotrefe e i suoi sosteni­ tori antisecessionisti, antipresbitero. La storia posteriore conosce interpreti gnostici del vangelo di Gv (i quali possono essere colle­ gati al movimento secessionista) . Essa conosce vescovi ortodossi i quali usarono il vangelo di Gv per confutare gli gnostici (un at­ teggiamento autoritario non diverso da quello di Diotrefe) . Si ri­ mane col dubbio che gli antisecessionisti, i quali seguirono l'eccle­ siologia del Presbitero, non abbiano lasciato tracce discernibili nel II secolo, forse per il motivo che non sopravvissero. 26 Sebbene Harnack ( « ()ber » 24) possa avere esagerato nel fare, di Diotrefe un vescovo monarchico, egli ha ragione nel collegare i due ruoli. Il ricordo di vescovi associati a Giovanni l'apostolo (nota 18) significa che, alla fine, i vescovi non vennero considerati una contraddizione del pensiero giovanneo.

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B. Formula di apertura

(vv . 1 -2)

Sia Bultmann che Schnackenburg limitano l'apertura (Praescriptio) al v. l. Tuttavia, come mostro nell'Appendi­ ce V A, un augurio di salute fa parte della formula di apertura di molte lettere greco-romane; e così io includo anche il v. 2. Nell'interpretare l'informazione fornita dal­ l'apertura, dobbiamo ricordare il linguaggio stilizzato del­ le lettere. « Diletto » è una fissa designazione giovannea e cristiana. « Nella verità io ti amo » ( l b), che si trova pure in 2Gv l b, è infine una espressione fissa che può essere rivolta anche a una chiesa. Dal momento che « verità » implica una corretta cristologia e « amore >> è il coman­ damento giovanneo, tutto quello che veniamo a sapere dal v. l è che Gaio è un altro cristiano giovanneo che mette in pratica le aspettative del Presbitero. Dal v. l , non possia­ mo supporre che il Presbitero abbia qualche volta incon­ trato Gaio o sia una sua conoscenza di vecchia data. Per il motivo che la speranza o l'augurio di buona salute nel v. 2 è una classica caratteristica epistolare, essa non costituisce indicazione che Gaio sia stato malato ( secondo Camerlynck, Vrede ), o che egli abbia sofferto persecuzione da parte di Diotrefe ( secondo Bresky). L'affermazione che Gaio stia bene spiritualmente è collegata a ciò che segue nei vv. 3-6, dove ci viene detto che i fratelli hanno dato prova dell'ospitalità di Gaio. Lungi dall'illustrare intima conoscenza di Gaio, tale informazione implica che il Presbitero ha udito di lui solo recentemente e che, di conseguenza, finora Gaio non ha avuto un ruolo ecclesia­ stico di rilievo.

C. Espressione di g1o1a come passaggio

al corpo della lettera (vv. 3-4 )

Ancora una volta (si veda Appendice V BC), non è chiaro se questa espressione di gioia sia equivalente al ringra­ ziamento paolino o sia una caratteristica dell'apertura del corpo della lettera 27 • In 2Gv, la gioia del Presbitero per il 27 Funk,

«

Form » 429, classifica 3Gv 3-4 come un « ringraziamento ».

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fatto che i figli della signora eletta stavano camminando nella verità ha indicato che l'errore cristologico dei seces­ sionisti ( attaccato in 2Gv 7-1 1 ) non aveva ancora fatto gravi danni. Qui, la gioia del Presbitero per la verità e per il camminare nella verità di Gaio viene interamente asso­ ciata all'amore che egli ha manifestato nel mostrare ospi­ talità ai fratelli ( 3Gv S-8 ). ( Così, veniamo a trovarci di fronte a una caratteristica stereotipa di « gioia » che as­ sume la propria colorazione dai contenuti della lettera ). Mentre l'« amore » è più facile da associare all'ospitalità di quello che sia la « verità » ( 3 volte nei vv. 3-4 ) 28, per Gv fa parte della verità lo stato cristiano di figlio di Dio tramite la fede in Gesù Figlio di Dio. L'ospitalità ai « fra­ telli » è una manifestazione di quello stato e, quindi, della verità. In 1 Gv 2, 4, noi leggiamo che una persona la quale non osserva i comandamenti « è un mentitore; e non c'è verità in una tale persona » e 4, 20-2 1 illustra come l 'auto­ re stia pensando all'amore del fratello come al comanda­ mento per eccellenza. In 1 Gv 3, 1 8-19, si dice che mostrare amore attraverso le opere è un segno di appartenza alla verità. Il v. 4 ripete il v. 3 - una ripetizione stilistica che indica la profondità della gioia sentita dal Presbitero. La chiesa che si raduna sotto la direzione di Diotrefe (e, probabil­ mente, nella casa di Diotrefe ) è stata chiusa al Presbitero ; e così Gaio gli ha reso un servizio significativo offrendogli ospitalità ( come il Presbitero continuerà a spiegare nei vv . 5-8 ). Questa assistenza lo porta a riferirsi a Gaio come a uno de « i miei figli », una designazione che non significa necessariamente che Gaio sia stato convertito da lui ( NoTA al v. 4). Come « figlioli miei >> di lGv, l'indirizzo significa soltanto che Gaio è un cristiano giovanneo in koinonia o in comunione con il Presbitero e con la scuola giovannea di latori della tradizione 29• In l Gv, si tratta di un indirizzo 28

3Gv nelle sue implicazioni non è lontana dalla combinazione « verità e amore » presente in 2Gv 3. In Gv 5, 33, comunque, l'espres­ sione « testimoniare la verità » ha valore cristologico, poiché è usata per la testimonianza che il Battista rende a Gesù. 29 Quando egli sta scrivendo come semplice cristiano giovanneo, gli altri nella comunità sono i « diletti " o i « fratelli » dell'autore ; ma quando egli sta implicitamente attirando l'attenzione sulla sua posizione nella scuola, l'autore tende a usare un linguaggio paterno.

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che, implicitamente, contrappone gli uditori ai secessio­ nisti i quali « uscirono dalle nostre file » . Qui, la designa­ zione di Gaio è a mo' di contrasto con Diotrefe il quale non è desideroso di mostrare ospitalità ai fratelli.

D. Richiesta di ospital ità e sostegno

(vv. 5-8)

Tutto quello che conosciamo sulla forma epistolare ci fa presumere che ora lo scrittore dovrebbe arrivare allo scopo principale della sua lettera. Così è, poiché in questi versi la petizione comprende l'interesse principale del Presbitero. L'indirizzo vocativo « diletto » nel v. 5 serve a segnare lo spostamento alla richiesta, ma anche continua a mettere in evidenza lo stato di Gaio come figlio di Dio legato nell'amore ad altri cristiani giovannei - lo status che sta alla base della petizione. La petizione stessa è chiara: si chiede a Gaio di estendere l'ospitalità e il sostegno ai fratelli giovannei che lo visiteranno. La difficoltà è come collegare questa richiesta al ruolo che Gaio ha finora avuto e perché la richiesta sia ora così urgente. Nelle NoTE 30, ho sostenuto che la petizione non è per una linea di azione completamente nuova, ma per una continuazione sotto una nuova dimensione dell'opera che Gaio stava già facendo per i fratelli. Ma perché allora il Presbitero sta scrivendo a Gaio di fare ciò che già sta facendo? La risposta implica un'analisi della situazione che ha affrontato la lettera. Il part. pres . nel v. 3 e tutto il tono dei vv. S-6 ( « tutto ciò che fai »; « il tuo amore » ) implicano che Gaio è stato stimato per l'ospitalità ad altri cristiani giovannei. � proprio quella stima che ha spinto i fratelli, ai quali venne rifiutata l'ospitalità della chiesa domestica di Diotrefe (v. 1 0 ), a rivolgersi a Gaio e a essere ricevuti da lui. Per un certo periodo di tempo, i fratelli Se Gesù si rivolge ai suoi discepoli come « figlioli » (Gv 13, 33) , non ci sorprende di trovare quei discepoli (ad es., il discepolo diletto) e altri intimamente uniti a loro usare quel linguaggio per la gene­ razione successiva, cioè, per coloro che sono diventati credenti tra­ mite la predicazione della prima generazione ( 17, 20) . 30 Ad es., ho resistito alla tentazione di B. Weiss e di altri di tra· durre i verbi nel v. 5 con tempi futuri.

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3Gv

giovannei che arrivavano nella chiesa del Presbitero te­ stimoniavano il generoso comportamento di Gaio, ma ora tra i fratelli ci sono coloro che sono stati rifiutati da Diotrefe ; e quella è la nuova situazione che spinge il Presbitero a scrivere così urgentemente. Finora, il norma­ le luogo di sosta è stato la chiesa domestica di Diotrefe. Chiusa quella, diventa cruciale trovare un nuovo luogo di sosta 31 • Istintivamente, nell'emergenza Gaio ha offerto o­ spitalità, ma il Presbitero deve essere sicuro che questo continuerà su una base regolare, specialmente sapendo che Gaio può essere oggetto di pressioni affinché cessi la sua ospitalità - pressioni da parte di Diotrefe, e della chiesa domestica limitrofa. Il Presbitero deve assicurare Gaio che egli sta facendo la cosa giusta nell'estendere l'ospitalità, poiché l'errore è compiuto da Diotrefe e non da coloro che egli rifiuta. Anzi, l'ospitalità richiesta è così importante che costituisce una testimonianza di amore e di verità e, quindi, una manifestazione dello stato di Gaio come vero cristiano. Si tratta, quindi, di un obbligo che ricade su Gaio, sebbene diplomaticamente il Presbitero generalizzi l'obbligo : « Bisogna che noi » ( 8a). La radice di quell'obbligo diventa chiara quando si studia questo verbo opheilein nelle opere della tradizione giovannea che ri­ chiedono amore fraterno : « Bisogna che anche voi vi la­ viate i piedi l'un l 'altro » (Gv 1 3 , 14 ); « Per noi Cristo diede la sua vita; così bisogna che noi a nostra volta diamo le nostre vite per i fratelli » ( l Gv 3, 16) ; « Se Dio amò noi così, bisogna che noi a nostra volta ci amiamo l'un l'altro » ( l Gv 4, 1 1 ). L'urgenza della richiesta è inintelligibile se i « fratelli >> non sono niente altro che comuni cristiani giovannei o anche semplicemente coloro che stanno dalla parte del Presbitero nella disputa sulla secessione. « Questi uomini » (8) che « per amore de "il Nome" partirono » (7) sono i missionari che annunciano il messaggio cristiano 32 • Più

31

Più sopra in A, ho sostenuto che si può capire molto bene la relazione Gaio/Diotrefe se postuliamo che Gaio non è un membro della chiesa di Diotrefe ma possiede una casa spaziosa, non troppo distante dalla chiesa domestica di Diotrefe. 32 In Community 55-58 ( tr. it. 61 ss) , ho suggerito che dopo essere stata espulsa dalla sinagoga, la comunità giovannea si volse con molta serietà alla missione dei gentili, come suggeriscono i nomi

Commento

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specificatamente, essi stanno annunciando « il vangelo » (anghelia : lGv l , 5 ; 3 , 1 1 ) come lo intende il Presbitero, in termini di Gesù Cristo venuto nella carne 33 e invitando a osservare i comandamenti. Quindi, essi sono le indispen­ sabili armi del Presbitero contro la diffusione della seces­ sione. Nessuna meraviglia per il suo interesse che essi siano sostenuti così da poter continuare i loro viaggi ! Se possiamo giudicare dalle chiese paoline, i cristiani svilup­ parono rapidamente la consuetudine di ricevere i missio­ nari e di aiutarli con denaro e scorte fino alla loro pros­ sima destinazione ( l Cor 1 6 , 6.1 1 ; Rm 1 5 , 24 ). Mentre l'at­ teggiamento più sensato sarebbe stato di partire con de­ naro sufficiente per tutto il viaggio, evidentemente i mis­ sionari cristiani erano guidati dallo stesso stile di Gesù: « Gesù ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio : né pane, né bisaccia, né denaro nelle loro borse » (Mc 6, 8). La buona volontà di aiutarli da parte di coloro che si trovavano lungo il loro itinerario fu considerata come apertura a Cristo : « Colui che riceve voi riceve me » (Mt 10, 40; « Chiunque accoglie colui che man­ derò, accoglie me » ( Gv 1 3 , 20). Ovviamente, dapprima l'accoglienza dovette essere offerta da non credenti; ma quando sorsero gruppi di convertiti, tale generosità venne considerata come la loro parte nella evangelizzazione : « Gratuitamente riceveste, gratuitamente date » (Mt 1 0 , 8 ). Verso la fine del I secolo, divenne un principio sempre più stabile non ricevere denaro da pagani 34• l Gv 3 , 17 insigreco-romani dei cristiani giovannei menzionati in 3Gv. Ma non sappiamo se Harnack ha ragione nel paragonare la situazione gio­ vannea alla ben strutturata rete missionaria di Paolo che mandò Timoteo, Tito e altri per comunicare il suo consiglio e le sue ri­ chieste alle chiese convertite nei viaggi paolini. 33 Nella NoTA, ho sostenuto che « il Nome » per il quale i missio­ nari partirono è un riferimento al nome divino portato da Gesù, il quale è uno col Padre ( Gv 17, 12) e, quindi, riflette una tradi­ zionale teologia giovannea. Naturalmente, il Presbitero può avere abbinato a questa terminologia tradizionale il suo tocco antiseces­ sionista: il Nome portato da Gesù Cristo venuto nella carne. 34 Certamente, un fattore fu il desiderio di evitare lo scandalo di fare soldi attraverso la nuova religione. Ignazio, Trall. 8, 2, ammo­ nisce: « Non date ai gentili occasione a motivo di pochi stolti di bestemmiare la moltitudine riunita di Dio ». LFAE 108 ss richiama l 'attenzione sulla vantaggiosa carriera di elemosinare da parte dei seguaci della divinità Syria e la Didache mette in guardia da quei

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nua che i secessionisti costituiscono il settore più benestan­ te della divisa comunità giovannea, ed essi possono bene avere avuto i mezzi per fornire i loro missionari in modo che non dovessero elemosinare. Il Presbitero non può fare questo; e senza l'ospitalità delle chiese che devono essere visitate, il suo annuncio della verità ad aree esterne ver­ rebbe bloccato. Non è retorica, quindi, quando il Presbite­ ro scrive che ricevere i fratelli missionari e dare loro i mezzi per proseguire il loro viaggio rende Gaio un « coo­ peratore con la verità » ( 8b ). La verità che è Cristo ( Gv 14, 6) viene fatta propria internamente dal cristiano ( l Gv 1 , Se; 2, 4d; ecc . ) così che lo Spirito di verità dimora nel credente che ha ricevuto l 'unzione ( Gv 14, 1 7 ; 1 Gv 2, 27). Quella verità e quello Spirito devono essere espressi rendendo testimonianza ( Gv 15, 26-27; l Gv 5, 6de ), e il sostegno dato da Gaio ai missionari antisecessionisti co­ stituisce la sua testimonianza. Ciò costituisce il suo modo di confessare Gesù Cristo venuto nella carne e, quindi, di riflettere lo Spirito, che appartiene a Dio ( lGv 4, 2). In un modo personale, il Presbitero sta presentando a Gaio la rivendicazione di l Gv 4, 6: « Noi apparteniamo a Dio e chiunque ha una conoscenza di Dio ascolta noi, mentre chiunque non appartiene a Dio rifiuta di ascoltare noi. Da questo possiamo conoscere lo Spirito di verità e lo spirito di inganno ».

E. L'ostil ità di Diotrefe (vv. 9-1 0) Nei vv . 1 1-12, il Presbitero riprenderà a insistere con Gaio sulla necessità di opere buone espresse dall'ospitalità ver­ so un « fratello » di particolare importanza (Demetrio ). Ma qui interrompe la sua petizione per commenta:re le azioni ostili di Diotrefe verso di lui e verso i fratelli. Una conclusione logica è che la richiesta ospitalità di Gaio abbia lo scopo di sostituire quella negata dalla chiesa di Diotrefe. Ho dedicato la prima sezione di questo COMMEN· profeti cristiani che chiedono denaro ( 1 1 , �) e da colui il quale " viene nel Nome del Signore ,. ma sta in realtà facendo un com­ mercio di Cristo ( 12, 2-5) .

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TO a 3Gv (A2 ) alla discussione delle numerose proposte fatte dagli studiosi riguardo alla posizione di Diotrefe e alle ragioni della sua ostilità nei confronti del Presbitero. Mi sia permesso ora di dedicarmi a ciò che il testo dice riguardo a Diotrefe e alle cinque azioni che ha intrapreso. LA DESCRIZIONE DI DIOTREFE (v. 9b ). Egli è una figura che desidera essere il primo tra coloro che costituiscono una chiesa. Nella NOTA, ho sostenuto che questo non significa semplicemente che egli vuole essere il primo; piuttosto, egli ha raggiunto quella posizione e al Presbitero ciò non piace. Il disprezzo suggerisce che si tratta di un avveni­ mento recente ancora discutibile e che egli non detiene un incarico che in sé comporti supremazia; ad es., quello del vescovo monarchico descritto da Ignazio 35 • Pertanto, si ha l'impressione che Diotrefe sia diventato capo per iniziati­ va propria. Nell'analizzare l'antipatia del Presbitero, i commentatori spesso citano passi che ammoniscono i cristiani in generale o i presbiteri-vescovi in particolare a non signoreggiare sopra altri ( Mt 20, 25-27; 2Cor l , 24; l Pt 5, 3). Comunque, sembra che qui la questione sia più radicale : non la critica dell'abuso di una inevitabile posi­ zione di supremazia, ma la messa in discussione di ogni supremazia umana 36• Tale opposizione a forme autoritarie della chiesa sarebbe strana alla fine del I secolo, poiché la testimonianza di At, delle pastorali, di Mt, di l Pt, di JClemente e di Ignazio mostra che si erano sviluppati vari tipi di autorità strutturata, particolarmente per l'inse­ gnamento e la supervisione della comunità. Tuttavia, l'in­ sistenza del vangelo di Gv sul Paraclito come maestro e su Gesù come buon pastore, e il rifiuto di l Gv della necessità di qualsiasi maestro umano si devono abbinare al compie35 La cosa è meno evidente se il Presbitero sta criticando Diotrefe di fare ciò che il suo incarico richiedeva e ciò che era stato chia­ mato a fare. 36 Questa messa in discussione può fare parte della mentalità dua· Iistica degli scrittori giovannei se considerano la supremazia uma­ na come una contaminazione operata dal principe di questo mondo. Uno dei segni distintivi della figura dell'anti-dio in 2Ts 2, 4 è che egli esalta se stesso, mentre Erma Man . 1 1 , 12, critica come con­ trassegnata dal falso spirito la persona che « esalta se stessa e desidera avere il primo posto "· Si veda più sopra, pp. 465-66 .

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to silenzio nel vangelo di Gv e nelle lettere sugli apostoli. Se si sostiene che Gv 2 1 , 1 5-17 mostra Pietro che viene nominato pastore, risponderei che il cap. 2 1 , scritto dal redattore, rappresenta l'ultima concessione giovannea alla ecclesiologia della grande chiesa e alla sua struttura, una concessione fatta probabilmente dopo che furono scritte le lettere. Ciò nonostante, se è la supremazia e non sem­ plicemente lo stile di supremazia che il Presbitero sta attaccando, ciò che ha provocato questa lettera a Gaio è chiaramente l'uso di quella supremazia contro gli interessi del Presbitero. Sono descritte cinque azioni di Diotrefe, due delle quali toccano il Presbitero direttamente, mentre tre toccano direttamente i cristiani giovannei (e indiret­ tamente il Presbitero ). LE DUE AZIONI DI DIOTREFE CHE TOCCANO IL PRESBITERO DIRET­ TAMENTE. Il Presbitero aveva scritto precedentemente « al­ cune cose » alla chiesa di Diotrefe (v. 9a). Questa vaga descrizione suggerisce che il fatto dello scritto (e la sua non accettazione) , piuttosto che i contenuti, sia diventato il problema; ed esso non favorisce per niente le teorie che lo scritto precedente fosse l Gv, 2Gv o una asserzione cristologica di primaria importanza. Se si deve congettu­ rare riguardo ai contenuti, il contesto di 3Gv favorirebbe la tesi che il precedente scritto riguarderebbe l'accoglien­ za di missionari in generale o di Demetrio in particolare. Alla fine, Diotrefe considerò il precedente scritto o lettera come discutibile e, forse, anche come una minaccia alla sua posizione. Ciò può essere dovuto a quanto lo scritto diceva o anche perché il Presbitero si sentiva libero di scrivere alla chiesa e, quindi, di interferire nell'area di Diotrefe. Diotrefe per la sua posizione aveva la possibilità di ignorare o rifiutare quello scritto, anche se era diretto alla chiesa - prova che egli aveva una reale autorità. La distruzione dello scritto da parte sua sarebbe la spiega­ zione più facile del perché sia andato perduto. A ogni modo, il Presbitero considera il comportamento di Diotre­ fe nei confronti della sua lettera come parte di una più vasta pratica del « non prestare attenzione a noi » (v. 9b) . Nella NoTA, ho sostenuto che la prima persona pl. rasso­ miglia all'uso di lGv l , 1-5, dove l'autore scrive come un rappresentante della scuola giovannea di latori della tra-

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dizione, così che il rifiuto dello scritto costituisce qualcosa di più di un affronto personale. Esso minaccia la koinonia « con noi » richiesta in l Gv l , 3 come essenziale per la koinonia col Padre e col Figlio. La suscettibilità del Presbi­ tero per la sua lettera rifiutata non sembrerà esagerata se si comprendono le procedure cristiane primitive. Nell'Ap­ pendice V C, c'è un riferimento alla tesi di Funk che vede una 'parusia apostolica' nella lettera paolina in generale e, specialmente, nella promessa di una visita da parte di Paolo nella chiusura del corpo della sua lettera. Una lette­ ra scritta da Paolo costituiva una estensione della sua apostolica sollecitudine per una chiesa e un sostituto della presenza dell'apostolo. La promessa di una visita per in­ coraggiare o punire costituiva una ulteriore indicazione di questo proposito. Anche ammesse le differenze tra atteg­ giamenti paolini e giovannei, il Presbitero chiaramente considera il rifiuto del suo scritto precedente come un rifiuto della sua influenza 37 nell'area dove Diotrefe ha assunto supremazia. Dall'altra parte, il rifiuto di Diotrefe del precedente scritto o lettera del Presbitero costituiva un aspetto della sua stessa sollecitudine per la chiesa. Egli è il maestro della chiesa, e non ha bisogno di interfe­ renza da parte del Presbitero. Se i secessionisti hanno sviluppato un sistema di maestri e profeti umani (come è implicito nella critica di lGv 2, 27; 4, l ) e se la (a quanto sembra inefficace ) risposta del Presbitero è di rifiutare la necessità di qualsiasi maestro e profeta umani (una ri­ sposta che dà preminenza al suo ruolo di testimone della tradizione, guidato dallo Spirito), Diotrefe sembra avere scelto una terza posizione, cioè, quella del maestro non secessionista. Il Presbitero rivendica l'attenzione dovuta a un discepolo del « discepolo diletto » in quanto parte della catena di testimoni; Diotrefe rivendica l 'autorità pastorale come capo della chiesa locale. Nel v. l Ob, il Presbitero si lamenta per il secondo modo di comportarsi di Diotrefe nei suoi confronti : Egli sta diffon­ dendo « maligne assurdità riguardo a noi ». Di nuovo la prima persona pl. della scuola giovannea indica che è 37 Che il Presbitero consideri il suo scritto come una estensione della sua persona si vede nella sua asserzione riguardo a Diotrefe alla fine del v. 9 ; letteralmente: « Egli non ci riceve ».

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implicata qualcosa di più di una critica personale o ca­ lunnia. Diotrefe sta mettendo in dubbio il diritto dei latori della tradizione giovannea di sorvegliare l'annuncio del vangelo nelle chiese in cui essi vivono. Egli può stare facendo propaganda contro la/le lettera/e del Presbitero e i missionari attribuendo tali sforzi ad arroganza e presun­ zione ( « maligne assurdità » ), proprio come il Presbitero attribuisce arroganza a Diotrefe. La soluzione della situa­ zione senza via d'uscita è prevista dal Presbitero in termi­ ni di una possibile visita ( l Oab : « Se verrò, rinfaccerò ciò che sta facendo » ). In 2Cor 13, 2, Paolo minaccia una visita ostile a una chiesa: « Se verrò di nuovo, non vi perdone­ rò ». Ma proprio quell'asserzione illustra la differenza tra un apostolo e il Presbitero, e tra la prospettiva paolina e quella giovannea. Il « se », adoperato sia dal Presbitero che da Paolo, riflette un tenero desiderio di evitare un confronto ostile. Ma se Paolo verrà, avrà l'autorità di fare qualcosa in ragione del suo stesso potere. Il massimo che il Presbitero può fare è di convincere la chiesa a intra­ prendere qualche azione contro Diotrefe 38• ( lo ho argo­ mentato contro l'assunto che il Presbitero abbia il potere di rimuovere Diotrefe ma caritativamente rifiuti di adope­ rarlo; le altre lettere mostrano un uomo che adopera tutto il potere che ha per amore del vangelo ). Il fatto che Diotrefe sia efficace in tutti i provvedimenti descritti nei vv. 9-1 0 indica che egli ha già persuaso la maggioranza della chiesa a favore della sua linea di azione, e il Presbi­ tero spera solo di persuadere la chiesa nella direzione opposta. Amministrativamente, Diotrefe ha più potere ec­ clesiastico del Presbitero. Pertanto, il « se » del Presbitero, che rende la visita solo possibile, può riflettere qualcosa di più della semplice suscettibilità. Esso può riflettere il timore di un insuccesso 39. 38

Il Presbitero non specifica davanti a quale pubblico egli vorrà rinfacciare il comportamento di Diotrefe, ma sicuramente è il « loro » che costituisce la chiesa del verso precedente. Questo si­ gnifica che, anche se Diotrefe può escludere i missionari, il Pre­ sbitero presume di ottenere accesso alla chiesa domestica e il privilegio di parlare. A quanto sembra, anche Diotrefe non può escludere un membro distinto della scuola giovannea quando viene di persona. 39 Anche Paolo può non aver avuto la certezza del successo, ma forse la sua posizione apostolica non gli avrebbe pennesso di tralasciare

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TRE AZIONI DI DIOTREFE CHE TOCCANO DIRETTAMENTE I CRI·

STIANI GIOVANNEI . Diotrefe non è contento di una azione diretta contro il Presbitero (v. lOc); egli prende in aggiun­ ta tre provvedimenti : rifiuta di ricevere i fratelli missio­ nari ( 1 0d ) ; ostacola coloro che vogliono farlo ( 1 0f); li espelle dalla chiesa ( l Of). Il primo di questi provvedimenti è la logica continuazione del rifiuto di ricevere la lettera del Presbitero, ammesso che i missionari provenissero dal Presbitero e fossero stati mandati per attuare il suo di­ segno 40• Ancora una volta, la teoria di Funk della 'parusia apostolica' getta luce sull'atteggiamento del Presbitero. Nella situazione paolina, emissari che egli menziona nelle sue lettere portavano sia la parola che l'autorità delegata dell'apostolo. Il rifiuto di trattarli bene costituiva un affronto a Paolo e ostacolava la sua relazione con quella chiesa. Così anche qui, « i fratelli », come la lettera che il Presbitero ha scritto, sono l'estensione della sua presenza e gli strumenti del suo influsso. Possiamo supporre che essi siano a servizio della campagna antisecessionista del Presbitero. Ciò spiega perché nel v. 1 1 egli sia così duro nel definire il loro rifiuto da parte di Diotrefe : « Chiunque fa ciò che è cattivo non ha mai visto Dio ». Egli non rivela mai che Diotrefe sia personalmente colpevole di una di­ storsione secessionista del vangelo ma, de facto, l'ostru­ zionismo di Diotrefe sta aiutando il movimento secessio­ nista. Il quarto e il quinto provvedimento preso da Diotrefe illustrano i termini precisi del suo rifiuto dell'influsso del Presbitero. Egli ostacola chiunque voglia accogliere i fra­ telli, ed espelle dalla chiesa coloro che fanno così. Amarsi l'un l 'altro o amare il proprio fratello (cfr. 1 Gv 3, 1 0c e l l c ) è il comandamento giovanneo per eccellenza. Il fatto una determinata visita se una sua lettera non avesse avuto successo. Sembra che il Presbitero non avesse un senso di responsabilità apostolica del genere. 40 Probabilmente, la lettera rifiutata riguardava l'iniziativa missio­ naria, ma non è necessario che la postuliamo per supporre un le­ game tra il Presbitero e i « fratelli » rifiutati da Diotrefe - il v. lOc crea quel legame. Che i fratelli siano missionari è mostrato dai vv . S-7, e che il Presbitero sia implicato in un'iniziativa missiona­ ria si vede nel suo testimoniale a Demetrio il quale presumibilmente sta recandosi da Gaio.

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che i membri di questa chiesa giovannea possano essere costretti a invertire la propria prassi di ospitalità verso i fratelli visitatori e, quindi, ad andare contro l'impulso del comandamento, mostra il potere di Diotrefe. Ciò viene ulteriormente illustrato dalla capacità di Diotrefe di espel­ lere dalla chiesa coloro che non si attengono alla sua linea di condotta di antiospitalità mentre il Presbitero non sembra capace di espellere Diotrefe dalla chiesa 41 • Chia­ ramente, la questione tra Diotrefe e il Presbitero è più che personale se per essa Diotrefe desidera che le persone si separino dalla koinonia. Essa deve avere riguardato la stessa sopravvivenza della chiesa. A causa dell'ira del Presbitero, la maggior parte dei commentatori suppone che Diotrefe avesse moventi cattivi o scriteriati ; per questo fa piacere sentire Windisch, Briefe 142, che suggerisce che Diotrefe possa essere stato un pastore sincero del­ la chiesa che tentava di proteggere la sua comunità contro falsi maestri quali i secessionisti. Come abbiamo visto più sopra sotto A, io ho optato per questa soluzione ritenendola la più plausibile. La sua azione contro i fratel­ li non è più brutale dell'azione che il Presbitero incorag­ gia contro i missionari secessionisti in 2Gv 1 0-1 1 . ( Non ci sorprende che il Presbitero non possa vedere questo pa­ radosso, poiché egli non può vedere neppure che il suo atteggiamento nei confronti dei secessionisti esemplifica quella mancanza di amore per cui egli li condanna in una mentalità dualistica, tutte le azioni degli oppositori sono errate in se stesse e non possono essere paragonate ad azioni simili della parte buona). Un modo più sottile di trattare i maestri visitatori si trova in Didache 1 1 , 1-5 42: -

Ogni qualvolta qualcuno viene e insegna a voi tutte queste cose 41 Come ho spiegato nella NorA a lOf, Diotrefe non ha necessaria­ mente il potere di espellere le persone mediante un ordine ; egli può avere avuto il potere di convincere la chiesa a intraprendere questa azione. Nondimeno, egli ha avuto successo, mentre il Pre­ sbitero non è sicuro di potere persuadere la chiesa a intraprendere un'azione contro Diotrefe. 42 Il passo successivo della Didache ( 1 1 , 7) invita a vagliare un pro­ feta che parla in spirito ; si confronti lGv 4, l sul mettere gli spi­ riti alla prova (più sopra, p. 690) . Chiaramente, la Didache 11 ha paralleli con l'ambiente o la mentalità delle lettere giovannee.

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di cui abbiamo parlato, ricevetelo. Ma se il maestro stesso ha deviato insegnando un'altra dottrina che contraddica queste cose, non ascoltatelo ... Ogni emissario [apostolo] che viene a voi sia ricevuto come il Signore ; ma non fatelo rimanere più di un giorno (o due se è assolutamente necessario) . Se egli ri­ mane tre giorni, è un falso profeta.

Diotrefe sembra essere d'accordo con quei cristiani i quali pensavano che due giorni e mezzo per combinare guai erano troppi. In At 20, 29, Paolo mette in guardia le auto­ rità di Efeso sul fatto che « entreranno fra voi lupi rapaci e non risparmieranno il gregge ». Tt l , 10-1 1 sembra sospet­ tosa di tutti i maestri non autorizzati dai presbiteri : « Bi­ sogna chiudere la loro bocca ». Non permettendo a mis­ sionari esterni nemmeno di entrare nella chiesa domesti­ ca, Diotrefe stava chiudendo le loro bocche nel più effica­ ce dei modi.

F.

Un appello a fare il bene e un testimoniale per Demetrio (vv . 1 1 -1 2)

Fino a un certo punto, l'informazione riguardo a Diotrefe nei vv. 9-10 è parentetica alla principale corrente di pen­ siero del Presbitero, cioè, alla petizione ( fatta nei vv. S-8 e continuata in 1 1 ) che Gaio offra regolare ospitalità ai missionari, ora che Diotrefe ha chiuso il loro precedente luogo di sosta. Anche se Gaio ha già offerto ospitalità nell'emergenza, sembra venga anticipata qualche esitazio­ ne da parte sua; e ciò è più comprensibile se Diotrefe non era solo il capo di una chiesa domestica limitrofa, ma stava agendo nel nome dell'ortodossia. Pure il Presbitero, comunque, sta agendo nel nome dell'ortodossia; e median­ te la sua minaccia di mettere in discussione Diotrefe con una visita, sta indicando quanto sia grave la necessità di trovare dei mezzi per mantenere in piedi l'iniziativa mis­ sionaria. Egli non sta dando a Gaio l'opportunità di rima­ nere neutrale, poiché nel v. 1 1 presenta una scelta tra ciò che è buono e ciò che è cattivo. Se Gaio non continua a offrire ospitalità, egli imita Diotrefe la cui cattiva azione equivale a una negazione della verità e ad una alienazione da Dio. L'atteggiamento mentale è di nuovo quello di l Gv

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1 , 3 : è necessaria la koinonia con « noi » per la koinonia con Dio, e questa koinonia o comunione è espressa per mezzo dell'amore manifestato verso i fratelli : « La perso­ na che non ha amore per suo fratello che ha visto non può amare il Dio che non ha mai visto >> (4, 20). In tale ragionamento, l'implicazione è che Gaio deve considerare il Presbitero e i suoi seguaci come « fratelli », mentre Diotrefe e i suoi non lo sono. L'appello termina con un testimoniale a Demetrio, una figura enigmatica ( si veda la lunga NoTA al v. 1 2 ) che probabilmente è un prominente missionario che viene da Gaio portando questa lettera o poco dopo essa. Se egli è uno di coloro precedentemente rifiutati da Diotrefe, di­ venta evidente la necessità di un testimoniale per riassi­ curare Gaio. Anzi, io ho proposto che possiamo avere qui il principio di una pratica di lettere testimoniali per mis­ sionari giovannei, così che ( in modi molto diversi ) sia il Presbitero che Diotrefe starebbero reagendo alla necessità di maggiore chiarezza riguardo ai missionari, ora che stanno circolando anche missionari secessionisti. La forza del testimoniale è fondata su tre testimoni : ( 12a) il testi­ mone di tutti i cristiani giovannei ( dell'idea del Presbite­ ro ) che lo conoscono; ( 12b ) il testimone del suo stesso modo di vita, che scaturisce dalla verità in cui egli dimo­ ra 43; ( 12c) e il testimone del Presbitero che parla a nome del « noi » della scuola giovannea. Nell'ultimo esempio, si chiede a Gaio di « prestare attenzione a noi », proprio la cosa che Diotrefe rifiuta di fare (v. 9 ). L'importanza di questo testimoniate mostra una volta di più che, secondo il pensiero dell'autore, la questione dell'ospitalità si deve collegare all'annuncio della sua forma del vangelo. Molti studiosi considerano questa importanza come una indica­ zione che Diotrefe è un secessionista; ma è altrettanto comprensibile se si pensa che Diotrefe, sebbene non sia un secessionista, stia compromettendo la battaglia mis­ sionaria contro la diffusione della secessione. E quest'ul­ tima tesi dà una spiegazione migliore del fatto che il Presbitero non sembra interessato alla dottrina sulla chie43 La testimonianza « dalla verità stessa » non viene determinata chiaramente, ma delle concezioni discusse nella NorA al v. 12b que· sta è la più probabile.

Commento

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sa di Diotrefe, ma solo a trovare un sostituto dell'ospitali­ tà e dell'aiuto missionario che essa precedentemente for­ niva. Che Gaio abbia acconsentito alla richiesta del Pre­ sbitero viene suggerito dalla sopravvivenza di 3Gv 44, un destino diverso da quello della precedente lettera mandata alla chiesa di Diotrefe.

G . Promessa di una visita,

e chiusura del corpo della lettera (w. 1 3- 1 4)

La chiusura del corpo di 3Gv è quasi identica alla chiusu­ ra del corpo di 2Gv (v. 12) ; e gli avvertimenti dati là nel COMMENTO devono essere ricordati se non si vuole correre il rischio di cercare precise informazioni in formule stereo­ tipe. L'asserzione che il Presbitero ha molto di più da scri­ vere ( v. 1 3 ) è semplicemente un ripiego per finire la lettera e non può essere forzata per ricavare dettagli riguardo al­ l'amicizia o alla storia delle persone implicate. Né dalla spe­ ranza di una prossima visita (v. 14) si può stabilire molto riguardo alla precisa natura dei progetti del Presbitero. Si è inclini a sostenere che la speranza di visitare Gaio sia più precisa del « se verrò » (v. 1 0 ) della visita alla chiesa di Diotrefe e che, quindi, i due uomini non siano nella stessa chiesa domestica. Ma dai due riferimenti si può dire con certezza che il Presbitero ha una statura che lo rende idoneo a visitare chiese in difficoltà, sia per incoraggiarle che per impugnarle. (Anche in quel caso, noi non abbiamo prova che le visite siano state una pratica di lunga data ). 2Gv 12e contiene la proposizione : « Così che la nostra gioia possa essere completata » ; e si è creduto che l'assen­ za di un parallelo in 3Gv indichi che il Presbitero sia più profondamente turbato riguardo alla situazione descritta in 3Gv di quello che è stato riguardo alla « signora eletta » e ai suoi figli. Ma l'argomento ex silentio, fondato su una tale proposizione poco importante, è rischioso. 44 Implicitamente, quindi, egli sarebbe diventato l'ospite di una chiesa domestica - un destino che potrebbe essere confermato dalla tradizione posteriore, se fosse credibile, secondo cui egli funse da vescovo (NorA a la) .

3Gv

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H . Formula conclusiva

(v. 1 5)

Si è pensato che la presenza in 3Gv dell'espressione « pace a te » (assente in 2Gv) confermi il sospetto menzionato immediatamente più sopra. Tuttavia, la presenza di « pa­ ce » in altre formule di conclusione epistolare del NT ( NorA a l Sa; pure Appendice V D ) ci mette in guardia dal dare a essa un contenuto troppo specifico. Si può dire che il Presbitero si trova in una tradizione dove la pace è un dono escatologico realizzato nel presente, secondo la pro­ messa di Gesù : « La mia pace è il mio dono a voi » ( Gv 14, 27 ). Se Gaio è turbato dalla decisione a lui imposta a motivo dell'azione di Diotrefe, dall'augurio di pace del Presbitero egli può essere indotto a ricordare che, nell'ul­ timo discorso, il Gesù giovanneo associò quella pace al comandamento dell'amore vicendevole ( 1 3, 34-35; 1 5 , 1 2 . 1 7 ) - l o stesso comandamento che costituisce i l fondamento per l'appello del Presbitero all'ospitalità nei confronti dei « frateIli » . Nel commentare l a formula d i conclusione di 2Gv, ho messo in evidenza che il gesto del Presbitero di mandare saluti da parte di altri cristiani giovannei ( in 2Gv : « I figli della tua sorella eletta » ; in 3Gv : « Qui i diletti » 45) costituisce il suo promemoria che la koinonia è una parte essenziale della vita giovannea ( l Gv l , 3 ) . Diotrefe ha fatto di più che staccarsi dal Presbitero; egli ha compromesso la relazione di una chiesa giovannea con un'altra. D 'altra parte, le buone opere di Gaio per i fratelli « testimoniaro­ no davanti alla chiesa » (6a), edificarono la koinonia tra varie componenti della comunità giovannea. I membri di quella comunità sono un gruppo di « diletti », amati da Dio e che si amano l'un l'altro; e solo coloro che mostra­ no quell'amore ( in questo caso, con l'ospitalità) apparten­ gono alla comunità. L'estensione dei saluti a ciascuno « per nome » ( si veda NorA a lSc) rende possibile il rifiuto di saluti nell'area di Gaio ai seguaci della posizione di Diotrefe (che si suppone Gaio conosca). Il Presbitero ri­ mane coerente nel considerare come « fratelli » e « dilet­ ti » solo coloro che « ascoltano noi » ( l Gv 4, 6 ).

45 «

Per la traduzione di philos come amico », si veda la NOTA a 15bc .

«

diletto ,. piuttosto che come

1013

Commento

L'interpretazione di 3Gv presentata qui collega il suo inte­ resse principale, la necessità di offrire ospitalità ai fratelli missionari, alla campagna del Presbitero contro i seces­ sionisti, il tema principale di l Gv e 2Gv. l Gv è stata interpretata come un libero commentario del vangelo gio­ vanneo destinato al centro principale della comunità gio­ vannea dove era già avvenuta una secessione a causa di una opposta interpretazione del vangelo. La propaganda secessionista turba il resto che è rimasto fedele all'inter­ pretazione tradizionale del vangelo (anghelia ) patrocinata dal Presbitero e dalla scuola giovannea di latori della tradizione ; da qui la necessità della riassicurante contro­ propaganda che costituisce il contenuto di l Gv; 2Gv e 3Gv sono state interpretate come parte della campagna del Presbitero per difendere alcune chiese giovannee lontane dal pericolo di venire decimate da emissari secessionisti. 2Gv ammonisce una chiesa dall'ammetterli; 3Gv tenta di trovare aiuto per i contromissionari del Presbitero i quali vanno diffondendo l'ammonizione. Non vi è necessità, quindi, di postulare un considerevole intervallo di tempo tra le tre opere. Tutte sembrano provenire dallo stesso momento cruciale nella storia della comunità giovannea.

BIBLIOGRAFIA RIGUARDANTE 3Gv

(Vedere la Bibliografia di 2Gv, poiché molti di quei riferimen­ ti riguardano entrambe le lettere; vedere anche la Bibliogra­ fia dell'Appendice V sulla forma epistolare e la Bibliografia sulle chiese domestiche nell'INTRODUZIONE VII F2). Bartina S., « Un papiro copto de 3Jn 1-2 (PPalau Rib. inv. 20) », Studia Papyrologica 6 ( 1967) 95-97. Hall D. R., « Fellow-Workers with the Gospel » , ExpT 85 ( 197374) 1 19-20. Harnack A. von, « 'Ober den dritten Johannesbrief », TU 153 ( 1897 ) 3-27. Hilgenfeld A., una recensione dell'articolo precedente, ZWT 41 ( 1898) 316-20.

1014

Bibliografia riguardante 3Gv

Horvath T., « 3Jn l lb: An Early Ecumenica! Creed? » ExpT 85 ( 1973-74) 339-40. Kriiger G., « Zu Harnack's Hypotese iiber den dritten Johan­ nesbrief », ZWT 41 ( 1898) 307-1 1 . Malherbe A . J . , « The Inhospitality o f Diotrephes », in God's Christ and His People, a cura di J. Jervell e W. A. Meeks ( N. A. Dahl Festschrift; Osio: Universitet, 1977 ) 222-32. Schnackenburg R., « Der Streit zwischen dem Verfasser von 3Joh und Diotrephes und seine verfassungsgeschichtliche Bedeutung », MTZ 4 ( 1953 ) 18-26.

APPEN DICI

Appendice I

specchietti

Specchietto uno : Somiglianze tra 2Gv-3Gv e gli altri scritti giovannei

*

3Gv E IL VANGELO DI Gv/ 1Gv 3Gv 1Gv 1Gv 3Gv Gv 3Gv 1Gv 3Gv 1Gv 3Gv Gv 3Gv Gv

3: camminare nella verità 1 , 7: camminare nella luce 3, 1 8 : (amore) in opere e verità 4: niente dà a me una gioia più grande di ... 15, 13: nessuno ha un amore più grande di ... 1 1 : ( persone che) appartengono a Dio 3, 10; 4, 6: (persone che non) appartengono a Dio 1 1 : chiunque fa ciò che è cattivo non ha mai visto Dio 3, 6: ognuno che commette peccato non lo ha mai visto 12: tu sai che la nostra testimonianza è vera 8, 14: la mia testimonianza è vera 13: io avevo molto di più da scriverti 16, 12: io ho molto di più da darti

2Gv E VANGELO DI Gv/ 1GV 2Gv 1 : conoscere (ghinoskein) la verità Gv 8, 32 : conoscere ( ghinoskein) la verità 1Gv 2, 21 : conoscere ( eidenai [oida] ) la verità * Le somiglianze presuppongono il testo greco e qualche volta sono meno evidenti nella traduzione.

1018

Appendice I

2Gv 2 : la verità che dimora in noi e sarà con noi per sempre Gv 14, 16-17: un altro Paraclito che rimanga con voi per sempre; egli è lo Spirito di verità ... egli dimora con voi ed è in voi 2Gv 4: camminare nella verità (si veda 3Gv 3 ) 2Gv 4: i l comandamento che ricevemmo dal Padre Gv 10, 18: ricevetti questo comandamento dal Padre mio 2Gv 5 : non come se stessi scrivendoti qualche comandamento nuovo 1Gv 2, 7 : questo non è un comandamento nuovo che scrivo a. voi 2Gv 5 : un comandamento ... amiamoci l'un l'altro Gv 15, 12.17; 13, 34: questo comando a voi : amatevi l'un l'altro 1Gv 3, 23 : questo è il comandamento di Dio ... dobbiamo a­ marci l'un l'altro 2Gv 6: questo è amore: che camminiamo secondo i suoi co­ mandamenti lGv 5, 3 : l'amore di Dio consiste in questo: che osserviamo i suoi comandamenti 2Gv 6: il comandamento ... come lo udiste dal principio 1Gv 3, 1 1 : questo è il vangelo che udiste dal principio 2Gv 7: molti ingannatori sono usciti nel mondo ... Ecco l'in­ gannatore; ecco l'anticristo 1Gv 2, 18.22: molti anticristi hanno fatto la loro apparizione ... chi, dunque, è il mentitore ? ... Tale è l'anticristo 1Gv 2, 26 : Ho scritto questo a riguardo di coloro che vi in­ gannano (si veda pure 3, 7 ) lGv 4 , 1.3.6: molti falsi profeti sono usciti nel mondo ... ri­ flettendo uno spirito dell'anticristo ... Da questo possiamo conoscere ... lo spirito di inganno 2Gv 7 : confessare Gesù Cristo che viene nella carne 1Gv 4, 2: confessare Gesù Cristo venuto nella carne 2Gv 8 : dovete ricevere la vostra ricompensa in pieno Gv 4, 36: il mietitore sta ricevendo la sua ricompensa 2Gv 9 : rimanere nell'insegnamento di Cristo Gv 8, 3 1 : se rimanete nella mia parola 2Gv 9 : chiunque non rimane nell'insegnamento di Cristo non possiede Dio Gv 15, 23 : odiare me è odiare il Padre mio 1Gv 2, 23 : nessuna persona che nega il Figlio possiede il Padre 2Gv 12: io ho molto di più da scrivervi (si veda 3Gv 1 3 ) 2Gv 12: così che l a nostra gioia possa essere completata Gv 15, 1 1 : cosl che la vostra gioia possa essere completata ( pure 16, 24) Gv 17, 1 3 : così che essi possano avere la mia gioia comple­ tata in loro stessi

2, 6.27.28; 3, 6 2, 7-8 2, 8

l , 8; 2, 4 2, 1 .12.28; 3, 7.18; 4, 4; 5, 21 2, l 2, l (si veda 1 , 1-3 ) 2, 2 2, 3.4; 3, 22.24; 5, 3 2, 4 ( si veda 1 , 8 ) 2, 5

8, 5 1.52.55; 14, 23-24; 15, 20; 17, 6 15, 4.6.7 13, 34 l, 5

l , 29 ( 1 1 , 51-52) 14, 15.2 1 ; 15, 10

14, 16

3, 1 1 15, 1 1 ; 16, 24; 17, 13 8, 12; 9, 5 ( 12, 35) 3, 2 1 8, 1 2 ; 1 1, 9-10 12, 35.40 9, 41 8, 44 13, 33

l, 2 1, 4 l, 5 l, 6 l, 6-7; 2, 10-1 1

l, 8

l, 1 .2.4.14

vangelo di Gv

l, 1-3

IGv

Specch ietto due :

dimorare (rimanere : menein) in Dio/Cristo comandamento nuovo tenebre che compaiono e luce che splende

Gesù Cristo, Paraclito alla presenza del Padre per i nostri peccati, anche per tutto il mondo osservare i comandamenti (di Dio, di Gesù) verità in una persona osservare la(e) parola(e) ( di Dio, di Gesù)

era, principio, parola, vita, rivelata/fatta carne, alla presenza del Padre ( di Dio) abbiamo visto e testimoniamo gioia completata Dio è luce; io sono la luce agire ( fare) nella verità camminare ( dimorare) nelle tenebre/luce; non conoscere dove si sta andando libero dalla colpa di peccato verità che è in una persona indirizzo « figlioli » ( pl. teknion )

somiglianze

Somigl ianze tra 1 Gv e vangelo di Gv

Cll

o \0

... ... �·

t;·

�() g.

2, 10-1 1 (si veda l, 6-7 ) 2, 12 (si veda 2, l ) 2 , 13.14 2, 14, 18 2, 14 2, 15 2, 15 2, 16; 4, 5 2, 17 2, 18 ( si veda 2, 14) 2, 21 2, 21 ; 3, 19 2, 23 2, 24 2, 27 2, 27 2, 27.28 ( si veda 2, 6) 2, 28 (si veda 2, l ) 2 , 29; 3 , 9 ; 5 , 1 .4.18 3, 1 .2.10 3, 1 3, 3 3, 4 3, 5 3, 5 3, 6 (si veda 2, 6) 3, 6

14, 9

l , 12; 1 1 , 52 17, 25 1 1 , 55 8, 34 ( l, 29.3 1 ) (8, 46)

l , 13

8, 32 18, 37 ( 1 5, 23) ( 15, 7 ) 2, 25; 16, 30 ( 14, 26; 16, 13)

16, 1 1 21, 5 5 , 38 ( 15, 1 8 ) 5 , 42 8, 23 ; 15, 19; 17, 16 8, 35; 12, 34

« figlioli » (pl. teknion ) vinto il maligno ( principe del mondo ) indirizzo « figli » (pl. paidion) parola di Dio che dimora in voi non abbiate amore per il mondo nessun amore di Dio ( Padre ) in una persona appartenere a (essere de ) il mondo una persona che rimane per sempre indirizzo « figli )) (pl. paidion) conoscere ( eidenai, ghinoskein) la verità appartenere a (essere da) la verità negare il Figlio; non possedere il Padre ciò che udiste ... dimorare in voi non bisogna che alcuno ... l'unzione vi insegna tutte le cose dimorare in Cristo « figlioli » (pl. teknion ) generato da ( da : e k ) Dio figli ( pl. teknon ) di Dio il mondo non conobbe ( ghinoskein ) Dio rendere se stesso puro ognuno che agisce peccaminosamente ( poiein hamartian ) Cristo venne rivelato per togliere i peccati niente di peccaminoso in Cristo dimorare in Cristo vedere ( horan) Cristo

camminare ( dimorare) nelle tenebre/luce



o.

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g

� 'tS

§

-

3, 22 ( si veda 2, 3) 3, 22 3, 23 (5, 10) 3, 23 ( si veda 3, 1 1 ) 3, 23 3, 24 ( si veda 2, 3 )

3, 1 6 3, 1 8 ( si veda 2 , l ) 3, 19 ( si veda 2 , 21 ) 3 , 20 (4, 4) 3, 22; 5, 14

3, 7 ( si veda 2, l ) 3 , 8 (3, 12) 3, 9 ( si veda 2, 29) 3 , 10 (si veda 3, l ) 3, 10 3 , 10; 4, 1 .2.3.4.6; 5, 19 3, 1 1 .23; 4, 7.1 1 3, 12 3, 12 ( si veda 3, 8) 3, 12-13 3, 13 3, 13 3, 14 3, 16

14, 3 1 ( 12, 49)

8, 29 3, 18

10, 29; 14, 28 14, 13.14; 15, 7 ; 16, 23

(7, 7 ) 3, 7; 5, 28 7, 7; 15� 1 8 5, 24 10, 1 1 .15 ( 17.18); 13, 37 13, 14-15

13, 34; 15, 12.17 6, 58

(8, 44) 8, 47

8, 44

osservare i comandamenti di Dio fare ciò che è gradito a Dio credere ( nel ) al nome del Figlio di Dio dobbiamo amarci l'un l'altro Dio chiede a noi/a me un comando osservare i comandamenti di Dio

così bisogna che noi a nostra volta diamo (imitando Cristo) « figlioli » (pl. teknion) appartenere alla verità Dio/Padre è più grande ricevere (da Dio) qualunque cosa chiediamo

dobbiamo amarci l'un l'altro non come Caino (antenati) apparteneva al diavolo opere maligne ... odio non meravigliatevi il mondo vi odia passato da morte a vita dare la propria vita per altri

« figlioli » (pl. teknion ) appartenere al diavolo, un peccatore (omicida) dal principio generato da Dio figli di Dio figli del diavolo appartenere a ( essere da) Dio

s -

-

!1) .... ... ... .

g. ... .

!1) n

Vl 'O

5, 1 5, l

3, 24; 4, 13.15.16 3, 24 4, 1 ( si veda 3, 10) 4, 2 4, 2 4, 2.3.4 ( si veda 3, 10) 4, 4 (si veda 2, 1 ) 4, 4 (si veda 3, 20) 4, 5 (si veda 2, 16) 4, 5 4, 6 4, 6 (si veda 3, 10) 4, 6 4, 7 ( si veda 3, 1 1 ) 4, 7 4, 9.10 4, 1 1 (si veda 3, 1 1 ) 4, 12 (20) 4, 12 4, 13 ( si veda 3, 24) 4, 13 4, 14 4, 1 5 . 16 (si veda 3, 24 ) 4, 16 4, 1 6 4, 20 (si veda 4, 12)

20, 3 1 l, 12-13

6 , 69 15, 10

3, 34 3, 17 (4, 42 )

l , 18 (5, 37); 6, 46 6, 56

(7, 17) 3, 16-17

14, 17; 15, 26; 16, 13

3, 3 1 8 , 47

9, 22 1 , 14

6, 56; 15, 5 14, 1 7

mutua inabitazione ( dimora) tra Dio/Cristo e il cristiano inabitazione ( dimora) divina e Spirito appartenere a Dio confessare Gesù Cristo venuto nella carne; divenne carne appartenere a Dio « figlioli » (pl. teknion ) colui che è in voi è più grande appartenere al mondo parlare dal mondo/terra rifiutare di ascoltare = non appartenere a Dio appartenere a Dio Spirito di verità amiamoci l'un l'altro l'amore ( dottrina) è da Dio l'amore di Dio nel mandare il suo unico Figlio bisogna che noi ci amiamo l'un l'altro nessuno ha mai visto Dio Dio/Cristo che dimora nel cristiano mutua inabitazione Dio ha dato a noi de lo Spirito Il Padre mandò il Figlio come salvatore del mondo mutua inabitazione conosciuto ( ghinoskein) e creduto dimorare/rimanere ( menein ) nell'amore mai visto Dio credere che Gesù è il Messia/Cristo credente generato da Dio

.....

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e:

> 'tS 'tS n ::s

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....

( 14, 30)

17, 3

5, 19 ( si veda 3, 10) 5, 20

5, 21 (si veda 2, 1 )

,..,. ,

( 17, 9 )

3, 15.36; 20, 31 20, 3 1

16, 33 19, 30.34 (7, 38-39) 15, 26 5, 34.32.37; 8, 18

5, 10 ( si veda 3, 23) 5, 12-13 5, 13 5, 14.15 (si veda 3, 22) 5, 16 5, 18 ( si veda 2, 29) 5, 18

5, 3 (si veda 2, 3 ) 5, 4 ( si veda 2 , 27) 5 , 4-5 (cfr. 2, 13) 5, 6 5, 6-8 5, 9-10

osservare i comandamenti di Dio generato da Dio vinto il mondo acqua, sangue, Spirito lo Spirito testimonia ( porta testimonianza ) testimonianza umana e testimonianza di Dio a favore di Cristo fede nel Figlio di Dio possedere (credere ne) il Figlio = possedere la vita scopo dello scrivere ogni qualvolta chiediamo, egli ci ascolta non pregare per il peccato grave ( mondo) generato da Dio il maligno non può toccare (il principe di questo mondo non ha potere) appartenere a Dio conoscere (ghinoskein ) Colui che è vero. Gesù Cristo è vero Dio e vita eterna - vita eterna è co­ noscere il solo vero Dio e Gesù Cristo « figlioli » (pl. teknion)



....

::r ;· ... ... ... .

1

cn

1024

Appendice I

Specchietto tre : La fonte di 1 Gv ricostruita da Bultmann *

A.

l, 5? l, 6 l, 7

l, 8 1 , 10

2, 4 2, 5

2, 9 2, 10 2, 1 1

Dio è luce e in lui non ci sono affatto tenebre. Se diciamo che noi abbiamo comunione con lui mentre camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non viviamo secondo la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, abbiamo comunione con lui. Se diciamo che inganniamo noi e la verità non Se diciamo che facciamo di lui e la sua parola

noi non abbiamo peccato, stessi, è in noi. noi non abbiamo peccato, un mentitore, non è in noi.

Colui che dice : « Lo conosco » , ma disobbedisce ai suoi comandamenti è un mentitore e la verità non è in lui. Ma chiunque osserva la sua parola, in lui veramente l'amore per Dio è perfetto. Colui che dice di essere nella luce e odia suo fratello è nelle tenebre [ ? ancora ] . Colui che ama suo fratello dimora nella luce, e in lui non c'è occasione per inciampare. Ma colui che odia suo fratello è nelle tenebre e cammina nelle tenebre.

Cfr. Bultmann, Epistles 16.18 .45.39.5445.5764.65.6819.76.83 ; si veda pure la nota 89 nella mia INTRODUZIONE III A2. Il testo (con leggère modifiche nella punteggiatura) è quello delle Epistles di Bultmann ; un punto interrogativo indica un'espressione incerta in Bultmann.

*

1025

Specchietti

B.

2,29b Ognuno che fa il bene è nato da lui, ognuno che commette peccato commette un'iniquità. 3, 4 3, 6 Nessuno che dimora in lui pecca. Nessuno che pecca lo ha o visto o conosciuto. 3, 7 Egli agisce giustamente [ ? è nato da Dio ] . 3, 8 Colui che commette peccato è dal diavolo. Nessun nato da Dio commette peccato, 3, 9 poiché il suo seme dimora in lui. Ed egli non può peccare per il motivo che è nato da Dio.

c.

2, 23

Nessuno che nega il Figlio ha il Padre. Colui che confessa il Figlio ha anche il Padre.

3, 15

Ognuno che odia è un omicida e non ha vita eterna.

3, 19? Davanti a lui riassicureremo i nostri cuori, se i nostri cuori ci condannano. 4, 7b

Colui che ama è nato da Dio. Colui che non ama non conosce Dio.

4, 12?

Se ci amiamo l'un l'altro, Dio dimora in noi e il suo amore è perfetto in noi.

5, l 5, 4a

Ognuno che ama suo fratello è nato da Dio, e qualunque cosa nata da Dio vince il mondo.

5, 12

Colui che ha il Figlio ha la vita. Colui che non ha il Figlio di Dio non ha la vita.

4, 8a

Appendice I

1026

Specchietto quattro : Asserzioni epistolari riguardanti le concezioni degli avversari *

A. Descrizione generale; atteggiamenti

nei confronti di Gesù : l

2Gv 9:

2

4, 6:

3

2, 18-19:

4

5, 5-6 :

5

2, 22-23 :

6

2Gv 7 :

Chiunque è così « progressista » da non rima­ nere radicato nell'insegnamento di Cristo, non possiede Dio, mentre chiunque rimane radicato neJl'insegnamento possiede sia il Padre che il Figlio. Noi apparteniamo a Dio e chiunque ha una conoscenza di Dio ascolta noi, mentre chiun­ que non appartiene a Dio rifiuta di ascoltare noi. Da questo possiamo conoscere lo Spirito di verità e lo spirito di inganno. Ora molti anticristi hanno fatto la loro ap­ parizione ... Fu dalle nostre file che uscirono - non eh� realmente fossero dei nostri, poiché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi. Clu è, dunque, colui che vince il mondo? Nes­ sun altro che la persona che crede che Gesù è il Figlio di Dio: Gesù Cristo - questo è colui che venne con acqua e sangue, non in acqua soltanto, ma in acqua e in sangue. E lo Spirito è colui che testimonia, poiché lo Spirito è la verità. Chi, dunque, è il mentitore? Nessun altro se non la persona che nega che Gesù è il Cristo. Tale è l'anticristo: la persona che nega il Pa­ dre e il Figlio. Nessuna persona che nega il Figlio possiede il Padre. Molti ingannatori sono usciti nel mondo, uo­ mini che non confessano Gesù Cristo che vie­ ne nella carne. Ecco l'ingannatore ! Ecco l'an­ ticristo!

* Le citazioni sono da lGv, a meno che non venga indicato di­ versamente.

1027

Specchietti

7

4, 1-3 :

8

4, 5 :

9

2 , 15-16:

Non credete a ogni spirito; piuttosto, mettete questi spiriti alla prova per vedere quale ap­ partiene a Dio, perché molti falsi profeti sono usciti nel mondo ... Ognuno che confessa Gesù Cristo venuto nella carne riflette lo Spirito che appartiene a Dio, mentre ognuno che nega l'importanza di Gesù riflette uno spirito che non appartiene a Dio. Esso è piuttosto del­ l'anticristo ... bene, ora esso è già qui nel mondo. Quelle persone appartengono al mondo; ecco perché parlano il linguaggio del mondo e per­ ché il mondo ascolta loro. Se qualcuno ama il mondo, in lui non c'è amore del Padre. Poiché tutto quello che è nel mondo ... non appartiene al Padre.

B. Comportamento morale; atteggiamento nei confronti

del peccato; mancanza di amore per i fratelli: 1

l, 8:

2

l , 10:

3

l , 6:

4

2, 4:

5

2, 6 :

6

3 , 3-6 :

7

3, 7-8 :

Se ci vantiamo : « Noi siamo liberi dalla colpa di peccato », inganniamo noi stessi. Se ci vantiamo : « Noi non abbiamo peccato », facciamo di lui un mentitore. Se ci vantiamo: « Noi siamo in comunione con Dio », mentre continuiamo a camminare nelle tenebre, siamo mentitori. La persona che afferma: « Lo conosco », sen­ za osservare i suoi comandamenti, è un men­ titore. La persona che afferma di dimorare in lui bisogna che essa stessa cammini proprio come Cristo camminò. Ognuno che ha questa speranza fondata su di lui rende se stesso puro proprio come Cristo è puro. Ognuno che agisce peccaminosamente, sta veramente compiendo un'iniquità ... Ognu­ no che dimora in lui non commette peccato. Ognuno che commette peccato non ha mai vi­ sto lui né è arrivato a conoscerlo. La persona che agisce giustamente è veramen­ te giusta proprio come Cristo è giusto. La per­ sona che agisce peccaminosamente appartiene al diavolo.

Appendice I

1028

8

5, 1 8 :

9

3, 9-10:

10

3, 1 1-12:

11

3, 14-1 5 :

12

3, 17-18:

13

4, 8-10:

14

4, 20:

15

2, 9 :

Sappiamo che nessuno che è stato generato da Dio commette peccato. Ognuno che è stato generato da Dio non agi­ sce peccaminosamente ... In ciò i figli di Dio e i figli del diavolo vengono rivelati. Ognuno che non agisce giustamente non appartiene a Dio, né gli appartiene alcuno che non ama suo fratello. Dobbiamo amarci l'un l'altro - non come Cai­ no che era dal maligno e uccise suo fratello. La persona che non ama rimane nella dimora di morte. Ognuno che odia suo fratello è un omicida; e, come sapete, nessun omicida ha vita eterna che dimora in lui. Quando qualcuno ha sufficienti mezzi di sus­ sistenza di questo mondo e scorge che suo fratello ha bisogno, ma esclude ogni compas­ sione nei confronti di lui - come può l'amore di Dio dimorare in una tale persona? ... Non fac­ ciamo affermazioni di amore con parole ma mostriamo la sua verità con opere. Chi non ama non ha conosciuto niente di Dio, poiché Dio è amore ... In questo, quindi, con­ siste l'amore : non che noi abbiamo amato Dio ma che egli amò noi e mandò suo Figlio come riparazione per i nostri peccati. Se qualcuno si vanta : « Io amo Dio », mentre continua a odiare suo fratello, è un menti­ tore. La persona che afferma di essere nella luce, mentre nel frattempo odia suo fratello, è an­ cora nelle tenebre.

C. Come i lettori dovrebbero reagire

nei confronti degli avversari: 1

2, 27:

Quanto a voi, l'unzione che riceveste da lui dimora in voi; e così non avete bisogno che alcuno insegni a voi. 2 2Gv 10-1 1 : Se qualcuno verrà a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo nella casa e non salutatelo, poiché chiunque lo saluta parteci­ pa alle sue opere maligne.

Specchietti

3

5, 16:

1029 Se qualcuno vede suo fratello peccare ( pur­ ché il peccato non sia mortale), egli deve chie­ dere; e così la vita verrà data al peccatore. Questo è solo per coloro il cui peccato non è mortale. In conclusione, c'è un simile peccato mortale, e non dico che si deve pregare per quello.

2, 29-5, 13 3, 1-5, 12

4, 1-5, 2 1 4 , 7-5, 2 1 4, 7-5, 2 1 3, 19-5, 1 2 4 , 1-5, 1 2 4 , 1-5, 2 1 4 , 7-5, 2 1 3, 24c-5, 2 1 4 , 1-5, 1 2 4 , 7-5, 1 2 4 , 7-5, 1 7 4 , 1-5, 20 (5, 2 1 ) 3, 23-5, 17 4, 7-5, 12

2, 18-3, 24 2, 18-4, 6 2, 27-4, 6 2, 15-3, 18 2, 18-3, 24

2, 1 8-3, 24 2, 18-4, 6 2, 28-3, 24b 2, 28-3, 24 2, 28-4, 6 2, 28-4, 6 3, 1-24 2, 29-3, 22 2, 29-4, 6

1 , 5-2, 17 l, 5-2, 17 l, S-2, 27 l , 5-2, 27 l , 5-2, 27 l , 5-2, 27 l , 5-2, 27 (28-29 ) l , S-2, 28 l , 5-2, 28

Thiising (npe) Ewald ( npe ) Smit Sibinga ( npe) Erdmann Hort, Hauck, Nestle, Prat, Schnackenburg, Schneider, THU, Vogel, NEB Gaugler (ne) Westcott ( ne) Luthardt ( ne) Balz Haring, Brooke, Jones Schwertschlager ( 1/2 ne) de Ambroggi ( l;l ne) Huther ( lh ne) F.-M. Braun, de la Potterie, Skrinjar, SBJ

Chaine, Vrede, Tomoi Feuillet, Francis

1 , 1-2, 17 l , 1-2, 17 l , 1-2, 26 l, 5-2, 14 l, 5-2, 17

Divisione in tre parti 3 :

l , 5-2, 28 l , 5-2, 29

Divisione in due parti 2 :

Specchietto cinque: Esempi di d ivisioni proposte per 1 Gv 1

,....,

ff

gr;l.



o

... s

2, 29-4, 6 . 2, 29-4, 6 2, 29-4, 6 2, 29-4, 12 3, 1-4, 6 3, 1-5, 4a 2, 29-4, 6

2, 7-17 2, 12-17

l , S-2, 6 l , S-2, 17

2, 7-17 2, 18-27 2, 18-28 2, 18-27 2, 18-3, 24 2, 28-3, 24 2, 29-3, 10 2, 28-3, 24

l

l

4, 1-21 4, 1-6 3, 1 1-22 4, 1-6

4, 7-5, 13 4, 7-5, 19 4, 7-5, 21 4, 13-5, 13 4, 7-5, 13 5, 4b-21 4, 7-5, 21

5, 1-12 4, 7-5, 12 3, 23-5, 4 4, 7-21 5, 13-21 5, 13-21 5 , 5-17 5, 1-12

Malatesta Nagl ( Yz ne) Law ( ne) Dodd JB Bonsirven ( ne ) Oke (ne)

Lohmeyer (npe) Wilder (npe) Giurisato ( li2 ne) Houlden

=

=

=

=

l Per altre divisioni, si veda la nota 269 nella mia INTRODUZIONE (VI A) . A volte, come indicato tra parentesi, al­ cuni studiosi non prendono una vera decisione. Nel parlare di 'parti' non sto considerando il prologo ( 1 , 1-4) e l'epilogo (5, [ 12] 13-21) nel caso di quegli studiosi che riconoscono tali parti come elementi separati. Così, ad es., Balz sostiene tre 'parti' più un prologo e un epilogo.Per quegli studiosi che non riconoscono o l'una o l'al­ tra o ambedue le parti come a sé stanti, i rispettivi versi sono considerati appartenenti a una delle 'parti'. In tali esempi, np nessun prologo ; npe né prologo né epilogo ; ne nessun epilogo ; 1/2 ne parte dell'epilogo. 2 Oltre a quelli elencati, optano per due parti Alford, Braune, Camerlynck, Fillion, Hilgenfeld, Knopf, Lusseau e Roesch. 3 Oltre a quelli elencati, optano per tre parti Bengel, Bisping, Briickner, Comely, de Wette e Sand. 4 Oltre a q11elli . �lencati, optano per sette parti Estio ed Ecumen�o.

l , 1-4 l , 1-4 l, S-2, 6 l, S-2, 1 1

Divisione in sette parti 4 :

2, 3-28

l , 5-2, 28 l, 5-2, 28 l , S-2, 28 l , S-2, 28 l, S-2, 29 l, 5-2, 29

...

s

.... :::-.

::r �·

Q ,., n

m 'C

Appendice I

1032

Specchietto sei : Profilo di 1 Gv

§l

PROLOGO (1, 1-4): Riflessioni sul prologo del vangelo di

Gv : « In principio era la Parola ... ». PARTE PRIMA ( l , 5 - 3, 10): L'obbligo di camminare nella

luce in risposta al vangelo di Dio come luce: una risposta che divide gli anticristi secessionisti dai fi­ glioli dell'autore. §2

§3 §4 §5 §6

1, 5 : « Questo il vangelo : Dio è luce e in lui non ci sono affatto tenebre ». l, 6-2, 2 : Triplice vanto e triplice ipotesi opposta che riflettono differenti comprensioni del vangelo. 2, 3-1 1 : Tre affermazioni di intima conoscenza di Dio, che devono essere messe alla prova dal modo in cui si « cammina ». 2, 12-17: Ammonizioni ai credenti che hanno vinto il maligno e così devono opporsi al mondo. 2, 18-27 : Ammonizioni contro i secessionisti anticristi che negano il Figlio e il Padre. 2, 28-3, 10: Di fronte al prossimo incontro con Cristo e con Dio, il contrasto tra i figli di Dio e i figli del diavolo. PARTE SECONDA (3, 1 1 - 5, 12): L'obbligo di amare con le

opere in risposta al vangelo che dobbiamo amarci l'un l'altro secondo l'esempio di Gesù, il Cristo ve­ nuto nella carne. §7

§8

§9 §10 §11

3, 1 1 : « Questo è il vangelo : dobbiamo amarci l'un l'altro » 3, 12-24 : Ammonizioni ai fratelli e ai figlioli dell'autore sulla necessità di mostrare l'amore con le opere. 4, 1-6: Gli spiriti di inganno e di verità, che governano rispettivamente i secessionisti che appartengono al mondo e i diletti seguaci dell'autore che appartengono a Dio. 4, 7-5, 4a: L'assoluta necessità di amarsi l'un l'altro per amare Dio. 5, 4b-12: La fede in quanto vincitrice del mondo e la relazione del credente con la testimonianza. CoNCLUSIONE (5, 13-2 1 ) :

l'autore.

Un'asserzione dello scopo del­

Appendice II

Cerinto

Nell'INTRODUZIONE ( IV B3d), ho discusso brevemente la possi­ bilità che le concezioni cristologiche combattute da 1Gv e 2Gv fossero quelle di Cerinto, che si suppone un avversario d1 Giovanni ( il figlio di Zebedeo) a Efeso durante la vecchiaia dell'apostolo. Che cosa veramente sappiamo delle idee sostenu­ te da Cerinto? La nostra conoscenza di lui, come della maggior parte dei primi eretici, non ci viene dai suoi stessi scritti ma dalle descrizioni dei suoi avversari tra gli scrittori della chiesa, in particolare dalle compilazioni di posizioni eretiche degli eresiologi che scrissero molti anni dopo. Quelle opere presen­ tano un cumulo di accuse che li condannano. lnnanzitutto, mi sia permesso di esaminare l queste antiche accuse contro Ce­ rinto e, poi, cercare di analizzare brevemente la portata fon• damentale della sua posizione.

l.

Informazione antica

su

Cerinto

Il primo riferimento 2 a Cerinto che conosciamo è nella Epistu­ la Apostolorum o Dialoghi di Gesù con i suoi discepoli dopo la resurrezione, un'opera composta in greco verso la metà del II l 2

Una guida inestimabile è qui Bardy, « Cérinthe » . Sembra improbabile che l'Apocrifo di Giacomo, indirizzato a " ... thos ,. ( l l, l ; NHL 29) , venisse scritto a Cerinthos ; si veda Wengst, Hiiresie 35. Se cosi fosse, si potrebbe sostenere che l'as­ serzione dell'Apocrifo: « Nessuno sarà salvato a meno che non creda nella mia croce ,. (l 6, 3-4 ! NHL 31) , fu una correzione di Cerinto.

1034

Appendice II

secolo, ma ora esistente solo in etiopico e ( parzialmente) in copto e in latino. Essa si riferisce a Simone Mago e a Cerinto come a « i falsi apostoli a riguardo dei quali viene scritto che nessun uomo aderirà loro, poiché in loro c'è inganno per mezzo del quale portano gli uomini a distruzione » 3. Questo riferimento è importante, poiché una successiva corrente di opinione su Cerinto lo fa uno gnostico; e per i padri della chiesa Simone Mago fu il padre dello gnosticismo. La più importante informazione a riguardo di Cerinto è raccol­ ta dal grande trattato antignostico di Ireneo, Adversus haere­ ses (del 180 d.C. circa). In 1 .23-28, egli elenca le scuole gnosti­ che in questo ordine: Simone Mago, Menandro, Satumino ( Sa­ tornilo ), Basilide, Carpocrate, Cerinto, ebioniti, nicolaiti, Cerdo (n), Marcione, Taziano e gli encratiti. Dal momento che At 8, 9-24 descrivono Simone Mago come un contemporaneo di Pietro, alcuni studiosi hanno congetturato che Cerinto sia vis­ suto a mezza via tra Simone begli anni 30 e Marcione del 140 circa, quindi verso il 90. ( Comunque, Ireneo probabilmente si servi di un catalogo di eresie al quale egli fece aggiunte 4, e noi siamo lontani dall'essere sicuri che egli ci stia dando una precisa successione cronologica). Essi trovano conferma di questo nel racconto di I reneo su Cerinto che si suppone raccolto da Policarpo ( Adv. haer. 3.3.4), cioè, che il disce­ polo Giovanni fuggì da un bagno pubblico a Efeso, gri­ dando : « Salviamoci; l'edificio del bagno può crollare, poiché c'è dentro Cerinto, il nemico della verità » s. Il fatto che Ireneo riferisca questa informazione in modo cosi vago ( « in giro ci sono ancora alcune persone che udirono Policarpo racconta­ re ... » ) rende estremamente improbabile che Ireneo stesso ab­ bia udito questo da Policarpo; e può ben essere che qui ci troviamo di fronte a una fiaba eziologica che nelle figure di Cerinto e di Giovanni personifica una disputa tra Cerinto e un ramo della comunità giovannea. Quanto alla teologia di Cerinto, in 1 .26.1 Ireneo riferisce: « In Asia, un certo 6 Cerinto insegnò che il mondo non fu fatto dal 3 J. Quasten, Patrology, 3 voli., Spectrum, Utrecht 1966, l, 152. 4 Un'attenta discussione di questo punto si trova in F. Wisse, «The Nag Hammadi Library and the Heresiologists », VC 25 ( 1971) 205-23, specialm. 213-15. s II racconto di questo incontro viene narrato due volte da Eu­ sebio (Hist. 3.28.6 ; 4.14.6) . 6 Le parole « un certo » sono nella traduzione latina di Ireneo e in un passo che lppolito prese da Ireneo (Refutatio 1.33 ; PG 163, 3342A) , ma mancano in un altro passo ( 10.21 ; PG 163, 3438C) .

Cerinto

1035

Primo ( Supremo) Dio, ma da una potenza che è molto staccata e distinta da quella Potenza che è sopra tutte. Egli pensava che Gesù non fosse nato da una vergine, poiché ciò gli sembrava impossibile; piuttosto, Gesù fu il figlio di Maria e di Giuseppe (concepito) alla maniera degli altri uomini. Si ritiene che Gesù abbia distanziato tutti gli altri in giustizia, prudenza e sapien� za; e dopo il suo battesimo, Cristo discese dal Supremo Reggi­ tore su di lui sotto forma di una colomba. Allora, egli procla­ mò lo sconosciuto Padre e compì miracoli. Alla fine, comunque; Cristo si ritirò di nuovo da Gesù - Gesù soffrì e risorse di nuovo, mentre Cristo rimase impassibile, in quanto era un essere spirituale ». Nonostante questa ricchezza di dettagli, la vaga descrizione di « un certo Cerinto » apre la possibilità che Ireneo non sapesse molto a suo riguardo e che parte delle dottrine attribuite a Cerinto fossero i tratti essenziali dei siste­ mi gnostici che si erano sviluppati nel II secolo e che erano sotto attacco. Ad es., in 1 .26.2 Ireneo associa Cerinto a errori di Carpocrate; e in 3.1 1 . 1 Ireneo lo associa a errori dei nicolaiti contro cui il vangelo di Gv venne scritto 7 ( si veda INTRODUZio­ NE IV B3a). Cronologicamente, la fonte successiva di informazione a ri­ guardo di Cerinto è il Philosophoumena o la Refutatio omnium haeresium, un tempo attribuita a Origene, ma che ora si rico­ nosce sia stata scritta da Ippolito, un presbitero originario dell'oriente, che visse a Roma all'inizio del III secolo. Quest'o­ pera, che utilizza largamente Ireneo, venne scritta qualche tempo dopo il 222 d.C. In 7.33 e in 10.21(PG 163, 3342A. 3438CD ), Ippolito scrive di Cerinto, aggiungendo poco di nuovo all'in­ formazione fornita da lreneo, salvo che ora Cerinto viene col­ locato in Egitto invece che in Asia e si dice che egli ha desunto il suo sistema dalle idee egiziane. Questa localizzazione può riflettere una generalizzazione che l'Egitto fosse la terra madre delle eresie (gnostiche). Teodoreto, vescovo della piccola città di Ciro ( Cyrus ) vicino ad Antiochia negli anni 423-466, unì l'informazione di Ireneo e di Ippolito. Nel suo Haereticarum fabularum compendium ( 2.3; PG 83, 389) dice che Cerinto, a­ vendo avuto la sua educazione filosofica in Egitto, andò in Asia a diffondere la sua dottrina. 7 In realtà, comunque, l'unico preciso riferimento del NT ai ni­ colaiti si trova in Ap 2, 6.15, che non ci dice niente a riguardo di ciò che sostenevano. t:. dubbio che in Ap 2, 14 l'attacco contro l'immoralità sia diretto contro i nicolaiti ; ma se lo è, la man­ canza di qualsiasi accusa del genere contro Cerinto non favorisce per nulla la tesi della sua relazione con i nicolaiti.

1036

Appendice II

La fonte successiva è l'Adversus omnes haereses dello Pseu­ do-Tertulliano, scritto nel 210-20 d.C. circa e annesso al De praescriptione haereticorum di Tertulliano come capp. 46-53. Esso si serve dei Syntagma di lppolito (una più piccola, perdu­ ta, raccolta di eresie; più antica della Refutatio ), ma aggiunge alcuni nuovi dettagli. Nel cap. 48 (o 3), 2-3 (CC 2, 1405 ) trovia­ mo che Cerinto insegnò che il mondo venne creato dagli angeli (invece che da un demiurgo) i quali furono pure responsabili del dono della legge. Lo Pseudo-Tertulliano riferisce anche che in alcune delle loro idee gli ebioniti (un movimento giu­ deo-cristiano) furono i successori di Cerinto - forse uno svi­ luppo della più antica tradizione di Ireneo e di lppolito che associarono Ebione a Cerinto e Carpocrate. Le connessioni giudeo-cristiane di Cerinto sono attestate in altre parti. Dionisio Bar Salibi (morto nel 1 17 1 ) ebbe a disposizione materiale di lppolito ora perduto a. Nel suo commentario all'Ap (CSEO, Syri, Serie Il, tomo 101, p. 1, righe 30 ss), Dionisio ci dice che si suppone che Gaio (o Caio), un istruito ecclesiastico di Roma alla fine del II secolo (si veda più sopra, p. 176), abbia negato che Giovanni avesse scritto l'Ap o il vangelo di Gv, opere composte in realtà da Cerinto. Ci viene detto che lppolito confutò questa affermazione di Gaio basandosi sul principio che la dottrina di Cerinto era molto diversa da quel­ la del vangelo di Gv; ad es., Cerinto insegnò la necessità della circoncisione, che il creatore era un angelo, che Gesù era nato da una vergine e che era proibito mangiare e bere certe cose 9. La relazione di Gaio con Cerinto viene pure discussa da Euse­ bio (Hist. 2.25.6). Egli cita Gaio (che designa come un 'eccle­ siastico' e, quindi, forse come ortodosso) in questo senso: « Attraverso rivelazioni fatte apparire come scritte da un gran­ de apostolo, Cerinto ci presenta in un modo fraudolento rac­ conti di cose meravigliose che si suppongono mostrate a lui da angeli. Egli dice che, dopo la resurrezione, il regno di Cristo sarà su questa terra, che la carne avrà di nuovo la vita a Gerusalemme e servirà passioni e desideri ... e ci saranno mille anni di festività nuziali » (3.28.1-2). Gaio, quindi, fa di Cerinto un millenarista e collega il pensiero di Cerinto ad Ap 20, 5-6 :

8 Questi erano i Kephaleia kata Gaiou e i Syntagma (inizio del III secolo) . Ireneo fu la principale fonte di Ippolito, ma egli può avere avuto materiale supplementare. 9 Secondo Dionisio Bar Salibi, Ippolito si riferiva a una lettera scritta da Cerinto, l'unica indicazione che Cerinto affidò le sue idee alla scrittura.

1037

Cerinto

un'opera che Gaio rifiutava. Cerinto è diventato « un nemico delle Scritture di Dio ». Nel 260 d.C. circa, Dionisio di Alessandria scrisse Peri Epange­ lion, un'opera conservata solo in citazioni nella Storia di Euse­ bio. Il fatto che Dionisio sia il primo scrittore egiziano a menzionare Cerinto è un'indicazione che Cerinto non svolse attività in Egitto. Come Gaio 10, Dionisio fa di Cerinto un mille­ narista, attribuendo ai suoi seguaci la nozione che il regno di Cristo sarebbe venuto sulla terra e implicherebbe piaceri car­ nali (715.1-3 ). Epifania di Salamina, il più grande degli eresiologi, nel suo Panarion ( del 375 circa ) dedicò un capitolo (28) a Cerinto. Si deve stare attenti nel valutare l'informazione proveniente da Epifania poiché, quando le sue fonti erano carenti, egli non ci pensava due volte a usare la sua dotta immaginazione per colmare le lacune. Egli parla di un Merinto e dei merintiani; e, mentre ammette che Merinto può essere un'altra forma per Cerinto (28.8; PG 41, 388A), egli dipinge Merinto come secondo nella guida dell'eresia cerintiana. Egli nota una possibile ras­ somiglianza dottrinale tra cerintiani/merintiani e i (giu­ deo-cristiani ) nazorei (29.7.6; PG 41, 401 D ) e gli ebioniti (30.3.7; PG 41, 409B ); e riferisce che Cerinto e Merinto furono denun­ ziati da Le nel prologo del suo vangelo per avere tentato invano di scrivere vangeli (51.7; PG 4 1 , 900C ). Tra gli gnostici, fu una pratica comune scrivere vangeli, ma solo Epifania men­ ziona un Vangelo secondo Cerinto. Egli, inoltre, colloca Cerinto e Merinto tra gli avversari di Giovanni (51.6; PG 4 1 , 897C). Epifania insinua che l'eresia cerintiana era ancora attiva in Asia Minore e in Galazia nel tardo IV secolo e che i cerintiani avevano l'abitudine del battesimo per i morti (28.6.4-5; PG 4 1 , 384CD ) questo riflette, probabilmente, una confusione dei cerintiani con i marcioniti attaccati da Tertulliano. Se Ireneo riferì che Cerinto pensava che Cristo fosse disceso su Gesù dopo il battesimo sotto forma di colomba, Epifania parla di Cerinto che identifica Cristo con lo Spirito Santo : un insegna­ mento simile a quello degli ebioniti (30, 14; PG 41, 429BC). Epifania fa pure di Cerinto uno dei perturba tori di At 15, 24 e riferisce che Cerinto era a Gerusalemme quando Paolo vi ri­ tornò con Tito in At 21, 28 (28.2.3-6; 28.4.1). Pertanto, il giu­ deo-cristiano Cerinto diventa un giudaizzante dei primi tempi -

10 Dionisio di Alessandria può essersi servito di Gaio, o ambedue possono avere avuto una fonte comune.

1038

Appendice II

del NT u. Si dice che Cerinto abbia rifiutato tutti i vangeli a eccezione di quello di Mt (28.5.1; PG 4 1 , 384A): un'accusa che Ireneo aveva rivolto contro gli ebioniti. Qui, noi abbiamo un esempio della tendenza di Epifania a confondere Cerinto ed Ebione ( una figura eponima che probabilmente non esistette mai). Egli presenta Ebione che predica in Asia e Giovanni che scrive per confutarlo (30.18. 1 ; 5 1 .6.9; 69.23 ; PG 41, 436A.897B ; 42, 237B ) . Tutto questo si spiegherebbe s e Epifani o avesse co­ nosciuto gli eretici giudeo-cristiani contemporanei, avesse colle­ gato le loro origini a Ebione che egli confuse con Cerinto e, quindi, avesse immaginato una setta cerintiana contempora­ nea 1z. Pertanto, Cerinto serve da fondatore di una setta giu­ cteo-cristiana che rimase fedele alla circoncisione e ad altre norme della legge; per essa, Gesù era il Messia, ma un messia umano e che non si doveva adorare.

2. Analisi della posizione di Cerinto L'Epistula Apostolorum e lreneo danno a Cerinto una colloca­ zione decisamente gnostica (e in questo sono seguiti da Teodo­ reto e dallo Pseudo-Tertulliano). Cerinto viene collegato a Si­ mone Mago e ad altri gnostici; egli proclama lo sconosciuto Dio ed ha una cristologia semidoceta 13. Comunque, nell'infor­ mazione di lppolito conservataci dallo Pseudo-Tertulliano e da quella di Dionisio Bar Salibi, Cerinto emerge come un giudeo­ cristiano, collegato agli ebioniti e uno che accentua la circonci­ sione e i cibi proibiti. Nell'informazione di Gaio (conservata in Eusebio) e di Dionisio di Alessandria, Cerinto viene ritratto co­ ma un millenarista autore dell'Ap che sogna un regno che deve essere stabilito sulla terra. Quindi, prima del 250 ci furono in circolazione due o tre diverse valutazioni di Cerinto : il numero dipende dal fatto se il ritratto millenarista fu un aspetto del più ampio ritratto giudeo-cristiano. Analogamente, ci furono due teorie sulle sue origini : Asia ed Egitto. Al tempo di EpifaI l In questo, Epifania f� seguito da Filastrio di Brescia, del 390 circa: un altro eresiologo. 1 2 La confusione su questa setta può venire spiegata dall'informa­ zione che Cerinto insegnava che « Cristo soffri e fu crocifisso ma non è ancora risorto ; egli risorgerà alla resurrezione generale dei morti • , se si unisce quell'informazione all'affermazione che ci fu­ rono cerintiani i quali negavano che ci sarebbe stata una resurre­ zione (28.6.1, 6) . 13 Si veda # # 1-4 nell'elenco delle dottrine cerintiane più sopra, a p. 1 10.

Ccrinto

1039

nio, queste valutazioni vennero unite e ampliate con aggiunte fantasiose. Schwartz, « Kerinthos », mette in rilievo che Epifa­ nia presenta due figure quasi diverse di nome Cerinto; e la discrepanza viene armonizzata postulando uno sviluppo nel pensiero eretico di Cerinto, come in precedenza si era armo­ nizzata la geografia supponendo che Cerinto passasse dall'Egit­ to all'Asia. Nell'indagine moderna, A. Hilgenfeld 14 propose la tesi che Ce­ rinto incorporasse l'incontro del cristianesimo gnostico e giu­ daico; ma una tale armonizzazione (ombre di Epifania! ) è stata generalmente rifiutata optando per l'una o per l'altra delle antiche valutazioni di Cerinto come più autentiche. Harnack fu un sostenitore della valutazione gnostica, e certamente essa ha la più antica attestazione. Comunque, abbiamo visto che ci sono alcuni anelli deboli nella catena storica della testimonian­ za che porta Ireneo a questa valutazione, ed è complicata dalla tendenza di Ireneo a lasciare che i suoi interessi antignostici coloriscano i suoi resoconti su altri gruppi del primo periodo 15• Di conseguenza, Bardy sostiene l'originalità di Cerinto come giudeo-cristiano (anche Wurm). Il Cerinto millenarista è inti­ mamente collegato alla tesi della sua paternità dell'Ap, che sembra assai improbabile alla luce della stessa affermazione del libro di essere stato scritto da un profeta chiamato Gio­ vanni. ( Se riconosciamo che questo Giovanni fu una figura sconosciuta e non uno dei dodici, ci sono scarse ragioni per mettere in dubbio l'affermazione ). Inoltre, i primi antimillena­ risti come Papia e Ireneo non mostrano di sapere che Cerinto avesse avuto una parte in quel movimento. Sono d'accordo con Wengst, Hiiresie 35-36, che ci sono buone ragioni per prendere sul serio il ritratto di Cerinto fatto da Ireneo come affine allo gnosticismo. Ora, noi abbiamo maggiori prove che il tipo di cristologia che Ireneo attribuisce a Cerinto sia stato accolto dagli gnostici. Nello gnostico Secondo trattato di Set leggiamo: « Visitai un'abitazione corporale. Gettai fuori quello che c'era prima, ed entrai io ... Egli era un uomo terre­ no, ma io, io sono dall'alto dei cieli » (VII 5 1 , 20-52.3; NHL 330). Ancora : « Essi mi percossero con la canna; fu un altro, Simo14 Die Ketzergeschichte des Urchristentums, Fues, Leipzig 1884, 41 1-2 1 . 15 S i veda Bardy, « Cérinthe » 346, che evidenzia i l modo di trattare gli ebioniti da parte di lreneo. Ma Wengst, Hiiresie 26, sostiene che in verità Ireneo non affermò che tali gruppi fossero gnostici, ma volle solo mettere in risalto le eventuali somiglianze con posi­ zioni gnostiche.

1040

Appendice II

ne, che portò la croce sulla sua spalla » (VII 56, 8-1 1 ; NHL 332). Inoltre, le opposte tradizioni, quella che oppone Cerinto a Giovanni e l'altra che attribuisce il vangelo di Gv a Cerinto, avrebbero senso se Cerinto avesse interpretato il vangelo di Gv in un modo gnostico contrario a quello dei seguaci ortodossi di Giovanni. Nell'INTRODUZIONE (V Dl ), ho proposto che il pensiero cerintiano possa rappresentare uno sviluppo dell'interpretazio­ ne del vangelo di Gv patrocinato dai secessionisti descritti in lGv - uno sviluppo lungo il sentiero che portava allo gnosti­ cismo 16.

16 Questa è una posizione simile a quella di Wengst, Hiiresie 61, il quale pensa che Cerinto abbia sviluppato ulteriormente la posi­ zione secessionista tirandone le conseguenze per la cosmogonia e facendo delle speculazioni a riguardo del pleroma. A p. 29, egli ri­ tiene possibile che Cerinto si sia servito del vangelo di Gv per difendere la sua cristologia e che gli oppositori antignostici lo abbiano considerato l'autore di quel vangelo .

Appendice III

la(e) lettera(e) ai Parti

Nella prima NoTA a lGv, c'è una discussione dei titoli classici dati a quell'opera nei MSS. greci. Comunque, nella tradizione latina c'è un altro titolo per lGv che merita attenzione per quello che può dirci a riguardo dei destinatari. Il commentario di Agostino, scritto nel 415 d.C., è intitolato: « Sulla lettera di Giovanni ai Parti [ ad Parthos ] » ( SC 75, 105), un titolo che ritrae i destinatari come abitanti della Partia alle frontiere orientali dell'impero romano. Verso la fine del I secolo, spe­ cialmente sotto Traiano (98-1 17 d.C., la data approssimativa di lGv,), Roma stava muovendosi verso est, portando sotto il suo controllo la Mesopotamia e Babilonia, che erano state soggette ai parti. In seguito, questi territori ritornarono ai parti. Questo significa che una lettera potrebbe essere stata spedita a Babi­ lonia mentre apparteneva all'impero romano, ma dal punto di vista delle generazioni posteriori quella lettera sarebbe andata in Partia. t=. importante rintracciare l'uso latino di questo titolo al di là di Agostino. « Ai Parti » appare di nuovo, con una allusione che costituisce una designazione ben nota, nel Contra Varimadum 1 .5 ( CC 90, 20). La paternità di quest'opera trinitaria è scono­ sciuta, sebbene sia stata attribuita ad Agostino (da Cassiodo­ ro ), ad Atanasio (da Beda ), a Virgilio Tapso e a I daci o Claro una serie di autori del IV o del V secolo. La teoria più recente (CC 90, vii ) è che essa venne scritta nel 450 circa da un autore nord africano, forse in esilio a Napoli. Se così fosse, l'influsso di Agostino, un vescovo nord africano, sarebbe stato forte. Si è generalmente d'accordo che ci sia stato un influsso africano anche in Cassiodoro, il quale nel 560 circa parlò non solo di lGv come di una « lettera ai Parti » (PL 70, 1369-70), ma anche delle lettere giovannee come « quelle di Gv ai Parti » ( PL

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Appendice III

70, 1 125 ). Dal IX secolo in poi, 1Gv venne intitolato « ai Parti » in molte copie della volgata; ad es., nel codice vallicelliano. C'è una testimonianza greca per questo titolo? Nel 730 circa, nel prologo alla sua esposizione delle lettere cattoliche ( PL 93, 9·10), il venerabile Beda dice che tra i molti scrittori della chiesa i quali testimoniano che 1Gv è stato scritto ai parti vi era lo scrittore greco del IV secolo Atanasio, vescovo di Ales­ sandria. In termini di testimonianza del MS. greco della Bib­ bia, il codice minuscolo 89 ( Gregorio 459 ) dell'XI secolo nella raccolta laurenziana ( IV 32) a Firenze contiene nel foglio 99r l'iscrizione : « La seconda lettera di Giovanni ai Parti [pros Parthous ] ». La stessa designazione si trova nell'iscrizione di un supplemento al minuscolo 30 ( = Gregorio 325 ) del XIII secolo nella raccolta bodleiana a Oxford nel foglio 56r. Il codice minuscolo 62 ( = Von Soden a 453 ) del XIV secolo nella raccol­ ta della biblioteca nazionale di Parigi (Gr. 60 ) in una sottoiscri­ zione nel foglio 38r contiene questa indicazione. Tutti questi MSS. hanno i normali titoli (non-partiani) per le altre lettere giovannee '· P. Sabatier 2 asserisce la notizia di seconda mano circa l'esistenza a Ginevra di un MS. della volgata che conside­ ra 1Gv come una lettera « ad Sparthos ». Questa corruzione del testo può rappresentare un'erronea lettura di pros Parthous come pros Sparthous e, pertanto, riflettere in ultima analisi un testo greco. Questa testimonianza testuale rara e disseminata qua e là difficilmente può essere vincolante in relazione alla destinazio­ ne originale di 1Gv. Comunque, anche se il titolo è secondario, bisogna chiedersi che cosa lo abbia fatto nascere. Ci sono due spiegazioni principali: una in termini di storia reale, l'altra in termini di una lettura originale erronea 3. :;::

SPIEGAZIONE STORICA. La tesi fondamentale qui è che la lettera( e ) realmente si rivolgesse a i cristiani della Partia o d i Babilonia. At 2, 9 menziona i parti e i residenti della Mesopotamia tra coloro che udirono la predicazione a pentecoste; ma se in quelle aree c'erano dei cristiani, sarebbero stati cristiani gio­ vannei, come supposto in 1Gv? I possibili, bellicosi riferimenti simbolici ai parti in Ap 6, 2; 9, 17; e 16, 12 non offrono utili indicazioni. Nelle (poco attendibili ) tradizioni che localizzano le l Sono debitore ai professori K. Aland e B. M. Metzger per il loro aiuto nell'ottenere alcune di queste informazioni. 2 Biblicorum Sacrorum Latinae versiones antiquae, Reginald Flo­ rentain, Rheims 1743, 3, 965. 3 Maggiormente utile in tutto questo è A. Bludau, « Die tEpistola ad Parthos' », TG 11 ( 1919) 223-36.

Lettera(e) ai Parti

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attività missionarie dei dodici, è generalmente Tommaso ( qual­ che volta Matteo) che si dice abbia operato in Partia, mentre Giovanni viene presentato come colui che predica in Asia Mino­ re ( Eusebio, Hist. 3.1). Una eccezione, benché non convincente, sono gli Atti di Filippo 32 del IV secolo che collocano Pietro e Giovanni nelle regioni dei parti. Un'altra soluzione, offerta da scrittori più antichi come Grotius ed Estio, postula che dei mercanti portarono il cristianesimo dalla comunità di Giovanni di Efeso in Mesopotamia, facendo conversioni tra i giudei babilonesi ai quali l'autore stesso si sta ora rivolgendo. J. D. Michaelis ( 1788), nei riferimenti a luce e tenebre di 1Gv l , S-7, ci vide la testimonianza di una comunità colpita dal dualismo parto persiano, e Grotius e Paolus fanno osservazioni analoghe. Ciò nondimeno, come destinazione per lGv, la Partia non trova oggi sostegno scientifico. LETTURA SBAGLIATA DELL'ORIGINALE. Il latino ad Pa rthos può rappre­

sentare una lettura erronea o una traslitterazione alterata di un titolo greco primitivo indicante i destinatari o anche l'autore. (a) In un MS. minore dell'Ap ( l'ultimo libro della Bibbia ), lo scrittore Giovanni viene qualificato « il Vergine [Celibe] » 4; e si teorizza ( Liicke, Plummer) che ci possa essere stato un MS. che designò 1Gv come « la lettera di Giovanni il Vergine » (loannou tou parthenou ). L'ultima espressione può essere stata corrotta in tous Parthous. La tradizione che Giovanni rimase celibe era nota nel tardo II secolo (Tertulliano, De monogam ia 17. 1 ; CC 2, 1252) e, successivamente, venne esposta da Agostino che costituisce il principale sostegno per la destinazione par­ tiana di 1 Gv. Questa proposta è possibile, ma è del tutto speculativa e senza conferma di MS. ( b ) Un altro titolo ipoteti­ co: « La lettera di Giovanni a ( le) Vergini » (pros parthenous ), troverebbe maggiori possibilità di venire corrotta in pros Par­ thous, per arrivare a sua volta ad Parthos. Variazioni di questa proposta sono state suggerite da Baur, Bertholdt, Comely, Hingenfeld, Hug, Reuss e Zahn. Si cerca appoggio nell'indica­ zione delle Adumbrationes di Clemente di Alessandria ( più sopra, pp. 33.874) che 2Gv fu « scritta a vergini » , e a una certa donna babilonese! Zahn propose che la confusione può essersi sviluppata in direzione opposta: il greco perduto di Clemente leggeva : « La lettera di Giovanni pros Parthous »; ma il traduttore latino non poteva dare un senso a questo e, così, suppose che Parthous fosse un'abbreviazione di parthenous,

4 Si veda Metzgcr, Text 205 ; pure TCGNT 731 ; il MS. è Gregorio 1775, e il titolo venne copiato nel 1847 d.C.

1044

Appendice III

che egli tradusse con virgines. (La teoria di Zahn farebbe risalire il titolo partiano al II secolo e al greco - eccetto 2Gv! - ed essa potrebbe dare supporto all'assunto di Beda che, un secolo dopo, Atanasio di Alessandria conoscesse il titolo). In ambedue i casi ( originale greco o errata traduzione latina), chi sarebbero le « vergini »? 2Gv è indirizzata a una « signora eletta » (una chiesa), ma ha figli e con difficoltà può essere simboleggiata da una vergine s. Pensando che 1Gv fosse di data più tardiva, Baur si chiese se le vergini non potrebbero essere le donne profetesse così influenti nel movimento montanista. Nell'insieme, si deve giudicare la spiegazione del titolo ad Parthos tramite un ipotetico pros parthenous come un obscu­ rum per obscurius. (c) Un'altra possibilità di lettura erronea postula l'influsso di 1Pt e/o di Gc. Come 2Gv è indirizzata a una « signora eletta » ( chiesa), così l Pt 1 , 1 è indirizzata a « eletti dispersi nella diaspora [diasporas] »; e come 2Gv termi­ na con un saluto da una « sorella eletta » (chiesa), così 1Pt 5, 13 termina con un saluto da « la coeletta donna (chiesa) in Babi­ lonia ». Gli scrivani possono avere giudicato che il pubblico .delle due lettere cattoliche fosse lo stesso, e il greco diaspo­ ras può essere stato tradotto in latino ad sparsos ( « ai dis­ seminati » ) che poi venne alterato o interpretato in ad Par­ thos ( sotto l'influsso della menzione di Babilonia in 1Pt?). Variazioni di questa complicata teoria sono state proposte da Eichhorn, Holtzmann e Schott. Holtzmann ( « Problem IV » ) vede la possibilità che l'originale greco fosse pros tous dia­ sparsamenous che egli collega a una tradizione latina secondo la quale Gc fu scritta ad dispersos ( derivato da Gc 1, 1 : « Alle .dodici tribù nella diaspora » ). L'ipotesi che una lettura erronea abbia fatto sorgere il titolo « ai Parti )) sembra più probabile dell'ipotesi storica, e così il titolo non ci dà una vera informazione su coloro che all'inizio furono considerati i destinatari delle lettere giovannee. L'esatta successione della lettura erronea, comunque, va al di là di una ricostruzione attendibile.

s

Erma, Vis. 4.2.1-2, descrive la chiesa come una vergine.

Appendice IV

i l comma giovanneo

Il classico testo greco di lGv 5, 7-8 può venire tradotto alla lettera: Per il motivo che ci sono tre che testimoniano, lo Spirito e l'acqua e il sangue; e questi tre sono (a) uno. Nel passo, il simbolismo è oscuro, come abbiamo visto nel commentario; e così non sorprende che ci siano stati tentativi di chiarimento e che questi abbiano lasciato dei segni sul testo nel corso della trasmissione. Il più famoso, che si riferisce a tre testimoni celesti, è conosciuto come il comma giovanneo e consta delle parole riportate in corsivo l : Perché ci sono tre che testimoniano in cielo : Padre, Parola e Spirito Santo; e questi tre sono uno; e ci sono tre che testimoniano sulla terra : lo Spirito e l'acqua e il sangue; e questi tre sono (a) uno. l In questo impiego, la parola « comma » significa parte di un libro o di una frase. Le testimonianze latine presentano varia­ zioni sull'esatto testo del comma ; ad es., la maggior parte legge i testimoni celesti prima dei terreni, ma antichi esempi come Priscilliano, Contra Varimadum, Cassiodoro e il palinsesto di Le6n hanno la disposizione inversa. ( Informazione a riguardo di questi autori e di queste opere verrà data più avanti sotto A2 e C) . Kiinstle, Comma 48, sostiene una variante nella riga 3 del comma come affermato da Priscilliano e dal palinsesto di Le6n: > 10. Quanto al comma stesso, nei MSS. a noi noti non appare nella VL fino a dopo il 600 d. C. e nella Vg fino a dopo il 750, sebbene questi MSS. riflettano ovviamente una tradizione già esistente. Anche quando la sua apparizione è geograficamente delimitata, fino a quasi la fine del primo millennio il comma appare solo nei MSS. latini del NT di origine o di influsso spagnolo I I . Questi includono : - Palinsesto della cattedrale di Le6n VL-Vg, VII secolo, origine spagnola. - Frammento di Freising : VL-Vg, VII secolo, spagnolo. - Codice cavense: Vg, IX secolo, spagnolo. - Codice complutense : Vg, X secolo, spagnolo. - Codice toletano : Vg, X secolo, spagnolo. - Codice teodolfiano : Vg, VIII e IX secolo, franco-spagnolo. - Alcuni MSS. sangallesi: Vg, VIII e IX secolo, franco-spagnoli.

8 Si veda più avanti come Tertulliano attribuisca grande impor­ tanza al neutro « uno ». Secondo l'opinione di Riggenbach, « Com­ ma » 384-85, alcuni antichi MSS. latini del NT dovevano avere tres e altri dovevano avere tria. Il neutro appare in Priscilliano, il quale è il primo chiaro testimone del comma. 9 Cassiodoro ( ?) , Speculum, e il palinsesto di Le6n. Possiamo ve­ dere le radici della sua aggiunta nelle Adumbrationes di Clemente di Alessandria: dopo avere citato « questi tre sono uno », egli dice: « Poiché nel Salvatore ci sono quelle virtù salvatrici ». lO In Contra Varimadum. Un'altra variante è « acqua, carne e san­ gue » di Priscilliano. La sostituzione di « Spirito » con « carne » può avere avuto sottintesi sacramentali, ad es., « acqua " è il bat­ tesimo, e " carne e sangue » è l'eucarestia. I l Comunque, è ancora assente in alcuni MSS. spagnoli del X se­ colo (legionense e valvanera) e in una testimonianza catalana far­ fense) che è una recensione basata su testimonianze più antiche. Il comma non è attestato prima del X secolo nei MSS. biblici la­ tini di pura discendenza italiana, francese o inglese. Esso è assente, ad es., nei seguenti codici latini : fuldense ( del 546 d.C., origine ita­ liana) ; amantino (inizio VIII secolo, nord-umbro) ; vallicelliano ( IX secolo, tradizione alcuina) ; sangermanense ( IX secolo, francese) ; e nel lezionario di Luxeuil (VI-VII secolo, francese) .

Il comma giovanneo

1051

Se noi tentiamo di riandare oltre la testimonianza dei nostri MSS. esistenti 12 , non è chiaro che il comma fosse incluso nel testo di 1Gv quando nel V secolo san Peregrino pubblicò la volgata in spagnolo. Dopo uno stadio, nel quale il comma venne scritto in margine, esso venne portato nel testo latino al tempo o prima di Isidoro di Siviglia (inizio del VII secolo). Nel periodo dello spagnolo Teodolfo (morto nel 821 ), il quale operò in Francia come vescovo di Orleans, il comma venne portato dalla Spagna e fece il suo ingresso in alcune copie della V g scritte nell'era carolingia. Ciò nondimeno, su un esame di circa 258 MSS. della Vg nella biblioteca nazionale di Parigi prece­ denti il XII secolo, quelli che mancavano del comma erano in numero superiore a quelli che l'avevano 13.

B . Importanti discussioni dopo il 1 500

Ammessa la povera attestazione testuale del comma, esso meri­ terebbe una nota storica in calce, non un'appendice, se non fosse per alcuni curiosi eventi a esso collegati che accaddero dopo il 1500. Esso fu assente dalla prima edizione greca del NT di Erasmo ( 1 516) e dalla sua seconda edizione ( 1519). D. Lopez de Zuiiiga ( Stunica ), l'editore della Bibbia poliglotta complu­ tensiana del cardinale Ximenes (NT stampato nel 1514, pubbli­ cato nel 1522), criticò Erasmo per averlo omesso e lo incluse nella sua opera ( dove la forma greca del comma venne tradot­ ta dal latino ! ). Un altro critico di Erasmo fu l'inglese E. Lee nel 1520, ed Erasmo replicò a Lee che egli avrebbe inserito il comma nelle sue edizioni del NT greco se avesse trovato un MS. greco che lo avesse 13•. Tra il maggio del 1 520 e il giugno del 1521 venne mostrato a Erasmo che il comma esisteva in greco nel codice monfortiano (nel quale, quasi sicuramente, il comma era stato tradotto in greco dalla volgata per imbaraz­ zare Erasmo). In modo riluttante e ritenendo non fosse origi­ nale, Erasmo inserì il comma nella terza edizion e del suo NT greco ( 1 522 ); e rimase nella quarta ( 1 527 ) e nella quinta ( 1 535 ). La fama di erudizione che Erasmo godeva diede sostegno al­ l'assunto che il comma doveva essere genuino; e il tipografo

1 2 Per un elenco dei MSS . posteriori al X secolo che contengono il comma, si veda Brooke, Epistles 156-58. 13 Si veda Ayuso Marazuela, " Nuevo Estudio ,. 220-2 1 . Ba Normalmente, questo viene riferito come una promessa d i Era­ smo, ma si veda H. de Jonge, « Erasmus and the Comma Johan­ neum », ETL 56 (1980) 381-89.

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parigino Robert Estienne il Vecchio (Stefano) incluse il comma (secondo la forma che ha nella poliglotta complutensiana) nella terza edizione parigina ( 1550) del NT greco. Alla fine, il comma fece il suo ingresso nel 'textus receptus ' ( Elzevir, 1633 ) che per secoli venne considerato il NT greco classico. Esso venne accolto da entrambe le parti della riforma. Sebbene in princi­ pio fosse assente dal NT di Lutero 14, venne inserito da alcuni editori a Francoforte dopo il 1582. Sebbene Zwingli rifiutasse il comma, Calvino lo accettò, ma con esitazione. Da parte cattoli­ ca, il comma apparve sia nella edizione sistina ( 1590) che nella clementina ( 1592 ) della volgata, e quest'ultima divenne la Bib­ bia ufficiale della chiesa cattolica romana 15• Sebbene nel NT inglese Tyndale collocasse il comma tra parentesi, alla fine venne accettato sia dalla traduzione KJV che da quella di Rheims. Anche se il comma aveva vinto la battaglia per l'accet­ tazione nel XVI e nel XVII secolo, la guerra non era finita, poiché nel 1764 J. S. Semler lo mise in dubbio, aprendo così una nuova campagna di rifiuto. I dubbi aumentarono e dal XIX secolo nessuna riconosciuta autorità sul testo greco del NT ha accettato l'autenticità del comma 16 , Nel cattolicesimo romano, rimaneva da combattere ancora u­ n'altra battaglia sul comma. Il 13 gennaio del 1897, a Roma la Sacra Congregazione dell'Inquisizione pubblicò una dichiara­ zione ( confermata da papa Leone XIII il 15 gennaio ) che non si poteva senza pericolo negare o mettere in dubbio l'autenticità del comma. Un intervento cosi straordinario . dell'autorità della chiesa su una questione di critica testuale portò costernazione; e molto presto il cardinale Vaughan scrisse a Wilfrid Ward 17 con l'assicurazione (che egli disse veniva sanzionata ufficial­ mente) che la dichiarazione non era intesa a chiudere la di14 Lutero commentò 1Gv 5, 7-8 negli anni 1522-24 e di nuovo negli anni 1543-45. Nelle sue prime osservazioni, egli affermò che il com­ ma era stato inserito in un secondo momento nella Bibbia greca ; nelle sue ultiJll e osservazioni, commentò il significato del comma senza sollevare la questione critica della sua origine. Si veda Ab­ bot, « I John V. 7 ». Prima che il comma venisse introdotto nel NT di Lutero, l'edizione del 1541 aggiungeva " sulla terra » ( un 'ag­ giunta latina menzionata più sopra) dopo « ci sono tre che testi­ moniano ». Sono grato al prof. J. Reumann per l'aiuto su que­ sto punto. 15 Ayuso Marazuela, « Nuevo Estudio » 99, rintraccia le radici della forma clementina del comma nell'uso in una famiglia parigina di 13 MSS. della Vg. 16 Per la storia del comma nel testo greco stampato del NT, si veda Bludau, « Im 16. Jahrhundert » 280-86. 17 Il Guardian del 9 giugno 1897, e RB 15 ( 1898) 149.

Il comma giovanneo

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scussione o a scoraggiare la critica biblica. Questo venne con­ fermato da H. Janssens (il quale doveva diventare segretario della Pontificia Commissione Biblica Romana) che scrisse in proposito nel 1900, come pure dall'assenza di una ostile reazio­ ne romana al Comma di Kiinstle pubblicato a Friburgo nel 1905 (con l'imprimatur dell'arcivescovo), che attribuiva l'origi­ ne del comma all'eretico spagnolo Priscilliano nel IV secolo. Come si poteva conciliare una tale libertà con la dichiarazione dell'Inquisizione? Una spiegazione fu che la dichiarazione era disciplinare, non dottrinale. Una spiegazione più comune fu che l'Inquisizione non stava parlando a riguardo della genuinità del comma (cioè, che venne scritto dall'autore di 1Gv) ma a riguardo della sua autenticità come Scrittura 1 8 . Quest'ultima dovrebbe essere giudicata dalle norme del concilio di Trento, che dichiarò (DBS 1504) essere santi e canonici quei libri o parti di libri che vennero abitualmente adoperati nella chiesa durante i secoli e appartenessero alla volgata latina 19• Comun­ que, l'autenticità del comma difficilmente poteva rispondere a tali criteri : esso venne completamente ignorato per tutto il primo millennio cristiano da tutti tranne che da una piccola se­ zione della chiesa latina e non fece parte della Vg originale di Girolamo. De facto, per i cattolici romani la non-autenticità del comma può essere ora considerata come sistemata, poiché Roma ha permesso traduzioni ecclesiastiche del NT dal greco piuttosto che dal latino e, naturalmente, tali traduzioni cattoli­ che recenti, che includono quelle approvate per l'uso liturgico ( NAB, JB ), omettono il comma. Tutte le recenti discussioni scientifiche dei cattolici romani hanno riconosciuto che il comma non è né genuino né autentico 20 .

18 Questa interpretazione venne confermata il 2 giugno 1927 da una dichiarazione del Santo Uffizio (il ribattezzato successore della Congregazione dell'Inquisizione) affermante che, mentre gli studiosi sono liberi di discutere e di negare la genuinità del comma, solo la chiesa può decidere se esso fu una parte autentica della Scrittura. Un buon esempio della distinzione viene fornito dal racconto della donna adultera in Gv 7, 53-8, 1 1 . Come altri studiosi, gli esegeti cat­ tolici romani riconoscono che non fu scritto dall'evangelista ma aggiunto da scrivani al vangelo di Gv ( quindi , non genuino) . Co­ munque, essi riconoscerebbero pure che è autentica Scrittura se­ condo le norme del concilio di Trento, che non fece della paternità un criterio di canonicità. 19 A Trento, ci fu un dibattito su alcuni discussi passi scritturistici, l 'autenticità dei quali i partecipanti volevano affermata. Comun­ que, il comma non fu uno di questi. 20 Si veda Rivière, « Authenticité • 303·9.

1054 C . Le origini del

Appendice IV

comma

Ammesso che il comma non venne scritto dall'autore di lGv, quando, dove e come ebbe origine? La prima chiara apparizio­ ne del comma si trova nel Liber apologeticus 1.4 (CSEL 18, 6 ) d i Priscilliano che morì nel 385 21 . Priscilliano sembra essere stato un sabelliano o un modalista, per il quale le tre figure nella trinità non erano persone distinte ma solo modi diversi dell'unica persona divina. A quanto sembra, egli lesse il comma ( « Padre, Parola e Spirito Santo; e questi tre sono uno [in Cristo Gesù] » ) in quel senso; e per il motivo che il comma si adatta alla teologia di Priscilliano, molti hanno congetturato che fu lui a crearlo. Prima di commentare questa affermazione, mi sia concesso esaminare la storia successiva del comma tra gli scrittori latini prima della sua apparizione due o trecento anni più tardi, negli esistenti MSS. del NT, come più sopra discusso.

1.

Il comma negl i scrittori dopo Priscill iano (400-650 d.C.)

Di origine montanista o meno, il comma poteva venire letto in un modo trinitario ortodosso. Ad es., esso venne invocato nel 484 a Cartagine, quando i vescovi cattolici (antiariani) del Nord Africa confessarono la loro fede davanti a Unerico il Vandalo ( Vittorio di Vita, Historia persecutionis africanae prov. 2.82 [3.1 1 ] ; CSEL 7, 60). Anzi, nel secolo successivo a Priscilliano, la principale apparizione del comma si trova in trattati che di­ fendono la trinità. In PL 62, 237-334, c'è un'opera De Trinitate che consta di dodici libri. In passato, venne attribuita al ve­ scovo nord africano Vigilio di Tapso che fu presente all'incon­ tro di Cartagine; essa è stata pure assegnata allo Pseudo-Atana­ sio; ma altre congetture l'accreditano a uno studioso spagnolo come Gregorio di Elvira (morto nel 392 ) o a Sigario di Galizia ( del 450 circa) zz. Di recente, sono stati pubblicati i primi sette 21 Occasionalmente, è stato attribuito al suo seguace !stanzio. Pri­ scilliano fondò una setta con tendenze ascetiche ( manichee? gno­ stiche?) nel sud della Spagna nel 375 circa. Venne consacrato ve­ scovo di Avila, ma sollevò l 'energica opposizione di Itacio di Os­ sobona. Nel 385, Priscilliano venne giustiziato a Treviri per eresia e magia dall'imperatore usurpatore Massimo, nonostante l'inter­ vento di san Martino di Tours. La persecuzione dei suoi seguaci continuò dopo la sua morte. 22 Ayuso Marazuela, « Nuevo Estudio » 69.

Il comma giovanneo

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libri (CC 9, 3-99) come opera di Eusebio di Vercelli (morto nel 371 ), ma non senza dibattito (si veda CPL # 105 ). A ogni modo, l'opera è probabilmente di origine nord africana o spagnola; e le sue parti possono essere state composte in diversi tempi; ad es., i libri 1-7 scritti immediatamente prima del 400, e 8-12 in un periodo dei successivi 150 anni. Nei libri l e 10 ( PL 62, 2430. 246B. 297B ), il comma viene citato tre volte. Un'altra opera sulla trinità, che censta di tre libri, Contra Varimadum, è pure stata soggetto di speculazione a riguardo della paternità e della datazione 23, ma sembra probabile che essa risalga al 450 circa e sia di origine nord africana. Il comma è citato in 1 .5 (CC 90, 20-21 ). Vittorio, il vescovo di Vita nel Nord Africa verso la fine della crisi vandala ( 485 circa ), scrisse la Historia perse­ cutionis africanae provinciae, all'interno della quale citò il comma quale testimonianza di Giovanni l'evangelista (2.82 in CSEL 7, 60; 3.11 in PL 58, 227C ). All'inizio del secolo successivo, il comma era conosciuto come l'opera di Giovanni l'apostolo come risulta da Fulgenzio, il vescovo di Ruspe nel Nord Africa (morto nel 527 ), nella sua Responsio con tra Arianos (Ad 10; CC 91, 93 ) e nel suo De Trinitate ( 1 .4 . 1 ; CC 91A, 636). I movi­ menti vandali nel V secolo portarono in stretta relazione Nord Africa e Spagna, e la testimonianza elencata più sopra mostra chiaramente che il comma venne conosciuto in quelle due regioni tra il 380 e il 550. Come e quando venne conosciuto altrove? Al periodo precedente il 550 appartiene un Prologo alle lettere cattoliche, falsamente attribuito a Girolamo, conservato nel codice fuldense ( PL 29, 827-3 1 ). Sebbene il codice stesso non contenga il comma, il Prologo afferma che il comma è ge­ nuino, ma è stato omesso da traduttori infedeli. Il Prologo è stato attribuito a Vincenzo di Lerins (morto nel 450) e a Peregrino (Kiinstle, Ayuso Marazuela), l'editore del V secolo della Vg. A ogni modo, l'autorità di Girolamo fu tale che questa asserzione, falsamente attribuita a lui, servì a ottenere l'accettazione del comma. In Italia, Cassiodoro ( morto nel 583 circa) citò il comma nel suo commentario In Epistolam S. Joannis ad Parthos ( 10.5.1; PL 70, 1373A ), sebbene non fosse chiaro se pensasse che il

23

Improbabili sono le attribuzioni ad Agostino (di Cassiodoro) , ad Atanasio ( di Beda) , a Vigilio di Tapso, a Idacio di Claro (o Hyda­ tius, un vescovo spagnolo del 400 circa) . L'editore di CC 90 (p. vii) pensa che lo sconosciuto autore nord africano possa essere andato in esilio a Napoli da dove venne la posteriore conoscenza del com­ ma in Italia da parte di Cassiodoro.

1056

Appendice IV

comma appartenesse alla Bibbia e fosse stato scritto da Gio­ vanni. L'opera di Cassiodoro fu un canale per mezzo del quale la conoscenza del comma raggiunse pure la Francia. Quanto all'Inghilterra, si pensò che nessun MS. del commentario alle lettere cattoliche del venerabile Beda ( morto nel 735 ) mostras­ se di conoscere il comma, sebbene due MSS. minori avessero l'espressione « sulla terra » dopo « testimoniano » nel testo classico di lGv 5, 7-8. C. Jenkins ha 4>ra trovato un MS. del tardo XII secolo ( 177 a Balliol, Oxford) che contiene il comma, ma a quella data esso può ben essere stato presente in Beda proveniente dalla Bibbia latina. Nell'insieme, quindi, la testimonianza dagli scrittori del perio­ do 400-650 è in armonia con la testimonianza della Bibbia latina, dove il comma comincia ad apparire dopo il 600 nei MSS. a noi noti. ( Isidoro di Siviglia, morto nel 636, il quale mostra di conoscere il comma nel suo Tes timonia divinae Scripturae 2 [PL 83, 1203C] , se l'opera è genuinamente sua, può essere servito da ponte ai MSS. biblici, poiché il suo nome è collegato all'opera editoriale sulla Bibbia latina). Il comma fu conosciuto in Nord Africa e in Spagna, e la sua conoscenza altrove probabilmente derivò da un influsso nord africano e spagnolo.

2. Il comma negli scrittori anteriori a Priscilliano (200-375 d.C.) Ci sia concesso ora di guardare nell'altra direzione per vedere se ci fu conoscenza prepriscilliana del comma. Da una parte, del .Alamo ( « Comma » 88-89) dimostra che Priscilliano tratta­ va molto liberamente i testi biblici e potrebbe bene avere modellato il comma lui stesso cambiando il passo originale di lGv con le riflessioni degli scrittori della chiesa nord africana (ad es., Cipriano ) sulla trinità. Dall'altra parte, come abbiamo visto in A2 e nella INTRODUZIONE (VI B), ci furono antiche aggiunte latine a lGv per le quali c'è scarsa o nessuna confer­ ma nei MSS. greci; e ci si può chiedere se le origini del comma si debbano separare da tali più antiche espansioni testuali latine 24. Inoltre, Riggenbach (Comma 382-86) sulla base di va24 Thiele, « Beobachtungen » 72-73, sostiene che, dal momento che alcune aggiunte latine a lGv possono essere state tradotte da ori­ ginali greci perduti, noi non possiamo negare la possibilità di un originale greco del comma. Giudico questo molto improbabile si veda più sopra Al.

Il

comma giovanneo

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rianti 25 sostiene che quella di Priscilliano fu solo una forma del comma che, quindi, deve essere datato prima di lui. (Co­ munque, Lemmonyer, « Comma » 71-72, mette in evidenza che le varianti sarebbero sorte quando il comma era ancora una meditazione su 1Gv 5, 7-8 e prima che diventasse parte del testo biblico latino ). Un modo per verificare queste osservazio­ ni teoriche è di controllare la conoscenza del comma attraver­ so gli scrittori della chiesa che precedono Priscilliano; e a motivo della storia successiva, particolare attenzione deve esse­ re posta al Nord Africa. Nell'Adversus Praxean (25.1; CC 2, 1 195), scritto nel 215 circa, Tertulliano commenta Gv 16, 14 in termini della connessione tra il Padre, il Figlio e il Paraclito: « Questi tre sono una cosa [unum ] , non una persona [unus], come si dice 'Io e il Padre siamo uno' [Gv 10, 30 ] ». Difficilmente, questo è un riferimento al comma, ma dovrebbe essere tenuto in mente passando a Cipriano (morto nel 258 ), un altro nord africano 26, Nel De ecclesiae catholicae unitate 6 (CC 3, 254), Cipriano afferma: « Il Signore dice : 'Io e il Padre siamo uno [Gv 10, 30 ] , e di nuovo del Padre, Figlio e Spirito Santo è scritto : 'E i tre sono uno' » n. C'è una buona possibilità che la seconda citazione di Cipriano, come la prima, sia giovannea e venga dal testo della VL di 1Gv 5, 8, che dice : « E questi tre sono uno )) in riferimento ' allo Spirito, all'acqua e al sangue. Questa applicazione alle figure divine trinitarie non rappresenta necessariamente una conoscenza del comma 28, ma piuttosto una continuità delle riflessioni di Tertulliano unite a una tendenza patristica gene­ rale di invocare qualsiasi gruppo scritturistico temario co�e '

25

Queste si possono vedere confrontando il comma in Liber apo­ logeticus di Priscilliano, in Contra Varimadum, e nel palinsesto di Le6n. 26 � stato seriamente sostenuto da Thiele e da altri che Cipriano conobbe il comma : una conoscenza che renderebbe il Nord Africa del II o del III secolo il più probabile luogo di origine. lo parlerei piuttosto di area di formazione. Il Si veda l'Epistula 73.12 ( CSEL 32, 787) di Cipriano dove la stessa affermazione « i tre sono uno » è applicata a Dio, a Cristo e allo Spirito senza un riferimento alla Scrittura. 28 A favore della conoscenza del comma da parte di Cipriano c'è il fatto che egli conobbe altre aggiunte latine al testo greco di lGv ; ad es., l'aggiunta a 2, 17 ( NOTA a 2, 17e) . Sfavorevole alla conoscenza del comma è il suo uso di « Figlio » invece di « Parola », sebbene quella sia una variante occasionale nel testo del comma ; ad es., Fulgenzio, Contra Fabianum (Frag. 21.4 ; CC 91A, 797) , applica il « tre sono uno ,. alle persone divine e parla del « Figlio », mentre nella sua Responsio contra Arianos (citata più sopra) parla della « Parola ».

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simbolo della trinità o a essa applicabile. In altre parole, Cipriano può esemplificare il processo di pensiero che diede origine al comma. Che Cipriano non conoscesse il comma viene suggerito dalla sua assenza nell'antica opera De rebaptismate dello Pseudo-Cipriano, la quale due volte ( 15 e 19; CSEL 33, 88, 92 ) cita il testo classico di 1Gv 5, 7-8 29. Analogamente, altri scrittori della chiesa, anche in Nord Africa, che conoscevano l'opera di Cipriano non mostrano di conoscere il comma. In particolare, l'africano Facondo di Ermiane nella metà del VI secolo, nella sua Pro Defensione Trium Capitulorum ad lusti­ nianum ( 1 .3.9-14; CC 90A, 12-14), cita 1Gv 5, 7-8 senza il comma (che egli non sembra conoscere) come prova per la trinità i riferimenti trinitari sono ricavati dall'importanza dello Spirito, dell'acqua e del sangue. Facondo continua poi a citare Cipriano nello stesso tenore significando, quindi, che Cipriano aveva dato una interpretazione trinitaria del testo classico di 1Gv. Agostino (morto nel 430) fu un vescovo nord africano posterio­ re di una generazione a quella in cui Priscilliano fu vescovo in Spagna. Un serio dibattito si accentra sul fatto se Agostino conoscesse o meno il comma. Egli non lo cita mai 30; ma nel suo De civitate Dei (5.1 1 ; CC47, 141 ) parla di Padre, Parola e Spirito e dice : « I tre [ neutro ] sono uno ». Dedurre da ciò una conoscenza del comma è avventato, poiché tutto ciò che esso mostra è che Agostino meditava in modo trinitario sui « tre » di 1Gv. Questo lo vediamo chiaramente nel Contra Maximinum 2.22.3 ( PL 42, 794-95 ) dove egli dice che 1Gv 5, 7-8 (testo classico senza il comma) fa venire in mente la trinità, poiché lo « Spiri­ to » è il Padre ( Gv 4, 24 ), il « sangue » è il Figlio ( si veda Gv 19, 34-35) e l'« acqua » è lo Spirito (Gv 7, 38-39). Una tale rifles­ sione sui simboli di 1Gv alla luce di un altro impiego simbolico giovanneo può essere stato esattamente ciò che fece nascere l'espressione del comma 31 . Fickermann, « Augustinus », di re-

29

Il Sermo de Centesima dello Pseudo-Cipriano, pubblicato da R. Reitzenstein, ZNW 15 ( 1914) 60-90, viene assegnato da H . Koch, ZNW 31 ( 1932) 248, all'Africa del IV secolo e (forse) a un seguace di Priscilliano, che si servì delle opere di Cipriano. Esso parla di Padre, Figlio e Spirito Santo come di « tre testimoni » senza rife­ rimento a lGv ( PL Supp l , 65 ; Reitzenstein , 87) . 30 Il suo commentario a l Gv non va oltre 5, 3. 3 1 In PG 5, 1300, Claudio Apollinare di Gerapoli (tardo II secolo) interpreta il « sangue » e « l'acqua » di Gv 19, 34-35 come Parola e Spirito. Eucherio di Lione (morto nel 450) , vissuto subito dopo Ago­ stino, non fa riferimento al comma, ma interpreta l'acqua, il san­ gue e lo Spirito di Gv 19, 30-35 come riferimenti al Padre, al Figlio e allo Spirito che testimoniano (lnstructionum 1: De Epistula Io­ hannis ; CSEL 3 1 , 137-38) . Un secolo dopo, Facondo di Ermiane ap-

Il comma giovanneo

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cente ha sollevato la possibilità che in effetti egli conoscesse il comma ma lo rifiutasse (e per quella ragione non lo citasse mai ). Fickermann addita un testo dell'Xl secolo, finora non pubblicato, in cui si afferma che Girolamo considerò il comma come parte genuina di lGv - chiaramente un ricordo del già menzionato Prologo dello Pseudo-Cipriano. Ma il testo prose­ gue facendo questa affermazione : '' Sant'Agostino, sulla base del pensiero apostolico e sull'autorità del testo greco, ordinò che venisse lasciato fuori », Nessun testo conosciuto di Agosti­ no convalida questo e, anzi, è strano che uno scrittore medioe­ vale osasse inventare una testimonianza di Agostino contro ciò che veniva largamente accettato come un testo della Scrittura e che a quanto sembra aveva l'approvazione di Girolamo 32 . Potrebbe il comma essere passato dalla Spagna al Nord Africa ed essere stato rifiutato da lui? Una tale spiegazione significhe­ rebbe che il comma non faceva parte della Bibbia latina co­ nosciuta da Agostino 33 e ciò renderebbe molto improbabile che il comma avesse avuto l'approvazione di Cipriano. Senza cercare di essere esaustivi, devo menzionare che, a parte il fatto che non viene mai citato negli scritti di Girolamo, il comma è assente dagli scritti dei seguenti maggiori teologi latini : Ilario di Poitiers ( morto nel 367 ) che scrisse sulla tri­ nità; Ambrogio (morto nel 397 ) che citò lGv 5, 7-8 quattro volte; Leone Magno (morto nel 461 ) e Gregorio Magno (morto nel 604 ).

Dall'informazione desunta dagli scrittori della chiesa emerge il seguente quadro. In Nord Africa, nel III e nel IV secolo (un periodo che va da Tertulliano ad Agostino) il triplice testimone plicò i tre elementi di 1Gv a Padre, Figlio e Spirito Santo senza indicare chiaramente che conosceva il comma. 32 L'invenzione sarebbe stata sempre più difficile per il motivo che c'erano allora in circolazione opere spurie di Agostino (che si riteneva fossero genuine) che citavano il comma ; ad es., il Liber de divinis Scripturis sive Speculum ( CSEL 12, 314 - un'opera pro­ veniente dall'Africa del V secolo?) . 33 Thiele, « Beobachtungen » 71-72, sosterrebbe che il silenzio di Agostino in riferimento al comma (che non è così grave come il suo rifiuto di esso) non ci dice necessariamente se il comma fosse già presente nel testo della VL del Nord Africa, poiché Agostino usò un testo latino più attentamente riveduto secondo il greco. Comunque, Agostino sembra conoscere alcune letture latine di 1 Gv non riscontrabili nel greco, e la storia dei MSS. latini esposta in A2 non avvalora per nulla la tesi di tale antica presenza del comma nella VL.

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dello Spirito, dell'acqua e del sangue in lGv 5 , 7-8 fu soggetto di riflessione trinitaria, dal momento che la traduzione della VL affermava che « questi tre sono uno ». Intrecciate a questa rifles-­ sione c'erano nel vangelo di Gv affermazioni che offrivano iden­ tificazioni simboliche di ciascuno dei tre elementi, e ad esse va aggiunto Gv 10, 30: « Io e il Padre siamo uno ». Alla fine, nei continui dibattiti sulla trinità, il modalista Priscilliano o qual­ che suo predecessore 34 prese gli equivalenti giovannei di Spiri­ to, acqua e sangue, cioè, Padre, Figlio e Parola, e su di essi modellò un'armonizzante asserzione a riguardo di un altro triplice testimone che era « uno ». Se l'espressione « sulla terra » era già apparsa nel riferimento della VL allo Spirito, all'acqua e al sangue, la controparte « in cielo » divenne una conseguenza logica per l'aggiunta triplice testimonianza delle figure divine. Dapprima, questa testimonianza aggiunta venne introdotta nei MSS. biblici come un commento marginale a lGv 5, 7-8, che lo spiegava; poi, venne introdotta nel testo stesso. Alcuni che conoscevano il comma possono essersi op­ posti come a un'innovazione, ma la possibilità di invocare l'autorità di Giovanni apostolo a favore della dottrina trinitaria ebbe il sopravvento nei dibattiti del V secolo contro gli ariani e i loro alleati vandali. La stretta connessione della Spagna col Nord Africa spiega il fatto che il comma apparve dapprima nei testi biblici latini di origine spagnola. Greeven 35 lo sintetizza bene: « Il comma giovanneo deve essere considerato come una espansione dogmatica del testo scritturistico proveniente dal Nord Africa o dalla Spagna dei primissimi anni del III secolo ».

34

Harnack, « Textkritik » 572-73, sostiene che il modalismo trini­ tario del comma si avvicina a quello del cosiddetto simbolo di Sardica (343) , qualche volta attribuito ai vescovi occidentali sotto la guida di Osio di Cordova ; egli, Ji.ilicher e Thiele, farebbero ri· salire la formazione del comma al III secolo. A mio giudizio, la testimonianza mostra che il processo formativo era in atto nel I I I secolo, ma non sappiamo s e il comma esistesse prima del IV se· colo ; e non sappiamo quanto tempo dopo la sua formazione en­ trasse nei testi biblici. 35 « Comma Johanneum » RGG l, 1854.

Il

comma giovanneo

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BIBLIOGRAFIA RIGUARDANTE IL COMMA GIOVANNEO

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Appendice V

osservazioni generali sulla forma epistolare

Le lettere tendono a seguire una forma fissa e uno che non conosca quella forma può davvero interpretare in modo errato una lettera. (Ad es., in una lettera moderna, si potrebbe fare un'errata deduzione sulla relazione tra un uomo e una donna, se si desse al « caro » dell'apertura il suo valore usuale e non si riconoscesse che esso è stereotipo e insignificante in una let­ tera). Questa appendice, quindi, è intesa ad aiutare l'intelligibi­ lità di 2Gv e 3Gv che, diversamente da lGv, sono vere lettere e seguono una forma epistolare fissa. La nostra conoscenza della forma della lettera alla fine del I secolo d.C. ( il tempo approssimativo delle lettere giovannee) è desunta da numerose fonti: lettere contenute nella letteratura greco-romana l ; migliaia di lettere private e commerciali recu­ perate dal 1880 nei ritrovamenti di papiri, principalmente in Egitto; lettere giudaiche conservate nell'AT, specialmente in lMac e 2Mac e nella regione del Mar Morto; il corpo delle lettere del NT, specialmente le lettere paoline 2. Generalmente, l Le lettere di Isocrate ( del 350 a.C. circa) sembrano essere le pri­ me lettere pubbliche conservateci. Doty, Letters 2-3, presenta il sin­ golarissimo influsso delle oltre novecento lettere di Cicerone, pub­ blicate dopo la sua morte avvenuta nel 43 a.C., nello stabilire il modello di ciò che una lettera dovrebbe essere. Le lettere di Apol­ lonia di Tyana ( I secolo d.C.) mostrano il modo in cui, contempo­ raneamente al NT, questo genere veniva adoperato come veicolo di insegnamento religioso o filosofico. Vennero pure sviluppati manuali sullo stile della lettera, ad es., sotto il nome di Demetrio, lo stilista dello scrivere. 2 Dei 27 libri del NT, solo 6 non vengono identificati come lettere nelle nostre Bibbie (e 2 di quei 6 contengono lettere: At 15, 23-29 ; 23, 26-30 ; Ap 2-3) . Dei 21 identificati come lettere (correttamente o

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in una lettera si distinguono quattro parti: (A) Formula di apertura; ( B ) Ringraziamento; ( C ) Corpo o messaggio; ( D ) Formula di conclusione. Naturalmente, l a consueta distinzione di parti non significa che gli scrittori abbiano necessariamente diviso così i loro pensieri. Tuttavia, essendo stati modellati dalle convenzioni dei loro tempi, essi normalmente seguirono questa progressione.

A. Formula di apertura

(Praescriptio)

Occasionalmente, per questa parte della lettera si trova il termine 'indirizzo'; ma è più saggio tenere quella designazione per ciò che era scritto all'esterno di un papiro avviluppato (all'interno veniva scritta la lettera ) - l'equivalente del nostro indirizzo sulla busta. Nella lettera greco-romana, la forma di apertura constava di tre elementi fondamentali ( mittente, de­ stinatario, saluto ), sebbene qualche volta si trovi un altro elemento 3, ad es., quello nel quale lo scrittore dice che egli ricorda ( mnemoneuein ) il destinatario o quello nel quale egli augura buona salute al destinatario e riferisce sulla sua (buo­ na ) salute. Un esempio di una formula di apertura è: « Sera­ piane, ai suoi fratelli Tolomeo e Apollonio, salute. Se steste bene, sarebbe una bella cosa; per ciò che mi riguarda sto bene » 4. La lettera giudaica del periodo adopera « pace » e « salute » e tende a essere più estesa nella sua descrizione delle persone implicate; ad es. : « Baruc, figlio di Neriah, ai fratelli tradotti in cattività, misericordia e pace » (2Baruc 78, 2). Ci sia concesso di esaminare ciascuno di questi elementi nelle prime lettere cristiane, prestando particolare attenzione ai pa­ ralleli in 2Gv e 3Gv (ma anche notando caratteristiche in cui 2Gv è atipica 5). MITTENTE ( Superscriptio ). Questo implica il nome personale delerroneamente) , 13 portano il nome di Paolo. Uno sguardo alla bi­ bliografia di questa appendice mostrerà che lo studio della lettera paolina è stato un fattore chiave nell'analizzare la forma della let­ tera. Alcuni sosterrebbero pure che, adattando la lettera greco-ro­ mana alla sua opera missionaria, Paolo divenne il creatore di un sottogenere letterario: la lettera cristiana. l È rischioso chiamare questo un quarto elemento, poiché può so­ stituire un aspetto del terzo elemento (il saluto) . 4 Papyrus Paris 43, del 154 a.C., citato in Doty, Letters 13. s Ho presentato dettagli nelle NoTE a 2Gv 1-3 e a 3Gv 1-2 ; qui, metto in rilievo la forma generale.

Forma epistolare

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l'autore 6, qualche volta ulteriormente identificato con un titolo per stabilire la sua autorità e qualche volta accompagnato dal nome di un co-mittente. Esempi paolini identificano Paolo come c apostolo di Cristo Gesù » 7 o come « servo di Cristo Gesù » s. In oltre la metà delle sue lettere, vengono inclusi compagni di Paolo. Sotto questo aspetto della lettera, 2Gv e 3Gv sono ano­ male nell'usare per il mittente un titolo senza un nome perso­ nale ( da qui la necessità di una cosi lunga NoTA a « il Presbite­ re » in 2Gv l, quando ho tentato di stabilire ciò che il titolo significava e perché l'autore lo usasse). DESTINATARIO (Adscriptio). La forma più semplice è un nome personale; ma nelle poche lettere del NT e subapostoliche scritte a individui, viene proposta un'ulteriore identificazione (ad es. : « A Policarpo che è vescovo ») e/o un'espressione di affetto. Quindi, il « al diletto Gaio » di 3Gv è stile cristiano normale. La maggior parte delle lettere del NT e subapostoli­ che sono indirizzate alle comunità ( « la chiesa » o « i santi ») in regioni precise. Il destinatario di 2Gv, eklekte Kyria, « una signora eletta », è probabilmente una designazione simbolica per una chiesa ( piuttosto che per una persona : « La signora Eklekta » o: « La nobile Kyria » ), ma 2Gv rimane atipico nel non affermare dove quella comunità si trova. Quindi, in termi­ ni di mittente e di destinatario, 2Gv comunica scarse informa­ zioni a coloro che non conoscono già le persone implicate. SALUTO ( Salutatio ). Mentre le lettere giudaiche adoperano « pace » come saluto, alcuni esempi del NT hanno il regolare greco chairein ( = latino ave ); ad es., Gc l, 1 : « Giacomo ... alle dodici tribù nella diaspora, salute » 9. Comunque, né il « pace » giudaico né il « saluto » greco sono tipici delle lettere del NT to, 6 L'abitudine di impiegare scrivani significa che il mittente o au­ tore può non essere il reale scrittore. Dal punto di vista della lun­ ghezza, difficilmente sarebbe stato necessario uno scrivano per 2Gv o 3Gv ; ma il grado di istruzione del mittente costi tuiva pure un motivo per impiegare uno scrivano. 7 lCor e 2Cor, Gal, Ef, Col, pastorali. s Rm, Fil ; cfr.: « Servo di Dio » in Tt. Tra le lettere cattoliche, « apostolo » appare in 2Pt e in l Pt, mentre « servo » appare in 2Pt, in Gc e in Gd - quest'ultimo parla pure come « fratello di Giaco­ mo "· Nelle lettere di Ignazio, troviamo: « Ignazio che è pure chia­ mato Teoforo [portatore di Dio] • · 9 Pure At 15, 23, e un esempio secolare in 23, 26. Si confronti l'esem­ pio pagano offerto da Wilder, « lntroduction » 308: « Ammon a Kallinika, mia signora madre, salute • · 10 Spesso, si pensa che il saluto preferito da Paolo: « Grazia [cha ris] e pace [eirené, probabilmente implicante salvezza] », unisca un sostantivo rassomigliante al greco-romano chairein con il saluto giudaico " pace ». ­

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Appendice V

fna una combinazione di due o tre sostantivi come « grazia, pace, misericordia, amore », caratterizzati come provenienti da Dio il Padre (e da Gesù Cristo). 3Gv non ha nessuno di questi e, in realtà, manca di saluto. 2Gv ha « grazia, misericordia e pace », ma, cosa abbastanza insolita, questo saluto è presente come affermazione di realtà cristiana esistente piuttosto che come augurio. Nella lettera personale greco-romana, sempre nella formula di apertura, il saluto veniva spesso ampliato da un augurio di salute (si veda più avanti ), nel senso che il mittente pregava per la salute del suo destinatario e dava assicurazione della propria salute 1 1. Mentre questo manca, la maggior parte delle lettere del NT espande la formula di apertura descrivendo lo stato e i privilegi dei cristiani. Rm, Tt e 2Tm, espandono la designazione del mittente; lCor e in 1Pt-2Pt, espandono la descrizione del destinatario; Gal espande il salu­ to. A questo è forse paragonabile l'espansione del destinatario in 3Gv ( « nella verità io ti amo ») e l'ancora più lunga espan­ sione del destinatario in 2Gv. RICORDO O AUGURIO DI SALUTE. Mentre in una lettera secolare l'una o l'altra di queste caratteristiche è comune, 3Gv dà il migliore e l'unico chiaro esempio di un augurio di salute in apertura a una lettera del NT. In lTs, il ricordo fa parte del ringraziamento piuttosto che della formula di apertura, poiché dopo « noi ringraziamo » in l , 2 la lettera continua in l, 3 : « Memori davanti a l nostro Dio e Padre del vostro impegno di fede ».

B.

Ringraziamento

Nelle lettere ellenistiche, la formula di apertura è spesso segui­ ta da un'asserzione nella quale il mittente rende grazie ( ettcha­ ristein ) alle divinità per precise ragioni ; ad es., per la libera­ zione da una calamità. Un buon esempio giudaico è la lettera in 2Mac 1 , 1 1 : « Essendo stati salvati da grandi pericoli per l'intervento di Dio, lo ringraziamo molto per essersi schierato con noi contro il re )), Qualche volta c'è un'altra preghiera che tale sollecitudine sarà continua. Un modello diverso appare nel ringraziamento paolino ( che è mancante in Gal e Tt) 12. L'eIl Quando la lettera doveva venire interpretata da un corriere, un'altra caratteristica del saluto poteva essere un'asserzione che stabiliva la credibilità e le credenziali del corriere chiarendo la sua relazione col mittente. 12 Si deve parlare in termini generali, poiché il ringraziamento paolino non è proprio così regolare come la formula di apertura.

Forma epistolare

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spressione introduttiva normalmente è : « Io/noi ringrazio/ ringraziamo [ il mio] Dio perché ... ». La ragione specifica per H grazie non è la liberazione da disastri ma la fedeltà della comunità destinataria, e la supplica è perché tale fedeltà con­ tinui. Spesso, alcuni temi principali del corpo della lettera vengono brevemente anticipati nel ringraziamento. Così, in questa sezione possono apparire ammonizioni o un particolare tono parenetico 13. In 2Gv e 3Gv, non c'è espressione di ringra­ ziamento dopo la formula di apertura, sebbene il problema della salute sollevato in 3Gv 2 nelle lettere ordinarie faccia spesso parte del ringraziamento. Più avanti, discuterò l'espres­ sione di gioia per la condizione spirituale dei destinatari che appare in 2Gv 4 e in 3Gv 3-4 e che può essere vista come passaggio al corpo di queste lettere. L'espressione giovannea di gioia ha quasi la stessa funzione del ringraziamento che si trova nelle altre lettere del NT, cioè, quella di un complimento che mette i lettori in uno stato d'animo benevolo per ricevere un messaggio che può contenere una richiesta o anche un'am­ monizione.

C.

Corpo o messaggio

Il corpo di una lettera viene qualche volta definito come ciò che viene tra la formula di apertura ( + ringraziamento ) e la formula di conclusione - una descrizione che riflette due fattori : primo, fino a poco tempo fa, il corpo è stato l'elemento della lettera meno studiato dal punto di vista della forma; secondo, si è pensato che nel corpo ci sia poca forma fissa 14. Comunque, grazie a studiosi come Funk, Koskenniemi, Mullins Esso può constare di poche righe o di oltre il 50% della lettera ( lTs) . In Ef l, 3-16 e in 2Cor l, 3-1 1 , un'ampia benedizione precede il ringraziamento. 1 3 È stato proposto che Paolo cominciasse la sua predicazione orale con un ringraziamento a Dio e che questa consuetudine lasciasse il suo segno sul suo impiego del ringraziamento nelle lettere. Altri, specialmente J. M. Robinson, mettono in rilievo uno sfondo di vita liturgica giudaica con le sue benedizioni, che comprende gli Inni di ringraziamento del Mar Morto ( lQH) . 14 Molti parlano di due parti nel corpo della lettera paolina: pri­ ma un 'exposé' dottrinale ( l'indicativo paolina) e, poi, un 'esortazione etica, parenetica ( l'imperativo paolina) . Per quanto l'analisi possa essere valida, essa si basa sul contenuto piuttosto che sulla forma e ignora le stereotipe caratteristiche inerenti all'apertura e alla chiu­ sura del corpo.

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Appendice V

e White, si sta sempre più riconoscendo che nel corpo ci sono distinte sezioni con determinate caratteristiche formali, spe­ cialmente nei periodi di transizione all'inizio (apertura del corpo) e alla fine (chiusura del corpo). Fra i due c'è il centro del corpo (per mancanza di un termine migliore), che è più difficile da analizzare da un punto di vista formale. Le lettere greco-romane offrono un aiuto limitato per studiare le caratte­ ristiche formali presenti nel corpo della maggior parte delle lettere neotestamentarie, per il motivo che il corpo delle lette­ re del NT, specialmente quelle di Paolo e di lPt e 2Pt, è considerevolmente più lungo del corpo delle lettere ordinarie. D'altra parte, 2Gv e 3Gv, con la loro brevità determinata dalla lunghezza di un foglio di papiro, per lunghezza si avvicinereb­ bero di più all'attesa e alle regole ordinarie. APERTURA DEL coRPO. Dal momento che questo elemento intro­ duce l'occasione per scrivere la lettera, tatticamente tende a procedere da un accenno riguardo a ciò che è comune nella relazione tra lo scrittore e il destinatario 15. E così, nel corpo delle lettere secolari c'è un giro piuttosto ristretto di proposi­ zioni di apertura : « So [o desidero] che tu devi essere a conoscenza . .. »; « Non pensare che . . »; « Per favore fà [non fare] . . »; « Mi addolorai [o fui stupefatto, o mi rallegrai ] quando udii che tu . »; « lo/tu scrissi/scrivesti precedente­ mente a riguardo .. »; « Mi appello a te ... ». Formule equivalen­ ti si trovano nell'apertura del corpo delle lettere paoline. Di particolare interesse per i nostri scopi è l'espressione iniziale di gioia, principalmente per notizie riguardanti il benessere dei destinatari. Tra le lettere paoline, Fil 1, 4 esprime la gioia nei confronti dei destinatari; in 2Tm 1 , 4, il mittente desidera vedere i destinatari così da poter essere riempito di gioia; in Fm 7, la gioia è già stata ottenuta dal mittente per mezzo dell'amore dei destinatari. In Gc 1, 2-3, l'autore dice ai destinatari di considera­ re le prove una gioia, dal momento che la prova produce pa­ zienza. Che in 2Gv 4 e in 3Gv 3-4 il Presbitero esprima gioia non è, quindi, senza paralleli. Comunque, dal momento che quella gioia riguarda lo stato beato dei destinatari (che cammi­ nano nella verità) - lo stesso soggetto implicato nel ringra­ ziamento delle lettere paoline - e dal momento che non c'è ringraziamento in 2Gv e 3Gv, si può legittimamente doman­ darsi, come ho fatto più sopra, se questi versi non dovrebbero essere considerati come l'equivalente giovanneo al ringrazia­ mento e, così, essere trattati un po' separatamente dal cor­ po 16. Anzi, la stessa forma si trova nella lettera di Policarpo Ai .

.

..

.

15 Si veda White, Body 18-19.69. 16 Funk ,

«

Form

»

426, fa questa proposta, ma poi in una nota sem-

Forma epistolare

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Filippesi ( 1 , 1-2); e forse nella forma epistolare cristiana si dovrebbe parlare di un riconoscimento dello stato beato del destinatario adoperando o eucharistein, « rendere grazie », o chairein, « rallegrarsi » 1 1. Un'altra caratteristica dell'apertura del corpo, transizionale al messaggio principale, è una petizione o richiesta. Studiando questa caratteristica della forma epistolare, Mullins mette in rilievo il fatto tipico che essa sta all'inizio del corpo della lettera ed ha le seguenti caratteristiche: (a) normalmente si dà prima uno sfondo per la petizione, spesso in termini di gioia per la condizione del destinatario, come preludio per chiedere qualcosa di più; (b) la petizione stessa è espressa in termini di uno dei quattro verbi di chiedere, incluso, erOtan ; (c) si rivolge al destinatario nella forma diretta del vocativo; ( d ) c'è qualche espressione di cortesia; (e) viene descritta l'azione desiderabile. Riflettendo su 2Gv alla luce di queste caratteristi­ che, lo sfondo per la petizione si trova nell'espressione di gioia del v. 4, mentre il v. 5 contiene altre caratteristiche della petizione: il verbo di richiesta ( erotan ), il cortese indirizzo diretto « mia signora )) e l'azione desiderata : « Amiamoci l'un l'altro ». Anche 3Gv contiene una petizione, benché in modo indiretto. Nelle lettere, la formula katos poiein, « far bene, fare una gentilezza )), prepara una richiesta : « Faresti bene a ... » t 8 o: « Hai fatto bene a fare così e così [per favore continua] » 19. In 3Gv 5, troviamo piston poiein, « fare qualcosa degno di fidu­ cia », che io ho tradotto con « tu dimostri fedeltà »; e questa è una variante cristiana della formula secolare 20, che prepara una richiesta di continuare in quel comportamento. Quella richiesta, che compare nel v. 6 ed è formulata in modo indiret­ to, comincia con kalos poiein : « Farai buona cosa aiutandoli a continuare il loro viaggio ». Quindi, sia 2Gv che 3Gv sono

bra considerare l'espressione di gioia come una formula di aper­ tura del corpo della lettera. 17 Ci sono pochi motivi, quindi, per accettare la tesi che il Presbi­ tero di 3Gv abbia evitato un ringraziamento perché c'era un'eresia nella chiesa a cui si rivolgeva. 18 Funk, " Fonnat " 427-28, discute questo punto, citando il papiro Michigan I 35 del III secolo a.C.: « Mi faresti la gentilezza di scri­ vere a Panakestor? ». Si veda pure MGNTG l, 228, che dice che è un modo per dire « per piacere " · 1 9 Ignazio, Smirn. 10, 1 1 : « Avete fatto bene a ricevere come dia­ coni [servi] di Dio Filone e Reo Agatopo » . 20 L'ipertono teologico della variante è stato discusso nella NoTA a 3Gv Sa.

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molto vicine a ciò che ci si sarebbe atteso in un'apertura del corpo. CHIUSURA DEL coRPO. Oltre all'apertura, l'altro segmento del cor­ po di una lettera greco-romana con caratteristiche prevedibili è la chiusura. Qui, lo scrittore concretizza o ricapitola ciò che è stato scritto nel corpo, creando motivo per ulteriore corri­ spondenza o comunicazione 21 . Sia nei papiri che nelle lettere paoline, le caratteristiche di questa parte includono : (a) un'as­ serzione perché la lettera fu scritta - la motivazione; (h) un'indicazione di come i destinatari dovrebbero rispondere a essa - o un ricordo di responsabilità (come spesso nei papiri) o un'espressione di fiducia (come spesso in Paolo); (c) un proposito di ulteriore contatto mediante una visita, o median­ te un emissario, o mediante una continua corrispondenza. Come ha messo in evidenza Funk, quest'ultima caratteristica ha una funzione escatologica per Paolo, dal momento che per mezzo di essa Paolo promette di fare presente ai suoi desti­ natari la presenza giudicante o consolante dell'autorità aposto­ lica. Aspetti della 'parusia apostolica', come l'ha chiamata Funk, implicano la speranza di poterli visitare (concessa l'e­ ventualità di un ostacolo che ritarderà) e un riferimento ai mutui benefici e alla gioia che ne risulteranno. Poche formule paoline illustrano chiaramente questi tratti : « Tentammo vivamente e con grande desiderio d i vedere il vostro volto perché volevamo venire da voi ... poiché voi siete la nostra gloria e la nostra gioia » ( l Ts 2, 17-20). « Io sono soddisfatto a riguardo di voi, fratelli miei ... Ma, scrissi a voi con un po' di audacia su alcuni punti per ricordarvi ... che per volontà di Dio io possa venire da voi nella gioia, e riposarmi in vostra compagnia » ( Rm 15, 14.15.32). « Confidando nella tua obbedienza, scrissi a te, conoscendo che farai anche più di quello che dico. Al tempo stesso prepara per me un alloggio, poiché spero tramite le vostre preghiere di essere restituito a voi » ( Fm 21-22 ). Mentre gli studiosi trattano la visita promessa come parte della chiusura del corpo, normalmente in Paolo essa non è proprio l'ultima caratteristica del corpo (prima della formula di conclusione) ma compare prima. Nelle lettere, indirizzate a comunità in cui c'è una disputa, la promessa di una visita apostolica può essere seguita da alcuni versi parene­ tici ed esortativi. Ad es. : « Vi farò visita dopo avere attraversa­ to la Macedonia ... Vigilate, state saldi nella vostra fede e siate coraggiosi » ( lCor 16, 5.13); « Scrivo questo mentre sono lonta­ no da voi, così che quando verrò potrò fare a meno di essere

21 White, Body 25-30.59-68.97-99.

Forma epistolare

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severo ... Cambiate vita; prestate attenzione al mio richiamo ,. ( 2Cor 13, 10-1 1 ). 2Gv 1 2 e 3Gv 13-14 hanno numerose caratteristiche peculiari della chiusura del corpo. In ambedue, il Presbitero dice che ha molto di più da dire: un'asserzione che corrisponde parzial­ mente alla spiegazione di Paolo di ciò che è stato scritto e perché è stato scritto. In 2Gv e 3Gv, il Presbitero promette una visita personale che gli darà la possibilità di vedere i destina­ tari. In 2Gv viene espresso lo scopo di una tale visita: « Cosi che la nostra gioia possa essere completata » una proposi­ zione che è in armonia con il riferimento alla « gioia » che si trova nelle chiusure del corpo di Paolo. Oltre che nella men­ zione di una visita nella chiusura del corpo, 3Gv rassomiglia alla forma paolina perché ha una precedente menzione di una visita già prima nel corpo della lettera (v. 10), seguita da parenesi nei vv. 1 1-12 ove il Presbitero esorta Gaio a non imitare Diotrefe la cui inospitabilità rende necessaria una po­ lemica visita. Anzi, il v. 10 solleva implicitamente le questioni della risposta dei destinatari, poiché il Presbitero ha in mente di mettere in discussione il suo avversario, Diotrefe, davanti alla comunità. -

D.

Formula di conclusione

Due espressioni convenzionali segnavano la fine di una lettera greco-romana, cioè, un augurio di buona salute 22 e una parola di commiato ( erroso ). Un esempio di quanto possa essere breve questa parte viene dalle due ultime righe del papiro 746 di Ossi­ rinco :