Spinoza
 8862182007, 9788862182003

Citation preview

ale Philosophia! a cura di Luciano Tellaroli Circolo Filologico Milanese

CARLO SINI Spinoza



BOOK TIME

CARLO SINI SPINOZA Presentazione di Luciano Tellaroli

BooKTiME

Prima edizione: aprile 2012 Seconda edizione: settembre 2012 Proprietà letteraria riservata © 2012 Book T ime - Milano ISBN

978-88.�6218-200-3

.booktime.it info@booktimè.it www

PRFSENTAZIONE

«Filosofare è "spinozare'' » (Philosopieren ist spino­ zieren) disse H egei. Il "Deus sive natura", le passio­ ni che la mente subisce, l'estensione di Dio infinita e omogenea, non composta né divisibile, il rifiuto della distinzione tra le modalità del possibile, del reale e del necessario, l'autonomia spirituale . . . chi non ricorda almeno qualche frammento del pen­ siero di uno tra i più grandi filosofi di ogni tempo: Baruch Spinoza (1632-1677) ? :L olandese "maledetto" - per l'espulsione e sco­ munica della comunità ebraica di Amsterdam del 1656 - in tutto il Settecento divenne sinonimo di ateo, libertino, fatalista, una sorta di anticristo. Leibniz, che lo conobbe personalmente, lo giudicò «il più empio e pericoloso di questo secolo». Solo a fine Settecento Spinoza tornò a essere "benedetto", secondo il significato proprio del suo nome Baruch, e addirittura associato a Cristo co­ me figura emblematica della sapienza divina. Influenzò p rofondamente l'Idealismo tedesco 5

da Schiller a Fichte, Shelling e soprattutto Hegel. In seguito Schopenhauer e Nietzsche (di lui disse che «fece dè ll'intelletto la passione più poderosa») contribuirono a traghettare il suo pensiero nel No­ vecento (Bergson ebbe a dire che ogni filosofo ha due filosofie: «la sua e quella di Spinoza»). Anche l'inconscio freudiano, non nella struttura del suo linguaggio ma proprio nella sua conce­ zione, richiama il pensiero spinoziano, che Freud ben conobbe. Tra i possibili approcci per guidarci a tale po­ deroso e ponderoso pensiero, Carlo Sini ha scelto quello di raccontarcelo, lenticolarmente, attraverso l� sua vita personale, le sue scelte, sempre consape­ voli e sofferte, ma necessarie. Ogni sua parola, ogni ' frase successiva era attes� daf-- pubblico con un'at­ tenzione e un interesse assoluto. Un'ora e mezzo in cui la parola, il racconto così ben cadenzato ha saputo mira}?ilmente esprimere il significante. Sini è riuscito a fondere, con rara maestria, il pensiero di Spinoza con la sua vita, implacabil­ mente segnata dalla durezza della giovanile sco­ munica, ma serena per la profonda consapevolezza delle scelte. Uno sguardo, quello di Spinoza, che ancora ci penetra, attraverso le lenti che lui aveva molato.

Luciano Tellaroli 6

SPINOZA*

*

Testo non rivisto dal relatore.

LUCIANO TELLAROLI

Benvenuti a tutti. Questo è un incontro partico­ larmente importante. Abbiamo nuovamente con noi il Professar Sini. La rassegna si trasformerà pro babilmente in un film-documentario. Siete tutti invitati a partecipare con idee, con progetti: dobbiamo dare immagini oltre che alle riprese, an­ che a questo tema della filosofia occidentale, che vorremmo poi comparare nel prossimo ciclo con qualche cardine della filosofia orientale, per sapere noi contemporanei, in qualche modo, come ca­ varcela. È un piacere, questa sera, avere con noi gli sponsor che hanno permesso la rassegna. C'è il Dottor Mario Bianchi, della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, che ringraziamo. LAv­ vocato Baroni, che rappresenta la Cassa di Milano (CARIMILO), questa sera non è presente, ma so che ci segue. lo darei inizio alla rassegna lasciando la parola al nostro Presidente, Valeria Premuroso. 9

vALERIO PREMUROSO

Grazie, ma io non ho molto da aggiungere rispetto ai ringraziamenti e ai saluti di Luciano Tellaroli: mi associo a nome del Circolo Filologico. Do il bentornato al graditissimo Professar Sini, al quale con l'occasione facciamo omaggio di questo vo­ lume prodotto dal Circolo, che è il risultato di un anno di lavoro, di incontri, di manifestazioni che si sono svolte principalmente qui, nell'ambito del Circolo Filologico. Corp.e sapete, il Circolo ha ospitato la proiezione del $1m-documentario Mi­ lano: il linguaggio degli anni Sessanta. Ringrazio il pubblico oggi intervenuto, ringrazio gli sponsor, e �uguro a tutti un proficuo apprendimento dalla voce, dalle parole e dal pensiero del Professar Sini .... su Spinoza. Grazie. LUCIANO TELLAROLI

Bene. Lascia�i Lutero e Calvino, arriviamo a Spi­ noza. Darei la parola al Professar Sini che ci gui­ da in questo percorso. Spinoza è certamente una figura centrale nel nostro excursus, un cardine del pensiero filosofico. Nessuno meglio del Professar Sini avrebbe potuto illustrarlo: ha studiato, scritto e meditato sul filosofo ed è veramente graditissimo relatore. lO

CARLO SINI

Naturalmente occorre fare delle scelte quando si presenta un pensiero complesso, profondo, che ha dato luogo a una tradizione secolare: i libri scritti su Spinoza potrebbero riempire intere biblioteche. Le interpretazioni proposte sul suo pensiero sono spesso molto diverse fra loro. Un'altra questione rilevante è l'attualità di Spinoza e quanto resterà del suo pensiero in futuro, perché Spinoza resterà, in ogni caso. In un'o retta è impossibile esaurire l'argomento. Bisogna operare una scelta. E cre­ do che la scelta migliore sia quella di illustrare il senso di un'avventura di pensiero, di mostrare come il pensiero di Spinoza non sia soltanto una meravigliosa costruzione intellettuale, un'opera che ancora oggi costituisce oggetto di visitazioni e reinterpretazioni, ma andare al fondo di ciò che ha mosso questo pensiero, e che noi possiamo ancora intendere in maniera adeguata, perfetta per certi versi. Bisogna cioè parlare del rapporto tra la vita di Spinoza e il suo pensiero. Secondo me, in questo 11

modo possiamo rendere un'idea dell'impatto con un pensatore di questa portata. D'altra parte, dirò subito una cosa che avremo modo di verificare più avanti: Spinoza non ha scritto una metafisica, una logica, ma un'etica: il suo capolavoro è dedicato a come si deve vivere e a come si può vivere il più felicemente possibile. Credo che questo sia il suo messaggio più importante; un messaggio che tra­ valica molte questioni legate alla storia, alla politica (che pure furono rilevantissimç). E allora da dove partire? Io direi da due date. (a prima è il 1654: Spinoza, che all'epoca è ancora un giovinotto (nac­ que nel 1632), perde il padre. Questi era un commerciante ebreo di frutta secca. Tutta la famiglia era scappata dal Portogal­ lo -per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei, che furono particolarmente crudeli negli anni e decenni precedenti. Ad Amsterdam la comunità ebraica portoghese trovò accoglienza, in quella che era all'epoca una delle città più importanti d'Eu­ ropa, sicuramente il centro mondiale dei traffici e dell'economia oceanica e, parzialmente, di quella mediterranea. Sicuramente Amsterdam era una delle città più belle d'Europa, e soprattutto una delle più libere. Vi trovavano accoglienza molte fedi, religioni, tradizioni. Costituiva un'eccezione in un secolo caratterizzato dalle guerre tra religioni, 12

insanguinato da intolleranze, violenze, torture ... Amsterdam da questo punto di vista era un gioiel­ lo, anche se non bisogna esagerare: c'erano alcune regole, alcune rigidità. E tuttavia la comunità por­ toghese viveva serenamente: faceva i propri affari, contribuiva alla prosperità dell'Olanda, la quale viveva il suo secolo d'oro, si era liberata dalla tutela spagnola, attraverso una fortunata guerra di libe­ razione. Cominciava, insomma, la sua ascesa che verso la fine del Seicento toccò traguardi straordi­ nari: Amsterdam fu la prima città dotata di una vera e propria Borsa (sul cui modello si costituì poi quella di Londra). Fu la prima esperienza in cui lo Stato interveniva a sostenere le campagne commer­ ciali delle navi delle compagnie verso l'Occiden­ te e l'Oriente (le grandi Compagnie delle Indie). Eravamo in un secolo che si caratterizzava anche per le conquiste dell'economia e della tecnologia: le navi olandesi avevano superato, per efficienza, sia le navi veneziane, sia quelle spagnole e porto­ ghesi. Fu anche un secolo d'oro per la cultura. La pittura, in Olanda, toccò dei vertici sommi (certo sulla base del Rinascimento italiano che- si sa- è il modello da cui è partito il mondo moderno, però certamente le vedute, le marine, i paesaggi olandesi fecero storia e influenzarono tutta l'Europa). E così pure gli studi di ottica, ai quali lo stesso Spinoza 13

diede un notevole contributo. Ecco, questo è il quadro generale. Nell6S4 il padre morì. Il giovanissimo Spinoza dovette prendere in mano le redini dell'azienda paterna. Associò nell'impresa suo fratello minore. Si recava tutti i giorni al porto, il luogo deputato alla sua professione di mercante. Ma da tempo si interessava di cultura. Studiava alla scuola ebraica rivelandosi fra gli studenti più promettenti. Pare che fosse avviato alla carrjera di rabbino (alcuni lo affermano, altri lo negino). Certo, la famiglia non era disagiata, ma nemmeno ricca; aveva subito alcuni rovesci, come allora capitava spesso: intere navi che affondavano e tutto il carico andava per­ duto. C'erano situazioni alterne nella fortuna dei mercanti. In ogni caso Spinot a era un giovane di grande intelletto, molto amato dai suoi maestri, e desideroso, certo, di nuove avventure intellettuali. Forse proprio questo desiderio di novità fu l'inizio del�a sua perdita. Resta ancora da capire quanto il padre si rendesse conto della natura intellettual­ mente ribelle del figlio. Tra l' altro, il padre ebbe degli incarichi importanti entro la comunità degli ebrei portoghesi di Amsterdam: era uno dei rego­ latori della scuola. Se avesse conosciuto o potuto conoscere le audaci tesi del figlio, p robabilmente le avrebbe disapprovate. Ma tutto ciò ci è igno14

to. Quello che sappiamo è che il 27 luglio 1656, il rabbino Morteira (il cui nome parla da sé, ma fu un grande maestro - bisogna riconoscerlo - e maestro personale di Spinoza), emise la damnatio memoriae ai danni di Spinoza, il quale fu costretto all'espulsione dalla comunità. Spinoza fu espulso, nessuno potrà rivolgergli la parola, nessuno potrà stare a non so quanti metri da lui, sia maledetto di giorno, sia maledetto di notte, sia maledetto quando si alza, sia maledetto quando· si corica. Il Signore non lo perdoni mai, e il suo nome sia disperso per sempre. Nessuno legga i suoi scritti, nessuno intrattenga alcun rapporto con lui. Il ra­ gazzo aveva venticinque anni. Che cosa era succes­ so? Pare che Spinoza fosse stato tradito da alcuni compagni i quali rivelarono alcune sue tesi eretiche relativamente alla tradizione ebraica. Pare che la comunità ebraica gli offrisse addirittura una pen­ sione, purché Spinoza si astenesse dall'esprimere e scrivere le sue idee. Spinoza certamente rifiutò. Scrisse un'apologia in spagnolo. Spinoza parlava portoghese in casa. Ovviamente parlava lo spagnolo e l'olandese, anche se non con grande sicurezza: abbiamo una lettera in cui scrive: Se potessi esprimermi in portoghese forse sar�i più capace di dirti queste cose che ti sto dicendo in olandese. 15

Conosceva il latino, ma il latino cenamente non piaceva moJ to alla tradizione ebraica - e questa fu forse una delle cause dell'espulsione. Leggeva l'italiano, il francese, conosceva il tedesco. Era assolutamente ignaro della lingua inglese, perché quelli erano ancora tempi beati, in cui si pensava che fosse una lingua di barbari - poi noi abbiamo cambiato idea, ma tutto è possibile. Quando dico così non mi permetto di giudicare la lingua ingle­ se. Ripeto l'opinione di Alfred North Whitehead, uno dei più grandi filosofi inglesi del Novecento, il quale scrisse: Ma come si fa a fare filosofia con questo gergo da pirati?

Quali furono le ragioni dell'espulsione di Spi­ noza? Bisogna considerare che la comunità ebrai­ ca di Amsterdam veniva rispettata e protetta dalle autorità, ma a sua volta doveva garantire ordine al suo interno. Si può capire come un figlio ribel­ le, stravagante, extravagante, (che vagava fuori dai confini della ortodossia ebraica) costituisse un reale pericolo: «Va bene, siete ebrei e vi tolleriamo». Ma che addirittura gli ebrei siano atei all'interno della loro stessa religione (�così era giudicato Spinoza) era considerato molto pericoloso. ··--Riflettiamo su un dato. Ci fu una damnatio . _...,..

· .· ..... � "-...

- ......

16

È evidente che la famiglia (la sorella e il fratello, sostanzialmente) non potevano più avere rapporti con Spinoza. Non sappiamo come Gabriel abbia mandato avanti l'attività familiare; sappiamo però che, a un certo punto, Gabriel emigrò. Ma Spinoza dove andò? Non lo sappiamo. Questo è il buco nero della vita di Spinoza. È incerto che cosa egli abbia fatto per cinque anni. Di sicuro si sa che a un certo punto ci fu una richiesta indignata da parte della comunità ebraica al Comune di Amsterdam, che diceva: Ma come? Noi abbiamo espulso questo nostro figlio maledetto, e voi tollerate che giri ancora per Amsterdam?

Sicuramente lo ritroviamo nel 1661 a Reinsburg, piccola cittadina vicino ad Amsterdam, dove anco­ ra è visitabile la casa che lo ospitò, dove c'è la sua biblioteca e la sua macchina per fare le lenti (anche se non proprio la sua - poi a uno capita, come è successo a me, di commuoversi tantissimo prima di leggere che non era quella che aveva Spinoza, anche se è uguale) . Allora cosa fece Spinoza per cinque anni? Non lo sappiamo esattamente. È probabile che si rifugiò in quella scuola, dalla quale aveva imparato a cono­ scere i classici e a usare il latino correntemente: lui 17

scriveva e parlava il latino, come i dotti dell'epoca. Secondo l'uso gesuitico, sappiamo che partecipò ' a delle rapp resentazioni teatrali, dove interpretava personaggi di Terenzio e di Plauto. La scuola era molto apprezzata sul piano culturale, ma era anche molto chiacchierata: veniva considerata fortemente eretica da tutti i punti di vista, libertina (non nel senso di immorale, ma nel senso che sosteneva la libertà di pensiero contro ogni ortodossia religio­ sa) , quindi certamente un'l scuola pericolosa. Non possiamo risolvere qui l' ohigma di questi cinque anni. Ma abbiamo un documento importantissi­ mo per capire che cosa accadde a questo giovane. Bisogna tenere presenta la scena: è un giovane di venticinque anni; è stato espulso e dannato dalla sua comunità; ha subito _un attentato che ha messo a repentaglio la sua vita. Sappiamo che un fanatico ebreo scagliò contro di lui un pugnale, lacerandogli il mantello . .Spinoza conservò il mantello tutta la vita, a memoria di questo episodio, che ha due ver­ sioni: alcuni dicono che accadde mentre usciva dal­ la sinagoga, altri mentre usciva dal teatro. Amava la musica, amava il teatro, i bei vestiti; amava fumare la pipa, i profumi: amava vivere in maniera grade­ vole; non lussuosa, ma ·prestando attenzione alla propria serenità e felicità. Questo giovane doveva esorcizzare la paura della morte, che certamente 18

rischiò sempre. Doveva esorcizzare la miseria, il timore del futuro. Certo, aveva già amici fedeli, che sicuramente lo aiutarono e accompagnarono per tutta la vita e che furono suoi discepoli: una piccola comunità, segreta e nascosta naturalmente, che di sicuro gli offrì i mezzi di sussistenza. Ma la cosa più importante era questa: Spinoza doveva purificarsi dall'odio. Questa è una delle grandezze straordinarie di Spinoza. In tutta la sua opera non c'è una sillaba contro i suoi accusatori, contro gli ebrei, contro Morteira. Naturalmente non era una cosa facile: voleva dire fare i conti con la propria vita e tirare le somme di una situazione difficile e precaria. Spinoza se la cavò con il mestiere di molatore di lenti. Erano i suoi amici che gli forni­ vano i materiali e vendevano le sue lenti in giro per l'Olanda. Era divenuto così brav� in questa attivi­ tà manuale, cui dedicava certamente buona parte della giornata, che le sue lenti divennero famose in tutta Europa. Poi alla fine "le lenti del maledetto Spinoza" divennero perfino di moda. Visse così, e così affrettò la morte in giovane età, perché dalla madre aveva (presumibilmente) ereditato una ten­ denza alla tisi. E naturalmente questo lavoro per ore e ore a molare le lenti, cioè a respirare pulvisco­ li, fu deleterio per la sua salute. Ma non aveva altri mezzi di sussistenza. Rifiutò più di una volta delle 19

donazioni di amici ricchi e di mercanti. Soltanto una volta afcettò una piccola dote e quando i pa­ renti se ne lamentarono, lui la restituì senza indugi. Non accettò mai nessun aiuto finanziario conside­ revole. Ma abbiamo un documento- dicevo - che secondo gli studiosi è stato scritto in quei cinque anni, che quindi testimonia di una meditazione, una riflessione etica, morale. Il che rende l' idea di chi fosse Spinoza a venticinque anni e di come avrebbe indirizzato la sua V-ita. Se le interpretazioni degli studiosi sono attentiibili (e sicuramente lo sono) , il testo in questione è il Tractatus de intel­ lectus emendatio ne, "La purifìcazione della mente", testo giovanile, incompiuto, del quale ora vi leggo la pagina iniziale. Immaginate quest'uomo, solo, senza più né famiglia, né lavoro, né comunità, né possibilità, e probabilmente anche perseguitato e in pericolo di vita. Il modello è certamente quello StQico. Si sente che è un giovane che utilizza mo­ delli classici, che ragiona con i suoi classici, ma la sostanza è la sua vita, non è semplicemente un fatto di erudizione. Scrive Spinoza: Dopo che l'esperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che frequentemente si inc9ntrano nella vita comune sono vane e sono futili, e quando vidi che tutti i beni che temevo di perdere 20

"tutti i beni che temevo di perdere": li ha persi, tutti, e tutti i mali che temevo di ricevere non avevano in sé nulla di bene né di male, se non in quanto r animo ne era turbato

questo è un pensiero tipicamente spinoziano: non c'è niente né di bene, né di male nel mondo. C'è ciò che ci deve essere, secondo la "ragione geome­ tricà', le cause naturali delle cose. Il problema è che noi ce ne turbiamo, ché abbiamo paura di perdere i nostri beni e timore dei mali che ci possono ag­ gredire. Quindi il problema è nel turbamento, non nelle cose, le cose sono innocenti, sono «al di là del Bene e del Male» - dirà Nietzsche, ·che si imme­ desimerà moltissimo in questi pensieri di Spinoza. Decisi infine di ricercare se si desse qualcosa che fosse un Bene vero e condivisibile

due cose: un bene vero, autentico, solido, saldo; ma anche condivisibile: questo non è solo l' atteg­ giamento dello stoico che si ritira dal mondo, no, è quello stoico che vuole condivisione nel mondo; io e i miei fratelli, io e quelli che sono fatti come me, io e quelli che vogliono questo tipo di bene sulla terra. Quindi il progetto è etico e politico. E sarà sempre così, in Spinoza. Il suo pensiero riguar21

da l'individuo e la società. Vedete come bisogna leggere con flttenzione e pazienza ogni parola per capire cosa c'è dietro?

[.. ] e dal quale soltanto, respinti tutti gli altri, .

l'animo fosse affetto. Anzi se esistesse qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno: una gioia continua e suprema

una gioia, cioè una vita felice, questo è lo scopo di Spinoza, non una vita trist�, che continuamente si autopunisce. No, bisogna ;\rivere felicemente, non c'è nessuna ragione di non essere felici . Se non lo siamo, è colpa nostra. Questo è un pensiero profondo. Una emendatio intellectus per arrivare a un bene in eterno, una gioia continua e suprema: .-\

Dico, decisi infine, perché a pi:'ima vista sembrava sconsiderato voler rinunciare a una cosa certa per una incerta

cioè a quei 'beni che tutti conosciamo, per un eventuale bene assoluto . . . vedevo senza dubbio i vantaggi che si acquistano grazie all'onore, alla ricchezza, e che ero costretto ad astenermi dal cercare se volevo seriamente de­ dicarmi a una cosa diversa e nuova

«anche io tengo famiglia» dicevano. Vedevo anch'io [dice Spinoza] che inseguire il denaro, la potenza, 22

la fama, il buon nome erano beni a portata di ma­ no: se uno vi si dedicava poteva anche riuscire. Ma dovevo invece rinunciarvi per un'altra cosa che non c'era, che era una speranza, un'aspirazione. Vedevo chiaramente, se per caso la felicità fosse riposta in essi, che avrei dovuto esserne privo. Se invece non fosse posta in essi, e a essi solamen­ te mi fossi applicato, che anche allora sarei stato privo della suprema felicità

cioè, eccolo diviso in due. "Cosa devo fare?" [pen­ sa] . "Se seguo la via di tutti, la ricchezza, l'onore, la gloria, mi hanno condannato, allora devo trovare i miei nemici, fare la guerra contro questa comuni­ tà''. Non era impossibile, allora i libertini giravano per tutta l'Europa. Questo è però quel tipo di at­ teggiamento per cui le cose sono giudicate buone o cattive a seconda che il nostro animo ne sia turbato in bene o in male, e allora se seguo questa via non c'è felicità, c'è turbamento continuo . Ma se seguo l'altra perdo tutto questo: la possibilità di proteg­ germi nella vita, di avere amici che mi sostengono, di raggiungere Ònori e ricchezze, ecc. Quell'uomo era eccezionale, aveva venticinque anni ma sapeva bene quanto valeva: sarebbe arrivato facilmente dovunque con il proprio intelletto, e nonostante la condanna degli ebrei. 23

Meditavo dunque se non fosse possibile pervenire a un nuovo regime di vita, o almeno alla certezza di esso, senza mutare l'ordine e il regime attuale della mia vita, ciò che spesso invano tentai

quindi in questi cinque anni "tentò" di raggiun­ gere un nuovo regime di vita, senza abbandonare i vantaggi di quella vecchia, ma per questa strada si muoveva invano, infatti le cose che si incqntrano per lo più nella vita, e sono considerate{ dagli uomini Bene su­ premo, per quanto è lecito concludere dalle loro opere, si riducono a queste tre: ricchezza, onore, ptacere

sintesi meravigliosa, è eterné!Jllente così. Che cosa gli uomini amano più. di ttitto? La ricchezza in tutti i sensi; l'onore: essere stimati, giudicati bra­ vi, importanti; e il godimento: a che serve avere tanta ricchezza e onore se questo non si traduce in piaceri quotidiani, concreti? A questo si riduce la preoccupazione degli uomini . Queste tre cose disorientano del tutto la mente tanto da renderla incapace di pensare a qualsiasi altro Bene

se voi pensate alla ricchezza, all'onore, al godimen­ to, ce n'è abbastanza, non resta tempo alla mente 24

per inaugurare una nuova strada. Concludo sal­ tando un pezzo. Grazie a un'assidua meditazione, giunsi a vedere che avrei lasciato dei mali certi, per un Bene certo, purché avessi potuto decidermi completamente

quest'uomo ha passato le notti a pensare alla sua vi­ ta, al suo destino, cioè che avrebbe raggiunto un ve­ ro Bene solo lasciando questi mali certi, perché so­ no mali certi le preoccupazioni di cui ci carichiamo per avere ricchezza, onore, godimento. Solo lascian­ do li c'era la possibilità di un Bene al di là di loro, mi vedevo infatti versare in estremo pericolo

queste sono parole toccanti, non per caso e costretto a cercare con tutte le forze un rimedio per quanto incerto

eh già, bisogna avere subito uno shock come il suo per essere indotti a una ricerca così profonda, sennò poi è difficile lasciare la nostra vita quoti­ diana per qualcosa di meglio e di più. Sì, capita ai grandi eroi, santi, pensatori forse, ma lui era stato messo sul punto dalla vita. Per di lì non c'era più strada, e se avesse perdurato si sarebbe procurato mali certi. E allora bisognava prendere una deci­ sione. Nell'estremo pericolo bisognava ricercare con tutte le forze un rimedio, per quanto incerto, 25

come un malato affetto da malattia mortale, che prevedendo una morte certa, senza l'assunzione di un farmaco, è costretto a cercarlo con tutte le forze, poiché in esso, per quanto incerto, risiede tutta la sua speranza. Invece tutte le cose che la maggioranza degli uomini segue non solo non offrono alcun giovamento alla conservazione del nostro essere, ma anzi persino la impediscono. Spesso sono causa della rovina di quelli che le possiedono, e sempre causa della rovina di quelli che ne sono posseduti. . �

Allora bisogna trovare una medicina; una medicina inaudita, non comune all'esperienza degli uomini comuni, i quali invece sono rovinati dalle false medicine che seguono, sia che essi ne posseg­ gano, sia che ne siano possed�.ti. Bisogna avere una medicina che guarisca da questo male da cui tutti siamo affetti. E la medicina ha un nome preciso: si chiama filosofia. . Ma se andiamo avanti in questo trattato mira­ bile, fissiamo alcuni punti. l) Decisione di ricercare il vero Bene, perché il vero Bene non è nelle cose che la maggioranza degli uomini persegue accanitamente e a proprio danno. Spinoza esprime la cosa in questi termini: Come conseguire una natu.ra umana più forte, conformemente con l'ordine eterno della natura. 26

Come ottenere una natura umana più forte che sappia accettare, tollerare, accogliere, non giudica­ re r ordine eterno delle cose, così come esse sono, né buone né cattive. In tale ordine, Bene e Male, perfetto e imperfetto, si dicono secondo il nostro punto di vista, cioè relativo. Il punto di vista del virus che mi uccide, è valido quanto il mio, non è che il mio vale di più, però io posso accoglie­ re questa realtà delle cose, questa natura di cui è fatto anche il mio corpo, la mia vita stessa, con il coraggio della forza che nonostante tutto lo accet­ ta e che vuole vivere felice in questa dimensione, per quanto può, per quanto gli riesce. Questa è la ricerca del vero Bene. Il vero Bene è non essere turbato dalle cose della natura. Ma essere capace di fronteggiarle con la forza del proprio carattere, della propria liberazione da ogni pregiudizio (poi vedremo di che si tratta più dettagliatamente). 2) Ricerca del Sommo Bene. Ma cos'è? Il Som­ mo Bene è come pervenire al vero Bene insieme ad altri: la mia salvezza insieme agli altri. Cioè la mia etica, ma in una politica. In una politica della vita, in cui altri come me sentano, vivano, vedano, operino come me per il Bene comune. Allora non avremo soltanto un Bene vero, che ognuno può raggiungere da solo. Avremo il Sommo Bene, per­ ché lo raggiungiamo tutti insieme, come fratelli . 27

E tutti insieme abbiamo abbandonato le supersti­ zioni del denaro, della fama, del godimento. Ma * viviamo per la vera gioia, per essere davvero felici, e non ossessionati dal conseguimento di questi beni apparenti, che turbano l'animo e non danno feli­ cità. E qui abbiamo una svolta, se non si intende questa non si intende Spinoza, che la si condivida o no; ma questa è la svolta che ce lo rende leggibile, comprensibile. Per conseguire questi fini, due passi fondamentali. Primo passo: «lntenderè' della natura quanto ba­ sta per conseguire una natura umana più forte>>, quella che aveva detto, cioè il vero Bene. Allora l'.etica! Ecco perché non scrive una metafisica, né una fisica. Il filosofo non è uno scienziato, che cerca le cause dei fenomeni ·e i fatti della natura. Lo scopo del filosofo non è di conoscere meglio che cosa sono i virus, di conoscere della realtà in eu� vive (della natura, della storia, della società, della psicologia, e ciò che volete dell'orizzonte del sapere) quanto basta per diventare più forte. Cioè non è una onniscienza quella della filosofia, ma è quanto mi serve sapere, quanto mi serve conoscere. Capite la forza di questa posizione! Quindi in ogni tempo e luogo è possibile conseguire il vero Bene. Essere veri filosofi. Perché quale che sia il livello di conoscenza in cui vivo (quello di Agostino? Di ,._

28

Hegel? Di oggi? Benissimo), c'è un "quanto bastà' per ognuno di noi (e vedremo di che natura è) per vivere adeguatamente il destino che ci è stato assegnato dalla sorte. Quindi anzitutto intendere della natura quanto basta per diventare più forti. Successivamente, formare una società politica per conseguire il primo fine con la massima sicu­ rezza e con la massima felicità. Far sì che questo "conoscere abbastanza per essere felici" sia un pro­ getto politico. E questo è il progetto politico della modernità di cui Spinoza è un profeta, insieme a Locke, profeta di una società liberale. Non tanto in senso economico, ma etico-filosofico. Una società in cui si possa essere felici, liberi e sicuri. Garantiti nella propria libertà di pensare, in quello che si è deciso o ritenuto giusto pensare. Liberi di pensare, sicuri dalle leggi che vorrebbero impedire questa li­ bertà. Allora se voi mettete insieme questi passi che abbiamo incontrato nell'operetta giovanile, avrete già il programma di tutta la vita di questo filosofo. "LEtica, il capolavoro di Spinoza, sarà dedicata al primo punto: "come raggiungere la felicità" - vi sembra poco? E poi "come raggiungerla con gli al­ tri" negli altri due capolavori di Spinoza, il Trattato teologico-politico e il Trattato politico. "LEtica non poté pubblicarla mai, dovette !asciarla agli amici, che la pubblicarono dopo la sua morte. Se l'avesse 29

pubblicata avrebbe rischiato nuovamente la vita. E sicuramente la sua opera sarebbe stata condannata e bruciata. E lui stesso sarebbe stato in gravissimo pericolo di vita. Il Trattato teologico-politico lo pub­ blicò anonimo, ma tutti capirono benissimo che era dell'ormai leggendario Spinoza, il che gli pro­ curò già abbastanza guai, tanto da non avere voglia di pubblicare altre cose. E tuttavia tenete presente che gli scritti di Spinoza circolavano in tutte le case degli intellettuali, in tutti i �alotti nobili del tempo, in Olanda, in Francia, in $ elgio, in Germania, in Inghilterra, ecc. Se lo passavano di mano in mano con l'accompagnamento di molti pregiudizi. Allora vediamo come si deve operare per dirigere le scienze a questo fine, per dirigere il sapere ai due punti: intendere quant� basta per essere felici, e farne un progetto politico della comunità. Ecco, ora devo procedere sintetizzando molto. Cosa si­ gnifica cono�cere quanto basta per rinforzarsi ed essere felici? Anche qui Spinoza ci insegna tre passi fondamentali, che nell'Etica sono illustrati ampia­ mente, in maniera molto complicata, perché come sapete tutta l'Etica è dimostrata attraverso more geometrico, con teoremi dimostrati, assiomi, con­ seguenze, secondo la tecnica della geometria eucli­ dea, che a quel tempo eta considet�ta il modello della razionalità. Tre passi: come si fa a conoscere 30

' "quanto b asta"�. Che cos' e' "quanto hasta"�. E cos e il primo punto del quale dobbiamo occuparci? Evidentemente il primo punto è quella che Spi­ noza chiama "esperienza di primo genere", quella che abbiamo tutti, per il cui conseguimento non c'è bisogno di grande fatica perché è spontanea, naturale, appartiene al senso comune. Si potrebbe esprimere così: un'esperienza di primo genere è che ognuno di noi conosce le sue passioni. Cioè conosce quelle immaginazioni, quelle idee confu­ se, che ci accompagnano continuamente. («Perché cresce il prezzo del petrolio? Mah, non so, ho letto quell'articolo» . . . ) Siamo tutti pieni di queste im­ maginazioni e "passioni", come le chiama Spino­ za. Le immaginazioni sono le proiezioni freudiane (Freud era un grande spinoziano) : quelle che ci immaginiamo dietro ai fenomeni. Oppure passio­ ni: il denaro la ricchezza . . . Questa è la conoscenza di primo genere, che è caratterizzata dalla totale inadeguatezza che la mente ha nei confronti del corpo e della mente stessa. Cioè noi ignoriamo, non abbiamo "idee adeguate", come dice Spino­ za, da dove vengano le nostre passioni, da dove venga la mente stessa, che cosa siano le cause che suscitano nel corpo e nella mente idee confuse e passioni. Certo ognuno di noi ha una cultura, ha delle idee che si sono costituite in una conoscenza '

31

che potremmo definire di "secondo genere", ma, in prima battuta, quando siamo ancora giovani, quando sianlo ancora inesperti, quando non ab­ biamo studiato o studiato abbastanza, che ne sap­ piamo noi del perché abbiamo certe passioni, certe immaginazioni; perché certe cose ci turbano, altre ci spaventano, altre ancora ci ossessionano. Non ne sappiamo niente. Il corpo e la mente sono per noi due valigie chiuse, due misteri: cos'è il mio corpo? E ancora di più: cos'è la Illia mente? E ancor di più: cosa sono i miei sogni� (È uscito un nuovo libro che interpreta in ma­ niera interessante cosa siano i sogni. Non si finisce m� di ragionare su queste cose.) Però, e questo è il punto che prima accennavo e _,.çhe adesso ci torna comodo, sembrerebbe a prima vista un bel guaio che noi non abbiamo idee ade­ guate, conoscenze chiare- come diceva Cartesio : conoscenze che siano nitide, limpide, non intuiti­ ve, che siano appunto basate su certezze, chiare ed evidenti. Sembrerebbe un guaio che non abbiamo un'idea chiara di come sia fatto il nostro corpo né la mente, né il pensiero - e non abbiamo di che congratularci di essere in questa situazione. Tutta­ via - e questa è la mossa straordinaria di Spinoza, la mossa che se non c()mprendi�o, non possiamo entrare nel labirinto magico d�ll' Etica - proprio 32

questa coscienza dell'inadeguatezza delle nostre conoscenze di primo genere è il fondamento della liberazione. Non il sogno di acquisire una visione totalmente adeguata del corpo, della natura, della mente. No, la liberazione si fonda proprio sull'i­ gnoranza umana, non sulla scienza. Questa è una lettura che di solito manca su Spinoza: tutti so­ no abbagliati dalla sua dimostrazione geometrica. Non è questo il senso delle sue dimostrazioni. Il senso è che solo abbandonando l'umana presun­ zione che sia possibile valicare i limiti dettati dalla finitezza dell'individuo, dall'impotenza umana, dal non poter decidere del destino del proprio corpo, e dalla limitatezza della mente, si comprende che c'è una via di liberazione, verso la saggezza, la felicità, la forza che dà felicità. Vi leggo ora la seconda citazione, che è l'inizio del Trattato teologico-politico. Una della pagine più straordinarie di Spinoza, ma anche - vi avverto delle più difficili da accettare. Con Spinoza non si fanno complimenti, si viene a un resa dei conti, nella quale si può essere d'accordo con lui o meno, ma a noi qui non interessa altro se non disegnare questa immagine, questa figura, quest' uomo. Scrive allora nella prefazione del Trattato, per il quale ebbe da patire tante persecuzioni (e capirete perché) : 33

Se gli uomini potessero dirigere con fermo pro­ posito tutte le loro vicende, o se la fortuna fosse sempre benlgna nei loro confronti, non sarebbero preda di alcuna superstizione

il grande tema di Spinoza: la superstizione, l'im­ maginazione della conoscenza di primo genere. Quindi se gli uomini potessero sempre ottenere quello che vogliono, non sarebbero superstiziosi, perché non avrebbero da chiedere conto delle cause o da immaginare le consegqenze, ,t

ma spesso finiscono in situazioni così difficili da non poter formulare nessun piano d'azione

già� situazioni sulle quali, nel buio della notte, ci chiediamo "cosa farò?" e non s�ppiamo che deci­ ' sione prendere perché la situazione è complicata. "Cosa devo fare?" :L ansia, il terrore mi prendono, e di solito pçr amore dei beni incerti della for­ tuna, che desiderano senza alcuna moderazione, oscillano

per amore dei beni incerti che desideriamo senza coscienza del nostro limite, perché ci sono dei li­ miti ai nostri desideri, che. non possiamo superare oscillano miseramente .tra la speranza e il timore

diciamo la verità, quante volte ci è capitato di "o34

scillare miseramente" di fronte a una cosa che non possiamo decidere o risolvere, che però è oggetto di una nostra tenace passione, di cui vorremmo ottenere il risultato che ci sta a cuore? E così il loro animo è quasi sempre incline a cre­

dere a qualunque cosa

oscillando tra speranza e timore, ci si affida alla prima soluzione. Quando [l'uomo] è nel dubbio, un piccolo im­ pulso basta a sospingerlo nell'una o nell'altra dire­ zione, e ciò accade ancora più facilmente quando è agitato da speranza o timore. Allora si arresta irretito se in circostanze diverse confida eccessi­ vamente in qualcuna, diviene arrogante e gonfio di orgoglio

cioè, se è convinto di avere in mano la soluzione è tutto orgoglioso, gonfio di sé, non ha nessun timore Nessuno, credo, ignora quello che sto dicendo, sebbene gli uomini siano in gran parte ignari di se stessi

e questa è la decisione di tanti anni prima: non voglio più essere ignaro di me stesso. Voglio andare al fondo della mia vita e prendere una decisione per la mia felicità. 35

Per lo più gli esseri umani non si mettono di fronte a se st�ssi con questa forza, con questo co­ raggto. Nessuno infatti può essere vissuto fra gli uomini senza vedere che i più, quando le cose vanno bene nonostante siano totalmente incapaci, profondo­ no una tale sapienza da ritenere un'offesa perso­ nale se qualcuno vuol dar loro consiglio

va tutto bene, loro capiscon.o tutto, finché le cose vanno bene non accettano �o nsigli, sono convinti che loro sono molto bravi quando le cose volgono al peggio, però, non san­ no dove dirigersi e mendicano un consiglio da chiunque, e non ce n'è alcuno, per quanto inetto, assurdo e vano, che non_ si accingono a seguire. Per le ragioni più superficiali ora aspirano a un futuro migliore, ora di nuovo temono il peggio. Se infatti, mentre sono in preda al timore, vedono accadere qualcosa che ricorda loro un bene o un male del passato, annunciano con enfasi l'esito felice o infelice della loro futura vicenda. E perciò chiamano quel qualcosa un presagio fausto, op­ pure infausto anche se non presagirà un bel nulla per cento volte di seguito

già, noi guardiamo le �arghe delle automobili di­ cendo: �