Soggetti per artisti 9788862278416, 9788862278423, 9788862278430

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Soggetti per artisti
 9788862278416, 9788862278423, 9788862278430

Table of contents :
SOMMARIO
INTRODUZIONE
MANOSCRITTI AUTOGRAFI E APOGRAFI
ABBREVIAZIONI
EDIZIONI
SOGGETTI PER ARTISTI
NOTA AL TESTO
NOTE ESPLICATIVE
INDICE DEI NOMI

Citation preview

ED I Z I O N E NA Z I O NALE DEL L E O P E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)

d i retta da g io rg io ba roni

Co m m issione sc ie ntifica Giorgio Baroni, Presidente Franco Anelli (Rettore pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Marco Ballarini · Paolo Bartesaghi Anna Bellio · Davide De Camilli Marco Elefanti (Direttore amministrativo pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Edoardo Esposito · Pietro Frassica · Maria Goffredo (Direttrice pro tempore della Biblioteca Nazionale Braidense), Segretario Tesoriere Bortolo Martinelli · Silvia Morgana · Andrea Rondini Giuseppe Savoca · William Spaggiari · Corrado Viola

Ente che ha chiesto di istituire l ’ edizione

Istituzione conservatrice delle carte pariniane

S ede Biblioteca Nazionale Braidense Via Brera 28, i 20121 Milano, tel. 02/86460907, fax 02/72023910 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

s o g g e tt i p e r a rt i s t i G I US E P P E PA R I N I a cu r a di pao lo bartesag hi e p ietro fr a s s i ca

P I SA · ROMA FA B R I ZI O SER R A ED I TORE MMXVI

A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included offprints, etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2016 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. * www.libraweb.net isbn 978-88-6227-841-6 isbn elettronico 978-88-6227-842-3 isbn (rilegato) 978-88-6227-843-0

S OM M AR IO Introduzione Manoscritti autografi e apografi Abbreviazioni Edizioni Aspetti della presente edizione Criteri editoriali Fonti dei soggetti

11 25 27 33 41 44 45

S O GGET T I PER ART IS T I Per il Telone del Teatro grande alla Scala Per il Sipario del nuovo Teatro di Novara Palazzo di Corte Il giudizio di Paride dal Palazzo di Corte a Taxispalais Palazzo Greppi Palazzo Confalonieri Palazzo Belgioioso Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso

55 58 60 89 91 102 103 108

Nota al testo Note esplicative Indice dei nomi

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a giulia e ai suoi tre fratellini gemelli alessandro marco matteo Nonno Paolo

INTRODU ZIONE l 25 febbraio 1776 un incendio divorò il Teatro Ducale di Milano. Eretto a fine Cinquecento e distrutto dalle fiamme nel 1708, il Regio Ducal Teatro era già stato ricostruito una volta, e sul proscenio erano stati apposti due medaglioni: da un lato l’immagine di una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, e dall’altro il ritratto dell’imperatore Carlo VI, a celebrare il rinnovamento del teatro e dello stato sotto il segno degli Asburgo. Al momento dell’incendio del Teatro Ducale, Milano era pur sempre una piccola capitale di provincia, ma, oramai scossa dal torpore degli anni spagnoli e avviata a una politica di riforme in tutti i campi, non volle rinunciare a un magnifico teatro, emblema di una rinata vivacità culturale. Rapidamente, la nobiltà milanese chiese e ottenne di poter costruire un nuovo teatro, a proprie spese, in cambio della proprietà dei palchi e dell’appalto del gioco d’azzardo, attività abituale già nel ridotto del vecchio teatro, che aveva visto tra i suoi più spregiudicati frequentatori anche Giacomo Casanova. Ottenuto il permesso di Maria Teresa, i lavori presero inizio non sulle macerie del vecchio teatro Ducale, ma nell’area dell’antica chiesa di Santa Maria della Scala, demolita per fare posto al nuovo edificio, che prese appunto il nome di Regio Teatro alla Scala. Il progetto venne commissionato all’architetto di corte, Giuseppe Piermarini, e il 3 agosto 1778 il nuovo teatro aprì i battenti, mettendo in scena l’Europa riconosciuta di Antonio Salieri. Mancava però un sipario degno di un simile teatro: l’incarico di delinearne il soggetto venne affidato a Giuseppe Parini, il quale elaborò un’allegoria mitologica con protagonisti Apollo e le Muse sul Parnaso. Fu questa la prima occasione in cui Parini venne interpellato quale consulente iconografico per un’opera d’arte. Il poeta, divenuto famoso nel 1763 a seguito della pubblicazione del Mattino, godeva da allora del favore del plenipotenziario austriaco Firmian, che nel 1768 l’aveva nominato poeta ufficiale del Teatro Ducale, e tre anni più tardi gli aveva affidato il libretto dell’Ascanio in Alba, musicato da un giovanissimo Mozart, nell’ambito delle celebrazioni per le nozze di Ferdinando d’Austria e Maria Beatrice d’Este. La scelta di rivolgersi a Parini per il soggetto del telone del

I

12 introduzione nuovo teatro apparve dunque piuttosto naturale. A partire da questo primo successo, Parini venne più volte invitato a scrivere altri soggetti per opere d’arte pubbliche e private, e portò avanti tale attività nei vent’anni successivi, parallelamente all’esercizio della poesia e al lavoro di docente. Per il telone della Scala (Fig. 1), Parini immaginò una scena armoniosamente suddivisa fra il gruppo di Apollo sul carro «sopra un vago e luminoso gruppo di nuvole», le quattro muse del teatro, le altre tre Muse più in disparte e «i vizi opposti alla perfezion del teatro». A fare da sfondo un paesaggio essenziale, simbolicamente definito dal corso del fiume Aganippe, da piante «selvagge ed indocili» nella zona d’ombra dei vizi posti in fuga, e da rigogliose piante d’alloro disposte intorno alle muse del teatro e al tempietto circolare, posto a celebrare l’immortalità di modelli antichi e moderni nei busti di Sofocle, Menandro e Metastasio. Parini fornì descrizioni dettagliate, che non si limitavano a delineare la componente letteraria e allegorica del soggetto o una generica limpida essenzialità della composizione, ma che indugiavano volutamente sui mezzi espressivi con i quali ottenere un simile risultato, dall’eloquenza dei gesti di Apollo, all’uso metaforico della luce, alla costruzione della prospettiva secondo il punto di vista dell’osservatore. Nella meticolosa chiarezza del programma iconografico da lui ideato, il poeta si premurò tuttavia di lasciare spazio anche all’estro del pittore. Riferendosi al gruppo dei vizi messi in fuga dalla luce divina di Apollo, Parini scrisse: «Tutta questa parte della composizione sarà aggruppata e ammassata a piacer del pittore». Ma immaginando l’artista all’opera, non si trattenne da ulteriori suggerimenti nel guidarne garbatamente il pennello: «Se gli giova, potrà anche introdurvi un piccol palco, che cade per il tumulto di quelli che fuggono, e caderanno, con esso, rotoli di scritti, maschere e stromenti rozzi e imperfetti». Al pittore si raccomandava, in conclusione, «la maggior esattezza, semplicità e purità possibile dell’arte. Sarà libero al pittore di scegliere il partito che più gli piace per questo lavoro, salve però le cose essenziali del soggetto e i rapporti necessari alla integrità di esso».1 In questo primo progetto iconografico, ideato alla metà degli anni Settanta, si evidenziano già i caratteri essenziali che ricorre1 Giuseppe Parini, Soggetto per il Telone del Teatro grande alla Scala. Vedi infra, pp. 55-57.

introduzione 13 ranno nei Soggetti successivi: l’elemento classico e mitologico reso portatore di istanze morali, misura e sobrietà, chiarezza e rigore, consapevolezza del valore metaforico ascrivibile a luce e colore, tutti elementi che confermano l’aggiornata familiarità del poeta con le tecniche e le teorie artistiche contemporanee, cui si affianca il rispetto per la libertà creativa del pittore. La scrittura di soggetti rientra nel filone dei testi tecnici di istruzioni al pittore, una tradizione ampiamente diffusa nel Rinascimento e oltre, che affonda le proprie radici nella pratica artistica antica.1 Contratti, documenti di pagamento, lettere e biografie testimoniano la collaborazione fra artisti e letterati, con l’intento di rispondere adeguatamente alle richieste dei committenti. La trattatistica rinascimentale attesta l’utilizzo di termini che riconoscono tre specifiche funzioni, spesso ‒ ma non sempre, e mai rigidamente ‒ associate ad altrettanti protagonisti, ovvero l’‘intenzione’, espressione della volontà e delle esigenze del committente, l’‘invenzione’, termine mutuato dalla retorica per indicare il programma iconografico, frequentemente affidato ad un colto consigliere, e l’‘artificio’ vero e proprio, del quale è responsabile l’artista. Naturalmente, ridurre il complicato processo all’origine di un’opera d’arte a freddo esito di una rigida spartizione dei ruoli sarebbe una semplificazione grossolana: artisti colti come Michelangelo approntarono autonomamente i propri programmi iconografici, committenti entusiasti presero parte attiva alla fase di progettazione, pittori come Taddeo Zuccari o Giorgio Vasari incarnarono tutte e tre le funzioni nell’ideare e realizzare le proprie ‘case d’artista’, e furono frequenti gli interventi di ulteriori protagonisti in veste di sovrintendenti, provveditori, intermediari. Non sempre le tre funzioni corrispondevano ad altrettante persone fisiche: si tratta di una «triade a geometria variabile» come l’ha definita Antonio Pinelli nel ricostruire il complesso processo sotteso alla realizzazione di cicli figurativi rinascimentali,2 e questa stessa definizione si dimostra valida anche in riferimento a opere d’arte

1 Gennaro Savarese, Parini e la convenzione classicistica delle ‘istruzioni al pittore’, in Savarese 1973, pp. 1-36; Silvia Morgana, Parini e il linguaggio figurativo neoclassico…, in Casale, D’Achille 2004, pp. 275-293. 2 Antonio Pinelli, ‘Intenzione, invenzione, artifizio’. Spunti per una teoria della ricezione dei cicli figurativi di età rinascimentale, «Ricerche di storia dell’arte», 91-92, 2007, pp. 7-42.

14 introduzione più tarde, come appunto le decorazioni realizzate da artisti quali Martin Knoller o Giuliano Traballesi secondo i programmi delineati da Parini, su committenza arciducale o su richiesta di nobili milanesi come i Greppi, i Belgioioso, i Confalonieri. Particolarmente interessante a questo proposito è il Soggetto per la stanza del letto d’inverno ideato da Parini per il Palazzo Reale di Milano, rimodernato alla fine degli anni Settanta del Settecento in vista dell’insediamento dell’arciduca Ferdinando. Parini immaginò una raffigurazione (Fig. 10) dell’Aurora intempestiva, quanto mai adeguata per una stanza da letto: «Mentre il Sonno giace a lato di Pasitea, bellissima Ninfa amata da lui, Amore impedisce che l’Aurora non si avanzi a disturbarli». Dell’affresco di Martin Knoller, distrutto nei bombardamenti del 1943, restano purtroppo solo fotografie, che permettono tuttavia di verificare la fedeltà del pittore alle indicazioni suggerite dal poeta: «si avanzerà l’Aurora sopra un carro tirato da due bianchi Cavalli, ai quali si farà incontro Amore». L’Aurora dovrà essere una bella giovine alata, e coronata di fiori […], avrà un manto color giallo e spargerà dalla sua persona una luce tra il giallo, ed il rosseggiante, che illuminerà tutta la composizione. Potrebbe anche in quella vece avere una fiaccola accesa nella mano destra […]. Quando poi accomodasse meglio al partito del Pittore, potrebbe la medesima Aurora, invece del Carro, e dei Cavalli essere seduta sopra il solo Cavallo Pegaso.

L’Aurora di Parini ricorda la tradizionale iconografia della dea delineata da Cesare Ripa nella sua Iconologia, fonte imprescindibile per gli artisti e ampiamente impiegata anche da Parini, che possedeva questo testo nella bella edizione padovana del 1618, sebbene sia stato accertato da Savarese che il poeta consultasse anche un’altra edizione, anch’essa padovana, stampata nel 1625.1 Così Ripa descrive l’Aurora: una «giovinetta alata, di color incarnato con un manto giallo in dosso, avrà in mano una lucerna fatta all’antica accesa, starà a sedere sopra il Pegaso cavallo alato, perché da Omero in più luoghi ella è chiamata krokopeplos, che vuol dire velata di giallo».2 Il Ripa propone anche un’iconografia alternativa: si tratta sempre di una «giovinetta alata, per la velocità del suo 1 Vicinelli 1963, p. 265; Savarese 1973, pp. 112-113. 2 Iconologia di Cesare Ripa, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1618, pp. 44-45; è questa l’edizione posseduta da Parini, secondo gli inventari pubblicati da Vicinelli; cfr. Vicinelli 1963, p. 265, n. 278.

introduzione 15 moto, che tosto sparisce, di color incarnato, con manto giallo», ma questa volta i fiori diventano un attributo dominante: «nel braccio sinistro un cestello pieno di varii fiori, e nella stessa mano tiene una fiaccoletta accesa, e con la destra sparge fiori».1 Anche l’Aurora di Parini è giovane e alata, e la sua veste è gialla, come prescritto da Omero e riportato dal Ripa; L’Aurora di Parini, tuttavia, potrà volare in sella al «solo Cavallo Pegaso» solo se ciò «accomodasse meglio al partito del Pittore». La prima scelta del poeta era infatti un’Aurora «coronata di fiori», «con una fiaccola accesa nella mano destra», che avanzi «sopra un carro tirato da due bianchi Cavalli», come quella dipinta da Taddeo Zuccari a Caprarola nella camera da letto del cardinale Farnese, illustre precedente che Parini avrà certo avuto in mente almeno attraverso la descrizione fornita da Vasari nelle sue Vite, lettura particolarmente apprezzata dal poeta.2 Pure in quel caso, come è noto, la collaborazione fra pittore e consulente iconografico fu strettissima, e lo Zuccari seguì alla lettera le meticolose indicazioni fornite da Annibal Caro, segretario del cardinale Farnese. Il programma iconografico si può leggere nella trascrizione che Vasari incluse nella Vita di Taddeo Zuccari: Facciasi dunque una fanciulla di quella bellezza che i poeti si ingegnano di esprimere con parole, componendola di rose, d’oro, di porpora, di rugiada, di simil vaghezze: e questo quanto ai colori e carnagione. Quanto all’abito, componendone pur di molti uno che paia più al proposito, si ha da considerare che ella, come ha tre stati e tre colori distinti, così ha tre nomi: Alba, Vermiglia e Rancia; per questo gli farei una vesta fino alla cintura, candida, sottile e come trasparente; dalla cintura infino alle ginocchia una sopraveste di scarlatto, con certi trinci e gruppi che imitassero quei suoi riverberi nelle nuvole quando è Vermiglia; dalle ginocchia in giù fino a’ piedi di color d’oro per rappresentarla quando è Rancia […]. Negl’omeri gli si facciano l’ali di varii colori, in testa una corona di rose, nelle mani gli si ponga una lampada o una facella accesa, overo gli si mandi avanti un Amore che porti una face et un altro dopo, che con un’altra svegli Titone. Sia posta a sedere in una sedia indorata, sopra un carro simile, tirato o da un Pegaso alato o da due cavalli, che nell’un modo e nell’altro si dipigne.3 1 Iconologia di Cesare Ripa, ibidem. 2 Vicinelli 1963, p. 260. 3 Giorgio Vasari, Vita di Taddeo Zuccari, in Vasari 1568, ii, p. 706. Versione digitalizzata all’indirizzo http://www.memofonte.it/home/files/pdf/vasari_vite_ giuntina.pdf (ultimo accesso febbraio 2015).

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introduzione

Forse il poeta avrà individuato una qualche analogia fra se stesso e il celebre letterato marchigiano, che svolse in modo continuativo l’attività di consigliere iconografico, senza mai limitarsi a fornire soltanto l’invenzione in senso stretto, ma entrando costantemente nel dettaglio degli atteggiamenti di ogni figura, dei colori, della luce. Anche Caro, come Parini, rispetta la libertà del pittore, al quale lascia un margine di libertà, senza tuttavia rinunciare a suggerire ulteriori dettagli, precisazioni, possibili alternative. Simile dunque è l’atteggiamento dei due letterati nei confronti degli artisti, nonostante lo scarto cronologico e le ovvie divergenze teoriche: Caro si ispira a principi di convenienza al luogo, di varietas e di ricerca dell’insolito,1 e Parini, pur accogliendo i primi due, non può che sostituire al terzo quel carattere di sobria misura che definisce la composta bellezza tipicamente neoclassica. La nuova sensibilità settecentesca raccoglie dunque l’eredità della convenzionale associazione fra il pittore e il letterato nella fase progettuale di un’opera, e la mette in pratica includendola inoltre nel dibattito teorico sulle ‘arti sorelle’. Ampiamente arricchita e rielaborata sulla base dell’oraziana analogia ut pictura poësis e del motto attribuito a Simonide di Ceo, per il quale la pittura è poesia muta, e la poesia è pittura parlante, la teoria delle ‘arti sorelle’ pervade la poetica pariniana. E proprio il Discorso recitato nell’aprimento della nuova cattedra delle Belle Lettere il 6 dicembre 1769 offre forse la più compiuta sintesi di tale convinzione: L’unità, per esempio, la varietà, la simmetria, la chiarezza, la verità, la sublimità, l’espressione, che sono principii del poeta e dell’oratore, il sono 1 Così Vasari riporta l’incipit del programma iconografico di Annibal Caro: «I soggetti che il Cardinale mi ha comandato che io vi dia per le pitture del palazzo di Caprarola, non basta che vi si dichino a parole, perché, oltre all’invenzione, vi si ricerca la disposizione, l’attitudini, i colori et altre avertenze assai, secondo le descrizioni che io truovo delle cose che mi ci paiono al proposito. Per che distendarò in carta tutto che sopra ciò mi occorre più brevemente e più distintamente ch’io potrò. E prima, quanto alla camera della volta piatta […] mi pare che […] vi si debbano fare cose convenienti al luogo e fuor dell’ordinario, sì quanto all’invenzione, come quanto all’artifizio. […] Vorrei che vi si facesse una Notte, perché, oltre che sarebbe appropriata al dormire, sarebbe cosa non molto divulgata e sarebbe diversa dall’altre stanze e darebbe occasione a voi di far cose belle e rare dell’arte vostra, perché i gran lumi e le grand’ombre che ci vanno soglion dare assai di vaghezza e di rilievo alle figure» (Giorgio Vasari, Vita di Taddeo Zuccari, in Vasari 1568, ii, pp. 705-706).

introduzione

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a un tempo medesimo del musico, del dipintore, dello scultore, dell’architetto; e quindi è che gli eccellenti esemplari, i quali perciò appunto sono eccellenti perché sono fatti dietro a questi principii, hanno una comune alleanza fra essi, nel modo che, per la stessa ragione, i dipintori, gli scultori, gli architetti, i musici, i poeti, gli scrittori eccellenti, anche nel cotidiano uso della vita, conversano agevolmente, e volentieri stringono amicizia insieme, e si comunicano i loro pensieri sopra le rispettive arti loro, e contraggono somiglianti costumi e maniere.1

Parini espresse le proprie convinzioni teoriche con chiarezza nelle sue Lezioni di Belle Lettere, concepite per uso didattico e mai pubblicate dall’autore come un trattato organico.2 I testi delle lezioni si articolano sostanzialmente intorno a due principi basilari: alla già citata unità delle arti si affianca la funzione civile degli studi letterari. È questo un elemento costitutivo degli Studia humanitatis, così chiamati dai Latini, afferma Parini, «quasi volessero dire che un tale studio è più naturale e più conveniente alla mente dell’uomo, come quello che interessa immediatamente il cuore di lui […]. Oppure così il chiamavano perché questo studio serve a esercitare con placidi movimenti il nostro cuore, e assuefacendolo ai piaceri tranquilli, rintuzza a poco a poco e corregge gli affetti troppo feroci e troppo tumultuosi, i quali si oppongono sempre, non meno al ben essere dell’Uomo, che a quello della Società stessa degli uomini».3 Come ha rilevato Silvia Morgana, «i principi fondamentali e generali esposti nelle lezioni sono il costante punto di riferimento teorico dei Soggetti, che risultano essere l’applicazione concreta di

1 Giuseppe Parini, Discorso recitato nell’aprimento della nuova cattedra delle Belle Lettere, in Idem, Opere, a cura di Ettore Bonora, Milano, Mursia, 1967, p. 688. 2 Il testo delle lezioni è stato pubblicato dagli editori delle opere complete del Parini con il titolo di Principj delle Belle Lettere, assemblando vari manoscritti, tra cui il più ampio autografo conservatosi (Ms. S.P.6/4.VII.3 del Fondo Parini alla Biblioteca Ambrosiana di Milano) e un manoscritto non autografo (Ms. S.P.6/4.VII.2); il testo integrale dell’autografo maggiore è stato pubblicato da Silvia Morgana nel volume Parini e le Arti nella Milano Neoclassica, cit., pp. 160-229, con un’introduzione intitolata Le Lezioni di Giuseppe Parini professore di Belle Lettere a Milano, pp. xxxivxl; successivamente è stata fornita l’ed. critica da Morgana, Bartesaghi 2003, pp. 81-279. Inoltre è stato pubblicato il testo del quaderno Sioli Legnani, l’unico quaderno di scolaro fino ad ora conosciuto che risulti effettivamente scritto in classe, sotto la dettatura di Parini: Silvia Morgana, Paolo Bartesaghi, Alla scuola del Parini. Lezioni di belle lettere nel quaderno di uno scolaro (1770), Lecco, Stefanoni, 2005. 3 Morgana, Bartesaghi 2003, pp. 84-86 (cc. 7r e 8r).

18 introduzione quei principi»,1 principi che sono, più in generale, capisaldi della cultura neoclassica. L’apporto delle teorie neoclassiche alla poetica pariniana si manifesta anche nel lessico adottato nei Soggetti, un lessico che si fonda nella tradizione rinascimentale, ma che viene rielaborato alla luce del dibattito critico contemporaneo, nel quale termini già istituzionalizzati nella letteratura artistica vengono di fatto risemantizzati. Come ha notato Silvia Morgana, nei Soggetti ricorrono infatti sostantivi quali grazia e vaghezza, avverbi come leggermente, soavemente, negligentemente, parole chiave come proporzione, chiarezza, purità, ideale: tutti termini dal significato specifico, tecnico, sempre in accordo con le accezioni riportate dai primi testimoni del nuovo vocabolario neoclassico, come Francesco Milizia, autore del Dizionario delle Belle Arti del Disegno (1797).2 Parini dedicò spazio e attenzione a questi stessi terminichiave nelle sue Lezioni di Belle Lettere, e volle identificare in Proporzione, Ordine, Chiarezza e Facilità i principi comuni a tutte le arti, a comprovare ulteriormente la prossimità dei Soggetti e delle Lezioni. Per Parini, la scrittura di soggetti non fu dunque un momento tecnico-pratico separato dall’attività poetica, o una parentesi episodica dettata da obblighi ufficiali, bensì un’occasione per mettere a frutto concretamente i principi propugnati dalla sua cattedra di Belle Lettere. Inoltre, l’esperienza ventennale di consulente iconografico si affiancò alla frequentazione abituale con il mondo degli artisti della Milano asburgica, alla conoscenza aggiornata delle teorie artistiche neoclassiche e alla parallela attività didattica nel definire le componenti di quel vitale laboratorio dal quale scaturì l’ultima poesia del Giorno, con il suo peculiare linguaggio, letterario e pittorico allo stesso tempo. I Soggetti offrono perciò un punto di osservazione privilegiato anche sulla scrittura del Giorno, e in particolare sulle revisioni elaborate a partire dagli anni Settanta, dove la narrazione poetica si fa densa di elementi visivi e di dettagli decorativi, costruendosi ‘per riquadri’. Azioni separate fra loro, seppure legate da un filo comune, prendono forma e si susseguono davanti agli occhi del lettore, che riesce a cogliere i dettagli più minuti di ogni ambien1 Silvia Morgana, Parini e il linguaggio figurativo neoclassico…, in Casale, D’Achille 2004, p. 276 sgg. 2 Ivi, p. 282.

introduzione 19 tazione, ogni gesto e variare di luce, grazie alla capacità del Parini di «dipingere in versi le cose».1 Lo spiccato gusto figurativo di Parini è stato notato a più riprese dalla critica in relazione alla scrittura del Giorno, e specialmente del Mattino e del Mezzogiorno, dove la struttura ‘per riquadri’ adottata dal poeta mostra una certa affinità di concezione con la pittura di Pietro Longhi (1702-1785),2 maestro nel descrivere con i colori scene di vita quotidiana, narrate con arguzia e ironia, che si ritrovano nei ritratti in versi immortalati da Parini nel Giorno. Non che vi sia una diretta derivazione tra l’arte dei due, ma osservare la forza narrativa di entrambi, realizzata da ognuno con i propri mezzi espressivi, fa risaltare l’eloquenza pittorica dell’uno e l’espressività quasi tangibile dell’altro. È probabile che Parini conoscesse Longhi soprattutto attraverso stampe e incisioni, e certamente l’arrivo a Milano di Giambattista Tiepolo (1696-1770), giunto per lavorare a Palazzo Archinto e a Palazzo Casati-Dugnati prima, e a Palazzo Clerici poi, aveva attirato l’attenzione dei milanesi verso gli artisti della scuola veneziana. Un gusto decorativo affine a quello degli affreschi del Tiepolo sembra affiorare nei Soggetti realizzati più tardi da Parini, per esempio per il telone del Teatro alla Scala, dove tanta attenzione è dedicata ai morbidi panneggiamenti, ai colori e agli improvvisi squarci di luce. È lo stesso gusto scenografico che si riscontra anche nelle sei favole che il poeta inserì nel Giorno, in parte legate alla trama del poemetto (La Gara di Amore e Imene, la favola del Piacere, La vergine cuccia) e in parte accessorie e decorative (L’origine della cipria, Il gioco del tric-trac, La favola del canapè), a dimostrazione di come il vivido gusto pittorico del linguaggio pariniano passi incessantemente dal Giorno ai Soggetti e dai Soggetti al Giorno. La struttura ‘per riquadri’ vividi ed efficaci, dalla forte consistenza pittorica, risulta particolarmente evidente nel Mattino e nel Mezzogiorno, dove ogni quadro è da un lato coordinato con gli altri in una visione organica e fluida, e dall’altro lato, se preso a sé, mostra una struttura estremamente interessante per le sue implicazioni estetiche, componendosi di una parte minutamente descrittiva, pur nella sua brevità, e di un commento tipicamente

1 Giuseppe Parini, Discorso sopra la poesia, in Mazzoni 1925, p. 122. 2 Frassica 1976b, pp. 565-587: 580-582.

20 introduzione ironico-morale, definito dalla fusione di dettagli comico-satirici e di immagini mitologiche. Questa peculiare struttura riflette la sedimentazione, nell’erudizione del Parini, e più in generale nella cultura settecentesca, della letteratura emblematica, con il suo duplice aspetto didascalico e artistico, e la sua forte componente visuale. Nella prima metà del Giorno, sono numerose le personificazioni che rivelano un’abituale frequentazione dell’Iconologia di Cesare Ripa e dell’Emblematum libellum di Andrea Alciati, entrambe opere di enorme successo fra letterati e artisti di tutta Europa, ristampate più e più volte e tradotte in varie lingue.1 Vero è che, nel corso del Settecento, la letteratura emblematica iniziò il suo declino, e gli scritti di Winckelmann, e in particolare il suo tentativo di legare l’iconologia alla tradizione classica nel Versuch einer Allegorie (1766), ne accelerarono la fine. Tuttavia, gli emblemi e la maniera di rappresentarli erano stati ormai ampiamente assimilati nella cultura dell’epoca, ed è verosimile che abbiano esercitato un’influenza, seppure indiretta, sulla strutturazione del Giorno, in cui la rappresentazione del concetto, in questo caso solo verbale, ma connotata da un linguaggio intensamente pittorico, si fonde con il commento nella definizione di una serie di ‘quadri’ dalla forte valenza estetica. L’influenza della cultura emblematica si evidenzia agilmente ad esempio nel largo utilizzo di personificazioni, soprattutto nella prima redazione del Mattino e del Mezzogiorno. In seguito, tuttavia, il linguaggio figurativo del Parini supera l’iniziale gusto iconografico ed emblematico per evolversi in direzione neoclassica. Si tratta di un percorso progressivo già rilevato dalla critica,2 che 1 L’Emblematum libellum di Andrea Alciati venne stampato circa 175 volte fra il 1522 e il 1749, mentre l’Iconologia del Ripa, data alle stampe per la prima volta a Roma nel 1593, fu ripubblicata cinque volte sotto l’attenta supervisione dell’autore, che aggiunse le illustrazioni nel 1603, e venne ristampata incessantemente nei secoli successivi, diventando un imprescindibile prontuario di immagini simboliche, che agevolava la consultazione da parte del lettore anche grazie all’ordine alfabetico; cfr. Sonia Maffei, La politica di Proteo: trasformazioni e peripezie dell’Iconologia di Cesare Ripa, in Officine del nuovo. Sodalizi tra letterati artisti ed editori nella cultura italiana tra Riforma e Controriforma: atti del convegno di Utrecht, 8-10 novembre 2007, a cura di Harald Hendrix, Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2008, pp. 479-495. 2 Domenico Petrini, La poesia e l’arte di Giuseppe Parini, Bari, Laterza, 1930; poi in Idem, Dal Barocco al Decadentismo, studi di letteratura italiana raccolti da Vittorio Santoli, Firenze, Le Monnier, 1957, i, pp. 58-245; Lanfranco Caretti, Parini e la critica. Storia e antologia critica, Firenze, La Nuova Italia, 19702 (19531); Savarese 1973, passim; Barbarisi, Morgana 2000, passim.

introduzione 21 tende a fare coincidere l’avvio di questa nuova fase con i primi anni della composizione del Vespro (1767-1768), evidenziandone il rafforzamento durante la stesura della Notte, negli anni Ottanta, e individuandone il culmine nella revisione finale delle prime due parti del Giorno.1 Nella paziente rielaborazione del Mattino e del Mezzogiorno, Parini introdusse nuove immagini mitologiche, e contestualmente sacrificò altre figure, la cui funzione meramente letteraria, più astratta, faticava a coniugarsi con la concezione letteraria ed estetica nel frattempo maturata dal poeta sulla scorta del pensiero neoclassico, e in particolare degli scritti di Winckelmann, di Sulzer o di Mengs ampiamente diffusi a Milano in traduzioni francesi o italiane2 (lo stesso Parini ne possedeva alcune nella sua biblioteca di Brera).3 In questa fase, Parini eliminò ad esempio le rappresentazioni di vizi e virtù, dal sapore ancora marcatamente emblematico, in favore di figure mitologiche di più evidente gusto neoclassico. Per esempio, nell’ultima versione del Mattino compaiono le figure mitologiche di Apollo e delle Muse,4 assenti nel primo progetto, e le personificazioni perdono, insieme alla lettera maiuscola, il carattere antropomorfico che le connotava nella stesura iniziale. Nel Vespro e nella Notte si assiste poi a un loro sfoltimento rispetto alla prima parte del Giorno, e in particolare a una precisa cernita tipologica: solo alcune, come l’Amicizia o il Tempo, trovano spazio nel Vespro e nella Notte. Si tratta sempre di figure che erano sì presenti nella letteratura emblematica, ma che, al contempo, potevano connettersi alla mitologia antica e inserirsi dunque nel solco del nuovo spirito estetico neoclassico.5 Dai classici latini e greci ai repertori mitologici, passando per i più aggiornati trattati teorici, sono numerose le fonti letterarie e iconografiche impiegate dal poeta, fra le quali assumono un ruolo rivelatore non solo i già citati Vasari, Alciati e Ripa, ma anche testi contemporanei come i trattati di Charles Batteux e dell’abate Dubos, l’Abecedario pittorico di Pellegrino Antonio Orlandi (1704), il Dictionnaire abrégé de la fable di Pierre Chompré (1727), l’Essai sur le 1 Frassica 1982, pp. 29-34. 2 Francesca Fedi, Parini e i teorici del Neoclassicismo, in Barbarisi et al. 2000, ii, pp. 970-992. 3 Vedi Vicinelli 1963, ad indicem. 4 Giuseppe Parini, MT II, in Idem, Il Giorno, edizione critica a cura di Dante Isella, Parma, Fondazione Pietro Bembo / Ugo Guanda, 1996, i, p. 118, vv. 466-468. 5 Frassica 1976a, pp. 88-94.

22 introduzione goût di Alessandre Gérard (1756) o il Traité de Peinture et de Sculpture di Dandré-Bardon (1765). Era in atto insomma un fermento di riflessioni sulla poesia, sulla pittura e sulle più recenti teorie letterarie e artistiche, i cui esiti si manifestarono sia nell’attività poetica propriamente detta, sia nella parallela scrittura di soggetti, rivelando dunque come le varie componenti dell’attività scrittoria fossero per Parini strettamente legate fra loro e soggette a reciproche influenze. La componente neoclassica nella scrittura dei Soggetti è stata sottolineata inoltre da Gennaro Savarese, il quale ha evidenziato come le allegorie pariniane possano essere osservate alla luce dei principi classificatori individuati da Sulzer nel suo Discorso sull’allegoria, nel quale si distinguono da un lato le ‘immagini allegoriche’, che esprimono un’idea o una qualità, e che trovano concreta applicazione ad esempio nei Soggetti pariniani per la Stanza di ricevimento di Palazzo Reale, dedicati a singole figure esemplari articolate intorno al tema dell’amicizia. Dall’altro lato, è possibile individuare le rappresentazioni allegoriche morali, nelle quali più immagini allegoriche potevano essere unite per esprimere un’azione, un avvenimento o una nozione composta. Rientrano in quest’ultima categoria molti dei Soggetti elaborati per la contessa Confalonieri, come L’Amore vorrebbe essere eterno oppure La Musica e l’Eloquenza giovano in amore, o quelli per Palazzo Greppi, come Il piacere moderato dà forza allo spirito, ed eccita alla Virtù.1 Al contempo, Savarese rileva però come il figurativismo neoclassico di Parini subisca ancora «il richiamo di una cultura letterario-figurativa di origine classico-rinascimentale» e accolga altresì «l’influsso di certo neoclassicismo di tipo ‘francese’, per così dire, più colorito, patetico, e non tanto sdegnosamente arroccato su vertici di purismo alla Winckelmann».2 Si tratta dunque di un’assimilazione originale e consapevole delle novità teoriche ampiamente circolanti a Milano, un aggiornamento che Parini innesta sulle proprie basi sensiste ed elabora progressivamente, nel clima vitale della Milano asburgica.3 1 Savarese 1973, pp. 87-93. 2 Ivi, p. 93. 3 Fernando Mazzocca, Parini consulente degli artisti e la diffusione del gusto neoclassico, in Mazzocca, Morandotti 1999, pp. 116-131; Idem, Parini arbitro del gusto e consulente degli artisti, in Barbarisi, Morgana 2000, pp. xxvi-xxxiii; Idem, Il letterato e le arti: l’eredità del modello Parini, in Barbarisi et al. 2000, ii, pp. 935-950.

introduzione 23 Nella fervente attività che vedeva Milano risvegliarsi, dinamica e progressista, illuminata dalla vivacità intellettuale dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria, ebbero un ruolo non trascurabile i numerosi artisti chiamati a ridisegnare l’aspetto della città,1 primo fra tutti Giuseppe Piermarini (1734-1808), incaricato fra l’altro della trasformazione di Palazzo Reale in forme neoclassiche. Frequenti e costanti furono i rapporti con i pittori protagonisti del rinnovamento dei palazzi milanesi, come Martin Knoller (17251804) e Giuliano Traballesi (1727-1812), i quali divennero poi colleghi di Parini in Accademia, insieme allo scultore carrarese Giuseppe Franchi (1731-1806), giunto a Milano dopo un periodo trascorso a Roma, a stretto contatto con la cerchia antiquaria di Winckelmann. E come ha notato Gennaro Barbarisi la collaborazione e l’amicizia con i colleghi di Brera era il portato naturale di una predisposizione innata, che da tempo attendeva la piena realizzazione. Essa fu possibile non solo in seguito alla creazione del centro policulturale di Brera, ma anche per il credito acquisito presso il governo della città, grazie agli illustri protettori, alla sua notorietà di poeta e di insegnante, alla frequentazione di eminenti famiglie dell’alta nobiltà non più come umile precettore ma come accreditato uomo di cultura, maestro di costumi e di buongusto.2

Pietro Frassica 1 Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, Milano, Gnocchi, 1854, pp. 184-229, nel capitolo Il liberalismo. Schizzo storico della Lombardia e come risorgesse; Ettore Bonora, Parini e altro Settecento, Milano, Feltrinelli, 1982; Mazzocca et al. 2001, ad indicem. 2 In Barbarisi, Morgana 2000, p. xiii.

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MA N OS C R ITTI AU TOG RAF I E APOGR AFI

S

i trovano nella Biblioteca Ambrosiana (d’ora in poi BAMi) in due plichi, avvolti ciascuno in un foglio di guardia, segnati rispettivamente S.P. 6/5 VIII 1-10 e S.P. 6/5 VIII 13. Il primo plico contiene anche i fascicoli 11 e 12, che però non riguardano i soggetti. Su un foglio a parte inserito nel primo plico, Mazzoni ha steso a penna un indice sommario che poi ha trascritto in bella copia, sempre a penna, sul foglio di guardia; per dichiarazione esplicita del curatore, la numerazione dei fascicoli e le  relative segnature sono state da lui apposte con matita blu. Tutti i manoscritti di questo plico sono stati numerati a matita da Mazzoni pagina per pagina.

Contenuto del primo plico: VIII 1 Il giudizio di Paride. VIII 2 Salone. Medaglia della Volta. VIII 3 Salone. Medaglia della Volta. VIII 4 Soggetti da fingersi a bassorilievo nei sovraporti della stanza del Giove. VIII 5 Soggetti da fingersi a bassorilievo nei sovraporti della stanza del Giove. VIII 6 Tre soggetti finora ordinati da S.A.R. per tre medaglie. Autografo. E altri tre fogli per simili progetti. VIII 7 Soggetto per le stanze del letto d’inverno. VIII 8 Soggetto per le stanze del letto d’inverno. VIII 9 Soggetto per il Telone del Teatro della Scala. E lettere del Parini a G.B. D’Adda, 6 giugno 1778, in ringraziamento del compenso VIII 10 Soggetti di statue e rilievi prescritti dal cellebre [sic] Poeta e R. Professore D. Giuseppe Parini per ornato esterno della facciata sì verso Corte come giardino del nuovo palazzo di S.E. il Sig. Conte generale D. Ludovico di Barbiano e Belgioioso ecc. Contenuto del secondo plico: VIII 13 Soggetti di Belle Arti. Ventidue inserti (o pagine sparse). Per la descrizione analitica dei singoli documenti si rimanda alla nota al testo di ciascun soggetto. Alcuni soggetti per il Palazzo di Corte sono stati trascritti da mano ignota nella parte finale del quaderno ambrosiano, numerato a carta, solo sul recto, segnato S.P. 6/4 (2) VII 6, cc. 121r-128v: – Il giudizio di Paride (cc. 121r-122r). – Soggetti per i sovraporti della seconda stanza degli arazzi (cc. 122v-123r);

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manoscritti autografi e apografi

– Soggetti per i quattro sovraporti del Gabinetto (c. 123v); – Soggetti per la stanza da letto d’inverno (cc. 124r-125r); – Soggetti da fingersi nei sovraporti della stanza di Giove (cc. 125v-126v; bianche le cc. 127r-128v). La prima parte del quaderno VII 6, di complessive 128 carte di mm. 160 × 245, è dedicata al Ristretto delle Lezioni di Belle Lettere, apografo calligrafico, scritto solo sulla metà destra. I soggetti per il Palazzo di Corte, anch’essi calligrafici, sono trascritti a penna, a tutta pagina, con inchiostro più scuro e con una scrittura di mano diversa rispetto al Ristretto, ancora non identificata, anche se va esclusa l’attribuzione a Francesco Reina, Giangiacomo Trivulzio e Palamede Carpani, la cui grafia, facilmente riconoscibile, ricorre più frequentemente nelle carte pariniane dell’Ambrosiana.

ABBR EVIAZIONI Algarotti 1763 = Francesco Algarotti, Saggio sopra la pittura, Livorno, Marco Coltellini, 1763. Barbarisi, Bartesaghi 2005 = Giuseppe Parini, Prose ii. Lettere e scritti vari, a cura di Gennaro Barbarisi, Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2005. Barbarisi, Esposito 1998 = Interpretazioni e letture del Giorno, a cura di Gennaro Barbarisi, Edoardo Esposito, Bologna, Cisalpino, 1998. Barbarisi et al. 2000 = L’amabil rito. Società e cultura nella Milano di Parini, a cura di Gennaro Barbarisi, Carlo Capra, Francesco Degrada, Fernando Mazzocca, Milano, Cisalpino, 2000, 2 voll. Barbarisi, Morgana 2000 = Parini e le Arti nella Milano Neoclassica, a cura di Graziella Buccellati, Anna Marchi, coordinamento e direzione scientifica di Gennaro Barbarisi, testi introduttivi di Gennaro Barbarisi, Fernando Mazzocca, Silvia Morgana, testi di Giuseppe Parini a cura di Gennaro Barbarisi, Silvia Morgana, Milano, Università degli Studi di Milano-Hoepli, 2000. Bartesaghi 2011 = Paolo Bartesaghi, Le Rime del Parini nell’Ambrosiano III 4, in Rileggendo Giuseppe Parini: storia e testi, a cura di Marco Ballarini, Paolo Bartesaghi, Roma, Bulzoni, «Studi Ambrosiani di Italianistica», 2, 2011, pp. 181-198. Bellorini, I = Giuseppe Parini, Prose I, a cura di Egidio Bellorini, Bari, Laterza, 1913. Bellorini, II = Giuseppe Parini, Prose II, a cura di Egidio Bellorini, Bari, Laterza, 1915. Bettinelli 1769 = Saverio Bettinelli, Dell’entusiasmo delle Belle Arti, Milano, Galeazzi, 1769. Bettinelli 1793 = Saverio Bettinelli, Lettere sulle Belle Arti, Venezia, Palese, 1793. Bianconi 1787 = Carlo Bianconi, Nuova guida di Milano per gli amanti delle Belle Arti e delle Sacre, e Profane Antichità Milanesi, Milano, Silvestri, 17872 (17831). Bonora 1969 = Opere di Francesco Algarotti e di Saverio Bettinelli, a cura di Ettore Bonora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969. Boudard 1759 = Jean-Baptiste Boudard, Iconologie tirée de divers auteurs. Ouvrage utile aux Gens de Lettres, aux Poëtes, aux Artistes, & généralement à tous les Amateurs des Beaux Arts, Parme, Philippe Carmignani, 1759. Caretti 1961 = Giuseppe Parini, Poesie e prose con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a cura di Lanfranco Caretti, MilanoNapoli, Ricciardi, 1961.

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abbreviazioni

Carrai 1999 = Giuseppe Parini, Odi. Edizioni 1791 e 1812, a cura di Stefano Carrai, Trento, Editrice Università degli studi di Trento, 1999. Cartari 1996 =Vincenzo Cartari, Le imagini de i Dei de gli Antichi, a cura di Ginetta Auzzas, Federica Martignago, Manlio Pastore Stocchi, Paola Rigo, Vicenza, Neri Pozza, 1996. Casale, D’Achille 2004 = Storia della lingua e storia dell’arte in Italia. Dissimmetrie e intersezioni, a cura di Vittorio Casale, Paolo D’Achille, Firenze, Cesati, 2004. Chompré 1775 = Pierre Chompré, Dictionnaire abrégé de la fable, Parigi, Saillant et Desaint, 177512 (17271). Colle, Mazzocca 2001 = Enrico Colle, Fernando Mazzocca, Il Palazzo Reale di Milano, Milano, Skira, 2001. Conti 1637 = Natalis Comitis, Mythologiae sive explicationis fabularum libri decem, Pavia, ex typografia Pauli Frambotti, 1637. Crusca 1741 = Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Francesco Pitteri, 17415. Dandré-Bardon 1769 = Michel-François Dandré-Bardon, Histoire universelle, traitée relativement aux arts de peindre et de sculpter, Paris, Merlin, 1769, 3 voll. DBI = Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960-sgg. DDF = Dizionario delle favole, Venezia, Bassaglia, 1787. De Maddalena et al. 1982 = Economia, istituzioni, cultura nell’età di Maria Teresa, a cura di Aldo de Maddalena, Ettore Rotelli, Gennaro Barbarisi, Bologna, il Mulino, 1982, 3 voll. (i Economia e società; ii Cultura e società; iii Istituzioni e società). Ebani 2010 = Giuseppe Parini, Le Odi, a cura di Nadia Ebani, Parma, Fondazione Pietro Bembo / Ugo Guanda, 2010 EN1 2011 = Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Maria Cristina Albonico. Introduzione di Anna Bellio, Edizione Nazionale delle Opere di Giuseppe Parini, diretta da Giorgio Baroni, Pisa-Roma, Serra, i, 2011. EN3 2013 = Giuseppe Parini, Lettere, a cura di Corrado Viola. Con la colaborazione di Paolo Bartesaghi, Giovanni Catalani, Edizione Nazionale delle Opere di Giuseppe Parini, diretta da Giorgio Baroni, Pisa-Roma, Serra, iii, 2013 EN4 2013 = Giuseppe Parini, Odi, a cura di Mirella d’Ettorre. Introduzione di Giorgio Baroni, Edizione Nazionale delle Opere di Giuseppe Parini, diretta da Giorgio Baroni, Pisa-Roma, Serra, iv, 2013. Frassica 1976a = Pietro Frassica, Motivi icongrafici del Vespro e della Notte, «Forum Italicum», 1976, x, ni 1-2, March-June 1976, pp. 88-94. Frassica 1976b = Pietro Frassica, Appunti sul linguaggio figurativo del Parini dal ‘Giorno’ ai ‘Soggetti’, «Aevum», i, v-vi, settembre-dicembre 1976, pp. 565-587.

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Frassica 1982 = Pietro Frassica, Il ‘Giorno’ di Giuseppe Parini: immagini di rappresentazione poetica e figurativa, «Italian Quarterly», year 23, n. 90, 1982, pp. 29-34. Frassica 2011 = Pietro Frassica, I Soggetti per pittori. Qualche riscontro, in Rileggendo Giuseppe Parini: storia e testi, a cura di Marco Ballarini, Paolo Bartesaghi, Roma, Bulzoni, «Studi Ambrosiani di Italianistica», 2, 2011, pp. 121-130. Gallarati 1777 = Gallarati Francesco Maria, Istruzioni intorno alle Opere dei Pittori Nazionali ed Esteri esposte nella città di Milano, Milano, Marelli, 1777. Giraldi 1548 = Lilio Gregorio Giraldi, De deis gentium, Basilea, apud Oporinum, 1548. Grassi, Pepe 1978 = Luigi Grassi, Mario Pepe, Dizionario della critica d’arte, Torino, utet, 1978, 2 voll. (i A-L; ii M-Z). Grassi, Pepe 1995 = Luigi Grassi, Mario Pepe, Dizionario d’arte, Torino, utet, 1995. Gregori 1999 = Pittura a Milano dal Seicento al Neoclassicismo, a cura di Mina Gregori, Milano, Cariplo, 1999. Guadagnolo 1999 = Giuseppe Parini, Soggetto per il telone del Teatro Grande alla Scala. Scritti e documenti raccolti per il bicentenario 1799-1999, a cura di Pasquale Guadagnolo, Milano, Teatro alla Scala, 1999. Guidorizzi 2009 = Il mito greco. Gli Dei, a cura di Giulio Guidorizzi, Milano, Mondadori, 2009. Guidorizzi 2012 = Il mito greco. Gli Eroi, a cura di Giulio Guidorizzi, Milano, Mondadori, 2012. Lairesse 1787 = Gérard de Lairesse, Le grand livre des peintres, Paris, Moutard, 1787, 2 voll. Malangone 1998 = Christian Malangone, Parini soggettista. Da Palazzo Greppi a Villa Belgioioso, «Arte Lombarda», 122, 1, 1998, pp. 107113. Mazzocca 2000 = Fernando Mazzocca, Il letterato e le arti: l’eredità del modello Parini, in Barbarisi et al. 2000, ii, pp. 935-950. Mazzocca 2002 = Il Neoclassicismo in Italia da Tiepolo a Canova, catalogo della mostra di Palazzo Reale di Milano (2 marzo-28 luglio 2002), a cura di Fernando Mazzocca, Milano, Skira, 2002. Mazzocca et al. 2001 = Fernando Mazzocca, Alessandro Morandotti, Enrico Colle, Milano neoclassica, con la partecipazione di Eugenia Bianchi, Milano, Longanesi, 2001. Mazzocca, Morandotti 1999 = La Milano del Giovin Signore. Le arti nel Settecento di Parini, a cura di Fernando Mazzocca, Alessandro Morandotti, Milano, Skira, 1999. Mazzoni 1925 = Giuseppe Parini, Tutte le opere edite e inedite, a cura di Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925.

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Méhégan 1755 = Guillaume-Alexandre de Méhégan, Considérations sur les révolutions des arts, Paris, Brocas, 1755. Méhégan 1757 = Guillaume-Alexandre de Méhégan, Origine, progrès et décadence de l’idolatrie, Paris, Brocas, 1757. Mezzanotte 1982 = Gianni Mezzanotte, L’architettura della Scala nell’età neoclassica, Milano, Il Polifilo, 1982. Mezzanotte, Bascapé 1948 = Gianni Mezzanotte, Gian Carlo Bascapé, Milano nella storia e nell’arte, Milano, Bestetti, 1948. Morgana, Bartesaghi 2003 = Giuseppe Parini, Prose i. Lezioni. Elementi di retorica, a cura di Silvia Morgana, Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2003. Morgana 2004 = Parini e il linguaggio figurativo neoclassico. Proposte di lettura dei ‘Soggetti’, in Casale, D’Achille 2004, pp. 275-293, poi in Morgana 2011b. Morgana 2011a = Silvia Morgana, Mosaico italiano. Studi di storia linguistica, Firenze, Cesati, 2011. Morgana 2011b = Silvia Morgana, Parini, i ‘Soggetti’ per artisti e il linguaggio figurativo neoclassico, in Morgana 2011a, pp. 201-219. Mulazzani 1995 = Germano Mulazzani, Gli interventi figurativi, in Il Palazzo di Antonio Greppi in Milano. Un’opera del Piermarini, Milano, Centro Ambrosiano, 1995, pp. 69-111. Nicoletti 2011 = Giuseppe Parini, Il Giorno. Le Odi, a cura di Giuseppe Nicoletti, Milano, Rizzoli, 2011. Parini 1791 = Giuseppe Parini, Odi, Milano, Marelli, 1791. PBBg 1990 = I pittori bergamaschi dal 13.mo al 19.mo secolo, Il Settecento, Bergamo, Poligrafiche Bolis, 1990. Reina 1803 = Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, voll. iv e v, Milano, presso la Stamperia e Fonderia del Genio Tipografico, 1803, anno ii della Repubblica Italiana. Ripa 1618 = Cesare Ripa, Nova Iconologia, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1618. Ripa 1625 = Cesare Ripa, Novissima Iconologia, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1625. Sannazzaro 1990 = Iacopo Sannazzaro, Arcadia, a cura di Francesco Erspamer, Milano, Mursia, 1990. Savarese 1973 = Gennaro Savarese, Iconologia pariniana. Ricerche sulla poetica del figurativo in Parini, Firenze, La Nuova Italia, 1973. Savarese 1974 = Gennaro Savarese, Parini e l’Iconologia di Cesare Ripa, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, a cura di Walter Binni, Roma, Bulzoni, 1974, 3 voll., i, pp. 431-451. Savarese 2000 = Gennaro Savarese, L’ut pictura poesis mediatrice tra poesia e critica pariniana, in Barbarisi et al. 2000, ii, pp. 951-967 (poi in Savarese, Indagini sulle ‘arti sorelle’. Studi su letteratura delle immagini

abbreviazioni

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e Ut pictura poesis negli scrittori italiani, a cura di Stefano Benedetti, Gian Piero Maragoni, Manziana, Vecchiarelli, 2006, pp. 101-118). Selvatico 1837 = Pietro Selvatico, Considerazioni sullo stato presente della pittura storica, Milano, Pirotta, 1837 Valeriano 1610 = Pierio Valeriano, Hieroglyphica, Lugduni, s. i. e., 1610. Vasari 1568 = Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori, Firenze, Giunti, 1568, 2 voll. Vianello 1941 = Carlo Antonio Vianello, Teatro, spettacolo, musiche a Milano, Milano, Libreria Lombarda, 1941 Vicinelli 1963 = Augusto Vicinelli, Il Parini e Brera. L’inventario e la pianta delle sue stanze. La sua azione nella scuola e nella cultura milanese del secondo Settecento, Milano, Ceschina, 1963. Webb 1765 = Daniel Webb, Recherches sur les beautés de la peinture, Paris, Briasson, 1765.

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EDIZIONI – L’edizione Reina (1803). Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, vol. v, Programmi di Belle Arti, Milano, presso la Stamperia e Fonderia del Genio Tipografico, 1803, anno ii della Repubblica Italiana, con dedica a Giuseppe Franchi, professore di scultura nell’Accademia Nazionale di Milano. Il volume si articola in due parti: Programmi di Belle Arti e Pareri e giudizj letterarj. I soggetti per gli artisti occupano tutta la prima parte del vol. v, con il seguente sommario: – Programma I. Soggetto per il Teatro della Scala – [Programma] II Soggetto per il Sipario del nuovo teatro di Novara – [Programma] III Soggetti di statue, e rilievi per ornato del Palazzo di Lodovico Belgioioso – [Programma] IV Soggetti per il Palazzo di Corte1 – [Programma] V Soggetti per le pitture della stanza di ricevimento2 – [Programma] VI Soggetti per le pitture del Palazzo Greppi3 – [Programma] VII Soggetti dipinti nel palazzo del principe Belgioioso – [Programma] VIII Soggetti d’incerta esecuzione

pp. 3-8 pp. 9-12 pp. 13-34 pp. 35-86 pp. 87-90 pp. 91-106 pp. 107-115 pp. 116-120

1 Annotazione di Reina: Ora Palazzo del Governo in Milano (p. 35). All’interno di questo programma, Reina colloca anche i Soggetti per sei sovrapporte nelle stanze della Signora Contessa Confalonieri (pp. 64-65). A proposito dei Cammei per la prima stanza degli Arazzi Reina (p. 68) annota: Questi furono eseguiti con varj cambiamenti: siccome anco quelli delle stanze susseguenti. A proposito dei piccoli Scudi a chiaroscuro della terza stanza degli Arazzi Reina annota: Non furono eseguiti. 2 Annotazione di Reina: Dipinti nel Palazzo Arciducale di Monza, ora del Governo. A differenza di quanto sostenuto da Reina i soggetti per la pittura della stanza di ricevimento (vedi 5.1) furono effettivamente eseguiti in Palazzo Greppi da Francesco Corneliani. Anche Mazzoni erra, confondendoli con i soggetti del Palazzo di Corte (vedi Mazzoni 1925, pp. 889 e 916-917). 3 Annotazione di Reina: Questo argomento dovevasi eseguire nel Palazzo di Corte; siccome pure il Ganimede sostituito, che si porrà di poi. Anco il Paride già descritto fu eseguito in Inspruck nella Casa Taxis (p. 91).

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Nella biografia premessa al vol. i delle Opere, Reina dà conto di un contrasto tra il giovane arciduca Ferdinando e Parini a proposito della sala delle udienze: Il giovane Arciduca ostinatamente voleva che vi si dipingesse nella sala di pubblica udienza il Giudizio di Paride; glielo dissuase egli, e vi sostituì una nobile favola adatta alla maestà del luogo (Vita, i, xxi ).

Anche se non confermata da altre fonti, la notizia è credibile, dato che in diverse situazioni la divergenza con il committente viene portata alla luce da Parini stesso. Nei confronti dei soggetti, Reina, che aveva a disposizione tutte le carte pariniane, ha selezionato la versione a suo avviso finale e, diversamente da quanto fatto per la poesia maggiore, non ha ritenuto di dare informazioni sui documenti non utilizzati, né tanto meno di costruire un apparato con le varianti o le versioni intermedie. L’attribuzione dei soggetti per la stanza di ricevimento (programma V) alla Villa Reale di Monza è palesemente errata. Per quanto riguarda la sezione ottava, con i programmi di incerta esecuzione, la critica, oggi, ritiene di poter considerare il soggetto per medaglia (Reina 1803, pp. 116-117) come proposta – poi scartata – per la terza stanza degli arazzi. Anche il programma con Le quattro arti primitive (Reina 1803, pp. 118-120) viene collegato ai cammei di detta stanza, data la comunanza con il tema dell’agricoltura. In un primo tempo Reina era stato indotto da Cosimo Galeazzo Scotti a ritenere che Parini avesse elaborato anche un trattato di Belle Arti oltre a quello di Belle Lettere ma ne abbandonò le ricerche, dopo le indagini infruttuose svolte presso lo stesso Scotti e presso Giuseppe Beccalossi, discepoli in grande confidenza con il poeta. Reina non trovava neppure un cenno dell’attività di soggettista nella pur molto informata Nuova guida di Milano di Bianconi, segretario perpetuo dell’Accademia di Belle Arti sorta in Brera nel 1776. Pur lavorando a stretto contatto con Parini, Bianconi si limitava a scrivere, quasi parafrasando La Caduta: «Che [si dovrebbe dire] dell’Abate Parini, che con fino, e dignitoso stile, quasi nuovo alla Toscana poesia, ha saputo sì bravamente dipingere i nobili moderni costumi; sicchè tutto il mondo impazientemente sospira quella sera che dee compire il giorno più caro alle Grazie, ed alle Muse?» (Bianconi 1787, p. 397). In un vademecum molto informato e autorevole – nonostante le pecche – quale quello di Bianconi, non si fa alcun riferimento all’attività di soggettista di Parini. Probabilmente Reina, alla fine, si convinse che il presunto trattato non fosse altro che l’insieme dei programmi per pittori e scultori, che già aveva acquisito dagli eredi di Parini. Nel 1825, Reina ripubblica le opere di Parini in un’edizione in due  volumi, presso la Società Tipografica de’ Classici italiani. I

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programmi sono riproposti senza variazioni nel volume secondo alle pp. 397-489.1 Su questa edizione sono esemplate, senza novità, le edizioni Silvestri di Milano (in due volumi) e Corbetta di Monza (volume unico): – Opere di Giuseppe Parini, Milano, Silvestri, 1830, ii, pp. 281-370; – Opere di Giuseppe Parini, Monza, Corbetta, 1836, pp. 163-185. – L’edizione Bellorini (1915) Giuseppe Parini, Prose, a cura di Egidio Bellorini, ii, Bari, Laterza, 1915. I soggetti sono pubblicati nella sezione XIII con il titolo: Programmi di Belle Arti, pp. 83-150, secondo lo schema già adottato da Reina: – Programma I. Soggetto per il Teatro della Scala – Programma II Soggetto per il Sipario del nuovo teatro di Novara – Programma III Soggetti di statue, e rilievi per ornato del Palazzo di Lodovico Belgioioso – Programma IV Soggetti per il Palazzo di Corte – Programma V Soggetti per le pitture della stanza di ricevimento – Programma VI Soggetti per le pitture del Palazzo Greppi – Programma VII Soggetti dipinti nel palazzo del principe Belgioioso – Programma VIII Soggetto per la medaglia della terza stanza – Programma IX La quattro arti primitive – Programma X Abbozzi vari

pp. 85-87 pp. 88-89 pp. 90-101 pp. 102-129 pp. 130-131 pp. 132-140 pp. 141-145 p. 146 pp. 147-148 pp. 149-150

Come si vede, i programmi diventano dieci, anziché otto. Del nono, Bellorini non individua la destinazione e non lo considera un abbozzo, anche se, giustamente, segnala che è rimasto interrotto. Agli abbozzi dedica il decimo programma, nel quale inserisce tre pezzi che hanno per tema il cinto di Venere (I e II) e la presentazione di Pasitea al Sonno (III: Pasitea è il ‘regalo’ di Giunone al Sonno per aver addormentato Giove, da lei sedotto con il cinto di Venere: si ricollega quindi agli altri due), 1 Pietro Selvatico, negli anni trenta dell’Ottocento, utilizza i soggetti pariniani editi da Reina come un ‘alfabeto emblematico’ ancora perfettamente funzionante. Vedi il passo di Selvatico in Mazzocca 2000, p. 936. Altrove Selvatico scrive: «Bene avvisò, parmi, quella mente lanciata di Giuseppe Parini quando, richiamato a suggerire alcuni soggetti tratti dai miti antichi, diede ai programmi dai lui stesi una direzione tutta allegorica ai bisogni vari e alle varie condizioni degli uomini» (Selvatico 1837, pp. 52-53).

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mentre il quarto è slegato dai precedenti in quanto si riferisce ai due trofei predisposti da Parini per Giocondo Albertolli. In realtà i quattro progetti hanno come destinazione comune Palazzo Greppi: i primi tre sono destinati alla camera da letto, il quarto al salone grande. Nella nota al testo Bellorini si limita ad annotare come il titolo dato alla sezione sia ripreso da Reina che primo raccolse e pubblicò questi scritti (V, 3-120), traendoli dalle solite carte ambrosiane, nelle quali sono disseminati, nei pacchi I e V. Io conservai quasi sempre l’ordine da lui dato a questi scritti e la lezione che gli sembrò migliore. Me ne staccai solo in quei casi nei quali mi parve che un accurato esame dei manoscritti indicasse che egli era caduto in qualche errore di trascrizione o che non aveva scelto quella che, secondo me, rappresentava l’ultima volontà dell’autore. Ma convien però notare che non è sempre facile trovare quale sia l’ultima lezione, nei casi in cui vi sono parecchi manoscritti dello stesso programma, quale in forma d’abbozzo, quale in forma ora di minuta ora di bella copia (p. 305).

Viene accolta anche la proposta – errata – di Reina relativa all’attribuzione del V programma alla Villa Reale di Monza (p. 130, nota 1). Bellorini denuncia la difficoltà di orientarsi nelle varie carte dei soggetti ma non rinuncia ad una lettura personale dei programmi, staccandosi da Reina nei seguenti punti: – i soggetti per i quattro scudi della stanza dell’Ercole divinizzato di Palazzo di Corte, sono dati da Bellorini (pp. 105-106) in base alla seconda versione (B) di BAMi, 6/5, VIII 13, p. 37, mentre Reina (p. 41) sceglie la versione (A) della stessa pagina. Bellorini sarà seguito da Mazzoni (p. 902), mentre la presente edizione se ne discosta e propone il testo di BAMi, 6/5, VIII 13, p. 39. – il soggetto per la stanza del letto d’inverno viene proposto da Reina (pp. 49-52) secondo l’apografo di BAMi, 6/5, VIII 7, mentre Bellorini (pp. 110-112) – seguito da Mazzoni (pp. 904-905; vedi infra) – contamina autografo con apografo (quest’ultimo, in realtà, è più corretto e completo, e quindi viene seguito anche da noi). – L’edizione Mazzoni (1925) Giuseppe Parini, Tutte le opere edite e inedite a cura di Guido Mazzoni. Firenze, Barbèra, 1925, Mazzoni riunisce le scritture di Parini per gli artisti nella sezione Soggetti e appunti per pitture decorative, pp. 887-926.1 Abbandona quindi la dizione di programmi per le Belle Arti dei precedenti editori ed offre una 1 Sul testo dell’edizione Mazzoni si costruisce l’intervento critico di Christian Malangone, che pubblica parte dei soggetti relativi a Palazzo Greppi e a Villa Belgioioso, con un’importante nota filologica, che anticipa alcuni dei risultati della successiva edizione Barbarisi, per la quale fa quasi da ponte (Malangone 1998).

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notevole mole di materiali in più, traendoli dagli abbozzi e dagli appunti che Reina e Bellorini avevano trascurato. Questo lo schema: I. Soggetto per il Telone del Teatro della Scala II. Soggetto per il sipario del nuovo Teatro di Novara III. Soggetti e rilievi per ornato esterno delle facciate sì verso corte come giardino del nuovo palazzo di S.E. il Sig. Conte Generale Ludovico di Barbiano e Belgioioso ecc. IV. Soggetti per il Palazzo di Corte V. Il Giudizio di Paride VI. Soggetti per sei sovraporti nelle stanze della sig.ª Contessa Confalonieri VII. Medaglia per la prima stanza degli arazzi VIII. Idea de’ sovraporti della Prima stanza IX. Soggetti per li sovraporti a bassorilievo della seconda stanza degli arazzi per il signor Trabalesi X. Soggetti per le pitture della Stanza di ricevimento XI. Soggetti per le pitture del Salone del palazzo Greppi XII. – Soggetto per la medaglia del Salone – Soggetti per le pitture della Sala del Rinaldo – Per le sopraporte – Soggetto per la medaglia della terza stanza – Le quattro arti primitive – I due trofei per il signor Giocondo

pp. 891-893 pp. 893-894

pp. 894-900 pp. 900-908 pp. 908-909 p. 909 pp. 909-910 pp. 910-911 pp. 911-916 pp. 916-917 pp. 917-922 p. 922 pp. 922-924 p. 924 pp. 924-925 pp. 925-926 p. 926

La trascrizione dei soggetti è preceduta (pp. 888-890) da una nota Sul testo in cui Mazzoni dà conto dettagliato delle scelte compiute, seguendo: BAMi S.P. 6/5 VIII 9 per il soggetto I; BAMi S.P. 6/5 VIII 10 per il soggetto III; BAMi S.P. 6/5 VIII 13 per tutti gli altri; segnala altresì quando integra l’VIII 13 con VIII 1 (soggetto V); con VIII 6 (soggetto IX); con VIII 7 e 8 (soggetto IV). Conclude infine la nota al testo con il seguente programma di lavoro: «Dagli inserti e fogli volanti si potrebbero trarre altre minuzie di appunti. Ma tutta questa materia sarebbe da riordinare, meglio che il Reina non fece, tenendo presenti le indicazioni locali e i documenti contemporanei delle pitture eseguite: delle quali alcune rimangono nei palazzi milanesi; altre vi furono eseguite in modo più o men disforme dalle idee del P.» (p. 890). La sostanziale dipendenza da Reina non impediva a Mazzoni di vedere la necessità di superarlo, andando oltre a quanto di meglio lui stesso aveva già fatto: operazione che richiedeva però la possibilità di ampliare lo studio con l’accesso diretto agli edifici che ospitavano i cicli artistici elaborati su indicazione di Parini e con la ricerca e il reperimento delle

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opere effettivamente eseguite, talvolta rimosse, talvolta sostituite per il cambio di destinazione degli edifici stessi. Comunque Mazzoni intuisce il collegamento dei soggetti per la stanza di ricevimento (programma X) con il Palazzo di Corte (programmi IV-IX) e annota: «Con questo num. X sembrano terminare i soggetti proposti dal P. per le pitture nel palazzo di Corte. Nell’ordine dei quali ho stimato bene attenermi al Reina; ma non sono sicuro che tutti i soggetti stessi appartengano a questa serie» (p. 889). Per questo motivo ne mantiene la distinzione dagli altri programmi; bisognerà aspettare l’ed. Barbarisi per la definitiva, convincente attribuzione di detti soggetti al Palazzo di Corte, mentre De Angelis, di cui si parla qui di seguito immediatamente, non si sbilancerà sulla destinazione del ciclo.1 – L’edizione De Angelis (1990) Giuseppe Parini, Catalogo di Belle Arti, a cura di Paolo De Angelis, Palermo, Novecento, 1990. Prefazione di Paolo De Angelis. Al testo dei soggetti segue lo studio dello stesso curatore, intitolato Iconologia neoclassica, pp. 123-132. Alle pp. 13-17 viene inserito un Ritratto fisico e morale del Parini, tratto dalla Vita del vol. I delle Opere di Parini edite da Reina (1801), mentre le illustrazioni sono ricavate da Bettinelli 1793. Nella Prefazione, accanto al riconoscimento della Iconologia del Ripa come testo importante di riferimento, compare l’indicazione dell’Arcadia di Sannazzaro come fonte di Parini per i due sovraporti della stanza dell’Aurora di Palazzo di Corte (vedi 3.11).2 I soggetti, con la distinzione in programmi già presenti in Reina e codificati in Bellorini e Mazzoni, seguono lo schema consueto: – Programma I Soggetto per il telone del Teatro della Scala – Programma II Soggetto per il sipario del nuovo Teatro di Novara – Programma III Soggetti di statue e rilievi per ornato del Palazzo di Ludovico Barbiano Belgioioso – Programma IV Soggetti per il palazzo di corte

pp. 21-25 pp. 27-29 pp. 31-48 pp. 49-87

1 Lanfranco Caretti, nella sua edizione delle Poesie e Prose di Parini per i Classici Ricciardi, compie una selezione dei soggetti, che ripropone sulla base di Mazzoni (Caretti 1961, pp. 601-613). Nella nota 1 di p. 601 il critico scrive di seguire il testo di Mazzoni, «che è stato interamente riveduto sui manoscritti». I soggetti scelti riguardano Palazzo Greppi e Palazzo Belgioioso. 2 Scrive De Angelis: «La scena di Enone e Paride, ad esempio, che il Lettore troverà nei programmi pariniani, è ripresa dall’‘Arcadia’, dove nella prosa terza, con buon intuito pittorico, per dar vita al dipinto Sannazzaro aveva descritto Paride che si accinge a scrivere il nome di Enone sulla corteccia di un olmo, ma frattanto guarda le tre dee, lasciandolo incompiuto. Nell’opera pariniana è invece la ninfa che incide il nome di Paride, fermandosi alle prime tre lettere» (p. 8). Si veda però la nota al testo 3.11, che rimanda ad Ovidio come fonte primaria per Sannazzaro e Parini.

edizioni – Programma V Soggetti per le pitture della stanza di ricevimento – Programma VI Soggetti per le pitture del salone di Palazzo Greppi – Programma VII Soggetti dipinti nel palazzo del principe di Belgioioso – Programma VIII Soggetto per la medaglia della terza stanza – Programma IX La quattro arti primitive – Programma X Abbozzi vari

39 pp. 89-92 pp. 93-105 pp. 107-113 pp. 115-116 pp. 117-119 pp. 121-122

Il lavoro di De Angelis, non innovativo sul piano critico, ha però l’ambizione di valorizzare le scelte mitologiche ed iconologiche dei programmi pariniani all’interno della cultura neoclassica, nutrita delle teorie estetiche di Winkelmann. Avvalendosi di un repertorio comunque fornito di un numero limitato di immagini, Parini avrebbe saputo dar vita ad un universo intero di sentimenti e pensieri, caratterizzando le sue scelte per la «letteralità dei modelli pittorici raccolti» (p. 9). Così, il catalogo di Parini «supera le sue fonti per quanto riguarda la dolcezza e la realizzabilità delle figure dipinte, e rappresenta una delle opere più gradevoli e pregiate del Settecento» (ibidem). – L’edizione Barbarisi (2000) Parini e le Arti nella Milano Neoclassica, a cura di Graziella Buccellati e Anna Marchi. Testi di Giuseppe Parini, in Barbarisi, Morgana 2000, pp. 19-152. Si tratta del volume con cui l’Università degli Studi di Milano corona le manifestazioni del secondo centenario della morte di Parini, con l’edizione critica dei soggetti per artisti (curati da Gennaro Barbarisi) e delle Lezioni di Belle Lettere (curate da Silvia Morgana, che, per la prima volta, restituisce la lezione genuina dell’insegnamento pariniano senza le contaminazioni operate da Reina). I testi sono introdotti dagli stessi Barbarisi e Morgana, mentre Fernando Mazzocca interviene con un saggio su Parini arbitro del gusto e consulente degli artisti (pp. XXVI-XXXIII) e Marta Pivetta dà conto del sonetto pariniano Fingi un’ara, o Pittor … corredandolo del disegno a penna, ad esso ispirato, di Andrea Appiani (pp. 156-158).1 I soggetti vengono dati nel seguente ordine: – Un Telone e un Sipario: Teatro alla Scala [1778] – Nuovo Teatro di Novara [1779]

pp. 19-23 pp. 24-26

1 Il sonetto in questione potrebbe essere considerato alla stregua di un soggetto ma riteniamo che la sua collocazione più pertinente sia all’interno della produzione poetica dell’A. e pertanto non figurerà nella nostra presente edizione. Vedi infra i criteri editoriali.

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Palazzo di Corte [1778] Taxispalais – Innsbruck [1780-1785] Palazzo Greppi [1780] Palazzo Confalonieri [1778-1780] Palazzo Belgioioso [1782] Nuovo Palazzo Belgioioso (Villa Reale) [1790]

pp. 27-82 pp. 83-88 pp. 89-112 pp. 113-114 pp. 115-126 pp. 127-152

La novità della proposta emerge già dalle titolazioni, che puntano sull’ambiente come contenitore di un progetto globale, in cui Parini interagisce con gli altri operatori a ‘costruire’ lo spazio, non in modo occasionale ma con una programmazione collaborativa. Come scrive Barbarisi nell’introduzione, «Abbandonato il ruolo di Giovenale dei costumi contemporanei, Parini assume la veste di Chirone: non più ironia, né satira, ma partecipazione attiva alla proposizione e alla diffusione di nuovi valori etico-civili, in una realtà in rapida evoluzione» (p. xi). Ai testi si affianca poi l’immagine fotografica, quasi sempre a colori, delle opere eseguite, con sobrie note esplicative delle riproduzioni. Viene di fatto operata una distinzione fra soggetti eseguiti e reperiti e soggetti eseguiti ma non reperiti, sia perché sono stati danneggiati o distrutti gli edifici che li contenevano (ad es. il Palazzo Confalonieri, di cui, nei bombardamenti dell’agosto 1943, si è salvata a stento la facciata) sia perché le opere eseguite non sono state individuate nelle pinacoteche o nei depositi delle sovrintendenze alle Belle Arti. Alcuni soggetti, pur indispensabili a completare un ciclo pittorico, non sono stati probabilmente neppure eseguiti, non risultando nel catalogo delle opere dei vari artisti di cui è certa la collaborazione con Parini. Per la prima volta poi i manoscritti vengono proposti integralmente, mettendo nelle note ai testi le versioni iniziali e intermedie, gli abbozzi di progetti ora sviluppati ora abbandonati. Barbarisi, con chiarezza, spiega gli intenti del suo lavoro in un’avvertenza fuori testo, in pagina non numerata: «Trattandosi di un’edizione critica, era necessario riportare tutte le cancellature e redazioni multiple, che figurano in nota secondo un criterio della massima semplicità, e quindi con un uso molto limitato di segni diacritici: le parentesi quadre per i chiarimenti del curatore e l’indicazione delle cancellature o delle varianti, e nei casi di rifacimento di interi periodi per indicare le parole non cancellate». I testi pariniani sono proposti di seguito, con le rispettive riproduzioni, mentre ciascuna nota al testo è posta al termine del singolo capitolo. – L’edizione Barbarisi, Bartesaghi (2005) Giuseppe Parini, Prose ii. Lettere e scritti vari, Milano, led, 2005. I soggetti occupano la settima sezione, pp. 437-560, mentre la nota ai testi, con informazioni sugli editori precedenti, con abbozzi, stesure intermedie e progetti abbandonati, è alle pp. 561-595.

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Contenuto (le parentesi quadre indicano che si tratta di titoli redazionali): [VII. 1 Soggetto per il telone del Teatro grande alla Scala] [VII. 2 Soggetto per il nuovo Teatro di Novara] [VII. 3 Palazzo di Corte] [VII. 4 Il giudizio di Paride: dal Palazzo di Corte a Taxispalais] [VII. 5 Palazzo Greppi] [VII. 6 Palazzo Confalonieri] [VII. 7 Palazzo Belgioioso] [VII. 8 Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso]

pp. 437-440 pp. 441-442 pp. 444-496 pp. 497-498 pp. 500-522 p. 525 pp. 526-534 pp. 536-560

Viene riprodotta nella sostanza l’ed. Barbarisi 2000, rispetto alla quale vengono apportati alcuni aggiustamenti, relativi a Palazzo Greppi. La riproduzione di p. 99 (in Barbarisi 2000), con volumi antichi, squadre e compassi, lasciata senza didascalia, viene correlata a un secondo ‘trofeo’, con archi, scudi e faretre, elaborato da Parini per Giocondo Albertolli all’interno del ciclo dei bassorilievi che fregiano il salone (la cosiddetta sala napoleonica) (vedi figure 47 e 48). Analizzando attentamente la riproduzione della volta della camera da letto di Palazzo Greppi (Mulazzani 1995, p. 86), ci si è meglio resi conto del nesso tra la medaglia, in cui Giunone con il braccio sinistro teso indica al Sonno la direzione da seguire, e il tondo che rappresenta lo stesso Sonno, ora sceso in riva al mare di fronte a Nettuno e di spalle rispetto all’osservatore: si è così delineata la logica dei quattro tondi, da leggere dal basso e in senso orario, interpretando correttamente il soggetto di Parini che si articola in soli due punti, ognuno dei quali contiene però la vicenda di due tondi (vedi Barbarisi 2000, pp. 109-110 e Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 523-524, figure 59-62). Per quanto riguarda il testo, la sezione dei soggetti segue le caratteristiche editoriali adottate per il volume delle prose: alla ricerca della scorrevolezza della lettura, gli editori hanno semplificato e modernizzato la punteggiatura e abbassato le maiuscole, quando ritenute non indispensabili. Il testo dei soggetti viene affiancato dalla riproduzione a colori o in bianco e nero dell’opera eseguita. Aspetti della presente edizione Vengono qui acquisite e mantenute le caratteristiche fondamentali della struttura dell’edizione Barbarisi, Bartesaghi 2005, sia per quanto riguarda la scelta della lezione finale che per l’apparato critico. Tuttavia si apportano modifiche e aggiornamenti, così sintetizzabili: – si torna innanzitutto ai manoscritti riprodotti fedelmente sia per l’interpunzione che per l’uso di maiuscole/minuscole. Questo non solo

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edizioni per omogeneità con gli altri volumi dell’EN delle opere di Parini, ma anche perché è ormai accertato che termini quali pace, fortuna, discordia, vizio … sono riferiti a divinità allegoriche, o a divinità minori della mitologia greco-romana (Lari, Penati, Grazie, Muse, Sonno, Sogno…): viene quindi rispettato l’uso, consapevole, della maiuscola dei manoscritti; le figure vengono date parte in bianco e nero, parte a colori, recuperando le immagini già presenti nell’edizione Barbarisi 2000; il colore permette di stabilire l’accordo o meno del pittore rispetto alle indicazioni del poeta, rigoroso su forma e composizione, meno prescrittivo talvolta sull’aspetto cromatico; a piè di pagina viene collocato l’apparato filologico, con l’indicazione di correzioni, varianti, cassature o aggiunte del testo messo a lezione. Vengono altresì registrate le varianti rispetto a lezioni ugualmente finali, che si scostano di poco dalla presumibile lectio ne varietur; vengono riportate nella nota al testo gli abbozzi, i progetti scartati, le stesure intermedie dei singoli soggetti, così da poterne valutare la complessa stratificazione e da seguirne l’iter compositivo dalla fase germinale alla sua definizione conclusiva; vengono raggruppate dopo la nota al testo tutte le note esplicative, a carattere mitologico, allegorico, iconologico e linguistico. Esse sono segnalate da un asterisco nel corso del testo, mentre nella nota finale compaiono in ordine alfabetico, edificio per edificio. I curatori hanno posto attenzione ai prestiti tra i soggetti e le opere maggiori, il Giorno e le Odi, con rimandi più fitti alle opere della maturità (Odi – soprattutto quelle posteriori al 1778 –,1 MT II, MG, VP e NT, compresi i fram-

1 Il ’78 segna l’avvio dell’attività di soggettista di Parini con un uso nuovo della tradizionale mitologia, già presente nelle opere fino ad allora pubblicate – soprattutto in chiave leziosamente arcadica o, sul versante opposto, ironica, contrastativa e deformante – ma che, ora, moralizzante e propositiva, offre la strumentazione più completa e condivisa per i cicli pittorici di residenze sia pubbliche sia private. Soprattutto però Parini farà assumere una posizione dominante (ma non esclusiva) alla allegoria, caricandola di risvolti etici e sociali. Anche l’aggiunta di passi ex novo nel MT II, quali la rassegna dei ritratti degli avi, senza una nuova, diversa valutazione politico-sociale della nobiltà, va ricondotta a questa fase di più marcata sensibilità iconologica a partire dai tardi anni Settanta. Sensibilità che si evolverà ulteriormente negli anni successivi. Nonostante le prime avvisaglie di critica alla mitologia, il mito, in Parini, resta come strumento di comprensione della realtà contemporanea. come moderatore delle passioni e mediatore di catarsi. Nell’ode Il Dono, del 1790, il quadro violento della morte crudele di Adone o quello del dolce amore di Venere per il figlio fanno palpitare il cuore dello spettatore di un dolore caro e gradevole, o di un tumulto giocondo: «Caro dolore, e specie|Gradevol di spavento|È mirar finto in tavola|E squallido, e di lento|Sangue rigato il giovane|Che dal crudo cinghiale ucciso fu.||Ma sovra lui se pendere|La madre de gli amori,|Cingendol con le

edizioni 43 menti delle ultime due parti).1 Le note esplicative cercano anche di









fornire chiarimenti linguistici e, soprattutto, mirano a esplicitare i riferimenti mitologici e iconologici sottesi ai soggetti, con indicazioni tratte prevalentemente dagli strumenti di cui Parini si serviva. Per le fonti, vedi infra; il testo dei piccoli scudi a chiaroscuro progettati da Parini per la terza stanza degli arazzi, posti in nota da Barbarisi, Bartesaghi 2005, viene spostato nel corso del testo, al posto che loro compete, cioè dopo i cammei per la terza stanza degli arazzi (vedi 3.21). I soggetti per detti piccoli scudi non sono stati eseguiti, ma fanno parte organicamente della decorazione di detta stanza. Questa scelta si armonizza con gli altri soggetti che nel testo abbiamo indicati come ‘non eseguiti’ (i sei cammei di 5.1; i tre cammei del salone di Palazzo Greppi che dovevano riprodurre la testa di Cicerone, Cimone e Attico; e infine i bassorilievi della camera da letto sempre di Palazzo Greppi al punto 5.5); in alcuni casi, Parini invita il pittore a restituire la ‘carta’ del soggetto, dopo la ricopiatura in cantiere. Mentre in Barbarisi, Bartesaghi 2005 tale annotazione era confinata nella nota filologica al testo, in quanto indicazione di servizio, ora viene proposta nel corpo del testo, per fedeltà al manoscritto; anche se i soggetti trascritti nel quaderno della BAMi, S.P. 6/4 (2) VII. 6 sono apografi e incompleti, sono qui registrati per la prima volta nella nota al testo. La trascrizione dei soggetti sul quaderno è avvenuta di certo all’interno della cerchia ristretta di amici e/o scolari che frequentavano la casa di Parini, allora alloggiato a Brera: testimonianza non trascurabile quindi, anche perché starebbe a confermare la volontà ultima dell’autore. Parini potrebbe aver utilizzato, o pensato di utilizzare tali scritti all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Brera, presso la quale insegnava e per la cui riforma proponeva l’insegnamento della mitologia. Si è conservata la numerazione per carte; non sono stati reperiti progetti, indicazioni di lavoro, bandi di concorso della committenza pubblica o privata.2 Ma certo i soggetti

rosee|Braccia si vede, i cori|Oh quanto allor si sentono|Dal giocondo tumulto agitar più» (vv. 37-48). Assuefare a sentimenti tranquilli: questa, in particolare la funzione, anche sociale, dell’arte. 1 L’esigenza metodologica e critica di un percorso dai soggetti al poemetto e viceversa è avvertita e sviluppata particolarmente in Frassica 1976b. 2 C’è una procedura di affidamento dei lavori a Parini su cui siamo informati anche nei dettagli: è quella del telone per il Teatro grande alla Scala (vedi la relativa nota al testo). Il progetto è frutto della libera creatività di Parini, valutato e apprezzato dai committenti a posteriori.

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vennero comunque tutti approvati dai committenti. È solo la testimonianza di Reina (i, p. xxi) che ci informa di una proposta alternativa dell’arciduca Ferdinando per la sala delle udienze in Palazzo di Corte (3.23); ma Parini, pur scrivendo il soggetto con il richiesto ‘giudizio di Paride’ fa realizzare il ‘ritorno di Astrea’, più consono alla funzione e al prestigio della sala. Nel soggetto per la sala del Rinaldo in Palazzo Belgioioso Parini si oppone al suggerimento del committente: considera la proposta troppo statica e poco adatta a una valenza universale. Registrato il proprio motivato dissenso, procede con decisione nella sua proposta alternativa (vedi il paragrafo finale di 7.1: soggetto per la pittura della sala del Rinaldo in Palazzo Belgioioso);1 – quando è Parini a dar conto delle divergenze – in genere al termine del soggetto – queste si sono mantenute al loro posto, mentre dei tempi e delle modalità di affidamento del progetto per il teatro alla Scala e delle prime tre medaglie per il Palazzo di Corte si è dato conto nelle note ai singoli testi. Annotazioni di questo genere sarebbero oggi fatte rientrare in quello che la critica chiama ‘paratesto’ rispetto al soggetto, che sarebbe il testo vero e proprio da eseguire: testi complessi, quindi, ma non divisibili; – da ultimo, si traccia per la prima volta la storia delle edizioni dei soggetti, storia che mostra con quanta difficoltà la critica sia gradualmente pervenuta ad attribuzioni corrette.2 Criteri editoriali I soggetti per artisti vengono dati integralmente secondo la lezione finale, desunta dai manoscritti del fondo pariniano dell’Ambrosiana. Gli abbozzi, le stesure intermedie, i progetti scartati o semplicemente abbandonati a favore di altri ritenuti più pertinenti vengono dati nella nota al testo. Si mettono invece in apparato a piè di pagina gli interventi correttori dell’autore sul testo definitivo e le varianti di lezioni finali equivalenti, con diversità marginali. 1 Sembra diverso il caso della scelta e della collocazione delle statue sui cornicioni della Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso. Su un foglio (vedi figura 91, desunta da BAMi, S.P. 6/5 VIII 10) coesistono due proposte (di Parini e del principe Belgioioso). Non sappiamo come si sia svolta concretamente la fase esecutiva, ma è certo che, almeno in parte, il progetto di Parini fu modificato in corso d’opera. 2 Per valutare il percorso compiuto dalla critica nell’ultimo ventennio, si consideri che nel fondamentale volume di Robert Rosenblum, Trasformazioni nell’arte. Iconografia e stile tra Neoclassicismo e Romanticismo, Urbino, NIS La Nuova Italia Scientifica, 1984 (ed. or. Princeton, University Press, 1967) di Parini non compare nemmeno il nome.

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I manoscritti vengono riprodotti con l’interpunzione originale, nel rispetto altresì dell’uso delle minuscole/maiuscole. Coesistono forme quali: Genii, Genj, Geni e altre quali: Vertunno, Vertuno … Si sono mantenute inalterate, senza interventi unificatori e senza il consueto sic, anche se presenti nello stesso soggetto. Il manoscritto in cui tale compresenza è più facilmente verificabile è quello segnato S. P. 6/5 VIII 13, relativo al nuovo Palazzo Belgioioso di via Palestro (Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso) in Milano: testimone importante perché frutto di probabile trascrizione in cantiere, quindi affrettato, con frequenti segni stenografici e oscillazioni non risolte; ma proprio per questo meritevole di trascrizione fedele. Le poche volte che si è intervenuti per normalizzare la grafia, lo si è segnalato in nota. L’intento è quello di offrire al lettore la possibilità di seguire la vicenda dei soggetti dalla genesi, ora lineare ora plurima, fino all’esito conclusivo, passando per le fasi intermedie, attraverso una stratificazione estremamente variegata. I manoscritti segnati VIII 1-13 sono stati numerati da Mazzoni pagina per pagina: a tale numerazione ci siamo attenuti I termini sottolineati nei manoscritti vengono resi con il corsivo. Allo stesso modo vengono resi i titoli dei soggetti. Si sono esclusi dalla presente trascrizione integrale i due sonetti: Fingi un’ara, o Pittor … (Mazzoni 1925, p. 397) e Grato scarpel … (Mazzoni 1925, p. 396). Vicini ai soggetti e alla letteratura ecfrastica, trovano però una più corretta collocazione all’interno dei volumi dedicati alle rime (di prossima pubblicazione nell’EN). Parini ha lasciato incompiuto uno scritto del 1776 su Raffaello in occasione della polemica suscitata dalla pubblicazione del saggio di James Ferguson, The Art of Drawing in perspective (vedi Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 257-259 e 269-270). Il testo sviluppa una riflessione acuta sui doveri e sulla responsabilità della critica d’arte, ma, pur mosso da interessi artistici, non è un soggetto in senso stretto. Riconducibile genericamente all’attività critica di Parini, troverà spazio in un prossimo volume dell’EN. Fonti dei soggetti Le fonti e gli autori che Parini poteva facilmente consultare sono soprattutto Chompré e Ripa, anche se non è da trascurare un testo quale quello di Dandré-Bardon 1769.1

1 L’opera di Dandré-Bardon 1769 è presente nella biblioteca di Parini al n. 321 (Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 750) nell’ed. del 1765 in due volumi, edita da Saillant a Parigi. Nella successiva edizione del 1769, in tre volumi, l’opera si arricchisce con la premessa di un dizionario di voci pittoriche (pp. 1-140: Vocabulaire pittoresque ou explication des termes propres aux arts de peindre et de sculpter, da

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Di Pierre Chompré, Dictionnaire abrégé de la fable, Parigi, Saillant et Desaint, Parini possiede la dodicesima edizione, del 1775 (mentre la princeps risale al 1727). In italiano esiste un Dizionario|delle favole|per uso delle scuole|d’Italia,| Ove compendiosamente descrivesi tutto ciò|che è necessario, non solo alla intelli|genza de’ Poeti, ma de’ Quadri anco|ra, e delle Statue,|I di cui soggetti sono cavati dalla|Storia Poetica, Edizione della Real Stamperia di Torino, fatta per uso delle Regie Scuole, Torino, 1742. All’interno, a p. 7, il titolo abbreviato: Dizionario|compendioso|della favola. Questo dizionario torinese è in realtà la traduzione italiana di quello di Chompré compiuta da Giuseppe Pasini (il nome non compare in nessuna delle numerose edizioni e ristampe, ma lo si ricava da Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano, Pirola, 1848, vol. I, p. 327, che però intende Pasini come autore e non come semplice traduttore), che si è comportato con notevole disinvoltura rispetto all’originale: ha tralasciato alcune voci, ne ha modificate altre, ha aggiunto indicazioni sintetiche sulle fonti e vi ha premesso un Avvertimento che viene mantenuto nelle innumerevoli ristampe, più o meno pirata, quale quella – per limitarci alle principali – di Venezia, 1757, per Giambattista Novelli, poi riedita nel 1771, nel 1775 e nel 1777, quella di Milano del 1777 per Federico Agnelli, o quella ancora di Venezia, 1787, per Leonardo Bassaglia. Il Dizionario delle favole è presente nella libreria di Parini (n. 230 dell’inventario), nell’ed. veneziana di Novelli del 1775. Almeno in un caso, con sicurezza, vi ha attinto il motivo del soggetto: si tratta della medaglia per la stanza del caffè di Palazzo Greppi, sulla cui volta è raffigurata Ebe sostituita da Ganimede al servizio alla mensa di Giove. È decisivo il raffronto tra le due versioni.

Accident a Vrai), di cui ci siamo ampiamente avvalsi perché sistematizzano sinteticamente concetti ampiamente evocati nel corso dell’opera con innumerevoli riferimenti alla produzione artistica di pittori familiari a Parini. Concetti guida del trattato di Dandré-Bardon sono poi l’ut pictura poësis, su cui anche Parini fonda la riflessione sulle arti sorelle, e la ricerca «del ‘vero’ ideale che presenta la Natura, non quale è effettivamente, ma quale dovrebbe essere» (ivi, p. 138): un ‘vero’ «con nobiltà e che supplisca alle negligenze sfuggite alla Natura» (ivi, p. 139). Non basta il genio che trovi i soggetti (ivi, p. 79) o li immagini per impulso della natura, ma ci vuole l’artista che sappia ordinarli secondo i principi della composizione, presentandoli sotto «un aspetto nobile, vero, ingegnoso ed interessante» (ivi, p. 30). È interessante l’opera «che eccita sensazioni piacevoli nell’animo dello spettatore. È un’opera di pittura o di scultura, che piace, attira, seduce, sia per la scelta del soggetto, la bellezza del colore, l’energia delle passioni, sia per la singolarità degli effetti o per il fascino del modo di comporre» (ivi, p. 79), che imita la natura con abilità e cela l’imitazione (ivi, p. 88).

edizioni «Hébé, fille de Junon et déesse de la jeunesse. Jupiter lui donna le soin de lui verser à boire. Un jour étant malheureusement tombée en présence des dieux, elle en eut tant de honte, qu’elle n’osa plus paroître depuis, et Jupiter mit Ganymède en sa place. Hercule l’épousa, et en sa considération elle rajeunit Iolas. On l’appelloit aussi Juventa. Ov. etc.» (Chompré 1775, p. 197).

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«Ebe, figliuola di Giove, e di Giunone, e Dea della gioventù. Dava in Cielo da bere a Giove, ed essendo un giorno cascata in presenza degli Dei, la veste le andò sopra il capo, di che ella ebbe tanta vergogna, che non si lasciò più vedere. Sposò Ercole, e per far piacere a lui ringiovanì Jolao. Pausan. In Corint. Cicer. Ovid. ec.» (Dizionario delle favole, p. 102 delle edd. Novelli e Bassaglia, p. 103 dell’ed. Agnelli: la differenza di pagina è dovuta solo alle diversità di impaginazione).

Il testo del soggetto, poi realizzato da Martin Knoller, segue il dizionario italiano, che diventa importante per la lettura corretta dell’affresco. Senza l’apporto del dizionario, l’osservatore non sarebbe in grado di decodificare esattamente la piccola commedia maliziosa rappresentata, con i puttini (Genii) ammiccanti e soprattutto non saprebbe indovinare i sentimenti della protagonista (vedi infra Fig. 57 e relativo soggetto 5.3). Mentre d’ora in poi citeremo l’originale francese come Chompré 1775 seguito dalla pagina dell’ed. posseduta da Parini, il dizionario italiano sarà indicato in forma abbreviata: DDF, seguito dalla pagina dell’ed. Bassaglia. L’edizione francese, sempre consultata, viene utilizzata con nostra traduzione però solo quando manchi la corrispondente voce italiana, o ci siano difformità significative; di norma però ci si avvarrà dell’edizione italiana. Per l’aspetto iconologico, l’opera fondamentale, presente nell’inventario della biblioteca, è l’Iconologia del Ripa, che Parini possiede nell’edizione di Padova, dell’anno 1618. I numeri che Parini ha segnato a p. 84 del foglio manoscritto presente in BAMi, S.P. 6/5 VIII 13 (Fig. 91), accanto a voci che riguardano personificazioni, quali la Discrezione, la Clemenza, la Fermezza ecc., corrispondono però alle pagine dell’ed. del 1625, sempre di Padova, in cui sono spiegate e illustrate tali figure personificate, come ha dimostrato Savarese 1973, pp. 124-125. Del Ripa abbiamo costantemente consultato l’ed. pregevole dell’Iconologia, curata da Sonia Maffei sulla base del testo dell’edizione senese del 1603 – la prima illustrata – stabilito da Paolo Procaccioli per l’editore Einaudi. Ma abbiamo deciso di limitare i riferimenti alla edizione del 1625, strumento di lavoro di Parini, preceduta dalle indicazioni relative a quella del 1618, perché posseduta dal poeta. Le citazioni saranno indicate con Ripa 1618 e Ripa 1625, seguite dal numero di pagina.

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Da Ripa si risale a Vincenzo Cartari, autore di Le imagini de i Dei de gli Antichi, pubblicato per la prima volta nel 1556 a Venezia per Francesco Marcolini. Ma è la terza edizione, del 1571, uscita a Venezia presso Vincentio Valgrisi, che bisogna prendere in considerazione, perché l’opera di Cartari viene arricchita di figure e di illustrazioni, alcune delle quali rimandano alle Immagini di Filostrato Maggiore. Alcuni particolari dei soggetti pariniani si chiariscono alla luce delle Imagini di Cartari. Per il riscontro con la fonte ci siamo avvalsi dell’edizione moderna procurata da Ginetta Auzzas, Federica Martignago, Manlio Pastore Stocchi e Paola Rigo presso Neri Pozza, Vicenza, 1996 (d’ora in poi: Cartari 1996 seguito da numero di pagina). Per il riscontro con gli emblemi, presenti soprattutto nel giovane Parini, ci si avvale ora di Andrea Alciato, Il libro degli emblemi secondo le edizioni del 1531 e del 1534. Introduzione, traduzione e commento di Mino Gabriele, Milano, Adelphi, 2009. Sulla presenza degli emblemi in Parini si veda particolarmente Frassica 1976b. Alcuni di questi autori erano presenti nella sua biblioteca, altri sono utilizzati da lui, pur senza citazione esplicita. L’opera che media questi ultimi autori (Cartari e Alciato) è l’Iconologia di Jean-Baptiste Boudard. L’Iconologia di Boudard 1759 è un testo fondamentale, adottato ufficialmente come manuale di studio presso l’Accademia di Parma, del cui stemma ufficiale, attestato da C. I. Frugoni, segretario dell’Accademia, si vantava a partire dal secondo tomo. Non è presente tra i libri di Parini, che però se ne avvale ad esempio nella descrizione di Melpomene (ii, p. 212), rappresentata con abito regale e col pugnale in mano (indicazione che manca nella legenda ma non nell’illustrazione; in Ripa 1618, p. 357 e Ripa 1625, p. 448 il pugnale appare come segno di miseria e di infelicità, ma è assente l’immagine). Parini vi trova suggerimento anche per il motto della «Gazzetta di Milano»: medio tutissimus ibis. Il motto è presente anche in Ripa 1618, p. 325 e Ripa 1625, p. 414 sotto la voce ‘mediocrità’; ma questa assume rilievo solo nel Boudard (i, p. 177), dove viene definita come «lo stato felice desiderato dai saggi». Non si può escludere che Parini tenga presente anche come fonte primaria Ovidio, Metamorfosi, ii, 137, ma l’impiego ‘sociale’ del motto – che serve a Parini – è in Boudard. L’importante è tener presente il monito dell’Algarotti: non è l’Iconologia del Ripa il solo libro utile (Bonora 1969, p. 401, dove però, alla nota 1, Cesare Ripa viene confuso con Matteo Ripa). Per un lettore dalle esigenze specifiche come Parini, Boudard aveva il merito di filtrare le opere di Filostrato, Valeriano, Ripa, Alciato e Cartari e di offrire una spiegazione chiara delle immagini, delle figure che vi compaiono, degli attributi che le fanno immediatamente riconoscere, delle allegorie della mitologia e dei simboli connessi alla personificazione delle entità astratte. Riserve su Boudard, come imitatore pedissequo o semplificatore di Ripa, espresse da Savarese 1994, pp. 507-510, non ne inficiano il valore strumentale di manuale a tutti noto.

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Non va trascurata l’importanza di testi che, pur non trattando ex professo di iconologia, offrono una cornice teorica che ben inquadra taluni aspetti specifici dell’arte. È il caso di Méhégan 1755 e 1757, autore ben noto a Parini:1 l’opera maggiore dello studioso francese, Tableau de l’histoire moderne, depuis la chute de l’Empire d’Occident jusqu’à la paix de Westphalie, viene recensita da Parini sull’«Estratto della letteratura europea» del 1767 (vedi Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 238-249 e 266-267). Il saggio sull’idolatria (Origine, progrès et decadence de l’idolatrie), invece, è uno studio sulla nascita e sullo sviluppo delle finzioni mitologiche precristiane, destinate a cedere il posto al Cristianesimo. L’autore costruisce quindi una teoria del superamento del mito, ma nello stesso tempo in cui riconosce la verità della religione, esprime il massimo rispetto alla mitologia antica, con la sua visione dualistica della realtà, con il principio del bene, cui si contrappone il principio del male. All’interno della prospettiva positiva (gli dei del bene e le divinità subalterne che presiedono ai lati buoni della natura e della vita degli uomini) ampio spazio Méhégan riserva agli eroi divinizzati (tema assai caro a Parini), agli eroi benefattori del genere umano e parla di una idolatria – idolatria e mitologia diventano sinonimi – a cui si deve la più grande indulgenza, poiché «è fondata sulla riconoscenza [verso gli eroi], la prima delle virtù. È un’idolatria che manca assolutamente nei paesi barbari e che si trova invece nei paesi civilizzati» (p. 122). In particolare, nella cultura greca, che raccoglie l’eredità delle civiltà precedenti – egiziana compresa – «tutto diventa Dio, e tutti gli Dei vennero dipinti sotto veste umana. Virtù e vizi vennero personificati: tutto divenne oggetto di venerazione. La Fedeltà venne rappresentata con quei tratti di naturale genuinità che la fanno riconoscere immediatamente: un cuore in mano e, ai piedi, l’animale che è esempio di fedeltà ai suoi padroni. L’Inganno apparve con una maschera sul viso e con un pugnale nascosto in mano e, ai piedi, l’animale che caratterizza la perfidia. La Clemenza ebbe i tratti della dolcezza; la Vendetta quelli del furore. La Giovinezza è coronata di fiori; la Vecchiaia si mostrò con la neve dell’inverno; l’Amore, così cieco nei suoi desideri, ebbe una benda sugli occhi e una fiaccola in mano. L’Amore coniugale, che incatena i cuori, fu mostrato a fianco della virtù, e si presentò legato con trecce di fiori. Le Belle Arti comparvero sotto gli emblemi di nove sorelle: ciascuna tiene in mano i segni dei propri talenti. La dignità dei loro oggetti, la necessità della memoria le fecero nascere da Giove e da Mnemosine; la gloria, l’utilità, il fascino delle loro opere, che rendono gli uomini immortali, fecero assegnare le montagne più incantevoli come loro 1 Il terzo capitolo (pp. 32-36) di Méhégan 1755, dedicato all’età di Pericle, sembra aver offerto spunti a Parini per il suo discorso recitato nel 1769 in occasione dell’apertura della cattedra di Belle Lettere alle Scuole Palatine (vedi Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 304-316 e 379-380). Sia Méhégan che Parini convergono sulla necessità del mecenatismo del principe per la promozione delle arti e del buon gusto.

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dimora, il Dio della luce come loro guida, e gli allori, che l’inverno non fa appassire, come loro corona» (pp. 174-175). (traduzione nostra) Non bisogna comunque credere che esista ‘una’ fonte, ‘un’ trattato di mitologia o di iconologia che spieghi tutto dei soggetti di Parini: egli invece ha adattato una tradizione, posseduta con sicurezza, a un lavoro pratico, ad un contesto urbanistico e sociale diverso, dando nuovo soffio vitale alle sue fonti. Diverse suggestioni Parini ricava anche dalle opere di Gallarati,1 Gérard2 e Giudici.3 1 L’opera di Gallarati 1777 contiene solo la prima delle sei Passeggiate previste. Ai vertici della pittura l’autore colloca Raffaello e Leonardo da Vinci, mentre come capo della cosiddetta Scuola milanese individua Cesare da Sesto. L’opera, che analizza i dipinti di alcuni importanti edifici religiosi di Milano, mostra come fossero sotto gli occhi di tutti nelle chiese gli esempi concreti di come rappresentare allegoricamente le virtù. Parini avrebbe condiviso anche il giudizio di Gallarati – in linea con le riflessioni di Giudici di alcuni anni prima (vedi infra) – sulla necessità di una impostazione unitaria di lavori complessi. Anche ornati, stucchi, arazzi … devono fondersi armonicamente nei programmi di sala, ad opera di chi ha ‘discrezione’ nelle arti: è un ruolo che Parini sembra rivendicare a se stesso. Bianconi invece, almeno nel caso di Palazzo Belgioioso (vedi infra), affida all’architetto, cioè al Piermarini, il compito della regia generale (Bianconi 1787, p. 422). 2 Alexandre Gérard, Essai sur le goût, augmenté de trois Dissertations sur le même sujet, par M.rs de Voltaire, D’Alembert et de Montesqieu, Parigi, Delalain, 1766 (esergo di Cicerone: «Omnes tacito quodam sensu, sine ulla arte aut ratione, quae sint in artibus ac rationibus recta et prava dijudicant», De Oratore, lib. 3). Di Voltaire Parini condivide la nozione, quasi cartesiana, di gusto, che consisterebbe non in una sensazione vaga e confusa, ma «dans une vue distincte, un discernement vif & raisonné des différentes qualités, selon le rapport & les connections qu’elles ont dans l’objet que nous contemplons» (p. 236). Interessante – per analogia con le Lezioni di Belle Lettere di Parini – la suddivisione in capitoletti della dissertazione di Montesquieu: i piaceri della nostra anima, lo Spirito in generale, la curiosità, i piaceri dell’ordine, i piaceri della varietà, i piaceri della simmetria, i piaceri della sorpresa, le diverse cause che possono produrre un sentimento, la sensibilità, la delicatezza, del non so che, accrescimento della sorpresa, le bellezze che risultano da un certo imbarazzo dell’animo. 3 Carlo Maria Giudici (Viggiù 1723 - Milano 1803), pittore e scultore, custode delle sculture in gesso all’Accademia di Brera, maestro di Donnino Riccardi (esecutore del primo telone per il teatro alla Scala) e di Andrea Appiani, reagisce al cattivo gusto nella pratica dell’ornato che ancora domina verso la metà del Settecento e propone il ritorno al buon gusto antico, che vede la pratica della pittura e della statuaria alla base delle grandi opere di architettura (p. III). «Tutto il bello, che si vede nelle opere di Architettura, ha il suo pregio in una semplicità grandiosa, propria delle cose di Natura, le quali uniscono in se stesse con un’aria di negligenza la maestà. Ora questa nobile mistione di grandezza e semplicità non s’impara per alcun umano capriccio; ma per la sola scuola della stessa Natura, imitata con un diligente disegno, e contraffatta nelle sue grazie, producendo opere similissime ad essa, o per suo beneficio, ed uso create» (p. IV). L’eredità del Rinascimento si coniuga con i principi della ‘nobile semplicità’ e della ‘quieta grandezza’ che il neoclassicismo va ormai diffondendo (Giudici li aveva assorbiti direttamente a Roma nel periodo 1753-1760).

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Le fonti di Parini non sono soltanto libresche (si pensi a Vasari), ma derivano anche dalla visione diretta di tanti palazzi (Palazzo Agudio di Malgrate, dove Parini ha composto il Mattino in saloni con notevolissimi affreschi mitologici recentemente restaurati e riportati all’antico splendore, Palazzo Clerici – con gli affreschi di Tiepolo, che Parini ha sicuramente visto nel periodo 1773-1778, anni in cui il palazzo fu residenza provvisoria dell’Arciduca in attesa della sistemazione del Palazzo di Corte) e di tante chiese, con il loro patrimonio artistico. Non trascurabile infine il contatto personale con l’Ambrosiana (Parini vi andava anche per ricopiare manoscritti),1 con i colleghi di Brera e con il materiale artistico (gessi compresi) di cui man mano si andava dotando la neonata Accademia. Basti aver segnalato la vastità del problema per esimerci dall’ansia di un’impossibile completezza, sia per le fonti mitologiche e iconologiche che per i rapporti intertestuali. Fortunatamente, talvolta è Parini stesso a indicare la fonte, prevalentemente letteraria. Omero, Virgilio (il «dilicato cortigian d’Augusto»: MZ 350 e MG 917) e Ovidio, ma anche Apuleio e Tasso: Omero, Virgilio e Tasso, i «grandi che cantàro|Achille, Enea, e il non minor Buglione» (MT I 833-834 e MT II 858-859). In tal caso, si sono ricercati e indicati i passi specifici dell’opera utilizzata, riportando il testo, se del caso, per verificare convergenza e/o autonomia del soggetto rispetto alla fonte genetica. 1 Si veda la corrispondenza con Gerolamo Ferri in EN3 2013, pp. 113-116.

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SOG GE TTI P E R A RT I S T I [1778-1790]

Ogni asterisco rimanda a una voce nelle Note esplicative.

1 [Soggetto per il Telone del Teatro grande alla Scala] [1778] Apollo addita alle quattro Muse del Teatro i Modelli del Bongusto nelle Arti Teatrali, fugando col suo splendore i vizi opposti alla perfezione di queste. Esposizione

Sopra un vago,* e luminoso gruppo di nuvole, le quali scenderanno dalla destra* della tela alla sinistra, ombreggiando la parte destra, sottoposta ad esse, si vedrà un carro, tirato da quattro spiritosi,* e leggieri cavalli; sopra di quello sederà Apollo,* che risplendendo di chiarissima Luce, illuminerà tutta la composizione. Volgerà questi lo sguardo lieto, e maestoso alle quattro Muse* del Teatro, situate alla parte sinistra sul piano della terra. Nello stesso tempo, piegandosi graziosamente* col corpo, e stendendo il destro braccio, mostrerà di parlare alle Muse, e di additar loro con molto interesse alcuni Busti d’uomini Illustri, collocati nell’esteriore del Tempio dell’immortalità che si vedrà sorgere alla destra di quelle. Intanto per le fenditure delle Nuvole, che si stendono dietro del Carro, scapperanno vivacissimi raggi, che andranno fra l’oscurità inferiore ad abbagliare, e mettere in tumultuosa fuga varie figure,* rappresentanti i Vizj opposti alla perfezion del teatro. Dalla parte delle quattro Muse sorgeranno in bella disposizione varie Piante di Lauro,* le quali, supponendosi che girino intorno a tutta l’estensione del Tempio, torneranno a comparire in distanza all’altro lato di questo. In tale lontananza potranno esser disposte in un gruppo le altre cinque Muse, e il cavallo Pegaso.* La parte, dove sono collocati i Vizj sarà ingombra di piante selvagge ed indocili, che sorgeranno sopra un terreno incolto, e dirupato. Lo spazio poi, che venga a restare fra il Tempio, e le Nuvole, oppure sotto alle Nuvole stesse, rappresenterà un ameno paesetto, per il quale serpeggerà l’acqua del fonte Aganippe,* a cui voleranno intorno scherzando vari cigni.* Le quattro muse saranno: Melpomene* Musa della Tragedia. Sarà di sembiante, di forme, d’atteggiamento serio, ed augusto. Avrà abito, ed acconciatura

56 giuseppe parini ricca, e reale; coturni alle gambe, scettri, e corone vicine a lei, pugnale nudo in mano. Talia* Musa della Comedia. Avrà viso allegro, e ridente, abito semplice, corona d’ellera* in capo, specchio in mano. Erato* Musa delle Rappresentazioni Liriche. Avrà sembiante grazioso, occhi teneri, abito vago di colori, e di forme, corona di mirti, e rose in capo, lira in mano, o vicina, amorino al fianco con arco, faretra, e facella accesa. Tersicore* Musa del Ballo. Fisonomia* gentile, corpo, ed atteggiamento svelto, in atto grazioso, quasi di ballare; abito corto, e leggiero; ghirlanda di varie piume* in capo, e massime bianche, e nere. Avrà una mano appoggiata ad un’arpa. Queste figure saranno collocate nell’ordine sopra indicato. Alcune saranno attentissime all’atto, ed alle parole d’Apollo, ed alcun altra sarà in atto di volgersi guardando, o mostrando alla compagna i Busti degli uomini illustri indicati da lui. I Vizi opposti verranno rappresentati in uno stuolo di Donne Baccanti,* di satiri,* di fanciulli, di capri, di uccelli noturni ec. in atto di fuggir dalla luce d’Apollo. Tra queste figure domineranno spezialmente: Il cattivo Gusto. Sarà un Giovinetto nudo, di fisonomia stupida, e di fattezze grossolane, con due grandi orecchie d’asino, e una zampogna in mano. Sarà in atto di saltar giù fuggendo da un sasso rozzamente scolpito, e rappresentante una figura con testa, e crine da cavallo, viso, e collo di Donna, corpo, e piedi d’uccello, coda di pesce. La Licenza: Baccante scapigliata, mezzo nuda, viso tinto di mosto,* corona di viti in capo, tirso in mano. Sarà in atto di fuggire schermendosi con una mano dai raggi d’Apollo, che la percotono. La Scurrilità. Satiro, che fuggendo fa un movimento buffone; e colla bocca fa delle smorfie ad un Fanciullo vicino a lui, mentre questi si tiene con una mano al viso una grande maschera caricata, e ridicola. Tutta questa parte della Composizione sarà aggruppata, e ammassata a piacer del Pittore. Se gli giova, potrà anche introdurvi un piccol palco, che cade per il tumulto di quelli, che fuggono, e caderanno con esso rotoli di scritti, maschere, e stromenti rozzi, e imperfetti, come cembali, crotali, e simili. Svolazzerà sopra il detto Palco una Tenda, appesa irregolarmente ai rami degli alberi.

soggetti per artisti 57 Il Tempio dove si vedranno collocati i Busti degli uomini illustri indicati da Apollo, sarà di forma rotonda, circondato da un Portico. Nella parete, che apparirà fra gl’intercolonni di questo, vi saranno delle nicchie* con Busti. La prospettiva sarà condotta in maniera, che all’occhio degli spettatori finti, e reali si presentino almeno quattro degl’intercolonni; che si vedano distintamente le forme dei Busti collocati nelle nicchie, e possano leggersi le iscrizioni poste nel piedestallo di quelli. Nella nicchia più lontana si vedrà un Busto rappresentante un uomo vecchio barbato, con panneggiamento greco. Nella Base del piedestallo vi sarà scritto a caratteri d’oro Sophocles. Nella nicchia seconda un uomo piuttosto giovane e sbarbato, con panneggiamento Latino, e iscrizione ec. Terentius. Nella terza un bel vecchio sbarbato, con panneggiamento nobile a piacere, e iscrizione: Metastasius. Nelle seguenti nicchie, che per la prospettiva saranno visibili, compariranno i piedestalli, ma senza Busti sopra. L’Architettura del Tempio potrà essere d’uno, o più ordini, avvertendo però, che vi sia conciliato colla grandiosità la maggior esattezza, semplicità, e purità possibile dell’arte. Sarà libero al Pittore di scegliere il partito, che più gli piace per questo Lavoro, salve però le cose essenziali del soggetto,* e i rapporti necessari alla integrità* di esso.

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giuseppe parini

2 Soggetto per il Sipario del nuovo Teatro di Novara [esecuzione non reperita] [1779] Ercole musico.

È antica opinione che Ercole* sia stato il fondatore della città di Novara: e, secondo la mitologia, si crede che imparasse la musica dal Poeta Lino,* figliuolo d’Apollo e di Tersicore. Le Belle Arti poi, e spezialmente la musica, ingentiliscono i costumi degli uomini; stringono maggiormente i legami sociali, e servono di nobile ed onesto sollievo fra le cure della vita. A queste cose allude l’invenzione del seguente Soggetto. Ercole che apprende la musica dal Poeta Lino. Esposizione. In un luogo silvestre insieme ed ameno, e sopra un sasso elevato fra i cespugli e fra l’erbe sederà Ercole, quasi riposandosi alquanto dalle sue gloriose fatiche. Terrà egli fra le mani la Lira accennando di sonarla; e stando coll’occhio e coll’orecchio intento al Poeta Lino, in atto d’imparare. Lino starà in piedi alla sinistra di Ercole, ma un poco più innanzi di lui. Sonerà egli parimenti la lira, guardando piacevolmente ad Ercole, in atto d’ammaestrarlo. Alla destra di Ercole, ma un poco più indietro, si vedrà una donna rappresentante la Gloria,* la quale stando in piedi, solleverà coll’una mano una corona di quercia, in atto d’imporla sul capo d’Ercole medesimo. Volgerà ella il viso e l’altra mano ad un gruppo di figure, quasi in atto d’invitarle a contemplar questo nuovo oggetto di Ercole che suona. Le dette figure saranno Mercurio,* dio delle arti, e le tre Grazie di lui compagne.* Questi si vedranno alla destra della composizione più in alto collocati fra un gruppo di nuvole: e staranno attenti ad Ercole, mostrando di compiacersi del fatto e parlandone fra loro. Mercurio sarà la figura principale del gruppo, sostenendosi da sè fra le nuvole. Le Grazie saranno più indietro giacendo sopra le nuvole, in modo che colla loro disposizione e coi loro atti si leghino vezzosamente insieme. Alla sini-

soggetti per artisti 59 stra parte della composizione si vedrà sedere un Giovane, rappresentante un Fiume,* che versa da un’urna dorata gran copia d’acqua limpidissima. In distanza e dalla medesima parte si vedranno le mura d’una città. Davanti ad Ercole giacerà sul suolo la clava, la quale alcuni Puttini, scherzando, tenteranno in vano di sollevare chi colle mani, chi col dorso: e un altro di loro farà loro cenno col dito che stiano cheti, mostrando coll’altra mano Ercole e Lino, che sonano. Ercole sarà nudo, se non quanto lo adornerà scherzando la pelle del lione Nemeo. Lino sarà vestito1 in abito corto e semplicissimo alla Greca, con coturni alle gambe, e corona di lauro in capo. Avrà la figura2 d’un bel giovane con lunga e cadente capigliatura bionda. La Gloria sarà una giovane matrona col capo ornato d’un diadema di gemme. Avrà due grand’ali al dorso: abito ricco e lungo, se non che a proporzione dell’atteggiamento scoprirà graziosamente parte delle braccia, del petto e delle gambe. Mercurio avrà la forma e le insegne solite di lui: ma sarà sveltissimo e leggerissimo. Le Grazie saranno tutte decentemente nude. Il Fiume sarà un giovane di fisonomia ed atto svelto e vivace, con lunghi capelli grondanti d’acqua, col capo coronato d’erbe acquatiche, e colle insegne solite de’ fiumi. 1 sarà vestito] ‹è› sarà vestito (la è stata cancellata e sostituita in interlinea da ) 2 Avrà la figura] ‹Ha› Avrà la figura ( aggiunto in interlinea su cancellato)

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giuseppe parini

3 [Palazzo di Corte] [1778] 3.1

S.A.R. ha ordinata la composizione di tre Soggetti per le medaglie di tre stanze diverse, come pure la composizione dei Soggetti per li sovraporte rispettivi delle medesime stanze. Per riguardo a questi ultimi sarebbe necessario d’intendersi col Pittore per la convenevole grandezza delle figure: poichè dalla grandezza dipende il numero di queste; e dal numero la scelta de’ Soggetti. Frattanto i Soggetti per ciascuna delle tre medaglie sono i seguenti. Gabinetto di S.A.R. la Sig.ra Arciduchessa Medaglia 1. Amore* e Psiche.* Gli antichi, nella favola degli amori di Cupido e di Psiche, pare che, fra l’altre cose intendessero d’insegnare che allora termina l’amore quando non resta più nulla da desiderarsi: e che il più dolce e costante solletico di quello sia il misterio. In questa medaglia vedrassi Cupido seduto sovra1 un gruppo di nuvole, tenendosi una parte del viso e delle membra ingombrata d’un sottilissimo velo. A lato di lui, portata dal vento Zefiro, e in atto di giugnere appena, comparirà Psiche. Le due figure si abbracceranno focosamente. Ma intanto che Psiche si sforza di scoprire il viso a Cupido, questi cercherà d’impedirnela, opponendosi colla mano, e rivolgendo il viso da lei. Negli atti e nell’espressione Psiche mostrerà, quanto è mai possibile l’amore, l’impazienza e la curiosità irritata dall’ostacolo. Cupido insieme all’affetto, farà vedere anche la pena,2 che uno ha di dover suo malgrado negar qualche cosa ad una persona amatissima. I moti dell’una saranno perciò più violenti: e quelli dell’altro risoluti 1 A: sovra] sopra 2 A: Cupido insieme all’affetto. farà vedere anche la pena] e Cupido farà vedere, insieme all’affetto, anche la pena,

soggetti per artisti 61 bensì; ma nello stesso tempo teneri ed affettuosi. La faretra si rovescerà1 dalle spalle di Cupido, in modo che ne caschino i dardi: oppure giacerà similmente negligentata in compagnia dell’arco sopra la nuvola. Il vento Zefiro avrà la forma d’un bel giovane, coll’ali di farfalla, e coronato di fiori.2 Sarà in atto ad un tempo di volare portando Psiche, e di fermarsi al luogo del suo destino. Vari Genj potranno scherzare coerentemente all’azione. Alcuni spargeranno fiori: e qualche altro, sia opponendosi colle ale, sia ritenendo il velo, cercherà d’impedir sempre più che Psiche non vegga in volto3 Cupido. Volerà parimenti, secondo che torni meglio, intorno a Psiche una grande farfalla, antico simbolo di lei. In tutta questa pittura dominerà la più grande vaghezza possibile di colorito e di tinte.4 [Fig. 3] Stanza da letto per la state. Medaglia 2. [esecuzione non reperita] Le Nozze d’Ercole divinizzato. Gli antichi, divinizzando Ercole,* e maritandolo con Ebe* Dea della Gioventù, cercarono di perfezionarsi l’idea, per sè amabile delle Nozze, accoppiandovi le idee del vigore, della giovinezza e della immortalità. In questa medaglia vedrassi Ercole seduto sovra un gruppo di nuvole, in atto d’abbracciare affettuosamente5 Ebe. E mentre questa guardandolo con dolcissimo sorriso, gli presenterà la coppa d’oro, che contiene la bevanda degli Dei, Ercole6 accennerà di chinarsi per accostarvi il labbro, non senza sorridere, e mirar voluttuosamene la sposa. Fra mezzo ai due Sposi starà in piedi il giovanetto7 Imeneo,* sospendendo sui8 loro capi una corona di rose e di gigli, mescolata di stelle, simbolo della9 immortalità, e tenendo nell’altra mano la fiaccola delle10 rose, fiammeggiante. La figura dell’Ercole11 verrà alleggerita da una quantità di luce 1 A: si rovescerà] penderà rovesciata 2 A: di fiori.] di varietà di fiori. 3 A: in volto] il volto di 4 In A la frase «In tutta questa […] e di tinte.» è stata aggiunta posteriormente, con altra grafia. 5 A: d’abbracciare affettuosamente] d’abbracciarsi affettuosamente con 6 A: Ercole] quegli 7 A: giovanetto] giovinetto 8 A: sui] su i 9 A: della] dell’ 10 A: delle] di 11 A: dell’Ercole] d’Ercole

62 giuseppe parini maggiore, onde risplenderà tutto il corpo. In1 oltre, senza offendere2 il carattere di robustezza, comparirà gentile e ringiovanita così nei tratti, come nell’ondeggiamento della muscolatura. In tal guisa3 significherassi l’effetto della Divinità, a lui recentemente compartita. La figura dell’Ebe4 poi sarà sparsa di tutta la freschezza, e di tutto il rosato della prima giovinezza femminile. Ai piedi d’Ercole giaceranno negligentemente sulle nuvole; o in vago e proporzionato modo5 saranno portate, o sostenute da Genj*, la clava e la spoglia del Lione, amendue folgoreggianti di stelle. Potrebbesi ancora, per maggior compimento e ricchezza della6 invenzione, accennare, nella più alta parte del cielo, Giunone,* la quale mostri7 di compiacersi della felicità dei due Sposi. In tal caso, dalla destra poppa di questa Dea partirà8 una striscia di latte, la quale, di mano in mano scendendo,9 formerà la via lattea, che tutta seminata di minutissime stelle taglierà vagamente il cielo. Ciò significherà il modo, con cui Ercole ottenne la Divinità, cioè poppando alla mammella di Giunone. Quando ciò non si faccia, converrà ad ogni modo far rompere in somigliante guisa il cielo dalla sola via Lattea,10 per significar nello stesso tempo ciò, che si è detto; e la strada, per cui gli Eroi salgono a vivere fra gli Dei. In tutta questa composizione abbonderà, quanto è possibile, la leggerezza, la vivacità e il gioco della luce. [affresco distrutto] Terza stanza. Medaglia 3. I riposi di Giove Gli antichi diedero anche a Giove* dei momenti di riposo. E qual trattenimento gli uomini potevano mai figurarsi più degno dei ri1 A: In] E in 2 A: offendere] offenderne 3 A: gentile e ringiovanita così nei tratti come nell’ondeggiamento della muscolatura. In tal guisa] alquanto più gentile e ringiovanita. In tal guisa 4 A: dell’Ebe] d’Ebe 5 A: in vago modo 6 A: della] dell’ 7 A: del cielo, Giunone, la quale mostri] del cielo Giove e Giunone, i quali, accarezzandosi, mostrino 8 A: In tal caso, dalla destra poppa di questa Dea partirà] In tal caso, alla sinistra di Giove scoppierà un allegro lampo in segno di buono augurio: e dalla destra poppa di Giunone partirà 9 formerà la via lattea, che] agg. in inter. 10 A: da qui in avanti termina così: «E se finalmente lo spazio o il partito lo comporta, sarà libero al pittore d’introdurre degli Scherzi e de’ Geni, coerenti alla favola.»

soggetti per artisti 63 posi della divinità, che quello dell’amor coniugale, e delle arti e delle scienze. Al riposar di Giove pacavasi l’universo, altro, per così dire, non sussistendovi,1 che il moto equabile, già impresso dalla sovrana provvidenza. In questa medaglia si vedrà Giove soavemente appoggiato nel grembo di Giunone, e in atto d’2accarezzar coll’una mano il mento di Minerva, seduta più abbasso appresso3 di lui. Mostrerà egli di stare attentissimo al canto d’Apollo, che inferiormente,4 in piedi, e dirimpetto a lui starà accompagnandosi colla cetra*.  Dalla parte d’Apollo; e facendo gruppo con esso,5 sederà Mercurio: ma in atto d’esser pronto ad alzarsi al menomo cenno di Giove, a cui guarderà fissamente, per intenderne sul momento il volere. L’espressione di Giove sarà la più dolce, e la più tranquilla, che possa mai vedersi. Giunone mostrerà di deliziarsi, strignendosi, quasi con improvviso soprasalto del cuore a Giove, per seco partecipare il piacere, che le viene dal canto d’Apollo, e approvare la scelta dei divertimenti. Starà nello stesso tempo attentissima coll’occhio, e coll’orecchio ad Apollo. Minerva starà pure attentissima a questo Dio, significando nel volto una profonda, e dolcissima commozione dello animo; e con una mano facendo segno di straordinaria ammirazione.6 Apollo sarà pieno d’entusiasmo bensì; ma di quello che nasce dai più intimi7 sentimenti del cuore, anzi che dalla riscaldata fantasia.8 Però l’attitudine e l’espressione di lui9 sarà franca ed ardita; ma senza troppo grande10 alterazione di moti. Avrà egli il capo cinto di raggi. La nuvola, su cui starà Giove sedendo, sarà d’un color vago e dorato.11 Più sotto sembrerà che si sciolga in una fre1 A: altro, per così dire, non sussistendovi] altro non sussistendovi, 2 A: d’] di 3 A: seduta più abbasso appresso] seduta appresso 4 A: attentissimo al canto d’Apollo, che inferiormente,] attentissimo coll’orecchio e coll’occhio al canto d’Apollo, che più abbasso 5 A: Dalla parte d’Apollo, e facendo gruppo con esso,] Dalla stessa parte, e facendo gruppo con Apollo 6 A: Giunone […] ammirazione.] Giunone mostrerà di deliziarsi spezialmente nel viso di Giove; quasi consolandosi seco, e seco approvando la scelta de’ suoi divertimenti, nello stesso tempo, e il canto d’Apollo. Minerva starà pure attenta coll’occhio ad Apollo facendo colla mano segno d’approvazione. 7 A: dai più intimi] dai profondi 8 A: fantasia] immaginazione. 9 A: Però l’attitudine e l’espressione di lui] Però la di lui attitudine ed espressione 10 A: senza troppo grande] senza straordinaria 11 A: dorato.] dorato ‹; e si scioglierà per di sotto›.

64 giuseppe parini sca rugiada, simbolo della divina beneficenza:1 e in quella rugiada cadente comparirà l’iride, simbolo della pace. Sarà tanto più ingegnosa quest’iride, se in grazia della posizione d’Apollo, sembrerà che nasca dalla refrazione de’ raggi, che si partono2 dal capo di lui.  L’Aquila* starà ai piedi3 di Giove, ma senza i fulmini. Sederà sopra lo scettro di quello in atto d’addormentarsi vinta dalla melodia4 del canto, appunto in quel modo, che Pindaro* la dipigne: Al grato suono, Assisa sullo scettro, a poco a poco L’aquila i lumi chiude, e abbassa l’ale: E del placido sonno, che la ingombra, Alto il dorso incurvando, altrui dà segno.

Quando lo spazio e il partito il comporti,5 si potrebbe arricchir la composizione, collocando vicino a Mercurio,6 e ad Apollo le tre Grazie, le quali sogliono esser loro compagne; e le quali indicano il raddolcimento de’ costumi, prodotto dalle scienze e dalle arti. In tal caso le Grazie sederebbero abbracciandosi, e scorciando vagamente, in atto d’attendere esse pure al canto d’Apollo. In tutta questa composizione7 dominerà la più grande soavità, ed armonia di movimenti,8 e d’espressione, la più dolce9 calma dell’aria, e la più dolce serenità del cielo che far si possa.10 Nella descrizione de’ presenti soggetti si è disceso a vari particolari, non già per dar legge al Pittore; ma per diriggere e fecondare l’immaginazione di lui. Quando S.A.R. si degni d’approvarli: ed abbia fatto scelta dell’artista per eseguirli, si concerterà con questo la grandezza delle figure per i sovraporte, e si passerà subito alla scelta de’ Soggetti 1 A: della divina beneficenza] della beneficenza 2 A: che si partono] che partono 3 A: L’Aquila starà ai piedi] L’Aquila ‹di Giove› starà ai piedi ‹di lui› 4 A: melodia] dolcezza 5 A: il comporti] lo soffra 6 Mercurio,] Mercurio, ‹le tre Grazie, che› 7 A: abbracciandosi, e scorciando vagamente, in atto d’attendere esse pure al canto d’Apollo. In tutta questa composizione] abbracciandosi vagamente tra loro. In tutta questa pittura 8 A: soavità, ed armonia di movimenti] soavità di movimenti 9 A: dolce] grande 10 A: la più dolce serenità del cielo che far si possa.] la più grande serenità del cielo. [Qui termina il testo]

Fig. 1. Donnino Riccardi, Apollo e le Muse. Museo del Teatro alla Scala.

Fig. 2. Caterina Lose, Veduta del Palazzo di Corte. Stampa Bertarelli.

Fig. 3. Giuliano Traballesi, Amore e Psiche, Palazzo di Corte.

Fig. 4. Giuliano Traballesi, I riposi di Giove, Palazzo di Corte [affresco distrutto].

Fig. 5. Martin Knoller, Puttini con la pelle del leone Nemeo. Palazzo di Corte.

Fig. 6. Martin Knoller, Puttini con la clava di Ercole. Palazzo di Corte.

Fig. 7. Martin Knoller, Puttini con pomi delle Esperidi. Palazzo di Corte.

Fig. 8, Puttini con l’arco di Ercole. Palazzo di Corte.

soggetti per artisti 65 convenevoli. Così pure ad altri lavori, qualora S.A.R. si degni d’ordinarli. [Fig. 4] 3.2 Soggetti per gli quattro sovraporti del Gabinetto. Le quattro doti principali, che contribuiscono alla felicità dell’Amore. La Sincerità.* [esecuzione non reperita] Bellissima giovanetta in abito candido, semplice e sottilissimo, con capegli biondi sparsi sulle spalle, in atto d’essersi scoperta graziosamente il petto con una mano, e coll’altra accarezzando una colomba. Avrà la fisonomia ridente, occhi azzurri, grandi, e pieni di semplicità. Il Pudore.* [esecuzione non reperita] Giovanetta di fisonomia, di sguardo, e di atteggiamento modestissima, d’abito semplice, col capo coperto d’un velo bianco e trasparente, e un giglio nella mano. La Fermezza* Giovanetta di fisonomia decisa, di corporatura piuttosto robusta, d’atteggiamento franco e sicuro, vestita a piacere, e con una mano appoggiata saldamente ad un’àncora. La Fecondità.* [esecuzione non reperita] Bella donna di fisonomia contenta, con gli occhi rivolti al cielo quasi in atto di ringraziarlo, col seno turgido di latte, dove apparisca qualche picciola vena, vestita a piacere, e con un nido d’uccelletti in mano. 3.3 Soggetti per li quattro scudi della stanza dell’Ercole* divinizzato. [esecuzioni non reperite] 1. Ercole al bivio, condotto alla parte destra da una donna alata con una corona di palma in mano, la quale rappresenta la Virtù. 2. Ercole, che solleva Atlante* dal peso del Cielo.

66 giuseppe parini 3. Ercole, che uccide i Centauri.* 4. Ercole, che, separati i due monti Abila e Calpe, vi pianta le famose colonne. 3.4 Soggetti per li sovraporti della medesima stanza. 1. Piccoli Genj, che affettano di coprirsi della pelle del Lione Nemeo ecc.1 [Fig. 5] 2. Amorini, alcuni de’ quali tentano2 in vano di spezzare con gran fatica la Clava d’Ercole: ed altri, che ridono di questo inutile sforzo. [Fig. 6] 3. Piccoli Genj,3 che scherzano4 coi pomi d’oro, tolti da Ercole nel giardino dell’Esperidi, affettando di rapirseli l’un l’altro.5 [Fig. 7] 4. Grande Arco e grande Freccia6 d’Ercole, intorno ai7 quali scherzano varj piccoli Genj, mostrando alcuni8 notabile paura9 d’esserne punti. [Fig. 8] 3.5 Soggetti da fingersi a bassorilievo nei sovraporti della stanza del Giove. [esecuzioni non reperite] L’origine delle Belle Arti. La Poesia Epica e Lirica. Due Puttini formano un trofeo d’allori, di palme, di scettri, d’armi guerriere ecc. Un picciol Genio alato e coronato di lauro contem1 A: Nemeo ecc] nemeo. 2 A: alcuni de’ quali tentano] uno de’ quali tenta 3 A: Piccoli Genj] Genj 4 A: scherzano] giocano 5 A: coi Pomi d’oro tolti da Ercole nel giardino dell’Esperidi, affettando di rapirseli l’un l’altro.] coi pomi d’ori tolti da Ercole nel giardino dell’Esperidi. 6 A: Grande Arco e grande Freccia] Grande Arco, e grande freccia 7 A: intorno ai] coi 8 alcuni] alcuni ‹grande› 9 A: varj piccoli Genj, mostrando alcuni notabile paura] vari Geni, affettando alcuni grandissima paura.

soggetti per artisti 67 pla il trofeo, e dà fiato ad una tromba. Un altro Genio parimenti alato, con una fiamma di fuoco sopra il capo, e con espressione piena d’entusiasmo, canta accompagnandosi con la lira. La Poesia Drammatica. Picciol Fauno* ignudo, calzato di socchi, con mantello corto sulle spalle, e grande maschera barbata e ridente sul viso sta in atto di declamare dall’alto d’una pietra. Un altro più abbasso lo contempla ridendo. Intanto un altro Fauno sedendo sul suolo con viso affettatamente severo si calza un paio di coturni, e guarda un lungo manto e un pugnale, che un quarto Fauno piagnente gli presenta. La Musica. Piccioli Fauni, che suonan d’accordo cembali, nacchere, e simili antichi e semplici stromenti. Un altro che ascolta mostrando di sentirne straordinario piacere. Un1 altro, che seduto sta con molta attenzione componendo insieme le canne d’una Siringa*. La Danza. Picciol Fauno seduto, che suona un flauto. Altri coronati di fiori, che tengonsi per mano e saltano a cadenza. L’Architettura. Due Puttini, uno de’ quali depone una cestella tra le foglie d’una pianta d’acanti; e l’altro la copre con un tegolo o mattone, obbligando a piegarsi alquanto sotto al peso di questo le foglie dell’acanto,2 in modo che tutto insieme accenni rozzamente la forma d’un capitello corintio. Picciol Genio alato, che contempla quest’oggetto, e scolpisce in un sasso un vero capitello corintio, con meraviglia d’un altro Puttino, che lo sta osservando. La Scultura e la Pittura. Puttino morto sul suolo, ed altro, che vi piagne sopra. Picciol Genio alato, che contempla il morto, e con uno stile ne delinea il contorno del viso sulla superficie d’una pietra; mentre un altro Genio parimenti con uno stile ne forma il rilievo sovra un pezzo di rozza creta. 1 Un] Un ‹terzo›

2 acanto] acanto ‹.Picciol Genio alato›

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giuseppe parini Si potrà accrescere il numero delle figure, in proporzione del soggetto rispettivo, a giudizio del Pittore. 3.6 Soggetti per le quattro piccole medaglie della stanza del Giove. [esecuzioni non reperite] Gli effetti delle Belle Arti. Gli antichi sotto il vocabolo di Musica comprendevano tutte le Belle Arti: e con queste credevano che si ammansassero i cuori umani, e si ringentilissero i costumi; il che rappresentarono ingegnosamente con molte favole. 1. Anfione,* che al suono della cetra chiama le pietre ad edificar le mura di Tebe. 2. Arione,* accolto e portato dai Delfini in atto di sonar la cetra. 3. Orfeo,* che suona la lira in mezzo alle fiere, che lo ascoltano. 4. Chirone* Centauro, che ammaestra il fanciullo Achille al suono della lira. 3.7 Soggetto per la medaglia della sala a mangiare. La Dea Salute. La Salute* coll’asta nella destra assisa su di un trono, e circondata al basso di nuvole,1 campeggiante nel mezzo della composizione;2 con volto nobile e pienotto, gioventù matura, e bel panneggiamento. Alla destra di Lei un Genietto alato con un freno3 in mano, e vari Puttini con fiori4 in mano. La Caccia5 assisa con dei dardi in mano, e delle frutta in grembo. Giovane, svelta, e robusta figura.6 Dalla parte stessa Pomona7 con frutta in mano,* e volto lieto e rubicondo, e bel panneggiamento. 1 nuvole,] nuvole ‹campeggerà› 2 composizione;] composizione; ‹ed avente un bel panneggiamento con volto nobile e pienotto; con› 3 freno] freno nella [mano], e dei fiori in atto di porgergli alla Dea ed altri 4 con fiori] con fiori ‹in atto di por›[ ] 5 La Caccia] La Caccia ‹giovane› Canc. in inter. ‹giovane› 6 figura.] figura. ‹Alquanto più elevata›. 7 Pomona] Pomona ‹vestita, e›

soggetti per artisti 69 Priapo* quasi1 nudo,2 falcato nella sinistra, ed avente alla destra un gran canestro di erbe e di frutta. Vecchio forte e rubesto, ma non caricato. Alla sinistra della Dea Salute, al di sotto alquanto, Cerere* con3 fascio in mano, e corone in capo di spiche; e in parte nuda. Bacco4 giovane* di robusta e nobile fisonomia; in parte5 avvolto nella pelle della tigre, ma quasi nudo; con pampini in capo, un grappolo nella destra, in atto di pigiarlo nella soggetta coppa, che sta nella sinistra di lui. Ebe vicina a Bacco, che sta in atto di6 versare da un vaso a due mani. Giovane7 svelta leggiadrissima. Un Puttino ridente si frappone fra Bacco ed Ebe. Dopo essi Pale* col bastone8 curvo all’estremità nella sinistra ed un paniere di latte rappreso nella destra. Ha fisonomia di una bella rusticità. Alquanto discosto un Satiro, che suona9 il flauto ed un Genietto alato in atto di ascoltarlo. Tutte le figure principali della composizione hanno una mossa verso la Salute e stanno in atto di fare10 offerte alla Salute medesima. [Fig. 9] 3.8 Soggetti per li due scudi accompagnanti la medaglia della sala a mangiare. [esecuzioni non reperite] Primo Scudo. Rappresenterà Como,* Dio de’ conviti, attorniato dai Lari,* Dei custodi della casa. Como avrà la figura d’un bel giovinetto dell’età di quindici in sedici anni. Starà a sedere quasi in atto d’esser vinto dal sonno: appoggerà la sinistra mano ad un’asta: e lascerà negligentemente cadere la destra, nella quale terrà una fiaccola accesa. Avrà un abito semplice, legato alla cintura; e che non ar1 quasi] agg. in inter. 2 Nudo] corr. su ignudo 3 con] con ‹un› 4 Bacco] Bacco ‹un po’ più in alto› 5 giovane di robusta e nobile fisionomia; in parte] corr. in inter. su ‹un po’ più in alto› 6 in atto di] corr. in inter. su ‹per› 7 Giovane] Giovane ‹dolce› 8 bastone] bastone ‹bast. ritorto› 9 suona] suona ‹la zampogna› 10 fare] fare ‹offerire le cose loro›

70 giuseppe parini rivi fino al ginocchio. I capelli di lui saranno ciondolanti graziosamente, come se fossero sparsi d’olii odoriferi, e sul capo avrà come un vago berrettino formato di fiori. Gli Dei Lari saranno rappresentati in forma di vari puttini allegri e ridenti. Saranno essi in quel numero che piacerà al pittore. Altri scherzeranno, come tornerà meglio, intorno a Como: altri scherzeranno fra loro: altri con un bel cane.1 Alcuni terranno in mano una piccola figurina umana, rozzamente fatta, e colle mani congiunte sopra il capo. Secondo Scudo. Rappresenterà il Genio buono. Sarà questi2 un fanciullo allegro e ridente dell’età di dieci in dodici anni. Sarà questo coronato di papaveri. Terrà delle spiche in una mano, e delle uve nell’altra. Starà in piedi o seduto come torna meglio. Sarà solo in parte coperto d’un velo, seminato di stelle. Avrà intorno a sè vari più piccoli Genj, in forma di Puttini, distribuiti e scherzanti ad arbitrio. Uno di loro avrà in mano una verga circondata da un serpe: ed uno o più accarezzeranno o terranno un gallo. 3.9

1º. 2º. 3º. 4º. 5º.

Bassi Rilievi3 della sala a mangiare. [esecuzioni non reperite] Amore che scaglia il dardo. Due Puttini che ammaestrano un cane a star ritto sulle zampe di dietro.4 Due Puttini: uno con un fiore nella destra quasi ascoso,5 l’altro che lo bacia in atto di toglierlo.6 Due Puttini piangono un uccellino7 morto,8 che giace9 in grembo del più desolato. Amore che incurva l’arco.

1 La fine della riga e tutta la seguente cancellate, illeggibili. 2 Sarà questi] Sarà questi ‹rappresentato da› 3 Bassi Rilievi] corr. su ‹Bassirilievi› 4 A: Due Puttini che ammaestrano un cane a star ritto sulle zampe di dietro.] Due Amori, che ammaestrano un cane. 5 con un fiore nella destra quasi ascoso] con un fiore quasi ascoso ‹nella› - A: con una rosa nella destra ritirata; 6 A: toglierlo.] toglierla. 7 uccellino] uccellino ‹desolato› 8 morto] corr. in inter. su ‹desolato› 9 A: giace] sta

16º.

17º. 18º. 19º. 10º. 11º.

soggetti per artisti 71 Cinque Puttini,1 che giuocano al nascondiglio, uno cogli occhi velati dalle mani;2 due in atto di andarsene, riguardando però al3 primo: altri due, che spiano appiattati4 dietro ad una muraglia. Un Puttino5 colla faretra nella destra, appoggiato al turcasso colla sinistra. Un Amorino, che suona il flauto; l’altro che lo ascolta. Un Amorino stretto con Venere per mano,6 in atto dolce e quasi di baciarle una mano.7 Due Puttini cacciatori, con8 civetta e gabbia. Uno spicca dal vischio un uccelletto.9 Un Puttino, risvolto10 ai precedenti,11 in atto di accennare la loro preda.12 3.10 Soggetto per la stanza del letto d’inverno

L’Aurora intempestiva. Mentre il Dio Sonno* giace a lato di Pasitea,* bellissima Ninfa amata da lui, Amore impedisce che l’Aurora* non si avanzi a disturbarli. Sotto un velo bruno trasparente, e seminato di stelle, il quale a foggia di Padiglione viene sostenuto da alcuni Genj alati, si vedrà dormire il Sonno, mollemente coricato sopra le nuvole, che gli formano letto, accanto di lui starà Pasitea in atto di sorgere, come improvisamente svegliata, tenendo ancora la sinistra mano sotto le spalle del Sonno, e colla destra schermendosi gli occhi dai raggi 1 A: Puttini] Amorini 2 A: occhi velati dalle mani,] occhi socchiusi 3 A: al] il 4 A: due, che spiano appiattati] due appiattati - Sempre in A, prima del nº 7, centrata, l’indicazione: ‹nel mezzo›. 5 Puttino] corr. in inter. su ‹Amorino›, come in A. 6 per mano] corr. su ‹per la mano› 7 A: Un Amorino stretto con Venere per mano, in atto dolce e quasi di baciarle una mano.] Un (corr. in inter. su: Due) amorino stretto (corr. su: amorini stretti) con Venere per le mani in atto amichevole, e quasi di baciare (corr. in inter. su: baciarsi) ‹il destro› la mano ‹del sinis.›. 8 con] con ‹una› 9 A: Due Puttini cacciatori, con civetta e gabbia. Uno spicca dal vischio un uccelletto.] Due Amorini in atto di uccellare; uno spicca dal vischio un uccelletto: avvi una civetta ed una gabbia. 10 risvolto] corr. in inter. su ‹più› 11 precedenti,] precedenti, ‹quasi› 12 A: Un Puttino, risvolto ai precedenti, in atto di accennare la loro preda.] Un Amorino in atto quasi d’accennare i precedenti che cacciano.

72 giuseppe parini della Aurora, che vengono a percuoterla. Dall’altra parte si avanzerà l’Aurora sopra un carro tirato da due bianchi cavalli, ai quali si farà incontro Amore, che sarà collocato nel mezzo della composizione. Questo Dio ritto in piedi, e coll’arco, e la faretra pendenti alle spalle, si presenterà tutto minaccioso avanti li cavalli dell’Aurora. Avanzerà egli la sinistra come per afferrarne il morso, e colla destra armato d’un dardo piutosto grande, e robusto procurerà d’atterirli, perchè non vengano innanzi; a tale aspetto i cavalli spaventati accenneranno di retrocedere malgrado li sforzi dell’Aurora, che rizzandosi sul carro, e piegandosi verso li cavalli, li animerà colla voce, e colle redini. Il Sonno sarà un bel giovane di membra piuttosto ritonde, e pienotte, e sembreranno sparse di quel rubicondo, e di quel lucido madore, che suol vedersi in una persona che dorme. Avrà egli una corona di papaveri posta negligentemente sul capo, e in una delle mani terrà pure negligentemente un dente d’Elefante. Pasitea sarà una bella, e disinvolta giovinetta. Il pannegiamento poi d’amendue queste figure sarà a piacere del Pittore. Amore mostrerà l’età di dodici in quattordici anni; sarà tutto nudo, e nell’attegiamento pronto, e risoluto. L’Aurora in figura d’una bella giovine alata, e coronata di fiori. Mostrerà nel volto la sorpresa, e il dispetto. Avrà un manto di color giallo, e spargerà dalla sua persona una luce tra il giallo, ed il rossegiante, che illuminerà tutta la composizione. Potrebbe anche in quella vece avere una fiacola accesa nella mano destra, e in tal caso tutta la luce della natura detta disopra partirebbe dalla fiacola stessa. Quando poi accomodasse meglio al partito del Pittore, potrebbe la medesima Aurora invece del carro e dei cavalli essere seduta sopra il solo Cavallo Pegaso, salve però sempre le azioni, e le espressioni accennate da principio; in tal caso ella terrebbe, come si è detto, la fiacola nella destra, e colla sinistra si atterrebbe ai crini del cavallo stesso, il quale non dovrebbe aver morso. In qualunque modo si faccia, l’Aurora sarà sempre accompagnata da piccioli Geni. I Genii accompagnanti l’Aurora saranno di colorito assai vivo, avranno ali di farfalla a varii colori. Alcuni spanderanno fiori, altri verseranno ruggiada da picciole urne. I Genj, che sostengono il velo bruno steso sopra il Sonno che dorme, saranno di color brunetto con ale di farfalla, ma del colore degli uccelli notturni. [Fig. 10]

Fig. 9. Giuliano Traballesi, La dea Salute, Palazzo di Corte.

Fig. 10. Giuliano Traballesi, L’aurora intempestiva, Palazzo di Corte.

Fig. 11. Martin Knoller, Zefiro. Palazzo di Corte.

Fig. 12. Martin Knoller, Flora. Palazzo di Corte.

Fig. 13. Martin Knoller, Paride. Palazzo di Corte.

soggetti per artisti

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3.11 Soggetti per li sovraporti della stanza dell’Aurora Per li due sovraporti corrispondenti nel mezzo della stanza. 1. Zefiro.* Giovanetto di corporatura sveltissima,1 con ale di farfalla, ghirlanda di fiori in capo, e panneggiamento azzurro. Sarà leggermente coricato sull’erba tenera e fiorita, quasi2 disposto a levarsi in piedi. Avrà le guance alquanto gonfiate senza deformità: e soffierà dalla bocca un’aria leggerissima. Sarà3 intento col guardo ad un puttino, il quale gli farà cenno di levarsi: oppure gl’indicherà colla mano la figura del sovraporto dirimpetto a questo.4 Il puttino si reggerà in aria sulle ali5 parimenti di farfalla: soffierà egualmente, ma dalla bocca più gonfiata: e con una mano spargerà dei fiori.6 [Fig. 11] 2. Flora.* Giovanetta7 di corporatura delicata, coronata di fiori, coi capegli biondi, svolazzanti per il vento. Sarà coricata mollemente sull’erbe, tenendo nel lembo aperto d’una sottilissima, e candida veste quantità di fiori. Sopra di lei volerà con ali di farfalla un puttino il quale verserà sopra il lembo di lei stille di leggerissima rugiada da una picciol’urna, che terrà nelle mani. [Fig. 12] Per li due sovraporti corrispondenti ad un lato della stanza.8 1. Cefalo.* [esecuzione non reperita] Giovane9 seduto, quasi in atto di svegliarsi improvvisamente al suono d’un corno, che un puttino in piedi vicino a lui starà sonan1 A: Giovanetto di corporatura sveltissima,] Bellissimo giovinetto di corporatura leggerissima. 2 A: sull’erbe tenere e fiorite, quasi] sull’erbe, quasi 3 A: Avrà le guance alquanto gonfiate senza deformità: e soffierà dalla bocca un’aria leggerissima. Sarà] Avrà la bocca mezzo aperta: e starà 4 A: gl’indicherà colla mano la figura del sovraporto dirimpetto a questo.] gl’indicherà la figura del Sovraporto, che corrisponde a questo 5 A: sulle ali] sull’ali. 6 A: soffierà egualmente, ma dalla bocca più gonfiata: e con una mano spargerà dei fiori.] e soffierà un leggier vento dalla bocca. 7 A: Giovanetta] Bella giovinetta. 8 In A manca questa indicazione. 9 A: Giovane] Bel giovane.

74 giuseppe parini do con molta fatica. Il Giovane sarà vestito in abito greco corto da cacciatore, con coturni a’ piedi.1 Avrà un dardo lungo nella mano; e un cane da caccia coricato vicino,2 in atto di saltare in piedi, svegliato dal suono. 2. Procri. [esecuzione non reperita] Giovinetta coricata fra un cespuglio in atto di nascondersi3 dietro ad esso per ispiare. Avrà un panneggiamento greco a piacere. Vicino a lei sarà un puttino, che tiene a viva forza col guinzaglio un cane da caccia. Il cane, abbaiando, sarà in atto di voler fuggire verso la parte del sovraporto corrispondente a questo.4 Per li due sovraporti corrispondenti all’altro lato della stanza.5 1. Paride.* Giovane seduto in abito corto da pastore, e berretto frigio in capo col vincastro in mano, e qualche pecora e capra vicino a lui. Dietro ad esso un Amorino, che minaccia di ferirlo con un dardo, e coll’altra mano, mettendosi un dito alla bocca, fa cenno di tacere.6 [Fig. 13] 2. Enone* [esecuzione non reperita] Giovinetta ninfa seduta in gran parte nuda, con panneggiamento a piacere, in atto di scrivere con uno stile sul tronco d’un albero queste lettere par. Dietro al tronco un grazioso Faunetto,7 che, sorridendo, la guarda.8 Il Fauno sarà in gran parte nascosto. Non avrà che le orecchie alquanto lunghette; un sottile e leggerissimo pelo sulla coscia e gamba di capra, che si potrà vedere. 1 In A le parole «greco» e «con coturni ai piedi» sono agg. in interl. 2 A termina qui la parte relativa a Cefalo. 3 nascondersi] nascondersi ‹fra› 4 A: Giovinetta coricata fra un cespuglio […] corrispondente a questo] Giovane seduta fra un cespuglio, in abito greco succinto, quasi in atto di nascondersi da una parte dietro al cespuglio per non esser veduta. Vicino a lei un puttino, che tiene a viva forza col guinzaglio (col guinzaglio: agg. in inter.) un cane da caccia. Il cane sta in atto di fuggirsene abbajando, e guardando alla figura del sovraporto posto dirimpetto. 5 Questa indicazione manca in A. 6 A: Giovane seduto […] tacere.] Giovinetto: seduto sopra un sasso in abito corto da pastore, ‹oppure con par[ ]› e berretto frigio in capo col vincastro in mano, e qualche pecora e capra vicino a lui. Dietro a lui un Amorino che con una mano lo minaccia con un dardo: e coll’altra mettendosi un dito alla bocca, fa cenno di tacere. 7 A: Dietro al tronco un grazioso Faunetto] Dietro a lei un picciolo Fauno, 8 A s’interrompe qui.

soggetti per artisti

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3.12 Medaglia per la prima Stanza degli Arazzi. [esecuzione non reperita] Frisso ed Elle.* Volendosi accordare il soggetto della medaglia con quelli degli1 arazzi; e scegliere un Soggetto da potersi rappresentare in aria, si potrà far uso del seguente. Frisso ed Elle fratello e sorella che sventuratamente dovevano esser sagrificati, vengono d’improvviso trasportati per aria dal montone del vello d’oro, mandato loro in aiuto da Giove. Un bellissimo montone con ricco e dorato pelo correrà per l’aria portando sul suo dorso un vago giovane ed una tenera giovinetta. Volerà innanzi a loro qualche piccolo Genio portante la cornucopia* piena di frutti e di biade. Dietro ad essi saranno dei puttini con ale di farfalla, rappresentanti i venti. Nella più lontana porta del cielo si vedrà a pena Giove in atto di stendere colla destra lo scettro: e alla sinistra di lui si vedrà splendere il lampo. Il giovane Frisso sederà sulla parte anteriore del dorso del montone attenendosi graziosamente ad uno de’ corni del montone medesimo con una mano e coll’altro braccio cingendo il corpo di Elle. Egli guarderà con tenerezza e con dolce sorriso la sorella quasi in atto di farle coraggio. La giovinetta Elle si attaccherà col sinistro braccio al corpo di Frisso stringendosi fortemente ad esso anche con tutto il corpo in atto di paura. Stenderà il braccio destro e la mano con le dita aperte e raggrinzate verso la terra significando il timore.2 Volgerà pure gli occhi verso la terra medesima col viso pallidetto, e le labbra mezzo aperte per paura di precipitare. Frisso sarà nudo fuorchè con un poco di panneggiamento a piacere. Elle avrà una veste bianca semplicissima che ne scoprirà il nudo e sarà scherzata a piacere.3 L’uno e l’altra avranno i capelli e i panni svolazzanti per il movimento dell’aria, e similmente delle ghirlande di fiori disordinate, negligenti e svolazzanti sul capo. I Puttini, che rappresenteranno i venti, saranno in 1 degli] corr. su ‹delli› 2 il timore] il timore ‹di cadere.›

3 a piacere.] a piacere. ‹All’uno e all’altra›

76 giuseppe parini atto di maravigliarsi e d’indicarsi fra loro il montone, che corre per l’aria. Di alcuni di essi si vedrà solamente il volto che soffierà dalla bocca. N.B. Si restituisca questa carta all’Abate Parini. 3.13 Idea de’ sovraporti della Prima Stanza. Spade scudi elmi corazze dardi turcassi ed armi di ogni genere antiche, con puttini che scherzano fra quelle, e le ornano e le spargono d’erbe e di fiori, e spe[ ] Si potrà prendere idea di quelle armi, e della loro vaga composizione dai trofei e dagli archi di trionfo antichi, come pure dalle cose di Giulio Romano, e di Polidoro da Caravaggio.* [Figg. 14, 15, 16, 17, 18, 19] 3.14 Per li piccoli scudi a chiaroscuro dei sovraporti nella prima stanza degli Arazzi. [esecuzioni non reperite] 1º. Cadmo,* che per comando dell’Oracolo va a fabbricare una città, dove un bue lo conduce. 1º. Soldato greco armato, con asta in mano, in atto di camminare seguitando un bue, il quale si rivolge col capo indietro, quasi per vedere se venga seguitato. 2º. Minerva, che anima Cadmo a combattere il Drago uccisore de’ suoi compagni. 3º. Cadmo che semina i denti del serpente. 4º. Giasone ammaestrato da Chirone. 5º. Pelia, che manda Giasone* alla conquista del vello d’oro. 6º. Nave degli Argonauti. 3.15 Cammei per la prima stanza degli Arazzi. [esecuzioni non reperite] I quattro cammei superiori rappresenteranno i quattro Dei principali, cioè Giove, Apollo, Mercurio e Bacco.

soggetti per artisti 77 Giove avrà il diadema in capo, le folgori in mano, e l’aquila ai piedi. Apollo avrà in mano la lira. Mercurio avrà l’ali al capo ed al piede e il caduceo in mano. Bacco sarà un bel giovane svelto, col tirso in mano. I quattro cammei di mezzo rappresenteranno le quattro Dee principali, cioè Cibele,* Giunone, Diana, e Venere. Cibele avrà il capo coronato di torri, ed un Lione accanto da lei regolato colle redini. Giunone avrà il diadema in capo, lo scettro in mano, ed un fanciullo con le ali di farfalla accanto, il quale soffiando aria dalla bocca rappresenterà uno de’ venti. Diana* avrà la mezza luna in capo, un lungo dardo in mano, e un cane levriero accanto legato col guinzaglio. Venere* con una mano avvicinerà al petto una colomba, e coll’altra accarezzerà Amore, che accanto di lei le presenterà una freccia. I quattro cammei inferiori rappresenteranno i quattro principali semidei, cioè Ercole, Teseo,* Perseo,* e Minos.* Ercole avrà la pelle del Lione, e la clava. Teseo avrà un’asta in una mano, e dall’altra gli penderà un lungo filo. Perseo avrà uno scudo sul braccio sinistro, e nella destra il teschio di Medusa. Minos avrà la barba al mento; e terrà nelle due mani un’urna. 3.16 Medaglia per la Seconda Stanza degli Arazzi. Giove fulminante. Giove, nel mezzo, e più elevato, in atto di scagliare i fulmini assiso su di una nuvola, coll’aquila a’ piedi di lui, avente i fulmini negli artigli. La Giustizia su di una nuvola alla sinistra di Giove, che lo riguarda fissamente, e tiene un piede sopra di una rota. Un Puttino con un regolo in mano, alla sinistra della Giustizia. Alla destra di Giove vicino all’aquila1 scorgonsi dei Puttini, che stanno fra Giove medesimo e le tre Grazie. 1 all’aquila] corr. su l’aquila

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giuseppe parini Esse Grazie in1 certa distanza da Giove,2 coricate sopra le nuvole, ed atterrite alla vendetta di Giove, e quasi in atto d’impedirla se potessero.3 L’intervento delle Grazie giova a provare che la Giustizia debb’essere graziosa e moderata più che si possa. La distanza, in cui sono collocate le Grazie stesse lungi da Giove fulminante dimostra, che la Grazia non dee però nuocere alla Giustizia. Giove: il più bello Dio che si possa;4 di forme grandi; con una maestà e spezie di riposo anco fra l’ira, con panneggiamento5 grandioso. La Giustizia: giovane matura di forme severe; con intero panneggiamento. Le tre Grazie: con poco panneggiamento libero. [Fig. 20] 3.17 Soggetti per li sovraporti a bassorilievo della Seconda Stanza degli Arazzi per il Sig.r Trabalesi. 1. Il Re Fineo* istruisce Giasone intorno alla navigazione a Colco. Lido del mare dove seduto sopra una pietra si vede un Re con fisonomia ed atteggiamento da cieco in atto di parlare ad un giovane guerriero, che sta riverentemente in piedi davanti a lui. Dietro al Re si veggono in piedi alcuni cortegiani: e dietro al Guerriero un drappello d’altri soldati. Dalla parte del Re vola in alto un’Arpia; e dalla parte de’ soldati si vede la prora d’una nave approdata. [Fig. 21] 2. Giasone domanda al Re Eeta* il Vello d’oro. Parte di palazzo, dove siede un Re sul trono in atto collerico, e minaccioso. Guerriero ardito dinanzi a lui, in atto di metter la mano alla spada, minacciando d’ottener per questo mezzo ciò, che gli vien negato. A’ piedi del trono e vicina al Re giovane donna, che mostra di guardare con grandissimo interesse il Guerriero. Dalla parte del Re cortigiani e guardie. Dalla parte del guerriero drappello d’armati. [Fig. 22] 3. Giasone ritorna in Tessaglia col Vello d’oro. 1 3 4 5

in] in ‹qualche› 2 Giove,] Giove, ‹stanti sopra› potessero.] potessero. ‹Il che giova a provare› si possa;] si possa, ‹con una maestà› panneggiamento] panneggiamento ‹maestoso›

soggetti per artisti 79 Piazza, a un lato della quale si vede seduto sopra d’una bassa sedia il vecchio, e decrepito Re Esone,* che tenta d’alzarsi per abbracciare un giovane guerriero, cioè Giasone, il quale pieno di tenerezza corrisponde. Vicino a Giasone drappello di guerrieri i quali portano alzato sopra un asta il Vello d’oro. Dall’altra parte ara con vittima e sacerdote in atto di sagrificare; all’intorno popolo, che alza le mani al cielo in segno d’allegrezza e ringraziamento. [Fig. 23] 4. Medea fa ringiovanire Esone.* Altare con fiamme accese, e sopra di esso una pentola. Giovane donna scapigliata, che con un ramo d’ulivo rimesta nella pentola stessa. A pie’ dell’altare giace languente sul suolo un decrepito Re. Dall’altro lato e in distanza da questo gruppo guerrieri e popolo spettatore con atti di meraviglia. [Fig. 24] 5. Tripode, o altare con pentola che vi bolle; ariete che scherza vicino ad esso; giovane donna scapigliata a lato all’altare in atto d’incoraggire altri, o qualche strana intrapresa. Nel mezzo vecchio Re caduto sul suolo, e fanciulle in atto di trucidarlo con pugnali, e con spade. All’altro lato popolo spaventato o inorridito. [Fig. 25] 6. Medea sta per avvelenare Teseo. Un guerriero rappresentante Teseo sta in atto d’accostarsi alle labbra una tazza di liquore avvelenato. Il vecchio Re di lui padre alza la sinistra per impedirlo, e colla destra prendendo la spada minaccia furiosamente d’investire Medea. Questa si ritrae imperterrita, ed alza la destra armata di una verga, quasi per invocare a proprio favore la forza degl’incantesimi. Popolo spettatore. [Fig. 26] Questi soggetti saranno dipinti a chiaro scuro fingente rilievo. Vi sarà conservata la semplicità, il carattere, il costume del vestiario, delle armature, e di tutta la decorazione greca. Per maggiore informazioni [sic] de’ soggetti si possono vedere le Metamorfosi di Ovidio lib. 7. 3.18 Cammei per la Seconda Stanza degli Arazzi. [esecuzioni non reperite] I dodici cammei* rappresenteranno dodici degli Eroi, che meritarono d’esser collocati in Cielo al pari di Giasone.

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giuseppe parini I quattro cammei superiori rappresenteranno Chirone, Aristeo,* Esculapio,* Giano.* Chirone sarà un centauro con un mazzo d’erbe in una mano, ed un arco nell’altra. Aristeo. Giovane nudo con bastone da pastore in mano, un teschio di bue al piede, intorno al quale vola una quantità d’api. Esculapio. Uomo adulto barbato, con lunga veste ed un serpe in mano. Giano. Uomo adulto barbato con due facce, corona e manto reale. Avrà nella destra una chiave, nell’altra mano un bastone. Quattro cammei di mezzo rappresenteranno Bacco con Arianna, Ercole con Deianira,* Castore con Polluce,* Romolo con Ersilia.* Bacco.* Bel giovane svelto, nudo, coronato d’uve. Con una mano terrà il tirso, e coll’altra abbraccerà Arianna.* Questa sarà una bella giovane vestita. Ercole. Sarà ammantato della pelle del Lione. Terrà in una mano la clava, e coll’altra abbraccerà Dejanira. Questa sarà una bella giovane vestita, con diadema reale in fronte. Castore e Polluce saranno due bei giovani, l’uno a lato dell’altro, nudi, e ciascuno con un’asta in mano. Romolo. Giovane armato d’asta e di scudo, abbracciato con Ersilia, vestita ed ornata di diadema. Dietro ad essi si vedrà giacere una Lupa. I quattro cammei inferiori rappresenteranno Teseo, Perseo, Minos, ed Enea. Teseo armato da guerriero con spada nella destra, e dall’altra mano gli penderà un lungo filo. Perseo avrà due picciol ale a ciascun piede, lo scudo in braccio, la spada al fianco, e nella destra il teschio di Medusa. Minos. Uomo adulto barbato, con abito lungo. Terrà un’urna colle due mani. Enea.* Uomo adulto armato da guerriere in atto di camminare seguitando due colombe, che volano innanzi a lui. Sei altri cammei. Due di fig. 2. o un puttino, e quattro d’una sola fig. Anfione. Bellerofonte.* Radamanto.* Eaco* Radamanto. Bellerofonte. Trittolemo.*

Fig. 14. Martin Knoller, Puttini con arco. Palazzo di Corte.

Fig. 15. Martin Knoller, Puttini con turcasso. Palazzo di Corte.

Fig. 16. Martin Knoller, Puttini con spada, elmo e scudo. Palazzo di Corte.

Fig. 17. Martin Knoller, Puttini con armi e fiori. Palazzo di Corte.

Fig. 18. Martin Knoller, Puttini con armatura. Palazzo di Corte.

Fig. 19. Martin Knoller, Puttini con elmo. Palazzo di Corte.

Fig. 20. Angelo Monticelli, Giove fulminante. Palazzo di Corte [affresco gravemente danneggiato durante i bombardamenti dell’agosto 1943].

Fig. 21. Giuliano Traballesi, La partenza di Giasone. Palazzo di Corte.

Fig. 22. Giuliano Traballesi, La richiesta del vello d’oro. Palazzo di Corte.

Fig. 23. Giuliano Traballesi, Il ritorno di Giasone. Palazzo di Corte.

Fig. 24. Giuliano Traballesi, Medea ringiovanisce Esone. Palazzo di Corte.

Fig. 25. Giuliano Traballesi, L’uccisione del vecchio Re. Palazzo di Corte.

Fig. 26. Giuliano Traballesi, Medea cerca di avvelenare Teseo. Palazzo di Corte.

Fig. 27. Martin Knoller, L’apoteosi di Giasone. Palazzo di Corte.

Trittolemo. Ulisse. Eaco.

soggetti per artisti Ulisse. Anfione. Calai e Zete* Cecrope* Numa.* Prometeo.*

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3.19 Soggetto per la medaglia della terza Stanza. I Principi, che con grandi intraprese beneficano gli uomini, e favoriscono il commercio delle nazioni, acquistano eterno nome. Giasone, per avere tra i primi aperta la navigazione ed acquistato il vello d’oro, viene dopo la sua morte collocato nel seno della Immortalità. Giasone* in forma d’un bellissimo, ma robusto giovane, pieno di contentezza nel viso sederà sopra le nuvole in atto d’essere abbracciato dalla Immortalità, e coronato dalla Gloria. Sotto di lui volerà a traverso la Fama sonando la tromba: e intorno ad esso voleranno dei Geni portando le di lui arme. Nella più lontana parte del cielo si vedrà accennata la Nave degli Argonauti, nella cui vela spiegata brilleranno tre stelle, che in1 linea diagonale la taglieranno dalla destra di essa alla sinistra.2 Giasone sarà nudo, se non quanto la pelle dorata del montone conquistata da lui, gli penderà graziosamente dalle spalle al petto, e quindi alla coscia. Terrà arditamente un’asta nella destra mano, ed appoggerà negligentemente la sinistra al timone d’una nave: guarderà soavemente in viso alla Immortalità. Questa, riccamente vestita e in figura d’una bella e grave matrona, sarà in atto di cingere graziosamente col suo braccio destro Giasone, ed appoggerà la mano sinistra sopra un anello d’oro appoggiato sul di lei ginocchio. La Gloria, in forma d’una bellissima giovane nuda fino alla cintura, e il resto coperta di un ricco panneggiamento, sostenuto da un cingolo prezioso d’oro e di gemme, sarà in atto d’imporre con una mano una corona d’alloro sopra il capo di Giasone, e nell’al1 in] corretto su 2 alla sinistra.] alla sinistra. ‹Giasone guarderà›

82 giuseppe parini tra mano terrà una piccola statuina rappresentante una donna semplicemente vestita che terrà nella destra1 una ghirlanda, nell’altra una palma. La Gloria starà meglio in piedi. La Fama,* che volerà a traverso nella parte inferiore della composizione, sarà una giovane leggerissimamente vestita, con due grandi ali bianche. Sonerà una tromba, e terrà nella sinistra un ramo d’ulivo. I Genj, che saranno vagamente introdotti, porteranno quale una spada, quale un elmo, quale uno scudo. Alcuni di loro potrebbero anche sostenere un picciolo albero di nave colla vela gonfiata dall’aria, qualora però ciò possa far grazioso effetto nella composizione. Le tinte dominanti della composizione saranno allegre e ridenti; e intorno al gruppo principale saranno sparse di molta luce. [Fig. 27] 3.20 Idea de’ sovraporti per la terza Stanza. Tripodi scuri, vasi antichi d’ogni genere, con puttini che scherzano fra essi, e gli ornano d’erbe e di fiori. Si potrà prender idea delle armi e dei vasi e della loro composizione dai trofei e dagli archi di trionfi degli antichi, come pure dalle cose di Giulio Romano e di Polidoro da Caravaggio. N.B. Questa carta si restituisca all’Ab.e Parini [Figg. 28, 29, 30, 31, 32] 3.21 Cammei per la terza Stanza degli Arazzi. [esecuzioni non reperite] 1. Quattro Baccanti, ciascuna in atto di sonare un diverso strumento antico, come crotali, cembali sistri, flauti ecc. 2. La Virtù.* 2. Donna armata coll’asta nella destra, e il mondo nella sinistra. 2. L’Onore.* 2. Bel giovane con veste lunga e leggiera, petto nudo, capelli bene intrecciati, corona di lauro in mano, ed elmo ai piedi. 1 nella destra] nella destra … Aveva scritto sostituito con nella

soggetti per artisti

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2. La Pace.* 2. Donna vestita a lungo1 con un ramo d’ulivo nella destra, e la cornucopia nella sinistra. 2. La Vittoria.* 2. Donna alata, vestita a lungo con una palma in mano. 3. L’Agricoltura. 2. La Dea Cerere che siede mezzo nuda, coronata di spiche, con stromenti d’agricoltura vicini a sè, ed un puttino, che tiene una sfera armillare. 2. La Popolazione. 2. La Dea Venere che siede tenendosi colle mani al petto due colombe che si baciano. Amorino, che tiene una face accesa. 2. Le Lettere. 2. Il Dio Apollo, che siede tenendosi la Lira sulle ginocchia. Puttini che spiegano de’ rotoli di libri innanzi a lui. 2. Le Arti, e il Commercio. 2. Il Dio Mercurio, che siede col caduceo in mano. Puttini, che gli presentano un mappamondo. 4. Quattro teste a piacere d’uomini o donne giovani, coronate di pampini, o d’ulivo, o d’alloro, o di fiori. 3.22 Per li piccoli Scudi a chiaroscuro* della terza stanza degli Arazzi. [non eseguiti] 1º. Cadmo, che per comando dell’Oracolo va a fabbricare una città, dove un bue lo conduce. 1º. Soldato Greco armato, con asta in mano, in atto di camminare seguitando un bue, il quale si rivolge col capo indietro, quasi per vedere se venga seguitato. 2º. Minerva, che anima Cadmo a combattere il Drago uccisore de’ suoi compagni. 3º. Cadmo che semina i denti del serpente. 4º. Giasone ammaestrato da Chirone. 5º. Pelia, che manda Giasone alla conquista del Vello d’oro. 6º. Nave degli Argonauti.

1 a lungo] a lungo ‹colle palme›

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giuseppe parini

3.23 Soggetto per la medaglia della sala d’udienza di S.A.R. [esecuzione non reperita] Il Ritorno d’Astrea.* Finsero gli Antichi, che al tempo di Rea,1 moglie di Saturno,2 e Madre di Giove, la quale fu poi chiamata Cibele, la Madre degli Dei, la Buona Dea3 ecc., vivessero4 gli uomini nello stato d’innocenza e di felicità, onde il Secolo di Saturno o di Rea ebbe nome di Secolo d’oro.5 Allora la terra6 fu abitata da Astrea, nella quale gli stessi antichi intendevano di rappresentar7 la Giustizia. Ma, cominciate le sceleraggini de’ mortali, questa Dea gli abbandonò fuggendosene al cielo. Su8 tale favola appoggiati i Poeti, qualora desiderarono fra gli uomini la Giustizia,9 figuratamente pregarono che Astrea facesse ritorno fra loro.10 Il momento di questo11 allegorico ritorno sarà adunque rappresentato nella seguente12 Medaglia. Nella più alta parte del cielo si vedrà seduta la Buona13 Dea in atto di congedare amichevolmente14 Astrea, da lei riconceduta alle preghiere degli uomini. A lato di quella15 starà Giove ancor16 giovinetto ed imberbe, guardando teneramente in viso alla Madre, e mostrando soddisfazione di quanto ella fa. Più sotto vedrassi Mercurio, che conduce per mano Astrea discendendo verso la terra; e che guardando e parlando ad altre figure; poste nella parte più bassa, accenna loro che s’alzino,17 e si rallegrino.18 Queste fi1 A: Rea,] Rea, ‹madre di Giove› 2 A: Saturno,] Saturno, ‹e› 3 C: la Buona Dea] o la Bona Dea. 4 A: Cibele, la Madre degli Dei, la Buona Dea ecc., vivessero] Cibele o la Buona Dea vivessero 5 A: d’oro.] dell’oro. ‹Allora fu che Astrea, nella quale gli stessi antichi intendevano di rap.› 6 A: Allora la terra] Allora fu che la terra 7 C: rappresentar] rappresentare. 8 A: Su] Su ‹questa› 9 A: qualora desiderarono fra gli uomini la Giustizia,] qualora vollero invitar gli uomini alla giustizia, 10 A: fra loro] fra questi 11 di questo] C: d.º - A: di un tale 12 A: seguente] presente 13 C: Buona] Bona. 14 A: di congedare amichevolmente] di dare amichevolmente congedo ad 15 A: di quella] di lei 16 A: ancor] ancora 17 C: s’alzino] si alzino 18 A: Mercurio, […] si rallegrino.] Mercurio in atto di condurre per mano Astrea ‹verso› la terra, e di accennare che si alzino, e si rallegrino altre ‹persone› figure, le quali si vedranno nella parte più bassa.

soggetti per artisti 85 gure saranno tre, e rappresenteranno le Preghiere de’ mortali personificate nell’Iliade d’Omero.1 Cibele o la Buona2 Dea significherà nella fisonomia e nell’atteggiamento la più grande compiacenza. Avrà3 una veste sparsa di fiori, una torre in capo, e a canto a sè4 posati sopra la nuvola un disco ed una chiave, tutti antichi simboli di lei. Potrà anche tenere in vece5 la chiave nella destra,6 purchè ciò non impedisca o deformi l’atto dello7 stender8 le braccia e le mani per congedare Astrea. Potrà parimenti, se così torna bene, esser seduta con Giove sopra una specie di trono dorato. Giove avrà la corona e lo scettro d’oro: nè9 avrà l’Aquila ancora; ma bensì i fulmini nella destra in atto di ritirarli, e quasi di nasconderli.10 Astrea, scendendo per lo cielo condotta da Mercurio, avrà11 una benda su gli occhi e le bilance in una mano, e mostrerà di parlar dolcemente12 con Mercurio stesso. Questo Dio con gli sguardi, col13 viso ridente, e con la bocca aperta esprimerà, quanto è possibile, l’atto di recar delle14 felici novelle alle tre donne collocate15 inferiormente, e rappresentanti le Preghiere.* Saranno esse situate sopra una nuvola, la quale sembrerà essere spinta violentemente all’insù. Vestite16 di colori lugubri,17 coi capegli18 sparsi, e colle lagrime agli occhi, terranno dei rami d’ulivo19 in mano, simbolo de’ supplicanti.20 Avranno a canto21 di sè dei vasi fumanti d’incenso; e il fumo sembrerà salire colla stessa violenza che la nuvola. Mostreranno diverse età. Una di loro sarà genuflessa, e prostrata 1 A: personificate nell’Iliade d’Omero,] personificate da Omero 2 C: Buona] Bona. 3 A: Avrà] Buona Dea avrà 4 A: a sé] di sé 5 in vece] agg. in interl.; non figura in C. 6 A. la chiave nella destra,] anche avere il disco nella sinistra mano, e la chiave nella destra 7 A: dello] di 8 C: stender] stendere 9 né] C: non - A: aveva scritto: Giove ‹non› avrà l’Aquila 10 A: nasconderli] nasconderli ‹dietr.› - ‹dopo› 11 A: Astrea, scendendo per lo cielo condotta da Mercurio, avrà] Astrea e Mercurio saranno in atto di ‹volare› scendere amendue giù per lo cielo. Astrea avrà 12 dolcemente] dolcemente ‹seguono parole canc. ill.› 13 C: col] con 14 A: Mercurio […] recar delle] Mercurio. Questo dio col viso ridente ‹mostrerà› e colla bocca aperta mostrerà di alzar la voce quasi per dar delle 15 A: collocate] poste 16 A: Vestite] Queste ‹saranno› vestite 17 A: lugubri,] lugubri, ‹e› 18 C: capegli] capelli corr. su ‹capegli› 19 A: d’ulivo] di ulivo 20 A: supplicanti] supplicanti ed agg. in interl. ed 21 C: a canto] accanto

86 giuseppe parini sulla nuvola col1 viso quasi tutto coperto2 del proprio manto. Un’altra3 sarà in atto d’alzarsi in piedi quasi risvegliata ed attonita alla voce di Mercurio, ed alla vista d’Astrea. La4 più adulta di loro sarà già sorta in piedi, esprimendo5 a tale6 vista la più grande consolazione, e stendendo le braccia in atto d’accoglienza e di ringraziamento.7 Il cielo sarà lieto e luminoso dalla parte donde viene Astrea: e all’incontro la parte inferiore della nuvola, che porta le Preghiere sarà d’un oscuro terribile come di tempesta, in quel modo però che all’economia del Pittore sarà permesso di fare. Potrà pure la parte più alta dello stesso cielo esser8 tagliata leggiermente dal9 Zodiaco; avvertendo che siano posti in maggior vista gli spazi, ove dovrebbero essere la Vergine e la Libbra. Questi due segni vi mancheranno affine di significare la partenza d’Astrea da quel luogo, dove era stata collocata dopo il Secol10 d’oro. Così sarà rappresentata la Giustizia ridonata alle Preghiere degli uomini dalla provvidenza della Buona11 Dea, e di Giove. Tutto questo si dà per suggerimento, e non per legge al Pittore. 3.24 Soggetti per i medaglioni della terza stanza degli Arazzi. [non eseguiti] 1. Puttini che scherzano. Uno coronato d’alloro suona una tromba. Altro calza un coturno affettando un viso severo. Altro che ride, fingendo di mettersi una maschera comica al viso. 1 A: d’incenso, […] sulla nuvola col] d’incenso. Una di ‹queste› loro starà genuflessa e quasi boccone sulla nuvole, col 2 C: quasi tutto coperto] quasi coperto 3 A: manto. Un’altra] manto, un’altra 4 C la] la ‹maggiore› 5 A: La più adulta di loro sarà già sorta in piedi, esprimendo] La terza sarà già sorta in piedi mostrando 6 C: a tale] in tal 7 A: aggiunto nel margine inferiore: ‹In una parte del cielo› Il cielo potrà esser tagliato leggermente dalla fascia del Zodiaco, avvertendo che siano posti in maggior vista i luoghi dove dovrebbero essere la Vergine, e la (continua nella pagina seguente, in alto) Libbra, ‹per significare› senza che vi siano questi segni, affine di significare, che Astrea colle sue Bilance è ‹ritornata in terra dal cielo› ripartita da quella parte del cielo, dove era stata collocata al suo ritorno colà, dopo la fine del secol d’oro. (si ritorna nel testo) Il resto della decorazione analogo al soggetto secondo il gusto del Pittore. Così sarà rappresentata la Giustizia ridonata alle Preghiere degli uomini per opera della Buona Dea, e di Giove. 8 C: esser] essere 9 C: dal] dallo 10 C: Secol] secolo 11 C: Buona] Bona

2. 3. 4. 5. 6.

soggetti per artisti 87 Piccoli fauni. Un d’essi suona una siringa, un canta, un salta. Puttini. Un d’essi seduto appiè d’un pezzo di colonna,1 maneggiando stromenti d’architettura. Altri due s’affaticano per ismovere un capitello. Un fauno, che suona un flauto, ed altri due o tre, che saltano. Piccol Genio alato che finisce di scolpire il busto d’un Tito. Puttino che guarda il busto in atto di venerazione. Altro2 seduto che maneggia stromenti della scoltura. Puttino seduto tutto serio in atto di farsi ritrarre. Altro, che descrive3 con uno stile i contorni del di lui volto sopra la parete.4 Piccol Genio alato in atto di recare un trofeo dagli stromenti della pittura al puttino che dipinge.

3.25 Figure per i Sopraporti della Sala d’Udienza. La Giustizia vuol essere accompagnata dalla Clemenza, dalla Discrezione, dalla Prontezza, dalla Fermezza, dal Premio, e dal Gastigo. Queste Figure saranno distribuite nell’ordine e nella corrispondenza seguente. Clemenza.* Discrezione.* Premio.* Castigo.* Fermezza.* Prontezza.* La Clemenza. [esecuzione non reperita] Donna giovane di fisonomia amabilissima, con manto o velo bianco, che tiene fra le ginocchia i Fasci Consolari, in atto d’inserirvi un ramo d’ulivo. La Discrezione. Donna adulta con veste o manto tirante al pavonazzo, che tien pendente nella destra un regolo, in atto di considerare. [Fig. 33]

1 colonna,] colonna, con 2 Altro] Altro ‹che suona› 3 descrive] descrive ‹i conto›[rni] 4 Altro, che descrive con uno stile i contorni del di lui volto sopra la parete.] Altro che sta osservando. Trofeo degli stromenti della pittura

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Il Premio. Bel Giovane1 di fisonomia ridente, appoggiato col gomito ad una cornucopia, dalla quale escono medaglie, insegne d’ordini cavallereschi ecc.2 con manto o velo bianco ornato d’oro, in atto di tessere una ghirlanda di foglie di quercia. Giacciono vicino a lui delle altre corone già formate, e dei rami di palma e d’alloro. [Fig. 34] Il Gastigo. Giovane di fisonomia malinconico, dolcemente appoggiato ad una scure consolare, in atto di raccogliere di mala voglia da terra uno stafile. Avrà un manto o velo di colore oscuro. [Fig. 35] La Fermezza. Donna grave, di membra robuste, appoggiata solidamente col gomito ad una base quadrata, e tenendo forte colla destra un’ancora. Panneggiamento azzurro ricamato a stelle d’argento. [Fig. 36] La Prontezza. Donna alata, di fisonomia vivacissima, che appoggia una mano al suolo in atto d’alzarsi con gran sollecitudine, e tiene nella destra un polverino, a cui guarda attentamente. Panneggiamento rosso. [Fig. 37] 1. bianco. 2. pavonazzo. 3. bianco e oro. 4. scuro. 5. azzurro e argento. 6. rosso. Clemenza bianco. Discr. pavonazzo. Gastigo scuro. Premio, bianco e oro. Fermezza azzurro e arg. Pront. rosso. 1 Bel Giovane] Bel Giovane ‹con manto o velo bianco ornato d’oro, in atto di tessere una› 2 La frase appoggiato col gomito ad una cornucopia, dalla quale escono medaglie, insegne d’ordini cavallereschi ecc […] è aggiunta alla fine del brano; ad essa l’autore rinvia con una crocetta

Fig. 28. Martin Knoller, Puttini con vasi antichi. Palazzo di Corte.

Fig. 29. Martin Knoller, Puttini con vasi antichi. Palazzo di Corte.

Fig. 30. Martin Knoller, Puttini con vasi antichi. Palazzo di Corte.

Fig. 31. Martin Knoller, Puttini con vasi antichi. Palazzo di Corte.

Fig. 32. Martin Knoller, Puttini con vasi antichi. Palazzo di Corte.

Fig. 33. Martin Knoller, La Discrezione. Palazzo di Corte.

Fig. 34. Martin Knoller, Il Premio. Palazzo di Corte.

Fig. 35. Martin Knoller, Il castigo. Palazzo di Corte.

Fig. 36. Martin Knoller, La Fermezza. Palazzo di Corte.

Fig. 37. Martin Knoller, La Prontezza. Palazzo di Corte.

Fig. 38. Martin Knoller, Il giudizio di Paride. Taxispalais (Innsbruck).

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4 Il giudizio di Paride:* dal Palazzo di Corte a Taxispalais [1780] Per servire alla comodità di rappresentare questo soggetto di sotto in su, potrebbe il Pittore idearlo a un di presso nel seguente modo. Sopra la cima del monte Ida si vedrà seduto il pastorello Paride,* in atto d’avere allora allora1 terminato il celebre Giudizio, e tutto per anco assorto e rapito nella contemplazione della bellezza di Venere.2 Questa Dea gli starà dinanzi3 ancora ignuda e ritta in piedi, in atto di tener seco un lusinghiero discorso e di promettergli4 conveniente premio della sentenza data a suo favore. Nell’una mano terrà ella il Pomo a lei conceduto, e coll’altra5 farà dei cenni accompagnanti il discorso medesimo. In disparte a lato della Dea si vedrà riposar sul monte il di lei carro presentato in iscorcio: e sopra il timone di questo scherzeranno baciandosi le due colombe. All’altro lato di Paride, la Dea Pallade leggermente6 vestita starà in atto di risalir con precipizio sul suo carro, brandendo l’asta, e ricogliendo7 nello stesso tempo di8 terra il proprio scudo. Intanto volerà per il9 cielo il carro di Giunone, portandone questa Dea, la quale si volgerà indietro, minacciando fieramente col dito il giovanetto10 Paride. Ella non terrà le redine11 de’ suoi Pavoni, ma saranno queste abbandonate in mano della Discordia, la quale se ne andrà innanzi gridando, e scotendo12 coll’altra mano la13 face sanguigna. Venere mostrerà quanto è mai possibile la voluttà, la consolazione, e il trasporto della vanità soddisfatta. Paride presenterà massimamente negli occhi tutto l’innebriamento e la commozione dell’animo e dei sensi. Nel volto di Pallade compa1 B: allora allora] allora 2 B: assorto e rapito nella contemplazione della bellezza di Venere.] astratto e rapito nella contemplazione di Venere. 3 B: dinanzi] innanzi 4 promettergli] promettergli ‹un› 5 B: coll’altra] con l’altra 6 B: leggermente] leggiermente 7 B: ricogliendo] raccogliendo 8 B: di] da 9 B: per il] pel 10 B: giovanetto] giovinetto 11 B: redine] redini 12 B: scotendo] scuotendo 13 la] la ‹sua›

90 giuseppe parini rirà uno sdegno nobile e grande, ma che, per superbia, tenta quasi di comprimersi e di tenersi celato. Volgerà ella le spalle agli altri due nell’atto di montar sul suo carro, per la posizione del quale mostrerà di voler1 tenere un cammino opposto a quello di Giunone. Quanto maggior fuoco si potrà mettere nell’atteggiamento di questa Dea, tanto sarà più bello, e più convenevole alla circostanza. Nel volto e nello atteggiamento di Giunone poi si vedranno i trasporti della collera portati fino a quel grado, che non offendano la bellezza, e non cadano nella caricatura o nel manierato. La Discordia sarà rappresentata secondo il costume e il carattere, quasi malignamente godendo dell’esito delle sue intraprese, ma non però deforme nel volto nè manierata. La parte del cielo più vicina al monte sarà d’un tranquillo e ridente sereno: ma le nuvole, per le quali camminerà il carro di Giunone, sembreranno gravide di tempesta, e scoppianti di fulmini. Si potrà2 poi, senza però offender3 la semplicità e la chiarezza della composizione, mettere a canto di Paride qualche cane, o altre insegne pastorali, come anche altre4 simili cose secondo la natura del soggetto, e ad5 arbitrio del Pittore. [Fig. 38] 1 B: mostrerà di voler] mostrerà voler 2 B: Si potrà] E potrà 3 B: offender] offendere 4 B: altre] altro e 5 B: ad] all’

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5 [Palazzo Greppi] [1780] 5.1 Soggetti per la pittura della Stanza di Ricevimento. Per la Medaglia. Sotto l’allegoria delle Tre Grazie* intesero gli antichi di significare que’ modi delle nostre azioni fisiche o morali, i quali, indipendentemente dall’azione stessa, prevengono ed obbligano gli animi altrui a nostro favore. Le diedero poi per compagne, non solo a Venere, ad Apollo, alle Muse; ma anche a Mercurio, perchè, essendo egli Dio dell’Eloquenza, del Commercio, e Messaggero di Giove, i detti modi convengono massimamente a chi parla, ed a chi tratta gli affari. Significarono anche con questa allegoria l’Amicizia,* e i dolci legami, ed ufici di quella, come pure i benefici fatti, e la gratitudine e i ringraziamenti. Queste idee sembrano convenire al padrone, ed alla stanza di Ricevimento. Soggetto. Si rappresenteranno le tre Grazie con piacevole ed armoniosa composizione1 coricate sopra le nuvole. Secondo il loro carattere si terranno vagamente collegate, appoggiandosi, accarezzandosi, o abbracciandosi l’una l’altra. Tutte e tre avranno il viso il più lieto, e il più gentilmente ridente, che si possa: tutte e tre con diverso modo di attenzione e di affetto guarderanno a Mercurio, come per ascoltare qualche cosa2 d’interessante, ch’ei dirà loro. Mercurio starà un poco più3 abbasso delle Grazie: e dominerà principalmente nella composizione in modo però che non si distacchi di troppo dalle altre figure. Non sarà egli appoggiato sopra le nuvole, ma si sosterrà in aria da se stesso colla più grande leggerezza possibile.* Terrà nella sinistra mano il caduceo;* e stenderà la destra all’ingiù verso la porta per la quale si entra nella stanza, come 1 composizione] composizione ‹sopra le nuvole› 2 qualche cosa] qualche cosa ‹ch’ei› 3 più] agg. in interl.

92 giuseppe parini in atto d’accennare e di presentare alle Grazie i forestieri, che v’entrano. Nello stesso tempo volgerà dolcemente il viso alle medesime Grazie,1 quasi parlando loro colla bocca mezzo aperta e sorridente. Quando faccia bisogno per il miglior effetto della composizione, le tre Grazie potranno avere qualche poco di panneggiamento di veli bianchi e leggieri, e il Mercurio di panno rosso. Se poi giovasse qualche figura di più, potrà aggiugnersi un puttino o due che portino una cornucopia, e siano opportunamente collocati in vicinanza di Mercurio. Le Grazie saranno, o del tutto, o in gran parte nude. Saranno di forma e di atteggiamento tenero e gentile, benchè con diverso carattere. Il Mercurio sarà di figura e di movimento sveltissimo e leggiero. Avrà al capo ed a’ piedi le solite insegne proprie di lui. [Fig. 39] Soggetto per li sei Cammei. [non eseguiti] Siccome si è detto che le Grazie sono anche simbolo dell’Amicizia; così per accordare il soggetto de’ Cammei con quello della Medaglia principale, si rappresenteranno in essi tre coppie de’ più illustri amici, conosciuti nella Mitologia. In due de’2 cammei laterali contigui si rappresenteranno le teste d’Ercole e di Teseo. Negli altri due opposti, le teste d’Achille e di Patroclo. In uno dei due soli la testa di Pilade.* Nell’altro opposto la testa di Oreste. Ercole avrà in capo la testa della pelle del lione, e il resto della pelle si figurerà che cada sulle spalle. Teseo avrà il capo armato dell’elmo. Achille avrà il capo nudo3 con capelli lunghi, e fisonomia sdegnosa. Patroclo avrà l’elmo in capo, e fisonomia risoluta. Pilade avrà la fisonomia dolce, capo nudo e capelli lunghi. Oreste fisonomia malinconica, e capelli tagliati corti.

1 Grazie,] Grazie, ‹colla bocca› 3 capo nudo] capo ‹nudo› nudo.

2 In due de’] corr. in interl. su ‹Ne’›

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5.2 Salone. Medaglia della volta La Sapienza non rifiuta i piaceri della vita: ma ne usa con cautela, con delicatezza, e con moderazione. Ciò si rappresenta nel seguente soggetto. Minerva* Dea della Sapienza, deposto l’elmo e con una fisonomia temperata tra il dolce e il maestoso, sederà sull’alto d’una nuvola, tenendo fieramente l’asta nella destra mano, in segno d’esser sempre in guardia di se medesima. Starà ella in atto di chinarsi alquanto, facendo con due dita della sinistra mano una leggerissima carezza al mento di1 Cupido, il quale le vien presentato da Venere: e nello stesso tempo accennerà di volger piacevolmente lo sguardo a Bacco, che dall’altra parte le presenta una mezza coppa di vino. Cupido in piedi si accosterà a Minerva tutto rispettoso e quasi timido nel volto e nello atteggiamento; ma nondimeno con una fisonomia furba e disinvolta. Terrà egli nella destra mano abbassata un dardo colla punta rivolta allo indietro; ed alzerà la sinistra quasi tentando d’afferrar l’asta di Minerva. Venere col viso il più grazioso e ridente del mondo sederà più abbasso sopra la nuvola, accostando la sinistra al fianco di Cupido; e stendendo l’altra verso di Minerva, quasi ringraziandola, ch’ella si degni di fargli accoglienza. Bacco, nell’atto che presenta la coppa del vino a Minerva, le guarderà fisamente nel volto, quasi curioso d’indagare se ella lo accetterà volentieri. Nello stesso tempo colla sinistra mostrerà Como, Dio delle feste e de’ conviti, il quale, seduto inferiormente, starà pure attento all’azione di Minerva e delle altre Deità. Ai piedi di Minerva giacerà l’elmo e lo scudo, e sopra di essi la civetta, colla quale scherzeranno le colombe di Venere. Finalmente nella parte più bassa della rappresentazione si vedrà volar via a precipizio un piccol Genio con due ale come di fuoco, e una corona di rose in capo; ed un altro piccolo Genio non alato, e seduto sopra la nuvola, lo tratterrà a tutta forza con due redine ed un freno, Simbolo della Moderazione. Minerva sarà armata, non lasciando però di mostrar tutto il nudo che sia possibile, senza offesa del carattere di lei. Cupido sarà nudo affatto. Venere o del tutto nuda o quasi del tutto. 1 al mento di] corr. in interl. su ‹a›

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giuseppe parini Bacco avrà la figura d’un bel giovane, di carnagione un po’ rubiconda, coperto alquanto da una pelle di tigre, e una corona di pampini ed uve sul capo. Como sarà in forma d’un giovanetto leggiadro, con un berrettino di fiori in capo e sul corpo un poco di panneggiamento color di rosa, oppur verde. Alzerà colla destra una fiaccola accesa, circondata di fiori; e starà appoggiato colla sinistra ad una specie di palo. [Fig. 40] I sei bassirilievi del salone disposti secondo la corrispondenza che debbono aver fra loro a due a due. [realizzazione di G. Franchi] L’Abbondanza. Giove, che regala il corno dell’abbondanza alle Ninfe. 1. Giove siede sopra uno sgabello tenendo la corona in capo, le folgori nella mano sinistra abbassata, e consegnando colla destra una cornucopia ad alcune Ninfe, che gli stanno davanti in atto rispettoso. Giove e le Ninfe sono affatto nudi. A lato di Giove sta coricata in terra una capra,* alla quale manca un corno.* [Fig. 41] L’Ospitalità. Bauci e Filemone,* che danno albergo agli Dei. 2. Un uomo ed una donna d’età adulta con abiti greci stanno su l’ingresso d’una capanna in atto d’accoglier cortesemente due forestieri. Questi sono Giove e Mercurio incogniti, con abito greco corto da viandante e cappello in capo. Giove, ritirando la destra, accenna di nascondere i fulmini, e lo stesso fa Mercurio del caduceo. Questi non ha l’ali nè ai piedi, nè al capo. [Fig. 42] Il piacer moderato dà forza allo spirito, ed eccita alla virtù. Il Centauro Chirone, che dà a bere del vino al giovane Achille. 1. Il giovanetto Achille tutto nudo, mostrando la bella e forte disposizione del suo corpo, sta sonando una lira. Due o tre piccoli Fauni ballano e suonano dietro di lui. Chirone Centauro, coricatosi colle quattro gambe sul suolo, gli presenta una coppa di vino.* Ai piedi d’Achille giacciono un grand’arco, e la faretra. [Fig. 43] La totale astinenza dai piaceri degenera in furore. Penteo* Re di Grecia gastigato come persecutore di Bacco. 2. Penteo con gli abiti e la corona reale sta in atto di cadere assalito e lacerato da una donna parimenti in abiti e corona reale, e da tre

soggetti per artisti 95 o quattro Baccanti furiose, armate di tirsi, cioè di bastoni coronati di pampini. [Fig. 44] Debbonsi allontanar dai conviti e dalle feste gl’importuni e gl’incivili. Calai e Zete, che discacciano le Arpie.* 1. Due giovani, nudi, di figura sveltissima, colle spalle coperte di squame, con due ale di farfalla, ed armati di spada e scudo, mettono in fuga tre Arpie. Questi mostri hanno viso e braccia di donna, corpo, ale ed unghie d’avoltoio, orecchie d’orso. [Fig. 45] Debbonsi allontanar dai conviti e dalle feste i parasiti e i seduttori. Ulisse che discaccia i Proci divoratori del suo, e seduttori della moglie. 2. Ulisse in abito greco corto da viandante tende con molta forza un grande arco, accennando di scagliare un dardo1 contro tre o quattro uomini. Questi, vestiti in abito greco lungo, accennano di ritirarsi sbigottiti. Dietro ad Ulisse una bella donna in abito parimenti greco alza le mani e il viso al cielo in atto di ringraziarlo. [Fig. 46] N.B. Le figure di questi Bassirilievi vorrebbero esser disegnate e condotte quanto è possibile secondo la semplicità e il carattere de’ Bassirilievi antichi. Lapiti. Cianippo.* Peleo.* Licaone.* Arianna.* Arunticeo.* Atreo.* Baccanti. Circe. Femio.* Demodoco.* I due trofei Per il Sig. Giocondo [Albertolli] [1] Archi scudi cimieri faretre, aggruppati con lire, cembali, tibie ed altri stromenti musicali antichi, e legati con corone di quercia e mirto.* [Fig. 47] 1 dardo] corr. in interl. su ‹grande arco›

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[2] Volumi antichi, squadre, compassi, regoli ecc. aggruppati con vasi e tazze da bere1 e da profumi antichi, legati con corone di lauro2 e di rose. [Fig. 48] Gli altri quattro bassirilievi del salone. Si debbono allontanar dai conviti i rissosi. Le nozze de’ Lapiti.* Vasi ed arnesi da tavola rovesciati sul suolo. Il Centauro Eurito cade ferito nel capo, affaticandosi di ritenere ancor fra le braccia Ippodamia giovane principessa, da lui rapita, la quale stende le mani e chiede soccorso a Teseo. Questi accorre in atto di liberarla, minacciando di finire il moribondo Centauro con un gran vaso da bere, ch’ei tiene fra le mani. Se resta luogo, si potrà introdurre qualch’altro centauro che combatta con qualch’altro guerriero, con tazze e bacili in aria. [Fig. 49] Si debbono ammettere ai conviti le persone d’ingegno, atte a dilettarci utilmente. Il pranzo d’Alcinoo.* Alcinoo, e sua moglie Arete, in abito reale: siedono ad una tavola: ed Ulisse in abito guerriero vi siede pure in mezzo a loro. Alquanto distante dalla tavola e dirimpetto ad essi siede Demodoco, cieco Poeta, in atto di cantare e di sonar la cetra. Se si può, qualche figura di domestici, che servono alla tavola. [Fig. 50] L’abuso delle bevande rende gli uomini brutali. L’incanto di Circe.* Circe3 in forma di bellissima donna, e in abito principesco, tiene una coppa in mano, lusingando a bere uno de’ guerrieri compagni d’Ulisse.4 Questi rifiuta di bere, guardando tutto pieno di spavento tre o quattro altri guerrieri, che sono in atto di cambiarsi, qual più qual meno, in forma di cignali. [Fig. 51] 1 bere] bere 2 corone di lauro] corone di lauro 3 Circe] ‹Una bella donna, in abito principesco, tiene una coppa in mano, in atto di darla a bere a uno de’ compagni [in interlinea: a un guerriero] d’Ulisse. Tre o quattro altri guerrieri come in atto di trasfigurarsi› Circe 4 Ulisse.] Ulisse ‹; tre o quattro altri guerrieri sono in›.

Fig. 39. Francesco Corneliani, Mercurio, Minerva e le Arti. Palazzo Greppi.

Fig. 40. Martin Knoller, La Sapienza. Palazzo Greppi.

Fig. 41. Giuseppe Franchi, Giove e la cornucopia. Palazzo Greppi.

Fig. 42. Giuseppe Franchi, Bauci e Filemone. Palazzo Greppi.

Fig. 43. Giuseppe Franchi, Chirone e Achille. Palazzo Greppi.

Fig. 44. Giuseppe Franchi, Il re Penteo castigato. Palazzo Greppi.

Fig. 45. Giuseppe Franchi, Calai, Zete e le Arpie. Palazzo Greppi.

Fig. 46. Giuseppe Franchi, Ulisse discaccia i Proci. Palazzo Greppi.

Fig. 47. Giocondo Albertolli, Primo Trofeo. Palazzo Greppi.

Fig. 48. Giocondo Albertolli, Secondo Trofeo. Palazzo Greppi.

Fig. 49. Giuseppe Franchi, Le nozze dei Lapiti. Palazzo Greppi.

Fig. 50. Giuseppe Franchi, Il pranzo di Alcinoo. Palazzo Greppi.

Fig. 51. Giuseppe Franchi, L’incantesimo di Circe. Palazzo Greppi.

Fig. 52. Giuseppe Franchi, Pitagora. Palazzo Greppi.

Fig. 53. Giuseppe Franchi, Socrate. Palazzo Greppi.

Fig. 54. Giuseppe Franchi, Anacreonte. Palazzo Greppi.

Fig. 55. Giuseppe Franchi, Orazio. Palazzo Greppi.

Fig. 56. Giuseppe Franchi, Mecenate. Palazzo Greppi.

Fig. 57. Martin Knoller, Ebe sostituita. Palazzo Greppi.

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La temperanza nell’uso de’ cibi è salubre e ragionevole. Pitagora.* Capretti ed agnelli uccisi giacciono sul suolo. Alcuni giovani ascoltano attentamente il parlare d’un vecchio venerabile in abito filosofico. Questi presenta loro con una mano degli erbaggi e dei frutti, indicando con l’altra dell’orrore per quelli animali uccisi. [Fig. 52] N.B. Tutti i dieci Bassirilievi vorrebbero essere ordinati nella seguente serie e corrispondenza. 1. L’Abbondanza 2. L’Ospitalità. 1. Il Centauro Chirone. 2. Penteo ecc. 1. L’Incanto di Circe. 2. Pitagora. 1. Calai e Zete. 2. Ulisse che discaccia i Proci. 1. Le nozze de’ Lapiti. 2. Il Pranzo d’Alcinoo. Gli otto cammei del salone disposti secondo la corrispondenza, che debbono aver fra loro a due a due. [per G. Franchi] Otto de’ Personaggi più illustri dell’Antichità, che seppero congiugner la sapienza con l’uso de’ piaceri della vita. 1. La Testa di Socrate, con questa Iscrizione Greca: ™OKPAT. [Fig. 53] 2. La Testa di Cicerone, con questa Iscriz. Latina: cicer. [non eseguito]. 1. Di Anacreonte. Iscriz. Grec. anakp. [Fig. 54] 2. Di Orazio. Iscriz. Lat. horat. [Fig. 55] 1. Di Cimone. Iscriz. Grec. kimon [non eseguito]. 2. Di Mecenate. Iscriz. Lat. maecen. [Fig. 56] 1. Di Aristippo. Iscriz. Grec. API™TI¶ [non eseguito]. 2. Di Pomponio Attico. Iscriz. Lat. pomp. att. [non eseguito]. N.B. Converrà che il Pittore consulti i libri di Medaglie* e d’antichità per ricopiarne le indicate Teste al naturale.

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5.3 Soggetto per la stanza del Caffè. Il dopopranzo di Giove o sia Ganimede sostituito.1 La Rappresentazione sarà composta di Giove, di Ebe* Dea della Gioventù, di Ganimede,* e di alcuni piccoli Genj. Giove sederà nel mezzo, o sopra le nuvole, o sopra una sedia mezzo ascosta fra queste. Alla sinistra, un poco2 innanzi di lui, e col viso3 rivolto4 verso lo spettatore, si vedrà Ebe in atto di cadere impedita casualmente da un lembo della veste, venutogli sotto ai piedi. Porterà ella una mano verso il suolo tentando di sostenersi, e da una coppa, che terrà nell’altra mano verserà nell’impeto del cadere un liquore d’un bellissimo color di rosa. La veste nell’atto del cadere se le rovescerà sopra la schiena, supponendo che si scoprano le parti posteriori, le quali non si vedranno dallo spettatore. Dietro a lei in certa distanza staranno sull’ale due piccoli Genj abbracciati insieme: e l’un l’altro si accenneranno ridendo il fianco d’Ebe, che si suppone scoperto. Giove5 colla sinistra mano farà un atto, come di licenziarla sdegnosamente da sè. Alla destra di questo Dio vedrassi Ganimede seduto leggiadramente sulla schiena dell’aquila, che avrà le ali spiegate. Appoggerà egli la sinistra sul dorso dell’aquila stessa: e coll’altra presenterà disinvoltamente a Giove la tazza dell’ambrosia. Questi accosterà la destra in atto di riceverla e guarderà nello stesso tempo in viso a Ganimede, voluttuosamente sorridendo. [Fig. 57] 5.4 Medaglia per la camera da letto. Argomento. Volendo Omero nell’Iliade rappresentar con una imagine poetica quanto siano potenti i vezzi donneschi per sorprendere anche i mariti più savi, finge che Giunone, fattosi prestare il celebre cinto da Venere,* e condotto seco il Sonno, andasse a trovar Giove, ottenesse d’essere abbracciata più voluttuosamente da lui, e quindi 1 2 3 4

Evidentemente Parini intendeva «Ebe sostituita» un poco] ‹e› un poco col viso] ‹si vedrà Ebe in atto di cadere e rivolta› col viso rivolto] agg. in interl. 5 Giove] ‹Ebe› Giove

soggetti per artisti 99 lo facesse addormentare. Con tale stratagemma diede comodo a Nettuno* di perseguitar liberamente i Troiani nemici di lei. Il momento, in cui, dopo ottenuto l’intento1 d’addormentar Giove, Giunone spedisce il Sonno a recarne l’avviso a Nettuno, formerà il Soggetto della presente Medaglia. Esposizione. Fra un gruppo di nuvole d’un vaghissimo colore dorato si vedranno coricati Giove e Giunone sopra una specie di letto, formato di molti fiori ed erbette, fra i quali domineranno il giacinto, il croco, ed il loto. Giove apparirà soavemente addormentato in atto di tener peranco abbracciata con una mano la sposa; e lasciando cascar languidamente l’altra, dalle dita mal chiuse della quale sembrerà che stia per cadere lo scettro. L’aquila vicina di lui sarà addormentata essa pure. Giunone,2 coricata a lato di Giove, sarà in atto di levarsi da giacere,3 e di parlare, volgendo il viso ridente e pieno di soddisfazione al Sonno, che si vedrà all’altro lato dirimpetto a lei. Con una mano gli accennerà ella Giove addormentato, e coll’altra gli comanderà di partirsi e di scendere alla volta della terra.4 Vicino a lei sarà il Pavone, il quale volgerà il collo ed il capo, quasi per istare attento agli atti di lei. Il Sonno sarà in piedi in atto di badare ai cenni ed alla parola della Dea e nello stesso tempo5 d’esser disposto a volar via per eseguirne gli ordini. Giove avrà la corona in capo, e quel panneggiamento che più piacerà al Pittore, e che sarà più proporzionato alla circostanza. Giunone, salvo il carattere delle forme, che le viene attribuito dalla Favola, sarà della più grande bellezza e bianchissima di carnagione. Avrà un movimento il più grazioso, che si possa, e due occhi grandi, azzurri, e scintillanti di brio e di vivacità. I capelli di lei saranno acconciati studiosamente e pareranno unti d’essenze odorose. Sopra di essi avrà la corona: ed agli orecchi avrà gli orecchini fatti a tre gocce di perle. I piedi di lei saranno vestiti d’eleganti, e ricchi calzari. Sarà ella quasi del tutto nuda: e il piccolo panneggiamento che la coprirà sarà di un velo candidissimo e tra1 l’intento] l’intento ‹Giunone› 2 Giunone] Giunone ‹sarà in atto di giacere› 3 giacere,] giacere, ‹volgendo ella il viso pieno di soddisfazione al Sonno, che si vedrà dall’altro lato dirimpetto a lei. Con una mano gli accennerà ella Giove› 4 della terra.] della terra. ‹Il Sonno sarà in piedi› 5 tempo] agg. in interl.

100 giuseppe parini sparente. Le si vedrà intorno alle reni il cinto prestatole da Venere, tessuto d’oro, e in cui si vedranno come accennati a disegno degli archi, degli strali, delle colombe ecc. A lato, ed anche un poco sotto al corpo della Dea, scherzerà un ricco manto ricamato a piacere e con nastri d’oro per allacciarlo. Se lo spazio e il partito lo permette, potranno anche vedersi vicino ad essa due piccioli amorini i quali si guardino con misterioso sorriso. Uno di questi accostando una mano al cinto della Dea lo dovrebbe coll’altra indicare al compagno. Il Sonno sarà in sembianza d’un leggiadro giovanetto, di carnagione alquanto bruna; quasi tutto nudo, e leggiermente panneggiato con un velo oscuro e trasparente. Avrà le ale di farfalla a varj colori oscuri, una ghirlanda piuttosto grande di papaveri in capo; e un dente d’elefante in mano. Le nuvole, sempre di color vaghissimo e più o meno tendente al dorato, saliranno come a far coperto sopra Giove e Giunone: e massimamente intorno a Giove parerà che si sciolgano in una freschissima rugiada,1 che venga così un poco a velarne ed alleggerirne le tinte. Il resto ad arbitrio del Pittore. N.B. Si priega di farne trascrivere, e restituire il presente foglio. [Fig. 58] 5.5 Per la camera da letto. Quattro bassirilievi alle teste.2 [non eseguiti]. 1. Amore seduto, in atto di riposarsi, appoggiando languidamente uno de’ bracci all’arco rallentato. La faretra coi dardi gli giace ai piedi. 2. Imeneo coronato di rose, che, sedendo, tiene un gomito appoggiato alla coscia: e alla mano della stessa parte appoggia il capo. Nell’altra tiene negligentemente la face. 1. Venere seduta, che con ambe le mani sostiene le due colombe davanti al petto, guardandole con un dolce languore. Una delle colombe si alza, quasi per farle un bacio sulla bocca.

1 freschissima rugiada] ‹leggerissima rugiada› freschissima rugiada 2 alle teste.] alle teste.|‹Le quattro piccole medaglie›

soggetti per artisti 101 2. Pasitea, moglie del Sonno, bellissima giovinetta, che seduta sta formando una corona di papaveri, ma nello stesso tempo socchiude gli occhi, e lascia cader le membra in atto di addormentarsi. Altri papaveri ammucchiati giacciono a’ di lei piedi. In tutte le precedenti figure dovrebbe dominare il languore, il sorriso, e la soavità del riposo. 5.6 Quattro tondi agli angoli.* [realizzazione di G. Callani] 1. Riva del mare. [1] Nettuno ignudo colla real corona in capo; e una grande spada in mano, conduce due o tre guerrieri armati di grande scudo: e camminando si volge in dietro, quasi in atto d’animarli colle parole e col gesto. [2] [Figg. 59, 60] 2. Ettore caduto in terra colpito da un grande sasso, con l’asta, l’elmo e lo scudo sparpagliati vicino a lui. Uno o più1 guerrieri che lo difendono coprendolo col proprio scudo; [3] mentre qualche altro tenta di ferirlo, avventando l’asta. [4] [Figg. 61, 62] 1 o più] agg. in interlinea.

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6 [Palazzo Confalonieri] [1778-1780] 1 Soggetti per sei sovraporti nelle stanze della sig.ra contessa Confalonieri. [esecuzioni non reperite] L’Amore vorrebb’esser eterno. Un Amorino forte ed ardito si sforza di legare il Tempo* con catene di rose. Un altro ne spezza dispettosamente l’oriolo, lasciandone cader la polvere sul suolo. Amore ci occupa anche nel sonno. Il Sonno giovane grassotto coronato di papaveri dorme sulla sponda d’un lento ruscello sotto una tenda nera ombreggiata di foltissime piante. Un Amorino gli solletica il viso colla piuma d’un dardo. Un altro ride. La Musica e l’Eloquenza giovano in amore. Mercurio insegna sonare il flauto ad un Amorino. Un altro, tratto uno de’ calzari alati a Mercurio, tenta di calzarlo a sè. Il vino temperato giova in amore: il soverchio nuoce. Bacco bello e giovane, seduto presso un ruscello con una coppa di vino in mano. Un Amorino con una chiocciola vi mesce dell’acqua. Un altro seduto si mette, scherzando, una corona d’ellera in capo. La immodestia dispiace ad Amore. Venere dorme mezzo ignuda. Un amorino licenzioso co’ piedi e le orecchie di capra, tenta di scoprirne l’altra parte guardando con lasciva curiosità. Un altro Amorino più grande sopravviene minaccioso; e lo respinge. Nè meno il savio può tenersi sicuro dall’Amore.* Pallade seduta mezzo spogliata colle armi giacenti accanto a sè, minaccia di spezzar con un ginocchio l’arco d’un Amorino. Questi prostrato e piagnente la priega che gliel restituisca. Un altro più grande e tutto minaccioso in disparte si morde il dito, accennando che ne farà vendetta.

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7 Palazzo Belgioioso [1782] 7.1 Soggetto per la medaglia del salone. L’Apoteosi di Alberigo il Grande. Minerva con nobile e grandeggiante fisonomia sta su di una nuvola nel mezzo della composizione in atto di1 accennare ad Alberigo2 il Tempio della Immortalità;* il quale sorgerà in luogo elevatissimo alla destra di Minerva. Alberigo,3 tutto intento alla Dea, è in piedi su di uno scoglio dirupato, per accennare la difficoltà di eternarsi. Una Gloria di forme avvenenti incorona colla destra4 d’alloro Alberigo e tiene nella sinistra una palma fiorita. Una Fama al di sopra di Minerva dà fiato alla tromba. Dietro Alberigo alla sinistra di Minerva la Forza bella, muscolosa, e nuda giovane con lunghissimi capegli biondi e sparsi* anima a salire la strada del Tempio i quattro più celebri Generali della Famiglia; cioè Paolo Orsino, Braccio, Sforza, e Paolo Savello.5 Varj Puttini con palme sparsi vagamente per l’aria adorneranno la composizione. Presso il Tempio dell’Immortalità al basso6 si vedranno più soldati in varie attitudini, con uno svolazzante7 vessillo8 avente il motto Italia ab exteris liberata; e la Italia*9 che accenna il motto colla destra. Sarà essa una bella giovane, stellata, con una corona* a foggia di torre; in piedi, coll’asta nella sinistra. Un Puttino appoggerà la destra alla Italia, e terrà nella sinistra una catena

1 in atto di] in atto di ‹scorgere› 2 Alberigo] Alberigo ‹il Grande» 3 Alberigo] Alberigo ‹è in piedi su di uno scoglio dirupato› 4 colla destra] agg. in interlinea 5 La sequenza di questi nomi è indicata in un appunto su un altro foglietto (p. 183): «Alberico il Grande Prototipo|Paolo Orsino|Braccio|Sforza|Paolo Savello». 6 al basso] agg. nel margine sup. 7 svolazzante] agg. nel margine sup. 8 A: con uno svolazzante vessillo] con un vessillo 9 Italia] Italia ‹vagamente figurata›

104 giuseppe parini spezzata. Un altro ha in ambe le mani due catene rotte, un terzo la cornucopia. [Fig. 63] Per li due scudetti.1 1º. La Gloria bella giovane alata, e matura; e due Puttini, l’uno con bandiera indicante l’armi di famiglia, l’altro con una corona di alloro ed una palma. 2º. L’Emulazione bella giovane robusta, animosa, ed alata in atto di volare, quasi nuda, con un Puttino avente in mano una bandiera colle armi di famiglia; e due altri Puttini, che la precedono e riguardano. [Figg. 64-65] 7.2 Soggetti per le pitture della sala del Rinaldo. Medaglia. Fra le cose che il Tasso ha finte di Rinaldo non ce ne ha nessuna più utilmente rappresentabile in pittura, più applicabile ad una medaglia di volta, più concordante colla Pittura della grande sala, e nello stesso tempo caratteristicamente diversa, che il momento in cui viene da Ubaldo presentato a Rinaldo lo scudo nel giardino d’Armida. Questo soggetto, per esprimerlo ed arricchirlo opportunamente dietro alle idee del poeta, vorrebbe a un di presso esser rappresentato nel seguente modo. Rinaldo, specchiandosi nello scudo presentatogli da Ubaldo e da Carlo, in atto di levarsi impetuosamente da sedere, tutto vergognoso di se medesimo, sdegnato e furibondo, si straccia di dosso le ghirlande e gli altri lascivi abbigliamenti che lo circondano. Ubaldo frattanto con un atto che sembra subitaneo, con volto grave e severo, con la bocca molto aperta quasi fortemente e ad alta voce parlando, chinasi alquanto verso di Rinaldo, e con una mano gli tien presentato lo scudo, mentre con l’altra aperta accenna di lontano come se dica: Va l’Asia tutta, e va l’Europa in guerra ecc.* Carlo, stando ritto e pensieroso, guarda fisamente in volto a Rinaldo come per indagare tutta la impressione che fanno in lui la presentazione dello scudo e la parlata d’Ubaldo. Vicino e all’intorno di Rinaldo si veggono variamente collocati Genj, ed Amorini diversi2 portanti mazzi o corbelle di fiori, vasi di profu1 A: Per li due scudetti] Per le due medaglie.

2 diversi] diversi

Fig. 58. Gaetano Callani, Giove dormiente. Palazzo Greppi.

Fig. 59. Gaetano Callani, Il Sonno e Nettuno. Palazzo Greppi.

Fig. 60. Gaetano Callani, Nettuno assale i Troiani. Palazzo Greppi.

Fig. 61. Gaetano Callani, Ettore colpito. Palazzo Greppi.

Fig. 62. Gaetano Callani, Ettore tratto in salvo. Palazzo Greppi.

Fig. 63. Martin Knoller, L’apoteosi di Alberico il Grande. Palazzo Belgioioso.

Fig. 64. Martin Knoller, La Gloria. Palazzo Belgioioso.

Fig. 65. Martin Knoller, L’Emulazione. Palazzo Belgioioso.

soggetti per artisti 105 mi, urne d’acque odorose, cingoli e monili ecc. In aria pure se ne veggono di simili in quel modo che torna meglio alla composizione. Dietro ad Ubaldo ed a Carlo ma in notabile distanza tra folti ed ombrosi cespugli stanno due bellissime ninfe ignude in atto di spiare avide e sconcertate quello che accade. Una di queste velando il corpo di biondissimi capelli sciolti si alza in piedi e l’altra, mezzo coricata, ha le chiome raccolte. Il paese in cui segue l’azione rappresenta parte d’un grazioso declive dove sia raccolta tutta la possibile amenità. Erbe ed alberi leggeri freschissimi e rugiadosi. Pomi fichi uve che pendon da questi. Colombe che sopra i rami si baciano, uccelli che vi volano e vi cantano, e fra questi in luogo distinto un papagallo che apre il becco parlando. Fiori da ogni parte fra i quali trionfano le rose. Tutto ciò ben distribuito in modo che dalla quantità degli oggetti non nasca confusione; e nello stesso tempo leggerissimo affinchè rimangano ben distinte le figure.1 La figura di Rinaldo sarà d’un bellissimo e robusto giovanetto, ma che sembri alquanto2 ammollito dai piaceri. Le forme e i colori dell’abito di lui saranno teneri delicati e vezzosi a piacer del pittore. I capelli sembreranno inanellati ad arte e lucidi e grevetti per l’unto de’ profumi. Ubaldo e Carlo saranno in abito guerriero, ma il primo più nobile dell’altro. Ubaldo sarà più attempato e più grave; e Carlo più giovane e vivace. Il cielo e il paese saranno d’un purissimo sereno: e le forme e il colorito di tutta la composizione, fuorchè quello delle tre principali figure, potrà esser vagamente trasportato al più grande ideale. La lettura del canto 15 e 16 del Tasso servirà mirabilmente ad eccitare ed arricchire la fantasia del Pittore. Sarebbe stato opportuno Soggetto alle intenzioni di Sua Altezza il passo del canto 17 della Gerusalemme, in cui il Saggio Vecchio* presenta a Rinaldo lo scudo in cui sono figurati i futuri Eroi della Casa d’Este. Ma questo soggetto è troppo naturalmente scarso di figure e di varietà, e non ne può ammettere facilmente altre senza nuocere alla coerenza necessaria ed al verosimile. Tutti gli altri fatti di Rinaldo poi descritti dal Tasso non hanno veruna significazione generale o allusiva: ed oltre di ciò non sono per la loro circostanza suscettibili d’esser con buon’arte rappresentate in una 1 Seguono 7 righe fittamente cancellate, illeggibili 2 alquanto] agg. in interlinea

106 giuseppe parini volta. Al contrario il soggetto proposto di sopra ha una significazione generale: e sebbene diversissimo nel suo carattere pittorico, è però coerente alla medaglia della grande sala: perchè nel primo la Favola insegna quello che debbon fare gli eroi; e nell’altro insegna la Storia quello che gli eroi hanno fatto. [Fig. 66] 7.3 [Per le soprapporte] [esecuzioni non reperite] Qualora si vogliano tutte figure femminili nella sala del Rinaldo, si possono rappresentare le seguenti. La Fortezza* Donna di robustezza e di forme virili, armata di corazza, con elmo in capo rappresentante una testa di lione, appoggiando altamente la destra ad una clava, e dalla sinistra imbracciando lo scudo, stia risolutamente sedendo sopra una parte di scoglio, in atto d’esser prontissima a levarsi ad ogni occasione. La Vittoria Donna giovinetta coronata d’alloro, con bocca sorridente, con veste bianca semplice e succinta, con una palma nella destra alzata, siede sopra uno scudo con aste e spade sotto di esso, e premendo un elmo col piede. La Pubblica Felicità* Matrona di volto ilare, coronata di fiori, con veste bianca e manto giallo o purpureo, sieda sopra uno sgabello dorato, appoggiando la sinistra ad un cornucopia, e tenendo nella destra il caducéo. La Gloria.* Giovane donna coi capelli riccamente annodati, colle braccia e le mammelle scoperte, con veste color d’oro che scenda sostenuta da un cingolo gemmato sotto alla mammella, sieda tenendo nella sinistra una sfera coi segni dello zodiaco, ed alzando nella destra una Vittoria; cioè una statuetta d’oro con veste succinta al fianco e tenente una ghirlanda nella destra ed una palma nella sinistra. La Pubblica Remunerazione. Matrona con corona d’oro ed abito ricco, tenendo in grembo un braccio da misurare, ed avendo a lato di sè graziosamente confuse varie corone, come la civica la murale la castrense la navale

soggetti per artisti 107 ecc. sieda in atto di porgere colla destra una corona d’alloro ed una collana d’oro. La Immortalità del nome. Bella giovane coronata d’amaranti, con abito verde, appoggiando la sinistra sopra un cerchio d’oro, e nella destra tenendo uno stile con cui mostri d’incidere sopra una tavola di bronzo che le stia davanti sieda sopra una pietra quadrata; e le giacciano da lato rotoli d’antichi volumi, ed una tromba circondata con una corona di lauro.

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8 [Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso] [1790] Soggetti Di Statue e Rilievi prescritti dal cellebre Poeta, e R.o Professore D.n Giuseppe Parini per ornato esterno delle facciate sì verso corte come giardino del nuovo Palazzo di S.a E. il S. Conte Gen.le D.n Ludovico di Barbiano e Belgioioso. Ecc. Ecc. [Figg. 67 e 68; 91-94] Rilievi verso il Giardino. Nel mezzo Gli amori di Giunone e di Giove* Giove dormiente, mezzo coricato sopra una leggier nuvola lasciandosi cader languidamente il Braccio e la mano che tiene le folgori, al capo di lui il Son[n]o in piedi che con sotile verga gli tocca la fronte. Dall’altro lato Giunone, che con compiacenza riceve il cinto, presentatole da Venere sorridente. Tutti nudi. Giunone, col diadema in fronte. [Fig. 69] Parte destra 1.mo Apol[l]o e Mercurio sonando. Apollo seduto sopra un sasso sonando la lira. Mercurio in piedi vicino a lui sonando1 il flauto, le tre grazie che ballano. Apollo e Mercurio, o nudi; o con piccol manto, a lor conveniente le grazie nude. [Fig. 70] 2.do Atteone* Bel giovane da un lato in parte nascosto fra cespugli; guardando con molta curiosità Diana, e le sue Ninfe. Diana raccogliendosi colla mano un leggier panno bagnato sopra le coscie, spruzza coll’altra mano dell’acqua verso Atteone. Alcune Ninfe, o volgano la schiena, o si rannicchiano, o si ritirano. Atteone con abito corto, da cacciatore, cane vicino, e dardo in mano. Gli comincia a nascere un pocco di corna di cervo in capo. Le Ninfe nude. [Fig. 71] 1 sonando] sonando

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3.zo La disputa fra Nettuno e Minerva.* Nettuno, nudo col tridente, accenna un bel cavallo vicino a Lui. Minerva, tutta armata coll’asta in mano, accenna una pianta d’ulivo a lei vicina. Pastore1 astanti in atto di meraviglia, vestite, in forma nobile antica, a piacere. [Fig. 72] 4.to Bacco ed Arianna.* Bacco ed Arianna si guardano amorosamente. In mezzo a Loro Imeneo, che con una mano tiene la fiaccola, coll’altra cinge il fianco ad Arianna, mostrando d’accostarla a Bacco. Amorino vicino a Bacco con l’arco, e la faretra in atto di ridere. Dall’altro lato un Fauno, che salta, e percote i timpani in sieme. Bacco coronato di pampini, col tirso in mano, e pelle di capro alle spalle. Arianna mezzo coperta con sottilissima veste di cui un lembo le cade fino in terra. Imeneo coronato di rose. Fauno nudo. [Fig. 88; esecuzione difforme] 5.to Baccante.2 Sileno mostra colla mano in alto le uve. Satiri, e Ninfe saltano, sonano, e festeggiano intorno a Lui. Sileno grasso, e barbato, con orecchie, e piedi di capra. Ninfe nude. [Fig. 74] 6.to Iride* ed il Sonno.3 Il Sonno mezzo coricato sopra un letto di papaveri, in atto di svegliarsi, e d’alzarsi improvvisamente sorpreso. Iride in atto di presentargli Pasitea freschissima Ninfa tutta nuda accennandogli con una mano alzata verso il cielo, che la Ninfa gli à mandata in regalo da Giunone. Dalla parte del Sonno, fanciulli con ali di farfalla che dormano in varj atteggiamenti. Il Sonno giovine grassotto molle e nudo, coronato di papaveri, e con un corno o dente d’Elefante in mano. [Fig. 75] 7.mo Ganimede rapito.4 Ganimede* bellissimo garzone nudo, seduto sopra un aquila, che spiega le ali in atto di sollevarsi da terra per portarlo via, giovani Pastorelli e Ninfe, sorpresi, e intimoriti. Pecore e capre all’intorno. [Fig. 76] 1 2 3 4

Pastore] corr. su ‹Pastori›. Annotazione posteriore di altra mano: Pizzi. Preceduto da un asterisco. Annotazione come sopra Preceduto da un asterisco

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8.vo Gli amori di Pomona.1 Pomona,* e Vertunno bel Giovane in piedi abbracciati e coronati da frutti delle varie stagioni. Bambini e fanciulli di varia età, che gli accarezzano e scherzano intorno a loro. Vertuno tiene una mano appoggiata sopra la fascia dello Zodiaco, presentato in iscorcio e lascia pendere dalla stessa mano due maschere legate insieme, una da vecchio, e l’altra da giovane. [Fig. 77] 9. Pane e Siringa.2 Il Fiume Ladone seduto, ed ornato, nel modo che si rappresentano i fiumi,* riceve fra le sue Braccia Siringa affannata, e spaventata, parte delle cui gambe, si nascondano fra delle canne vicine al Fiume stesso. Pane* in atto di soffermarsi dal correre, sorpreso del salvamento della Ninfa. Dall’altro lato ninfe ristrette insieme in atto di rifugiarsi sbigottite. [Fig. 78] Rilievi verso il giardino Parte sinistra. N.º 1. Il Giudizio di Paride.* Paride dubbioso sospende la mano, che tiene il pomo. Venere stende in atto lusinghevole la mano, quasi per ricevere il pomo. Giunone e Pallade fanno lo stesso ma con maggior sospetto, e ritegno. Paride ha il berretto in capo, baston pastorale appoggiato alla spalla, capre, e pecore vicine a sè. Le Dee nude, con forme rispettive al carattere in un lato cumulo di vesti e d’armi. [Fig. 79] 2.do Amor e Psiche. Amore alato. Dorme quasi boccone, appoggiandosi a molli cuscini, e coprendosi parte del viso con una mano. Psiche con lucerna accesa in mano, gli si accosta timida e sospettosa, per guardarlo. Due donzelle stanno spiando in qualche distanza. Psiche con breve e sottilissima tunica e braccie scoperte. Donzelle con panneggiamenti semplici a piacere. [Fig. 80] 3.zo Le Nozze di Anfitrite. Anfitrite* e Nettuno, in piedi abbracciati sopra una conca marina tirata da delfini. Tritono,* e Ninfe del mare festeggianti intorno nudi. [Fig. 81] 1 Id.

2 Id.

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4.to Marte e Venere nella rete Cuscini presentati in iscorcio. Marte e Venere coricati sopra di quelli. Rete che cade, ma inviluppa loro ancora parte delle gambe. Marte barbato tenta di sorgere indispettito e violento.1 Venere mezzo coricata affetta malignamente pudore. Vulcano* barbato rozzo con abito corto da fabbro, col cappello, appoggiando una mano a piccol bastone, li mostra ad Apollo e Mercurio, che lo seguono, Apollo e Mercurio guardano ridendo. Apollo ha i raggi intorno al Capo. [Fig. 82] 5.to Cerere, che insegna l’agricoltura a Trittolemo. Uno è con manto ed abito semplice, e con seguito d’uomini, e donne di forma selvaggia, nudi, o coperti in qualche parte di pelli. Cerere vestita leggiermente, e coronata di spiche, presenta loro il giogo, l’aratro, e simili stromenti. Quelli in vario atteggiamento stanno guardando, con segno di ve[ne]razione e ricognoscenza. [Fig. 83] 6.to Mercurio ed Argo. Argo* grande e robusto pastore, seduto vicino ad una bellissima vacca, appoggiandosi colle due mani al bastone pastorale, e lasciandosi cadere il capo, e le membra quasi, in atto di cominciare ad addormentarsi. Mercurio in piedi sonando il flauto, e guardando intentissimamente ad Argo, fauni, e Ninfe in disparte che spiano, ridono, e si fanno reciprocamente cenno di tacere. [Fig. 84] 7.mo Ercole ed Ebe. Ebe in atto di porger da bere ad Ercole, con la sua tazza. Ercole colla spoglia del Leone* intorno, appoggiando la mano alla Clave, e guardando, con tenerezza ad Ebe, accenna di accostare le labbra alla tazza. In disparte, Giove e Giunone abbracciati li guardano con segni di consola[zione]. Giunone vestita. [Fig. 85] 8.vo Giuochi floreali Testa di Flora* sopra una Piramide rovesciata, ossia Ermete. Donne nude, che con ghirlande di fiori danzano intorno ad essa, e suonano delle trombe curve. [Fig. 86]

1 violento] violente nel ms.

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9.no Zefiro che insegna cantare a cigni.* Zefiro1 in piedi, colle guance gonfiate spirando fiato dalla bocca, guardando, e volgendo la mano a de’ cigni, a cui sollevansi leggiermente le piume, quasi mosse dal vento, e stanno2 cantando intorno a lui, Flora seduta dormendo a canto di Zefiro, il quale le posa l’altra mano sopra una spalla. Varj fanciulli da un lato in atto di piacere, e meraviglia. [Fig. 87] 10.mo Silvano e Ciparisso. Silvano* bello e robusto giovine con orecchi e piedi di capra, col petto e le coscie alquanto pelose, stringe, e bacia caldamente Ciparisso* bellissima Ninfa. Satiri all’intorno,3 che mostrano di voler porre sopra il loro capo ghirlande di ferole fiorite, e di grandi gigli. [Fig. 73] 11. L’Aurora e Ceffalo.* L’Aurora sorprende, stringe e bacia Cefalo, che si mostra intimorito, e renitente. Parte posteriore d’un leggierissimo carro, da un lato presentato in iscorcio. Le tre ore in forma di giovanette agilissime, colle chiome sparse al vento, ciascuna col disco, ossia piccola rotella liscia in mano, vicine al carro in atto di volgersi indietro, sorprese a guardare l’Aurora. [Fig. 89] 12.º La morte di Procri. Cefalo che calpestando l’arco con un piede4 sostiene tutto afflitto Procri sua sposa da lui5 inavertentemente ferita. Questa, semplicemente vestita e moribonda, tiene ancora fitto nel petto il dardo. Ninfe, e Pastori in atto di compassione. [Fig. 90] Statue Per la parte destra della Facciata verso il Giardino. N.º 1. Giunone. Ha la corona regale in capo, vestimento proprio di Lei, si volge dolcemente a Giove, quasi lusingandolo. Tiene mollemente lo scettro fra le dita, da una parte sta il Pavone a piedi, ma non colla coda spiegata. 1 Zefiro] Zefiro 2 stanno] stano nel ms. 3 all’intorno] allìntorno nel ms. 4 piede] piedi nel ms. 5 da lui] da lui

Fig. 66. Martin Knoller, Ubaldo mostra lo scudo a Rinaldo nel giardino di Armida. Palazzo Belgioioso.

Fig. 67. Caterina Lose, Veduta frontale di Villa Reale Nuovo Palazzo Belgioioso. Stampa Bertarelli.

Fig. 68. Caterina Lose, Veduta verso il giardino di Villa Reale Nuovo Palazzo Belgioioso. Stampa Bertarelli.

Fig. 69. Gli amori di Giove e Giunone. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 70. Amore e Mercurio. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 71. Atteone. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 72. La disputa fra Nettuno e Minerva. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 73. Silvano e Ciparisso. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 74. Baccante. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 75. Iride e il Sonno. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 76. Ganimede rapito. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 77. Gli amori di Pomona. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 78. Pane e Siringa. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 79. Il giudizio di Paride. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 80. Amore e Psiche. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 81. Le nozze di Anfitrite. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 82. Marte e Venere nella rete. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 83. Cerere e Trittolemo. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 84. Mercurio e Argo. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 85. Ercole e Ebe. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 86. Giochi floreali. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 87. Zefiro insegna a cantare ai cigni. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 88. Bacco e Arianna. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 89. L’Aurora e Cefalo. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 90. La morte di Proci. Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 91. Progetto di collocazione delle statue di Villa Reale Nuovo Palazzo Belgioioso. BAMi.

Fig. 92. Statue e rilievi del cortile posteriore, lato sinistro di Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 93. Statue e rilievi del cortile posteriore, parte centrale di Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 94. Statue e rilievi della facciata, parte centrale di Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 95. Ulisse alla casa di Circe, Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 96. Bauci e Filemone, Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

Fig. 97. Ulisse mette in fuga i Proci, Villa Reale - Nuovo Palazzo Belgioioso.

soggetti per artisti

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2. Apollo Nudo. Tiene la lira; o stà in atto di sonarla.* 3. Diana In abito semplice, breve, e succinto; colle braccia nude, calzaretti a piedi e nella mano un dardo. 4. Nettuno. Nudo barbato con corona regale in capo, tridente in mano, ed un piede appoggiato sopra un delfino. 5. Minerva. Armata del solo usbergo; con abito semplice e cadente da un lato, capelli raccolti negligentemente, calzarotti a’ piedi, ramo di olivo in mano, elmo scudo ad arte a’ piedi, e sopra di essi una civetta. N.º 6. Bacco Bel giovane nudo, coronato di pampini, e col tirso in mano. N.º 7. Iride Bella Giovane sveltissima con picciole ali di uccello, corona dell’erba Iride, ossia giglio pavonazzo, tunica leggerissima e svolazzante, forbice nella sinistra, e nella destra volume ossia rottolo di carta, in atto di presentarlo. N.º 8. Ganimede. Giovanetto di forme bellissime, e voluttuose, nudo, e tenente una coppa in mano. N. 9. Pomona gruppo. Bella Giovane robusta con panneggiamento corto, e picciola falce in mano, in atto di prendere delle frutte, che le sono presentate da un fanciullo in una corba, che tiene sopra il capo. Coronata di erbe e frutti varj. N.º 10. Pane1 Nel modo che si suol rappresentare: ma nondimeno di forme proporzionatamente nobili, e belle, sonando la zampogna, e coronato di canne.

1 A margine, di altra mano, cancellato: ‹al S.r Buzzi›

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N.º 11. Najade.*1 Giovane nuda coronata di erbe palustri, coi capegli, e con l’erbe cadenti, quasi bagnate lungo il collo ed il seno, appoggiando tranquillamente il volto sopra la mano sinistra; e coll’altra accennando negligentemente un’urna versante rugiada che le stà ai piedi. N.º 12. Sileno* Barbuto, grassotto, con orecchie di capra, coronato trascuratamente di elera, abbandonante le membra, tenente a stento colle due mani, una grande e rustica tazza. Non di meno la figura non sarà nè caricata nè ridicola. 13. Baccante Bella e robusta giovane nuda, coronata di fronde di vite, in atto di saltare vivacissimamente, bat[t]endo l’un contro l’altro i timpani che tiene nelle mani. 14. Sonno Giovane coronato di papaveri d’atteggiamento languido col viso cadente sopra il petto, e le palpebre socchiuse, appoggiando languidamente la sinistra ad una verga, e colla destra tenendo un Corno. Statue Per la parte sinistra della Facciata verso il Giardino. N.º 1. Giove Si volge pacifficamente a Giunone; tiene i fulmini nella sinistra pendente lungo il fianco, quasi in atto di nasconderli, stende l’altra mano verso Giunone, come per invitarla a se; ha pocco panneggiamento proprio di Lui. A suoi piedi stà l’aquila col capo inchinato e le penne2 sollevate, quasi dormendo, al modo degli uccelli. N.º 2. Venere Nuda, potrà per varietà tener colle mani al seno le due colombe che si bacino, altrimenti le avrà ai piedi atteggiate a piacere. 3. Cupido Giovane nudo, colla faretra alle spalle, l’arco in mano, e la benda alzata sopra la fronte. 1 A margine, di altra mano: Al S.r Rebossi.

2 penne] pene nel ms.

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4. Anfitrite Nuda bella, ma di forme assai molli e delicate con capelli lunghi, e cadenti sopra le spal[l]e quasi bagnati, ornati di perle, e d’alghe marine. Terrà un piede sopra una conca marina, come in atto di scenderne coll’altro, potrà aver in mano dei coralli; ovvero potrà tenere con ambe le mani un leggierissimo panno, che, gonfiato dal vento, le faccia ombra al capo. 5. Marte Giovane nudo barbato robusto appoggiandosi ad un asta, e premendo con uno dei suoi piedi le sue armi ammassate, potrà aver l’elmo in capo. 6. Cerere Nuda, o leggermente vestita, robusta, coronata di spiche, e con fiaccola in mano. 7. Mercurio Come si rappresenta comunemente. 8. Ebe* Giovanetta freschissima coronata di rose, in abito spedito, e succinto, di cui un lembo le cade, come per inavvertenza fino a’ piedi; con gambe e braccia nude, e tenendo una tazza in mano in atto di presentarla. 9. Flora = gruppo. Delicata Giovane coronata, di fiori con panneggiamento a piacere; tenendo una ghirlanda in mano; e con l’altra, prendendo un fiore da un fanciullo, che mostra d’averlo scelto da una cesta, che tiene a’ piedi. 10. Zefiro Giovane nudo, d’atto e figura sveltissima, con capelli svolazzanti, ornati di fiori con ali di farfalla, e che mostra di accorrere a Flora. 11. Silvano Bello, e robusto giovane con piedi di capra, col petto e le coscie alquanto pelose coronato di ferole1 fiorite, e di grandi giglii; avendo a’ piedi un ramo di cipresso, e sonando il flauto.

1 ferole] ferole

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12. Aurora Giovanetta sveltissima, coronata di rose, con ali spiegate d’uccello, capelli, ed abito1 succinto, leggerissimi e svolazzanti, tenendo colle due mani in alto un urna, da cui versa fiori, e rugiada. 13. Cefalo. Giovane in abito spedito da cacciatore, calzaretti a piedi, e dardo in mano, in atto di camminare2 dalla parte opposta all’Aurora. Statue per la Facciata verso Corte. 1. 2. 3. 4.

Uno degli Dei Lari Il genio buono Como Dio dei conviti Un altro degli Dei Lari.

Lari* Ciascuno degli Dei Lari rappresenterà un giovanetto con farsetto semplice senza maniche, quasi di pelle di cane, di cui gli cada il teschio davanti al petto, picciola berretta in testa, e cane guardiano a lato. Saranno ambe due in atteggiamento riposato, ma diverso l’uno dall’altro. Il genio buono* Giovane coronato di foglie di Platano, colla cornucopia nella sinistra appoggiata alla spalla,3 e coppa nella destra in atto di porgerla. Como* Giovane con breve panneggiamento, ovvero nudo con berretta4 formata di fiori in capo, appoggiato languidamente col braccio sopra un palo; e tenendo con una mano una fiaccola accesa che pure gli cada languidamente lungo la coscia. Rilievi Per la Facciata verso Corte. N. 1 alla destra La Temperanza. Ulisse alla casa di Circe.* Circe bellissima Donna, con panneggiamento a piacere, porge da 1 abito] abito 3 spalla] spala nel ms.

2 camminare] caminare nel ms. 4 berretta] beretta nel ms.

soggetti per artisti 117 bevere1 in una tazza a uno dei compagni d’Ulisse che vi accosta le labbra;2 gli altri compagni si avanzano essi pure con grandissima avidità di bere. Ulisse dall’altra parte non veduto da Circe, con fortissima espressione di viso e d’atti fa cenno che non bevano, abiti greci a piacere, ma corti, e semplici. [Fig. 95] 2. Nel mezzo L’ospitalità. Bauci e Filemone.* Un Vecchio, ed una Vecchia in abiti semplici e rustici, ma di forme nobili e venerande, accolgono con espressione di grande cordialità Giove, e Mercurio. Giove, mezzo in volto nel manto, nascondendo dietro al fianco le folgori che tiene colla destra. Mercurio con piccol mantello senza cappello e senza talari, tenente colla destra il caduceo, ed accennando pur di nasconderlo dietro al fianco. Dalla parte dei Vecchj prospetto d’una capanna. [Fig. 96] 3. Lo scacciamento degli impostori Ulisse, che mette in fuga i Proci* Ulisse in piedi in atto di scoccar fieramente il dardo da un grand’arco. I Proci in atto di ritirarsi, o di fuggire con grandissimo spavento. A canto di Ulisse Penelope in abito di forme modestissime seduta sopra un sgabello. Vicin a questa, se lo permette lo spazio, potrà essere Telemaco, in forma di bel giovanetto e in atto di meraviglia. Gli abiti di tutti saranno a piacere, ma corti, e di costume greco. [Fig. 97] Avvertenze per l’artista Le figure così delle Statue, come dei Rilievi, le quali nella rispettiva descrizione si dice che saranno, o nude, o vestite, saranno esattamente tali. Le figure di cui non si dice nulla, saranno a piacere dell’artefice ma però le vestite avranno abiti di forma più che si può,3 manifestante il nudo e di costume semplice ed antico. Alcune figure dei Rilievi di cui nella descrizione non sono indicati i simboli, avranno quelli che sono assegnati alle Statue corrispondenti, più o meno secondo che sarà opportuno.

1 porge da bevere] porge la bevere correggiamo la in da 2 labbra;] labbra nel ms. 3 può] puo nel ms.

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NOTA AL TES TO 1 [Soggetto per il Telone del Teatro grande alla Scala] BAMi, S.P. 6/5, VIII 9. Due bifogli grandi di mm. 225 × 345, apografo il titolo (la specificazione «del Teatro della Scala» fu aggiunta nell’interlinea da Reina); scrittura calligrafica a piena pagina; sul primo è trascritto il soggetto per il telone (Reina 1803, v, pp. 3-8; Bellorini, ii, pp. 85-87; Mazzoni 1925, pp. 891-893; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 436-440), sulla prima facciata del secondo (le altre tre in bianco) è ricopiata la lettera indirizzata dal Parini a Giovan Battista d’Adda il 6 giugno 1778 (vedi Reina 1803, iv, pp. 169-170; Bellorini, i, pp. 174-175; Mazzoni 1925, p. 1001; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 633), l’autografo della quale, non conservato fra i manoscritti ambrosiani, è riprodotto nel volume Il Teatro della Scala dagli inizi al 1794 nei documenti ufficiali inediti dell’Archivio Borromeo Arese, Milano, presso la Biblioteca Ambrosiana, 1929, tav. xiii. I due bifogli sono a loro volta contenuti all’interno di un altro bifoglio, di dimensioni minori (mm. 185 × 245), sulla prima facciata del quale si legge la lettera con i ringraziamenti a Parini (EN3 2013, p. 163). 2 [Soggetto per il Sipario del nuovo Teatro di Novara] BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 7-10, autografo anepigrafo. Bifoglio grande di mm. 205 × 295, scritto a piena pagina sulle prime tre facciate. Reina 1803, v, pp. 9-12; Bellorini, ii, pp. 88-89; Mazzoni 1925, pp. 893-894; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 441-442. 3.1-25 [Palazzo di Corte] 3.1 BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 11-18. Due bifogli grandi di mm. 220 × 333, autografo calligrafico, scrittura a piena pagina su 4 facciate (l’ultima solo nel terzo superiore. Si tratta sicuramente della bella copia dei primi tre soggetti commissionati a Parini per le medaglie di tre stanze (vedi la prima medaglia in Reina 1803, v, pp. 35-37; Bellorini, II, pp. 102-103; Mazzoni 1925, pp. 900-904, con l’inserimento del foglio volante, di cui vedi infra 3.5); Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 444-446. Una prima redazione (A), anch’essa in scrittura calligrafica autografa, della medaglia 1 (Amore e Psiche), è conservata su un bifoglio grande, uguale ai precedenti, scritto a piena pagina sulla prima facciata e 6 righe della seconda (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 19-20), di cui vengono registrate in apparato le varianti (questo foglio fa da cartelletta ad altri numerati da 21 a 30). In alto, l’annotazione del Reina: «IV. Soggetti per il Palazzo di Corte».

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nota al testo

Una prima redazione (A), anch’essa in scrittura calligrafica autografa, della medaglia 2 (Le Nozze d’Ercole divinizzato), è conservata su un bifoglio grande di mm. 220 × 333, scritto su piena pagina nella prima facciata e su gran parte della seconda (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 33-34), di cui vengono registrate in apparato le numerose varianti. Sulla redazione definitiva della seconda medaglia, qui riportata nel testo (Reina 1803, v, pp. 39-41; Bellorini, ii, pp. 104-105; Mazzoni 1925, pp. 901-902; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 446-447), è esemplato l’apografo che figura in BAMi, S.P. 6/5, VIII 6, pp. 15-16. Una prima redazione (A), anch’essa in scrittura calligrafica autografa, della medaglia 3 (I riposi del Giove), è conservata su un bifoglio grande (mm. 305 × 210), scritto su piena pagina nella prima facciata e gran parte della seconda (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13. pp. 45-46), di cui vengono registrate in apparato le numerose varianti. Questo bifoglio raccoglie, come in una cartella, diversi altri fogli, numerati da p. 47 a p. 70 (vedi 3.5 e 5.4). Vedi la terza medaglia in Reina 1803, V, pp. 42-45; Bellorini, ii, pp. 106-108; Mazzoni 1925, pp. 902-903; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 488-500. 3.2 Soggetti per gli quattro sovraporti del Gabinetto BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 21-24. Bifoglio di mm. 200 × 290, inserito all’interno del bifoglio precedente (vedi 3.1), autografo, scritto soltanto sulla prima facciata (p. 21); ricopiato con scrittura autografa calligrafica sulla prima facciata di un foglio volante, allegato dopo il bifoglio seguente (p. 29), senza varianti. Reina 1803, V, pp. 37-38; Bellorini, ii, pp. 103-104; Mazzoni 1925, p. 901; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 450-452. Presente anche nel quaderno apografo BAMi, S.P. 6/4 (2), VII. 6. c. 123v. Sulla prima facciata di un altro bifoglio, che segue (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 25-28, scritto solo sulla prima facciata), di mm. 180 × 283, autografo, si leggono i seguenti appunti per la rappresentazione allegorica di 6 virtù, dalle quali vennero estratte le 4 riportate nel testo: Continenza. Donna di fisonomia grave. Abito semplice, cintola al fianco, armellino in braccio. Semplicità. Giovanetta in abito bianco, e semplicissimo, colomba in mano. Pudicizia. Giovanetta in abito bianco, col viso coperto di velo bianco, giglio in mano. Fermezza. Giovanetta ben vestita. Mano appoggiata ad un’ancora. Sincerità. Bellissima giovinetta, capegli biondi sparsi sulle spalle, abito candido sottilissimo, in atto di essersi scoperta il petto con una mano, nell’altra colomba.

nota al testo

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Fecondità. Bella donna, col seno turgido di latte, nido di uccelletti in mano. 3.3 Soggetti per li quattro scudi della stanza dell’Ercole divinizzato. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 39. È questa l’ultima redazione del soggetto per i quattro scudi, contenuta su un piccolo foglio volante, autografo calligrafico, scritto soltanto nel recto, inserito, insieme con un altro (pp. 4142), all’interno di un bifoglio grande di mm. 335 × 215 (pagine numerate 37-38, 43-44), scritto a piena pagina con minuta calligrafia autografa, e con cancellature: la terza pagina del bifoglio (p. 43) è interrotta nel terzo mediano dalla stesura, con cancellature e varianti, di alcuni versi («Superbo fiume», vedi Mazzoni 1925, p. 502), e la quarta (p. 44) reca diverse varianti della scena finale del dramma comico L’amorosa incostanza. Sulla prima pagina del medesimo bifoglio (p. 37), si leggono in successione i primi due abbozzi (A, B; vedi Savarese 1973, p. 82, che però considera il secondo abbozzo come stesura definitiva): Per la Stanza dell’Ercole divinizzato. Quattro piccioli Scudi. [A] Ercole meritò la Divinità per li beneficj da lui fatti agli uomini. Ercole al bivio. Solleva Atlante dal peso del cielo. Rende Alceste ad Ameto. Separa Abila e Calpe e pianta le colonne. [B] La virtù propria de’ privati è di essere utile agl’individui: quella de’ Principi e degli Eroi è di essere utile in generale alle nazioni intere. Tale fu quella che meritò ad Ercole l’immortalità. Ercole al bivio. Uccide i Centauri. Solleva Atlante dal peso del cielo. Separa Abila e Calpe, e pianta le colonne. Reina 1803 (v, p. 41) sceglie B; Bellorini, ii, pp. 105-106. segue A (riportando in nota la terza stesura); Mazzoni 1925 (p. 902) sceglie B. Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 452. Su tutto vedi Savarese 1973, p. 82. 3.4 Soggetti per li sovraporti della medesima stanza. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 41. Piccolo foglio volante, autografo calligrafico, scrittura solo nel recto. Nella parte inferiore della p. 37 (prima pagina del bifoglio, di cui alla n. filol. precedente) si legge una prima stesura (A), con le poche varianti, indicate in apparato. Precede la parola cancellata: Medaglie. Seguono questi inizi di periodo, cancellati: Am[ ]|Gen[ ]. Reina 1803 (v, pp. 41-42) e Bellorini (II, p. 106) scelgono la prima redazione (Bellorini contaminando con l’altra), Mazzoni 1925 (p. 902) la seconda; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 452-454.

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nota al testo

3.5 Soggetti da fingersi a bassorilievo nei sovraporti della stanza di Giove. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 51-54. Bifoglio grande di mm. 295 × 195, autografo calligrafico, scrittura soltanto sulle prime due facciate; presenta l’ultima stesura di questi soggetti (vedi anche copie apografe in BAMi, S.P. 6/4 (2), VII 6, pp. 125v-126v e S.P. 6/5, VIII 4 e 5) (Reina 1803, v, pp. 46-48; Bellorini, ii, pp. 108-109; Mazzoni 1925, pp. 993-994; Savarese 1973, pp. 110-111, dove sono anche indicate le sviste di Mazzoni; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 454-457). Alle pp. 47-48, sulla prima parte di un analogo bifoglio, inserito con altri (pp. 51-70) all’interno del bifoglio più grande (vedi 3.1), nella medesima scrittura calligrafica autografa, a piena pagina, si legge la precedente stesura: Soggetti da fingersi a bassorilievo nei sovraporti della stanza del Giove. L’origine delle Belle Arti. La Poesia Epica e Lirica. Due Puttini fanno un cumulo a guisa di trofeo di corone d’alloro, di palme, di scettri, d’armi guerriere, e simili. Un Genio alato e coronato di lauro (coronato di lauro: agg. in interl.), contemplando quest’oggetto, dà fiato ad una tromba; ed un altro Genio parimenti alato, con una fiamma di fuoco sopra il capo, e con una espressione piena d’entusiasmo, canta accompagnandosi con una lira. La Poesia Dramatica. Un picciol Fauno calzato di socchi, ‹e› con un corto mantello sulle spalle, e tenendosi una grande maschera da vecchio ridente sul viso, sta sopra un rozzo palco in atto di declamare. Un altro appiè del palco lo contempla ridendo. Intanto un altro Fauno sedente sul suolo, e con viso affettatamente severo si calza un pajo di coturni, guardando a un lungo manto, ad una corona regia, e ad un pugnale, che un altro Fauno piagnente gli presenta. La Musica. Piccioli Fauni che suonano d’accordo cembali, crotali, e simili antichi e semplici stromenti. Altri che ascoltano mostrando d’esser fortemente commossi: e un altro che seduto e con molta attenzione sta componendo insieme le canne d’una siringa. La Danza. Picciol Fauno seduto che suona un flauto, ed altri che in varj atteggiamenti saltano a cadenza, coronati di fiori. L’Architettura. Un Puttino depone una cestella tra le foglie d’una pianta d’acanti: e un altro che nello stesso tempo la copre con un tegolo o mattone, obbligando

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a piegarsi alquanto sotto al peso di questo le foglie dell’acanto, in modo che accennino la voluta d’un capitello corintio. Intanto un picciol Genio alato, contemplando attentamente quest’oggetto scolpisce un vero capitello corintio, con maraviglia d’un altro puttino, che lo sta osservando. La Scultura e la Pittura. Un Puttino giace morto sul suolo; e un altro vi piagne sopra. Un picciol Genio alato, e tutto mesto nel viso contempla il morto, e con uno stile ne delinea sopra una pietra il contorno del viso, mentre un altro Genio, facendo lo stesso atto, ne forma, parimenti con uno stile, il rilievo sovra un pezzo di creta rozza. Si potrà accrescere il numero delle figure in proporzione del soggetto a giudizio del Pittore. Alla p. 38 (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13) si legge il primo abbozzo dei sovraporti della stanza del Giove (Savarese 1973, p. 108): Le belle Arti. La Poesia. Un puttino ‹che con una ma[no]› nudo, calzato di coturni, con un manto ‹che sulle spalle› che gli cade dalle spalle, e ‹con› una maschera di vecchio piagnente al viso, e con uno stile nelle mani sta in atto di declamare ‹sopra d’un picciolo palco›. Un altro seduto appiè di lui dopo essersi calzato un socco, sta in atto di calzarsi l’altro ridendo ‹con affettazione›, vicino a questo giacerà una maschera parimenti ‹parimenti› ridente ma [ma: agg. in interl.] con affettazione. Un terzo ‹con due grandi ali› colle ali starà in atto di dar fiato ad una tromba; e un quarto con una fiamma di fuoco sopra il capo potrà cantando sonare una lira. La Musica. Piccioli Fauni, che suonano d’accordo, ‹altri› chi una siringa, ‹altri› chi due tibie. Altri stanno in atto di ascoltare attentissimamente, e d’essere fortemente commossi. La Danza. Un picciol Fauno ‹in piedi› seduto che suona un flauto, ed altri che saltano. L’Architettura. Un puttino ‹che› depone una cestella fra le foglie d’una pianta d’acanti; un altro nello stesso tempo la copre con un tegolo o mattone obbligando a piegarsi alquanto sotto al peso di questo le foglie dell’acanto, in modo che tutto insieme accenni la forma d’un capitello corintio. Intanto un altro Puttino alato contemplando attentamente questo oggetto, ‹eseguisce› scolpisce un vero capitello del sopradetto ordine. La Pittura. Un puttino giace morto sul suolo, e un altro vi piagne sopra, intanto un altro tutto mesto contemplando il morto ne descrive sopra una pietra con uno stile il contorno del viso.

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nota al testo

3.6 Soggetti per le quattro piccole medaglie della stanza del Giove BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 52 (vedi 3.5). Reina 1803, v, pp. 48-49; Bellorini, ii, pp. 109-110; Mazzoni 1925, p. 904; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 456-457. In un primo tempo, di seguito ai sovraporti della stanza del Giove, Parini aveva abbozzato questi altri soggetti (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 49; Bellorini, ii, p. 110, nota 1): Soggetti per le quattro picciole medaglie della stanza del Giove. Le quattro arti principali. L’Agricoltura La Dea Cerere, che insegna al Re Trittolemo di condurre l’Aratro. La Fortificazione. Anfione, che al suono della sua cetra, chiama le pietre ad edificare le mura di Tebe. I Mestieri. Dedalo, che fugge dal labirinto di Creta, colle ali di cera. Il Commercio. La Nave degli Argonauti, e sopra questa Giasone, che ritorna col vello d’oro acquistato nelle mani. 3.7 Soggetto per la medaglia della sala a mangiare Al centro della p. 140 di BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, alla fine del soggetto per la medaglia della volta del salone di Palazzo Greppi, si legge questo appunto (vedi nota 5.2): Composizioni fatte per S.A.R. dopo le prime. Sala a mangiare. La Dea Salute ed ornati. Sala a dormire. L’Aurora, e sovraporte. Prima stanza delle Tapezzerie. Frisso ed Elle. Sovraporte. Seconda stanza. Giove fulminante. Sovraporte. Terza stanza. L’apoteosi di Giasone. Sovraporte. Del soggetto della Dea Salute si hanno due redazioni, entrambe autografe: una prima in BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 106 (A), scritta nel verso della prima carta di un bifoglio azzurrino (vedi 3.9); l’altra, messa a lezione (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 125-126), più elaborata, sul recto e su metà del verso del primo foglio di un altro bifoglio di mm. 185 × 245. Reina 1803, v, pp. 81-83; Bellorini, ii, pp. 127-128; Mazzoni 1925, pp. 914-915. Questo il testo di A: La Dea Salute coll’asta nella destra assisa in una spezie di trono (colla testa incisavi del montone) a’ piedi le nubi, vestita, aria nobile e grassotta.

nota al testo

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Alla destra della Salute un Genietto alato con un freno nella destra e sotto un puttino fra le nubi, ed altri due Genietti di sopra a questi con fiori. Alla destra la Caccia assisa con dei dardi, e delle frutta in grembo ed un altro puttino con dei fiori nel grembo in atto di porgerli alla Salute. Dalla stessa parte più elevati ed assisi fra le nubi: Pomona con delle frutta in mano, vestita; Priapo quasi nudo falcato nella sinistra ed avente un gran canestro di frutta nella destra. Alla sinistra sulle nubi al di sotto Cerere quasi nuda superiormente con ispiche in atto di porgerle alla Salute. Bacco più alto avvolto nella pelle della tigre quasi nudo; assiso con pampini in capo; un grappolo nella destra, in atto di spremerlo nella soggetta coppa stante nella sinistra (bel giovane). Un puttino ride fra lui ed Ebe, che sta parimenti per versargli del liquore (bella giovane) a due mani. Un Genietto alato assiso presso Ebe ed in atto di ascoltare un Satiro, che suona ‹la zampog[na]› il flauto, sopra cui più entro alla composizione sta una Pale col bastone pastorale ritorto nella sinistra; ed un paniere di latte rappreso nella destra in atto di offerirlo alla Salute. 3.8 Soggetti per li due scudi accompagnanti la medaglia della sala a mangiare. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 129-130. Bifoglio di mm. 170 × 265, autografo calligrafico, scritto solo nel recto e nel verso della prima metà della c. 129. Reina 1803, v, pp. 83-85; Bellorini, ii, pp. 128-129; Mazzoni 1925, p. 915; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 458-460. 3.9 Bassi Rilievi della sala a mangiare. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 127. Scritto sul recto della seconda parte del bifoglio di cui al 3.7. Reina 1803, v, pp. 85-86; Bellorini, ii, p. 129; Mazzoni 1925, pp. 915916; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 460-461. Di una prima redazione tra la fine della p. 106 e la parte superiore della p. 107 vengono registrate in apparato le varianti (A). 3.10 Soggetti per la stanza del letto d’inverno. Di questo soggetto si conservano tre manoscritti. Il primo, autografo (A), si legge sulla prima facciata (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 59) di un bifoglio di mm. 292 × 200, che fa da cartelletta ad altri due bifogli di carta azzurra (pp. 61-68), qui riportati al 3.11. Questa stesura s’interrompe dopo la descrizione del soggetto: Mentre il Sonno dorme tranquillamente a lato di Pasitea, bellissima ninfa amata da lui, Amore armato impedisce che l’Aurora non si avanzi a disturbarli col luminoso suo carro.

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nota al testo

Sotto un velo bruno, ma trasparente, e seminato di stelle, il quale a foggia di padiglione vien sostenuto da alcuni Genj alati, si vedrà il Sonno mollemente coricato sopra le nuvole, che gli formano letto. Accanto di lui starà Pasitea, in atto di sorgere come improvvisamente svegliata. Questa, sorgendo terrà la sinistra mano sotto alle spalle del Sonno, e colla destra si schermirà gli occhi dai raggi dell’Aurora sopravvegnente, che la percotono. Dall’altra parte si avanzerà l’Aurora sopra un carro tirato da due bianchi cavalli: e a questi si farà incontro Amore, il quale sarà collocato nel mezzo della composizione. Questo Dio, ritto in piedi, colla faretra alle spalle, coll’arco teso e carico d’un dardo, si presenterà tutto minaccioso davanti ai cavalli dell’Aurora ‹e questi spaventati›. A tale aspetto i cavalli spaventati accenneranno di retrocedere, malgrado gli sforzi dell’Aurora, che ‹armata› ritta sul suo carro, e pendente verso i cavalli procurerà di animarli colla voce e colle redine. Gli altri due manoscritti, apografi, equivalenti, segnati BAMi, S.P. 6/5, VIII 7 e BAMi, S.P. 6/5, VIII 8 continuano con i suggerimenti diretti al pittore. Si riporta quindi a testo l’apografo BAMi, S.P. 6/5, VIII 7, molto più corretto dell’altro (così Reina 1803, v, pp. 49-52); Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 461-464. Mazzoni 1925, come già Bellorini (II, pp. 110112), contamina l’apografo con la redazione manoscritta (pp. 904-905). Nell’ultima facciata, capovolta, del bifoglio-camicia (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 68), si leggono, autografi, questi versi (vedi Mazzoni 1925, p. 497): Godo trattar la cetera Del vecchio Anacreonte: E ne fo scudo all’onte De la fugace età. Ei me la diede, e dissemi: Tienti quest’arme a lato; In un foglio volante (mm. 292 × 200), autografo, scritto soltanto nel recto (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 57) si leggono i primi appunti relativi all’elaborazione del soggetto (vedi Savarese 1973, p. 76): L’Aurora è nemica degli amanti. Il Sonno coronato di papaveri, e mollemente coricato sopra un letto di nuvole starà placidamente dormendo. A lato di esso ‹giacerà e tenendogli la sinistra sotto una spalla› si vedrà Pasitea, bellissima ninfa amata da lui, la quale sarà in atto di sorgere come improvvisamente svegliata. Mentre il Sonno dorme tranquillamente a lato di Pasitea, bellissima ninfa amata da lui, Amore armato impedisce che l’Aurora non si avanzi a disturbarli col luminoso suo carro.

nota al testo

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Il Sonno ‹coronato di papaveri› sta mollemente coricato sopra le nuvole che gli formano letto. A lato di lui si vede Pasitea in atto di sorgere come improvvisamente svegliata. Ella sorgendo tiene la sinistra mano sotto alle spalle del Sonno, e colla destra si schermisce gli occhi dai raggi dell’Aurora sopravvegnente che la percotono. ‹Sopra del Sonno e di Pasitea pende un oscuro e sottile velo; dalla parte opposta si avanza l’Aurora col suo carro tirato da due cavalli.› Sotto un velo oscuro e sottile, seminato di stelle, che a foggia di padiglione ‹sarà› vien sostenuto da alcuni Genj, si vedrà il Sonno mollemente coricato sopra le nuvole, che gli formano letto. Accanto di lui starà Pasitea. La lezione finale messa a testo si trova anche nel quaderno apografo BAMi, S.P. 6/4 (2), VII. 6, cc. 124r-125r. 3.11 Soggetti per li sovraporti della stanza dell’Aurora. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 61-68: due bifogli azzurri di mm. 245 × 187, di cui al 3.10, contenenti due stesure autografe dei soggetti per i sovrapporti; quella contenuta nel secondo bifoglio (A) è anteriore all’altra (B) riportata a testo, e reca un’intestazione leggermente differente: Per la Stanza dell’Aurora.

Reina 1803, v, pp. 52-54 sceglie A, con l’intestazione di B; così pure Bellorini, ii, pp. 112-113; Mazzoni 1925 si attiene a A, pp. 905-906; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 464-468. In apparato figurano le varianti di A. 3.12 Medaglia per la prima Stanza degli Arazzi. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 93-96. Bifoglio di mm. 185 × 254, autografo, scritto a piena pagina nel recto e nel verso del primo foglio (pp. 93-94) e nella parte superiore del recto del secondo (p. 95); l’ultima facciata (p. 96) è in bianco, ma in basso a destra uno schizzo della medaglia e dei venti. Alla fine si legge l’annotazione: «N.B. Si restituisca questa carta all’Abate Parini»; le medesime parole erano state scritte più in alto, ma furono poi cancellate, e qui ripetute, per lasciar spazio al testo. Reina 1803, v, pp. 66-68; Bellorini, ii, p. 119; Mazzoni 1925, pp. 909910; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 468-470. 3.13 Idea de’ sovraporti della Prima Stanza. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 97. Foglio volante, di mm. 180 × 245, autografo, scritto a piena pagina soltanto nella metà superiore del recto.

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nota al testo

Reina 1803, v, p. 68; Bellorini, ii, p. 120; Mazzoni 1925, p. 910; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 470-472. 3.14 Per li piccoli scudi a chiaroscuro dei sovraporti nella prima stanza degli Arazzi. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 103. Foglio volante, di mm. 185 × 245, autografo, scrittura a piena pagina, solo su due terzi del recto. Bellorini, ii, p. 120; Mazzoni 1925, p. 910; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 472. Manca in Reina 1803. Una prima redazione autografa su una sola facciata di un bifoglio, mm. 200 × 320 (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 119): Per il S. S. Martin. Per li piccoli scudi a chiaroscuro dei sovraporti nella Prima Stanza. [Il testo è in tutto simile a quello sopra riportato, ma in un primo tempo i punti 2 e 3 figuravano cancellati:] 2. Cadmo che uccide il Drago. 2. Soldato Greco armato in atto di ‹uccidere un› combattere con un Drago con una spada. 3. Cadmo che semina i denti del serpente. Il foglietto era indirizzato a Martin Knoller. 3.15 Cammei per la prima stanza degli Arazzi. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 99-100. Bifoglio, di mm. 170 × 265, autografo, scritto a piena pagina solo nel recto e verso del primo foglio. L’indicazione del luogo venne aggiunta da Reina, con il seguente richiamo a una postilla della stessa mano all’estremità inferiore della pagina: «Questi furono eseguiti con vari cambiamenti; siccome anco quelli delle stanze susseguenti.» Reina 1803, v, pp. 68-70 con la postilla; Bellorini, ii, pp. 120-121; Mazzoni 1925, pp. 909-910; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 472-474. 3.16 Medaglia per la seconda stanza degli Arazzi. Di questo soggetto sono conservate due redazioni: la prima (A), in scrittura rapida autografa, si legge sulla prima facciata di un bifoglio azzurrino di mm. 185 × 245 (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 105) senza l’intestazione, che si ricava dalla seconda redazione, apografa, anch’essa non definitiva (Mazzoni: «forse dettato»), sul recto di un foglietto volante di mm. 185 × 245 (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 109). Tutti gli editori seguono questa seconda redazione. Reina 1803, v, pp. 70-71; Bellorini, ii, pp. 121-122; Mazzoni 1925, pp. 910-911; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 577-578.

nota al testo

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Questo il testo di A: Il Giove fulminante in atto di scagliare i fulmini appeso su di una nuvola; coll’aquila a’ piedi avente i fulmini negli artigli, con clamide bianca. La Giustizia alla sinistra di lui, che lo riguarda, con un piede sopra di una rota; e panneggiamento intero con manto verde e giallo; di belle forme severe. Un puttino con un regolo in mano alla sinistra della Giustizia panneg.to color di aria svolaz.e. Puttini di sopra dell’aquila, che allontanano le tre grazie dal Giove. Esse Grazie coricate sulle nuvole, atterrite alla vendetta di Giove; e quasi in atto d’impedirla se potessero, onde provare che la Giustizia debb’essere più moderata che si possa. Le Grazie sono in una certa distanza, onde mostrare che la Grazia non dee nuocere alla Giustizia. La prima Grazia con panneg.to verde quasi in atto d’impedire la 2.da che ha la faccia opposta a Giove con panneg.to rosso; la 3.a con panneg.to giallo verso Giove in atto di disperazione. 3.17 Soggetti per li sovraporti a bassorilievo della Seconda Stanza degli Arazzi per il Sig.r Traballesi. BAMi, S.P. 6/5, VIII 6, pp. 11-12. Bifoglio di mm. 205 × 292, apografo, scritto a piena pagina solo sulla c. 1 recto e verso. Reina 1803, v, pp. 71-74; Bellorini, ii, pp. 122-123; Mazzoni 1925, pp. 911-912; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 476-478. Anche nel quaderno apografo BAMi, S.P. 6/4 (2), VII. 6, cc. 122v-123r. 3.18 Cammei per la Seconda Stanza degli Arazzi. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 111-113. Bifoglio di mm. 175 × 265, autografo, scritto a piena pagina su tre facciate. L’intestazione venne aggiunta da Reina. Reina 1803, v, pp. 74-76; Bellorini, ii, pp. 123-125; Mazzoni 1925, pp. 912-913; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 482-483. 3.19 Soggetto per la medaglia della terza Stanza. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 115-118. Bifoglio di mm. 183 × 240, autografo calligrafico, scritto a piena pagina sulle 4 facciate. Reina 1803, v, pp. 77-79; Bellorini, ii, pp. 125-126; Mazzoni 1925, pp. 913-914; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 483-484. Nella parte inferiore della terza facciata, p. 117, è stata incollata una striscia di carta, che copre le seguenti parole, attinenti i sovrapporti della prima stanza: Idea de’ sovraporti della Prima Stanza. Spade scudi elmi corone dardi turcassi ed armi antiche d’ogni genere, con puttini che scherzano fra quelle, e le ornano d’erbe e di fiori.

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nota al testo

In un primo tempo il Parini aveva pensato a un altro soggetto, che si legge su un foglietto volante di mm. 180 × 245, pp. 189-190, autografo calligrafico, scritto a piena pagina sulle due facciate (Reina 1803, v, pp. 116117 con il titolo: «Soggetti d’incerta attribuzione»; Bellorini, ii, p. 146 col titolo: «Programma VIII», Mazzoni, p. 890, lo riferisce a Palazzo Belgioioso, ma non risulta che vi figurasse una terza stanza). La natura del soggetto, la carta azzurrina e la medesima grafia dei bifogli 61-64, 65-68 (Palazzo Greppi), 105-108, e dei fogli volanti 97-98, 109-110 (Palazzo Ducale) inducono a ricondurlo a questo palazzo, tanto più che l’annotazione finale («Si restituisca questa carta all’Ab.e Parini») è la medesima che si trova, con la medesima grafia, alla p. 118 di BAMi, S.P. 6/5, VIII 13: Soggetto per la Medaglia della terza Stanza. L’Amore quando non è temperato dalla ragione è causa di gravissimi mali, come si vide in Medea. La dea Venere sederà sopra il suo carro tirato dalle colombe, tenendo una fiaccola molto fiammeggiante in mano. Amore con gli occhi coperti dalla benda starà in piedi sul davanti del carro in atto di guidar colle redini le colombe. La Gelosia, il Furore, e la Vendetta accompagneranno il carro. La tendenza del carro, l’atteggiamento d’Amore, il movimento delle colombe, e quello delle figure accompagnanti il carro mostreranno la più grande violenza del corso, quasi precipitando verso l’ingiù. Venere mostrerà grande cupidità negli occhi e nel viso. Sarà coperta sol quanto la decenza richiede. La Gelosia sarà una bella donna, ma pallida in viso, e piuttosto magra, col guardo la bocca e l’articolazione delle mani significante paura e sospetto. Avrà un panneggiamento di color turchino a onde, tutto sparso d’occhi. Il Furore sarà un giovane tutto acceso e terribile nel volto, coi capelli rabbuffati. Nella destra ter[r]à un aspide in atto d’avventarlo, e dalla sinistra gli penderà il teschio di Medusa. Avrà pezzi di catene spezzate ai piedi ed alle mani. La Vendetta sarà una bella donna, ma di aspetto torvo e crudele, capelli sciolti e disordinati, e panneggiamento color di sangue. Si morderà colla bocca il dito indice della sinistra, e terrà nella destra un pugnale. Se bisognano altre figure alla composizione, vi si aggiugneranno degli Amorini volanti, ma tutti con gli occhi bendati, in atto di scagliare o coll’arco o colla mano dardi per ogni parte. Il cielo sarà torbido, con tinte di luce rossiccia e fiammeggiante. N.B. Si restituisca questa carta all’Ab. Parini. 3.20 Idea de’ sovraporti per la terza Stanza. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 118. Autografo calligrafico (vedi 3.19). Reina 1803, v, p. 79, tranne la seconda parte «Si potrà […] Caravaggio»; Bello-

nota al testo

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rini, ii, p. 126, segue Reina; Mazzoni 1925, completo, p. 914; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 484. 3.21 Cammei per la terza Stanza degli Arazzi. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 123-124. Autografo calligrafico. Foglio volante di mm. 175 × 265, scritto a piena pagina sul recto e sulla prima metà del verso. L’intestazione venne aggiunta da Reina. Reina 1803, v, pp. 80-81; Bellorini, ii, pp. 126-127; Mazzoni 1925, p. 914; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 488. Un altro bifoglio (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 3-6), scritto a piena pagina, su 4 facciate, che presenta grafia, tipo di carta, filigrana, formato (mm. 185 × 254), esattamente uguali ai bifogli 93-96, 115-118 (Palazzo Ducale), ma anche 133-136 e 177-178 (Palazzo Greppi), contiene l’indicazione di quattro soggetti per cammei (di cui soltanto due sviluppati) (Reina 1803, v, pp. 118-120 sotto il titolo: «Soggetti d’incerta esecuzione»; Bellorini, ii, pp. 147-148 sotto il titolo «Programma IX»; Mazzoni 1925 senza indicazioni, pp. 925-926). La presenza del tema dell’Agricoltura in una delle serie di cammei della terza stanza degli arazzi induce a credere che si tratti di un primo progetto, poi ripensato: Le quattro Arti primitive. L’Agricoltura. Cerere e Bacco. La Caccia. L’Aurora e Cefalo. Cefalo graziosamente seduto sta in atto di mostrar la caccia da lui fatta all’Aurora, la quale coricata sopra una nuvoletta mostra di volerlo amorosamente abbracciare, mentre che Procri, moglie di Cefalo nascosta dietro ad un cespuglio, li sta osservando con molta gelosia. Cefalo sarà un bellissimo giovanetto, in abito semplice da cacciatore, che gli caderà fino alla metà della coscia. Avrà i coturni al piede, e sarà negligentemente appoggiato colla sinistra mano ad un arco. Starà vicino a lui uno o più cani da caccia; e giaceranno a’ di lui piedi alcuni dardi con dei lepri e degli uccelli morti. L’Aurora sarà una bellissima giovinetta coronata di rose, con panneggiamento giallo, ma in gran parte nuda. Manderà da ogni parte raggi somiglianti a quelli del levar del sole. Procri sarà pure una bella giovane vestita semplicemente ad arbitrio. In alto vi potranno essere de’ piccoli Genj, alcuno de’ quali getterà de’ fiori; altri verserà rugiada da un urna; ed altri soffierà vento dalla bocca. Tutti questi Genj avranno le ali di farfalla. ‹Nel volto› Nell’espressione di Cefalo si vedrà la ingenuità e la sorpresa, in quella dell’Aurora la ve[e]menza dell’affetto e del desiderio, in quella di Procri la curiosità e il sospetto. La carnagione di Cefalo sarà brunetta, quella dell’Aurora di dolce color rosato, quella di Procri pallidetta.

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nota al testo

La Pesca Galatea ed Aci. Fra l’onde del mare, rasente il lido si vedrà Galatea bellissima ninfa sdraiata negligentemente sopra una conca marina, la quale sarà in atto di presentare con una mano delle ostriche, e simili frutti di mare ad Aci bellissimo giovane, il quale stando in pedi sul lido, si chinerà per ricever graziosamente il dono. Vicino alla conca di Galatea si vedrà un Tritone o due, uno de’ quali porterà fra le mani una quantità di pesci, e l’altro potrà scherzar diversamente all’intorno. In distanza si vedrà accennato sull’alto d’una rupe il gigante Polifemo in atto di sonar la siringa, appoggiato ad un bastone. In aria si potranno introdurre degli amorini scherzanti ad arbitrio. Galatea sarà di carnagione bianchissima. Avrà un poco di panneggiamento ceruleo, coi capelli intrecciati di perle e d’erbe acquatiche. Farà un grazioso sorriso guardando ad Aci, e questi, che sarà in abito semplice da pastorello, colle gambe nude, guarderà a Galatea con significazione di grandissimo affetto. Degli Amorini che saranno in aria, alcuno potrà pescare con una canna, ed altri scherzare con una rete. La Pastorale. Pale e Pane. [s’interrompe] 3.22 Per li piccoli Scudi a chiaroscuro della terza Stanza degli Arazzi. Reina (V, pp. 79-80) riporta questi soggetti a chiaroscuro (S.P. 6/5 VIII13, p. 119) (non ripresi né da Bellorini né da Mazzoni), con l’annotazione: «Non furono eseguiti». Barbarisi, bartesaghi 2005, p. 577. 3.23-24 Soggetto per la medaglia della Sala d’Udienza di S.A.R. Di questo soggetto sono conservate tre versioni: una prima, autografa, con correzioni, in BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 77-79, su bifoglio di mm. 213 × 305 (ultima facciata, p. 79v, in bianco), in inchiostro molto sbiadito (A); una bella copia autografa, in BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 73-76, su bifoglio di mm. 195 × 295 (B), mutila dei 6 medaglioni con puttini, piccolo fauno e piccolo genio, presenti nella parte finale della precedente stesura; una bella copia apografa, in BAMi, S.P. 6/5, VIII 6 (C). Viene riportato a testo per «Il Ritorno d’Astrea» (B) (come Reina 1803, v, pp. 55-58; Bellorini, ii, pp. 113-115; Mazzoni 1925, pp. 906-907: tutti e tre senza l’aggiunta finale di A) con le varianti di A e C, ma per i medaglioni viene ripreso il testo di A. Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 489-492. Alla fine di A sono aggiunti degli appunti per medaglioni, riconducibili per i contenuti alla terza stanza degli Arazzi (3.24). Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 492

nota al testo

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3.25 Figura per i Sopraporti della Sala d’Udienza. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 81-86. Bifoglio di mm. 200 × 290, autografo, scritto sulle prime tre facciate, pp. 81, 82, 85 (Reina 1803, v, pp. 59-60, che però segue l’apografo BAMi, S.P. 6/5, VIII 6; così pure Bellorini, ii, pp. 115-116, che riporta in nota l’ordinamento che qui figura all’inizio del testo; Mazzoni 1925 rispetta l’autografo; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 494-496); il bifoglio conserva all’interno un altro foglietto, la cui numerazione s’interpone a quella del bifoglio (p. 83 e p. 84), e che contiene una prima redazione delle 6 figure, in ordine diverso: Discrezione. Donna adulta con manto pavonazzo, ornato d’oro tenente nella destra il Regolo lesbio1 in atto di considerare. Clemenza. Donna giovane che tiene fra le ginocchia i fasci consolari, in atto d’inserirvi un ramo d’ulivo. Premio. Bel giovane in manto bianco ornato d’oro, tenente nella mani tessere colle mani varie ghirlande di quercia, d’alloro ecc. Altre ecc. Castigo. Giovane di fisonomia malinconico, appoggiato con la destra ad una scure, e tenente colla sinistra uno stafile. ‹Donna di membra› Fermezza. Donna alata, che appoggia una mano al suolo in atto d’alzarsi con gran sollecitudine, e tiene nella destra un polverino, a cui guarda attentamente. A p. 84 questi appunti autografi (in colonna), che rimandano a Ripa 1625: «Clemenza. 102.-Correzione. 135.-Discrezione. 178.-Lode. 399.-Prontezza. 532.-Provvidenza. 535.-Prudenza. 536.-Punizione. 540.-Remunerazione. 559.-Riprovazione. 566.-Sollecitudine. 629.-Castigo. 98.-Premio. 527.-Distinzione. 183.-Equità. 203.-Fermezza. 234. Discrezione. Clemenza. Premio. Giustizia. Castigo. Prontezza. Fermezza. In BAMi, S.P. 6/5, VIII 6, pp. 7-8, si legge una copia apografa di questo soggetto; rispetto alla bella copia autografa la frase iniziale relativa alla disposizione delle figure è collocata alla fine e presenta alcune varianti: 1 Regolo di piombo, levigato solo sotto e sopra; la sua invenzione viene attribuita da Ripa al Padre Ignazio, vescovo di Alatri e matematico di papa Gregorio XIII (vedi alla voce ‘Equità del Reverendissimo Fr. Ignazio’).

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nota al testo

Tutte queste figure saranno sedute e disposte nell’ordine, e nella corrispondenza seguente: 1. Discrezione 1. Clemenza 2. Castigo 2. Premio 3. Fermezza 3. Prontezza. 4 [Il giudizio di Paride: dal Palazzo di Corte a Taxispalais] BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 87-90. Bifoglio grande, di mm. 216 × 330, autografo calligrafico, scritto a piena p. solo nel r e nel v del primo foglio (pp. 87-88). In alto, nell’ultima facciata (p. 90), l’annotazione di mano di Reina: «Soggetto eseguito nel Salone dell’Ecc.ma Casa Taxis in Insbruk in Tirolo». Reina 1803, V, pp. 61-63 lo riporta con l’annotazione: «Non fu eseguito»; Reina riporta l’apografo BAMi, S.P. 6/5, VIII 1 per intero, tuttavia, alla p. 91, nota a, precisa: «Anco il Paride già descritto fu eseguito in Inspruck nella Casa Taxis». Bellorini, II, pp. 116-117 lo riporta fra i soggetti di Palazzo di Corte con l’annotazione: «Non fu eseguito [nota del Reina]. In un ms. è detto che fu eseguito in casa Taxis ad Innsbruck»; Mazzoni 1925, pp. 908-809, senza indicazioni; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 497-498. Una copia apografa nel fasc. BAMi, S.P. 6/5, VIII 1, scritta sulle prime due facciate di un piccolo bifoglio (mm. 185 × 230), presenta alcune varianti, qui indicate con B. Infine, una seconda copia apografa (esemplata su B) figura in BAMi, S.P. 6/5, VIII 5, pp. 2-3, di seguito all’apografo dei soggetti per i sovraporti della stanza del Giove nel palazzo di Corte (vedi nota filol. 3.5): un’ulteriore prova che in un primo momento Il giudizio di Paride faceva parte dei soggetti progettati per l’Arciduca. La lezione finale messa a testo si trova anche nel quaderno apografo BAMi, S.P. 6/4 (2), VII. 6, cc. 121r-122r. 5.1-6 [Palazzo Greppi] 5.1 Soggetti per la pittura della stanza di ricevimento. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 133-136. Bifoglio di mm. 185 × 250, autografo calligrafico, scritto a piena pagina sulle quattro facciate. L’accenno al padrone, all’amicizia, agli affari riconduce questo soggetto alla serie di Palazzo Greppi, dove effettivamente fu eseguito il dipinto, contrariamente a quanto affermò Reina, che lo assegnò al Palazzo Arciducale di Monza (v, p. 87, nota), seguito da Bellorini (ii, pp. 130-131), mentre Mazzoni 1925 (p. 889) lo confuse con i soggetti del Palazzo di Corte: «Con questo […] sembrano terminare i soggetti proposti dal Parini per le pitture nel palazzo di Corte. Nell’ordine dei quali ho stimato di dover

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attenermi al Reina; ma non sono sicuro che tutti i soggetti stessi appartengano a questa serie.» (vedi il testo del soggetto, pp. 916-917). Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 500-502. Per i cammei, vedi la nota successiva. 5.2 Salone. Medaglia della volta. Della «Medaglia della volta», raffigurante la Sapienza, sono conservate quattro stesure fondamentali. Due sono apografe e sono segnate rispettivamente BAMi, S.P. 6/5, VIII 2 e S.P. 6/5, VIII 3: bifogli grandi, di mm. 218 × 330, scritti a piena pagina, il primo, con un’aggiunta interlineare autografa (come in A), nel recto e nel terzo superiore del verso del primo foglio; il secondo, scritto soltanto sulla c.1r, contiene la bella copia del precedente, con poche varianti grafiche. Le altre due stesure sono autografe. Una, la più completa (B), che costituisce il punto d’arrivo e contiene oltre ai soggetti della medaglia e dei bassorilievi anche quelli dei cammei (Reina 1803, pp. 91-100, che inspiegabilmente annota: «Quest’argomento dovevasi eseguire nel Palazzo di Corte; siccome pure il Ganimede sostituito, che si porrà da poi»; Bellorini, II, pp. 132-136; Mazzoni 1925, pp. 917-920; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 503-504; 506-516), è stata parzialmente smembrata ed è costituita da quattro bifogli grandi di mm. 200 × 290, in scrittura calligrafica, così collocati: BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 137-140, 153-164 (alcune facciate in bianco); al centro della p. 140 si legge l’annotazione riguardante i lavori eseguiti per il Palazzo di Corte (vedi nota filol. 3.7); l’altra, (A), anteriore, è contenuta sulla prima facciata e su parte della seconda di due bifogli più piccoli, inseriti l’uno nell’altro di mm. 170 × 270, scritti su sole sei facciate (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 145-150), sui quali si legge una prima versione del soggetto della medaglia e, di seguito, dei bassorilievi; nell’angolino di sinistra in alto alla p. 145 l’annotazione: «1780. 8. 7bre dato dal Sig. Abate Parini». Qui a testo figura la redazione ultima (B); la precedente (A) viene riportata qui di seguito; figurano invece in nota le stesure incomplete contenute in altri tre bifogli (pp. 141-144, 165-168, 169-170). I due apografi della medaglia sono esemplati su B. [prima redazione] [A] Soggetti delle Pitture e de’ Bassirilievi nell’appartamento nuovo. Nel Salone. Medaglia della volta. La Sapienza non rifiuta i piaceri della vita, ma ne usa con cautela delicatezza e moderazione. Minerva Dea della Sapienza, deposto l’elmo in atto di godere alquanto di riposo, accarezza leggermente l’Amore, che le vien presentato da Venere madre di lui. Nello stesso tempo volge con piacevolezza lo sguardo a Bacco, che le offre una mezza coppa del suo liquore. Como Dio delle feste e dei conviti, sedendosi vicino a Bacco, s’interessa ne’ piaceri

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di Minerva. Ma la Dea, presente a se stessa e con un viso tra il dolce e il severo, tiene fieramente l’asta nella destra, guardandosi specialmente dall’Amore, che simulando innocenza nasconde con una mano il dardo, e coll’altra tenta d’afferrarle l’asta. Al piede della Dea della Sapienza giacciono l’elmo e lo scudo, sopra de’ quali la Civetta uccello a lei consacrato scherza colle colombe sacre a Venere Dea del piacere. Al di sotto di questa Deità un Genio trattiene colle redine un altro, che spiegando precipitosamente il volo minaccia di fuggire, nelle quali figure vien simboleggiata la moderazione. Nello stesso Salone. Bassirilievi 1. Convien servirsi dell’Abbondanza per riconoscere le persone benemerite. Giove, svelto uno de’ corni alla capra Amaltea da lui riposta nel cielo per esserne stato allattato, la dona alle Ninfe, che presero cura della di lui infanzia, e gli compartisce nello stesso tempo virtù di produrre tutto ciò che esse fossero per desiderare. V. la Mitol. 2. L’uso dell’Ospitalità non va senza guiderdone. I due vecchi consorti Bauci e Filemone ricoverano nella loro capanna Giove e Mercurio, i quali viaggiavano sconosciuti ed esclusi da tutti gli altri: e i quali ricompensarono i loro albergatori col salvarli dalla distruzione, cangiare la loro capanna in un tempio, ed esaudire i loro voti. V. Ovidio. Metam. 3. Il piacer moderato dà forza allo spirito ed eccita alla virtù. Achille in mezzo ai Fauni, che ballano intorno a lui, si sta divertendo col suono della lira, e il Centauro Chirone educatore di lui gli presenta una coppa di vino. V. la Mitol. 4. Il troppo uso delle carni e delle vivande artificiose è nocivo alla salute. Il filosofo Pitagora, abominando l’uccisione degli animali per uso del vitto degli uomini, consiglia a’ suoi discepoli l’uso de’ vegetabili. 5. Debbonsi allontanar dai conviti e dalle feste i parasiti e i seduttori. Ulisse ritornato in patria, ed armatosi del suo grande arco, libera la propria casa dai Proci divoratori del suo e persecutori della moglie. V. Omero. Odissea. 6. Debbonsi volentieri ammettere ai conviti le persone di merito e di talento. Alcinoo Re di Corcira e la Regina moglie di lui pranzano con Ulisse accolto cortesemente da loro in occasione di naufragio, e lo divertiscono col canto di Demodoco cieco Poeta da loro protetto. V. Omero. Odissea. 7. I disordini della tavola sono cagioni di risse e di gravi mali. I Lapiti e i Centauri nel convito delle nozze di Piritoo e d’Ippodamia combattono fieramente tra loro per rapire la sposa. V. Ovidio. Metam. 8. Conviene allontanar dai conviti e dalle feste gl’importuni e gl’incivili. I due fratelli Calai e Zete figliuoli del Vento Borea e d’Orizia discacciano le Arpie mostri schifosi ed importuni, i quali vessavano ed imbrattavano la mensa del Sire Fineo. V. Ovidio Metam.

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9. L’uso de’ bagordi rende gli uomini brutali. La maga Circe ministrando ai compagni d’Ulisse le sue bevande, gli trasforma in varie spezie di bestie. V. Ovidio. Metam. 10. La totale astinenza dai piaceri produce gravi disordini. Penteo Re di Grecia, per aver negato di riconoscere e d’adorare Bacco dio del vino, viene lacerato ed ucciso dalla propria madre e dalle compagne di lei, rendute furiose da questo Dio. V. Ovidio. Metam. Il testo si conclude con questo breve appunto: Nella stanza da Caffè. Coloro che servono debbono fare il loro officio con grazia e con attenzione. Giove mal soddisfatto di Ebe coppiere di lui, la quale nel presentargli il nettare era caduta la discaccia da sè ed [la discaccia da sè ed: agg. in interl.] assume in luogo di quella il giovane Ganimede, fatto da lui rapire per mezzo dell’aquila. V. Mitol. Segue l’inizio, cancellato, del soggetto della medaglia della volta della stanza da letto: ‹I vezzi donneschi sono tanto potenti da sorprendere anche i mariti più savi›. Sulla prima facciata di un bifoglio azzurrino di mm. 187 × 243 (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 165-168), si legge, autografo, questo inizio di altra stesura: Soggetti delle Pitture e de’ Bassirilievi nell’Appartamento nuovo. Nel Salone. Medaglia della volta. Senso dell’Allegoria. La Sapienza non rifiuta i piaceri della vita, ma ne usa con cautela delicatezza e moderazione. Pittura. Minerva Dea della Sapienza, deposto l’elmo in atto di godere alquanto di riposo, fa una leggerissima carezza all’Amore, che le vien presentato da Venere madre di lui: e nello stesso tempo volge piacevolmente lo sguardo a Bacco, che le presenta una mezza coppa di vino. [s’interrompe] Sulle prime due facciate e sulla parte superiore della terza di un bifoglio azzurrino uguale a quello precedente (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 141-144), si legge quest’altra stesura, nella medesima calligrafia autografa: Soggetti delle Pitture e de’ Bassirilievi nell’appartamento nuovo. Nel Salone. Medaglia della volta. Senso dell’Allegoria. La Sapienza non rifiuta i piaceri della vita ma ne usa con cautela delicatezza e moderazione. Pittura.

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nota al testo

Minerva Dea della Sapienza, deposto l’elmo in atto di godere alquanto di riposo, accarezza leggiermente l’Amore, che le vien presentato da Venere madre di lui: e nello stesso tempo volge con piacevolezza lo sguardo a Bacco, che le offre una mezza coppa del suo liquore. Como Dio delle feste e de’ conviti s’interessa ne’ piaceri di Minerva sedendosi vicino a Bacco. Ma la Dea, non obbliando se stessa, con un viso tra il dolce e il maestoso, tiene fieramente l’asta nella destra guardandosi spezialmente dall’Amore, che, affettando innocenza, nasconde con una mano il dardo, e coll’altra tenta di afferrarle l’asta. Ai piedi della Dea della Sapienza giacciono l’elmo e lo scudo, sopra de’ quali la Civetta uccello a lei consacrato scherza colle colombe sacre a Venere, Dea del piacere. Al di sotto di queste Deità fugge volando precipitosamente un Genio, che vien trattenuto colle redine da un altro; il che viene allegoricamente ricevuto per simbolo della moderazione. Nello stesso Salone. Bassirilievi. 1. Convien servirsi dell’abbondanza per riconoscer le persone benemerite. Giove, che svelto un corno alla Capra Amaltea da lui riposta nel cielo per esserne stato allattato, lo dona alle Ninfe che presero cura della di lui infanzia, dandogli virtù di produrre tutto ciò che esse desideravano. 2. L’uso dell’ospitalità riceve il suo guiderdone. I due vecchi consorti Bauci e Filemone che danno ricetto a Giove ed a Mercurio, i quali viaggiavano sconosciuti. Vedi le Metamorfosi di Ovidio. [s’interrompe] Un altro abbozzo autografo di Le nozze de’ Lapiti, prima parte dei «quattro soggetti per li bassirilievi del Salone», si legge nella metà superiore della prima facciata di un bifoglio di mm. 180 × 250 (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 169-170, non numerate le due pagine interne): Gli altri quattro Soggetti per li Bassirilievi del Salone. 1. I disordini della Tavola producono le risse. Le nozze de’ Lapiti. Vasi ed arnesi da tavola caduti e rovesciati. Il Centauro Eurito cade ferito nel capo, affaticandosi di ritenere ancor fra le braccia Ippodamia giovane principessa da lui rapita. Questa, piena di spavento, stende le mani e chiede soccorso a Teseo, il quale accorso, sta in atto di liberarla, minacciando con un vaso da tavola in mano il centauro moribondo. In BAMi, 6/5 VIII13, p. 56, si trova il foglio, autografo, di mm. 200 × 290, con la descrizione dei due trofei collocati su ciascuno dei lati minori del

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salone. Il primo trofeo (Fig. 47) è stato eseguito tra i bassorilievi che rappresentano Il pranzo d’Alcinoo (Fig. 50) e Le nozze de’ Lapiti (Fig. 49); il secondo (Fig. 48) tra Giove con la cornucopia (Fig. 41) e Bauci e Filemone (Fig. 42). Sulla stessa c. 56 è scritto e cancellato l’incipit della lettera al marchese G. B. D’Adda del 6 giugno 1778 in ringraziamento del dono della tabacchiera d’oro, quale compenso per il soggetto del telone alla Scala. 5.3 Soggetto per la stanza del Caffè. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 171-172. Foglio volante, autografo, grafia affrettata di mm. 204 × 292, scritto su tutto il recto e sulla parte superiore del verso, con margine sinistro in bianco. Reina 1803, v, pp. 101-106; Bellorini, ii, p. 137; Mazzoni 1925, p. 920; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 516-518. Nell’angolo in alto a sinistra di p. 171, si legge questa nota, con rimando alfabetico al titolo, di mano di Reina: «Non eseguito; ma potrebbe per avventura aver servito ‹in altri Palazzi› altrove, siccome quello del Paride, che fu dipinto nel Salone di Casa Taxis a Innspruck.» Tuttavia, il dipinto venne effettivamente eseguito nella Stanza del caffè di Palazzo Greppi. Per il Paride vedi 4. 5.4 Medaglia per la camera da letto. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 173-176. Bifoglio (da unire ai precedenti, vedi nota filol. 5.2-3) di mm. 200 × 292, autografo calligrafico, scritto a piena pagina su tre facciate (pp. 173-175). Bellorini, ii, pp. 137-140; Mazzoni 1925, pp. 920-921; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 518-520. Manca in Reina 1803. Sono da collegare con il soggetto della medaglia per la camera da letto gli appunti affrettati, che si leggono su un foglio volante (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 55), erroneamente collocato all’interno di una cartella relativa al Palazzo di Corte (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 45 sgg., vedi nota filol. 3.1); in questi appunti il Parini prendeva in considerazione anche l’antefatto e il seguito della scena privilegiata nella stesura definitiva (Bellorini, ii, p. 149; Mazzoni 1925, p. 926. Su questi appunti e sulla derivazione della scena da Iliade, xiv, vedi Savarese 1973, p. 63 sgg.): Venere, che dà il cinto a Giunone. Giunone, che tiene per mano il Sonno e gli parla con premura. Il Sonno in riva del mare, parlando a Nettuno, ed accennando ‹che› in alto che Giove dorme. Giove in atto di sgridar Giunone. Giove ordina ad Iride, e ad Apollo, che l’uno vada a vietare a Nettuno di combattere contro ai Troiani, all’altro che vada in soccorso d’Ettore. Iride, che comanda ecc. a Nettuno.

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Venere, che sta in atto di consegnare il suo cinto a Giunone, Amore a lato di lei. Giunone, che tenendo per mano il sonno gli parla con premura, e gli presenta una bellissima giovane, quasi in atto d’offerirgliela. Nettuno vicino alla riva del mare sul suo carro tirato da’ delfini. 5.5 Per la camera da letto. Quattro bassorilievi alle teste. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 177-178. Bifoglio di mm. 180 × 250, autografo calligrafico, scritto sul recto e sul verso a piena pagina. Pochi appunti relativi ai soggetti dei bassorilievi per la camera da letto si leggono alla p. 55 del foglietto di cui al 5.4, intercalati agli altri qui riportati nella medesima nota filologica (Bellorini, ii, p. 149; Mazzoni 1925, p. 926; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 522): Venere seduta, in atto di scherzare colle sue colombe. Amore, in atto di tentar timidamente col dito se un dardo pugne. Imeneo, in atto d’intrecciare una corona di rose. Pasitea, che nell’atto di formare una corona di papaveri, socchiude gli occhi, come per addormentarsi. 5.6 Quattro tondi agli angoli. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 178. Bifoglio di mm. 180 × 250, autografo calligrafico. Bellorini, ii, p. 140; Mazzoni 1925, p. 922; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 522. Manca in Reina 1803. Né Bellorini né Mazzoni si sono avveduti che nel secondo soggetto sono contenuti due tondi. La descrizione del secondo tondo si ricava da BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 55: «Il Sonno in riva del mare, parlando a Nettuno, ed accennando in alto che Giove dorme»; «Nettuno vicino alla riva del mare sul suo carro tirato da’ delfini». La raffigurazione del Sonno, con gli elementi che lo caratterizzano, corrisponde alla descrizione che ne viene data nella parte finale della esposizione della medaglia per la camera da letto: «Il Sonno sarà in sembianza d’un leggiadro giovanetto, di carnagione alquanto bruna […]. Avrà le ale di farfalla a vari colori oscuri, una ghirlanda piuttosto grande di papaveri in capo e un dente di elefante in mano» (vedi 5.4). 6 [Palazzo Confalonieri] BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 91-92. Foglio volante di mm. 210 × 305, autografo, scritto a piena pagina nel recto e nella parte superiore del verso (Reina 1803, pp. 64-65; assente in Bellorini; Mazzoni 1925, p. 909; Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 525). Sul recto della seconda carta del bifoglio di cui alla nota filol. 3.3 dei soggetti di Palazzo di Corte (BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, p. 43) si leggono autografi questi appunti:

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Due Amorini, che si sforzano di legare il Tempo con catene di Rose, ed un altro che dispettosamente ne spezza l’oriolo, lasciandone cader la polvere sul suolo. Il Sonno rappresentato in un giovane coronato di papaveri, che dorme sulle rive d’un lento ruscello sotto una tenda nera ombreggiata da foltissime piante. Un Amorino che colla piuma d’un dardo gli solletica il viso; ed un altro che ride. Bacco bello e giovane con una coppa di vino in mano. Un Amorino, che vi mesce dell’acqua, e un altro seduto sul suolo che si mette una corona d’alloro in capo. [Sono poi presenti alcuni versi del componimento pariniano Superbo fiume; vedilo riprodotto in Mazzoni p. 502] Una ninfa che dorme mezzo ignuda. Un lascivo satiretto, che tenta di scoprirne l’altra parte. Un Amorino che sopravviene minaccioso e lo respinge. Mercurio ‹in att[o]› che insegna sonare il flauto ad un Amorino: e un altro Amorino tratto uno de’ calzari alati a Mercurio, tenta di calzarlo a sè. Diana, che ha (ha: corr. in interl. su ‹avendo›) tolte le armi ad un Amorino. Questi piagne dinanzi a lei pregando che gliene restituisca. Un altro in disparte, ‹si› che tutto minaccioso si morde il dito ‹min[acciando]› accennando che ne farà vendetta. 7.1-3 [Palazzo Belgioioso] 7.1 Soggetto per la medaglia del salone. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 181-182. Foglietto volante di mm. 185 × 245, minuta autografa con numerose cancellature, scritto a piena pagina nel recto e nel verso. Reina 1803, v, pp. 107-109; Bellorini, ii, pp. 141-142; Mazzoni 1925, p. 922; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 526-528. Una versione precedente (A) si legge in un foglietto a parte (p. 183). Varianti in apparato. Su un analogo foglietto (pp. 178-180) i primi abbozzi autografi di questo soggetto: Nel Salone di Belgioioso L’Apoteosi in forma di un Trionfo delle Glorie della Casa d’Este, col seguito de’ suoi 4 Generali. Due altre medaglie. La gloria del Principe: un puttino tiene una bandiera con l’armi d’Este; uno una corona di palma e una tromba. L’uno una corona ed una palma; la gloria ha il simbolo dell’immortalità. L’emulazione bella giovane robusta ed animosa alata volante [variante: bella giovane matura alata], con un Puttino avente una bandiera col-

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l’armi Belgioioso nella destra e panneggiamento a piacere, e due Puttini che la precedono e riguardano; quasi nuda. Il tempio dell’Immortalità [scritto in interlinea su ] con vessillo vicino avente il motto Italia ab exteris liberata, e più soldati in varie attitudini, colla figura dell’Italia, che accenna colla destra il motto: bella giovane, stellata con una corona a foggia di castello, colla sinistra tiene l’asta e in piedi un Puttino appoggia la destra all’Italia, ed ha nella sinistra una catena spezzata; un altro ha due catene rotte nelle mani; un terzo il cornucopia e ciò più basso nella destra della medaglia. In mezzo Minerva sovra una nuvola, che scorge Alberigo al Tempio dell’eternità il quale sta sovra un elevatissimo masso dirupato per accennare la difficoltà di eternarsi; due Genj colle armi Belgioioso e colle guerresc[h]e appiedi del masso. Avvi una Gloria, che incorona d’alloro Alberigo e tiene nella sinistra una palma fiorita [e tiene … fiorita: agg. in interlinea], nuda; avvi una Fama, che suona sopra Minerva. La forza bella Giovane nuda colla clava nella destra, capegli biondi lunghissimi sparsi, che anima [agg. in inter. su , che sostituiva a sua volta l’iniziale ] quattro Generali a salire la strada del Tempio; puttini con palma. Sull’elaborazione del progetto, vedi Marisa Forni, Il Committente e il Poeta. Dietro le quinte dell’Apoteosi di Alberico il Grande, in Un palazzo in forma di parole. Scritti in onore di Paolo Carpeggiani, a cura di Carlo Togliani, Milano, FrancoAngeli, in corso di stampa. 7.2 Soggetti per le pitture della sala del Rinaldo. BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 185-187. Bifoglio di mm. 200 × 295, autografo calligrafico, scritto sulle prime due facciate e sul terzo superiore della terza. L’intestazione è di mano di Reina, come pure il rinvio e la relativa annotazione a piè di pagina: «Dipinta nel Palazzo del principe Belgioioso in Milano». Reina 1803, v, pp. 109-113; Bellorini, ii, pp. 142-144; Mazzoni 1925, pp. 922-924; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 528-532. 7.3 [Per le soprapporte] BAMi, S.P. 6/5, VIII 13, pp. 191-194. Bifoglio grande di mm. 220 × 345, autografo calligrafico, scritto a piena pagina sulla prima facciata e sul terzo superiore della seconda. L’indicazione delle sovrapporte è di mano di Reina. Reina 1803, v, pp. 113-115; Bellorini, ii, pp. 144-145; Mazzoni 1925, p. 925; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 532-534. 8 [Villa Reale – Nuovo Palazzo Belgioioso] BAMi, S.P. 6/5, VIII 10, pp. 1-24. Reina 1803, v, pp. 13-34; Bellorini, ii, pp. 90-101; Mazzoni 1925, p. 888, e i testi pp. 894-900; Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 536-560.

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Tutti i soggetti di statue e rilievi per gli esterni del Nuovo Palazzo Belgioioso sia verso la corte sia verso il giardino sono conservati soltanto in scrittura apografa (con numerosi errori di ortografia) su cinque grandi bifogli di circa mm. 230 × 330, raccolti all’interno di un altro bifoglio delle medesime dimensioni, che fa da cartelletta e reca sulla prima facciata l’intestazione. Nella terza facciata della cartelletta si trova il disegno del progetto di collocazione delle statue e dei bassorilievi sulla facciata verso corte: il lato sinistro ad opera del principe Belgioioso, il lato destro di Parini. I nomi che figurano accanto ad alcuni soggetti si riferiscono agli esecutori Angelo Pizzi e Bartolomeo Ribossi. I rilievi e le statue sono opera di Donato Carabelli, Bartolomeo Ribossi, Angelo Pizzi, Andrea da Casaregio, Grazioso Rusca, Carlo Pozzi. Non sempre gli esecutori hanno seguito fedelmente le indicazioni di Parini. Vedi F. Mazzocca, Villa Belgioioso, poi Villa Reale, in Mazzocca et al., pp. 327-342. Per gli esecutori degli altri cicli pittorici, vedi Barbarisi, Bartesaghi 2005, ad vocem.

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NOTE ES PL IC ATIVE 1 [Teatro alla Scala] Aganippe: era una fonte, le cui acque «avevano virtù d’ispirare i Poeti, e questo Fonte fu consegrato alle Muse» (DDF, p. 18). Apollo: «Era tenuto per Dio della Musica, della Poesia, e delle arti. Si fece capo delle nove Muse, ed abitava con esse ne’ monti Parnasso, Elicona, Pierio, sulle ripe dell’Ippocrene, e del Permesso, ove passava ordinariamente il Caval Pegaso, che loro serviva di cavalcatura […]. Il Gallo, lo Sparviero e l’Ulivo erano a lui consacrati, perché in queste cose furono da lui cangiati coloro i quali da lui furono amati. Per lo più si rappresenta con una Cetra in mano, con vicino a lui degli strumenti d’arti, e sopra un Carro condotto da quattro Cavalli, che girano intorno al Zodiaco» (DDF, pp. 37-39). Apollo appare come personificazione del sole nella terza versione dell’ottavo dei frammenti minori della NT (vv. 14-17): al v. 14 viene indicato come «di Cirra il vago dio», perché ad Apollo era sacro il giogo di Cirra sul Parnaso. Baccanti: donne che accompagnarono Bacco alla conquista delle Indie, innalzando dappertutto grandi acclamazioni per esaltare le sue vittorie. «Durante la cerimonia de’ Baccanali, e delle Orgie, elleno correano vestite di pelli di Tigri, scapigliate, con Tirsi, e Facelle nelle mani, urlando orrendamente» (DDF, p. 53). Conseguentemente a rappresentare la ‘Licenza’ viene introdotta una Baccante. Figure di Baccanti ricompaiono a Palazzo Greppi (Fig. 44) e a Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso (Fig. 74). Cigni: secondo la tradizione, il cigno, che prima della morte esprime il suo canto più bello, indica poeti e musicisti. In questo soggetto, i cigni, ‘scherzando’, cioè volando gioiosamente nell’aria manifestano entusiasmo vitale. L’immagine di Parini poeta-cigno è esplicita in La caduta: «Te sublime, te immune|Cigno» (vv. 27-28) e in Alla Musa: «Parini, Italo cigno» (v. 98) ma era già comparsa nel sonetto Vedete, oh Dio! vedete. Ecco la Morte, occasionato dalla scomparsa dell’Imbonati, restauratore dell’Accademia dei Trasformati. Alla sua morte (17 luglio 1768), «i Cigni […] ne vanno in bando» (v. 11) e le Muse vanno raminghe per la campagna, ululando (di queste forme lessicali si ricorderà Foscolo in Dei Sepolcri 79-80). Vedi il sonetto in Mazzoni 1925, p. 427. La sinonimia tra cigno e poeta, denotazione di un genere e di una appartenenza, ritorna anche nel 1780 nel componimento in ricordo dell’appena scomparso Domenico Balestrieri; serve a misurare la sua grandezza non solo nel «sermon natio»

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ma anche quando usa «i toschi modi» «de’ Cigni più sublimi al paro» (Mazzoni 1925, p. 505, componimento CXCVIII, 9-10), dove si allude alla tradizione alta della poesia italiana delle origini. Nella novella in versi In non so qual città dell’Indie un tempo, tra i ciarlatani Parini introduce anche un sedicente poeta: «Ecco, l’ascreo furore|Tutto m’invade; in questa mente oh quanti|Mi bollono pensieri!|Cigno immortal m’en volo|Pien di celesti doni|L’alte imprese a cantar de’ Mirmidoni». Dalla destra: la distribuzione ‘diagonale’ del soggetto è parte importante della composizione, per formare una sorta di equilibrio non solo fra le figure ma anche fra le luci e i colori (vedi la voce ‘Distribution’ in Dandré-Bardon 1769, pp. 42-43). Si associa quindi al principio della ‘dégradation’, cioè dell’attenuazione, della sfumatura degli oggetti che si avvicinano, o si allontanano in base ai toni della luce e dei colori (Dandré-Bardon 1769, p. 36). Ellera: edera (voce toscana e poetica). Erato: si rappresenta «in forma di vivace Giovanetta coronata di mirti, e di rose, avente in una mano una Lira, e nell’altra il Plettro, con vicino a lei un Amorino armato d’arco, e di turcasso» (DDF, p. 116). Figure/figurare: la figura deve «presentare lo spirito, l’azione, il sentimento, la nobiltà della bella natura» (Dandré-Bardon 1769, p. 62). E figurare non significa altro che «rappresentare, allegorizzare, personificare: la Verità è figurata da uno specchio, la Giustizia dalle bilance, la Prudenza da un serpente. Si dice pure: un certo oggetto figura male in un gruppo dominante, per far comprendere che vi è mal collocato: L’Eroe vi deve figurare in una maniera distinta, in modo da far comprendere chiaramente che tutto gli è subordinato» (ivi, p. 60). Fisonomia (o fisionomia): qui nel significato di epressione, aspetto, soprattutto del viso, inteso come rivelatore del carattere della persona. Graziosamente/grazia/grazioso: ricorrono più volte nel lessico di Parini. In Crusca 1741, ad vocem, Parini trovava la definizione di grazia come bellezza, convalidata dalla testimonianza di Angelo Firenzuola. «La grazia non [è] altro che lo splendore, il quale si ecciti per occulta via da una certa particolare unione di alcuni membri, che noi non sappiamo dire; e son questi, e son quelli insieme con ogni consumata bellezza, ovvero perfezione accozzati, e ristretti, e accomodati insieme». Ancor più pertinente la definizione che Parini leggeva in Dandré-Bardon: «La grazia dipende dalla giusta conformità della parte con il tutto, presentata con una costruzione morbida e flessuosa, e con quello spirito che dà loro vita. Una figura pur molto corretta del Perugino non è necessariamente così graziosa di un’altra meno esatta del Correggio. La bellezza consiste

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nella regolarità delle proporzioni e nella precisione delle forme» (Dandré-Bardon 1769, p. 70). Integrità: compiutezza dell’opera, imprescindibile per la sua perfezione. Sui concetti di compiutezza, proporzione, grazia, novità, interesse è da vedere innanzitutto la parte dei principi generali delle Lezioni di Belle Lettere dello stesso Parini (vedi Morgana, Bartesaghi 2003, pp. 81-181). Lauro: associato ad Apollo è l’alloro: esprime vivacità d’ingegno. La ‘viridità’ di questa pianta sempreverde viene indicata dai poeti come espressione di ‘immortalità’ (Ripa 1618, p. 417 e Ripa 1625, p. 519). La corona d’alloro «significa che sì come il lauro è sempre verde, & non è mai tocco dal fulmine, così la virtù mostra sempre vigore, e non è mai abbattuta da qualsivoglia avversario» (Ripa 1618, p. 564 e Ripa 1625, p. 719). All’alloro Parini dedica la canzonetta Il Lauro («Apollo passeggiò|Ier l’altro per la via,|E il suo lauro mirò|Appeso per insegna all’osteria»), in un contesto però negativo, secondo il luogo comune per cui il poeta non diventa ricco con la poesia. Licenza: «donna ignuda, & scapigliata, con la bocca aperta e con una ghirlanda di vite in Capo» (Ripa, 1618, p. 315 e Ripa 1625, p. 398). Sulla ‘elegante Licenza’ con cui si svolgono le conversazioni libertine nei salotti del bel mondo, si veda MZ 373-382: la Licenza può presenziare nuda se il racconto è apertamente scurrile, drappeggiata da un velo se inviluppato in doppi sensi e ambiguità. Melpomene: «Giovane donna in portamento grave, magnificamente addobbata, con coturni a’ piedi, scettri, e corone in una mano, e un pugnale nell’altra» (DDF, pp. 177-178). Nell’ode Il Dono, Melpomene, come Musa della tragedia, ispira l’Alfieri, armandolo del «terribile|Odiator de’ tiranni|Pugnale» (vv. 3-6). Il pugnale, attributo della musa, passa ad identificare il poeta. Parini trova in Boudard 1759, ii, p. 212, la rappresentazione visiva di Melpomene con «abito […] regale» e con il pugnale in mano. Muse: voce greca (ÌÓ¤ˆ) che «significa instruire di honesta & buona disciplina; onde Orfeo nelli suoi inni canta come le Muse han dimostrata la Religione, & il ben viver’a gli huomini» (Ripa 1618, p. 358 e Ripa 1625, p. 447). Per la dolcezza del loro canto erano anche chiamate Camene. È ‘sottile’, ingegnosa, la Camena che in La recita dei versi (v. 4) ispira versi meditati e pregevoli. È ‘invisibil’ la Camena che, in NT 256-259, guida il precettore del giovin signore nei palazzi dei nobili, negati alla vista dei comuni mortali. Parini (MT I 929) le dice «Figlie de la memoria inclite Suore». Dedicata alla musa è l’ultima sua lirica, l’ode Alla Musa, del 1795, in onore di Febo d’Adda. L’‘eterna Clio’, musa della storia e della poesia eternatrice, è

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introdotta al v. 11 del quarto dei frammenti minori della Notte per celebrare la discesa agli inferi di Orfeo e di Ercole, preludio ad una possibile discesa di precettore e giovin signore nel «regno avaro» delle ombre (v. 23). Nicchie: sulle nicchie fiorirono alcune interpretazioni scherzose già ai tempi dell’apertura del teatro. Vianello riporta un sonetto anonimo in lingua milanese, che ironicamente proponeva di mettere nella nicchia vuota il busto di Mattia Verazi, il poeta romano autore del libretto l’Europa riconosciuta, musicata da Salieri per l’inaugurazione della Scala (Vianello 1941, pp. 139-140). Probabilmente Parini, con le nicchie vuote, voleva indicare la difficoltà di superare o eguagliare l’arte rappresentata dai tre sommi dell’arte greca, latina ed italiana. Pegaso: «Cavallo nato dal sangue di Medusa, allor quando Perseo tagliò la testa a quella Gorgone. Percosse nascendo il piede in terra, e fece zampillare il fonte Ippocrene. Dimorava sopra i Monti Parnaso, Elicona, Pierio, e pascolava sulle rive dell’Ippocrene, del Castalio, e del Permesso, e serviva di cavalcatura alle Muse, e ad Apollo» (DDF, p. 204). Piume: oltre l’agilità del movimento, indicano il trofeo della vittoria nel canto delle Muse sopra le Sirene (Ripa 1618, p. 360 e Ripa 1625, p. 449 riferito a Tersicore). Satiri: «mostri mezzo uomini, e mezzo capre, colle corna in testa. Dimoravano nelle foreste, e ne’ monti e chiamavansi anco Fauni, o Silvani» (DDF, p. 227). In genere, i Satiri, insieme con le Ninfe, rappresentavano i vari aspetti della vita della natura, ed equivalevano ai Fauni della mitologia latina. Appunto su figure di Fauni e di puttini Parini costruisce i soggetti dei sovraporti per la stanza di Giove in Palazzo di Corte (3.5), per rappresentare l’origine delle Belle Arti, in particolare della danza, della musica e della poesia drammatica. In questa stessa prospettiva va interpretato il satiro del telone del teatro alla Scala. La «grande maschera caricata, e ridicola» evoca per metonimia il dramma satiresco, nel quale venivano parodiati gli eroi e le divinità che epopea e tragedia esaltavano. Le smorfie e i movimenti buffoni esprimono l’intento di volgere al ridicolo e alla comicità le loro leggende. Soggetto: «avvenimento storico o favoloso, che forma l’oggetto della composizione. Gli accadimenti della società, lo spettacolo della natura forniscono molti soggetti. Spesso è dalla loro scelta che dipende il destino di un’opera. Essi devono essere nuovi e interessanti, nobili e istruttivi» (Dandré-Bardon 1769, pp. 127-128). I soggetti di Parini privilegiano la dimensione favolosa, anche se non manca la componente storica, come in Palazzo Belgioioso. Spiritosi: vivaci. «Spirito, spiritoso: senso vitale, immaginativo di un artista; atteggiamento vitale di una testa, o figura dipinta; stile, capacità

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inventiva di un maestro. Sostantivo o aggettivo ricorrenti, nella teoria e nella critica d’arte, dal sec. xvi al Neoclassicismo» (Grassi-Pepe 1978, ii, p. 559). Talia: «Giovane donna coronata d’edera con una maschera in mano, e i socchi a’ piedi» (DDF, p. 237). La menzione dello specchio manca, oltre che in Chompré, anche in Ripa (Ripa 1618, p. 359 e Ripa 1625, p. 448) e in Boudard 1759, ii, p. 211 Lo specchio, tra gli altri valori, esprime l’idea dell’arte come mimesi della realtà. Tersicore: «Giovane donna coronata di ghirlande, con intorno ad essa un’Arpa, e diversi strumenti musicali» (DDF, p. 242). Vago: «significa leggero, soave. Un colore soave, la vaghezza di un quadro consistono nel presentare solo toni freschi, argentini, uniti da gradazioni piacevoli» (Dandré-Bardon 1769, p. 136). «Grazioso, Leggiadro, Vistoso, Bello» (Crusca 1741). Vaghezza: «Bellezza delicata, incantevole, artificiosa» (Grassi-Pepe 1978, ii, p. 628). Viso tinto di mosto: in La recita de’ versi le ‘folli’ Menadi (altro nome delle Baccanti) sono rappresentate «lorde|di mosto il viso» (vv. 26-28). 2 [Teatro di Novara] Ercole: «Forse molti furono gli Eroi di questo nome, e le imprese loro forse sono state da’ Poeti attribuite ad un solo, volendo in quel solo dipingere un uomo straordinario» (DDF, p. 118). Il giovane Ercole viene affidato alle cure di Lino, uno degli eroi «inventori delle origini» (Guidorizzi 2012, p. 1310), teorico della musica, portatore dell’alfabeto in Grecia e maestro anche di Orfeo. In Apollodoro (Biblioteca, ii 4, 9-11) Parini leggeva che «da Anfitrione Eracle (= Ercole) imparò a guidare il carro, da Antolico a lottare, da Eurito a tirare con l’arco, da Castore a usare le armi, da Lino a suonare la cetra. Lino era fratello di Orfeo: venne a Tebe e divenne cittadino tebano» (Guidorizzi 2012, p. 180). Ercole ha ampio spazio in Palazzo di Corte: vedi Le nozze di Ercole divinizzato nella stanza da letto per l’estate e i soggetti per i quattro scudi di quella stessa stanza. Dovendo celebrare le origini mitiche di Novara, Parini limita l’utilizzo della fonte agli aspetti positivi di Ercole, eroe fondatore. Secondo la tradizione, le 12 imprese di Ercole sono: la lotta con il leone Nemeo; l’Idra di Lerna; il cinghiale di Erimanto; la cerva di Cerinea; gli uccelli stinfalidi; il cinto di Ippolita; le stalle d’Augia; il toro di Creta; le cavalle di Diomede; le mandrie di Gerione; i pomi d’oro delle Esperidi; la cattura di Cerbero. In MZ 896, Parini, scostandosi dalla tradizione, considera come decima fatica la lotta di Ercole contro il fiume Acheloo: trasformatosi in toro, Acheloo viene afferrato per le corna da Ercole (vedi DDF, p. 11, alla voce

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Acheloo), che gliene strappa uno. Questo corno, riempito di fiori e di frutti dalle Naiadi, sarebbe diventato il corno dell’abbondanza (cornu copiae: vedi Ovidio, Metamorfosi, ix, 1-100). Vedi Nicoletti 2011, p. 217, nota ai vv. 894-896. Più seguita però l’interpretazione che collega la cornucopia al corno della capra Amaltea (vedi DDF e Chompré 1775 alla voce Amaltea). Ad altre fatiche di Ercole si fa riferimento nei soggetti scartati per i quattro scudi della stanza di Ercole divinizzato in Palazzo di Corte. Il titolo dell’abbozzo [B] rende bene il senso allegorico e morale delle vicende dell’eroe: «La virtù propria de’ privati è di essere utile agl’individui: quella de’ Principi e degli Eroi è di essere utile in generale alle Nazioni intere» (vedi nota al testo 3.3). Nell’abbozzo [A] Parini introduce il riferimento ad ‘Ercole al bivio’. Al giovane eroe, seduto ad un bivio solitario, incerto su quale via prendere, si presentano due donne, una che rappresenta il piacere e che offre all’eroe una vita piena di gioie e l’altra che rappresenta la virtù, che gli indica una via faticosa, in salita, coronata infine dalla gloria e dalla fama. Ercole scelse la seconda. Il racconto, che Parini trovava anche in Cicerone (De officiis, 1, 22; risale però al sofista Prodico e ad Esiodo, Le opere e i giorni, 286-292; vedi la versione base dell’allegoria in Guidorizzi 2012, pp. 188-191) non venne allora sviluppato, ma Parini lo ha implicitamente presente per il ciclo di Palazzo Belgioioso, sia per l’apoteosi di Alberico il grande che nella sala del Rinaldo. Nello scudo che Ubaldo gli mostra, Rinaldo vede specchiata la sua vita di mollezza e di piacere e la rigetta (7.2). Nel gesto di Alberico il grande che mostra il tempio dell’immortalità è raffigurata la scelta della via erta verso la virtù (7.1). Anche in La Educazione, v. 58 il riferimento al «cammin destro» (sintagma esemplato su Petrarca, RVF, cccvi, 1-2; vedi Nicoletti 2011, p. 534, nota al v. 58) indica la via della virtù. Su Ercole Alcide (e così pure su Tesèo, Castore e Polluce, Bacco) è obbligato il riferimento alla NT 141-148: «Mira la Notte,|Che col carro stellato alta sen vola|Per l’eterea campagna; e a te col dito|Mostra Tèseo nel ciel, mostra Polluce|Mostra Bacco ed Alcide e gli altri egregi,|Che per mille d’onore ardenti prove|Colà fra gli astri a sfolgorar saliro.|Svegliati a i grandi esempi» (corsivi nostri). Sulla stessa linea interpretativa La educazione, 109-114: «Gran prole era di Giove|Il magnanimo Alcide;|Ma quante egli fa prove,|E quanti mostri ancide,|Onde s’innalzi poi|Al seggio degli eroi?». Ancora più esplicito il secondo sonetto composto per Giuseppe II Imperatore: «Teseo Osiri Giason Bacco ed Alcide|Scorrer la terra e il mare anime ardenti|E portar guerra a gli uomini nocenti;|E al debol apportar le braccia fide;||E poner leggi e condur l’arti e guide|Far de la copia il suolo, e l’onda e i venti;|E offrir se stessi a stabilir le genti|La prisca età meravigliando vide». Sempre nell’abbozzo [A] Parini aveva previsto uno scudo con Ercole che restituisce Alceste ad Ameto. Tale soggetto non è stato però realizzato.

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È Orazio, uno degli otto personaggi antichi che seppero coniugare sapienza e piaceri della vita (vedi 5.2), ad offrire a Parini i termini più lucidi per l’interpretazione ‘moralizzatrice’ che divinizza Ercole: Ercole assume i contorni dell’eroe che supera le avversità della vita con tenacia e costanza e diventa così degno di gloria immortale. In Odi, iii, 3, 1-12, il poeta presenta Ercole come «Justum, et tenacem […] virum […], mente […] solida, […] impavidum» mentre in Epistole, 2, 1, 5-14 Ercole e con lui Romolo, Bacco, Castore e Polluce, dopo aver ingentilito la stirpe degli uomini, posto fine ad aspre guerre, assegnato campi da coltivare e fondate città, sono «post ingentia facta Deorum in templa recepti» (v. 6), sono cioè divinizzati. Fiumi: vengono rappresentati, a piacere, sotto forma di un giovane, o di un vecchio sdraiato che tiene in una mano un’urna da cui esce acqua copiosa, e nell’altra mano una cornucopia. Vedi Cartari 1996, p. 254. Filostrato spiega che la posizione supina è collegata al fluire dell’acqua sempre verso il basso (Filostrato, p. 67, descrizione di La Tessaglia, ii, 14). Gloria: attributi della gloria sono di solito la cornucopia e la corona di quercia. Grazie: si accompagnano a diverse divinità quali Venere, Apollo, Muse e anche Mercurio. Parini trova in Ripa l’indicazione che le Grazie rappresentano allegoricamente anche l’amicizia: «Tre fanciullette coperte di sottilissimo velo, sotto il quale appariscono ignude, così le figurarono gli antichi Greci, perché le Grazie tanto più sono belle, & si stimano, quanto più sono spogliate d’interessi, i quali sminuiscono in gran parte in esse la decenza, & la purità. Però gl’Antichi figuravano in esse l’amicizia vera. Sono vergini e nude, perché la grazia deve essere sincera, senza fraude, inganno, & speranza di remunerazione. Sono abbracciate, & connesse tra loro, perché un beneficio partorisce l’altro, & perché gli amici devono continuare in farsi le Gratie. Sono giovani, perché non deve mai mancare la gratitudine, nè perire la memoria della grazia, ma perpetuamente fiorire, & vivere. Sono allegre, perché tali dobbiamo essere così nel dare, come nel ricevere il benefitio. Quindi è che la prima chiamasi Agl[a]ia dall’allegrezza, la seconda Thalia dalla viridità, la terza Eufrosina dalla dilettatione» (Ripa 1618, p. 229 e Ripa 1625, p. 286). «Rappresentansi con faccia allegra in atto di pigliarsi per mano. Sono anco date per compagne alle Muse, ed a Mercurio» (DDF, p. 153). Lino: «figliuolo d’Apollo; e di Tersicore, e fratello di Orfeo. Inventò i versi, e le canzoni liriche. Insegnò la musica ad Ercole» (DDF, p. 171). Il trentaduesimo appunto per VP e NT così recita: «Ercole uccise Lino battendogli della cetra sul capo». Il confronto tra il soggetto per il Sipario del Teatro di Novara, impregnato di fiducia ottimistica nella civiltà umana, e l’appunto prosastico, che potrebbe essere letto come fine di quella stes-

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sa civiltà, lascia intuire un Parini meno fiducioso nella vittoria della cultura sulla forza e sulla violenza. Mercurio: «Era Dio dell’eloquenza, del commercio, e de’ ladri, e messaggero degli Dei, spezialmente di Giove, il quale aveagli attaccato l’ali alla testa, ed a’ piedi, onde velocemente potesse eseguire i suoi ordini. Egli conduceva l’anime all’Inferno, e potea a suo piacere cavarnele. Sapea perfettamente la musica. […] Rappresentasi per lo più con un Caduceo in mano, e con l’ali alla testa, ed a’ piedi» (DDF, p. 180). In MZ 1127-1129 e MG 1111-1113, Parini, all’interno della favola eziologica del tric-trac – che sarebbe stato inventato da Mercurio – lo rappresenta come «nume accorto che le serpi intreccia|All’aurea verga, e il capo e le calcagna|D’ali fornisce». Nella medaglia per la stanza di ricevimento di Palazzo Greppi (5.1.), Parini lo indica come «Dio dell’Eloquenza, del Commercio, e Messaggero di Giove». 3 [Palazzo di Corte] Amore, o Cupido: era figlio di Marte e di Venere. «Presiedeva alla voluttà, e si rappresenta sotto forma d’un fanciullo ignudo, con una benda agli occhi, con un arco, ed un turcasso pieno di frecce ardenti, delle quali ei si serve, dicono, per ferire i cuori degli amanti. Fu molto amato da Psiche […]. Il riso, il giuoco, i vezzi, i piaceri erano sempre con esso, e venivano rappresentati sotto forma di piccioli fanciulli alati» (DDF, p. 91). Ben diverse la raffigurazione e la funzione dell’Amore in NT 55-60, dove viene presentato di scorcio un mito cosmogonico in cui l’Amore si posa sul caos primigenio e col suo calore dà origine alla luce e ai vari «tesori della natura» (ivi, v. 60). Poco più avanti Amore torna ad essere raffigurato nella maniera consueta, a presiedere agli amori leciti e illeciti con la tradizionale fiaccola e la faretra, colma di frecce inesorabili (vv. 128-133). Ennesima variazione delle funzioni dell’Amore è nel secondo dei frammenti minori di NT: nella faretra, al posto delle frecce, l’Amore tiene le carte da gioco – in particolare un mazzo di tarocchi realizzato da disegnatori bolognesi –, di cui si serve per riattizzare l’amore in amanti attempati e stanchi. Memorabile inoltre la favola dell’invenzione del ‘canapè’ che Parini attribuisce al dio Amore (NT 276-350). Poiché gran parte del Giorno si basa sui riti del cicisbeismo, con la separazione tra l’istinto passionale e cieco, governato dal dio Amore, e il matrimonio come legame sociale, governato dal dio Imene, è indispensabile rifarsi alla favola di Amore e Imene, raccontata in MT I 313-391 e in MT II 287-363. Il dio Imene è raffigurato in quella fase di crescita, per cui le sue fattezze hanno una parvenza ambigua tra il maschile e il femminile. Scrive Giraldi in modo specifico di Imene: «ea  pulchritudine praeditus fuisse dicitur, ut foeminam mentiretur»

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(Giraldi 1548, p. 176): il fascino ambiguo era caratteristica anche di Como e Narciso. Una prospettiva diversa – e positiva – è fornita in L’innesto del vajuolo, dove il rimedio introdotto dal dr. Bicetti per evitare di essere colpiti dal morbo, così da non morirne, o da prenderlo solo in forma attenuata, tale da non restarne deturpati, «desterà il languore|del pigro Imene, che infecondo or erra|contro all’util comune di terra in terra!» (vv. 169-171). Anfione: fabbricò le mura di Tebe «con suonare la sua cetra, imperciocchè le pietre sensibili a tale melodia si univano da sé medesime ne’ luoghi, dove faceva mestieri. Egli, e suo fratello Zeto inventarono la musica» (DDF, p. 33). Aquila: in VP 157 è definita «l’augel che i fulmini ministra». Arione: «famoso musicista, di cui si narra che durante un viaggio per mare, rischiò di essere assassinato dai marinai che volevano impadronirsi delle sue ricchezze. Prima di essere sgozzato, ottenne il permesso di suonare il suo liuto: al suo suono accorsero i delfini che si raggrupparono attorno al vascello. Quando Arione si gettò in mare, uno di essi lo salvò sul suo dorso e lo portò in salvo dal re Periandro, che fece inseguire i pirati e, catturatili, li mise a morte» (Chompré 1775 p. 65; traduzione nostra). La voce italiana (DDF, p. 42) è contorta e, nella parte finale, sgrammaticata. Aristeo: Aveva il compito di proteggere gli armenti e le api. Nell’inter pretazione più diffusa, Aristeo significa saggezza e le sue peripezie insegnano agli uomini la prudenza. Astrea: «figliuola di Giove, e di Temi. Ella lasciò il Cielo per abitare sulla Terra, fintantochè durò l’Età dell’oro; ma i falli de’ mortali avendola cacciata, ascese in Cielo, collocossi in quella parte del Zodiaco, nominata segno di Vergine» (DDF, p. 47). La giustizia è attributo sia di Astrea che di Temi e Parini sembra identificare le due divinità per il nesso inscindibile tra legge e giustizia. In Ovidio, Metamorfosi, i 150, Parini leggeva che «Ultima caelestum terras Astrea reliquit». A questo abbandono egli allude nella parte iniziale del soggetto, ma l’utilizzazione ideologica del mito lo porta ad interessarsi non al periodo di disordine sulla terra e alla conseguente fuga delle divinità ma al momento in cui la giustizia ritorna e riporta l’età dell’oro. Attributi iconologici della giustizia sono la spada o qualsiasi arma di offesa (inevitabilità delle sanzioni: vedi Il Bisogno, v. 43: ‘Temide armata’; ai vv. 19-20 Parini aveva chiarito esplicitamente: «Con le folgori in mano|La legge alto minaccia») e le bilance vuote in equilibrio (equità delle leggi). Nella Magistratura, la Giustizia viene presentata contemporaneamente come ‘benigna’ e ‘forte’, capace di impugnare il ‘flagello’,

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perché ‘utile’ (vv. 115-116). La benda sugli occhi, aggiunta da Parini nel soggetto, traduce visivamente il motto jus suum cuique tribuens (Boudard 1759, ii, p. 150): la giustizia non guarda in faccia nessuno. Conti insiste sul collegamento tra Astrea e la semplicità dei costumi: tale semplicità non ha bisogno che di pochissime leggi. Il loro aumento è segno infatti di decadenza e di malvagità. Tale semplicità di costumi caratterizza l’idillio arcadico del sonetto LIV: «Allor che in terra ebbe soggiorno Astrea|E un nome sol fu re, padre e pastore,|Spesso dinanzi al placido signore|L’innocente scherzar popol solea» (Mazzoni 1925, p. 393). Ne La Laurea, Maria Pellegrina Amoretti sembra essere la Giustizia in persona che torna sulla terra (vv. 101-104), mentre trascurare la nobile arte di Astrea è sicuro indice di decadenza della società (Mazzoni 1925, pp. 521-522, sonetto CCXV). Nei versi in terza rima Or ecco il Carnesciale, recitati probabilmente ai Trasformati, Astrea è invocata contro il malcostume del cicisbeismo: «O Astrea, o Astrea, nimica delle mance,| Che sei scappata di quaggiuso al Cielo|Per non avere il tratto alle bilance,|Scendi or di nuovo» (Mazzoni 1925, p. 417, vv. 45-49). Fanno loro da pendant i versi del sonetto molto più tardo «E dove, o Temi, per l’aereo vano|Vai le bilance dietro strascinando?», dove il giovane del v. 9 (Ferdinando d’Austria?) riporta la giustizia con il suo «adulto consiglio» e i suoi «pensier santi» (Mazzoni 1925, pp. 437-438, vv. 1-2 e 11). Nell’Ascanio in Alba il compito di ‘ministrare’ la giustizia viene assunto da Venere e da Amore (Mazzoni 1925, pp. 209-232: vedi l’a solo finale di Venere). Atlante: era un gigante, figlio di Giove e di Climene. «Giove gli ordinò di sostenere il Cielo sulle sue spalle … [Perseo] converselo in una così alta Montagna, che l’occhio non giugne a scoprirne il sommo» (DDF, p. 48). Aurora: «figliuola del Sole, e della Luna. Ella è, che presiede alla nascita del giorno. Si suole rappresentare in un Palazzo vermiglio, leggiadramente vestita, ed assisa su d’un Carro risplendentissimo. Amò teneramente Titone giovanetto molto decantato per la sua bellezza, figliuolo di Laomedonte; l’allevò, e sposò; ma fatto vecchio lo abbandonò, e converse in Cicala» (DDF, pp. 50-51). Questo soggetto potrebbe essere un felice, originale adattamento di Parini, posto nella imbarazzante situazione di scegliere un tema per la camera da letto invernale di Palazzo di Corte: un tema che suggerisse l’amore coniugale dell’arciduca Ferdinando e Beatrice d’Este. Bacco: «figliuolo di Giove, e di Semele. […] Cresciuto in età conquistò le Indie, poi andò in Egitto, ove apprese da quegli abitanti l’agricoltura, piantò prima la Vigna, e fu adorato come Dio del vino. […] Si rappresentava alcuna volta colle corna in testa, perchè ne’ suoi viaggj s’era coperto sempre della pelle d’un Becco, il quale animale venivagli sacrificato. Si rappresentava anco ora assiso su d’un gran Tino, ora su d’un

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Carro tirato da Tigri, da Linci, e da Pantere, ora con una tazza in una mano, e nell’altra un Tirso, di cui s’era servito per far sorgere fonti di vino» (DDF, pp. 53-54). Parini collega esplicitamente Bacco, dio del vino, con l’Egitto in MZ 620-623: «Forse altera così d’Egitto in faccia|Vaga Prole di Semele apparisti|I giocondi rubini alto levando|del grappolo primiero». Per una interpretazione diversa di questi versi, si veda Bonora, che, nel suo commento al Giorno, parlò di allusione oscura all’Egitto (Bonora 1984 p. 103). Nicoletti si rifà a Bonora e ne riporta il giudizio (Nicoletti 2011 p. 197). La conoscenza dei geroglifici egiziani potrebbe trovar conferma nel sonetto caudato Ho visto i geroglifici d’Egitto (vedi EN1 2011, pp. 150-151 e nota 2 di p. 150), testo scherzoso, dove però è possibile vedere un riferimento sia a Orapollo Niloo, Hieroglyphica, Venezia, Aldo Manuzio, 1505, 1ed, che a P. Valeriano, Hieroglyphica, che Parini aveva nella sua biblioteca nell’edizione in folio del 1610 (n. 130 dell’inventario, in Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 742). Bacco e Arianna: Parini presenta i due come amanti felici. La vicenda potrebbe essere riconducibile al momento in cui Arianna, abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso, incontra Bacco, che s’innamora di lei e la sposa. Il primo a presentare Arianna come sposa fedele di Bacco è Esiodo, Teogonia, 947-949. Bellerofonte: «Gli furono suscitati moltissimi nemici, de’ quali tutti ei trionfò, e valorosamente superò, ed uscì di tutti i pericoli, a’ quali fu esposto» (DDF, p. 57). Bellerofonte è personaggio del canto viii dell’Iliade. Il nipote Glauco ne racconta al Tidide Diomede le principali imprese: l’uccisione della Chimera e la guerra alle Amazzoni. Omero lo qualifica sempre con l’epiteto di ‘irreprensibile’: «A lui gli dei diedero la bellezza e il fascino della virilità» (DDF, p. 105). Il punto di vista di Parini su Bellerofonte non è esplicitato, ma va considerato comunque un personaggio positivo, inserito com’è in una sequenza di eroi celebri per le loro imprese. Calai e Zete: «Fecero il viaggio di Colchide cogli Argonauti, e discacciarono le Arpie di Tracia; dicono, che avessero coperte di scaglie d’oro le spalle, l’ali ai piedi, e una lunga zazzera». (Chompré 1775, p. 91; DDF, p. 64). Vedi anche i bassorilievi di Palazzo Greppi, Fig. 45 e relativo soggetto. Cadmo: combattè e uccise il drago che custodiva la fonte di Dirce. «Seminò poi i denti di quel Drago, da cui nacquero uomini armati, i quali immantinente si uccisero tra di loro, e si uccisero, tranne di cinque, che lo ajutarono a costruire la Città di Tebe, nel sito, dove lo condusse il Bue, di cui gli avea l’Oracolo fatto motto» (DDF, pp. 62-63). Cammei per la seconda stanza degli arazzi (3.18): in questa sezione Parini riferisce in modo specifico ai prìncipi quello che Conti attribuisce agli eroi:

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è stato l’amore per la gloria a spingere Ercole e gli altri ilustri eroi ad affrontare ogni pericolo con paziente ardore (Conti 1637, p. 355). Castigo: per la forma maschile del soggetto è Ripa la fonte di Parini: «Dipingeremo per il castigo un’huomo in atto feroce, & severo» (Ripa 1618, p. 78 e Ripa 1625, p. 98). Castore e Polluce: «sì teneramente si amavano, che uno non abbandonava mai l’altro. Giove concedette l’immortalità a Polluce, il quale ne fece parte a Castore, onde vivevano, e morivano alternamente. […] Furono cangiati in Astri per la loro bella unione, e collocati nel Zodiaco sotto il nome di Gemelli, uno de’ dodici segni celesti» (DDF, p. 71). Nell’ode La educazione vengono evocati perifrasticamente come ‘figliuoli di Leda’ (v. 36). Nell’ode La Gratitudine Parini tratteggia – con solennità epica, non senza enfasi retorica – il momento in cui egli, in difficoltà a montare sul cocchio, viene amorevolmente sostenuto dalla mano del card. Durini. Il suo gesto viene paragonato al soccorso che i Dioscuri, Castore e Polluce, offrono ai naviganti in pericolo: «Sfavillando il bel crin biondo e le vesti» porgono le loro «celesti […]|braccia», «coraggio|Dando fra l’alte minaccianti spume|Al trepido nocchier caro al loro nume» (vv. 81-90). Nell’edizione delle Odi del 1791, alla p. 176 viene apposta la nota esplicativa: «Castore e Polluce, rappresentati dalle Favole nella costellazione dei Gemini, creduta poeticamente dagli antichi segno di buon augurio quando appariva nelle burrasche di mare. I moderni la chiamano Sant’Ermo, ch’è il Protettore de’ marinai cristiani». Cecrope: lasciò l’Egitto di cui era originario per trasferirsi nell’Attica, ove sposò Aglaura, figlia di Atteo, e fu il primo Re di Atene. Egi avea due facce e «fu soprannominato Biforme, sia per le leggi che regolavano il matrimonio tra uomo e donna, sia perché, pur essendo egiziano, era anche greco per essersi stabilito nell’Attica» (Chompré 1775, p. 101, traduzione nostra). Cefalo: amava appassionatamente Procri e questa era esasperatamente gelosa di Cefalo. Per la loro fine tragica divennero simbolo dell’amore fedele ed esclusivo: è questo l’elemento che unifica i soggetti dei quattro sovraporti delle stanze per l’Aurora. Centauri: «Erano Mostri mezzo Uomini, e mezzo Cavalli. Andavano sempre armati di Clava, ed usavano dell’arco con molta destrezza. Quei che furono invitati alle nozze di Piritoo, e d’Ippodamia, ebbero a contrastare co’ Lapiti, mostruosi Giganti anch’essi. Mandavano dalla bocca voci spaventevoli simili a’ nitriti de’ Cavalli. Ercole sconfisse questi Mostri, e discacciolli dalla Tessaglia» (DDF, p. 75). Alla rissa furiosa provocata dai Centauri durante il pranzo di nozze di Piritoo è dedicato un bassorilievo del salone di Palazzo Greppi (Fig. 49).

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Alla stessa vicenda Parini fa riferimento in La recita de’ versi: «Non odo alto di voci|i convitati sollevar tumulto,|che i Centauri feroci|Fa rimembrar, quando con empio insulto|All’ospite di liti|Sparsero e guerra i nuziali riti?» (vv. 7-12). C’è continuità cronologica tra i lavori per Palazzo Greppi e l’ode (composta nel 1783-’84, anche se edita nel 1786), che suona come invito a non banalizzare la poesia per soddisfare un pubblico plebeo (da qui i richiami alle Baccanti, v. 27, per indicare un pubblico sostanzialmente distratto e chiassoso). Cerere: «Dea dell’Agricoltura. […] Rappresentavasi con una falce in una mano, e nell’altra alcune Spiche, Papaveri, con coronato il capo, e sparsa la veste pure di Papaveri, e di Spiche» (DDF, pp. 76-77). Cerere insegnò per prima a Trittolemo a seminare e a raccogliere le messi. Ne parla Ovidio, Fasti IV, 549 e Amores iii, x, 11. Insieme con Pale, dea della pastorizia, è la prima divinità che s’incontra in MT II 8-10. In MT II, Cerere e Pale, inventrici dei «sacri arnesi» del contadino (v. 40), sono precedute da Mercurio, Marte e Minerva. Nel MZ Cerere è espressione dell’agricoltura, ricchezza vera dell’Italia, derisa da chi osanna iperbolicamente il commercio: «Empiono è vero|Il nostro suol di Cerere i favori,|Che tra i folti di biade immensi campi|Muove sublime; e fuor ne mostra a pena|Tra le spighe confuso il crin dorato». Dopo aver introdotto nella celebrazione dell’Italia anche Bacco, Vertunno e Pale, Parini condanna sarcasticamente chi va alla ricerca di facili forme di piacere, offerte dagli scambi commerciali (MZ 668-700 e MG 561-593 con varianti). Parini non condivide gli estremismi ideologici: non condanna in toto il commercio ma lo considera in subordine all’agricoltura. La documentazione forse più significativa dei suoi orientamenti in campo economico è data dai progetti scartati per la stanza del Giove e per la terza stanza degli arazzi in Palazzo di Corte. Per le piccole quattro medaglie della stanza del Giove Parini aveva inizialmente previsto un ciclo imperniato sulle quattro arti principali: l’agricoltura (con la dea Cerere), la fortificazione, i mestieri e il commercio (figura emblematica non Mercurio ma Giasone col vello d’oro). Il mito di Giasone, come costruttore della nave Argo che solca i mari alla conquista di una preda preziosa come il vello d’oro, trova sviluppo nella terza stanza degli arazzi, con i cammei dedicati all’agricoltura e al commercio e con la medaglia dedicata a Giasone: esplicito riconoscimento dell’utilità e del valore del commercio. In un primo progetto per i cammei, Parini aveva previsto un ciclo dedicato alle quattro arti primitive: agricoltura, caccia, pesca e pastorizia: figure emblematiche dell’agricoltura sono ancora una volta Cerere e Bacco (come nella voce ‘Campagna felice’ di Ripa 1618 p. 284 e Ripa 1625, p. 362). Il commercio non è considerato da Parini – ovviamente – tra le arti primitive. Cetra: è uno strumento musicale a corde, fatte vibrare con un plettro, appuntito, spesso d’avorio. Suonare la cetra, scrive Parini in La vita rustica (v. 64) equivale a comporre poesia.

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Chiaroscuro: «Pittura d’un color solo, al quale si dà rilievo con chiari, e con iscuri del medesimo colore» (Crusca 1741, ad vocem). Chirone: era il centauro più celebre. Chirone torna più volte negli scritti di Parini, particolarmente come eroe che meritò di essere collocato in cielo trasfigurato in uno dei dodici segni dello Zodiaco (Sagittario). In un bassorilievo del salone di Palazzo Greppi, lo scultore Franchi ha raffigurato il centauro Chirone che dà del vino da bere ad Achille (Fig. 43). Nell’ode La educazione Parini, precettore del giovane Carlo Imbonati, vorrebbe svolgere con lui lo stesso compito assunto dal centauro Chirone nei confronti di Achille. Cibele: «Era questa stata esposta subito nata alle Fiere, che n’ebbero cura, e la nutrirono. Credesi che sia lo stesso, che la Terra, perciò la si rappresenta con un disco in una mano, ed una chiave nell’altra, una torre sulla testa, colla veste sparsa di fiori, sempre circondata da molte, e diverse Bestie, alcuna volta sovra un carro tirato da quattro Lioni» (DDF, p. 80). Numerose le divergenze sulla genealogia rispetto a Chompré 1775, p. 127. Vedi il soggetto (3.28) per la medaglia della stanza delle udienze di S. A. R., Il ritorno di Astrea, sul cosiddetto ‘secolo d’oro’, ai tempi appunto di Rea (= Cibele). Clemenza: «Donna che calchi un monte d’armi, & con la destra mano porga un ramo d’olivo, appoggiandosi con il braccio sinistro ad un tronco del medesimo albero, dal quale pendano i fasci consolari» (Ripa 1618, pp. 82-83 e Ripa 1625, p. 102). Como: è presentato come divinità la cui funzione era quella di presiedere «solo alle Feste, alle Tavolette delle Donne, e de’ Giovani amanti dell’adornarsi. Si rappresenta con una Berretta di fiori, avente una fiaccola nella destra, appoggiandosi colla manca su d’un palo» (DDF, p. 86). La descrizione del Parini sembra tener presente anche Cartari. Indicando la rassomiglianza tra Bacco e Como, Cartari scrive che Como «fu appresso de gli antichi il dio de i convivi, perciochè la imagine sua era parimente di giovane cui cominci apparire la prima lanugine, come lo descrive Filostrato in una tavola ch’ei fa solo per lui mettendolo alla porta di una camera ove era stato celebrato un lieto e bel convivio per due sposi li quali già stavano in letto a godersi gli amorosi frutti. Egli era delicato e tutto molle e rubicondo nel viso perché aveva bevuto troppo, sì che imbriacatosi non poteva tenere gli occhi aperti ma così in piè dormiva lasciandosi cadere la colorita faccia su ’l petto e la sinistra mano, con la quale ei stava appoggiato ad una asta, pareva cadere parimente, come pareva poi che dalla destra gli cadesse pur anco una facella ardente ch’ei teneva con questa, e già era andata così giù che gli avrebbe brusciata la

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gamba se piegata non l’avesse in diversa parte» (Cartari 1996, pp. 367368). Rispetto alla fonte, Parini elimina i riferimenti coniugali e colloca Como seduto invece che in piedi. Il particolare dell’abito semplice e succinto, che non arriva alle ginocchia, non è nel testo di Cartari ma Parini lo ricava direttamente dall’immagine del dio, proposta da Filostrato e riprodotta da Cartari alla p. 368 (tav. 66). Parini quindi avrebbe avuto sott’occhio Cartari o Filostrato stesso, autore delle Immagini [o anche La Pinacoteca], vissuto nel iii sec. d.C., sistematicamente utilizzate da Cartari insieme con il De deis gentium syntagmata xvii di Lilio Gregorio Giraldi, edito a Basilea, apud Oporinum nel 1548, autore che Parini segnala tra i mitologi insieme al Vossio della Theologia gentilis (Barbarisi, bartesaghi 2005, p. 385). Per l’età di Como, dai 15 ai 16 anni, come specifica Parini, si può applicare quello che scriveva Ovidio per Narciso. Arrivato a 16 anni «poterat puer iuvenisque videri:|multi illum iuvines, multae cupiere puellae» (Metamorfosi, iii 353-354): nel fascino giovanile di una bellezza indistinta poteva ugualmente essere desiderato da molti giovani e da molte ragazze. In MG 821-828, sul finire del pranzo vengono introdotti Como, Dionisio e la Gioia, che danzano e saltano rapidi tra i convitati. Dionisio è altro nome per Bacco (come pure Lièo, sempre in MG 762). In MT II 458-462 (assente in MT I), «con la man rosata|Como e di fiori inghirlandato il crine» presiede ai riti della toilette mattutina (la ‘Tavoletta delle Donne’). Nella Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso, la terza statua realizzata per la facciata verso corte rappresenta Como, dio dei conviti, con le stesse caratteristiche fisiche del primo scudo. Cornucopia: è il corno dell’abbondanza. Per la sua genesi vedi la nota relativa ad Acheloo ed alla capra Amaltea. Qui indicata come ripiena di frutti e di biade, esprime la ricchezza derivante dall’agricoltura. Nel Giorno, la cornucopia è evocata all’interno di una prospettiva più ampia, in una visione dell’economia basata sul contrasto tra i beni prodotti anche dagli artigiani per soddisfare i bisogni fondamentali dell’uomo ed un’economia del lusso, non solo non condannato ma esaltato come stimolo precipuo alla crescita ed allo sviluppo dei consumi, da parte di un gruppo sociale che può permettersi il superfluo ed il voluttuario. Scrive Parini, cedendo la parola al commerciante abile a vendere gioielli e ninnoli, preziosi ma inutili al viver quotidiano: «Il Lusso il Lusso|Oggi sol puote dal ferace corno|Versar sull’arti a lui vassalle applausi|E non contesi mai premj e dovizie» (MT I 667-670 e MT II 683-686, con varianti). Parini condanna non in toto l’economia basata sul lusso, ma chi vede la ricchezza nel «Lusso […] sol», «il lusso|Stolto ed ingiusto» (Mazzoni 1925, p. 389 componimento LVI, vv. 19-20). Come anche in altri casi analoghi, Parini condanna solo gli estremismi esclusivi. Dal lusso infatti traggono beneficio le «arti […] vassalle», cioè anche le attività artigianali: non casualmente nei vv. precedenti vengo-

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no citati il ‘Calzolar’ e il ‘Drappiere’. Nicoletti 2011, pp. 126-127 (nota al v. 663) cita, per un approccio diverso, le Considerazioni sul lusso pubblicate da Pietro Verri sul numero 14 del 1765 del «Caffè». Altri spunti sull’argomento Parini trovava nella voce Lusso elaborata da Voltaire per il suo Dizionario Filosofico. Deianira: moglie di Ercole, era corteggiata dal centauro Nesso, che nell’attraversamento del fiume Eveno «si offerse di portarla sul dosso all’altra ripa, al che Ercole acconsentì; ma veggendo, che Nesso si preparava a fuggire con Dejanira, scoccogli una freccia, che lo fece di botto fermare: sentendosi il Centauro vicino a morire diede a Dejanira la sua camicia tinta nel proprio sangue, assicurandola, che in quella racchiudevasi tal virtù, che non avrebbe potuto suo Marito lasciarla per un’altra. La Donna credula avendo inteso, che Ercole s’innamorava di Jole, mandolli la fatal camicia, ed appena se l’aveva egli posta indosso, che sentissi subito ardere da un crudel fuoco, onde malgrado Lica, e Filottete suoi compagni, che lo vollero impedire, gittossi nelle fiamme d’un sacrifizio, e Dejanira per disperazione s’uccise» (DDF, pp. 95-96). Diana: «Dea della Caccia, figliuola di Giove, e di Latona, sorella d’Apollo. La chiamavano Ecate nell’Inferno, Luna [Selene] o Febea in Cielo, Diana in Terra. […] Era creduta Dea della Castità, ed era tanto vergognosa, che converse Atteone in Cervo, per averla egli guardata in un bagno. Avea Diana un seguito di bellissime Ninfe, e volea, che fossero pudiche al pari di lei. […] Rappresentavasi alcuna volta su d’un Carro tirato da Cervette, armata di arco, e di Turcasso ripieno di frecce, con una mezza luna» (DDF, p. 98). Ai vv. 2-3 del frammento minore VIII4 della Notte, Diana, dal «candido collo», viene definita «castissima dea de’ boschi amica». Discrezione: in Ripa c’è solo qualche indicazione («donna d’età, & d’aspetto matronale, […] il manto di colore paonazzo») che ricompare nel soggetto pariniano (assente in Ripa 1618; Ripa 1625, p. 178). Eaco: «Gli fu comandato d’ajutar Minosse e Radamanto a giudicare i mortali nell’Inferno» (DDF, p. 102). Ebe: figlia di Giunone e dea della giovinezza. «Dava in Cielo da bere a Giove, ed essendo un giorno cascata in presenza degli Dei, la veste le andò sopra il capo, di che ella ebbe tanta vergogna, che non si lasciò più vedere. Sposò Ercole» (DDF, p. 53). Nell’edizione originale francese dello Chompré (p. 197), che Parini possedeva, non compare l’episodio raccontato nella versione italiana e utilizzato da Parini nel suo soggetto. Eeta: era il re della Colchide, al quale apparteneva il vello dell’ariete che aveva salvato Frisso ed Elle (vedi infra).

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Enea: «Principe Trojano, figliuolo d’Anchise, e di Venere» (DDF, p. 112). Parini associa le colombe (tipiche di Venere: si veda infra il soggetto della ‘Popolazione’) ad Enea, in quanto discendente dalla dea dell’amore e della bellezza. Inoltre la colomba è uccello di buon augurio. Enone: «una delle Ninfe del Mont’Ida. Dicono, che si prostituisse ad Apollo, il quale in ricompensa la fece indovina. Ella sposò Paride dal quale fu ben tosto abbandonata, ed a lui ella predisse il rapimento di Elena, e le disgrazie di Troja. Quando Paride fu ferito da Filottete, andò a ritrovarla sul Mont’Ida, ma da lei fu mal ricevuto, e ferito da poi da Pirro vi ritornò, ed Enone lo ricevette come già la prima volta aveva fatto, tuttavia ella lo seguiva da lunge con pensiero di guarirlo, ma egli morì della ferita, prima ch’ella giugnesse, onde poi disperata s’impiccò col suo medesimo cinto» (DDF, p. 114). Secondo De Angelis 1990, p. 8, all’origine della descrizione di Parini sarebbe uno dei dipinti delle porte del tempio dei pastori arcadi nella terza prosa dell’Arcadia di Sannazzaro: «Da l’altra parte [della porta] giaceva appiè di un altissimo cerro un pastore addormentato in mezzo de le sue capre, e un cane gli stava odorando la tasca che sotto la testa tenea; il quale, però che la luna con lieto occhio il mirava, stimai che Endimione fosse. Appresso costui era Paris [Paride], che con la falce avea cominciato a scrivere ‘Enone’ a la corteccia di un olmo, e per giudicare le ignude dee che dinanzi gli stavano, non la avea potuto ancora del tutto fornire.» (Sannazzaro 1990, pp. 77-78). Parini avrebbe ripreso lo schema di Sannazzaro invertendo il ruolo dei personaggi: nel soggetto è Enone che incide nella corteccia l’iniziale di Paride. L’indicazione del critico può essere integrata con l’ulteriore rimando alla fonte primaria, di Sannazzaro e di Parini: la lettera quinta delle Eroidi di Ovidio: Oenone Paridi. Rifacendosi direttamente ad Ovidio, Parini avrebbe esattamente riprodotto il senso della lettera, che Enone scrive a Paride, immaginandone l’incipit. Ersilia: «figliuola di Tazio Re de’ Sabini. Romolo la prese per sé nel ratto delle Sabine. Suo padre avendo dichiarata la guerra a Romolo, Ersilia tanto si adoperò, che quelli due Re fecero pace, ed ella sposò Romolo» (DDF, p. 121). La fonte è la parte finale del libro xiv delle Metamorfosi di Ovidio (v. 829 sgg.), in cui si racconta il dolore inconsolabile di Ersilia rimasta priva di Romolo: per l’intervento di Giunone, Ersilia sale alle stelle e viene accolta da Romolo. Esculapio (o Asclepio): «Dio della medicina. […]. Passò tutto il tempo della sua vita ne’ Giardini, ed acquistò una perfetta conoscenza de’ Semplici. […] Esculapio era adorato in Epidauro sotto la forma d’un Serpe» (DDF, pp. 121-122). Sarebbe arrivato a Roma appunto da Epi-

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dauro salendo sotto forma di serpente sulla nave dei legati romani, che lo introdussero in città per porre termine alla terribile peste del 291 a.C. Il racconto è in Ovidio, Metamorfosi, xv, 626-744: al v. 656 l’indicazione della «longae […] barbae». «Anguis multis remediis fit accomodatum» (Conti 1637, p. 199). Festo Pompeo invece, citato in Cartari 1996, p. 75, scrive che «danno il serpente ad Esculapio, perché egli è animale vigilantissimo come bisogna che sia il bon medico». Aggiunge anche che «fu fatto Esculapio per lo più con barba lunga» (ibidem). Un elemento accomuna Aristeo ed Esculapio: l’essere stati educati dal centauro Chirone. Esone: «padre di Giasone, figliuolo di Creteo, e fratello di Pelia. Essendo estremamente vecchio, ringiovanì per opera di Medea pregata a ciò fare da Giasone suo marito. Raccontasi questa favola anco di Pelia» (DDF, p. 122). Il particolare del ramo d’ulivo anticipa il ‘miracolo’ su Esone: man mano che Medea mescola i vari ingredienti della pozione, il ramo d’ulivo rinverdisce e rimette foglie e frutti, divenendo così garanzia anticipata del ringiovanimento. Fama: «Deità Poetica, messaggera di Giove. Dicono, che cammina dì, e notte, e che si mette ne’ più alti luoghi per pubblicare le buone, o ree novelle, e che non può tacer mai. I Poeti la rappresentano sotto forma di giovane donna con le ali piene d’occhi, e bocche, e lingue, e che suona la tromba» (DDF, p. 130). La Fama è la «volatile Dea» (VP 232), che, sempre in VP 216, viene raffigurata con cento occhi, come già Argo (MZ 1116). Fauni: erano divinità campestri, che abitavano nelle foreste. Presso i Romani i Fauni erano l’equivalente dei Satiri presso i Greci. «Questo Dio Fauno si rappresenta senza peli dal mezzo in su, e nel resto simile ad un Satiro» (DDF, p. 131). Il fauno diventa negativo, impudico e lussurioso in La recita dei versi (v. 32: «Fauno procace», con probabile riferimento a Giovan Battista Casti). Ignorati sia Ripa che Chompré. Fecondità: «Donna incoronata di Senapa, tenga con le mani verso il Seno l’Acanto, da alcuni riputato il Cardello, con i figliuolini dentro il nido, alli piedi da un canto una gallina con i suoi pulcini a pena nati dua per uova, dall’altro canto una lepre con i suoi parti mandati fuori di fresco» (Ripa 1618, p. 185 e Ripa 1625, p. 224). Parini semplifica la fonte e si limita agli uccellini nel nido in mano alla donna; Ripa indica invece con precisione il ‘Cardello’, perché, pur nella sua piccolezza, partorisce dodici cardellini. Fermezza: «donna con le membra grosse, d’aspetto robusto» (Ripa 1618, p. 185 e Ripa 1625, p. 234). L’abito è di color azzurro in Ripa, il quale inoltre specifica che la donna tiene in mano una torre.

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Fineo: «Ricevette Enea ne’ suoi stati, e Giunone, e Nettuno mandarono le Arpie, che sporcavano le vivande di Fineo sopra la sua tavola, lochè durò fintanto, che Calai, e Zete vennero a discacciare que’ mostri» (DDF, p. 136). Fineo era stato accecato, ma era stato compensato della perdita della vista con la capacità di predire il futuro. Il giovane guerriero, in atteggiamento reverente, è Giasone. La scena qui rappresentata si riferisce al momento in cui Fineo, dopo essere stato liberato dalle Arpie che gli insozzavano le mense (Eneide, iii, 225-228), per l’intervento di Calai e Zete (vedi infra ad vocem), spiega a Giasone e ai suoi compagni il modo per passare senza danni attraverso le Rocce Cozzanti (le ‘Simplegadi’), specie di scogli che si aprivano e si chiudevano con tale rapidità, che, difficilmente, una nave poteva passarvi in mezzo indenne. Flora: «Dea de’ fiori, e della Primavera, e moglie di Zefiro. Quando le donne celebravano i giuochi florali, cioè le feste di quella Dea, correvano giorno, e notte ballando al suono delle Trombe, e quelle, che vincevano al corso, erano coronate di fiori. Rappresentavasi questa Dea ornata di ghirlande, con vicino a lei molte ceste di fiori» (DDF, p. 139). Dedicato ai giochi floreali è il soggetto ottavo nella parte sinistra verso il giardino della Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso. Frisso ed Elle: erano fratelli; coinvolti in vicende drammatiche, secondo l’oracolo, dovevano essere immolati per liberare il paese da una terribile pestilenza. Si salvarono per l’apparizione improvvisa di una nube, «dalla quale uscì un Montone, che portolli entrambi per aria, e andò verso Colchide. Nel passare il mare Elle spaventata dal frastuono de’ flutti, cadde, e si annegò in quel sito chiamato dappoi Ellesponto. Frisso giunto a Colco sacrificò quell’Ariete a Giove, tolsene il velo, che era d’oro, lo appese ad un albero in una foresta consecrata a Marte, e la diede in guardia a un Drago, il quale divorava tutti que’ che venivano per toglierlo. Marte si compiacque tanto di questo sacrifizio, ch’ei volle vivessero nell’abbondanza coloro, presso a’ quali tal velo sarebbe stato per tutto il tempo, che conservato l’avrebbono, e fu permesso ad ognuno d’andare a farne la conquista. Ecco la favola di quel celebre velo d’oro, che Giasone, accompagnato dagli Argonauti, rapì con l’aiuto di Medea» (DDF, pp. 139-140). Genj: «il Genio, dio della Natura, era adorato come la divinità che dava essere e movimento a tutto. Era soprattutto ricordato come l’autore delle sensazioni piacevoli & voluttuose, da cui è derivato quella specie di proverbio tanto comune presso gli autore antichi: Indulgere al genio. Si credeva che ogni luogo avesse un Genio tutelare, così come ogni uom avesse il suo. Gli uomini ne avrebbero due ciascuno: uno buono, che porta al bene; uno malvagio che spinge al male» (Chompré 1775, p. 191, traduzione nostra). La voce non compare nella versione italiana. Conti 1637, p. 154, spiega l’etimologia di genio ‘a gignendo’. Rifacendosi ad un

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bassorilievo trovato in Roma, Ripa raffigura il genio come «Fanciullo di volto allegro, & ridente, incoronato di papaveri, nella man destra teneva spighe di grano, nella sinistra pampani d’uva’ (Ripa 1618 p. 216 e Ripa 1625 p. 261). Parini adatta gli aspetti figurativi del genio alla vicenda narrativa in cui si inserisce. In La Gratitudine, al v. 211, ricorre alla perifrasi «Genio dell’arti» per indicare il card. Durini, che animato da fervore entusiastico – il ‘fervore’ in Parini equivale all’‘entusiasmo’ di Bettinelli, di cui qui è eco voluta – ‘senza posa’ (EN4 2013, p. 229) lotta per la restaurazione del buon gusto antico (in questo caso di Roma, v. 215) e dei «supremi del bello esempi e guide,|Che lunga età non doma» (vv. 217-218). Nel Discorso sopra la poesia, letto ai Trasformati nel 1761, il Genio «felice» diventa quasi la personificazione del nuovo spirito filosofico che illumna i paesi dell’Europa. Esistono anche geni malvagi, come quelli che turbano la quiete del sonno. Si veda MT I 422-425 e MT II 389-392. Nei palazzi dei nobili, inoltre, durante le veglie festose, si introducono anche «due Genj|Fastidiosi e tristi, a cui dier vita|L’Ozio e la Vanità […] noti al nome|Di Puntiglio e di Noia» (NT 524-529). In Boudard 1759, ii, pp. 42-43 è presente la raffigurazione di entrambi i tipi di genio. Giano: «Re d’Italia, figliuolo di Apollo, e della Ninfa chiamata Creusa. Accolse ne’ suoi stati Saturno, il quale nominò Lazio quel paese perché in quello ei se ne stava celato quando Giove lo perseguitava. Per aver Giano accolto sì cortesemente questo esule Dio, fu da lui dotato di rara prudenza, e di saper indovinare il passato, e il futuro, ed ecco perchè lo fingono di due faccie, ed anche di quattro, con una chiave, ed un bastone in mano; una chiave cioè, perché credesi inventasse le Toppe, ed un bastone, perché accoglieva con cortesia i viandanti, e custodiva le strade. Apprese da Saturno l’agricoltura, e il modo di dirozzare i popoli, che veramente vivevano felici sotto di lui. Gli si fabbricò un Tempio in Roma, le di cui porte si chiudevano in tempo di pace, e si aprivano in tempo di guerra» (DDF, pp. 142-143) Riguardo alle due facce, Cartari le attribuisce particolarmente ai re ed ai principi: essi «hanno la faccia davanti ancora perché veggono di lontano e sanno conoscere le cose prima che siano, e l’hanno parimente di dietro perché tengono a mente le passate sì che tutto veggono» (Cartari 1996, p. 40). Da qui l’indicazione del ‘manto reale’ nel soggetto di Parini. Giasone domanda il Vello d’oro: nel secondo bassorilievo (3.17. Fig. 22), il guerriero ‘ardito’ è Giasone, la giovane donna, alla destra, ai piedi del trono è Medea, figlia di Eeta. Medea guarda con grandissimo interesse l’eroe straniero, perché già inconsapevolmente innamorata di lui: è quindi pronta ad aiutarlo nell’impresa, contro il volere e gli ostacoli frapposti dal padre.

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Giasone (3.19). Il tema di questo soggetto è in linea con il ciclo della terza stanza degli arazzi, con la proposta dell’esempio positivo di Giasone. Va però ricordato che in un primo tempo Parini aveva pensato ad un momento diverso della vita di Giasone: la sua vicenda d’amore con Medea, caratterizzata da violenza e sragione, dominata da figure ed emblemi negativi quali la Gelosia, il Furore e la Vendetta. Il ripensamento di Parini è indice della sua marcata tendenza a rifuggire, se possibile, da soggetti negativi e a sviluppare una pedagogia positiva, basata sull’esempio virtuoso. Giasone e Pelia (3.14 e 3.17): Giasone era figlio di Esone e di Alcimede. Per le difficoltà incontrate nella conquista del vello d’oro, impersona l’uomo che può superare con la costanza le inevitabili difficoltà della vita (Conti 1637, p. 319). Nel Giorno, Giasone, che mostra orgoglioso il vello d’oro, viene introdotto – in chiave antifrastica – come comparazione con il giovin signore che esibisce in pubblico l’ultima novità della moda parigina: la tabacchiera «di non più viste forme» (MZ 623-625 e MG 516-519). Giasone è una delle figure delle Metamorfosi che più facilmente si è prestata ad essere ‘moralizzata’. Parini trova raccolti e sceneggiati in Francesco Bardi, Ovidio istorico, politico, morale, Venezia, Albrizzi, 16965, quasi tutti i soggetti che desume da Ovidio. Per Giasone, ad esempio, che «acquistò il Vello d’oro, si denotano le virtuose imprese, con le quali l’Huomo perviene all’acquisto della vera gloria, ma non senza fatiche. Quindi i Romani non diedero altra entrata al tempio dell’Honore, che per il tempio della Virtù» (tav. 51). Ma virtù e vera gloria hanno in Bardi una dimensione religiosa, che Parini evita di dichiarare, pur vivendola in privato. Il suo orizzonte pubblico, ufficiale, è laico: moralmente nobile, ma laico. Giove: «figliuolo di Saturno e di Rea. [Gli antichi] lo tenevano per padrone assoluto d’ogni cosa, e lo rappresentavano sempre col fulmine in mano a cavallo d’un’aquila, uccello da lui protetto. La quercia era a lui consecrata, perché sull’esempio di Saturno aveva insegnato agli uomini nutrirsi di ghiande» (DDF, p. 147). Un riferimento a Giove, di estremo interesse, è in La recita dei versi: «A Giove altri l’armata|Destra di fulmine spoglia» (vv. 19-20), che parrebbe alludere al parafulmine introdotto da Beniamino Franklin. Le conquiste della scienza (non a caso, nei versi successivi si parla delle ascensioni in pallone) porterebbero così ad un demistificazione del mito, in una prospettiva illuministico-scientista, che, dal contesto, Parini non sembra condividere. Per vedere come la mitologia sia presente anche nel giovane Parini ma in prospettiva diversa dal riuso delle divinità del mito nella tarda maturità basta rifarsi alle terzine di La Maschera.

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Lette probabilmente ai Trasformati nel 1757 offrono lo spaccato di un Olimpo ridotto a causerie galante e irresponsabile, dove gli dei – Giove tra i primi – appaiono solo come protagonisti di «fagiolate|Che nulla non significano» (Mazzoni 1925, pp. 410-412, vv. 25-26, ma è da considerare tutto il testo). Giulio Romano e Polidoro da Caravaggio: Parini ricava le proprie valutazioni sulla storia dell’arte e sugli artisti dalle Vite del Vasari, che apprezzava particolarmente e di cui consigliava caldamente la lettura nelle Lezioni di Belle Lettere (vedi Morgana, Bartesaghi 2003, pp. 239-243). Giulio Romano (Roma 1492 ca. - Mantova 1546), pittore ed architetto, fu allievo prediletto di Raffaello e uno dei suoi più validi aiuti negli affreschi delle Stanze Vaticane, della Farnesina e delle Logge. Polidoro Caldara, detto Polidoro da Caravaggio (Caravaggio 1495 ca. Messina 1543), partecipò anch’egli alla decorazione delle Logge Vaticane, come allievo di Raffaello. Alla Pinacoteca Ambrosiana Parini poteva aver visto le grandi collezioni d’arte dei nuclei originali sei-settecenteschi: poco di Giulio Romano (l’Ambrosiana possedeva già dai tempi del card. Federico Borromeo solo i cartoni per la Battaglia di Costantino) e ancora meno di Polidoro di Caravaggio: la copia in matita nera e acquerello della Leggenda di Niobe entrò infatti in Ambrosiana solo nel 1795. È molto probabile invece che Parini si riferisca al Libro de diversi trophei di Polidoro cavati da gli antichi, Roma, mdlxxxvi, apud Petrum de Nobilibus, Formis, opera di larga circolazione, dedicata in modo specifico al disegno di turcassi, scudi, elmi e corazze: l’esecutore vi ha trovato lo spunto iniziale, poi sviluppato personalmente. Con Vasari Parini condivide l’idea della rinascita dell’arte italiana con Cimabue e Giotto, che giunge ad un traguardo esemplare con Michelangelo e, soprattutto, con Raffaello. Su Raffaello trovava giudizi condivisibili in Webb, opera che Parini possedeva. I principali giudizi di Webb vengono ripresi da Parini: pittura e scultura hanno in comune il disegno, quindi sono inseparabili (p. 23); la ‘nobile semplicità’ come carattere distintivo del disegno di Raffaello (p. 55); la ‘grazia’ definita come l’azione più piacevole espressa con la più grande semplicità possibile (p. 57); caratteristiche del grande artista: eleganza nella scelta, convenienza nell’applicazione, facilità nell’esecuzione (p. 57); Raffaello: angelo rispetto ai moderni, asino rispetto agli antichi (p. 67); bellezza ed eleganza del disegno del Correggio (p. 68); Correggio: eccellenza nel chiaro-scuro (p. 86); Raffaello non conosce l’effetto del chiaro-scuro (pp. 134-137); nella ‘Trasfigurazione’ Raffaello non era animato da quell’entusiasmo, da quelle idee di maestà che convenivano al soggetto; il suo pennello è timido e disuguale: cosa che non si nota più quando il suo sguardo scende ai piedi della montagna ed esprime i pensieri ed i movimenti diversi degli Apostoli, rattristati per non aver potuto compiere un miracolo in assenza del loro maestro. Il genio di Raffaello: tranquillo e fecondo insieme,

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è portato alla resa dei movimenti dell’anima semplici e delicati, in cui subentra più il sentimento che non la passione: è lì che bisogna studiare ed ammirare Raffaello (pp. 163-164). L’ammirazione per Raffaello non ha impedito a Parini di intervenire, nel 1776, nella polemica suscitata dalla pubblicazione dell’opera di James Ferguson contenente riserve nei confronti della Pesca miracolosa e della Trasfigurazione (vedi Barbarisi, Bartesaghi 2005, pp. 257-259). Nella sua biblioteca, Parini possedeva: Antonio Pellegrino Orlando, Abbecedario pittorico, Venezia, appresso Giambattista Pasquali, 1753. Parini vi leggeva i seguenti giudizi: «[Giulio Romano] nella scuola di Raffaello d’Urbino non ebbe mai alcuno, che l’uguagliasse nei fondamenti, nella fierezza, nell’abbondanza delle idee, nei capricci, nella prospettiva, architettura, componimento, e facilità, onde sì teneramente fu dal Maestro amato, che sempre lo guardò come figlio» (p. 313). «[Raffaello e Polidoro] dipinsero gran tempo insieme, e come simili di genio, così furono di colorito, terminando, o disegnando l’uno l’opera dell’altro. Dilettaronsi di varie bizzarrie, cioè d’anticaglie, d’urne, di vasi, di statue, d’arabeschi, e di sacrificj antichi, introducendone sempre nelle loro incomparabili invenzioni» (pp. 436-437). Un altro artista rinascimentale che ha avuto importanza nella riflessione artistica di Parini è Leonardo, sul quale meditava di scrivere un trattato, insieme con Franchi – stando alla testimonianza di Reina (che dedica al Franchi il vol. V delle Opere di Parini). Di tale collaborazione non c’è traccia negli scritti di Parini, che di Leonardo conosceva anche i disegni tramite il lavoro di alta divulgazione di Carlo Giuseppe Gerli, Disegni di Leonardi da Vinci incisi e pubblicati da Carlo Giuseppe Gerli milanese, Milano, Galeazzi, 1784. Nella premessa a tale volume, l’editore esprimeva giudizi su Leonardo punto di svolta dell’arte che Parini non poteva che condividere: «Il primo egli [Leonardo] fu che trasse la pittura dalle seccaggini: al vedere i suoi quadri in Firenze abbandonò l’arida maniera di Pietro Perugino il gran Raffaelle: da lui apprese l’inimitabil Correggio a dipingere le grazie su i volti, e nelle mosse degli angioli, e delle donne: e da lui Michelangelo stesso imparò la robustezza, e la forte muscolatura. Seppe leonardo copiar la natura: seppe, seguendone le tracce, superarla ancora, imitandone non solo le spiritose difformità, come veggiamo nelle caricature […] ma eziandio copiandola in tutto il suo bello» (p. 6). E poco oltre: «Non lasciò egli [Leonardo] mai d’inculcare colla voce, cogli scritti, e più coll’esempio, che un buon pittore non deve studiare che la natura, e non mai gli altrui lavori, se agguagliare vuole la verità, la grandezza, e la varietà che regnano nella natura medesima» (ibidem). Ispirati a questo volume di Gerli sono sia i disegni scarabocchiati qua e là nelle carte pariniane sia le pagine dedicate alla rappresentazione caricaturale dei nasi (scritto apografo inedito in BAMi, S.P. 6/5), ispirate alle tavole IX, XV, XXV e XXVI di Gerli.

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Come fonte di ispirazione per i puttini è da considerare anche Benigno Bossi, Scherzi di puttini, 1769, Milano, Brera, Fondo Bodoni, riprodotti in Mazzocca et al. 2001, p. 30. Giunone: «Regina degli Dei, moglie di Giove, figliuola di Saturno, e di Rea. […] I Poeti la rappresentano sopra un cocchio guidato da’ Pavoni, con uno di questi uccelli vicino» (DDF, p. 149). Per l’accostamento del pavone a Giunone, vedi anche 5.4. Valutazione negativa del pavone è fornita da Boccaccio, che lo giudica come espressione dell’agire superbo e prepotente tipico degli uomini ricchi e potenti (Giovanni Boccaccio, Genealogia deorum gentilium, 9, 1). Una raffigurazione ‘maliziosa’ di Giunone è in Palazzo Greppi (Fig. 58). L’interesse di Parini per Giunone nel fulgore della sua maternità è documentato da NT, frammenti VIII1-3. Il frammento VIII3 è da considerare integralmente per la presentazione maliziosa e galante di Apollo («dal bocchin socchiuso»), Marte (che «mollemente sorride»), Mercurio («Col piumato cappel sotto all’ascella»), Venere (dalla «arguta di parlare licenza») e Diana (che «nauseando volge|Al biondo Ganimede i guardi obliqui». Vedi anche VIII4). I vv. 14-42, in modo particolare, sembrano ecfrasi di quadri di Fragonard o di Hogarth. Per queste ed altre suggestioni pittoriche vedi Ilaria Magnani Campanacci in Barbarisi, Esposito 1998, pp. 579-620. Lari: «Dei delle case […]. Erano picciole statue, che nelle case si onoravano e si guardavano con molta cura» (DDF, p. 167). Nell’originale francese si aggiunge: «Erano di solito accompagnati da un piccolo cane, venerato anch’esso con il titolo di lare familiare» (Chompré 1775 p. 243). Si distinguevano inizialmente dai Penati, divinità che proteggevano la patria (intesa come famiglia allargata). Parini usa indifferentemente i due termini. In MT I, l’antenato del giovin signore, se pur rozzo, comunque combatte valorosamente a difendere «i palpitanti Lari|De la Patria» (vv. 783-784), mentre in MT II il ‘duro’ antenato «cinse d’invitte| Mura i Penati» (vv. 1111-1112), dove i Penati vengono ad indicare, per metonimia, le città. Sempre per metonimia, i Lari indicano la casa nella Salubrità dell’aria («i Lari plebei», v. 97: le case dei poveri), nella Gratitudine (v. 41) e in A Silvia («i pudibondi Lari», v. 56). Anche in un sonetto della tarda maturità (Se a me il destin di celebrar contende, Mazzoni 1925, p. 396, che lo riconduce al 1790 sulla base delle testimonianze degli autografi ambrosiani), la presenza in territorio lombardo della vedova del principe Vittorio di Savoia Carignano ha l’effetto di nobilitare anche i Lari. Imeneo: «Dio, che presiedeva alle nozze. era figliuolo di Bacco, e di Venere. Rappresentasi sotto forma d’un giovane biondo avente una facella di rose in mano, e una corona di rose in mano» (DDF, p. 157).

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Medea fa ringiovanire Esone (Fig . 24): la donna ‘scapigliata’ è Medea, il vecchio re caduto al suolo è Pelia: Medea e Giasone, a questo punto della vicenda, sono già rientrati in patria, a Iolco. Il racconto per ‘tableaux’ è piuttosto ellittico: saputo del ringiovanimento di Esone, le figlie di Pelia chiedono a Medea lo stesso ‘miracolo’ per il proprio padre. Medea finge riluttanza, ma in cuor suo desidera ardentemente la morte di Pelia. Alla fine si lascia convincere: sacrifica un montone, che fa ritornare agnello (è l’ariete che scherza accanto all’altare, alla sinistra, Fig . 25) e poi appresta una finta pozione, del tutto inefficace, e convince le figlie a svenare loro stesse il padre, che muore tra atroci sofferenze e patimento. Le braccia aperte del re esprimono stupore nel vedersi maltrattato dalle figlie. Medea assiste impassibile, ritta in piedi. Minosse: qui considerato come giudice infernale con il compito di costringere le anime a confessare i propri misfatti (Conti 1637, p. 108). «Morto Minosse discese all’Inferno, ove dicono, che il Destino gli pose in mano un’urna, in cui si chiudevano le sorti de’ mortali, e lo astrinse a dimorarvi eternamente per giudicarli» (DDF, pp. 182-183. Vedi 3.15). Numa Pompilio: secondo re di Roma. Gli si attribuisce l’istituzione in Roma delle norme del diritto religioso. Avrebbe avuto come ispiratrice la ninfa Egeria. Parini leggeva le vicende di Numa in Ovidio, Metamorfosi, xv, 474-491. Una rilettura ‘illuministica’ di tale figura è nell’ode La impostura: «Già con Numa in sul Tarpèo|Desti al Tebro i riti santi,|Onde l’àugure potèo|Co’ suoi voli e co’ suoi canti|Soggiogar le altere menti|Domatrici de le genti» (vv. 25-30). Senza negare l’importanza delle leggi religiose introdotte in Roma da Numa, Parini individua ironicamente il paradosso dei Romani dominatori del mondo a loro volta soggiogati da aruspici e indovini che interpretavano il canto e il volo degli uccelli! Onore: «Giovane bello, vestito di Porpora, & coronato d’Alloro, con un’hasta nella mano destra, & nella sinistra con una Cornucopia piena di frutti, fiori e fronde» (Ripa 1618, p. 234 e Ripa 1625, p. 293). Orfeo: «figliuolo di Apollo, e di Clio. Suonava così ben la Lira, che gli alberi, e i sassi gli correano dietro, i fiumi sospendevano il loro corso, e le bestie feroci si univano intorno a lui per ascoltarlo» (DDF, p. 195). Parini, che conosceva Ovidio nella traduzione – non molto apprezzata, per altro (vedi Morgana, Bartesaghi 2003, p. 243) – di Giovanni Andrea dell’Anguillara, vi leggeva che «Orfeo ne mostra quanta forza e vigore abbia l’eloquenza, come quella che è figliuola di Apollo che non è altro che la sapienza» (vedi la voce ‘Eloquenza’ in Ripa che riporta alla lettera il passo di G. A. dell’Anguillara). Nelle note alle Odi della edizione Marelli, viene riproposto il sonetto Il lamento d’Orfeo (Parini 1791, p. 170), il

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cui tema Parini aveva suggerito come argomento ad un «nobile e applaudito Improvvisatore» (ivi, p. 168). Pace: «Donna, che con la destra tiene un ramo di ulivo, & con la sinistra un Corpo di divitia» (Ripa 1618, p. 393 e Ripa 1625, p. 493 sulla base di una medaglia di Traiano). Pale: «Dea de’ Pascoli, e de’ Pastori. Alcuni credono, che sotto questo nome s’intendesse Cibele, come figura della Madre Terra, la quale anticamente chiamavasi Pale; altri vogliono fosse Cerere. In somma sotto il nome di Pale si onorava la Deità protettrice delle gregge» (DDF, pp. 198-199). In MZ 1025-1038 (e in MG 1001-1014) la ‘rustica Pale’, coronata di ginepro e di profumata melissa, conclude la «mensa divina» con i formaggi («presso latte») e i gelati alla crema. Paride: è protagonista anche del soggetto eseguito da Martin Knoller a Innsbruck al Taxispalais. Pasitea: non figura nel Dizionario delle favole, che non ne fa cenno neppure sotto la voce Sonno. Molto probabilmente Parini dipende direttamente da Omero, Iliade, xiv, canto a lui ben noto e ampiamente utilizzato anche per i soggetti di Palazzo Greppi (vedi infra) nella parte centrale relativa al cinto di Venere. In Omero, Pasitea è la giovane Musa, che il dio Sonno potrà finalmente sposare dopo aver aiutato Giunone (in Omero: Era) ad addormentare Giove (in Omero: Zeus). Vedi supra l’Aurora intempestiva (3.10). Pasitea è protagonista pure di uno dei quattro bassorilievi della camera da letto di Palazzo Greppi (5.5): sta intrecciando una corona di papaveri, che la inducono mollemente al sonno. Vedi pure il sesto bassorilievo verso il giardino della Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso intitolato ‘Iride e il Sonno’ (Fig. 75). Perseo: «figliuolo di Giove, e di Danae. […] Cresciuto in età ottenne lo Scudo di Minerva, coll’ajuto del quale oprò molte grandi cose. Tagliò la testa a Medusa» (DDF, p. 208) Pindaro: Savarese 1973, p. 67 nota 22, ha osservato che Parini ha qui ‘riadattato’ alcuni versi della Canzone prima. A Gerone Etneo Siracusano dei Vincitori Pizi di Pindaro trascritti da Giambattista Gautier (Roma, 1756). Per la presenza del volume di Gautier nella libreria di Parini, vedi Vicinelli 1963, pp. 264 e 289. Pomona: «Dea dei frutti, e dell’Autunno. Fu amata da Vertumno» (DDF, p. 217). Preghiere: il punto di partenza (solo spunto iniziale e nulla più) per la personificazione delle ‘Preghiere’ come donne supplici è Omero – come in-

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dicato da Parini – che si riferisce a Iliade, ix 503-504: sono vecchie claudicanti e incartapecorite, dagli occhi stravolti. Non possono che essere misere, se è vero che chi prega lo fa per chiedere quello che non ha. Anche Ripa dipende da Omero (Ripa 1618, p. 421 e Ripa 1625, p. 525). Il soggetto di Parini è forse il più originale nella ‘invenzione’. Le tre supplici, diversamente che in Omero, sono presentate ognuna con posizione e atteggiamento diverso, ispirate da nobiltà e fiducia nell’accoglimento delle preghiere. Tale fiducia Parini trovava espressa da Omero nei versi immediatamente precedenti a quelli sopra citati. Pur essendo più forti, più onorati e più potenti degli uomini, anche gli dei si lasciano piegare dalle preghiere, dagli aromi che profumano gli altari dei sacrifici. Premio: «Huomo vestito di bianco, cinto d’un velo d’oro, tenendo nella destra mano una palma con un ramo di quercia, & nella sinistra corone, & ghirlande. Due sono le parti del premio principali, cioè l’honore, & l’utile; però si dipinge in mano à questa figura il ramo della quercia, & della palma, significando quella l’utile, & questa l’onore. Il vestimento bianco cinto col velo dell’oro, significa la verità accompagnata dalla virtù» (Ripa 1618, p. 422 e Ripa 1625, p. 527). Mentre Parini, seguendo il Ripa, tratteggia il Premio (così come successivamente il Castigo, vedi infra) come figure maschili, l’esecutore, Martin Knoller, si è discostato da Parini e ha proposto tutte figure femminili, attenendosi per il resto con «un’impressionante fedeltà alle direttive pariniane, nell’intento di fornire un impianto allegorico chiaro, sia nella formulazione dei significati, sia nell’impianto compositivo, rispondente quindi alle nuove esigenze di regolarità, rispetto alle eccessive esuberanze del Barocco, che richiedeva la riforma neoclassica» (Morandotti, in Mazzocca, Morandotti 1999, p. 234). Priapo: «Dio dei Giardini, figliuolo di Bacco, e di Venere. […] Questo Dio presiedeva ad ogni sorta di dissolutezza, e rappresentavasi sempre colla barba, e la zazzera mal concia, e con una falce in mano» (DDF, p. 218). Prometeo: «figliuolo di Giapeto, e della Ninfa Asia. […]. Formò i primi uomini di terra, e acqua, e salì al Cielo coll’ajuto di Pallade a rapirne il fuoco per animarli. Giove di ciò adirato comandò a Vulcano di legarlo sul Monte Caucaso, ove un Avvoltoio gli rodeva il cuore a misura che gli rinasceva, e sofferse un tale supplizio fintanto che venne Ercole a liberarlo» (DDF, p. 210). Conti scrive che Prometeo, inventore di molte arti, avrebbe anche creato gli uomini dal fango (Conti 1637, p. 164). Prontezza: non individuata la fonte. Marginale anche Ripa. Potrebbe essere Dei delitti e delle pene di Beccaria?

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Psiche: è parola greca che indica l’anima. I pagani ne avevano fatto una divinità di cui si raccontano diverse favole. La più celebre risale ad Apuleio. «Gli Antichi la tenevano per Dea della Voluttà» (DDF, pp. 220-221). Pudore o pudicizia: «Una giovanetta vestita di bianco, in testa habbia un velo dell’istesso colore, che le cuopra la faccia fino alla cinta, con la destra mano tenghi un giglio parimente bianco» (Ripa 1618, p. 429 e Ripa 1625, p. 538). Nell’immagine la donna biancovestita tiene il piede sopra una tartaruga, ad indicare che la donna pudica deve essere ‘assidua’ nella casa sua. Radamanto: «Giudice dell’Inferno con Eaco, e Minosse» (DDF, p. 224), secondo una tradizione che risale a Platone. Come Minosse fu re e legislatore sapientissimo. Nel compito di giudice infernale è ricordato anche da Virgilio nel vi dell’Eneide (Conti 1637, p. 110). Salute: la dea Salute era una divinità celebrata in Roma prima ancora che vi si introducesse il culto di Esculapio. Più tardi venne identificata con la greca Igea. Qui Parini sembra più interessato a circondare la dea di tutto quello che la natura offre all’uomo per godere di una buona ‘salute’. È per questo che, al di là della posizione (assisa su di un trono), non ci sono altri elementi che riconducano il soggetto pariniano ad una fonte quale il Ripa, dove l’immagine della Salute prende risalto dalla vicinanza con un gallo o con un serpente (quest’ultimo rimanda a Esculapio) (vedi le voci ‘Salute’ e ‘Sanità’ in Ripa 1618, pp. 452-453 e Ripa 1625, p. 577 e 579). Nella stesura preparatoria, indicata con [A] nella nota al testo, Parini specifica che sul trono deve essere incisa la figura di un montone. Questo animale, in Ripa, è associato all’immagine della vitalità e della riproduzione ed esprime un temperamento sanguigno, quindi sano. Soprattutto nella tradizione egiziaca, il montone è associato al Sole, cioè al corpo che ha «maggior forza nelle cose create et in quelle mostri più manifestamente de gli altri li effetti suoi» (Cartari 1996, pp. 48 e 57). Sincerità: «Donna vestita d’oro, che con la destra mano tenghi una Colomba bianca, & con la sinistra porghi in atto grazioso, & bello un cuore» (Ripa 1618, p. 478 e Ripa 1625, p. 617). Lo scoprirsi delicatamente il seno, indicato da Parini, è spiegato da Ripa come espressione di animo integro, che non ha nulla da nascondere (ibidem). Siringa: qui nel senso di flauto pastorale. Nella mitologia, era una ninfa, figlia del fiume Ladone, mutata in giunco da Pane, che la inseguiva. Dalle canne di giunco, mosse dal vento, usciva un suono flebile e lamentoso. Con tali canne Pane costruì la prima siringa (Ovidio, Metamorfosi, i, 691 sgg.). Nel Dizionario delle favole, notizie sulla ninfa Siringa compaiono indirettamente sotto la voce ‘Pale’ (DDF, p. 201).

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Sonno: «figliuolo dell’Erebo e della Notte. Dicono abbia il suo Palagio in un luogo deserto, e sconosciuto, ove i raggi del Sole non entrino giammai. L’entrata di tal Palagio è adorna di papaveri, e d’erbe concilianti il sonno […]. Tiene un corno in una mano, ed un dente d’Elefante nell’altra» (DDF, p. 235). È una divinità potente a cui è sottomessa ogni cosa: manifesta il suo potere anche sopra Giove. Il Dizionario delle favole lo indica con il corno in una mano e un dente d’elefante nell’altra, contemporaneamente. Parini invece gli attribuisce solo il dente di elefante, così come lo vorrà rappresentato anche nella medaglia per la camera da letto di Palazzo Greppi: con le ali di farfalla, la ghirlanda di papaveri soporiferi in capo e il dente d’elefante in mano (vedi 5.4). Macrobio, nel Somnium Scipionis, i, 3, 18-19, spiega che il corno indica i sogni veri e il dente d’elefante i sogni falsi. Cartari 1996, p. 296, riprende e condivide l’interpretazione di Macrobio. Anche Omero, nella descrizione del Palazzo del Sogno, aveva posto una porta di corno, veritiera, e una porta d’avorio, menzognera (Odissea, xix, 562 sgg). Qui Parini introduce il dente d’elefante senza connotazione negativa, e se ne avvale come di segno di identificazione del personaggio, con valore di attributo ‘neutro’. La conferma è fornita dal soggetto del sesto bassorilievo verso il giardino della Villa Reale, dedicato ad Iride e al Sonno. Iride presenta al Sonno la ninfa Pasitea, come dono di Giunone. Il Sonno sarà rappresentato «con un corno o dente d’elefante in mano». L’episodio, che non pare attestato da fonti classiche, sarebbe invenzione di Parini che sviluppa il canto xiv dell’Iliade, affidando ad Iride l’incarico di consegnare Pasitea al Sonno, che si sveglia all’improvviso. Che tenga in mano un corno o un dente è – per Parini – indifferente. A questo punto si chiarisce anche il momento cronologico della vicenda rappresentata: il soggetto della Aurora intempestiva rappresenta l’Aurora come nemica degli amanti. Il Sonno e Pasitea, coronato il sogno d’amore, sono colti nel momento del risveglio, infastiditi dalle luci dell’alba (vedi la voce dedicata all’Aurora). Il Sonno, nell’antichità classica, viene rappresentato come giovane. Diventerà vecchio, in quanto padre dei sogni, a partire da Ovidio, Metamorfosi, xi, 583-649: 647-649 («senior […]|Somnus»). Nel Ripano Eupilino Parini dedica al sonno il sonetto XLI (O Sonno placido che, con liev’orme), di ispirazione profondamente diversa rispetto allo spirito del soggetto (vedi EN1 2011, pp. 111-112). Teseo (Fig. 26): figlio di Egeo, frutto di un amore precedente al matrimonio di Egeo con Medea, dopo la sua fuga da Corinto ad Atene. La scena rappresenta il momento in cui Teseo, dopo innumerevoli peripezie, torna in incognito alla reggia di Atene e si appresta a bere dalla tazza avvelenata, preparata da Medea. Ma Egeo riconosce nello straniero il proprio figlio per i calzari e per l’elsa della spada. Gli strappa via violentemente

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la tazza, che lui stesso poco prima gli ha offerta. Nel racconto di Ovidio relativo alle vicende di Medea e Teseo (Metamorfosi, vii, 404-424), Medea evita la morte «nebulis per carmina motis» (v. 424). Traballesi esegue il soggetto rispettando fedelmente le indicazioni di Parini. Le singole voci dello Chompré e del Dizionario delle favole relative ai protagonisti dei sovraporti della seconda stanza degli arazzi (Fineo, Eeta, Esone, Pelia – quest’ultimo non nominato esplicitamente –) sono insufficienti a spiegare i ‘tableaux’. Opportunamente Parini indica la fonte da lui seguita: si tratta di Ovidio, Metamorfosi, vii, 1-349. Le scene selezionate da Parini, apparentemene, possono sembrare dispersive, ma si legano sempre comunque a Giasone, l’eroe che ha dato origine alla navigazione e al commercio e che quindi ha ampiamente meritato la divinizzazione. Teseo (vedi 3.15): allude all’uccisione del Minotauro, propiziata dal filo di Arianna, per uscire dal Labirinto. «Figliuolo d’Egeo, e di Etra […] diede mentre visse segni di non ordinario valore, e camminò sull’orme d’Ercole. Dichiarossi sempre inimico del vizio, sconfisse alcuni mostri, e fra gli altri il Minotauro […]. In somma meritò d’esser ammesso fra’ Semidei, e fu creduto il Semideo maggiore dopo Ercole» (DDF, pp. 242-243). Trittolemo: «È ricordato da Conti come il primo che introdusse ad Eleusi la semina delle messi e come colui che percorse la Sicilia su un carro tirato da quattro dragoni per insegnare a coltivare i campi» (DDF, p. 278) Venere: «figliuola del Cielo e della Terra, o, secondo alcuni prodotta dalla schiuma del mare, e dal seme di Saturno. […] Tutti gli Dei la trovarono così bella, che tutti la volevano per isposa, e la chiamarono la Dea dell’amore. […] Questa Dea aveva un cinto detto ceste, in cui stavano le grazie, il riso, i vezzi, le lusinghe, e Paride, dinanzi a cui ella si trasse questo cinto per fargli vedere tutte le sue bellezze, le diede il Pomo d’Oro gittato giù dalla Discordia. […] Rappresentasi per lo più sopra un carro condotto da Colombi, o da Cigni, o da Passeri. Non v’ha cosa più stomachevole, e degna d’abominazione de’ disordini commessi al dir de’ Poeti da questa Dea» (DDF, pp. 251-252). Giunone chiese in prestito il cinto a Venere «per farsi amare da Giove e per renderlo nemico a’ Troiani» (DDF, p. 78, sotto la voce ‘ceste’). Vedi la medaglia I riposi di Giove nella terza stanza del Palazzo di Corte e la Fig. 58 (Palazzo Greppi). Tra le innumerevoli ricorrenze della dea nell’opera poetica di Parini, ci si limita a segnalare l’azione teatrale L’Ascanio in Alba, in cui la vicenda arcadico-pastorale ruota intorno a Venere, con allusione trasparente al matrimonio tra l’arciduca Ferdinando e Beatrice d’Este nel 1771. Virtù: «Donna bella, armata, & d’aspetto virile, che in una mano tiene il mondo, & con l’altra una lancia» (Ripa 1618, p. 564 e Ripa 1625, p. 719 sulla base di una medaglia di Alessandro Magno).

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Vittoria: «Per la vittoria si dipinge una donna alata, che nella destra tiene una cornucopia, & nella sinistra un ramo di palma» (Ripa 1618, p. 575 e Ripa 1625, p. 729 sulla base di una medaglia di Domiziano). Zefiro: «vento d’occidente, ed uno de’ quattro principali. Era figliuolo di Eolo, e dell’Aurora […]. Si rappresenta spesso in un giovanetto con faccia serena, incoronato di ogni sorta di fiori» (DDF, p. 257). 4 [Taxispalais] Giudizio di Paride: nella Vita premessa alle opere di Parini (I, XXI), Reina parla di un disaccordo con l’arciduca Ferdinando, che avrebbe voluto far decorare la volta della sala delle udienze del Palazzo di Corte con il ‘giudizio di Paride’, con un soggetto cioè che mettesse l’accento sul termine ‘giudizio’, a prescindere dall’oggetto del contendere. L’Arciduca pensava così di presentare se stesso come ‘giudice’, ovviamente non di vicende galanti, ma di tutti i gravi e severi affari di Stato che si proponeva di trattare di persona nell’udienza pubblica che avrebbe concesso settimanalmente. Il contesto mitologico del soggetto non avrebbe avuto, per l’Arciduca, significativa rilevanza. Non così però la pensava Parini, che non ritenne il progetto ufficiale sufficientemente serio, sia in rapporto al Principe che alla funzione che si doveva svolgere in quella particolare sala. Lo spettatore non avrebbe avuto a disposizione il titolo dell’opera, ma avrebbe solo ‘vista’ la scena: una vicenda mitologica leziosa e galante. Si sa come finì il contrasto: da una parte, Parini eseguì il soggetto richiesto; dall’altra elaborò un progetto alternativo, che, alla fine, fu condiviso dall’Arciduca (vedi 3. 23-24). Il soggetto proposto dall’Arciduca, al momento abbandonato, fu in seguito ripreso da Martin Knoller per Palazzo Taxis a Innsbruck. In un contesto arcadico-pastorale il giudizio di Paride apre anche il sonetto Il Pomo, che a le nozze di Pelèo (Mazzoni 1925, pp. 454-455) dove a venir paragonata a Venere è una ballerina e cantante, Vittoria Peluso, detta la Pelosina, che aveva brillato sul palco della Scala tra il 1778 e il 1783 (vedi Bartesaghi 2011, p. 189, nota 22). Paride: «Siccome egli era bellissimo, fu eletto da Giove in giudice della gara fra Giunone, Pallade, e Venere intorno al Pomo d’oro gittato dalla Discordia sulla mensa degli Dei alle nozze di Teti, e di Peleo. Paride giudicò a favor di Venere, nulla curando le offerte fattegli dall’altre due, onde guadagnossi la protezione di Venere, e l’odio di Giunone, e di Pallade» (DDF, pp. 201-202). Sposò la ninfa Enone (vedi supra) che gli predisse i mali di cui un giorno sarebbe stato causa, soprattutto della caduta di Troia.

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note esplicative 5 [Palazzo Greppi]

Alcinoo: «re dei Feaci, nell’isola di Corcira. Il suo nome è divenuto celebre per la bellezza dei giardini che coltivava, o meglio per le meraviglie che ne disse Omero, in occasione del naufragio di Ulisse sulle coste di quest’isola, dove fu ben accolto e generosamente trattato da Alcinoo. Omero, Odissea, 7 e Ovidio, Met. 2» (Chompré 1775, p. 35, traduzione nostra). La voce italiana si limita a registrare che Ulisse, dopo il suo naufragio, fu accolto da Alcinoo «con molti attestati di stima» (DDF, p. 22). Amicizia: «Amicitia secondo Aristotile è una scambievole, espressa e reciproca benevolenza guidata per virtù, e per ragione tra gli uomini, che hanno conformità di influssi, & di complessioni. Il vestimento bianco e rozzo, è la semplice candidezza dell’animo, onde il vero amore si scorge lontano da ogni sorte di fintioni, & di lisci artificiosi» (Ripa 1618, p. 16 e Ripa 1625, pp. 25-26). I motti che di solito accompagnano l’immagine dell’amicizia sono ‘longe et prope ’ e ‘mors et vita ’. A questi motti si ispira la scelta delle coppie di amici per i cammei successivi. Arianna: «figliuola di Minosse Re di Creta. S’innamorò questa sì fattamente di Teseo, già destinato preda del Minotauro, che gli diede un Gomitolo di filo, col qual mezzo uscì dal labirinto dopo d’aver vinto quel mostro, ed Arianna se ne andò con esso lui, che abbandonolla poi su di uno scoglio nell’Isola di Nasso, ove dopo pianta amaramente la sua disgrazia, si fece sacerdotessa di Bacco» (DDF, p. 42). Arpie: «Mostri, figliuole di Nettuno, e della Terra. Avevano viso di Donna, corpo d’Avoltojo coll’ali, unghioni a’ piedi, ed alle mani, ed Orecchie d’Orso […]. Giunone mandò questi Mostri per infestare, e rapire le vivande dalla tavola di Fineo, che cortesemente accolse Enea. Zete, e Calai le discacciarono» (DDF, p. 44). Il particolare delle orecchie d’orso manca sia in Virgilio (Eneide, iii, 212 sgg) sia nelle Metamorfosi di Ovidio (vii, 24 e xiii, 709-710). Nella tradizione letteraria italiana, l’Ariosto, Orlando furioso, xxxiii, 120, 1-8, segue le fonti classiche e quindi ignora le orecchie d’orso. In Valeriano 1610, c. 48r, l’orso è geroglifico, attributo dell’ira. La fonte più vicina a Parini resta dunque il Dizionario delle favole, mentre l’ipotesto dell’episodio è Omero, Odissea, xxii. Arunticeo: «nome d’uno, il quale avendo dispregiate le Feste di Bacco, fu punito da questo Dio, impercioccchè gli fe bere tanto vino, che ne perdette l’uso della ragione, e commise un incesto colla propria figlia Medulina, ond’essa di tanto furore si accese, che ammazzò questo disgraziato Padre» (DDF, p. 45). Atreo: «figliuolo di Pelope, e di Ippodamia. Furioso, che Tieste suo fratello s’intertenesse con Europa sua moglie, gli fece mangiare i proprj fi-

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gliuoli in un convito. Dicesi, che il Sole inorridito ritornasse in dietro, non volendo col suo lume rischiarare tanta scelleratezza, e tutta la stirpe d’Atreo fu di lì a poco di sì enorme delitto punita» (DDF, p. 49). Bauci e Filemone. Bauci «era un vecchia, povera, che viveva con il marito Filemone, quasi vecchio quanto lei, in una piccola capanna. Giove, in aspetto umano, accompagnato da Mercurio, aveva voluto visitare la Frigia, ma fu respinto da tutti gli abitanti del luogo, a cui avevano chiesto ospitalità: li accolsero solo Filemone e Bauci. Per ricompensarli Giove ordinò loro di seguirlo sulla cima della montagna: quando si volsero a guardare in basso, videro il villaggio e i dintorni sommersi dall’acqua, ad eccezione della loro capanna, trasformata in tempio. Giove promise di accordare loro tutto quello che avessero richiesto, ma essi chiesero semplicemente di divenire ministri del tempio e di vivere e morire insieme. I loro desideri vennero accettati. Giunti ad un’estrema vecchiaia, furono entrambi contemporaneamente trasformati in alberi: Filemone in quercia, Bauci in tiglio» (Chompré 1775, pp. 79-80, traduzione nostra). Diverso il finale nel Dizionario delle favole: «mentre un dì chiacchieravano insieme sulla porta del Tempio, Filemone s’accorse, che Bauci diventava una Tiglia, e Bauci rimase attonita di veder Filemone, che trasmutavasi in Quercia, e allora si diedero teneramente l’ultimo addio». (DDF, p. 56). Parini utilizza come fonte Ovidio, Metamorfosi, viii, 617-734. Storie di divinità che visitano gli uomini in incognito sono narrate anche da altri autori, ma Ovidio è il primo a narrare le vicende di Filemone e Bauci. Nel carnevale ambrosiano del 1774 il principe romano Sigismondo Chigi diede una solenne festa da ballo, alla quale vennero invitati l’Arciduca Ferdinando e Beatrice d’Este. Parini, incaricato di predisporre il testo di una cantata che doveva essere musicata dal maestro di cappella Giuseppe Colla, non si lasciò sfuggire l’occasione di identificare i sovrani con Giove e Mercurio bene accolti dal cuore adorante di Bauci e Filemone, cioè dei Milanesi (Mazzoni 1925, pp. 265-366 v. 20). Caduceo: è la verga, attorno alla quale sono intrecciati due serpenti. Vedi la voce Mercurio. Capra: si tratta della capra Amaltea. Vedi la voce Cornucopia. Cianippo: «Avendo dispregiato le Feste di Bacco, fu preso da una tale ubbriachezza, che violò la propria figlia, e l’Isola di Siracusa venne subito posta in desolazione da una peste orribile: consultatone l’Oracolo, rispose, che tal peste non sarebbe finita, se non si sacrificava l’incestuoso. Ciane strascinò ella stessa suo Padre all’Altare, e si uccise dopo d’aver ucciso lui» (DDF, p. 80). Cinto di Venere: «ove sono racchiuse le grazie, i desiderj, e l’amabilità. Giunone sel fece dare in prestito da Venere per farsi amar da Giove, e per

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renderlo nemico a’ Troiani. Venere le tolse questo Cinto in presenza di Paride per farsi giudicar degna del fatal pomo della discordia» (DDF, p. 78). Nella Crusca 1741, ad vocem, Parini trova la seguente definizione di cinto o cesto: «cintura nella quale sono raffigurate le gioie e i patimenti d’amore». Montesquieu (in Gérard, Essai…, cit., pp. 296-297) scrive: «Una delle più belle invenzioni poetiche di Omero è quella della cintura che dava a Venere l’arte di piacere. Nulla riesce a far meglio sentire questa magia e questo potere del fascino della seduzione, dato ad una persona da una magia invisibile. […] Orbene, questo cinto non poteva essere che attribuito a Venere. Non può congiungersi con la bellezza maestosa di Giunone, perché la maestà richiede una certa solennità, antitetica rispetto alle grazie. Non poteva convenire alla bellezza guerriera di Pallade, perché la fierezza si oppone alla dolcezza delle grazie, ed inoltre può essere accusata di affettazione». Accanto alla fonte classica, va posta una fonte moderna: Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, xvi, ottava 24 vv. 5-8 e ottava 25 vv. 1-8. Sono dodici versi che descrivono il cinto indossato sempre («nè pur nuda ha di lasciar costume») da Armida. Nella conclusione del soggetto per la medaglia della sala del Rinaldo (7.2) Parini invita il pittore a leggere i canti xv e xvi: «La lettura del canto 15 e 16 del Tasso servirà mirabilmente ad eccitare ed arricchire la fantasia del Pittore». Omero e Tasso rappresentano due ‘auctoritates’ che consentono a Parini di far passare – per un committente privato – un messaggio che celebra esplicitamente i piaceri della vita (se pur da usare moderatamente, secondo la ben nota moralità – laica – di Parini). Celebrazione del cerimoniale laico di un matrimonio profano è il sonetto giovanile O bella Venere, per cui s’accende, in cui la timida fanciulla si spoglia della «candida zona», e in cambio la dea è invitata dal poeta a donarle «l’amabil cinto|Caro a’ bei giovani e a le donzelle|Onde il tuo roseo fianco è succinto» (Mazzoni 1925, pp. 434-435, vv. 1-2 e 9-11). Circe: «famosa Maga. […] Ricevette Ulisse nella sua Isola, e per ritenervelo, cangiò i suoi Compagni in Lupi, in Orsi, ed in altre Bestie selvatiche con un certo liquore, ch’ella diede loro a bere, e di cui Ulisse non ne volle; alcuni dicono però, ch’ei ne bevesse, ma che Minerva gli additò una radice, che gli servì di contravveleno» (DDF, p. 82). Parini trova le vicende di Circe e di Ulisse sia nell’Odissea (x 133 sgg) che nell’Eneide (vii 1024) e nelle Metamorfosi (xiv 248-311). L’episodio che Parini elegge a soggetto si incentra su Euriloco, uno dei compagni di Ulisse, inviato al palazzo di Circe, che accoglie i guerrieri insieme con le sue belve mansuete e scodinzolanti. Appena i soldati bevono dalle tazze offerte da Circe, vengono trasformati in animali (si vedano i tre personaggi sulla destra del dipinto a chiaroscuro (Fig. 51): due ancora in piedi, il terzo già piegato a terra). L’unico a rifiutare la tazza è Euriloco («Questi rifiuta di bere»), che riuscirà ad avvertire Ulisse del pericolo. Quest’ultimo otterrà

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la retrotrasformazione dei suoi uomini sposando Circe. Conti, 1637, p. 307, ritiene invece che Ulisse fosse immortale, per cui non poteva essere corrotto da alcuna forza di natura. Corno dell’abbondanza: rimanda alla capra Amaltea (vedi la voce Cornucopia). Un’altra versione collega il corno strappato da Ercole ad Acheloo (vedi Chompré 1775 e DDF, p. 11). Il titolo della prima versione, scartata, rende bene, in forma esplicita, il senso del soggetto: «Convien servirsi dell’Abbondanza per riconoscere le persone benemerite». Demodoco: aedo della corte di Alcinoo. Al termine del banchetto che Antinoo, re dei Feaci, offre in onore di Ulisse, Demodoco canta le imprese dei Greci all’assedio di Troia e rievoca il famoso stratagemma del cavallo di legno introdotto astutamente in città. Fonte è Omero, Odissea, viii, 44 sgg. Ebe (Fig. 57): sull’utilizzo del DDF, p. 102 come fonte, vedi quanto già scritto nelle pagine introduttive. In una precedente stesura, il racconto della sostituzione era ‘neutro’: nel presentare il nettare a Giove, Ebe cade e Giove la scaccia, sostituendola con Ganimede, fatto rapire da un’aquila (vedi nota al testo 5.2). Femio: aedo presso il palazzo di Ulisse, occupato dai Proci. Riconosciuto innocente, viene risparmiato da Ulisse, perché venerando d’età e sacro come aedo. Fonte è Omero, Odissea, xxii, passim. Nell’incipit del Mezzogiorno, Parini paragona l’«umil Cantore» del giovin signore a Jopa, che allieta il banchetto di Didone e a Femio: «allor che l’orba Itaca in vano|Chiedea a Nettun la prole di Laerte,|Femio s’udia co’ versi e con la cetra|La facil mensa rallegrar de’ Proci|Cui dell’errante Ulisse i pingui agnelli|E i petrosi licori, e la consorte|Invitavano al pranzo» (MZ 13-19 e MG 13-19 con variante al v. 19). Ganimede: «figliuolo di Troe. Egli era sì bello, e ben formato, che divenne il favorito di Giove. Dopo la disgrazia succeduta a Ebe, Giove trasformossi in Aquila, e rapì Ganimede per farsi dare da bere da lui in vece di quella Dea» (DDF, p. 142). Grazie e Mercurio: l’abbinamento Grazie-Mercurio è nella tav. 88 di Cartari (le Muse, nella tavola, non sono sospese sopra le nuvole ma camminano danzanti sulla terra, condotte da Mercurio). Secondo Conti, gli antichi vedevano nelle Grazie anche la fertilità dei campi e l’abbondanza delle messi (Conti 1637, pp. 223 e 540). Lapiti: «popoli di Tessaglia, mostruosi giganti figliuoli d’Eolo, e di Lapita figlia d’Apollo. Furono i primi, che domarono i cavalli. Vennero in rissa co’ Centauri nelle nozze di Piritoo, e Ippodamia» (DDF, p. 167). La scena rappresentata trae spunto da Ovidio, Metamorfosi, xii, 210-244. Ovidio

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si diffonde su particolari realistici e violenti: Teseo colpisce il centauro Eurito con un cratere antico, puntuto per le molte figure in rilievo; Eurito crolla a terra vomitando insieme sangue, vino e cervello; Eurito scalcia morendo sulla terra bagnata … Parini invece si concentra sull’abbraccio mortale con Ippodamia, la giovine principessa che, con la sua bellezza, ha inconsapevolmente scatenato la rissa. Mentre le immagini in Ovidio debordano, con pagine di bravura quasi barocca, in Parini prevale la contenutezza classica. Licaone: «Re d’Arcadia. Fu cangiato in lupo nel tempio di Giove, per avervi sacrificato un fanciullo» (DDF, p. 170). Medaglie: descrizioni di medaglie si trovano anche in Ripa, in abbondanza a partire dall’edizione romana del 1603. Minerva: «detta con altro nome Pallade, Dea della sapienza, della guerra, e dell’arti. […] Rappresentasi armata da capo a piedi con una lancia in mano, siccome Dea della guerra, avendo vicini molti strumenti di Matematica, siccome Dea dell’arti, e delle scienze» (DDF, p. 182). Minerva è presenza frequente nei soggetti. Vedi in particolare in Palazzo di Corte la terza medaglia per la camera da letto dell’Arciduchessa. Una raffigurazione di Minerva, graziosa e raffinata, quasi di gusto rococò, è nell’ode Il Pericolo, originata dal fascino ‘pericoloso’ della bellezza di Cecilia Tron: «Parve a mirar quel volto|E ne le membra Pallade,| Quando l’elmo a sè tolto,|Fin sopra il fianco scorrere|Si lascia il lungo crin» (vv. 41-45). Di contro, una Minerva dal volto imbruttito e dalle guance sgraziate per lo sforzo di suonare il flauto è nel MT I 121-124. Nettuno: figlio di Saturno e di Rea, dio del mare, avverso ai Troiani. Parini non dipende dai dizionari ma dall’Iliade. Peleo: figlio di Eaco e di Endeide sposa Teti, e dalla loro unione nasce Achille. Parini potrebbe averlo inserito in questa lista di personaggi negativi come uccisore del fratellastro Foco. Di questa vicenda parla diffusamente Ovidio nei libri VII e XI delle Metamorfosi, intrecciando le vicende di Peleo e di Foco con quelle di Cefalo e Procri, di cui invece Parini celebra l’amore geloso e possessivo fino alla tragedia finale (vedi le note dedicate a Cefalo e Procri). Penteo: «Re d’una parte della Grecia, il quale dispregiava in tal modo gli Dei, che in vece di andar incontro a Bacco, che passava ne’ suoi Stati, comandò gli fosse condotto dinanzi legato. Bacco […] ispirò un tal furore alla famiglia Reale, che fece in pezzi Penteo» (DDF, pp. 206-207). Pilade: «amico d’Oreste, che non abbandonò mai in tutte le sue disavventure» (DDF, p. 209). In VP 113-114 Pilade è abbinato ad Ercole («E a Pilade s’eguagli e a quel che trasse|Il buon Teseo da le Tenarie foci»). I due sono

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presentati come modelli di vera amicizia: Pilade perché volle sostituirsi ad Oreste ed Ercole per aver tratto fuori Teseo dagli inferi. Pitagora (Fig. 52): Parini sintetizza il pensiero di Pitagora a partire da Ovidio, Metamorfosi, xv 60-473: 60-159. Più esplicita e diretta la prima redazione del soggetto, titolato: Il troppo uso delle carni e delle vivande artificiose è nocivo alla salute. Per il testo completo, in cui Pitagora abomina l’uccisione degli animali e consiglia ai discepoli l’uso dei vegetali, vedi la nota al testo 5.2. A Pitagora, il «sapiente di Samo», si fa riferimento anche nel Giorno, nella presentazione dei vari ‘tipi’ di commensali: il vegetariano «ozioso siede|Dispregiando le carni; e le narici|Schifo raggrinza, in nauseanti rughe|Ripiega i labbri, e poco pane intanto|Rumina lentamente». Ma ancora una volta, come nel caso dell’esaltazione del commercio, Parini colpisce l’estremizzazione della pratica vegetariana, che porta, dalla difesa degli animali, al ‘ribrezzo’ per l’uomo. Da qui l’esemplare vicenda della ‘vergine cuccia’ (MZ 478-556 e MG 620-697). Quattro tondi agli angoli: la medaglia della camera da letto e i quattro tondi agli angoli dipendono integralmente da Iliade, xiv, passim. Il canto xiv rappresenta un momento cruciale nelle vicende della guerra. Gli Achei sono in difficoltà, ricacciati dai Troiani in riva del mare; anzi i Troiani riescono ad abbattere il muro eretto a difesa delle navi achee. La scena si sposta allora in cielo dove Giunone (Era in Omero), preoccupata per le sorti dei suoi protetti, decide di intervenire: per aiutarli, bisogna addormentare Giove (Zeus in Omero). Per far questo, ottiene da Venere il cinto che spinge ad amare e poi convince il Sonno ad addormentare Zeus, con la promessa di dargli in moglie Pasitea, giovane Grazia. A questo punto, il Sonno può scendere da Nettuno. Gli si mette vicino, gli rivolge parole di incitamento ad aiutare i Danai, e a dar loro la vittoria anche per poco, intanto che Zeus è immerso ancora nel sonno. Vedi la figura 59, in cui il Sonno appare di spalle, rivolto a Nettuno, che si riconosce dal tridente. Nettuno esce subito sul campo di battaglia e stringe con la mano gagliarda una spada dalla lunga punta, terribile, simile al lampo. Vedi Fig. 60 e relativo soggetto. Ettore in particolare è il bersaglio contro cui convergono gli Achei. Ettore viene colpito con un grosso macigno da Aiace Telamonio. S’abbatte nella polvere il forte Ettore. Lascia andare di mano la lancia, lo scudo e l’elmo. Vedi Fig. 61 e relativo soggetto. Gli eroi troiani difendono Ettore, lo sollevano a braccia e lo portano fuori della mischia. Tra medaglia e cammei della camera da letto di Palazzo Greppi c’è continuità narrativa, garantita dall’ipotesto omerico. Le vicende epiche dei cammei sono però periferiche rispetto al contesto generale: sembrano quasi una compensazione dell’aspetto ‘malizioso’ della medaglia, forse il più osè tra i soggetti di Parini, insieme con il 5.3.

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Quercia e mirto: sono rispettivamente simbolo della bellezza che ispira l’amore e della forza che spinge alle virtù civili. In L’innesto del vajuolo alle corone d’alloro intrecceranno ghirlande di mirto i giovini e le giovinette in onore del medico e poeta Bicetti, che con i suoi rimedi, li ha salvati dalla morte o dall’imbruttimento (vv. 172-180). Vino: offrire da bere il vino è espressione di amicizia e di gioia. In Ripa, vedi le voci ‘Confirmazione dell’amicizia’ (Ripa 1618, p. 97 e Ripa 1625, pp. 125-126) e ‘Allegrezza’ (Ripa 1618, p. 13 e Ripa 1625, p. 18), dove viene citato San Gregorio: «Solet letitia arcana mentis aperire». Parini trovava in Enrico Stefano l’ode xxvi di Anacreonte che celebra il liquore di Bacco insieme con altre sue odicine ispirate alle gioie della vita: ne fece argomento del corso delle sue Lezioni di Belle Lettere nell’anno scolastico 17901791 (vedine il testo in Morgana, Bartesaghi 2003, pp. 393-406 e in particolare p. 402; inoltre p. 390 n. 5. Parini cita l’edizione parigina dello Stefano del 1554, ma nella sua biblioteca possiede il volume delle poesie di Anacreonte e Saffo, Amsterdam 1776 curato da Le Fevre: vedi Barbarisi, Bartesaghi 2005, p. 745, n. 217). Un sonetto celebrativo dell’efficacia del «vin spumoso» a lenire i dolori dell’uomo e ad affrontare il «dolente passo» della morte Parini aveva già inserito nel Ripano (EN1 2011, pp. 114-115): con abilità Parini fonde il «dubbioso passo» con le «dolenti mie parole estreme» di Petrarca Rvf lxxvi 13 e. 23. Per altri accostamenti vedi supra la voce dedicata a Bacco. 6 [Palazzo Confalonieri] Né meno il savio può tenersi sicuro dall’Amore: una analoga prospettiva, autobiografica e non priva di autoironia, è in Il Pericolo, dove, per altro, compare Pallade (v. 42), divinamente bella, così come nel soggetto è ‘seduta, mezzo spogliata’. Tempo: vengono attribuiti al Tempo (o a Saturno) una falce, un serpente che si morde la coda, o anche un remo (DDF, pp. 228-229). «L’oriolo» è spia linguistica che rimanda più a MT I 1026 e 1051, MT II 973 e 1002 e al v. 6 del settimo dei frammenti minori della Notte, che non a fonte classica con la consueta clessidra. Tradizionale è il modo di operare del Tempo nel secondo dei frammenti minori di NT: «quand’ecco il Tempo|Tra la coppia felice osa indiscreto|Passar volando; e de la dama un poco|Dove il ciglio ha confin riga la guancia|Con la cima dell’ale, all’altro svelle|Parte del ciuffo che nel liquid’aere|Si conteser dipoi l’aure superbe» (vv. 27-33). Le ‘zampe di gallina’ per la donna, il diradamento dei capelli per l’uomo: opera impietosa del tempo che passa, rappresentati con eleganza raffinata da un Parini che nel Brindisi aveva adottato un registro autoironico per scherzare sul volar rapido dei suoi giorni.

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Sia Foscolo sia Bernardoni attribuiscono a Parini un’‘ode libera’ intitolata Il Tempo. Mazzoni 1925 la riporta alle pp. 526-529, spiegando nella nota di p. 596 di non saper dire se si tratti di creazione originale o di versione da Carlo Churcill, The Times. Pare da escludere che Parini conoscesse l’inglese: quando utilizza Pope lo fa sulla base di traduzioni francesi. Ma anche se fosse una traduzione ‘indiretta’ starebbe comunque a indicare l’attenzione di Parini per il tema ivi trattato. 7 [Palazzo Belgioioso] Capelli: i capelli, biondi e ricciuti, significano «i magnanimi, e gloriosi pensieri, che occupano le menti de’ Prencipi, nell’opere de’ quali sommamente risplende la gloria loro» (alla voce ‘Gloria de’ Principi’: Ripa 1618, pp. 223-224 e Ripa 1625, p. 280). Corona «è inditio del premio, che merita ciascun huomo famoso» (Ripa 1618, p. 225 e Ripa 1625, p. 282). Fortezza: suggerimenti parziali in Ripa: «Donna armata di corazza, elmo, spada e lancia, nel braccio sinistro tenendo uno scudo con una testa di leone dipintavi, sopra alla qual sta una mazza, per questo s’intende la fortezza del corpo, e per il capo di leone, la generosità dell’animo, così si vede in una medaglia molto antica» (Ripa 1618, p. 201 e Ripa 1625, p. 253). Vedi anche la voce dello stesso soggetto di Palazzo di Corte. Gloria: «Donna, che mostra le mammelle, & le braccia ignude, nella destra mano tiene una figuretta succintamente vestita, la quale in una mano porta una ghirlanda, & nell’altra una palma, nella sinistra poi della Gloria sarà una Sfera, co’ segni dello Zodiaco» (Ripa 1618, p. 225 e Ripa 1625, p. 282). L’Immortalità è solitamente rappresentata con un cerchio d’oro, perché l’oro è, tra tutti i metalli, «il men corruttibile, & per haver la forma circolare, la quale non ha termine dove finisca» (Ripa 1618, p. 249 e Ripa 1625, p. 310). Può avere in capo una corona di rose, di gigli e, insieme, di stelle (come avviene nella seconda medaglia: Le Nozze d’Ercole divinizzato in Palazzo di Corte, 3.1). In questo caso Parini lega l’immortalità alla creazione di opere d’arte; la pietra quadrata indica stabilità e garantisce l’eternità del ricordo. Italia: «Una bellissima donna vestita d’habito sontuoso, e ricco con un manto sopra, e siede sopra un globo, ha coronata la testa di torri, e di muraglie, con destra mano tien un scettro, overo un’hasta […], e con la sinistra mano un cornucopia pieno di diversi frutti, e oltre ciò faremo anco, che habbia sopra la testa una bellissima stella» (Ripa 1618, p. 273 e Ripa 1625, p. 337: la descrizione di Ripa è basata sulle medaglie di Commodo, Tito e Antonino).

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Pubblica felicità: «Donna ghirlandata di fiori, che siede in un bel seggio regale, nella destra mano tiene il Caduceo, & nella sinistra il Cornucopia pieno di frutti, e fiori» (Ripa 1618, p. 183 e Ripa 1625, p. 231). Saggio Vecchio: Tasso, Gerusalemme Liberata, xvii, 58, 7-8 («Presso, quasi custode, un vecchio siede,|che contra lor sen va, come li vede»). Nelle successive ottave 66-82 la presentazione encomiastica delle vicende della famiglia d’Este. Parini giudica il passo monotono e privo di figure che possano assumere valore emblematico ed universale. Tuttavia le ottave 61-63 del canto xvii, con l’esortazione del ‘Saggio Vecchio’ a Rinaldo forniscono la prospettiva etica entro la quale – in consonanza con il moralismo di Tasso – si muove Parini: «Signor, non sotto l’ombra in piaggia molle|tra fonti e fior, tra Ninfe e tra Sirene,|ma in cima a l’erto e faticoso colle|de la virtù riposto è il nostro bene.» (ottava 61, 1-4). Il problema diventa allora la rappresentazione pittorica della scelta della via del bene: a questo scopo serve la ‘favola’ mentre la ‘storia’ rappresenta chi quella scelta ha già tradotto nella vita eroica e viene quindi ‘bloccato’, ‘monumentalizzato’ nel momento dell’apoteosi. Tempio dell’Immortalità: di forma circolare «la quale non ha termine dove finisca» (Ripa 1618, p. 249 e Ripa 1625, p. 310). Va l’Asia…, Gerusalemme Liberata, xvi, 32, 2. 8 [Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso] Amori di Giunone e di Giove: vedi medaglia della camera da letto di Palazzo Greppi. Anfitrite: «figliuola dell’Oceano, e di Doride Dea del Mare, e Moglie di Nettuno. Dopo d’aver ella lunga pezza ricusato di maritarsi, Nettuno inviò due Delfini, che la ritrovarono alle falde del Monte Atlante, ed a lui la condussero su d’un Carro, in forma di Conchiglia, ed ella lo sposò» (DDF, p. 34). In questa maniera la descrive il soggetto per la quarta statua della parte sinistra della facciata verso il giardino della Villa Reale-Nuovo Palazzo Belgioioso (vedi infra). In MT 909-910 e in MT II 935-936, Parini si riferisce alla «madre|De la gemma più bella d’Anfitrite», per indicare come sia di madreperla preziosa e cangiante il manico del coltello trinciacarne con cui il giovin signore si ‘arma’ quando esce per il pranzo. Apollo e la lira: la raffigurazione di Apollo con la lira è legata ad una lunga tradizione dell’arte statuaria, che ha i suoi vertici nell’Apollo dei Musei Capitolini e nell’Apollo Citaredo di Scopa, portato a Roma da Augusto dopo la vittoria di Azio.

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Argo: «Avea, dicono, cent’occhi, cinquanta de’ quali stavano aperti, quando cogli altri cinquanta dormiva. Giunone gli diede a custodire la Vacca Io, che Giove amava, ma Mercurio l’addormentò, suonando il suo flauto, e l’ammazzò. Giunone lo trasmutò dopo la sua morte in Pavone, e prese a proteggere quest’augello» (DDF, p. 41) Atteone: «Fu allevato da Chirone, e divenne gran Cacciatore. Un giorno avendo sorpresa Diana in un bagno, questa Dea lo trasformò in un Cervo, e fu divorato da’ suoi proprj Cani» (DDF, p. 49). Parini coglie il momento della trasformazione, sulle orme di Ovidio, Metamorfosi, iii, 155-252. Aurora e Ceffalo: Parini segue per lo più la narrazione di Ovidio (Metamorfosi, vii 700-719): Aurora tenta di sedurre Cefalo, che però resta fedele a Procri. Nel bassorilievo vengono introdotti il carro dell’Aurora, tirato dal cavallo alato Pegaso e il gruppo delle Ore: esse tengono in mano un disco, o comunque qualcosa di rotondo, che, secondo Cartari 1996, p. 489, indica lo svolgimento circolare del tempo e delle stagioni dell’anno. Vennero assimilate alle Grazie e questo spiega il numero di tre (le tre età dell’uomo), invece di quattro (una per ogni stagione dell’anno). Bacco ed Arianna: Parini descrive il momento in cui Bacco si incontra con Arianna, abbandonata da Teseo. Bauci e Filemone: vedi anche la Fig. 42 e relativo soggetto (secondo bassorilievo del salone di Palazzo Greppi). Como: vedi supra ad vocem. Disputa fra Nettuno e Minerva: «[Minerva] gareggiò con Nettuno, che anch’egli pretendeva di dar egli il nome alla Città di Cecropia, e finalmente fu deciso, che chi avesse fatta nascere a un tratto una cosa più pregevole dell’altro, avrebbe avuto egli quell’onore. Percosse Pallade la terra colla lancia, e Nettuno col tridente ne fece uscire un cavallo; che alcuni vogliono sia il Caval Pegaso, e gli Dei giudicarono a favore di Minerva, per essere l’olivo simbolo di pace, ond’ella nominò Atene questa Città» (DDF, p. 182). Ebe (Fig. 25): presenta la tazza ad Ercole (vedi bassorilievo n. 7 della parte sinistra verso il giardino). Parini accentua l’aspetto della giovinezza, della bellezza e, quindi, dell’amore. Già in Orazio Parini trovava la considerazione che Ebe è inscindibile da Venere (Odi, 1, 33: «Juventas [Ebe] parum comis sine te»). Fiumi: vedi nota sui fiumi al termine della nota per il sipario per il Teatro alla Scala.

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Flora: antichissima divinità italica, venerata in Roma con feste solenni dal 28 aprile al 1º maggio. Del suo culto parla Ovidio nel libro V dei Fasti. La tromba curva corrisponde al latino lituus, che dava un suono chiaro e acuto. Le piramidi rovesciate, o erme, erano usate normalmente come base cui era sovrapposta la testa di Mercurio, detto non a caso Ermete. Qui l’erma serve da base a Flora, che ha in comune con Mercurio la protezione delle greggi e la fecondità dei campi. Ganimede: vedi il soggetto per la stanza del Caffè e relativa Fig. 57. Giudizio di Paride: vedi il soggetto realizzato a Taxispalais e relativa Fig. 38. Iride: «padrona delle Arpie, e messaggera di Giunone, la quale cangiolla in arco, collocandola in Cielo in ricompensa de’ servigj, che da lei le furono resi. Chiamasi ora Arcobaleno. Giunone l’amava molto, perchè costei non le recava mai alcuna trista novella» (DDF, p. 162). Le sue funzioni sono analoghe a quelle di Mercurio, ma, mentre quest’ultimo simpatizza, parteggia e fornisce aiuto e consiglio ai suoi protetti, Iride si limita a trasmettere la volontà degli Dei, particolarmente di Giove e di Giunone. Lari: la fonte di questo soggetto, in particolare, potrebbe essere la tavola 73 di Cartari 1996, dove appunto sono rappresentati due giovani, in posa diversa, con testa di cane pendente sul davanti, berrettino in testa e cane da guardia ai piedi. In detta tavola c’è un vaso di terracotta, sormontato da due verghe di ferro, lunghe e ritorte, che rimandano agli dei Penati, custodi della patria, considerata come una grande famiglia (a lungo andare scompare la differenza tra Lari e Penati). Leone: è la pelle del leone Nemeo, ucciso da Ercole in una delle dodici fatiche. Najade: «Ninfa del Monte Ida, che maritossi a Capi Re della Frigia. Dicono, che ella fu conversa in fonte, e che diede il nome di Najadi alle Dee, che abitavano le acque» (DDF, p. 287). Pane: «I Poeti lo rappresentano rosso in viso, colle corna in testa, lo stomaco coperto di stelle, e la parte inferiore del corpo simile a quella d’un Capro. Molti lo confondono col Dio Silvano, e col Dio Fauno» (DDF, p. 201). Fonte del soggetto è Ovidio, Metamorfosi, I, 689-712. Lo zoccolo di capra di Pan serve a Parini (NT 288-292) per indicare plasticamente i piedi delle ‘gambe’ del celebre canapè. Nel sonetto O Pan capripede … (Mazzoni 1925, p. 434), il dio, già ricordato per l’attributo del piede di capra, è identificato «con il medesimo tutto» (v. 2). Parini trovava specificato il rapporto di Pan con il tutto in Giraldi: «universae substantiae dominator» e ancor più sinteticamente: «Deus universi» (Giraldi 1548, p. 619).

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Pomona: «Dea de’ frutti, e dell’Autunno. Fu amata da Vertunno» (DDF, p. 217). Cartari ricorda che Ovidio «le dà in mano una piccola falce da tagliare gli rami superflui de gli alberi fruttiferi e da inestare» (Cartari p. 207). L’amore di Vertumno e di Pomona è diffusamente narrato nelle Metamorfosi, xiv, 623-771: 237-241 (i versi relativi alla falce). Rientra nella serie degli amori prima contrastati poi condivisi. Pomona, amante dei campi e non della caccia, respinge tutti i travestimenti di Vertumno ma resta poi affascinata dalla sua bellezza e gli si concede spontaneamente. Trasparente il significato delle maschere di Vertumno, che gli antichi dicevano essere il dio dell’anno, perché cambia aspetto secondo le varie stagioni dell’anno, come descrive in dettaglio particolarmente Properzio, Eleg. 4, 2, 1-64. Da qui il riferimento allo Zodiaco, «spazio del Cielo, per cui trascorre il Sole nel corso dell’anno» (DDF, p. 258). Silvano: «dio delle foreste. Amava la Ninfa Ciparisso, ma Apollo cangiolla in Cipresso, e Silvano poi sempre portò in mano un ramo di quest’albero. Lo confondono spesso col Dio Pane, e col Dio Fauno» (DDF, p. 233). Silvano e Ciparisso: «Virgilio nell’ultima egloga fa Silvano ornato rozzamente il capo di ferole fiorite e di gran gigli. Et in altro luogo gli dà a portare in mano una tenera pianta di cipresso, perché, come quivi dichiara Servio, fu mutato in quest’arbore Ciparisso, bellissimo giovane amato da lui grandemente» (Cartari, p. 124). Virgilio parla di Silvano in Buc. x 24-25 e Georg. i 20. Parini però presenta Ciparisso come figura femminile. Sileno «vecchio Satiro, balio, e compagno di Bacco. […] Non passava giorno, che non s’inebriasse, la qual cosa lo rendeva piacevole oltre modo, e grato» (DDF, pp. 232-233). Lo si raffigurava spesso in groppa ad un asino, perché, quasi sempre ubriaco, non era in grado di reggersi in piedi. L’annotazione finale di Parini, per cui va evitata una rappresentazione caricaturale, esprime la presenza in Sileno di una componente ‘saggia’: l’amore per il vino e il piacere, se moderato, porta ad una vita meno affannosa e meno coinvolta nelle faccende umane. Tritone (Tritono): «Dio marino, figliuolo di Nettuno, ed Anfitrite. Era il Trombettiere di Nettuno, ed aveva una conca fatta in forma di corno, con cui suonava. La parte superiore del suo corpo era d’uomo, il resto di pesce. La più parte degli Dei marini vengono detti Tritoni, e sono dipinti per l’ordinario adorni di conchiglie di mare» (DDF, p. 248). Qui il termine è usato in senso generale: nella mitologia è comune l’abbinamento tra Nettuno e i Tritoni. Parini li associa anche a Galatea (vedi nota al testo 3.22, ‘La Pesca’, ‘Galatea ed Aci’). Ulisse alla casa di Circe (Fig. 95): «Re dell’isola d’Itaca, e d’Anticlea. […] Fece naufragio all’Isola di Circe, ove quella Incantatrice lo trattenne al-

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cun tempo, e da lei ebbe un figliuolo detto Telegono. Per ritenervelo più lungamente ella cangiò tutti i suoi compagni in Fiere» (DDF, p. 254). Per altre vicende di Ulisse nei soggetti di Parini vedi la voce Circe. Ulisse, che mette in fuga i Proci: dopo l’ennesimo naufragio, giunse «mal concio dalla sorte in Itaca, senz’essere da veruno riconosciuto, e quì si pose nel numero degli amanti di Penelope, facendo la prova dell’arco, che a chi lo avesse teso dovevasi dar in premio Penelope, ed avendolo teso di fatto, si diede a conoscere, rientrò nel seno della sua famiglia, ed uccise tutti i suoi rivali» (DDF, p. 255). Vulcano: «Dio de’ fuochi sotterranei, figliuolo di Giove, e di Giunone. Essendo estremamente brutto, e contraffatto, subito che fu nato Giove gli diè un calcio, e lo fè capitombolare dal Cielo, onde si ruppe una gamba: isposò Venere. Fabbricava i fulmini a Giove, ed avea le sue fucine nell’isole di Lipari, di Lenno, e nel Mont’Etna. I Monocoli Ciclopi lavoravano continuamente con esso lui» (DDF, p. 256). In un passo di MT II 438-457 – assente in MT I – Vulcano, «ingegnoso fabbro» (v. 455), è introdotto mentre nella sua fucina prepara l’elmo di Enea, alla presenza di Venere e degli Amori. La sua attività di fabbricatore di armi è messa a paragone – sproporzionato ed irridente – con quella dei valletti impegnati nel rito dell’acconciatura del giovin signore. L’elmo di Enea rimanda in primis all’Eneide (viii 369-453), ma, per certi aspetti, l’ipotesto è l’Odissea, viii 266-366 (oltre che il libro xviii dell’Iliade, con Teti che spinge Vulcano a costruire una nuova armatura per Achille). Anche Ovidio narra di Vulcano e dei tradimenti di Venere con Marte, sia nell’Ars amandi (ii 561-588), sia nelle Metamorfosi (iv 171-189), all’interno del capitolo riguardante gli amori del Sole, il primo a vedere i tradimenti di Venere. Parini fonde questi racconti, traendo da Virgilio le indicazioni sulla tunica di Vulcano, da Omero e da Ovidio l’intreccio del tradimento, della rete e degli sguardi complici di Mercurio e di Apollo. Vulcano (Efesto nel mito greco) viene rappresentato come uomo nel pieno vigore delle forze (quindi con la barba), con la berretta (che già in Cartari 1996, p. 344, diventa ‘cappello’) e il bastone d’appoggio per la difficoltà nel camminare, con tunica corta di lavoro. Ma trasformando il ‘grosso bastone’ di Omero in ‘piccolo bastone’, Parini sembra farne un damerino settecentesco in classica situazione da pochade boccaccesca. Sulla stessa falsariga, vedi Il Parafuoco («Stava un giorno Citerea|Di Vulcano a la fucina») (Mazzoni 1925, p. 465). Zefiro che insegna cantare i cigni: la fonte del soggetto è Ripa, alla voce ‘Musica’: «Si dipingono alla riva d’un chiaro fonte quasi in circolo molti cigni, & nel mezzo un giovanetto con l’ali alle spalle, con faccia molle, & delicata, tenendo in capo una ghirlanda di fiori, il quale rappresenta Zefiro in atto di gonfiare le gotte, & spiegare un leggiero vento verso i detti cigni, per la ripercussion di questo vento parerà che le piume di essi dol-

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cemente si muovono perché, come dice Eliano, questi uccelli non cantano mai, se non quando spira Zefiro, come i Musici, che non vogliono volontieri cantare, se non spira qualche vento delle loro lodi, & appresso persone, che gustino la loro armonia» (Ripa 1618, p. 357 e Ripa 1625, p. 446). All’interno della voce ‘Venti’, Ripa dà spazio anche al ‘favonio o zeffiro’. A proposito della ghirlanda di fiori, Riva scrive che «così è dipinto da Philostrato nel libro dell’imagini, dove dice, che quando viene questo vento, i Cigni cantano più soavemente del solito, & il Boccaccio nel quarto libro delle Genealogie delli Dei, dice, che Zephiro è di complessione fredda, & humida, nondimeno temperatamente, & che risolve i verni, & produce l’herbe, & i fiori» (Ripa 1618, p. 552 e Ripa 1625, p. 700).

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I NDIC E DEI NOM I * Abbondanza 94, 97 Abila 66, 121 Acheloo 149-150, 159, 179 Achille 51, 92, 94, 136, 158, 180, 188 Aci 132, 187 Aganippe 12, 55, 145 Aglaia 151 Aglaura 156 Agnelli Federico 46-47 Agricoltura 83, 124, 131 Aiace Telamonio 181 Alberico da Barbiano (Alberico o Alberigo il Grande) 103, 142, 150 Albertolli Giocondo 36-37, 41, 95 Alceste 121, 150 Alciati/Alciato Andrea 20-21, 48 [Alciato a p. 48] Alcimede 165 Alcinoo 96-97, 136, 139, 176, 179 Alessandro Magno 174 Alfieri Vittorio 147 Algarotti Francesco 48 Amaltea 136, 138, 150, 159, 177, 179 Amazzoni 155 Ameto 121, 150 Amicizia 21, 91-92, 176 Amore (Cupido) 1-15, 19, 22, 40, 49, 60-61, 65, 70-72, 77, 93, 100-102, 110, 114, 119, 125-126, 130, 135-138, 140, 152, 154, 182 Amore coniugale 49 Amoretti Maria Pellegrina 154 Anacreonte 97, 126, 182 Anchise 161 Andrea da Casaregio 143 Anfione 68, 80-81, 124, 153

Anfitrione 149 Anfitrite 110, 115, 184, 187 Anguillara (della) Giovanni Andrea 169 Antinoo 179 Antolico 149 Antonino Pio 183 Apollo (Sole) 11-12, 21, 55-58, 63-64, 76-77, 83, 91, 108, 111, 113, 139, 145, 147-148, 151, 154, 160-161, 164, 168169, 177, 179, 184, 187-188 Apollodoro 149 Appiani Andrea 39, 50 Apuleio 51, 172 Architettura 67, 122-123 Arete 96 Argo 111, 162, 185 Argonauti 76, 81, 83, 124, 155, 163 Arianna 80, 95, 109, 155, 174, 176, 185 Arione 68, 153 Ariosto Ludovico 176 Aristeo 80, 153, 162 Aristippo 97 Aristotele (Aristotile) 176 Armida 104, 178 Arpia/Arpie 78, 95, 136, 155, 163, 176, 186 Arunticeo 95, 176 Asia (ninfa) 171 Astrea 44, 84-86, 132, 153-154, 158 Atlante 65, 121, 154 Atreo 95, 176-177 Atteo 156 Atteone 108, 160, 185 Augusto Gaio Giulio Cesare Ottaviano 50-52, 184

* A cura di Maria Luisa Giordano.

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indice dei nomi

Aurora (Alba, Vermiglia, Rancia) 14-15, 71-73, 112, 116, 124-127, 131, 154, 156, 170, 173, 175, 185 Auzzas Ginetta 48

Baccante/Baccanti

(Menadi) 56, 82, 95, 109, 114, 145, 149, 157 Bacco (Dionisio, Lièo) 69, 76-77, 80, 93-94, 102, 109, 113, 125, 131, 135, 137-138, 141, 145, 150-151, 154155, 157-159, 168, 171, 176-177, 180, 182, 185, 187 Balestrieri Domenico 145 Barbarisi Gennaro 20, 21-23, 36, 3843, 45, 49, 119-122, 124-129, 131135, 139-143, 155, 159, 167-168, 182 Barbiano di Belgioioso Alberico (principe di Belgioioso) 33, 35, 39, 44, 142-143 Barbiano di Belgioioso Ludovico 25, 33, 35, 37-38, 108 Bardi Francesco 165 Bartesaghi Paolo 17, 40, 41, 43, 45, 49, 119-122, 124-129, 131-135, 139143, 147, 155, 159, 166-167, 169, 175, 182 Bassaglia Leonardo 46-47 Batteux Georges Charles 21 Bauci 94, 117, 136, 138-139, 177, 185 Beccalossi Giuseppe 34 Beccaria Cesare 23, 171 Belgioioso (famiglia) 14 Belle Arti 49, 58, 66, 68, 122-123, 148 Bellorini Egidio 17, 35-38, 119-122, 124-135, 139-142 Bernardoni Giuseppe 183 Bettinelli Saverio 38, 164 Bianconi Carlo 34, 50 Bicetti de’ Buttinoni Giammaria 153, 182 Boccaccio Giovanni 168, 189 Bonora Ettore 17, 23, 48, 155 Borea 136 Borromeo Federico (cardinale) 166

Bossi Benigno 168 Boudard Jean-Baptiste 48, 147 , 149, 154, 164 Braccio da Montone 103 Buccellati Graziella 39 Buonarroti Michelangelo 13, 166167

Caccia 68, 125, 131 Cadmo 76, 83, 128, 155 Calai 81, 95, 97, 136, 155, 163, 176 Callani Gaetano 101 Calpe 66, 121 Cantù Cesare 23 Capi 186 Carabelli Donato 143 Caretti Lanfranco 20, 38 Carlo (personaggio della Gerusalemme liberata) 104-105 Carlo VI 11 Caro Annibale 15-16 Carpani Palamede 26 Carpeggiani Paolo 142 Cartari Vincenzo 48, 151, 158-159, 162, 164, 172-173, 179, 185-188 Casale Vittorio 13, 18 Casanova Giacomo 11 Casti Giovan Battista 162 Castigo (Gastigo) 87-88, 133-134, 156, 171 Castore 80, 149-151, 156 Cattivo Gusto 56 Cecrope 81, 156 Cefalo (Ceffalo) 73-74, 112, 116, 131, 156, 180, 185 Centauri 66, 121, 136, 156-157, 179 Cerbero 149 Cerere 69, 83, 111, 115, 124-125, 131, 157, 170 Cerva di Cerinea 149 Cesare da Sesto 50 Chigi Sigismondo 177 Chimera 155

indice dei nomi Chirone 40, 68, 76, 80, 83, 94, 97, 136, 158, 162, 185 Chompré Pierre 21, 45-47, 149-150, 153, 155-156, 158, 160, 162-163, 168, 174, 176-177, 179 Churcill Carlo 183 Cianippo 95, 177 Cibele (Rea, la Madre degli Dei, la Buona Dea) 77, 84-86, 158, 165, 170, 180 Cicerone 43, 47, 50, 97, 150 Ciclopi 188 Cimabue 166 Cimone 43, 97 Cinghiale di Erimanto 149 Ciparisso 112, 187 Circe 95-97, 116-117, 137, 178-179, 187 Clemenza 49, 87-88, 133-134, 158 Climene 154 Clio 147, 169 Colla Giuseppe 177 Commercio 83, 124 Commodo Lucio Aurelio 183 Como 69-70, 93-94, 116, 135, 138, 153, 158-159, 185 Confalonieri (famiglia) 14 Confalonieri Ottobuoni Vittoria 22, 33, 37, 102 Conti Natale 154-156, 162-163, 165, 169, 171-172, 174, 179 Continenza 120 Corneliani Francesco 33 Correggio 146, 166-167 Correzione 133 Creteo 162 Creusa (ninfa) 164

D’Achille Paolo 13, 18 D’Adda Febo 147 D’Alembert jean-Baptiste Le Ronde 50 Danae 170 Dandré-Bardon Michel-François 22, 45-46, 146-149

193

Danti Ignazio vescovo di Alatri 133 Danza 67, 122-123 De Angelis Paolo 38-39, 161 Dedalo 124 Deianira (Dejanira) 80, 160 Demodoco 95-96, 136, 179 Diana (Ecate, Luna, Selene, Febea) 77, 108, 113, 141, 154, 160, 168, 185 Didone 179 Diomede (eroe omerico) 155 Diomede (re della Tracia) 149 Discordia 89-90, 174-175 Discrezione 87, 133-134, 160 Distinzione 133 Domiziano 175 Doride 184 Dubos Jean-Baptiste 21 Durini Angelo Maria (cardinale) 156, 164

Eaco 80-81, 160, 172, 180 Ebe (Hébé, Juventa) 46-47, 61-62, 69, 98, 111, 115, 125, 137, 160, 179, 185 Eeta 78, 160, 164, 174 Egeo 173-174 Egeria 169 Elena 161 Eliano Claudio 189 Elle 75, 124, 160, 163 Eloquenza 22, 102 Emulazione 104 Endeide 180 Endimione 161 Enea 51, 80, 161, 163, 176, 188 Enone 38, 74, 161, 175 Enrico Stefano 182 Eolo 175, 179 Equità 133 Erato 56, 146 Ercole (Hercule, Alcide, Eracle) 36, 47, 58-59, 61-62, 65-66, 77, 80, 92, 111, 121, 148-151, 156, 160, 171, 174, 179-181, 183, 185-186

194

indice dei nomi

Erebo 173 Ersilia 80, 161 Esculapio (Asclepio) 80, 161-162, 172 Esiodo 150, 155 Esone 79, 162, 165, 169, 174 Esperidi 66, 149 Esposito Edoardo 168 Este (famiglia) 105, 141, 184 Etra 174 Ettore 101, 139, 181 Eufrosina 151 Euriloco 178 Eurito 96, 138, 149, 180

Fama 81-82, 103, 142, 162 Farnese Alessandro (cardinale) 1516 Fauno (dio) 186 Fauno (Faunetto, Satiro)/Fauni (Satiri, Silvani) 56, 67, 69, 74, 87, 94, 109, 111-112, 122-123, 125, 136, 148, 162 Feaci 176, 179 Fecondità 65, 121, 162 Fedeltà 49 Fedi Francesca 21 Femio 95, 179 Ferdinando d’Austria 11, 14, 34, 44, 51, 154, 174-175, 177 Ferguson James 45, 167 Fermezza 47, 65, 87-88, 120, 133-134, 162 Ferri Gerolamo 51 Festo Pompeo 162 Filemone 94, 117, 136, 138-139, 177, 185 Filostrato Maggiore (Philostrato) 48, 151, 158-159, 189 Filottete 160-161 Fineo 78, 136, 163, 174, 176 Firenzuola Angelo 146 Firmian Carlo Giuseppe 11

Fiume/Fiumi 59, 110, 151 Flora 73, 111-112, 115, 163, 186 Foco 180 Forni Marica 142 Fortezza 106, 183 Fortificazione 124, 157 Forza 103, 142 Foscolo Ugo 145, 183 Fragonard Jean-Honoré 168 Franchi Giuseppe 23, 33, 94, 97, 158, 167 Franklin Benjamin (Beniamino) 165 Frassica Pietro 19, 21, 23, 43, 48 Frisso 75, 124, 160, 163 Frugoni Carlo Innocenzo 48 Furore 130, 165

Gabriele Mino 48 Galatea 132, 187 Gallarati Francesco Maria 50 Ganimede (Ganymède) 33, 46-47, 98, 109, 113, 135, 137, 168, 179, 186 Gautier Giambattista 170 Gelosia 130, 165 Genio (Genietto)/Geni (Genii, Genj) 45, 47, 61-62, 66-68, 70-72, 75, 81-82, 87, 93, 98, 104, 122-123, 125-127, 131, 136, 138, 142, 163-164 Genio buono 70, 116 Gérard Alexandre 22, 50, 178 Gerione 149 Gerli Carlo Giuseppe 167 Giano 80, 164 Giapeto 171 Giasone 76, 78-79, 81, 83, 124, 150, 157, 162-165, 169, 174 Gioia 159 Giotto 166 Giove ( Jupiter, Zeus) 25-26, 46-47, 49, 62-64, 66, 68, 75-78, 84-86, 91, 94, 98-100, 108, 111-112, 114, 117, 120, 122-124, 129, 134, 136-140, 148, 150, 152-154, 156-157, 160, 162-

indice dei nomi 166, 168, 170-171, 173-175, 177, 179181, 184-186, 188 Giovenale 40 Giovinezza 49 Giraldi Lilio Gregorio 152-153, 159, 186 Giudici Carlo Maria 50 Giulio Romano 76, 82, 166-167 Giunone ( Junon, Era) 35, 41, 47, 6263, 77, 89-90, 98-100, 108-112, 114, 139-140, 160-161, 163, 168, 170, 173178, 181, 184-186, 188 Giuseppe II d’Asburgo 150 Giustizia 77-78, 84, 86-87, 129, 133, 146, 153-154 Glauco 155 Gloria 58-59, 81-82, 103-104, 106, 142, 151, 183 Goffredo di Buglione 51 Gorgone 148 Grassi Luigi 149 Grazie 34, 42, 58-59, 64, 77-78, 91-92, 129, 151, 179, 185 Gregorio I (San Gregorio) 182 Gregorio XIII 133 Greppi (famiglia) 14 Guidorizzi Giulio 149-150

Harald Hendrix 20-21 Hogarth William 168 Idra di Lerna 149 Imbonati Carlo 158 Imbonati Giuseppe Maria 145 Imene (Imeneo) 19, 61, 100, 109, 140, 152-153, 168 Immortalità 81, 103, 107, 142, 184 Inganno 49 Io 185 Ippodamia 96, 136, 138, 156, 176, 179-180 Ippolita 149 Iride (Arcobaleno) 109, 113, 139, 170, 173, 186

195

Isella Dante 21 Italia 103, 142, 183

Jolao (Iolas) 47 Jole 160 Jopa 179

Knoller Martin 14, 23, 47, 128, 170171, 175

Ladone 110, 172 Laerte 179 Laomedonte 154 Lapita 179 Lapiti 95-97, 136, 138-139, 156, 179 Lari 42, 69-70, 116, 168, 186 Latona 160 Le Fevre Tannegui 182 Leda 156 Leonardo da Vinci 50, 167 Lica 160 Licaone 95, 180 Licenza 56, 145, 147 Lino 58-59, 149, 151 Lode 133 Longhi Pietro 19

Macrobio 173 Maffei Sonia 20, 47 Magnani Campanacci Ilaria 168 Malangone Christian 36 Manuzio Aldo 155 Marchi Anna 39 Marcolini Francesco 48 Maria Beatrice d’Este 11, 154, 174, 177 Maria Teresa d’Asburgo 11 Marte 111, 115, 152, 157, 163, 168, 188 Martignago Federica 48 Mazzocca Fernando 22-23, 35, 39, 143, 168, 171 Mazzoni Guido 17, 19, 25, 33, 36-38, 45, 119-122, 124-135, 139-142, 145146, 154, 159, 166, 168, 175, 177178, 183, 186, 188

196

indice dei nomi

Mecenate 97 Medea 79, 130, 162-165, 169, 172-174 Medulina 176 Medusa 77, 130, 148, 170 Méhégan (de) Guillaume-Alexandre 49 Melpomene 48, 55, 147 Melzi Gaetano 46 Menandro 12 Mengs Anton Rapael 21 Mercurio (Ermete) 58-59, 63-64, 7677, 83-86, 91-92, 94, 102, 108, 111, 115, 117, 136, 138, 141, 151-152, 157, 168, 177, 179, 185-186, 188 Mestieri 124 Metastasio Pietro (Metastasius) 12, 57 Milizia Francesco 18 Minerva (Pallade) 63, 76, 83, 89, 93, 102-103, 109-110, 113, 135-138, 142, 157, 170-171, 175, 178, 180, 182, 185 Minosse (Minos) 77, 80, 160, 169, 172, 176 Minotauro 174, 176 Mnemosine 49 Moderazione 93, 136, 138 Montesquieu 50, 178 Morandotti Alessandro 22, 171 Morgana Silvia 13, 17-18, 20, 23, 39, 147, 166, 169, 182 Mozart W. Amadeus 11 Mulazzani Germano 41 Musa/Muse (Camena/Camene) 11-12, 21, 34, 42, 55-56, 91, 145, 147148, 151, 170, 179 Musica 22, 67, 102, 122-123

Najade/Najadi 114, 150, 186 Narciso 153, 159 Nemeo 59, 66, 149, 186 Nesso 160 Nettuno 41, 99, 101, 109-110, 113, 139-140, 163, 176, 179-181, 184-185, 187

Nicoletti Giuseppe 150, 155, 160 Ninfe 94, 105, 108-112, 136, 138, 148, 160-161, 184 Niobe 166 Notte 16, 150, 173 Novelli Giambattista 46-47 Numa Pompilio 81, 169

Oceano 184 Omero 14-15, 51, 85, 98, 136, 155, 170171, 173, 176, 178-179, 181, 188 Onore 82, 169 Orapollo Niloo 155 Orazio 97, 151, 185 Ore 112, 185 Oreste 92, 180-181 Orfeo 68, 147-149, 151, 169 Orizia 136 Orlandi (Orlando) Pellegrino Antonio 21, 167 Orsini (Orsino) Paolo 103 Osiride (Osiri) 150 Ospitalità 94, 97 Ovidio 38, 47-48, 51, 79, 136-138, 150, 153, 157, 159, 161-162, 165, 169, 172174, 176-177, 179-181, 185-188 Ozio 164

Pace 83, 170 Pale 69, 125, 132, 157, 170 Pan (Pane) 110, 113, 132, 172, 186-187 Paride 25, 33-34, 37-38, 41, 44, 74, 8990, 110, 134, 139, 161, 170, 174-175, 178, 186 Pasini Giuseppe 46 Pasitea 14-15, 35, 71-72, 101, 109, 125127, 140, 170, 173, 181 Pasquali Giambattista 167 Pastorale 132 Pastore Stocchi Manlio 48 Patroclo 92 Pausania di Cesarea 47 Pegaso 14-15, 55, 72, 145, 148, 185 Peleo 95, 175, 180

indice dei nomi Pelia 76, 83, 162, 165, 169, 174 Pelope 176 Peluso Vittoria 175 Penati 42, 168, 186 Penelope 117, 188 Penteo 94, 97, 137, 180 Pepe Mario 149 Periandro 153 Pericle 49 Perseo 77, 80, 148, 154, 170 Perugino Pietro 146, 167 Pesca 132 Petrarca Francesco 150, 182 Petrini Domenico 20 Piacere 19, 22 Piermarini Giuseppe 11, 23, 50 Pilade 92, 180-181 Pindaro 64, 170 Pinelli Antonio 13 Piritoo 136, 156, 179 Pitagora 97, 136, 181 Pittura 67, 123 Pizzi Angelo 109, 143 Platone 172 Poesia 123 Poesia Drammatica 67, 122 Poesia Epica 66, 122 Poesia Lirica 66, 122 Polidoro da Caravaggio (Polidoro Caldara) 76, 82, 166-167 Polifemo 132 Polluce 80, 150-151, 156 Pomona 68, 110, 113, 125, 170, 187 Pomponio Attico 43, 97 Pope Alexander 183 Popolazione 83, 161 Pozzi Carlo 143 Preghiere 85-86, 170 Premio 87-88, 133-134, 171 Priapo 69, 125, 171 Procaccioli Paolo 20, 47 Proci 95, 97, 117, 136, 179, 188 Procri 74, 112, 131, 156, 180, 185 Prodico 150

197

Prometeo 81, 171 Prontezza 87-88, 133-134, 171 Proteo 20 Provvidenza 133 Prudenza 133, 146 Psiche 60-61, 110, 119, 152, 172 Pubblica felicità 106, 184 Pubblica Remunerazione 106, 133 Pudore (Pudicizia) 65, 120, 172 Punizione 133 Puttino/Puttini (Amorino/Amorini) 59, 66-71, 74-77, 83, 86-87, 102-104, 109, 122-123, 125, 129, 132, 141-142, 146, 148

Radamanto 80, 160, 172 Raffaello 45, 50, 166-167 Reina Francesco 26, 33-39, 44, 119122, 124-135, 139-142, 167, 175 Ribossi Bartolomeo 143 Riccardi Donnino 50 Rigo Paola 48 Rinaldo 37, 44, 104-106, 142, 150, 178, 184 Ripa Cesare 14-15, 16, 20-21, 38, 45, 47-48, 133, 147-149, 151, 156-158, 160, 162, 164, 169-172, 174-176, 180, 182-184, 188-189 Ripa Matteo 48 Riprovazione 133 Romolo 80, 151, 161 Rosenblum Robert 44 Rusca Grazioso 143

Saffo 182 Saggio Vecchio 184 Salieri Antonio 11, 148 Salute 68-69, 124-125, 172 Sannazzaro Jacopo 38, 161 Santoli Vittorio 20 Sapienza 93, 135 Saturno 84, 164-165, 168, 174, 180, 182

198

indice dei nomi

Savarese Gennaro 13-14, 15, 20, 22, 47-48, 121-123, 126, 139, 170 Savelli (Savello) Paolo 103 Savoia Carignano (di) Vittorio 168 Scotti Cosimo Galeazzo 34 Scultura 67, 123 Scurrilità 56 Selvatico Pietro 35 Semele 154-155 Semplicità 120 Servio Mario Onorato 187 Sforza Muzio Attendolo 103 Sileno 109, 114, 187 Silvano (dio) 112, 115, 186-187 Simonide di Ceo 16 Sincerità 65, 120, 172 Sioli-Legnani Emilio 17 Sirene 148, 184 Siringa (ninfa) 110, 172 Socrate 97 Sofocle (Sophocles) 12, 57 Sogno 42 Sollecitudine 133 Sonno 14, 15, 35, 41-42, 71-72, 98-102, 108-109, 114, 125-127, 139-141, 170, 173, 181 Stalle d’Augia 149 Sulzer Johann Georg 21-22

Talia (Thalia) 56, 149, 151 Tasso Torquato 51, 104-105, 178, 184 Tazio 161 Telegono 188 Telemaco 117 Temi 153-154 Temperanza 116 Tempo 21, 102, 141, 182 Terenzio (Terentius) 57 Terra 176 Tersicore 56, 58, 148-149, 151 Teseo 77, 79-80, 92, 96, 138, 150, 155, 173-174, 176, 180-181, 185 Teti 175, 180, 188 Tiepolo Giambattista 19, 51

Tieste 176 Tito Flavio Vespasiano 87, 183 Titone 15, 154 Togliani Carlo 142 Toro di Creta 149 Traballesi (Trabalesi) Giuliano 14, 23, 37, 78, 129, 174 Traiano 170 Tritone (Tritono) 110, 132, 187 Tritoni 187 Trittolemo 80-81, 111, 124, 157, 174 Trivulzio Giangiacomo 26 Troe 179 Tron Cecilia 180

Ubaldo (personaggio della Gerusalemme liberata) 104-105, 150 Uccelli stinfalidi 149 Ulisse 81, 95-97, 116-117, 136-137, 176, 178-179, 187-188

Valeriano Pierio 48, 155, 176 Valgrisi Vincentio 48 Vanità 164 Vasari Giorgio 13, 15-16, 21, 51, 166 Vendetta 49, 130, 165 Venere (Citerea) 35, 71, 77, 83, 89, 91, 93, 98, 100, 102, 108, 110-111, 114, 130, 135, 137-138, 140, 151-152, 154, 161, 168, 170-171, 174-175, 177178, 185, 188 Verazi Mattia 148 Verità 146 Verri Alessandro 23 Verri Pietro 23, 160 Vertumno (Vertunno, Vertuno) 45, 110, 157, 170, 187 Vianello Carlo Antonio 148 Vicinelli Augusto 14-15, 21, 170 Virgilio 51, 172, 176, 187-188 Virtù 22, 65, 82, 174 Vittoria 83, 106, 175 Vizi (Vizj) 55-56 Voltaire 50, 160

indice dei nomi Vossio o Voss Gerhard Johannes 159 Vulcano (Efesto) 111, 171, 188

Webb Daniel 166 Winckelmann Johann Joachim 2123, 39

199

Zefiro (Zephiro) 60-61, 73, 112, 115, 163, 188-189 Zete 81, 95, 97, 136, 155, 163, 176 Zeto 153 Zuccari Taddeo 13, 15-16

comp osto i n c a r att e re da n t e m on otype da lla fabr iz i o se rr a e d i to re, p i sa · ro m a . sta m pato e ri l e gato n e l la t i p o g r a f i a d i agna n o, ag na n o p i sa no (pisa ).

* Maggio 2016 (cz 2 · fg 21)

ED I Z I O N E NA Z I O NALE DEL L E O P E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)

d i retta da g io rg io ba roni Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Maria Cristina Albonico, introduzione di Anna Bellio, 2011, pp. 280. Giuseppe Parini, Prose. Scritti polemici (1756-1760), a cura di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, introduzione di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, 2012, pp. 420. Giuseppe Parini, Lettere, a cura di Corrado Viola, con la collaborazione di Paolo Bartesaghi e Giovanni Catalani, 2013, pp. 256. Giuseppe Parini, Odi, a cura di Mirella d’Ettorre, introduzione di Giorgio Baroni, 2013, pp. 288. Giuseppe Parini, Il Mattino (1763); Il Mezzogiorno (1765), a cura di Giovanni Biancardi, introduzione di Edoardo Esposito, commento di Stefano Ballerio, 2013, pp. 316. Giuseppe Parini, La Colombiade; Le poesie in dialetto; Gli scherzi, a cura di Stefania Baragetti, Maria Cristina Albonico e Giovanni Biancardi, introduzioni di Stefania Baragetti, Davide De Camilli e Giovanni Biancardi, presentazione di Giorgio Baroni, 2015, pp. 192. Giuseppe Parini, Soggetti per artisti, a cura di Paolo Bartesaghi e Pietro Frassica, introduzione di Pietro Frassica, 2016, pp. 208.