Sociologia della prosperità

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Sociologia della prosperità

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Ernest Zahn

SOCIOLOGIA DELLA PROSPERITÀ Rizzoli

Titolo originale dell'opera: Soziologie der Prosperitât 1960 by Verlag Kiepenheuer Witsch - Köln - Berlin Traduzione di Lydia Magliano sulla base di un testo interamente rifatto dall'A. nel 1963 1964 Rizzoli Editore, Milano Proprietà letteraria riservata

Nota La prosperità: finora questo concetto è stato inteso prevalentemente in senso economico, per indicare cioè una condizione fiorente dell'economia. Qui è invece al centro di uno studio sulla società moderna, in cui tenteremo di rappresentare sistematicamente una parte essenziale dei problemi sociali del nostro tempo, sul tema “incremento della prosperità". Che l'impresa sia possibile, è la premessa dalla quale partiamo. Fili conduttori saranno inoltre alcuni concetti fondamentali, che col tempo dovranno portare a un'interpretazione aggiornata della politica economica, sociale e culturale. Originariamente, questo libro non era stato progettato come uno studio sistematico: è nato da conferenze, da articoli e dalla prassi del lavoro professionale dell'autore. Solo in un tempo successivo fu evidente che i risultati esigevano una sintesi più completa di quanto era stato esposto senza un ordine rigoroso. LO scopo non poteva essere quello di giungere alla formulazione di una teoria che abbracciasse tutto e spiegasse tutto: poteva essere rappresentato solo da una sorta di utile inventario spirituale, che diventa indispensabile col progredire della differenziazione fra i vari campi della scienza. Anche nell'indagine economico-sociale oggi succede spesso che a furia d'alberi non si veda più il bosco. Si possono applicare i metodi d'analisi più perfezionati senza con ciò ottenere che la comprensione della problematica collegata a ogni singolo oggetto di studio si traduca in reale premessa di un buon lavoro. La composizione disciplinata di un quadro generale è senz'altro una necessità ma non per questo si deve permettere che la scienza diventi una routine di istanze, che i suoi interessi mettano in ombra tutto resto. Quando l'esame esauriente e spassionato dei problemi diventa una necessità inderogabile per l'orientamento intellettuale, nasce [spontaneo il bisogno di esprimere tali problemi in modo comprensibile a tutti. E spesso è meno difficile trattare l'argomento dal lato strettamente scientifico che evitare il rischio di cadere nel cliché, presentandolo in una formulazione inadeguata. È mio gradito dovere, oltre che mio piacere, esprimere i più vivi ringraziamenti alla Commonwealth Foundation di New York, che mi invitò negli Stati Uniti per un lungo soggiorno e mi offrì la possibilità di numerosi viaggi all'interno del paese, affinché potessi studiare i problemi qui trattati anche in rapporto alle condizioni americane; e alla direzione europea del complesso Unilever per avermi agevolato, dispensandomi temporaneamente dal lavoro che svolgo a Rotterdam. D’incalcolabile, valore fu per me il contatto, durato parecchi mesi, con gli studiosi dell'lnstitute for Social Research della Michigan University ad Ann Arbor, ai quali sono obbligato per la cortesia con la quale mi tennero costantemente informato dei loro piani di studio e dei risultati. Un ringraziamento personale devo soprattutto al professor Rensis Likert, direttore dell'lnstitute, e al professor George Katona, incaricato dei programmi di analisi economica. La conoscenza dei suoi lavori è stata la premessa indispensabile per poter svolgere il mio. Mi auguro che 3

questo libro contribuisca a far conoscere gli studi del maggiore psicologo americano dell'economia e quelli dei suoi collaboratori. Straordinariamente fruttuoso fu anche l'incontro con gli amici delle facoltà di economia e di sociologia della Michigan University, particolarmente col professor Kenneth E. Boulding. Inoltre, sono molto riconoscente al dottor Samuel P. Hayes Jr., attualmente a capo del Social Sciences Department presso l'Unesco a Parigi, e al dottor Hollis W. Peter, direttore della Foundation for Research of Human Behavior: ringrazio l'uno e l'altro soprattutto per avermi invitato a partecipare alle riunioni degli esperti americani di economia. Un grazie speciale al mio amico Frank H. Cassell, direttore della Inland Steel Company di Chicago, e al professor Leland J. Gordon di Granville, Ohio, il quale mi spiegò esaurientemente in qual modo si possano rappresentare, su un piano nazionale, gl'interessi economici dei consumatori americani (compito egregiamente illustrato dalle sue opere). Ringrazio cordialmente il professor dottor René König, ordinario di sociologia all'università di Colonia, che ha manifestato per questo libro non solo un interesse professionale, ma una partecipazione sentita, da amico, per cui le sue critiche e i colloqui scambiati con lui furono, oltre che preziosi consigli di un esperto, anche un incoraggiamento che mi diede la certezza di trovarmi sulla strada giusta. Esprimo infine il mio migliore ricordo al professor Leonid M. Tichvinsky e alla sua signora, che offrirono a mia moglie e a me, durante il nostro soggiorno all'università di California, larga e cordiale ospitalità. Rotterdam, estate 1960

ERNEST ZAHN

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Prefazione all'edizione italiana II fatto che questo volume compaia adesso tradotto anche in italiano è motivo di particolare compiacimento per l'autore, che ritiene opportuno premettere a questa edizione una nota scritta appositamente. Desidera rilevare in primo luogo che il testo è stato rielaborato a fondo e completato, in modo da farlo concordare con l'edizione olandese pubblicata recentemente, molto più ampia di quella originaria tedesca. L'autore - di nazionalità olandese - aveva scritto la prima versione in tedesco, durante un suo soggiorno negli Stati Uniti, e l'aveva dedicata essenzialmente allo studio delle condizioni dell'America, della Germania e dei Paesi Bassi. Nel frattempo, i problemi trattati in quest'opera sono diventati altrettanto attuali in Italia quanto lo sono nei paesi occidentali a più alto reddito e a più alto tenore di vita. L'Italia fa parte adesso della “pattuglia avanzata” dell'incremento economico e dell'espansione industriale. La dinamica italiana è affascinante, il suo influsso internazionale in numerosi settori, quali la tecnica, la moda, l'architettura, il design industriale, la cinematografia, e l'arte suscita stupore e ammirazione. Si è formata una nuova ricchezza nelle strutture sociali in evoluzione, anche se la povertà, naturalmente, è tutt'altro che scomparsa. Nel corso delle appassionate discussioni suscitate da questo libro al suo primo apparire, taluni rimproverarono all'autore di aver considerato con eccessivo ottimismo lo sviluppo della società moderna e di aver dato troppo scarso rilievo ai lati negativi di certi fenomeni. L'autore coglie quest'occasione per ripetere una volta di più ch'era ben lontano dai suoi propositi di levare un inno alla prosperità. Non è tutt'oro quel che luce, e mai il proverbio è stato così vero. Ciò che noi definiamo prosperità, benessere, alto tenore di vita, sono parole, concetti che indicano fenomeni sociali complessi e quanto mai ambivalenti. Hanno tutti, accanto al carattere positivo, un carattere negativo. “Il benessere in sé” non è né un male né un bene. Rappresenta una possibilità, un dovere di usarne utilmente, di farcene qualcosa. E proprio questo compito impone oggi nuovi problemi ai singoli individui, alla società e all'imprenditorato economico. Com'è lontana dalla nostra idea l'intenzione di esaltare l'alto tenore di vita, ugualmente è lontana la possibilità di dichiararci d'accordo con quella critica preconcetta che prevede, esprimendosi con termini quali “fagocitazione dell'individuo nella massa” e “livellamento”, una decadenza generale della civiltà. Questi pregiudizi categorici sulla società moderna considerata come un tutto unico appartengono all'ideologia, ostacolano l'indagine pratica, empirica, quindi anche l'adeguato riconoscimento dei compiti reali del tempo, delle sue preoccupazioni e delle sue necessità specifiche. 5

Il sociologo che analizzi le condizioni di vita sociali deve distinguere tra tendenze generali e manifestazioni concrete. La descrizione di una tendenza tipica non significa ancora che le condizioni effettive vi concordino sempre e da per tutto. Questo lo può stabilire solo l'indagine pratica. Perciò è più che probabile che parecchie delle tendenze descritte in questo libro non s'incontrino, o influiscano in altro senso sulle condizioni italiane. Può darsi tuttavia che si posano riscontrare in futuro. Per cui vale in ogni caso la pena di rilevare le tendenze tipiche dei vari paesi per farne poi un confronto. Quanto più impareremo a comprendere quelle odierne, tanto meno ci sorprenderanno le realtà di domani.

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Nuovi beni per il tempo libero nuovi desideri nati dal tempo libero

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Oggi non è esatto definire la povertà riferendola al consumo di beni e di servizi; va riferita piuttosto allo scarto fra i bisogni e le “necessità" di ogni genere e la capacità di soddisfarli. In altre parole, nella società moderna la povertà, più che una condizione dello stomaco, è uno stato d'animo. Da ciò si deduce per forza di logica che un incremento proporzionato del potere d'acquisto di tutte le classi lascerebbe tutti, relativamente, così ricchi e così poveri com'erano prima.

GEORGE A. LUNDBERG (1934)

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1 In politica economica, quando si accenna alle “questioni sociali”, si pensa, o si è portati a pensare al rapporto lavoro-salario, agli indici di occupazione, alle assicurazioni sociali, al problema della casa: in altre parole, a temi relativi alle condizioni di vita e alla sicurezza dell'esistenza. Finché esistette un vasto sottoproletariato indigente ebbero peso preponderante le istanze sociali contingenti, connesse ai bisogni materiali. Erano i problemi imposti dalla miseria. E se ne cercò la soluzione nell'aumento dei salari, nel miglioramento delle condizioni di lavoro, in un sistema adeguato di previdenze sociali, che determinarono quel concetto di benessere economico inteso come elevazione del livello di vita di cui si fece antesignano il socialismo. L'incremento della prosperità divenne definibile, misurabile. Progresso sociale fu sinonimo di progresso materiale, e se pure è per lo meno arbitrario usare il termine in senso etico, ciò che si verificò nel campo dell'economia e della tecnica fu in ogni caso assai ricco di significato e di conseguenze. È un fatto incontrovertibile e di una portata immensa, registrato dalla nostra storia recentissima ed espresso dall'arido linguaggio in cifre della statistica: la miseria, che Schopenhauer definì perpetuo flagello del popolo, e che ancor oggi è retaggio di milioni d'individui sottoalimentati in Asia e in Africa, è scomparsa dal mondo occidentale, almeno come fenomeno di massa. Il “pane quotidiano", più che preghiera individuale, è un imperativo che esprime richieste categoriche, rappresenta un dovere per gli organismi competenti della politica economica di procedere alla programmazione. Nel frattempo, però, sono maturati problemi sociali di altro ordine: i problemi della ricchezza. La prosperità è di-un ventata fenomeno di massa. Mentre la povertà costituiva in prevalenza un problema dell'organizzazione del lavoro e dell'incremento della produttività, la ricchezza diventa un problema organizzativo del consumo. Le premesse determinanti per l'andamento della nostra economia e per l'ordine della società risiedono ora, a giudicare da tutte le apparenze, non tanto nelle attività umane produttrici di beni, quanto in quelle che portano al consumo dei beni; più che nel dominio della tecnica industriale si trovano nel consumo dei suoi prodotti. Si potrebbe anche dire che il compito storico della nostra classe media, ormai benestante e livellata, consiste nell'escogitare un impiego soddisfacente del tempo libero di recente conquista, prima ancora che nel portare a compimento il lavoro. I beni della nuova prosperità devono essere adattati al tempo libero associato al consumo, così come il lavoro, dal suo canto, è associato alla produzione, secondo schemi corrispondenti alle abitudini individuali. Devono acquisire determinati stili, un ordinamento di valori da cui dipende, non ultimo, un meccanismo perfetto dei rifornimenti, e soprattutto la ulteriore decisione su tutto ciò che dev'essere prodotto in futuro, e offerto come “arredamento" dello spazio vitale. Se l'esigenza etica del secolo consiste, per esprimerci sinteticamente, nella rielaborazione spirituale e nel dominio interiore della cultura, questo è dunque l'unico dovere che incombe sull'uomo non in quanto lavoratore ma in quanto - e in primo luogo - consumatore. E già questo dovere è qualcosa di più d'un pio postulato. Sempre più lo si considera una questione eminentemente pratica, un problema politico e pedagogico, tema 9

generale della tanto conclamata integrazione della nostra civiltà economicoindustriale. Il mondo occidentale si è ripreso dagli orrori e dalle perdite della Seconda guerra mondiale con una rapidità che nessuno avrebbe ritenuto possibile e nessuno avrebbe mai osato predire. Si è trattato di un lavoro immane, ma accanto all'operosità umana è doveroso riconoscere la portata del contributo della tecnica industriale, fattore primo e indispensabile di una Amile prodigiosa ricostruzione. Il reddito nazionale è oggi più alto di quanto non lo sia mai stato, abbiamo ricominciato ad abituarci alla congiuntura favorevole e alla piena occupazione, l'incremento annuo della produttività si avvicina al limite del 3 per cento e il mercato, che si estende di giorno in giorno, offre costantemente nuovi beni e nuovi servizi mai conosciuti prima d'ora. Il problema economico - e la constatazione è già diventata un luogo comune - non è più rappresentato dalla necessità di colmare le deficienze, bensì da quella di collocare il superfluo. Si è più preoccupati di provocare e di mantener viva la domanda che di creare l'offerta. Le spese pubblicitarie - che sono le spese di manutenzione della richiesta - hanno superato negli Stati Uniti i 1200 milioni di dollari. Le esigenze relative ai beni aumentano, portano a un miglioramento estetico, a una sublimazione sociale. Il successo delle vendite è determinato non tanto dagli ingegneri e dai costruttori quanto dai modellatori e dai creatori di mode. Il consumo di massa cominciò a mutare il nostro ambiente con la transizione dai comuni articoli casalinghi ai beni e ai servizi durevoli. I beni odierni nel loro complesso - offerti come arredamento domestico-sociale, come materiale di un nuovo assetto della vita - sono inviti alla fantasia e al buon gusto, sfide all'intelligenza e alla cultura del consumatore. L'uomo, dopo che fu liberato progressivamente dalla preoccupazione della vecchiaia grazie ai sistemi di assicurazione sociale perfezionati ulteriormente dalle provvidenze statali, non è più assillato dal pensiero di risparmiare. Il metodo di “provvedere al futuro” consono ai tempi non è più quello degl'investimenti ben ponderati. E questa nuova forma di previdenza non significa più assicurarsi l'esistenza, quanto migliorarne il tenore, anche se d'altro canto può accadere che all'odierna ambizione di miglioramento sociale si unisca, inavvertita, l'aspirazione alla sicurezza sociale. In ogni caso, lo stimolo che incrementa questo fenomeno dilagante non è la rinuncia, ma il desiderio, e il soddisfacimento di uno ne suscita cento altri. 2 La società occidentale è dominata oggi come non mai da un incontenibile movimento espansionistico. Ma si disconoscerebbe l'essenza caratteristica di questa dinamica se la si identificasse con una caccia insensata al possesso materiale. Si tratta di qualcosa di più. Si tratta dell'ambiziosa volontà di partecipare a mondi appena apertisi, a nuove possibilità offerte dall'esistenza. La si riscontra nell'aspirazione ad assicurarsi i beni più rappresentativi del progresso, nel desiderio di condizioni sempre migliori d'alloggio, nel turismo di massa del nuovo ceto medio, come pure nella sua sete di sapere, nella sua fame culturale. Lo si nota nell'incremento della popolazione (il boom delle nascite), nel ciclo vitale della 10

famiglia moderna, nel lusso di cui si circondano i figli, che è già stato definito “una dichiarazione dei redditi in senso sociale 1”. In America hanno svolto un'indagine per stabilire come si manifesti - espressa in termini di pensiero e di comporta mento economico umano - questa tendenza espansionistica 2. Il clima di consapevolezza della prosperità fu interpretato come una forma di ottimismo profondamente radicato, come una fiducia motivata tutt'altro che vaga - nell'economia, che nemmeno la recessione del 1957 e del 1958 riuscì a infirmare. Nessuno crede più, seriamente, a catastrofi economiche, al pericolo di inflazioni vertiginose o di profonde depressioni simili a quelle verificatesi negli anni '20. A patto che nuove guerre, o altri conflitti internazionali non si trasformino in una catastrofica “forza maggiore”, si può far tranquillamente credito, sia ai governi sia all'iniziativa privata, della capacità e dei mezzi necessari per troncare sviluppi pericolosi. L'Europa, che ha dietro di sé una guerra perduta ed esperienze ben peggiori di quelle degli Stati Uniti, forse non conosce una così sorprendente, ferma fiducia nell'economia. Questo tuttavia non impedisce che anche nel nostro continente si manifesti lo stesso, ambizioso, moderno spirito di attività, che caratterizza oggi tutta la società economica occidentale. D'altra parte, è proprio la consapevolezza di procedere alla ricostruzione “partendo da zero" quella che costituisce in Europa una delle grandi energie stimolatrici. L'orgoglio del singolo individuo di “avercela fatta” e di aver realizzato nel proprio piccolo un miracolo economico in tutto simile e conglobato in quello generale, è lo stimolo che sprona a realizzare ulteriori piani per l'esistenza. Il miglioramento del tenore di vita nei paesi colpiti dalla guerra non è soltanto un dato di fatto, registrato dalle statistiche. È in primissimo luogo l'esperienza concreta individuale, e ciascuno, di regola, la considera come una propria prestazione personale. In questi ultimi anni gli -aumenti dei salari e degli stipendi si sono verificati nell'Europa occidentale con una progressione regolare, e sono stati accolti da tutti come un evento naturalissimo e pertinente. Se non fossero avvenuti, la delusione sarebbe stata pari a quella dell'imprenditore quando il guadagno risulta inferiore a quello dell'anno precedente. La volontà del prestatore d'opera di produrre e di consumare non è altro che la contropartita della volontà dell'industriale di produrre e d'investire. Nell'uno e nell'altro campo il progressivo miglioramento delle condizioni di vita è sentito come cosa del tutto normale, come compenso più che meritato. Studi comparativi sui cicli congiunturali e analisi della situazione attuale indicano che il timore di nuove crisi che incidano profondamente nell'economia è secondo ogni apparenza - infondato. Naturalmente, con quest'affermazione non s'intende negare che i mutamenti strutturali di varia specie provochino continui, inevitabili, ma temporanei regressi congiunturali e crisi parziali. A questo proposito Ludwig Erhard ha dichiarato, nel programma di Karlsruhe, che si deve riconoscere il fatto che la costante espansione dell'economia resta collegata, in determinati settori, a fenomeni di indebolimento, che sono semplicemente l'espressione di un ordine liberale, e in ultima analisi della libera scelta del consumo. L'imprenditore così sì è affermato - deve accettare eventuali necessità di riorganizzazione come parte costituente delle sue funzioni. Sono pari ai tempi gl'imprenditori lungimiranti, che riconoscono la necessità e l'inevitabilità dei mutamenti e si sentono in grado di fronteggiarli vittoriosamente, 11

gli imprenditori che dedicano la propria abilità non più a incrementare quantitativamente la produzione, bensì a renderla qualitativamente più agile, fantasiosa, tale da adeguarsi alle necessità. Infatti, se esaminiamo a fondo il carattere intrinseco di questi processi strutturali di adattamento, risulta che affondano le radici nel carattere intrinseco dell'odierna prosperità, Sono il segno distintivo tipico della nostra economia di mercato, basata sulla libera scelta privata degli investimenti sotto il segno della piena occupazione e di una capacità d'acquisto mai verificatesi prima d'ora, da cui scaturiscono per l'appunto anche rischi di nuovo genere. “Nel segno della povertà” così si espresse sin teticamente Heinz-Dietrich Ortlieb “quasi tutti gli investimenti per coprire la necessità del ricupero e per riempire lacune esistenti nella produzione si dimostrano vantaggiosi come iniziativa economica privata. Però, quanto più scompaiono le difficoltà e ci si avvicina al punto della piena occupazione, tanto più aumenta il pericolo di investimenti sbagliati nei settori in cui si era sopravvalutata la richiesta, inizialmente favorevole per il futuro, sottovalutando l'entità degli investimenti della concorrenza. Il pericolo aumenta generalmente nell'economia di mercato quando, insieme con il miglioramento dello standard di vita di vaste masse, aumenta anche la loro libertà di consumo. Finché il reddito della massa è tale da bastare appena all'acquisto di ciò di cui ciascuno abbisogna assolutamente per la propria esistenza, la libertà di consumo è fittizia. È già prestabilito in anticipo, e abbastanza rigorosamente, l’impiego immediato e futuro che il consumatore farà del proprio denaro 3.” In realtà l'aumento del reddito ha avuto conseguenze di ampia portata per il funzionamento dell'economia generale. Il fatto che “le masse” anziché vivere ancora alla giornata», possano disporre di qualche riserva fa sì che il loro comportamento diventi un fattore economico di primaria importanza che i classici della teoria economica non hanno mai considerato, neppure come possibilità. L'attenzione dello studioso del consumo si concentra sull'impiego del cosiddetto denaro in eccedenza, vale a dire su quella parte del bilancio che rimane disponibile dopo averne detratto le normali spese settimanali e mensili. Con l'aumento degli introiti aumenta la quota del denaro di cui si può disporre “a piacere”. Ma contemporaneamente crescono anche le probabilità di un andamento economico “anormale”, ossia della maggiore o minore dipendenza di importanti mercati da imponderabili psicologici. Più avanti avremo occasione di trattare esaurientemente il tema di questi sviluppi. Fluttuazioni della congiuntura vanno ascritte sempre più a improvvisi o graduali cambiamenti d'opinione riguardo all'impiego delle eccedenze degli introiti, impiego su cui influisce notevolmente anche il fatto che gli acquisti di maggior entità non sono subordinati di regola a un'epoca fissa. L'economia avverte sempre più l'importanza di quelle spese non improrogabili che in parte vengono rimandate, in parte anticipate, e che nel loro complesso costituiscono un peso sensibile, specie allorché si tratta di un acquisto importante quale può essere quello di un'automobile. Di anno in anno diventa più difficile prevedere quale sarà il mercato interessato. I moduli econometrici devono tener conto in misura sempre crescente delle varianti; anzi, il numero dei moduli stessi si moltiplica col moltiplicarsi delle branche di produzione, in cui le possibilità alternative di spese più forti diventano attuali dall'oggi al domani. Il cliente, che è re, diventa sempre più imprevedibile; regna - a quanto pare - sempre più 12

capricciosamente. A quanto pare: in realtà sono diventati molto più vasti l'ambito della sua scelta e la sfera delle sue decisioni. Niente però sta a indicare che questi fatti conducano a un comportamento sconsiderato o eccessivo da parte dell'acquirente. L'esempio migliore è offerto dal sistema di pagamento rateale, che molto spesso costituì il bersaglio dell'indignazione morale dei critici dell'economia. Le indagini compiute in proposito indicano inequivocabilmente che l'acquisto rateale rappresenta un modo d'agire ben ponderato, cui ricorrono proprio le giovani coppie, e a ragion veduta, allorché mettono su casa. Il fenomeno è talmente collegato nel suo complesso alla coscienza dell'ascesa sociale e alla fiduciosa certezza in un costante miglioramento delle condizioni economiche, da meritare di essere considerato un'espressione tipica della progettazione di un futuro a lunga scadenza 4. Ogni spesa piuttosto sensibile fatta dal consumatore riveste il carattere di un investimento: concetto, questo, che l'economia aveva applicato sempre e solo ai produttori. 3 I problemi del consumo di massa non concernono solo le funzioni economiche dell'uomo in quanto acquirente dotato o scarso di mezzi, che procede all'acquisto di buona voglia, o perché spinto dalla necessità. Non riguardano unicamente la congiuntura, la piena occupazione e l'incremento economico. I prodotti del progresso, che la pubblicità vanta come rivoluzionari, influiscono sulle abitudini della vita familiare e sull'impiego del tempo libero. Spesso il loro acquisto è sinonimo della deliberata volontà di apportare un mutamento all'esistenza. Il comportamento del consumatore indica qualcosa di più d'un semplice comportamento economico. Processi puramente economici esistono, com'è noto, solo nelle astrazioni teoretiche. Quando si parla di lavoro e di consumo tentando di riferire a questi due concetti ogni sorta di fenomeni contingenti di carattere sociale e psicologico, risulta chiaro che il processo economico è in stretto, inscindibile rapporto con tutte le altre manifestazioni dell'esistenza. Questo rapporto vitale è assai importante, ancora più fondamentale del “gioco delle forze” dei fattori economici. L'economia non fu mai una sfera di vita a sé stante. È attività umana, quindi, e proprio per questo, qualcosa di più dell’“economia pura”. Le due espressioni lavoro e consumo non sono soltanto concetti economici; sono al tempo stesso concetti sociologici e culturali. Come in passato non si poté ridurre il concetto di lavoro umano a singole prestazioni nell'esercizio di una determinata funzione nel processo produttivo dei beni, così oggi non si può limitare il concetto di consumo a ciò che la vecchia teoria economica ha definito distruzione e abolizione della produzione. L'uomo partecipa totalmente alla creazione dei beni e al loro godimento come entità fisica, con le sue aspettative e i suoi desideri, la cui conoscenza va assumendo sempre maggiore importanza per la produzione. Nell'odierna economia di mercato si è rivelato, con un'evidenza fino a non molto tempo fa inimmaginabile, che i beni fornitici dall'economia rivestono funzioni personali e sociali, concorrendo in misura sensibile a formare il nostro ambiente, e a fornirci quell'“equipaggiamento” per l'esistenza che può diventare attributo della personalità, e che noi desideriamo, quindi, per i più svariati motivi umani, o addirittura di vanità umana; ma, in fondo, 13

non fa nessuna differenza che gli acquirenti abbiano veramente bisogno dei beni, o che semplicemente ritengano di averne bisogno. Tuttavia, dato che l'indirizzo economico tradizionale era diretto soprattutto a coprire le deficienze materiali (“economiche”), l'evoluzione che si andava instaurando fu giudicata agl'inizi un fenomeno fuori del comune; e fu un invito perentorio a rielaborare ex novo il significato e i compiti dell'economia nella società umana. Non si era mai pensato che l'economia potesse un giorno venir mobilitata per l'appagamento di bisogni superiori, in modo così ricco di conseguenze. E questo soddisfacimento dei bisogni superiori non è una “funzione suppletiva”, come a volte veniva rappresentata in passato 5 bensì il compito connaturato all'economia, che obbliga a riesaminare rigorosamente tutti i concetti pertinenti alle funzioni economiche. Particolarmente significativa diventò l'estensione del consumo di massa ai servizi, sia che si trattasse di quelli attinenti alla sicurezza sociale o di quelli relativi al sostentamento, ai divertimenti e all'istruzione. Banche e compagnie di assicurazione, un tempo monopolio quasi esclusivo di enti e di privati danarosi, hanno adesso, come clientela in proprio, i singoli componenti della massa. Le banche si sono trasformate in dettaglianti dell'amministrazione monetaria; in effetti l'ubiquità delle loro filiali è pari a quella delle filiali dei grandi negozi di generi alimentari. E i rappresentanti delle compagnie di assicurazione vanno a vendere la sicurezza sociale di porta in porta. Le loro funzioni d'ufficio consistono essenzialmente nelle delucidazioni e nel servizio di consulenza, il che è indice dell'assistenza sempre più completa offerta all'individuo attraverso gli organismi del mercato economico. L'economia assistenziale si è sostituita allo stato assistenziale. I servizi relativi ai divertimenti, alle ferie e all'istruzione, di cui una parte è compresa nel tema della comunicazione di massa, sono largamente collegati ai nuovi beni di consumo ai quali essi servono da mediatori; l'istruzione non è possibile senza il sussidio delle pubblicazioni, non si può partecipare ai programmi radiofonici e televisivi senza ricorrere all'uso degli apparecchi riceventi, le gioie del turismo non sono concepibili senza la motorizzazione e molte specie di sport non potrebbero essere praticate senza l'attrezzatura tecnica che si va perfezionando costantemente. I beni destinati allo svago, al riposo, all'istruzione sono stati anche definiti beni del tempo libero. Il tempo libero è la sfera esistenziale del godimento di beni di nuova specie, per il cui tramite il tempo libero stesso diventa una nuova forma di vita della società. Beninteso, non ha più nulla da fare con il tempo libero d'una volta, che si chiamava sabato inglese, riposo domenicale, pausa di lavoro, ora d'ozio. È un fenomeno tipico della vita moderna, a tal punto che il confronto con la vita privata della vecchia borghesia ingenera talvolta errori anziché chiarezza di idee. Perché fin troppo spesso - e più avanti avremo occasione di tornare sull'argomento - si ha la tendenza a prendere la sfera della vita privata della società borghese come unità di misura alquanto romanticizzata, su cui giudicare l'impiego attuale del tempo libero. Visti alla luce idealizzante “dei tempi che Berta filava", il moderno week-end e il periodo delle ferie non appaiono esattamente quel che si dice edificanti. Termini di paragone errati e indignazione troppo facile per talune aberrazioni impediscono una comprensione equilibrata.

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4 A questo punto si presenta, inevitabile, un'analogia storica: il tempo libero moderno ha colto gli uomini di sorpresa e altrettanto impreparati di quanto li trovarono, in passato, gl'inizi della rivoluzione industriale nel settore produttivo. Come si dovettero adattare allora a nuove, insolite condizioni di lavoro, così è necessario che si adeguino oggi a nuove, insolite condizioni di tempo libero e di consumo. Fa parte del concetto moderno di tempo libero il livello di vita più alto, vi fanno parte i beni, le conquiste rivoluzionarie che sono a disposizione per l'impiego del tempo libero. Se non vogliamo che il tema dell'adattamento interiore ai beni della nostra epoca sia un mero verbalismo, conviene discutere in termini di problemi concreti. Una forma di adattamento particolarmente attinente a questi problemi sarebbe forse l'educazione al traffico, vale a dire l'adattamento della morale pubblica comune al traffico stradale motorizzato. Nuove massime del contegno, forme di cortesia, come anche di pudore intonate ai tempi dovranno essere riconosciute e applicate per concedere diritto di cittadinanza al veicolo motorizzato in un mondo circostante educato, per coltivare i rapporti con l'ambiente e per fare dell'abitudine ai viaggi come ai vecchi tempi lo era il cavalcare - una forma di vita civile. Se barbarie significa uso arbitrario e indiscriminato della forza e del possesso, la definizione è valida anche per la forza che si cela nei prodigi dei moderni beni di consumo. L'“addomesticamento” alla vita quotidiana, abituale di questi oggetti eminentemente spettacolari si completa, dopo l'invenzione, nell'ingentilimento del loro impiego. La prova che il progressivo adattamento a nuovi beni può condurre a nuove forme di cortese convivenza viene offerta - a noi automobilisti europei - da un viaggio sulle highways americane, dove, strano a dirsi, è il nuovo mondo quello che fornisce un esempio di educazione aggiornata agli ex maestri. Altri doveri di adattamento alla vita moderna, gli uomini li trovano in veste di turisti, doveri che vanno dal rispetto per la natura alla protezione del paesaggio e alla comprensione per i popoli stranieri e per le loro usanze, cioè alla tolleranza delle diversità", il che solleva un problema della massima importanza per il buon accordo internazionale. Infine, nella cerchia domestica - nella famiglia questi stessi doveri si presentano allorché si tratta di acquistare i beni giusti al momento giusto, o di conformare l'ambiente secondo proporzioni equilibrate. Tutto sommato, si può dire che ciò che conta soprattutto per l'acquisizione di forme di stile adeguate sono le nuove condizioni del tempo libero, diventate - come fenomeno di massa - espressione più significativa d'ogni altra della nuova prosperità. L'impiego del tempo libero, considerato così, è soltanto un altro termine per designare l'acclimazione delle conquiste, non ancora entrate nelle consuetudini, della civiltà economicoindustriale. Quei beni, che noi definiamo prodotti-tipo della civiltà, sono contraddistinti quasi tutti dal fatto che servono da mediatori nell'impiego del tempo libero. L'automobile, sebbene adempia, naturalmente, anche altre funzioni importanti, ne è l'esempio più saliente, perché consente la piena libertà di spostamento. Mette a disposizione dell'utente la natura, l'aria salubre, i monti, il mare: proprietà originarie dell'uomo, che ha perduto con l'urbanesimo e col sorgere del “paesaggio industriale”, e che si è dovuto riconquistare artificialmente, inserendole 15

nell'economia, il che significa pagandosele con il proprio lavoro. Se consideriamo attentamente, nel suo pieno significato, questo dato di fatto inoppugnabile, diventa impossibile vedere nell'attuale impiego del tempo libero soltanto il soddisfacimento di bisogni negativi. Abbiamo da fare con un'autentica necessità, che l'uomo tenta di appagare. Perciò beni della civiltà come l'automobile diventano sempre più indispensabili. Si va creando una situazione tipica: la natura, dalla quale il contadino si tiene lontano e che rappresenta per lui soprattutto un oggetto da sfruttare, viene riscoperta dal cittadino. Il movimento, iniziatosi alcuni decenni or sono con gli Schrebergärten, gli orti lontani dall'abitazione, coltivati dai proprietari durante le ore libere, con le casette per la fine settimana e le prime attività sportive, ha condotto alla creazione dell'odierna città-giardino, dei parchi nazionali e delle arterie di grande comunicazione che servono esclusivamente al turismo: in breve, a un “paesaggio del tempo libero" che gli utopisti sociali del XIX secolo non avrebbero mai osato sognare. Ora si indaga già sugli effetti che un ulteriore aumento del tempo libero e l'inesauribile affluenza di nuovi beni - beni che se da un canto fanno risparmiare tempo, d'altro canto lo assorbono con nuovi piaceri e nuove attività esercitano sui nostri bisogni, sui nostri interessi e sulle nostre esigenze. Ci si chiede qual è la loro ripercussione sugli scopi che l'uomo si prefigge e sulle sue iniziative, ci si preoccupa per la valutazione dei contenuti del potere e del sapere umani. Quale forma assumeranno - nella civiltà economica di domani - gli oggetti mutevoli dell'emulazione interumana e dell'ambizione personale, per indicare poi a loro volta l'orientamento ai progressi della tecnica e dell'economia? È nata una sociologia del tempo libero, la quale - con un'azione parallela a quella della sociologia del lavoro nelle fabbriche - si apre ora la strada per le proprie indagini nei quartieri d'abitazione sorti recentemente alla periferia delle città. Lavoro e consumo perciò non vanno più considerati come concetti puramente economici, bensì come concetti essenzialmente sociologici. Se per amore di semplicità colleghiamo il primo al comportamento professionale, l'altro al comportamento del tempo libero nella civiltà economica, non indichiamo in tal modo solo certe forme esistenziali della società moderna, ma anche alcuni problemi di un'epoca. 5 Quando l'aspetto del mondo del lavoro industriale cominciò a trasformarsi radicalmente, verso la fine del XIX secolo, è noto che non fu tanto lo stato quanto l'impresa privata a prendere l'iniziativa politico-sociale, per motivi d'ordine pratico. Si disse che la politica sociale diventasse in tal modo essenzialmente politica del lavoro. Si affaccia quindi una domanda: come si può attuare, oggi, una politica culturale intesa come politica del consumo? Naturalmente, non intendiamo riferirci a nuovi raggruppamenti di forza in senso partitico, o a programmi politici che ridurre la libertà e i diritti legittimi dei datori di lavoro. Ma pensiamo a una promozione competitiva delle cose buon gusto, delle forme stilistiche e dei valori autentici, la cui realizzazione potrebbe diventare il compito pratico di una classe imprenditrice illuminata, nonché una possibilità di maggiori utili. La qualità della 16

domanda dovrebbe rivelare, caso portata della nostra libertà interiore, della nostra sul “mercato totale”. I consumatori dovrebbero reagire positivamente al lancio e all’aumentata diffusione degli oggetti che rivoluzionano la vita, esattamente come ci si attende che reagiscano, in qualità di cittadini, nei riguardi della politica dei governi e dei parlamenti. Non si scorge alcun motivo per ritenere che il libero dell'economia di mercato debba essere inconciliabile di un'illuminata coscienza del consumatore. Perciò il concetto d'una politica educativa come politica del consumo non sarebbe affatto illusorio e speculativo, bensì un'idea realizzabile caso per caso, che potrebbe orientare gli sforzi ormai maturi dei produttori e informare i programmi pubblicitari. Tuttavia, oggi come oggi, possiamo registrare sul mercato un fatto assai significativo: i compiti più delicati dello smercio di sempre più numerosi prodotti consistono nella fornitura di oggetti sociali e culturali d'ogni genere, a cominciare da quelli d'uso domestico più comuni. Ed è d'importanza secondaria se e fin dove il risultato rappresenta servizi reali o solo apparenti. Importante dev'essere in un primo tempo il mero fatto che il valore dell'offerta si trasferisce sempre più dai beni in sé a tutto ciò che essi significano, o possono significare, nell'esistenza umana. Ora noi ci chiediamo: e se la fisionomia del consumo di massa non si potesse mutare in modo così radicale come quella della produzione, che avverrebbe il giorno in cui una coscienza critica e matura fosse diventata un fattore concreto di mercato di cui i programmatori dello smercio dovrebbero tener conto? La questione sociale dipende oggigiorno dalla richiesta. Riassumiamo brevemente alcuni principi risaputi, che dobbiamo premettere alle nostre ulteriori considerazioni: è stato dimostrato che la cosiddetta rivoluzione industriale non rappresenta un fenomeno che poteva restar limitato a una sfera puramente economico-tecnica, sfera che in senso stretto non esiste. In realtà si tratta di un processo globale, di un movimento storico complessivo, che interessa tutti i campi della nostra esistenza. Questo movimento non avvenne subitaneamente, ma in progressioni temporali, e non sempre e non da per tutto con uguale intensità. Ciò che da principio si presentava ancora precipuamente come processo economico esteriore e poté dare adito a teorie tendenti a una certa unilateralità, è diventato a poco a poco problematico, in quanto ha provocato un mutamento dell'esistenza (interiore ed esteriore) considerata nella sua totalità. Strutture sociali e condizioni professionali, organizzazione familiare e istituzioni politico-giuridiche, concezioni di vita e modi di vita, aspetti del mondo ed esperienze del mondo, norme etiche ed estetiche, modi di giudicare e modi d'agire: tutto è stato soggetto a mutamenti pari a quelli avvenuti nelle forme della tecnica produttiva, in continuo, rapido autosuperamento. I progressi della tecnica si manifestarono con la massima evidenza, com'era logico attendersi, nelle fabbriche. I menti dell'habitus spirituale e sociale, invece, si fecero riconoscere più tardi, e a poco a poco, nell'aspetto visibile del mondo del consumo. Fino a cinquant'anni fa si era ancora inclini a localizzare nelle fabbriche le forze che trasformano continuamente, complicandola, la nostra esistenza. Le realizzazioni del progresso tecnico venivano attribuite a cause alquanto semplici, che avrebbero dovuto spiegare anche i mutamenti nel campo del consumo e del tempo libero, visti come conseguenze, come fenomeni accessori. Ma la problematica del mondo del consumo non è soggetta a quella del mondo del lavoro. 17

I processi del mondo del consumo seguono un corso tutto particolare, irriducibile, indipendentemente dal fatto che abbiano come premessa mutamenti avvenuti in precedenza nel complesso della produzione. Il comportamento del consumatore è soggetto ad altre leggi. E da parte sua ha cominciato a ripercuotersi, in modo che nessuno avrebbe potuto presagire, sui procedimenti tecnici e sull'organizzazione del lavoro. L'esempio per eccellenza è la stupefacente diffusione che ha avuto l'iniziativa dei servizi che, secondo la definizione di Colin Clark 6, ormai accettata universalmente, vien chiamata produzione terziaria. Nel quadro di questo processo anche i servizi culturali, un tempo privilegio delle classi superiori, sono diventati servizi offerti nell'ambito dell'economia di mercato. È sorto un “mercato della cultura”, del cui carattere ci dobbiamo occupare particolarmente, perché gli oggetti continuano a venir presentati come se la cultura dovesse essere portata non solo sul mercato, ma anche alla tomba. Un tempo correva su tutte le bocche la definizione di “mobilitazione totale del lavoro", coniata da Ernst Jünger. Oggi, alla luce dei fatti, potremmo parlare, se l'espressione non fosse condannata a essere un mero aforisma, di una “mobilitazione generale del consumo". Adesso la figura del consumatore ha mobilitato il mondo molto più della figura del lavoratore. David Riesman, termine di riferimento di moda per i critici sociali europei, scrive che ogni ragazzino americano, ancor prima imparar a camminare da solo, è una recluta del consumo (consumer trainee) e che la sua indagine pratica di mercato incomincia quando non è ancora capace di contare il denaro 7. Ma vecchi economisti, lontanissimi da ogni interpretazione critico-culturale, avevano riconosciuto fin da bel principio che tutto ciò che l’uomo produce è riducibile al concetto di consumo. “Perché tutto ciò che gli uomini fanno, avviene in virtù del consumo… non ne sono esclusi né le opere più raffinate dello spirito, né i moti più nobili dell’animo 8”. Però solo ai nostri giorni il tema del consumo - come tema del consumo di massa – si è posto al centro di appassionate discussioni sulla situazione spirituale del tempo. Non è sempre facile fare una distinzione netta fra constatazioni obiettive ed esacerbazioni letterarie, cosa che diede occasione già negli anni ’30 a Jan Huizinga di rilevare che il critico sociale prende il posto, nel nostro secolo, che un tempo era prerogative del bel esprit. Potremmo dire, forse, che l’estendersi dell’economia a sfere sempre più vaste della vita conduce a far sì che “il punto di vista del consumo” non venga solo stabilito in astratto, ma che sia anche valutato in senso filosofico culturale. Com’è possibile giungere a questa affermazione? 6 Come le attività professionali hanno assunto nella civiltà industriale un carattere sempre più rigoroso di lavoro aziendale - sia che si lavori in fabbrica o in ufficio, in un'amministrazione ospedaliera o in un laboratorio di ricerche o in un'organizzazione ricreativa - così in realtà sono sempre più numerosi i divertimenti del tempo libero che hanno in comune il fatto di essere predisposti in forme convenute e di poter essere acquistati commercialmente. Un'espressione significativa, che ricorre di frequente nel linguaggio dei critici della nostra civiltà, suona: manufatti intellettuali. Ciò che offrono i quotidiani, i periodici, la varietà dei divertimenti cittadini, le scuole superiori, gl'istituti linguistici, i cicli di conferenze, 18

gli abbonamenti ai concerti, le “settimane” e i congressi di ogni sorta, le riunioni sportive e i viaggi di vacanza organizzati; di tutto questo si dice oggi che si tratta di “oggetto di consumo”. A un concetto così globale di consumo vengono subordinati anche idee e convenzioni dominanti, orientamenti del gusto, mode e opinioni in voga, perfino la sessualità e la politica. Infatti, i turisti possono visitare la Camera dei Comuni a Londra, il palazzo dell'Onu a New York e, se ne hanno l'occasione, possono anche ascoltare discorsi di uomini politici, i cui volti e le cui voci sono familiari alla media delle masse. Le declamazioni di molti politici sono destinate in gran parte a un pubblico che viene informato continuamente delle novità e delle attualità grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Sembra tuttavia perlomeno prematuro scorgere in tutte queste “situazioni del consumo” una determinata presa di posizione unitaria della coscienza e fissarla come una manifestazione ipostatica sotto il nome di comportamento del consumatore, in una precisa grandezza socio-psicologica. Il comportamento del consumatore fu definito per principio, e già in partenza, una reazione passiva, meccanica, eterodiretta, non un adattamento alle regole del gioco anonimo di strutture sociali oggettivate. Termini tecnici presi a prestito dall'economia dello smercio, che hanno un significato nel campo cui appartengono e nel quale hanno avuto origine, furono applicati nella pratica scientifico-intellettuale alla “diagnosi” dello “spirito dei tempi manipolato”. Consumo di massa e attività del tempo libero furono considerati un male contemporaneo, come lo era stata a suo tempo la produzione di massa (la tecnica); furono usati in senso globale per esprimere la progressiva funzionalizzazione e la progressiva autoalienazione dell'uomo, la sua totale implicazione nei processi obiettivi iper-dimensionali. La critica sociale da elzeviro moraleggiante si sente coperta e legittimata da una serie di saggi filosofici da prendersi molto sul serio. Ma per quanto questi possano indurre alla riflessione i contemporanei preoccupati, contribuiscono tuttavia assai poco al chiarimento dell'esistenza, se la civiltà vien sempre interpretata soltanto come “l'apparato delle opere previdenziali per l'esistenza", oppure come “l'oggetto dell'appetito umano", o come “un grande poppatoio... al quale si vuol succhiare 9”. Per il fatto che adesso si parla tanto della preparazione e della trasmissione di esperienze e di sensazioni, di opinioni prefabbricate, di consumo cerebralizzato, vien posto spesso un accento critico culturale anche sulla mera formulazione di problemi economici astratti. Parecchie espressioni tolte dalla terminologia economica sono sovraccaricate. L'espressione “tenore di vita”, che originariamente era un innocuo termine di economia politica collegato a riflessioni sulle condizioni del reddito, fu elevata a scopo fondamentale comune a tutta la società moderna. Parve il concetto conformista e eudemonistico di tutte le ambizioni del nostro tempo, o addirittura il prodotto della civiltà. In un libro, in cui il concetto dell'autoalienazione umana, come lo sviluppò Marx dal lavoro proletario, riceve dal consumo una nuova determinazione, si dice: “lo standard di vita è il dio del nostro tempo, e la produzione il suo profeta 10”. Infatti, consumo su tutti i fronti: questo non è solo la corsa al benessere, non è solo la strada sicura verso la felicità; è - per un profondo pessimismo culturale - l'adattamento volontario e immune da dubbi alle leggi inesorabili del mondo materiale funzionalizzato, è una capitolazione umana che la coscienza tuttavia non avverte, perché l'individuo la considera una prestazione. In Germania riesce ancor più difficile separare il problema del 19

benessere e del “miracolo economico” dalla scabrosa questione nazionale del cosiddetto “passato non superato”, che rende impossibili molte discussioni obiettive. Se poniamo i problemi attinenti al contegno del consumatore al centro di un dibattito sulla società moderna, non potremo mai mettere in sufficiente rilievo la nostra distanza da questa specie di critica della civiltà. Non ci preoccupiamo di un'interpretazione globale della situazione spirituale dell'uomo di fronte alle offerte della civiltà, bensì dell'analisi dei rapporti pluriarticolati, mutevoli e dettati da molteplici moventi con servizi e beni di ogni sorta. Ciò non significa che i problemi spirituali e culturali siano stati misurati soltanto secondo punti di vista pratici. La natura di questi problemi e il loro significato devono però venir esaminati una volta per tutte di fronte ai fenomeni concreti della vita quotidiana. Noi siamo convinti che formulazioni precise giovino al processo della conoscenza più di quanto non gli gio. vino risposte troppo affrettate. Per suffragare quanto esporremo ci possiamo basare su due diversi dati di fatto: da un lato su quelli storicamente riepilogabili della progressiva associazione dell'economia, vale a dire della sua estensione a sempre più numerose sfere della vita, con tutte le conseguenze che ne sono derivate per la convivenza umana; dall'altro lato, sui risultati palmari dell'indagine sociale empirica condotta nel presente, che permettono di chiarire certe correlazioni concrete. Si rivela così, a ogni piè sospinto, che molti piccoli interrogativi della vita quotidiana suscitano grossi problemi. Infatti, nello stesso modo in cui a volte squadre di fisici e di chimici devono a tutto quanto si conosce sui processi naturali per realizzare in dati casi un miglioramento anche minimo nella consistenza di un prodotto alimentare, così non di rado gli studiosi di sociologia devono mobilitare tutto l'apparato di conoscenze relative alla società umana per poter comprendere un'abitudine consumatori e per riuscir a risolvere un problema di mercato. Questo significa però che molto spesso tutta la problematica della società moderna si rivela all'esame di un unico, singolo soggetto; se poi si abbia il tempo di seguirlo e la voglia di analizzare dell'azione momentanea secondo concetti più profondi, è un’altra questione. Ma possiamo già considerare significativo e semplice fatto che la programmazione dell'esistenza che riguardi fatti attinenti al lavoro - sia che riguardi fatti al consumo - ha trovato un punto dove le implicazioni contenute in una singola azione organizzativa possono sempre più difficilmente all'attenzione. La questione, adesso, è di sapere in che modo una crescente coscienza di queste implicazioni - ossia un senso di responsabilità sociale – incominci dal canto suo a determinare l'azione organizzativa. Oggigiorno l'economia di mercato può all'uomo una conoscenza di sé stesso pari a quella datagli dalle considerazioni sulla crisi in cui si dibattono la filosofia e i problemi dello spirito. L'economia è di attualità non già perché le cose materiali siano più reali di quelle spirituali, ma perché lo spirito si è rivelato quanto mai attivo in tutti i campi dell'economia. Avrebbe per così dire conquistato l'economia dall'interno, se questa avesse dovuto essere separata dallo spirito come “sistema”, al punto che lo spirito sarebbe diventato indipendente come entità organizzatrice, più di quanto avrebbero desiderato i suoi più ardenti adoratori. Lo spirito dei tempi non si rivela solo negli spiriti del tempo. Benedetto Croce ha detto che “la filosofia di un'epoca si deve desumere da tutte le sue manifestazioni, ma che può perfino non trovarsi, o trovarsi in modo meno spiccato, appunto nei filosofi specialisti, e nei 20

grandi tra questi 11”. Si tratta di sapere da dove provengono le manifestazioni rappresentative del nostro tempo. Ora - a quanto pare - se lo vogliamo conoscere almeno da quanto produce, dobbiamo esaminare le manifestazioni dello spirito rivolto alle cose pratiche. Un concetto di cultura che non comprenda la conoscenza delle grandi realtà economiche e sociali è antiquato, o appartiene alla specializzazione umanistica.

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Non si può disconoscere che sempre più numerosi riali e ideali, di cui abbiamo bisogno, sono diventati fenomeno di mercato soggetti al gioco dell'offerta e della richiesta, in cui l'uomo rivela anche sé stesso, con le sue conoscenze e le sue esperienze. Tuttavia, non si tratta di una novità assoluta, fondamentale: esiste da quando esiste la concorrenza tra uomo e uomo, ossia da quando esiste la società umana. Allorché Erich Fromm afferma che l'uomo concepisce la propria vita come un capitale da impiegare nel modo più conveniente e più redditizio possibile, la frase, presa in senso lato, è valida per ogni tempo. È sempre esistito un giorno di mercato, in cui si decideva il successo delle imprese e dei tentativi umani. L'unica novità è che anche 1a fornitura dei beni e culturali, dipende in misura sempre crescente, col progredire dell'economia di mercato e con la progressiva democratizzazione della società, dal suo rendimento economico. Successo e ricavo convergono dacché il modello economico si è esteso e il suo meccanismo funzionale è diventato il catalizzatore del progresso. Originariamente, era destinata ad avere corso nella quotazione dei valori economici solo una parte relativamente piccola di ciò che l'uomo produceva, sia nel campo del lavoro manuale, sia in quello dell'attività spirituale. Un tempo, quando il compito precipuo dell'economia consisteva nella produzione del nutrimento, si poté concepire ch'essa esistesse soprattutto in funzione del soddisfacimento dei bisogni materiali o fisici. Naturalmente non si può comprendere perché non possa servire anche al soddisfacimento di bisogni d'altra natura. Con ciò non intendiamo affatto sostenere che essa appaghi automaticamente questi altri molteplici bisogni col semplice processo di preparazione dei beni richiesti. Con i beni, l'economia può dare soltanto i mezzi, l'appagamento effettivo dipende sempre dalla scelta e dal giusto uso dei mezzi. Questo vale tanto per i beni culturali quanto per i prodotti alimentari. Non è alla compagnia radiofonica che vanno rivolte le critiche, se fornisce la musica come una merce, bensì al radioutente che lascia aperto tutto il giorno l'apparecchio senza applicare un criterio selettivo, fino a intontirsi e a rendersi sempre più incapace a fare le necessarie distinzioni e a trarne godimento. In fin dei conti, non si usa rendere responsabile il fornitore se ci guastiamo lo stomaco a furia di rimpinzarci eccessivamente di ogni sorta di cibi. La commercializzazione delle forme di offerta e di smercio dei beni - non importa di quale specie - non sta in nessun rapporto causale con la loro qualità e il loro valore voluttuario. Così come il valore qualitativo e voluttuario dei beni non sta in alcun rapporto causale con gli interessi dello smercio e con la mentalità del produttore. Il termine “merce" non indica affatto una qualità specifica del prodotto, 21

ma solo la condizione transitoria in cui il prodotto si trova finché non ha trovato l'acquirente. Quando diventa proprietà, cessa di essere una merce. Il fatto che in un primo tempo si presenti come merce non gli è necessariamente pregiudizievole. Bibbie e libri di devozione che vengono offerti nei santuari erano una merce ben prima che sorgesse il mondo del consumo di massa, eppure nessuno giudicava la cosa indecorosa, o meglio, nessuno sospettava che potesse venir giudicata tale. Articoli religiosi - ad esempio quelli messi in vendita sulle bancarelle davanti alle chiese più famose - diventano criticabili come merce soltanto nel momento in cui il loro valore come proprietà non è più quello di oggetto sacro, bensì quello di souvenir. Quando il significato personale di un prodotto è sufficientemente elevato per colui che lo vuole acquistare, il valore commerciale non conta più. Il possessore di una preziosa edizione di classici e il frequentatore dei festival musicali di Salisburgo non chiedono, di regola, quali siano gl'interessi d'ordine amministrativo o il guadagno, che pure partecipano alla preparazione di questi beni. Ciò che conta invariabilmente è la valutazione di quanto viene offerto attraverso il proprietario. E dove altro si vorrebbe cercare il valore culturale delle cose? Se questo valore intrinseco viene diminuito, allora si affacciano in primo piano aspetti esteriori dell'oggetto offerto, allora si scorge solo la merce, il “puro consumo" o il “godimento comune", mentre nell'altro caso si rileva a mala pena che la produzione e la fornitura hanno necessariamente una base economica. Inoltre, la natura e il significato di molti beni impongono alte esigenze estetiche alla forma in cui vengono smerciati, perché questa incide perfino sulle funzioni dell'apparato commerciale, che ne vengono trasformate. Il crescente valore sociale di un oggetto orienta la relativa pubblicità su strade più raffinate. La soggezione commerciale vien mascherata: processo, questo, che trova un'analogia nel mondo del lavoro, dove cerca sempre più di mascherare l'aspetto freddamente meccanico dei macchinari e delle officine con gli accorgimenti di una disposizione originale e di nuovi stili architettonici. Analogamente, il mercato camuffa la propria base economica con i cosiddetti “servizi" a favore del cliente, divenuti ormai principio integrante che rende possibile perfino quello che un tempo si sarebbe ritenuto assurdo, solo che il cliente sappia avanzare le proprie esigenze con sufficiente fermezza. Il carattere ipereconomico dei beni superiori agisce dunque sulle relative forme di offerta, e col tempo potrà sublimare tutto il sistema produttivo. Visto in questo aspetto, lo sviluppo si avvierebbe a un'elevazione culturale del commercio piuttosto che a una commercializzazione della cultura. Non tenteremo adesso di cercare una correlazione tra cultura e consumo. Se ci volessimo dedicare a tale indagine, lo dovremmo fare non all'inizio, ma alla fine di una serie concreta di esami. Altrimenti si finirebbe fuori strada, e lo dimostra un esempio che esamineremo qui di seguito, brevemente, perché ci aiuta a trovare una connessione con quel problema delicato ch'è unito indissolubilmente all'espansione del consumo di massa: il problema dell'istruzione generale. “Consumo culturale e cultura del consumo”: questo fu, pochi anni or sono, il tema proposto al congresso di una benemerita associazione tedesca. Sembrava sottintendere la domanda-chiave se cultura e consumo erano due termini antitetici che si escludevano a vicenda, se consumo era sinonimo di non cultura o di pseudocultura. Le risposte dipesero per forza di cose da quello che si voleva intendere sotto il nome di cultura, dal concetto di cultura che ciascuno portava con sé come premessa. Così la discussione scivolò 22

ben presto nel teorico, in un eccesso di intellettualismo scientifico, e lo riconobbero perfino parecchi partecipanti. Uno degli oratori, che si credette in dovere di rilevare una “differenza decisiva fra cultura e consumo”, portò una variante alla comoda asserzione che i beni culturali promuovono nell'uomo gli sforzi al miglioramento e all'autodominio, mentre i beni di consumo voluttuari lo lasciano passivo. La cultura venne coordinata con la vera istruzione, il consumo fu relegato nella “categoria delle comodità”. “Il confort offre all'uomo lo stimolo che gli può far risparmiare ogni moto spontaneo. La cultura è riferita all'indigenza umana congenita e irrevocabile, il confort al bisogno, ch'è revocabile in ogni momento 12”. Il bene di consumo, così si affermò, era qualcosa che rispondeva a uno scopo ben preciso, era un prodotto “predigerito”, privo di pericoli, al sicuro da rischi, atto a suscitare il desiderio; il bene culturale invece era l'oggetto di uno sforzo e di un raccoglimento interiori. A onore dei partecipanti, va detto che l'elaborazione di una simile antilogia non incontrò affatto il consenso generale, e il valoroso presidente non si stancò di mettere in guardia i congressisti. Dopo quanto abbiamo esposto or ora, e considerando quanto intendiamo ancora esporre sul duplice carattere dei beni umani, riteniamo superfluo insistere con la polemica. Tenteremo invece di non dare un’“interpretazione” totalitaria al “consumo di massa”. Tuttavia, ci sembra utile e necessario trarre alcune considerazioni dalle critiche mosse durante la citata riunione alla cultura intesa come attività produttiva della “vita intellettuale” in senso stretto. Infatti, e il fenomeno è caratteristico, non ci fu una vera e propria opposizione alla condanna del consumo. Si trattava di un integramento, si intendeva coinvolgere anche le sfere vitali più elevate della società nella critica che le veniva rivolta per principio. L'arte moderna, la scienza e gli scopi dell'educazione odierna sono stati esposti negli ultimi decenni a riprovazioni altrettanto violente di quelle rivolte ai fenomeni della vita tecnica ed economica quotidiana. Arnold Gehlen parlò della “progressiva astrazione” della “cultura spirituale”, degli astratti moduli di pensiero dei teologi (secondo gli schemi della fisica), del distacco dell'arte dall'evidenza, della complessità di pensiero di certi romanzi, la cui lettura, anziché rappresentare una distrazione, rappresenta la pratica di uno studio. “La cultura moderna ad alto livello è astratta, ricca di pensiero, affine alla scienza e immateriale come ogni altra cultura precedente... non è atta alla volgarizzazione, ossia, per dirla in parole crude, la cultura se ne infischia del popolo 13 .” Anche senza voler contrastare il carattere esoterico di questa “cultura su un piano superiore”, sarebbe semplicemente da chiedere per quale motivo dovrebbe essere volgarizzabile, dato che abbiamo assistito a una diffusione così sbalorditiva di beni culturali comprensibili, sia classici, sia moderni. Il patrimonio effettivo di buona letteratura a disposizione di chiunque se lo voglia procurare, d'arte figurativa accessibile a chicchessia, di musica che tutti possono avere in casa propria è così vasto - quantità e qualità dipendono solo dalla scelta di ciascuno - che la necessità di diffondere fra il popolo anche quella particolarissima cultura ad alto livello può essere giudicata per lo meno discutibile.

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8 L'analisi sociologica delle conseguenze provocate dall'istruzione generale fa parte dello sforzo di comprendere adeguatamente l'odierno consumo di massa e l'impiego del tempo libero. Per semplificare, potremmo dire che l'elevazione dello standard di vita (benessere generale) e l'ampliamento della coscienza (cultura generale) sono l'aspetto materiale e spirituale di un processo inscindibile, la cui storia costituisce lo sfondo sociologico di tutti i problemi del comportamento del consumatore. Come il benessere, anche la cultura fu originariamente un privilegio della classe elevata, che veniva perciò designata anche col termine di “colta”. Ancora agl'inizi del XIX secolo la maggior parte della società europea era costituita da famiglie contadine. A quei tempi, gli otto decimi dell'umanità dovevano lavorare per sfamare se stesi e soprattutto gli altri due decimi. Questa maggioranza occupata nell'agricoltura non possedeva un'istruzione superiore, di cui del resto non aveva nessun bisogno. L'eredità spirituale dell'Occidente, da Omero fino a Goethe, rimase privilegio come riattestò recentemente lo storico Schnabel - di un'esigua casta superiore. Ancora nel 1815 gli europei erano in maggioranza analfabeti. Solo dopo che la popolazione delle campagne diminuì, con l'incremento del numero degli operai adibiti all'industria, la mancata partecipazione alla cultura superiore fu avvertita come una deficienza, come una condizione d'inferiorità. Per essere precisi, il contadino in quanto tale aveva il suo posto storico nella società antica. La sua esistenza, che aveva un significato ben preciso politicamente e spiritualmente, non dipendeva dalla partecipazione alla cultura e al sapere. L'operaio, invece, creatura del capitalismo industriale, doveva cominciare col trovare il proprio posto e la coscienza del proprio valore nella nuova società. Perciò istruzione e cultura cominciarono a diventare necessarie. Il senso di oppressione sociale - qualunque fosse la sua origine, per quanto più tardi fosse sempre alimentato dall'organizzazione politica - era determinato essenzialmente dalla sensazione di essere escluso dai beni superiori della cultura. “Non esiste privilegio che sembri così mostruoso a chi sta in basso, e di fronte al quale egli si senta così interiormente inferiore e indifeso, come il privilegio dell'istruzione; per questo motivo le aspirazioni, che miravano praticamente all'uguaglianza, ricusarono allora così spesso, e in così numerose varianti, la formazione intellettuale 14 “. Nacque la diffidenza nei riguardi della cultura. La diffusione della cultura e del sapere, che rappresentava una democratizzazione, assunse, con l'apparire dei beni di comunicazione di massa e con la “conquista dell'economia da parte del settore terziario” (Fourastié), un ritmo altrettanto vertiginoso della moltiplicazione del benessere. Era un'ascesa - e non una rivolta - delle masse; perché la massa non si sviluppò sotto la spinta dell'indigenza che induceva le classi inferiori alla rivolta contro una casta superiore sfruttatrice. Furono piuttosto l'elevazione del tenore di vita e l'allargamento della coscienza dei popoli a diventare la rivendicazione impegnativa di una classe media in espansione. La nostra classe media attuale difficilmente cerca paradigmi per il proprio comportamento in una minoranza “altolocata”. Vuol orientarsi da sé, vuol trovare la propria regola in sé stessa, e resta affidata a sé stessa anche nell'organizzazione interiore del proprio spazio vitale. 24

Il fatto che istruzione e cultura non siano più privilegio di un'élite, che non costituiscano più il segno distintivo e il vanto della “buona società”, ha avuto conseguenze per 1a loro valutazione. Mannheim ci ha ricordato l'inoppugnabile fondamentale realtà sociologica che il valore dello spirito si orienta secondo la valutazione di coloro che lo producono. E ha suffragato con esempi l'affermazione che “fu necessaria una lunga evoluzione prima che lo spirito come tale giungesse a essere apprezzato da tutti”, poiché invariabilmente “la condizione sociale del suo creatore ne determinava la valutazione 15.” Con le nuove funzioni assunte dall'istruzione e dalla cultura, con la riduzione del loro significato all'idoneità a risolvere certi problemi pratici dell'esistenza, si sono mutati i motivi che spingevano ad apprendere e a studiare. Sapere è oggi qualcosa di più del können cerebralizzato, soprattutto nelle crescenti attività terziarie; cultura - come potenza della personalità (social skill) - è un'esigenza tecnica per svolgere compiti direttivi nelle forme dell'organizzazione sociale. Questo però non significa che cultura e istruzione non siano altro che mezzi utili ai fini dell'avanzamento professionale. Non sono soltanto quello strumento eminentemente pratico che si acquisisce nelle scuole e negli istituti professionali. Un orientamento generale per l'esistenza in campi numerosi e diversi fra loro è anche fine a sé stante, necessità e divertimento del tempo libero. La richiesta di beni pratici istruttivi e divertenti, i quali procurino il sapere come partecipazione necessaria agli avvenimenti contemporanei, è diventata autentica fame. A giudicare dalle apparenze, si direbbe che abbia molto più peso della richiesta del pane quotidiano. Eppure, ogni nuovo mercato sul quale vengano offerte ora conoscenze e informazioni d'ogni specie, progressi tecnici e scientifici, esperienze intellettuali e produzioni artistiche, non fa altro, tutto considerato, che continuare quel processo iniziatosi con l'istruzione elementare gratuita e obbligatoria. E come un tempo la scienza sociologica si preoccupava di seguire singole grandi idee e conoscenze tenendo conto del loro significato per la storia umana, l'indagine della comunicazione si occupa oggi di sbrogliare quel groviglio di contenuti scientifici e di opinioni quanto mai eterogenei che determinano il comportamento abituale dell'uomo, per chiarire fino a qual punto arrivi l'effettiva diffusione delle conoscenze 16. 9 Gli organi della comunicazione di massa sono diventati potenti istanze mediatrici per la trasmissione del sapere e per la formazione dell’opinione individuale. Senza di loro la società non potrebbe più funzionare. È un problema serio quello dei limiti entro i quali ci si sa servire convenientemente dei mezzi di comunicazione, tanto più che anche in questo campo la produzione è determinata dalla qualità della richiesta. Qui sta la differenza con le offerte intellettuali delle scuole e con l'istruzione di carattere storico delle classi superiori, che si irradiava verso il baso. La qualità dei beni culturali non dipendeva, qui, dalla misura in cui l'offerta veniva accolta dai tuttora “incolti”. La media delle masse si dirige invece verso il suo mercato. Perciò il valore della nuova cultura di massa è stato posto assai spesso in questione 17. L'analfabetismo è stato eliminato, ma da che cosa è stato sostituito? Si afferma comunemente che per essere informati sui rapporti mondiali e sui problemi dell'esistenza si può fare a meno del sistema di correlazione intellettuale. Il sapere 25

è frammentario - dicono - slegato e non obbligante, unilaterale e superficiale, usurpato e presuntuoso. Quella che noi possediamo non sarebbe cultura, ma semicultura, mediocrità. Peggiore della mancanza di cultura del contadino e del primitivo, perché questa verrebbe compensata da un'integrazione originaria dell'individuo nella continuità tradizionale della vita. Se lasciamo da parte le discussioni estremiste di questa problematica per occuparci di un semplice inventario sociologico, possiamo risalire a Georg Simmel, il quale ha analizzato questo fenomeno con acutezza insuperata nientemeno che sessant'anni fa. Simmel affermò che l'acquisizione del sapere richiede sempre minor fatica da parte del singolo, la cultura gli viene offerta in forma concentrata. I risultati del lavoro e dell'assidua applicazione intellettuali diventano autonomi; si svincolano dal processo dell'intelligenza, si ammucchiano come astrazioni condensate e possono venir spiccati come frutti maturi. Diventano disponibili materialmente come beni di consumo, processo questo che da Simmel e altri è definito abitualmente come “oggettivazione del sapere”. E perdendo il legame con le élites che lo produssero, il sapere perde anche il proprio carattere di aristocratica superiorità. Questo processo suscita un problema molto grave: fino a che punto il singolo utente del sapere può ancora esaurire e apprezzare il contenuto accumulato in risultati speculativi condensati? Come i prodotti della civiltà tecnica - apparecchi radio, ad esempio, o automobili - possono venir usati senza il bagaglio di complesse conoscenze indispensabili alla loro produzione, così anche i prodotti spirituali, singole parti del tesoro di conoscenze disponibili, possono venir usati senza che l'individuo abbia bisogno di misurarne tutto il significato. Le idee passano spesso “di mano in mano come recipienti chiusi”. “Il patrimonio culturale pratico si moltiplica tutti i giorni, viene alimentato da tutte le parti, ma lo spirito individuale è in grado di ampliare le forme e i contenuti della propria cultura a un ritmo infinitamente più lento, e in misura infinitamente più ridotta. Quando tutta la civiltà delle cose... è soltanto una civiltà dell'uomo, sicché, educando le cose educhiamo solo noi stessi, che significato possono avere lo sviluppo, il perfezionamento, la spiritualizzazione degli oggetti, che si compiono per così dire spontaneamente, in virtù di regole e di energie intrinseche? E un'ipertrofia dell'enigmatica correlazione esistente fra la vita e i prodotti vitali della società da una parte, e i contenuti esistenziali frammentari degl'individui dall'altra. Nel linguaggio e nelle usanze, nelle concezioni politiche e nelle dottrine religiose, nella letteratura e nella tecnica si è accumulato il lavoro d'innumerevoli generazioni, come spirito diventato oggetto, da cui ciascuno prende quanto vuole, o quanto può, ma che nessuno riuscirebbe a esaurire individualmente; fra l'entità di questo tesoro e l'entità di quanto da esso è stato attinto sussistono rapporti quanto mai molteplici e casuali 18.” Quello che Simmel dice a proposito del sapere vale anche per le multilaterali, disordinate esperienze che l'uomo può acquisire nel mondo diventato piccolo grazie all'accresciuta libertà di movimento (possibilità di viaggiare) e a una partecipazione ubiquitaria, resa possibile dai mezzi di comunicazione di massa, agli avvenimenti mondiali. Oggi ci si reca in America al solo scopo, mettiamo, di presenziare a un congresso sui problemi dell'imballaggio dei generi alimentari, o addirittura perché si è interessati soltanto a certe nuove tecniche a chiusura stagna di determinate qualità di carta rinforzata con una copertura di materiale sintetico. Ma che cosa si è veramente compreso dell'America, al momento del ritorno? La domanda, mutatis 26

mutandis, è valida per noi tutti, e quando, come passeggeri di un aereo a reazione o di un transatlantico, buttiamo là le nostre opinioni gratuite su paesi e continenti stranieri, la nostra sapienza è spesso in condizioni di lamentevole inferiorità rispetto alla preparazione specificamente professionale, di cui ci possiamo a buon diritto vantare esperti. Si è creata una situazione in cui l'uomo, di fronte all'ambiente che lo circonda, deve far buona prova selettivamente più che produttivamente. Beni materiali, che finora non avevano trovato posto nella nostra vita e di cui dobbiamo ancora imparare l'uso, nozioni ed esperienze che significano, sì, potenza e prestigio, ma delle quali non ci possiamo attribuire il merito più di quanto non ci spetti il merito di tutta la prosperità occidentale, nella quale siamo uniti; sorprendenti occasioni ed esperienze di vita, alle quali non siamo ancora preparati e il cui significato resta quindi confuso in molti aspetti, e che non sappiamo valutare: esistono, si presentano senza che noi si debba prender parte personalmente al loro processo formativo. Il superamento interiore di tutto ciò diventa ora il fatto morale su cui si deve fondare un concetto di umanità conforme allo spirito dei tempi. L'individuo nel nostro “secolo del consumatore” si deve affermare in questo mondo di beni, in queste occasioni di vivere pratiche, esattamente come la sovranità individuale si seppe affermare in passato di fronte all'autorità già adulta delle istituzioni politicospirituali. E si potrà discorrere nuovamente, in altro modo, di cultura, solo nella misura in cui oggi il singolo si acquista una qualificazione come “sceglitore di beni," come utente delle occasioni e come creatore dell’offerta. Premessa è in questo caso, ovviamente, la capacità di autolimitazione, di autodominio e - in determinate circostanze - la capacità di rinuncia.

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Dalla deficienza dei beni alla problematica della scelta

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I mercati degli anni intorno al 1950 furono sviluppati e riformati grazie a un notevole nuovo apporto di reddito “discrezionale”. Entro il 1970 più della metà di tutto il reddito personale disponibile avrà carattere discrezionale. E la parte preponderante di tale reddito discrezionale, forse l’85 per cento, apparterrà a 25 milioni di famiglie con un’entrata superiore ai 7.500 dollari…, libere di cambiare completamente, e ripetutamente il proprio tenore di vita. Fortune, giugno 1959

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1 I problemi determinanti dell'economia sono problemi del comportamento umano, e l'affermazione è valida soprattutto nell'ambito del consumo. La scienza economica ha trattato per molto tempo, sotto la definizione globale di “teoria del consumo", teorie relative ai prezzi e alla richiesta e teorie generali di mercato. Si sono fatti studi sul consumo sotto la forma di analisi statistiche del bilancio familiare, e, prendendo le mosse da queste, si sono enunciate dottrine sulla “natura", “gerarchia” e sullo “sviluppo” delle necessità umane, com'è noto a quanti conoscono la storia del pensiero economico. E le problematiche immediate che seguirono furono tante da rendere superfluo, adesso, un nostro insistere su questa problematica. Tuttavia, vi dobbiamo accennare almeno di sfuggita nel quadro delle nostre considerazioni. È sintomatico il fatto che oggigiorno economisti - fra cui alcuni di chiara fama affermino che la scienza economica non ha mai originato, da Adam Smith ad Alfred Marshall, una teoria del consumo che fosse davvero soddisfacente. Non che non si fosse avuto un concetto ben chiaro del consumo - le definizioni esaurienti non hanno mai fatto difetto - ma nessuno fu mai in grado di formulare chiaramente il problema del consumo nel suo rapporto con la società, di rappresentarlo cioè come un problema collegato al comportamento umano. Adam Smith, padre dell'economia politica classica, cui dobbiamo la famosa asserzione citata in tutti i testi, che l'unico scopo della produzione sarebbe il consumo, fece il possibile per elaborare una teoria adeguata a questa produzione. Per Marshall il consumo è 1a distruzione dei beni (destruction of commodities), e questa è - secondo 1a definizione di Kenneth E. Boulding – “l’allegoria della vasca da bagno”, rimasta predominante fino in tempi recentissimi: 1a misura dell'affuso (leggi produzione) meno 1a misura del deflusso (consumo) è uguale alla misura dell'accumulazione 1. È facile, beninteso, ascrivere retrospettivamente questa deficienza alla vecchia scienza economica, che non è l'unica fra le scienze a trovarsi in svantaggio, in questo senso. Il compito più istruttivo, più impegnativo e più attraente della critica dovrebbe essere quello di scoprire come tale deficienza si sia resa possibile. Anche i concetti e le teorie, siano giusti o errati, portano l'impronta dell'epoca in cui vennero formulati. Al tempo di Adam Smith, e fino ad Alfred Marshall, il cosiddetto sistema dell'economia era, toto genere, alquanto diverso da quello in vigore adesso, alla metà del XX secolo, con un'economia industriale altamente differenziata sotto il segno della prosperità, con una produzione che tende costantemente ad aumentare oltre i limiti della possibilità di smercio, con un mercato cui danno l'intonazione non i venditori ma gli acquirenti, con i bilanci dei consumatori pieni di riserve liquide: un'economia di tal genere impone la necessità di riformulare in modo nuovo tutti i problemi classici. Lo ha detto esplicitamente Galbraith con la massima chiarezza: Le teorie economiche classiche furono enunciate tutte in tempi d'indigenza 2. Quando si dice, ad esempio, che parlando di cicli congiunturali converrebbe tenere nel debito conto gl'influssi esercitati dal capitale del consumatore, oppure 1a ripercussione che l'esistenza di scorte presso i consumatori ha sulla produzione (industria tesile), ci si riferisce a semplici dati di fatto, che non avevano nessuna importanza nell'economia di cent'anni fa, e non avevano quindi bisogno di essere elaborati in teorie. Perciò Boulding ha ragione di asserire che il consumo 30

rappresenta il problema principale, e al tempo steso il più spinoso, del capitalismo fattosi adulto. Non riteniamo che nel quadro di quest’opera sia necessaria un'esposizione approfondita della parte sostenuta dal problema del consumo nelle teorie economiche. Una volta stabilito che il pensiero relativo all'economia e le divergenze d'opinione fra le diverse scuole sono determinate in gran parte dalle condizioni reali della società del tempo, sarà sufficiente indicare in quale correlazione il mutamento del pensiero è indicativo per il mutamento che si verifica nella realtà. 2 Entrambi i mutamenti si possono riassumere così: in campo pratico, vediamo una penetrazione sempre più diffusa dell'economia nella totalità della vita sociale, una sua progressiva presa di possesso di settori sempre più vasti dell'esistenza umana. In campo economico-teorico, assistiamo alla scomparsa dell'archetipo dell'homo oeconomicus e al superamento dell'economismo (con questo termine si designa la posizione storica, ideologica che credette di poter enunciare alcune massime esplicative sulla natura e sulla costituzione della società umana partendo da fattori economici e deducendoli da concetti economici). Massime del genere erano già contenute, come tacita premessa anche se non esplicitamente, in molte teorie. Ma qui non si trattava più di quel settore dell'economia politica detto “consumo"; il quale, considerato astrattamente, significava la distruzione e l'abolizione dei beni; bensì della natura di bisogni, che dovevano venir soddisfatti per il tramite dei beni. In realtà, non erano in questione solo tesi economico-politiche, ma anche tesi sociologiche. Lo “sviluppo" dei bisogni venne messo per lo più in rapporto con l'aumento dei redditi e del benessere. Il superamento di questo modo di veder le cose - in psicologia e in sociologia lo troviamo indicato come materialismo e utilitarismo - è in sostanza il superamento del concetto che esistano bisogni puramente economici, orientati esclusivamente verso l'utile, i quali acquistino valore dominante o determinante nel gioco della domanda e dell'offerta. Si trattava di una problematica teoretica, che doveva essere chiarita per l'analisi del consumo considerato come un complesso di fatti sociologici. Il problema centrale, che anche noi ci dobbiamo assolutamente chiarire in questa correlazione, è quindi il problema relativo alla natura e all’effetto di ciò che si suole definire necessità umane. Per molto tempo gli economisti hanno trascurato di indagarle a fondo. Assai più che la natura dei bisogni, li preoccupavano la forza e l'intensità del loro insorgere. Scuole tradizionaliste le spiegavano secondo le teorie dell'utilità-limite economica. La forza di un bisogno era considerata come funzione della quantità di beni atti a soddisfarlo che stavano a disposizione dell'uomo. Quanto maggiore la disponibilità, sostenevano, tanto più limitato il soddisfacimento, che si otteneva solo con l'aggiunta di un'ulteriore unità. Si è affermato, e giustamente, che l'errore di quest'argomentazione consiste nel mettere in rapporto l'intensità del bisogno - e insieme a questa la spontanea volontà di pagare per il soddisfacimento - con la quantità. La teoria del valore-limite ha la sua validità indiscussa nell'economia. Può essere riferita ai beni, al denaro, e concorrere, come modello astratto, a rendere comprensibili rapporti interdipendenti. Tuttavia, è un errore applicarla a fatti 31

psicologici e sociologici, per spiegare nello stesso tempo, deduttivamente, il carattere delle manifestazioni della vita umana. Com'è noto, gli economisti di un tempo erano inclini a considerare i bisogni come un dato matematicamente stabilito. Parlavano di un “sistema", di una “gerarchia", che - per ammissione implicita - erano immutabili e universalmente validi. Sul gradino più basso di questa gerarchia stava il bisogno del nutrimento, ma di regola non si indagava a fondo per tentar di chiarire se si trattava semplicemente del bisogno generale di nutrirsi, oppure di parecchi bisogni di determinati alimenti, e tanto meno ci si chiedeva se fossero bisogni omogenei, spiegabili psicologicamente, o determinati dalla civiltà. Sul secondo gradino, quindi un po' più in alto, veniva il bisogno di vestirsi, interpretato da molti unicamente come necessità di riparare il corpo, senza tener conto del significato specifico dell'abbigliamento come simbolo di ascesa e di distinzione sociale, valido in ogni luogo e in ogni tempo. Al terzo posto si schierava il bisogno della casa che oggi risponde al desiderio personalissimo di dare un'impronta individuale alla propria vita, e si identifica quindi sempre meno con la semplice necessità di avere “un tetto sopra la testa". Infine, venivano “i rimanenti bisogni", compresi riassuntivamente nella quarta e ultima categoria del sistema, oppure - secondo il punto di vista dello studioso - suddivisi in una quarta e in una quinta, come ad esempio fece Frédéric Le Play, al quale dobbiamo lo studio più ampio e completo sul tenore di vita delle famiglie operaie europee, studio condotto nel secolo scorso 3. A proposito dei besoins moraux - noi li chiameremmo bisogni del tempo libero - Le Play dice che “comportano ben poca spesa". A partire dal momento in cui quest'affermazione incomincia a non corrispondere più a verità, i bisogni superiori incidono con un aumento costante sulle spese familiari, e soprattutto i bisogni nel campo dell'alimentazione, dell'abbigliamento e della casa rivelano insospettate esigenze di raffinatezza; da questo momento l'attenzione dei produttori e dei commercianti comincia a fermarsi sui problemi psicologici attinenti al comportamento del consumatore. Nasce così l'analisi di mercato. Il bisogno della casa si sublima, diventa - l'affermazione ci sembra lecita - un vero e proprio besoin moral. Il quale adesso si ramifica lentamente negli ambiziosi desideri - che si vanno perfezionando esteticamente e ben presto si metteranno in reciproca concorrenza - di beni d'uso durevoli, di quei beni di massa simbolo d'affermazione sociale, la cui produzione deve andare incontro a esigenze eminentemente culturali. Questi beni rivoluzionano l'andamento domestico, e non solo tecnicamente, rinnovando e migliorando il tenore di vita; rendono, il che conta assai di più, più comodo e più raffinato l'ambiente delle masse, ossia segnano - nella mobilitazione del consumo di massa una tappa superiore, contraddistinta da una crescente complicazione strutturale dei bisogni. Economisti e commercianti si sono sempre interessati di sapere “per che cosa" la gente spende il proprio denaro. Siccome la gran parte delle spese era assorbita in passato dalla voce alimentazione, è ovvio che le analisi del cosiddetto tenore di vita fossero dirette in preponderanza verso questo settore. L'economia doveva tener d'occhio soprattutto questo, e lo dimostrarono con evidenza inoppugnabile, statistiche alla mano, Colin Clark e altri. Era perciò inevitabile che nelle analisi di bilancio i bisogni riguardanti l'alimentazione e l'abbigliamento venissero designati, come sostanza del fenomeno e, con immediata conseguenza logica, come sua 32

manifestazione esteriore, besoins primordiaux o besoins principaux. Soltanto quando l'economia si inserì come mediatrice nel soddisfacimento dei bisogni superiori la natura sociale di tutti i bisogni - da quello dell'alimentazione a quello dell'istruzione - fu evidente a tutti. Il fatto che ogni bisogno debba essere considerato soprattutto nel suo rapporto globale con la situazione sociale contingente diventò esperienza pratica, concreta. Non esistono bisogni “puramente” economici o materiali, distinti dai bisogni spirituali o ideali “paralleli” o “superiori” a questi. Ogni bisogno è predeterminato essenzialmente dalla totalità delle condizioni del tenore di vita, influenzate a loro volta dai bisogni. Il visconte d'Avenel scrive nelle sue Découvertes d'Histoire sociale: “En réalité, le rôle de chaque commestible, de chaque combustible, de chaque tissu et de presque tous les objets que l'on appelle 'nécessaires' a varié considérablement selon les mœurs, les goûts, les conditions économiques, et surtout suivant les découvertes de la science 4 ”. 3 Sarà opportuno riassumere brevemente la storia delle ricerche, allo scopo di poter inquadrare meglio, su quello sfondo, i problemi attuali: i primi studi degni di questo nome sul rapporto guadagno-spesa vennero condotti già verso la fine del XVII secolo da Gregory King, il quale scoprì che a quel tempo gl'inglesi e i francesi spendevano la metà di quanto guadagnavano per l'acquisto di commestibili e bevande, contro il terzo speso dagli olandesi, il cui tenore di vita era più alto. Ernst Engel, l'emerito statistico prussiano, che svolse indagini analoghe nel XIX secolo, non si accontentò di semplici accertamenti, ma dedicò tutte le sue energie all'enunciazione di una legge generale del consumo. La tesi che porta il suo nome, e che per molto tempo fu considerata parte integrante di ogni teoria di economia politica, dice, ridotta alla formulazione più semplice, che la quota percentuale delle spese per l'alimentazione di una famiglia, o di una popolazione, rispetto alle spese generali è tanto più grande quanto più è basso il reddito della famiglia o del popolo in questione, e viceversa 5. E questa non è solo una legge economica; è stata enunciata anche come legge del progresso sociale. In realtà Engel intendeva affermare che lo sviluppo del consumo in campo alimentare dà la misura del benessere materiale e del progresso materiale dei popoli. Ai giorni nostri Fourastié ha ripreso vigorosamente questa tesi e ne ha fatto uno dei fondamenti della sua teoria della civiltà terziaria. Si è scritto molto su questa problematica, e si è voluto estendere ulteriormente la legge di Engel, applicandola alle spese per l'abitazione. Buona parte delle critiche rivolte a Engel non dovrebbero essere dirette a lui, ma a tutti quelli che hanno esagerato senza necessità la sua tesi, generalizzandola oltre misura. Oggi possiamo constatare che la teoria, sempre che rimanga limitata alle spese per l'alimentazione - il che del resto era nelle intenzioni dell'enunciatore - possiede una relativa validità, purché sussistano determinate premesse sociali ed economiche. In Svizzera, che si trova alla testa dei paesi europei benestanti, la spesa media per l'alimentazione di una famiglia incide su quelle generali in misura che non arriva a toccare il 30 per cento; in Grecia, una delle nazioni più povere del nostro continente, ammonta al 60 per cento. Dalle statistiche americane, che distinguono le condizioni economiche 33

dei cittadini in sei gruppi diversi secondo il reddito, risulta che le quote percentuali delle spese per l'alimentazione rispetto alle spese generali vanno da un minimo del 12 a un massimo del 45 per cento (dal gruppo più alto a quello più basso) 6. Ora non si deve concludere, basandosi su questi dati, d'aver stabilito una legge sociale fissa immutabile. Recentemente si è scoperto che la quota delle spese per l'alimentazione rispetto a quelle generali di una famiglia non diminuisce più a partire da un determinato aumento delle entrate, ma rimane costante. Anzi, è accaduto di riscontrare che questa quota saliva forse sotto l'influsso di certe abitudini dietetiche, di certe mode introdotte nel campo alimentare, ma soprattutto per certi servizi “inseriti” (confezione ermetica o tale da conservare il giusto grado di umidità o la fragranza del prodotto). Le spese per i generi alimentari vanno diventando sempre meno “spese per l'alimentazione” vere e proprie. In ogni caso, la tesi di Engel per una spiegazione sociologica del comportamento del consumatore si è rivelata più fruttuosa dei tentativi compiuti dalle scuole di economia politica per spiegare i fenomeni “del consumo” con rapporti razionali fra prezzo e bilancio, oppure con leggi sul tipo di quella dell'utile decrescente. E quello che conserva validità in Engel, conserva validità anche in Le Play, il quale, nella sua sistematica che oggi ci appare alquanto ingenua, rilevò tuttavia che perfino nei cosiddetti bisogni fisiologici era necessario tener conto della situazione familiare, delle condizioni in cui uno abitava, degl'influssi climatici, della differenza fra il vivere in città o in campagna, del modo di guadagnarsi la vita, ossia, in poche parole, di molti fattori sociali. Le Play non si stancò di ripetere che i nostri bisogni mirano raramente a un appagamento immediato, ma di solito sono intonati alla programmazione a lunga scadenza di tutta la vita. L'uomo può rinunciare al soddisfacimento e prendere, sotto la spinta di motivi più forti, provvedimenti per il futuro. Invece di spendere denaro, ne può mettere da parte: “Cette grande vertu, qui modère les appétits matériels et qui conseille incessamment l'épargne, est, pour les individus comme pour les peuples, le principe de l'indépendance individuelle 7”. Nel XX secolo Maurice Halbwachs si è occupato della sociologia dei bisogni 8. Con lui, l'economismo è stato definitivamente superato. I concetti ch'egli ha formulato non erano, in realtà, nuovi; il suo merito consiste soltanto - e la limitazione non lo diminuisce - nell'aver messo in chiaro rilievo fatti che i teorici dell'economia, abituati al modello astratto dell'homo oeconomicus, avevano dimenticato, esattamente - aggiungiamo noi a questo proposito - come certi cosiddetti esperti intellettuali, i quali, accettando questo modulo, tentavano a loro volta di tracciare un campo isolato di beni ideali. Per Halbwachs il nucleo familiare è l'unità di consumatori tipica e i bisogni vanno riferiti essenzialmente a questo nucleo. Un suo contemporaneo che non dev'essere dimenticato, il geniale visconte d'Avenel, seppe dimostrare, con la scorta di una ricchissima scelta di esempi tratti dalla storia di sette secoli, che il concetto di benessere non può essere inteso in senso materiale. Gli uomini, scrive, maneggiarono il pennello prima di maneggiare la forchetta, costruirono templi e statue quando ancora non erano in grado di fabbricare lampade e ombrelli. Molti nomi d'inventori di oggetti pratici, rivoluzionari nel loro genere, sono caduti nell'oblio, non così nomi di santi e d'eroi che sono tuttora venerati. Non la materia, ma l'ideale è ciò che conta nella creazione e nel godimento umani. Ideale in questo senso è la tendenza insita nella nostra costituzione sociale e spirituale, che trascende la natura: “Ce qui, en soi, n'est pas 34

‘naturel', c'est ce que nous appelons nos ‘besoins'. Ceux qui nous paraissent de ‘première nécessité', sont tous artificiels 9 ”. La prima teoria sistematica e scientificamente fondata del consumo di massa fu enunciata da una donna, l'americana Hazel Kyrk, dopo la prima guerra mondiale. Il saggio esauriente e brillante, fu premiato subito dopo la pubblicazione, e da allora non ha perduto praticamente nulla della sua attualità: tuttavia, oggi è conosciuto solo da pochi economisti americani della vecchia generazione. Molto spesso bibliografie importanti non lo menzionano affatto. Esempio tipico di quei casi inesplicabili, in cui un'opera di valore viene dimenticata, forse perché al tempo della sua comparsa la coscienza dei più non era abbastanza matura da accoglierla. Hazel Kyrk ha polemizzato vivacemente con le scuole di economia politica, dimostrando che nel processo economico il consumatore è stato considerato quasi senza eccezione solo come utente, ma non nel suo aspetto fondamentale di “colui che sceglie”. Vista in tal modo, la sua parte diventa troppo passiva. La transizione dall'economia dell'indigenza all'economia della prosperità ha permesso di riconoscere sempre meglio la parte determinante di chi sceglie. Hazel Kyrk dimostra esaurientemente che la cosiddetta manipolazione dei bisogni del consumatore in realtà non è che la reazione a esigenze sempre più differenziate, la cui determinazione diventa un problema immane della comunicazione nella moderna economia dello smercio. “Tutti i problemi del consumo si riducono in fondo a un unico problema di scelta e di valutazione, sia per l'individuo, sia per l'intera società 10”. Perciò lo studio non resta limitato all'acquisto e al consumo dei beni, ma si estende già ai motivi del desiderio, quindi a tutto il complesso di rapporti che regolano la vita. Proviamo ora a compendiare le più importanti conoscenze scientificosociologiche sulla natura dei bisogni umani: 1) Fin dove è lecito parlare di singoli bisogni, questi non esistono come grandezze isolate; sono inseriti nelle condizioni di vita contingenti, nella cui totalità si distinguono e assumono significato. Dipendono perciò dalla costituzione della società, sulla quale a loro volta esercitano un influsso. 2) Non esistono bisogni puramente naturali (puramente fisici e fisiologici), siano essi il bisogno di nutrirsi, o di disporre di un'abitazione, o di vestirsi e via dicendo. Si tratta sempre di bisogni di determinate forme di nutrimento, di vesti, di casa ecc., caratterizzati quindi da aspetti particolari della civiltà. Di solito non si vuole “soltanto mangiare”; si vuol orientarsi verso determinate usanze e abitudini, verso determinati tempi e verso determinati luoghi. 3) Poiché l'uomo, a differenza degli animali, ha coscienza del proprio passato e del proprio futuro, anche i suoi bisogni non sono semplicemente quelli del momento. E di rado tendono a una soddisfazione immediata; di solito sono determinati da ciò che l'uomo vorrebbe essere, o intende avere, in un tempo successivo. Portano quindi l'impronta dei progetti e delle speranze, delle esperienze del passato e delle preoccupazioni per l’avvenire. 4) I bisogni, se intonati ai progetti per il futuro, sono spesso, anziché individuali, collettivi, sono bisogni della comunità. E la comunità tipica è in questo caso la famiglia, su cui influiscono il ciclo vitale (età dei figli), l'estensione della comunità 35

convivente (numero dei membri), le condizioni municipali (città o campagna), il mestiere o la professione, il ceto, i principi direttivi morali e numerosi altri fattori. 5) La stessa diversità derivante dalla loro natura specifica, che si riscontra fra bisogno e bisogno, esiste anche nel modo di soddisfarli. Spesso un dato bisogno viene appagato per mezzo di più oggetti (ad esempio il bisogno di cibo), e all'inverso, si può dire che un determinato oggetto serve al soddisfacimento di vari bisogni (ad esempio una seggiola, che non solo serve per sedersi, ma contribuisce anche alla fisionomia dell'arredamento domestico). E con questo passiamo dal campo della teoria economica a quello della sociologia, che ha aperto nuove strade allo studio del comportamento economico e dei desideri umani. 4 Le indagini economiche, oggi, non si prefiggono più di stabilire e descrivere una “struttura fondamentale” dei bisogni, che permetta di spiegare definitivamente, una volta per tutte, il comportamento del consumatore. Il loro scopo non è di scoprire un aspetto generale del bisogno di nutrirsi, di vestirsi, di avere un'abitazione, e nemmeno di stabilire un rapporto generale fra questi bisogni. Il termine “bisogno” viene usato con sempre maggiore disinvoltura. È diventato una parola che implica sempre meno esigenze in senso assoluto. Molto spesso ci si imbatte in espressioni che designano condizioni psicologiche dei gruppi umani. Concetti come quello di “livello di esigenza” o di “desiderio di prestigio” indicano condizioni dinamiche, che sarebbe assurdo voler ridurre a un semplice meccanismo economico. Il significato psicologico e sociale di molti oggetti di produzione recente, la loro rivalità per ottenere la momentanea preferenza dei consumatori, subitanei cambiamenti nelle quotazioni sociali, la funzione dei beni durevoli come forma d'investimento di capitale da parte di famiglie neocostituite: in tutto ciò si manifesta un'immensa complicazione strutturale della richiesta. I consumatori - dicevamo - diventano più attenti nella scelta, più esigenti, più attivi in ragione diretta del loro aumentato potere d'acquisto. La strada che porta dalla povertà alla ricchezza porta dalla semplicità alla differenziazione. E con questo sviluppo, con la suddivisione e con la specificazione dei desideri del consumatore, aumenta al tempo stesso la loro instabilità. I fattori che costituiscono oggi la richiesta di articoli di abbigliamento, di elettrodomestici, di automobili, di abitazioni e di viaggi di diporto migliori, sono non solo più complicati, ma anche più labili di quelli che determinavano un tempo il “bisogno prestabilito” di pane, di carne o di tessuti. Lo studio dei movimenti congiunturali rende perciò sempre più indispensabili analisi psicologiche e sociologiche condotte parallelamente. All'evoluzione - apparentemente ancora in moto accelerato - che si verifica nelle nostre condizioni e nelle nostre abitudini di vita, corrispondono i continui cambiamenti strutturali di singoli mercati, che possono venir collegati a crisi di nuovo genere in certe branche e in certi settori parziali dell'economia, ma non sono assolutamente in contrasto con la crescente prosperità dei popoli. Domanda e offerta diventano un dialogo fra i contemporanei e la società. L'analisi di mercato assume il carattere proprio dell'indagine sociale, che non 36

considera l'individuo homo oeconomicus bensì homo sociologicus 11. Perfino nel campo dell'alimentazione, compresa un tempo fra i bisogni puramente fisici, è subentrata un'inconsueta raffinatezza dei prodotti, e gli articoli di mercato dell'industria alimentare ne sono il miglior esempio. Il concetto della saturazione perde sempre più il suo significato originario nell'economia di mercato. Nel gergo dei venditori è stato sostituito da un termine nuovo, in cui si avverte a malapena la metafora fisiologica: il termine di “stanchezza dell'acquirente I produttori in gamba non la interpretano come un riferimento al consumatore, ma come un riferimento alla propria incapacità, come un indice della mancanza di agilità o di fantasia nella presentazione dell'offerta. Nel 1955, negli Stati Uniti avevano calcolato che il reddito medio degli operai, continuando l'incremento della prosperità, sarebbe salito alla fine degli anni '60 a 7500 dollari 12. In tempi piuttosto recenti William Fielding Ogburn ha considerato il significato sociologico del mutamento strutturale delle spese con l'aumento dei redditi, prendendo come testo di osservazione famiglie con un reddito di 3800 dollari e famiglie con un reddito annuo di 7600 dollari. Queste ultime, secondo le statistiche sulle quali Ogburn aveva basato il suo studio, spendevano il 35 per cento del bilancio per la casa e il suo arredamento, il 16 per cento per l'abbigliamento e i prodotti di toeletta, il 12 per cento per l'alimentazione, il 9 per cento per l'automobile e l'istruzione, il 6 per cento per i trasporti e i divertimenti, infine il 3 per cento per l'assistenza sanitaria e per i farmaci. Questo, paragonato alle spese delle famiglie con un reddito annuo di soli 3800 dollari, significa un aumento del 60 per cento nelle spese per l'alimentazione, del 110 per cento in quelle per il vestiario e per la casa, del 145 per cento per gli svaghi, del 300 per cento per l'istruzione e nientemeno che del 500 per cento per i trasporti. Ogburn ha esposto con molta chiarezza la ripercussione di questo fenomeno sulla situazione economico-sociale della popolazione, concretando nelle spese per il mantenimento quello che noi definiamo comunemente accresciuta prosperità. Se ci chiediamo a nostra volta qual è il significato della mutevole struttura del costo della vita per il funzionamento dell'economia di mercato, ci troviamo già la risposta bell'e pronta: con la partecipazione sempre più diffusa al godimento dei beni e dei servizi molto valutati socialmente, aumenta la differenziazione e la sottigliezza dei bisogni e, contemporaneamente, la dipendenza dell'economia da fattori psicologici. In seguito, ritorneremo più esaurientemente su questo punto. Ora, però riteniamo opportuno parlare in primissimo luogo di quell'istanza che l'esame metodico e corrente dei rapporti ha riconosciuto come premessa necessaria per un controllo economico efficace: l'indagine del consumatore. 5 L'attuale indagine del consumatore è diventata uno dei campi della moderna indagine empirica del comportamento (behavioral science), che a sua volta non è che un ramo dell'indagine sociologica generale. Tale indagine del consumatore si può svolgere in tre direzioni: 1) come indagine generale economico-psicologica (indagine congiunturale), dalla quale si ricava la situazione contingente dell'economia generale attraverso 37

esami globali della capacità e della disposizione all'acquisto da parte della massa, il che rende possibile la diagnosi e la misurazione del “clima d'opinione” economico; 2) come analisi di mercato particolare al servizio di singoli produttori, e diretta a determinati beni, categorie di beni o marche, condotta per lo più con la massima discrezione dagl'istituti di proprietà dell'economia privata, oppure dietro loro incarico riservato; 3) come indagine generale delle condizioni economico-domestiche in cui la massima attenzione è dedicata sistematicamente non a un determinato prodotto, o alla situazione economica generale, ma alla famiglia come unità di consumatori. Ma questa suddivisione - non lo si dimentichi - non va intesa in senso rigorosamente sistematico, solo come una ripartizione di vari aspetti. L'indagine economico-psicologica non è, naturalmente, solo un'indagine del consumatore: esamina anche il comportamento del produttore, ad esempio di fronte alle banche, quello dei commercianti, degli agricoltori e di altri gruppi, fin dove presenta qualche interesse per l'economia generale. Il comportamento del consumatore, che nel nostro schema costituisce il concetto dominante, è anch'esso, visto così, solo un obiettivo parziale, benché sia uno dei più importanti. La disposizione all'acquisto o la riluttanza del consumatore, i suoi investimenti dettati dal coraggio o la sua tendenza al risparmio, la sua disponibilità più o meno grande di riserve: a tutto ciò si deve attribuire un'importanza assai maggiore del peso che possono avere isolate misure dei produttori o dei governi. L'inespressa ma diffusa convinzione che le decisioni determinanti il corso dell'economia spettino ai produttori o ai governi non ha più valore di assioma. George Katona si è chiesto per primo a quali reazioni avrebbe condotto la scoperta che alcuni milioni di bilanci familiari possono influenzare lo sviluppo economico più di alcune migliaia di imprese commerciali. Gettando i fondamenti teoretici della psicologia economica empirica, Katona ha elaborato una serie di concetti idonei che finora, però, non erano altro che termini tecnici isolati nei commentari economici, ad esempio espressioni come consumer latitude e consumer discretion, per le quali è difficile trovare l'equivalente italiano. Consumer latitude significa una maggiore libertà per l'acquirente, indica le possibilità offerte obiettivamente alle sue decisioni individuali di consumo e di investimento; consumer discretion è la facoltà soggettiva nel caso concreto, in cui deve decidere effettivamente. Un terzo concetto, che segna il perno dell'indagine congiunturale, è quello del denaro a libera disposizione, del cosiddetto reddito discrezionale (discretionary income). Come già accennato, vi si deve comprendere quella parte del bilancio che rimane dopo averne dedotto le spese domestiche correnti abituali. Il denaro “rimanente” non è, beninteso, denaro superfluo, di cui si possa disporre a capriccio, sebbene questa evenienza non sia da escludere. In realtà si tratta di un bisogno essenziale, ossia di quel bisogno “superiore” dei beni caratteristici del nostro tempo, altrettanto importanti del pane quotidiano. Quello che a noi interessa in questa connessione è il significato economico dello spostamento verificatosi nell'ambito delle spese a favore di quelle che richiedono maggior riflessione, un più attento esame e una capacità di decisione più cosciente rispetto alle spese consuetudinarie. Il che, espresso altrimenti, dimostra che con l'aumento del 38

benessere gli elementi psicologici acquistano sempre maggior importanza nel processo congiunturale. Il denaro disponibile si può concentrare oggi su questo, domani su quel mercato, ora può venir impiegato in prevalenza nell'acquisto di automobili, ora nell'acquisto di appartamenti, può essere speso a volte più lentamente, ma non è escluso che possa anche venir messo da parte e risparmiato. Molte sono le decisioni possibili, ma i motivi di quella scelta che può diventare addirittura fonte di tormento per il singolo individuo, fanno aumentare il numero degl'imponderabili nello sviluppo globale. I beni subordinati al reddito discrezionale sono i “beni d'uso durevoli” - che non si acquistano tutte le settimane, bensì in determinate epoche, e anche la scelta dell'epoca è materia di una decisione speciale - e i servizi. I fornitori di questi beni e di certi servizi (come il turismo) sono quindi più esposti ad avvertire le crisi di quanto non Io siano i produttori di beni primari (generi alimentari), oggetto di un consumo più regolare e più abitudinario. Una volta si diceva che le previsioni economiche erano grigie quando l'annata andava male per gli agricoltori. Ma gli agricoltori devono aver risentito ben poco dell'ultima recessione americana, mentre l'ha avvertita anche per loro l'industria automobilistica. 6 Opinioni, umori, aspettative, timori: queste le motivazioni segrete che possono venire indicate e provate come fatti psicologici posti a fondamento dell'economia. L'analisi congiunturale d'un tempo si accontentava di esaminare le manifestazioni e le conseguenze del comportamento economico degli uomini. Si parlava di comportamento dei prezzi, dei salari, degl'investimenti, come se prezzi, salari e investimenti avessero avuto tendenze e intenzioni proprie, analoghe a quelle umane. Astrazioni economiche venivano descritte ricorrendo alle categorie psicologiche. La moderna indagine psicologico-economica, il cui sviluppo resterà legato al nome di G. Katona, va più a fondo. Cerca di comprendere le tendenze psicologiche (trends in attitudes) e partendo da questo punto può anche azzeccare predizioni molto attendibili per lo sviluppo economico generale 13. Riconosce che certe fluttuazioni congiunturali vengono causate da mutamenti di comportamento e di tendenza di determinate categorie di consumatori e gli sviluppi economici ch'essi determinano rappresentano notoriamente il tipico “adempimento autoprovocato” delle loro aspettative (self-fulfilling expectations). Si ad esempio, che i prezzi salgano e si compera; poi, quando i prezzi salgono veramente in conseguenza di questo comportamento, si vede nel rialzo la conferma di aver avuto ragione al momento dell'acquisto. Un'analisi a lungo termine degli sviluppi economici non è più possibile, se non si procede a un'analisi di queste aspettazioni e di questi desideri. Merita di essere messo in particolare rilievo il fatto che in Europa espressioni come disposizione all'acquisto, fiducia dei compratori o pessimismo economico non sono più, assolutamente, concetti imprecisi e nebulosi; indicano situazioni concrete, che riducono l'indagine empirica a termini di quantità, rendendola altrettanto evidente quanto gli sviluppi commerciali suffragati dai dati di produzione e di smercio. E, come si è dimostrato, il conoscere le tendenze a lunga scadenza in un clima di opinione dominante rende possibili anche altre previsioni. Adesso suscita 39

particolare attenzione lo studio delle tendenze inflazionistiche. Siccome nell' “inflazione” o nella “recessione” non esiste, contrariamente a quanto affermavano le dottrine tradizionali, un determinato contegno umano unitario, poiché i mutamenti di livello dei prezzi possono avere reazioni sia positive sia negative anzi in certi casi non ne hanno affatto - situazioni del genere servono soprattutto a una chiarificazione economico-psicologica. E, nei limiti di questa chiarificazione, è possibile in seguito anche la sorveglianza. René König ha definito l'indagine sociale coscienza politica della società moderna; sotto l'aspetto dell'indagine economico-psicologica, essa diventa il principio cosciente di un'economia di mercato che esercita un'azione permanente di controllo. In una opera recente, Katona ha descritto gli orientamenti economici e psicologici assunti durante un'evoluzione di sei anni secondo prospetti comparativi. C'è da augurarsi che il suo valore venga apprezzato quanto prima anche nei circoli economici europei, perché è il primo rapporto completo e di ampio respiro sull'indagine sociale applicata all'economia politica. L'orientamento economicopsicologico, ossia il cosiddetto indice di comportamento e d'opinione, fu ricavato da svariatissimi dati: prima di tutto dalle opinioni dei consumatori intervistati a questo scopo sulla loro situazione professionale e finanziaria; in secondo luogo dai pareri sugli attesi sviluppi economici del paese; in terzo luogo dai giudizi sulle condizioni del mercato al tempo dell'inchiesta, e in quarto luogo dalle intenzioni relative agli acquisti manifestate dagl'interrogati (progetti di acquisto). Si dimostrò così che in certe svolte critiche dello sviluppo economico l'indice psicologico precorreva quello economico (per il quale, in casi analoghi, veniva preso come base il giro d'affari nel settore dei beni d'uso!). Nel 1954 l’indice di comportamento e di opinione salì oltre la curva della domanda, e nel 1957 cadde molto prima che si potesse parlare, economicamente, di una recessione. L'esame retrospettivo dell'ultima recessione americana fu quindi anche straordinariamente ricco d'insegnamenti. La recessione fu più che altro una crisi d'investimenti, iniziatasi come processo psicologico, come crisi di fiducia (deterioration of attitudes) già nell'estate del 1957. Quando si produssero gli effetti economici di mercato la forza d'acquisto effettiva delle masse rimase in un primo tempo assai alta e durò per tutto il primo semestre del 1958; il regresso del reddito nazionale fu insignificante - si ebbero addirittura aumenti salariali - e le spese per le necessità quotidiane, particolarmente nel campo dell'alimentazione, non diminuirono affatto. Ancora verso la fine del 1957 si poteva arguire, con motivi economicamente fondati, che il 1958 sarebbe stato un'ottima annata per il commercio delle automobili. Ciò nonostante, l'indice della produzione industriale cadde all'improvviso, e sensibilmente, mentre al tempo stesso la disoccupazione registrava una punta di 5,2 milioni. Fu la diminuzione degli investimenti - quelli dei produttori e quelli dei consumatori (acquisti di beni d'uso) - a costituire la crisi economica. Si era diffusa e generalizzata l'opinione che fosse meglio non procedere a nuovi acquisti, sicché il consumo - il dovere che la massa stava trascurando mise nei pasticci l'economia di mercato e la sua stabilità. Oggi sappiamo che questa situazione ebbe un carattere transitorio e fu risolta da un nuovo anno di primati, e le ulteriori indagini rivelarono che le basi dell'ottimismo economico americano non erano state intaccate per niente.

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7 Nelle pagine precedenti abbiamo distinto teoricamente l'indagine sui consumatori in tre gruppi, o indirizzi; finora ci siamo occupati soltanto del primo, quello diretto verso l'indagine economico-psicologica, che esamina la situazione generale dell'economia di mercato. Il secondo gruppo, quello dell'analisi di mercato e dell'analisi dei motivi, così come vengono condotte da singoli produttori per determinati beni, o categoria di beni, o mercati, formerà oggetto del nostro esame più avanti, quando discuteremo a fondo del valore sociale e del significato personale di beni e servizi, nel quarto capitolo di quest'opera. Per il momento, ci limiteremo a caratterizzare il terzo orientamento: l'indagine sociologica delle condizioni economiche familiari, per il cui studio la sociologia sta dimostrando da qualche tempo in qua un interesse sistematico tutto particolare. L'indagine sui consumatori diventa in realtà un'indagine sulle famiglie, e quindi un'indagine sociale nel senso originario del termine. Infatti, adesso non è più possibile dire dove termina l'indagine sull'economia domestica e dove incomincia quella sulle famiglie. L'una si fonde nell'altra, e se a volte la prima sembra subordinata alla seconda, i casi contrari, in cui la seconda prevale apparentemente sulla prima, sono altrettanto numerosi. Il contributo che l'indagine sui consumatori ha portato allo studio della famiglia moderna è considerevole, e sarebbe un gran bene se trovasse maggiori consensi anche fuori degli ambienti specializzati. Il significato che il ciclo vitale, la grandezza del nucleo familiare, il numero dei figli, le condizioni di abitazione, i motivi personali fra i coniugi e gl'influssi esterni rivestono per la disposizione all'acquisto, per il livello delle esigenze, per la valutazione del reddito, per il desiderio d'istruirsi, per l'acquisto dell'automobile, per le spese domestiche e per altre cose è già stato studiato in America così esaurientemente, che i risultati si possono considerare di un'importanza tale da superare il mero interesse psicologicoeconomico. Ormai si può affermare che l'indagine sull'economia domestica costituisce la parte scientifica dell'indagine sulle famiglie. Il mantenimento di una famiglia diventa sempre più un'impresa eminentemente economica. A capo di quest'impresa sta la donna. È il direttore dell'azienda domestica, e la sua emancipazione sociale si rivela in mille particolari. Esiste anche una problematica della tecnica aziendale domestica vera e propria, che dovrebbe trovare il posto che le spetta nello studio sociologico globale sulla famiglia. Le famiglie sono piccole ditte in espansione e non lo diciamo solo per stabilire una certa analogia. Sono imprese dinamiche, che si espandono nei primi periodi del ciclo familiare, si consolidano negli anni successivi, vogliono essere programmate altrettanto razionalmente e amministrate altrettanto saggiamente delle aziende produttive registrate alla camera di commercio. Negli ultimi anni sono stati pubblicati in America numerosi manuali destinati a illustrare i problemi di una conduzione sensata dell'economia domestica 14. Trattano, tanto per citare qualche esempio, di una ripartizione equilibrata del bilancio, delle compere giornaliere, delle questioni relative alla stipulazione dei contratti assicurativi sulla vita, dell'acquisto di oggetti, dell'accensione di ipoteche, dei problemi della pigione, ma anche dei metodi di vendita e dei sistemi pubblicitari di negozianti e produttori. Di particolare significato in questo senso sono anche le pubblicazioni mensili dell'unione dei consumatori, che informano sulle qualità dei beni, delle marche e 41

dei tipi più diffusi. Vi si trova un campo ricchissimo di istruzioni e di notizie che vanno dalle qualità degli articoli di marca più diffusi fino ai prezzi che gli autosaloni chiedono per le macchine usate, con l'indicazione del modello e dell'anno in cui sono state fabbricate. La programmazione economica della vita familiare era considerata dalla vecchia letteratura economica soprattutto come una questione attinente al risparmio. La discussione sul comportamento del consumatore si limitò per lungo tempo, cosa quanto mai sintomatica, all'alternativa fra lo spendere il denaro o il risparmiarlo. La differenza veniva determinata psicologicamente ed economicamente. Economicamente, si diceva che il denaro speso rimaneva nel processo economico, mentre quello risparmiato gli veniva sottratto, salvo che le casse di risparmio e le banche lo reimpiegano immediatamente e lo fanno “lavorare” di nuovo. Psicologicamente, si diceva che il denaro speso soddisfaceva generalmente determinati bisogni immediati, mentre quello messo da parte serviva al soddisfacimento di bisogni futuri. “Risparmia al momento buono, e sarai provveduto al momento del bisogno!” In effetti la limitazione dell'argomento a quest'alternativa monetaria aveva una certa giustificazione reale nel XIX secolo. Perché nella vecchia società borghese, con i suoi limitati bisogni di casta, con una mentalità economica dominata non dallo standard del consumo, ma dallo standard dell'accumulazione (Schumpeter), si metteva da parte quasi senza eccezione ciò che rimaneva dopo aver coperto il “bisogno predeterminato”. La maggior preveggenza per i bisogni del futuro - e quindi la sempre maggior diffusione di una programmazione della vita - diventò per l'appunto in quel periodo uno dei principi socio-psicologici del benessere borghese. Le Play, che definì la programmazione della vita e il risparmio da questa motivato la grande virtù dei popoli progrediti (e al tempo stesso la miseria del mondo sottosviluppato!), vi scorse la fonte morale di un miglioramento dell'esistenza della classe operaia del tempo. Con il sentiment de prévoyance, scrive Le Play, l'élite dei lavoratori si prepara il passaggio dal proletariato alla borghesia. Una caratteristica del borghese, dice, è quella di non campare “alla giornata”, di non spendere e consumare quello che ha, ma di conservarlo e moltiplicarlo. Qui lo spirito del progresso non solo non vien contrapposto allo spirito conservatore, ma soprattutto è reso comprensibile grazie a quest'ultimo. Perché la preoccupazione per il futuro, il lavoro per il futuro, la tendenza al risparmio e il desiderio di avere qualcosa da parte, sono, a loro volta, nient'altro che circonlocuzioni, seppure più limitate, del bisogno di sicurezza sociale, di quel bene oggi così ovvio, che è diventato la parola d'ordine della politica sociale contemporanea e che il visconte d'Avenel, un compatriota di Le Play di cinquant'anni più giovane di lui, dipingeva ancora come il lusso del medioevo. 8 Con l'aumento del reddito, del tenore di vita e del benessere generale il valore del risparmio subisce, naturalmente, un cambiamento. Risparmio e aspirazione alla sicurezza sociale non convergono più. E non è più esatta l'affermazione che solo il denaro risparmiato assicura il soddisfacimento dei bisogni futuri, a prescindere totalmente dal fatto che tendenze inflazionistiche a lungo termine diventano innegabilmente inevitabili fenomeni collaterali della prosperità. La 42

programmazione del governo familiare in circostanze nuove si concentra di preferenza su un'accorta politica di investimenti. L'acquisto dei beni giusti nel momento giusto e nel modo giusto: questo rappresenta in misura sempre crescente il modo di “costruire per il futuro”. Questo futuro, di cui si dice ch'è già incominciato, ce lo si assicura rimanendo, in qualità di consumatori, all'altezza del presente. Il risparmio assume altre forme. Non perde affatto il suo significato: ma il significato cambia. Gli acquisti rateali, oggigiorno, non sono altro che una nuova forma di risparmio, che stimola sempre maggiormente l'economia dello smercio come servizio offerto alla clientela, e la regola sempre meglio. Sottolineiamo ancora una volta che le ricerche compiute per spiegare questo fenomeno non rivelano in alcun modo che sia un segno di sconsideratezza, o addirittura uno sperpero. È invece la manifestazione di nuove possibilità di programmare la vita, e le condizioni analoghe nel campo produttivo sono già comunissime. Si calcola che in futuro prevarrà sempre più l'abitudine di acquistare a credito anche i generi alimentari. Si ordinerà, probabilmente una volta la settimana, un grosso pacco di generi alimentari d'uso quotidiano e lo si pagherà con un assegno. Il tempo per la spesa giornaliera è diventato troppo prezioso per la donna di casa, soprattutto se, oltre a occuparsi delle faccende domestiche, svolge un altro lavoro. Perciò provvederà personalmente agli acquisti solo quando si tratta di oggetti speciali, o di spese di maggior rilievo, che richiedono più riflessione e una scelta accurata, com'è il caso dei vestiti, dei mobili, degli oggetti d'uso tecnico e anche di determinati generi alimentari. A questo scopo vengono utilizzati i sabati liberi, la pausa di mezzogiorno e la sera, e nessuno è in grado di stabilire come questa evoluzione si ripercuoterà sulla struttura del commercio al minuto. Anche il governo della casa comporta decisioni di maggiore e di minore portata, esattamente come quello di una azienda produttiva. Nelle decisioni che non concernono le spese ricorrenti tutte le settimane, o tutti i mesi, ma che si riferiscono alle spese “straordinarie", risiede la spiegazione delle fluttuazioni e delle irregolarità nei processi economici solitamente “normali", vale a dire abituali. Katona si è chiesto in quale misura un comportamento più ponderato (outlays of choice, genuine decisions) possa essere oggetto di analisi empiriche. In fondo, dice, per noi contano solo poche, ma importanti decisioni, che portano mutamenti nello svolgimento abituale della vita economica 15. Tuttavia, non è possibile far coincidere l'azione abituale e l'azione ponderata con le sfere convenzionali delle spese. La partecipazione e la portata delle decisioni individuali nell'acquisto di determinati prodotti non si possono inquadrare statisticamente. Già il determinare il concorso di abitudini o di riflessioni particolari nelle spese per dati prodotti costituisce oggetto d'indagine pratica, e non materia di una spiegazione preventiva. Acquisti d'automobili possono essere abituali, la scelta di una nuova marca di sigarette può avvenire dopo accurata riflessione. In generale, si può tutt'al più supporre che “quanto più piccola è la spesa in rapporto alle spese complessive, e quanto più spesso vien fatta, tanto più è probabile che si tratti di un comportamento abituale 16”. L'osservazione pratica dimostra inoltre che questo è il caso degli articoli d'uso quotidiano, che per lo più vengono acquistati sempre nello stesso luogo e alla stessa ora. Con questo non è detto affatto, però, che tutte le spese per questi beni avvengano regolarmente. Mutamenti di ogni genere nella famiglia e nel governo 43

della casa possono portare in qualsiasi momento all'abbandono di forme di consumo abituali, abbandono al quale contribuisce del resto il mercato stesso, offrendo costantemente novità. Si può verificare anche il caso contrario: spese più rilevanti, per l'acquisto di beni durevoli, che di solito richiedevano maggior riflessione, possono diventare un'abitudine, e lo conferma l'esempio di quelli che scambiano tutti gli anni l'automobile usata con una nuova. Katona respinge inoltre l'asserzione che un comportamento abitudinario non sia programmato, non sia quindi un comportamento razionale, e dimostra che può essere regolato molto particolareggiatamente, perciò ben ponderato, mentre d'altro canto decisioni particolari possono venir prese senza riflettere, ed essere quindi sconsiderate. Anche il risparmio può diventare abitudine, oppure essere materia di un particolare atto volitivo. Un tempo succedeva speso che si mettesse da parte quello che rimaneva dopo le spese abituali. Con l'aumento del reddito si cominciò a chiedersi quanta parte dell'avanzo andava risparmiata. E a questa riflessione, se la soluzione del risparmio è stata scartata, segue la domanda: come impiegare la parte che si vorrebbe spendere? Il fattore tempo, però, sostiene invariabilmente la parte del protagonista nell'andamento economico. Le decisioni si riferiscono costantemente a due punti: agli oggetti e al tempo. Quando e perché il consumatore è disposto a investire o a risparmiare? 9 La prosperità dei paesi occidentali, in costante progresso, è - definita in termini economico-psicologici - la crescente possibilità degl'individui di disporre liberamente di denaro. Il ruolo determinante di fattori soggettivi (progetti personali, preferenze, aspettative e così via) aumenta in rapporto a determinate dipendenze (situazione del reddito, ciclo familiare ecc.). “ The richer a community, i.e., the larger the number of families who are in a position to make many genuine decisions, the more probable it is that “subjective' factors Will influence economic developments 17." [Quanto più una comunità è ricca, vale a dire quanto maggiore è il numero delle famiglie in grado di decidere liberamente, tanto più ci si deve attendere che fattori “soggettivi" influiscano sugli sviluppi economici.] Questa constatazione così significativa di Katona ci richiama alla mente la legge di Ernst Engel; di più, ci sembra addirittura la sua trasposizione psicologica. D’altro canto, non è, beninteso, né più né meno della banale verità che la libertà di dare un'impronta personale alla propria vita aumenta con la ricchezza. La disponibilità di denaro diventa sempre più un atto esecutivo della facoltà di disporre della propria vita, di determinare la propria condotta per il presente e per il futuro, e i beni caratteristici del nostro tempo offrono anche nuove possibilità di sviluppo alla persona umana. L'economia, oggi, si presenta alla società come intermediaria per l'appagamento dei suoi bisogni più elevati. Ma l'economia avrà la possibilità di corrispondere qualitativamente alle nostre istanze di una maggiore libertà al fine di poter adempire i nostri compiti “superiori "? Il contributo dato dalle scienze sociali a una migliore conoscenza dei problemi relativi al comportamento dei consumatori, può essere considerato oggi più significativo e più attendibile di quello delle scienze economiche; non si interpreti 44

però questa constatazione come un'accusa di deficienza specifica rivolta alle scienze economiche. Risulta semplicemente dal fatto che con l'allargamento della sfera individuale e delle possibilità d'indipendenza nel comportamento del consumatore, le sue limitazioni sociali e personali sono diventate più attuali, più avvertibili e più gravi di conseguenze. Perciò anche l'attenzione scientifica si deve spostare, di pari passo con la crescente prosperità, dalle circostanze oggettive “dell’andamento economico" o “della situazione economica" alle disposizioni soggettive dell'uomo. Il potere d'acquisto è oggi la forza vitale di una società conquistata dall'economia. Il modo con cui questa forza vitale si manifesta attraverso istituzioni ramificate, l'elasticità del" la sua regolarità e della sua intensità, la sua partecipazione in continuo spostamento lungo i singoli campi dell'offerta; i momenti e i periodi in cui si presenta più forte o più debole, ma soprattutto gli oggetti concreti in cui si spreca o in cui procede creativamente a investimenti a lunga scadenza, al punto da precorrere spesso il proprio incremento: tutto ciò si sottrae alla competenza economica ed è sempre più difficile da spiegarsi secondo il meccanismo di mercato quanto più dipende dalla riflessione, dal giudizio e dalle decisioni personali, dalla tensione d'influssi interiori ed esteriori, dalla polarità di ambizioni individuali e di riguardi sociali. Il che significa in ultima analisi che anche la stabilità del nostro sistema economico di mercato può venir scossa da una disciplina imposta dall'esterno e da misure estrinseche. Ciò che conta in primissimo luogo è un comportamento ponderato dei consumatori, che conferisce la stabilità morale e l'equilibrio interiore al clima d'opinione economico, evitando l'instaurarsi di psicosi e i salti fatali nelle curve della domanda, le quali da parte loro danno poi l'avvio a quelle spirali che conducono alla crisi. Quanto più è globale l'aspetto assunto dal sistema della nostra economia di mercato, tanto più diventa importante - come condizione di massa - la fiducia economica degli uomini. A giusta ragione Katona la definisce chiave di un'economia di mercato stabile.

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La storia del consumo di massa come rivoluzione sociale

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Il bisogno di prodotti “scelti" assumerà quantitativamente dimensioni tali da superare l'immaginazione più ardita... Il carattere assunto storicamente dai vari popoli scomparirà di fronte al carattere semplicemente umano, personalmente individuale, che tende ad assumere una fisionomia comune a tutti col progredire del commercio fra gli uomini. WERNER SOMBART (1952)

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1 II termine “nuovo ricco", predicato di sapore alquanto snobistico con cui gli appartenenti alla cosiddetta buona società designavano un tempo singoli “risaliti " si estese ben presto, col diffondersi del benessere generale, alle “masse”. Come nel caso dei parvenus isolati, così anche in quello della massa non esprimeva tanto l'evento economico dell'arricchimento quanto il fatto che coloro che erano chiamati nuovi ricchi si comportavano in modo diverso dai ricchi di vecchia data. Naturalmente non si può parlare di un determinato, unico habitus, così come nella definizione di nuovo ricco non è sottintesa l'idea di una condizione permanente (col tempo, ogni proprietà di recente acquisto diventa cosa ovvia e abitudine). Un libro del filosofo spagnolo Ortega y Gasset è diventato l'esempio classico di un'interpretazione globale della storia sociale più recente vista come l'insurrezione di un'accozzaglia “brutale", “sfrontata" “ignava", o quali che fossero i vigorosi aggettivi dello spagnolo 1. L'opera suscitò a suo tempo non poco disorientamento, soprattutto fra il pubblico colto degli anni '30, il quale, appellandosi a Ortega, cercò rapidamente di distanziarsi dalla massa. Nessuno voleva farne parte, dimenticando però che proprio questo diventava la caratteristica delle nuove masse, benestanti e affamate di cultura. Tutti noi siamo membri della massa, e per molteplici motivi: come prestatori d'opera e come contribuenti, come partecipanti al traffico e come lettori dei giornali, e perfino i ricchissimi e i celeberrimi, stelle del cinema e principesse, capitani d'industria e presidenti, devono in massima parte la posizione raggiunta e la notorietà ai beni di comunicazione della massa. Ciascuno però conduce, all'interno della massa, anche una sua vita individuale e personale, o almeno questo è il desiderio che si sforza di realizzare. Quanto più la società è benestante, tanto più si afferma la tendenza a un modo di vivere individuale. Lo si nota già oggi, quando si vuol fare la pubblicità a una data marca di sigarette o a un dato tipo di sapone, ed è necessario tener conto di questa tendenza se si vuol riscuotere un buon successo nell'offerta di numerosi altri prodotti. Al posto degli antichi antagonismi classisti fra ricchi e poveri, o fra vecchi e nuovi ricchi, si è instaurata oggi una dinamica molto sfumata di condizioni sociali all'interno degli strati medi abbienti della nostra società di massa. E questo dimostra implicitamente che la massa non è omogenea, ma rappresenta invece qualcosa di molto misto e di eterogeneo. Riconsideriamo ora i mutamenti nell'ordinamento della vita e nel comportamento della coscienza che formano lo sfondo spirituale e storico dello sviluppo del benessere, e che hanno dato un'impronta determinante a un secolo di storia sociale dell'Occidente. La formula achievement versus ascription è la battuta d'apertura per il dialogo sociologico: la ricchezza guadagnata col lavoro, la ricchezza frutto di fatica ha come conseguenza una posizione di fronte alle cose della vita, diversa da quella della proprietà ereditata e acquisita per diritto. Dopo che le masse industriali giunsero al benessere come manodopera della civiltà economica, cominciarono a distinguersi in un modo specifico dall'antica borghesia. Poiché il miglioramento del tenore di vita equivalse alla sua democratizzazione, il 48

formarsi del mondo del consumo di massa può venir descritto come un'autentica rivoluzione sociale. Senza un adeguato riconoscimento di questo processo molti fenomeni dell'attuale economia di mercato ci rimangono incomprensibili. Perciò a questo punto vorremmo riassumere una parte importante della storia sociale del mondo industriale, che in molti studi critici sulla storia moderna e su quella “attuale", contemporanea - in cui gli avvenimenti politici e militari hanno di regola la preminenza - viene un po' trascurata. La cosiddetta alta politica degli statisti non ha maggior importanza di quanta ne abbiano le condizioni in cui vivono le masse del loro tempo. Chi conosce gli eventi storici diplomatico-militari degli ultimi cent'anni senza conoscere con altrettanta sicurezza i corrispondenti processi economici e sociali, non può vantarsi di avere veramente una cultura storica. Thomas G. Masaryk ha detto che la scienza storica è una scienza nazionale borghese; rifacendoci a questa asserzione, vorremmo aggiungere che oggi può diventare, come storia economica e sociale, una scienza internazionale, un mezzo utile ai fini dell'autoconoscenza della società industriale che si sta formando in tutto il mondo. Perché qui si tratta nuovamente del singolo, dell'individuo come lavoratore e consumatore, delle famiglie le cui gioie e i cui affanni formano il contenuto essenziale della storia umana. Ciò che noi definiamo, considerandolo da un punto di vista economico, aumento del benessere, è, visto sociologicamente, l'abrogazione di tutti gli antichi ordinamenti, poiché il possesso racchiudeva in sé ogni sorta di privilegi di casta, riconoscendoli esplicitamente e implicitamente. Questi privilegi non si potevano neppur separare dalla forma materiale del possesso tradizionale. La società classista vantava la proprietà proprio di ciò, non soltanto nel senso tradizionale che era ereditata e le spettava di diritto; era tradizionale anche in rapporto alla specie di beni che costituivano la proprietà tipica del tempo. Se noi pensiamo alla terra e ai fondi, alle case, alle fattorie e ai greggi, alle botteghe artigiane, alle vecchie manifatture e alle prime piccole aziende industriali, conservatesi fino ai nostri giorni come proprietà familiare ereditaria, allora questa forma di proprietà caratteristica della società di un tempo si rivela essenzialmente proprietà produttrice di beni. Il significato soprattutto della proprietà fondiaria come base dell'esistenza di antiche classi sociali è stato descritto più e più volte. La proprietà fondiaria era la premessa del castello principesco, del chiostro religioso, della fattoria e della casa borghese. Con il suo progressivo anonimato, con la sua separazione dal potere sociale e il frazionamento di quest'ultimo in organizzazioni svincolate dalla proprietà fondiaria, un principio materiale dell'antico ordine sociale scomparve. E quando anche il possesso della casa di abitazione venne spersonalizzato con l'urbanesimo e con l'addensamento umano in quartieri cittadini fittamente popolati, e per di più la continua immissione di numerosi operai nelle organizzazioni di lavoro aziendali ridusse il numero delle antiche proprietà professionali, si dovette infine procedere alla creazione di nuove forme di proprietà, quale compenso per gli ordinamenti sociali perduti. Questo compenso si è attuato. La tipica proprietà privata della società moderna non è più una proprietà produttrice di beni, bensì una proprietà consumatrice di beni. Radio, televisori, automobili, apparecchi elettrodomestici, nuovi oggetti per 49

l'arredamento della casa: tutte queste cose esistono non per fornire il sostentamento necessario, ma per essere godute, e hanno portato ad altre condizioni di vita.

2 Alla proprietà produttrice di beni partecipavano la nobiltà, il clero, i contadini e la borghesia, ma non gli operai. L'operaio industriale diventò la vittima dei nuovi sviluppi, e lo riconobbero chiaramente Karl Marx e altri dopo di lui. Ma il compenso ha avuto luogo in modo del tutto diverso da quello che Marx aveva creduto e preconizzato. La massa degli operai e dei dipendenti è giunta alla nuova forma di proprietà e ha ottenuto considerazione sociale e coscienza del proprio valore non con una ridistribuzione rivoluzionaria dei mezzi di produzione, ma con un rivolgimento delle condizioni di consumo grazie al più alto tenore di vita. I beni di consumo sono i tipici “beni dell'epoca". Vengono goduti nella sfera privata individuale durante il tempo libero. Creano e informano questa sfera privata e non fosse altro che per questo il loro godimento è molto più di un semplice abbandonarsi alle comodità. A mano a mano che la gran parte degli uomini diventarono prestatori d'opera e il loro lavoro professionale fu soggetto a una organizzazione collettiva e a una razionalizzazione aziendale - e contemporaneamente si ebbe la separazione radicale fra lavoro e casa - le occasioni di condurre una vita più individuale si spostarono dal campo della produzione al campo del consumo. E tanto più si apprezzano le grandi possibilità del consumo quanto più diminuiscono quelle di godere autonomia e indipendenza sul lavoro. I beni di consumo sono stati investiti di nuove funzioni sociali. Si dice che sono funzioni simboliche. Il che è indubbiamente appropriato. Però non ci si dovrebbe spingere tanto oltre da mettere in relazione - com'è già avvenuto - tutto il valore dei beni con l'esteriorità delle relazioni interumane. Non si può negare che nella società moderna divenuta impersonale e fortemente livellata sia necessario l'inserirsi di caratteristiche informative molteplici affinché le differenze personali e professionali, quelle tipiche del ceto e altre ancora si rendano manifeste, e quindi attive. In contrasto con la città provinciale borghese, dove tutti si conoscono a vicenda abbastanza bene e dove si sa qual è la reciproca posizione, la vita della grande città si svolge per lo più nel quadro di numerose organizzazioni, accompagnata da manifestazioni rappresentative di ogni specie che “simboleggiano" funzioni sociali, condizioni di censo e valori di varia specie. I simboli non sono qualcosa di secondario, bensì elementi costitutivi, sicché senza di loro la convivenza umana non potrebbe funzionare. I simboli possono unire e dividere, e il loro significato contingente può essere valutato sia positivamente, sia negativamente. La diversità fra uomo e uomo si è sempre manifestata attraverso la diversità dei ch'essi bramavano, nella valutazione differenziata di questi beni, come pure - e di questo ha parlato Nietzsche - nella soddisfazione differenziata derivante dai beni d'ogni specie. Questa antichissima realtà di fatto, che costituì sempre l'oggetto di sistemi etico-filosofici, è stata improvvisamente riscoperta nei fenomeni della moderna economia di mercato. Certi beni di consumo sostengono ora la parte che un tempo era sostenuta dagli schiavi, dalla proprietà fondiaria, dai cavalli. 50

Mutamenti nella quotazione dei valori sociali vengono registrati attraverso le analisi di mercato e una quantità di nuovi valori e di nuovi significati sono divenuti oggetto di domanda e d'offerta. I nuovi beni tecnici della civiltà diventarono al loro apparire i segni più rappresentativi delle nuove distinzioni sociali. Il quadro dell'improvvisa prosperità è dominato da orgogliose e rumorose ostentazioni dei nuovi acquisti; sono le epoche che noi possiamo chiamare con Thorstein Veblen periodi dei consumi particolarmente appariscenti (conspicuous consumption). Il fenomeno si regola a mano a mano che le nuove proprietà si fanno alla portata di chicchessia. In America, dove oggi circa cinquanta milioni di famiglie posseggono sessanta milioni di automobili, il possesso di un'automobile non è più niente di particolare in sé. I prodotti chiave del progresso sono i prodotti di parata dei primi che riescono a ottenerli. I beni conferiscono credito sociale. Stabiliscono gerarchie. Sono gerarchie di ceto informali, che non si ancorano in nuovi privilegi o in nuove istituzioni. Si formano e si affermano nel prestigio di cui il singolo gode nella stessa misura in cui partecipa con buon successo, come favorito dal progresso, al godimento convenzionale dei beni. L'individuo acquista in considerazione e in importanza secondo la quantità e qualità dei beni che può ostentare, secondo l'ampiezza e la natura dei servizi che gli vengono prestati e che si può permettere. Si tratta quindi anche di condizioni gerarchiche assai poco rigide, relativamente, e molto labili. Non rappresentano una situazione statica; somigliano piuttosto a un movimento, a una mobilità sociale d'alto grado, all'alterno scivolare nel cavo dell'onda ed emergerne sulla cresta nel processo della civiltà. Notoriamente, vanno soggette alle stesse vicende anche le fasi della carriera, e con questo concetto ora non s'intende più designare un fenomeno individuale, bensì la fatalità comune, il destino ciclico di una generazione che è nata per affermarsi. L'aspirazione ai beni della civiltà e al loro godimento ha assunto un carattere competitivo, che la dinamica della vita moderna ci consente di comprendere. Il motore che spinge avanti la nostra economia non è la necessità materiale. Si trova in quella smania esistenziale di ascesa e di prestigio, dichiarata con il diritto dell'individuo di farsi partecipe alle conquiste dell'epoca. II possesso dimostrate diventa una legittimazione della buona riuscita, un documento dell'abilità, una tessera di riconoscimento nella quotazione dei corsi dell'uomo contemporaneo. Il che non corrisponde solo a una necessità esteriore: tenere il passo coi tempi e con i vicini è indispensabile anche per l'appagamento interiore. Un certo livello di vita medio costituisce, per dirla con Thorstein Veblen, un requisito dell'amor proprio. Là dove manca, dove, per un motivo o l'altro, non può essere raggiunto, si ha quel malessere, quel disagio di cui anche Schopenhauer diceva che è provocato non dal fatto di non avere, ma dal voler avere e non poter avere. Non Paupertas sed cupiditas fecit dolorem. Non è detto, beninteso, che questa aspirazione ambiziosa ai nuovi beni debba essere necessariamente una caccia affannosa a una vana felicità. Perché i nuovi beni offrono, insospettato compenso alla nostra costituzione del lavoro che diventa sempre più organizzato, più formalizzato, più funzionalizzato, possibilità concrete di uno spiegamento vitale. Spesso avviene di desiderarli per un vero bisogno, per sopportare la monotonia di una mediocre esistenza di subalterno.

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3 Il godimento ostentato e disinvolto della proprietà era qualcosa di riprovevole per il modo di sentire e di concepire la vita della vecchia borghesia e nessuno l'ha saputo descrivere meglio di Max Weber, nel suo famoso libro sull'etica protestante e lo spirito del capitalismo 2. Quella borghesia dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti d'America, il cui compito storico è rappresentato dalla fondazione dell'economia industrial-capitalistica intesa come una civiltà del lavoro, nel XIX secolo, che fu la sua epoca classica, ebbe un'inconfondibile, spiccata fisionomia ascetica. Un'ascesi razionale, che limitava, come dice Max Weber, i consumi, e specie i consumi voluttuari. Il teologo inglese Richard Baxter afferma: “Non per le brame carnali e per il peccato vi è lecito lavorare per arricchirvi, ma per il Signore”. La proprietà in sé equivaleva a tentazione 3. Cioè si poteva mirare al conseguimento della ricchezza con assidua fatica, non per goderne, però, ma per conservarla e moltiplicarla. E nemmeno il tempo libero poteva essere dedicato al godimento. Max Weber riferisce a proposito della disputa su una legge inglese dei tempi di Giacomo I e di Carlo I, in virtù della quale erano permessi determinati divertimenti popolari. La legge fu combattuta aspramente dai puritani. “Il godimento istintivo della vita, che distoglie in ugual misura dal lavoro e dalla devozione, era, appunto in quanto tale, nemico dell'ascesi razionale, sia che si presentasse sotto l'aspetto ‘signorile’ dello sport, sia che fosse l'osteria o la pista da ballo del popolo. Diffidente e ostile sotto molti aspetti era anche la posizione verso i beni spirituali che non possono essere considerati strettamente religiosi 4.” Prendendo le mosse da qui, Max Weber non esitò a tracciare un ritratto tipico idealizzato della borghesia protestante “classica”, senza chiedersi troppo fino a che punto, e dove, si erano manifestati i caratteri da considerarsi tipici. Joseph Schumpeter, che si occupò delle abitudini di vita borghesi in tempi più recenti, ha attribuito valore di elemento determinante non a motivi religiosi primari, bensì al motivo familiare. Schumpeter si rifiutò di ascrivere alla borghesia “una dose di generosità e d'idealismo non corrispondente alla realtà 5”. Afferma anche lui che “la borghesia lavorava innanzi tutto per investire; combatteva non tanto per un tenore dei consumi quanto per un livello del risparmio, ch'essa tentò di difendere anche contro quei governi che fecero proprio il punto di vista della breve scadenza 6 ”. Soltanto che lui vede questo livello dell'accumulazione basato ancora più nel quadro costituzionale della società borghese, in cui la vecchia famiglia di tipo patriarcale, della quale facevano parte parenti e servitori, era legata a una casa spaziosa e ai doveri che comportava. Per Schumpeter la disgregazione dello spirito capitalistico classico è unita da un nesso essenziale alla decadenza dei valori di questa vita familiare, alla “diminuzione del desiderio d'una vita domestica borghese” che vien sentita sempre più, con le preoccupazioni e i doveri che impone, come una fonte di fatiche e di spese che non trovano giustificazione. Una gran parte dell'attività sociale si trasferisce lentamente, e costantemente, verso l'esterno. Il consumo conosce la collettivizzazione e l'urbanesimo, che uomini come Sombart e Veblen descrivono già alla fine del secolo scorso. Schumpeter parla della “volatilizzazione della proprietà del consumatore” e vi scorge un'analogia con la spersonalizzazione della proprietà industriale produttrice di beni, 52

spersonalizzazione che ha luogo con la sua trasformazione in pacchetti azionari e in obbligazioni. Dice anche che l'orizzonte temporale comincia a ridursi, a quei tempi, ai limiti della vita individuale. I progetti cominciano a non mirare più in là della propria generazione. Sorgono tendenze e teorie antirisparmio, caratteristiche di una filosofia a breve scadenza7”. Sebbene questo sviluppo venga compensato abbondantemente dalla crescente richiesta di beni d'uso durevoli, il cui prezzo diminuisce di continuo, scompare tuttavia lo stile di vita signorile, perché il bilancio non basterebbe a coprire le sue esigenze. La proprietà dei consumatori, per quanto in costante aumento e per quanto grande possa diventare, non sarà mai in grado di conferire ciò che il bilancio accumulato e la “proprietà immobiliare” potevano significare come garanzia di indipendenza autocratica: un tenore di vita dispendioso nella consapevolezza di un'esistenza basata sulla tranquilla indipendenza, per la cui sicurezza non si chiedevano garanzie di sorta allo stato assistenziale. L'uomo dei nostri giorni può restare, nonostante i molti beni di consumo, quel “pover'uomo”, che non è più signore della casa, e per il quale è stata coniata la definizione di uomo della strada. Karl Bednarik ha affermato seccamente che se anche noi fossimo più ricchi del dio sole, non saremmo certo più regali di lui 8. La regalità, vorremmo dire, ha evidentemente qualcosa da fare con l'autarchia e la sovranità. Il prezzo che si paga per l'odierna prosperità è la crescente sottomissione alle istituzioni sociali. Per il funzionamento di questi organismi dobbiamo consentire a lasciarci inserire in procedimenti di lavoro a organizzazione aziendale. Come lavoratori dipendiamo dal nostro reddito. Non esistono più quote ereditarie e privilegi che ci consentirebbero di opporci all'imperativo dei tempi, vale a dire alla necessità di lavorare. In opposizione alla proprietà produttrice di beni la proprietà dei beni di consumo dev'essere rinnovata incessantemente, a intervalli di tempo sempre più brevi. La crescente dipendenza dal lavoro altrui significa in sé una “sprivatizzazione” della vita. Noi dobbiamo aggiungere però subito che questo sviluppo ha suscitato, in tempi recentissimi, alcune reazioni. In America il numero delle famiglie che si possono permettere una casa di loro proprietà va aumentando di anno in anno, e il rincaro vertiginoso dei servizi domestici fa sì che il suo mantenimento diventi incombenza strettamente propria e personale. In questo fatto risiede forse una delle tendenze più significative dell'evoluzione della nostra civiltà economica, un fenomeno di compensazione che rende possibili nuovi modi di vita ed è perciò da considerarsi un vero e proprio processo integrativo. Una delle norme predominanti che limitavano i consumi della società borghese era il principio che l'uomo ammodo e virtuoso non deve tentar di varcare i limiti del proprio stato. Era un agire disdicevole. La donna di servizio non si vestiva come la “signora”. Bisogni, desideri ed esigenze corrispondevano al ceto cui si apparteneva per nascita, col quale ci si identificava e di cui, di regola, non si aspirava a oltrepassare i confini. La brama di uscirne avrebbe assunto il carattere di una protesta contro l'ordine tradizionale, o almeno di una riprovevole smania di salire. Perciò la mobilitazione dei consumi è diretta, nel fondo della sua natura, contro le vecchie divisioni di classe. II consumo di massa, democratico e progressista, è il consumo di coloro che vogliono partecipare in condizioni di parità al numero sempre crescente di beni offerti dalla civiltà, con la convinzione di essere nel pieno diritto. 53

È un diritto che soprattutto ora vuole affermarsi. L'affermazione diventa inoltre un'autentica, reale necessità di adattamento sociale, addirittura un comportamento socialmente vincolante, con cui la rivoluzione, ormai vittoriosa, del consumo stabilisce una nuova legge: ciò ch'era apparso agl'inizi una ribellione, comincia ad assumere carattere di legittimità. Consumare e consumare in misura sempre crescente diventa l'imperativo del nostro tempo, e in ultima analisi mira a conservare intatta la produzione che sta prosperando sotto il segno del pieno impiego. L'ascesi non si accorda con la volontà di consumo, il cui aumento e la cui differenziazione diventano il preciso dovere di una nuova generazione di produttori. La fantasia e l'abilità di questi nuovi produttori sono orientate oggi sul mercato assai più che sull'azienda. Il mercato si rivela terra di conquista per possibilità illimitate. E coi beni di nuova specie offre al tempo stesso alla società l'occasione di nuove differenziazioni, che conferiscono al moderno ceto medio in formazione - a prescindere dalla scomparsa delle vecchie differenze di classe e di censo - una struttura e un'organizzazione sempre più raffinate. 4 Nella valutazione di questo processo si rende manifesta una strana ambivalenza. Se ci si identifica con la borghesia laboriosa e parsimoniosa, così com'è stata tratteggiata da Max Weber, tutto appare in una luce nettamente negativa, tutto sembra disgregazione e dissolvimento. Se invece si parte dalla globalità delle condizioni di vita, come sono state descritte ad esempio da economisti della forza di un Werner Sombart, la stessa evoluzione si dimostra decisamente positiva, come genuino progresso e ascesa del popolo a un'esistenza degna di venir definita umana. Perché sarebbe ora di ricordare insistentemente, con tutto il dovuto rilievo, la situazione miseranda della classe operaia dell'industria negli anni della sua origine, una miseria che il capitalismo industriale non ha creato, bensì ha ereditato 9. L'eliminazione di questa miseria, l'elevazione dell'operaio a un'esistenza che non ha più nessun nesso con quella proletaria, è diventato il compito storico dell'industrialismo. Il processo riveste due aspetti. Si svolge in primo luogo nella produzione, e si esprime nel miglioramento delle condizioni di lavoro, nel promulgamento di una legislazione del lavoro, nella creazione della sicurezza sociale, nell'elevazione del prestigio sociale dell'operaio e nella sua coscienza del proprio valore, e tutto questo si manifesta anche in cambiamenti strutturali delle imprese produttive. Ma in seguito si effettua anche nel consumo. Una quantità sempre maggiore di articoli correnti, di capi di abbigliamento e di oggetti d'uso a basso prezzo diventa accessibile alle masse. Ciò che il miglioramento delle condizioni di lavoro rappresenta nelle aziende, è rappresentato sul mercato dal prezzo ridotto dei prodotti del lavoro. Entrambi sono aspetti complementari di un progresso che sotto il nome di rivoluzione industriale" è stato descritto troppo unilateralmente come progresso nella sfera produttiva. La produzione di massa non è concepibile e non ha nemmeno un senso senza il consumo di massa. Secondo la legge per cui si è instaurata, la produzione Industriale deve mirare alla prosperità di tutti. In tal modo le forze d'urto vere e proprie emaneranno anche dalla produzione. È la produzione che, con le armi sempre più efficaci di quella dolce violenza ch'è la pubblicità, elimina di proposito, 54

Da rinno varsi a breve scade nza

Durat aa lungo termi ne Limitato e conservativo Diritti e doveri espliciti (privilegia ti)

Simboli informali ed affermazi one sociale (democrat izzata)

Beni produttivi (terreni, casa, fattoria, manifatture, piccole aziende)

Beni di consumo (prodotti della civiltà)

Antica società borghese

Società industriale

Competitivo e progressista

Requi siti dei beni Comportame nto sociale Funzione sociale Forme tipiche della proprietà

FORME E SIGNIFICATO DELLA PROPRIETÒ NELLA VECCHIA E NELLA NUOVA SOCIETÀ

metodicamente, tutti gl'impedimenti che ostacolano il consumo: barriere di classe, scrupoli etici e ritegni psichici. Gli acquirenti stessi si fanno missionari e banditori del consumo, e il nuovo verbo è scritto nella reclame. L'attività dei venditori va cambiando, rispetto a quella tradizionale; diventa appello sociale, provocazione, sfida alla volontà di ascesa sociale e alla coscienza del progresso. Se una volta era la risposta non soggetta a regole, occasionale, data caso per caso a una domanda, adeso si va evolvendo e diventa aggressiva.

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L'iniziativa cambia orientamento. Non si sta più ad aspettare la venuta dell'acquirente. Gli si va incontro, lo si cerca, lo si scova. Di più ancora: lo si crea, conquistando nuovi compratori per prodotti disponibili e provocando la domanda di nuovi prodotti. Si formano nuove branche di produzione. La scoperta sistematica di prodotti di nuovo genere e la modificazione di quelli esistenti evocano bisogni e abitudini finora sconosciuti. In tal modo si dà l'avvio a quel movimento cumulativo che si espande e aumenta costantemente, e di cui oggi non siamo ancora in grado di calcolare la portata. La pubblicità porta l'offerta dei nuovi beni negli angoli più riposti della vita. Muta quindi l'aspetto esteriore del mondo sociale, dà la sua impronta al volto delle grandi città moderne. Il linguaggio della vendita si concreta, vien diffuso sullo schermo cinematografico fra le attualità del giorno, e con la proiezione i prodotti si fanno conoscere nel loro processo formativo. Azioni di vendita in grande stile assumono il carattere di “campagne". La loro progettazione diventa strategia. Gli organizzatori delle vendite si chiamano tattici di mercato, “cannoni" i commessi viaggiatori più abili, quando si presentano a loro volta sul mercato per vendere i propri prodotti. Termini presi a prestito dal lessico militare hanno ottenuto diritto di cittadinanza nel gergo commerciale di tutti i paesi dell'Occidente. E in realtà i venditori che sono scesi nelle strade dalle loro barricate di banchi di negozio e di scaffali, potrebbero essere riguardati come gli emissari di una nuova rivoluzione incruenta, come la milizia di una riforma secolarizzata. Rappresentano le forze armate di una penetrazione pacifica dello spazio vitale con le promesse della civiltà, come la caratterizzò ancora prima del 1850 l’acuto ingegno di Balzac, con umoristica satira10. Chi risfoglia vecchi manuali pubblicitari, precedenti alla prima guerra mondiale, si accorge che principi, i quali sembravano allora rivoluzionari, sono diventati nel frattempo l'abbiccì dei novizi della propaganda. Regole pubblicitarie, che già nelle riviste tecniche del tempo venivano presentate come slogans, costituivano spesso, allora, scoperte da choc 11. Il trapasso dal consumo statico al consumo dinamico, da quello conforme alla condizione sociale a quello competitivo, da quello poco appariscente a quello provocante può venir esemplificato con un caratteristico mutamento sostanziale della pubblicità. Se c'è un campo dove la “rivoluzione del consumo" trova la sua immagine fedele è proprio questo - e la reclame, del resto, diventa sempre più, col passare degli anni, uno specchio del tempo e della civiltà. Alcuni anni or sono, T. N. Whitehead ha messo in evidenza chiaramente la differenza fra la vecchia e la nuova arte della propaganda, dimostrando che la reclame un tempo non partiva dall'assunto che i consumatori volevano avere una novità in quanto tale; al contrario, si supponeva che il pubblico sapesse quel che voleva. Erano i tempi del “bisogno predeterminato fisso", al quale corrispondeva in campo pubblicitario - l'offerta fissa e predeterminata. Ci si attendeva che l'offerta fosse nota in sé, e che si trattasse essenzialmente di mettere in rilievo la capacità produttiva della ditta offerente, di dire soprattutto perché il prodotto era migliore 56

del prodotto della concorrenza. Nuovi prodotti - osserva Whitehead - erano di regola il risultato di un autentico progresso tecnico o di una nuova idea. I loro vantaggi venivano esposti con evidenza, ma era difficile che si tentasse di fare appello ai sentimenti o ai desideri. Compito dei produttori non era tanto quello di scoprire nuove richieste, quanto di soddisfare la domanda nota in maniera migliore del concorrente. “La pubblicità moderna si fonda sul presupposto che i consumatori non sappiano bene ciò che vogliono, che siano spesso esitanti, che soggiacciano alle mode e alle convenzioni, ma che in ogni caso desiderino ciò che possiedono i contemporanei, consumatori come loro 12.” Negli Stati Uniti questo mutamento radicale nel carattere della pubblicità si è verificato molto prima che in Europa; al punto che alcuni americani poterono rendersi chiaramente conto di certe differenze fondamentali tra il vecchio e il nuovo mondo proprio grazie a questa ritardata evoluzione europea. Indubbiamente la storia della pubblicità è qualcosa di più di un perfezionamento dei mezzi e dei metodi propagandistici. È qualcosa di più della cronologia di un progresso tecnico della forza persuasiva sulla massa. È una parte della storia sociale dell'Occidente. Fritz Redlich ha messo in rilievo il significato della situazione dello sviluppo industriale col sorgere della pubblicità. “L'Inghilterra, prima che esistesse la pubblicità, possedeva un'industria fiorente. Negli Stati Uniti l'industria crebbe di pari passo con la reclame e in Germania lo sviluppo industriale si affermò veramente quando la pubblicità, nei paesi più progrediti, era già uscita dalla fase iniziale”, ma aveva preso già piede anche in Germania; e questo fu decisivo per lo sviluppo della pubblicità nei singoli paesi 13. Purtroppo, non esiste ancora, a quanto ci risulta, uno studio sistematico su questi nessi, forse perché gli storici della civiltà si interessano poco, generalmente, a simili argomenti. 5 Lo sviluppo addirittura vertiginoso della psicologia applicata - agl'inizi del secolo - segna una tappa importante per la pubblicità. Ben presto si forma una particolare psicologia pubblicitaria. Decenni prima che l'indagine sociale pratica celebri il suo debutto sotto l'aspetto di analisi di mercato, la psicologia fa il suo ingresso al servizio dell'organizzazione di vendita come pubblicità scientificamente condotta. La propaganda si fa più raffinata e nello stesso tempo più razionale. La distribuzione dei manifesti murali e delle inserzioni vien calcolata e diretta sempre meglio, si è in grado di localizzare, concentrare, controllare e anticipare gli effetti progettati. In tal modo l'impiego della reclame è meno rischioso, e la si può introdurre come investimento a breve o a lunga scadenza nella programmazione metodica dell'azienda. Nell'applicazione organizzata di tecniche pubblicitarie psicologiche risiede in preponderanza la razionalizzazione dello smercio, che finirà col portare a una rapida “spersonalizzazione” delle vendite. Perché pubblicità equivale a vendita: e l'affermazione sarebbe stata accettata poco per volta come una verità incontestata e ovvia. “La vita economica si affanna a eliminare il venditore personale da tutti i settori della distribuzione; la pubblicità diventa di giorno in giorno il mezzo principale per portare all'uomo la nostra produzione industriale di beni 14.” 57

Si calcola che le spese pubblicitarie complessive nei paesi industriali occidentali ammontino oggi dal 2 al 4 per cento del reddito nazionale. In molte grandi aziende le spese pubblicitarie sono pari, o superiori, all'ammontare del guadagno lordo. L'accessorio è diventato essenziale. La reclame diventò un organo specifico dell'azienda, col compito di suscitare e di provocare, di dirigere e di mantenere viva la domanda di prodotti sempre migliori. Mutò nome, assumendo quello ufficiale di pubblicità, in Germania furono istituite cattedre universitarie, sorsero “dottrine generali pubblicitarie”. La pubblicità diventò una specializzazione, una branca a sé stante dell'economia, e finì col prendere in mano il timone dell'indagine psicologica. Ci si dedicò a studiare gli effetti ignorati dei colori e delle loro combinazioni, nonché l'efficacia di scritte e di disegni, isolati o in associazione. La magia della parola nella testata del manifesto pubblicitario e il potere suggestivo della fotografia nell'effetto dell'immagine furono innalzati all'importanza di un grosso problema. La professione degli aforisti contemporanei diventò quella di texter; e gli impaginatori che combinano gli elementi grafici e il testo, gli artisti del fotomontaggio diventarono i costruttori specializzati di quegli “scenari” in cui non solo vien fatto vedere un prodotto, ma si rappresenta un intero spettacolo sociale del consumo. Quando i mezzi più brillanti dell'influsso esercitato sulle masse, che sono al tempo stesso i tipici beni di svago del nostro tempo (film, radio, televisione) fanno buona prova, è segno che la pubblicità è già un'istituzione così possente da essere in grado di determinare da sola Io sviluppo tecnico e sociale di questo nuovo mezzo di comunicazione. fra notorio che in America la televisione, soprattutto, è debitrice del proprio sviluppo alla pubblicità commerciale. Ma la pubblicità ha mobilitato, oltre alla tecnica e alla psicologia, anche l'arte. Il manifesto artistico, che nacque in Francia verso il 1890 e trionfò già alla svolta del secolo, grazie anche al perfezionarsi della litografia, ha dimostrato che la pubblicità può avanzare legittime pretese di ordine altamente estetico. Cartellonisti di valore fecero parlare di sé, organizzarono esposizioni e a loro volta fecondarono la cosiddetta arte pura. Quella moderna cercò la propria espressione nella simbiosi di psicologia e arte grafica applicata. Tuttavia, il compito del commercio, nella misura in cui la pubblicità sostituisce la vendita personale e la funzione della vendita di fronte al consumatore diretto viene assunta sempre più dal produttore, si riduce e si concentra sulla razionalizzazione dell'apparato distributivo. I prodotti vengono “lanciati” dalla pubblicità - quindi il processo dell'acquisto può essere più breve, più pratico, più immune da attriti. Si può vendere in quantità maggiore in un tempo sempre più ridotto. Alla diminuzione di prezzo dei beni grazie alla produzione di massa corrisponde in commercio la diminuzione di prezzo attraverso una maggiore rapidità dello smercio. La produzione di massa si associa al consumo di massa. Guadagno di tempo nella distribuzione non è soltanto guadagno di denaro, ma diventa - grazie al periodo più breve di magazzinaggio della merce miglioramento qualitativo. Le vecchie bottegucce di remoti villaggi, “rifugi d'indolenza musulmana" come li definì scherzosamente Sombart, che conducono tuttora un'esistenza idillica, costituiscono il cruccio dei rappresentanti di generi alimentari. E queste organizzazioni di commessi viaggiatori e di rappresentanti, che si stendono sul paese come una rete a maglie fitte e senza le quali il nostro approvvigionamento 58

sarebbe inconcepibile, svolgono dal canto loro una funzione di propaganda, di consultazione e di servizio per il commerci, di fronte alla quale la raccolta o la sollecitazione di ordini diventa una faccenda secondaria, o addirittura derivata. Le molteplici forme in cui lo smercio di massa si è dato compimento istituzionale, non sono meno imponenti di quanto è avvenuto nel mondo operaio delle fabbriche. Sombart ha descritto esaurientemente, con un'ampiezza di particolari difficilmente raggiungibili, la diffusione della rivoluzione industriale dal settore produttivo a quello distributivo, la progressiva “ industrializzazione" verificatasi anche nella vendita: il formarsi delle moderne imprese di commercio al minuto; il lento, insidioso spodestamento dei negozi di un determinato ramo orientati sull'offerta" (coloniali, ferramenta, pelletterie ecc.) per opera dei negozi di articoli d'uso orientati verso la domanda" (articoli casalinghi, articoli da viaggio, rosticcerie ecc.); la specializzazione del commercio all'ingrosso, il complesso sviluppo delle cooperative nel commercio e il sorgere delle filiali e dei grandi magazzini, ma soprattutto la differenziazione e il raffinarsi dei bisogni, il mutato comportamento dei compratori e dei consumatori, che a loro volta ha ripercussioni sui mutamenti strutturali del commercio. Manuali e periodici specializzati ci danno continuamente informazioni particolareggiate sugli effetti e le tendenze di questa recente evoluzione. Il fenomeno più rivoluzionario verificatosi negli ultimi dieci anni in campo commerciale è quello dei self-service, per cui l'acquisto è diventato un procedimento silenzioso, che si svolge meccanicamente. Il significato che questo nuovo tipo di negozio acquista nel commercio sotto l'aspetto sociologico si rivela appieno se ci rendiamo conto dei mutamenti prodottisi nel carattere dei beni che ci vengono offerti. In effetti, il self-service è concepibile solo in funzione degli articoli di marca; e di ciò deve tener conto un'analisi delle molteplici relazioni fra la società moderna e i suoi prodotti. In questo libro possiamo trattare solo molto sommariamente il cambiamento strutturale del commercio 15. Ciò che ci interessa innanzi tutto sono i problemi del comportamento dei consumatori e il significato sociale dei nuovi prodotti. La descrizione di questi rapporti, peraltro, dovrebbe aiutare a far comprendere alcuni fenomeni che si verificano nelle forme organizzative del commercio considerate in un quadro più ampio. 6 Generi alimentari e voluttuari, detersivi, articoli da toeletta e medicinali sono indispensabili, e d'impiego giornaliero. II loro scopo preciso non è quello di essere “usati", ma di venir “consumati", in un tempo per lo più breve, e proprio qui il consumo di massa va aumentando in modo particolare. Possiamo constatare effettivamente che il consumo di massa comincia come consumo di beni che vengono “consumati". Fino a oggi questa realtà ha avuto valore determinante per il carattere della pubblicità, per la sua valutazione, perfino per il giudizio su tutti i fenomeni verificantisi nel mondo del consumo di massa. I primi articoli di marca nascono dalla crisalide degli articoli d'uso giornaliero. Essi preludono a una nuova tappa della storia della distribuzione. Sono qualcosa di più del prodotto finale di un processo di fabbricazione industriale, qualcosa di più dei prodotti finiti che passano dal laboratorio alla rampa di carico per arrivare all'ultimo acquirente, dopo aver 59

percorso tutti i canali della distribuzione. L'articolo di marca è un fenomeno di mercato, ossia un fenomeno sociale che si deve ancorare nella coscienza e nell'inconscio del consumatore per esistere veramente. L'articolo di marca, quindi, è ciò che è non per sé stesso, né per la sua mera esistenza come prodotto, ma grazie all'accettazione di fatto e al riconoscimento da parte del mercato. Si potrebbe anche dire: l'articolo di marca esiste grazie all'idea che diventa. Per trovare e per mantenere questa idea, per potersi insediare e affermare sul mercato, ha bisogno della pubblicità, che come propaganda introduttiva e diffusiva lo rende popolare, e come propaganda ripetuta, “stabilizzatrice”, lo mantiene popolare, assolvendo in tal modo la sua funzione specifica sul mercato. La pubblicità non è un elemento addizionale, o solo occasionalmente necessario. È parte costituente dell'articolo di marca, come la totalità dei processi produttivi che lo creano. Concorre effettivamente a produrlo, dandogli il “carattere" che lo distingue, vale a dire quello che nel linguaggio tecnico americano vien chiamato brand image, e che indica la creazione di un fenomeno esteriore, che conferisce significato ed espressione efficace alla funzione e alla qualità proprie dell'articolo, e che può consistere nell'accostamento dei colori, o nella forma dell'involucro che lo contiene, tale da soddisfare alle richieste del produttore (nella “scena" e nel “messaggio" del testo e del disegno pubblicitario), finché tutto, e sotto ogni punto di vista, è messo nel giusto rapporto con la condizione sociale e con le disposizioni psichiche del consumatore. La cosa che conta più d'ogni altra è una confezione di effetto, rappresentativa, che acquista tanto più significato, quanto più è limitata la possibilità di una variazione del contenuto, o di un miglioramento qualitativo o estetico delle qualità tecniche, o quanto più sussiste il pericolo che venga confuso con prodotti similari. E questo determina una differenza essenziale tra i beni di consumo in senso ristretto e i beni d'uso, nei quali l'efficacia della pubblicità è espressa più dalla qualità intrinseca del prodotto che dalla confezione più o meno riuscita. Spesso tutto ciò che si può fare - in senso pubblicitario - per gli articoli di consumo è di colorarli, si tratti di generi alimentari o di bevande, di lubrificanti o di detersivi; ma solo la confezione è in grado di ottenere risultati di ben altro peso. Perché non assolve solo una funzione protettiva del contenuto, sia durante il trasporto, sia durante l'uso, ma anche una funzione di smercio e simbolica, in quanto investita di un compito pubblicitario. L'una e l'altra qualità fanno del marchio di fabbrica una componente qualitativa della merce, rappresentano la sua carta d’identità per cui il prodotto riceve un nome e un volto suoi propri, e cessa di essere un qualsiasi articolo sfuso, anonimo. Con la confezione - e solo con questa - l'articolo di consumo diventa articolo di marca, diventa il prodotto individuale, contraddistinto da un nome depositato, di una determinata casa produttrice, ottiene, per così dire, una sorta di diritto di cittadinanza sul mercato, diventa legittimo. La ditta produttrice, uscita dall'anonimato, ne garantisce la qualità e la quantità costanti, nonché i servizi di varia specie che vi sono collegati. Si può già considerare servizio per eccellenza la stessa confezione, non solo perché serve a facilitare l'impiego del prodotto (con il contagocce, col polverino, o il pennello, o il mirino, compresi nell'imballaggio, oppure risolvendo il problema della “chiusura ermetica ripetibile "), ma anche perché garantisce il valore della 60

marca. Si potrebbe quasi dire che il prodotto in quanto articolo di marca è diventato, da oggetto, soggetto che si annunzia e si presenta da sé, che parla a proprio favore e si vende da solo. Ed è la confezione a conferirgli questo carattere di “soggetto". L'articolo di marca, quindi, non ha effetto unicamente là dove compare, per così dire, fisicamente, e viene offerto in vendita come oggetto; si fa notare anche in mille modi indiretti. La reclame lo proietta sugli schermi nelle attualità del giorno. Lo si incontra in casa propria, nei giornali o nelle riviste, lo si vede per la strada sui cartelloni pubblicitari, sui mezzi di trasporto pubblici, nelle scritte luminose sulle facciate e sui tetti degli edifici. Sostiene la sua parte negli effetti scenografici delle grandi città. Spesso si presenta improvvisamente al centro della pubblicità, introdottovi di colpo, da un giorno all'altro; oppure la moda, o uno stratagemma vi hanno fatto convergere l'attenzione generale. Può salire all'orizzonte rapido come una cometa, e può anche scomparire, però, con uguale rapidità. Può diventare una brillante meteora nel firmamento dell'abbondanza e spegnersi dopo un breve splendore, vi può restare come una stella a luce propria, marca seria e bene affermata, che non aspira a riscuotere il favore in nome del progresso, ma si vanta di mantenere viva la tradizione (ad esempio un cognac molto antico). Si può assicurare, agendo in estensione e in profondità, un “monopolio dell'opinione" e mantenerlo in certi casi, con tenacia, dopo essere stato ampiamente superato dal progresso tecnico. Può infine tramontare, lentamente ma inarrestabilmente, come obbedendo a una legge misteriosa - e si parla allora di “marche moribonde" - così come può essere mantenuto vivo: e per insegnare quest'arte vi sono manuali e testi compilati apposta. Ma la durata media della vita di un dato articolo dipende anche, parzialmente, dal ritmo generale dell'evoluzione sociale. Tra gli anni '80 e '90 del secolo scorso alcuni degli articoli per uso domestico più adoperati - sapone, dentifrici, detersivi, polverine lievitate, candele e unguenti furono i precursori degli odierni articoli di marca. Già nel 1869 compare in America un'inserzione illustrata per un detersivo. Vi si vede un uomo che si specchia in una casseruola di metallo lucentissima 16. Circa nello stesso periodo, e sempre in America, si comincia a fare pubblicità nei giornali a una polverina lievitata. Nel 1876, in Germania spunta la soda per bucato Henkel; sebbene non sia ancora un articolo di marca come il Persil, è tuttavia il suo precursore. Verso la fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90 si affacciano alla ribalta, e con grande successo, i saponi: Pears' Soap e Ivory Soap in America, Sunlight Soap in Inghilterra e sul continente. Non si sbaglia asserendo che i primi articoli di marca, negli anni a cavallo dei due secoli, sono i saponi, anche se non corrispondono in tutti i punti alle definizioni moderne. William Hesketh Lever, più tardi lord Leverhulme (18511925), edificatore di Port Sunlight e fondatore inglese del complesso Unilever, diventa al tempo stesso uno dei padri dei moderni articoli di marca e della moderna pubblicità, loro inseparabile componente 17. Si guadagna in Inghilterra un'importanza pari a quella cui era assurto in Germania il consigliere di commercio Fritz Henkel. Lever fu tra i primi a riconoscere il valore costituzionale della confezione per l'articolo di marca. La sostituzione del “prodotto sfuso" con l'articolo di marca confezionato è oggigiorno la premessa per l'esistenza dei self-service, la cui efficacia si basa appunto sul fatto che i prodotti si offrono da sé, rendendo superfluo l'impiego del personale addetto alla vendita. La confezione sostituisce il dialogo venditore61

acquirente. La “confezione che parla da sé" è un termine pubblicitario ormai passato in proverbio per certi materiali d'imballaggio. Come motivo decorativo di vetrine e di interni di negozio la confezione diventa “promotrice delle vendite” in molte e svariate maniere. La parola d'ordine è “attirare lo sguardo", shelf-appeal è il fluido suggestivo che emana dalle mostre. “Ben confezionato, per metà smerciato”, dice lo slogan classico. Con la scomparsa dei commessi scompare il vecchio banco simbolo del confine immaginario fra domanda e offerta, la barriera vicino alla quale il rito di discutere il prezzo, esaminare minuziosamente la qualità, pesare misurare o contare con scrupolo la quantità, e infine incartare la merce rappresentava spesso il fine ultimo e il passatempo del commercio. Oggi, negli Stati Uniti, più della metà di tutti i generi di drogheria e più di un quarto dei prodotti di bellezza e farmaceutici vengono acquistati nei self-service; nelle vendite complessive del commercio al minuto il dieci per cento di tutti i negozi vi partecipa per i due terzi. L'acquisto si è trasformato in un silenzioso “andare a prendere”. Resta solo l'ostacolo della cassa, dove tutto si accumula, unico problema per il quale finora non si è trovata una soluzione soddisfacente. Il self-service è, per la distribuzione, il corrispettivo della nelle fabbriche; e il meccanismo della scelta e del servizio a funzionamento elettronico diventerà a poco a poco ciò che l'automazione è nel settore produttivo. In Europa là dove la diffusione dei self-service è stata contenuta, la causa va ricercata nei prodotti sfusi non ancora scomparsi del tutto, che per molteplici motivi tecnico-economici non potevano venir spediti già imballati. Mentre i self-service americani ricevevano la merce bell'e pronta, le filiali europee dovettero procurarsi a proprie spese, e per lungo tempo, i costosi macchinari per la confezione. Se vi rinunziavano, erano costrette ad adibire a questo lavoro la parte del personale che diventava superflua al banco di vendita, ma che rientrava nei magazzini per la porta di servizio. E non c'è bisogno di spiegare che in questo modo una gran parte del risparmio realizzato col più rapido smercio dei prodotti se ne andava in fumo. Il self-service ebbe una possibilità di esistere quando la maggior parte dei beni primari diventarono articoli protetti dal marchio di fabbrica, per i quali i produttori si erano assunti, con l'imballaggio, la preparazione della merce: una delle funzioni essenziali del dettagliante. 7 I generi alimentari costituiscono indiscutibilmente il gruppo più importante dei beni di consumo. Un tempo rappresentavano gli unici prodotti dell'agricoltura, della caccia, della pesca e delle industrie domestiche attinenti. Ormai la grande industria ha soppiantato, nel campo alimentare, le funzioni delle piccole aziende, esattamente com'è avvenuto per l'attività artigianale nella produzione degli oggetti d'uso. Carne in scatola, conserve di pesce, farina, pane, biscotti, cioccolata: tutti frutti della produzione primaria che oggi vengono lavorati su scala industriale e raffinati nella presentazione e nel gusto, combinati e variati in modo tale che non di rado si giunge a ricavarne qualcosa di nuovo, di totalmente diverso, come “prodotto di fabbrica", si tratti di dolciumi, di biscotti, di conserve di carne, di pesce, di verdura o d'altro. Talvolta, nel settore degli alimentari, si fa ancora una differenza fra il prodotto industriale e quello naturale. Ma questa distinzione diventa un errore allorché 62

implica il riconoscimento di una maggior salubrità e di un più alto grado nutritivo dei prodotti naturali. Perché in realtà è proprio l'industria che ha creato, con il sussidio della tecnica e della fisiologia specifiche, e della biochimica, prodotti alimentari più sani, di maggior contenuto nutritivo e, fatto di non ultima importanza, in quantità tali da sopperire al bisogno di massa. E tutto questo è avvenuto non solo attraverso la lavorazione e la raffinazione dei prodotti agricoli, ma grazie all'impiego dei metodi industriali di lavoro nella coltivazione dei prodotti agricoli grezzi (l'espressione ci sembra più appropriata del termine “prodotti naturali "). L'agricoltura si è industrializzata: fatto ormai comunissimo, che citiamo per una sola ragione, vale a dire perché l'industria, quando la si distingue dall'agricoltura, vien considerata spesso soltanto come un determinato metodo di trattamento della materia prima e della fabbricazione di “prodotti finiti". L'industrialismo è tuttavia un principio universale che abbraccia tutta l'economia, e innanzi tutto proprio l'agricoltura in quanto economia nel senso più antico, primordiale, ossia nel senso di un sistema tecnico per la coltivazione e lo sfruttamento della terra. L'industria, quindi, è interessata fondamentalmente alla produzione agricola nella stessa misura in cui partecipa alla produzione degli articoli d'uso e dei macchinari. Latte e formaggio si possono perciò qualificare a buon diritto prodotti industriali, non solo tenendo conto dei procedimenti di pastorizzazione, di vitaminizzazione e d'imballaggio meccanico, ma anche considerando semplicemente la produzione. L'uomo partecipa sempre più, con nuove tecniche e con nuovi espedienti, ai processi naturali. Basti pensare all'influsso e al controllo che esercita sui fenomeni della crescita degli organismi animali e vegetali. Non fosse altro per i mangimi, composti in base a formule rispondenti all'optimum che l'industria specializzata mette a disposizione delle imprese agricole come “carburante” per l'allevamento dei bovini, dei suini e del pollame, e che è un prodotto della scienza e della tecnica moderna. La sua composizione, essendo la risultante di molte variabili, fra cui i prezzi quanto mai incostanti della materia prima, vien calcolata da un cervello elettronico. E non dimentichiamo la meccanizzazione e la razionalizzazione del lavoro agricolo, con l'enorme ripercussione che queste innovazioni esercitano a loro volta sull'attività produttiva della natura. Non intendiamo addentrarci qui in considerazioni relative ai limiti dell'interferenza dei processi pienamente naturali nell'economia umana. Ci si potrebbe obbiettare che l'uomo interviene artificiosamente a dirigere il corso del processo naturale già nelle forme più primitive di economia rurale, la cultura agri, per cui la tecnica odierna andrebbe considerata unicamente come un progresso graduale. Ciò nonostante, il divario è grande. Finora si poteva distinguere nettamente, e a ragione veduta, una differenza fondamentale tra agricoltura e industria. I confini sono stati annullati solo da poco, e la loro scomparsa ha assunto un significato essenziale per i generi alimentari e voluttuari. Le fabbriche, quando si accinsero a produrre generi alimentari che l'agricoltura non sarebbe mai stata in grado di offrirci, aprirono la strada a situazioni che minacciavano di diventare a lunga scadenza molto precarie. Ci limiteremo a ricordare l'invenzione più importante della tecnologia alimentare, invenzione che risale agl'inizi del secolo, precisamente al 1902: la solidificazione dell'olio, che rese possibile trasformare liquidi vegetali oleosi in grasso solido, impiegandoli nella fabbricazione della margarina. La margarina, ch'era stata scoperta già nel 1869 da 63

Mège Mourier sotto gli auspici di Napoleone III, poté quindi venir prodotta su scala industriale. Alexander Schüttauf ha spiegato esaurientemente i motivi per cui nelle civiltà sottosviluppate - nel caso specifico della coltivazione estensiva del suolo in paesi a limitata densità di popolazione - i prodotti animali costano meno di quelli vegetali, soprattutto quando la regione è scarsamente abitata e il nomadismo è ancora preponderante. È di Adam Smith l'assioma che un capo di bestiame, in tal caso, non vale niente più di quanto valga la fatica di catturarlo. Con l'aumento della densità di popolazione e con l'intensificarsi della produzione queste condizioni cambiano. I costi di produzione dei prodotti animali aumentano in misura maggiore dei costi dei prodotti agricoli. “La capacità d'acquisto dei prodotti vegetali cala, la capacità d'acquisto dei prodotti animali cresce”: il fenomeno, considerato verso la fine del secolo scorso, minacciò di portare a un grave dilemma l'approvvigionamento dei grassi alimentari. Perché, con l'incremento demografico quale conseguenza dell'industrializzazione e dell'urbanesimo, “la produzione di grassi animali nelle zone in causa non è più sufficiente... La fase dell'espansione agricola in senso orizzontale è ormai conclusa e vien sostituita dall'intensificazione verticale 18”. Schüttauf dimostrò con dovizia d'argomenti che il burro doveva fatalmente rincarare nel corso di questo processo, e che i costi di produzione avrebbero continuato a salire, con ogni probabilità, anche in futuro. Si presentò quindi la necessità di trovare un nuovo grasso che, pur avendo le stesse qualità del burro, venisse a costare meno. Questo nuovo grasso fu la margarina, la cui diffusione nell'impiego quotidiano cresce, “nella fascia industriale, sempre più fitta, del mondo, a misura che il prezzo del burro esula dalla capacità d'acquisto del consumatoretipo 19”. La margarina, ormai elemento integrante dell'alimentazione, specie nei paesi nordici, rappresenta la prestazione più rilevante dell'industrialismo nel settore alimentare, prestazione che in ultima analisi si ripercuote anche sull'agricoltura, con l'introduzione sempre più diffusa dei panelli di semi oleosi, grazie al loro notevole apporto di albumina nell'alimentazione del bestiame. Infine, dalla raffinazione degli oli si ricavano in grande quantità acidi grassi, che forniscono la materia prima per la fabbricazione dei saponi. L'industria del sapone, col cui sviluppo l'igiene si diffuse e si generalizzò assurgendo al rango d'una necessità naturale, ha progredito quindi parallelamente a quella della margarina. Il tenore di vita dei singoli paesi si può dedurre, in una certa misura, dalle statistiche relative al consumo dei detersivi. Ed è altamente indicativo non solo il consumo annuo singolo e collettivo, ma anche la situazione del passaggio dal “classico” sapone granuloso fresco alle saponette da toeletta e al sapone in polvere per il bucato, ai quali si sono aggiunti recentemente i detersivi sintetici, che rappresentano un grande successo della chimica molecolare. II miglioramento del tenore di vita nei paesi industriali del mondo occidentale si può esprimere in varie maniere: con l'incremento del reddito effettivo, con la capacità d'acquisto dei salari, con l'accresciuta sicurezza sociale e con numerosi altri fenomeni indici di progresso. Il più appropriato dovrebbe essere tuttavia quello che indica la sicurezza dell'alimentazione, grazie alla quale la “miseria primaria”, che imperversa ancor oggi nella maggior parte del mondo non industrializzato, è scomparsa dalla nostra esistenza. Nel primo capitolo abbiamo accennato brevemente alla riduzione proporzionale delle spese per l'alimentazione rispetto alle spese generali delle famiglie, riscontrando, come indice medio della prosperità, un 64

tasso d'incremento del 15 per cento. Per misurare l'entità di questo progresso, è necessario considerare com'era composto, secondo le statistiche sociali, il pasto di mezzogiorno di un lavoratore dell'industria nel secolo XIX (il riferimento vale per i paesi del Nord Europa): patate, grasso di maiale, raramente un pezzo di carne e – “genere voluttuario della miseria” - grappa. La fame, che in tempi più antichi, accoppiata alla malattia, era lo spettro quotidiano che ossessionava tutti, poveri e ricchi, è diventata una situazione anormale, un elemento sensazionale, una catastrofe “inutile” perché evitabile “nella vita normale”. È una colpa voluta, in seguito a guerre tecniche. Il pane quotidiano, da millenni preoccupazione primordiale dell'uomo, costituisce oggi un problema di pianificazione sociale condotta secondo giustizia. Le vicende della natura e delle intemperie sono neutralizzate. Alcuni raccolti cattivi non costituiscono una minaccia mortale. L'inverno non è più la stagione in cui si è costretti a rinunziare agli ortaggi e agli altri cibi ricchi di vitamine. I trasporti di grossi quantitativi di frutti meridionali nelle regioni fredde del Nord sono all'ordine del giorno. Il lavoro d'interi istituti sperimentali e di ricerche è dedicato allo studio di metodi sempre migliori per conservare a lungo generi alimentari facilmente deperibili, e per conservarli in modo che l'aria non ne alteri la naturale umidità e la fragranza. Cibi raffinati sono entrati a far parte dell'alimentazione di tutti. E ci sembra impossibile che ai tempi di Goethe si comprasse lo zucchero in farmacia, e che le nostre nonne lo conservassero in vasetti di argento o di cristallo ermeticamente chiusi. Quanto alla cioccolata, era una autentica preziosa rarità. Oggi la pubblicità si dedica, in Europa, a far sì che a lungo andare l'icecream - il fior di panna gelato - diventi un alimento quotidiano alla portata di tutti. In America e in Inghilterra costituisce già il dessert d'ogni giorno e per tutto l'anno, Come il pudding. Sul nostro continente il prodotto è rimasto una ghiottoneria, oggetto di un commercio stagionale. Ma chi può escludere che le cose non si mettano diversamente già domani? Domani, ossia quando tutti i negozianti, fino all'ultimo, avranno un banco refrigeratore per i prodotti surgelati, e ogni moglie d'operaio possiederà il frigorifero. 8 Le mutate abitudini gastronomico-culinarie - conseguenza dello sviluppo assunto dagli articoli di marca - la meccanizzazione della cucina e la rarefazione, dovuta agli alti salari, del personale di servizio sono il motivo tutto particolare della trasformazione sociale nell'orientamento e nella programmazione dell'industria alimentare. A questo motivo si è dato un principio allorché si è affermato che la preparazione dei cibi e delle bevande, che originariamente era di esclusiva competenza casalinga, sta diventando rapidamente anche una prestazione extradomestica. Gran parte dei cibi e moltissimi componenti delle vivande passano dal campo del lavoro fatto in casa a quello eseguito fuori, diventano prodotti finiti, di fabbrica, che si possono acquistare su un mercato alimentare differenziato. Ai pasti confezionati da cima a fondo dalla padrona di casa, o dal personale di cucina, si è sostituita una quantità di articoli già cotti e conservati, che possono venir combinati e presentati in tavola con ogni sorta di moderne varianti personali. Questa evoluzione incominciò, inavvertita, senza dar nell'occhio, con gli antipasti e i dessert. Poi i dadi per brodo diedero l'avvio a un mercato delle minestre, 65

che a poco a poco si affermarono in pieno con le zuppe in scatola (e per il suo sviluppo fu d'importanza capitale l'invasione dei materiali sintetici e dei fogli d'alluminio che soppiantarono la carta); poi vennero i budini in polvere, seguiti da una catena di prodotti alimentari per i lattanti, per lo svezzamento e per la prima infanzia, alle marmellate di produzione industriale si unirono la frutta sciroppata e i succhi di frutta. Le conserve, che avevano fatto la prima apparizione con le acciughe e le sardine sott'olio, portando “il pesce in terra ferma”, avanzarono sempre più numerose con carni e salumi in scatola, e con ortaggi di ogni specie. La pasta alimentare, in costante miglioramento qualitativo e prodotta in tutti i formati, e le salse bell'e pronte per condirla, trasformarono in un gioco di pochi minuti la fatica di preparare pietanze di magro, e il pollo arrosto della domenica viene offerto oggi, spennato e pulito, in sacchetti di plastica sigillati e muniti di garanzia. Alla fine, gli organismi commerciali si accorsero che potevano assumersi anche le funzioni già espletate dalla cucina. Molti negozi mettono ora in vendita patate e carote sbucciate, frutta e olive prive del nocciolo, ortaggi e insalate già lavati. Risparmio di tempo è diventato il motto pieno di allettanti promesse per la massaia. Vista nel senso storico dell'economia, l'evoluzione cui abbiamo accennato non è, in fondo, niente di nuovo. Rappresenta semplicemente l'ultimo stadio della progressiva alienazione dell'amministrazione familiare e domestica, di quel processo iniziatosi con la dissoluzione dell'economia domestica precapitalistica, di cui erano componenti anche l'allevamento del bestiame, il forno per il pane, il filatoio e altre “attrezzature per la produzione”. L'industria, assunto - sostituendosi alla produzione casalinga - l'approvvigionamento della cucina con le “materie prime per i pasti”, compì un ulteriore, quasi immediato passo avanti partecipando anche all'elaborazione delle materie prime, ossia all'allestimento dei pasti. Il sistema di distribuzione trattandosi di un approvvigionamento così vasto - dovette naturalmente escogitare un'organizzazione quanto più possibile perfetta. Il che condusse non solo alle moderne, capillari organizzazioni di vendita, ma sollevò anche l'immensa problematica di un'informazione impostata secondo un sistema ben preciso. Per venirne a capo, l'analisi di mercato si trasformò in una analisi delle abitudini domestiche più intime. Si dovette scoprire come, dove e quando singole categorie di consumatori acquistavano e adoperavano determinati prodotti, quali erano le qualità che il pubblico apprezzava e si aspettava di trovare, o quali non apprezzava e non voleva trovare. Si dovevano conoscere gl'interessi del mercato, la capacità di assorbimento dei singoli settori di vendita, la velocità e le fluttuazioni del consumo, “i barometri del mercato”, o come si usi dire adesso nel linguaggio tecnico. Quest'analisi di mercato condotta in estensione e in profondità non fu un'attività secondaria, bensì parte di un sistema permanente di controllo, elemento integrante sia dell'organizzazione di vendita impostata modernamente, sia dell'organizzazione del lavoro nelle fabbriche. Non dimentichiamolo: il buon funzionamento dell'apparato distributivo della nostra economia è spesso una necessità assai più vitale per l'odierna sicurezza della vita di quanto non lo siano i buoni raccolti. E qui tocchiamo uno dei caratteri fondamentali del progresso: la dipendenza dell'uomo dalle vicende naturali diminuisce, la dipendenza dalle forme organizzate della vita sociale aumenta. 66

Clara Menck ha riassunto con sintesi intelligente, in un articolo che vale la pena di leggere, i mutamenti avvenuti nel carattere sociale dell'alimentazione e dell'ospitalità. “I pasti” dice “non più una cerimonia. Si procura di sbrigarli alla svelta. II mangiare è diventato una faccenda alla buona, e lo indica a sufficienza il fatto che la tavola è stata spostata dal centro della stanza contro una parete, o nell'angolo. La sala da pranzo borghese non esiste più per le giovani coppie. Nelle case dei più anziani, dove la si può ancora trovare, mette in imbarazzo, suscita un effetto un po' ridicolo. Gli ospiti non vengono più invitati a mense imbandite, ma al tè, al cocktail, a tramezzini e a pasticcini, attributi dei pomeriggi e delle serate di ricevimento. Il banchetto si è metamorfosato in queste piccole cose; si mangia come mangia la gente per la quale aver fame e sfamarsi sono due concetti superati 20”. Ciò nonostante la dei pasti ha tuttora un'importanza essenziale nella coscienza della massaia e nella vita familiare. I pasti contribuiscono a raccogliere insieme e a unire i membri della famiglia, meno di un tempo a mezzogiorno (perché i padri mangiano per lo più alla mensa aziendale e i figlioli a quella scolastica), ma appunto per questo le serate e i week-end acquistano sempre maggior significato. E proprio da questo deriva la tendenza a conferire ai pasti una nota casalinga individuale. Tendenza che corrisponde a una vera necessità, di cui anche l'industria deve tener conto. Nuove esperienze nella preparazione saporita, nuove possibilità di scegliere, di combinare, di presentare permettono - nonostante la standardizzazione dei commestibili - di preparare ancora qualche “sorpresa” individuale. Negli Stati Uniti, lo spignattare si è fatto di necessità non solo virtù, ma addirittura passatempo, e perfino gli uomini cominciano a prendervi gusto. Ci si sta avviando a una gastronomia comparata, in cui caratteristiche particolari di singoli popoli e di singoli settori della civiltà diventano beni comuni, universalmente apprezzati. Ci si arrischia a tentare specialità culinarie italiane, iugoslave, indonesiane, e soprattutto le massaie della giovane generazione, che hanno avuto un'istruzione superiore, si dedicano a sperimentare le novità. Si può esprimere la tendenza sociologica generale con una formula abbastanza semplice: a mano a mano che l'economia domestica cessa di produrre da sé quanto le abbisogna; a mano a mano che la famiglia diventa esclusivamente una unità di consumatori, le vecchie attività produttive casalinghe - cucire, rammendare, tessere, aggiustare, e adesso anche cucinare - si trasformano rapidamente in occupazioni ricreative del tempo libero. E l'industria alimentare ha avuto agio di accorgersi in questi ultimi anni che in dati casi le famiglie spendono nuovamente di più proprio per l'alimentazione: l'asserzione di Engel rivela quindi ancora una volta inesatta. 9 Il consumo di massa, come dicemmo, incominciò con gli articoli domestici d'uso quotidiano. Ma toccò un livello più alto allargandosi agli oggetti d'uso durevole. Questi oggetti, con i quali viviamo, che ci accompagnano per molto tempo, a volte per tutta la vita, rappresentano un grado di proprietà superiore rispetto alle cose che vengono consumate subito. Contribuiscono a dare una fisionomia all'ambiente e hanno quindi anche un significato assai più profondo per i rapporti umani. I beni d'uso sono - come abbiamo visto - i beni d'investimento delle famiglie di 67

costituzione recente, che devono programmare a lunga scadenza, e la percentuale delle spese per questi beni aumenta rispetto alle spese generali per il sostentamento. La consapevolezza che l'acquisto di beni d'uso durevoli possiede il carattere di un vero e proprio investimento costringe a un riesame critico delle vecchie concezioni sul consumo di massa. Il quarto capitolo di quest'opera sarà dedicato a un'esposizione esauriente del significato sociale rivestito dai nuovi beni della prosperità. Qui dobbiamo prendere ancora una volta in considerazione il processo storico, la mobilitazione della produzione e della vendita di massa dei beni d'uso. Diamo ancora uno sguardo retrospettivo: già nel XIX secolo si registra in Germania un rinnovo più frequente delle suppellettili domestiche. Si nota che la moda comincia a estendersi dal campo delle stoffe ad altri oggetti, il cui settore, per quanto concerne gli articoli d'uso da rinnovarsi con una certa frequenza, si allarga sempre più. Il rincaro delle spese per le riparazioni, dovuto agli aumenti salariali, procede di pari passo con questa evoluzione, ed è ancora oggi in pieno sviluppo. All'intensa propaganda odierna, condotta coi manifesti murali e con le inserzioni nei giornali per la diffusione dell'illuminazione, corrispondono gli slogan del tempo, come ad esempio “Non più angoli bui nella tua stanza", o “Porta la luce in casa tua", dedicati a belle lampade a stelo. I fabbricanti di vetro e di porcellana hanno appena incominciato la lotta contro il sacro timore dei consumatori di gettar via, una buona volta, tazze prive del manico, brocche incrinate e servizi da tavola ridotti a pochi pezzi: si sa che molto spesso le stoviglie difettose durano quanto quelle in perfette condizioni. Nel campo dell'abbigliamento l'offerta di massa di abiti confezionati ha fatto della moda un fenomeno di massa. Sempre meno si portano i capi di vestiario sinché non sono “logori" mettiamo il termine fra virgolette perché è un concetto relativo. Ciò che oggi è considerato logoro, cent'anni fa sarebbe stato buono per un regalo natalizio: allora un membro della classe media europea era “ben vestito" anche se indossava un abito rivoltato. Oggi l'abbigliamento è diventato così importante da costituire oggetto d'indagini sociologiche, probabilmente per la importanza che ha assunto nella vita professionale. La tecnica - si dice - ci fornisce quanto vi è di meglio, la moda quanto vi è di più nuovo. E qui entra in gioco un principio radicato nelle usanze e nel sentimento della borghesia parsimoniosa: il pensiero del corredo che dovrebbe servire “per tutta la vita" alla figlia che si sposa. Una dote del genere, destinata a durare tutta la vita, non si accorda più col nostro mondo imperniato sul consumo. Nel 1902 Sombart scriveva: “Le suppellettili del bisnonno sostengono una parte assai limitata, oggigiorno. La famiglia neocostituita parte con tutt'altri progetti; mentre i nostri genitori rinnovavano i mobili, i materassi, la biancheria, le posate e tutti gli altri utensili solo in casi eccezionali, anche se il matrimonio durava fino alle nozze d'oro, oggi è diventata regola, perfino nelle migliori famiglie, di rinnovare tutto a turni di dieci, dodici anni. Noi stessi portavamo ancora, infatti, gli abiti che fratelli maggiori e genitori avevano smesso; il famoso ‘vestito buono' del marito e l'abito di nozze della moglie avevano una parte di primo piano nelle classi inferiori, duravano tutta una vita, e si tramandavano da una generazione all'altra come una malattia ereditaria. Il commercio delle robe usate, il mestiere di aggiustatore d'ogni sorta di oggetti 68

erano fiorenti un tempo, fino alla metà del XIX secolo, e in quasi tutte le città esistevano le corporazioni dei rigattieri 21”. La confezione in serie consente anche all'operaio meno pagato di “vestirsi come un signore". La domestica si abbiglia “come una signora" - e anche per questo non vuol più fare la domestica. L'unica forma d'indignazione che sussista oggi di fronte a questo fenomeno è quella suscitata dal fatto che l'operaio non è ancora un vero signore, e questo significa solo che non riesce ancora a dominare la recente prosperità. È lo stesso motivo per cui la ricchezza recente dà fastidio. E per questo può anche succedere di restar colpiti dalla dignità espressa da una giacca malandata o dal berretto di quegli operai di cui la pittrice Käthe Kollwitz ha fissato il volto per noi. Con la produzione di massa dei beni d'uso, l'industria incominciò a capire che era suo dovere di portare sul mercato e dal mercato nelle case e nei luoghi di lavoro non soltanto ciò che è utile, ma anche ciò che piace, non solo oggetti pratici, ma anche cose belle. Incominciò a capire sempre più chiaramente che era in suo potere di trasformare il nostro modo di vivere e di conferire nuova dignità e nuova eleganza all'ambiente in cui viviamo. Dopo l'impegno tecnico, venne riconosciuta l'importanza di quello estetico. La produzione di massa non poté più fare a meno della collaborazione degli artisti, che diventarono altrettanto indispensabili degl'ingegneri. Agli artisti furono affidati incarichi che non si limitavano al campo dello smercio (come informatori della reclame), ma anche a quello della produzione. E i loro furono compiti specifici dei tempi. Sombart ha detto che le più alte esigenze artistiche nella creazione dei beni d'uso escludono ogni forma di produzione di tipo artigianale 22”. Si è affermata una nuova coscienza della forma, un nuovo senso della qualità, che si è sviluppato nell'industria stessa, e lo testimoniano tutti gli anni le esposizioni industriali. Certe fiere campionarie tecniche sono diventate da lungo tempo un foro di raffinata cultura. Basti pensare a quella di Milano, che costituisce l'esempio più probante. Per misurare il significato di questo mutamento, dobbiamo richiamare alla nostra memoria l'esistenza informe, spesso addirittura meschina, secondo il concetto attuale, della vecchia borghesia. L'industria, allora, era totalmente trascurata dagli artisti. La sua miseria estetica oggi è quasi dimenticata, a differenza della miseria materiale della classe operaia tuttora viva, grazie alla letteratura, nella coscienza del presente. Sombart ha dimostrato col suffragio di esempi che l'arte industriale era disorganizzata ancor prima dell'affermarsi dell'industrialismo. Quindi la mancanza di buon gusto - come la miseria - esisteva quando ancora non esisteva l'industrialismo. La miseria diventò proletaria, la mancanza di buon gusto era e rimase borghese. Gli artisti - così si sente affermare - erano a quei tempi o puri esteti o ingenui che vivevano fuor della realtà, incapaci di trasfondere bellezza nel mondo delle cose quotidiane. La cosiddetta arte pura viveva in uno stato d'isolamento che non giovava granché neppure a sé stessa: “… da per tutto una decadenza del buon gusto così profonda, che difficilmente la storia ne ha veduto una uguale 23”. Il peggio avvenne quando gl'industriali si arrischiarono nel campo dello stile: le novità e le rarità con le quali suscitarono lo stupore dei contemporanei nelle prime esposizioni mondiali infersero il colpo di grazia al buon gusto. “Ma quello stesso capitalismo che troviamo qui all'opera come distruttore del buon gusto, crea contemporaneamente le condizioni necessarie per la rinascita dell'arte nell'industria, 69

secondo la poco felice definizione con cui si è voluto indicare la partecipazione dei canoni artistici alla creazione di prodotti industriali 24”. Assistiamo quindi a qualcosa di analogo a quanto avvenne nell'eliminazione della miseria materiale: non esiste alcuna possibilità di regresso, ma solo la fuga in avanti, verso la propria potenza, verso la formazione della civiltà economica industriale come nuova e più completa forma di vita. È un processo nel quale evidentemente ci troviamo coinvolti ancor oggi, in cui l’adattamento ai molteplici beni del tempo libero, il superamento di urgenti problemi educativi, l’organizzazione della vita urbana e rurale sono diventati, insieme a molti altri problemi, un'istanza di primissimo ordine. La rivoluzione industriale sembra predestinata, piaccia o non piaccia, a sfociare nel rinnovamento della nostra società e della nostra cultura, e questo ci obbliga a riesaminare di continuo i concetti convenzionali sulla “società industriale”. Si tratta - come ha detto Ludwig Erhard - di “umanizzare l'ambiente in tutti i campi della vita”. E non è lecito definire questo concetto ideologia progressista camuffata, perché in realtà riguarda molti problemi pratici della vita quotidiana.

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Il prestigio conferito dai beni prevale sulla loro utilità

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Quindi il benessere materiale di cui sto parlando non è soltanto un argomento prosaico e volgare, ma sembra anche alquanto chimerico, perché noi costatiamo che questo problema di ricchezza e di spese dipende più che altro - si tratti di poveri o di ricchi - dall'immaginazione. VICOMTE G. D'AVENEL

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1 L'attività dell'imprenditorato moderno è andata ben oltre le sue funzioni originarie, contenute nell'economia della produzione e dello smercio, accollandosi mansioni di carattere psicologico, estetico e culturale. Ha scoperto, sia in campo produttivo sia in campo distributivo, il significato e l'importanza delle relazioni umane. L'uomo fu riscoperto, impersonato dalla figura del lavoratore nella sfera produttiva, da quella del consumatore nel settore del mercato, in mezzo a una congerie di problemi puramente pratici. A dire il vero, si ricominciò con la scoperta delle debolezze umane, assai più che con la scoperta delle forze umane, ma fu una rivelazione così radicale da indurre a un sempre maggiore approfondimento nella conoscenza di tutto ciò che concerne l'uomo. In tal modo la grande industria è diventata un'istanza dell'indagine sociale e della psicologia applicata. Il gioco della domanda e dell'offerta - dicevamo - da un lato si è esteso, dall'altro si è raffinato, esteticamente e socialmente. E questo sviluppo lo si può leggere chiaramente nella pubblicità, il cui obiettivo, ripetiamo, non è più, o non è più in primo luogo la qualità intrinseca dei beni, quanto i vari significati ch'essi possono assumere per il proprietario. Uno dei più apprezzati e redditizi è quello espresso dalla parola progresso. Parteciparvi e goderne stabilmente conta come felice risultato sociale assai più che come soddisfacimento materiale. E questo ha validità assoluta. Perfino l'offerta degli articoli di mercato più comuni parte dalla premessa: “Allorché vuoi vendere non importa cosa a una massaia, si tratti di sapone o di un budino in polvere, non diffonderti in chiacchiere per magnificare la bontà del prodotto, o per dimostrarle che le farà risparmiare tempo e denaro. Convincila invece, o almeno sappi condurre il discorso sull'argomento, che l'uso del prodotto in causa serve a renderle la vita più bella, più piacevole, e che le procurerà soddisfazioni e complimenti 1. Conviene lodare non tanto il prodotto, quanto il compratore, cui l'acquisto conferisce un segno di distinzione. Il prestigio che deriva dai beni conta più della loro utilità. Il che non significa necessariamente che l'apparenza sia diventata più importante della sostanza, ma vuol dire, al contrario, che abbiamo da fare con una sostanza di specie superiore: la sua qualità resta l'impegno di uno sforzo produttivo teso verso il costante miglioramento, come intendiamo per l'appunto dimostrare nelle pagine che seguono. Il pensiero tradizionale relativo all'economia e alle sue funzioni è talmente legato al concetto di “sostentamento materiale”, che l'idea di un'economia che miri a soddisfare in misura sempre crescente i bisogni più elevati dell'uomo non è mai stata considerata sistematicamente e con la dovuta serietà. La maggior parte dei concetti che informano lo smercio hanno avuto origine - come abbiamo tentato di spiegare - in tempi di insufficiente copertura, perciò non bastano a definire i nuovissimi problemi di mercato della proprietà. L'economia deve poggiare sempre più sulla sociologia, debitrice in massima parte dello sviluppo che ebbe nel XIX secolo alla dilucidazione del tema “economia e società 2”. Nella letteratura sociologica esistono diffuse considerazioni sull'erigine della ricchezza 3. Qualunque sia stata la sua provenienza, o la causa della sua formazione, una cosa è sicura: la ricchezza non è mai stata il risultato di uno sforzo tendente a un lavoro utile. Sembra piuttosto - e i prodromi si possono riconoscere già negli stadi primitivi della civiltà - che sia stato possibile conseguire il dominio e la 73

potenza proprio col desiderio di dominio, con la volontà di potenza. Lo sviluppo della società umana e della stessa storia umana è concepibile soltanto come la conseguenza di condizioni di proprietà in grado di assumersi un compito intelligentemente ordinatore. Condizioni di proprietà sono sinonimo, già di per sé, di prestigio e di casta, e implicano - in quanto tali - un problema morale: l'obbligo di usare giustamente della proprietà. Ordinamenti sociali e rapporti simbolici devono giustificare la condizione di possesso. È anche vero, però, che tutta la storia è una perpetua divergenza d'opinioni e un continuo litigare per stabilire quali siano esattamente gli ordinamenti sociali giusti e quale sia la equa ripartizione delle ricchezze. Veblen ha descritto la storia della proprietà come un progressivo arretramento della funzione di sovranità di fronte alla funzione del lavoro utile, fissando così uno degli aspetti preminenti della storia sociale moderna 4. Per d'Avenel, questo passaggio segna la transizione dalla ricchezza conquistata con la violenza (che originariamente veniva dissipata) alla ricchezza acquisita pacificamente (che andava conservata e moltiplicata). In relazione a ciò, ha sviluppato concetti interessanti, considerando l'aspetto economico-sociologico della guerra, che nel medioevo era una fonte di guadagno, una possibilità diretta di arricchire (“riportare la vittoria”). “La guerra è la grande, l'unica speculazione, l'alea dalle incomparabili possibilità per l'amor proprio del povero diavolo coraggioso. Questi ha tutto da guadagnare, perfino la gloria, e rischia di perdere solo la posta che mette in gioco, cioè la vita; ma alla vita, a quei tempi, non si attribuiva neanche lontanamente l'importanza che le si dà oggi 5.” Però, per quanto numerosi siano stati i motivi e le possibilità di arricchire, il desiderio di conseguire e di mantenere il possesso dei beni ebbe sempre, in qualunque periodo storico, un significato costitutivo per le forme della convivenza umana, si trattasse di cose o di terre, di cavalli o di schiavi, di donne o di sudditi. Sicché il concetto del prestigio sociale attribuito alla proprietà non è affatto figlio del nostro tempo. Nuovo è solo il fenomeno per cui i beni di consumo hanno ottenuto un significato sociale mai avuto prima d'ora. E a questi beni di consumo, o beni del progresso, abbiamo conferito il carattere di proprietà tipica dell'epoca, in tutto paragonabile a quello che epoche storiche precedenti attribuivano al possesso delle proprietà fondiarie o degli schiavi. È nuovo, inoltre, il fatto che la proprietà odierna ci viene addosso in abbondanza, attraverso il mercato pluridimensionale di un'economia sublimata, per la quale le funzioni sociali sono l'oggetto dell'offerta. Per scoprire quali siano queste funzioni sociali differenziate, l'economia fa ricorso alla scienza. E un fatto simile non ha riscontro nel passato. Mai economia e scienza sono state mobilitate come oggi per offrire all'individuo, per il tramite del meccanismo di mercato, i mezzi atti a fargli toccare vette più alte nella competizione della vita; mezzi che ciascuno, di massima, si può procacciare. Allorché si travisa in senso peggiorativo, per partito preso, il significato personale e sociale dei beni, deducendo che la loro utilità pratica, o “utilità fondamentale” sarebbe alla fin fine l'essenziale, quindi l'elemento sul quale dovrebbe puntare anche la pubblicità, si riducono contemporaneamente a elementi di secondaria importanza le funzioni estetiche e culturali dell'economia, scoperte di recente 6. Al tempo stesso si disconosce tutto il significato culturale-antropologico 74

dei beni umani. Il nostro ambiente non è la natura pura e semplice, come lo è invece per le piante. Tutto quello che il braccio e la mente creano, e di cui vogliono poi godere, appartiene alla nostra topografia esistenziale. I beni costruiscono e informano il nostro spazio vitale, il nostro mondo sociale, come una parte oggettivata del nostro essere. La produzione umana è, secondo il suo scopo originario, liberazione. Il godimento delle cose che l'uomo si crea gli deve trasmettere la consapevolezza di un'esistenza pienamente adempita, che fino a oggi fu possibile all'uomo soltanto in compagnia di altri uomini. E se ci approfondiamo nella storia plurimillenaria dei nostri beni d'uso più importanti - risalendo fino alle armi, agli utensili e agli oggetti ornamentali dell'età della pietra - scopriamo che il perfezionamento di questi beni non consistette solo nei miglioramenti tecnici, ma anche nelle differenziazioni sociali e nel raffinamento culturale. Il progresso spirituale si espresse qui, non nella finitezza materiale, e una passeggiata attraverso le sale di un museo preistorico lo prova abbondantemente. Anche l'abbigliamento ha sostenuto una parte pittoresca e molteplice, come principio di distinzione sociale, fin dagl'inizi della storia della civiltà. Non è mai servito esclusivamente a riparare dalle intemperie e dalle aggressioni del nemico. La moda riuscì a fare in maniera che l'abbigliamento si mettesse in conflitto col suo scopo originario di offrire un riparo al corpo (ammesso e non concesso che questo fosse davvero il suo scopo originario), e che a partire da quel momento vi adempisse assai insufficientemente. “Sistema di assestamento sociale sui generis”, e, come tale, “da distinguersi dai suoi mutevoli contenuti” (René König), la moda si estende oggi a sempre più numerosi beni, fin dove diventa tecnicamente possibile raffinarli e variarli. 2 Utilità pratica e prestigio socio-culturale - insistiamo su questo punto costituiscono entrambi le qualità di un prodotto. Il concetto di qualità non dev'essere però stabilito solo tecnologicamente. I rapporti fra domanda e offerta si raffinano in proporzione diretta del prevalere dei requisiti sociali, culturali, estetici sulle qualità tecniche. La pubblicità diventa più personale, più accorta, più intonata, e le mode sociali acquistano maggiore importanza. Anche il pensiero economico, in certi casi, ha bisogno di essere emendato. Teorie concorrenziali, che consideravano come unico fattore determinante il prezzo, sono state rivedute. Se definiamo la qualità tecnica col termine di utilità e quella sociale col termine di Ueberformung, cioè di inserimento della semplice funzione utilitaria in un processo e in una struttura superiori, per cui un oggetto di uso eminentemente pratico entra in un nesso di significato sociale e culturale, le relazioni essere espresse graficamente in questo modo: FUNZIONE

QUALITÀ

TITOLO

Utilità pratica

Perfetta rispondenza allo scopo

Perfezione tecnica

Prestigio personale

Ueberformung

Stile sociale

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La perfetta rispondenza allo scopo tende all'ottenimento della perfezione tecnica, l'Ueberformung cerca lo stile. Lo stile determina il valore sociale permanente del prodotto. Le grandi epoche storiche che conosciamo ci hanno lasciato beni il cui valore, oggi, è spesso incommensurabile, sebbene il progresso tecnico abbia superato di gran lunga i vantaggi ch'essi offrivano un tempo. L'influsso di tali oggetti può essere però talmente forte, che in dati casi intere generazioni si applicano a copiare, ricorrendo ai sussidi di una tecnica più sviluppata, le antiche forme 8. Ciò che questi beni rappresentano ora non è più uno scopo: è un ordine di valori culturali, ch'essi esprimono e al quale l'uomo ambisce costantemente di partecipare. In tal caso non si tratta quindi d'una richiesta di qualcosa di nuovo, bensì d'una richiesta dell'antico; non è una domanda volta al futuro, ma una domanda che si riferisce al passato; un passato che non ha perduto nulla nella quotazione dei valori sociali. Lo stesso consumatore, che in altri casi e per altri beni desidera possedere le ultime e più strabilianti novità della produzione, create per sempre nuovi adattamenti alle continue innovazioni, dirette sempre a superare ciò ch'è già stato realizzato, ciò che già esiste, vuol avere qualcosa che nessuna novità ha potuto superare. Evidentemente è più facile ottenere la perfezione tecnica che realizzare uno stile. Tuttavia, si avverte sempre, e da per tutto, la tendenza a imprimere una forma “superiore” al prodotto puramente tecnico. Se poi lo stile venga realizzato o no, è un'altra questione: ma la volontà di realizzarlo è incontestabile. Così com'è incontestabile che il nostro sistema produttivo industrializzato possiede nuove possibilità tecniche atte a consentire l'ottenimento dello stile. La perfezione artistica degli oggetti non è subordinata né alla maestria manuale dell'individuo, né all'unicità dell'esecuzione. La premessa fondamentale è contenuta nella coscienza dello stile dei tempi, in una “dicotomia creativa” fra l'offerta culturale e la domanda culturale, in quel fertile stato di tensione che si realizza nelle forme creative molteplici e sempre diverse, ma pur sempre condizionate al tempo. Naturalmente, è necessaria la guida delle élites del buon gusto, dei consumption leaders, come li ha definiti Veblen. Il termine “direzione” (leadership), che i sociologi dell'industria, in maggioranza, ritenevano riservato ai compiti organizzativi del lavoro, sta diventando sempre più il tema di fondo nel lancio e nella creazione dei prodotti, perciò anche nel consumo. La produzione di massa non è diventata - cosa di cui un tempo le si faceva carico - fabbricazione schematica di prodotti unitari standardizzati. Si è sviluppata in una produzione qualitativa quanto mai esigente, suscettibile di numerose variazioni, capace di trarre profitto non fosse altro che dalla straordinaria capacità di adattamenti e di varianti. E il risultato, per l'appunto, non è la monotonia, ma la molteplicità, e trova un'analogia perfetta con quanto si è verificato per la classe lavoratrice, che non è diventata, secondo la previsione di Marx, un proletariato indifferenziato, ma una classe di operai specializzati, altamente qualificata e differenziata. È vero che all'esecuzione unica di un esemplare fatto a mano si sono sostituiti la produzione in serie, il marchio tipico, il modello ripetuto infinite volte. Eppure, il fenomeno viene compensato da ramificazioni e da sfumature così mutevoli e così multiformi di tipi e di modelli che il campo della scelta e delle combinazioni individuali, anziché restringersi, si è ingrandito. Il quadro cambia, per così dire, sotto gli occhi, continuamente. Agl'inizi, la produzione di massa fu 76

ritenuta unicamente un nuovo metodo di lavorazione adottato dal sistema produttivo economico-commerciale. Ma da lungo tempo si è scoperto che la produzione di massa è in realtà anche un nuovo metodo di raffinato perfezionamento. Le tecniche odierne impiegate nella lavorazione delle materie prime, si tratti di legno o di metalli, di vetro, di argilla o di materiali sintetici, hanno raggiunto un grado di perfezione addirittura stupefacente, sicché l'obiezione che la macchina avrebbe minori possibilità artistiche degli utensili di lavoro dell'artigiano ha perduto praticamente, e da un bel pezzo, ogni validità. Le fiere e le esposizioni industriali che si ripetono tutti gli anni ne forniscono la prova. In generale si può rilevare la tendenza a non considerare più produzione industriale e perfezionamento estetico come due processi di lavoro distinti e separati. Perfezionamento estetico, si badi, che non è più esclusivamente qualcosa di aggiuntivo, di ornamentale, ma una componente essenziale, in massima parte, del processo produttivo, che già di per sé è un processo formativo. Si può affermare a ragion veduta che il perfezionamento estetico incomincia nelle fonderie. Oggigiorno, nell'industria vetraria, che costituisce un esempio a sé, la parola definitiva per la parte estetica della creazione non spetta più al reparto molatura o a quello delle incisioni, bensì alla fonderia. Non sarà inopportuno ricordare, a questo proposito, che la molatura a mano della vecchia industria vetraria aveva anche, o forse principalmente, lo scopo di eliminare o di rendere invisibili gl'inevitabili difetti del vetro grezzo, ad esempio le bollicine d'aria. Ma la produzione di massa, a mano a mano che andava sviluppando sempre più numerose funzioni tecniche atte al perfezionamento del prodotto, si creò, ricavandole dalle leggi che si era data, le occasioni di imprimere a tutto il nuovo complesso di beni una forma corrispondente al nostro tempo. Oggetti d'uso, perfino quelli che una volta non meritavano esteticamente la benché minima considerazione, come pentole e padelle da cucina, assunsero una “linea” moderna, “linea” grazie alla quale furono in grado di partecipare attivamente alla competizione nel campo del consumo. Perché non l'utilità ma il prestigio, non le qualità tecniche ma quelle sociali costituiscono il motivo predominante del consumo in gara con sé stesso. E anche la moda punta solo su queste. Il fatto che la moda penetri - e con quale successo - in sempre più numerosi settori, significa soltanto e semplicemente che la quantità di beni in grado di contribuire al raffinamento della vita sociale va aumentando. In tal modo la produzione di massa si spiega come il costante acceleramento d'un processo sociale di differenziazione del nostro mondo materiale, e nello stesso tempo dl un processo di raffinamento divenuto possibile grazie alle moderne tecniche di fabbricazione e alla varietà dei beni. Il perfezionamento estetico trova fatalmente una barriera solo là, dove la funzione utilitaria o la costruzione di un oggetto ne determinano a tal punto la forma, che questa deve rimanere costante: una palla sarà sempre sferica, e gli aghi non saranno mai storti. E tali oggetti subiscono inoltre assai poco gli influssi della moda. Tuttavia, esistono sempre possibilità occulte: le palle possono essere colorate in vari modi e gli aghi presentati in scatolette di cartone, o in astucci di polistirolo. Generalmente parlando, però, dobbiamo considerare che la possibilità di apportare mutamenti e innovazioni estetiche a un oggetto è proporzionale alla sua capacità di accettare mutamenti nella forma o nella costruzione. Nel caso 77

inverso, l'oggetto si avvicina a quella situazione in cui diventa un problema che interessa la standardizzazione. 3 È facile, generalmente, scoprire ciò che costituisce il meglio e il più nuovo sotto l'aspetto tecnico. La perfezione tecnica può essere misurata e dimostrata in base a metri obiettivamente validi. Invece è infinitamente più difficile spiegare, e più difficile ancora riconoscere, ciò che dev'essere considerato moderno e conforme allo spirito dei tempi in senso estetico. Bellezza e buon sono e restano vincolati al modo di sentire soggettivo, a una valutazione del tutto personale e all'espressione culturale dominante. Per questo motivo l'uomo assume in genere verso gli oggetti non eminentemente tecnici un atteggiamento assai più conservatore di quello che manifesta nei confronti di macchine, apparecchi e strumenti. Architetti, progettisti di moda e disegnatori di oggetti d'uso incontrano difficoltà ben maggiori degl'ingegneri e dei costruttori nel propagare mode e novità. La sociologia parla di una coscienza estetica ritardata e l'indagine di mercato può suffragare con gli esempi questo fatto incontestabile. Là dove la nostra epoca non è stata ancora capace di darsi un'adeguata espressione estetica, succede a volte che certe forme tradizionali vengano considerate più o meno qualcosa di ultimo, di definitivo. Mobili di forma nuova vennero giudicati “eccessivamente moderni” e stravaganti, il che poteva anche essere vero, ma solo in certi casi limite. Perché il fronte del buon gusto passa proprio in mezzo al moderno 9”. Tuttavia, esiste un determinato gruppo di oggetti, come ad esempio utensili domestici e di cucina, veicoli e altri, dai quali si esige una forma spiccatamente moderna. Di regola si tratta di cose in continuo superamento grazie al progresso tecnico, dato che la loro funzione è per l'appunto eminentemente tecnica. Perciò vengono apprezzati in sé secondo il grado di rispondenza allo sviluppo tecnico. È assai difficile che a una massaia passi per la mente di prendere in considerazione una macchina per cucire, un aspirapolvere o un frigorifero di modello antiquato. Le uniche eccezioni, che confermano la regola, sono rappresentate dagli apparecchi radio e dai televisori. Benché siano prodotti raffinati della tecnica moderna, e ciascuno desideri quindi i modelli d'avanguardia in fatto di perfezione e d'innovazioni tecniche, sono al tempo stesso oggetti d'arredamento, e come concorrono a dare un'impronta particolare alla casa. E ciò significa che la loro forma deve armonizzare con Io stile degli altri mobili. Però, siccome lo stile preferito dall'odierna media è assai speso una copia o un goffo rifacimento degli in temi borghesi del XIX secolo, succede a volte di assistere a una bizzarria che colpisce: apparecchi radio e televisori, vale a dire la massima novità nel campo del nuovo, appaiono sotto l’aspetto massiccio di certi mobili del bisnonno. A prescindere però da questo caso limite, potremmo stabilire la seguente distinzione semplificativa: se la funzione primaria che l'oggetto in questione svolge è di carattere tecnico, o se il suo uso è subordinato a un buon funzionamento tecnico, l'oggetto dipende in maniera così essenziale dai progressi della tecnica, che anche una forma esteriore riuscita può essere compresa solo in vista del grado di perfezione tecnica raggiunto in quel dato momento (vedi l'automobile, i cui modelli 78

del 1930 oggi fanno ridere). L'aereo a reazione rappresenta il superamento dell'aeroplano a elica, e la forma estetica lo dice immediatamente. Se invece il prodotto dipende poco o nulla dagli sviluppi tecnici, se il suo significato principale è quello di oggetto ornamentale destinato a piacere, allora il progresso tecnico si può disinteressare, o quasi, alla forma. È questione che riguarda un altro settore dell'esistenza; ciò che la fa mutare non è una tecnica migliore, ma una diversa interpretazione del senso della vita. Il peso determinante nella creazione delle forme di stile e degli ordini dei valori non è rappresentato dal comportamento umano verso i beni di consumo (perishable goods), bensì da quello i beni d'uso (durable goods). Li potremmo anche chiamare rispettivamente beni primari e beni secondari. Questa distinzione è ricavata da considerazioni diverse da quelle che condussero Colin Clark a distinguere fra produzione primaria e produzione secondaria 10. Ciò che conta per noi in questa distinzione non è il punto di vista del settore produttivo (agricoltura - lavoro manuale industriale), bensì quello del consumo. I beni di consumo (alimentari, saponi, detersivi, smacchiatori, cosmetici, medicinali e così via) servono in grandissima parte al mantenimento dell'esistenza fisica. Sono di breve durata, li potremmo definire il carburante della nostra vita più che materie prime per la sua particolare conformazione, com'è invece il caso degli oggetti d'uso durevoli. Il consumo annuo pro capite dei beni primari è diventato uno dei metri che servono a calcolare il tenore di vita materiale, che in questo modo può essere misurato quantitativamente e comparativamente, fra un paese e l'altro e fra un'epoca e l'altra. I beni secondari, invece, o beni d'uso durevoli, esprimono assai meglio il livello qualitativo dell'esistenza, più che il tenore di vita rivelano il contenuto della vita. Sono - esattamente come la nostra architettura - una parte rappresentativa di quello spirito obiettivo di cui parlano i filosofi, manifestazione e specchio delle ambizioni, dei desideri e delle nostalgie della nostra epoca. Più che servire al nostro mantenimento, costituiscono per noi un appoggio, un'esistenza “civile”, che in tempi di miseria materiale è sempre, appunto perché “civile”, qualcosa di più d'una “mera esistenza” qualcosa di più d'un “vivere alla giornata”. Le capacità creative delle grandi epoche stilistiche sono diventate realtà non solo per il tramite delle grandi opere d'arte, ma anche, sempre e soprattutto, attraverso i piccoli oggetti d'uso quotidiano. Fra la forma assunta da questi oggetti d'uso e il consumo pro capite dei beni primari non sussiste alcun nesso di causalità. L'America, il paese del più alto livello di vita, ci offre un duplice esempio che ci induce a riflettere a fondo. Negli slums di Chicago, per esempio, si può constatare che la miseria primaria non vi domina affatto. Anzi, si trovano negozi di commestibili che secondo il concetto europeo sono addirittura di lusso. Accanto a tutti gli articoli più raffinati dell'industria alimentare americana fanno bella mostra, e in quantità, prodotti importati dall'Europa: salumi italiani, formaggi svizzeri, vini francesi e altre specialità. In stridente contrasto con queste vetrine esuberanti di ricchezza stanno le mostre dei negozi attigui: negozi di mobili, di confezioni, di articoli casalinghi, rivelatori di una desolante, totale mancanza di buon gusto, di una povertà estetica così scoraggiante da far salire spontaneamente alle labbra la domanda se non hanno forse 79

un nesso con la inadattabilità di quei gruppi, il cui comportamento asociale non scomparve neppure quando furono trasferiti in abitazioni nuove, appena costruite. Un controesempio consolante a questo deprimente fenomeno lo si trova presso gl'indiani del Nuovo Messico, dell'Arizona e dello Utah. I tessuti, i lavori di paglia intrecciata, il vasellame e i gioielli d'argento di queste tribù, che noi per abitudine usiamo chiamare primitive, non stanno in nessun rapporto col loro tenore di vita così basso, e non stanno in rapporto neppure con i souvenirs turistici di provenienza industriale, offerti fuori dai limiti delle loro riserve 11. Se paragoniamo gli slums ai pueblos, ci ritorna alla mente la massima contenuta in un testo ormai antiquato di economia politica, secondo la quale esistono due specie di povertà: la mancanza di beni per i desideri superiori e la mancanza di desiderio per i beni superiori 12.La prima può essere rimossa dall'economia industriale; il superamento della seconda è compito della cultura dell'uomo. I beni d'uso possono essere fonte di sprone e di arricchimento, ma possono anche annoiare e ottundere. Il compito estetico e culturale che si è imposto agli organismi dell'economia di mercato con la creazione degli oggetti, non potrà mai essere valutato a sufficienza. L'influsso che emana dalle moderne vie dei negozi supera, per molteplici effetti, quello esercitato dai tradizionali istituti di cultura. Il buon gusto e il sentimento dei valori sono fortemente influenzati, oggigiorno, non da élites culturali solidamente costituite, bensì da gruppi sociali anonimi ed eterogenei. I negozi moderni esercitano un'attrattiva più forte dei musei e delle accademie. La city è il forum politicum del nostro tempo, e la passeggiata attraverso le sue strade - uno degli svaghi preferiti per impiegare il tempo libero della fine settimana - ha assunto il carattere di un orientamento sociale. Le vetrine costituiscono l'allestimento scenico dell'organizzazione strutturale dell'esistenza. Effettivamente, l'esposizione di quanto viene prodotto è paragonabile ormai a uno scenario di teatro. Ciò che si richiede al vetrinista non è l'esibizione di una raccolta quanto più possibile varia e pittoresca, egli deve presentare i beni nelle loro funzioni. Infatti, vediamo mobili disposti in maniera da riprodurre una stanza arredata, stoviglie su una tavola apparecchiata, poltrone da giardino su una finta terrazza, valige che sembrano già preparate per il viaggio, ombrelli aperti sotto un simulacro di cielo piovoso. L'aspetto delle vetrine, diventate molto più grandi, corrisponde all'interno dei negozi. I vecchi banchi di vendita sono scomparsi, come gli scaffali, e hanno ceduto il posto a eleganti tavolini espositori. Chi entra nei negozi, non lo fa solo in veste di acquirente; è anche un visitatore curioso, che per prima cosa desidera “farsi una idea”. Le conclusioni, la stipulazione dell'affare passano in seconda linea: il tono è dato dalla “consulenza”. La pubblicità dev'essere svolta nel senso migliore. Esistono già negozi di mobili che indicano esposizioni di pittori moderni, oppure ne accettano i quadri in conto commissione. Negozi di tessuti organizzano sfilate di moda per i clienti abituali. E certi librai invitano gli scrittori a presentare le loro opere nelle librerie. I casi che abbiamo citato rappresentano le tendenze di maggior rilievo, e le più rallegranti. Ma probabilmente il numero dei casi opposti in cui domina sovrana l'antibellezza, è assai più numeroso. Non per questo, però, dobbiamo rinunciare a sostenere un concetto di politica culturale applicata all'economia di mercato, che sta nascendo spontaneamente, piaccia o non piaccia, dallo sviluppo pratico dello 80

smercio e dei suoi organismi. La gara fra produttori e commercianti si può innalzare a un livello sociale più alto, sublimando sempre più l'economia. Resta soltanto da vedere fino a qual punto il riconoscimento teorico di questa realtà incomincia a determinare, nel processo ormai avviato, i vigenti concetti informatori dello smercio, la nostra sensibilità di mercato, e soprattutto il modo d'agire di quelli che dispongono delle potenti armi della pubblicità, in modo da consentire che l'incoraggiamento del buon gusto diventi una istanza ambiziosa e redditizia. “Se il brutto non viene messo in mostra” afferma l'architetto Wilhelm Wagenfeld “nessuno lo chiede”. Il malaugurato cattivo gusto del pubblico applicato come paradigma a tutta la massa degli acquirenti, non è altro, a ben considerare, che un desiderio di comodo nato dall'ostinazione dei venditori. Infatti, questa mancanza di buon gusto non dev'essere imputata unilateralmente, e non caratterizza nemmeno una determinata categoria di compratori. Noi la vediamo piuttosto come una rete, incerta e ondeggiante, formata dall'assenza di idee chiare e di sicurezza, che avviluppa gli acquirenti, i commercianti, e perfino i produttori 13”. 4 Ora, la creazione di beni improntati al buon gusto non è, beninteso, solo un problema estetico: è anche un problema commerciale. ln generale dobbiamo riconoscere uno sforzo sincero a produrre il bello, ma non a tutti i costi. La bellezza può rappresentare un rischio. Si è scoperto, è vero, che il brutto si vende male 14 eppure si possono addurre esempi che convalidano il contrario di quest'affermazione. Avviene molto spesso che cose veramente brutte si vendano tuttora sorprendentemente bene. Successo artistico e successo commerciale non sono due concetti che convergono inevitabilmente. Ideatore e venditore non sempre vanno d'accordo. Spesso anche la direzione aziendale interviene, e dice la parola definitiva, soprattutto quando nuovi oggetti non possono venir prodotti con le macchine che si hanno a disposizione. E si afferma, con troppa precipitazione, che spetta ai venditori di darsi d'attorno con maggior diligenza per imporre al pubblico i prodotti esistenti. Se i nuovi prodotti corrispondono alle aspettative di ogni nuova stagione, le possibilità tecniche, i punti di vista commerciali e le esigenze estetiche costituiscono le tre condizioni necessarie, fra le quali si dovrebbe trovare una soluzione armoniosa. In ogni caso, però, la direzione commerciale cerca la sicurezza, vuole una certa garanzia - come osserva un nostro amico del settore tessile riferendosi alla sua collezione di modelli - di poter sostenere con buon esito, di fronte alla clientela, l'esame di idoneità che si ripete tutti gli anni. A questo scopo si procede da per tutto all'indagine di mercato, il cui oggetto specifico non è la bellezza ma il valore che viene attribuito ai beni. La bellezza rimane, nel suo aspetto e nei suoi effetti, qualcosa d'imponderabile, che sfugge ai calcoli esatti. Il prestigio, invece, è determinabile, lo si può analizzare in base a fenomeni concreti. Il risultato poi consente di concludere fino a qual punto il pubblico accetterà ciò che i progettisti considerano bello, ossia fino a qual punto la bellezza “vale”. Il che non significa necessariamente che la bellezza sia, per principio, una dipendenza del prestigio sociale, e che la creazione artistica degeneri in una costruzione di contenuti di prestigio elevati a simbolo. Chi considera così il lavoro dell'ideatore s’inganna di grosso, anche se certe volte sembra che i dati 81

relativi allo smercio gli diano ragione. Imprenditori illuminati hanno potuto sperimentare che gli artisti svolgono un loro compito tutto particolare, compito che non trova certo le condizioni più favorevoli per un proficuo sviluppo sotto la dittatura d'una direzione alle vendite che pretenda di fare della psicologia. Ciò che si deve esigere dall'artista è una conoscenza precisa, pari a quella del venditore, del mercato per il quale crea; in altre parole, l'artista deve conoscere anche il significato relativo, rapportato al consumatore, di ciò che produce. Solo in questo caso, infatti, potrà concorrere efficacemente a diffondere e a imporre il buon gusto, assumendo veramente la parte direttiva in campo estetico. Non può ignorare l'analisi di mercato e motivazionale ma il fatto che l'indagine metodica sia indispensabile e che si debba tener conto dei suoi risultati, non esclude affatto la bellezza. Non si dimentichi che la valutazione sociale, esteticamente parlando, non parteggia per l'uno o per l'altro. La prestazione artistica nobilita e conferisce un valore culturale aggiunto. Le cose belle possono a loro volta esercitare un influsso sul gusto del singolo, come cultura oggettiva che lo circonda, e acquisire, come stile riconosciuto, un valore più grande. In realtà, molto spesso agli ideatori venne assegnato il compito di “inserire” nella creazione dei più svariati prodotti ogni sorta di valori simbolici immaginari, e addirittura contraddittori, per venire incontro in una volta sola al maggior numero possibile di orientamenti del gusto. L'esempio più evidente ci vien fornito dalla storia dei modelli d'automobile 15. L'aumento dei tipi, ma soprattutto i miglioramenti tecnici con cui si sono variati i modelli standard, variazioni apportate immediatamente, durante il processo di fabbricazione (automobili su misura) rappresentano di per sé una reazione della produzione di massa all'esigenza di non ridurre tutto al massimo denominatore comune. E nessuna branca dell'industria produttiva di beni può asserire seriamente, per principio, che la produzione di massa debba far concessioni, per non si sa quale motivo tecnico di fabbricazione, o psicologico di vendita, al cattivo gusto o alla mediocrità. Al contrario, si potrebbe affermare che il senso estetico e l'abilità commerciale agiscono sempre più di conserva; anzi, che si devono premettere reciprocamente, per poter realizzare forme e disegni di buon gusto, e introdurli nella massa dei consumatori. Oggi che i contenuti di significato e di prestigio dei beni d'uso vanno diventando l'offerta vera e propria dell'economia della prosperità, per essere un buon commerciante è necessario essere dotati anche di senso estetico. Dalle esperienze dei consulenti di mercato risulta effettivamente che di solito la mancanza di bellezza e la mediocrità corrispondono a un'incertezza interiore e a una spiccata povertà di fantasia da parte dei produttori. L'opposizione che molti fabbricanti manifestano nei confronti di una “forma” consona allo spirito del tempo - premettiamo che ci si può mettere d'accordo su quella che è la “forma consona allo spirito dei tempi” - è molto simile alla tanto dibattuta resistenza che gli operai oppongono ai cambiamenti nella routine produttiva. Ci imbattiamo in argomentazioni tipiche, tanto più difficili da confutare quanto più vengono accampate da “vecchie volpi”, rappresentanti e venditori attivi ed esperti, che girano il mondo da più d'un quarto di secolo, armati di campionari e di cataloghi. E ci si scontra con queste inopinabili esperienze di mercato su tutto il fronte dello smercio. È infinitamente più facile mantenere il passo col progresso tecnico in ogni singolo settore, che riuscir a essere pari al mutamento avvenuto nel senso estetico moderno. Naturalmente, quando si avvicina il momento in cui, dopo uno sviluppo 82

insoddisfacente degli affari, è necessario ricuperare senza indugio, e a passo di corsa, il ritardato insorgere di una coscienza estetica, non di rado i responsabili mancano delle indispensabili premesse. Perciò è consigliabile di non attendere che gl'inevitabili adattamenti diventino una necessità imprescindibile; nella programmazione delle vendite i competenti devono precorrere con preveggente sensibilità i mutamenti del mercato. Il cosiddetto lancio di molti nuovi prodotti o di nuovi servizi è la reazione programmata e l'influsso esercitato intenzionalmente su date manifestazioni dello spirito moderno, su date abitudini e su dati modi di vivere. La preparazione dell'offerta culturale e delle sue esigenze è, in questo senso, autentica attività politica. Molto è già stato scritto a proposito del cosiddetto simbolismo di ceto sociale dei beni tipici della prosperità, di quei beni rappresentativi, cioè, di cui dicevamo che concorrono, come rarità in possesso dei primi, felici proprietari, al loro innalzamento sociale. Determinati beni diventarono una sorta di “promozione sociale”. Ma nel frattempo si è scoperto che questo simbolismo di casta non è né unitario né permanente. I prodotti possono guadagnare in valore sociale e possono perdere, dato che fenomeni come la moda, o anche mutamenti di più vasta portata nello stile di vita sostengono una parte non trascurabile. È noto a tutti che l'automobile americana, per esempio, è scaduta notevolmente come indice di grado sociale, almeno a paragone di parecchi anni or sono. Ancora nel 1955 fu definita, in un'inchiesta diventata famosa, che la Chicago Tribune condusse a questo proposito, uno dei simboli più informativi, un oggetto che contribuisce più d'ogni altro prodotto del lavoro umano ad accrescere in noi il senso di sicurezza e la coscienza del nostro valore, fonte di prestigio agli occhi altrui, di piacere materiale per noi 16. Oggi che l'automobile fa immancabilmente parte di ogni famiglia americana, e un quinto di queste famiglie possiede due o più vetture, l'assortimento di Detroit non fa più tanto colpo. La sorprendente predilezione per le macchine europee, che nel 1958 si conquistarono - fatto davvero rilevante - 1'8 per cento nella partecipazione al mercato, è motivata dal semplice fatto che queste automobili sono diverse da quelle americane. Nessuno chiede più caratteristiche che saltino all'occhio: si cercano differenze più discrete. Si notano segni indicativi attestanti che adesso è ritenuta fonte di maggior prestigio la proprietà d'una casa e il suo arredamento. Niente sarebbe più errato, però, della supposizione che tutto il valore sociale dei beni si compendi nel prestigio di casta, perché questo significherebbe disconoscere la complessità delle loro funzioni. Per di più, verremmo indotti erroneamente a spiegare tutte queste funzioni con il desiderio di ascesa sociale, con la smania umana di rivaleggiare, sentimenti anch'essi tutt'altro che semplici. Il concetto di ambizione sociale non dev'essere impostato in modo da suggerire l'idea di una volontà tesa esclusivamente verso l'alto. L'immagine che deve determinare a questo proposito il nostro pensiero non è la semplice rappresentazione della piramide del reddito, bensì la struttura pluridimensionale delle differenze sociali. Già Lloyd Warner ha rilevato che non sono i ricchissimi a godere del massimo prestigio sociale, né i più poveri quelli che occupano il gradino più basso 17. Prototipi ed esempi giungono da ogni parte, dalle direzioni più disparate, ma assai di rado si possono localizzare gerarchicamente. Il sociologo che procede a indagini di mercato si deve perciò convincere che ascesa sociale e progresso sociale non sono 83

necessariamente la stessa cosa. Progresso e mutamento si verificano in tutte le direzioni. La sociologia parla così, generalmente, di mobilità orizzontale e di mobilità verticale, ma non è vero che ogni avvenimento cui è consentito attribuire il carattere di mobilità si possa definire univocamente orizzontale, oppure verticale. Perciò succede spesso che nemmeno la situazione di un determinato gruppo possa venir indicata con una definizione univoca. Le stesse persone, che con l'acquisto di un prodotto affermano la loro pretesa di appartenere a un ceto superiore, con l'uso di altri beni possono rinunziarvi consapevolmente, e mettere nuovamente in rilievo le distanze. Esiste un'apertura di variabili straordinariamente vasta, dice Burleigh B. Gardener, che possono ignorare totalmente, aggirare o addirittura capovolgere l'orientamento di certi motivi generalizzati cui si attribuisce un valore assoluto; le complicazioni dovrebbero venir studiate caso per caso, su ogni singolo esempio 18. Sotto l’influsso di invecchiate ideologie d’ascesa sociale e di teorie facilone che vanno ancora per la maggiore fra certi agenti pubblicitari, si è dedicata per qualche tempo un’attenzione veramente esagerata al simbolismo di ceto. L’aspirazione all’innalzamento sociale fu generalizzata e una pubblicità smaccata e volgare, che intendeva operare richiamandosi volutamente allo “snob appeal”, ne fu la conseguenza. Si dette credito allora all’opinione puritana che tutto il valore sociale dei beni fosse qualcosa di futile, una vanità da riprovare, e i critici della pubblicità ebbero a disposizione una caterva di esempi a sostegno delle loro rimostranze. Col tempo si cominciò a riconoscere che i beni svolgono numerose funzioni positive, funzioni che possono essere rese evidenti caso per caso, come si rendono evidenti i casi in cui l’uomo non fa quel che si dice una bella figura. La scoperta dell’uomo come consumatore, come abbiamo affermato all’inizio di questo capitolo, in un primo tempo fu soprattutto una scoperta delle debolezze umane. L’indagine di mercato fattasi adulta è giunta adesso a scoprire anche la sua forza, e solo questo le consentirà di riconoscere il compito politico culturale cui è chiamata. Chi vede nell’uomo nient’altro che un maneggevole aspirante a scopi vanitosi e generalizza il suo giudizio è un pessimo analista di mercato. Perché svolge il suo lavoro basandosi su una teoria errata, che può condurre perfino, e ne abbiamo le prove, a corti circuiti commerciali. Chi potrebbe affermare che l’uomo non tenti di realizzare anche il suo io migliore con quei beni che desidera e acquista, che non procuri di dar forma, per il loro tramite, a una vita interiore, anche se restano sempre in gioco, ovviamente, le particolarità della vita esteriore? 5 I beni che possediamo, o che desideriamo di possedere – e questo intendevamo mettere in rilievo – sono il materiale impiegato nella formazione dei rapporti umani e dei modi di vivere. Ma non tutti i beni hanno in questo senso le stesse possibilità favorevoli. Queste cambiano col progredire della tecnica, con l'evoluzione dell'economia, con i mutamenti della moda, col variare degli umori, o dei capricci, e con mille altri fenomeni evolutivi in campo culturale. Inoltre, il valore dei beni è soggetto a variazioni, ora più deboli ora più sostenute secondo il loro grado di evidenza, secondo la loro capacità di caratterizzare e conferire un segno di distinzione a chi li possiede. Nell'acquisto e nel godimento di certi oggetti non si deve tenere in alcun conto l'opinione dell'ambiente umano circostante. Non c'è 84

nessun bisogno, o quasi, di farne sfoggio. In questa categoria di beni rientrano molti generi alimentari, quelli usati comunemente, e altri di breve durata, a meno che non vengano consumati eccezionalmente in presenza di estranei (ospiti, ad esempio). Non di rado ci si impongono limitazioni nel nutrimento per non essere costretti a rinunzie nel campo del vestiario e dell'abitazione, o nel possesso d'un'automobile. In certi paesi poveri, sottosviluppati, si danno casi in cui i buoni cibi dimostrativi, l'ostentazione della buona tavola e dell'aspetto sano (la “cera florida della ricchezza”) conferiscono prestigio. Una volta si diceva che per guadagnarsi la considerazione altrui bastavano i begli abiti, oggi ci vogliono beni socialmente più quotati. Ma non sarebbe giusto riferire questa necessità esclusivamente alla vanità umana. I beni superiori consentono anche una forma superiore di soddisfacimento. L'ascesi nel campo dei beni primari può assumere la qualità di una conquista morale: si “digiuna” per potersi permettere l'acquisto di mobili, di libri, di un'automobile, e con quest'ultima una nuova libertà di movimento. Si verificano indubbiamente possibilità di conflitti grandi e piccoli d'ogni sorta, che trovano il loro riflesso nella reciproca rivalità dei beni del progresso - rivalità ben nota agli analisti di mercato, che costringe i fabbricanti a tener d'occhio non solo i loro diretti concorrenti, ma anche i produttori operanti nelle branche più eterogenee dell'economia. La nuova Opel è in concorrenza non solo con la nuova Ford, ma deve gareggiare anche con le abitazioni più belle, con gli arredamenti di cucina più recenti e con le costose crociere turistiche. Molto spesso i televisori devono lottare con le lavatrici, e nuovi giradischi stereofonici con le cineprese a colori e col rifornimento del bar domestico. I beni rappresentativi pongono per così dire la loro candidatura per ottenere la mutevole preferenza dei consumatori. La scelta, che diventa un tormento, perché - per dirla volgarmente - è difficile poter avere contemporaneamente la botte piena e la moglie ubriaca, è il segreto dilemma che travaglia l'economia domestica della prosperità. E il dilemma si complica con l'immissione sul mercato di sempre più numerosi beni secondari. Si noti però che nella sua risoluzione ha un peso considerevole il “che ne dirà la gente”. Si è affermato, riferendosi a certe questioni avanzate dagli studi demografici, che le spese per la famiglia sono inserite in modo ben determinato nella suddivisione prestabilita delle spese. La spesa per i figli, nelle voci abbigliamento e istruzione, è per convenzione la più vincolante 19. Veblen, dal canto suo, ha già descritto la parte di pertinenza della donna nel “consumo sostitutivo”, vale a dire la sua funzione di spendere il denaro che l'uomo guadagna e non ha il tempo di spendere personalmente, per cui spetta alla moglie il compito di rappresentare il marito lavoratore durante il tempo libero. Un professore americano chiese una volta ai suoi studenti se sarebbero stati disposti ad ammettere che la moglie e le figlie d'un uomo d'affari americano medio rappresentano la sua vetrina sociale 20. In realtà le norme che regolano il consumo dei beni d'uso possono anche “eccedere” in modo tale rispetto all'incremento del reddito (Mackenroth), da sottrarre più di quanto sarebbe ragionevole a certe sfere di spese socialmente sottovalutate, come ad esempio quelle per l'alimentazione. La necessità di possedere beni più quotati può ingigantire al punto da provocare, là dove essi restano esclusi, una sorta d'indigenza che i sociologi hanno chiamato “povertà secondaria”. E questo è un problema grosso, che oggi ha indiscutibilmente un peso non inferiore a quello della miseria primaria delle masse lavoratrici agl'inizi dell'era industriale. Non dobbiamo 85

dimenticare, tuttavia, che la famiglia come comunità di consumatori rappresenta anche, in tutto il concorso delle spese, uno strumento regolatore efficacissimo, che reagisce ai dispendi eccessivi e dà la preminenza ai doveri interiori sacrificando quelli esteriori. Ne ha portato la prova una recente inchiesta americana, la quale ha dimostrato che, se con l'incremento del reddito le prime ad aumentare sono le spese per la moglie, e solo dopo quelle per i figli, quando il reddito diminuisce la prima a limitare le spese per sé è la moglie, mentre quelle per i figli continuano a restare invariate. Ora, l'oggetto concreto, sul quale vengono studiate le questioni poste in questa sede, è costituito dal rinnovamento dei beni d'uso durevoli e dall'acquisto di novità. E qui si trova per l'appunto uno dei motivi di fondo dell'indagine sui consumi intesa come indagine sulle famiglie. La successione più ravvicinata dei periodi di rinnovo dell'arredamento domestico, messa in rilievo da Sombart come un fenomeno rivoluzionario negli anni a cavallo fra il XIX e il XX secolo, è arrivata per così dire al punto zero. Adesso si procede, incessantemente, tutti i momenti, a qualche rinnovo parziale. Questa continua integrazione del nostro modo di vivere è un segno quanto mai evidente dell'evoluzione sociale. Perché con l'adattamento ai beni di nuova specie cambia il sistema di vita. Gli slogan che danno il tono alla pubblicità dicono: “Sperimentate le novità”, “Mantenetevi all'altezza dei tempi”, ma gli strateghi delle vendite della nostra economia di mercato, se vogliono aver successo, devono tirar fuori di continuo qualcosa di nuovo, o presentare qualcosa di vecchio in un new look, e la cosa in sé non costituisce più una novità. Non è affatto vero che siano soprattutto necessità d'ordine tecnico-economico a dare incremento alla produzione di nuovi beni. Il motivo è costituito piuttosto dalla disposizione dei consumatori ad accettare il nuovo solo perché è nuovo, ad arricchire la vita di nuove sfaccettature. Dal possesso degli oggetti d'arredamento domestico del tipo standard nasce inevitabilmente l'interesse per tipi e modelli nuovi 21. 6 Le persone e i gruppi che conferiscono oggi il tono alle abitudini di vita e del consumo, appartengono solo in rari casi ai ceti superiori; in maggioranza appartengono alla classe media. Coppie di sposi delle giovani generazioni, dotati di un'istruzione superiore, che cercano, costituendo la loro famiglia, di seguire un nuovo e più comodo modo di vivere, sono diventati i pionieri del rinnovamento nell'economia domestica (innovation leader). Sono loro i primi a sperimentare le novità - si tratti di commestibili o di elettrodomestici - influenzando poi altri gruppi. La cosa essenziale, però, è che ci siano già i figli, perché dove questi mancano non si può parlare di economia familiare in senso vero e proprio. Anche le varie forme dell'ambiente e i modi d'impiego del tempo libero sembrano provare che un'istruzione superiore e una rapida ascesa della famiglia sono fattori essenziali, che determinano l'appartenenza alle classi progressiste. La circostanza può apparire illuminante, eppure non sempre fu accettata come ovvia. Nelle vecchie strutture sociali, dominate dalle classi superiori e dalle tradizioni rigorosamente osservate, il ruolo informativo e direttivo spettava in gran parte alla generazione degli anziani. Diventa sempre più evidente che la formazione di quello stile per cui l'accettazione di nuovi beni è qualcosa di più di una evoluzione della vita in senso 86

puramente tecnico dovrà avvenire per opera del nuovo ceto medio della nostra società, che si va costituendo ora. Quali sono i motivi che possono mettere in moto o promuovere questo processo? Anche per questa domanda si dovrebbe cercare la risposta caso per caso. Le élites attuali, che non si trovano più raccolte al sommo di una gerarchia ma disseminate un po' da per tutto nella compagine pluridimensionale della società moderna, cambiano però rapidamente. Certo è che non si identificano con una determinata classe; possono appartenere a parecchie, rimanendo per di più anonime, e senza possedere la consapevolezza della parte che sostengono socialmente. Infine, possono essere élites solo rispetto a una data situazione locale, senza esserlo per altre 22. Adesso anche gli appartenenti alle classi superiori d'un tempo si orientano verso i gruppi sociali medi. Fanno i loro acquisti nei grandi magazzini e nei negozi a catena, sorti originariamente per i poveri diavoli; mangiano alle “tavole calde”, che non rappresentano altro che l'evoluzione delle osterie; vanno al cinema, seguono i programmi radiofonici e televisivi; in breve, partecipano totalmente alle manifestazioni della vita “moderna”, che esprimono per eccellenza la cultura del ceto medio. L'accettazione degli apparecchi creati recentemente dalla tecnica per la casa significa già di per sé un inserimento nel modo di vivere medio (ad esempio con l'espletazione del lavoro casalingo senza l'aiuto del personale di servizio), e l'adattamento consapevole di residui aristocratici nella vita sociale comune diventa involontariamente, sul piano pratico, una richiesta di popolarità individuale e di affermazione del proprio valore. Sovrani e principi amano mostrarsi nell'aspetto di gente normale", di borghesi qualsiasi. Viviamo - come ha detto Jürgen Eick - nel secolo dell’“uomo della strada”, solo che taluni non dovrebbero dimenticare che l'uomo della strada non possiede una fisionomia uniforme. Esiste in gruppi quanto mai disparati e in condizioni molto diverse tra loro, e perciò si fa valere in modi assai differenti. Definire in blocco la cultura della classe media regno della mediocrità è, a dir poco, avventato: basti pensare ai suoi aspetti molteplici, alla dovizia di beni e di servizi che mette a disposizione, alla multiformità di modi di vivere che consente. Prodotti ben riusciti e prodotti di cattivo gusto, un uso sensato e un uso irragionevole, sistemi di vita buoni e cattivi, arte e paccottiglia: vi si trova di tutto. È una realtà antitetica, fatta di contrasti. Sorge, ben giustificata, una domanda: come si potrebbe concorrere al benessere - inteso in un senso superiore individuale e collettivo con l'istruzione, dando un indirizzo preciso alle possibilità umane di differenziazione? La sociologia non si occupa più di studiare la parte che le élites sostengono nell'informare le consuetudini della vita e le aspirazioni dell'uomo in base ai problemi formulati da Thorstein Veblen. Non è più la “teoria della gente bene” questo il titolo indovinatissimo (Theorie der feinen Leute) dato alla traduzione tedesca dell'opera - bensì la teoria dei cosiddetti gruppi di relazione (reference group), che ci schiude nuove visuali nel campo dei rapporti reciproci e che ha consentito nuove ipotesi di lavoro all'indagine. Il concetto dei gruppi di relazione si riferisce a un'élite saldamente insediata, che darebbe il tono e regolerebbe in tutti i settori il modo di vivere. Sta a indicare piuttosto qualcosa di funzionale, le direzioni mutevoli e differenziate in cui gli uomini cercano un orientamento nella formazione della cultura e della volontà personali. Ed è già stata condotta un'indagine esauriente 87

sugli aspetti in cui si manifesta in questo caso l'influsso altrui, in base agli esempi offerti dalle decisioni prese da acquirenti e consumatori. Però non è detto che siano solo i rapporti interumani a influenzare il comportamento dei singoli di fronte ai beni. Si riscontra anche il caso opposto. Quell'effettivo processo di progressiva affermazione d'autonomia rilevato da Georg Simmel è talmente avanzato, che tutta la strumentazione della vita moderna tutto il suo “equipaggiamento” - articoli di consumo, mezzi d'informazione, oggetti d'uso e via dicendo - devono essere messi in riferimento con un concetto aggiornato della società umana. Il numero dei beni che esplicano una funzione sociale si è andato facendo sempre più grande, ed è appunto per questa funzione che noi li usiamo. Tutti i giorni, per così dire, fanno la loro comparsa nuovi oggetti, e immediatamente diventano indispensabili. La quantità dei beni che diventano segni intermediari nel processo informativo della società, e al tempo stesso simboli di sicurezza sociale, è in costante incremento. Il bagaglio dell'esistenza aumenta, ma si logora anche con maggior rapidità e dev'essere rinnovato più frequentemente. Molti prodotti si presentano come soggetto. Figure mitiche celebrano la propria resurrezione in aspetto di robot nelle macchine chiamate col loro nome. Mezzi di trasporto navali, terrestri e aerei vengono battezzati con nomi di conquistatori e di scopritori. Riproduzioni di personaggi delle vecchie favole vengono aggiunte come omaggio alle confezioni di dolciumi, l'antico folletto benefico si è trasformato nella onnipresente polvere detersiva buona a tutti gli usi: la sua immagine a colori è riprodotta in offset sulle scatole e gli schermi televisivi fanno vedere come lo gnomo, privato del suo alone di sacro mistero, lavora in questo secolo degli alti salari. Il fatto che noi riusciamo a venire a capo di tutti i nuovi spiriti che abbiamo evocato e che continuiamo a evocare, è e sarà la nostra eterna speranza. 7 Giunti a questo punto, dovremmo tentare un'interpretazione esatta della pubblicità moderna. Molto spesso le si fa carico di battere essenzialmente sul significato sociale dei beni. Si afferma che lo “snob appeal” è diventato il motivo predominante. Le informazioni pratiche vengono ridotte al minimo, mentre vien dato il massimo rilievo agli argomenti emotivi. I pubblicitari, altrimenti così pronti a difendere il loro mestiere, non hanno mai reagito seriamente - e la cosa è strana a queste accuse. L'ideologia pubblicitaria, la pubblicità per la pubblicità, in cui gli argomenti si condensano in frasi di effetto, come nelle inserzioni, ha invece la pretesa di far risaltare innanzi tutto le proprie funzioni informative. Una delle frasi a effetto è ad esempio “trasparenza di mercato"; un'altra, “illuminazione del consumatore". La controrisposta dice che il mercato sta diventando in realtà sempre meno chiaro, che la cosiddetta illuminazione del consumatore è unilaterale e pecca di parzialità per il fatto che si guarda bene dall'accennare agli svantaggi 23. Noi, però, non intendiamo inoltrarci qui nei particolari di questa controversia, che sfiora appena il nocciolo del problema di cui ci occupiamo e costituisce esclusivamente l'oggetto di una revisione pratica. Senza voler mettere minimamente in discussione la serietà di molti sistemi adottati in pratica dalla propaganda, intendiamo dimostrare a fondo che la pubblicità, in base a quello ch'è il suo concetto e il suo dovere, dev'essere 88

inoppugnabilmente qualcosa di più d'un semplice servizio d'informazioni. E lo dimostreremo deducendolo da quanto abbiamo esposto sinora. Se i beni ai quali vien fatta pubblicità informano la vita e le relazioni umane, se contribuiscono a realizzare un'esistenza personale, è più che comprensibile che la pubblicità non si limiti a farne risaltare solo l'utilità e i vantaggi tecnico-economici, ma consideri di sua pertinenza anche il rapporto sociale che conferisce valore a un prodotto in quanto sua parte costituente. Perciò informazioni relative a certi scopi pratici possono essere tralasciate e diventare, se non superflue, di secondaria importanza. Piatti di porcellana e bicchieri di cristallo, infatti, non sono strumenti primari della nutrizione, ma rappresentano già “in sé” beni culturali; esistono per trasformare il fatto biologico del mangiare e del bere in qualcosa di più del soddisfacimento d'un bisogno elementare. Quanto maggiore il significato sociale di un prodotto, tanto più deliberatamente la pubblicità lo metterà in rilievo, per principio, nel contenuto e nell'espressione. E poi, la pubblicità non cerca la comprensione dell'isolato, ma tenta di arrivare a tutti gli organismi sociali, si rivolge a uomini che pensano, che sono dotati di sensibilità e che desiderano le cose più disparate. È propaganda, preferisce quindi dimostrare piuttosto che discutere. È più affine al procedimento teatrale che a quello giuridico. La “creazione” di un'inserzione o di un manifesto è intesa nel senso di creazione d'una “scena” o di un “messaggio”, in cui l'espressione figurativa si deve condensare verbalmente nell'intestazione. Lo slogan è l'aforisma della pubblicità, in certi casi uno slogan efficace può valere lo stipendio di un anno. La critica non dovrebbe colpire una scena pubblicitaria del genere in quanto tale, ma il risultato della sua realizzazione e il prodotto cui è dedicata. Anche qui, naturalmente, si dà il caso che i puritani incorrano in interpretazioni sbagliate. Se nel cartellone pubblicitario di una penna stilografica una signora elegantissima confida al marito che lo scrivere i biglietti d'invito alle loro serate è diventato una gioia per lei, dacché possiede quella penna ch'egli le ha regalato, non è detto che il messaggio sia eo ipso uno “snob appeal”, nemmeno quando il prodotto viene associato al benessere e al successo mondano 24. Può suscitare un sentimento schietto, scevro di vanità, anche se il motivo ultimo della considerazione sociale conserva un significato determinante, motivo che si rivela del resto già nel livello estetico della scena raffigurata. La penna stilografica può servire, come serviva un tempo la penna d'oca, a scrivere opere letterarie. Sombart, quando fece risalire l'origine del capitalismo al lusso del Rinascimento, riconoscendo in questo lusso - ch'era un privilegio dei potenti - il grembo fecondo di grandi opere d'arte, scrisse che non esistono spese, per quanto dissipatrici, che non possano trovare una giustificazione nella persona di chi le fa 25. I metodi e i mezzi di cui si serve la pubblicità sono sempre e in ogni caso inscindibili dal prodotto, nonché dal suo valore e dal suo scopo. Per questa ragione non è possibile esprimere un giudizio generale sui vantaggi e sugli svantaggi di un determinato metodo pubblicitario. Sarebbe assurdo, tanto per portare un esempio, impedire alla pubblicità di esagerare, e ha senz'altro tutta l'aria di farlo quando assicura agli uomini il successo in campo femminile purché adottino un dato sapone da barba. Però l'esagerazione, se presentata con umorismo e con un pizzico d'ironia, dovrebbe riuscire innocua, in generale; anzi, addirittura divertente. Certe volte l'esagerazione - cui del resto ricorre anche l'arte - aiuta a riflettere e a conoscere. Con questo non vogliamo affermare che l'esagerazione sia sempre 89

inoffensiva. Allorché si tratta per esempio di prodotti farmaceutici può, a volte, recar danno. E quello che vale per l'esagerazione, vale anche per l'unilateralità e per le omissioni. La pubblicità può non essere conforme a verità pur senza dare indicazioni false (che sono punibili per legge); può mentire anche nella forma, se dice solo frammentariamente quello che sarebbe tenuta a dire per intero, o quando si limita a mostrare aspetti parziali di ciò che dovrebbe mostrare completamente. La fattispecie della slealtà, che in questo caso non può venir citata in giudizio, consiste in quello che viene tralasciato senza che l'omissione possa essere giustificata. Ma è difficile subordinare la pubblicità a un codice etico da applicarsi caso per caso. Il valore morale dei suoi metodi non è una questione teoretica. È un problema pratico di responsabilità individuale, il cui significato culturale diventa tanto maggiore, quanto più notevole è il valore sociale dei beni. Perciò la problematica sociale determinante della pubblicità non riguarda molto da vicino i saponi, o le sigarette, o diversi tipi di birra. Con gli articoli di marca del settore primario tutta la polemica è stata condotta per lo più solo in relazione con le norme concorrenziali dell'economia di mercato. Le questioni di importanza essenziale sono connesse anche in questo caso con i prodotti e con i servizi superiori, ossia con i beni del tempo libero. E qui - come appare evidente - la pubblicità esplica la sua funzione specifica, che supera di molto quella di semplice strumento promotore delle vendite e che ancora non è stata scoperta. Analogamente a quanto è stato detto a proposito della produzione di massa, ch'essa è un principio sociale - il principio di dare forma e valore alla collaborazione umana 26 - noi vorremmo asserire che la pubblicità di massa dovrebbe essere un principio atto a facilitare l'adattamento dei beni a forme di vita adeguate. La pubblicità ha già dimostrato di poter coadiuvare i più nobili scopi sociali grazie alle possibilità di cui oggi dispone. Grafici e redattori pubblicitari hanno contribuito a compiti altamente umanitari e civili con manifesti per la protezione dell'infanzia abbandonata, per la lotta contro la tubercolosi, per la disciplina del traffico. Se la pubblicità per i beni superiori raggiungesse un livello etico e culturale pari alla perfezione tecnica degli oggetti d'uso moderni, anche i suoi metodi sarebbero giustificati. Poiché la pubblicità è un mezzo creato in primo luogo non per i consumatori, ma per i produttori, godette per molto tempo di un'autorità illimitata e indiscussa; la massima informatrice era che tutto ciò che favorisce lo smercio è lecito. Questo principio diventò un programma e per metterlo in esecuzione la propaganda si appropriò delle conoscenze e delle tecniche della psicologia. Metodicamente, per sistema, si faceva appello - se la cosa serviva a ottenere buon successo - alla vanità, alla curiosità, alla frivolezza; e certi organizzatori delle vendite, che si qualificano realisti, continuano a credere che “in fondo” siano solo questi i richiami che “fanno colpo”. Può darsi che la convinzione corrisponda per certi prodotti che non lusingano l'amor proprio di chi li usa; in altri casi è dimostrabile il contrario, tant'è vero che in linea generale vale la regola che i prodotti nobili nobilitano anche la pubblicità. La “forma” pubblicitaria dipende, caso per caso, dalla specie di prodotti e di servizi cui è dedicata: circostanza, questa, che di rado viene presa in considerazione, come sarebbe invece doveroso, allorché si esprime un giudizio globale sulla reclame come fenomeno caratteristico del nostro tempo. Vale la pena di citare 90

qualche esempio, non fosse altro per mettere in giusta luce la situazione dei grafici che vi si dedicano e che lavorano con entusiasmo a compiti di più alto impegno. Com'è logico, anche i “temi" con cui la pubblicità si può raffinare e trasformare sono più numerosi e più ricchi di significato quanto maggiori, quanto più evidenti e quanto più differenziate sono le qualità sociali del suo oggetto. Basti pensare al campo vastissimo che si apre alla fantasia con le belle porcellane, con i mobili di buon gusto, o con una crociera di diporto nel Mediterraneo. E quanto è più arduo il suo compito, invece, allorché si tratta di articoli comuni e di breve durata, quando è ridotta a lavorare solo sulle limitate caratteristiche materiali che ha a disposizione. Nel caso delle sigarette - con gran disperazione dei redattori pubblicitari - il gioco si limita a decantarne l'aroma, il prezzo conveniente, la miscela indovinata e, nella migliore delle ipotesi, i miracoli di un “nuovo" filtro; col caffè, la situazione è suppergiù la stessa; le diverse qualità di birra hanno, oltre al sapore che varia di ben poco, la virtù di essere “ fresche", virtù - detto in parentesi - di cui la birra non ha nessun merito, perché la “ freschezza" dipende dal lungo deposito in ambienti refrigerati. Miserelli anche i temi che si offrono alla pubblicità delle bibite gasate, dei detersivi e dei saponi. Sono sempre le stesse argomentazioni note a tutti, che fanno ben poca presa sull'attenzione del pubblico. Non c'è quindi da stupire che in casi simili si cerchi una via d'uscita e che si ascrivano qualità socialmente superiori ad articoli di consumo che per loro natura sono assai poco “sociali". Adesso i saponi, oltre a garantire la pulizia, assicurano la bellezza, le gazzose non solo rinfrescano, ma infondono la gioia di vivere, i sigari, insieme col piacere derivante dal fumo, conferiscono la distinzione fascinosa dell’“uomo di mondo". Non è il caso di drammatizzare quest'evoluzione, che Vance Packard ha portato a conoscenza anche dei profani. Il collegamento di determinati beni con determinati concetti e sentimenti equivale al grado massimo di quella sublimazione cui abbiamo già accennato. La questione se e fino a qual punto i beni procurino veramente tali piaceri superiori non è così essenziale, tutto sommato, in vista del comportamento della coscienza per la quale rappresentano associazioni reali. E nemmeno il valore etico della tendenza alla sublimazione dipende, sia pure in minima parte, da questo problema; fondamentalmente, ciò che conta è solo la qualità e il significato delle associazioni. Inoltre, non si dovrebbe trascurare il fatto che molti articoli d'uso comune, apparentemente così trascurabili come importanza, sono in effetti elementi intermediari delle relazioni umane, catalizzatori di contatti personali e di requisiti della socievolezza, Questo vale tanto per i giocattoli e per i dolciumi che si regalano ai bambini quanto per il bicchiere che gli operai si offrono scambievolmente allo spaccio aziendale. Il vino va unito indissolubilmente al canto e alle donne, e non solo da quando Johann Strauss lo disse in musica, e la prosaica tazza di caffè, espressione tipica dell'ospitalità olandese - e non soltanto olandese - conclude il circolo così efficacemente descritto da Godfried Bomans. Oggigiorno anche i prodotti cosmetici esercitano influssi delicati, sebbene poco evidenti. Il loro impiego, considerato una volta manifestazione riprovevole di vanità e lusso poco dignitoso, è diventato da lungo tempo un inderogabile dovere sociale esattamente come l’abbigliamento accurato. E di questa verità ci si rende conto solo quando succede che tali beni vengano a mancare. La rinunzia al make-up convenzionale può provocare addirittura, in determinate situazioni, rischi, svantaggi, sanzioni. 91

L'indagine psicologica rivela, allorché si analizzano le relazioni di significato fra i diversi prodotti, una rete capillare rapporti di cui si scoprono sempre nuovi intrecci e che riserva non poche sorprese per chi si aspettava di scoprire solo elementi d'importanza secondaria, frivoli e banali. In ogni caso i risultati dell'analisi inducono alla riflessione e propongono interrogativi e problemi che non si dovrebbero scansare. L'indagine economica è in grado di contribuire, come già dicemmo, a una migliore autoconoscenza quanto l'esame accurato dei maggiori documenti della nostra cultura, proprio nel settore in cui spiega e giustifica i più comuni eventi quotidiani, la condotta di vita più abituale dei nostri contemporanei. 8 A quanto sembra, nonostante tutte le appassionate discussioni, si è finito con l'accorgersi, poco per volta, che serve assai poco accusare coloro che nell'economia di mercato hanno il compito di organizzare le vendite per l'abuso che fanno della psicologia nei loro metodi pubblicitari. Il nocciolo della problematica sociale rappresentata dalla propaganda è costituito da quelli cui la propaganda è destinata, cioè dai consumatori. Questo è il concetto fondamentale da cui dovrebbe partire ogni critica mossa alla pubblicità, soprattutto da parte delle varie associazioni di consumatori. Il compito precipuo che tali coalizioni si dovrebbero proporre non è tanto quello di stabilire un regolamento preciso per i metodi di vendita, quanto quello di educare i consumatori, di creare in loro una coscienza di categoria. L'obiettivo più auspicabile da raggiungere dovrebbe essere un movimento per l'autoeducazione e l'autocritica del consumatore. Leland J. Gordon, critico perspicace dell'economia di mercato americano, scrive: “La soluzione del problema spetta unicamente ai consumatori... Se esigeranno una pubblicità one_ sta e informativa, la otterranno. Ma la sapranno, o la vorranno esigere 27?” John Maurice Clark asserisce che le istanze della pubblicità sono le fiduciarie della nostra cultura, affrettandosi però ad aggiungere che vengono pilotate dalle nostre reazioni. Quando un bene che sminuisce la nostra cultura sa parlare alle nostre orecchie un linguaggio più convincente di quello che la promuove, verrà prodotto e offerto in misura sempre maggiore 28. In che modo questa situazione potrà esprimersi in un'idea della cultura adeguata alla mentalità e ai bisogni del nostro tempo? È una questione pedagogico-sociale della massima serietà. “Perché” si è già chiesto anni or sono Colston E. Warne, presidente dell’associazione americana dei consumatori, “in un paese come il nostro, propugnatore per eccellenza del principio dell'istruzione generale, non esiste un'educazione dei consumatori 29?” In Germania un medico, Joachim Bodamer, si è fatto promotore di una teoria del comportamento di fronte all'offerta dei beni; nella sua qualità di psichiatra attirò l'attenzione sul fatto che la nostra capacità di assimilare e rielaborare interiormente le esperienze aumenta quanto più è limitato il numero degli oggetti a nostra disposizione 30. Gli stimoli irritanti e le tensioni nervose dell'esistenza moderna, il ritmo frettoloso della vita nelle grandi città, il lato malsano della prosperità, la parte rischiosa del progresso: sono tutte realtà di fatto che non possono venir negate o ridotte ai minimi termini. Ma che cosa possiamo fare per combatterle? Non dovremmo dimenticare una cosa. Questa: che tutto 92

quanto è vantaggioso alla nostra esistenza psichica e fisica potrebbe tagliarsi una fetta più considerevole in ciò che viene offerto dai tempi, se la domanda si sapesse imporre veramente. La tecnica e l'economia si sono sempre adattate, finora, ai desideri umani. E che cos'è questa offerta della nostra cultura economica se non una sconfitta e contemporaneamente uno specchio dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni? Ammettiamo che la domanda di strumenti musicali dovesse venir superata dalla domanda di apparecchi televisivi: gli strumenti musicali non solo verrebbero migliorati qualitativamente e offerti a un prezzo inferiore; ma la pubblicità non tarderebbe a scoprire il valore culturale delle esecuzioni musicali e contribuirebbe anch'essa a un ulteriore incremento. In Inghilterra, dove un numero incalcolabile di persone si dedica al golf, si riesce sempre a trovare, bene o male, nonostante la piena occupazione e gli alti salari, la manodopera necessaria alla manutenzione degli estesissimi campi di gioco. Ciò di cui si avverte oggi la necessità è un'opposizione coraggiosa e fantasiosa, capace di resistere efficacemente alle forze della domanda e dell'offerta. Ed è proprio la pubblicità ad aver bisogno di questa critica immanente, qualificata, costruttiva, una critica che non si dovrebbe presentare in veste moralizzatrice, bensì ironizzante, piuttosto, e costruttiva. I produttori, che mirano a riscuotere il consenso popolare, reagirebbero. Lo spirito delle sinistre, sempre pronto a mettere in discussione tutto ciò ch'è stabilito, convenzionale e generalmente accettato, non dovrebbe rivoltarsi oggi contro quella ch'è già stata definita la dittatura dell'opinione pubblica 31? Questo spirito in fermento, vigile, pronto a gettare l'allarme non dovrebbe celebrare il suo risveglio in una critica alle offerte della civiltà e alle reazioni umane? Se il consumatore, che gli strateghi di mercato della produzione si vantano d'aver scoperto, incominciasse a scoprire sé stesso, se sfondasse con un attacco impetuoso le linee del consumo immaturo, “ingenuo”, se un comportamento consapevole e qualificato determinasse l'offerta, la fisionomia del consumo di massa finirebbe col subire una trasformazione altrettanto radicale di quella che assunse l'aspetto delle fabbriche cent'anni or sono. Per l'indagine di mercato e dei consumi, l'accettazione di questo concetto dovrebbe portare all'irruzione d'una nuova idea direttrice, al capovolgimento degli obiettivi dominanti. Ci riferiamo all'abbandono della pratica che si limita a registrare le correnti generali, tentando di adattarvisi e di guidarle. Intendiamo dire che l'indagine si dovrebbe applicare all'analisi consapevole di ciò che si può fare di volta in volta per favorire l'affermazione di uno stile e del buon gusto. Resta da discutere quale sarà, nelle sue linee essenziali l'aspetto sociale del futuro andamento del mercato. Il tempo dello smercio nel vecchio senso di espansione si sta avvicinando alla fine. È necessario, quindi, aprire e indicare nuove vie ai gruppi umani, affinché possano dare un assetto ragionevole al proprio spazio vitale nell'adattamento ai nuovi beni. L'economia, alla lunga, ha solo da guadagnare, se, riconoscendo questo compito superiore della politica di mercato, parte decisamente all'attacco. Persone e istanze che si intromettono nei rapporti fra produttori e consumatori come consulenti, intermediari e informatori imparziali, potrebbero rappresentare anche la critica all'offerta dei tempi e alla sua domanda corrispondente 32. È nei gruppi o nelle associazioni chiamati alla necessaria opposizione sociale che la critica sociale potrebbe trasformarsi, da un insieme di “riflessioni fuori del nostro tempo” di preoccupati filosofi della civiltà, in una 93

funzione pedagogico-sociale della massima attualità. Una volta avviata la chiarificazione generale della problematica socio-culturale dell'evoluzione del consumo - da cui, come già dicemmo, si dovrebbe ricavare il concetto moderno di educazione umana - il singolo individuo avrebbe ben poco bisogno di essere guidato. “Comportamento del consumatore” non significherebbe più l'insieme delle manifestazioni collettive di bisogni “manipolabili” nella “società di massa”; sarebbe invece l'espressione d'una coscienza autonoma individuale, indicherebbe l'indipendenza spirituale sul “mercato totale”. In tal modo l'idea della democrazia economica si arricchirebbe di un nuovo contenuto.

9 Il comportamento di persone diverse di fronte a prodotti e a servizi diversi, il significato di questi nell'esistenza quotidiana e la nostra dipendenza più o meno limitata: tutti questi problemi sono stati sviscerati cosi minuziosamente durante gli ultimi anni, che alcune delle conclusioni tratte possono contribuire anche a una analisi comparativa della civiltà. Studi condotti sul mondo dei consumatori spiegano oggi il perché dei mutamenti che si riscontrano nel modo di vivere; esemplificano differenze tra città e campagna, tra il Nord e il Sud, tra i paesi montagnosi e quelli di pianura, e finalmente tra i vari popoli e le diverse sfere di civiltà. La relazione, di grande attualità eppure difficile da de finire, fra il livello di vita in continuo miglioramento e i fenomeni di trasformazione culturale, è diventata uno degli interessi centrali per l'analista di mercato; è un rapporto complesso, che richiama l'attenzione su sempre nuovi aspetti, varianti da mercato a mercato e da prodotto a prodotto. È possibile confrontare l'estensione, l'orientamento e il ritmo dei processi dell'evoluzione sociale in corso nei vari paesi? È possibile trarre induttivamente conclusioni economico-commerciali-politiche dalla conoscenza delle abitudini di vita in fase di mutamento? Si possono stabilire quantitativamente, misurare, prevedere determinati fenomeni evolutivi nello stesso modo in cui si stabiliscono quantitativamente, si misurano, si calcolano in anticipo l'incremento economico, l'espansione del reddito nazionale o l'aumento della produttività? Queste le domande che vengono sottoposte oggi ai sociologi dell'economia, e non solo per curiosità scientifica. L'urgenza dei progetti dell'imprenditorato, degli adattamenti a lunga scadenza, della necessità di risolversi per investimenti massicci hanno fatto della sistematica necessità di “rendersi ragione degli orientamenti sociali” uno degli elementi costitutivi della programmazione strategica. La previsione azzeccata del futuro - che oggi è forse l'esigenza più impellente che si presenti agl'imprenditori è inclusa nella comprensione esatta di quello che sta cambiando intorno a loro, nella valutazione precisa delle proporzioni e soprattutto dell'importanza relativa che determinati particolari rivestono per determinati problemi. Come si evolveranno - si sente chiedere a volte - le abitudini alimentari europee, le mansioni in campo economico-domestico e i rapporti familiari nel corso dei prossimi dieci anni? Quali disposizioni è necessario prendere sin d'ora per “marciare coi tempi”? Adesso anche l'indagine sociale è diventata altrettanto indispensabile all'imprenditore dell'indagine tecnologica. Sono centinaia le istanze 94

speciali con cui si fa appello alle forze riunite delle scienze che si occupano della società moderna, non fosse altro che per raccogliere notizie su quello che sarà il futuro commerciale di nuovi generi commestibili (ad esempio i cibi refrigerati), di nuovi materiali sintetici, di beni d'uso rivoluzionari o di nuovi metodi di smercio. L'ambiente domestico, la vita pubblica, le condizioni di lavoro e quelle del tempo libero, il livello delle esigenze e delle aspettazioni umane: tutto viene studiato per approfondire le relazioni esistenti tra fattori strettamente intrecciati, in mezzo ai quali si dovrebbe trovare la chiave della buona riuscita di prodotti d'ogni specie. Quali sono gl'investimenti sociologicamente indovinati, che consentiranno di tenere in pugno certe evoluzioni già iniziatesi? E quando si nota che un'impresa langue, come si deve programmare la sua espansione, che s'impone come un dovere di prestigio? La preparazione fantasiosa del futuro è oggi l'ufficio precipuo dell'imprenditore, il servizio necessario alla comunità in un mondo che va cambiando sempre più in fretta. I mutamenti nelle abitudini alimentari (che in quanto tali abbracciano un campo più vasto dei semplici cambiamenti quantitativi nel consumo pro capite dei singoli prodotti alimentari, pubblicati annualmente nei bollettini statistici) sono quelli che più difficilmente consentono previsioni. Sono comunissimi i preventivi che calcolano quante famiglie europee possiederanno, entro il 1970, il frigorifero, la lavatrice, il televisore e altri ritrovati della tecnica, ma chi si arrischierebbe a stabilire in anticipo anche i mutamenti così imprevedibili - sia in senso letterale, fisiologico, sia in senso traslato - nel campo del gusto? Notoriamente ci si abitua con la massima facilità a servirci di oggetti d'uso tecnici, a maneggiare televisori e a guidare automobili; ma è assai arduo cambiare abitudini alimentari tradizionali, o rinunciare ai mobili o alla casa cui siamo affezionati. In questo settore l'uomo è generalmente molto conservatore. In certi casi non il nuovo ma il vecchio è più potente, non il futuro ma il passato. Per poter comprendere questi fenomeni così sottili nella loro derivazione da cause profonde, ci si deve addentrare nel campo dell'antropologia e della psicologia della civiltà. Ed effettivamente queste scienze stanno acquistando rapidamente un significato sempre maggiore anche per l'analisi di mercato. Lo sviluppo costante del tenore di vita è lungi dall'essere un processo evolutivo unitario che si svolga in una determinata direzione fissa. Quelli che fino a pochi anni fa erano fermamente convinti che l'incremento della prosperità nei paesi dell'Europa occidentale sarebbe equivalso a una rapida, radicale “americanizzazione”, hanno sbagliato in pieno. È un fatto incontestabile che non ci troviamo affatto sulla strada d'una civiltà economica uniforme, con tendenza ad assumere da per tutto un unico, identico aspetto, civiltà economica che, secondo l'opinione di certuni, negli Stati Uniti sarebbe uguale alla nostra, solo assai più rigogliosa. L'asserzione è errata, anche se esistono, e la cosa è nota a tutti, certe tendenze generali che possiamo osservare in tutti i paesi industrialmente più progrediti. Ci limitiamo a citarne alcune fra le più evidenti: l'espandersi della piena occupazione, il livellamento dei redditi, la partecipazione sempre più numerosa dell'elemento femminile al processo produttivo, il rincaro dei servizi personali, il fenomeno dell'urbanesimo, gli effetti del tempo libero, i mutamenti nella 95

composizione sociale rispetto all'età, il nuovo ruolo rivestito dalla donna, l'ingresso posticipato nella vita professionale, i matrimoni contratti in età più giovanile, la diffusione dell'istruzione scolastica superiore, l'influsso dei mezzi d'informazione di massa e altre ancora. Ma tutte queste tendenze comuni non si producono senza una causa, per generazione spontanea. Nascono da particolari circostanze storicoculturali, e ne risulta che i loro effetti concreti continuano a essere molto diversi e di natura eterogenea. Come esistono, oggi, in Europa, differenze nel ritmo e nella struttura dell'espansione economica, così vi sono anche differenze nel ritmo, nell'entità e nella qualità dell'evoluzione sociale, e i due settori sono inscindibili. La conoscenza di determinati motivi basilari della storia sociale ed economica di un paese costituisce tuttora la premessa indispensabile per comprendere le abitudini di vita odierne, nonché parecchi fenomeni di mercato. In Olanda e in Svezia la rivoluzione industriale - come tutti sanno - avvenne con notevole ritardo. Il fatto che questi paesi non siano afflitti dai deprimenti sobborghi nerastri, dai desolanti panorami di tetre fabbriche e da altre deturpazioni tipiche del primo periodo dell'industrializzazione sorta sotto il segno del carbone e delle macchine a vapore, ha favorito la formazione di vasti gruppi d'un ceto medio moderno e consapevole della propria importanza. Il “problema operaio” inteso come condizione di vasti strati della popolazione che si sentivano classe lavoratrice" ha avuto un ruolo assai ridotto, nemmeno paragonabile a quello che per forza di cose sostenne nei paesi tipicamente industriali. Situazioni analoghe si verificano anche all'interno di uno stesso paese. Nel Belgio il contrasto fra le zone industriali recenti e quelle di più vecchia costituzione corrisponde esattamente all'antagonismo tra fiamminghi e valloni; in Fiandra, infatti, lo sviluppo d'un ceto medio d'intonazione progressista ha trovato un terreno più atto a favorirlo. Lo conferma anche l'atteggiamento dei suoi abitanti verso molti prodotti nuovi, la cui accettazione implica il consenso ad assumere nuove abitudini di consumo e nuovi sistemi di vita. La Gran Bretagna, il più antico stato industriale del mondo e il primo a realizzare la piena occupazione, è il paese in cui la percentuale degli operai addetti all'industria è la più alta rispetto al numero complessivo dei lavoratori ed è al tempo stesso il paese in cui la tradizione plurisecolare dell'esclusivismo culturale della classe superiore ha mantenuto fino a oggi la sua validità. È un'isola in cui più della metà della popolazione vive ammassata in città di oltre centomila abitanti e dove, ciò nonostante, la country life continua a rappresentare l'unità di misura e il sogno di una antica, signorile magnificenza. In questo paese gli orologi, metaforicamente parlando, non sono regolati tutti sullo stesso meridiano. Da più parti si è affermato che la consapevolezza di appartenere a una “classe lavoratrice”, alla “working class”, è tuttora saldamente radicata in vasti strati del mondo operaio inglese, caratterizzato per questa ragione da esigenze moderate e conservatrici e da una volontà competitiva di ascesa sociale assai limitata, nonostante l'alto livello di vita. Comunque stiano le cose, l'opinione pubblica inglese si è vivamente appassionata all'argomento, in questi ultimi tempi, in discussioni connesse alla situazione del partito laburista, a quella del mercato comune e - last not least - al tasso troppo ridotto d'incremento economico. 96

Tenaci norme aristocratiche e prototipi vincolanti della “society” rendono più difficile alla nuova classe media di darsi uno stile proprio e d'imprimere un orientamento ben definito al gusto, a differenza di ciò che è avvenuto in altri paesi, nel corso della ricostruzione competitiva dell'esistenza durante il dopoguerra. La copia e la riproduzione sono i canoni dominanti - e lo mise in rilievo un articolo apparso alcuni anni or sono sul Times - nella fabbricazione dei mobili e nell'arredamento degli interni. A proposito dell'automobile si è affermato argutamente ch'essa dovette adattarsi alla vita inglese assai più di quanto la vita inglese non si fosse adattata all'automobile. E ciò che questo rilievo sottintende nella sua esagerazione è il fatto che le proporzioni e le diverse scale di valori, nel cui complesso determinati beni della prosperità trovano il loro posto, cambiano da un paese all'altro. Contrasti tipici saltano agli occhi allorché confrontano, ad esempio, le automobili di modello antiquato parcheggiate davanti alle villette inglesi di provincia, con le lussuose vetture ferme tutt'intorno a certi isolati moderni, funzionali e uniformi, del continente. E questa è anche la ne palmare che, per quanto concerne la tecnica, non sempre il più nuovo è automaticamente, solo in quanto tale, il migliore e quello che piace di più. Altri esempi a illustrazione di questo tema si possono attingere in campo commerciale. L'apertura a Londra di grandi magazzini sul tipo Harrods, o Fortnum & Mason, rivela la dipendenza tuttora accettata dalle unità di misura di una “society” aristocratica; a paragone di questi il Bijenkorf di Rotterdam, lo Jelmoli di Zurigo o il Karstadt di Brema sono quanto di più “democratico” si possa pensare. Vale a dire che manifestano i gusti e il modo di vivere dei consumatori esigenti che sul continente si sono già saputi creare uno stile di consumo tutto particolare nell'arredamento della casa, nella disposizione interna dei grandi edifici e negli ambienti di lavoro moderni. Progresso tecnico e sviluppo economico, lo sappiamo, esercitano un influsso sulle manifestazioni esteriori della vita sociale, ma vale anche il contrario: ossia gli aspetti, le istituzioni e le tradizioni della vita sociale e culturale si riflettono sull'andamento della tecnica e dell'economia. Eppure, né l'una né l'altra sono la rispettiva causa prima. Il merito che dobbiamo riconoscere nel suo giusto valore alla moderna indagine economico-sociale, per poter arrivare a un'intelligente programmazione in campo pratico, è di aver scoperto l'intreccio inestricabile, il mutevole concorso reciproco di fatti eterogenei, e i risultati ottenuti di volta in volta in situazioni concrete. Le conoscenze acquisite empiricamente sulla società moderna sono più estese e complete di quanto ritengano a volte i rappresentanti della sociologia ufficiale, accademica. L'analisi di mercato ha superato ampiamente, e continua a superare, i suoi scopi originari ch'erano semplicemente commerciali. Da indagine sull'economia domestica dello si è trasformata in un'indagine sulla famiglia, e, nel campo dello studio internazionale sul comportamento dei consumatori, sta diventando adesso un'analisi comparativa della civiltà. Scegliamo a caso, nella congerie di statistiche secondario, di mercato, un particolare qualsiasi, apparentemente del tutto secondario, per chiarire meglio il nostro concetto: in Gran Bretagna soltanto un consumatore su venti non è fedele a una “qualità preferita”; e ben due terzi all'incirca di tutti i fumatori acquistano, fra le numerosissime qualità di sigarette a prezzo medio (tutte esclusivamente col filtro), due soli tipi (le Players e le Senior Service). Questa costante predilezione è definita 97

brand loyalty, alta fedeltà alla marca di fabbrica. Presa in sé, l'informazione potrebbe suscitare al massimo l'interesse di qualche competente del settore. Ma, insieme con altri dati analoghi di altri settori, e soprattutto insieme con notizie fondate in merito ai desideri, alle aspettative e alle esigenze soggettive di diversi gruppi umani, un simile particolare si può inserire molto a proposito nel quadro generale e può rivestire una certa importanza per lo studioso della civiltà. Altri dati utili che ci consentono di addentrarci ulteriormente nel problema sociologico dell'evoluzione che va trasformando la società potrebbero essere la diversa accelerazione del ritmo di rinnovamento del mobilio, dei capi d'arredamento, dei veicoli e di altri oggetti d'uso tecnici, secondo i diversi paesi, la durata della vita di modelli e marche, le fluttuazioni, nella quotazione sociale, di determinati beni della prosperità, ma soprattutto quella ch'è la cosa più importante: la natura particolare della vita familiare e delle condizioni domestiche, la cui conoscenza è premessa indispensabile a una preveggente politica di smercio. I compiti della donna di casa moderna, il suo ruolo di programmatrice e di dirigente dell'economia domestica, la portata della sua autonomia nell'amministrazione del bilancio familiare e nelle decisioni relative agli acquisti, le esigenze e le spese per i figli maggiori (i teenagers), il significato del periodo ascensionale e del periodo di consolidamento nel cosiddetto ciclo vitale della famiglia, il problema del “terzo figlio”, che ha formato recentemente oggetto di discussione durante un convegno di economisti americani, e infine l'influsso della televisione, le abitudini alimentari in fase di continua trasformazione: abbiamo sottomano una messe ricchissima di informazioni particolareggiate Sulle più svariate situazioni, che i teorici e i critici della società moderna troppo lesti a trarre conclusioni si dovrebbero dar la pena, una volta tanto, di esaminare con la dovuta attenzione. Supponiamo che le grandi imprese industriali e gl'istituti specializzati nelle ricerche di mercato e nell'indagine sociale si uniscano per mettere a disposizione di tutti la somma dei risultati conseguiti nello studio condotto sulla categoria dei consumatori più esigenti: un congresso di sociologi dell'economia e della civiltà vi dovrebbe dedicare l'intera sessione per valutarli, per ordinarli sistematicamente e per interpretarli. Le conseguenze che la creazione della comunità economica europea avrà sull'interscambio di abitudini di vita e di consumo non sono ancora prevedibili. Gli economisti hanno già una idea relativamente abbastanza chiara degli sviluppi che verranno assumendo nei prossimi anni il movimento demografico, il miglioramento del tenore di vita, l'aumento del reddito nazionale e l'espansione economica; tuttavia non possediamo ancora un quadro che ci consenta di predire con buona approssimazione i molteplici aspetti del processo d'evoluzione sociale. Ciò nonostante la conoscenza esatta di questo mondo che si complica sempre più è ormai una condizione necessaria per l'imprenditorato responsabile, che voglia vagliare in tutto il loro significato i programmi a lunga scadenza. Le strade della politica economica e della politica sociale si confondono, diventando una sola. È ovvio attendersi, perciò, che la sociologia e l'indagine sociale acquistino in futuro un'importanza sempre crescente non solo per i compiti interni dell'imprenditorato, ma anche per quelli esterni; tenendo conto non solo del buon andamento del l'azienda, ma anche dell'andamento del mercato. 98

Le esigenze imprescindibili del tempo libero e la sublimazione del lavoro

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Il risultato dell'accresciuta prosperità minimizza l'importanza dei fini economici. Produzione e produttività diventano sempre meno importanti... La tesi che la prosperità sia maggiore a un livello generale alto di produzione che a uno basso non regge più. Il benessere può anche rimanere inalterato. Solo che il livello di produzione più alto comporta un più alto livello di creazione di bisogni che esigono un più alto livello di soddisfacimento... JOHN KENNETH GALBRAITH

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1 Il tempo libero degli uomini è diventato oggi un “problema” per l'economia, per la società, per la famiglia. Non abbiamo più bisogno di insistere su questa realtà di fatto in quanto molto si è già discusso e scritto in merito. Esistono una sociologia del tempo libero e un'indagine empirica che si dedicano allo studio dei singoli fenomeni l. Poiché i problemi pratici sono diventati tanto attuali, vorremmo evitare le definizioni astratte. In linea molto generale, sarebbe bene fare tre distinzioni: 1. Quantità del tempo libero intesa come somma delle ore in cui non si lavora, o almeno non si lavora per guadagnarsi il sostentamento. 2. Comportamento del tempo libero inteso (soggettivamente) come il complesso di tutto ciò che gli uomini fanno durante il loro tempo libero, di ciò che si attendono, di ciò che apprezzano e di ciò che desiderano. 3. Beni del tempo libero intesi (oggettivamente) come le possibilità di impiegare il tempo libero, ossia come l'insieme di determinati oggetti e condizioni offerte all'uomo, e fra le quali può scegliere. E qui si presenta il processo della diminuzione del tempo lavorativo: il passaggio dalle settante ore settimanali del XIX secolo alle quaranta attuali, e da queste alle trentasei e alle trentadue ore settimanali del futuro, come sono già state previste dalle organizzazioni sindacali operaie americane in un programma a lunga scadenza. A questo è necessario aggiungere il ritardato ingresso nella vita lavorativa e l'abbandono anticipato (pensionamento), fine settimana prolungati (portati dal sabato al venerdì), ferie più lunghe, e infine un maggiore intervallo di riposo durante la giornata lavorativa. Tuttavia, non si può dimenticare che non tutte le categorie di lavoratori partecipano nella stessa misura a tale sviluppo. I dirigenti dell'economia, i managers, da cui deriva il proprio nome la malattia tipica del nostro secolo, lavorano molto più a lungo, con una media che è praticamente di circa cinquantatré ore settimanali 2. Pertanto, la situazione descritta da Veblen si è completamente rovesciata: la “classe oziosa” non si trova più al vertice sociale, bensì più sotto, costituita dal vasto ceto medio. Tuttavia, non sono i dirigenti d'azienda quelli che detengono il record dell'attività professionale. I veri “eroi del lavoro” - che non si mettono in mostra - appartengono al sesso femminile: sono quelle donne che sono occupate tutto il giorno fuori casa e in più devono badare alla famiglia. Secondo le statistiche americane toccano le novanta ore settimanali. Un terzo della popolazione lavorativa dell'America del Nord è composto da donne; nel 1940 la metà di tutte le donne che lavoravano non erano sposate, nel 1956 le nubili erano soltanto un quarto. Una inchiesta inglese ha messo in luce che le donne nel periodo iniziale del matrimonio continuano a lavorare. Abbandonano il lavoro con la nascita dei primi figli. Ma non appena questi si fanno grandi si cercano un nuovo impiego, e continuano così a lavorare fuori casa fino a quando hanno superato i cinquant'anni di età. 101

L'aspirazione a un reddito più alto e a un più elevato tenore di vita sono due motivi a tal punto predominanti, che la famosa teoria del reddito di lord Keynes non ha più bisogno di essere confutata teoreticamente; Katona ne può dimostrare la insostenibilità con esempi pratici 3. Oggigiorno le uscite non rappresentano più una funzione del reddito; si potrebbe affermare piuttosto, e maggior ragione, che le entrate dipendono dalle uscite, o, in altre parole, che il reddito dipende dai desideri di consumo. La disposizione a intensificare le proprie prestazioni lavorative è la premessa necessaria a un ulteriore miglioramento del tenore di vita. Sebbene quelli che si avvantaggiano più d'ogni altro, in sostanza, della riduzione della giornata lavorativa siano gli uomini - operai o impiegati - si deve però riconoscere che anche loro sono soggetti a qualche limitazione. Basti pensare al più lungo tragitto per recarsi ai posti di lavoro, che non di rado prende dieci, quindici, o anche più ore la settimana. Per questo motivo il possesso dell'automobile è diventato una vera e propria necessità vitale per il lavoratore americano, e il continuo decentramento delle case d'abitazione rende necessario anche alle massaie il possesso di una seconda macchina, il cui acquisto - come accertò Katona - è diventato un bisogno imprescindibile per più di un terzo di tutte le famiglie americane (il 20 per cento l'hanno già). Ma anche se restiamo nel nostro continente, in Olanda ad esempio, possiamo constatare quante ore della giornata vengono rubate dagli spostamenti. Una quantità di persone che lavorano a Rotterdam abita all'Aja, a Leida, a Gouda, a Utrecht, o addirittura ad Amsterdam. Non parliamo poi dell'afflusso giornaliero che da tutti i punti cardinali si riversa su Londra, dando vita al traffico suburbano più intenso del mondo: vi partecipano masse enormi di lavoratori, e a migliaia giungono in ritardo quando i macchinisti, a volte, optano per il “work-to-rule”, che è soltanto un'espressione tutta particolare per dire semplicemente che scioperano. Ciò nondimeno il fatto che la giornata lavorativa effettiva sia diventata più corta, porta con sé molte conseguenze di cui nessuno può sottovalutare l'importanza. Perché il tempo libero è diventato qualcosa di completamente diverso e rappresenta molto più di una semplice pausa intercalata fra i periodi di lavoro. Ma prima di parlarne, sarà opportuno considerare il lato di quest'argomento che interessa particolarmente l'economia di mercato. 2 L'impiego del tempo libero è uno dei bisogni più impellenti dei consumatori, è una nuova, grande occasione offerta all'economia produttiva, è la domanda più autentica della prosperità. E in questo modo il tempo libero, che dobbiamo all'incremento economico in campo produttivo, esercita a sua volta il proprio influsso proprio su ciò che lo ha generato. Trasforma l'economia, trasforma tutta la struttura dei mercati, tutte le manifestazioni, tutti i rapporti, tutte le forze motrici degli avvenimenti. Questo stato di cose si intravedeva già negli anni '30, precisamente subito dopo la grande crisi. Il rapporto di una commissione nominata dal presidente Roosevelt dice, a proposito dei mutamenti economici: “It had to be recognized, not only that leisure is ‘consumable’, but that people cannot ‘consume' leisure without consuming goods and services, and that leisure which results from our increasing man-hour productivity helps to create new needs and broader markets" 4 [Si deve riconoscere che non solo il “tempo libero” è un “articolo di 102

consumo”, ma che l'uomo non può “consumare” il tempo libero senza consumare anche beni e servizi, e che il tempo libero che risulta dalla crescente produttività oraria concorre a creare nuovi bisogni e mercati più ampi.] Reuel Denney ci informa che oggi, negli Stati Uniti, un dollaro su sei del reddito disponibile viene speso per i bisogni del tempo libero; ciò significa una somma di cinquanta miliardi di dollari sui trecento miliardi del reddito nazionale netto del 1959. In America vi sono oggi circa venti milioni di pescatori dilettanti, quindici milioni di persone munite di permesso di caccia, otto milioni di giocatori di tennis e sei milioni di giocatori di golf; altri sei milioni di americani posseggono un motoscafo e tre milioni di sportivi si dedicano allo sci. In Europa il fenomeno non è meno spettacolare. Qui da noi la manifestazione più massiccia è il turismo, il cui incremento annuale - come è stato registrato dall'Oece a Parigi - è ora del 15 per cento. L'enorme spostamento di persone nel periodo delle ferie costituisce il maggior apporto di divisa per la Baviera, per l'Austria, per la Svizzera e per i paesi latini, le “terre del tempo libero” per antonomasia. Il turismo è riuscito perfino ad alzare, sia pure di poco, il sipario di ferro: è recente l'allettante organizzazione di gite turistiche sulle coste bulgare del Mar Nero. In America ci si è chiesti se non sarebbe stata redditizia la costruzione di navi “self-service”, con le quali si sarebbe potuto compiere la traversata dell'Atlantico con soli cinquanta dollari. Il progetto fu lasciato cadere per timore delle difficoltà che sarebbero sorte nel momento in cui le migliaia di passeggeri spuntati tutt'a un tratto nei porti europei o nelle città dell'interno avessero dovuto venire alloggiate. Già oggi la capienza degli hotel è scarsa e il futuro della così intensiva industria alberghiera europea rappresenta un capitolo sociologico a sé stante. Per ovviare alla concentrazione del turismo nei tipici mesi delle ferie, l'opinione pubblica e il parlamento olandesi si occupano della questione delle vakantiespreiding, ossia della opportunità che le diverse scuole stabiliscano il calendario delle vacanze in periodi diversi. Già certe aziende concedono ai loro dipendenti una settimana di ferie in più, se vengono prese in primavera o in autunno. Gli sport invernali battono in molti paesi persino le villeggiature estive. In Svizzera è venuto di moda lo slogan: “Tutti sugli sci!” E l'altro: “Qui dit ski dit Suisse”. La neve, che nelle grandi città rappresenta un ostacolo per il traffico, è diventata un fattore economico nelle località di villeggiatura. Durante le olimpiadi invernali svoltesi a Oslo nel 1952, sulle piste che quell'anno erano poco innevate, la neve fu trasportata dalle località più elevate, e nei campionati mondiali del 1958 a Bad Gastein, si discuteva allo stesso proposito con la compagnia che si occupa della manutenzione della strada del Grossglockner: poi non se ne fece nulla perché alla fine nevicò. In molte località di soggiorno invernale si ingaggiano operai perché di buon mattino battano le piste per gli ospiti sulla neve fresca caduta durante la notte; quindi anche i fiocchi di neve che scendono dal cielo vengono convertiti in un prodotto redditizio per la società. Per convincercene, basti considerare come lo sfruttamento della neve abbia influito sulla tecnica sciatoria e sulla costruzione degli sci. Il telemark che facevamo da bambini sulla neve alta, lungo il pendio dove non si scorgeva alcuna traccia, sulle moderne piste di Davos e di Cortina d'Ampezzo vien considerato un'acrobazia fuori moda. 103

E che cosa dire dei divertimenti e delle possibilità di istruzione che ci ammanniscono i nuovi mezzi d'informazione di massa? Rinunciamo a riportare le statistiche relative al numero dei radioutenti, dei telespettatori e dei frequentatori dei cinematografi, sulle conferenze informative per la massa e sugli hobbies domestici. Le riviste che si occupano di sociologia e di psicologia sociale ci danno esaurienti informazioni in merito. Le indagini sulle trasmissioni televisive ci dicono con esattezza quante persone, la sera d'un determinato giorno, hanno aperto il televisore. In certi paesi la “frequenza televisiva” è pubblicata settimanalmente sui giornali. In base a queste statistiche vien calcolata la tariffa della pubblicità. I servizi d'informazione delle compagnie radiotelevisive fanno a gara ora con quelli della stampa. E la loro reciproca interdipendenza - con i suoi aspetti positivi e negativi è innegabile. Spesso le reazioni sono sensibili anche quando i programmi non riescono ad accontentare pienamente il pubblico: in una città olandese l'anticipata interruzione della trasmissione di una partita di calcio provocò addirittura una dimostrazione pubblica. Anche in questo campo la domanda rappresenta un fattore della massima importanza, ed è un dovere incoraggiarla non solo a parole, ma praticamente, affinché diventi sempre più raffinata con la progressiva assuefazione a cose nuove. L'industria del divertimento è oggigiorno la sola branca della nostra economia mediante la quale il singolo può ancora realizzare rapidi, favolosi guadagni. L'esempio più convincente sono le paghe dei divi del cinematografo. I grandi beniamini del pubblico guadagnano più di un ministro. Sofia Loren riceve, per un solo film, un milione di dollari 5. Floyd Patterson, ex campione mondiale di pugilato, potrebbe vantarsi di detenere il primato: per un incontro durato appena due minuti e mezzo - e in cui, fra l'altro, fu sconfitto - ricevette un milione e quattrocentomila dollari. Il cantante Perry Como, per partecipare in Olanda a una rappresentazione della durata di un'ora e mezzo, pretese centosessantamila fiorini. Non glieli garantirono e Perry Como non andò in Olanda. Le entrate di due o tre successi di cassetta possono rappresentare la sicurezza per tutta una vita. La Svizzera è il paese dove i più fortunati fra questi “protagonisti del tempo libero” di tutto il mondo possono godere il più alto tenore di vita senza subire troppe molestie da parte del fisco. Per l'impiego del tempo libero sono entrati in attività innumerevoli nuovi settori di lavoro, si sono create nuove professioni i cui rappresentanti accampano già “un diritto sul tempo libero degli altri”, come ha osservato acutamente Schelsky 6. Perfino le declamazioni sulle crisi spirituali in cui noi viviamo realmente, o in cui fingiamo di vivere, sono considerate produzioni - pagate - di autori, che hanno in materia un interesse professionale. Tuttavia, son ben lontani dal guadagnare quello che intascano gli eroi dello schermo. Inconvenienti della nostra cultura - la “decadenza dell'Occidente” oppure l’“insurrezione delle masse” - diventano piaceri estetici del tempo libero delle persone colte. Pubbliche calamità - come lo sciopero dei ferrovieri inglesi nell'ottobre 1962 - diventano, il giorno stesso in cui hanno luogo, oggetto di piacevoli reportages televisivi per i prestatori d'opera rimasti a casa. Il tempo libero degli uni è il lavoro degli altri, e questo vale grosso modo per i servizi. Assai forte è oggi la richiesta di servizi informativi, la quale ci per mette e questa è la sua funzione sociale - di essere sempre aggiornati, contribuisce all'istruzione generale e all'ampliamento degli orizzonti culturali, e non di rado, per 104

essere sinceri, an che alla confusione generale. Ciò che quest'offerta potrà essere e diventare nel futuro è strettamente collegato alla nostra domanda e alle nostre reazioni.

3 Il tempo libero generale è, insieme con la prosperità generale e con la cultura generale, il terzo aspetto di quell'indivisibile processo che ha trasformato così radicalmente la nostra esistenza e la nostra coscienza sociali. La relazione fra il lavoro e il tempo libero è cambiata non solo sotto l'aspetto quantitativo ma anche sotto quello qualitativo. Infatti, quello stesso lavoro che un tempo determinava più di ogni altra cosa la considerazione pubblica in cui erano tenuti il contadino, l'artigiano, il mercante e il funzionario, e ne stabiliva in modo inequivocabile la posizione sociale, si è spostato, come già dicemmo, dall'ambiente domestico al mondo relativamente chiuso della grande azienda. Fabbriche o uffici, aziende produttive o istituti amministrativi, si tratta sempre e in ogni caso di organizzazioni corporative in cui le prestazioni professionali individuali si disperdono. E pertanto la tipica sfera privata dell'uomo è rappresentata oggi dal tempo libero. La maggior parte di coloro che si guadagnano la vita nella società industriale, come ha rilevato di recente Hans Paul Bahrdt in un suo ottimo libro, sono “prestatori d'opera per tutta la vita”. La sfera privata del prestatore d'opera “è soprattutto la sua casa dove si trattiene dopo il lavoro, quindi durante il tempo libero... Il contenuto più serio della sua esistenza, cioè il lavoro professionale, si è spostato fuori da lui 7”. Comunità domestica e lavoro in comune non combaciano più, non esprimono più due realtà identiche, perciò solo in tempi recenti è stato possibile procedere a una distinzione abbastanza netta fra lavoro e non lavoro. Ne consegue - dice Bahrdt - che la vita privata tende ad assumere caratteri di una certa indipendenza e di una certa libertà di scelta, specialmente per quanto riguarda la partecipazione agli avvenimenti pubblici. L'immagine dell'uomo al lavoro risulta più simpatica di quella dell'uomo visto durante il tempo libero, perché il lavoro lo impegna di più e richiede perciò maggior disciplina. Al contrario, il tempo libero rappresenta la sfera del consumo, la “scena” in cui predominano i nuovi beni e dove prendono forma precisa anche nuove relazioni umane, vale a dire i tipici rapporti privati sociali della prosperità. I singoli fenomeni, le manifestazioni concrete di questa evoluzione generale sono tuttavia ancora molto eterogenei, ancora troppo soggetti a cambiamenti perché li si possa valutare nella loro globalità. Ma in ogni caso è escluso che sia lecito interpretare tutta l’“attività” del tempo libero come una pura passività. Leo Lowenthal, che si rilesse a scopo di studio numerose biografie di personaggi famosi, comparse nei periodici illustrati (prendendo in esame i più rappresentativi, annata per annata, dall'inizio del secolo ai giorni nostri), poté dimostrare che l'interesse del lettore non si rivolge più esclusivamente ai “rappresentanti ideali del lavoro” (capitani d'industria, inventori, grandi medici, uomini politici) ma ai “rappresentanti tipici del passatempo” (divi del cinema, campioni sportivi e artisti che vanno per la maggiore). Le eccezioni confermano la regola: le biografie dei grandi industriali, degli inventori, degli uomini politici mettono in evidenza, sempre 105

che vengano pubblicate, non tanto le realizzazioni professionali quanto i particolari della loro vita intima. La vita privata di molti uomini politici desta più interesse delle loro concezioni e dei loro programmi politici, che spesso possono venir giudicati con competenza di causa soltanto dagli esperti. Anzi, in certi casi è proprio la vita privata quella che viene sfruttata per motivi di pubblico interesse, esercitando un peso non indifferente sulla politica. “Definimmo gli eroi del passato idoli della produzione: adesso ci sentiamo autorizzati a definire gli eroi dei rotocalchi moderni idoli del consumo 8”. D'importanza fondamentale è un fatto rilevato dalla sociologia: 1a lettura rappresenta oggigiorno per 1a massa molto più di un semplice passatempo. Ha assunto il carattere di un orientamento sociale. “Leisure time period seems to be the new social riddle on which extensive reading and studying has to be done.” [Il tempo libero sembra essere diventato il nuovo vaglio di promozione sociale, per cui si deve leggere e studiare molto.] Quanto più la società si mette in movimento, tanto meno le forme della cultura tradizionale indicano all'individuo il portamento da assumere, e tanto più si impone la necessità di un orientamento verso nuovi modelli. Il grado di vitalità e di validità del patrimonio culturale ereditario condiziona la disposizione soggettiva ad accettare i mutamenti, e, per conseguenza, la celerità dell'evoluzione sociale. Si potrebbe forse asserire che la gioia di cambiare e la volontà di adattarsi si riscontrano specialmente là dove molti simboli nazionali son diventati un anacronismo - in Germania, ad esempio - e talvolta suscitano repugnanza e vengono proibiti legalmente. L'entusiasmo per il nuovo modo di vivere, per tutte le novità, per le meraviglie tecniche ed economiche d'ogni specie non rappresenterebbe quindi altro che la fuga da un passato in cui lo spirito dei tempi non trova più alcun prototipo-guida, alcuna norma vincolante. Il tema del tempo libero nel suo complesso non si deve concepire avulso da quello della cosiddetta “cultura popolare” ovvero della “cultura di massa” in cui la sociologia comprende il variopinto assortimento dei moderni beni di passatempo, dalla letteratura dei rotocalchi e dalla musica sincopata ai fotoromanzi, ai fumetti e ai film 9. Il sociologo olandese P. J. Bouman ha parlato a questo proposito di “decadenza della civiltà”, di “depressione culturale” - espressione particolarmente felice presa a prestito dal lessico geografico, perché non racchiude in sé una valutazione preconcetta. La sottintenderebbe se volesse fare una distinzione fra i fenomeni della cultura popolare e i “vertici culturali”, comprendendovi alla rinfusa i capolavori dei grandi maestri, le grandi epoche storiche dello stile, i periodi più rigogliosi dell'epoca feudale. In polemica con Huizinga, Bouman afferma che non si dovrebbe parlare avventatamente di una linea di divisione tracciata in basso, dove terminerebbe la “vera cultura” e avrebbe inizio la non cultura. Oggi dobbiamo aprire la mente alla comprensione di molte cose che gli intellettuali e i cultori di scienze storiche e filosofiche d'un tempo ignoravano o rifiutavano con disprezzo. “Un concetto generale della cultura, a cui io aderisco, non esclude disparità di classe. A differenza di Huizinga, non userei il termine ‘limite inferiore' per accennare a qualcosa che sta fuori della cultura, ma piuttosto per riconoscere che in seno alla cultura si possono riscontrare elementi che mostrano aspetti funzionali negativi 10.” Il limite del puro e del non puro, del bello e del non bello, del sano e del morboso ricorre in tutte le manifestazioni della cultura, in quelle della vita dei primitivi come 106

in quelle della vita dei popoli civili, attraverso il nutrimento, leggero o pesante che sia, dello spirito. E perfino quelle manifestazioni che non possono reggere agli esami critici degli esteti, dei moralisti e degli storici della civiltà possono contenere un valore assoluto e permetterci di arrivare all'autoconoscenza. Marcel Proust elogiava il contenuto psichico della musica facile, sentimentale, poiché parla tanto “dei sogni e delle lacrime dell'uomo”. Ai nostri giorni abbiamo assistito a un'enorme diffusione di quella specie di arte senza pretese, che non ha la presunzione di ascendere alle regioni sublimi dello spirito. Infatti, la sua funzione nella vita umana di tutti i giorni è più limitata già in partenza, più oggettiva, più prosaica, e quindi più modesta. In verità questo genere d'arte senza pretese - sia musica leggera o pubblicazioni senza pretese, sia una semplice radiocommedia o un film - ha compiti di natura tutta propria. E questi compiti possono, in maniera loro particolare, trovare soluzioni buone o cattive. 4 Come mai il tempo libero è diventato un problema di tanto peso? Forse, per semplificare, conviene distinguere tre fasi del suo sviluppo. La prima fase sarebbe quella del disordinato, deprimente inizio dell'industrialismo nel XIX secolo, quando il tempo libero non era altro che una brevissima pausa che interrompeva le lunghe ore di fatica, a malapena sufficiente per dare un po' di sollievo alle forze fisiche e spirituali. La giornata lavorativa era così lunga e dura e il salario così scarso, che il tempo libero non offriva altre possibilità tranne quelle di mangiare e dormire e rappresentava il lato domestico, affine a quello aziendale, di una miseria che il ben pasciuto lavoratore moderno ricorda a malapena, per sentito dire. Con l'incremento del reddito con la soppressione della povertà primaria e con la realizzazione di condizioni di lavoro più favorevoli, il tempo libero cessa di essere una semplice pausa. La sua durata aumenta, non solo, ma si comincia a considerare l'importanza dell'interruzione del lavoro per il suo valore intrinseco, per cui sarebbe lecito parlare a questo punto di un'emancipazione del tempo libero. Siccome il lavoro diventa più breve e meno faticoso, il tempo libero non ha più lo scopo essenziale di consentire una ricreazione puramente fisica. Comincia a farsi evidente la sua funzione di passatempo e di divertimento. In questa sua seconda fase il tempo libero assume sempre più il carattere di occupazione ricreativa comunitaria, da trascorrere non sotto il segno del pane, ma sotto quello dei giochi. I besoins moraux di Le Play assumono soltanto adesso il significato più ampio di bisogni di massa, che non vanno intesi esattamente come necessità di tempo libero in sé e per sé, ma come riempitivi del tempo libero, come occasioni che si offrono all'uomo di trascorrere quel tempo in modo piacevole e proficuo. Ed è questo, per l'appunto, il motivo per cui il tempo libero passa sotto il dominio dell'economia, diventa un suo oggetto con innumerevoli possibilità aperte alla domanda e all'offerta. La terza fase di questa distinzione alquanto artificiosa è tuttora allo stato di idea, di postulato. Già nelle prime pagine di questo libro dicevamo che il tempo libero ha “aggredito” gli uomini di sorpresa, cogliendoli totalmente impreparati, a somiglianza di quanto avvenne a suo tempo nelle tetre fabbriche nere di fuliggine al primo sorgere dell'industrialismo. E come allora si rese necessaria la creazione di nuove condizioni di lavoro per l'adattamento interiore ed esteriore, così è 107

indispensabile che oggi si stabiliscano, per lo stesso motivo, nuove condizioni di consumo. Il tema fondamentale del tanto dibattuto problema dell'impiego del tempo libero si riduce in realtà al problema di riuscir a tener testa vittoriosamente alla prosperità. L'uomo sarà in grado di determinare l’auspicata struttura del tempo libero se imparerà a usare convenientemente i beni del nostro tempo. Ma l’impiego del tempo libero – lo ripetiamo – non è possibile senza i beni del progresso. La sua esistenza è subordinata al loro concorso. Considerati sotto questo aspetto, impiego dei beni e impiego del tempo libero sono inevitabilmente sinonimi. Molti uomini acconsentono alla produzione meccanizzata per amore dei suoi beni: lo afferma un sociologo dell'industria di chiara fama, Georges Friedmann, cui possiamo senz'altro dar credito 11. Da molte parti e molte volte è stato detto e ripetuto che il lavoro si deve assicurare un posto di primaria importanza nello spazio vitale, che deve concorrere essenzialmente allo sviluppo dell'energia formativa individuale affinché i beni di consumo, e i bisogni corrispondenti, possano ottenere anche essi un inquadramento organico nella scala dei valori. Resta solo una domanda: dove si dovranno cercare, sia oggi sia in futuro, i centri creativi del lavoro? L'avvenire del lavoro: non è semplicemente l'avvenire di monotone attività abitudinarie, organizzate dall'azienda, come vengono svolte oggigiorno dalla maggior parte degli uomini in veste di dipendenti. Conviene considerare attività e impegni di nuovo genere, che consentano anche lo sviluppo della vita privata, che le diano un indirizzo ben preciso, non nell'isolamento, bensì in nuovi rapporti sociali. Quanto più il lavoro umano retribuito viene meccanizzato, quanto più vien ridotto a una funzione preordinata, tanto più diventa ricco di significato tutto ciò che gli uomini possono fare e tutto ciò che si aspettano nella loro sfera personale privata. Non è un caso che numerosi studi sociologici sugli attuali problemi sollevati dall'uso del tempo libero siano stati promossi proprio dalle condizioni degli impiegati. Qualcuno ha detto che durante il giorno l'uomo vende il proprio io, per poter ricomperare la sera, o durante le ferie, ciò cui ha rinunciato; ma si riferiva a chi lavora negli uffici, non agli operai occupati nelle fabbriche 12. Però, quando si biasimano gl'impiegatucci che durante il tempo libero si danno il tono e le arie da “gran signori”, ci si dovrebbe tuttavia guardar molto bene dal far dipendere la valutazione del tempo libero dalle condizioni di ceto nell'organizzazione del lavoro. Sarebbe una nuova forma di arroganza classista se si volesse asserire che quello che uno fa o non fa nel tempo libero debba corrispondere al grado gerarchico assegnatogli nello svolgimento delle sue mansioni lavorative. Allorché nel tempo libero si formano spontaneamente rapporti autonomi di classe sociale, basantisi su risultati del tutto estranei al lavoro retribuito, si potrebbe parlare a buon diritto di un vero e proprio processo integrativo. Risultati conseguiti ad esempio nel campo dei divertimenti e subito imitati da altri, non sono mai stati di natura puramente passiva. Tutte le élites del consumo sono anche élites della produzione, nel senso che realizzano e rappresentano qualcosa per cui si distinguono positivamente dagli altri. Nemmeno le élites del tempo libero di Veblen erano formate da fannulloni. La “gente bene” adempiva una funzione eminentemente produttiva. E se ci si chiede che cosa mai producessero, la risposta può essere una sola: producevano l'ordine sociale, le norme e i paradigmi di uno stile di vita considerato distinto, degno d'essere imitato e che molti ambivano fare proprio. La cultura obbligante e obbligata, a proposito della quale Sombart asserì una volta che costringe perfino il più cafone 108

dei ricchi ad assoggettarsi al giogo del buon gusto, diventa anche essa oggetto della concorrenza nel momento stesso in cui la sua realizzazione offre al singolo individuo qualche possibilità concreta di distinguersi. L'Inghilterra è il paese dove lo sport e il gioco sono diventati elementi costitutivi di un modo di vivere signorile, espressione d'una vita sociale raffinata. Golf e tennis sono una “way of life”, il bridge è solo uno dei numerosi ponti nel campo sociale delle relazioni di buon vicinato. Il giardinaggio è un'attività obbligatoria, al punto che si preferisce rimandare le pulizie domestiche piuttosto che trascurare i praticelli antistanti alla casa, o i roseti. Paesaggio e architettura, parchi e municipi portano impresso il marchio di una cultura del tempo libero di stile antiquato, ma tuttora vincolante, racchiusa negli ideali della "country life". Dove altro è possibile che la vita moderna si allacci a simili tradizioni? Sul continente, la vita cittadina può conservare ancora, in certi casi, le tradizioni più radicate e le caratteristiche più significative della socialità dei vecchi tempi - agli americani succede spesso di scoprirla e di considerarla, idealizzandola, un'autentica rivelazione - tuttavia quanta parte potrà resistere vittoriosamente alle grandi fusioni provocate dall'era della tecnica, per sopravvivere, mutata, in nuove forme di vita? Se uno stile di vita conforme allo spirito dei tempi potesse trovare espressione nell'attività delle nuove élites, e se servizi prestati con ricchezza di fantasia da una “casta di censori” (Rôpke) diventassero il bisogno superiore della prosperità, allora una gara concorrenziale dovrebbe trovare le condizioni favorevoli al proprio sviluppo all'interno delle istituzioni che convergono nell'economia di mercato. Chi sapesse offrire i beni atti a soddisfare veramente la domanda di un orientamento sicuro nel campo del buon gusto e del modo di vivere in genere, finirebbe col godere, alla lunga, dello stesso rispetto e della stessa considerazione delle élites-guida di epoche precedenti, passate alla storia. 5 Nel XIX secolo non pochi conti e baroni abbandonarono i castelli aviti per costruire fabbriche, poiché scorgevano maggiori e più ampie prospettive future nel mondo del lavoro industriale che nel loro aristocratico tempo libero. Oggigiorno si dà il caso di dirigenti “arrivati” che hanno abbandonato le fabbriche per dedicarsi, con il corredo di tutta la loro esperienza e di tutta la loro ambizione, ai compiti sociali, o culturali, vale a dire ai compiti di politica interna del nostro tempo. Nella stessa industria, del resto, abbiamo assistito a una valorizzazione assolutamente imprevedibile delle professioni a carattere sociale e culturale, che hanno concorso in maniera notevole al miglioramento qualitativo della produzione. Come abbiamo già avuto occasione di rilevare, anche le attività e le capacità produttive, e non solo i beni e i servizi, hanno la loro quotazione sociale, coordinata alle qualità particolari dei problemi - che variano col mutare dei tempi - imposti dalla vita, e la cui soluzione è compito che spetta alla società. Per questo motivo antiche professioni tradizionali si estinguono quando la vita le priva di problemi attuali, e al loro posto ne sorgono di nuove, rese necessarie dalla domanda. Le professioni non sono qualcosa di perpetuo, anche se si sarebbe indotti a credere il contrario allorché si sente magnificare l'artigianato classico e talune occupazioni intellettuali. 109

Ogni epoca ha le sue sfere di vita caratteristiche, che richiedono necessariamente una guida sociale che si sviluppa per l'appunto grazie a loro. L'occasione di assumersi la parte di guida si offre a chi sa intuire “gli scopi e i doveri dei tempi”. In passato, le professioni che possedevano la maggior forza d'attrazione erano la carriera militare, quella ecclesiastica, l'esercizio delle discipline filosofiche e artistiche. Ed effettivamente erano investite tutte di un ruolo storico, concepito come compito superiore, come missione. Abbracciare una di queste professioni significava essere chiamati, si trattava di “essere” più che di “sapere e possedere la capacità”; era un agire con i crismi dell'ufficialità, una funzione quindi di capi dell'umanità, in campo militare, o spirituale, o politico. Poi, una nuova élite finì col trovare nell'economia il campo universale di un'attività consona ai tempi. Eredi dei conventi, delle corti principesche, delle università e delle accademie, le grandi imprese industriali diventarono centro di gravità e punto focale degli eventi, tant'è vero che riferendosi al termine entrato recentemente nell'uso di human relations, a volte non si intendevano altro che gli attuali rapporti e condizioni di lavoro. Contemporaneamente, si esaltarono anche le funzioni di guida assunte dai dirigenti. D'altro canto, proprio nel settore economico si giunse alla scoperta che la considerazione sociale di cui gode una determinata attività non dice un bel niente a proposito del valore personale di chi la esercita. Il fattore decisivo per il valore delle imprese umane è racchiuso nella loro capacità di consentire un pieno, libero sviluppo della nostra esistenza sociale e individuale. E la domanda che intendiamo avanzare a questo punto - domanda alla quale non siamo in grado di rispondere, ma che può tuttavia indirizzare la nostra coscienza - è quella relativa alle imprese e alle professioni rispondenti alle necessità proprie del tempo nella società di domani. Come l'economia dello smercio ha compreso che il suo problema specifico non può consistere in una illimitata espansione delle vendite, così il consumatore, rendendosi conto che l'incremento della prosperità non può essere un eterno processo accumulativo, finirà col chiedere servizi di nuovo genere. Esigerà che gli venga offerto un benessere superiore, e in ogni caso sarà maturo per accettarlo. L'ha spiegato chiaramente George A. Lundberg, che agl'inizi degli anni '30 condusse la prima, grande inchiesta americana sulla situazione del tempo libero: “Diligent citizenship, rather than material production, may become the chief job by which Man, in a broad sense, makes a living. It may be, too, that this job will, for some time to come, absorb much of the leisure which the machine has won 13" [Può darsi che l'occupazione principale dalla quale l'uomo, in senso lato, trarrà il proprio sostentamento, sia in avvenire il civismo attivo più che la produzione materiale. E può darsi anche che questa occupazione, in futuro, assorba buona parte del tempo che la macchina fa risparmiare.] Tutte le dotte disquisizioni sull'impiego del tempo libero sarebbero notevolmente più feconde di risultati se non ci si ostinasse fin troppo spesso a ricavare dal tempo libero un principio filosofico, se non si partisse dalla premessa che il tempo libero non dev'essere altro che un ozio contemplativo, se ci si convincesse a considerarlo senza preconcetti nel suo aspetto di fenomeno moderno, riconoscendovi certi tratti essenziali di un modo di vivere le cui qualità morali non possono venir misurate con l'antiquato metro borghese. Naturalmente la distinzione sociologica tra lavoro e tempo libero come sfere di vita sociale non coincide con i due concetti filosofici di vita activa e vita contemplativa. I due principi possono 110

corrispondere alla vita umana considerata globalmente. Possono acquisire un significato nella religione e nell'etica. Ma nella vita quotidiana, concreta, la loro opposizione non li scinde in due mondi chiusi e contrari l'uno all'altro. La vita lavorativa lascia posto alla contemplazione, e l'esistenza fuori del campo professionale è riempita di cose che “devono essere fatte”. Troppo spesso le ore del romanticizzato riposo serale furono prese come punto di partenza per tutte le dissertazioni. Quindi l’“attività” odierna del tempo libero venne considerata già a priori una fuga di fronte alla concentrazione, alla riflessione interiore. L'obbligo sociale del contegno, della linea di condotta fu descritto come un'esteriorità insincera, l'aspetto competitivo dell'attività fu definito conformismo. Il quadro che ne risultò è noto. Nella sua forma estrema gli uomini appaiono come una schiera frenetica d'individui articolati in modo anonimo, come una folla solitaria, nella quale ciascuno dei componenti non è ormai altro che un partner del proprio vicino, e reagisce solo per convenzione. Il vicino, in questo quadro, è chi partecipa al consumo, compagno e rivale a un tempo; con lui si hanno “contatti”, ma non si giunge mai a un incontro nel senso più profondo della parola. Il “vicino” delle comunità del passato, che si conosceva veramente e al quale si era veramente “prossimi”, diventa qui un contemporaneo che si comporta in conformità e che si giudica secondo l'apparenza Con la vicinanza fisica - si dice comunemente - la distanza interiore aumenta; ci si osserva in quel tacito automisurarsi che Martin Buber - in tutt'altro senso, però, beninteso - ha definito il grande sport delle relazioni interumane, e che secondo Ernst Jünger è la forma suprema della caccia. A questo proposito esiste una critica tipicamente europea rivolta al carattere intrinseco della società americana, in cui l'impiego del tempo libero ha assunto forme tutte particolari di obblighi sociali. E le considerazioni che i critici americani fanno sul modo di vivere dei loro compatrioti sono tant'acqua portata ai mulini delle prevenzioni europee; lo dimostra ampiamente l'esempio di David Riesman e di William H. Whyte Jr. 14. Riesman, indiscutibilmente uno dei più brillanti saggisti americani, descrisse, in una profonda antitesi storica nei confronti di Veblen, l'evoluzione “dal consumo che dà nell'occhio al consumo poco appariscente”, e tale passaggio caratterizza peculiarmente il comportamento della nuova generazione che ha dato l'impronta al suburb. Con il livellamento sociale l'ostentazione dimostrativa delle ricchezze guadagnate, in cui si rispecchiavano compiaciuti lo spirito della produzione che ambiva a sempre maggiori affermazioni e la tendenza autocratica dei vecchi imprenditori, perde molto del favore popolare. Nei nuovi quartieri residenziali si cerca di ordinare sistematicamente la vita di gruppo in forme determinate. Whyte ha corretto la vecchia locuzione “mantenere il passo con i vicini” (keeping up with the Jones's), trasformandola in un “tenersi indietro con i vicini” (keeping down with the Jones's). Se un tale fa carriera - è sempre Whyte che lo dice - e dà fiato alle trombe per annunciarlo ai quattro venti suscitando l'invidia di chi è meno fortunato di lui, si comporta da uomo sleale. Oggi s'impone una nuova forma di modestia, perché, se ci si vuole inserire nel gruppo, l'accento va posto sugli elementi che congiungono, non su quelli che dividono. La concorrenza si deve svolgere nell'ambito che le è assegnato. Diventa più regolata e più raffinata, e ritrova così anche quei modi garbati che sostengono una parte di protagonisti nelle riflessioni di Veblen sul consumo. 111

Non è detto che la ricerca di “denominatori comuni”, di esempi da accettare per il loro valore vincolante debba essere per forza di cose conformismo, poiché tutto, a ben considerare, deve restare soggetto alla fecondità di quei modelli esemplari, delle occasioni che consentono il pieno sviluppo della vita personale dell'individuo entro le norme sociali. Noi europei ci possiamo richiamare alle parole di Goethe, che disse a Eckermann: “In fondo, tutti noi siamo esseri collettivi, comunque ci si voglia considerare. Quanto poco abbiamo e siamo, infatti, da poterlo chiamare veramente nostra proprietà! Dobbiamo accogliere e imparare tutto, sia da coloro ch'erano prima di noi, sia da coloro che sono con noi. Neppure il massimo ingegno andrebbe molto lontano, se volesse essere debitore di tutto al proprio intimo. Però molte ottime persone non lo comprendono, e trascorrono una metà della vita brancolando nel buio coi loro sogni di originalità 15 ". La storia del mondo occidentale avrebbe dovuto insegnarci che l'antagonismo tra la sfera della vita pubblica e quella della vita privata è qualcosa d'europeo, nato, per l'esattezza, in Europa col Biedermeier, e che rimane legato al carattere permanente della borghesia. Nelle antiche civiltà - e molte rappresentano i vertici massimi della storia dell'umanità - questo contrasto non esisteva. Peccherebbe di presunzione europea chi volesse asserire che l'esistenza umana si deve scindere necessariamente in un antagonismo così inconciliabile fra vita pubblica e vita privata affinché l'esistenza personale si possa avverare in forma dignitosa e nel rispetto della personalità. L'inasprimento del contrasto può venir spiegato con le condizioni in cui si venne a trovare il lavoro nell'Europa del secolo scorso, quando la serietà della vita fu separata da tutto il resto ed essa fu costretta alla fine a procedere per conto suo, in una specie di quarantena. Huizinga, che ci ricordò l'esistenza dell’“elemento giocoso della civiltà”, dice che il XIX secolo è il regno della serietà, l'Europa indossa l'abito da lavoro, la produzione diventa l'ideale e finisce col trasformarsi in un idolo. Il concetto di utilità e l'ideale del benessere borghese dominano lo spirito della società: l'uno e l'altro si possono trovare nel Biedermeier. Con la rivoluzione industriale la vita diventa ancora più rigorosa, ed è allora che si diffonde il “biasimevole errore” (Huizinga) che le forze economiche determinino il corso del mondo 16. Noi vorremmo sostenere che la vita diventa più seria quando diventa più serio il lavoro, e che il lavoro diventò a quei tempi più serio quando ne fecero un elemento isolante, ossia quando venne staccato nettamente dai rapporti sociali, che a loro volta diventarono tanto sterili, come vita privata residua, da non poter più esercitare la funzione di divertimento nel processo culturale. La compensazione fra le due sfere della vita privata e della vita pubblica si rende nuovamente attuale come compensazione fra lavoro e consumo, in quanto le due sfere sono adesso più strettamente intrecciate nella totalità della vita sociale. I problemi dell'economia questo è un tema fondamentale che ci si presenta di continuo, in tutte le variazioni possibili - assumono perciò sempre più il carattere di problemi relativi ai rapporti umani e alle motivazioni umane.

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6 Come si manifestano la compensazione fra serietà e divertimento, l'avvicinamento delle sfere della vita sociale nelle forme organizzate del lavoro aziendale e nel carattere delle attività professionali? È necessario che ci rendiamo ragione, nei limiti della nostra disamina, anche di questo punto. Perché la prosperità, che noi esaminiamo qui, considerandola come un complesso di problemi sociologici, si manifesta pure nelle esigenze culturali e sociali che per noi risiedono nella natura stessa delle attuali condizioni della produzione. Il livello di vita non è migliorato solo fra le mura domestiche; è migliorato anche nei posti di lavoro, Nessuno vuole più lavorare nelle condizioni in cui si lavorava per lo più fino a pochi decenni or sono, nelle fabbriche e negli uffici. Come il frigorifero, il televisore e altri oggetti d'arredamento moderni sono parte indispensabile di un livello di vita adeguato ai tempi, così sono parte indispensabile di un adeguato livello di lavoro i mezzi di produzione sempre più comodi e sistemazioni più accurate. Se poi facciamo attenzione alle esteriorità rappresentative, dobbiamo constatare una volta di più che il significato delle innovazioni non si esaurisce nei loro aspetti materiali e fisici, come ad esempio nel migliorato sistema d'illuminazione, nell'eliminazione della polvere, nella lotta contro i rumori, nelle misure di sicurezza per evitare gl'incidenti. Ciò che conta soprattutto è il fatto che coi perfezionamenti apportati all'azienda è cambiato tutto il carattere del lavoro; lo si è reso più gradevole, più ricco di colore, più proficuo. Fabbriche con cassette di fiori lungo i muri, oppure con lucernari trasformati in giardini d'inverno non costituiscono più una rarità. I macchinari, i laboratori e le officine, che grazie alla forma moderna non priva di pretese d'eleganza hanno finito con l'imprimere di prepotenza uno stile alla tecnica, i colori luminosi che conferiscono una certa grazia ai montacarichi, alle valvole, agli impianti di lubrificazione e alle condutture di carico e di scarico dell'energia - non fosse altro che per obbedire alle prescrizioni legali in materia di sicurezza e per ragioni di visibilità - rendono manifesta una tendenza a mascherare la “meccanica pura”, a ottenere un effetto estetico d'ordine superiore, sicché il lavoro industriale ha perduto la sua cupa serietà. Nell'arredamento degli uffici amministrativi è evidentissimo lo scopo di rendere “abitabili” gli ambienti in cui numerose persone devono trascorrere una parte considerevole della vita. Certi uffici sono arredati con molto maggiore eleganza e molto più lussuosamente degli appartamenti di tipo medio degli impiegati. Nello sviluppo di un “consumo comunitario”, l'ambiente di lavoro viene assimilato all'ambiente del tempo libero; e il primo influisce - in casi esemplari - sulla educazione del gusto per la creazione del secondo. L'ambiente di lavoro promuove però, in seguito a questa evoluzione, una maggiore socievolezza e chi è capace di portarvi un contributo personale diventa automaticamente un buon collega. Oggigiorno non è sufficiente la voglia di lavorare, è necessaria anche l'affabilità. E quest'asserzione è tanto più valida quanto più il lavoro cessa di essere per il singolo individuo una sequela di operazioni di natura eminentemente manuale. È consentito di nuovo alzare gli occhi dal lavoro che - in generale - ha per sua natura carattere estroverso più che carattere introverso. Infatti, un contegno disinvolto, spontaneo, “capace di contatti” si è dimostrato più 113

fruttuoso ai fini del buon rendimento. Non si sta più, per così dire, “rigidamente sull'attenti”. Si è propensi a una metaforica posizione di “riposo” spirituale. L'accresciuta importanza del lavoro di gruppo a scapito di quello eseguito singolarmente si accoppia a questo desiderio di adottare tutte le risorse che possono alleggerire la tensione delle condizioni di lavoro. Presso le supreme gerarchie dell'organizzazione questo processo assume aspetti assai svariati, unendosi per di più al bisogno così marcato di “rappresentazione”, a quella tendenza aziendale a mettersi in mostra, che certe volte stenta ad accordarsi con l'imperativo di non trascurare la produttività. A questo proposito Riesman, parafrasando il “consumo appariscente” di Veblen, ha parlato di “produzione appariscente 17” (conspicuous production). Il fenomeno si può notare in tutto ciò che un'impresa moderna adotta per affermare esteriormente il proprio prestigio, nonché in tutto quello che rappresenta all'interno, agli occhi e alla coscienza del personale. Parla eloquentemente attraverso le abitudini che regolano i rapporti interni, attraverso gli emblemi di casta suscitatori d'ironici sorrisi - che distinguono gli alti funzionari e i dirigenti, ai quali la partecipazione al consumo aziendale conferisce prestigio personale. Tutti i simboli tipici di ceto e di autorità nell'ambiente del lavoro hanno origine nella sfera del consumo. I tappeti degli uffici, di qualità diversa secondo il diverso grado del funzionario, il lusso scalato delle scrivanie, i libri e gli altri accessori intellettuali, importanti anche quando stanno lì non per essere letti ma per essere spolverati: tutte cose che non differiscono fondamentalmente dalle manifestazioni del bisogno di riscuotere la considerazione altrui nel tempo libero. I confini che separano i due campi del lavoro e del tempo libero sono diventati in tal modo piuttosto fluidi. Certe abitudini proprie del tempo libero si sono trasferite nella sfera produttiva, rendendone più elastiche le condizioni. L'ozio si è infiltrato nel lavoro. Il volto del lavoro non possiede più traccia di quel fanatismo, di quella durezza con la quale ideologi ormai morti avrebbero voluto marchiarlo definitivamente. Lo nota del resto perfino nell'abbigliamento, ch'è più spigliato, più sportivo. L'abito da lavoro non è un'uniforme, non è la livrea del servitore, ma l'equipaggiamento di uomini indipendenti, cui incombe la responsabilità di maneggiare con perizia i macchinari più complessi. E forse qui si trova la chiave per spiegare un fatto interessante, rilevato da König nella sua analisi della moda odierna: il fatto cioè che certe particolarità dell'abbigliamento di lavoro influiscono sugli abiti che si portano durante il tempo libero, e soprattutto sul modo di vestire trasandato dei più giovani 18. La stessa propensione si rende manifesta anche negli uffici. I completi scuri sono scomparsi. In Inghilterra, a dire il vero, resistono ancora, tuttavia molti dirigenti delle nuove leve sono dell'opinione che la classica bombetta nera costituisca oggigiorno una stonatura. Il make-up delle dattilografe, delle segretarie, delle receptionists, come anche di quelle occupate nei laboratori porta nell'atmosfera una nota erotica tutt'altro che male accetta, la quale sostiene una parte di notevole importanza nella celebrata struttura informale dell'azienda. La sempre più numerosa partecipazione femminile al ruolo impiegatizio equivale già di per sé a una socializzazione del lavoro. Di anno in anno le grandi industrie aprono nuovi reparti sussidiari, dove le donne possono trovare un'occupazione interessante e congeniale alle loro attitudini. Sono le attività produttive - e produzione va intesa qui in un senso elevato - che concorrono alla creazione dell'atmosfera aziendale, al 114

miglioramento del sistema di “produzione pura e semplice” e all'incremento qualitativo ed estetico dei prodotti. Molte attività intellettuali che un tempo formavano il contenuto del tempo libero per le classi privilegiate, sono entrate a far parte del campo produttivo in un rapporto di collaborazione. Ma anche le cosiddette attività di fabbrica direttamente produttive si stanno sublimando per il fatto che si “cerebralizzano” a mano a mano che il lavoro manuale si trasforma in lavoro mentale. È noto che la prestazione lavorativa va analizzata sempre meno come una semplice successione cronologica di esecuzioni; che è caratterizzata dalla costante presenza di una capacità di coordinamento e di controllo, per cui i tipici “momenti d'ozio” diventano un vero e proprio elemento integrante. Molto spesso il lavoro procede, e si avvantaggia, con un contemporaneo consumo di beni e di servizi che un tempo erano riservati esclusivamente agl'intervalli di riposo. Citiamo qualche esempio fra i tanti: la musica che viene trasmessa in parecchi laboratori (music while you work); oppure una tazza di tè o di caffè, che rendono più gradevole il lavoro d'ufficio - e le ragazze addette alla mensa aziendale passano con i carrelli apparecchiati lungo i corridoi dei palazzoni in cui ha sede l'amministrazione, che assumono un'aria meno fredda e formale. O ancora l'atmosfera improntata a una cordiale ospitalità in cui si svolgono certe trattative commerciali di particolare importanza e che fa parte dei servizi offerti alla clientela, e infine le “riunioni” dei collaboratori, moderno metodo di lavoro che non deve rimanere riservato ai soli dirigenti dei reparti, e a cui non si è ancora data la debita importanza come sistema d'informazione, e in pari tempo di comunicazione, con la categoria media dei dipendenti. La diffusione di questo metodo farà sì che il tono, sostanziale e esteriore, delle riunioni perda in formalismo esteriore e guadagni in positività, poiché non avrà più il carattere di un privilegio accordato unicamente al ruolo dei dirigenti. Le comodità e il lusso che fanno oggigiorno da cornice alle riunioni ufficiali dei funzionari di grado più elevato sono tali da mettere in ombra i ricevimenti privati del tempo libero. 7 Ditte commerciali prendono ora il posto che un tempo era stato occupato dalle famiglie borghesi agiate. Lazarsfeld e Riesman hanno sintetizzato questo cambiamento con una frase: “Dal conto bancario al conto spese”. Il conto bancario - quello d'una volta - corrispondeva a una società orientata verso la produzione; il conto spese - quello odierno - è orientato invece nel senso del consumo. Il conto bancario è fortemente ostacolato nel suo incremento dall'imposta progressiva sui redditi; il conto spese costituisce un nuovo diritto all'incremento del consumo, dal quale sono escluse solo le famiglie dei funzionari, il che ha già provocato negli Stati Uniti un coro di proteste da parte delle casalinghe. Esistono oggi non pochi ristoranti di lusso, i quali prosperano in massima parte grazie a una clientela che li frequenta a spese dell'azienda. I vini più costosi vengono bevuti “in servizio”, e per servizio si viaggia soltanto in prima classe. Per i viaggi privati, beninteso, si va in seconda. E non è forse giusto, in fin dei conti? Non è certo il caso d'indignarsi eccessivamente per questa evoluzione, che già da un pezzo ha incominciato a imporsi come regola, e che solo in casi eccezionali passa i limiti della convenienza e del buon gusto. In questo senso, vale per la vita spendereccia quanto dicemmo, 115

riferendoci a un altro argomento, a proposito degli acquisti rateali. A differenza della fastosa comparsa dei capitani d'industria, dei neomilionari spuntati alla svolta del secolo, i dirigenti moderni sono più parsimoniosi; il loro prestigio personale non si fonda tanto sulle ricchezze che si sono sapute creare quanto sulla propria consapevolezza, e sul riconoscimento altrui, di essere un buon capo d'azienda. Quanto più impegnativo, quanto più grave di responsabilità è il compito che devono svolgere, tanto più evitano, in generale, di dare nell'occhio. Preferiscono la modestia - che, fosse pur simulata, indicherebbe ugualmente una mentalità diversa. Quello che Lloyd Warner ha scoperto nel comportamento seguito durante il tempo libero dai sei gruppi da lui suddivisi secondo il reddito - cioè che il gruppo ch'è davanti per l'entità delle entrate adotta un contegno meno vistoso del gruppo che lo segue che nelle gerarchie di censo dell'organizzazione del lavoro. semidei non di rado piace atteggiarsi a dèi tout court. Il fatto d'essere in stretti rapporti con una ditta che goda di un'alta considerazione conferisce prestigio personale, soprattutto allorché si tratta di un'impresa a carattere internazionale. L'identificazione con l'azienda può arrivare qualche volta al punto di parlare di linee di condotta che sono tipiche di un determinato imprenditorato. Questa identificazione con l'impresa è un aspetto del bisogno individuale di ottenere sicurezza e protezione dalla compagine sociale. Lo stesso sentimento lo si poteva riscontrare negli eserciti di un tempo. In Guerra e pace Tolstoj fa a questo proposito certe osservazioni che possono contribuire all'autoconoscenza dei dirigenti moderni. I dirigenti che nelle relazioni aziendali interne fanno appello a uno “spirito di corpo”, in particolar modo allorché si rivolgono alle leve più giovani, possono essere sicuri di suscitare simpatia. Caratteristiche dello spirito di corpo sono la solidarietà, la lealtà, considerando soprattutto l'impressione che suscitano presso gli estranei all'azienda. E si riscontra spesso anche la tendenza a regolare in qualche modo quest'impressione da suscitare all'esterno, o addirittura a prescriverla con norme ben precise. Quanto più elevata e importante è la posizione che un dipendente occupa, tanto più è impegnato nei confronti della comunità aziendale. Con la sua persona rappresenta fisicamente l'impresa, così come l'impresa dal canto suo rappresenta lo sfondo sul quale la sua immagine privata, individuale può - secondo i casi - risaltare luminosa oppure confondersi in una luce crepuscolare. L'impresa - in altre parole non è soltanto la datrice di lavoro; conferisce anche una posizione sociale. È una realtà di fatto incontestabile. Ne consegue, quindi, da un lato, che non ci si deve abbandonare a discrezione allo “spirito” interno e alle sue convenzioni, che non è lecito legarvisi incondizionatamente; d'altro lato, si ha il preciso dovere di sostenere l'impresa e di impegnare la propria responsabilità personale allorché vien criticata ingiustamente. Gl'interessi della comunità aziendale non sono il fine supremo: e la serviamo nel modo migliore se non dimentichiamo questa verità. Uno dei problemi più seri per il futuro della nostra società è costituito dalla possibilità la formazione educativo-culturale dei dirigenti industriali e la conseguente cristallizzazione a lunga scadenza di un moderno stile di lavoro. Inchieste condotte in Olanda e negli Stati Uniti hanno rivelato che i dipendenti di grandi aziende insoddisfatti del proprio lavoro non ne attribuivano la colpa all'azienda in sé, bensì al reparto in cui svolgevano l'attività, o alle circostanze più disparate, o ai loro superiori immediati, o perfino a sé stessi. “La ditta”, invece, in 116

certi casi veniva addirittura elogiata, per le facilitazioni di carattere sociale, ad esempio, e per le innovazioni adottate per il benessere dei lavoratori. Taluni asserirono inoltre che le condizioni vigenti nel loro reparto, e che provocavano lo scontento, erano “indegne dell'azienda”. E tutte queste rimostranze indicano chiaramente il maggior peso dell'elemento umano dell'azienda per la vita professionale del moderno prestatore d'opera. Non di rado succede che un ex dipendente, anche quando ha abbandonato la ditta perché non vi si trovava a suo agio, conservi con essa qualche rapporto, soprattutto quando il ricordo della sua attività in quella data azienda è collegato a un capitolo importante della vita. Una grande impresa può giungere perfino a far battere più rapidamente i cuori sensibili al sentimento patriottico. In Olanda molta gente è orgogliosa dei “quattro grandi” del piccolo paese (la Unilever, la Shell, la Philips e l'Aku) e si inorgoglisce anche della KLM, la linea aerea che collega i Paesi Bassi con l'America, e di altri “ambasciatori nazionali”, che contribuiscono a diffondere nel mondo il nome e il rispetto per il loro paese. Molti dei problemi cui abbiamo accennato fin qui possono venir discussi fondamentalmente sulla falsariga delle public relations. Che cos'è che ha reso possibile nel frattempo lo sviluppo in attività autonoma di questa branca della pubblicità? La risposta la si può trovare, e non da oggi, in tutti i manuali: quanto più l'imprenditorato ha esteso la propria partecipazione alla totalità dell'esistenza sociale, quanto più andava compenetrando gli altri settori della coesistenza umana fondendosi in loro, tanto più diventava d'importanza essenziale la fama di cui godeva presso l'opinione pubblica. Avvertì il bisogno di giustificarsi di fronte alla società, e per ottenere questo scopo non era sufficiente la pubblicazione di sostanziosi bilanci, che si limitano a rappresentare nell'arido linguaggio dei numeri i risultati finanziari. Per assicurarsi una buona nomea erano necessari altri sforzi, altri impegni che testimoniassero una consapevole responsabilità sociale e che facessero dipendere il concetto del successo anche da realtà non direttamente attinenti all'economia. Sorse così l'istituzione delle public relations con tutto quel che d'altro comportano: visite alla fabbrica, pubblicazioni, giornali aziendali, conferenze, esposizioni, presa di contatto con le scuole, con le autorità, con altri stabilimenti industriali, sovvenzioni alle opere assistenziali, istituzione di borse di studio, collaborazione alle riforme nel campo didattico-educativo e così di seguito. Le public relations esprimono una sorta di coscienza politica dell'imprenditorato. Può darsi che questo significato riposto ed essenziale non sia stato ancora riconosciuto da tutti. Si rimprovera alle public relations di non aver saputo togliersi dal “guscio originario dell'agenzia pubblicitaria”, si critica il “persistere del cordone ombelicale... che le tiene legate al traguardo dell'incremento delle vendite 20”. Tutto vero, ma non questo ci deve impedire di scorgere nella propaganda per la pubblica fiducia il germe di una funzione che in futuro costituirà molto di più d'una semplice attività rappresentativa. “ Public relations clarifies for the businessman the moral issue confronting him 21.” [Le public relations chiariscono all'uomo d'affari i problemi morali che gli si presentano.]

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8 Oggigiorno, per esporre il mutamento avvenuto nel carattere dell'imprenditorato moderno, si mette in risalto, fra l'altro, il reinvestimento degli utili. Dei 6 miliardi di fiorini investiti dall'industria olandese dal 1950 al 1955, non meno dell'80 per cento provenivano dalle sue disponibilità. E naturalmente non furono investiti solo per realizzare miglioramenti di stretto carattere tecnico o per ingrandire le aziende. Molto spesso esigenze umane d'ordine superiore rendevano necessaria una trasformazione radicale dell'ambiente di lavoro. Il rinnovamento continuativo dell'apparato di produzione in senso lato, ossia di tutta la cornice istituzionale del lavoro, è già diventato un problema che concerne l'autoformazione aziendale, e un giorno potrebbe conferire un nuovo e più vasto significato all'attuale concetto alquanto limitato della politica sociale da perseguire in seno all'azienda. Questo sviluppo è stato favorito indubbiamente dalla natura del nostro sistema fiscale; tuttavia, se si volesse far risalire il movente di questa evoluzione esclusivamente al fisco, si finirebbe col negare il valore intrinseco del compito che si presenta agl'imprenditori nella continua, progressiva sublimazione delle condizioni di lavoro. La tentazione “di calcolare e d'investire in grande stile, avendo assai spesso di mira l'acquisizione di un maggior prestigio e la possibilità di ostentare una maggiore magnificenza che di rispettare la razionalità della parsimonia” (Ortlieb), non sarebbe altro che una sfida estetica ai committenti e agli architetti dell'odierno “paesaggio industriale”. Ciò che conta è apparire, in pubblico e all'interno. Quando si sostiene che l'investimento dei guadagni, che altrimenti sarebbero devoluti al fisco, spesso non vien più calcolato nel suo giusto valore in senso economico-politico, non si dovrebbe dimenticare però che là dove viene offerta la possibilità di creare le condizioni migliori per la convivenza umana, si procede con criteri più sottili. Ci si chiede fino a che punto il concetto d'investimento può essere ancora interpretato, in questo caso, come un concetto puramente economico-aziendale e tecnico-produttivo. Il problema generale di sapere secondo quali punti di vista e secondo quali modelli-guida si deve disporre degli introiti netti - qualunque sia la loro provenienza - è quanto mai stratiforme; a nostro avviso è preferibile di gran lunga decidere in base a considerazioni pratiche piuttosto che teoricamente, seguendo esempi validi piuttosto che principi politici. Riesman ha dichiarato recentemente e senza ambagi che sarebbe probabilmente assai meglio se i guadagni dell'economia americana venissero impiegati nella costruzione di begli edifici e in investimenti di pubblica utilità da parte delle grandi aziende, anziché nelle forti spese voluttuarie dell'uomo della strada. I progressi culturali comunitari hanno servito frequentemente da paradigma a un modo di vivere individuale dotato di un suo stile. Imprese comunitarie che richiedono un notevole impegno - lo ha dimostrato l'età feudale - possono essere altrettanto formative, stilisticamente, dei capolavori del genio isolato. Già a proposito dell'andamento domestico-familiare abbiamo avuto occasione di dire che ormai non ci si accontenta più di sostituire di quando in quando, o di completare l'inventario dei beni seguendo unicamente un criterio pratico utilitario. Ci si preoccupa di dare all'esistenza sociale - la cui base economica si va raffinando sempre più - una forma e un contenuto diretti al futuro e guidati dalla fantasia. E il 118

discorso vale sia per l'economia domestica, sia per l'imprenditorato. Il modello economico, definito da Schumpeter terreno di cultura della logica, viene già complicato da fattori così difficili da afferrare, che col solo concetto di utilità si arriva poco lontano. A fianco della logica deve intervenire la facoltà immaginativa. Nella programmazione strategica del futuro - ch'è diventata un'idea concreta, applicata non più semplicemente al “proforma” del prossimo anno, bensì allo sviluppo complessivo dell'imprenditorato durante il quinquennio o il decennio successivo - si parla, più che della produttività, della creatività. La razionalizzazione del sistema economico capitalistico, nel cui svolgimento “la ‘visione’ soppiantava il risultato calcolabile 22” può aver fatto aumentare la produttività delle singole ore di lavoro, può aver condotto all'automazione delle decisioni abituali. Ma qui, nella determinazione qualitativa del complicato scopo sociale cui si intende arrivare, sia pure a lunga scadenza, sono più che mai necessarie concezioni creative. Per arrivarvi, le élites che dirigono l'industria devono trovare quel coraggio dell'utopia al quale spetta una funzione pratica molto importante, come ha dimostrato Hans Paul Bahrdt a proposito dei problemi di edilizia urbanistica. Lo sviluppo della facoltà immaginativa molto spesso non si accorda con gli eccessivi scrupoli relativi alla produttività. Come la giusta valutazione delle spese può rappresentare tuttora una virtù nella previsione massimale dei relativi prodotti, così, d'altra parte, per la creazione d'una vita comunitaria è indispensabile un pensiero aperto e lungimirante, e forse perfino qualcosa di quello “spreco creativo” di cui ha parlato Sombart nel suo studio sul Rinascimento italiano. Del resto, il pensiero e l'azione dell'imprenditorato si imperniano assai meno di quanto generalmente si creda sul puro e semplice profitto. Dopo la guerra, all'apice della congiuntura, si notava assai poco la mentalità dell'uomo avvezzo a pensare in termini di spese”, in termini di contabilità a partita doppia. Il dirigente - dice Riesman - ha imparato a guardare la sua azienda con gli occhi del consumatore. La produzione che ambiva a una certa classe diventò un fenomeno caratteristico dei tempi, al quale ci si doveva adeguare, volenti o nolenti. Le spese di lusso si resero necessarie come emblema di categoria dell'imprenditorato nella competizione comunitaria per ottenere prestigio. Esigenze superiori, bisogno di lusso e bisogno di prestigio sono il motivo dominante nelle decisioni in materia di spese, sia che si tratti delle aziende, sia che si tratti delle famiglie. Le une e le altre affermano il proprio valore e si guadagnano la considerazione altrui grazie al denaro superfluo di cui possono disporre. Lo si può vedere chiaramente nei frutti - buoni e cattivi del miracolo economico, in tutti i paesi dell'Occidente. Non sempre - tutt'altro! - i capi di azienda prendono le deliberazioni più impegnative in materia finanziaria ispirandosi a considerazioni suggerite da quella logica rigorosa, che in altri tempi si gloriavano di seguire. Le analisi promosse dalla sociologia hanno dimostrato, rovesciando tutte le previsioni che i dirigenti industriali sono più sconsiderati, nelle spese, delle donne di casa. Si scoprì che queste ultime agiscono meno irrazionalmente di quanto si supponeva; quanto ai primi, invece, risultò che i momenti irrazionali sono parecchio più frequenti di quanto ci si attendesse. Oggigiorno, fra i compiti che spettano allo sviluppo direzionale (management development) c'è anche quello che riguarda la formazione della coscienza d'una responsabilità culturale nell'espansione dell'imprenditorato. Il senso delle 119

proporzioni che una direzione aziendale in carica conserva nella realizzazione dei progetti di maggiore importanza si rivela nell'ammontare degli investimenti. In futuro si renderanno necessari studi socio-psicologici, svolti sistematicamente, sulla linea di condotta che le imprese seguiranno negl'investimenti del capitale e nelle innovazioni, studi che saranno anche di notevole utilità per gettare una nuova luce sul carattere del mercato dei capitali. 9 Il tema dell'automazione ha dato il via a molte appassionate discussioni sull'avvenire del lavoro. Nel frattempo, l'automazione ha incominciato a prender piede vigorosamente nelle fabbriche e negli uffici amministrativi. E non è affatto limitata al lavoro in corso d'esecuzione; si estende anche ai processi di programmazione e ai provvedimenti per il futuro allo studio presso le direzioni. Il management decision game con le calcolatrici elettroniche è un gioco tanto affascinante quanto istruttivo per la formazione specifica dei successori degli attuali dirigenti. Lo sviluppo delle tecniche elettroniche nei campi della contabilità, della misurazione e della standardizzazione procede a passi giganteschi. In molti casi l'acquisto delle apparecchiature sarebbe, dato l'alto costo, svantaggioso, sicché si preferisce prenderle in affitto. Se esaminiamo a uno a uno singoli casi desunti dalla pratica per poterci fare un quadro del significato sociale, ci colpisce un particolare comune: si tratta sempre, immancabilmente, di uno sviluppo previsto a lunga scadenza. Per lo più le fasi dell'evoluzione sono scaglionate nel tempo, in processi che talvolta durano perfino parecchi anni, se così richiedono le circostanze, e che possono dare un carattere tutto particolare all'azienda. Negli opuscoli propagandistici per la diffusione delle calcolatrici elettroniche da adibire allo svolgimento del lavoro amministrativo negli uffici commerciali (nel settore tecnico la propaganda generica è più difficile), si legge che un gruppo di tre esperti (rispettivamente nel campo dell'organizzazione, dell'amministrazione e delle vendite) hanno bisogno di un periodo di tempo che va dai sei ai dodici mesi per essere in grado di scoprire se l'acquisto di una macchina è redditizio o no. Ma è un sistema analitico grossolano, un semplice giudizio sui tipi di “cervelli” più o meno grandi che si trovano sul mercato, un esame comparativo dei risultati ottenibili. Non sempre è possibile spiegare in modo chiaro e univoco il motivo per cui si deve procedere all'impianto di questa o di quella macchina, nel futuro immediato o in un avvenire ancora lontano. Non sempre il fattore lucrativo è quello cui spetta la parola definitiva. Nelle aziende sperimentali, nei laboratori moderni acquisti del genere rappresentano spesso una questione d'importanza vitale, e anche una questione di prestigio. In ogni caso però è necessario ricordare che una cosa è l'acquisto di un'apparecchiatura elettronica, un'altra il procedere all'automazione. La automazione, infatti, è un processo complicato, che include la riorganizzazione dell'azienda e tutta una serie di adattamenti da parte dell'uomo. E solo quando tutto questo graduale mutamento ha portato a un nuovo e ben disciplinato assetto si può parlare di un'automazione che ha ottenuto il suo scopo. Adottare l'automazione esprime quindi qualcosa di più di un concetto strettamente tecnico. Là dove deve intervenire la facoltà umana di adeguarsi a un nuovo stato di cose, si rendono indispensabili pazienza e 120

comprensione. E questo vale già per quelle innovazioni, apparentemente di nessun conto, come ad esempio le copie di commissioni dei commessi viaggiatori, che adesso, invece di riempire formulari, devono mettere le crocette nelle apposite caselle che richiamano, per suggestione, la macchina calcolatrice. La questione di fondo non è l'installazione tecnica di nuovi congegni, ma la necessità di preparare, di educare, di abituare l'uomo ad accettarli, e ciò spiega contemporaneamente il costante aumento delle scuole preparatorie, dei corsi di addestramento e delle riunioni indette dall'imprenditorato, che si dimostra in tal modo maturo per assumersi anche una funzione pedagogica, di cui non possiamo ancora misurare in pieno la portata. Il lavoro educativo sta portando via il primato al lavoro puramente organizzativo, e questo è un altro, importantissimo segno che il mondo del lavoro industriale subisce un processo di sublimazione. Lo sviluppo della tecnica è arrivato oggi a un punto tale che l'adattamento della coscienza non è più conseguenza necessaria, ma comincia a diventare già un presupposto strutturale del progresso. Numerose invenzioni tecniche non possono venire ancora adottate per colpa di certe insufficienze dell'uomo. Nello stesso modo che gli assalti al cosmo falliscono per l'inadattabilità della costituzione fisica umana alle condizioni di vita “inabituali”, l'accettazione immediata di apparecchi e di metodi moderni è impedita qui sulla terra dal mancato adempimento di certe premesse spirituali e sociali. E dicendo questo, non alludiamo solo alla carenza di specialisti qualificati, che già ha dato incentivo a studi accuratissimi sul bisogno d'ingegneri, di chimici, di fisici e di tecnici in genere nell'industria di domani; noi ci preoccupiamo piuttosto della necessità di costanti esami relativi al comportamento di determinati gruppi di lavoro, questione che suscita a sua volta problemi specifici della riforma in campo scolastico e contemporaneamente problemi ancora più gravi, che riguardano la formazione della coscienza. In conseguenza di tutti questi mutamenti, ha subito un profondo cambiamento anche il carattere della macchina, di quel mezzo di produzione, variamente definito secondo le varie epoche, spesso nella ferma convinzione che il termine avrebbe consentito di formulare un concetto assolutamente valido per il suo tempo, che esprimesse 1a natura intrinseca del lavoro umano. In uno studio che ha per oggetto la problematica sociologica della prosperità, non possiamo rinunciare a mettere in rilievo, sia pure concisamente, ciò che si è trasformato anche nella cosiddetta natura della macchina. Abbiamo trattato esaurientemente l'evoluzione dei beni di consumo; vediamo ora qual è stata l'evoluzione dei beni produttivi contemporanei, almeno fin dove è possibile parlarne in generale, considerando la macchina in abstracto. Sappiamo che la macchina non è diventata il mostro rumoroso e demoralizzante previsto più di un quarto di secolo fa da Charlie Chaplin, nel suo indimenticabile film muto Tempi moderni. Non è diventata la meccanica autoctona “che aliena l'uomo”, che violenta la vita sotto la sua legge distruttrice. È diventata al contrario assai più accessibile, più bella, più interessante. E protegge l'uomo: se l'operaio di una legatoria addetto alla taglierina in un momento di distrazione avvicina troppo la mano alla lama, col suo movimento attraversa il raggio di una cellula fotoelettrica che interrompe automaticamente la corrente e ferma la trancia. Perché non dobbiamo dimenticare una cosa: la macchina non è costruita semplicemente per eseguire un determinato lavoro tecnico, misurabile in quanto 121

tale dal numero di giri o dalla prestazione parziale in un'ora di esercizio. La macchina viene costruita per gli uomini o per le donne che la faranno funzionare, tenendo conto dell'entità dello sforzo che sarà richiesto agli operai, e del grado d'interesse presentato dal lavoro. Alla progettazione e alla costruzione partecipano - oltre agl'ingegneri - anche fisiologi, psicologi e artisti. Una nuova branca delle scienze tecniche, la engineering psychology, ha imposto il rispetto di certe esigenze anatomiche, estetiche, intellettuali, dando così un nuovo indirizzo ai criteri di costruzione. È indispensabile, ad esempio, scoprire come e dove devono essere collocati leve, pulsanti, congegni di segnalazione, lubrificatori e così via, in modo che siano ben visibili, o udibili, o facili da impugnare. I movimenti e le reazioni consapevoli dell'operaio, necessari per mettere in moto la macchina per sorvegliarla e per fermarla devono venir preventivati nella progettazione. Il lavoro della macchina non è una prestazione a sé, avulsa dalla realtà sociale della fabbrica. Una macchina efficiente rappresenta sempre, senza eccezioni, il suo felice inserimento nel mondo del lavoro umano, il che significa, detto altrimenti, che una buona macchina rappresenta una determinata conformazione del lavoro. La macchina migliore non è quella che assicura con la sua perfezione un record tecnico produttivo, bensì quella che possiede un massimo di possibilità tecniche unite a un massimo di semplicità, di sicurezza e di comodità per chi la deve maneggiare. I dati esclusivamente tecnici riportati negli opuscoli propagandistici dei fornitori soprattutto quelli che si riferiscono all'impiego - sono soltanto teoretici, a meno che non siano integrati da elementi che ne dimostrino i vantaggi per l'economia sociale dell'azienda, elementi che soli ne determinano il valore. Succede a volte che non sia possibile conseguire i risultati di produzione dati per certi da chi ha venduto la macchina, o di sfruttare al massimo l'impiego; e non sempre si possono imputare queste manchevolezze all'istintiva resistenza che gli operai oppongono ai mutamenti che modificano il corso abituale dell'attività. Spesso il motivo va ricercato in qualche difetto di costruzione, non di carattere tecnico ma di natura sociale, che si rivela soltanto con l'uso. E queste deficienze si possono anche fisare - fino a un dato limite - in termini di costi. Perché, beninteso, sulla produttività della macchina incide fortemente la maggiore o minore esattezza con cui si è tenuto conto delle esigenze anatomiche, fisiologiche, psicologiche e altre ancora. L'opportunità di adibire al suo funzionamento operai spedalizzati o generici, uomini o donne, può dipendere a volte dalla intelligibilità dei segnali che gli organi sensori percepiscono e trasmettono alla coscienza per la rielaborazione. Il maneggio del meccanismo può stabilire se vi devono essere impiegate più persone, o se basta una sola. E dai fattori citati dipendono infine, fra l'altro, la durata del periodo di addestramento, il grado d'abilità necessaria per il servizio, la fidatezza del gruppo di lavoro. L'operaio d'oggi vuol essere padrone della macchina come l'artigiano d'un tempo era padrone dei suoi arnesi di lavoro. Ma il dominio della macchina non implica la conoscenza assoluta del suo complesso meccanismo. Anche certi beni tecnici di consumo come la radio, il televisore e l'automobile hanno trovato posto nella nostra esistenza, sebbene la maggior parte degli utenti non ne capisca a fondo il funzionamento. E in questo campo l'industria che li produce ha intuito subito che era suo compito realizzarne, con l'assistenza offerta alla clientela come servizio, l'integrazione sociale, e rendere possibile il dominio della macchina alla coscienza 122

del consumatore. Data la crescente complessità dei meccanismi, lo scopo da raggiungere doveva essere necessariamente la massima semplicità possibile nell'aspetto e nell'uso, poiché non è la conoscenza, teoricamente magari perfetta, del meccanismo a infondere un senso di sicurezza e di fiducia, ma la padronanza nell'uso. Espressione significativa di questa evoluzione nel settore industriale è, fra l'altro, il sistema che permette l'uso e la manutenzione preventiva, di cui fan parte non solo la descrizione delle modalità da seguire, e le relative istruzioni, ma anche l'elenco degli eventuali danni, delle riparazioni e delle cause che in determinate circostanze possono provocare disturbi o arresti; esistono strumenti (ad esempio oscillografi sensibilissimi) che denunciano i guasti; congegni di sicurezza che localizzano i disturbi; tuttavia, per il controllo e per l'eliminazione, è sempre necessario l'intervento dell'uomo. Oggi ha il diritto di essere considerato un operaio veramente padrone del suo mestiere chi non si lascia cogliere di sorpresa: la capacità non si basa su una conoscenza teorica, ma sul dominio pratico della macchina. Il dominio pratico, però, ha per oggetto “la macchina in funzione”, ossia il rapporto sociale di lavoro. Qui l'operaio dispone di un campo autonomo, dove il competente teorico diventa un profano ignaro. Sono ben pochi i teorici, infatti, in grado di riconoscere con la sicurezza di un esperto i “capricci” d'una macchina, le sue “malizie”, che in molti casi non le sono imputabili ma provengono da influssi esterni, e a volte risalgono a difetti del materiale con cui sono state costruite, male immagazzinato, forse, o sottoposto a una lavorazione imperfetta. Il concorso dell'esperienza pratica e delle capacità intellettuali è però nuovamente necessario per scoprire e per evitare tali inconvenienti. Il fatto che l'operaio non sia più costretto nell'angusto compartimento stagno del processo produttivo cui era adibito per lo svolgimento di ordinarie occupazioni manuali, rende assurda la valutazione del suo lavoro in base a un criterio che tiene conto di quanto esegue in un'ora. Le mansioni di controllo, con tutte le altre responsabilità che comportano, fanno di antiche virtù di raziocinio nuove condizioni necessarie per garantire una buona prestazione. Il processo, destinato a ulteriori sviluppi, è soltanto agl'inizi. Simbolo del riuscito inserimento della macchina nelle esigenze attuali del lavoro umano è la forma esteticamente indovinata che ha assunto, e che ne maschera sempre più - come abbiamo già rilevato - la natura puramente meccanica. Parlando dei beni d'uso, abbiamo detto che con la loro modernizzazione l'ambiente sociodomestico si adatta all’“era della tecnica”. A proposito delle macchine - i cosiddetti beni strumentali - possiamo capovolgere l'asserzione, dicendo che con il loro miglioramento estetico la tecnica si sta adattando alla vita sociale. Ernst Jünger ha già parlato, più di venticinque anni or sono, di un “passaggio dalla costruzione pura alla costruzione organica”, di una fusione delle energie meccaniche con le energie organiche 23. È di Th. E. Lawrence la massima che nelle macchine non vi è nulla di femminile. Qualunque cosa abbia voluto intendere con questa sua asserzione, è un fatto che oggi i fabbricanti non si accontentano più di assegnare alle macchine un semplice numero di costruzione, ma veri e propri nomi, che suonano bene, per di più, e di cui non pochi sono femminili. Ora sarebbe lecito aspettarsi che un bene strumentale veramente riuscito secondo ogni punto di vista venga anche impiegato per uno scopo che gli è congeniale. Le moderne macchine tipografiche e i fotoriproduttori completamente automatici possono fabbricare con la stessa, 123

identica perfezione di metodi, scritti buoni e scritti cattivi, immagini belle e immagini brutte, la verità e la menzogna. Né la strada che s'imbocca caso per caso, né il genere dell'ordinazione di cui il reparto vendite prende nota per trasmetterla all'ufficio produzione influiscono, comunque siano, sul settore dell'offerta, bensì su quello della domanda. Come mai i dirigenti d'azienda più accorti e più dotati d'intuito non si sentono invogliati, talvolta, a protestare contro quello che il gusto e l'ambizione odierni li incoraggiano a produrre, quando la mattina presto fanno il solito giro d'ispezione nei vari reparti, esaminando con occhio critico i semilavorati d'ogni sorta che poche ore più tardi saranno avviati alla rampa di carico? Significa dunque che sono poco adatti a svolgere il loro ufficio? Non lo crediamo. Ma resta il fatto che le macchine, gli apparecchi, gli strumenti moderni sono testimonianze così imponenti dell'intelligenza e dell'inventiva umana, prove tali del potere dello spirito umano da imporci necessariamente degli obblighi. Tocca al consumo osservarli, nei rapporti con la produzione. È ovvio che “wise consumption is a far more difficult art than wise production”. [Un saggio consumo è molto più difficile di una saggia produzione.] Queste parole furono scritte da John Ruskin nel XIX secolo. Oggi conservano la stessa validità. 10 Si è affermato ripetutamente, e da più parti, che il lavoro industriale svolto nelle fabbriche non è più così rappresentativo come una volta per la problematica generale del lavoro. Le “attività direttamente produttive” recedono sempre più rispetto alle altre attività della popolazione occupata, e il regresso è accelerato ora dall'estendersi dell'automazione. Colin Clark e Jean Fourastié hanno dimostrato, con eloquenti statistiche alla mano, che, nel corso dello sviluppo industriale, il lavoro manuale di fabbrica (lavoro secondario) in un primo tempo aumentò, a detrimento del lavoro primario, cioè delle attività agricole nonché di quelle esercitate nel ramo della caccia e della pesca, ma incominciò ben presto a cedere a favore delle attività amministrative, commerciali, tecniche, sociali e culturali di ogni specie, cioè del cosiddetto lavoro terziario 24. Il settore primario, rappresentato in massima parte dall'agricoltura e dalla pesca, che mobilitava verso il 1800 circa 1'80 per cento di tutta la popolazione attiva, ne tiene occupata oggi, nei paesi più progrediti della terra, appena un 10 per cento all'incirca. Il lavoro industriale si mantiene attualmente sul 20-25 per cento, mentre i servizi assorbono già il 65-70 per cento di tutte le forme di prestazione professionale. Clark afferma che lo spodestamento del lavoratore agricolo a favore dell'operaio e di questo, a sua volta, a favore della classe impiegatizia, è il più considerevole dei fenomeni sociali concomitanti della rivoluzione industriale. Il numero di quelli che finiscono dietro una scrivania aumenta di continuo. La posizione seduta diventa caratteristica per un sempre maggior numero di lavori, il che ha indotto un filosofo americano a parlare di una “società seduta” e a mettere in relazione con questa realtà di fatto una quantità di manifestazioni caratteristiche del nostro tempo. La seggiola è un simbolo vecchio di secoli: “Not only is the chair the conspicuous container of modern men, but sitting is the symbolic posture of the age of science and technology 25” [La seggiola non è solo il recipiente che contiene la maggior parte dei contemporanei; la posizione seduta simboleggia addirittura l'era della scienza e della tecnologia.] 124

La fatica fisica e gli sforzi muscolari, un tempo richiesti normalmente al lavoratori, sono diventati oggi attributi dello sport. Sono un divertimento del tempo libero, una compensazione per l'abitudine alla vita sedentaria, e per goderceli siamo perfino disposti a pagare. Al contadino di una volta un'idea simile non sarebbe mai passata per la testa. Concepiva il tempo libero solo come vita sedentaria e parecchi, la domenica, rimanevano a casa, o all'osteria, anche se fuori splendeva il sole. L'abbronzatura - la famosa “tintarella” oggi così ambita, distintivo invidiato degli europei occidentali fortunati, che hanno il tempo e i quattrini per dedicarsi agli sport invernali o per farsi abbrustolire al sole del Mediterraneo - era una volta tutto il contrario, il marchio del duro lavoro dei campi che il contadino portava impresso indelebilmente. In molti casi, naturalmente, le fatiche fisiche sono diventate anche una nuova imposizione del tempo libero, precisamente là dove mancano apparecchi in grado di sollevare la massaia da certi lavori casalinghi. Il disbrigo delle faccende domestiche è tuttora in massima parte lavoro manuale, nonostante i progressi realizzati per la loro meccanizzazione. E il discorso ci ha portati a quel problema di fondo del benessere, in cui la democratizzazione della società si esprime nella maniera più sensibile, forse, e in ogni caso nella più significativa per il tempo libero: il problema del costante rincaro di ogni specie di servizi personali, che rappresentano perciò il lusso moderno, specifico del nostro tempo. Viviamo in una prosperità che non conosce le persone di servizio, godiamo un tempo libero che le ignora. O per lo meno siamo sulla buona strada. Strana cosa, però: il bisogno di farsi servire non va scomparendo affatto, benché in tutti i campi si siano verificati molti e ben riusciti adattamenti al principio del self-service. Fourastié, il cui libro - a prescindere da certe esagerazioni utopistiche - può essere accettato senza discussioni come uno dei più appassionanti nel suo genere, ha dimostrato, stabilendo un parallelo fra il tenore di vita e la produttività del lavoro umano, che il problema del tenore di vita, considerato nel suo insieme, non dev'essere ridotto a una semplice questione di consumo pro capite di prodotti correnti e di beni d'uso durevoli. Per Fourastié la crescente prosperità non è altro che una crescente domanda di beni terziari, sia da parte del consumatore diretto, sia da parte dell'economia che li produce. Ha rilevato che questi beni terziari, vale a dire i servizi, hanno la particolarità di non venir toccati, o quasi, dal progresso tecnico. Mentre i beni forniti dalla produzione di massa meccanica - una saponetta, un apparecchio radio, un'automobile - si possono avere a un prezzo sempre più conveniente se paragonato al potere d'acquisto degli stipendi, i servizi che otteniamo in uso diretto dai singoli individui diventano proporzionalmente sempre più cari. Lavori domestici, o di giardinaggio, assistenza infermieristica, prestazioni sanitarie, lezioni e ripetizioni private riempivano nella vecchia società tutta intera l'esistenza d'una determinata categoria di servitori o di particolari categorie professionali. Oggigiorno, se li possono concedere a malapena i gruppi sociali a reddito altissimo. E qui i confronti prezzi-stipendio fra i paesi ricchi e quelli cosiddetti sottosviluppati, come pure fra le varie fasi della nostra storia economica, sono particolarmente istruttivi. Un esempio tipico citato da Fourastié è quello della paga oraria di un manovale espressa dal numero dei tagli di capelli che gli consente di pagarsi: ne risulta ch'è pressoché uguale in tutti i paesi e che in centocinquant'anni 125

il rapporto è rimasto praticamente immutato. “Quindi un progresso nell'economia politica esiste solo nella sfera del consumo secondario o di quello primario 26”. Tuttavia, è doveroso aggiungere che il progresso nei settori primario e secondario consiste essenzialmente nel fatto che i beni primari e secondari assumono, in misura sempre crescente, funzioni terziarie e vengono sviluppati proprio a questo scopo. “Servizi compresi” (service content) è uno dei concetti preferiti nella progettazione di qualsiasi prodotto. Cucine elettriche ed elettrodomestici in genere sostituiscono cuoche e cameriere; medicinali e apparecchi sanitari consentono di rinunziare all'intervento del personale specializzato; i beni di comunicazione di massa svolgono funzioni educative, e perfino la difesa nazionale è affidata sempre più, in seguito a questa evoluzione, alle macchine, agli apparecchi e agli strumenti. La “fame di beni terziari” di cui parla Fourastié, è la forza di propulsione che dà oggi costanti, nuovi impulsi al miglioramento e al raffinamento dei beni. Forse Fourastié ha drammatizzato un po' troppo il “pericolo della sottoproduzione terziaria”, e Jürgen Eick ha osservato a ragione che ci si deve guardare dal rischio di fare dell'economista francese un nuovo Malthus, ossia “di predire la fine dell'umanità per la mancanza di offerte di servizi, come il vecchio Malthus l'aveva profetizzata, sbagliando, per colpa dell'insufficiente offerta di viveri 27”. Anche l'odierna penuria non mancherà di provocare nuovi processi di adattamento. A nostro parere, l'aspetto sociologico dell'intera problematica è d'importanza infinitamente maggiore di quello dell'economia di mercato. E questo ci rimanda - come intendevamo dimostrare - dal settore produttivo alla sfera del tempo libero, che oggi si trova sotto il segno universale del self-service.

11 Il self-service si presenta come la conseguenza necessaria di una società democratica. Appena adesso - a debita distanza storica - si è diffusa la convinzione generale che le prestazioni di servizio, così com'erano offerte tradizionalmente, sono concepibili solo in una società suddivisa secondo principi feudali, in una società caratterizzata da profonde differenze tra ricchi e poveri. Collegati all'esistenza di classi o di caste, i servizi erano parte costituente - e lo ha dimostrato convincentemente Karl Marx - del feudalesimo. Non appena i signori feudali si trasformano, economicamente parlando, in partner - come clienti li si potrebbe definire autentici sovrani - il significato dei servizi subisce un mutamento radicale. Il nostro problema passa dai contenuti e dagli oggetti dei servizi agl'individui che li prestano e che ne godono. Gli uomini non si distinguono più in servitori e signori. L'antagonismo di classe diventa il dissidio dell'esistenza individuale. Ciascun componente della civiltà democratica impersona fondamentalmente ora l'uno, ora l'altro; a volte è prestatore di servizi, a volte ne usufruisce, com'è il caso della cameriera, che durante il tempo libero si reca al caffè e a sua volta si fa servire, e magari si lascia anche corteggiare. Anche nelle fabbriche i servizi umani diventano un lusso di nuovo genere. Fourastié definisce i costi salariali in continuo aumento “prezzi terziari”. Una volta di più si è verificato un rovesciamento d'importanza capitale: un tempo era preziosa 126

la materia prima e si impiegava con prodigalità la manodopera umana necessaria per la sua lavorazione - e questo portò a un'etica del lavoro e a una valutazione delle attività manuali dì cui si avverte tuttora l'eco; oggi, al contrario, il materiale conta poco, mentre hanno un gran peso il singolo operaio e l'alta retribuzione che riceve. L'industrializzazione dei paesi poco sviluppati diventa, considerata da questo punto di vista, di un'attualità tutta particolare. I costi di lavorazione dell'industria automobilistica giapponese corrispondono attualmente a un decimo di quella americana; e le allarmanti conseguenze di questa condizione per il commercio internazionale sono state ampiamente descritte. La risposta del mondo occidentale al costante, progressivo rincaro del lavoro umano può essere una sola: l'acceleramento dell'automazione. La tensione dei salari della produzione primaria e secondaria finisce col diventare, in senso economico politico, un anacronismo, a meno che il lavoro manuale non abbia conservato certi valori qualitativi non ancora ottenibili con le macchine. La situazione costituisce un vantaggio per la capacità economico-concorrenziale dei paesi in cui il lavoro umano costa poco. Tuttavia, vale la pena di dare incremento al lavoro eseguito dalla macchina, là dove non viene battuto da quello umano sia rispetto ai costi, sia rispetto alla qualità, perché è più uniforme e più regolabile, quindi più razionale di quello umano. Un fenomeno che già adesso è inconciliabile con la conduzione bene organizzata di un'azienda è il lavoro stagionale. E l'agricoltura ne ha risentito più amaramente di tutti. Di anno in anno avverte sempre più la scarsità di manodopera disponibile per il raccolto. Le industrie che dipendono dal lavoro stagionale non hanno esitato a impiegare costosi macchinari che sostituiscono le braccia dell'uomo. Ma esiste tuttora una caterva di lavori che non possono essere eseguiti dalle macchine. Numerose sono le attività che stancano e insudiciano, con le quali l'uomo si guadagna letteralmente il pane col sudore della fronte, oggi come una volta. Sono classificate come lavori pesanti, e chi li esegue riceve, oltre alla paga oraria, un'indennità speciale (“indennità di disagio”): tuttavia il numero dei lavoratori disposti ad accettarle diminuisce di giorno in giorno. Saprebbe di beffa l'asserire che simili lavori nobilitano l'uomo. E in effetti molti li considerano umilianti, e in ogni caso inconciliabili con lo spirito dei tempi e con i moderni concetti sociali, giudicandoli un residuo del secolo scorso. Ciò nonostante esistono, e richiedono di essere sbrigati. Negli opuscoli pubblicitari e nelle esposizioni industriali vantiamo a gran voce i benefici dell'automazione e volgiamo lo sguardo ammirato alle grandiose aziende chimiche e farmaceutiche, alle luminose acciaierie, alle impeccabili fabbriche d'automobili; ma quale profeta industriale ricorda il lavoro nei porti, il lavoro nelle miniere, il lavoro negli alberghi e nei ristoranti? Chi pensa alle ferrovie sotterranee delle metropoli, ai servizi di nettezza urbana, alle pulizie quotidiane degli ospedali? Vi sono lavori dimenticati, che gli scrittori accesi d'entusiasmo nel glorificare il progresso tecnico, ignorano con disinvoltura. AI tempo stesso, naturalmente, ci si impensierisce per la carenza sempre più sensibile nel campo dei prestatori di servizi. L'avvenire del lavoro non dipende più dalle attività cosiddette direttamente produttive dell'uomo, cioè da quelle ch'egli svolge fisicamente e manualmente. Dobbiamo far tutto il possibile per incrementare la meccanizzazione. La lenta ma progressiva scomparsa di quella “classe direttamente produttiva” che nelle fabbriche d'una volta adempiva le stesse mansioni che i domestici svolgevano nelle 127

famiglie, è inarrestabile. Per cui non ci rimane altra scelta che promuovere lo sviluppo necessario all'avveramento di una nuova integrazione. Adesso non solo il tempo libero diventa un consumo senza servitori; anche il lavoro aziendale sta diventando una produzione senza servitori. E questa realtà ha conseguenze di vasta portata per la struttura dell'industria moderna e per gli aspetti del lavoro. 12 Frank H. Cassell della Inland Steel Company di Chicago, uno dei più noti consulenti americani nel settore degli attuali problemi amministrativi, ha scritto recentemente: “La rapidità e la complessità dell'evoluzione industriale si rivela adesso soprattutto nel ritmo accelerato con cui il fattore manodopera (labor) viene rimpiazzato dai fattori capitale e direzione. Le industrie che hanno conosciuto in questi ultimi anni la massima espansione e che si sono quindi trovate a dover fronteggiare il più gran numero di processi di riorganizzazione - in campo tecnicoproduttivo, nello sviluppo dei manufatti e nella ricerca - hanno avuto anche un aumento incomparabilmente più forte nel numero dei dirigenti altamente qualificati e degli specialisti 28”. A questo punto converrà dedicare brevemente la nostra attenzione a questa tendenza significativa, che tratteggia a grandi linee gl'influssi esercitati dal processo di sublimazione del lavoro industriale sulle condizioni direzionali delle grandi aziende. Nella totalità delle sfere di lavoro attualmente esistenti si dà sempre più largo posto alle funzioni dei dirigenti, dei coordinatori e dei consulenti. L'intelligenza direttiva più qualificata e più specializzata si forma nello svolgimento diretto delle mansioni più comuni, più semplici, per le quali non è richiesta nessuna preparazione particolare. E questo vale tanto per i gradi più alti della gerarchia del lavoro quanto per quelli inferiori. Una volta si aveva un capo-operaio ogni trenta o quaranta lavoratori; oggi la proporzione è frequentemente di uno a dieci, perfino di uno a cinque. Ossia diventano sempre più numerosi i capi, investiti di maggiore responsabilità, alla testa di unità di lavoro più ridotte. La piramide della gerarchia aziendale non si è innalzata verticalmente: è diventata più complessa nella sua struttura interna. Il moltiplicarsi delle “funzioni di stato maggiore”, i cui campi di competenze s'intersecano spesso con quelli delle “funzioni di linea” particolarmente nei grandi complessi industriali con l'apparato amministrativo centralizzato - è un esempio quanto mai tipico di questo sviluppo. Management: il termine non indica più solo il settore di lavoro dei dirigenti e dei funzionari di grado elevato, bensì l'insieme dei processi deliberativi che hanno luogo nelle grandi aziende moderne. È uno svolgimento pluridimensionale, al quale partecipano persone appartenenti a ranghi diversi e diversamente qualificate. Concetto e qualità, tecnica e coordinamento di questa partecipazione costituiscono ormai il centro d'interesse delle teorie sociologico-industriali, e sono diventate oggetto di indagini empiriche. Un tempo ci si occupava soprattutto dell'“etica di lavoro delle maestranze”. Adesso l'accento si è spostato sulle qualità dei processi direttivi, sul carattere della direzione 29. 128

Non si cerca più di determinare la direzione come il compendio delle doti eccezionali di un individuo particolare. L'analisi di aziende ben condotte ci rivela una condizione tipica di gruppo, in cui molti dei suoi componenti partecipano alla direzione, in cui ciascuno, per un principio stabilito, esercita il proprio influsso sugli altri in una data maniera, e lo subisce a propria volta. Se uno poi emerge e diventa il capo, ciò non dipende solo dai suoi meriti intrinseci, perché la sua attività è essenzialmente una delle funzioni del gruppo in cui lavora. Si è potuto assodare più e più volte che individui che si rivelano ottimi dirigenti e che godono di prestigio in una determinata cornice sociale e in un determinato rapporto di lavoro, falliscono in pieno se li si trasferisce in un altro ambiente con un incarico diverso. Il problema della direzione è quindi inscindibile dalla struttura del gruppo e della forma dell’organizzazione, il che comporta a sua volta conseguenze di cui si deve tener conto nel programmare e nel dare sviluppo alla direzione. Darle sviluppo non significa infatti semplicemente scegliere i futuri dirigenti fra i candidati, prepararli ed esprimere un parere sulla loro attitudine; un problema altrettanto importante è quello di creare funzioni, sfere di responsabilità e vie di comunicabilità adeguate; in altre parole, di dar forma a una struttura direzionale in cui le possibilità e le capacità umane si possano sviluppare proficuamente. È accaduto, e continua ad accadere tuttora, che l’addestramento dei futuri dirigenti equivalga in pratica all’assuefazione dei giovani a metodi direttivi antiquati e superati. Vengono considerati buoni elementi, da prendersi in considerazione, perché garantiscono di sapersi affermare nel quadro della “sana tradizione”. Si addestrano le nuove leve, impiegando metodi moderni, alle vecchie abitudini, e come se non bastasse ci si vanta di marciare coi tempi. Ma un imprenditorato veramente progressista ha il dovere di considerare la preparazione dei giovani un impiego costante a riesaminare criticamente i metodi di lavoro abituali. La direzione si esercita non solo dall'alto al basso, ma anche dal basso verso l'alto: tuttavia questa verità di un'evidenza incontestabile, che la sociologia industriale ha scoperto da lungo tempo, non ha ancora condotto nella pratica a un'adeguata valutazione gerarchica. Il dipendente può influire sul suo superiore - e in modo ben specifico - esattamente come il superiore influisce su lui. In primo luogo, è in grado di fornirgli informazioni preziose proprio perché trasmesse direttamente, e non deformate da passaggi per vie traverse, le quali presuppongono una esplicita volontà di cooperare - in alto come in baso - che finisce con lo sfociare inevitabilmente in un'iniziativa. Il superiore però deve ascoltare con vero interesse il dipendente, e questi a sua volta deve essere spinto da un vero interesse a esprimere regolarmente, non sporadicamente, la propria opinione. Le occasioni si possono creare. Durante le riunioni direttive di certe ditte americane vige da qualche tempo Il problema del controllo non si risolve più, da un pezzo a questa parte, coll'esercizio unilaterale del potere dall'alto verso il basso: oggi è un problema di comunicazione reciproca, in tutti i sensi. Complicati “apparati” di controllo, o addirittura sistemi segreti d'informazione e di sorveglianza si rendono tanto più superflui quanto più si va stabilendo uno scambio spontaneo, volontario e ininterrotto di giudizi, di esperienze e di opinioni, che significa già di per sé collaborazione, in quanto ha come presupposto la disposizione a tener conto dei reciproci pareri. Manifestare il proprio e ascoltare quello degli altri è indice di 129

un'implicita volontà di accettare la critica per ottenere risultati migliori nella causa comune. Il valore di queste comunicazioni verticali è riconosciuto ormai senza discussione. Soprattutto nelle industrie che hanno alle proprie dipendenze forti gruppi di operai non qualificati, le opinioni provenienti dai ranghi più bassi hanno valore informativo non perché vengano molto a proposito, quanto perché ne rivelano il modo di pensare. Il malinconico rilievo di un capo-operaio, che la gente lavora solo per il denaro può anche essere sbagliato come asserzione teoretica; però, come opinione personale, ha valore diagnostico. Le opinioni sono fatte reali. E hanno validità pratica perfino se errate: perché anche le opinioni errate determinano - troppo spesso, ahimè - le azioni umane. Nelle e fra le righe della corrispondenza interna si legge in genere ben poco di sostanziale; inoltre contengono troppe “verità passate al filtro”, troppi accenti fuori posto, sicché la direzione generale non sarebbe in grado di ricavare un quadro completo della situazione. Per contro, un orecchio esercitato può “captare” parecchie indicazioni degne di nota dalle obiezioni, dai suggerimenti e dalle lamentele di quei personaggi così importanti che costituiscono, nella loro veste di addetti al collegamento e di sorveglianti, il potente ceto medio gerarchico, i pilastri d'una grande azienda. Inchieste che consentirono di misurare il grado di un controllo esercitato da persone esperte, hanno dimostrato ch'esse partecipano al buon andamento complessivo dell'impresa con un'efficacia e un'intensità assai maggiori di quanto la direzione generale sia disposta talvolta ad ammettere. È per motivi di logica, quindi, e di coerenza, ch'è necessario dare ai contatti verticali una forma tale per cui le informazioni che i collaboratori riferiscono ai dirigenti non abbiano il carattere di un rapporto di subalterni, ma esprimano sinceramente e senza impaccio il loro parere personale, testimoniando in tal modo che oggigiorno l'unico concetto adeguato di gerarchia aziendale può essere soltanto quello di uno schema articolato informativo e non quello di una piramide di riverenza tributata all'autorità incarnata nei singoli individui. Ci chiediamo soltanto come questa nuova idea potrà trasformarsi in una coscienza universalmente diffusa, in grado di opporre una reazione efficace al concetto di ascesa professionale ormai superato. La convinzione che il superiore non è quello che sta “sopra gli altri”, che il dipendente non è un “sottomesso”, che l'uno e l'altro sono semplicemente compagni di lavoro, ciascuno con le sue particolari responsabilità, dovrebbe portare col tempo a una migliore comprensione delle posizioni individuali. I vari processi che si svolgono nella direzione aziendale di una grande impresa differiscono notevolmente nella loro durata cronologica, nell'organizzazione e nella relativa importanza. Poiché diventano sempre più complessi, è una necessità inderogabile che specialisti vi collaborino, a livelli differenti, durante la preparazione e la messa in atto di deliberazioni d'una certa importanza. Anche sotto l'aspetto puramente tecnico diventa sempre più impossibile risolvere i problemi con disposizioni che piovono dall'alto, secche come comandi. Provvedimenti definitivi, decisioni irrevocabili della direzione generale spesso non sono niente di più - e neppure niente di meno del risultato di una collaborazione ben coordinata, della conseguenza logica di giudizi maturati in comune. La mancanza di unanimità nei casi in cui sarebbe necessario adottare una nuova politica indica di solito una insufficiente conoscenza della questione in causa assai più che una divergenza 130

fondamentale di concezioni. Quanto più i componenti del gruppo padroneggiano un dato problema, tanto più facile sarà l'accordo sul modo di venirne a capo. Naturalmente, in questi casi non basta la sola buona volontà. Nella struttura industriale è indispensabile anche la presenza di certe premesse convenzionali, che consentano e invoglino gli interessati a contribuire con le nozioni acquisite attraverso lo studio, con il prestigio, con la esperienza, alla “collaborazione disponibile”. Il valore di una opinione non deve venire in alcun modo desunto dall'importanza delle persone che la esprimono. Il singolo collaboratore non deve avere alcun motivo di tenere per sé il proprio parere, o di adeguarsi ai giudizi di quelli che rivestono un grado gerarchico più alto. La demolizione di quell'edificio simbolico di casta - impresa che distingue, a tutto loro merito, molte grandi aziende americane da quelle europee - la si può osservare oggi, sporadicamente, anche da noi. La figura del dirigente comincia pian piano ad avere meno risalto, e sempre meno gli estranei all'azienda la potranno distinguere da quella dei cosiddetti inferiori. Il segreto dei consensi che un “capo” riscuote risiede in buona parte nella sua modestia, nella sua semplicità intese nel senso che non vuol essere qualcosa di più degli altri. Un tedesco esperto di problemi industriali ha asserito recentemente che è stata la tecnica, non la gerarchia aziendale a disciplinare il lavoratore. Noi potremmo aggiungere che l'operaio intende obbedire alle esigenze dei rapporti di lavoro, non alle disposizioni autoritarie di singoli individui, esigenze alle quali si deve sottomettere con lui anche il dirigente, uniti come sono l'uno all'altro dalla necessità di far funzionare l'azienda e di contribuire quindi entrambi al suo buon andamento. Il concetto della capacità inutilizzata, che ci è stato reso familiare dal linguaggio dell'economia industriale, è applicabile anche al lavoro di gruppo umano. Spesso si hanno a disposizione ottimi collaboratori che non vengono utilizzati in pieno per il timore che il loro inserimento completo nel processo lavorativo sconfini nel campo di competenza d'altri, ritenuti gli unici ad aver diritto non solo di prendere determinate decisioni, ma anche di esprimere determinati pareri. Si segue spesso una linea di condotta e di tattica tipiche, per cui le opinioni espresse da un subordinato o da un collega di pari grado vanno ascoltate distrattamente, commentate con tranquillo distacco o respinte, a volte con ironia, a volte con arroganza. Le divergenze personali si sono sublimate nella forma, l'irritazione è rigorosamente bandita. La componente essenziale del “gioco delle parti” nell'ambito dell'organizzazione - tema questo, su cui esiste adesso tutta una letteratura - è l'aria di noncuranza che si ottiene reprimendo i sentimenti. Il potere non risiede soltanto nelle attribuzioni. Anche la conoscenza ne è un equivalente. Nel sistema gerarchico tradizionale era di prammatica che il superiore fosse più competente di un sottoposto, o di un estraneo al settore, e questa mentalità si era cristallizzata nei formalismi caratteristici della direzione aziendale, come ad esempio nelle norme seguite in materia di comunicazioni interne (“A chi spetta una copia?”), nelle riunioni ufficiali (“Chi vi prende parte?”). L'osservanza di queste regole, spinta fino alla pedanteria, corrispondeva al comportamento corretto, poiché spesso era semplicemente disdicevole saperne di più d'un superiore. Nell'organizzazione militare, poi, era espressamente proibito richiamare l'attenzione di un superiore su qualcosa. Chi l'avesse osato, si sarebbe compromesso. Il subalterno doveva chiedere rispettosamente di poter comunicare qualcosa, e 131

molto spesso l'interpellato era convinto per principio che l'altro non avesse da comunicargli un bel niente. Il tema della burocratizzazione rivela molti aspetti sociologicamente interessanti. Sarebbe ora, però, che ci convincessimo una buona volta che questo rigido schema di contatti e di comportamento è quanto di più antieconomico esista, perché agisce da per tutto come un freno costrittore, perché toglie al singolo individuo ogni possibilità di una vera, proficua collaborazione personale. Non esiste ragioniere che possa esprimere in cifre questa capacità umana inutilizzata nel rendiconto dell'azienda, eppure chi osserva con gli occhi aperti un'organizzazione diretta con metodi antiquati se ne accorge e la vede. II decision making process, il concetto della formazione dell'opinione, della volontà e della decisione è diventato oggi una categoria sociologica fondamentale, specie per la sociologia industriale. L'analisi metodica di quella complicata struttura di processi e di funzioni considerata nei suoi rapporti obiettivi e personali è compito di un ben organizzato controllo interno; spetta alla capacità autocritica di una direzione chiaramente consapevole delle proprie responsabilità, e non ne sminuisce affatto l'autorevolezza; al contrario, la rafforza. Nuovi metodi d'indagine pratica mettono spesso a disposizione materiale concreto: consentono ad esempio di stabilire fino a che punto è centralizzata o decentralizzata la facoltà di prendere decisioni; qual è il grado d'intensità della comunicazione verticale e orizzontale; in che misura viene esercitato il controllo per il tramite di determinate persone o gruppi e rispettivamente quanto e come sono controllati a loro volta; fin dove arriva, nelle organizzazioni più complesse, il potere della direzione generale, e in particolare qual è il suo influsso sui reparti distaccati e sulle società affiliate. Tutto ciò può essere valutato, oggi, con sufficiente precisione. Come i costi sono diventati per i contabili il mezzo più efficace per sorvegliare l'economicità dell'azienda, così i processi direzionali, diventati commensurabili, quindi obiettivamente esprimibili, rappresentano per lo psicologo un criterio di giudizio sulla capacità organizzativa. 13 È convinzione assai diffusa che gli psicologi e i sociologi industriali si occupino, o che sarebbe auspicabile che si occupassero principalmente dei problemi relativi alla politica adottata nei confronti dei dipendenti, e per questo motivo i più ritengono che il loro campo d'azione specifico si limiti a quello riguardante la sezione del personale. Effettivamente gli psicologi assolvono importanti funzioni di consulenza esprimendo il loro giudizio sugli aspiranti a un impiego, insegnando nei corsi di tirocinio, occupando posti-chiave; ma adesso si devono preoccupare anche dei problemi relativi all'efficienza dell'impresa, del tanto discusso “clima aziendale”, della razionalizzazione dell'organizzazione commerciale. E, beninteso, queste mansioni superano ampiamente i limiti dei problemi usuali concernenti il personale. Il problema della conduzione di un'industria si identifica sempre più col problema dei contatti e del comportamento umani. Le human relations, diventate parola d'ordine nonché luogo comune, furono riconosciute, in un'accezione assai diffusa, come un fenomeno che ha una problematica soprattutto nella vasta schiera degli operai e degl'impiegati con mansioni esecutive, mentre non l'avrebbe nelle alte sfere della gerarchia aziendale. E lo si è affermato nonostante la sovrabbondanza di esempi i quali dimostrano che 132

le questioni personali fra i cosiddetti capi responsabili possono essere più importanti per il clima sociale di tutte le disposizioni riguardanti il trattamento del personale esperto. Troppo spesso si ritenne che questi provvedimenti - che per lo più si riferivano alle condizioni materiali di lavoro, al sistema retributivo, alle assicurazioni sociali, alla promozione di corsi d'addestramento - dovessero avere come risultato la soddisfazione generale e un miglioramento delle prestazioni. Sebbene da più parti si fosse fatto rilevare che queste ultime dipendono anche dall'appagamento di tutta una serie di bisogni ambiziosi e personalissimi, e non sono tanto una questione di provvedimenti quanto di sistemi adottati dalla direzione, di rado vennero esaminate sistematicamente e considerate un problema organizzativo. Il termine così abusato di “relazioni umane”, che portava spesso a cadere nella banalità, era inoltre poco adatto a incoronare con l'alloro sociologico la capacità organizzativa, anche se talvolta poteva fare impressione con argomentazioni speciose sugli esperti in campo pratico ma sprovveduti in materia. Ciò nondimeno, il reparto del personale nella grande industria si allargò non solo nel numero dei componenti, ma anche nell'importanza, al punto da poter venir considerato sempre più un settore amministrativo a sé stante, autonomo e delimitato dagli “altri” campi d'attività della direzione generale. Problemi impegnativi e ricchi di promesse, alla cui adozione non erano estranee certe mode allora vigenti, furono delegati a esperti e specialisti di nuovo conio, che in tal modo poterono anche giustificare la loro funzione. Vennero formulati principi in termini altisonanti. Conferenze e congressi contribuirono a creare una coscienza della necessità di queste nuove professioni; e anche gl'imprenditori dapprima riluttanti a riconoscere il valore di certi programmi finirono con l'accordarsi, perché non volevano restare indietro rispetto ai loro tempi. Si presero molte iniziative, ci si diede un gran da fare. Su un punto solo non ci si dovrebbe più illudere, oggi: i problemi di fondo, ai quali si arriva nell'integrazione sociale di un'industria, non possono essere risolti in quel “campo pratico” che è l'insieme del personale; tutt'al più si presentano là, o nel migliore dei casi li si possono osservare. Le questioni umane non esistono mai “oltre” alle altre, non esistono per così dire “anch'esse oltre al resto”. Sono collegate per la loro stessa natura ai problemi tecnico-aziendali, economici, amministrativi, finanziari, giuridici, in ogni momento del lavoro quotidiano. Ogni processo aziendale ha - com'è noto - una duplice struttura: quella umana e quella oggettiva, e spetta agli psicologi dell'ufficio del personale di richiamare costantemente l'attenzione su questa realtà di fatto, e l'importanza delle loro mansioni non si riduce affatto se riconoscono esplicitamente che le misure che incontrano il favore dei dipendenti non sono tanto la causa quanto la conseguenza di una buona direzione già esistente nell'azienda, dalla quale anch'essi, del resto, nelle loro possibilità limitate, dipendono. A questo punto più di un imprenditore osserverà che, in fondo, niente di tutto ciò è nuovo, che tutt'i giorni si può fare la comunissima esperienza che i buoni rapporti umani sono il compito personale che spetta a ciascuno, e in modo particolare a chi svolge mansioni direttive. Il sociologo può obiettare a questo proposito che anche nella direzione aziendale resta da fare moltissimo in campo organizzativo per promuovere la capacità sociale ed economica dell'impresa. E a chi ha il tempo e la voglia di prestargli ascolto, può esporre particolari concreti, pratici, che riguardano da vicino i dirigenti più di quanto non riguardino gli specialisti. Poiché i “capi”, quando le circostanze lo 133

impongono, si devono decidere a cambiare certe forme di lavoro e di atteggiamento finora seguite. Oggigiorno psicologi e sociologi sono diventati anch'essi come gl'ingegneri di fabbrica e i contabili degli uffici amministrativi - parte dell'organizzazione. Sono, purché abbiano le necessarie conoscenze riguardo alla tecnica aziendale, una nuova specie di consulenti economici, e il valore dei loro consigli è stato messo in risalto dall'accresciuta complessità delle programmazioni, delle iniziative e delle responsabilità. Studiano l'organizzazione come una compagine composta da sfere di competenza e da influssi umani, da strutture formali e informali, da limiti gerarchici e da condizioni di prestigio, da vie di comunicazione e di controllo orizzontali e verticali, da competenze effettive e apparenti, dall'autorità e dalle mansioni dei singoli, da forme e da regole di comportamento d'ogni specie. Psicologi e sociologi sono in grado di dire quali sono le condizioni necessarie, obiettive e personali, che devono essere adempite di volta in volta perché si possano realizzare la piena collaborazione, una comunicazione intensiva, l'identificazione con gli scopi che l'impresa si propone, e mantenerle vive. E non se la sbrigano, è ovvio, con quattro ipocriti luoghi comuni, con qualche massima astratta o con un paio di vaghi suggerimenti sul modo di tenere i rapporti con la gente. Devono avanzare richieste ben precise e concrete, che, una volta realizzate, saranno espresse in modo evidente dallo schema formale dell'organizzazione. La sociologia empirica è effettivamente in grado, oggigiorno, di misurare la collaborazione e l'appagamento di coloro che lavorano in un'industria, con la stessa obiettività con cui la statistica aziendale misura l'incremento delle vendite, l'aumento della produttività o lo sfruttamento delle capacità tecniche. Forse il profano stenterà a credervi, ma un esame delle relazioni in materia - ad esempio quelle dell'istituto di sociologia della Michigan University - che parlano un linguaggio quanto mai chiaro, lo aiuterà a convincersi 30. Ditte americane spendono per questo scopo fior di quattrini. L'analisi non si limita solo al “clima d'opinione” in generale, ma si estende anche alla capacità comunitaria, alla qualità della direzione. La duttilità dell'azienda, la sua abilità nel venire a capo di adattamenti e di trasformazioni che si sono resi necessari, la presenza o l'assenza di tensioni interne, di addebiti o di conflitti fra un settore e l'altro: tutto costituisce oggetto di metodici esami. Cosa notevole, queste indagini svolgono al tempo stesso una funzione educativa e concorrono alla formazione della coscienza. Contribuiscono al processo autoconoscitivo della direzione aziendale e all'adattamento delle sue concezioni alla realtà che si va trasformando, adattamento necessario a sua volta per trarre le conseguenze dai risultati delle analisi e intraprendere gli opportuni mutamenti. Il compito dello psicologo consulente industriale è assai più difficile di quello dei suoi colleghi ingegneri di fabbrica o esperti dell'amministrazione. Le sue cognizioni ossia i risultati della sociologia - non si possono applicare come le invenzioni tecniche, né installare come nuove macchine, o adottare come nuovi metodi di lavorazione. Per essere tradotte in realtà esigono una condizione preliminare, cioè una coscienza matura, e siccome è compito in massima parte del consulente quello di accelerare il processo di maturazione, la sua attività assume, oltre a quello tecnico-organizzativo, un carattere pedagogico. L'importanza dell'indagine si sposta dall'analisi di determinate condizioni come tali all'esame di metodi con cui 134

utilizzare nel modo migliore le conoscenze già acquisite e realizzare nuove idee. II centro dell'interesse non è più rappresentato dallo studio dei problemi socioindustriali ma piuttosto dalla ricerca delle possibili conseguenze derivanti dai risultati ottenuti. II successo di una valorizzazione metodica del lavoro dei dipendenti - scegliamo a caso uno fra i tanti esempi pratici - dipende totalmente dal criterio più o meno saggio con il quale si affronta una simile impresa; dipende dal modo di concepire il risultato, dal valore che gli si attribuisce e da quello che si è disposti a imparare, non senza gl'individui in causa, ma con loro e per mezzo loro. Anche questa è collaborazione. Ed è nel giusto chi asserisce che in base a questi metodi di valutazione si rivela anche il valore del “capo”. Conoscenze e idee non si lasciano mettere in circolazione come banconote. Concetti utili sono qualcosa di più di un mezzo di intelligente comprensione. Interpretati secondo il loro contenuto specifico, i concetti nuovi sono sempre e soltanto reazioni dello spirito a fatti incontrovertibili della realtà, e come coscienza individuale devono avere inevitabilmente una ripercussione su questi fatti. La formazione professionale dei giovani, élite dirigente di domani, è diventata un grosso impegno pedagogico. Il fatto stesso che la responsabilità della loro formazione sia stata affidata in molte grandi imprese a un componente della direzione aziendale (in America hanno spesso un vicepresidente incaricato del management development) dimostra quanta importanza vi si annetta. Oggi non si assumono più forze nuove per coprire i posti che si rendono vacanti, bensì per avviarle alla carriera; non più per il loro impiego immediato, ma per un progressivo addestramento. Oltre a un buon stipendio e alle relative previdenze sociali, la terza promessa che i giovani di talento vogliono ottenere, quando si presentano nell'ufficio personale, è quella di una carriera programmata. Accade di frequente che non abbiano nemmeno bisogno di andare a chiedere nulla. Incaricati delle grandi industrie li vanno a cercare nelle università. Si piazzano lì con tavolini e tabelloni illustrativi che ricordano gli appariscenti stands delle esposizioni industriali. Forniscono di buon grado tutte le informazioni che vengono richieste, distribuiscono opuscoli pubblicitari, statistiche e formulari per le domande d'assunzione. Tuttavia, per ottenere veramente specialisti ad alto livello, tutto questo non è ancora sufficiente. Bisogna prendere contatto anche con i professori, e assicurarseli, cosa questa che le industrie chimiche e farmaceutiche indirizzate alla ricerca intensiva stanno facendo già da molto tempo. Può darsi che l'abitudine a questi contatti diretti con le università, con gl'istituti superiori e con le scuole professionali sia stata instaurata inizialmente solo in vista dell'interesse immediato delle ditte, per la necessità di assicurarsi futuri quadri efficienti. Adesso però ha assunto un significato assai più vasto, è diventato un vero e proprio servizio a favore della comunità, almeno nella sua concezione. Infatti, se una grande industria vuol suscitare l'interesse, la comprensione e la volontà altrui di collaborare ai suoi problemi, per prima cosa deve spiegare quali sono questi problemi. L'industria, perciò oggi è costretta - soprattutto quando intende esercitare un influsso permanente sulla scelta della professione e del corso di studi - a rendere di pubblica ragione i suoi problemi, quindi a dare il proprio contributo alla formazione e all'adattamento della coscienza collettiva. 135

L'inserimento degl'ingegneri, dei chimici, degli economisti e dei laureati in legge appena sfornati dagli atenei nella cosiddetta prassi, richiede una programmazione e una preparazione molto accurate, descritte esaurientemente in manuali di ormai vecchia pubblicazione 31. Una programmazione analoga è indispensabile anche più avanti, per il successivo svolgimento della carriera. Elaborare un intelligente criterio di giudizio, stabilire un adeguato ordinamento delle promozioni, seguirli migliorandoli continuamente e, dove il caso lo richieda, correggendoli: questo è il campo in cui i sociologi dell'ufficio personale e gli specialisti dell'organizzazione devono lavorare di conserva. Sia ben chiaro, però, che procedendo alla compilazione di questi programmi non è lecito trascurare la situazione dei più anziani, e in particolare gl'interessi di quella categoria di collaboratori che hanno già oltrepassato i cinquant'anni. Una volta, a un dirigente arrivato non poteva più succedere gran cosa in condizioni normali, quando aveva toccato il traguardo di questi anni, considerati i migliori. Aveva ormai percorso la sua strada e si sentiva sicuro in sella. La sicurezza gli derivava dall'esperienza di lavoro acquisita e dalla coscienza di essere un maestro indiscusso nella sua specializzazione. Oggi succede il contrario: la certezza di sapere il fatto proprio si disperde spesso in un mare agitato di nuovi dubbi, dove le vecchie tecniche ostacolano la tranquilla navigazione aziendale. Il fatto che i metodi di lavoro, l'organizzazione del lavoro, le mete che l'industria intende toccare e il clima aziendale cambino ininterrottamente e sempre più in fretta rientra nella normalità. E altrettanto normale è oggi il fatto che spesso ci si debba adattare e ricredere di continuo, fino al giorno del collocamento a riposo. Lo stimolo esterno può essere rappresentato per l'uno da un nuovo processo produttivo, per l'altro da un nuovo mercato, per un terzo dalla tecnica del calcolo elettronico, per un altro ancora da una fusione fra due aziende, dalla trasformazione della sua ditta in una società affiliata: in ogni caso si tratta di sviluppi sconvolgitori, che richiedono incessantemente da parte del singolo il massimo impegno intellettuale e morale. Una direzione aziendale consapevole della propria responsabilità non può ignorare questo fenomeno e lo deve riconoscere concretamente. Anche qui, l'avviamento di una nuova integrazione sociale non è soltanto un preciso dovere verso i collaboratori più anziani ed esperti, ma un'esigenza imposta dal buon senso. La vita professionale fra i quaranta e i sessant'anni è altrettanto insicura di quella fra i venti e i quaranta, con la differenza che il bisogno di sicurezza si manifesta sempre più, almeno in generale, col progredire dell'età. La situazione professionale non dovrebbe venir messa in forse da nuove crisi proprio negli anni in cui, dopo una carriera coronata dal successo, un uomo vorrebbe vivere un po' tranquillo, tanto più che questi anni coincidono di solito con il momento in cui i figli non sono più bambini e la vita familiare reclama una partecipazione più intensa da parte del padre. II mondo si evolve con moto accelerato, e l'uomo vuol mantenere il passo coi tempi, ma non a qualunque prezzo. E spesso il prezzo che gli vien richiesto è molto alto. L'aspra, rabbiosa volontà di affermarsi che anima molti uomini nella loro esistenza professionale fa parte degli oscuri, ignorati requisiti morali del nostro tempo. Si manifesta apertamente sotto gli occhi di tutti, ma pochi la riconoscono, perché nei quotidiani contatti professionali raramente vediamo, nel collaboratore, l'uomo.

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14 Oggigiorno c'è un continuo deflusso di manodopera maschile e femminile dai paesi più poveri dell'Europa verso quelli ad alto tenore di vita, che si sobbarca ai lavori più semplici per i quali nelle zone prospere è difficile trovare braccia disposte a eseguirli. Gl'irlandesi vanno in Inghilterra, i finlandesi in Svezia, i nordafricani in Francia, gl'italiani e gli spagnoli in Germania, in Olanda e in Gran Bretagna. Gli uffici del lavoro, le direzioni del personale e gli psicologi industriali si preoccupano delle conseguenze sociali di questo fenomeno. I portoricani a New York, i negri delle isole dell'America centrale a Londra sono diventati un sottoproletariato di nuova specie. Che cosa si può fare per impedire la formazione di nuovi antagonismi classisti o razziali nelle future società del benessere? Molti confini politici del nostro continente corrispondono a linee di demarcazione fra ricchezza e povertà. Interi popoli vengono suddivisi secondo l'ammontare medio dei redditi e secondo la struttura delle spese 32. Dalle statistiche, la Svizzera e la Svezia risultano i paesi più ricchi dell'Europa occidentale, il Portogallo, la Spagna e la Grecia i più poveri. L'Italia sta uscendo adesso, di slancio, dal novero dei paesi poveri. Registra il tasso più alto d'incremento economico, è in testa in molti settori di produzione dei beni d'uso moderni. Le differenze intereuropee si pareggeranno nel tenore di vita? Seguendo la direzione opposta a quella della manodopera emigrante, si registra un afflusso sempre più massiccio di abitanti dei paesi ricchi che muovono verso il Sud, povero ma solatio, per visitarlo come turisti. I poveri lavorano in casa dei ricchi, i ricchi consumano in casa dei poveri, poiché le loro terre sono diventate i paesi del tempo libero da tutti sognati. Se i paesi meridionali sapranno corrispondere ai doveri creati da questa situazione, si assicureranno gran parte delle condizioni essenziali per il loro sviluppo economico. Forse - e può darsi che la previsione non sia azzardata - gli europei abbienti sopra i sessant'anni prenderanno l'abitudine, in un futuro non molto lontano, di stabilirsi sulle rive del Mediterraneo, come molti americani arrivati alla pensione si trasferiscono nella Florida, nell'Arizona, nel Texas, in California. Le diversità di funzioni socio-economiche e socio-geografiche dei paesi europei, l'antagonismo fra lavoro e tempo libero, fra produzione e consumo proiettati su strutture continentali, condizionate dal clima, dal benessere, dal ciclo vitale, dal tempo libero: sembra un'utopia, eppure ci dobbiamo chiedere se questa evoluzione non è già in cammino, se non finirà col dare una fisionomia completamente diversa al nostro continente. Dove ci porterà questo movimento in continua espansione, che oggi viene chiamato ancora, con una definizione quanto mai incompleta, “rivoluzione industriale”? Riuscirà, com'è riuscito a dissolvere le strutture di classe della società, a far scomparire anche le caratteristiche nazionali dei vari popoli? Procuriamo adesso, per concludere, di ricapitolare la situazione in un quadro complessivo: In luogo degli antagonismi storici di classe si sta formando - nel lavoro e nel tempo libero, nelle condizioni della produzione e del consumo umani - un complesso altamente differenziato di strutture sociali, che offre un campo d'azione illimitato alle imprese aziendali nella dinamica della moderna economia di mercato 137

e nelle tensioni sublimate esistenti fra domanda e offerta. Sono imprese a raggio incalcolabile nella vastità di quell'economia a livello più raffinato; ed è grazie ad esse che la trasformazione delle nostre abitudini, del nostro modo di vivere e della nostra concezione della vita diventa un fatto reale, programmato e metodicamente anticipato. E questo è un avvenimento politico che appare più fondamentale, e spesso più laborioso, dell'attività dei partiti e dei parlamenti. Il vecchio concetto di cittadino si concreta oggi nello status dell'individuo come cointeressato alla civiltà economica. Il riesame approfondito dei rapporti esistenti in questo senso fra stato e società è compito che spetta alla sociologia politica, la quale li deve fissare in una nuova dimensione. Quando si riconoscerà pienamente la portata dei processi economici in corso, si giungerà per forza di cose a una comprensione effettiva e più globale della politica, nel cui concetto dev'essere incluso tutto ciò che le nuove strutture aziendali, potenti organizzazioni della vita attuale, hanno fatto oggetto di una massiccia, metodica strategia. Allo stato, a cui Ludwig Erhard ha assegnato uno scopo superpartitico allorché ha parlato della “umanizzazione dell'ambiente in tutti i campi della vita 33”, resta il dovere di far sì che quanto avviene nella concorrenza fra aziende persegua scopi dettati dalla ragione; un ideale che, se giungerà a una fruttuosa realizzazione, più che elemento di un determinato programma di governo sarà espressione della nostra coscienza illuminata. A lungo andare, lo scopo delle istanze centrali non potrà essere altro che qualcosa di esclusivamente formale: il coordinamento delle direzioni divergenti seguite dalla vita socio-economica, la progressiva sintonizzazione delle diverse forme e del diverso grado di velocità che le cose assumono nel loro corso, tanto nell'esistenza quanto nella coscienza degli uomini che vi partecipano, e al tempo steso anche una sincronizzazione di espressioni diverse della prosperità. Poiché il benessere è tutt'altro che una condizione equilibrata, e lo si può notare ovunque, sia che si osservino famiglie, comunità, regioni, determinati gruppi sociali o interi popoli. L'odierna prosperità è una brillante tensione carica di dissonanze e di contraddizioni, un insieme pittoresco di svariate valutazioni etiche e utilitarie delle buone occasioni offerte dalla vita, una commistione spaziale e temporale di vecchio e di nuovo, di progresso e di tradizione. Il senso esatto delle proporzioni e la riflessività nella scelta e nella programmazione delle possibili mete cui può giungere lo sviluppo devono creare, a lunga scadenza, il clima spirituale favorevole alla maturazione di uno stile di vita adeguato, che corrisponda all'equilibrio interiore. Il ritmo vertiginoso del progresso richiede disciplina interiore e autocontrollo, perché la sua crescente complicazione rappresenta una crescente minaccia per l'equilibrio sociale. Il concetto di prosperità si deve basare su un optimum di equilibrio, non su un maximum di progresso. A differenza della povertà, che non conosce, o quasi, differenziazioni, che opprime in una cupa monotonia, paralizza come una pastoia e accomuna tutti nello stesso destino, la ricchezza porta con sé, inevitabilmente, una quantità di ineguaglianze, di dislivelli e di slanci animatori. Fin qui gli utopisti sociali, che volevano abolire appunto per questo motivo la proprietà privata, hanno visto giusto. Il possesso dei beni, il potere ch'essi conferiscono e il loro godimento sono il triplice desiderio della specie umana, che si esprime adesso come richiesta espansiva di una volontà di vita sublimata. La triplice rinunzia degli antichi voti monacali erano la povertà, l'obbedienza, la castità. 138

Con la crescente complessità della struttura sociale la volontà di salire assume forme così molteplici, che i paradossi e le dissonanze possono amplificarsi fino al grottesco. Di fronte a taluni progressi limitati, parziali, certe deficienze appaiono ancor più anacronistiche. Le manchevolezze sono tanto più esiziali quanto più una conquista spettacolare è priva di un nesso che le conferisca un significato e la giustifichi. Come l'indagine di mercato registra il caso di famiglie che possiedono un televisore di lusso del modello più recente senza che il resto dell'arredamento essenziale e il beneficio soggettivo siano pari ai tempi, così esistono comuni il cui aspetto esteriore, la cui “facciata” esposta alla vista di tutti forma un contrasto con la prosperità degli abitanti. Il merito di aver attirato l'attenzione americana su questo ultimo fenomeno negli Stati Uniti il tema è ancor più di attualità che in Europa - va a John Kenneth Galbraith. In Germania, il programma di Karlsruhe di Ludwig Erhard non ha trascurato di mettere in rilievo l'abisso che corre fra l'operato dell'economia produttiva e quello delle amministrazioni pubbliche. Mentre l'industria privata ha devoluto milioni per apportare miglioramenti minimali, in parte imposti da motivi di concorrenza, nella presentazione di articoli domestici d'uso comunissimo, dall'altra parte non si sanno trovare i fondi - spesso corrispondenti a una frazione di tali somme - necessari per una manutenzione decente dei giardini pubblici, per costruire case di riposo per i vecchi, o parchi di gioco per i bambini, o per restaurare edifici di valore artistico e storico. I cinematografi sono più moderni delle scuole. Heinz-Dietrich Ortlieb ha avuto ragione di osservare che la preminenza del consumo privato e della produzione privata, immanenti nella libera economia di mercato, tiene mano a una “dispersione di consumo individuale”, per cui problemi vitali d'interesse pubblico restano insoluti 34. Ne lasciamo ben volentieri la trattazione esauriente agli economisti, ma frattanto si presenta un'altra questione importante: fino a quale punto il singolo individuo sarà disposto, in futuro, a impegnarsi personalmente per la comunità, a partecipare agl'interessi civici e a esigere una sana organizzazione del suo piccolo mondo circostante? Con il progressivo sviluppo di questo processo - inteso, come già abbiamo detto in precedenza, nel suo senso di “domanda sociale” - un intelligente incremento degl'investimenti statali e comunali dovrebbe apparire ampiamente giustificato, e contemporaneamente l'attività delle grandi imprese private nel campo delle pubbliche relazioni troverebbe un terreno propizio. Il nuovo assetto che città e campagna devono trovare in una programmazione a lunga scadenza; gli orientamenti ch'è necessario dare al sistema educativo e informativo; la sanità pubblica e le previdenze per la vecchiaia: questi doveri non possono restare eternamente un semplice oggetto di esami delegati a istanze competenti e a esperti. Dovranno finire con l'acquistarsi un vasto uditorio, come questioni vive, interessanti la coscienza politica individuale, e le soluzioni rappresenteranno i contenuti della volontà e delle aspirazioni ormai mature dei contemporanei. Nella competizione fra il sistema organizzativo occidentale e quello orientale, che ha per campo tutto il mondo, la nostra libertà non può apparire limitata alla libertà individuale di consumo e di investimenti in forma d'economia di mercato. Noi condividiamo l'opinione di Ortlieb, che la “libertà di cui” dev'essere integrata dalla “libertà per cui”, vale a dire dai “valori e dai fini superindividuali ai quali è subordinato anche il progressivo sviluppo dell'organizzazione economica”. 139

Il problema educativo oggi è più insoluto di quanto sia mai stato nella storia umana. Tuttavia, il modo in cui si risolverà avrà più peso del futuro incremento delle capacità produttive, più peso dell'ulteriore perfezionamento dei beni d'uso e più peso della crescente espansione del potere d'acquisto individuale. La pedagogia sociale fu definita la scienza più importante del futuro, e questo riconoscimento cosa notevole - venne espresso durante la cerimonia inaugurale di una grande conquista scientifica: l'osservatorio astronomico di Mount Palomar in California. L'attività educativo-informativa dovrà costituire il contenuto per eccellenza dell'offerta terziaria, e il nostro spirito inventivo, il nostro istinto di competizione e il nostro talento organizzatore sono chiamati a crearne, con opera paziente e lungimirante, le necessarie premesse istituzionali. L'addomesticamento degli eventi rivoluzionari provocati dalla sempre più rapida evoluzione e il dovere di preservare l'eredità culturale della tradizione rendono necessari al singolo individuo l'aiuto e l'orientamento che gli possono venire solo da forme organizzate competenti e volonterose della comunità. E questo aiuto non contraddice affatto mia dell'individuo; anzi, gli viene incontro e fa dell'economia uno strumento di libertà. Oggi abbiamo bisogno di mezzi e di modi adatti per superare la pigrizia spirituale, per affermarci di fronte alle pretese del progresso, esattamente come i paesi sottosviluppati hanno bisogno di libri d'insegnamento elementare della tecnica civilizzatrice. Ma quando l'illuminazione della coscienza diventa un'aspirazione comune, la cui forza e la cui serietà sono pari a quelle che spronano l'attività tecnicoproduttiva, la speranza di domare e imbrigliare l'evoluzione può venir considerata a buon diritto un fattore concreto. L'universo - così ci insegnavano durante le lezioni di filosofia - segue il suo corso, indipendentemente da ciò che ne pensiamo noi; non così, però, la storia umana. La facoltà di concorrere a determinarne il processo con le nostre idee e coi nostri desideri, con quello che facciamo e con quello che trascuriamo, con la nostra offerta e con la nostra domanda di contenuti della vita ci viene concessa solo e sempre dalla libertà e dall'autoformazione, sia nei grandi momenti dell'esistenza, sia nei piccoli avvenimenti della vita sociale di tutti i giorni. Nessuna epoca storica ha avuto tante definizioni dai suoi contemporanei come la nostra. La si è chiamata era della macchina, era atomica, era spaziale, era dell'aeroplano, era del materiale sintetico, era dell'automazione. Mannheim ha coniato anche il termine di era della ricostruzione, Ortega quello di era delle masse e Scheler quello, importante, di era della compensazione. Un articolo di argomento economico pubblicato da Fortune portava il titolo: The Great Age of 3 Per Cent, che si riferiva all'incremento annuo della produttività, lo stesso di cui si è servito Fourastié per misurare il progresso. Se a qualcuno la parola progresso è venuta a noia, può ricorrere a una perifrasi e parlare del futuro che è già incominciato. Il presente viene chiamato con un nome o con l'altro secondo il settore dell'evoluzione sociale in cui il singolo è impegnato e ha il suo posto, ma per caratterizzarlo ci vogliono tutti i titoli messi insieme. Noi non l'annunzieremo a questo punto come l'epoca della prosperità; nell'antagonismo politico internazionale fra ricchezza e povertà sarebbe una prova di cinismo occidentale. Assai più a ragione la si dovrebbe proclamare era della miseria, che nel mondo sottosviluppato sta assumendo proporzioni catastrofiche. Nel 1920 la metà della popolazione del globo era sottoalimentata. Oggi sono sottoalimentati i due terzi. Il numero degli uomini che muoiono ogni anno di fame oscilla fra i trenta e i quaranta milioni. In molti paesi la 140

metà dei bambini e dei ragazzi muore prima di toccare i quindici anni. Noi leggiamo le statistiche dell'Unesco, le dimentichiamo, continuiamo a vivere. Non ce le dovremmo imprimere nella memoria, non dovremmo ricordare quotidianamente che l'emisfero della prosperità, nel quale abbiamo la fortuna di esistere, non è altro che un preciso, immenso dovere...?

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Note

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Note al capitolo 1 (da p. 13 a p. 46) 1 Mackenroth, Gerhard, Bevölkerungslehre, in Soziologie, e in Lehr - und Handbuch zur modernen Gesellschaftskunde, herausgegeben von Arnold Gehlen und Helmut Schelsky, 2. Auflage, Düsseldorf - Köln, 1955, p. 84. 2 Katona, George, The Powerful Consumer, New York, McGraw-Hill Book Company, 1960. 3 Ortlieb, Heinz-Dietrich, Unsere Konsumgesellschaft, in "Hamburger Jahrbuch für Wirtschafts- und Gesellschaftspolitik", herausgegeben von Ortlieb, 4. Jahr (Festausgabe für Eduard Heimann), Tübingen, 1959, p. 232. Ludwig Erhard, Karlsruher Programm, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 4. Mai 1960. 4

Katona, George, op. cit., p. 189.

5 Vedi a questo proposito la “teoria della scissione delle utilità” in Vershofen, Wilhelm, Handbuch der Verbrauchsforschung, 2 Bände, Berlin, 1940. 6 Clark, Colin, The Conditions of Economic Progress, 3rd Edition, largely rewritten, London and New York, 1957. 7 79.

Riesmann, David, The Lonely Crowd, New Haven, Yale University Press, 1950, p.

8 Engel, Ernst, Die Lebenskosten belgischer Arbeiterfamilien früher und jetzt, in "Bulletin de Institut International de Statistique", vol. IX, Roma, 1895, vedi prefazione. 9 Fromm, Erich, Die heutige Situation des Menschen, in "Perspektiven" Heft 16, Frankfurt/Main, 1956, pp. 153-54. 10

Freyer, Hans, Theorie des gegenwärtigen Zeitalters, Stuttgart, 1956, p. 91.

11 Croce, Benedetto, Geschichte Europas im neunzehnten Jahrhundert, zweite, verbesserte Auflage, Zürich-Wien, 1947, p. 13 [ed. it. Storia d'Europa nel secolo decimonono, Bari, Laterza, 1938, p. 13]. 12 "Der Bund", Bericht über die Tagung “ Kulturkonsum und Konsumkultur", Wuppertal, 1955, pp. 17-20. La relazione, stesa da Hans Jürgen Leep, non è mai stata pubblicata in volume. 13

Ibid., p. 6.

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14 Simmel, Georg, Philosophie des Geldes, 5. Auflage (1. Aufl. 1900), MünchenLeipzig, 1930, p. 493 15 Mannheim, Karl, Man and Society in an Age of Reconstruction. Studies in Modern Social Structure, London, 1940. La citazione riportata in questo libro tratta dall'ed. orig. tedesca, completamente rielaborata da Mannheim nella traduzione inglese. Cfr. Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbaus, Leiden, 1935, p. 77. 16 Cfr. Merton, Robert K., Social Theory and Social Structure, Revised and Enlarged Edition, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1957. 17 Cfr. sul tema dell'istruzione generale anche la conferenza di Edgar Salin, Ueber Vorzug and Gefahr der allgemeinen Bildung, in a “Sypnosis", Festgabe für Alfred Weber, Heidelberg, 1948, p. 435. 18

Simmel, Georg, op. cit., pp. 496 e 506.

Note al capitolo 2 (da p. 47 a p. 75) 1 Boulding, Kenneth E., The Consumption Concept in Economic Theory, in “The American Economic Review". Vedi il fascicolo separato di “Papers, and Proceedings of the 57th Annual Meeting of the American Economic Association”, May 1945, XXXV vol., n. 2, p. 13. 2 Galbraith, John Kenneth, The Affluent Society, 3rd Ed., Boston, The Riverside Press Cambridge, Houghton Mifflin Company, 1958. 3 Le Play, Frédéric, Les ouvriers européens. Etudes sur les travaux, la vie domestique et la condition morale des populations ouvrières de l‘Europe d'après les faits observés de 1829 à 1879, 6 vol., Paris, 1879, I, p. 352. Cfr. Anche p. 290 sgg. 4 d'AveneI, vicomte G., Découvertes d'Histoire sociale, 1200-1910, Paris, 1917, pp. 289-90. 5 Engel, Ernst, Die Lebenskosten belgischer Arbeiter-Familien früher und jetzt, in a Bulletin de Institut International de Statistique, Roma, 1895, 1' Bd., vol. IX, p. 26. 6 Denhurst, J. F. et al., Europe's Needs and Resources, New York, 1961. Cfr. inoltre The 1935-36 Study of Consumer Purchases in Maynard, H. H. and Beckman, Th. N., Principles of Marketing, New York, 1952, p. 94. 7

Le Play, Frédéric, op. cit., I, p. 354.

8 Halbwachs, Maurice, La classe ouvrère et les niveaux de vie. Recherches sur la hiérarchie des besoins dans les sociétés industrielles contemporaines, Paris, 1913. L'évolution des besoins dans les classes ouvrières, Paris, 1913. 9 d'Avenel, vicomte G., op. cit., pp. 283-84. Cfr. Anche le altre opere di d'Avenel, Paysans et ouvriers depuis sept cents ans, Paris, 1899; Les riches depuis sept cents ans, Paris, 1909. Cfr. pure, in relazione a tutto il tema qui trattato, Robbins, Lionel, An Essay

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on the Nature and Significance of Economic Science, London, 1946. A p. 145 vi si dice: There are no economic ends. There are only economical and uneconomical ways of achieving given ends. 10 Kyrk, Hazel, A Theory of Consumption, Boston and New York, The Riverside Press Cambridge, Houghton Miffin Company, 1923. Vedi anche Economic Problems of the Family, New York, Harper & Bros., 1933. Cfr. pp. 4 e 131. 11

Cfr. Dahrendorf, Ralf, Homo sociologicus, Köln, 1959.

12 Ogburn, William Fielding, Technology and the Standard of Living in the United States, in “The American Journal of Sociology”, January 1955. Dello stesso A., Implications of the Rising Standard of Living in the United States, in "The American Journal of Sociology", May, 1955. 13

Cfr. Katona, George, op. cit.

14 Cfr. Gordon, Leland J., Economics for Consumers, 3rd Ed., American Book Company, 1953 (la 4a ed. in preparazione); Morgan, James, N., Consumer Economics, New York, Prentice-Hall Inc., 1955. 15 69.

Katona, George, Psychological Analysis of Economic Behavior, New York, 1951, p.

16

Ibid., p. 68.

17

Ibid., p. 69.

Note al capitolo 3 (da p. 77 a p. 116) 1 Ortega y Gasset, José, Der Aufstand der Massen, Stuttgart, 1929 [ed. spagnola Rebelidn de la masas, 1930: ed. it. La ribellione delle masse. trad. di Salvatore Battaglia, Bologna, Il Mulino, 1962]. 2 Weber, Max, Die Protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, in Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie, vol. I. Tübingen, 1920, p. 35. 3

Ibid., p. 176, vedi anche p. 166.

4

Ibid., p. 184.

5 Schumpeter, Joseph A., Kapitalismus, Sozialismus und Demokratie, 2. er. Auflage, München, 1950, p. 243. 6

Ibid., pp. 259-60.

7

Ibid., p. 260.

8

Bednarik, Karl, An der Konsumfront, Stuttgart, 1957.

145

9 Cfr. Michel, Ernst, Sozialgeschichte der industriellen Arbeitswelt, ihre Krisenformen und Gestaltungsversuche, 3. Auflage, Frankfurt/Main, 1953. 10 de Balzac, Honoré, L'illustre Gaudissart, Paris, Edition & Librairie Henri Beziat. Cfr. pp. 7-8. 11 Gérin, O.-J. et Espinadel, D., La publicité suggestive, Théorie et technique, Paris, 1911. 12 Whitehead, T. N., Leadership in a Free Society. A Study in Human Relations Based on Analisis of Present-Day Industrial Civilisation, Cambridge, Massachussetts, Harvard University Press, 1950, p. 184 [ed. tedesca Führung in der freien Gesellschaft, Köln und Opladen, 1955]. 13 Redlich, Fritz, Reklame, Begriff, Geschichte, Theorie, Stuttgart, 1935, p. 12. Cfr. anche Turner, E. S., The Shocking History of Advertising, New York, E. P. Dutton & Company Inc., 1953, e Presbrey, Frank, The History and Development of Advertising, Garden City, New York, 1939. Un'opera antiquata, ma d'interesse storico-culturale è Sampson, Henry, A History of Advertising from the Earliest Times, London, 1878. Uno dei primi manuali ad ampia diffusione sulla psicologia della pubblicità, che oggi, naturalmente, conserva solo un valore documentario Scott, Walter Dill, The Psychology of Advertising, Boston, Small, Maynard & Company, 1908. 14 Mayer, Martin, Madison Avenue USA, New York, Pocket Books Inc. (Cardinal Edition), 1959, p. 22. 15 Cfr. Groß, Herbert, Neue Ideen in der Wirtschaft, Düsseldorf, 1960. 16 Redlich, Fritz, op. cit., p. 164. 16

Redlich, Fritz, op. cit., p. 164

17 Wilson, Charles, The History of Unilever, A Study in Economic Growth and Social Change, London, 1954, 2 voll., cfr. cap. 3, p. 21. 18 Schüttauf, Alexander Werner, Die Margarineindustrie der Welt, in Weltwirtschaftliches Archiv, Zeitschrift des Instituts für Weltwirtschaft an der Universität Köln, Hamburg, 1946, Bol. 62, Heft 2, P. 303. 19

Ibid., p. 304.

20 Menk, Clara, Von der Tafelrunde zur Cocktailparty, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 28. Juni 1958. 21 Sombart, Werner, Der moderne Kapitalismus, 2 Bände, Leipzig, 1902, Bol. 2, p. 327. 22

Ibid., p. 458.

23

Ibid., p. 293.

24

Ibid., p. 299.

146

Note al capitolo 4 (da p. 117 a p. 162) 1 Burck, Gilbert, What Makes Women Buy? in Fortune, August 1956, p. 94. Cfr. anche Packard, Vance, The Hidden Persuaders, New York, Pocket Book Inc., 1958, e Lloyd, Wamer W., Symbols and Status Analysis of Why People Buy, conferenza tenuta durante una riunione della American Marketing Association, dicembre 1949. 2

Vedi Weber, Max, Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, 1956.

3 Vedi in questa correlazione soprattutto l'opera di Schmidt, Wilhelm, Das Eigentum auf den âltesten Stufen der Menschheit, 2 Bande, Münster, 1937-40. 4 Veblen, Thorstein, The Theory of the Leisure Class, An Economic Study of Institutions, London, 1949; rielaborato nella stesura attuale nel 1912, p. 75. 5

d'Avenel, vicomte G., Découvertes cit., p. 259. Cfr. anche pp. 267-68.

6 Rimandiamo a questo proposito alla “teoria della scissione delle utilità" di Wilhelm Vershofen, basata su una psicologia alquanto superficiale delle funzioni dei beni. Riteniamo superfluo dilungarci, nel quadro di questo capitolo, in una polemica con Vershofen. Cfr. Handbuch der Verbrauchsforschung, 2 Bânde, herausgegeben von Wilhelm Vershofen, Berlin, 1940. 7 Vedi K6nig, René und Schuppisser, Peter W., Die Mode in der Menschlichen Gesellschaft, Zürich, 1957. Cfr. particolarmente la parte introduttiva compilata da König, d'importanza fondamentale. Cfr. pure Nystrom, Paul, Economics of Fashion, 4th Ed., New York, 1938. 8 Vedi fra l'altro, su questo argomento, Bossert, H. Th., Geschichte des Kunstgewerbes aller Zeiten und Völker, Berlin, 1935. 9 Cfr. l'articolo di Pawek Karl, in un fascicolo dedicato alla "linea del prodotto industriale" della rivista "Magnum, Zeitschrift für das moderne Leben", Frankfurt/Main, September 1956. 10

Cfr. Clark, Colin, The Conditions of Economic Progress, cit., London, 1957.

11 Cfr. La Forge, Oliver, A Pictorial History of American Indian, New York, Crown Publishers Inc., 3rd Printing, 1957. 12 Ely, Richard T., Outlines of Economics, New York, 1908, in edizione rielaborata 1957, p. 5. 13 Cfr. l'articolo di Wagenfeld, Wilhelm, Industriemesse contra Museum, nel fascicolo della rivista Magnum, cit., p. 73. 14 Cfr. Loewy, Raymond, Hässlichkeit verkauft Sich schlecht, 1958. Titolo dell'ed. orig. americana, Never Leave Well Enough Alone, New York, Simon and Schuster.

147

15 Vedi sullo stesso tema Riesman, David and Larrabee, Eric, Autos in America, in Clark, Lincoln, Consumer Behavior, Research on Consumer Reactions, New York, Harper & Brothers, 1958. 16 Cfr. Automobiles -What They Mean To Americans, in “The Chicago Tribune", September 1953. 17 Cfr. Lloyd first Warner, W., and Lunt, Paul S., The Social Life of a Modern Community, vol. I, New Haven, Yale University Press (Yankee City Series), 1947 (ist. Ed. 1941), pp. 82-83. 18 Gardener, Burleigh B., The Product and the Brand, in “Harvard Business Review", March-April 1955. 19

Cfr. Mackenroth, Gerhard, Bevölkerungslehre, in Soziologie, cit.

20

Gordon, Leland J., Economics for Consumers, cit., p. 124.

21 Mueller, Eva, The Desire for Innovations in Household Goods, in Clark, Lincoln H., Consumer Behavior, cit., p. 36. Sul tema "Das Neue, die Neugier and der New Look" vedi König, René, Die Mode in der menschlichen Gesellschaft, cit., p. 21. 22 Vedi in argomento Merton, Robert K., Social Theory and Social Structure, cit.; Newcomb, Theodore M., Social Psychology, New York, Henry Holt and Company, 1958 (vedi il capitolo relativo ai gruppi di relazione a p. 265); Dahrendorf Ralf, Homo sociologicus, cit. 23

Cfr. Küng, Emil, Reklame und Wohlstand, in Neue Zürcher Zeitung, 8. Januar 1956.

24

L'esempio stato tratto da Whitehead, T. N., Leadership in a Free Society, cit. p. 185.

25 Sombart, Werner, Luxus und Kapitalismus, München und Leipzig, 1922, p. 109. Cfr. anche la polemica con Veblen, p. 74. 26 Drucker, Peter F., The New Society, the Anatomy of Industrial Order, New York, 1949-50. A p. 2 la produzione di massa definita “a general principle for organizing people to work together.” 27

Gordon, Leland J., op. cit., pp. 194-95.

28 Clark, John Maurice, The Ethical Basis of Economic Freedom, in e The Kazanjian Foundation Lectures", 1955, pp. 15-16. 29 Warne, Colston E., The Meaning of Consumer Interest, in Measurement of Consumer Interest, edited by C. West Churchman, Russell L. Ackoff, Murray Wax, Philadelphia, 1947, p. 287; l'articolo di Colston E. Warne apparve originariamente in Mendenhall, James E. and Harap, Henry, Consumer Education Background, Present Status and Future Possibilities, New York, D. Appleton Century, 1943, pp. 10-11. 30

Bodamer, Joachim, Gesundheit und technische Welt, Stuttgart, 1957.

148

31 Cfr. il significativo articolo di Jean Améry, Schlägt das Herz noch links? in Süddeutsche Zeitung, München, Silvester-Neujahr Ausgabe, 1955-56. 32 Foote, Nelson, The Autonomy of the Consumer, in Clark, Lincoln, Consumer Behavior. The Dynamics of Consumer Reactions, New York, University Press, 1955.

Note al capitolo 5 (da p. 163 a p. 233) 1 Cfr. Larrabee, Eric and Meyersohn, Rolf, Mass Leisure, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1958; cfr. anche i contributi e la bibliografia sul tema del tempo libero in “The American Journal of Sociology”, May 1957. 2 Cfr. Denney, Reuel, The Leisure Society; Do We Use Leisure Or Does Leisure Use Us? "Harvard Business Review", 37, n. 3, 1959, pp. 46-60; vedi p. 47. 3

Katona, George, The Powerful Consumer, cit.

4 Citazione da Lundberg, George A., Komarovsky, Mirra, McJneny, Mary A., Leisure, A Suburban Study, New York, University Press, 1934, P. 15. 5

Cfr. il fasc. di “Life Magazine", New York, Time Inc., December 1958.

6 Schelsky, Helmut, Das Recht auf die Freizeit der anderen, in Mensch und Menschlichkeit, Stuttgart, Alfred Kröner Verlag, 1956. 7

Bahrdet, Hans Paul, Die moderne Großstadt, Hamburg, 1961, pp. 72 e 74.

8 Lowenthal, Leo, Biographies in Popular Magazines, in Berelson, Bernhard und Janowitz, Morris, Reader in Public Opinion and Communication, Enlarged edition, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1953, p. 295. 9 Rosenberg, Bernard and Manning Whyte, David, Mass Culture, The Popular Arts in America, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1957 ; Berelson, Bernhard and Janowitz, Morris, in op. cit. 10

Bouman, P. J., In de laagvlakten der cultur, Groningen, 1960, pp. 6-9.

11

Friedmann, Georges, Oi va le travail humain? Paris, 1950.

12 Wright Mills, C., White Collar, The American Middle Classes, New York, Oxford University Press, 1953. 13

Lundberg, George A. et al., op. cit., p. 348.

14 Riesman, David (in collaboration with Reuel Denney and Nathan Glazer), The Lonely Crowd, A Study of the Changing American Character, New Haven, Yale University Press, 1955; White, William H. Jr., The Organization Man, Garden City, New York, Doubled & Company, Inc., 1956. 15 Eckermann, Johann Peter, Gespräche mit Goethe in den letzten Jahten seines Lebens, 1823-1932, 2 Bände, Band 2, Berlin, Deutsche Buch. Gemeinschaft GmbH., pp. 354-55.

149

16 Huizinga, Johan, Homo Ludens, vom Ursprung der Kultur im Spiel, Hamburg (Rowohlts Deutsche Enzyklopädie), 1956, p. 183. 17 Riesman, David, Individualismus Reconsidered, Glencoe, Illinois, The Free Press, 1954; pubblicato in ed. ridotta, New York, Doubleday & Company, Inc. (Anchor Book), cfr. p. 163. 18 cit.

König, René und Schippisser, Peter W., Die Mode in der menschlichen Gesellschaft,

19 Lloyd Warner, W. and Lunt, Paul S., The Status System in a Modern Community, II vol., New Haven, Yale University Press (Yankee City Series), 1941-47. 20 Schuck, Walter P., Die Praxis des Public Relations-Wesens in den USA, in Der Leitfaden für Presse und Werbung, Essen, 1954, p. 25. 21 Childs, Marquis W. and Cater, Douglas, Ethic in a Business Society, New York, Harper and Brothers, 1954; cfr. l'ed. nella collana Mentor Books, p. 99. 22

Schumpeter, Joseph A., op. cit., p. 216.

23 Jünger, Ernst, Der Arbeiter, Herrschaft und Gestalt, 4. Auflage, Hamburg, 1941, p. 216. 24 Clark, Colin, op. cit.; Fourastié, Jean, Le grand espoir du vingtième siècle; progrès technique, progrès économique, Progrès social, troisième édition, Paris, 1952. 25 Collins, Herbert, The Sedentary Society, in Larrabee, Eric and Meyersohn, Rolf, op. cit., p. 19. 26

Fourastié Jean, op. cit., cfr. ed. tedesca, p. 19.

27 Eick, Jürgen, Wenn Milch und Honig fliessen. Eine wirtschaftskritische Studie, Düsseldorf, 1958, pp. 144-45. 28 Cassell, Frank H., The Challenging Years for Personnel Planning, in “Personnel Magazine", July-August 1961. 29 Cfr. in relazione a tutto il tema Drucker, Peter F., The Practice Of Management, New York, 1954; McGregor, Douglas, The Human Side of the Enterprise, New York, 196(); vedi in quest'ultimo l'esauriente bibliografia. 30

Likert, Rensis, New Patterns of Management, New York, 1961.

31 American Management Association Inc., Developing Executive Skills, New York, 1958. 32 Dewhurst, Frederic (editor), Europe's Needs and Resources, Trends and Prospects in 18 Countries, New York, 1961.

150

33

Erhard, Ludwig, Wirtschaftspolitik, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 4. Mai 1960.

34

Ortlieb, Heinz-Dietrich, op. cit., pp. 241 e 244.

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Indice Nota Prefazione all’edizione italiana NUOVI BENI PER IL TEMPO LIBERO – NUOVI DESIDERI NATI DAL TEMPO LIBERO 1. Le “questioni sociali” – una volta e oggi 2. Il clima della prosperità: volontà di lavorare e speranze di un continuo miglioramento dell’esistenza 3. La sublimazione psicologica dell’offerta economica dei beni 4. La subitaneità del benessere e del tempo libero; problemi di adattamento e di “addomesticamento” 5. La “mobilitazione del consumo totale”; la realtà e il suo motto 6. Attività del tempo libero e consumo di massa nella critica sociale 7. La cultura nel gioco della domanda e dell’offerta; passività e “inclinazione alle comodità”? 8. Benessere generale e istruzione generale 9. L’affermazione del singolo nelle esigenze del nostro tempo DALLA DEFICIENZA DEI BENI ALLA PROBLEMATICA DELLA SCELTA 1. “L’indomabile problema del capitalismo maturo” 2. “Natura”, “gerarchia” e sviluppo dei bisogni; la scomparsa dell’”homo oeconomicus” 3. Dalla statistica delle spese alla sociologia del comportamento 4. Il consumatore nella triplice funzione di scegliere, di soppesare e di valutare, e la struttura del costo della vita in evoluzione 5. Analisi del consumo come analisi congiunturale, analisi di mercato e analisi dell’economia domestica 6. La misurazione del clima d’opinione economico; la recessione americana del 1957-58 7. La famiglia come azienda: un’impresa progressista che procede a investimenti importanti 158

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8. La parte assai secondaria delle spese quotidiane e il crescente significato dei grossi acquisti 9. Potere d’acquisto espressione di forza vitale; stabilità economica e fiducia economica LA STORIA DEL CONSUMO DI MASSA COME RIVOLUZIONE SOCIALE 1. La proprietà antica e quella moderna; ricchezza ereditaria e ricchezza acquisita col lavoro 2. Beni di consumo come “beni tipici del nostro tempo”, simbolo di consumatori esigenti 3. La vecchia borghesia e la virtù della parsimonia; dal consumo subordinato al ceto al consumo competitivo 4. I venditori sono i missionari del benessere e la pubblicità la buona novello moderna 5. La pubblicità si raffina grazie alla psicologia e alla rivoluzione nel sistema distributivo 6. Concetto e significato dell’articolo protetto dal marchio di fabbrica; il prodotto come soggetto 7. Il pane quotidiano: compiti dell’organizzazione e programmazione 8. Mutamenti nelle abitudini alimentari e culinarie e loro conseguenze 9. La marcia trionfale dei beni d’uso durevoli; creazione della “linea” e creazione dell’ambiente come compiti estetici IL PRESTIGIO CONFERITO DAI BENI PREVALE SULLA LORO UTILITA’ 1. Le funzioni della proprietà nella società 2. La qualità come concetto tecnologico e culturale; perfezione tecnica e stile 3. Il ritardato sviluppo della coscienza estetica; povertà primaria e povertà secondaria 4. Bellezza e prestigio nella struttura dell’offerta 5. Fluttuazioni nella quotazione dei corsi dei beni; l’acquisto delle novità e il desiderio di cambiamenti 6. Modelli ed esempi da seguire per i gruppi della classe media; dopo la “gente bene” le élites anonime 7. L’elemento umano e le debolezza umane come oggetto della pubblicità; problemi autentici e pseudoproblemi 8. La critica costruttiva rappresenta la necessaria opposizione; l’educazione a una coscienza illuminata 159

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9. I mercati, specchio dell’evoluzione sociale; indagine di mercato e analisi comparativa della cultura LE ESIGENZE IMPRESCINDIBILI DEL TEMPO LIBERO E LA SUBLIMAZIONE DEL LAVORO 1. Aspetti del problema del tempo libero e le attuali condizioni di lavoro 2. Attività del tempo libero come consumo di massa di servizi; l’offerta di ricreazioni e svaghi 3. Dai lavoratori modello agl’idoli del consumo; il tempo libero nelle “depressioni culturali” 4. L’addomesticamento delle conquiste rivoluzionarie e il recente interesse per le attività creative 5. Professioni d’élite di oggi e di domani; vita privata e impegni pubblici 6. L’aspetto più cordiale del lavoro; l’infiltrazione dell’ozio e del lusso; bisogni rappresentativi 7. “Spirito di corpo”, prestigio dell’azienda, solidarietà: si sta formando uno stile di lavoro corporativo? 8. Investimenti e innovazioni creativi; la fantasia concorre all’autoformazione delle aziende 9. L’automazione e la cerebralizzazione; la compensazione della tecnica; le macchine di ieri e di oggi 10. Lo sviluppo del “settore terziario”; l’altro prezzo dei servizi 11. Produzione e consumo senza servitori; il “lavoro produttivo diretto” non è più adeguato ai tempi 12. “Management”: la crescente importanza di un’attività che orienta, coordina e consiglia 13. La programmazione e la sorveglianza del potenziale spirituale; il predominio delle qualità nella collaborazione corporativa 14. Progresso ed equilibrio; compiti politico-sociali e pedagogici del futuro Note Bibliografia

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