Sindaci a Roma. Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi 8860360250

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Sindaci a Roma. Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi
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Grazia Pagnotta

Sindaci a Roma Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi

Interventi Donzelli

DE

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Interventi

Grazia Pagnotta

SINDACI A ROMA Il governo della Capitale dal dopoguerra a oggi

DI DONZELLI EDITORE

© 2006 Donzelli editore, Roma

via Mentana 2b INTERNET www.donzelli.it E-MAIL [email protected] ISBN 88-6036-025-0

Indice

Introduzione

(9)

. Il dopoguerra (1944-46) 1. Il sindaco principe. Filippo Andrea Doria Pamphilj II.

Le giunte centriste (1947-62) 1. La Democrazia cristiana e il Partito comunista a Roma 2. Il sindaco del Partito romano. Salvatore Rebecchini

3. Il ministro sindaco. Umberto Tupini 4. Il Cameriere del papa. Urbano Cioccetti MIE,

Gli anni del centro-sinistra (1962-76) 1. 2. 3. 4. 5.

IV.

Il sindaco di Moro. Glauco Della Porta Il sindaco in manette. Amerigo Petrucci Il sindaco di transizione. Rinaldo Santini Un sindaco, tante giunte. Clelio Darida Una visione complessiva del centro-sinistra romano

Le giunte di sinistra (1976-85) 1. 2. 3. 4. 5.

Il sindaco professore. Giulio Carlo Argan Il sindaco comunista. Luigi Petroselli Il sindaco dei difficili anni ottanta. Ugo Vetere Le ragioni della sconfitta L’Estate romana

v. Il pentapartito (1985-93) 105

1. Dalla rendita alla finanza

2. Il sindaco indeciso. Nicola Signorello 116

3. Il sindaco decisionista. Pietro Giubilo 4. Il sindaco socialista. Franco Carraro

vi. Le giunte progressiste (1993-06) 1. Il sindaco verde. Francesco Rutelli 2. Il sindaco della comunità. Walter Veltroni 3. La città del futuro

Appendice Il voto romano dal 1946 al 2001 Le giunte romane dal 1944 al 2006

VI

Sindaci a Roma

«La notte,

a Roma,

par di sentire ruggire 1

leoni. Un mormorio indistinto è il respiro della città, fra le sue cupole nere e i colli lontani, nel-

l’ombra qua e là scintillante; e a tratti un rumore roco di sirene, come se il mare fosse vicino, e dal porto partissero navi per chissà quali orizzonti. E poi quel suono, insieme vago e selvatico, crudele

ma non privo di una strana dolcezza, il ruggito dei leoni, nel deserto notturno delle case». Carlo Levi, L’Orologio (1950)

Introduzione

La città è un complesso sociale dato dalle relazioni tra gli uomini. Relazioni costruite nell’ideazione, creazione e trasformazione dello spazio, elaborate in differenti forme culturali e politiche. Strutturate in una concretezza di regole per il suo governo, organizzate in una compagine economica e interagenti con la realtà territoriale circostante. È questo che studia la urban history, facendo integrare i diversi settori di studio che indagano, o contribuiscono ad indagare, questi elementi. Il processo politico-amministrativo è una componente rilevante della storia della città così considerata. Costituisce, infatti, un fattore centrale della sua formazione e dei suoi

cambiamenti, sia nell’organizzazione spaziale e fisica che nelle realtà sociale, culturale e produttiva. Il binomio città e politica nella storia urbana è ineludibile: «il fatto politico è presente ovunque nella città», scrive Marcel Roncayolo, e Pietro Rossi ricorda come il rapporto tra la politica e la città risulti evidente dalla stessa etimologia del primo termine, dal greco polis che designa la città soprattutto nella sua organizzazione politica. Definire cosa accade in una città significa, allora, prima di altro individuare «chi dirige la città»: i ' M. Roncayolo, Città, in Enciclopedia, n, Einaudi, Torino 1978, pp. 59, 64; P. Rossi, La città come istituzione politica: Èimpostazione della ricerca, in Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, a cura di P. Rossi, Einaudi, TO: rino 1987, p. 5.

gruppi e le élites politiche locali, la loro capacità di amministrare, i loro rapporti con la politica nazionale, la capacità di fare egemonia, e l’abilità nel dominarei conflitti d’interesse e i conflitti sociali, contenendoli, eliminandoli o

assorbendoli. È partendo da questa premessa che si è voluto ricostruire un quadro della storia amministrativa di Roma contemporanea nel periodo della Repubblica: chi furono i sindaci della capitale, quali i partiti e le coalizioni che hanno governato dal dopoguerra a oggi, e quali le loro politiche e gli esiti delle scelte sulla città? La periodizzazione scelta, fino ai nostri giorni, permette di cogliere alcuni processi di lungo periodo, di osservare con più compiutezza alcuni cicli politici e di comprendere il passaggio cruciale rappresentato per Roma dall’anno 1993 che, con la fine dei partiti travolti da Tangentopoli e la prima elezione diretta del sindaco, ha provocato uno scompaginamento delle forze politiche locali e dei poteri economici. E ha dato inizio a una fase nuova della storia della città, tanto da indurre autorevoli giornali stra-

nieri a parlare di Nuovo Rinascimento di Roma. Le vicende urbanistiche sono centrali nello studio delle città; la loro forma fisica costruita, la loro morfologia è data dalle decisioni politiche ed economiche, e corrisponde all’organizzazione sociale che in esse si struttura. Roma ha avuto un percorso urbanistico sofferto e difficile, dal quale non si può prescindere per comprenderne storia e identità. Oltrepassando la svolta del 1993, è possibile oggi osservare l’ultima fase della lunga vicenda del piano regolatore. Quanto la rendita fondiaria sia stata motore dell’espansione della capitale, il ruolo che ha avuto come potere forie quali siano state le conseguenze della speculazione edilizia,èstoria ormai appurata e su cui sono state scritte pagine definitive, che hanno collocato Roma come un caso 4

esemplare nella storia delle città occidentali. Oggi della realtà romana, stabilizzata da tempo nelle sue dimensioni, appare più interessante osservare storicamente l’avvenuta evoluzione dei poteri forti della città, il passaggio dalla rendita a un soggetto politico-economico ben più complesso, dato da un legame tra finanza, rendita, industria, potere politico e servizi, proprio delle realtà urbane post-industriali. Sullo scenario romano tale soggetto si è dispiegato tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, e si può vedere come sia stato ricondotto in confini sicuri oltrepassando la data del 1993. Per poter comprendere questa realtà articolata, i cicli di governo della città devono essere considerati oltre che per composizioni di giunte anche per durata della partecipazione dei singoli partiti più importanti all’amministrazione, osservando che la Dc governò per un totale di ventinove anni e 9 sindaci, in due cicli, 1947-76 e poi 1985-93, il Psi per un arco più lungo, di trentuno anni, 1962-93, con un solo sindaco alla fine del periodo, e il Pci

per 9 anni per l’arco 1976-85, con 3 sindaci. Un ciclo a sé rappresenta quello aperto dal 1993, in cui combaciano giunte, compagine dei partiti e corso economico. Nella costruzione di una città un’idea sottende le scelte. Più d’una sono state le idee di Roma dal dopoguerra ad oggi. Dopo l’idea di capitale dell'impero fascista, per prima ritornò l’idea della capitale tranquilla, centro esclusivamente politico, città burocratica e non industriale, con cui dall’unità le classi dirigenti nazionali e locali avevano orientato lo sviluppo. Era ora fatta propria dalla Dc che su di essa costruiva l’idea e l’immagine di capitale religiosa. Gli si contrapponeva l’idea di capitale industriale, soltanto così definibile moderna e all’altezza delle altre capitali europee, formulata dal Pci. Alla fine degli anni sessanta si fece avanti confusa l’idea di metropoli democratica, espressa 5

indirettamente dai Comitati di quartiere e dalle nuove forme di organizzazione politica protagoniste della stagione del Movimento del ‘68, che pensavano a una città gover-

nata con il decentramento dei poteri decisionali. Negli anni settanta vi fu l’idea di metropoli ricomposta dalla sua contrapposizione centro-periferia, che cercò di atfermare Luigi Petroselli, oltre che con gli interventi per le periferie, con un’inedita politica culturale, ma che si realizzò soltan-

to in parte. Ad essa si contrappose in polemica l’idea di modernizzazione dei socialisti, che si sarebbe rivelata nel

decennio successivo prima di tutto trasformazione dei po-

teri economici che agiscono sulla città, e comunque degradata nella concretezza del malgoverno di Tangentopoli. Alla fine degli anni ottanta si evidenziò l’idea di una capitale forte del suo ruolo istituzionale che sostenne la legge 396/1990, «Interventi per Roma, capitale della repubblica». Per arrivare all’oggi, con l’idea di una città come comunità, dell’ultimo sindaco.

Nel sessantennio analizzato è possibile individuare alcune costanti nella storia di Roma. Innanzitutto, la storia

articolata della Democrazia cristiana romana, dall’appartenenza alla compagine del cosiddetto Partito romano fino alla sconfitta del 1993, caratterizzata in ognuna delle epoche considerate da un intreccio di influenze e posizioni di potere interne al partito locale, da cui numerose volte è di-

peso il destino amministrativo della città. E all’interno di essa l’importanza della figura nazionale di Giulio Andreotti. Poi la rilevante influenza della Chiesa e del Vaticano, dai sindaci ad esso legati degli anni cinquanta, all’inter-

vento esplicito in appoggio alla Dc e al richiamo morale negli anni ottanta degli scandali, fino ai rapporti accuratamente avveduti del sindaco Rutelli, prima e durante il Giubileo. Infine, l’importanza del ruolo esercitato dalla So6

vrintendenza per i Beni archeologici, sempre in affanno nel difendere la città artistica, anche nel Duemila.

Gli stimoli maggiori all’approfondimento dei temi riguardanti le città e alla comprensione della loro storia in Italia sono venuti più frequentemente dall’urbanistica, dalla sociologia e dalla demografia che dalla disciplina storica. La storia urbana, nel nostro paese, ha suscitato un interesse tardivo, dagli anni settanta?. Ed è forse per questo attardato avvio che la produzione storiografica su Roma del cinquantennio repubblicano è stata a lungo frammentaria. È soltanto nell’ultimo decennio che si è evidenziato un interesse degli studiosi, grazie a più d’una ragione: alcune iniziative editoriali stimolate dall’avvento del nuovo millennio, l’attenuarsi della centralità che la storia politica ha avuto tradizionalmente nella storiografia italiana, e non da meno la presenza di una rivista specifica quale «Roma moderna e contemporanea». Ma soprattutto l’interesse va attribuito a una nuova generazione di studiosi. Un panorama, quindi, diverso da quello di quasi dieci anni fa, quan-

do una più ristretta versione di questo studio fu pubblicata nel novembre 1997 in allegato a «il manifesto», con il titolo All'ombra del Campidoglio. Sindaci e giunte di Roma dal dopoguerra al 1993. Roma, marzo 2006

? Per L. Bortolotti questo ritardo italiano è attribuibile, oltre all’arretratezza del paese arrivato al superamento dell’autoconsumo agricolo solo negli anni cinquanta, all’ideologia antiurbana del fascismo che per due decenni bloccò l’elaborazione teorica su questo campo. L. Bortolotti, Architetti, urbanisti, e

storia urbana: alcune riflessioni, in «Storia urbana», 1984, 26, pp. 115-32.

Il dopoguerra (1944-46)

1. Il sindaco principe. Filippo Andrea Doria Pampbilj. Roma tornò ad essere libera dall’occupazione nazista e dal fascismo il 4 giugno 1944, grazie all’intervento delle truppe anglo-americane che entrarono in città muo-

vendo da Sud. La guerra intanto continuava nelle regioni centro-settentrionali. La responsabilità dell’urbe per i primi giorni fu affidata dal capo degli affari civili della v armata e del governo alleato a Roma, il generale Edgard E. Hume, al generale Roberto Bencivenga come commissario governativo straordinario, con il limitato compito di nominare un sindaco e definire la struttura dell’amministrazione capitolina. La decisione fu presa con il consenso del presidente del Consiglio dei ministri Pietro Badoglio, anche se il nome era poco gradito al Comitato di liberazione nazionale. Il compito del commissario si concluse, comunque, in pochi giorni con l'investitura il 10 giugno, in accordo con il Cln, del principe Filippo Andrea Doria Pamphilj, scelta compiuta nel solco di una tradizione che anche sotto il fascismo aveva visto la più alta carica di Roma ricoperta spesso da un esponente dell’aristocrazia. Doria Pamphilj era uno dei pochissimi nox)

bili romani antifascisti, per questo le forze del Cln concordarono. La vita ritirata che aveva sempre condotto si era trasformata in isolamento con l’avvento del regime,

da lui osteggiato con dichiarazioni e atti pubblici, che non si erano però sviluppati in scelte di appartenenze politiche d’opposizione'. Riguardo alla giunta, la decisione

fu che fosse composta dai rappresentanti dei partiti del Cln, due per ciascuna formazione».

Dopo la designazione del sindaco si pose il problema della scelta della forma amministrativa da dare alla capitale, poiché il governatorato, la particolare struttura che il regime nel 1925 aveva deciso per Roma, doveva essere abolito per la sua inconciliabilità con le istituzioni democratiche. Si doveva però decidere se semplicemente tornare alla legge comunale precedente, rischiando formule arretrate, o emanare nuovi provvedimenti. E in questo secondo caso si doveva stabilire se sostituire ad una legge speciale, quale era quella istitutiva del governatorato, un’altra normativa speciale, oppure se elaborarne una generale valida anche per le altre città, una volta liberate. Gli amministratori si pronun-

ciarono a favore di un ordinamento particolare che assicurasse autonomia alla capitale, mentre il governo non riten' Filippo Andrea Doria Pamphilj (Roma 1886-1958). Possidente di grandi proprietà terriere ed a RCA i suoi interessi erano stati prevaRe

agrari. Aveva rifiutato di ricevere nella sua casa Adolf Hirler, e

non aveva esposto le bandiere nere dalle finestre del suo palazzo durante la cerimonia delle fedi per la patria. Quando nel 1939 aveva espresso la sua contrarietà all’alleanza con

la Germania, era stato inviato al confino, da cui

due anni dopo era stato rilasciato grazie al Vaticano; durante l'occupazione nazista era riuscito a sfuggire ad un arresto. F. Bartoccini, Antifascismo a Roma. La protesta del prinape Doria, in «Studi romani», 1991, 3-4, pp. 267-78;

Bad 0° Andrea Doria Pamphilj Landi, in Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Roma 1992, ad nomen. ? Comune di Roma, Note sull’attività svolta dal’amministrazione co-

oa provvisoria nel periodo 16 giugno 1944-10 novembre 1946, Roma SIORIppro=t

10

ne opportuna questa formula che avrebbe potuto sottrarre la città al suo controllo. Così, nel novembre 1944 fu defini-

to un ordinamento amministrativo che ricollocò la capitale nel quadro generale della legge del 1915). Il lavoro di ricostruzione che l’amministrazione Pamphilj si trovò a dover affrontare era vasto e urgente. Moltissimi erano i profughi e i sinistrati romani, sistemati

negli appositi centri e negli edifici pubblici, o accampati in rifugi di fortuna, come il traforo di via del Tritone adibito a riparo d’emergenza. Occorreva, poi, ripristinare i servi-

zi. Quasi non funzionante era l'erogazione di energia elettrica, anche per l’illuminazione stradale, così pure la fornitura del gas, e disorganizzata era la distribuzione dell’acqua; inoltre, la crisi dei trasporti a causa del dissesto delle strade e della distruzione dei ponti, insieme alla prossimità delle operazioni di guerra, impediva il ritorno alla norma-

lità del rifornimento annonario. Un problema a sé erano le condizioni dell’infanzia. Nell’affrontare questa situazione il Comune era privo di fondi, poiché le condizioni finanziarie erano state aggravate dalla guerra e dall’occupazione tedesca che avevano fatto venir meno le sue entrate fondamentali. Per questo il comando militare americano istituì una divisione finanziaria presso la Banca d’Italia per finanziamenti all’amministrazione romana, che però rallentarono quando questa fu passata agli organi del governo italiano. Il problema del disavanzo del bilancio comunale non fu risolto dalla giunta Pamphilj, e andò aggravandosi nel giro di po? D.lgs. n. 426/1944, «Soppressione del Governatorato di Roma e disciplina giuridica dell’Amministrazione comunale della Capitale». M. Melini, //

primo venticinquennio repubblicano, in Cripes, La capitale e lo Stato. Governo centrale e poteri locali a Roma. 1870-1990, in «Quaderni di Roma Capitale», 1992, 5, pp. 75-100, in part. 75-7.

1l

co tempo; fu affrontato con il metodo più facile, e in quel momento l’unico, cioè con contributi dello Stato e mutui

della Cassa depositi e prestiti e del Consorzio di credito per le opere pubbliche, prassi che si sarebbe consolidata con le giunte successive. Nell’opera di ricostruzione la giunta Pamphilj non poté contare sulla struttura degli uffici del Comune, disorganizzata a causa dell’assenza dal servizio di molti dipendenti, sbandati o impossibilitati a

rientrare dal Nord, e snaturata dall’ingrossamento dell'organico compiuto sotto il governatorato con gli avventizi, privi di qualifica e suddivisi in innumerevoli categorie che complicavano la riorganizzazione; vi si aggiungeva il problema del numero di reduci da assumere come stabilito dalle disposizioni legislative. La situazione organizzativa del Comune era tale, insomma, che la giunta decise di formare una specifica Commissione per la revisione del regolamento interno'. Per quanto riguarda gli stollati fu creato nel marzo 1945 un ufficio specifico, e in seguito una Commissione di coordinamento tra vari enti. Subito dopo la Liberazione era stato disposto il loro smistamento in vari campi distanti dalla città per organizzarne il ritorno nei luoghi d’origine, ma in molti erano rimasti nelle scuole e negli edifici di proprietà comunale. Circa la situazione dei servizi, i danni apportati dalla guerra agli impianti di diffusione dell'elettricità sottoponevano la città a un continuo razionamento, che si trascinò fino alla fine degli anni quaranta; i

danni alla rete di distribuzione dell’acqua provocati dai bombardamenti

aerei furono

riparati in breve tempo,

‘ Commissione alleata e presidenza del Consiglio dei ministri - Istituto di statistica, Censimenti ed indagini per la ricostruzione nazionale eseguiti nel settembre 1944, Roma 1945, pp. 168-75, 208-9; Comune di Roma, Note sull’attività svolta cit., pp. 11-35. 12

mentre quelli ai serbatoi causati dai tedeschi in ritirata non erano ancora risolti allo scadere del mandato della giunta Pamphilj; anche gli impianti del trasporto pubblico erano stati danneggiati dai bombardamenti e dalle requisizioni tedesche, e il parco mezzi dell’Atac risultava nel 1946 più che dimezzato rispetto a prima del conflitto, così l’esercizio era quasi inesistente e il servizio sostituito dalle «camionette» private. L'assistenza all’intanzia rappresentava una questione assai vasta, nella quale contluivano i problemi dell’assenza

di strutture, della mancanza di fondi, dell’inadeguatezza del sistema sanitario e dei bassi livelli d’istruzione della popolazione adulta. Nel dopoguerra sui minori gravarono in particolar modo le cattive condizioni igienico-sanitarie della città. I pochi anni del conflitto, infatti, avevano vanificato il trentennio di lavoro grazie al quale la capitale aveva raggiunto una situazione sanitaria tra le migliori del paese, e molte malattie avevano avuto una recrudescenza. Durante la guerra vi era stato un afflusso continuo di individui in stato di miseria, le abitazioni si erano sovraffollate, il cibo era diminuito, in particolare gli alimenti per

bambini, il riscaldamento e gli indumenti di lana erano mancati, e le strutture scolastiche erano divenute sempre

più insufficienti; la situazione si era aggravata con le distruzioni operate dai tedeschi in ritirata e con la perdita delle fonti di approvvigionamento del Nord. Comunque, le misure approntate dall’amministrazione riuscirono a far diminuire i casi di malattia‘. s Ibid., pp. 66-88, 114-5, 127-31; S. Battilossi, Acea di Roma. 1909-1996. Energia e acqua per la capitale, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 213-18; G. Pagnotta, Roma in movimento nelle fotografie dell ‘archivio Atac, Editori Riuniti, Roma 2002, pp. 31-2. 6 Comune di Roma, Note sull’attività svolta cit., pp. 89-105.

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I veri rifornimenti della città avvenivano attraverso la borsa nera, non osteggiata dalle autorità. I beni distribuiti

con il sistema del tesseramento erano di pessima qualità e in ogni caso sparivano subito, mentre al mercato nero si poteva trovare tutto, ma a prezzi molto elevati. Dai giornali dell’epoca e dalle cronache di polizia si apprende che la dimensione del fenomeno era molto estesa, e che quasi tutti i romani con il ruolo di venditore o di acquirente vi partecipavano. Nel dicembre 1944 la popolazione esasperata saccheggiò i negozi di generi di lusso di via Nazionale, e per tutto l’inverno si verificarono episodi simili nei mercati del centro ad opera di donne dei quartieri popolari di Testaccio, Garbatella e Trastevere. Il fenomeno della

borsa nera era talmente diffuso che la prefettura, decisasi solo nel dicembre 1946 a colpire i borsari, dovette ricevere una loro delegazione, che, comunque, collaborò fornendo

i nominativi dei grossi speculatori e delle ditte che alimentavano gli affari”. Questa situazione era favorita anche dalla disoccupa-

zione. Le autorità — amministrazione locale e governo — tentarono di darvi risposta approntando fin da subito i lavori pubblici di ricostruzione di cui la città aveva bisogno. I primi cantieri furono predisposti nel maggio 1945 con la modalità dell’appalto ad imprese edili attraverso il Genio civile; il sistema era denominato dei «cantieri a regia», cioè pagati in base al numero dei lavoratori e alla quantità di terreno spostato. Ma si trattò di un’esperienza fallimentare, che poco incise sull’entità della ricostruzione della città, che non diminuì la disoccupazione e che, anzi, si trasformò in coagulo di agitazioni; così, fu la Camera del la? T. Lombardo, // mercato nero a Roma, in L'altro dopoguerra. Roma e il sud. 1943-1945, a cura di N. Gallerano, Franco Angeli, Milano 1985, pp. 181-90.

IE;

voro ad avviarne la critica, proponendo di deviare sull’ini-

z10 della ricostruzione edilizia i miliardi stanziati. Nell’ottobre 1946 si verificò il peggio, quando in seguito al licenziamento degli operai per la chiusura dei cantieri, si generò davanti al Viminale uno scontro con le forze dell’ordine, a

cui le ditte appaltatrici non furono estranee, con 4 morti e 141 feriti. In quello stesso autunno si passò al sistema detto «a misura», ossia con pagamento calcolato sul lavoro svolto e non in relazione al numero dei lavoratori impiegati, e dopo pochi mesi, nel febbraio 1947, fu avviata la li-

quidazione definitiva dei cantieri*. Subito dopo la guerra, vera autorità nella capitale furono le truppe americane comandate dal colonnello Charles Poletti. Con le camionette, unico trasporto per le persone e per le merci, erano presenti quasi dappertutto. In quei mesi a Roma vi erano anche altri eserciti, ma come nel resto d’Italia erano le truppe americane ad impersonare 1 salvatori. Anche a Roma con le scatolette di carne e la cioccolata rappresentavano un livello di benessere e un modello di vita irraggiungibili per la popolazione uscita dalla guerra. Ma iromani non arrivavano alle mitizzazioni della popolazione delle regioni meridionali, che già da prima del conflitto guardava all'emigrazione in America come all’unica speranza di fuggire la povertà. Comunque, incuriositi, si recavano anche a vedere i soldati indiani accampati a Villa Borghese e le truppe brasiliane a piazzale delle Muse. * G. Pagnotta, Roma industriale: crisi e ristrutturazione tra dopoguerra e anni Cinquanta, tesi di dottorato, Università «La Sapienza», Roma 2000; G. Contini, Condizioni di vita e lotte operaie a Roma dopo la Resistenza (giugno 1944- dicembre 1947), in «Quaderni della Resistenza laziale», 5, 1977, 7-120.

dr, L. Piccioni, Roma e gli Alleati. Solo il primo gradino di un lungo dopoguerra, in Gallerano (a cura di), L’altro dopoguerra cit., pp. 191-212. 5

L'amministrazione del principe Doria Pamphilj affrontò tutte queste difficoltà con una linea di concordia apolitica. Rimase famoso il richiamo alla frase romana «volemose bene» con cui il sindaco concluse il suo primo

discorso alla popolazione. Si riferiva a una comunione d’azione tra 1 partiti e, animato dallo stesso spirito di superamento delle divisioni, si recò nel luglio 1944 dal pontefice a ringraziarlo per la protezione data alla città durante la guerra. Pamphilj guardava a una vecchia Roma aristocratica e vaticana, cioè a una Roma improponibile nell’Italia che si era formata alla democrazia con l’esperienza della Resistenza, e che inoltre gli aumenti imponenti dell’ondata immigratoria e le accelerazioni nello sviluppo stavano per modificare nella sua composizione sociale. Mentre Doria Pamphilj invitava all'unità, le formazioni politiche definivano i propri obiettivi e le proprie strategie, dando Vita a una realtà politica nuova. A questa scena politica e culturale che si stava animando Pamphilj risultava estraneo. Terminò il suo mandato con le elezioni amministrative del novembre 1946", Nel frattempo, il 2 giugno 1946 si era tenuto l’importante appuntamento del referendum sulla monarchia. Con

il 53,8% dei voti a favore della monarchia e il 46,2% per la repubblica, Roma si era collocata nella cerchia delle città

monarchiche. In realtà considerando il totale del voto non espresso, degli astenuti, delle schede bianche e di quelle nulle, che raggiunse il 20,9%, è più corretto considerare

Roma «agnostica»"!.

° Bartoccini, Antifascismo a Roma cit; Ead., Filippo Andrea Doria Pamphili Landi cit. E

16

Ferrarotti, Roma madre matrigna, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 90.

II. Le giunte centriste (1947-62) 1. La Democrazia cristiana

e il Partito comunista

a Roma.

Una contrapposizione ideologica e di valori segnò il clima politico italiano e le scadenze elettorali del dopoguerra e degli anni cinquanta. A Roma lo scontro fu tra una Democrazia cristiana con una sua specificità locale, e una sinistra formata da Partito comunista, Partito sociali-

sta italiano di unità proletaria' e inizialmente Partito d’azione, di cui il Pci era il più radicato. Nel dopoguerra la Dc era poco strutturata e non aveva ancora un saldo apparato organizzativo, sebbene vi fosse già un ampio spazio di azione politica coordinato dalle strutture di volontariato religioso preesistenti e dalle parrocchie. Si caratterizzava come partito moderato e il suo principale elemento di forza era l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche. In particolar modo era la Dc capitolina ad avere un rapporto stretto con il Vaticano, intorno al quale si stringeva un fitto sistema di relazioni, legami e interessi non solo politici a cui è stata attribuita la definizione di Partito romano. Andrea Riccardi lo ha definito non un partito, quanto ! Così si chiamavano i socialisti, che riacquisirono la vecchia denomina-

zione di Partito socialista italiano con il xxv Congresso del gennaio 1947. 17

una lobby interna al mondo ecclesiastico, assai influente, d’orientamento politico clerico-moderato. [...] Le espressioni «partito» o «gruppo» rendono malamente, in modo troppo rigido, il sistema di alleanze ed amicizie, di comunanze ideali, di comunione di obiettivi, spesso estremamente solido ma non privo di temperamenti, di sfrangiature: si tratta[va] di un sistema volontaristico di convergenze, senza disciplina alcuna, "i riga nell’unico impegno «per il bene della chiesa» e nell’obbedienza al papa. [...] Si trattava di un disegno complesso, entente cordiale tra cattolici, borghesia, politici prefascisti e ceti medi.

Questa articolata compagine aspirava alla creazione di un partito clerico-moderato con l’obiettivo dell’arretramento delle sinistre, nella convinzione che nel paese vi fosse un’area di destra cattolica molto estesa e non rappresentata nei confini dei partiti. Tale progetto attraversò varie fasi che così si possono riassumere: valorizzazione della classe politica pretascista, tentativo di formazione di un secondo partito cattolico, infine pressioni sulla Dc per una linea più moderata. Si trattava di un disegno superato nella realtà politica italiana del dopoguerra, che venne sconfitto negli anni cinquanta. Ad esso si oppose, infatti, Alcide De Gasperi, il quale riteneva che la sconfitta delle sinistre dovesse essere ottenuta tramite un abile sistema di alleanze politiche, e nell’ultima delle fasi delineate si ritrasse anche la stessa Santa Sede, di fronte al pericolo della fran-

tumazione partitica del cattolicesimo italiano. Dopo la guerra, il Pci divenne partito di massa in poco tempo, tenendo insieme gli intellettuali e gli operai che avevano costruito la Resistenza nella città, e la massa di

sottoproletariato delle periferie. A differenza delle città industriali del Nord dove la base referente era la classe operaia sindacalizzata, nella capitale la spina dorsale del parti? A. Riccardi, Il «Partito romano» nel secondo dopoguerra (1945-1954), Morcelliana, Brescia 1983, pp. X-XI, XV. 18

to era data dall’unione tra una limitata classe operaia politicizzata delle categorie a Roma tradizionali (poligrafici, tranvieri e pochi metalmeccanici) e questo articolato universo di marginalità. Centrale in tale quadro sociale era la figura dell’edile, tramite fra l'operaio cosciente e l’immigrato, tra la «classe» e il «popolo»?. Anche il sindacato appariva proiettato al di fuori della fabbrica, più impegnato in lotte sociali che in vertenze specifiche o sulla condizione operaia in fabbrica. La dimensione politica delle lotte, dunque, in questi anni prevalse su quella economica, e ricostruzione, occupazione, sviluppo industriale e democrazia furono le articolazioni di una strategia unica della sinistra. La dialettica tra le forze politiche nella Roma del dopoguerra e degli anni cinquanta si svolse sul panorama di una città con gravi questioni sociali. Da sempre Roma era stata meta di consistenti flussi migratori di gente che forniva alla città mestieri specifici secondo la provenienza regionale, e soprattutto di popolazione rurale professionalmente non qualificata. Con la fine del conflitto bellico che aveva colpito anche le province limitrofe e aumentato le difficoltà per le classi più povere, e con il decadimento dei provvedimenti fascisti contro l’immigrazione nella capitale, l’ondata immigratoria aumentò. Così, alle borgate Gordiani, San Basilio, Val Melaina ecc., create negli anni tren-

ta dal fascismo, che ai margini della città aveva spostato la popolazione più umile del centro per far spazio alle trasformazioni della capitale, si andarono aggiungendo vasti > P. Bufalini, Dalla guerra fredda al luglio 1960 di Porta S. Paolo, alla formazione del centro sinistra (1958-1963), in Il Partito comunista a Roma dalla fondazione al 1976, s.e., Roma 1984, pp. 71-91; G. Congi, L'altra Ro-

ma. Classe operaia e sviluppo industriale nella capitale, De Donato, Bari

1977, p. 18.

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agglomerati di baracche costruite con i più disparati mate-

riali. Misere abitazioni di fortuna e rifugi di diversa natura si trovavano quasi ovunque fuori le mura, ma l’espansione maggiore era tra le vie Prenestina e Appia Nuova. Qui anche le arcate degli acquedotti romani, chiuse in differenti modi, come all’inizio del secolo continuavano ad essere

adibite a dimore, lungo tutta via del Mandrione e via dell’Acquedotto Felice fino a Tor Fiscale. Vi erano poi le baracche sorte lungo la ferrovia Roma-Firenze, tristemente famose per le frequenti disgrazie che avvenivano sui binari senza protezione. Un quadro di questa povertà fu tracciato negli Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla*. Se già per le borgate del ventennio fascista i servizi erano limitati in comune, per i nuovi era alcuno.

(le casette minime di Gordiani avevano bagni strade non asfaltate e collegamenti inesistenti), insediamenti, in quanto spontanei, non ve ne Mancavano acqua, energia elettrica, rete fo-

gnaria e gas, e si trovavano quindi esposti a epidemie e flagelli di ogni genere. Nel 1946 subirono lo straripamento dell'Aniene, nell’estate del 1949 per l’insufficienza d’acqua tarli e termiti invasero le strade non asfaltate, ma so-

prattutto rimase nella memoria l’alluvione dell’agosto 1953, causata dall’insufficienza delle fognature cittadine.

Ogni quartiere romano ne riportò disagi, e per le borgate fu una calamità? ‘ G. Berlinguer - P. Della Seta, Borgate dî Roma, Editori Riuniti, Roma

1976; Camera dei Deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla, Roma 1953; parte degli Atti sono stati pubblicati anche in P. Braghin, Inchiesta sulla miseria in Italia, Einaudi, Torino 1978.

î Migliaia di senza tetto per l’allagamento della periferia e del centro di Roma, in «Il Messaggero», 15 novembre 1946; per l’invasione di tarli si veda «L'Unità», 2 agosto 1949; l’alluvione si verificò il giorno 27, si veda la stam-

pa delle date successive. 20

Vittime privilegiate della povertà e del conseguente degrado continuarono ad essere i bambini, abbandonati alla

vita di strada. Le drammatiche condizioni dell’infanzia di allora si misuravano anche negli innumerevoli e disparati incidenti di cui erano piene le cronache della stampa, come ingestioni di sostanze velenose, cadute o investimenti automobilistici. Una piaga particolare erano le marrane dove i bambini facevano il bagno, rischiando contaminazioni e annegamenti. 2. Il sindaco del Partito romano. Salvatore Rebecchini.

Le prime elezioni amministrative della storia di Roma repubblicana si svolsero il 10 novembre 1946. Le sinistre unite nel Blocco del popolo (Pci, Psiup, Pd’a) vinsero con una maggioranza del 36,9%. Negli altri dati si distinse l’affermazione dell’Uomo qualunque con il 20,7%, seguito da Dc al 20,3%, Pri al 7,8%, Partito monarchico al 7% e Pli

al 5%. Le trattative per l’elezione della giunta e del sindaco e il loro esito rappresentarono la prima rottura della coalizione resistenziale, che a livello nazionale si sarebbe

consumata dopo pochi mesi con la formazione nel maggio 1947 del rv governo De Gasperi. Si trattò, inoltre, della pri-

ma chiara convergenza tra il partito cattolico e le forze di 6] dati elettorali e referendari fino al 1992 sono tratti da N. Porro, // ce-

mento e la ricotta. Per una sociologia del sistema

partitico romano (1946-

1992), Seam, Roma 1993; per gli anni successivi dalla stampa. Sulle amministrazioni capitoline si veda A. Caracciolo, / sindaci di Roma, Donzelli, Roma 1993; Roma del Duemila, a cura di L. De Rosa, Laterza, Roma-Bari 2000

e, in particolare, il saggio di M. De Nicolò, / problemi della capitale, le scelte capitoline, pp. 80-117; V. Vidotto, Roma contemporanea, Laterza, RomaBari 2001.

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destra, che segnò il punto di partenza di una lunga storia locale caratterizzata dal ruolo egemone della Democrazia cristiana. La Dc approntò una strategia che in poco tempo

collocò fuori dall'’amministrazione cittadina le sinistre. Dapprima propose la costituzione di una giunta formata da tutti i partiti secondo il criterio proporzionale, ma il Blocco e il Pri, come era prevedibile, non potevano accon-

sentire a una giunta formata dagli antirepubblicani Partito monarchico e Uomo qualunque. Intanto per la carica di sindaco, il più votato era risultato il socialista ministro dei Lavori pubblici Giuseppe Romita candidato del Blocco e del Pri, che non ottenendo però la maggioranza assoluta non era stato eletto. A questo punto si delineò un accordo tra Dc, Pli, monarchici e Uomo qualunque, per una soluzione più definita ma ugualmente inaccettabile per il Blocco, ossia giunta proporzionale guidata dal democristiano Salvatore Rebecchini. L’11 dicembre questi fu eletto, e in un’aula con un pubblico numeroso e partecipe fu avanzato il tentativo di giunta proporzionale, che non riuscendo indusse Rebecchini nella stessa giornata alle dimissioni. Ma queste non mutavano i termini politici dell’accaduto: una figura locale priva di biografia politica era stata contrapposta al ministro Romita, e la Dc aveva preferito un’alleanza di destra alle intese resistenziali”. ? Archivio Storico capitolino (d’ora in poi Asc), Deliberazioni della Giunta (d’ora in poi DG), 4 dicembre 1946, pp. 4129-39; ivi, 11 dicembre

1946, pp. 4140-55; I/ Consiglio comunale si riunisce oggi per l’elezione del

Sindaco e della Giunta, in «Il Messaggero», 4 dicembre 1946; // Sindaco non

è stato eletto dopo tre insufficienti votazioni, ivi, 5 dicembre 1946; Il Blocco del Popolo contrario ad una Giunta formata da tutti i Partiti, ivi, 10 dicembre 1946; Dimissioni del Sindaco e della Giunta subito dopo la loro elezione, ivi, 12 dicembre 1946; Le ripercussioni a Montecitorio e nei partiti di sinistra,

ivi, 12 dicembre 1946; La crisi capitolina al centro della situazione politica, ivi, 13 dicembre 1946.

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Dopo alcuni tentativi di trattative, si passò a un regime commissariale, con la nomina il 28 dicembre del vicecapo della polizia Mario De Cesare a commissario prefettizio, carica che il 1° gennaio 1947 fu trasformata in commissario straordinario*. Le nuove elezioni amministrative si svolsero il 12 ottobre 1947. Un anno cruciale per la storia italiana, durante il quale si ritirarono le truppe americane e il presidente degli Stati Uniti Harry Truman enunciò la sua dottrina di aiuto economico e militare ai paesi minacciati dal comunismo, si consumò

la scissione socialdemocratica, e con la forma-

zione del governo De Gasperi si ruppe la coalizione delle forze resistenziali. La campagna elettorale romana ebbe toni aspri e registrò episodi di violenza, in uno dei quali trovò la morte un iscritto al partito democristiano in uno scontro con militanti del Blocco all’Esquilino, durante l’ultima notte di campagna elettorale’. In campo scesero leader nazionali * Un colloquio con De Cesare, ivi, 29 dicembre 1946. °Si tratta niun episodio controverso. Dei fatti che quella notte si svolsero a piazza Dante e in cui vide la morte per una coltellata al ventre il giovane democristiano Gervasio Federici esistono tre versioni. Secondo la ricostruzione del processo, il giovane fu ucciso da alcuni militanti del Pci, perché si era rifiutato di inneggiare al comunismo. Nella versione dei protagonisti, in seguito condannati, centrale era, invece, la presenza tra idemocristiani di pic-

chiatori fascisti della zona, che sarebbero stati i veri artefici dello scontro. Secondo questa versione i due gruppi inizialmente decisero di risolvere il con-

trasto facendo combattere due rispettivi esponenti; nella lotta ebbe la meglio il rappresentate della sinistra, pugile professionista, e allora cominciò una rissa 5% si protrasse per molte ore, e nella quale le forze dell’ordine intervennero tardivamente e con arresti indistinti. I condannati si dissero innocenti e certi che l’omicidio fosse stato compiuto dalla mano esperta di uno degli esponenti di destra presenti, data la precisione della ferita mortale inferta al-

la vittima. La terza versione è quella di Giulio Salierno, all’epoca dei fatti giovane fascista del quartiere, che ha descritto con precisione il clima di si

za di destra della città nei primi anni del dopoguerra, e che sulla vicenda ha riportato la notizia allora circolante secondo cui l’omicida era uno sfollato,

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come Giuseppe Saragat e Edoardo D'Onofrio, che risultò il più votato nella lista delle sinistre compilata per ordine altabetico!. Il miglior risultato lo ottenne di nuovo il Blocco con il 33,3%, subendo però un calo rispetto alla consultazione precedente per l'avvenuta scissione dei socialdemocratici, che ottennero il 3,9%. Gli altri risultati furono: Dc 32,7%, l’Uq si dimezzò scendendo al 10,5%, Pri 5,9%, monarchici 5,3%, Msi il 3,9%, e Pli 1,9%. Mentre fin dalla campagna elettorale il Blocco del popolo si era pronunciato per una collaborazione tra le forze antitasciste, la Democrazia cristiana escluse subito la collaborazione con la sinistra e scelse un'alleanza di centro-destra, appoggiandosi alle varie formazioni di destra che avevano 17 consiglieri. Il Pri avanzò la proposta di un accordo tra tutti i partiti con l'esclusione del Msi e dei monarchici, a cui ospitato insieme ad altri in una scuola nei pressi (Id., Memorie dî un piochiatore fascista, Einaudi, Torino 1976, pp. 92-4). L'omaggio alla salma e ì funerali sì trasformarono in un fatto pub Di dì campagna elettorale, dì cui sì eb-

bero ripercussioni anche alla Costituente, segnando la dìvaricazione tra le

due torze politiche resistenzialì non solo a Roma. La vicenda giudiziaria sì snodò attraverso un primo processo che condannò gli imputati per omicidio preterintenzionale e una sentenza della Corte d’appello, che prosciolse alcuni imputati e confermò il giudizio per gli altri. Fro sul aemion che da portato gli squadristi democristiani în piazza Dante, în «L'Unità», 16 ottobre 1947: Ignobile speculazione elettorale sulla salma di Gervasio Federia, ìvi, 14 ottobre 1947; L'assassinio di Gervasio Federici im un comunicato del Ministero dell’Interno, in «Il Messaggero», 13 ottobre 1947; // commosso omaggio di popolo alla salma di Gervasio Federici, în «Il Popolo», 14 ottobre 1947: 27 commosso saluto di Roma alla salma di Gervasio Federici, în «Il Messaggero», 15 ottobre 1947; Roma ba dato l’ultimo saluto fiera e commossa al Caduto per la Libertà, in «Il Popolo», 15 ottobre 1947; L'uccisione di Gervasio Federici provoca vivaci scontri alla Costituente, in «Il Messaggero», lé ottobre 1947; De Gasperi e Scelba hanno dato il via alla campagna dî odio e di di-

scordia, in «L'Umtà», 16 ottobre 1947; G. Sala, La scuola della violenza, în «Il

Popolo», 14 ottobre 1947, Sull’analisi del ceto politico romano di quegli anni sì veda L. Muscì, 77 Consiglio comunale di Roma, in A. Manca A. Mignemi, M. Revellì, Le élites politiche locali e la fondazione della Repubblica, Franco Angelì, Milano 1991, pp. 241-5.

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Blocco e socialdemocratici diedero disponibilità, mentre

la Dc ribadì l'esclusione di ogni ipotesi di collaborazione con le sinistre e invitò repubblicani e socialdemocratici alla verifica di un accordo che andasse dai socialdemocratici al’Uq. I due partiti declinarono l’invito che li avrebbe costretti a un repentino cambiamento di linea, e i repubblicani proposero alla carica di sindaco l’avvocato Giovanni Selvaggi, come pacificazione dopo i toni violenti della campagna elettorale. Il Blocco chiarì che aderiva alla proposta repubblicana nell’interesse della città, pur ritenendo di essere in dovere di proporre un proprio candidato verso gli elettori che gli avevano dato il primo posto, e invitò 1 democristiani a fare altrettanto. Ma la Dc non modificò la volontà di assumere la guida della nuova amministrazione, in quanto forza che come partito, e non come coalizione, aveva ottenuto più voti. Temeva, inoltre, che la formula della collaborazione facilitasse il Blocco,

come era avvenuto alle precedenti amministrative quando 1 democristiani avevano perso consensi a favore dell’Uq. Alla fine il 5 novembre fu rieletto sindaco Rebecchini,

contro il repubblicano Selvaggi, appoggiato da Blocco del popolo, Pri e socialdemocratici, mentre i monarchici votarono un proprio candidato". "! Si veda la stampa dal 16 ottobre al 6 novembre, in

particolare: La nuo-

va amministrazione può nascere solo dall’accordo tra Blocco e Dc, in «L'Unità», 16 ottobre 1947; / repubblicani avanzano una proposta di mediazione, ivi, 17 ottobre 1947; Appello dei repubblicani al B. d. p. e alla Dc per un’amministrazione democratica, ivi, 22 ottobre 1947; Repubblicani e saragattiani

respingono le proposte Dc per una giunta reazionaria, ivi, 29 ottobre 1947; Nuovo rifiuto alla D.C. dei repubblicani e saragattiani, ivi, 1° novembre 1947; Roma lotterà contro la Giunta dei clericali, dei monarchici e dei fascisti, ivi, 4 novembre 1947; Rebecchini sindaco del Vaticano con i voti dei monarchici e

dei fascisti, ivi, 6 novembre 1947. Si veda anche R. Morassut, Ammunistrazione e politica a Roma (1947-1952), tesi di laurea, Facoltà di Lettere, Università

«La Sapienza», Roma 1994, pp. 282-92. 25

Salvatore Rebecchini!, coniugato con la marchesa Beatrice Mazzetta di Pietralata, esponente di un’influente famiglia della città, fu una figura rappresentativa dell’ambiente culturale e politico della capitale, caratterizzato dall’influenza del Partito romano; costituì una giunta Dc, Uq e Pli, appoggiata dal Msi e dal rappresentante del Partito ine

i

Ci vollero tre mesi perché il nuovo sindaco esponesse il suo programma. Il commissario straordinario De Cesare aveva redatto alcune indicazioni di lavoro per la nuova giunta riguardanti l'emanazione di una Legge speciale per Roma, l’attuazione del decentramento amministrativo e lo studio di un nuovo piano regolatore. Rebecchini ne recepì il punto sulla legge speciale delegando interamente a questo intervento dello Stato il risanamento finanziario del Comune, rimandò il decentramento, e non fece accenno al

piano regolatore; la sola preoccupazione che emerse fu il completamento, per il Giubileo del 1950, delle opere urbanistiche iniziate dal fascismo". Il compimento entro questa data di tre opere già iniziate fu la sola iniziativa intrapresa e portata a termine dalla prima giunta Rebecchini. La costruzione di via della Conciliazione era stata sospesa durante la guerra e gran parte !? Salvatore Rebecchini (Roma 1891-1973). Ingegnere, aveva partecipato

alla prima guerra mondiale come ufficiale del Genio, e in seguito aveva esercitato la libera docenza alla Facoltà di architettura di Roma. Dal 1944 al 1947 aveva fatto parte della ricostituita Deputazione provinciale di Roma con la responsabilità dei Lavori pubblici. «Capitolium», n. 10-11-12, 1947, p. 66. ‘ Ricostruire la composizione delle giunte con le rispettive appartenenze di partito da una fonte ufficiale non è interamente possibile, le ricostruzioni del volume sono quindi condotte sulla stampa. / democristiani si son fatta la giunta, in «Avanti!», 5 novembre 1947. “ asc, Consiglio comunale (d’ora in poi CC), Relazione sull’opera svolta dall’Amministrazione straordinaria nel periodo 1° gennaio-12 ottobre 1947, 5 novembre 1947, pp. 2-3; ivi, 29 gennaio 1948, pp. 4-17.

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dei palazzi dovevano ancora essere demoliti. Ma nonostante problemi tecnici riguardanti la mole degli edifici, fu pronta per la data stabilita. Del progetto di due grossi viali passanti rispettivamente a sud e a nord del Vaticano come entrata nella città dalla via Aurelia, il fascismo aveva

iniziato i lavori per il passaggio a sud con la costruzione del traforo e del ponte; Rebecchini ne realizzò il viale che prese il nome di Gregorio VII, e intraprese i conseguenti sventramenti dell’area intorno a San Giovanni dei Fiorentini e il taglio della via Giulia. Anche i lavori per la ristrutturazione e l’ampliamento della stazione Termini si erano fermati con la guerra; erano state edificate le due ali laterali, ma per la facciata l’amministrazione ferroviaria preferì modificare il progetto originario considerato spropositato e irrazionale nell’uso degli spazi interni!’ Tra iprogetti non completati dal regime vi era anche la costruzione del quartiere dell'Esposizione universale di Roma (Eur). Fino ad allora era stato coordinato da un en-

te specifico che ne aveva la proprietà dei terreni. Nel 1948 un consorzio d’imprese (Fiat, Snia-Viscosa, Società gene-

rale immobiliare, Montecatini) e l Amministrazione speciale della Santa Sede si costituirono in Istituto città del progresso, proponendo di farne entro il Giubileo un’area destinata alla scienza e alla ricerca, ma l’istituto si sciolse un anno dopo, mentre la giunta non esaminava la questione. Le operazioni si riavviarono quando alla presidenza dell'Ente Eur fu chiamato Virgilio Testa, ideatore dell’e5 I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica (1870-1970), Einaudi, Torino 1993; si veda anche L. Benevolo, Roma da ieri a domani, Laterza, Bari 1979; P. Della Seta - R. Della Seta, / suoli di Roma. Uso e abuso

del territorio nei cento anni della capitale, Editori Riuniti, Roma 1988; M. Sanfilippo, La costruzione di una Capitale. Roma 1911-1945, Silvana editoriale, Milano 1993; Id., Le tre città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini DD; oggi, Laterza, Ron Bari 1993.

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spansione di Roma verso il mare assunta dal fascismo, che

si adoperò affinché vi si realizzasse un nuovo quartiere residenziale con servizi espositivi. Ma nel frattempo vendette le aree a privati, alcuni dei quali avevano fatto parte dell’Istituto suddetto". La grave situazione abitativa rendeva urgente la definizione di un nuovo piano regolatore. Già prima che Rebecchini divenisse sindaco l’Istituto nazionale di urbanistica (Inu) aveva dichiarato vecchio il piano del 1931 e inadeguati i suoi piani particolareggiati, e la Commissione urbanistica del Comune si era associata. Si doveva però risolvere il problema dell’insufficienza della normativa per il periodo che sarebbe intercorso fino all’approvazione del nuovo piano regolatore, e l’Inu ipotizzò la via intermedia della revisione del piano. La decisione sul da farsi venne definita durante due riunioni dell’Unione romana ingegneri e architetti (Uria) nell'inverno 1948-49, dove Testa

sostenne la conservazione di tutte le norme del piano regolatore del 1931, mentre si sarebbe iniziato lo studio del nuovo. Il suo obiettivo, e quello di quanti lo appoggiavano, era l’utilizzo delle norme che permettevano l’espansione detta «a macchia d’olio», con la certezza che gli articoli sull’esproprio non sarebbero stati applicati a causa del dissesto finanziario del Comune. Il piano regolatore del 1931, che doveva scadere nel 1952, fu così prorogato con leggi

successive al 1958". Per la questione abitativa poco erano in grado di operare gli organi statali competenti (Istituto case popolari e Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato),

non essendo in condizioni finanziarie tali da potersi impeL. Di Maio - I. Insolera, L’Eur e Roma dagli anni Trenta al Duemila,

Laterza, Roma-Bari 1986; Insolera, Roma moderna cit., pp. 231-45.

!” Ibid., pp. 179-84.

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gnare in ampi programmi. Fu allora istituito nel 1949 l'Ente Ina-casa, che poteva avvalersi dei fondi internazionali dell'European Reconstruction Program. Per quanto riguarda invece l’attività edilizia comunale, l’unico grosso intervento fu il quartiere di Villa Gordiani, edificato tra il 1952 e il 1953 con una parte dei finanziamenti ottenuti dalla Cassa depositi e prestiti. L'opposizione chiedeva più tempo per programmare, e criticava la scelta dell’area, necessitante di costosi lavori di sistemazione del terreno interessato da resti archeologici e antiche cave, e inadatta sotto il profilo ambientale per la presenza dell’industria SniaViscosa. La collocazione in quel luogo avrebbe, inoltre, va-

lorizzato i terreni circostanti avviandone l’uso speculativo. Fatto che si verificò nel giro di pochi anni con la lottizzazione dell’intera area da Porta Maggiore al Quarticciolo, e che fruttò enormi guadagni alla famiglia Lancellotti proprietaria dei terreni. Per questi motivi l'opposizione soprannominò il futuro quartiere Rebecchinia". Nello stesso modo, l’insediamento Ina-casa iniziato al

Valco di San Paolo nel 1949 avviò lo sfruttamento della zona di viale Marconi, e l’insediamento sulla Tuscolana

cominciato nel 1950 sui terreni del marchese Alessandro Gerini avviò la valorizzazione e l’edificazione dell’area tra il Quadraro e Cinecittà. Nell’assenza di un’adeguata legislazione, di una politica statale e comunale e di finanziamenti, l'edificazione della città negli anni cinquanta fu diretta dagli interessi della proprietà fondiaria e delle grandi società immobiliari. I protagonisti furono gli stessi che si erano arricchiti con gli appalti durante il fascismo, ad esempio i Vasella, i Tudini, i Talenti, e poi le famiglie del# [] progettone di «Rebecchinia» è stato bocciato dal Ministero, in «L'Unità», 6 dicembre 1951.

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l’antica aristocrazia proprietarie dei terreni intorno alla città, come i Torlonia, i Roccagiovine, i Leopardi, i Chigi, i Lancellotti, i Gerini. Tutti legati alla Dc, e alcuni anche

eletti nelle sue liste per il parlamento o per il consiglio comunale. Differentemente dagli altri due importanti momenti di ingrandimento della città e di intensa attività edilizia — la costruzione della capitale dopo l’unificazione d’Italia e il fascismo —, in questi anni emerse nel settore

anche l’impegno della finanza vaticana, attraverso la Società generale immobiliare di cui il Vaticano dal 1935 deteneva il pacchetto azionario di controllo, acquistato con parte della somma versatagli dallo Stato italiano con il Concordato a titolo di risarcimento”. L'altra grande questione era la disoccupazione. Dopo la guerra, la ripresa delle industrie romane, soprattutto belliche, in una città che non era stata industriale, era più lenta.

Veniva lasciata all’imprenditoria privata, che trovava più conveniente spostarsi in altre zone del paese che riconvertirsi a industria di pace. Nelle fabbriche che chiudevano gli operai organizzarono lunge mobilitazioni, la più importante delle quali fu alla Cisa-Viscosa nel 1949, dove si svolse un’occupazione di quarantacinque giorni che vide ripetuti interventi della polizia, ed ebbe la solidarietà della popolazione con raccolta di soldi, cibi e vestiario per le famiglie degli occupanti. Il consiglio comunale dedicò lunghe sedute alla Cisa, ma anche alla situazione di altri stabilimenti, come la Cledca e la Manzolini. La crisi, che investì ? A. Natoli, La speculazione fondiaria nella Roma dei clericali, in «Ri-

nascita», dicembre 1953, 12, pp. 663-6; Berlinguer - Della Seta, Borgate di Roma cit., pp. 96-101; Della Seta - Della Seta, / suoli di Roma cit., pp. 17986. Per una critica agli studi sul regime dei suoli a Roma si veda V. Vidotto, Roma: una capitale per la nazione, in «Mélanges de l’École francaise de Rome - Italie et Méditeranée», 1997, I, pp. 7-20.

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tutto il tessuto industriale della città e della provincia con due congiunture più acute, gli anni 1945-49 e la fine del decennio cinquanta, non fu risolta, ma soltanto interrotta dai

programmi di espansione edilizia”. Per il Pci, con una visione fortemente industrialista del-

lo sviluppo, secondo cui sulla produzione poggiava l’evoluzione democratica del paese, l’unica soluzione alla disoccupazione era l’ampliamento delle fabbriche e la costruzione di una capitale industriale. La Dc aveva, invece, un’altra idea di capitale: centro politico, religioso, storicoculturale, città non industriale. Secondo la tradizionale vi-

sione delle classi dirigenti locali e nazionali, le quali fin dall’Unità avevano preferito per Roma un ruolo esclusivamente burocratico, che tenesse lontane le concentrazioni proletarie, e che aveva indirizzato l’economia della città

nella rendita fondiaria. Un chiaro scontro tra le due visioni di capitale si svolse nel 1953 in Campidoglio, nel dibattito sull’industrializzazione della città. Alle critiche di non aver avviato i provvedimenti per l’esproprio delle aree di Tor Sapienza e Grotte Celoni, destinate alla creazione di

una specifica zona industriale dalla legge n. 346/1941 del fascismo, Rebecchini rispondeva che una vera e propria industrializzazione non era possibile, né auspicabile, poiché Roma aveva un’altra connotazione. Al sindaco, oltre alla

sinistra, replicava Carlo Latini, segretario dell’Unione industriali del Lazio, eletto nelle stesse liste della Dc, che de-

nunciava un’ostilità manifesta in vari modi verso l’industrializzazione della città. Ma quella degli industriali, di fronte a più influenti e corposi interessi, era in realtà una battaglia più ideale che una scelta portata avanti con determinazione: preferivano smobilitare piuttosto che affronta® Pagnotta, Roma industriale cit. Sil

re un’impegnativa ricostruzione, chiedevano aiuti allo Sta-

to in una visione assistenzialista, e sulla questione dell’indennità di esproprio dei terreni della zona industriale accettavano, probabilmente per compromesso con i proprietari terrieri, un meccanismo di rivalutazione proposto dalla Dc che andava contro i loro interessi. Ben determinati a non farsi espropriare i terreni erano invece i proprietari dell’area di Tor Sapienza dove le industrie dovevano sorgere. Mentre molti imprenditori erano stati costretti ad acquistare 1 terreni direttamente dai proprietari a prezzi elevati pur di non perdere i benefici previsti che stavano per scadere, questi si erano costituiti in consorzio citando in giudizio il Comune e i ministeri competenti per anticostituzionalità degli espropri. L'azione venne comunque respinta per un vizio di forma”. Nel 1951 il parlamento varò la riforma elettorale amministrativa che introduceva un premio di maggioranza pari a 2/3 dei seggi per i comuni fino a duecentocinquantamila abitanti e pari ai 3/5 per quelli più grandi”. Era chiaro l’intento stabilizzatorio del sistema politico che ispirava la Dc nel proporre tale provvedimento, che avrebbe ostacolato le sinistre nella conquista delle amministrazioni cittadine. Dopo l’approvazione, il segretario democristiano Guido Gonnella avviò segretamente le trattative con la parte moderata della destra monarchica e neofascista; la formula a cui si giunse in un primo momento fu la valutazione delle singole realtà, ma obiettivo ® G. Pagnotta, Roma città industriale? Il dibattito tra Democrazia Cri-

stiana e Partito Comunista (1945-1959), in L’Annale Irsifar

1996, Nuova Ita-

lia Scientifica, Roma 1997, pp. 91-121; Ead., La geografia degli insediamenti produttivi tra il dopoguerra e gli anni Cinquanta, in «Roma moderna e con-

temporanea», 2000, 1/2, pp. 191-228; Ead., Roma industriale cit. EA cia amministrativa del 1951, in Il parlamento italiano, V, Presidenza della Repubblica italiana, Roma 1987, pp. 241-2.

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vero era staccare dallo schieramento di destra i settori più moderati. Vi erano diversi centri in cui la Dc tentava questa alleanza, ma le elezioni amministrative di Roma erano

l'appuntamento più importante. Si doveva scongiurare una giunta di sinistra nella capitale non solo del paese ma del cattolicesimo, e il pontefice era disposto a qualsiasi soluzione. In un primo momento la consultazione romana era prevista insieme alle città del Centro-nord nella primavera del 1951, ma la scarsa popolarità della giunta Rebecchini indusse il governo a farla slittare alla tornata elettorale del Centro-sud del 1952”. De Gasperi e Gonnella sondavano anche la disponibilità dei partiti laici equidistanti da destra e sinistra, intrattenendo colloqui con Bruno Villabruna, Ugo La Malfa e Giuseppe Saragat. Ma le trattative si trascinavano poiché

all’interno di ciascuno di essi si era evidenziata una differenziazione tra gruppi più inclini alla sinistra e altri più vicini al governo. La situazione fu accelerata dalla comunicazione della formazione della lista delle sinistre, che in-

dusse il Vaticano a intensificare le pressioni per un rapido accordo di centro-destra, anche con la minaccia avanzata

dal presidente dell'Azione cattolica Luigi Gedda, sostenitore di un asse con la destra, di presentare una seconda lista cattolica qualora la Dc non avesse aderito. Le trattative vennero affidate a don Luigi Sturzo, che appariva la personalità più adatta per la sua biografia antifascista e l’autorevolezza. Don Sturzo tentò di compilare la lista, ma se a sinistra repubblicani e socialdemocratici erano sempre più ® G. De Rosa, Sturzo mi disse, Morcelliana, Brescia 1982, pp. 130, 2068; Storia della Democrazia cristiana, a cura di F. Malgeri, 11, 1948-54, De Gasperi e l’età del centrismo, Edizioni Cinque Lune, Roma 1987, pp. 14762; F. Piva - E Malgeri, Vita di Luigi Sturzo, Edizioni Cinque Lune, Roma

1962, p. 445.

5:

in difficoltà di fronte all’eventuale legame con la destra,

di

De Marsanich doveva tener conto del disaccordo

dell’ala di Giorgio Almirante, a Roma molto forte, e inol-

tre non era favorevole all’ipotesi di candidature scelte da Sturzo. Intanto De Gasperi, contrario all’alleanza con la destra, favoriva la resistenza dei partiti laici, e attraverso

monsignor Giovanbattista Montini, futuro papa Paolo VI,

cercava d’indebolire la posizione di Gedda all’interno dell’Azione cattolica. Don Sturzo, così, terminò il suo incari-

co dichiarandolo fallito. Gedda tentò un’ultima carta concordando con missini e monarchici una lista cattolica, ma Pio XII, in mancanza di una praticabile e credibile alterna-

tiva, diede il suo assenso alla linea degasperiana. Le elezioni amministrative del 25 maggio 1952 — preludio alle politiche dell’anno successivo svoltesi con la cosiddetta «legge truffa» che attribuiva un premio di maggioranza — consegnarono alla Dc, grazie agli apparentamenti di maggioranza, 39 seggi contro i 16 delle sinistre unite nella Lista cittadina che pure aveva conquistato più voti, con il 33,5% contro il 31,1% della Dc. Gli altri risultati furono: Msi 15,6%, monarchici 5,9, Pli 4,3%, Psdi

3,3%, Pri 2,3%. Salvatore Rebecchini fu rieletto sindaco il 3 luglio 1952, e in pochi giorni distribuì gli incarichi della propriagiunta formata da Dc, Pli, Psdi e Pri”. Si votava anche per ilconsiglio provinciale, un organismo che non esisteva più da circa trent'anni. Lo schieramento delle forze politiche era simile a quello delle elezioni comunali, e il successo della sinistra portò all’elezione di un presidente comunista, Giuseppe Sotgiu, con una giunta di sinistra composta da Pci, Psi, Psdi e un indipendente. Roma veniva così a trovarsi nella situazione scoui SEO gli uffici ai 15 assessori comunali, in «Il Popolo», 8 luglio 11952. pi2

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moda di avere due amministrazioni di orientamento politico contrapposto”.

Il programma urbanistico del fascismo, che oltre a via della Conciliazione e via Gregorio vIl aveva disposto altri sventramenti nel centro storico, non era ancora stato com-

pletato. L’amministrazione Rebecchini intendeva portarlo a termine. Si predispose dunque, così come aveva previsto il regime, la modificazione di via Vittoria, una strada in pieno centro storico vicino a piazza di Spagna. Seppure gli

uffici comunali preparandone il piano particolareggiato avevano diminuito la consistenza delle demolizioni, si trattava comunque di un vero e proprio sventramento dal Mausoleo di Augusto passando per via Vittoria, via Margutta e via del Babuino, fino a via Veneto, attraverso un

lungo tunnel da costruire tra la salita di San Sebastianello e via Sant'Isidoro. L'opinione pubblica reagì. La stampa si espresse per la conservazione del centro storico, e nel luglio del 1952 l’appello di un gruppo di intellettuali (tra i firmatari Alvaro, Pratolini, Guttuso, Anna Magnani, Ar-

gan, Cederna) chiese al Consiglio superiore dei lavori pubblici di respingere il piano. Il Consiglio accolse l'appello, e dello sventramento non si parlò più. L'episodio rappresenta uno dei primi casi in Italia di mobilitazione dell’opinione pubblica per la tutela del patrimonio paesaggistico”. In questi anni l’urbanistica della città vide il pieno svolgimento anche di un’altra vicenda, quella della via Appia » Ripartiti gli incarichi anche alla Giunta Provinciale, in «Il Messaggero», 8 luglio 1952. Sulle amministrazioni della Provincia di Roma si veda A. Caracciolo, La storia della provincia di Roma dall’editto 5 luglio 1831 ai nostri giorni (1959), Provincia di Roma, Roma 2005; «La provincia capitale». Storia di una Istituzione e dei suoi Pai ma 2005.

Provincia di Roma, Ro-

% L. Benevolo, Le discussioni e gli studi preparatori al nuovo piano rego-

latore, in «Urbanistica», 1959, 28-29, pp. 18-24.

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Antica”. Il piano regolatore del 1931 aveva stabilito fasce inedificabili di 150 metri per ciascun lato della strada e al di là di queste la possibilità di costruire soltanto edifici a due piani. Nel 1949 invece fu approvato il piano particolareggiato che avviò l’edificazione dell’area intorno a via dell’Almone e via Appia Pignatelli, e l’anno seguente fu autorizzata la costruzione della Pia Casa di S. Rosa di tre piani, a cui ne fu aggiunto abusivamente un quarto, mai demolito. Nel 1953 il ministero della Pubblica istruzione proclamò l'Appia di notevole interesse pubblico, ma poi con un altro decreto autorizzò ventisei immobiliari a costruire una quarantina di edifici, dodici strade e un cavalcavia sul primo tratto della via fuori le mura. Parte dell'opinione pubblica reagì alla predisposizione del danno, nomi illustri sottoscrissero un appello, e La Malfa presentò nel 1954 una proposta di legge per la delimitazione di una fascia di rispetto intorno a tutta la via e la demolizione delle costruzioni edificate, che già allora erano una settantina tra legali e abusive. In un momento di ravvedimento il consiglio comunale approvò la sospensione di ogni licenza di costru-

zione su tutta la via e la revisione del piano dell’area, e in

seguito l’assessore all’Urbanistica e all’edilizia, il liberale Enzo Storoni, avanzò una proposta di variante al detto piano dell’area per ridurre le autorizzazioni alle edificazioni®. Un mese dopo il ministro della Pubblica istruzione Gaetano Martino nominò una commissione per lo studio di uno specifico piano territoriale paesistico, i cui lavori termina” A. Cederna, La valle di Giosaft, in «Il Mondo», 2 novembre 1954, ora in Id., / vandali in casa, Laterza, Bari 1956, e in Antonio Cederna. Storia mo-

derna dell’Appia Antica. 1950-1996: dai gangster dell ‘Appia al parco di carta, a cura di G. Cederna, suppl. a «l’Unità» del giugno 1997; L’Appia sotto tutela, in «Il Mondo», 30 marzo 1954, ivi, pp. 16-7; per la cronologia complessiva sull’Appia Antica, pp. 110-4.

®* ASC, CC, 9 marzo 1954, pp. 1577-78.

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rono in poche settimane con il vincolo di due fasce di 400 metri di rispetto sui lati della via, che eliminavano così la prevista edificazione. Ma le pressioni delle immobiliari sulla maggioranza capitolina portarono in pochi mesi alla bocciatura della proposta Storoni, e della proposta Cattani di rimettere tutto al ministero. Nell’inverno 1953-54 si svolse nell’aula Giulio Cesare,

l'importante dibattito sul piano regolatore. La discussione venne aperta dall’assessore Storoni che denunciò così la situazione della città: La nostra impotenza, unita alla pressione incontenibile dell’interesse privato, spinto dal bisogno di case e dal desiderio di sfruttare fino all’estremo l’altissimo valore delle aree fabbricabili ha fatto sì che, effettivamente, l’abusivo e l’irregolare siano a

Roma dilagati. Riconosco che c’è da scandalizzarsi”.

Un anno prima avevano fatto discutere le dimissioni del suo predecessore, il liberale Leone Cattani. Le ragioni di quella decisione, che si compresero man mano, riguardavano l’edificazione abusiva per conto della Dc di uno stabile nel comprensorio di una villa su via della Camilluccia. Le giustificazioni del sindaco Rebecchini erano state la necessità di locali per la campagna elettorale dell’anno precedente e la transitorietà dell’edificio fino alla risistemazione dell’intera villa”. L'opposizione aggiunse questo episodio alle indagini compiute sulla questione dell’edificazione della città. In un famoso discorso durato più d’una seduta, Aldo Natoli, segretario della Federazione romana

del Pci dal 1947 al 1954, denunciò la responsabilità del® Ivi, 22 dicembre 1953, p. 3755.

?° Ivi, 3 febbraio 1953, pp. 137-8; 10 febbraio 1953, pp. 165-71; 11 giugno 1953, p. 1704; 13 febbraio 1953, pp. 187-94; 15 giugno 1953, pp. 1723-28; 22

giugno 1953, pp. 1766-67. Gli interventi di Cattani sul piano regolatore sono raccolti in L. Cattani, Urbanistica romana. Una battaglia in Campidoglio, s.e., Roma s.d.

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l’amministrazione comunale negli abusi edilizi romani, riprese l’episodio di via della Camilluccia, chiarì le speculazioni della Società generale immobiliare, documentò gli enormi profitti, e ricordò il dramma delle abitazioni. A lungo andare, si potrebbe dire che si è venuta a creare tra i privati e taluni uffici comunali,.e forse il complesso dell’amministrazione, una situazione che i biologi chiamano di «simbiosi»,

nella quale sembra che si sia invertito il rapporto normale che dovrebbe esistere tra l’ente pubblico e i privati, per il quale l’ente pubblico ha la funzione, entro certi limiti stabiliti dalla legge, di moderare gli interessi privati a favore degli interessi pubblici. Qui si direbbe sia avvenuto il contrario, e cioè che in questa singolare simbiosi sia stato l’interesse privato che abbia avvilito e mortificato l’interesse pubblico". E ancora:

Non c’è nessuna esagerazione nelle cifre, anzi è probabile che siano al di sotto della realtà. Noi siamo da esse autorizzati ad affermare che in questi nostri anni cosiddetti facili, negli anni delle Amministrazioni comunali che portano il nome del Sindaco Rebecchini, si sta svolgendo un vero e proprio sacco di Roma”.

Le denunce dell’opposizione col passar del tempo ebbero più credito e più spazio sulla stampa, fino alla nota vicenda Immobiliare-«L’Espresso». Alla fine del 1955 Manlio Cancogni avviò con una serie di articoli una campagna i denuncia sulle manchevolezze e sulla corruzione dell’amministrazione Rebecchini, dal titolo Capitale corrotta, nazione infetta. Insieme al sindaco l’accusato principale era la Società generale immobiliare, che aveva costruito evadendo il regolamento edilizio. Questa querelò il giornalista e il suo direttore Arrigo Benedetti. Il processo, i cui resoconti impegnarono diversi giornali, durò trenta udien"A. Natoli, // sacco di Roma, s.e., Roma 1954, pazie ® Ibid., p. 67; Asc, cc, 9 febbraio 1954, pp. 1225-26; 16 febbraio 1954, pp. 1249-57; 18-19 febbraio 1954, pp. 1271-73.

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ze e terminò con l’assoluzione per mancanza di prove; la sentenza però in appello non fu confermata e i due giornalisti furono condannati per diffamazione”. Proprio mentre la campagna de «L'Espresso» era in pieno corso, il sindaco portò alla discussione del Consiglio una delibera per la costruzione di un albergo della catena americana Hilton a Monte Mario, su terreni della Società

generale immobiliare”. L’Inu si opponeva poiché la grande costruzione avrebbe irreparabilmente interrotto la continuità panoramica delle colline, e perché il progetto prevedeva che l’edificio sorgesse su un piazzale pubblico. Nell’aula Giulio Cesare l'opposizione non si risparmiò, mettendo in difficoltà il sindaco, che rispose sospendendo d’autorità la seduta. L’incapacità con cui Rebecchini gestì la vicenda, portandola in aula in un momento sbagliato, rimanendo senza argomenti davanti alle critiche, e reagendo bruscamente in modo poco consono alla carica che ricopriva, fu un errore non perdonabile all’interno del suo stesso partito. La sua immagine ormai compromessa non

permetteva più di ricandidarlo. L'albergo fu comunque costruito tra il 1960 e il 1963.

3. Il ministro sindaco. Umberto Tupini. Alle elezioni amministrative del 27 maggio 1956 1 risultati furono: Dc 32%, Pci 24,2%, Msi 12,1%, Psi 10,6%, » Si vedano in particolare: M. Cangogni, Dietro il sorriso di Rebecchini 400 miliardi, in «L'Espresso», 11 dicembre 1955; Id., Cicicov in Campidoglio, ivi, 22 gennaio 1956; Id., Rebecchini ha tre modi per difendersi, ivi, 5 febbraio

1956; Insolera, Roma moderna cit., pp. 207-10. X ASC, CC, 4 aprile 1956, p. 1817; 5-6 aprile 1956, pp. 1856-74; A. Cederna, Mirabilia urbis. Cronache romane, 1957-1965, Einaudi, Torino 1965, pp. 239-48, 278-87, 239-333.

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monarchici 8,8%, Psdi 4,5%, Pli 4,3%, Pri 1,6%, Partito

radicale 1,2%. Il 9 luglio fu eletto sindaco il senatore democristiano Umberto Tupini con una giunta quadripartita composta da Dc, Pli, Psdi, e un repubblicano che dopo poco si dimise; la giunta ebbe durante il suo corso l'appoggio

della destra”.

i

Nella difficile situazione in cui si trovava la Dc romana dopo gli scandali delle speculazioni edilizie, occorreva una personalità fuori dagli interessi in gioco. Per questo la scelta cadde su Tupini, uomo politico di livello nazionale e figura autorevole all’interno della Democrazia cristiana”. Tupini rispondeva all’immagine di amministratore capace di cui la città aveva bisogno, e soprattutto aveva questo requi-

sito proprio nel settore in cui la Dc romana della preceden-

te amministrazione era stata più criticata, cioè l'urbanistica e

l'edilizia. Da ministro dei Lavori pubblici, infatti, aveva emanato le leggi sull’edilizia e i lavori pubblici di competenza degli enti locali, provvedimenti che nelle intenzioni dei

democristiani dovevano favorire i consensi dei ceti medi,

che proprio nella capitale giocavano un ruolo importante per gli equilibri politici. Era stato inoltre un esponente del Partito popolare, poi un antifascista e un costituente, e poteva quindi sedere in Campidoglio accettando l'appoggio della destra senza intaccare l’immagine del partito”. Ma 1956

* Assegnati gli incarichi agli assessori comunali, in «Il Popolo», 14 luglio

“ G. Ignesti, 7upini e l’esperienza amministrativa a Roma, in G. De Rosa, L. Elia, E.Malgeri, G. Ignesti, L. Avagliano, Umberto Tupini. Atti del Seminario di studi storici promosso dall’Istituto Luigi Sturzo, Roma 1990, pp. 53-60. ” Umberto Tupini (Roma 1889-1973). Avvocato. Da giovane era presidente della Gioventù italiana di Azione cattolica del Lazio, e aveva stato tecipato all’organizzazione dei sindacati cattolici nel Movimento sociale parstiano come segretario dell’Unione cattolica del lavoro e come direttore cridei periodici «L'organizzazione» e «La difesa del popolo». Era stato putato nelle liste del Partito popolare nel 1919, nel 1921 e nel 1924.eletto deDichia-

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l’amministrazione Tupini non rivelò orientamenti diversi dalla precedente, soprattutto proprio nell’urbanistica e nell’edilizia, continuando durante i suoi anni la speculazione sulle aree. Due episodi sono più indicativi di altri. Il primo riguarda Villa Chigi, per la quale iproprietari principi Chigi presentarono la richiesta di lottizzazione per una parte di essa, e di destinazione a parco pubblico ed edifici scolastici per una seconda, mentre una terza parte sarebbe rimasta di sua proprietà. Nonostante il ministero della Pubblica istruzione l’avesse posta sotto vincolo ambientale, l’assessore all'Urbanistica, il liberale Ugo D’An-

drea, presentò una variante al piano regolatore che soddisfaceva le richieste dei Chigi, e che fu approvata dalla maggioranza nel 1957 dopo un’accesa discussione in Consiglio. Il progetto fu poi respinto dal Consiglio superiore delle Antichità e Belle arti in base al vincolo che era stato posto dal ministero della Pubblica istruzione”. Il secondo episodio riguarda l’area di Tor di Nona, nella parte rinascimentale del centro storico, che in base a quanto stabilito dal piano regolatore del 1931 doveva essere demolita e rato decaduto nel 1926 dalla carica di parlamentare era stato arrestato. Durante la guerra aveva partecipato all’organizzazione clandestina del partito della Democrazia cristiana. Era poi stato vicepresidente dell’Assemblea costituente, nel 1948 senatore di SR (perché membro della Costituente e erché dichiarato decaduto da parlamentare dal fascismo), e riconfermato per haDc nel 1953. Era stato ministro della Giustizia nei governi Bonomi Il e MI (1944-45), ministro dei Lavori pubblici nei governi De Gasperi IV e Vv (194750), ministro per la Riforma dellapubblica amministrazione nei governi Fanfani 1 e Scelba (1954-55). Al consiglio comunale di Roma era stato eletto nel 1914 e nel 1956. I Sen. Umberto Tupini nuovo Sindaco di Roma, in «Capitolium», 1956, 7, pp. 193-4; 1948-1998. 50 anni di parlamento, governi, istituzioni. ‘La Navice la Editoriale italiana 2000, Roma 2000, ad nomen.

®* ASC, CC, 10 dicembre 1957, pp. 4712-22; G. Berardi, Storia del malgoverno democristiano a Roma, in Interpretazioni di Roma. Contraddizioni urbanistiche e sociali nella «capitale del capitale», «I quaderni di Roma», 1978, 3, pp. 109-58, in part. pp. 117-9. 41

ricostruita. Il Comune nel 1955 aveva bandito il concorso per la realizzazione, e due anni dopo furono avviati gli sfratti. Ma la reazione della stampa fece recedere il sindaco Tupini e lo convinse a insediare una commissione per lo studio dell’area. L’Inu e la sovrintendenza presentarono una proposta per il recupero, che venne però accantonata, e ripresa molto più tardi negli anni settanta”. Fin dal programma della prima giunta Rebecchini la Democrazia cristiana esercitò la richiesta di una Legge speciale per Roma, per forme di aiuto economico da parte dello Stato e una maggiore autonomia, provvedimenti a cui affidava la soluzione di gran parte dei problemi della città. Anche l’opposizione concordava sulla necessità di una disposizione legislativa con cui lo Stato conferisse alla sua capitale l’adeguata autorevolezza, ma non condivideva l’ottica assistenzialista della Dc. Per il Pci, l’aiuto doveva consistere, innanzitutto, nel salvare l’industria romana, renden-

do così autonoma la città, e nel concedere sovvenzioni per il miglioramento di specifici servizi. In Parlamento un’apposita commissione lavorò sull’argomento dal 1949 al 1954, e nel 1953 fu licenziato un provvedimento parziale, la leg-

ge n. 103/1953, «Provvidenze a favore della città di Roma»,

meglio conosciuta come legge Pella, che dispose contributi statali per la capitale. Nel 1956 il governo presentò il proprio disegno di legge A. S. n. 1760 che riprendeva lo schema di articolato con cui si erano chiusi i lavori della commissione due anni prima, e che si riferiva esclusivamente all'ordinamento amministrativo e finanziario. Di altra iMpostazione il progetto del Pci, A. S. n. 1296/1955, che riguardava innanzitutto la questione dell’industrializzazione, per la quale era ribadita l'applicazione della legge del 1941 sul* Insolera, Roma moderna cit., pp. 218-9.

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la creazione della zona industriale, ma che contemplava anche numerose altre questioni concernenti la città (scuola, università, Biblioteca nazionale, ospedali, energia elettrica,

acqua ecc.). Una seconda commissione speciale lavorò su questo argomento dal 1956 al 1958, senza giungere però all'emanazione di una legge”. Nella seconda metà degli anni cinquanta nella strutturazione della Cassa per il Mezzogiorno rientrò anche parte del territorio della provincia romana, che non era stato considerato all’atto della sua istituzione nel 1950. Dopo anni di sostenuta richiesta sia da parte della Dc che della sinistra, nel 1955 la competenza della Cassa fu estesa, fino alle porte della città ma non ad essa. Nel 1957 venne poi stabilita la costituzione di Aree a sviluppo industriale (Asi) con relativi consorzi composti dai comuni appartenenti, si iniziò così a parlare del Consorzio Roma-Latina, che sarebbe arrivato a formazione negli anni sessanta. È possibile interpretare l’evolversi di questi fatti come un’avvenuta mediazione tra rendita fondiaria e profitto industriale: l’una poteva continuare a destinare i propri terreni della capitale all’edilizia, l’altro poteva disporre di un’area industriale attrezzata vicina alla capitale e dotata di larghe facilitazioni‘. Tupini si dimise dalla carica di sindaco il 27 dicembre 19574. Era stato eletto senatore e un mese prima il Senato aveva votato l’incompatibilità tra i due incarichi. Pagnotta, Roma città industriale? cit.; Ead., Roma industriale cit.; A.

Parisella, Le leggi speciali per Roma del Novecento, in M. De Nicolò (a cura di), L’amministrazione comunale di Roma. Leggi, fonti archivistiche e docu-

mentarie, storiografiche, il Mulino, Bologna 1996, pp. 163-99. 4 Ibid.

* Tupini ha lasciato la carica di sindaco ed è rimasto consigliere, in «Il Popolo», 28 dicembre 1957. 43

4. Il Cameriere del papa. Urbano Cioccetti. Sostituì Tupini il democristiano Urbano Cioccetti, che fu eletto il 9 gennaio 1958 con i voti determinanti della destra e dei monarchici, e continuò a guidare la giunta Dc, Pli, Psdi; quella del radicale Cattani fu la candidatura contrapposta dell'opposizione”. Cameriere di cappa e spada del pontefice, amministratore dei beni della famiglia dei marchesi Del Gallo Roccagiovine, proprietari di grandi estensioni di terreni nel Lazio, e membro del consiglio di amministrazione dell’Istituto centrale finanziario, banca a capitale vaticano, come Rebecchini Cioccetti fu una figura tipica dell'ambiente politico della città, a questo esclusivamente legato e privo di statura nazionale*. Con lui l'alleanza della Democrazia cristiana romana con la destra doveva continuare. Qualche giorno dopo la sua elezione fonti repubblicane rivelarono l’esistenza di un suo accordo con il Msi. Vi furono varie smentite, finché il capogruppo del Msi in Campidoglio dichiarò che il voto del proprio partito era stato favorevole . perché Cioccetti ne aveva preso in considerazione il programma. Quest’accordo determinò una polemica che turbò la vita interna della Dc anche a livello nazionale. Contro si espresse l'esponente della sinistra interna Giovanni Galloni, che attribuiva la responsabilità della situazione alla maggioranza andreottiana del Comitato romano; la minoranza di sinistra non solo votò contro questa * Urbano Cioccetti sindaco di Roma, ivi, 10 gennaio 1958.

+ Urbano Cioccetti (Roma 1905-78). Laureato in giurisprudenza. I pri-

mi impegni politici li aveva svolti ricoprendo incarichi nell’Azione cattolica. Alle i amministrative romane del 1946 era stato il primo eletto delle liste democristiane, e in seguito era stato assessore nelle giunte Rebecchini. Nel 1953 era stato candidato alle politiche, ma non era stato eletto. Note biografiche, in «Capitolium», xxxII, 1958, pass

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soluzione, ma insieme agli esponenti nazionali della corrente, Nicola Pistelli

e Luigi Granelli, rese pubblico un

manifesto antifascista che affermava la necessità di agire politicamente rifacendosi ai valori della Resistenza. Questa dichiarazione ebbe l’adesione di esponenti repubblicani, socialisti, socialdemocratici e radicali, mentre fu esclusa

l'adesione comunista per evitare un'immagine di compromissione con il Pci. Ma poiché tra i firmatari vi era anche Cattani, che le sinistre avevano opposto alla candidatura di Cioccetti, molti attaccarono la sinistra democristiana e ri-

chiesero l’intervento del segretario nazionale Amintore Fanfani. L'atteggiamento conciliante della Direzione nazionale del partito, che invitò ad attenersi allo statuto, non

fu condiviso dal Collegio romano dei probiviri, che decise la sospensione per sei mesi di Galloni. La vicenda si chiuse con l’intervento di Granelli e Pistelli che ribadirono l'esclusiva competenza del Collegio nazionale dei probiviri su un membro della direzione”. L'alleanza con la destra fu confermata un anno dopo, quando il sindaco rifiutò di celebrare il quindicesimo anniversario della liberazione di Roma, con la motivazione

che non doveva essere promossa alcuna manifestazione che potesse rinfocolare gli odii. Ma da un intervento al congresso del Msi si seppe che tale decisione, insieme a quella di non togliere le scritte fasciste dal Foro italico, era stata presa per accontentare la destra. La reazione antifascista fu veloce, con assemblee in molti quartieri e una manifestazione cittadina al cinema Adriano. Le opposizioni chiesero la revoca del sindaco con due lettere, una firmata # E Malgeri, La questione Cioccetti al Comune di Roma, in Storia della Democrazia cristiana cit., Il, 1955-68, La stagione del centro-sinistra, pp.

121-3; M. Di Lalla, Storia della Democrazia cristiana, 1, Marietti, Torino 1981, p. 203.

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dai consiglieri comunisti, socialisti e radicali, l’altra da re-

pubblicani e socialdemocratici. Nella seduta del consiglio comunale del 24 giugno, segreta come prescriveva la legge,

la richiesta di revoca fu respinta. Pochi giorni dopo il radicale Cattani si dimise da consigliere inviando una missiva al ministro dell’Interno, e cinquanta dirigenti giovanili della Dc indirizzarono a Cioccetti una lettera con cui gli chiedevano di dimettersi. Non si deve tralasciare che in Parlamento, nel corso della celebrazione dell’anniversario, a no-

me del governo parlò il suo predecessore Tupini*. Le due questioni più importanti del periodo dell’amministrazione Cioccetti furono il piano regolatore e le Olimpiadi. Nel 1953 era stato formato un apposito Ufficio speciale per il nuovo piano regolatore (Usnpr), e l’anno seguente era stata nominata una Commissione di settantanove membri svolgente funzioni direttive su un Comitato di elaborazione tecnica (Cet). Nel 1958 la Commissione dei

settantanove si sciolse; intanto il Cet e l’Usnpr avevano redatto un nuovo piano regolatore, che fu presentato al consiglio comunale nello stesso anno. Questo piano prevedeva lo spostamento ad est delle attività direzionali e la loro * Contro il vergognoso gesto del sindaco clericale. Una iniziativa unitaria a Roma dei cinque partiti antifascisti, in «L'Unità», 3 giugno 1959; Solenne e unitaria risposta al sindaco clerico-fascista. Oggi la liberazione di Roma

sarà celebrata in Parlamento, ivi, 4 giugno 1959; Cioccetti se ne vada! chie-

dono uniti gli antifascisti nella ui manifestazione a Roma, ivi, 8 giugno 1959; Energica battaglia dei gruppi antifascisti contro l’amministrazione reazionaria, ivi, 25 giugno 1959; Cattani si dimette da consigliere comunale. Di-

chiarazioni di Natoli, Borruso e Grisolia, ivi, 28 giugno 1959; Cinquanta di-

rigenti giovanili Dc invitano Cioccetti a dimettersi, ivi, 1° luglio 1959. Le complesse vicende relative al piano regolatore romano sono ricostruite in Insolera, Roma moderna cit., pp. 220-30, 246-63; Della Seta -

Della Seta, / suoli di Roma cit., pp. 190-8; P. Avarello, L’urbanizzazione, in De Rosa, Roma del Duemila cit., pp. 159-201; Vidotto, Roma contemporanea cit., 296-300.

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4

concentrazione in specifici centri direzionali collocati lungo una strada a scorrimento veloce detta Asse attrezzato, e la collocazione in questo quadrante orientale della maggiore espansione futura di Roma. Anche se imperfetto, questo piano avrebbe svolto la funzione di regolare lo sviluppo della città, ma la maggioranza capitolina si oppose, avocando a sé la compilazione del nuovo piano. Il nuovo piano regolatore fu compilato dalla giunta insieme all’Usnpr nel 1958 e approvato nel giugno 1959, dopo un lungo dibattito di cinque mesi, durante i quali critiche furono espresse da molte parti, anche dal filogovernativo «Il Messaggero». Completamente rielaborato, il piano della giunta Cioccetti annullava tutti gli elementi innovativi di quello del Cet: l’asse attrezzato non aveva più un carattere direzionale e le uniche zone direzionali previste erano l’Eur e la via Cristoforo Colombo, l’impronta concentrica della città era rafforzata attraverso un sistema di strade ad anelli, l’insediamento ad est veniva ridotto mentre era

aumentato quello ad ovest tra l’Eur e il mare, e il quadro delle espansioni nell’Agro romano era indeterminato. L’opposizione documentò che l’espansione verso il mare tracciata dal piano regolatore della giunta Cioccetti era una variante di quella prevista dal piano del 1931, e che corrispondeva alle planimetrie di lottizzazione già predisposte dai proprietari dei terreni*. Il caso più clamoroso emerso durante la discussione in Consiglio fu quello della disposizione a zona edificabile dei circa cento ettari della tenuta di San Cesareo lungo la via Ardeatina, di proprietà della marchesa Giulia Del Gallo di Roccagiovine, famiglia di cui il sindaco in carica era amministratore. All’interrogazione # Si vedano gli interventi sul piano regolatore svolti da: P. Della Seta, in

ASC, CC, 4 marzo 1959, pp. 1482-88; A. Natoli, ivi, 18 marzo 1959, pp. 1751-

71 (in particolare pp. 1763-64); Gigliotti, ivi, 18 marzo 1959, pp. 1773-84.

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presentata in merito dal gruppo comunista, Cioccetti rispose che non c’era incompatibilità tra le due funzioni, e che comunque con quell’inserimento nel piano regolatore non c'entrava‘. Altro caso da ricordare è quello degli ettari di terreno dei fratelli Gianni vincolati a zona industriale e scomparsi dalla planimetria del piano, sparizione che l’assessore D’ Andrea giustificò come errore grafico”. Nel 1969 il piano regolatore redatto dalla giunta Cioccetti venne presentato al ministro dei Lavori pubblici, il democristiano Giuseppe Togni, senza che il consiglio comu- . nale avesse svolto la relativa discussione sulle osservazioni presentate; il Consiglio superiore dei lavori pubblici ne terminò l’esame nel novembre 1961 emettendo un voto con molte critiche. Ma intanto Cioccetti non era più sindaco. Anche nella costruzione delle infrastrutture per le Olimpiadi del 1960 furono favorite le grandi proprietà fondiarie della città. Gli impianti sportivi realizzati dal fascismo tra il Foro Italico, lo Stadio Flaminio e l’Acqua

Acetosa non erano sufficienti, e occorreva aggiungerne altri. Due erano le opzioni tra cui secondo gli urbanisti si sarebbe dovuto scegliere: si poteva continuare a concentrare le attrezzature nella zona nord scelta dal fascismo, creando

una città sportiva, oppure si poteva dislocare le attrezzatu-

re mancanti nei quartieri, cosicché, terminato l’evento, sa-

rebbero state utilizzate come centri sportivi locali. La decisione invece ricadde sull’Eur, area di grandi patrimoni

fondiari, che di fatto furono valorizzati fino al mare".

Oltre agli impianti dell’Eur furono progettati il Villaggio Olimpico, il viadotto di corso Francia, il ponte di via4° Ivi, 29 aprile 1959, pp. 2983-84. °° Pagnotta, Roma industriale cit. © Insolera, Roma moderna cit., pp. 237-45; Vidotto, Roma contempora-

nea cit., pp. 290-5.

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le Libia e il ponte Lanciani, i sottovia automobilistici di Porta Pinciana e del lungotevere, 1 sottopassaggi pedonali a Porta Pia e piazza Fiume, la strada a scorrimento veloce

tra Monte Mario e Prati che sarebbe stata realizzata negli anni settanta. Ma in particolare va ricordata la via Olimpica, che doveva unire l’Eur con il Foro italico, i due luoghi

della città dove si sarebbero svolti i giochi internazionali, attraversando e spezzando in due Villa Pamphili. L’opposizione mise in luce come questa strada servisse soprattutto a valorizzare i terreni che attraversava, di proprietà del marchese Gerini, e del Vaticano, tramite la Società genera-

le immobiliare e diversi enti religiosi. L'affidamento di molti lavori a imprenditori legati alla Dc suscitò ulteriori critiche. Tra i vari casi il più significativo fu quello della manutenzione di segnaletica stradale, vinto da un gruppo economico che aveva indovinato esattamente le cifre in busta sigillata e per questo revocato”. Ma lo scandalo più significativo delle Olimpiadi, che coinvolse anche gli ex ministri democristiani Giuseppe Togni e Giulio Andreotti e il repubblicano Randolfo Pacciardi, fu quello del nuovo aeroporto di Fiumicino, su cui fece chiarezza nel 1961-62 un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita in seguito ai cedimenti delle piste. Nel 1947 per la sua edificazione era stata scelta ed espropriata la tenuta Bonifiche di Porto di proprietà di un’altra esponente della nobiltà romana, Anna Maria Torlonia coniugata Sforza Cesarini. I lavori della Commissione accertarono che quell’esproprio era costato più del doppio del prezzo stimato dall’Ufficio erariale come valore commerciale, e che negli appalti erano stati favoriti pas° Appalti del Comune per 900 milioni concessi ad un dirigente della Dc,

in «L'Unità», 29 aprile 1961; Berardi, Trent'anni di malgoverno democristia-

no a Roma cit., p. 135.

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renti e amici dell’incaricato dell’ Aviazione civile. Si apprese, inoltre, che la Società generale immobiliare sulla via Cristoforo Colombo possedeva la tenuta di Casal Palocco, cioè esattamente l’area in un primo tempo destinata all’aeroporto, e che quella ubicazione era stata poi cambiata perché la Società generale aveva preferito impegnarla nella più fruttuosa edilizia residenziale. A tutto ciò si aggiungeva il fatto che non erano state seguite le indicazioni delle indagini geologiche, che avevano dichiarato quei terreni inappropriati alla costruzione di piste di atterraggio perché paludosi e percorsi da nebbie?. Avevano intanto avuto luogo le elezioni amministrative del 6 novembre 1960, la cui campagna elettorale si era svolta con il piano regolatore al centro dei programmi di tutti 1 partiti. In molti ne avevano chiesto la revisione, e la sinistra democristiana rappresentata da Clelio Darida e Paolo Cabras si era dichiarata disponibile. Ma lo schieramento di Cioccetti era ancora forte, e la lista elettorale era stata guidata dai suoi uomini. Questi i risultati: Dc 33,9%; Pci 23,1%, Msi 15,2%, Psi 13,2%, Psdi 4,8%, Pli 4,1%, monarchici 4,0%, Pri 1,5%. Pochi mesi prima delle elezioni, in luglio, come nel resto d’Italia, la manifestazione an-

tifascista a Porta San Paolo contro lo svolgimento del congresso del Msi a Genova autorizzato dal governo Tambroni, era stata repressa con numerosi feriti.

Il 19 dicembre Cioccetti fu eletto sindaco. La sua giun-

ta, monocolore Dc, fu formata in gennaio”. Si trattò di una giunta debole, che dovette spesso ricorrere ai voti del Msi,

* Camera dei Deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla costruzione dell’aeroporto di Fiumicino, Relazione, 23 dicembre 1961,

doc. n. 86, m leg.; Allegato alla relazione: Verbali delle deposizioni dei testi, doc. n. 86-bis, I leg. * Eletta una giunta monocolore Dc con i voti dei consiglieri liberali, in «Il Messaggero», 30 gennaio 1961.

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per di più compromessa nell’immagine dallo scandalo dell'aeroporto. Così, in una situazione politica che si era sem-

pre più logorata per l'avanzata della sinistra interna alla Dc, oltre che per gli scandali, Cioccetti finì per dimettersi

il 29 aprile 1961.

Ci volle più di un mese perché il consiglio comunale si riunisse. La Democrazia cristiana, infatti, cercava di prender tempo per ottenere i voti socialisti e monarchici nell’elezione della nuova giunta, ma non ci furono. Cambiò allora nome per la carica di sindaco proponendo Enrico Marazza, ma comunisti, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, unendo i loro voti, elessero per ben due volte un altro democristiano, Alberto Canaletti Gaudenti, che

però rinunciò non avendo l’appoggio del partito. A questo punto l’°11 luglio si passò al commissario prefettizio Francesco Diana”.

Si trattava di una fase di stasi, di passaggio dalle amministrazioni di centro-destra alla formula del centro-sinistra. Era infatti in corso una crisi nella Dc romana, il cui se-

gretario Ennio Palmitessa, oppositore del centro-sinistra, si era dimesso ed era stato sostituito da Amerigo Petrucci”.

8 Le dimissioni di Cioccetti, in «L'Unità», 29 aprile 1961; Tre anni di «ge-

stione» Cioccetti all’insegna del clerico-fascismo, ivi, 30 aprile 1961; La crist capitolina investe tutta la Dc, ivi, 1° maggio 1961; Battuta la Dc in Campi-

doglio. Canaletti Gaudenti eletto sindaco, ivi, 8 luglio 1961; Scelba ha imposto la nomina del Commissario in Campidoglio, ivi, 12 luglio 1961. % R. Santini, La politica come servizio, a cura di P. Cremonesi, Pieraldo editore, Roma 1996, p. 57.

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Il. Gli anni del centro-sinistra (1962-76)

1. Il sindaco di Moro. Glauco Della Porta.

A volere un’apertura a sinistra nella Democrazia cristiana fu inizialmente soprattutto Amintore Fanfani, convinto che un asse Dc-Psi potesse essere una valida base per una programmazione sociale, per interventi pubblici nell’economia e per un moderato riformismo. Il nuovo segretario del partito Aldo Moro, eletto nel 1959, poco prima del vir Congresso di Firenze, adottò però una politica di cautela e di rinvio. Fu con i fatti del governo Tambroni del 1960 che la formula del centro-sinistra arrivò a maturazione, quando la

reazione antifascista nel paese chiarì che non era perseguibile per la Dc governare con l’appoggio del Msi e dei monarchici. Un coinvolgimento del Psi nell’area di governo, inoltre, avrebbe diviso la sinistra indebolendola e riducendo l'influenza del Pci. Così, con le elezioni amministrative del

1960 furono avviati i primi esperimenti di centro-sinistra locale a Milano, Genova, Firenze, Venezia e in altri centri più

piccoli. E dopo aver avuto l’assenso del presidente americano John F. Kennedy, l'appoggio di papa Giovanni xxNI e quello degli industriali, il centro-sinistra prese avvio anche per l’esecutivo nazionale, con la formazione nel marzo del 1962 del primo governo aperto ai socialisti, guidato da Fan53

fani. La formula comprendeva Dc, Psdi, Pri e astensione del Psi al voto di fiducia, considerate ancora non mature le con-

dizioni per un'entrata diretta dei socialisti. Da presidente del Consiglio Fanfani realizzò la strategia, avviata da segretario del partito, di compenetrazione della Dc con gli apparati statali.e parastatali che si stavano formando nel processo di modernizzazione dell’Italia, collocando uomini democristiani alla direzione di enti pubblici e banche, in modo da garantire alla Dc il controllo e la gestione della vita economica del paese. Al suo interno, a metà degli anni cinquanta, aveva iniziato un processo di irrobustimento della base organizzativa e rinnovamento dei quadri di partito, cercando di sostituire via via il notabilato del vecchio Partito popolare con gruppi dirigenti di tecnici, politici di professione. A Roma questo processo ebbe un avvio più lento, e fu con gli anni sessanta che il personale politico democristiano cambiò, compresi i sindaci, con una

biografia politica diversa da quella dei loro predecessori. Il 10 giugno del 1962 si svolsero le elezioni ammini-

strative romane, il cui risultato non fu positivo per la Dc,

che arretrò di quattro punti mentre la sinistra restava sta-

bile. Questi i dati: Dc 29,2%, Pci 22,8%, Msi 15,8%, Psi 12,6%, Pli 8,3%, Psdi 6,3%, monarchici 2,8%, Pri 1,4%.

Le opposizioni della destra interna all’apertura ai socialisti furono influenti, cosicché per l’elezione a primo citta-

dino di Glauco Della Porta, il 17 luglio 1962, occorse l’as' Glauco Della Porta (1920-76). Laureato in giurisprudenza. Collabora-

tore di Ezio Vanoni dal 1947 al 1949 e successivamente del Comitato interministeriale della Ricostruzione (Cir), aveva in seguito lavorato negli Usa per il Fondo monetario internazionale. Dal 1953 al 1959 aveva insegnato Economia politica all’Università di Messina, e poi Storia economica all’Università di Roma. Era stato segretario generale della Commissione per il piano di ricostruzione della Sardegna e in seguito del Comitato per il piano economico della Calabria. La figura del neoeletto, in «Il Popolo», 18 luglio 1962. 54

senza di due consiglieri missini e di un monarchico?. Della Porta, sostenitore dell’apertura a sinistra e vicino a Moro, alle elezioni era risultato soltanto il quarto degli eletti democristiani per numero di preferenze, dopo Petrucci, Tu-

pini e Agostino Greggi, e la sua nomina a sindaco dovette essere imposta centralmente da Moro. Ciò non impedì di far entrare i socialisti organicamente in maggioranza, prima, quindi, che a livello nazionale. L'assessorato all’Urbanistica, il più importante in quegli anni, comunque, fu mantenuto in mani democristiane e affidato a Petrucci, politico nuovo che stava rafforzando la sua posizione nel partito. Nell’accordo fu sacrificato l’architetto socialista Luigi Piccinato, rappresentate del mondo della cultura urbanistica che dai banchi dell’opposizione socialista si era battuto per la pianificazione della città, che non venne rieletto.

Le elezioni politiche del 1963, che rappresentavano una verifica della formula di centro-sinistra, registrarono una flessione della Dc e del Psi, in particolare a Roma, e un'avanzata del Pci, mostrando che non si stava verifi-

cando l’erosione di voti a sinistra immaginata. Comunque il Psi nel dicembre 1963 entrò nel governo, il primo guidato da Moro. La questione più importante che si trovò ad affrontare la prima giunta di centro-sinistra della capitale fu il piano regolatore’. All’approvazione del piano della giunta Cioccetti in consiglio comunale nel 1959, erano entrate in vigore le misure di salvaguardia prescritte dalla legge, che per un periodo di tre anni davano al sindaco la facoltà di sospendere ogni licenza di costruzione in contrasto con il piano votato, in attesa del relativo decreto di 2? Glauco Della Porta sindaco di Roma, ibid.

Insolera, Roma moderna cit., pp. 264-72; Vidotto, Roma contemporanea cit., pp. 296-301. DI

approvazione. I tre anni scadevano nel giugno 1962. Ma durante il periodo in cui la funzione di capo dell’amministrazione romana era stata svolta dal commissario Diana le vicende del piano regolatore erano proseguite, e la situazione era cambiata. Ministro dei Lavori pubblici del primo governo di centro-sinistra era divenuto il democristiano riformista Fiorentino Sullo, che aveva cercato d’influenzarne l’approvazione attraverso una strategia che fu in seguito denominata Operazione Sullo. In un primo tempo si era riproposto di trasformare il piano della giunta Cioccetti attraverso il voto del Consiglio superiore dei lavori pubblici, mentre in attesa si sarebbe varato un piano intermedio con la funzione d’impedire l’attuazione dei provvedimenti più gravi contenuti in quello della giunta Cioccetti. Alla sua presentazione sarebbero entrate in vigore misure di salvaguardia, così da spostare la scadenza dell’approvazione di tre anni, durante i quali elaborare il piano definitivo. In seguito Sullo, tra la sorpresa di tutti, aveva invece deciso una linea più rapida e concordato con Diana che il Comune approntasse un nuovo piano entro giugno 1962. I relativi lavori si erano svolti in un’atmosfera di segretezza, e alla fine il colpo di scena: Diana non aveva firmato, sostenendo che il piano prevedeva espropri senza essere corredato da uno schema finanziario. Lo avevano applaudito i partiti di destra, a cui facevano riferimento i soggetti con interessi economici nel piano regolatore. A questo punto in aiuto di Sullo era arrivato nel giugno

1962 un decreto, che disponeva la pubblicazione dell’ultimo piano studiato sotto Diana e vietava di rilasciare licenze di costruzione in contrasto con esso fino alla sua approvazione da parte del consiglio comunale, e comunque non oltre sei mesi. 56

La nuova giunta Della Porta aveva quindi sei mesi, fino al dicembre 1962, per dotare la capitale di un piano regolatore. Scelse di assumere come proprio il piano studiato sotto Diana apportandogli delle modifiche, nell’indifferenza dell’opinione pubblica che ormai non riusciva più a seguire vicende tanto complicate. Questo piano capovolgeva la direzione di espansione della città: potenziava la zona delEur sia per uso residenziale che per uso di uffici invece di proseguire l'ampliamento del settore orientale; cambiava le decisioni sull’insediamento delle industrie nell’area tra la Tiburtina e la Prenestina stabilendone la costruzione vicino Fiumicino, verso la pianura Pontina e ai piedi dei Castelli; inseriva 130 insediamenti abitativi nell’Agro romano più vicino alla città; adibiva a riempimento le zone di complemento che nel progetto di piano erano destinate a ristrutturazione, e considerava pochi frammentari interventi

per il centro storico. Nella lunghissima discussione in Consiglio furono approvati alcuni ordini del giorno dell'opposizione (creazione del parco dell'Appia Antica, realizzazione dell’asse attrezzato, espansione della città nel settore orientale attraverso piani biennali, creazione di un ente permanente per la pianificazione, soppressione dell'Ente autonomo Eur e demanializzazione dei terreni), che

negli anni non avrebbero avuto, però, seguito. L'opposizione comunista non ritenne soddisfacente il loro accoglimento, denunciò come nel nuovo piano fossero state reinserite tutte le vecchie lottizzazioni, e votò quindi contro. Il piano regolatore fu approvato dal consiglio comunale nel dicembre 1962, e il decreto di approvazione fu firmato dal presidente della Repubblica nel settembre 1965. Il quarto piano regolatore della storia di Roma capitale sarebbe, però, rimasto valido per meno di due anni. Va detto che durante l’iter, il ministro dei Lavori pubblici Giacomo 57

Mancini introdusse numerose varianti, la più importante

delle quali vincolò l'Appia Antica a parco pubblico. Nella politica edilizia corrente negli anni del centro-s1nistra non si verificarono reali cambiamenti, e continuarono le costruzioni illecite; ad esempio, il centro di assisten-

za della Fiat sulla via Flaminia ottenne la licenza nono-

stante fosse stato giudicato in contrasto con il piano regolatore, nell’Agro romano

si estese l’abusivismo, si conti-

nuò a costruire sull’ Appia Antica, i lavori del centro gazometrico della Romana gas alla Magliana iniziarono senza permesso, e si rilasciarono licenze per l’edificazione in questa zona nonostante fosse al di sotto degli argini del Tevere. Su alcune licenze edilizie indagò in seguito la magistratura, emettendo nel 1973 una sentenza di condanna che

descrisse la Ripartizione urbanistica del Comune come un ambiente di «promiscuità di interessi di speculazione, di affarismo amministrativo, di disonestà tipicamente delinquenziale»'. Una descrizione del clima di quegli anni è offerta anche da un uomo della stessa amministrazione, Rinaldo Santini, che ha sottolineato come i nuovi politici di professione, «nulla-facenti», non potevano mantenersi con il ricavato dalla carica di consigliere?. Dopo un anno e mezzo di coalizione, quando i socialisti chiesero di passare a una fase più dinamica del centrosinistra, nella maggioranza emersero tensioni. Intanto nella Dc erano peggiorati i rapporti tra il sindaco Della Porta e Petrucci, che, cogliendo l’occasione, indusse il Comitato

romano del partito a una posizione di distacco nei suoi confronti. Così il 5 marzo 1964 Della Porta si dimise*. * Berardi, Storia del malgoverno democristiano a Roma cit., p. 145. * R. Santini, La politica come servizio cit., pp. 74-5. * Ibid., pp. 59-60; Il sindaco informa la De che sii dimette, in «Paese sera», 4 marzo 1964.

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2. Il sindaco in manette. Amerigo Petrucci. Amerigo Petrucci” s'impose alla carica di primo cittadino, e il 12 marzo del 1964 fu eletto con una viva discus-

sione tra liberali e socialisti. Assunse anche la carica di responsabile dell'Ufficio del piano regolatore che gli avrebbe permesso di controllare l’intero settore urbanistico. Vicino a Cioccetti e ora legato a Andreotti, sapeva muoversi stringendo accordi tra le correnti interne della Dc romana, mantenendo rapporti stretti con le gerarchie ecclesiastiche e con l’Azione cattolica, e saldando alleanze con

altri partiti o con componenti di essi. Con lui tornarono al potere in Campidoglio i settori democristiani che avevano governato la città precedentemente, e il centro-sinistra romano si attestò su una stabilizzazione moderata. Falliva così il tentativo di Moro di cercare nuovi equilibri nella realtà romana superando le alleanze di centro-destra del decennio precedente. I comunisti non si astennero dal dirlo nel giorno della sua elezione, con il discorso di Na-

toli in consiglio comunale’. Nell’organizzazione dell’amministrazione, con Petrucci si aprì una fase di innovazioni nell’assetto del Comune, necessarie per adeguarsi alla realtà cittadina in cambiamento che era arrivata ai 2246 883 abitanti, come registrava il

censimento del 1961. Di fronte all’aumentare dei problemi

? Amerigo Petrucci (Roma 1922-83). Laureato in filosofia. Proveniente

dalla Gioventù cattolica, era stato segretario del Comitato romano della Dc dal 1961 al 1963, e dal 1963 segretario regionale. Era stato consigliere provinciale dal 1952 al 1960, e poi consigliere comunale. Al momento della sua elezione a sindaco faceva parte della corrente dei dorotei. Una carriera poli-

tica, in «Paese sera», 13 marzo 1964, p. 4; 1948-1998. 50 anni di parlamento, governi, istituzioni cit., ad nomen. * Amerigo Petrucci è il nuovo sindaco, in «Paese sera», 13 marzo 1964. ? ASC, CC, 12 marzo 1964, pp. 609-12.

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e al nuovo profilo della città che si andava delineando, la macchina burocratica aveva bisogno di aggiornarsi, venne quindi istituita la responsabilità del decentramento nella suddivisione degli assessorati. Alle elezioni cittadine del 12 giugno 1966 nella lista della Dc Petrucci, capolista, distanziò nel numero di preferenze altre personalità che rappresentavano altre anime della Dc romana, e la sua scontata rielezione rafforzò i rapporti con i socialisti. L'appuntamento elettorale ebbe quindi la funzione di consolidare il centro-sinistra e convalidare le suddivisioni e posizioni interne della Dc. I risultati furono: Dc 30,8%, Pci 25,3%, Pli 10,7%, Psdi 9,6%, Msi 9,3%, Psi 7,6%, monarchici 2,3%, Psiup 2,1%, Pri 1,7%.

Nell’attività amministrativa capitolina la questione più importante che si presentò alla giunta di Petrucci fu ancora una volta il piano regolatore. Da sindaco egli poté completare il lavoro iniziato da assessore all’Urbanistica della giunta Della Porta, riportando al governo locale la gestione della materia che prima il ministro Sullo e poi il ministro Mancini avevano tentato di mettere in discussione. Nell’ottobre 1967 il consiglio comunale adottò la variante generale da lui proposta, per introdurre le rettifiche apportate dal ministero dei Lavori pubblici in sede tutoria, e quelle delle leggi n. 167/1962 sull’edilizia economica e popolare, e n. 765/1967. La variante generale incideva decisamente sulla progettazione della città futura, stabilendo definitivamente la priorità dell’espansione verso il mare e lo spostamento della direzionalità dalla zona est della città. I contenuti specifici erano: una maggiore espansione a nord lungo la via Cassia e a Prima Porta, un ulteriore aumento verso il mare a Ostia Antica, Acilia e Casal Palocco, l’in-

troduzione di nuclei edificabili lungo la costa a Fregene e Passo Oscuro, l'incremento delle aree petrolifere a Panta-

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no di Grano e Isola Sacra, l’aumento delle zone di servizi

lungo il Tevere intorno a Ponte Galeria e Acilia, l’edificazione di nuove zone residenziali lungo via Cristoforo Colombo, la destinazione di Cinecittà a zona direzionale, la

collocazione lungo l’asse attrezzato di un ospedale a Pietralata e della Facoltà d’ingegneria a Centocelle, la definizione di parchi privati delle ville lungo la via Nomentana e la diminuzione del parco di Villa Chigi'°. Il 14 novembre 1967 Petrucci si dimise; intendeva candi-

darsi alle politiche e la carica di sindaco era incompatibile; rimase però in giunta con l’incarico di assessore al Bilancio". Pochi mesi dopo, a gennaio 1968, scoppiava lo scandalo: Petrucci era arrestato con l’accusa di peculato continuato e aggravato e interesse privato in atti d’ufficio, riferita alla sua gestione da commissario della sezione romana dell'Opera nazionale maternità e infanzia (Onmi) tra il 1956 e il 1960,

più precisamente l’accusa era di aver utilizzato l’ente come strumento elettorale personale; con lui furono arrestati altri dirigenti democristiani. La vicenda si chiarì nel 1972, quando la sentenza di assoluzione parlò dell’ipotesi di una lotta interna di partito’. Petrucci, infatti, era divenuto rapidamente troppo influente nella Dc romana. 3. Il sindaco di transizione. Rinaldo Santini.

Anche l’elezione del sindaco successivo, Rinaldo Santi-

ni, fu indotta non dalla ricerca di una personalità che più di '° Insolera, Roma moderna cit., pp. 273-7. "" Accettate le dimissioni di Petrucci definite «un petardo che fa cilecca», in «Paese sera», 15 novembre 1967. ‘? Arrestato l’ex sindaco Petrucci, ivi, 21 gennaio 1968; Piena assoluzione

per Amerigo Petrucci, in «Il Popolo», 27 aprile 1972. 61

altre potesse rappresentare la città o più di altre possedesse capacità appropriate al compito di sindaco, bensì dalle alleanze e lotte tra correnti e aree della Democrazia cristiana romana".

La sua candidatura, preferita ad altre avanzate, fu approvata dal tutore della politica romana Andreotti, dalla maggioranza del partito e da uno dei due vicesegretari nazionali, Flaminio Piccoli, mentre il segretario nazionale Mariano Rumor non si espresse e l’altro vice Arnaldo Forlani insistette per Mauro Bubbico, che era appoggiato an-

che dalla corrente della Base, a Roma limitata. Per quanto minoritaria, la candidatura di Bubbico rese problematica l'elezione di Santini, che poté raggiungere la maggioranza solo con l’aggiunta dei voti di tre missini. Santini assunse l’incarico di sindaco il 21 dicembre 1967". Lo terminò dimettendosi il 6 maggio 1969, dopo una lunga crisi apertasi in marzo con le dimissioni dei tre assessori democristiani Cabras, Bubbico e Franco Rebecchi-

ni, esponenti di tre aree diverse della Dc, rispettivamente sinistra, Nuove cronache e cattolici conservatori, che par-

larono di immobilismo della giunta. Le ragioni della crisi ancora una volta erano da ricercarsi negli equilibri interni del partito a Roma, affermatisi al congresso. Dopo le dimissioni di Nicola Signorello, che era stato eletto senatore, la carica di segretario del Comitato romano era stata as‘ Rinaldo Santini (Roma 1914). Magistrato della Corte dei conti. Era stato dirigente romano dell’Azione cattolica dal 1934 al 1944, e poi segretario provinciale dal 1945 al 1947. Nel 1947 era divenuto segretario della Camera del lavoro di Roma per la corrente democristiana, e dopo la scissione sindacale segretario della Cisl di Roma fino al 1954. Dal 1946 a metà anni cinquanta era stato redattore sindacale de «Il Popolo». Dal 1952 consigliere comunale e consigliere provinciale. Aveva ricoperto diversi incarichi di assessore. Santini, La politica come servizio cit. “ Rinaldo Santini sindaco di Roma, in «Il Popolo», 22 dicembre 1967.

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sunta da Giorgio La Morgia. Ma al congresso, a causa dei suoi difficili rapporti con Petrucci, fu invece eletto segretario il fanfaniano Nicola Cutrufo. A quel punto Bubbico, che non aveva rinunciato all’obiettivo di divenire primo cittadino, diede le dimissioni da assessore per provocare una crisi in giunta, e lo seguì Cabras della Base. La mediazione finale fu l’accettazione da parte della corrente fanfaniana delle dimissioni di Cutrufo per far tornare segretario La Morgia, ottenendo in cambio la carica di sindaco, che ricadde sul maggiore esponente della corrente a Roma, Clelio Darida!.

4. Un sindaco, tante giunte. Clelio Darida. Per la ricostruzione della coalizione di centro-sinistra furono necessari quasi tre mesi. Il 30 luglio 1969 Darida"° fu eletto sindaco, e la sua giunta tripartita, composta da Dc, Psi e Psiup si formò dopo qualche giorno, faticosamente con tre votazioni”. Iniziava una stagione turbolenta per il Campidoglio, durante la quale si susseguirono a distanza di poco tempo diverse giunte guidate dallo stesso 5 ASC, CC, 15 aprile 1969, pp. 3268-78; ivi, 18 aprile, pp. 3282-96; ivi, 22 aprile, pp. 3311-15; ivi, 30 a DI pp. 3322-4530; Il centro-sinistra è ormai

moribondo anche in Cieli in «L'Unità», 20 marzo 1969; Da oggi il Campidoglio senza giunta, ivi, 7 maggio 1969; Santini, La politica come servizio cit.

pp. 65-6, 73-4.

‘+ Clelio Darida (Roma 1927). Laureato entrato nel Comitato romano della Dc; era giovanile nel 1950 e dell’Ufficio propaganda to eletto consigliere nazionale. Era diano si dimise nel 1969 per divenire sindaco. Era

in giurisprudenza. Nel 1947 era stato dirigente del Movimento nel 1954-55, e nel 1959 era stadeputato nel 1963, carica da cui consigliere comunale dal 1960.

Clelio Darida sindaco di Roma, in «Il Popolo», 31 luglio 1969; 1948-1998. 50 anni di parlamento, governi, istituzioni cit., ad nomen.

‘ Assessori: faticoso l’accordo, in «Paese sera», 2 agosto 1969; Clelio Da-

rida sindaco di Roma, in «Il Popolo», 31 luglio 1969.

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Darida. Il mandato della prima amministrazione terminò con la naturale conclusione della consigliatura. Le elezioni si svolsero il 13 giugno 1971, dopo una campagna elettorale con la partecipazione di leader nazionali come Pietro Ingrao, Giorgio Almirante, Ugo La Malfa, Mario Tanassi e Tullio Vecchietti. Il risultato più significativo fu l'avanzamento del Msi con il 16,2%. Gli altri dati furono: Dc 28,3%, Pci 25,4%, Psdi 10,5%, Psi 8,3%, Pri 4,2%, Pli 3,8%, Psiup 1,4%, monarchici 1,1%. Il 7 agosto Darida fu riconfermato, ma la formula di centro-sinistra non era at-

tuabile, e ci vollero due mesi per trovare la soluzione in un monocolore Dc, che si formò in ottobre e tirò avanti per qualche mese fino al febbraio dell’anno successivo". Nel marzo 1972 si costituì una terza giunta Darida, un quadripartito Dc, Psi, Psdi e Pri'. In quello stesso anno il sindaco, per contrastare il divieto di balneazione sul litorale di Fiumicino ordinato dal pretore Gianfranco Amendola,

scelse una modalità singolare per la sua carica, un’immersione pubblica nelle acque”. L’ennesima crisi si ebbe nel luglio 1974 quando il Psi si ritirò per disaccordi sulla mancata attuazione del programma; per scongiurare la nomina di un commissario prefettizio si risolse in novembre con il ritorno a un precario monocolore democristiano sempre guidato da Darida, che di volta in volta si appoggiò su singoli provvedimenti ai diversi gruppi consiliari, anche al Pci”. Questo quadro amministrativo incerto, fatto di equilibri transitori, che caratterizzò gli anni di Darida, non im"“ Darida rieletto sindaco, ivi, 8 agosto 1971, p. 6; / nuovi assessori comunali, ivi, 14 ottobre 1971, p. 6; Accolte le dimissioni della giunta monocolore, ivi, 17 febbraio 1972. '? Gli assessori D. C. nella terza giunta Darida, ivi, 19 marzo 1972. ® Porro, Il cemento e la ricotta cit., pp. 109-10.

?' Gli assessori del Psi escono dalla giunta, in «Il Popolo», 1° agosto 1974; Darida eletto Sindaco di una Giunta monocolore Dc, ivi, 27 novembre 1974.

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pedì, comunque, il varo di alcuni provvedimenti da tempo attesi: la strutturazione del decentramento circoscrizionale, l'avvio di alcuni piani di risanamento delle borgate e l'incentivo dell’edilizia scolastica con un programma di settanta nuovi edifici tra il 1969 e il 1972. Il decentramento cittadino fu attuato a Roma nel 1966 con l’istituzione di dodici circoscrizioni, numero che nel 1972 fu aumentato a

venti. Con poteri più estesi delle precedenti deleghe affidate agli Aggiunti del sindaco, le prime amministrazioni circoscrizionali furono nominate indirettamente dal consiglio comunale nel settembre 1969, e divennero elettive a

partire dalle consultazioni amministrative del 1981. Ma la suddivisione della città fu fatta in modo burocratico, sen-

za ricerca della modalità più efficace. Roma aveva una sua suddivisione in rioni, quartieri, borgate e suburbi prodottasi nel corso dei secoli, che non fu considerata, così le cir-

coscrizioni si connotarono piuttosto come pezzi di città. La loro funzione politico-amministrativa doveva essere di strumento di potenziamento e rinnovamento della vecchia macchina comunale, e di collettore della domanda di partecipazione espressa dai movimenti di base. Di fatto l’autonomia gestionale in poco tempo si rivelò meno ampia del richiesto, e questo secondo ruolo presto si esaurì. In questi anni si compì anche il quadro del decentramento nazionale, con l’entrata in funzione nel 1970 delle Regioni; alla Regione Lazio s’insediò una giunta Dc, Psi, Psdi, Pri

guidata dal democristiano Girolamo Mechelli. Come le altre, anche quella del Lazio impiegò anni per essere organizzata, nel frattempo il suo rapporto con Roma si limitò a indicazioni e dichiarazioni generiche”. ® Della Seta - Della Seta, / suoli di Roma cit., p. 205; V. Roidi, Roma com’è, Newton Compton, Roma 1987, p. 180.

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A mettere termine all’esperienza del centro-sinistra romano furono le elezioni amministrative del 20 giugno 1976, che coincisero con il voto politico anticipato. La Dc guardava con timore a questo appuntamento, dopo la caduta nella tornata amministrativa dell’anno prima, e impegnò personalità di ampia visibilità come Andreotti e Vittorio Bachelet. Per il crollo attribuì responsabilità anche al Vicariato, che nel 1974 con il convegno su / cristiani e le attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma, meglio conosciuto come il convegno su / mali di Roma, aveva posto con rigore il problema delle responsabilità della Chiesa nel degrado della città; si era trattato di un momento

di di-

stacco dal potere politico che aveva avuto un ruolo nelle coscienze di molti elettori democristiani”. 5. Una visione complessiva del centro-sinistra romano. Alcune questioni importanti si svolsero lungo l’arco di tempo complessivo del centro-sinistra romano, attraversando l’operato delle giunte di tutti e quattro i sindaci. Innanzitutto il trasporto”. L'aumento del benessere con il boom economico indusse negli anni cinquanta e sessanta le famiglie italiane all'acquisto e all’utilizzo continuato dell'automobile, sostenuto anche dall’assenza di politiche che favorissero il mezzo pubblico, sia nazionali che in sede locale. Le amministrazioni di centro-sinistra roma® La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità della diocesi di Roma, s.e., Roma 1974; Vidotto, Roma contemporanea cit., pp. 315-6.

* Pagnotta, Roma in movimento cit.; Ead., Effetti ambientali delle politiche del trasporto pubblico a Roma negli anni Cinquanta e Sessanta, relazione al convegno Ambiente e storia. Risorse, città e territori nell’Italia contemporanea, Siena, dicembre 2005, atti in corso di pubblicazione.

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ne continuarono la linea degli anni cinquanta di decisioni volte a favorire esclusivamente il trasporto privato, attraverso provvedimenti relativi al trasporto pubblico e altri relativi alla viabilità. Il traffico nella città così aumentò, di-

venendo l’argomento più trattato sulle pagine locali dei quotidiani. Circa i provvedimenti per i mezzi pubblici, proseguì lo smantellamento delle linee tranviarie e filoviarie e la loro sostituzione con l’autobus; nella dismissione

del filobus dopo le linee del centro si passò alle semicentrali e periferiche, e l’ultimo filobus circolò nel luglio 1972. Quanto alla viabilità, si affidava al piano regolatore l’intervento sul lungo periodo, mentre per il breve e medio si prevedevano come strumento centrale di decongestionamento nuovi schemi viari, e la revisione della disciplina della circolazione con un coordinamento delle correnti veicolari mediante sensi unici, circolazioni rotatorie e so-

prattutto onde verdi, ossia itinerari con semafori sincronizzati che creavano una rete continua di tronchi stradali. Dopo essere stata sperimentata sulla via Cristoforo Colombo, nel 1967 l’onda verde fu applicata a un lungo percorso da corso Francia, per i lungotevere e viale Trastevere, fino a viale Marconi. Ma riguardando soltanto la regolarizzazione del traffico privato, e non il suo scoraggiamento, l’onda verde, come tutte le altre iniziative, nella

pratica finì per sollecitare l’utilizzo del mezzo individuale. Tra le tante rilevazioni e indagini sul traffico a Roma che si svolsero negli anni sessanta, le più importanti furono quelle prodotte da un’apposita commissione insediata nel 1963 dall’assessore competente. Ma seppure approfondite, non produssero una politica che distogliesse dall’impiego del mezzo privato. Compresa nell’assenza di una politica del mezzo pubblico fu la mancanza di operatività sulla metropolitana, della quale nel 1959 era stata decisa la 67

costruzione della seconda linea (la prima era stata iniziata durante il fascismo e inaugurata nel 1955). Nel 1960 fu

bandita la gara ma l’anno successivo il Consiglio superiore dei lavori pubblici invitò a rielaborare le proposte affinché non interferissero con le opere previste dal piano regolatore, ormai pronto; finalmente nel 1964 il primo tronco di lavori fu assegnato, ma dovettero passare tre anni, fi-

no al 1967, per l’attribuzione del secondo. La politica del traffico sbagliata delle giunte di centrosinistra era fortemente criticata dal Pci, che in questi anni affiancò alla questione della casa e della speculazione edilizia quella del trasporto pubblico, di cui chiedeva il rafforzamento rifacendosi anche agli orientamenti degli studiosi del settore in campo internazionale. Per i comunisti roma-

ni a questo fine era necessaria anche un’attenzione alle tariffe, come mostrava la rivolta urbana che si generò all’in-

domani del loro aumento nel maggio 1965. La politica del mezzo di trasporto privato iniziò ad essere attutita alla fine del decennio, quando si cominciò a tutelare la priorità di alcune linee. Nell’estate del 1968 entrarono in funzione i primi due percorsi preferenziali (via Gregorio VII-corso Vittorio Emanuele-stazione Termini, e via Salaria-stazione

Termini), fu vietata la sosta in una parte del centro storico in due fasce orarie del mattino e del pomeriggio al fine di scoraggiare l’utilizzo del mezzo privato, e fu istituita la prima isola pedonale a piazza Navona e via dei Coronari, a cui altre seguirono negli anni successivi. Ulteriori provvedimenti sul traffico arrivarono nell’autunno del 1970,

quando fu data priorità ai mezzi pubblici su via Nazionale, fu avviata una campagna di controllo sul rispetto dei divieti di sosta e fu chiusa alle auto private via del Corso. Infine, va ricordato che fu negli anni sessanta che si decise e si iniziò la costruzione della peggiore opera viaria 68

della storia della città: la Tangenziale est, una sopraelevata stretta tra palazzi della fine Ottocento-inizio Novecento che corre all’altezza del terzo piano e a pochi metri dalle abitazioni. Iniziata alla fine del decennio e proseguita per porzioni, ha devastato l’area tra Porta Maggiore e l’inizio della Prenestina, e inflitto al popolare quartiere di San Lorenzo una degradazione che dura ancora oggi. Fin dagli anni cinquanta le amministrazioni capitoline avevano lasciato edificare secondo gli interessi delle proprietà fondiarie, senza pensare alla vivibilità futura dei luoghi e alla necessità di servizi e di strade. Ora a questa mancanza si poneva rimedio con un intervento impensabile, ma che allora era visto come elemento di modernità, tanto che non si

oppose neanche il Pci che, pure, sulla questione del trasporto pubblico si mostrava lungimirante. Per quanto riguarda il verde pubblico negli anni del centro-sinistra si realizzarono alcune acquisizioni. Nel 1966 furono aperti venti ettari di Villa Ada, che si aggiunsero ai quattordici fruibili già da sei anni, e fu aperta la parte di Villa Pamphilj al di là dell’Olimpica. Di Villa Pamphil} nel 1970 e nel 1971 furono aperti anche il giardino all’italiana intorno alla Palazzina dell’ Algardi e la parte rimanente, ma durante i sei anni occorsi per adottare il relativo piano particolareggiato un istituto religioso si era ampliato nei suoi confini. Nel 1969 il ministero dei Lavori pubblici confermò i già avvenuti esproprio e apertura di tredici ettari del parco di Monte Mario, rivendicati da un istituto religioso, e nel 1970 il Comune, grazie all’opposizione dei cittadini, rifiutò la proposta del principe Torlonia del dono dei tre quarti della sua villa sulla via Nomentana in cambio della concessione di costruzione per la parte rimanente. Nel 1972 il consiglio comunale deliberò il Piano verde, un pacchetto di

espropri di aree già vincolate per 33 parchi. Nel 1976 fu de-

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ciso il vincolo a verde pubblico dell’area del Pineto di proprietà della Società immobiliare Pineto, controllata dalla Società generale immobiliare e dal principe Torlonia. C’erano poi da salvaguardare le pinete secolari lungo la costa. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici bloccò la lottizzazione della tenuta di Capocottadi proprietà della Società marina reale, ma tracciati stradali abusivi erano già stati

creati; furono comunque necessari trent'anni perché venis-

se annessa alla pineta di Castel Porziano. Per quanto riguarda le altre, la pineta di Castel Fusano era parco pubblico perché il Comune negli anni trenta l’aveva acquistata direttamente dal principe Chigi, quella di Castel Porziano invece faceva parte dei beni della corona che erano passati alla presidenza della Repubblica”. Sull’Appia Antica intanto continuava l’abusivismo di lusso, con la trasformazione dei casali in ville e il frazio-

namento delle tenute, di fronte al quale il Comune rimaneva inattivo”. Nel 1964, grazie alla protesta di Italia Nostra, il sindaco ordinò la demolizione di una villa in co-

struzione illegalmente su una torre di cinta del Castello Caetani, che però non fu mai eseguita. L'associazione ambientalista aveva reagito qualche anno prima, nel 1962, anche all’approvazione del piano regolatore che destinava a parco pubblico soltanto l’area dal quarto chilometro in poi, e i primi tre ad insediamenti abitativi; la questione fu risolta, come si è accennato, dal ministro dei Lavori pub-

blici Mancini che nel 1965, approvando il piano regolatore, destinò a parco pubblico la campagna dell'Appia Antica. Alcuni proprietari dell’area fecero ricorso ottenendo ragione dal Consiglio di Stato, ma intanto la variante ge* Della Seta - Della Seta, / suoli di Roma cit., pp. 199-200; Insolera, Ro-

ma moderna cit., pp.280-3.

% Antonio Cederna. Storia moderna dell’Appia Antica cit. 70

nerale del 1967 aveva recepito la modifica e la sentenza non ebbe effetto. Nel 1972, infine, il Comune avviò l’e-

sproprio di ottantasei ettari della Valle della Caffarella. Per la via Prenestina, invece, non bastarono le continue denunce di Italia Nostra, svolte anche attraverso l’allesti-

mento di una mostra a Palazzo Venezia nel 1967”. La via continuò ad essere in parte distrutta e in parte abbandonata al degrado. Per quanto riguarda l’edilizia, nel 1964 fu adottato il Piano dell’edilizia economica e popolare (Peep). La sua applicazione spostò la direttrice di espansione della città da est a sud, coerentemente con quanto delineato nel nuovo piano regolatore. Il Peep comportava l’esproprio di circa 5000 ettari e la costruzione di circa 700000 vani, ma il rit-

mo delle realizzazioni fu lento a causa dell’opposizione dei proprietari dell’area, e dell’impossibilità per il Comune, in deficit, di impegnarsi nelle spese. Così nel 1977 risultavano costruiti solo 190000 vani. Gli effetti di questa edilizia popolare furono sempre gli stessi, la valorizzazione dei terreni circostanti, su cui le imprese private concentrarono gli investimenti, stabilendo dal 1967 convenzioni con il Comune con cui si impegnavano a portare i servizi. Questa politica delle convenzioni finì, quindi, per lasciare all'impresa privata l’espansione, seppure regolamentata, continuando così la speculazione fondiaria, seppure di portata ridotta. L'unico quartiere del Peep interamente eseguito fu Spinaceto, pochi chilometri oltre l’Eur, alla cui realizzazione parteciparono l’Istituto autonomo case popolari (Iacp), e le cooperative e le imprese che avevano acquistato i terreni all’asta. La struttura del quartiere fu razionale, con le necessarie infrastrutture e spazi verdi, ma

” L. Quilici, La via Prenestina. I suoi monumenti, i suoi paesaggi, Palazzo Venezia, Roma, gennaio 1967, Bulzoni, Roma 1967.

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dopo l’edificazione risultò troppo lontano dal resto della città e mal collegato, quindi faticosamente vivibile*. Quanto all’industrializzazione, il piano regolatore del 1962 accentuò il carattere amministrativo della città. Furono, infatti, privilegiate come aree industriali, come si è già accennato, la zona nord della pianura Pontina all’area a ridosso dei Castelli romani, mancanti di infrastrutture e il

cui perimetro complessivo non equilibrava il rapporto con le attività direzionali e terziarie. Per la vecchia zona di Tor Sapienza e Tiburtina furono previste opere di sistemazione. Nel 1962 si costituì anche l'Area di sviluppo industriale (Asi) Roma-Latina nell’ambito della Cassa del Mezzogiorno, nel 1965 si formò il relativo Consorzio di comuni

(cinque della provincia di Roma e undici di quella di Latina), e venne varato il Piano preliminare dell’area, approvato poi nel 1972. Tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio del decennio successivo in cui si trasformarono la struttura sociale e la struttura economica dell’Italia, Roma si con-

solidò come città amministrativa. Da una parte furono allontanati gli insediamenti produttivi verso la pianura Pontina, dall’altra la politica di Fanfani di riorganizzazione della burocrazia dello Stato e di una maggiore presenza pubblica nell'economia, fece sì che ai già presenti ministeri si aggiungessero le sedi delle società nazionali ed estere che avevano bisogno di un rapporto più stretto con l’esecutivo e con il capitale statale, e che nella città si trasferissero le direzioni delle banche e dei centri economici. Ma,

di fatto, affianco alla capitale burocratica l’area pontina divenne la vera Zona industriale della città”. * ASC, CC, 26 febbraio 1964, pp. 511-55; A.-M. Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 389-90; Vidotto, Roma contemporanea cit., pp. 229-30. ?° Pagnotta, Roma città industriale? cit.; Ead., Roma industriale cit.

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All’inizio degli anni settanta Roma aveva assunto ormai una connotazione metropolitana, ma disordinata. Il censimento del 1971 calcolava 2782000 abitanti, quasi 600000 in più rispetto al precedente. Per alcuni problemi vi erano stati miglioramenti, altri rimanevano allo stato del decennio precedente. Ma soprattutto vi erano ancora le baracche delle borgate e le case fatiscenti dei borghetti, dove una parte di popolazione come nel dopoguerra viveva condizioni di povertà. A riportarlo all'evidenza pubblica nel febbraio del 1968, mentre il Movimento degli studenti occupava l’università con grande risalto sulla stampa, fu la disgrazia di un bambino di due anni al Fosso di Sant’ Agnese, mutilato delle gambe da un treno di passaggio sulla ferrovia davanti casa, ancora priva di protezione. $i scopriva, così, che per molti bambini le condizioni di vita in vent'anni non erano cambiate, e come alla fine degli anni quaranta rischiavano di cadere nelle marrane o di perdere la vita per andare a scuola attraversando i binari. Negli anni precedenti epidemie di epatite virale avevano colpito le scuole romane; la causa era da ricercarsi nella rete fognaria inadeguata, e in alcune zone inesistente, una questione che

metteva sotto accusa le istituzioni comunali® Contro questo stato di degrado concreto, e contro l’atonia che caratterizzava la città, Alberto Moravia pubblicò Contro Roma, una raccolta di opinioni di alcuni intellet-

tuali che investiva l’identità complessiva della capitale”. Negli anni sessanta sui problemi della città nacque la partecipazione diretta nelle periferie, nelle borgate e nei borghetti, come era già avvenuto con le Consulte popola3 Bimbo di due anni straziato dal treno, in «L'Unità», 22 febbraio 1968;

Centotrenta scuole non hanno fognature e 65 mancano di rete idrica, ivi, 5 maggio 1967. "" Bompiani, Milano 1975. Vidotto, Roma contemporanea cit., pp. 319-22.

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ri dell'inizio degli anni cinquanta. I protagonisti della stagione del Movimento per la casa che si svolse nelle grandi città, a Roma furono l’Unione nazionale inquilini e assegnatari (Unia), legata ai partiti della sinistra, che nacque nel 1964 e condusse una battaglia contro il caro-affitti, e soprattutto i gruppi spontanei diabitanti delle periferie organizzati nel Comitato di coordinamento borgate romane (Ccbr), trasformatosi nel 1969 in Comitato di agitazione borgate (Cab). La mobilitazione che si snodò negli anni

culminò nel 1968-69 con le occupazioni di numerosi stabili vuoti da parte del Cab, occupazioni che in fasi successive di conflittualità crescente riguardarono edifici pubblici abbandonati, poi edifici pubblici nuovi inutilizzati, fino agli stabili di proprietà privata. Così furono dapprima occupate le case popolari, dagli assegnatari a cui non erano state ancora attribuite per lungaggini burocratiche o per gestione clientelare dello Iacp, per arrivare agli edifici di alcune immobiliari. Nel 1970 le occupazioni si diradarono, mentre centrale divenne la vertenza sui costi degli affitti, affrontata con la pratica dell’autoriduzione. L'esperienza del Cab si chiuse all’inizio degli anni settanta”. Contemporaneamente a questa conclusione nacquero i Comitati di quartiere su problemi specifici. Il primo nel © M. Grispigni, 7ra protagonismo sociale, antagonismo e collaborazione istituzionale: Lia

dei comitati di quartiere, in Società civile e istitu-

zioni nel Lazio. Nuovi bisogni, movimenti, rappresentanze, Cripes-Kairos, Roma 1990, pp.

1-24; L. Musci, Venti anni di lotte per la casa a Roma, ibid.,

pp. 25-54; Se A arole fossero mattoni... Dieci anni di lotte per la casa: con-

tributo a una riflessione nella sinistra, a cura di L. Mozzilli, L. De Gasperi, G. Dragotto, Edizioni M. M. Chiesa, Firenze 1981; M. Marcelloni, Roma, mo-

menti della lotta per la casa, in Le lotte per la casa in Italia, Feltrinelli, Milano 1974; M. Vendittelli, / comitati di quartiere, in «La Critica sociologica», 1978, 45-46, pp. 60-70. Una ricostruzione cronologica degli avvenimenti riguardanti le case e le occupazioni di questi anni è contenuta in G. Nigro, C.

Pignocco, F. Tortora, / padroni della casa, Coines edizioni, Roma 1972.

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1971 alla Magliana, quartiere simbolo della speculazione dei «palazzinari» romani, a cui seguirono Primavalle, Appio-Tuscolano, Portonaccio, Garbatella e altri. La Maglia-

na era un quartiere malsano, costruito senza rispettare l'obbligo di rialzare la zona che si trovava sei metri al di sotto del Tevere, per guadagnare così due piani in più, con il risultato che nelle giornate di pioggia tutta l’area si allagava. Inoltre la rete fognaria non era stata costruita e la sostituiva una serie di fosse biologiche che inquinavano 1 terreni e le condutture dell’acqua che li attraversavano. A Primavalle, invece, la battaglia era contro l’espulsione. Le società immobiliari avevano cominciato ad adoperarsi per mandar via i ceti popolari dalle zone da cui potevano ricavare affitti più alti o che potevano riedificare, in genere quelle della periferia delle borgate fasciste; a Primavalle intendevano riedificare le palazzine costruite dal fascismo, ma il Comitato di quartiere riuscì a fermare l’operazione e a far assegnare i terreni della zona all’edilizia popolare. La casa nelle sue diverse articolazioni (blocco delle espulsioni, blocco delle vendite degli appartamenti affittati, ristrutturazioni, diminuzione degli affitti) fu ovunque per i Comitati il problema più sentito, ma vi furono anche l’inade-

guatezza 0 la mancanza dei diversi servizi. Nel 1973-74 vi fu una seconda ondata di occupazioni, amplificata dalla vertenza sul costo degli affitti, in cui furono presenti anche i gruppi della Nuova sinistra nati dal Movimento del ’68. La giunta democristiana di Darida rispose con l’acquisto sul mercato di alcune migliaia di appartamenti che attribuì, e con l’approvazione del piano d’emergenza Isveur, un accordo tra amministrazione e Costruttori privati per l'edificazione di circa duemila alloggi su aree cedute gratuitamente dal Comune, con un finanziamento pubblico di 45 miliardi. 75)

La partecipazione diretta nacque anche nei quartieri più benestanti, soprattutto intorno alle questioni del verde, dando vita a battaglie grazie alle quali la città avrebbe acquisito negli anni successivi numerosi parchi e antiche

ville (come villa Torlonia, villa Leopardi, villa Blanc, villa

Chigi, villa Carpegna, villa Strohl-Fern). Tali esperienze furono caratterizzate da un’elaborazione politica meno consistente, e molte si conclusero in tempi più rapidi delle mobilitazioni per la casa”. Questo descritto è il retroterra di partecipazione popolare e non direttamente coordinata dai partiti a cui il Movimento del ’68 dette impulso a Roma. A metà anni settanta la spinta democratica originatasi non solo dai partiti tradizionali della sinistra ma dall’incontro-scontro di questi con le nuove forme partecipative e con i nuovi gruppi politici, portò nel paese in molte consultazioni elettorali una vittoria delle sinistre. Prima di quelle scadenze a palesare i grandi cambiamenti culturali in corso fu il referendum sul divorzio nel maggio 1974, che respinse la proposta di abrogazione con una maggioranza di 59,1%, a Roma

del 59,8%.

* Della Seta - Della Seta, / suoli di Roma cit., p. 246.

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Tv. Le giunte di sinistra (1976-85)

1. Il sindaco professore. Giulio Carlo Argan.

Con le elezioni amministrative comunali, provinciali e regionali che si svolsero tra il 1975 e il 1976 in molte realtà si verificò uno spostamento a sinistra. Nel giugno 1975 i partiti dello schieramento di sinistra conquistarono i comuni di Torino, Milano, Napoli e altre città minori, e nuo-

ve giunte regionali si formarono in Liguria, Piemonte e Lombardia. Alla Regione Lazio fu nel marzo 1976 che il centro-sinistra lasciò il posto a una giunta presieduta dal comunista Maurizio Ferrara. Ma la svolta più rilevante fu quella di Roma con le elezioni del 20 giugno 1976, in coincidenza con le politiche: il Pci salì al 35,5% superando il 33,1% della Dc. Questi gli altri risultati: Msi 10,5%, Psi 7,7%, Pri 4,1%, Psdi 3,7%, Pr 2,0%, Pli 1,7%, Dp 1,6%. L'elezione di un sindaco comunista a Torino, Napoli o

Firenze rappresentava un significativo risultato politico, ma un sindaco comunista a Roma, capitale del paese e centro del cattolicesimo, aveva una portata politica e simbolica ben maggiore. Tanto più che la sconfitta democristiana era sopravvenuta nonostante a guidarne la lista fosse stato Andreotti, personaggio nazionale di primo piano e influente nella politica della città. Il trauma fu mitigato dalla 77

scelta per la carica di sindaco del professore Giulio Carlo Argan', il maggiore storico dell’arte italiano, studioso indiscusso a livello internazionale e in più eletto nelle liste comuniste come indipendente. Una scelta che l’opinione pubblica recepì come un cambiamento nella storia dell’amministrazione capitolina, come la volontà di anteporre la cultura agli apparati di partito. Fu eletto il 9 agosto insieme alla nuova giunta, un tripartito Pci, Psi, Psdi. Era la prima volta, dai tempi della coalizione del sindaco Ernesto Nathan del 1907, che la ca-

pitale veniva governata dalla sinistra, e Argan era il primo sindaco capitolino non democristiano della Repubblica. I comunisti romani dovevano ora dimostrare di essere capaci di realizzare quello che avevano chiesto in decenni di opposizione. Dovevano dimostrarlo ai ceti che si erano sempre espressi per altre maggioranze, a coloro che in quell’occasione avevano tentato un voto diverso, ma anche al proprio elettorato, che da anni attendeva di vedere esaudite numerose richieste. Il periodo delle giunte di sinistra fu uno dei più difficili della storia italiana. Il 1976 fu l’anno del primo governo di solidarietà nazionale sostenuto dall’astensione del Pci e

del Psi, ma anche l’anno dello scandalo Lockheed, che coinvolse esponenti nazionali della Dc, del terremoto in

Friuli e della prima grande emergenza inquinamento con la nube tossica di Seveso. Soprattutto le giunte di sinistra ' Giulio Carlo Argan (Torino 1909-92). Storico e critico d’arte. Nel 1933

era entrato nell’Amministrazione dei musei e delle gallerie, e in seguito era divenuto direttore della Galleria estense di Modena. Nel 1934 era divenuto libero docente di Storia dell’arte medievale all’Università di Modena. Era stato docente all’Università di Palermo dal 1955 al 1959, e poi all’Università di Roma. Tra le sue numerose opere già allora le più note erano i manuali di Storia dell’arte. / deputati e i senatori del decimo Parlamento repubblicano. La

Navicella, La Navicella, Roma 1988, ad nomen.

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amministrarono le città negli anni del terrorismo e della violenza come forma della politica, che nelle realtà urbane

si esplicavano e che a Roma ebbe il suo momento più drammatico con l’omicidio Moro?. La sinistra si trovò anche a far fronte prima alle incomprensioni tra i nuovi gruppi emersi dal Movimento del ’68 e il Pci, e in un secondo tempo all’aspro conflitto del Movimento del °77 con la sinistra tradizionale, che nella città ebbe la sua maggiore evidenza nella cacciata del segretario della Cgil Luciano Lama dall’università nel corso di una manifestazione organizzata dal sindacato. Dopo anni di opposizione alle politiche urbanistiche delle giunte di centro e centro-sinistra, la prima materia su cui il Pci si riprometteva d’intervenire era l’assetto urbanistico della città e la sua pianificazione. Questa volontà di cambiamento era accompagnata da un fatto nuovo nel panorama legislativo italiano: l'approvazione dopo lunghe vicissitudini della legge n. 10/1977, detta legge Bucalossi, che stabiliva il principio della separazione tra diritto di proprietà dei terreni e possibilità di edificarvi, e attribuiva alle

istituzioni locali il compito di definire tale possibilità. La legge ebbe però vita breve perchè nel 1980 la Corte costitu-

zionale ne snaturò il contenuto, annullando le norme sul-

l’indennizzo degli espropri calcolato sul valore agricolo». Le prime iniziative della giunta Argan si possono riassumere nel restauro degli edifici di Tor di Nona, di San Paolino e di via dei Cappellari, nel censimento del patrimonio comunale nel centro storico, e nella progettazione di interventi di recupero in alcune aree della città. Inoltre, nel luglio 1977 fu organizzata la 1 Conferenza urbanistica ? Vidotto, Roma contemporanea cit., pp. 325-34.

» V. De Lucia, Se questa è una città (1989), Donzelli, Roma 2006.

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cittadina a Palazzo Braschi, dove furono delineate le stra-

tegie d’intervento della giunta. A solo un anno dalla formazione della coalizione, la conferenza fu un momento di

mediazione con gli altri partiti che avevano partecipato alle giunte guidate dalla Dc, evidenziata dall’assenza dell’idea di oltrepassare il piano regolatore in funzione nella relazione introduttiva l’assessorè all’Urbanistica, il socialde-

mocratico Antonio Pala. Il presupposto degli obiettivi della giunta in questa materia fu il superamento del carattere dualistico della città, così come si era formato nei decenni precedenti a causa della terziarizzazione delle zone centrali e dell’espansione incontrollata della periferia. Due le direttrici di intervento: recupero della funzione residenziale e culturale del centro storico, e unificazione della città attraverso la riqualificazione della periferia legale e il risanamento di quella abusiva. Per fronteggiare con maggiore efficienza i molteplici e difficili elementi di questo programma furono creati |Assessorato speciale alle Borgate e l’assessorato per il Centro storico. Per quanto riguarda il centro fu avviata l'indagine per acquisire i dati quantitativi sugli alloggi e per identificare le zone di maggior degrado, che risultarono Esquilino, Testaccio e Celio'.

Il risanamento delle borgate e dei borghetti era un’eredità del passato, che la nuova amministrazione decise di affrontare destinandovi molta parte delle finanze comunali. Si trattava di avviare urgentemente il riassetto idrico-sanitario, di portare gli altri servizi e di costruire infrastrutture. Condurre a standard di vita urbana evoluta una così estesa parte della città era considerata premessa per qual‘S. Garano - P. Salvagni, Governare una metropoli. Le giunte di sinistra

a Roma. 1976-1985, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. 61-2, 137-48.

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siasi altro intervento sullo sviluppo sociale. Il risanamento implicava l'accettazione delle case costruite abusivamente, ma anche questo serviva per voltare pagina definitivamente e portare a compimento l’impegno assunto molti anni

prima dai banchi dell’opposizione. I provvedimenti furono: la perimetrazione dei nuclei abusivi approvata dal Consiglio nell’aprile 1976, la ridefinizione e l’ampliamento di questa perimetrazione votata nel luglio 1977, e la variante per i nuclei abusivi nel luglio 1978°. In realtà, già l’amministrazione precedente nel 1974 aveva varato il piano Acea per la realizzazione delle reti idrica e fognaria, e aveva cominciato a circoscrivere le aree su cui intervenire,

ma fu la giunta Argan a fare dell’intervento di recupero della periferia un progetto politico. Per risolvere la questione delle borgate occorreva accompagnare il risanamento con la costruzione di nuove abitazioni. Così, nel 1978 fu impostata la programmazione edilizia attraverso il Documento programmatico d’intesa 1978-1982 per la salvaguardia dei livelli occupazionali nel settore delle costruzioni, meglio conosciuto come Protocollo d’intesa, firmato tra Comune, costruttori e sindaca-

ti. Riguardava l'edificazione di 80 000 vani all’anno per il successivo quinquennio, il 60% su aree pubbliche e il resto su terreni privati, e aveva una scadenza annuale; nel 1979

fu sottoscritto anche dalle cooperative e due anni dopo si aggiunsero le industrie di Stato. Oltre all’edificazione in tempi rapidi di nuove case, l’obiettivo era la determinazione di una modalità di pianificazione che distogliesse i costruttori dalla tentazione della rendita: da allora in poi il Comune avrebbe espropriato i terreni per la realizzazione 5 ASC, CC, 20 aprile i

4730; ivi, 29-30 luglio 1977, pp. 8414-21; Ap-

provata la variante a Prc: le borgate entrano a pieno titolo nella «città legale», in «L'Unità», 1° agosto 1978.

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dell'edilizia pubblica e li avrebbe assegnati alle imprese costruttrici. Conteneva, quindi, il principio politico forte che soltanto all’amministrazione pubblica spettava il ruolo decisionale sul futuro della città. Ma aveva dei difetti. Non affrontava il mercato edilizio in una visione globale e unitaria e non teneva conto della stabilizzazione demografica che la città stava vivendo, sovradimensionando

così l’e-

mergenza abitativa. Era, insomma, sotteso da una visione dello sviluppo in termini di sola espansione?. La giunta Argan aveva intanto cominciato a caratterizzarsi per le iniziative culturali intraprese dalla linea innovativa dell’assessore alla Cultura Renato Nicolini; l’inizio

di quella stagione fu nell’agosto 1977, con l’installazione alla basilica di Massenzio del maxischermo che avviò V'Estate romana. Anche un’altra iniziativa distingueva la giunta di sinistra, il Progetto Fori. Fu il sovrintendente ai Beni archeo-

logici Adriano La Regina a sollevare per primo la questione dei monumenti romani, affidando alla stampa nel di-

cembre 1978 dichiarazioni preoccupate. Corrosi dallo » smog e senza cure, da anni erano in condizioni gravi e in molti casi, sosteneva il sovrintendente, irreversibili. Tornò

sull'argomento qualche mese più tardi affermando che il centro storico non poteva assolvere tutte le funzioni abitative, politiche, amministrative e commerciali, e proponendo la soppressione di via dei Fori Imperiali per il tratto tra piazza Venezia e via Cavour, per restituire alla sua organica monumentalità il complesso archeologico. Dopo qualche mese propose la creazione di un parco archeologico dai Fori all’Appia Antica. Il Campidoglio si dichiarò fin da subito d’accordo, e ugualmente fece il mondo della cultu* Della Seta - Della Seta, / suoli di Roma cit., pp. 253-4. 82

ra urbanistica. Era d’accordo perfino l’Unione commercianti. Anche il governo si interessò e il ministro dei Beni culturali, il democristiano Dario Antoniozzi, formò una

commissione nazionale per lo studio dei monumenti all’aperto. Soltanto il giornale «Il Tempo» e il gruppo dei Romanisti si mostrarono contrari”. Il 25 settembre 1979 Argan fu costretto alle dimissioni per ragioni di salute.

2. Il sindaco comunista. Luigi Petroselli. Prese il posto di Argan il segretario della Federazione romana del Pci Luigi Petroselli’, colui che aveva voluto l’elezione a primo cittadino dello storico dell’arte!°. Qualcuno vide in questa scelta una nomina d’apparato di un funzionario di partito!'. Ma Petroselli si rivelò presto una personalità capace di recare nuovo impulso ai proget7 I. Insolera - F. Perego, Storia moderna dei Fori di Roma. Archeologia e città, Laterza, Roma-Bari 1999 (1983).

* Le dimissioni di Argan questa sera in Consiglio, in «Paese sera», 25 settembre 1979. ? Luigi Petroselli (Viterbo 1932-81). Nel 1951 aveva partecipato al movi-

mento di occupazione delle terre incolte di Bomarzo, era stato arrestato e rilasciato con la condizionale. Aveva diretto l’Unione artigiani della provincia di Viterbo, era stato eletto al consiglio comunale, al consiglio provinciale e dal 1962 segretario della Federazione del Pci. Nel 1969 era subentrato a Enrico Berlinguer come segretario del Comitato regionale del Pci del Lazio, e nel 1972 era entrato nella Direzione nazionale. Era stato segretario della Federazione di Roma dal 1970 al 1976. G. Narducci, La fatica quotidiana di imporre il nuovo al vecchio, in «Il Messaggero», 8 ottobre 1981; [mprovvisa morte del Sindaco Petroselli, in «L'Osservatore romano», 8 ottobre 1981; Da trent'anni militante del Pci, in «Paese sera», 26 settembre 1979.

!° Il lungo abbraccio di Argan a Petroselli, ivi, 28 settembre 1979. ‘ P. Guzzanti, Ma bastano le «mani pulite»?, in «La Repubblica», 28 set-

tembre 1979; Id., intervista a Petroselli, «Mani pulite e un po’ di fantasia e vedrete, io trasformerò Roma», ivi, 30 settembre 1979.

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ti avviati da Argan, e in grado di conquistare una larga po-

polarità. E alle elezioni del 1981 superò il 20% di preferenze sul totale dei voti di lista, unico caso nelle liste del Poi-dal' 19568

La consolidata esperienza del Partito comunista nel governo locale dell'Emilia, della Toscana e dell'Umbria aveva

influenzato l’elaborazione di questo partito sulla città, concentrandola sul modello delle cittadine di media grandezza,

considerate più vivibili. Nel programma di Petroselli questa limitatezza teorica era superata con realismo. Sul tema della metropoli erano stati soprattutto i gruppi dirigenti romani a costruire un’elaborazione, sulla base dell’esperienza e della riflessione iniziate negli anni cinquanta; questa conoscenza sosteneva ora il programma del sindaco, per il quale gli specifici problemi di una grande città richiedevano interventi precisi e una politica differente da quella adottata nella direzione delle altre realtà urbane". Sulla base di questa concezione il Progetto Fori durante il periodo di Petroselli fu rafforzato, acquisendo un più ampio consenso". I primi provvedimenti arrivarono nel. novembre 1980 con le delibere per lo smantellamento di via della Consolazione, che separava il Foro dal Campidoglio, e per l’eliminazione da piazza del Colosseo della circolazione automobilistica che creava una cesura tra Colosseo, arco di Costantino e resto del Foro. Il Colosseo e l’ar-

co di Costantino furono così restituiti alla dignità di monumenti e sottratti alla funzione di rotatorie per le automobili, e gli archi di Costantino e di Settimio Severo non furono più sottoposti direttamente alle vibrazioni del traffico e ai gas di scarico. Un patrimonio dimenticato veniva " Porro, Il cemento e la ricotta cit., p. 141. ‘’ Petroselli a Roma. Fatti, idee, immagini, s.e., Roma 1982. Insolera - Perego, Storia moderna dei Fori di Roma cit.

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riscoperto, attraverso la sua integrazione nel tessuto urbano. Quello che per una metropoli era considerato un elemento di ostacolo alla vita cittadina e di arretratezza — un grande centro non attraversabile dalle automobili — Petroselli lo trasformò in elemento di modernità: un centro storico con funzioni soltanto culturali e politiche, mentre le altre attività sarebbero state trasferite nella periferia, rivita-

lizzandola. Successivamente fu avviata la chiusura domenicale di via dei Fori Imperiali, accompagnata da visite guidate su tutta l’area, sperimentata per la prima volta nel febbraio 1981 con un grande successo presso i cittadini e la stampa. Rimanevano contrari alla creazione di un parco archeologico solo «Il Tempo» e i Romanisti, contro i quali Italia Nostra promosse un appello firmato da duecentoquaranta personalità della cultura italiana e straniera pubblicato dal «Corriere della Sera». Nelle stesse settimane si concluse l’iter della legge n. 92/1981 per il patrimonio archeologico della città che stanziò fondi appropiati, realizzata dal ministero dei Beni culturali, alla cui guida era ora il repubblicano Oddo Biasini. Alla 1 Conferenza urbanistica, che si svolse nel maggio 1981, Petroselli sulla questione fu risolutivo. Argan aveva coniato lo slogan «o i monumenti o le automobili», Petroselli continuava sulla stessa linea: Io credo che non giovi ad alcuno [...] volare basso sui Fori

Imperiali, anche perché si rischia di restare inquinati. [...] C'è un allarme della cultura nazionale e mondiale che non possiamo lasciar cadere senza assumerci gravi responsabilità. Noi rischiamo di perdere in dieci venti anni quello che non si è riusciti a perdere per secoli. Non possiamo essere indifferenti a questo appello di responsabilità; ma ancora e soprattutto c'è una domanda della città la quale, come in tutti i periodi di crisi, si interroga in modo nuo-

vo sul passato, di parlare del presente e del futuro, quando sono incerti; c'è la ricerca e la possibilità di conquista e riconquista di 85

una nuova identità cittadina e insieme l’espressione delle forme di vita associativa proprie di un processo quale è quello che noi abbiamo avviato, di unificazione della città intorno a nuovi valori".

Inoltre per il sindaco il tema dei Fori non era separato da quello della periferia: Non c’è dunque nessun contrasto, se non artificioso e strumentale, tra via dei Fori Imperiali e la prima e la seconda periferia. [...] Bisogna che non solo

il tempo di percorrenza, ma anche

il tempo mentale e culturale si accorci tra via dei Fori Imperiali e la periferia, tra la periferia e via dei Fori Imperiali".

Gli altri argomenti trattati alla conferenza, introdotta dalla relazione dell’assessore alla Pianificazione urbanisti-

ca Lucio Buffa, furono il completamento della revisione del piano regolatore, la conclusione della variante relativa alle borgate abusive, la definizione dei piani particolareggiati delle aree destinate ad insediamenti industriali, V’attuazione completa del Piano per l'edilizia economica e popolare, l’avvio di un processo di recupero del centro storico, € la realizzazione dei centri direzionali!”. Si tornava a

parlare, dunque, di centri direzionali nella parte orientale della città. L'idea di collocare qui aree riservate ai servizi, * come si è visto, era stata avanzata per la prima volta nel 1958, nel piano regolatore elaborato dal Cet non approvato; in seguito il piano regolatore non aveva considerato l’espansione verso est'. Dopo la conferenza urbanistica, il Roma e la sua area metropolitana verso l’anno 2000. Seconda conferenza cittadina sui problemi urbanistici. Roma, Palazzo Braschi 26-29 marzo 1981, Roma 1982, p. 149.

‘6 Ibid.; si veda anche Petroselli a Roma, s.e., Roma 1982. ! Le scelte che cambiano il volto della città, in «L'Unità», 27 marzo 1981.

* Dal 1965 non furono intraprese iniziative per verificare la fattibilità dei centri direzionali, fino al 1974, quando con la variante generale furono

ridimensionati per aumentare il verde e i servizi nei circostanti Garano - Salvagni, Governare una metropoli cit., pp. 117-26; Egemonia e declino dell’urbanistica di sinistra, in Roma perché. di sinistra. Analisi di un’esperienza, Napoleone, Roma 1986, pp.

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quartieri. De Lucia, La giunta 49-71.

consiglio comunale approvò il piano quadro per il Sistema direzionale orientale (Sdo) elaborato dall’Uspr nel 1978,

che divideva la zona in quattro coniprensori situati tra Pietralata e Centocelle, serviti dal sistema di viabilità detto as-

se attrezzato, e conteneva le indicazioni per impostare i piani particolareggiati e le convenzioni con i proprietari delle aree'?. L'obiettivo era avviare il recupero del centro storico decongestionandolo dalle attività terziarie, da spostare in quest'area modificando così anche l’impianto radiocentrico della città. Ma in mancanza di strumenti legislativi per gli espropri fu decisa la lottizzazione convenzionata con 1 proprietari dell’area. Tale decisione riconobbe uno spazio alla rendita, e di conseguenza implicò una frattura con gran parte della cultura urbanistica di sinistra. Dello Sdo, comunque, non si fece nulla per mancanza di contributi statali? Il 21 giugno 1981 si svolsero le elezioni amministrative, che per la prima volta riguardavano anche i consigli circoscrizionali. I risultati mostrarono un consenso in crescita per l’amministrazione di sinistra. Moltissime le preferenze,

oltre che per il sindaco, per l'assessore Nicolini. Questi i dati dei partiti: Pci 36,1%, Dc 29,6%, Psi 10,1%, Msi 8,7%, Psdi 4,6%, Pri 4,1%, Pli 3,0%. Rispetto alle consul-

tazioni precedenti si evidenziò un influente astensionismo, in aumento in tutta Italia e a Roma al 21,2%. Va inoltre aggiunto che un mese prima si era svolto il reterendum sulla legge 194 per l’interruzione della gravidanza, con cui gli italiani si erano dichiarati al 68% favorevoli alla normativa, confermando l’evoluzione culturale e sociale del paese; a Roma il dato era stato del 72,8%. !? ASC, CC, 6 maggio 1981, pp. 3521-35.

» Della Seta - D 5 Seta, I suoli di Roma cit., pp. 262-3. 87

Pochi mesi dopo le elezioni, il lavoro di Petroselli si interruppe con la sua morte, il 7 ottobre. La città si strinse in un abbraccio corale al suo sindaco nella celebrazione dei funerali, che sfilarono per via dei Fori Imperiali ed ebbero la partecipazione di migliaia di persone; fu presente anche il sindaco di Parigi Jacques Chirac. La stampa lo commemorò elogiandolo?”.. 3. Il sindaco dei difficili anni ottanta. Ugo Vetere.

A ricoprire la carica di primo cittadino pochi giorni dopo tu chiamato Ugo Vetere”. Il 29 luglio 1982 entrarono in giunta anche Psdi e Pri. La progettualità amministrativa degli anni di Vetere può essere riassunta in tre disegni principali: il Peep, il Programma pluriennale di attuazione del piano regolatore (Ppa) e lo Sdo; vi si affiancarono il piano dei trasporti, la risistemazione dei quartieri centrali Esquilino e Testaccio, il Progetto Tevere e il Progetto litorale. Il Peep fu approvato dal consiglio comunale nel luglio 1984. La scelta delle zone fu compiuta in parte secondo ® Un malore lo colse alla fine del suo intervento al Comitato centrale del Pci. Su «il manifesto» del 9 ottobre a fare l'editoriale sul sindaco fu A. Caracciolo, / sindaci del popolo romano. Da Pianciani a Luigi Petroselli, pp.1-2; Si veda anche [mprovvisa morte del Sindaco Petroselli, in «L'Osservatore romano» cit.; G. Narducci, La fatica quotidiana di imporre il nuovo al vecchio,

in «Il Messaggero» cit.; E Perego, La città ha pianto il suo sindaco, ivi, 10 ottobre 1981; L. Caracciolo, Nicolini racconta «Ha cercato di dare un progetto a Roma», in «La Repubblica», 8 ottobre 1981. ® Ugo Vetere (Reggio Calabria 1924). Impiegato dello Stato, era stato dirigente sindacale degli statali dal 1951 al 1967 e membro del Consiglio geneiS}della Cgil. Dal 1956 era membro del Comitato federale romano del Pci. Era eletto in consiglio comunale dal 1966. Nel 1976 era stato eletto deputato. J/ Pci propone Vetere alla carica di Sindaco, in «L'Unità», 11 ottobre 1981; 1948-1998. 50 anni di parlamento, governi, istituzioni cit., ad nomen.

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quanto definito dal piano regolatore, in parte con varianti. Le localizzazioni interessarono tre ambiti territoriali: nella città consolidata furono previsti interventi limitati di «riqualificazione» (zone A); nella periferia, su cui si concentrava l’attenzione maggiore, furono previsti interventi di «ricucitura», divisi in «riqualificazione e ristrutturazio-

ne» del tessuto spontaneo (zone B), «espansione e aderen-

za» in aree particolarmente idonee alla residenza sulla base di convenzioni (zone C), «riorganizzazione» per quelle

aree che tendevano a degradarsi con la compromissione di costruzioni spontanee (zone D). Il fabbisogno abitativo del decennio fu calcolato di 535 000 stanze, e si stabilì che il 60% doveva essere di edilizia residenziale pubblica. Ma queste stime sia del Peep che del Ppa furono sovradimensionate rispetto alla reale esigenza di una città che aveva rallentato la sua crescita, e apparvero, dunque, dettate dall'esigenza di rispettare o favorire accordi con imprenditori e sindacati. Inoltre, aree di valore ambientale e agricolo furono destinate a residenza. Così il Peep, come si vedrà, fu contestato da Italia Nostra”. Il Piano dei trasporti istituì alcuni percorsi riservati per i mezzi pubblici, sistemò i parcheggi per i pullman turistici e vietò il loro passaggio in via del Corso, e nel dicembre 1984 iniziò la chiusura del centro storico il sabato per fasce orarie. Il piano privilegiava il mezzo pubblico su rotaia, e per questo necessitava di grossi finanziamenti, così apparve proiettato in un futuro troppo lontano. Il Progetto Tevere prevedeva un intervento per il riassetto ambientale del fiume (acqua, suolo, urbanistica e agricoltura), suddivi-

dendolo in sei tratti con relativi differenti interventi (per la ® Il consiglio comunale ha approvato ilpiano di edilizia, in «L'Unità», 27 luglio 1984; Garano - Salvagni, Governare una metropoli cit., pp. 165-8; Della Seta - Della Seta, / suoli di Roma cit., pp. 261-2. 89

parte centrale definiva un riassetto delle banchine in spazio vivibile fornito di piste ciclabili e zone per attività varie, per i tratti sull’esterno della città considerava il fiume elemento naturale di parco urbano, dal quale si dipartivano direttrici di verde nei quartieri, e per i tratti più esterni contemplava la ricucitura del rapporto abitato-fiume-campagna); il piano, però, fu approvato poco prima delle elezioni del 1985. L’obiettivo del Progetto litorale era invece, oltre alla valorizzazione dell'ambiente, il potenziamento delle risorse economiche esistenti nei settori turistico, agricolo e portuale”. Ma i buoni progetti non bastarono, e non bastò nemmeno la dimostrazione di integrità morale del sindaco Vetere, che nel 1984 denunciò alla magistratura interessi mafiosi nello spostamento dell’edificazione della Seconda università dall’area di Tor Vergata a un’altra vicina, munita di edifici già pronti”. Alle elezioni amministrative del maggio 1985 il Pci subì un calo di cinque punti, mentre la Dc ne guadagnò tre. La Dc aveva mantenuto negli anni la sua presenza in molti luoghi amministrativi ed economici, usando queste posizioni per intralciare le giunte avversarie, senza tuttavia riuscire a costituire un solido fronte di opposizione. Si risollevò sotto la guida di Signorello, e a un anno dalle elezioni mise in campo una rinnovata aggressività politica con l’aiuto del dinamismo di Comunione e liberazione, ri-

compose i contrasti con la Curia, che arrivò ad accusare l’amministrazione del calo dei matrimoni religiosi, e quelli con la Cisl, e riconquistò l'appoggio dell’Unione commercianti. Ma soprattutto, con l’atfermarsi dell’area inter* Ibid.; Garano - Salvagni, Governare una metropoli cit., pp. 155-65. I. Insolera, La metropoli delle occasioni perdute, in «Micromega», 1986, 1, pp. 209-22, in part. p. 214. 90

na guidata da Vittorio Sbardella, la Dc romana rinsaldò la pratica del voto di scambio”. E pur senza un programma elettorale propositivo uscì vincitrice dalle urne.

4. Le ragioni della sconfitta. Non si possono valutare schematicamente gli anni dei primi due sindaci di sinistra come una fase positiva, contrapposta a un declino da attribuire esclusivamente alla terza. Né si possono ascrivere soltanto a Vetere responsabilità che furono collettive. Il Pci si trovò a governare la città con partiti che precedentemente avevano votato molti dei provvedimenti che i comunisti avevano osteggiato, come il piano regolatore. Il problema fu posto fin dall’insediamento in Campidoglio e la decisione fu di adottare cambiamenti graduali e mediati. Nel tempo, però, tale procedura si stabilizzò e molti cambiamenti non furono compiuti. Innanzitutto si arenò il progetto Fori”. Paradossalmente fu proprio «L'Unità» nel 1981 a interrompere il consenso, con alcuni articoli in cui si dichiararono contra-

ri Mario Manieri Elia e Luca Canali, incerti Carlo Aymonino e Vittorio De Feo, mentre Insolera e Andrea Caran-

dini ribadivano il loro assenso. Dopo la morte di Petroselli, che lo aveva fortemente sostenuto, le ostilità emerse-

ro con chiarezza. Nel 1982 la commissione istituita e presieduta dallo stesso Petroselli e poi da Vetere, composta da assessori, esperti esterni e personalità che avevano pensato il progetto, licenziò un documento segnato dal compromesso, che prevedeva la chiusura di via dei Fori Impe% Vidotto, Roma contemporanea cit., pp. 342-4; Porro, Il cemento e la ricotta cit., pp. 131-2. l ” Insolera - Perego, Storia moderna dei Fori di Roma cit.

zh

riali ma sottoposta a numerose condizioni e rimandata a tempi molto lunghi. Cambiarono poi gli orientamenti governativi, poiché il ministro dei Beni culturali, il democristiano Nicola Vernola, mostrò un orientamento molto di-

verso dai suoi predecessori, vietando qualsiasi intervento di scavo. Seguì nel 1984 la dichiarazione contraria dei due storici dell’arte, Giuliano Briganti e Federico Zeri, per la mancanza di un’alternativa al traffico, a cui altri si uniro-

no. La chiusura di via dei Fori Imperiali nel progetto di Petroselli doveva essere effettuata entro il 1985, ma solo

nell’estate 1984 furono approvati i sondaggi. Di fatto il progetto venne archiviato. Il cambiamento che stava avvenendo nell’urbanistica iniziò ad essere visibile con un'intervista del nuovo assessore al Centro storico Aymonino sulle pagine del «Corriere della Sera», poco dopo l’insediamento della giunta Vetere. L'assessore affermava che a Roma le abitazioni dovevano essere costruite nel centro, negli spazi lasciati vuoti dagli sventramenti, che per far funzionare le zone pedonali dovevano essere approntati parcheggi in centro, e che il . progetto architettonico veniva prima dell’urbanistica. Percependo il mutamento, il mondo della cultura urbanistica

man mano prese le distanze dall’amministrazione. Nel luglio 1983 Italia Nostra diffuse un documento dai toni forti sul Progetto di variante al Peep; il Comune replicò con una risposta altrettanto dura, e nel novembre nessun esponente della giunta partecipò al seminario organizzato sull'argomento dall’associazione”. La rivista «Urbanistica informazioni» pubblicò un’ampia rassegna critica delle ®» Dibattito su Roma-centro storico, in «Urbanistica informazioni», 1981,

59, pp. 39-42.

” I. Insolera, Scivolamenti progressivi, ivi, 1984, 73-74, pp. 105-6, in part. p. 106; Id., La metropoli delle occasioni perdute cit., p. 215.

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iniziative della giunta, sviluppando un dibattito sul futuro dell'urbanistica romana, senza risparmiare la denuncia degli errori degli ultimi anni”. Sono poi da ricordare alcuni episodi riguardanti il verde pubblico. Seppure vi fu una grande attenzione per l’argomento e molti nuovi parchi furono approntati e alcune

importanti ville aperte al pubblico (Villa Torlonia, Villa Mirafiori, Villa Carpegna), sembrò a un certo punto che fosse venuta meno la consapevolezza della tutela. Nel febbraio 1982 un luna park carnevalesco fu collocato al Pincio, e ne seguirono alcune proteste. Pochi mesi dopo, in aprile, il traffico procurato dal Concorso ippico di Villa Borghese e i danni causati al prato dalle auto degli spettatori parcheggiate, causarono la protesta della stampa e la richiesta delle dimissioni del comandante dei Vigili urbani e dell’assessore competente. L'anno successivo nell’ottobre 1983 un circo ebbe il permesso di collocarsi al Parco dei Daini di Villa Borghese, ne seguirono proteste e polemiche e l’amministrazione si scusò, ma il fatto si ripeté poche settimane più tardi quando un altro circo si insediò sulla stessa area. La vicenda dei circhi nella villa si incrociò con quella del Pineto, un parco conquistato dalle battaglie dei cittadini, su cui il Comune autorizzò per il gennaio 1984 un campeggio per 35 000 pellegrini, suscitando la protesta generale degli ambientalisti, delle circoscrizioni e della ®© «Urbanistica informazioni», 1984, 73-74: editoriale di apertura dal ti-

tolo Giunte rosse: una fase conclusa, p. 2; dibattito raccolto sotto il titolo Contributi sul futuro dell’urbanistica romana, con gli interventi: A. Cederna, Piccolo è bello; V. De Lucia, Misteriose scomparse; F. Giovenale, Il connettivo

verde; Insolera, Scivolamenti progressivi cit.; E.Perego, Trasformare gli ostacoli in stimoli; G. Storto, Recuperare una visione d’insieme; G. Schettini, /

fabbisogni oggi; R. Sebasti, Centralità della gestione; A. Testa, Necessità e convenienza, pp. 100-14. Precedentemente la rivista aveva pubblicato il dossier Roma verso un nuovo sistema di pianificazione, 1983, 68-69. 98

stampa, che non volle ascoltarle; la questione si risolse con la rinuncia degli organizzatori per l'allungamento dei tempi. Un mese dopo ancora un altro luna park a Villa Borghese per il Carnevale, ma in questa occasione intervennero le sovrintendenze che non ritennero regolari le autorizzazioni per le ville storiche e la magistratura che fece chiudere le giostre”. Ebbe certamente un ruolo nella perdita di consensi il cambiamento sulla questione dell’abusivismo dopo le elezioni politiche del 1979, in cui il Pci registrò una flessione. Poiché negli anni precedenti il Comune aveva preso decisioni drastiche di demolizione di alcune abitazioni abusive, a cui in alcuni casi erano seguite limitate manifestazioni di protesta, gli amministratori pensarono che quelle iniziative avevano avuto un peso nei risultati elettorali. Così l’azione si fece meno rigorosa. In realtà il Pci mancò di aggiornamento, non comprese che una modificazione si sta-

va compiendo nel panorama dell’abusivismo. Si stavano allargando le borgate, ma non si trattava più di necessità, non erano più le piccole abitazioni tirate su a fatica, un po’ per volta dall’agricoltore immigrato che non aveva altro modo per procurarsi un tetto. Si stava diffondendo la speculazione della lottizzazione dei terreni agricoli venduti a un prezzo basso, seppure più alto del reale valore corrispondente alla destinazione stabilita dal piano regolatore. E si estendeva anche un abusivismo più ricco su aree meno depresse, di chi si costruiva la seconda casa o la casa sul litorale affidando l’edificazione a piccole imprese. Chi interveniva ad alimentare questo nuovo mercato nero degli alloggi erano quindi i piccoli e medi costruttori, spesso osteggiati e denunciati dai più grossi. Insomma si era cen1! Insolera, Scivolamenti progressivi cit.

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trato l’obiettivo del risanamento delle borgate, ma sembrava che con il tempo si fossero affievoliti gli obiettivi del riordino e della lotta all’abusivismo. Ad accentuare l’incomprensione su questo tema tra la giunta e il mondo della cultura urbanistica fu anche una mostra organizzata nel 1983 a Castel Sant'Angelo su La metropoli spontanea”. Non pochi furono i fraintendimenti e l’iniziativa fu letta come il tentativo di giustificare gli abusivi”. Se calcolo elettorale ci fu da parte del Pci nel non portare a fondo l’impegno su questo argomento, si trattò di un grave errore di valutazione, poiché alle elezioni amministrative del 1985 i comunisti proprio nelle borgate persero un consistente numero di elettori. Un'altra ragione del risultato delle elezioni del 1985 può essere ricercata nel mancato compimento del processo di ampliamento della democrazia. Alla domanda di partecipazione stimolata dalla conquista dei luoghi di governo da parte delle sinistre, non fu data risposta e gli strumenti di amministrazione continuarono ad essere gli stessi. Le circoscrizioni non furono dotate di quei poteri reali di cui il Pci aveva parlato proponendo la forma delle municipalità, né si sperimentò alcun congegno consultivo. Di più, le esperienze di autorganizzazione locale dei Comitati di quartiere furono osteggiate dal Pci, abituato a una rigida e controllata organizzazione di partito. Ed è bene sottolineare che Petroselli a questo non fu estraneo. Ci furono anche casi in cui le sezioni di partito si adoperarono per » A. Clementi - E. Perego, La metropoli «spontanea». Il caso di Roma. 1925-1981: sviluppo residenziale di una attà dentro e fuori dal piano, Dedalo, Bari 1983.

® V. De Lucia, Peccato capitale. Storia dell’urbanistica di Roma da Argan

a Carraro, il manifesto, Roma 1993, pp. 22-3; Id., Egemonia e declino del-

l’urbanistica di sinistra cit., pp. 57-9. 95

contrastare questo spontaneismo. Sulla fiducia in nuove possibilità democratiche e nella soluzione ai problemi, si era innescato un circuito di aspettative crescenti che il Partito comunista non seppe riconoscere e comprendere, deludendolo. In proposito Della Seta è stato molto chiaro. Andavamo in giro a metà del'ciclo dei lavori ed eravamo colpiti da un fatto apparentemente strano: propriolìdove le opere erano ad uno stadio più avanzato, maggiori piovevano le critiche e le osservazioni, le richieste di altri servizi; dove le opere erano più arretrate le assemblee si svolgevano nel complesso in modo più tranquillo. Ci sentivamo frustrati. Tardammo, ma alla fine capimmo. Erano proprio le opere portate dall’amministrazione comunale che avevano fatto nascere la domanda di una nuova qualità urbana; quegli uomini e quelle donne, fino ad allora tenuti separati dalla comunità, sentivano se stessi per la prima volta in veste di cittadini e incominciavano a intravvedere come loro diritti cose e entità prima ritenute impensabili. Apprendemmo così una verità che non può essere mai ignorata, da chi pretende di governare: la soddisfazione di una domanda per prima cosa ne fa nascere un ‘altra; chi di questo non tiene conto, facilmente perde il cammino*

Ricapitolando Sdi La debolezza dell’ultima fase dell’esperienza delle giunte rosse romane è attribuibile a diverse sopravvenute cause: perdita di progettualità, disattenzione e calo di sensibilità su alcune questioni che precedentemente avevano avuto centralità nei programmi, mancato aggiornamento della democrazia, mancato aggiornamento su alcuni processi in atto. Ma queste cause endogene vanno collocate nel quadro più ampio di una modificazione intercorsa nel panorama politico generale. Dal 1983 l’intraprendenza dei socialisti sia a livello nazionale sia a livello locale con la teoria delle «giunte bilanciaP. Della Seta, E imparammo così che la soluzione data a un problema generalmente fa nascere un altro problema, in Roma perché cit., pp. 25-46, in part. p. 39.

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te» per la governabilità, oltre a divaricare i rapporti tra i due partiti della sinistra, trasformò la prospettiva del qua-

dro politico complessivo: alla fine della solidarietà nazionale seguì prima la nascita del pentapartito, poi la formazione del governo Craxi”. La contrapposizione tra i due partiti si fece più evidente alla fine del 1983 con la mobilitazione pacifista, a cui il Pci aderì, contro l’installazione

dei missili Cruise in Sicilia, ratificata dal governo a guida socialista;

divenne

definitivamente

insormontabile

nel

marzo 1984 con l’opposizione comunista al taglio della scala mobile, che portò nelle piazze romane un’imponente manifestazione nazionale. Queste vicende si riflessero pesantemente sui rapporti interni della giunta romana, dove il confronto già da qualche anno avveniva principalmente sull’idea di modernità della capitale”. Per i socialisti la modernizzazione della città poteva avvenire solo attraverso una politica di grandi opere, che l'avrebbe dotata di infrastrutture avanzate mettendola al pari delle altre capitali europee; un programma che puntava all’emersione dei ceti professionali, imprenditoriali e finanziari del settore terziario. L’attrito non era sull'adozione complessiva delle grandi opere o sulla loro specificità, ma sul modo di intendere lo sviluppo. Per il Pci era ancora necessario provvedere al progresso sociale con una politica di risanamento, nella convinzione dell’inseparabilità dello sviluppo dal progresso. Per i socialisti invece si trattava di due fasi diverse: la politica del risanamento era ormai conclusa e si doveva passare allo sviluppo. Essi consideravano la lettura dei loro alleati antiquata, mentre il Pci vedeva nel% A. Falomi, Comunisti e socialisti in Campidoglio. Le ragioni di una divisione a sinistra, ibid., pp. 95-104. » P. Severi, La doppia capitale. Roma burocratica e moderna, Dedalo, Bari 1981.

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la linea politica socialista uno spostamento verso un elettorato moderato insoddistatto della Dc. Per raggiungere il livello di moderna capitale l’impegno prioritario dei comunisti era, come abbiamo visto, il riscatto delle periferie,

il Psi vedeva invece in questo una sottrazione di risorse allo sviluppo del terziario. L’incomprensione si trasformò in accusa al Pci di copertura dell’abusivismo per garantirsi 1 consensi delle borgate, e viceversa nel rimprovero ai socialisti di un calo di attenzione sulle tematiche della partecipazione e del decentramento. Vi è anche un altro aspetto all’interno del quadro nazionale da sottolineare, messo in luce da Della Seta. La spinta politica che aveva portato a partire dal 1975 un cambiamento, aveva riguardato principalmente le aree urbane dove si erano sviluppati il Movimento del ’68, la rivendicazione della casa e le grandi battaglie in fabbrica. I risultati elettorali del 1985 registrarono una flessione comunista soprattutto in queste aree, mostrando che la vicenda romana s’inseriva in un contesto più ampio, che era stato il governo delle città a non aver funzionato e che la sinistra perdeva la carica di progettualità e consenso lì dove quella spinta era nata (sulla flessione nazionale del Pci del 1,9% le città ebbero un ruolo con il 2,6% in meno, e tra queste in

particolare quelle con più di 500 000 abitanti con il 3,6% in meno; inoltre, alle elezioni per il Comune la flessione fu maggiore che per la provincia)”. 5. L’Estate romana.

L'Estate romana, nonostante le polemiche che si portò dietro, fu sicuramente ciò che più è rimasto degli anni delle ” Della Seta, E imparammo così cit., pp. 26-8. 98

giunte di sinistra nella memoria collettiva dei romani*. Nacque nel 1977 da un’idea dell’Associazione italiana amici del cinema (Aiace), e si realizzò in agosto con la prima rassegna di film alla Basilica di Massenzio. Moltissime furono le iniziative piccole e grandi che seguirono. Oltre alle diverse rassegne di cinema, Massenzio prima di tutte, e di musica, devono essere ricordati il Festival internazionale

dei poeti a Castelporziano nel giugno 1979 (a cui intervennero personalità internazionali come Evgenij Evtusenko, Josif Brodskij e Allen Ginsberg), il Festival Barocco a piazza del Popolo il 1° maggio 1981, la proiezione del film di Abel Gange Napoleon al Colosseo nell’estate dello stesso anno, Tunnel ’83, che festeggiava il Capodanno sotto il traforo di via Nazionale, Ballo... non solo prima a Villa Ada poi al Foro Italico e in seguito sul lungotevere delle Vittorie, e il teatro e la poesia al Parco dei Daini nel 1984.

Negli anni sessanta la sinistra si era impegnata a portare la cultura fuori dai luoghi d’élite e dal centro storico, nei quartieri e nelle borgate. Le iniziative dell’assessorato alla Cultura invertirono questo ragionamento: la cultura non doveva più andare in periferia, ma i cittadini dovevano andare in centro, che non doveva essere un luogo riservato alle classi privilegiate. Si trattava di quella riunificazione della città che si riprometteva Petroselli. Per Nicolini la questione della fruizione della cultura in una metropoli non poteva essere risolta semplicemente moltiplicandone i centri sul territorio, perché non sarebbero stati altro che la sua frantumazione, divenendo dei ghetti. * R. Nicolini, Se nove anni vi sembran pochi... La rossa stagione delle giunte, in Roma perché cit., pp. 119-41, in part. p. 128; Id., Estate romana. 1976-85. Un effimero lungo nove anni, Sisito, Roma 1991; R. Cipriani, Tre

interviste sulla «Bottega dell’effimero», in «La Critica sociologica», 1988, 8687, pp. 212-24.

99

Oltre a ridisegnare i rapporti all’interno della città tra le sue parti, le iniziative estive contribuirono a ridefinirne i tempi. In un’epoca in cui le vacanze duravano tutti i mesi non scolastici, l’Estate romana ridelineava il volto estivo di

una città abituata a rimanere deserta e inattiva, offrendo possibilità anche a chi, soprattutto i ceti meno abbienti, non poteva partire. Si anticipavano, e forse in parte anche si influivano, le abitudini degli italiani sulle vacanze che nel

giro di un decennio si sarebbero trasformate. Due sono state le critiche principali mosse all’assessorato alla Cultura di Nicolini nel corso degli anni, anche da esponenti del suo stesso partito: la prima, formulata fin dall’inizio di Massenzio, di effettuare operazioni di bassa cultura, esclusivamente consumistica, e la seconda esplosa più tardi, di creare iniziative effimere che non risolvevano

i problemi dell’organizzazione culturale nella città. L'obiettivo prioritario delle iniziative delle giunte di sinistra fu sicuramente, per ammissione dello stesso Nicolini, l’alta partecipazione, il consenso. Ma anche in questo stava l’importanza di quegli avvenimenti. Scrisse in seguito l'ex assessore: L'esperienza di nove anni ci ha rivelato che la maggior parte degli spettatori paganti non restano a Massenzio dopo il primo film; tutt'al più iù l’inizio del secondo... Eppure la decisione di andare o no a Massenzio non veniva mai presa soltanto in base al primo film proiettato, ma in base al programma dell’intera serata, compresi gli schermi piccoli per cinéphiles, di fronte ai quali questo spettatore concreto, niente affatto ideale, non si sarebbe mai seduto. Col biglietto di entrata a Massenzio lo spettatore comprava l'insieme di possibilità della serata, compresi i suoi miti, di segno opposto, dalla classica apertura dei cancelli dopo la mezzanotte e mezza al pubblico non pagante, alla diffili di alcuni programmi; e il diritto di dire, «io c'ero»? * Nicolini, Se nove anni vi sembran pochi cit., p. 128.

100

Alcune iniziative furono quindi pensate e organizzate come «evento». E l’evento fu l’incontro per divertimento fra i cittadini, diversi per età, estrazione sociale, provenienza di quartiere, appartenenza politica, negli anni del terrorismo e della strategia della tensione, gli anni più foschi dell’Italia repubblicana. È stato in seguito riconosciuto da molti che quelle iniziative offrirono alla città un modo per reagire, attraverso momenti di aggregazione sociale e occasioni di cultura, anche se non sempre di qualità elevata. Nicolini ha considerato questo l’aspetto più importante: Il merito maggiore della mia Estate Romana è stato quello di

essere sfuggita alla logica della militarizzazione. Anziché soggiacere alla «necessità» del coprifuoco, alla spirale della paura e della diffidenza, il Comune di Roma invitava ad uscire la sera! [...] Questa offerta era destinata a tutta la città. Compreso il «popolo delle borgate», che aveva fino ad allora sentito il centro come una parte da cui era escluso”.

Un dato fu in proposito emblematico: la notte di 7unnel ’83 si registrò il minor numero d’incidenti e furti dei capodanno dell’ultimo decennio"'. Il valore di quelle manifestazioni, organizzate a volte velocemente e a volte non riuscite, fu anche nell’ascolto e

nella visibilità che diedero a bisogni giovanili e nuove tendenze artistiche e intellettuali che iniziavano ad emergere. L'assessorato tentò un’innovazione anche nelle procedure burocratiche, con il passaggio dal finanziamento totale da parte del Comune

al contributo. Non bastò,

però, ad evitare la battaglia che il Comitato regionale di controllo ingaggiò contro la macchina organizzativa; ad esempio, a due giorni dalla manifestazione del capodanno 1983, costata meno di 50 milioni, annullò la delibera, 4 Id., Estate romana cit., p. 16.

#1 Id., Se nove anni vi sembran pochi cit., p. 137. 101

ma la giunta reagì e la manifestazione poté svolgersi. Non fu così per altre iniziative per quali le difficoltà poste furono insormontabili*. L’altra critica mossa alla politica di Nicolini e trasformatasi in vera e propria polemica, fu il carattere effimero e non permanente delle iniziative. Furono i socialisti a sostenerla, e soprattutto Pierluigi Severi, vicesindaco con Petroselli e Vetere, ma negli anni successivi anche con Giubilo. Si rimproverava all’assessorato di non impegnarsi per musei, biblioteche e altre strutture basilari nell’organizzazione della cultura in una città. Alle critiche non si accompagnavano proposte alternative, e la veemenza, che aumentò in occasione delle amministrative del 1981, aveva

quindi un tono di contrapposizione partitica. L’assessora-

to alla Cultura, infatti, sarebbe stato un luogo importante

per 1 socialisti romani per affermare la loro idea di modernizzazione della capitale. Su questa idea di Roma Severi scrisse il suo libro La doppia capitale. Roma burocratica e Roma moderna, in cui parlò di «edonismo povero dell’Estate Romana», espressione del «consumismo neo-capitalista», da non confondere con «la cultura del post-capitalismo». Ma all’interno della Uil alcuni socialisti sostenevano, viceversa, che la linea di Nicolini avrebbe dovuto esse-

re da esempio per una politica culturale del Psi. La De si unì ben presto alle critiche, appena comprese che quello poteva essere un buon argomento per inserirsi nelle difficoltà della giunta. A fianco alle numerose iniziative ludiche di Nicolini vanno citate, per dare maggiore conto di questa polemica, le numerose mostre che si svolsero durante gli anni delle ‘2° Ibid., pp. 137-9.

© Severi, La doppia capitale cit., p. 109; Cipriani, Tre interviste sulla «Bottega dell’effimero» cit., pp. 215-6. 102

giunte di sinistra, molte delle quali nelle sale del Campidoglio e le operazioni di ristrutturazione del Palazzo delle Esposizioni e di recupero dell’ Acquario. Seppure evidenti errori vi furono — come ad esempio il circo di motociclisti a piazza Navona e altre scelte avventate di luoghi non idonei a determinate manifestazioni — non inficiarono il valore complessivo di quell’esperienza, confermato anche dai risultati elettorali di Nicolini alle elezioni amministrative del 1989, quando, n. 52 della lista, ottenne 43 000 pre-

ferenze, addirittura un numero maggiore di quando era assessore. Comunque, a chiudere definitivamente quella polemica sta oggi, a quasi trent'anni di distanza, il semplice dato di fatto che le iniziative di quell’assessorato hanno fatto scuola in tutta Italia.

“ De Lucia, Peccato capitale cit., p. 31.

45 Alle elezioni del 1981 aveva ottenuto 33 000 voti, una cifra alta, che eb-

be ripercussioni sui rapporti con alcuni colleghi di giunta. Cipriani, Tre interviste sulla «Bottega dell’effimero» cit., p. 215. 103

v. Il pentapartito (1985-93)

1. Dalla rendita alla finanza. Sulla scena romana negli anni ottanta emersero e si consolidarono poteri forti differenti da quelli dei decenni precedenti. Il blocco edilizio classico fu superato da un soggetto più complesso, dato da un allargamento del legame tra rendita e potere politico alla produzione industriale, all’attività in borsa e soprattutto ai servizi. Un nuovo, articolato e potente soggetto che si emancipava dal ristretto scenario locale proiettandosi e radicandosi nella realtà economica nazionale. Non solo la metropoli Roma ma anche le altre città italiane in questi anni furono percorse da un processo di mo-

dernizzazione, dato da due fenomeni: terziarizzazione e

finanziarizzazione. È in tali città post-industriali che questo soggetto politico-economico fu protagonista. La strategia della sua offensiva imprenditoriale-finanziaria fu articolata: si servì dell’apertura di credito che banche amiche potevano assicurare, ma anche di una nuova quanto assidua azione di finanziamento e gestione del pubblico denaro ottenuta grazie al controllo politico delle sedi decisionali, e del dominio di un’ampia parte dell’informazione nazionale e locale (giornali e televisioni). In questo mecca-

105

nismo, fondamentale fu la creazione dei consorzi d’impresa, in cui le aziende si associavano per eliminare la concorrenza, divenendo così più potenti, e riuscendo ad annullare l'autorità degli organi preposti all'economia pubblica, fino a decidere i progetti, i loro costi e i loro tempi. Walter Tocci, analizzando questi processi

a Roma, ha

spiegato come negli anni ottanta i meccanismi decisionali divennero più complessi:

Quando si opera all’interno della città consolidata, l’interven-

to su una determinata area coinvolge più soggetti, non solo le am-

ministrazioni locali, ma anche quelle statali, parapubbliche e le grandi aziende private e creditizie; inoltre la decisione è più complicata perché molto più forti sono i vincoli fisici, di fattibilità e di tutela che occorre superare; la struttura è quasi sempre poli-

funzionale, non solo residenziale, e quindi, per individuare gli

utenti futuri, occorre una ricognizione a largo raggio: commercio, terziario, pubblica amministrazione, cultura e tempo libero;

infine come già accennato, i valori in gioco sono più elevati, non solo negli investimenti che, riguardando aree centrali, già prima della trasformazione sono superiori a quelli delle aree agricole; ma soprattutto lo sviluppo dell’operazione richiede in genere un flusso di capitali che si mantiene i per un tempo non breve. C’è poi da considerare un fattore inedito: la grande opera nell’area centrale coinvolge gli apparati simbolici e di conseguenza richiede un’azione mass-mediale mirata ad ottenere il consenso dell’opinione pubblica. Tutto ciò non era pane per i denti del vecchio

palazzinaro romano [...]. No, nel nuovo scenario occorre un

soggetto capace di dispiegare una strategia che connetta un sistema complesso di Re e di strumenti d’intervento!.

L'economia basata sul settore terziario rimescolava i

fattori produttivi ottenendone una prevalenza di produ' W. Tocci, Roma che en

Editori Riuniti, Roma 1993, pp. 26-7.

Sul tema del rapporto tra politica e affari in Italia in questi anni si veda anche Dentro la politica: 1. Affari e politica, «Democrazia e diritto», 1992, 3, in part. W. Tocci, Per una critica del potere politico, pp. 57-103. Sulla gestione del territorio si veda L’abusivismo a Roma dopo gli anni settanta, «Urbanistica Informazioni Dossier», 1989, 6.

106

zione immateriale. L'impresa tradizionale veniva sostituita dall’impresa-rete caratterizzata da una maggiore flessibilità, e i confini tra produzione e servizi divenivano imprecisi, come pure quelli tra piccola e grande impresa. Più che

in altre realtà, a Roma questo cambiamento avvenne senza una vera cesura con il vecchio sistema, ma piuttosto mediante la sua rimodellazione. Così la rendita continuò ad essere elemento dell’attività economica della città, ma inse-

rita in un contesto ben più ampio e complesso.

Gli affari degli anni ottanta a Roma furono lo Sdo, i Mondiali di calcio del 1990 e la legge su Roma capitale n. 396/1990. Tutti legati all’uso del territorio e per i quali si | perfezionarono i meccanismi per valorizzare e far fruttare le aree, profittando di falle nella burocrazia capitolina e spesso con il suo consenso attivo. Questi meccanismi furono multiformi: si facevano passare gli insediamenti terziari come insediamenti industriali o mense aziendali; si attendeva che scadessero i termini delle zone bianche (aree

destinate a parchi o servizi sociali) per richiedere le concessioni edilizie, e alla risposta negativa del Comune si avviava il ricorso al Tar che poteva essere vinto; si confondevano per lavori di manutenzione interventi di vera e propria trasformazione di vecchi edifici industriali abbandonati, così utilizzabili in piani di recupero per la riqualificazione urbana (Pantanella, Mulini Biondi ecc.); si sfruttava-

no le esigenze organizzative degli organi dello Stato; si confondevano insediamenti di terziario per strutture di servizio della mobilità extraurbana (Ponte Galeria, Bufa-

lotta ecc.); si cercava di costruire nuovi edifici in aree limi-

tate del centro. Nella ricerca dei nomi di tali poteri forti che si muovevano nel panorama romano, dispiegando forze per acquisizioni e affari, compariva anche la Fiat, rafforzata su questo 107

scacchiere dall’acquisto della Cogefar e dalla sua fusione con l’Impresit?. Vi erano poi il gruppo Ferruzzi, che intrecciava informazione, finanza e rendita urbana: i cartelli finanziari

milanesi come quello di Salvatore Ligresti, che si precipitavano nella capitale attratti dal grande affare dei Mondiali di calcio e interessati anche all’operazione Sdo; Vincenzo Romagnoli, che a grosse porzioni del circuito radiotelevisivo locale univa operazioni immobiliari nel centro storico e progetti di opere pubbliche, come l’Auditorium e il megastadio della Magliana. Infine vi erano, più piccoli, i gruppi industriali locali che attivavano azioni combinate dall’efficacia potenziata e sinergie, e si dotavano di uno spirito imprenditoriale intraprendente e spregiudicato, mai stato presente prima nella storia di Roma industriale. Anche i partiti che entrarono a far parte di questo sistema si erano rimodellati. Furono la Democrazia cristiana e il Partito socialista di Bettino Craxi, ma avevano or-

mai acquisito quasi totalmente la connotazione di macchine di potere, ratforzati dal ruolo che i nuovi gruppi economici gli conferivano, e poli della complessa e sfaccettata entità politico-economica in campo. Sarebbe stato lo scandalo di Tangentopoli, alla fine, a chiarirlo. Quanto alle amministrazioni cittadine di questi anni dal 1985 al 1993, guidate da due sindaci democristiani e

uno socialista, furono elementi di questo sistema, e il loro

avvicendarsi rappresenta tappe successive di spiegamento,

consolidamento e realizzazione di tali processi. Come ha chiarito Tocci: In sostanza gli anni ottanta sono stati una fase d’incubazione dei processi. Tutto era pronto nei meccanismi di valorizzazione e nell’organizzazione finanziaria, ma il grosso della specu? S. Medici, Le mani della Fiat sulla città, in «il manifesto», 17 ottobre 1989; V. Parlato, Le storie del signor Gianni, ivi.

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lazione non fu avviato né con l’ignavia di Signorello né con l’arroganza di Giubilo. Ci è voluta la signorilità di Carraro perché almeno si mettesse in moto il processo?.

2. Il sindaco indeciso. Nicola Signorello. Dopo il calo della Dc alle elezioni politiche del 1983, il segretario Ciriaco De Mita pose tra gli obiettivi per il rilancio del partito la riconquista del governo delle città rette dalla sinistra. Il risultato fu ottenuto alle elezioni amministrative regionali, provinciali e comunali del 12 maggio 1985, e in poche settimane la formula del pentapartito che governava il paese (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) si riprodusse in diverse realtà. A Roma i risultati furono: Dc 33,1%, Pci 30,8%, Psi 10,3%, Msi 9,3%, Pri 4%, Psdi 3,6%, Pli 2,6%, Dp 1,4%; un’affermazione inaspettata ottennero i Verdi

con il 2,7%. Il 31 luglio una giunta di pentapartito si insediò alla guida della città, presieduta dal democristiano Nicola Signorello'. Nel ricondurre la Dc alla posizione di primo partito della capitale Signorello fu presente in prima persona con decisione e perspicacia. Una volta assunto il ruolo di capo > Tocci, Roma che ne facciamo cit., p. 34. ‘ Nicola Signorello (S. Nicola da Crissa, Cz, 1926). Laureato in giuri-

sprudenza. Dirigente dell'Azione cattolica e poi funzionario dei giovani Dc, era stato segretario del Comitato romano della Dc nel 1965, nel 1975-76, nel 1984. Era stato senatore dal 1968 al 1983; ministro della Marina mercantile e

ministro del Turismo nei governi Cossiga 1 e Il (1979-80), e ministro del Turismo nei governi Rumor IV (1973-74) e nei governi Forlani, Spadolini 1 e Il, Fanfani v (1980-83). Dal 1952 al 1968 era stato consigliere provinciale di Roma e dal 1961 al 1965 presidente della Provincia. / fr e i senatori del

quattordicesimo Parlamento repubblicano. La Navicella, Editoriale Italiana 2000, Roma 2000, ad nomen; P. Spataro, Una carriera all’ombra del «vecchio

Giulio», in «L'Unità», 1° agosto 1989. 109

dell’amministrazione capitolina mutò stile. Apparve esitante, irresoluto e inconcludente, tanto da guadagnarsi gli appellativi di «pennacchione» e «sor tentenna». Negli anni in cui fu sindaco poche furono le decisioni prese dall’amministrazione romana e quasi nulle le realizzazioni. Nei venti mesi della sua prima giunta, la magistratura intervenne contro il Comune, per l'inquinamento atmosferico e per il ritardo nelle nomine delle Usl, mentre il Coreco minacciò il commissariamento nell’estate 1986 se non si fosse approvato il bilancio, che era divenuto argomento di verifica della maggioranza tra le richieste dell’assessore alla Cultura per le iniziative estive, le accese discussioni tra Dc

e Psi e una mole di emendamenti dell’opposizione?. Circa il trasporto pubblico e il traffico si accumulò un grande ritardo nella realizzazione della linea metropolitana Termini-Rebibbia, si persero i progetti per la ferrovia urbana avviati negli anni precedenti, non furono conti-

nuati 1 lavori della via Palmiro Togliatti, la strada a grande scorrimento che doveva migliorare la viabilità nella parte est della città, furono aumentate le tariffe nel febbraio 1986, e se entrò in funzione la chiusura del centro storico

alle automobili private, lo si dovette non agli amministratori ma alla pressione della magistratura di fronte all’emergenza smog*.

In materia di urbanistica due furono le iniziative dell’amministrazione Signorello. La prima il condono edilizio nella primavera 1986, che oltre alle resistenze degli urbanisti e di gran parte dell’opinione pubblica provocò una pro° G. Capecelatro, Uno scudo di nome Andreotti per un sindaco evane-

scente, ivi, 9 aprile 1987; Ascesa e caduta di un «mediatore», in «Corriere della Sera», 11 maggio 1988.

s Mosaico È}un «non governo» lungo venti mesi, in «L'Unità», 9 aprile

1987.

110

testa degli abusivi, scontenti degli importi da pagare”. L’altra, la n Conferenza urbanistica cittadina nel dicembre del-

lo stesso anno, dove si parlò soprattutto di Sdo; relatore fu l'assessore all'Urbanistica Pala che con la stessa carica aveva aperto la Prima conferenza durante le giunte di sinistra, allora esponente del Psdi e ora passato al Psi'. L’inabilità caratterizzò l’amministrazione Signorello anche nelle emergenze. Nell’autunno-inverno 1987-88 nella città si svolsero proteste di suggestione razzista contro la presenza degli zingari’. Per settimane gli abitanti di alcuni quartieri periferici condussero una battaglia per la cacciata dei loro accampamenti, con barricate innalzate per

le strade e delegazioni al Campidoglio. La risposta era il ritiro di quella localizzazione, per vedere ricominciare la sollevazione da un’altra parte; assistiti dall’Opera nomadi,

intanto i rom chiedevano campi sosta attrezzati che migliorassero le loro condizioni di vita. Mentre le associazioni del volontariato cattolico e alcuni partiti in Campidoglio si adoperavano per trovare una soluzione, l’amministrazione tergiversava. Sicuramente, oltre che d’incapacità si trattò di difficoltà nello scegliere tra fronti diversi del proprio elettorato, ossia tra i ceti medi e l’articolato mondo del volontariato, che invocava le ragioni della solidarietà, con in prima fila la Caritas di monsignor Luigi Di Liegro. Il Campidoglio scelse di non schierarsi per non compromettere i suoi consensi, confidando in un esauri-

mento della protesta. ? Porro, Il cemento e la ricotta cit., p. 143.

* Conferenza sui problemi urbanistici. Innovazione del piano e progetti per Roma capitale. Atti della Terza conferenza urbanistica del Comune di Roma. Biblioteca Nazionale 11-12-13 dicembre 1986, s.e., Roma 1986; A.

Cederna, Così la Roma futura, in «La Repubblica», 9 dicembre 1986. ® Porro, Il cemento e la ricotta cit., p. 145. 111

Il basso profilo dell’amministrazione comunale fu visi-

bile in molti campi, ma nella comparazione con gli anni procedenti tanto più evidente per la vita culturale, per la quale le iniziative dell’assessorato furono ridotte, nel numero e nella qualità. Si trattò non solo di incapacità organizzativa, ma anche di assenza di approccio progettuale alla questione. Dietro questa inattività della giunta si stringevano relazioni, accordi e alleanze tra gruppi finanziari, correnti democristiane e gruppi interni del Psi, si eseguivano acquisizioni immobiliari e si disponeva il terreno per svolgere i grandi affari degli anni successivi. Il primo atto, compiuto all’inizio del 1987, fu la presentazione del progetto di un nuovo grande stadio alla Magliana nel mezzo di aree ancora inedificate, che il presidente della squadra Roma, Dino Viola, si dichiarava disponibile a costruire quasi gratis per la città. Ciò che in realtà interessava era l’urbanizzazione di quella zona, vicina al Tevere, dunque protetta". Il secondo atto fu l’acquisto da parte dell’Italstat, che sottrasse l’affare a una cordata dell’Associazione costruttori edili romani (Acer), di un terreno di 60 ettari a

Torre Spaccata dall’imprenditore milanese Giuseppe Cabassi, che dopo averlo acquisito nel 1981 a ridosso dell'approvazione della delibera sullo Sdo era stato costretto a venderlo per problemi finanziari'!. Nel maggio 1988, durante la crisi della giunta, l’assessore ai Lavori pubblici Pietro Giubilo presentò il progetto avanzato dall’Italstat, senza aver avuto alcun incarico, di una strada dal° Tocci, Roma che ne facciamo cit., p. 30; De Lucia, Peccato capitale cit.,

p:.34.

"! P. Boccacci, Italstat ai costruttori «Quegli ettari di futuro li abbiamo comprati noi», in «La Repubblica», 27 gennaio 1988; Id., L’Italstat non deciderà ilfuturo della capitale, ivi, 29 gennaio 1988. dHi2

l’Eur a via Palmiro Togliatti, passante mediante un tunnel sotto l'Appia Antica da costruirsi per i Mondiali di calcio. All’inconsueta modalità si aggiungevano la singolarità del sito del tunnel, da tutt'altra parte rispetto al luogo dove si sarebbe svolto l’avvenimento sportivo, e la stranezza del percorso proposto, che all’uscita dall’ A ppia prevedeva un’ampia curva per rivolgersi esattamente verso quei terreni di Torre Spaccata che l’Italstat aveva comprato. Era chiaro che la strada non aveva alcuna utilità, né si poteva pensare che sarebbe stata pronta in due anni così come veniva proposto. Inoltre il tracciato differiva da quello stabilito per l’asse attrezzato. Inevitabilmente il sospetto fu che l’opera avesse il solo scopo di valorizzare i terreni di Torre Spaccata dell’Italstat. A dare più circostanziati elementi per meglio comprendere quanto stava accadendo, fu il convegno del Pci Roma da slegare, che nel maggio 1988 espose nel dossier dal titolo Chi comanda a Roma i movimenti dei nuovi proprietari di immobili e terreni della capitale, disegnando la mappa dei nomi". Le giunte Signorello furono due. La prima terminò 1 suoi lavori l’8 aprile 1987, con le dimissioni del sindaco

per la litigiosità crescente tra i partiti di coalizione, a causa della quale non era stato possibile nemmeno eseguire le nomine per la dirigenza delle aziende municipalizzate. Sull’immagine del sindaco e della giunta aveva inoltre pesato lo scandalo degli appalti poco chiari dell’Amnu, l’azienda di nettezza urbana". I diverbi crebbero dopo le !? Partito comunista italiano, Federazione Roma, Chi comanda a Roma

e come si vive nella città. Poteri e libertà nella metropoli. Roma 18-20 maggio 1988, Point, Roma 1988; Tutti gli uomini del grande affare, in «L'Unità»,

12 maggio 1988; G. Pullara, Le nuove mani sulla città, in «Corriere della Se-

ra», 17 maggio 1988.

!! E. Baffoni, Cronaca di un assalto, in «il manifesto», 29 ottobre 1989.

ILS)

elezioni politiche del giugno 1987 che rafforzarono il Psi e il suo segretario Craxi, che aveva portato a quella vittoria con la linea politica perseguita dopo il Congresso del Midas. Ci vollero, così, cinque mesi per formare nel settembre una nuova coalizione di giunta, in cui ai socialdemocratici fu assegnato un assessorato in più a scapito della Dc. Ma la lunghissima trattativa non portò un risultato soddisfacente per nessuno: per il Psi che non ottenne il sindaco, per la Dc che perse un assessorato, per il Psdi

che ne acquisì uno in più ma ebbe dimezzate le competenze di quello già ricoperto, per il Pri che non riuscì ad avere la chiarezza programmatica reclamata, per il Pli che non ottenne nulla in più. E gli strascichi si protrassero nell’aula al momento dell’elezione, quando il sindaco dovette sospendere la seduta per permettere alla Dc di prepararsi alla nomina degli assessori. Per l'opposizione non era accettabile che il consiglio subisse i problemi interni di partito, così abbandonò l’aula. Dopo sette mesi, nel maggio 1988, una sopravvenuta crisi nella coalizione portò di nuovo la giunta Signorello alle dimissioni. Nel suo discorso di commiato il sindaco menzionò il rapporto non facile con il Psi, e la responsabilità invece degli altri alleati sugli impegni presi'*. Sullo sfondo vi erano anche i contrasti tra gli schieramenti interni della Dc romana, che nella giunta capitolina erano espressi con un complicato equilibrio tra rappresentanti delle varie correnti e gruppi, secondo la consuetudine di partito per cui le cariche pubbliche erano “A. Melone, Fine di un governo-bluff, in «L'Unità», 9 aprile 1987; Stes-

so sindaco, stessa giunta, ivi, 30 settembre 1987; Ascesa e dI

di un «me-

diatore», in «Corriere della Sera» cit.; Aperto il dopo Signorello, ivi, 11 mag-

gio 1988; R. Gressi, Muore una giunta

114

dannosa, ivi, 11 maggio 1988.

corrisposte alla maggioranza interna. Lo scontro si fece evidente al congresso del partito romano dopo il lungo commissariamento di Francesco D'Onofrio inviato da De Mita, che si tenne in giugno all’Eur, e che segnò l’affermazione incontrastata della leadership dell’andreottiano Vittorio Sbardella e la fine dei demitiani'. Dai congressi di sezione era uscita una maggioranza guidata da Gabriele Mori, ma all’appuntamento cittadino gli schieramenti si scomposero: fanfaniani, Forze nuove e una parte di Azione popolare si allinearono con Sbardella, che raggiunse così la maggioranza. Sbardella faceva parte di quel numero di democristiani romani provenienti dal Msi, ed era nota la sua partecipazione nel 1955 all’assalto con bombe incendiarie alla libreria del Pci Rinascita. Nella Dc era arrivato facendo da segretario a Petrucci, alla fine degli anni settanta era entrato nella corrente degli andreottiani e aveva via via accresciuto il suo ruolo nel partito, divenendo consigliere nazionale e segretario del Lazio, e nel 1987 anche deputato. Commentando i fatti dell’Eur i giornali non risparmiarono espressioni colorite, come «golpe delle truppe sbardellate» e «squalo», soprannome che si rafforzò negli anni, man mano che la sua pratica politica si andò evidenziando esclusivamente come esercizio del potere. Con la vittoria al congresso poteva ora porre suoi uomini in tutti i punti chiave del governo della città e della regione, mentre segretario della Dc romana faceva eleggere Giubilo! !* L. Fontana, Scontro D’Onofrio Sbardella sul ring del Congresso Dc, in «L'Unità», 4 giugno 1988. 16 Porro, Il cemento e la ricotta cit., pp. 147-8. Una ricognizione sugli uomini di Sbardellaèin P. Boccacci, Roma. I giorni degli squali. Mattoni, microfoni, mappe false e altre storie prima di Tangentopoli, Sapere 2000, Roma 11994 ppi 5.14. 115

3. Il sindaco decisionista. Pietro Giubilo.

Di lì a poco, il 6 agosto, Giubilo divenne sindaco, elet-

to dal pentapartito!”. Il presunto passato giovanile nell’organizzazione di estrema destra Avanguardia nazionale, da

lui sempre smentito, non era un dettaglio per le opposizioni, Partito comunista, Democrazia proletaria e Verdi,

che contestarono la sua elezione e disertarono l’aula'. Lo stile del nuovo sindaco apparve fin da subito decisionista e protervo, ben diverso da quello improntato al tradizionale notabilato del suo predecessore. E fin dall’inizio del suo mandato rafforzò il legame che l’area sbardelliana aveva stretto alle amministrative del 1985 con il gruppo politicoreligioso Comunione e liberazione e con la sua componente imprenditoriale, e che da allora aveva fatto emergere una classe politica giovane all’interno della De'”. Nei sette mesi in cui fu sindaco, il suo decisionismo lo

portò a uno scontro diretto con il consiglio comunale, e a volte anche con settori del suo stesso partito, da cui uscì più volte battuto: sulla proposta di privatizzazione delle mense scolastiche, che non fu approvata, sulla decisione di applicare le targhe alterne alla circolazione automobilistica della città, osteggiata dai partiti di opposizione, dalle associazioni ambientaliste e da esponenti democristiani finché ‘ Pietro Giubilo (Roma 1943). Iscritto alla Dc nel 1967, si era legato pre-

sto a Sbardella. Nel 1985 era stato eletto al consiglio comunale. Nel 1992 era diventato segretario della Dc di Roma. Era accusato di aver fatto parte di Avanguardia nazionale e di avere scritto sulla rivista «Corrispondenze repubblicane» che si ispirava a Salò. F. Martini, Giubilo è sindaco, in «Il Messaggero», 7 agosto 1988; Con me arriva la nuova Dc, ibid.

# S. Di Michele, 7renta banchi vuoti per un sindaco contestato, in «L’Unità», 7 agosto 1988; A Roma una giunta littoria, in