La vita quotidiana della mafia dal 1950 a oggi 8817165956

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La vita quotidiana della mafia dal 1950 a oggi
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LEONARDO SCIASCIA

BIBLIOTEGA UNIVERSALE RIZZOLI

Sono apparsi nella BUR

Pierre Antonetti LA VITA QUOTIDIANA A FIRENZE AI TEMPI DI DANTE Jacques Chastenet

LArimomi VITAini QUOTIDIANA IN INGHILTERRA —

LA VITA QUOTIDIANA A COSTANTINO AI TEMPI DI SOLIMANO IL MAGNIFICOPOLI Jean Tulard LA VITA QUOTIDIANA IN FRANGIA AI TEMPI DI NAPOLEONE Jacques Wilhelm

LA VITA QUOTIDIANA A PARIGI AI TEMPI DEL RE SOLE

Fabrizio Calvi

y/La vita quotidiana della mafia

dal 1950 ai nostri giorni _ prefazione di LEONARDO SCIASCIA traduzione e note di FRANCA CAFFA

Biblioteca Universale Rizzoli

Weiis College Library .. Aurora, New York

Proprietà letteraria riservata © 1986 Hachette © 1986 RCS Rizzoli Libri S.p.A., Milano ISBN 88-17-16595-6

Titolo originale dell’opera: LA VIE QUOTIDIENNE DE LA MAFIA DE 1950 À NQS JOURS prima edizione: ottobre 1986

MAFIA di Leonardo Sciascia

Il primo vocabolario del dialetto siciliano che registra la parola mafia è quello del Traina, pubblicato nel 1868: e la dà come nuova, importata in Sicilia dai piemontesi, cioè dai funzionari e soldati venuti in Sicilia dopo Garibaldi, ma proveniente forse dalla Toscana, dove maffia (due effe) vuol dire miseria e smdàferi vuol dire sgherri. Il Traina trova che queste due parole, questi due significati, convergono nel tipo umano che in Sicilia è detto mafioso. Il mafioso ha baldanza e prepotenza da sgherro ma è anche un miserabile, poiché «miseria vera è credersi grand’uomo per la sola forza bruta, ciò che mostra invece gran brutalità, cioè l’essere gran bestia». Mafia è dunque «apparente ardire, sicurtà d’animo». E nient’altro. Così pensava anche il più grande studioso di tradizioni popolari siciliane, il palermitano Giuseppe Pitré (1841-1916): «La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti. Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino; e se nella nuova fortuna toccata alla parola, la qualità di mafioso è stata applicata al ladro, e al malandrino, ciò è perché il non sempre colto pubblico non ha avuto tempo di ragionare sul valore della parola, né s’è curato di sapere che nel modo di sentire del ladro e del malandrino il mafioso è soltanto un uomo coraggioso e valente, che non porta mosca sul naso, nel qual senso l’essere mafioso è necessario, anzi indispensabile. La mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della forza individua5

le, unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto din teressi e d’idee; donde la insofferenza della superiorità e peggio ancora della prepotenza altrui. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offeso non si rimette alla legge, alla giustizia, ma sa farsi personalmen‘te ragione da sé; e quando non ne ha la forza, col mezzo di altri del medesimo sentire di lui». Il Pitré anzi, rispetto al Traina, toglie al mafioso brutalità e prepotenza e le attribuisce «agli altri», a quelli contro cui il mafioso si ribella; sicché la mafia altro non sarebbe che un sentimento di libertà, un atteggiamento di fierezza, contro le angherie dei potenti e l’inettitudine della legge e dei pubblici poteri. In conclusione: il Traina come il Pitré, come tanti altri studiosi e giudici e uomini politici siciliani, tendono a negare la mafia in quanto «associazione» e ad ammetterla in quanto «ipertrofia dell’io» (definizione dèl giurista siciliano Giuseppe Maggiore), dell’io dei singoli siciliani. L’invenzione della mafia come associazione per delinquere ha anzi, secondo un magistrato siciliano, un responsabile: quel Giuseppe Rizzotto che nel 1862 scrisse la commedia / mafiusi della Vicaria (la Vicaria era una prigione palermitana). «L'artista esagerando con la sua arte tragica, a base di speculazione, i pretesi costumi dei galeotti nelle prigioni di Palermo, riuscì fatalmente ad accreditare e diffondere la stolta credenza che la mafia fosse un’associazione di delinquenti» scrive il magistrato. E conclude: «Dio perdoni al Rizzotto, che da molti anni è scomparso dalla scena della vita, il danno enorme

arrecato alla no-

stra Sicilia. E le conseguenze tristissime di questo danno io provai quando, nel corso della mia carriera, ebbi la fortuna della destinazione alla Procura Generale di Torino». E si può essere d’accordo che la sua destinazione alla Procura Generale di Torino, invece che a quella di Palermo, sia stata una fortuna anche per la Sicilia, dove all’incirca in quegli anni c’è stato un procuratore le cui requisitorie nei processi contro la mafia, acute e implacabili, si posso6

no leggere come uno dei più seri contributi allo studio del fenomeno: l’agrigentino Alessandro Mirabile. Il procuratore generale Mirabile pensava esattamente il contrario del Pitré: cioè che la mafia fosse setta, associazione; e con precisa costituzione (ovviamente non scritta), con regole rigorose, con segni di riconoscimento tra gli affiliati. Oltre che sulla propria esperienza, fondava questa affermazione su un memoriale (che bisognerebbe ricercare negli archivi giudiziari) scritto da Bernardino Verro, che nella prima giovinezza pare fosse entrato a far parte della mafia: e diventato poi socialista — una delle più belle figure del socialismo siciliano, in quel movimento detto dei «fasci» che fu duramente represso dal governo del siciliano Francesco Crispi — fu della mafia strenuo avversario fino alla morte. Nato a Corleone (paese anche oggi ben noto per fatti di mafia), a quarantotto anni, in pieno giorno, fu ucciso in una strada del paese di cui era diventato sindaco, il 3 novembre 1915. Questi nomi: Verro, Mirabile e, su tutti, quello del siciliano Napoleone ColaJanni (1847-1921), studioso di problemi sociali e deputato del partito repubblicano, dicono che non tutti i siciliani negavano l’esistenza della mafia come associazione criminale né ritenevano fosse offesa per la Sicilia il parlarne. Pubblicamente anzi la denunciavano e la combattevano, considerando sciocco e dannoso il principio che il male da cui una popolazione è afflitta bisogna nasconderlo o minimizzarlo. I mali sociali sono né più né meno come le malattie individuali: nasconderli, negarli, minimizzarli significa non volerli curare, non volere liberarsene. Quei siciliani che (come allora Giuseppe Pitré e il catanese Luigi Capuana [1839-1915]) ancor oggi ritengono che la mafia sia soltanto atteggiamento di spavalderia individuale, amor proprio, senso dell’onore, sete di giustizia e modo di farsi giustizia in un Paese afflitto da una secolare carenza dell’amministrazione statale, naturalmente affer1

mano che tutti i fatti di delinquenza associata in Sicilia non sono diversi da quelli che avvengono in altre regioni d’Italia e in altri Paesi europei, né più gravi, né più numerosi. Per loro, la parola mafia non va applicata ai fatti delinquenziali. Alcuni, anche in buona fede, credono che applicando la parola alla cosa — la parola mafia, o l’espressione, venuta in uso in questi ultimi anni, di «Cosa Nostra» — si tenda a creare una distinzione razzistica, un pregiudizio, nei riguardi di tutta la popolazione siciliana, da cui discendono la denigrazione, la diffidenza, l’irrisione anche verso il singolo siciliano che si trova a vivere fuori della propria terra. È ingiusto, dicono costoro, che una banda di rapinatori sia considerata una semplice banda di rapinatori a Milano o a Marsiglia o a Londra e una «cosca» mafiosa (cosca è la corona di foglie del carciofo) a

Palermo; che a Milano o a Maîsiglia o a Londra siano indicati come colpevoli di un fatto delittuoso soltanto coloro che l’hanno effettivamente preparato ed eseguito, mentre un identico fatto, se accade a Palermo, si ritiene adombri una concatenazione di responsabilità e complicità più vasta, sfuggente, indefinibile — come se tutta la popolazione della città e dell’isola avesse oscuramente partecipato al fatto e ne proteggesse i colpevoli. Bisogna dunque, dicono questi difensori del buon nome della Sicilia, togliere la parola alla cosa, guardare alla cosa per come si presenta nei limiti dell’esecuzione, al fatto criminale in sé. Ma la parola mafia (che in origine avrà avuto il significato che le attribuisce il Pitré; e il più antico documento in cui la troviamo, del 1658, la dà come soprannome di una «magàra», cioè di una donna dedita a pratiche di magia), è stata applicata alla cosa, o la cosa ha preso quel nome, in forza di una distinzione qualitativa che i fatti criminali assumono in Sicilia rispetto a quelli di altre regioni, di altri Paesi. Non tutti, si capisce; e non in tutta la Sicilia. Questa distinzione già vien fuori nel 1838, quando ancora non esisteva la parola nel senso oggi in uso, da una rela8

zione di Don Pietro Ulloa (quello stesso che scrisse poi opere storiche sul Regno dei Borbone, cui fu fedelissimo), allora procuratore generale a Trapani: «Non c’è impiegato in Sicilia che non sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione con i rei. Come accadono furti, escono dei mediatori a offrire transazioni per il recupero degli oggetti rubati. Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile, come lo Scarlata, giudice della Gran Corte Civile di Palermo, come il Siracusa alto magistrato... Non è possibile indurre le guardie cittadine a perlustrare le strade; né di trovare testimoni per i reati commessi in pieno giorno. Al centro di tale stato di dissoluzione c’è una capitale con il suo lusso e le sue pretensioni feudali in mezzo al XIX secolo, città nella quale vivono quarantamila proletari, la cui sussistenza dipende dal lusso e dal capriccio dei grandi. In questo ombelico della Sicilia si vendono gli uffici pubblici, si corrompe la giustizia, si fomenta l’ignoranza...». Gli elementi che distingueranno la mafia da ogni altro tipo di delinquenza organizzata, l’Ulloa li aveva individuati e sottoposti all’attenzione del Governo di Napoli (che naturalmente non ne tenne alcun conto, come poi i Governi dell’Italia unita non tennero alcun conto delle relazioni Franchetti-Sonnino, di quella parlamentare del 1875-1876, dei discorsi di Colajanni alla Camera dei deputati, dei rapporti dei prefetti onesti e dell’ Arma dei caD

rabinieri). Questi elementi si possono riassumere in uno: la corruzione dei pubblici poteri, l’infiltrazione dell’occulto potere di una associazione, che promuove il bene dei propri associati contro il bene dell’intero organismo sociale, nel potere statale. AIl’Ulloa non sfugge la causa pri«ma di una tale situazione: che è la condizione sociale ed economica della Sicilia, ancora feudale in pieno XIX secolo. È appunto la mafia, che nasceva dalla feudalità e ne . assumeva la forma (il capo mafia al posto del signore feudale, a esercitare quel privilegio detto del «mero e misto . impero» che era del signore feudale: e cioè il diritto di vita e di morte sugli abitanti dei paesi e delle campagne, il diritto di imporre tasse anche arbitrarie); appunto la mafia doveva operare un movimento che si può paragonare al passaggio da una società feudale a una società borghese; quel passaggio che in Francia si realizzò attraverso la Ri. voluzione del 1789 e in altri Paesi attraverso quello che fu detto «l’assolutismo illuminato», cioè quelle trasformazioni che i sovrani (l’imperatore Giuseppe II d’ Austria, il granduca Leopoldo I di Toscana) seppero apportare nei . loro regni decidendo dall’alto e spesso contro la stessa classe aristocratica che era stata il loro sostegno. La Sici. lia non aveva avuto una rivoluzione né aveva conosciuto l’assolutismo illuminato: la terra passò dai baroni ai «borghesi» (borghesi tra virgolette, ché in Sicilia non si può dire esista una borghesia vera e propria) attraverso operazioni di tipo mafioso. I contadini promossi a «campieri» (specie di carabinieri del feudo alle dipendenze del barone) e da campieri a «gabellotti» (cioè ad affittuari delle terre), intimorendo i baroni, facendo loro dei presti‘ ti con usure ingenti, derubandoli del reddito, riuscirono a impadronirsi della terra. Ma, servi divenuti padrofi, i loro vizi furono quelli dei loro antichi padroni: volevano soltanto la terra, terra quanto più estesa possibile; e si

‘ contentavano del reddito che la terra aveva sempre dato. Non volevano trasformarla, bonificarla, migliorarla. Il 10

reddito della terra veniva investito in altra terra. «Terra quanto vedi e casa quanto stai» dice un proverbio siciliano; e cioè contentati di una casa anche piccola, ma se puoi compera tutta la terra che vedi. Già un viceré «illuminato», il napoletano Domenico Caracciolo che fu in Sicilia dal 1781 al 1784, aveva notato come questa fosse l’unica regione d’Europa in cui il denaro guadagnato sulla terra diventava altra terra, non veniva cioè impiegato per migliorare la terra o per far nascere industrie o incrementare icommerci. E così è accaduto fin quasi ai giorni nostri. Della mafia come «forma primitiva di rivolta sociale», come la sola possibile rivoluzione borghese che potesse avere la Sicilia, ha scritto lo studioso inglese Eric J. Hobsbawm (il libro, Primitive rebels, si intitola nella traduzione italiana / ribelli); e all’analisi di Hobsbawm si può trovare riscontro nel romanzo // gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e precisamente nel personaggio di Calogero Sedara. A un certo punto del romanzo, il principe scrittore fa dire al principe protagonista: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacal| letti, le iene». Queste iene, questi sciacalli, hanno saputo soltanto operare nella dissoluzione della classe aristocratica, e ne hanno approfittato. E quando si sono trovati al posto degli aristocratici, cioè a dirigere la cosa pubblica, a essere classe dirigente, hanno continuato a comportarsi come sciacalli, come iene: a dilaniare e divorare i beni pubblici così come avevano fatto con i beni dei loro antichi padroni. Insomma: la classe borghese-mafiosa, di cui è campione Calogero Sedara, non sa costruire: sa soltanto divorare. Da ciò deriva che all’interno di tale classe c’è un continuo conflitto, un continuo processo di sostituzione. Fondandosi sulla violenza e sulla frode, il potere di un gruppo mafioso è facilmente vulnerabile nel momento in cui sta per assestarsi, per votarsi all’ordine costituito: basta una nuova ondata di violenza, di frode. I delitti della 1l

mafia sono perciò, di solito, «interni»: conflitti tra una nuova generazione e la vecchia, tra gruppi che sono già arrivati al potere, alla ricchezza, al decoro, e gruppi che vogliono arrivare. L’«arrivo», dunque, spesso coincide conl’annientamento (anche fisico), conla fine. La più completa ed essenziale definizione che si può dare della mafia, crediamo sia questa: la mafia è un’associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e illavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino elo Stato. Nata indubbiamente nel feudo, nella campagna, come mediazione tra il padrone e il contadino, cioè svolgendo funzione poliziesca e vessatoria sul contadino per conto del padrone, e al tempo stesso derubando il padrone, abbiamo visto come già nel 1838 il fenomeno fosse diventato cittadino: di città come Palermo, come Trapani. Per avere un’idea di che cosa fosse in origine la mafia, basta pensare alle considerazioni che il Manzoni, nei Promessi sposi, svolge sul fenomeno della «braveria». Sgherri del tipo dei bravi, al servizio degli interessi e dei capricci dei nobili, in Sicilia furono i prototipi dei mafiosi. In Lombardia, caduto il dominio spagnolo e subentrato quello austriaco, attraverso riforme sociali e trasformazioni economiche, e soprattutto grazie alla correttezza dei

funzionari statali e quindi di tutto l’apparato amministrativo dello Stato, la «braveria» fu naturalmente eliminata

dal corpo sociale. In Sicilia, perdurando le condizioni del dominio spagnolo anche quando gli Spagnoli non ci furo-

no più, resistendo le strutture sociali della feudalità (e, per di più, di una feudalità piena di puntigli, avida di privilegi, rissosa, anarchica), quella che in origine era «braveria» diventò nel tempo quella che oggi conosciamo co-

me mafia. Tramontato il «mero e misto impero» dei sid2

gnori feudali, l’amministrazione statale che veniva a sostituirlo si rivelava debole, inefficiente, corruttibile — fatta com’era di funzionari incapaci e mal pagati, che dovevano il loro impiego a qualcuno (cui restavano, come dice l’Ulloa, «prostrati») o che l’avevano addirittura acquistato e perciò si ritenevano, ed erano, autorizzati a rivalersi sulla parte più debole, meno temibile, dei loro amministrati. Uno Stato quale che sia, quali che siano i principi o la classe che effettualmente rappresenta, sempre funziona (o non funziona) attraverso i suoi funzionari. In Sicilia un funzionario che si mostrasse sagace e onesto, resistente alla corruzione o alla pressione dei potenti, veniva o isolato o espulso come corpo estraneo. Il trasferimento è stato, e forse è ancora, l’arma del potere mafioso contro il funzionario che non stava al gioco. Una storia della mafia altro non sarebbe, dunque, che una storia della complicità dello Stato, dai Borbone ai Savoia alla repubblica, nella formazione e affermazione di una classe di potere improduttiva, parassitaria. Questa classe, che già nella prima metà dell’Ottocento l’Ulloa definisce e denuncia, nella seconda metà del secolo trova terreno di più rigoglioso sviluppo nell’unità d’Italia e nel sistema democratico. Quando, nelle rievocazioni dell’impresa di Garibaldi, si parla di picciotti, la parola non va intesa nel senso di una gioventù che spontaneamente corre sotto le bandiere garibaldine, a combattere contro la tirannide borbonica; ma nel senso di una coscrizione, di un reclutamento, operato dalla classe borghese-mafiosa, e dagli ultimi baroni, tra i contadini del feudo. E del resto anche oggi, nel gergo mafioso, con il termine picciotti si indicano gli esecutori di ordini scellerati, i sicari. Picciotti quelli della battaglia di Milazzo, nel luglio del 1860; e picciotti quelli che qualche anno fa sono entrati, travestiti da infermieri, in un ospedale palermitano per finire con una

raffica di mitra un ferito la cui sopravvivenza costituiva pericolo per l’associazione mafiosa. 13

Si capisce che non mancarono, alla grande avventura di Garibaldi in Sicilia, volontari veri, consapevoli; ma le. bande che venivano dalla campagna obbedivano soltanto alla volontà dei capi, del tutto ignorando la causa per cui si combatteva, le aspirazioni che si volevano realizzare. Le quali aspirazioni, da parte di quella che Hobsbawm chiama «la nuova classe dominante dell’economia agricola siciliana, i gabellotti e i loro collaboratori cittadini», si riducevano in fondo a una sola: che la Sicilia diventasse una colonia agricola del Nord commerciale e industriale. Il che, ovviamente, non era prospettiva che dispiacesse alla classe commerciale e industriale del Nord: e da ciò una più accentuata complicità dello Stato italiano nell’affermazione e nel consolidamento della classe borghese-mafiosa siciliana. Ki Il «sistema», l’instaurazione della macchina elettorale, fece il resto. La mafia vi si associò indissolubilmente. Ed è soltanto con il sorgere dei partiti di sinistra che la lotta elettorale nella Sicilia occidentale assume, da rivalità di interessi particolari e di cosche, carattere politico. La mafia fu subito contro il nascente partito socialista; e avversò anche quel partito popolare dei cattolici che poi, dal 1945, divenne democrazia cristiana. Nei confronti del fascismo, la mafia si mantenne in diffidente attesa nei primi anni. Quando cominciò a muoversi per inserirvisi, era troppo tardi: Mussolini, che aveva il culto dello Stato, era arrivato a scoprire che la mafia era come un altro Stato. Si racconta che la rivelazione gli venne dalla visita a un paese in provincia di Palermo, dove era podestà un mafioso; e il podestà ebbe l’ingenuità di dirgli che non occorrevano tanti carabinieri, tante guardie, ché a proteggere il capo del Governo, il duce dell’Italia fascista, bastava lui solo, la sua autorità, il suo prestigio. Mussolini si informò, seppe chi era il podestà e cosa era la mafia: e ordinò una radicale repressione, mandando in Sicilia, con pieni poteri, il 14

prefetto Cesare Mori. Funzionario indubbiamente capace, e disponendo di un’autorità praticamente illimitata, Mori attaccò la mafia a ogni livello: a livello degli esecutori come a livello dei capi. I metodi di cui si servì ripugnano alla coscienza civile: ma considerando che anche oggi le sole azioni che vengono compiute contro la mafia sono di tipo repressivo e non rispondenti ai principi della Costituzione repubblicana, bisogna riconoscere che l’operazione di Mori fu più radicale né si arrestò di fronte ai mafiosi di rango sociale elevato. Colpiti dal fascismo, i mafiosi si diedero all’antifascismo. Se in Sicilia si fosse verificata, dopo la caduta di Mussolini e durante l’occupazione tedesca, la lotta armata contro il nazifascismo, la costituzione di brigate partigiane, e insomma quel movimento di Resistenza che si è verificato nel Nord Italia, i mafiosi indubbiamente ne sarebbero stati i capi più autorevoli e valorosi. In Sicilia invece sbarcarono, il 10 luglio del 1943, quindici giorni prima che Mussolini venisse destituito dal voto contrario dello stesso Gran Consiglio fascista, le truppe anglo-americane. Nella Sicilia occidentale, prevalentemente occupata dalle truppe americane, i mafiosi furono subito chiamati all’amministrazione civile. Pare che i servizi segreti dell’esercito americano, tramite i mafiosi siciliani d’ America, avessero già da prima stabilito contatti con loro, ricevuto informazioni. Famosi gangster siculo-americani, come quel Salvatore Lucania detto Lucky Luciano, oriundo di Lercara in provincia di Palermo, avevano creato rapporti di collaborazione tra mafia siciliana e servizio segreto americano: e infatti Lucania, che si trovava in prigione negli Stati Uniti, fu poi liberato e restituito all’Italia (dove trascorse, da rispettato benestante, i suoi ultimi anni di vita). I rapporti tra la mafia siciliana e quella degli Stati Uniti, fondata e prevalentemente diretta da siciliani, sono stati 15

sempre continui e intensi. Chi vuol saperne di più, cerchi il libro del giornalista americano Ed Reid, intolato La mafia, pubblicato in edizione italiana nel 1956. Secondo il Reid, la mafia fu esportata dalla Sicilia negli Stati Uniti dai fratelli Vito e Giovanni Giannola e dal loro amico Alfonso Panizzola, nel 1915; e la prima città americana cui fu applicato il sistema di sfruttamento della mafia, Saint Louis nel Missouri. Noi siamo del parere che bisognerebbe andare più indietro nel tempo, alla fine del XIX secolo e ai primi del nostro. Comunque, la mafia, che si riteneva prodotta da una società contadina arretrata e miserabile, quale quella siciliana, radicandosi e prosperando nella società americana, ad alto livello d’industrializzazione e a un grado di benessere il più alto del mondo, si rivelò fenomeno più complesso e vitale: un sistema analogo al sistema capitalistico. Il capitalismo è una mafia che produce. La mafia è un capitalismo improduttivo: tranne che per la produzione della droga. Per dare un’idea di come uno Stato possa sapersi rendere inefficiente di fronte alla mafia, e anzi complice, vale la pena riportare un episodio che | riguarda quel Vito Genovese, mafioso siciliano d’ America, che con il nome di Vito Corleone è il protagonista di quel romanzo di successo di Mario Puzo, scrittore italoamericano, che si intitola // padrino. Vito Genovese, in America ricercato per omicidio, si trovava in Sicilia nel 1943-1944, sistemato come interprete presso il Governo militare alleato. Un poliziotto di nome Dickey, che gli davala caccia, riesce finalmente a trovarlo. Facendosi aiutare da due soldati inglesi (inglesi, si badi, non americani) lo arresta; gli trova addosso lettere credenziali, firmate da ufficiali americani, che dicevano il Genovese «profondamente onesto, degno di fiducia, leale e di sicuro affidamento per il servizio». Una volta arrestato, cominciano i guai: non per il Genovese, ma per il Dickey. Né le autorità americane né quelle italiane vogliono saper niente dell’arresto. Il povero agente si trascina dietro per circa sei mesi 16

l’arrestato; e riesce a portarlo a New York soltanto quando il teste che accusava di omicidio il Genovese è morto di veleno (come il luogotenente del bandito Giuliano, Gaspare Pisciotta, nel carcere di Palermo) in una prigione americana. Soltanto allora, cioè quando Genovese poteva essere prosciolto, Dickey poté assolvere il suo compito. Che è una storia davvero esemplare. LS (pubblicata su «Libération» il 30 dicembre 1976)

CRONOLOGIA VENTISEI ANNI DI DELITTI SENZA CASTIGO

ANNI CINQUANTA 1950 Tommaso Buscetta da due anni è entrato a far parte della famiglia palermitana di Porta Nuova. Regnano su Palermo, in questa fase, circa venti famiglie, con una media di trenta so/dati ciascuna. La mafia non è mai stata | così potente. Perseguitata dal fascismo, riabilitata dopo lo sbarco alleato del 1943, Cosa Nostra controlla pratica-

mente tutta la parte occidentale dell’isola. Ha liquidato da poco il bandito Salvatore Giuliano, e qualsiasi tendenza separatista. Ormai i boss tradizionali, i Calogero Vizzini e i vari Genco Russo si apprestano a trasmettere il comando a mafiosi più giovani e meno scrupolosi. La mafia agraria sta per trasformarsi in mafia urbana. 25 marzo 1958 Tommaso Buscetta viene tratto in arre| sto a Palermo per associazione a delinquere e contrabbando di sigarette. Sarà rilasciato qualche tempo dopo. I documenti di identità, che gli erano stati ritirati, gli saranno successivamente riconsegnati per l’intervento di un deputato.

2 agosto 1958 Il capo della famiglia di Corleone, il temuto dottor Michele Navarra, è assassinato sulla strada nazionale 118, non lontano dalla località nota come San Isidoro. Il suo presunto assassino, un killer della famiglia di Corleone, Luciano Leggio, detto Liggio, non tarderà ad acquistare una terribile fama. 19

ANNI SESSANTA 26 dicembre 1962 Il capo della famiglia palermitana di Noce, Calcedonio Di Pisa, è assassinato in piazza Princi- — pe di Campo Reale a Palermo. Questo assassinio, che si verifica dopo un periodo di tensione in seno alla Commissione, segna l’inizio della «grande guerra» della mafia. Ritenuta responsabile della morte di Di Pisa, la famiglia di Porta Nuova viene sciolta; Tommaso Buscetta espatria

all’inizio delle ostilità. 30 giugno 1963

Sette carabinieri vengono dilaniati dal-

l’esplosione di un’automobile imbottita di esplosivo sulle alture di Ciaculli. Questo massacro, che si verifica quando la guerra fra i clan dura ormai da più di un anno, getterà Cosa Nostra in una crisi senza precedenti. Il capo della Commissione, Salvatore Greco, detto Cicchiteddu, Uccellino, si dimette dalle sue funzioni, scioglie il governo di Cosa Nostra ed espatria, rinunciando, a quanto sembra, a qualsiasi attività mafiosa. La mafia è vicina al punto d’implosione, le diverse famiglie palermitane riducono le loro attività. 10 dicembre 1969. Un commando di una decina di persone, fra cui alcune travestite da carabinieri, fa irruzione negli uffici dell’imprenditore edile Salvatore Moncada, in viale Lazio, a Palermo, e spara su tutto ciò che si muove. Vengono uccise quattro persone, fra cui Michele Cavataio, uno dei killer più folli di Cosa Nostra. Il massacro di Viale Lazio è considerato l’avvenimento che ha messo fine alla «grande guerra» degli anni Sessanta e segna la ripresa delle attività di Cosa Nostra. Salvatore Riina, un «uomo» di Luciano Liggio, Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti formano un triunvirato incaricato di rimettere insestola mafia.

ANNI SETTANTA 16 settembre 1970 20

Scomparsa del giornalista Mauro De

Mauro. Il suo cadavere non sarà mai trovato, ma non si hanno dubbi sull’assassinio. Per contro, non si è riusciti a fare chiarezza sul movente; a Palermo corre voce che il giornalista De Mauro sia morto per aver posto «una domanda sbagliata alla persona giusta». 5 maggio 1971 Assassinio del procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, e del suo autista. Uno dei presunti killer non è altri che Luciano Liggio: impossibilitato a muoversi a causa della malattia da cui è affetto, avrebbe sparato dal sedile anteriore di un’automobile. 30 marzo 1973 Leonardo Vitale, uomo d’onore della | famiglia di Altarello; si presenta alla polizia di Palermo con l’intenzione di rivelare i segreti di Cosa Nostra. Sfortunatamente per lui — in seguito se ne parlerà come del Valachi di Falsomiele — nell’immediato non viene preso sul serio e viene ricoverato in un ospedale psichiatrico. Dovranno passare dieci anni prima che la giustizia si accorga dell’importanza e della serietà della sua testimonianza. i 14 maggio 1974 Arresto a Milano di Luciano Liggio. La sua compagna ignorava, a quanto sembra, persino il suo vero nome. Prima di essere condotto via dai carabinieri, Luciano Liggio domanda a sua moglie di non credere alle «cose orribili» che avrebbe letto sul suo conto sui giornali. Dopo l’arresto di Liggio, viene eletto capo della Commissione Gaetano Badalamenti, capo della famiglia di Ci-

nisi. 20 agosto 1977 Iltenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo è assassinato sulla piazza centrale di Ficuzza insieme con un professore che era in sua compagnia. Verificatasi qualche tempo dopo l’assassinio del maresciallo Sorino, questa duplice esecuzione provoca una profonda lacerazione in seno alla Commissione. Il capo del governo della mafia, Gaetano Badalamenti, che di regola dovreb21

be essere avvertito prima di ogni assassinio importante, viene sistematicamente tenuto all’oscuro di qualsiasi decisione. Verrà allontanato qualche tempo dopo, deposto dalla sua carica di capofamiglia ed espulso da Cosa Nostra per ragioni tuttora oscure. Prenderà il suo posto a capo della Commissione Michele Greco, detto il Papa. 8 maggio 1978 Con l’esplosione di un ordigno posto sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani viene assassinato Giuseppe Impastato, giovane militante di Democrazia Proletaria impegnato nella lotta contro la mafia. Da pochi giorni sono stati affissi a Cinisi manifesti che denunciano le protezioni di cui gode Gaetano Badalamenti, con la scritta «Notissimi ignoti». L’opera di Giuseppe Impastato sarà continuata, anche con la fondazione del Centro siciliano di documentazione che porta il suo nome. 30 maggio 1978 Ilcapo della famiglia di Riesi, Giuseppe Di Cristina, è assassinato in pieno centro di Palermo alle 7.45 del mattino. Disapprovando i nuovi metodi di gestione di Cosa Nostra instaurati da Michele Greco e presentendo il peggio, Giuseppe Di Cristina aveva cominciato a rivelare i segreti dell’organizzazione ai carabinieri, quando venne ucciso. 26 gennaio 1979 Il giornalista Mario Francese viene assassinato mentre sta conducendo un’inchiesta sullo scandalo della diga Garcia. Francese aveva scoperto che i terreni sui quali doveva essere costruita la diga erano stati comprati da mafiosi per l’importo di 2 miliardi di lire, poi espropriati dalla Regione con un indennizzo di 17 miliardi. 9 marzo 1979 Viene assassinato Michele Reina, segretario della Democrazia Cristiana di Palermo. 11 luglio 1979 Assassinio a Milano dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, che era incaricato di liquidare la Banca 22

Privata Italiana di Michele Sindona. Prima della sua morte, Ambrosoli stava lavorando per accertare le responsabilità politiche che avevano consentito al banchiere fuggiasco di impiantare un impero finanziario che provvede. va al riciclaggio di buona parte dei capitali della mafia. Dopo la bancarotta dei suoi istituti di credito, Michele Sindona fu arrestato e condannato negli Stati Uniti. 21 luglio 1979 Cade, colpito a morte dai killer di Cosa Nostra, Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo. Investigatore rigoroso, Boris Giuliano fu uno dei primi a scoprire la «Sicilian connection» dell’eroina. Il | suo assassinio viene compiuto dopo l’arresto di un killer | corleonesediì Luciano Liggio. 2 agosto 1979 Il banchiere della mafia e del Vaticano Michele Sindona scompare da New York, dove risiedeva godendo di un elevatissimo stile di vita: occupava un appartamento all’hotel Pierre. Questa scomparsa si verifica un mese prima della sua prevista comparizione davanti alla corte federale di Manhattan, dove è chiamato in giudizio per bancarotta fraudolenta. Il sequestro è rivendicato da un misterioso gruppo clandestino di estrema sinistra. In realtà, Michele Sindona gira per l’Europa e va in Sicilia, dove incontra i principali capi di Cosa Nostra, tenta di | organizzare un colpo di Stato, subisce un intervento chirurgico per far credere di essere stato ferito da colpi d’arma da fuoco, prima di ricomparire a New York il 16 ottobre 1979. Condannato a più di dieci anni di carcere, Sindona sarà estradato in Italia per rispondere dell’accusa di bancarotta fraudolenta e omicidio volontario. 25 settembre 1979 Assassinio di Cesare Terranova, magistrato, deputato indipendente eletto nelle liste del Partito Comunista, membro della commissione anti-mafia. Assassinato insieme con Lenin Mancuso, suo autista e guardia del corpo, Cesare Terranova si apprestava a rico23

prire la carica di consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, con una funzione di decisiva importanza nella lottacontrola mafia. 27 ottobre 1979 L’assassinio di Giuseppe Russo, consigliere comunale democristiano del comune di Belmonte Mezzagano, appare significativo perché la vittima era segretario particolare del presidente della Provincia di Palermo. Secondo la stampa, l’assassinio è stato causato da questioni di interesse in alcuni appalti. ANNI OTTANTA ° 6 gennaio 1980 L’assassinio del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, compiuto nel pieno centro di Palermo, sconvolge la città. Fino a questo momento la mafia non aveva mai osato colpire un dirigente politico democristiano tanto importante. Contrariamente a suo padre, Bernardo, il presidente Piersanti Mattarella faceva parte di quella frangia della Democrazia Cristiana che non esita a denunciare le collusioni del suo partito con la mafia, rivendicando una gestione più pulita della vita pubblica siciliana. 3 maggio 1980 Il capitano dei carabinieri Emanuele Basile viene assassinato nel momento in cui stava riprendendo alcune inchieste iniziate dal vice questore Boris Giuliano. Tratti in arresto nei pressi del luogo in cui è stato compiuto l’assassinio, i suoi killer saranno assolti in prima istanza e condannati in appello, ma ormai contumaci. 6 agosto 1980 Viene assassinato il procuratore della Repubblica del Tribunale di Palermo, Gaetano Costa. Qualche tempo dopo, il capo della famiglia di Passo di Rigano, Salvatore Inzerillo, si vanta di aver ordinato l’assassi-

nio. Membro della Commissione, Salvatore Inzerillo non era stato informato sugli agguati tesi ad alcune personalità palermitane e avrebbe deciso di assassinare il procuratore Costa unicamente per mostrare la sua forza. 24

13 agosto 1980 Si parla di regolamento di conti a proposito dell’esecuzione di Vito Lipari, sindaco democristiano di Castelvetrano. 6 settembre 1980 Fra Giacinto (all’anagrafe, Stefano Castronovo) cade sotto i colpi di killer sacrileghi. Frate francescano nel convento di Santa Maria di Gesù, Fra Giacinto verrà in seguito indicato come il guardiano di uno dei cimiteri della mafia. Nella sua cella monacale, la polizia requisirà quattro milioni di lire in biglietti di piccolo taglio e una pistola. Requiescat in pace. 23 aprile 1981 Il capo della famiglia di Santa Maria di Gesù, Stefano Bontate, ha appena finito di festeggiare il suo quarantatreesimo compleanno, quando viene assassinato, sulla circonvallazione palermitana, poco dopo essere uscito da casa sua. Stefano Bontate era uno dei membri della Commissione che non nascondevano la loro ostilità verso il capo del governo della mafia, Michele Greco. 11 maggio 1981 È la volta di Salvatore Inzerillo, il capo della famiglia di Passo di Rigano, che cade sotto i colpi dei suoi ex amici mentre esce da una casa dove si è recato | per un appuntamento cosiddetto galante. Salvatore Inzerillo era l’altro avversario di Michele Greco in seno alla

Commissione. 20 maggio 1981 La lista dei 953 presunti affiliati alla loggia P2 di Gelli viene consegnata dai giudici di Milano alla presidenza del consiglio, che annuncia di averla trasmessa ai presidenti delle due camere e di averne autorizzato la diffusione. Vi figurano nomi importanti delle strutture statali, militari, politiche, del mondo della finanza, editoriale, giornalistico. Alcuni tra i maggiori finanzieri italiani, tra cui Roberto Calvi, nella lista della P2, vengono arrestati sotto l’accusa di esportazione illecita e omesso rientro di capitali. +25

25 giugno 1981 Salvatore Contorno, un soldato della | famiglia di Santa Maria di Gesù, rimasto fedele alla memoria di Stefano Bontate, sfugge per un pelo ad un attentato in pieno centro del quartiere Brancaccio. Secondo la legge dell’omertà, sul posto nessun testimone si renderà disponibile per gli investigatori, per quanto la sparatoria sia stata molto movimentata, e si sia verificata in una delle strade più frequentate della città, in un’ora di punta. In questa fase a Palermo si verifica all’incirca un assassinio al giorno. 10 settembre 1981 Assassinio a Palermo di Vito Jevolella, maresciallo dei carabinieri.

30 aprile 1982

Viene assassinato Pio La Torre, deputato

del Partito Comunista, autore di un progetto di legge anti-mafia che prevede la confisca di tutti i beni appartenenti ai membri di Cosa Nostra, ai loro amici e complici. Una legge anti-mafia sarà approvata dal Parlamento subito dopo il suo assassinio. Anche l’autista di Pio La Torre, Rosario Di Salvo, perde la vita in questo attentato. 16 giugno 1982 Tre carabinieri, l’autista e il detenuto che stavano scortando durante il suo trasferimento insieme con un parente, vengono massacrati a colpi di Kalash-

nikov sulla circonvallazione

palermitana.

Il bersaglio

principale dei killer era il detenuto, Alfio Ferlito, vice capo della famiglia di Catania, assassinato per ordine del suo capo, iltemutissimo Nitto Santapaola. 18 giugno 1982 A Londra, viene trovato appeso a un traliccio, sotto il B/ackfriars Bridge (ponte dei Frati Neri) il cadavere del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi. Due mesi prima il boss mafioso Abbruciati aveva compiuto un attentato contro il vice presidente dell’ Ambrosiano, Roberto Rosone. Scomparso da Roma la sera del 10 giugno, Calvi era stato accompagnato nella sua misteriosa fuga verso la morte dal faccendiere Flavio 26

Carboni, dal contrabbandiere Silvano Vittor, dalle due sorelle Kleinzig. Sulla stampa, l’assassinio viene immediatamente connesso ai legami di Calvi con lo IOR di | Marcinkus e con Michele Sindona. Nell’incrocio di questi rapporti, in cui intervengono i servizi segreti, la P2, Licio Gelli, Umberto Ortolani, Francesco Pazienza, chi aveva interesse a farlo tacere per sempre? 11 agosto 1982 Il dottor Paolo Giaccone, medico legale presso il tribunale di Palermo, viene assassinato perché colpevole di avere identificato l’impronta digitale lasciata da un killer del clan Marchese sul luogo di un delitto. 3 settembre 1982 Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto antimafia di Palermo, già responsabile della lotta antiterrorista in Italia, viene assassinato insieme con sua moglie e il suo autista. Al momento dell’attentato, il generale Dalla Chiesa, che denunciava apertamente l’isolamento in cui era lasciato dal governo, circolava insieme con sua moglie su una piccola vettura che doveva passare inosservata, seguita dall’autista-guardia del corpo alla guida di una vettura blindata, destinata ad assicurare la protezione del prefetto. 14 novembre 1982 Assassinio dell’agente di polizia Calogero Zucchetto. Il disgraziato poliziotto viene ucciso perché aveva permesso l’arresto di alcuni uomini d’onore che conosceva da lungo tempo. 20 novembre 1982 Palermo. In piazza Politeama 150.000 persone si raccolgono per ascoltare Giovanni Paolo II. Dopo la scomunica pronunciata dalla chiesa siciliana contro i mafiosi e i ripetuti interventi del cardinal Salvatore Pappalardo contro l’indifferenza e la complicità della classe politica, il papa nel suo discorso non pronuncia la parola mafia. 25 gennaio 1983 Assassinio del sostituto procuratore della repubblica di Trapani, Giacomo Ciaccio Montalto. 27

Allo scopo di eliminare qualsiasi traccia dei mandanti del crimine, i cinque uomini impiegati per l’operazione sarebbero stati assassinati al loro arrivo negli Stati Uniti, dove ritenevano di trovare rifugio. 13 giugno 1983 Viene assassinato il capitano dei carabinieri Mario D’Aleo, comandante della compagnia dei carabinieri di Monreale. 28 luglio 1983

Per assassinare il decano dei giudici d’i- -

struzione del Tribunale di Palermo, il consigliere. Rocco

Chinnici, Cosa Nostra fa esplodere una vettura imbottita di cinquanta chili di tritolo. Bilancio: quattro morti, il consigliere, le sue due guardie del corpo e il portinaio dell’edificio dove abitava Chinnici. 5 gennaio 1984 Catania. Assassinio di Giuseppe Fava, giornalista, drammaturgo, romanziere.» Direttore del mensile «I Siciliani», Fava aveva dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia. Il figlio Claudio e i suoi collabora. tori porteranno avanti la sua battaglia, trasformando «I Siciliani» in settimanale. 26 giugno 1984 Torino. Assassinio del sostituto procuratore della Repubblica, il dottor Bruno Caccia, che stava investigando sulle ramificazioni della famiglia di Catania nel nord della Penisola. 14 luglio 1984 Arrestato in Brasile il 24 ottobre 1983, Tommaso Buscetta viene estradato in Italia. Ultimamente una decina di suoi parenti sono stati assassinati a Palermo. Senza dubbio allo scopo di vendicarsi, Tommaso Buscetta decide di rivelare tutti i segreti dell’organizzazione alla giustizia italiana. Cominciata il 16 luglio 1984, la confessione del mafioso «pentito» durerà più di un mese e farà tremare Cosa Nostra.

7 agosto 1984 Arresto del sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, Antonio Costa, per corruzione. I 28

giornali lo accusano di far parte della mafia. In casa sua, la polizia sequestra parecchie decine di milioni di lire in biglietti di piccolo taglio, nonché sei armi da fuoco, di cui una con il numero di matricola cancellato e fornita di silenziatore. 18 settembre 1984 Bagheria. Assassinio del senatore Ignazio Mineo, alto funzionario al Ministero delle Finanze. Il suo segretario, Salvatore Prezentano,

funzionario

della direzione provinciale del Tesoro, verrà assassinato venti giorni dopo nella stessa borgata di Bagheria. 29 settembre 1984 La polizia e i giudici segnano infine un punto contro la mafia: retata-blitz a Palermo. Dopo le confessioni di Tommaso Buscetta, tremila poliziotti vengono sguinzagliati per la città nella speranza di arrestare circa trecento mafiosi. Alla fine della giornata, il risultato è piuttosto deludente: soltanto alcune decine di uomini d’onore verranno spediti nelle galere del Nord, ma ormai gli inquirenti possiedono un organigramma dettagliato di Cosa Nostra e sono in grado di ricostruire molti misteri di Palermo. 3 ottobre 1984 Deposizione della maggioranza degli ex sindaci di Palermo davanti alla commissione anti-mafia del Parlamento. 18 ottobre 1984 Massacro a Palermo: la polizia scopre in una stalla di piazza Scaffa i corpi di otto giovani trucidati a colpi di fucile. Dietro questo regolamento di conti senza precedenti c’è indubbiamente il capo della famiglia di Catania, Nitto Santapaola. Gli otto giovani sarebbero stati assassinati perché tentavano di rivendere della carne di cavallo senza autorizzazione. 3 novembre 1984 Arresto dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino. Dirigente democristiano di primo piano per circa un quarto di secolo, Vito Ciancimino era anche un temibile affarista, responsabile fra l’altro del sacco 29

edilizio di Palermo compiuto dagli imprenditori della mafia. Il suo impero si estendeva fino al Canada. 12 novembre 1984 Arresto a Palermo dei cugini Ignazio e Nino Salvo, due degli uomini più potenti della Sicilia. Ex esattori, i cugini Salvo percepivano commissioni superiori al 6% sugli importi versati dai contribuenti siciliani allo Stato. Soprannominati i Viceré, facevano parte dell’establishment politico dell’isola. Secondo Tommaso Buscetta, i due cugini facevano parte della famiglia di Salemi. 18 novembre 1984 Palermo. Suicidio di Rosario Nicoletti, ex segretario della Democrazia Cristiana, deputato regionale. Rosario Nicoletti non sopportava di essere sospettato di collusione con la mafia e riteneva responsabili i suoi colleghi di partito dell’isolamento in cui si trovava. 23 febbraio 1985 Palermo. L’industriale Roberto Parisi e il suo autista sono assassinati da un commando di otto uomini. Presidente della squadra locale di calcio, vicepresidente dell’ Associazione degli industriali palermitani, Roberto Parisi aveva costruito la sua fortuna sugli appalti del comune di Palermo. 28 febbraio 1985 Pietro Patti, industriale palermitano, si rifiuta di pagare mezzo miliardo di lire «per la sua protezione». Viene assassinato. Sua figlia, la piccola Gaia, di nove anni, che si trovava insieme a lui al momento dell’attentato, è ferita gravemente. 30 marzo 1985 Arresto a Roma del capo della famiglia di Porta Nuova, Pippo Calò. Nel suo domicilio, la polizia sequestra sette chili di eroina pura e numerose cariche di esplosivo T 4. Pippo Calò possedeva undici appartamenti a Roma,

tre a Porto Rotondo,

in Sardegna,

nonché tre

ville. Ambasciatore di Cosa Nostra a Roma, Pippo Calò era legato ai gruppi terroristi di estrema destra, alle bande della camorra napoletana, alla maggior parte degli affari30

sti romani; il suo nome venne fatto anche nel caso della morte del banchiere Calvi. 2 aprile 1985 Trapani. Un’auto-bomba (cinquanta chili di plastico) esplode al passaggio della vettura blindata del sostituto procuratore della Repubblica, Carlo Palermo. Il magistrato rimane illeso per miracolo. Fra l’auto-bomba e la vettura di Palermo si è interposta un’automobile, su ‘cui viaggiavano la signora Barbara Asta e i suoi figli gemelli Salvatore e Giovanni, di otto anni. Sono dilaniati dall’esplosione. Carlo Palermo aveva condotto un’inchiesta su una delle più importanti reti di traffico di armi e di droga quando era giudice a Trento. Dopo aver lavorato per mesi e mesi completamente isolato, il 20 giugno 1983 aveva chiesto di essere sollevato dall’incarico. Appena arrivato a Palermo, si mette sulle tracce di uno degli ultimi laboratori di eroina ancora funzionanti in Sicilia. Per questa ragione, indubbiamente, la mafia cerca di ucciderlo. Qualche giorno dopo l’attentato, Carlo Palermo spicca mandato d’arresto contro i più grossi imprenditori immobiliari di Catania. 28 luglio 1985 Assassinio a Porticello del commissario Giuseppe Montana, capo della sezione «catturandi» incaricata di localizzare e arrestare i circa ottocento mafiosi latitanti che vivono «clandestinamente» in Sicilia. 6 agosto 1985 Duecento proiettili di Kalashnikov spengono la vita del vice capo della Squadra Mobile di Palermo, Antonino Cassarà, e quella di Roberto Antiochia, l’agente che si è assunto il compito di scortarlo. Nei giorni successivi, più della metà degli agenti della Squadra Mobile di Palermo domandano e ottengono di essere trasferiti dall’isola. 2 ottobre 1985 Incarcerato a Roma, il capo della famiglia di Porta Nuova, Pippo Calò, è imputato di partecipazione all’attentato contro il treno 904 che aveva causato 31

sedici morti e più di duecento feriti il 23 dicembre 1984. Pippo Calò avrebbe agito con una banda di neofascisti, dei camorristi e un deputato del MSI.

17 ottobre 1985

Il giudice Carlo Palermo è collocato

fuori del ruolo organico della magistratura, con il suo consenso, e passa all’attività amministrativa presso il ministero di Grazia e Giustizia. Il 26 giugno 1985 il Consiglio Superiore della Magistratura gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della perdita di sei mesi di anzianità di servizio. Fra gli addebiti contestati a Palermo, l’indagine condotta sul presidente del consiglio Craxi e sull’on. Pillitteri senzala preventiva autorizzazione del Parlamento. 30 ottobre 1985 New York. Intervento di Tommaso Buscetta a titolo di teste d’accusa davanti alla corte federale di Manhattan nel processo detto della ‘«Pizza Connec- | tion», relativo al traffico di diverse tonnellate di eroina negli Stati Uniti. Il principale imputato, Gaetano Badalamenti, finge di ignorare il suo ex amico, diventato il suo principale accusatore. Badalamenti non riuscirà a trattenere una risata quando Buscetta, rispondendo a una domanda del procuratore, dichiarerà: «Per entrare nella mafia, non occorre compilare un modulo!».

È la prima

volta che un uomo d’onore palermitano del rango di Buscetta accetta di testimoniare davanti ad un tribunale contro un suo ex amico. In cambio, avrebbe ricevuto la nazionalità degli Stati Uniti e il perdono per i suoi crimini passati.

8 novembre 1985 Il pool anti-mafia dei giudici d’istruzione di Palermo rinvia a giudizio quattrocentosettantaquattro uomini d’onore. Il dossier d’istruzione conta più di seicentomila pagine e la sentenza-ordinanza più di ottomila. L’indagine è basata sulle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e altri ventitré mafiosi pentiti. Il processo è previsto per gli inizi del 1986. 32

4 febbraio 1986 Nell’imminenza dell’apertura del processo a Cosa Nostra, l’ultima operazione poliziesca: vengono catturati due boss latitanti, Giovanni Prestifilippo e suo figlio Giuseppe. A Palermo un corteo di operai edili | disoccupati (della società Lesca, che gestiva per conto del . comune la manutenzione di strade e fognature) attraversa. il centro lanciando accuse pesantissime contro il presidente della Regione, il sindaco Orlando, e scandendo-lo slogan «Mafia, mafia, mafia». Alcuni giorni prima gli operai dipendenti del conte Arturo Cassina avevano invocato in corteo Vito Ciancimino e Cosa Nostra. Queste manifestazioni, organizzate contro gli appalti di lavori dati dal Comune a ditte non mafiose, sottolineano il problema dell’occupazione. «Quello che si dice, che la mafia ha il | consenso popolare perché dà lavoro a migliaia di persone, a migliaia di famiglie, non è un consenso, è soltanto che la gente deve pur lavorare per vivere e allora accetta il lavoro anche se proviene dai mafiosi»: sono parole pronunciate da Rocco Chinnici nella sua ultima intervista. 1] febbraio 1986 Si apre a Palermo il processo a Cosa . Nostra nell’aula-bunker appositamente approntata, con trenta gabbie blindate, dove prendono posto i duecentodieci detenuti compresi nella lista dei quattrocentosettantaquattro imputati. Tre gabbie sono riservate ai pentiti. Trentacinque imputati sono agli arresti domiciliari, centododici a piede libero. Centodiciassette sono latitanti. La Corte è composta dal presidente Alfonso Giordano, dal giudice a latere Pietro Grasso e dai giudici popolari. Il processo riguarderà anche il terzo livello della mafia, quello delle protezioni politiche? 20 febbraio 1986 Viene catturato Michele Greco, ’u papa, in un casolare della campagna di Caccamo, fra olivi e mandorli, a quaranta chilometri da Palermo. Insospettabile fino a pochi anni fa, ospite ricercato di rinomati circoli cittadini e di famiglie dell’aristocrazia palermitana, il suo ruolo era stato rivelato nel 1981 da Salvatore Di Gregorio, che venne ucciso dalla mafia perla sua testimonianza. 53 2. La vita quotidiana della mafia

6 marzo 1986 Si chiude alla Camera il dibattito sulle conclusioni della commissione parlamentare sulla P2. La risoluzione votata indica il «persistere di rischi di ulteriori turbative della vita democratica» da parte di centri di interesse e di pressione «non soltanto nazionali». 19 marzo 1986 La Corte d’Assise di Milano condanna all’ergastolo Michele Sindona per l’omicidio dell’avv. Giorgio Ambrosoli. Gli avvocati di Sindona presentano appello. 20 marzo 1986 Nel carcere di massima sicurezza di Voghera una tazza di caffè al cianuro chiude per sempre la bocca di Michele Sindona. All’inizio del suo crack aveva chiesto l’aiuto di Giulio Andreotti, ma il piano di salvataggio predisposto nel 1978 era stato bloccato dalla Banca d’Italia. Nel 1973 Andreotti lo aveva presentato ad un pranzo ufficiale a New York come il salvatore della lira. A conclusione del declino, il veleno in carcere. 2 aprile 1986 Nella notte sbarcano a Punta Raisi Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, «prestati» dalle autorità degli Stati Uniti per il maxi-processo di Palermo, sulla base dell’art. 14 del trattato di estradizione firmato dai due governi nel 1985. Il 3 aprile inizia l’interrogatorio di don Masino, che conferma la sua confessione. Il 7 aprile, quarto giorno dell’interrogatorio, risulta che don Masino non sa e non ricorda il nome degli amici del terzo livello: dei parlamentari e politici amici dei Salvo, dell’uomo politico che aveva incontrato a Roma nel 1981 insieme con Pippo Calò, dell’uomo politico che, secondo Badalamenti, si era voluto liberare del gen. Dalla Chiesa. 8 maggio 1986 La famiglia Impastato chiede la riapertura dell’inchiesta sull’assassinio di Giuseppe Impastato, «caso» archiviato nel maggio 1984. 3 giugno 1986 Palermo. La Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, con una clamorosa decisione

34 %

annulla la sentenza di secondo grado che confermava la condanna dei fratelli Michele e Salvatore Greco all’ergastolo, per la strage di via Pipitone Federico, nella quale aveva perso la vita Rocco Chinnici. Alla vigilia del processo, sono circolate voci di pesantissime minacce pervenute ai familiari di Chinnici, che si erano costituiti parte civile, come già nei processi di primo e secondo grado. Il processo d’appello per l’assassinio di Chinnici dovrà essere rifatto. 19 giugno 1984 Torino. Dopo tre anni di lontananza, dalla prigione di Manhattan, dove ha trascorso quindici mesi, Francesco Pazienza viene estradato in Italia e trasferito al «braccio» speciale delle Nuove di Torino. È l’ex uomo del Sismi, implicato nella bancarotta di Calvi e in quella di Flavio Carboni, nelle deviazioni dei servizi segreti, in associazione a delinquere di stampo camorristico, in tentata estorsione, nella strage alla stazione di Bologna. 24 luglio 1986 Al maxi-processo di Palermo Alfredo Galasso, legale della famiglia Dalla Chiesa, chiede l’audizione in aula di molti uomini politici: Giovanni Spadolini, Virginio Rognoni, Rino Formica, Giulio Andreotti, del capocorrente andreottiano Salvo Lima, del deputato regionale Michelangelo Russo, dell’ex console americano a Palermo Ralph Jones. 15-17 agosto 1986 Palermo. Viene depositata la prima ordinanza bis di rinvio a giudizio su Cosa Nostra. Dovranno essere in tutto tre. Questa prima parte consta di quasi millequattrocento pagine, cinque volumi. Negli ultimi tre sono affrontati, fra gli altri temi: traffico di armi e droga, la strage dell’autobomba preannunciata da Bou Chebel Ghassan (poi realizzata contro Ciupnici. ila la visita di Sindona in Sicilia. Il maxi-processo di Palermo continua... (acura di Franca Caffa)

35

FONTI

DOCUMENTARIE

La cronaca delle vicende raccontate nelle pagine che precedono si basa sulle corrispondenze e sulle ricerche effettuate in Sicilia, sia a titolo professionale, sia a titolo personale, nel corso di circa dieci anni di lavoro. Il racconto si basa sulla consultazione di diverse collezioni di giornali, fra cui quella del quotidiano palermitano «L'Ora», sulle testimonianze che ho avuto l’occasione di raccogliere, ed inoltre su vari documenti, fra i quali: — i processi-verbali dei diversi interrogatori di Tommaso Buscetta, raccolti da numerosi giudici italiani fra il 16 luglio e il 10 novembre

1984, come pure le audizioni del-

lo stesso Tommaso Buscetta da parte della corte federale di Manhattan nel novembre 1985 (349 pagine dattiloscritte); i — i processi-verbali degli interrogatori di Salvatore Contorno dal 1° ottobre 1984 al 19 giugno 1985, comprese le

dichiarazioni che lo stesso Contorno ha voluto rilasciare alle autorità americane rappresentate dal procuratore distrettuale Richard Martin, dagli agenti del FBI Carmine Russo e Charles Rooney, e da quelli della DEA, Tony Petrucci e Ray Kubyra (249 pagine); — i processi-verbali degli interrogatori di Vincenzo Sinagra dal 12 novembre 1983 al 12 febbraio 1985 (275 pagine in maggioranza manoscritte); — i processi-verbali degli interrogatori di Stefano Calzetta dal 12 marzo 1983 al 29 gennaio 1985 (236 pagine). 36

Fra i documenti giudiziari consultati, citiamo ancora: — il dossier istruito dal procuratore della Repubblica di Palermo il 27 giugno 1985 contro alcune centinaia di vomini d’onore, fra i quali Michele Greco (3.127 pagine dattiloscritte); — la sentenza-ordinanza del rinvio a giudizio dinanzi ai tribunali degli uomini d’onore precedentemente citati, firmata da un pool di giudici d’istruzione palermitani (8.636 pagine); — le sentenze dei giudici d’istruzione e del procuratore di Palermo concernenti il processo della famiglia InzerilloSpatola nel 1979 (1.056 pagine e 361 pagine); — la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio dinanzi ai tribunali di Gerlando Alberti, firmata il 28 luglio 1982 dal giudice Barile (42 pagine); — il dossier istruito dal procuratore della Repubblica di Palermo contro la famiglia Mafara il 2 luglio 1982 (59 pa-

gine); — le tre sentenze redatte dal giudice Palermo concernenti i traffici di armi e di eroina nel bacino del Mediterraneo (in totale più di 10.000 pagine dattiloscritte); — il rapporto detto dei 162, redatto da diversi corpi di polizia palermitani e concernenti lo stato di Cosa Nostra alla data del 13 luglio 1982 (170 pagine); — il testo integrale della relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia, in tre volumi nell’edizione messa in commercio nel maggio 1973 dalla Cooperativa Scrittori. Sono stati consultati anche alcuni dei circa trenta volumi di documenti raccolti e pubblicati dalla commissione d’inchiesta; queste edizioni rappresentano un patrimonio di difficile utilizzazione, soprattutto a causa della man-_ canza di qualsiasi intervento redazionale (indice dei nomi e della materia, sommario generale).

BIBLIOGRAFIA

La bibliografia sulla mafia comprende innumerevoli titoli. Segnaliamo: Domenico Novacco, Bibliografia ragionata della Mafia, in «Quaderni del Meridione», anno II, n. 5, 1964; Bollettino della biblioteca del Centro di Documentazione Giuseppe Impastato, Palermo, aprile 1984; Mafia, a select annotated bibliography, compiled by Lloyd Trott, with contributions by Dwight C. Smith, jr., Cambridge, The University Library, 1977. Con la bibliografia essenziale che presentiamo, ci siamo proposti di fornire al lettore segnalazioni utili e aggiornate su un arco adeguatamente ampio di temi: OPERE

STORICHE

DI CARATTERE

GENERALE

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Villari Pasquale, Le lettere meridionali, Torino, Bocca, 1875. — Scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, 1902. — Le lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia, introduzione di Francesco Barbagallo, Napoli, Guida, 1979. 38

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MAFIA DEL FEUDO

1964.

AL MAXI-PROCESSO

DI PALERMO

Antologia della mafia. Documenti inediti a cura di Nando Russo, Palermo, Il Punto, 1964. Antonelli Lamberto, / padrini di Cosa Nostra, Roma, Edizioni del Gattopardo, 1972. Anzitutto conoscere, a cura del Centro d’iniziativa democratica degli insegnanti, Roma, Ediesse, 1984. (Contiene le pagine più significative del rapporto del senatore americano Joseph R. Biden, L’intrigo siciliano: l’eroi-

na del Sud-Ovest asiatico in viaggio verso gli Stati Uniti, 1980.) Castagna Serafino, 7u devi uccidere, a cura di Antonio Perria, Milano, Editrice Il Momento, 1967. Chilanti F. e Farinella M., Rapporto sulla mafia, Palermo, S.F. Flaccovio, 1964. Chiesa,

mafia, camorra,

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INCHIESTE

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dell’on. Libero della Briotta e dell’on. Pio La Torre. La relazione e gli atti parlamentari sono stati pubblicad4

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MAFIA,

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IL RUOLO

DELLA DONNA

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MAFIA E INFORMATICA

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«Mettersi di fronte a un popolo e coglierne il carattere come fosse un sol uomo, una sola persona, è quasi impossibile: e specialmente se si vuol dare un “avvertimento”, un consiglio e una regola sul modo di governarlo. Più sicuro è affidarsi alla letteratura, agli scrittori che ne hanno rappresentato la vita, il modo di essere, nella mobilità del reale e nella varietà dei personaggi. E per la Sicilia a Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello, Bran‘cati, Tomasi di Lampedusa, Bonaviri, Consolo: per nominarne solo alcuni di una tradizione ricca, intensa, coerente.» Leonardo Sciascia

Ricordiamo al lettore le opere di Quasimodo, di Vittorini, e inoltre: Bonaviri Giuseppe, // sarto della stradalunga, Torino, Einaudi, 1954. — La contrada degli ulivi, Venezia, Sodalizio del Libro, 1958. (Ristampa: Torino, Einaudi, 1975) — L’enorme tempo, Milano, Rizzoli, 1976. Brancati Vitaliano, Tutte le opere, Milano, Bompiani, 1955-1961. Bufalino Gesualdo, Diceria dell’untore, Palermo, Sellerio, 1981. — Argo il cieco, Palermo, Sellerio, 1984. 52

Buttitta Ignazio, Lu trenu di lu suli, Edizione Avanti!, 1963. È Collura Matteo, Associazione indigenti, Torino, Einaudi, 1979. Consolo Vincenzo, // sorriso dell’ignoto marinaio, Torino, Einaudi, 1980. De Roberto Vincenzo, / Viceré, Milano, Garzanti, 1956. Fava Giuseppe, Prima che vi uccidano, Milano, Bompiani, 1976. i — Passione di Michele, Bologna, Cappelli, 1980. — Gente di rispetto, Milano, Bompiani, 1976. — I Siciliani, Bologna, Cappelli, 1980. Levi Carlo, Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, prefazione di Vincenzo Consolo, note di Paolo Rivalta, Torino, Einaudi, 1979. Sciascia Leonardo, Le parrocchie di Regalpetra, Bari, Laterza, 1956. — Glizii di Sicilia, Torino, Einaudi, 1960. — Il giorno della civetta, Torino, Einaudi, 1961. — Appunti su Mafia e letteratura, in «Nuovi Quaderni del Meridione», 1964. — A ciascuno il suo, Torino, Einaudi, 1966. — La corda pazza, Scrittori e cose della Sicilia, Torino, Einaudi, 1970. — Il mare color de! vino, Torino, Einaudi, 1973. — Todo Modo, Torino, Einaudi, 1974. — I pugnalatori, Torino, Einaudi, 1977. — Candido, Torino, Einaudi, 1977. — La Sicilia come metafora, intervista di Marcelle Padovani, Milano, Mondadori, 1979 — Nero su nero, Torino, Einaudi, 1979. — Occhio di capra, Torino, Einaudi, 1984. — I mafiusi (ampio rifacimento dell’opera di Rizzotto, rappresentata al Piccolo Teatro di Milano nel 1966 e al Teatro Stabile di Catania nel marzo 1968), Torino, Einaudi, 1976. 53

Teatro Siciliano, a cura di Achille Mango, Palermo, Editori Stampatori Associati (comprende: Giuseppe Rizzotto-Gaspare Mosca, / mafiusi, commedia in 4 atti). Tomasi Giuseppe di Lampedusa, // Gattopardo, Milano, Feltrinelli, 1959. Veneziano Antonio, Ottave, introduzione di L. Sciascia, Torino, Einaudi, 1967. Per il romanzo popolare: Luigi Natoli (William Galt), / Beati Paoli, Grande romanzo storico siciliano, saggio introduttivo di Umberto Eco, 2 voll., Palermo, S.F. Flaccovio Editore, 1974. — Coriolano della Floresta, ovvero Il segreto del romito, 2 voll., Palermo, S.F. Flaccovio Editore, 1972. — Calvello il Bastardo, ovvero Un bacio sul patibolo, Palermo, S.F. Flaccovio, 1973. Per il canto popolare: Uccello Antonino, Carcere e mafia nei canti popolari siciliani, Palermo, Ed. Libri Siciliani, 1965; con un’intro-

duzione di Luigi M. Lombardi Satriani, Bari, De Donato, 1974. ARTE-MAFIA-SOCIETÀ

Arte, Mafia, Società, Atti del Convegno tenuto a Partini-

co, 20-21 aprile 1985, a cura di Giuseppe Cipolla, Centro Jatino di Studi e Promozione Sociale «Nicola Barbato», Partinico, 1985. Comprende il catalogo della Mostra Liberi dalla Mafia, tenuta a Partinico presso la Biblioteca Comunale, 20 aprile-14 maggio 1985 e a Palermo, Galleria «La Persiana», 18-31 maggio 1985. Santino Umberto, Banditi del passato e mafiosi d’oggi. Presentazione della mostra «Banditi e fuorilegge nella società moderna e contemporanea», Palermo, Galleria comunale d’arte moderna, marzo 1981. 54

LA MAFIA E IL CINEMA

. Nel campo dei film di gangster, il cinema degli Stati Uniti ha raccontato decine e decine di storie di mafia, dalle biografie dei boss, ai più noti episodi di criminalità, a singole imprese compiute dai mafiosi nei diversi campi della loro | attività delinquenziale. Ricordiamo: ‘ Piccolo Cesare, di Mervyn LeRoy, 1930, con Edward G. Robinson (tratto dal libro di William Riley Burnett, nella trad. it. Piccolo Cesare, Longanesi, 1963). Scarface, di Howard Hawks, 1932, con Paul Muni, tratto dal libro di Armitage Trail. La Mano Nera, di Richard Thorpe, 1950, con Gene Kelly, J. Carrol, Naish, Teresa Celli. La città è salva, di Bretaigne Windust, 1951, con Humphrey Bogart, Zero Mostel. Joe Valachi: i segreti di Cosa Nostra, di Terence Young, 1972, con Lino Ventura, Charles Bronson, Walter Chiari, Amedeo Nazzari (tratto dal libro di Peter Maas, cfr. «La mafia americana, biografie, romanzi»). Il padrino, di Francis Ford Coppola, 1972, con Marlon Brando, Al Pacino (tratto dal libro di Mario Puzo, cfr.

«La mafia americana, biografie romanzi»). Il padrino II, di Francis Ford Coppola, 1974, con Al Pacino, Diane Keaton, Robert De Niro. L’onore dei Prizzi, di

John Houston,

1985, con Jack Ni-

cholson, William Hickey, Anjelica Houston, Kathleen Turner. L’anno del Dragone, di Michael Cimino, 1985, con Mikey Rourke, Ariane, Ray Barry, Carline Kava. La mafia nel cinema italiano: Damiano Damiani: Il sicario, 1961, con Belinda Lee, Sylva Koscina, Alberto Lupo, Pietro Germi.

55

Il giorno della civetta, 1967, dal romanzo omon. di L. Sciascia, con Franco Nero e Claudia Cardinale. Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica, 1971, con Franco Nero, Martin Balsam. L’istruttoria è chiusa: dimentichi, 1971, dal romanzo Tante sbarre di Leros Pittoni, con Franco Nero, Ric-

cardo Cucciolla, Turi Ferro. Perché si uccide un magistrato, 1974, con Franco Nero, Riccardo Cucciolla, Turi Ferro. La piovra, realizzato per la TV. Giovanni Ferrara: Cento giorni a Palermo, 1984, sul generale Dalla Chiesa. Il film è finanziato dalla Regione Sicilia. Pietro Germi: In nome della Legge, 1949, dal romanzo Piccola Pretura

di Giuseppe Guido Lo Schiavo, con Massimo Girotti, Jone Salinas, Charles Vanel. Alberto Lattuada: Il mafioso, 1962, con Alberto Sordi, Norma Benguell. Elio Petri:

A ciascuno il suo, 1966, dal romanzo omon. di L. Sciascia, con Gian Maria Volonté, Irene Papas, Gabriele Ferzetti. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970-70, con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, i Salvo Randone. Todo modo, 1976, dal romanzo omon. di L. Sciascia, con Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato. 56

Francesco Rosi: Salvatore Giuliano, 1961, con Pietro Cammarata, Frank Wolff, Salvo Randone. Il caso Mattei, 1972, con Gian Maria Volonté, Luigi Squarzina. Lucky Luciano, 1973, con Gian Maria Volonté, Rod Steiger. Cadaveri eccellenti, 1975, dal romanzo // contesto di L. Sciascia, con Lino Ventura, Fernando Rey, Max Von Sidow, Charles Vanel, Tino Carraro. Corleone, 1978, liberamente ispirato al libro / complici, di Orazio Barrese, con Giuliano Gemma, Claudia Cardinale, Francisco Rabal. Il prefetto di ferro, 1985, con Franco Nero, Max von Sidow. Paolo e Vittorio Taviani: Un uomo

da bruciare,

1962, sull’assassinio di Salvatore

Carnevale, con Gian Maria Volonté, Didi Perego, Turi Ferro, Spyros Focas. Eriprando Visconti:

Il caso Pisciotta, 1973, con Tony Musante e Salvo Randone. Luigi Zampa:

Processo alla città, 1952, con Amedeo Nazzari, Silvana Pampanini, Paolo Stoppa. Gente di rispetto, 1975, tratto dal romanzo omon. di Giuseppe Fava, con Jennifer O’Neill, Franco Nero, James

Mason. È in corso di lavorazione un film di Squitieri sulle vicende di Buscetta. 57

ICONOGRAFIA

Il grande libro della Sicilia, introduzione di Leonardo Sciascia, fotografie di Ferdinando Scianna, Milano, Mondadori, 1984. La mafia, testo di Renzo Trionfera, fotografie di Giusto Scafidi. Inserto dell’«Europeo» n. 958, 1° marzo 1964, pp. 43-66. Mafia. Il fatto, la foto. Selezione, grafica e montaggio di Pasquale Prunas. Collaborazione di Claudio Ronchetti. Testo e commento di Enzo Catania. Milano-London-Paris, I. e Idea editions, 1978. Palermo Liberty, testo di Gianni Pirrone, fotografie di Ferdinando Scianna, Caltanissetta, S. Sciascia, 1971. Saba Sardi Francesco, Viaggio dalla Sicilia al continente. 1955-1980. Documenti fotografici di Gianni Berengo, Gardin, Luigi Ciminaghi, A. Benedetto Greco, Uliano Lucas, Milano, Edizioni del Centro Studi CSAPP, 1978. Les Siciliens, foto di Ferdinando Scianna, testi di Dominique Fernandez e Leonardo Sciascia, Paris, Denoel, 1977. La Villa dei Mostri, introduzione di Leonardo

fotografie di Ferdinando 1977.

MOSTRE

Sciascia,

Scianna, Torino, Einaudi,

FOTOGRAFICHE

Dimenticati a Palermo. Documenta fotograficamente i quattro mesi compresi tra l’assassinio di Pio La Torre e l’eccidio di Via Carini. Esposta nell’83 alla Civica galleria d’arte di Palermo, viene attualmente presentata nelle scuole delle regioni Lombardia, Veneto, Emilia. L’iniziativa venne lanciata da un gruppo di docenti dell’Università di Palermo, all’indomani dell’assassinio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, per finanziare la 58

costruzione di un monumento in memoria di tutti i caduti nella lotta alla mafia. A distanza di quattro anni il progetto entra in fase di attuazione. Il monumento, il cui bozzetto è opera dello scultore Mario Pecoraino, sorgerà ai margini della città vecchia, in piazza XIII Vittime, quasi a fianco della Prefettura. Mafia oggi, 126 fotografie dentro passe-partout, formato 50 x 40, con didascalie. Fotografie di Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Ernesto Battaglia, Santi Caleca, Maurizio D’Angelo, Salvo Fundarotto, Natale Gaggioli, Salvo Lupo, Lele Martino. Testi di Umberto Santino. Mostra e Catalogo, Palermo, Centro Siciliano di Documentazione «G. Impastato», 1982. Palermo crolla. Fotografie dentro passe-partout, formato 50x40. Fotografie di Letizia Battaglia, Maurizio D’Angelo, Salvo Fundarotto, Riccardo Liberati, Eugenio Mangia e Franco Zecchin, Palermo, Centro Siciliano di Documentazione «G. Impastato», 1982. CURIOSITÀ

«Mafia»: gioco di società. Possono giocare da tre a cinque persone, a partire dai 13 anni di età. Durata: da 1 a 2 ore. Distribuito in Italia dalla International Team, in vendita nei migliori negozi di giocattoli dal 1983. Sulla linea dei giochi di strategia, a cui si ispira, «Mafia» si compone di una carta della Sicilia, di pedine con l’effigie di rappresentanti e di avversari dello Stato. Vince chi conquista il controllo dell’isola. Le famiglie devono impadronirsi del maggior numero possibile di caselle. Lo Stato deve arrestare il massimo numero possibile di mafiosi. (a cura di Franca Caffa)

APPENDICE

1. LEGGE 13 SETTEMBRE 1982, N. 646 detta LA TORRE! ,

Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia.

CAPOI Disposizioni penali e processuali Art. 1 Dopo l’articolo 416 del codice penale è aggiunto il seguente: «Art. 416-bis - Associazione di tipo mafioso. — Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti; per ciò solo, con la reclusione da quattro a noveanni. L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o in!Cfr.n.3ap.237.

diretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusioneda quattro a dieci anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei casi previsti dal secondo comma. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute inluogo di deposito. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto 0 che ne costituiscono l’impiego. Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso». i Art.2 Dopo il primo comma dell’articolo 378 del codice penale è inserito il seguente:

«Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni».

Art. 3 Il secondo comma dell’articolo 379 del codice penale è sostituito dal seguente: «Si applicano le disposizioni del primo e dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente».

II

Art. 4 Nel primo comma dell’articolo 165-fer del codice di procedura penale tra i numeri «306» e «422» è inserito il seguente: «416-Dis». Art. 5 Nell’articolo 253 del codice di procedura penale dopo il numero 5) è aggiunto il seguente: «6) del delitto preveduto dall’articolo 416-bis del codice penale». Art. 6 Dopo l’ultimo comma dell’articolo 448 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente: «Per i delitti previsti dall’articolo 416 del codice penale e per quelli indicati nel primo comma dell’articolo 165-ter del codice di procedura penale il giudice, anche d’ufficio, può procedere all’esame dei testimoni ordinando che il procedimento si svolga a porte chiuse per il tempo necessario all’esame». Art. 7 Nel secondo comma dell’articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in fine, sono aggiunte le seguenti parole «e associazione di tipo mafioso». Art. 8

Dopo l’articolo 513 del codice penale è aggiunto il seguente: «Art 513-bis - Illecita concorrenza con minaccia o violenza. — Chiunque nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di concorrenza con violenza o minaccia è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano un'attività finanziata in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici». Art.9

All’ultimo comma dell’articolo 628 del codice penale è aggiunto, dopo il n. 2), il seguente: «3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che

fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416-bis».

III

CAPOI Disposizioni in materia di misure di prevenzione Art. 10 L’ultimo comma dell’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, è sostituito dai seguenti commi: «Nei casi di grave pericolosità e quando le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l’obbligo di soggiorno in un determinato comune. Il soggiorno obbligatorio è disposto in un.comune o frazione di esso con popolazione non superiore ai 5 mila abitanti lontano da grandi aree metropolitane, tale da assicurare un efficace controllo delle persone sottoposte alla misura diSo e che sia sede di un ufficio di polizia». Art. ll Dopo l’articolo 7 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sono aggiunti i seguenti articoli: «Art. 7-bis. — Quando ricorrono gravi e comprovati motivi di salute, le persone sottoposte all’obbligo del soggiorno in un determinato comune possono essere autorizzate a recarsi in un luogo determinato fuori del comune stesso ai fini degli accertamenti sanitari e delle cure indispensabili, allontanandosi per un periodo non superiore ai 10 giorni, oltre al tempo necessario per il viaggio. La domanda dell’interessato deve essere proposta al presidente del tribunale competente ai sensi dell’articolo 4. Il tribunale, dopo aver accertato la veridicità delle circostanze allegate dall’interessato, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Nei casi di assoluta urgenza la richiesta può essere presentata al presidente del tribunale competente ai sensi dell’articolo 4, il quale può autorizzare, anche per fonogramma, il richiedente ad allontanarsi per un periodo non superiore a tre giorni, oltre al tempo necessario per il viaggio. Il decreto previsto dai commi precedenti è comunicato al procuratore della Repubblica ed all’interessato che possono proporre ricorso per cassazione per. violazione di legge. Il ricorso non ha effetto sospensivo. Del decreto è altresì data notizia, anche a mezzo del telefono o del telegrafo, all’autorità di pubblica sicurezza che esercita la IV

vigilanza sul soggiornante obbligato, la quale provvede ad informare quella del luogo dove l’interessato deve recarsi e a disporre le modalità e l’itinerario del viaggio». «Art. 7-ter. — La persona che, avendo ottenuto l’autorizzazione di cui all’articolo precedente, non rientri nel termine stabilito nel comune di soggiorno obbligato, o non osservi le prescrizioni fissate per il viaggio, ovvero si allontani dal comune dove ha chiesto di recarsi, è punita con la reclusione da due a cinque anni; è consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza». Art. 12

Il secondo comma dell’articolo 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, è sostituito dal seguente: «Se l’inosservanza riguarda la sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni». Art. 13

L'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, è sostituito dal

i

seguente:

«La presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra 0 ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità 0 agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di

tipo mafioso». Art. 14

Dopo l’articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sono aggiunti i seguenti: «Art. 2-bis. — Il procuratore della Repubblica o il questore competente a richiedere l’applicazione di una misura di prevenzione procedono, anche a mezzo della polizia tributaria della guardia di finanza, ad indagini sul tenore di vita, sulle disponibi e la lità finanziarie e sul patrimonio, anche al fine di accertarn provenienza, delle persone nei cui confronti possa essere propoad sta una misura di prevenzione perché indiziate di appartenere previoni associazi delle alcuna ad o mafioso associazioni di tipo persone ste dall’articolo 1. Accertano fra l’altro se le suddette ocommissi di o, commerci di polizia, di siano titolari di licenze

V 3. La vita quotidiana della mafia

nario astatore presso mercati. annonari all’ingrosso, di concessione di acque pubbliche e diritti inerenti, nonché se risultino iscritte ad albi professionali, di appaltatori di opere o forniture

pubbliche o all'albo nazionale dei costruttori. Le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con le persone indicate nel comma precedente, nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, associazioni od enti del cui patrimonio dette persone risultino poter disporre in tutto oin parte, direttamente o indirettamente. Il procuratore della Repubblica e il questore, a mezzo della polizia tributaria, possono richiedere ad ogni ufficio della pubblica amministrazione e ad ogni istituto di credito pubblico o privato le informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti dei soggetti di cui ai commi precedenti. Previa autorizzazione del procuratore della Repubblica indicato nel primo comma, gli ufficiali di polizia tributaria possono procedere al sequestro della documentazione con. le modalità di cui agli articoli 338, 339 e 340 del codice di procedura penale». «Art. 2-ter. — Nel corso del procedimento Def l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dall’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, iniziato nei confronti delle persone indicate nell’articolo 1, il tribunale, ove necessario, può procedere ad ulteriori indagini oltre quelle già compiute a norma dell’articolo precedente. Salvo quanto disposto dagli articoli 22, 23 e 24 della legge 22 maggio 1975, n. 152, il tribunale, anche d’ufficio, ordina con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei confronti della quale è stato iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, e che sulla base di sufficienti indizi, come la notevole sperequazione fra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati, si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Con l’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza. Nel caso di indagini complesse il provvedimento può essere emanato anche successivamente, ma non oltre un anno dalla data dell’avvenuto sequestro. Il sequestro è revocato dal tribunale quando è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione o quando è dimostrata la legittima provenienza dei beni. Se risulta che i beni sequestrati appartengano a terzi, questi

VI

sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l’assistenza di un difensore, nel termine stabilito dal tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. 1 provvedimenti previsti dal presente articolo possono essere adottati, su richiesta del procuratore della Repubblica o del questore, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua cessazione. Sulla richiesta provvede lo stesso tribunale che ha disposto la misura di prevenzione, con le forme previste per il relativo procedimento e rispettando le disposizioni di cui al precedente com-

ma». «Art. 2-quater. — Il sequestro, disposto ai sensi dell’articolo 2-ter, è eseguito sui mobili e sui crediti secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo e sugli immobili o mobili registrati con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici. Non possono essere nominate custodi dei beni sequestrati le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, né il coniuge, i parenti, gli affini, o le persone con esse conviventi». Art. 15

Dopo l’articolo 3 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sono aggiunti i seguenti articoli: «Art. 3-bis. — Il tribunale, con l’applicazione della misura di prevenzione, dispone che la persona sottoposta a tale misura versi presso la cassa delle ammende una somma, a titolo di cauzione, di entità che, tenuto conto anche delle sue condizioni economiche, e dei provvedimenti adottati a norma del precedente articolo 2-fer., costituisca un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte. Fuori dei casi previsti dall’articolo 6 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, il tribunale può imporre alla persona denunciata, in via provvisoria e qualora ne ravvisi l’opportunità, le prescrizioni previste dal secondo e dal terzo comma dell’articolo 5 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Con il provvedimento, il tribunale può imporre la cauzione di cui alcomma precedente. Il deposito può essere sostituito, su istanza dell’interessato, dalla presentazione di idonee garanzie reali. Il tribunale provvede circa i modi di custodia dei beni dati in pegno e dispone, riguardo ai beni immobili, che il decreto con il quale accogliendo l'istanza dell’interessato è disposta l’ipoteca iegale sia trascritto VII

presso l’ufficio delle conservatorie dei registri immobiliari del luogo in cui i beni medesimi si trovano. Qualora l’interessato non ottemperi, nel termine fissato dal tribunale, all’ordine di deposito o non offra garanzie sostitutive è punito conla pena dell’arresto da sei mesi a due anni. Quando sia cessata l’esecuzione della misura di prevenzione o sia rigettata la proposta, il tribunale dispone con decreto la restituzione del deposito o la liberazione della garanzia. In caso di violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dall’applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca della cauzione oppure che si proceda ad esecuzione, sui beni costituiti in garanzia, sino a concorrenza dell’ammontare della cauzione. Il provvedimento del tribunale vale come titolo esecutivo. Per l’esecuzione, a cura del cancelliere, si osservano le disposizioni dei primi due titoli del libro terzo del codice di procedura civile in quanto applicabili, ed escluse, riguardo ai beni costituiti in garanzia, le formalità del pignoramento. Qualora, emesso il provvedimento di cui al comma precedente, permangono le condizioni che giustificarono la cauzione, il tribunale, su richiesta del procuratore della:.Repubblica o del questore e con le forme previste per il procedimento di prevenzione, dispone che la cauzione sia rinnovata, anche per somma

superiore a quella originaria.

i

Le misure patrimoniali cautelari previste dal presente articolo mantengono la loro efficacia per tutta la durata della misura di

prevenzione e non possono essere revocate, neppure in parte, se non per comprovate gravi necessità personali o familiari». «Art. 3-fer. — I provvedimenti con i quali il tribunale, a norma degli articoli 2-fer e 3-bis, dispone, rispettivamente, la confisca dei beni sequestrati, la revoca del sequestro ovvero la restituzione della cauzione o la liberazione delle garanzie o la confisca della cauzione o la esecuzione sui beni costituiti in garanzia sono comunicati senza indugio al procuratore generale presso la corte di appello, al procuratore della Repubblica e agli inte-

ressati. Le impugnazioni contro detti provvedimenti sono regolate dalle disposizioni dei commi quinto, sesto, settimo e ottavo dell’articolo 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. I provvedimenti emessi dal giudice penale, con i quali si limita o si esclude la disponibilità dei beni, hanno effetto prevalente sui provvedimenti emessi, riguardo agli stessi beni, in occasione di una procedura per l’applicazione di una delle misure di preven‘ zione previste dall’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423». VII

Art. 16 [l procuratore della Repubblica del luogo, dove le operazioni debbono essere eseguite, può autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria ad intercettare comunicazioni o conversazioni telefoniche o telegrafiche o quelle indicate nell’articolo 623-bis del codice penale, quando lo ritenga necessario al fine di controllare che le persone nei cui confronti sia stata applicata una delle misure di prevenzione previste dall’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, non continuino a porre in essere attività 0 comportamenti analoghi a quelli che hanno dato luogo all’applicazione della misura di prevenzione.

Riguardo alle intercettazioni di comunicazioni e conversazio-

ni telefoniche o telegrafiche e di quelle indicate dall’articolo 623-bis del codice penale, si osservano le modalità previste dagli articoli 226-ter e 226-quater, primo, secondo, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale. Gli elementi acquisiti attraverso le intercettazioni possono essere utilizzati esclusivamente per la prosecuzione delle indagini e sono privi di ogni valore ai fini processuali. Le registrazioni debbono essere trasmesse al procuratore della Repubblica che ha autorizzato le operazioni, il quale dispone la distruzione delle registrazioni stesse e di ogni loro trascrizione,

sia pure parziale. (ATESÀ7

L'articolo 5 della legge 31 maggio 1965, n. 575, è sostituito dal

seguente:

«L’allontanamento abusivo dal comune di soggiorno obbligatorio è punito con la reclusione da due a cinque anni; è consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza». Art. 18

L'articolo 7 della legge 31 maggio 1965, n. 575, è sostituito dal

seguente:

«Art. 7. - Le pene stabilite per i delitti preveduti negli articoli

336, 338, 353, 378, 379, 416, 416-bis, 424, 435,575, 605, 610, 611, 612, 629, 630, 632, 633, 634, 635, 637, 638 del codice penale

sono aumentate e quelle stabilite per le contravvenzioni di cui agli articoli 695, primo comma, 696, 697, 698, 699 del codice penale sono raddoppiate se il fatto è commesso da persona già sottoposta con provvedimento definitivo a misura di prevenzione.

v

DO

In ogni caso si procede d’ufficio ed è consentito l’arresto anche fuori dei casi di flagranza. Alla pena è aggiunta una misura di sicurezza detentiva». Art. 19 L’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, è sostituito sal seguente: «Art. 10. — Divenuti definitivi; ai sensi ‘dell’articolo 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, i ‘provvedimenti di cui all’articolo 3 della legge stessa, decadono di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso, le concessioni di acque pubbliche o di diritti ad. esse inerenti, nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche e all’albo nazionale dei costruttori di cui fossero titolari le persone soggette ai detti provvedimenti. Nel corso del procedimento di prevenzione, di cui all’articolo 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, il tribunale, ove sussistano motivi di particolare gravità, può sospendere le licenze, le concessioni e le iscrizioni agli albi indicate nel primo comma, di cui la persona denunciata sia titolare. Il provvedimento che applica la misura di prevenzione comporta che le licenze, le concessioni e le iscrizioni per le quali è intervenuta decadenza non possono essere in ogni caso disposte e, se disposte, sono revocate di diritto, a favore delle persone sottoposte alle misure di prevenzione e a favore del coniuge, dei figli e delle altre persone con esse conviventi». Art. 20 Dopo l’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, così come sostituito dalla presente legge, sono aggiunti i seguenti articoli: «Art. 10-bis. — Con decreto da emanarsi dal Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con tutti i Ministri interessati, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, e da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sarà costituito un elenco generale degli enti e delle amministrazioni legittimati a disporre le licenze, le concessioni e le iscrizioni indicate nel primo comma dell’articolo 10. Con le stesse modalità saranno effettuati gli aggiornamenti eventualmente necessari. Copia del provvedimento definitivo di applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero del provvedimento di cui al seconda x

do comma del precedente articolo 10, a cura della cancelleria del tribunale, è inviata al Ministero dell’interno che provvede a darne comunicazione agli organi ed enti legittimati al rilascio delle licenze o delle concessioni, ovvero legittimati all’effettuazione delle iscrizioni, per iprovvedimenti conseguenti. Il pubblico amministratore, il funzionario o il dipendente che, malgrado l’intervenuta decadenza o sospensione, non dispone, entro trenta giorni dalla comunicazione, il ritiro delle licenze o concessioni ovvero la cancellazione dagli albi, è punito con la reclusione da due a quattro anni. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione da tre mesia un anno. Le stesse pene si applicano in caso di rilascio di licenze, concessioni o iscrizioni in violazione delle disposizioni di cui al terzo comma dell’articolo precedente». «Art. 10-ter. — Quando risulta, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, che la,persona sottoposta a misura di prevenzione partecipa direttamente o indirettamente agli utili derivanti dall’esercizio di attività economiche connesse alle licenze, concessioni e iscrizioni indicate nell’articolo 10 di cui siano titolari altri soggetti, nei confronti di costoro il tribunale che decide sulla misura di prevenzione dispone la decadenza delle dette licenze, concessioni e iscrizioni, che non possono, per un periodo di cinque anni, essere nuovamente disposte a loro favore e, se disposte, sono revocate di diritto. Si applica la disposizione di cui alsecondo comma dell’articolo 10. La disposizione del primo comma si applica anche rispetto alle licenze, concessioni o iscrizioni disposte in favore di società di persone o di imprese individuali delle quali la persona sottoposta alla misura di prevenzione sia amministratore, socio o dipendente, ovvero di società di capitali delle quali la persona medesima sia amministratore o determini abitualmente in qualità di socio, di dipendente o in altro modo scelte e indirizzi. Ai fini dei relativi accertamenti si applicano le disposizioni degli articoli 2-bis e 2-ter». «Art. 10-quater. — Il tribunale, prima di adottare alcuno dei provvedimenti di cui all’articolo 10-ter, chiama, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento le parti interessate, le quali possono, anche con l’assistenza di un difensore, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione. I provvedimenti previsti all’articolo precedente possono essere adottati, su richiesta del procuratore della Repubblica o del questore, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’ap-

XI

plicazione della misura di prevenzione. Sulla richiesta provvede lo stesso tribunale che ha disposto la misura di prevenzione, con le forme previste per il relativo provvedimento e rispettando la disposizione di cui al precedente comma. Si applicano le disposizioni di cui al primo e al secondo comma dell’articolo 3-ter». «Art. 10-quinquies. — Il pubblico amministratore, il funzionario o il dipendentedello Stato o di altro ente pubblico che consenta la concessione in appalto o in subappalto di opere riguardanti la pubblica amministrazione a persone, imprese o società sospese o decadute dall’iscrizione all’albo delle opere e forniture pubbliche o non iscrivibili allo stesso perché è intervenuto alcuno dei provvedimenti di cui ai precedenti articoli, è punito con la reclusione da due a quattro anni e con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Se il fatto è commesso per colpa la pena è della reclusione da tre mesi ad un anno». 6 Art.21 Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con il pagamento di una sanzione pecuniaria pari ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto. Il subappaltatore è responsabile in via solidale del pagamento della sanzione pecuniaria. E data all’amministrazione ‘ appaltantela facoltà di chiedere la risoluzione del contratto. ._ L’autorizzazione prevista dal precedente comma è rilasciata previo accertamento dei requisiti di idoneità tecnica del subappaltatore, nonché del possesso, da parte di quest’ultimo, dei requisiti soggettivi per l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori. L’autorizzazione non può essere rilasciata nei casi previsti dall’articolo 10-quinquies della legge 31 maggio 1965, n. 575. Per l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al primo comma è competente il prefetto del luogo dove le opere devono essere eseguite. Il procedimento è regolato dalle disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

Art. 22 L’eventuale custodia dei cantieri installati per la realizzazione di opere pubbliche deve essere affidata a persone provviste della qualifica di guardia particolare giurata.

XII

In caso di inosservanza della disposizione che precede, l’apnaltatore e il direttore dei lavori sono puniti con l’arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire centomila ad un milione. Art. 23

Dopo il numero 2) dell’articolo 13 della legge 10 febbraio 1962, n. 57, èaggiunto il seguente: «2-bis) assenza di procedimenti in corso per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o di una delle cause ostative previste dagli articoli 10 e 10-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575». AI numero 2) del primo comma dell’articolo 20 della legge 10 febbraio 1962, n. 57, sono aggiunte le parole: «o procedimenti per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423;». Dopo il numero 2) del primo comma dell’articolo 21 della legge 10 febbraio 1962, n. 57, è aggiunto il seguente: «2-bis) emanazione di un provvedimento che dispone l’applicazione delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, la decadenza dell’iscrizione all’albo olarevoca della iscrizione stessa». Le autorizzazioni di cui all’articolo 21 sono sempre subordinate alla condizione che l’affidatario del cottimo sia in possesso dei requisiti soggettivi per l’iscrizione all’albo di cui alla legge 10 febbraio 1962, n. 57. Art. 24

Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 2-ter, 2-quater, 10, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 10-quinquies della legge 31 maggio 1965, n. 575, nonché all’articolo 17 della presente legge in materia di misure di prevenzione si applicano anche con riferimento al reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, equiparando a tal fine alla proposta per l’applicazione della misura. di prevenzione, al procedimento relativo e al provvedimento definitivo, rispettivamente, l’esercizio dell’azione penale, il procedimento penale e la sentenza irrevocabile di condanna per il delitto di associazione di tipo mafioso. La sentenza con la quale è disposto alcuno dei provvedimenti 31 indicati dall’articolo 3-ter e dall’articolo 10-quater della legge può quale il essato, all’inter a notificat è 575, n. maggio 1965, riproporre impugnazione contro il capo della sentenza che lo

guarda. XII

CAPO MI Disposizioni fiscali e tributarie Art. 25 A carico delle persone nei cui confronti sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per il reato di cui all’articolo 416-bis del codice penale o sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza, competente in relazione al luogo di residenza del soggetto, procede alla verifica della loro posizione fiscale anche ai fini dell’accertamento di illeciti valutari e socie-

tari. Le indagini di cui al primo comma sono disposte anche nei confronti dei soggetti elencati nel secondo comma dell’articolo 2-bis e nel secondo comma dell’articolo 10-ter della legge 31

maggio 1965, n. 575.

;

Copia della sentenza di condanna o del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione è trasmessa, a cura della cancelleria competente, al nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza indicato al primo comma. Per l’espletamento delle indagini gli ufficiali di polizia tributaria hanno i poteri previsti dal terzo comma dell’articolo 2-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, nonché quelli attribuiti agli ufficiali e ai sottufficiali appartenenti al nucleo speciale di polizia valutaria dalla legge 30 aprile 1976, n. 159. Art. 26 Tutti gli elementi acquisiti in occasione delle indagini di cui all’articolo precedente, e comunque le variazioni patrimoniali superiori a lire 20 milioni intervenute negli ultimi tre anni, con riguardo sia ai conferenti sia ai beneficiari, devono essere comunicati anche ai sensi dell’articolo 6 della legge 1° aprile 1981, n.

121. Art. 27 Quando alla verifica operata dalla polizia tributaria ai sensi del precedente articolo 25 emergono reati di natura fiscale, il procuratore della Repubblica esercita l’azione penale anche anteriormente al termine indicato dal secondo comma dell’articolo 13 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516.

XIV

Art. 28 La cattura è sempre obbligatoria per i delitti di carattere finanziario, valutario o societario puniti con pena detentiva e commessi da persone già condannate, con sentenza definitiva, per associazione di tipo mafioso ai sensi dell’articolo 416-bis del codice penale o già sottoposte, con provvedimento definitivo, ad una misura di prevenzione ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575. Per la determinazione della durata della carcerazione preventiva si applica l’articolo 272 del codice di procedura penale, ma non possono in alcun caso essere superati i due terzi del massimo della pena irrogabile. Art. 29 Se un reato finanziario, valutario o societario contestato a persona sottoposta con proyvedimento definitivo a misure di prevenzione a norma della legge 31 maggio 1965, n. 575, o a persona condannata con sentenza definitiva per il delitto di associazione di tipo mafioso, è connesso con altri diversi reati, non si fa luogo alla riunione del procedimento. La competenza per i reati finanziari, valutari e societari contestati ad una delle persone indicate nel comma precedente appartiene in ogni caso al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione o che è stato competente per l’associazione mafiosa. Salvo che sia stata offerta idonea cauzione, per i reati finanziari si deve in ogni caso procedere all’iscrizione dell’ipoteca legale o al sequestro previsti dall'articolo 189 del codice penale.

Art. 30 Le persone sottoposte ad una misura di prevenzione disposta ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e i condannati con sentenza definitiva per il delitto previsto dall’articolo 416-bis del codice penale, sono tenuti a comunicare per dieci anni, ed entro trenta giorni dal fatto, al nucleo di polizia tributaria che ha compiuto gli accertamenti di cui all’articolo 2-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, tutte le variazioni nella entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ai 20 milioni di lire; entro il 31 gennaio sono altresì tenuti a comunicare le variazioni intervenute nell’anno precedente, quando concernono elementi di valore non inferiore ai 20 milioni di lire. Sono esclusi i beni destinati al soddisfacimento dei bisogni quotidiani.

XV

Il termine di dieci anni decorre dalla data del decreto ovvero dalla data della sentenza definitiva di condanna. Gli obblighi previsti nel primo comma cessano quando la misura di prevenzione è revocata a seguito di ricorso in appello o in cassazione. Art. 31 Chiunque, essendovi tenuto, omette di comunicare entro i termini stabiliti dalla legge le variazioni patrimoniali indicate nell’articolo precedente è punito con la reclusione da due a sei anni econla multa da lire 20 milioni a lire 40 milioni. Alla condanna segue la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati.

CAPO IV Istituzione diuna commissione parlamentare sul fenomeno della mafia Art. 32 È istituita per la durata di tre anni una commissione parlamentare conilcompito di: 1) verificare l’attuazione della presente legge e delle altre leggi dello Stato, nonché degli indirizzi del Parlamento, in riferimento al fenomeno mafioso e alle sue connessioni; 2) accertare la congruità della normativa vigente e della conseguente azione dei pubblici poteri, anche in relazione ai mutamenti del fenomeno mafioso, formulando le proposte di carattere legislativo ed amministrativo ritenute opportune per rendere più incisiva l’iniziativa dello Stato; 3) riferire al Parlamento ogni volta che lo ritenga opportuno

e comunque annualmente. Art. 33 La commissione è composta da venti senatori e da venti deputati, scelti rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.

Il presidente della commissione è scelto di comune accordo dai Presidenti delle due Assemblee, al di fuori dei predetti com-

XVI

ponenti della commissione, tra i parlamentari dell’uno o dell’altro ramo del Parlamento. La commissione elegge due vicepresidenti e due segretari. Art. 34 L’attività ed il funzionamento della commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla commissione prima dell’inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari. Tutte le volte che lo ritenga opportuno la commissione può riunirsi in seduta segreta.

Art. 35 Per l’espletamento delle sue funzioni la commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi disposti dai Presidenti delle Camere, d’intesa tra di loro. La commissione può, altresì, avvalersi di collaborazioni specializzate. Le spese per il funzionamento della commissione sono poste per metà a carico del bilancio del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio della Camera dei deputati. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

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Il 30 giugno 1963 sette militari vengono dilaniati dall’esplosione di una Giulietta imbottita di tritolo sulle alture di Ciaculli. Questo massacro getta Cosa Nostra in una crisì senza precedenti. Il capo della Commissione, Salvatore Greco, detto Cicchiteddu, Uccellino,

si dimette dalle sue funzioni, scioglie il governo di Cosa Nostra ed espatria. Morirà in Venezuela verso la fine degli anni Settanta.

Corleone, in provincia di Palermo, la cittadina in cui nacque nel

1928 Luciano Liggio, capo del clan dei corleonesi.

i Luciano Liggio dietro le sbarre durante un’udienza del processo di

Palermo. È ritenuto il responsabile dei crimini più efferati della mafia; a lui si fa risalire lo scatenamento della guerra tra le famiglie dei primi anni Ottanta; uno dei maggiori reati di cui è imputato è il traffico di droga. È stato arrestato a Milano nel 1974.

Il 10 dicembre 1969 un commando di una decina di persone, fra

cui alcune travestite da carabinieri, fa irruzione negli uffici dell’imprenditore edile Salvatore Moncada, in viale Lazio, a Palermo: vengono uccise quattro persone fra cui Michele Cavataio, uno dei

killer più folli di Cosa Nostra. Il massacro di viale Lazio è considerato l'avvenimento che ha messo fine alla «grande guerra» degli anni Sessanta e segna la ripresa delle attività di Cosa Nostra.

Salvatore Riina, latitante, luogotenente di Liggio, dopo la strage di viale Lazio costituì un triunvirato con Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti

per la ricostituzione di Cosa Nostra.

Ha inizio in

questo momento la scalata dei corleonest al dominio dell’organizzazione mafiosa.

Antonietta Bagarella (a sinistra), insegnante di educazione fisica, con la sorella al momento dei processo nel 1971; è la prima donna

accusata di essere una mafiosa, è anche la prima donna condannata al soggiorno obbligato. A quel tempo essa era fidanzata con Salvatore Riina, il quale dal suo rifugio segreto sarebbe anche riuscito a sposarla.

Antonio Salvo detto Nino — morto il 19 gennaio 1986 in una cli-

nica di Bellinzona — al suo arrivo al Palazzo di Giustizia di Palermo nel novembre ’84. Con il cugino Ignazio, era uno degli uomini più potenti di Palermo: entrambi detti « viceré » della Sicilia, a capo di un gruppo di pressione politica che affonda le sue radici negli

anni Cinquanta, alleati col capomafia Paolino Bontate, erano i proprietari dell’esattoria che riscuoteva i versamenti dei contri-

buenti siciliani allo Stato.

Michele Greco, detto il Papa. Nel 1977 vengono uccisi il mare-

sciallo Sorino e il tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo: questo duplice assassinio provoca una profonda lacerazione in seno alla Commissione, perché il capo del governo della mafia, Gaetano Badalamenti, ne viene tenuto all’oscuro, in seguito viene

deposto dalla sua carica di capofamiglia ed espulso da Cosa Nostra per ragioni misteriose. Prenderà il suo posto Michele Greco. Insospettabile fino a pochi anni fa, frequentatore dell’aristocrazia siciliana, fu denunciato da Salvatore di Gregorio che per questa sua testimonianza venne ucciso. Il Papa è stato catturato nella campagna palermitana nel febbraio 1986.

Il salotto della casa di Michele Greco: sotto i tappeti c’era la botola per accedere ai cunicoli che portavano ai rifugi segreti.

Donne siciliane piangono la morte dei famigliari, vittime della

guerra tra cosche mafiose.

Il prefetto antimafia Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Ema-

nuela Setti Carraro durante una celebrazione pubblica a Palermo

nel luglio 1982. Nel settembre di questo stesso anno i killer della mafia li uccidono entrambi nell’attentato di via Carini.

Tommaso Buscetta durante il processo detto dei 114 nel 1974, prima di essersi sottoposto all’intervento di plastica facciale. Importantissimo « pentito», dopo l’arresto avvenuto in Brasile nel 1984 Buscetta — che ha perduto sotto i colpi del clan dei corleonesi due

figli, un fratello, un nipote e altri parenti — decide di rivelare tutti i segreti di Cosa Nostra.

Tommaso Buscetta (a destra) — dopo la plastica facciale — giunge

a Roma nel 1985 dagli Stati Uniti dove è stato teste d’accusa davanti alla Corte federale di Manhattan, nel processo della « Pizza connection » relativo al traffico di droga, contro il suo ex-amico

Gaetano Badalamenti.

Veduta aerea del carcere dell’Ucciardone, a Palermo.

In questo

carcere il 9 febbraio 1954 fu servita la tazza di caffè alla stricnina che uccise Gaspare Pisciotta, cugino e luogotenente del bandito Giuliano. In considerazione del potere che l’organizzazione mafiosa riesce a mantenere entro le mura dell’Ucciardone, esso è considerato la vera capitale della mafia.

L’aula-bunker a Palermo dove si svolge il maxi-processo a Cosa Nostra iniziato 111 febbraio 1986.

Rocco Chinnici, decano dei giudici d’istruzione del tribunale di Palermo, aveva sviluppato un’instancabile attività rivolta a sensibiliz-

zare i giovani sulle conseguenze dell’uso della droga e ad incoraggiare la loro presa di coscienza sulla criminalità mafiosa. Nel luglio 1983 aveva emesso un mandato di cattura contro i mafiosi più temibili del clan dei corleonesi, dei Greco e del clan dei catanesi. Nello stesso mese in via Pipitone Federico a Palermo la mafia fa esplodere un’auto-bomba causando la morte di Rocco Chinnici e di altre 3 persone.

RINGRAZIAMENTI

Fra tutte le persone che mi hanno aiutato, tengo in modo particolare a rendere omaggio al gruppo di giudici istruttori del tribunale di Palermo che, sotto la direzione di Giovanni Falcone, hanno intrapreso una crociata antimafia, di tanto maggiore significato in quanto molto spesso questi magistrati per la loro dedizione sacrificano la loro vita privata, se non la loro stessa esistenza. Mi sia consentito di ringraziare il giudice Paolo Borsellino per la pazienza e la gentilezza con cui ha risposto alle mie domande. Lunghe conversazioni con altri magistrati italiani mi hanno inoltre permesso di completare il quadro della mia ricerca. Fra tutti imagistrati che mi è stato dato di incontrare, si distacca nel mio ricordo, per la sua competenza, la sua dedizione e anche per il suo calore umano, il consigliere Rocco Chinnici, ferocemente assassinato nella

maniera che si conosce il 28 luglio 1983. Questo libro è dedicato alla sua memoria. La mia inchiesta non avrebbe potuto essere completa se non avessi tentato di rivolgermi a coloro che, con rapporti più o meno diretti, sopravvivono grazie alla mafia. Non ho potuto incontrare direttamente persone che rivendichino in modo aperto la loro qualità di mafiosi, ma mi è stato possibile avvicinare non pochi membri di Cosa Nostra in occasione dei diversi soggiorni che ho fatto a Palermo in cinque anni di corrispondenze realizzate per conto della prima rete della TV francese e per diversi organi di 61

stampa, fra cui «Le Matin de Paris», «Libération» e «Lui». Del pari, vari colloqui con diverse persone che hanno gravitato o continuano a gravitare negli ambienti del traffico internazionale degli stupefacenti e delle armi mi hanno permesso di cogliere con maggiore chiarezza .unarealtà a dir poco opaca. Alcuni avvocati che si sono occupati degli affari di mafia hanno accondisceso a facilitare le mie ricerche e pertanto devo qui ringraziare, fra gli altri, l'avv. Francesco Mussotto, deputato siciliano, come pure l’avv. Farina. Durante la mia inchiesta, ho anche avuto l’opportunità di incontrare diverse volte l’avv. Salvatore Chiaracane, successivamente arrestato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso. Indipendentemente dal fatto che venga riconosciuto innocente o colpevole, mi sento tenuto a ringraziare l’avv. Chiaracane per le spiegazioni che mi ha dato sulla realtà palermitana. i Fra tutte le persone che mi hanno incoraggiato con la loro amicizia, Emilio Arcuri, consigliere comunale comunista al Comune di Palermo, ha senz’altro contribuito al massimo a svelarmi certi misteri di Palermo. La difficoltà del compito che si è assunto rende la mia gratitudine ancora più viva. Grazie anche all’architetto Giovanna Tornabene. A Palermo ho potuto anche contare sul sostegno del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, che possiede un archivio a dir poco impressionante, e dell’Istituto Gramsci, che ha di buon grado facilitato alcune mie ricerche. Ad essi vadano i miei ringraziamenti. Indipendentemente dal lavoro che andavo compiendo, lunghe conversazioni con gli scrittori siciliani Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo e Matteo Collura hanno contribuito a chiarirmi le idee.

Fra tutti i fotografi siciliani, Letizia Battaglia e Ferdinando Scianna mi hanno grandemente aiutato a saper vedere la realtà quotidiana siciliana, la prima grazie al suo 62

. notevole lavoro sulla mafia, e il secondo per la visione che - offredella Sicilia attraverso tutta la sua opera. Numerosi giornalisti mi hanno dato un grande aiuto. Fra di essi, vorrei ringraziare Giacomo Galante, vice direttore de «L’Ora», Enzo Raffaele, giornalista dello stesso quotidiano; così pure Franco Vernice e Fabrizio Ravelli della redazione milanese de «la Repubblica», Antonio Carlucci di «Panorama», Francesco Santini de «La Stampa», Antonio Ferrari del «Corriere della Sera», Nereo Pederzolli della RAI, Frédéric Laurent e Jean-Pierre Moscardo, a quell’epoca in servizio alla rete 1 della TV francese. Grazie anche a Marc Kravetz, con il quale ho effettuato una serie di corrispondenze a Palermo. I consigli, gli aiuti, gli incoraggiamenti dei miei editori Frangoise Cibiel e Jean-Paul Enthoven sono stati per me quanto mai preziosi. S.Z., a cui vanno tutti i miei ringraziamenti, non sa in quale misura il suo aiuto mi abbia permesso di portare a termine questo racconto. Infine, mille grazie a Chacha, Frangoise D. e alla signorina Danaux.

4. La vita quotidiana della mafia

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In ricordo del consigliere Rocco Chinnici. i

LA VITA QUOTIDIANA DELLA MAFIA DAL 1950 AI NOSTRI GIORNI

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GEOPOLITICHE

DI COSA NOSTRA

AGLI INIZI

DEGLI ANNI OTTANTA

Palermo. Zone d’influenza delle famiglie 1. Ciaculli. La famiglia è diretta dal clan dei Greco. Michele Greco, detto il Papa, fu per lunghi anni capo della famiglia; nel 1978 venne eletto capo della Commissione, e passò la sua carica nella famiglia di Ciaculli ad un suo lontano parente, Pino Greco, detto Scarpuzzedda, Scarpetta, un giovane killer sanguinario. Salvatore Greco, detto il Senatore, fratello di Michele, è uno dei membri più influenti della famiglia di Ciaculli. Il Papa è stato arrestato il 20 febbraio 1986. Il Senatore e Scarpuzzedda sono latitanti. Di un altro Salvatore Greco, detto l’Ingegnere perché aveva iniziato gli studi al Politecnico, cugino dei fratelli Greco, si sono perse le tracce sin dai primi anni Sessanta. 2. Corso dei Mille. Il capo incontestato di Corso dei Mille è Filippo Marchese. All’inizio della guerra fra il clan dei cor/eonesi e l’ala moderata di Cosa Nostra, instaura un vero e proprio regno del terrore da un capo all’altro del suo territorio, che va dalla zona di Acqua dei Corsari a tutto il Brancaccio. Al maxi-processo di Palermo è considerato latitante. 3. Centro. La città di Palermo è controllata da cinque o più famiglie. Nel corso delle vicende che si sono succedute, si è verificato lo scioglimento di alcune famiglie. In questo caso, il territorio di competenza delle famiglie sciolte viene distribuito tra le famiglie contigue. Oltre alle famiglie di Noce, del Borgo e di Corso Calatafimi, le più importanti sono: Palermo Centro. Dopo l’assassinio di Ignazio Gnoffo agli inizi degli anni Sessanta, ha preso il comando di questa famiglia un ex commesso, Giovanni Corallo. Porta Nuova. Dal 1963 ha preso il posto del defunto Gaetano Filippone a capo della famiglia Giuseppe Calò, detto Pippo Calò. I membri di maggior spicco di questa famiglia sono Tommaso Buscetta e Gerlando Alberti. Entrambi sono in stato d’arre-

sto. 4. Santa Maria di Gesù. Il capo di Bontate, detto il Fa/co; dopo il suo vernare questa famiglia, una delle stra, venne affidato a due reggenti, fratelli Pullarà, Giovanni Battista.

questa famiglia era Stefano assassinio, l’incarico di gopiù importanti di Cosa NoPietro Lo Jacomo e uno dei

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5. Passo di Rigano. Il capo era Salvatore Inzerillo, fedele alleato di Stefano Bontate. Un mese dopo l’esecuzione del Falco, i corleonesi assassinarono anche lui. I membri di maggior spicco di questa famiglia erano i fratelli Di Maggio. Uditore. Il capo della famiglia era il padre di Salvatore Inzerillo. 6. San Lorenzo. Negli anni Sessanta capo della famiglia fu Filippo Giacolone. Oggi, secondo le dichiarazioni di Buscetta, il controllo è esercitato dai Pedone, padre e figli. Il potente impresario edilizio Giovanni Pilo è loro genero. Partanna. Capo della famiglia era il terribile Rosario Riccobono. Alleato dei cor/eonesi all’inizio della guerra, si dice che sia stato avvelenato insieme con venti suoi uomini in occasione di un pranzo organizzato per la riconciliazione dopo un malinteso. Resuttana. Il capo della famiglia è Francesco Madonia. La famiglia di Resuttana oggi comprende i territori e i so/dati della vicina famiglia di Giardino Inglese. Acquasanta. Il capo della famiglia si chiamava Gaetano Galatolo. Si ignora se questa famiglia esista ancora o se sia stata inglobata da altre del centro città.

A sinistra: le principali zone di influenza in Sicilia Le zone d’influenza sono state definite approssimativamente. Si rileva che le famiglie mafiose sono principalmente impiantate nella parte occidentale dell’isola, il che non esclude che il loro dominio si eserciti su interi territori o attraverso teste di ponte in tutto il territorio della Sicilia.

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