Simposio - I Cesari 9788880863281

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Simposio - I Cesari
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INTRODUZIONE

Il libello satirico giulianeo, che la tradizione manoscritta tramanda con­ cordemente con il titolo auµTT6aLov iì Kp6vw, è in realtà piu conosciuto, dall'editio princeps del Cantoclarus (Paris 1577), con il nome KataapEc;. Invero già in Suda I s. v. ' I ouÀLav6c;, p. 437 ADLER, si legge: EypmjJE Toùc; KaÀ.ouµÉvouc; Kataapac;- TTEpLÉXEL 8È Toùc; àTTò AùyoucrTou 'Pwµatwv �aolÀE'ic;. Ma è forse sin dal momento stesso della sua composizione che lo scritto era individuato con il nome KataapEc;, considerato che, poco piu di mezzo secolo dopo, Socrate di Costantinopoli ne parlava cosi: "Exwv oÈ 6 �aaLÀEÙc; TTÀEovci(ov Èv ÉaUT(jÌ TÒ KEV68o�ov, TTClVTac; TOÙc; TTpÒ aÙTotì �aaLÀELc; ÈKwµ4>8TJOEV Èv Tl\Ì Myep ov ÈTTÉypmJ;E Kataapac;. 'EK TOU TOLOUTOU -f\0ouc; KLVOUµEvoc; KaÌ. TOÙc; KaTà Xpwnavwv Myouc; auvÉypmjJE 2• L'accenno posto dallo storico ecclesiastico sullo stato d'animo con cui Giuliano compose i Cesari e il riferimento in parallelo al Contra Galilaeos offre elementi di valutazione per alcune considerazioni circa la datazione. E' infatti innegabile che l'operetta sia intrisa di spirito anticristiano, palpabile qua e là in piu o meno nascoste allusioni a delitti perpetrati dagli atei cri­ stiani (Caes. 314B), o nelle feroci sferzate contro Costantino, reo di avere abbandonato la religione dei padri per abbracciare il Cristianesimo, ma evi­ dente soprattutto nella finale tirata blasfema contro Gesu: la violenza delle parole ha la stessa carica di disprezzo e di odio che si coglie nel Contra Galilaeos e non può essere ascritta se non ad un periodo di aperta collisio­ ne di Giuliano con i Cristiani. Quando scrive i Cesari , Giuliano ha già assunto il titolo di imperatore3, il periodo è dicembre, durante la festa dei Saturnali (fon yàp Kp6vw)4,

Ved., per l'importanza di Suda nella tradizione giulianea, la nota di Commento ad 12,14. 2 Hist. ecci. 3,1,172-176 BRIGHT; cfr. anche 3,23,41-43 BRIGHT: 'louÀLavòç 6è: TÒV TTaTÉpa (11>..wv, TÒ t6Lov mi8oç Ek Toùç Kalcrapaç -fiX.qçE, mivTaç µwµ11craµEvoç Toùç TTpò aÙTOU �aOLÀE1ç, Kal OÙBÈ TOU cf,LÀocr6ct,ou MapKOU cf,ncraµEvoç. Il disappun­ to di Socrate per l'impudenza di Giuliano si coglie anche nella sferzante osservazione che TÒ 6è: 6Lacrupnv fi OKWTTTELV oÙKÉTL cf,LÀocr6ct,ou, a.ÀÀÒ µiJv où6è: �acrLÀÉwç (3, I,171178 BRIGHT). 3 'IouÀLavoù aÙToKpaTOpoç è la lezione dei codici, in particolare del Vossianus gr. 77, la cui silloge degli opuscoli giulianei rispecchia secondo Russo 1966, p.299, "le singole edizioni principi curate dall'autore". 4 Anche l'orazione Alla madre degli dei è composta "proprio in occasione della celebra­ zione dei sacri riti" (161C): ved. in proposito UGENTI 1992, pp. X-XI. 1

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Introduzione

che ha inizio il 15. L'anno potrebbe essere, secondo alcuni studiosi5, il 361: quindi, se si dovesse accogliere tale datazione, Giuliano - soltanto poche settimane dopo la morte di Costanzo, avvenuta il 3 novembre, e l'assunzio­ ne legittima del potere imperiale - avrebbe dovuto trovare in sé tanta verve da permettersi di scherzare sui suoi predecessori. Ciò non sembra forse molto probabile, soprattutto a chi legga le lettere scritte dallo stesso Giulia­ no proprio nel dicembre 361, a Costantinopoli. Egli appare troppo teso e pieno di preoccupazioni, perché possa avere trovato tale stimolo di vivacità e di arguzia da scrivere un'operetta satirica come i Cesari: nell'Epistola 26, indirizzata al filosofo Massimo6, parla di pensieri che lo assalgono e di agitazione dell'animo (414A); nell'Epistola 28, indirizzata allo zio Giulia­ no, confida (382B): "a stento trovo la forza di scriverti questa lettera. Sono vivo, liberato per l'intervento degli dèi dal pericolo di subire o di fare azioni irreparabili"; nell'Epistola 31, al sofista Proeresio, databile gennaio-mag­ gio 362, scrive (374A): '(a0L 81iTa. µOL 1roÀÀÙ TTaVTaxéeEv KU..6-yOL). Nei Cesari ( 1 ,2 1 ) Giuliano chiarisce oppornmamente che la sua storia non sarà del tipo esopico. E' dunque l'arguzia della parola che allieta i convitati educati e colti e non gli intennezzi musicali con flautiste e ballerine. Platone nel Protagora (347 C) spiega che gli uomini dappoco e volgari, siccome nel simpo­ sio non riescono ad intendersi e ad intavolare un dialogo a causa della loro mancanza di educazione, devono fare ricorso ad espedienti esterni al convito stesso per potersi divertire: invece i convitati evoluti ed educati dimostrano la loro urbanitas proprio attraverso lo scher-

Introduzione

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po' tutti i presenti: tale ruolo nei Cesari di Giuliano è ricoperto da Sileno29, che è subito presentato come un tipo divertente e arguto: postosi accanto a Dioniso, che "è amante dello scherzo", Sileno "lo divertiva con mille scherzi e invenzioni spiritose" (308D). Gli invitati sono descritti con pochi tratti salienti che ne caratterizzano e le qualità morali e l'aspetto esteriore: è tipica, infatti, del discorso e della disputa conviviale l'allusione velata al comportamento e al difetto dei pre­ senti, ma ricorre sovente anche il paragone uomo-bestia, che, come scrive A.Plebe, "è un po' alle origini della caricatura greca"30 • Questa forma di ironia, che ha il suo fondamento nella convinzione antica di uno stretto rapporto tra aspetto esteriore e qualità interiore3 1 , suggerisce una varietà di paragoni, che Giuliano riprende dalla saggezza tradizionale degli antichi, mediandoli attraverso la sua sensibilità di letterato e intellettuale: i suoi predecessori32 sfilano cosi davanti a noi come una serie di ritratti caricatu­ rali in una galleria d'arte. Cesare per la sua calvizie è lui stesso una specie di Sileno (309A), Ottaviano è cangiante in mille colori come un camaleonte (309A), Tiberio è un vecchio satiro (309D), Caligola è una mala bestia (3 1 OA), Claudio è soltanto un 8opucp6pTJµa (3 1 OC), Nerone, nonostante la cetra e la corona di alloro, è un mal riuscito imitatore di Apollo (3 1 OC), altro non sono che bestiacce (fuipta) Vindice, Galba, Ottone, Vitellio (3 1 OD), Vespasiano è uno spilorcio (3 1 l A), Domiziano è una belva sanguinaria (3 1 1 B), Traiano con i suoi trofei sulle spalle è immagine eloquente del fiero trionfatore (31 1 C), Adriano, che con la folta barba e lo sguardo rivolto al cielo ha l'apparenza di un filosofo, è un aocpLaTT]ç (3 1 l D), Antonino Pio è un KuµLVoTTptaniç (3 1 2A), Gallieno incede languidamente come una donna (3 1 3B), Ottaviano non è altro che un KopoTTÀ.ci0oç (332D), Costantino, infine, pur desiderando essere un banchiere, si dimostra simile, per condotta di vita, a un cuoco o ad una parrucchiera (335B). Di tutti gli imperatori succedutisi fino alla sua età, Giuliano fa presentazo conviviale, l'dKci(nv. Dunque il saper convenientemente punzecchiare senza scendere nel triviale è un segno di cultura oltre che di intelligenza: il yEÀOTTOL6ç del convito divino immaginato da Giuliano sarà all'altezza della funzione di cui si trova ad essere insignito. 9 ' Invece, il ruolo tradizionale del simposiarca - il quale è preposto al compito determi­ nante di fissare le regole del bere e condurre le dispute e le contese tra i commensali nell'opuscolo giulianeo è svolto da Ermes. J(l PLEBE I 956, p.65. 31 Cfr. Ps.Aristot. Physogn. 805a 1 -35; 806a I 9-34. 3' Il fatto che siano nmi deceduti annulla il problema temporale della contemporaneità della loro riunione simposiaca: è pur vero, tuttavia, - scrive Lo CASCIO 1 997, p.33 e nn.4 1 42 - che nell' 'immaginario collettivo' sono facilmente superati anche gli anacronismi di un simposio dei Sette Saggi, i quali sono piu volte rappresentati in riunioni conviviali (e non) presso Cipselo, Creso, Periandro.

XVI

Introduzione

re alla gara indetta dagli dei per la palma del migliore soltanto quattro (Ottaviano, Traiano, Marco Aurelio, Costantino), ma sono chiamati a com­ petere al giudizio anche Cesare ed Alessandro. Giulio Cesare sin dal suo primo apparire si manifesta fortemente ambi­ zioso, a tal punto che Sileno teme voglia contendere persino con Zeus per il possesso del regno. La sorte, concordando in ciò con l'aspirazione di Cesa­ re a primeggiare sempre, favorisce lui perché parli per primo ed egli è cosi arrogante nel suo discorso da giungere a dire: "io superai con le mie impre­ se non soltanto quelli del mio tempo, ma anche tutti quelli che vennero prima di me" (320B). La satira, sottile, intrigante, felicemente riuscita è nel piglio - non soltanto nel contenuto - delle affermazioni di Cesare, che gioca a minimizzare le imprese di Alessandro (32 1 D) e ad ingigantire le proprie (32 l B), né si lascia sfuggire la possibilità di lanciare feroci battute sarcasti­ che circa la clemenza dimostrata: "io perdonai anche i miei amici", Ales­ sandro, invece, "oltre ai nemici non risparmiò neppure gli amici" (32 1 C). E' chiara, anche se non esplicita, l'allusione all'episodio di Clito, l'amico che Alessandro uccise in un impeto d'ira: il riferimento a quel funesto even­ to sarà fatto in maniera manifesta da Dioniso, nella seconda fase della gara, "che quello non faccia a te quello che fece a Clito" (33 l C). La tagliente, esplicita battuta farà ammutolire del tutto Alessandro, tanto che egli non avrà piu il coraggio di dire una sola parola. Cesare aveva invero colto nel segno: tutte le gloriose imprese di Alessandro sono come annullate dall'insano gcsto33 che privò della vita l'amico Clito. Quando, dopo che ciascuno degli eroi invitati all'agone ha magnificato le proprie gesta, Ermes interroga nuovamente Cesare e gli chiede quale è stato lo scopo34 della sua vita, egli risponde: "Primeggiare nella mia città e secondo non essere ad alcuno neppure per fama" (33 1 C-D) 3 5 • 33 La rappresentazione che Giuliano ci offre (Caes. 330C-D) di Alessandro come colle­ rico e incline a bere smodatamente il vino ha la sua fonte primaria (per le altre testimonian­ ze, rimandiamo al commento) in Plutarco, che lo definisce TTOTLKÒv Ka·L 0uµoEL8� (Alex. 4,7) e osserva che l'assassinio di Clito Alessandro lo compi appunto in stato di ubriachezza (Alex . 13,4). 4 3 Le domande poste da Ermes rispecchiano i moduli tipici delle dispute che si svolgono nei banchetti e che hanno per tema 'quale sia la cosa piu bella' , 'quale la cosa più utile', 'quale la miglior forma di governo', etc. : cfr. a tal proposito Plut. Septem Sap. Conv. 153 A ss.; Xenoph. Symp. 3,3; 3,5 . 3 5 I n queste parole s i sente indubitabile l'eco d i Plut. Caes. 11,4. Invero la vena satirica di Giuliano, vuoi nella rappresentazione di Alessandro, vuoi in quella di Cesare, si è nutrita particolarmente della lettura delle Vite di Plutarco, il quale già aveva messo a confronto appunto Cesare con Alessandro. Per quanto riguarda il personaggio di Cesare, tra i molti richiami formali e di contenuto tra Giuliano e Plutarco, possiamo far risalire a Plut. Caes. 23,2 il rilievo dato all'impresa in Britannia per l'audacia dimostrata appunto da Cesare che per primo si spinge con una flotta nell'Oceano (lui. Caes. 321A), mentre la perfida insinua­ zione (lui. Caes. 332B) che l'affetto e il rispettoso ricordo dei Romani che vendicarono la morte di Cesare fossero dovuti in realtà all'elargizione di settantacinque dracme stabilita nel testamento trova la sua fonte in Plut. Brut. 20.

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Insiste Ermes: "primeggiare, come? Per la saggezza, per l'eloquenza, per la perizia bellica o per il potere politico?". E Cesare non ha alcuna remora a rispondere che gli sarebbe piaciuto essere il primo in tutte le cose, ma che in verità si accontentò di ottenere il massimo potere fra i suoi con­ cittadini e da essi fu cosi amato e benvoluto che quelli, dopo la sua morte, perseguitarono ferocemente Bruto e Cassio. Pungente, ironica, la replica di Ermes: fu il denaro promesso a ciascuno di essi nel tuo testamento che armò il loro sdegno. E la boria di Cesare, la sua grande considerazione di sé è messa a tacere. Che Alessandro sia il diretto antagonista di Cesare appare subito evi­ dente: mentre l' altro parla, il Macedone fa fatica a trattenersi e immeditamente gli rinfaccia non soltanto la sua grande tracotanza e impu­ denza per non aver posto limite alle lodi per sé e alle ingiurie per lui stesso (322C-D), ma gli ricorda anche in maniera perfida le lacrime36 versate per non averlo saputo eguagliare come modello nelle proprie imprese (322C). Tra le battute sarcastiche di Alessandro volte a sminuire la figura di Cesare, colpisce l'arguzia sottile insita nella linea invalidante seguita e tesa a dimo­ strare che il nemico diretto di lui, Pompeo Magno, dalla cui sconfitta Cesa­ re aveva tratto fondamento per la sua maggiore gloria, di grande non aveva proprio niente, anzi era una vera nullità37 (323B). Incalza ancora Alessandro contro Cesare (324C): "Ma se ritieni cosa di poco conto aver vinto i Persiani ed usi il tuo sarcasmo per cosi grande im­ presa, dimmi allora per quale ragione non avete sottomesso, pur essendo in guerra per piu di recento anni, la piccolissima regione al di là del fiume Tigri, che è dominio dei Parti?". Qui è l'amarezza dello stesso Giuliano ad avere libero sfogo: la questione dei Parti è ancora un grosso problema poli­ tico e militare ai suoi giorni ed è proprio combattendo contro di essi che egli, a distanza di sei mesi dalla composizione dei Cesari , troverà la morte. Quando è il turno di Ottaviano, che al suo primo apparire sulla scena del convito era sembrato un camaleonte38 , subito egli mira diritto ed espone in maniera concisa ed appropriata ( è questa forse un'allusione alla cifra stilistica delle Res Gestae da lui composte ?) le imprese compiute in guerra e in pace per Roma, si che la città con l'aiuto degli dei avesse la resistenza dell'accia­ io. Il suo scopo è, infatti, come egli stesso afferma decisamente nel secondo round della gara, proprio quello di "governare bene" (332C). Sembra invero che nessuno possa dargli torto, quand'ecco che l'impertinenete Sileno lo definisce un fabbricante di fantocci, KopoTTM0oç (332D), poiché ha creato J6 Giuliano prende lo spunto da Plut. Caes. 11. i 7 Ved. SARDIELLO 1992. JR Caes. 309A. In Plutarco è Alcibiade che presenta "cambiamenti piu rapidi e radicali di quelli di un camaleonte" (Alcib. 23,4-5).

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per i Romani nuovi dei e primo fra tutti ha divinizzato pure Giulio Cesare. Ad Ottaviano non resta che ammutolire. Anche Traiano, che si era presentato al banchetto in atteggiamento da trionfatore ed aveva dichiarato ad Ermes, che lo interrogava, di avere preso a modello delle proprie imprese Alessandro, è messo a tacere da Sileno che gli rinfaccia di essersi lasciato dominare non dall'ira, ma dall'ignominioso e riprovevole piacere (333A). Se Alessandro, Cesare, Ottaviano, Traiano sono stati invitati all'agone, come esperti di guerra, Costantino vi è chiamato come "un uomo non im­ belle, ma pure abbastanza arrendevole al piacere e al godimento" (3 1 8A). Invero le sue imprese risultano essere qualcosa di effimero39 come i giardi­ ni di Adone (329C-D)40 e il suo dichiarato scopo di vita, che si pone tuttavia una prospettiva d'azione molto limitata, in quanto tende soltanto a gratifica­ re i desideri propri e quelli degli amici (335B), sembra essere stato sopraf­ fatto dal suo istinto fortemente edonistico e mistificatore4 1 • Il vincitore morale della gara, dunque, non può essere altri che Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, proprio l'unico che nella sua saggia modestia non ha mai avanzato pretese per il premio42 • Anche Giuliano, nel conflitto con Costanzq, non ha mai voluto forzare la volontà divina e chiedere per sé la corona: anzi nell' Epistola agli A teniesi, che è il manifesto politico attraverso il quale egli rende noto l'effettivo svol­ gersi degli eventi43 , chiama a testimoni della sua lealtà verso Costanzo pro­ prio gli dei (280D) e dichiara che sulle prime, nonostante l'invito del dio a non opporsi al desiderio dell'esercito, ha cercato di resistere e di non accet­ tare né il titolo né la corona, ma da solo non poteva contrastare la moltitudi­ ne dei soldati, fatti strumento della concorde volontà divina che proprio a lui fosse affidato il regno (284C-D). E nella Epistola a Temistio, che ha un evidente carattere politico-programmatico, il giovane imperatore, chiama­ to al potere per degli eventi straordinari e indipendenti dalla sua volontà, tracciando le direttive ideali del proprio governo, si dichiara intimorito dal 39

Se Giuliano connota le imprese di Costantino come qualcosa di effimero è anche perché nella sua memoria vorrebbe poter cancellare il ricordo di un trauma subito nell'infan­ zia da parte di chi - di Costantino - era erede diretto e figlio. Come in "una vendetta trascen­ dente contro la propria famiglia. Il suo scopo fu di disfare ciò che avevano fatto Costantino e suo figlio Costanzo II, non appena fosse giunto a esercitare da solo il potere supremo: essere, risolutamente, una sorta di anti-Costantino" (FoNTAINE in FoNTAINE-PRAro-MARCONE 1 987, p.XV). 40 Ved. in proposito SARDIELL0 1 1 997. 4 1 Ved. SARDI ELLO 1993. 42 Proprio Costantino aveva osservato che Marco "per il suo tacere di sé, si esclude dai premi, a vantaggio di noi tutti" (329C). 4 3 Ved. LABRIOLA 1 975, pp. 7 e 43.

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pensiero di dover emulare il coraggio di Alessandro44 e la perfetta virtu di Marco Aurelio (253A-B): è nello stesso tempo consapevole, indottrinato in ciò da Aristotele (Ad Them. 26OD), che non convenga "affidare il governo della città, mai ad alcuno degli uomini, il cui intelletto, per quanto essi siano virtuosi, è intimamente legato all'ira (0uµ(jj) e alla cupidigia (Èm0uµtq.), che sono le bestie peggiori"45 • Nei Cesari giunge puntuale il ripudio di chi non riesce a contenere la sua ira, ovvero il collerico Alessandro, e di chi si lascia guidare dall' Èm0uµta, ovvero Costantino che dichiara apertamente scopo della sua vita: TTOÀÀÙ KTTjaciµEvov, TToÀÀà xaptaaa0m TaLç TE Èm0uµtmç TaLç ÉauToÙ Ka·L TaLç Twv 4>1.X.wv imoupyoÙvTa (335B). E se Temistio lo invita a cimentarsi ÈK nic; ÙTToaTÉyou LMcrom f3a-.t.vm 8È ETuyxavov TTaprnKEuaaµÉvm Tot.ç µÈv 0rnt.ç èivw KaT' aùT6, aatv, oùpavoù TÒ µETÉwpov, OìiX.uµTT6v6 ', 88L qxzcrl 0Ewv 1!6oc; cicrq,aÀÈc; ald.

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Traduzione

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per quella comunanza di pensieri che mi unisce a te e al tuo, o, piuttosto, al nostro caro Platone, posso disdegnare quelle che hanno un fondo di verità: egli stesso, infatti, molte cose ha trattate in forma di mito. - Certo che, per Zeus, quello che dici è proprio vero ! Ma qual è la favola e di che genere? Non del genere antico, come quelle che scriveva Esopo, (307) ma, sia che tu la possa dire un'invenzione di Ermes (infatti da lui l'ho appresa e cosi te la riferirò), sia pure che raffiguri davvero la verità, s i a che sia, i n u n certo senso, u na combinazione dell'uno e dell'altro, del vero e del falso, sarà la storia stessa a dimostrarlo. - Ecco dunque che questa prefazione l ' hai redatta già nello stile del favolista e dell ' oratore insieme: ora, però, raccontami pure la storia, quale che sia mai. B

2 - Va bene, la puoi conoscere. Per la festa dei Saturnali, Romolo invitò a banchetto tutti gli dei e, in verità, pure i Cesari. Dei letti erano stati preparati per gli dei, su in alto, proprio - per cosi dire - al culmine del cielo, "li sull'Olimpo, dove dicono sia la stabile dimora degli dei".

Si dice, infatti, che al seguito di Eracle giunse li anche Quirino: con questo nome, invero, lo si deve chiamare in

Testo

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C

TTE L0oµÉ vouç q>tj µ-i:i . Toì: ç µÈv ovv 0rnÌ: ç È KEL crE TTapEcrKEuacrTo TÒ cruµ1r6crLov· u1r' aùnìv 8È nìv crEÀ�VT}V 10 È TTl µETEwpou ToÙ àÉ poç È 8É 8oKTo Toùç Ka( crapaç 8ELTTVELV. ' AVELXE 8È aùTOùç TE Twv crwµchwv Kouq>6TTJç, (llTEp È Tuyxavov � µq>LrnµÉVO L , KaL TJ TTE pLpdcrm . Xpucro0p6vw 8È: TTap ' hdTEpov (308) È Ka0L(É TT'lV ii TE µtjTT'lP Kal 0uydTT'lP, "Hpa µÈv 25 TTapà TÒV t. ( a , 'PÉ a 8È TTapà TÒV Kp6 vov . Tò 8È Twv 0Ewv Ka.ÀÀoç où8È È KEÌ: voç ÈTTEçlJ E L T� ÀO-Yl\J, µEÌ:(ov EL vm ÀÉ -y wv aÙTÒ Kal v� 0rnT6v, à Ko� 8È Kal ptj µacrLV ou TE 1rpo0Lcr0�vm p q 8 L ov , OUTE TTapa8q0�vm 8vvaT6v, oùx ouTw nç È'crTm Kal 30 q>avEÌ: Tm µqaMqiwvoç, wcrTE TÒ µÉyE0oç ÈKELVO q>pd.crm

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VMA2 [U] et Exc. Neap. (2,14-16 ex È/3€vou bis KpUTTTOOOT]ç) 2,8 TTEL06µ1:voç A2 / / 12 éiTrnEp V, WO"TTEP A2 I I 13 dmprn1:Ì.ç MA2 / / 14 È�Évvou V / µÈv �v V et Exc. Nerrp. : µÈ:v A2, µÈ:v ovv (�v supra lin.l M, µÈ:v ovv �v Cant. / KÀiVl"J post Kp6vou add. Exc. Neap. I I 16 owàç Hert. qui traditum oult:k-ouliv (ve! µ1)t:k-µT]0ÉV) semper reicit ( non notabitur amplius) / rlé» TE M / / 17mvrò Hemst.: ToÙTo codd., retin. Cant. / TTpèx;- om. A2 / Ej3Evvov V / / 20 TTpoo/3ÀÉ1TEL Cant. / / 22 1:ì.xé-: Ti. A2 / yvwplµw V / / 22-23 ÈK Twv µnaÀÀEuoµivwv post yvwp[µwç ({µw V) add. VM quod antiqui edd. serv., secl. Hert./ / 23 xpoow 0p6vw V, iota subscr., ut solet, omisso / / 24 ÈKa0L(ÉTT}V Cant.: ÈKa0É(nov VM, ÈKafil(nov ("t ex E ) A2 , ÈKa0t:(fofu]v ma lit (in adn.) Hert., prob. Wright / / 27 avrw M / / 28 TTpooEÌ.vm A2, TTpooLÉVm Cant. / / 29 TTapa&:Lxeìivm A2 I I 29s. Kai cfxzvt:Ì.Tm : Kdv ÈTTaLVTtTm A2 / / 30 EKElvou Rei. / /

Traduzione

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C obbedienza alla parola divina. Là, dunque, era stato preparato il banchetto per gli dei; proprio sotto la luna, nella parte alta del cielo, invece, era parso opportuno porre a sedere per il pranzo i Cesari. Ma li teneva su sia la leggerezza dei corpi, di cui erano rivestiti, sia pure l'orbita della luna. C 'erano, dunque, qua ttro letti, convenientemente preparati per i sommi dei. Di ebano splendente era quello di Crono e celava nel suo nero D uno splendore cosi intenso e divino, che nessuno poteva guardarlo fisso. Davanti a quell'ebano gli occhi provavano la stessa sofferenza per l'eccessivo splendore come, io ritengo, davanti al sole, quando se ne osservi il disco troppo fissamente. Il letto di Zeus era invece piu splendente dell'argento, piu luminoso dell'oro. Per questo, sia che lo si debba chiamare elettro, sia che gli si debba dare un altro nome, veramente poche notizie poté darmi Ermes. Su di un trono d'oro, al fianco di ciascuno dei (308) due, sedevano sia la madre che la figlia, Era accanto a Zeus, accanto a Crono Rea. Ma la bellezza degli dei né quello riusciva a descrivermi col suo racconto (diceva che era troppo grande e che era intuibile solo con gli occhi della mente, ma con l'udito e con le parole non era facile rappresentarla né possibile comprenderla), né ci sarà o apparirà un oratore cosi eccellente, da poter descrivere la straordinaria bellezza che riluceva sul

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C

D

TOÙ KciÀÀouc;, 01roaov É m TT p É TT E L T� TW V 0 E w v o l/JE L . TiaprnKEuaaTo 8È Kaì. ToÌ.ç éiMoLc; 0rnÌ.ç ÉKciaT4> 0p6voç iì KÀLV17 KaTà 1rprn�E(av. "HpL(E 8È où0dc;, àM' OTTEP "Oµripoç òp0wç TTOLWV Ecf>Tl, 80KELV µOL TTapà TWV Mouawv aÙTWV Ù KT1KOuk, E XE LV E KaOTOV TWV 0EWV 0p6vov, Ècp' Où TTCIVTWç aÙT� 0É µLç Ka0� a0aL OTEpEwç KaÌ. àµETaKLVtj Twç È TTE L KaÌ. TTpÒç TTJV TTapoua( av TOÙ TTUTpÒç È çaVLOTCIµEVOL TapciTTOUOLV OÙ8aµwç TÒç Ka0É 8paç OÙ8È µETa�aL VOUOLV OÙ8È ucpapTTci(OUOLV à ÀÀtjÀwv · yvwp((EL 8È E KaaToc; TÒ TTpoa� KOv auT4). 3 TicivTwv oùv KUKÀ½) TWV 0Ewv rn0riµÉ vwv, 6 �ELÀT1V6c;, È pwnKwç E XE LV µOL 80KWV TOÙ D.LOVUOOU KaÀoÙ KaÌ. vfou KaÌ. T(¼l TTaTpÌ. T(¼l ti.LÌ. TTapaTTÀTlOLOU, TTÀT10 L OV aÙTOÙ , TpocpEuç nç ol a KaÌ. TTaL8aywy6ç, Ka�aTO, Tci TE èiMa q>LÀOTTa(yµova KaÌ. q>LÀoyEÀwV Ka� xapL86TT1V OVTa TÒV 0EÒV EÙcppa(vwv KaÌ. 8ii KaÌ. T(p OKWTTTELV TÒ TTOÀÀÒ KaÌ. yEÀOLa(ELV. Tk 8È KaÌ. TÒ TWV Kmaci pwv auvE KpOTEL To auµ TT O O L O V , d a� EL TTpw TOç 'I O U ÀLoç K aì: a a p , i m ò q>LÀonµtaç aÙT4J �ouMµEvoç EpLam T4) ti.Lì. TTEpÌ. �ç µovapxtac;. Ek ov 6 �E LÀrivòç �ÀÉljJaç « "Opa » El TTEV « c1 ZEÙ, µtj aE 6 àvii p oùToc; uTTÒ cpLÀapx(aç àcpEÀÉa0m KaÌ. TTJV �aaLÀdav 8wvori0dri. Kaì. ycip,

4

5 VMA2 [U]

2,31 È:mTpÉTTfl A2 / TTJ..' 'L0L » ELTTE « TTɵt/mv ÈTT' ÈKdvouc;, El �ouÀE L 8É , KaÌ. ÈTTÌ. nìv yaµETJÌV Mrnaa>..tvav. "Ean yàp ÈKdvwv Btxa TouTÌ. nìc; Tpay418(ac; TÒ 8opU..' ÉywyE auT6v » ElTTEV « àTToaTEoLVLKW V / / 10 Ehaew V, Èm1,€w Cob. I I Kàya0oÌ,:; M, retin. Hert. / / 12 To TE TTap8LKÒV KCÌL )'ETIKÒv transp. M / TÒ2 add. Cob./ TTap8EvLK6v A, 0LKov suprascr. A2 / / 15 favvµrpi,ç Spanh.: yawv- codd., ravri- Pet. / / 16 & post µnà add. Exc. Neap./ I 19 & : 8� V (retin. Spanh.), om. A / /

Traduzione

17

piu giovane ad una cavezza proprio come la belva siciliana». 8 Dopo di essi giunse un vecchio bello a vedersi (splende, infatti, talvolta la bellezza anche nella vecchiaia), B mite quant' altri mai nel rapporto umano, giusto sopra ogni dire nel trattare. Sileno, pieno di rispetto nei suoi confronti, rimase in silenzio. E allora Ermes gli fa: «Su costui non ci dici niente?» . «Ma si, per Zeus,» rispose «certo che ho da rimproverarvi per la vostra parzialità. Infatti alla belva sanguinaria concedeste quindici anni e a costui avete permesso di regnare a mala pena per un anno». «Suvvia» disse Zeus «non ci rimproverare: dopo di lui, infatti, io ne C farò venire molti, pure eccellenti». E subito entrò Traiano, portando sugli omeri i trofei riportati sia sui Geti che sui Parti. Vedendolo, Sileno disse, volendo e nello stesso tempo non volendo farsi sentire: «E ' il momento, adesso, per nostro signore Zeus, di stare attento che Ganimede sia posto per lui sotto buona guardia». Dopo di lui giunge un uomo dalla D barba folta, che si dava delle arie, esperto di tutto, m a soprattutto di musica, e spesso guardava verso i l cielo, investigando le cose occulte. Vedendolo, Sileno disse: «Che ve ne sembra di questo sofista? Forse va cercando qui il suo Antinoo? Qualcuno gli dica che il suo giovinetto non è qui e lo faccia desistere dal suo insulso vaneggiamento».

Testo

18

'ETTl TOUTOLç UVT]p E LOEPXETUL aw El TTEV KaÌ. 10 Tà TTaL8apt8La OUVL É Va L , TT6 ppw0EV aùTà 8LEKWÀ.UOEV ò M( vwc. 'Emyvoùç 8È: aaq>wc , TÒV µÈv VEWTE pov àq>�KE , TÒv 8È 1rprn�uTEpov n µwp(av E TTE µiµE T( aovTa . Eha TÒ ÈK �ç (313) MaKp'ivoç ÈvTaÙ0a q,uyàç µLmq>6voç. 'EµÉOT}C TTm8cipLOV TT6ppw TTOU TWV 'LEpwv àrniX.auVETO 15 TTEpl�OÀ.wV. "O YE µriv LUpoç ' AÀ.Éçav8poç Èv ÈOXClTOLC TTOU Ka0�aTO TTJV aÙTOÙ auµq>opàv TTOTVLWµEvoc. Kaì. LELÀ.TJVÒC È TTLOKWTTTWV aÙTÒv È TTEL TTEv· « 70 µwpÈ KaÌ. µÉ ya vtjm E , TTJÀ.LKOÙToç wv oÙK aÙTÒC � PXEC Twv OEaUTOÙ , Tà xptj µaTa 8È È8t 8ouç T� µT} TpÌ. KGÌ. OÙK 20 B È TTE L 00TJC C OLI:> KpELTTov àvaÀ.( aKELV � v aùTà TOL C q>LÀ.OLC iì 0T}aaupt(E Lv. 'AÀ.À.' È'ywyE » ELTTE LÌLlÒc; M / / lHµicrric; A / / 16 auroù Cant., probb. edd. plerique / / 17ÈTILOKOTTTWV A / Qt/TW M / E:liTE:V Wright (auctore Hert. in adn.) / µi;pe: Hert., prob. Lacomb. / / 21 fi t.LKT] Cant., Sylb., Hert. I I 22 aùrnù VA / / 22-23 verbis TOÙTwv KoÀacrfu]croµÉvouc; omissis, -rii 6lK1J add. Exc. Neap. 11,1 ya>-.riì.voc; (ri corr., ex L ?) M / / 6 ;rp6;rap oc;: ;rpo;rcipoc; MA / ToÙ crTpaTOÙ V, retin. Pet. / / 7 ya>-.riì.vov M / /

Traduzione

21

Sileno «non dirò niente; terno, infatti, gli eccessi del suo carattere rude e spietato». Ma mentre si preparavano ad entrare con lui anche i suoi due figli, da lontano li bloccò Minosse. Tuttavia, dopo averli chiaramente individuati, lasciò entrare il piu giovane, mentre mandò il piu anziano a pagare la pena delle sue colpe. Quindi (313) Macrino fuggiasco assassino e dopo di lui il bel giovane di Ernesa furono cacciati via, lontano dai recinti sacri. Ma intanto Alessandro il Sirio, seduto negli ultimi posti, piangeva la sua malasorte. E Sileno, per prendersi gioco di lui, disse: «O uomo folle e grandemente sciocco, che alla tua età non fosti capace di governare da solo le tue cose, e invece affidasti a tua madre le tue fortune e non ti B rendesti conto quanto era meglio spenderle a favore dei tuoi amici, piuttosto che tesaurizzarle». «Quanto a me» disse Dike «farò punire tutti quelli che sono stati complici del fatto». E cosi il giovane fu lasciato in pace.

C

11 Successivamente entrò Gallieno, insieme con il pa­ dre: quest'ultimo portava le catene della prigionia, l'altro era abbigliato e incedeva mollemente come una donna. E Sileno, rivolto al primo, disse: « Chi è costui dal bianco cimiero, che avanza a capo dell'esercito? ».

A Gallieno, invece:

22

Testo « " Oç KaÌ. xpuaòv lxwv 1TCI.VTTJ Tpuq>� T\UTE KOVPTJ ».

TouTw oÈ 6 ÈçÉ�aÀ.EV.

10

ZEÙC

WCTTTEp

TTEPLTTW TTJC

ÈKELCTE 00LVT}C

12 Toi'.rroLç ÈTTELCTÉPXETaL KX.au8Loç, Elç ov àm86VTEC oi. 0rnì. TTOVTEC �y6.a0-ria6.v TE aÙTÒV TTJC µEyaÀ.ot/Jux(aç KaÌ. ÈTTÉVEUcrav aÙTOÙ T4) yÉvEL TTÌV àp)(TlV, OLKaLOV Elvm voµ(craVTEC OUTW q>LÀ.OTTOTpLooç àvopòç ÈTTÌ. TTÀELCTTOV 5 ElvaL TÒ yÉvoç ÈV TJYEµov( q. . TouTOLC È TTELOÉ opaµEv A ù p17X.wvòç w crTTE p d TTOoLopcicrKwv Toù ç Ei'. pyovTaç aÙTÒV TT�pà T4) MLV4)" TTOÀ.À.aÌ. yàp aÙT4) auv[aTaVTO o(Km Twv ào(Kwv 6vwv, Kaì. Eq>EuyE Tàç ypaàc (314) KaKWC ÒTTOÀ.oyouµEvoç. 'HX.LOç oÈ oùµòç OECTTTOT17 C aÙT4) TTpoç TE Tà O.À.À.a �0170wv, OÙX T)KLOTa OÈ KaÌ. TTpÒç 10 ToÙTo aÙT4J cruvfipaTo, oÌ.c; Cant., accepit Lacomb.:&)4ru;- VM (praetulit Hert.), una vel duae litt. evanidae ante&)4ru;­ 1 in Al I 14 al KE VM et Suda: éiKE A I Ta T Hert. I OLKTJ K1 Hert. I mi8oL VA et Suda: mi0r] ( i.e. 1r6.ei:i) M, accepit Hert. I I 13,I cruvÉpXETm A, retin. Pet. I b ante TTp6� add. Pet. I & suppi. Sylb. Il 3 àvwK086µ11crE A I BÈ : µÈv A, accepit Pet. Il 4 Tw : TÒ VA Il

Traduzione

23

«Eccolo che, tutto carico d'oro, vive mollemente come una fanciulla».

Tutti e due, come inutili, allora Zeus li scacciò dal festino.

12 Quindi entrò Claudio: tutti gli dei guardarono a lui D e, ammirando la sua grandezza d'animo, accordarono alla sua discendenza l'impero, ritenendo giusto che la stirpe di un uomo cosi amante della patria detenesse il potere il piu possibile. Dopo, sopraggiunse Aureliano, che sembrava tentare di sfuggire a coloro che lo trattenevano davanti a Minosse: infatti, contro di lui erano state i ntentate molte accuse per le ingiuste uccisioni ed egli, potendo (3 14) malamente difendersi, era pubblicamente reo. Ma il Sole, mio signore, che pure nelle altre cose lo aiutava, soprattutto anche in questa particolare circostanza venne in soccorso, dicendo davanti agli dei: «Invero egli ha pagato il fio, o vi sfugge il responso dato a Delfi? "E' equa giustizia che uno patisca il male fatto" ».

13

B

Con lui entrò Probo, che aveva risollevato settanta città in meno di sette anni e aveva amministrato molte cose assai saggiamente; avendo subito, però, ingiustizie da parte degli infedeli, tra le altre cose ebbe l'onore di far pagare il fio ai suoi assassini.

5

aim-;i nìv 8LKT)V ÈKTLOQL. LKWTTTELV 8È aÙTÒV oµwç 6 Lt LÀT}vÒ ç E TTE L pÒ To , KaL ToL TTOÀÀW v aÙT� aL w-rrà v TTapaKEÀEUoµÉvwv. « 'AÀÀ' ÈÙTE » Eq>T) « vùv yoùv 8L ' aÙTOÙ TOÙc; Éç�c; q>pEvweiìvm. OùK o1a0a, ili TTp6�E, on C Tà TTLKpà q>apµaKa µLYVUVTEc; OL LOTpOÌ. T(¼l µE ÀLKpO.T(p 10 TTpoaq>ÉpouaL ; aù 8È aùaTT)pòc; �aea >-.tav Kaì. Tpaxùc; àEl EL KWV TE où8aµoù · TTÉTTov0ac; OùV èi 8LKQ µÉv, ELKOTQ 8È oµwc;. Où yàp fonv OUTE LTTTTWV OUTE �owv OPXELV OVTE T]µLOVWV, rjKLOTQ 8È àv0pWTTWV, µ17 TL KOÌ. Twv KEXapLaµÉvwv aÙTo"ic; çuyxwpoÙvTa, waTTE p fo0' oTE 15 To"ic; àa0EvoooLv oi. taTpoì. µLKpà Èv8L86aaLv, '(v' Èv D To"ic; µd(oaw EXWOLV aÙToùc; TTEL0oµÉvouc;». « ToÙTo» E1 TTEV 6 ÀLovuaoc; «ti) TTQTTTTLa; q>LÀ.Oaooc; iiµ"iv ÒVEq>O.VT)c;;» « Où y6.p, ili TTaL » Eq>T) « KaÌ. aù q>LMaooc; im' È µoù yÉyovac;; oÙK o1a0a on Kaì. 6 LwKpo.TT)c;, ÈoLKwc; È µot , 20 Tà TTPWTELa KaTà nìv q>LÀ.oaoq,tav ÙTTT)vÉyKaTo Twv Ka0' ÉaUTÒV àv0pwTTWV, El T(¼l '8EÀ.q>(¼l TTLOTEUELc; OTL ÈOTÌ.V àtµEU817c;; fo Totvuv iiµàc; µiì TTavrn yEÀoLa À.Éynv, àÀÀ.à (315) KaÌ. OTTOU8a"ia ». 1

n

5

14 "En 8La>-.qoµÉvwv aÙTwv TTpÒc; àÀÀ.17Àouc;, 8 TE Kàpoc; éiµa TOLc; TTmaì.v Elap�am �ou>-.110Eì.c; dc; TÒ auµmS a L Ov à TTE Àtj ÀaTo TTapà T� c; À L KT) c; , K a L o ÀLOKÀT)TLav6c;, èiywv µE0' ÉauTOÙ MaçLµwvw TE TW 8uo KaÌ. TÒV Eµov TTO.TTTTOV KwvaTO.VTLOV, ÈV K6aµ41 TTpo�yEv. E'CxoVTo 8È àÀÀ.17Àwv TW XELpE , Kaì. È�a.8L(ov

VMA[U] et Exc. Neap. (13,12-14 ex où -yàp bis l;u-yxwpoÙvTa ) 13,5 oµwç aÙTÒv transp. M / / 7 a>J..' ,' EaTE Hert. / / 9 µEÀLKpcini M / / 10 ai.crea M / / 11 TE : &: A / / 13 Tptcrxt>J.wv post a.v0pwTTwv add. Exc. Neap. I /14 cn.ry- A I / 15 µLKpÒv M / / 17 TTamr'ta Cob.: TTaTTia VA, TTaTTTTt&ov M / a.vaTTÉLÀOOoq>lav vix legitur in V / érrrlJVÉ)'KaaTo A / / 21 Tw &Nf,w MA, Ta.&XqxiiCob., probb. Hert. / / 14,5 Blw VA / KWVaTaVTÌ.vov V //

Traduzione

25

Tuttavia Sileno voleva ugualmente canzonarlo e, sebbene molti lo esortassero a tacere, disse: «Ma, nondimeno, non impedite che que lli che verranno dopo di lui divengano saggi grazie a lui. Non sai tu, o Probo, che i C medici presentano ai pazienti le medicine am are mescolandole con bevande al miele? Tu sei stato eccessivamente severo e sempre burbero, non cessando mai di essere tale. Quindi le ingiustizie che hai subite sono norma l i . Infatti, non è p o s s i b i l e go vernare n é cavalli, n é buoi, n é muli, n é tanto meno uomini, senza accordare loro qualche piacere,come accade quando i medici concedono ai loro malati qualche piccola cosa, per D averli poi consenzienti nelle cose di maggior conto». «E che, o babbino?» proruppe Dioniso «Sei diventato sotto i nostri occhi fi losofo?». «Infatti, o figlio,» replicò «non sei diventato anche tu filosofo alla mia scuola? Non sai che, se tu hai fiducia in tuo fratello che non mente mai, anche Socrate - mi somigliava - si conquistò il primato nella filosofia tra i suoi contemporanei? Permettimi, dunque, di non buttare tutto sul ridere, ma fammi dire anche (315) cose serie». 14 Ancora parlavano tra loro ed ecco che Caro, il quale voleva entrare insieme con i figli nella sala del banchetto, fu scacciato via da Dike, e in buon ordine si presentava Diocleziano, portando con sé i due Massimini e mio nonno Costanzo. Si tenevano per mano e camminavano non nello

26

Testo

B 10

15

20

C

OÙK È ç LOl7C:-, ÙÀÀ. 0 ol a xopoc; T L C:- � V TTEpÌ. aùT6v, Twv µÈv woTTEp 8opucpopouvTwv rnì. TTpo0ÉELV aÙToÙ �ouÀoµÉvwv, ToÙ 8È dpyovToc;- où8Èv yàp �çtou TTÀEOVEKTELV. 'Oc; 8È çuvtn KciµvovToc; ÉauToÙ, 8oùc; aÙTOL.c; CITTQVTa, ooa Eq>EpEV ETTL TWV wµwv, auToc; EUÀ.UTOc; È�ci8L(EV, �ycio0r]oav oi. 0EOÌ. TWV civ8pwv niv 6µ6vmav, KaÌ. ÈTTÉTpEtj;av aÙTOLc; TTpÒ TToÀÀwv TTCJ.VU Ka0�o0m . Anvwc; 8È ovrn TÒV MaçLµtavòv Q.KOÀ.aOTOV o �E LÀ.17vòc; ÈTTLOKWTTTELV µÈv OÙK �çtou, TÒ 8È TWV �QOLÀ.Éwv OÙK EloE8ÉXETO OUOOLTLOV. Où yàp µ6vov Tà d c; ' Acppo8lT17v �v TTavTotav àoÉÀyE Lav Q.OEÀ.YTJC:-, a.ÀÀ.à KaÌ. q>LÀOTTpciyµwv KaÌ. èimoToc; KaÌ. où Tà TTCIVTQ T0 TETpax6p8� OVV�8wv. 'EçtjÀ.aOEV OùV auTov TJ ALK17 TaxÉwc;. Et Ta ci.TTT]À.0Ev oÙK ol8a oTTOL y� c; · È TTE Àa86 µ17v yà p a ih ò TTapà ToÙ 'E p µ o ù TToÀuTTpayµovi;om.

TouT� 8È T0 TTavapµovt� TETpax6p8� TTapaq>UETQL D 8nvòv KaÌ. Tpaxù KaÌ. Tapaxw8Ec; OUOT17µa. Toùc; 8uo où8È TWV TTpo0upwv éi(/Jao0m �e; µ�v OùV TWV 17pwwv àyopàc; TJ ALK17 çUVE xwp170E ALKLVLOV 8È µÉXPL Twv TTpo0upwv ÈÀ.06vTa, TTOÀ.À.à Kaì. èiToTTa 5 TTÀ.17 µ µ E À.0Ù vTa , TaXÉ wc; 6 M C vwc; È çtj ÀaoE v . 'O KwvaTaVTL.VOc; 8È TTap�À.0Ev dow KaÌ. TTOÀ.ÙV ÈKa0Éo0T] xp6vov, EL rn µn' aÙTÒv Tà TTm8ta. MayvEVTL� yàp OÙK �V doo8oc;, OTL µ170Èv uyLÈc; ÈTTETTPCJ.XEL, KQL TOL 10 (316) TTOÀÀÙ È80KEL TTrnpàx0m T0 civ8pÌ. KaÀCJ.' OL 0EOÌ. 8È

15

I

VMA[U] et Exc. Neap. (14,17-18 ex Tà k bis aot:>.:yfiç ) 14,7 è�l011ç M / / 8 1rpo0éi.v Cob., prob. Hert. / / 10 ouvlEL A / / 1l éi1ravrn om.A / ooa: éì Pet. / 1TfpL TÒV wµ.wv A / / 12 fUÀUToç: EÙCITTÒÀUTQç Pet. / / 14 Kaeiiom M I I 17 k Exè. Neap. I �v om. Exc. Neap. I àaÉÀynav suppi. Hert. / / 18 dmoTOç àK&aOToç V I I 20 OTlll A / / 15,1 6� codd., corr. Hert. / ,rapa.c/)€pnm M / / 2 ToÌJç : Tàç M / / 3 'fiìç- : TOÌ.ç M / / 4 awE_x- A I ÀLKLWLOV A / / 6 TTÀT]µt:>.oùvra M / / 9 ÈTTrnpétyn M / / 0

Traduzione

27

stesso modo, ma costituivano una specie di coro intorno a B lui : e quelli lo volevano pure precedere, come guardie del corpo, ma egli non lo permetteva. Non riteneva infatti di arrogarsi alcun privilegio. Tuttavia, come senti di essere stanco, dette loro tutto quanto portava sulle spalle e si mise a camminare spedito . Gli dei si rallegrarono della loro armonia e accordarono loro di sedere i n posizione privilegiata davanti agli altri. Intanto Massimiano, che era grandemente dissoluto, Sileno non soltanto non lo ritenne C degno di celia, ma neppure lo ammise al banchetto dei re. Infatti, non solo nelle cose di Afrodite era dissoluto di ogni sorta di dissolutezza, ma era anche intrigante e diffidente e non era affatto ali 'unisono in quell'armonioso quartetto. Pertanto, subito lo cacciò via Dike. E quello, dunque, andò via, dove non so: dimenticai infatti di chiederne notizia ad Ermes. 15 Accanto a questo quartetto perfettamente armonioso D si forma un coro strano, aspro e confuso. Allora, se, da una parte , due furono impediti da Dike di accostars i al vestibolo del concilio degli eroi, Licinio, dall'altra, giunto fino al vestibolo, fu scacciato subito via da Minosse, in quanto autore di molte azioni sconvenienti. Costantino, invece, entrò là dentro e restò seduto per molto tempo: e, dopo di lui, i suoi figli. A Magnenzio, infatti, non fu possibile entrare, poiché non aveva compiuto niente di (3 1 6) buono, eppure molte cose compiute da quel l ' uomo sembravano giuste: ma gli dei, vedendo che queste azioni

28

Testo

ÒpWVTEC OTL µT] TUÙTa ÈK KUÀ.�ç aim;;i TTETTOLT]TUL 8La0ÉcrEWC, E'lwv aÙTÒV olµw(nv ÒTTOTPÉXOVTU. 16 O_varic; 8T] TOLUlJTT]C T�c; à µq>ì. TÒ 8EL TTvov TTapaaKEUT]C, ÈTT60ouv µÈv où0Èv ol 0rn( (mivTa yàp EXOUOLV), aÙTWV 8È TWV 17pwwv È80KEL T4J 'Epµij 8LUTTELpÙa0m KUÌ. T4J LlLÌ. TOÙTO OÙK ÒTTÒ )'VWµT]C �V. 5 'E8EÌ. To 8È Kaì. 6 Kupì.voc; -f\8TJ nvà µnaynv ÈKEÌ.0Ev TTap' B ÉauT6v. 'HpaKÀ.�c; 8É · « OùK àvÉçoµm » d TTEV « cI> KupÌ.vc · 8Là TL yàp oùxì. KaÌ. TÒV ȵòv 'AÀ.Éçav8pov ÈTTÌ. TÒ 8EÌ.TTV0V TTUpEKO.ÀELC; aù TOLVUV » cl TTEV « w ZEÙ, 8Éoµm , E'l nva TOlJTWV E)'VWKUC èiynv TTpÒc; 17µàc;, �KELV TÒV 'AMçav8pov KÉÀEUE . Tt yàp oùxì. KOLVD 10 TWV àv8pwv ÒTTOTTELpwµEVOL T4) �EÀTLOVL n0ɵE0a; ». LlLKma À.Éynv 6 �e; 'AÀKµtjVT]c; È8oKEL T4J LlLL. Kaì. ÈTTELOEÀ.06vToc; aÙTOÙ ToÌ.c; �pwaLV, oÌJTE 6 Kaì.aap C OUTE aÀÀ.oc; ne; ÈTTUVLOTUTO" KUTaÀ.a�wv 8È axoM(ouaav 15 Ka0É8pav, iìv 6 TOÙ LE�tjpou TTaÌ.c; ÈTTETTOLT]TO ÉaUT4J (È KEL VOc; yà p Ò TTEÀT7 À.UTO 8Là TT] V à 8EÀ.q>OKTOV( av), ÈVEK0.0LaE. Kaì. 6 LELÀ.T]VÒc; ÈTTLOKWTTTWV TÒv Kupì.vov· «"Opa » ElTTE « µtj TTOTE oÙTOL Évòc; tilOLV OÙK àvTciçLOL TOUTOUÌ. TOÙ rpmKoÙ » . « Mà LlLa » El TTEV 6 Kupì.voc; 20 « olµm TTOÀÀ.oùc; Elvm µT] xdpovac;. Oihw 8È aÙTÒv ol D È µoì. n0auµciKOOLV É yyovOL , W OTE µ6vov aÙTÒV È K TT(IVTWV, OOOL çÉVOL yq6vaaLV 17yE µ6vEc;, òvoµci(ouaL KaÌ. voµt(ouaL µÉyav. Où µT]v ETL Ka·L Twv TTap' ÉauToÌ.c; VMA[U]

16,l 8� V et (sed � suprascr.) A : 8È M / / 2 ou8Èv MA / / 4 8L·L-èmò non perspicuum in V / / 5 8� M / ÉKfL0fV om. V / / 6 flTTfV" OUK àvÉeoµm transp. Hert., V secutus / / 8 crù: croù Cant., accepit Hert. / / 10-11 KOLVTJ Twv àv8pwv quasi evanidum in V / / 11 n0ɵE:0a : 8E:6µE:0a A / / 14 ùnavlcrTaTo Cab., probb. edd. / / 15 O'flJ17pou V / / 17 ÉKci0Lcrf M / / 18 CilcrLv: dcrLv Naber, accepit Wright / ouK om. V, probb. Naber, Wright / / 21 fryovOL MA / / 22 )'f)'OVOO'LV T])'fµ6vfç eÉvoL trai . V, acceperunt Spanh., Hert. / /

Traduzione

29

non le aveva c ompiute per v irtuosa disposizione, lo lasciarono andare via, a piangere. Tali furono, dunque, i preparativi per il banchetto; 16 poiché gli dei ( che hanno tutto) non avevano nessun d e s i derio p artico lare, pareva opp ortuno ad Ermes esaminare pure gli eroi e per Zeus la cosa non era fuor di proposito. Del resto, anche Quirino già richiedeva che B qualcuno si trasferisse di là, presso di lui. Allora ecco Eracle a dire: «Non potrò tollerarlo, o Quirino: perché, infatti, non invitasti al banchetto anche il mio Alessandro? Tu, dunque, o Zeus, ti prego, - diceva - se hai deciso di far venire presso di noi qualcuno di loro, ordina che venga Alessandro. Perché, infatti, di comune accordo, non esaminiamo i mortali, dando la palma al migliore?». A Zeus sembrava che il figlio di Alcmena dicesse bene. Quando, dunque, Alessandro C venne ad unirsi agli eroi, non si alzò Cesare, né alcun altro: ma egli prese una sedia vuota, quella che il figlio di Severo aveva p reso per sé (infatti era stato cacciato v ia per avere ucciso il fratello), e si sedette. E Sileno, prendendo in giro Quirino, disse: «Sta' attento, caso mai costoro risultino equivalenti a questo Greco qui, che è uno e solo». «Per Zeus,» disse Quirino «penso che ve ne siano molti non inferiori . D Lui, però, tanto lo hanno onorato i miei discendenti che, unico fra tutti gli stranieri che sono stati condottieri, grande lo chiamano e grande lo giudicano. Non è detto, però, che lo

30

Testo

yEyov6Twv o'CovTm µd(ova TOVTOV, '( awc; µÈv ÙTTÒ q>LÀUUTlac; TTa06VTEc;, '( awc; 8È KUÌ. oihwc; E x ov· da6µE0a 25 8È UUTLKa µa.Àa TWV civ8pwv O.TTOTTELpwµEVOL ». TauTa µci Àw!a ÀÉ ywv _6 KupLvoc; TJ p � 0p(a, ml 8�Àoc; � � ciywVLWV ÙTTÈp TWV ciTToy6vwv TWV ÈaUTOU, µ 17 TTOU Ta (317) 8EUTEpELa Àa�6vTEc; o'lxwvrnL.

5

10

15

20

17 Mnà TOUTO b ZEùc; �PETO TOÙc; 0rnuc;, TTOTEp9v XPTJ TTCJ.VTac; ÈTTÌ. TÒV ciywva KaÀELV �. Ka0a.TTEp Èv TOLc; yuµVLKOLc; ciywaL YLVETaL, b TOV TTOÀÀ.àc; civàoµÉvou VL.Kac; KpaTTjaac;, EVOc; TTEpL yEv6µEvoc;, ou8Èv EÀ.aTTOV 8oKEL KO.KELvwv ycyovÉvm KpELaawv, OL TTpoaETTa.Àmaav µÈv ou8aµwç OUT� , TOÙ KpaT�0ÉVTOc; 8È T)TTOUc; ÈyÉVOVTO. Kaì. È80KEL lT(lOLV � TOLOUT� acf>68pa EXELV ÈçÉTaaLc;. 'EKTJPUTTEV oùv b 'Epµ� ç B È µµE_Àwc; TTapn v m Ka(aapa KaÌ. TÒv 'OKTa�wvòv ÈTTÌ. TOUT4), ° Eha Tpa Lavòv 8 È ÈK TPLTWV, wc; TTOÀEµLKWTÉ pouc; . yEvoµÉv�ç OLWTT�c;. ò �aaLÀEÙc; Kp6voc; �ÀÉtjJac; Ek TÒV b.(a 0auµa.(nv Eq>�, TTOÀEµLKOÙc; µÈv auToKpciTopac; ÒpWV ETTL TÒV ciywva TOVTOVÌ. KaÀouµÉVOUc;, ou0Éva µÉVTOL q>LÀoaoq,ov · « 'Eµoì. 8É » EL TTEV « oùx �TTov C ELOLV ol TOLOUTOL q>LÀOL. KaÀEL TE oùv E'law KaÌ. TÒV McipKov ». 'ETTEÌ. 8È K_?.Ì. b Ma.pKoc; KÀ�0Eì.c; TTap�À0E, aEµvòc; èiyav, UTTO TWV TTOVWV E XWV Tci TE oµµaTa KaÌ. TÒ TTp6awTTov ÙTT6 TL avvrnTaÀµÉvov, KaÀÀoc; 8È èiµa x ov È v aùT� TouTq> 8nKvuwv, È v � TTapELXEV È aUTÒV èiKOµtjJov KaÌ. O.KaÀÀWTTLOTOV" f) TE yàp ÙTTTJ� Exc. Neap. (17,20-24 ex ij TE bis wc; ) 16,25 n post q>LÀcIVTlac; add. Cob., probb. Hert., Lacomb. / Elxov V, EXOVTEc;

V MA[U] et

M / / 27 ÀÉywv : ÀÉwv A / / 29 otxovTm A / /

17,3 ylyvETaL A / Tàc; post TOÙ add. A / / 4 TTEpL yLv6µEvoç A / / 6 ToÙç K paTT]SÉvrnç A / 8È ex KaL corr. A / / 9 ,rapLÉVaL Cob., prob. Hert. / / 10 Tpl T0U M / TTOÀEµLKWTciTouç Hert. / / 16 8È om. V / / 19 ciµaxov VA, accepit Lacomb.: ci:µ tjxavov M, praetulerunt Cant., Hert. / / 20 ciKol/JOv (µ supra lineam) M / /

Traduzione

31

giudichino ancora piu grande di quelli della loro gente, sia perché spinti in un certo senso da amor proprio, sia perché tale è la verità: ma Io sapremo immediatamente, mettendo alla prova gli uomini» . Soprattutto mentre diceva cosi, Quirino arrossiva ed era chiaro che parteggiava per i propri (31 7) discendenti, perché non risultassero secondi. 17 Dopo di ciò, Zeus chiese agli dei se bisognava c h i amare tutti alla gara, oppure, come avviene n e l l e competizioni ginniche, i l vincitore d i chi h a riportato molte v ittorie, benché abbia superato uno soltanto, nondimeno sembra essere piu forte di coloro che, anche se non hanno combattuto in alcun modo con lui, risultarono però vinti dallo sconfitto. E pareva a tutti che una prova di tal genere B fosse molto adeguata. Pertanto Ermes cominciò a proclamare che si presentasse Cesare e dopo di lui Ottaviano e Traiano per terzo, in qualità di uomini molto esperti di guerra. Poi, mentre tutti erano in silenzio, il re Crono, guardando verso Zeus, disse che si stupiva a vedere che per quella gara erano stati invitati certo imperatori guerrieri, nessuno tuttavia che fosse filosofo. «A me, in verità,» diceva «quelli cosi non C sono meno cari . Chiamate dunque dentro anche Marco». Pertanto, anche Marco, essendo stato chiamato, si presentò, tutto maestoso, con gli occhi ed il volto un po' tirati per le preoccupazioni e, pur c o s i , m o s trava una bel lezza straordinaria, presentandosi nella sua modestia e semplicità.

32

Testo

�aeéì.a lTUVTO.lTUOLV �V aim¼> KaÌ. Ta Lµana ÀLTà KUÌ. awcppova, KaL UlTO TT}t; Èv8daç TWV Tpocpwv �V aÙTy TÒ D owµa 8LauyÉOTaTOV KaÌ. 8LacpavÉaTaTOV WOlTEp aÙTÒ olµm TÒ Ka0apwTUTOV KaÌ. ELÀLKpLVÉOTUTOV cpwç. 18 'ETTEÌ. KaÌ. OUTOt; �V E'Caw TWV i.Epwv lTEpl�OÀWV, o LÌLovuaoç EllTEV" « '>'Q �aOLÀEÙ Kp6vE KaÌ. ZEÙ lTO.TEp, àpa èiçLOV Èv 0rnÌ.ç àTEÀÈç dvaL TL ; ». Twv 8È « ou » cpaµÉvwv· « EtaaywµEv ovv nva Kaì. à1r0Àaua1cwç Èpaonìv Èv0a8L ». Kaì. b Z1cuç « 'AÀÀ' où 0EµL TÒv 5 E'Caw cpoLTàv » ELTTEV « àv8pì. µT} Tà -fiµÉTEpa (T]ÀoÙvn ». « rL yvfo0w TOLVUV, ÈTTÌ. TWV lTpo0upwv » dlTEV o LÌLovuaoç (318) « aÙTOÌ.ç Ti KpLaLç. 'AÀÀ', El TOÙTo 8oKEÌ. TaUTlJ , KaÀwµEv èiv8pa OÙK àTTOÀEµov µÉv, -fi8ovij 8È KaÌ. 10 Ù TTOÀUUOEL X E L POT]0É oTE pov . 'HKÉ TW ovv a xpl TWV 1rpo0upwv b KwvamvTÌ.voç ». 'ETTEÌ. 8È È8É8oKTO rnì. TOlJTO, TLVa XPTJ TPOTTOV aÙTOÙç àµLÀÀéÌa0m yvwµT] TTpoÙTÉST]. Kaì. o µÈv 'Epµ�ç i#ou ÀÉynv EKaoTov Èv µÉpn TTEpÌ. Twv ÉauToÙ, TL0rn0m 8È ToÙç 0rnùç 15 TT)V tjrrJcpov. Où µT}v È86KEL mùm T4J 'A1r6ÀÀwVL B KaÀwç EXELV" àÀT]0daç yàp dvm, KaÌ. où m0aVOTT}TOt; où8È al µuÀ( aç È v 0rnÌ. ç È'Àqxov KaÌ. E çÉ TaoLv. BouMµEvoç 8È b Z1cùç àµcpoTÉpmç xapL(rn0m · « Kaì. éiµa TTpoaynv ÈTTÌ. TTÀÉoV aÙToÌ.ç TT)V OUVOUOLUV 20 où0Év » ELTTE « KWÀUEL, ÀÉynv TE aÙToÌ.ç ÈmTpÉt/mL , µ L Kpà ToÙ u 8aTOç t m µnptj oavTaç, EL Ta vaTE pov VMA[U] et Exc. Neap. (17,20-24 ex ii TE bis J.' EçÉpçm V / / 25 KaÌ. XPTJO'Tà Cant. : XPTJO"Tà 6È codd. / / 26 TÉKµap Cant.: TÉpµa codd. / / 28 ok suppi. Cob. / / 31 6aì.Tek TE yciµouc T' Cun.: 6aÌ.Tac; KaÌ. yciµouc VA, 6aÌ.Tac; TÈ Ka·L yciµouc M / / 32 TEpTTvàc; M / /

Traduzione

B

e

asserviste e per la guerra la terribile asta aguzzaste e insieme la mente cosi assennata nei giudizi, venite, presentatevi al giudizio della gara, sia voi che avete posto la saggezza come termine ultimo di una vita felicissima, sia voi che avete ritenuto fine di un bel vivere far del male ai nemici e del bene agli amici, e voi pure, ai quali parve la massima delle beatitudini avere, piacere dolcissimo, la cessazione degli affanni, e banchetti e nozze, gioie per gli occhi, e indossare morbide vesti,

37

38

Testo

35

40

D

À.L 00KO�TJTOL rrEpì. xnpac; èiKpac; lpE À.L OLGL civri µaKapLaT6TaTov. NtKric; 8È TÉÀ.oç Zrivì. µEÀ.TJaEL .

20 TowÙTa ToÙ 'Epµoù KTlPVTTOVToc; ÈKÀ.ripoÙvTo· Ka( rrwc; auvÉ 8paµE T� ToÙ Ka( aapoç 6 KÀ.� poç q>LÀ.orrpwTtq.. ToÙTO ÈKEÌ.vov µÈv ÈrrotriaE yaùpov KaÌ. ao�apWTEpov · È8ÉT1aE 8È faà TOÙTO µLKpOÙ KaÌ. q>EUYELV 5 nìv Kptaw 6 'AÀ.Éçav8poc;, àÀ.À.à rrapa0appuvwv aÙTÒv 6 µÉyaç 'HpaKÀ.�ç ÈTTÉaXE . t.EUTEpoç 8È Èrr' ÈKELV4J À.Éynv (320) EÀ.aXEV 6 'AÀ.Éçav8poç ÈTTÌ. 8È TWV Éç�ç o\. KÀ.�poL ToÌ.ç ÉKa.aTou xp6voLc; auµrrpo�À.0ov. "HpçaTo oÌ,v 6 Kaì.aap w8t · «'Eµoì. µÉv, w ZEÙ KaÌ. 0rnt, YEVÉa0aL Èv TTlÀ.LKUUn:) 10 auvÉ�Tl TTOÀ.EL µnà TOaOUTOuç av8pac;, WaTE TT\V µÈv oawv où TTWTTOTE CIÀ.À.Tl TTOÀ.Lc; È�aatÀ.rnaE �aaLÀ.EUEL v, TaÌ.c; 8È àyarrriTòv TÒ Kaì. Tà 8EvTEpa Koµtaaa0m. Tk yàp rr6À.Lc; àrrò TpLaXLÀ.LWV àv8pwv àpçaµÉ vri Èv où8È oÀ.mç ETWLV B ÉçaKoatoLc; ETTL �ç �À.0E rrÉparn ToÌ.ç orrÀ.mc;; 15 rroL a 8È ?0vri ToaouTouç èiv8pac; d ya0ouc; TE rnì. rroÀ.EµLKoùc; rrapfoxno Kaì. voµo0EnKouc;; 0rnùc; 8È htµriaav ouTw TLVEc;; Èv 8iì Toaaun;i KaÌ. TTlÀ.LKaUTl:J TTOÀ.EL yEv6µEvoc;, où TOÙc; KaT' ȵauTÒV µ6vov, ÙÀ.À.à KaÌ. VMA[U]

19,37 tjJEXl.mcrL Cant.: lj!EÀÀioLm codd. / / 39 vtKll M / /

20,7 b om. Hert., V secutus / / 8 ÉKacJTou : ÈKEtvou A / / 9-10 yEvÉa8m-µÈv om. U / / 10 lTWL crwÉi3r, transp. M / ooov (ex &mv) M: ooov VA / / 11 Èi3aTjµLwV. 'Expriv 8È '(awç µciÀLaTa µÈv àµq>oLV c/>d8rn0m (KaÌ. yàp dva( TTWC àµq>6TEpa 8oKEL TTapaTTÀTJOLWC È TTax0ri), TTÀÉ OV 8È TOÙ Taµa 8waupnv, a.À.Àwç TE KaÌ. µLµT]TT]V aÙTWV YEVOµEVOV. ·o 8È ELC TOÙTO �À0EV àvmaxuvT(aç, WOTE TOÀµT)OaL Tà àpXÉTuTTa Kwµ418E"iv Twv ÉauTOÙ Epywv. ' Expriv 8É , w Ka"iaap, 0 UTToµv,,a0T)va( OE TWV 8aKpuwv È KE L VWV, éì TOTE à q>T) KaC, à Kpow µEvoç TWV imoµv11µci Twv oaa TTETTOLTJTaL TTEpl TWV È µwv TTpaçEWV. 'AÀÀ' 6 TToµTTtj Loç È TTT) pÉ OE µ:Tà TOÙTO, 24 K o Àa K E u0d ç µÈ v TTa p à Tw v TTO À L T w v Twv É auTo u , yEv6µEvoç 8È où0Eì.ç où8aµoù. Tò µÈv yàp ÒTTÒ AL�UTJC 0pwµ�EÙam, où µÉya Epyov, òvoµaaT6TaTov ÈTTOLTJOEV � Twv TOTE uTTciTwv µaÀaK(a. Tòv 8ouÀLKÒV 8È 22,11 it:eEµO,:rpa A I I

23,6 Ti=,:; om. MA I oi.6Év M I I 7 aì.rrèv A, accepit Pet. I I 10 TOÙCob.: TÒcodd. Toooùrov A (ToÙTo suprascr. A2 ) I I 13 aì.rroù M I I 14 ò. : wv M I I 24,2 µÈv om. A I I

I Tà' µà VA I I 12

Traduzione

45

stregua comandare diecimila Greci e reggere l 'impeto di (322) centocinquantamila uomini all'attacco? Avrei ancora molto da raccontare su di me e su questo qui, ma non mi sono preparato a fare discorsi per mancanza di tempo. Perciò dovete mostrarvi indulgenti, ma, sulla base delle cose dette e conducendo una ricerca equa e giusta relativamente a quanto non è stato detto, dovete assegnare a me il primo premio».

B

C

23 Cosi disse Cesare e voleva ancora parlare, allora Alessandro, che anche prima s'era trattenuto a stento, non ne poté piu e disse, turbato un po' e con atteggiamento battagliero : « Ma io, o Zeus e dei, fino a quando potrò tollerare, stando zitto, la tracotanza di costui? Vedete infatti pure voi che non mette limite né alle lodi per se stesso né alle ingiurie per me. Avrebbe dovuto innanzi tutto astenersi ugualmente dall 'una e dall ' altra cosa (e infatti ambedue sembrano piu o meno parimenti intollerabili), ma tanto di piu avrebbe dovuto evitare di prendersi gioco delle mie azioni, soprattutto visto che se ne è fatto pure emulo. E, invece, è giunto a tal punto di impudenza, che h a osato ridicolizzare il modello originario delle sue proprie imprese. Piuttosto, o Cesare, avresti dovuto ricordarti delle lacrime che versasti un giorno, mentre ascoltavi le memorie che, cosi grandiose, furono fatte delle mie imprese.

24 M a in seguito Pompeo ti dette fama, lui che, nonostante le lodi dei suoi concittadini, era un niente in D assoluto. Per esempio, infatti, il trionfo libico, impresa di non grande valore, diventò celeberrima per la debolezza di quelli che allora erano consoli. E poi la famosa guerra servile,

ÈKELVOV TTOÀ.Eµov, OÙOÈ: TTpòç èivopaç yEvo µEVOV, àÀ.À.à TT p Ò ç Toù ç x n p ( crrnuç T W V OL KETW V , a À.À.OL µÈ v KaTnpycicravTO, KpcicrcrOL KaÌ. AouKLOL , Touvoµa 8È: Kaì. nìv Èmypmpriv EGXE Tioµ'TTT}LOt;. 'ApµEvtav 8È: 10 KaÌ. Tà TTp6croLKa TaUT17t; KaTETTOÀ.ɵT]GE AoUKOUÀ.À.oç È:0pLciµ�EUGE OÈ: aTTO TOUTWV Tioµ'TTT}LOt;. Et T' (323) ÈKOÀ.aKEucrav aÙTÒV oi. TTOÀ.LTm KaÌ. MÉyav wvoµacrav, ovw Tt.voç TWV 1rpò ÉauTOÙ µd(ova; TL yàp ÈKELV4J TocroÙTov È1rpcix0T], TJÀ.LKov Mapt4> -iì LKTJTTtwcrL Tote; 15 ouo -iì T4) TTapà TÒV Kup'ivov TOUTOVÌ. oupt4>', 1 &; µLKpoù cruµTTrnoùcrav TT]V TOUTOU TTOÀ.LV àvÉ GTT]GEV; OùToç yàp ÈTT ' ÒÀ.À.oTpt.oLç È:pyOLc;, wcrTTEp Èv TTOÀ.LTLKaLç o t'. K o o o µ i'. a L c; , K a L 8 a 1r a v tj µ a cr L v , u TT ' a À. À. w v KaTa�À.T]0dcrmç KaÌ. È mTEÀ.rn0dcrmç ETEpoç èipx�v 20 B È TTqpcitpT] µLKpà KOVLcicraç TÒV To'ixov, ouTw Tm ç Ò À.À.OTp ( m ç È TTEypcicp17 TTpci çE GL V , à pxl TÉ KTOV E t; OÈ aÙTOL Kal. OT] µL oupyol. yEvo µEVOL T W V KaÀ.À. L GTWV ,i ç L w 017crav òvoµci Twv . Oùoh oòv 0auµacrTo v, E L KEKpClTT]Kaç TioµTTT]LOU 8aKTUÀ4) KvwµÉvou KaÌ. TClÀTl OTpaTTlYT)µam . TIÉpaaL 8È TTaVTaXOl! KaÀwç KaÌ. q>pov(µwç TTaprnKEuaaµÉvoL TTpÒç Tiìv riµnÉpav ÙÀK1ÌV ÉvÉ8oaav.

25

_ 'ETTEÌ. 8È où TOÙ TTPClTTELV a.TTÀWC, àÀÀ.à KaÌ. TOU Tà 8(KaLa TTpciTTE LV dv8pa d pLOTOV KaÌ. �aaLÀÉa TTpoaiiKE µnaTTOLELa0m, Éyw µÈv uTTÈp Twv 'EÀÀtjvwv Toùc TIÉpaaç àm'.lTTlaa 8(KT1v, KaÌ. TOÙC 5 'EÀÀT]VLKoùç TToÀɵouç ÉTTavnMµT]v, OUXL Tiìv 'EÀÀ.ci8a ÀUTTELV �ouMµEvoç, àÀÀ.à Toùç KWÀuovTciç µE faa�a(vnv KaÌ. 8(Kaç àTTmTELV TÒv TIÉpOTlv ÉTTLKOTTTWV. LÙ (324) 8È Toùç rcpµavoùç Kaì. raMTaç KaTrnoÀɵTlaaç, ÉTTÌ. Tiìv TTaTpt8a T1ÌV OEaUTOÙ TTapaaKEUa(6µEvoç, OÙ TL yÉVOLT' 10 èìv XELPOV 11 µwpwTEpov; 'ETTEÌ. 8È WOTTEP faaaupwv Twv µuptwv ȵVT]µ6vEUaaç rpmKwv, on µÈv KaÌ. uµELC ÈVTEÙ0EV ycy6vaTE KaÌ. Tà TTÀELOTa TT]C ' I TaÀ(aç �KTlaav ol rpmKOL, KaLTTEp d8wç oµwç où TTapa8Éxoµm . B TouTwv 8È aùTwv ÒÀ(yov l0voç, ALTwÀoùç ÀÉyw Toùç 15 TT a p O L KOÙ VTaç ù µi: v , oi.ìç ( Àouç µÈ v E X E L V Kal. auµµcixouç ÈTTOLT)aaa0E TTEpÌ. TTOÀÀOÙ, TTOÀEµw0ÉvTaç 8È ùµL v uan pov 8 L ' cia8tjTTOTE at T(aç OÙK ÙKLV8uvwç irrraKolJELV ù µlv �vayKciaaTc · ol 8È TT pÒç TÒ y,Ì pac:, VMA[U]

24,32 àyvoiac M / fi orn.U / / 33 où& MA / / 34 T1Ì viKl] ante VLKWV add. Wright (auctore Hert. in adn.) / / 35-36 KaiUTpa-r17y,'JµaaL orn. M, in mg. sin. scr. M 2 / I 36 TTavTaxoù post q>povlµwç trai. A / / 37 ÈvÉ8T]aav A I I 25,3 TTpoatjKn Hert. / / 7 ÈmKOTTTwv Cant.: -aKWTTTwv V, -aK6TTTWV M, -aKWTTTnv A I I 9 -aKrna(oµÉvouc M, -aKEuaaµÉvouc A / / 15 iiµì.v Cob., accepi t Hert. / ouc: dl V, où Lacornb., Hert. secutus / µÈv orn. MA / / 1 6 TToÀf:µT]SÉVTaC V / I 17 CIKLv8wouc M / / post i;vayiUTEuouoLv 6aTpaKLOLç È1raµ11ociµEvm yiìv X.axav(av· xX.otjaavrn 8È rnùrn 1rpòç 6X.( yov aÙTLKa c:i.1roµapa(vnm ». KaJ 6 KwvaTav,::L voç ii pu0p(aoEv, èivnKpuç Èmyvoùç TOLOUTOV TÒ ÉaUTOlJ l:' pyov.

31 'Houx(aç 8È yEvoµÉ VT)ç, oi. µÈv È4>Krnav TTEpLµÉvnv OT4J 0tjoovTm T"fÌv ÙTTÈp Twv TTpwTdwv oi. 0rnì. t/J�cpov· oi. 8 ' 4JOVTO OELV Tàç 1rpompfonç Elç Toùµcpavk (330) TWV àv8pwv TTpociynv KaÌ. OÙK ÈK TWV TTrnpayµÉvwv 5 aÙTOLç, iliv 1Ì Tux11 µETETTOLEL TO TÒ TTÀ.ELOTOV KaÌ. TTClVTWV VMA[U]

30,19 Kciya0où,;- M, acceperunt Hert., Lacomb. / / 21 Twv post KaTà om. Lacomb.,Asecutus / / 22 TÒ 6È A / / 23 fooc;Cant., Pet.: fow,:; codd. / µ� supra lineam scr. V // 24 ToÙ Kn'paa0m om. M / / 25 airroù AU / / 26 � A / / 27 KwvarnVTÌ.voc; VA / / 28 arnvroù Hert., accepit Lacomb./ TTpoocj>ÉpHc; MA / aot postTTpoocj>ÉpELC add. A / e:he:v om. M / datv om. A I I 29 ouc; ante al yuvaÌ.Ke:c; add. Toup, probb. edd. (adversante Sardiello,1997,p.248, n.17) / / 30 ETTaµT]OciµEvoL A // 31 XÀoiaaVTa M / ò>J.yov airriKa vix legitur in V / / 32 ciTToµapai.vnaL evanidum V, .......ivnm U / / 31,2 TÌ']v imÈp Twv quasi evanidum in V, lac. ante imÈp in U / / 3 dc; TÒ l:µqiavÈç VM / / 4 oÙK EK : où Kplvnv EK Wright (auctore Hert. in adn.)/ /

Traduzione

63

Romani e contro le genti germaniche e scitiche e non contro i barbari asiatici; di Cesare e di Ottaviano, poiché non ho, come costoro, scatenato guerre intestine contro buoni ed onesti cittadini e, invece, ho annientato i piu scellerati e perversi dei tiranni. Sarei, dunque, da preferire senz'altro a C Traiano per le mie belle azioni contro i tiranni: quanto, i nvece, all ' aver recuperato la regione, che egli aveva conquistata, non a torto mi riterrei pari , se non fosse anche piu grande impresa, ri spetto al conquistare, i l riconquistare. Quanto a l qui presente Marco, per i l suo tacere di sé, si esclude dai premi, a vantaggio di noi tutti». E S ileno : «Ma, Costantino, non ti sembra che ci stai proponendo come imprese tue i giardini di Adone?». « E D che sono» replicò «questi giardini di Adone di cui parli?». «In onore del l ' amante di Afrodite» rispose «le donne coltivano terriccio per ortaggi, ammassandolo in piccoli vasi di terracotta. Ma i teneri germogli appassiscono ali 'istante». E Costantino arrossi, poiché riconobbe immediatamente che tale era la sua opera. 31 Si fece silenzio, mentre gli uni erano del parere di aspettare che gli dei con il loro voto indicassero a chi toccavano i premi. Gli altri, invece, pensavano si dovessero (330) mettere allo scoperto i principi di condotta degli eroi e non dedurli dalle imprese che essi avevano compiuto, poiché queste erano dovute per lo piu alla Fortuna:

alJTWV KaTa�owcra TTapE LCTTl)KEL TTÀTJV ' OKTa�LaVOU µ6vou· ToÙTov 8È EÙyvwµova TTpòc; ÉauTT}v Elvm EÀEyEv. ''E8oçEv ovv ToLc; 0rnLc; Èm TpÉl/Jm Kaì. TOÙTo T� 'Epµij , KaÌ. EBoaav aÙT� TTpwTov 'AÀEçciv8pou TTU0É cr0m TL voµ ( crE L E KO. ÀÀLcrTOV KaÌ. TTpòc; T L 10 B �ÀÉTTWV Èpycicrm TO KOL TTCl00L TTClVTa ocraTTE p 8E8pciKOL TE rnì. TTrn6v00L. 'O 8È Eq>TJ " « Tò TTa.VTa VLKav ». « E1 Ta, » EL TTEV 6 'Epµ�c; « o'(n crOL TOÙTo TTETTOL�cr0m ; » « Kaì. µa.Àa » Eq>T1 6 'AÀÉçav8poc;. 'O 15 8È LELÀT1VÒc; TW0acrnKwc; µa.Àa YE Àcicrac;- « 'AÀÀà ÈKpClTOUV yÉ crou TTOÀÀClKLc; al -fiµÉTEpm 0uyaTÉpEc;», alvLTT6µEvoc; Tàc; àµTTÉÀouc;, TÒv ' AÀÉçav8pov ola 8tj C nva µÉ0ucrov rnl q>LÀoLvov crKWTTTwv. Kaì. 6 'AÀÉçav8poc; O.TE 8TJ yÉ µwv TlEpLTTOTT1TLKWV 1rapaKoucrµci.Twv · « Où Tà al/Juxa » Ec/>11 « VLKUV (où8È yàp aywv 20 T]µLv ÈcrTL TTpÒc; TaÙrn), àÀÀà TTUV µÈv àv0pwTTWV, TTÒV 8È 011p( wv yÉ voc; » . Kaì. 6 LE LÀT1VÒ c; w crTTE P ol 0auµci(OVTEc; ELpWVLKwc; µa.Àa · « ' I ou, lou, » Eq>l1 « TWV faaÀEKTLKwv KLyKÀt8wv. AùTòc; 8È T]µLv Èv TTOTÉp4> 25 D crauTÒV 0iJcrnc; yÉvEL , TWV àl/Jvxwv ii TWV È µl/Juxwv TE Kal (WVTWV; » Kal oc; WCTTTEp àyavaKTtjcrac;­ « E ù cptj µ E L , » E c/>11 « Ù TTÒ yà p µEyaÀol/Jux( ac; , OTL 8T] KaÌ. 0Eòc; yEvotµ11v, µaÀÀov 8È E'(11v, ÈTTETTELcrµ11v ». « AÙTòc; ovv » ELTTEv « T]TTTJ811c; crrnuToÙ TToÀÀa.KLc;, 30 Òpy�ç ii ÀUTTT1 ç T) TLVOc; TOLOUTOU TÒV VOt!V KaÌ. Tàc; q>pÉva!: T)TTW rn·L xdpw TTOLT]crac; ». « 'AÀÀ' airròv ÉauTOu, » ELTTEV 6 'AÀÉçav8poc; « KpaTELV Kal TJ TTÒ cr0aL 6 µ wvu µwc;- È µo ì. 8È 17 v u 1rÈ p T W V VMA[U]

31,7 aÙTÌ7v MA / I 8 lool;av A / / 9 E&ç!'V A I I 11 ocra A / / 12 &8pam VA / rrrnOl-€EL VA / / 13 croL : È:ç foou A / / 14 w 'AXEl;av8Pf A, corr. ( ò et oç suprascr.) A2 / / 15 Tw0a.O'TlK(l) A / / 16 TToÀMKl.ç om. M / / 17 OLVLTTq.tEVOV A I I 19 o:TI' : da M / / 23 Eq>Tj om. M / / 24-25 é:v TTOTÉpwç aìrròv M / / 31-32 òpyiiç - TTOLT]craç del. Cob. / / 33 ÀÉynm post q.i.wv(µwç add. Cob., prob. Lacomb. / /

Traduzione

65

essa era presente ed inveiva, ma non contro Ottaviano: lui davvero, ella diceva, era pieno di gratitudine nei suoi confronti. Allora, parve opportuno agli dei affidarsi anche per questo ad Ermes e lo incaricarono di chiedere per primo ad Alessandro quale fosse per lui la cosa piu bella e B con quale intenzione avesse fatto e sofferto tutto quello che aveva compiuto e patito . Ed egli rispose: «Vincere i l mondo». «E, allora,» disse Ermes «ritieni d i averlo fatto?». «Ma certo» rispose Alessandro. E Sileno, con il sorriso sulle labbra, particolarmente sarcastico: «Eppure spesso le nostre figliole ebbero potere su di te», e intendeva le viti, C canzonando Alessandro come un ubriacone, amante del vino. A llora Alessandro, imbottito com' era di equivoci peripatetici, disse: «Vincere non il mondo inanimato (noi in­ fatti non ci misuriamo con esso), ma tutto il genere umano da una parte e quello animale dall'altra». E Sileno, fingendo meraviglia, in realtà pieno d' ironia «Ohi, ohi» disse «le divisioni della dialettica! Ma tu in quale genere ti ci D porresti, in quello degli esseri inanimati o in quello degli esseri animati, nonché viventi ?». E quello, quasi furi oso, «Sta' zitto ! » disse «Ero convinto, infatti, che per la mia grandezza sarei diventato di sicuro - o piuttosto che lo ero veramente - un dio». «Invero» egli disse «sovente tu ti sei fatto vincere da te stesso, lasciandoti dominare e sopraffare nell ' animo e nel cuore dalla collera, dal do lor e o da qualcosa di simile». «Ma» disse Alessandro «è identica cosa se uno vince se stesso o risulta inferiore a se stesso. Per me invece si trattava di cose che coinvolgevano gli

66

Testo

o

nii:;

(331) TTpòç èi>J-.ouç Myoç ». « Ba�aì. oLaÀEKTLKTlç, » 35 ELTTEV « OTTwç -fiµwv Tà croq,tcrµaTa OLEÀÉYXELç. 'A>J-.' ç KaÌ. O TlEUKÉT] «KupLOç yoùv aÙTwv ÈyEv6µriv ». « 'AÀÀ.à TOÙTO µÉv » ELTTEV « È8u�0T]ç àyaTTT]�Vm 8È im' aÙTwv oùx 016ç TE EYEVOU, KaÌ. TaÙTa TTOÀÀT]V µÈv UTTOKpLVciµEvoç 15 WGTTEP Èv 8pciµan KaÌ. GKTJVÙ cpLÀ.av0pwTT(av, alaxpwç B 8È aÙToÙç TTClVTaç KOÀaKEUWV ». « El Ta OÙK àyaTTT]0�vm 8oKw » EL TTEV « imò TOÙ 8tjµou ToÙ 8LwçavToc; BpoÙTov KaÌ. KciaaLOV; ». « OùK ÈTTEL8tj GE àTTÉKTELVav, » Eq>T] « 8Là TOÙTo µÈv yàp aÙTOÙc; 6 8�µoç 20 Ètjrricf>(aaTO ELVaL UTTClTOUç' àÀÀà 8Là TÒ àpyupLOV, È"�n8ri Twv 8La0T]Kwv à � poaaciµEvOL µLa0òv Éwpwv TT] ç dyavaKTtj aEwc; aÙTo L c; ouTOL TÒv TUXOVTa C TTpoaEyyEypaµµÉ vov ».

33

5 YMA[U]

Atj ç aVTOç 'OKTa�LaVÒV a'ù:lLç « oÙ< Èpéi.c; lJ.LLV oç « BaaLXfÌUm » KCIÀW':, c1 :U-�GTÉ:,

8È Kal TOÙ8E TOÙ Ào you, T Ò V 6 'Epµ�ç EKLVEL · « LÙ & » dTTEV TL KaÀÀLGTov Èvq..u(Ec; e:lvm; » KaÌ. « TL BÉ ÈGTL 1Ò EcpT] « KCIÀW:; ». cf>pciaov, ÈTTEÌ. Totrr6 yE EGTL KaÌ. ToÌ.ç

32,4 µTj0Evo; El\lQL µfp-E codd.: µT)&-vo; El\lQL µi,& Hert. (sed in adn. µT)&-vo; µfp-E ElvaL µfp-E admonet, quod accepit Wright ), µTj8Evè,:; lu,aL µ1)6È l.acomb. I I &-vr1:,:xx; A I I 5 Y4> om.A I E'mÉ Hert. :lm1: codd. I I 7 o1v om. MA I I 11 n µfya l.acomb. : 11. µfya VA, accepit Spanh , om. M,m µfya Pet., n om. Hert. I I 13 lmEV om. V I rowéD8r,ç Al I 14 µ.èv om.AI I 18 l«Dl.OV A I I 19 µ.Èv om. MA I I 20 àj,rJcf:wavro A I I 22 OllroL : on A, oun Hert., accepit l.acomb. I I 23 Èyyf'ypaµ- M , TTpocr)'Eyfxiµ- A I I 33,4 ELOTOÙ ». « Tt ùl)TTOTE D yàp rjcr0LEC » ElTTE « KaÌ. ETTLVEC oùx wcrTTEp iiµÉÌ.c:; ciµ�pocrtac:; TE KaÌ. vÉ:KTapoc:;, èi.pTou 8È: KaÌ. o'(vov; » 25 « 'AÀÀ' E')'W')'E » d TTEV « oùx DTTEp ovv (Ì)µ17v Toùc:; 0rnùc:; TÒ µLµàcr0m, rnun:i TTpocrEq>Ep6µ17v crL Tta KaÌ. TToTa · crwµa 8È: ETpEJyov add. Thomas, coli. Plat. Prot. 339 E / 6LaTTop-ficrac; post U:LÀT}VÒc; add. Wright (auctore Rei.) / / 32 ElTTEV M / oÙ..a8ov, succedit A2) 35,2 TÒ om. M / / 5 ÈvÉypmjJE ex eypmjJE corr. A2 / / 10 auTOÙ M, velut

Hom. loc. (Il. 9,342) / / 11 trepi 8È om. M / e xwv VA / / 12 apea: Mpa M / / 18 Taç om. VA, def. Hert. / / 23 tràcrL VA / / 26-27 ouK fonv EUÀoyov transp. V, def. Hert. / / 27 à>..oyov M / / 28-29 dtrOOTEpeÌ:v-µaKp6Tepa vix leguntur in ex tremo folio 354v cod. A, guae verba omnia in initio folii 355' rescripsit A2 / /

Traduzione

75

B

35 F u chiaro, quindi, ch e anche questa volta Marco aveva risposto giustamente. Sileno, definitivamente in difficoltà, si aggrappa alle apparenze di una sua illegittima e irrazionale condotta nei confronti della moglie e del figlio, poiché l 'una egli volle iscrivere nel ruolo delle eroine e all'altro affidò l'impero. Rispose: «Anche cosi imitai gli dei. Infatti, se da un lato ho prestato fede a Omero che della C moglie dice che "buono e saggio è colui che ama e protegge la sua",

dal l ' altro, per ciò che riguarda mio figlio, ho una dichiarazione proprio di Zeus. Infatti, rimproverando Ares, dice "Da molto tempo ti avrei colpito con il fulmine, se non ti amassi perché mi sei figlio";

inoltre io non pensavo neppure che mio figlio sarebbe diventato cosi malvagio. Ma se la giovinezza, che magnifica le inclinazioni verso l'uno o l'altro comportamento, s'inclinò D a peggior via, non per questo io affidai il regno a un malvagio: soltanto avvenne che colui, che lo prese, diventò malvagio. Insomma, per ciò che riguarda mia moglie, io ho agito imi tando i l divino Achille, mentre, per ciò che riguarda mio figlio, ho im itato il sommo Zeus, senza produrre innovazioni di alcuna sorta. Del resto, è costume trasmettere ai figli la successione e tutti se lo augurano; quanto alla moglie, io non sono stato il primo a tributarle gli onori, poiché di molti altri ho seguito l'esempio. Forse, (335) in verità, avere preso per primo l'iniziativa di queste cose non è cosa ragionevole, ma privare i propri familiari di ciò che è consuetudine comune sarebbe quasi un'ingiustizia.

76

Testo

ȵauTÒV Èyw µaKpOTEpa ÙTTOÀoyouµEvoç TTpÒç EL80Taç uµàç, Cil ZEÙ Kal 0EOL · 8L6TTEP µOL T�ç TTpOTTETELaç TUUTTJO"L auyyvwµovEç yÉVOLa0E ».

30

B 5

ii

10

TE KÒµf1 TÒ TE fl6oc;,

àTàp vùv rnl ,; yvwµri aou KaTT]yopEL ». otìv o LELÀT)VÒC:- TTLKpOTEp6v TTWC:- Kaaft(j;aTO. C

5

10

36 TTauaaµÉvou 8È Kal ToÙ8E ToÙ Myou, TÒv KwvaTaVTt.vov o 'Epµ�ç �pno· « LÙ 8È TL KaÀÒv EvoµLaac;; » « TToÀÀci » ELTTE « _KTTJcrciµE�ov, TTo}0-à xap(aaa0m Tat.ç TE Èm0uµ(mç Tmc; ÉauTou Kal Tmç Twv cp[ÀWv UTToupyoùvrn». 'Avarnyxcicraç otìv o LELÀTJVÒC:­ µÉya· « 'AÀÀ' � TpaTTE(LTTJC:- dvm » EoÌ.v 8È: àTTpÌ.ç c'LXETO TOÙ �LÒC KUÌ. Kp6vou McipKOC. TIÀ.avwµEVOV 8È: TTOÀ.À.à KaÌ. µÉyaç "Ap17ç TTEpLTPÉXOVTa TÒV Ka(crapa KUTEÀ.Etjcraç -fj T E ' Apo8( T17 TTap' ÉaUTOÙç È: KaÀ.rnciT17V 0 Tpa·c avòç 8È: (336) TTapà TÒv 'AÀ.Éçav8pov E0n wç È:Kdvep cruyrn0c8ouµcvoç.

o

38

5

B 10

15

'O 8È: KwvarnvTÌ.voç, oux EUpLcrKwv Èv 0rnÌ.ç ToÙ �(ou TÒ àpxÉTuTTov, È:yyu0cv nìv Tpu,ìv Kan8wv E8paµE TT p Ò ç a ù Ttj v · Ti 8È u TT o À.a � o ù cr a µ a À. a K w ç K a L TTEpL�aÀ.oÙcra TOLC �XE"GL TTÉTTÀ.OLC TE" auTÒV TTOLKLÀ.OLC à cr Ktj cracra Kat Ka À.À.wTT ( cra cr a , TTpò ç TTJ V ' A awT ( a v à�yayEv, '(va rnì. TÒv ' l 17croùv cupwv àvacrTpc6µcvov KaÌ. TTpoayopEUOVTa TTàcrLv · « "Ocrnç 0opcuc, ocrnç µLm6voç, OOTLC È:vay,ìç KaÌ. �8cÀ.up6c, hw 0appwv· àTToq>avw yàp UUTOV TOUT½) L T� u 8 a T L À.ou cr a ç a Ù T L K U rn0ap6 v , Kàv mi À.L v E voxoc ToÌ. ç aÙToÌ. ç yÉ v17TaL , 8wcrw TÒ crni0oç TTÀ.tjçavn KaÌ. nìv KEq>aÀ.,Ìv TTaTciçavn Ka0ap4Ì ycvfo0m », mp68pa cfoµcvoç Evnuxcv auT4Ì, GUVE"çayaywv T� ç TWV 0cwv à yopà ç TOÙ C TTaÌ. 8aç . 'ETTÉTpL�ov 8È: auT6v TE KàKdvouç oux �TTov nic à0c6T17Toç oi. TTaÀ.aµvaÌ.OL 8a(µovcc, ai.µciTwv cruyycvwv Zcùc 8Là TÒV KÀ.au8Lov KaÌ. nvvuµcVOL 8(rnç, EWC

o

MA2 (V2U redeunt 38,14 ÈTTÉTpL�ov) 37,11 Ka·L ante è'an add. A2 / / 14 TÈ ante ò µéyaç add. A2 / / 15 2 EOUT�ç A / / 38,4 TTEpLÀcl�oùcra A2 / / 5 Ka>J.wmcra M / / 6 ÈTTT]yayEv M / lv A2: id est ' l rpow con. Heus. (acceperunt Cob. atque edd. plerique), i.fu, Cant., Spanh. / / 612 '(va-yEvÉcr8m om. M / / 12 ò 8È ante crcj>68pa add. M / aimj M / / 14 ETTÉTpL�v : hinc redeunt V2 U / TE om. A2 / TE K-.da (egli rifiuta persino porpora e diadema: cfr. Greg.Naz. Or. 5,20). Ved. in proposito CRISCUOL0 1 1 987, p.48 n. 1 2.

4,17

4,18

288-289.

TTQVT08mroù

ei,ptou: si sente l'eco di Aristoph. Ra.

ZT)VWVL: Zenone è definito in C. Cyn. 202D awpovfornTOç KaÌ. auvETWTaToç: ved. in proposito MtCALELLA in P�Arn-MtCALELLA 1 988, p.94 ad 20,3s. E', come dice Temistio nell'orazione Il principe è i il vero flosofo, scritta nell'autunno del 355 per Costanzo, il fondatore della Stoà (4,260). Qui l'anacronistico affidamento di Augusto alle cure di Zenone serve, come osserva RosTAGNI 1 920, p. 1 86 n. l , a significare che fu proprio attraverso l'insegnamento di Atenodoro (ved. comm. ad 27, 1 9-2 1 ) e di Areio (ved. comm. ad 27,22) che si operò in lui un miglioramento. L' imperatore stesso dirà piu avanti (27, 1 8) che si è sem­ pre mostrato docile all'insegnamento della filosofia, confermando cosi in maniera esplicita il suo legame con Zenone. Come scrive infatti Giu­ liano nell'orazione Per la partenza di Salustio, il filosofo Zenone, adat­ tando un verso di Esiodo (Op. 293), andava dicendo che "il piu saggio è colui che cede ai buoni consigli" (245A). Cfr. anche Them. Orr. 1 3, 1 7 1 D; 8, 1 08C; 9, 1 29B-C.

4,20

ÈTTqaaç ... : l'incanto operato dalla filosofia attraverso il semplice strumento della parola trova in Socrate il migliore aÙÀT)TT)ç, in quanto, avEu òpycivwv, !pLÀoÌ.ç Mymç, egli è cosi capace di ammalia­ re, che tutti quelli che lo ascoltano rimangono ÈKTTETTÀT)yµÉvm (Plat. Symp. 2 1 5c-d).

4,23

0puÀÀ.oÙVTEç: accogliamo la lezione del Vossianus e del Marcianus: la forma geminata (-ÀÀ-), piuttosto comune nel greco tardo,

4,24

1 00

Commento

è concordemente tramandata in piu passi dell'opera giulianea (cfr. l O B 3 = Ad Const. 7,43 BmEz; 1 1 A 1 = Ad Const. 8,4 BmEz; 33 B 4 = Ad Const. 26,40 BmEz; 92 B 6 = Regal. 32, 16 BIDEZ; 25 1 D 2 = Ad Sali. 8, 1 BIDEZ; 286 C 4 = Ad Ath. 1 2,24 BIDEZ; 220A = C. Her. 1 5, 1 RoCHEFORT; 226B = C.Her. 20,2 1 RocHEFORT; 1 86 C 2 = C. Cyn. 7 ,8 PRATO-MICALELLA; 1 97 D 5 = C. Cyn. 1 6,2 PRATO-MICALELLA; 1 68 0 4 = Ad Matr. d. 9, 1 5 UGENTI; Epist. 80,7 1 B10Ez). Ved. anche, per il raddop­ piamento delle nasali, commento ad 8, 1 5 .

4,24-25 Zaµ6ÀçL8oç: Zamolsi (o Zalmossi, ma Giuliano sembra preferire, come Luciano - cfr. Scytha l ; 4; Ver. Hist. 2, 1 7; Iupp. Trag. 42 -, la prima forma) è una divinità dei Traci, che - ci racconta Erodoto, pur esternando qualche dubbio sulla veridicità della storia (4,94-96) prima di diventare dio, era uno schiavo di Pitagora a Samo. Zalmossi riesce a diffondere una sua propria dottrina di un'esistenza ultraterrena ricorrendo ad un trucco non molto diverso da quello di Pitagora: si finge morto, si nasconde per tre anni in una stanza sotterranea e poi ricompare, dando a vedere di essere resuscitato. Ecco perché, avendo fiducia nel ritorno dall'al di là, quelli che credono in lui vanno incontro alla morte come se si stessero preparando per un viaggio (cfr. 28,2 l ss.). In realtà, Zalmossi riesce ad estendere la sua influenza fino a diventare consiglie­ re del re dei Geti (cfr. Strabo 7,3,5; Iambl. Vita Pyth. 30, 1 73). E ' consi­ derato discepolo di Pitagora perché usa, come il suo presunto maestro, la melodia per curare le affezioni: cfr. Iambl. Vita Pyth. 1 5,64, dove è detto che Pitagora guariva 8Là Twv TTpOOTJKOVTwv µEÀWV wç faci nvwv crwTT]p(wv cruyKEKpaµÉvwv apµciKwv. Sulla figura complessa di Zalmossi e sui suoi legami con il pensiero pitagorico, cfr. anche Orig. C. Cels. 3,34; Porph. Vita Pyth. 14; Iambl. Vita Pyth. 30, 1 73 ; Suda s. v. Zci>-.µoçu'.; . Ved. comunque JEDRKIEWICZ 1 989, pp. 1 52- 1 56. Le notizie relative a Zalmossi, riprodotte nei Cesari, vengono a Giuliano dal passo ( l 56d- 1 57b) delCarmide di Platone, dove Socrate dichiara di avere ap­ preso da uno dei medici traci, seguaci di Zalmossi, che non bisogna curare distintamente anima e corpo: il mal di testa si cura insieme con cipµaKa ed Ém�8a(. Nell' Orazione per la partenza di Salustio (244A) Giuliano mostra di conoscere perfettamente il brano platonico. 4,25 lµpova Ka·L crwpova: gli insegnamenti di Zenone fanno apparire il suo allievo (0pɵµa : cfr. Plat. Leg. 6,777b5), Ottaviano, lµpova Ka·L crwpova: tale è la forza della persuasione filosofica da trasformare un 'essere camaleontico' in tutt'altra persona (quando sarà il suo turno nella gara, Ottaviano dichiarerà di essersi sempre avvalso del consiglio della filosofia e di non aver niente da rimproverarsi a tal

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riguardo: 27, 1 8-24). Anche Socrate, con le sue parole, è capace d i susci­ tare in chi lo ascolta un profondo sentimento di vergogna e la ripulsa per i propri comportamenti errati (Plat. Symp. 2 1 6a). E' l'unico uomo al mondo capace "di costringermi a riconoscere che, pieno di difetti (Èv8ET)C) come sono, non soltanto trascuro (àµEl,.w) me stesso, ma pre­ tendo anche di occuparmi degli affari degli Ateniesi": è Alcibiade che parla (ibidem ), ma queste sue parole hanno un timbro di cosi leale con­ fessione che Giuliano d i fficilmente si può essere sottratto all'immedesimazione nel personaggio. Il dichiararsi Èv8ET)C è infatti già segno di avere iniziato un percorso di sapienza: chi è àµa0fiç non cerca filosofia e saggezza. E' proprio questo il male dell'ignoranza - dice Socrate-Diotima - che chi non è bello nell'anima, né àya06ç, né oµEvoç); 23,2-3 (ii 8' ETT.L ToÙc; BpnrnvoÙç OTpaTEi.a �v µÈv ToÀµav étxcv òvoµaaT17v· TTpwToç yàp Ek TÒV ÉOTTÉpLOV ' 0Krnvòv ETTÉ�ll OTOÀ4)) e Caes. Beli. Gal/. 4,25. Altre denominazioni dell'Oceano Atlantico nell'opera giulianea in Misop. 7,34 1 A; Ad Const. 6,568; Ad Ath. 7,279A. 21,8 0auµaoT6v: cosi, con enfasi, definisce la sua impresa Cesare; in maniera molto piu contenuta, Giuliano, descrivendo la sua azione militare di far penetrare una flotta di seicento navi nel Re!)O - con i bar­ bari che abitavano vicino e premevano minacciosi -, parla di Epyov où µLKp6v (Ad Ath. 280A; cfr. inoltre Ad Const. 1 4, 1 9A rnt.ç KaÀÀi.oTmç Eç 'l017ç 0auµaoTT)). L'affermazione relativa alla propria impresa non può esere presentata da Cesare se non in maniera positiva (respingiamo infatti l'integrazione où proposta da Hertlein): il suo discorso è costruito in modo da fare avanzare l'uditorio, grado per grado, attraverso le mera­ viglie di ciò che ha saputo fare. L'evento che egli presenta è uno, ma diversificato negli aspetti, dall'unitario al particolare (impresa di per sé meravigliosa, da ammirare particolarmente l'ardire), fino al TÒ µct.(ov, che visualizza l'atto concreto dello sbarco, in una successione che rispecchia i moduli espressivi dei periodi costruiti con Kai. TOL (ved. SARDIELLO 1 990, pp. 1 37-1 38).

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21 ,8-9 KULTOL èiçLov 0auµciam: cfr. C. Galil. 1 06B = frg. 20 MASARACCHIA KUL TOL TOlJTO 0auµciam èiçLOV ... ÒTTo��vm ... TTpwTov: �i i commentatori sottolineano 21,10 che non risulta sia stato Cesare ad à1ro�11vm per primo dalla nave: infat­ ti nel suo De Bello Gallico (4,25) è il porta insegna della decima legione a compiere l'impresa (ved. anche LACOMBRADE 1 964, p.5 1 , n.4). Tutta­ via NESSELRATH 1 992, p.36 1 , giustamente suggerisce che a Giuliano quel1 'immagine possa essere stata suggerita dalla lettura di Dio Cass. 39,5 1 , 1 (o KaLaap . . . ÈTTE8uµ11ac 8w��vm) e 39,5 1,2 (k Tà Tcvciy11 ÒTTo�atvovn). E' vero, però, che Cesare è stato 1rpwToç, per esempio, ad attraversare il Reno (Dio Cass. 39,50, l ; Suet. Caes. 25). Infatti egli desiderava ardentemente compiere qualche impresa mai compiuta pri­ ma (Dio Cass. 39,48,4). Che lo sbarcare per primo sia veramente un atto di coraggio è provato, per esempio, dall'episodio di Protesilao, il quale trovò la morte sbarcando ... LKTJTTLWOL ...: gli stessi personaggi, esponenti delle piu rinomate gentes dcli ' età repubblicana, sono indicati come esemplari per un confronto di àpn17 in Plut. Caes. 1 5,3. Nei confronti di Mario, poi, Giuliano nutriva vera ammirazione (cfr. C. Galil. frg. 44 MASARACCHIA). 24,17-23 ovroc yàp br' ÒÀÀOTpLOLC Epymç ... ov&v ... 0auµaoT6v: il testo, secondo la lezione oUTOC yàp ÈTT ' , che nel Vossianus non è perfettamente leggibile, mentre è indubbia nel Parisinus, sua copia, ci offre la chiave per interpretare un passo altrimenti involuto e contorto nell'esposizione. L'accusa, esplicitamente rivolta contro Pompeo, che è designato con scherno oUToç, ricalca in sostanza il giudizio di Plutarco (Pomp. 3 1 ,6-7: àµuv6µEvoç 8È ò Afl.JKOAÀOC d8w¼i KaÌ. OKLQ. TTOÀ.ɵou TÒv TloµmìLov Ecp"fl µaxouµEvov �a8t(nv, El0LoµÉvov à'AJ...oTpLOLC VEKpOLC, WOTTEp opVLV àpy6v, ÈTTLKaTalpELv KaÌ. ÀE"Ltµava TTOÀ.ɵwv aTTapciaanv. ouTw yàp ainòv ÈmypcitJ;m LEpTwpt 4,> , Arnt84,>, TOLC LTmprnKdoLc, Tà µÈv Kpciooou, Tà 8È MnÉAÀou, Tà 8È KaTÀ.ou KaTwp0wK6Toc. o0Ev ou 0auµci(nv d Twv ' ApµEVLaKWV KaÌ. TloVTLKwv TTOÀ.ɵwv lJTTO�CIAÀETal TTJV 86çav, èiv0pwTTOC ÉaUTÒV dç 8paTTETLKÒV 0ptaµ�ov ci.µwç yÉ TTWC ȵ�aÀ.ELV µ11xaVJloaµEvoc), riprendendone perfino alcuni aspetti formali nella successione del pensiero (à'AJ...oTptmç . . . , WOTTEp . . . ouTw . . . où 0auµci(nv El . . . ). Per il giudizio negativo insito nell' immagine di uno che si fa bello delle fatiche altrui e per l'uso in tal senso caratteristico del verbo Èmypcicpnv, cfr., oltre al già citato lui. Ad Them. 267 B, anche Dem. /11 Neaet'. 43,5; Aci. Nat. An. 8,2,6s. 24,18 8aTTav17µaow: la lezione tramandata dai codici è corretta da Russo 1 963 in 8aTTav11pa'ic, in considerazione del fatto che sarebbe­ ro poco giustificati, dopo olKo8oµtmc Ka·L 8aTTaV17µaoLV, i successivi femminili (in proposito ved. anche BouLENGER 1 1 922, p.35). Invero Ka.L

1 44

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òaTTaVT)µaoLV ha una funzione direi accessoria, come un qualcosa detto solo tra parentesi e quindi, in un certo qual modo, indipendente da lega­ mi sintattici di concordanza: sembrerebbe quasi una glossa, aggiunta dapprima a margine e poi penetrata nel testo. La compresenza (a non piu di un rigo di distanza) di olKoòoµL . . . e di òa,ravriµa . . . , oltre che nel passo giulianeo, sembra attestata soltanto in Teodoreto, scrittore cristia­ no della prima metà del quinto secolo, che riproduce invariato il sintagma Tà nic:; olKoòoµtaç òaTTaVT)µarn in tre luoghi della sua vasta produ­ zione (Hist. ecci. 58,23; /nte,pr. in 12 proph. min. = PG LXXXI p . 1 86 1 ,33 e p. 1 872,5 1 ). 24,21 ÈTTEypcicjrri: riteniamo che, data la lontananza del soggetto otJToç, l ' ÈTTEypcicjrr1oav dei codici possa essere stato determinato dal vicino plurale àpxrnfKTOVEt;, in opposizione al singolare ÈTTqpci..tmç àywcrLV : per le guerre civili, cui si trovò coinvolto Ottaviano, cfr. Suet. Aug. 9. 27,18ss. cpLÀocrocptçi. XELpofi0rj: ved. comm. ad 4,20. L'affermazione di Augusto che ha sempre prestato orecchio, mostrandosi docile, ai consigli della filosofia può bene essere sottoscritta da Giuliano, anche se egli non sembra condividere appieno il pensiero di Zenone, "è il piu saggio chi cede ai buoni consigli", soprattutto quando se ne dia una intepretazione limitata ai rapporti umani: preferisce invece il detto di Pitagora KOLvà Tà cpt>..wv, intendendo TllV Toù voù Ka·L Tijç cppovficrrnç KOLvwvtav (245A-B). ' A0rivo8wpou: Atenodoro di Tarso, filosofo stoico, è ricor27,19-21 dato da Dione Cassio (52,36,4) come persona che, per la sua rettitudine, non approfittava della situazione di prestigio come consigliere di Ottaviano Augusto, anzi si permetteva di fargli notare le cose che non andavano bene (56,43 ,2). Quest'ultima testimonianza, insieme con Plut.Apoph. reg. 207C, può avere suggerito a Giuliano l'idea della TT a p p TJ O L a di Atenodoro. Ma - sottolinea con molta sensibilità BouFFARTIGUE 1 992, p. 94 - è stata certamente l'esperienza personale con Mardonio, sua guida e 'padre' spirituale, a fornirgli l' immagine di Atenodoro Ka0ciTTEp TTm8aywyòv -fì TTaTÉpa piu che semplice mae­ stro. 27,22 "ApELoç è Ar(e)io Didimo di Alessandria, un filosofo eclettico con tendenze stoiche: di lui restano alcuni estratti, conservati da Stobeo, delle sue opere dossografiche sull'etica stoica e peripatetica e alcuni frammenti della Consolatio ad Liviam . E' citato da Giuliano an­ che nell'Epistola 1 1 1 (434A) agli Alessandrini - dove lo definisce cj>LMcrocpoç e cruµ�LwT-fiç di Augusto - e nell'Epistola a Temistio (265C) - dove ne ricorda il rifiuto di amministrare l'Egitto, che pure gli era stato offerto. Molte le fonti che parlano di Ar(e)io (ved. CALTABIA:--!O 1 99 1 , p.272s. n. 1 5 ; BouFFARTIGUE I 992, pp.92-93); ma cfr. in particolare Dio Cass. 52,36,4 - dove c'è il riferimento congiunto ad Ar(e)io e Atenodoro, come uomini e filosofi egregi, degni ambedue di rivestire il loro ruolo accanto al principe - e Plut. Apoph. reg. 207B. Nel passo plutarcheo,

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pochissimi righi dopo (207C), in riferimento a Mecenate è usato il ter­ mine auµ�LwTT]ç con il valore specifico di 'confidente' , lo stesso con il quale Giuliano, nei Cesari e nell'Epistola 1 1 1 , connota Ar(e)io. Su poco piu di una ventina di testimonianze (anche successive a Giuliano), l'uso tecnico del termine appare molto limitato: non è improbabile per­ tanto ipotizzare una suggestione plutarchea nel nostro Autore, che tra­ sfigura, nel riconoscimento ufficiale (�v àc/.>1:wpa: quella di Costantino è una tipica manifestazione d'amore. Cfr. Luc. Dia!. deor. 6,2: àc/.>1:wpa k ÉµÉ · TaÙTa . . . auv(nv ÉpwTLKà ovrn. Cfr. pure Bis ace. 29. 30,10-11 Tpuc/.>�v . . . , Tà TTp60upa ...: Mollezza non è una vera divinità, ma soltanto una personificazione, perciò non può accedere al banchetto, ma è fenna vicino al vestibolo di Selene (cfr. anche Luc. Phars. 9,6ss. per la funzione di limite attribuita al cielo della luna). Per ciò che attiene al giudizio morale di Giuliano su Tpuc/.>17 - giudizio for­ matosi anche attraverso la meditazione di passi come quello in Iambl. Vita Pyth. 30, 1 7 1 - cfr. Ad Const. 1 5C-D e ved. SARDIELLO 1 993, p. 1 4 1 n.6. 30,15 TOÙ MaKE86voç: il confronto tra Costantino e Alessandro doveva essere uno dei temi preferiti della propaganda costantiniana: cfr. Panegyr. Lat. 9,5 , 1 -3 ; Eus. Vita Const. 1 ,7-8. Vcd., per il confronto tra molti Romani e il solo Alessandro, comm. ad 1 6, l 8ss. e Introduzione (con n.9). 30,16-17 20, 1 6 .

OÙK

' AawvoÌ.,ç . . . : ved. comm. ad

30,19 Ka·L àya0oÌJç: sebbene in 8, 1 O abbia accolto giustamente la lezione Ka·L àya0oÌJç tramandata da tutti i codici (ad eccezione di M che ha Kàya0oÌJç), qui Lacombrade si attiene al testo di Hertlein, che natu­ ralmente preferisce Kàya0oÌJç. Eppure, dal punto di vista filologico, la

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situazione è identica ( Ka·L àya0oÙç VAU, Kàya0oÙç M) e dal contesto non appare alcuna motivazione particolare per una scelta diversa rispet­ to a quella adottata nel caso analogo di 8, 1 O. 30,23ss. xwpav ... àvaKTT)aaa0m ... : abbiamo qui un riferimento alla riconquista della Dacia che sotto Aureliano era in parte caduta in mano ai Goti (cfr. Eutr. 9, 1 5 ; 1 0,7): Traiano l 'aveva conquistata, Costantino la ri-conquista (ved. ZAWADZKI 1 973, pp.65ss.). Giuliano sembra indirettamente alludere al ri-utilizzo di un arco traianeo per l'edi­ ficazione del!' Arco dello stesso Costantino. Ved. in proposito SARDIELL0 1 1 997, p.246, n.9. 30,25 McipKoç . . . aLwTTwv . . .: Costantino dice che Marco, per il suo tacere di sé, si esclude dai premi. Egli dunque intende il silenzio del suo avversario in maniera negativa, secondo lo spirito del proverbio (Man!. Prov. 3,23) che recita TÒ m yàv TT)V ÒÀTJ 0ELav xpua6v ÈaTL 0ciTTTELV, e non secondo lo spirito del detto (Eur.J,-g. 977 2NAUCK e Men. Monost. 3O7 JAEKEL) che dice ii yàp OLWTTT) ToLç aoq,o'iaw àTT6KpLaLç ed è piu rispondente al carattere di Marco. Infatti lo stesso Giuliano poco righi prima (29, 1 2) - sottolinea (o1µm) che Marco è veramente saggio, perché sa distinguere quando bisogna parlare e quando bisogna tacere. Questo comportamento dell'imperatore - che è frainteso nel suo valore intrinseco da Costantino, personaggio invero superficiale e limi­ tato nei suoi ideali - va letto alla luce di quanto scrive Plutarco nel De garrulitate: où8E Lç yàp OUTW Myoç wcpÉÀT]OE pri0àç wç TTOÀÀ0°L aLWTTT]0ÉvTEç. Infatti, come maestri del parlare abbiamo gli uomini, ToÙ 8È aLwTTàv 0rnÙç (5O5F); subito dopo (9,5O6C) è citato il frammento euripideo, nel quale Ino dichiara: aL -yàv 0 ' oTTou 6EL KaÌ. ÀÉ-yELv 'lv ' àacpaÀÉç. 0

' A8wvL8oç KTJTTouç: la raffigurazione delle imprese di 30,27ss. Costantino come 'Giardini di Adone' nasce dall'idea, profondamente radicata in Giuliano (o dovremmo dire, piuttosto, dal suo intimo deside­ rio ?), che le innovazioni introdotte dal suo predecessore avranno vita breve. In tutta la tradizione greca i giardini di Adone esprimono infatti la metafora di ciò che è labile e inconcludente (per le testimonianze paremiografiche, ved. SARDIELL0 1 1 997, p.248, n. 1 6). Il passo giulianeo sembra tuttavia influenzato soprattutto da Plut. Sera num. vind. 56OC 1 ss., come appare da consonanze lessicali (per le quali ved. SARDIELL0 1 1 997, p.249, n. 1 8: segnaliamo qui, per es., l'uso in ambedue i testi del verbo àTToµapatvoµm), che non ritroviamo nelle altre numerose testimonian­ ze (cfr. Plat. Phaed,: 276b; Theophr. Hist. plant. 6,7,3; Causis plant.

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1,12,2; Theocr. ldy. 15,113; Epict. Diss. 4,8,37 ; Flav. Philostr. Vìta Apollon. 7,32; etc.). Tra i testi che associano l'idea di un progetto politi­ co all'immagine caduca di Adone, particolarmente significativo il passo della Lisistrata, dove la moglie di Demostrato, come invasata, intona le lamentazioni di Adone (vv.392ss.), mentre si decide la spedizione di Sicilia, che nel giudizio implicito del poeta appare come un progetto ali' apparenza grandioso, cresciuto in fretta nelle aspettative di molti, ma nella sostanza sprovvisto delle necessarie basi e perciò destinato a falli­ re miseramente. E Plutarco (Nicia 13,10-11, ma cfr. anche Alcib. 18,5), parimenti richiamando l'immagine delle esili piantine di Adone a com­ mento della fulminea distruzione dell'armata ateniese in Sicilia, usa an­ cora una volta, significativamente il verbo µapatvnv. I 'Giardini di Adone' di Costantino sono, nell'intenzione sarcastica di Giuliano, le in­ novazioni da lui introdotte in ambito politico e religioso, soprattutto gli atti legati alla sua presunta conversione al Cristianesimo. Ma la restau­ razione è già cominciata e sta dando i suoi frutti (cfr. Iul. Epist. 79, per la riconversione al paganesimo del vescovo Pegasio): presto si dimostrerà - Giuliano ne è convinto - l'inconsistenza della politica costantiniana. Il destino ha voluto che la storia andasse diversamente dai sogni di Giulia­ no; un presagio c'era stato, che sembrava negativo: all'ingresso di Giu­ liano in Antiochia si celebravano proprio i Giardini di Adone et visum est triste (Amm.Marc. 22,9,1 5). 30,28 ÈauToÙ: la correzione di Hertlein (arnuToÙ) non è necessaria: già in Eschilo, infatti, troviamo testimonianza del pronome riflessi­ vo di terza persona singolare al posto di quello di seconda: cfr. Ag. 1142, 1297 ; in Soph. Oed. Tyr. 138 (aÙTÒc; auToÙ: aÙTÒc; aÙTOÙ A ree.) è utilizzato invece di È"µauToÙ . Per quest'uso, ved. anche ELLENDT 1872, p.1 09, s. v. auToÙ . Ved. inoltre K0HNER-BLASS, I p.572 e BouLENGER1 1922, p. l 77. Per altri esempi, relativi alle forme del plurale, secondo un uso tipico della koiné, cfr. LXX Sirac. 51,25 RAHLFs; Jerem. 4,3 RAHLFS; Regn. 1,1 4,9 e ved. MAYSER 1923, pp.303-304.

Kfprouc;; Ai. yvvaLKEc;: l'integrazione ouç proposta da Toup, 30,29 non appare necessaria, in quanto aggiungere il pronome relativo ouc; (cioè Krprouc;) significherebbe accogliere, in un contesto pagano, l'uti­ lizzo di un sintagma K�rrov (o KTJTTOuc;) ' airri;ç aKOTTEÌ.v). Nell'Epistola agli Ateniesi, riconosce che sarebbe (stato, per lui) vergognoso apparire piu debole (di Costanzo) per mancanza di coraggio o d' intelligenza che per entità di forze (287B). Nell'orazione Alla Madre degli dei, nella preghiera finale, l'idea del necessario connubio tra virtu e buona sorte gli fa chiedere àpETTJV µnà Tiiç àya0rJç TVXTJç. Ved., per il valore di Tuxll nel pensiero di Giuliano (e dei suoi contem­ poranei), Dooos 1 970, pp . 5 s s ; C R1 scu0Lo 1 9 8 3 , p . l 0 5 e n . 7 1 ; ATHANASSIADI-FoWDEN 1 984, pp. 1 04ss.; TANTILLO 1 997, pp.4 1 6s. nt.29 1 ; fRA;\iCO 1 997, p.646.

31,5

Tuxll ... TTÀT]V ' OKTa�Lavoù · TOÙTOV EÙyvwµwva: nell'opuscolo plutarcheo intitolato La fortuna dei Romani, Ottaviano è vi­ sto come colui che aveva ascritto 8T7µLOupyòv . . . É:aUT4J TTJV TvxTJv (Fort. Rom. 7,3 1 9E). Invero, anche Cesare era fermamente convinto di avere un'alleata nella fortuna (ibidem 6,3 1 9B-C).

31,Sss.

TT E p LTTUTTJ T L K W V TTapaKoua µd Twv : come osserva BouFFARTIGUE 1 992,p.56 l , l'espressione "equivoci peripatetici" sem­ brerebbe condannare non soltanto l'allievo, Alessandro, ma anche il maestro, Aristotele, per lo meno per quello della sua filosofia che non si può condividere. Ma, Giuliano dimostra diversamente di conoscere e apprezzare la vera filosofia aristotelica: ved. in proposito Introduzione, n.58 e cfr. Misop. 359, dove egli racconta che già dalla giovinezza ha scelto la via che passa attraverso le opere di Platone e di Aristotele e che non è adatta per chi pone la felicità nel lusso.

31,19

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157

3 1 ,24 8LaÀEKTLKwv KLYKÀ.L8wv: le divisioni della dialettica sono quelle per le quali Alessandro, imbottito di equivoci peripatetici, pone, da una parte, tutto il genere umano e, dall'altra, quello animale. Per la concezione della dialettica come futile esercizio retorico, ingombrante e inutile residuo della filosofia peripatetica da superare mediante il filtro neoplatonico, ved. HADOT 1 980, pp. l 39ss. Cfr. inoltre Them. O,: 2 1 ,247C per la disapprovazione di un insegnamento filosofico limitato a tali as­ surde ed inutili disquisizioni. Quanto, poi, al termine KLYKÀk, esso ricorre in Aristotele solo una volta, in Ath. Poi. 65, 1 ,2 ed è dovuto ad integrazione di Diels. Riteniamo che la battuta ironica di Sileno sulle classificazioni di stampo aristotelico abbia Alessandro Magno solo come bersaglio apparente ed immediato, mentre in realtà essa è diretta contro i cristiani, che si perdono dietro complicate quante inutili distinzioni di categorie al loro interno: l'allusione nascosta si rende manifesta proprio attraverso l'uso del tennine KLYKÀk. Esso, come osserva CR1scu0Lo 1 985, p. 1 1 9, "designa infatti nel linguaggio patristico il recinto nella chiesa, che separa il presbiterio dallo spazio riservato ai fedeli e ai catecumeni; ed è nei 'recinti' delle chiese che Giuliano intendeva ridurre e costringe­ re gli insegnanti cristiani". A nostro parere, dunque, è come se Giuliano volesse dire ai cristiani che, al di là delle loro astruse differenziazioni, il posto che tocca, a loro tutti insieme nel recinto, è dalla parte del genere animale. Del resto, non è forse lo stesso Gregorio che si descrive cosi? "batto ... il suolo con i piedi, alla maniera dei piu focosi dei cavalli, e mordo i freni, spiro furore dalle nari e guardo torvo e mi copro di schiu­ ma, ma resto tuttavia E'law KLYKÀ.Looc;, all'interno del recinto" (Epist. 1 0,3). 3 1 ,27

µcyaX.m/Juxtac;: ved. comm. ad 1 2,2 .

3 1 ,28 0E6c;: la pretesa di voler essere un dio è contestata ad Alessandro da Annibale (cfr. Luc. Dia/. mort. 1 2,2). Plutarco riferisce che Alessandro si comportava con i barbari con superbia (ao�ap6c;), come se fosse veramente persuaso della sua nascita e origine divina (Alex. 28, 1 ). yEvotµ11v . . . E'l11v . . . È:rrrndaµ11v: cfr. Misop. 353 C 3, dove, seppure in un costrutto diverso, troviamo la formulazione di un pensiero che contempla parimenti l'uso, in sequenza, dei verbi TTEt0w, yt yvoµm, dµt . A proposito del fatto che 'diventare' ed 'essere' non possano asso­ lutamente essere la stessa cosa, cfr. Plat. Prof. 340b, dove vien chiesto a

1 58

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Prodico: TaÙTov aoL 8oKEL ELvm TÒ yEvÉ:a0m Km TO dvm, fi a.ÀÀo; TJTTTJ0Jiç arnuToÙ TTOÀÀO.KLç: Sileno perfidamente ricorda ad Alessandro che spesso non è riuscito a dominarsi, proprio lui che riteneva wç EOLKE TOÙ VLKÙV ToÙç TTOÀ.Eµi.ouç TÒ KpaTELV ÉauToÙ �aaLÀ.LKWTEpov (Plut. Alex. 2 1 , 7).

3 1 ,29

ÉauToÙ ... KpaTELV ...: nel Misopogon Giuliano dice che il suo maestro Mardonio gli ha insegnato che emulando Platone e Socrate, Aristotele e Teofrasto, sarebbe diventato, non migliore degli altri uomi­ ni (la gara non era con loro), ma migliore di se stesso (353C; cfr. anche, per la formulazione dello stesso ideale educativo, C.Ha 235B).

31,31-33

aù ... !/Juxoppaywv . . . tvi.rnç: mentre Alessandro intende caparbiamente dimostrare di non dovere niente a nessuno, neppure a chi lo aiutò quando era ferito, Alcibiade invece riconosce che, quando rima­ se ferito, anche allora fu Socrate e nessun altro a salvarlo (Plat. Symp. 220e).

3 1,37ss.

TTOÀ.EWç: è la città dei Mallii, i piu bellicosi degli Indi (Plut. Alex. 63 ,2). Alessandro corse veramente il pericolo di morire: cfr. Curt. Ruf. 9,5 ("moribundo similis", rischiò persino di ricevere l'estremo ol­ traggio della spoliazione, quasi fosse già un cadavere); Plut. Alex. 63,5ss.; Arr. 6,9; Luc. Dia!. mort. 14,5.

31,38

T)TTwv �aea ... Èvi.rnç : cfr. C. Galil. 2 1 8B = frg. 5 1 MASARACCHIA: "Si potrà mai credere che il vincere in guerra sia peggio dell' essere vinto? Chi è cosi stupido ? Se questo è vero, indicatemi ... un generale paragonabile ad Alessandro, uno a Cesare".

31,39ss.

ò À.L yo8pa vÉ wv: che il termine sia signi ficamente un omerismo (Il. 1 5,246) è esplicitato dallo stesso Giuliano attraverso le parole "come l'omerico Ettore". Come osserva BouFFARTIGUE 1 992, p. 1 45, il ricorso a citazioni rappresentate da una sola parola è, infatti, sempre rinforzato da segnali che denunciano l'eterogeneità del termine rispetto al contesto.

31,42

o'(µOL rn0 ' ...: abbiamo qui una citazione da Eur. Andr. 693-694, con piccole variazioni ( ' EÀÀ.a.8a e Tp6TTmov) rispetto al testo tramandato dai codici euripidei: ved. in proposito le osservazioni di Gumo 1 988, p.5 1 . Per ' EÀÀ.a.8a, ved. anche comm. ad 29, 12. L'episodio della recita, da paite di Clito, del passo dell'Andromaca è presente anche in

31,47-48

Commento

1 59

Plutarco (Alex. 5 1 ,8): i codici riportano solo il v.693 . Ved. in proposito A YMARD 1 949, pp.46ss. Sottolinea BoUFFARTIGUE 1 992, p.2 1 9, che, seb­ bene siano i versi successivi dell'Andromaca (695-696) ad esprimere l'idea che i capi usurpano la gloria conquistata dai loro uomini, dobbia­ mo ritenere, considerata la doppia testimonianza di Giuliano e di Plutarco, che "!es deux premiers vers avaient acquis depuis longtemps la capacité de porter à eux seuls la signification des vers suivants". Nella testimo­ nianza di Curzio Rufo (4,8,8-9), Clito non cita i versi euripidei davanti ad Alessandro: li declama in disparte, parlando con gli altri invitanti, in modo che il Macedone non possa distinguere le parole ma intendere il tono con cui sono state dette. Sulle diverse testimonianze dell'episodio, oltre ad AYMARD 1 949, ved. BALDWIN 1 978, p.455.

31,51 KÀEL TOV : abbiamo già visto nell'Introduzione che Plutarco afferma chiaramente che l 'uccisione di Clito fu compiuta da Alessandro in preda ai fumi del vino (TÒ TTEp.L KÀELTOV Epyov Èv o'lvep yEv6µEvov, Alex. 1 3 ,4). Le circostanze dell'episodio sono invero raccontate nella stessa maniera anche da Arriano ( 4,8, 1 -4,9,9), da Curzio Rufo (8, 1 , 1 98,2, l 3), da Giustino ( 1 2,6, 1 - 1 8), laddove Cicerone (Tusc. 4,37,79) e Seneca (Ira 5 , 1 7, 1 ) parlano soltanto di furia iraconda. Nei Dialoghi degli dei di Luciano si sottolinea che non è il vino in sé, ma l'eccesso, a portare ad episodi come quello di Icario che fu colpito dai suoi stessi compagni (1 8,2). Comunque in Dia!. mort. 14,3, Filippo rinfaccia ad Alessandro di aver ucciso Clito, perché quello aveva osato esaltare le imprese dello stesso Filippo a raffronto di quelle di Alessandro (ed il Macedone si adirava soprattutto quando sentiva parlar male di sé: cfr. Plut. Alex. 42,4). Questa stessa motivazione sembra accolta da Plutarco (in contrasto con quanto scrive in Alex. 1 3 ,4), quando dice che non fu tanto per effetto del vino che Alessandro si infuriò contro Clito, quanto per il fatto che gli sembrava di essere stato intenzionalmente umiliato da lui davanti a tante persone (Adul. 32,7 1 C). 31,53 8aKpuwv : dopo l 'uccisione di Clito, Alessandro trascorre tutta la notte in lacrime (Plut. Alex. 52, 1). 32,3-4 TTPWTEUELV . . . µ�TE . . . 8EUTEpov: cfr. Plut. Apoph. reg. 2O6B. Cfr. pure Lucan. Phars. 1 24s. : "impatiens . . . locifòrtuna secundi ... ". Ved. anche comm. ad 2O,2s. 32,4 µ�TE : laddove il precedente µT]0Ev6ç è giustamente conservato da Lacombrade, il successivo µ�TE , pur tramandato concordia codicum, è dallo studioso francese corretto in µT]8È' (come in Hertlein).

1 60

32,8

Commento

TTpu'.mp: ved. comm. ad 4,3 ; 20,2s.; 32,3-4.

32,13 àyaTTTJaiivm : in verità Cesare si attirò il consenso del popolo con banchetti e spettacoli e distribuendo grandi donativi ai soldati (Plut. Caes. 55,4). 32,15 waTTEp Èv 8pciµan Ka·L ITKTJvi:i : anche sulla scena del banchetto, Cesare è entrato in atteggiamento teatrale (ved. comm. ad 4,2). Cfr. Plut. Caes. 4,8 a proposito della capacità mimetica di Cesare nel nascondere i suoi reali intendimenti e mostrare invece un atteggia­ mento ilare ed affabile. 32,20 8Là TÒ àpyupLOv: cfr. Plut. Caes. 68, 1:' Pwµatwv ÉKO.ITT(p 86aLç àçL6Àoyoç. Cfr. pure Plut. Brut. 20. 32,22 ouToL : è conservato anche da CoBET 1 860, p.267 e da WRIGHT 1 9 1 3 . Per altre testimonianze in Giuliano, cfr. Epistt. 30, 1 2; 82,72 (445 A 1 1 ); 1 1 1 ,29 (433 D 2). 33,9-11 0uya TpL8où v: Ottaviano chiede agli dei per il suo 0uyaTpL8oùv l'audacia (ToÀµav) di Cesare, la scaltrezza (8nv6TTJTO) di Pompeo, la sua propria fortuna (Tuxriv). Una simile preghiera troviamo in Plutarco: in Fort. Rom. 7,3 l 9E Ottaviano Augusto chiede per il nipo­ te il coraggio (àv8pdav) di Scipione, la benevolenza (1:uvmav) di Pom­ peo, la sua stessa fortuna. Le virtu indicate non sono le stesse del testo giulianeo, ma colpisce l'identità della struttura logica e sintattica (al di là delle necessarie variazioni per il passaggio dalla terza alla prima per­ sona), persino nella posizione delle particelle: ÈKTTɵTTwv TÒv 0uyaTpL8oÙV . . . riuçaTo ToÌ.ç 0rnÌ.ç àv8pdav µÈ:v aùTc:;i 8oùvm TTJV LKLTTLwvoc;, 1:vvowv 8È: TTJV IloµTTT]tou, Tuxriv 8È: TTJV auToÙ. Invece, in Plut. Apoph. reg. 207E le virtu richieste sono, in ordine, 1:uvow, ToÀµa, TUXTJ, diventate in Apoph. Lac. 2 1 3C Euvow, ToÀµa, Àoywµ6c;. 33,13 KopoTTM0oç : questo ovoµa yEÀ.oÌ.ov che Sileno affibbia a Costantino è presente anche in Plat. Theaet. 147A ad indicare l' artigia­ no che con l 'argilla fabbrica bamboline. Il confronto con il passo plato­ nico è interessante perché esprime l' idea che è ridicolo (yEÀota èipa T) àTT6KpLGLc;, 147 B), a chi chieda cos'è l'argilla, rispondere parlando tout court di KopoTTÀa0wv, senza ulteriore spiegazione: a chi non ha cono­ scenza (147 B), bisogna rispondere in maniera coerente e spiegare con chiarezza. Ecco allora che Sileno si vede costretto a spiegare in maniera esplicita ad Ottaviano, che non riesce ad andare, per la sua superficiali-

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tà, oltre l 'apparenza delle parole, i l significato nascosto cui alludeva il termine usato. L' immagine giulianea si colora di ulteriore valenza per la testimonianza di Luciano: in Lexiph. 22 le bamboline modellate dai figurinai, ali' apparenza bellissime, perché colorate di smalto rosso e azzurro, in realtà risultano essere molto fragili (e:u0pvrTToç) proprio per­ ché fatte d'argilla. Allo stesso modo, dunque, non hanno alcuna consi­ stenza i simulacri dei nuovi dei (detti perciò con ironia veramente salva­ tori ). Tutta la tradizione letteraria conferma questa nozione di instabili­ tà insita in queste figurine; cfr. ad es., oltre a Suda s. v. Kop01rM00L (p.2 1 00 ADLER: ol KUTaCTKEUCl(OVTEç e:'C8wÀa �paxfo È:K 1T17ÀOÙ TTClVTWV (wwv, ok È:çarraTàcr0m Tà rrm8cipw e:'Cw0e:v, ouToç KoporrM0oç KaÀELTm), anche Isocr. Antid. 2,5; Plot. Enn. 3,8,2,7, e Dio Chrys. Or. 60,9,4. A proposito di Diane Crisostomo, dobbiamo dire che dal suo stile e dalla sua lingua molto ha sicuramente mutuato Giuliano (ved. in proposito PRACHTER 1 892, pp.42ss.; AsMUS I 895 ; BRAMBS 1 899, pp.3 1 3 2 ; fRANço1s 1 9 1 5, pp.42 1 ss.). Giuliano stesso, nel Contra Heraclium (2 1 2C), cita Diane come fonte autorevole a cui prestare credito: e que­ sto, considerato il periodo letterario a cui appartiene Diane, è sicura­ mente un segno eccezionale di omaggio (ved. BouFFARTIGUE 1 992, p. 1 O 1 ). 34,5 0uµoù: Alessandro, dato il suo carattere impetuoso e passionale (Plut. Alex. 4,7), si lasciava vincere 0uµ0 µàÀÀ.ov -fì ÀoyLcrµ41. 34,6s.

alcrxpàç l]8ovi;ç ...: ved. comm. ad 8, 14s.

34,9 où0Èv ÀÉyELv: come osserva giustamente THOMAS 1 922, p. 1 7, l'espressione ha qui il valore di "nugari, ineptire, et par extension nullius momenti esse ". Invero Sileno, con le sue fulminanti battutine sarcastiche, provoca, in un certo senso, quasi uno choc nei candidati che, invece di presentare sé e le proprie azioni in maniera positivamente articolata, sono cosi portati a dire cose di nessun conto, le l)rime che vengono in mente. D'uso molto frequente nella commedia, où0e:v ÀÉyELv vale 'dire quisquilie, bazzecole' : cfr. ad esempio, Aristoph. Ves. 75; Equ. 334; Aves 66; Thesm. 625 . Poiché, d'altra parte, l'espressione imÉp nvoç ÀÉyE Lv connota invece l' idea di parlare per dire la verità a proposito di qualcuno (cfr. Soph. El. 554s. ; Xenoph. Hell. 1 ,7,1 6), ri­ sulta chiara l'ironia della situazione: quasi tutti i principi in gara, pur aspirando a presentarsi in bella luce, hanno finito con l'offrire, a causa dell' intervento di Sileno (che rappresenta lo stesso Giuliano), una ben misera immagine di sé, facendo risultare se stessi e le proprie imprese come vere nullità. 34,10 rrp6crqe: : Dioniso redarguisce Sileno per i suoi motteggi e lo invita ad essere piu serio, se vuole confutare Marco. Non diversa-

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mente (TTp6ocxc TÒv voùv), nel Convivium platonico, viene bonaria­ mente rimproverato Aristofane che, invece di fare il suo discorso, conti­ nua a scherzare (yEÀwTOTTOLELc;). 34, 1 2-13 TETpciywvoc; ... : il detto di Simonide (= frg. 542 PAGE) è tratto dall'Encomio a Scopas e contempla l'immagine di un uomo "sano in senso etico" (GENTILI 1 984, p.90), virtuoso in tutto e perciò amato dagli dei; è citato da Platone (Prot. 339 ab; 344a) da cui, con ogni probabilità (ved. anche BouFFARTIGUE 1 992, p.252), l'ha desunto Giu­ liano. Ved. anche Introduzione, n.53. 34,16 T]pɵa Ka·L owp6vwc;: la serenità d'animo è una caratteristica costante di Marco Aurelio. Nell'Historia Augusta (M. A nton. 1 6,5) si legge: "Erat enim ipse tantae tranquillitatis, ut vultum numquam mutaverit maerore ve! gaudio, philosophiae deditus stoicae ". µLµào0m ToÙc; 0rnuc;: Giuliano fa dire a Marco che lo 34,1 6s. scopo della sua vita è imitare gli dei. Nei Pensieri ( 1 0,8,6) si legge che gli dei vogliono che tutti gli esseri dotati di ragione si facciano simili (ÉçoµOLoÙo0m) a loro. L'idea è di origine platonica (cfr. Resp. 9,6 1 3b; "Theaet. 1 76b; Tùn. 90d; Leges 7 1 6c e Plot. Enn. 1 ,2, 1 -2) ed è ripresa da Giuliano, oltre che nel Contra Galilaeos, anche in C.He,: 225D; C. Cyn. 1 83A; 1 84A. "I filosofi" dice Giuliano (C. Galil. 1 7 1 D = frg. 3 6 MASARACCHIA) " ci invitano ad imitare, nel limite delle nostre possibili­ tà, gli dèi e fanno consistere l'essenza dell'imitare nella contemplazione dell'essere. ... Quanto piu dunque siamo in stato di aratia, tesi alla con­ templazione dell'essere, tanto piu siamo simili a dio' . Il Marco Aurelio che egli ci presenta incarna in sé l'immagine del filosofo che non si lascia turbare dai condizionamenti esterni ed ha sempre lo sguardo ri­ volto verso dio: cfr. 29,4-5 . Ved. pure comm. ad 35, 1 6ss. A significare il rapporto privilegiato che Marco, in ogni sua azione, aveva con la divi­ nità, nella Historia Augusta (M.Anton. 1 8,4) è detto "diis vita et morte coniunctus ". Ved. in proposito BoNAMENTE 1 990, p.268. 34,22 ooq:>LoToÙ: sembra abbastanza credibile che il termine sia stato qui adoperato proprio al fine di far risaltare di piu la persona di Marco Aurelio e con un'implicita allusione al fatto che lo stesso filosofo nei Pensieri ( 1 , 1 6) dica del padre adottivo Antonino Pio - dal quale egli dichiara di avere ereditato molte buone qualità, tra cui l'animo mite, l'amore per il lavoro e la perseveranza, un comportamento sobrio, la cortesia, l'amabilità - che nessuno avrebbe potuto definirlo un ooq:>LOTTJV. 34,24 ò'.pTou Kai otvou: in un famoso verso dell'Iliade (5,34 1 s), Omero afferma appunto che gli dei non mangiano pane, non bevono vino e perciò sono immortali.

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àÀÀ. ' lywy1: ... TTOTa: la risposta data da Marco Aurelio 34,25ss. all'obiezione di Sileno (perché non si è nutrito come gli dei, se vera­ mente voleva imitare gli dei) trova la sua giustificazione, osserva BOUFFARTIGUE 1 992, p. 74, in dogmi stoici.

34,29 àva0uµLaanc;: GRONINGEN 1 967, p.336, richiamandosi ad Aristot. Probi. 934 b 36, suggerisce di intendere non "!es fumées des sacrifices", ma piuttosto le "exhalaisons humides et sèches" che salgo­ no dalla terra e, secondo alcune teorie metereologiche, alimentano gli astri. Cfr. tuttavia Plut. Septem Sap. Conv. l 59E, dove, al medico Cleodoro, è attribuita l'affermazione che 81:i:v Tpo�v dvm perché si possano fare sacrifici agli dei. Cfr. pure lui. Epist. 89b (294A): "Se la divinità non ha necessità di nulla, non per questo non si deve offrirle nulla". In realtà il piu grande piacere degli dei è proprio cibarsi del fumo dei sacrifici (cfr. Luc. /carom. 27; lupp. Trag. 1 8; 22). La dottrina espo­ sta nei Cesari da Marco Aurelio non trova riscontro nei Pensieri, ma, come nota BouFFARTIGUE 1 992, pp. 74 e 553, è certamente di derivazione stoica. Lo studioso francese ritiene che Giuliano non abbia una vera e propria conoscenza approfondita dello stoicismo, ma abbia ricevuto la maggior parte delle sue informazioni su tale filosofia nel momento della sua iniziazione al cinismo (BouFFARTIGUE 1 992, pp.554 e 565). 34,30 µLµT]Tfouc; . . . KaTà �v 8Lavmav: cfr. Mare. Antonin. 1 0,8 (gli dei desiderano che È:çoµoLOÙCJ0m ÈauToÌ.c; Tà ÀoyLKà navrn ); 5,27; 5,33. 34,31 imò TTUKTOU 81:çLoÙ TTÀTJyck: sicuramente l'espressione è desunta da Plat. Prot. 339 E (ùnò àya0où TTUKTOU TTÀTJYEk). L'unica altra testimonianza della stessa immagine, che sembrerebbe avere un carattere proverbiale (ved. CosET 1 860, p.268; CosET 1 883, p.366; BouFFARTIGUE 1 992, p.3 1 1 ) in Plut. Quomodo adol. poetas 29 F 8, TTUKTOU TTÀTJYÉVToc; . Ved., comunque, Introduzione, n.53. 81:Ì. a0m wc; È:ÀaxtaTwv: l'affermazione di Marco richia34,34s. ma alla mente le parole di Socrate in Xenoph. Mem. 1 ,6, 1 O: È:yw 8È voµ((w TÒ µÈv µri81:vòc; 8Érn0m 0EÌ.ov dvm , TÒ 8' wc; È:ÀaxtaTwv È:yyuTCITW TOÙ 0dou, Ka·L TÒ µÈv 0EÌ.OV KpCITLOTOV, TÒ 8' È:yyuTCITW ToÙ 0dou È:yyuTaTw TOÙ KpaTLaTou. Tra gli scolari di Socrate c'era Antistene, caposcuola dei Cinici, che poneva appunto a fondamento del suo pensiero una condizione ideale di vita caratterizzata da una misura minima di bisogni. Il pensiero espresso da Socrate trova u n riecheggiamento nelle parole che Plutarco (Septem Sap. Conv. 1 58C) fa

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dire a Solone, a proposito del sobrio regime di vita adottato da Epimenide. In C.He,: 226C Giuliano ricorda il principio eracliteo di soddisfare nel modo piu semplice i bisogni del corpo, che è solo un opyavov datoci dalla divinità perché ce ne serviamo. Eù TTOLELv: cfr. Marc.Anton. 1 2,20 TÒ µ� Èrr' a.ÀÀo n -fì ETTL TÒ KOLVWVLKÒv TÉÀ.oç �v àvayw�v TTOLELa0m . Cfr. pure 5,6; 9,42: Tl yàp TTÀ.Éov 0ÉÀ.ELC EÙ TTOLT]CTUC èiv0pwrrov ;

34,35

awµcinov: l'uso di questo termine è tipico del pensiero stoico e ricorre costantemente nei Pensieri (cfr. per es. 1 2,26). Marco affer­ ma che è soltanto il suo misero corpo ad avere bisogno di qualche picco­ la cosa: appare chiaro che tuttavia egli non si lascia condizionare nep­ pure da questa minima necessità. Per l'idea che il corpo, con le sue ne­ cessità, costituisca un reale condizionamento per l'anima, cfr. anche Plut. Septem Sap. Conv. 1 59D-E. Non diversamente da Marco Aurelio, e differenziandosi in ciò rispetto alla maggior parte dei suoi predecesso­ ri (cfr. Mam. Grat. Act. 1 1 ,3,4), anche Giuliano seguiva un regime ali­ mentare semplice, austero, sobrio. Per la sua ben nota frugalità, cfr., oltre a Misop. 340B (Tpocp� rravTÒç f\TTWV K6pou), anche Amm. Mare. 1 6,5,3; Lib. Or. 1 8, 1 75 e ved. Cosi 1 986, pp.72-73; UGENTJ, 1 992, pp. l l Os.; SARDIELLO 1 998, nn.47-5 1 ; 74-75.

34,37

ȵLµT7aciµT7v . . .: come osserva BouFFARTJGUE 1 992, p.74, le giustificazioni che ora adduce Marco Aurelio sono puramente sofistiche e hanno il tono di un esercizio di scuola.

35,6ss.

ciya0Òç Ka·L ÈXÉ, q>van, v6µmc;, aoqioÌ.c; àv8pciaL, q>LÀauTtav rrapm TouµEvoc;, d µÉÀÀE'L KaÀÒc; Kàya0òc; yE�arn0m (Philo Iud. Spec. leg. 4,131 CoHN). 36,7 òtjJorrOLoÙ: l'òtjJorrm6c; è un subalterno del µciynpoc; ed ha in particolare il compito di aggiungere i condimenti, TÙ Tj8uaµarn; egli asseconda cosi le inclinazioni al piacere e al godimento, ma rappresenta un pericolo per la salute del singolo e dell'intera città; la sua arte è infatti esattamente l'opposto dell'arte medica (Plat. Gorg. 464d; 465b; 5OOb; 5O1a; 517ess.; 521 e; cfr. pure, per l'opposizione tra città uyL�c; da una parte e, dall'altra, città q>ÀEyµatvouaa e Tpuq>waa, Resp. 2,372e, in quanto piena di KoµµuhpLaL e òtjJorroLot Resp. 2,373c). Anche Aristotele (Ma­ gna Mar. 12O6a27ss.) indica i cuochi insieme con i fabbricanti di profu­ mi come esperti di un'arte che produce solo piacere. L'epiteto che Sileno ha affibbiato a Costantino sembra allora non improprio: non è forse vero che egli è àrroÀauaEwc; È:paaTT]c; ( 1 8,5) e TJ8ov� KaÌ. àrroÀauan xnpo170foTEpov (18,9-10) ? Anzi, è stato invitato alla gara proprio per tali caratteristiche: gli dei infatti vogliono avere una visione completa (18,3) della realtà, in tutti i suoi aspetti.

KoµµwTptac; : la Koµµli'.>Tpw è la cameriera addetta al truc­ co e all'acconciatura della padrona: l'uso del termine suggerisce l'idea di una realtà alterata o nascosta (cfr. in particolare Aristoph. Ecci. 737 e ved. SARDIELLO 1 993, p.1 42 e note). òtjJorrOLoÙ Ka·L KoµµwTptac;: invero, ambedue le tecniche operative identificate dai termini usati come epiteti offensivi da Sileno connotano un'intenzione mistificatrice: sono - come dice Platone nel Gorgia (465ab) - forme di KOÀaKda, ovvero di adulazione, che non

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perseguono il bene, ma solo il piacere. Come gli òt)Jo-rroLoi., usando i condimenti, nascondono il sapore genuino degli alimenti, cosi gli adulatori nascondono il loro pensiero sotto una parvenza di franchezza (Plut. Adul. 5,5 1 C) e si mostrano agli altri come gli altri vorrebbero vederli, immagine di sé stessi (Plut. Adul. 8,53A). Costantino, dunque, nel giudizio di Giuliano è un mistificatore: fa vedere che è cristiano, perché cosi lo vuole vedere il potente clero; usa trucchi (l'apparizione del segno della croce) per far credere quello che non è; nasconde la sua natura di assassino sotto un 'immagine positiva, è proprio un trasformista, un adulteratore (SARDIELLO 1 993, pp. 145ss. e note). fj TE K6µ17 ...: è una citazione omerica (//. 3,55) tratta dall'attacco violento di Ettore a Paride, quando ataxpoì.c; Èn-ÉrnaLv lo definisce "bellimbusto, donnaiolo, seduttore" (v.39) e gli rinfaccia che non lo salveranno "la cetra e i doni di Afrodite, la chioma o la bellezza" quando rotolerà nella polvere. Il disprezzo delle parole del nobile Ettore si ripercuote inesorabilmente addosso a Costantino. C'è inoltre una sot­ tile allusione al fatto che, al momento della successione, Costantino fu preferito agli altri figli forse per la sua bella presenza (Zos. 2,9, 1 ).

36,9

mKpOTEp6v -rrwc; Ka0iJtµaTo: le ultime parole, prima del voto, sono quelle di Sileno: ridendo sgangheratamente (àvaKayxciaac; 36,5), lancia la sua battuta che annienta in modo definitivo Costantino. Il giudice vero della gara è, infatti, proprio lui, Sileno, che "le ragioni del moralista perfetto nasconde sotto la maschera derisoria di un segua­ ce di Bacco" (RosTAGNI 1 920, p. 1 1 2). La risata dissacrante di Sileno è all'unisono con quella di Giuliano, è la risata di Giuliano. Dopo, egli proverà forse un senso di vergogna per non essersi saputo controllare e dirà: àÀÀ.a. µE TTCI.ÀLV OÙK OL8 ' OOTLc; 0niiv ÈTT L TQÙT ' È�CI.KXEUOEV où -rrpon86µEvov (C.Her. 222 C 2-3). Ma oggi è festa, fon yàp Kp6vw .

36,11

0

37,8-9

{mò 0rnÌ.c; TJYEµ6aL : cfr. Plat. Resp. 1 0,6 1 7e.

' 0Krn�wvòc; -rrpÒc; TÒv' An-6ÀÀ.wva : il legame di Ottaviano con Apollo, al di là dell'aspetto politico-religioso si arricchisce anche di elementi personali. Cfr. Suet. Aug. 70: durante una cena molto intima Ottaviano si era vestito da Apollo: "ipsum pro Apolline ornatum", e il fatto era stato molto chiacchierato, "in fabulis fuit" . Ved. anche LEVINE 1 969, p.64.

37,11-12

37,14s.

Kai.aapa . . '.' Ap17ç fj TE ' Atj), ma anche per tutti coloro che

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credono in lui. Cristo awTfip è dunque qualcosa di effimero, di inganne­ vole: è un bluff Infatti, dice Giuliano, in Cristo (che è nato da una donna) non ci può essere salvezza, se non in contraddizione alla stessa volontà di Dio che dice oÙK fon TTcipEç ȵoù ac{i(wv (C. Galil. 277A = frg. 65 MASARACCHIA). Ved. su questo problema MALLEY 1 978, pp. l 85ss. Per quanto attiene alla conoscenza da parte di Giuliano dei testi della tradizione cristiana, ved. BRAUN 1 978, pp. 1 60- 1 63; 1 84-1 86; CoRSINI 1 983, pp.47ss.; BowERSOCK 1 992, pp. 1 8 e 48. Anche Celso (in Orig. C. Cels. 2,49 e 6,42) accusa Gesu di inganno e di ciarlataneria e lo assimila allo stesso Satana (simbolo di perdizione per i Cristiani), dai cui prodigi il Cristo metterebbe in guardia gli uomini solo "per rivalità di questua" (àvrnydpovrnç). ' I 11 aoùv: CosET 1 860, p.27 1 , opportunamente richiamando Cyr. C.Jul. 5, 159 ss., scrive: "lulianus enim non ipsi Iesu luxuriam exprobrat, sed eum cum hominibus una versari criminatur, qui luxuria deperditi et vitiis flagitiisque cooperti cssent". Il nome ' I 1100Ùç, abba­ stanza frequente - come logico - nel Contra Galilaeos, è, per il resto della produzione giulianea, presente solo in questo passo dei Cesari e nell 'Epistola 1 1 1 (433D; 434C) agli Alessandrini, che abbiamo avuto piu occasioni di citare (ved. comm. ad 1 6, 1 8ss.; 27 ,22). Nel!' Epistola che, ricordiamo, è databile fine ottobre - metà novembre 362 (quindi non molto tempo prima dei Cesari ), Giuliano invita gli Alessandrini a non persistere nell'errore della superstizione e, lasciato Gesu (che, non essendo obiettivamente visibile, come si può credere faccia del bene agli uomini?), tornare ad adorare il grande Sole, immagine viva e bene­ fica del padre intelligibile (434C-D).

38,6

oanç 0opEtK ...: l'espressione usata da Giuliano OOTLç . . . , oanç . . . , oanç . . . hw 0appwv ricorda molto da vicino, non solo per l'intenzione sarcastica che vi è celata, le parole di Celso che leggia­ mo in Orig. C. Cels. 3,44 (cfr. anche 3,59): d nç ... , d nç . . . , E'l nç ... , 0appwv TJKÉTW.

38,7ss.

OOTLç µLm6voç: Costantino stesso è un µwL6voç ed è punito dai demoni vendicatori (3 8, 1 5- 1 6) per il sangue dei congiunti da lui stesso e dai suoi figli versato (cfr. anche Eutr. 1 0,6). Sozomeno (1 ,5, l ss., ma cfr. pure Zos. Hist. Nov. 2,29,3) riferisce di sapere bene di quali crimini (uccisione di alcuni parenti e del figlio Crispo) era accusa­ to Costantino dai pagani, i quali andavano dicendo che il filosofo Sopatro, allievo di Giamblico, aveva negato potesse esserci una purificazione per lui (µ118Éva Ka0apµÒv clvm). Ved. sull'argomento anche BONAMENTE

38,8

1 72

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1 978, pp.36ss. Il battesimo richiesto in punto di morte (Eus. Vita Const. 4,6 1 ,2; Zos. 2,29,3) da Costantino rivelerebbe, secondo Giuliano, pro­ prio il carattere opportunista e mistificatore dell'uomo. 38,9-10 T4J u8an Àouaaç: il battesimo cristiano viene qui visto come un 'lavaggio' che toglie le precedenti colpe (come i crimini di Costantino) c presenta all'apparenza (àTToatvn : ved. anche comm. ad 4,25) un uomo rn0ap6v, 'ripulito' all'e:;temo, ma non rinnovato nel pro­ fondo del suo cuore, un uomo pronto a peccare di nuovo, perché sa che può nuovamente rimediare alle sue colpe e apparire puro (3 8 , 1 0- 1 2). Come non basta "riconiare la moneta corrente", cosi il cambiamento non deve essere solo esteriore, ma bisogna attingere la regola del ben operare dal proprio intimo e non dall'esterno (C.He,: 2O8D). Giuliano, dunque, è fortemente critico nei confronti del battesimo (cfr. anche C. Galil. 245C-E =jìg. 59 MASARACCHIA ) e non sembra averne compre­ so (o, meglio, ne rifiuta) il grande valore simbolico di totale immersio­ ne nella divinità per avere la salvezza. Come osserva BRAUN 1 978, p. 1 85, la caricatura del battesimo e della penitenza presentataci da Giu­ liano rivela la sua personale incapacità di comprendere la grandezza dei sacramenti cristiani poiché la sua vita morale è regolata soltanto dalla rag10ne. 38,11 Kfq>aÀ�v TTaTaçaVTL: l'uso di TTaTaaanv per indicare l'azione del percuotere la propria testa, se si eccettua la testimonianza giulianea, sembrerebbe attestato molto tardi, in Niceforo Gregora. Tutte le altre testimoniante indicano un'azione compiuta sulla testa di un altro. 3�, 1 5 à0c6T17Toç: Costantino e i suoi figli sono puniti innanzi tutto in quanto cristiani: per Giuliano si tratta di TTOVT]pÒç . . . niç àvoaLOupytaç (�Àoç (C.Her. 229B). L'accusa di à0c6TT]ç rivolta ai se­ guaci del cristianesimo ricorre frequente nel pensiero giulianeo: cfr. in particolare C. Galil. 43 B l = jìg. 3, 1 1 MASARACCHIA; 229 D 1 -4 = frg. 55,8- 1 1 MASARACCHIA; Epistt. 84,429D4 = p. 1 1 3, 1 O BmEz; 84,43OB 1 = p. 1 13 ,2O . BmEz; 89b = p. 146, 1 5 Bm1,z; Misop. 28,357D; 33,3 6 1 A; 35 ,362C; Ad matrem d. 20, 1 80 B 1 (e ved. UGENTI comm. ad !oc. , pp. 1_2 3- 1 24). Ved. inoltre BARTELINK 1 957, p.47. 38,15-16 atµaTwv . . . nvvuµcvOL 8(.rnç: abbiamo qui la ripresa (con piccole variazioni) di un famoso verso euripideo (O,: 322-323) a'(µaToç nvuµcvm 8trnv. Come osserva BouFFARTIGUli 1 992, p.2 1 8, Giuliano, mediante il richiamo alle Erinni in questa presentazione del castigo finale di Costantino, colloca "sa propre fable à !'ombre d'un modèle prestigieux".

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KwvaTcivnov: come osserva LACOMBRADE ( 1 962,p.55; 38,17 1 964,p. 71 n.2), le parole di Giuliano sembrerebbero testimoniare che Costanzo Cloro, il padre di Costantino, sia rimasto fedele al politeismo. 38,18 Mtepav: Giuliano si dichiara apertamente seguace di Mithra in Ad Hel. R. 1 , 1 3OB-C. Ved. in proposito MARC01'E in fOl'tì-oç Ka·L TLµLOc (234B7) agli dei, anzi 0E6c egli stesso e potrà contemplare il divino Padre (234C5-6).