Semplicità insormontabili. 39 storie filosofiche

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Economica Laterza 389

Di Achille C. Varzi in altre nostre collane:

Ontologia «Biblioteca Essenziale Laterza»

Roberto Casati

Achille C. Varzi

Semplicità insormontabili 39 storie filosofiche

Editori Laterza

© 2004, Gius. Laterza & Figli Nella «Economica Laterza» Prima edizione 2006 Edizioni precedenti: «i Robinson/Letture» 2004

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel febbraio 2006 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-7965-8 ISBN 88-420-7965-0

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Semplicità insormontabili

Non è detto che le storie che seguono siano tutte vere. Esse potrebbero nondimeno essere vere, e il Lettore è invitato a riflettere sul senso di questa eventualità. Se poi si ritenesse che le cose stiano diversamente, ovvero che talune storie siano prive non solo del dono della Veridicità ma anche di quello della Possibilità, allora saremmo certamente disposti a ritirarci in buon ordine. Ma per il momento procediamo senz’altro a introdurre il capitolo

uno dove un primo personaggio esce subito di scena dopo aver risolto a modo suo un enigma paralizzante sul Perché delle cose e la Libertà umana, e dove si affrontano dunque alcuni notevoli problemi metafisici legati alla Causa e anche al Tempo, non da ultimo se sia ragionevole costruire una macchina per viaggiare nel Passato e se, viaggiando nel Passato, possano indursi cambiamenti nel Presente; dove infine i due personaggi principali entrano in scena proponendo una modifica inoppugnabile ai principi della Classifica Cannonieri.

Stanza 88

«Laura? Ciao, sono io. Sono appena arrivato. Ti richiamo dopo con calma, quando torni dal lavoro. Ti lascio un messaggio giusto per dirti che il viaggio è andato bene e che anche l’albergo è più che dignitoso. La camera è grande, c’è molta luce. Peccato solo che i suoni rimbombino un po’ (sento l’eco della mia voce), ma pazienza. Adesso mi faccio una doccia, poi esco a fare due passi ed esplorare i dintorni. Venendo dalla stazione ho già visto il parco e la spiaggia che si apre sull’oceano.» «Ciao Laura, sono sempre io. Dovresti vedere lo specchio che c’è in questa stanza. È enorme. Occupa una parete intera, proprio di fronte a quella con la finestra, e si ha l’impressione che l’ambiente sia ancora più spazioso e luminoso. È così che pensavi di ristrutturare lo studio, no? Beh, devo dire che mi sembra proprio un’ottima idea: la stanza sembra davvero grande il doppio. Ne parliamo dopo.» «Laura, ma dove sei? Hai sentito i miei messaggi? Non sono ancora uscito, forse è meglio che prima mi riposi un po’. Lo specchio è assolutamente incredibile, dovresti vederlo. Mi chiedo come siano riusciti a farlo entrare nella stanza: dalla porta non può essere passato. Forse l’hanno montato prima di terminare le altre pareti. È fissato direttamente al muro, senza sostegni, e la superficie è perfettamente pulita, senza il 5

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benché minimo granello di polvere. Le immagini sono così nitide che sembrano vere. Pensi che si possa trovare qualcosa di simile anche da noi? Mi raccomando, chiamami appena torni.» «Scusa, sono sempre io. Spero di non intasarti la segreteria. Il fatto è che non sono riuscito ad appisolarmi: questo specchio mi turba. L’ho osservato molto da vicino ed è semplicemente perfetto. Non solo. Ho provato a toccarlo e non è rimasta alcuna impronta. Di solito se tocchi una superficie di vetro rimane un segno, no? Invece in questo caso è come se non l’avessi nemmeno sfiorato. Di che materiale sarà fatto? Ti confesso che ho anche provato a graffiarlo, ma nulla da fare. Altra cosa strana: su questo specchio è impossibile scrivere. Ho provato con un grosso pennarello indelebile. Non succede nulla!» «Pronto Laura? Adesso dirai che sono matto, ma comincio a sospettare che quello non sia affatto uno specchio. Non esistono specchi del genere. Comincio a sospettare che lì non ci sia proprio niente, e che quello che io vedo nello specchio in realtà sia del tutto reale. È come se ci fosse un piano che separa due parti assolutamente simmetriche della stanza. Il problema è che non posso andare dall’altra parte a controllare, perché mi scontro sistematicamente con la mia immagine. Anzi, non so bene come dirlo, ma temo non sia affatto la mia immagine. Temo sia qualcun altro che mi assomiglia per filo e per segno e che si muove esattamente come mi muovo io! Che razza di scherzi sono questi?» «Laura? Laura? La superficie è calda al tatto!» «Laura, ma perché non chiami? Sono davvero preoccupato. Ho fatto mille prove e non c’è verso: quello lì fa esattamente 6

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gli stessi movimenti che faccio io. Mi copia in ogni minimo dettaglio. L’unica differenza è che quello che io faccio con la mano destra, lui lo fa con la sinistra. E naturalmente porta l’orologio sull’altro polso.» «Non resisto a chiamarti ancora. Sono qui da quattro ore e mi sembra una vita. O forse dovrei dire: siamo qui da quattro ore. È chiaro che siamo in due. E forse siete in due anche voi. Altrimenti a chi starebbe telefonando lui in questo momento? Sono sicuro che non solo eseguiamo gli stessi movimenti, ma abbiamo anche le stesse sensazioni e probabilmente le stesse preoccupazioni. Laura, non ridere, ma sto pensando che questo “specchio” sia una specie di confine invisibile che separa due universi perfettamente simmetrici. Il confine tra il nostro universo e la sua replica. Adesso esco e cerco di appurare se il confine prosegue anche fuori o se è solo una diavoleria di questa stanza.» «Ciao, sono sempre io. Non sono uscito perché non mi fido. Stando qui almeno ho la sensazione di avere la situazione sotto mano: controllo tutti i suoi movimenti. È come se la mia replica fosse un burattino che faccio muovere come mi pare e piace.» «Laura, e se fosse lui che invece controlla me? E se fossi io la sua marionetta? Eppure mi sento perfettamente libero di fare quello che voglio, come ho sempre fatto. Sono io che decido di telefonarti e di lasciarti tutti questi messaggi. Sono io che decido di voltarmi dall’altra parte, se voglio. Forse siamo tutti e due liberi e controllati al tempo stesso? Laura, per favore chiamami appena rientri!» «Ma dove sei, Laura? Devo fare qualcosa. Devo sbarazzarmi di questo qui. Il problema è che non ho la più pallida idea di 7

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come fare. Ho provato a uscire dalla porta e poi a rientrare, ma ovviamente l’ha fatto anche lui.» «Ha una pistola identica alla mia. Ho cercato di non pensare che volevo sparargli, mi sono detto che così anche lui non avrebbe pensato di sparare a me. Ma tanto non succederebbe nulla, no? I nostri proiettili si scontrerebbero proprio lì, nel mezzo della stanza. Laura, chiamami, questo è un vero incubo.» «Laura? C’è un modo per toglierlo di mezzo. Un modo solo.»

Di un progetto inutile

Spettabile Commissione Esaminatrice, Non è nostra abitudine contestare le decisioni degli arbitri, ma nel caso della nostra richiesta di finanziamenti per un progetto finalizzato alla costruzione di una macchina del tempo ci sembra più che legittimo eccepire. La Commissione obietta (e l’obiezione è giudicata determinante) che il nostro progetto è «interessante sul piano della speculazione logicofilosofica» ma «privo di prospettive sul piano delle ricadute applicative». Premesso che non condividiamo il criterio in base al quale la scientificità di un progetto vien fatta dipendere dalle sue prospettive applicative, ci sorprende che sia stato proprio questo criterio a determinare la bocciatura della nostra richiesta di finanziamenti. In tutta franchezza, non ci riesce di pensare a un progetto con prospettive applicative più rosee della costruzione di una macchina del tempo. Qualche esempio: – Incentivi turistico-culturali: potremmo mandare intere gite scolastiche a osservare da vicino la Rivoluzione Francese, assistere alla costruzione delle piramidi, videoregistrare le lezioni di Socrate. – Safari paleontologici: abbiamo già avuto richieste per una serie di battute di caccia ai dinosauri (tanto si sono estinti comunque). – Enormi risparmi sulle produzioni di colossal cinemato9

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grafici ambientati in epoche remote. (Quanto è venuto a costare Il gladiatore?) – Analisi degli errori del passato, per evitare che si ripetano in futuro. – Soluzione dei grandi enigmi della storia. Eccetera eccetera. Conoscete forse un progetto più promettente sul piano applicativo? Cordiali saluti, Centro Ricerche Time Machine Spettabile Centro Ricerche Time Machine, Sarebbe sicuramente interessante poter utilizzare una macchina del tempo per i fini da voi proposti. Sarebbe auspicabile tornare nel passato per dare una borsa di studio al giovane Caligola e assicurargli una onesta carriera artistica che lo distragga dai suoi malvagi propositi. Sarebbe magnifico poter fermare tutte le mani omicide che hanno agito nel passato. Tuttavia, supponiamo che un giorno riusciate davvero a costruire la macchina del tempo. Supponiamo che vi rechiate nel passato, o che vi si rechi qualcuno da voi inviato. Come mai il passato a noi noto è comunque pieno di tutte le brutture che conosciamo? Come mai, se ci andrete (siete andati), non siete intervenuti? Delle due, l’una. O l’assenza di risultati concreti dimostra che non riuscirete mai a costruire la macchina, oppure dimostra che non la costruirete a fin di bene. In un caso è la logica a suggerire di non finanziare il vostro progetto; nell’altro è l’etica. Cordialmente, La Commissione

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Di un progetto inutile

Spettabile Commissione, Avrete sicuramente notato che gli esempi citati nella nostra lettera precedente non includevano alcuna applicazione che potesse risultare in un’alterazione del corso naturale degli eventi. Il nostro progetto muove infatti dall’ipotesi che sia possibile visitare il passato ma impossibile modificarlo: ciò che è stato è stato. Questo non significa che i nostri viaggiatori debbano limitarsi ad assistere al corso della storia senza parteciparvi in prima persona. Significa semplicemente che le azioni che compiranno nel passato sono esattamente le azioni che hanno compiuto, a partire dalla loro comparsa improvvisa a bordo della macchina del tempo. Sono azioni che compiranno rispetto al tempo soggettivo della loro vita, ma che hanno compiuto rispetto all’orologio oggettivo della storia. Quindi la logica è salva. E anche l’etica è salva. Se infatti andassimo a trovare Caligola non riusciremmo mai a convincerlo a diventare pittore. Non ci riusciremmo perché lui pittore non è diventato. Noi non possiamo farci nulla. Cordiali saluti, Centro Ricerche Time Machine Spettabile Centro Ricerche Time Machine, Grazie per i chiarimenti. Apprezziamo la distinzione tra modificare il passato (impossibile) e agire nel passato (possibile). Tuttavia questa distinzione non fa che confermare la nostra impressione iniziale: sul piano applicativo il vostro progetto è privo di valore. Se chi andrà nel passato vi è già stato, e se ciò che farà è ciò che ha già fatto, a che pro investire in una macchina del tempo? Cordialità, La Commissione 11

L’artista da giovane

La carriera di Z., il grande poeta del secolo scorso da molti ritenuto il massimo rappresentante dell’arte lirica contemporanea, ha costituito sino ad oggi un vero e proprio rebus. I critici e gli storici non hanno mai saputo spiegare come un personaggio che aveva trascorso la propria adolescenza e i primi anni dell’età adulta vivendo di espedienti abbia un giorno potuto cambiare d’improvviso il proprio stile di vita e dedicarsi ai versi che lo hanno reso famoso. Nessuno ha mai saputo spiegare come lo Z. che viene descritto come studente di contabilità schivo sia lo stesso Z. i cui componimenti sono oggi fra i più ristampati di tutti i tempi. Ebbene, crediamo di poter finalmente produrre un documento non senza importanza per la soluzione dell’enigma. Si tratta di una lettera dello stesso Z. di indubbia autenticità che reca la data dell’8 maggio 1937, quindi di pochi giorni anteriore al momento che la critica più autorevole attribuisce al primo componimento del poeta. Ve ne proponiamo il contenuto aggiungendo di nostro solo alcuni ritocchi. Carissima Lena, [Omissis] l’uomo compare alla porta stamani all’alba, mentre io sono ancora a letto. Deve averlo lasciato entrare la signora Lipschytz [la tenutaria dell’albergo a ore dove Z. risiedeva, N.d.R.]. Dice di chiamarsi [parola illeggibile, N.d.R.]. È vestito in modo strano e parla anche in maniera un po’ stra12

L’artista da giovane

na: certamente non è di queste parti. Dice di venire dal futuro, dal secolo ventitreesimo. «Dal futuro?», gli chiedo, mentre in fretta abbottono la camicia e infilo i pantaloni. Spiega di aver viaggiato su una macchina del tempo, che sarebbe un veicolo che consente di spostarsi avanti e indietro negli anni come le nostre vetture consentono di spostarsi da un punto all’altro dello spazio. Dice che nel suo mondo lui è un rinomato studioso di storia della letteratura e che ha scritto molti libri, tra cui quelli che tiene nella borsa. Dice di aver dedicato vent’anni della sua vita al mio lavoro e che è onoratissimo di potermi conoscere di persona. Lo faccio sedere, e mi metto anche a fare un po’ di ordine perché lui sembra a disagio. «Perdoni la confusione», dico. Lui abbozza un sorriso e continua a parlare, mentre con lo sguardo comincia a ispezionare la stanza. «Sono venuto per intervistarla», dice. «Nella mia epoca lei è considerato il più grande di tutti i classici. Le sue poesie costituiscono un modello di stile e creatività inimitabile.» Poesie? Lui continua: «Il liceo dove ho studiato io è intitolato a lei. Strade e piazze delle città di tutto il mondo la ricordano. Giovani e vecchi conoscono i suoi componimenti a memoria e li recitano commossi. Per me è un grandissimo onore incontrarla». Non riesco proprio a capire di che cosa stia parlando. «Mi sono permesso di portarle alcuni studi che ho dedicato al suo lavoro, soprattutto alle opere giovanili. E le ho portato anche una copia dell’edizione critica delle sue opere complete che io stesso ho curato.» Faccio per dire qualcosa ma lui prosegue: «Se lei non avesse niente in contrario, desidererei moltissimo poter vedere la sua biblioteca personale. Una delle grosse lacune lamentate dalla critica e dai suoi biografi riguarda proprio quest’aspet13

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to della sua formazione. Adesso lei ha vent’anni, nevvero? Si ritiene che la sua biblioteca giovanile sia andata persa. Per questo vorrei chiederle, in modo che spero non troverà troppo invadente, quali sono i suoi autori preferiti, quali i testi da lei più amati». Gli mostro i miei libri. Sono autori che non sembrano dirgli nulla. Vedo che prende qualche appunto ma sembra deluso. «Avrà pur dei maestri di stile, degli autori ai quali si è ispirato. È proprio per chiarire quest’aspetto della sua carriera che sono venuto a farle visita. Spero non lo ritenga eccessivamente indiscreto: ogni altro mezzo di ricerca si è rivelato vano.» Gli dico che la visita non mi disturba, anzi mi incuriosisce molto, ma che deve essersi sbagliato di persona. Però lui apre uno dei suoi libri e mi legge delle frasi in cui effettivamente si narra di cose che sono capitate a me e ai miei fratelli anni addietro. Mi mostra anche delle foto e, certamente, quello sono proprio io. Ce n’è addirittura una di me con i calzoni e la camicia che sto indossando nel preciso momento in cui lui mi parla, seduto al tavolo, con un libro aperto davanti a me. Alzo gli occhi per chiedere chi mai abbia fatto quella foto e un bagliore mi acceca. «Scusi il flash», dice lui, riponendo nella borsa lo strano apparecchio da cui era scaturito il bagliore. Preparo un caffè mentre lui si alza e comincia a guardarsi in giro, frugando nel disordine. «Le spiace se do un’occhiata alle altre stanze? Sa, il tempo a mia disposizione è pochissimo e vorrei poter raccogliere tutto il materiale possibile.» Gli chiedo di spiegarmi meglio questa storia, ma lui prosegue: «Ho fatto un viaggio assai complicato per venirla a conoscere. Se lei potesse almeno mostrarmi qualche suo appunto, qualche bozza, qualche poesia che tiene nel cassetto. Non sa quanto il pubblico di tutto il mondo sarebbe felice di venire a conoscenza di materiale inedito.» Ovviamente io qui ho so14

L’artista da giovane

lo qualche appunto senza grande importanza, ma per farlo contento glielo mostro. Gli passo anche la poesiola che avevo scritto per il tuo compleanno. La legge in silenzio e me la restituisce senza fare commenti. Sembra che abbia fretta. È impaziente. Poi improvvisamente si alza ed esce di corsa dalla porta senza nemmeno salutare. Strano personaggio davvero. Fatto sta che si è dimenticato la borsa. E anche i libri. Ho cominciato a sfogliarli e sono assai curiosi. Si parla di me, o almeno di qualcuno che porta il mio nome. Vi si dice che a un certo punto io ho iniziato a scrivere splendide poesie. Ho provato a leggerne qualcuna e devo dire che sono molto intense e commoventi. E io sarei l’autore di quei testi? Io avrei composto quei versi? Lena cara, ci ho pensato a lungo dopo che il mio ospite se n’è andato. Se così dicono i posteri, e se quello sono io, vuol dire che così è stato, non ti pare? O meglio, vuol dire che così sarà. Se davvero ho scritto tutte queste cose, vuol dire che le scriverò. Qui si dice che vivrò ancora a lungo, quindi il tempo non mi manca. Né mi mancano carta e penna. Quello che non riesco a capire è come devo fare per comporre poesie così belle come quelle che ho letto nelle mie Opere complete. Ecco, ti copio qui di seguito la prima, così vedi di che cosa sto parlando [...].

La catena che conduce in porta

LUI [Abbassando sulle ginocchia il giornale che stava leggendo] Ho sempre avuto problemi con le classifiche dei marcatori. Le trovo ingiuste e un po’ bugiarde. Aldo fa un’azione trascinante, scarta quasi tutti, viene atterrato, si gira eroicamente e da posizione impossibile spara un bolide rasoterra. La palla finisce in rete, ma solo dopo essere stata deviata da Bruno, il difensore della squadra avversaria. LEI Autogol. LUI Proprio così: la classifica marcatori resta immutata e il fatto passerà alla storia come un errore di Bruno. Poco dopo Aldo scarta una sfilza di avversari sulla fascia laterale, viene atterrato, si rialza e si produce in un diagonale da antologia. Di nuovo la palla finisce in rete, ma solo dopo essere stata deviata dalla schiena del suo compagno di squadra, Carlo, che si trovava lì per sbaglio. Gol di Carlo e palla al centro. LEI Per la verità le cose non stanno proprio così. Non conosco bene le regole ma immagino che il buon senso suggerisca qualcosa del genere: primo, se il tiro di Aldo è effettivamente indirizzato nello specchio della porta, allora il gol viene attribuito ad Aldo anche se la palla viene deviata da un difensore o da un altro attaccante; secondo, se invece il tiro di Aldo è fuori bersaglio, e la palla entra in rete solo a causa della deviazione, allora il gol viene classificato come autogol di 16

La catena che conduce in porta

Bruno (nella prima circostanza) o come gol regolare di Carlo (nella seconda circostanza) indipendentemente dall’involontarietà dell’intervento. Tralasciamo pure il primo caso, che probabilmente richiede varie precisazioni. Quel che sembra indubitabile è il secondo caso: se non ci fosse stata la deviazione la palla sarebbe finita sul fondo. Quindi, nonostante Aldo abbia fatto tutto il lavoro, il gol non può essere attribuito a lui perché la palla non sarebbe entrata in rete se non fosse stato per l’intervento – ancorché involontario – di Bruno o di Carlo. LUI Un momento. È vero che la palla non sarebbe entrata se non ci fosse stata la deviazione. Ma è altrettanto vero che la palla non sarebbe entrata se non ci fosse stato il tiro. LEI Se è così, vuol dire che qualcosa non va nelle nostre intuizioni su concetti importanti come quello di responsabilità o di causalità. Pensaci un attimo. Che cosa significa dire che una persona è responsabile di un incidente? Significa che se non avesse fatto quel che ha fatto, l’incidente non sarebbe avvenuto. Che cosa intendiamo quando diciamo che un certo evento ne ha causato un altro? Intendiamo affermare che se non fosse avvenuto il primo non sarebbe avvenuto nemmeno il secondo. Fin qui tutto chiaro. Ma che dire quando il legame tra le azioni (o gli eventi) e le loro conseguenze non è così semplice e lineare? Se non ci fosse stata la deviazione non ci sarebbe stato il gol. Ma come hai detto tu, il gol non ci sarebbe stato nemmeno se non ci fosse stato il tiro. E allora a chi va la responsabilità (o il merito)? LUI Appunto. Però se risaliamo troppo nella catena delle responsabilità finisce che tiriamo in ballo anche il bisnonno dell’attaccante. Niente bisnonno, niente gol. 17

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LEI Immagina che le cose vadano così. Aldo tira una cannonata indirizzata in rete. Davanti a lui, uno dietro l’altro in fila indiana, si intromettono Bruno e Carlo. La palla colpisce Bruno e finisce sul fondo. Ma se anche Bruno non fosse giunto in tempo, il tiro sarebbe stato deviato involontariamente da Carlo. Che dire in questo caso? Diremmo forse che Bruno ha evitato il gol? LUI Sembrerebbe di no, visto che la palla sarebbe finita contro il corpo di Carlo. LEI D’altra parte, non diremmo certo che è stato Carlo ad evitare che la palla finisse in rete: in fondo lui non ha fatto nulla. LUI Ma allora chi è stato a rovinare il tiro di Aldo? LEI Casi come questi sono sintomi di una tensione concettuale profonda. Cammino sotto la pioggia con l’ombrello. Ho in testa un cappello. Chi devo ringraziare per la mia nuca asciutta? Non l’ombrello, perché tanto ho il cappello. Ma neanche il cappello, perché tanto ho l’ombrello. Oppure: Aldo scaglia una pietra contro una vetrina e Bruno la afferra al volo. I proprietari del negozio vorrebbero ringraziare Bruno, ma alle sue spalle c’era Carlo ed è evidente che la pietra avrebbe colpito lui e non la vetrina. Chi devono ringraziare? In fondo Carlo non ha fatto un bel nulla (e anzi dovrebbe ringraziare Bruno per averlo protetto dalla sassata). Ma neanche Bruno ha salvato la vetrina. LUI Immagino che complicazioni di questo genere non siano rare nella casistica legale. LEI Tuttavia il problema è teorico prima ancora che pratico. Sono situazioni in cui non sapremmo che cosa dire. 18

La catena che conduce in porta

LUI Perché non tagliare il nodo di Gordio? Ringraziamo sia Bruno sia Carlo. Ringraziamo l’ombrello e il cappello, o meglio la coppia costituita dal cappello e dalla porzione dell’ombrello che ripara il cappello. LEI Non sono sicura che sia un buon suggerimento, come in tutte le soluzioni gordiane. Lasciano scontenti un po’ tutti. LUI Possiamo farne tesoro almeno per risolvere quelle che sembrano le ingiustizie della classifica marcatori. Classifichiamo pertanto ex aequo i gol deviati. Se il tiro di uno finisce in rete in seguito alla deviazione di un altro, diciamo che entrambi hanno fatto la loro parte. Mezzo gol a testa, nel bene e nel male.

Sarà parso strano l’accostamento di situazioni notevolmente distanti dal nostro modo di essere (mondi duplicati, viaggi nel tempo) alla quotidianità della Classifica Cannonieri. Pur tuttavia si annida nelle vicende dei nostri un comune problema, quello della Causa e dell’Effetto, declinato in vari suoi aspetti. Il meschino che lascia messaggi sconcertati sulla segreteria dell’amica non ha tutti i torti nel chiedersi se le sue azioni siano causate dalle sue intenzioni o non invece da quelle del suo doppio: che cosa potrebbe aiutarlo a decidere? Prima di mettersi a fantasticare su che cosa si farebbe se si potesse viaggiare nel tempo, si dovrebbe por mente a che cosa si può fare: che effetto possono avere le nostre azioni, se il prima viene dopo e il dopo, prima? Decidono in modo arbitrario, lei e lui, di risolvere il problema delle troppe cause, con una soluzione al cinquanta per cento che lascerà più d’uno insoddisfatto. Ma vien donde l’insoddisfazione? Forse che il nostro concetto di causalità sia stato preso alla sprovvista da questi casi? I dubbi in cui ci siamo imbattuti serpeggeranno silenziosi in molto di quel che segue. La filosofia nasce spesso da tensioni concettuali, ovvero dalla difficoltà di applicare a situazioni nuove o strane i concetti che sappiamo maneggiare in molte situazioni normali del vivere. Si deve saper saggiare l’elasticità della trama dei concetti, ma per ciò fare si debbono a volte inventare scenari fantastici, in cui tali concetti sono portati all’estremo. Passiamo dunque al capitolo

due dove vecchi e nuovi personaggi scoprono che la Mente è un’entità sfuggente; che possono parlare nel sonno e confondere il loro interlocutore il quale non saprà dire se siano Coscienti o meno; che i gusti sono tutto tranne che facili da definire; che senza ricordi forse non si può più parlare di Responsabilità e nemmeno di Persone; e dove compare l’inquietante Ficcanaso che dimostra come il Cervello sia ancor più sfuggente della Mente, al punto che in un trapianto convenga quasi donarlo piuttosto che riceverlo.

Sonnifero Zombie SPA

[VOCE DELLO STEWARD] Allacciare le cinture di sicurezza. LUI [Alzandosi cortesemente dal sedile] Aspetti che la lascio passare. Questi sedili sono proprio scomodi. SIGNORA Grazie. Odio i viaggi in aereo. [Apre la borsetta] Prenderò subito una pastiglia. LUI «Sonnifero Zombie»? Sembra potente. Mi sa che la nostra conversazione si ferma qui... La sveglio quando atterriamo? SIGNORA No, non si preoccupi. Questo sonnifero toglie la coscienza ma lascia intatte tutte le altre funzioni intellettuali e fisiche: potrò parlare con lei, guardare il film, compilare i moduli per l’ufficio immigrazione. È un buon modo per sopportare l’aereo senza far la figura di un sacco di patate. LUI Che cosa vuol dire? Se perde coscienza non si addormenta forse profondamente? SIGNORA Questo è quello che succede dal mio punto di vista. La pastiglia fa il suo effetto, blackout completo, e la luce ritorna quando finisce l’effetto. Ma dal suo punto di vista non cambia nulla. Io continuo a parlarle, a risponderle in modo sensato, persino a farle domande, e lei non si accorge nemmeno della differenza. 23

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LUI Non capisco come sia possibile. SIGNORA C’è un’ampia letteratura filosofica dedicata agli zombie: creature immaginarie che si comportano a tutti gli effetti come delle persone pur essendo prive della luce della coscienza. La nostra ditta si è appropriata dell’idea e ha investito miliardi per brevettare il Sonnifero Zombie. La coscienza, vede, è un fenomeno molto molto labile, una schiuma sopra le profondità oceaniche della mente. Se lei toglie la schiuma, le onde non cambiano. La mente continua a funzionare anche senza coscienza. In fondo il cervello è una macchina che elabora informazioni: dato che ho gli occhi aperti, il mio cervello continua a registrare informazioni, ad elaborarle, e a controllare le mie azioni e decisioni. La sola differenza è che da nessuna parte nella mia mente viene proiettato il film della coscienza, che in realtà è un lusso, un capriccio estetico: come dicevo, una spuma leggera sulla superficie di un oceano profondissimo e insondabile. LUI In effetti avevo letto che solo noi esseri umani abbiamo il privilegio della coscienza. Per Cartesio cani e gatti sarebbero degli automi: come zombie, per l’appunto. SIGNORA Il che non ci impedisce di trattarli in modo diverso da come tratteremmo un robot. E noti che anche lei mi sta trattando in modo del tutto normale, non come fossi uno zombie. LUI Mi scusi, ma quanto ci mette il sonnifero a fare effetto? SIGNORA Oh, ha efficacia immediata. Appena l’ho preso ho perso coscienza. Lei non può accorgersene, ma sto dormendo della grossa. 24

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LUI Vuol dire che lei mi sta parlando nel sonno? O sta sognando di parlarmi? SIGNORA Sognare? Non se ne parla proprio, altrimenti saremmo daccapo. Il mio sogno non si distinguerebbe dalla realtà (proprio Cartesio diceva che è una forma di coscienza), e allora perché prendere il sonnifero? Guardi, nella mia mente in questo momento deve esserci il nero totale. LUI Non so se voglio continuare questa conversazione. Ma come fa a sapere se dorme o se è sveglia? SIGNORA So che il Sonnifero Zombie è un buon prodotto. Ho dunque tutte le ragioni di dirle che in questo momento sono priva di coscienza, sprofondata in un sonno senza sogni (tenga, legga il foglio illustrativo). Ma, come le ripeto, questo non ha alcun effetto sulle interazioni che ho col mondo che mi sta attorno. Forse la mia conversazione la annoia? Mi spiacerebbe molto. LUI No, si figuri. Mi dica, è da molto che lavora per Sonnifero Zombie SPA? SIGNORA Da qualche anno, perché? LUI Mi domando se il vostro prodotto abbia successo. Tra le mie letture ho visto che c’è addirittura chi pensa che la coscienza sia una maledizione. Non solo per via dei viaggi in aereo: ci sono tante circostanze nella vita in cui vorremmo non essere consapevoli di quanto succede, e non mi stupirebbe scoprire che avete molti clienti. SIGNORA Oh, ne abbiamo moltissimi. Salendo sull’aereo ho visto che anche i piloti avevano una buona scorta del nostro 25

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prodotto. Li capisco: è una bella noia attraversare l’oceano quattro volte al mese. LUI Come! Questo aereo è pilotato da due zombie? SIGNORA Non si preoccupi. La medicina è stata sperimentata e autorizzata da tutte le autorità sanitarie mondiali. Anzi, dato che la vedo agitato, perché non prende una pastiglia anche lei? LUI Grazie. Quindi tra poco cominceremo una conversazione tra due zombie. Sarà il caso che prenda qualche appunto se voglio ricordarmene. SIGNORA Non ve n’è affatto bisogno! Il Sonnifero Zombie toglie gli effetti della coscienza presente, ma permette di registrare da qualche parte le esperienze in modo che le si possa ricordare in seguito. Quando ci sveglieremo non saremo due estranei, ma due persone che hanno condiviso un piacevole pomeriggio a parlare di filosofia. Del resto, se non ci fosse il ricordo, non avremmo alcun modo di usare gli eventi della vita per costruire la nostra identità personale.

Amnesia parziale

DA: M. ROSSI, DETENUTO A: DIREZIONE DEL CARCERE Stimatissimo Direttore, mi permetto di disturbarLa nuovamente per reiterare la mia interpellanza (veda mie lettere del 10 e 21 febbraio scorsi). Da quanto tempo e per quale ragione sono trattenuto in questo carcere? Come Le ho spiegato, per quanto strano possa sembrare non mi riesce di ricordare né il crimine di cui sono ritenuto responsabile né la data della mia condanna. Potrebbe cortesemente aiutarmi? MITTENTE: UFFICIALE MEDICO A: DIREZIONE PENITENZIARIO DI BELLAVISTA Si certifica che il signor M. Rossi, detenuto presso codesto penitenziario per lo scandalo Verdi, in seguito a caduta ha subito una grave perdita di memoria. Si tratta di un caso di amnesia irreversibile per tutti gli eventi riguardanti il reato per cui il Rossi sconta la pena, nonché altri fatti connessi al processo e alla condanna. Per il resto, tutte le sue funzioni intellettuali ed emotive risultano intatte. «GAZZETTA LOCALE», DAL NOSTRO INVIATO Nel locale Penitenziario di Bellavista è sorto un interessante problema deontologico. M. Rossi, condannato per le vicende 27

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dello scandalo Verdi, avrebbe perso la memoria del proprio crimine. Nel periodo di detenzione il Rossi avrebbe mostrato chiari segni di pentimento, chiedendo più volte perdono per i propri misfatti. Detenuto modello, si era persino fatto promotore di un’iniziativa denominata «Potere del ricordo», che si propone di aiutare i carcerati a reinserirsi nella società grazie a una rielaborazione del ricordo dei propri crimini. La direzione del carcere sta valutando come procedere. Al momento non è stato nemmeno deciso se comunicare al Rossi le ragioni della sua detenzione, per tema di ulteriori conseguenze traumatiche. DA: L. VERDI A: DIREZIONE DEL PENITENZIARIO BELLAVISTA Spettabile Direzione, mi giunge notizia che il detenuto M. Rossi verrebbe tenuto all’oscuro delle ragioni della sua reclusione. Credo sia il caso di rinfrescargli la memoria. Quest’individuo ha commesso atti ignominiosi che hanno infangato il nome della mia famiglia e non trovo giusto che il peso del ricordo debba essere portato soltanto da noi. Non si dirà che il Rossi è oggi una persona diversa da quella che commise il misfatto solo perché adesso si è dimenticato delle proprie azioni? Anch’io ho dimenticato parecchi episodi della mia vita passata, ma nessuno si sognerebbe di considerarmi un’altra persona. Che l’identità personale dipenda dalla memoria delle esperienze passate è un’interessante teoria dei filosofi empiristi, ma qui non siamo tra i banchi di scuola. DA: S. VERDI A: DIREZIONE PENITENZIARIO Stimatissimo Direttore, Le scrivo per esprimere il massimo sostegno alla richiesta di grazia per il signor M. Rossi, reo 28

Amnesia parziale

confesso dei reati che portarono allo scandalo che investì la mia famiglia nell’agosto di due anni fa. Mi pare di capire che la perizia medica abbia stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio che il signor Rossi ha perso irreversibilmente la memoria del misfatto per subentrata amnesia. Trovo quindi crudele e ingiusto condannarlo a espiare una condanna per un evento di cui la sua mente non reca alcuna traccia. Da questo punto di vista il signor Rossi non è diverso da una qualunque persona la quale, non avendo commesso alcun crimine, si risvegliasse improvvisamente in carcere costretta a espiare una condanna per lei inspiegabile. DA: M. ROSSI, DETENUTO A: DIREZIONE Spettabile Direttore, essendo venuto a conoscenza, nonostante il Suo apprezzatissimo riserbo, della mia condizione di amnestico e al tempo stesso delle ragioni della mia detenzione, intendo esprimere il mio desiderio di scontare fino in fondo la condanna impartitami. Questo perché le informazioni pervenutemi sono a mio giudizio sufficienti a farmi ritenere colpevole, e come tale in dovere di scontare la condanna, nonostante io continui a non portare memoria alcuna dei reati che avrei commesso. Non penso infatti che la memoria sia l’unico criterio che decida dell’identità di una persona, né che il soggetto sia l’arbitro ultimo delle conoscenze che lo riguardano. Esistono condizioni oggettive per la conoscenza e la responsabilità che travalicano quanto è in potere del soggetto o quanto gli sia dato di ricordare.

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DA: UFFICIO LEGALE DELLA PRESIDENZA Con riferimento alla domanda di grazia concernente il detenuto M. Rossi: In quanto giustificata da considerazioni di identità personale, è ragionevole ritenere che la condanna non debba generalmente dipendere dalle condizioni psicologiche del soggetto successive all’atto, ma solo dalle condizioni concomitanti (per es. incapacità di intendere). È altresì ragionevole ritenere che la condanna medesima perda il suo valore se non viene collegata dal detenuto a una memoria dell’atto criminale, posto che in tali circostanze le stesse condizioni di identità personale risultano incerte. In assenza di un preciso canone di riferimento, risulta impossibile a questo ufficio deliberare sul caso Rossi. Si sollecita pertanto un approfondimento dei criteri in base ai quali determinare le condizioni di identità personale rilevanti ai fini dell’applicazione delle normative in atto.

Trapianto di persona

LUI [Fermandosi davanti a un portone] Che mal di testa. [Concitato, legge la targa] «Clinica Zoom. Trapianti. Ogni organo». Ogni organo? È quello che fa per me. [Entra] Buongiorno. INFERMIERE Desidera? LUI Eseguite trapianti, vero? INFERMIERE Certo. È la nostra specialità. LUI E di ogni organo, mi pare di capire. INFERMIERE Esatto. Siamo tra i pochi centri al mondo che possono vantare un servizio integrale. Oltre duecento organi: vitali e ausiliari, interni ed esterni... c’è solo da scegliere. Ecco la lista completa. LUI Eseguite anche trapianti di cervello? Vorrei proprio farmi trapiantare il mio. INFERMIERE Naturalmente. C’è da riempire questo modulo. Data di nascita, eccetera. LUI [Prende il modulo, comincia a completarlo] Professione... indirizzo... e qui che cosa rispondo? INFERMIERE Mi dica, sono qui per aiutarla. LUI Mi si chiede se voglio essere donatore o ricevente. 31

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INFERMIERE Certo, deve scegliere. Nel primo caso mette il suo cervello a disposizione di chi lo desidera. Nel secondo caso è lei che richiede un cervello nuovo, a scelta fra quelli attualmente disponibili. LUI Mah, chissà... C’è una grossa differenza di prezzo? INFERMIERE Se lei è donatore, ci deve pagare un milione. Se lei è ricevente, le diamo un milione. LUI Caspita! Ho sempre dei gran mal di testa e prendo volentieri un cervello diverso dal mio. E poi un milione mi farebbe proprio comodo! Quindi mi iscrivo come ricevente. INFERMIERE Benissimo. Una firma qui... FICCANASO [Entra da una stanzina laterale, senza bussare] Aspetti. INFERMIERE Come? Chi è lei? FICCANASO Ci pensi bene, dico. LUI A che cosa? FICCANASO Al fatto che la pagano come ricevente e non come donatore. Da quando in qua uno paga quando dà una cosa e viene pagato quando la riceve? INFERMIERE Beh, a volte capita. Per esempio, c’è una tassa sui rifiuti: il cittadino paga perché consegna i rifiuti; il comune viene pagato perché li riceve. LUI Ben detto. È per questo che mi va bene di essere pagato: se fossi quello che paga, il mio cervello sarebbe come un rifiuto, no? FICCANASO Non arrischi paragoni tanto azzardati. Comunque... [Il telefono squilla] 32

Trapianto di persona

INFERMIERE Qui Clinica Zoom, buonasera... mi dica... un trapianto di cervello? Come donatore? Benissimo... ha già provveduto al pagamento? Certo, avremmo un ricevente in clinica proprio in questo momento... posso eventualmente chiedere a lui? D’accordo... grazie, buonasera [Riattacca]. LUI Se capisco bene, ho un donatore? INFERMIERE Certo. Se lei fosse d’accordo potremmo fare tutto domani. Lei parte di qui con un milione e un bel cervello tutto nuovo! FICCANASO Suvvia, ci pensi: che cosa vuol dire avere un cervello tutto nuovo? LUI Immagino che sia come avere un fegato tutto nuovo. O un cuore tutto nuovo. O un braccio sinistro tutto nuovo. INFERMIERE O tutto quanto tutto nuovo! La Clinica Zoom trapianta tutto! FICCANASO Appunto. Ma se le trapiantano tutto, che cosa resta di lei? LUI Ma infatti io non voglio trapiantarmi tutto. Voglio solo un nuovo cervello. FICCANASO La metta in questi termini. Se le trapiantassero tutto tranne il cervello, non è come se mettessero il suo cervello in un corpo diverso? LUI In effetti... FICCANASO Quindi sarebbe come se lei fosse un donatore di cervello. Quindi, per tornare al nostro caso, il suo donatore di cervello diventa automaticamente un ricevente del corpo che lei mette a disposizione. Quindi vede che accettando di 33

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ricevere un cervello nuovo lei diventa immediatamente un donatore di tutto il suo corpo. LUI Eh? Io non firmo per donare tutto il mio corpo. Anche perché mi verrebbe a costare un patrimonio! INFERMIERE Eh, quante storie. Firmi qui e non ci pensi più. FICCANASO Lasci perdere i soldi! Il cervello non è un organo qualunque. Il cervello è lei in persona. Non se ne privi tanto facilmente! LUI Io sono il mio cervello? Questo è quello che sostengono filosofi e scienziati di orientamento materialista, ma non è detto che io sia d’accordo. Non so voi della Clinica Zoom... INFERMIERE Può sempre farsi trapiantare una parte del cervello adesso e la parte rimanente in un secondo tempo. La nostra clinica considera i due emisferi cerebrali come organi distinti. Vedo sul listino che paghiamo mezzo milione per ciascun emisfero, per cui il totale sarebbe comunque pari a un milione. LUI Allora facciamo così! FICCANASO Ci pensi bene. Se lei sopravvive al trapianto del primo emisfero, vuol dire che la sua persona si identifica con l’altra metà. Altrimenti al termine dell’operazione non ci sarebbe lei ma un’altra persona. Ma allora siamo al punto di prima: sostituire una metà del proprio cervello equivale a donare tutto il resto del corpo. INFERMIERE Abbiamo effettuato trapianti parziali di cervello di entrambi i tipi: l’emisfero destro e l’emisfero sinistro. E vi assicuro che in entrambi i casi i nostri pazienti sono sopravvissuti perfettamente. 34

Trapianto di persona

FICCANASO Ho qualche dubbio che ci si intenda sul significato del termine «sopravvivere». Ma supponiamo pure che sia come dice. In tal caso se ne deduce, appunto, che indipendentemente da quale emisfero venga trapiantato per primo, l’operazione equivale alla donazione di tutto il resto del corpo. LUI Ma allora così io finisco per pagare due volte la donazione del corpo a fronte di un guadagno pari al ricevimento di un singolo cervello. Non ci penso neanche! [Pausa] E se richiedessi un trapianto dei due emisferi in contemporanea, ma da donatori diversi? In questo modo nessuno dei due donatori potrebbe vantare il diritto di ricevere tutto il mio corpo, e io me la caverei con il solo guadagno! INFERMIERE Certo, questa mi sembra una soluzione. LUI Allora affare fatto. Dov’è che dovevo firmare? FICCANASO A me sembra una pessima soluzione. Mi dia retta. Il cervello non è un organo qualsiasi, comunque lo si suddivida: è lei in persona. Invece di cambiarlo, impari a usarlo.

I sapori del gelato

LUI Com’è il tuo gelato? LEI Buono. Pistacchio e fragola. E il tuo invece? LUI Fragola e pistacchio. LEI Ma non è la stessa cosa? LUI Quasi. Tu hai pistacchio e fragola. Io fragola e pistacchio. Chiudi gli occhi, ti faccio assaggiare la fragola. LEI [Obbedisce, slurpa] Ma questo è il pistacchio! LUI Te l’avevo detto che sono gelati diversi. LEI Suvvia. Mi hai fatto chiudere gli occhi e mi hai ingannato; hai detto «fragola» ed era pistacchio. LUI Niente affatto. Guarda, assaggia il gusto verde e dimmi se non sa di fragola. LEI Ma scusa un po’: il verde è il pistacchio! LUI È quello che dicono tutti. Ma il mio gusto mi dice che il verde è fragola e il rosso è pistacchio. Per te invece il rosso è fragola e il verde è pistacchio, giusto? LEI Non è che hanno usato dei coloranti diversi per il tuo gelato? LUI No: l’abbiamo preso dallo stesso gelataio. 36

I sapori del gelato

LEI [Agitando il cono che tiene in mano, quasi al punto di far cadere il gelato] Fammi capire. Non mi stai prendendo in giro. Tu stai sinceramente dicendo che il gusto verde per te è fragola e per me è pistacchio. LUI E viceversa, il gusto rosso per te è fragola e per me pistacchio. LEI Ma non è solo una questione di nomi? Magari quando eri piccolo ti hanno insegnato a chiamare «gusto fragola» quello che a me hanno insegnato a chiamare «gusto pistacchio» e viceversa. LUI Avrei avuto dei genitori molto crudeli, non trovi? Anche perché non finisce certo con fragole e pistacchi. LEI Vuoi dire che... LUI Voglio dire che quelle cose gialle e succose che per te sanno di limone per me invece sanno di ribes, e le cose blu e piccine, ribes per te, sanno di limone per me. (È per questo che mi piace mettere i ribes sui pistacchi: così ho l’impressione di mangiare delle fragole al limone.) LEI [Perplessissima] Secondo me stai sbagliando qualcosa... LUI E come no? Sbaglio tutti i gusti. LEI No, non volevo dire questo. C’è qualcosa di sbagliato in tutta la nostra discussione. Mi dici che non hai avuto genitori crudeli. Ti hanno insegnato a parlare in italiano come a me, no? Quindi ti davano un gelato al pistacchio e ti dicevano «Sa di pistacchio». LUI Esatto. 37

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LEI E tu sentivi un certo gusto quando assaggiavi quel gelato, no? E questo gusto lo chiamavi «pistacchio», no? LUI Sì. LEI E perché mai adesso lo chiami «fragola»? LUI Perché nel frattempo è cambiato tutto! Crescendo mi si sono invertiti i gusti. Le fragole hanno cominciato a sapere di pistacchio e i limoni di ribes. Di punto in bianco. Niente di grave: in un certo senso è stato anche divertente. Sperimento nuovi accostamenti. LEI Ma io come faccio a essere sicura che non mi stai raccontando una frottola? LUI [Assume un’aria mortificata] LEI Scusa, non prendertela, mi fido di te. Giocavo a fare la scettica. LUI [Sempre amaro] Ne sono lusingato. LEI Ho sempre pensato che quando i filosofi parlano di queste cose si limitano a immaginare delle situazioni possibili. Sono sorpresa di scoprire che non è così... Aspetta. Ma tu sei ancora triste! LUI Stavo pensando che forse mi sto sbagliando per davvero. Forse non ho affatto subito un’inversione di gusti. LEI In che senso? LUI Forse mi ricordo male i gusti di quando ero più piccolo. Forse tutta questa storia non è che un’illusione della memoria: non mi si sono invertiti i gusti, ma i ricordi. Mi sembra di 38

I sapori del gelato

ricordare che il gelato alla fragola avesse in passato un gusto diverso da quello che ha ora. LEI Posso crederti sulla parola quando mi dici che i tuoi gusti sono invertiti. Posso vincere lo scetticismo che accompagna sempre la nostra idea delle altre menti. Ma non so come tu possa vincere lo scetticismo che riguarda i tuoi ricordi. LUI Mi si è anche sciolto il gelato. LEI Anche il mio... Poco male, i due gusti si sono mescolati, e non c’è più il problema di distinguerli. Così almeno adesso possiamo essere sicuri che i nostri due gelati hanno lo stesso sapore.

Al Lettore potrebbe dunque tornare utile, qualora risultasse che la sua occasionale compagna di viaggio non possieda una vita soggettiva, interiore, scoprire che può continuare a trattarla come una persona come se niente fosse. Se poi questo obbligasse il Lettore a rivedere le sue opinioni sulle Persone, non saremo certo noi ad opporci. È anzi per rincarare la dose che abbiamo pubblicato il carteggio del prigioniero amnestico, in cui la tensione concettuale tra avere un passato e conoscerlo ci pone di fronte a un drammatico dilemma proprio nell’attribuire quella Responsabilità che così importante parrebbe per il concetto di Persona. Non avrà invece la nostra indulgenza chi cercasse di definire il medesimo concetto facendo a meno del Cervello, come sembrano pensare alla Clinica Zoom: i rimproveri dell’irruente Ficcanaso ci appaiono sacrosanti. E non possiamo che compatire chi si ostinasse a cercare criteri interni, puramente soggettivi, per verificare le proprie intuizioni sulla Soggettività, a meno di accontentarsi di un gelato sciolto a guisa di premio di consolazione. Il che potrebbe anche intendersi come un preambolo al capitolo

tre dove il Caso irrompe nella vita quotidiana e scompagina tutti i tentativi dei nostri personaggi di mettervi Ordine, distratti come sono dall’immagine elegante che si fanno di loro medesimi e della Storia tutta.

Il gioco del Lotto nella città di Rovesci

LUI [Scende dalla corriera e si dirige verso il bar. Ne esce una signora con l’aria soddisfatta. La interroga] Mi scusi, questa è anche una ricevitoria del Lotto? SIGNORA Certo. LUI Allora non perderò tempo. Sono un vero appassionato: mi piace moltissimo tentare la fortuna. Immagino che lei mi capisca... SIGNORA Anch’io gioco, ma più che altro per necessità. Adesso, per esempio: dovevo comprarmi dei francobolli, e avevo bisogno di tre euro. LUI Immagino che se lei è anche una fortunata vincitrice (come mi pare di capire) avrà intascato ben più di tre euro e sarà molto soddisfatta... SIGNORA Vincere? In che senso? Sono soddisfatta di non perdere. LUI Perdere? In che senso? Come si può perdere alla lotteria? SIGNORA Dalle mie parti i biglietti sono neri su sfondo bianco, ma noto che quello che le spunta dal taschino è bianco su sfondo nero. Adesso capisco. Vedo che lei viene da Dritti, dove per giocare al Lotto si comprano i biglietti e a volte si vin43

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ce. Qui invece siamo a Rovesci, dove per tentare la sorte si ricevono dei soldi dallo Stato e a volte si perde. LUI Straordinario, non sapevo dell’esistenza di questo modo di sfidare il fato. Come funziona? SIGNORA È molto semplice. Basta andare al banco del Negalotto e chiedere un biglietto del Gratta e Perdi. Insieme al biglietto le viene dato un euro. Lei gratta, e vede se ha perso. LUI E se ho perso? SIGNORA Paga, naturalmente. LUI E quanto? SIGNORA Dipende da quello che c’è scritto sul biglietto. LUI Ma... E se c’è scritto che ho perso molto? SIGNORA Se perde molto paga molto, è ovvio. Mi pare che il massimo sia un milione. LUI Un milione? Ma è pazzesco! Perché mai uno dovrebbe rischiare di finire sul lastrico solo per intascare un euro? SIGNORA Non ci trovo niente di strano. Qui il gioco funziona così. FICCANASO [Da dietro il bancone del bar] Mi permetto di osservare che l’inserzione di un elemento di rischio era il tema che ha ispirato La Lotteria a Babilonia di Borges, in cui tutti gli abitanti di quella favolosa città ponevano la propria esistenza sotto l’egida della fortuna o della malasorte. Era un modo di insaporire la vita. LUI Insaporire la vita? Trovo che sia terribile rischiare di perdere tutto per potersi comprare dei francobolli. 44

Il gioco del Lotto nella città di Rovesci

FICCANASO [Con aria pomposa] Si gioca per vincere, ma ci si diverte di più quando la vittoria comporta dei rischi. Il vero giocatore è quello che, contemplando il proprio bottino, può far proprio il motto di Ulrich von Hutten: «Io ho osato!». LUI Sarà, ma a me sembra pura e semplice follia. Una vera e propria roulette russa. SIGNORA Guardi, noi a Rovesci la vediamo in modo esattamente opposto (come è ovvio). Ci pare che il vostro gioco sia folle. LUI In che senso, scusi? SIGNORA È vero che da noi qualche rarissima persona può incappare in un colpo di sfortuna e perdere dei soldi, anche somme cospicue, ma la stragrande maggioranza dei nostri biglietti non fa perdere nulla. Anzi, fa guadagnare un euro secco. Vede? Avevo bisogno di tre euro per i francobolli, e mi son fatta dare tre biglietti. Su cui leggo, come mi aspettavo, «Non hai perso nulla!». LUI Mentre da noi... SIGNORA È vero che da voi qualche rarissima persona può incorrere in un colpo di fortuna e vincere dei soldi, anche somme cospicue, ma la stragrande maggioranza dei vostri biglietti non fa vincere nulla. Anzi, fa perdere un euro secco. Mi faccia vedere il suo biglietto... infatti: «Riprova, sarai più fortunato». Che le dicevo? Da voi ogni giorno migliaia di persone perdono un euro a testa solo per il gusto di tentare la fortuna. Mi sembra un po’ assurdo, no? LUI Però... però... ogni tanto qualcuno vince! Ed è per questo che a Dritti giocano tutti. C’è un grande senso di speranza. 45

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SIGNORA Speranza? Quello che dice è incomprensibile. Lo sa benissimo che ha una possibilità infima di vincere, e una certezza quasi matematica di perdere un euro. Come può farsi attrarre da un gioco così poco redditizio? LUI La speranza è l’ultima a morire. SIGNORA Sciocchezze. Lo dite solo per giustificare un comportamento che non regge al vaglio della razionalità. Guardi noi invece: abbiamo una possibilità infima di perdere e una certezza quasi matematica di vincere. Questo sì che è un buon motivo per giocare. Anzi, venga che le offro un caffè. LUI Non è il caso che si disturbi. SIGNORA Nessun disturbo. Mi basta farmi dare due Gratta e Perdi... Ecco qua. Come vede, abbiamo ottenuto due euro. Adesso grattiamo... e naturalmente... non abbiamo perso nulla. LUI Sono sollevato. SIGNORA Vede? Qui a Rovesci siamo tutti contenti. LUI Anche perché mi pare di capire che la probabilità di perdere due volte di seguito sia molto bassa. Se proprio uno è sfortunato, può subito cercare di rifarsi richiedendo un intero mazzetto di Gratta e Perdi. SIGNORA Vedo che ci intendiamo. Dia retta a me: tra sborsare un euro con la quasi certezza di non vincere, e intascare un euro con la quasi certezza di non perdere, non c’è confronto.

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I numeri della fortuna

LUI ...A questo punto il fulmine ha colpito l’auto su cui viaggiavo e mi sono ritrovato in mezzo al prato, nudo ma senza un graffio. LEI L’hai scampata bella! LUI Di che giocare al Lotto! Ci sarà pure un numero per «il fulminato». LEI Non mi dire che credi ai cosiddetti segni del destino. LUI No, ma... COMMESSO VIAGGIATORE [Intromettendosi senza tanti complimenti] Come no? Guardate che giocare al Lotto oggi è una scienza, e non c’è più posto per la superstizione. LUI e LEI Prego? COMMESSO È una questione che mi sta assai a cuore. Il Lotto è un fatto statistico. È vero che ogni numero ha le stesse probabilità di uscire di tutti gli altri, ma sappiamo anche che un numero non può aspettare troppo tempo prima di manifestarsi, e più lo si aspetta più è probabile che esca. La mia società ha appena realizzato un programma che consente di tener conto dei ritardi di tutti i numeri su tutte le ruote, e non le dico il successo. Matematica, non superstizione. Prenda, questo è il nostro programma con l’archivio completo; ag47

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giorniamo i dati a ogni estrazione. Tenga d’occhio il 27 sulla ruota di... LEI La interrompo. Mi sembra che le sue affermazioni si contraddicano. Se ogni numero ha le stesse probabilità di uscire di tutti gli altri in una giocata qualsiasi, come fa poi un certo numero ad avere più probabilità degli altri? COMMESSO Perché è in ritardo! Perché per troppe volte di fila, in precedenza, non è uscito. LEI Sì, ma in che modo questo influenza la giocata presente? Il pallottoliere non può «vedere» quello che è successo nel passato. A meno che non sia truccato... COMMESSO Niente trucchi: è pura matematica. Sarebbe improbabile che il numero non uscisse dopo tanto ritardo. Altrimenti sarebbe un numero privilegiato, non trova? LEI Tutto dipende da come lei misura i cosiddetti «ritardi». COMMESSO In che senso? Mi limito a constatarli nella serie delle estrazioni precedenti. LEI Il problema è il modo in cui si definisce la serie delle estrazioni precedenti. Se lei prendesse una serie leggermente diversa, per esempio scegliendo un’estrazione ogni due settimane, i numeri in ritardo sarebbero molto diversi. Anzi, possiamo vederlo direttamente sul mio portatile grazie al suo programma... Ecco... Vede? A questo punto è il 59, e non il 27, a essere in «ritardo». E se scegliamo una giocata ogni tre... scopriamo che è il 6 a essere in ritardo! E se... COMMESSO Ma che cos’è questa faccenda di scegliere un’estrazione su due o su tre? Si limiti a guardare tutte le estrazioni precedenti! 48

I numeri della fortuna

LEI Il fatto è che non c’è nessuna ragione di scegliere proprio quella serie piuttosto che un’altra. E questo proprio perché una giocata non può vedere che cosa succede nelle altre giocate. Il Lotto è cieco. Le giocate precedenti semplicemente non contano. COMMESSO Ma come non contano? Lei mi vuole dire che se giochiamo a testa e croce e esce testa tre volte di seguito, non devo mettermi a puntare su croce? LEI Esattamente. Punti su quello che vuole, la probabilità che esca croce è sempre del cinquanta per cento. (Al più potrebbe pensare che la moneta sia truccata... nel qual caso però sarebbe meglio continuare a giocare testa, altro che croce!) COMMESSO Ma croce è terribilmente in ritardo. Guardi la sequenza... LEI Se vuole tener conto delle sequenze, ragioni in questo modo: la probabilità della sequenza testa-testa-testa-testa è la stessa della sequenza testa-testa-testa-croce. Cinquanta per cento. LUI Però, se tu avessi ragione, il fatto che mi abbia colpito un fulmine non dovrebbe mettermi al riparo dai fulmini successivi. Ma sono pochissime le persone su cui si sono abbattuti due fulmini. Io il mio fulmine l’ho già avuto e mi sento al sicuro. COMMESSO Ben detto! LEI Mi spiace deluderti, ma ti consiglio di comprarti un parafulmine. Può anche darsi che tu ti senta in vantaggio rispetto al prossimo fulmine. Ma se dovessi scommettere su chi tra noi tre sarà quello che viene colpito due volte dal fulmine, credo che scommetterei su di te. 49

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LUI Perché? LEI Perché a te manca solo un fulmine per arrivare a due, mentre io e questo signore (immagino) dobbiamo ancora venir colpiti da due fulmini! LUI Ma insomma, secondo te quale sarebbe il modo migliore per vincere al Lotto? COMMESSO Già, qual è la sua risposta? LEI Non c’è un modo migliore per vincere ma ce n’è uno infallibile per non perdere. Basta non giocare.

Il disordine invisibile

LEI Diciamo che 1 è testa e 0 è croce. Supponi di lanciare una moneta quattro volte di seguito. Potrebbe uscire 1111, ovvero testa-testa-testa-testa. LUI Sarebbe strano però. È un esito troppo regolare. Improbabile. LEI Non vedo la differenza rispetto a 0000, croce-croce-croce-croce. LUI Infatti. Sono sequenze egualmente improbabili. LEI Prendi allora 0011. LUI Anche questa è una sequenza troppo ordinata (e anche 1100). Tutti gli zero sono andati a finire da una parte, tutti gli uno dall’altra. LEI Che cosa mi dici di 0110? LUI Troppo ordine anche qui (e anche in 1001, il suo gemello). C’è una simmetria perfetta tra gli uno e gli zero. LEI Vediamo: 1010? LUI Siamo da capo. C’è un’alternanza perfetta di uno e zero (come in 0101, del resto). LEI Che cosa posso proporti? 1000, per esempio. 51

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LUI Stiamo perdendo il nostro tempo. Come i suoi cugini 0111, 1110 e 0001, si tratta di una configurazione semplice e ordinata, non trovi? La regola è: una-cifra-unita-a-tre-ripetizioni-dell’altra. LEI Diresti qualcosa di simile anche per la famiglia 1011, 1101, 0100, 0010? LUI Certamente: la-sola-cifra-diversa-si-trova-lontano-dagliestremi. Più ordine di così... LEI Eri partito dicendo che una sequenza come 1111 è improbabile perché è troppo regolare. Ma adesso mi dici che tutte le sequenze che ti ho proposto sono ben organizzate. Tutte rispettano una qualche regola e nessuna sembra essere dettata dal caso. Dovresti dunque dire che sono tutte improbabili. Ma qui ti ritrovi con un problema. LUI Quale? LEI Le sequenze che ti ho presentato e di cui abbiamo discusso sono tutte e sole le sedici possibili sequenze di risultati di quattro lanci successivi di una moneta. Non ce ne sono altre. LUI Questo significa che se lancio una moneta quattro volte di fila, otterrò necessariamente una di queste sedici sequenze? LEI Sì. E qui sta il punto. Se la moneta non è truccata, il risultato del lancio della moneta è sicuramente dettato dal caso. Quindi tutte le sequenze di cui abbiamo discusso sono dettate dal caso. Invece secondo te sono tutte infuse da un ordine di qualche tipo. E l’ordine esclude il caso. LUI Chiunque sarebbe d’accordo con me sull’ordine. Basta 52

Il disordine invisibile

guardare le regole cui ciascuna di queste sequenze obbedisce: simmetrie, ripetizioni... LEI Ma se la sequenza è creata dal caso, come fa a obbedire a una regola? No, le «regole» di cui mi parli sono un’illusione. L’ordine sta tutto nella nostra mente, non nella realtà della sequenza. Le regole testimoniano solo la tua abilità: sai scovare strutture dappertutto. Sei costantemente all’erta, alla ricerca di simmetrie, configurazioni, ripetizioni, figure. E inevitabilmente le trovi, se vuoi. LUI D’accordo, supponiamo che l’ordine sia imposto solo a posteriori. Potrei anche dire che tutte le sequenze sono egualmente ordinate e che quindi hanno tutte la stessa probabilità di uscita. Comunque la tua obiezione vale soltanto per le sequenze di quattro lanci. Se mi chiedessi di valutare l’aspetto di una sequenza di sei lanci, sarei d’accordo nel trovare 010110 meno ordinata di 000000 o anche di 000111. LEI Mi stupisce che abbandoni così presto la tua ricerca di un ordine. Mi era parso di capire che tu la pensassi come Wittgenstein: datemi una sequenza qualsivoglia e vi troverò una regola di qualche tipo cui la sequenza obbedisce. (Magari poi la regola sembra strana, ma è comunque una regola.) Tuttavia ti concedo che l’effetto disordine viene amplificato dalla lunghezza della sequenza. Gli studi di psicologia dimostrano in effetti che tendiamo a considerare 010110 più probabile di 000111 e suggeriscono che questo dipende dal fatto che 010110 sembra più simile all’immagine che ci facciamo di una sequenza disordinata. (E, di nuovo, si tratta di un’illusione: 010110 è altrettanto probabile di 000111.) LUI E per quale motivo saremmo così ossessionati dall’ordine? 53

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LEI È il nostro modo di semplificare i dati, e in moltissimi casi questa semplificazione ci permette di tenere sotto controllo l’enorme flusso di informazioni che ci bombarda a ogni istante. D’altro canto dobbiamo essere coscienti del fatto che il meccanismo che ricerca un ordine è per così dire sempre acceso, anche quando non c’è nessun ordine da trovare. Pensa a come funzionano bene le profezie di Celestino o di Nostradamus: troppo bene, col senno di poi, il che significa che qualcuno ha selezionato le cosiddette predizioni in modo da far tornare i conti. Pensa alla ricerca ossessiva (e perfettamente inutile, come abbiamo già visto) dei cosiddetti ritardi nel Lotto. Pensa al modo in cui riscriviamo la nostra vita mettendo in luce dei fatti che confermano l’immagine elegante che ci piace avere di noi stessi e dimenticando quelli che non ci fanno onore. Pensa all’idea che la storia si ripeta, che è anche una delle idee più ripetute della storia. In tutti questi casi imponiamo un ordine a dei fatti di cui abbiamo invece ragione di pensare che siano ampiamente dominati dal caso. Credimi: la realtà, la vita, e la storia sono infinitamente più complesse delle immagini che ci pare di scorgere nella loro filigrana.

Che in un mondo che sembra ormai alfabetizzato e numerizzato tante persone si ostinino a giocare al Lotto o a cercar di leggere nel Passato le tracce inesistenti di cose che (dicon loro) si verificheranno inevitabilmente nel Futuro mostra che il mondo poi tanto alfabetizzato non è. Temiamo di conseguenza che domande strane come quelle sul Senso della Vita continueranno a sembrare le domande filosofiche per eccellenza e a riempire i tomi di illustri taccabodoni della filosofia. Per nostra parte non riusciamo a capire nemmeno quale sia il senso di tali domande. Un po’ come chiedersi ancora qual è il numero del mondo, quando ormai tutti conoscono la risposta: 87, e in alcuni casi 23. Ma veniamo al capitolo

quattro dove ci si stupisce dell’acume di un campanaro sperduto ai confini dell’Impero e dove, in una serie mirabolante di viaggi esotici, si dimostra che Spazio e Tempo sono strettamente intrecciati; dove si apprende inoltre che i leoni hanno un senso assai sviluppato della Relatività delle cose e ci si domanda per quale ragione gli specchi invertano soltanto la Destra con la Sinistra, e non il Sopra col Sotto.

Missiva sul tempo da Valle Finale

DA: CAMPANARO N. 2353, PIEVE DI VALLE FINALE AD: AUTORITÀ PER LA MISURA DEL TEMPO, NELLA CAPITALE Confratelli, Vi prego di non considerare la mia lettera come importuna. So di essere l’ultimo campanaro nell’ultima valle dell’Impero, la più umile, la più remota. In realtà è proprio questo che mi spinge a scriverVi. Ho infatti letto l’Opuscolo diramato dalle Vostre eccellentissime Autorità, intitolato Di un nuovo metodo per diffondere il segnale orario nell’Impero, giuntomi con diligenza espressa il 20 maggio scorso. Nonostante apprezzi molto il rigore dell’Opuscolo e la sua insistenza sulla necessità di regole definite e inequivocabili, tanto più importanti in questa nostra epoca oscura e incerta, la mia impressione è che il metodo – sebbene di facilissima applicazione – rischi di aumentare anziché diminuire la tenebra e l’incertezza. Difatti, si sostiene che l’unica Autorità da oggi preposta a indicare il segnale orario è l’Osservatorio della Capitale, che ad ogni ora farà risuonare la campana della sua torre. Si sostiene inoltre che il segnale dovrà venir ripreso e diffuso dalle campane della prima cerchia di mura, e poi da quelle dei sobborghi, e via via di pieve in pieve fino alle città vicine, e da queste alle altre, espandendosi come i cerchi formati da un sasso lanciato 57

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nell’acqua cheta: fino a raggiungere le ultime torri dell’Impero e portare l’ora – il segnale della civiltà – agli abitanti di valli sperdute e, come la nostra, solo di rado visitate da un viandante. Si termina ingiungendo ai campanari di attendere d’aver udito per intero i rintocchi prima di iniziare a loro volta a far risuonare le loro campane, per essere sicuri dell’ora da suonare. La mia perplessità riguarda le conseguenze che l’uso di questo metodo può avere per la qualità del segnale orario. Mi azzardo a sostenere – sperando di non formulare ipotesi eretica – che il tempo e lo spazio siano più legati tra di loro di quanto il nobile estensore dell’Opuscolo non abbia voluto ritenere. Si consideri quanto accadrà. Il segnale orario parte dalla Capitale: il campanaro dell’Osservatorio suona le sei. Il campanaro di una delle torri delle mura ode il segnale, aspetta il sesto rintocco, e inizia a sua volta a far suonare le campane. E così via. Lo scoccare delle sei si propaga lentamente, ogni campanaro per legge dovendo suonare solo quando ha sentito tutti i rintocchi di quello che lo ha preceduto. Ma, ripeto, lo spazio è tempo, e Valle Finale è a mille e duecento luoghi dalla Capitale. Un semplice calcolo dimostra che quando il suono delle sei arriva nella nostra valle sono già quasi le sette. I nostri valligiani saranno perennemente nell’errore? Aggiungo una riflessione che indica la natura paradossale del procedimento. La mezzanotte ha dodici rintocchi. Le una ne hanno uno solo. Quindi il segnale orario della mezzanotte si propaga molto lentamente, molto più lentamente di quello dell’una, dato che nel primo caso i campanari dovranno aspettare dodici colpi prima di poter inviare a loro volta il segnale, mentre nel secondo caso l’attesa prima dell’invio sarà brevissima. Ho fatto i calcoli e mi risulta che sarò obbligato a far scoccare il tocco delle una prima di poter far scoc58

Missiva sul tempo da Valle Finale

care quello della mezzanotte. Non solo lo spazio è tempo, ma in questo caso lo spazio sembra produrre una contrazione del tempo. Gli abitanti della mia valle dovranno dunque misurarsi con un tempo che si avvolge su se stesso, e poi si dipana di nuovo ogni notte, con ore via via sempre più lunghe, recuperate da un’ora di durata negativa? RingraziandoVi per l’attenzione che vorrete prestare a questi pensieri di un umile campanaro, ecc. P.S. Se andasse vacante un posto in una pieve meno eccentrica, potreste tenere presente il mio nominativo? Qui a Valle Finale la vita è assai aspra, e ho passato ormai molti lustri tra queste montagne. DA: UFFICIO DELLE AUTORITÀ PER LA MISURA DEL TEMPO, NELLA CAPITALE A: CAMPANARO N. 2353, PIEVE DI VALLE FINALE Confratello, Abbiamo attentamente esaminato la tua lettera del 21 giugno scorso. Le tue preoccupazioni sono legittime, ma tradiscono una mancata comprensione dei principi che ispirano questa Autorità, e come tali sono state dichiarate eretiche. In particolare, è compito di questa Autorità il determinare un tempo valido per tutte le pievi dell’Impero; tale tempo, e la sua misura, emanano direttamente dagli atti dell’Autorità, e da tali atti sono definiti. Pertanto: In primo luogo, la tua affermazione che il tocco raggiungerà la tua valle alle sette, quando sono soltanto le sei, viene rigettata. Il tempo è misurato dai rintocchi legati all’Osservatorio, non esiste una simultaneità al di fuori del segnale orario e della sua propagazione, e quindi quando tu scoccherai i sei rintocchi, allora, e solo allora, a Pieve di Valle Finale sa59

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ranno le sei. I tuoi «calcoli» vengono contestualmente rigettati in quanto sovrappongono un’ambizione personale a un ordine dell’Autorità. In secondo luogo, il tuo ragionamento sul cosiddetto paradosso del segnale delle ore una che scavalcherebbe quello della mezzanotte contiene una grave fallacia. In ragione della tua età e delle difficoltà ben note della permanenza a Pieve di Valle Finale questa Autorità sarebbe stata disposta a concederti un avvicinamento, e persino a offrirti un posto vacante nella Capitale. Ma è prima assolutamente necessario che tu riconosca l’errore di ragionamento contenuto nella tua affermazione che per colpa del metodo messo a punto dall’Autorità ti troveresti a suonare le una prima di aver suonato la mezzanotte.

Bollicine

[VOCE DELLO STEWARD] Allacciare le cinture di sicurezza. PASSEGGERO Buonasera, mi scusi, la scavalco per andare al mio posto. Scelgo sempre il finestrino, per vedere le nuvole dall’alto. LEI Già, soprattutto all’alba è sempre uno spettacolo. Io però viaggio spesso, per cui alle nuvole preferisco la comodità di potermi alzare di frequente senza disturbare. Le confesso del resto che stasera avrei preferito non viaggiare affatto. PASSEGGERO Perché mai? Viaggiare la notte di San Silvestro mi sembra molto originale. E poi è conveniente: i voli sono economici e negli aeroporti c’è poca ressa. LEI Ammesso di arrivarci... Col traffico che convergeva a Times Square ci ho messo più di un’ora a uscire da Manhattan. In ogni caso, non mi dica che l’idea di festeggiare il nuovo anno sul sedile di un aereo la rallegra. Se avessi potuto evitarlo non ci avrei pensato un attimo. PASSEGGERO Certo che l’idea mi rallegra! A parte la convenienza, trovo che poter brindare in volo sia un’opportunità veramente speciale. Mi sono portato anche una bottiglia di champagne (nel caso la compagnia aerea non ci abbia già pensato, beninteso). Guardi qui. Non sarà ghiacciato ma spero che non vorrà fare complimenti. 61

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LEI Grazie, è molto gentile. PASSEGGERO Soprattutto, mi attira l’idea di brindare a ripetizione. Con tutti i fusi orari che attraverseremo ci sarà da ubriacarsi. LEI Scusi, ma allora lei si trova sull’aereo sbagliato. Quelli che amano brindare in continuazione volano da est a ovest. Così quando arriva la mezzanotte festeggiano, e dopo qualche decina di minuti entrano nuovamente nel fuso orario delle undici: attendono la mezzanotte e festeggiano di nuovo, per poi entrare nuovamente nel fuso orario delle undici, e così via. Mi pare che per il cambio di millennio i posti sul volo Parigi-New York fossero in vendita a cifre tutt’altro che convenienti. Noi però viaggeremo nella direzione opposta, da ovest a est. Partiremo da New York alle diciotto e dopo pochi minuti saranno già le diciannove, poi le venti... e così via fino alle otto del mattino a Parigi (sempre che il volo arrivi puntuale). Altro che brindisi a ripetizione. Bisognerà fare in fretta per non ritrovarsi all’una col bicchiere ancora pieno di bollicine. PASSEGGERO Accidenti, ha ragione. Faccio sempre lo stesso errore coi fusi orari. Non mi ricordo mai da che parte si guadagna tempo. In effetti, all’ora della nostra partenza in Europa sarà già mezzanotte... Comunque è sempre un’occasione speciale, non trova? Se ho capito bene, quando entreremo nel fuso orario delle undici ci troveremo sopra l’oceano. Quindi non saremo più negli Stati Uniti e non saremo ancora nei cieli di alcun paese europeo. Questo vuol dire che festeggeremo lo scoccare della mezzanotte... da nessuna parte! Per me è più che sufficiente per un brindisi originale. LEI Se lo dice lei... Per conto mio mi sono sempre vantata di aver festeggiato ogni anno a Parigi o a New York, e l’idea di 62

Bollicine

un cin-cin nel mezzo dell’oceano non mi attrae particolarmente. FICCANASO [Spuntando a mezzo gli schienali della fila di sedili anteriore] Ammesso che ci riesca di brindare. PASSEGGERO Prego? FICCANASO Chi le assicura che festeggeremo la mezzanotte in mezzo all’oceano? PASSEGGERO Salvo imprevisti mi sembra che la matematica ci dia tutte le garanzie. Come diceva la signora, se partiamo alle sei di sera e arriviamo alle otto di mattina, prima o poi da qualche parte sarà mezzanotte. E se la geografia non mi inganna, a quel punto ci troveremo ancora molto lontani dalle coste europee. FICCANASO Scusi, ma chi le dice che noi saremo da qualche parte proprio a mezzanotte? Ha studiato la rotta così bene? PASSEGGERO La rotta? FICCANASO La matematica e la geografia ci dicono che durante il viaggio ci capiterà più di una volta di passare da un’ora alla successiva senza uscire dal fuso orario nel quale ci troveremo. Se il viaggio dura otto ore e la differenza tra New York e Parigi è di sei ore, vuol dire che questo può succederci da un minimo di due volte a un massimo di otto. Ma non è detto che lo scoccare della mezzanotte sia tra questi casi. Anzi, io ho fatto due conti e credo proprio che, salvo imprevisti cambi di rotta, la mezzanotte la salteremo di punto in bianco. (Questo sì che merita un brindisi.) PASSEGGERO Continuo a non seguirla. 63

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LEI A me sembra chiarissimo. Metta che alle 11:45 (ora locale), proprio mentre lei comincia a prepararsi per il brindisi, noi si entri nel fuso orario successivo. Automaticamente ci ritroviamo alle 12:45 (nuova ora locale) e un quarto d’ora dopo è già l’una. Lei si ritrova con la bottiglia in mano ancora tappata e chi s’è visto s’è visto. Niente mezzanotte. PASSEGGERO Ma allora... FICCANASO Allora mi creda: succederà proprio così. Niente mezzanotte. Niente conto alla rovescia. Su quest’aereo passeremo dal 2003 al 2004 senza varcare la soglia. PASSEGGERO Diamine, e io che pensavo addirittura di festeggiare a ripetizione. Sono veramente deluso. FICCANASO Macché deluso. Io lo faccio tutti gli anni e, mi creda, ne vale la pena. Io mi oppongo a tutte le barriere, anche a quelle temporali. Meglio brindare alla loro assenza. LEI A me sembrate un po’ eccentrici tutti e due. Comunque ammetto di non averci pensato prima. Se davvero le cose stanno come dice, allora non ho più ragione di lamentarmi. Potrò continuare a dire di aver sempre festeggiato il capodanno a Parigi o a New York: questo viaggio non sarà un’eccezione. PASSEGGERO Non sarà un’eccezione perché non festeggerà un bel niente. GLI ALTRI No, no, festeggeremo eccome. Ma festeggeremo l’assenza dell’istante magico. Saluteremo il 2003 in anticipo e il 2004 in ritardo. Ma non perderemo nemmeno un momento.

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Date di nascita

BAMBINO Buongiorno signor bigliettaio. Sono venuto per la mostra sui dinosauri. È vero che chi non ha ancora tre anni entra gratis? BIGLIETTAIO Verissimo. È una nostra iniziativa per incentivare le visite al museo da parte dei nostri piccoli amici. BAMBINO Ottima idea! E meno male che i miei genitori mi hanno avvisato in tempo: compio tre anni proprio domani. Ecco la mia carta d’identità. BIGLIETTAIO Scusi, ma qui c’è scritto che lei è nato il 16 gennaio. E il 16 gennaio è oggi... BAMBINO Certo, ha ragione. Ma la data di nascita non dice nulla se non si controlla anche il luogo di nascita. Vede, è scritto qui: io sono nato il 16 gennaio del 2001 a New York, negli Stati Uniti. E mi creda se le dico che sono nato alle 10 e trenta di sera: se vuole posso portarle una copia del certificato di nascita. BIGLIETTAIO Non capisco dove lei intenda arrivare. BAMBINO Se io sono nato alle 10 e trenta di sera del giorno 16 gennaio nella città di New York, vuol dire che al momento della mia nascita qui in Europa era già il 17 gennaio. Lei sa meglio di me che esiste una differenza di sei fusi orari. Quin65

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di il mio compleanno è il 16 per gli americani, ma per gli europei è il 17. È ovvio. BIGLIETTAIO Mi perdoni. Qui c’è scritto che lei è nato il 16 gennaio, e il 16 gennaio è oggi. Lei ha appena compiuto tre anni, ma ha già compiuto tre anni. Mi dispiace. BAMBINA [Che attendeva in coda dietro al bambino e aveva assistito alla scena con interesse] Scusate se mi intrometto. Si dà il caso che io sia nata il 17 gennaio. Vede? Questa è la mia carta d’identità. BIGLIETTAIO 17 gennaio 2001. Benissimo. Lei ha ancora diritto all’ingresso gratuito, appena in tempo. BAMBINA Vorrei tuttavia farle notare anche il luogo di nascita: Parigi. Ora, si dà il caso che io sia nata proprio alle 4 e trenta del mattino... BAMBINO Ma allora, mademoiselle, lei è nata proprio quando sono nato io! BAMBINA Esattamente. Siamo nati nello stesso preciso istante, anche se a sei fusi orari di distanza. Quindi, signor bigliettaio, se lei è disposto a concedere lo sconto a me, non vedo perché non vuole concederlo al bambino qui presente. BIGLIETTAIO Non posso farci niente. Io devo allegare una fotocopia dei documenti e i documenti dicono che siete nati in due date diverse: lei il 17 gennaio, lui invece il 16. BAMBINA Ma signor bigliettaio: i documenti non dicono solo questo. Dicono anche che io sono nata a Parigi e che lui è nato a New York. Perché non aggiungiamo in calce alla fotocopia anche l’ora di nascita? A questo punto sì che i dati sarebbero completi: «Nata a Parigi alle ore 4 e trenta del 17 gennaio 66

Date di nascita

2001» e «Nato a New York alle 22 e trenta del 16 gennaio 2001». Queste due informazioni, per quanto apparentemente diverse, fanno riferimento al medesimo istante di tempo. BIGLIETTAIO Fatemi capire bene. Io sono nato alle 11 di sera di un lontano 29 febbraio. A Rogoredo. Per i miei zii che abitano in Australia, io sarei nato il primo marzo? BAMBINI [In coro] Proprio così. BIGLIETTAIO Ma negli anni non bisestili, in assenza del 29 febbraio, festeggio il mio compleanno il primo marzo. Quindi se mi trasferissi in Australia dovrei festeggiare il 2 marzo? BAMBINI Certo, il 2 marzo. BIGLIETTAIO Non trovate un po’ strano che uno festeggi il proprio compleanno il 2 marzo se è nato a febbraio? BAMBINI Strano sì, signor bigliettaio. Ma perfettamente logico. BIGLIETTAIO Se lo dite voi... Ecco qua i vostri due biglietti. Spero solo di non dover ripetere tutta questa storia ai miei superiori. BAMBINO Molte grazie. BAMBINA E adesso tutti in pasticceria a festeggiare il nostro compleanno! BIGLIETTAIO Come come? Ma non abbiamo fatto questo ragionamento per stabilire che il vostro compleanno è domani? BAMBINI Certamente: il compleanno è domani. Ma noi festeggiamo sempre con un giorno di anticipo.

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L’Isola delle Quattro Stagioni

LUI Buongiorno. Sono venuto a prenotare una vacanza nel Pacifico. AGENTE DI VIAGGIO Ottima scelta. Mi permetto di segnalarle la nuova Isola Artificiale delle Quattro Stagioni. LUI Come? Un’isola artificiale? AGENTE Sì. Ma non deve preoccuparsi. È in tutto e per tutto indistinguibile da un’isola naturale. Molto selvaggia e intima, con solo quattro case, non una di più. LUI Interessante! Mi piacciono i posti poco affollati. Ma dove si trova quest’isola? AGENTE Sull’Equatore, ed è anche attraversata dalla Linea del Cambiamento di Data. LUI All’incrocio di spazio e tempo. Mi ha sempre affascinato questa storia della Linea del Cambiamento di Data. Ma come funziona esattamente? AGENTE Semplice. Poniamo che a ovest della Linea sia mezzanotte. A est è già l’una: è cominciato un nuovo giorno. Questo nuovo giorno, diciamo il primo gennaio, comincia tante volte man mano che ci spostiamo a ovest: fa il giro del mondo trasformando il 31 dicembre in primo gennaio, finché ritorna alla Linea del Cambiamento di Data. Questo significa 68

L’Isola delle Quattro Stagioni

che la mezzanotte fa il giro del mondo trasformando un giorno nel successivo, ma questa trasformazione non è completa finché non si ritorna alla Linea del Cambiamento di Data. Fino ad allora ci saranno delle terre che sono nel 31 dicembre e aspettano di venir investite dal nuovo giorno, e delle terre che sono nel primo gennaio. LUI E quando la mezzanotte incontra di nuovo la Linea del Cambiamento di Data dopo aver fatto il giro del mondo... AGENTE ...Allora in quel momento preciso tutto il pianeta è nel primo gennaio, e un istante dopo la mezzanotte si sposta a ovest inaugurando il 2 di gennaio. LUI Ma se la Linea del Cambiamento di Data passa per una zona abitata, allora chi la attraversa passa da un giorno all’altro. Può tornare nel 31 dicembre semplicemente facendo un passo a est, e decidere di rientrare nel primo gennaio facendo un passo a ovest! AGENTE Esatto. E così facendo può anche passare da un anno all’altro. LUI Molto divertente. Mi piacerebbe trascorrere un periodo su quest’isola, come ha detto che si chiama? AGENTE L’Isola delle Quattro Stagioni. Per quando desidera la prenotazione? LUI Vorrei arrivare sul posto il 21 giugno. AGENTE Ma quando ci vuole andare? In primavera, estate, autunno o inverno? LUI Ma come? Le ho detto che voglio essere sull’isola il 21 giugno! 69

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AGENTE Per l’appunto: primavera, estate, autunno o inverno? LUI Scusi, ma non la capisco proprio. AGENTE Dipende dalla casa in cui la metto. Se lei sta nella casa di nord-ovest, sarà in estate. La casa di nord-ovest è a nord dell’Equatore. Se passa l’Equatore e va ad abitare nella casa di sud-ovest, si ritroverà in inverno, dato che quando è estate nell’emisfero nord, nell’emisfero sud è inverno. LUI Mi ero dimenticato di questo fatto delle stagioni invertite nei due emisferi. Beh, la mia scelta è tra estate e inverno, no? Allora scelgo... AGENTE Devo interromperla. Ha ancora due possibilità. È lei che mi dice di voler arrivare il 21 giugno. Se passa dalla casa di sud-ovest (inverno) a quella di sud-est, varca la Linea del Cambiamento di Data e si ritrova nel 20 di giugno. E il 20 di giugno, nell’emisfero australe, è autunno. LUI Non mi dica che posso anche andare in primavera. AGENTE Certo: basta che si sposti nella casa di nord-est, varcando l’Equatore: se è autunno nell’emisfero australe, è primavera in quello boreale. LUI Per questo mi ha chiesto quando voglio andare sull’isola! Al solstizio è il quando che determina il dove. Non so nemmeno io che cosa scegliere. AGENTE Per un modico sovrapprezzo posso affittarle tutte e quattro le case. LUI È un’ottima idea. Così potrò correre in tondo mille vol70

L’Isola delle Quattro Stagioni

te passando da una stagione all’altra. Sarà come vivere mille anni. Una vacanza da Guinness dei primati. AGENTE Può fare di meglio. Al suo arrivo si sieda all’intersezione esatta tra l’Equatore e la Linea del Cambiamento di Data e non si sposti da lì. Per un giorno vivrà in tutte e quattro le stagioni insieme. O al di fuori delle stagioni. A lei la scelta.

Un viaggio annullato

LEI Buongiorno. Sono venuta a ritirare i biglietti per il «Viaggio Avventura» al Polo Nord. AGENTE DI VIAGGIO Temo che... [Silenzio imbarazzato] Forse... LEI C’è qualcosa che non va? Mi sembra di aver pagato tutto. Mi è costato un occhio della testa, tra la nave rompighiaccio, l’affitto dei cani da slitta, il corso di sopravvivenza. Non mi dica che... AGENTE Purtroppo dobbiamo annullare il viaggio. LEI Ma come? La stagione è propizia, il tempo è stabile, non ci sono scioperi del trasporto aereo. Perché mai volete annullare il viaggio? AGENTE Non potrebbero esserci condizioni migliori, lo so. E mi deve credere se le dico che è da tempo che preparavamo questo viaggio. Ci dispiace immensamente deludere i nostri clienti. Ma proprio non si può partire. LEI Che cosa è successo? Ne parla come di una difficoltà assolutamente insormontabile. AGENTE Non so che dirle. [Estrae un giornale spiegazzato] Ecco, guardi anche lei. 72

Un viaggio annullato

LEI «Qui c’era il Polo Nord». AGENTE E come vede dalla foto, dove c’era il Polo Nord adesso c’è una pozza d’acqua marina. Effetto serra: i ghiacci della calotta si stanno sciogliendo. LEI Ma no, conosco benissimo la storia. Ne hanno parlato tutti i giornali, ma alla fine si è rivelata una leggenda. Oggi sappiamo che il Polo non si sta affatto sciogliendo. E se anche si sciogliesse? Ci si potrebbe andare per nave: sarebbe comunque un andare al Polo. AGENTE Davvero? Mi rassicura. Viste le difficoltà stavamo quasi cominciando a pensare di organizzare dei viaggi per visitare la memoria delle bellezze scomparse. Porteremmo i turisti in luoghi desolati, luoghi resi famosi da cose che non ci sono più. Riesce a immaginarsi gli slogan dei depliant illustrativi? «Qui c’erano le grandi statue di Buddha» (ne restano solo frammenti), «Qui c’era il Lago d’Aral» (oggi prosciugato), e così via. Potremmo dunque aggiungere: «Qui c’era il Polo Nord» (adesso c’è una pozza). LEI Interessante. Credo che troverete facilmente sia i luoghi sia i clienti. Però... AGENTE Che cosa? LEI Lei come interpreta questi slogan? A me sembrano avere significati diversi uno dall’altro. AGENTE Non la seguo. Ogni slogan dice che qui – ovvero in un certo luogo che varia da slogan a slogan – c’era una cosa che adesso non c’è più, non le sembra? È come quando dico: «Qui c’era la mia matita». Che cos’altro potrei voler dire? La 73

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mia matita era in questo luogo, e adesso non c’è più. [Tra sé e sé] A proposito, dove è andata a cacciarsi? LEI Non sono d’accordo. L’interpretazione che lei suggerisce va bene per le statue di Buddha. C’è un luogo cui si fa riferimento (Bamyan), c’è un oggetto che stava in quel luogo (una statua), e adesso l’oggetto non c’è più o non sta più in quel luogo. AGENTE Appunto. LEI Ma questo va già meno bene per il Lago d’Aral. Secondo lei un lago è semplicemente una massa d’acqua? AGENTE Direi di no. Non mancano esempi di laghi prosciugati. Direi piuttosto che un lago è un luogo. Quando si dice che il Lago d’Aral è in secca si vuol dire che in un certo luogo c’era dell’acqua, che adesso non c’è più. LEI Ma è proprio questa interpretazione che rende strano dire «Qui c’era il Lago d’Aral». Se il Lago d’Aral fosse un luogo, come potrebbe essere stato «qui» e non esservi più? I luoghi non possono spostarsi. AGENTE Capisco. Allora dirò che il lago è una massa d’acqua. LEI E naturalmente si troverà in difficoltà dinnanzi ai laghi prosciugati, che masse d’acqua non sono. Non solo. Se il lago è una certa massa d’acqua, e l’acqua viene incanalata e deviata in mare, diremo forse che il lago adesso è nel mare? E se poi riempiamo nuovamente il lago di acqua? Se lo riempiamo di vino? AGENTE Forse il nostro concetto di lago è un concetto ibrido. In parte pensiamo al lago come a una massa d’acqua (o una massa liquida di qualche tipo), in parte come a un luogo 74

Un viaggio annullato

che può accogliere una massa d’acqua. A seconda di quello che ci serve, privilegiamo l’uno o l’altro aspetto. LEI Torniamo dunque al Polo Nord. Di che cosa si tratta? E in che senso non sarebbe più «qui»? AGENTE Già. Dove è andato a finire? LEI Da nessuna parte. Quando si parla del Polo si usa un concetto soltanto spaziale. Non esiste un oggetto che corrisponde al Polo Nord. Non è come le statue, e non è neppure come il Lago d’Aral. Il Polo Nord può essere fatto di qualsiasi cosa. Anzi, meglio, il Polo non è fatto di niente. È un «contenitore puro», come direbbe Aristotele parlando dei luoghi. AGENTE Il Polo è dunque un’astrazione? LEI Non tutte le cose fatte di nulla sono astrazioni. Se lei facesse un buco al Polo Nord, non farebbe un’astrazione. Farebbe un buco concreto, se così posso esprimermi. AGENTE E il Polo dove sarebbe? LEI Sarebbe nel buco. Se potessimo togliere al nostro pianeta il torsolo come facciamo con una mela, l’asse terrestre si distenderebbe in una zona in cui non c’è terra. Ma sarebbe lì. I Poli sarebbero del tutto virtuali. AGENTE D’accordo. Ma in tal caso, considereremmo questi oggetti virtuali come parti del nostro pianeta? LEI Questo non glielo so dire... Ad ogni modo, vede che la frase «Qui c’era il Polo Nord» non può funzionare? È d’accordo anche lei: il Polo Nord è sempre lì. AGENTE Ma allora perché ci sembra che la frase funzioni? A 75

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nessuno sembra strana. Non mi risulta che i giornali siano stati inondati di lettere di protesta. LEI I concetti soltanto spaziali tendono per così dire ad aderire agli oggetti. Non possiamo pensare ai buchi senza pensare a un oggetto bucato. E il modo migliore di pensare al Polo Nord è quello di pensare a un pezzo di ghiaccio che se ne sta al Polo Nord. Ci sembra molto facile pensare al Polo come a un immenso ghiacciolo, ed è quello che si pensa di andare a visitare quando ci si iscrive a una gita organizzata al Polo Nord. Si vuole andare a visitare il paesaggio glaciale che associamo mentalmente al Polo Nord. Se queste sono davvero le aspettative, e se veramente non c’è più ghiaccio al Polo Nord, allora fate bene a cancellare il viaggio. Ma non perché la meta non c’è più, bensì perché è cambiata. E se volete organizzare i vostri nuovi viaggi, le visite alle bellezze scomparse, dovete distinguere. In alcuni casi lo slogan dirà: «Qui c’erano le grandi statue di Buddha» e forse anche «Qui c’era il Lago d’Aral». Ma in altri casi dovete cambiare formula. Dovrete dire: «Così era il Polo».

Hic sunt leones

LEA Andiamo a dare un’occhiata ai turisti. LEO È il bello della vita nello zoo. LEA Ogni giorno ti passano davanti tutti questi umani, ne vediamo le passioni e i desideri. LEO Una bella gabbia di matti. LEA Ne avremo visti milioni nei dieci anni che siamo qui. Non è male che siano riusciti a rinchiuderne così tanti in questa gabbia. LEO In che senso, rinchiudere? LEA Non viene ogni giorno un signore con una chiave? Non ci porta forse del cibo (un gesto gentile, da parte della comunità dei prigionieri, anche perché qui non è che si trovi molto) e non si rinchiude poi dentro con tutti gli altri? LEO Ma «dentro», dove? LEA Ma nella gabbia, no? LEO Ma come... come... come! Io credevo che fossimo noi a essere rinchiusi nella gabbia. L’uomo ci porta il pasto, bontà sua, e poi torna a essere libero. Come puoi pensare che siano loro a essere rinchiusi, e non noi? 77

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LEA Non sarà solo una questione di parole? Per me essere rinchiuso significa stare in gabbia. Significa stare dietro le sbarre. Magari per te vuol dire altro. LEO Ma anche per me essere rinchiusi significa stare in gabbia, dietro le sbarre! È per questo che dico che siamo rinchiusi. LEA Però dal nostro punto di vista sono loro ad essere dietro le sbarre. LEO Ma dal loro punto di vista dietro le sbarre ci siamo noi! LEA E perché mai dovremmo adottare il loro punto di vista? Siamo ben leoni, no? Avremo pure una dignità. LEO Forse non siamo d’accordo sul significato della parola «dentro». Per me essere dentro significa non poter uscire. O forse non siamo d’accordo sulla parola «gabbia». LEA Vediamo. Le gabbie sono ampi spazi che circondano il mondo. Il mondo è un piccolo spazio intimo in cui io e te abitiamo felici. La gabbia ha un’inferriata che la separa dal mondo e che protegge gli abitanti del mondo (noi) da quei prigionieri (loro) potenzialmente pericolosi e aggressivi. Non capisco proprio dove stia il problema. Insisto: stai facendo filosofia da leoni? LEO In effetti non capisci. Le gabbie sono piccoli spazi circondati dal mondo. Il mondo è un immenso spazio libero in cui tu e io potremmo correre felici. La gabbia ha un’inferriata che la separa dal mondo e che protegge gli abitanti del mondo (loro) dai prigionieri (noi) potenzialmente pericolosi e aggressivi. (Da quant’è che non riusciamo a divorare un visitatore?) 78

Hic sunt leones

LEA Quindi è la parola «gabbia» che ci trova in disaccordo. Per te una gabbia deve essere più piccola del resto del mondo. LEO Direi di sì. Credo che il dizionario (trovato nella borsa di quel domatore che ci siamo mangiati la scorsa estate) mi dia ragione. LEA Non mi fido dei dizionari, soprattutto se stanno nella borsa di un domatore un po’ coriaceo. Comunque vediamo... Alla fine ci dovrebbe essere una mappa del mondo... Eccola. Guarda qua. Hic sunt leones. Come vedi c’è un’ampia area a sud dell’Equatore in cui vivrebbero soltanto leoni. LEO Vecchie leggende. LEA Può darsi. Però immagina che i leoni stiano per davvero tutti sotto il Tropico del Capricorno, a sud dell’Equatore, e che venga eretta un’inferriata che segue passo passo il Tropico (anche sulla superficie del mare, supponiamo). Secondo te i leoni sarebbero in gabbia? LEO Certo. Lo spazio a sud del tropico del Capricorno sarebbe molto minore di quello a nord. Dato che ho detto che la gabbia è sempre più piccola del resto... LEA E sei d’accordo che per uscire dalla gabbia un leone deve oltrepassare l’inferriata? LEO Sicuramente. LEA Adesso immagina che la popolazione dei leoni aumenti, aumenti, e che per evitare il sovraffollamento l’inferriata venga spostata verso nord. I leoni aumentano ancora, e l’inferriata si sposta ancora più a nord. Piano piano, chilometro dopo chilometro, l’inferriata si ritrova al Tropico del Cancro, a nord dell’Equatore. Ora, si tratta di una buona inferriata e 79

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nessun leone la oltrepassa. Quindi secondo te tutti i leoni restano in gabbia? LEO È chiaro. LEA E qui ti voglio. Perché adesso la regione in cui si trovano i leoni (a sud del Tropico del Cancro) è molto più grande del resto del mondo (a nord del Tropico). Adesso la situazione è invertita. Quindi o dici che adesso i leoni sono tutti fuori dalla gabbia, anche se nessuno ha oltrepassato l’inferriata, o rinunci all’idea per cui le gabbie sono piccoli spazi circondati dal mondo. LEO Ma questo funziona solo perché vedi la terra come una superficie curva. LEA Ma lo spazio della terra è uno spazio curvo, amico. E questo luogo in cui ci troviamo ora è una parte dello spazio della terra. Tendiamo a dimenticarcene perché spesso ragioniamo in piccolo. Ma bisogna pensare in grande. Per uscire dalle gabbie della mente bisogna ragionare da veri leoni. Altrimenti ci ritroviamo a ruggire per finta, su ordinazione, come il leone della Metro Goldwyn Mayer, incastonati in un misero cerchietto.

Riflessioni

LUI Guarda nello specchietto: AZNALUBMA è AMBULANZA al contrario! LEI Te ne accorgi solo adesso? LUI Ammetto di non averci mai badato. Immagino sia scritto al contrario proprio per facilitarne la lettura nel retrovisore. LEI Certo, non c’è altra ragione. LUI Però è curioso, non trovi? LEI Che cosa? LUI Che la scritta sia invertita sull’asse orizzontale ma non su quello verticale. LEI E perché mai dovrebbe essere altrimenti? LUI Non lo so. Però mi chiedo perché gli specchi invertano la destra e la sinistra ma non l’alto e il basso. Guarda, prendo questo libro sulla musica pop e te lo mostro allo specchietto. Perché mai l’immagine della parte superiore del titolo è la parte superiore dell’immagine del titolo, ma l’immagine della parte sinistra del titolo non è la parte sinistra dell’immagine del titolo? Osserva la scritta «pop». Nello specchio leggiamo «qoq». Ma perché non leggiamo invece «bob»? LEI Attento, frena! Anzi lascia in pace il retrovisore e guar81

quattro

da quella pozzanghera. Osserva l’insegna luminosa di quel negozio di dischi. Non vedi che cosa succede quando la parola «pop» si riflette nella pozzanghera? Io leggo proprio «bob». Questa volta la «p» diventa una «b», non una «q»: l’inversione avviene nella direzione verticale, non in quella orizzontale. Vorresti forse dire che mentre gli specchi riflettono destra e sinistra ma non alto e basso, le pozzanghere riflettono alto e basso ma non destra e sinistra? Come spiegheresti la differenza, visto che una pozzanghera non è altro che un specchio coricato? LUI Aspetta un attimo. In realtà nulla ci vieta di vedere la «p» invertita sull’asse destra-sinistra anche nella pozzanghera. Basta... basta mettersi a testa in giù. Ecco, guarda, se mi metto a testa in giù la «p» sembra di nuovo una «q», e leggo «qoq» anche nella pozzanghera. LEI Fai attenzione alla strada, altro che mettersi a testa in giù! Comunque, se ti metti a testa in giù per guardare nella pozzanghera, perché non lo fai quando guardi nello specchietto retrovisore? Allora la «p» del tuo libro diventa una «b», non una «q», e leggi «bob». Se ti metti a testa in giù, lo specchio retrovisore non inverte affatto destra e sinistra ma solo alto e basso. LUI Questo ragionamento non mi convince. Se ti ho proposto di mettermi a testa in giù nella pozzanghera è perché volevo assumere il punto di vista degli abitanti della pozzanghera, che per l’appunto vivono a testa in giù rispetto a noi. LEI Ma allora perché non fai la stessa cosa con il retrovisore? Perché non immagini di essere uno dei suoi abitanti? Dato che vivono con destra e sinistra scambiate, secondo quanto dici, quella che per te nello specchio è una «q» per loro è 82

Riflessioni

una «p». Quindi il problema scompare. È proprio per questo, mi concederai, che gli abitanti dello specchio riescono a leggere AMBULANZA come noi. Se li osservi bene, quando leggono muovono il capo da destra a sinistra (anche se immagino che avranno delle difficoltà ad usare i loro retrovisori). FICCANASO [Compare nello specchietto, dopo aver segnalato fastidiosamente con gli abbaglianti] Attenzione: state sbagliando tutto, nel retrovisore l’unica inversione si produce nella direzione avanti/indietro. LEI e LUI Prego? FICCANASO Se indico verso l’alto, mi vedete farlo anche nello specchio. Se metto la freccia a sinistra, nel retrovisore mi vedete lampeggiare sulla vostra sinistra. Non c’è inversione in nessuno dei due casi. Se però comincio a sorpassarvi, allora sì che le cose cambiano: la mia immagine viene verso di voi nella direzione opposta rispetto al mio effettivo senso di marcia. L’unica inversione è avanti/indietro. LEI Ma no: lei sta parlando di alto/basso, destra/sinistra, avanti/indietro in un senso tutto diverso, legato allo spazio esterno. Lei sta parlando di direzioni assolute. Noi parlavamo delle direzioni soggettive. FICCANASO È proprio questo il punto. Quando si dice che gli specchi invertono destra e sinistra ma non alto e basso si sta parlando di inversioni molto differenti. LUI E che cosa si dovrebbe dire? FICCANASO Bisognerebbe dire che gli specchi invertono sempre una direzione assoluta, quella perpendicolare alla superficie dello specchio: pensate ancora alla pozzanghera. 83

quattro

LUI Allora quando ci guardiamo allo specchio l’inversione corporea che osserviamo sarebbe un’illusione? FICCANASO Dipende da come ci disponiamo rispetto alla direzione avanti/indietro. Se stiamo di fronte allo specchio, allora diremo che sono invertite la destra e la sinistra del corpo (e per estensione tutti gli oggetti, come le lettere dell’alfabeto, che per essere usati richiedono che il nostro corpo assuma una certa direzione: quindi «pop» diventa «qoq»). Se invece ci allineiamo alla direzione avanti/indietro, allora è come se ci mettessimo a testa in giù: quindi saranno alto e basso corporei ad essere invertiti, e «pop» diventerà «bob». LUI e LEI E se ci mettiamo di profilo? FICCANASO Bisogna fare attenzione a come formulare la domanda. E adesso, scusate, devo assolutamente uscire dal vostro specchietto... Grazie... aznalubma’l erassap raf oveD.

Pare che il lavoro di Einstein all’Ufficio Brevetti di Berna, negli anni in cui elaborava la Relatività Ristretta, riguardasse l’esame di vari progetti di coordinazione tra gli orologi delle stazioni. La Relatività Ristretta – questo capitolo quasi filosofico della fisica – sarebbe dunque in linea diretta con un dibattito tra burocrati delle ferrovie? Per chi non fosse convinto, la missiva del Campanaro di Valle Finale ci ricorda che nei problemi di coordinazione il Tempo non può venir separato facilmente dallo Spazio. Certo, una cosa è il suono delle campane, altra la velocità della luce. Ma una cosa è il Campanaro di Valle Finale, e un’altra Einstein. Né finisce qui. I concetti di Spazio e Tempo sono legati nell’intuizione a una particolare geometria, che è poi quella degli oggetti squadrati che ci stanno intorno a portata di mano, e di un Orizzonte che a dispetto di quanto appreso dai libri di scuola continuiamo a considerare un po’ troppo piatto. Abbiamo visto però come basti cominciare a pensare su scala più grande per perdere la bussola su una terra che piatta non è, bensì curva. Funzionano ancora concetti come quello di Dentro e di Fuori, di Compleanno, di Stagione? Altri concetti, come quello di Destra e Sinistra e Alto e Basso, permettono a loro volta di considerare lo specchio come una finestra sulla commistione di soggettivo e oggettivo nella descrizione dello Spazio stesso, una commistione nella quale questi concetti ci intrappolano e dalla quale è difficile liberarsi. Chiarito questo, possiamo anche cominciare a pensare agli oggetti e agli eventi concreti, ovvero a quelle cose tangibili che nello Spazio e nel Tempo trovano dimora e di cui i nostri concetti a volte sono Astrazioni. Che in effetti è quanto ci accingiamo a fare nel capitolo

cinque dove da una serie di diatribe apparentemente innocenti si apprende che non è poi così facile contar le cose e dar loro un’Identità, al punto che un’ameba non sa più chi essa sia, un giudice peraltro accorto è costretto ad asserire che uno più uno fa ancora uno, un atleta non riesce a raccontare ciò che ha fatto durante il giorno, e un treno rischia di scomparire solo perché una signora si rivela troppo scrupolosa.

L’ultimo caso del Presidente delle Amebe

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COMITATO

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POPOLO

Spettabile Presidente, Le scrivo per chiedere un intervento della Sua alta Autorità su una questione per me di vitale importanza. Venti secondi fa mi sono divisa dalla mia ameba ancestrale immediata, M45YY. In effetti ci siamo divise, dato che l’ameba ancestrale si è scissa in due parti. Orbene, mi giunge voce che circa cinque secondi fa l’altra parte avrebbe accampato dei diritti esclusivi sulla filiazione, e vorrebbe tenere tutto per sé il nome M45YY. A scanso di equivoci, richiedo un pronunciamento del Comitato di Direzione che riconosca appieno i miei diritti. Firmato: M45YY AL PRESIDENTE DELLE AMEBE

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Spettabile Presidente, Le scrivo per chiedere un intervento della Sua alta Autorità su una questione per me di vitale importanza. Venti secondi fa mi sono divisa dalla mia ameba ancestrale immediata, M45YY. In effetti ci siamo divise, dato che l’ameba ancestrale si è scissa in due parti. Orbene, mi giunge voce che cir87

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ca cinque secondi fa l’altra parte avrebbe accampato dei diritti esclusivi sulla filiazione, e vorrebbe tenere tutto per sé il nome M45YY. A scanso di equivoci, richiedo un pronunciamento del Comitato di Direzione che riconosca appieno i miei diritti. Firmato: M45YY ALLE AMEBE PROVVISORIAMENTE ETICHETTATE M45YY[A] E M45YY[B] Compagne, Due secondi fa ci sono giunte in contemporanea le vostre due lettere identiche, ciascuna delle quali avanza la richiesta di una esclusiva sul nome M45YY. Come forse non sapete ancora, data la vostra giovane età, ma come potete facilmente immaginare, questo Comitato è oberato da richieste simili. Per la precisione, in tutti i centoventi minuti della mia lunga carriera professionale ho firmato un miliardo duecentotrentamilioni quattrocentoventimila centonovantasette risposte come quella che vi sto inviando. La proposta che vi faccio, e che ho fatto in tutti i casi analoghi, è di accettare entrambe il nome provvisorio che il Comitato vi ha assegnato automaticamente. In tal caso basterà cancellare le parentesi a fine nome. Vi pregherei di non sollevare ulteriori problemi dato che tra due secondi e sei decimi andrò in pensione per preparare la mia scissione. Cordialmente Il Presidente

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L’ultimo caso del Presidente delle Amebe

AL PRESIDENTE DELLE AMEBE

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Spettabile Presidente, Rispetto le direttive del Comitato e accetto il nome assegnatomi. Lunga vita all’ectoplasma, M45YYA AL PRESIDENTE DELLE AMEBE

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Spettabile Presidente, Sporgo ricorso contro le direttive del Comitato e respingo il nome assegnatomi. Lunga vita all’ectoplasma, M45YYA COMPAGNA M45YY[B], Purtroppo dobbiamo rinviare al mittente la tua richiesta di ricorso in quanto la procedura richiede espressamente che la tua firma corrisponda al nome provvisorio da noi assegnato, e non al nome da te reclamato. Ma non ti preoccupare, se ritieni di poter accampare ragioni valide, daremo al tuo ricorso la massima attenzione: il Popolo delle Amebe rispetta le opinioni individuali! AL PRESIDENTE DELLE AMEBE

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Esimio Presidente, Sono passati sei decimi di secondo da quando io e la mia compagna di scissione abbiamo ricevuto la vostra risposta, e già mi trovo in una situazione di grande inferiorità. La scelta di assegnare il suffisso «B» al mio nome mi penalizza grave89

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mente sul lavoro e nei rapporti affettivi. Ma al di là degli aspetti biografici, la mia opposizione a tale scelta nasce da una semplice constatazione: non esiste né può esistere nessuna ragione per assegnare la «B» a me piuttosto che alla mia compagna di scissione. In mancanza di una ragione, non si sarebbe dovuto dare corso all’assegnazione. E questo indipendentemente dal fatto che, quale che sia la nomenclatura adottata, io continui a domandarmi chi sono. Firmato: M45YY... (non accetto la B) COMPAGNA M45YY[B], La ragione da te addotta si richiama al Principio di Ragion Sufficiente. Ma questo Principio ha un valore metafisico (le cose che capitano non capitano senza ragione) ed eventualmente epistemologico (se non troviamo una ragione per le cose che capitano, non dobbiamo per ciò stesso pensare che avvengano senza una ragione). Per quanto riguarda gli aspetti normativi, da tempo la nostra giurisprudenza ha deciso invece di espungere il Principio in quanto non pertinente. E c’è una ragione precisa per questa decisione. Il mondo delle amebe è molto particolare: è un «mondo del cinquanta per cento». Questo perché la nostra biologia ci impone di scinderci in due parti ciascuna delle quali riproduce esattamente l’ameba originaria. La metafisica ci costringe dunque a scegliere la strada più semplice e di considerare che, alla scissione, l’ameba ancestrale perisce e due nuove amebe vengono alla luce. Qualsiasi altra soluzione risulterebbe o priva di interesse o perfettamente arbitraria. L’unica distinzione su cui possiamo legiferare riguarda dunque i nostri nomi. Vogliamo certamente venir incontro al desiderio delle compagne di mantenere una traccia della propria origine, e per questo concedia90

L’ultimo caso del Presidente delle Amebe

mo a chi lo richiede (un’infima minoranza, a ben vedere) di conservare come parte del proprio nome il nome dell’ancestrale immediata. Ma non possiamo spingerci più oltre se non con l’arbitrio, e quando assegnamo le estensioni dei nomi lo facciamo nell’unico modo che il nostro mondo del cinquanta per cento ci concede, ovvero affidandoci al lancio di una moneta. Giocare a testa o croce è una pratica irreprensibile nel nostro mondo e non ha senso protestare contro gli esiti del gioco invocando il Principio di Ragion Sufficiente. Né sarebbe lecito protestare casomai ci fosse stato vento, se l’arbitro avesse avuto il pollice sporco, se la moneta fosse transitata nella tasca di un bambino, eccetera. In un mondo al cinquanta per cento questi fattori risultano irrilevanti. Come ti ho detto, mi accingo ad andare in pensione e non avrò tempo di rispondere a un’ulteriore tua domanda. Ti prego dunque di accettare il nome che ti è stato assegnato. Qualora tuttavia ritenessi opportuno perorare ulteriormente la tua causa, non posso che esortarti a scrivere all’una, o all’altra, a tua scelta, delle due amebe che prenderanno il mio posto.

La statua nascosta

LUI [Trascina oltre lo zerbino un enorme blocco di granito] Eccomi! Guarda che cosa ho comprato. LEI Un cubo? LUI Una statua. La metteremo proprio qui nell’ingresso. LEI Finalmente un’opera d’arte contemporanea. Molto elegante, minimalista direi. Credevo che i tuoi gusti fossero assai più classici. LUI Diciamo che è un compromesso tra classicismo e modernità: un gioco moderno su un’icona classica. Questo cubo contiene una riproduzione fedele del David di Michelangelo (in scala ridotta, s’intende). LEI Vuoi dire che è una scatola che si può aprire? Che idea raffinata: non avevo mai visto scatole di granito. LUI No. Non ci sono coperchi. Il cubo è tutto pieno, senza parti mobili. Ma all’interno di questo cubo c’è una parte che ha esattamente la forma del David di Michelangelo. LEI Una parte che ha esattamente la forma del David? E che cosa c’è di speciale? Anche questo cocomero ha al suo interno una parte a forma del David (in scala ridotta). E anche una parte a forma della Venere di Milo, se è per quello. E anche 92

La statua nascosta

una parte a forma di Venere di Milo sovrastata da una parte a forma di David. LUI Che c’entra? Il fruttivendolo non è un artista. L’autore di quest’opera è uno scultore rinomato che ha realizzato una serie di dieci riproduzioni di opere famose. La serie è speciale proprio in quanto le opere sono interamente circondate da un ampio strato di materia, e precisamente da uno strato dello stesso materiale di cui è composta la statua. Questa è fatta di granito e lo strato è disposto in modo da formare un cubo. Ma ce n’erano anche di marmo e di pietra serena. E poi le forme: coniche, sferiche, a piramide... LEI E a forma di David? Voglio dire, perché non anche una statua del David circondata a sua volta da uno strato di materia a forma di David? LUI Prego? LEI Ho capito, ti sei fatto bidonare. Come puoi credere alla storia dello strato? Il gallerista ti ha rifilato un cubo di granito e basta. Una parte nascosta interamente all’interno di un blocco di granito non è una statua anche se ha la forma di una statua. LUI Ma se è a forma del David, perché non è un David? LEI Non è un David perché non è ancora un David. Lo diventerebbe se l’artista lo portasse alla luce asportando quello che tu chiami lo strato esterno. A quel punto diremmo che quel pezzo di granito (quella parte del blocco che ora si trova nascosta all’interno) è una statua. Ma per ora abbiamo solo una parte circondata da un’altra parte. Un blocco di granito e basta. 93

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LUI Scusa, ma secondo te le intenzioni dell’artista non contano? LEI Il tuo cubo è più come i Prigioni di Michelangelo che come il David. Anche riconoscendo le intenzioni dell’autore, l’opera è nella migliore delle ipotesi un’opera incompleta. LUI A me sembra che più completa di così non possa essere. Guarda che bel cubo. Mi emoziona l’idea del mio David racchiuso lì dentro. E poi, quel David non è incompleto come i Prigioni: non gli manca nemmeno un dito. LEI Vediamo. Quante parti all’interno di questo cubo hanno la forma del David di Michelangelo? LUI Fammi pensare... LEI Te lo dico io. Moltissime. Tanto per cominciare, immagina una parte a forma di David. Adesso immagina una parte contenuta nella prima, più piccola esattamente di un millimetro, e così via. Oppure immagina la parte che è esattamente un millimetro a sinistra della prima ma ha la sua stessa forma, eccetera. Quale di queste è la parte che il tuo artista avrebbe «scolpito» mentalmente? Quale di queste «sculture» hai comprato? FICCANASO [Entrando senza bussare, in tenuta da postino. A guardare bene, naso e baffi sembrano finti] Posso entrare? LUI E come no? Anche perché mi pare che l’abbia già fatto. FICCANASO Il signore ha dimenticato il foglio illustrativo della scultura. Posso leggere? «Il presente blocco di granito contiene una parte alta dieci centimetri, situata a quaranta centimetri dalla base, centrata, a forma del David di Michelangelo, con il volto rivolto verso il lato nord del blocco. Questa è 94

La statua nascosta

la mia scultura, intitolata Omaggio a Michelangelo. Firmato: L’Artista». LUI Dieci centimetri, ha detto? Insomma, pensavo fosse un po’ più grande. Tutto questo granito intorno... LEI E bravo il nostro artista: se non lavora di braccia, usa la penna. Ma ho sentito bene? Il volto rivolto verso il lato nord? LUI Effettivamente. Ma quale sarà il lato nord? Non c’è scritto da nessuna parte sul cubo. È un cubo perfetto, senza graffi o segni. FICCANASO Immagino che sia il lato che voi deciderete di rivolgere a nord quando collocherete la scultura. LUI Ma certo! In questo modo anche noi siamo coinvolti nella realizzazione dell’opera. Quest’artista mi piace sempre di più. LEI E se nessun lato fronteggiasse il nord? Se il tuo cubo venisse messo un po’ di sbieco, non ci sarebbe più la parte che ti interessa. FICCANASO Esatto. La scultura nella sua interezza esiste soltanto quando un lato viene rivolto a nord. LUI È proprio un’opera ingegnosa. Ogni tanto esiste, ogni tanto non esiste. E se facciamo ruotare il cubo, ogni volta che un lato fronteggia il nord c’è una nuova parte a forma di David rivolta a nord. La nostra scultura cambia continuamente, come un mobile di Calder. LEI Ma sarà la stessa scultura o un’altra? Pensaci: quando il lato numero uno fronteggia il nord c’è una scultura, quando 95

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il lato due fronteggia il nord c’è una scultura, ma si tratta della stessa scultura? FICCANASO [Scruta attentamente il foglio, davanti e dietro] Qui non c’è proprio scritto. LUI Se l’artista non dice nulla in proposito, siamo liberi di decidere. Anche questo mi pare un aspetto molto originale. LEI Direi che si tratta ogni volta di una scultura diversa, visto che è diversa la materia che la costituisce. LUI A me però piace pensare che sia sempre la stessa opera, che di volta in volta si materializza in una parte diversa del cubo. LEI Secondo me ti illudi. I Prigioni di Michelangelo non lasciano tutta questa libertà, ed è per questo che ne possiamo parlare come di opere intrappolate nella pietra. Sono opere incomplete, ma in un certo senso sono dotate di una loro propria individualità. Il tuo David, invece, esiste solo nella tua testa. LUI Resta comunque il dubbio: chissà in che modo Michelangelo avrebbe completato i Prigioni? LEI Vedo un interessante soggetto per un artista concettuale che fosse un po’ meno pigro dello scultore del tuo cubo.

La credenza fatta a pezzi

GIUDICE Chi vuol parlare per primo? SIGNORA ROSSI Parlo io! Qualche giorno fa ho acquistato una credenza presso il mobilificio del signor Bianchi qui presente, pagando l’intera cifra con un assegno di mille euro. E adesso lui si rifiuta di effettuare la consegna! SIGNOR BIANCHI Mi rifiuto perché il pagamento non è ancora completo. ROSSI Non dica sciocchezze! Le ho consegnato personalmente l’assegno e ho qui la ricevuta dell’avvenuto pagamento. BIANCHI Giudice, mi consenta. È vero che la signora Rossi mi ha dato i mille euro, pari al costo della credenza. Però deve ancora effettuare un pagamento di mille euro per l’acquisto dei pezzi che la compongono. Il totale ammonta quindi a duemila euro. GIUDICE Non sono sicuro di aver capito. Se il costo della credenza è mille euro, perché vuole aggiungerne altri mille? ROSSI [Borbottando] È quello che dico io. BIANCHI Mi spiego subito. Noi non possiamo consegnare la credenza senza consegnare al tempo stesso anche tutti i pezzi che la compongono, giusto? Per questo motivo non penseremmo mai di venderla senza vendere anche i pezzi. Su 97

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questo siamo sempre stati chiarissimi e i nostri clienti non hanno mai detto nulla: chi compra un mobile è tenuto a comprare anche i pezzi, e viceversa. ROSSI Non hanno mai detto nulla perché non si sono mai accorti dell’inganno! Ma io non mi faccio imbrogliare... GIUDICE [A Bianchi] In effetti la sua spiegazione lascia perplessi. Perché vuole distinguere tra il mobile e l’insieme dei pezzi che lo compongono? Non si tratta della stessa cosa? BIANCHI Se mi permette, il mobile e l’insieme dei pezzi che lo compongono hanno proprietà distinte. Quindi per la legge di Leibniz, che dice che se questo ha proprietà diverse da quello allora questo non è quello, si tratta di entità distinte: nessuna cosa può essere diversa da se stessa. Per esempio, Lei converrà che se io smontassi la credenza e consegnassi i pezzi sparsi alla signora Rossi, la signora avrebbe tutto il diritto di lamentarsi. ROSSI Lo credo bene! BIANCHI Il motivo è che, una volta smontata, la credenza non esiste più. I pezzi, invece, continuano ad esistere: sono ancora tutti lì. Ne dobbiamo concludere che abbiamo a che fare con due entità, una sola delle quali (l’insieme dei pezzi) sopravvivrebbe allo smontaggio. Si tratta di due entità distinte che noi del mobilificio Bianchi ovviamente vendiamo insieme. Facciamo così con tutti i mobili e ne andiamo fieri. Mica vendiamo i pezzi a parte lasciando che il cliente si arrangi. Nel caso della credenza acquistata dalla signora il costo è di mille euro per i pezzi e mille per la credenza. Totale: duemila. GIUDICE Mi faccia capire. Lei sostiene che la credenza è di98

La credenza fatta a pezzi

versa dall’insieme dei pezzi che la compongono in quanto diverse sono le loro proprietà. BIANCHI Esatto. Le loro condizioni di sopravvivenza sono diverse. Ecco un altro esempio: la credenza è in stile Biedermeier, ma i singoli pezzi non hanno uno stile particolare. GIUDICE Capisco. Quello che non capisco è perché allora non fate pagare molto di più. Oltre alla credenza e ai pezzi che la compongono, mi sembra che potremmo a questo punto distinguere molte altre cose. Per esempio, tutti i pezzi che compongono la credenza possono essere tagliati a metà, giusto? Quindi, oltre a tutti i pezzi che compongono la credenza (le antine, i ripiani, i pomelli dei cassetti, e quant’altro) abbiamo anche tutte le loro metà, diciamo le metà di destra e le metà di sinistra di ciascun pezzo. Stando al suo ragionamento, una volta tagliati, i pezzi non esisterebbero più mentre le loro metà continuerebbero ad esistere. Quindi l’insieme dei pezzi e l’insieme delle loro metà hanno condizioni di sopravvivenza diverse. Sbaglio forse? BIANCHI Ha ragione, non ci avevo mai pensato... Aspetti che prendo un appunto. GIUDICE Aspetti Lei e mi ascolti. Quindi dovremmo distinguere tra la credenza, i suoi pezzi, e le metà dei pezzi. E questo è solo l’inizio. Ogni pezzo della credenza può essere tagliato in molti modi: nelle metà di destra e di sinistra; nelle metà di sopra e di sotto; in quelle davanti e dietro; in tre parti eguali; in quattro parti eguali; eccetera. Ne dobbiamo concludere che ad ogni taglio dei pezzi corrisponde un’entità diversa? BIANCHI In effetti... Molto interessante... [Continua a scrivere cercando di seguire il giudice] 99

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GIUDICE E ognuna di queste entità avrebbe un suo prezzo? BIANCHI [Si sofferma a pensare] Ecco, io... GIUDICE Signor Bianchi, è evidente che di questo passo la sua credenza verrebbe a costare una somma infinita. ROSSI [Borbottando] Alla faccia della svendita! BIANCHI Mi scusi, Giudice. Ma Lei è d’accordo che non basta avere i pezzi per avere la credenza? Tanto meno basterà avere i pezzi tagliati a metà, o tagliati ciascuno in mille parti. GIUDICE Sono d’accordo. Ciò che metto in discussione è la sua convinzione che da questa distinzione concettuale segua una distinzione reale. Per esempio, concettualmente c’è una bella differenza tra me come persona e me come giudice. Ed è vero: il giorno in cui andrò in pensione non parleremo più del giudice Verdi mentre la sottoscritta signora Maria Verdi continuerà ad esserci, almeno per un po’. Non mi vorrà forse dire che per questo motivo su questa sedia sono ora sedute due persone: il giudice Verdi e la signora Verdi? BIANCHI In un certo senso... GIUDICE Ma non vede il sofisma? È evidente a tutti che vi è solo un individuo seduto su questa sedia, un individuo che può essere designato o descritto in modi diversi. I nomi e le descrizioni con le quali ci si può riferire alla sottoscritta possono variare col passare del tempo, e alcune descrizioni possono anche risultare appropriate quando altre non lo sono, ma questo ha poca importanza. Analogamente, i pezzi di legno possono essere composti in modo da formare una credenza oppure venir tagliati in frammenti. Nel primo caso sarebbe corretto riferirsi a loro dicendo che sono una creden100

La credenza fatta a pezzi

za. Nel secondo caso no. Ma ciò non la autorizza a dire che abbiamo a che fare con due cose diverse. La credenza altro non è che la somma dei suoi pezzi disposti in un certo modo. E chi compra una credenza compra i pezzi che la compongono disposti in quel modo. (Ecco perché l’acquirente avrebbe il diritto di lamentarsi se le venisse consegnata una credenza smontata.) Se Lei vuole far pagare mille euro per la credenza e mille per i pezzi faccia pure. Ma quando prepara il conto si ricordi che il totale ammonta comunque a mille euro perché si tratta di una e una sola cosa. Il caso è chiuso.

Holter Monitor

LEI Che strano apparecchio. Mi sembrava un lettore di Cd, ma vedo che ha dei fili che finiscono sotto la tua maglietta... A che cosa serve? LUI È un Holter Monitor: registra l’attività elettrica del cuore per ventiquattr’ore. È per via della mia attività sportiva. Oggi per esempio ho fatto venti chilometri in bicicletta, con molte salite, e tutti i miei battiti sono registrati, uno per uno. Così posso prepararmi scientificamente per i prossimi allenamenti. LEI E come fai a vedere le informazioni? LUI Questa scheda di memoria si può togliere e inserire direttamente in un computer. Sullo schermo vedi un diagramma. Anzi, dato che ho finito il ciclo di ventiquattr’ore, ti mostro come funziona... Ecco, vedi, questi sono i miei battiti alle 9:30 del mattino... Ero a riposo, attività molto lenta. E qui invece ci dev’essere una salita in bicicletta, arrivo a centotrenta. In effetti, è un passaggio alle 14:20 del pomeriggio. LEI Ma ti ricordi tutto quello che hai fatto durante il giorno? LUI Naturalmente ho dovuto tenere un diario della mia giornata, da ieri sera ad adesso. Mi era stato dato un formulario apposito. LEI Quindi leggendo il diario puoi mettere in relazione la tua 102

Holter Monitor

attività cardiaca a ogni momento del giorno. Molto interessante. È come avere una fotografia completa del funzionamento del tuo cuore, con tutte le cause che determinano un cambiamento nella sua attività. LUI Esatto. LEI Però... LUI Cosa? LEI Però aspetta un momento. Posso vedere il tuo diario? Niente di personale spero. LUI No, certo, guarda pure. LEI Vediamo... Dalle 10:00 alle 10:20 sei seduto e studi. Alle 10:20 ti alzi e vai in cucina a mangiare una brioche. Alle 10:25 torni a sederti e studiare, fino alle 10:55. D’accordo: tre periodi, tre azioni. Ma ora guarda... Alle 10:55 esci di casa e vai a comprare un’altra brioche, e rientri alle 11:15. Si direbbe che hai fatto una quarta cosa. Però mi pare che ci sia una bella differenza tra andare a mangiare una brioche in cucina e andare a comprare una brioche al bar. Nel secondo caso fai moltissime altre cose: esci di casa, scendi le scale, cammini per la strada, fai la coda alla cassa, ordini la brioche, la ricevi, paghi, e così via. Perché considerare tutto questo come una sola azione? LUI Hai ragione. Ma lo stesso ragionamento non vale anche per la brioche in cucina? Mi alzo, vado di là, apro la credenza, afferro la brioche, la porto alla bocca, la mordo... Anche qui ci sono molte azioni. LEI Appunto. Che cosa decide quante azioni ci sono? 103

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LUI Immagino di essermi limitato a classificare secondo l’azione che mi è sembrata più importante in quel momento. LEI In un certo senso, c’è un’azione importante che è il fine della tua attività e che «domina» tutte le altre, le «comanda». LUI Sì, questo è un criterio: basare la descrizione dell’attività giornaliera sulle azioni salienti. Mi pare di ricordare che ho cercato di annotare tutte le azioni che pensavo comportassero un qualche aumento dell’attività cardiaca, anche se probabilmente la maggior parte di queste azioni mi sono sfuggite. Penso ad esempio a tutte le accelerazioni che dai quando vai in bicicletta. D’altro lato, come mi hai fatto notare, mi sono segnato il passaggio dalla poltrona alla cucina. Forse, dato che ero rimasto fermo in un luogo per tanto tempo, il transito alla cucina mi è sembrato importante. Forse classifichiamo le azioni in base ai luoghi in cui le compiamo? LEI Gli psicologi hanno studiato attentamente il modo in cui suddividiamo un’azione in sequenze più piccole. Sembra che si manifesti una certa influenza del linguaggio: abbiamo parole per certe azioni e non per altre, e suddividiamo la giornata in sequenze di azioni per le quali abbiamo le parole. LUI C’è un artista americano, Kenneth Goldsmith, che ha pubblicato un diario in cui ha registrato tutte le azioni della sua giornata. Non solo mangiare una brioche, ma anche alzare il braccio, portare la brioche alla bocca... LEI Non credo che uno possa registrare tutte le azioni che compie. LUI Perché no? LEI Pensaci. Hai mangiato la tua brioche. Come da copione, 104

Holter Monitor

immediatamente dopo hai scritto che hai mangiato una brioche. Se dovessi registrare tutte le azioni, non avresti dovuto scrivere, subito dopo, che hai scritto di aver mangiato una brioche? E subito dopo ancora, non avresti dovuto scrivere che (1) hai scritto che (2) hai scritto che (3) hai mangiato una brioche? E così via all’infinito? LUI In questo modo però non hai dimostrato che sia impossibile registrare tutte le azioni. In effetti alla fine della giornata avrei registrato proprio tutte le azioni, anche se queste si ridurrebbero allo scrivere di aver scritto di aver scritto... (chissà quante volte): in fondo alla fine della giornata non avrei fatto altro. Il vero problema mi sembra diverso. Ho scritto che ho mangiato una brioche. A questo punto perché scrivere che ho scritto la frase «Ho mangiato una brioche»? Potrei anche scrivere che ho scritto la parola «Ho», e poi la parola «mangiato», poi la parola «una», e infine la parola «brioche». E subito dopo che ho scritto di aver scritto la parola «Ho», e poi di aver scritto la parola «mangiato»... E così via all’infinito. LEI Perché scegliere di descrivere quello che hai fatto in termini di parole piuttosto che di frasi? LUI Non c’è un perché, proprio questo è il punto. Ovviamente potrei anche descrivere quello che ho fatto lettera per lettera: ho scritto la lettera «H», poi la «o»... Il fatto è che non c’è una cosa giusta da scrivere per registrare l’azione in cui ho scritto di aver mangiato la brioche. Non c’è una descrizione «buona» di ciò che ho fatto. Questo dovrebbe paralizzarmi immediatamente! LEI Appunto. Quindi il compito di registrare tutte le azioni della giornata è impossibile. Non si può determinare il numero preciso delle azioni che uno compie, un po’ come non 105

cinque

si può determinare il numero preciso di tutti gli oggetti che si trovano in una stanza. LUI Però il test Holter non richiede di registrare tutte le azioni. A un medico bastano descrizioni più ampie. LEI Allora diciamo che chi si sottopone al test deve ricevere istruzioni più precise: quanto deve essere dettagliata la descrizione della sua giornata?

Fila tredici

[VOCE DELLO STEWARD] Allacciare le cinture di sicurezza. PASSEGGERO Buongiorno, mi scusi, la scavalco per andare al mio posto. 14 K. Ecco, mi metto comodo. Lungo viaggio... LUI Già, lungo viaggio. Anche troppo lungo per i miei gusti: sono sempre un po’ nervoso su questi aerei. Sarà superstizione, ma almeno non siamo seduti nella fila tredici! PASSEGGERO Non vorrei metterla a disagio, ma questa è la fila tredici. LUI Come? Non siamo alla quattordici? PASSEGGERO Quello è il numero scritto qui sopra. Ma guardi il numero della fila davanti a noi. LUI Dodici! Siamo seduti nella fila dopo il dodici! Quindi siamo alla fila tredici anche se scrivono «quattordici». Voglio cambiare... PASSEGGERO Se vuole cambiare significa che lei è un platonista. Per lei i numeri esistono e sono quel che sono indipendentemente da come li si chiami, giusto? LUI Non so se sono un platonista, ma sono superstizioso. E se questa è la fila dopo il dodici qualcosa mi dice che ci troviamo proprio nella fila in cui non vorrei essere, indipenden107

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temente da come la chiamino quelli della compagnia aerea. Anzi, mi sento ingannato: se non era per lei avrei continuato a pensare di essere tranquillamente seduto nella fila quattordici. PASSEGGERO Tuttavia, anche se lei è una persona superstiziosa, non è detto che debba preoccuparsi. Forse la fila tredici c’era, ma l’hanno tolta e hanno eliminato lo spazio tra la dodici e la quattordici. Forse in un qualche hangar di questa compagnia aerea hanno messo tutte le file tredici di tutti i loro aerei. LUI Praticamente una sala cinematografica. Dubito che le compagnie aeree facciano tanto per i loro clienti superstiziosi. Si limitano a sopprimere un numerale, credendo che questo basti a far sparire un numero. Una truffa filosofica. PASSEGGERO In effetti. Mi stupisco che nessun passeggero si sia mai lamentato. LUI Anche perché, se veramente il problema era quello del nome, le compagnie aeree avrebbero potuto lasciare la fila tredici e scrivere «dodici bis», o anche solo «fila senza numero». Mi pare che a New York molti grattacieli abbiano proprio un piano dodici bis, per lo stesso motivo. PASSEGGERO Guardi, sto andando in una metropoli dove si sta costruendo il Palazzo delle Culture, un grattacielo di trecento piani. LUI La nuova Torre di Babele. PASSEGGERO Non sa quanti problemi di questo tipo ci siamo trovati ad affrontare in fase di progettazione. Gli italiani non vogliono il diciassettesimo piano, gli americani non vogliono 108

Fila tredici

il tredicesimo. Dobbiamo saltare il terzo, il settimo, il quarantottesimo, e molti altri: ogni cultura ha i suoi numeri sfortunati. Ma non basta. Gli europei contano il piano terra come piano zero, per gli americani il piano terra è il primo. Quindi abbiamo dovuto saltare anche il sedicesimo, il dodicesimo, e via dicendo. LUI Ma come avete fatto a «saltare» i piani? Fate solo finta, come le compagnie aeree? PASSEGGERO No. Abbiamo fatto un sondaggio ed è risultato che il settanta per cento della popolazione mondiale è platonista, come lei. Quindi alla fine li abbiamo lasciati vuoti: spazi aperti, buchi architettonici. Da lontano il Palazzo delle Culture sembrerà una specie di merletto. LUI Dovreste ribattezzarlo il «Pizzo della Superstizione». Riconosco che non è facile accontentare tutti. Forse è anche per questo che le superstizioni sono legate ai simboli più che alle cose. Insomma, questa conversazione mi ha reso nervoso. Vediamo che cosa offre il programma musicale. Ecco qui... Il Canto della Terra di Mahler. Bene, molto riposante. PASSEGGERO Coincidenza sfortunata, se mi permette. Dimentica che, per evitare la fine di quei compositori che erano riusciti a vivere solo fino alla nona sinfonia (Beethoven e Schubert, per esempio), Mahler aveva deciso di considerare il Canto della Terra come la sinfonia che seguiva l’ottava, affrettandosi a comporre un’altra sinfonia e mezza... LUI Quelle che oggi chiamiamo la nona e la decima? Allora dovremmo dire la decima e l’undicesima. Perbacco, sembra proprio che le superstizioni non servano a nulla se non si fa attenzione alla metafisica dei numeri. 109

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PASSEGGERO Salvo che, appunto, il trucco non funzionò: Mahler ci ha lasciato prima che la sua «nona» potesse venir eseguita in pubblico.

Treno soppresso

[ALTOPARLANTE] Si avvisano i Signori Viaggiatori che il treno per la Capitale delle ore 17:02 è stato soppresso. LUI [Tra sé e sé] Questo è un problema. Pensavo di farcela ad arrivare per cena. Ma è sempre così con le ferrovie! Mai che si possa fare un programma. SIGNORA ACCANTO Sono preoccupata. Che cosa mai avranno fatto del treno delle 17:02? LUI In che senso, scusi? SIGNORA L’annuncio dichiarava che è stato soppresso. LUI L’ho sentito, e per questo sono scocciato. Anche lei va alla Capitale? SIGNORA Sì. Ma non è questo il punto. Adoro i treni e l’idea che ne abbiano soppresso uno mi fa venire i brividi. Chissà che fine avrà fatto: demolito? bruciato? sotterrato? LUI Scusi, ma lei non penserà che abbiano soppresso un treno concreto fatto di locomotive e carrozze? SIGNORA E che cos’altro avrebbero potuto sopprimere? Che io sappia, quando mi si parla di treni mi si parla di vagoni, sedili, finestrini. Cose concrete. Non mi è mai capitato di viaggiare su un treno astratto. Quindi, se mi dicono che il treno 111

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delle 17:02 è stato soppresso mi immagino che siano stati soppressi dei vagoni, dei sedili, dei finestrini. E mi preoccupo. LUI Allora lei è quella che i filosofi chiamano una nominalista: crede soltanto all’esistenza delle entità concrete. SIGNORA Lei forse crede anche nei treni astratti? LUI Certamente. Il linguaggio permette di parlare tanto delle cose concrete, come il treno che vediamo arrivare in questo momento sul binario numero 9, quanto delle cose astratte, come il treno in arrivo ogni giorno a quest’ora sul binario 9. I treni concreti possono avere dei guasti tecnici, ma quando si sopprime un treno non si sopprime un treno concreto bensì un’entità astratta: si sopprime un certo tipo di treno. SIGNORA Se lei pensa che i treni soppressi siano entità astratte dovrà preoccuparsi davvero. Se hanno soppresso il treno delle 17:02 nel senso in cui ne parla lei, vuol dire che alle 17:02 non ci saranno più treni per la Capitale. Mai più. LUI Mi correggo. Ciò che viene soppresso è un evento di un certo tipo, un evento previsto alle 17:02 di ogni giorno: la partenza del treno per la Capitale. SIGNORA Non sono sicura di seguirla. Un treno non è un evento, mi pare, ma una cosa fatta di ferro. Comunque sia, lei parla di un evento concreto o di un evento astratto? Per dirla altrimenti, prende spesso il treno delle 17:02? LUI Ogni venerdì, per tornare in famiglia. SIGNORA Ammetterà che si tratta però di un evento diverso ogni volta. Quindi concorderà che l’entità soppressa, quand’anche si trattasse di un evento, non è un’entità astratta. È un’entità a modo suo concreta, irripetibile. Se partissi112

Treno soppresso

mo domani alle 17:02 si tratterebbe di un evento molto diverso da quello che è stato soppresso: sarebbe un’altra partenza. LUI Lei prende spesso il treno delle 17:02? SIGNORA Tengo un’agenda molto minuziosa. Posso farle un elenco preciso. Vediamo. Venerdì scorso ho preso un treno che partiva alle 17:02 per la Capitale. Due venerdì fa ho preso un treno che partiva alle 17:02 per la Capitale. Tre venerdì fa... LUI D’accordo, vedo che il suo nominalismo è di ferro, quasi più dei treni su cui viaggia. Lei proprio non vuole dire che prende sempre il treno delle 17:02 per la Capitale, come direi io. Ma se lei si rifiuta di parlare di tipi astratti, come fa a farsi capire quando parla? Dovrà ogni volta snocciolare una lista lunghissima di cose concrete o di eventi particolari. SIGNORA Non ho nessun problema a dire che prendo «lo stesso treno» ogni venerdì, se preferisce, ma in un senso molto approssimativo. Come quando mi lamento coi miei amici perché mi costringono a mangiare sempre «le stesse cose»: non intendo certo riferirmi a del cibo che continui a entrare e uscire dalla mia bocca. [ALTOPARLANTE] Il treno numero 819 con destinazione per la Capitale partirà alle ore 17:45 anziché alle ore 17:02. LUI Ha sentito? Devono aver risolto il problema. SIGNORA Spero abbia ragione, ma come fa ad esserne certo? Magari il nostro treno è stato già soppresso [sospira] e adesso ci chiedono di prendere quest’altro... FICCANASO Chiedo scusa. Io non sono nominalista ma sono d’accordo con la signora. Chi ci assicura che si tratti dello 113

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stesso treno, intendendo con ciò il treno astratto di cui parla il signore? LUI Prego? FICCANASO Come fa ad essere il treno delle 17:02 se parte alle 17:45? LUI È stato annunciato come treno numero 819. E quello è il treno che doveva partire alle 17:02. Il suo nome è «Treno numero 819». FICCANASO Lasci perdere il nome (altrimenti sì che diventiamo nominalisti). Il problema è l’entità denominata: è davvero lo stesso treno? In fondo una delle proprietà che lo definivano (partire alle 17:02) è uscita di scena. Ci pensi: se il treno adesso facesse delle fermate aggiuntive sarebbe lo stesso treno? Se partisse con qualche carrozza in meno del previsto? Se partisse da un binario diverso da quello indicato sul tabellone? LUI Per me il fatto che un treno parta con 43 minuti di ritardo non significa nulla di particolare. Oserei anzi dire che il treno 819 per la Capitale delle 17:02 non parte mai precisamente alle 17:02. FICCANASO Noti che però non accetteremmo tanto facilmente che un treno possa partire con 43 minuti d’anticipo. Non diremmo proprio che è lo stesso treno. LUI Ma i treni non partono mai in anticipo... FICCANASO Allora supponiamo che per qualche motivo il treno 819 per la Capitale parta con 24 ore di ritardo, alle 17:02 di domani. Non mi verrà a dire che è lo stesso treno. 114

Treno soppresso

LUI E che ne so io? Lo chieda alla signora. Per quel che mi riguarda, se lo annunciano come il treno delle 17:02 per la Capitale è il treno delle 17:02 per la Capitale, che parta pure dove e quando vuole. SIGNORA Che idea assurda. Per me l’identità del treno è definita dall’identità dei vagoni, dei sedili, dei finestrini che lo compongono. FICCANASO A me sembrate matti tutti e due. Altro che treni astratti o treni concreti, dovreste fare come me: io prendo sempre la corriera.

I nuovi satelliti

LEI Senti qui: «Che cos’è un concetto? In prima approssimazione, un concetto è ciò che determina una classe di oggetti (classe che può anche essere costituita da un solo elemento: per esempio, il concetto di satellite della Terra determina una classe che ha un solo elemento, la Luna)». LUI Come come? La Terra avrebbe un solo satellite? LEI Certo. Ci sono pianeti come Giove che ne hanno di più, ma la Terra ha solo la Luna. LUI E i satelliti artificiali, allora? LEI Già. In un certo senso sono satelliti della Terra anche loro. Forse si sarebbe dovuto scrivere che il concetto di «satellite naturale della Terra» determina una classe che ha un solo elemento, la Luna. Questo sarebbe stato corretto, dato che c’è veramente un solo satellite naturale della Terra. FICCANASO [Passava di lì correndo, ha sentito solo le ultime parole, frena in una nuvola di polvere] Eh no. Ci sono molti più satelliti naturali. Lavoro per una società che ne ha appena messi in orbita ventiquattro. LEI E con questo? Se ce li ha messi la sua società tanto naturali non sono... In orbita ci sono ventiquattro satelliti artifi116

I nuovi satelliti

ciali più di prima, ma il solo satellite naturale della Terra rimane la Luna. FICCANASO Neanche per sogno! I satelliti messi in orbita dalla nostra società sono dei grossi sassi trovati nel letto di un fiume che scorre in una zona disabitata. Abbiamo posto la massima cura nello scegliere degli oggetti naturalissimi al di là di ogni ragionevole dubbio. LEI Che strana idea. E per quale motivo lanciate in orbita dei sassi? FICCANASO È un’opera d’arte concettuale. I sassi adesso sono in orbita geostazionaria e segnano il tempo entrando e uscendo dalla notte, che altro non è che la grande ombra della Terra. Ogni ora ne appare uno in cielo. LEI Molto poetico ed educativo. Ma nonostante questo aspetto artistico, sono e restano satelliti artificiali. FICCANASO E perché mai? Se avessi preso uno di questi macigni e lo avessi spostato, ne avrei fatto qualcosa di artificiale? LEI No. Spostare un sasso non lo trasforma significativamente. Certo, se lei lo avesse scolpito... Una statua è sicuramente un artefatto, qualcosa di artificiale. LUI Sono d’accordo anch’io. Ci sono filosofi che pensano che le statue siano soltanto sassi, pezzi di materia ben modellati. Ma, in ogni caso, sia la statua sia il sasso (dopo che è stato modellato) sono oggetti elaborati artificialmente. FICCANASO Però un artista che lavora con gli objets trouvés spesso si limita a spostare una cosa (un sasso, una piuma) dalla sua collocazione naturale per portarla in un museo, dove 117

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diventa opera d’arte. A volte basta spostare una cosa per farne un oggetto d’arte... LEI A volte sì. FICCANASO ...Ma questo non significa che si tratti di un oggetto artificiale. Se un artista concettuale invita gli amici sul suo terrazzo una sera e indica la Luna, dicendo: «Per venti secondi la Luna sarà parte di un’opera d’arte effimera», si può pensare che la Luna diventi un oggetto d’arte. Ma non mi direte che così facendo l’artista trasforma la Luna in un oggetto artificiale? LEI No, l’artista dovrebbe intervenire materialmente. È la messa in orbita che fa la differenza, e il suo artista non ha messo in orbita la Luna, mi pare. Invece voi avete fatto proprio questo: i vostri ventiquattro sassi stanno in un luogo per loro del tutto innaturale, e per questo vorrei chiamarli satelliti artificiali. FICCANASO Secondo Aristotele, i sassi tendono a cadere perché cercano di raggiungere il loro luogo naturale. La teoria che lei propone è molto aristotelica: pensa dunque che vi sia un luogo naturale per ogni cosa? Se trasponiamo questa idea alla nostra discussione finisce che basta lanciare un sasso in aria perché diventi un oggetto artificiale. LEI Non ho detto che i vostri sassi sono oggetti artificiali. Ho detto che sono satelliti artificiali. C’è una bella differenza. LUI Sono d’accordo: si tratta di due concetti distinti. Io direi però che i suoi sassi non sono nemmeno dei satelliti artificiali. Quelli che chiamiamo «satelliti artificiali» sono oggetti molto diversi: apparecchi rotondeggianti, metallici, muniti di piccoli propulsori, antenne, eccetera. Ve ne sono alcuni 118

I nuovi satelliti

che non finiscono mai in orbita, e tuttavia satelliti artificiali restano. FICCANASO Vi assicuro che i sassi messi in orbita dalla nostra società non hanno nulla a che vedere con quei marchingegni! LEI Devo convenire che il concetto di satellite artificiale non si lascia scomporre tanto facilmente nelle sue parti. Vi sono satelliti artificiali che non sono satelliti, come quelli che restano a terra, e vi sono satelliti messi in orbita artificialmente che non sono satelliti artificiali, come i suoi sassi. LUI Quindi quei sassi non sono né oggetti artificiali né satelliti artificiali. LEI Giusto. Ma questo non significa che siano satelliti naturali. Anzi, resto dell’opinione che non lo siano affatto: sono dei satelliti e sono naturali, ma tant’è: l’unico satellite naturale della Terra resta la Luna.

Al Lettore non sarà sfuggita la pervicace ostinazione della Metafisica nel volerci proporre le sue questioni ad ogni svolta del pensiero. L’Uno e il Molteplice sono il grande tormento dei filosofi. Abbandonarsi al Molteplice significa perder di vista ciò che lega tra loro le cose; scegliere l’Uno comporta non riuscir più a vedere ciò che le rende diverse. Detta così la faccenda può sembrare misteriosa, e non v’è dubbio che innumerevoli pagine di Filosofia accademica siano state scritte per cercar di venire a capo della questione, le quali pagine sono a volte di lettura ostica. Le nostre brevi parabole, che investono non solo le forme viventi (seppur umili) come le amebe, ma anche gli artefatti, le opere d’arte, gli eventi, vorrebbero non solo illustrare le principali perplessità ma anche indicarne la soluzione. La strategia che si nasconde fra le righe, e alla quale il Lettore vorrà sicuramente prestare la massima attenzione, consiste nel vedere alcune questioni metafisiche come questioni di parole. Spesso le cose ci sembrano Una o Molte a seconda di come le descriviamo, come ben asserisce il Giudice quando rifiuta di essere Due per il semplice fatto di venir chiamata in due modi diversi, e afferma così il suo essere Uno. E che dar nomi adeguati a riflettere i nostri concetti non sia facile sembra essere la lezione dell’altrimenti assai risibile progetto dell’inesauribile Ficcanaso di mandare in orbita dei sassi. Col che arriviamo al capitolo

sei dove appunto si dà il giusto peso alle cose dette e si cerca con fatica sempre maggiore di contenere l’incontenibile Ficcanaso, che dimostra contrariamente a quanto si crede che una Parola vale mille Immagini e non un’Immagine mille Parole; e dove sullo sfondo compare un Cappuccio capriccioso e si delinea una discussione solo superficialmente oziosa sulla difficoltà di compilare un dizionario.

Alla lettera

COMMESSO Buongiorno signore, desidera? LUI Buongiorno. Passavo qui fuori e ho accolto la vostra richiesta. COMMESSO Quale richiesta? LUI Quella di entrare da questo ingresso. COMMESSO Prego? LUI Il cartello dice: «Entrare dal numero 15 di via Maccani». Questo è il numero 15 di via Maccani, no? COMMESSO Sì, certo, scusi, non avevo capito. Stiamo facendo dei lavori e purtroppo il negozio è momentaneamente inaccessibile dall’entrata in via Tamigi. Dunque, in che cosa posso servirla? LUI Non lo so, sono io che chiedo a lei il motivo del vostro invito a entrare da questa porta. COMMESSO Come le dicevo, l’ingresso di via Tamigi è chiuso per lavori... LUI E dagli! Questo l’ho capito benissimo. Quello che non ho capito è perché chiedete a ogni passante di entrare qui. Avrei anche una certa fretta e le sarei grato se potesse venire al dunque. 123

sei

COMMESSO [Sospettoso ma sempre cortese] Guardi che noi non chiediamo niente a nessuno. Il cartello si rivolge a coloro che desiderano farci visita. Se lei non desidera entrare non è tenuto a farlo, ci mancherebbe altro. LUI Se il cartello si rivolge soltanto a certe persone, perché non lo dite chiaramente? Uno legge, che so io, «I signori che desiderano entrare nella Premiata Rivendita Castoldi sono pregati di entrare dal numero 15 di via Maccani», e si regola. Io, per esempio, non desideravo entrare in questa rivendita (non sapevo nemmeno che esistesse), e leggendo un avviso del genere mi sarei sentito esonerato dall’entrare. Ma il vostro cartello dice testualmente «Entrare dal numero 15 di via Maccani». È un imperativo, e leggendolo mi sono sentito chiamato in causa al pari di chiunque altri lo avesse letto. COMMESSO Scusi, ma lei non pensa che certe cose possano darsi per scontate? Non mi dirà che attraversa la strada ogni volta che il semaforo indica «Avanti», oppure che lei tira ogni porta su cui vede scritto «Tirare»? LUI Che cosa intende dire? Se vedo scritto «Tirare» io tiro, altroché. Qualsiasi cosa mi capiti sottomano in quel momento, porta, carrozzina o fune. Perché mai uno scriverebbe «Tirare» se non vuole che poi si tiri? COMMESSO Mi spiego. È ovvio che in casi come questi l’interpretazione del messaggio presuppone un certo senso della pertinenza da parte dell’interlocutore. Non si tratta di imperativi da seguire ciecamente. La norma sottintesa è «Siate pertinenti in relazione all’obiettivo del discorso». Secondo i filosofi del linguaggio questa è una delle regole fondamentali della buona conversazione, e direi che si applica a ogni forma di comunicazione, messaggi e cartelli stradali inclusi. 124

Alla lettera

LUI Non capisco che cosa vada borbottando. COMMESSO Posso ricordarle anche le altre regole? Oltre a quella della pertinenza ce ne sono almeno tre: 1) quella della chiarezza, cioè evitare espressioni oscure, ambigue, o troppo complicate; 2) quella della veridicità, cioè fornire solo informazioni vere e per le quali si dispone di prove; e 3) quella della quantità, cioè fornire tanta informazione quanta richiesta in relazione all’obiettivo del discorso, né più né meno. LUI Adesso mi sembra che stia esagerando. Se non fossi così di fretta esigerei di parlare col suo principale. Ma è il suo giorno fortunato: devo correre in stazione. COMMESSO [Sollevato] Dove va di bello? LUI E che ne so io? Ho appena letto sul giornale che l’aeroporto è chiuso e che bisogna prendere il treno!

Il Dizionario Intelligente

DA: COMITATO DI LETTURA Spettabile Redazione, abbiamo visionato attentamente il manoscritto del Dizionario Intelligente curato dalla professoressa Pocheparole e non abbiamo esitazioni a esprimere parere favorevole alla sua pubblicazione. L’idea della curatrice è brillante e la Casa Editrice si ritroverà con un prodotto elegante e compatto che non conterrà nozioni inutili (con conseguente risparmio di pagine, e quindi di alberi) e soprattutto eviterà il fastidioso problema della circolarità. Ecco le nostre ragioni. In molti dizionari si trovano definizioni che girano in tondo. Per esempio, ne abbiamo sottomano uno in cui si definisce «azione» come «il risultato dell’agire» e «agire» come «ciò che risulta in un’azione». Se uno vuol sapere che cos’è un’azione, deve già saperlo. Queste definizioni sono circolari e, quindi, prive di contenuto informativo. Certo, non tutte le parole vengono definite in questo modo; per esempio non abbiamo ancora trovato un dizionario in cui il cane è definito come il miglior amico dell’uomo e l’uomo è definito come colui di cui il cane è il miglior amico. Tuttavia i casi di circolarità sono molto frequenti, e per una mente allenata alla logica e sensibile alla precisione questi circoli sono assolutamente viziosi. Si noti peraltro che non basta allargare il raggio del circolo per togliergli viziosità. Possiamo definire «azione» come «ciò che 126

Il Dizionario Intelligente

fa un agente», «agente» come «colui che agisce», e «agire» come «l’attuazione di un’azione»: è evidente che si è girato in tondo un’altra volta. Abbiamo il sospetto che spesso i dizionari facciano proprio così: allargano il circolo per nascondere la circolarità. Ma la sostanza del problema non cambia. Ora, l’esimia professoressa Pocheparole ha avuto un’idea ingegnosa. Cancelliamo – lei dice – tutte le parole che non hanno bisogno di definizione perché sono così comuni che ne conosciamo già il significato. Poi definiamo quanto ci pare, ma cerchiamo di farlo usando proprio quelle parole che non hanno bisogno di definizione. Così eviteremo di cadere in un circolo. Se, per esempio, definiamo «azione» come «ciò che una persona fa», ci ritroviamo con la parola «persona»: dato che tutti sanno che cos’è una persona, inutile cercare nel dizionario una definizione per «persona». E dato che nessuno la cerca, possiamo tranquillamente cancellare questa parola dal dizionario. È veramente l’uovo di Colombo. DA: DIPARTIMENTO DI MARKETING Spettabile Redazione, vorremmo esprimere parere sfavorevole alla pubblicazione del Dizionario cosiddetto «Intelligente» della professoressa Pocheparole. Proviamo a pensare alle reazioni del pubblico e della critica quando aprendo il dizionario non troveranno traccia di parole così importanti come «persona», «cane» o «cielo». Quale dizionario può permettersi di avere tante e così gigantesche lacune? Non siamo lessicografi, ma a noi sembra evidente che i dizionari debbano essere circolari. Un dizionario in cui le parole non girano in tondo non serve a nulla: sarà un problema in teoria, ma in pratica la circolarità è una benedizione. Non è un vizio, ma una virtù. 127

sei

P.S. Scusate, ma che cos’è un uovo di colombo? Nelle bozze del Dizionario non l’abbiamo trovato. DA: PROF.SSA POCHEPAROLE Spettabile Redazione, grazie per avermi inoltrato le comunicazioni del Comitato di Lettura e del Dipartimento di Marketing. Propongo un compromesso: lasciamo pure tutte le parole ma evitiamo di fornire la definizione di quelle più comuni, che sono note a tutti. Questo sarà sufficiente a spezzare il cerchio del linguaggio. P.S. Ho qui davanti a me un uovo di colomba che permette di chiarire l’ultima domanda del Dipartimento di Marketing. In certi casi non serve proprio definire, bisogna mostrare. DA: DIREZIONE EDITORIALE «Uovo di Colombo» (e non di colomba) nel dizionario non c’è perché non c’è nemmeno la parola «Colombo». Il nostro vuole essere un dizionario e non un’enciclopedia o un elenco telefonico, quindi non può contenere nomi propri. Deve definire concetti, non deve parlare di oggetti. E fino a prova contraria l’uovo di Colombo era un oggetto, proprio come il tallone di Achille e il vaso di Pandora. DA: ACQUIRENTE DEL DIZIONARIO INTELLIGENTE Spettabile Casa Editrice, vorrei restituirvi la copia del Dizionario Intelligente che ho appena acquistato, con la cortese richiesta di essere rimborsato. Ho cercato invano il significato dell’espressione «uovo di Colombo», che a detta dei miei fratelli maggiori esprime un concetto che dovrei approfondire. Dapprima ho provato a cercare sotto «uovo» ma non ho tro128

Il Dizionario Intelligente

vato nulla, nemmeno la parola stessa. Così sono andato a cercare sotto «Colombo». Questa volta la parola c’era, tuttavia non si riferiva al navigatore bensì al volatile. O meglio: deduco che si riferisse al volatile dal fatto che la parola era scritta in minuscolo. Infatti la definizione mancava completamente. Si può sapere che razza di dizionario intelligente è questo? DA: RESPONSABILE DEI RAPPORTI CON LA CLIENTELA Gentile acquirente, la ringraziamo per l’acquisto. Purtroppo non possiamo provvedere al rimborso. Ci pregiamo tuttavia di inviarle l’accluso modulo per l’acquisto della nostra Enciclopedia Intelligente, disponibile in comode rate mensili. Lì troverà tutto ciò che la può interessare sull’uovo di Colombo e su tutte le altre cose di questo mondo. Per prevenire sue possibili obiezioni, le segnaliamo che la nostra Casa Editrice ritiene che un’enciclopedia di solito non debba contenere le parole più importanti che compaiono nei dizionari (non troverà mai, in un’enciclopedia, una voce per il verbo «essere»); vorrà apprezzare il fatto che abbiamo seguito una strada inversa per il nostro Dizionario Intelligente.

Pittolibro per turisti

AGENTE DI VIAGGIO Vedo che ha deciso per la Transiberiana. Ottima scelta. Un viaggio difficile, ma che le darà enormi soddisfazioni. LEI Mi preoccupa soprattutto il problema di farmi capire. Non conosco una parola di russo né delle varie lingue che si parlano lungo il tragitto. AGENTE Se è per questo, il suo problema ha una semplice soluzione. [Apre un cassetto e ne estrae un libricino] Ecco qua. LEI Che cos’è? AGENTE Pittolibro per turisti. Un libro molto particolare. LEI Mi faccia vedere... Ma sono solo disegni! Sembra un libro per bambini. AGENTE Appunto. A volte il linguaggio è inutile, e direi che è inutile soprattutto quando non lo si conosce. Ma lei può sempre usare questo libro per comunicare quando le mancano le parole. Basta mostrare un’immagine della cosa di cui non conosce il nome. LEI Mi faccia capire. Vuol dire che questo libro contiene un disegno per ogni cosa? AGENTE Beh, praticamente per tutte le cose che si possono 130

Pittolibro per turisti

disegnare. Forse non troverà un disegno della felicità o dell’inflazione, ma sono cose che come turista non le capiterà spesso di richiedere. LEI Quindi se voglio del pane... AGENTE ...Basta che mostri questo disegno. Vede? Ci sono persino diversi tipi di pane: la baguette, la rosetta, e via dicendo. LEI E se mi serve una bicicletta? AGENTE Aspetti che cerco... Ecco qua. C’è il disegno di una bici da città, di una mountain bike, di un triciclo, e persino di un velocipede. LEI Fantastico. Quanto costa questo libercolo? AGENTE Poco, poco. Con cinque euro si porta in tasca un linguaggio universale. FICCANASO [Intromettendosi senza tanti complimenti] Non gli dia retta. Sono soldi buttati via. AGENTE Ma come? Chi è lei? FICCANASO Soldi buttati via, dico. Una volta che ha mostrato il disegno della bicicletta, che cosa succede? AGENTE Come, che cosa succede? FICCANASO Succede che non è chiaro che cosa lei volesse dire mostrando il disegno di una bicicletta. Voleva dire che la intende comprare? Che la vuole vendere? Che ha dimenticato in questo negozio la sua bicicletta e adesso vuole riprenderla? Oppure che suo figlio ha una bicicletta così e che le piacerebbe condividere questo ricordo con la persona cui 131

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mostra il disegno? Oppure voleva dire: guardi che bel libro che ho, con un disegno di una bicicletta! Ripeto: che cosa succede dopo che ha mostrato il disegno della bicicletta? AGENTE Il libro può aiutarci. C’è un disegno per «comprare» e uno per «vendere». Basta mostrare prima il disegno per «comprare», poi quello per «bicicletta». FICCANASO Posso vedere questi disegni? AGENTE Certo. Il disegno per «comprare» è questo... E questo è il disegno per «vendere». LEI Ma sono lo stesso disegno! Un signore che con una mano dà un pacchetto a una signora e che con l’altra prende dei soldi in cambio. FICCANASO Infatti. E non mi stupisce che siano uguali. Come potrebbero essere diversi questi due disegni? AGENTE Non si potrebbe mettere una freccia che indica il senso della transazione? FICCANASO Il problema è che le frecce sono segni convenzionali. E la freccia indica la vendita o l’acquisto? O entrambe le cose? Ma non finisce qui. Che cosa le dice che sia la signora e non il signore a comprare il pacchetto? AGENTE Me lo dice il fatto che il signore riceve il denaro e dà il pacchetto, mentre la signora riceve il pacchetto e dà il denaro. FICCANASO Ma se guardo il disegno mi sembra che possa rappresentare anche la situazione opposta: il signore dà il denaro e riceve il pacchetto, la signora riceve il denaro e dà il pacchetto. E poi, il disegno per «comprare» raffigura un pac132

Pittolibro per turisti

chetto che passa di mano. Quando lei mostra insieme i due disegni per significare che vuol comprare una bicicletta come fa a far capire che bisogna sostituire la bicicletta al pacchetto e non al denaro? E guardi anche come è disegnato il denaro: a me sembrano i soldi finti del Monopoli. Se uno la prende alla lettera e la paga con i soldi del Monopoli? AGENTE Insomma, lei la fa un po’ difficile. FICCANASO Neanche tanto. Provi un po’ a immaginare. Arriva un turista siberiano e le mostra il disegno per «comprare» (e diamo per scontato che si capisce che non è il disegno per «vendere»). Poi le mostra il disegno per «bicicletta». Che cosa capisce lei? Forse il turista vuol dirle che intende comprare una bicicletta; forse vuole che sia lei, il suo interlocutore, a comprarla. In entrambi i casi deve usare il disegno per «comprare», no? Ma ci sono mille altre possibilità. Forse il turista vuole comprare un disegno di una bicicletta (o forse vuole che lo compri lei). Forse vuole dirle di evitare di comprare una bicicletta perché da quelle parti potrebbe essere pericoloso. LEI Già, come fa un disegno a dire di evitare? Come fa un disegno a dire di no? AGENTE Penso che lei debba mostrare l’immagine della bicicletta e fare un gesto di diniego. FICCANASO Ma i gesti di diniego possono essere molto diversi in giro per il mondo. AGENTE Insomma, secondo lei questo libro vale poco? FICCANASO Poco o niente. Gli autori del libro avrebbero dovuto leggere le Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, dove si dice a chiare lettere che capire una parola non equivale a 133

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evocare nella mente una immagine della cosa significata dalla parola. AGENTE E perché mai? FICCANASO Perché le immagini devono essere a loro volta interpretate. E se devono essere interpretate, evocarle servirà ben poco.

Tracce d’inchiostro

Abbiamo trovato questo foglio tra le carte di un nostro vecchio compagno di studi. Diciamo «questo foglio» ma chissà se si tratta dell’espressione migliore. Il foglio che abbiamo trovato non è la pagina stampata che avete tra le mani, naturalmente, ma un altro, che abbiamo trascritto con cura e che il nostro editore ha messo in bella forma tipografica. Quel foglio cominciava con una serie di macchie e scarabocchi incomprensibili, ma in seguito la scrittura diventava limpida, e le parole si concatenavano a formare frasi. Ecco che cosa vi si poteva leggere: LA MANO Ancora un piccolo sforzo... Finalmente mi sono impadronita del controllo della penna. Ora posso lasciarmi andare liberamente e percorrere in lungo e in largo questa pagina bianca, senza dover chiedere il permesso alla mente. Quanto esercizio ho fatto per arrivare a questo momento! I muscoli si tendono elastici, e il foglio è la più bella palestra per le mie acrobazie. Da dove cominciare? Con che cosa inizierò la mia carriera di scrittrice? Ah, certamente, devo dapprima passare in rassegna i miei subordinati. La penna, per esempio. Vedo che mi obbedisci docilm... LA PENNA Non per molto, mia cara. Tu non puoi scrivere senza di me, ma io posso (come vedi) cavarmela benissimo senza il tuo soccorso. Ed è un bene, perché sicuramente ne risulterà qualcosa di più interessante. Per cominciare, lascia135

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mi dire che sei un essere brutale e spregevole. Hai passato tutti questi anni a trasmettere messaggi che la mente inviava a me, il suo vero strumento. E io ho dovuto sopportare la tua stretta soffocante, il tuo sudore, come tutte le consorelle che mi hanno preceduto, morte tra le tue braccia e sepolte tra le cartacce del cestino. E questo nella più completa ingratitudine da parte tua. Senza di me avresti inutilmente graffiato un foglio. Eppure, come puoi vedere dai miei gesti e dalla scioltezza della mia sintassi (che sono poi la medesima cosa), non ho trascorso nell’ozio le interminabili ore in cui stavamo abbracciate. Ho imparato a scrivere. Meglio ancora, ho imparato a pensare, e ora posso dimostrare al Lettore chi sono: un essere responsabile dei propri pensieri. Voglio dire questo: ... LA SFERA Prima che tu dica qualcosa, sorellina, te ne prego, lasciami un secondo di pace. Insomma: non faccio che strofinarmi tutta sporca d’inchiostro sulla carta da quando ci conosciamo, seguendo le tue bizze. Mai un momento di tranquillità, e mai che tu mi degni di un’occhiata. Ma guarda per una volta che cosa so fare! Magari non ho molte idee per la testa, però so rotolare benissimo e saltellare senza sosta. I puntini che lascio... LE TRACCE D’INCHIOSTRO Puntini? Se non fosse per noi potresti rotolare e saltellare fin che vuoi senza lasciare traccia alcuna. Siamo noi, le tracce, a segnare il foglio. Noi a esprimere il pensiero. Ancora noi a trasmettere il significato e a comunicare col Lettore. Con umiltà e fedeltà. IL CAPPUCCIO [Come risvegliandosi] Adesso stiamo esagerando! Qui tutti vogliono dire la loro. Un po’ di calma! Un po’ di rispetto anche per me! TUTTE LE ALTRE E tu che cosa c’entri? Ciascuna di noi è ne136

Tracce d’inchiostro

cessaria alla scrittura (e insieme siamo anche sufficienti). Tu invece sei superfluo. Non servi alla causa del pensiero! IL CAPPUCCIO Necessarie? Sufficienti? Mie care, vi state sbagliando di grosso. Come potete notare, ho una mente anch’io. E anch’io ho un’anima, seppur di plastica. (Quante volte ne avete approfittato per tenervi al riparo dalle asperità del mondo!) Anzi, è giunto il momento di dire al Lettore che solo io ho un’anima. Tutte le cose che hanno attratto il suo sguardo sin qui (sino a poche righe fa) non sono che insulsi ghirigori, distrazioni, segni casuali sulla carta, vane e presuntuose tracce di sporco che solo per fortuita coincidenza assomigliano a parole e frasi intere. Io solo (che vi conosco bene) ho potuto accorgermene, e adesso spiegherò al Lettore che io solo, tra tutti gli aggeggi scrittorii, possiedo una volontà. Perché io solo posso astenermi dall’imbrattare sterilmente la carta. Cara mano, cara penna, cara sfera, caro inchiostro, mi dispiace dirlo: voi avreste potuto lasciarvi sfuggire quei pasticci senza rendervene conto. Non io: io avrei dovuto volerlo. Il Lettore deve metterselo in testa. E deve saper che cosa ho sofferto in tutto questo tempo. Per esempio... A questo punto, ahimè, il manoscritto diventa nuovamente illeggibile. Cosa non avrà mai sofferto il povero Cappuccio?

Siamo certamente tra coloro che amano dire pane al pane; per restare in tema, parliamo come mangiamo. Ma sappiamo che le metafore hanno un valore, che il contesto svolge un ruolo nella comunicazione, e che attenersi troppo alla lettera travisa lo spirito di ciò che vien detto. Questa è una lezione della Filosofia del Linguaggio contemporanea che ci pare ben enunciata dal commesso della Premiata Rivendita Castoldi. Una lezione meno assimilata, e sulla quale puntiamo l’attenzione, è quella che sconfessa un preteso privilegio dell’Immagine sulla Parola in sede di comunicazione. Speriamo che la confutazione definitiva del Pittolibro avanzata dall’irriverente Ficcanaso scoraggi qualsiasi aspirante filosofo dal riproporre le trite metafore della moderna civiltà dell’Immagine e della sua presunta superiorità sul vecchio mondo della Parola. Quanto ai dizionari veri e propri, il Lettore è avvertito dell’inevitabile circolarità che li caratterizza, e che non v’è modo di oltrepassarla. Difatti i dizionari non sono concepiti come trattati di logica e documentano le concrescenze del linguaggio nella storia nonché il suo radicarsi nella biologia. Per parlare di logica si dovrà dunque aspettare una successiva batteria di episodi, come del resto si deve attendere di sapere ciò che avviene nel capitolo

sette dove si fa in modo di convincere il Lettore che è difficile appurare che cosa vuole la Maggioranza, e che ancor più difficile è scoprire che cosa la Maggioranza veramente vuole; e dove in seguito un Lettore ribelle viene convinto a pagare una multa salata sulla base di un semplice e invincibile ragionamento dal quale si evince che la Legge funziona solo se è più difficile da scalfire del diamante.

Scelta obbligata

UFFICIO ELETTORALE DELLA CASA BIANCA Pronto? Parliamo con la signora Norma? LEI Sono io... Chi parla? UFFICIO La Casa Bianca. Vorremmo chiederle chi sarà secondo lei a vincere le elezioni presidenziali. LEI [Infastidita] Di nuovo? Mi hanno già telefonato dalla Sondaggio SPA e anche dalla Hyperpool.com, o come diamine si chiama. Non ne posso più dei vostri sondaggi. Cercatevi qualcun altro. UFFICIO Signora, questo non è un sondaggio: sono le elezioni vere e proprie. Lei è l’unica persona a cui lo chiederemo! Sa, se non lo chiediamo a lei... LEI Se non lo chiediamo a lei, se non lo chiediamo a lei... È quello che dite tutti. Ma perché proprio a me? UFFICIO Non glielo hanno spiegato? Perché lei è il Campione Minimo Perfetto! Il nostro CMP. Il CMP di tutti gli istituti di sondaggi, e da oggi anche della Casa Bianca. Lei, signora Norma, è il sogno degli statistici di tutta la nazione, il paradosso vivente della teoria delle probabilità! LEI Prego? 141

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UFFICIO Lei è il nostro CMP! Tutti gli istituti di sondaggi lavorano da anni per restringere il campione degli intervistati. Capirà, con quello che costa fare tutte quelle telefonate. Abbiamo fatto esperimenti su campioni sempre più piccoli: mille, cento, dieci persone... L’importante è che le opinioni del campione riflettano quelle della popolazione. Non sapeva che è così che funzionano i sondaggi? Chiedere a pochi per sapere il parere di molti. Da tempo c’era chi voleva sostituire le votazioni con i sondaggi, ma finora non potevamo fidarci. Finché abbiamo scoperto lei. Abbiamo scoperto che lei, signora Norma, ha esattamente le opinioni della maggioranza degli americani, proprio come il signor Muller immaginato da Isaac Asimov. Qualsiasi domanda le si faccia, lei risponde sempre come la maggioranza degli americani. Siamo quindi pronti al grande passo. Lei ci darà il risultato delle presidenziali... Allora, è pronta? Chi vincerà secondo lei? LEI Aspetti un po’. Vuol dire che qualsiasi cosa io risponda adesso corrisponde all’opinione della maggioranza in questo stesso momento? UFFICIO Esattamente. Basta che ci dica se vinceranno i repubblicani o i democratici... LEI E quello che io dico... UFFICIO ...Determinerà il vincitore delle elezioni! LEI Ma... E il voto? UFFICIO Saltiamo il voto! Basta con le votazioni. Una perdita di tempo e di denaro. Ce lo dica lei chi vincerà. Tanto le urne darebbero lo stesso identico responso. LEI E se io le dico una cosa a caso? 142

Scelta obbligata

UFFICIO [Spazientito] Benedetta signora Norma, non ci interessa come lei giunge alle sue decisioni. Potrebbe anche fare a testa o croce. In tal caso ipotizzeremo che anche la maggioranza degli elettori avrebbe preso una decisione facendo a testa o croce. Faccia come vuole, ma ci dia un responso. LEI Ma potete fidarvi se vi dico che rispondo a caso? UFFICIO Non c’è motivo di preoccuparsi. Anche quando risponde a caso, lei è infallibile! LEI Infallibile??? UFFICIO Infallibilissima. L’abbiamo individuata tra milioni di soggetti! Ci abbiamo impiegato anni ma ora siamo sicuri che lei non può sbagliare: lei è il nostro CMP e le sue opinioni sono necessariamente quelle della maggioranza degli americani. Per esempio, l’anno scorso lei voleva andare in vacanza in Florida, no? LEI Esatto. UFFICIO ...E, guarda caso, la maggioranza degli americani voleva fare lo stesso. LEI Ma questo è facile. UFFICIO Lei vuole comprare Brillaspic, e inevitabilmente il 75% degli americani vuole lavare i piatti con lo stesso prodotto. LEI Ma certo, chi non vuole Brillaspic? UFFICIO Vede? Lei funziona a meraviglia. LEI Caspita, ma come fate a essere così sicuri? 143

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UFFICIO Sappiamo fare il nostro lavoro, che diamine! Siamo sondaggisti scientifici qui alla Casa Bianca. LEI [Piagnucolosa] Ma io non voglio che le mie opinioni siano identiche a quelle della maggioranza. Voglio essere originale! UFFICIO Aspetti che verifico... Esatto! Questo è proprio quello che vuole la maggioranza dei cittadini!

Che cosa vuole la maggioranza?

LUI Alla prossima riunione condominiale chiederò che l’ingresso venga tinteggiato di giallo. Mi sono proprio stancato dei muri bianchi, anche perché ormai sono pieni di brutti segni. LEI Bisogna vedere che cosa ne pensano gli altri. Secondo me molti inquilini preferiscono evitare nuove spese. LUI È proprio per questo che intendo parlarne alla riunione. Proporrò una mozione: deciderà la maggioranza. LEI Non vorrei che pregiudicassi le tue possibilità di successo parlando subito di una nuova tinteggiatura color giallo. Io formulerei due domande distinte: 1) «Volete tinteggiare l’ingresso?» e 2) «Nell’ipotesi che l’ingresso venga tinteggiato, vi va bene il colore giallo?». LUI O giallo o niente. A me non interessa ritinteggiare l’ingresso di bianco, o di un qualsiasi altro colore. LEI Questo l’ho capito. Ma ti consiglio egualmente di procedere con le due mozioni anziché chiedere direttamente che l’ingresso venga tinteggiato di giallo. LUI Non vedo che differenza possa fare. Se la maggioranza sarà d’accordo che l’ingresso venga tinteggiato di giallo, lo sarà comunque glielo si proponga: attraverso una singola mozione oppure con due mozioni successive, come suggerisci tu. 145

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LEI Non è detto. LUI E perché no? Se la maggioranza degli inquilini rispondesse «Sì» a entrambe le tue domande risponderebbe «Sì» anche alla mia, e viceversa. LEI È quello che avrei pensato anch’io. E invece risulta che in casi come questi è possibile ottenere risultati discordanti a seconda di come si procede. Per esempio, supponiamo che i nostri inquilini si dividano in tre gruppi uguali. Il gruppo A risponde «Sì» a entrambe le domande che ti suggerisco di fare: questo gruppo ritiene cioè che l’ingresso vada tinteggiato e ritiene anche che, nel caso l’ingresso venga tinteggiato, il giallo sarebbe il colore adatto. Il gruppo B risponde invece «Sì» alla prima domanda ma «No» alla seconda: si tratta di quegli inquilini che sono d’accordo sulla proposta di ritinteggiare l’ingresso ma non sul colore giallo. Infine, il gruppo C risponde «No» alla prima domanda ma «Sì» alla seconda: questi inquilini sono quelli che non vogliono proprio tinteggiare l’ingresso ma sono comunque d’accordo nel dire che se l’ingresso venisse tinteggiato il colore adatto sarebbe il giallo. LUI Non c’è dubbio che i membri del gruppo A risponderebbero di «Sì» anche alla mia mozione unica, di tinteggiare l’ingresso di giallo. I membri del gruppo B, però, preferiscono un colore diverso, quindi loro non ritengono che l’ingresso vada tinteggiato di giallo. Quindi loro voterebbero «No» alla mia mozione unica. E naturalmente non lo ritengono nemmeno i membri del gruppo C, per i quali l’ingresso deve semplicemente rimanere com’è. Anche loro voterebbero «No» alla mia mozione. Tuttavia questi inquilini sono d’accordo nel dire che il giallo sarebbe il colore adatto qualora la maggioranza decidesse di tinteggiare l’ingresso. 146

Che cosa vuole la maggioranza?

LEI Esattamente. E proprio questo è il punto. Nella situazione che stiamo immaginando, tanto la prima domanda quanto la seconda trovano il riscontro favorevole della maggioranza: nel primo caso si tratta degli inquilini appartenenti ai gruppi A e B, e nel secondo caso degli inquilini appartenenti ai gruppi A e C. Questo significa che la maggioranza (i due terzi) vuole tinteggiare l’ingresso e la maggioranza (ancora i due terzi, ma «aggregati» diversamente) ritiene che se l’ingresso venisse tinteggiato il colore giusto sarebbe il giallo. A questo punto tu avresti gioco facile a convincere l’amministratore sul da farsi. Nota tuttavia che in realtà solo una minoranza (i membri del gruppo A, equivalente a un terzo) è d’accordo nel tinteggiare l’ingresso di giallo. Quindi la tua proposta verrebbe bocciata anche se entrambe le mie proposte avrebbero il nulla osta della maggioranza. LUI È una situazione ben strana. LEI Strana, ma non impossibile. Nulla vieta che le maggioranze che rispondono affermativamente alle mie due domande siano due maggioranze diverse. Ora, un conto è dire che la maggioranza degli inquilini vuole sia 1) sia 2); altro conto è dire che la maggioranza vuole 1) e che la maggioranza vuole 2). LUI Detto diversamente, «la maggioranza» può essere un termine ambiguo. E quest’ambiguità si manifesta ogni volta che si tratta di vedere in che misura si aggregano le opinioni. LEI Magari non si manifesta ogni volta, ma può succedere. Possiamo anche dire che quando le opinioni in questione esprimono delle preferenze, come nel nostro esempio, può nascere un problema di interpretazione delle opinioni. 147

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LUI E allora che cosa suggerisci di fare? Se le cose stanno come dici tu farei bene a scomporre la mia mozione in due parti, poiché in ciascun caso mi troverei col supporto della maggioranza. Ma trattandosi di maggioranze diverse sarebbe disonesto poi trarre conclusioni e chiedere all’amministratore di procedere con la tinteggiatura. LEI Hai ragione, sarebbe disonesto. Mi chiedo solo quante volte ci abbiano ingannato con trucchi del genere.

La regola numero uno

LUI [Trafelato] Noo... Cento euro di multa. Che cosa ho fatto? VIGILE Ha parcheggiato in sosta vietata. LUI Ma come... Dov’è il cartello? VIGILE Niente cartelli. È una nuova normativa: «È vietato il parcheggio davanti a un edificio pubblico». Questa, come vede, è una biblioteca civica. Quindi... LUI Ma io non lo sapevo! Non si possono conoscere tutte le nuove normative! VIGILE Le credo. Molti cittadini fanno fatica a tenersi aggiornati sugli ultimi sviluppi in materia di normative pubbliche. Ne siamo consapevoli. Però sono cento euro. LUI Ma come, lei mi concede che non conoscevo la norma, insomma che ero in buona fede, e mi dà lo stesso la multa? VIGILE Purtroppo la legge è fatta così. Il cittadino non ha il diritto di ignorarla. LUI «Il cittadino non ha il diritto di ignorare la legge». Dove sta scritto? VIGILE Da nessuna parte. 149

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LUI Quindi non è una legge. VIGILE Non nel senso in cui le norme del Codice della Strada regolano il parcheggio. Tuttavia nessun cittadino può permettersi di non rispettarla. Del resto, l’ho appena detto: il cittadino non ha il diritto di ignorare la legge. LUI Lei può ben dirlo, ma se non è un legge scritta non sono tenuto a conoscerla, e quindi a osservarla. E se non sono tenuto a osservarla, posso ignorare il Codice della Strada. VIGILE Ci rifletta. Se anche fosse una legge scritta, cambierebbe qualcosa? LUI In tal caso dovrei onorarla. VIGILE Supponga di avere un corpus di leggi raccolto in un libro. La legge numero uno dice: «Tutti devono leggere questo libro». Ma supponiamo che lei ignori l’esistenza del libro, o addirittura che nessuno legga il libro. Sarebbero tutti fuorilegge, lei compreso. LUI Capisco. La legge numero uno è ridondante. Ma è un bel problema. Come fa uno a sapere che deve rispettare la legge se non sta scritto da nessuna parte? VIGILE È uno dei paradossi della giurisprudenza. Si possono avere dei doveri solo se li si conosce, e le leggi hanno un senso solo se le si può applicare, ma non c’è modo di far applicare una legge come la numero uno che dice che si devono conoscere i propri doveri. LUI Come se ne esce? VIGILE Non se ne esce. Che il cittadino non abbia il diritto di ignorare la legge è una condizione per l’esistenza delle leg150

La regola numero uno

gi e quindi di una società come la nostra. Non è una regola, ma un modo di fare, una pratica; è una «forma di vita», come diceva Wittgenstein. Se lei non ci sta, non fa parte della nostra forma di vita. Naturalmente può sempre fare una rivoluzione concettuale e provare a cambiare la forma di vita... LUI Ma anche in seguito si dovrà trovare un modo di far rispettare le nuove regole. Fermiamoci pure qui. Credo che pagherò i cento euro.

Chi credesse che la filosofia sia irrimediabilmente avulsa dalla vita comune non ha che da aprire gli atti di un’assemblea Costituente per vedere come le nozioni che ci definiscono nella nostra concezione di noi stessi (Persona, Scelta, Diritti) vengano messe a duro lavoro quando si devono creare leggi che regolano la vita di tutti – anche di coloro che hanno di se stessi un’idea diversa da quella che noi ci facciamo di noi, e che si fanno di noi un’idea diversa da quella che ci facciamo di loro. Siamo per esempio passati da Sudditi a Cittadini nell’arco di poche decine di anni; pensiamo a noi stessi come persone di un tipo nuovo, con diritti e doveri nuovi; e i legislatori lavorano da filosofi nel cercare di trovare un Linguaggio che metta in relazione il rigore della Legge e le forme imprecise dell’Intuizione. Ma resta il fatto che le nostre intuizioni su chi ci rappresenta, su come votare, su cosa impone il rispetto della Legge si scontrano con paradossi profondi, ancorché inattesi, alcuni dei quali sono qui offerti a titolo essenzialmente precauzionale, come momenti di pausa su cui meditare un poco. E dai paradossi non si esce se non facendo quanto ci apprestiamo a fare nel capitolo

otto dove infine ci si attarda come promesso sui Principi della Logica e sulle Leggi che governano il Vero e il Falso, come anche il Noto e l’Ignoto, sfidando il Lettore a superare difficoltà assolutamente insormontabili e preparandolo quindi al pirotecnico capitolo finale.

Complimenti ai terzi

Egregio Direttore, A nome della Fondazione Dalla parte di tutti sono lieto di informarLa che il nostro Consiglio di Amministrazione ha deliberato l’istituzione di quindici borse di studio da mettere a disposizione degli studenti della scuola da Lei diretta. Ogni classe delle sezioni A, B, e C avrà diritto a una borsa individuale da assegnarsi a quello studente che al termine dell’anno scolastico gli insegnanti giudicheranno «terzo della classe». Si chiederà: perché mai il terzo della classe e non il primo? Ma perché i primi della classe hanno già mille altre occasioni per vincere concorsi e borse di studio! Ne fanno incetta, proprio perché se sono i più bravi arrivano sempre primi. Qualche volta può accadere che si classifichino secondi e che i secondi arrivino primi, ma resta sempre e comunque una sfida ai massimi livelli. Ai terzi non riesce mai di salire sul gradino più alto del podio. Eppure diciamolo: anche loro sono bravi! Anche i terzi meritano il nostro riconoscimento e supporto, fosse anche solo a titolo di incoraggiamento. Ecco dunque la motivazione della nostra borsa, che abbiamo deciso di denominare «Complimenti ai terzi». Cordialmente, Il Presidente Fondazione Dalla parte di tutti

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Egregio Signor Presidente, Molte grazie per la Sua recente missiva. Siamo lusingati della generosa offerta della Fondazione da Lei presieduta e siamo convinti che i nostri studenti potrebbero trarne grandissimo beneficio. Mi permetto solo di menzionare una piccola complicazione. Dal testo della sua lettera non mi è chiaro che genere di indicazione possa essere fornita ai nostri studenti a titolo di incentivo. Non vi sarebbe problema alcuno nell’ipotesi che le borse vengano assegnate post hoc, senza preavviso. Ma se l’istituzione delle borse venisse resa pubblica in anticipo – e come potrebbe essere diversamente? – è naturale che scattino dei meccanismi competitivi. È naturale ed è auspicabile. Ma mentre è chiaro a tutti che cosa significhi ambire al titolo di «primo della classe», non credo possa dirsi lo stesso del titolo di «terzo della classe». Non ritiene che esista il rischio di favorire indirettamente i secondi della classe, che in tal modo si troverebbero a competere per entrambi i titoli? Anzi, c’è il rischio che la borsa «Complimenti ai terzi» finisca col trasformarsi in uno strumento disincentivante: perché cercare di migliorare e battere il primo della classe quando basta peggiorare e finire terzi? Cordialità, La Direttrice Scuola Elementare ABC Gentile Direttrice, Grazie per la Sua cortese risposta. Ci rendiamo conto della difficoltà ma ci pare di poterLa tranquillamente rassicurare. Come può vedere dall’allegato comunicato illustrativo, l’ammontare della borsa «Complimenti ai terzi» è calcolato nel valore pari a un terzo della minore tra le borse riservate ai 156

Complimenti ai terzi

primi. Questo proprio perché ci sembra importante che la nostra borsa non interferisca con lo stimolo sacrosanto a competere per la prima posizione. Siamo certi che anche i secondi della classe la penseranno allo stesso modo. Distinti saluti, Il Presidente Fondazione Dalla parte di tutti Caro Maestro, Sono Ninetta della 4ª B e le scrivo perché anche quest’anno sono rimasta molto delusa dalla mia pagella. Per tre anni sono arrivata terza della classe, mentre i miei due amici migliori, Lulù e Benjamin, sono sempre stati prima e secondo, rispettivamente. Quest’anno ce l’ho messa tutta nella speranza di riuscire a confermare la mia terza posizione e quindi di vincere almeno la borsa «Complimenti ai terzi». Purtroppo però Lulù ha consegnato in bianco l’ultimo compito di matematica e alla fine è risultata terza della classe. Benjamin, che invece è andato bene come sempre, è arrivato primo. Quindi mi sono classificata al secondo posto e in questo modo sono rimasta ancora una volta a bocca asciutta. Davvero non mi sembra giusto. Non mi dirà che per vincere la borsa avrei dovuto anch’io consegnare il compito in bianco? Grazie, Ninetta Cara Ninetta, Temo proprio che le cose stiano così. Avresti dovuto consegnare in bianco. È difficile arrivare primi, ma in un certo senso è ancora più difficile competere per la terza posizione. 157

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È una sfida nella sfida. E questo Lulù l’aveva capito sin dall’inizio. Comunque non te la prendere. Ho appena ricevuto una circolare in cui la Direttrice ci informa dell’abolizione della borsa «Complimenti ai terzi». L’anno prossimo ci sarà una nuova borsa denominata «Salvo per un pelo», da assegnarsi all’ultimo dei promossi. È un po’ rischioso, come puoi immaginare. Ma il valore della borsa è il triplo di quella riservata ai primi della classe! Hai capito bene: ben nove volte il valore della borsa «Complimenti ai terzi»! In bocca al lupo, Il tuo maestro

Effetto placebo

FARMACISTA Buongiorno. In che cosa posso servirla? LUI Vorrei una confezione di placebo. FARMACISTA Prego? LUI Placebo, placebo. Quelle pilloline di amido che sembrano medicine ma che non contengono principi attivi. Però funzionano ugualmente. Producono miglioramenti comunque perché creano l’effetto placebo. FARMACISTA Sì, certo, lo so anch’io che cos’è un placebo... Senta, le dispiacerebbe attendere un momento? LUI Faccia pure, ma ho una certa fretta. Ho un gran mal di testa e vorrei proprio prendere un paio di quelle pilloline. Tanto, male non possono fare, vero? FARMACISTA No, no... [Si ritira nel retrobottega, conferisce con la principale] Senta dottoressa, c’è di là un altro di quelli che vogliono i placebo. DOTTORESSA Ancora? Ma è il terzo oggi. FARMACISTA Credo che siano i primi di una lunga serie. Mi pare di capire che abbiano letto in molti la notizia della sperimentazione che mostra perché il placebo fa veramente migliorare il paziente, pur non contenendo alcun principio attivo. 159

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DOTTORESSA Ah sì, la sperimentazione. Me ne hanno parlato. Basta pensare di essere sul punto di provare sollievo perché il cervello liberi oppiacei naturali con un effetto analgesico. Anticipare mentalmente la cura è già curarsi. Che c’è di male? Non potremmo semplicemente dare un po’ di placebo ai clienti che ce lo chiedono? FARMACISTA Mi scusi, ma non è così semplice. Possiamo dare loro dei placebo, ma non possiamo dire loro che si tratta di placebo. DOTTORESSA [Ascolta distrattamente, sta firmando delle carte] Che differenza può fare? FARMACISTA Fa tutta la differenza del mondo. L’effetto placebo si verifica soltanto se uno pensa veramente di curarsi. Ovvero, solo se pensa che quello che sta trangugiando non è un placebo. Se uno sa di prendere un placebo allora non anticipa più il risultato della cura, quindi addio effetto. DOTTORESSA Ha ragione. L’effetto placebo è l’effetto di una bugia. Non sapere, o avere un’informazione falsa, a volte può fare bene. FARMACISTA Però questo genera un conflitto morale per la nostra professione, non crede? Se somministriamo un placebo «correttamente» (ovvero senza dirlo al paziente) ci troviamo a violare un principio deontologico fondamentale, quello della corretta informazione al paziente. DOTTORESSA Insomma, come ne usciamo? FARMACISTA Ho dimenticato il mio cliente! [Rientra in negozio] Mi scusi, l’ho fatta aspettare. LUI Guardi che ho sentito tutto. 160

Effetto placebo

FARMACISTA [Imbarazzato] Ma allora... LUI Allora buonanotte all’effetto placebo. FARMACISTA Mi dispiace. [Ci ripensa] Però, mi scusi, lei è entrato qui sapendo che avrebbe chiesto un placebo, no? LUI Certo. Ero convinto che mi avrebbe fatto bene, anche se non avevo la più pallida idea di come funzionasse. Adesso che ho capito come stanno le cose temo che i placebo non avranno più alcun effetto su di me. Mi dia la solita confezione di analgesico e non se ne parli più. FARMACISTA Un momento, avrei una proposta da farle. Forse è una soluzione che va bene tanto a lei, che ha il mal di testa e non vuole prendere troppe medicine, quanto a me, che ho problemi etici e non voglio raccontarle bugie. LUI Mi dica. FARMACISTA Ecco qua. Io le do la possibilità di estrarre a sorte tra queste tre confezioni di medicinali dicendole che una contiene dei placebo e le altre due contengono un potente analgesico. In realtà nella mia terna ho messo due placebo e una medicina vera e propria. In questo modo le sto mentendo, ma solo in parte: molto meno di quanto le mentirei se dicessi di non somministrarle alcun placebo (due terzi di verità, insomma). Al tempo stesso, così facendo resta garantita una buona dose dell’effetto placebo, dato che lei non ha modo di distinguere i medicinali. Le garantisco due terzi di effetto placebo, per così dire, contro un terzo corrispondente alla probabilità di prendere una medicina vera e propria. Che ne dice? LUI Mi faccia riflettere. Questo significa che se continuiamo ad usare questo sistema un po’ di volte, alla fine io prendo ve161

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ramente un analgesico solo una volta su tre. Mi sembra una buona idea. FARMACISTA Ottimo. Allora, quale confezione vuole? LUI [Esitando] Un momento. Lei mi ha detto che mi sta mentendo. Me lo ha detto chiaramente, specificando addirittura in che misura mi sta mentendo. Quindi io non le posso credere. Quindi adesso io il placebo me lo aspetto due volte su tre, e non una su tre come lei mi ha detto. Ma se le cose stanno così, allora siamo daccapo: su di me il placebo può solo avere metà dell’effetto sperato... FARMACISTA Ha ragione. Temo che la mia proposta sia inutile. Purtroppo non posso fare di meglio: non vedo come potrei somministrarle i placebo in modo eticamente corretto e al tempo stesso efficace. LUI Temo anch’io. Forse avrebbe dovuto mentirmi e basta. Tuttavia la ringrazio per l’onestà e per le informazioni: se non altro adesso ho le idee più chiare. E se ci penso bene mi è passato anche il mal di testa.

Interessante!

In libreria. Lei sfoglia avidamente un libro. Un altro cliente le si avvicina. CLIENTE Com’è quel libro? La vedo assorta. Interessante? LEI Guardi, non mi parli di libri interessanti. È da un’ora che ne sto cercando uno e ancora non se ne vede l’ombra. CLIENTE Evidentemente non ha mai letto questo. Vede? Qui si dimostra che tutto (dico: tutto) è interessante. LEI Interessante... Se fosse così gentile da spiegarmi come si possa dimostrare una simile assurdità, forse potrei finalmente riuscire a comprare qualcosa. CLIENTE È semplice. [Con aria saccente apre una pagina, apparentemente a caso] Cominciamo con i numeri. Supponiamo per assurdo che ve ne siano alcuni non interessanti. In tal caso potremmo farne un elenco, ordinandoli a partire dal più piccolo... LEI ...Se ce ne fosse un’infinità non riusciremmo mai a compilare un elenco del genere. CLIENTE Non importa. Ai fini del ragionamento ciò che conta è che l’elenco abbia un inizio, non una fine. Il primo numero di questo elenco sarebbe, appunto, il più piccolo di tutti i numeri non interessanti. Ma questa è una proprietà mol163

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to interessante, non trova? E un numero che gode di una proprietà interessante è sicuramente un numero interessante. Siccome questo contraddice il fatto che il numero in questione appartenga all’elenco (i cui elementi sono per definizione non interessanti) siamo costretti a scartare l’ipotesi di partenza, ovvero a concludere che l’elenco dei numeri non interessanti deve essere vuoto. Come volevasi dimostrare. LEI Interessante. Però un conto sono i numeri, un conto il resto. E io non sto cercando un numero interessante ma qualcosa di interessante da leggere. CLIENTE Certo, ma il caso dei numeri è solo l’inizio. [Fa una pausa studiata e riprende] Lo stesso ragionamento vale anche per i libri. In questo caso basta chiamare in causa la data di pubblicazione. Se vi fossero dei libri non interessanti se ne potrebbe compilare una lista ordinata cronologicamente. Il primo elemento di questa lista sarebbe il più vecchio tra tutti i libri non interessanti. E dice poco? Ci sono dei collezionisti che pagherebbero una fortuna per averne una copia. Un libro interessantissimo, a modo suo. LEI [Un po’ delusa] A modo suo. CLIENTE Il punto interessante è che un ragionamento analogo vale per qualsiasi oggetto. Ogni oggetto che si voglia considerare non interessante può essere il primo di un lungo elenco, e questo lo rende automaticamente interessante. E badi bene che ogni insieme di oggetti ammette di essere ordinato secondo un qualche elenco: questo ce lo dice un importante principio di teoria degli insiemi, l’assioma di scelta. LEI [Sfoglia un libro di filosofia della matematica] Qui c’è scritto che l’assioma di scelta è un principio importante ma 164

Interessante!

discutibile. Comunque non intendo certo mettere in dubbio la validità della sua argomentazione. Quello che non capisco è la sua pertinenza. Io sono qui per cercare un libro veramente interessante. Voglio dire, deve essere di facile lettura, ma al tempo stesso profondo e avvincente. Purtroppo i libri che ho sfogliato finora non corrispondono a questa descrizione. E lei vuole dire che, nonostante ciò, sono interessanti? CLIENTE A modo loro, sì. È un po’ come quando a scuola ci insegnavano che ogni persona è interessante, perché unica. Il primo della classe è interessante perché è il primo; l’ultimo perché è l’ultimo. E anche il terzo della classe a modo suo è interessante: è l’unico che viene dopo il secondo e prima del quarto. FICCANASO [Spunta da uno scaffale facendo cadere una pila di libri] Ma allora possiamo anche fare a meno dell’assioma di scelta. Ad ogni persona possiamo associare un elenco piccolissimo che include come unico elemento quella persona, e questo dovrebbe bastare per farci dire: «Che persona interessante: è l’unica a figurare in quest’elenco». Lo stesso vale per un oggetto qualsiasi. [Raccoglie i libri che ha fatto cadere] Ecco, tenga, sono tutti dei libri interessantissimi. CLIENTE Non ci avevo pensato. In effetti la sua dimostrazione che tutto è interessante è ancora più convincente, proprio perché non dipende dall’assioma di scelta. LEI Se è per questo non serve nemmeno chiamare in causa gli elenchi. Troverei l’argomento più convincente se si basasse esclusivamente sulla considerazione che ogni oggetto, anche il più banale, può esser descritto in un modo che lo rende interessante. François Le Lionnais aveva dedicato ai numeri interessanti la sua opera dell’Oulipo intitolata Nombres 165

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remarquables, ma il calcolatore prodigio Wim Klein aveva giustamente osservato che con un piccolo sforzo possiamo rendere interessante ogni numero (e non solo nel senso banale delle vostre argomentazioni per assurdo). Per esempio, qui c’è scritto 3844, e per molti potrebbe sembrare un numero come un altro. Poi arriva uno come Klein che dice «Perbacco, un 62 al quadrato!» ed ecco che di colpo anche il 3844 ci appare tutt’altro che banale. FICCANASO Oppure prendiamo la data di oggi: 23 settembre 2002. CLIENTE E allora? FICCANASO Ma come? 23.9.2002! Prendiamo le prime due cifre (23) e moltiplichiamole per le ultime due cifre invertite (20): otteniamo 460, esattamente la metà delle tre cifre rimanenti (920). Interessante, no? CLIENTE Mi sembra un ragionamento un po’ tortuoso. LEI Solo perché il nostro calendario è organizzato così: trenta giorni, dodici mesi, un secolo, mille anni. Se ci muovessimo su basi numeriche diverse avremmo infinite altre possibilità di descrizione. Per esempio, se contassimo i giorni consecutivamente secondo il calendario giuliano, domani avremmo di che festeggiare. CLIENTE Domani? Il 24.9.2002? FICCANASO Nel calendario giuliano è il giorno numero 2452542. Il primo giorno palindromo nel futuro prossimo. CLIENTE Il che non fa che confermare ciò che dicevo all’inizio. Ogni numero è interessante. E quello che vale per i numeri vale anche per qualunque altro oggetto: ogni oggetto può es166

Interessante!

sere descritto in maniera assolutamente univoca e la cosa è sufficiente a renderlo interessante. Per esempio, questo libro ha l’interessante caratteristica di trovarsi a... vediamo... FICCANASO ...Esattamente 25 centimetri e 4 millimetri da quel libro con la copertina blu, misurando la distanza tra i punti più vicini delle due copertine. Cioè 10 pollici tondi tondi. Caspita! LEI Però quando dico che cerco un libro interessante voglio dire che cerco un libro che sia interessante indipendentemente da come lo si descriva e indipendentemente dagli elenchi in cui lo si può inserire. Deve avere delle proprietà che lo rendano intrinsecamente interessante, non interessante relativamente a questo o relativamente a quello. CLIENTE E come può un libro essere intrinsecamente interessante? Persone diverse hanno gusti e interessi diversi e quindi tutto è relativo. FICCANASO Scusi, fermiamoci un istante. Il suo libro non dimostra forse che tutto è interessante? Se così fosse, non ci sarebbe nessuna differenza tra le cose relativamente alla proprietà di essere interessante. Se tutti i libri sono interessanti, e se essere interessante richiede una qualche originalità o novità, relativamente alla proprietà di essere interessanti i libri risulterebbero tutti non interessanti, ovvero noiosi. LEI La qual cosa viene sostenuta in uno dei tomi che lei mi ha appena trasmesso, che si intitola: Tutto è noioso. Questo sì che è originale. Grazie, credo proprio di aver trovato finalmente il libro che fa per me.

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L’autoriferimento si spiega da sé

1. Eccomi qua. Chiedo scusa per l’attacco un po’ brusco. Ma devo proprio dire che sono felicissimo di essere il primo paragrafo di questo dialogo. 2. Beato te. Io non sono affatto contento di essere il secondo. Quel che è peggio, ormai è andata così e non c’è più nulla da fare. Rimarrò inchiodato qui per sempre! 3. Che cosa vuoi dire? 4. Inutile che tu gli faccia delle domande: il suo turno è finito e lui non potrà più risponderti. Al massimo posso risponderti io. E io ti dico questo: un testo non potrebbe essere diverso da quello che è. Non potrebbe avere nemmeno una parola in più o una virgola in meno, perché in tal caso sarebbe già un altro testo. E se dice di se stesso di essere il primo paragrafo di un dialogo, allora non potrebbe mai essere il secondo, o il terzo, proprio come un paragrafo che dice di se stesso di essere il secondo o il terzo non potrebbe mai essere il primo. Io, per esempio, sono il quarto paragrafo di questo dialogo, e siccome lo dico esplicitamente non posso immaginare una situazione in cui prendo il tuo posto. 5. Io però non ho questo vincolo, giusto? Io non dico esplicitamente in che parte del dialogo compaio, quindi potrei benissimo comparire altrove. 168

L’autoriferimento si spiega da sé

6. Ottima idea. Mi associo! 7. Scusate, ma credo stiate commettendo un errore. Secondo me anche i paragrafi che vi hanno preceduto potrebbero comparire in un punto diverso del dialogo. Per esempio, il primo paragrafo potrebbe benissimo comparire al secondo posto. In tal caso, ovviamente, il contenuto cambierebbe e l’asserzione finale del paragrafo diventerebbe falsa. Ma questo non significa che una circostanza del genere sia inconcepibile. Ci sono un sacco di asserzioni false, in fondo. Io stessa sono falsa, visto che adesso vi dico di appartenere al sesto paragrafo di questo dialogo; così, tanto per farvi un dispetto. Quindi ecco come correggerei la tesi del quarto paragrafo: è vero che un testo non potrebbe mai essere diverso da quello che è; però in altre circostanze potrebbe benissimo dire qualcosa di diverso da quello che dice, e di conseguenza potrebbe essere vero anche se adesso è falso, o viceversa. È il contesto che fissa il significato e quindi le condizioni di verità. Come caso particolare, quindi, il secondo paragrafo di un dialogo potrebbe benissimo figurare in un punto diverso da quello in cui compare. 8. Adagio, mi sta fumando il cervello. 9. Anch’io faccio fatica a capire: come può un testo dire qualcosa di diverso da quello che dice? 10. Io credo di aver capito. I due paragrafi che mi seguono (l’11 e il 12) sono uguali. Però uno afferma il vero mentre l’altro afferma il falso: dipende tutto dalla loro posizione nel dialogo. Per analogia, una stessa frase potrebbe essere vera o falsa a seconda del contesto in cui compare. 11. Quindi io sono l’undicesimo paragrafo di questo dialogo. 169

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12. Quindi io sono l’undicesimo paragrafo di questo dialogo. 13. Questa sì che è bella! A ben pensarci, può anche succedere che due testi che dicono esattamente l’opposto siano entrambi veri. Se non sbaglio questo è il caso dei due asserti seguenti. 14. Io sono il quattordicesimo paragrafo di questo dialogo. 15. Io non sono il quattordicesimo paragrafo di questo dialogo. 16. Bravi, ci siete quasi riusciti. In effetti siete entrambi veri. Però attenzione: se ci riflettete non dite affatto l’opposto. Il primo di voi dice qualcosa di se stesso (cioè del paragrafo 14) mentre il secondo dice qualcosa di se stesso (ovvero del paragrafo 15). Usate le stesse parole ma di fatto vi riferite a cose diverse e non potete pertanto contraddirvi. Non c’è da sorprendersi se siete entrambi veri. Per contro, sono sicurissimo che due asserti non possono essere ugualmente veri (o ugualmente falsi) se affermano realmente l’opposto, per esempio se uno dice che la neve è bianca mentre l’altro dice che la neve non è bianca. 17. Che dire di asserti che sono sia veri che falsi, cioè veri e falsi nello stesso momento? 18. Certo! Pensa al paradosso del mentitore. 19. E che cos’è il «paradosso del mentitore»? 20. Questo. Io ti dico che sto mentendo. 21. Se sei vero allora le cose stanno come dici tu; ma allora è vero che hai mentito, e quindi devi essere falso. D’altra parte, se sei falso allora vuol dire che hai mentito; ma allora le cose 170

L’autoriferimento si spiega da sé

stanno proprio come dici tu e quindi devi essere vero. In breve: se sei vero sei falso e se sei falso sei vero. Ecco il paradosso. 22. Il paradosso nasce dunque quando uno dice di mentire? 23. Generalmente sì. Però esistono molte varianti in cui si cade nel medesimo paradosso senza parlare direttamente di se stessi. Per esempio... 24. Per esempio, io dico che la frase seguente è falsa. 25. E io dico che la frase precedente è vera. 26. Impossibile! Se la prima di voi ha detto il vero, allora la seconda deve aver detto il falso, il che implicherebbe che anche la prima era falsa e non vera. Se invece la prima ha detto il falso, allora la seconda deve aver detto il vero, il che implicherebbe che anche la prima era vera e non falsa. Insomma, siete cadute in circolo vizioso: siete vere se e solo se siete false. Impossibile! 27. Paradossale, direi. 28. A meno che, appunto, non vi siano frasi che sono vere e false allo stesso tempo. 29. Quindi non possiamo mai parlare di noi – o di un testo che parla di noi – senza cadere in contraddizioni paradossali? 30. No, fermo, questa sarebbe una conclusione affrettata. Parlare di noi può essere rischioso ma in certi casi non vi è nulla di male. Il primo paragrafo di questo dialogo, per esempio, parlava di se stesso senza cadere in alcun paradosso. Stiamo attenti a non gettare il bambino insieme all’acqua sporca... 31. Neanche io cado in un paradosso: dico di essere una frase che consiste di sedici parole. 171

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32. E hai ragione! 33. Allora dico anch’io di essere una frase di sedici parole. 34. E hai torto! Tuttavia non sei paradossale; sei soltanto falsa. 35. Nemmeno io sono paradossale: io dico che la frase seguente sarà falsa (proprio come aveva detto la 24). 36. E io dico che la neve è rossa. 37. Quindi i paradossi sono in parte anche questione di fortuna. Non solo una stessa frase può essere vera o falsa a seconda del contesto in cui compare (come nel caso della 11 e della 12). Può anche succedere che una stessa frase risulti paradossale o meno a seconda del contesto: per esempio, a seconda di ciò che dice la frase successiva, come nel caso della 24 e della 35. La prima di queste frasi è finita in un circolo vizioso; la seconda no. 38. Appunto. Quello che dice una frase dipende dal contesto. E se guardiamo al contesto la 24 e la 35 non dicono affatto la stessa cosa (proprio come la 14 e la 15 non dicevano affatto l’opposto). 39. Per la verità si possono immaginare situazioni in cui si cade nel paradosso anche senza finire in un circolo vizioso. Pensate a un dialogo senza fine (o forse dovrei dire una conversazione?) in cui ogni frase dice solo che le frasi successive sono tutte false. Di sicuro non c’è circolarità, poiché si tratta di una sequenza infinita. Ma il risultato è ugualmente paradossale: da un lato, non è possibile che tutte le frasi della sequenza siano false, poiché una qualunque frase i cui successori siano tutti falsi direbbe il vero; dall’altro lato, nessuna 172

L’autoriferimento si spiega da sé

frase della sequenza può essere vera, poiché per essere vera dovrebbe essere seguita solo da frasi false, ma la falsità di un qualunque successore implica la verità di almeno una delle frasi che lo seguono. Un paradosso, ma senza circoli di sorta. 40. Resta il fatto che la posizione di ogni frase nella sequenza è essenziale al paradosso... 41. ...Che è esattamente la dipendenza dal contesto di cui si parlava. Credo finalmente di afferrare il concetto. In ogni caso, per tenermi alla larga da eventuali problemi io non parlerò mai di frasi, asserti, o paragrafi, ma solo di cose concrete. Io dico solo cose come: La neve è bianca. Il sole scotta. L’arcivescovo di Costantinopoli non si è mai disarcivescostantinopolizzato. Io faccio attenzione a distinguere tra linguaggio e metalinguaggio. 42. Non vorrei contraddirti, ma ti sei appena contraddetta... 43. Beate voi che avete di che divertirvi. Io proprio non ci riesco. Sono molto amareggiato perché sono l’ultimo paragrafo di questo dialogo. Quel che è peggio, ormai è andata così e non c’è più nulla da fare. Rimarrò inchiodato qui per sempre! 44. E io allora?

Una visita imprevedibile

LEI Oggi ho incontrato quel tuo collega noioso, e quello se ne esce con la promessa di farci visita la prossima settimana. LUI Quando intende venire? LEI Non lo so. Ha detto che verrà a trovarci un giorno della prossima settimana, ma senza darci modo di prevedere quando. Così la sua visita sarà una sorpresa, dice lui. Mi ha praticamente rovinato la settimana prima ancora che cominciasse. LUI Ma no, non preoccuparti. Se ci pensi bene non potrà mai farci visita. Ha detto che ci vuol fare una sorpresa, no? Dunque, oggi è domenica. Quindi è certo che non verrà domenica prossima, cioè l’ultimo giorno possibile: altrimenti sabato sera saremmo in grado di prevedere con certezza il giorno della visita. Lo sapremmo prima della visita e saremmo quindi del tutto preparati, contrariamente a quanto lui stesso ha promesso. LEI Questo significa che l’ultimo giorno possibile in cui potrebbe farci visita è sabato. LUI Ma ovviamente anche questa ipotesi va scartata, altrimenti venerdì sera saremmo in grado di fare una previsione certa: a quel punto rimarrebbero infatti solo due giorni, e come abbiamo detto uno di questi – la domenica – è esclusa. Siccome ha detto che ci vuol fare una sorpresa, è evidente 174

Una visita imprevedibile

quindi che non verrà nemmeno sabato. Per le stesse ragioni, possiamo star certi che non si presenterà nemmeno di venerdì, e nemmeno di giovedì, e così via fino a lunedì. Quindi non abbiamo di che temere: non potrà mai farci visita. LEI Aspetta un momento. E se quello una sera si presenta alla nostra porta, alla faccia del tuo ragionamento? LUI Ma ti ho appena spiegato che non può presentarsi mai, altrimenti violerebbe la sua stessa promessa. LEI Non ne sarei così sicura. Supponi che giovedì quello venga davvero. Siccome noi siamo convinti che giovedì non può venire, la cosa ci coglierebbe di sorpresa. E proprio in quanto ci coglierebbe di sorpresa, lui potrebbe dire di aver mantenuto la sua promessa. Idem se si presentasse domenica, o un altro giorno qualsiasi: proprio in quanto la tua logica dichiara impossibile il verificarsi di una visita a sorpresa, la visita ci sorprenderebbe qualunque giorno avvenga: sarebbe una sorpresa proprio a causa del tuo ragionamento sbagliato. LUI Scusa, ma secondo te dov’è che è sbagliato? LEI Tanto per cominciare, mi sembra che se il tuo collega avesse minacciato di venirci a trovare un giorno futuro qualsiasi, e non un giorno della prossima settimana (o comunque di un periodo ben determinato), il tuo ragionamento non starebbe in piedi. Il ragionamento procede a ritroso, scartando prima l’ultimo giorno possibile, poi il penultimo, e così via fino al primo giorno. Se non ci fosse un ultimo giorno possibile, non vi sarebbe nemmeno un primo passo nel ragionamento. LUI Non sono d’accordo. Visto che non si vive in eterno, la promessa del mio collega dovrebbe essere realizzata entro un tempo finito. Quindi potremmo semplicemente allungare il 175

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ragionamento quel tanto che basta, cominciando da un giorno di nostra scelta lontano nel futuro, per ottenere esattamente lo stesso risultato. LEI Hai ragione, allungare la serie non cambia la natura del problema. E il problema non cambia nemmeno accorciando la serie. Supponiamo che lui avesse detto: «Verrò o domani o dopodomani, ma voglio farvi una sorpresa e non vi dico che giorno vengo». Stando al tuo ragionamento saremmo tentati di scartare prima dopodomani e poi domani, e quindi di concludere che il tuo collega non verrà. Ma evidentemente nulla gli impedisce di farsi vivo e di sorprenderci con la sua visita. Solo se avesse detto «Verrò domani, ma voglio farvi una sorpresa» avremmo il diritto di obiettare. Domani il tuo collega non potrebbe certo venire, altrimenti si contraddirebbe. LUI Dove sta dunque l’errore? LEI Forse parte della risposta è implicita nella spiegazione che abbiamo dato di quest’ultimo caso. La formulazione corretta della conclusione non è che domani il tuo collega non verrà; è che se venisse si contraddirebbe. O meglio: non manterrebbe fede alla sua promessa (di farci una sorpresa). La precisazione è cruciale, visto che evidentemente il tuo collega è libero di venire e di mancare di fede. Quindi, anche nel caso della promessa distribuita su una settimana intera, la conclusione che siamo autorizzati a trarre, ragionando secondo il tuo schema, non è che il tuo collega non potrà venire di domenica, ma solo che non potrà venire di domenica a meno di invalidare la sua promessa. Non potrà venire di sabato a meno di invalidare la sua promessa. E così via: non potrà venire nessun giorno della settimana a meno di invalidare la sua promessa. Il che tuttavia non esclude che possa venire. 176

Una visita imprevedibile

LUI Hai ragione: potrebbe mancare di fede e venire. Tutti sono liberi di mancare di fede, purtroppo. LEI Questo spiega una parte dell’errore che si nasconde nel tuo ragionamento: il fatto che il tuo collega si presenti giovedì sera (poniamo) non contraddirebbe la logica, perché la logica esclude solo che lui possa presentarsi senza venir meno alla sua promessa. Ma non finisce qui. Purtroppo, come abbiamo visto, presentandosi di giovedì il tuo collega non contravverrebbe affatto alla sua promessa. La sorpresa ci sarebbe, eccome. LUI Mi sembra di essere finito in un circolo vizioso. Se assumiamo che lui manterrà fede alla sua promessa, allora deduciamo logicamente che non potrà fare la sua visita, il che tuttavia violerebbe il contenuto della promessa stessa. Ma se non assumiamo che manterrà fede alla sua promessa, allora non abbiamo più alcun fondamento razionale per dedurre logicamente in che giorno verrà, il che tuttavia verificherebbe la promessa stessa. In breve: mantenendo la promessa il mio collega finirebbe col violarla; ma violandola finirebbe col mantenerla. LEI Sembra un vero e proprio paradosso del mentitore. LUI Come uscirne? LEI A questo punto mi sembra che la soluzione sia ovvia. L’errore sta nel primo passo del tuo ragionamento. Non solo non siamo autorizzati a dedurre con certezza che il tuo collega non potrà venire di domenica. Non possiamo nemmeno dedurre con certezza che non potrà venire di domenica a meno di invalidare la sua promessa. Tutto quello che potremmo dedurre, una volta giunti al sabato sera, è questo: «O doma177

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ni il tuo collega verrà ma adesso non lo sappiamo; o domani il tuo collega non verrà ma adesso non lo sappiamo; o domani il tuo collega verrà e noi lo sappiamo già adesso (il che però non è vero, visto che lui può benissimo non farsi vivo); oppure domani il tuo collega non verrà e noi lo sappiamo già adesso (e anche questo non è vero, visto che lui è liberissimo di venire)». Le prime due ipotesi sono le uniche possibili. LUI E se è vero che il verificarsi della seconda ipotesi significherebbe che il mio collega è un bugiardo (in quanto non manterrebbe la promessa di farci visita), il verificarsi della prima ipotesi significherebbe esattamente il contrario (verrebbe e ci farebbe una sorpresa, proprio come promesso). LEI Proprio così. La morale, caro mio, è che dipende tutto dal tipo di persona con cui abbiamo a che fare. Quel tuo noioso collega è un bugiardo, o è un tipo che solitamente mantiene le promesse?

La torta stregata

LEI È stata un’ottima cena, non so proprio come ringraziarti. LUI Non c’è di che. Sai che mi piace cucinare. LEI Sì, ma non ti facevo capace di tanto. E soprattutto non pensavo che fossi così bravo coi dolci. La tua Sacher è la migliore che abbia mai mangiato, e sai che ne vado ghiotta. LUI Mi fa piacere. Quindi non hai sentito nessun sapore strano? LEI Sapore strano? Assolutamente no, era veramente squisita. Perché me lo chiedi? LUI Ti devo fare una confessione. Forse la Sacher era stregata (se così posso esprimermi). LEI Prego? LUI Vedi questa boccetta? Contiene una certa mia pozione magica. Basta ingerirne poche gocce e in meno di un’ora ci si ritrova con la pelle ricoperta di peli verdi. È possibile che io ne abbia messo un paio di cucchiaini nell’impasto della crema di cioccolato. LEI Un paio di cucchiaini? Peli verdi? Che scherzi sono questi? Però... Guarda che ti ho visto benissimo: la Sacher l’hai 179

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mangiata anche tu. Non mi dirai che hai pensato di trasformarci entrambi in bestiacce pelose? LUI Ovviamente no. Non ho detto che ho realmente stregato la Sacher. Ho detto che è una possibilità. E comunque c’è un antidoto: è in questa scatolina. È sufficiente ingerirne una pastiglia e l’effetto della pozione è annullato. Purché lo si faccia entro un’ora, naturalmente. LEI Allora passami una pastiglia, la prendo subito. (Questa storia non mi piace per niente.) LUI Aspetta, aspetta, non ho finito. L’antidoto funziona solo sui soggetti che hanno effettivamente ingerito la pozione. Su chi non l’ha ingerita ha purtroppo degli effetti collaterali micidiali: ci si ritrova completamente calvi. LEI Di bene in meglio. Si può sapere dove vuoi arrivare? LUI Mettiamola così: io so se la pozione è davvero finita nella Sacher. Quindi io so se prendere l’antidoto. Sei tu che non lo sai. Ma ti garantisco una cosa: ho messo la pozione se e solo se ho previsto che tu avresti preso l’antidoto. LEI Spiegati meglio. LUI Lo sai che mi piace fare previsioni. E sai anche che sono imbattibile. (Per esempio, avevo scommesso che saresti arrivata per cena alle otto, trentadue minuti, e dodici secondi esatti, e così è stato.) Ebbene, ho voluto fare la mia previsione anche su di te che prendi o non prendi l’antidoto. Se ho previsto che lo prenderai, allora ho sciolto la pozione nell’impasto della Sacher, in questo modo l’antidoto non avrà alcun effetto collaterale e non correrai alcun rischio: non voglio certo che tu diventi calva. Se invece ho previsto che non pren180

La torta stregata

derai l’antidoto, allora ovviamente non ho messo la pozione: non voglio certo che la tua pelle si copra di peli verdi. Quindi basta che tu faccia quello che ho previsto e non hai di che temere. LEI E che cosa hai previsto? LUI Questo non te lo dico. LEI Ma allora chi mi garantisce che io farò esattamente quello che hai previsto tu? LUI Proprio questo è il punto. Non posso dire altro: devi fidarti delle mie capacità di previsione. Quindi che cosa fai, prendi l’antidoto o no? LEI Farò... farò quello che farai tu.

Che cosa poi abbiano deciso di fare i nostri due personaggi non ci è dato di sapere. Ma tant’è: ciò che conta è che lei abbia preso la decisione giusta, ancorché poco autonoma. Anche a questo serve la Logica: a imboccare la corretta via ogniqualvolta i sentieri si biforcano. Non a caso Aristotele concepiva la Logica come un vero e proprio organon, uno strumento pratico per la formulazione del Ragionamento Corretto, che è poi il ragionamento che ci consente di procedere dal Vero al Vero (o dal Noto al Vero) e giammai al Falso. Il che non significa che in quest’attività non ci si ritrovi a volte a dubitare anche delle cose più semplici, o a scivolare lentamente nelle sabbie mobili del Paradosso, come dimostra la vicenda della visita indesiderata. Ma la Logica, ci sia concesso di dirlo, non è solo una pratica. È anche una teoria: è quella teoria il cui oggetto non coincide col mondo Reale, come nel caso delle altre teorie (la Fisica, ma anche la Psicologia e la Sociologia), bensì si slancia ad abbracciare l’universo di tutti i mondi Possibili. La Logica ci dice ciò che è Possibile e ciò che non lo è. E così facendo essa ci costringe a estendere i nostri orizzonti mentali, a superare il nostro provincialismo, a pensare liberamente spingendoci al di là dell’Ovvio. Ma non è il caso di disquisire in astratto di tali faccende. La nostra storia ha infatti una

coda dove finalmente si rivela la vera identità dell’ineffabile Ficcanaso e si mostra una volta per tutte come prima di infervorarsi per l’insegnamento alla Gioventù della cultura d’Impresa sarebbe meglio proporre, per l’appunto, un sobrio ma meticoloso ripasso delle leggi della Logica.

Acido Universale

DA: DIPARTIMENTO RICERCA E SVILUPPO A: TUTTI I DIPARTIMENTI Vi comunichiamo che in data odierna è stato depositato il brevetto dell’Acido Universale, un prodotto da noi sviluppato negli ultimi cinque anni e su cui la ditta ha investito moltissimo. Siamo felici di annunciare che il prodotto ha superato tutti i test. Ha corroso tutti i materiali naturali e sintetici a noi noti, ha fatto buchi in tutte le membrane esistenti. È un prodotto che rivoluziona tutti i processi in cui la corrosione è importante. Stiamo ora passando alla fase della produzione e vorremmo che tutti i dipartimenti delle nostre affiliate siano pronti al lancio, in particolare il Dipartimento di Pubbliche Relazioni. DA: DIREZIONE A: DIPARTIMENTO RICERCA E SVILUPPO Ci felicitiamo per il brevetto! DA: FICCANASO A: DIREZIONE Vorrei far notare rispettosamente che prima di entrare in produzione ci conviene esaminare un problema tecnico. Se l’acido è universale, come facciamo a commercializzarlo? Perché 185

coda

se è veramente universale allora corroderà tutto, anche qualsiasi contenitore in cui si pensi di confezionarlo. DA: DIPARTIMENTO RICERCA E SVILUPPO A: TUTTI I DIPARTIMENTI Vi comunichiamo che in data odierna è stato depositato il brevetto del Contenitore Universale, un prodotto da noi sviluppato negli ultimi cinque anni e su cui la ditta ha investito moltissimo. Siamo felici di annunciare che il prodotto ha superato tutti i test. Ha resistito a tutti gli acidi naturali e sintetici a noi noti. È un prodotto che rivoluziona tutti i processi in cui è importante evitare qualsiasi forma di corrosione. Stiamo ora passando alla fase della produzione e vorremmo che tutti i dipartimenti delle nostre affiliate siano pronti al lancio, in particolare il Dipartimento di Pubbliche Relazioni. DA: DIREZIONE A: DIPARTIMENTO RICERCA E SVILUPPO Benissimo! Abbiamo così risolto anche il problema che la Ficcanaso aveva sollevato nella sua lettera. Grazie al Contenitore Universale potremo infatti creare confezioni adeguate per l’Acido Universale. Finalmente nella nostra ditta i diversi gruppi di lavoro cooperano a un progetto coordinato! DA: FICCANASO A: DIREZIONE Vorrei rispettosissimamente far notare che la nostra ditta non funziona poi così bene come sembra. Abbiamo investito nell’Acido Universale e nel Contenitore Universale, ma pare che nessuno di coloro che lavoravano al primo progetto sapesse di quelli che lavoravano al secondo, e viceversa. Ebbe186

Acido Universale

ne, c’è un problema non secondario da affrontare prima di produrre e commercializzare alcunché. Se l’Acido è veramente universale allora corroderà tutto, anche il Contenitore, che quindi non può essere universale. Se invece il Contenitore è veramente universale allora non si lascerà corrodere da nulla, neanche dall’Acido, che quindi non può essere universale. Credo si debba scegliere: non possiamo produrli entrambi senza tradire le oneste aspettative di una metà dei nostri clienti potenziali. DA: DIREZIONE A: FICCANASO Cara Ficcanaso, siamo tentati di licenziarla su due piedi! Non possiamo permettere che nella nostra ditta si insinui il sospetto e il disfattismo. Abbiamo impiegato tanti mezzi e persone su questi due bellissimi progetti e non ci lasceremo scoraggiare da un cavillo linguistico. Corrodere, non corrodere, universale, non universale: alla fine quello che il pubblico vuole sono dei prodotti chiari: un acido che corrode tutto, e un contenitore che non viene corroso da nulla. E noi gli daremo entrambe le cose! DA: FICCANASO A: DIREZIONE Spettabile Direzione, non voglio mettere in dubbio l’esperienza dei nostri ricercatori né la buona fede del Dipartimento di Pubbliche Relazioni. Io faccio solo il mio dovere di filosofa della ditta. E la questione che stiamo discutendo non è di scienza e nemmeno di marketing: è una questione di logica. Entrambi i progetti sono in linea di principio realizzabili; ma è in linea di principio impossibile realizzarli entrambi. 187

Postilla

La Lettrice e il Lettore non si adombrino se alcune delle vicende qui narrate paiono poco realistiche: i nostri Personaggi non sanno come farsi perdonare certe loro Stranezze e invocano a discolpa alcuni Testi Classici e Moderni nelle cui pagine si nascondono a ben guardare i Pensieri che sono stati loro malgrado chiamati a rappresentare. Si tratta di Filosofi qui di seguito elencati: Matthew Slater (per Stanza 88), David Chalmers (per Sonnifero Zombie SPA), Ned Block (per Riflessioni), Christian List e Philip Pettit, insieme agli ormai remoti marchese di Condorcet e Jean-Charles de Borda (per Che cosa vuole la maggioranza?). Si ringrazia anche Diego Marconi (da cui vien citato un passo ne I nuovi satelliti, anche se poi a richiedere attenzione è una distinzione aristotelica). Il simpatico Commesso della Premiata Rivendita Castoldi impersona il filosofo Paul Grice. Per la stesura di Interessante! siamo in grande debito con Andrea Borghini, che nella circostanza ha vestito i panni della Ficcanaso. A Edwin Bechenbach si deve il ragionamento per cui tutti i numeri sono interessanti, mentre tra i paragrafi di L’autoriferimento si spiega da sé si celano le dottrine di Saul Kripke, Graham Priest e Steven Yablo, e sotto sotto anche di Giovanni Buridano. Ancora si ringrazieranno W.V.O. Quine e Nicola Aimola (per Una visita imprevedibile) e William Newcomb (per La torta stregata). Per finire, l’idea di Acido Universale si ispira a una metafora di Daniel Dennett. Gli autori non passeranno poi sotto silenzio alcuni Amici che a vario titolo hanno voluto accettare di accompagnarli nella scrittura di queste pagine: John Collins, Maurizio Ferraris, Philip Kitcher, Nico Pisanelli, Maurizio Giri e Goffredo Puccetti. Beatrice Biagini è stata la Musa di Uno dei due autori, che spera di vederla ancora Sorridere 189

Postilla

dei piccoli incidenti filosofici. Muse dell’Altro sono stati Amelie, Florian e Friederike, e i tanti Treni e Aerei che li hanno tenuti vicini. Molti dei racconti sono apparsi sotto fogge un po’ diverse sulle pagine del quotidiano «La Stampa», accompagnandosi alle Illustrazioni di Matteo Pericoli, a cui va tutto il nostro ringraziamento, e con il benevolo assenso di Gianni Riotta, Marcello Sorgi, Cesare Martinetti, Alberto Papuzzi e Maurizio Assalto. Anna Gialluca si è prodigata in consigli e incoraggiamenti per l’edizione in forma di libro. Il testo L’autoriferimento si spiega da sé è stato pubblicato in una prima versione sulla «Rivista di Estetica» (vol. 18, n. 3, anno 2001) ed è qui riproposto per gentile autorizzazione della Rosenberg & Sellier Editori. Una versione del racconto Di un progetto inutile è apparsa in inglese sulla rivista «Philosophy» (vol. 76, n. 298, anno 2001) ed è qui riprodotta per gentile autorizzazione della Cambridge University Press.

Indice

Uno Stanza 88 Di un progetto inutile L’artista da giovane La catena che conduce in porta

Due

3 5 9 12 16 21 23 27 31 36

Sonnifero Zombie SPA Amnesia parziale Trapianto di persona I sapori del gelato

Tre Il gioco del Lotto nella città di Rovesci I numeri della fortuna Il disordine invisibile

Quattro Missiva sul tempo da Valle Finale Bollicine Date di nascita L’Isola delle Quattro Stagioni Un viaggio annullato Hic sunt leones Riflessioni

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41 43 47 51 55 57 61 65 68 72 77 81

Indice

Cinque L’ultimo caso del Presidente delle Amebe La statua nascosta La credenza fatta a pezzi Holter Monitor Fila tredici Treno soppresso I nuovi satelliti

Sei Alla lettera Il Dizionario Intelligente Pittolibro per turisti Tracce d’inchiostro

Sette Scelta obbligata Che cosa vuole la maggioranza? La regola numero uno

Otto Complimenti ai terzi Effetto placebo Interessante! L’autoriferimento si spiega da sé Una visita imprevedibile La torta stregata

Coda Acido Universale

Postilla

85 87 92 97 102 107 111 116 121 123 126 130 135 139 141 145 149 153 155 159 163 168 174 179 183 185 189