Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie 8865481145, 9788865481141

Questo libro è nato per dare un volto e un perché a una congiunzione. "Nel commando c'era anche una donna"

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Italian Pages 252 [259] Year 2015

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Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie
 8865481145, 9788865481141

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narrativa

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I edizione: gennaio 2015 © 2015 DeriveApprodi srl P.zza Regina Margherita 27, 00198 Roma tei 06 85358977 fax 06 97251992 e-mail: [email protected] www.deriveapprodi.org Progetto grafico: Andrea Wòhr ISBN 978-88-6548-114-1

Paola Staccioli

Sebben che siamo donne Storie di rivoluzionarie

Con una testimonianza di Silvia Baraldini

I.

Hai un viso bianco, trasparente da ragazza metropolitana, un fiore sull'asfalto, un fiore che brilla nelfimmondezzaio che ti circonda, vermi che strisciano intorno al tuo corpo snello, un fiore sulTasfalto. 2. Non conosco il tuo nome ma certo è un suono dolce un suono che non sarà dimenticato. Non conosco la tua vita ma certo è la vita di mille altre ragazze schiacciate nella gioia, nei desideri, nelle libertà

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-

Un fiore sulTasfalto un fiore che ha imbracciato Tarma della liberazione. Un fiore che brilla.

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*

Non conosco il tuo nome ma certo è un suono dolce un suono che non sarà dimenticato. Un suono d’amore e di libertà. Uri arma che altre mani impugneranno. gian luigi nespoli, Per una compagna caduta

in combattimento

A tutte le rivoluzionarie cadute sui sentieri della libertà e della giustizia sociale.

Ringraziamenti

Questo libro deve tanti grazie. A chi ha voluto regalare un ricordo, una lettera, un documento, un consiglio, una foto. Una parola che mi ha fatto riflettere o si è trasformata in idea. Senza di loro, le storie sareb­ bero state più fredde. Grazie quindi a Pasquale Abatangelo, Roberto Badel, Claudio Bartolini, Severina Berselli, Luca Bruno, Andrea Catara, Renato Curdo, Marco Di Renzo, Lucia Franculacd, Valerio Guizzardi, Cristina Povoledo, Alessandro Pera, Paolo Persichetti, Maurizio Poletto, Franco Senia, Va­ lerio Spigarelli, Andrea Stauffacher, Donato Tagliapietra e a tutti coloro che, per vari motivi, hanno preferito non far comparire il proprio nome. Grazie a Vittorio Antonini, fonte inesauribile di idee e soluzioni. A Nadia Ponti e Vincenzo Guagliardo, per aver cercato con tenacia qual­ che ricordo diretto di Annamaria Ludmann. Loro, non hanno cono­ sciuto abbastanza Cecilia per averne. Chi avrebbe potuto raccontare ha preferito non farlo. Ad Haidi Gaggio Giuliani, mia cara amica, devo molto più che un rin­ graziamento. Per avermi fatto conoscere la storia di Elena Angeloni, prima, e avermi poi permesso un furto di parole. La biografia è infat­ ti ampiamente ripresa dal suo racconto L'altra, contenuto nel nostro Libro comune, Non per odio ma per amore. Storie di donne intemaziomliste.

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Un pensiero spedale va a Ermanno Gallo. La sua morte, mentre scri­ vevo il libro, mi ha privato di preziosi consigli. Queste pagine manten­ gono traccia della sua discreta presenza. Grazie anche a chi, per vari motivi, ha scelto di non dare un contribu­ to, ma con il suo rifiuto mi ha fornito elementi di riflessione. Mi augu­ ro che il libro sia apprezzato anche da loro. La poesia di Gian Luigi Nespoli, Per una compagna caduta in combatti­ mento, in apertura del libro, è dedicata a Wilma Monaco. Approfondimenti, foto, video, iniziative sulle donne e i temi trattati nel libro sono nel sito www.paolastaccioliit o nella pagina facebook Sebbcn che siamo donne.

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Questo libro, per me

In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla [...]. Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza èpresente solo in quel­ lo storico che è compenetrato dall'idea che neppure i morti saranno al si­ curo dal nemico, se vince. E questo nemico non lui smesso di vincere. walter benjamin , Tesi sul concetto di storia.

Sembra strano, a raccontarlo. Eppure questo libro è nato così. Per dare un volto e un perché a una congiunzione. Anche. Sullo schermo avevo l’archivio internet di un quotidiano. Scorrevano pagine di qualche decennio fa. Inchiostro dalle stesse tinte forti delle tensioni sociali e politiche di allora. Titoli aspri. Nel com­ mando c’era anche una donna. Una delle tante azioni armate di organizzazioni clandestine della sinistra. Anche. Un mondo in­ tero racchiuso in ima parola. A sottolineare l’eccezionaiità ed escludere la dignità di ima scelta. Sia pure in negativo. Nel sen­ tire comune una donna prende le armi per amore di un uomo, per cattive conoscenze. Mai per decisione autonoma. Al genere femminile spetta un ruolo rassicurante. Madre, moglie, figlia. Amante, al più. In epoca contemporanea le donne annate, fuori dai corpi statali - dove l’ingresso è comunque recente - sono state social­ mente accettate in Italia in due soli momenti storici. Il Risorgi­ mento, nell’Ottocento. In cui le poche eroine sono state spesso

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costrette a travestirsi da uomini per combattere. La Resistenza, nel Novecento. Anche in questo caso le partigiane non sempre hanno visto riconosciuti pienamente i loro meriti. Nel mezzo, l'ambivalente figura delle brigantesse post-unitarie, un po' cri­ minali e un po' Robin Hood. La seconda guerra mondiale cam­ bia radicalmente lo scenario. Nella democrazia nata dalla Resi­ stenza le organizzazioni sindacali e i partiti storici della classe operaia e del proletariato progressivamente si fanno Stato, de­ nuncia la sinistra extraparlamentare. Gli spazi di agibilità poli­ tica si restringono. Chi si pone fuori e contro le istituzioni viene messo al bando. Achtung Banditen! Come i nazisti chiamavano «criminali» i partigiani, così lo Stato repubblicano definisce «terroristi» tutti quei m ilitanti politici rivoluzionari che praticano qualsiasi forma di illegalità per combattere l'ingiustizia sociale. Il tema è complesso. La scelta lacerante anche per i protagonisti. Chi lotta per un mondo senza guerre non prende le armi a cuor leg­ gero. Pensa sia un passaggio necessario. H potere politico nasce dalla canna del fucile, ricordava Mao. Affinché non vi siano più fucili bisogna prima impugnarli. Nell'Italia degli anni Settanta e Ottanta sono in molti a rite­ nere l'uso della forza indissolubilmente legato a un percorso reale di trasformazione. Migliaia di giovani (e non solo) effet­ tuano la scelta annata, decine di migliaia la sfiorano o in qual­ che modo la sostengono. Le azioni, compiute da varie sigle, per alcuni anni sono quotidiane. Mentre le forme di violenza diffu­ sa e di massa sono patrimonio di centinaia di migliaia di perso­ ne. Cortei, picchetti, occupazioni, iniziative antifasciste... Fra i militanti delle organizzazioni clandestine ci sono molte giovani donne. Non si definiscono femministe. Impon­ gono pari dignità irrompendo in un territorio maschile. Lottano per il potere, come i loro compagni. Ma dalTimmaginario socia­ le sono percepite in modo diverso. Contraddittorio. Moderne streghe. Da un lato vengono demonizzate, dall'altro generano romanticismo rivoluzionario. Soprattutto se una distanza geo­ io

politica attutisce il frastuono degli spari. La guerrigliera diviene allora un’idea eterea. Sospesa in un tempo o in un luogo altro. Accettabile perché lontana. Come nelle lotte di liberazione del Terzo mondo. Quando il conflitto si avvicina alla nostra vita, la sensazione cambia. Rimane solo lo sgomento. Sociologi e opi­ nionisti si scatenano nella ricerca di qualche elemento di «alienità». Trovano invece ragazze normali, con un’adolescenza e una prima giovinezza tranquilla. Giovani motivate e ricche di passioni. Non è un disagio di vita a provocare la loro scelta, che comunque non le allontana dai territori emotivi dei coetanei. Il perché esula da una dimensione individuale. Lo si può com­ prendere solo ripercorrendo i sentieri di una storia collettiva. Nel contesto di quel conflitto sociale e politico che dalla fine degli anni Sessanta del Novecento assume toni sempre più aspri, e dal quale l’ipotesi armata trae forza e ragioni. In una si­ tuazione che nel biennio ’ 68-’69, nelle lotte studentesche prima e in seguito operaie, vede di nuovo delinearsi per il prole­ tariato la possibilità della conquista del potere, di quel potere scippato circa venticinque anni prima ai partigiani. La Resisten­ za tradita. Prende così corpo l’ipotesi rivoluzionaria, un tentati­ vo di trasformazione radicale della società, in senso comunista ed egualitario. Combinare gli aspetti politici e militari di una strategia per la conquista del potere in un paese a capitalismo avanzato è una novità assoluta. Chi si getta nell’impresa deve imparare come si fa. Non ha esempi da seguire. Di fronte, c’è una reazione che tenta di bloccare ogni cambiamento, generare insicurezza, spostare a destra il paese attraverso stragi, bombe, tentativi di golpe. Strategia della tensione, è stata definita. Non è solo la sinistra rivoluzionaria in quegli anni a ritenere il modo di produzione e il sistema sociale e politico iniqui e oppressivi. Lo pensano settori più «moderati», lo pensa una parte del mondo intellettuale. Le forme illegali di contestazione diventa­ no presto patrimonio di tutta la sinistra extraparlamentare. Al­ cuni condividono anche l’ipotesi armata. Che non è una reazio­ ne diretta al terrorismo di Stato, ma la conseguenza di ima conn

sapevolezza storica. La borghesia non cede il potere pacifica­ mente. I fatti confermano. A partire da piazza Fontana. Guerra civile a bassa intensità, è stata definita. Un tragico epilogo unisce le dieci vite narrate nel libro. La morte legata alla scelta politica. Uccisioni, errori durante uma­ zione, suicidi. Storie assolute, definitive. In contrasto con l’età delle protagoniste. Perché la lotta di classe non è imo scontro generazionale, m a nelle espressioni più radicali del conflitto i giovani sono sempre in prima fila. E quindi maggiormente esposti alla morte. La morte. Molte volte in quegli anni ha colpi­ to la sinistra rivoluzionaria, legale e clandestina. Lasciando una scia di rabbia e di dolore, oltre alla ricerca di un impossibile senso per la perdita di un compagno, di un amico. Un senso che si riusciva a trovare solo nella prosecuzione della lotta. Racco­ gliere l’eredità e il fucile dei caduti, per onorare chi a un miglio­ ramento collettivo della vita ha dato un valore così alto da arriva­ re a dedicargli, e persino a sacrificare, la propria. Non tutte le morti hanno lo stesso peso. È così per ognuno, ma sono in pochi ad ammetterlo. Una differenza di onestà, di consapevo­ lezza. Celebre è la citazione fatta da Mao Tse-tung di un antico scrittore cinese, Szuma Chien, del u secolo a.C. Tutti gli uomini muoiono, ma la morte di alcuni ha più peso del monte Tai, e la morte di altri è più leggera di una piuma. Queste giovani militanti sono diventate loro malgrado un simbolo. Certo non desideravano essere eroine. Avevano messo in conto la morte, come la mette in conto chiunque fa una scel­ ta radicale. Un’eventualità con cui confrontarsi di continuo. Dare e ricevere sofferenza. Per nessuno è semplice, donna o uomo che sia. Lo si fa perché si è convinti sia una necessità sto­ rica. Lo si fa per amore, anche se può sembrare strano. Amore per la giustizia, per la libertà. Amore per la rivoluzione. Le dieci storie abbracciano pochi decenni, eppure fra la prima e l'ultima - la pubblicazione segue lordine cronologico della morte - sembra esserci una distanza epocale. Non certo nella sostanza del capitalismo, dell’imperialismo, che anzi ha 12

accentuato le diseguaglianze che ne sono alla base, ma nel qua­ dro della lotta tra le classi, delle modalità del conflitto, repenti­ namente mutate dopo la sconfitta degli anni Ottanta. Tra le vite narrate, sette hanno un percorso simile. La m ili­ tanza in una organizzazione annata in Italia, e la morte conse­ guente a questa scelta. Ite vicende umane sono invece diverse. La prima, in apertura del libro. Elena Angeloni. Nel 1970 lascia lavoro, affetti, un figlio, per mettere il proprio corpo nella lotta del popolo greco contro la dittatura dei colonnelli. E ad Atene trova la morte. La seconda è Laura Bartolini, uccisa nel 1984 da un gioielliere durante una rapina all'apparenza estranea all ini­ ziativa politica. La terza è forse quella che a un primo sguardo più stride con le altre. Maria Soledad Rosas, Sole, la giovane anarchica argentina che si è suicidata agli arresti domiciliari nel 199 9 . Una voce «altra», strumenti di lotta diversi. Piccole ille­ galità invece che azioni armate, ma una stessa volontà di oppo­ sizione radicale al sistema. Per questo è nel libro. Una storia che direttamente ci conduce all’oggi, all’opposizione di un intero territorio a un’opera inutile e devastatrice. Il Tav in Val di Susa. Sebben che siatno donne non è un libro di s toria, ma di storie. Raccontate dalla parte di chi le ha vissute. Cercando di rico­ struirne il senso, i pensieri, fazione. Si possono non condivide­ re le scelte di queste donne. Ma sicuramente sono interne al lungo percorso di progresso ed emancipazione sociale del pro­ letariato e delle masse popolari. Sono parte di noi. Di chi nel mondo si batte per una società senza classi. Queste affermazio­ ni a molti non piaceranno. Non è strano. Finché il divenire sto­ rico sarà caratterizzato dalla lotta tra le classi, la memoria non potrà essere condivisa. Ma nemmeno deve trasformarsi in un angolo idilliaco in cui rifugiarsi. Il paradiso degli ideali perduti. Dei pensieri cristallizzati. Deve essere libera da acritiche esalta­ zioni come da aprioristiche scomuniche. Il passato è materia viva, da modellare al presente. Della lotta armata degli ultimi decenni in Italia si è parlato e scritto molto. Eppure la vastissima produzione bibliografica ri

sem bra essere inversam ente proporzionale alla chiarezza. Come ogni fenomeno scomodo viene rimosso o mistificato. Oppure Tanalisi è costellata da interessate dietrologie. I più sono schierati in una difesa tout court dello Stato. I protagonisti di allora sono spesso influenzati dalle scelte successive. Altri sembrano sentirsi obbligati a ribadire continui distinguo nel ti­ more di finire inchiodati in una accusa di complicità. O fuori dal mercato editoriale. Il nostro recente passato è blindato per­ sino nella definizione. Anni di piombo. Inizialmente indicava la repressione di Stato, le carceri che seppellivano gli oppositori. Presto è stata generalizzata. Una semplificazione che distorce la realtà. Identifica due decenni con una fenomenologia. Quel­ la della violenza, che lasciando lacerazioni profonde e ferite an­ cora aperte tende a oscurare i contenuti. Le ragioni di un perio­ do caratterizzato da forti spinte ideali. In cui la lotta annata si è inserita come rottura radicale ma interna alle aspirazioni di cambiamento. Le dieci biografie sono scritte sulla base di libri, cronache giornalistiche, atti giudiziari, documenti politici, ricordi. Di amici, familiari, compagni di militanza. Ho evitato di chiedere testimonianze a chi ha usufruito degli sconti di pena per penti­ ti e dissociati, pur se alcuni loro libri sono citati in Per saperne di più. La memoria è sempre sfumata, distorta dalle successive esperienze. Ritengo però che i racconti di chi ha contrattato con lo S tato la propria libertà possano essere fortemente viziati dalle scelte giudiziarie. Proprio sui ricordi personali il libro ha incontrato curve im­ previste. Aperture e chiusure estreme. Poche vie di mezzo. Chi ha creduto alTidea ci si è buttato a fondo. Per altri, il rifiuto è stato totale. Silenzi assoluti. Impermeabili a ogni richiesta di spiegazione. In parte, non sono riuscita a darmene una ragio­ ne. Alcune volte mi sono però sentita come un gatto fra i cristal­ l i Che si intrufola in emozioni non risolte. Viola tormentate memorie intime in nome di uriesigenza di memoria storica. C'è stato chi non ha avuto voglia di consegnare un ricordo dolo-

roso in mani estranee, scegliendo di conservarlo intatto dentro di sé. Non è una mancanza di fiducia nei confronti di chi scrive. O almeno così ho preferito credere. Le storie del libro non sono solo dieci, in realtà. Perché c'è anche un'esperienza politica raccontata direttamente dalla pro­ tagonista. Nella sua testimonianza, Silvia Baraldini ripercorre il contesto, le ragioni, le modalità della sua militanza clandestina negli Stati Uniti degli anni Settanta. Uriitaliana dall'altra parte dell'oceano, ma nel centro dell'impero. Un impero che oppri­ meva e opprime popoli, oltre che classi al suo interno. Una scel­ ta di classe e internazionalista. A chiudere, le schede delle organizzazioni o aree di riferi­ mento delle dieci donne. Per contestualizzare le biografie e for­ nire un primo stimolo per un approfondimento. Se è vero che oggi la dimensione collettiva è in parte sbiadita, che l'individua­ lismo calpesta identificazioni e tensioni al cambiamento, è anche vero che l'aspirazione a vivere in un mondo in cui sia su­ perata la sempre più accentuata disparità delle ricchezze è asso­ lutamente attuale e presente nelToggettività storica. Sebbcn che siamo donne vuole contribuire alla riflessione per comprendere come il nostro recente passato, usando le parole di Jacques Le Goff, possa «avere ancora un belTavvenire».

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Mi sembra di sentirmi di nuovo viva Elena Angeloni Milano, 24 maggio 1939 - Atene, 2 settembre 1970

Nei miei pensieri Ce riest qu'un début Vietnam libero Yankee go home eranoforti le nostre voci tu in silenzio decidevi per noi che leparole non bastano più. hai di gaggio giuliani, Nei miei pensieri.

L’aria è carica di inquietudine. La decisione difficile. Un guasto dell’ultimo minuto rischia di far saltare tutto. Due uomini e una donna si incontrano vicino all'Ippodromo di Atene. Il cipriota Giòrgos Tsikouris smonta velocemente il meccanismo a orolo­ geria e il vecchio Maggiolino con targa svedese viene portato da un elettrauto. A mezzogiorno è pronto. I tre giovani si ritrovano in una zona tranquilla, non lontano dall’ambasciata statuniten­ se. Il caldo non dà tregua, il sole è rovente. Giòrgos si mette al­ l’opera, pensa di potercela fere. Ha osservato l’italiano montare il congegno, la prima volta. Fissando nella memoria l’esatta se­ quenza dei gesti. Gocce di sudore gli scivolano dalla fronte lungo il volto. Un’ora di lavoro e tutto sembra a posto. Il senso di liberazione dura un attimo. Quando accende il motore si avvia anche il tergicristallo. Spegne, riaccende. Nulla da fere. La discussione è breve e sofferta. Fra i due uomini non c’è ac­ cordo. Un sì e un no. A non voler rinunciare all’azione è proprio *7

lui, lo studente cipriota che deve guidare l'auto. Il loro sguardo interrogativo si rivolge verso la donna. Sarà la sua scelta a deci­ dere. Sembra non avere incertezze Elena Angeloni. Nonostante il rischio, nonostante il guasto riparato in tutta fretta. Troppo tardi per abbandonare. L'interminabile tensione dell'attesa si è dissolta in un presente che già corre veloce verso il dopo. Il volo per Milano prenotato per il pomeriggio. Il bagaglio lasciato al­ l'aeroporto. Due sì e un no. L’abbraccio con Giòrgos Romeos è silenzioso, commosso. Il compagno greco ha lo stesso nome di battesimo dello studente cipriota. Li segue con lo sguardo mentre si avviano verso la Volkswagen blu. Osserva l'amica italiana, la sua andatura decisa ed elegante. Alta, slanciata, capelli rosso tiziano. Qualche passo, poi Elena si volta verso di lui, mostrando la carnagione bianca punteggiata da efelidi e gli occhi di un verde intenso che brillano al sole. Dice poche parole. Come a esorcizzare la paura: I miei libri... dateli a mio figlio... 1 libri. Federico. Gli ultimi pensieri prima di salire sull'auto che ha acquistato pochi giorni prima ad Atene con un falso pas­ saporto svedese. Trasformata in un potente ordigno. Una bomba di giustizia, di libertà. La libertà del popolo greco dai dit­ tatori, i colonnelli guidati da Geòrgios Papadopoulos e appog­ giati dal governo degli Stati Uniti. La libertà di un paese trasfor­ mato dall’aprile 19 6 7 in una grande prigione. Agitando la m i­ naccia di uno spettro temuto e inafferrabile. Il comuniSmo. Fra i tanti oppositori imprigionati ci sono nomi conosciuti. Mikis Theodor aids, il celebre compositore, rilasciato grazie alla mobi­ litazione intemazionale. Alexandros Panagulis, catturato e tor­ turato per aver tentato di colpire il capo della giunta militare. In carcere scrive poesie contro il regime. Le lacrime che dai nostri occhi / Vedrete sgorgare / Non crediatele mai /Segni di disperazione / Promessa sono solamente j Promessa di lotta. Un appello raccol­ to da molti, non solo in Grecia. La resistenza spontanea e di piazza, con il passare del tempo si sviluppa e si rafforza anche nelle sue forme clandestine. 18

Elena apre lo sportello della macchina. La sua vita è ora nelle mani di pochi attimi. Trentuno anni, un figlio che non ne ha an­ cora compiuti nove. Dalla separa2Ìone Federico trascorre con lei solo i fine settimana. Gli altri giorni è con il padre, che ha orari di lavoro più flessibili. È impiegata alla Mondadori, a Mila­ no, dove ha trascorso l'infanzia ed è tornata per sposare Verne­ rò, nel gennaio 19 6 1, conosciuto durante l’estate precedente. Una decisione veloce. Presa per amore, sicuramente, ma forse anche per mettere alle spalle una fase negativa. La madre, nubi­ le e di origini borghesi, si era dovuta adattare a un matrimonio riparatore in Messico. Il padre, un piccolo industriale chimico milanese, alla nascita di Elena ha una sessantina d’anni. La ri­ conosce ma non si separa dalla moglie e dai figli. Più grandi della donna da cui ha appena avuto una bambina. Alla morte del signor Angeloni, la madre affida Elena adolescente a sua sorel­ la, che vive sola in una casa in riva al mare di Genova, a Quarto dei Mille. È una ex suora, che aveva lasciato i voti per accudire la loro mamma malata. Per la ragazza non è un periodo sereno. Tanto che abbandona il liceo senza terminare gli studi. Quando trova lavoro come segretaria negli uffici della direzione dell’Ansaldo affitta una camera in un pensionato gestito da suore, per sottrarsi al controllo della zia. Resta lì fino al matrimonio. Con il suo compagno va ad abitare in un piccolo apparta­ mento anonimo nella periferia milanese. È felice. M i sembra di sentirmi di nuovo viva, dopo un periodo nel quale non ero più nien­ te, non sentivo più niente e non speravo né credevo più in niente... scrive ad Anna, una sorella del marito. Poi inizia la routine. Lui è spesso fuori per lavoro, lei sente il peso delle lunghe ore di so­ litudine casalinga. Sfoglia riviste femminili, trascorre parte del tempo a disegnare schizzi di abiti alla moda che fa poi confezio­ nare alla sua amica sarta. Ama vestire bene, scegliere i giusti co­ lori e abbinamenti. Un filo di perle al collo e smalto rosso alle unghie. Ha i sogni e i desideri delle donne di un’Italia che corre Veloce verso un profondo cambiamento sociale e di costume. Il matrimonio si incrina.

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Giòrgos Tsikouris si siede al posto di guida. È assolutamente de­ ciso a dare il suo contributo alla lotta contro la dittatura. Viene da una famiglia comunista, a Cipro è stato militante del Partito co­ munista Akel. Un impegno politico proseguito a Milano, dove è arrivato nel 1965. È iscritto alla facoltà di Matematica dell’Uni­ versità statale, e per due anni ha ricevuto mia borsa di studio del Vaticano. Partecipa alla commissione milanese deH’Ama (Fron­ te antifascista di lotta), che organizza gli studenti greci in Italia, ha contatti con esponenti del Partito comunista delfintemo. Viene eletto presidente delTAssociazione degli studenti greci e greco ciprioti di Milano. Ora è interamente concentrato sui suoi gesti. I fatti gli stanno dando ragione. Il compagno italiano ad­ detto alla parte tecnica non doveva ripartire. Anche S e n a aveva insistito perché rimanesse. Ormai è fatta. Forse è stata una leg­ gerezza, ma fino alle ultime prove il meccanismo a orologeria montato nell’auto funzionava alla perfezione. Tutto era a posto. Tutto era stato studiato, verificato mille volte. Gli imprevisti ri­ dotti al minimo. Invece adesso, all’accensione del motore si avvia anche il tergicristallo. Un contatto sbagliato, forse. Un guasto che rischia di essere fatale. Ma il tragitto è breve. Un chi­ lometro, più o meno. Possono farcela. Hanno scelto di correre il rischio. Non c’è più spazio per il dubbio. Elena è in macchina, seduta a fianco al guidatore. Attimi eterni. Pensieri e ricordi si sovrappongono nella mente. Ha iniziato a frequentare i compagni greci in esilio dal 1968, dopo la fine del matrimonio con Veniero. Gli universitari, soprattutto, cono­ sciuti in zona Città studi, dove è andata ad abitare. Condivide con loro la musica, gli amici, le serate. I cantautori italiani, le canzoni della protesta. Gli abiti belli non sono più al centro dei suoi pensieri. Partecipa alle prime manifestazioni. Si iscrive al Partito comunista, frequentando la stessa sezione di Haidi, la sorella minore del suo ex marito. Il loro rapporto si rafforza dopo la separazione. Parlano di libri, viaggi, rincorrono sogni, se ne vanno in giro con la Cinquecento rossa di Haidi. Fanno at­ 20

tività politica. Riunioni, cortei, picchetti al fianco dei lavoratori in lotta. Un paio di volte vengono fermate e caricate sul cellula­ re della polizia, poi rilasciate. Il 25 aprile mettono su uno spetta­ colo, con due compagni. Hanno una bella voce, raccontano at­ traverso le canzoni popolari la storia d'Italia a partire dalla Gran­ de guerra. Il 18 novembre 19 6 9 Elena viene sorpresa con altri due militanti del Partito comunista a fare una scritta sui muri di viale Corsica, a Milano, vicino allo stabilimento Motta. Quello che ti dà il padrone te lo toglie il governo dei padroni - affitto da la­ droni - Forza operai!Tiitti e tre sono denunciati. Giòrgos Romeos segue con lo sguardo i suoi compagni. Spera di vederli andare via a piedi dopo aver parcheggiato l'auto. Prova una sensazione di vuoto. Impotenza. Milita nella squadra Aris di Atene, responsabile deflazione. Composto da tre membri, il gruppo appartiene al settore Delta del Pam, il Fronte patriottico antidittatoriale, un’organizzazione legata al Partito comunista dell'interno. Ricorderà insieme a Christos Kotulas, il terzo m ili­ tante del nucleo: Tra le file del Klee delTintemo c'era una discussio­ ne accesa riguardo alleform e di lotta da seguire. Tutti erano d'accor­ do sul prom uovere un grande movimento di massa, ma c'era anche, soprattutto tra i più giovani e le organizzazioni all'estero, una forte corrente che era afavore del!adozione diform e «dinamiche». Così, parallelamente alle organizzazioni Pam, Aem (Fronte operaio an­ tidittatoriale) e Rigas Feraios (Organizzazione panellenica antidit­ tatoriale degli studenti), coUegate al Kke deU'intemo, funzionava il settore Delta del Pam che si preparava con la massima attenzione e meticolosità a uno scontro «dinamico» col regime, capace di mettere in dubbio la sua «invincibilità» e quindi risollevare il morale del po­ polo. D'altra parte era forte la convinzione della assoluta liceità della lotta armata contro una dittatura militare. Giòrgos ha curato i preparativi, insieme al compagno ciprio­ ta, responsabile sul campo dell'azione, e a pochissimi altri. Ognuno conosceva solo una parte del piano. Mesi di lavoro che improvvisamente si dissolvono nell'ossessivo movimento del

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tergicristallo. Tanta solidarietà. I finanziamenti e i materiali ar­ rivati dai compagni all'estero, l’aiuto di alcuni italiani. Persino di un anziano militante della sezione Affari esteri della Federa­ zione milanese del Pei, che si è dato da fare per i passaporti. Quattro occhifissi sul tergicristallo. La scrupolosa analisi di obiet­ tivi e metodi. Sopralluoghi su sopralluoghi. Inizialmente era stata scelta la stazione di polizia di via Bouboulinas, famigerato centro di torture contro gli oppositori politici, alle spalle del Museo archeologico di Atene. Due mesi di appostamenti e l’o­ biettivo è scartato. Nella zona d sono passanti anche di notte. L'azione deve essere dimostrativa, la Resistenza greca vuole evi­ tare vittime. Due vite appese a un contatto sbagliato. La scelta cade sull’ambasdata statunitense. Perché la zona di notte è deserta, e per il forte significato simbolico. Una denunda del regime dei colonnelli, ma anche dell’appoggio americano. Il «cervello della dittatura militare», lo definisce il Pam. Non è la prima volta che Elena si trova in Greda. L'estate prece­ dente d ha trascorso le vacanze. In quell’occasione ad Atene è stata fermata dai militari mentre fotografava l’esterno di un car­ cere noto per le torture agli oppositori. A distanza di un anno è di nuovo nella capitale ellenica, insieme allo studente dpriota. Prima di partire da Milano, il saluto a Christos: Se non ritorno, lascio i miei debiti a mio marito e i libri al mio carissimofiglio Fede­ rico. Ironia, velata dalla preoccupazione. Una passione profon­ da per la lettura. Elena e Giòrgos arrivano a Patrasso l’n agosto, con il traghetto da Brindisi, come ima coppia di giovani turisti. Uno stratagemma per tentare di passare inosservati e sperare di cavarsela in caso di controlli. Si frequentavano da tempo, dirà la polizia , ma sembra avessero «esdusivamente rapporti di carat­ tere ideologico». Questa volta per Elena non è una vacanza. Ama la vita, lotta per un futuro migliore. Ha dedso di mettere il proprio corpo per la libertà di un altro popolo. Un desiderio di giustizia che supera frontiere.

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Giòrgos accende il motore. Il fiato sospeso, Fattimo infinito. Se­ condo i piani il Maggiolino deve essere lasciato ai limiti del par­ cheggio senza freno a mano, con la marcia innestata, circa do­ dici ore prima del momento prestabilito. Il giorno successivo, nelle prime ore del mattino, tra una guardia e l’altra, quando la zona è deserta, il timer accenderà il motorino d’avviamento fa­ cendo arrivare l'auto, in discesa, fino al retro dell’ambasciata degli Stati Uniti. Allora si avvierà il tergicristallo per attivare i detonatori. La macchina è carica di esplosivo, ha il serbatoio pieno e alcuni bidoni di benzina nel portabagagli. Partono. A ognuno dei mille metri che l'auto si lascia alle spalle la strada davanti sembra espandersi, allungando i limiti di spazio e tempo verso un orizzonte sempre più sfumato. La Volkswagen procede, il terzo compagno rimane lì, spettatore impotente della scena. Un boato, una fiammata. La macchina salta in aria in una stradina sul retro delTambasciata statunitense. In una grande nuvola di fumo nero volano via le vite di Elena e di Giòrgos. La morte è immediata. È il primo pomeriggio di mercoledì 2 set­ tembre 1970. In qualunque luogo ci sorprenda la morte, che sia la benvenuta, pur­ ché il nostro grido di guerra giunga a un orecchio ricettivo, e purché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre arm i. Ernesto Che Guevara, Messaggio alla Tricontinentale, aprile 1967. La celebre frase, in italiano e in greco, è nel poster in ricordo di Elena Angeloni e Giòrgos Tsikouris. Il vigile occhio della giustizia divina ha annullato i biechi piani dei nemici del popolo greco, dice invece il cinico comunicato dei colonnelli. La polizia è accecata dalla rabbia. Vengono subito ef­ fettuati arresti e partono le ricerche di un complice, lo studente del Politecnico di Atene Konstantinos Kotsakis. Sulla sua testa viene messa una taglia. Il giovane espatria clandestinamente, riesce a salvarsi. Ricorda con stima e affetto Elena, giunta in Gre­ cia per lottare poiché credeva che, aiutando il nostro popolo contro la 23

dittatura fascista, lottava allo stesso tempo per qualcosa di più gene­ rale, per qualcosa che riguardava anche lei e la sua patria. Quel fine settimana, in Italia, una decina di militanti del Collet­ tivo politico metropolitano sono in un paesino dell’entro terra li­ gure per una riunione. Durante una pausa tre di loro vanno a fare una passeggiata. Uno è Corrado Simioni, controverso per­ sonaggio inizialmente interno al dibattito che porterà alla nasci­ ta delle Brigate rosse ma presto isolato, insieme al suo gruppo, ironicamente definito Superclan. Superclandestino, per le ten­ denze militariste. Con lui ci sono Renato Curdo e Alberto Franceschini. Comprano una copia del quotidiano pomeridiano m i­ lanese «La Notte». Vanno ai giardinetti della piazza e iniziano a leggere. Alla notizia dell’azione di Atene Simioni sbianca in volto, ha un mancamento. Elena la conoscevo, dice. E su questa dichiarazione qualcuno monta una falsa versione dei fatti. Viene detto che Elena Angeloni si sarebbe trovata ad Atene a so­ stituire Margherita Cagol, moglie di Curcio, che aveva rifiutato la proposta di Simioni di partecipare all’azione a livello persona­ le, tenendo all’oscuro il marito. La versione prende piede, viene accreditata dalla commissione Moro. La realtà è che Simioni, con Pobiettivo di innalzare il livello dello scontro, cercava di crea­ re alPintemo del Cpm una rete semidandestina, proponendo azioni armate a singoli militanti, in particolare agli appartenen­ ti al ristretto gruppo ironicamente definito la Ditta, o le Zie rosse, per la forte componente femminile. Così aveva fatto con Margherita. Senza però mai parlarle delazione di Atene. Cur­ d o ne è sicuro. Con la Grecia né io, né l’organizzazione in cui m ili­ tavo allora... avevamo rapporti. E poi né Margherita, né alcuno di noi, aveva dimestichezza con gli esplosivi e mai, del resto, ad essi, in qualche modo, avevamo o abbiamofatto successivamente ricorso. Si­ mioni, invece, propose a Margherita, in quello stesso periodo, di an­ dare a depositare una valigia al consolato Usa di Milano. Cosa che Margherita mi confidò immediatamente e, simultaneamente, de­ nunciò agli altri compagni con cui militava. È tutto. Naturalmente 24

ciò non restò senza conseguenze nel senso che, messo alle strette, Simioni ammise di averfatto questa proposta e di conseguenzafu subi­ to allontanato da ogni nostra attività e ogni rapporto fu troncato. Una rottura definitiva. I futuri fondatori delle Brigate rosse sono contrari a metodi e azioni che possano colpire in modo indiscri­ minato. Anni dopo ì «ipotesi Simioni» toma in voga. Anche se lui stesso la smentisce in una dichiarazione pubblicata nel 1985 da «S Espresso»: Dell'attentato di Atene non so nulla. Ne ha parlato Calati, un brigatista pentito, riferendo di terza mano un racconto at­ tribuito a Curdo. Ma è falso. Io so solo che quella donna è morta. Maria Elena Angeloni era amica di mia moglie. Sull’azione di Atene nel tempo si sbizzarriscono in m olti II dossier Mitrokhin arriva a coinvolgere persino il Kgb. Nessun riscontro. Così come semplici illazioni appaiono le ipotesi sui collegamenti con Giangiacomo Feltrinelli. Basate sul timer a orologeria Lucerne, di fabbricazione svizzera, usato nell’azione di Atene. Sarebbe appartenuto alla stessa partita di quello che nel 1972 provocò la morte dell’editore su un traliccio dell’alta tensione a Segrate. I compagni greci respingono decisamente queste versioni. Ribadendo di essere gli unici organizzatori dell’azione, effettua­ ta con l’appoggio di alcuni militanti stranieri. Mikis Theodorakis, presidente del Pam, pochi giorni dopo ne assume la re­ sponsabilità politica. Insieme ad Andreas Papandreou emette un comunicato. Il Pam (Fronte patriottico antidittatoriale) e il Pah (Movimento panellenico di liberazione) onorano l'eroico sacrifid o di Giorgio Tsikouris e Maria Angeloni caduti nella lotta per la Resistenza. Invitano tutti i combattenti della Resistenza a ispirarsi al loro esempio e intensificare la lotta per la democrazia, la sovranità popolare e l'indipendenza nazionale. Anche la rappresentanza all’estero dell’organizzazione uni­ versitaria antidittatoriale panellenica Rigas Feraios scrive il 7 settembre un comunicato stampa: Salutiamo e onoriamo l'azio­ ne dei combattenti della squadra del Fronte patriottico Aris. Lo stu­ dente militante G. TSikouris, il suo sacrificio nella lotta per il rove­

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sciamento del regime dittatoriale, per la democrazia e l'indipenden­ za del nostro paese, costituisce per noi il messaggio e la spinta per rafforzare l'azione. La militante M. E. Angeloni ha dato la vita al di là dei confini nazionali. Hsignificato del suo sacrificio costituisce per noi, la nuova generazione greca, supremo elemento di insegnamen­ to per l’azione comune dei popoli contro l'imperialismo. Continuere­ mo la lotta. Vinceremo. L’n settembre, alla Festa nazionale de «l’Unità» a Firenze, nel corso della serata antimperialista internazionale, Mikis Theodorakis dice tra l’altro: Nella persona di Maria Elena Angelo­ ni U nostro popolo vede l’amore e la solidarietà delfratello popolo ita­ liano. Il suo eroico sacrificio, analogo a quello di migliaia di parti­ giani italiani caduti in Grecia combattendo nelle fila della resisten­ za greca, rinsalda ancor di più i vincoli militanti che uniscono i nostri popoli. Vi invito a un minuto di silenzio in segno di rispetto verso gli eroi della nuova resistenza al fascismo, Giorgio THkouris e Maria Elena Angeloni. Il 18 settembre, a Milano, i funerali di Elena. Come rappresen­ tante delle organizzazioni della Resistenza greca arriva la can­ tante e attrice Melina Mercouri. Dopo la caduta della dittatura diventerà Ministro della Cultura. Nel suo discorso dice tra l’al­ tro: Il loro sacrificio non andrà perso. Esso ci indica la strada che dobbiamo seguire: la strada della resistenza attiva e della collabora­ zione con tutte le forze democratiche e antimperialiste d'Europa. Bandiere rosse, pugni alzati e un breve corteo accompagnano il carro funebre. Ci sono i compagni di Elena, gli amici, giovani in jeans e persone con giacca e cravatta, d sono i militanti di base del P d con le loro bandiere, Sono lì a titolo individuale. Il Parti­ to non c’è. Il Partito prende le distanze. Pur se uffidalmente so­ stiene la Resistenza greca. Pur se alcuni suoi militanti hanno aiutato i preparativi dell’azione. Il segretario della sezione xxv aprile, presente al corteo, viene costretto dalla Federazione del partito a strappare, fra le lacrime, la matrice della tessera di Elena, a cancellare ogni tracaa della sua militanza nel Pei. 26

La dittatura in Grecia viene sconfitta nel 1974. Elena è ufficial­ mente onorata dal nuovo governo come una delle vittime della Resistenza. Nel 1983 il primo ministro Andreas Papandreou in­ vita suo figlio Federico ad Atene per una cerimonia commemo­ rativa. Accanto a figure di grande rilievo. Melina Mercouri, Giancarlo Pajetta, Rosario Bentivegna. Non dimenticano Elena i compagni greci, non la dimentica Mi.kis Theodorakis. Ancora il 16 novembre 2007 ricorda: Tanti erano coloro che avevano in odio la dittatura. Pochi hanno messo in pericolo la propria vita per abbatterla. Pochissimi sono stati quelli che hanno sacrificato la propria vita perfa r ritornare in Grecia la Li­ bertà e la Democrazia, che oggi tutti i greci godono. Tra questi ultimi - i pochissimi - c i sono il greco-cipriota Giòrgos Tsikouris e l'italiana Maria Elena Angeloni, che con il loro sacrificio sono sortì a eroi eterni della Grecia, della Libertà e dei grandi ideali deWUtnanità. Come presidente del Pam, nelle cuifile ha èombattuto e ha sacri­ ficato la propria vita Giòrgos Tsikouris, sento una profonda commo­ zione, grande amm irazione e immensa gratitudine per questo eroe e la sua compagna di lotta, ricordando specialmente ai greci di oggi che tutti i loro beni di cui ora godono e prim a di tutto la loro libertà, hanno le loro radici nel sangue di questi due giovani e nel dolore e le lacrime dei loro genitori e parenti. A questi ultimi invio da parte di tutti i combattenti della lotta per la giustizia infinita gratitudine. In Italia Elena Angeloni cade presto nell'oblio, dopo un primo accanimento della stampa. Tentativi di denigrare la sua figura. La sua dignità di donna. Di lei si occupa solo la magistra­ tura veneziana nel 1982 in seguito alle dichiarazioni del brigati­ sta pentito Michele Galati. Sentito dire, voci carcerarie. Poi più nulla. I giornali italiani tornano a parlare di Elena nel 2001, dopo i fatti di Genova, quando un suo nipote finisce alia ribalta della cronaca. Nato nel 1978, non ha mai conosciuto la zia. Ma un filo li ha legati. Nella vita come nella morte. Il comune desi­ derio di giustizia sociale, di libertà. Canottiera bianca, pantaloni 27

e passamontagna blu. Rotolo di scotch al braccio. Urfimmagine stampata nella memoria collettiva. Una giovane vita spezzata da un carabiniere sulf asfalto di una piazza genovese dinante le manifestazioni contro il G8, il vertice dei potenti della terra. Il suo nome rimane nel cuore di chi lotta per un mondo più giu­ sto. Carlo Giuliani.

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La vita è troppo importante per spenderla male Margherita Cagol - Mara Sardagna di Trento, 8 aprile 1945 Arzello dAcqui (Al), 5 giugno 1975

Una raffica inchiodò alia terra il tenero sorriso... L’erba di giugno carezzò il suo viso capelli sparsi giocarono col vento. agrippino costa, Mara, 1991

Sulla collina soleggiata intorno al vecchio casolare di pietra, im ­ merso nel verde dei boschi delle Langhe, il silenzio è surreale. La quiete incongrua. L’aria sembra mantenere impresso il fra­ stuono degli spari. Sul grande prato davanti al casale giace ima giovane dorma con il volto immerso nell'erba. Più in là, sotto il porticato, in terra c’è un carabiniere. Respira a fatica, perde san­ gue. Un suo collega in borghese si guarda intorno, spinge gli occhi verso i cespugli che hanno inghiottito una figura m aschi­ le. Vaga nel silenzio. Tiene stretta la pistola come uifancora di salvezza. È la mattina del 5 giugno 1975. l i alla Cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme, presto arriva urialtra pattuglia. Ignara. Era stata avvisata via radio prima della sparatoria, prima della morte. Prima. Ai militari la scena si presenta con la fissità di un dipinto carico di tinte

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drammatiche. La voce soffocata che giunge dall’interno del ca­ sale rimette presto in moto la realtà. I carabinieri entrano spa­ rando. Trovano un uomo con la barba incolta. La tensione è alta, lo scambiano per un brigatista. Il chiarimento arriva veloce. Una macchina a sirene spiegate riporta a casa Tostaggìo, l’indu­ striale Vittorio Vallatìno Ganda, rampollo della ricca famiglia delFinventore dello spumante italiano. Rapito dalle Brigate rosse il giorno precedente. I rilievi di rito, il verbale, e il corpo della giovane viene coperto da un lenzuolo bianco che lascia sbucare i jeans arrotolati e due sandali di tela con la zeppa. Stridenti come una nota stonata. Margherita Cagol, fondatrice delle Brigate rosse, nome di batta­ glia Mara, era sul prato, seduta e con le mani alzate, ferita in modo lieve quando un proiettile ha fermato il suo respiro. Spa­ rato a bruciapelo sotto il braccio sinistro. I carabinieri parlano di conflitto a fuoco, i brigatisti denunciano l’esecuzione a freddo. L’autopsia conferma. Il compagno che era con lei, nascosto dai cespugli a pochi metri di distanza, fotografa con gli occhi la scena. Poi fa il resoconto, e l’orrore viene fissato nei dettagli di un disegno dai tratti semplici e quasi infantili. L’anno successi­ vo parole e immagini finiscono nelle mani dei carabinieri. Se­ questrate nella base delle Brigate rosse in cui viene catturato Re­ nato Curdo, marito di Margherita. Margherita è la prima donna della lotta armata degli armi Set­ tanta che cade in Italia sotto i colpi del nemico. Come un terre­ moto la notizia sconvolge gli ambienti piccolo borghesi trenti­ ni in cui è cresciuta. La ragazzina bella, intelligente, allegra, colta, di buona famiglia e di saldi principi cattolici., terrorista? La giovane che ama lo sci, il tennis, la chitarra classica, tutte le domeniche va a messa con i genitori e le due sorelle... terroristai Incredulità. Come può aver fatto quelle cose una ragazza semplice e senza grilli per la testa, che ogni giorno da Sardagna, dove il padre farmacista si è rifugiato dopo l’armistizio, va 3°

a scuola o all’università a Trento? Cosa le mancava, si doman­ dano in paese. L’ha fatto per amore, forse. Una donna con tutte quelle doti può agire così solo per un uomo. E l’uomo di Mar­ gherita, quella testa calda di Renato Curdo, non è uno qualun­ que. I conti tornano. Proprio a Trento era nata la prima facoltà italiana di Scienze sodali. Idea di un democristiano, per formare le nuove dassi di­ rigenti. Margherita si iscrive per comodità, più che altro. Per vidnanza. E perché un diploma in ragioneria lasda poche porte universitarie aperte. Renato no, d arriva per scelta. Come altri giovani che invadono la dttadina montana alla metà degli anni Sessanta, quando l’Italia, provinciale e bigotta, sta pigramente scrollandosi di dosso il grigiore del dopoguerra per lanciarsi verso sfavillanti traguardi economici e culturali. Su tutto, domi­ na la cappa politica della Democrazia cristiana al governo. All’università di Trento c’è anche Marno Rostagno, d sono tanti ra­ gazzi che vogliono cambiare la società. I trentini diffidano dei contestatori, e la città si riempie di cartelli. Non si affitta ai socio­ logi. A Curdo e Rostagno interessa poco. Di casa non hanno bi­ sogno, vivono in una comune. Con la prima occupazione della facoltà, nel 19 6 6 , gli studenti ottengono il riconoscimento della laurea in sociologia. Presto f iniziativa diventa più politica. No all’aggressione imperialista del Vietnam, operai e studenti uniti nella lotta. Volantinaggi, cortei quasi quotidiani. Margherita la­ sd a il gruppo cattolico Mani. tese. Nel 19 6 7 il clima si fa caldo. Ci sono i primi interventi della polizia. In autunno Curdo e Rostagno presentano II Manifesto dell’ Università Negativa. No all’università come strumento di classe, la dasse degli oppressori, per il rilando di un pensiero teorico critico e dialettico. Margherita e Renato entrano a far parte della rivista «Lavoro politico», di ispirazione marxista-le­ ninista. Dura poco. Lei studia, fa politica, suona la chitarra dassica. Ha iniziato da autodidatta, arriva terza a un concorso na­ zionale, si esibisce a Parigi. Si laurea a pieni voti nel 19 6 9 con una tesi sulla qualificazione della forza lavoro nelle fasi ddlo 31

sviluppo capitalistico. Discute i Crundrisse di Marx non ancora tradotti in italiano, poi saluta tutti con il pugno chiuso. Cara mamy, èfatta! ...siamo sposati!! c’è cascato! Ora stiamo ripo­ sandoci al mare. Tanti bacioni. Margherita. Ha da poco terminato l’università Margherita, nell’agosto 19 6 9 , quando manda que­ sta cartolina a Jolanda, la mamma di Renato che vive a Londra. Le scrivono spesso i due giovani, firmandosi Pippo e Pippa. Si sono sposati all’alba, in un santuario sulle montagne della Val di Non. Matrimonio religioso, per non dispiacere i genitori di lei. Rito misto, perché Renato ha origini valdesi-protestanti. La foto ricordo li ritrae sorridenti e ingessati negli abiti buoni. Tailleur ricamato, giacca, cravatta rossa. Subito dopo caricano chitarra e tenda nella Cinquecento gialla di Margherita, e via... La vacanza è più breve del previsto. L’im pegno politico preme. Il richiamo di Milano è forte. Insieme fanno progetti di vita. Margherita rimane incinta, ma al sesto mese perde il bam­ bino che ha in grembo per un incidente in moto. Il desiderio di un figlio, inizialmente forte per entrambi, si dissolve nelle co­ muni scelte politiche. Sono moltofelice di avere sulto Renato come compagno della mia vita [...] Costruire in modo nuovo e solido un rapporto che va oltre noi due a servizio degli sfruttati e quindi al ser­ vizio del popolo. A Milano, mentre lei in un primo tempo è ricer­ catrice presso la Società umanitaria, militano nel Comitato di base (Cub) della PirellL Nel settembre 19 6 9 sono tra i fondatori del Collettivo politico metropolitano, (Cpm), che presto si tra­ sforma in Sinistra proletaria. Un gruppo e una rivista. Una nuova ipotesi compare intanto nelle discussioni. La lotta armata. Viene lanciata, ripresa, toma con sempre maggio­ re frequenza nelle parole prima accennate poi via via più decise. Al convegno nei pressi di Pecorile ad agosto del 1970 è posta come una necessità per rendere incisivo Pintervento politico. A ottobre nasce la Brigata rossa. Al singolare. Danni alle cose, azioni dimostrative. Fuoco alle macchine dei capetti di fabbrica. Gogna simbolica per i dirigenti. 32

Mordi efuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Il primo sequestro lampo delle Brigate rosse avviene a Mi­ lano il 3 marzo 1972. Idalgo Macchiarmi, dirigente della Sit Sie­ mens, è catturato davanti allo stabilimento, fotografato con due pistole puntate e un cartello al collo. È interrogato sui processi di ristrutturazione in corso nella fabbrica. Gli operai applaudono. Il 19 72 per Margherita e Renato è l’anno della scelta della clandestinità e del trasferimento a Torino, patria della Fiat. Le Br bruciano altre macchine, effettuano sequestri lampo. Bruno Labate, capo della Cisnal, racconta il meccanismo di assunzio­ ne del personale di destra in funzione del controllo operaio. Viene rilasciato davanti al cancello Uno di Mirafiori, legato a un lampione e con un cartello al collo. Le Brigate rosse danno i vo­ lantini, gli operai insultano il fascista fino all’arrivo della poli­ zia. Nel dicembre 1973 tocca al capo del personale della Fiat auto Ettore Amerio, sequestrato in pieno centro di Torino. Un padrone simbolo, già in fabbrica ai tempi di Vailetta. Le simpa­ tie dei lavoratori crescono. Ma i sindacati firmano il rinnovo del contratto dei metalmeccanici senza tenere conto delle richieste operaie. La fabbrica è divenuta un recinto troppo stretto, biso­ gna colpire il potere politico. Il potere democristiano. Maro è in macchina, dalle parti di Tortona. Va verso Genova. Vede un posto di blocco e subito prende il walkie-talkie. Niente da fare, non funziona. Mantiene il sangue freddo e decide di farsi controllare. Meglio rischiare che le trovino le armi. L’auto dietro di lei non deve essere fermata. Dentro c’è il giudice Mario Sossi, appena sequestrato. Reazionario, asservito al potere de­ mocristiano, persecutore di militanti della sinistra. Dottor Ma­ nette, lo chiamano in molti. I suoi compagni pensano che Mara sia stata arrestata, forzano il posto di blocco e sfrecciano via ve­ lo ci I poliziotti sono disorientati, la lasciano andare. Quando raggiunge gli altri è già buio. Punta i fari contro la loro macchi­ na per farsi riconoscere. Poi perde terreno. A una curva sente rumore di spari. La sua auto viene colpita, i proiettili sono fer­ 33

mati da una cartellina. Si precipita a terra. Ma siete pazzi? Mi avete quasi ammazzata. Sono i suoi compagni. Pensavano di es­ sere seguiti dalla polizia. Ripartono. Lei tira fuori il cric e si mette a cambiare la gomma bucata. Nel frattempo Sossi arriva in una prigione del popolo. È il 18 aprile 1974. Drappo rosso, stella gialla. Brigate Rosse. Portare l'attacco al cuore dello Stato. Trasformare la crisi di regime in lotta armata p erii comuniSmo. È Mara a preparare la bandiera che nelle foto com­ pare dietro al giudice. Contro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello Stato scrivono nel comunicato. Nei trentacinque giorni del sequestro esplodono le contraddizioni nelle istituzio­ ni, fra la magistratura, che vuole sospendere le indagini, e la po­ lizia. Il sequestrato racconta inchieste insabbiate, processi truc­ cati, traffici di armi con il coinvolgimento del Ministro delf In­ terno, il dem ocristiano Paolo Em ilio Taviani, e del capo dell Ufficio politico della Questura di Genova. Durante il sequestro esplode ima rivolta nel carcere di Ales­ sandria. Del blitz viene incaricato il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, a cui in queiranno è anche affidato il compito di creare un nucleo antiterrorismo. Un bagno di san­ gue. Sette morti. I brigatisti lanciano un ultimatum: la libera­ zione dei prigionieri del gruppo genovese xxii Ottobre in cam­ bio della libertà di Sossi. In assenza di una trattativa fostaggio potrebbe essere ucciso. È la prima volta che l’organizzazione lo mette in conto. La Corte d’Assise accoglie la proposta, vincolan­ dola all’incolumità del magistrato. AlTultimo il procuratore ge­ nerale della Repubblica Francesco Coco blocca tutto. Per i bri­ gatisti è comunque ima vittoria politica, che festeggiano con il giudice prima di rilasciarlo. Pochi mesi dopo, Renato Curcio e Alberto Franceschini cadono in una trappola tesa da Silvano Girotte, più conosciuto come Frate Mitra, un ambiguo sacerdote prima guerrigliero in Ame­ rica Latina, poi confidente della polizia in Italia. È 1*8 settembre 1974 e Mara non si perde d’animo.

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Cari genitori, vi scrivo per dirvi che non dovete preoccuparvi trop­ po per me. Ora tocca a me e ai tanti compagni che vogliono combat­ tere questo potere borghese ormai marcio continuare la lotta. Non pensate per favore che io sia un’incosciente. Grazie a voi sono cre­ sciuta istruita, intelligente e soprattuttoforte. E questaforza in que­ sto momento me la sento tutta. È giusto e sacrosanto quello che stofa ­ cendo, la storia mi dà ragione come l’ha data alla Resistenza nel '45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi non ce ne sono altri. Questo stato di polizia si regge sulla forza delle armi e chi lo vuol combattere si deve mettere sullo stesso piano. È giorno di colloqui nel carcere di Casale Monferrato il 18 feb­ braio 1975. L’unico scadenzato refolo di vitalità che interrompe la routine della piccola struttura. Poco più di quaranta detenuti e meno della metà di guardie carcerarie. Cinque uomini e una donna bionda fermano le loro due macchine vicino all’ingresso. Nulla di strano. Lei suona e chiede di consegnare un pacco al marito. Il piantone apre. Il gesto è quasi automatico, il cambio di scena repentino. D’improvviso i suoi occhi vedono solo il mitra che la giovane dal bel volto e dal sorriso luminoso gli punta contro. Alla mente giunge quasi surreale ! intimazione di una voce femminile decisa: Stai buono 0 sei un uomo morto. Pa­ role ferme, non cupe. Due, forse tre uomini con la tuta blu degli operai della Sip staccano i fili del telefono. In mano scala e mitra. Mara e un altro compagno arrivano al corridoio delle celle: Renato... dove sei? Lo sconforto dura un attimo. Curcio scende veloce dal piano di sopra e sale in macchina. Partono in direzione Alassio. Gli altri fanno perdere le loro tracce. Una ventina di briga­ tisti mobilitati per uri azione perfetta. Mara si toglie la parrucca bionda. Toma al naturale. Capelli neri e occhi che si intuiscono verdi anche nella foto tessera in bianco e nero della sua patente falsa. Dove l’ovale regolare e allungato è incorniciato dalla pet­ tinatura cotonata e ripiegata all’insù delle presentatrici televisi­ ve dell’epoca. 35

Le prigioni di stato sono state violate. Un nucleo armato delle Brigate Rosse ha assaltato e occupato il carcere di Casale Monferra­ to liberando il compagno Renato Curdo. Questa operazione si in­ quadra nella guerra di resistenza alfascio diforze della controrivo­ luzione che oggi nel nostro paese sta attuando un vero e proprio «golpe bianco» seguendo le istruzioni dei superpadroni imperialisti Ford e Kissinger. [...] Compito dell’avanguardia rivoluzionaria oggi è quello di combattere a partire dalle fabbriche, il golpismo bianco in tutte le sue manifestazioni, battere nello stesso tempo la repres­ sione armata dello stato e il neocorporativismo dell’accordo sinda­ cale. La liberazione dei detenuti politicifa parte di questo program­ ma. Liberiamo e organizziamo tutte le forze rivoluzionarie per la resistenza al golpe bianco. Le polemiche fioccano, il generale Dalla Chiesa tuona con­ tro chi ha lasciato il capo delle Brigate rosse in un carcere «di cartapesta». La gioia per Mara si spegne presto. Pochi mesi dopo sente aria di pericolo, lascia in fretta f appartamento di via Foligno, a Torino. La chitarra che ha acquistato tanti anni prima a Trento, e che non ha abbandonato nemmeno durante la clandestinità, ri­ mane sul divano. Ben accordata nella sua custodia scura. Accan­ to a documenti, fogli d’archivio, ritagli di giornale. La base viene scoperta il 14 maggio 1975, la chitarra sequestrata. Le sue note perdute sembrano liberarsi nell’aria come un triste presagio. Ma ima ventina di giorni dopo, il 4 giugno, fazione fila liscia. Quattro uomini in tuta blu bloccano l’Alfa di Vittorio Vallarino Gancia sulla strada di campagna che lo porta al lavoro. Pochi gesti rapidi e precisi. Finestrino in frantumi, pistola puntata alla tempia, cambio di auto. L’imprenditore nemmeno fa in tempo a rendersi conto di cosa sta accadendo e si ritrova nella cascina a scrivere alla famiglia una richiesta di riscatto. Con tanto di numero e taglio delle banconote da consegnare. Gli viene dato l’essenziale, e i santini che ha nel portafoglio. Nel frattempo però accade l’imprevisto. Mara lo viene a sa­

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pere dalle frequenze radio dei carabinieri. È tesa, deve cambiare il piano. Il ventiduenne Massimo Maraschi, che faceva parte di un gruppo di appoggio, è stato arrestato da quelle parti. Per un caso. Ha lievemente tamponato uri auto, fa di tutto per chiudere in fretta la vicenda e pensa di essersela cavata. Ma il giovane danneggiato ha paura di essere sgridato dallo zio, proprietario della macchina. Vuole evitare guai e chiama i carabinieri. Mas­ simo viene fermato, ha una pistola. Dice solo: M i dichiaro p ri­ gioniero politico e di guerra. M i appèllo alla Convenzione di Gine­ vra. Il generale Dalla Chiesa, a capo dei neonati reparti speciali antiterrorismo dei carabinieri, inizia a tirare le somme. L'azione di finanziamento sembrava tra le più semplici. Meno pericolosa di un esproprio in banca. È stata Mara a proporre il breve sequestro di un industriale. Redditizio e incruento. Rego­ le chiare per ridurre il rischio. Una, soprattutto. Abbandonare l’ostaggio in caso di pericolo. Il denaro non ha il valore di una vita, anche se i soldi sono fondamentali per uri organizzazione clandestina. Ne servono tanti per mantenere basi, militanti. Un miliardo di lire, sarà la richiesta. Fantasmagorica, per i più. Poca cosa per f impero dello spumante. Lo sporco denaro dell’industri ale finanziatore di neofascisti per una volta andrà al proletariato. Alla rivoluzione. Gli occhi brillano al pensiero e il piano diviene operativo. La prigione del popolo c'è già. Quel tranquillo sogno di Margherita immerso nel verde, acquistato tre anni prima sotto falso nome per pochi milioni di lire. Il posto è tranquillo, la fuga semplice, la vista spazia su tutta la val­ lata. È un ottimo punto di incontro e di riposo per i militanti della colonna torinese. Sicuro. Quando Renato e Alberto sono finiti in carcere, finiti in televisione, i contadini intorno non hanno parlato. La mattina dopo M ara è stanca, ha trascorso una notte di veglia. Però la tensione si è sciolta. Esce, telefona a Renato che è a Mi­ lano, lo tranquillizza, compra i giornali, ha bisogno di riposo. 37

Nella cascina c'è solo un altro compagno. Si addormenta, e alle 11.30 non si accorge che una 127 blu si avvicina. Il giovane te­ nente dei carabinieri Umberto Rocca ha portato con sé tre uo­ mini, uno in borghese. Il giorno precedente le ricerche sono an­ date a vuoto. Non accetta lo smacco. Va alla porta. Dall'intemo proviene il rumore di una radio. È la nostra centrale operativa dice l'appuntato D'Alfonso rico­ noscendo la voce. Rocca fa chiedere rinforzi in centrale ma intan­ to freme, intuisce di avere a portata di mano un colpo grosso. Non aspetta. Intravede una giovane alla finestra che subito si ri­ trae. Va alla porta, bussa più volte, insiste per farsi aprire. Mar­ gherita e il compagno potrebbero prendere l'ostaggio come scudo. La consultazione è rapida. La precedente decisione con­ fermata. Non si mette a repentaglio una vita per denaro. I due sbucano veloci dalla cascina armati di mitra e pistole. Lui ha qual­ che bomba a mano in tasca. Inizia lo scontro. Il mitra del compa­ gno si inceppa ma a colpi di arma da fuoco si creano un varco. Alle orecchie del tenente arriva un grido: Attento, attento! L'uomo ha lanciato qualcosa contro di lui. Vede un oggetto rosso volargli verso il viso e d'istinto alza il braccio sinistro, che viene tranciato dall'ordigno. Le schegge lo raggiungono a un occhio. Cade sparando. Anche 1*appuntato D'Alfonso rimane colpito. Si accascia nel portico. Morirà alcuni giorni dopo. Il maresciallo Cattafi è ferito, ma riesce a mettere in salvo il tenente Rocca. Mara e il compagno salgono su due macchine. Imboccano a tutto gas il viottolo e pensano di avercela fatta. Hanno appena il tempo di percepire un senso di liberazione quando si trovano davanti l'auto con il quarto carabiniere, in borghese, rimasto lì dentro. È l'appuntato Pietro Barberis. Non lo avevano visto. Non sanno che è lì. Sono disorientati e compiono passi falsi. La mac­ china di Margherita finisce nel fossato, f altra rimane bloccata. Lei scende disarmata. Il compagno ha in tasca due bombe a mano Srem, dichiara di arrendersi. Ma al primo attimo di di­ strazione del carabiniere lancia uno dei due ordigni. Manca il bersaglio, però ì effetto sorpresa gli lascia il tempo per scompa­ 38

rire con uno scatto fra i cespugli. Mara non ce la fa. Si arrende. È inginocchiata sul prato con le braccia alzate. Barberis spara e la colpisce a morte. È Renato, compagno di vita e di militanza, a scrivere il comuni­ cato a nome delforganizzazione. Oggi è caduta combattendo Margherita Cagol - Mara - dirigente comunista e membro del Co­ mitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita t la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà dimenticare. Frasi politiche, cariche di emozioni. Amore. Parole che vagano fra ricordi personali declinati in terza persona. Lettere bagnate di lacrime. Comandante politico-militare di colonna, «Mara» ha saputo guidare vittoriosamente alcune tra le più importanti azioni dell'organizzazione. Valga per tutte la liberazione di un nostro com­ pagno dal carcere di Casale Monferrato. La lotta va avanti. Anche in suo nome. Deve andare avanti. Soltanto la continuità può dare un senso alla morte di un compagno. Alla propria scelta. E allora. Che mille braccia si protendano per raccogliere il suofucile! Noi, come ultimo saluto, le diciamo: Mara unfiore è sbocciato e que­ sto fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comuniSmo! Fiori. Non solo simbolici. Il giorno dopo la morte, mentre prose­ guono i rilievi, sul prato ai piedi del viottolo che conduce alla ca­ scina c'è un mazzo di rose rosse per Mara. Apparizione eterea, come materializzata dal nulla. Non sono di Renato, non sono dei suoi compagni. A poter guardare la realtà per singoli fotogram­ mi viene da immaginare che nel precedente non ce ne fosse trac­ cia. Che siano improvvisamente sbocciate lì, discreto e impetuo­ so omaggio all amore. Amore per la rivoluzione. Amore che so­ vrasta la morte. Una morte che si scaraventa con il suo peso assoluto sui giovani brigatisti, divenendo una presenza dai con­ torni concreti. Un punto fermo incancellabile. Non più una sfu­ mata ipotesi messa nel conto della militanza. Ma un rivoluziona­ rio trova il significato dellesistenza proprio nella lotta. 39

Nel 19 6 9 Margherita scriveva alla madre: Questa società che violenta ogni minuto tutti noi, togliendoci ogni cosa che possa in qualche modo emanciparci 0 farci sentire veramente quello che siamo [...] ha estremo bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario. /...] Esistono moltissime condizioni oggi per trasformare questa società e sarebbe criminale (verso l'umanità) non sfruttarle. Tutto ciò che è possibilefare per combattere questo si­ stema è doverefarlo, perché questo io credo sia il senso profondo della nostra vita. [...] La vita è una cosa troppo importante per spenderla male 0 buttarla via in inutili chiacchiere 0 battibecchi. A Margherita Cagol è stata intitolata la colonna torinese delle Brigate rosse. A lei sono dedicate canzoni, versi. Mara, la guerrigliera metropolitana delTimmaginario romantico, la giovane in grado di liberare armi in pugno il suo compagno prigioniero. Mara, uno dei riferimenti eroici femminili della generazione politica che si è formata negli anni Settanta. Mara, il nome dato a molte bambine nate dopo la sua uccisione. Per anni un mazzo di rose è comparso ogni 5 giugno alla cascina Spiotta. Fiori rossi, fiori di libertà.

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Avanti sempre fino alla vittoria Annamaria Mantìni - Luisa Fiesole (Fi), n aprile 1953 - Roma, 8 luglio 1975

Ora che s'èfatto silenzio, a denti stretti ciao-m a ciao dove se non su questo pianeta che tu bella infioravi? Luce succo esalati come scoppia la melagrana al troppo sole.

Tu clandestina. E come un tempofu giovinezza amore in ogni suo eloquio ogni sua cesura, sul passo d'Arno che sadd tuobel viso, Natascia e Buonalana si sono reincontrati. Di te cheti parlando della tua corta vita.

Lo scontro a fuoco. vasco pratolini, Ora che s'èfatto silenzio,

1980

C è aria di primavera a Roma la sera del 6 maggio 1975. Anna­ maria, Alberto, Nicola e un loro compagno sono seduti su un muretto di fronte al cancello di uri abitazione signorile nel quar­ tiere della Balduina. La ragazza è giovanissima, ma ha un ruolo importante nei Nap. Con la sua personalità forte, determinata. Razionale. Ha il fare e il piglio della militante completa. Capa­ cità politiche, abilità pratica, ima forte carica umana. È molto stimata dai suoi compagni. Per questo è lì. Il tempo batte lento nell’attesa. Minuti si accumulano ai minuti. Arriva il buio e l'obiettivo appare sempre più sfumato. Nel palazzo abita il fratello 41

di Aldo Moro, poco più in là un ufficiale dei carabinieri e altri militari. È alto il rischio di essere individuati. I quattro giovani sono decisi ad andare fino in fondo ma i dubbi affiorano. Stan­ no valutando cosa fare quando una macchina si avvicina. Si ferma. Sono le undici meno un quarto. Fiato sospeso. Risveglio di adrenalina. È lui. Il giudice Giuseppe Di Gennaro, consigliere di Cassazione, direttore delVufficio x della Direzione generale degli Istituti di Prevenzione e di Pena del Ministero di Grazia e Giusti­ zia, organizzatore e direttore del Centro elettronico di calcolo delVamministrazione penitenziaria, strumento del potere per la schedatura e il controllo sempre più efficiente di ogni singolo detenuto. Il magistrato scende. Chiude l’auto e si ritrova una pistola puntata contro. Lo costringono a risalire, a fianco al guidatore. A effet­ tuare il sequestro è il Nucleo armato 29 ottobre. Il 29 ottobre è la ricorrenza più dolorosa della vita di Annama­ ria. Scritta con il sangue del fratello Luca. Un legame profondo, rafforzato dal vissuto comune. Difficoltà familiari, prima. Poi il percorso politico condiviso. Quando muore il padre, tranviere a Firenze, lei ha tredici anni. Luca venti. I due giovani vanno pre­ sto ad abitare per conto proprio. C ’è lo zio Lorenzo ad aiutarli. La ragazza termina le scuole superiori e si iscrive alla facoltà di Lettere. Motivo di orgoglio per una famiglia operaia. Ma non vuole essere di peso. Frequenta l'università e intanto lavora. Nel frattempo ha iniziato a fare attività politica, dopo un impegno religioso con i focolarini e gli scout. Per un breve periodo si av­ vicina al gruppo fiorentino di Potere operaio. Nell’aprile 1972, a Prato, nell’ambito di una campagna con­ tro i fascisti, i giovani della sinistra extraparlamentare decidono di impedire un comizio del Movimento sociale italiano. Vengo­ no lanciate molotov, ci sono duri scontri con la polizia. Luca è ar­ restato e condannato a due anni e otto mesi. Finisce nel carcere fiorentino delle Murate. Militante di Lotta continua, è conosciu­ to e stimato. Tutta la sinistra rivoluzionaria esprime solidarietà. Annamaria fa i colloqui con lui, ha ottimi rapporti con i familia­ 42

ri dei detenuti, si avvicina al Soccorso rosso fiorentino. Luca è un punto di riferimento per i proletari incarcerati che, nel confron­ to con i giovani arrestati per motivi politici, si spostano su posi­ zioni più chiare e radicali, iniziano ad acquistare una coscienza di classe. Fino a diventare avanguardie di lotta. Luca esce dopo nove m esi grazie alla legge Valpreda. Non si riconosce più nelle posizioni di Lotta continua. Troppo morbide e attendiste. Nel 1973 il gruppo scioglie la Commissione carceri. Con la rivolta alle Murate, il 24 febbraio 1974, prende avvio il processo aggre­ gativo che porta, alla fine dell’estate, alla nascita del Collettivo George Jackson, in ricordo del rivoluzionario nero americano militante del Black Panther Party assassinato nel 19 7 1 nel peni­ tenziario di San Quentin. I due fratelli sono tra i fondatori. Il gruppo si occupa deitemi del carcere, dellemarginazione. I suoi militanti hanno contatti con detenuti ed ex detenuti. Conduco­ no le lotte con gli abitanti del popolare quartiere di Santa Croce, dove hanno affittato una sede. Occupazioni di case, autoriduzio­ ne di bollette. Ma anche cene, serate collettive. Annamaria toma spesso su un discorso che le sta a cuore. L’unità dei rivoluziona­ ri, di chi è dalla stessa parte. Si accalora, a volte ironizza, ci ride su. Non capisce il senso di alcune divisioni. Luca è tra i fondatori dei Nap. Annamaria lo aiuta, lo protegge. Viene ucciso dai carabinieri a Firenze insieme a un altro nappista, Giuseppe Romeo, durante un esproprio di autofinanzia­ mento in una banca. È il 29 ottobre 1974. Ha ventotto anni com­ piuti da una decina di giorni. C’è sconcerto nella sinistra rivolu­ zionaria come fra i giovani proletari. La sua morte irrompe con la forza di un ciclone nella vita di Annamaria. Ma non le fa per­ dere la razionalità. Si precipita in una base dell’organizzazione per recuperare carte e documenti. Viene sorpresa dalla polizia. La risposta a un giornalista del «Corriere della Sera» che le chie­ de notizie del fratello è secca: Dica questo di Luca, che è morto da comunista. Che da quando aveva sedici anni ha lottato da comuni­ sta. Sui muri di Firenze compaiono manifesti artigianali, com­ 43

posti da quattro volantini stampati in offset, che rivendicano i compagni uccisi. Sono firmati dal Collettivo autonomo Santa Croce e dal Collettivo Jackson. Subito circola in città un numero unico di «Col sangue agli occhi». Nella controinchiesta militan­ te sulla fallita azione di esproprio si smentiscono le voci di una soffiata da parte di un infiltrato. Annamaria viene convocata dal magistrato. Il giudice usa parole sprezzanti. Vuole ferirla. Le dice che quel grande rivoluzionario di suo fratello la sera prima se la spassava in un night. Il 30 ottobre la ragazza entra nelTobito­ rio di Firenze per il riconoscimento. Emozioni laceranti le inva­ dono il corpo. Ma non vuole dare soddisfazione al nemico di classe. Si, è proprio lui, Luca, risponde calma. Nella camera mor­ tuaria porta un libro, Col sangue agli occhi, di George Jackson. Sa già a che pagina aprirlo. Dobbiamo essere pronti all'eventualità di mettere in ginocchio gli Usa; dobbiamo essere pronti agli sbarramenti di filo spinato nei punti nevralgici della città, ai caroselli dei gipponi corazzati dei porci, a vedere dappertutto soldati, mitra spianati contro lo stomaco della gente, volute diJum o che si levano nere contro il cielo oscuran­ do la luce del sole, puzzo di polvere da sparo, retate casa per casa, porte sbattute giu a calci. Dobbiamo essere pronti a considerare la morte una cosa comune. Lo appoggia fra le mani di Luca. Sapeva Annamaria che la sua scelta la costringeva a mettere in conto il rischio. Come molti rivoluzionari in tutto il mondo, ripeteva spesso la celebre frase del Che sulla morte. Benvenuta, quando ci sono altre mani pronte a raccogliere le armi dei caduti e pro­ seguire la loro lotta. Ma probabilmente la morte, per lei come per quasi tutti, benvenuta non lo era affatto. Ai funerali di Luca nel cimitero di Settignano arrivano centi­ naia di persone e di bandiere rosse. Molti militanti di Lotta con­ tinua di Firenze. Uultimo saluto della sorella è una promessa di lotta: Avanti semprefino alla vittoria. La decisione è collettiva. Annamaria deve sparire per un po'. Per far calmare le acque della repressione. Si rifugia con Fran­ 44

co Sema, un compagno del Collettivo Jackson, in un casolare isolato sulle colline sopra Scandicci. A metterlo a disposizione è un amico conosciuto negli scout, che ogni giorno, con la Vespa, va a rifornire di cibo i due fuggiaschi. In quei momenti, solo noi due, isolati da tutti, conobbi urialtra Annam aria. Smise anche l'abitudine tutta toscana, che aveva presofin dal primo gior­ no, di chiamarmi con il diminutivo del mio nome. Qualcosa dentro di lei si era rotto ed era rimasta come prosciugata. Niente lacrime e niente sorrisi. Credo che la decisionefosse già presa, c’era solo da tro­ vare il modo migliore per metterla in atto. La decisione, ovvero la clandestinità. Qualche tempo dopo un viaggio in treno, verso Roma. Parlammo di Luca, scherzando su come tutt’e tre noi sifosse andati dallo stessofotografo a farci fare le fototessera. Per la prim a volta provò a raccontarmi come si sentiva. Oggi, dopo quasi quarant’anni non ho mai smesso di ricordarmelo. Annamaria è tra i fondatori del Nucleo armato 29 ottobre. La macchina con il giudice Di Gennaro arriva al Foro Italico, dove d sono altri compagni ad attendere. E un furgonano. Ma­ nette ai polsi, una benda sugli occhi. Lo spingono dentro una cassa e partono. Giri a vuoto, per disorientare l’ostaggio. La vera destinazione è via Gesù e Maria. In pieno centro storico. Un ne­ gozio in affitto, riempito di mobili per dissimulare le intenzioni. Sotto, un piccolo locale insonorizzato. La prigione del popolo. Di Gennaro è considerato un magistrato democratico, impe­ gnato nella riforma carceraria. A giudizio dei Nap è un fedele servo dello Stato, che lavora per indebolire le lotte, mitigare la giusta rabbia dei detenuti. Gli scontri verbali fra il giudice e i suoi carcerieri sono spesso accesi. Il primo comunicato è già pronto, i compagni fremono per renderlo pubblico. Dice tra l’al­ tro: Da 10 anni al servizio della repressione di Stato in funzione an­ tiproletaria, Di Gennaro svolge un ruolo di copertura al quotidiano massacro che il potere perpetua all’interno delle sue carceri contro i proletari, affiancando il paternalismo più schifoso all’aperta attività di coordinamento di tecnici e teorici del perpetuamento e rafforza­ 45

mento ejficientista delle strutture carcerarie a livello nazionale e a li­ vello intemazionale, quasi sempre con Yappoggio e la copertura delVUnsdri (Istituto di ricerca delle Nazioni unite per la difesa sociale). Tutto questo è stato confermato dagli interrogatori cui è sottoposto. Ma i Nap devono aspettare a diffonderlo. C è un'altra azione prevista a breve. Rivendicando il sequestro rischierebbe di an­ dare a monte. Nel silenzio dei rapitori gli amici del giudice sco­ prono carte ostili. Sparano frecce intrise di veleno. Insinuazioni sulla vita privata. Condotte depravate. Calunnie. L'attacco me* diatico è violento. Da più parti Di Gennaro viene dato per morto. Suicidio, secondo i magistrati. Omicidio, sostengono i carabinieri. Delitto di gelosia. La famiglia non ci crede. Arriva il 9 maggio. Nel carcere di Viterbo tre detenuti tentano f evasione. Hanno armi, esplosivo ma il piano fallisce. Rivendicano ai Nap il rapimento, mostrano una foto del giudice ammanettato. Chiedono che sia assicurata la loro incolumità, il trasferimento in un carcere del nord e la lettura durante un giornale radio del comunicato di rivendicazione del sequestro. Le autorità garan­ tiscono. Accade un imprevisto. Uno dei due nappisti che allestemo del carcere avrebbe dovuto raccogliere gli evasi non dà notizie di sé. I suoi compagni sono convinti che sia stato arre­ stato. Potrebbe rivelare sotto tortura il nascondiglio. La base al centro di Roma sembra stringersi come una trappola. Agitazio­ ne, decisioni affrettate. Trasferimento. Di Gennaro viene narco­ tizzato e infilato in una cassa. Ricorderà in seguito: Pensarono fossi morto. Di quei momenti drammatici serbo un ricordo piacevo­ le. Durante il trasporto una mano, la mano di una donna, mi pren­ deva delicatamente il polso per constatare se fossi ancora vivo. In quei gesti semplici avvertii una preoccupazione sincera. La mano femminile è quella di Luisa, nome di battaglia di An­ namaria. Il contributo che ha dato alla costruzione ed esecuzione di questa azione dimostrano il livello politico militare che aveva rag­ giunto, diranno i suoi compagni. 46

Nei prim i mesi del 1975 Annamaria ha lasciato Firenze, la famiglia, l'università. Ha chiuso il rapporto con Massimo, il suo ragazzo. Dice di avere trovato lavoro a Milano come rappresen­ tante di enciclopedie e insegnante in un istituto per bambini. Il suo ambiente la protegge. Gli abitanti della zona Le Cure, quan­ do la giovane va via, fanno quadrato contro il mondo esterno. A chi chiede notizie dicono che lavora fino a tardi. Annamaria va a Roma. Soffre molto la lontananza della madre gravemente ma­ lata. Telefona tutti i giorni allo zio per avere notizie. Appena può fa veloci visite in ospedale per vederla. Di Annamaria la stampa alimenterà la versione romantica dell’eroina negativa. Una ragazza per bene, acqua e sapone, de­ licata e un po' timida, con le sue piccole paure e insicurezze, che indossa i ruvidi panni della guerrigliera per vendicare il fratello ucciso. Ipotesi rassicurante ma poco veritiera. Il suo legame af­ fettivo con Luca era bellissimo e indistruttibile, basato su una condi­ visione ideale e culturale totale e profonda, nonché su un percorso di vita e una militanza politica comune. U loro era un rapporto alla pari: solo chi è vittima di un pregiudizio maschilista o non ha cono­ sciuto Annamaria (e non ha conosciuto Luca) può vaneggiare su una sua presunta dipendenza dal fratello. Ho avuto modo di con­ statare personalmente che la loro unità d'intenti non era il prodotto di un rapporto di subalternità dell'una nei confronti dell'altro, bensì il risultato di un confronto dialettico continuo di idee, di opinioni espresse e ascoltate con attenzione e rispetto reciproco. Lo dice Pa­ squale Abatangelo, militante dei Nap. Lo conferma chiunque abbia frequentato Annamaria. E tutti la ricordano con affetto. Dopo Tassassimo di Luca, lei prosegue nella scelta fatta prece­ dentemente, anche se il dolore non le dà pace. È inutile che io na­ sconda dietro la miafede politica (che è maggiormente salda ) la mu­ tilazione grossissima che ho avuto, scrive a un mese dalla morte del fratello. La rabbia è forte. Bisogna veramente attaccare le strut­ ture di questo Stato, ripete spesso. Nei primi mesi del 1975 Annamaria gira Pltalia per Torganizzazione. A febbraio va a Parma, a rifornire di denaro Pasqua­ 47

le Abatangelo e Dante Saccani dopo la loro evasione dalle Mura­ te di Firenze. A giugno è con Antonio De Laurentis a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria. Sotto il falso nome di Francesca Bruni acquista per quattordici milioni di lire un piccolo appar­ tamento. Negli stessi mesi si trova ad affrontare il traruna di un’interruzione di gravidanza, in una di quelle strutture che, prima dell’approvazione della legge 194, garantivano l’aborto clandestino mentre lottavano per quello legale. Il giudice Di Gennaro finisce in un appartamento sulla Casili­ na. Nulla affatto sicuro. Il io maggio la richiesta dei detenuti viene accolta. Il comunicato dei Nap è trasmesso nel giornale radio del mattino. Il compagno di cui si erano perse le tracce dà notizie di sé. L’organizzazione ha raggiunto i suoi scopi. L’inco­ lumità dei tre detenuti che hanno tentato l’evasione nel carcere di Viterbo, come era nelle loro intenzioni e nel loro diritto di proleta­ ri, e la gestione politica del sequestro. Il giudice toma in libertà provvisoria la sera dell’n maggio. Le peripezie proseguono. In un primo tempo viene quasi preso per matto. Il racconto della sua liberazione non appare credibile a Umberto Improta, capo dell’Ufficio politico della Questura. Mentre alcune dichiarazio­ ni rese da Di Gennaro appaiono imbarazzanti. Come una frase sui suoi rapitori: Erano persone molto intelligenti e preparate... gente straordinariamente informata e coraggioso. Dopo questa azione la polizia intensifica le indagini. I Nap a Roma finiscono sotto tiro. Fra maggio e i primi di luglio vengo­ no scoperte numerose basi dell'organizzazione. A giugno sono arrestati i militanti del gruppo di Fiorentino Conti. Nei giornali sequestrati gli inquirenti notano alcune inserzioni immobiliari evidenziate. C ’è anche un appartamento in via Due Ponti, una stradina che collega la Cassia alla Flaminia, preso in affitto il 5 giugno per centoventimila lire al mese. A guidare le indagini, insieme a Improta c’è Alfonso Noce, ai vertici del Nucleo anti­ terrorismo Lazio Abruzzo. Il giudice Paolino Dell’Anno autoriz­ za la perquisizione. Il portiere consegna una copia delle chiavi 48

Entrano il 7 luglio, durante il giorno. L’appartamento è vuoto. Nei pressi delTabita2ione viene trovata una Fiat 128 blu usata poco meno di un mese prima per un furto in urf armeria. A lf in­ terno della casa d sono documenti falsi e altri materiali dell’or­ ganizzazione, alcuni milioni in contanti del riscatto ottenuto con il sequestro dell’industriale napoletano Giuseppe Mocda. Dopo la perquisizione sei uomini rimangono appostati nell’ap­ partamento. Sono i più giovani. A capo c’è il vicebrigadiere A n­ tonio Tuzzolino. Noce e Improta vanno in un ristorante ad aspettare la fine dell’operazione. È l’una di notte. Una macchina si accosta al marciapiede. A bordo ci sono tre giovani, due uomini e una donna. Gli ultimi accordi e l’appuntamento per l’indomani. Bisogna partire pre­ sto. Direzione, Calabria. Una sosta, un po’ di riposo. Per far scendere la tensione dopo il rapimento del giudice. Annam a­ ria saluta Antonio De Laurentis e Nicola Pellecchia, il suo com­ pagno. Sguardi, sorrisi, discorsi sospesi. Rispetto delle regole dell’organizzazione. Le coppie non devono vivere insieme. Si avvia verso casa. Non im m agina che il suo rientro è atteso. I due la seguono con gli occhi. Lunghi capelli castano chiaro, jeans, maglietta color pesca. Arriva su. Infila la chiave nella serratura, la porta si apre da sola. È un attimo. Come un capo­ giro. Il mondo intorno che ruota. Una figura nel buio. Un brac­ cio che sbuca dall’interno. Armato. La vita concentrata in quel fotogramma. Nemmeno il tempo di poter decidere se prende­ re la pistola nella borsetta. Uno sparo. Dritto sul volto, sotto lo zigomo sinistro. Dalla polizia arrivano versioni confuse. Parole contraddittorie. Progressivi aggiustamenti, fino a costruire la verità ufficiale. La chiave gira nella serratura, Tuzzolino apre la porta. Annamaria la tira a sé, cerca di richiuderla per fuggire. Il braccio destro del poliziotto, che impugna la pistola, rimane incastrato nello stipi­ te. Parte un colpo che centra la ragazza. Inizialmente si parla di 49

una colluttazione, poi di un tentativo di fuga, quindi della ne­ cessità di autodifesa perché la donna avrebbe tirato fuori una pi­ stola. Alla fine la soluzione migliore appare l’incidente. Una versione che stride con la realtà. Contraddice l’evidenza. Non è compatibile con la zona in cui si trova la grande chiazza di san­ gue sul pavimento maiolicato, che campeggia nella foto pubbli­ cata dai giornali. Ma anche con l’assenza di bruciature sull’arco della porta, visto che il colpo è stato sparato a distanza ravvicina­ ta. Per mettere a tacere dubbi e polemiche il cadavere viene ri­ mosso in tutta fretta. Nessuno si preoccupa di disegnare la sa­ goma del corpo, con l’esatta posizione di caduta. Nemmeno la stampa crede alla ricostruzione della polizia. Non solo quella di sinistra. Urfesecuzione a freddo, la definisce «Lotta continua», che parla di una disgustosa parata di menzo­ gne. Anche «il manifesto» denuncia la brutalità dell’uccisione: Qualunque potessero essere le ragioni di sospetto della polizia su chi abitava quella casa, questo è un assassinio brutale e selvaggio, che ri­ corda da vicino la desolata crudeltà degli agguati tesi dai gangster di Chicago. Scrive Luigi Pintor Quale valutazione della vita altrui, e anche della propria, spinge un uomo, non dico un uomo di legge, a sbrigarsela con una revolverata in faccia? Chi ha deciso di muoversi in un simile modo, come in un film da quattro soldi? Quale conce­ zione della violenza aleggia nell’aria, là dove si esercita il potere, se arriva a tradursi in questeform e sbrigative da bassifondi? Il «Cor­ riere della Sera» non critica i fatti, ma la vigliaccheria nel non ammettere la realtà. La difesa della legge haforse bisogno di versio­ ni ufficiali che mitigano la verità? Perché a un’opinione pubblica e matura non si racconta tutto con precisione e con coraggio? I Nap hanno più volte incontrato la morte nella loro storia, ma quella di Annamaria lascia un segno particolare. Per l’uccisio­ ne a freddo. Perché il proiettile sfigura il bel volto di una giova­ ne donna. I suoi compagni la ricordano il 9 luglio con un comunicato: Ieri in un agguato teso dalla polizia, è stata uccisa a freddo la com­ 5°

pugna Annam aria. La volontà del potere di chiudere la partita con i compagni che si organizzano clandestinamente, ha armato la mano del HUer di turno, che con la precisa coscienza di uccidere, ci ha privato di una compagna eccezionale. [...] È enorme l'abisso che separa una compagna rivoluzionaria da uno sbirro. Non basterebbe la vita di cento Tuzzolillo per pagare la vita di Annamaria. [...] La mano che uccide un proletario ci è nemica come i porci che la arma­ no. Ma lo ripetiamo, non è uccidendo uno o più sbirri che i proletari si possono ripagare del prezzo che stanno pagando per liberarsi. E per questo prezzo altissimo, in noi come in tutti i rivoluzionari, non c'è solo la rabbia ma anche la coscienza che il movimento si sta ar­ ricchendo in maniera definitiva del patrimonio di importantissime esperienze che questi compagni ci lasciano. [...] La nostra esigenza di comuniSmo è indistruttibile. [...] Lo stesso giorno il magistrato inquirente emette contro il po­ liziotto una comunicazione giudiziaria. Non ha alcun seguito. Lo Stato assolve. Non perdonano i Nap. Nulla resterà impunito. Urlano vendetta i volantini apparsi nei giorni successivi. La pro­ messa viene mantenuta. La polizia cerca di proteggere il collega diffondendo un cognome sbagliato. Tuzzolillo anziché Tuzzolino. La precauzione non basta a salvarlo. Il g febbraio 1976 il vicebrigadiere è vicino allo stadio Olim­ pico. Sta andando in casa della zia. Passa una macchina di colo­ re blu scuro, rallenta. Dal finestrino partono alcuni colpi che lo raggiungono. Crolla a terra. Rimane paralizzato alle gambe. A firmare il comunicato è il Nucleo armato 29 ottobre dei Nap. Colpire gli assassini di Stato significa operare in un'ottica di lotta ar­ mata per il comuniSmo. Un'ottica che vede come punto centrale dello scontro, accanto alla lotta contro la ristrutturazione economica e po­ litica dello Stato borghese, una lotta senza quartiere contro la ri­ strutturazione dei corpi militari di polizia: ristrutturazione che ha il suo perno nei carabinieri e nelle loro brigate speciali, nell'antiterro­ rismo e nella magistratura serva e complice della mano assassina dello Stato. Annamaria Mantini è stata vendicata. Ma non abbastanza. 51

La rabbia non si placa. Il 5 maggio è la volta del magistrato Pao­ lino Dell'Anno. Ergastolino, è soprannominato negli ambienti giudiziari. I Nap lo accusano di aver avallato Fuccisione a fred­ do. Nel febbraio 1976 gli è stata revocata la scorta. Viene ferito mentre percorre una via di Roma a bordo della sua Cinquecen­ to. Il 14 dicembre nel mirino dell'organizzazione finisce il vice­ questore Alfonso Noce. Rimane ferito. Nella sparatoria muoio­ no un agente della scorta e un nappista, Martino Zichittella. Alla storia della giovane militante dei Nap si ispira Vasco Prato­ lini nella sua ultima opera, U mannello di Natascia e altre crona­ che in versi e prosa. Uno scritto scomodo, presto dimenticato. Noi, della nostra creatura non possiamo che assaporarne la memo­ ria. È miele efid e. Chiamiamola d'ora in avanti col suo nome di bat­ taglia: Viola. Una persona che non abbiamo conosciuto e che ci chie­ de solo pietà. Pietà e amore. Lei, assassinata, che il mondo vorrebbe assassina. Nonfarm i temere che anche tu lo creda.

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Se mi dovesse succedere qualcosa, pensa a mia figlia Barbara Azzaroni - Carla Rimini, 2 febbraio 1950 - Torino, 28 febbraio 1979

E cosi sei ritornata a Bologna nella tua casa in San Vitale e dopo ti ab­ biamo accompagnata senza un grido perché non c'era nulla da dire, ciascuno con il proprio lamento>verso un dove che neppure noi cono­ sciamo. MORENO, Lettera a Barbara Azzaroni, 2002.

È il pomeriggio del 6 marzo 1979. Un silenzio cupo e denso schiaccia il centro di Bologna. Rabbia. Dolore. Non sarà una manifestazione come le altre. Bandiere, garofani rossi e bian­ chi, una corona: Barbara era una di noi, una comunista. Barbara Azzaroni, ventinove anni. Militante di Prima linea freddata in un bar insieme a un suo compagno. Matteo Caggegi, venf anni, operaio alle carrozzerie della Fiat Rivalta. Il clima è da caccia alle streghe. Partecipare al corteo funebre non è solo una prova di affetto nei confronti di una compagna, di un'amica. Significa mostrare il proprio corpo, il proprio volto. Lasciarlo sezionare nelle stanze del potere. È un segnale politico. Chiaro e forte. Ri­ corda una testimonianza: All'università e in alcune assemblee si decise che anche se la maggior parte non condivideva le sue scelte, la presenza di massa ai suoi funerali oltre che esprimere il dolore reale che tutti provavamo, doveva significare che comunque veniva consi­ derata parte del movimento e della sua storia. Duemila persone sfi­ dano i controlli, arrivano in via San Vitale, sotto le due torri. 53

Dove era la casa di Barbara, dove è rimasta sua madre. Si avvici­ nano i giovani con i capelli lunghi e le mani in tasca. Ragazze giovanissime. Ci sono i compagni delTAutonomia, compresi al­ cuni dirigenti nazionali, ci sono le femministe, d sono militan­ ti vicini alla lotta armata. Le compagne con le bandiere rosse a lutto formano il primo cordone. Gli altri vanno a sistemarsi die­ tro. Ogni fila è una pagina delìalbum di famiglia deirantagoni­ smo bolognese. L’altoparlante montato su una Cinquecento rossa alterna le note delfinno di Potere operaio alle parole del­ l'unico volantino, firmato II Movimento. Barbara è stata assassinata mentre combatteva questo Stato. Sono centinaia di migliaia i proletari che, pur conforme, metodi, tattiche diverse, hanno individuato il loro comune, irriducibile ne­ mico in questo Stato. La situazione di crisi politica ed economica in cui versa l'Italia, la completa adesione di tutti i partiti, indistintamente al progetto di ristrutturazione antiproletaria, ha aperto inevitabilmente gli spazi ad un movimento di guerriglia che rivendica a viso aperto le sue azioni. Il movimento di guerriglia è una componente del movimento ri­ voluzionario in Italia, movimento estremamente difficile e articola­ to, che ha comunque una sua unità reale e non fittizia nella indivi­ duazione di un comune nemico: questo Stato. [...] Barbara Azzaroni per anni ha lottato con noi sul terreno degli scontri di classe di questa città cosiddetta democratica. L'hanno costretta alla clandesti­ nità nella quale ha continuato, in altreforme, la stessa battaglia. Per questo, anche se fisicam ente lontana, Vabbìamo sentita sempre unita a noi. Non chiediamo luce sugli avvenimenti perché non c'è nessun mistero da svelare. Centinaia di comunisti come lei sono stati uccisi nelle piazze e nelle galere di questo paese. Per noi, compagni di Bologna, Barbara non era per nulla clandestina. La conoscevamo e la stimavamo tutti. Il corteo parte con uri autorizzazione dell'ultimo minuto, che trascina con sé una sda di polemiche. Il cuore della dttà è nor­ malmente negato ai cortei funebri. Non c’è tracda di divise. Ma 54

numerosi sono gli agenti in borghese, L'atmosfera è satura di commozione. Occhi lucidi tradiscono lacrime celate. Nessuno slogan. Si sente il rumore dei passi, sembra di avvertire il peso di pensieri carichi di odio. Per i compagni uccisi non basta il lutto. Pa­ gherete caro, pagherete tutto. La densità dei corpi vicini. Ai lati di via Rizzoli due file ininterrotte di occhi seguono silenziose la marcia. Molti negozi hanno la saracinesca abbassata a metà. DalTalto di Palazzo Re Enzo un fotografo riprende i parteci­ panti. Lordine è del Partito comunista. Immagini in bianco e nero. Cerchi disegnati intorno ai volti. Frecce. Come bersagli. Nomi e cognomi scritti accanto alle figure o sul retro, insieme a notizie sulla loro vita. Il carro funebre ha un guasto, la bara viene condotta a spalla verso piazza San Francesco, dove un altro mezzo se la porta via. Lasciandosi dietro un tappeto di pugni protesi verso il delo. Singhiozzi soffocati. Nei giorni suc­ cessivi alf uccisione nella città e in alcune fabbriche compaiono grandi autoadesivi con le immagini dei due compagni. Parole roventi sui muri di Bologna. Persino sul palazzo del Comune, a sfidare la stretta sorveglianza e ramministrazione rossa. Onore a Barbara A. caduta per il comuniSmo. La rivista «Metropoli» ha previsto un articolo sui funerali. Deve scriverlo Oreste Scalzo­ ne. Non fa in tempo, viene arrestato prima. Così minuta da essere chiamata scricciolo, ried castani imperti­ nenti con sfumature di rosso, volto punteggiato da efelidi, Bar­ bara Azzaroni si aw idna prestissimo alla politica. Dimostra pre­ parazione teorica, determinazione, capacità pratiche, piglio da leader. Ha un carattere solare, allegro, è appassionata di astrolo­ gia e ama trascorrere le serate con i compagni nelle osterie. A ventanni ha già una bambina, Monica, nata nel 19 6 9 durante il breve matrimonio con un radiotecnico. Nel 1970 incontra Mau­ rice Bignami, arrivato sei anni prima dalla Franria. Insieme m i­ litano in Potere operaio. Lui è il responsabile bolognese degli studenti medi. Nel gruppo c'è anche il padre di Barbara, che dopo la separazione insegna in una scuola milanese. I due gio­ 55

vani leggono molto, soprattutto studiano i testi del marxismo. Vanno avivere in un appartamento alla periferia di Bologna. Un rapporto profondo e burrascoso. Si teorizza di amore libero, cop­ pie aperte. Ma la gelosia è impermeabile alla razionalità. Barbara non accetta le altre storie del suo compagno. Litigi e riappacifica­ zioni. A rendere più saldo il rapporto c’è la comune militanza po­ litica. Dopo lo scioglimento di Potere operaio frequentano la sede della rivista «Rosso», di cui Maurice è redattore, i luoghi di ritrovo dell'Autonomia. A Bologna in quegli anni la conflittualità è alta. Si susseguono scontri di piazza, azioni incendiarie contro forze di polizia, associazioni di industriali, partiti. Risse fra i mi­ litanti del Pei e i giovani extraparlamentari. Nel marzo 1977 Bar­ bara e Maurice sono nel movimento. Nella città in rivolta. Ma nello stesso tempo militano nelle Brigate comuniste, l’area ille­ gale nata intorno alla rivista «Rosso». Alle prese con le prime azioni armate, Barbara si trova in difficoltà. Le sue dita troppo piccole non arrivano al grilletto. Un compagno ci studia su e trova la soluzione. Una Walther PpkcaL 9. Il pomeriggio d elfn marzo Bologna si trasforma in un campo di battaglia. Poche ore prima un carabiniere ha ucciso France­ sco Lorusso, giovane militante di Lotta continua. La rabbia dila­ ga. Circolano sassi, bastoni, molotov, pistole. Sono prese d’as­ salto vetrine, macchine, simboli del benessere. Guai, guai, guai a chi d tocca! Il coro plumbeo ritma i passi. Provoca brividi lungo la schiena. Il monito, ossessivamente ripetuto, rimbalza fra i palazzi, diffonde echi minacciosi nelle vie della città. La bat­ taglia si estende, arriva alla stazione. Vengono occupati i binari. Barbara è fra i compagni trincerati nell’università trasformata in ima roccaforte difesa dalle barricate. I manifestanti ogni tanto si rifugiano all’interno, si riorganizzano. La notte si brin­ da con i vini d’annata saccheggiati al Cantunzein, un ristorante di lusso. Il giorno dopo la sollevazione prosegue. La cittadella resiste. Barbara è lì, gli occhi le brillano, vive un senso di libera­ zione. Fra scontri, spari, nella scena surreale di un giovane che 56

in mezzo al fumo e all’odore acre dei lacrimogeni suona il pia­ noforte tirato fuori dal ristorante depredato e issato su, sulla barricata principale di via Zamboni. In seguito le barricate ven­ gono incendiate, gli scontri continuano fino a tarda notte. Do­ menica 13 marzo la città si sveglia al rumore inquietante dei mezzi cingolati. Blindati e carri armati sfondano le difese. Ri­ conquistano l’università abbattendo portoni, cancelli, vetrate. Poi l’irruzione e la distruzione di Radio Alice, remittente del movimento, i rastrellamenti casa per casa. Cento fermi, quarantuno arresti. Maurice è alla testa degli scontri. Armato. Viene arrestato pochi giorni dopo nella casa milanese di Toni Negri. Sette mesi di carcere. All’uscita, la rottura affettiva con Barbara, che nel frattempo si è legata sentimentalmente a Cor­ rado Alunni. Un altro amore inquieto. Barbara affida alla penna i suoi tormenti. Tanto materialismo, tanto femminismo, e poi aspetto col cuore in gola il momento in cui ti vedo, le tue telefonate; non voglio dipendere da nessuno e tutta la mia emotività dipende da un tuo sorriso. Non è giusto e non lo voglio. A settembre partecipa a Bologna al Convegno contro la repressione come militante delle Formazioni comuniste combattenti, nate nel corso delTestate dalle Brigate comuniste. Una vera e propria organizzazio­ ne, non più solo un «apparato di servizio» dell'Autonomia. Fino al 1978 Barbara fa una doppiavita. Insegna come maestra in un asilo nido comunale di Bologna, TErcolani, dove è sempre in prima fila nelle lotte, nelle contestazioni contro ramministrazione rossa, è impegnata nel Qep, un coordinamento di base di lavoratori del pubblico impiego, frequenta le sedi del movimento. Perde il lavoro per le troppe assenze. A settembre in via Negroli a Milano cade l’alloggio base di Corrado Alunni, leader delle Formazioni comuniste combattenti. Vengono tro­ vate lettere d’amore e una poesia siglate B. In un bigliettino il nome è per intero. Il confronto calligrafico con una richiesta scritta da Barbara per i colloqui con Maurice nell’agosto 1977 conferma. Non ha più scelta. Così come Bignami. Che ha la­ 57

sciato nell'appartam ento un suo quaderno di appunti sul campo di addestramento di Età militare a cui ha partecipato in Francia. Si incontrano a Bologna. Lacerazioni emotive, lacrime, la necessità di lasciare sua figlia alla madre. Barbara entra in clandestinità, appena in tempo per sottrarsi a un mandato di cattura per banda armata e associazione sovversiva. Va avanti. Rinasce il rapporto affettivo con Maurice, che nel frattempo si è legato a uri altra donna fissando anche la data del matrimonio civile. Salta tutto. Barbara e Maurice entrano in Prima linea. Lei partecipa avarie azioni. Il 15 maggio 1978 a Bologna è insieme al suo compagno nel commando che ferisce Antonio Mazzetti, ingegnere capo del personale delle officine Menarmi, ima ditta che produce car­ rozzerie per autobus. La situazione in fabbrica è conflittuale, i sindacati sono contestati. Scioperi, vertenze, un contratto che non soddisfa gli operai. L'azienda invia alla magistratura un dossier sull'assenteismo. Circa ottanta lavoratori finiscono nel mirino, imo viene licenziato. L'operaio presenta ricorso, Maz­ zoni testimonia a favore dell'azienda. Viene colpito da due uo­ mini e una donna minuta, che indossa una parrucca con lunghi capelli biondi. Fra i lavoratori non mancano i consensi. Il 19 dicembre, in un'operazione dei carabinieri a cui parte­ cipa il Nucleo antiterrorismo del generale Dalla Chiesa, viene scoperta a Bologna quella che è definita una base di Prima linea. Armi, volantini, divise, matrici per ciclostile con 1intestazione del Comando unificato nazionale Fcc-Pl. Una decina gli arre­ stati. In parte risultati poi estranei a fatti. Il 19 gennaio 1979 Barbara è nel gruppo che a Torino uccide Giuseppe Lo Russo, agente di custodia, accusato di far parte della squadretta punitiva di picchiatori del carcere delle Nuove. Il 5 febbraio viene ferita alle gambe Raffaella Napolitano, sorveglian­ te della sezione femminile dello stesso penitenziario. Quattro donne contro una donna. C'è anche Barbara. Il documento di ri­ vendicazione è firmato Gruppo donne di Prima linea. Quando

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ancora non era entrata in clandestinità, Barbara aveva già orga­ nizzato e realizzato un’azione tutta al femminile, neff ambito di ima campagna condotta dal movimento femminista contro i «cucchiai d’oro», i ginecologi che lucravano con gli aborti illegali nei loro studi privati. Urfincursione in un ambulatorio. All’offer­ ta di copertura proposta dai compagni per garantire la sicurezza del gruppo, la sua risposta era stata dina e inflessibile: Quando si tratta di donnefatevi i cazzi vostri, non abbiamo bisogno di voi. Torino è città operaia. Città di lotte. Città comunista. Il Pei è sempre stato forte, continua a esserlo, ma negli ultimi anni la lotta armata ha offuscato i suoi rapporti con la classe. Prima linea è radicata nelle fabbriche. Stessa cosa le Brigate rosse. Per il Partito è inaccettabile. Da un lato minimizza. Presenta i com­ battenti come criminali. Niente a che vedere con la lotta di clas­ se. Dall’altro sente il «male» crescere nelle file della sinistra. Non può lasciare che le cose vadano così. Il partito armato va sconfitto anche politicamente, non solo militarmente. Bisogna andare nei quartieri, nelle fabbriche, fra la gente, far riacquista­ re credibilità alle istituzioni. Chi può farlo meglio dell’organiz­ zazione storica della classe operaia e delle masse popolari? Non c’è tempo da perdere. Il 24 gennaio 19 7 9 a Genova Guido Rossa, sindacalista del Pei, è caduto sotto i colpi delle Br. Pochi giorni dopo, il 29, Prima linea uccide a Milano un giudice di Magistratura democratica, Emilio Alessandrini. Il Partito decide urfoperazione che suscita numerose critiche. Il 15 febbraio 1979 i ventitré comitati di quartiere del capoluogo piemontese promuovono, con la collaborazione della giunta co­ munale e il governo della Regione, un questionario da distri­ buire nei quartieri. Clima da caccia alle streghe, denunciano i giornali della sinistra di classe. E non solo. Hanno dubbi i sin­ dacati, come alcuni esponenti della cultura e della politica. Qualche circoscrizione guidata dalla De non aderisce. Sei do­ mande. Le prime tre generiche. Come la sesta. Sulle cause del 59

terrorismo, le azioni per combatterlo ed eliminarlo, la vivibilità nei quartieri. La quarta domanda è più precisa: Potete segnalare fatti accaduti a voi personalmente o ad altri nel quartiere che rientri­ no nella criminalità politica (aggressioni, minacce, intimidazioni, attentati, incendi di auto e di sedi)? Ma è la quinta il centro dell’i­ niziativa, che genera perplessità e proteste: Avete da segnalare fatti concreti che possano aiutare gli organi della magistratura e le forze dell’ordine a individuare coloro che commettono attentati, furti, aggressioni? Le risposte devono essere anonime. In molti parlano di invi­ to alla delazione. Denunciare il vicino di casa, il compagno di la­ voro sulla base di un sospetto, di un comportamento. Nono­ stante le polemiche riniziativa parte. Centomila copie stampa­ te. Pronte ad andare nei quartieri e nelle fabbriche. Fra i più ferventi sostenitori c’è il consigliere comunista Michele Zaffi­ no, presidente del Comitato di quartiere Madonna di Campa­ gna. Sarà un flop: 12.676 questionari compilati, solo trentacinque risposte alla quinta domanda. La notte scorre fra chiacchiere e caffè. Liviana e Barbara sono m ilitanti, ma anche vecchie amiche. Felici di incontrarsi, hanno voglia di raccontare. Raccontarsi Le parole politiche si alternano a quelle personali. Azioni armate. Strategia, tattica. Guai d’amore. Frammentazioni affettive generate dalla scelta della clandestinità. Barbara pensa alla figlia. Non si dà pace per l’abbandono. Ha in mano il suo mazzo di carte. A volte cerca di interpretare così il futuro. I risultati sono inquietanti. Un sottile turbamento la invade, in quella notte che le due amiche vorreb­ bero non finisse mai. In quel filo di chiacchiere che si snoda in un fluire continuo. Le carte insistono sulla mia morte ripete Barbara. Liviana la tranquillizza. Come si può dare credito a una simile predizione. La militanza clandestina è strettamente legata alla morte. Lo sa bene chi ha compiuto una scelta totale. Ci ha fritto i conti, ci fa i conti a ogni perdita di un compagno. È nelle regole del gioco. 60

Ma non è concesso avvitarsi nella spirale di urfossessione. Li­ viana apre l'armadio, custode di vestiti e di armi, prende un ma­ glione, lo regala alPamica. La tensione si scioglie. Barbara ritro­ va la sua determinazione, chiede alcuni proiettili. Le prime luci delTalba. È ora di andare. Un altro caffè, poi il saluto. E un ap­ puntamento al mese successivo. Barbara corre via. Verso il treno per Torino. Mancano due giorni alPazione. Rimane un sottile turbamento. Lindomani dice a Maurice: Se mi dovesse succedere qualcosa, pensa a miafiglia. Quatto giovani, tre uomini e una donna, si aggirano nel quar­ tiere torinese di Madonna di Campagna. Gironzolano su una Fiat 128 verde, poi tre di loro scendono. Entrano nel bar trattoria dell'Angelo. Ivan esce, per fare il suo turno di ricognizione, Carla e Charly restano nel locale. Sono lì con i loro nomi di bat­ taglia, Sono lì in attesa di un obiettivo. Scriverà Prima linea: Il Gruppo di Fuoco [...] era in quella zona per compiere un attacco con­ tro Michele Zaffino, attivista del Pei e presidente del consiglio di quartiere. Costui si è distinto a Torino per alcune azioni tipicamen­ te poliziesche nei confronti del movimento di lotta proletario, delle sue avanguardie combattenti. Ha promosso nel quartiere un «que­ stionario» che è in realtà una massiccia raccolta di dati e di infor­ mazioni sui proletari della zona. Inaspettata arriva Punizione della polizia. Passi furiosi, adrenalina in corpo. Una pistola puntata contro Carla, un altro agente tiene sotto tiro Charly. Barbara Azzaroni cade subito, fe­ rita a morte, nonostante il giubbotto antiproiettile, Matteo Caggegi ingaggia un corpo a corpo prima di crollare colpito da sei proiettili. Ivan, responsabile militare dell’azione, assiste impo­ tente alla scena, con le lacrime agli occhi. Poi si allontana inos­ servato. Ha in tasca un pupazzetto di Barbara. È la mattina del 28 febbraio 1979. I corpi rimangono sul pavimento del bar, fra il bancone e il flipper. In pasto agli obiettivi. Provocano rabbia le foto irrispet­ tose dei cadaveri. Ritraggono i corpi spogliati dal medico legale, 61

malamente ricoperti da giubbotti antiproiettile, cappotti buttati lì da una mano sprezzante. A fianco a Barbara i suoi stivaletti. Un monito terrificante. Un’immagine conclusiva. «Il Male», giornale satirico della sinistra, d fa una copertina. Una cartoli­ na dell’orrore. Saluti da Torino. Due compagni caduti in battaglia per mano degfi sbirri. Omici­ dio di Stato. Due compagni che Prima linea rivendica: Carla e Charlie sono due comunisti, militanti della nostra Organizzazio­ ne. Due compagni che il movimento sente parte di sé. Lo di­ mostrano i duemila partecipanti al corteo funebre di Barbara, lo dim ostrano alcune parole del volantino distribuito il 3 marzo ai funerali di Matteo, firmato I compagni di Orbassano. Per noi, per chi lo ha conosciuto e ha lottato con lui, era un compa­ gno. La sua scelta, quella della lotta armata contro i padroni, non pregiudica certo il nostro dolore e la nostra rabbia per la sua morte: non intendiamo nasconderci, come oggi fanno troppi compagni, dietro il silenzio, soltanto perché è morto con la pistola in pugno an­ ziché essere assassinato dai fascisti. Il 29 marzo il giornale «Lotta continua» pubblica un docu­ mento firmato da Prima linea in cui si ricorda la figura di Bar­ bara Azzaroni. «Carla»; è una compagna che a Bologna conoscono tutti. Ex dirigente della sede bolognese di Potere Operaio, a partire dallo scioglimento di questo gruppo comincia un percorso di inizia­ tiva politica che da una parte la rende punto di riferimento della lotta di massa contro l’amministrazione rossa (il Coordinamento lavoratori enti pubblici, le lotte dd marzo '77), dall'altra pone la questione dell’organizzazione del combattimento proletario e della costruzione del partito rivoluzionario. Dirigente nazionale delle Formazioni Comuniste Combattenti, confluisce poi con un gruppo di compagni di questa organizzazione in Prima Linea. Il suo con­ tributo è lucido, la sua determinazione e la sua capacità operativa molto alte. A Torino fa parte del Comando e del Gruppo di Fuoco. Ha partecipato a molte importanti operazioni...

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La vendetta. Diventa un pensiero fisso. Una promessa a se stes­ si. Contro le truppe armate dello Stato c'è una sola parola: guerra! Il proletariato e la nostra organizzazione non dimenticano. Non di­ menticano i militanti, combattenti e del movimento. Non di­ mentica Maurice. Che mille mani impugnino le armi dei compa­ gni Carla e Charlie, caduti per il comuniSmo. Prima linea decide un’imboscata contro la polizia. Se il mestiere degli agenti è am­ mazzare e denunciare, quello dei rivoluzionari è individuarli e col­ pirli dovunque si annidino. Il 9 marzo una Fiat 131 si ferma da­ vanti a un bar bottiglieria di Torino, Due giovani hanno ognuno in mano un vassoio. Non contengono pasticcini, ma kalash­ nikov. Una dichiarazione di guerra. Un militante telefona alla polizia fingendo di essere il proprietario. Dice di aver fermato un ladro e chiede che lo vengano a prendere. Nello stesso mo­ mento gli studenti dellTstituto Aeronautico nel quartiere Ma­ donna di Campagna stanno uscendo dalla scuola. Emanuele Jurilii frequenta l'ultimo anno. Come tutti i giorni prende l’auto­ bus. Fotogrammi di scene separate che un maledetto destino sta per far incontrare. Nel bar arriva una pattuglia. Il capo entra. Si scatena una pioggia di fuoco. Disordinato, per fuso inesperto dei mitra. I militanti si colpiscono a vicenda, un poliziotto rima­ ne ferito. Emanuele sta rientrando a casa, sopra la bottiglieria. La morte lo coglie per una tragica fatalità. A terra rimangono vo­ lantini con le foto di Barbara e Matteo. Un fantomatico gruppo, i Gatti selvaggi, porta a termine due attentati contro un’ispettrice di polizia e un appuntato dei cara­ binieri. Obiettivi presi a caso nel mucchio dei mercenari. Non per ra p p resa la né tanto meno per vendicare Barbara (non basterebbe neanche tutto il sangue degli sbirri di Bologna per ridarcela) ma molto più semplicemente per ricordarla. Il 13 marzo i Gatti selvag­ gi rivendicano un incendio alla sede dell’Associazione stampa Emilia Romagna e Marche a Bologna. L’obiettivo sono due gior­ nalisti. Uno è fautore di un articolo denigratorio su Barbara Azzaroni. Il fumo invade il palazzo. Una domestica muore asfis­ siata. Prima linea non ne sa nulla. 63

Il dolore per l’uccisione dei due compagni non si placa. La ven­ detta cova ancora. Il responsabile deve pagare. La rabbia offusca la ragione. Il sospetto alimentato da un sentito dire si trasforma in realtà. Il 18 luglio parte la spedizione punitiva contro il pro­ prietario del bar dell’A ngelo accusato di aver fatto la telefonata. Viene ucciso Cannine Civitate. Un errore. A telefonare alla po­ lizia è stato il gestore di un’edicola vicino al bar, insospettito dalla macchina che girava lentamente più volte lì intorno e dai due ragazzi che erano andati a chiedere maschere di carnevale in periodo di Quaresima. Un doppio errore. Il giorno della morte dei due militanti, il bar è ancora di Riccardo Villari. Civi­ tate lo aiuta nel tempo libero. Da quando si è sposato ha bisogno di soldi. Diventa proprietario a giugno, dopo che i tragici eventi hanno convinto il precedente a liberarsi del locale. Nella prima telefonata di rivendicazione viene fatto il nome di Villari. Infor­ mazioni sbagliate e superficiali. Poi PI emette un secondo co­ municato. Il gruppo difuoco dell'organizzazione comunista Prima linea ha giustiziato la spia e delatore Carmine Cimiate, correspon­ sabile dell'agguato e dell'uccisione premeditata dei compagni. Nella rivendicazione si ricorda anche il compagno Valerio. Romano Tognini, militante di Pi ucciso il 19 luglio dell'anno precedente durante f esproprio di uriarmeria. Barbara non ha una tomba. Il suo corpo viene interrato in un campo della Certosa. Quindici anni dopo i resti finiscono nelPossario comune. Suo fratello Paolo è rifugiato a Parigi. Dopo un periodo di detenzione e una condanna nel processo al grup­ po bolognese di Prima linea e delle Formazioni comuniste combattenti. I compagni più stretti non riescono a occuparsi della sepoltura. Non hanno soldi o sono in carcere.

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Ci sono vite che pesano come montagne Maria Antonietta Berna Thiene (Vi), 6 giugno 1957 - 1 1 aprile 1979

Ma rimase un qualcosa nell’aria... Il vento che s’alzò ricadde subito, non ebbe alcun desiderio di volare. Es­ sere nato in un tuono difuoco e di rovine, la certezza di poter volare un giorno, più in alto, nel luogo più bello. E cosi si posò e attese. E avvenne. Seguendo i compagni, tutto il movimento. Aggrappandosi ai loropian­ ti, alla loro rabbia, s’innalzò in volo, incontrando così, nuovamente, Alberto, Angelo, Antonietta. In un universo che mai avrebbe potuto un giorno sognare di poter soffiare. GiLLANo c a r o , testimonianza al Progetto Memoria, 1994.

Antonietta e Lorenzo si amano. Quel sentimento forte, assolu­ to, di chi attraversa lo spazio senza limiti della gioventù. Sono insieme dal Settantasette. Antonietta è figlia del capostazione di Thiene, sua madre gestisce una boutique in centro. Presto sente il bisogno di sottrarsi al perbenismo degli ambienti picco­ lo borghesi di provincia, ostili al suo modo di vita considerato insopportabilmente eretico. La voglia di autonomia provoca at­ triti con i genitori. Succede a molte ragazze. Si avvicinano ai temi del femminismo condividendo una ribellione che inizial­ mente è solo privata. Poi pian piano diviene totale. Politica, so­ dale, familiare. Urf esperienza esterna ai partiti, che si incrocia con i percorsi della sinistra rivoluzionaria. Le donne rivendica­ 65

no libertà sessuale e di aborto, una maternità consapevole, ri­ fiutano le gerarchie sociali, i ruoli tradizionali nella famiglia, le forme maschili della politica. Quando Antonietta decide di an­ dare a vivere con Lorenzo la rottura con i genitori è netta. Lei non si tira indietro. Nel rapporto acquista forza, determinazio­ ne, la chiarezza di idee per scegliere una propria strada. Insie­ me vogliono costruire il futuro. Un domani più libero. Più giu­ sto. Un comuniSmo da conquistare con la rivoluzione, ma anche da mettere in pratica subito. Nel lavoro, nei rapporti per­ sonali. Senza aspettare il controllo dei mezzi di produzione. Niente a che vedere con quello che dice il Pei, proprio il contra­ rio dei sacrifici che chiedono i sindacati storici della classe ope­ raia. I due giovani vanno in un appartamentino affittato per quarantamila lire al mese, al pianterreno di un edificio di tre piani nel centro di Thiene. Una cittadina borghese, ima roc­ caforte democristiana. Come il resto del vicentino. Il terzo polo industriale d'Italia. Un territorio che nel Sessantotto ha riscoperto la sua anima ri­ belle. Scioperi, cortei, proteste sociali. Il 19 aprile, a Valdagno, l’a­ zione simbolo della rivolta contro il padrone. Nella piazza citta­ dina, nel bel mezzo di una manifestazione, viene buttata giù la statua di Gaetano Marzotto, capostipite della famiglia proprieta­ ria della fabbrica tessile ma anche delle case, del cinema, dello stadio. Della vita degli operai. La lotta si estende in tutta la pro­ vincia. Raggiunge i dipendenti della Lanerossi e i metalmeccani­ ci. Scuote le grandi e le piccole aziende. Operai e studenti com­ battono insieme per migliori condizioni di vita e di lavoro. Sta­ gione di conquiste. Voglia di farla finita con il capitalismo che sfrutta i proletari. Forme di organizzazione autonoma e lotte ra­ dicali vengono sperimentate dalla nuova generazione di operai. Decisi, combattivi. Nei primi anni Settanta militano nei gruppi, molti entrano in Lotta continua, ma sentono strette le rivendica­ zioni sull'orario di lavoro e gli aumenti salariali. Vogliamo tutto! è il loro slogan. Assemblee, comitati, collettivi. Negli anni succes­ 66

sivi diventano il soggetto di riferimento dell’Autonomia operaia. Spezzare la catena del comando, disarticolare il controllo sociale. Distruggere il dominio del capitale. Dalla metà degli anni Set­ tanta spesso un grido attraversa le piazze: Basta, basta coi gruppi parolai, armi, armi, armi agli operaiI Antonietta e Lorenzo sono militanti del Gruppo sodale di Thiene, nato nel 1977 nell’ambito dei Collettivi politid veneti per il Potere operaio. Con i compagni condividono tutto. Le serate, le vacanze. Non hanno la patente e girano su una sgangherata Dyane celestina di uno di loro. L’attività politica. Si ritrovano nelle sedi, nei cortei, alla radio, al bar Giardini. Con la voglia di cambiare il mondo ma anche di soddisfare nell’immediato i bi­ sogni materiali e il desiderio di una sodalità alternativa. Inten­ sa. Ricca di sogni collettivi. Manifestazioni, interventi nelle fab­ briche, nei quartieri, espropri, autoriduzioni. Riappropriazio­ ne. Riprendiamoci la vita, riprendiamoci la città! Una risposta alla crisi e al sistema delle m erd. Tutto e subito. Lorenzo è diploma­ to all’istituto d’arte. Lavora come operaio disegnatore alla Hobby legno di Thiene. Odia la fabbrica, i padroni, i ritmi im ­ posti. Vuole attraversare la vita in libertà, però quel salario è im ­ portante. L’indipendenza economica gli permette di vivere con Antonia. Appena può, si rifugia nel suo mondo artistico, dipin­ ge quadri astratti e scrive poesie. Antonietta è alta, mora. Capel­ li lunghi e ribelli. Occhi a mandorla e sorriso luminoso. Maglio­ ni larghi, jeans. Inizia a guadagnare con piccoli lavori saltuari, interviste per ricerche di mercato, vendita di libri. A vent'anni ha già chiara la sua strada, è dolce e dedsa come i suoi tratti som atid. Nella casa in cui vive con Lorenzo fa piccoli lavori di cu­ cito a domicilio. Crea giocattoli per bambini. Confeziona lun­ ghe gonne in stile femminista. Insieme ad altre compagne le vende in un negozietto alternativo. Il Gruppo sodale di Thiene è un organismo di massa. Interviene nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri popolari. Molti giova­ 67

ni operai dell’Alto Vicentino si avvicinano. A Thiene, Schio, e negli altri centri lì intorno l’Autonomia è un punto di riferimento per i lavoratori. Nel 1978 nasce il Comitato operaio. Lavorare meno, lavorare tutti. Uno slogan, un programma. Viene lanciata ima campagna contro gli straordinari del sabato. Partecipano sindacalisti di base, militanti della sinistra extraparlamentare. A guidare sono i compagni dell’Autonomia. Iniziano le ronde. Il sabato mattina nelle fabbriche aperte organizzano picchetti al­ l’alba davanti ai cancelli, distribuiscono volantini, fanno scritte sui muri, invitano operai e impiegati a tornarsene a casa. Intanto effettuano iniziative di supporto. Catene 0 sabotaggio dei co­ mandi elettrici di apertura delle porte, attentati dimostrativi con­ tro padroni e capi reparto. Si parte a maggio con la fabbrica di sedie Italsthul, a Zane. Si prosegue in altre aziende. La lotta rag­ giunge importanti risultati. Dopo Ferragosto, al ritorno dalle ferie, i padroni delle confe­ zioni Spinnaker line comunicano alle venticinque giovani ope­ raie la chiusura dello stabilimento di Thiene e ! aut aut. Trasferi­ mento a Forlì o licenziamento. Le lavoratrici riconoscono i com­ pagni del Gruppo sodale come interlocutori e seguono le loro indicazioni. Tre settimane di occupazioni della fabbrica, volan­ tinaggi, accampamenti in tenda. Bandiere rosse. Un corteo fe­ steggia la vittoria. I sindacati devono prenderne atto. La conflittualità è forte anche nel territorio. L’obiettivo è con­ solidare e far crescere spazi di contropotere. Bisogni essenziali, per essere a fianco e alla testa delle masse popolari, bisogni del proletariato giovanile, per sostenere le esigenze del nuovo sog­ getto di riferimento. Il Gruppo sodale di Thiene si mobilita per Pautoriduzione dei prezzi dei generi di prima necessità, volanti­ nando davanti ai panifid per imporre f applicazione del calmie­ re. Terminato il pane a prezzo stabilito per legge, gli altri tipi non possono essere fatti pagare di più. Ma c’è anche lo sfondamento ai concerti per entrare gratis, d sono le cene collettive nei risto­ ranti senza pagare il conto. Come gli altri collettivi del vicentino, il Gruppo sociale di Thiene landa una campagna sul diritto alla 68

casa. Vogliamo un affitto proletario al io per cento del salario! Gli edifici vuoti sono occupati per trattare con i proprietari il canone politico. In caso di rifiuto, e di successivo sgombero, si passa a volte alle vie di fatto. Una villa di Breganze viene messa a soq­ quadro dopo che la coppia di proprietari ha denunciato gli occu­ panti di un loro stabile. Le iniziative non sono soltanto a scopo abitativo. Si prendono interi palazzi per creare centri autogestiti dove stare insieme. Luoghi di ritrovo, riunioni, festa. Antonietta e Lorenzo sono convinti che la rivoluzione non si fa solo con le parole. Lo Stato borghese si abbatte, non si cambia. Il Settantasette conferma, con la sua esplosione di violenza diffu­ sa e le iniziative armate. In molti credono che la guerra civile sia alle porte. In tutta Italia si creano collettivi, radio, giornali che fanno riferimento allarea dell’Autonomia. L’filegalità di m assa o di gruppo si pratica nelle fabbriche, nelle università, nei quar­ tieri popolari. Ovunque ci sono occupazioni, cortei, autoridu­ zioni, scontri con le forze di polizia, azioni clandestine. Anto­ nietta e Lorenzo ci credono veramente, pensano che bisogna ri­ schiare in prima persona. Il Gruppo sociale di Thiene è la proposta pubblica. Attività di massa, occupazioni, picchetti, ronde, autoriduzioni. Ma come nelle altre articolazioni territo­ riali dei Collettivi politici veneti il binario della militanza è dop­ pio. Per il livello clandestino c’è il Collettivo politico di Thiene, responsabile delTambito politico-militare. Espropri di autofi­ nanziamento, attentati contro le strutture dello Stato e del co­ mando sul lavoro. Caserme, sedi di partito, associazioni di in­ dustriali, abitazioni e macchine dei capi reparto. Gruppi ristret­ ti agiscono con sigle di copertura. I due giovani partecipano. Mettono la loro casa a disposizione. Diviene ima base logistica, operativa. Dove si tengono armi, documenti sistemati in un na­ scondiglio scavato nel muro. Da lì i militanti partono per le azio­ ni. Il Settantasette si chiude con un’esplosione notturna in una finestra sul retro della Questura di Vicenza. Una risposta alla sentenza che ha condannato Claudio a quattro anni di reclusio­ 69

ne per il possesso di alcune bottiglie molotov. I danni sono in­ genti; come l’impatto politico e mediatico. A rivendicare, la sigla Proletari comunisti organizzati. Nella primavera del 1978 i compagni di Thiene decidono di apri­ re Radio Sherwood 3. Controinformazione, e non solo. Il mi­ crofono della rivolta proletaria. C ’è bisogno di denaro. Lo studio, le apparecchiature, i ripetitori. Dove è possibile, si prendono ai pa­ droni. Si sottraggono alle radio commerciali. Utilizzare quello che serve e vendere il resto. I soldi Per mantenere una attività politica stabile ne servono tanti. Sedi, propaganda, mezzi di tra­ sporto, rimborsi ai militanti. Si espropria come si può. Furti, ra­ pine. Banche, buste paga, commercianti. Il radicamento sociale permette di avere le informazioni giuste. Le iniziative di autofi­ nanziamento non vengono rivendicate. Le perquisizioni nelle sedi del collettivo, della radio e nelle case dei compagni non fer­ mano l’attività. L’anno viene chiuso con una campagna di organizzazione in tutto il Veneto, pochi giorni prima di Natale. Quelle che la stam­ pa chiama «notti dei fuochi». Obiettivo, le organizzazioni padro­ nali. La sera del r8 dicembre un nucleo armato penetra nei locali dell’A ssociazione industriali di Schio. Scritte sui muri contro il comando sul lavoro, presenti immobilizzati, documentazione sottratta. Qualche ora dopo, rudimentali ordigni esplodono nelle sedi degli industriali di Vicenza e degli artigiani di Thiene, contemporaneamente ad analoghe operazioni compiute a Pado­ va, Rovigo, Mestre e Pordenone. Nei volantini compaiono le sigle usate dai Collettivi politici veneti. Il 7 aprile 1979 è una data indelebile nella storia dell’Autono­ mia operaia. L’inizio di una catena di arresti in Veneto m a anche in altre zone d’Italia. La risposta dei militanti all’operazione giu­ diziaria vuole essere immediata. Forte. I Collettivi politici vene­ ti per il Potere operaio decidono una campagna di organizza­ zione in tutta la regione. Otto ne hanno già fatte, dal Settantasette. Azioni dimostrative, dirompenti, in contemporanea. 70

Questa volta l’obiettivo è lo Stato, le forze della repressione. Ca­ serme dei carabinieri, per lo più. La data stabilita è la sera e la notte delTn aprile. I compagni di Thiene si mettono al lavoro. Antonietta e Lorenzo non sono insieme il pomeriggio di m er­ coledì ir aprile. Lui è in fabbrica. Lei a casa, con Angelo e Alber­ to. Sono quasi le cinque del pomeriggio. I due giovani sono in cucina. Concentrati sui gesti, preparano un ordigno artigianale. Due chili di polvere da mina in ima pentola a pressione. Il con­ gegno a orologeria. L’innesco. Lampadina flash, clorato di sodio, capsula detonante. Dosano i movimenti. Uno dopo Faltro. Sono avvolti dai pensieri, non dalla paura. Non è la prima volta per i compagni di Thiene. Prendere l’esplosivo è facile. Basta andare di notte nelle cave di marmo sulle montagne del vicentino. Viene conservato sottoterra, e i militanti della zona conoscono i nascondigli. Antonietta è nella stanza accanto, da­ vanti alla sua macchina per cucire. Lavora. Un boato sordo spez­ za l’aria. Un fumo denso e scuro avvolge il palazzo, un odore acre toglie il flato. Mobili, vestiti finiscono scaraventati nel cor­ tile. Nefl’appartamento rimangono solo macerie. E tre giovani corpi straziati. Dolore, rabbia. Il passaparola è rapido. Sospendere tutto, ripuli­ re le case, mettere in salvo i compagni. Parte anche la macchina repressiva. Lorenzo è sconvolto. Deve nascondersi. È intestato a lui l’appartamento dove i compagni sono morti. Morti. Non gli sembra possibile. Morto Angelo, morto Alberto. Morta la sua Antonia. Cerca un posto sicuro. Viene arrestato a Bassano. Per­ quisizioni, ricerche, mandati di cattura. Finiscono in carcere la compagna di Alberto e la moglie di Angelo, che scopre di essere incinta mentre è detenuta. Ci sono vite che pesano come pium e e vite che pesano come mon­ tagne. Il volantino che rivendica i compagni viene fatto circola­ re, è letto a Radio Sherwood, presentato a una conferenza stam­ pa. A firmarlo, con i gruppi sociali, ci sono collettivi, comitati 7i

operai e di donne. I tre militanti, si dice, sono morti esprimendo la rabbia, Vodio, l'antagonismo di classe contro questo Stato, contro questa societàfondata ed organizzata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. /...] Antonietta Berna: comunista, compagna di movi­ mento. Una compagna che ha saputo fare k proprie scelte di vita, che ne ha sopportato tutte k conseguenzefino alla rottura con la fa ­ miglia. Tutti la ricordano nelle lotte, vive in tutti noi. La tensione è alta. La cerimonia funebre si trasforma in una prova di forza. Il 13 aprile, venerdì santo, il funerale di Maria Antonietta Berna parte dal duomo e arriva al cimitero di Thiene. I compagni seguono la bara formando un corteo silenzio­ so. Lorenzo non c'è, è in carcere. Non ci sono i militanti ricer­ cati dopo lo scoppio. Ma d sono alcuni lavoratori. Ricorda urf operaia della Spinnaker line: Quando entrai nella fabbrica la mattina del 12 aprik 1979 con gli occhi rossi dal pianto, k altre ope­ raie già sapevano che Angelo, Alberto e Antonietta erano morti di­ laniati da una bomba: spontaneamente ci fermammo in assem­ blea. Nessuno chiese il perché della loro scelta: li ricordammo per come li avevamo conosciuti, per quello che ci avevano dato. Deci­ demmo di partecipare ai funerali. Convinte, tanto da superare sbarramenti, perquisizioni. Polizia, elicotteri, posti di blocco, schedature non riescono a fermare alcune centinaia di persone. Le dorme, compagne di lotta, dedicano ad Antonietta l'ultima poesia. Gli slogan, il canto dell Intemazionale, i garofani rossi laudati sulla tomba. Poi qual­ cuno va in fretta a Chiappano, una frazione vicina, da Angelo Del Santo. Arriva tardi, è già stato sepolto. L'area è militarizzata. C'è chi si avvicina utilizzando sentieri attraverso i campi. Il gior­ no dopo a Sarcedo gli ultimi funerali. In molti riescono a supera­ re le barriere intorno alla città, per salutare Alberto Graziarli a pugno chiuso. Un pensiero di rabbia, di vendetta attraversa i cor­ tei dei mesi successivi: Compagni di Thiene non siete morti invano, altri compagni han preso il vostro mitra in mano!

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Tre autonomi morti mentre preparavano una bomba, titolano i giornali. Nella perquisizione dell'appartamento vengono ritro­ vati un mitra, una pistola, esplosivo, documenti vari, indica­ zioni per effettuare espropri nei grandi magazzini, dossier sot­ tratti all’Associazione industriali di Schio, una piantina della caserma dei carabinieri di Thiene, attaccata nel giugno del 1978 con una molotov nel cortile e una sventagliata di mitra sulla facciata. La stampa tenta di accanirsi contro i giovani, presentandoli come sfaccendati figli della piccola borghesia benestante. La realtà è diversa. La loro presenza nelle lotte è conosciuta da tutti nella zona. Alberto Graziarli stava per laurearsi in medicina. Angelo Del Santo, come altri militanti del Gruppo sociale, era operaio metalmeccanico e delegato sindacale. Fallito il tentativo di far passare i giovani per sbandati, Walter Tobagi lancia un nuovo filone, sulle pagine del «Corriere della Sera», andando a ricercare ogni loro frequentazione di patronati e parrocchie prima della militanza nell'Autonomia. Lorenzo sta male, in certi momenti non resiste. Ha perso tutto. Amore, lavoro, casa. Due compagni sono morti, la sua Antonia non c’è più. Il silenzio, la solitudine. Un vortice di do­ lore che non gli dà pace. Lancia grida di allarme che vagano ina­ scoltate. Ci prova due volte a farla finita, con i farmaci. Non in­ teressa ad Antonino Mundo, il medico del carcere di Vicenza dove Lorenzo effettua il primo tentativo di suicidio. Stabilisce che deve rimanere in isolamento. Appelli su appelli, nessun ri­ sultato. La disperazione aumenta. Diventa insopportabile. La notte del 19 giugno 1979, nel carcere di Verona, Lorenzo fa una corda con il lenzuolo e si impicca alla finestra del bagno della cella. Un breve messaggio ai familiari, affidato a un agghiac­ ciante iter burocratico. AI signor direttore della casa circondariale di Verona. Le sarei veramente grato se potessefa r pervenire ai mieifam iliari (Fam. Bortoli, via Lesina di sotto Santorso, Vicenza) il seguente te­ legramma: 73

Raggiunto Antonia. Vi prego di essere sepolto con lei. Vi assicuro che sto bene così. Un abbraccio. Dite a Vanna di non piangere, ma di ricordarsi come eravamo felici come ora che siamo nuovamente in­ sieme. Lorenzo. La pregherei di fa r pervenire anche il gruppo di fotografie, defal­ cando le spese dal mio conto personale. La ringrazio vivamente. La domanda ha la data del giorno precedente al suicidio. Il 24 giugno un corteo accompagna Lorenzo al cimitero di Thiene. È sepolto accanto a Antonietta. Antonino Mundo viene ferito il 1 dicembre 19 8 1 dal Fronte comunista per il contropotere. Nel volantino di rivendicazione si legge tra l'altro: 1 comunisti non dimenticano; come non hanno dimenticato Antonietta, Alberto, Angelo caduti combattendo per il comuniSmo, per un futuro senza galere, senza carceri, senza aguz­ zini, senza torturatori e senza sfruttamento. Antonietta e Lorenzo. Ventidue e ventisei anni.

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Anch’io ho diritto alla mia vita Annamaria Ludm ann- Cecilia Chiavari (Ge), g settembre 1947 - Genova, 28 marzo 1980

Esperta di volte celesti prima d'impallidire fermò l'occhio sulla stella più grande. Ed intanto fumava la luce nel nuovo giorno... santi notàrnicoia , Anna

Maria Ludmann «Cecilia», 1981

Hanno il colore grigio scuro dell’inchiostro, nella foto in bianco e nero, le pozze di sangue intorno ai corpi. Rivoli di morte che disegnano il filo dell’orrore. Quattro cadaveri uno dietro l’altro sul pavimento lungo il corridoio. Solo imo è vestito, dormiva in un sacco a pelo nel salotto. Gli altri erano a letto. Piedi scalzi, slip, magliette. Tire giovani uomini e una donna. Piombati dal sonno alla morte. Genova, 28 marzo 198 0. Il massacro di via Fracchia. La parola dal suono sgradevole rimbalza sulla stampa, nell’etere, negli atti giudiziari. Richiama alla mente la mac­ chietta televisiva di Paolo Villaggio. Diviene carica di sordi ran­ cori, urlati desideri di vendetta. Fracchia è invece uno scrittore vissuto fra Otto e Novecento. Umberto, il suo nome. Morto nel sonno per un incidente domestico. Ossido di carbonio emesso da una stufa. Pessimo scherzo del destino.

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È notte fonda quando i carabinieri irrompono nella base delle Brigate rosse. L’artefice dell’azione è Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il generale non va tanto per il sottile. È abituato a lancia­ re ai nemici messaggi di terrore. Come nel 1974, nell’assalto al carcere di Alessandria contro i detenuti in rivolta. Sette morti, il risultato. Due reclusi e cinque ostaggi. Nel 198 0 ha in mano ima pedina grossa. Patrizio Ped, dirigente della colonna torine­ se arrestato nel febbraio e subito passato dall altra parte. Dalla Chiesa punta in alto. Vuole ottenere il massimo. Il momento storico in Italia è particolare. Tinte decise, nes­ suna sfumatura. Il conflitto di classe è aspro. Rivoluzione con­ tro reazione. Bombe, attentati, sangue. Nei mesi precedenti la colonna genovese ha lanciato un attacco contro le forze di poli­ zia. Due carabinieri uccisi in un bar nel novembre 1979. Altri due il 25 gennaio successivo. Il generale vuole dare una risposta forte. Ped non si tira indietro. Seguendo le sue indicazioni viene individuata la base di via Fracchia 12, in un edifìcio sulle alture della città, nel quartiere Oregina. Una spiata completa, chiavi in mano, secondo qualcuno. Ma l'ipotesi non è confer­ mata. Il magistrato dichiara di aver trovato le serrature forzate. Giubbotti antiproiettile, caschi. I militari irrompono nell'appar­ tamento nel cuore della notte. Urla, tonfi sordi. Scaricano odio e piombo sui quattro giovani sorpresi nel sonno. A comandare il blitz è il capitano Michele Ricdo, alle dipen­ denze del tenente colonnello Nicolò Bozzo, responsabile per il nord Italia del reparto antiterrorismo di Dalla Chiesa. Ha inten­ zioni pesanti, come le armi che porta con sé. Entra facendo fuoco con un fucile a pompa, in grado di buttare giù pareti. Spara in risposta al colpo di pistola di un brigatista, sostiene. Partito subito dopo che dall’appartamento una voce maschile ha risposto all’intimazione di resa: Va bene, ci arrendiamo siamo di­ sarmati. Un comportamento in linea con le indicazioni date dal­ l’organizzazione ai suoi militanti. I carabinieri non ascoltano, seguono pensieri carichi di guerra. Era solo un modo per pren­ dere tempo, diranno poi. Il maresciallo Rinaldo Benà commet­ 76

te uri imprudenza. Alza la visiera antiproiettile del casco e rima­ ne ferito a un occhio. Secondo la versione ufficiale a sparare sono i brigatisti. Fuoco amico, ipotizzano altre ricostruzioni. Il proiettile, calibro 9, è di quelli in dotazione alle forze di polizia. In ogni caso, un solo colpo contro i quarantanove dei carabinie­ ri. Il primo a cadere nel corridoio è Riccardo Dura, il più vicino alla porta d'ingresso e il più lontano dalla pistola che dal fondo del corridoio avrebbe ferito il maresciallo. Ritrovata con un proiettile in canna percosso ma non esploso. I brigatisti vengo­ no centrati da dietro. Avanzavano carponi nel corridoio, armati, dicono i militari. Che aprono il fuoco freddandoli. La vita di Annamaria Ludmann si conclude così, a quasi trentatré anni, siri freddo pavimento in graniglia del corridoio di via Fracchia. Una bomba a mano sembra poggiata ad arte tra il volto e l’avambraccio. Una macchia di sangue vicino alla testa. In quella casa borghese di centoventi metri quadrati, custode di un mosaico di affetti familiari e di militanza politica. Ricordi ovattati ed emotivamente rassicuranti dell’adolescenza insieme a ruvide tracce di guerra. Una guerra combattuta in nome di un desiderio collettivo di giustizia sociale, della convinzione di poter tracciare a mano armata le linee di un futuro migliore. La rivoluzione non è un pranzo di gala. Annamaria è la prima a essere identificata. I vicini la conoscono fin dall adolescenza. Stupore. Una terrorista! Proprio lì, nella porta accanto? Stereotipi che stridono con la realtà, cristallizza­ ti cliché che si frantumano di fronte alla figura di una giovane discreta e gentile. Fino all’ultimo l’hanno vista prendere il sole e curare le piante del giardino che il padre aveva abbellito con ci­ liegi, mandorli e fiori di ogni tipo. Una foto la ritrae con i capel­ li raccolti, il viso pieno e sorridente, le lenti spesse da miope e un filo di perle al collo. Ha il fere di uriinsegnante, dicono di lei. Una ragazza seria, responsabile. Amava i libri e lo studio, sotto­ lineano familiari e conoscenti. Che tendono a presentarla come poco interessata alla politica. Al più, le attribuiscono qualche

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generica battuta su una situazione da buttare tutta all'aria, una società da cancellare. A voler avvolgere nel nulla la sua scelta. Sminuirla. Non la pensa così chi le è stato più vicino. Si definiva comunista, marxista-leninista, dicono. E il professore di ima scuola serale che Annamaria ha frequentato per un anno ricor­ da la sua chiarezza di posizioni sull 'ingiustizia sociale, le linee po­ litiche della sinistra tradizionale ritenute insufficienti. A distanza di tanti anni ha ancora viva nella mente una curiosa conversa­ zione con la sua allieva, sulla fugace e poco brillante esperienza da attore di LevTrockij, mentre era in esilio a New York. 1vicini di casa si soffermano su altri particolari. Negli ultimi tempi immaginavano finalmente sistemata quella donna un po’ solitaria. C era un ragazzo in casa. Alto, con la barba. Sem ­ pre gentile con tutti. Sicuramente è stato lui a plagiarla. In effet­ ti, recentemente alcuni giovani passavano ogni tanto di lì. Erano educati. Sembravano uguali ai loro figli, fratelli. Norma­ li. Militanti clandestini, invece. Annamaria gestiva urfimportante base dell'organizzazione. Stracolma di armi e materiali vari. Mitragliatori, un fucile, pistole, bombe a mano, bombe razzo antiuomo e anticarro, pani di esplosivo. Detonatori, micce, caricatori, pallottole. Documenti di identità in bianco e falsificati, schedari. Drappi delle Br. Nel dicembre precedente si era svolta proprio lì una riunione della Direzione strategica. Non ci vuole credere la signora Zora ascoltando la radio quella mattina. Le parole le si conficcano dentro come i proietti­ li che hanno appena ucciso sua figlia. La strada, Tappartamento, il nome. Il cervello rifiuta di collegare. Ma i carabinieri confer­ mano. Nella disperazione trova la forza di parlare con i giornali­ sti: Proprio l'altro ieri è venuta a trovarmi. Insieme siamo andate al cimitero. Era il terzo anniversario della morte di papà e assieme siamo andate a pregare sulla sua tomba. E ancora: La vedevo spesso. Veniva a trovarmi. Per me non era cambiata. Era tranquilla, sere­ na. Come sempre. Non era ricercata. Poteva coniugare la vita fa­ miliare di Annamaria con la militanza politica di Cecilia, il suo nome di battaglia.

Nata a Chiavari, figlia di profughi fiumani, nel 1963 Annama­ ria si trasferisce con la famiglia a Genova, andando ad abitare nell'appartamento di via Fracchia. Uriinfanzia all'insegna di un rigido perbenismo piccolo borghese. Un'adolescenza condizio­ nata da un padre autoritario, capitano marittimo, che fa pesare sulla sua unica figlia l’austera educazione ricevuta da giovane. Annamaria prende il diploma di maestra nella esclusiva scuola svizzera di Genova. Ambiente estraneo, imposto dai genitori. Ci va controvoglia. Poi impara il francese, il tedesco, l'inglese frequentando corsi di lingue in giro per l'Europa. Si iscrive al­ l'università. Gli studi vanno a rilento. Nel Sessantotto partecipa alle manifestazioni di piazza e i conflitti familiari diventano più acuti. Accetta comunque il lavoro scelto dal padre e si ritro­ va a fare da interprete all'Hotel Regina Elena di Santa Marghe­ rita. Presto si licenzia. Nel 1970 si lega sentimentalmente al fi­ glio di un noto professionista della zona. Più giovane di tre anni, ha appena preso il diploma di perito tecnico. Il signor Ludmann non lo vede di buon occhio, e come sempre mette i bastoni fra le ruote. La ragazza stavolta non ci sta e nel dicem­ bre lo sposa. Vanno a vivere dalla famiglia di lui. Il rapporto non funziona. Non avevo voluto dare retta ai miei genitori, dice il m a­ rito intervistato dopo i fa tti di via Fracchia, ma ben presto, si pud dire all'indomani del matrimonio, m i accorsi che Annam aria mi aveva sposato non per amore, ma per rendersi indipendente dal padre, per sfuggire a quello che lei definiva sono molto lontane dagfi scenari di grande pericolo sociale su cui era stata co­ struita la notizia dell'arresto del terzetto. Hanno scomodato il terrorismo scambiando petardi per bombe, scrive Pino Cacucd. Il 31 gennaio 2000 Silvano, dichia­ ratosi estraneo agli attentati e ai Lupi grigi, è condannato in primo grado a 6 anni e io m esi Viene liberato nel marzo 2002. Una sentenza della Cassazione riconosce Finconsistenza delle prove relative all’associazione sovversiva. Ma il meccanismo della giustizia ha stritolato due giovani vite. A nosotros nos quiere muertos porque somos sus enemigos yn ole servimos para nada porque no somos sus esclavos. MARIA SOLEDAD ROSAS,

1998.

Le lettere di Soledad sono scritte in un italiano mischiato con alcune parole di spagnolo. Avrei voluto riportarle senza modifiche. Ma alcune le ho trovate solo in una traduzione spagnola. Per questo ho scelto un criterio univoco, pubbli­ cando tutti i testi corretti, anche se per quelli ritradotti dallo spagnolo la forma è certamente diversa dalforiginale. In qualche lettera sono stati effettuati tagli non segnalati per non interrompere la fluidità del discorso. Gli scritti di Sole sono ripresi dai libri citati in Per saperne di più.

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La determinazione rivoluzionaria sostiene le mie giornate qui Diana Blefari Melazzi Roma, 4 aprile 19 6 9 - 31 ottobre 2009

Per Diana Splendido uccello dalle piume trasparenti ti ha ucciso la gabbia e chi Xha costruita e ti ha rinchiusa quando libera volavi non ti bastavano ì deli bassi t grigi sporchi di nera ingordigia dei padroni hai scelto la lotta per salire più in alto verso il sole, rosso La luna ora colora d'argento le tue piume Uno stormo si libra nell'aria s’innalza a salutarti sono i nostri pugni stretti i nostri cuori rossi puntano al sole dell'avvenire anonimo , Dedicato alla compagna «Maria», 2009

La sequenza è fulminea e inaspettata. Un'ombra scura, una sa­ goma più nitida, un animale che attraversa veloce la strada e scompare nella boscaglia. Un grande felino alle porte di Roma. Due giovani avvisano il 113 e la notizia corre veloce. Il safari m e­ tropolitano è affannoso e grottesco. Polizia, carabinieri, doma­ tori, vigili urbani, cacciatori... Con tanto di macchine, moto, eli­ cotteri, fruste e sedativi. È la notte del 27 dicembre 1989. Passa­ 121

no i giorni e gli avvistamenti si moltiplicano. Come le telefona­ te alla questura. La pantera nera è ovunque. Ubiqua e inafferra­ bile, si muove a grandi balzi fra la provincia e la città. Ricerche spasmodiche, per giorni. Nessuna traccia. L'improbabile preda­ tore ricompare poco dopo come simbolo degli studenti in lotta. Facoltà occupate per protestare contro il progetto di riforma che dà il via alla privatizzazione dell'università italiana. Autore, il Ministro dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica Antonio Ruberti. Nasce il movimento della Pantera. Come logo, il simbolo del Black Panther Party. Manifestazioni, assem­ blee, cortei e spettacoli. Lotta e ironia. La scoperta dei fax per coordinare e diffondere protesta. La pantera siamo noi, è lo slo­ gan degli studenti. Denunce, irruzioni della polizia. Dura poco più di un inverno. Il governo approva alcune modifiche alla legge, e in primavera si dissolve raccordo fra le diverse anime del movimento. Votazioni su votazioni a paralizzare tutto. La mobilitazione rientra. Fra i giovani della Pantera romana c'è una ventenne iscritta al­ l’università La Sapienza. Frequenta Scienze biologiche, dopo il liceo classico. Si chiama Diana Blefari Melazzi. Cognome bla­ sonato, famiglia borghese. Ambienti per lei estranei. Si ricono­ sce nel percorso di trasformazione sociale e politica. Fuori dai partiti, nei movimenti. Il suo mondo è quello dell'antagoni­ smo. Collettivi, comitati, centri sociali. Realtà immerse in anni assopiti, frammentati. La Pantera produce una scossa di ener­ gia. Le piazze della protesta si riempiono di studenti. Diana è nei cortei, nelle assemblee, nell'occupazione di una delle aulette blu, prefabbricati temporanei solo nelle intenzioni. Incon­ grui parallelepipedi nel marmoreo panorama della Città uni­ versitaria. Negli anni Novanta Yauletta è autogestita dagli stu­ denti. Sede del Collettivo di Scienze biologiche e naturali. Spazi di resistenza, umana e politica. Spazi di cambiamento. Alle pareti manifesti, un ritratto di Mao, murales dai colori vi­ vaci... Diana è lì. Riunioni, mostre, iniziative. Scontri con la po­ 122

lizia, risse con i neofascisti per la difesa di sedi e militanti. Nel 19 93 testimonia al processo contro alcuni squadristi accusati di aggressione nei confronti di Gianluca Peciola. Ma sgrida un altro suo compagno, Andrea Catarci, per averne colpito uno con il megafono, dopo una manifestazione universitaria di­ sturbata dal lancio di oggetti da parte di alcuni attivisti della de­ stra protetti dalla polizia. Quando ci incontrammo mi prese da una parte e mi disse che non bastava aver ragione ma che bisognava anche saperla mantenere, la ragione appunto. Amicizie poi di­ sperse nei differenti sentieri di vita. Diana si entusiasma per rinsurrezione zapatista in Chiapas, la rivolta degli indios della selva Lacandona degli inizi del 1994. jPara todos todo, nuda para nosotros! Partecipa a iniziative di soli­ darietà con i prigionieri politici italiani. In una foto tiene un car­ tello. Per la scarcerazione di un detenuto delle Brigate rosse in gravi condizioni di salute. Libertà per Prospero GaUinari. Lo Stato italiano propaganda democrazia ma continuamente rinchiude nelle proprie galere,fino afior morire, tutti coloro che si oppongono al suo regime. Così come non ne vuol sapere di riconoscere la legittimità del conflitto politico-sociale degli anni Settanta-Ottanta, nonostante sia sotto gli occhi di tutti il grado di corruzione che ha caratterizzato il ceto politico che ha governato negjà ultimi cinquantanni. Uauletta è anche uno spazio di socialità. Condivisione di vita. Esclusioni in montagna, serate in birreria, lezioni e com­ battimenti di karaté nella palestra vicino al Teatro Ateneo. Per un periodo Diana lavora come cameriera nel vivace quartiere di San Lorenzo. Voglia di autonomia. Ha lasciato la famiglia an­ dando a vivere con la sorella. Poi rimane sola in una casa affitta­ ta nella zona popolare del Pigneto. Dopo dieci esami non ce la fa. Frequenta un corso di software della Regione Lazio e va a la­ vorare in una multinazionale del! informatica. Ma non abban­ dona le iniziative dell’antagonismo romano. Nell’ottobre 19 9 6 vengono sgomberati gli occupanti di una struttura abbandona­ ta del Servizio giardini al Quadraro. Un quartiere simbolo della Resistenza romana. Nido di vespe, lo chiamavano i tedeschi. La 123

reazione è decisa, determinata. Sono subito arrestati tre occu­ panti, poi altri giovani di un centro sociale accusati di aver dan­ neggiato nel corso della protesta alcuni locali circoscrizionali. Insieme ai suoi compagni Diana espone uno striscione. Attira l’attenzione della Digos, riferirà il dirigente Lamberto Giannini, perché riportava sotto la stella a cinque punte, ma non è che c'erano simbologie eversive o terroristiche. La stella, emblema storico del movimento operaio. Quanto basta per una segnalazione. La stella incriminata, quella clandestina, riappare il 20 maggio 19 9 9 , quando a Roma viene ucciso Massimo D’Antona. Collaboratore del governo nella ristrutturazione del merca­ to del lavoro, nella regolamentazione del diritto di sciopero. Un attacco alle condizioni di vita dei lavoratori. I sindacati della classe operaia collaborano. Brigate rosse p erla costruzio­ ne del Partito comunista combattente, è la firma. Utilizzo di un marchio doc che provoca una lunga scia di dibattiti. Il periodo è caldo. Dal mese di marzo il governo di centrosinistra fa piove­ re bombe sul Kosovo. Intervento umanitario, lo chiamano. R i­ pulito look semantico della guerra, stessa volontà di conquista­ re territori e mercati. "\ La primavera del 20 0 0 irrompe con un buio glaciale nel ctipre di Diana. Ad aprile un volo di otto piani chiude la vita tormentata di sua madre. Su quelTasfalto macchiato di morte lascia una parte di sé. Ma la vita prosegue. Perde Timpiego nella ditta, si adatta a correre per le strade di Roma come pony express. Nel 2 0 0 2 va a lavorare part-time in uri edicola. È ancora buio quando la matti­ na alle 5.30 arriva con la sua Honda 350 rossa. Una passione che rompe schemi. Nella corsa in moto prova un senso di libertà. Mora, capelli lunghi e mossi, ha un fare deciso, energia nei gesti e nelle espressioni. Regge bene la fatica, il freddo invernale che entra acuto nelle ossa. Nel luglio 2003 trova un secondo impie­ go pomeridiano da un altro giornalaio. È seria, gentile, affidabi­ le. La apprezzano i datori di lavoro. Le vogliono bene i suoi com­ pagni. Rigida e dolce, la descrivono. Quando uri amica le comu­ 124

nica di volersi trasferire all’estero per amore Diana si arrabbia. Non si rinuncia alla propria vita per un uomo. Affettuosa e iro­ nica, le regala una pecora nera di peluche. Il 19 marzo 20 0 2 a Bologna le Brigate rosse per la costruzio­ ne del Partito comunista combattente uccidono Marco Biagi. Giuslavorista, collaboratore del governo. Impegnato in un dise­ gno di aumento della flessibilità e precarietà del lavoro. Gli in­ quirenti procedono a passi casuali, disordinati. Pescano nel mucchio sperando in un colpo di fortuna. La vita di Diana mar­ cia su due binari paralleli. Il conto alla rovescia inizia una do­ menica mattina. Il 2 marzo 2003, su un treno interregionale Roma-Firenze. A bordo ci sono due brigatisti. Atmosfera pigra, controlli di routine. Alla richiesta di documenti da parte di alcu­ ni agenti della Polizia ferroviaria inizia la sparatoria. Muoiono Mario Galesi, militante delle Br-Pcc e il sovrintendente Ema­ nuele Petri. Viene catturata Nadia Lioce. Frenetica analisi dei materiali sequestrati. Dei contatti telefonici. È la svolta. Il 24 ottobre 2003 la notizia corre veloce e tronfia. Gli inquiren­ ti esultano. Per Diana è di quelle che richiedono decisioni im ­ mediate. Solitarie. Senza sfumature. Sette compagni sono stati arrestati, fra Roma e Firenze. Accuse da ergastolo. Gli omicidi D’Antona e Biagi. Prende pochi effetti personali, soldi, docu­ menti di identità veri e falsi e lascia la sua casa al Pigneto. Non vuole coinvolgere amici e familiari pur se non è ancora ricerca­ ta. Spegne il cellulare e va. Ha ben chiaro il perché della sua scel­ ta, come scriverà nell’agosto 2005 dal carcere di Benevento: H connubio donne-politica rivoluzionaria non ha nulla di romantico 0 intrigante. È il risultato di un processo storico già attestato da anni, anche e soprattutto nella storia delle Br, che ha a che vedere con le doppie motivazioni che una donna ha nell’abbattere lo stato di cose presenti, e con la determinazione che la contraddistingue per l’abitu­ dine e necessità ad assumersi responsabilità sociali e collettive. Pas­ sano i giorni e la stanchezza cresce. Sente il cerchio stringersi. Sa di non potercela fare da sola m a non intende arrendersi. Af125

fitta una casa. Per recuperare le forze, trovare un po’ di pace. La tranquillità dura poche ore. Il 20 dicembre gli inquirenti sono arrivati in uno scantinato di via Raimondo Montecuccoli. Quartiere Prenestino, periferia sud orientale di Roma. Un colpo grosso. Una base operativa. Ci sono documenti dell’organizzazione e un archivio politico, grandi quantità di esplosivo, detonatori, bombe a mano, muni­ zioni, materiali informatici e programmi di criptazione, targhe automobilistiche, divise delle forze di polizia, documenti di identità in bianco e oggetti vari utilizzati nell’attività del gruppo. Accanto a testimonianze di vita quotidiana. Un elenco che si snoda in 390 pagine. C ’è molto. Non c’è tutto. Mancano le armi. La pistola usata per uccidere D'Antona e Biagi. Gli investigatori trovano nomi di battaglia e sigle usate dai militanti in singole operazioni, secondo i criteri di una rigida compartimentazione. Alla stampa dichiarano: Sono assai di più di quello che avevamo pensato, un gruppo articolato e diffuso nel territorio. A fine settembre Diana ha firmato il contratto con il suo vero nome, pagando fino a gennaio e lasciando il numero telefonico di casa. Scatta lordine di arresto. È ufficialmente latitante. La caccia è frenetica. Viene subito perquisito Pappartamento del Pigneto, non lontano dalla cantina. È abbandonato. Ma custodi­ sce numerose tracce delPorganizzazione. Alcuni oggetti sono riconosciuti in un filmato individuato dagli agenti della Digos, girato il 18 ottobre dalla telecamera di sorveglianza del deposito Easy Box, nei pressi del cimitero del Verano. Un uomo e una donna ripresi a trasferite borse, scatole e altro. In buona parte saranno trasportati neDa cantina di via Montecuccoli. Viene dif­ fusa la foto. Fermo immagine sfocato di una donna che spinge un carrello nei corridoi del magazzino. Difficile identificarla. Ma qualcuno la riconosce, sembra. Viene sorpresa la notte del 22 dicembre in un miniapparta­ mento di un residence a Santa Marinella. Il mare vicino Roma. 126

Una casetta rosa, affollata di vita in estate, grigia e desolata nelTatmosfera invernale. La Digos romana e la Squadra mobile di Viterbo circondano f edifìcio. Poi Umazione. Buttano giù la porta. Entrano ad armi spianate. Diana non è a letto. I giornali danno ima ricostruzione fantasiosa e sceneggiata. Da film we­ stern, come i nomi di copertura degli agenti della Digos che ne hanno seguito le tracce. La squadra degli Indiani. Toro seduto. Lacrima veloce. Lingua felpata. Orso pesante. Raggio di luna il loro capo. Ovvero Laura Tintisona, presente al momento delfarresto. Diana precisa, in due lettere dal carcere: Non ero affatto chiu­ sa dentro un armadio a muro... li aspettavo ferm a, in piedi davanti alla porta ma a una quindicina di metri di distanza e in penombra, per cui quando hanno abbattuto la porta si aspettavano di trovarmi a letto e invece mi hanno trovato là davanti.......Non ho alzato le mani sia perché non mi ero arresafinora e non vedevo perchéfarlo in quel momento, con l'odio che provavo, ma anche perché non sapevo che avevano intenzione di fare e pensavo che non sarebbe servito a molto... via Gracchia la conosciamo, no? Cosi l'unica cosa che ho fatto è stato togliermi dalla linea di tiro, e a quel punto loro sono en­ trati, mi hanno presa e stesa in terra afaccia in giù. Le trovano documenti di identità falsi, oltre quarantamila euro in contanti. Niente armi né cellulari. La portano in questu­ ra. Pesanti pressioni psicologiche per farla parlare, come il dirmi che in carcere mi sarei suicidata. Vogliono sapere dove sono le armi. Arriva Lamberto Giannini, uno degli uomini che l'ha ar­ restata. Diana non cede. Il giochetto dei buoni e dei cattivi... pensa­ vo che ormai lofacessero solo neifilm ! Il giorno dopo, quando esce davanti a ima parata di giornalisti, il suo volto è scoperto, lo sguardo duro e sprezzante. Davanti ai giudici si dichiara m ili­ tante rivoluzionaria del Partito comunista combattente e rifiuta di rispondere alle domande. Militante rivoluzionaria. Associata all’organizzazione, dirà in seguito. Per gli addetti ai lavori non sono semplici sfumature. Comunicano che il suo molo non è quello di un quadro operativo. 127

Viene portata nel carcere di Rebibbia. In isolamento. È tran­ quilla, su di morale, contesta le falsità pubblicate sulTarresto e la sua famiglia. È chiaro che la prospettiva è dura da sostenere ma mi sentoforte. Va all'aria, fa molta ginnastica, è accurata nelle pu­ lizie, guarda la tv. E soprattutto legge. Osserva il sole sorgere, e la mattina ho mezza cella con i raggi diretti, anche se ovviamente proiettano su muri e pavimento ifam osi scacchi dette sbarre! Scrive lettere, ricopia una poesia «rivoluzionar-carceraria» che le ha regalato una detenuta. Versi di José Balmon Castell, mi­ litante del Pce(r) rinchiuso in una prigione spagnola. Echi bre­ chtiani. O tutti o nessuno. /O tu ola tua classe. /O la tuafam iglia o tutto il popolo. / O i tuoifigli o ifigli di tutti gii operai. / O latitudine o l’amore. / O la paura o la dignità. jO il tradimento o il Partito. / O la schiavitù o la Rivoluzione. / Uno solo non può salvarsi... Diana sottolinea: Ti mando questa perché penso che esprima bene tutto l’orgoglio e la determinazione rivoluzionaria che sosten­ gono le mie giornate qui. Nella stessa lettera spiega: Ho fatto una scelta chiara e defini­ ta, necessaria nel mo mento in cui maturavo una consapevolezza po­ litica che ha iniziato a trovare risposte alla storica domanda del «che fare?» comunista. La mia posizione, quindi, si è andata a costruire sulla teoria e la prassi di una strategia rivoluzionaria che in Italia, in 30 anni di scontro, ha costruito gli strumenti adeguati per dare ri­ sposte agli interessi autonomi del proletariato... Dichiarare una mi­ litanza rivoluzionaria non vuol dire «confessare» dei reati, ma si­ gnifica predisporsi a gestire un processo secondo uriottica politica... Non significa soltanto «non fare nomi»... ma significa rivendicare fino infondo la propria identità politica, e opporsi a un procedimen­ to che ha come scopo non quello di condannare dei reati penali, ma di processare e impedire un’ipotesi rivoluzionaria, un'istanza e ne­ cessità politica e sociale, cosa che nessun tribunale del mondo riu­ scirà mai a fare, per quanti secoli di galera riusciranno a infliggere! Per questo io al processo non sarò sola e non vi parteciperò solo come Diana Blejuri, ma come militante rivoluzionaria per la co­ struzione del Partito comunista combattente. 128

Nell'estate 2004, alla nascita del figlio, Cinzia Bandii entra nel mercato della trattativa e degli sconti. Inizia a collaborare. NelFottobre precedente aveva messo piede in carcere carica di dubbi e in attesa di un bambino. Lacerata da una vita a due di­ mensioni. La sua militanza era stata discontinua già prima della cattura. In un'organizzazione clandestina non è possibile. Crea problemi di sicurezza. Critiche di inaffidabilità. La pentita, che afferma di non aver conosduto Diana, accusa una militante con il nome operativo di Maria di aver preso parte all'inchiesta preparatoria per Fuccisione di Marco Biagi, di averlo seguito a Modena e Bologna, di aver avuto il ruolo di staffetta la sera deirazione, di aver inviato da un internet point il documento di ri­ vendicazione. Quanto basta per imputare Diana. Gli investiga­ tori attribuiscono a lei le sigle M. e Mrt. Viene accusata anche di aver partecipato a un'azione di finanziamento a Firenze che aveva fruttato sessantaduemila euro. E di essere Fautrice di un documento interno. Schematiche riflessioni su come adeguare l'organizzazione nelle condizioni di arretramento e ripiega­ mento. Situazione difficile. Nessuna volontà di resa. Il 20 settembre 20 0 4 nell'udienza preliminare del processo D’Antona, a porte chiuse Diana dichiara: Ribadisco la rivendica­ zione, già fatta al momento delVarresto, di militanza rivoluziona­ ria come contributo dato alla costruzione del Partito comunista combattente. Ai processi di primo grado a Roma e Bologna è presente. Ha lo sguardo pensieroso dietro le sbarre, a volte assente, altre sor­ ride parlando con i suoi compagni. Con cui condivide la gabbia, pur avendo una posizione diversa. Non revoca gli avvocati ma impedisce loro la difesa tecnica. Tanto da avere screzi con alcu­ ni coimputati. All'udienza del 19 aprile 2005 del processo Biagi dichiara lapidaria. Non intendo rispondere a nessuna domanda. Il 1 giugno arriva la condanna della Corte di Assise di Bolo­ gna. La parola che seppellisce vite. Ergastolo. Basata in buona parte su indizi e sulle dichiarazioni della pentita. Nel luglio 129

2005 le arrivano altri 9 anni e 6 mesi a Roma per concorso in banda armata. Fine pena mai, e il carcere duro delfart. 4 1 bis, «per la propria appartenenza ai movimenti eversivi d'estrema sinistra». Sospensione di diritti. Sottrazione di affetti. Cella sin­ gola. Un colloquio al mese con vetri divisori e citofoni. Limita­ zione di pacchi, lettere, ore d'aria, socialità. Divieti. Nel giugno 2005 viene trasferita a Benevento. Inizialmente ironizza. Sto cercando di ricordarmi notizie su Benevento, di cui non mi ricordo manco la posizione precisa rispetto a Napoli. Per ora mi è venuto in mente solo qualcosa legato alle streghe, per cui mi sa che m'hanno messo nel posto adatto! Più volte ri ritorna, si firma la Strega di Benevento, e la disegna su una scopa volante nelle lettere ancora colorate che scrive a compagni e amici, ar­ ricchite da immagini ritagliate dai giornali. Durante l'estate manifesta i primi segni di smarrimento. Ma le motivazioni che l'hanno portata in carcere rimangono intatte: Penso che la stra­ tegia della lotta armata e la linea delVO. siano le uniche in grado di dare risposte alle necessità politiche del proletariato. E non ha in­ certezze: L'avere la responsabilità personale delle azioni che le BrPcc hanno prodotto, di tutte quelle che mi hanno imputato e pure di altre che non mi hanno imputato, mi riempie difierezza per il con­ tributo che ho dato al processo rivoluzionario, e me le rivendicherò sempre... La rivendicazione della mia responsabilità personale vale anche per gli espropri, attività prim aria e necessaria nella costru­ zione di un'Organizzazione comunista combattente, che hanno anche un fondamento politico nella loro rappresentazione e prefi­ gurazione detta riappropriazione, con la violenza, dei mezzi di produzione da parte del proletariato. Rispetto alla detenzione scrive: Quello che ti succede fa parte della guerra, che non è solo con e contro le Br-Pcc e i militanti a essa associati come me, ma è anche contro tutto il campo proletario e ri­ voluzionario, ogni istanza rivoluzionaria, comunista e di classe... ...Si dice, ed è reale, mai come ora, che i prigionieri rivoluzionari sono ostaggi che vengono utilizzati dal nemico contro tutto il prole­ tariato per intimorirlo e tenerlo a bada. 130

Poco a poco chiude le porte al mondo. Trova rifugio in un uni­ verso di solitudine e silenzio. Rifiuta i contatti umani. Spesso diffida delle altre detenute, ha comportamenti altalenanti con avvocati e familiari. Indifferenza alla vita e alle condizioni del carcere duro come difesa. Talvolta rinuncia all'unico colloquio mensile concesso dal 41 bis, All'ora d'aria. Aggressività in caso di insistenza. Sfoghi di rabbia. Distruzione di oggetti. Di tele­ visori, nei cui schermi si materializzano i mostri della mente. Alterna periodi di tranquillità a momenti di rifiuto della vita. Passa intere giornate a letto rintanata sotto le coperte tirate fin sopra il viso. Sguardo nel vuoto, mimica spenta. Dormiveglia esistenziale. Voglia di farla finita. Deliri persecutori. Rifiuto del cibo alternato a periodi di disordine alimentare. Timore di esse­ re avvelenata. Paura di complotti organizzati persino da Massi­ mo D Alem a. In altri periodi cura la sua persona, tiene ordinata la cella. Fa solitari con un mazzo di carte che si è costruita da sola. Ha un breve miglioramento quando a Rebibbia viene messa in cella con una coimputata. Scrive, disegna, mangia. Poi un nuovo crollo. Scambia la compagna per la sorella. La sua mente scivola in urfaltra realtà. Il fragile equilibrio psicologico è legato a un filo sottile. Basta poco per romperlo. Il sequestro di un elaborato lavoro a maglia che ordiva da mesi, Tannullamento di un colloquio con i familiari per urf ispezione ministeriale. Li vive come tradimento di affetti. Inizia la trafila degli accertamenti per verificare se è in grado di stare in giudizio. Un iter umiliante di perizie, relazioni sani­ tarie, richieste di approfondimento diagnostico. E un ping pong di diagnosi e valutazioni sulla gravità della malattia: Disturbo post traumatico da stress... psicosi... elementi paranoidei di origine psicotica... schizofrenia paranoide... sindrome delirante cronica... disturbo bipolare... Diana rifiuta medici e terapie. Le conclusioni di parte e del tribunale sono divergenti. Nel frattempo viene spedita e rispedita da un penitenziario alf altro. Nei primi tempi ci aveva scherzato su. Scriverò una Guida Michelin sui carceri italian i Rebibbia, Civitavecchia, Bologna, Be­

nevento, LAquila... Alcuni periodi nel Centro di osservazione psichiatrica di SoUicdano seguiti dal ritorno nell’istituto di pro­ venienza. Perché ritenuta idonea «ad un contesto detentivo or­ dinario», se dotato di un servizio psicologico-psichiatrico che garantisca un controllo costante. Il consulente di parte conte­ sta. Spiega le fasi cicliche della malattia. Ci sono perizie che li­ quidano tutto con una lettura politica. Il professor Maurizio Marasco ri tiene Diana «capace di stare e interagire nel procedi­ mento penale che la vede coinvolta in Corte d’Assise d’Appello, nell’ambito del quale un suo eventuale comportamento opposi­ tivo andrebbe letto e interpretato non necessariamente come sintomatico di una infermità di mente, ma come reazione coe­ rente al suo abituale modo di porsi. Non bisogna dimenticare che si tratta di uri esponente del terrorismo fortemente ideolo­ gizzato e nell’ambito del quale gli aspetti psico-comportamen­ tali declinati sembrano condizionati anche da motivazioni di aspra lotta e contestazione allo Stato, al sistema e alle istituzio­ ni». Lo spietato meccanismo della giustizia avanza come una ruspa schiacciando sempre più la vita e la resistenza di Diana. Caterina Calia e Valerio Spigarelli, i suoi avvocati, lanciano grida di allarme. Chiedono la sospensione del regime di carcere duro delTart 41 bis, a cui Diana è ripetutamente sottoposta dal settembre 2005, e il trasferimento in un carcere idoneo. Chie­ dono che sia portata a Latina, dove Paffiatato gruppo delle dete­ nute politiche è disponibile ad aiutarla. Chiedono lo stralcio dal processo, per incapacità di stare in giudizio. Si scontrano con un muro di gomma. Non sono i soli a denunciare la situazione. Diana Blefari rischia di morire in carcere, titola un articolo de «il manifesto» già nel marzo 2006. Segnalano la gravità del suo stato psico-fisico alcuni parlamentari, se ne occupa il Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, se ne interessa Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi. Una relazione sanitaria dei medici di Rebibbia conferma: 132

«Persistendo tale situazione aumenta giorno dopo giorno per la paziente il rischio di vita. Trattandosi inoltre di soggetto psicoti­ co con ideazione persecutoria nei confronti delle istituzioni che la limitano nella propria autonomia aumenta anche il rischio di atti autolesionistiti impulsivi che potrebbero essere fatali». Al­ larmi chiari, ripetuti da più parti. Non ascoltati Il 26 gennaio 2007 il Tribunale di sorveglianza di Roma re­ spinge la richiesta di sospensione dell'art. 4 1 bis. «Ragioni di or­ dine e sicurezza pubblica che inducono a differenziare il regime detentivo nei confronti di quei soggetti detenuti per fotti di ever­ sione e terrorismo, che in ragione del ruolo rivestito nel gruppo criminale di appartenenza, attraverso l’elaborazione delle linee programmatiche e la definizione delle strategie del partito com­ battente, siano in grado di mantenere contatti con esponenti tut­ tora liberi dell’organizzazione eversiva di appartenenza». Ancora il 26 settembre 2007 il Ministro della Giustizia, Cle­ mente Mastella, le rinnova il regime di carcere duro. Ci sono state varie iniziative a sostegno dei prigionieri politici. «A fron­ te di tale ondata di consensi urieventuale mancata proroga dell’art. 41 bis nei confronti della Blefori potrebbe essere interpre­ tata dal variegato movimento antagonista come un attestato del­ l’efficacia della campagna di solidarietà condotta, e dai terroristi in carcere come un segnale della ripresa della capacità rivolu­ zionaria della classe». Il guardasigilli specifica. Non vi è stato «alcun attestato di dissociazione o di rifiuto della lotta armata» da parte della brigatista. Due mesi dopo viene accolto il ricorso della difesa. Non vi sono elementi per valutare la persistenza della sua pericolosità. Il 2 agosto 2007, in una situazione di lucido malessere, Diana comunicava in una breve lettera a un suo compagno de­ tenuto: Soffro molto di questo regime, tanto da non riuscire a scrive­ re e da non riuscire più a distinguere Ugiorno dalla notte e la mano destra da quella sinistra. Ormai è chiaro che ne uscirò malissimo. La declassificazione dal regime di carcere duro arriva nel 2008. Troppo tardi. Diana inizialmente non vuole uscire dalla D3

sezione speciale poi accetta passivamente la situazione, ma continua a rifiutare qualsiasi forma di socialità. Una mattina di primavera in preda a una crisi di ira aggredisce una vigilatrice. Viene denunciata. All’inizio del 2009 a SoUicdano, dove è detenuta in una sezione comune dopo l’ennesimo periodo nel reparto psichiatrico, le vengono autorizzati i colloqui con un suo ex compagno. Un af­ fetto forte, un legame profondo. Lui le è stato vicino per tutto il periodo della detenzione. Il permesso è probabilmente conces­ so su sollecitazione della Digos a scopi investigativi. Tre dei quattro colloqui sono videoregistrati. L'amico verrà arrestato con l’accusa di banda armata un mese prima della morte di Diana e assolto dopo diciotto mesi di carcere. Reato di solida­ rietà verso una persona «colpevole». Con il passare dei mesi Diana appare sempre più prostrata. Dopo anni trascorsi senza scrivere affida alla penna i momenti di disperazione. Le sensazioni inspiegabili. L’impossibilità di gestirle. Vomito, crampi, vampate di calore, giramenti di testa, dolori, paresi alle mani, voci interne, allucinazioni visive. Lo sente, lo scrive. Lettere spesso non concluse. Urlate o velate ri­ chieste di aiuto. I disegni non ci sono più. La grafia appare a volte tormentata. Diana non esce dalla cella. L'immagine di sua madre le ritorna come ombra angosciante sulle mura della sua prigione. Ripete di voler morire. Riso, pianto, rabbia. Reazioni esasperate per un rumore, un odore, uriimmagine. Le sembra che la radio e la tv intercettino, ascoltino e commentino i suoi pensieri. Il 21 ottobre viene riportata a Rebibbia. Cella singola con la porta blindata sempre aperta, vicino alle agenti di guar­ dia, Gli inquirenti spingono su di lei. Puntano a un colloquio in­ vestigativo. Un tentativo subdolo e martellante di usare i cedi­ menti per ottenere una collaborazione. Diana è debole, schiac­ ciata dalla malattia ma continua a dire no. Negli ultimi giorni di ottobre uno dei suoi legali entra in carce­ 134

re con una notizia pesante. La condanna definitiva per romici­ dio Biagi. Senza più speranza. Senza più un dopo. Ergastolo. Intanto Tamia) con cui faceva i colloqui è rinchiuso in carcere. Intanto la sofferenza psichica in alcuni momenti è insopporta­ bile. Rifiuta di vedere il capo della Digos. Rigetto istintivo, vi­ scerale, assoluto. La mattina del 31 ottobre incontra di nuovo l'avvocato Valerio Spigarelli, e lo stesso giorno fa depositare una dichiarazione per gli inquirenti. Nel pomeriggio le arriva la no­ tifica scritta della sentenza. Rimane sola con il peso della con­ danna a vita e i fantasmi della mente. Il volto in fiamme. Il freddo dentro. Vibrazioni interiori. Scintil­ le nel cervello. Voci silenziose che tuonano nella testa. Senza tregua, senza pietà. Intrusioni invisibili, impalpabili. Rimbal­ zano fra le pareti della cella. Pensieri estranei e appuntiti. Senti­ menti lacerati. Immagini martellanti. Crescono, si moltiplica­ no, invadono ogni angolo del corpo. Si accumulano in un magma che tutto travolge, miscela, confonde. Capogiro, sensa­ zione di svenimento. Corpo bloccato, paralizzato. Solo le mani si muovono. La testa, un poco. Solitudine. Debolezza. Colpa. Nausea. Un vortice cupo. Stretto. Un tunnel chiuso. Senza pos­ sibilità di luce. Il foglio, il disegno. Disperazione. Le celle sono chiuse, la notte è insopportabile. Spegnere il cervello. Chiuder­ lo a interventi esterni. Tagliare il lenzuolo. La finestra, le sbarre. Il buio fuori, il buio dentro. Annodare il lenzuolo. Un ultimo salto. Verso la fine. Verso la quiete. Intorno alle 22.30 alla vigilatrice arriva un rumore sordo. Trova Diana impiccata nella sua cella. Ho constatato che la sistemazione in carcere di Diana Blefarì M elazzi era corretta e che le recenti visite psichiatriche deponevano per una sua relativa tranquillità, dichiara Franco Ionta, capo del Dipartimento deiram m inistrazione penitenziaria (Dap). In molti parlano di suicidio annunciato. Oppure, più apertamen­ te, di omicidio di Stato. i35

Delle ultime ore di Diana Blefari rimangono molti elementi non chiariti. Alcuni dati sono certi. Le sue condizioni psichiche si erano aggravate e in molti le rite­ nevano incompatibili conia detenzione. Il 27 ottobre 2009 la prima Sezione pe­ nale della Corte suprema di Cassazione rende definitiva la condanna all’ergasto­ loper concorso neltomicidio di Marco Biagi. Il carcere a vita le era già statoinflit­ to in primo e secondo grado, ma il 2 dicembre 2007 la Cassazione aveva annullato la sentenza di appello, su richiesta dei difensori, per permettere un esame dellecondizioni psichiche delladonna, L'ennesima perizia ribadisce laca­ pacità dellimputata di stare in giudizio. La condanna viene confermata. Negli ul­ timi mesi Diana, consapevole della sua malattia ma non di tutti i sintomi, aveva manifestato propositi di suicidio, per lettera e nei colloqui con il suo ex compa­ gno, chiedendo disperatamente aiuto. Viene strumentalmente diffusa la notizia di una possibile collaborazione della detenuta, da lei decisamente negata. I dnid tentativi di spezzare la resistenza di Diana, utilizzando la sua prostra­ zione psichica a fini investigativi, diventano con il passare dei giorni più insi­ stenti, ma sempre rifiutati dalTimputata. Il io ottobre Lamberto Giannini, dopo Tomiddio D’Antona dirigente dell'antiterrorismo della Digos e dal 2004 dirigente della Digos di Roma, va nel carcere di Sollicdano per effettuare un colloquio investigativo con Diana, da lui stesso arrestata. La detenuta dichiara di non essere intenzionata ad avere contatti diretti con gli investigatori ma di voler incontrare il proprio difensore. Il 24 ottobre Giannini toma da Diana, nel frattempo trasferita nel carcere di Rebibbia, e anche questa volta riceve un secco diniego. Lo stesso il 31 ottobre. Negli stessi giorni Diana si mostra dispo­ nibile a incontrare il pubblico ministero Erminio Amelio per scagionare il suo ex compagno. La mattina del 31 la donna ha un incontro con uno dei suoi lega­ li, Valerio Spigarelli, che è già stato da lei nei giorni precedenti e dal quale ha appreso la notizia della condanna definitiva. In quelle ore deposita uno scritto indirizzato al capo della Digos. Nel primo pomeriggio riceve la notifica della sentenza. La sera stessa si toglie la vita. Un articolo del quotidiano «Libero» del 18 dicembre 2009 afferma che quel giorno Diana avrebbe indicato agli inqui­ renti il nascondiglio delle armi. Su queste dichiarazioni non vi sono state con­ ferme né smentite ufficiali. Così come non vi è stato alcun riscontro all'ipotesi giornalistica secondo la quale nulla sarebbe stato trovato nel luogo descritto. L’episodio rimane carico di inquietanti dubbi. I brani in corsivo di Diana Blefari sono tratti dalle lettere scritte in carcere ad amici e compagni, in parte sequestrate e depositate agli atti del processo contro il suo ex compagno. Ove si è ritenuto potesse rendere più chiaro il suo pensie­ ro, sono state accostate frasi di lettere diverse. Per non rompere la fluidità del discorso, i tagli sono segnalati con semplici puntini di sospensione. Anche le sensazioni e i sintomi di Diana sono ripresi dalle sue parole. I pensieri degli ul­ timi momenti di vita sono invece ima libera interpretazione basata sui fatti e su quanto da lei scritto nei mesi immediatamente precedenti.

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Una storia americana di Silvia Baraldini

Sono anni che in molti mi chiedono di raccontare la mia storia, e ho sempre avuto perplessità a farlo. Non ero pronta a mettere la penna su carta, anche perché la mia lettura del passato è in costan­ te evoluzione. Quando Paola Stacciali mi ha domandato se fossi disposta a contribuire a questo libro, mi è sembrata un'opportunità per iniziare a dare un senso, un ordine alle mie esperienze. Non è statofacile. Ma un punto dipartenza ci deve pur essere. Nello scrivere volevo dissipare alcune convinzioni comunemen­ te associate alla mia storia, ad esempio l'appartenenza al Black Panther P arty. Spero che il racconto aiuti a capire perché questo non sarebbe mai stato possibile. E presenti, a chi non ne è a cono­ scenza, il Black Liberation A rm f, l'organizzazione a cui i miei coimputati afro-americani appartenevano. Si parla molto di memoria e della sua importanza nel dare nuove chiavi di lettura al passato e, di conseguenza, alla costruzio­ ne delfuturo; ma la memoria non può escludere esperienze impor­ tanti come quelle che questo libro racconta. E le racconta mettendo al centro le donne, sulle quali si è spesso giocata una partita inte­ ressante. Da un lato la loro partecipazione alla lotta armata è stata sensazionalizzata, quasi a creare l'idea di donne ecceziona­ li t anomale nette quali, di conseguenza, in poche potessero identi­ ficarsi. Dall'altra si è venuta a creare un'immagine al maschile della lotta rivoluzionaria che non riflette il contributo fem m inile, i37

sia a livello intemazionale che in Italia. Questi due fatti hanno portato verso la stessa conclusione: quella storia non ci appartiene, e non la si deve neanche considerare. Spero che questo libro sia oc­ casione per allargare la discussione, e aiuti a promuovere una vi­ sione del passato diversa, esterna al clima di caccia alle streghe che l'ha condizionata. L’esclusione di queste lotte dalla memoria collettiva ha avuto un altro impatto che dovrebbe preoccuparci. Il diritto alla ribellione è stato abolito. E non si perde occasione per condannare coloro che insistono a esercitarlo. Se c’è una parola di cui oggi si abusa è «ter­ rorista». Tutti lo sono: dai palestinesi, agli anarchici, a coloro che in Val di Susa si oppongono alla costruzione dell’alta velocità. Il messaggio è martellante, la protesta sarà tollerata solo se rispetta i parametri stabiliti da coloro che rappresentano il potere, e sono per­ ciò l'obiettivo della protesta stessa. Quei parametri sarannofatti ri­ spettare a tutti costi. Leggere le storie di questo libro mi ricorda, e ci ricorda, che osare, ribellarsi, ha una dignità storica che non può es­ sere ignorata. Infine, vorrei mettere a tacere l’idea, abbastanza diffusa, che io sia fin ita in carcere solo per reati di opinione, che in qualche modo ero una vittima innocente. È importante per me, anche per onora­ re i compagni e le compagne ancora detenuti, che questa percezione venga sconfitta. Essere vittima significa aver subito un torto, ma quando rifletto sulla mia storia vedo una donna che, con altre per­ sone sparse in tutto il mondo, ha liberamente scelto di opporsi allo strapotere degli Stati Uniti. E come mi ha spiegato, nel secondo anno in cui ero in carcere, un detenuto che conosceva molto bertela storia americana: They never get mad; they just get even (Non si arrabbiano mai, di certo si vendicano). Ricordo distintamente la prima volta che una discussione sulla necessità di costruire un apparato clandestino mi ha coinvolto. Era il 1971, un anno spartiacque nella storia degli Stati Uniti: la guerra in Vietnam si era allargata, la Cambogia e il Laos erano stati segretamente invasi. Il movimento contro la guerra aveva 138

aperto un fronte interno in cui la partecipazione dei popoli afroamericano, portoricano, latino e nativo aveva trasformato la sua agenda politica, i suoi obiettivi, la sua tempistica. Il movi­ mento non era più affidato alle organizzazioni e coalizioni che lo avevano storicamente guidato (Committee io Ed thè War, Studentsfor a Democratic Society, War Resisters League e Communist Party Usa, ecc.), ma avrebbe dovuto misurarsi di lì a poco con le emergenti richieste di autonomia e riconoscimento sulle quali organizzazioni come il Black Panther Party, YAmerican Indian Movement, gli Young Lords ecc. non erano disponibili a trattare. Questo fermento politico aveva avuto un impatto travolgen­ te sulla più grande organizzazione contro la guerra, Studentsfor a Democratic Society (Sds) di cui ero membro e attivista alla Wi­ sconsin University. Nel nostro campus Sds si era divisa di fron­ te alla richiesta di solidarietà con lo sciopero indetto dagli stu­ denti afro-americani. Dopo un aspro dibattito, si votò a favore dello sciopero e si decise di appoggiarne le richieste rivolte alramministrazione: la creazione di una facoltà di studi afroamericani e Tammissione senza limiti di numero per gli stu­ denti provenienti dalle loro comunità. Si era aperto uno scontro che coinvolgeva questioni di contenuto. Ad esempio, se la mo­ bilitazione doveva limitarsi all7opposizione alla guerra o doves­ se collaborare con il Black Power Movement3. O ancora, se do­ vesse impegnarsi anche contro la repressione scatenata dal go­ verno dopo le ribellioni in oltre cento centri urbani. E se qualche volta un accordo sulle questioni ideologiche era possibile, non così facile era allentare il controllo e la distribuzione dei fondi raccolti, per non parlare delle divergenze incolmabili su quali forme di lotta dovessero essere adottate. Per molti questa nuova realtà richiedeva in primis la trasfor­ mazione della nostra organizzazione, e di tutto il movimento contro la guerra. Non sarebbe stato più possibile determinare il programma in base solo a discussioni interne ma la sua artico­ lazione avrebbe dovuto tener conto delle priorità e degli obietti­ vi dei movimenti di liberazione nazionale negli Stati Uniti. Rag­ 139

giungere l’obiettivo richiedeva un capovolgersi dei nostri com­ portamenti, peraltro già m essi in crisi dalFemergente movi­ mento di liberazione delle donne. Significava riconoscere come il nostro operato fosse in buona misura determinato da atteg­ giamenti che riflettevano i nostri privilegi di classe e quelli ba­ sati sul colore della pelle. Una parte dell’organizzazione non aveva dubbi su che stra­ da intraprendere. Per alcuni la scelta era ovvia: bisognava alzare il livello di scontro e costruire un apparato clandestino (questa corrente si coalizzò intorno ai membri della sede nazionale e scelse il nome di Weatherman o Weather Underground Organization). I Days ofRage nell’ottobre 19 6 9 a Chicago e l’assalto il no­ vembre successivo al Dipartimento di giustizia in Washington dc sancirono la fine di Sds. Per gli altri «cosa fare», «che strada intraprendere per salvare il futuro dell’organizzazione» erano quesiti senza risposte immediate, resi ancora più difficili dall'a­ sprezza del conflitto interno in atto. Concentrarsi su lotte locali, sviluppare un rapporto con il Black Panther Party fu la risposta della nostra sezione. Così ini­ ziò il legame politico con Fred Hampton, il giovanissimo lea­ der del Black Panther Party di Chicago. Fred era carismatico, concreto, senza timore e completamente dedito al partito e al­ l’attuazione dei io punti che costituivano il programma. Pur non compromettendo i contenuti, era riuscito ad allargare la base del partito al punto che il governo decise di eliminarlo. Nella notte del 4 dicembre 19 6 9 , Fred Hampton e il suo com­ pagno di partito, Mark Clark, furono assassinati nel sonno, in un’operazione condotta dalla polizia di Chicago sotto la dire­ zione delFFbi. La morte di Fred ci tolse le ultime illusioni che avevamo sulla cosiddetta democrazia americana. Quel giorno in molti abbandonammo il ruolo di attivisti contro la guerra per iniziare il cammino verso la strada rivoluzionaria. Fu allora che decisi di lasciare l’università, e nel gennaio 1970 mi trasferii a New York con Fintento di unirmi a coloro che erano già impegnati a difendere i 2 1 membri del Black Panther 140

Party sotto processo per associazione sovversiva. Il nostro col­ lettivo avrebbe trascorso i due armi seguenti a organizzare stu­ denti, donne, altri attivisti a sostegno dei 21. Il 13 maggio 19 7 1 il nostro lavoro si era concluso. Al termine del processo politico più lungo nella storia degli Stati Uniti, una giuria di New York City in soli 43 minuti respinse le accuse di cospirazione e tenta­ ta distruzione di alcuni obiettivi, simbolici e non, come la Sta­ tua della Libertà, assolvendo tutti gli imputati. Inoltre i membri della giuria avevano aspramente criticato la condotta del pubbli­ co ministero e dell’Fbi e la natura persecutoria del dibattito. Un verdetto declamato nelle pagine della stampa americana come una conferma della natura essenzialmente democratica del si­ stema giuridico. Per noi invece, che quella vertenza l’avevamo vissuta giorno dopo giorno, l’impossibilità di costruire un’oppo­ sizione radicale alla luce del sole era stata confermata dal ver­ detto. La lezione fu inequivocabile: il governo non avrebbe mai permesso l’esistenza di un movimento che oltre a opporsi alla guerra contrastasse il regime di supremazia bianca che privile­ giava tutti i bianchi e si batteva contro la neocolonizzazione di quelle stesse popolazioni. Allo stesso modo non avrebbe accet­ tato la riorganizzazione del potere, nello specifico il riconosci­ mento delle colonie interne e delle loro rivendicazioni, come i movimenti di quegli anni chiedevano. L’assoluzione non poteva rimuovere ciò che era emerso: il governo era coinvolto in una guerra interna contro i movimen­ ti, e l’obiettivo non era isolare gli elementi violenti e pericolosi, come i loro rappresentati affermavano, 1 obiettivo era la distru­ zione di tutta l’opposizione. Questa guerra aveva un nome: cointelpeo'*; un esercito: PFbi; delle forze speciali: il Join t Terrorism Task Force; un mandante: f allora presidente Richard Nixon, e non era più segreta grazie a uriirruzione notturna nel­ l’ufficio delJFbi a Media, in Pennsylvania, di un gruppo cattoli­ co contrario alla guerra. Il loro scopo era la distruzione delle liste di arruolamento per le forze armate, m a quello che aveva­ no trovato - comunicazioni dal quartier generale di Washing­

ton alle sedi distaccate sui metodi da utilizzare per distruggere i movimenti - rivelò d ò che molti avevano già avvertito: il gover­ no degli Stati Uniti aveva dichiarato guerra ai movimenti, in particolare al Black Panther Party, e avrebbe impiegato qualsia­ si metodo per raggiungere questo obiettivo. Come contrastare c o i n t e l p r o , come difendere le organiz­ zazioni sotto attacco, come costruire urfopposizione ampia e indusiva di tutte le forze senza isolare gli elementi più radicali e rivoluzionari, come proteggere dalla polizia gli abitanti dei quartieri sotto occupazione. Erano gli interrogativi su cui tutto il movimento si confrontò. Nel tempo sono emerse due strate­ gie distinte: da un lato costruire una coalizione antirepressiva legata a una strategia elettorale accompagnata dalla formazione di un partito, il Peace and Freedom Party5, dall'altra la costruzione di organismi dandestini capaci di azioni di difesa e di propa­ ganda armata. Il nostro collettivo, politicamente vicino affala ri­ voluzionaria del Black Panther Party, ampiamente coinvolto nel dibattito, aveva deriso che nel suo futuro ci sarebbe stato lo svi­ luppo di una forza clandestina. Non era tempo di compromessi; conciliare le due vie si rivelò impossibile, e il movimento si spaccò rendendosi più vulnerabile a c o i n t e l p r o . E fu il Black Panther Party, diviso al suo interno su come affrontare la re­ pressione, che pagò il prezzo più elevato: l’incarcerazione di oltre 3000 iscritti, la distruzione fisica delle loro sedi in tutto il paese, e Passassimo dei loro quadri migliori come Fred Hampton, Bunchy Carter, John Huggins. Lotta armata, rivoluzione, dandestinità, autodifesa erano pa­ role e concetti su cui molti si interrogavano; così come il nostro collettivo. La costruzione di un movimento rivoluzionario, in particolare il ruolo dei bianchi al suo interno, non era una que­ stione nuova. In passato questo tema aveva avuto una funzione considerevole nella storia americana. Basta pensare a John Brown6, e al ruolo degli abolizionisti rivoluzionari nella lotta contro la schiavitù, alla costruzione dell’ Underground Railroad e alPaiuto dato al generale Harriet Tubman7, ai Wobblies e agli 142

anarchici nel periodo dei Red Raids (1919-1921) orchestrati da J. Edgar Hoover e dalTFbi per distruggere il movimento anarchico e socialista e i sindacati. In un paese eretto sulla schiavitù e sul genocidio delle nazioni native, sin dallinizio il ruolo dei bianchi , dei coloni prima e degli immigrati europei dopo l’adozione della costituzione federale, ha avuto un peso determinante, da un lato nella capacità dei movimenti di sviluppare una strategia unitaria contro il potere, dall’altro come bastione di prima difesa nella sal­ vaguardia dello status quo. Gli esempi dal passato non erano in­ coraggianti. Avremmo trovato la forza e la capacità di agire con­ tro i nostri privilegi, e di partecipare a un movimento senza do­ minarlo? Questo ci chiedevano le forze rivoluzionarie afro-americane, portoricane, native e chicane, e non solo. In un mondo in ebollizione, tutti coloro che in quegli anni hanno visi­ tato Cuba, il Vietnam, il Nicaragua, la Cecoslovacchia, la Guyana, la Palestina ritornavano convinti di avere tuia responsabilità particolare. Come attivisti e rivoluzionari allintemo degli Stati Uniti non potevamo limitarci a esprimere la nostra solidarietà, il punto era cambiare il paese stesso, il sistema imperiale che lo di­ rigeva e bloccare le guerre sanguinarie con cui si opponeva alle lotte rivoluzionarie nel resto del mondo. Per gli individui e i collettivi che lavoravano con il Black Panther Party quegli interrogativi erano il pane e vino della no­ stra vita quotidiana, ma le contraddizioni erano troppe e tal­ mente profonde che per a lam i di noi era prematuro lanciarsi verso la clandestinità senza una risoluzione soddisfacente del nostro legame con i movimenti di liberazione nazionale. Since­ ramente o d saremmo uniti all’unica organizzazione clandesti­ na di bianchi già esistente ( Weather Underground Organization), per noi inaccettabile, 0 avremmo dovuto costruire urialtra strut­ tura, e per questo non avevamo i mezzi e non eravamo pronti. Il risultato di quel d d o di discussioni fu la dissoluzione del collet­ tivo, ritengo con grande sollievo di tutti i componenti. A lam i di noi si sarebbero rincontrati alcuni anni dopo in circostanze ra­ dicalmente differenti. T43

Il m io coinvolgimento nel movimento femminista fu deter­ minante in quella scelta. Avevo grossi dubbi sulla sostenibilità di un gruppo in clandestinità dominato da forti personalità maschiliste ma numericamente composto largamente da donne. Non dovevo essere l'unica; mi risulta che tutte le donne coinvol­ te scelsero in quel momento di dedicarsi ad altro. Il mio impe­ gno per i due anni seguenti fu nel collettivo che fondò e diresse la New York Women School, una scuola per donne di tutte le età nella quale si poteva studiare, apprendere una professione, im ­ parare a difendersi e organizzare gruppi di autocoscienza. Per due anni la Scuola fu un luogo nel quale le donne di ideologia si­ mile e opposta ebbero l'opportunità di dibattere e di confrontar­ si, e con grandi sforzi mantenere l'unità che nel resto del movi­ mento era venuta a mancare. Ma sotto l'apparenza quotidiana di calma superficiale e di unità di intenti, importanti distinguo iniziavano a manifestarsi. Le compagne impegnate nello svi­ luppo del movimento di autodifesa contro la violenza sulle donne volevano che la Scuola si impegnasse solo su questioni di genere, mentre altre, me inclusa, spingevano perché la Scuo­ la si identificasse con il movimento antimperialista. Probabil­ mente questo dibattito si sarebbe potuto protrarre nel tempo senza distruggere la Scuola ma due avvenimenti eccezionali non lo permisero. Nel maggio del 1973 sull'autostrada che collega New York a Washingon d c , avvenne uno scontro a fuoco tra uhautomobile con a bordo tre afro-americani, compagni collegati al Black Panther Party che avevano scelto di operare in clandestinità, e un membro della polizia stradale dello Stato del New Jersey. Gli unici a sopravvivere furono Assata Shakur e Sundiata Acoli8. Con un poliziotto deceduto, tutti erano consapevoli dell'assolu­ ta necessità di intervenire immediatamente a tutela dei due compagni. La mobilitazione iniziò nella notte subito dopo il primo notiziario. Verso le tre del mattino ricevetti una telefona­ ta da Linda, anche lei aveva fatto parte del vecchio collettivo, per chiedermi se ero disposta a lavorare con un gruppo per difende­

re Assata e Sundiata. Io in particolare avevo avuto un legame epistolare con Sundiata durante il processo dei 21 ma ci erava­ mo persi di vista dopo l'assoluzione. Non conoscevo Assata, sa­ pevo solo quello che i giornali dicevano di lei, come sapevo che Faccusa di appartenere al Black Liberation Army5avrebbe reso il nostro lavoro di difesa quasi impossibile. In quel momento la mia scelta fu determinata dal passato che ci aveva visto lottare insieme. Un avvenimento inaspettato mi riuniva a compagni e compagne da cui mi ero politicamente allontanata. Difendere due persone accusate di aver ucciso un poliziotto era, e rimane, un lavoro complicato. Nella comunità afro-americana il rappor­ to con le forze dell’ordine è storicamente contraddittorio e, in quel periodo gli abusi, dovuti a c o i n t e l p r o e all’operato delle squadre speciali, erano evidenti. Inoltre, anche se ancora non si parlava di rodaiprofiling (il profilo razziale), i residenti di Harlem, Bedford Stuyvesant, Newark, e South Philadelphia cono­ scevano in prima persona quanto poteva essere pericoloso esse­ re nero e guidare attraverso il New Jersey. Altro era confrontarsi con i bianchi e il movimento contro la guerra sulle ragioni e sulla necessità di una struttura clandestina dedita alla salvaguardia delle comunità afro-americane, oltre alla necessità di difendere i suoi membri, come Assata Shakur e Sundiata Acoli nei vari processi che avrebbero affrontato. Il secondo avvenimento a sconvolgere gli assetti politici alFintemo della Scuola, è stata la pubblicazione del libro Prairie Fire10. Scritto e stampato in clandestinità da Weatherman, negli Stati Uniti apparve nelle sedi di tutte le organizzazioni del mo­ vimento tra cui la Scuola e fu accolto in un primo momento con interesse e simpatia. Era la prima volta che Weatherman spie­ gava la sua visione e illustrava la sua strategia. Avrebbe potuto essere un contributo importante a un dibattito che ormai coin­ volgeva non solo la Scuola m a tante organizzazioni della sini­ stra. A tutti i destinatari fu chiesto di studiare il testo, e anche nella Scuola alcuni m em bri del direttivo avanzarono questa proposta e le assemblee si trasformarono in liti su «libro sì,

libro no». Altre erano le priorità: quale sarebbe stato il futuro della Scuola in vista delle divisioni ideologiche nel movimento delle donne. Ad esempio, la scuola avrebbe continuato a soste­ nere i comitati di difesa dei detenuti politici afro-americani in cui alcuni membri del direttivo militavano? Studiare Fraine Pire distoglieva l'attenzione da questi temi laceranti, e infatti tutte le compagne che volevano un focus sulle questioni di ge­ nere e sullo sviluppo delle capacità di opporsi alla violenza con­ tro le dorme lasciarono la Scuola. La spaccatura segnò la sua fine, e le persone che rimasero furono reclutate in una nuova organizzazione: il Fraine Pire Organizing Committee. Dallo stu­ dio del libro era emersa la volontà di creare questo nuovo orga­ nismo nazionale. In molti ci siamo chiesti a quale logica ri­ spondesse, chi erano i promotori, se fosse questo il passo ne­ cessario in quel momento e come avrebbe rafforzato i nostri legami con il movimento afro-americano che stava attraversan­ do un momento così diffìcile. Purtroppo la verità era urialtra e alcuni di noi ne vennero a conoscenza da due fonti: il movimento afro-americano e la m i­ noranza interna a Weatherman che si opponeva a questa nuova creatura. Sì, perché nel momento di conflitto più aspro tra i movi­ menti e il governo americano, all'apice di c o i n t e l p r o , nel mo­ mento in cui le prigioni erano in rivolta, Puerto Rico chiedeva con forza la sua indipendenza sia sulTisola che nel continente, i latinos e i nativi chiedevano fapplicazione dei trattati in vigore e la restituzione delle loro terre, sì proprio in quel momento la leadership di Weatherman aveva deciso di abbandonare la clan­ destinità e di porsi a capo del movimento pubblico. Scrivere Prairie Pire era stato il primo colpo di cannone contro i movi­ menti, le associazioni, le organizzazioni che non apparteneva­ no a quella galassia; e la costruzione delf omonima organizza­ zione faceva parte di un piano più ampio con una forte compo­ nente mediatica che doveva spianare la via della normalizzazione. C ’erano importanti problemi giudiziari da ri­ 14 6

solvere, e l’obiettivo era di trattare con il governo per m inim iz­ zare le conseguenze delle condanne già esistenti ed evitare nuovi processi. Trattare con il governo in quel momento era impensabile. La rimozione di Nixon dalla presidenza degli Stati Uniti avrebbe potuto segnalare una volontà di cambiare rotta, invece si era ri­ velata solo una sostituzione doverosa per concludere formai persa guerra in Indocina, e continuare con vigore la guerra in­ terna. Trattare con il governo in quegli anni significava fere leva su una serie di privilegi di cui i bianchi, anche se rivoluzionari, usufruiscono all’interno del sistem a am ericano. A l Black Panther Party, ai membri del Black Liberation Army, ai membri delTAmerican Indian Movement, delle Fuerzas Armadas de Liberacion Nacional di Puerto Rico, questo non sarebbe mai stato permesso. Le loro trattative si conducevano nelle strade, con prevedibili risultati, come testimoniavano i tanti funerali dei compagni uccisi dalla polizia in quegli anni. Oggi tutti sanno che già dal 19 71 i rapporti tra Weatherman e il movimento afro-americano si erano incrinati. La leadership di Weatherman non aveva dato ascolto a una concreta richiesta di aiuto per liberare H. Rap Brown", conosciuto oggi, dopo la sua conversione alflslam , come Jamil Al-Amin, in quel mo­ mento sotto arresto e convalescente in un ospedale newyorkese in seguito a una sparatoria con la polizia, scegliendo invece di aiutare a pagamento Timothy Leary a evadere da un carcere nello stato della California. Le azioni di Weatherman - il desiderio di terminare la loro partecipazione nella lotta armata, la manipolazione del movi­ mento pubblico per assicurare il successo di questo piano con la distribuzione del loro programma e la fondazione dell’omoni­ ma organizzazione - causarono un terremoto. Molti tra coloro che avevano partecipato alle discussioni si sentirono traditi, in particolare le donne e gli uomini che ogni giorno si occupavano della difesa dei detenuti politici afro-americani e portoricani. Le critiche da parte dei movimenti di liberazione nazionale non la­

sciavano scampo, dodici anni dopo che Student Nonviolmt Coordinating Committee (Sncc) aveva chiesto ai bianchi di uscire dalf organizzazione e dedicarsi a fare politica nelle loro comunità, perché solo in quel modo si sarebbe creata una forza progressi­ sta e democratica che avrebbe potuto dare un vero contributo per cambiare il paese; dodici anni dopo che d era stato chiesto di modificare i nostri metodi e di riconoscere che non saremmo stati noi la voce determinante nella costruzione e sviluppo del movimento, dodid anni dopo, poco era cambiato. Con arrogan­ za e senza interpellare gli alleati si stava per distruggere una rete esistente dal 1967, risorse e strutture delle quali il movi­ mento afro-americano aveva assoluto bisogno. Era chiaro che Pevoluzione di Weatherman rifletteva una loro necessità di abbandonare la lotta armata (suifacing, venire a galla, è il termine da loro stessi impiegato per descrivere il cam­ biamento di direzione), ma la necessità di una rete clandestina che sarebbe stata coinvolta in azioni di lotta armata non era meno pressante. Procedere con la costruzione di questa forza era la priorità. Ma questa volta, anche se con una propria auto­ nomia, sin dalTinizio sarebbe stata strategicamente legata ai movimenti di liberazione nazionale interni agli Stati U n iti I collettivi in difesa dei detenuti politid erano stati tra i primi a ri­ bellarsi contro la strategia di pacificazione di Weatherman ed è in quell'ambiente che avvennero i contatti iniziali tra i membri del Black Liberation Army e i bianchi. Occuparsi in quegli anni della difesa dei detenuti politici e della tutela dei loro diritti con­ tro un sistema di repressione imbarbarito sino ad arrivare all’eliminazione fisica di chi lottava per la propria gente, è stata per i bianchi coinvolti urfesperienza di trasformazione che ha ri­ mosso le ultime illusioni sulPoperato del governo, sulla demo­ crazia americana e sulla possibilità che un cambiamento sareb­ be avvenuto pacificamente. E se dovessi identificare un secon­ do avvenimento che marcò la mia ulteriore radicalizzazione dovrei risalire al 1973 e alP uccisione di Twymon Myers11 da parte della polizia newyorkese. Alcuni di noi pensarono che fosse im ­ 148

portante mostrare apertamente la nostra solidarietà e scelsero di partecipare al suo funerale per rendere omaggio a un rivolu­ zionario che aveva sacrificato la vita in difesa della comunità afro-americana; la nostra presenza voleva mostrare alfFbi, al Joint Terrorism Task Force, a tutti coloro che facevano parte del­ l’apparato repressivo, che la strategia del terrore non ci avrebbe fermato. Quello che vedemmo - una Harlem sotto occupazione militare, cecchini su ogni tetto con mitragliatrici puntate sui membri della famiglia, poliziotti in borghese che senza nessun mandato prelevavano persone dal corteo funebre - era uri ulte­ riore dimostrazione dello stato di guerra che vigeva in quegli anni. L’obiettivo era evidente: prosciugare il mare per creare il vuoto attorno al Black Liberation Army sia terrorizzando i so­ stenitori, sia eliminando organizzazioni e comitati, sia incul­ cando paura a chiunque avesse deciso di difenderli. Quel lavoro era un terreno fertile dove poter reclutare, e io fui una delle persone che non si tirò indietro quando le fu chie­ sto di aiutare. Ma l’aiuto di alcuni individui non annullava la ne­ cessità di costruire una forza clandestina. Con fatica questo ten­ tativo fu intrapreso. Persone provenienti da differenti esperien­ ze politiche si aggregarono in cellule distinte e autonome. Una struttura flessibile che permetteva di lavorare insieme quando necessario. Contemporaneamente si costruivano alleanze con quei bian­ chi che nella pubblica arena lottavano contro il sistema coloniale interno, la supremazia bianca che ne era espressione ideologica e le sue organizzazioni militari (il KKKele forze dell’ordine), e co­ loro che lottavano per la liberazione delle donne, dei gay e delle lesbiche. Quest'ultimo punto era vitale. Dopo la débàcle di Weatherman, chi ha voluto costruire questa forza sono state in gran parte donne. Molte di noi erano più che convinte che la tra­ sformazione dei rapporti uomo donna e la nostra liberazione non sarebbe mai avvenuta al di fuori di una nostra partecipazio­ ne a queste lotte. La partecipazione stessa, credevamo, era di per sé trasformativa e determinante per f eliminazione dei ruoli che 14 9

per secoli d avevano incatenato. In quegli anni guardavamo molto al ruolo delle donne nei movimenti anticoloniali. Fondamentali nello sviluppo della nostra posizione erano stati gli in­ contri con le donne del Fronte di liberazione nazionale del Viet­ nam, con le rivoluzionarie cubane, e con le guerrigliere delle lotte anticoloniali nel sud delfAfrica. In particolare i viaggi intra­ presi con i compagni afro-americani nello Zimbabwe, il primo ai tempi degli accordi di Lancaster House del dicembre 1979 quan­ do la guerra di liberazione volgeva al termine, avevano fortificato il nostro punto di vista sull'assoluta necessità di sconfiggere i re­ gimi basati sulla supremazia bianca e la conseguente colonizza­ zione dei popoli interni. Come lo Zimbabwe, gli Stati Uniti erano governati da una borghesia che aveva raggiunto urfegemonia assoluta, costruita negli anni su un sistema di privilegi basati suLl’unica caratteristica impossibile da cambiare: il colore della pelle. Infatti, nella storia dei grandi movimenti di opposi­ zione, cominciando dalle lotte sindacali, la sconfìtta era quasi sempre stata determinata da uno scaltro giocare un popolo con­ tro l'altro. Solo, la sconfìtta di quel sistema avrebbe permesso Féradicazione del razzismo e avrebbe consentito agli uomini e alle donne così brutalmente colonizzati di scegliere liberamente se continuare a essere parte della federazione. Le nostre esperienze avrebbero dovuto sollevare almeno qualche dubbio sulFimpatto che la partecipazione delle donne nella lotta armata avrebbe avuto sulle questioni di genere. Era già evidente che, una volta terminato il conflitto, le donne che avevano combattuto sarebbero state vissute come un problema polarizzante in ima società patriarcale che non desiderava per niente un cambiamento. La loro presenza era un'eredità della guerra di liberazione scomoda da gestire, e in qualche modo da isolare così che non contaminasse il resto della società. Per lo stesso partito che era arrivato al potere anche grazie ai loro sa­ crifìci, la liberazione della donna era un tema da affrontare nelle discussioni con gli «europei», ma non era giudicata fondamen­ tale alla costruzione di un nuovo Zimbabwe. Per onestà intellet­ to

tuale bisogna dire che le donne del partito non erano d'accordo, ma la loro posizione fu ignorata. Per sette anni abbiamo agito a fianco del Black Liberation Army. Molto impegno fu diretto verso ì acquisizione e lo svilup­ po di tutto ciò che permette a un apparato clandestino di fun­ zionare: appartamenti, veicoli, documenti, soldi, armi, ma dò che ci ha politicamente caratterizzato in quel periodo è stata la liberazione di alcuni detenuti politici, in particolare di Assata Shakur. Dopo il suo arresto Assata è stata processata sei volte, accusata di una varietà di reati che f Fbi riteneva fossero di re­ sponsabilità del Bla. Ogni volta ne u sd indenne. Un ultimo pro­ cesso doveva essere affrontato, il più diffìcile. Per lo scontro sul­ l'autostrada del New Jersey, Assata e Sundiata furono accusati di omiridio di un poliziotto e del loro compagno morto durante la sparatoria. Per condannarla lo stato del New Jersey dovette pro­ cessarla tre volte. Lultima volta, nel febbraio 1977, il dibattito si tenne a Morris town, sede di una contea agiata e senza nessun residente afro-americano. Infatti fu lì che il governo potè sele­ zionare una giuria composta solo di bianchi e finalmente si as­ sicurò che Assata fosse condannala a 12 0 anni di redusione. La condanna di Assata è stata una ferita aperta per tutto il movimento. Anche coloro che non condividevano le sue idee politiche erano convinti che con una giuria differente il verdet­ to sarebbe stato l’opposto. La lunghezza della condanna e le con­ dizioni di carcerazione, isolata in una cella sotterranea di un carcere maschile, sono stati vissuti come la continuazione della persecuzione politica che Taveva portata a essere considerata la fuggitiva più pericolosa in tutti gli Stati Uniti . Per il movimento la sua liberazione divenne una priorità, e mentre gli avvocati perseguivano un iter legale per impugnare il verdetto, e i comi­ tati di difesa sviluppavano campagne di solidarietà, il suo tra­ sferimento nel carcere femminile del New Jersey offrì l’oppor­ tunità alle forze dandestine di andarla a prendere. Il 9 novembre 1979, una giornata fredda e grigia, tre uomini afro-americani furono am m essi come visitatori nel carcere.

Venti minuti dopo ne uscirono con Assata e due ostaggi. Recen­ temente ho saputo che il mio coimputato, il compagno Sekou Odinga'*, in una conversazione con un giornalista americano ha descritto quello che avvenne durante quegli interminabili minuti. In queste circostanze mi sento libera di descrivere che cosa accadde una volta che il perimetro del carcere fu superato. È stato mio compito trasportare Assata e Sekou fuori dall’area e consegnarli ai compagni e alle compagne incaricati di proteg­ gerli. Abbiamo attraversato lo Stato - erano nascosti nel portabagagli di ima grande Lincoln Continental - accompagnati dalle sirene della polizia che iniziava a erigere blocchi stradali. In un paese così condizionato dal razzismo, a nessun membro delle forze dell’ordine è venuto in mente di fermare un’auto di lusso guidata da una donna bianca. Oggi Assata vive a Cuba, protetta dalle continue provocazio­ ni degli Stati Uniti. Nel maggio 2013 fFbi l’ha nuovamente posta nella lista dei terroristi più pericolosi e ricercati, un se­ gnale preciso da parte di un governo non disposto a chiudere la guerra contro il movimento afro-americano. Mentre Sekou, grazie a una lunga battaglia politico-legale, è stato di rilasciato nel novembre 2014, dopo trentatré anni di carcere. Identificati i partecipanti, non è stato difficile per il governo trovarmi. Oramai il mio ruolo era limitato alla sfera pubblica, nella quale dividevo il tempo tra la difesa delle compagne e dei compagni arrestati, e il lavoro che veniva svolto con i movimenti di liberazione in Africa. E fu proprio il 9 novembre 1982, mentre mi recavo alle Nazioni Unite per una cerimonia che onorava l’Ajrican National Congress, che nove membri del Joint Terrorìsm Task Force mi fermarono all’angolo tra Broadway e la 94ma stra­ da. Dopo una condanna di quarantaquattro anni, nell’agosto 199 9 ho usufruito della Convenzione di Strasburgo per rientra­ re in Italia, e il 26 novembre 20 0 6 ho terminato la mia pena. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la pressione e la solidarietà che centinaia di migliaia di italiani hanno esercitato in mio favore. Ma quello è un altro libro, urialtra storia. 152

Si potrebbe pensare che rivoluzionari come Assata Shakur non abbiano molta rilevanza politica negli Stati Uniti di oggi. Dopo tutto reiezione del primo presidente afro-americano non sarebbe potuta avvenire senza una partecipazione di m assa degli afro-americani; e la sua vittoria, hanno pensato in molti, avrebbe inaugurato l'era post-razziale. Recentemente ho letto un saggio di Angela Davis scritto dopo l'uccisione di Michael Stewart a Ferguson, nel Missouri, che sfida questa visione: «La risposta globale alla morte per mano della polizia di un adole­ scente nero in un piccolo paese del Midwest suggerisce una presa di coscienza crescente relativa alla persistenza del razzi­ smo nordamericano in un momento in cui si suppone che sia in declino. Il lascito di Assata costituisce un mandato per am ­ pliare e approfondire le battaglie antirazziste. Nella sua autobiografia, evocando la tradizione nera di lotte, d chiede: Conti­ nuarla./ Consegnarla ai fig li./ Passarla alle altre generazioni./ Continuarla... / Fino alla libertà!»

A i compagni e alle compagne ancora incarcerati, e a coloro che negli anni mi hanno chiesto di scrivere la mia storia, in particolare a Dario.

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1. Il Black Panther Party, fondato nel 1966 ad Oakland, in California, con il nome Black Panther Party for Self-Defense, ha subito dimostrato ima grande capacità di comunicazione. Il programma del partito, articolato in io punti fa­ cilmente comprensibili, chiedeva tra Faltro: la libertà e il potere di determinare il futuro della comunità afro-americana, lavoro, fine dello sfruttamento capita­ lista degli afro-americani, istruzione di qualità, stop ai brutali assassini di afroamericani da parte della polizia. La straordinaria capacità di mobilitazione ha trasformato in pochi anni uriorganizzazione locale in un partito nazionale con 60.000 iscritti. Ciò è stato possibile anche perché i suoi fondatori hanno intui­ to che la polizia, e Foccupazione militare delle comunità afro-americane, fosse il tema su cui concentrarsi. Per questo il Partito è diventato Tobiettivo principa­ le della repressione da parte del governo americano. 2. Il Black Liberation Army è stata una rete clandestina costituita alTinizio degli anni Settanta. Per oltre un decennio, sotto questa sigla hanno operato e agito donne e uomini appartenenti a gruppi dell'area rivoluzionaria che sosteneva il nazionalismo nero. La difesa del popolo afro-americano dalla brutalità della polizia e l’espulsione dei pusher dalle loro comunità sono stati obiettivi qualifi­ canti della rete. 3. La valutazione politica del movimento afro-americano dopo Testate del 1964 aveva portato a un cambiamento radicale del suo programma. L’obiettivo prin­ cipale sarebbe stato lo sviluppo di una strategia che metteva al centro la comu­ nità afro-americana. L'integrazione, anche se importante, non era più l'obietti­ vo principale. Combattere il razzismo e le sue conseguenze era responsabilità dei bianchi. 4. C ointelpro , acronimo di Counter intelligence program, una strategia di con­ trospionaggio diretta dall FbL Iniziata nel 1956 e terminatane! 1971, secondo il governo. Secondo il movimento ancora in atto oggi sotto altre forme e altre sigle. Tra i suoi obiettivi, e forse il più significativo, c’era la «prevention of a Black Messiah», prevenire un Messia nero. 5. Partito progressista fondato nel 1967 dopo la ribellione di Los Angeles, in California, nel 1968 per la prima volta ha partecipato alle elezioni nazionali. Ita i candidati c'era Charles Garry, difensore di Huey P. Newton, imo dei fon­ datori del Black Panther Party. 6. John Brown, predicatore protestante e abolizionista rivoluzionario. Dopo aver fermato le forze a favore della schiavitù nello Stato del Kansas, con un gruppo di bianchi e africani ha attaccato la santabarbara del governo federale ad Harpers Ferry, nel West Virginia, iniziando di fatto la Guerra di Secessione. Brown, come altri rivoluzionari di quell’epoca, era fermamente convinto che la schiavitù non sarebbe mai stata abolita senza una guerra di liberazione. Per le sue azioni John Brown è stato impiccato con i suoi figli dal governo degli Stati Uniti il 2 dicembre 1859. W. E. B. Du Bois ha scrìtto una bellissima biografìa di questo grande americano. 154

7. Harriet Tubman fuggì dalla piantagione in Maryland dove era nata. Ritornò numerose volte a Sud e liberò oltre 300 schiavi usando la rete costruita dagli abolizionisti, comunemente riferita come Underground Railroad. Durante la Guerra di secessione le si attribuì il nome di General Tubman per via del suo contributo come spia e combattente. 8. Sundiata Acoli, dopo una carriera come matematico nel settore privato, ha aderito al Black Panther Party. In seguito alla sua assoluzione nel processo dei 21 scelse la clandestinità e la militanza nel Black Liberation Army. Condanna­ to con Assata Shakur nel 1974 è tuttora detenuto nello Stato del New Jersey e lotta per la sua scarcerazione. 9. Il Black Liberation Army ha raccolto nelle sue fila le donne e gli uomini afro­ americani convinti che la sopravvivenza del loro popolo fosse legata alla capa­ cità di difendersi e di lottare per la propria liberazione. I membri provenivano da diverse correnti del movimento afro-americano. 10. In Italia il libro è stato pubblicato con il titolo Prateria infiamme da Libri­ rossi, Milano 1977. 11. Ex presidente dello Student Nonviolent Coordinating Committce (Sncc), la più militante e influente organizzazione del periodo della lotta per i diritti civili. Fi­ nito il suo mandato aveva optato per la clandestinità e la lotta armata. Durante Testate del 1964 Sncc reclutò migliaia di studenti universitari, afro-americani e bianchi, e chiese loro di trascorrere le vacanze nelle contee più segregate del profondo sud. L'obiettivo era registrare il numero più elevato di afro-americani sulle liste elettorali. James Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwemer vennero torturati e uccisi dal capo della polizia di Philadelphia, Mississippi, per via della loro partecipazione a questa campagna. In seguito a una valuta­ zione dello svolgimento di quella estate e delle contraddizioni che erano emer­ se con i partecipanti, Sncc decise di chiedere ai bianchi di lasciare Torganizzazione. La nuova direzione di Sncc fu annunciata in un discorso dell’ottobre 1966 a Berkekey da Stokley Carmichael (Kwame Toure). Da quel momento l'i­ deologia del Black Power avrebbe guidato l'organizzazione. 12. Twymon Myers, membro del Black Liberation Army fu ucciso nel novem­ bre 1973 nel Bronx. Fu una delle prime vittime del Joint Terrorism Taskforce, composta da agenti delTFbi e della polizia di New York. Precedentemente le squadre antiterrorismo erano interne alla polizia e operavano sotto i nomi di Red Squad e Major Case Squad. 13. Sekou Odinga, membro del Black Panther Party, fece parte del gruppo che aprì una rappresentanza ad Algeri. Dopo un periodo trascorso a combattere con la South West Africa Peopk's Organization in Namibia, allora colonia del Sudafrica, rientrò segretamente negli Stati Uniti e divenne uno dei leader del Black Liberation Army e del movimento rivoluzionario afro-americano. Dopo il suo arresto nell’ottobre 1981 Sekou fu brutalmente torturato da membri del Joint Terrorism Task Force, come documenta la cartella clinica dell’ospedale dove verme portato in catene dalla polizia.

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Schede storiche

Le schede sono relative alle organizzazioni o alle aree di appar­ tenenza delle donne narrate nel libro. Al pari delle biografie, ri­ percorrono le vicende attraverso le ragioni e le parole dei prota­ gonisti, con una sintetica ricostruzione di fatti e posizioni poli­ tiche. Si è cercato di fornire al lettore una prima traccia di conoscenza che permetta di effettuare una propria valutazione e stimolare un approfondimento storico. Necessario soprattut­ to per le organizzazioni maggiori, le Brigate rosse in particola­ re, per le quali la sintesi effettuata nella scheda è forzatamente sommaria e insufficiente. Per aiutare la ricerca, in Per saperne di più sono riportati alcuni testi che affrontano il tema dei gruppi armati della sinistra e della violenza politica in Italia negli ulti­ mi decenni del Novecento. Non sempre è facile districarsi nella mole di saggi, interviste, romanzi, pamphlet, pubblicati da pro­ tagonisti, storici, giudici, giornalisti, con valore assolutamente eterogeneo. Conseguenza in qualche modo «naturale» di un tema particolarmente complesso e delicato, soprattutto se rife­ rito alla storia recente del nostro paese. Come testimonianza storico-politica, si è scelto di ripropor­ re il linguaggio originale, pur se in alcuni passaggi appare con­ torto o da tato. Nelle schede sono riportati stralci di volantini e documenti delle varie organizzazioni. I tagli interni alle frasi sono segnalati con puntini fra parentesi quadre. Per il resto, si tratta di brani tratti integralmente dai relativi testi. Gli eventi narrati nelle biografie sono estremamente sinte­ tizzati nelle schede, per ridurre al minimo le ripetizioni. Le due letture sono quindi complementari.

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Brigate rosse (Br) Fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo la sinistra rivoluzionaria in Italia pone per la prima volta la que­ stione della conquista del potere politico da parte del proletaria­ to in un paese a capitalismo avanzato. In questo contesto nasco­ no le Brigate rosse, che intendono coniugare la tradizione marxista-leninista con gli insegnamenti della rivoluzione cul­ turale cinese e le esperienze di guerriglia urbana nel mondo. Sono state l’organizzazione armata che maggiormente ha inci­ so sugli equilibri politici del paese. L’ipotesi rivoluzionaria e la strategia della tensione Fra il 1968 e il 19 6 9 si sviluppano in Italia forti lotte studente­ sche e operaie. In numerose fabbriche del nord nasce un nuovo movimento autonomo dal basso, fuori dai partiti e dai sindacati della sinistra storica. Alcune realtà di base milanesi e comitati di lavoratori studenti formano il Collettivo politico metropolitano (Cpm), per costruire l’organizzazione rivoluzionaria a partire dal conflitto nelle fabbriche e nelle scuole. A novembre, con un con­ vegno a Chiavari, la struttura cambia nome in Sinistra proleta­ ria. Nel documento finale, Lotta sociale e organizzazione nella me­ tropoli, la lotta armata viene posta come prospettiva concreta. 158

La strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 196 9 , di cui sono strumentalmente accusati gli anarchici, dà inizio alla strategia della tensione, una catena di attentati, in gran parte rimasti impuniti, messa in atto da alcuni settori dello Stato, sostenuti dagli Usa, per combattere il «pericolo comuni­ sta» e bloccare la trasformazione sociale e politica. Le bombe ac­ celerano nella sinistra extraparlamentare il dibattito sull’uso della violenza nel processo rivoluzionario. Il percorso organiz­ zativo di Sinistra proletaria fa un passo avanti durante Testate successiva, con il convegno di Pecorile, a cui partecipano anche i giovani di Reggio Emilia conosciuti come il «gruppo dell’ap­ partamento», provenienti in buona parte dalla Fgci. Le origini in fabbrica Nel settembre 1970 a Milano va a fuoco la macchina di un m a­ nager della Sit Siemens. L’azione è firmata Brigata rossa. Al sin­ golare. Seguono altre iniziative nelle fabbriche milanesi, centro nevralgico della nuova organizzazione. Sono per lo più incendi di auto dei capi aziendali. Ma anche dei cosiddetti fascisti - «il potere armato dei padroni» - «in camicia nera e in camicia bianca», ovvero esponenti delTMsi e della De. Le prime due bri­ gate nascono alla Pirelli e alla Sit Siemens. Il battesimo mediatico delle Brigate rosse avviene il 25 gen­ naio 19 71 con un’azione contro la pista di prova della Pirelli. Degli otto ordigni piazzati sotto altrettanti autocarri ne esplodo­ no tre. Ma il clamore è grande. Nella primavera dello stesso anno Sinistra proletaria pubblica il giornale «Nuova Resisten­ za», che raccoglie il dibattito sulla lotta armata. Escono due nu­ meri. Al centro c’è l’organizzazione operaia, ma l’attenzione è rivolta anche all’esperienza dei tupamaros uruguaiani, alle guer­ riglie in Germania e Palestina, alla Cina di Mao Tse-tung. Fin dall’inizio, le Br superano il modello terzintemazionalista, specificando di non essere «l’embrione di un futuro eserci­ to rivoluzionario», ovvero il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma un’organizzazione combattente caratte­ 159

rizzata dall’unità del politico e del militare. La lotta armata assu­ me da subito un significato strategico. Il 3 marzo 1972 c’è il primo sequestro lampo. L’ingegner Idalgo Macchiarmi, dirigente della Sit Siemens, viene prelevato di fronte allo stabilimento. Mentre il Partito comunista liquida le Brigate rosse come fenomeno di criminalità comune, la nuova organizzazione espande la propria presenza nelle fabbri­ che. Spesso sono gli stessi operai a segnalare le macchine e i ca­ petti da colpire. Nel maggio 1972 viene ucciso il commissario Luigi Calabre­ si, considerato dalla sinistra rivoluzionaria responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Nessuna rivendicazio­ ne. Nello stesso mese scatta la prima grande operazione repres­ siva contro le Br. I militanti che sfuggono agli arresti si riorga­ nizzano in clandestinità. Nascono due colonne a Torino e Mila­ no, ognuna composta da brigate di fabbrica e di quartiere. L’attività delle Br diventa con il passare del tempo più inten­ sa. Sono colpite sedi e rappresentanti di sindacati di destra, ca­ pireparto, imprenditori. Le azioni, tra cui alcuni sequestri lampo, sono condannate dai dirigenti confederali, ma ottengo­ no la simpatia della base. Nel frattempo, nonostante le forti lotte operaie, e le vittorie ottenute, il contratto dei metalmecca­ nici viene rinnovato ignorando le richieste operaie. Dalle fàbbriche allo Stato All’inizio del 1974, mentre il Partito comunista di Enrico Ber­ linguer, dopo il golpe in Cile, lancia la politica del compromesso storico, le Brigate rosse - che si stanno consolidando in varie re­ gioni - decidono di dare un respiro più ampio e ima maggiore forza al loro intervento, allargando il campo d’azione dalle fab­ briche allo scontro diretto con lo Stato nelle aree urbane. Colpi­ re il potere politico, il potere democristiano, è l’obiettivo. Il primo a finire nelle maglie dell’organizzazione è il giudice Mario Sossi, rapito il 18 aprile a Genova. Reazionario, artefice di vari processi contro esponenti della sinistra. Durante il seque­ 160

stro sono attaccate sedi di imprenditori legati alla De e viene di­ stribuito l’opuscolo Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello Stato, in cui si afferma la necessità di conquistare il potere attraverso la lotta armata, abbattendo lo stato borghese democristiano che sta trasformando la repubblica nata dalla Resi­ stenza in una repubblica presidenziale. Con il rafforzamento dei poteri del governo e del capo dello Stato a danno del Parla­ mento, la modifica del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario. Nel 1974 il dim a è molto teso, la strategia della tensione al suo apice. È l’anno della strage di Brescia, della bomba sul treno Italicus, di tentativi golpisti. 11rapimento crea contrasti nelle isti­ tuzioni. La richiesta delle Br di liberare i detenuti della xxi 1 Otto­ bre, inizialmente accolta, è bloccata all’ultimo dal procuratore generale Francesco Coco. Per le Brigate rosse è comunque una vittoria. Dopo trentacinque giorni il giudice viene rilasdato. Il 17 giugno 1974 a Padova, a venti giorni dalla strage di Bresda, durante un’incursione in una sede missina restano inddentalmente u ca si due fasdsti. L’organizzazione si assume la responsabilità dell’evento pur non condividendolo. Ribadisce però che l’attacco armato deve essere rivolto contro lo Stato e non centrato sulFantìfasàsmo militante. Alla metà di ottobre si riunisce la prima Direzione strategi­ ca, per rìdefìnire la propria struttura in seguito agli arresti di Re­ nato Curcio e Alberto Franceschini. Altri dirigenti vengono cat­ turati nei giorni e nei mesi successivi. Nel febbraio 1975 un commando libera Crucio dal carcere di Casale Monferrato. Sarà di nuovo arrestato circa un anno dopo. Alla guida dell’azione c’è sua moglie Margherita Cagol, che perde la vita il 5 giugno, in un conflitto a fuoco nel corso di un sequestro per autofinanzia­ mento. È la prima militante delle Brigate rosse che cade sotto i colpi del nemico. L’emozione è forte, ma l’attività prosegue. La ristrutturazione economica e lo Sim Gli effetti della più profonda crisi economica successiva alla se­

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conda guerra mondiale iniziano a farsi pesantemente sentire in Italia nel 1974. In autunno parte la ristrutturazione della Fiat e del mercato del lavoro. Licenziamenti, cassa integrazione, delo­ calizzazione, ovvero il trasferimento della produzione in paesi a basso costo e scarsa sindacalizzazione della forza lavoro. In questo periodo, fra il 1974 e il 1975, le Br definiscono i tre terreni di intervento che rimarranno costanti negli anni, pur assum endo nei vari periodi un peso diverso: l’attacco allo Stato, in particolare alla Democrazia cristiana, l'offensiva nelle fabbriche per promuovere rautonomia operaia, la liberazione dei prigionieri. La Risoluzione della Direzione strategica diffusa nell’aprile 1975 specifica le caratteristiche della crisi e del processo di ri­ strutturazione mondiale, che provoca cambiamenti nei rapporti di produzione, a tutto svantaggio della classe operaia e del prole­ tariato. Nella nuova situazione nasce in ogni paese lo Stato im ­ perialista delle multinazionali (Sim), per garantire le esigenze del capitale internazionalizzato, della «controrivoluzione globa­ le» guidata dagli Stati Uniti. La Democrazia cristiana è il cardine in Italia di questo progetto, volto a legare le sorti della classe ope­ raia a quelle del capitale e dello Stato, per farle assumere i costi economici della ristrutturazione. Attraverso la politica del com­ promesso storico, il Pei tenta di entrare nella gestione del pro­ cesso. La prospettiva politica delle Br diviene allora quella di «unificare e rovesciare ogni manifestazione parziale delf antago­ nismo proletario in un attacco convergente al cuore dello Stato». Mentre l’obiettivo ultimo rimane la presa del potere, gli obiettivi congiunturali da attaccare sono individuati nel patto corporativo fra governo, Confindustria, sindacati, asse portante della ristrut­ turazione capitalistica, nelle strutture politico-militari dello Stato, negli organi della repressione e in alcuni settori del gior­ nalismo che si distinguono nella «guerra psicologica». La struttura organizzativa Le Brigate rosse si pongono come il nucleo che lavora per la co­ 162

struzione del Partito combattente, una struttura di quadri, il re­ parto più avanzato della classe operaia, in cui radicare Porganizzazione della lotta armata e la coscienza della sua necessità sto­ rica, nella forma di una guerra civile di lunga durata. Al contra­ rio di altre organizzazioni di quegli anni, convinte che Pavanguardia combattente scaturisca spontaneamente dall'au­ tonomia di classe, le Br ritengono che sia la guerriglia urbana, colpendo il nemico sul suo terreno, a permettere lo sviluppo della resistenza e del!autonomia operaia. Nella prima metà degli anni Settanta le Brigate rosse perfe­ zionano la loro struttura organizzativa. Arrivano a essere for­ mate da colonne su base territoriale, composte da brigate, e ad avere un lavoro articolato in Fronti di combattimento, per ela­ borare e indirizzare la lotta nei settori specifici. Colonne delle Br, intitolate in genere a militanti uccisi, sono state presenti a Torino (Margherita Cagol), Milano (Walter Alasia), Genova (Francesco Berardi), Roma (28 marzo), nel Veneto (Annamaria Ludmann), a Napoli. In Toscana e nelle Marche sono esistiti Comitati rivoluzionari territoriali diretti dalle co­ lonne più vicine, mentre in Sardegna per alcuni anni è stato at­ tivo un rapporto politico-organizzativo con Barbagia rossa. La linea politica viene decisa nella Direzione strategica; il Comitato esecutivo è incaricato di attuarla. I regolari lavorano a tempo pieno per Porganizzazione, sono per lo più clandestini, al momento della cattura devono dichiararsi prigionieri politici. Gli irregolari hanno gli stessi diritti e doveri, m a non sono clan­ destini. Per non compromettere Pintero gruppo in caso di arre­ sto, i militanti usano fra di loro nomi di battaglia. Le Br agiscono per campagne, che concentrano nei vari pe­ riodi le principali energie dell'organizzazione, pur non esclu­ dendo contemporanee azioni su altri fronti di lotta.Il Il cuore dello Stato Uabbattimento del regime democristiano, attraverso Pattacco al cuore dello Stato, è considerato un passaggio necessario per la 163

conquista del potere. Il «cuore» è identificato nei progetti di in­ tervento tramite i quali lo Stato, nello scontro fra le classi, rap­ presenta gli interessi generali della borghesia. Il 15 maggio 1975 c’è il primo ferimento intenzionale a Milano di un consigliere comunale della De. Il partito della borghesia, della classe domi­ nante, dell’imperialismo. Alla fine dell’anno si verifica una divi­ sione nelle Br, con la fuoriuscita di Corrado Alunni, Susanna Ronconi e Fabrizio Pelli, che creano le Formazioni comuniste combattenti (Fcc). Nel 1976 invece il confronto con i Nap porta a una breve campagna congiunta, con attacchi a caserme dei ca­ rabinieri e strutture repressive. La prima grande azione di «disarticolazione politica e m ili­ tare delle strutture dello Stato» è effettuata dalle Brigate rosse f 8 giugno 1976. A Genova vengono uccisi il Procuratore gene­ rale della Repubblica Francesco Coco e due uomini della sua scorta. Fra il 1976 e il 1977 l’organizzazione decide di alzare il tiro, colpendo anche m ortalm ente num erosi «servi dello Stato»: giornalisti, magistrati, appartenenti alle forze di polizia, esponenti democristiani e missini, dirigenti industriali. I tenta­ tivi di aprire un intervento a Roma, centro del potere politico, sulle prime non danno risultati. La colonna romana entra in azione agli inizi del 1977. Nello stesso periodo a Genova il se­ questro deH’armatore Costa a scopo di finanziamento porta ai brigatisti un miliardo di lire. Nel giugno 1977 viene lanciata la campagna contro la «stam­ pa di regime» e la sua funzione controrivoluzionaria. Si articola nel ferimento di alcuni giornalisti e nell uccisione di Carlo Casalegno, de «La Stampa». Parallelamente viene sviluppato un vasto attacco contro uomini politici, dirigenti di fabbrica, espo­ nenti dell'apparato repressivo.Il Il processo guerriglia Nel maggio 1976 si apre a Torino il primo grande processo con­ tro il «nucleo storico» delle Brigate rosse, come viene definito dalla stampa. Per i prigionieri è un momento di confronto poli164

tico-militare fra proletariato e borghesia, interno alla guerra di classe. Decidono di trasformarlo in processo guerriglia, ribal­ tando il loro ruolo da accusati ad accusatori. Rifiutano il tribu­ nale giudicante, gli interrogatori in aula, revocano il mandato ai difensori, chiedono agli avvocati d’ufficio di rinunciare alf inca­ rico. Leggono comunicati in cui si dichiarano combattenti co­ munisti, assumendosi la responsabilità politica di tutta Fattività delle Brigate rosse. Ribadiscono che lo Stato va disarticolato nei suoi centri vitali in quanto strumento della controrivoluzione, usato per tentare di distruggere ogni resistenza proletaria e su­ perare le contraddizioni strutturali del capitalismo. Il processo è più volte sospeso, anche perché le numerose rinunce dei giu­ dici popolari impediscono di formare la corte. L’organizzazione all'esterno coordinale azioni con Fevoluzione del dibattimento. NelFaprile 1977 un decreto legge blocca la scarcerazione degli imputati per scadenza termini. Poco dopo le Brigate rosse uccidono Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Torino, incaricato di nominare i difensori d'uf­ ficio. Il dibattimento riprende a Torino nel marzo 1978 e si con­ clude a giugno, nonostante il contemporaneo «processo» delle Brigate rosse ad Aldo Moro. Le condanne più pesanti, 15 anni, sono contro Renato Curdo e Pietro Bassi. La tecnica del processo guerriglia sarà in seguito riproposta dalle Brigate rosse. Nella prima metà degli anni Ottanta viene però meno il comportamento unitario dei prigionieri di fronte ai tribunali Pentimenti, dissodazione, divisioni politiche por­ tano nelle aule bunker dei maxiprocessi alla frammentazione degli imputati, che prendono posto in gabbie distinte. La Risoluzione della Direzione strategica del febbraio 1978 È uno dei prindpali documenti nella storia delle Br, e rappre­ senta la sintesi di un lungo dibattito interno, esteso ai militanti in carcere. Contiene un’analisi delFimperialismo entrato nella fase delle multinazionali, in cui i governi dei singoli paesi si tra­ sformano in articolazioni locali della borghesia imperialista e 165

in ciii la crisi strutturale per sovrapproduzione assoluta di capi­ tale obbliga a una ristrutturazione dell’apparato economico ma anche di quello politico-militare. In questa situazione la controrivoluzione assume un carattere intemazionale, che rende la lotta armata nelle metropoli una «guerra di liberazione antim­ perialistica». Solo la trasformazione della propaganda annata in guerra civile potrà evitare un nuovo conflitto generalizzato fra rimperialismo e il sodalimperialismo (Urss e paesi del Patto di Varsavia). Lo Stato imperialista delle multinazionali (Sim), di cui la De è in Italia «forza centrale e strategica», ha come principali caratteristiche: la formazione di un personale politico imperia­ lista, la centralizzazione delle strutture statali sotto il controllo delTesecutivo, il riformismo, espresso dalla concertazione tra le parti sodali, la controrivoluzione preventiva, con l’annienta­ mento di ogni forma di antagonismo non gestibile pacifica­ mente. Le forze rivoluzionarie devono prepararsi a una guerra di dasse di lunga durata di cui la propaganda armata è la fase iniziale. L’usdta dalla crisi si avrà solo con la conquista del po­ tere da parte del proletariato, e il distacco dell’«anello Italia» dalla catena imperialista. Le Br ritengono necessario agire sin da subito da Partito, po­ nendosi come nudeo strategico del Pcc in costruzione, collo­ cando «l’iniziativa politico-militare allinterno e al punto più alto dell’offensiva proletaria, cioè sulla contraddizione prindpale e sul suo aspetto dominante in ciascuna congiuntura». Gli slogan finali del documento sintetizzano gli obiettivi delle Bri­ gate rosse: portare l’attacco allo Stato imperialista delle multi­ nazionali; disarticolare e distruggere i centri della controrivolu­ zione imperialista; creare-organizzare ovunque il potere prole­ tario armato; riunificare il movimento rivoluzionario nella costruzione del Partito comunista combattente. La campagna di primavera: U sequestro di Aldo Moro Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, è il principa­ 16 6

le artefice della formazione di un governo di solidarietà nazio­ nale, guidato da Giulio Andreotti e sorretto da una maggioran­ za allargata al Pei. Viene rapito a Roma il 16 marzo 1978, m en­ tre sta andando a votare la fiducia al nuovo governo, anche se la coincidenza è casuale. Nell’azione restano uccisi i cinque agen­ ti della scorta. Chi è aldo moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fin o a oggi il gerarca più autorevole, il «teorico» e lo «stratega» indiscusso di quel regime democristiano che da trent'anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandi­ to la controrivoluzione imperialista di cui la De è stata artefice nel nostro Paese, dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta, alla svolta del «centro-sinistra»fin o ai giorni nostri con «l’accordo a sei», ha avuto in aldo moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. La campagna di primavera, una delle vicende più complesse dell Italia repubblicana, mira a incidere sugli equilibri politici generali. Le Br chiedono, in cambio del rilascio deir ostaggio, la liberazione di alcuni militanti prigionieri. Lo Stato adotta la linea della fermezza, la trattativa fallisce e il corpo dello statista viene ritrovato il 9 maggio a Roma, a due passi dalle sedi cen­ trali della De e del Pei. Con il rapimento Moro, le Brigate rosse diventano un ele­ mento nodale della politica italiana. Contro il quale lo Stato im ­ piega tutto il potenziale repressivo che riesce a mettere in campo, imponendo leggi speciali e arrivando a usare in modo sistematico la tortura. Sulla campagna Moro si sono negli anni scatenate varie interpretazioni dietrologiche, prive di fonda­ mento, nel tentativo di dimostrare che le Brigate rosse sono state dirette o manovrate dall’estemo.Il Il «dopo Moro» Per tutto il 1978 proseguono le azioni delle Br, anche nelle gran­ di fabbriche del nord. Forti lacerazioni provoca l’uccisione, il 24 gennaio 19 79 a Genova, del sindacalista della Cgil Guido Rossa, responsabile dell’arresto dell’operaio dell’Italsider Francesco 167

Berardi, irregolare delle Br suicidatosi in carcere alcuni mesi dopo. Una significativa frattura interna avviene invece a febbraio, quando Valerio Morucci e Adriana Faranda lasciano l’organiz­ zazione dopo il disaccordo sulla gestione del rapimento Moro. Nello stesso anno si sviluppa un acceso dibattito fra i brigatisti in carcere e l’Esecutivo su come indirizzare l’attività e superare la fase della propaganda armata. I militanti prigionieri produ­ cono un ampio testo teorico che sarà pubblicato nel dicembre 198 0 con il titolo L’ape e il comunista. Il 3 maggio 1979, in piena campagna elettorale, le Br assalta­ no la sede provinciale della De di piazza Nicosia a Roma. Sono sequestrati documenti, fatti esplodere ordigni, disegnate stelle a cinque punte e lasciata la scritta Trasformare la truffa elettorale in guerra di classe. Nella sparatoria che scoppia all’intervento di una pattuglia della Digos, due agenti sono feriti a morte. In estate la campagna contro le carceri speciali - dove dal 1977 sono stati trasferiti i detenuti politici e dove si susseguono lotte, proteste, rivolte - viene ripresa con luccisione di Antonio Varisco, comandante del nucleo traduzioni del tribunale di Roma. Dopo la conclusione del processo di Torino molti brigatisti sono finiti nel carcere speciale delTAsinara, considerato un vero e proprio lager. Creano una brigata di campo che comprende i detenuti comuni. Nell’agosto 1978, nel corso di una settimana di lotta danneggiano alarne strutture del penitenziario. Chie­ dono 1 abolizione del trattamento differenziato a cui sono sotto­ posti i detenuti considerati pericolosi. Nella primavera del 1979 i prigionieri comunicano ai compagni esterni di aver organiz­ zato urfevasione per i 53 detenuti. Le Br prendono contatti con alcuni militanti sardi per costruire una nuova colonna e mette­ re in atto il piano. I problemi logistici si dimostrano però insor­ montabili. L’arresto di Prospero Gallinari, a cui viene trovata la piantina del carcere, fa mettere definitivamente da parte il pro­ getto. Fallita Fidea della fuga, il 2 ottobre i detenuti delTAsinara, 168

con una notte di battaglia, rendono inagibile la famigerata se­ zione Fornelli. Nel frattempo le Br, tramite i palestinesi dellOlp, riescono a prendere in Libano un carico di armi pesanti. Il nuovo decennio si apre con la creazione della colonna na­ poletana e varie azioni armate contro personale dello Stato e della repressione. Tra il giugno 1978 e la primavera del 1980, nella campagna contro gli apparati dell’Antiterrorismo, le Br uc­ cidono dodici militari in diverse città. Nei primi mesi del 1980 sono colpiti a morte due giudici, Vittorio Bachelet, vice presi­ dente del Consiglio superiore della magistratura, e Girolamo Minervini, neodirettore degli Istituti di prevenzione e pena. Intanto esplode un fenomeno che contribuirà allo smantel­ lamento dell’organizzazione. Nel febbraio 19 8 0 viene catturato Patrizio Peci, dirigente della colonna torinese. La sua delazione porta a oltre ottanta arresti e alla scoperta della base di via Fracchia a Genova, dove il 28 marzo i carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa uccidono a freddo quattro brigatisti: An­ namaria Ludmann, Riccardo Dura, Piero Pandarelli, Lorenzo Betassa. Dalla propaganda annata alla guerra civile

Nell’ottobre 198 0 viene diffusa una nuova Risoluzione della Di­ rezione strategica. Intende sancire la fine della fase della propa­ ganda armata e l’inizio di un periodo di transizione che, in modo lento, contraddittorio ma irreversibile, sta assumendo i tratti della guerra civile dispiegata. La De continua a essere Tas­ se portante della controrivoluzione imperialista, il Pei il partito dello Stato dentro la classe operaia. La ristrutturazione capitalistica ha prodotto la precarizzazione del mercato del lavoro, la rottura della solidarietà di clas­ se, una forte intensificazione dello sfruttamento. La classe ope­ raia mantiene un ruolo centrale ma non è più l’unico referente sociale strategico. Le carceri sono parte del cuore dello Stato in quanto luogo di controllo del proletariato metropolitano e di an­ nientamento della sua avanguardia politico-militare. Perla fase 16 9

di transizione le Br lanciano al movimento di classe la parola d'ordine di costruire i primi nuclei clandestini di resistenza, ca­ paci di unire la pratica politica e quella militare, mentre il Parti­ to comunista combattente ha il compito di conquistare le masse alla lotta armata e organizzarle in un articolato sistema di pote­ re proletario armato. Ai due Fronti esistenti (lotta alla controri­ voluzione e logistico) viene aggiunto il Fronte di massa, suddi­ viso in tre settori: classe operaia e fabbriche, lavoratori dei servi­ zi, proletariato marginale. Nel frattempo prosegue l'attacco della Fiat alla classe ope­ raia. Dopo i 6 1 licenziamenti politici delTestate 1979, nel set­ tembre 198 0 l’azienda, in profonda crisi, annuncia quasi quin­ dicimila licenziamenti. In seguito alle lotte, ai picchetti che bloccano l'azienda, per la prima volta nella storia d'Italia i qua­ dri intermedi - impiegati, colletti bianchi - sfilano a Torino chiedendo il diritto di tornare al lavoro. Sarà chiamata la «mar­ cia dei quarantamila». È la vittoria della ristrutturazione. La Fiat blocca i licenziamenti ma mette in cassa integrazione a zero ore ventitremila operai.Il Il sequestro D'Urso Nel dicembre 198 0 le Brigate rosse rapiscono a Roma il m agi­ strato Giovanni D'Urso, della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena presso il Ministero di Grazia e giustizia, responsabile del trattamento dei detenuti. NeU'iniziativa vengo­ no coinvolti i Comitati di lotta delle carceri, per la prima volta considerate dalle Br come «f altra faccia della fabbrica per chi lotta e combatte», dove vivono i settori più deboli del proletaria­ to metropolitano, extralegale, un terreno che si prepara a dive­ nire decisivo nello scontro di classe. La strategia differenziata attuata nelle carceri non è svincolata dalla ristrutturazione nellejàbbriche, ma parte integrante di essa: il momento piu alto di annientamento detteforze rivoluzionarie. L'azione ha come obiettivo la chiusura delfAsinara e delle altre carceri speciali. Il 26 dicembre, mentre il governo ribadi170

sce la politica della fermezza, il Ministro di Grazia e giustizia annuncia lo sgombero delfAsinara provocando varie proteste, anche del Pei. Il Comitato di lotta del carcere parla di vittoria. Durante il sequestro scoppia la rivolta nel carcere di Tram. Lo Stato adotta la linea della fermezza; il primo assalto della polizia viene respinto con l’uso di esplosivo. I detenuti fanno una serie di richieste sulle condizioni di vita e la legislazione speciale, oltre che sulla chiusura deirAsinara. Il 29 dicembre i reparti speciali dei carabinieri assaltano il carcere, i detenuti subiscono pesanti pestaggi. Due giorni dopo le Brigate rosse uccidono il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile della sorveglianza esterna delle carceri speciali. La richiesta dei bri­ gatisti di dare spazio ai comunicati dei Comitati di lotta delle carceri divide i mass media. Alcuni li pubblicano. Il giudice è ri­ lasciato a gennaio. La sentenza viene sospesa e il prigioniero D'Urso viene rimesso in libertà. La lotta contro l'annientamento carcera­ rio continua fino al conseguimento dell'obiettivo fin ale: distruzione di tutte le carceri e liberazione di tutti i proletari prigionieri. La fine delP unità In questo periodo si conclude di fatto il percorso unitario delle Brigate rosse, nonostante i tentativi per evitare le divisioni. Così i sequestri del 1981, in precedenza decisi dalPEsecutivo come operazioni dell’organizzazione, vengono in seguito utilizzati dalle varie componenti nella battaglia politica interna. La prima separazione viene sancita negli ultimi mesi del 198 0 con la colonna milanese Walter Alasia. Le divergenze ri­ guardano prevalentemente il ruolo della fabbrica e la centralità operaia, l’organizzazione del Pcc e degli organismi di massa ri­ voluzionari. La Walter Alasia prosegue autonomamente le azio­ ni. Tra queste, il 3 giugno 198 1, il rapimento dell’ingegnere del­ l’Alfa Romeo Renzo Sandrucd, capo dellufficio organizzazione del lavoro dell’Alfa di Arese. Alcune iniziative di propaganda nello stabilimento confermano il radicamento dei militanti. Per la liberazione del sequestrato viene chiesta la revoca della cassa

integrazione, prevista in un accordo firmato dai sindacati. Sandrucd è rilasciato dopo cinquanta giorni. L’arresto di Mario Moretti, il 4 aprile 19 8 1, a lungo dirigente delle Br, coincide con una accelerazione del processo disgrega­ tivo. La colonna napoletana e il Fronte delle carceri, guidati da Giovanni Senzani, gestiscono i sequestri Cirillo e Ped, acuendo le divergenze con l’Esecutivo nazionale. La scissione viene uffi­ cializzata nell’autunno. A dicembre nascono le Br-Partito della guerriglia, con un opuscolo in cui si diffondono le Tesi difonda­ zione del Partito Guerriglia. Questa componente sostiene la ne­ cessità di adeguare la linea politico-militare ai bisogni delle masse, e ritiene esista una inim iazia assoluta tra le dassi che nella metropoli assume la forma di scontro totale in tutti i rap­ porti sodali, in vista di una imminente guerra civile strisciante. Ciro Cirillo, assessore regionale democristiano al!urbanisti­ ca e all’edilizia popolare e vicepresidente del comitato tecnico campano per la ricostruzione dopo il terremoto del 1980, è ra­ pito a Napoli nell’aprile 1981. L’azione, in discontinuità con la linea storica dell’organizzazione, si rivolge ai bisogni e alle lotte del proletariato marginale (senzatetto, disoccupati), per costrui­ re il potere proletario armato. Per liberare l’ostaggio si richiede la requisizione degli alloggi sfitti, la chiusura di un villaggio di roulotte per terremotati, un sussidio di disoccupazione, la pub­ blicazione di comunicati. Nella controversa trattativa fra la De e la colonna napoletana cercano di intromettersi i servizi segreti e la criminalità organizzata. Il sequestro si condude con la firma di un decreto di requisizione delle case e di indennità di disoc­ cupazione per i giovani, il pagamento di un ingente riscatto inizialmente non preventivato - che andrà a finanziare il nuovo Partito guerriglia. L’ostaggio è liberato. Nel giugno T981 viene rapito Roberto Peci, per un breve pe­ riodo militante del Comitato marchigiano delle Brigate rosse e fratello del pentito Patrizio. È accusato di essere stato un infor­ matore. Viene ucciso il 3 agosto alla periferia di Roma. Il sequestro di Giuseppe Taliercio, direttore del petrolchimi­ 172

co Montedison di Marghera, nel maggio 198 1, provoca uriulte­ riore frattura, con la formazione della effimera colonna 2 ago­ sto. L’azione mira auafforzare e sviluppare le lotte operaie, con l’attacco al piano di ristrutturazione del settore chimico, accetta­ to dai sindacati, che avrebbe portato a licenziamenti, cassa inte­ grazione, intensificazione dei ritmi di lavoro in quella che, per la sua nocività, viene definita «fabbrica della morte». Le Br chie­ dono la revoca della cassa integrazione. Non viene aperta alcu­ na trattativa, e il corpo dell’ingegnere è ritrovato vicino al Petrol­ chimico. La componente «ortodossa» delle Br, che ha gestito questo sequestro e si pone in continuità con il passato, tenta di rilanciare la proposta politica con uriazione clamorosa. Le divisioni interne e la «ritirata strategica»

Il generale James Lee Dozier, il più alto comandante delle forze terrestri Nato in Italia, di stanza a Verona, viene rapito il 17 di­ cembre 19 8 1, per denunciare il ruolo subordinato dell’Europa agli Stati Uniti, la politica di potenziamento degli armamenti, la prevista installazione nelle basi militari italiane degli euromis­ sili Cruise. Nel secondo comunicato della campagna si annun­ cia il nuovo nome dell’organizzazione: Per il comuniSmo. Bri­ gate rosse per la costruzione del Partito comunista combatten­ te. Lo Stato, pressato dal governo am ericano, utilizzando sevizie, ricatti, dichiarazioni di collaboratori, individua un gruppo di militanti a conoscenza della base padovana in cui è te­ nuto l’ufficiale. Dozier viene liberato il 28 gennaio 1982 da un blitz dei Nocs (Nucleo operativo centrale di sicurezza). I cinque catturati sono sottoposti a pesanti torture, come numerosi bri­ gatisti arrestati in quei mesi. Cesare Di Lenardo resiste, denun­ ciando le sevizie alla magistratura. Gli altri quattro cedono. Due di essi, Antonio Savasta e Emilia Libera, dirigenti dell’organiz­ zazione, con le loro dichiarazioni producono una catena di fermi e arresti in varie regioni. Il bilancio interno seguito a que­ sti fatti, e alle divisioni organizzative, viene reso noto in un vo­ lantino «A tutto il movimento rivoluzionario». Si annuncia la i73

proposta di «ritirata strategica», ovvero un periodo di riflessio­ ne critica in cui l'avanguardia rivoluzionaria dovrà adeguare rimpianto teorico e la linea politica alle mutate condizioni, riti­ randosi in seno alle masse e costruendo al loro interno un siste­ ma di potere, senza abbandonare la lotta armata. La volontà di sottrarsi ai possibili esiti della tortura è posta dai dirigenti delle Br-Pcc al di sopra della salvaguardia della propria vita. Nel ten­ tativo di evitare a qualsiasi prezzo la cattura, Umberto Catabiani, ex membro della Direzione strategica, viene ucciso a maggio dai carabinieri. Mentre nelle carceri vari militanti si sono penti­ ti o dissociati, e alTesterno la Walter Alasia e il Partito guerriglia sono smantellati nel 1982, le azioni delle Br-Pcc proseguono sui due fronti centrali: questione sociale e antimperialismo. Il 3 maggio 1983 viene ferito a Roma il giuslavorista Gino Giugni, docente e membro del Comitato centrale del Partito socialista italiano. Il 15 febbraio 1984 a Roma le Br-Pcc, insieme alla Fra­ zione armata rivoluzionaria libanese (Fari), uccidono Leamon Hunt, direttore generale della Forza multinazionale e di Osser­ vazione delTOnu in Sinai, a cui partecipa un contingente italia­ no, considerata un baluardo degli interessi statunitensi in Medio Oriente in funzione antipalestinese. Nel giugno 1985 è arrestata Barbara Balzerani, rimasta alla guida delforganizza­ zione. Nel febbraio 1986 è ucciso l’ex sindaco di Firenze Landò Conti, accusato di aver partecipato al progetto di Guerre stellari, e nel febbraio 1987 viene effettuato un assalto a un furgone po­ stale, in cui perdono la vita due agenti di polizia, mentre i briga­ tisti lavorano anche per realizzare il Fronte di lotta antimperiali­ sta con organizzazioni armate di altri paesi. La soluzione politica Contrapposti a chi alTesterno prosegue la lotta armata, alcuni prigionieri, che non hanno seguito percorsi di dissociazione 0 pentitismo, lanciano una battaglia volta alla soluzione politica del conflitto degli anni Settanta. La campagna parte con una let­ tera diffusa nel febbraio 1987, firmata da Renato Curdo, Mario i7 4

Moretti, Piero Bertolazzi, Maurizio Iannelli, in cui si dichiarano chiusi un ciclo di lotte e 1 esperienza della lotta armata, si chie­ dono una rivisitazione critica degli anni Settanta e la liberazio­ ne dei prigionieri. Vi aderiscono vari brigatisti ed ex dirigenti, tra i quali Barbara Balzerani. Numerosi militanti, dentro e fuori le carceri, individuano nella proposta ima trattativa volta a sven­ dere un patrimonio storico politico nell'ambito di un quadro di parificazione sociale funzionale agli interessi borghesi. Il dibat­ tito investe i settori legali della sinistra antagonista. I più radica­ li ritengono la soluzione politica una dichiarazione di abbando­ no e delegittimazione dell’ipotesi rivoluzionaria. Nell’aprile 1988 le Br uccidono il senatore Roberto Ruflìlli, esperto di problemi istituzionali e collaboratore del presidente del Consiglio, il democristiano Ciriaco De Mita. L’azione ha anche l’obiettivo di rilanciare la lotta armata per contrastare quella che viene considerata la resa di buona parte dei prigio­ nieri. L’organizzazione è decimata nel settembre 1988 con arre­ sti nel Lazio e in Toscana. Alcuni dati Secondo il Progetto memoria, per le Brigate rosse (Br) sono state inquisite 9 11 persone, tra cui quasi il 25% di operai. A questi si aggiungono, dopo le divisioni, 93 inquisiti per le Brigate rossePartito comunista combattente (Br-Pcc), 147 per le Brigate rosse-Partito guerriglia (Br-Pg), 113 per le Brigate rosse-Walter Alasia (Br-WA). Tira i militanti morti, 12 sono riconducibili alle b r , 3 alle Br-Pcc, 1 alle Br-Pg, 5 alle Br-WA. Tira le persone colpite dalle organizzazioni armate, 52 morti sono rivendicate o attri­ buite alle Br, 6 alle Br-Pcc, ix alle Br-Pg, 3 alle Br-WA.

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Unione dei comunisti combattenti (Udcc) La Prima e la Seconda posizione Nelle Br-Pcc vanno via via delineandosi due concezioni, sempre più distanti tra loro, del processo rivoluzionario e dei compiti delle avanguardie, definite Prima e Seconda posizione. Le di­ vergenze riguardano questioni di strategia e di tattica, bilancio del passato e attività futura. A porre le basi di quella che sarà la Seconda posizione è il libro Politica e rivoluzione, scritto nel 1983 da quattro brigatisti prigionieri (Andrea Coi, Prospero Gallinari, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti), partendo da una critica serrata delle tesi esposte nella pubblicazione Gocce di sole nella città degli spettri, di Renato Curdo e Alberto Franceschini. Nel novembre 1984 viene diffuso l’opuscolo Brigate rosse Parti­ to comunista combattente, Un’importante battaglia politica nel­ l’avanguardia rivoluzionaria italiana, che riporta lo sviluppo delle due posizioni. La Prima posizione, maggioritaria, sostiene la tesi propria dell'organizzazione dalla sua nasata, sintetizzabile come «stra­ tegia della lotta armata», ovvero la possibilità di dare inizio, anche in un paese imperialista quale l’Italia e in una situazione non rivoluzionaria, a un processo di guerra di dasse di lunga durata. Il partito deve sfruttare le contraddizioni che la guerri­

glia metropolitana apre nello Stato disarticolando i progetti ge­ nerali della borghesia, accumulare progressivamente forza m i­ litare per dare una prospettiva concreta di potere alle masse pro­ letarie e contribuire a creare le condizioni per l’emergere di una situazione rivoluzionaria. L’offensiva finale sarà ristretta nel tempo e sferrata in condizioni oggettive particolari. Basandosi sulla storia del movimento comunista intema­ zionale, sugli insegnamenti del marxismo e soprattutto del le­ ninismo riguardo alla questione della conquista del potere poli­ tico, la Seconda posizione ritiene invece che le Br siano cadute in un eclettismo teorico - con un alternarsi di spontaneismo e militarismo - che ha portato all’adozione in un paese imperiali­ sta di schemi rivoluzionari propri dei paesi dipendenti. La teo­ ria maoista della guerra popolare prolungata rimane un riferi­ mento per le rivoluzioni di nuova democrazia e le lotte di libera­ zione nazionale, mentre in un paese in cui il capitalismo è definitivamente giunto allo stadio monopolistico la guerra rivo­ luzionaria assume la forma delTinsurrezione. Una guerra aper­ ta, in cui vasti settori di classi contrapposte si confrontano per mezzo delle armi, potrà verificarsi solo nel corso di una situa­ zione rivoluzionaria. Fino a quel momento eccezionale, in cui si realizzerà l’incontro tra le condizioni oggettive e soggettive necessarie per la rivoluzione, il partito deve rappresentare una guida in grado di far crescere la coscienza e l’organizzazione del proletariato attraverso una politica comunista e un’attività cen­ trata in modo essenziale m a non esclusivo sulla lotta armata, considerata un metodo di lotta e non una strategia. L’esordio dellUdcc e la morte di Wilma Monaco Nel marzo 1 985 i «dissidenti» (órca un terzo dei brigatisti) sono espulsi dalle Br-Pcc. Nello stesso anno a Parigi, dove alcuni m i­ litanti si sono rifugiati, vengono elaborate le tesi di fondazione di una nuova organizzazione, che si basa sull esperienza delle Brigate rosse e sul marxismo leninismo, con l’obiettivo di giun­ gere a una teoria e una pratica rivoluzionarie adeguate alla si­ 177

tuazione. In autunno il Manifesto e tesi di fondazione annuncia: Sotto l'impulso e l'iniziativa di alcuni ex-militanti delle Brigate Rossefuoriusciti da questa organizzazione in seguito alle loro batta­ glie per l'adozione delle tesi politiche enunciate nella cosiddetta «se­ conda posizione», nel mese di ottobre 1985, si è costituita la Unione dei comunisti combattenti. Alcuni militanti tornano in Italia per organizzare la struttu­ ra a partire da Roma. Riescono a far arrivare un piccolo carico di armi dalla Francia e iniziano l’opera di reclutamento. L'Udcc de­ cide di presentarsi pubblicamente con uriazione considerata politicamente gestibile, il ferimento di un personaggio di medio livello vicino a Bettino Craxi. Il 21 febbraio 1986 viene colpito a Roma Antonio Da Empoli, neodirettore del Diparti­ mento degli Affari economici e sodali di Palazzo Chigi. In qua­ lità di collaboratore del governo Craxi ha svolto un ruolo essen­ ziale nella formulazione della legge finanziaria. Durante Pinchiesta prelim inare i m ilitanti non si rendono conto che l’autista è un poliziotto di scorta. L’agente reagisce agli spari col­ pendo a morte Wilma Monaco, una delle componenti del grup­ po di fuoco. Dopo l’azione, oltre a un lungo volantino, PUnione diffonde una Autointervista di riflessione. Nei due documenti si rende onore a Wilma Monaco, Roberta, caduta combattendo per il co­ muniSmo, il cui sacrifido deve servire a tutto il movimento rivolu­ zionario per rinsaldare lefila e avanzare più speditamente sulla via di una lotta armata realmente marxista. Si afferma che la lotta ri­ voluzionaria è risorta in Italia negli anni ig 6 8 -’69, sulla base della spinta politica impressa dalle mobilitazioni operaie, prole­ tarie e studentesche. Dopo anni di esclusiva lotta economica, di egemonia revisionista sul proletariato, durante i quali il P d è di­ venuto una componente organica del sistema politico rappre­ sentando Pala sinistra della borghesia, la prospettiva della con­ quista del potere è ritornata attuale grazie alle Br e al loro uso si­ stematico della lotta armata. Nonostante il prezzo pagato con la morte di Wilma, dirigen­

te dell’organizzazione, l’Udcc ritiene che l’azione Da Empoli abbia raggiunto i suoi obiettivi e abbia chiaramente espresso il significato politico di attacco al governo e alla sua politica eco­ nomica. Si decide quindi di proseguire nella strada intrapresa, nel ricordo dell’indimenticabilefigura di «Roberta», della sua uma­ nità e della sua determinazione, adottando la lotta armata come metodo decisivo della politica comunista, verso un partito marxista leninista che guidi la classe sino aU’insurrezione, la conquista del potere politico e la dittatura del proletariato. Nel 19 8 6 l’Italia sta discutendo l’adesione allo Sdi (Strategie defense iniziative), lo «scudo spaziale», un colossale sistema di difesa fra i vari paesi dell'Alleanza atlantica, che non sarà poi realizzato. Da più parti chiamato Guerre stellari, è stato voluto dalTamministrazione Reagan sotto l’influenza delle forze più aggressive e reazionarie dell’imperialismo americano, quel ma­ nipolo di grandi compagnie multinazionali affiancate dal Pen­ tagono e da settori della burocrazia statale, per ristabilire il pri­ mato politico e militare nel mondo. Attraverso l’ombrello spa­ ziale, oltre che tramite bombardamenti, occupazioni militari, destabilizzazione aperta e occulta di governi legittimi, sabotag­ gio economico e appoggio a organizzazioni mercenarie, soste­ gno a regimi reazionari, ridimensionamento dei paesi dell’E st L’Unione decide di colpire il generale dell’Aeronautica m ili­ tare Lido Giorgieri, direttore della Sezione costruzione armi e armamenti aeronautici e spaziali. L’azione salta due volte per imprevisti e problemi tecniri. Nel frattempo l’Udcc scrive un nuovo testo di analisi Come uscire dall’emergenza? che viene dif­ fuso in librerie e centri antagonisti di tutta Italia. Gli arresti e Fucdsione di Giorgieri Nel gennaio 1987 l’Unione riceve un duro colpo con ! arresto di tre suoi dirigenti, Fabrizio Melorio, Geraldina Colorii e Paolo Cassetta. Gli ultimi due rimangono feriti nel corso del conflitto a fuoco. Lido Giorgieri viene ucdso a Roma il 20 marzo 1987 mentre rientra nella sua abitazione con la macchina di servizio. 179

L'autista rimane illeso. Una parte dei detenuti politici plaude al­ l'azione. Nel lungo documento di rivendicazione TUdcc spiega che il generale è stato colpito esclusivamente per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al progetto delle «guerre stellari», che rafforza quellintreccio di interessi, complicità e conni­ venze espresso dal complesso militare-industriale. L'organizzazio­ ne intende rappresentare su scala nazionale il soggetto politico rivo­ luzionario che dà «voce politica» e riferimento allinsiem e delleforze sociali, a cominciare dalla classe operaia, duramente colpiti dalla svolta reazionaria voluta dalla grande borghesia e realizzata dai go­ verni del Pentapartito. Il protocollo di intesa firmato a Washing­ ton nel settembre 1986 consente alle imprese italiane di parte­ cipare alla fase di progettazione dello Sdi. La decisione di aderi­ re, affermano i militanti dell'Unione, viene dai settori più retrivi della grande borghesia e dai vertici delle Forze armate. È stata favorita dalla politica neo-autoritaria del governo Craxi, che ha preparato il terreno per modificazioni della struttura istituzio­ nale in grado di approfondire la svolta reazionaria, a cui il Pei, per ambiguità e inettitudine, è stato «incapace» di opporsi. Si è così creato un vuoto politico che ha reso la classe operaia la «grande assente» della sfera politica nazionale. Solo il Pcc può riempire il vuoto, guidando quello schieramento di forze socia­ li che si oppone ai governi reazionari, con al centro la classe ope­ raia, verso una trasformazione sociale profonda, partendo dalla conquista rivoluzionaria del potere politico. La lotta armata viene individuata come il metodo di lotta fondamentale che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi politici delle avanguardie, permette al Pcc di conquistare lo spazio necessa­ rio nella lotta politica per rappresentare l'interesse generale e la capacità dirigente della classe operaia nelle concrete battaglie, non limitandosi alla semplice propaganda, ma pesando sugli equilibri e le alleanze che presiedono alla formazione dei gover­ ni e alle scelte di una borghesia succube ai «doveri imperiali­ sti». L'attacco al cuore dello Stato, afferma il documento, non è 180

quindi indirizzato verso astratti progetti di ristrutturazione, ma è la «punta» della politica rivoluzionaria che mette l’iniziativa armata al servizio di obiettivi che contribuiscono a creare un quadro favorevole di rapporti di forza. I comunisti combattenti, afferma f Udcc, sono interni al fronte contro la militarizzazione dello spazio e alTadesione italiana allo Sdi e considerano fu sa ta dalla Nato un obiettivo prioritario. In caso di conflitto si batte­ ranno per trasformare la guerra imperialista in guerra civile ri­ voluzionaria. La tentata evasione e la chiusura di un ciclo Nei mesi successivi alTomicidio Giorgieri PUnione è smantella­ ta dagli arresti effettuati a Roma e in Francia. Per PUdcc sono in­ quisite 73 persone. Nel 1987 viene approvata la legge sulla dis­ sociazione, di cui usufruiscono anche figure con un passato di rilievo nelle Brigate rosse quali Alberto Franceschini, Valerio Morucci, Adriana Faranda. Ma è anche Panno in cui nelle carce­ ri si sviluppa il lacerante dibattito fra i prigionieri sulla soluzio­ ne politica. Intanto alcuni dirigenti delPUdcc, insieme a brigatisti che in carcere hanno aderito alla Seconda posizione, tentano una labo­ riosa evasione scavando per mesi, con strumenti rudimentali, un tunnel sotto le loro celle nel carcere di Rebibbia. Fallita la fuga, otto prigionieri (Prospero Gallinari, Pasquale Abatangelo, Paolo Cassetta, Francesco Lo Bianco, Maurizio Locusta, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Bruno Seghetti) inviano un docu­ mento alla stampa. Pur non mettendo in discussione le ragioni sociali e storiche della scelta rivoluzionaria, e considerando le Br il soggetto politico àie ha trasformato in progetto una tensione sociale al cambiamento rivoluzionario, prendono atto di una sconfìtta. Partiamo una volta da un dato che ci riguarda. Oggi, ottobre 1988, le Brigate rosse coincidono difatto con i prigionieri politici delle Brigate rosse. È una situazione mai verificatasi prima in diciotto anni di at­ tività politica. [...] La rottura della continuità organizzativa e dell'at­ tività combattente delle Br costituiscono un demento che difatto mo­ 181

difica il quadro generale di uno scontro politico influenzato in misu­ ra variabile nell'arco di ventanni dalla presenza di un'opposizione armata. [...] Intendiamo riportare la nostra esperienza sul terreno della lotta politica aperta, di massa. [...] Un terreno concreto su cui operare il passaggio politico che abbiamo difronte è secondo noi quel­ lo detta lotta per un'amnistia politica generale. Come primo passag­ gio chiedono il raggruppamento in un unico carcere di tutti gli arrestati per la storia dell’organizzazione, al di là delle differenze politiche, e «diffidano» chiunque in futuro a utilizzare la sigla delle Brigate rosse. Nonostante le differenze di analisi e di affermazioni di in­ tenti, nei fatti tutte le proposte di soluzione politica dichiarano soggettivamente chiusa una fase politica e si muovono nel qua­ dro di una reintegrazione nel gioco «democratico», ponendo la questione della liberazione dei prigionieri fuori da un percorso di lotta rivoluzionaria, nelTambito di una trattativa con lo Stato che non andrà in porto. Un altro percorso nella Seconda posizione Dalla metà degli anni Ottanta, alfintem o della Seconda posizio­ ne si sviluppano anche altre proposte organizzative, che contri­ buiscono a mantenere vivo il dibattito pur non riuscendo a ope­ rare un salto politico-operativo. Un'area di militanti crea la Cel­ lula per la costituzione del Partito comunista combattente, che -partendo dal principio delTunità del politico e del militare - r i ­ tiene la lotta armata una necessità storica, strumento fondamentale ma non unico di un processo lungo e articolato che prevede la costruzione di un partito clandestino capace di gui­ dare le m asse verso 1insurrezione e quindi la guerra civile. Ri­ badendo la centralità della politica e criticando le concezioni militariste, il gruppo intende dare un orientamento alla prote­ sta operaia e dei lavoratori dei primi anni Novanta. La Cellula è Tavvio di quel percorso organizzativo colpito dalla cosiddetta Operazione TVamontp, che il 12 febbraio 2007 porta a quindici arresti e decine di indagati fra Padova, Milano e Torino - tra i 182

quali sindacalisti e delegati Cgil, subito espulsi - accusati di es­ sere militanti perii Partito comunista politico-militare (Pcp-m). La stampa si sofferma sulla diffusa solidarietà dimostrata dai compagni di lavoro nei confronti degli inquisiti L’inchiesta viene presentata dagli stessi inquirenti come azione «preventi­ va» mirante a smantellare il gruppo nel momento in cui si ap­ prestava a diventare operativo.

Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente (Br-Pcc) La ricostruzione delle forze Dai primi anni Ottanta le Brigate rosse iniziano a essere sm em ­ brate dagli arresti e dalle divisioni interne. L’uso sistematico da parte dello Stato della tortura nei confronti dei fermati, le leggi premiali per pentiti e dissociati, le varie proposte elaborate da gruppi di detenuti per ima soluzione politica di un conflitto sog­ gettivamente dichiarato concluso, favoriscono la rottura della solidarietà alTintemo delle carceri. Numerosi prigionieri, insie­ me ad alcuni militanti in libertà, non ritengono però conclusa l’esperienza, e intendono raccogliere il testimone per prosegui­ re la «guerra rivoluzionaria» in continuità con la teoria e la pras­ si dell'organizzazione. Una generazione successiva a quella delle Brigate rosse «storiche» inizia così un percorso di ricostru­ zione, compattamento e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario volto a superare la fase di ritirata strategica an­ nunciata dalle Brigate rosse nel 1982. Un percorso basato sulla prassi e non su un atto di fondazione a priori. Ricostruire uri or­ ganizzazione comunista combattente che agisca da partito per costruire il Partito, è uno degli slogan dei gruppi che fanno rife­ rimento alla Prima posizione. Un Partito comunista combat­ 184

tente che trasformi lo scontro, nell’unità del politico e del m ili­ tare, in un processo di guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere attraverso la strategia della lotta armata. AlTinizio degli anni Novanta i militanti che si propongono di proseguire l’esperienza delle Brigate rosse individuano come nodo politico centrale su cui rilanciare l’offensiva rivoluziona­ ria il patto neocorporativo fra le parti sociali, in cui partiti e sin­ dacati della sinistra storica hanno assunto un ruolo fondamen­ tale nella progressiva eliminazione delle garanzie dei lavorato­ ri. Nell’ottobre 19 9 2, in un periodo in cui la protesta operaia è forte, e la contestazione ai vertici sindacali molto dina, i Nuclei comunisti combattenti (Ncc), nati nell’ambito della Prima posi­ zione, firmano il volantino di rivendicazione di una fallita azio­ ne contro la sede della Confindustria di Roma. Attaccare il patto govemo-Conjìndustria-sindacato. Portare l’attacco al cuore dello Stato. Onore a tutti i militanti caduti combattendo. Il 31 luglio è stato firmato il Patto per il lavoro, che abolisce definitivamente la scala mobile e pone le basi per la riforma della contrattazione collettiva, aprendo la strada al più organico Protocollo sulla politi­ ca dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle poli­ tiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo del luglio 1993, che ratifica il metodo della concertazione. Nel gennaio 19 9 4 i Ncc effettuano, sempre a Roma, umazio­ ne contro il Nato Defence College, in occasione del Vertice Nato di Bruxelles che elabora una strategia militare aggressiva e di espansione imperialista verso est, negli spazi lasciati liberi dallo scioglimento del Patto di Varsavia. Qualche mese prima, nel set­ tembre 1993, era stata compiuta un’azione contro il muro di cinta della base dell’Aeronautica militare americana ad Aviano, rivendicata con la sigla Brigate rosse per la costruzione del Parti­ to comunista combattente, seguita da vari arresti. Negli anni successivi qualche azione minore, firmata dal Nucleo di iniziati­ va proletaria (Nipr) o dal Nucleo proletario rivoluzionario (Npr), è riconducibile agli stessi militanti dei Ncc, che usano sigle di­ verse a seconda del livello politico-militare delle operazioni. A

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piccoli altri gruppi, come i Nuclei armati per il comuniSmo (Nac), sono invece attribuibili incendi e ordigni artigianali. Per alcuni anni in Veneto e in Friuli ima serie di azioni minori sono siglate dai Nuclei territoriali antimperialisti (Nta), risultati poi essere il bluff di un pubblicista mitomane. La rabbia nei con­ fronti del ruolo che i sindacati svolgono nella ristrutturazione del mercato del lavoro si esprime anche con microazioni illegali diffuse. Tra il luglio 2002 e il maggio 2003 vengono denunciati 43 danneggiamenti a sedi sindacali e 12 piccoli attentati dinami­ tardi 0 incendiari. La Cisl è il sindacato più colpito. La Brigate rosse tornano sulla scena politica Nei primi m esi del 19 9 9 il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema è militarmente impegnato nella guerra dei Balcani, uif aggressione della Nato contro la Serbia presentata come «intervento umanitario», mirante in realtà a smembrare la Jugoslavia e assoggettarla agli interessi imperialisti. Il quadro politico interno è invece dominato dalla questione capitale-lavo­ ro, con un progressivo attacco alle conquiste ottenute dai lavo­ ratori nei decenni precedenti con dure lotte, volto a spezzare ogni forma di rigidità operaia aumentando la flessibilità e la precarietà del lavoro, in una politica neocorporativa di concerta­ zione che mira a governare le contraddizioni sociali con la par­ tecipazione attiva dei sindacati storici della classe operaia. In questa situazione di diffuso malcontento popolare, la mattina del 20 maggio le Brigate rosse irrompono di nuovo sulla scena politica uccidendo a Roma, sulla via Salaria, Massi­ mo D’Antona. Avvocato, docente di diritto del lavoro, è un nome poco conosciuto al grande pubblico ma ha svolto un molo di primo piano nella regolamentazione del diritto di sciopero e nella ristrutturazione del mercato del lavoro durante i governi guidati da Lamberto Dini, Romano Prodi e Massimo D’Alema. Si legge nella rivendicazione: Le Brigate rosse per la costruzio­ ne del Partito comunista combattente hanno colpito Massimo D ’A n­ tona, consigliere legislativo del Ministro del Lavoro Bassolino e rap­ 186

presentante dell’Esecutivo al tavolo permanente del Patto per l'occu­ pazione e lo sviluppo. Con questa offensiva le Brigate rosse per la co­ struzione del Partito comunista combattente riprendono l’iniziativa combattente, intervenendo nei nodi centrali dello scontro per lo svi­ luppo della guerra di classe di lunga durata, per la conquista del po­ tere politico e l'instaurazione della dittatura del proletariato, por­ tando l'attacco al progetto politico neo-corporativo del Patto per l'oc­ cupazione e lo sviluppo, quale aspetto centrale nella contraddizione classe/Stato, perno su cui l'equilibrio politico dominante intende procedere nell’attuazione di un processo di complessiva ristruttura­ zione e riforma economico-sociale, di riadeguamento delleforme del dominio statuale, base politica interna del rinnovato ruolo dell'Ita­ lia nette politiche centrali dell'imperialismo. Massimo D Antona è definito esponente di spicco dell'equilibrio politico dominante e del progetto affermatosi come centrale nel corri­ spondere agli interessi di governo dell'economia e del conflitto di classe della Borghesia Imperialista, ha costituito cerniera politico-operativa del rapporto tra esecutivo e sindacato confederale, un formulatore ed interprete dellafunzione politica del «Patto Sociale» e della sede neo­ corporativa in dialettica con i caratteri storici della democrazia rap­ presentativa in Italia, t del ruolo antiproletario e controrivoluziona­ rio della corresponsabilizzazione dette parti sociali e innanzitutto del sindacato, nelle decisioni sulle materie di politica economica. Le Brigate rosse si riferiscono alTAccordo sodale per lo svi­ luppo e foccupazione (il Patto di Natale), firmato nel dicembre 1998, Pultimo grande provvedimento del periodo della concer­ tazione, che riprende i contenuti del Patto del 1993 fra governo, Confìndustria e sindacati e rappresenta un attacco, condotto da un governo di centrosinistra, alle condizioni della dasse ope­ raia e dei lavoratori. Massimo D'Antona aveva avuto un ruolo essenziale sia nella definizione del Patto sia nel comitato incari­ cato di attuarlo, adeguando la legislazione italiana alle direttive europee del programma di Maastricht. Alcuni prigionieri rivendicano l'ucrisione, «scomunicata» invece dai detenuti che hanno fatto proprie le varie proposte di 187

soluzione politica. I media parlano di «nuove» Brigate rosse, a sancire una rottura con il passato, mentre gli autori dell’azione, ovvero i militanti dei Ncc, ritengono, per la valenza politica che essa assume nello scontro generale tra le classi, di poter svolgere un ruolo d'avanguardia in continuità oggettiva con la proposta delle BrPcc ed assumersi perciò la responsabilità politica di prenderne la de­ nominazione. Pur considerando come dim ensione politica principale della lotta di classe quella della rivoluzione nel proprio paese, nel documento viene confermata la centralità del Fronte Antim­ perialista Combattente per la costruzione di alleanze politiche che operino all’indebolimento dell’imperialismo nella nostra area, per lo sviluppo di un processo che costruisca una prospettiva di pote­ re. La diffusa opposizione nei confronti della partecipazione ita­ liana ai bombardamenti nel Kosovo, allora in corso, porta in quel periodo a numerose manifestazioni contro la guerra, ma anche ad alcune iniziative emulative, con la comparsa di stelle a cinque punte sui muri di varie città. Le indagini a vuoto e fucdsione di Marco Biagi Dopo l’omicidio D’Antona gli inquirenti brancolano nel buio. Perquisizioni, pedinamenti, intercettazioni telefoniche e am ­ bientali non danno alcun risultato significativo. Nel maggio 2000, partendo dalla testimonianza di un tredicenne, viene ar­ restato un giovane che lavora in una cooperativa legata alla Fiom e ha frequentato un centro sociale romano. Lo si accusa di essere il «telefonista» delle Br-pcc. La sua posizione sarà archi­ viata dopo un anno di detenzione. AlTinizio del 20 0 2 non ci sono certezze investigative. Per il 23 marzo la Cgil ha indetto a Roma una manifestazione in dife­ sa dei diritti pesantemente attaccati dal governo Berlusconi e dalla Confindustria, in particolare dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, strumento di tutela in caso di licenziamento ingiu­ stificato (sarà modificato nel 2 0 12 con la Riforma Fornero). Tre milioni di persone scendono in piazza. Pochi giorni prima del 188

grande appuntamento sindacale, la sera del 19 marzo, le Briga­ te rosse tornano a colpire a Bologna, uccidendo Marco Biagi, esperto giuslavorista e delle relazioni industriali, rappresentante delle istanze detta Conjindustria, consulente del Ministro del La­ voro Maroni e collaboratore dei governi degli anni Novanta in tema di lavoro e relazioni industriali, anche a livello intemazio­ nale. Nel lungo documento di rivendicazione, Biagi viene defi­ nito ideatore e promotore dette linee e delle form ulazioni legislative di un progetto di rimodellazione detta regolazione dello sfruttamen­ to del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto dette relazioni neocor­ porative tra Esecutivo, Conjindustria e Sindacato confederale, quanto dellafunzione della negoziazione neocorporativa in rappor­ to al nuovo modello di democrazia rappresentativa. Si ricorda in particolare il suo ruolo, nel 19 9 6 con il governo Prodi, nelTelaborazione del Pacchetto Treu, base dell'accordo neo­ corporativo tra Governo, Conjindustria e Sindacato confederale con cuifufatto il salto di qualità nette varieforme di precarizzazione del lavoro salariato e la sua responsabilità nel Patto di Milano, antici­ pazione del modello di mercato del lavoro e sociale che avrebbe volu­ to oggi generalizzare e con cui si è tentato di ritagliare il prezzo e le condizioni di impiego dellaforza-lavoro suUa base della ricattìbilità di condizioni sociali di dipendenza particolarmente svantaggiate. Durante il governo Berlusconi Marco Biagi ha un ruolo di primo piano nelTelaborazione del Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia ed è promotore di un progetto di Statuto dei lavo­ ri, in sostituzione dello S tatuto dei lavoratori, che prefigura un nuovo sistema di relazioni sociali e un mercato del lavoro com­ posto da giovani «flessibili» e precari, non conflittuali, adattabi­ li alle esigenze del capitale. In sintesi: Con questa azione combattente le Brigate rosse attac­ cano la progettualità politica dellafrazione dominante della borghe­ sia imperialista nostrana per la quale l'accentramento dei poteri nel­ l'Esecutivo, il neocorporativismo, Xalternanza tra coalizioni di go­ verno incentrate sugli interessi della borghesia imperialista e il «federalismo» costituiscono le condizioni per governare la crisi e il 189

conflitto di classe in questa fase storica segnata dalla stagnazione economica e dalla guerra imperialista. Pochi giorni dopo, dalle gabbie di un processo in corso a Roma alam i brigatisti rivendicano l’azione. Sulla stampa ven­ gono rese note varie comunicazioni che dal 2 0 0 1 il professor Biagi aveva indirizzato a personalità del mondo politico ed eco­ nomico chiedendo che gli fosse ripristinata la scorta, per essere stato «l’estensore tecnico del Patto per il lavoro di Milano» e col­ laboratore di governo e Confindustria, per «una strategia di flessibilità sul lavoro». Nel 2003 le indicazioni di Biagi furono formalizzate nella Delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, nota come Legge Biagi, varata dal secondo esecutivo Berlusconi. Una legge, duramente criticata anche dalla Cgil, che riduce diritti e tutele, assegna un ruolo fondamentale allo Stato e introduce il concetto di Borsa del lavoro, un mercato dove il costo del lavoro è determinato dall'incontro fra domanda e offerta. Dopo f attentato viene creato un Gruppo investigativo Biagi, che inizia un complesso lavoro utilizzando le più moderne tec­ niche informatiche, sono eseguite perquisizioni negli ambienti ritenuti più vicini alla lotta armata, ma le indagini procedono senza una direzione precisa. Viene però costruito il capro espia­ torio di turno da mostrare all’opinione pubblica, come già acca­ duto per il cosiddetto telefonista delle Br. Nell’agosto 20 0 2 Paolo Persichetti, ex militante dell’ Unione dei comunisti com­ battenti rifugiato a Parigi, dove si era ricostruito una vita e aveva un contratto da assistente universitario, è indagato per Tornicidio di Marco Biagi e consegnato alle autorità italiane al di fuori di ogni procedura di estradizione. Una montatura messa in piedi per abbattere la «dottrina Mitterrand» sui rifugiati politi­ ci. Riconosciuta la sua estraneità ai fatti, sconta altri undici anni di carcere in Italia per una precedente condanna. La sparatoria sul treno e Tucdsione di Mario Galesi

La svolta arriva la mattina di domenica 2 marzo 2003. Nadia

Lioce e Mario Galesi, clandestini e ricercati, viaggiano sul treno interregionale Roma-Firenze diretti ad Arezzo. Nei pressi della stazione di Castiglion Fiorentino tre uomini della Polizia ferro­ viaria effettuano un controllo di routine. Alla richiesta di identi­ ficazione, i brigatisti mostrano due false carte di identità. L’a­ gente non sospetta nulla e la sala operativa della polizia comu­ nica che i due nomi sono puliti. Mario Galesi non fa in tempo a rendersene conto. Nel timore di essere riconosciuto, punta una pistola contro uno dei poliziotti e, sostenuto da Nadia Lioce, in­ tima di consegnare le armi. Uno di loro getta la pistola, la briga­ tista la raccoglie e c’è una colluttazione. Inizia il conflitto a fuoco. Rimangono a terra il sovrintendente Emanuele Petri, che muore sul colpo, e Mario Galesi, che spira la sera stessa in un ospedale di Arezzo durante un intervento chirurgico. Un altro poliziotto resta ferito, mentre Nadia Lioce viene disarmata e immobilizzata. Davanti agli investigatori si dichiara prigio­ niera politica. Nell’isolamento della cella, in due giorni scrive un documento politico che presenta ai magistrati, in cui sono tracciate «le linee che in questa fase congiunturale caratterizza­ no la proposta delle Brigate rosse alla Classe». Gli arresti e i processi Con la cattura di Nadia lioce e l’analisi dei materiali informatici rinvenuti il giorno della sparatoria sul treno, le indagini subi­ scono una svolta. Il 24 ottobre, fra Roma e la Toscana vengono arrestati Federica Saraceni, Laura Proietti, Cinzia Bandii, Paolo Broccatelli, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma e una setti­ ma persona che sarà poi assolta. Nei giorni successivi finiscono in carcere Simone Boccaccini e Bruno Di Giovannangelo. Emerge una notevole presenza e un importante ruolo politico delle donne nell' organizzazione. Tramite un minuzioso lavoro investigativo gli inquirenti in­ dividuano le schede telefoniche che i brigatisti hanno utilizzato nell’immediatezza di alcune azioni e riescono a risalire a una cantina affittata a Roma da Diana Blefari con la sua vera iden­

tità. Da quel momento la donna si rende irreperibile. All’inter­ no vengono ritrovati esplosivo, documenti politici, e molti altri oggetti e materiali usati dall’organizzazione. Diana viene cattu­ rata la notte del 22 dicembre a Santa Marinella, sul litorale ro­ mano, in un miniappartamento appena affittato a suo nome. Gli arresti proseguono fino al luglio 2005. Inizia così la fase dei processi, che vede coinvolti 22 imputa­ ti e termina con quindici condanne e sette assoluzioni. Nel giu­ gno 20 0 4 Nadia Lioce viene condannata all’ergastolo per la spa­ ratoria sul treno Roma-Firenze. In aula legge un suo documen­ to di ricostruzione dei fatti. Ribadisce che non si è trattato di una azione premeditata m a della necessità di fa r fronte al pericolo sfruttando il vantaggio della sorpresa e del diritto di sottrarre leforze alla cattura. Nel luglio 2005 a Roma, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, si conclude il processo di primo grado per l’uccisione di Massimo D’Antona, con la condanna all’ergastolo per Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, confermata in appello, e con altre pene minori. Con cinque ergastoli si chiude invece a Bologna il processo per rom iddio Biagi: Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari e Simone Boccaccini, la cui condanna verrà ridotta in appello a 21 anni. Cinzia Banelli, che al momento della cattura è incinta e già prima dell’arresto aveva avuto una militanza discontinua, dopo la nasata del figlio decide di parlare, fornendo agli inquirenti indicazioni particolareggiate. Condannata con rito abbreviato per la partedpazione agli om iddi di D’Antona e Biagi, esce dal carcere nel 2009 . Vive insieme alla famiglia in una località se­ greta, con un sussidio e im a nuova identità. Diana Blefari Melazzi, un suiddio annunciato La sera del 31 ottobre 20 0 9 Diana Blefari Melazzi, condannata alTergastolo per concorso nell’om iddio di Marco Biagi, si toglie la vita impiccandosi in una cella nel carcere romano di Rebibbia. Un suicidio prevedibile e previsto. A partire dal 2006 i di19 2

Tensori denunciano il progressivo peggioramento delle sue condizioni psichiche e Tincompatibilità con la detenzione. Il caso è segnalato dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e in uri interrogazione parlamentare. Il sistema carce­ rario prosegue la sua opera di annientamento. Nelle perizie psi­ chiatriche Diana viene giudicata in grado di stare in giudizio, subisce vari trasferimenti e per lunghi periodi è tenuta, come altri coimputati, in regime di art. 4 1 bis, uno strumento di tor­ tura bianca applicato nei confronti dei detenuti considerati più pericolosi, inserito alTintemo della riforma penitenziaria del 1975 dalla Legge Gozzini, nel 1986, in sostituzione delTart. 90. Prevede un trattamento differenziato, una sospensione di ga­ ranzie e diritti contenuti nell’ordinamento penitenziario. Isola­ mento, un solo colloquio mensile con i familiari attraverso vetri e citofoni, limitazione delle ore d’aria, della socialità, della cor­ rispondenza pur se sottoposta a censura, di libri, riviste, ogget­ ti, indumenti, possibilità di assistere ai processi solo in video­ conferenza. Il 1 ottobre 2 0 0 9 ,con Taccusa di banda armata viene arresta­ to un ex compagno di Diana (assolto e liberato dopo quasi 18 mesi), con cui ha mantenuto un profondo legame affettivo. Nel 2 0 0 9 hanno anche effettuato alcuni colloqui. Pochi giorni prima del suicidio, Diana viene trasferita a Rebibbia sotto sor­ veglianza speciale. Nonostante il drastico peggioramento delle sue condizioni di salute, si fa più serrata la pressione degli in­ quirenti per estorcerle informazioni. Il 27 ottobre la Cassazione conferma in via definitiva la condanna all’ergastolo. La senten­ za le viene notificata poche ore prima del suicidio.

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Collettivi politici veneti per il Potere operaio (Cpv) Da Potere operaio all'Autonomia operaia Agli inizi di giugno del 1973, durante la iv Conferenza nazionale d'organizzazione di Rosolina, in provincia di Rovigo, si manife­ stano profonde divergenze all'interno di Potere operaio* A scon­ trarsi sono Taiea romana di Franco Pipemo e quella delle Assem ­ blee operaie autonome, che ha come riferimenti principali Toni Negri e Fassemblea di Porto Marghera-Venezia. Negri ritiene possibile un doppio binario di militanza. Da un lato, un ruolo di direzione delle iniziative, in grado di interpretare Fillegalità di massa, dall'altro un livello di clandestinità associativa, che guidi il percorso della lotta armata verso la guerra di classe. Pipemo so­ stiene invece la necessità politica per il militante di Potere ope­ raio di essere un quadro complessivo, capace di agire come riferi­ mento sia sul piano politico sia su quello militare. Nessuna delle due ipotesi si dimostra possibile. Potere operaio si scioglie. Per un breve periodo qualcuno tenta di tenere in piedi il gruppo con­ tinuando a far uscire un giornale, il «Potere operaio del lunedì». Il dibattito che si sviluppa nei mesi successivi fra i militanti del Veneto, con Fesclusione delle sezioni di Venezia e Verona, porta alla nascita dei Collettivi politici padovani per il Potere operaio. 194

Larea dell’Autonomia operaia Le strutture organizzate rappresentano solo un aspetto di una realtà più variegata. LAutonomia nel suo insieme non è mai stato un gruppo o una somma di gruppi, ma uriarea che ha rac­ colto situazioni di lotta, militanti determinati a condurre una battaglia contro il lavoro e lo Stato a partire dalle proprie condi­ zioni materiali di sfruttati. Operai, studenti, precari, donne, omosessuali. Negli anni Settanta i gruppi extraparlamentari formulano una lettura strategica di fascistizzazione dello Stato, concen­ trando buona parte della loro attività sulTantifascismo militan­ te. LAutonomia considera invece prioritaria la battaglia contro il capitale. Solo in alcuni periodi, soprattutto nella realtà roma­ na, f antifascismo diviene un tema centrale, che non si ricono­ sce nelle cam pagne per l’M si fuorilegge, ma vuole essere espressione di un contropotere finalizzato a liberare i quartieri dai neri e dai loro covi. Anche a Padova, dove la presenza neofa­ scista è molto forte, lo scontro con gli squadristi condotto in ter­ mini offensivi, oltre che difensivi, crea intorno ai Cpv un diffu­ so consenso giovanile. Luso della forza è in quegli anni patrimonio di buona parte della sinistra extraparlamentare. Le divergenze fra i gruppi e le Brigate rosse non riguardano la necessità e Topportunità della lotta armata, ma impostazioni tattiche e strategiche. LAutono­ mia intende mantenere un fronte di attività legale, critica le azioni esemplari condotte da urfavanguardia esterna accusata di non tenere conto dei livelli raggiunti dal movimento e dagli organismi di massa. Il combattimento è considerato espressio­ ne del punto più alto di costruzione del contropotere proletario. Il precariato viene individuato come forma-lavoro centrale del nuovo ciclo produttivo. Il soggetto di riferimento non è più roperaio massa ma l'operaio sociale. Ovvero chiunque, sottopo­ sto al rapporto di produzione, subisce una tendenziale proleta­ rizzazione. Disoccupati, emarginati, donne, studenti. La prima protesta sui bisogni riguarda i prezzi dei trasporti pubblici. Poi i 95

il conflitto si allarga. Nel territorio, in quella che viene definita fabbrica diffusa, dove si annulla la separazione tra lavoro e vita. A metà degli anni Settanta si inizia a parlare di proletariato giovanile. Soggetti che esprimono il proprio antagonismo attra­ verso l’uso della marijuana e Fesproprio di merci, il sesso libero e gli scontri di piazza, il rock e lo sciopero selvaggio. Fra il 1975 e il 1976 a Milano nascono i Circoli del proletariato giovanile, che si diffondono in tutta Italia. I primi centri sociali. I loro m i­ litanti occupano case ed effettuano autoriduzioni nei cinema, non pagano i concerti, saccheggiano negozi, attaccano i bar delFeroina. Insieme alle femministe sono i «nuovi» soggetti del­ l’Autonomia. Rifiutano il lavoro e le regole borghesi, la divisione fra il personale e il politico, considerano Finterò tempo di vita inglobato nei processi di produzione capitalista. Concepiscono la rivoluzione come pratica quotidiana. Nel marzo 1976 a Roma si svolge il convegno per creare a li­ vello nazionale FAutonomia operaia organizzata e rendere più organico l’intervento combattente sul territorio.I I due fronti di lotta Potere operaio, in linea con la tradizione del movimento comu­ nista, aveva impostato la propria azione su due fronti di m ili­ tanza. Uno pubblico, di massa, considerato prevalente, e uno articolato nella struttura Lavoro illegale, per realizzare le prime azioni armate collegate al movimento. Potere operaio vuole es­ sere il «partito dell’insurrezione», inteso come partito, comeform a­ zione organizzata che si propone di dirigere e di armare il movi­ mento di massa della classe operaia [...]. Muovere il movimento verso lo sbocco di potere significa dirigere l’intera articolazione del movi­ mento delle masse verso la lotta armata. L’Autonomia operaia, e i Collettivi politici veneti per il Potere operaio, alla violenza diffusa, prolungamento delFillegalità di m assa delle iniziative sociali, affiancano un'organizzazione clandestina d’avanguardia, per effettuare azioni politico-milita­ ri volte a indebolire lo Stato. 19 6

I Collettivi politici veneti per il Potere operaio

I Collettivi politici veneti per il Potere operaio nascono nel 19 76 su base territoriale. A caratterizzarli è il forte radicamento nella realtà locale, la presenza di una struttura unitaria articolata su un fronte politico-legale e uno militare-illegale, fra loro comple­ mentari, un confronto dialettico e rapporti logistici con le orga­ nizzazioni clandestine, la volontà di agire da partito. La 1 Circolare della Commissione Politica dei Collettivi Politici Padovani, principale articolazione dei Cpv, dichiara che f obietti­ vo è costruire nuclei di combattenti comunisti omogenei su tutti i problemi attinenti una linea di condotta rivoluzionaria, per mette­ re a punto un progetto strategico d'organizzazione per il partito ar­ mato degli operai comunisti. Nel primo numero del giornale dei Collettivi padovani, uscito come supplemento a «Linea di con­ dotta» nell’ottobre 1976, si definisce la guerra civile un fenome­ no grandioso e immenso in cui il bisogno sifa progetto e il progetto si arma per realizzarsi, in cui tutte le contraddizioni della vita delle masse si concentrano e si liberano, è l'unico punto di riferimento a cui fa r risalire la rice rca del metodo, la struttura dell'organizzazio­ ne, la materializzazione del programma, l'azione quotidiana e stra­ tegica dei comunisti. [...] Forme di potere politico vero e proprio si sono andate estendendo, datt’autoriduzione ai prezzi politici, dal ri­ fiuto del contratto al virtuale rifiuto della contrattazione, dall'Auto­ nomia di classe alla sua indipendenza, riaggregatasi sull'uso della forza che ne ha messo in luce l'intera energia politica. Alla base dei Cpv d sono i Gruppi sodali. Organismi territo­ riali pubblio che mettono in atto, nella fabbrica e nel sociale, un programma comunista centrato sulla pratica del contropotere, come si legge nel bollettino dclostilato Ben scavato vecchia talpa, del 19 78 . 1 Gruppi devono costituire comitati sui temi più con­ flittuali. Comitati di zona, Comitati e Collettivi di studenti medi e universitari, Comitati e Coordinamenti operai. In ogni Collet­ tivo territoriale (Padova, Vicenza, Venezia, Rovigo) c'è un Nudeo, a cui spetta la direzione politico-militare, e un Attivo, la realtà militante più ampia dove si discute la linea generale. La 19 7

struttura pubblica dei Cpv comprende inoltre Radio Sherwood a Padova, che dal 1977 diviene una delle voci dei Collettivi e dà vita, tra il 1978 e il 1985, a omonime emittenti a Thiene poi a Ve­ nezia. Nel 1978 esce il settimanale «Autonomia», i cui redattori vengono arrestati nell'ambito dell'operazione «7 aprile». Il gior­ nale continuerà a essere pubblicato periodicamente fino alla metà degli anni Ottanta, La struttura semiclandestina dellillegalità di massa utilizza una serie di sigle, ognuna corrispondente ad un determinato livello dell'organizzazione, con cui vengono rivendicate le azioni di attac­ co contro le strutture e/o gli uomini degli apparati del comando po­ litico-sociale e produttivo. Organizzazione operaia per il comu­ niSmo, Proletari comunisti organizzati, Ronde armate proleta­ rie. Colpiscono agenzie immobiliari, abitazioni, automobili, sedi di società con ordigni esplosivi o bottiglie incendiarie. La struttura clandestina, militare, che impiega arm i da sparo, si firma Fronte comunista combattente. Rivendica nove azioni, fra cui tre ferimenti. Dal 1975 i Collettivi fanno un salto organizzativo in tutta la regione, effettuando spettacolari iniziative politico-militari di massa. Picchetti, sabotaggi, azioni contro i capetti, il lavoro nero, gli straordinari. Incendi di fabbriche, automobili, sedi fa­ sciste e democristiane. Si sviluppa una pratica quotidiana di contropotere nei quartieri, con occupazioni di case, autoridu­ zione di bollette, imposizione di prezzi politici nei trasporti, nelle mense, in negozi e supermercati, ma anche espropri di beni di lusso, per sancire il diritto a godere la vita riapproprian­ dosi di quanto ingiustamente tolto dal capitale. La rottura con la politica dei sacrifici promossa dalle organizzazioni storiche del movimento operaio è netta. I Collettivi a Padova - la città in cui sono più forti - dedica­ no una particolare attenzione all'università, ritenuta un fulcro del modo di produzione capitalista, del meccanismo di estra­ zione di plusvalore, una fabbrica del consenso, una sacca di la­ voro per la fabbrica diffusa. Per lottare contro la selezione e al­ 198

largare spazi politici, vengono effettuate occupazioni, ronde contro i baroni reazionari o legati al Pei, interrotte lezioni ed esami, imposto un voto politico sulla base della frequenza ai seminari autogestiti. Nel 19 76 si sedimenta un rapporto politico-organizzativo fra i Collettivi e i compagni di «Rosso», che nel 1978 viene de­ nominato «Rosso per il Potere operaio». Si vuole cercare di dare ima direzione nazionale alla ricchezza sodale dell’autonomia e ai fenomeni armati nel movimento. Dopo il convegno contro la repressione di Bologna del set­ tembre 1977, mentre si continua a discutere del progetto di cen­ tralizzazione denominato Autonomia operaia organizzata, i Collettivi politid veneti promuovono il Movimento comunista organizzato veneto (Meo), per salvaguardare la specifìdtà terri­ toriale all’interno del percorso per la creazione di una forza poli­ tica nazionale. Fra il 1977 e il 1979 l’intervento si rivolge contro la ristruttu­ razione e il comando sul lavoro, in fabbrica e nel territorio, e contro le infrastrutture dell’università. In questo quadro matu­ rano numerosi sabotaggi e i ferimenti, a Padova e provinda, di un giornalista, del direttore dell’Opera universitaria, di un do­ cente. Illegalità di massa, lotta annata e contropotere

Per i Cpv, come per altre realtà dell’Autonomia operaia, Fuso della forza e fillegalità di m assa sono strettamente legate all’at­ tività pubblica e finalizzate all’estensione di un effettivo contropotere volto all’abbattimento del sistema capitalistico. Rispetto ad altri settori dell’Autonomia, i Cpv si caratterizzano per il ri­ fiuto dello spontaneismo, la costruzione di fronti di organizza­ zione differenziati ma unificati da una direzione politico-mili­ tare centralizzata. Nel febbraio 19 79 esce sul settimanale «Autonomia» un ar­ ticolo, con estratti di documenti interni, Sulla linea di combatti­ mento, che traeda la strategia dei Cpv. Il soggetto comunista deve 19 9

essere disciplinato dentro un progetto centrale d’organizzazione ca­ pace di «armarlo» per disarticolare l’intero arsenale di comando e di controllo dello stato capitalistico. Il movimento deve essere arric­ chito della complessità dei problem i: occorre operare perché si rafforzi e possa sostenere e accettare la sfida capitalistica su tutti i terreni dove si rapportano i conflitti di classe. [...] Quindi, linea di combattimento dentro la pratica del programma proletario a livello territoriale, dentro l’esperienza dell'illegalità di massa e dello svilup­ po del movimento comunista organizzato. Movimento come rete soggettiva di un potere proletario che cresce sull’uso della forza, via via commisurata ai possibili salti e alle forzature detta e nella inte­ ra soggettività proletaria. Quindi uriarticolata e complessa pratica detta lotta armata. Q controllo del territorio Una forma di contropotere e di guerriglia urbana simbolicamente efficace, messa in atto a Padova, è il controllo dei territo­ ri. L’occupazione di una zona cittadina, effettuata da un centi­ naio di militanti, con armi e molotov. Alcuni chiudono gli ac­ cessi con macchine messe di traverso sulla strada e copertoni bruciati, per ritardare l'arrivo della polizia, mentre altri compio­ no azioni nella zona «liberata». Questa pratica viene attuata nel quartiere padovano delfArcella il 9 giugno 1976, quando sono colpite case e punti di ritrovo dei fascisti, poi in quello di Brusegana, nelTautunno dello stesso anno, dove tra i altro è effettuato un esproprio in un supermercato. I clienti vengono fatti uscire senza pagare e gli alimenti sottratti sono poi distribuiti davanti alle case popolari. Il controllo del territorio è di nuovo attuato al Portello-Stanga il 19 maggio 1977, nell’ambito della lotta contro la soppressione delle festività. Sono danneggiate anche due agenzie immobiliari, considerate responsabili della crisi e del­ l’aumento dei prezzi degli alloggi. All’inizio di dicembre del 1979, per protestare contro il di­ vieto della manifestazione regionale in solidarietà con gli arre­ stati del 7 aprile, circa duecento militanti armati dei Cpv blocca­ 20 0

no gli snodi viari di Padova. Auto incendiate, colpi di pistola, espropri alla cassa di un supermercato, danneggiamento di agenzie immobiliari, molotov contro una sede De. L’iniziativa è rivendicata da un volantino firmato Per ii comuniSmo

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Le campagne d’organizzazione Un intervento tipico della rete regionale dei Cpv sono le campa­ gne d’organizzazione, chiamate dalla stampa «notti dei fuo­ chi», una serie di azioni tematiche in contemporanea, condotte dalle diverse strutture provinciali, rivendicate con varie sigle ma coordinate da una direzione centralizzata. Ne vengono ef­ fettuate dieci, a partire dall’aprile 1977. La prima, rivolta contro i piccoli imprenditori, mira colpire i loro beni e chiudere i covi del lavoro nero. Cultima, alla fine di ottobre del 1979, ha come bersaglio le filiali Fiat della zona per protestare contro il licen­ ziamento politico a Torino di 6 1 operai. Durante le altre, obiettivi ricorrenti sono sedi De, stazioni dei carabinieri, funzionari di polizia, carceri, abitazioni e ritrovi fascisti, locali di associazioni industriali. In im a occasione, nel 1978, vengono sparati colpi di pistola sulle finestre dell’abita­ zione di Pietro Calogero, allora titolare dell’inchiesta padovana contro sessanta militanti accusati della costituzione di urfassociazione per delinquere riferibile ai Collettivi politici padovani per il Potere operaio. Lo stesso giudice sarà f artefice del proces­ so «7 aprile», a cui i Cpv rispondono con la nona «notte dei fuo­ chi», alla fine di aprile del 1979. Contro la repressione, vengono attaccate nelle province di Padova, Venezia, Vicenza, Rovigo oltre venti caserme dei carabinieri, sedi politiche e istituzionali.Il Il «caso 7 aprile» Il 7 aprile 19 79 scatta una vasta operazione di polizia contro l'Autonomia operaia in tutto il territorio nazionale (principal­ mente a Padova, Milano, Roma, Rovigo e Torino). Gli arresti proseguono nei giorni e nei mesi successivi. Si tratta per lo più di intellettuali, docenti, ricercatori universitari, scrittori, gior~ 201

nalisti, leader dei movimenti del post Sessantotto. Toni Negri viene indicato come capo di una sorta di «cupola» della sovver­ sione italiana, e accusato delle più varie azioni delle organizza­ zioni armate. Compreso il sequestro di Aldo Moro. È persino indicato come l’uomo che telefonò a casa dello statista. Fra gli inquisiti ci sono Franco Pipemo, Oreste Scalzone, Nanni Balestrini. Associazione sovversiva, insurrezione arma­ ta contro i poteri dello Stato. Imputazioni da ergastolo mai usate prim a nell’Italia repubblicana. Sulla base di quello che viene definito «teorema Calogero», dal nome del sostituto pro­ curatore di Padova che conduce l’inchiesta, sono accusati - at­ traverso ordini di cattura non sostenuti da elementi di fatto - di essere a capo di un fantomatico partito armato in Italia. Secon­ do il giudice, infatti, un unico vertice dirige il terrorismo in Italia. Un’unica organizzazione lega le Br e i gruppi armati dell’A utono­ mia. Un’unica strategia eversiva ispira l’attacco al cuore e alla base dello Stato. A guidare tutto sarebbe l’Autonomia operaia orga­ nizzata, sotto nomi e forme diverse. DalTinchiesta madre na­ scono varie indagini locali. In carcere finiscono più di cento per­ sone. Una montatura mediatico giudiziaria.I I fatti di Thiene Dinante la preparazione di una campagna di organizzazione in risposta all’operazione repressiva, I n aprile 1979 tre militanti del Collettivo politico di Thiene, in provincia di Vicenza, creato nellambito dei Cpv, muoiono dilaniati dallo scoppio accidenta­ le di un ordigno che stanno confezionando. Sono Angelo Del Santo, 24 anni, Alberto Graziarli, 25 armi, Maria Antonietta Berna, 22 armi. Nei giorni successivi vengono emessi vari man­ dati di cattura. Lorenzo Bortoli, compagno di Antonietta, è arre­ stato perché intestatario dell’appartamento in cui è avvenuto lo scoppio. Durante una perquisizione nella casa sono ritrovati esplosivi, armi da fuoco, documenti politici. Lorenzo, 26 anni, si suicida nella notte fra il 19 e il 20 giugno in una cella del car­ cere di Verona. Nel dicembre 19 8 1 il Fronte comunista per il 20 2

contropotere rivendica il ferimento di Antonino Mundo, medi­ co del carcere di Vicenza, dove il giovane aveva effettuato un tentativo di suicidio. Gli anni Ottanta AlTinizio degli anni Ottanta le divisioni interne, unite alle onda­ te repressive, contribuiscono all’esaurimento dei Cpv. Duecentocinque persone vengono inquisite con l’accusa di avere costi­ tuito organizzato e diretto una associazione sovversiva costituita in banda armata denominata Collettivi Politici del Veneto per il Potere Operaio, mirante a sovvertire con la violenza gli ordinamenti repub­ blicani vigenti. I Collettivi affrontano la stagione dei processi sfiorati solo marginalmente dai fenom eni del pentitismo e della dissociazione. Il 9 marzo 1985, a Trieste, il militante dei Cpv Pietro Maria Greco, detto Pedro, latitante, viene ucciso dalle forze di polizia mentre rientra nella casa in cid è ospitato. Conclusa una realtà organizzativa, l’esperienza politica pro­ segue, fra continuità e differenze, con un impianto e forme di lotta ridefinite in rapporto alle mutate condizioni dello scontro sociale. L’area dei Cpv ha un ruolo importante nella costruzione del Coordinamento nazionale antinucleare antimperialista, che conduce tra l’altro campagne per la liberazione dei prigio­ nieri politici, azioni e blocchi nelle centrali nucleari in costru­ zione. Dalla metà del decennio vengono poste le basi per la rico­ struzione di un radicamento nel territorio, con la creazione dei centri sociali occupati.

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Fronte patriottico antidittatoriale (Pam) e Resistenza in Grecia li colpo di Stato Nelle prime ore del 21 aprile 1967, a circa un mese dalle elezio­ ni politiche previste per la fine di maggio, un gruppo di ufficiali dell’esercito, guidati dal colonnello Geòrgios Papadopoulos e appoggiati dal governo degli Stati Uniti, effettua un colpo di stato in Grecia, mettendo in atto il Piano Prometeo, ribattezzato per l’occasione Ierax (Falco). Un programma anti-insurrezionale d’emergenza, elaborato in ambito Nato, volto a prevenire il ri­ schio di una «sollevazione comunista» nei paesi del Patto Atlantico. Il Partito comunista di Grecia (Kke) è fuorilegge dal 1936. L’unico partito di sinistra legale dopo la guerra civile, ter­ minata nel 1949, è l’Eda, (Sinistra democratica imita) guidata da Grigoris Lambrakis, ucciso nel 1963 da alcuni neofascisti al­ l’uscita da ima conferenza per la pace. Nel 196 7 la Grecia è nel pieno di una profonda crisi econo­ mica e istituzionale, caratterizzata da violenti scontri di potere e da una monarchia incapace di gestire la vita politica. Le timide riforme tentate dalTUnione di centro guidata da Geòrgios Papandreou dopo la vittoria elettorale del 19 6 4 sono state presto vanificate dalle forze conservatrici. I colonnelli si presentano come runica soluzione al caos. In nome della tradizione, del-

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fanticomunismo, di un nazionalismo a forte connotazione reli­ giosa. Subito dopo il golpe, in Grecia e attesterò si diffonde l’ipote­ si che fautore dell’operazione sia il re Costantino. Sembra inve­ ce accertato che il capo della monarchia fosse impegnato nella preparazione di un proprio colpo di stato in collaborazione con gli ufficiali delle Forze Armate a lui più fedeli, tanto da aver già consultato f ambasciatore statunitense ad Atene. Il nucleo a capo del regime si autodefinisce Consiglio rivolu­ zionario. Composto da circa duecentocinquanta uomini, guida­ to da Geòrgios Papadopoulos, dal colonnello Nikolaos Makarezos e dal brigadiere Stylianos Pattakos, introduce la legge m ar­ ziale, la censura preventiva, proibisce l’attività dei partiti politici. La Costituzione viene modificata per dare alla giunta tutto il potere e la possibilità di rinviare sine die le elezioni parla­ mentari. Il nuovo testo è approvato il 29 settembre 19 6 8 con uno pseudo referendum svolto in un clima di terrore. Nei giorni successivi al golpe migliaia di persone sono arre­ state e concentrate in alcuni luoghi di Atene. Oppositori, espo­ nenti di partiti, cittadini sospettati di simpatie comuniste sono rinchiusi negli stadi attrezzati a lager. Per qualche dirigente po­ litico, come Andreas Papandreou, figlio di Geòrgios e leader dell’Unione di centro, si utilizzano alberghi di periferia. Inizia­ no le deportazioni in varie parti del paese, come gli isolotti del­ l’Egeo trasformati in campi di concentramento. Già negli ultimi giorni di aprile d sono le prime vittime. Il deputato dettEda Panagiotis Ellis, assassinato il 25 da un agente di polizia in un ip­ podromo usato per rinchiudere i detenuti politici, e la giovane Maria Kalavrou, uccisa il 27 ad Atene. La giunta si adopera subito per assicurarsi il sostegno pubbli­ co delf amministrazione statunitense. Agli inizi di giugno, du­ rante la Guerra dei sei giorni in Medioriente, migliaia di cittadi­ ni americani allontanati per sicurezza dalf area del conflitto ven­ gono ospitati in alberghi della Grecia. Costantino cercherà di effettuare un contro golpe il 13 dicembre 1967. Dopo il fallimen­ 205

to dell'operazione, così pressappochista da essere definita «ope­ retta», fugge a Roma con la famiglia. Segue un'epurazione all'in­ terno della Marina e dellAviazione Militare, dove maggiore è il consenso alla monarchia. Papadopoulos diviene capo del gover­ no, in sostituzione di un magistrato, Punico civile della giunta. La resistenza nel paese

Nonostante gli arresti di massa e le deportazioni, iniziano su­ bito le manifestazioni studentesche contro il regime, dura­ mente represse. Si costituiscono le prime organizzazioni clan­ destine della resistenza, che prevedono, fra gli strumenti di lotta, la collocazione di ordigni esplosivi finalizzati a provocare danni esclusivamente materiali. Il 30 aprile viene comunicata la nascita del Pam, il Fronte patriottico antidittatoriale, ad opera di alcuni militanti della Gioventù democratica Lambrakis, tra i quali il presidente, il celebre compositore Mikis Theodorakis. Inizialmente il Fronte raccoglie forze di vari orientamenti, che in seguito creeranno proprie strutture. Il Pam rimarrà legato al Partito comunista delf interno, nato nel 19 6 8 da una scissione del Partito comunista di Grecia formalizzata Panno successivo. La stessa Gioventù democratica Lambrakis a dicembre è fra i fondatori dell'Organizzazione panel­ lenica studentesca antidittatonale (Paos) Rigas Feraios, che ha un ruolo primario di mobilitazione nelle università anche at­ traverso un bollettino clandestino. Il 27 febbraio 19 6 8 Andreas Papandreou, scarcerato grazie a uriamnistia natalizia limitata ad alcuni dei prigionieri politici più noti, fonda a Stoccolma il Movimento panellenico di libera­ zione (Pak). Vi aderiscono esponenti dell'Unione di centro e studenti di sinistra. In Italia riceve il sostegno del Psi. Nel 1968, ai funerali di suo padre Geòrgios, leader delPUnione di centro, partecipa più di mezzo milione di persone, come espressione di protesta nei confronti dei colonnelli. Donne e uomini diversi per posizioni politiche ed estrazio­ ne sodale - operai, studenti, professori - si oppongono al regi­ 20 6

me con varie forme e strumenti. Esplosioni in luoghi simbolici di Atene e Salonicco, distribuzione di volantini, collocazione di altoparlanti che diffondono canzoni vietate (come la musica di Theodorakis), boicottaggio di manifestazioni volute dal regime. La creazione di un fronte comune contro la dittatura delle forze della resistenza si dimostra però subito difficile, anche per le mire egemoniche di alarne componenti, e i vari tentativi hanno breve durata. Repressione e tortura Dal maggio del 19 6 7 si susseguono a ritmo serrato presso i tri­ bunali speciali i processi politici contro i membri della resisten­ za, nel silenzio totale della stampa greca. Gli oppositori, fra cui molti studenti, sono condannati a pene che arrivano fino all’er­ gastolo e numerosi detenuti muoiono per le torture e le condi­ zioni carcerarie. Il 21 agosto ad Atene viene catturato Mikis Theodorakis, scarcerato nel gennaio successivo grazie a ima campagna intemazionale, ma tenuto prima in una sorta di arre­ sti domiciliari, poi deportato con la famiglia in un villaggio nel Peloponneso, quindi di nuovo trasferito in una prigione a nord di Atene. Solo nell’aprile 1970, malato di tubercolosi, può la­ sciare il paese diretto a Parigi. La tortura diviene uno strumento ordinario di gestione della giustizia. Il suo uso sistematico è denunciato a livello intema­ zionale. La stampa di regime non ne dà notizia. Gli arresti e i processi politici sono continui: le condanne dei tribunali milita­ ri per «attività eversiva» si basano su una legge speciale del di­ cembre 1947, promulgata nel corso della guerra civile greca con un carattere di «eccezionalità», ma rimasta nei fatti in vigore fino al settembre 1974, quando è abrogata dal governo di unità nazionale. Sono arrestati oltre seimila «sospetti comunisti». In novembre si tengono ad Atene e Salonicco i primi due grandi processi contro il Fronte patriottico antidittatoriale. Si concludono con la condanna di quasi cinquanta oppositori, fra cui molti dirigenti del Kke. Le pene arrivano fino all’ergastolo. 207

Nel 19 6 8 viene imprigionato e torturato Alexandros Panagulis, membro dell'organizzazione Resistenza ellenica, per aver tentato il 13 agosto di colpire il capo della giunta militare, tramite un ordigno collocato sotto il manto stradale, esploso qualche secondo dopo il passaggio dell'auto di Papadopoulos. Grazie alla mobilitazione internazionale la condanna a morte è tramutata in ergastolo. Alla fine del 19 6 9 , a più di due anni dalla denuncia alla Commissione per i diritti umani del Consiglio d'Europa, da parte dei governi danese, norvegese, svedese, delle torture in­ flitte dalla dittatura dei colonnelli ai prigionieri politici, la Gre­ cia si ritira dal Consiglio, poco prima che il voto dell'Assemblea, il 12 dicembre, sancisca l'espulsione del paese per violazione dei diritti umani. L'appoggio in Italia alla Resistenza greca In Italia, come in altri paesi, si sviluppano numerose iniziative di solidarietà con l’opposizione alla dittatura. Particolarmente attiva e diffusa è la rete di universitari greci, ignorata dalle fonti ufficiali, che danno invece risalto a fatiscenti strutture ispirate dalla giunta. Viene costituito il Comitato italiano per la libertà e la democrazia in Grecia, guidato dal senatore della Sinistra in­ dipendente Ferruccio Parri, già capo partigiano e primo presi­ dente del Consiglio dopo la Seconda guerra mondiale. Parri teme l'influenza nel nostro paese dei colonnelli greci - che ad­ destrano i neofascisti italiani - in un periodo caratterizzato da pericolosi progetti di golpe. Le iniziative di solidarietà sono molteplici. Alcune assumo­ no forme inusuali. L'8 novembre 19 6 8 un aereo diretto ad Atene della com pagnia Olympic, di proprietà di Aristotele Onassis, viene dirottato in Francia, pochi minuti dopo il decol­ lo, e costretto a tornare a Parigi. A compiere l'azione sono due giovani fiorentini, Umberto Giovine e Maurizio Panichi, ade­ renti al Psi e membri degli Intemationals Commandosfar Greece. Armati di una bomba a mano piena di sabbia e una pistola sca­ 208

rica. Sul volo, i giovani distribuiscono volantini in varie lingue per spiegare il gesto di sabotaggio contro il regime dei colonnel­ li. Esortano a interrompere i rapporti commerciali e turistici con la Grecia. Vengono condannati dalle autorità francesi a 8 e 5 mesi di reclusione. Il Comitato centrale e il presidente del Psi Pietro Nenni esprimono apprezzamento per fazione. Una bomba contro ì ambasciata Usa

Il pomeriggio del 2 settembre 1970, sul retro dell’ambasciata degli Stati Uniti di Atene, esplode uri autovettura, uccidendo sul colpo le due persone a bordo, lo studente cipriota Giòrgos Tsikouris e Titaliana Elena Angeloni. L'azione è effettuata dal Gruppo Aris del Pam. La squadra fa riferimento al Settore Delta dell’organizzazione, guidato da Andonis Brillakis, intento a prepararsi con la massima attenzione e meticolosità a uno scontro «dinamico» col regime, capace di mettere in dubbio la sua «invinci­ bilità» e quindi risollevare il morale del popolo, come riferiscono in una testimonianza i due militanti che con Giòrgos Tsikouris componevano il nucleo Aris di Atene. La rivendicazione è chia­ ra. Mercoledì 2 settembre alle ore 15.45, la squadra Aris del Fronte patriottico antidittatoriale ha colpito la testa della dittatura m ilita­ re, l’ambasciata americana. Durante fazione, uno dei componenti del gruppo, Ghiorgos Tsikouris e Maria Elena Angeloni, combatten­ te nella lotta del nostro popolo hanno trovato la morte eroica nd mo­ mento in cui regolavano il meccanismo ad orologeria affinché l’e­ splosione avvenisse durante la notte. [...] La loro azione ci indica la strada per il rovesciamento del regime. Colmeremo il vuoto che hanno lasciato. Viva la resistenza. Il popolo greco vincerà. Nonostante la chiara assunzione di responsabilità politica dell’azione da parte di Mikis Theodorakis, presidente del Pam, negli anni successivi vengono proposte ricostruzioni differenti dell’azione di Atene che non trovano alcun riscontro. In partico­ lare, sulla base delle dichiarazioni per sentito dire di un brigati­ sta pentito, Michele Galati, l’organizzazione dell’attentato viene fatta risalire a Corrado Simioni, controverso personaggio inter­ 20 9

no al dibattito precedente alla nascita delle Brigate rosse, presto isolato ed estromesso. Successivamente sarà tra i fondatori a Parigi deirHyperion, una scuola di lingue considerata da alcuni magistrati come una centrale di coordinamento della guerriglia in Europa. A più riprese Simioni è stato identificato con il fan­ tomatico Grande Vecchio delle Br. Una figura inesistente, frutto di mera dietrologia. Nel dossier Mitrokhin l’attentato viene addirittura collegato al Kgb. Ma i membri del Fronte patriottico antidittatoriale, e dello stesso gruppo Aris, responsabile dell’azione, hanno sem­ pre ribadito di esserne stati gli unici organizzatori. Ai funerali di Elena, il 18 settembre a Milano, partecipano rappresentanti di partiti e organizzazioni della sinistra italiana. Una forte presenza politica della sinistra si ha anche a Genova, in occasione della cerimonia funebre dello studente di Corfu Konstantinos Georgakis, che si era ucciso il 19 settembre dan­ dosi fuoco in piazza Matteotti per protesta contro la dittatura, dopo aver saputo che sarebbe dovuto tornare in Grecia perché le autorità elleniche non gli avevano rinnovato il rinvio militare per motivi di studio.I I contrasti interni

Nelle Forze armate si diffonde sempre più il malcontento nei confronti dei colonnelli. Il 23 maggio 1973 inizia la rivolta della Marina Militare. L’equipaggio del cacciatorpediniere Velos, co­ mandato da Nicholaos Pappas, impegnato in una manovra della Nato, si ammutina a Fiumicino, chiedendo asilo politico alPltalia. Alcuni settori della destra, per bocca di Konstantinos Karamanlis, esortano la giunta militare a lasciare il passo a un governo guidato dal re con il compito di ripristinare la legalità parlamentare. Per tutta risposta i colonnelli indicono per il 29 luglio 1973 un referendum per f abolizione della monarchia e l’approvazione di una nuova costituzione. La vittoria del Si è scontata, viste le condizioni antidemocratiche nelle quali si svolge la consultazione. Papadopoulos diventa presidente della 210

Repubblica. Vengono promesse elezioni parlamentari per il 1974, che una parte delle opposizioni denuncia come tentativo di legalizzare la dittatura. Tra le prime misure, l’abolizione della legge marziale e l’amnistia per i detenuti politici, pur se il regi­ me agonizzante continuerà fino all’ultimo a processare gli op­ positori. Fra i beneficiari del provvedimento, che cancella anche i gravissim i delitti com m essi dagli apparati repressivi, c’è Alexandros Panagulis. A Papadopoulos non basta un rimpasto governativo, né ai militari è sufficiente rimuovere il colonnello, il 25 novembre 1973, nel tentativo di conservare il potere. La rivolta del Politecnico Nel 1973 esplode in Grecia una profonda crisi economica, che porta a numerosi scioperi e a una crisi politica del regime. Nei primi mesi dell’anno a far partire in tutto il paese le mobilitazio­ ni di massa degli studenti, con i quali solidarizzano numerosi professori e cittadini, è la norma che ha portato al suicidio Georgakis: il mancato rinvio del servizio militare per motivi di stu­ dio. Ma la lotta studentesca si pone presto obiettivi politici, in primo luogo l'abbattimento della dittatura. La repressione è vio­ lentissima. Molti giovani vengono feriti e arrestati. Quando il 17 novembre un carro armato abbatte i cancelli del Politecnico oc­ cupato tre giorni prima dagli studenti, la protesta dilaga a Pa­ trasso, a Salonicco, coinvolgendo vasti settori della popolazio­ ne. Negli scontri che seguono l’intervento deU'esercito, ad Atene vengono uccisi 24 manifestanti. La fine del regime Il regime crolla sotto il peso delle rivolte interne e, sul piano in­ temazionale, per la crisi di Cipro, una scintilla innescata dagli stessi colonnelli nella primavera del 1974 con l’appoggio a un golpe nell’isola. In seguito all’intervento e alla vittoria militare turca, l’impresa si trasforma in una disfetta. Durante l’estate l’incarico di formare un governo di unità nazionale viene affida­ 211

to a Konstantinos Karamanlis, che poi vince le elezioni di no­ vembre. La dittatura è sconfitta. In poco più di sette anni, in Grecia d sono stati oltre 7800 detenuti ed esiliati, died Tribunali militari spedali attivi contro i membri dell'opposizione, 37 carceri con prigionieri politid in tutto il paese, 83 luoghi di detenzione, tortura, isolamento ed esilio.

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Nuclei Armati Proletari (Nap) I dannati della terra, da Lotta continua ai Nap Nel 19 6 9 si sviluppa in Italia un vasto movimento, che trae la sua forza innovativa dal collegamento fra le lotte operaie e stu­ dentesche. In questo contesto nascono le prime organizzazioni della sinistra extraparlamentare, fra cui Lotta continua, che in­ dirizza il proprio intervento verso soggetti e settori proletari detenuti, disoccupati, militari di leva - fino ad allora esclusi dai percorsi di trasformazione sociale e politica. Dopo aver costitui­ to nel 1970 una Commissione carceri, per sostenere le lotte dei proletari prigionieri, Tanno successivo ilgruppo dedica a questi temi una rubrica del suo giornale, che intitola I dannati della terra, come la celebre opera di Frantz Fanon, in cui il sottoprole­ tariato è considerato un soggetto determinante nel processo ri­ voluzionario per il superamento del modo di produzione capi­ talista. I sempre più frequenti arresti di militanti della sinistra extraparlamentare favoriscono la crescita di una coscienza fra i detenuti comuni, che porta alla formazione di numerose avan­ guardie di lotta e organizzazioni interne. Come le Pantere rosse nate nel carcere di Perugia, che guidano le proteste e le rivolte anche violente moltiplicatesi nelle carceri italiane dalla fine degli anni Sessanta. L'obiettivo principale è un miglioramento 213

delle condizioni di vita, tramite una riforma che abolisca il Re­ golamento per gli istituti di prevenzione e pena, firmato dal guardasigilli Alfredo Rocco nel 1931, fedele traduzione dell'i­ deologia fascista nel settore penitenziario. Alla metà del 1972, l’iniziale attività di solidarietà ai detenuti promossa dal Collettivo teatrale La Comune, di cui erano ani­ matori Dario Fo e Franca Rame, si trasforma in ima vera e pro­ pria struttura nazionale, il Soccorso rosso militante, che ripren­ de il nome di una storica organizzazione del movimento comu­ nista e coordina gli «avvocati rivoluzionari», per fere fronte alle accresciute esigenze di sostegno legale ed economico determi­ nate dagli arresti di militanti politici. Mentre si sviluppano le iniziative di solidarietà nei confron­ ti dei detenuti, e in molti vogliono mettere in pratica la parola d’ordine lanciata da Lotta continua con il libro pubblicato nel 1972, Liberare tutti i dannati della terra, Tanno successivo il grup­ po sente sfuggire di mano la situazione. Scioglie la Commissio­ ne carceri e indirizza il proprio intervento verso obiettivi e con­ tenuti che a molti militanti appaiono sfumati e insufficienti. Al­ cuni abbandonano l’organizzazione. A Firenze nasce il Collettivo George Jackson mentre a Napo­ li, dove la mobilitazione si diffonde anche in seguito allo scop­ pio di una epidemia di colera, si realizza un incontro fra i prole­ tari extralegali, strappati per la prima volta al controllo della de­ stra, e gli studenti universitari, determinati a condurre una lotta contro il sistema. Da queste realtà nel 1974 nascono i Nuclei ar­ mati proletari (Nap), che si dotano di strutture clandestine. Pur operando anche al nord, intendono proseguire il lavoro con il proletariato prigioniero collegandolo allo slancio rivoluzionario dei soggetti sociali emarginati del Sud Italia. Gli inizi: la propaganda armata Il simbolo scelto dai Nuclei armati proletari è quello di una briga­ ta partigiana. Falce e martello in una stella a cinque punte. Il mar­ tello poggia sulTimpugnatura della falce, e la stella ha una punta 214

più corta. Il timbro viene regalato a un militante da un tipografo milanese, ex partigiano. Un ideale passaggio di consegne. La prima azione dimostrativa dei Nap, che apre la campagna Rivolta generale nelle carceri e lotta armata dei nuclei esterni, è fi­ nanziata con il sequestro lampo di Antonio Gargiulo, figlio di un noto professionista napoletano. Viene effettuata fra la sera del i ottobre 1974 e la mattina del giorno successivo davanti a tre grandi carceri. Poggioreale a Napoli, Rebibbia a Roma, San Vittore a Milano. Un messaggio registrato rivolto ai detenuti, diffuso tramite altoparlanti che si autodistruggono dopo la tra­ smissione, poi ripreso in un volantino di rivendicazione. Attenzione, state lontani, questa apparecchiatura e questo luogo sono minati ed esploderanno al minimo tentativo di interrompere questo messaggio. Compagni e compagne detenuti nel carcere, que­ sto messaggio è rivolto a tutti voi dai Nuclei Armati Proletari che si sono costituiti in clandestinità all'esterno dei carceri per continuare la lotta dei detenuti contro i lager dello Stato borghese e la sua giusti­ zia; il nostro è un appello alla ripresa delle lotte per il conseguimento degli obbiettivi espressi nelle piattaforme dal '69 in poi. Una ripresa delle lotte nei carceri che ci vede uniti, ora come dal '69 in poi, al pro­ letariato; contro il capitalismo violento dei padroni, contro lo Stato dei padroni ed il suo governo. [...] Compagni proletari detenuti, per i nostri diritti, contro la violenza di stato nelle carceri, nellefabbriche, nei quartieri, nelle scuole e nelle caserme, contro il rafforzamento della repressione, rivolta generale nelle carceri. Rifiutiamo il modo di vivere impostoci dalla classe borghese con lo sfruttamento, la miseria e l'oppressione; rifiutiamo di continuare ad essere l'alibi delle struttu­ re poliziesche ed antiproletarie dello Stato. Compagni, la repressione su di noi affianca e perfeziona ilfascismo dette leggi di Stato, confer­ ma che il potere calpesta U diritto del proletariato più debole prepa­ randosi a calpestare la libertà di tutto il proletariato. Noi non abbia­ mo scelta: 0 ribellarsi e lottare 0 morire lentamente nei carceri, nei ghetti, nei manicomi dove ci costringe la società borghese e nei modi che la sua violenza d impone. Contro lo Stato borghese, per il suo ab­ battimento, per la nostra autoliberazione di classe, per il nostro con­

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tributo al processo rivoluzionario del proletariato, per il comuniSmo: rivolta generale nei carceri e lotta armata dei nuclei all’esterno. Gli obiettivi immediati dei Nap sono: abolizione dei manico­ mi giudiziari e dei riformatori minorili; amnistia generale e in­ condizionata , tranne che per i reati di mafia e per la «sbirraglia nera»; inchiesta da parte di una commissione «composta da compagni, avanguardie di lotta delle fabbriche e dei quartieri» sulle torture, gli abusi e gH omicidi nelle carceri; la verità sulla morte di Del Padrone, detenuto ucciso nel corso della rivolta alle Murate, a Firenze, e s ulla strage che ha stroncato la rivolta di Alessandria. Dazione è riuscita. I primi caduti Ma non del tutto. I militanti fiorentini non ce Thamio fatta a ef­ fettuare il volantinaggio davanti al quarto carcere previsto, le Murate. Uinsuccesso brucia. Mentre il nucleo napoletano prose­ gue le azioni effettuando tra f altro f irruzione in una sede delfUnione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid), legata alla Demo­ crazia cristiana, a Firenze viene organizzato in tutta fretta un esproprio in banca per acquistare una partita di armi. La prepa­ razione è così approssimativa che il gruppo agisce il 29 ottobre 1974, giorno di sciopero. La filiale è chiusa e i cinque ripiegano sulla prima aperta. Mentre sono alTintemo vengono intercettati dai carabinieri e alla loro uscita scoppia un conflitto a fuoco. I m i­ litanti, feriti, riescono a salire in macchina quando il ventottenne Luca Mantini, alla guida, si accorge che uno di loro è rimasto a piedi. La reazione è istintiva. Mette la retromarcia per tornare a prenderlo. Viene freddato da una raffica di mitra insieme al ven­ tenne Giuseppe Romeo (nome di battaglia Sergio), ex-detenuto napoletano. Pasquale Abatangelo e Pietro Sofia, feriti, sono arre­ stati, Nicola Pellechia riesce a fuggire. Per f organizzazione è un duro colpo. La rabbia è forte ma si va avanti. A dicembre a Napoli viene sequestrato a scopo di finanzia­ mento Giuseppe Mocria, imprenditore cementiero ed ex sin­ daco democristiano di Afragola. Un miliardo di lire di riscatto, 216

e l'industriale viene liberato. I soldi - il cui successivo parziale ritrovamento da parte delle forze di polizia farà collegare il se­ questro alTorganizzazione - sono usati per aprire basi a Roma e acquistare armi ed esplosivi. Ma proprio quando la disponi­ bilità economica permette una maggiore libertà d'azione, nei Nap nascono divergenze fra i militanti che vogliono continua­ re a concentrare Tiniziativa prevalentemente sull'antifascismo, le carceri e la repressione, e chi ritiene invece sia giunto di momento di iniziare l'attacco al cuore dello Stato. Fedele alla linea iniziale è soprattutto Fiorentino Conti, che forma un gruppo romano determinato ad agire in autonomia rispetto al resto dell'organizzazione. L'uso di esplosivo e le morti accidentali Mentre proseguono le azioni, ma anche gli arresti di alcuni m i­ litanti, l'organizzazione perde altri due membri, per incidenti collegati aU'utilizzo di esplosivo, di cui i Nap fanno largo uso, a differenza delle Brigate rosse, contrarie a tecniche indiscrimi­ nate di intervento. L'n marzo 1975 muore a Napoli Giuseppe Vi­ taliano Principe, per lo scoppio accidentale di un ordigno che sta confezionando, volto a colpire una divisione dei carabinieri, mentre resta gravemente ferito Alfredo Papale. Parte dell'orga­ nizzazione napoletana viene individuata. Il 30 maggio perde la vita Giovanni Taras, appartenente al gruppo guidato da Conti, a causa dello scoppio anticipato della carica esplosiva, collegata a un registratore, che sta sistemando sul tetto del manicomio giudiziario di Aversa per diffondere un messaggio di solidarietà con gli internali Nonostante il falli­ mento, l'azione, rivendicata dal Nucleo Sergio Romeo, fa salire Tattenzione su quello che da più parti è definito un lager sanita­ rio, una fabbrica di tortura dove si vive in condizioni disperate e si muore per incuria.

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Il sequestro del giudice

A Roma, il 6 maggio 1975, viene effettuata fazione più clamo­ rosa condotta dai Nap, il sequestro di Giuseppe Di Gennaro, consigliere di Cassazione e capo di un ufficio della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena del Ministero di Grazia e giustizia. Di Gennaro è considerato un magistrato de­ mocratico, lavora alla riforma carceraria. Per i Nap è un «servo dello Stato» in finizione antiproletaria e repressiva, perché at­ traverso la riforma e la creazione di carceri più «umane», in­ tende indebolire le lotte dei detenuti. In particolare, lo accusa­ no di aver creato una schedatura elettronica e aver realizzato, con la collaborazione del?architetto Sergio Lenci, ferito da Prima linea nel 1980, un testo sull'architettura penitenziaria e il nuovo carcere di Rebibbia. Ma Di Gennaro ha tanti nemici nei suoi ambienti e subisce un violento attacco mediatico. Il 9 maggio nel carcere di Viterbo tre detenuti, Pietro Sofìa, Giorgio Panizzari e Martino Zichittella, dopo aver tentato senza esito l’evasione, sequestrano alcuni agenti di custodia e rivendi­ cano ai Nap il rapimento del giudice. Consegnano un comuni­ cato, di cui chiedono la diffusione via radio, e la foto di Di Gen­ naro. Il sequestro ha anche lo scopo di evitare ritorsioni nei con­ fronti dei detenuti in caso di fallim ento dell’evasione. Di Gennaro viene rilasciato il io maggio in «libertà provvisoria», dopo che il comunicato è stato letto al giornale radio del matti­ no. Appena uscito riprende il suo lavoro. Per i Nap è comunque una vittoria politica. Hanno dimostrato di riuscire a entrare nei centri nevralgici del potere, mentre nelle carceri proseguono le evasioni. In una riflessione sulf impostazione politica e organizzativa diffusa in forma di autointervista nel giugno 1975 si dice, tra faltro: I Nap sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi concretam ele il proble­ ma della clandestinità. [...] Noi vediamo la sigla Nap non come una firm a che caratterizza un'organizzazione con un programma com­ plessivo, ma come una sigla che caratterizza i caratteri propri della 218

nostra esperienza. [...] La nostra esperienza ha portato alla creazio­ ne di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse, in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico. Il 26 luglio 1975 viene promulgata la legge n. 354/75, una riforma dell’ordinamento penitenziario che introduce elemen­ tari diritti di dignità umana. Nelle carceri si sviluppano proteste e rivolte per la sua applicazione, mentre i Nap si battono per mutamenti più radicali. L'uccisione di Annamaria Mantini e le azioni con le Br Fra il T974 e la primavera del 1975 i Nap effettuano azioni anche contro associazioni di imprenditori, sedi e uomini di partiti, in particolare il Msi-Dn e la De, individuata come responsabile della trasformazione dell’Italia in una provincia dell’impero americano. L’attenzione è concentrata su Andreotti e i suoi uo­ mini di fiducia. Ma i contrasti interni alla De sono così forti, che quando i Nap tentano di colpire Filippo de Jorio, nonostante i volantini di rivendicazione in molti pensano sia un regolamen­ to di conti interno al partito. Nell'estate del 1975 vengono scoperte varie basi e arrestati numerosi militanti. L’8 luglio, a Roma, una squadra dell’antiter­ rorismo si apposta nell’appartamento di Annamaria Mantini che, al suo rientro, viene uccisa a freddo. Il Nucleo 29 ottobre ne vendica la morte ferendo a Roma, il 9 febbraio 1976, Antonino "ruzzolino, il vicebrigadiere che ha sparato ad Annamaria ed è stato prosciolto dai giudici II successivo 5 maggio stessa sorte tocca al magistrato Paolino Dell’Anno, accusato di avere nasco­ sto la vera dinamica dell’esecuzione. Il 14 dicembre viene ferito il capo dei Servizi di Sicurezza di Lazio e Abruzzo, Alfonso Noce. Nell’azione muoiono un agente di scorta e un nappista, Martino Zichittella, colpito da un suo compagno per un errore risultatogli fatale. Tra la fine del 1975 e i primi mesi del 1976 i Nap intensifica­ no le azioni contro il personale di custodia delle carceri e diri­ 2 19

genti e sedi del Ministero di Grazia e giustizia. Nell’ambito di questa campagna, che mira a colpire le carceri e la controrivolu­ zione, realizzano una alleanza operativa con le Brigate rosse, nonostante le profonde differenze fra le due organizzazioni. Le Br hanno infatti un impianto marxista-leninista fondato sulla centralità operaia, una precisa strategia di attacco al cuore dello Stato, una struttura centralizzata e un metodo rigoroso. Nella notte del i marzo 1976 vengono attaccate in contemporanea ca­ serme a Torino, Milano, Genova, Firenze, Pisa, Roma, Napoli. Il volantino di rivendicazione congiunto si conclude così: Di fronte al nemico comune, unità delle forze combattenti! Tutto il po­ tere al popolo armato! Una seconda azione comune viene effettuata il 22 aprile, con­ tro l’Ispettorato degli Istituti di prevenzione e pena di Milano. L’organizzazione alla sbarra Nel novembre 1976 inizia il grande processo contro i Nap, in cui i militanti dell’organizzazione adottano le tecniche del pro­ cesso guerriglia - un processo di rottura che non riconosce lo Stato borghese - già sperimentate in un procedimento per la tentata evasione di alcuni nappisti dal carcere di Poggioreale. Pochi giorni prima dell’udienza, circa quindici militanti vi­ cini ai Nap irrompono a Napoli nel Circolo della stampa in ap­ poggio ai compagni detenuti, che possono contare sulla solida­ rietà di vasti settori di proletariato urbano e della sinistra rivolu­ zionaria napoletana. A difenderli, ci sono gli avvocati del Soccorso rosso, tra i migliori legali della sinistra. Ma i nappisti revocano i difensori e minacciano quelli d’ufficio. Solo gli im ­ putati minori, non presenti in aula, accettano il giudizio dichia­ randosi estranei all’organizzazione. Nel processo, che si svolge in un ex convento blindato per l’occasione, i nappisti scelgono un comportamento che mira a ribaltare le parti. Sotto accusa deve essere lo stato delle multinazionali [che]pretende di processa­ re i militanti comunisti delle organizzazioni combattenti. Durante le udienze i detenuti leggono comunicati, cantano 220

Bandiera rossa e L’Intemazionale, battono le manette sulla gab­ bia di legno. Il pubblico presente in aula applaude, esibisce stri­ scioni e grida slogan, mentre gli avvocati del Soccorso rosso - ri­ masti a difendere gli imputati minori - presentano numerose eccezioni di incostituzionalità e richiami alla difesa dei diritti umani. Ci sono frequenti interventi dei carabinieri, scontri fìsi­ ci, sospensioni delle udienze. Un corteo in appoggio ai compa­ gni processati viene caricato e si conclude con l’arresto di tre partecipanti. Lo Stato appare impreparato e incapace di gestire la situazione. La sentenza arriva a febbraio del 1977. Tra le ventidue condanne, le più pesanti vanno dai 20 ai 22 anni. Le evasioni La storia dei Nap è accompagnata da tentativi, riusciti o falliti, di evasione. La liberazione dei detenuti è un obiettivo prioritario deirorganizzazione, che insieme alla capacità di mediazione nei confronti delle direzioni, dà ai suoi militanti prestigio e cre­ dibilità nelle carceri. Il 20 agosto 1976 dal carcere di Lecce eva­ dono venti detenuti, tra cui Martino Zichittella, Giuseppe Sofia e il bandito Graziano Mesina. Ma la fuga più eclatante, la prima in Italia in un carcere fem ­ minile, avviene nel gennaio 1977. Mentre a Napoli è in corso il processo, due imputate, Franca Salerno e Maria Pia Vianale evadono dal carcere di Pozzuoli. Il direttore viene sospeso. Nel processo viene letto un comunicato. Sabato 22gennaio, alle ore 4, l'organizzazione comunista combattente Nap ha attaccato il carce­ re lagcr di Pozzuoli. L’azione tendente alla liberazione delle compa­ gne Pia e Franca, militanti dell’Organizzazione, si è sviluppata con un attacco coordinato interno-esterno ed ha raggiunto in pieno l’o­ biettivo fissato. [...] È solo sulla parola d’ordine p o r t a r e l’ a t t a c c o a i c u o r e d e l l o st a t o che si supera la parzialità delle esperienze di lotta armata e si ricompone l’unità della classe delle sue avanguardie armate nel partito combattente.

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L'epilogo Per lo Stato l'evasione è un forte smacco, e si scatena la caccia alle due nappiste. Il 22 marzo 1977 su un autobus, a Roma, fagente di polizia Claudio Graziosi riconosce Maria Pia Vianale. Antonio Lo Muscio lo colpisce a morte, per impedire farresto della sua compagna. Nella ricerca dei due nappisti i poliziotti uccidono per errore una guardia zoofila, imitasi alle ricerche. La sera del 1 luglio 1977 a Roma, sulla scalinata di San Pietro in Vincoli, una pattuglia di carabinieri individua tre militanti dei Nap. Maria Pia Vianale e Franca Salerno, incinta, sono per­ cosse a sangue e arrestate. Antonio Lo Muscio, ferito da raffiche di mitra mentre tenta di aprire una via di fuga, viene finito con un colpo di pistola. Il bilancio

Si conclude così la breve e intensa storia dei Nap. Pagata con un alto tributo di morti e feriti. Alcuni prigionieri confluiscono nelle Brigate rosse, i restanti scontano la pena senza aderire a altre organizzazioni. Per i Nap sono state inquisite 65 persone. Nel maggio 1977, con un decreto interministeriale (Difesa, Interno, Grazia e giustizia), vengono istituite le carceri speciali, riservate ai militanti della lotta armata e ai detenuti comuni più pericolosi. Il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chie­ sa, a cui viene affidato il coordinamento della sicurezza interna ed esterna degli istituti penitenziari, individua e predispone in gran segreto le strutture destinate a diventare di massima sicu­ rezza. Durante il mese di luglio centinaia e centinaia di detenu­ ti vengono prelevati dalle diverse carceri italiane e trasferiti nelle sezioni speciali, situate spesso in luoghi scomodi da rag­ giungere (come fisola delfAsinara), o comunque distanti dalla zona di residenza delle famiglie. Per i prigionieri politici sotto­ posti a trattamento differenziato, il carcere diviene un fronte di lotta in cui si realizza f incontro fra detenuti dei Nap e delle Br. Nascono le Brigate di campo, i Comitati di lotta. Proteste e ri­ volte proseguono negli anni successivi. 222

Il 20 dicembre 1980, a Napoli, Alberto Buonoconto, m ili­ tante dei Nap, si impicca nella casa dei genitori. Torturato dopo rarresto, nel 1975, per anni aveva subito un pesante trattamento carcerario e ripetuti trasferimenti. Durante il sequestro Moro nella trattativa viene proposto il suo nome, ma la liberazione non è accettata dai giudici. È scarcerato, per motivi umanitari, quando le sue condizioni sono ormai gravi. Un anno dopo muore suicida.

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Prima linea (Pi) Le origini Nel corso degli anni Settanta in Italia si acuisce lo scontro soda­ le e politico. Alla diffusa volontà di trasformazione radicale, in senso comunista, della sodetà, alcuni settori dello Stato rispon­ dono con il terrorismo della strategia della tensione. Bombe e minacce di golpe all’apparenza destabilizzanti, miranti in realtà a stabilizzare un potere che stava perdendo credibilità agli occhi di ampi strati della popolazione. Nel frattempo il Pei, in forte avanzata nelle elezioni amministrative del 1975 e ancor più nelle politiche del 19 76 , delude le aspettative di una parte del suo elettorato, che considera un tradimento il compromesso storico, la politica di solidarietà nazionale e della difesa delle istituzioni borghesi, gli appelli ai sacrifìd e alTausterità. Negli stessi anni si moltiplicano nel mondo gli esiti vittorio­ si delle guerriglie, dei movimenti di liberazione nazionale con­ tro il colonialismo, mentre il drammatico golpe in Cile del 1973 a buona parte della sinistra rivoluzionaria appare come una conferma dell’impossibilità di una via pacifica per la conquista del potere da parte delle masse popolari. Nella seconda metà del decennio c'è la definitiva dissoluzio­ ne dei gruppi extraparlamentari. Lotta continua si scioglie in 224

modo informale nell’autunno 1976. Un numero sempre m ag­ giore di giovani si convince che l’uso della lotta armata sia ne­ cessario per concretizzare quell’offensiva che, negli armi prece­ denti, era stata patrimonio condiviso di tutta la sinistra più radi­ cale, e si esprimeva nella durezza degli slogan gridati nei cortei. Se le Brigate rosse rappresentano l’esempio di organizzazio­ ne centralizzata, volta a costruire un partito in linea con la teoria e la prassi marxista leninista, in continuità con la storia del mo­ vimento comunista intemazionale, altri settori sostengono l’i­ potesi di una guerriglia diffusa in stretto contatto con le lotte di massa. Non il partito armato, dunque, ma il movimento arma­ to. Il referente principale è il proletariato metropolitano. Preca­ ri, senza casa, lavoratori che la ristrutturazione ha espulso dai deli produttivi, giovani ghettizzati negli hinterland delle rittà che rivendicano i propri bisogni. L’«operaio sodale» teorizzato da Toni Negri, fortemente conflittuale nei confronti dell’allean­ za Dc-Pci tanto da scontrarsi, anche fisicamente nelle piazze, con le organizzazioni storiche del movimento operaio. Nasce così uriarea formata in primo luogo da militanti u sati da Lotta continua a varie riprese nel 1974, dopo la «svolta legali­ taria» delfanno precedente, con la quale il gruppo rinnegava gli appelli all’organizzazione della violenza rivoluzionaria contro lo Stato. Ad essi si uniscono orfani del disdolto Potere operaio con­ fluiti nell’Autonomia operaia, che diviene una sorta di rifugio delle posizioni più radicali. Comitati di fabbrica, del terziario, di quartiere, che teorizzano l’armamento di massa e attuano prati­ che di combattimento diffuso. In questo contesto vengono creati i Comitati comunisti per il Potere operaio e, nel 1975, l’area e la ri­ vista «Senza tregua», che raccoglie chi ha partedpato al Sessan­ totto e ai gruppi extraparlamentari, ma anche giovanissimi che sì avvicinano alla politica, talvolta attratti dal mito della Resistenza tradita. Quest area si esprime con un doppio livello, legale e clan­ destino. Mentre sul giornale si discute di armamento di massa, di milizia operaia, di un percorso di organizzazione proletaria in un quadro di guerra civile di lunga durata, d sono occupazioni, 225

espropri, azioni di autofinanziamento, irruzioni nelle associa­ zioni di industriali, ferimenti di dirigenti di fabbrica. Nell’ottobre 1976 a Salò, in provincia di Brescia, all’interno di «Senza Tregua» avviene il cosiddetto «golpe dei sergenti». I quadri intermedi, provenienti da Lotta continua, si impadroni­ scono del gruppo estromettendo gli «intellettuali», ex di Potere operaio, che dirigono la rivista. Dopo un periodo di sospensio­ ne, le pubblicazioni riprendono come «Seconda serie». Nellambito dei militanti espulsi si formano le Unità comu­ niste combattenti (Ucc) e i Comitati comunisti rivoluzionari (Cocori). La nascita È difficile stabilire un punto preciso di inizio. La denominazio­ ne Prima linea compare il 30 novembre 1976 a rivendicare ! ir­ ruzione a Torino nella sede del Gruppo dirigenti per prelevare gli schedari delTassociazione. Nel volantino è scritto tra l'altro: Prima linea non è un nuovo nucleo combattente comunista, ma l’ag­ gregazione di vari nuclei guerriglieri chefinora hanno agito con sigle diverse. Prima linea non è temanazione di altre organizzazioni ar­ mate come Br e Nap. L’unica direzione che riconosciamo sono i cor­ tei interni, gli scioperi selvaggi, i sabotaggi, gli invalidamenti degli agenti nemici, l’esuberanza spontanea, la conflittualità extralegale. Il corpo militante attivo negli anni precedenti con varie sigle è quello che fa riferimento a «Senza Tregua». Fra il 1976 e il 1977 vari membri del futuro vertice politico-militare dell’orga­ nizzazione finiscono temporaneamente in carcere. A questa fase, poi chiamata pre-Prima linea, è stato attribuito, tra l’altro, l’agguato mortale al consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi, in risposta all omicidio da parte dei neofascisti di Gaeta­ no Amoroso, il 27 aprile 1976 a Milano. Un’azione che riceve il consenso di larghi settori della sinistra rivoluzionaria. Prima linea viene costituita ufficialmente in un congresso a San Michele a Torri, nei pressi di Scandicd, nellaprile 1977. Ci sono una trentina di rappresentanti di Milano, Bergamo, Tori­ 226

no, Firenze, Napoli. Il nudeo promotore proviene in buona parte da Sesto San Giovanni. Stalingrado d'Italia, era chiamata. Per il suo contributo alla Resistenza, poi alle lotte di fabbrica. Forti sono le realtà bergamasca e torinese. Uno Statuto di 31 ar­ ticoli enuncia i prindpi di quella che è definita ima «organizza­ zione volontaria di combattenti per il comuniSmo». Caratteriz­ zata da due livelli distinti. Il primo è una rete di appoggio e di stimolo ai comportamenti illegali e al combattimento proleta­ rio, costituita da Ronde e Squadre, che assumono diverse deno­ minazioni (Squadre annate proletarie, territoriali, operaie) ed effettuano sabotaggi, incendi, espropri, attacchi a capi reparto. Il secondo è una struttura centralizzata alla cui guida c’è un Co­ mando nazionale che deve rispondere del proprio operato alla Conferenza di organizzazione. Gli inizi, nel movimento Prima linea muove i passi iniziali in un percorso legato alTeterogeneo movimento del Settantasette, puntando a innalzarne i livelli di conflittualità. Già nel nome sono specificate queste ca­ ratteristiche. La prima linea è infatti quella dei servizi d’ordine dei cortei. L’organizzazione vuole essere alla testa delle forme di critica radicale del sistema. In un documento datato 1977 si legge: Le giornate di marzo sono state una grande lezione: da con­ dizioni oggettive che massificavano bisogni e caratteri politici del proletariato si è passati alla lotta di massa contro lo Stato. In essa si sono esplicitate le diverse ipotesi politiche che vivono nell'area rivo­ luzionaria tra le organizzazioni combattenti. [...] La domanda po­ litica sviluppata in questi mesi, la ricerca di una chiarezza , di un progetto lucido di prospettiva e di organizzazione, impone di rom­ pere tutte le nozioni di area: da quella autonoma a quella armata, di scatenare la battaglia politica, riconjrontare proposte politiche con la tensione rivoluzionaria che vive nel proletariato e nella clas­ se operaia. Nella primavera del 1977 il clima in Italia è rovente. Il livello di violenza nelle piazze altissimo. I manifestanti usano armi da 22 7

fuoco e ci sono caduti da entrambe le parti. L’ i i marzo a Bologna viene assassinato da un carabiniere Francesco Lorusso. militan­ te di Lotta continua. Il giorno successivo a Roma e Bologna scoppiano duri scontri. Nelle stesse ore a Torino è ucciso per rappresaglia il brigadiere del! Ufficio politico della Questura Giuseppe Ciotta. Compagni, non è più tempo di azioni esemplari e di propaganda. La dichiarazione di guerra delio Stato va raccolta. Sul terreno della guerra dispiegata si devono verificare oggi, subito, le form azioni combattenti: chi sottrae a questa pratica la propria orga­ nizzazione non ha diritto di parola nell’area combattente. La riven­ dicazione è delle Brigate comuniste combattenti, area Prima linea. Il 21 aprile a Roma e il 14 maggio a Milano nel corso di cortei rimangono uccisi due poliziotti. Il 12 maggio a Roma muore una manifestante, Giorgiana Masi, colpita da agenti in borghese. Nell’autunno inizia il riflusso del movimento. Molti giovani vanno ad alimentare le fila delle organizzazioni annate. Nei primi tempi Pi agisce prevalentemente in uriottica di supporto alla lotta nelle fabbriche e al combattimento proleta­ rio, con incendi, ferimenti di capi reparto e dirigenti, ma effet­ tua anche azioni nel sociale, contro il lavoro nero e il carovita, e di attacco alla Democrazia cristiana e alle forze di polizia. I m ili­ tanti, tra cui molti giovanissimi, conducono spesso una doppia vita. Sono semiclandestini, con un ambito di lavoro politico pubblico e uno illegale. Non hanno basi, tengono le armi in casa e le esibiscono nei cortei. La lotta armata viene considerata transitoria, reversibile, una forzatura necessaria in alcuni momenti storici per indurre le masse a urioffensiva contro le varie articolazioni del coman­ do capitalistico. Si ritiene fondamentale un rapporto diretto tra masse e organizzazione, perché nella classe si sviluppi parallelamente il dibattito sull’organizzazione combattente proletaria e sul partito [...]. Il processo di costruzione dell’esercito proletario in un paese a capitalismo avanzato passa per l’intreccio tra organizzazio­ ne combattente e istituti di potere della classe.

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Contro il comando capitalistico

Secondo Prima linea lo Stato non ha un solo «cuore*. L’obietti­ vo quindi non è la presa del potere, ma ima sua progressiva di­ sarticolazione e dissoluzione e la creazione di un contropotere radicato e diffuso. Nel 1977 l'organizzazione scrive: Se lo Stato rappresenta l'assunzione centrale della regolamentazione dei rap­ porti di produzione capitalistici, ogni cosa è parte dello Stato, tutta la vita sociale si fa Stato, amministrazione violenta delle necessità del capitale. La socializzazione del comando è la fonte di legittimità per il comando stesso. [...} La classe operaia comincia proprio in que­ sti mesi ad esprimere lotte orientate esplicitamente contro il coman­ do capitalistico e contro la produzione come strumento di comando. [...] Questo salto politico è fondamentale poiché permette una gene­ ralizzazione di indicazioni politiche di combattimento, di iniziati­ va di lotta, dall'organizzazione combattente al quadro combattente proletario e «gii istituti della lotta di massa. I membri di Pi trasgrediscono spesso le regole di ima forma­ zione clandestina. Alcuni sono gruppi di amici che si incontra­ no nelle osterie con le famiglie, si identificano con i fuorilegge rivoluzionari dei film western, tanto da autodefinirsi Mucchio selvaggio. Nel luglio 1977 si trovano a fare i conti con il primo lutto. Romano Tognini viene colpito a morte durante un espro­ prio in urfarmeria di Tradate, successivamente danneggiata con esplosivo per rappresaglia. II 2 dicembre 1977 una Squadra, supportata da Pi, ferisce nel suo studio l’«elettricista di Collegno», il medico del manicomio, rimasto impunito pur essendo stato condannato per le torture contro gli internati. In molti plaudono all'azione. La vigilia di Natale Prima linea attacca il penitenziario Le Val­ lette ancora in costruzione. Il carcere, la repressione, la liberazio­ ne dei prigionieri hanno un ruolo centrale in tutta la storia del gruppo. Evasioni tentate e riuscite, ferimenti e uccisioni di magi­ strati, tecnici, agenti di custodia, esplosivo contro istituti di pena. All’inizio del 1978 viene creato un comando unificato delle due principali organizzazioni annate «movimentiste», Prima 229

linea e le Formazioni comuniste combattenti (Fcc), nate nell'estate del 1977 da una scissione delle Brigate comuniste, operan­ ti nell'area illegale costituita intorno alla rivista «Rosso». L'espe­ rienza dura pochi mesi, durante i quali vengono effettuati alcu­ ni ferimenti e una esercitazione militare in Francia organizzata dai baschi di Età. Nel marzo dello stesso anno, le Brigate rosse rapiscono Aldo Moro. Prima linea non approva Fazione, che considera disarticolante nei confronti del movimento oltre che dello Stato. In quel periodo innalza comunque il proprio livello di scontro militare, anche grazie a un rifornimento di armi pe­ santi provenienti dal Libano. Alzare il tiro Un ottobre 1978 per la prima volta PI rivendica ufficialmente uif uccisione. La vittima è Alfredo Paolella, docente di diritto cri­ minale airUniversità di Napoli, consulente del Ministero di Grazia e giustizia incaricato dell'osservazione criminologica nel carcere di Poggioreale. Ma l'azione che crea più clamore è compiuta il 29 gennaio 1979, quando a Milano viene colpito a morte Emilio Alessan­ drini. È un giudice considerato democratico, ha indirizzato verso i neofascisti le indagini sulla strage di piazza Fontana, mettendo in luce il ruolo dei servizi segreti e le coperture istitu­ zionali. Per Prima linea Alessandrini rappresenta una punta avanzata della controrivoluzione. Appartiene al settore di magi­ strati interni a quella sinistra che si è «fatta Stato», gestisce le leggi di emergenza, razionalizza gli apparati di giustizia per ri­ dare credibilità ed efficienza alla struttura di potere. Alessandri­ ni stava indagando sui movimenti e le organizzazioni armate, doveva assumere la direzione di una sezione dell'Antiterrori­ smo nel tribunale milanese, realizzare una banca dati e coordi­ nare ima ricerca sulla violenza politica. È un periodo di forti la­ cerazioni nella sinistra. Pochi giorni prima le Brigate rosse hanno colpito il sindacalista del Partito com unista Guido Rossa. Molti militanti sono disorientati 230

Il Pei, da parte sua, collabora attivamente con lo Stato, anche con un proprio lavoro investigativo. Nel febbraio 1979 a Torino lancia un questionario antiterrorismo che suscita perplessità in vari ambienti. Prima linea decide di dare una risposta. Il 28 feb­ braio, in seguito a una segnalazione, il commando viene sor­ preso in un bar da alcuni poliziotti. C ’è una colluttazione, spari, raffiche di mitra. Rimangono uccisi due militanti, Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi. Ai funerali partecipano molti settori di movimento. L’emozione è forte, come il desiderio di vendetta. Prima linea effettua due azioni di rappresaglia. Il 9 marzo tende un agguato a una volante. Nel conflitto a fuoco muore ac­ cidentalmente un giovane passante. Il 18 luglio viene colpito il barista Carmine Civitate, in base all’errata convinzione che sia il responsabile dell’intervento della polizia. Questa tragica catena di eventi provoca un lungo dibattito interno. Nella Conferenza di organizzazione del settembre 1979, a Bordighera, in provincia di Imperia, si sviluppa una bat­ taglia politica fra due posizioni. C ’è chi ritiene necessario torna­ re a radicarsi nel territorio e praticare il combattimento diffuso e chi intende invece verticalizzare lo scontro con gli apparati istituzionali. Il nodo non viene sciolto. Si decide una ristruttu­ razione organizzativa, con la creazione di un Esecutivo nazio­ nale, ma si verifica anche la prima scissione. A lam i militanti, convinti che la situazione esiga una ritirata, costituiscono il gruppo Per il comuniSmo. Presto si rifugiano in Francia, dove vengono arrestati ed estradati. L’organizzazione lancia una campagna centrata sulla fabbri­ ca, oggetto di pesanti ristrutturazioni. La parola d'ordine è Col­ pire il comando d’impresa. Nel settembre 1979 Prima linea ucci­ de a Torino Carlo Ghiglieno, ingegnere responsabile del Settore pianificazione e presidente del Comitato guida del settore logi­ stico della Fiat In risposta ai ripetuti attacchi operati dai vari gruppi combattenti contro dirigenti e alla solidarietà di cui go­ dono fra gli operai le organizzazioni armate, l’azienda adotta una linea dura. A ottobre, dopo consultazioni con i sindacati, 231

vengono licenziati 61 operai, a cui lazienda contesta un com­ portamento «eversivo». La successiva mobilitazione di massa è forte e decisa. L’anno successivo la Fiat annuncia quasi quindi­ cimila licenziamenti, poi trasformati in cassa integrazione per circa ventitremila lavoratori. Dopo 35 giorni di lotta, il 14 ottobre si svolge la cosiddetta «marcia dei quarantamila». Dipendenti Fiat, colletti bianchi, quadri, capi reparto che chiedono la fine del blocco delle fabbriche e la possibilità di tornare al lavoro. Il sindacato accetta ima resa senza condizioni. L’ i i dicembre 1979 un gruppo di Pi occupa militarmente a Torino la Scuola di formazione aziendale della Fiat, dove si for­ mano i nuovi manager. Quasi duecento studenti vengono riuni­ ti neUauditorium, dove una militante spiega che l'istituto è stato attaccato in quanto centro nevralgico nella struttura del coman­ do di impresa. L'irruzione si conclude con il ferimento alle gambe di cinque professori, dirigenti Olivetti, e cinque studenti. Tre giorni dopo, il 14 dicembre 1979, un nucleo dell’organiz­ zazione viene sorpreso mentre s ta preparando un attentato con­ tro una fabbrica di Rivoli. In uno scontro a fuoco i carabinieri uccidono il giovane militante Roberto Pautasso. Il 5 febbraio 1980, in una campagna sulla qualità della vita e la salute, a Monza è colpito a morte l’ingegnere Paolo Paoletti, considerato tra i responsabili del disastro avvenuto a Seveso nel 1976 , quando dall’azienda chimica Icmesa si sprigionò una nube di diossina altamente tossica. Il 19 marzo 198 0 viene ucciso il giudice Guido Galli, docen­ te, membro della commissione del Ministero di Grazia e giusti­ zia per la riforma del Codice penale e collaboratore dell’ Istituto di Prevenzione e difesa. Appartiene alla frazione riformista dei magistrati milanesi, individuata come strumento di repressio­ ne dell’antagonismo. Continua la campagna delle organizzazioni comuniste di disarticolazione del potere giudiziario e con essa del progetto di riorganizzazione di elementi di comando nel nostro paese. [...] Si tratta di produrre un intervento per cui lo schieramen­ to capitalista esca da questa fase pesantemente indebolito, destabi­ 232

lizzato, e su questo si costituisca stabilmente lo schieramento prole­ tario rivoluzionario. I pentiti e il crollo

Agli inizi del 198 0 Prima linea si trova a fare i conti con la dela­ zione, un problema che poco dopo contribuirà in modo decisivo alla rapida fine del gruppo. William Waccher, un giovane della rete dell'organizzazione, inseguito da un mandato di cattura, si consegna agli inquirenti e collabora con i magistrati. Il suo ruolo e le sue dichiarazioni sono marginali, ma è la prima volta che accade e il fatto appare inaccettabile. Viene colpito mortal­ mente da un nucleo dell'Esecutivo nazionale il 7 febbraio in un campo alla periferia di Milano. Le indicazioni di Waccher avreb­ bero permesso l’identificazione del «comandante Alberto», ov­ vero Marco Donat Cattin, ma rimangono prive di conseguenze. È Patrizio Peci, pentito delle Br, a svelare poco dopo ! identità del figlio del senatore democristiano, che riesce a espatriare in Francia. Le polemiche provocate dalla vicenda costringono il potente uomo politico a dimettersi dalla carica di vice segretario del partito. Lo stesso Peci fa il nome di Roberto Sandalo che, ap­ pena arrestato, inizia una confessione fiume. Accusato di alcu­ ni omicidi, dopo due anni di carcere esce in base alla legge sui pentiti, approvata nel maggio 1982. È di nuovo arrestato nel 2002 per rapina e nel 2008 per attentati a moschee e centri cul­ turali islamici. Prima linea prosegue le azioni. Il 2 maggio 1980 viene gra­ vemente ferito Sergio Lend, docente universitario e architetto, autore del progetto di ristrutturazione del carcere di Rebibbia, definito «tecnico del!antiguerriglia urbana». Il 26 giugno è ef­ fettuata una spettacolare iniziativa di propaganda sul treno Susa-Torino, con la distribuzione di volantini che incitano alla lotta armata e alla guerra rivile. Nell'agosto 198 0 il vertice di Prima linea discute della nuova condizione, caratterizzata dagli arresti a catena e dalla rottura della solidarietà interna, con ì estendersi del pentitismo. Non si 2 33

raggiunge un accordo e poco dopo alcuni militanti escono daiForganizzazione. A ottobre viene catturato Michele Viscardi. Inizia subito a parlare accompagnando i carabinieri in giro per Fltalia. Si mette in moto una catena che porta velocemente allo smantellamento delForganizzazione. NelFaprile 19 8 1 viene ratificato il superamento di Prima linea e la formazione di un Polo organizzato, punto di riferi­ mento per i militanti ricercati. Dalle ceneri delPorganizzazione nel 198 1 nascono i Comunisti organizzati per la liberazione proletaria (Colp) e il Nucleo di comunisti messo in piedi dal lati­ tante Sergio Segio, il «comandante Sirio». I due gruppi si limitano a qualche rapina di finanziamento, ad azioni contro la repressione e per la liberazione dei prigio­ nieri. Il 3 gennaio 1982, in collaborazione, effettuano un'opera­ zione eclatante. Un commando guidato da Sergio Segio fa eva­ dere dal carcere di Rovigo quattro detenute, tra cui la sua com­ pagna Susanna Ronconi. Per infarto, muore incidentalmente un passante, un pensionato iscritto al Pei. Pochi giorni dopo Lucio Di Giacomo, uno dei partecipanti alTevasione, viene ucci­ so in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Il Nucleo e i Colp sono presto smembrati dagli arresti. Lo scioglimento e la dissociazione Nel 1982 inizia la stagione dei maxiprocessi. Prima linea è l'or­ ganizzazione armata italiana con il maggior numero di inquisi­ ti: 923, tra cui 20 1 donne. A Pi e alle strutture collegate sono ri­ feribili centinaia di azioni. 23 con conseguenze mortali, oltre a un agente ucciso da un gruppo di fuoriusciti, n sono morti ac­ cidentali, non premeditate. La definitiva chiusura dell'esperienza, dopo un percorso di discussione fra i militanti detenuti, è annunciata durante urfudienza a Torino nel giugno 1983. Nel documento Sarà che nella testa avete un maledetto muro, scritto nel carcere Le Vailette e considerato Fultimo di Prima linea, si dichiara delegittimata so­ cialmente la pratica di lotta armata per il comuniSmo in Italia . 234

Viene quindi criticata la dissociazione degli imputati del 7 apri­ le rinchiusi a Rebibbia, basata su uri«ablazione di memoria» e sulla «negazione di responsabilità» e ^«irriducibilismo conti­ nuista» di chi non ritiene conclusa l'esperienza combattente. Formalizzato lo scioglimento, quasi tutti gli ex militanti di Prima linea avviano il percorso della dissodazione/del reinseri­ mento sociale, della trattativa con lo Stato, creando le cosiddette Aree omogenee in alcune sezioni maschili e fem m inili dei grandi giudiziari metropolitani. Posizioni che contribuiscono a rompere la solidarietà, lacerare la comunità dei prigionieri poli­ tici, sottoposti in quegli anni a dure condizioni detentive con Tapplicazione delf art. 90 della riforma del 1975, che sospende­ va il normale regime carcerario lasciando spazio a divieti, lim i­ tazioni, colloqui con vetri e citofoni. Gli effetti disgreganti della dissociazione si inseriscono in un clima che nelle carceri spe­ ciali era già stato reso molto pesante dal fenomeno del pentiti­ smo e aveva portato nel dicembre 19 8 1 e nel luglio 19 8 2 alTucdsione da parte di detenuti di area brigatista di Giorgio Soldati, ex militante di PI, e del Br Ennio Di Rocco, ritenuti delatori. Lo scontro fra dissociati e prigionieri che rifiutano il dialogo con lo Stato è duro. Anche una parte della sinistra antagonista esterna al carcere conduce uriaspra battaglia contro la dissodazione, consideran­ dola liquidazionista delfiniera lotta di classe, oltre che della pra­ tica combattente. Per motivi opposti, ovvero la persistenza del «pericolo terrorista», settori consistenti dello Stato e della magi­ stratura si oppongono allo smantellamento dell'impianto giuri­ dico delTemergenza, del regime di trattamento duro nelle car­ ceri spedali, e alTallargamento per i dissodati della legislazione premiale prevista per i pentiti. I detenuti delle Aree omogenee proseguono il dialogo con le istituzioni, in un percorso che definiscono di «mediazione con­ flittuale». Nel giugno 1984 Prima linea consegna le armi che le sono rimaste al cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, m o­ stratosi aperto al tema della riconciliazione sodale. 235

Nel 19 8 6 viene approvata la legge n. 663, la cosiddetta Legge Gozzini, che prevede misure alternative alla detenzione intro­ ducendo una logica basata sul binomio premio-punizione in funzione del comportamento del recluso. Nel febbraio 1987 ar­ riva a compimento il lungo iter della legge n. 34, che concede sconti di peria a chi si dissocia dalla lotta armata. Il combinato di queste due leggi consente ai dissociati di lasciare progressiva­ mente il carcere, mentre i prigionieri che rifiutano ogni forma di dissociazione e soluzione politica, etichettati come «irriduci­ bili», rimarranno ancora a lungo nelle carceri speciali.

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Squatter e anarchici insurrezionalisti a Torino Il progetto Thv Dopo alcuni anni di discussione a livello europeo, nel 19 9 1 viene costituita la Ihv spa, con il compito di progettare, costrui­ re e gestire il sistema dellalta velocità italiana. Crea subito acce­ se polemiche l’idea di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, che dovrebbe attraversare la Val di Susa per poi passare sotto le Alpi con un tunnel di 54 km, andando ad aggiungersi, senza reali necessità, alla ferrovia già esistente. Le popolazioni locali si schierano decisamente contro f ulteriore scempio di un terri­ torio già tagliato in due dalTautostrada che collega Torino al traforo del Fréjus, inaugurata nel 1995. Le ragioni dell’opposi­ zione sono chiare: il costo elevatissimo dell’opera, non giustifi­ cato dal traffico merci e passeggeri della zona, l’assenza di bene­ fici generali a vantaggio degli interessi delle lobby finanziarie e industriali, le conseguenti devastazioni paesaggistiche e am­ bientali, i rischi e i danni per gli abitanti.I I primi sabotaggi A partire dalTagosto del 19 9 6 , e fino al novembre dell’anno suc­ cessivo, si susseguono numerose azioni contro le aziende inca­ ricate di sòndare il terreno e predisporre i cantieri del Treno ad 237

alta velocità Torino-Lione. Stampa e forze di polizia parlano su­ bito di ecoterrorismo di matrice anarchica. Le prime due molo­ tov, contro una trivella nei pressi di Bussoleno, provocano danni per circa cento milioni di lire. Seguono sabotaggi, dan­ neggiamenti, incendi, quasi sempre accompagnati da scritte No Tav. In qualche caso compaiono slogan contro i mondiali di sd. Centraline elettriche, ripetitori telefonia e radiotelevisivi, generatori, impianti di trivellazione del terreno, sedi ferrovia­ rie, cantieri edili vengono attaccati con liquidi infiammabili, colpi di furile, esplosivo. Oltre al progetto del Treno ad alta velo­ cità, finiscono nel mirino Enel, Omnitel, Sitaf (che gestisce la locale autostrada), Telecom, Rai, Mediaset e persino la Chiesa. A volte sul luogo delle azioni viene lasciata la scritta Valsusa libe­ ra, spesso affiancata da simboli composti da una falce incrocia­ ta a un fucile, oppure a un martello, un teschio, un tridente. L’n marzo un incendio danneggia il portone della chiesa di Giaglione. Per la prima volta è ritrovato un volantino firmato Lupi grigi, armata delle tenebre e vendetta dei poveri, una misteriosa sigla che ricorda il gruppo di destra turco autore dell'attentato al papa. Gli inquirenti la riconducono all’area anarco-insurrezionalista. I volantini dei Lupi grigi, realizzati con vignette incollate e foto­ grafie tratte da quotidiani, contengono riferimenti confusi ed eterogenei. Inneggiano alla solidarietà contro Tav, tasse. Chie­ sa, mafia, capitai consumismo, finta democrazia, galera, scuo­ la, caserma. Spaziano dalla lotta partigiana a Fra Dolrino, per arrivare a invocare, citando un brano di Franco Battiato, il «ri­ torno dell’era del cinghiale bianco». Le reazioni ai sabotaggi da parte degli abitanti della valle sono di diffusa simpatia, mentre i settori più moderati e istitu­ zionali del movimento contro l’alta velocità prendono netta­ mente le distanze. Nel novembre 199 7 partiti, sindacati e Chie­ sa organizzano a Bussoleno una manifestazione contro gli at­ tentati. La partecipazione popolare è bassa. Nel frattempo si svolgono le prime proteste di massa contro il Tav. Il 15 gennaio 1998 viene effettuata un’azione con caratteri­ 238

stiche diverse dalle precedenti. Durante la notte qualcuno pene­ tra nel municipio di Caprie, sottrae alcuni macchinari e prima della fuga provoca un incendio nei locali. Le reazioni L’interpretazione di questi sabotaggi è tutf altro che univoca. La magistratura e le forze di polizia attribuiscono tutte le azioni a uriunica struttura di ecoterroristi anarchici. I partiti della sini­ stra storica e alarne componenti dell’opposizione al Tav denun­ ciano invece quella che considerano una provocazione «contro il movimento», ima sorta di complotto, realizzato o comunque favorito dai servizi segreti. Per criminalizzare, screditare e divi­ dere una realtà di lotta pacifica e di massa. Ritengono impossi­ bile che alcuni sabotaggi, in particolare quelli realizzati con maggiori competenze tecniche, possano essere stati effettuati da abitanti della valle o dai gruppetti più radicali della protesta contro l'alta velocità. Anche all’interno della realtà No Tav le in­ terpretazioni sono diverse, a causa delle varie posizioni presen­ ti nel movimento. Molti suoi settori considerano ad esempio le­ gittimi solo gli atti di sabotaggio praticati nell'ambito di iniziati­ ve di massa. Gli anarchici insurrezionalisti, convinti che nella vicenda non esista alcun mistero, plaudono agli attacchi, che at­ tribuiscono a valligiani decisi a passare all’azione diretta.I I centri sodali e gli spazi occupati torinesi Nella seconda metà degli anni Novanta a Torino sono presenti numerosi spazi occupati - in genere palazzine abbandonate che fanno riferimento a due aree distinte: quella comunista e quella anarchica. Della prima fa parte anche la componente au­ tonoma, mentre la seconda comprende libertari e squatter. Spes­ so queste realtà non hanno una teoria politica organica, ma ri­ cercano nella pratica nuove forme di sodalità, lotta, cultura, autorganizzazione volte a inceppare i meccanismi del potere. I luoghi autogestiti da anarchia e punk in linea di massima non si riconoscono nella definizione di centro sociale, accettando inve-

ce quella di spazio o posto occupato. Il piano terra è in genere de­ dicato alle iniziative pubbliche, mentre i piani superiori sono spesso adibiti a abitazioni. Quest'area ha una netta chiusura nei confronti di qualsiasi trattativa con le istituzioni volta a regola­ rizzare e legalizzare le occupazioni. Il principale spazio occupa­ to delTarea libertaria, E1 Paso, rifiutando ogni etichetta, si dichia­ ra né centro né sociale né squat Bersaglio della campagna mediatica denigratoria della fine degli anni Novanta sono soprattutto gli squatter, malvisti anche da buona parte della sinistra, che nel m i­ gliore dei casi li considera disadattati sociali. Tra gli squat torine­ si, ovvero gli edifici che vengono utilizzati per iniziative politi­ che, sociali, culturali e a scopo residenziale, d sono fAsilo di via Alessandria, il Barocchio a Grugliasco, la Delta House in via Stradella, il Prinz Eugen in corso Principe Eugenio, il Kinoz in via Giordano Bruno, l'Alcova di corso San Maurizio e la Casa oc­ cupata di Collegno, nei locali dell1ex manicomio. L'anarchismo insurrezionalista Critiri nei confronti della politica di centri sociali e spazi occu­ pati - identificati come luoghi di autoghettizzazione - sono in­ vece gli anarchici insurrezionalisti, una tendenza del movi­ mento libertario che si distingue per la sua posizione radicale rispetto ai mezzi da usare nel?abbattimento dello Stato. L’uti­ lizzo della violenza viene infatti ritenuto necessario anche nei paesi e nelle fasi caratterizzate da una democrazia formale. Negli anni Novanta questa componente è protagonista di azio­ ni contro obiettivi istituzionali, tra le quali diversi pacchi esplo­ sivi. Nello stesso periodo i suoi militanti vengono colpiti da nu­ merose operazioni repressive. In questo ambito nasce la FaiFederazione anarchica inform ale, la cui costituzione è comunicata nel dicembre 2003 tramite il documento che ri­ vendica l'esplosione avvenuta nei pressi della casa bolognese di Romano Prodi, allora Presidente della Commissione euro­ pea. La nuova sigla anarco-insurrezionalista, che si appropria dello storico acronimo della Federazione anarchica italiana, 240

provoca alfintem o dell'area libertaria numerose polemiche, prese di distanza e persino dubbi di autenticità. Sul problema della violenza rivoluzionaria esistono all interno del m ovimen­ to libertario posizioni molto differenti. In particolare la Fai sto­ rica condanna pubblicamente f utilizzo di pacchi bomba e or­ digni vari, ritenuti funzionali alle logiche provocatorie della criminalizzazione del dissenso. La «nuova» Fai collega singoli e gruppi di matrice anarchica, che hanno come obiettivo co­ mune la distruzione dello Stato e del capitale ma non necessa­ riamente si conoscono tra loro. Il patto federativo di mutuo ap­ poggio garantisce l'indipendenza di ognuno, senza meccani­ smi autoritari né vincoli assodativi. Nel rivendicare le azioni, la sigla della cellula specifica è affiancata a quella della Fai-Federazione anarchica informale. Nel maggio 2012, un Nucleo della Federazione anarchica informale rivendica il ferimento di Roberto Adinolfi, am m ini­ stratore delegato dell’Ansaldo Nucleare di Genova. Gli arresti e i suiddi 115 marzo 1998, su mandato dei giudid Maurizio Laudi e Mar­ cello Tatangelo, vengono arrestati a Torino tre anarchici che vi­ vono nella Casa occupata di Collegno: Silvano Pelissero, 36 anni, Edoardo Massari, detto Baleno, 35 anni, e Maria Soledad Rosas (Sole), argentina di 23 anni giunta in Italia nel giugno 1997. L'imputazione di banda armata, poi tramutata in assodazione sovversiva con finalità di terrorismo, è relativa alle azioni di sabotaggio contro il Tav in Val di Susa. I tre sono accusati di appartenere alla fantomatica organizzazione dei Lupi grigi. Oltre alla Casa di Collegno, vengono perquisiti e devastati dalle forze di polizia altri due spazi occupati di Torino, l'Asilo (sgom­ berato, murato ma rioccupato il giorno successivo) e l'Alcova, che gli squatter riescono a difendere. Nonostante fuso di intercettazioni ambientali, telecamere e perquisizioni, nessuna prova dedsiva viene trovata a loro cari­ co. I giudid portano comunque avanti il procedimento, soste­ 241

nuti da una campagna che tende ad alimentare le paure verso i cosiddetti ecotcrroristi. Autori di furti per sopravvivenza perso­ nale e di qualche azione propagandistica, i tre rim angono schiacciati da un meccanismo repressivo assolutamente spro­ porzionato rispetto alle loro piccole illegalità. Edoardo Massari viene trovato agonizzante all'alba del 28 marzo, impiccato nella sua cella del carcere torinese Le Vallette. Maria Soledad Rosas si suicida f u luglio nella comunità Sottoiponti di Benevagienna, dove è detenuta agli arresti domiciliari. Il 31 gennaio 20 0 0 Sil­ vano Pelissero è condannato in primo grado a sei anni e dieci mesi. Nel novembre 2 0 0 1 la Corte di Cassazione smonta f accu­ sa di attività terroristica con finalità eversive, ritenendo che i tre abbiano compiuto solo piccoli reati comuni. Dopo quattro anni esatti, Silvano viene liberato per decorrenza dei termini. Sarà condannato in via definitiva a 3 anni e io mesi. Manifestazioni, presidi, scontri, sabotaggi, proteste di vario tipo - con conseguenti denunce e arresti - accompagnano, non solo a Torino, tutto il periodo dell'inchiesta. I pacchi bomba e le polemiche Le vicende legate alf inchiesta giudiziaria e al modo di contra­ starla portano alla rottura di alcuni rapporti alf interno del mo­ vimento torinese. Lo scontro più duro è provocato dai cosiddet­ ti pacchi bomba, spediti tramite posta alf inizio di agosto del 1998. Fra i cinque destinatari ci sono nemici dichiarati del mo­ vimento, ma anche esponenti dei partiti della sinistra interve­ nuti in favore dei tre anarchici arrestati. A riceverli sono il giu­ dice Maurizio Laudi (artefice dell'inchiesta), il giornalista Da­ niele Genco (accanito avversario degli squatter e malmenato dai compagni di Baleno durante i suoi funerali), il consigliere re­ gionale dei Verdi Pasquale Cavaliere (che più volte va a visitare in carcere gli arrestati e a cui Silvano Pelissero scrive parole di stima), il parlamentare Giuliano Pisapia e il consigliere di Rifondazione comunista Umberto Gay, schierati contro finchiesta giudiziaria. Nessuno dei pacchi esplode. 24 2

L’iniziativa è aspramente condannata dalla sinistra mode­ rata, ma anche dalle componenti maggioritarie del movimento anarchico e da buona parte della sinistra antagonista. Alcuni spazi occupati torinesi firmano un documento di presa di di­ stanza che si conclude così: A chi ci vorrebbe terroristi e clandesti­ ni rispondiamo che reagiremo apertamente ad ogni form a di vio­ lenza con l'azione diretta, pubblica e collettiva, come abbiamo sem­ prefatto. La dissociazione della maggioranza dei centri sociali e degli squatter torinesi viene criticata dalle aree più radicali, perché ritengono possa favorire strumentalizzazioni da parte delle autorità e iniziative repressive nei confronti di quei setto­ ri del movimento che non si schierano apertamente contro i pacchi bomba. Divergenze e rotture nettarea anarchica L’inchiesta accentua i contrasti all’interno della «nuova» area li­ bertaria, quella che non si riconosce nelle sigle storiche del mo­ vimento. Gli anarchici insurrezionalistì accusano gli squatter di avere avuto, nel corso delle iniziative contro l’operazione re­ pressiva, un ruolo di pompieri della rivolta, e di aver favorito il disegno del potere di trasferire lo scontro sul terreno metropoli­ tano, in difesa delle case occupate torinesi. Li criticano dunque per avere distolto l’attenzione da quello che ritengono il nodo centrale, il conflitto in Val di Susa e le iniziative di rivolta delle popolazioni locali contro il Tav e gli affaristi della politica e del­ l’economia, per concentrarla su una guerra «privata» fra lo Stato, gli imprenditori, i finanziatori dell’alta velocità da un lato e gli anarchici dall’altro. Di contro gli squat, come alcuni centri sodali dell’area autonoma, ritengono che Fazione repressiva punti a criminalizzare le case occupate. La risposta deve quindi porsi sullo stesso terreno. Obiettivi principali della mobilitazio­ ne sono gli sgomberi, le violenze poliziesche, gli arresti e le ca­ lunnie mediatiche nei confronti degli squatter. Nel frattempo giornalisti ed esperti discutono del disagio giovanile che produ­ ce la violenza, Tinsofferenza nei confronti delle istituzioni e 243

della stampa. In un volantino collettivo degli squat dopo i tre ar­ resti, gli unici riferimenti alla Val di Susa sono relativi alle azio­ ni effettuate come Fronte di liberazione dei nanetti da giardino. Le statuette sottratte alle ville e alla cementificazione per essere rilasciate nei boschi. Al centro del dibattito non ci sono più i Lupi grigi ma gli squatter torinesi. Inoltre, le varie componenti del movimento delle occupazioni, molto diverse fra loro, e in generale i militan­ ti dei centri sociali, vengono dalle campagne mediatiche chia­ mati indistintamente squatter, confusi quindi con una realtà specifica. Squatter è chi costruisce la propria identità su una pratica, quella dell occupazione di edifici vuoti da autogestire, più che sulle ragioni che spingono ad appropriarsene. Lo stru­ mento diventa il perno intorno a cui ruota l’attività. Nell’occupa­ zione si tenta di ritagliare spazi liberati, esperienze di autoge­ stione dove vivere in modo trasgressivo in una società basata sul lavoro, il denaro, la competitività, il lavaggio di cervelli. Una sorta di autoesclusione. Al mondo esterno ci si rapporta preva­ lentemente per difendersi dagli assalti. Gli squatter ricorrono a forme di azione spettacolari, talvolta provocatorie. Come l'orga­ nizzazione di una conferenza stampa con l’offerta di frattaglie in pasto ai giornalisti, l’esposizione di cubetti di porfido quale esempio delle prove granitiche sbandierate dai giudici contro gli imputati, una protesta con spogliarello di due giovani all’ostensione della Sindone. Gli anarchici insurrezionalisti criticano inoltre gli squatter perché a loro avviso avrebbero ingenuamente favorito una mercificazione della vicenda di Sole, accogliendo per un perio­ do f «avvoltoio», Martin Caparrós, giornalista-scrittore argenti­ no. Gli squatter respingono l’accusa ricostruendo così i fatti. Qualche mese dopo la morte di Sole, il giornalista arriva all’A­ silo occupato con una lettera di presentazione della sorella della giovane, dicendo di voler conoscere da vicino la vita del­ l’anarchica morta suicida. Gli squatter si fidano. Perché cono­ scono la sorella di Sole, e Caparrós si presenta come ex m ili­ 2

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tante dei Montoneros per anni in esilio in Spagna e Francia. Chiariscono però che lo avrebbero aiutato a raccogliere solo materiale pubblico e non lettere personali. Lo scrittore riesce ad avere il diario della ragazza dai familiari di Baleno. Tornato nel suo paese, pubblica il romanzo Amor y anarquia, che indu­ gia sugli aspetti più intimi della vita di Sole. Gli squatter re­ spingono anche l’accusa di avere onorato post mortem Edoardo Massari dopo aver avuto un rapporto conflittuale con lui, ricor­ dando le iniziative comuni. A mutare opinione su Baleno dopo la sua morte è sicura­ mente la Federazione anarchica italiana che, pur ribadendo le differenze, parla di assassinio di Stato e riconosce al suicida quella «dignità» di anarchico prima negata. Nell’estate 2014 il movimento No Tav ha dedicato a Sole e Baleno il presidio di San Giuliano, in Val di Susa, affermando che all’epoca dei fatti, non comprendendo la portata dell’attacco repressivo, non si schierò chiaramente a fianco degli anarchici arrestati.

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Per saperne di più

Una bibliografìa dei temi trattati nel libro richiederebbe un elenco di centinaia di volumi. Ma non darebbe comunque una visione completa, contestualizzata e «libera» di quegli eventi. A tutfoggi assente. Questa nota è una semplice trac­ cia dei principali testi consultati nella ricerca. In essi sono contenuti numerosi riferimenti bibliografici. I libri segnalati sono assolutamente eterogenei. Per metodo e rigore storico, provenienza degli autori, livello di approfondimento. Hanno quindi un valore molto diverso fra loro. Alcuni sono scritti dai protago­ nisti, dell’una o dell’altra parte. E quindi influenzati, oltre che dalle valutazioni dell’epoca, dai percorsi individuali successivi. Altri indugiano in superficiali esorcizzazioni, che poco aiutano nell'analisi di un fenomeno così complesso. Una lettura incrociata di questi testi favorisce comunque un approccio più do­ cumentato. Di notevole utilità per comprendere il contesto sociale e politico dell’epoca sono i quotidiani. In particolare, è possibile consultare gratuitamente online gli archivi storici completi de «l'Unità», nel sito unita.it, e di «Lotta continua», nel sito fondazionerrideluca.com. Nei siti bibliotecamarxista.org e rottaproletaria.wordpress.com si trovano invece vari documenti delle organizzazioni ar­ mate. Fondamentali per la ricostruzione delle storie sono state le fonti orali. Testi­ monianze, ricordi diretti. Condizionate ovviamente da limiti di soggettività e parzialità, che si è cercato di ridurre, per quanto possibile, con verifiche in più direzioni. Riferimento principale Per la storia delle organizzazioni combattenti e di sette delle dieci militanti narrate nel libro la fonte edita più documentata è l’accurata ricerca del Proget­ to Memoria, di cui sono stati pubblicati cinque volumi. Progetto memoria, La mappa perduta, Sensibili alle foglie, Roma 1994. Progetto memoria, Sguardi ritrovati, Sensibili alle foglie, Roma 1995. Progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma 1996. Progetto memoria, Le torture affiorate, Sensibili alle foglie, Roma 1998. Progetto memoria, Il carcere speciale, Sensibili alle foglie, Dogliani 2006. Donne e lotta armata dagli anni Settanta Ida Faré, Franca Spirito, Mara e le altre. Le donne e la lotta armata. Storie, intervi­ ste, riflessioni, Feltrinelli, Milano 1979. Anna Teresa Iaccheo, Donne armate. Resistenza e terrorismo: testimoni dalla Sto­ ria, Mursia, Milano 1994. Maria Luisa Passerini, Storie di donne efemministe, Rosenberg & Sellier, Torino 1991.

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Indice

Q

u e s t o l ib r o

,

per m e

9

E len a A n g e lo n i

Mi sembra di sentirmi di nuovo viva

17

M arg h erita C ag o l - M ara

La vita è troppo importante per spenderla male

29

A n n a m a r ia M an tin i - Lu isa

Avanti sempre fino alla vittoria

41

B arb ara A z z a r o n i - C arla

Se mi dovesse succedere qualcosa, pensa a mia figlia

53

M aria A n to n ietta B ern a

Ci sono vite che pesano come montagne

65

A n n a m a r ia L u d m a n n - C ecilia

Anch'io ho diritto alla mia vita

75

Lau ra B artolin i

Quando ero una brava ragazza...

85

W ilm a M o n a co - R oberta

Tra tanti macchinoni proprio la Cinquecento!

96

M aria So led ad R osas

Ci vogliono morti perché siamo loro nemici

107

D ian a B lefari M e la zz i

La determinazione rivoluzionaria sostiene le mie giornate qui U

121

n a s t o r ia a m e r ic a n a

di Silvia B arald in i

Sch

e d e s t o r ic h e

13 7

15 7

B rigate ro sse (Br)

158

U n io n e dei c o m u n isti co m b atten ti (U d cc)

17 6

B rigate ro sse p er la co stru zio n e del Partito co m u n ista co m b atten te (Br-Pcc)

18 4

Collettivi politici ven eti p e r il Potere o peraio (Cpv)

19 4

Fronte patriottico antidittatoriale (Pam ) e R e siste n za in G re cia N u cle i arm ati proletari (N ap)

204 213

P rim a lin ea (Pi)

224

Sq u atter e an arch ici in su rre zio n alisti a T o rin o

237

Per

s a p e r n e d i p iù

247

Finito di stampare nel mese di gennaio 2015 presso la tipografìa Arti Grafiche La Moderna - Guidonia (Roma) per conto delle edizioni DeriveApprodi srl