Scetticismo. Una vicenda filosofica [1 ed.] 9788843040674

L'intera vicenda del pensiero occidentale, dalle più remote origini greco-romane sino ai dibattiti che caratterizza

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Scetticismo. Una vicenda filosofica [1 ed.]
 9788843040674

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Scetticismo Una vicenda filosofica A cura di Mario De Caro ed Emidio Spinelli

Carocci editore

la edizione, febbraio 2007 © copyright 2007 by Carocci editore S.p.A., Roma

Finito di stampare nel febbraio 2007 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione: forme dello scetticismo di Mario De Caro ed Emidio Spinelli

9

Parte prima Dall' antichità al Rinascimento

L'antico intrecciarsi degli scetticismi di Emidio Spinelli

17

2.

Scetticismo e criticismo nel Medioevo di Alfonso Maierù e Luisa Valente

39



Montaigne, Sanches e la conoscenza attraverso i fenomeni. Gli usi moderni di un paradigma antico di Gianni Paganini

1.

67

Parte seconda L'età moderna 85



Lo scetticismo di Cartesio di Paola Rodano



Hume, i limiti dello scetticismo e le radici del naturalismo di Eugenio Lecaldano 7

1°5

6.

Modernità di una storia antica: Kant, Hegel e lo scetticismo di Cinzia Ferrini

121

Parte terza L'età contemporanea 7·

Scetticismo e fallibilismo di Massimo Dell'Vtri

8.

Pessimismo epistemologico e certezza di Rosaria Egidi



Lo scetticismo sull' esistenza del mondo esterno di Annalisa Coliva

IO.

1 49

L'irrefutabilità dello scetticismo: aporia insanabile o questione irrilevante? di Mario De Caro

211

Note

23 1

Bibliografia

261

Indice dei nomi

2 87

Gli autori

295

Introduzione: forme dello scetticismo Je pense, donc je suis,

ecco quel che s o con certezza:

quanto poi a tutte le altre cose che mi circondano,

tutti questi universi, Iddio, e

il

diavolo stesso, per me

è tutta roba che non è dimostrato se esista

in

sé o so­

lamente come una mia emanazione, temporanea e

in­

dividuale... Fedor Dostoevskij,

I/ratelli Karama1.ov

Tra le costanti che hanno caratterizzato con maggiore profondità le vicende dd pensiero occidentale, dalle più remote origini greco-roma­ ne sino ai dibattiti che segnano lo stato attuale della ricerca filosofica, la cosiddetta "sfida scettica" occupa certamente un posto di grande rilievo. Costantemente i filosofi hanno avvertito, infatti, l'urgenza di confrontarsi - in una rdazione dialettica talora di aspro confronto ta­ lora di serena accettazione - con i tentativi scettici, più o meno radi­ cali, di mettere in discussione le presunte certezze che l'intuizione e la riflessione hanno, di volta in volta, raggiunto e saldamente ab­ bracciato. Questo volume, pur senza illusorie pretese di completezza, inten­ de individuare e definire adeguatamente alcune linee di sviluppo fon­ damentali della ininterrotta vicenda dello scetticismo. In particolare, l'ottica privilegiata dagli autori dei saggi qui raccolti è quella episte­ mologica: le complesse articolazioni in cui si sviluppa la valutazione critica delle condizioni di possibilità della nostra conoscenza, e della sua giustificazione, si presentano infatti come una sorta di denomina­ tore che accomuna tanto i tentativi di portare alle estreme conseguen­ ze le distruttive obiezioni scettiche quanto le reazioni propositive (o "dogmatiche", secondo il punto di vista scettico) contro tali tentativi quanto, ancora, le proposte scettiche moderate, che - pur tentando di mantenere vivo e costante l'abito dell' aporia o dd dubbio - mira­ no a individuare forme di conoscenza e di azione in grado di dudere la sfida dello scetticismo radicale. Innanzi tutto, dunque, lo scetticismo si caratterizza come una sfi­ Ja alle nostre pretese di conoscenza. Per quanto sia difficile sovra­ stimare l'importanza che tale sfida ha assunto nd corso della storia Jella filosofia dai suoi esordi sino a oggi, non è tuttavia agevole de­ terminarne esattamente i confini: come molti altri termini filosofici,

9

SCETTICISMO

infatti, nel corso del tempo il sostantivo "scetticismo " , con i relativi aggettivi e avverbi, ha assunto molteplici valenze semantiche. Per pre­ cisare i termini della questione alcune indicazioni generali possono dunque essere utili. In primo luogo è bene distinguere il termine "scetticismo " , nella sua accezione filosofica, da altri ai quali esso è stato spesso connesso, come "nichilismo" , " relativismo" , "soggettivismo " , "solipsismo" , "li­ bertinismo" , " agnosticismo" , "misterismo" , " antirealismo" e "fallibili­ smo " . Non bisogna mai dimenticare, inoltre, come l'attitudine scetti­ ca, al di là dei nessi semantici che - con forza variabile a seconda dei casi - la collegano a queste e ad altre voci del lessico della filosofia, si sia concretizzata in forme di prassi filosofica non uniformi o standar­ dizzate, ma legate a visioni di fondo della realtà storicamente deter­ minate. Da questo punto di vista, con un grado di generalizzazione elevato ma non infondato, è forse opportuno individuare almeno due snodi basilari, grazie a cui dividere radicalmente il campo delle possi­ bili opzioni scettiche, reciprocamente distinte e ben differenziabili ri­ spetto ad altre forme di pensiero. Qualora infatti si voglia cogliere adeguatamente la specificità dello scetticismo nel momento della sua prima apparizione e del suo primo sviluppo, a partire dall'età ellenistica e fino alla piena età imperiale, si deve sottolineare con forza che esso, rifiutando ogni cristallizzazione in scuola, volle presentarsi come un indirizzo di pensiero ancorato al­ l'esercizio di una ricerca ininterrotta, strutturalmente votata all' aporia, fautrice di un'apertura mentale che sta e si regge sulla produzione o riproduzione infinita di argomenti conflittuali. Lo scettico antico, in­ somma, di fronte all'impossibilità di individuare strumenti incontro­ vertibili per assentire all'uno o all' altro dei discordanti aspetti del rea­ le, evita di formulare conclusioni definitive sulla verità o falsità delle cose, anzi più esattamente sull a corrispondenza fra il modo in cui le cose appaiono e la loro essenza o realtà ontologica. Il suo rifugio in una onnicomprensiva sospensione del giudizio o epoche, tuttavia, non arriva a mettere in discussione il più generale presupposto realistico, per cui anche lo scettico riconosce e ammette l'esistenza di un mon­ do esterno, negando unicamente che per noi sia disponibile un acces­ so epistemologicamente incontrovertibile verso di esso. Dopo la parentesi medievale e rinascimentale, con la ripresa di modelli antichi spesso impiegati per esigenze filosofiche del tutto nuove (ad esempio di carattere fideistico) , si assiste a un cambiamen­ to di prospettiva innegabile. In età moderna, a partire dalla svolta cartesiana, il termine " scetticismo" assume dunque una specificità al­ tra, non assimilabile a quella antica: da questo momento in poi, infatIO

INTRO D U Z I O N E: FORME DELLO SCETTI C I S M O

ti, esso denota un tipo di concezioni che ruotano attorno alle poten­ zialità del dubbio. Tale osservazione, in sé pressoché ovvia, va tuttavia ulteriormente precisata, in quanto denota una condizione necessaria, ma certo non sufficiente, dello scetticismo moderno: non tutte le for­ me di dubbio, infatti, sono rilevanti per l'insorgere dello scetticismo. TI dubbio, così come si presenta nell'ambito del dibattito sullo scetticismo, ha un carattere peculiare, che lo distingue dai dubbi pro­ pri delle pratiche non-filosofiche per almeno tre ragioni. In primo luogo, occorre notare che nelle situazioni proprie della vita quotidia­ na, quando si dubita di determinate credenze, teorie o ricostruzioni di eventi accaduti, lo si fa in vista del raggiungimento di credenze, teorie o ricostruzioni migliori: in casi di questo genere, dunque, il dubbio è costitutivamente connesso alla possibilità del suo supera­ mento, nel quadro di una generale aspettativa di progresso epistemi­ co. Nel caso dello scetticismo filosofico, invece, il dubbio non è affat­ to funzionale al proprio superamento teorico, ma rappresenta l'esito ultimo della riflessione filosofica. Per lo scetticismo, insomma, il dub­ bio è un approdo conclusivo, teoreticamente invalicabile: non è tale, cioè, da porre le condizioni epistemiche del proprio superamento, in vista di un presunto "progresso epistemico". (Questo giudizio va tut­ tavia precisato quando dal piano della teoria si passa a quello dell'a­ zione: secondo molti filosofi di ispirazione scettica, dai pirroniani a Hume, infatti, la paralisi intellettuale causata dalle irresolubili aporie della ragione può essere sopravanzata nell'ambito pratico. In quel­ /' ambito, dunque, gli scettici possono concedere che oltre il dubbio si può, e forse si deve, andare.) In secondo luogo, il dubbio scettico non è necessariamente legato al concreto presentarsi di ragioni per dubitare di una particolare cre­ denza o teoria nell' ambito di una specifica pratica epistemica: non è, insomma, il tipo di dubbio che si presenta a uno scienziato che dubi­ ti di una particolare ipotesi teorica perché essa incontra difficoltà con determinati dati osservativi o quello di un giudice che dubiti di una particolare ricostruzione dei fatti prodotta durante un dibattimento perché essa non collima con le testimonianze e gli indizi disponibili. Il dubbio scettico, piuttosto, è predisposto ad hoc, è un dubbio espli­ citamente artificioso, e ciò in un duplice senso. Innanzi tutto, tale dubbio è artificioso nel senso etimologico del termine, in quanto le ragioni del dubitare sono costruite oppure assemblate "ad arte" (si pensi, rispettivamente, all'ipotesi cartesiana del genio maligno e alla meticolosa elencazione delle possibili illusioni sensoriali), indipenden­ temente dalle nostre concrete istanze conoscitive. Ma il dubbio scetti­ co è "artificioso" anche nel senso più comune del termine, in quanto II

S C ETTICI S M O

le ragioni che lo sostengono paiono assolutamente inverosimili, se non del tutto assurde, dal punto di vista del senso comune e della ragione scientifica. Possono, il senso comune o la ragione scientifica, ipotizzare veramente che noi siamo cervelli in una vasca alimentati da un computer, come propone lo scetticismo contemporaneo, oppure che la percezione non sia in grado di darci mai conoscenza genuina? In questa luce, non sorprenderà che, in sostanza, le ragioni offerte dagli scettici convincono, o almeno interessano, soltanto i filosofi - e questi ultimi, come notava Hume, soltanto quando sono nell'esercizio delle proprie funzioni. D'altra parte, come c'è da aspettarsi, le accuse di artificiosità non turbano affatto lo scettico (né forse dovrebbero farlo); e, anzi, egli le interpreta come indizi della profondità filosofica dei propri argomenti. In terzo luogo, il dubbio scettico è caratterizzato dalla sua assolu­ ta radicalità. Non è soltanto che tale dubbio non è propedeutico ad alcuna conoscenza; è che esso possiede una tale forza pandemica da contaminare tutte le credenze analoghe a quella di cui si sta dubi­ tando. Non si tratta, dunque, di un dubbio che, nell'ambito di un concreto ambito conoscitivo, ponga in questione l'attendibilità di una specifica credenza o teoria; esso piuttosto pone in questione la legitti­ mità di quel determinato ambito conoscitivo nel suo complesso. Per chiarirci: quando Galileo dubitava della teoria tolemaica del moto dei pianeti, non pensava affatto che i moti planetari non si potessero co­ noscere, ma intendeva solo contestare un particolare modo di darne teoricamente conto. Al contrario, quando, per fare un esempio, lo scettico elenca le illusioni prodotte dai sensi, egli non intende mettere in dubbio solo alcune credenze basate sulla percezione, ma tutte le credenze di quel genere. Una forma di dubbio teoreticamente invalicabile, artificioso e ra­ dicale caratterizza dunque, in generale, le posizioni scettiche. Molti sono i criteri cui si può ricorrere per organizzare una tassonomia di tali posizioni. In primo luogo, si possono distinguere le concezioni che difendono lo scetticismo da quelle che lo negano. Nell' ambito delle posizioni filo-scettiche, inoltre, le concezioni radicali si contrap­ pongono a quelle moderate, mentre sul fronte opposto le concezioni radicalmente critiche (che denunciano l'assurdità o l'insensatezza del­ lo scetticismo) si possono distinguere da quelle che riconoscono allo scetticismo almeno una funzione "strumentale" nell'edificazione delle concezioni positive (e Cartesio fornisce, in questo senso, l'esempio canonico). Un'altra importante distinzione riguarda lo scetticismo globale ri­ spetto a quello locale. Nel primo caso, si afferma l'impossibilità asso12

I NTRODUZI O N E : FORME DELLO SCETTICISMO

Iuta di ogni conoscenza (in genere perché nessuna nostra credenza può mai essere giustificata o perché nessuna credenza può mai attin­ gere la verità) ; nel secondo caso, si sostiene l'impossibilità di cono­ scere uno specifico ambito di entità o proprietà (come le altre menti, i valori morali, l'identità personale o il passato). Questi sono criteri teorici per distinguere le posizioni scettiche, e altri se ne potrebbero offrire. Tuttavia, per motivi di ordine pratico, in questo volume la scansione dei saggi non è organizzata secondo criteri teorici, ma rispettando la cronologia delle tappe principali del movimentato itinerario della "sfida scettica" . Così, nella sua prima parte (Dall'antichità al Rinascimento, con saggi di Emidio Spinelli, Al­ fonso Maierù e Luisa Valente, Gianni Paganini) vengono esaminate in primo luogo le radici antiche di questo atteggiamento di pensiero, che si esprimono in risposte diverse alle difficoltà suscitate da una visione dogmatica delle nostre presunte capacità conoscitive. Dopo aver preso in considerazione le spinte scettiche rinvenibili all'interno di alcuni snodi centrali della filosofia medioevale, inserite peraltro nei dibattiti teologici che a esse fanno da sfondo, lo sguardo si estende quindi alla feconda rinascita scettica di età rinascimentale, fino a toc­ care alcuni aspetti salienti delle posizioni assunte al suo interno da Montaigne e Sanches. Nella seconda parte del testo (L'età moderna, con saggi di Paola Rodano, Eugenio Lecaldano, Cinzia Ferrini) vengono discusse le mo­ dalità con cui alcuni degli autori canonici della tradizione filosofica moderna hanno declinato la questione scettica. Così, iniziando dalla fondazione cartesiana di una forma di soggettivismo forte e saldo che prende le mosse proprio dal dubbio scettico, si passa ad ana­ lizzare la riproposizione, in più punti e per più versi originale, della strumentazione argomentativa scettica sviluppata da Hume, per con­ cludere, infine, con il complesso intreccio teoretico in cui motivi e "ostacoli " scettici vengono ripensati e superati nelle pagine di Kant o di Hegel. Nella terza parte del testo (L'età contemporanea, con saggi di Massimo Dell'Utri, Maria Rosaria Egidi, Annalisa Coliva, Mario De (:aro) vengono affrontate le discussioni che hanno portato nel Nove­ cento a un significativo ritorno di interesse per lo scetticismo, soprat­ lutto in ambito analitico, e ciò da una pluralità di punti vista: da qucllo che, con Moore e Wittgenstein, ha privilegiato la discussione ddla nozione di "certezza" ad alcune significative forme di scettici­ StilO moderato di matrice neohumeana, sino alle recenti proposte an­ I iscettichc di Quine, Nozick, Putnam, Davidson e Wright.

SC ETTI C I S M O

I saggi di Spinelli, Maierù e Valente, Lecaldano e De Caro ripren­ dono, sviluppandoli, gli interventi presentati dai rispettivi autori nel corso di un ciclo di seminari dedicati allo scetticismo, organizzati nel febbraio-marzo del 2005 , con la collaborazione dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e dell'Università Roma Tre, sotto l'egi­ da della Sezione romana della Società filosofica italiana, allora presie­ duta da Vincenza Celluprica (la cui scomparsa vorremmo qui ricorda­ re con sentita commozione) . I saggi di Paganini, Rodano, Ferrini, Egidi e Dell'Utri sono stati invece scritti appositamente per questa antologia. il saggio di Annalisa Coliva, infine, è una versione modifi­ cata di quello pubblicato nell'antologia Filosofia analitica. Temi e pro­ blemi, da lei stessa curata per Carocci (20°7 ) . Abbiamo ritenuto che questo saggio meritasse di venire ripresentato, in una versione co­ munque diversa, perché esso dà conto, da una prospettiva esplicita­ mente teoretica, della vivace discussione che rispetto allo scetticismo si va oggi sviluppando nell' ambito della teoria della conoscenza ana­ litica. La nostra conclusiva speranza, per nulla nascosta, è in ogni caso che l'insieme delle voci raccolte in questo concerto a più mani possa inserirsi nel rinnovato clima di interesse per la " sfida scettica" e per le sue secolari vicende, contribuendo a ravvivare un dibattito che non può che muoversi coniugando giuste esigenze di ricostruzione storica e fecondi stimoli di analisi teorica.

Nel chiudere queste brevi riflessioni introduttive, oltre al naturale rin­ graziamento nei confronti degli amici e colleghi che hanno accettato di condividere con noi questo progetto, arricchendolo dei loro pre­ ziosi contributi, non possiamo dimenticare un ulteriore ringraziamen­ to a Giorgia Castagnoli, che, con slancio e puntualità, ha lavorato sia per dare uniformità editoriale ai vari capitoli, sia per "assemblare" in modo ordinato la ricca nota bibliografica finale, e a Francesco Verde per la stesura dell'Indice dei nomi. MARIO DE CARO EMIDIO SPINELLI

Parte prima Dall' antichità al Rinascimento

I

L' antico intrecciarsi degli scetticismi di Emidio Spinelli

Premessa

(ovvero del cominciamento scettico) Il contributo di apertura in una raccolta di saggi dedicati al tema del­ lo scetticismo non può che confrontarsi con il difficile problema del cominciamento. Questo approccio è immediatamente valido, com'è owio, da un punto di vista storico o meglio cronologico, ma assume contemporaneamente un valore diverso, più ampio. Esso può infatti essere giustificato anche alla luce dell'esigenza di fissare con chiarezza uno specifico modo di declinare l'attitudine scettica, che nel mondo antico si rivela significativamente "plurale", come vedremo subito, e che dunque impone la massima cautela anche a tutti coloro che deb­ bono fare i conti con ritorni, riprese, rielaborazioni proprie degli scetticismi a venire, diacronicamente distesi nell'arco temporale lungo che dalle origini si muove fino alla riflessione filosofica contempora­ nea l. Una puntuale delimitazione del campo di indagine e delle fami­ glie scettiche antiche, insomma, può rivelarsi utile non solo per chi nutre (più o meno in confessabili) passioni storico-archivistiche, ma anche per chi intende muoversi sì con maggior slancio teoretico, ma senza trascurare un'adeguata contestualizzazione del proprio, diversa­ mente scettico, oggetto di studio. Ecco dunque l'obiettivo primo di questo contributo: riannodare le fila del plurisecolare intreccio, in­ contro o perfino scontro degli scetticismi antichi, toccando quanto meno gli snodi fondamentali che al suo interno rappresentano alcune figure di riferimento, dai presunti "padri fondatori" a Sesto Empiri­ co, vero bacino collettore di molteplici tradizioni a lui precedenti 2. Il primo nodo da sciogliere sul piano di una corretta indagine sto­ riografica è legato alla preliminare determinazione di che cosa si pos­ sa e si debba intendere per scetticismo. Solo grazie a questa indispen­ sabile operazione definitoria, infatti, appare possibile individuare in

17

SCETT I C I S M O

modo coerente e conseguente anche quando collocare la prima appa­ rizione di questo atteggiamento filosofico (cfr. Sedley, 1 98 3 , in parti­ colare pp. 9- 1 0). In questa direzione non basta di certo limitarsi a registrare la prima occorrenza del termine tecnico skeptikos 3. Non si tratta infatti di una sorta di graduatoria cronologico-lessicale; ciò che conta è piuttosto lo spettro concettuale e la prassi filosofica che si lasciano cogliere come base ineliminabile di uno scetticismo consape­ vole e consapevolmente distinto da altre forme di pensiero. Alla domanda sul quando si deve dunque rispondere con rigore e, mi sembra subito opportuno aggiungere, senza lasciarsi andare a faci­ li generalizzazioni o peggio ancora alla stesura di cataloghi tanto ampi, quanto sterili. So bene che quest'ultima opzione potrebbe ap­ parire - e di fatto apparve anche ad alcuni scettici antichi, come avre­ mo modo di chiarire fra poco - attraente, soprattutto perché il pedi­ gree scettico ne uscirebbe notevolmente arricchito e nobilitato. Se in­ fatti si assimila " debolmente" la scepsi alle molte, ma per nulla si­ stematiche, dichiarazioni ed espressioni di dubbio o ignoranza formu­ late sia da poeti sia da filosofi agli albori della tradizione culturale occidentale, la storia dello scetticismo - antico, ma forse potremmo dire dello scetticismo tout court come categoria filosofica - verrebbe a popolarsi di numerose figure, cui attribuire il titolo onorifico di "pre­ cursori" . Si potrebbero insomma chiamare in causa - come in effetti fecero alcune fonti antiche, colpite da isolati e pessimistici pronuncia­ menti sulla debolezza delle nostre capacità gnoseologiche o sui limiti invalicabili della nostra condizione mortale e per ciò stesso "effime­ ra " - i nomi illustri di Omero o dei Sette Sapienti; di Archiloco o di Euripide; di Senofane, di Parmenide o di Zenone eleatico; di Eraclito o di Empedocle; di Ippocrate o di Democrito, per chiudere natural­ mente con Socrate o con lo stesso Platone 4, senza naturalmente voler tacere di sofisti come Protagora 5 o Gorgia. Accettare una simile ipotesi interpretativa, tuttavia, significhereb­ be indebolire, fino quasi a dissolverla, la specificità di quella corrente filosofica, che non raggiunse - o meglio, probabilmente, non volle raggiungere - mai la struttura consolidata di una scuola o hairesis, ma che rappresenta un movimento, una corrente di pensiero o agoge, cui possono essere attribuite almeno due note distintive di fondo: a) la convinzione che il vero scettico persevera senza sosta nella ri­ cerca e insieme permane nell'aporia, un abito che arriva quasi a ca­ ratterizzarsi come un vero e proprio fine o te/os in senso forte; b) la capacità di supportare questo atteggiamento di interminabile apertura mentale mediante una sistematica raccolta o, se necessario, una opportuna invenzione di argomenti volti a mostrare l'impossibiliIX

I.

L'ANTICO I NTRECCIARSI D E G L I SCETTI CISMI

tà e/o l'infondatezza di qualsiasi pretesa conoscitiva cristallizzata in dogmi. Se teniamo ben fermi questi due punti, possiamo allora individua­ re un ambito cronologico e concettuale ben preciso, entro cui tale atteggiamento si impose e consolidò. Si tratta del dibattito epistemo­ logico ed etico innescato fra IV e III sec. a.c. dalle riflessioni di Pirro­ ne ( 360-270 a.c. ) da una parte e di Arcesilao (3 1 5 -240 a.c. ) dall'al­ tra 6. li richiamo alla auctoritas non di uno, ma di ben due "padri fondatori" impone subito la necessità di fare i conti con l'esistenza di almeno due forme diverse di scetticismo (uno appunto "pirroniano " o meglio "neo-pirroniano" ; uno " accademico" ) non coincidenti, anzi spesso fra loro apertamente rivali e segnate entrambe da una storia, da un'evoluzione interna niente affatto lineare, secondo quanto mo­ strano di aver ben compreso già alcune fonti antiche 7. In principio era Pirrone?

Per comprendere fino in fondo la fisionomia degli scetticismi antichi occorre dunque cominciare da Pirrone. La sua figura, insieme alla difficile determinazione dei punti di riferimento salienti della sua for­ mazione filosofica (da Brisone ad Anassarco, fino agli ipotizzati, ma difficilmente dimostrabili influssi orientali) e all' oggettiva difficoltà derivante dal fatto che egli, come Socrate, non lasciò nulla di scritto, suscita una domanda preliminare. Benché possa suonare paradossale, essa condiziona tutta l'analisi della successiva storia del versante pir­ roniano dello scetticismo antico: fu Pirrone davvero pirroniano? Alla luce delle più recenti e accreditate indagini critiche la rispo­ sta sembra decisamente negativa 8. La posizione di Pirrone, così come sembra emergere da varie testimonianze antiche, non appare affatto interessata a perseguire senza sosta il vero, nella persuasione forte, però, di non poter dire nulla di definitivo sulla realtà. In tal senso si rivela decisiva la testimonianza di Aristode, che vale dunque la pena leggere per esteso:

È necessario prima di tutto indagare sulla nostra conoscenza; se infatti per natura non conosciamo nulla, è superfluo indagare sul resto. Anche tra gli antichi vi furono alcuni che affermarono ciò, ai quali replicò Aristotele. Par­ ticolare forza nel dire ciò ebbe anche Pirrone di Elide, che però non lasciò nulla di scritto; ma il suo discepolo Timone afferma che colui che vuole es­ sere felice deve guardare a queste tre cose: in primo luogo, come sono per natura le cose; in secondo luogo, quale deve essere la nostra disposizione verso di esse; infine, che cosa ce ne verrà, comportandoci cosÌ. Egli dice che 19

SCETT I C I S M O

Pirrone mostra che le cose sono egualmente senza differenze, senza stabilità, indiscriminate; perciò né le nostre sensazioni né le nostre opinioni sono vere o false. Non bisogna quindi dar loro fiducia, ma essere senza opinioni, senza inclinazioni, senza scosse, su ogni cosa dicendo: "è non più che non è " , op· pure "e è e non è " , oppure "né è, né non è " . A coloro che si troveranno in questa disposizione, Timone dice che deriverà per prima cosa l'afasia, poi l'imperturbabilità 9.

Senza scendere nei dettagli di questo densissimo resoconto, una con­ clusione si impone: Pirrone sembra pronunciarsi in modo dogmatico sulla natura delle cose, negativamente etichettate come «senza diffe­ renze, senza stabilità, indiscriminate». Proprio la tesi di una radicale e intrinseca indeterminatezza delle cose o pragmata, che condiziona la nostra disposizione, lasciandoci «senza opinioni, senza inclinazioni, senza scosse» e cui consegue «per prima cosa l'afasia, poi l'impertur­ babilità», induce a pensare a un Pirrone per nulla scettico, quanto piuttosto sostenitore di una sorta di "metafisica negativa o indifferen­ tista" , che sul piano epistemico non si appaga dell'affermazione dubi­ tativa (e già socratica? ) , secondo cui non conosciamo nulla, ma tende piuttosto a dichiarare senza esitazione che nulla c'è da conoscere (cfr. Decleva Caizzi, 1 986, p. 1 77) . Al di là di ogni dibattito, che pure potrebbe essere alimentato da una lettura diversa delle testimonianze in senso ad esempio "fenomenalistico" , " etico-pratico" o "pragmati­ co" , credo che a conferma indiretta di questa interpretazione " dog­ matica" di Pirrone possa essere addotta la constatazione per cui, per lungo tempo e comunque sicuramente fino al I sec. a.c. , l'etichetta dossografica di "pirroniano" non assunse alcuna valenza scettica l0. Si potrebbe tuttavia obiettare che molti degli episodi e alcune delle opi­ nioni, o doxai, che costituiscono l'ossatura della vita laerziana dedica­ ta a Pirrone ci mostrano un Pirrone pronto a negare forza e valore assoluti a concetti basilari come quelli di bene e male, visto che egli sembra aver coltivato la più nobile filosofia, introducendo il concetto dell'i­ napprensibilità e della sospensione, come dice Ascanio di Abdera: diceva in­ fatti che nulla è né bello né brutto né giusto né ingiusto; e similmente di tutte le cose disse che nulla è secondo verità; e che gli uomini agiscono in tutto per convenzione ed abitudine; ogni cosa è non più questo che quello II.

Almeno su questo piano, dunque, bisognerebbe riconoscergli legitti­ mamente la "patente" di scettico, al punto da giustificare anche la ben nota accusa di inattività, o apraxia, implicitamente adombrata in alcuni comportamenti a lui attribuiti dalla tradizione aneddotica I2. A parte ogni contro-obiezione fattuale riscontrabile in altri filoni dosso20

1. L A N T I C O I N TRECC I A R S I DEGLI S C ETTIC I S M I

'

grafici, non pregiudizialmente ostili alla figura e all' attività filosofica oggettivamente "strana" , non classificabile di Pirrone 13, anche in questo caso si può addurre come testimonianza indiretta la sua collo­ cazione, accanto ad altri autori poco noti e comunque diciamo così "eterodossi" rispetto alle scuole di provenienza, nel novero dei "mo­ ralisti" 14. Per ribadire la necessità di 'rispondere negativamente alla iniziale, solo apparentemente paradossale domanda sull ' eventuale pirronismo di Pirrone, si può citare un secco, ma condivisibile giudizio di J ac­ ques Brunschwig: «Pirrone non fu il primo pirroniano. li primo pir­ roniano fu Timone, il più noto degli immediati discepoli di Pirro­ ne» l'. È dunque probabile che proprio a Timone (3 20-2 30 a.c. cir­ ca) , interessato "profeta" del verbo pirroniano, debbano essere ricon­ dotti alcuni parametri interpretativi che miravano a celebrare nel maestro il grado massimo della sophia, intesa, forse, in funzione con­ sapevolmente antisocratica, nel' senso di un'esasperata negazione di qualsiasi accesso conoscitivamente fondato alla vera realtà delle cose 16. Nel cuore dell' Accademia scettica (e oltre)

Se passiamo al versante accademico dello scetticismo antico, occorre ricordare che non è mancato chi, già fra gli autori dell' epoca, ha cer­ cato addirittura di trasformare Pirrone nel punto di riferimento più netto o addirittura nella sorgente prima dell' atteggiamento scettico di Arcesilao. Le due figure-archetipo da cui. abbiamo preso le mosse verrebbero cosÌ non solo rese perfettamente commensurabili, ma ad­ dirittura si collocherebbero in un rapporto gerarchico di dipendenza, a tutto vantaggio di presunte radici pirroniane della filosofia scettica tout court 17. Grazie a una riutilizzazione sottilmente ironica della nota immagine omerica della Chimera, Arcesilao diventerebbe quindi una sorta di mostro: davanti Platone, in mezzo Diodoro, ma dietro Pirrone. Senza entrare qui in una disamina dettagliata, appare eviden­ te come di fronte a questa raffigurazione si possano e debbano nu­ trire ragionevoli dubbi, visto che essa deriva da fonti verosimilmente ostili ad Arcesilao (come Timone e Aristone di Chio) o molto più tarde 18. Se vogliamo invece impostare in modo corretto l'indagine sulla natura e sulla portata dello scetticismo accademico, dobbiamo spo­ stare la nostra attenzione su altre fonti, meno prevenute e capaci di farci cogliere le differenze di impostazione, di background filosofico, 21

SCETTICISMO

perfino di sensibilità teoretica fra Pirrone e Arcesilao. In questa dire­ zione, di fondamentale importanza si rivela una testimonianza di Ci­ cerone: In primo luogo Arcesilao, scolaro di Polemone, trasse soprattutto la convin­ zione, dai vari scritti di Platone e dai dialoghi di Socrate, che niente può essere appreso con sicurezza attraverso i sensi o la mente. Si dice che questo filosofo, parlando in modo estremamente piacevole, rifiutasse ogni valutazio­ ne proveniente dalla mente e dai sensi e stabilisse per primo (sebbene tale metodo fosse del tutto socratico) l'uso di non rivelare il proprio pensiero e di confutare invece le opinioni espresse da ciascuno dei suoi interlocutori (Cicerone, De oratore III, 17 , 67; trad. it. Narducci, 1994, pp. 619-2 1 ) .

Questo passo ci mette sulla strada giusta: per capire Arcesilao e la sua filosofia occorre stabilire una continuità di metodo, priva di qual­ siasi frattura, in primo luogo con Socrate 19 e naturalmente poi con Platone, interpretato soprattutto alla luce di quella sorta di slogan che è il "discutere nell'un senso e in quello contrario" . Fu questa per Arcesilao la vera essenza di ogni pensiero, espressa in modo immedia­ to dall'attività di Socrate e testimoniata con chiarezza a livello lettera­ rio soprattutto dal carattere inconclusivo o aporetico dei cosiddetti dialoghi giovanili di Platone, come anche di alcuni suoi scritti più tar­ di, primo fra tutti il Teeteto. Lo studio attento di queste opere e una naturale abilità dialettica nell'esaminare le questioni da punti di vista contrapposti contribuì a rafforzare la convinzione di Arcesilao per cui né la testimonianza dei sensi né l'uso della ragione sono in grado di farci conoscere la vera natura delle cose. Si tratta di una conclusione che egli non ritenne affatto di aver inventato per primo, ma le cui tracce credette invece di ritrovare già, come si accennava sin dall'ini­ zio, prima ancora che in Socrate e in Platone, in altri pensatori (pre­ socratici e non, fra cui vanno ricordati almeno: Parmenide, Senofane, Anassagora, Empedocle, Democrito, Metrodoro di Chio, Stilpone, Diodoro Crono, Alessino, i cirenaici) 20. L'atteggiamento filosofico di Arcesilao, anche se nasce dall a vo­ lontà di trovare la verità, si scontra però con l'ugual forza (o zSosthe­ neia) delle tesi opposte su di un medesimo tema e non può che sfo­ ciare, dunque, in una sospensione generalizzata del proprio assenso (nel cosiddetto peri panton epechein) 2I. Un passo ciceroniano riassu­ me bene le linee di fondo di questa posizione: Pertanto Arcesilao dichiarava che non vi è nulla che si possa sapere, neppure quello che Socrate si era serbato, il sapere di non saper nulla : a tal punto 22

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tutte le cose gli sembravano nascoste nel buio; e così risolutamente pensava che non vi sia nulla che si possa scorgere o intendere. Per queste ragioni bisogna, secondo lui, che nessuno dichiari o affermi o approvi col suo assen­ so alcunché, e che ognuno freni sempre e trattenga da ogni pericolo di cadu­ ta la sua temerità, temerità che è grandissima quando si assente a una cosa falsa o sconosciuta; e non c'è niente di più turpe del caso in cui l'assenso e l'approvazione precorrono la cognizione e la percezione. In pratica, Arcesilao faceva quel che era concordante con la sua teoria: e così appunto disputando contro le opinioni di tutti, distoglieva i più dei suoi interlocutori dalla loro opinione, affinché, trovandosi nel medesimo argomento ragioni egualmente pesanti dalle due opposte parti, più facilmente si sospendesse l'assenso dal­ l'una e dall'altra parte (Cicerone, Va"o 45 ; trad. it. Del Re, 1976, p. 82).

Alla base delle riflessioni filosofiche di Arcesilao vi furono quindi tesi genuinamente socratiche (soprattutto il rifiuto di concedere al saggio la possibilità di opinare) e insieme una sostanziale fedeltà a un aspet­ to di fondo della filosofia di Platone: quello che insisteva sul carattere limitato delle capacità conoscitive dell'uomo. Su questo sfondo diven­ tano comprensibili e vanno interpretati anche gli attacchi, già evidenti nel brano appena citato, portati da Arcesilao contro la pretesa di al­ tre scuole rivali di poter raggiungere una conoscenza certa e assoluta, confidando per di più in modo primario nella testimonianza dei sensi. Così, prendendo di mira soprattutto il criterio della verità individuato dagli stoici nella rappresentazione comprensiva e nella solida com­ prensione che essa produce, egli adottò un tipo di polemica ad homi­ nem, ovvero capace di sfruttare come punto di partenza le tesi stesse degli avversari da combattere 2 2 . In un primo momento egli accettò dunque il dogma stoico secondo cui il vero sapiente non formula mai opinioni, nel senso che non concede mai il proprio assenso a una rappresentazione falsa. Individuò quindi una serie di esempi (dai ge­ melli alle uova alle monete con lo stesso conio per arrivare alle illu­ sioni o alle allucinazioni che si producono in sogno o in stati di fol­ lia) , che mostravano l'impossibilità di distinguere fra rappresentazioni vere e rappresentazioni false. Stando così le cose, il vero saggio (an­ che quello stoico), se davvero non vuole cadere vittima di opinioni, deve evitare di concedere il proprio assenso a qualsiasi rappresenta­ zione e dunque deve sospendere il giudizio in modo incondizionato. Questa serrata argomentazione polemica di Arcesilao si snoda at­ traverso una serie di passaggi così articolati: ( I 5 �) Proprio contro queste asserzioni degli stoici polemizza Arcesilao, mo­ strando che la comprensione non è affatto un criterio intermedio tra scienza

SCETTI C I S M O

e opinione. Difatti quella che gli stoici chiamano " comprensione " o " assenso mediante rappresentazione comprensiva" , si viene a generare o nel saggio o nello stolto. Se essa si genera nel saggio, è scienza; se nello stolto, è opinio­ ne, e oltre a queste due cose non è stato acquisito niente altro se non un mero nome. ( 1 54) In realtà la comprensione, se s'identifica con l'assenso del­ la rappresentazione, non ha consistenza, in primo luogo perché l'assenso non nasce in relazione alla rappresentazione, bensì in relazione all a ragione (ché le varie specie di assenso si riferiscono a giudizi), in secondo luogo perché non si riscontra nessuna rappresentazione vera che sia tale da non poter di­ ventare falsa, come risulta da molte e svariate evenienze. ( 1 55) Ma se non c'è rappresentazione comprensiva, non verrà ad esserci neanche comprensione, giacché questa risultava essere un assenso alla rappresentazione comprensiva. E non essendovi comprensione, tutte le cose saranno incomprensibili. Ma se tutte le cose sono incomprensibili, conseguirà che, persino secondo gli stoici, il saggio sospende il giudizio (Sesto Empirico, Adversus Mathematicos VII 1 5 3-5; trad. it. Russo, 1975 , p. 47, leggermente modificata) .

Se tuttavia non esiste alcun criterio di verità, se non si può compren­ dere nulla e se bisogna rassegnarsi all ' epoche, allora, controbattevano gli stoici, il saggio descritto da Arcesilao non avrà alcun punto di ri­ ferimento per la propria azione e sarà costretto alla totale inattività o apraxia. Per superare queste obiezioni e sfuggire a questa accusa Ar­ cesilao propose in modo positivo una sua teoria morale. Il modello di comportamento da seguire è quello che in modo naturale (physikos) indirizza verso il bene come ciò che è proprio o oikeion; per metterlo in atto basta secondo Arcesilao il legame "meccanico" , quasi automa­ tico fra la rappresentazione di un oggetto che si rivela appropriato e il relativo impulso, senza alcun bisogno di ricorrere all'assenso richie­ sto dagli stoici 23. L'azione che viene compiuta in questo modo è ret­ ta ed è la sola che, dopo essere stata compiuta, può essere spiegata razionalmente, ovvero secondo quel criterio del ragionevole, o eulo­ gon, che ne costituisce una giustificazione post factum. La svolta scettica impressa alla storia dell' Accademia da Arcesilao non si esaurisce con lui. Dopo il suo scolarcato, sempre e comunque anche in funzione antistoica, è Carneade (2 14- 1 2 9 a.c.) la personalità che maggiormente si impegna in una polemica non priva di afferma­ zioni in propria persona, benché "parassitaria" soprattutto rispetto alle conclusioni di Crisippo 24. Prendendo come punto di partenza le dot­ trine dei filosofi rivali, in particolare, ma non esclusivamente stoici, Carneade elaborò un insieme impressionante di argomenti contro tut­ te le parti della cosiddetta filosofia dogmatica 2 5 . Fu soprattutto sul piano epistemologico, tuttavia, che egli si impegnò maggiormente,

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concentrando il suo attacco contro la dottrina della conoscenza degli stoici e in panicolare contro il loro presunto criterio di verità. Ri­ correndo a raffinate obiezioni, egli mise infatti in discussione non solo l'attendibilità conoscitiva dei sensi, ma soprattutto la possibilità stessa di individuare in modo certo rappresentazioni comprensive e, di conseguenza, la pretesa stoica di fondare su queste ultime il fun­ zionamento stesso della ragione. Come riferisce Sesto Empirico, in­ fatti: ( 1 64) d'altra pane, poiché non c'è alcuna rappresentazione vera che sia tale da non poter diventar falsa, ma si riscontra l'esistenza di una qualche rap­ presentazione falsa che corrisponde ad ogni rappresentazione che sembra vera, il criterio verrà a prodursi in una rappresentazione avente in comune il vero e il falso. Ma la rappresentazione che ha in comune queste due cose non è comprensiva e, non essendo comprensiva, non sarà neppure criterio. (I65 ) E non essendovi alcuna rappresentazione che sia in grado di giudicare, non sarà criterio neppure la ragione, giacché quest'ultima dalla rappresenta­ zione deriva. Ed è naturale: difatti deve prima apparire alla ragione l'oggetto che viene giudicato; ma nulla può apparire, ove si prescinda dall'irrazionale sensazione; epperò né l'irrazionale sensazione né la ragione s'identificano col criterio (ivi, 164-5; trad. it. Russo, 197 5 , p. 50, leggermente modificata) .

Appare evidente il carattere dialettico, antistoico e a d hominem di questa argomentazione di Carneade, il quale tuttavia non arrivò ad assumere la stessa, radicale posizione di Arcesilao. Rispetto a que­ st'ultimo, infatti, Carneade non accolse a quanto pare la tesi di una sospensione generalizzata del giudizio; ammise anzi la possibilità che almeno occasionalmente il saggio concedesse l'assenso e dunque for­ mulasse opinioni 26. Bisogna tuttavia chiarire bene il meccanismo di questo assenso, per evitare di trasformare Carneade in un pensatore dogmatico. Naturalmente egli escluse che si potesse dare l'assenso a qualcosa di vero, accettando invece che si potesse seguire ciò che si presentava al nostro giudizio come pithanon ovvero, secondo la du­ plice sfumatura di significato di questo termine, come "probabile" e dunque "persuasivo " . Specificando meglio questa sua convinzione e preoccupandosi in particolare dell' aspetto soggettivo dei meccanismi conoscitivi, Carneade arrivò a formulare una vera e propria scala pro­ gressiva delle rappresentazioni, distinguendole in: I. persuasive; 2. persuasive e non contraddette; infine 3. persuasive, non contraddette c ben esaminate, in grado più di tutte le altre non certo di essere, ma quanto meno di apparire vere. Senza concedere valore assoluto alle nostre capacità conoscitive, Carneade sottolineò la necessità di inda25

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gare con cura, senza precipitazione e utilizzando tutto il tempo a di­ sposizione ogni aspetto della realtà esterna 27• Solo mettendo in atto questo cauto metodo era possibile, a suo avviso, evitare ogni paralisi delle proprie azioni. Facendo uso delle rappresentazioni massimamente probabili e persuasive, approvandole e cedendo alla loro forza convincente, infatti, si poteva ottenere un punto di riferimento o più precisamente un criterio, in virtù del quale regolare il proprio comportamento in ogni occasione. Diventava così possibile prendere decisioni appropriate di fronte alle situazioni, an­ che le più estreme, adattandosi alle circostanze mediante azioni per nulla casuali, ma dettate dalla capacità di riflettere e di confrontare i dati presenti al momento attuale con quelli già presentatisi nel passa­ to, in un complesso intreccio di considerazioni che spaziano dalla gnoseologia all' etica 28. La posizione complessiva di Carneade, anche per il fatto di non essere stata mai messa per iscritto, si prestava a essere letta in direzio­ ni diverse. Di fatto questo è ciò che accadde fra i suoi immediati suc­ cessori, che si divisero in due "partiti" ben distinti. L'uno, che faceva capo a Clitomaco ( 1 87- 1 1 0 a.c. ) 29, presentava Carneade come cam­ pione di uno scetticismo radicale, impegnato unicamente in una bat­ taglia dialettica con i rivali stoici. L'altro, legato alla figura di Me­ trodoro di Stratonicea (nato intorno al 1 60 a.c.) , era invece più di­ sposto a riconoscere un lato per così dire positivo della filosofia di Carneade e dunque a mitigarne le conclusioni scettiche 3°. Di partico­ lare interesse, ma di difficilissima interpretazione a causa dello stato delle testimonianze che lo riguardano, appare infine la figura di Filo­ ne di Larissa ( I 54-83 a.c. ) , che, nel bene e nel male, sembrerebbe rappresentare un nuovo punto di svolta all'interno della storia del­ l'Accademia scettica 3 I. È infatti probabile che proprio con Filone si realizzò una profonda revisione delle posizioni scettico-accademiche; egli non accettò più la tesi radicale di una totale incomprensibilità delle cose, poiché «dal canto suo le cose sono incomprensibili stando al criterio stoico, ovvero alla rappresentazione comprensiva, compren­ sibili, invece, stando alla natura delle cose stesse» (Sesto Empirico, Lineamenti pi"oniani I , 2 3 5 ; tutte le traduzioni dei passi tratti dai Li­ neamenti sono mie). Fu questo progressivo "indebolimento" delle posizioni scettiche sostenute all'interno dell'Accademia che determinò non solo la rea­ zione dogmatica di Antioco di Ascalona 32, ma anche il tentativo di proporre una forma nuova di scetticismo, quella pirroniana, capace di reinterpretare in modo molto più radicale sia il senso dell'indagine filosofica sia l'intero panorama della storia del pensiero precedente.

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La rinascita pirroniana: fra Enesidemo e Agrippa

Dopo la scomparsa di Timone non sappiamo con esattezza se la posi­ zione di Pirrone venne ripresa ed ebbe un qualche sviluppo: ci man­ cano infatti dati testuali certi e attendibili, per poterne ricostruire le vicende. Stando tuttavia alla testimonianza di Menodoto - noto medi­ co empirico, da collocare intorno alla metà del II sec. d.C. - non vi sarebbe stata nessuna continuità nella tradizione pirroniana, poiché Timone «non ebbe alcun successore, ma l'indirizzo [agogeJ si inter­ ruppe fino a quando Tolemeo di Cirene lo ristabilì» (Diogene Laer­ zio, Vite dei filosofi IX, I I 5 ) . Chiamando in causa il nome di Tole­ meo, un altro famoso medico vissuto a quanto pare nel I sec. a.c. , Menodoto voleva collegare la ripresa del pirronismo all'ambiente del­ la medicina empirica 3.3. All 'interno di questo incontro fra sapere me­ dico e riflessione filosofica altre fonti riconoscono poi un ruolo di pri­ mo piano a Enesidemo, anch'egli attivo nella seconda metà del I sec. a.c. 34. Ciò che sicuramente caratterizza la posizione di Enesidemo è una forte polemica contro i rappresentanti dell'Accademia dei suoi giorni (in primo luogo, forse, contro Filone di Larissa) : essi si dicono infatti ancora scettici, ma il loro pensiero si rivela piuttosto «una lotta di stoici contro stoici» (Fozio, Biblioteca, Cod. 2 1 2 , p. I 7oal4-6 ) . Secon­ do Enesidemo, quindi, non era all'interno della storia dell'Accademia che poteva essere individuato il vero atteggiamento scettico. Occorre­ va cercare altrove un "padre fondatore" ; per questo egli si rivolse alla figura di Pirrone, che tuttavia interpretò - forse ripensando anche la lettura che ne aveva dato Timone - come il portavoce di una filosofia completamente scettica, trasformandolo così in una sorta di modello ideale. Al di là di questo aspetto di fondo, non è facile ricostruire nei dettagli la dottrina di Enesidemo; ciononostante emergono alcuni punti fermi. Egli fu infatti il primo a raccogliere sistematicamente i famosi tropi (o "modi" o " schemi" o " argomenti" o " ragioni" ) della sospensione del giudizio (epoche) , owero l'insieme delle varie argo­ mentazioni specifiche e degli strumenti tecnici che la tradizione scetti­ ca aveva elaborato nel corso della sua storia per evitare di pronun­ ciarsi dogmaticamente su qualsiasi tema di indagine 35. Enesidemo classificò le opposizioni possibili fra il modo in cui un oggetto appare (alla percezione sensibile o intellettuale) e ciò che esso è in realtà o secondo natura, raggruppandole appunto in dieci "modi " , che sono nell'ordine: 27

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(3 6) L . ] primo quello legato alle differenze insite negli animali; secondo quello legato alla diversità fra gli uomini; terzo quello legato alle diverse con­ dizioni degli organi di senso; quarto quello legato alle circostanze; quinto quello legato alle posizioni e agli intervalli spaziali e ai luoghi; sesto quello legato alle mescolanze; (37) settimo quello legato alle quantità e ai modi di preparazione delle cose; ottavo quello legato a ciò che è relativo; nono quello legato alla maggiore o minore frequenza degli awenimenti; decimo quello le­ gato ai modi di vita e alle consuetudini e alle leggi e alle credenze mitiche e alle concezioni dogmatiche (Sesto Empirico, Lineamenti pi"oniani I, 36-7 ) . .

Oltre a questi modi della sospensione del giudizio, sul piano dell'ana­ lisi epistemologica merita forse un' attenzione speciale anche una serie di argomenti polemici, per 1'esattezza altri otto tropi, elaborati da Enesidemo specificamente contro coloro che volevano fornire una spiegazione causale delle cose e degli eventi (cfr. ivi, I , 1 80-6) 36. Mo­ strare 1'infondatezza, la non giustificabilità delle singole spiegazioni causali, o aiti% giai, piuttosto che la loro falsità: è questo l'intento circoscritto perseguito da Enesidemo con gli otto tropi, dei quali vale forse la pena offrire un resoconto, il più possibile lineare e ordinato. 1. Il primo tropo combatte la convinzione dogmatica secondo cui una determinata causa non manifesta (C) sarebbe confermata da os­ servazioni relative a ciò che appare (A) . Il disaccordo che regna fra i dogmatici smaschera 1'infondatezza di tale pretesa. Non esiste infatti alcuna A che possa essere considerata quale concorde conferma di C. Due diverse notazioni possono essere aggiunte a commento di questo tropo. La prima è di carattere terminologico: il vocabolo greco che corrisponde a «conferma» , epimartyresis, è sicuramente tratto dal les­ sico tecnico della scuola epicurea, alla cui prosa e al cui armamenta­ rio concettuale Enesidemo più volte ricorre - ovviamente piegandoli ai propri intenti polemici - nell' elaborazione degli otto tropi. La se­ conda osservazione, di più ampia portata storico-filosofica, si fonda sull' accostamento, proposto da alcuni interpreti, fra 1'obiezione enesi­ demea e la tesi di Duhem (e Quine), che sottolinea il carattere sotto­ determinato delle teorie rispetto ai dati da spiegare. Anche Eneside­ mo, infatti, pare convinto che «qualsiasi insieme di dati possa essere organizzato e spiegato da almeno due (e di fatto da infinitamente molte) teorie diverse e incompatibili» (Barnes, 1 990b, p. 2668) 37. I I . La convinzione appena enunciata costituisce la migliore introdu­ zione alla comprensione dell'esatto ambito di riferimento del secondo tropo anticausale. Di fronte a un determinato oggetto x (aggiungerei: non-evidente), passibile di una molteplicità indefinita di spiegazioni

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tutte ugualmente persuasive e valide, i dogmatici insistono spesso nel richiamarsi a un'unica causa 38• Ancora una volta occorre rilevare come il ricorso alle spiegazioni multiple fosse parte integrante della filosofia di Epicuro. Egli lo sfruttava soprattutto per evitare ogni ca­ duta nel mitologismo eziologico, limitandone l'applicazione al campo di ta meteora 39. Diverso appare invece il carattere specifico dell'obie­ zione di Enesidemo. Egli sembra infatti presupporre la possibilità che le spiegazioni multiple valgano indistintamente per qualsiasi oggetto e dunque suggerire la necessità di non preferirne alcuna, non potendo noi stabilire quale di esse sia vera. L'attacco di Enesidemo sembra in ogni caso colpire indifferentemente sia quei dogmatici che di fatto optano per una soluzione unica, compiendo così una scelta arbitraria, assimilabile all' assunzione ingiustificata di un'ipotesi, sia quelli che stabiliscono solo in linea di principio la preferibilità di una causa ri­ spetto alle altre. TII. Il terzo tropo è probabilmente rivolto in modo specifico contro le dottrine atomistiche, che infatti offrono spiegazioni di singoli fatti o eventi del tutto ordinati ricorrendo a cause ultime prive di ordine. La polemica ha forse radici più antiche e mira a ribadire che spiegare fatti fra loro distinti non implica automaticamente dar conto della loro connessione in un tutto ordinato (cfr. Hankinson, 1 995 , p. 2 1 5 , con ulteriori rinvii) . IV. Il quarto tropo sembra essere «niente di più che un caso speciale del secondo tropo» (Barnes, 1 990b, p. 2667). Se infatti il problema di partenza è quello di offrire una soluzione per comprendere il mondo delle cose non manifeste e le sue caratteristiche, resta sempre aperta la possibilità di ricorrere quanto meno a due spiegazioni alternative: a) potremmo infatti ipotizzare, per estensione analogica, che in esso tutto accada o si formi allo stesso modo «in cui accadono le cose che appaIono»; b) forse potremmo tuttavia anche supporre che in esso tutto accada o si formi non allo stesso modo «in cui accadono le cose che appaio­ no», ma diversamente. I dogmatici optano precipitosamente per a. Anche in questa occa­ sione l'allusione potrebbe essere ad alcune tesi atomistiche, che attri­ buiscono ai componenti ultimi del reale proprietà - ad esempio resi­ stenza, peso, solidità - registrabili solo a proposito delle cose manife­ ste. Enesidemo, invece, si limita a proporre l'equipollenza delle due possibili soluzioni a e b. Egli sembra quasi voler mettere in guardia contro qualsiasi ingiustificato oltrepassamento dell' orizzonte della no­ s t ra esperienza; o, con terminologia più tecnica, negare qualsiasi inde­ hito passaggio inferenziale dal mondo fenomenico a quello delle cose

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non evidenti. il bersaglio, più volte combattuto in sede logica anche da Sesto Empirico, pare dunque essere un' attitudine epistemologica tipica non solo della dottrina atomistica, ma anche dello stoicismo, nonché della medicina razionalistica. Gli ultimi quattro tropi sembrano implicarsi a vicenda. il tipo di obiezioni che essi - insieme al terzo tropo - sollevano sembra essere inoltre più moderato, soprattutto in confronto con i tropi l , 2 e 4, al punto che li si può etichettare come scettici «solo nel più povero dei sensi» (cfr. ivi, pp. 2656-6 1 ; la citazione è a p. 2 66 1 ) 4°. il quinto tropo sembra partire dalla concessione secondo CUI SI possono individuare metodi comuni per i procedimenti scientifici. Nonostante questo possibile punto d'accordo, che dovrebbe essere garanzia di reciproco e affidabile controllo, ogni scuola dogmatica re­ sta acriticamente fedele alle proprie ipotesi e di conseguenza preferi­ sce servirsi di cause esplicative unicamente in accordo con esse. VI . il sesto tropo insiste su un "vizio" tipico di molte teorie scientifi­ che. Esse, pur di non mettere in discussione i propri fondamenti eu­ ristici, continuano ad accogliere solo quei fatti che parlano a favore delle proprie ipotesi di partenza, ignorandone altri, pur se dotati di pari plausibilità (o pithanotes). VII . il settimo modo estende il raggio d'azione del sesto, evidenziando un errore spesso (ma dunque, implicitamente, non sempre) commes­ so dai dogmatici. Essi ricorrono a cause la cui inaffidabilità è legata al contrasto o incompatibilità che esse rivelano non solo rispetto alle cose manifeste, ma anche alle stesse ipotesi di partenza che dovrebbe­ ro far loro da fondamento ultimo. VIII . La debolezza individuata dall' ottavo e ultimo tropo risiede nella pretesa dogmatica di offrire per fatti o eventi che sono oggetto di dubbio o che ancora sottostanno all'indagine spiegazioni altrettanto incerte o ancora da indagare. Insomma, l'attacco enesidemeo si chiu­ de con un netto rifiuto di qualsiasi tentativo di chiarire obscurum per obscurius. V.

Enesidemo attaccò anche altri concetti fondamentali della riflessione filosofica dogmatica, come quelli di verità, segno, dimostrazione. L'in­ sieme di queste critiche aveva a suo avviso uno scopo ben preciso: quelli che seguono gli altri indirizzi filosofici non si rendono conto, tra l'al­ tro, di logorarsi invano e di sprecarsi in angustie continue, ignorando appun­ to questo, ossia di non aver compreso nulla di tutto ciò di cui sembra abbia-

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no conseguito la comprensione. Invece il seguace della filosofia di Pirrone, tra i vari motivi della propria felicità, possiede la " saggezza" di rendersi so­ prattutto conto che egli non ha compreso nulla con certezza. E anche delle cose che egli eventualmente conosca, è in grado di esprimere l'assenso per via affermativa "non più" che per via negativa (Fozio, Biblioteca, Cod. 2 1 2 , p . 1 69b22-30; trad. it. Russo, 1 978, p. 5 5 5 ) .

Senza definire nulla e accettando d i parlare solo d i ciò che gli appari­ va, Enesidemo ritenne di restare fedele al messaggio filosofico di Pir­ rone, al quale si ispirò anche, forse, per stabilire che da un simile atteggiamento non deriva frustrazione o angoscia, ma al contrario la conquista della felicità, individuata in una forma completa di imper­ turbabilità o ataraxia, fine ultimo di tutti i nostri sforzi, tanto intellet­ tuali quanto morali. Dopo Enesidemo si è di nuovo costretti a fare i conti con testimo­ nianze, che non sono abbondanti né sempre lineari e coerenti. Un'ec­ cezione sembra essere costituita da Agrippa, vissuto forse nel I sec. d.C. Se è vero che non abbiamo notizie sulla sua vita e sulle sue ope­ re, sappiamo però che, andando oltre Enesidemo e rendendo ancora più acuta la sua polemica, egli elaborò cinque modi o tropi (discor­ danza-regresso-relatività-ipotesi-diallele ovvero circolarità della prova) , pensati come una potentissima " rete scettica" capace di bloccare ogni mossa dei dogmatici, secondo meccanismi argomentativi opportuna­ mente descritti in questo passo di Sesto Empirico: ( 1 64) Gli scettici più recenti trasmettono i seguenti cinque tropi della so­ spensione del giudizio: primo quello che deriva dalla discordanza, secondo 4uello che si spinge all 'infinito, terzo quello che deriva dalla relatività, quarto 4uello ipotetico, quinto il diallele. ( 1 65 ) E quello che deriva dalla discordan­ za è quello in base al quale, intorno all' argomento proposto, scopriamo sussi­ stere, secondo la vita da una parte e secondo i filosofi dall'altra, un indirimi­ hile dissenso, a causa del quale, non essendo capaci di scegliere o rigettare qualcosa, concludiamo alla sospensione del giudizio. ( 1 66) Quello che deriva dal regresso all 'infinito è quello in cui diciamo che ciò che viene addotto a prova dell'argomento proposto ha (esso stesso) bisogno di un'altra prova, e quello di un'altra ancora e così all'infinito, cosicché scaturisce di conseguen­ za la sospensione del giudizio, poiché non possediamo un punto da cui co­ minciare a fondare (il nostro discorso) . ( 1 67) Quello ché deriva dall a relativi­ t ;1, come abbiamo già detto, è quello in cui, relativamente a chi giudica e alle cose che si colgono unitamente all'oggetto, la realtà esterna appare in questo ( ) quel modo, mentre sospendiamo il giudizio su cosa essa sia per natura. ( I (,R) Quello a partire dall'ipotesi si ha quando i dogmatici, risospinti all'infi­ l I i t o , prendono avvio da un punto per il quale non offrono fondamento, ma che, in base a una concessione, reputano di poter accogliere semplicemente e 31

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senza dimostrazione. ( 1 69) li tropo del diallele si produce quando ciò che deve far da prova della cosa indagata ha a sua volta bisogno della conferma derivante (proprio) dalla cosa indagata; donde, non essendo in grado di ac­ cogliere nessuno dei due a conferma dell' altro, sospendiamo il giudizio su entrambi (Sesto Empirico, Lineamenti pirroniani I, 1 64-9) 4 ' .

E , infine, Sesto Empirico . . .

Contro ogni tendenza " conciliatoria» fra i due tipi di scetticismo di cui abbiamo finora ricostruito sommariamente le vicende si muove il " quadro storiografico" costruito da Sesto Empirico, medico (forse vi­ cino a una forma raffinata di empirismo) e ultima voce a noi nota della tradizione pirroniana, il cui jloruit va verosimilmente collocato ' nel 1 80-2 20 d.C. 42• Il ricco corpus dei suoi scritti rappresenta per noi la summa del pensiero scettico antico, volta a mettere in crisi non solo i tradizionali ambiti della filosofia (logica, fisica, etica) , ma anche la " cultura enciclopedica " (incarnata da grammatici, retori, aritmetici, geometri, astrologi e musici) 4 3 . Nonostante l'oscurità in cui è per noi avvolta la sua biografia, la possibilità di leggere quasi per intero la sua opera consente di formulare valutazioni più precise e accurate sulla fisionomia del neopirronismo, nonché forse sulla personalità di Sesto come autore. Da quest'ultimo punto di vista, sembra infatti or­ mai sempre meno accreditata l'immagine, negativa o addirittura spre­ giativa, di un Sesto mero copista della tradizione a lui precedente, incapace di elevarsi al di sopra del ruolo passivo e ripetitivo di mero " dossografo " . Se dunque gli va riconosciuta la funzione storiografica­ mente preziosissima di vera e propria miniera di informazioni riguar­ do non solo al suo indirizzo di pensiero, ma anche a quasi tutte le scuole filosofiche dogmatiche da lui analizzate e combattute in detta­ glio, questo non può e non deve significare negargli autonomia com­ positiva o, meglio ancora, indipendenza teorica. In tal senso, al di là di ogni incertezza ermeneutica, almeno una cosa è indubbia: Sesto sembra, per usare un'immagine un po' sfrutta­ ta ma efficace in questo caso, la punta di quell'immenso e variegato iceberg costituito dalle tradizioni scettiche antiche. Nei suoi scritti, in­ fatti, confluiscono temi, questioni, argomentazioni di tutte le correnti che caratterizzano lo scetticismo antico. Troviamo così ovviamente traccia di quella pirroniana, della quale Sesto sembra voglia farci per­ cepire anche una sorta di evoluzione interna e che è per lui ancorata essenzialmente ai nomi di Pirrone, di Timone, ma poi anche di Enesi­ demo (rispetto al quale egli intrattiene tuttavia un rapporto aperta-

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mente dialettico, che in molti casi sfocia in chiaro dissenso) e di Agrippa. Non mancano inoltre elementi e spunti tratti dall'indirizzo scettico-accademico, iniziato da Arcesilao e proseguito da Carneade, Clitomaco e, forse in forma mitigata, da Filone di Larissa; né possono essere taciuti i debiti contratti rispetto alla tradizione delle sette me­ diche scetticheggianti, sia quella metodica che quella empirica, di cui però purtroppo sappiamo davvero molto poco e a cui possiamo forse legare soprattutto, se non esclusivamente, il nome di Menodoto. La lettura degli scritti di Sesto offre sicuramente innumerevoli suggestioni sul piano delle argomentazioni messe in campo - tanto in modo sintetico nei tre libri dei Lineamenti pirroniani quanto, con fare più disteso e storiograficamente ricco, negli undici libri dell'Adversus Mathematicos contro la filosofia dogmatica. Essa viene infatti esami­ nata e combattuta nelle sue più minute articolazioni, legate soprattut­ to alla tradizionale partizione in logica (con particolare attenzione alle nozioni di criterio, vero e verità, segno, dimostrazione, sillogismo, in­ duzione, definizione, divisione, sofisma) , fisica (dove l'attacco si rivol­ ge a categorie basilari come quelle di causa, corpo, moto, mutamento, luogo, tempo, numero ecc.) ed etica (con la distruzione di ogni bene e male assoluti, della presunta arte della vita, di qualsiasi forma di pedagogia) . Appare tuttavia più opportuno chiudere la carrellata delle posizio­ ni scettiche antiche con alcune considerazioni utilizzabili in prospetti­ va più ampia e capaci di giustificare la fortuna delle pagine sestane o addirittura, secondo alcuni interpreti, il loro ruolo assolutamente cen­ trale nella genesi della filosofia moderna tout court (cfr. paradigmati­ camente Popkin, 1 979). Per far questo conviene forse concentrarsi maggiormente sugli aspetti filosoficamente più interessanti della posi­ zione di Sesto Empirico. Essi possono essere sommariamente, ma fe­ delmente ricostruiti soprattutto esaminando il contenuto di quella sorta di manuale introduttivo dello scetticismo genuino o neopirroni­ smo che è il primo libro dei Lineamenti pirroniani. Qui, proponendo I Ina coerente " autogiustificazione filosofica" , Sesto si impegna non solo a difendere l'indirizzo pirroniano da accuse e fraintendimenti più o meno malevoli; nel far questo egli si sforza anche di definire un vero "manifesto programmatico" del proprio movimento di pensiero (o agoge) , il cui intento è duplice: I . chiarire i punti di riferimento teorici e pratici che ne guidano la riflessione e l'azione; 1. . delinearne il ruolo unico e inimitabile sullo sfondo del grande, conflittuale quadro delle scuole filosofiche precedenti e contempora­ -

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SCETTICISMO

Assumendo come punto di partenza il presupposto generale di una "non-continuità" filosofica del pirronismo e mantenendo sullo sfondo la convinzione secondo cui il vero «punto di partenza della costituzione scettica» sarebbe «il contrapporre a ogni discorso un di­ scorso uguale: muovendo di qui, infatti, sembra che finiamo con il non abbracciare opinioni dogmatiche» (Sesto Empirico, Lineamenti pirroniani I, 225 ) , Sesto si preoccupa dunque in primo luogo di evi­ denziare le differenze esistenti fra i vari indirizzi di pensiero rispetto alla ricerca della verità. La sua posizione è al riguardo chiarissima e viene programmaticamente enunciata nei paragrafi di apertura dei Lineamenti: ( I ) Per coloro che indagano una qualche questione è verosimile vi sia come conseguenza o la scoperta o la negazione della scoperta e l'ammisione di in­ comprensibilità oppure la perseveranza nell'indagine. (2) Per questo motivo, probabilmente, anche presso coloro che indagano in ambito filosofico alcuni affermarono di aver trovato il vero, altri dichiararono non esser possibile comprenderlo, altri lo cercano ancora. ( 3 ) E sembrano averlo trovato coloro che sono detti propriamente dogmatici, come ad esempio Aristotele ed Epi­ curo e gli stoici e alcuni altri; intorno alle cose incomprensibili si pronuncia­ rono invece Clitomaco e Carneade e altri Accademici, mentre gli scettici pro­ seguono la loro indagine. (4) A ragione, dunque, le fondamentali filosofie sembrano essere tre: dogmatica, accademica, scettica (ivi, I, 1 -3 ) 4 ' .

Egli ricorre dunque a un'acuta e insieme funzionale divisione del campo filosofico nelle tre categorie di: - dogmatismo positivo o dogmatismo tout courl; - dogmatismo negativo, posizione qui attribuita, in modo non certo disinteressato, agli esponenti della cosiddetta Accademia scettica, in particolare Carneade e Clitomaco; - scetticismo vero o, se si preferisce, genuino pirronismo. Ben consapevole degli obiettivi che si è prefisso e delle possibili, diverse etichette che pure possono essere attribuite a tale forma au­ tentica di scetticismo, a seconda dell' angolo prospettico da cui è pos­ sibile analizzarne lo "specifico" punto di vista, Sesto ne individua per così dire l' ''essenza'' in quella sorta di dynamis o abilità, che «consiste nel contrapporre in qualsivoglia modo le cose che appaiono e quelle che vengono pensate» e da cui «a causa dell'ugual forza presente nei fatti e discorsi contrapposti, giungiamo dapprima all a sospensione del giudizio, subito dopo all'imperturbabilità» (ivi, I, 8). Per rendere ancora più chiara ed efficace la delineazione del pro­ prio messaggio filosofico, Sesto si sofferma inoltre su quella che po-

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tremmo chiamare la precisa scansione cronologica della genesi dell'at­ titudine scettica, dei momenti iniziali del suo processo di formazione, sviluppo e consolidamento. Così egli scrive: La speranza di conquistare l'imperturbabilità diciamo che è il punto di par­ tenza determinante l' [indirizzo] scettico. Tra gli uomini, infatti, quelli di no­ bile ingegno, turbati a causa dell'anomalia riscontrabile nelle cose ed essendo incerti a quali di esse bisognasse piuttosto concedere l'assenso, presero a in­ dagare cosa vi fosse di vero e di falso nelle cose, in modo tale da raggiungere l'imperturbabilità grazie alla decisione su tali questioni. Punto di partenza della "costituzione" scettica, tuttavia, è soprattutto il contrapporre a ogni di­ scorso un discorso uguale: muovendo di qui, infatti, sembra che finiamo con il non abbracciare opinioni dogmatiche (ivi, I , 1 2 ) 46.

Le tappe individuate da Sesto sono due. a) La prima tappa - o causa scatenante, qualora si voglia mantenere

la sfumatura di significato adombrata in aitiodes fu la speranza di conquistare l'imperturbabilità, a fronte di una condizione conoscitiva sentita come problematica e " fallimentare" dai più acuti e dotati fra gli uomini, ovvero, sembrerebbe legittimo dedurre, soprattutto dai fu­ turi scettici, quasi élite ristretta e privilegiata in possesso di una "sen­ sibilità filosofica" che non è comune ai più 47 . Costoro, infatti, si tro­ varono nell'impossibilità di individuare strumenti incontrovertibili per assentire all'uno o all' altro dei conflittuali aspetti del reale, nonostan­ te fossero disposti a intraprendere il difficile cammino della ricerca per superare il disorientamento suscitato dall'anomalia regnante in ambito conoscitivo (cfr. ivi, I, 29) e nonostante fossero inizialmente convinti che la serenità intellettuale potesse essere raggiunta solo una volta formulati indubitabili giudizi di verità/falsità sulle cose o, me­ glio, più esattamente, sulla corrispondenza fra il modo in cui le cose ci appaiono e la loro genuina costituzione ontologica 48• h) L' onnipervasivo mantenersi e protrarsi di tale scacco conoscitivo è alla base della seconda tappa, che Sesto considera probabilmente an­ cor più caratterizzante della prima. Si tratta di quella che altrove egli chiama «disposizione» (diathesis) scettica e che qui invece più radi­ calmente definisce, con termine forse preso a prestito dal lessico tecni­ co della medicina, «costituzione» (systasis) . Essa si risolve nella capa­ cità di individuare o, se è il caso, di produrre discorsi in reciproco l"Onflitto. Non è tuttavia necessario che questi ultimi vengano sentiti e presentati come " contraddittori " in senso forte, ma semplicemente come isoi, ovvero dotati di ugual forza persuasiva 49. Questo abito fi­ losofico, assorbito al punto da diventare una sorta di seconda natura, -

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SCETT I C I S M O

sembra infine rappresentare 1'antidoto sempre a portata di mano con­ tro ogni forma di dogmatismo. Un simile atteggiamento filosofico di ricerca ininterrotta e mai conclusa, in ogni caso, non paralizza affatto il pirroniano né gli impe­ disce di descrivere e comunicare la propria condizione intellettuale ed esistenziale. Ciò è possibile perché anche il pirroniano si richiama, sempre in senso debole e non dogmatico, a un " criterio" , che per lui consiste in ciò che appare o phainomenon, anzi per essere più precisi nella sua rappresentazione o phantasia. Se dunque anche lo scettico pirroniano può esibire un criterio, in virtù del quale orientarsi nel mondo, allora non hanno senso né fondatezza le accuse spesso avan­ zate dai dogmatici, soprattutto dagli stoici, secondo cui egli sarebbe condannato alla totale inattività o apraxia 50. Nonostante il palese ri­ fiuto di qualsiasi teoria dell' agire, sia essa frutto delle speculazioni dei filosofi o delle altrettanto dogmatiche convinzioni del senso comune, resta infatti aperta allo scettico la possibilità di regolare il proprio comportamento in base alle norme di condotta della vita quotidiana (kata ten biotiken teresin ) . Come si legge in un passo fondamentale dei Lineamenti: (2 3 ) Aderendo dunque ai fenomeni vivremo in modo non dogmatico secon­ do l'osservanza dettata dalla vita quotidiana, dal momento che non ei è POS­ sibile essere del tutto inattivi. L'osservanza dettata dalla vita quotidiana sem­ bra essere essa stessa articolata in quattro parti e consistere in qualche modo nell'istruzione impartita dalla natura, nella necessità legata alle affezioni, nel­ la tradizione di leggi e consuetudini, nell'insegnamento delle arti. (24) È in base all'istruzione dettata dalla natura che siamo naturalmente capaci di per­ cepire con i sensi e di pensare con la mente; è in base alla necessità legata alle affezioni che la fame ei induce a nutrirei, la sete a bere; è poi in base alla tradizione di consuetudini e leggi che consideriamo un bene l'esser pii, un atto di malvagità l'essere empi, in accordo con il vivere comune; è infine in base all'insegnamento delle arti che non siamo inattivi in quelle arti che tradizionalmente apprendiamo. Tutte queste cose, comunque, le affermiamo in modo non dogmatico (ivi, I, 2 3 -4).

Il pirroniano non si tira dunque indietro neppure di fronte al compi­ to di delineare il fine del proprio comportamento, anzi più esatta­ mente quel doppio fine che consiste nel contemporaneo raggiungi­ mento della imperturbabilità o ataraxia nell'ambito delle opinioni e del moderato patire o metriopatheia di fronte alle necessità ineluttabi­ li dell'esistenza e della nostra umana condizione. Per conquistare questi obiettivi, oltre alla passiva accettazione dei limiti della nostra condizione umana, Sesto propose in primo luogo

I . L ANTICO I NTRECCIARSI D E G L I S C ETTI C I S M I

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l'esercizio della sospensione del giudizio o epoche, per nulla casuale o disordinato, ma affidato a schemi argomentativi ben consolidati, ov­ vero ai già ricordati dieci modi di Enesidemo o ai cinque modi di Agrippa, veri e propri cavalli .di battaglia della polemica pirroniana. In secondo luogo egli rifiutò ogni concezione del linguaggio come strumento capace di rivelare l'essenza della realtà, accettandolo invece unicamente perché in grado di registrare, qui e ora, le nostre affezio­ ni e reazioni , , , accentuandone dunque l'aspetto comunicativo, con­ venzionale e mutevole: ( 1 7 8) Come, invero, in una città ove sia vigente un certo costume locale, co­ lui che si conforma a questo riesce a eseguire i propri affari senza impacci, mentre colui che non accetti quei costumi, ma si mette a coniar moneta per conto proprio e voglia dare a essa corso legale, è semplicemente uno stupi­ do, così anche nei rapporti umani chi non vuole seguire quella parlata che, come una moneta, è abitualmente accettata, ma intenda crearsene un' altra secondo la propria taglia, è a pochi passi dalla follia. ( x 79) Perciò L . , ] biso­ gna [. . .] affermare, altresì, che chi vuole parlare correttamente, deve rispetta­ re la parlata immediata e semplice della vita quotidiana e osservar�le norme della comune consuetudine della maggioranza (Sesto Empirico, Contro i Jf,rammatici 1 78-9; trad. it. Russo, 1 972, pp. 62 -3).

Nonostante il quadro non certo benevolo o amichevole che sembra trasparire da questa complessa strategia polemica neopirroniana e dalla sua onnicomprensiva applicazione a qualsiasi affermazione dog­ matica di carattere logico, fisico o etico, l'intento di Sesto non è affat­ to aggressivo, ma dichiaratamente "filantropico" e apertamente tera­ peutico. È con questo spirito, infatti, che egli chiude i Lineamenti, affermando senza ipocrisia: ( .l Ro) Lo scettico, essendo filantropo, intende curare con il ragionamento, nei l i miti del possibile, la vanità e la precipitazione dei dogmatici. Come dunque i medici delle affezioni corporee possiedono rimedi diversi per potenza e fra questi somministrano quelli forti a quelli che fortemente patiscono, quelli leggeri a coloro che [patiscono] in modo leggero, anche lo scettico presenta in tal modo argomenti diversi per forza, (28 1 ) e rispetto a coloro che sono m alati di precipitazione grave usa quelli solidi e in grado di eliminare vigoro­ s a m ente la malattia dogmatica della vanità, quelli più leggeri, invece, rispetto 'I l"Oloro che hanno la malattia della vanità allo stadio superficiale e facile a guarirsi e in grado di essere eliminata da argomentazioni persuasive di minor l 'l'SO. Perciò colui che prende le mosse dalla scepsi non esita, a bella posta, a p ropo rre argomenti talora vigorosi quanto a persuasività, talora addirittura 'I pparcntemente alquanto fiacchi, poiché spesso sufficienti, per lui, a raggiun­ gl're quanto si propone (Sesto Empirico, Lineamenti pirroniani III, 2 8o- r ) 5 2 .

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SCETTICISMO

Da buon medico, infatti, egli mira a " curare" 1'animo umano, libe­ randolo da ogni precipitosa adesione a opinioni mai del tutto incon­ trovertibili, e a rendere il più possibile accettabile l'inevitabile peso legato alla fatica del nostro vivere, facendo dunque assumere alla sua scelta filosofica la fisionomia di una vera e propria " arte della vita" H . È forse questo il lascito più duraturo che l a prassi filosofica scettica dell' antichità, soprattutto nella sua versione pirroniana, consegna a tutti coloro che intendono in qualche modo confrontarsi con una ri­ flessione incapace di isolarsi in una dimensione meramente teoretica, perché forse interessata in modo primario al raggiungimento di una felicità dawero alla nostra portata.

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Scetticismo e criticismo nel Medioevo di Alfonso Maierù e Luisa Valente

Introduzione

La speculazione filosofica medievale, nel mondo latino come in quello arabo, ebraico e greco-bizantino, si muove quasi esclusiva­ mente nell'orizzonte segnato dalla religione, nel caso del mondo la­ tino quella cristiana; in un orizzonte dunque caratterizzato dal fon­ darsi sulla " certezza" data dalle fede indiscussa in una "verità" ri­ velata. Tuttavia, anche nel pensiero dei maestri medievali la rispo­ sta scettica all' antico interrogarsi intorno alle possibilità e ai limiti della conoscenza umana trova alcuni, seppur limitati, significativi spazi. Considerando il tema della collocazione dello scetticismo nel Me­ dioevo bisogna innanzi tutto distinguere tre diverse problematiche: I. conosce il Medioevo (qui ci limiteremo a quello latino) lo scettici­ smo antico? ; 2 . s i danno nel Medioevo latino adesioni consapevoli e d esplicite alle antiche tesi scettiche, o esplicite confutazioni di esse?; � . si possono rinvenire nel pensiero medievale tesi somiglianti a quelle caratteristiche dello scetticismo antico, anche senza riferimenti espliciti a esso? A tutte e tre queste domande si può dare risposta affermativa, ma con delle importanti attenuazioni: I . il Medioevo conosce lo scetticismo antico? Sì, ma lo conosce poco, e soprattutto lo conosce attraverso mediazioni . e non diretta­ mente; 1. . ci sono casi di adesioni consapevoli ed esplicite a tesi scettiche? Sì, ma sono casi estremamente rari. Inoltre, si tratta piuttosto di inviti alla cautela e alla modestia intellettuale e mai di posizioni radicali di i nvito alla sospensione del giudizio in ogni ambito della conoscenza. Per quanto riguarda le confutazioni dello scetticismo nel vero senso 39

SC ETTI C I S M O

della parola, l'unica di cui siamo a conoscenza è ad opera di Ago­ stino; 3. esistono nel pensiero del Medioevo riflessioni che si possono ac­ costare a quelle scettiche, anche se non sono messe esplicitamente in relazione con lo scetticismo antico? Sì esistono, ma ben di rado giun­ gono a costituire linee portanti nella costruzione filosofica di un sin­ golo autore o di una scuola. Nella prima parte di questo capitolo ci soffermeremo sulle pri­ me due questioni, considerando alcune emergenze di riferimenti allo scetticismo antico da Agostino al XIII secolo. Nella seconda parte, si prenderà in considerazione piuttosto il terzo quesito, esa­ minando alcuni temi presenti nel pensiero del Tardo Medioevo che hanno dato modo in passato di parlare di " scetticismo medievale" nozione storiografica, come si vedrà, che non manca di essere fuor­ viante I . L'immagine dello scetticismo antico nel Medioevo: da Agostino a Enrico di Gand L'EREDITÀ TARDO ANTICA

Nella tradizione latina medievale lo scetticismo antico è conosciuto molto limitatamente e per via indiretta. Esiste una traduzione medie­ vale dei Lineamenti pirroniani di Sesto Empirico risalente alla fine del XIII o inizio del XIV secolo, ma non ebbe circolazione effettiva: nessun autore latino la cita (Cavini, 1 977; Porro, 1 994; Grellard, 2004). Il Medioevo latino conobbe lo scetticismo secondo la forma che esso aveva ricevuto in Cicerone, in particolare nei suoi Libri Academici, attraverso alcune informazioni trasmesse da Lattanzio (Faes de Mot­ toni, 1 982 ) , e soprattutto attraverso la mediazione di Agostino. Que­ sti infatti in uno dei suoi dialoghi giovanili o "filosofici " , il Contra Academicos, intreccia un fitto confronto critico con le tesi scettiche così come riteneva si trovassero presso l'Accademia platonica all'al­ tezza di Arcesilao. Agostino a sua volta in questo dialogo ha come fonte sostanzialmente Cicerone. Non stupisce dunque, date queste fonti, che i termini scepticus e derivati non compaiano fino agli anni trenta del xv secolo, in seguito alla diffusione della traduzione di Diogene Laerzio effettuata da Traversari, e che in luogo di essi si usassero invece nel Medioevo proprio il ciceroniano e agostiniano academicus e derivati.

2 . S CETTIC I S M O E CRITICISMO N E L M E DIOEVO

IL

CONTRA ACADEMICOS DI AGOSTINO

Importanza della ricerca della verilà

Il Contra Academicos (cfr. Agostino, 2005 ) ha la forma di un dialogo tra amici che si sarebbe svolto in una villa a Cassiciàco, non lontano da Milano, dove Agostino si era ritirato in meditazione con alcuni compagni dopo la conversione e in attesa di ricevere il battesimo. In un momento quindi in cui l'incontro con la filosofia platonica da par­ te di Agostino è ancora recente e in cui, avendo superato sia la " fase" manichea che quella scettica, egli ha già abbracciato in 1010 la fede cristiana. Il tema della ricerca della verità, centrale nel dialogo, è per Ago­ stino strettamente connesso a quello della felicità. Come viene detto nel proemio al secondo libro, il dedicarsi alla ricerca della verità e dunque alla filosofia è l'unico mezzo per accedere alla felicità. Con il suo dialogo Agostino intende rimuovere uno dei maggiori ostacoli sulla via della conoscenza e dunque della felicità: la disperazione, la mancanza di fiducia che sia possibile ottenere la verità, disperazione diffusa dalle argomentazioni scettiche della Nuova Accademia. La fiducia nella possibilità di raggiungere la verità è dunque per Agostino una necessità che potremmo dire esistenziale, in quanto condizione della realizzazione dell'essere stesso dell'uomo. Agostino trova anche il modo di dare a questa fiducia un fondamento scrittura­ le. Il proemio al secondo libro si chiude infatti significativamente con il richiamo al versetto evangelico «Quaerite et invenietis», " cercate e troverete" (nel discorso alle folle: Matteo 7 , 7 e Luca I I , 9). La fidu­ cia nella possibilità di trovare la verità viene cioè appoggiata sull'au­ torità scritturale e nientemeno che sulle parole di Cristo. Tuttavia la fiducia evangelicamente fondata nella possibilità del rinvenimento di verità certe è accompagnata da un invito a non am­ mettere come verità se non quelle conoscenze che si presentano con la stessa evidenza delle verità matematiche: Ma ora dico a entrambi: guardatevi dal credere di sapere qualche cosa se l'avete appresa almeno con la stessa certezza con la quale sapete che uno, due, tre e quattro, sommati fra loro, fanno dieci. Ma guardatevi pari­ menti dal credere che la verità in filosofia o non la conoscerete mai o non possa essere in alcun modo conosciuta con la medesima certezza ! Fidatevi di me, o meglio fidatevi di Colui che dice: Cercate e troverete, e credete che non solo non bisogna perdere la speranza di raggiungere la conoscenza, ma l'ssa sarà ancor più evidente di quanto lo siano quei numeri non

2.

SCETTI C I S M O

L'atteggiamento di Agostino in tutto il dialogo è dunque duplice: da una parte egli intende confutare gli argomenti scettici per aprire la via alla realizzazione dell'uomo, alla sua felicità e alla sua ascesa verso Dio; dall'altra accoglie dello scetticismo l'invito a non concedere fa­ cilmente il carattere di certezza a conoscenze che non siano solida­ mente fondate. Il criterio della verità zenoniano

Gli accademici infatti, dice Agostino, hanno desunto la loro convin­ zione che non sia possibile raggiungere la verità a partire dalla defini­ zione di rappresentazione vera data dagli stoici e in particolare da Ze­ none. Secondo tale definizione è vera solo quella rappresentazione (phantasia kataleptike) che ha caratteri tali da poter essere distinta in modo immediato ed evidente dalle rappresentazioni false. Poiché nes­ suna percezione possiede tali caratteri di certezza, gli scettici deduce­ vano l'impossibilità di qualsiasi conoscenza vera: Che tutto sia incerto, non solo lo affermavano, ma anche lo confermavano con abbondanti argomentazioni. Essi parevano però aver tratto il concetto che il vero non si può comprendere dall a famosa definizione dello stoico Ze­ none, il quale dice che può essere conosciuto con certezza quel vero che sia stato impresso nell' animo in modo talmente conforme a ciò da cui proviene, da non poter essere conforme a ciò da cui non proviene. L . , ] Gli accademici spesero tutte le loro energie proprio per dimostrare che un vero come que­ sto non può essere trovato. Di lì vennero in voga, nella difesa di quella cau­ sa, i dissensi dei filosofi, di lì gli inganni dei sensi, di lì i sogni e i deliri, di lì i mentitori e i soritP .

Agostino da parte sua accetta la definizione zenoniana di verità (che dice essere omnino verissima) , ma non ne trae come gli scettici la conseguenza dell'impossibilità di conoscenze certe. Anche lo scettico infatti, dice Agostino, messo alle strette deve ammettere di poter co­ noscere almeno qualcosa come vero in questo senso forte - non fosse altro perché riconosce la verità della definizione stessa. Va però detto che l'adesione di Agostino alla definizione stoica di rappresentazione vera ne comporta uno stravolgimento, in quanto presso gli stoici la definizione concerneva in prima istanza l'evidenza della sensazione, mentre Agostino, nel fare propria la definizione ze­ noniana, la legge in chiave neoplatonica: vera non può essere una rappresentazione sensibile, che in quanto tale è al massimo «verosimi­ le», ma vero può essere solo, come vedremo, un contenuto intelligibi­ le (cfr. ivi, III, 3 7 , p. 2 80).

2 . S C ETTICISMO E CRITI C I S M O N E L MEDIOEVO

Una confutazione della tesi dell'impossibilità di distinguere sogni e deliri dalla realtà

All a fine del passo appena riportato, Agostino elenca le grandi classi di argomentazioni scettiche: errori dei sensi, impossibilità di distin­ guere le conoscenze lTere dai sogni e dai deliri, paradossi ecc. Tutte queste argomentazioni scettiche vengono confutate da Agostino nella cosiddetta oratio perpetua, cioè il lungo discorso che chiude il terzo libro dell' opera. Soffermiamoci sulla confutazione dell' argomentazione scettica se­ condo cui non ci sono tratti che permettano di distinguere chiara­ mente le rappresentazioni - che si presumono false - dei sogni e dei deliri dei pazzi da quelle dei sani che si presumono vere, e di conse­ guenza di nulla si può avere certezza. Una delle numerose confutazioni agostiniane di questa argomenta­ zione è che anche nei sogni e nei ragionamenti dei pazzi le leggi logi­ che e quelle matematiche restano vere. Agostino cioè concorda con gli scettici nel sostenere che le sensazioni non rivestono carattere di evidenza e possono ingannare 4. Ma il piano della conoscenza sensibile non interessa ad Agostino: piuttosto gli interessa raggiungere un piano di certezza incontroverti­ bile, e tale certezza per lui si può trovare nell'ambito dell'intelligibile. La massima evidenza è infatti quella posseduta dalle leggi della logica e della matematica. Per le leggi logiche l'esempio è quello della verità delle disgiunzioni di due proposizioni contraddittorie. Anche ammes­ so che non si possa determinare se il mondo continui a esistere quan­ do dormiamo, tuttavia l'affermazione secondo cui il mondo o è uno o non è uno è necessariamente vera. Per le leggi matematiche l'esempio è çhe anche in queste condizioni di incertezza inevitabilmente un mondo più sei mondi non possono non fare sette mondi 5. Già la cer­ tezza delle leggi della logica e della matematica dunque confuta se­ condo Agostino la tesi scettica dell'impossibilità per l'uomo di rag­ gIUngere conoscenze vere. Interpretazione esoterica dello scetticismo accademico

Secondo Agostino, peraltro, nemmeno gli scettici credevano veramente in quello che dicevano quando affermavano l'inconoscibilità assoluta della verità e la necessità di sospendere l'assenso. Essi avrebbero so­ stenuto queste tesi in funzione antimaterialistica. TI materialismo di ori­ gine stoica ed epicurea infatti avrebbe dominato le menti all'epoca del­ la Nuova Accademia di Arcesilao, e per difendersi da questo dilagare

SCETTI C I S M O

di tesi materialiste gli accademici si sarebbero decisi a nascondere le loro vere convinzioni e a trasmetterle in segreto (ivi, 38, p. 2 82 ) . In realtà gli accademici nel loro insegnamento esoterico sostenevano, per Agostino, teorie che erano perfettamente in linea con l'insegnamento di Platone. Tale insegnamento è da Agostino riassunto nella tesi dell' e­ sistenza di due mondi, quello sensibile e quello intelligibile. Solo quello intelligibile sarebbe la sede della verità, e compito dell'uomo sarebbe sollevarsi a esso sfuggendo alla compromissione col sensibile. Accademici e platonismo cristiano

Alla fine del Contra Academicos la vera filosofia dell' Accademia viene in fondo a coincidere con il platonismo professato dallo stesso Ago­ stino, un platonismo però chiaramente e fortemente corretto in senso cristiano: poiché non mancarono uomini acutissimi a insegnare che Aristotele e Plato­ ne si accordano L ] è stato depurato (con molti secoli e molte dispute) , io credo, un solo sistema di filosofia verissima. Essa non è infatti una filosofia di questo mondo, che i nostri testi sacri giustissimamente esecrano, ma del­ l'altro intelligibile, al quale però codesta ragione finissima non avrebbe mai richiamato le anime L . , ] se il sommo Iddio, con una specie di clemenza po­ polare, non avesse piegato e abbassato fino al corpo umano stesso l'autorità dell'Intelletto divino 6. ..

IMMAGINE NEGATIVA DELLO SCETTICISMO NELL'ALTO MEDIOEVO

La ricchezza e lo spessore filosofico di Agostino vanno persi nei primi secoli del Medioevo. Cenni molto sintetici e fortemente critici alle dottrine scettiche si trovano negli enciclopedisti tardoantichi e a1I:o­ medievali, in particolare Isidoro di Siviglia e Rabano Mauro. Rabano Mauro nel IX secolo afferma, riprendendo probabilmente spunti che si trovano già in Girolamo e Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo), che gli accademici erano eretici, dediti al godimento di tutti i piaceri monda­ ni, e li associa in questo agli epicurei, agli stoici e addirittura ai peri­ patetici (cfr. Faes de Mottoni, 1 98 1 ) . ADESIONE ALLO SCETTICISMO DA PARTE DI GIOVANNI DI SALISBURY ?

Allo stato attuale delle conoscenze, Giovanni di Salisbury, nel XII se­ colo, sembra essere stato il primo ad avanzare in modo esplicito una rivalutazione dello scetticismo. Giovanni dichiara apertamente di se-

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2 . SCETTI C I S M O E CRITICISMO N E L M E DIOEVO

guire le orme degli scettici nel dubitare di quelle cose circa le quali non sembra possibile trovare risposte certe: nelle discussioni filosofiche mi sono attenuto alle posizioni che risultavano probabili, disputando razionalmente al modo degli accademici. Né mi vergogno di professarmi seguace degli accademici, dato che nelle cose che agli occhi del saggio sono oggetto di dubbio non mi distacco dalle loro orme. Per quanto infatti sembri che questa setta getti tenebre su tutte le cose, tuttavia nessu­ n 'altra è più vicina di questa alla verità che deve essere indagata, e come asse­ risce Cicerone che a essa aderì in vecchiaia nessuna è più contigua al pro­ gresso. Dunque per quanto riguarda argomenti come la provvidenza, il fato, i! libero arbitrio e cose simili, ritieni piuttosto che io sia un accademico e non un assertore temerario di cose dubbie 7 .

Siamo tuttavia ben lungi da un'autentica professione di scettiCismo nel senso antico. Giovanni non ritiene affatto che si debba sospende­ re il giudizio in generale su ogni conoscenza. Si tratta invece sostan­ zialmente di un invito alla modestia intellettuale: riconoscere il fatto che, nel caso di argomenti probabili, cioè che è possibile sottoporre a una disamina razionale, ma dubbi, cioè sui quali non si giunge a solu­ zione certa, è opportuno astenersi da asserzioni definitive. Giovanni afferma in modo molto netto che dubitare di tutto è insano e inde­ gno della professione di filosofi 8. È contro questo tipo di accademici, scrive Giovanni, che hanno rivolto le loro critiche Agostino e Cicero­ ne, i quali però hanno accettato della posizione accademica molti aspetti che sono utili nel rispetto della verità. In definitiva, la pro­ fessione di scetticismo è compatibile in Giovanni sia con una certa fiducia nei dati dei sensi e della ragione, sia e soprattutto con la sal­ dezza della fede. L'interesse della posizione di Giovanni risiede pro­ prio nel fatto che essa mostra la compatibilità tra la fede, la fiducia nelle possibilità di conoscere in ampi ambiti del sapere, e una forma, sia pure assai moderata, di scetticismo: il dubbio applicato con di­ scernimento risulta utile ai fini di avvicinarsi alla verità che si deve ricercare. DAL DUBBIO ALLA QUESTIONE

E DALLA QUESTIONE ALLA VERITÀ. ABELARDO

Va

a

questo proposito fatto un cenno al metodo della " questione" e

alla tesi medievale della sua origine dallo stato intellettuale del dub­ hio. Sia come pratica scolastica che come genere letterario, la quaestio ha radici già nell'antichità, ma diviene fondamentale nel Medioevo. In

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SCETT I C I S M O

particolare nel XII secolo il metodo della questione da un lato si affer­ ma sempre più nella pratica di scuola e come genere letterario, so­ prattutto in teologia; dall'altro è non di rado fatto oggetto di attenta riflessione di carattere metodologico 9 . Una questione può nascere dal rilevare una contraddizione fra passi autoritativi, ad esempio dei Padri. I maestri medievali sono ben lungi dal limitarsi a constatare la contraddizione e ancor meno dall'u­ sarla per mostrare l'impossibilità di trovare la verità secondo il meto­ do scettico del rilievo delle contraddizioni dei filosofi. Piuttosto, essi prendono da essa lo spunto per esaminare i testi apparentemente contrastanti nell'intento di trovarne la concordanza. Ma una questio­ ne può prodursi anche a partire dal dubbio di fronte a una tesi. Si raccolgono allora le opinioni a favore e quelle contrarie, e dal con­ fronto tra queste si giunge alla soluzione. Questo genere di quaestiones dunque si articola, nella sua forma più semplice, nella presentazione della tesi da discutere, nell'elenco delle argomentazioni in favore (pro) e di quelle contrarie (contra) , infine in una soluzione (solutio o de­ termina/io) seguita dalla confutazione delle argomentazioni contrarie a essa. Abbiamo perciò anche in questa forma letteraria il dubbio come punto di partenza per un procedimento che è finalizzato a su­ perare il dubbio stesso. Già in questo senso si muove un famoso passo di Abelardo conte­ nuto nel prologo al Sic et non, scritto che raccoglie sentenze contra­ stanti dei Padri. Al fine di invitare il lettore ad accostarsi fiducioso al metodo del dubbio, Abelardo chiama a sostegno sia 1'autorità evange­ lica che quella di Aristotele. Significativamente, egli si rifà proprio al passo evangelico ricordato anche da Agostino nel Contra Academicos, «Quaerite et invenietis», che però associa a una citazione tratta dalle Categorie aristoteliche: «Dubitare de singulis non est inutile», "Dubi­ tare delle singole cose non è inutile" . La constatazione delle contrad­ dizioni dei Padri, scrive Abelardo, induce all'interrogazione, e quindi al dubbio. Attraverso il dubbio si perviene alla ricerca (inquisitio) e quindi al raggiungimento della verità: Dopo aver premesso le cose dette, è opportuno, come ci siamo proposti, rac­ cogliere diversi detti dei santi Padri L ] che comportano una questione a causa di una qualche divergenza che sembrano presentare [gli uni rispetto agli altri] . Tali passi dovranno provocare i giovani lettori al più alto esercizio di indagine della verità in modo da renderli più penetranti. La prima chiave del­ la sapienza è l'interrogazione assidua e frequente; a raggiungere la quale con tutto il desiderio Aristotele, quell'acutissimo filosofo, esorta parlando della categoria della relazione, quando dice: «Forse è difficile su questo genere di ..

2.

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cose prendere posizioni sicure senza che siano state a lungo indagate. Ma dubi­ tare delle singole cose non è inutile». Dubitando infatti giungiamo alla ricerca, e ricercando conosciamo la verità. Secondo quanto dice anche la Verità stessa quando dice «Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» I O .

CONDANNA DELLO SCETTICISMO E D ELOGIO D E L DUBBIO NELLE

SENTENTIAE ARISTOTELIS

Un invito alla pratica moderata del dubbio simile a quelli di Abe­ lardo e di Giovanni di Salisbury si trova in una raccolta di afferma­ zioni di Aristotele e di altri filosofi di autore incerto, ma con ogni probabilità non anteriore al XIII secolo. Una delle " sentenze" com­ mentate è il passo aristotelico già richiamato da Abelardo «Dubitare de singulis non est inutile». Anche qui, come in Giovanni di Salisbu­ ry, gli scettici sono presentati come coloro che dubitano di tutto so­ stenendo che di nulla si può avere conoscenza, e la loro posizione è decisamente condannata. Tuttavia, tale condanna è inserita in un con­ testo di netta adesione al metodo del dubbio, a patto che sia esercita­ to entro limiti definiti. li dubbio va cioè seguito nella misura in cui non investe quelle verità talmente manifeste che dubitarne è sciocco, e aiuta invece a raggiungere la verità sulle questioni di cui si può ar­ gomentare tramite la ragione. Gli scettici antichi sono dunque anche qui condannati per la loro asserzione che di tutto si debba dubitare, e tuttavia si presenta la pratica del dubbio come utile al fine di valu­ tare i pro e i contra delle questioni e giungere cosÌ a soluzioni razio­ nalmente motivate I I . SCETTICISMO E NEOPLATONISMO IN ENRICO DI GAND

Dopo quella di Giovanni di Salisbury nel XII secolo, troviamo un'al­ tra ripresa esplicita delle tesi scettiche nel XIII secolo con Enrico di Gand (m. 1 2 9 3 ) . Qui non si tratta tanto di un elogio del dubbio, quanto di un'assimilazione delle teorie accademiche e agostiniane a un orizzonte gnoseologico e metafisica di chiaro stampo neoplatoni­ co. In polemica contro la teologia aristotelico-tomista, Enrico costrui­ sce nei Quodlibet e nella Summa un raffinato sistema teologico-meta­ fisica che si richiama in particolare al neoplatonismo di Avicenna e ad Agostino. La posizione di Enrico di Gand rispetto allo scetticismo accademico è funzione delle sue tesi gnoseologico-metafisiche. Secon­ do una teoria tratta da Anselmo di Canterbury, la verità di una cosa

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SCETTICISMO

è per Enrico la conformità di essa al suo exemplar. Tuttavia, afferma Enrico, esistono due esemplari, quello prodotto dalla mente umana tramite l'astrazione (il primo exemplar) e l'idea divina della res (il se­ condo exemplar) . Tramite la percezione sensibile possiamo sì raggiun­ gere una certa forma di conoscenza vera delle cose (in questo senso la gnoseologia aristotelica è ripresa e ammessa da Enrico) ; tuttavia questa non è la verità assoluta della cosa stessa, la sua syncera veritas (sintagma agostiniano) . Quest'ultima infatti si può raggiungere solo tramite il confronto con l'idea divina, e dunque con l'ausilio della il­ luminazione. In questo quadro, Enrico fa sua l'interpretazione ago­ stiniana della posizione accademica come una posizione platonica ma­ scherata. Gli accademici avrebbero negato che si possa conoscere al­ cunché per contrastare il materialismo stoico. In realtà essi ammette­ vano una certa conoscenza della verità basata sui sensi (aliqualis noti­ tia veritatis) ma non le davano il nome di scienza. Invece, negavano che sia possibile conoscere la verità ultima (syncera veritas) delle cose se non tramite il confronto con l'idea divina (exemplar secundum) permesso dall'illuminazione 1 2 . Più tardi, ed è questo un punto di continuità tra Medioevo ed epoca moderna, Gianfrancesco Pico farà propria, richiamandovisi esplicitamente, questa posizione di Enrico di Gand e le sue tesi gno­ seologiche, allineando sulla base di un'interpretazione neoplatonica Agostino e gli accademici, e mostrando così la compatibilità dell'at­ teggiamento scettico con i fondamenti del sapere cristiano (cfr. Porro, 1 994, pp. 25 1 -3 ) . LA CERTEZZA DEL COGITO

Sulla base delle cose viste finora si può dire che non si dà nel Me­ dioevo un'esperienza del dubbio "sistematico" in una cornice scetti­ ca, bensì quella di un dubbio "costruttivo" . Tuttavia in alcuni contesti si ipotizza, quasi come una sorta di esperimento mentale, uno stato di dubbio portato all'estremo. È il caso del famoso argomento del cogito, così chiamato a partire dalla sua formulazione più famosa, quella cartesiana. Qui il dubbio è por­ tato all'estremo per giungere ad argomentare l'evidenza di una certez­ za minima ma inattaccabile, quella della propria esistenza, dedotta dal fatto stesso di pensare, di interrogarsi, di dubitare, o di rischiare di cadere in errore. Due sono gli autori da prendere qui in considera­ zione: Agostino e Giovanni Scoto Eriugena.

2 . SCETT I C I S M O E CRITICISMO N E L M E D I O E V O

Il cogito in Agostino

Negli scritti di Agostino l'argomentazione del cogito è presente a più riprese a partire dai Dialoghi giovanili fino agli scritti dell' età matura (dr. Marrou, 1 9 5 5 , pp. 96-7; Boyer, 1 937; Bermon, 200 1 ) , per quanto singolarmente non se ne rinvenga se non una labile traccia proprio là dove più sembrerebbe doversi trovare, cioè nel Contra Academicos. Nel De trinitate l'argomento si presenta molto più maturo e dispiegato che negli scritti giovanili (cfr. De beata vita 2 , 7; Soliloqui II, I , I ; De libero arbitrio II, 3 , 7 , 20). Agostino lo menziona in due luoghi, x, x , 1 4 e xv, xii, 2 1 . Nel libro xv il riferimento agli scettici è esplicito. La certezza di vivere si deduce proprio dalla possibilità di sbagliare: «Qui fallitur, vivit». Agostino dichiara che si tratta di una intima scientia, non dipendente dai sensi e quindi saldissima. Tale intima scientia è paradossalmente fondata proprio sull' accoglienza della tesi secondo cui è possibile che i sensi ingannino: solo chi vive infatti è nella condi­ zione di potersi sbagliare (dr. anche De civitate Dei XI , 26). Nell'altro passo del De trinitate la certezza di vivere è basata non tanto sulla possibilità di errare quanto proprio sul dubbio stesso. Agostino coglie quello che si può definire l'aspetto "trascendentale" dell'argomento del cogito: non è lecito dubitare di ciò che è precondizione dello stesso dubbio; dunque non si può dubitare della propria vita I 3 . Il cogito in Giovanni Scoto Eriugena

Ragionamenti simili a questi di Agostino si trovano nel IX secolo in Giovanni Scoto Eriugena, il grande pensatore d'ispirazione neoplato­ nica dell'epoca carolingia. Nel Periphyseon Eriugena stabilisce che chiunque si ponga anche solo la questione se lui stesso esista o meno, necessariamente esiste, perché se non esistesse non potrebbe nemme­ no sapere di non sapere se esiste. Anche chi non sappia di vivere, conoscerà almeno la propria ignoranza, e dunque possiederà qualche conoscenza 1 4 . Non si può evitare di accostare a questi testi l'argomentazione cartesiana del cogito: la famosa deduzione della propria esistenza, cer­ ta al di là di ogni dubbio suscitato dalle argomentazioni degli scettici, dal fatto stesso di pensare che è esposta sia nella Meditazione Seconda che nel Discorso sul metodo (parte IV) . li grande studioso del pensiero medievale e di Cartesio Étienne Gilson ( 1 930, pp. 1 9 1 sS. ; 1 929, trad. i t . pp. 57 ss.) presenta i passi agostiniani che abbiamo menzionato come precorrimenti del cogito di Cartesio. Anche se non è accertato in quale misura Cartesio avesse presente Agostino, la somiglianza tra i 49

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ragionamenti di Agostino, quelli di Eriugena e quelli di Cartesio è evidente. Va a ogni modo tenuto presente che nell' Agostino maturo come in Eriugena il cogito aveva sostanzialmente il fine di condurre a cogliere nell'anima le tracce della Trinità, non escludendo come esito la convinzione dell'impossibilità di una conoscenza della vera essenza umana. Differentemente, in Cartesio il cogito diviene il punto di par­ tenza di una grande costruzione scientifica e metafisica basata sulla conoscenza dell'essenza dell'uomo quale sostanza pensante (dr. Jeau­ neau, 1 995, p. 1 07). CONCLUSIONE

In definitiva, si può dire che nel periodo che va da Agostino al XIII secolo la presenza dello scetticismo antico è episodica, e che non si è dato qualcosa come una ripresa cosciente di esso se non nella forma di un moderato invito alla prudenza intellettuale. E tuttavia le poche e indirette conoscenze che dello scetticismo antico avevano i medie­ vali hanno contribuito a stimolare riflessioni significative su temi che poi si riveleranno centrali nel pensiero moderno: l'utilità della critica e del dubbio, l'attenzione alle problematiche dei limiti della possibili­ tà di conoscere, l'emergere della dimensione dell' autocoscienza con le poche ma salde certezze che da essa derivano. Il criticismo nel Medioevo

Nella prima metà del secolo scorso lo studioso polacco Konstanty Michalski ( 1 879- 1 947) , formatosi nell'Università cattolica di Lovanio dove si erano affermate posizioni neoscolastiche, pubblicò vari saggi nei quali individuava fonti e motivi di scetticismo e di criticismo del secolo XIV I � . La storiografia successiva ha mostrato che lo scetticismo non ha trovato sostenitori espliciti nel Medioevo (a parte il caso di Giovanni di Salisbury, di cui si è detto) 16, mentre il " criticismo " è stato atteggiamento diffuso dalla fine del secolo XIII in poi. Con " cri­ ticismo " si intende in primo luogo l'atteggiamento critico verso dot­ trine filosofiche adottate nel secolo XIII dopo l'arrivo della filosofia aristotelica (nelle " sintesi" scolastiche) 1 7 ; ma, più propriamente, con quel termine si intende l'esame serrato delle modalità della conoscen­ za umana e dei limiti della ragione naturale, esame da cui nacque la critica alla scolastica precedente (De Rijk, 1 985 , pp. 2 1 4-8). 50

2 . SCETTIC I S M O E CRITICISMO N E L M E D I O E V O

' LA RICEZIONE D ARISTOTELE: ' ESALTAZIONE DELL AUTORITÀ DEL FILOSOFO

L'arrivo della filosofia d'Aristotele nell'Occidente latino fu salutato come l'acquisizione del frutto più alto della ragione umana nella sua esplicazione puramente naturale. La ricezione delle opere aristoteliche fu infatti accompagnata dall ' esaltazione dell'eccellenza intellettuale dello Stagirita da parte del suo commentatore spagnolo di lingua ara­ ba Averroè ( 1 1 2 6- I I 98): nel proemio del commento alla Fisica, infat­ ti, Averroè presenta lo Stagirita come colui che ha portato a compi­ mento logica, fisica e metafisica, sicché dopo di lui queste tre disci­ pline sono rimaste immutate, e aggiunge di considerare miracoloso che un solo uomo possedesse una tale capacità, divina più che umana (Averroè, Commentum Physicorum, prooemium, H. 4H-5A); nel com­ mento al De anima, inoltre, lo stesso Averroè afferma di ritenere Ari­ stotele la «regola» e il modello fornito dalla natura per mostrare la perfezione raggiungibile dall'uomo (Averroè, 1 95 3 , III, comm. 14, p. 4 3 3 ) . TI giudizio di Averroè ha trovato grande eco nel secolo XIII, ed è stato poi ripreso da Dante nel Convivio (III, v, 7 ; IV, vi, 8 e 1 5 ) ; nella Commedia, poi, come s i sa, il Poeta esalta il filosofo di Cordoba come autore del «gran comento» all e opere d'Aristotele (In! IV, 144 ) · LA CRITICA AD ARISTOTELE

Per tutto il secolo XIII il pensiero latino ha fatto i conti con la pro­ gressiva assimilazione del corpus delle opere d'Aristotele, ma dovette ben presto prendere atto che la concezione del mondo proposta dallo Stagirita e le interpretazioni avanzate dal suo più accreditato com­ mentatore presentavano aspetti che mal si conciliavano con le tradi­ ,donali posizioni di fede. Nel corso del secolo l'autorità ecclesiastica intervenne più volte, prima per bloccare l'utilizzazione delle opere di Aristotele e dei suoi interpreti ( 1 2 IO), poi per proibire alcune dot­ trine ( 1 2 70, 1277). Una volta che le opere d'Aristotele furono adotta­ te come libri di testo dalla facoltà delle arti dell'Università di Parigi ( [ 2 5 5 ) , anche un sostenitore delle posizioni aristoteliche come Sigieri di Brabante finì per ammettere che «Aristotele era un uomo e potè sbagliare» (Sigieri di Brabante, 1 972, q. 27, p. I I 5 ) . All ' inizio del se­ colo XIV l'autorità dello Stagirita appare piuttosto ridimensionata: si affermò infatti che Aristotele non fu «regola» tale da non poter mai fallire; ciò a cui egli non arrivò poteva ben essere trovato da altri (Er51

S C ETTICISMO

veo di Nédellec O. P., De cognitione primi principii, cito in Mannath, 1 969 , p . 5 5 ) · La critica ad Aristotele circa l'universalità della logica e la fondazione della conoscenza TI criticismo del T ardo Medioevo, dunque, si esercita in primo luogo

nei riguardi dell' autorità e delle posizioni di Aristotele. I risultati con­ seguiti sono ritenuti dalla più recente storiografia atti ad avviare il su­ peramento della concezione aristotelica del mondo, aprendo nuove prospettive e innescando il com plesso processo da cui ha tratto origi­ ne la scienza moderna (Grant, 1 996). Qui di seguito mi propongo di ill u strare tre casi di criticismo che attaccano le tre discipline portate a perfezione da Aristotele: il tentativo di ridimensionamento della uni­ versale validità della logica aristotelica; la posizione del francescano Guglielmo d'Ockham, a lungo ritenuto responsabile di avere intro­ dotto posizioni che avrebbero dato luogo a conseguenze scettiche e la critica esercitata da Nicola d'Autrécourt nei riguardi delle posizioni precedenti (Aristotele e l'esegesi universitaria dei suoi testi di filosofia della natura e metafisica) e contemporanee al fine di dare una base rigorosa alle proprie proposte fondate sull' esame dell'esperienza (Ka­ luza, 1 995 , pp . 2 1 3 -4) 1 8 . Le logiche speciali: logica della fede, logica della morale

Nell' Alto Medioevo Aristotele era ritenuto il maestro di logica per ec­ cellenza. La logica fu coltivata in funzione apologetica, in quanto cioè ritenuta strumento utile alla difesa dell'ortodossia nelle controversie riguardanti la dottrina cristiana. In seguito all'introduzione dell'epi­ stemologia aristotelica (con gli Analitici posteriort) nel XIII secolo, an­ che la teologia si è costituita come "scienza" : il domenicano Tomma­ so d'Aquino è presentato come il maestro che realizzò questa opera­ zione di grande impegno (Chenu, 1 969) . Tuttavia, come ci si dovette render conto che la teologia risultava indocile all'epistemologia ari­ stotelica, cosÌ si dovette constatare che la dottrina cristiana, con la sua stessa concezione di Dio uno e trino (una natura o essenza e tre persone o relazioni sussistenti: Padre, Figlio e Spirito Santo) faceva difficoltà alla logica d'Aristotele, apparentemente messa in scacco nei suoi stessi principi e strumenti fondamentali. All 'inizio del XIV secolo si precisò l'ampiezza del contrasto. Le dottrine messe in discussione dalla concezione unitrinitaria sono il principio di contraddizione, giacché sembra che una stessa cosa non possa essere tre cose, e il ') 2

2.

SCETTI C I S M O E C RITIC I S M O N E L M E D I O E VO

sillogismo, sia nella sua forma più nota e più propriamente aristoteli­ ca, sia nella forma a premesse singolari conosciuta nel Medioevo come «sillogismo espositorio». Dato il seguente sillogismo: «questa essenza è il Padre, questa essenza è il Figlio, dunque il Figlio è il Padre», secondo la dottrina cristiana le premesse sono vere, ma la conclusione è falsa (le persone infatti sono tra loro distinte) . E anche se si adotta la forma comune del sillogismo (con almeno una premes­ sa universale: «ogni essenza divina è il Padre, il Figlio è l'essenza di­ vina, dunque il Figlio è il Padre») non si evita il problema, giacché di nuovo le premesse sono vere, ma la conclusione è falsa. In entrambi i sillogismi, infatti, l'unità dei termini estremi con il medio nelle pre­ messe non basta a garantire, in questa materia, la loro corretta con­ giunzione nella conclusione. Di fronte a queste difficoltà, un altro domenicano, l'inglese Ro­ bert Holcot (m. 1 349) , negli anni del suo insegnamento (o «lettura») delle Sentenze di Pietro Lombardo a Oxford ( 1 3 3 1 -3 3 ) , avanza l'esi­ genza di ricorrere a una «logica della fede» là dove la «logica natura­ le» di Aristotele è incapace di funzionare, cioè là dove si parla di una «cosa che è una e tre» 1 9 . La logica della fede si configura come proposta di una logica spe­ ciale in funzione di un determinato ambito d'indagine. Anche se non pare adottata da Holcot, la locuzione «logica speciale» pare entrata in uso fra XIII e XIV secolo. Possiamo indicare i precedenti che hanno permesso a Holcot di avanzare la sua proposta. li punto di partenza può essere individuato nell'Etica Nicomachea (I, I , I 094b2 3-7), là dove Aristotele sostiene che il tipo d'argomentazione di volta in volta adottato deve essere proporzionato alla materia trattata: è

proprio dell'uomo colto richiedere in ciascun genere di ricerca tanta esat­ I czza quanta ne permette la natura dell'argomento: e sarebbe lo stesso lodare un matematico perché è persuasivo e richiedere dall'oratore delle dimostra­

Z i onI.

I I passo successivo è rappresentato dall' affermazione di Averroè nel commento 1 5 al secondo libro della Metafisica (