Sartre con Lacan. Correlazione antinomica, relazione pericolosa

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Sartre con Lacan. Correlazione antinomica, relazione pericolosa

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Clotilde Leguil

SARTRE CON LACAN Correlazione antinon1ica , relazione pericolosa Quodlibet Studio

Indice

9

Presentazione di Sergio Sabbatini

Prefazione

11

di Jacques-Alain Miller

Introduzione. Sartre in Lacan

19 2.0 2.4 2. 5 2.9

La rifondazione strutturalista Una relazione pericolosa Con Sartre e contro la psicoanalisi esistenziale Una correlazione antinomica

33

Metamorfosi dei concetti esistenziali

I. Follia e libertà Dalla causalità psichica alla scelta del soggetto 41 42. 44 47

I.

51 52. 56

2.

59

Prima connessione con Sartre La causalità psichica contro le relazioni di comprensione La causalità psichica e la scelta originale La contingenza della scelta contro la prospettiva organo-dinamicista

Alla ricerca della causa della follia Un problema etico per la psichiatria L'organo-dinamismo, una concezione vital ista della follia Le impasse della causalità organo-dinamica

6

INDICE

3. Contingenza di una decisione dell'essere Valore ontologico della follia Il dramma dell'incontro con la significazione Misconoscimento, credenza e malafede L'asscn7.a di causalità ultima della follia Una scelta dell'essere contro la mancan1.a d'essere

II. Il soggetto e l'io Dall'ego al soggetto dell'inconscio 89

I.

Uno strutturalismo singolare

95 98

2,

La critica all'Ego Problemi inaugurali della psicoanalisi freudiana Problemi attuali della psicoanalisi Contro la coppia io profondo/io superficiale L'ego come oggetto Portata ontologica della critica all'io Il desiderio, dalla passione inutile alla passione del significante

103 106 110

115 119

12.9

3. Al di là dell'io, il soggetto dell'inconscio L'cmcrgen1.a del discorso dell'io Ue) L'essere e il significante nel testo del sogno Una struttura agganciata a l soggetto che la vive La psicoanalisi nei «tempi arid i dello scientismo»

133 138

147 149

III. L'angoscia lacaniana Un'angoscia concreta 15 5

157 159 160 161

1.

Al di là dello strutturalismo e dell'esistenzialismo Con Freud Oltre gli esistenzialisti Rottura con Hegcl Un punto di partenza nuovo

165

2. L'angoscia esistenzialista contro la dialettica hegeliana

165

Il soggetto angosciato di fronte alla disorgani12.azione della storia

7

INDICE

La serietà e l'angoscia

167 171 173 177 178 183 191 191 196

Incommensurabilità del sapere e del reale Connessione e disgiunzione con l'angoscia esistenzialista

3· L'oggetto concreto dell'angoscia L'emozione, un'espericn1.a distinta dall'angoscia L'oggetto perturbante in Sartre Vacillamento del soggetto difronte all'oggetto angosciante Un oggetto che sale sulla scena Unheimlichkeit dell'oggetto angosciante, tra Freud e Heidcgger L'oggetto a, un oggetto incomunicabile Statuto fenomenologico dcli'oggetto a Statuto logico dell'oggetto a

199 2.00 2.02. 2.07 2.08 2.09 2.ll 2.15 2.2.0 2.2.3

4· Il soggetto angosciato, un soggetto in pericolo L'angoscia come mancan1.a della mancan1.a L'oggetto angosciante, un oggetto di troppo Dell'angosciante assenza di mediazione La cessione dell'oggetto Un'esperienza concreta di abbandono L'angoscia, effetto del nostro incontro con il linguaggio

IV. Temporalità dell'inconscio Esperienza del caso / incontro dello sguardo Tabula rasa

2.2.9 2.2.9 2.3 l

I.

2.35 2.36 2.43 2.51 2.64

2.

2.69 75

3· Il soggetto dello sguardo

2

Ridefinire i concetti fondamentali Dalla scomunica alla rifondazione

L'inconscio strutturato come un atto mancato L'inconscio freudiano, una faglia Verso un'ontologia dell'inconscio? La spontaneità della ripetizione Gli incubi, ripeti:r.ione del trauma

L'elisione dellosguardo

8

INDICE

La disgiunzione dell'occhio e dello sguardo in Sartre li travestimento dello sguardo Sartre con Freud, o lo sguardo guardato li per-sé sartriano in anamorfosi Trionfo dell'occhio sullo sguardo nell'ipcrmodernità

Conclusioni li talento di Sartre, le avan1.ate di Lacan L'andatura obliqua del granchio Sartre con Lacan dal XX al XXI secolo

Bibliografia

Presentazione di Sergio Sabbatini

Sartre con 1.Acan di Clotilde Leguil è un libro importante. È un testo di psicoanalisi, certo, che discorre con la filosofia per restituire alla psicoanalisi quello che è suo, secondo l'auspicio di Lacan. Ma è in primo luogo un'introduzione nuova al pensiero di Lacan che finalmente mette in luce quanto le riflessioni dello psicoanalista debbano al confronto, molto spesso polemico, con il genio di Sartre. Leggerlo con attenzione attenua sensibilmente le difficoltà ad avvicinare Lacan, illumina alcuni passaggi decisivi del suo insegnamento, al punto di modificare il rapporto del lettore con il testo di Lacan. Insomma, dopo averne assimilato alcune direttrici, diventa imprescindibile leggere Lacan con Sartre, anche con Sartre. Sartre con 1.Acan è un testo «politico», militante, che interviene nel dibattito contemporaneo, che vede la psicoanalisi sempre più mortificata da approcci burocratici che si vorrebbero scientifici•. Dopo il tentativo di cancellazione della psicoanalisi da parte degli zeloti più rozzi delle terapie cognitivo-comportamentali, si assiste oggi a una nuova considerazione della psicoanalisi da parte delle neuroscienze, che propongono modelli ispirati a Freud. Ma la linea di fondo è la stessa: ricondurre il soggetto umano a un funzionamento prevedibile, meccanizzabile, estrapolarne le facoltà per misurarne le prestazioni. Di fatto, commenta l'autrice, le visioni oggettiviste dell'uomo, rivestite dell'ottimismo scientista, incitano il soggetto a rinunciare a se stesso. Come sottolinea Clotilde Leguil si tratta di ripensare Sartre nel clima scientista del XXI secolo ed ecco perché si deve leggere oggi Lacan con Sartre. ' È ovvio che l'avvalersi di metodologie anche raffinate mutuate dalla matematica, non garantisce la scientificità di una disciplina, se prima non si preoccupa di definire con chiare-a.a il suo oggetto.

IO

PRESENTAZIONE

La psicoanalisi del XXI secolo, scrive Clotilde Leguil, difende con l'aiuto di Sartre il terreno specifico dell'umano, stretto tra chi vorrebbe con un programma naturalista farne un animale più evoluto e i fautori della robotizzazione dell'uomo, ridotto a una macchina sofisticata. È sorprendente la rimozione della matrice di questo orientamento: quella filosofia scolastica che ancora oggi permea il campo psicologico e psichiatrico. In tal modo, commenta Clotilde Leguil, viene cancellata la peculiarità della nostra specie nel regno vivente, cioè il suo rapporto con il simbolo e gli effetti del simbolo sul corpo. Il «talento di Sartre» al servizio del rispetto del soggetto diventa uno straordinario alleato della psicoanalisi. Da qui l'esigenza di riprendere Sartre: la filosofia esistenzialista impone una visione dell'uomo radicalmente aperta, antideterminista. Rileggere oggi L'essere e il nulla vuol dire ritrovare l'esperienza umana nei suoi dettagli, colta dall'indagine esistenzialista con una finezza che non può lasciare indifferente lo psicoanalista.

Sartre con Laam nasce nell'ambito dell'orientamento lacaniano di Jacques-Alain Miller, lo straordinario laboratorio che ha formato centinaia di analisti in tutto il mondo negli ultimi quarant'anni. Miller in più di un'occasione ha invitato gli analisti a rileggere Sartre e ne ha indicato la presenza, quasi sempre non dichiarata da Lacan, in testi capitali del suo percorso. Clotilde Leguil ha raccolto l'invito diJacques-Alain Miller, ottenendo la sua piena soddisfazione: il suo libro ha l'ambizione di restituire Sartre alla psicoanalisi. Obbliga tutti gli analisti a misurarsi con analisi e riflessioni la cui finezza fa liquefare certe costruzioni contemporanee sull'inconscio e la coscienza. Non solo: il Lacan letto, grazie a MillerLeguil, con Sartre, offre prospettive inedite, diventa trasparente in certe affermazioni paradossali, si mostra chiaro nei passaggi più impervi. La traduzione del testo ha dato luogo a un piccolo evento, con la collaborazione fattiva di tre allievi dell'Istituto freudiano - scuola di formazione in psicoterapia, presieduta da Antonio Di Ciaccia e che fa riferimento al Campo freudiano - che qui ringrazio ancora. La traduzione quindi è di Silvia Coppola, Tania Di Pietro e Giovanni Riccardi. La revisione è stata curata da Matteo Bonazzi e Sergio Sabbatini, con l'aiuto di Silvia Coppola.

Prefazione di Jacqucs-Alain Millcr

Sartre e Lacan non sembrano avere la stessa età. Le foto migliori di Sartre ci mostrano un eterno ragazzino, quelle di Lacan invece lo ritraggono con i capelli bianchi. Sartre pensatore tuttavia ci appare molto più vecchio. Sembra essersi fermato da qualche parte negli anni Cinquanta, proprio quando Lacan cominciava a spiccare il volo. Con la Critica della ragione dialettica, nel 1960, Sartre aveva cercato di rimettersi al passo coi tempi, ma era stato un flop. Il libro, scritto sotto Corydrane•, era comunque pieno di belle cose, molto convincenti, cito a memoria: l'economia della scarsezza, il gruppo in fusione, il pratico-inerte, la logica soggettiva del Terrore ... Dopo di che c'è stato il Flaubert, enorme e incompiuto, talmente intempestivo da sembrare postumo già al momento della pubblicazione, quasi una continuazione del folgorante Baudelaire, che, all'indomani della guerra, illustrava così elegantemente le tesi de L'essere e il nulla. Tra il Baudelaire e il Flaubert c'era stato il tentativo di un Mallarmé, lasciato poi in sospeso. La vita del «grande scrittore», ecco il cuore pulsante dell'opera. La nausea racconta il fallimento di un biografo, Le parole sono una Infanzia di Sartre. Foucault apparve sulla scena mediatica nel 1966. Si fece cantore dello strutturalismo. Stando a Le parole e le cose, il divenire dello spirito culminava in un sapere uno e trino, che aveva i volti di Saussure, di Lévi-Strauss e di Lacan. Per farsi capire dai media, identificò Sartre, l'intellettuale più popolare di allora, con l'immagine dell'esprit che esala l'ultimo respiro. Aspirava alla sua successione. Lacan non si prestò all'operazione, più accorto di Foucault, percepiva che fare di Sartre l'avversario dello strutturalismo, il suo Altro, signifì' Pastiglie di aspirina e anfetamine.

12

JACQUF.S·Al.AIN MILl.f.R

cava garantirgli «una rinnovata attualità». Quel «che non è sartriano», dice a una giornalista del «Figaro», non si definisce innanzitutto «con il non essere sartriano». E aggiunge: «Sartre è più giovane di me - Lacan è nato nel 1901, Sartre nel 1905 - ed ho seguito la sua ascesa con molta simpatia e interesse. Ma non mi sono mai situato, non mi situo affatto, rispetto a lui». È vero? Sì, indubbiamente. Lacan non ha forse detto «dico sempre la verità»? Non tutta, però... È in questa mancanza che possiamo inoltrarci. Sartre stabilisce un legame indissolubile tra soggetto ecoscienza, riducendo l'inconscio alla sola «malafede». Il freudismo fa crollare di colpo questo assunto. Ecco allora perché Lacan non ha mai dovuto, rispetto a Sartre, situarsi - l'espressione è sartriana -, se non agli antipodi. Situazione che, comunque, ha evitato di esplicitare. Ne deriva che troppo spesso ignoriamo quanto Lacan debba a Sartre. La cosa mi saltò agli occhi quando cominciai a leggere Lacan, alla fine del 1963. C'era la struttura, certo, ma c'era anche il soggetto dell'inconscio, stabilito nella «mancanza-a-essere»: inevitabile l'assonanza con la «mancanza-d'essere» sartriana, per quanto fosse della coscienza. È appunto nella struttura che apparivano gemelle, l'una e l'altra tessute di nulla, due negatività dialettiche e attive. Per il resto nulla in comune, a parte i buchi, le mancanze, le faglie, ovunque in Lacan come in Sartre - più complessi negli scritti dello psicoanalista, perché topologicamente diversificate. In Sartre la causa di tali buchi è la libertà, che proietta ciò che non è; in Lacan è il linguaggio, il simbolo, che fa esistere la mancanza. Nel 1965 riapparve, per la prima volta in volume, La trascendenza dell'Ego, articolo che Sartre aveva scritto nel 1936 per «Recherches philosophiques» - la rivista di Koyré - con la quale aveva collaborato anche Lacan. Sartre vi descrive l'ego (il ]e) come oggetto trascendente (esterno) del pensiero riflessivo, distinto dal «campo trascendentale» della coscienza pura, cioè irriflessa. Il riferimento mi fece capire il titolo scelto da Lacan nel 1949 per Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell'Io Oe) ... , poiché il testo non chiariva affatto tale «funzione dell'Io». Molto tempo dopo scoprii che anche il Discorso sulla causalità psichica si ispirava alla dottrina sartriana. «L'insondabile decisione dell'essere», cui Lacan attribuiva «la causalità della follia», era per l'appunto

PREFAZIONE

13

la «scelta originaria» cui Sartre riportava il destino di Baudelaire, con abiti nuovi. Incontrai tuttavia uno scoglio: il testo di Lacan era datato - da lui stesso - 28 settembre 1946, mentre il libro di Sartre era uscito nel 1947. Potei presto verificare che ne era apparso un estratto ne «Les Temps modernes», nel maggio 1946. Lacan dunque, senza colpo ferire, aveva adottato -e adattato al suo scopo - la parte più nuova del pensiero di Sartre. La sua proposta, secondo cui la follia «è la virtualità permanente di una faglia aperta nella sua essenza [dell'uomo)» 2 , richiamava una nota di Sartre, ne L'essere e il nul"': «Un folle non fa che realizzare, alla sua maniera, la condizione umana»3. Come si può essere tanto in debito con Sartre senza mai «situarsi» rispetto a lui? Era appunto questa prossimità che obbligava Lacan a prendere le distanze. Sartre era stato la sua guida, molto probabilmente, e aveva sfruttato prima di lui certe risorse di dottrina fornite dall'Hegel di Kojève, maestro di entrambi. Lacan però lo considerava una guida fuorviante, ancor più nocivo in quanto dispensava analisi «affascinanti», il cui unico difetto era l'esser false. Lacan testimonia a più riprese la sua ammirazione per il favoloso talento di narratore mostrato da Sartre, in particolare nel capitolo «Le relazioni concrete con gli altri» di L'essere e il nulla, ma ne confuta punto per punto le costruzioni sulle passioni sadica e masochista. In alcuni passaggi è impossibile non trovare Sartre lacaniano. Vediamo per esempio cosa dice sul linguaggio: Cosl il senso delle mie espressioni mi sfugge sempre: non so mai esattamente se esprimo (signific) ciò che volevo esprimere (significr) e nemmeno se sono espressivo (signifiant) ... l'Altro è sempre là, presente e sentito, come ciò che dà al linguaggio il suo sens04.

Sartre sarebbe allora un precursore di Lacan? No, è solo un'illusione retrospettiva. Ma talvolta è così abbagliante ... Il fenomeno spiega in parte perché Lacan abbia sempre preso le distanze da Sartre e perché si sia ben guardato dal «situarsi». Non sopportava che qualcuno lo facesse al posto suo; quando una volta

' J. 1.acan, Discorso sulla causalità psichica

(1946), in Id., Scritti, voi. 1, Einaudi,

Torino 1974, p. 170. 1 J.-P. Sartre, L'essere e il 11ulla. La co11diJ;ione uma11a secondo l'esistem;ùllismo ( 1943), li Saggiatore/Net, Milano 1.001., p. 434 (nota a p. 71 5). 4 lvi, p. 434.

JACQUF.S-ALAIN MILLER

tentai di farlo io, al suo seminario, mi redarguì bonariamente. Lacan si prendeva spesso gioco della moda esistenzialista. Una volta paragonò l'andatura di Sartre a quella di un granchio. D'altra parte, ne La cosa freudiana, aveva definito Jaspers un «maitre-à-penser di latta» ... sebbene la sua tesi sulla «psicosi paranoica» ... sia di ispirazione jaspersiana, cosa che non salta subito agli occhi; all'epoca faticai a convincere i miei colleghi. Il granchio Sartre ha una storia. I granchi che assalivano Franz ne I sequestrati di A/tona provenivano da un'allucinazione del giovane Sartre, questo lo sapevamo, ma fino all'anno scorso ignoravamo che, appena uscito dall'École normale, pensando di diventare «matto», Sartre si era rivolto al giovane Lacan. Conclusero che si trattava della «paura di perdere l'amicizia cameratesca». L'aneddoto è riportato in Parlando con Sartre di John Gerassi. Sartre avrebbe detto che Lacan era «sempre rimasto [suo] amico in seguito» e che, molto più tardi, «aveva cercato di psicoanalizzarlo». Su questo Lacan non ha mai detto una parola. Credo però che l'aneddoto sia vero: c'era qualcosa di complesso, di intricato, nel rapporto tra quei due ... Ed ecco che Clotilde Leguil è venuta a districarlo, con maestria, e il fatto che ne abbia rinvenuto le tracce nel mio corso mi rende felice. Nel dibattito che propone tra i due è certo Lacan ad avere la meglio, ma ritrovo in lei tutta l'ammirazione, la gratitudine, la tenerezza, che ho sempre provato per Sartre filosofo. Lacan lo corregge, lo rettifica, si irrita, ma l'ammirazione che nutre per il geniale cadetto è fuori discussione. Lacan resta più che mai attuale, mentre Sartre già da tempo ci è lontano. Che gli Scritti oggi portino a rileggere L'essere e il nulla? li libro di Clotilde Leguil è un invito in tal senso, e io mi unisco al suo ausp1c10.

Sartre con Lacan Correlazione antinomica, relazione pericolosa

Per Xavier, primo sostegno e primo interlocutore Per Hcctor, fléonore e ... Fleur, che hanno visto nascere giorno dopo giorno questo lavoro

Introduzione Sartre in Lacan

Ogni ritorno a Freud che dia materia a un insegnamento degno di questo nome, si produrrà unicamente per la via amaverso cui la verità più nascosta si manifesta nelle rivoluzioni della cultura. Questa via è la sola formazione che potessimo pretendere di trasmettere a coloro che ci seguono. Si chiama: uno stile. Jacqucs Lacan, La psicoanalisi e il suo insegnamento

Incontrare la psicoanalisi lacaniana nel XXI secolo significa incontrare un discorso eterogeneo alla propria epoca. L'attualità ci impone infatti di accettare la scientifìzzazione dell'umano, come un destino contro il quale è vano insorgere. Chi oserebbe oggi opporsi all'idea che l'essere umano sia un essere vivente come gli altri? Chi avrebbe l'audacia di sostenere che un mondo separa il soggetto, l'uomo, dall'essere vivente, l'animale? Non ci prenderemmo forse gioco di chi continuasse a credere che tra l'uomo e la macchina c'è un muro insormontabile? In breve, chiunque rifiutasse l'abbattimento delle frontiere tra uomo e animale e tra uomo e macchina, non verrebbe immediatamente preso per l'ideologo di un tempo passato, incapace di accettare l'estensione incontestata del campo d'applicazione delle scienze della natura? In questo secolo in cui regnano sovrani i precetti delle neuroscienze e del cognitivismo, la psicoanalisi (a fortiori se è lacaniana) appare come un'eresia che contraddice i progressi attuali della scienza. In questo secolo decisamente non lacaniano, la psicoanalisi assume così un valore nuovo. Lungi dall'essere una pratica terapeutica tra le altre,essa incarna un approccio dell'essere umano, del suo disagio, del suo desiderio, che va a smentire il programma naturalista del

:I.O

11"1'ROOUZIONE

nuovo secolo. Scoprire Jacques Lacan, i suoi Seminari e i suoi Scritti, significa in effetti avvicinarsi a un discorso, a una lettura dei sintomi e a un'etica che rifiutano l'assegnazione dell'uomo al determinismo biologico. La psicoanalisi, così come Lacan la riformula dopo Freud, non può essere riassorbita da nessun discorso scientista, perché si fonda sul postulato che l'essere umano è l'unico a parlare e che, unico a soffrire del linguaggio, può sottrarsi a questa sofferenza solo passando attraverso la parola. Nel XXI secolo la portata dei progressi dell'elaborazione lacaniana si vede così rinnovata di fronte al disagio dell'essere umano, condannato a sparire come soggetto parlante. La psicoanalisi lacaniana deve dunque essere concepita come un campo isolato del sapere, senza alcun rapporto con gli altri discorsi, compreso quello della scienza? Tutto il contrario. Lacan ha sempre sostenuto che la psicoanalisi aveva delle connessioni• con gli altri campi del sapere: la filosofia, l'antropologia, la linguistica e la matematica. Oggi però dobbiamo constatare che non ci sono connessioni tra la prospettiva dominante, quella delle neuroscienze e del cognitivismo, e la psicoanalisi.

La rifondazione strutturalista Una delle principali sfide dell'elaborazione lacaniana mira tuttavia a dotare la psicoanalisi di una base solida quanto quella della scienza, tramite la definizione rigorosa dei suoi concetti e la dimostrazione razionale delle sue modalità d'azione. È questo il senso dell'introduzione dello strutturalismo in psicoanalisi. Secondo il filosofo Frédéric Worms, si può scandire la storia della filosofia francese del XX secolo in quattro tempi: il momento dell'esprit, il momento dell'esistenza, il momento della struttura e, infine, il momento naturalista. Lacan appartiene al terzo momento, tipico degli anni Sessanta, che si sviluppa intorno al concetto di struttura. Con i suoi Scritti, usciti nel 1966, e il suo insegnamento, dispensato dal 1951 al 1981, Lacan ha impresso

' 1' dajacqucs-Alain Miller che prendiamo il concetto di connessione (cfr. in particolare, J.-A. Miller, l'syc/Janalyse et connexio11s, allocuzione pronunciata al Seminario Lacan, le sa• voir, /es savoirs, che si è tenuto il :i.o marw 2.007 alla cattedra della scuola di spcciali1.za1jone •Pratiqucs etthéorics du scns• del dipartimento di psicoanalisi dell'Università Paris VIII).

SARTRE IN I.ACA.N

2.1

il suo stile al momento strutturalista, in «rottura» 2 con il momento esistenzialista che lo precede. Con lo strutturalismo le scienze umane hanno di fatto spodestato la filosofia esistenzialista. Eppure, «non c'è, in senso proprio, una filosofia strutturalista»3, perché lo strutturalismo è prima di tutto un metodo, che si oppone alla descrizione fenomenologica. La svolta strutturalista è stata innanzitutto un cambiamento metodologico, ancor prima di condurre a un cambiamento concettuale e filosofico. Quella che possiamo chiamare «un'unica crociata contro il soggetto in genera/e»4, è dunque una conseguenza di una generalizzazione dello strutturalismo come metodo. Quali sono i suoi tratti distintivi? Lo strutturalismo ha le sue radici nella linguistica strutturale in quanto nuovo metodo di studio della lingua, considerata da Ferdinand de Saussure come un sistema di segni arbitrari. Come sottolinea dopo di lui Émile Benveniste, tale approccio non s'interessa ai segni in quanto tali se non partendo dalle relazioni che intrattengono tra loro nel sistema della lingua5. A partire da questo modello linguistico il metodo strutturalista, come spiega Michel Foucault, non analizza più le modalità di manifestazione di un fenomeno - di cui si occupava la fenomenologia da Husserl in poi-, ma i rapporti tra gli elementi in quanto appartenenti ad uno stesso sistema6. Tale metodo linguistico viene importato in antropologia nel 1947 da Claude Lévi-Strauss con la sua tesi su Le strutture elementari della parentela. L'obiettivo, precisa, «è appunto di mostrare che le regole del matrimonio, la nomenclatura, e il sistema dei privilegi e delle interdizioni, sono degli aspetti indissociabili di una stessa realtà, che è la struttura del sistema considerato»7. La vita dei popoli primitivi viene 1

F. Worms, LA Phi/osophie en France au XX siècle. Moments, Gallimard, Paris

2.009, p. 469.

V. Dcscombcs, Le Meme et I'Autre. Quarante-cinq ans de phi/osophie française (1933-1978), Minuit, Paris 2005, p. 96. 4 lvi, p. 95. ' Cfr. É. Bcnvcnistc, «Strunura• in linguistica, in Id., Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano 2010, p. 113 6 M. Foucault, IA filosofia strutturalista permette di diagnosticare che cos'è «oggi•, in Archivio. l'oucault 1, a cura diJ. Rcvcl, Fcltrinclli, Milano 1994, p. 148. 7 C. Lévi-Strauss, Prefar.ione della prima edir.ione, in Id., I. e strutture elementari della parenJela, Fchrinclli, Milano 2.003, p. 11. 3

2.2.

IITTROl>UZIONE

studiata partendo dalle modalità simboliche che regolano gli scambi e definiscono una cultura. «Per eteroclite che possano essere nozioni quali quelle di fonema e di proibizione dell'incesto, la concezione che mi stavo facendo della seconda si inspira al ruolo assegnato dai linguisti alla prima. Come il fonema, mezzo senza significato proprio per formare significati, la proibizione dell'incesto mi apparve come punto di giuntura fra due campi ritenuti separati. All'articolazione del suono e del senso rispondeva così, su un altro piano, quella della natura e della cultura»B, afferma Lévi-Strauss nella prefazione a Sei lezioni sul suono e sul senso di Roman Jakobson. L'analogia con il fonema gli permette di analizzare la funzione simbolica della proibizione dell'incesto. Detto altrimenti, il passaggio dalla natura alla cultura, operato dalla regola dell'interdizione dell'incesto, è pensato come l'ingresso nel mondo della significazione. Perché la proibizione dell'incesto è un divieto, certo, ma è anche una prescrizione, quella dello scambio, che è alla base della civiltà. Il metodo strutturalista permette quindi di rendere conto degli scambi in quanto obbedienti a regole che superano i costumi e le tradizioni, e di coglierne il fulcro logico, cioè la dimensione simbolica. Gilles Deleuze afferma così nel 1967 che «il primo criterio dello strutturalismo è la scoperta e il riconoscimento di un terzo ordine, di un terzo regno: quello del simbolico. Il rifiuto di confondere il simbolico con l'immaginario, oltre che col reale, costituisce la prima dimensione dello strutturalismo»9. Mentre la fenomenologia si è adoperata a distinguere il reale e l'immaginario, lo strutturalismo supera questo dualismo considerando l'ordine simbolico come primario. Questa definizione, che parte dalla distinzione simbolico/immaginario/reale, è un diretto risultato della teoria di Lacan. Se la psicoanalisi lacaniana può essere qualificata come strutturalista, è in effetti a partire da questa terna, che permette di spiegare la funzione della parola e del campo del linguaggio in psicoanalisi. In una fase in cui gli sembra urgente dover ricentrare la psicoanalisi sulla parola e sul suo rapporto con l'inconscio, contrastandone l'assorbimento nella psicologia dell'io, Lacan scrive che «è tutta la struttura del linguaggio che l'esperienza psicoanalitica scopre 8

C. Lévi-Srrauss, Prefazione, in R. Jakobson, Sei lezioni sul suono e sul senso, li Saggiatore, Milano 1978, p. 13. 9 G. Dclcu,.c, Da che cosa si riconosce lo strutturalismo?, in L'isola deserta e altri scritti, Einaudi, Torino 2.007, p. :1.16.

SARTRE IN L/\C/\N

nell'inconscio» 10• Attraverso un'interpretazione nuova del testo freudiano, afferma così che l'inconscio è strutturato come un linguaggio, allo stesso modo del sistema della lingua e dei suoi elementi significanti. Freud aveva definito l'inconscio a partire dai pensieri inconsci, Lacan lo ridefinisce a partire dalla struttura stessa del linguaggio. Dopo la linguistica e l'antropologia, il metodo strutturalista rivoluziona quindi la psicoanalisi. Dire che l'inconscio è strutturato come un linguaggio «vuol dire almeno tre cose - suggerisce Jacques-Alain Miller. In primo luogo, che l'inconscio è struttura. Non si tratta di un flusso continuo, indistinguibile, e neanche di una riserva di cose composite, indipendenti le une dalle altre, messe insieme in una specie di sacco. Si tratta invece di elementi distinti che costituiscono un sistema. In secondo luogo, che l'inconscio è linguaggio. Questi elementi discernibili sono proprio quelli del linguaggio. In terzo luogo, che l'inconscio è strutturato come un linguaggio di Saussure. Vi si possono distinguere il significante e il significato» 11 • La struttura che organizza i significanti dell'inconscio è simbolica e solo la parola ne permette l'accesso. Se dovessimo cercare allora una connessione tra la psicoanalisi lacaniana e un altro campo del sapere, dovremmo guardare in primo luogo al movimento strutturalista. Evocheremmo così l'incontro teorico e storico tra lo psicoanalista e i filosofi, gli antropologi, i critici letterari che hanno incarnato il movimento dello strutturalismo in Francia. Claude Lévi-Strauss, Miche! Foucault, Louis Althusser, Roland Barthes, Jacques Derrida, Jean-Francois Lyotard... sono le figure imprescindibili per un'analisi delle relazioni tra Lacan e gli intellettuali del suo tempo (che hanno talvolta fatto proprio il contributo lacaniano ). Tuttavia, a differenza di tutti coloro che abbiamo appena citato, l'elaborazione lacaniana non prevede nessuna crociata contro il soggetto in generale. La prospettiva strutturalista non basta da sola a definire l'orientamento di Lacan. Il suo strutturalismo non conduce a una negazione del soggetto, ma alla sua ridefinizione a partire dal linguaggio. La distinzione tra l'io immaginario e il soggetto che

J. LaC3n, L 'istanza della lettera dell'inconscio, in Id., Scritti, voi. 1, Einaudi, Torino 2.002., p. 489. "J.-A. Millcr, li monologo dell'apparo/a, «La Psicoanalisi•, 2.0, 1996, p. 2.2.. '

0

IN'JROl>UZIONE

parla costituisce lo scibbolet della psicoanalisi secondo Lacan. Se la psicoanalisi non è psicologia, è perché ha a che fare con un soggetto, che non è l'io, e di cui può rendere conto solo l'ordine simbolico. Rivolgendosi agli psicoanalisti Lacan sottolinea così che è «sempre nel rapporto fra l'io (moi] del soggetto all'io [;e] del suo discorso, che [... ] bisogna comprendere il senso del discorso per disalienare il soggetto» 12.. Non confondere l'io {moi) con il je, significa riconoscere l'inconscio in quanto si manifesta nel discorso del soggetto al livello della catena significante e non al livello delle rappresentazioni immaginarie che il soggetto può esibire su se stesso o che un analista potrebbe produrre ascoltando il suo paziente. Nel 1953 il testo fondatore dell'insegnamento di Lacan Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, chiamato anche Discorso di Roma, porta questa distinzione tra l'io immaginario e il soggetto simbolico al cuore della pratica: la psicoanalisi vi è definita come una pratica fondata sulla funzione della parola - modalità dell'interrogazione del soggetto sul suo essere - nel campo del linguaggio - che deriva dall'ordine simbolico.

Una relazione pericolosa Prendendo atto di come Lacan ha introdotto in modo inedito lo strutturalismo nella psicoanalisi freudiana, il nostro intento è di mostrare un altro riavvicinamento con la filosofia francese del XX secolo - accostamento destinato a render conto della posizione singolare di Lacan nel cuore del momento strutturalista. La nostra prospettiva mette quindi in luce un'altra connessione, più inattesa e più ambigua, tra la teoria lacaniana e la filosofia dell'esistenza, in special modo con la filosofia sartriana. Se la connessione della psicoanalisi lacaniana con lo strutturalismo sembra univoca e certa, la sua connessione con la filosofia dell'esistenza è invece delicata, perfino pericolosa. Da una parte può prestarsi a dei malintesi rispetto al valore che Lacan dà ai concetti esistenziali; dall'altra potrebbe far correre un rischio alla psicoanalisi.

11

J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in

Id., Scritti, voi.

1,

cir., p. 2.97.

SARlltE IN LACAN

In effetti la filosofia esistenzialista sartriana è prima di tutto una filosofia della coscienza, che si impegna a ripensare la psicoanalisi freudiana tentando di fare a meno del riferimento all'inconscio per sostituirvi la nozione di malafede. Una filosofia della libertà che può sembrare antinomica al determinismo psichico essenziale nella concezione freudiana. Importare delle nozioni sartriane all'interno della psicoanalisi decisamente anti-esistenziale di Lacan, significa quindi correre il rischio di una cancellazione della dimensione dell'inconscio. È il motivo per cui la posizione dichiarata da Lacan nei confronti della filosofia di Sartre consiste molto spesso in una presa di distanza, fino al rifiuto, al fine di mostrare che la psicoanalisi promuove un'altra versione del soggetto. Fermarsi a questa opposizione sarebbe tuttavia riduttivo. La presenza di Sartre nel discorso lacaniano è effettiva. Lacan non esita infatti a far ruotare i concetti filosofici di Sartre per dar loro un senso nuovo all'interno del suo discorso. Mentre lo strutturalismo apporta alla psicoanalisi una garanzia di scientificità, il riferimento al soggetto e alla sua mancanza illumina la psicoanalisi come esperienza in prima persona. L'importazione dei concetti dell'ontologia fenomenologica nel cuore della psicoanalisi permette di giustificare un soggetto definito a partire da una mancanza-a-essere irriducibile. Benché assoggettato alla catena significante e diviso dal linguaggio, il soggetto lacaniano è anche un soggetto che fa esperienza dell'angoscia, un soggetto che non riesce a sfuggire all'incompletezza che lo caratterizza, un soggetto che desidera essere pur non potendosi fondare da se stesso. Orbene, la mancanza, il desiderio, l'angoscia e anche la contingenza, sono concetti che Lacan definisce con Freud, ma anche confrontandosi con Sartre. Tra la psicoanalisi lacaniana e i concetti sartriani, si tratterà dunque di una relazione pericolosa, che Lacan mantiene nelle forme di una correlazione antinomica, operando un avvicinamento tra due campi, due tipi di discorso che obbediscono a principi antinomici.

Con Sartre e contro la psicoanalisi esistenziale

Il nostro intento non è assolutamente quello di accordare due discorsi che si oppongono su molti punti, né di proporre una lettura lacaniana

2.6

11"1'ROOUZIONE

dell'opera di Sartre•3. Non si tratta certo di paragonare Lacan e Sartre, cercando di fare del filosofo della libertà un precursore di Lacan, né di fare di quest'ultimo un discepolo di Sartre. Lo si sarà capito, non si tratta di considerare l'uno come il maestro dell'altro. Sartre (19051980) e Lacan (1901-1981) sono contemporanei e hanno avuto d'altronde qualche occasione d'incontrarsi. Nel suo Parlando con Sartre, il giornalista John Gerassi riporta una confidenza di quest'ultimo riguardo al suo incontro clinico con Lacan. Sartre si sarebbe rivolto a lui nel 1927, mentre stava attraversando un periodo difficile, una volta uscito dall'École normale supérieure. In seguito all'assunzione di mescalina, il giovane Sartre si sentiva costantemente seguito da dei granchi. Curiosa esperienza che racconta così: «Per tutto il periodo in cui frequentai la Normale non mi disturbarono. Ma quando finii la scuola, a dire il vero per un intero anno, mi resi conto che stavo impazzendo. Allora andai da uno strizzacervelli, un giovane del quale da quella volta diventai buon amico: Jacques Lacan. Divenne psicoanalista e una volta, molto tempo dopo, tentò di analizzarmi. [Parlando) dei granchi concludemmo grosso modo che si trattava della paura di restare solo» 14. Tipo giovane, amico, questi significanti scelti da Sartre per parlare di Lacan indicano una certa complicità. Non ne sappiamo di più su quest'incontro (di cui Lacan non dice mai niente), ma possiamo dire che facevano entrambi parte dello stesso mondo, anche se non si conoscevano bene. Nella sua biografia di Sartre, Annie Cohen-Solal 1 5 indica peraltro che il dottor Lacan e Sylvia Bataille furono invitati nella primavera del 1944 alla lettura dell'opera di Picasso Il desiderio preso per la coda, in cui Sartre aveva una parte accanto a Miche! Leiris, Simone de Beauvoir e altri. Pertanto, se c'è stato un incontro effettivo fra i due uomini, non c'è stata né complicità intellettuale né appartenenza a una stessa corrente, malgrado la loro contemporaneità. La filosofia sartriana è legata a un momento che non pone le stesse questioni filosofiche del momento della struttura, a cui appartiene l'elaborazione lacaniana. Questa separazione logica e metodologica è chiara. Sartre, che pure ha manifestato un interesse filosofico alla psicoanalisi, che pensava '• È la prospettiva scelta da Sara Vassallo nel suo studio su Sartre el IAcan. Le verbe ctrc: enlre concepl et fantasme, L'Harmattan, Paris 2.003. 04 J.-i>. Sartre, J. Cerassi, Parlando con Sartre, li Saggiatore, Milano 2.011, p. 99. •s Cfr. A. Cohcn-Solal, Sartre. 1905-1980, trad. it di O. Del Buono, li Saggiatore, Milano 1986, p. 2.46.

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di reinventare nel 1943 come psicoanalisi esistenziale, non si è mai inscritto nel movimento strutturalista •6. Ne L'antropologia, intervista rilasciata ai «Quaderni di filosofi.a» del 1966, precisa la sua relazione con Lacan - alla quale in nessuno dei suoi testi fa riferimento. «Per me Lacan ha chiarito l'inconscio in quanto discorso che si isola attraverso il linguaggio o, se si preferisce, in quanto contro-finalità della parola: degli insiemi verbali si strutturano come insieme pratico-inerte attraverso l'atto di parlare. Questi insiemi esprimono o costituiscono delle intenzioni che mi determinano senza essere mie. In queste condizioni - e nella misura stessa in cui sono d'accordo con Lacan -, bisogna concepire l'intenzionalità come fondamentale» •7. Questi discorsi ci permettono di pensare che Sartre conosceva di Lacan almeno il suo Discorso di Roma. Riprendendo la questione dell'antinomia della parola e del linguaggio, la riformula qui nel suo vocabolario, quello dell'intenzionalità. Interpreta così la struttura come un'intenzionalità che va oltre il soggetto che parla. Questa problematica fa eco alla sua ricerca esposta nella Critica della ragione dialettica, del 1960, sul modo in cui si può pensare la libertà a partire dall'alienazione. Peraltro, intervistato dalla rivista «L'Arc,, sempre nel 1966, Sartre critica lo strutturalismo come un «positivismo dei segni» 18 • Rimprovera alla filosofi.a emersa dallo strutturalismo di togliere «all'uomo la speranza di essere l'attore della sua propria trasformazione» 19. Secondo Sartre la struttura rileva da «un momento del pratico-inerte» 10 che la libertà si sforza di superare. All'epoca della Critica della ragione dialettica, la sua preoccupazione era di conciliare la filosofi.a dell'esistenza con la filosofi.a marxista. Per lui «l'essenziale non è ciò che si è fatto dell'uomo, ma ciò che egli fa di ciò che si è fatto di lui. Ciò che si è fatto dell'uomo sono le strutture, gli insiemi di significanti che studiano le scienze umane. Ciò che egli fa, è la storia stessa, il superamento reale di queste strutture in una prassi totalizzatrice». La sua problematica ' Cfr.J.-P. Sartre,Jean-Paul Sartre répond,conversazione con B. Pingaud, «l.'Arc•, 30, «Sartre aujourd'hui», 1966, p. 87. 17 J.-P. Sartre, L'anthropo/ogie, in Id., Situations phifosophiques, Gallimard, Paris 1990, p. 2.94. 18 J.-P. Sartre, Jean-Paul Sartre répond, cir., p. 94. 19 P. Maniglier, Faire ee qui se défait: la question de la politique entre Sartre et le struduralisme, «I.es tcmps Modcrncs•, 632.-634, juillct-octobrc 2.005, pp. 42.5-448. "'J.-P. Sartre, Jean-Paul Sartre répond, cit., pp. 90, 95. 1

2.8

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però è estranea alla psicoanalisi. Non riconosce in questa il mezzo per l'uomo di essere l'attore della propria trasformazione. Se il suo lavoro su Gustave Flaubert s'inscrive in un progetto di costruzione di una psicoanalisi esistenziale, non deve niente alla psicoanalisi così come Lacan l'ha riformulata. Non si può quindi propriamente parlare di incontro tra la filosofia sartriana e la teoria lacaniana. Da parte sua Lacan non ha smesso di criticare la psicoanalisi esistenziale. La sua reinvenzione della psicoanalisi testimonia di un orientamento perfettamente contrario a quello della psicoanalisi esistenziale di Sartre, che non riconosce l'esistenza dell'inconscio. Lacan dichiara nel 1966 che «Sartre non ha mai voluto interessarsi alla vera psicoanalisi di Freud» 11 • La posta in gioco dell'insegnamento di Lacan, a partire dal ritorno a Freud, consisterà nel ritrovare il senso della scoperta freudiana - che non si perda in interpretazioni psicologizzanti che otturano la dimensione dell'inconscio-, e nell'apportare elementi nuovi alla teoria freudiana, a partire dalle difficoltà incontrate dallo stesso Freud. Precisiamo infine che la psicoanalisi lacaniana non s'inscrive neanche nell'eredità teorica dell'analisi esistenziale di Ludwig Binswanger. È con un approccio prima di tutto strutturalista, e non esistenzialista, che Lacan reinveste l'opera di Sartre, le sue lotte, i suoi concetti e i suoi percorsi. In questo la psicoanalisi, come Lacan l'ha reinventata, non può essere ripiegata né sulla psicoanalisi esistenziale, né sull'analisi esistenziale - due tentativi distinti di conciliare l'apporto freudiano e la filosofia dell'esistenza. Di che cosa si tratta allora? Sarà compito di questo lavoro interrogare tanto la presenza di un certo Sartre in Lacan, quanto la sua fur. tiva introduzione nel mondo della psicoanalisi strutturalista, dove si parla un'altra lingua rispetto a quella della filosofia. Vedremo come questa presenza di Sartre in Lacan prenda l'immagine dell'invitato inatteso. Lacan si fa ospite di Sartre, senza privarsi di estrarre dalla filosofia esistenziale i concetti utili a sostenere la sua dimostrazione, pronto anche a sovvertirli per metterli al servizio di un riconoscimento dell'inconscio. Alcuni enunciati precisi di Lacan negli Scritti e nel Seminario testimoniano i suoi prestiti da Sartre. Scopriremo questi momenti di connessione tra Sartre e Lacan, per situarli nella sua

•• J. Lacan, Enlretienavec G. Lapouge, «Le figaro littérairc•, 2.9 dicembre 1966.

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reinterpretazione della psicoanalisi. Tra le mani di Lacan i concetti sartriani, eterogenei alla psicoanalisi strutturalista, sono rilanciati in un modo paradossale, per difendere la specificità della psicoanalisi freudiana contro le deviazioni successive.

Una correlazione antinomica Per legittimare questa correlazione, non ci si può limitare strettamente ai riferimenti espliciti: Jean-Paul Sartre è citato solamente tre volte negli Scritti - una volta nel 1948 ne L'aggressività in psicoanalisi22 e due volte nel 1960 in Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio 2 3. Se è citato di più negli Altri scritti, è solo in chiave negativa. In generale, è poco presente nell'insieme dei testi di Lacan, in rapporto ad altri filosofi - come Platone, Aristotele, Agostino, Kant, Hegel, Heidegger... - ai quali si riferisce ben più volentieri. Ma i pochi riferimenti espliciti a Sartre, così come le frecciate che Lacan gli sferra qualche volta, non sono sufficienti a spiegare la complessità del suo legame con la filosofia sartriana. Nel 1945, per esempio, ne Il tempo logico e l'asserzione di certezza anticipata, afferma che lui non è «di quei filosofi recenti per i quali la costrizione di quattro mura non è che un elemento favorevole in più per il massimo di compimento della libertà umana» 2 4. Questa dichiarazione contro le porte chiuse del teatro di Sartre testimonia la sua volontà di prendere le distanze da quest'ultimo. Ma, lo vedremo, questa presa di distanza è tanto più necessaria a Lacan, che egli non esita ad approcciare alcuni concetti sartriani per farne un nuovo uso. La correlazione Sartre ◊ Lacan non dipende tanto dalla citazione come tale, ma da un movimento di ripresa implicita e di sovversione inattesa. È vero che Lacan ha formulato il suo ritorno a Freud con Saussure e Hegel. A questo riguardo, Lacan non è comunque uno strutturalista ortodosso. Perché, come spiega Vincent Descombes, la generazione strutturalista si distacca dalla generazione esistenzialista nel momen-

"J. Lacan, L'aggressività in psicoanalisi, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 119. •1 J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudiano, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p . 795. "'J. Lacan, // tempo logico e l'assen:ione di certezza anticipata. Un nuovo sofisma, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 193.

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to stesso in cui rifiuta la dialettica hegeliana2.s. Questa constatazione permette di cogliere la posizione singolare di Lacan nel movimento strutturalista. Ma la nostra analisi conduce ad affermare che egli ha anche formulato il suo ritorno a Freud prendendo in prestito da Sartre alcune delle sue tesi e qualcuno dei suoi concetti. Al punto che alcuni lo hanno qualche volta definito un Lacan esistenzialista2.6 • L'anti-naturalismo di Lacan e il suo attaccamento al concetto di soggetto disegnano un'ontologia propria alla psicoanalisi lacaniana che entra in risonanza con la filosofia dell'esistenza senza mai ridurvisi. Accade come se Lacan, a volte segnato e irritato dalla prosa sartriana, si adoperasse a rispondere, dopo di lui e con la psicoanalisi, alla questione del soggetto, della sua mancanza e del suo desiderio. Allo stesso modo in cui J.-A. Miller ha potuto dire che Lacan si era misurato a Freud cercando «ciò che Freud aveva mancato» 2.7, arrischiamo l'ipotesi che Lacan si sia misurato con Sartre per liberarsi dal fascino delle sue tesi filosofiche. Alcuni incontri decisivi mi hanno messo sulla via di questa correlazione antinomica. Nello stile singolare di Lacan, numerose formulazioni lacaniane risuonano con quelle di Sartre. Anche se non è esplicitamente citato, la sua lingua è come ripresa da un altro contesto, quello della riformulazione dei concetti freudiani. Così, i concetti più conosciuti dell'elaborazione lacaniana - il Nome-del-Padre, il fallo, la forclusione ... -coesistono con gli altri, quelli della mancanz,a-a-essere, angoscia, e sguardo come oggetto, che fanno eco alla filosofia sartriana dell'esistenza. È semplice coincidenza se, dal 1946, Lacan definisce la follia dell'uomo «come il limite della sua libertà» 2.8, che discende da una «insondabile decisione dell'essere (... ] in questa trappola del destino che lo inganna sulla libertà che non ha conquistato»? È un caso se Lacan sceglie nel 195 5 di resuscitare la nozione sartriana di malafede - affermando che «la malafede del soggetto» 2 9 si raddoppia con il misconoscimento in cui i «miraggi narcisistici» l'installano - e ciò, al fine di denunciare il •s V. Dcscombcs, Le Meme et l'Autre, cit., p. 24.

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Ph. de Georgcs, Èthique et Pulsion. De la psycha,,alyse comme style de vie, Payot, lausanne 2003, p. 113. • 1 J.-A. Miller, •!.'orientamento lacaniano. Vita di lacan•, insegnamento pronunciato alla cattedra del dipartimento di psicoanalisi dell'Università di Parigi VIII, corso del 17 febbraio 2010,inedito. 18 J. l.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 170. • 1 J. I.acan, Varianti della cura-tipo, in Id., Scrilli, voi. 1, cit., p. 346.

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dedalo immaginario dove il soggetto può perdersi se lo psicoanalista gli dà consistenza, invece di lasciare emergere il discorso dell'inconscio? È ugualmente il caso che conduce Lacan, nel 1957, a leggere la struttura della nevrosi isterica come una risposta del soggetto alla «sua fatticità riguardo il suo sesso»3°, e quella della nevrosi ossessiva come un'altra risposta del soggetto alla sua fatticità nei confronti «della sua esistenza»? Èun puroincontrolessicale fortuito se evoca,nel 1958, «lamancanza-aessere del soggetto come il cuore dell'esperienza analitica» ?3 1 O ancora se, nel 1960, Lacan descrive il nevrotico come colui che si sente «in fondo quanto c'è di più vano ad esistere, una Mancanza-a-essere o un DiTroppo»32. - nei termini in cui Sartre descrive la nausea di un Roquentin di fronte alla contingenza del suo essere, «di troppo per l'eternità» ?33 Dopo l'incontro con lo stile degli Scritti di Lacan, c'è l'incontro con la sua enunciazione orale attraverso Il Seminario stabilito da J.-A. Miller, seminario che ci mostra Lacan al lavoro, Lacan che sta cercando ciò che vuole dire, Lacan che traccia una via verso la cosa freudiana. Tre seminari (i Libri II, X e Xl), associati rispettivamente ai concetti fondamentali di soggetto, angoscia e temporalità, mi sono sembrati attestare in modo particolare questo effetto di reminiscenza e di sovversione dei concetti sartriani nel campo della psicoanalisi. Nel Seminario II del 1954-1955, L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Lacan si allontana da Sartre ricordando che la psicoanalisi non è «un apprendimento della libertà», ma mutua nonostante tutto la sua teoria del desiderio. Definisce la sua esperienza analitica a partire dal soggetto che parla e dal desiderio come «mancanza di essere grazie a cui l'essere esiste»H, dando così una lettura nuova del testo freudiano. Nel Seminario X del 1962-1963, L'angoscia, Lacan, pur confrontandosi con la definizione esistenzialista dell'angoscia, partorisce una concezione propriamente inedita dell'angoscia. Ma si dedica anche a mettere in luce l'esperienza della mancanza irriducibile per il 30

J'

J. Lacan, La psicoanalisi e il suo insegnamento, in Id., Scritti, voi. 1, cir., p. 44 5. J. I.acan, IA direzione della cura e i principi del suo potere, in Id., Scritti, voi.

cir., p. 608. 31 J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio ne/l"inconscio freudiano, in Id., Scritti, voi. 11, cit., p. 830. H J.-P. Sartre, La Nausea, Einaudi, Torino 1990, p. 174. ,. J. Lacan, // Seminario. Libro Il. L"io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2.006, pp. 100, 2.56. 1,

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soggetto. «La mancanza è radicale, radicale alla costituzione stessa della soggettività, quale ci appare attraverso la via dell'esperienza analitica»35, indica nuovamente, reinterpretando questa mancanza a partire da una perdita che tocca il corpo. Nel Seminario XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Lacan dedica quattro lezioni alla questione dello sguardo rendendo esplicitamente omaggio all'analisi che ne propone Sartre ne L'essere e il nulla. Confrontandosi con la fenomenologia sartriana, ne esplora i limiti e sviluppa la sua concezione dello «sguardo come oggetto piccolo a». C'è infine l'incontro decisivo con l'insegnamento di colui che ha in carico l'istituzione del testo del Seminario. Il rapporto di Lacan con Sartre si è chiarito ai miei occhi grazie a un corso di J.-A. Miller del 199936: Miller evocava la presenza di un paradigma esistenzialista nel primo Lacan, paradigma che permette di cogliere in che cosa il soggetto diviso della psicoanalisi può chiarirsi a partire dal per-sé sartriano. Se la referenza sartriana è poco veicolata negli studi lacaniani, è tuttavia «su questo appoggio - indicava Miller - che Lacan ha liberato la psicoanalisi dalla prigione dell'ego»37. Perché sono stata così sensibile a questo avvicinamento sorprendente? È che risuonava col mio percorso che mi aveva condotto a passare dalla filosofia alla psicoanalisi e precisamente da Sartre a Lacan. In effetti la scoperta del grande testo di Sartre, L'essere e il nulla, nell'anno del concorso a cattedra per l'insegnamento, fu per me una rivelazione. Credetti di aver finalmente incontrato una filosofia che parlava dell'esperienza concreta, del malessere esistenziale così come può essere vissuto, del rapporto ad altri non dal punto di vista morale ma dal punto di vista originario dell'incontro con una presenza estranea. In breve, ero stata conquistata. Tuttavia non arrivai più lontano nei miei amori sartriani, perché la piega ulteriore della sua filosofia, tinta di marxismo, non mi fece lo stesso effetto. Non sapevo più molto bene che farne di questo approccio esistenzialista all'esperienza umana, senza dubbio sentivo

H

J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L'angoscia, Einaudi, Torino 2.007, p. 145.

'' Cfr. j.-A. Miller, •L'orien1:1mento lacaniano. L'cspcricw.a del reale nella cura analitica•, insegnamento pronunciato nella cattedra del dipartimento di psicoanalisi dell'Università Paris Vili. Corso del 17 mano 1999, apparso su «I.a Psicoanalisi•, 2.5, 2.7-32., 2.002., p. 2.11. 37 lvi, p. 2.11.

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che gli mancava qualcosa per accordargli piena fiducia. Avevo così incontrato un grande testo, ma gli effetti di questo incontro sembravano inoperanti. Che cos'era che mi aveva tanto sedotto e poi tanto deluso in Sartre? Restavo sempre sensibile alla sua prima filosofia, ma ne provavo anche una certa nausea. C'era stato in me come uno movimento verso Sartre, e poi infine niente... Fu allora che scoprii l'analisi lacaniana come esperienza soggettiva e poi l'insegnamento di Lacan attraverso il corso di J.-A. Miller. L'interesse di Lacan per questa prima filosofia sartriana, e in particolare per L'essere e il nulla, non poteva lasciarmi indifferente. Intraprendere questa ricerca sull'ispirazione esistenziale di Lacan, significava anche ritornare sulla mia attrazione iniziale per Sartre e cogliere come i ciottoli che aveva depositato sul cammino del suo pensiero potessero essere preziosi per orientarsi in un'altra direzione, non quella del marxismo sposato all'esistenzialismo, ma quella della psicoanalisi lacaniana. In che modo il paradigma esistenzialista aveva potuto essere rilanciato da Lacan? Che cosa aveva saputo farne? Queste questioni furono per me l'occasione di rilanciare il mio lavoro, rimasto incompleto, su Sartre. Lo sviluppo di J.-A. Miller, che così incontrava degli elementi del mio percorso personale e intellettuale, mi ha incitato a esplorare la pista della connessione Lacan/Sartre, anche al di là della sua prima battaglia contro la psicologia dell'io. Lungo tutto l'insegnamento di Lacan si può ritrovare una connessione paradossale con Sartre, alla quale ho desiderato conferire tutta la sua portata. M.i è sembrato allora che le sfide della psicoanalisi lacaniana nel XXI secolo, come alternativa al cognitivismo comportamentista, potessero tanto meglio essere colte se si fosse riconosciuto, in seno allo strutturalismo lacaniano, questo riferimento al soggetto e alla sua mancanza-a-essere.

Metamorfosi dei concetti esistenziali

Questa correlazione antinomica tra Lacan e Sartre la scopriremo attraverso quattro grandi momenti dell'elaborazione lacaniana. Nel primo, rivolto alla questione della follia, Lacan, rispondendo nel 1946 alla teoria organo-dinamista del suo collega e amico Henry Ey, avanza il concetto di insondabile decisione dell'essere, che entra

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in risonanza con il concetto sartriano di scelta originale ingiustificabile e contingente. Esplorando questo effetto di risonanza, ci immergeremo nella dimensione esistenzialista del Discorso sulla causalità psichica di Lacan. Il secondo interroga il concetto di soggetto. Lacan lotta allora contro i post-freudiani sostenitori dalla egopsycology, dal 1953 al 1960. È l'età d'oro del suo insegnamento, il lato più conosciuto delle sue teorie, quello che ha fatto di lui l'ardente difensore della supremazia dell'ordine simbolico. L'ego trascendentale, così come Sartre l'ha definito nel 1936, sembra risorgere nell'argomentazione di Lacan al servizio di una lotta che era estranea a Sartre, ma alla quale Lacan lo fa partecipare suo malgrado. Il terzo, nel 1962-1963, si articola attorno alla definizione di un oggetto dell'angoscia che sarebbe anche l'oggetto proprio della psicoanalisi - oggetto ignorato dai filosofi dell'esistenza. In un vero movimento di superamento dell'esistenzialismo, ma per certi aspetti anche dello strutturalismo, Lacan offre una teoria dell'angoscia a partire dai suoi effetti sul corpo. Rimette allora in questione la supremazia della funzione simbolica a partire dall'esperienza dell'angoscia che sfugge al significante. Ma interroga anche la funzione della mancanza così come è stata messa in evidenza dagli esistenzialisti, come mancanza d'essere e rapporto al nulla. Infine l'ultimo momento, quello dell'anno 1964, è quello di un Lacan, scomunicato dall'Associazione internazionale di psicoanalisi, che s'impegna a rifondare la psicoanalisi. La sua elaborazione dell'inconscio lo porta a introdurre in psicoanalisi le figure della contingenza e del caso, dell'imprevisto e della mancanza - altrettante reminiscenze della filosofia esistenziale, per quanto trasformate dalla dimensione dell'inconscio e della pulsione, di cui solo la psicoanalisi può rendere conto. Lo sguardo fa così irruzione nel suo sviluppo, conducendolo a rispondere apertamente a Sartre. L'avanzata di Lacan attraverso questi quattro tempi può cogliersi a partire dal suo orientamento verso il reale concreto, che caratterizza la sua teorizzazione della psicoanalisi. Ed è a partire da questo rapporto col reale che analizzeremo le modalità del legame di Lacan con Sartre. Il soggetto (opposto all'io), l'angoscia (coordinata alla pulsione), la temporalità (articolata alla ripetizione), sono tre nomi dell'oggetto reale e concreto della psicoanalisi.

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In seguito Lacan si riferirà ancora qualche volta a Sartre (in particolare nel Seminario dell'anno 1968-1969)38, ma il più delle volte per riprendere la questione dello sguardo che aveva analizzato nel 1964. Queste connessioni si attenueranno con la prospettiva topologica degli ultimi seminari. Come dimostra J.-A. Miller39, la logica qui si sostituisce all'ontologia al fine di cogliere il reale, ossia il godimento. E nello stesso tempo la connessione con la filosofia esistenziale sparisce. Questo libro ripercorre così il movimento d'elaborazione di Lacan, dal dopoguerra fino alla fine degli anni Sessanta, considerato a partire da una costante, il rapporto con Sartre - costante che produce tuttavia degli effetti distinti e nuovi in ogni periodo e fa scorgere un altro Lacan. Questa ripresa sovversiva dei concetti della filosofia sartriana dell'esistenza mette in luce uno stile proprio a Lacan, stile dagli effetti inattesi. Vedremo in quale senso la reinvenzione lacaniana della psicoanalisi porta con sé pezzi del passato per animarli in modo nuovo. Sartre con Lacan è quindi un Sartre tra le mani di Lacan che fa apparire, in modo retroattivo, come l'ontologia fenomenologica possa avere un uso diverso da quello filosofico stricto sensu. È anche un Sartre trasfigurato da Lacan, un Sartre irriconoscibile e tuttavia segretamente presente. Questo libro è perciò un invito alla scoperta dei retroscena dell'elaborazione lacaniana, unica nel suo genere, sorprendente, anzi talvolta sconcertante. Questa esplorazione del laboratorio concettuale di Lacan rivela ciò che chiamerei il suo bricolage, nel senso nobile che gli ha conferito Lévi-Strauss, bricolage grazie al quale egli inventa concetti psicoanalitici che non sorgono ex nihilo, ma a partire da un fondo filosofico - talvolta esistenzialista. Scopriremo come questa ripresa testimoni di un interesse profondo rivolto ai concetti esistenziali. L'operazione d'importazione dei concetti dell'ontologia fenomenologica in uno spazio e in un tempo diversi dal loro contesto originale è una vera invenzione metodologica lacaniana. Essa consiste nello strappare il per-sé, l'angoscia e lo sguardo dal loro ambiente di appartenenza e dalla loro epoca. Cfr. J. lacan, li Seminario. Libro XVI. D'un Autre à l'autre, testo stabilito da j.-A. Millcr,Seuil, Paris 2.006, p. 2.55. 19 Cfr. J.-A. Millcr, «!.'orientamento lacaniano. L'Essere e l'Uno• (2.010-2.011), insognamento pronunciato nella cattedra del Dipartimento di psicoanalisi dell'Università Paris VIII, «I.a Psicoanalisi•, 51-57, 2.012.-2.01 5. 18

IN'JROl>UZIONE

Dal momento dell'esistenza, Lacan li introduce al cuore del momento della struttura. Li estrae dalla filosofia per importarli nella psicoanalisi. E delocalizzandoli così, attribuisce loro un valore inedito. I prestiti, le riprese e le riformulazioni di Lacan non costituiscono un tradimento, una deformazione, una disinvoltura intellettuale nei confronti dell'opera di Sartre, ma un'autentica creazione di concetti nel campo psicoanalitico - nello stesso tempo, questa creazione rinnova l'apporto di Sartre alla cultura. Dimostrare questa correlazione antinomica, significa allora anche difendere una concezione della psicoanalisi che non la situa tra le scienze umane, nonostante abbia in comune con alcune di queste il metodo strutturalista4°. Significa difendere una concezione della psicoanalisi come esperienza soggettiva, che conduce colei o colui che la intraprende a fare una scelta etica relativa alla propria esistenza, scelta che nessuna tecnica cognitivo-comportamentale può rimpiazzare. Leggere Lacan essendo sensibili a questa connessione con Sartre contribuisce così a fare della psicoanalisi nel XXI secolo un luogo di resistenza alla desoggettivazione dell'umano propria dei nostri tempi. Ringraziamenti. Questo libro è nato da un lavoro di dottorato in filosofia sostenuto all'École normale supérieure di Lione il 30 novembre 2.011. Ringrazio in primo luogo Pierre-François Moreau, il mio relatore della tesi, che mi ha accompagnata e sostenuta fino a quando, dopo diversi anni di investigazione, ho accelerato i tempi. Le sue osservazioni molto dettagliate su ogni punto, ma anche sul mio orientamento di insieme, mi hanno aiutato ad afferrare ciò che volevo mostrare e ad affermare così la mia interpretazione della psicoanalisi di Lacan nel suo legame paradossale con la filosofia sartriana. li suo sostegno mi ha permesso di essere certa che sarei arrivata a reali1.1.are questo lavoro. I miei ringraziamenti vanno ugualmente ai membri della mia commissione, le psicoanaliste Christiane Albcrti e Sophie Marret-Maleval, i filosofi Guillaume Le Blanc e Frédéric Worms, per l'interesse che hanno avuto per la mia ricerca e l'entusiasmo che hanno voluto manifestare. I miei pensieri vanno poi a Jacques-Alain Miller, il cui corso «L'orientamento lacaniano» (pronunciato nella cornice del Dipartimento di psicoanalisi dell'Università Paris VIII), che ho scoperto nel 1999 e che da allora ho sempre seguito, ha giocato un ruolo decisivo nella mia formazione. A questo proposi-

40

L'idea corrente secondo la quale la psicoanalisi sarebbe una scien1.a umana fra le altre è ben rappresentata da F. Wolff nella sua opera, Notre humanité. D'Aristo/e aux 11eurosciences, Fayard, Paris :,.010.

SARlltE IN LACAN

37

to, sono molto felice che questo libro sia pubblicato dalle edizioni Navarin/Le Champ freudien, luogo in cui in effetti trova naturalmente il suo posto. Ringrazio Pascale Fari (assistita da Claire Brisson e Claire Zebrowski, con la partecipazione di Fanny Bihan, Chantal Bonneau, Fabrice Bourlez, Joclle Hallet, Nocmie Jan, Michel Neycensas e Annie Obadia)~ così come Ève MillerRose per il loro immenso lavoro editoriale. I miei ringraziamenti vanno anche a coloro che mi hanno accompagnata e aiutata nella realiz;,.azione di questo progetto (Charlotte Hubner, François leguil, Simon Russ). Infine esprimo tutta la mia riconoscen;,.a a Pierrc-Gilles Guéguen che ha saputo cogliere, in un piccolo dettaglio del mio discorso, il segno di un desiderio di reali1J.are infine questo lavoro. •Con il contributo di Daphne Leimann e Sane Thireau.

I. Follia e libertà Dalla causalità psichica alla scelta del soggetto

l.

Prima connessione con Sartre

la contingenza della scelta è il rovescio della libertà. Jean-Paul Sartre, L'essere e il 11ulla

Tre anni dopo la pubblicazione de L'essere e il nulla, Lacan offre alla prospettiva sartriana un destino inatteso. Infatti, nei suoi Discorso sulla causalità psichica -pronunciati alle Giornate psichiatriche di Bonneval sul tema «La psicogenesi», messo all'ordine del giorno da Ey -, Lacan sceglie di giustificare la causalità della follia attraverso il concetto di «decisione dell'essere». Se Freud ha evocato la scelta della nevrosi e Sartre la determinazione spontanea del nostro essere come scelta originale del soggetto, dopo di loro, Lacan, forgia il concetto di decisione de/l'essere. Dal primo riprende l'idea della scelta della struttura clinica aggiungendovi una dimensione ontologica che deve - secondo noi - al secondo. La definizione lacaniana della follia nel 1946, pur appoggiandosi su Cartesio e Hegel, risulta così connessa alla filosofia di Sartre. Nel suo Saggio di ontologia fenomenologica del 1943, il filosofo dell'esistenza si riferisce a più riprese alla psicosi, in particolare alla psicosi di suggestione', così come agli scritti di Ernst Kretschmer 1 • Il suo approccio alla condizione umana non trascura quindi l'esperienza della follia - come già testimoniava il suo precedente saggio sull'immaginario3. Le osservazioni di Sartre sulla psicosi e i suoi rap' J.-P. Sartre, L'essere e il 11ulla. La co11di:cione uma11a secondo l'esistenwlismo, Il Saggiatore/Net, Milano 1001, p. 691. • lvi, p. 401. 1 J.-P. Sartre, L'immaginario. Psicologia fenomenologica dell'immagina:cio11e, Einaudi, Torino 1007.

I. FOLI. IA F. l.lBERTÀ

porti intimi con la condizione umana non appaiono senza rapporto con la prospettiva lacaniana del dopoguerra. Come Henri Ey ha affermato che la follia è «immanente alla natura umana»4, poiché presente «potenzialmente in tutti gli uomini», così Sartre ha potuto considerarla come rivelatrice della condizione umana.

La causalità psichica contro le relazioni di comprensione Ricordiamo subito le coordinate della formazione di Lacan, per meglio cogliere, da una parte, l'effetto del suo incontro con il grande testo filosofico di Sartre del 1943 e, dall'altra parte, il modo in cui si appoggia discretamente sulla fenomenologia sartriana in questo scritto fondamentale (che segna l'ingresso di Lacan sulla scena della psichiatria francese). Prima di diventare colui che ha introdotto lo strutturalismo nella psicoanalisi freudiana, Jacques Lacan è uno psichiatra, formatosi nella Clinica delle malattie mentali e dell'encefalo, nel reparto del professor H erui Claude e successivamente nell'Infermeria speciale presso la Prefettura di polizia, nel reparto di Gaetan Gatian de Clérambault. Con il titolo Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità, nel 19 32, discute la sua tesi di medicina, centrata sullo studio clinico di un caso di paranoia di auto-punizione, il «caso Aimée». A quel tempo, fa riferimento a Kart Jaspers, psichiatra tedesco, che diventerà anche professore di filosofia, la cui Psicopatologia generale5 era stata tradotta in francese nel 1928. Ricordiamo anche che a quell'epoca, Sartre è allievo alla Scuola normale superiore di via d'Ulm, partecipa con Paul Nizan alla revisione delle bozze dell'opera diJaspers e assiste a delle presentazioni di malati all'ospedale Sainte-Anne, in compagnia di Paul Nizan, Raymond Aron e Daniel Lagache6. Tuttavia, se le «prime riflessioni cliniche e teoriche [di Lacan] devono tutto, o quasi, alla lettura di Kart Jaspers» 7, le sue ulteriori eia• H. Ey, La •folie• et /es Valeurs humaines, in Id., litudes psychiatriqucs, voi. I, CREHEY (Circolo di ricerca cd editoria Henri Ey), Perpignan 2.007, p. 2.0. 1 K.Jaspcrs, Psicopatologia generale, li Pensiero Scientifico Editore, Roma 1964. 'A. Cohen-Solal, Sartre. 1905-1980, trad. it di O. Del Buono, li Saggiatore, Milano 1986, p. 87. 7 F. Lcguil, Lacan co11 e co11tro Jaspers, •I.a Psicoanalisi•, 2.7, 2.000, p. 2.08.

I. PRIMA CONNESSIONE CON SARnE

43

borazioni cliniche smentiscono risolutamente «il binario fondatore della Psicopatologia generale, quello che separa le scienze della causa dalle pratiche del senso». All'epoca della sua tesi del 1932, il binario scienze della natura/scienze dello spirito, proposto da Wilhelrn Dilthey e da Max Weber, è parso utile a Lacan per spiegare il processo della malattia mentale come testimonianza di una rottura con la comunicazione comprensiva; questo binario in seguito viene rigettato, a favore di un'idea della causalità propria ai fenomeni dello spirito, cioè la causalità psichica. È dunque all'epoca del suo primo intervento dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1946, durante le Giornate psichiatriche di Bonneval, che Lacan difende la concezione di una causalità propria della follia, senza per questo toglierle il suo significato umano. Il Discorso sulla causalità psichica potevano allora apparire «un insulto di fronte all'ortodossia jaspersiana, che non permette che la causalità si mescoli con gli affari del senso per divenire psichica»8. In questo intervento, nel momento stesso in cui Lacan dibatte con il suo amico e collega Ey, si separa da Jaspers e dall'idea che la follia dovrebbe essere concepita come una minaccia alla comprensione. Se per Jaspers nel 1913 «noi non conosciamo le cause»9 del processo della malattia mentale, per Lacan, nel 1946, è necessario al contrario riconoscere alla malattia mentale una causalità che le sia propria. Ma come fa Lacan a conciliare la causalità della follia e il suo significato? Come riesce a far stare insieme il punto di vista determinista e il punto di vista esistenziale? Il paradosso, e nello stesso tempo la singolarità della sua elaborazione, è che essa unisce l'esigenza della causalità e il riconoscimento della libertà. Lacan fa valere una concezione della causalità psichica della follia che lo conduce in modo inatteso a reinvestire un concetto centrale della psicoanalisi esistenziale sartriana, quello della scelta originale. Per mezzo di questo incontro iniziale tra l'elaborazione del primo Lacan, che s'interroga sulla causalità essenziale della follia, e il concetto sartriano di scelta originale, si salda un legame tra due pensieri che sarebbero potuti sembrare antinomici, quello di un Lacan, sostenitore del determinismo psichico freudiano e quello di un Sartre, 8

Iv,,• p. 2.09.

• K. Jaspcrs, Psicopatologia generale, cit., Pane terza.

44

I. FOLLI/\ E LIBER1"À

sostenitore della libertà fondamentale del soggetto. Questa prima scelta di Lacan annuncia un orientamento fondamentale della sua elaborazione futura: l'orientamento a partire dal soggetto.

La causalità psichica e la scelta originale Nel Discorso sulla causalità psichica del 1946 Lacan non cita Sartre. Eppure è in questo contributo alle Giornate di Bonneval che appare una prima connessione con l'ontologia de L'essere e il nulla. Due anni dopo, nel suo scritto L'aggressività in psicoanalisi, Lacan cita Sartre solo per prenderne le distanze, mostrando così che riconosceva l'opera del filosofo, ma solo per separarsene. Evocando così le sorprendenti «ricostruzioni esistenziali» 10 che Sartre ha dato delle perversioni: puntualizza che esse non chiariscono il modo d'identificazione narcisistico, che induce un'apprensione dell'altro ben meno riuscita di quanto non presuppongano le descrizioni sartriane. Questo riferimento rapido ma esplicito testimonia un certo modo di rapportarsi a Sartre che perdurerà nell'insegnamento di Lacan. Cita Sartre quando si tratta di rivelare le inesattezze delle sue analisi, ma vi si ispira in altri punti senza citarlo, appropriandosi dei suoi concetti e riformulandoli a suo modo. Lacan tenta in qualche modo di svincolarsi dal carattere ipnotizzante delle analisi sartriane de L'essere e il nulla, per estrarne una parte che tenta di articolare con la prospettiva psicoanalitica freudiana. In questo senso, ci fa scoprire un altro Sartre, trasfigurato da Lacan. Nel 1946, senza nominarlo forse per non appoggiare la prospettiva parzialmente antifreudiana della psicoanalisi esistenziale -, Lacan trova in Sartre la formula che gli permette di chiarire ciò che intende con «causalità psichica» della follia, contro ogni causalità organica. La posizione risolutamente antideterminista di Sartre è paradossalmente reinvestita da Lacan in seno a un discorso sul determinismo psichico. Contro il determinismo biologico Lacan difende il determinismo psichico, pensato adesso a partire dalla nozione d'imago, che designa gli effetti psichici dell'immaginario sul soggetto. È l'antinatu-

10

p.

J. Lacan, L'aggr=ività in psicoana/i$i, in Id., Scritti, voi.

114.

1,

Einaudi, Torino 2.002.,

I. PRIMA CONNESSIONE CON SARTitF.

45

ralismo, ossia il rifiuto di ancorare l'esistenza umana in qualsivoglia deternùnismo biologico, che riunisce così Sartre e Lacan - al di là della loro divergenza su Freud. L'insondabile decisione de/l'essere, sostenuta contro ogni deternùnismo organico, appare come una reminiscenza del concetto sartriano di scelta originale. Per difendere il principio di una causalità psichica della follia, eterogenea a ogni posizione naturalista, Lacan avanza l'idea di una decisione dell'essere, che fa eco al concetto di scelta iniziale «contingente e ingiustificabile» 11 del per-sé. Sartre sviluppa il concetto di scelta originale nel 1943, nella sua psicoanalisi esistenziale, prima di riorganizzarlo nel 1947 nella sua biografia su Baudelaire-che si conclude con l'affermazione che «la libera scelta che l'uomo fa di se stesso s'identifica assolutamente con ciò che si chiama il suo destino»'~. Questo concetto respinge l'approccio jaspersiano delle relazioni di comprensione. Sartre menziona il trattato di Psicopatologia generale di Jaspers per separarsene, esattamente come Lacan si separa da Jaspers nel 1946 dopo averlo seguito nella sua tesi. La psicoanalisi esistenziale sartriana si distingue da tutte le spiegazioni psicologiche empiriche, e deve essere capace di spiegare le condotte umane risalendo a un irriducibile, dell'ordine di un progetto d'essere fondato sulla sola contingenza di una scelta originale del persé. Agli occhi di Sartre, il reperimento di relazioni di comprensione tra differenti sequenze dell'esistenza di uno stesso soggetto, in altri ternùni di rapporti di motivazione, appariva del tutto arbitrario e insufficiente. Mentre la psicopatologia jaspersiana si adopera per stabilire una relazione di comprensione tra due eventi della vita di un soggetto, la psicoanalisi esistenziale ritiene che «non è sufficiente limitarsi alla lista dei comportamenti, delle tendenze e delle inclinazioni, è ancora necessario decifrarli, cioè bisogna saperli interrogare» 1 3. Non basta scorgere un legame comprensibile tra l'anteriore e il posteriore: bisogna leggere le condotte umane come delle metafore di una scelta profonda che si riflette in ciascuna di esse. Per Sartre il termine ultimo dell'indagine esistenziale è una scelta che «si fonda sulla mancanza d'essere» '4, che rende conto della sua «contingenza originaria» e che per contro testimonia della libertà del per-sé. Con" J.·P. Sartre, !.'essere e il 11ulla,cit., p. 545. ,, J.-P. Sartre, Baudelaire, Mondadori, Milano ~006, p. 1 58. ' 3 J.-P. Sartre, !,'essere e il 11ulla,cit., p. 645. 4 ' lv~ p. 649.

I. FOLLIA E LIBERl"À

tro ogni tentativo di cogliere legami generali tra i fenomeni, Sartre afferma la possibilità di restituire l'unità di un'esistenza partendo dalla scelta originaria del soggetto. La psicoanalisi esistenziale si ispira alla psicoanalisi di Freud nella misura in cui afferma la possibilità di decifrare le condotte umane, ma nello stesso tempo se ne separa poiché rifiuta il postulato dell'inconscio. Ciò non comporta che la scelta originale sia conosciuta dal soggetto stesso. Per Sartre, «se il progetto fondamentale è pienamente vissuto dal soggetto e come tale totalmente cosciente, ciò non significa affatto che debba essere contemporaneamente conosciuto da lui», 5. Per far cogliere bene lo scarto tra la coscienza, che vive il progetto originario che ha scelto, e la conoscenza di questo progetto, Sartre propone che questo «progetto-per-sé può essere solo goduto», cioè è esperito senza essere conosciuto come tale. Sartre concepisce il progetto d'essere del per-sé come radicato in una «scelta iniziale[ ... ] contingente e ingiustificabile» 1 6,che orienta tutti gli atti di un'esistenza; tre anni più tardi, probabilmente a partire dalla via aperta dal filosofo e contro l'organo-dinamismo di Ey, Lacan afferma a sua volta che la causalità essenziale della follia rinvia a una «insondabile decisione dell'essere» 1 7. Per Sartre l'apprensione della scelta originaria discende da una «comprensione ontologica della libertà» 18, mentre per Lacan l'apprensione di questa scelta discende da una spiegazione causale della follia. «Lacan è qui con Sartre nel pensare il soggetto come irriducibile alla dimensione dell'effetto di una causalità meccanicistica» 19, ma con Freud pensa il soggetto come determinato dalle sue identificazioni inconsce. È quindi una strada singolare che Lacan s'impegna qui a tracciare, con Sartre ma anche contro di lui, perché con Freud, in questa maniera, inaugura un suo uso peculiare dei concetti esistenziali.

'J lvi, p. 648. ,, Iv,,. p. 545·

J.1.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scrilli, voi. 1, cit., p. 171. L'essere e il 11ulla, cit., p. 546. ' 9 M. RCC31cati, Il soggetto del desiderio: Lacan co11 Sartre, in F. Biagi-Chai, M. Recalcati, l,acan e il rovescio della filosofia: da Plato11e a Dele~e, FrancoAngcli, Milano '7

•8 J.-P. Sartre,

:1.006, p. 148.

I. PRIMA CONNESSIONE CON SAR"l"RF.

47

La contingenza della scelta contro la prospettiva organodinamicista

Lacan non cita Sartre nel Discorso sulla causalità psichica, ma in compenso cita Georges Politzer10 per chiedere che «con lui una psicologia concreta si costituisca come scienza»: in altre parole, che la follia possa essere definita come un oggetto del sapere psichiatrico, senza essere considerata come una malattia organica. Politzer si era impegnato nel 1928 a criticare i fondamenti della psicologia; difendeva una psicologia concreta, affine a grandi linee alla psicoanalisi freudiana e fondata sull'apprensione soggettiva del dramma vissuto dal soggetto. Nel Discorso sulla causalità psichica, Lacan riprende a suo conto la nozione politzeriana di «dramma», evocando la follia come ciò che fissa «le determinazioni di questo dramma[ ...] identificabile [...] al concetto dell'imago». Se Lacan preferisce citare Politzer piuttosto che Sartre, è forse perché la sua elaborazione sulla causalità psichica ha innanzitutto lo scopo di difendere un approccio psicoanalitico alla follia. Si tratta di introdurre Freud nel campo psichiatrico, mostrando come la nozione d'identificazione inconscia permetta di cogliere la causalità psichica della follia; si tratta anche di affermare che l'organo-dinamismo di Ey, rispondendo al problema della psicogenesi della follia attraverso la causalità neurologica, rinuncia al tempo stesso a conferire alla psichiatria un oggetto distinto dalla neurologia e, pertanto, a pensare la follia. Ma si potrebbe anche dire che, citando Politzer, Lacan prenda di mira il bergsonismo di Ey, che si appoggia sul vitalismo del filosofo per dimostrare la causalità della follia. Contro Ey, Lacan difende l'idea di una causalità psichica che ha inizialmente chiamato «causalità di ordine mentale» 1 ' nel suo articolo del 1938 su I complessi familiari nella formazione dell'individuo; è la famiglia - affermava - che «in questa maniera stabilisce una continuità psichica tra le generazioni, la cui causalità è di ordine mentale». Nel 1946, contro il vitalismo di Ey, sostiene che l'identificazione ideale inconscia causa I' «effetto di alienazione del soggetto» 22 • Esattamente come la con"'J. Lacan, Discor.sosulla causalità psichica, in ld,ScriJti, voi. 1,cit., pp. 155, 171-171. " J. Lacan, I complessi familiari nella form,n,io11e dell'individuo, Einaudi, Torino 1005, p. 5. "J. l..acan, Discor.sosulla causalità psichica, in Id, ScriJti, voi. 1, cit., p. 175.

I. FOLI. IA F. l.lBERTÀ

tinuità psichica che può stabilirsi tra le generazioni, l'alienazione, di cui la follia è la testimonianza, è concepita come l'effetto di una causalità che non deve niente all'organismo. Nel suo dibattito con Ey, Lacan schiererebbe in qualche modo Freud contro Henri Bergson, la causalità psichica contro il vitalismo organo-dinamista. E Politzer apparirebbe a questo proposito come colui che ha, nello stesso tempo, lavorato per criticare il bergsonismo, pur difendendo la psicoanalisi e la psicologia concreta contro l'introspezione e la psicologia astratta. Con il suo lavoro del 1929, Il bergsonismo. La fine di una parata filosofica'-3, è diventato uno degli avversari della filosofia bergsoniana. Frédéric Worms ricorda che questo libro segna «una delle rotture irreversibili che conducono da un momento all'altro»1 4, cioè dal momento dello spirito (proprio della prima metà del XX secolo in Francia) al momento dell'esistenza (che prende il posto del momento precedente dopo la Seconda guerra mondiale). Politzer difendeva la tesi che Bergson non era riuscito a liberarsi dal formalismo che pretendeva di superare. «Che studi la memoria, il lavoro intellettuale, che formuli teorie sugli stati normali o patologici, egli si pone sempre dal punto di vista formale - e gli stessi dati immediati della coscienza sono formali, poiché l'eterogeneità qualitativa e la durata sono delle generalità del soggetto riguardo a tutti i nostri stati psicologici: riguardano il modo generale di cui bisogna comprendere la vita psicologica e non il contenuto determinato di questa vita» 1 5. Se nel 1929 bisogna opporre «tutte le concezioni della vita in generale come una cosa, di fronte a quella che coglie il senso della vita individuale come dramma, verso cui tende almeno in parte la psicoanalisi di Freud»16, nel 1946 è necessario anche per Lacan opporre a ogni approccio vitalista della follia l'approccio propriamente freudiano, riconoscendo la causalità della follia. La causalità psichica permette di dimostrare il contenuto determinato dalla vita psicologica del folle, ossia di intendere la follia all'interno del discor•J G. Polit7.cr, Il bergso11ismo. La fine di una parata filosofica, in Id., Freud e Bergso11, La Nuova Italia, Firenze 1970. L4 F. Wonns, IA Philosophie e11 France au XXe siècle. Moments, Gallimard, Paris 2.009, p. 60. •s G. Polit,.cr, Il bergso11ismo. lA fine di una parata filosofica, cit., p. 7.07. •' F. Wonns, La Philosophieen France au XXe siècle,cit., p. 61.

I. PRIMA CONNESSIONE CON SARnE

49

so singolare del soggetto, piuttosto che ridurla all'effetto anonimo di una causalità organica. Con il Discorso sulla causalità psichica Lacan non si iscrive allora in questo movimento della filosofia francese, passando da un paradigma all'altro? Paradossalmente, prima di essere portatore del messaggio strutturalista, egli sarebbe stato portatore del messaggio esistenzialista, a partire da ciò che, in questo messaggio, poteva favorire la rilettura di Freud in Francia, contro qualsiasi approccio organicista alla follia. Lacan avrebbe dunque partecipato in modo singolare al movimento del pensiero filosofico francese che, passando dalla filosofia di Bergson a quella di Sartre, volta le spalle ai concetti dello spirito, della durata e dell'impulso vitale, per affermare quelli dell'esistenza, della libertà e della contingenza. Vedremo come questo testo di Lacan, apparso nel 1966 nel volume degli Scritti ma pronunciato il 28 settembre 19462 1, possa essere considerato il punto di partenza di una connessione tra Lacan e Sartre. È quindi contro la teoria psichiatrica di Ey che Lacan sceglie di appoggiarsi sul concetto sartriano di scelta originaria. L'ontologia fenomenologica sartriana permetterà a Lacan di difendere il principio della causalità psichica come un'insondabile decisione del'essere.

17

Questo intervento di Lacan è stato pubblicato una prima volta nel volume che riuniva tutti gli interventi fatti alle giornate psichiatriche di Bonneval, sotto il titolo Le problème de lapsychogenèse des 11évroses et des psychoses (Dcscléc dc Brouwer, Paris 1950).

2.

Alla ricerca della causa della follia

Nel trattare la psicogenesi delle malattie mentali, l'intervento di Lacan del 1946 risponde alla questione: Che cos'è la follia? Essa punta a dimostrare, non solamente la psicogenesi della malattia, ma del «valore umano» che giace nella follia •. Se, nella sua tesi, Lacan utilizza il termine «psicosi» per far riferimento alla conoscenza paranoica, nel Discorso sulla causalità psichica sceglie di usare il termine più filosofico di «follia». Questa scelta concettuale mette in luce la sua volontà di affrontare la psicogenesi della malattia mentale mostrando che «il fenomeno della follia non è separabile dal problema del significato per l'essere in generale, cioè del linguaggio per l'uomo». Si coglie immediatamente che la follia non sarà un affare della medicina, ma un affare umano: essa rinvia propriamente alla condizione umana, in quanto è l'esperienza dell'esistenza di un rapporto con la libertà che conduce ciascun essere a identificarsi a un ideale che risponde alla sua mancanza-a-essere. L'identificazione si traduce nel discorso del soggetto, le sue formulazioni e il suo stile testimoniano di ciò che egli pensa di essere. Esaminiamo ciò a cui Lacan si oppone in quest'intervento e quale idea di psicogenesi rifiuta. Il Discorso sulla causalità psichica è strutturato in tre parti: I. «Critica di una teoria organicista della follia, l'organo-dinamismo di Henry Ey»; 2. «La causalità essenziale della follia»; 3. «Gli effetti psichici del modo immaginario». È nella prima parte del suo intervento che Lacan si adopera a criticare la teoria di Ey, contro la quale potrà affermare la causalità psichica della follia come sua causalità essenziale. ' J. 1.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., ScriJti, voi. ,, cit., pp. , 56, 16o.

I. FOLLIA E LIBERl"À

52·

Contro l'organo-dinamismo, Lacan ricorda che la follia è «un fenomeno del pensiero» 2 e non l'effetto di una disfunzione neurologica. Essere folle, secondo lui, non vuol dire patire di un disadattamento alla realtà che rinvierebbe a un deficit organico; non è neanche patire di una mancanza di controllo conseguente a un fallimento della sintesi delle funzioni intellettuali; non è nemmeno commettere un errore di giudizio; è pensare la propria esistenza in modo da rendere impossibile sia la conquista della libertà sia il rapporto con gli altri. Essere folli è misconoscere noi stessi, pur avendo la certezza di sapere ciò che siamo. Per cogliere la posta in gioco nella critica di Lacan, bisogna ritornare alle posizioni etiche e cliniche che avevano condotto Ey a difendere l'idea di una genesi organo-dinamista della follia. L'organodinamismo di Ey ha risposto a un interrogativo molto simile a quello di Lacan. In quanto anche Ey ha fondato la sua teoria con l'intento di salvare, in qualche modo, la psichiatria dalla sua dissoluzione nella neurologia.

Un problema etico per la psichiatria Leggendo il Discorso sulla causalità psichica non si scorge necessariamente la vicinanza tra il percorso di Ey e quello di Lacan, dato che lo scopo di quest'ultimo era proprio quello, secondo il suo dire, di mettere una «frontiera»3 tra la sua concezione della follia e quella di Ey. Il suo intervento sottolinea l'opposizione radicale tra i due approcci, ma questa opposizione apparirebbe più chiara se si cogliesse il suo radicamento in uno stesso problema. È a partire da un simile approccio umanista alla follia e ai suoi rapporti con la condizione umana, da una preoccupazione comune nel definire l'oggetto della psichiatria e di farne una scienza fondata, che i due uomini hanno potuto in seguito difendere concezioni antinomiche della psicogenesi. Così, un anno prima del Discorso sulla causalità psichica, nel corso di un'allocuzione pronunciata alla facoltà di medicina di Parigi come introduzione alle «Giornate psichiatriche» del marzo 1945, Ey sottolinea il rapporto tra la follia e i valori umani4. Egli ricorda che, 1

lvi, p. 1 56. l lvi, p. 147. • H. Ey, La «{olie» et /es Valeurs humaines, cit., p. 1 5.

2. ALLA RICERCA DELLA CAUSA DELLA FOLLIA

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pur avendo «intrapreso il suo sviluppo moderno» in Francia dopo la Rivoluzione, la psichiatria perde valore, per il fatto che essa non definisce più scientificamente il suo oggetto, la follia. Evoca lo stato crepuscolare di una scienza medica che i suoi «grandi maestri: Magnan, Séglas, Régis, G. de Clérambault» non sono riusciti a salvare. Il disprezzo del campo medico nei confronti della psichiatria, secondo Ey, sarebbe dipeso dalla confusione totale che accompagna il fatto psicopatologico. Questa confusione si manifesta in una esitazione tra due stati distinti della follia: se la follia è un affare puramente psichico, spetta agli psicologi trattarla; se è un affare puramente organico, spetta ai medici, e ai neurologi in particolare, farsene carico. La psichiatria si vede allora negata sia da parte dei sostenitori di un'interpretazione psichica del fenomeno psicopatologico sia da parte dei sostenitori di una interpretazione organica. Ey mostra che la nozione di malattia mentale è un enigma di cui il corpo medico non sa che fare, salvo svalutarla in quanto malattia per ridurla a un'affezione mentale radicalmente estranea al campo scientifico, o ripiegandola sulla malattia in generale, svuotandola di tutto il significato specifico. Questo «atteggiamento nichilista verso la psichiatria» 5 contribuirebbe al suo declino e troverebbe, secondo Ey, le sue radici nella «vecchia concezione cartesiana dei rapporti del fisico e della morale», cioè nella «separazione assoluta del "modo dell'estensione" e del "modo del pensiero"». Nel Discorso sulla causalità psichica Lacan ricorda che quest'approccio dualista, comunemente attribuito a Cartesio, ignora la predetta unione dell'anima e del corpo, che si suppone renda conto delle possibili erranze del pensiero6. In ogni caso, contro quest'approccio che costituisce l'impasse della psichiatria, Ey vuole proporre una terza via. Cerca di strappare la follia alla tradizione cartesiana con lo scopo di proporre una psichiatria «risolutamente "antropologica "»7, cioè di rendere conto dell'umano in tutta la sua ricchezza, dalla sua razionalità più rigorosa, fino ai suoi pensieri più oscuri e alla sua sofferenza più segreta. La sfida concettuale di questa terza via rinvia anche a una sfida clinica: la psichiatria antropologica fonda una posizione etica nei confronti del folle, non rinunciando a portargli soccorso, ma rispettando il suo valore umano. 1 6 7

lvi, p.

17.

J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 151. H. Ey, LA .folie• et /es Valeurs humaines, cit., p. 19.

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Che effetto ci fa la follia, a noi psichiatri, a noi psicologi, a noi filosofi, a noi essere umani? La potenza di questo effetto - che si traduce generalmente con il rifiuto o la fascinazione, raramente con l'indifferenza - permette di comprendere che senso l'esperienza del folle sia una testimonianza della condizione umana. «Guardiamo il nostro malato, come un fascio di forze tese fino alla minaccia, nella feroce concentrazione del suo essere ostile e irritato, investito dall'enigmatica uccisione che sale in maniera estranea fino alla sua mano. O vediamolo preso dalle vertigini, barcollante, che inciampa nell'implacabile rete dei vincoli logici e sociali, come prigioniero della trasparenza perduta della sua lingua e ubriaco del sogno che è scoppiato in lui, pieno di vuoto, stroncato e decaduto» 8 • Guardiamolo così e domandiamoci che cos'è la follia - questo è l'invito di Ey. Perché la follia, prima di potersi determinare come entità nosografica, è innanzitutto incarnata da un malato, un uomo colpito nella sua umanità. Si incontra un folle prima di incontrare uno stato maniacale, uno stato melanconico, un scatenamento delirante o una psicosi allucinatoria cronica. La follia è innanzitutto quest'uomo la cui presenza e sofferenza non sono identiche a quelle di nessun altro. È un essere prigioniero di qualcosa che sembra circolare a volte nelle sue membra e nelle sue parole, un essere stroncato e decaduto, come lo descrive poeticamente Ey, come se l'esistenza del folle non fosse che un sogno che l'ha strappato dal mondo della vita, dal mondo del Mitsein, dal mondo dell'essere con altri. Interrogarsi sull'oggetto della psichiatria significa partire dall'umano nella sua totalità e nella sua realtà. Non significa forgiare un concetto medico disincarnato, quello di una malattia mentale senza esseri umani che la incarnano: è guardare «il nostro malato» e vedere attraverso la follia sia ciò che ci fa orrore, come l'odio e la distruzione, sia ciò che risveglia in noi un sentimento di benevolenza di fronte alla fragilità di un essere che non sa più neanche lui le significazioni che s'impegna a far sorgere. «Queste due immagini, quella dello sgomento e quella della pietà, interferiscono e si mescolano nell'apprensione del problema umano che l'alienazione mentale pone. Lo psicopatico è in effetti sia patetico che temibile»9. 8

9

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Reinvestendo le due categorie aristoteliche del terrore e della pietà, Ey guarda il folle come a un eroe tragico il cui destino eccezionale svelerebbe gli abissi di ogni destino umano. La psicosi non è semplicemente una malattia come le altre. Essa racconta, a colui che la guarda, i retroscena della condizione umana. Tuttavia non è puramente psichica, perché il corpo stesso del malato mentale è influenzato dalla malattia; attraverso le sue posture, i suoi difetti, il suo abbandono, manifesta che il modo del pensiero non è distaccato dal modo dell'estensione. Posando uno sguardo nuovo sul folle, vietandosi di osservarlo secondo la modalità della sperimentazione scientifica, ma invitando lo psichiatra stesso a non sottrarsi alla sua soggettività, al suo terrore e alla sua pietà di fronte alla tragedia della follia, Ey mostra che non è più possibile restare ai tempi in cui «con l'alienato, ogni psicopatico era considerato come una macchina» 10• Riconoscendo alla follia il suo valore d'insegnamento antropologico, non concependo la natura umana al riparo dal rischio della follia, ma facendone al contrario una dimensione immanente all'umano, Ey tenta di fondare la singolarità dell'oggetto della psichiatria, al riparo da ogni dualismo. L'oggetto della psichiatria si definisce dunque a partire dall'incontro con il folle, a partire da ciò che egli è per noi e da ciò che possiamo apprendere dal nostro turbamento di fronte a lui. «Per noi questo malato, malgrado la sua malattia, è una superficie di contatto umano, una profondità di risonanza, un accento, un grido che commuove e ferisce come un'eco del dramma più autenticamente umano». C'è nella follia, non solo un essere pericoloso e rumoroso, ma l'eco di un dramma che appartiene a ogni uomo. Se la psichiatria antropologica deve saper riconoscere il valore umano della follia è perché deve guardare il folle come un essere che ci somiglia ma che si è in qualche modo disancorato da ciò che permette di costituire un mondo comune. Non parla più la nostra stessa lingua, ma continua a parlarci. Si riconosce la follia da questo accento patetico di una lingua che fa risuonare un messaggio che non arriva ad articolarsi.

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L'organo-dinamismo, una concezione vitalista della follia L'obiettivo di Lacan nel Discorso sulla causalità psichica del 1946 è lo stesso di quello di Ey nel 1945, cioè fondare l'oggetto della psichiatria a partire dall'esperienza singolare della follia. Tuttavia la sua opposizione è evidente: «se ricordo al nostro amico H enri Ey che con le nostre prime tesi teoriche siamo entrati insieme dallo stesso lato della lizza, non è soltanto per stupirmi di ritrovarci così opposti oggi» 11 • Su cosa si fonda questa nuova opposizione tra due approcci che sembravano fatti per combattere insieme sia il meccanicismo che concepisce la follia come una malattia del corpo-macchina, sia lo spiritualismo disincarnato che fa della follia un'esperienza puramente intellettuale? Per marcare il carattere certo e verificato di questa opposizione, Lacan si riferisce a una pubblicazione di Ey del 1936 - cioè dieci anni prima - alla quale rende omaggio poiché ha gettato le basi delle loro divergenze. Nel Saggio d'applicazione dei principi di Jackson ad una concezione dinamica della neuropsichiatria•z, pubblicato in «Encéphale» in collaborazione con Jean Rouart, Lacan constata ciò che già rendeva Ey «sempre più vicino a una dottrina del disturbo mentale( ... ] incompleta e falsa e che in psichiatria si designa essa stessa sotto il nome di organicismo» '3. Non è quindi il modo di enunciazione del problema della psichiatria che separa i due psichiatri, ma la soluzione proposta da Ey a questo problema sotto la figura dell'organo-dinamismo. Mentre quest'ultimo intende rifondare la psichiatria e ridefinire la follia a partire dal suo valore antropologico, Lacan vede nella concezione organodinamica della follia un nuovo ostacolo per la psichiatria. In Principes d'une conception organo-dynamiste de la psychiatrie, del 1942, Ey riflette sulle questioni della sua teoria che, riconoscendo alla follia la sua causalità organica e gli effetti psichici, supera al tempo stesso il dualismo e il monismo. È grazie al neurologo inglese John Hughlings Jackson che Ey trova i principi dell'origine psicobiologica della follia, in vista del rinnovamento della psichiatria. Lacan gli rimprovera di aver pensato che «i principi di HughlingsJackson'4 potevano essere

'' J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 146. Citato da Lacan in ibid. lbid. ' 4 H. Ey, Pri11cipes d'u11e co11ceptio11 orga110-dy1unnistede la psychiatrie, in Id., Études psychiatriques, voi. 1, cit., p. 159. 01

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applicati alla psichiatria al di là di ciò che l'illustre neurologo inglese avesse immaginato» 1 s. Perché, cercando in un neurologo i principi che permettono di svelare la causalità della follia, Ey si sarebbe contraddetto da solo, contribuendo così a favorire ciò che tentava di denunciare, cioè la dissoluzione della psichiatria nella neurologia. Tuttavia, prima ancora che Lacan lo evocasse nel 1946, Ey percepisce questa trappola e crede di aver trovato i mezzi per non cadere nel tranello. S'interroga sull'obiezione che gli si potrebbe fare: «Adesso dobbiamo definire, ancora una volta, qual è la nostra posizione riguardo alle relazioni della neurologia e della psichiatria, perché è, crediamo, l'originalità della nostra posizione, dire che gli psicotici dipendono da

disturbi cerebrali non equivale a confondere neurologia e psichiatria». Dopo aver preso atto delle difficoltà della psichiatria a far riconoscere il suo oggetto nel campo della medicina, dopo aver provato a circoscrivere il dominio specifico di questa, non sceglie però, facendo ricorso ai principi dijackson, di fare della psichiatria una branca della neurologia? «Per noi, lo ripetiamo, dire che i "malati mentali" sono il risultato di alcuni processi organici e specialmente cerebrali non vuol dire che assimiliamo puramente e semplicemente la psichiatria alla neurologia. [La] neurologia, ha come proprio oggetto le disintegrazioni funzionali parziali o strumentali, senza modificazioni sostanziali della vita psichica, mentre l'altra, la psichiatria, ha per oggetto le dissoluzioni globali delle funzioni psichiche superiori che alterano, o alienano la vita psichica» 16. Ey difende la sua tesi considerando come decisiva una distinzione che non sembrava esserlo per Jackson. Secondo lui le dissoluzioni parziali e le dissoluzioni globali sono strutturalmente distinte. Le dissoluzioni globali hanno l'effetto di disorganizzare le funzioni che permettono l'adattamento della persona alle esigenze sociali e morali, l'organizzazione percettiva del mondo esterno e le funzioni intellettuali fondamentali. Il folle è alienato perché il disagio di cui soffre modifica l'insieme della sua vita psichica, mentre il malato neurologico subirebbe delle disintegrazioni funzionali parziali senza vedersi privato della sua integrità psichica. Per sostenere la sua tesi Ey fa l'esempio della schizofrenia che, essendo concepita come affezione cerebrale e dunque di origine organi-

'1

lvi, p. 165. '' lvi, p. 166.

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ca, non è tuttavia una malattia neurologica. In effetti la schizofrenia produce una dissoluzione globale delle funzioni superiori assicurando la permanenza e la coesione della personalità. Per Ey affermare che le psicosi hanno una genesi organica, non vuol dire strapparle dal campo della psichiatria per consegnarle a quello della neurologia, ma dare alla psichiatria la base organica di cui ha bisogno per non scomparire dal campo medico. Così il carattere sia organico che dinamico della malattia mentale la costituisce come oggetto scientifico della psichiatria. Il dinamismo di questa concezione permette un approccio al vivente che rientra nel campo del vitalismo di Bergson. Si potrebbe dire della dissoluzione globale che arriva a contrastare lo slancio vitale, facendolo regredire verso delle funzioni inferiori, mettendo in pericolo l'integrità della coscienza. Se, come afferma Bergson ne L'evoluzione creatrice del 1907, a cui Ey fa riferimento, la «vita intera, fin dall'impulso iniziale che la lanciò nel mondo[ ...) come un'onda di marea che sale, e che contrasta il movimento discendente della materia» 17 ha fatto emergere la coscienza, la malattia può anche fare barriera alla coscienza, disorganizzare la vita psichica, condurre l'essere vivente a non riuscire più a lottare contro il movimento discendente della materia. Così Ey avrebbe dato un contributo decisivo alla psichiatria in relazione alla distinzione jacksoniana tra disintegrazioni funzionali parziali e dissoluzioni globali, spiegandola con l'aiuto del vitalismo bergsoniano - in seno al quale lo slancio vitale e la coscienza possono concepirsi come l'esito di uno stesso movimento. Secondo l'organo-dinamismo la «psicosi è caratterizzata dalla liberazione anarchica delle istanze sottostanti fino a quel momento disciplinate e represse, e adesso integrate ad un livello inferiore» 1 8. La psicosi si vede allora spiegata come un fallimento dello slancio vitale, ostacolato nel suo movimento da un movimento opposto, quello della materia. Questa regressione permette di chiarire sia i disturbi mentali che derivano dalle alterazioni della struttura della coscienza (disturbi del comportamento, stati di tipo maniacale o melanconico, stati onirici, allucinatori, deliri d'influenza o di depersonalizzazione), sia i disturbi che discendono dalle alterazioni della struttura del-

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1

H. Bcrgson, 1:evoluvo11e CTl!lltrice, BUR, Milano 2.012., p. 2.57.

H. Ey, l'ri11cipesd'u1u: co11ceptio11 orga110-dynamiste de la psychiatrie,cit., p.

170.

2. ALLA RICERCA DELLA CAUSA DELLA FOLLIA

5?

la personalità {psicosi acute, alterazioni croniche della personalità, schizofrenie, demenze). Coscienza e personalità sarebbero detenninate dalle funzioni psichiche superiori, non colpite dalle disintegrazioni funzionali parziali, ma alterate in compenso dalle dissoluzioni globali. Secondo Ey l'approccio organo-dinamista permetterebbe di disancorare la psichiatria dal suo stallo nell'atomismo meccanicista e favorirebbe nello stesso tempo un approccio alla follia che prende in considerazione la totalità della personalità. Il dinamismo dell'organo-dinamismo sarebbe ciò che lo distingue radicalmente dal meccanicismo. Il dinamismo introduce inoltre un metodo clinico, quello dell'approccio fenomenologico, che - a differenza dell'approccio puramente nosografico - sembra adeguato a chiarire il carattere vivo ed evolutivo della malattia. «Alla semiologia analitica classica deve sostituirsi, afferma Ey, una fenomenologia strutturale più viva e reale, provando a penetrare gli insiemi significativi, le "esperienze vissute" del pensiero morboso a ogni livello e "l'essere-nel-mondo" delle personalità morbose» 19. Separare un'allucinazione dall'insieme delirante, isolare le ossessioni dal loro contesto psichico... sono procedimenti che portano a fare della follia il risultato di una disfunzione meccanica senza logica. In compenso, l'approccio organo-dinamista appoggiandosi alla fenomenologia e considerando il malato, non come un assemblaggio meccanico di organi visibili e invisibili, ma come un soggetto umano per il quale la follia è un Erlebnis, un'esperienza vissuta sulla sua carne e attraverso la sua coscienza, restaurerebbe la dimensione etica della psichiatria e il suo valore antropologico.

Le impasse della causalità organo-dinamica

La critica che Lacan rivolge a Ey in guisa di apertura del suo Discorso sulla causalità psichica riposa interamente su una rimessa in questione del «dinamismo» dell'organo-dinamismo. Per Lacan dietro questo concetto si nasconde in realtà un organicismo che non differisce in niente dal determinismo, in quanto toglie alla follia ogni '9

lvi, p. 173.

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specificità quanto al suo avvento per un soggetto, rispetto alle altre malattie, notoriamente neurologiche. «Per parlare in termini concreti, c'è qualcosa che distingue l'alienato dagli altri malati, se non che lo si chiuda in un asilo nel momento in cui li si ospedalizza? O ancora, l'originalità del nostro oggetto è di pratica - sociale-, o di ragione - scientifica?»20 , si domanda Lacan. Questa preoccupazione inaugurale di Lacan, ritornare al fondamento scientifico contro la pratica sociale, marca l'inizio di un orientamento epistemologico costante lungo tutta la sua elaborazione. Grazie a che cosa Ey distingue, in definitiva, un malato neurologico da un malato psichiatrico? Rigettando l'idea di una psicogenesi e di conseguenza di una causalità propriamente psichica, Ey avrebbe partecipato al nichilismo psichiatrico che lui stesso denunciava. Lacan quindi non si lascia convincere dallo sforzo di Ey di fondare la separazione strutturale tra psichiatria e neurologia sulla distinzione tra dissoluzione globale e dissoluzione parziale. Non si lascia nemmeno convincere dalla prospettiva dinamica, che pretende di distinguere il disturbo mentale dalla disfunzione puramente meccanica per il fatto di riconoscerne un carattere evolutivo. «Il punto cruciale, secondo il mio punto di vista, è che questo gioco, per quanto energico e integrante lo si concepisca, poggia in ultima analisi su un'interazione molecolare secondo il modo dell'estensione parte extra partes in cui si costruisce la fisica classica, voglio dire secondo quel modo che permette di esprimere questa interazione sotto forma di un rapporto da funzione a variabile che ne costituisce il suo determinismo» 21 • Egli ritiene che questo approccio al disturbo mentale lo riduce a un'interazione chimica, che non spiega in nessun modo la causalità propria alla malattia mentale. Ey voleva comunque strappare la psichiatria al dualismo dell'estensione e del pensiero, che la portava all'impasse nella quale si trovava allora, impotente a definire il fatto psicopatologico in modo chiaro. Ma per Lacan il suo approccio avrebbe in definitiva contribuito a far scomparire la specificità del suo oggetto. Perché la causalità della follia, come la concepisce l'organo-dinamismo, è dell'ordine di una interazione molecolare. È una causalità che appartiene al modo "'J. l.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id, Scritti, voi. 1, cit., p. 148. ., lvi, p. 146.

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dell'estensione. La follia, svuotata da ogni dimensione esistenziale, diverrebbe un fenomeno determinato da una legge della fisica come tutti i fenomeni naturali, secondo un rapporto misurabile tra funzione e variabile. Dissoluzioni parziali e dissoluzioni globali sono omogenee, anche se si distinguono dal punto di vista quantitativo. Se la causalità che presiede al disturbo mentale è dello stesso ordine di quella che presiede al disturbo neurologico, quest'ultimo perde ogni significato specifico. Orbene, per Lacan ricercare le condizioni chimiche e anatomiche del processo cerebrale all'origine della malattia mentale vuol dire eliminare la sua singolarità in quanto esperienza umana. Rimprovera così a Ey di aver rinunciato a salvare l'eterogeneità della causalità del fatto psicopatologico, scegliendo di ricorrere ai principi jacksoniani della neurologia. Per rispondergli, Lacan si affida a un'osservazione clinica di Gelb e Goldstein, riportata da Jaspers nella sua Psicopatologia Generale22• Il «celebre malato di Gelb e Goldstein» 2 3 è stato ferito alla testa; i suoi disturbi colpiscono la sua vita psichica nella sua interezza - dalla percezione alla concezione - , ma appartengono tuttavia alla neurologia: «tale malato, affetto da una lesione occipitale che distruggeva le due ca/carine, presentava intorno a una cecità psichica, turbe elettive di tutto il simbolismo categoriale [...] turbe agnosiche molto elevate [...], un deficit dell'apprendimento significativo(...]. Dissoluzione veramente uniforme, e del più elevato livello, che, notiamolo incidentalmente, ridonda fino in fondo sul comportamento sessuale». L'interesse per questo esempio scelto da Lacan è di mostrare che i principi jacksoniani della gerarchia delle funzioni psichiche e della distinzione tra dissoluzione parziale e dissoluzione globale, sono interni alla neurologia. «Domando dunque a Henri Ey: in che cosa distingue questo malato da un folle?»14. In effetti, questo malato non è un folle, anche se presenta un'affezione delle funzioni psichiche superiori e una dissoluzione globale. Lacan rinvia quindi Ey all'o11

«li malato non riconosceva nessuna figura, nemmeno quelle dritte e quelle stone. Ma se con la testa egli seguiva le forme, poteva riconoscere le figure. Non vedeva alcun movimento.( ... ] L'impressione del movimento, come lo ha l'individuo normale, non percepiva questo elemento specifico in modo diverso dalle singole posizioni isolate le une dalle altre•. K. Goldstein, A. Gelb, Zur Psychologie des optischer, Wahmehmungs und Erken11ungs11organgs, citato da Jaspcrs in Psicopatologia ge,,era/e, cir., p. 18 s. '' J. l.acan, Discorso sulla causaliJà psichica, in Id., Scrilti, voi. 1, cit., p. 149. ,. lvi, p. 50.

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biezione che quest'ultimo si era posto rispetto alla difficoltà di distinguere l'oggetto della neurologia dall'oggetto della psichiatria a partire dai principi jacksoniani. Con questo controesempio che egli eleva al rango di «controprova» 2.s, mostra la confutabilità della sua tesi dal punto di vista scientifico. Perché gli effetti della dissoluzione globale sono della stessa natura di quelli della dissoluzione parziale: non c'è alcuna differenza di struttura tra le due cause, ma solamente una differenza di grado. Le due cause condizionano gli effetti della stessa natura, ossia i disturbi neurologici, e non dimostrano il carattere specifico del disturbo psichico. Nella sua critica a una teoria organicista della follia, Lacan invoca i criteri spinoziani dell'idea vera, secondo i quali l'idea vera è la norma stessa della verità. Perché «per avere la certezza della verità, non occorre avere altri segni che l'idea vera»2.6. Ora, indica Lacan, la causalità organo-dinamista «non ha i caratteri dell'idea vera»2.1 perché produce nel soggetto delle idee confuse sul suo oggetto. Pertanto la tesi della causalità organo-dinamista è il risultato di uno sforzo per strappare il fatto psicopatologico alla confusione che lo circonda nel campo della medicina. Ma volendo conferire alla follia una genesi organica cerebrale, Ey è condotto in definitiva a fare delle modifiche della personalità il criterio distintivo della manifestazione del disturbo mentale, come se il principio che aveva scelto per fondare la specificità della follia non fosse sufficiente per farla apparire chiaramente. Si vede quindi costretto a completare l'idea della dissoluzione globale delle funzioni superiori con il criterio della modificazione della personalità. «Di fatto è la reazione della personalità che nella teoria di Henri Ey appariva come specifica della psicosi. Proprio qui la sua teoria mostra a un tempo la sua contraddizione e la sua debolezza, giacché nella misura in cui misconosce sistematicamente ogni idea di psicogenesi, [...) lo si vede appesantire le sue esposizioni con una descrizione "strutturale" sempre più carica di attività psichica»2.8. Avendo rifiutato l'idea della causalità psichica, Ey sarebbe condotto a fare delle affezioni della personalità il segno distintivo della •s C. Bcmard, lntroduzio11e allo studio della medidnasperimentale, Fclrrinclli, Milano 1973, p. 91.

•' B. Spino1.a, Trattato sull'eme11dazione dell'intelletto (1677), SE, Milano 1990, p. 21. • 7 J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 147. ,a IVI,. p. I 50.

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follia, per salvare la psichiatria dal suo assorbimento nella neurologia. La sua tesi si scontra con la sua stessa insufficienza a specificare il proprio oggetto. Al dualismo cartesiano Ey avrebbe così sostituito un nuovo dualismo che lo spinge a considerare che «le malattie mentali sono degli insulti e degli impedimenti alla libertà, (perché non sono] causate dall'attività libera,cioè [sono] puramente psicogenetiche» 2 9. Che cosa resta della vita psichica quando non si riconosce l'idea di una psicogenesi dei disturbi mentali? Che cos'è una vita psichica in cui i disturbi derivano da una causalità organica? L'organicismo porta a fare dello psichismo un organo di adattamento alla realtà, proprio all'attività libera. Inoltre, è al prezzo di una confusione tra l'attività libera dello psichismo e la libertà, che può vedere nella malattia mentale un insulto alla libertà. Volendo fondare scientificamente la follia, Ey sarebbe stato portato a proporre una definizione di «questa tanto meravigliosa attività psichica come «[...] adattamento personale alla realtà»3°, misconoscendo allora il significato della follia per il soggetto. Riducendo la vita psichica a una finalità adattiva, l'organo-dinamismo non può riconoscerle un'attitudine a generare essa stessa i disturbi che possono invaderla. Paradossalmente Ey si trova a difendere una concezione meccanicistica della vita psichica, dal momento che la riduce a una capacità di adattamento alla realtà. Tuttavia, come Lacan ricorda, Ey aveva sottolineato nei suoi primi lavori sull'allucinazione l'importanza fondamentale della credenza nell'esperienza soggettiva della follia. Allora aveva saputo accordare un'attenzione singolare alla fenomenologia della follia. «Questo fenomeno [della credenza], con la sua ambiguità nell'essere umano, con il suo troppo e il suo troppo poco per la conoscenza [... ], Ey ha mirabilmente visto che non lo si poteva eliminare dal fenomeno dell'allucinazione e del delirio»3 1• Ma se nel 1934, in Allucinazione e Delirio, Ey ha spiegato la follia a partire dal movente essenziale della credenza, è stato poi indotto in errore sulla sua natura. «Per una sorta di vertigine mentale egli risolve la nozione di credenza, che teneva sott'occhio, in quella dell'errore, che la assorbirà come una goccia d'acqua assorbe un'altra goccia che le viene a contatto. In tal modo tutta l'operazione è mancata. Una volta fissato, il fenomeno diventa oggetto di giudizio, 19 H. Ey,citato da J. Lacan, in ivi, p. 151. 1° H. Ey, citato da J. l.acan, in ivi, p. 1 52. 1 ' lvi,pp. 157-158

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e quindi oggetto tout court». Perché trasformare la credenza in errore non permette di scorgere ciò che essa significa per il soggetto. Infatti non possiamo negare che, da un certo punto di vista, il malato si sbagli: «nei sentimenti di influenza e di automatismo il soggetto non riconosce le proprie produzioni come sue. Il che è ciò per cui siamo tutti d'accordo che un folle è un folle». Ma questo è sufficiente ad affermare, come fa Ey, che il malato commette un errore di giudizio? È sufficiente per dire che delle ipotesi neurologiche spiegano il fenomeno dell'allucinazione? È sufficiente per dire che il fenomeno della credenza delirante può essere «considerato come fenomeno di deficit»? «Si può dire che l'errore è un deficit, nel senso che questa parola ha in un bilancio, ma non la credenza, anche se ci inganna»J2.. Che la credenza possa indurre in errore non significa che sia anch'essa dell'ordine di un errore. È in questo punto preciso che Lacan identifica «la strada sbagliata» di Ey, che aveva scorto l'importanza della funzione della credenza nell'allucinazione e nel delirio, ma ne aveva trascurato la portata, assimilandola a un errore di giudizio. Per Lacan la causalità della follia ha lo statuto della credenza, in quanto non è un errore: la credenza delirante è un'esperienza vissuta di cui è necessario cercare di analizzare il significato. Ricordiamo che Maurice Merleau-Ponty nel 1945 aveva affermato che benché «l'allucinazione non sia una percezione, c'è un'impostura allucinatoria ed è ciò che non comprenderemo mai se trasformiamo l'allucinazione in un'operazione intellettuale»33. Per non fare dell'allucinazione un'operazione intellettuale difettosa, è necessario dimostrare ciò che significa per chi ci crede. E per Lacan, fare della credenza un errore, è disinteressarsi di ciò che la credenza rappresenta per il soggetto stesso. Così potremmo dire con Politzer che concependo l'allucinazione come un errore di giudizio che rinvia in definitiva ad un deficit intellettuale, Ey considera il fenomeno della credenza delirante «come prodotto da cause impersonali»34. Si tratta d'ora in poi di superare la psicologia astratta per apprendere la realtà esistenziale del dramma vissuto dal soggetto. Lacan ridà così i suoi titoli di nobiltà alla psicologia, nelle specie di quella psicologia concreta che Politzer auspicava. Orbene,

lvi, p. 1 59. H M. Mcrlcau-Ponty, Fenomenologia della percezio11e, Bompiani, Milano :1.003, p. 44:1.. 34 G. Polit"J.cr, Critica dei fondamenti de/la psicologia, cit., p. 3 5. l•

2. ALLA RICERCA DELLA CAUSA DELLA FOLLIA

per far sì che «una psicologia concreta si costituisca come scienza»35, è necessario dedicarsi a definire l'oggetto della psicologia, in quanto la coscienza di sé così come il misconoscimento di sé non possono essere pensati che come rapporto del soggetto con la verità. È per questo che la credenza non è un errore in quanto è portatrice di una verità sull'essere del soggetto. Ricordiamo che siamo nel settembre 1946 e che, qualche mese prima, Jean Wahl aveva contribuito a introdurre il pensiero di Heidegger in Francia, grazie a un corso tenuto alla Sorbona tra gennaio e giugno 1946. Si trattò di una delle prime introduzioni all'opera di Heidegger in Francia, insieme al libro di Alphonse de Waelhens apparso nel 1942 su La filosofia di Martin Heidegger - citato da Sartre ne L'essere e il nulla. Segnato da questo clima filosofico, Lacan, dopo aver ricordato che per Heidegger «verità significa rivelazione»36, si impegna a pensare la questione della follia come rapporto dell'essere con la verità37 e propone un ritorno a Cartesio. Ma è anche il rapporto dell'essere con la sua libertà che permetterà a Lacan di specificare la causalità propria della follia. In effetti la questione della verità, in quanto è in rapporto con la significazione, porterà Lacan a pensare la follia come una credenza delirante che rinvia in ultima analisi a una scelta contingente del soggetto. Più vicino all'ontologia sartriana che a quella di Heidegger, Lacan s'incammina, non tanto verso la scoperta dell'essere, quanto verso l'incontro col fatto contingente e bruto della libertà. Avanza così verso la formulazione di un'ontologia che gli è propria, che situa l'essere nella scelta fatta dal soggetto quanto alla significazione del suo essere.

J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id, Scrilt~ voi. 1, cit., p. 155. '' IVI,. p. I 6O. 37 Sui rapporti tra Lacan e Heidcgger,Jean-Luc Nancy ha mostrato che «ciò che distingue Lacan [... ], è di pensare o di porre la psicoanalisi in termini di verità [... ]. Ciò senza dubbio Lacan lo deriva almeno in parte da Hcidcggcr• ij.-L. Nancy, Manque de rien, in AA.W., lAcan avec /es philosophes, Albin Michcl, Paris 1991, p. 201 ). H

3· Contingenza di una decisione dell'essere

Come Ey, Lacan vuole fondare scientificamente la psichiatria mostrando che il suo oggetto, la follia, può essere concretamente determinato. Ma il carattere scientifico dell'oggetto della psichiatria non discende per lui da un substrato organico. Discende da un rapporto del soggetto con il sapere e la verità. Alla causalità organica della follia, Lacan oppone allora la «causalità essenziale della follia»'.

Valore ontologico della follia Cercando di definire la causalità essenziale della follia, Lacan riprende in considerazione la questione dei rapporti tra la follia e i valori umani, come l'aveva posta Ey nel 1945. Ora, per Lacan, non si tratta più dei valori umani, ma del valore umano che abita la follia in quanto esperienza della condizione umana. A suo modo Lacan mostrerà come si può dare una legittimità all'enunciato sartriano de L'essere e il nulla secondo il quale un «pazzo non fa altro che realizzare sempre, a suo modo, la condizione umana» 2 • Il «valore umano» che abita la follia, in quanto diverso dai disturbi neurologici, è anche ciò che gli conferisce una portata simbolica: «il fenomeno della follia non è separabile dal problema della significazione per l'essere in generale, cioè del linguaggio per l'uomo», afferma Lacanl. Come articola Lacan la causalità essenziale della follia al problema della significazione per l'essere in generale? La causalità psichica

' J. l.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, voi. 1, cit., p. 156 (corsivo mio). • J.•P. Sartre, l!esseree il nulla, cit., p. 7 15, nota 1. 1 J. l.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scritti, voi. 1, cit., pp. 156, 160.

68

I. FOLLI/\ E LIBER1"À

si concepisce a partire dal rapporto dell'uomo con il linguaggio, in quanto il linguaggio determina il suo essere. Ma, se l'essere umano si vede determinato dalla significazione che egli stesso dà alle cose, è in ultima analisi a partire dalla sua libertà che sceglie le significazioni che dà alla sua esistenza. Lacan arriva a definire la causalità essenziale della follia a partire sia dalle identificazioni inconsce del soggetto - secondo un determinismo psichico che allora chiama «effetti psichici del modo irnmaginario»4 sia da una scelta ingiustificabile e contingente, che rivela la libertà del soggetto. La causalità essenziale della follia è così colta dal valore del discorso del folle, il cui delirio, in ultima istanza, rinvia a ciò che Lacan ha scelto di nominare nei termini di una «insondabile decisione dell'essere». Ora, questa insondabile decisione de/l'essere appariva come una reminiscenza di ciò che Sartre aveva chiamato nel 1943 «una determinazione spontanea del nostro essere»5. In Lacan, l'investigazione della causalità della follia conduce a svelare una scelta originaria al di là della quale non si può risalire. Questa scelta, essa stessa senza causa, all'origine della sua propria emergenza, è una risposta al desiderio d'essere, o più esattamente è il fallimento del soggetto a trovare una risposta a questo desiderio. Conferendo una tonalità esistenziale al suo Discorso sulla causalità psichica, Lacan mostra che le ragioni della follia, d iscendendo da una causalità specifica, ci conducono tuttavia alla fine là dove la stessa causa sparisce, dietro l'assenza di fondamento e la contingenza della scelta. Alla frontiera delle determinazioni psichiche, incontriamo l'assenza di determinazione, il termine ultimo e irriducibile che decide del senso di un'esistenza. L'insondabile decisione dell'essere può allora essere considerata a partire da ciò che Sartre ha chiamato, nella sua psicoanalisi esistenziale, un «mistero in piena luce» 6 , il mistero della scelta originaria che un soggetto fa del suo proprio essere. La follia per Lacan rivela la contingenza di una scelta che non si appoggia su nient'altro che sulla libertà, o forse sulla rinuncia del soggetto alla libertà alla quale si sente condannato. Abbiamo detto del periodo dell'esistenzialismo «che si fonda a partire dall'esistenza come di un dato»7, esso stesso privo «di ogni fonda4

lvi, p. 172. s J.-P. Sanrc, L'essere e il 11ulla, cit., p. 106. 'lvi,p. 611. 7 F. Wonns, IA Philosopbieen France au XXe siècle, cit., p. 2.27.

3. COl'll'INGF.NZ/\ DI UNI\ DECISIONE DELL'F.SSF.RE

mento metafisico». In questo senso,il Discorso sulla causalità psichica rientra nel periodo esistenzialista, sebbene difenda il principio della causalità psichica; risponde infine alla questione Che cos'è la follia? risalendo al fatto grezzo di un dato puro, senza fondamento metafisico, senza fondamento fisico e senza fondamento psichico: la scelta di un soggetto, termine ultimo al di là del quale è impossibile risalire. Che cosa causa la decisione di un essere di credere, infatuato, che è ciò che è, pur supponendo che gli altri non fanno che ignorarlo nel suo essere? È impossibile, in ultima analisi, determinare ciò che causa una scelta. Che la decisione dell'essere sia insondabile significa che la scelta del soggetto non è l'effetto di una causalità che la precederebbe. La decisione dell'essere è causa sui, causa di se stessa. Questo rapporto originario del soggetto alla follia mette in evidenza una scelta primaria. Sartre definisce da parte sua il rapporto originario che il per-sé sceglie con il mondo come quello che non è «nient'altro che l'esserenel mondo esso stesso del per sé in quanto questo essere-nel-mondo è scelta» 8 • Lacan, dopo di lui, rigetta «la causalità della follia in questa insondabile decisione dell'essere in cui egli comprende o misconosce la propria liberazione, in quel tranello del destino che lo inganna su una libertà che non ha affatto conquistato»9. In un certo qual modo, il folle rifiuta di conquistare la sua libertà, poiché rifiuta l'altro come colui che lo misconosce, invece di misurare la sua libertà nel rapporto con l'altro. La causalità della follia si vede così interpretata dalle coordinate hegeliane della dialettica servo-padrone, esse stesse riorganizzate a partire dalla questione esistenziale della scelta. In seno a un Discorso sulla causalità psichica che prefigura la sua successiva opzione strutturalista, Lacan riconosceva i limiti della causalità. Il valore umano della follia risiede in quest'ultima assenza di determinazione: l'esperienza della follia si radica nella scelta spontanea e contingente di un modo di essere, che Lacan definisce qui come paranoico. L'insondabile decisione dell'essere che presiede alla psicosi paranoica, è ciò che conduce un essere a prendersi per ciò che è, senza più poter fare l'esperienza di nessun altra mediazione, di alcun annullamento e infine di alcuna libertà. Per Lacan il folle ci 8 J.-P. Sartre, I/essere e il 11ulla, cit., p. 515. 9 J. 1.acan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., ScriJti, voi. , , cit., p. , 7,.

I. FOLLIA E LIBERl"À

insegna in ultima analisi che l'essere dell'uomo porta in sé «la follia come il limite della sua libertà» 10•

Il dramma de/l'incontro con la significazione

La specificità della follia consiste nel fatto che in essa abita un altro valore umano rispetto a quello che si trova nelle malattie neurologiche. Questo è il punto di partenza di Lacan nel secondo tempo della sua dimostrazione su «La causalità essenziale della follia» 11 • Come cogliere quest'altro valore umano della follia che sarebbe il fulcro della sua causalità essenziale? Lacan riprende, a suo modo, lo sforzo fenomenologico di Ey in LA pholie et /es valeurs humaines. La follia si pone come un fenomeno che appare, di cui Ey ha mirabilmente descritto gli effetti su colui che la percepisce. L'effetto della follia sul medico stesso non ci indica forse che si tratta di un'esperienza che rinvia alla condizione umana, in quanto è portatrice di un'interrogazione sulla significazione? Così come il folle s'interroga a suo modo su ciò che significano le sue allucinazioni, colui che percepisce le manifestazioni della follia non è portato a domandarsi ciò che tutto questo può significare? Lacan mostra che ciò che separa il folle dagli altri esseri non è tanto dell'ordine delle «lesioni che indeboliscono i processi energetici necessari al dispiegamento delle funzioni psichiche» 12, quanto dell'ordine di una modalità della credenza che rinvia essa stessa a un certo rapporto dell'essere alla significazione. Nel tempo stesso in cui il suo delirio separa il folle dagli altri uomini, rivela anche, a coloro che ne sanno riconoscere la causalità psichica, il valore umano della follia in quanto esperienza esistenziale della significazione. Il modo in cui Lacan interroga il rapporto della significazione con la libertà, nell'esperienza della follia, testimonia allora una ripresa della prospettiva dell'ontologia fenomenologica sartriana. La follia rappresenta nella filosofia dell'esistenza un atteggiamento possibile del «persé in un mondo in cui c'è l'altro» '3. Per Sartre la follia è dapprima una 0

lvi, p. 170. " lvi, pp. 1 56 e sgg. '

'• H. Ey, Rapporti della 11eurologia co11 la psichiatria, citato da lacan in Discorso sulla causalità psichica, cit., p. 1 47. ' 3 J.-P. Sartre, L'essere e i/11ulla, cit., p. 42.1.

3. CONTINGENZA 01 UNA DECISIONE OELL'F.SSERE

modalità possibile di «relazioni concrete con gli altri». Se si coglie in quale senso «il sorgere di altri colpisce il per-sé in pieno», si coglie anche in quale senso la follia può risultare dall'incontro con l'altro. Ed è proprio dall'articolazione del rapporto con l'altro in quanto luogo della significazione per l'uomo che Lacan affronta la causalità della follia. In una formula a cui lo psicoanalista s'ispirerà quando definirà, agli inizi degli anni Cinquanta, il soggetto dell'inconscio come un soggetto barrato, Sartre afferma già ne L'essere e il nulla che «altri ha influenza su di me» ( «autrui a barre surmoi» ). Perché l'incontro con altri modifica il mio essere facendo sorgere un essere-per-altri che io sono senza esserne il fondamento. Se si prende la misura di ciò che significa esistere in un mondo dove c'è l'altro, si percepisce che, nella prospettiva che è quella di Sartre nel 1943, «non è solo il malato di nervi che può dire - come nel caso, per esempio, delle psicosi di suggestione - "Mi si ruba il mio pensiero"» 14. L'esperienza del folle che esperisce un furto del suo pensiero non testimonia tanto la sua follia quanto le modalità possibili per l'essere umano di incontro con altri attraverso il linguaggio. Ecco perché «un pazzo non fa altro che realizzare sempre, a suo modo, la condizione umana» 1 s. Sartre afferma che il linguaggio «fa parte della condizione umana, è originariamente la prova che un per-sé può fare del suo essere-per-altri» 16. Non c'è né significazione naturale, né rapporto di adeguamento predeterminato tra il soggetto e la significazione, né concordanza tra le parole e le cose, né armonia tra il linguaggio e la realtà. L'incontro con la significazione è concepito da Sartre come una prova, come un dramma, come un'esperienza d'alienazione quella della scoperta di ciò che chiama l'essere-per-altri. Così, non c'è mai un senso determinato alla frase che io dico, come a quella che sento, perché «il fatto primo è la situazione, a partire dalla quale comprendo il senso della frase, questo senso non è da considerare come un dato, ma come un fine scelto in un libero superamento dei mezzi» 17. L'emergenza della significazione discende da una scelta del soggetto. Per Sartre il rapporto con il senso non rinvia dunque ad alcun dato già costituito. E non soltanto non è dell'ordine '• lvi, p. 434. ' 1 lvi, p. 715 nota 50. '' lv~ p.433. ' 7 lvi, p. 591.

I. FOLI. IA F. l.lBERTÀ

del dato, ma suppone un apporto da parte del soggetto. È in una scelta libera che il per-sé attribuisce un significato ad una frase. «Si coglie dunque tutta la differenza che separa l'evento "frase" da un evento naturale». Con Sartre il rapporto con la significazione strappa l'essere umano alla natura e di conseguenza a ogni detenninismo organico; ne segue che è anche il luogo di un incontro angosciante per il soggetto con altri e con la propria libertà. Appoggiandosi su Heidegger, Sartre scrive: «io sono ciò che dico»' 8 , prefigurandovi ancora una prospettiva che sarà quella di Lacan qualche anno più tardi. La follia, in quanto esperienza radicale dell'alienazione che costituisce l'incontro con il mondo della significazione per un soggetto, non rinvia ad alcun deficit. La follia non è né il prodotto di una mancanza di adattamento alla realtà, né quello di una mancanza di controllo, né ancora quello di un deficit delle funzioni superiori della vita psichica. Non è neanche il prodotto di uno sforzo contrastato dello slancio vitale che non riesce più a lottare contro il movimento ascendente della materia. La follia è, prima di t utto, una modalità concreta possibile del rapporto con altri. Perché «il per-sé nasce in un mondo che è mondo per altri persé. Questo è il dato. E, con ciò stesso, [ ... ) il senso del mondo gli è alienato. Questo significa giustamente che si trova in presenza di significati che non vengono al mondo per mezzo suo. Nasce in un mondo che si dà a lui come già osservato, attraversato, esplorato in tutti i sensi e la cui trama stessa è già definita da queste investigazioni» 1 9; tuttavia è proprio in questo mondo che il per-sé deve «scegliersi». È a partire dal senso già lì presente che «deve essere libero», vale a dire scegliere il senso che darà all'esistenza dell'altro come alla sua. Questo è per Sartre il dramma della significazione. Portatore di alienazione nella misura in cui il soggetto si vede essere ciò che dice, è anche il luogo possibile della scelta del senso dell'esistenza. Il per-sé deve così scegliersi liberamente a partire dalla situazione significante che incontra e che non ha scelto. È anche ciò che Sartre nomina «la fatticità del per-sé», cioè la 08

A. dc Wachlcns, IA philosophie de Martin Heidegger, Editions dc l'lnstirut Supcricur dc Philosophic, Louvain 1942., p. 99, citato da J.-P. Samc in L'essere e il 11ulla, cir., p. 433· ' 1 J.-P. Sartre, L'essere e il 11ull,;,, cit., p. 593.

J. CON1"1NCENZA

73

DI UNA DECISIONE DELL'F.SSERE

dialettica tra l'abbandono del per-sé in una situazione contingente e la responsabilità che gli ritorna di dare senso a questa situazione 20 • Quando Lacan afferma nel 1946 che la «parola non è segno, ma nodo di significazione» 21 , mostra a sua volta che l'incontro con la significazione non rivela alcun determinismo naturale. Sostenendo che «nel linguaggio si giustificano e si denunciano gli atteggiamenti dell'essere», mostra che l'esperienza della significazione è un'esperienza soggettiva che non può essere ridotta ad alcun rapporto di adeguatezza o di inadeguatezza alla realtà. Il delirio non è la perdita del senso della realtà, ma una modalità specifica di rapporto alla significazione. Lacan ci vede allora una «ricerca dei limiti della significazione». Quindi l'alienato non è tanto colui che fa un errore di giudizio e patisce un deficit, quanto colui il cui linguaggio porta il segno dell'alienazione inerente all'incontro con la significazione: «queste allusioni verbali, queste relazioni cabalistiche, questi giochi d'omonimia, questi bisticci di parole[,] quest'accento di singolarità di cui dobbiamo saper intendere la risonanza in una parola per individuare il delirio, [...] questi ibridi del vocabolario, questo cancro verbale del neologismo, quest'impaniamento della sintassi, questa duplicità dell'enunciazione, ma anche questa coerenza che equivale ad una logica, questa caratteristica che, dall'unità di uno stile alle stereotipie, segna ogni forma di delirio, tutto questo è ciò con cui l'alienato, con la parola o con la penna, si comunica a noi» 22• Il discorso dell'alienato porta così le stigmate del dramma dell'incontro con la significazione. Ne mette alla prova i limiti, spiegandone la vacuità. Il mondo della significazione può in effetti diventare un mondo nel quale il soggetto si perde, quando non giunge più a farsi donatore della significazione. Lacan lo formulerà in modo brillante dieci anni dopo, nel suo seminario Le psicosi,nel 19 551956: il soggetto «vi parla di qualcosa che gli ha parlato». Il discorso del folle testimonia allora un difetto di simbolizzazione che egli chiamerà «forclusione». Nella psicosi, «l'ordine simbolico sussiste come tale fuori dal soggetto, distinto dalla sua esistenza e lo deterrnina» 2 3. Il Discorso sulla causalità psichica prefigura così questa interpretazione della psicosi come rapporto immaginario con la significazione. ""lvi, pp.

12.3, 591.

., J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scri16, vol. 1, cit., pp. 160-162.. lvi, pp. 161-162.. ''J. Lacan, // Seminario. Libro lii. Le psicosi, Einaudi, Torino 2.010, pp. 47,

u

112..

74

I. FOLLI/\ E LIBER1"À

Se Lacan può «definire concretamente la psicologia come l'ambito dell'insensato» 24 è perché cerca di rendere conto nel 1946 sia dei rapporti tra il senso e il non senso, sia tra la significazione e la follia. La causalità dell'alienazione non è dunque da cercare nel cervello o nei neri vapori della bile, ma là dove essa si manifesta, cioè nel linguaggio in quanto modalità del rapporto con l'altro. Quest'approccio alla follia, in opposizione alla prospettiva naturalista di Ey, rivela una prospettiva prestrutturalista - che già accorda tutta la sua importanza al linguaggio -, ma anche una prospettiva esistenziale che contribuisce a fare della follia l'esperienza di un limite della libertà. Perché rivelando il misconoscimento che il soggetto ha di se stesso, il discorso della follia mostra l'alienazione che costituisce per ciascuno il mondo della significazione, in quanto luogo del rapporto con altri. Per Sartre come per Lacan, la follia ha un valore umano in quanto esperienza dell'alienazione del soggetto attraverso l'altro. Valore umano ed esistenziale, diremmo, perché la domanda Che cos'è la follia? porta alla domanda Che cos'è l'esisten~?, e anche alla domanda Che cosa dà valore all'esisten~ dell'essere umano? Questo valore umano risiede per Lacan nel fatto che «la follia è tutta vissuta nel registro del senso» 2 5, e che questo mette in questione il rapporto tra il soggetto e l'altro. Lacan e Sartre si accordano così nel pensare la follia a partire dalla questione del senso e dell'origine della significazione per qualsiasi soggetto. E la questione del senso mette in gioco la libertà dell'essere umano. Con questa concezione della libertà e della scelta ingiustificabile e contingente che essa rende necessaria, Lacan risponde, dunque, alla concezione organo-dinamista di Ey. Se la follia non è per l'uomo «il fatto contingente delle fragilità del suo organismo» 2 6, è perché essa discende da un'altra contingenza quella che strappa l'esistenza umana a ogni determinismo organico. Discende dalla struttura del senso dell'esistenza, in quanto radicalmente contingente. Sebbene Lacan non la formuli in questo modo, la sua fenomenologia della follia conduce a un'ontologia fenomenologica. Perché la causalità essenziale della follia risiede in ciò che Lacan chiama «una faglia aperta» nell'essenza dell'uomo. Il Discorso sulla causalità psichica ha così una portata ontologica nella misura in cui

._. J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id, Scrilti, voi. 1, cit., p. 161. •s lvi, p. t 60.

•' Iv,,. p.

170.

3. COl'll'INGF.NZ/\ DI UNI\ DECISIONE DELL'F.SSF.RE

75

la fenomenologia lacaniana della follia non resta puramente descrittiva. Essa svela la causalità essenziale della follia e anche, lo vedremo, la sua assenza di causalità ultima. In questo Lacan nel 1946 è più sartriano che husserliano o heideggeriano. La fenomenologia husserliana rifiuta di costituirsi in ontologia27 e si accontenta di descrivere i fenomeni così come appaiono alla coscienza. L'ontologia heideggeriana cerca, da parte sua, un essere al di là dei fenomeni. L'ontologia fenomenologica sartriana apre, in compenso, sulla contingenza dell'esistenza del soggetto - che si definisce solo attraverso la fragilità che la libertà istituisce al cuore dell'essere. Per Sartre, l'ontologia fenomenologica svela che «l'uomo è sempre separato per un nulla dalla sua essenza» 28; per Lacan la fenomenologia della follia svela che questa è per l'uomo «la virtualità permanente di una faglia aperta nella sua essenza» 29. Sartre nota che «nell'apprensione di noi stessi da parte di noi stessi, noi risultiamo forniti dei caratteri di un fatto ingiustificabile»J0 ; Lacan rileva che l'apprensione della causalità psichica della follia la fa apparire un fatto ingiustificabile. I.:insondabile decisione dell'essere può dar luogo alla follia, senza fondamento, senza ragione, come testimonianza della fragilità che il linguaggio istituisce al cuore dell'essere. Se il folle presenta allora «un interesse maggiore che [...] il caso di Gelb e Goldstein»3 1 , è perché la credenza che rivela la sua follia testimonia un carattere contingente e angosciante della significazione stessa che, in ultima analisi, non riposa che sulla contingenza del rapporto con il linguaggio per ogni essere, cioè sulla libertà.

Misconoscimento, credenza e malafede Se si può dunque far emergere una connessione tra Lacan e Sartre nel Discorso sulla causalità psichica è perché Lacan pensa alla follia come a un'esperienza del fallimento della libertà, il che lo conduce •7

F. Wonns, La Philosophie en France au XXe siècle, cit., p. 2.36. J.·P. Sartre, !.'essere e il 11ulla,cit., p. 71. • 9 J. Lacan, Discorso sulla t:ausalità psichit:a, in Id., Sailti, voi. 1, cit., p. 170. 1° J.-P. Sartre, I/essere e il 11ulla, cit., p. 12.0. 1 ' J. l.acan, Discorso sulla t:ausalità psichit:a, in Id., Sailti, voi. ,, cit., p. 1 56. •8

I. FOLLIA E LIBERl"À

ad affermare in ultima istanza la possibilità della scelta di non essere liberi, ossia di essere folli. Questa scelta, determinazione ingiustificabile e spontanea del nostro essere, è esplicitata anche da Lacan dopo un'analisi del misconoscimento proprio alla conoscenza paranoica. È a partire da una fenomenologia della credenza, in quanto può diventare delirante, che Lacan dimostra la causalità psichica come insondabile decisione dell'essere. L'analisi lacaniana della credenza delirante, pur appoggiandosi a Cartesio, presenta così delle analogie con la malafede sartriana. Lacan non si basa esplicitamente sul concetto di malafede nel 1946 per dimostrare il misconoscimento, ma non esiterà a farlo nel 1955 nello scritto Varianti della cura-tipo, dando così a questo concetto sartriano un significato nuovo per la psicoanalisi. Cercando di distinguere il discorso dell'io, all'interno del quale il soggetto si misconosce, da quello che chiama il discorso vero che l'analista deve poter far emergere, Lacan evoca nel 1955 «la malafede del soggetto [...) costituente di questo discorso intermedio»3 2 , «discorso della convinzione», nel quale il soggetto si perde nel momento in cui tenta di parlare di se stesso. Il discorso intermedio della malafede è quello al centro del quale il soggetto tiene «conto di ciò che egli sa del suo essere in quanto dato»: in altre parole, parla di se stesso come di un essere che non s'interroga sulle sue scelte esistenziali, ma si pensa come definito da qualcosa che non dipende da lui. Questo discorso della malafede Lacan lo articola ai «miraggi narcisisti che dominano la relazione del suo io con l'altro»; mostra altresì che, grazie alla psicoanalisi, la malafede sartriana può essere concepita come un atteggiamento dell'io, una risposta dell'ego, che impedisce ogni autenticità della parola. Evocando allo stesso modo, fin dal 1946, quelli che «confondono tranquillamente l'io con l'essere del soggetto», Lacan annuncia il valore fondante per il suo insegnamento di questa distinzione tra l'Io e l'essere del soggetto - che deve chiaramente a LA trascendenza dell'Ego di Sartre, ci ritorneremo-, e che si oppone a ogni deriva psicologizzante della psicoanalisi. Questo riferimento alla malafede a proposito del misconoscimento, nello scritto del 1955, permette di chiarire retroattivamente il discorso di Lacan sul misconoscimento proprio della credenza delirante, nello scritto del 1946. L'infatuazione del folle, concepita come tratto di3'

J. Lacan, Varianti della cura-tipo, in Id., Scritti, voi. 1, cit. p. 346.

3. CONTINGENZA 01 UNA DECISIONE OELL'F.SSERE

77

stintivo della modalità delirante della credenza, può essere decifrata come un avat.ar dello spirito di serietà del soggetto di malafede, come l'ha esplicitato Sartre tre anni prima. Per lui, la serietà consiste in effetti nel definirsi «a partire dall'oggetto»n. È una fuga della libertà che permette di giocare a porsi come determinati dalle cose del mondo, queste cose serie che non dipendono dalla nostra scelta, esattamente come il discorso intermedio sarà per Lacan nel 19 5 5, un modo di parlare del proprio essere come dato, ossia come definitivamente costituito. Tuttavia, lo spirito di serietà per Sartre non è la follia, poiché è suscettibile di essere superato, dissipato, ridotto. La nientifìcazione è sempre possibile, in maniera tale che il soggetto può sganciarsi dalla serietà affrontando nell'angoscia la propria libertà. In compenso, il soggetto folle che Lacan definisce nel 1946 come infatuato non può nientifìcare ciò che è. Non esiste più alcuno scarto tra l'io e l'essere del soggetto. «Qui il momento di viraggio è dato dalla mediazione o dall'immediatezza dell'identificazione, e, diciamo la parola, dall'infatuazione del soggetto»34. Diremo così che il carattere delirante della credenza risiede in questa svolta, dalla serietà ali' infatuazione35, dal momento che il soggetto è totalmente assorbito dalla logica dell'io, che lo conduce a paralizzare il suo essere. Se Lacan si riferisce allora a Cartesio per dimostrare la credenza delirante, ne offre tuttavia una lettura che fa eco alle elaborazioni sartriane della malafede. E se opera ugualmente un passaggio attraverso Hegel per definire la follia come una «stasi dell'essere in un'identificazione ideale che caratterizza questo punto con un destino particolare»36 - basandosi qui sulla lettura di Kojève37 -, arriva tuttavia, al termine della sua dimostrazione, a quell'insondabile decisione dell'essere che consideriamo una ripresa della scelta originale sartriana. Tra la credenza degli insensati su cui Cartesio s'interroga e la credenza delirante infatuata rilevata da Lacan, proponiamo dun-

31

J.-P. Sanre, L'essere e il 11ulla,cir., p. 76.

14

J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id, Scrilt~ voi. 1, cit., p.

lS

Ibid.

36 lvi, p. 17

165.

166.

La filosofia hcgcliana è stata oggetto di un'introdu1jone in Francia gra1je a un corso di Alexandrc Kojève all'&:ole dcs Hautcs (;rudcs dal 1933 al 1939, corso al quale Lacan avrebbe assistito (Cfr A. Kojève, llllroduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, Milano 1996).

I. FOLI. IA F. l.lBERTÀ

que di inserire la malafede sartriana, come una versione del misconoscimento che chiarisce il percorso lacaniano. Ricordiamo in che termini Lacan opera la svolta attraverso le Meditazioni metafisiche di Cartesio nei suo Discorso sulla causalità psichica. Non è un caso, nota, che muovendo alla ricerca della verità, Cartesio incontri la questione della follia - perché la follia poggia proprio su un certo rapporto con la verità. È nella sua prima meditazione che Cartesio evoca gli insensati ai quali potrebbe compararsi, rispetto alla sua impresa stravagante di messa in dubbio della totalità della sua esperienza del mondo. «E come potrei negare che queste mani e questo corpo siano miei? se non può essere che mi consideri simile a certi pazzi che hanno il cervello così sconvolto e offuscato dai neri vapori della bile, da sostenere fermamente di essere dei re, mentre sono dei poveracci, vestiti d'oro e di porpora, mentre sono nudi o immaginano di essere delle zucchine o di avere un corpo di vetro. Ma costoro sono dei folli, ed io non sarei meno stravagante, se mi regolassi sui loro esempi»3 8 • Alla ricerca di un'idea vera, Cartesio si interroga improvvisamente sul carattere insensato del suo percorso. Abbandonando il mondo della certezza sensibile, non è sul punto di sprofondare nella follia? Perché supporre che ciò che esiste non esiste, come egli fa, significa, come per il folle, credere che «ciò che non esiste» esiste. Nel 1964, nella sua tesi di dottorato, Foucault s'interrogherà ugualmente sullo statuto della follia a partire da quest'incontro cartesiano, ma non ne trarrà le stesse conclusioni di Lacan. Nell'elaborazione cartesiana del rischio della follia, vedrà il paradigma dell'atteggiamento razionalista nei confronti della follia. «Il procedere del dubbio cartesiano sembra testimoniare che nel XVII secolo il pericolo si trova scongiurato e che la follia viene posta fuori dal dominio d'appartenenza nel quale il soggetto detiene i suoi diritti alla verità: questo dominio, che per il pensiero classico, è la ragione stessa»39, scriverà. Secondo Foucault, con Cartesio la follia si vede allontanata dall'umano e rigettata nell'inumano, dal momento che il soggetto alla ricerca della verità si definisce attraverso la ragione. Prima di Foucault, Lacan scorge invece nel testo cartesiano una verità sull'esperienza della follia, perché è proprio «la molla essenzia-

38 31

R. Dcscartcs, Medita~oni metafisiche, l..atcrza, Bari-Roma 1997, p. 29. M. Foucault, Storia della follia 11ell'età classica, BUR, Milano 201 ,, p. 116.

J. CON1"1NCENZA

DI UNA DECISIONE DELL'F.SSERE

79

le della credenza»4° che costituisce la chiave dell'enigma della follia. Cartesio lo indovina quando s'interroga sulla propria follia, allorquando corre il rischio di far credere a se stesso che tutto ciò che esiste non esiste. Per Lacan la causalità essenziale della follia risiede precisamente in questo rapporto con ciò che si può credere e con ciò che si può far credere a sé stessi. In che senso il folle è folle? È semplicemente perché si prende per colui che non è? È semplicemente perché si sbaglia su ciò che è? «Si può certamente dire che il folle si crede altro da chi è, come lo ritiene la frase su «coloro che si credono vestiti d'oro e di porpora» in cui Descartes si conforma alle storie più aneddotiche di pazzi [... ]. [Ma] conviene rimarcare che se un uomo che si crede re è pazzo, un re che si crede un re non lo è meno»41 • Essere folle, indica qui Lacan sulla scia di Pascal, non è solamente credere che si è ciò che non si è, ma è anche credere che si è davvero ciò che si è. Essere folle, per Lacan che rilegge Cartesio, significa prendersi veramente per ciò che si è, insomma, credersi, «come si dice in francese», o ancora credervisi, come si dice correntemente. Che ne è della fede dell'alienato secondo Lacan? Esattamente come il re che si crede veramente re è folle, nel senso che si prende per il re - come prova «l'esempio di Luigi II di Baviera e di talune altre regali persone, e il "buon senso" comune in nome del quale si esige a buon diritto dalle persone poste in questa situazione "che giochino bene il loro ruolo"»4 2 senza che comunque ci credano troppo - il soggetto alienato è folle nella misura in cui si prende senza mediazione per ciò a cui si identifica. Si tratta di chiarire perché siamo infastiditi di fronte a coloro che non si accontentano di giocare bene il loro ruolo, ma che hanno inoltre fede in questo. Non è giustamente perché si percepisce che essi credono in qualcosa dell'umano che contraddice la specificità dell'esistenza umana? Non è perché credendoci per davvero, sfuggono a una dimensione della condizione umana, ossia la libertà, secondo la quale nessun essere umano può accedere al modo d'essere dell'insé? Come lo enuncia Lacan, l'alienato sembra infatuato da se stesso, interessato sul serio a ciò che meriterebbe di essere interrogato e ri◄0

J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Id., Scri16, vol. 1, cit., p. 1 57.

•• lvi, pp. 164-165. •• lvi, p. 165.

80

I. FOLLI/\ E LIBER1"À

messo in dubbio. È nell'identificarsi con enfasi a ciò che è che il folle delira ed è esattamente ciò che si percepisce. Qui si situa la frontiera tra il misconoscimento comune, che si potrebbe anche chiamare come Sartre la malafede, e la credenza delirante. La prospettiva scelta da Lacan per mostrare che la follia non è un disadattamento alla realtà, ma una modalità della credenza, ci sembra quindi potersi inscrivere nella filiazione della prospettiva sartriana della malafede. Ne L'essere e il nulla, Sartre ha ben spiegato in quale senso il rapporto di un essere con ciò che è, con il suo ruolo, con il suo impegno, si potrebbe dire con una metafora teatrale, è un rapporto di credenza, che si articola all'angoscia costitutiva dell'esistenza. E questo perché Sartre non dà alla malafede il significato che ha per il senso comune. Colui di cui si dice, nel linguaggio corrente, che è in malafede, non è lui stesso vittima della sua malafede; questa si indirizza di più agli altri che a lui stesso. Ora, nella prospettiva dell'ontologia fenomenologica, la malafede è un rapporto del per-sé con se stesso, nonostante si manifesti per altri. Ciò che prevale nella malafede sartriana, è il rapporto che il soggetto mantiene con ciò che crede di essere. Ritorniamo sul celebre testo di Sartre sulla malafede del cameriere. «Consideriamo questo cameriere. Ha il gesto vivace e pronunciato, un po' troppo preciso, un po' troppo rapido, viene verso i consumatori con un passo un po' troppo vivace, si china con troppa premura, la voce, gli occhi esprimono un interesse un po' troppo pieno di sollecitudine per il comando del cliente[...]. Tutta la sua condotta sembra un gioco. Si sforza di concatenare i movimenti come se fossero degli ingranaggi che si comandano l'un l'altro, la mimica e perfino la voce paiono meccanismi; egli assume la prestezza e la rapidità spietata delle cose. Gioca, si diverte. Ma a che cosa gioca? Non occorre osservare molto per rendersene conto; gioca ad essere cameriere»43. Ora giocare a essere significa anche credere che si è veramente, effettivamente, identificarsi così intimamente al proprio ruolo che si arriva a prenderlo per il proprio essere. Il cameriere che vuole incarnare l'essenza stessa del cameriere ha così una condotta di malafede. Crede realmente che è il cameriere, e i suoi gesti, il suo corpo, la sua voce traducono questa credenza. Bisogna sottolineare bene che Sartre non definisce questa condotta a partire da una mancanza di since0

J.-P. Sartre, I:essere e il 11ulla, cit., p. 96.

3. COl'll'INGF.NZ/\ DI UNI\ DECISIONE DELL'F.SSF.RE

rità verso gli altri e verso se stessi. Il «vero problema della malafede proviene evidentemente dal fatto che la malafede è fede», afferma. In seno a questa fede, è una questione di verità e più precisamente del rapporto ambiguo dell'essere con la verità; perché «nella malafede, è a me stesso che maschero la verità»44. Ma di quale verità si tratta? Si tratta secondo Sartre della verità di ciò che sono: un nulla d'essere, ossia un essere libero. Si tratta quindi della verità della mia angoscia, perché «l'angoscia come manifestazione della libertà di fronte a sé significa che l'uomo è sempre separato per un nulla dalla sua essenza». Ora, precisamente, la malafede è proprio un atteggiamento che permette di sfuggire all'angoscia suscitata da questo nulla d'essere all'interno dell'essere. IJ re che si crede re è in malafede, nel senso che tenta di annullare in se stesso il nulla che lo separa dalla sua essenza. Gioca ad avere un'essenza che precederebbe la sua esistenza, come se fosse una cosa. Un re che si crede un re è dunque un folle, perché nega la condizione stessa della sua libertà. Nega il fatto che la sua esistenza non è definita da alcuna essenza. Ma esattamente come il folle non riconosce le sue produzioni nelle allucinazioni, l'essere in malafede non riconosce la propria credenza nel suo modo di prendersi per ciò che è. Crede di essere in buona fede, perché crede nella sua credenza. La credenza di malafede non è dunque dell'ordine «di una decisione riflessiva e volontaria»45. La concezione sartriana della malafede avrebbe questo in comune con la concezione lacaniana della credenza delirante: nemmeno il folle decide in modo riflessivo di credere alle sue allucinazioni. Il misconoscimento è comune alla malafede e alla credenza delirante. Poiché si è in malafede, ci si aggrappa alla malafede come al proprio essere, perché è l'atteggiamento che si è trovato per sfuggire all'angoscia suscitata dall'indeterminatezza della propria esistenza. Proprio come la credenza delirante risulta, per Lacan, da un'insondabile decisione dell'essere, per Sartre questo «primo progetto di malafede è [... ] una determinazione spontanea del nostro essere»46. Il nostro essere si decide a essere ciò che è, senza riflessione né conoscenza di questo progetto. Questo progetto è spontaneo in quanto è dell'ordine di un movimento dell'essere verso l'in-sé,per trovarvi un rifugio lenitivo. Non servirebbe a niente inveire contro il cameriere domandandogli perché si prende .. lvi, pp. 85, 105. J. Lacan, li Seminario. Libro Il. L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, cit., p. 178.

3. AL DI

LÀ OF.LI.'IO, ILSOCCbTIO OF.Ll.'INCONSCIO

forma è per se stessa qualcosa che provoca l'angoscia»33. Questo momento di disorganizzazione dell'immagine, di incontro con l'informe, esprime dunque, al di là dell'immaginario, l'angoscia di Freud rispetto al trattamento di Irma. Qualcosa come una realtà mostruosa sorge al cuore del sogno, rivelando dietro la dimensione immaginaria un'altra dimensione che non è più nascosta e che, per l'angoscia stessa che suscita, testimonia di una verità inconscia. Freud nel suo sogno supera questo momento d'angoscia facendo intervenire come rinforzo il piano immaginario. «Chiamo subito il dottor M ... »34. Attorno alla visione orribile di ciò che si nasconde sul fondo della bocca di Irma, vengono a raggrupparsi altri uomini. L'ego di Freud è da situarsi, non già a livello del sognatore stesso e del suo desiderio, ma a livello degli alter ego che emergono nel sogno come tanti doppi di Freud. Il Dr. M ... , Otto e Leopold sono secondo Lacan delle figure immaginarie di Freud stesso. «Questi personaggi sono tutti significativi in quanto sono personaggi dell'identificazione in cui risiede la formazione dell'ego»35. Ma non è qui la posta in gioco del sogno. Se l'iniezione fatta a Irma è un'esperienza cruciale nella teorizzazione del sogno, è precisamente perché non si tratta solo di un sogno dell'ego di Freud messo in scena di fronte ai suoi pari. È nel terzo tempo che Lacan fa sorgere l'incontro con l'ordine simbolico in quanto tale. A partire da quest'ultimo tempo, l'immaginario si fa da parte per far sorgere la dimensione simbolica in tutta la sua purezza significante, nella forma di una parola che appare in grassetto nel sogno: trimetilammina. Se non operiamo alcuna distinzione tra l'ego e il soggetto che parla, tra l'asse immaginario e l'asse simbolico, quest'ultimo tempo del sogno resta indecifrabile. Che desiderio soddisfa? Da dove viene questa formula? Perché Freud la scorge nel suo sogno, non soltanto come un significante che si scrive, ma anche come una formula chimica? Il punto è che, dietro queste identificazioni immaginarie che il sogno fa sorgere, emerge l'interrogazione del soggetto. In effetti, «dietro tutto questo, c'è il Freud che sogna essendo un Freud che cerca la chiave del sogno. Ecco perché la chiave del sogno

H lvi, pp. 178-179.

S. Freud, L'i11terpretazio11e dei sogni, in Id., Opere, voi. lii., cit., p. 108. J. Lacan, Il Semill4rio. Libro Il. L'io nella teoria di Freud e 11ella tecnica della psicoanalisi, cit., p. 180. 14 31

1 44

Il. Il. SOGGhTrO F. l.'10

deve essere identica alla chiave della nevrosi» 36• Interrogandosi sulla nevrosi di Irma, a partire dal fallimento della cura, Freud si interroga sulla nevrosi isterica attraverso il sogno. Il suo sogno diviene nello stesso tempo il luogo in cui ci si interroga circa l'essenza del sogno. È un sogno che si avvolge su se stesso per dare una risposta a ciò che significa un sogno. Trimetilammina: «Come un oracolo, la formula non dà risposta a chicchessia. Ma il modo stesso con cui si enuncia, il suo carattere enigmatico, ermetico, è la risposta alla questione del senso del sogno. [... ) Non c'è altra parola, altra soluzione al vostro problema, che la parola». La formula trimetilammina apparentemente non dice nulla e non sembra aver rapporti con la psicoanalisi. Non è altro che una formula chimica. Tuttavia è su di essa che il sogno si chiude come in uno spettacolo finale che risponderebbe finalmente ad una questione posta al cuore del sogno. Il soggetto dell'inconscio è «un Freud che ha attraversato il suo momento più grande di angoscia, in cui il suo io si identificava al tutto nella sua forma più incostituita. È letteralmente sgattaiolato via, ha fatto appello, come egli stesso scrive, al consesso di tutti coloro che sanno. È svanito, riassorbito, abolito dietro di loro. E infine un'altra voce prende la parola»37. Da dove viene in effetti questa formula chimica? Non è più una parola che esce dalla bocca di Irma, non è più una parola di Freud e non è neppure più una parola del Dr M ... , di Otto o di Leopold. È una parola che viene da altrove, una parola che viene da un altro ordine e che scrive trimetilammina come se fosse una verità al di là di tutti i discorsi dei protagonisti del sogno. «Questo sogno ci insegna che ciò che è in gioco nella funzione del sogno è al di là dell'ego. L'inconscio è ciò che nel soggetto è del soggetto e non è del soggetto». Se questo sogno costituisce per Freud un passo decisivo nella sua ricerca sull'interpretazione del sogno, è perché non si tratta solo di un sogno che gli parla delle sue angosce e dei suoi desideri, ma di un sogno che evidenzia un'angoscia e un desiderio al di là di ogni attribuzione specifica. Svela la stessa struttura del sogno. «Il vero valore inconscio del sogno, quali che siano gli echi primordiali e infantili, è la ricerca della parola, l'affrontare direttamente la realtà segreta del sogno, la ricerca del significato in 36 IVI, . 37 lvi,

p. I 82., p. 183.

3. AL DI LÀ DELL'IO, ILSOGGbTIO DELL'INCONSCIO

1 45

quanto tale». La ricerca del significato si formula dunque solo come confronto a ciò che vuole dire una formula. È in breve un voler-dire allo stato puro, un voler-dire senza nessuno che vuole dire, un voler dire inaugurale, radicale, pura manifestazione significante che rinvia al soggetto in quanto «vuole dire»3 8 • È dunque la trascendenza dell'ordine simbolico che si impone al di là di tutti gli ego diffratti gli uni negli altri. Mentre l'io di ogni personaggio si inscrive allo specchio in rapporto agli altri, mentre l'io è raddoppiato da un alter ego sia differente che somigliante, il soggetto dell'inconscio attraversa questa barriera immaginaria e si articola tramite una formula scritta che non vuol dire nient'altro che il fatto stesso che si scrive. Il sogno appare per quello che è: una parola inconscia proveniente da un ordine che funziona al di là dell'individuo e che si depone al cuore di ciascuno sotto la forma di una scrittura di cui non si conosce il significato. «Se c'è un'immagine che potrebbe rappresentare la nozione freudiana di inconscio è proprio quella di un soggetto acefalo, di un soggetto che non ha più ego, che è all'estremità dell'ego, decentrato rispetto all'ego, che non è più dell'ego»39. Paradossalmente, il soggetto, come Lacan lo designa al centro del sogno dell'iniezione ad Irma, non è più il soggetto Freud, è un soggetto al di là di Freud stesso. Chi parla attraverso la formula della trimetilammina se non l'inconscio di Freud, poiché è l'inconscio che lo attraversa? È questo il senso della scoperta freudiana in questo sogno, scoperta che lo oltrepassa e che la psicobiografia non può cogliere cercando di ricondurre il sogno alle sole ambizioni di un uomo che voleva dimostrare l'esistenza dell'inconscio. «Sono colui che vuole essere perdonato per aver osato cominciare a guarire questi malati; che finora non si voleva comprendere e che ci si vietava di guarire. Sono colui che vuol esser perdonato per questo. Sono colui che vuole non esserne colpevole, perché essere colpevole vuol sempre dire trasgredire un limite fin lì imposto all'attività umana. Non voglio esserlo. A posto mio, ci sono tutti gli altri. Non sono lì che il rappresentante di quel vasto, vago movimento che è la ricerca della verità, in cui io mi cancello. Non sono più nulla. La mia ambizione è stata più grande di me. La siringa era senza dubbio 13

J.-A. Millcr, li monologo dell'apparo/a, cit., p. 2.5. J. l.acan, li Seminario. l.ibro Il. l,'io 11ella teoria di Freud e 11ella tecnica della psicoanalisi, cit., p. 193. 19

11. 11. socc~:n-o E 1.'10

sporca. Proprio nella misura in cui l'ho troppo desiderato, in cui ho partecipato a questa azione, in cui ho voluto essere, io, il creatore, non sono io il creatore. Il creatore è qualcuno più grande di me. È il mio inconscio, è la parola che parla in me, al di là di me»4°. Ecco come, in modo poetico e facendo risuonare il dramma di Freud, Lacan riscrive il testo sacro del sogno. Questo testo sacro si scrive al di là del creatore ed è per questo che è sacro. Là dove i post-freudiani si lasciano affascinare dal potere dell'io, Lacan dimostra la destituzione dell'io al centro stesso del sogno di Freud. Il suo ego è oltrepassato dalla formula della trimetilammina, formula che non è detta da nessuno e che iscrive l'umano nell'ordine simbolico come una trascendenza alla quale è sottomesso. Freud non è il creatore dell'ordine simbolico. Si eclissa dietro la grandezza della sua scoperta per non esser altro che il destinatario di un messaggio che formula il segreto del sogno. Questo segreto è quello che la formula scrive silenziosamente, che non vuol dire nient'altro che il fatto stesso di dirsi. Il linguaggio fa così di ciascuno di noi delle macchine sognanti, degli esseri attraversati da un ordine più grande di noi stessi, a partire dal quale il soggetto deve farsi riconoscere. Questa magistrale analisi che Lacan propone del sogno dell'iniezione fatta a Irma, all'interno di due sue lezione del Seminario sull'io, ci sembra testimoniare la portata ontologica dello strutturalismo lacaniano. Lacan risponde alla domanda: che cosa è incontrare l'inconscio? Mostra che l'incontro della dimensione dell'inconscio mette in gioco l'essere, poiché non è solo assoggettamento alla struttura, ma emergenza della dimensione del soggetto nel punto stesso della scoperta dell'ordine simbolico come incontro con una trascendenza. Lacan lo dimostra, ciò che c'è di più soggettivo in Freud- la sua domanda sul senso del sogno - scopre la trascendenza, che non è Dio, ma l'ordine simbolico. Il rapporto con l'ordine simbolico è dunque descritto da Lacan come un incontro con un ordine che strappa in qualche modo l'essere all'immanenza. Mostra concretamente, attraverso l'interpretazione di questo sogno esemplare, come l'essere del soggetto è preso nell'ordine simbolico e come il sogno in quanto discorso del soggetto permette di oltrepassare la barriera dell'immaginario. La trascendenza dell'ordine simbolico è ciò che Freud scopre nel sogno dell'iniezione a Irma ed è ciò di cui ciascuno può fare esperienza in analisi.

•• lvi, p. 197.

J. Al, DI I.À DEI.L'IO, 11.SOGG~TrO DELl.'INCONSCIO

1

47

Una struttura agganciata al soggetto che la vive

L'apporto proprio di Lacan è di aver interpretato l'inconscio di Freud a partire dalla linguistica strutturalista. Questa concezione dell'inconscio a partire dalla struttura del linguaggio marca lo stile dell'età d'oro dell'insegnamento di Lacan, interamente incentrato sulla supremazia della funzione simbolica. Ma l'apporto proprio di Lacan è inoltre quello di non aver disgiunto la struttura dal soggetto che la vive. Con lui la psicoanalisi diventa un'esperienza soggettiva della struttura in quanto determina l'essere, fino al punto in cui può farsi agente di ciò che in lui si articola. Ecco ciò che conferisce allo strutturalismo di Lacan una dimensione ontologica singolare. È vero che l'autonomia del significante permette a Lacan di pensare che c'è nell'uomo qualcosa di simile al funzionamento di una macchina. «La macchina è la struttura, ma staccata dall'attività del soggetto. Il mondo simbolico è il mondo della macchina». La struttura funziona, e in un certo qual modo, funziona da sola. L'uomo è allora per Lacan più vicino al mondo della macchina che al mondo animale, poiché una macchina, come un uomo, è fabbricata a partire dalle parole. «La macchina incarna la più radicale attività simbolica dell'uomo»4'. Lacan rende così omaggio a Freud come colui che ha scoperto «il funzionamento del simbolo come tale, la manifestazione del simbolo allo stato dialettico, allo stato semantico, nei suoi spostamenti, bisticci, giochi di parole, sciocchezze che funzionano da sole nella macchina per sognare». La trimetilammina è ciò che la macchina per sognare scrive autonomamente nel sogno di Freud. È il sogno come libero dispiegamento dell'autonomia del significante. Ora, se l'ordine simbolico sottomette il soggetto a un funzionamento simile a quello di una macchina, non fa di lui, tuttavia, una macchina. Poiché «in una macchina se qualcosa non arriva a tempo semplicemente cade e non fa rivendicazioni. Nell'uomo non è la stessa cosa, la scansione è vivente, e ciò che non è arrivato a tempo resta sospeso. Di questo si tratta nella rimozione»4~. Ciò che distingue l'uomo dalla macchina è il carattere vivente della catena significante inconscia, che non si soddisfa del semplice meccanismo. Fin quando ciò che vuol

4 ' lvi, pp. 56, 87, 89. •• lvi, p. 353.

Il, IL SOGGETTO E L'IO

dire non viene inteso, fin quando la terza persona non passa alla prima persona, c'è insistenza del messaggio e ripetizione significante. Ciò che si ripete in ciò che si dice non è dunque ripetizione inutile, semplice ridondanza, ma evocazione che fa risuonare la dimensione dell'inconscio il quale, dall'altra parte del muro del linguaggio, cerca di farsi intendere. L'interpretazione deve così poter far emergere ciò che ritorna. Nella macchina la funzione del linguaggio è d'informare, ma in psicoanalisi «la funzione del linguaggio non è quella di informare ma di evocare»43. Ciò che non cessa di ritornare è precisamente ciò che, all'interno della ripetizione stessa, distingue l'essere umano dalla macchina: la ripetizione chiede di articolarsi alla parola per scomparire come ripetizione. «Indubbiamente, qualcosa che non è stato espresso non esiste. Ma il rimosso è sempre fi, che insiste, e chiede di essere. Il rapporto fondamentale dell'uomo con l'ordine simbolico è proprio quello che fonda l'ordine simbolico stesso - il rapporto del non-essere con l'essere»44. Il rimosso è questo non-essere che chiede di essere parlato, questa terza persona che chiede di trasformarsi in prima persona. Ciò che c'è di più estraneo all'essere umano, quest'ordine simbolico che lo attraversa e lo attacca «ad un lembo di discorso più vivo della sua stessa vita»45, è anche ciò che gli è più intimo. Poiché «questo lembo di discorso ciascuno di noi, non avendolo potuto proferire con la bocca, è condannato, per tracciarne la linea fatale, a farne alfabeto vivente». Il soggetto dell'inconscio alla terza persona è questo alfabeto vivente che ci fa essere senza saperlo. È un lembo di discorso che si articola attraverso la nostra esistenza e ci fa ripetere un testo che noi non conosciamo. Il sintomo è questo lembo di discorso a cui il nostro essere è rimasto attaccato. Proferirlo con la bocca, aprire la bocca per parlare - ciò che Irma rifiutava di fare con Freud mettendo anche in scacco il trattamento - permette di restituire il loro significato a questi geroglifici silenziosi che sono i significanti inconsci. È sganciarsi da questo lembo di discorso che ci attraversa facendolo passare alla prima persona al fine di trovarne il significato. Ricucendo la struttura al soggetto che la vive, Lacan ha testimoniato la presa dell'essere nel simbolico. La struttura ricollegata al soggetto che 0

)» 11• È questo il senso reale che dà all'esperienza dell'Unheimlichkeit. «L'Unheimlichkeit è ciò che appare nel posto in cui dovrebbe stare meno-phi. Tutto parte, in effetti, dalla castrazione immaginaria, poiché non c'è, e non a caso, un'immagine della mancanza. Quando qualcosa appare lì, significa dunque, se posso esprimermi così, che viene a mancare la mancanza». In questo luogo in cui la mancanza viene a mancare, il soggetto cade come schiacciato da questo di-troppo al quale non ha i mezzi per rispondere. La stimolazione pulsionale lo mette in pericolo di cancellarsi, come il protagonista di Maupassant che vede scomparire il suo riflesso nello specchio, sotto l'effetto della presenza invasiva di un essere senza nome. Per Lacan - fedele in questo alla tradizione esistenzialista - la mancanza deve essere riconosciuta come il punto di appoggio da dove il soggetto può costituirsi; ma ancora per lui superando così la tradizione esistenzialista -, l'angoscia appare come ciò che minaccia di far scomparire, nello stesso tempo, la mancanza e il soggetto stesso. Partito dall'esperienza concreta dell'angoscia articolata all'oggetto angosciante, Lacan fa di quest'oggetto ciò che viene ad annullare la mancanza. Se, per Sartre con Kierkegaard, l'angoscia è angoscia davanti al nulla come esperienza della libertà, per

'

0

J.-A. Millcr, !,'angoscia. lntrodUJ;ioneal Semi11ario X di Jacques lAcan,cit., p. 88.

'' J. 1.acan, li Seminario. Ubro X. l,'angoscia, cit., p. 46.

4. IL SOGG~TrO ANGOSCIATO, UN SOGGE1TO IN PERICOLO

2. 13

Lacan, l'angoscia è angoscia davanti alla mancanza della mancanza, come rischio di abolizione del soggetto. Questo nuovo oggetto, proposto da Lacan con lo scopo di chiarire il significato dell'angoscia, conduce allo stesso tempo a rivedere il senso del rapporto tra il soggetto e l'Altro. Concepito a partire dalla dimensione dell'angoscia, il rapporto con l'Altro non è più il luogo di una sintesi dialettica in seno alla quale il soggetto può definirsi a partire dal desiderio dell'Altro, come ciò che gli permette di cogliersi come riconosciuto e compiuto. Al contrario, nella prospettiva non significante dell'angoscia, il rapporto ali'Altro è discordante, disarmonico, sconcertante, poiché «non so quale oggetto a io sia per il desiderio dell'Altro» 12.. Per illustrare le modalità di emergenza dell'angoscia nel rapporto con l'Altro, Lacan propone un apologo che mette in scena la dimensione dello sguardo, nell'incontro con l'Altro. «Indossando io stesso la maschera animale di cui si riveste lo stregone della grotta dei Tre Fratelli, mi ero immaginato, in vostra presenza, di trovarmi di fronte a un altro animale, vero però, supposto per l'occasione di dimensioni gigantesche: una mantide religiosa. Dato che non sapevo quale fosse la maschera che portavo, potete facilmente immaginare che non mi sentivo affatto rassicurato di fronte all'evenienza che la mia maschera si prestasse a trarre in inganno la mia partner circa la mia identità. La cosa era accentuata dal fatto, che avevo aggiunto, che non vedevo la mia immagine nello specchio enigmatico del globo oculare dell'insetto»1 3. In questa favola lacaniana, l'incontro con l'altro prende un andamento tanto più inquietante in quanto l'altro è così radicalmente Altro da non avere più niente di umano. È così, nella figura spaventosa di una mantide religiosa gigante, Lacan sceglie di spiegare l'emergenza dell'angoscia in presenza dell'Altro. La mantide è nota per la sorte che riserva al suo partner dopo l'accoppiamento: lo divora. La tematica scelta da Lacan evoca l'angoscia maschile di fronte al desiderio femminile nell'amore, che potrebbe apparire altrettanto minaccioso quanto la condotta della mantide religiosa nei confronti del maschio. Questo apologo ci fa allora afferrare che con l'incontro con I'Altro, il soggetto è in pericolo. Non si tratta solo della scoperta inquie-

,. lvi, p. 356. '' lvi, pp. 7-8.

lii. L'ANGOSCIA LACANIANA

tante di una dimensione del mio essere di cui non sono il fondamento, come per Sartre, ma della scoperta di una dimensione del mio essere-oggetto a per l'Altro in quanto non so ciò che potrà arrivare a fare di me. Altrimenti detto, colui che mi guarda, «Che vuole da me?»'4. Questa finzione mostra che essere sotto lo sguardo dell'Altro, è angosciarsi per non sapere quale oggetto sono per lui, nel senso che l'Altro mi vuole qualcosa senza che io sappia cosa. L'interrogazione del soggetto catturato da questa esperienza porta così sul desiderio dell'Altro. Lacan mostra dunque il «rapporto essenziale tra l'angoscia e il desiderio dell'Altro»• s. Contrariamente alla lettura hegeliana del desiderio, che condurrebbe a un riconoscimento dell'Altro che mi permette un'assunzione della mia soggettività, Lacan afferma nel 1963: il «desiderio dell'Altro non mi riconosce. [... ] In verità non mi riconosce né mi misconosce. Sarebbe troppo facile, potrei sempre uscirne con la lotta e la violenza. Mi chiama in causa, mi interroga alla radice stessa del mio desiderio, mio in quanto a, in quanto causa di tale desiderio e non in quanto oggetto» 16. Quest'Altro che non mi riconosce, ma che tuttavia mi desidera, fa sorgere l'angoscia. Non posso cavarmela considerando che l'Altro mi misconosce, poiché il suo desiderio mette in causa ciò che sono, senza che io possa afferrare a partire da cosa. Non sapere cosa l'Altro desidera da me, desidera in me, per o contro di me, non è sapere cosa causi questo desiderio di me presso l'Altro. È essere confrontato a un oggetto a, che io stesso sono per l'Altro, e che è all'origine del suo desiderio. Come formula J.-A. Miller, «quello che Lacan elabora in questo seminario è un oggetto che è condizione del desiderio, e questa condizione è distinta dall'intenzione. È la condizionalità del desiderio in rapporto a ciò che era la sua intenzionalità» 17. Questo oggetto a è dunque sia l'oggetto che causa il desiderio che l'oggetto davanti al quale sorge l'angoscia. È la condizione del desiderio in quanto è disgiunta dall'oggetto del desiderio. È il punto da cui il desiderio emerge per prendere di mira un oggetto che potrebbe rispondere alla sua realizzazione. È dal luogo •• Jbid.

•s Jbid. '' Iv,,. p. J 6 s,, J.-A. Millcr, [,'angoscia. llltroduzioneal Semi,iario X di Jae,ques lAca1i, cit., p. 75.

4. Il. SOCCElTO ANCOSCIIITO, UN SOCCE'ITO IN PERICOI.O

in cui divento quest'oggetto causa del desiderio per l'Altro che posso provare, nell'angoscia, la sua presenza come fonte di pericolo. Lacan sostiene che questo è uno degli elementi nuovi che apporta rispetto all'elaborazione freudiana dell'angoscia come segnale. «Se esso si accende a livello dell'io, è perché il soggetto sia avvertito di qualcosa, ovvero di un desiderio, vale a dire una domanda che non concerne nessun bisogno, che non riguarda nient'altro se non il mio essere stesso, in altri termini: che mi mette in questione» ,s. È a questo punto che Lacan coglie il senso dell'angoscia come segnale. Il segnale dell'angoscia mi avverte della presenza del desiderio dell'Altro, che mi mette in questione, in quanto ciò che vuole da me è ciò che sono. La domanda dell'Altro diventa angosciante quando non rinvia più a nessun oggetto del dono, a nessuna cosa suscettibile di entrare nella sfera degli scambi, ma si indirizza al mio essere, a ciò che dovrei essere in grado di dare interamente per rispondervi.

LA cessione dell'oggetto

L'elemento nuovo che Lacan apporta, nel momento in cui precisa la natura del pericolo di fronte al quale l'angoscia sorge, deriva dall'approccio al soggetto come emerge prima di essere un soggetto che parla, che domanda, che desidera. Il soggetto che non è ancora niente per lui-stesso, arriva a esistere separandosi da ciò che gli appartiene. Con l'esperienza del turbamento determinato dall'angoscia, Lacan accede a un soggetto precedente alla soggettività, a un soggetto che deve cedere un pezzo del suo corpo per entrare nel mondo dell'Altro. L'analisi del turbamento, abbozzata all'inizio del Seminario, è ripresa e completata al termine di questa ricerca; svela il significato di ciò che Lacan chiama cessione dell'oggetto, che introduce il soggetto all'angoscia, al di qua del desiderio dell'Altro. La discriminazione che Lacan opera tra l'emozione, il turbamento e l'affetto, al fine di fare avvenire l'elemento «angoscia» in tutta la sua purezza, raggiunge il suo apice nel capitolo XXIII. Quest'analisi finale è il punto di arrivo dell'interrogazione inaugurale di Lacan sull'angoscia. ' 8 J. l.:ican, Il Seminario. Libro X. L'a11goscia, cit., p. 165.

2.16

lii. L'ANGOSCIA UCANIANA

Lacan ricorda l'etimologia di turbamento (émoi), ben distinta da quella dell'emozione (émotion), malgrado la loro prossimità fonetica nella lingua francese. Mentre l'emozione fa riferimento al movimento fuori di qualche cosa, come abbiamo visto precedentemente, l' «etimologia di émoi, turbamento, deve essere cercata da tutt'altra parte, in un esmayer che si riferisce a una radice germanica primitiva, il mogen, magan. Si tratta di qualcosa che pone fuori. Fuori da che cosa? Del principio del potere. Vi è dunque un enigma attorno a un termine che non è privo di rapporto con la potenza» •9. Lacan sottolinea la dimensione di perdita, di caduta, di impotenza, del soggetto nel turbamento, che fa eco alla traduzione tedesca del termine Hilfl.osigkeit. Turbato, il soggetto non si sostiene più allo stesso modo nel mondo. Il terreno sul quale si radicava viene meno e gli fa perdere l'equilibrio. È senza appoggio. Il turbamento rinvia così a una forma di sconforto che è assente nell'emozione. Lacan interpreta questo effetto del turbamento come caduta e perdita a partire da ciò che si produce al di fuori di me: «forse abbiamo qui qualcosa dell'ordine del fuori di me o del fuori di sé. Occorre quasi riferirsi al calembour et moi, e io, che è un punto di vista di non minore importanza» 20• li turbamento abbandona in un certo qual modo il soggetto a una interrogazione sulla sua presenza. Cet moi? che Lacan fa apparire nel turbamento, fa risuonare l'Hilflosigkeit, la disperazione, l'assenza di ricorso del soggetto turbato. Così, l'angoscia sarebbe da afferrare a partire da un fuori di sé che produce un turbamento nel soggetto. Per Lacan c'è l'oggetto dell'angoscia, ce lo addita: è là. È l'oggetto davanti al quale il turbamento si impadronisce del soggetto, che si ritrova confrontato a un pezzo del suo essere dal quale è come separato. L'oggetto che turba è fuori di me come un pezzo della mia intimità che sarebbe passato all'esterno. Ma «pur essendo collegata al turbamento, l'angoscia non dipende da esso. Al contrario, lo determina. L'angoscia si trova sospesa tra, da una parte, la forma anteriore - se così possiamo dire - del rapporto con la causa, quel Che c'è? che andrà a formularsi come causa, e, dall' altra parte, il turbamento. La causa che, primitivamente, l'angoscia ha letteralmente prodotto, ebbene, il turbamento non può trattenerla». li turbamento, questo scompiglio che fa cadere qual-

'' lvi, p. 340.

'° lbid.

4. IL SOCC~TI"O ANGOSCIATO, UN SOCCE'ITO IN PERICOLO

cosa della potenza del soggetto, è determinato dall'angoscia. L'angoscia è il segnale e la causa di questo turbamento, che non può trattenere gli effetti dell'angoscia e si dà come perdita soggettiva. «Il turbamento, quindi, è coordinato con il momento in cui appare a, momento dello svelamento traumatico in cui l'angoscia si rivela per quello che è, ciò che non inganna. Momento in cui il campo dell'Altro - se così possiamo dire - si spacca e si apre sul fondo. Qual è questo a? Qual è la sua funzione rispetto al soggetto? Se qui possiamo coglierla in un certo senso in un modo puro è, per l'appunto, nella misura in cui, in questo confronto radicale, traumatico, il soggetto cede alla situazione»11. Lacan definisce qui, rispetto al turbamento, la natura del pericolo che l'angoscia segnala al soggetto. Non è il trauma ma, come osserva Freud, i segni premonitori del trauma, ciò che l'annuncia e precede come suo preludio. Ciò che si fende, ci dice Lacan, e fa apparire l'oggetto a, inquietante ed estraneo, è ilcampo dell'Altro. Attraverso un'analogia sorprendente con l'animale, Lacan rende conto di questa crepa angosciante. Prima di lui, Kurt Goldstein, di cui evoca il concetto di reazione catastrofica all'inizio del Seminario X, come abbiamo visto, ha potuto lui stesso affermare: «Se l'animale è messo in un luogo in cui gli è impossibile reagire in maniera ordinaria, vediamo [-] per esempio, quando un animale in libertà è messo in cattività, quando passa dal custode che gli è familiare alle mani di un altro che gli è estraneo, che non lo conosce ancora in ciò che ha di particolare e che, per questa ragione, esige da lui delle operazione che non può compiere - compare l'angoscia allo stesso modo in cui appare nell'uomo che soffre di una lesione cerebrale» u. Sembra proprio che Lacan espliciti la similitudine tra l'angoscia animale e l'angoscia umana a partire dall'osservazione di Goldstein. Da questa osservazione estrapoliamo che esiste un'angoscia dell'animale di fronte alla presenza dell'Altro. Il cambio di custode evocato da Goldstein come la causa dell'angoscia, permette di afferrare che anche l'animale è confrontato alla dimensione inquietante dell'Altro quando questi sorge nel suo ambiente. «Per loro come per noi, vi è qui- enuncia Lacan- la manifestazione di un luogo dell'Altro. È un'Altra cosa che si manifesta in quanto

" lvi, p. 341. K. Goldstcin, 1A structure de l'orga11isme. 11ltroductio11 à la biologie à partir de la pathologie humaine, cit. p. :z.56. 11

:u8

lii. I.' ANGOSCIA I.ACANIANA

tale» 23. Ciò davanti a cui l'animale si angoscia è anche ciò che viene di troppo, che disturba il suo rapporto armonioso con l'ambiente che conosce. «In effetti, nell'angoscia animale si tratta proprio di un al di là del suddetto Umwelt. È del fatto che qualcosa, un terremoto per esempio, o qualsiasi altro incidente meteorico, giunge a far tremare l'Umwelt sin nelle sue fondamenta che l'animale si dimostra avvertito quando è sconvolto». Esattamente come per l'essere umano, Lacan afferma che per l'animale «l'angoscia è ciò che non inganna». L'animale sconvolto non cerca di sapere, ma di fuggire il pericolo che disturba i suoi riferimenti. Si angoscia e questa angoscia gli indica con certezza l'imminenza di un pericolo. L'immagine del terremoto rinvia a quel qualcosa che si apre nell'Altro, facendo apparire l'oggetto a che occupa una funzione singolare nel rapporto con il soggetto. Lacan afferra questa funzione in modo «puro», proprio come Kant afferra i contorni della ragione purificandola da tutto ciò che la ragione non è. Il turbamento risulta dunque dall'apparizione di questo oggetto a che ha per effetto che il soggetto cede alla situazione. Il soggetto non può più resistere a una situazione che lo getta fuori di sé. «Ma che cosa vuol dire, a questo livello, in questo momento, cede? Come dobbiamo intenderlo? Non già che il soggetto vacilli o si pieghi. Ricordatevi l'atteggiamento schematizzato dell'affascinamento del soggetto di fronte alla finestra aperta sull'albero coperto di lupi. In una situazione la cui fissità mette davanti ai nostri occhi il suo carattere primitivamente inarticolabile, ma dalla quale il soggetto resterà tuttavia marchiato per sempre, ciò che si è prodotto è qualcosa che dà il suo vero senso al cede del soggetto. Si tratta letteralmente di una cessione»14. Una cessione è un abbandono. Il soggetto cede alla situazione nel senso che conferisce alla situazione un diritto sul suo essere. Qualcosa di se stesso si trova sacrificata alla situazione. Quest'oggetto sacrificato, è un oggetto che si ritrova fuori di sé, che è come separato dal suo corpo e che si tiene d'ora in poi davanti a lui come un oggetto d'orrore. «Se quello che è maggiormente me stesso si trova all'esterno, non tanto perché l'ho proiettato quanto perché è stato tagliato via da me, i percorsi che prenderò per ricuperarlo offrono tutt'altra varietà» 2 s. •3

J. Lacan, Il Seminario. Ubro X. L'a11gosda, cit., p. 325.

lvi, pp. 341-342. •s lvi, p. 242. 1.4

4. IL SOGG~TrO ANGOSCIATO, UN SOGGE1TO IN PERICOLO

Per definire quest'oggetto che il soggetto ha ceduto nella situazione d'angoscia, che determina il turbamento, quest'oggetto che tenterà vanamente di recuperare, Lacan si riferisce all'oggetto transazionale, quello di cui Winnicott aveva colto lo statuto singolare tra il soggetto e l'Altro. «È un pezzettino strappato a qualcosa, molto spesso un lembo di stoffa, e vediamo bene il sostegno che il soggetto vi trova. Egli non vi si dissolve, anzi vi trova conforto. Vi trova confronto nella sua funzione del tutto originaria di soggetto in posizione di caduta in relazione al confronto significante. In questo caso non c'è investimento di a, c'è piuttosto, se così posso dire, investitura» 1 6. Il soggetto investe l'oggetto transizionale per tenercisi come a un punto di appoggio. Investitura e non investimento, nel senso che il soggetto investe l'oggetto a di una funzione che gli dà dei diritti e una legittimità nuova. Quest'oggetto, svalutato in quanto utensile, non servendo più a niente, è scelto dal soggetto come quello che verrà a rappresentare questo pezzo del suo corpo che gli manca. Si sostituisce alla libbra di carne che il soggetto ha perso per il fatto di essersi dovuto inscrivere come soggetto nel linguaggio. Forte di questa connessione con la concezione esistenzialista della mancanza, Lacan ha precisato l'oggetto davanti al quale l'angoscia sorge e che Freud aveva qualificato come indeterminato. «Freud al termine della sua opera ha designato l'angoscia come segnale. L'ha designata come un segnale distinto dall'effetto della situazione traumatica e l'ha articolata in connessione con quello che egli chiama pericolo, termine che per lui rinvia alla nozione - bisogna ben dirlo, non chiarita - di pericolo vitale. L'elemento originale che avrò elaborato per voi quest'anno è una precisazione sulla natura di tale pericolo. In conformità con l'indicazione freudiana, ma sviluppandola con maggiore precisione, dico che il pericolo in questione è legato al carattere di cessione proprio del momento costitutivo dcli' oggetto a» 1 7. Ciò che mette il soggetto in pericolo è una situazione di fronte alla quale egli abbandona un pezzo del suo corpo sottomesso a un sisma pulsionale al quale non può resistere. L'oggetto a è quindi quest'oggetto che, sotto forma dello sguardo o della voce, dell'oggetto visto o dell'oggetto ascoltato, dell'oggetto che si presenta agli occhi o di •' Iv,,• p. 343. '

7

lvi, p. 355.

2.2.0

lii. L'ANGOSCIA LACANIANA

quello che entra nelle orecchie, strappa al soggetto una parte del suo essere espellendolo all'esterno, abbandonandolo al suo turbamento, di cui non gli resterebbe che il sentimento di essere stato dimenticato nella situazione: nel turbamento, il soggetto, attraverso il suo corpo, tenta vanamente di articolare e io? et moi?, cercando dove si è perso.

Un'esperienza concreta di abbandono «L'angoscia è stata scelta da Freud come segnale di qualcosa. Non dobbiamo forse riconoscere qui il tratto essenziale di questo qualcosa? Ovvero nell'intrusione radicale di un elemento talmente Altro rispetto all'essere vivente umano, qual è per lui il fatto di essere passato nell'atmosfera, che, emergendo in questo mondo in cui deve respirare, è innanzitutto letteralmente asfissiato e soffocato. È quello che è stato chiamato trauma - non ce ne sono altri-, il trauma della nascita, che non è separazione dalla madre ma aspirazione in sé di un ambiente fondamentalmente Altro» 1 8. Nell'ultima lezione del Seminario X, Lacan ritorna a Freud e al suo testo principale sull'angoscia, Inibizione, Sintomo e Angoscia, di cui aveva detto all'inizio dell'anno che trattava di tutto tranne che dell'angoscia. Attraverso questa affermazione finale, che fa ritorno sull'angoscia primaria, l'angoscia della nascita eretta da Otto Rank come paradigma di tutta l'angoscia, Lacan si separa radicalmente dalla prospettiva hegeliana del primo tempo del suo insegnamento. Non siamo più in una logica dell'assunzione soggettiva grazie all'inserimento del logos, ma in una logica del trauma e della separazione che permette di affrontare il rapporto con il linguaggio come traumatico. Pur indicando nel 1926 che non aveva trovato presso Rank un chiarimento sufficiente rispetto alla natura del pericolo che produce l'angoscia, Freud riprendeva la tesi del trauma della nascita, considerandola come uno sforzo legittimo dal punto di vista teorico e clinico per afferrare la natura del pericolo che l'angoscia segnala. «Il processo della nascita è la prima situazione di pericolo, lo sconvolgimento economico che esso produce diventa il prototipo della reazione di angoscia; abbiamo seguito in precedenza la linea di sviluppo che col'8

Iv,,. p. 358·

4. Il. SOCCElTO ANCOSCIIITO, UN SOCCE'ITO IN PERICOI.O

lega questa prima situazione di pericolo e questa prima condizione d'angoscia con tutte quelle ulteriori, e abbiamo visto a questo riguardo che c'è qualcosa che le accomuna, in quanto tutte, in un certo senso, significano una separazione dalla madre, dapprima solo in un senso biologico, poi nel senso di una perdita diretta di oggetto, e più tardi nel senso di una perdita oggettuale mediata, per vie indirette. La scoperta di questa importante connessione è un merito inoppugnabile della costruzione di Ranlc» 2 9. Freud riconosceva così a Ranlc il merito di aver afferrato, in un'analogia luminosa con il trauma della nascita, la struttura della separazione e della perdita alla quale il soggetto è sottomesso in modo ripetuto nel corso della sua esistenza. Con la costruzione del suo oggetto a, Lacan propone una nuova interpretazione del trauma della nascita, come luogo inaugurale dell'incontro con un ambiente fondamentalmente Altro. Non è tanto la separazione dal corpo della madre che sembra primaria per Lacan, quanto l'intrusione dell'Altro nel corpo stesso del neonato dal momento in cui è espulso dal suo ambiente d'origine. E Lacan non disdegna di seguire Ranlc, facendo proprio il suo approccio organico all'angoscia e alla separazione per estrarne delle conclusioni più radicali sul nostro rapporto con l'Altro, ossia il linguaggio. Il trauma dello svezzamento, come ripetizione del trauma della nascita, è riletto da Lacan al fine di definire il punto di emergenza dell'angoscia. «Il momento più decisivo nell'angoscia di cui si tratta - l'angoscia dello svezzamento - non è tanto che il seno possa mancare rispetto al bisogno del soggetto, ma piuttosto il fatto che il bambino cede il seno a cui è appeso come a una parte di se stesso»3°. La lettura dello svezzamento e dell'angoscia che ne segue è inedita. Non si tratta più tanto di una separazione, quanto di una cessione. Il seno è come strappato al bambino che non l'abbandona, ma lo cede come se cedesse una parte di se stesso. Egli sperimenta, allora, una mancanza che non è simbolica, che non è metaforica, ma che tocca il suo stesso corpo, esattamente come provocato dalla nascita e dalla separazione dal luogo uterino e i rivestimenti placentari. «Che possa prendere o lasciare il seno: è qui che produce quel momento di sorpresa più prinùtivo, talvolta percepibile nell'espressione del 19 10

S. Freud, foibizione, sintomo e angoscia, in Id., Opere, voi. x, cit., p. 298. J. l.:ican, Il Seminario. Libro X. L'angoscia, cit., p. 342.

2.2.2.

lii. L'ANGOSCIA UCANIANA

neonato, nella quale, per la prima volta, passa il riflesso - in relazione con l'organo che è ben più di un oggetto giacché è il soggetto stesso - di qualcosa che dà il suo supporto, la sua radice, a quella che in un altro registro è stata chiamata derelizione»3 1 • L'esperienza esistenziale della derelizione, o dell'abbandono, è ripresa da Lacan a partire dalla situazione di sconforto del bambino, l'Hilflosigkeit provata congiuntamente alla cessione dell'oggetto. Nel 1945, nella sua conferenza L'esisten.zialismo è un umanismo, Sartre riprendendo Heidegger, aveva legato questo abbandono all'impossibilità per il soggetto di trovare «né in sé né fuori di sé, possibilità d'ancorarsi»3~. Lacan gli dà un senso reale e corporale, pensandolo come una separazione da quel seno che il bambino trova come una risposta a ciò che gli manca e che investe come una parte di se stesso. Il neonato fa l'esperienza dell'abbandono quando gli si strappa questo oggetto al quale è aggrappato come a un punto di appoggio venuto dall'esterno, ma che sostiene anche il suo corpo dall'interno. Bisogna allora afferrare contemporaneamente che quest'oggetto ceduto è il soggetto stesso e che il soggetto avviene nella derelizione nel luogo stesso di questa cessione d'oggetto. «A questo punto della nostra elaborazione, di che cosa l'angoscia deve allora essere considerata il segnale? Anche qui preciseremo diversamente da Freud il momento in cui viene messa in gioco la funzione dell'angoscia. Situo tale momento come anteriore alla cessione dell'oggetto, allo stesso modo in cui la necessità della sua elaborazione obbliga Freud a porre qualcosa di più primitivo della situazione di pericolo»33. L'angoscia sarebbe dunque il segnale dell'imnùnente cessione dell'oggetto. Avverte il soggetto di una lacerazione prossima, di una separazione, di uno strappo, che si annuncia come una faglia nel suo corpo e nel suo essere. «In modo singolare, tale manifestazione dell'angoscia coincide con l'emergere stesso, nel mondo, di colui che sarà il soggetto. Tale manifestazione è il grido. Ora, per quanto riguarda il grido, ho già individuato molto tempo fa la sua funzione di rapporto, non originario ma finale, con quello che dobbiamo considerare come il cuore stesso dell'Altro, in quanto quest'ultimo, a un certo momento, si compie per noi nella forma del nostro prossimo. Vi prego di soffermarvi un istante sul paradosso )O

Jbid.

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J.•P. Sartre, l.'esiste11valismo è un uma11ismo, Mursia, Milano 2.013, p. 40.

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J. Lacan, li Seminario. Libro X. L'a11goscia, cit., p. 355.

4. IL SOCC~TI"O ANGOSCIATO, UN SOCCE'ITO IN PERICOLO

che congiunge qui il punto di partenza di questo primo effetto di cessione, quello dell'angoscia, con quello che sarà, alla fine, qualcosa come il suo punto di arrivo. La differenza è che il lattante non può fare nulla con il grido che gli sfugge. Ha ceduto qualcosa e niente più lo congiunge a esso»34. Il grido della nascita, così come il grido del bambino al quale il seno è strappato, gli sfugge come qualche cosa che cede. È un oggetto orale che qui si estrae dal suo corpo e lo costituisce come un corpo al quale manca una piccola parte. Il rapporto originale con l'Altro è dunque marcato dall'angoscia che precede il grido come risposta a questo segnale di cui il corpo è avvertito. La manifestazione dell'angoscia coincide con l'emergenza del soggetto nel mondo, è provata nell'abbandono in cui il soggetto cede all'Altro una parte del suo essere che non potrà mai recuperare. Il primo grido è quest'oggetto strappato da un corpo dalla presenza dell'Altro, sperimentata come separazione da un pezzo del mio essere. È in questa separazione che il soggetto avviene come mancante. Il rapporto con il linguaggio, alla fine di questo Seminario, si vede accostato a partire dal corpo e non più dal desiderio e dalla sua interpretazione, come se l'angoscia permettesse di afferrare un rapporto al linguaggio prima che diventi luogo di articolazione di un desiderio. Ciò che il soggetto dice e intende dell'Altro, è afferrato nel quadro di una inquietante estraneità, togliendo al linguaggio il suo carattere familiare. La lingua non è più questo bagno familiare nel quale il soggetto è a casa sua, come al tempo in cui si credeva che la coscienza avvenisse a se stessa per mezzo del logos, in seno a una odissea fenomenologica che condurrebbe al sapere assoluto. La lingua, al contrario, appare come un Umweltestraneo in cui ciò che si intende e ciò che si dice produce sul corpo scossa e sisma, aspirando il soggetto in un ambiente così Altro che solo il grido gli permette di non scompanre.

L'angoscia, effetto del nostro incontro con il linguaggio Il soggetto in situazione di pericolo confessa dunque il suo sconforto. Partendo da una distinzione tra situazione traumatica e situazione

i•

lvi, p. 3S7·

lii. I.' ANGOSC IA I.ACANIANA

angosciante, Freud ha tentato di afferrare la natura del pericolo di cui l'angoscia sarebbe il segnale. Alla fine di inibizione, sintomo e angoscia, definisce l'angoscia, non più in quanto procede dalla rimozione o generata da questa, non solo più quindi come il segnale del ritorno del rimosso, ma come attesa del trauma. L'anticipazione del ritorno del trauma è ciò che produce l'angoscia. «L'angoscia è dunque da un lato attesa del trauma, dall'altra ripetizione attenuata di questo»35. L'angoscia è l'effetto del trauma aprés-coup, il suo segnale residuo. È la memoria nel corpo degli effetti di forzatura del trauma. L'angoscia sarebbe l'insegnamento reale che il soggetto ha tratto dal trauma in quanto esperienza pericolo e spaventosa. Ne resta qualcosa nel corpo, che gli fa segno non appena si presenta una ripetizione attenuata di questo trauma o un evento che ne richiama certi tratti. L'angoscia anticipa la situazione, nel senso che spinge il soggetto a rispondervi come se rispondesse al trauma, per far fronte alla ripetizione dei suoi effetti. Questo segnale scatta per prevenire ciò che ha già avuto luogo. Nell'angoscia c'è dunque una ripetizione anticipata di ciò che si è già prodotto, sotto forma di un segnale, prima ancora che la situazione di pericolo arrivi a prendere l'andamento della situazione traumatica. L'angoscia precede così il crollo dovuto al trauma a partire dalla sua rimemorazione. L'angoscia freudiana è uno sforzo di scongiurare del trauma. Al termine di questo cammino, con Freud e al di là degli esistenzialisti, Lacan afferma che «l'angoscia è senza causa, ma non senza oggetto. Non solo non è senza oggetto, ma molto probabilmente indica l'oggetto - se così posso dire - più profondo, l'oggetto ultimo, la cosa»3 6 • L'angoscia è senza causa, sottolinea Lacan, in accordo su questo punto con i filosofi dell'esistenza. L'affetto dell'angoscia non è in effetti afferrabile in seno alle relazioni deterministe causa-effetto. Non si può fare dell'angoscia la conseguenza necessaria di un fenomeno dato, poiché non obbedisce al determinismo a cui sono sottomessi gli utensili, che occupano un posto definito dello spazio della fisica. Ma, per Lacan, che si distanzia così dall'esistenzialismo, se l'angoscia è senza causa, non è senza oggetto, cioè non è angoscia davanti al nulla. C'è l'oggetto dell'angoscia è c'è causalità mancante. Se l'oggetto dell'angoscia si distingue da una causa dell'angoscia, è perché l'angoscia è piuttosto

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S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, in Id., Opere, voi. x, cit., p.

J. 1.acan, li Seminario. Ubro X. L'angoscia, cit., p. 340.

312.

4. IL SOGG~TrO ANGOSCIATO, UN SOGGE1TO IN PERICOLO

risposta a qualche cosa che effetto di una causa. Possiamo allora dire, dopo Freud e con Lacan, che il soggetto risponde con l'angoscia alla manifestazione di un oggetto stranamente inquietante - che rimemora il trauma. Quest'oggetto dell'angoscia - di cui Lacan determina lo statuto a partire dalla presenza di qualcosa là dove non dovrebbe esserci niente - vale per un altro oggetto, l'oggetto ultimo, o ancora meglio il primo oggetto, quello che Lacan chiama «la Cosa», cioè il sisma pulsionale che costituisce l'incontro con il mondo dell'Altro. L'oggetto angosciante lacaniano è quest'oggetto a che Lacan situa nel luogo in cui gli esistenzialisti, nel loro smarrimento, situavano il nulla, non cogliendo che ciò che produce l'angoscia è l'oggetto di troppo che fa vacillare il soggetto e non semplicemente ciò che manca. L'angoscia lacaniana non è dunque senza rapporto con la mancanza e il nulla, ma ne capovolge la funzione. Se la mancanza è in effetti un punto di appoggio per il soggetto, è il suo annullamento, e non la sua scoperta, che produce l'angoscia. L'oggetto angosciante, l'oggetto a, è un oggetto perduto che fa ritorno, là dove non dovrebbe esserci niente. Questo oggetto perduto è un pezzo di corpo che è stato definitivamente aspirato dalla macchina significante e questa perdita è anche il luogo di avvento del soggetto. Mentre nel primo tempo del suo insegnamento, Lacan pensa un soggetto che può essere abolito dall'assenza di risposta di colui che non intende ciò che si dice, in questo secondo tempo pensa un soggetto che può essere abolito realmente e non più simbolicamente dalla risposta della Cosa stessa, cioè dalla pulsione. In un fondamento rovesciato dell'angoscia esistenziale, Lacan rivela che l'oggetto dell'angoscia non è la mancanza, ma la mancanza della mancanza. È il punto di arrivo che permette di afferrare l'esperienza più concreta dell'angoscia, cioè la sua stessa struttura. L'angoscia sorge dal nostro incontro con il linguaggio, come aspirazione da parte di un ambiente fondamentalmente Altro. Dall'oggetto dell'angoscia al soggetto angosciato, il cammino lacaniano conduce in questo punto ultimo del turbamento come cessione di un oggetto che è il soggetto stesso. Il soggetto adeguato all'esperienza dell'angoscia è quello che Lacan arriva a cogliere dal turbamento come modalità inaugurale dell'essere. Fa così avvenire un soggetto che, cadendo nel mondo dei significanti, avviene all'esistenza cedendo ciò che d'ora in poi sarà per sempre perso.

IV. Temporalità dell'inconscio Esperienza del caso / incontro dello sguardo

l.

Tabula rasa

La relazione originaria fra mc stesso cd altri [... ] è anche un rapporto concreto e quotidiano che esperimento ad ogni momento: in ogni momento altri mi guarda. Jcan-Paul Sartre, !,'essere e il 11ulla

Fin qui abbiamo mostrato tre versioni della correlazione antinomica tra Lacan e Sartre. Per il Lacan della causalità psichica, per il Lacan dell'inconscio strutturato come un linguaggio e infine per quello dell'oggetto a, c'è dialogo e confronto con Sartre. Nonostante tutto quel che separa il reinventore della psicoanalisi dal filosofo della coscienza, il confronto con Sartre insiste dunque e si ripete con delle modalità proprie al modo di procedere cli Lacan, a partire dal simbolico, verso il reale dell'angoscia e della pulsione.

Ridefinire i concetti fondamentali Ma questa correlazione Lacan / Sartre prende un ulteriore sviluppo nel 1964, quando, nel tentativo di rifondare la psicoanalisi, Lacan decide cli insegnare I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Rispetto ai momenti precedenti, è nel Seminario XI che il rapporto di Lacan con Sartre appare più evidente, più esplicito e, allo stesso tempo, più noto. Per cogliere il senso di questa connessione attorno alla questione dell'ontologia e dello sguardo, bisogna precisare l'importanza di questo Seminario del 1964. Se dieci anni prima Lacan si era impegnato a ridare credito all'inconscio freudiano, ora torna ai concetti fondamentali della psicoanalisi. Se si tratta di ricominciare da capo, è perché le peripezie del suo destino di psicoanalista lo

IV. TF.MPORALITÀ DELl.'JNCONSCIO

obbligano a interrogare ciò che fonda la psicoanalisi, cioè ciò che la rende legittima. «Più volte è stata avanzata l'esigenza che una scienza sia costruita in base a concetti chiari ed esattamente definiti» 1 , affermava Freud nel 1915 all'inizio del suo articolo Pulsioni e loro destini. Lacan prende a suo carico l'esigenza freudiana e mette in programma per il suo insegnamento del 1964 i «fondamenti della psicoanalisi» 2: da qui arriva a sollevare la questione dello statuto epistemologico della psicoanalisi. Lacan pone il problema seguente: «che statuto concettuale dobbiamo assegnare a quattro dei termini introdotti da Freud come concetti fondamentali, e precisamente l'inconscio, la ripetizione, il transfert e la pulsione?»3. Riprende dunque i concetti della metapsicologia freudiana: le pulsioni, la rimozione e l'inconscio, con una variante: omette la rimozione e vi aggiunge la ripetizione e il transfert. Integra così nella sua elaborazione i concetti che riguardano la cura e la sua direzione. In questo lavoro di rifondazione, Lacan fa riferimento a Sartre per proporre una nuova analisi dello sguardo a partire dalla pulsione. Questo Seminario è in effetti il luogo dell'elaborazione lacaniana dello sguardo come oggetto a. Lacan introduce la celebre analisi sartriana dello sguardo sviluppata ne L'essere e il nulla al centro di una riflessione sui concetti fondamentali della psicoanalisi. Certo Lacan non cerca di stabilire i fondamenti della psicoanalisi prendendo da Sartre la sua concezione esistenzialista della psicoanalisi - che «rigetta il postulato dell'inconscio»◄ e per la quale «il fatto psichico è [...] coestensivo alla coscienza». Lacan mette completamente da parte la psicoanalisi esistenziale, che certo costituisce una deriva altrettanto pericolosa dell' egopsychology che aveva criticato negli anni Cinquanta. Ma Lacan non si riferisce neppure al Sartre degli anni Sessanta, quello di Critica della ragione dialettica - nonostante riprenda di passaggio il concetto di prassi. Ciò che cattura l'attenzione di Lacan è sempre e solo L'essere e il nulla. Quale nuovo utilizzo fa dunque nel 1964 dei concetti sartriani degli anni Quaranta, all'inter'S. Freud, Pulsioni e lorodestini, in Metapsicologia, in Id., Opere, voi. vm,cit., p. 13.

• J. l.acan, li Seminario. 1.ibro Xl. l quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2003, p. 7. l lvi, p. 14. • J.-P. Sartre, t'essere e il nulla, cit., parte IV.

I. TABUUI RASA

no di un seminario sui concetti fondanti della psicoanalisi in quanto scienza dell'inconscio? In che modo arriva a porsi per Lacan la questione di un'ontologia dell'inconscio e cosa può trarre dalla filosofia esistenzialista per rispondervi? In quale senso i concetti sartriani di contingenza e di sguardo possono vedersi reinvestiti al servizio dello sforzo di razionalizzazione della psicoanalisi che Lacan persegue in questo Seminario?

Dalla scomunica alla rifondazione

Per seguire l'approccio lacaniano, ma al tempo stesso la posta politica soggiacente al Seminario di quell'anno, bisogna ricordare le circostanze in cui ha luogo. «Primo ad esser pubblicato, questo Seminario è inoltre il primo che Jacques Lacan aveva pronunciato all'École normale supérieure di rue d'Ulm, sotto l'egida della École pratique des hautes études, in un quadro situato dunque fuori dall'insegnamento della medicina. Il titolo della prima lezione, "la scomunica", indica il posto di questo Seminario - che ebbe luogo nel 1964 - nella biografia di Lacan»5. In effetti, questo Seminario segna una rottura all'interno dell'insegnamento di Lacan, dal momento che si era ritrovato, secondo le sue stesse parole, scomunicato dall'Associazione internazionale di psicoanalisi, in virtù del suo stesso insegnamento e della sua pratica. La Società di psicoanalisi alla quale apparteneva, la Societé française de psychanalyse, in attesa del suo riconoscimento da parte dell'Associazione internazionale di psicoanalisi, si vide notificare che non sarebbe stata riconosciuta se Lacan non avesse rinunciato a condurre delle analisi didattiche, cioè a formare degli analisti. Ricorrendo al termine di scomunica, Lacan sottolinea il carattere religioso della decisione dell'istituzione psicoanalitica, facendo eco al destino di Spinoza, lui stesso scomunicato dalla sinagoga il 2 7 luglio 1656 in ragione delle «orribili eresie che praticava e insegnava» 6• 1

J.-A. Miller, Quarta di copertina, in J. Lacan, Il Seminario. l.ibro Xl. 1quattro con-

cetti fondamentali della psicoanalisi, cit. 6

Archivicbraici città di Amstcrdam,citatoda S.Nadler, inBaruchSpi11ozae l"O/a11da del Seicento, Einaudi, Torino 2009, p. 122. Ricordiamo che l'herem è un atto giuridico sottoscritto dal rabbino. In Vita di Spinoza, redatto nel , 704, il pastore luterano Colerus illustra la modalità con cui Spinoza ha messo in luce l'asscn1.a di fondamenti ra1.ionali nella

2.32.

IV. Ti,MPORALITÀ DF.Ll.'INCONSCIO

Ricordiamo che Spinoza «fu escluso dalla sinagoga da un herem particolarmente violento nel 1656. Se questa procedura era in genere provvisoria e destinata a sanzionare tutte le forme di deviazione di condotta, quella volta fu definitiva e parlava di opinioni e azioni empie»7. Si tratta dunque di un «processo per eresia» 8• Agli occhi di Lacan, anche la decisione dell'Associazione internazionale di psicoanalisi di interdire il suo insegnamento rappresenta un processo per eresia. Lacan si trova escluso dalla comunità analitica quando, cercando di apportare del nuovo alla psicoanalisi, sia sul piano teorico sia su quello pratico, non si sottomette all'ortodossia vigente - si trattava essenzialmente de «l'obbligo di quattro sedute settimanali, di una durata di quarantacinque minuti». Possiamo seguire l'analogia con Spinoza: allo stesso modo in cui quest'ultimo si è allontanato dai dogmi della religione ebraica, perché per lui c'era solo «un Dio filosofico»?, Lacan si è scostato dalle regole della pratica analitica dell'International psychoanalytical association [ IPA] •0 , perché per lui c'era solo il Dio dell'inconscio. Secondo Lacan l'istituzione psicoanalitica dell'epoca funzionava come un'istituzione religiosa, che cercava di sottomettere i membri della comunità a delle regole che emanavano dalla sua autorità, che non si fondavano sull'inconscio. Per lui è Freud in quanto padre fondatore ad essere deificato dall'IPA, non l'inconscio. Ora, al di là di Freud come padre, è la scoperta dell'inconscio che deve fondare la psicoanalisi. Abbiamo visto come Lacan avesse illuminato la scoperta dell'inconscio da parte di Freud nel suo sogno dell'iniezione ad Irma: ne aveva valorizzato l'incontro con una dimensione simbolica trascendente. In quel momento Lacan già testimoniava del suo rapporto con Freud e l'inconscio. Secondo Lacan, l'inconscio, in quanto rivela l'autonomia del simbolico, oltrepassa lo dottrina e nei principi dei rabbini ebrei, dal momento che erano emanati esclusivamente dalla loro posizione di autorità. Si coglie bene, dunque, come l3can abbia potuto comparare il suo sfor1.o di riforma della psicoanalisi a quello di Spino,.:,. 7 P.-F. Morcau, Spi11oza et le spinozisme, PUI', Paris 2.003, p. 2.6-2.7. a Iv1,p.:1.7. . 9 P.-F., Moreau cita la risposta di Spinoza nel 1659, in Spi11oz.a ...., cit., pp. 2.7-2.8. 00 Si tratta di una delle diciannove «Raccomandazioni• emesse dal Comitato Esecutivo dcll'IPA nel 1961in vista della •regolazione dei gruppi francesi•, come ricordato da É. Roudincsco, in La Bataille de ce11t ans. Histoire de la psycha,ralise en l-ra11ce. 2, 192.51985, Seuil, Paris 1986, p. 339.

I. TABUI.A RASA

stesso Freud, che ha inventato la psicoanalisi perché è stato capace di riconoscere questa dimensione. È grazie al suo desiderio inconscio che ha scoperto l'inconscio come legge del desiderio. Steven Nadler afferma che nel XVII secolo «l'impatto emozionale dell'herem era considerevole» 11 , e che «lo scomunicato sentiva di aver perso il suo posto in questo mondo e in quello a venire» 12• Così il riferimento di Lacan alla scomunica rivela quanto sia stato colpito da questa decisione. Vistosi rigettato ed escluso dall' establishment psicoanalitico, nel 1964 Lacan non parlerà più dalla stessa posizione dei dieci anni precedenti. Si domanderà da quel momento cosa possa significare una posizione veramente atea quanto alla pratica della psicoanalisi. Nella sua prima lezione alla École normale supérieure Lacan esplicita così il contesto nel quale prende parola: «il mio insegnamento, designato come tale, subisce da parte di un organismo che si chiama Comitato esecutivo di un'organizzazione internazionale che si chiama International PsychoanalyticAssociation una censura niente affatto ordinaria, giacché si tratta niente meno che di proscrivere tale insegnamento, che deve essere considerato come nullo in tutto ciò che può venirne quanto all'abilitazione di uno psicoanalista e di fare di questa proscrizione la condizione dell'affiliazione internazionale della società psicoanalitica alla quale appartengo». Riguardo al suo insegnamento si pone, d'ora in poi, per lui la questione: «In che vi sono autorizzato?» 1 3. La sua risposta è di interrogare i concetti fondamentali della psicoanalisi, senza rinunciare a trovare un nuovo posto da cui insegnare. Vent'anni dopo l'inizio del suo insegnamento, gli sembrerà dunque necessario fare tabula rasa delle avanzate precedenti per riarticolare ciò che costituisce lo zoccolo della psicoanalisi. Dato il postulato di illegittimità che grava sul suo insegnamento, Lacan tenta - sull'esempio di Cartesio, al quale si riferisce d'altronde in questo Seminario - di ripartire da zero, al fine di pensare ciò che è la psicoanalisi, in quanto teoria e in quanto prassi. L'ortodossia post-freudiana non aveva convalidato la sua pratica della psicoanalisi, Lacan vuole al" S. Nadlcr, Spi11oza ... , cit., p. 1 5 r.

,, J. Kat:t, Tradition and Crisis, citato da S. Nadlcr in Spinoza . .., cir., p. 1 s,. ' 3 J. l.acan, Il Seminario. l.ibro Xl. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. cit., pp. 4, 5.

IV. TEMPORALITÀ DELL'INCONSCIO

lora dimostrare che questa si fonda su un percorso logico che, anche se non piace a tutti, non è per questo meno scientifico. Con la stessa prudenza di Cartesio, Lacan avanza nella sua dimostrazione da una posizione che non gli assicura di essere né inteso né riconosciuto come portatore di un discorso legittimo. «II posto da cui riaffronto oggi il problema, infatti, è cambiato. È un posto che non è più del tutto dentro, ma non si sa se sia al di fuori» 14 afferma. In che senso il suo insegnamento conduce a una nuova formulazione dell'inconscio, che, senza essere infedele alla teoria freudiana, introduce tuttavia degli scombussolamenti nella pratica analitica e disturba l'istituzione psicoanalitica? Rispondere a questa questione, è dimostrare che la decisione che aveva condotto la comunità analitica all'esclusione ha un carattere religioso e non scientifico. Lacan non si indirizzerà più soltanto ai medici, agli psichiatri e agli psicoanalisti, ma anche ai filosofi, agli antropologi e agli studenti della École normale supérieure: cercherà dunque di tracciare una nuova strada verso la verità freudiana, di trasmettere un sapere a coloro che hanno riconosciuto il valore del suo insegnamento accogliendolo a rue d'Ulm, al di là della decisione dcli' Associazione internazionale di psicoanalisi. Nella prima lezione, rende omaggio a tutti coloro che gli hanno teso una mano quando era «in una posizione (... ) di profugo» •s. Ringrazia così Fernand Braudel, presidente della Section des hautes études, Robert Flacelière, direttore dell'École normale supérieure e Claude Lévi-Strauss. Alla fine delle sue lezioni si leveranno le voci di giovani filosofi presenti in aula, in particolare quelle di François Wahl e dijacques Alain-Miller. Ecco come Lacan risponde alla sua scomunica: difendendo una prassi capace di fondarsi su concetti a partire dai quali sia possibile dimostrare la legittimità dei cambiamenti da introdurre nella direzione della cura.

•• lbid. •s lvi, p. 4

2.

L'inconscio strutturato come un atto mancato

All'inizio del 1964, Lacan ridefinisce ancora una volta lo statuto dell'inconscio. Questa volta la posta in gioco è determinare se la psicoanalisi sia una religione o una scienza. Al di là della sua scomunica, Lacan reinterpreta il messaggio freudiano sull'inconscio. Tutto avviene come se Freud rappresentasse per l'istituzione psicoanalitica un Padre onnipotente, in nome del quale escludere coloro che interrogano la sua autorità. Ora, dietro questa sacralizzazione, sembra esserci un oblio della sua elaborazione concettuale, di cui ne viene conservato solo un rituale, che testimonia dell'adesione a un dogma. Lacan ne deduce che la psicoanalisi non ha ancora tratto le conseguenze della denuncia di Nietzsche che Dio è morto. Come Sartre, che nella conferenza L'esistenzialismo è un umanismo, si interroga sulle condizioni di un vero ateismo, Lacan si impegna ad oltrepassare la formula nietzschiana. «La vera formula dell'ateismo non è infatti - Dio è morto [... ), è Dio è inconscio» 1• Lacan interpreta la sua esclusione come un gesto in nome del Padre morto; questa non fa che testimoniare di una devozione cieca a Freud. Se Lacan afferma che Dio è inconscio, è perché ci si crede senza saperlo. Lacan si è autorizzato a interrogare il desiderio di Freud - e dunque a desacralizzare le modalità della sua scoperta - per mostrare come procedere al di là di Freud, mantenendone il filo. È proprio in quel momento che è stato dimesso dal suo insegnamento, come se avesse osato penetrare in un tempio interdetto. «Quel che avevo da dire sui Nomi-del-Padre non mirava ad altro, infatti, se non a mettere in questione l'origine, e cioè per quale privilegio

' J. Lacan, Il Seminario. Libro Xl, I quattro co11cetti fondamentali della psicoanalisi. cit., p. 58.

IV. TF.MPORALITÀ DELl.'JNCONSCIO

il desiderio di Freud avesse potuto trovare la porta di ingresso in quel campo dell'esperienza che egli designa come l'inconscio» 2 • Il suo interrogarsi circa il desiderio di Freud non mirava ad allontanarsi dalla dottrina freudiana, ma a non sacralizzarla come un dogma. Si trattava di spiegare cosa avesse permesso a Freud di fare una scoperta che nessun altro aveva fatto prima di lui. Poiché ciò che Freud ha chiamato inconscio - l'Unbewusste - non era mai stato preso in considerazione prima.

L'inconscio freudiano, una faglia Se i freudiani dell'Associazione internazionale di psicoanalisi sono arrivati a concepire l'inconscio lacaniano come un tradimento, un'eresia, una deviazione illegittima nei confronti dell'inconscio freudiano, non è forse perché non colgono quel che Freud apporta di nuovo con la sua concezione dell'inconscio? Per difendersi da chi ha considerato il suo insegnamento inadatto a formare degli analisti, Lacan spiega innanzitutto in che cosa il suo approccio tiene pienamente conto della novità introdotta da Freud. Ma mostra inoltre di non indietreggiare di fronte al tentativo di avanzare, anche là dove Freud stesso non aveva tratto tutte le conseguenze della sua propria scoperta. «L'inconscio freudiano non ha nulla a che fare con le forme cosiddette di inconscio che l'hanno preceduto o accompagnato, o che ancora circolano. [ ... ] Leggete la squisita enumerazione fatta da Dwelshauvers in un libro pubblicato una quarantina d'anni fa da Flammarion. Vi sono elencate otto o dieci forme di inconscio che non insegnano niente a nessuno, che designano semplicemente il non-conscio, il più o meno conscio e, nel campo delle elaborazioni psicologiche, si trovano mille varietà supplementari»3. Questa enumerazione è riprodotta nel Vocabulaire technique et critique de la phi/osophie di Lalande alla voce «inconscio». Quest'opera di consultazione - la cui edizione originale del 1902-1923 è stata regolarmente aggiornata (nel 1926, 1928, 1932 e nel 1947) - non cita Freud per definire l'inconscio. È a partire dai nomi di Durkheim, Hubert, Rauh, Egger,

1

l

lvi, p. 13. lvi, p. 2.5.

2.. !.'INCONSCIO

S1'RlflTURA1'O COME ATTO MANCATO

2.37

Lachelier, Pradines ed infine Dwelshauvers, come nota Lacan, che l'inconscio è definito in modo non psicoanalitico. «G. Dwelshauvers ha proposto di classificare così come segue i differenti gruppi di fatti inconsci: 1° "L'inconscio nell'atto di pensiero" (per esempio l'attività sintetica che trasforma le sensazioni in rappresentazioni e queste ultime in concetti) 2° "L'inconscio della memoria nella percezione" 3° "L'inconscio della memoria per impressioni e sentimenti latenti" (la ragione per cui emergono taluni ricordi piuttosto che altri resta inconscia) 4° "L'inconscio per abitudine" 5° "L'inconscio per vocazione (disposizione per un'arte, un mestiere, che si manifesta imperiosamente nell'infanzia) 6° "L'inconscio nella vita affettiva"»◄. Certo non c'è niente in queste definizioni che possa riportarsi alla scoperta freudiana. L'inconscio freudiano non è né memoria della percezione, né memoria di impressioni, né abitudine, né vocazione, né affetto. Si tratta di altro. L'inconscio freudiano non è un concetto filosofico. «A tutti questi inconsci sempre più o meno affiliati a una volontà oscura considerata come primordiale, a qualcosa prima della coscienza, Freud oppone la rivelazione che a livello dell'inconscio c'è qualcosa del tutto omologo a quanto avviene a livello del soggetto - qualcosa parla e funziona in modo altrettanto elaborato che a livello del conscio, il quale perde così ciò che sembrava essere il suo privilegio»S. Lacan riprende le modalità di manifestazione dell'inconscio secondo Freud, e cioè il sogno, la dimenticanza, gli atti mancati, per dimostrare dell'inconscio, non tanto in quanto nozione teorica, ma in quanto fenomeno che sorge al cuore della parola del soggetto. Non è interessato all'essenza dell'inconscio quanto piuttosto alla manifestazione concreta del fenomeno. Come Freud, che nella sua Introduzione alla psicoanalisi, prima serie di lezioni del 1916 e 1917, aveva deciso di presentare la sua scoperta iniziando dagli atti mancati e le dimenticanze. «Signore e Signori, non cominciamo con postulati, ma con un'indagine. Come oggetto di essa scegliamo alcuni fenomeni che sono molto frequenti, molto noti e tenuti in assai poco conto, fenomeni che non hanno nulla a che vedere con le malattie, in quanto possono venir osservati in ogni persona sana. Si tratta dei cosiddetti "atti mancati" cui • G. Dwclshauvcrs, citato in A. Lalandc, Vocabulaire technique et critique de la phi/osophie, cit., p. 491. 1 J. Lacan, Il seminario. Libro Xl. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, cit., p. 2.5.

IV. Ti,MPORALITÀ DF.Ll.'INCONSCIO

tutti vanno soggetti. Ciò accade per esempio quando si vuol dire una cosa e al suo posto se ne dice un'altra (lapsus verbale) [...]. Un'altra serie di fenomeni di tal genere ha per base una dimenticanza, non permanente però, ma soltanto temporanea; per esempio, quando non si sa trovare un nome, che pure si conosce e si riconosce regolarmente» 6 • Dire una parola quando si pensava di dirne un'altra, dimenticare ciò che si credeva di sapere, ecco la porta d'ingresso scelta da Freud per parlare dell'inconscio a coloro che non ne avevano la minima idea. Che cosa c'è di notevole in questi fenomeni che possono sembrare insignificanti ma che invece ci irritano dal momento che sfuggono alla nostra intenzione cosciente? Come osserva Lacan, «nel sogno, nell'atto mancato, nel motto di spirito, che cosa colpisce anzitutto? È che appaiono come un intoppo. Intoppo, mancamento, fessura. In una frase pronunciata, scritta, qualcosa viene a incespicare. Freud è calamitato da questi fenomeni ed è lì che va a cercare l'inconscio. Lì qualcosa d'altro domanda di realizzarsi - qualcosa che appare, certo, come intenzionale, ma con una strana temporalità. Quel che si produce in questa faglia, nel senso pieno del termine prodursi, si presenta come la trovata. È così che l'esplorazione freudiana incontra per la prima volta quello che succede nell'inconscio»7. Lacan prende in considerazione il carattere d'inciampo della manifestazione dell'inconscio, come se l'atto mancato non fosse solo un esempio della manifestazione dell'inconscio, ma l'inconscio fosse in se stesso qualcosa dello stesso ordine dell'atto mancato. Dal 1953 al 1964 passa dunque da una definizione dell'inconscio strutturato come un linguaggio a una definizione dell'inconscio strutturato come un atto mancato. L'inconscio lacaniano avrebbe così la struttura di un atto mancato. In questo inciampo un'intenzione diversa dall'intenzione cosciente chiede di farsi riconoscere. Si produce qualcosa, spiega Lacan, nel senso che si tratta proprio di produzione. L'inconscio non è tanto l'oggetto di una ricerca, come se si trattasse di un territorio segreto che andrebbe esplorato al fine, magari, di scoprire una piccola regione da dissodare. No, l'inconscio è dell'ordine della trovata. Ci si cade sopra senza averlo cercato. E ci si cade sopra letteralmente, nel senso che è una lettera, un significante, che ci fa 6

S. Freud, J,itroduzio11e alla psicoanalisi, in Id., Opere, voi. VIII, cit., p. 208. J. Lacan, // Seminario, Libro Xl. I quattro co11cetti fondamentali della psicoanalisi, cit., p. 26. 7

2 . J.'JNCONSCIO Sl'R\TITURATO COME I\TIO MI\NCATO

traballare e perdere in qualche modo l'equilibrio. Lacan ne rivela la dimensione temporale: strana temporalità, di un fenomeno che appare e scompare, che va e viene, che chiede di realizzarsi e poi sfugge. «Ora, questa trovata è, fin dal momento in cui si presenta, una ritrovata e,per di più, sempre pronta a sottrarsi di nuovo, instaurando la dimensione della perdita»8. Appena trovato, l'inconscio è già perduto. Lacan collega così la manifestazione dell'inconscio alla concezione dell'oggetto perduto. «Il rinvenimento delhoggetto, scriveva Freud, è propriamente una riscoperta»9. Allo stesso modo per Lacan, inciampare sull'inconscio attraverso una dimenticanza, un atto mancato, è perderlo nel momento stesso in cui lo si ritrova. E questa perdita non è un caso, così come la manifestazione dell'atto mancato non è senza significato. Questa perdita permette di cogliere lo statuto dell'inconscio. «Dunque la forma essenziale in cui ci appare inizialmente l'inconscio come fenomeno è la discontinuità - discontinuità in cui qualcosa si manifesta come un vacillamento» •0 • Secondo Lacan, Freud è riuscito a cogliere questa discontinuità, a restituirle il suo valore epistemico, fino ad allora misconosciuto. Se è possibile una fenomenologia dell'inconscio, cioè una descrizione dei modi di manifestazione del soggetto dell'inconscio, bisogna che essa attesti questa faglia, questa discontinuità, al cuore della quale esso emerge. «Così l'inconscio si manifesta sempre come ciò che vacilla in un taglio del soggetto, da cui ricompare all'improvviso una trovata che Freud assimila al desiderio - desiderio che situeremo provvisoriamente nella metonimia denudata del discorso in causa, in cui il soggetto si coglie in qualche punto inatteso». Introducendo la dimensione temporale sotto le spoglie dell'inatteso, Lacan riconfigura l'inconscio: non è più pensato solo come una struttura simbolica, ma come una pulsazione temporale, una discontinuità fuggevole che sorge per poi svanire, che si scrive per poi cancellarsi. E il soggetto non è più soltanto il soggetto che parla, ma colui che si coglie in un punto inatteso. Al fine di render conto dello statuto dell'inconscio a partire dalla sua manifestazione fenomenica, Lacan riprende l'esempio freudiano 8 lbid.

S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, in Id., Opere, voi. 1v, cir., p. 527. J. l..acan, Il Seminario. l.ibro Xl. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, cir., p. 26. 9 '

0

IV. TEMPORALITÀ DELL'INCONSCIO

della dimenticanza del nome proprio. Dalle prime righe della Psicopatologia della vita quotidiana nel 1901, nel periodo dunque della prima elaborazione freudiana dell'inconscio, Freud evoca «un breve articolo intitolato "Meccanismo psichico della dimenticanza"» 11 pubblicato tre anni prima, che gli serve da punto di partenza. «Nell'esempio da me scelto per l'analisi nel 1898, invano io mi ero sforzato di ricordare il nome di quel pittore che nel Duomo di Orvieto aveva creato i grandiosi affreschi del ciclo della fine del mondo. In luogo del nome cercato, Signorelli, mi venivano alla mente con insistenza due altri nomi di pittori, Botticelli e Boltraffio, che il mio giudizio, subito e decisamente, rifiutò come sbagliati. Quando il nome esatto mi fu comunicato da altri, lo riconobbi immediatamente e senza esitazione». Freud cerca di delucidare la logica inconscia a cui ha obbedito tale dimenticanza. Conosceva perfettamente il nome dell'autore dei dipinti di Orvieto, ma, all'improvviso, mentre chiacchierava con un vicino durante il suo viaggio in Erzegovina, questo nome proprio gli diventa indisponibile. Mostra così che la dimenticanza di questo nome così familiare è dovuto «all'effetto di una perturbazione del nuovo argomento ad opera del precedente»•'-. Prima di parlare dell'Italia, si era intrattenuto con il suo compagno di viaggio a parlare delle usanze dei turchi della Bosnia-Erzegovina, che solevano mostrarsi fiduciosi del proprio medico a nche quando quest'ultimo gli annunciava la morte imminente di un familiare. La conversazione cadeva così intorno al tema della morte. Freud aveva appena terminato di dire la frase seguente, che illustra la rassegnazione di queste popolazioni: «Signore (Herr), che posso dire? So che se fosse possibile salvare il malato tu lo salveresti!». Ora, nella successiva conversazione, è proprio della morte che Freud in un certo senso non ha potuto parlare, nella figura dell'autore del Giudizio universale. Ciò di cui non si può parlare, la morte, è riemerso attraverso questa faglia che è la dimenticanza del nome di Signorelli, coperto dai nomi di Botticelli e di Boltraffio. Lo «Herr», il signore, che si scorge anche in Signor di Signorelli, è scomparso. Lacan si impegna a resuscitare questo inciampo dell'inconscio di Freud. «Se si riprende un esempio mai sfruttato abbastanza e che è il '' S. Freud, Psicopatologia della vita quotidia11a, in Id., Opere, voi. ghicri, Torino 1989, p. 57. 01 lvi, p. 58.

IV,

Bollati Borin-

2. !.'INCONSCIO Sl'RlTITURATO COME A1TO MANCATO

primo usato da Freud per la sua dimostrazione, la dimenticanza, l'intoppo di memoria sulla parola Signorelli dopo la visita ai dipinti di Orvieto, è mai possibile non veder sorgere dal testo stesso, e imporsi, non già la metafora, ma la realtà della sparizione, della soppressione, dell' Unterdruckung, del passaggio al di sotto? Il termine di Signor, di Herr, passa al di sotto - il padrone assoluto[ ... ], la morte insomma, è sparita lì» 1 3. Il signore assoluto, il padrone dell'esistenza, la morte - rimossa e privata del diritto di cittadinanza dalla frase «non ne parliamo» - si è manifestata in questa dimenticanza. Che cos'è di fatto ciò di cui Freud ha voluto tacere e di cui la dimenticanza del nome apparentemente insignificante di Signorelli ha preso il posto? Come interpretare questo improvviso buco di memoria? Freud spiega che si era trattenuto dal proseguire la conversazione circa le usanze dei turchi della Bosnia-Herzegovina, poiché un altro aneddoto gli era venuto in mente, e cioè i piaceri sessuali ai quali i turchi accordavano un valore eccezionale. Vi aveva dunque immediatamente associato l'idea che «in caso di disturbi sessuali si lasciano prendere da una disperazione che stranamente contrasta con la loro rassegnazione di fronte al pericolo della morte» 14. Freud aveva preferito tacere questa associazione di idee, che lo avrebbe portato ad affrontare un argomento troppo intimo per una conversazione da viaggio. Ma l'evocazione dei rapporti tra la morte e la sessualità gli aveva richiamato un altro ricordo di cui non desiderava parlare: il suicidio di un suo paziente che soffriva di «un inguaribile disturbo sessuale» 1 s. Per associazione di idee, la conversazione sui costumi dei turchi e la loro fiducia assoluta nei confronti del medico, gli aveva dunque rievocato questo episodio angoscioso che rinviava, al contrario di ciò che stava dicendo, alla perdita di fiducia nel potere del medico che il suicidio di un paziente poteva suggerire. Mentre cercava di interrompere un flusso di idee coscienti, è nella forma di una discontinuità nel discorso che si è manifestato il senso del suo desiderio: la rimozione della morte. È in questo punto inatteso che Freud ha potuto cogliere una manifestazione del suo inconscio, che

'' J. lacan, 11 Seminario. Libro XI. I quattro co11cetti fondamentali della psicoanalisi, cit., p. 28 ' 4 S. l'rcud, Psicopatologia della vita quotidiana, in Id., Opere, voi. 1v,cit., p. 59. 'I Tbid.

IV. TF.MPORALITÀ DELl.'JNCONSCIO

rivelava il luogo della sua angoscia, ma anche quello del suo desiderio di cancellare la morte. Quando Lacan riprende l'analisi della dimenticanza del nome Signorelli da parte dell'inventore della psicoanalisi, è per farci afferrare il carattere fuggitivo dell'irruzione dell'inconscio, nella forma di una faglia nel discorso. L'esempio della dimenticanza di un nome, peraltro così noto, permette di cogliere l'inconscio come ciò che fa improvvisamente esistere una mancanza: anche se Freud conosceva molto bene il nome del pittore degli affreschi della cattedrale di Orvieto, il nome tutto d'un tratto gli sfugge. Al posto del nome che dovrebbe pronunciare, c'è un vuoto. Il soggetto che vuole dire, secondo l'espressione già citata di J.-A. Miller, non è più lo stesso soggetto cosciente che si rivolge al suo compagno di viaggio. Il soggetto che vuole dire è colui che si è visto in qualche modo ridotto al silenzio - a causa dei collegamenti generati dalla frase del compagno di viaggio, «Signore, non ne parliamo» - nel momento in cui Freud ha interrotto la catena associativa che gli si presentava alla mente, per non parlare di sessualità e di morte in una conversazione occasionale. Ma il soggetto che voleva dire è anche colui che, angosciato dal suicidio di un paziente, si interrogava sulla sua propria impotenza a strappare dalla morte colui che soffriva di disturbi sessuali. E quel che Freud ha voluto nascondere a sua insaputa è riemerso sotto la forma di una faglia che gli mostrava ciò che aveva rimosso: Signor, Signorelli, la morte, il signore che regna sulla vita. Ecco come, nel 1901, Freud presenta l'inconscio, in Psicopatologia della vita quotidiana. Questo buco improvviso di memoria non deriva da alcuna sintesi percettiva, memoria percettiva, o abitudine inconscia ... né alcun'altra varietà enumerata da Dwelshauvers. L'inconscio freudiano si iscrive nel discorso del soggetto sotto la forma di una faglia. È per sottolineare il carattere radicalmente nuovo di questa definizione freudiana dell'inconscio che Lacan ne evidenzia la differenza assoluta dal senso filosofico pre-freudiano del termine inconscio. Freud ha trovato l'inconscio proprio là dove una parola veniva a mancare nel discorso. È attraverso la parola che manca, la parola in meno, la parola assente, che Freud scorge la manifestazione di un desiderio del soggetto correlato a un'angoscia.

2.. !.'INCONSCIO S1'RlflTURA1'O COME ATTO MANCATO

Verso un'ontologia dell'inconscio? L'inconscio freudiano non ha niente a che vedere con l'inconscio filosofico. Lacan si interroga comunque sulla dimensione ontologica di questa faglia che l'inconscio costituisce. Ora, questa «introduzione dell'inconscio attraverso la struttura di una faglia» 16 testimonia di una connessione con l'ontologia sartriana del soggetto, tutta centrata sulla nozione di mancanza d'essere. La riformulazione dell'inconscio freudiano in termini di faglia nel discorso è l'esito di una torsione del concetto fenomenologico di mancanza-d'essere, applicata all'inconscio. Nella lezione del 29 gennaio 1964, Lacan utilizza in effetti un vocabolario proprio all'ontologia fenomenologica. È la terza lezione dell'anno e Lacan risponde all'osservazione di un uditore. «La scorsa settimana, la mia introduzione dell'inconscio attraverso la struttura di una faglia ha dato occasione a uno degli uditori, Jacques-Alain Miller, per un ottimo tracciato di ciò che nei miei precedenti scritti egli ha riconosciuto come la funzione strutturante di una mancanza, da lui congiunta, con un arco audace, a quello che avevo potuto designare, parlando della funzione del desiderio, come mancanzaa-essere. Realizzata questa sinossi (...] egli mi ha interrogato sulla mia ontologia.( ... ] Essa veniva particolarmente a puntino, nel senso che è precisamente di una funzione ontologica che si tratta in questa faglia attraverso cui ho ritenuto di dover introdurre, come ciò che le è più essenziale, la funzione dell'inconscio» 17. A partire dall'osservazione di J.-A. Miller sulla funzione strutturante di una mancanza, funzione sviluppata da Lacan nel suo insegnamento precedente - sia nella forma di un desiderio come mancanza-a-essere che dell'angoscia che sorge dinanzi alla mancanza della mancanza - Lacan introduce questo riferimento all'ontologia nell'elaborazione del suo concetto di inconscio. Tuttavia non sarà totalmente soddisfatto di questo riferimento e le sue risposte testimoniano di uno sforzo per cercare di distinguere la prospettiva introdotta da Freud da quella dell'ontologia propria alla filosofia contemporanea. La questione è sapere se è possibile sviluppare un'ontologia dell'inconscio o, potremmo dire, un'ontologia a partire dall'inconscio. '6

J. lacan, /I Seminario. Libro XI. I quattro co11cetti fondamentali della psicoanalisi,

cit., p. 30 7 ' lbid.

2.44

IV. Ti,MPORALITÀ DF.Ll.'INCONSCIO

Per apprezzare la dimensione sovversiva dell'elaborazione lacaniana rispetto all'ontologia dell'inconscio, ritorniamo all'ontologia fenomenologica di Sartre del 1943. Nella sua introduzione Sartre, annuncia che «l'essere sarà scoperto attraverso qualche via d'accesso immediato, la noia, la nausea, ecc., e l'ontologia sarà la descrizione del fenomeno d'essere quale si manifesta in se stesso, cioè senza intermediari» 18• Sartre conia il termine di ontologia fenomenologica per designare il suo metodo. Il «termine "ontologia" (riflessione sull'essere) rinvia a Heidegger, quello di "fenomenologia" (riflessione sui fenomeni o ciò che appare) ad Husserl. Ma [... ] l'unione dei due termini produce una sintesi inedita»•9. In questo progetto di ontologia fenomenologica, vi è così al contempo l'indice di una filiazione con l'autore di Sein und Zeit, ma anche di una separazione - di cui la Lettera sull'umanismo di Heidegger nel 1946 rende a sua volta conto. Possiamo parlare allo stesso modo di filiazione e separazione rispetto all'autore delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Il progetto sartriano non è in effetti né totalmente fedele alla fenomenologia husserliana, dal momento che ha delle ambizioni ontologiche, né totalmente fedele all'ontologia heideggeriana, poiché intende limitare l'ontologia al campo antropologico. Da una parte si tratta, al di là di Husserl, di «andare oltre la legge delle apparizioni verso ciò che la fonda», cioè trarre dalla descrizione dei fenomeni delle conseguenze circa il loro essere. Dall'altro lato si tratta, al di qua di Heidegger, di limitare la questione dell'essere alla questione della realtà umana. L'ontologia sartriana è la delucidazione delle strutture d'essere del per-sé. La posta in gioco è di render conto di questa modalità propria dell'esistenza umana che si rivela capace di annientare il dato: essere, questo essere nel modo del non essere, cioè essere necessariamente altro da se stesso. Possiamo parlare di un essere dell'inconscio a partire dalle modalità d'accesso fenomenologico di cui noi disponiamo, cioè l'apparire dell'inconscio? Possiamo passare dal fenomeno alla determinazione di un essere che lo fonderebbe? Possiamo oltrepassare la descrizione fenomenologica per accedere all'ontologia? Le lezioni di Lacan sul •8 J.-P. S3nrc, [,'essere e il 11ulla, cir., pp. 14-15. ' 9 J. Simoni, Sartre, !:Eire et le 11éa11t, Critique de la raiso11 dialectique, in «Gradus philosophiquc. Un répcnoirc d'inrroducrion mérhodiquc à la locrurcdcs a,uvrc•, sous la dircction dc I.. Jaffro & M. Lambrunc, Flammarion, GF, Paris 1995, pp. 676-678.

:!.. J.'JNCONSCIO Sl'R\TITURATO COME I\TIO MI\NCATO

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concetto fondamentale di inconscio nel Seminario del 1964 testimoniano della connessione con L'essere e il nulla, ma allo stesso tempo di uno spostamento dall'essere della coscienza a quello dell'essere dell'inconscio nel linguaggio. Sartre, da parte sua, introduce il per-sé in opposizione all'in-sé, come due regioni distinte dell'essere. Queste due modalità d'essere rivelano la differenza radicale che separa la realtà umana dal mondo delle cose. La coscienza, o per-sé, non esiste allo stesso modo delle cose, o in-sé. È altro. Si tratta di descrivere come il per-sé appare, e ciò che lo separa dall'in-sé. Se l'in-sé è pieno, dal momento che «non c'è il minimo vuoto nell'essere, la minima fessura per la quale il nulla possa infiltrarsi», il per-sé, invece, si costituisce come un «vuoto d'essere». La presenza a sé del per-sé è mancanza d'essere. La mancanza non è contingente, poiché la «realtà umana per cui la mancanza appare al mondo, deve essere essa stessa una mancanza». L'essere della realtà umana è dunque un non essere ancora e un dover essere. 20 Il per-sé ha così necessariamente una struttura temporale. Cogliere il suo modo d'essere è afferrare che per lui esistere nel tempo è esperirsi come un essere fatto di tempo. L'apertura del per-sé, che si definisce da questa uscita da se stesso che è la temporalità, introduce allo stesso tempo la mancanza come condizione del suo essere. Il per-sé deve realizzare il proprio essere e non è mai pieno del suo proprio essere. Non è ancora quel che sarà, ma è il suo modo d'essere presente a se stesso. È questa non-coincidenza con se stesso, questa inadeguatezza tra ciò che è stato e ciò che è, che lo iscrive nella temporalità. Il per-sé è come disperso, esploso, proiettato nella temporalità che definisce la sua esistenza. È a partire dalla temporalità che il per-sé si definisce come progetto d'essere. E questo progetto d'essere è desiderio d'essere, nel senso in cui il per-sé manca sempre del proprio essere dal momento che non giunge mai alla consistenza dell'in-sé. Come abbiamo potuto vedere, Sartre afferma che «il desiderio è mancanza d'essere» 21 , nel senso che il desiderio non è desiderio di questo o di quest'altro, ma desiderio d'essere, desiderio di saturare la mancanza d'essere che è fondamento stesso del desiderio. La coscienza si definisce a partire 10

J.-P. Sanrc, I/essere e il 11ulla,cit., p. 114, 119, 127.

•• lv~ p. 128.

IV. TEMPORALITÀ DELL'INCONSCIO

da ciò di cui essa manca, in quanto questa mancanza è il suo essere. Per Sartre l'esistenza del desiderio è la prova che la realtà umana è mancanza. Lungi dall'essere contingente, la mancanza discende dalla struttura del per-sé. La coscienza incontra dunque la sua esistenza nello stesso tempo in cui afferra in se stessa una sottrazione d'essere. Essa arriva all'esistenza per incompletezza. Sartre introduce il per-sé come l'essere che manca del suo proprio essere, come una faglia nell'essere. È un essere alla frontiera del non-essere, un essere che è desiderio d'essere, ma fallisce nel raggiungere il valore dell'in-sé-per-sé che brama. Il per-sé è un essere mancato, una totalità detotalizzata, un tutto a cui manca un frammento d'essere per costituirsi. Il nulla, come viene definito da Sartre, non è puro non-essere; è un essere che manca d'essere. Esiste dunque una faglia irriducibile al cuore dell'essere. Lacan applica un trattamento ontologico-fenomenologico all'inconscio come fenomeno di linguaggio. L'ontologia sartriana descrive il fenomeno d'essere della coscienza, l'ontologia lacaniana il fenomeno d'essere dell'inconscio a partire dal linguaggio. Dopo aver definito l'inconscio come una faglia al cuore del discorso, Lacan cerca di evidenziarne le modalità d'apparizione. Così dunque arriva ad affermare che l'inconscio «è l'evasivo» 22, lasciando intendere con l'utilizzo di questo termine che l'inconscio sfugge nel momento in cui si manifesta. L'inconscio sfugge ad ogni presa e non possiamo definire ciò che è. Come il per-sé sartriano, l'inconscio è della modalità del non-essere. Non giunge mai alla pienezza d'essere dell'in-sé. Tuttavia Lacan indica anche una via che permette di descrivere le modalità d'essere del fenomeno inconscio. Questa via è esattamente quella che Sartre aveva aperto per cogliere il per-sé, e cioè la via della temporalità. Mentre insiste sul carattere evanescente dell'inconscio, Lacan afferma che «noi riusciamo a circoscriverlo in una struttura, una struttura temporale, di cui si può dire che, fino a ora, non era stata mai articolata come tale» 2 3. Alla fine del Seminario X, Lacan segnalava la novità della sua concettualizzazione concernente l'oggetto di fronte al quale sorgeva l'angoscia e il pericolo che essa segnala; allo stesso modo all'inizio del Seminario XI egli sottolinea 11

J. L3can, Il Seminario. Libro Xl.

cit., p. 33. 13

lvi, p. 33.

I quattro co11cetti fondamentali della psicoanalisi,

2. !.'INCONSCIO Sl'RlTITURATO COME A1TO MANCATO

ciò che porta di nuovo rispetto a Freud: la temporalità dell'inconscio, che non era mai stata articolata come tale prima di lui. In effetti Freud non aveva concepito l'inconscio come legato a una struttura temporale. Nella Metapsicologia affermava che «i processi del sistema Inc sono atemporali, e cioè non sono ordinati temporalmente, non sono alterati dal trascorrere del tempo, non hanno, insomma, alcun rapporto col tempo»24. L'inconscio freudiano è dunque fuori dal tempo. Il che significa che i desideri inconsci proprio alla storia di un soggetto non si erodono. Manifestano dei desideri infantili sempre presenti, ne testimoniano i sogni adulti: «Nella vita onirica il bambino che è nell>uomo continua per così dire la sua esistenza, conservando tutte le sue caratteristiche e i suoi impulsi di desiderio, anche quelli diventati inutilizzabili col procedere del tempo» 2 5. Ora, per Lacan, se i desideri inconsci non si lasciano modificare dal fluire del tempo, si manifestano tuttavia nel tempo. Lacan rimette così in questione l'affermazione freudiana secondo la quale il processi inconsci sono atemporali. È nei termini della temporalità del per-sé che Lacan afferra la struttura temporale dell'inconscio freudiano. È questa temporalità per Lacan va colta come la modalità d'essere dell'inconscio, che non è una sostanza in-sé alla quale il tempo verrebbe ad imporsi dal di fuori. I processi inconsci hanno una dimensione temporale, non nel senso in cui si sottomettono alla temporalità cosciente, ma nel senso in cui emergono in una temporalità che deve essere presa in conto dall'interpretazione. In altri termini, i fenomeni inconsci non sono lì per sempre, chiusi da qualche parte, in attesa di essere scoperti. Essi emergono nell'istante, per scomparire subitamente così come sono apparsi. L'alternanza della presenza e dell'assenza, che possiamo chiamare il fort-da, può essere colta, secondo Lacan, come una pulsazione temporale. C'è qualcosa dell'ordine del gioco di prestigio dell'inconscio, era lì e puff, come per incanto, non c'è più. In qualche modo qui Lacan gioca Freud contro Freud: da una parte un Freud che evidenzia la faglia della dimenticanza di un nome al cuore di un discorso, dall'altro lato un Freud che afferma che l'inconscio non conosce il tempo. Certamente la temporalità alla quale .. S. Freud, L'inro11scio. in Metapsico/ogia, in Id., Opere, voi. VIII, cir., p. 71. S. Freud, Ci11que co11ferenze sulla psicoanalisi, in Id., Opere, voi. v1, Bollari Boringhieri, Torino 1989, p. 154. 11

IV. TF.MPORALITÀ DELl.'JNCONSCIO

Freud si riferiva nella Metapsico/ogia non è quella evocata qui da Lacan, che mette in luce la temporalità delle manifestazioni dell'inconscio (e non la temporalità del significato latente). Lacan rivolta tuttavia la concezione classica di un inconscio che non conosce tempo. Questa temporalità specifica, la concettualizza a partire dalla domanda di J.-A. Miller sull'ontologia e la funzione strutturante di una mancanza. È dunque grazie all'impulso dell'osservazione di uno dei suoi uditori che Lacan esamina la questione di un'ontologia dell'inconscio e per certi versi si impegna a situare la prospettiva psicoanalitica in rapporto alla distinzione filosofica dell'ontico e dell'ontologico, che rinvia sia a Heidegger sia a Sartre. Ciò che lo porta alla nuova definizione dell'inconscio come pulsazione temporale, come vacillamento, come sorgere effimero, è proprio l'interrogazione sull'apparire dell'inconscio. Per Lacan l'essere dell'inconscio è il suo apparire. Quest'approccio fenomenologico all'inconscio a partire dal discorso introduce una problematica ontologica. Che cos'è questa cosa la cui manifestazione è dell'ordine di una faglia nella parola? Lo abbiamo già visto, nel 1915 Freud aveva stabilito un'analogia tra l'inconscio e la cosa in sé kantiana. Nel 1964 Lacan rompe con questa concezione dell'inconscio come «cosa in sé». Coglie l'inconscio come fenomeno e non più come noumeno. Questo statuto fenomenico fa dell'inconscio un evento. Come ha mostrato J.-A. Miller, prendere l'inconscio come soggetto, non significa prenderlo come già dato, «ma a livello dell'effetto, come qualcosa che si produce e si manifesta in modo aleatorio. In questo senso, il soggetto è un evento» 26. L'inconscio è là dove appare, è dell'ordine del non esser già più là dov'era. E questa modalità di apparizione è ciò che vi è di più concreto nell'inconscio così come entra in gioco nella prassi analitica, in quanto modalità di discorso. Lacan definisce così la faglia come un al di qua dell'essere. «La faglia dell'inconscio, potremmo dirla pre-ontologica. [... ] Infatti, quello che anzitutto si è mostrato a Freud, agli scopritori, a coloro che hanno fatto i primi passi, quello che si mostra ancora a chiunque nell'analisi adatti per un momento il proprio sguardo a ciò che è proprio dell'ordine dell'inconscio, è che non è né essere né non essere, ma •' J.-A. Millcr, L'orie11talio11 lacanienne. Les us du /aps, insegnamento pronuncialo nel quadro del dipanimenlo di psicoanalisi dell'Università di Parigi VIII, corso del , 5 dicembre 1999, inedito.

2.. !.'INCONSCIO S1'RlflTURA1'O COME ATTO MANCATO

è del non-realizzato» 2 7. La faglia dell'inconscio, dunque, non è tanto il suo essere, ma la sua manifestazione in vista di una realizzazione. L'inconscio è appello d'essere, essere che non è ancora e che progetta d'essere. Così questo non-realizzato deve essere recuperato nel momento della seduta analitica prima che svanisca. Deve esser condotto alla realizzazione al fine di non scomparire nel non-essere. Possiamo dunque, a partire da queste formulazioni, parlare di una ontologia fenomenologica dell'inconscio in Lacan? Possiamo in ogni modo essere tentati di dire che l'essere dell'inconscio è la discontinuità così introdotta. Ma questa modalità d'essere deve anche definirsi a partire dalla risposta dell'Altro che invoca, a partire dall'interpretazione che la discontinuità richiama. Di colpo la ridefinizione lacaniana di inconscio tende piuttosto all'atto analitico. Non basta convocare la funzione strutturante di una mancanza. Bisogna, in altro modo, definirne una modalità per la prassi analitica. La realtà dell'inconscio, la sua Wirklichkeit, la sua effettività, è non solo il suo apparire ma anche l'atto che deve poter render conto della sua presenza. « Ciò che è ontico, nella funzione dell'inconscio, è la fessura attraverso cui quel qualcosa la cui avventura nel nostro campo sembra così breve viene, per un istante, portato alla luce - per un istante, perché il secondo tempo, che è di chiusura, dà a tale presa un aspetto evanescente» 28 • Lacan abbandona la questione dell'ontologia per privilegiare la questione della modalità di apparire dell'inconscio, cioè il suo modo di esistere. Ciò che è importa nte non è passare dal fenomeno verso il suo essere, ma di passare dal fenomeno all'atto, alla prassi, alla risposta che il fenomeno richiede. Se Sartre, seguendo Heidegger, indica nella sua introduzione a L'essere e il nulla che «la "realtà umana" è ontico-ontologica, cioè può sempre andare oltre il fenomeno verso il suo essere» 2 9, Lacan afferma che l'inconscio è in qualche modo ontico-etico. Ciò che c'è di ontico è quel che fa parte del fenomeno dell'inconscio in quanto appare, è l'aspetto imprevedibile ed evanescente secondo il quale viene ad essere. Ma ciò che vi è di etico è che questo non ancora realizzato, attraverso cui l'inconscio appare, chiede di essere riacciuffato in tempo prima di

J. Lacan, li Seminario. Libro Xl. l quattro co11cetti fondamentali della psicoanalisi, cit.,p. 30. 18 Ivi,p. 32. •• J.-P. Sartre, L"essere e il 11ulla, cit., p. 1 5. 17

IV. Ti,MPORALITÀ DF.Ll.'INCONSCIO

dissiparsi. L'aspetto evanescente dell'inconscio è ancora ciò che, per Lacan, esige che la seduta non abbia durata fissa. «Contesto scottante, come ben sapete»3°, ricorda Lacan. Se bisogna scandire il discorso del paziente e non lasciarlo proseguire secondo una durata fissa, è perché l'inconscio si dà in una scansione. «L'apparizione evanescente avviene tra i due punti, quello iniziale e quello terminale, di questo tempo logico - tra l'istante di vedere, dove qualcosa è sempre eliso o perduto dall'intuizione stessa, e il momento elusivo in cui, precisamente, la presa dell'inconscio non conclude, in cui si tratta sempre di un recupero ingannato»3 1 • La temporalità introdotta da Lacan è una temporalità logica, che rende conto della struttura dell'inconscio in quanto apertura, emergenza di una discontinuità, lo spazio di un istante, necessariamente seguito da una chiusura, da una scomparsa. L'inconscio si dà di fretta, pronto a squagliarsela. Si dà nella modalità dell'inafferrabile. La questione dello statuto dell'inconscio rinvia così alla questione pratica ed etica di sapere come afferrarlo. Né essere, né non-essere, aveva precisato Lacan, ma non-realizzato. Cogliere che cos'è l'inconscio, è cogliere come sia possibile condurlo alla sua realizzazione. Non è solo cogliere un concetto, è impegnarsi in una pratica che discenda dal concetto stesso. Alla precarietà dello statuto ontico dell'inconscio, al carattere vacillante del fenomeno, bisogna rispondere con un atto. «Lo statuto dell'inconscio, che vi indico così fragile sul piano ontico, è etico. Freud nella sua sete di verità, dice - Comunque sia, bisogna darci dentro, perché da qualche parte, questo inconscio si mostra»3 2 • Il concetto fondamentale dell'inconscio indica il senso dell'atto psicoanalitico in quanto risposta etica all'emergenza dell'inconscio. Lacan si libera da un'ontologia fenomenologica dell'inconscio per privilegiare una etica adeguata al fenomeno. Affermare che lo statuto dell'inconscio è etico significa che è dell'ordine del non-realizzato che desidera essere. Il fenomeno inconscio chiama in causa dunque il desiderio dell'analista che non deve temere di andarci, per poter cogliere ciò che si dice per mezzo di questa faglia. Se «l'inconscio, innanzitutto, ci si manifesta come 10

J. Lacan, // Seminario. Libro Xl. I quattro co11ceNi fomlame,rtali della psicoanalisi,

cit., p. 32. '' lvi, pp. 32-33. '' lvi, p. 34.

:!.. J.'JNCONSCIO Sl'R\TITURATO COME I\TIO MI\NCATO

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qualcosa che resta in attesa nell'area, direi, del non-nato»H è perché per nascere, per avvenire nell'area del nato, bisogna che venga ascoltato, riconosciuto. L'inconscio indica un « bisogna essere», al quale un atto d'interpretazione che poggi sul desiderio dell'analista possa rispondere. Interpretare, punteggiare, scandire, è far essere ciò che cerca di realizzarsi. È nella misura in cui Freud non lo ha formulato così che Lacan giudica necessario sottolineare che «lo statuto dell'inconscio è etico, e non ontico»34. Vuole mostrare che l'inconscio non esiste se non in atto, nel momento in cui sorge nel discorso, nella modalità di una pulsazione temporale che determina un prima e un dopo. Lo statuto etico è dunque coordinato alla temporalità concreta dell'inconscio. Ciò che deve essere può avvenire solo se la punteggiatura, la scansione, l'interpretazione, lo colgono. Al problema di una ontologia propria alla psicoanalisi Lacan risponde dando risalto allo statuto etico dell'inconscio. Mostra così in che senso la psicoanalisi oltrepassi una pura ontologia fenomenologica dell'inconscio. L'inconscio esiste in quanto etico, cioè in quanto ci indica la direzione del nostro desiderio. Se c'è riconoscimento della funzione strutturante della mancanza per la psicoanalisi, c'è anche, al di là, l'esigenza di strappare al non-essere il non realizzato che, come per caso, si è fatto conoscere per poi scomparire in silenzio. Allo statuto etico dell'inconscio, risponde dunque l'impegno dell'analista al fine di far avvenire un desiderio in mancanza di determinazione.

La spontaneità della ripetizione

L'irruzione di fenomeni contingenti e sempre sorprendenti - la dimenticanza di un nome, l'atto mancato, l'inciampo nel discorso - rivela la struttura temporale dell'inconscio che, abbiamo visto, si presenta come una faglia. Ma questa struttura temporale può essere ugualmente colta a partire da quel che non cambia, da quel che emerge sempre in modo identico e che rinvia a ciò che Freud ha chiamato

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