Risposte. Ventiquattro capitoli su altrettante domande fondamentali 8883585054, 9788883585050

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Risposte. Ventiquattro capitoli su altrettante domande fondamentali
 8883585054, 9788883585050

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SCIENTIA

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Domenico Giuliana

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RISPOSTE Ventiquattro capitoli su altrettante domande fondamentali e attuali

ARMANDO EDITORE

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GIULIANA, Domenico Risposte. Ventiquattro capitoli su altrettante domande fondamentali / di Domenico Giuliana ; Roma : Armando, © 2004 61 p. ; 22 cm. - (Scientia) ISBN 88-8358-505-4 1. Saggistica

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CDD 140

© 2004 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 18-10-014 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. L’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate a: Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO), Via delle Erbe 2, 20121 Milano, tel. e fax 02/809506.

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INDICE

Capitolo primo L’ABITUDINE E IL CONFORMISMO

11

Capitolo secondo LA FORMA

13

Capitolo terzo TRASCENDENZA E IMMANENZA

15

Capitolo quarto LA LIBERTÀ

17

Capitolo quinto INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO

19

Capitolo sesto L’ESTETICA

22

Capitolo settimo CARTESIO

24

Capitolo ottavo IMMANUEL KANT

26 5

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Capitolo nono L’ECONOMIA

28

Capitolo decimo LA FILOSOFIA

30

Capitolo undicesimo RAGIONE E FEDE

32

Capitolo dodicesimo LA STORIA

34

Capitolo tredicesimo ETICA E MORALE

36

Capitolo quattordicesimo IL MALE

38

Capitolo quindicesimo SHELLEY

40

Capitolo sedicesimo SINTESI E ANALISI

42

Capitolo diciassettesimo GIORGIO CAPRONI

44

Capitolo diciottesimo LA METAFISICA

47

6

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Capitolo diciannovesimo L’IDEALISMO

49

Capitolo ventesimo AUGUST COMPTE E KARL MARX

51

Capitolo ventunesimo SCIENZA E ARTE

53

Capitolo ventiduesimo INFLUENZA DELLA GUERRA

54

Capitolo ventitreesimo LA “QUERELLE” FRA ANTICO E MODERNO 58 Capitolo ventiquattresimo SUL FUTURO

60

7

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Alla memoria di mia sorella Pina, che continua a suonare il pianoforte con dolcezza o con ardore

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Capitolo primo

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L’ABITUDINE E IL CONFORMISMO

Domanda:

«Cosa sono abitudine e conformismo?».

Risposta:

«La consuetudine è la ripetizione di atti, parole, comportamenti abituali, senza pensieri. È vero che fa risparmiare energie. Esempio: Eccolo seduto a leggere il giornale ma da alcuni giorni ha spostato la poltrona accanto alla sedia per maggiore spazio, e quando si alza per fare qualcosa posa il giornale sulla poltrona che non è più a ridosso della sedia e il giornale cade sul pavimento. Continuerà così fin tanto che non avrà preso la nuova abitudine di posare il giornale sulla poltrona dopo essersi alzato in piedi. Gli esempi non sempre banali si possono moltiplicare. Senza le abitudini dovremmo essere sempre vigili, coscienti, presenti a noi stessi, con grande sperpero di energia. 11

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Nell’ambito del diritto, la consuetudine affianca talvolta la legge. Però l’abitudine crea conformismo, che è male. Perché ciascuno di noi, mantenendosi fedele alla tradizione in modo acritico rigetta le innovazioni, il progresso, il futuro in nome del passato ritenuto più valido. Il che è profondamente errato. Infatti il conformismo produce spersonalizzazione. Sia la consuetudine che il conformismo sono imbevuti di gossip, cioè pettegolezzi, pregiudizi e stereotipi, cioè rispettivamente giudizi senza esperienza ed errori di valutazione, sia individuali che sociali. In questa materia, l’insuperato maestro – con vari “idola”, cioè idoli – è stato il filosofo inglese cinquecentesco Francis Bacon. Nel ‘600 si prestò molta attenzione alla consuetudine, che imponeva una maschera a ogni individuo. Per toglierla, si era costretti a rinnovarsi profondamente nello spirito. Il che equivaleva a rinascere a nuova vita».

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Capitolo secondo

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LA FORMA

Domanda:

«Cosa è la forma?».

Risposta:

«La forma è l’eidos greco cioè l’aspetto esteriore, l’apparenza. Platone con l’idea – corrispondente linguistico – oggettiva, ne fece il modello da seguire. Ma l’idea oggettiva finì per diventare soggettiva, filosoficamente parlando. Il più grande positivista, l’inglese settecentesco John Stuart Mill, la considerava riunione di sensazioni. Il filosofo tedesco ottocentesco Georg Wilhelm Friedich Hegel logicizzò l’idea e la ridusse a concetto o complesso di concetti. Il filosofo tedesco sette-ottocentesco Friedich Heinrich Jacobi accusò il suo collega Johan Gottlieb Fichte di avere sostituito l’idea a Dio. Ebbe ragione il grande critico Francesco De Sanctis – subito seguito da Benedetto 13

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Croce – quando chiarì che si deve parlare di forma solo quando risulta sovrabbondante rispetto al contenuto ovvero deficiente, altrimenti forma e contenuto coincidono nella sostanza. D’altra parte, come esempio, di un recipiente più che la forma è il contenente che vale come esempio di un contenuto di acqua».

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Capitolo terzo

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TRASCENDENZA E IMMANENZA

Domanda:

«Trascendenza e immanenza?».

Risposta:

«Uscire della realtà è trascendenza. Mantenersi nella realtà è immanenza. Entrambi i termini hanno ragione di essere, proprio perché opposti. Sono il dritto e il rovescio di una medaglia. Vi è trascendenza proprio perché si sente il bisogno di superare l’immanenza. Nel cristianesimo rappresentano rispettivamente Dio e Gesù. Il filosofo olandese seicentesco Benedetto Spinoza tentò di fare dell’immanenza qualcosa a sé stante. Il filosofo novecentesco piemontese Piero Martinetti propose una coppia di termini di concezione particolare, laica. Certo è che ognuno di noi sente voci ancestrali ereditarie – di sentimento o concetto o di entrambi –: la voce principale è quel15

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la del sacro; è il sensus communis dell’homo perennis, cioè il senso comune dell’uomo perenne, eterno. Del tutto diverso è il comune senso o buon senso. Noi, in ultima analisi, siamo al tempo stesso dentro e fuori del nostro mondo. Il filosofo tedesco novecentesco Wiesengrund Theodor Adorno disse che si trattava solo di astrusi strumenti di potere. Siamo esseri perituri che aspirano all’eternità. In sintesi conclusiva, affermo che si tratta di ritenere dipendenti, ovvero indipendenti, trascendenza e immanenza. L’immanenza considerata a solo è panteismo. Da non confondere con panpsichismo. Per il primo tutto è Dio. Per il secondo tutto il mondo è spirito».

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Capitolo quarto

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LA LIBERTÀ

Domanda:

«Cos’è la libertà?».

Risposta:

«L’antichità resta sotto il segno del determinismo, della necessità. Forse, anzi perché resta unita alla Natura che, si sa, è permeata di leggi inesorabili per leggere le quali si usava la lettura delle stelle con l’astrologia e l’astronomia, e delle viscere degli animali, con l’aruspicina, e del volo degli uccelli, e i cartigli delle Sibille. Tutte forme di divinazione, più o meno, accolte o rigettate (Pico Della Mirandola, Savonarola nel ‘400); tutte forme che vanno a favore del destino prestabilito dalle divinità. È però con l’avvento delle religioni monoteistiche, in particolare con il cristianesimo, che irrompe nell’uomo il concetto di libertà. Ciò non toglie che l’uomo sia al tempo 17

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stesso libero e necessitato, e che si sforzi di aumentare, se e nella misura del possibile, la porzione acquisita di libertà. Sulla necessità dell’essere è fondamentale il saggio dal titolo Filosofia del senso comune (Milano, Edizioni Ares), del professore universitario monsignore Antonio Livi, che dirige la rivista trimestrale “Sensus communis” e presiede l’omonima associazione».

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Capitolo quinto

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INDIVIDUALISMO E COLLETTIVISMO

Domanda:

«Sull’individualismo e il collettivismo?».

Risposta:

«L’uomo singolo è individuale, legato come tale alla Natura e quindi soggetto tra soggetti. Anche un animale, una pianta, una montagna sono soggetti. Ma l’individuo finisce per staccarsi dalla Natura superandola, e sublimandosi con il linguaggio in modo da creare cultura. Però con il libro Specimen controversiarum del 1686, il barone tedesco giusnaturalista Samuel Pufendorf affermò che con la cultura l’uomo si era messo contro la Natura. L’individuo è però tentato dall’egoismo, se non travolto, cioè da una specie di individualismo esasperato, dannoso per altri, che li riduce a oggetto, mezzo per fini propri. È persona l’individuo centro di diritti e doveri. Uno stagno prosciugato, impiantare degli alberi in un suolo impervio costitui19

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scono esempi benefici verso la Natura, che può divenire dannosa per esempio a causa di inondazioni, terremoti, eruzioni di vulcani, nubifragi. Il sano individualismo è un bene e va tutelato. Ogni individuo è mosso da “geni” – è la recente scoperta del nostro premio Nobel Renato Dulbecco –, sostitutivi degli istinti. I “geni” sono ciò che dalla filosofia viene denominato sensus communis dell’homo perennis, sensi comuni dell’uomo perenne, eterno. Questi “geni” finalizzano le attività individuali. In quanto all’uomo collettivo si tratta, per esempio, di famiglie, associazioni, persone giuridiche fra cui lo Stato, come massima. Mosso dal “gene” della collettività, l’individuo abituato all’IO trova il NOI. Ma come per l’individualismo il pericolo è l’egoismo, così per il collettivismo i due pericoli sono l’accentramento eccessivo di potere e la concessione incontrollata di privilegi, cioè il nepotismo. Anche un individuo naufragato in un isola disabitata proverà il bisogno di compagnia, senza però poterlo soddisfare. Non si può sostituire il collettivismo – benché le varie classi sociali vadano verso una progressiva riduzione di differenze, particolarmente economiche – all’individualismo, poiché anche nell’individuali20

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smo esiste il “gene” della socialità (l’homo socialis di Aristotele). A seconda dei tempi storici e dei vari popoli è esistito un prevalente individualismo ovvero un prevalente collettivismo. L’esigenza più avvertita è di armonizzarli fra loro. Benché vi siano verità, è troppo semplicistico ridurre l’individualismo alla libertà, e il collettivismo alla eguaglianza. Alla certezza è subentrato il fallibilismo del filosofo tedesco novecentesco Karl Popper. Contemperare individualismo e collettivismo nelle mentalità e poi nelle leggi, e viceversa, è forse la meta dei tempi futuri».

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Capitolo sesto

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L’ESTETICA

Domanda:

«L’estetica cos’è?».

Risposta:

«La filosofia dell’arte assume il nome di estetica solo per il versante della immaginazione, che riunisce i sensi ai sentimenti, e si basa sull’imitazione della realtà, sebbene modificata nella sua rappresentazione. È di impianto settecentesco – sensista, come dal libro Aesthetica, incompiuto, e dalla precedente tesi di laurea, del filosofo tedesco Gottlieb Alexander Baumgarten. L’altro versante – i due versanti sono stati da me configurati – è dedicato alla fantasia, dove tutto è costruito, dalla memoria all’inconscio, per cui la realtà ha solo influenza indiretta e lontana e si ha una seconda realtà, o irrealtà, del tutto costruita. Questi due versanti fanno parte dell’emisfero destro del cervello, zone parietali e connesse.

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(Nelle zone parietali e connesse dell’emisfero sinistro del cervello sta invece la sede del raziocinio o ragione). Ciò è frutto delle recenti acquisizioni neuroscientifiche, da me tenute ben presenti. Queste neuroscienze hanno strappato alla filosofia – anticipate però dagli approfondimenti in gran parte seicenteschi dell’inglese John Locke, e settecenteschi dello scozzese David Hume – il dominio esclusivo della gnoseologia o teoria della conoscenza. Già dall’antichità erano state individuate le due diverse e distinte facoltà mentali, immaginativa-fantastica e razionale. Solo di recente, con la teoria delle localizzazioni celebrali, le due diverse e distinte sedi celebrali».

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Capitolo settimo

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CARTESIO

Domanda:

«E Cartesio?».

Risposta:

«È il massimo assertore moderno della razionalità, come per l’antichità fu Aristotele. Era essenzialmente uno scienziato che nei ritagli di tempo si dedicava alla filosofia, di cui non scrisse molto. Su consiglio della principessa palatina svedese Elisabetta scrisse in tre anni, 1645-1648, un Trattato sulle passioni dove fra l’altro definiva sommo bene l’amicizia ed emozione dell’anima l’amore. Per lui non bisognava fare tacere le passioni ma controllarle con la ragione. Come si vede, non aveva mai avvertito il bisogno di esaminare i sentimenti e quindi le passioni, cioè i sentimenti espressi al massimo grado. Però i sensisti settecenteschi configurarono sensi e sentimenti come predominanti

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su concetti e ragionamenti. Nel prossimo futuro, per la maggior salute mentale e fisica si tratterà di armonizzarli, dopo averli coordinati. L’Illuminismo settecentesco e il Romanticismo sono stati movimenti di idee e sentimenti fortemente contraddittori e quindi marcatamente unilaterali. René Descartes è in francese Cartesio. Aggiungo, per finire, che Cartesio accettava le passioni sebbene rese moderate dalla ragione. Ciò spiega perché facesse l’elogio delle passioni più deprecabili».

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Capitolo ottavo

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IMMANUEL KANT

Domanda:

«Immanuel Kant?».

Risposta:

«Come Platone e Aristotele hanno dominato i secoli successivi ai loro insegnamenti, così Kant dal ’700 domina i due secoli dell’Ottocento e Novecento. È un grande investigatore di problemi filosofici, ha ribadito il concetto dei due tipi di conoscenza della realtà sia razionale che sensitiva; ha mutato le idee innate in sensus communis dell’homo perennis, che oggi il nostro grande premio Nobel Renato Dulbecco denomina “genoma”; e la sua attività sintetica dell’intelletto sembra ormai corrispondente all’attività dell’epitalamo celebrale.Tanto per citare. Poi, osservo che dalle sue schegge di pensiero filosofico sono nate molte filosofie moderne, per esempio di Hegel, Heidegger, Sartre.

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Non si sposò, morì a 80 anni a Königsberg dove aveva quasi sempre vissuto e insegnato. Gli abitanti regolavano i loro orologi quando lo vedevano iniziare le sue metodiche passeggiate. In otto anni aveva scritto – dal 1781 al 1788 – le sue tre Critiche, che gli assicurarono fama imperitura».

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Capitolo nono

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L’ECONOMIA

Domanda:

«L’economia?».

Risposta:

«È la scienza dei fatti economici, essa ci è necessaria. Dal mercato ricava leggi, e così dagli altri settori, variabili a seconda delle scuole. Il mercato può essere “libero” o “chiuso”, l’economia “old” e “new”, cioè vecchia e nuova. È anche utile a spiegare la situazione di un mistico che ha scelto il misticismo per respingere le bassezze e le sopraffazioni del mondo circostante, e la sua miseria economica. Nessuno però può disconoscere l’importanza dell’economia per sottrarre l’umanità alla miseria e agli stenti. L’economia ha preso il posto della storia? Nient’affatto. Però si è introdotta negli studi storici, come egregiamente dimostra la moderna scuola francese degli “Annales”. La nuova economia, o di massa, si è costi-

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tuita accanto alla vecchia economia di mercato. Vi è poi la microeconomia che indaga singoli fenomeni economici, e la macroeconomia che indaga fenomeni generali. Mi sembra alquanto riduttiva la definizione di economia come scienza dei fenomeni economici visti con pluralità di fini e scarsità di mezzi disponibili per raggiungerli e soddisfarli. Si resta nel campo economico anche nel caso contrario».

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Capitolo decimo

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LA FILOSOFIA

Domanda:

«Cos’è la filosofia?».

Risposta:

«È lo studio ragionevole e ragionato dei massimi problemi umani. Tante definizioni diverse sono state date nel tempo e nello spazio. Celebre quella di Michel Eyquem signore di Montaigne scrittore e moralista francese del ’500, che la filosofia insegna a ben morire. Senza tenere dunque in ben conto la vita. La filosofia insegna infatti a ben vivere, utilizzando anche i risultati e le raccomandazioni della morale, riportati però in una visione più ampia e profonda. È secondario l’aspetto – pur presente – di insegnare a ragionare. Però la parte gnoseologica della filosofia è divenuta appannaggio delle moderne neuroscienze.

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È bene che sia così. Era stata la filosofia a espandersi a danno della scienza, ora la scienza si prende la sua rivincita».

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Capitolo undicesimo

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RAGIONE E FEDE

Domanda:

«Cosa sono ragione e fede?».

Risposta:

«Corrispondono ai due emisferi celebrali, quello di sinistra dedicato a concetti e ragionamenti e quindi alla scienza, quello di destra alla sensibilità e ai sentimenti e quindi alla fede, benché quest’ultima possa avere aspetti di rilevanza razionale. La fede è in sostanza il sentimento del sacro impresso dal corrispondente “gene”. Qualche volta la fede è configurata prevalentemente come razionale. La fede si basa sulla sintesi, la ragione sull’analisi. La ragione sentimentale raggiunge il massimo nel misticismo. A questo punto sopraggiunge il ricordo della “scommessa” sull’esistenza di Dio proposta dallo scienziato e filosofo francese seicentesco Blaise Pascal.

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Forse la “scommessa” si può proporre per l’esistenza dell’anima. Segue il ricordo della successiva proposta di Kant, di ritenere l’esitenza di Dio “possibilità necessaria”. Ma chi è come me cattolico, ogni qual volta recita “il credo” afferma le esistenze di Dio e dell’anima».

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Capitolo dodicesimo

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LA STORIA

Domanda:

«Cos’è la storia?».

Risposta:

«È la scienza degli eventi politicamente rilevanti. Non insegna nulla di specifico, molto nel suo complesso, insegna ad evitare – ma l’uomo dimentica facilmente – gli errori. Si può fare la storia dei singoli eventi opportunamente datati, si può farla riducendoli all’essenziale. Se la storia si fa per schemi, esempio le crociate, o temi, si fa sociologia della storia. Se si aggiungono conclusioni moraleggianti si fa filosofia della storia. È certo che la sociologia è scienza della collettività, mentre la storia in senso tradizionale è individuale, nel senso che a determinarla e svilupparla sono singole, eccezionali – anche se talvolta deprecabili – personalità. Se è vero che la storia esprime l’astuzia

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della ragione, come affermò Hegel, occorre subito aggiungere che esprime al tempo stesso, o in alternanza, l’astuzia del sentimento. Ma non sarei sicuro che si tratti sempre di astuzia. I tedeschi possiedono nella loro lingua due termini relativi alla storia: Historische per la storia passata e Geschichte per la storia a venire protesa al miglioramento, e al perfezionamento dell’uomo».

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Capitolo tredicesimo

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ETICA E MORALE

Domanda:

«Cosa sono l’etica e la morale?».

Risposta:

«La stessa cosa, considerato che la prima è espressione greca e la seconda latina ed entrambe significano costume. Costruiscono un complesso di regole dettate per la vita quotidiana, dai Greci in presenza di molte divinità, dal latino Seneca senza. Per i cristiani bastano le leggi dettate da Gesù, per i laici solo quelle statali nonché dei pensatori privati. Senza norme di comportamento l’individuo sbanda, così pure la collettività. Chi cerca di evaderle è un libertario o liberticida, chi le infrange è punibile dalle leggi. Si fa però presente che il filosofo tedesco ottocentesco Georg Wilhelm Friedich Hegel distingueva morale da etica, assegnando la prima all’individuo aspirante alla oggettività, e quindi conflittuale e problema-

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tica, la seconda alle comunità – famiglia, società civile, Stato – e quindi oggettiva, universale».

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Capitolo quattordicesimo

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IL MALE

Domanda:

«E del male?».

Risposta:

«Problema complesso, enigmatico. Il compianto scrittore Bonaventura Tecchi ne era angustiato, ne parlava nei libri oltre che nelle conversazioni. Nella antichità una religione mediorientale concepiva un Dio del male opposto a un Dio del bene, che combattevano con alterne vicende. Certo è che il Dio unico non può essere malefico, benché nell’Antico Testamento fosse vendicativo; nel Nuovo è un Dio misericordioso. E allora il male da dove deriva? Sant’Agostino asseriva essere il male bene imperfetto. Il compianto filosofo sulmonese novecentesco Giuseppe Capograssi ha spiegato in due cause l’insorgere del male: azione che non raggiunge il suo fine; ricerca dell’utile al posto della verità, che è l’ordine divino delle cose.

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Né Giobbe poteva imputare a Dio la moria dei suoi armenti, le malattie del suo corpo, fondatamente, sensatamente. “Io, o Dio, ti ho sempre sacrificato e pregato, e tu mi tratti così”, esclamava quasi imprecando. Astraendo e personificando, il male si fa Diavolo. Va bene per Faust e Mefistofele, non va bene per l’umanista scrittore olandese del ’400-500 Erasmo da Rotterdam, scambiato da un signore appena incontrato in viaggio per il Diavolo in persona, per l’eccessiva eleganza del vestire e l’espressione ineffabile, misteriosa, inquietante. La società può diventare malefica, anche il potere istituzionale, se non aiuta derelitti e indigenti. A tal riguardo, vengono in mente le perplessità dello scrittore austriaco novecentesco Robert Musil nell’L’uomo senza qualità, nei riguardi dell’imputato di omicidio Moosbrugger, di cui seguì il processo con apprensione più che con interesse. Egli si chiedeva se, e in che misura, anche la società fosse colpevole. In lingua greca Diavolo significa colui che divide, mette l’uno conto l’altro, sparge zizzania».

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Capitolo quindicesimo

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SHELLEY

Domanda:

«E Shelley?».

Risposta:

«Grandissimo poeta, saggista inorganico e ripetitivo, – come ben vide il critico novecentesco Emlio Cecchi – nella sua Difesa della poesia, dove non parla mai di fantasia ma sempre di immaginazione, sotto l’influenza indubbia della cultura sensista settecentesca. Quindi per lui si può giustamente parlare di estetica, una delle due partizioni della filosofia dell’arte. Le sue poesie sono intrise di sensazioni più che di sentimenti, ma non mancano considerazioni filosofiche appropriate. Ha tratto ispirazione da luoghi suggestivi, quasi scatenandosi, scrisse per esempio L’ode al vento dell’Ovest nelle cascine di Firenze. Cercava avidamente la gloria. Morì durante una gita in barca travolto dalle onde in tempesta, a 30 anni, ironia della sorte. È

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sepolto in una modesta tomba dentro un’urna contenente le sue ceneri. È ricordato da una lapide come “cor cordium”, cuore dei cuori. Così lo aveva definito il poeta inglese John Keats, morto prima di lui. I due nomi di Shelley sono Percy Bysshe. Carducci lo aveva definito “spirito di titano in verginee forme”. Anche Keats aveva qualcosa di femminile, angelico. E Borges: “Vi era in lui una immatura adolescenza”. Hanno colto nel segno».

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Capitolo sedicesimo

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SINTESI E ANALISI

Domanda:

«Sulla sintesi e sull’analisi?».

Risposta:

«Ignoro se sia venuta prima la sintesi o l’analisi. Potrebbe darsi che l’uomo primitivo vivesse nell’ambiente senza bisogno di analizzarlo, traendone agevolmente nutrimenti, ma certo anche allora un poco di analisi dovette farla. Ciò che importa oggi è assegnare la sintesi alla conoscenza artistica e l’analisi a quella razionale scientifica. Questo prevalentemente e non esclusivamente. Mi limito all’esempio del medico che fa l’esame di una malattia con l’analisi e la diagnosi con la sintesi. Non vi sono due culture però, come è stato superficialmente affermato; la cultura è unica, con due divisioni che spesso si integrano. È unica infatti la mente umana, sebbene suddivisa in due emisferi cerebrali – foto-

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grafati in un feto come fortemente divaricati –, che poi si avvicinano sino a giustapporsi, non a saldarsi insieme. Aveva ragione Benedetto Croce quando parlava di dialettica dei distinti, contrapposta alla dialettica dei contrari di Hegel. Sin dall’antichità sono stati usati sostantivi diversi per designare le due attività cerebrali, razionali e sensitive, per esempio presso tutti i popoli europei. Ma hanno sempre designato due facoltà diverse aventi unica origine cerebrale, mentre le moderne neuroscienze hanno individuato le due distinte localizzazioni sia di sinistra che di destra, rispettivamente attinenti alla ragione e alla sensibilità. Scrittori analitici? Penso subito a Dostoevskij. Sintetici? Penso subito a Sterne. Misti? Penso subito a Tolstoj e Musil. Alternato è invece Manzoni. La sintesi e l’analisi costituirono, come afferma il linguista Quine, un rebus sia per Leibniz che per Kant. Per me, e non soltanto per me, la sintesi è processo di aggregazione, unificazione di parti e quindi di significati, mentre l’analisi è processo di disgregazione, moltiplicazione di parti e quindi di significati. Come già chiarito, sintesi e analisi possono influenzarsi, a seconda dei casi concreti, spesso o raramente». 43

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Capitolo diciassettesimo

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GIORGIO CAPRONI

Domanda:

«Giorgio Caproni?».

Risposta:

«L’ho incontrato a Roma varie volte dopo aver superato la sua apparente durezza di carattere e ne sono divenuto amico. Si rivelò una persona squisita e comprensiva. Nato a Livorno e trasferitosi con la famiglia a Genova, amò immensamente questa città tanto da dedicarle una raccolta di poesie Le stanze della funicolare, e una lunghissima poesia cantilenante, ricca di molte lodi. La città di Genova dovrebbe dedicargli una strada, come ha fatto Madrid per Raphael Alberti ancora in vita. Le sue prime cinque raccolte di poesie si intitolano Come un’allegoria, Ballo a Fontanigorda, Finzioni, Cronistoria, e il Passaggio di Enea che include le Stanze della funicolare, raccolte edite anche da Vallec-

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chi; la prima raccolta fu pubblicata a Genova dove collaborò a riviste. Sono poesie amorose, descrittive – qualcuna puramente sensitiva – nel complesso sentimentali. Qua e là qualche balenante pensiero critico sulla società, cioè moraleggiante. Le sue ulteriori quattro raccolte di poesie sono Il congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee, Il muro della terra, Il franco cacciatore e Il conte di Kevenhuller. In queste raccolte Caproni diviene drammatico, di schilleriana potenza. Ma anche angosciato, indeciso, scisso nell’Io. In due conferenze su Caproni, da me tenute, mi sono accorto che i giovani preferiscono questo secondo Caproni. Non apportano nulla di nuovo le tre ultime raccolte: Versicoli del controcaproni, Erba francese, e Res amissa. Meno ancora le tre finali raccolte di poesie “disperse” e “inedite”. Questo profilo è basato su L’opera in versi dei Meridiani di Mondadori, in cui sono incluso fra i recensori – a pag. 1680 –, per volontà dello stesso Caproni. Grandissimo poeta, morto a Roma nel 1990 a 78 anni. Due Caproni, ho chiarito, ma preciso che fra i due Caproni vi è 45

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profonda unità. Certo, possedeva un duplice temperamento: sentimentale e ardente, freddo, meticoloso e distaccato. Da buon toscano».

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Capitolo diciottesimo

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LA METAFISICA

Domanda:

«La metafisica oggi?».

Risposta.

«La metafisica fu respinta da Immanuel Kant nella Critica della ragion pura, che si basava sul criticismo realistico. Ma in quel secolo decimottavo si parlava di metafisica “concreta”. Il fatto è che Kant rifiutava quella “astratta”. Uscita dalla porta, la metafisica era rientrata dalla finestra. In che senso? Nel senso spiegato da Lucien Goldmann, – compianto direttore dell’Ecole pratique des Hautes Etudes di Parigi e poi delle ricerche sociologiche dell’università di Bruxelles – nella sua Introduzione a Kant, cioè che gli a priori spazio-tempo, le categorie e l’imperativo categorico confluivano nell’unico concetto di sensus communis dell’homo perennis. E questo concetto corrisponde – preciso io 47

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a mia volta – nella metafisica “concreta”, che concerne ciò che in comune hanno gli uomini e le donne. A questo corrisponde – preciso ancora – il DNA GENOMA. Quindi vi sono due metafisiche: una astratta e una concreta, riunite con il termine generale di metafisica, di cui sono partizioni. È possibile che la metafisica astratta venga riformulata. Approfondendo maggiormente, e con l’ausilio delle modernissime acquisizioni culturali, si può affermare che la metafisica si occupa della acquisizione dei “significati” delle cose reali e soprareali, e che la scienza è invece protesa al raggiungimento delle “verità” fallibili perché relative. La metafisica risulta prevalentemente statica, la scienza prevalentemente dinamica. Ciascuna è dotata di un proprio particolare territorio, ma più o meno influenzabili, dato che si sono rivelate contigue. Chiarisco, per finire, che il sensus communis dell’homo perennis, si distingue profondamente dal “comune senso”, o buon senso, equivalente a saggezza popolare, tradizionale, che si esprime anche con proverbi».

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Capitolo diciannovesimo

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L’IDEALISMO

Domanda:

«E l’idealismo?».

Risposta:

«Lo studioso settecentesco Friedrich Heinrich Jacobi, amico intimo di Kant e che raccomandava agli amici di rispettarlo, disse dell’idealismo precorritore del filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte: “Altro non è che la sostituzione di Dio con l’uomo”. Infatti l’idealismo fa dell’uomo non più il modificatore o costruttore del mondo bensì il suo creatore. L’idealismo è stato una parentesi aperta nel ’700 e oggi chiusa. Vi fecero parte un gruppo di filosofi di varia nazionalità, compreso Benedetto Croce. Al suo posto è subentrato il realismo filosofico. Anche il positivismo è una parentesi chiusa. Troppo miope. Lo stesso per la filoso49

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fia spiritualistica: troppo unilaterale ed esclusiva. Ci dobbiamo convincere che non siamo creatori di nulla, né sola carne, né solo spirito: siamo carne e spirito insieme, senza essere divinità, benché tendiamo alla divinità da cui d’altra parte siamo attratti. Resta il realismo, anche religioso: cioè anche inclusivo della religiosità. Occorre infine osservare che se una qualsiasi idea diventa unica e totale, cioè IDEA, cessa di essere libera nel confronto dialettico con le altre idee e diventa maniacale, cioè ossessiva e quindi distruttiva. Come è avvenuto nel Novecento e nel passato, e come avverrà – se le si dà via libera – nell’avvenire».

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Capitolo ventesimo

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AUGUST COMPTE E KARL MARX

Domanda:

«August Compte e Karl Marx?».

Risposta:

«Comte errò a dividere la civiltà in tre fasi e ad assegnare la terza al nostro tempo. Ora è vero che la scienza nel nostro tempo ha avuto sviluppi mirabolanti, e che l’età dell’uomo per esempio si è allungata. Ma vi sono virus e batteri nuovi o adattati che hanno fatto la loro comparsa. In quanto a Marx, la teoria della classe unica si è risolta in una riduzione – o almeno in un ravvicinamento – di classi. E restano intatti, a volte modificati, i loro problemi esistenziali. La sua lotta al capitalismo è stata poi vanificata dalla sua trasformazione. Ma Marx ha dato una spinta all’evoluzione – se non al vero e proprio impianto – della sociologia, che sembrò sostituirsi alla storia. Ma la storia, che è resoconto degli eventi indi51

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viduali nello spazio e nel tempo, si è arricchita con gli apporti non solo della sociologia – che studia non gli individui ma i gruppi sociali, le collettività –, ma anche dell’economia (con gli Annales francesi)».

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Capitolo ventunesimo

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SCIENZA E ARTE

Domanda:

«Scienza e arte?».

Risposta:

«La scienza nell’Ottocento con il positivismo influenzò l’arte – ma anche la filosofia –, da questa influenza si originarono naturalismo, verismo e realismo, da Zola a Flaubert a Verga. Fu il trionfo dell’analisi nel campo artistico sintetico. Ora, la scienza deve stare al suo posto e non invadere un campo completamente diverso. È come dire che la ragione non deve prevaricare sui sentimenti e sulla fantasia. Ciò non toglie la possibilità di reciproche influenze. La scienza deve restare prevalentemente scienza e l’arte arte. Di ciò si è già detto diffusamente e con precisione».

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Capitolo ventiduesimo

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INFLUENZA DELLA GUERRA

Domanda:

«La guerra influisce sulla letteratura?».

Risposta:

«Certamente. Renato Serra ebbe torto a negare tale influenza non solo sulla letteratura, ma sullo spirito umano in generale. Ma come negare che le vittorie belliche di Alessandro Magno lo hanno portato sino alle porte dell’India per diffondere la civiltà greca? E che la vittoria di Annibale a Zama rese possibile il dominio incontrastato dei Romani su tutto il bacino del Mediterraneo? E che la diffusione della cultura francese fu arrestata dalla sconfitta di Napoleone a Waterloo? Per i tempi recenti esempi lampanti non mancano. Per quanto concerne la letteratura, più in particolare, non avremmo avuto il robusto realismo americano di Steinbeck, Faulkner, Hemingway, tanto per citare, senza le vittorie belliche alleate sui Tedeschi. An-

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dando indietro nel tempo, senza la sconfitta asburgica nella prima guerra mondiale non sarebbe cessata la forte influenza mitteleuropea sulla letteratura. Né avremmo avuto il capolavoro Guerra e pace, di Lev Tolstoj senza la grave sconfitta in Russia di Napoleone. Non si può quindi non restare sbalorditi dell’accennata negazione del Serra che perse la vita a soli trentuno anni sul Podgora, nella prima guerra mondiale, e per ironia della sorte fu proprio la guerra a spezzare il filo della sua “estetica umanistica”. Se però si legge il suo famoso Esame di coscienza di un letterato, del 1915, quindi poco tempo prima della morte, si apprendono due circostanze: la prima, che la vita non cambia mai dato che si è radicati nella propria terra (Cesena per lui): non cambiano dunque le linee fondamentali della vita, il solito sensus communis dell’homo perennis, tema ricorrente in questi miei capitoli. La seconda, che egli è angustiato e privo di speranza – strana contraddizione –. Si può aggiungere che i letterati di cui lui parla sono affermati, e di matura età e quindi non influenzabili e modificabili. Va osservato infine che il breve saggio ci55

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tato di Serra consta di sole ventisette pagine, ed è divisibile in due parti. La prima di dieci e la seconda di diciassette; quest’ultima andrebbe letta per prima, dato che si tratta di effusioni del cuore ed esternazioni, molto o troppo ben scritte, quasi diario sentimentale. È invece saggistica la prima parte, da leggere dopo. Il tutto venne da lui scritto poco tempo prima di andare in Istria come ufficiale delle truppe italiane. Voglio dire che il breve saggio Esame di coscienza di un letterato, perché scritto prima dello scoppio della guerra, non poteva negarne recisamente l’influenza sulla letteratura. Non ne vide, e non poteva più vederne gli effetti. Per associazione mentale, ho pensato allo scrittore svizzero di lingua francese, settecentesco, Jean Jacques Rousseau che vinse il concorso accademico della città di Digione circa l’influenza delle scienze e delle arti sui costumi sociali. Egli la negò, dato che si era fatto assertore del ritorno dell’uomo alla Natura. Ma si tratta di pura associazione mentale: il problema sottoposto a Rousseau era profondamente diverso da quello affrontato dal Serra. Sempre per associazione di idee, penso al 56

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romanzo Il Gattopardo dello scrittore palermitano novecentesco Tomasi di Lampedusa, dove si afferma categoricamente che nel mondo e nel tempo nulla cambia, tutto rimane uguale».

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Capitolo ventitreesimo

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LA “QUERELLE” TRA ANTICO E MODERNO

Domanda: Risposta:

«E sulla seicentesca “querelle” tra antico e moderno?». «Consistette in una esaltazione del secolo di re Luigi XIV, poiché assegnava la supremazia agli scrittori moderni – e in Francia a quel tempo ve ne erano grandissimi –. Sia pure partendo da Omero, si finiva sempre per esaltare la monarchia del tempo. La disputa durò anni e fu talvolta accanita. Ma risultarono due aspetti altrettanto importanti: l’idea di progresso lineare e progrediente, contro l’idea della storia vichiana dei corsi e ricorsi. Così come gli antichi pagani sono una cosa e i contemporanei cristiani un’altra, superiore. Sebbene si riconosca che sia gli uni che gli altri esprimano sommi letterati, storiografi, moralisti, ma inclusi in civiltà diverse e incompatibili. A questa imposta-

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zione fu nettamente contrario, nell’Ottocento, il Romanticismo che rivalutava il passato esaltandolo. Invero la civiltà va avanti a piccoli passi, talvolta con slanci improvvisi, ovvero torna o sembra tornare indietro. Questa è una terza soluzione, intermedia fra modernismo e passatismo».

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Capitolo ventiquattresimo

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SUL FUTURO

Domanda:

«E per il futuro?».

Risposta:

«Formulo così il mio vivissimo augurio, rivolto a tutti gli abitanti del globo terrestre. Siate ordinati, responsabili, morali e religiosi, pieni di speranze e quindi di progetti. Siate pacifici poiché la guerra è il grande male che provoca il massimo con la morte. Amate la pace, la pace è bene. Auspicate il miglioramento, e quindi le riforme, parziali ma progressive. Fate in modo, con le leggi, che l’individualismo venga contemperato al collettivismo».

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NELLA STESSA COLLANA

ASHALL F., Le grandi scoperte scientifiche, trad. di M. Gemelli, 1999, pp. 272 BALDINI M. Che cos’è l’amicizia, 1998, pp. 128

BALDINI M. Karl Popper e Sherlock Holmes. L’epistemologo, il detective, il medico, lo storico e lo scienziato, 1998, pp. 112 COSTA C. L’Io e Dio. L’esperienza religiosa in William James, 2002, pp. 144 EMANUELE P. Il filosofo racconta. Le teorie dei pensatori attraverso diari e novelle, 1997, pp. 212 STAGNITTA A., L’anima e i suoi prodotti, 2000, pp. 400 TAMPOIA F. Il filosofo dimezzato, 2000, pp. 208 © ARMANDO EDITORE. La fotocopia non autorizzata è reato.

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BALDINI M. La storia dell’amicizia, 2001, pp. 192

TURCO LIVERI G. Il cane di fuoco e l’aristocratico da letamaio. Dispute nello spazio tra Marx, Nietzsche ed altri, 1998, pp. 160 TURCO LIVERI G. Nietzsche e Spinoza. Ricostruzione filosofico storica di un incontro impossibile, 2003, pp. 384 VAIANA L. La nuova sfida del meccanicismo, 1999, pp. 240 VINCETI S. Oltre il nulla, 1999, pp. 160

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