Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetto
 8806128434, 9788806128432

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Premessa

È ormai da tempo che la cultura architettonica, riflettendo su se stessa, sembra aver individuato una colpa originatia, di cui sembra urgente il risarcimento. A ben vedere, tuttavia, il problema non è specifico dell'universo architettonico. Raramente, chi tenta di dar forma razionale ai disagi della ricerca artistica contemporanea evita il riferimento alla condizione umana generata dalla raggiunta «libertà dal valore», dall'estendersi dei processi di secolarizzazione, dal compiersi del moderno nichilismo. Altrettanto raramente, l'analisi viene condotta fino in fondo: l'ansia di individuare vie di uscita si risolve in formule, che avvolgono i problemi in nubi anestetizzanti. Lo slogan postmodernista è fra queste. Altrove, abbiamo proposto di interpretare tale volontà di «superamento» come manifestazione di ipermodernismo '; ma è necessario non limitarsi a un singolo fenomeno. Ci troviamo infatti di fronte a un procedimento che ha condizionato molte scelte di questo secolo: potremmo individuare in esso una sorta di coazione al ribaltamento. L'ipotesi sembra particolarmente adeguata a render conto del recente chiacchiericcio sulla storia e sulla memoria. Il« male», in questo caso, sarebbe un'amnesia collettiva, deliberatamente prescelta: la recisione delle radici - attribuita alle avanguardie storiche o a un mitico «movimento moderno» - sarebbe curabile mediante una «terapia del ricordo». Stranamente, poi, tale bisogno di anamnesi produce spesso montaggi che emettono messaggi ambigui. Quanto si è stabilito di voler ticordare sembra una sorte di sfinge, ai cui interrogativi si risponde con ammiccamenti ed allusioni: il senso stesso delle domande sfugge a chi ritiene sia proprio dovere affrontarle. Con altra tragicità, Hans Sedlmayr aveva dato forma al suo pensiero «reazionario» - nel senso piu pieno del termine - parlando di «perdita del centro» e di «morte della luce» '. È oggi fortunatamente possibile assumere i frutti delle riflessioni contemporanee mettendo fra parentesi il «segno» loro originariamente

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impresso: è difficile non stabilire relazioni fra la« perdita» lamentata da Sedlmayr, la «caduta dell'aura» teorizzata da Walter Benjamin, e «l'agonia del referente», su cui ha riflettuto Robert Klein'. «Un singola· re intreccio di spazio e di tempo >>: cosi Benjamin ha definito l'aura «l'apparizione unica di una lontananza, per quanto possa essere vici· na» ". Ma quell' apparire non è forse connesso al carattere di fondamento che ha - nell' arte dnascimentale e barocca - il referente? Il decadere del· l'aura sembra corrispondere a un dissolversi del fondamento: un dissol· versi di cui lo stesso Benjamin ha tentato in piu modi di valutare le possi· bilità. Ed è significativo che gli inizi dell'agonia della mathesis universa· le, eletta a misura dell' opera d'arte, vengano individuati da Klein in un' età di molto precedente quella che vede la scomparsa della figura dal quadro: nella scoperta della prospettiva lineare e nell'avvcnto del natu· ralismo '. Ma che ci si trovi di fronte a un omicidio o a un fatale naufragio è tutt'altro che scontato. Nei termini «perdita» e« caduta» è un eccesso di significato. Proviamo a sostituire al concetto di agonia quello di compimento: la scomparsa del referente assume, in tal caso, i connotati di uno sposta· mento. Ciò che fondava la relazione fra bellezza e verità -l'analogismo armonico, all'intemo di un sistema sintattico solidamente strutturaro viene indubbiamente tolto. Le ansie teoriche del XIX secolo esprimono già una sorta di angoscia nei confronti di un'architettura sempre piu au· toreferenziale. Il processo compiuto è tutt' altro che lineare. Ma è certo che, nei primi decenni del nostro secolo, esso viene letto come liberato· l'io da parte degli apologeti, mentre anche chi si proponeva di resistere e reagire ne veniva irrimediabilmente investito. Il fatto che quello stesso processo, dagli anni' 60 circa ad oggi, venga invece riletto criticamente, va valutato come specifico fenomeno storico. Sollevando, contempora· neamente, un interrogativo: se agli inizi dell'«agonia» è l'affermazione umanistica del soggetto, come sperare un dscatto basato su volontà sog· gettive? È doveroso riconoscere che la nostalgia del fondamento non è speci· fica delle tendenze citazioniste. È comunque da dflessioni provenienti da opposte sponde che il tema è stato posto con maggiore lucidità '. Quella nostalgia traspare, inoltre, da un bisogno particolarmente sentito dall'architettura contemporanea: quello di avanzare legittimazioni at· traverso un'incessante proliferazione di strumenti concettuali. Dovrebbe essere superfluo far presente che il frammentismo e la scomparsa di ogni te/os sono condizioni epocali. Assai piu decisivo, piuttosto, è riconsiderare quanto è stato letto come eclissi. Silenzio· samente, i protagonisti dell' arte contemporanea - da Klee a Le COl'·

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busier - hanno fatto del frammento e dell' assenza motivi di profonda l'i· flessione sulla totalità e sulla pienezza del senso. Forse, soltanto giunti al di là di ogni legge indiscussa - nel luogo dove lo «spidto distruttore» desce a costruire - è possibile interrogare lo spirito della legge '. Il Sea· gram Building di Mies van del' Rohe o il Campidoglio di Chandigarh non interrogano forse i pdncipi della razionalità europea? E cos'altro costituirebbe il nucleo profondo delle

WilIiam C. Williams, E'l hombre, in Poesie, a cura di B. Lanati, Roma 1979, pp. 56-57,

Capitolo primo Ricerca dei paradigmi: progetto, verità, artificio

Un vertiginoso sistema di sdoppiamenti, un perfido complotto, una crudele commedia deLl'irrealtà: la prima manifestazione collettiva dell'umanesimo figurativo assume connotati oscuri e perturbanti. Ci riferiamo, è ovvio, alla Novella del Grasso legnaiuolo, resoconto della beffa architettata da Filippo Brunelleschi, intorno al 1409, ai danni dell'intarsiatore Manetto Ammannatini, con la collaborazione - fra gli altri - di Donatello e di Giovanni Rucellai. Un numero eccezionalmente alto di versioni, elaborate fra il 1430 e il 1490, ricorda la macchinazione ordita dall'autore della cupola di Santa Maria del Fiore. Fra di esse, particolare significato assume quella, databile al 1489, concordemente attribuita al biografo di Brunelleschi, Antonio di Tuccio Manetti '. Quest'ultimo dantista, matematico, amico di Girolamo Benivieni, infine toccato dalla predicazione savonaroliana' - dà forma letteraria a una già densa tradizione narrativa. Perch'ella fu raccolta - scrive Manctti) - poi che Filippo [Brunelleschi] mori, da alcuni che l'udirono piu volte da lui; come fu uno che si diceva Antonio di Mattco da le Porte \ da Michelozzo, da Andreino da San Gimignano, che fu suo discepolo e sua reda', dallo Scheggia 1>, da Feo Belcari 7, da Luca della Rabbia, da Antonio di Migliore Guidotti S, e da Domenico di Michclino 9 e da molti altri, benché a suo tempo se ne trovassi scritto qualche cosa; ma non era cl terzo del caso, cd in molti luoghi frementata e mcndosa.

n testo chiede dunque di essere letto come testimonianza storica. La burla ai danni del Grasso - per il Manetti - mette in risalto qualità specifiche del suo ideatore, ampiamente riconosciute dall' ambiente contemporaneo. n contenuto della Novella corrisponde sia alla storia di una congiura che a una sorta di «rito di guarigione» w. Brunelleschi decide di punire l'intarsiatore, detto il Grasso, a causa di un'assenza da una cena domenicale organizzata da una brigata di artisti fiorentini: la brigata stessa farà credere al Grasso di essere divenuto un' altra persona. Con l'aiuto di complici, inizia la derealizzazione del " .

Consideriamolo pili da vicino, il naturalismo di Alberti. Esso, anzitutto, non è legittimato metafisicamente: come s'è accennato, Leon Battista non ricorre alle formule in voga per giustificare i suoi assunti; in ciò - equivocando - è stata persino vista una carenza teorica ". L'awersione al neoplatonismo fiorentino non trapela soltanto dagli scherni contenuti nel Momus: la prisea theologia è una costruzione mentale che Alberti rifiuta decisamente. Il naturalismo del De re aedi/ieatol'ia è piuttosto laico e aristocratico. Ma con contraddizioni lasciate aperte. Ciò che rende l'uomo diverso dagli animali- è scritto nellibro IV" - è la ragione, unita alle arti liberali e alla fortuna: a chi eccelle in tali doti va riservato il comando, la legislazione e la disposizione della l'es divina religione. Paradossalmente, tuttavia, i modelli di comportamento provengono dagli animali, retti da un superiore - in quanto integralmente «naturale» equilibrio. Nel trattare la forma circolare, Alberti - evitando di nuovo ogni riferimento metafisico -la dice soltanto «prevalente»: «rotundis naturam in primis delectari, ex his, quae ductu eius habeantur gignantur aut fiant, in promptu est». Si tratta di un richiamo alla durevolezza, alla stabilità, alla costanza. Ma fra gli esempi di circolarità naturale, Leon Battista enumera - insieme al globo terracqueo, gli astri e gli alberi - gli animali, «eurumque nidificationes» ". E nel giustificare le forme esagonali, ecco apparire l'esempio delle eellae create da api, calabroni e insetti in genere". Di contro, nel libro IX Alberti rammenta asetticamente le giustificazioni filosofiche - miste a quelle provenienti da superstizioni di vario tipo - relative alle proprietà dei numeri ". Tuttavia, il modo in cui

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procede nel suo breve elenco e in cui riferisce agli orifizi animali il numero dispari da osservare per le aperture negli edifici, lascia emergere un sarcasmo facilmente riconoscibile: si ricordino le albertiane (e lucianesche) lodi del lupo, del cane, del ragno, dell'asino, della mosca, capacia differenza dell'uomo - di operare naturaliter, raggiungendo per questo pii risultati. Nel contesto dei suoi apologhi, inoltre, Leon Battista inserisce etimologie scherzose, basate sul doppiosenso o sulle risonanze dei termini, con allusivi ammiccamenti al lettore. Nella Musea, l'ironia tocca il pensiero pitagorico, chiamato, nel De l'e aedzfieatoria, a sancire solennemente l'assunto relativo al comportamento costante della natura. «Pithagorici - scrive Alberti - a musca musica nuncupavere» ", con un sarcastico gioco di assonanze. «Nam - egli continua - cum ex gutrullo oleario exque mitreta vinaria profundum intonans primas illas graves apud musicos notissimas voces ut atque re in usum produxisset, acutis sol et la canoris vocibus preter propter volitando ipso ex ethere applausisset, medias voces mi et fa, quod subextincte et lugubres sint, telis aranearum implicita effinxit». La musica è tratta dalla mosca: dal mondo degli insetti - da cui lo stesso Alberti insegna a difendersi nel X libro del suo trattato" - deriverebbe l'arte pili vicina al sublime, secondo il pensiero neoplatonico. Come non leggere in tale scherzo letterario una stretta affinità con il passo che legittima l'esagono attraverso il modello degli alveari creati da api e erabrones? Fra il De re aedz/ieatoria e gli Apologhi _. il «bestiario umanistico albertiano », secondo le parole di Rosario Contarino '00 - emergono impreviste connessioni. Il polo comico non sembra affatto, per Alberti, frutto di una letteraria e momentanea evasione: dietro il sorriso è la tragica coscienza dell'insopprimibilità della contraddizione. Il varco aperto tra la stabilità del creato e la rottura costituita dall'uomo rimane aperto: l'attività virtuosa tende - ma tende solamente- al contenimento dell'insensato dinamismo umano, acremente stigmatizzato nel Theogenius. I debiti di Alberti nei confronti dei classici è stato l'ili volte precisato, esplorando le fonti dei suoi singoli motivi. Ridimensionato il debito verso Luciano (Garin), è stato debitamente riconosciuto quello nei confronti di Esopo; è stato visto nel proemio alla Natul'alis historia di Plinio il tema della dolorosa nascita e della debolezza fisiologica dell'uomo; ancora nella «fisica» pliniana è anticipata la concezione albertiana di una ricerca che non tenda a forzare i limiti della conoscenza; spunti da Plul'arco, Seneca, Teodoro Gaza, Columella, Pomponio Mela, Erodoto, Cicerone, sono facilmente riconoscibili. E ci si meraviglierebbe del contra-

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l'io .. I16c~moscimento delle fonti ,non contrib,:isce che in minim~ parte a defmne rl slgmflcato stonco dell opera alberllana: la sua concezIone del comico, dell'irrisione, dell'ironia, apre infatti un filone di pensiero che giunge sino all' EeolZomium Mortae di Erasmo, con notevoli e ulteri06 conseguenze L'osservazione contiene un risvolto, relativo alle assonanze del pensiero albertiano: Siè ta!volta proposta un'af:inità dei suoi temi con quelli della fIlosofia dI NIcolo da Cusa, ma non SI e nflettuto su uno spunto offerto da Panofsky, che ha assimilato la prospettiva geometrica di Alberti alla filologia innovata da Lorenzo Valla, quale riscoperta della terza diluensione del tempo 102, L'anticonciliarista Valla è in aperto conflitto con Eugenio IV: la sua polemica è diretta contro l'ecclesiologia storica e contro l'esercizio dell'auto6tà papale, co?! come l'una e l'altro sono ridotti nella prassi, fonda~dosl sulla DonaZIone costantiniana. Il Constitutum, per l'umanista, è anllevangelico; l'impetium pontificio è frutto di favola mendace ed eretica '"'. Ne deriva un anticesarismo di marca repubblicana, fondato sulle dsultanze di una filologia usata come arma. Valla vede addirittura nella costruzione dei grandi tempIa un tradimento della primitiva eedesza, con notazioni cui si 6allaccerà il pensiero evangelico del secolo successivo: Wl,

O furcifer - egli scrive nel De falso credita et emelltl"ta C011Sttl1uini dOllatione 104_ ec~l~sie ne, idest t~mpla Rome erant Fetra et Paulo dicate? Quis eas extruxerat? Quis

edIfICare ausus fUlsset? Cum nusquam foret, ut historia ait, christianis 10cus, nisi secreta et latebre. Aut si qua tempIa Rome fuissent illis dicata apostoIis, non erant di· gna, in quibus tanta luminaria accenderentur, edicule sacre, non edes; sacella, non tempIa; oratoria il~tra privatos parietes, non publica delubra: non ergo ante cura gerenda erat de lummarrbus templorum quam de ipsis templis.

Il sarcasmo dell'autore è accentuato dalla constatazione che la corruzione dell'originario significato del termine eeclesia - unità di eOlZcives di persone costituite nella polù, e successivamente comunione di cre: denti - consegue all'istituzionalizzazione dell' evalZgelium in imperium e dell'eeclesia stessa a /emplum"". Valla conclude che non v'è delitto piu grave dell'asservimento di una comunità o di un popolo. Tali temi hanno nspondenze nelle riflessioni albertiane: la c6tica al potere, la celebrazione del cristianesimo originario, la condanna dello sfarzo e delle grandI Imprese fml a se stesse, uniscono - malgrado le diversità e le occasionali divergenze - i pensieri dei due umanisti. Tanto piu, che le parole del Valla contro la teocrazia e le sue espressioni monumentali suonano come monito implicitamente critico nei confronti di quanto Nicolò Vaffermerà nel suo «testamento politico ». Il disprezzo, che nel Momus è riservato al Giove impaziente di nuove e magnifiche imprese, è affine, for-

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se, a quello che Valla riserva alla tralZslatio impetù: la sua polemica nei confronti delle magnificenze formali è vicina a quella di Leon Battista. Un altro motivo tuttavia, conferma tale filo rosso: la relazione tra filologia e linguaggio. Per Valla, la scienza retodca è il lZovum otgalZum del sapere, e la «grammatica della parola» ne è strumento precipuo "': sin troppo facile individuare una relazione fra tale concezione e l'attenta esplorazione dei resti antichi da parte di Leon Battista. Piu interessante è la connessione, istituita dal Valla, fra il linguaggio e la dvi/as: è quest'ultima che fonda il pdmo, e la eOlZsue/udo del sen"o - il suo storico «usus loquendi» - determina e innova le strutture grammaticali e semantiche. Il debito di tale concezione nei confronti di Quintiliano è evidente. Chi falsifica e rende priva di senso la propria lingua - ne consegue Valla - dovrà essere condannato ed espulso dalla polù, come un coniatore di monete false: la deformazione del linguaggio - e in parallelo quella del senno ecclesiologico, attuata dalla Legenda Silvestri - costituisce reato nei confronti della comunità Wl. Analisi attente hanno individuato motivi non distanti da quelli valliani nell' ope!'a dell' Alberti ". Nelle citazioni dell' arco di Rimini nel tempio Malatestiano, del Battistero fiorentino e di San Miniato al Monte nella facciata di Santa Maria Novella, del« sacro etrusco antico» nel Sant'Andrea mantovano, sono riconoscibili memorie tratte dal sermo delle comunità in cui quelle opere sono destinate a sorgere ,m. La predilezione per San Miniato è confessata dallo stesso Alberti nel De ieztlrehza "". Per quanto riguarda Sant'Andrea, è probabile che Leon Battista abbia tentato un'interpretazione etruscheggiante, avendo presente quanto aveva scritto Leona!'do Bruni sull'origine etrusca di Mantova "'. Nell'universalismo della sintassi albertiana, si insinuano motivi riferiti all'« usus loquendi» o alle radici storiche di comunità di cui vengono esaltate le radici. La metafora di Quintiliano sviluppata dal Valla, «sermo ut nummus, cui publica forma est», sembra fatta propria - con colorazioni soggettive - da Leon Battista. Pur essendo legato da amicizia con Poggio Btacciolini, Alberti è quanto mai lontano dall' evocazione romantica dell' antico da questi vagheggiata. La deontologizzazione valliana del linguaggio, invece - la concezione di una verità soltanto logica, tale da rendere oziose le indagini sulle realtà indicibili - è quanto mai consona al pensiero di Leon Battista. La condanna, da questi piu volte espressa, dei tentativi di forzare i limiti della conoscibilità umana, assume un tema pliniano, ma ha rispondenze nella RepastilZatio del Valla '''. A fronte di tutto ciò, sono i passi del Theogenius poc' anzi ricordati.

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In essi è dichiarato efferato l'uomo che tenti di vincere l'acqua facendo stragi di alberi, le forze della gravità con la machinatio, le montagne scavando cave. Abbiamo dunque a che fare, sembra, con un pensiero che parte da una condanna della téchne e che giunge, attraverso riflessioni successive, ad assumerla in pieno. Ma tale spiegazione è tutt'altro che convincente. In che senso Alberti poteva pensare la tecnica come innaturale? Se cosi fosse, le prime pagine del suo trattato sull' architettura sarebbero ipocrite. Infine - scrive Alberti nel proemio del De re aedi/icatoria mediante il taglio delle rupi, il traforo delle montagne, illivellamento delle valli, il contenimento delle acque marine e lacustri, lo svuotamento delle paludi, la costruzione delle navi, la retdficazione del corso dei fiumi, lo scavo di sbocchi alle acque, la costruzione di ponti e di porti, egli [l'artefice] non soltanto risolse problemi di opportunità temporanea, hensl aprila strada verso ogni regione della terra. In tal modo, i diversi popoli poterono scambievolmente rendersi partecipi di tutto quanto giovava al miglioramento della salute e del tenore di vita: prodotti agricoli, profumi, pietre preziose, esperienze e nozioni. Il} -

Non v'è dubbio: nel De re aedificatoria, alla tecnica è attribuita una missione «civilizzatrice ». Il ragionamento dovrà farsi raffinato, andando al fondo della mentalità albertiana. Nel Theogenius è infatti awertibile il riflesso di una profonda meditazione sul mito di Prometeo: questi, nei confronti di Zeus, è indubbiamente colpevole; il furto del fuoco, compiuto a danno degli dèi non può che compromettere il dono che egli reca ai mortali. Come ha scritto in pagine profonde Massimo Cacciari, la sottrazione e l'inganno di Prometeo hanno un significato: ilfondamento della téchne nOn è nella téchne stessa"'. Quel fondamento è stato rubato. Autentico dòlos, pertanto, è rendere assoluta la téchne: crederla strumento capace di sciogliere dal Nomos divino; capace, cioè, di una totale autonomia. Tale sarebbe, infatti, un'a tecnica sicura dei propri fondamenti, totalizzante, immemore della colpa originaria. La punizione di Zeus, a sua volta cieca alla «necessità» del furto di Prometeo, sarebbe allora tutt' altro che ingiusta. La catarsi, di cui la tragedia di Eschilo è premessa, ha come condizione una presa di coscienza. È quanto accade in Alberti. L'erede di Prometeo riconosce la colpevolezza della tecnica: la sa rea e nello stesso tempo infondata. Proprio tale riconoscimento permetterà un uso cosciente della téchne; quella infondatezza priva la tecnica di ogni pretesa di assolutezza, e per questo la rende tragicamente agibile. È infatti tragico che quanto concede sicurezza, casa, rimedi, sia anche ciò che sconnette e che combatte la Terra. La tecnica allevia le pene umane, ma nello stesso tempo è strumento implacabile di violenza. Alberti è

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pronto ad assumere radicalmente tale antinomia: Leon Battista sembra voler preservare quanto non è attingibile dalle parole - vedi il suo disprezzo per l'inane curiosità relativa ai principii -liberando cosi l'agire profano. La dissacrazione di ogni fondamento trascendente -la musIca suggerita dalle mosche, le forme ideali create dagli insetti, la concinnitas plasmata sul corpo del cavallo - non implica alcuna negazione della trascendenza. Il fare è piuttosto riconosciuto come attività specificamente umana, anche se ad esso non viene attribuito il potere di attingere alle verità ultime. Un oceano divide Alberti da Luca Pacioli o da Francesco Zorzi '"o Viene cosi sostanziato l'altro grande tema albertiano, quello dei limiti connaturati all' azione dei mortali. Soltanto un umanista capace di spaziare in piti saperi poteva individuare la necessità, per la téchne, di conoscersi nella propria limitatezza. La hybris, che appartiene alla pretesa prometeica di fare della parte un tutto, è domabile attraverso una maieutica del limite. Difficile, tale lezione albertiana: forse, essa non era del tutto comprensibile neanche ai contemporanei, in quanto non sistematizzata dallo stesso Alberti. Ma non può lasciare indifferenti trovare un richiamo al mito di Prometeo all'inizio del Momus "'; tanto piti, che ancora ad esso allude chiaramente la punizione finale inflitta da Giove al suo consigliere. La tonalità tragica che anima il pensiero albertiano è difficilmente contestabile: la dolorosa coscienza del dòlos è consustanziale a quella dell'inevitabile trasformazione umana della natura. Dunque, architettura come manifestazione di etica: siamo nel clima del De iciarchia. Un'etica, va aggiunto, che non rimanda a premi nel futuro, ma che si soddisfa di se stessa. Una lettera dell'Alberti a Paolo Toscanelli è significativa al riguardo. In ea tamen - scrive Leon Battista re bene merendo moribus esse et virtutem cnitendum, ut nobis Superi quam propitii adsint; neque tandem, si viltus ipsa sem~ per fortunae fuerit obnoxia, a virtute tamen uspiam esse discendendum; verum ita vivendwtl ut vitae quidem CUl'sum bonis anibus et semplici vil'tute l'eddi commodiol'em putenms; at vero si fata nostras mortalium vires supcrent, patientia et tolerantia, quad ipsa necessitas postulet, esse nobis providendum. li) -

Bisogna vivere come se. L'arte della simulazione è paradossalmente declinata in chiave stoica. Proprio la simulazione - quella di Momo, ma con segno cambiato viene cosi elevata, grazie a una volontà soggettiva, ad arte del vivere. Attraverso di essa, Alberti vuole vincere il disincanto, rifiutando di far agire il pessimismo, opponendo - disperatamente -la virtus ai capricci della fortuna. Proviamo ad avanzare con l'interpretazione. Cos'altto è l'architettura se non «teatro» di razionalità? L'architetto «virtuoso» è tale

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per aver vinto la bestialità della natura umana. Il suo affidarsi a numerus concinnatas e finitio è frutto di un' estetica dell' esistenza profondament~ «g~eca» :". Il culto del limite e della mediocritas, che informa il De l'e aedificat?na, consegue all' accetta~i?ne - volontaria, infondata, tragica - di tale etica. Non a caso, glI ermetiCI oggetti architettonici albertiani ostentano la loro disperata solitudine. Sare~b~ questa l'estetica di cui avrebbe dovuto servirsi papa Parentu~elh? 1IU In generale, quale Alberti SIl'lvela omogeneo alle strategie di NIcolo V? Quello che SI mostra ostile a ogni autorità e che sferza l'auctOl'itas di Giove? O quello che tramanda l'accusa del Porcari, quel taglIente «Clves esse non IIcere»? E il clima umanistico stimolato e favorito da Niwlò V è davvero omol~~o a q?ello, complesso e soggettivo, di Leon Bat;Ista? Volen~o salvare 1 IpotesI dI una collaborazione fra il pontdI~e e 1 umanIsta, 1 UnICO punto dI appoggio sarebbe nell' etica della dI~sllnulazIOne e nella preminenza dell' architettura espresse nel Momus. L'mtellettuale spregiudica;o ,PUò divenire, scetticamente, consigliere del prmclpe: SI tratt~ dI un etica che prelude a quella degli esp,.its forts, deglI erudItI hbertmi del secoli successivi. In nessun modo la tragicità del pensiero albertiano pUÒ essere invece assimilata alla lineare cultura del biografo di papa Parentucelli, Giannozzo Manetti di cui anzi com' è stato dimo.strato, costituisce l'antitesi ' 'o Volendo acce'ttare l'ipot~si difesa da Dehro, dal Pastor, da Westfall, bisognerebbe far attenzione a distmguere le intenzioni papali da quelle, eventuali, dell' artista.

3. Una ve,.z/ica: Nicolò V, Albe,.ti e San Pietro. A questopunto, l'analisi dei supporti documentari apre a diverse int~rpretaZIOnI. Per Westfall, Manetti avrebbe introdotto l'analogia Nicolo-~alomone e RossellIno-Hlram In omaggio al fatto che Rossellino stes-

so e fIOrentino, menne l'Alberti non sarebbe citato data la sua dignità di t~onco e dI «progettlsta»: un ruolo, quest'ultimo, da riconoscere uffi~Ialmente solo al pontefice "". Ma abbiamo visto che gli osservatori del1 epoca.' che leggevano nel «progetto» di Nicolò V principalmente una s,nategla dI pot~re, no~ erar:o poi tanto II;,iopi; Tanto piti, che proprio 1 ~pporto speCIfICO dell archItettura albertIana e diffIcrlmente l'lconoscibrle m quel «progetto». Dove, infatti, si sarebbe esercitata la mano dell' Alb~rti? Non certo negli edifici capitolini: non regge assolutamente l'ipotesI dI un progetto male eseguito. Il restauro di Santo Stefano Rotondo o la ristruttur~~iOl~e di Castel Sant'Angelo? Per il primo tutti i dubbi l'lmangono gIUstIfICatI, mentre per il Castello, malgrado una stimolante

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ipotesi, mancano verifiche accurate "'. Certo non è nella Roma di papa Parentucelli che Leon Battista trova le occasioni per dar vita alla sua poetica fatta di orgogliosi e disperati frammenti di razionalità, paghi della propria finitio. Tuttavia, ciò che per Westfall è importante salvare è il ruolo di un Alberti ispiratore non tanto di architetture isolate, quanto di un «piano ». Si tratterà di intendersi, iniziando con il sottrarre al termine «piano» ogni allusione malata di anacronismo. Come abbiamo tentato di dimost~are, quello del pontefice è anzitutto un progetto politico e come tale si SVIluppa nel tempo. In nessun modo quello di Nicolò V - come i «piani» di Sisto IV, Giulio II, Leone X, Paolo III - è assimilabile a una mappa su CUI un «urbanIsta» abbia predeterminato il destino dell' aspetto fisico della città. Il che è del resto riconosciuto anche da Westfall (subito dopo, però, aver affermato essere indubitabile l'attribuzione a Leon Battista del « building project») "'. Diviene a questo punto decisiva l'interpretazione del famoso passo di Mattia Palmieri. Si tratta, wm'è noto, dell'unico documento che in qualche modo connetta il nome dell' Alberti alle imprese urbane nicoline. Il cronista, dopo aver ricordato le nuove mura vaticane, parla dei pensieri papali per la basilica petriana, citando profonde fondazioni e un muro di tredici braccia. È a questo punto che egli fa entrare in scena Leon Battista; ma l'umanista, nella sua cronaca, non presenta progetti, bensi consiglia di interrompere i lavori. Pontifex - scrive Palmieri 12) - ornatiorem Beato Petro Basilicam condere volens altissima jatit fundamenta murumque ulnamm tredecim erigit, sed magnus opus, a~ cuivis veterum aequandum primo Leonis Baptistae concilio intermittit; mol'S deinde inm:atura dis.mpit. Leo Baptista Albertus vir ingenio praedictus acuto, et perspicaci, bOnlsque arubus, et doctrina exculto, eruditissimos a se scriptos de architectura li· bros Pontifici ostendit.

Abbiamo dunque un intervento negativo, che esclude, pertanto, un ruolo progettuale di Leon Battista per il coro petriano. È inoltre da sottolineal'c il disappunto mostrato dal Palmieri in merito all'intervento albertiano. Il papa - egli scrive - inte1'l'ompe un' opera che avrebbe potuto essere paragonata a quella degli antichi. Ed è subito dopo che egli ricorda - facendo omaggio all'erudizione, all'intelligenza e alla dottrina dell'Alberti, come a voler mitigare l'implicito giudizio precedente -la presentaZIOne del De l'e aedifi'catol'ia a Nicolò V. Mattia Palmieri è un curiale pisano, che scrive la cronaca De tempol'ibus suis nel '475, quando l'impresa petriana - dopo la ripresa voluta da Paolo II - subisce una fase di incertezza '''. Sulla fedeltà al vero della sua na1'l'azione sono stati espressi dubbi: i libri contabili registrano spese per

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Capitolo secondo

la tribuna datate agli anni successivi, e il cronista potrebbe aver riferito al 1452 eventi accaduti due anni piti tardi. Di contro, è stato anche osservato, non è impossibile che i conti si riferiscano a pendenze e ad arretrati'''. Ma il punto non è questo: non v'era alcuna ragione di falsare l'opinione albertiana, tanto piti che il disaccordo del cronista nei suoi confronti è palese. Come sempre, i documenti parlano a seconda dei contesti in cui la costruzione storica li immerge. Per quanto ci riguarda, accettata con beneficio di inventario la testimonianza di Mattia Palmieri, non vediamo alcuna difficoltà a leggere nella successione dei fatti un legame concreto. Alberti si adopera a far interrompere i lavori relativi al coro di San Pietro: il che dimostra che ha credito presso il papa, ma anche che la sua consulenza non è stata richiesta prima dello scavo delle profonde fondazioni e dell'erezione del muro. L'Alberti rende nota al papa la sua opera sull' architettura (forse ancora incompleta): mostra cioè le proprie credenziali come studioso di tale disciplina; esibisce il supporto teorico capace di suffragare il suo no a un' opera che evidentemente non giudica corretta; entra in campo (o tenta di entrare in campo) nella Roma in cui fervono lavori edilizi, come depositario di sapientia architettonica. La conferma dell'ipotesi va cercata nel De l'e aedificatoria. Dopo aver raccomandato, una volta di piti, di non affrontare imprese inconsulte soltanto per uno sconsiderato desiderio di gloria, Alberti sconsiglia il varo di imprese edilizie troppo grandi: esse, a causa della brevità della vita umana e della loro stessa vastità, sono condannate a non essere compiute dai primitivi ideatori ''''. Inoltre, chi a questi succede, a causa dell'ambizione, desidera assolutamente innovarla in qualche parte e farsene cosi un merito; onde avviene che vengano guastati e mandati in rovina edifici che altri avevano iniziato bene. lo credo- egli prosegue- che occorra mantenersi fedeli alle intenzioni degli autori, le quali sono state certo frutto di matura riflessione. Difatti, coloro che in origine diedero avvio all'opera possono essere stati guidati da determinati intenti, che noi, con un piu attento e prolungato esame e un piu esatto giudizio, potremo scoprire.

Il passo non contiene soltanto una difesa dell'unitarietà e della coerenza del progetto: da esso, trapela un'esigenza di pietas nei confronti dell' eredità storica - e non soltanto di quella proveniente dall' antichità classica - che avrà eredi illustri: si tratterà delle considerazioni di Bramante e di Leonardo sul duomo di Milano, ma anche, piti tardi, delle riflessioni di Raffaello sul Gotico, stigmatizzate da Panofsky. In relazione all' operazione nicolina in San Pietro, può essere significativa la frase successiva di Leon Battista: «Da ultimo, esortiamo a non dare inizio a un qualsivoglia esperimento senza il parere, anzi la decisione, degli uo-

mini piti competenti ». E l'opinione su quanto fare nella basilica petriana è esplicitata nel libro X del De re aedificatoria: A Roma, poiché le pareti laterali della grande basilica di San Pietro si scostano dalla verticale incombendo sulle colonne e minacciando di far crollare il tetto, avevo ideato questo rimedio. Ciascuna patte inclinata del muro, la quale era sostenuta da una colonna, avevo stabilito di tagliarla via e toglierla di mezzo, e di rifare la zona ri· masta vuota in mura tura ordinaria e a piombo, collocando nel corso della costruzio· ne, da ambo i lati, delle morse di pietra e dei fermagli molto robusti, a cui potessero agganciarsi le restanti parti della costruzione in rinnovamento. Infine, l'architrave so· stenente il tetto, sotto cui si sarebbe dovuta togliere la parte inclinata del muro, io l'a· vrei fatta sostenere da certe macchine, dette «capre», erette al di sopra del tetto e assicurate sulle loro estremità inferiore alle zone piu sicure del tetto stesso e del muro. La stessa cosa avrei fatto per tutte le altre colonne una per una, per tutta l'estensione necessaria Il).

Dunque, un attento restauro, e non un rifacimento, viene proposto e nei suoi particolari - da Leon Battista. Che nel citare al passato la sua idea di« cura» (excogitaram), lascia pensare a proposte non prese (o non prese del tutto) in considerazione. Inoltre, diversi passi del trattato albertiano esaltano - a sfavore del presente - la semplicità dei primitivi costumi cristiani, letti come exempla di vinti e di vincolo comunitario. La basilica costantiniana viene evidentemente considerata da Alberti una testimonianza storica preziosa; ma ancor piti preziosa sembra per lui la memoria di un tempo mitizzato, la cui evocazione è parallela a una recisa condanna del presente. Agli inizi della nostra religione - scrive Alberti nel libro VII ln - i nostri antenati, uomini retti, usavano radunarsi in una cena in comune, non già per riempirsi di cibo fino alla sazietà, bensi per divenire, tramite questa reciproca familiarità, piu mansueti, e pertornarsene poi con l'animo quieto e avido di virtu. Quivi dunque, dopo che i presenti avevano, piu che consumato, assaggiato le vivande imbandite con la massima frugalità, si tenevano una lettura e una predica su argomenti teologici; e l'animo di ognuno ardeva dal desiderio di agire per il bene di tutti e di coltivare la verità. InG· ne ciascuno, secondo che le sue sostanze glielo permettevano, offriva, deponendola nel centro, una somma, quale tributo dovuto alla pietà e giusta elemosina a chi ne fos· se degno: denaro che il sacerdote preposto elargiva ai bisognosi. Ed ogni cosa allo stesso modo era in comune tra loro, come tra amorosi fratelli.

Ed ecco, di contro, la condanna delle moderne magnificenze, erette a maggior gloria di religiosi dimentichi dei loro doveri pastorali - è il motivo che Alberti tratta nel Pontt/ex - e dell'imago Christi contenuta nel povero: Seguirono i tempi nostri, che ogni persona seria (gravis) dovrebbe biasimare. Sia detto ciò con buona pace dei vescovi, i quali, mentre dal canto loro, sotto pretesto di salvaguardare la loro dignità, a malapena si adattano a mostrarsi al popolo una sola volta a capodanno hanno poi affollato tutte le chiese di altari, al punto che talvolta ... Ma è inutile andare avanti.

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Come non leggere tali stt'ali albertiani come .affini a quelli che nel se: colo successivo lancerà Erasmo, nel confrontt del medeSllll1 costumI della Roma triumphans? Si potrebbe persino legare la critica di Leon Battista al coro di San Pietro a quelle che verranno sostenute, nel confronti dei progetti di età leonina, da Raffaele Maffei: un ?rgomento che riprenderemo nel v capitolo. Non può però essere sottaCluta la bnllantc ipotesi di Richard Krautheimer, ~he ha suggerito l'esistenza di un ?l0dello albertiano per ti tempIO dell OrdznazlO~e dz Sa:'to Stefan~, dipinto dal Beato Angelico nella cappella vattcana di Nicolo V. La chiesa dello sfondo - aggiunge Krauthelmer -. potrebbe. nflett,ere un progetto ~i Leon Battista per San Pietro databile al prull1 anm 50, se non pnma : Del resto sullo sfondo della Predicazione di Santo Stefano - come altn hanno os~ervato - appare un edificio la cui intelaiatura rinvia vagamente a palazzo Rucellai. . . , Una consulenza albertiana per alcune architetture degh affreschi dell'Angelico non è dunque improbabile; ma va tenuto conto dell~ deformazioni del pittore - vedi, ad esempio, la succesSIOne delle noclere nell'Ordinazione - mentre l'ipotesi di un progetto vero e propno per la basilica petriana va confrontata con le proposte per il suo restauro Sintetizzate nel trattato. Il tutto, senza dllnentlcare la relaZione, posta dal Palmieri fra un intervento albertiano che interrompe un'operazione di eccezio:1ale importanza per i programmi nicolini e la presentazione, da parte dell'Alberti stesso, di credenziali teoriche che suffraghino la sua

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opinione. Il'Alb .. Da non sottovalutare, pertanto, quell'i,ntervento.II ~o de, .. e certo rivolto a un solo progetto, ma, data 1emblematlClta dell edlflc10 di cui si tratta, esso equivale probabilmente a un no relativo a un costume edilizio. Il si è nel salto radicale contenuto nel De re aedificatorza: ma non sembra che la Roma nicolina fosse pronta a recepirlo. E se veramente Leon Battista avesse dato consulenze per il Borgo Vaticano o per altre imprese edilizie del papa, bisognerebbe valutare tale colla~orazione nel quadro mentale offerto dal Momus: non come frutto di un Identlftcazlone con i programmi del pontefice-sovrano, bens! come affermaZione . .• delle ragioni autonome della ratio aedzficandi.. Sarà dunque bene lasciare aperto il problema del rapporti fra Nicolo V e l'Alberti: come del resto rimane aperto quello fra poten e cultura nell'età dell'Umanesimo. Va infatti registrato un fenomeno singolare. Lalezione architettonica dell'ultimo Alberti - difficile anche a causa delle Incertezze sulle forme realmente volute dall'autore"" - costituirà fondamento per lo svilupp~ di un' architettura priva dei connotati problematici che lo stesso Albertl

aveva impresso alla sua opera. I quali resteranno ignoti agli architetti che attingeranno ai modelli albertiani. Recisi i legami con la tormentata opera letteraria di Leon Battista, il De re aedzficatoria si presterà a interpretazioni tranquillizzanti: sulla grandiosa e tragica consapevolezza dei limiti della téchne e dell'ar'bitrarietà delle norme si stenderà un velo di oblio. Un oblio forse necessario, affinché una intera epoca potesse esprimere le proprie certezze. Tale esito era implicito nella stessa concezione albertiana di una architettura considerata patte di un'esplorazione a tutto campo dei saperi e della costruzione di un' etica tesa fra valori antitetici. Isolando quella parte, facendone un tutto sganciato dal suo contesto, la cultura architettonica del tardo xv secolo e del secolo successivo sarà obbligata a tradire i contenuti piu profondi del De re aedificatoria. Ma per una disciplina che procedeva verso la costruzione di un sapere dotato di autonomia, quel tradimento era condizione per tramandare il nucleo della ricerca di Leon Battista. Con un paradosso: il portato di una visione del mondo per la quale «tucto è niente», potrà essere omologato a concezioni di segno opposto. Ed è indubbio che la limitata cultura letteraria degli architetti che succederanno all' Alberti svolgerà una funzione in tale riduzione. Rimane il fatto che il fautore di una medietas cosciente della colpa prometeica sarà fra le fonti di una l'es aedijicatoria orgogliosa dei propri contenuti di verità, e in quanto tale adeguata a formalizzare universalismi e autoritarismi. La vita delle forme agisce con suoi poteri: è ancor piu necessario, per questo, ascoltare i lontani rumori che provengono da battaglie che la memoria storica è chiamata a rielaborare di continuo. Di conseguenza, il cuneo che abbiamo int1'Odotto a separare la chiarezza degli intenti pontifici dalle sofferte ambiguità dell'uomo di cultura, non servirà certo a riaffermare scontate quanto inverificabili soglie fra età di mezzo e albori del moderno. In quella distanza, piuttosto, potrà essere colta l'incomunicabilità fra due poteri: il primo, concretato in strategie e in atti di governo; il secondo, esercitato sui modi di espressione che rendono dicibile il come se del soggetto disincantato. Emerge, inquietante, un intreccio che vede scontrarsi e ricomporsi pratiche di potere e linguaggi artistici: un degno terreno di confronto per studiosi attenti alle divaricazioni e alle crepe della storia, piuttosto che a tranquillizzanti congruenze.

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Sul «piano» di Nicolò V, cfr. G. Dehio, Die Bauprojekte Nikolaus des Fiil/lleu und L. B. A/berti, in «Repertol'ium fiir Kunstwissensschaft», III (1880), pp. 241-75, che pone il problema, influenzando il Pastori P. Tomei, L'architettura a Roma lIel Quallrocen!O, Roma 1942, pp. 14-15 e passim; T. Magnuson, Tbe Project ofNicholas V fol' Rebuilding the Borgo LeOl1ino in Rome, in «The Art Bulletin», XXXVI (1954), pp. 89-II5; Id., Studies in Roma1/ Quattrocento Architecture, Stockholm 195 8 , pp. 85 sgg.; B. Zevi, A/berti, Leoll Battista, in Enciclopedia Universale dell'Arte, VeneziaRoma 1958, I, p. 192; E. Battisti, Roma Apocalittica e ReSa/omone, in Id., Rinascimento e Barocco Torino 196o, pp. 72 sgg.; G. Urban, Zum Neubauprojekt VOli St. Peter unter PapSI Nikolat/s V, i~ Kellen Fes/scbri/t, Darmstadt 1963, pp. 131-73; C Thoenes, Studien zur Gescbichte des Petersplatzes, in «2eitschrift fUr Kunstgeschichte», XXVI (1963), pp. 97 sgg., in pal'ticolare alle pp. XOI-4;]· Gadol, Leoll Battista Alberti: UniversalMan o/ tbe Early Renaùsat/ce, Chicago-London 1969, pp. 93 sgg.; S. Tadolini, Ilpiano per i Borghi di Nicolò Ve Leon Batlista Albel'!i, in «Strenna dei romanisti», XXXII (1971), pp. 357-64 (con un'improbabile ricostru?ione); L. H. Heydenreich e \Y./. Lotz, Archt'tecture il1 Italy 1400 lo 1600, Hal'mondsworth 1974, p. 29; C. \YJ. \YJestfall, 111 tbis Most Per/ect Paradise: Albertl~ Nicbolf1s V, and tbe IlIventiol1 o/ COllScious Urba11 Plam1Ìng in Rome 1447-1455, University Park and London 1974, trad. h. Roma 1984 (con introduzione del sotto: scritto, in cui vengono anticipate le ipotesi sviluppate nel presente capitolo); F. Borsi, Leon Battista Alber/i. L'opera completa, Milano 1980, pp. 29-58 (ma su rale volume vedi la severa recensione di N. Adams in «.Journal of the Society of Architectural Historians», XXXIX (980), n. 3, pp. 247248); C. L. Stinger, Tbe Renaissallce in Rome, BloomingtOn1985, pp. 156-58, 254-56, 266-68 epassi11l. Elementi per la revisione delle ipotesi correnti sono in Magnuson,Studiescit_, pp. 55 sgg.; C. R. Mack, Studies il1 the Architecttlral Cal'eer o/ Bemardo di Matleo Ghambello called Rossellino Diss. Dnivel'sity ofCarolina, 1972, UMI, Ann ArborI989; E.J.Johnson,Albertl; Leon Battista, i~ Macmillan Ellcyclopedia o/ Archi/ects, New York - London 1982, I, pp. 51-52; C BUl'l'oughs, A Pld1111edMyth alld a M)'th o/Pla/willg: Nicbolas V and Rome, in P. A. Ramsey (a cura di), Rome il1 tbe Rel1aissance. Tbe Cit)' and the M)'tb, New York 1982, pp. 197-2°7; M. Fagiolo, Architettura e città nel «piano» di Nicolò V, in Roma 13°0-1875. La città degli atlllisallti. Adan/e, a cura di M. Fagiolo e M. L. Madonna, Milano 1985, pp. 88 sgg. Vedi inoltreG. Gmyson, Leol1 Battista Alberti Archi/ect, in «The Architectural Design», XLIX (r959), n. 5-6, p. 9; C. R. Mack, Bemardo Rossel/I~ tlO, Leotl Bauista Alberti and tbe Rome o/Pope NicboùlS V, in «Southeastern College Art Conference Review», X (1982), n. 2, pp. 60-69; Id., Nicholas tbe Flftb and the Rebmlding o/Rome. RealiI)' alld Legacy, in Light 011 tbe Eternai City, Papers in Art History from the Pennsylvania State University, Statè College 1987, II, pp. 31-56; S. Borsi, L'Albe/'tia Roma, in S. Danesi Squarzina (a cura dD, Maestri/ioren/ilti Ilei cantieri romani del Quattrocento, Roma 1989, pp. 45-74- Vedi infine A. M. Corbo, Note su alcune /ontiper la storia sociale di Roma al tempo di Nicolò Ve Callisto III, in «Studi l'Omanh>, XXXVIII (1990), n. 1-2, pp. 53-68: l'autrice sottolinea la fragilità finanziaria della Camera Apostolica, causa delle mediazioni pontificie fra i notabili cittadini e la Camera DI'bis. Per quanto riguarda il Campidoglio, la Corbo - grazie a una capillare ricerca archivistica mostra quanto sia difficile individuare con esattezza i reali promotori delle varie iniziative (pp. 60-62). Di conseguenza, il ruolo di Nicolò V nell'impresa risulta alquanto ridimensionato. Gli studi di Charles Burroughs sono srati raccolti nel volume From SigllS lo Design. Envirol/mental Process and Re/orm iII Earl)' Renaissance Rome, Cambridge-London 1990, consultato dopo la stesura del l'l'esente capitolo. 2 Cfr. \YJ. Ullmann, A I-listol)' o/Politicai Thougbt: Tbe Middle Ages, Hal'mondsworth t965 (trad. iL Roma-Bati 1984); Id., Tbe Individual and Society in Tbe Middle Ages, Baltimore 1966, uad. it. Roma-Bari 1974 e 1983; Id., Medievai Foundatio1/S o/Renaissallce I-Iumanism, London 1977, trad. it. Roma-Bari 1980. Cfr. anche, di Ullmann, Origini medievali del Rinascimento, ini/Rinascimento, interpretazioni e problemi, Roma-Bari 1979, pp. 45- X02 . J Cfr. Dllmann,~ His/~I?' ci~.~ pp. 227 sgg .. del.la tr~d. italiana., e inoltre: N. Rubinstein, Mal'silillso/ Padua andItabati Polttlca! Ihoug/~t ?/HfS .Tl!J1~,:1l Eu;ope mtbe Late Middle Ages, London 1965, pp. 5z sgg.; M. A. Falclll PellegrInI, Legltlt1Jltta, legzltzmazione e l'esùtenza nella teoria politica

medioevale: Bal'tolo da Sasso/errato e ColuccioSaf1lfati, Genova 1987; A. Toscano, Marsilio da Padova e Nicolò Macbiavelli, Ravenna 19 81 . ~ Cfr. P. Prodi, Il sovrano pontefice. UII corpo e due anime: la monarchia Pllpale nella prima età moderna, Bologna 1982, citazione a p. 24· ) Cfr. M. Caravale e A. Caracdolo, Lo Stato Pontificio da Martino Va Pio IX, in Storia d'Italia, di· retta da G. Galasso, 14, Torino 197 8 . Prodi, Il sovrano ponte/ice cit., p. 29· 7 Ibid., p. 91. & Ibid., pp. 91-92. Sul problema dello Stato nell'opera di Nicolò V, si veda anche K. Pleyer, Die Politik Nikolaus V, Stuttgart 1927. Un acuto saggio del Toews puntualizza il ruolo della politica europea di papa Parentucelli, osservando che il papato, nel SllO interagire con gli Stati europei, acquisisce i modi operativi delle nuove compagini statali «either by imitation or initiation». «It was much more a question of accomodation to current political pressures - continua T oews - in the interests of maimaining a historic identity. For Nicholas this accomodation meant tbe consolidation of the patrimony ofSt. Peter as a state». J. B. Toews, Formative Forces i/1 tbe Pontifi'cate o/Nicholas V, 1447'1455, in «Tbc Catbolic Historical Review», LIV (1968), pp. 26r- 84' La citazione è a p. 28 4. Sulle conseguenze iconografiche della politica di Nicolò V, cfr. E. Schrotcl', Der Vatican als Hiigel Apollons Imd del' Musen. KUllst und Panegyrik VOli Nikolaus V. bis ]u{ius lI. , in «Romische Quartalschrift», LXXV (198o), pp. 208-40; H. Wohl, Papal Patrol1age and Ibe Language o/ Arts: Tbe Pontlficates o/Martin V, Et/gene IV and Nicholas V, in P. Brezzi e M. De Panizza Lorch (a cura dO, Umal1esimo a Roma ilei Quattrocento, Roma - New York 19 84, pp. 235-46 . 9 Prodi, Il sovrano pontefice ciL, p. Ila e nota 55. Tale osservazione viene fatta da Prodi in parziale polemica con le ipotesi del \Xfestfall, che, a detta dell'autore, tendono a enfatizzare l'importanza del momento religioso rispetto al piano politico.

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IbM., p. 108. Ibid., p. 39.

Su tale ceto, cfr. E. Dupré-Theseider, Roma dal Comune di Popolo allei Siglloria pontificia, Bologna 195 2 ; C. Gennaro, Mercanti e Bovattieri nella Roma della seconda metà del Tl'ecento. (Da una ricerca su registri notarilt), in« Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 1967, n. 78, pp. 155- 2°3; Id., La «Pax Romana» del/51l, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», xc (1967), nn. I-IV, pp, 17-60;J. C. Maire Vigueur, Classedomillallte et clf1sses dirigeantes à Rome à la /in du Moyel1 Age, in «Storia della città», I (r976), n. 1, pp. 426. Sulle implicazioni delle lotte fra nobiltà cittadina e pontefici nello sviluppo urbano di Roma nel Quattrocento e nel Cinquecento, cfr. i saggi di Spezzafen-o e Tafuri, in L. Salerno, L. Spezza2 feno e M. Tafuri, Via Giulia. Un'utopia urbanistica del '500, Roma 1975 ; G. Curcio, L'Ospedale di San Giova/lni in Laterano: funzione urbana di un'istituzione ospedallem, in «Storia dell'arte», 197 8, n. 32, pp. 23-39; M. Tafuri, «Roma ilfsta1ll'ata». Strategie urbane e politiche pOlllzficie nella Roma del primo '500, in C. L. Frommel, S. Ray eM. Tafuri, Ra//aello al'cbiteltO, Milano 19 84, pp. 59- xo6 . Cfr. inoltre i fondamentali saggi di M. Miglio, Roma dopo Avignone. La rinascita politica dell'antico, in S. Settis (a cura di), Memoria dell'antico nell'arte italiana. I. L'u.fa dei classici, Torin019 84, pp. 75-lll ; Il dtomoa Roma. Varianti di U1/a costante nella tradizione dell'Antico: le scelte pontificie, in S. D. Squarzina (a cura dj), Roma, centro ideale della cultura dell'Antico Ilei secoli xv e XVI, Milano 19 89, pp. 216-20, da integrare con C. Frugoni, L'anticbità: dai «Mirabilia» alla propaganda politica, in Memoria dell'antico cit., I, pp. 5-72. Vedi infine M. Manicl'i Elia, L'uso dell'antico, tra permanenza, mutazione e oblio dei sigmficati, in «Roma del Rinascimento», 19 89, pp. 5-16 e S. Ray, Architettura e Antico: Roma 1500-J527, in Roma, centro ideale cit., pp. 248-5 6. n eh. Ullmann, Medieval Foundatiolls cit., pp. 184-85 della trad. italiana. Ullman dà un grande significato al bagno simbolico preso da Cola nella tinozza detta «di Costantino» e custodita nel Laterano: si tratterebbe di un lavacrum miiltare o regenerationis come tribuno del popolo, da mettere in relazione alla proclamazione della sacra Romana l'es publica. !~ Cfr. U1hnann, A History cit., p. 106 della trad. italiana. 15 Sul significato di tale operazione, cfr. L. Spezzaferro, La politica urbanistica dei Papi e !eorigini di via Giulia, in Via Giulia cit., p. 22 (ch-. anche le aggiunte degli autori alla seconda edizione, pp.

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528-29); Curcio, L'Ospedale di S(/11 Giovanili cic Il senso politico della concessione sfugge invece a Guidoni, che, ignorando i saggi sopra citati, equivoca suUa natura dell'arciconfraternita del San Salvatore ad Sancra Sanctorum. Cfr. E. Guidoni, Roma e l'urbanistica del Trecento, in Storia del· l'arIe italiana Bùullld;, 5: Dal Medioevo (d Quattrocmlo, Torino 1983, p. 377. Difficile, comunque, è discutere con un autore che 110n si perita di falsificare le opere dei suoi colleghi per poi potede criticare. Cfr. E. Guidoni, An/ico e modemo /tella cultum urbanistica romana del primo Rinasci" mento, in Roma, centro ideale cit., pp. 477 e 487 nota 6. Sulla credibilità scientifica dell'aurore, cfr. il saggio di I. Lori Sanfilippo, Roma nel XIV secolo: riflessioni in margine alla lettura didtle saggiuscdi "ellil «Storia dell't/rte italiana Eùwudi», in «Bullettino del!'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», XCI (1984), pp. 1.36. Quanto osservato per Guidoni vale anche per il saggio di A. Marino, Idoli e colossi: la staluaria anlica sulla piazza del Campidoglio da Sis/o IV a Leone X, in Roma, centro ideale cir., pp. 237 sgg., in particolare p. 245 nota 18. Cfr. M. Miglio, Una vocazione iII progresso: Micbele Cal/ellSI; biogm!o papale, in« Studi Medievali», 1971, pp. 463-524, ora in Stol'iografia pOl/tificit/ del Quatll'OCel1to, Bologna 1975, pp. 63-n8. Su tale volume, cfl'. R. Fubini, Papato e storiogmfia ileI Quattrocento. Storia, biografia e pl'Opagallda iII 1111 recellie studio, in «Studi medievali », 1977, pp. 321-51. Una nuova e acuta lettura della cultura privilegiata da Nicolò V è nel saggio di L. Onofri, «Sicut

jremitus leol/i!; et regù im»: temi lleoplatol/ici e culto solare nell'orazione funebre per Nicolò V di ]ean ]ouffroy, in «Humanistica Lovaniensa. Joumal of Neo·Latin Studies», XXXI (1982), pp. 1-28. Laura Onofri tratteggia la figura del pontefice proposta da Jean ]ouffroy come quella di un sa· piente in contatto oracolm'e con la divinità in fOl'za della sua investitura. Si tratterebbe di un sape· re mantico che rimanda alla «plenitudo temporum ~> e a,una Chiesa trionfante e pacificata, oppo· sta ad una Chiesa della penitenza e della separazione. E significativo che l'exemplar sul quale il ]ouffroy modella l'effige di Nicolò V sia l'immagine del sole, esaltando contemporaneamente, come vi l'tu pontificale, «l'ira» (secondo Anistotele, fondamento dellaforti/udo). CfL anche C. Vasoli, Profilo di UII papa U/JUlnùla: Tommaso Parenlllcelli, in Studi SI/Ila cultura del RÙUlscimelllo, Mandmia 1968, pp. 69-121; L. Onofri, SacJ'l1/itd, immaginazione e pmposte politiche: la vi/(I di Nicolò V scrit/a da GiamlOzzo Manetti, in «Humanistica Lovaniensa», XXVllI (1979), pp. 27-77; M. Miglio, Materiali e ipolesiperulla ricerca, inScritlure, bibliotecbee stampa a Rom(( Ile! Quatlro· cento. Aspetti e pl'Oblemi, Città del Vaticano 1980, pp. 15-31. l~ Cfr. C. L. Fl'ommel, Del' Palazzo Venezia in Rom, Gerda Henkel Vor!esung, Opladen 1982; Id., Fra!1cesco de/Borgo: Architekt Pius' Il. 1I11d Pau!us II. 1. Del' Pelersplatz und weitere l'iimiscbe Balilen Pius' Il. Piccolomini, in «R6misches Jahl'buch fùl' Kunstgeschichte», xx (1983), pp. 10954; Id., Francesco del Borgo, ecc., II: Palllzzo Venezia, Palazzelto Venezia Imd Salt Marco, ivi, XXI (x984), pp. 73.164; Id., Chi era !'tlrcbitelto di Palazzo Venezia?, in Studi ill ollore di Giulio Carlo Arga", Roma 1984, II, pp. :~9-6o. 19 «Romanae namque Ecclesiae auctoritatem maximam ac summam esse, ii soli intel1igl1nt, qui originem et incrementa sua ex literal'um cognitione perceperunt. Cetel'Owm vero CllllctorUIn Populorum turbae literarum ignarae, penitus expertes, quamvis a doctis et e1'llditis Vids, qualil'l, et quanta illa sunt, crebro audÌ1'e, eisque tamquam veris et cel'tis assentiri videantur, !lisi tamen egregiis ql1ibusdam visis moveantUl', prefecto omnis illa eorul11 assensio debilibus et imbecillis fl1ndamentis innixa, diururnitate temporis ita paulatim elabitur, ut plenllnque ad nihilum reci· dat. At vero quam iUa vulgaris opinio doclorum hominum l'elationibus fundata, magnis aedificiis pel'petuis quodammodo monumentis, ac testimonis paene sempitel'nis, quasi a Deo fabl'icatis, in dies usque adeo corroboratur et confinuatu!', ut in vivos posterosque illarum admirabilium COIlstl'llctionum conspectores continue traducatur; ac per hunc modum conservatur et augetul', at· que sic conservata et aucta, admirabili quadam devotione conditur, et capitur». G. Manetti, Vi/a Nicolai V Sumnu' Ponltlicis, in Re1'll1ll IttlliC(lrtlm Scriptotes, III, 2, collo 949-50. Un'analisi del «testamento» di Nicolò V è in Miglio, Storiof',mfid pontificia ciL, pp. 98-nr. Per inquadrare il testo del Manetti nella cultura romana del xv secolo, è utile F. Gaeta, Sull'idea di Roma nell'Umane· simo e /tel Rù/(/scimellto. Appunti e sptfl1ti pel' (lI1a ricerca, in . Sulla vita e sull'aspetto della Roma del XIV e xv secolo, cfr. M. Miglio, Gruppi wciali e azione polittàlnel/a Roma di Cola di Rienzo, in «Studi Romani», XXIII (1975), pp. 442-61; Id., L'immagi11e dell'onol'e al1tico.ll1divtdualitd e Imdiziolle della Roma lJJlmiCl!)a!e, ivi, XXXI (1983), pp. 252-64; Per la storia deL Trecellto a Roma, Manziana (Roma) 1991. Nel 1440, Leonardo Bruni, scrivendo a Francesco Pizolpasso, definisce gli abitanti di Roma «collecticia turba », quanto Illai lontana dalla dignità di un «populus~> su cui si fondi la «l'es publica». Cito inJ. Ijsewin, Rome en de bumallistùl..})e Literalur, in «Medddingen van de Koninkijke Academie VOOI' Wetenschappen, Lettel'en eo Schoone Kunsten van Belgie, Klasse der Letteren», XLVII (1987), pp. 26-73 (con riassunto in latino). Circa i giudizi su Roma nel Medioevo e nel xv secolo, cfr. E. e.J. Garms, Mito e realtà di Roma l1e//a cultura europea. Viaggio e idea, immagine e immagillazione, in Sioria d'Italia. Annah, 5: 11 paesaggio, a cura di C. De Seta, Torino 1982, pp. 563 sgg., in particolare alle pp. 577 sgg. 2l Cit. in F. Flamini, La lil'iCt/ toscana del Rinascimento (Interiore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 6W-Il. 2) C. Fl'ugoni, Ulla lolttal/a città. Sentimenti e immagini ilei Medioevo, Torino J983, pp. 180 sgg. ?l Cfr. l'In fessura, Diario della città di Roma (J;Stefano 5mbasellato, ed. O. Tommasini, in FOlltiper la storitl d'Italia, 5, Roma 1890, p. 49; E. Muntz, Les Arts dia cou)" des papes pelldtll111e XI'" et le xv!" siècle: Remil de documents illédits, 3 voll., Pal'is 1878.82, docc. relativi. 2) «1)uclus aquarum novem fuisse refert Julius Frontinus quem libellum ipse paulo ante repperi absconsum abditumque in Monasterio Cassinensi ». P. Bracciolini, De variet((tae fortunae, in R. Va!entini e G. Zucchetti, Codice lopograjico dell(/ dud di Roma, Roma 1953, IV, pp. 23°-45. Cfr. inoltre R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci nei secoli XIV e XI', Firenze x967, I, p. 85. 26 A. Ciacconius, Vitae et l'es gestae pOlltificum rOI1UI1IO/'lllll, Roma x667, III, p. 961. 21 ASR, Camemle I, T.S., busta 1287 (X453), C. 1431': «Spese che si fanno quest'anno in piu disegni fuora di palazzo per mie mani deno dare addi XVIll de jugno due. 200 [de Camera] con [tanti] a Pietro di Giuliano di Cholona di chomandamemo di Nello, e quali N.S. dona per la forma de l'acqua de Treio, e duc. 200 papali lo dette al prefato N.S. piu di sono de suo propri de quali non ° fatta sicurtà». 2, M. Gargano, Nicolò V. La mostm dell'acqua di Trevi, in «Al'chivio della Societa Romana di Storia Patria», CXI (1988), pp. 225-66, in particolare alle pp. 251 sgg. Il saggio costituisce la rielaborazio~ ne di un capitolo della tesi di dottorato dello stesso autore, Arcbite/llll'll delle acque. Id/'{/ulic(/, fontalle, ponti, fiume e porti lIell(/ Roma del xv e del XVI secolo, IUAV, 1987. 2~ C. BUlToughs, Below tbe Ange!: a11 Urbal1istic Pmjeci in tbe RomeofPope Nicholas V, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», XLV (X982), pp. 94.124; Id., From Sig,lls cit., pp. 99 sgg., con un'analisi dettagliatil dell'opera complessiva di Nello da Bologna. )0 ASVa, Reg. Vat., 435, C. 82V; cito in Burroughs, Below tbe Angel cit., p. 99 nota 23; Id., F/'Olll SigllS cit., p. 100, in cui è precisato, tuttavia, che Nello rinuncia all'incarico in data 28 febbraio 1448. )1 Gargll1lO, Nicolò V cit., p. 255: ASVa, Reg, Vat., 429 (1453), cc. CXLIvr-cXLVW (c. CXLvr). ») Ib;d., C. CXLVlr; cit. in Gargano, Nicolò V ciL, p. 259. J) Cfr. la nota 27. >; Vedi, al proposito, il saggio di Gargano cit., pp. 262-63. Jj Cfr. Mack, Studies iII tbe Arcbi/ectul'al CareerofBemardo diMatteo Ghambarelli, cit., pp. 157.87, in cui l'autore suppone che l'arrivo del Rossellino a Roma, nel 1451 - data in cui inizia ad apparire

Capitolo secondo nei conti deUa Tesoreria papale - sia dovuta al tesoriere di Nicolò V, 'l'ommaso Spinelli (p. 15 8). Rossellino, che ne! J452 si trova a Firenze, è «ingegnere di palazzo» fino al1453. Cfr. inoltre Mack, Bemardo Rosse/lil1o, L. B. Alberti al1d tbe Rome o/Pape Nicholas V cit. (che pubblica un elenco dei capomastri attivi sotto Nicolò V: vedi pp. 66·67; Id., Nicholas the Ftfth altd tbe Rebuil· dillg o/ Rome cit. )(, Cfr. Spezzaferro, La politica urbana dei Papi clt.; H. Broise cl- C Maire Vigucur, Strutture/ami. /iar/; spazio domeslico e arcbdettura chllle a Roma al/afilte del Medioevo, in Storia dell'Arte l!alia11a Einaudi, 12: Momel1!idi architettura, Torino 1983, pp. 99-160; H. Broise, Les maiso"s d'habitattD" à Romeau xv c et XVJ c siècles: les leçons de /a documentatio" graphique, inJ. C Maire Vigueur (a cura di), D'une v/lle à l'aull'e: Slruclures 11latérielles et ol'g(//lIzatiol1 de l'espace dam les villes eurapéell/les (X11l c-xvl" siècle), Roma 1989, pp. 609-29; Corba, Note su a/cune fonti ci1. 37 E. Re, I maestri di stl'dda, in «Archivio della R Società Romana di Storia Patria>~, XLlll (19 20 ), p. Wl (Statuto dei Magistri viamlll del 1452, cap. XXXIX). lS Si noti tuttavia che, come ha dimostrato Simonetta Valtieri, le tre strade dorsali erano tagliate da una «via magna» trasversale, di origine romana, ricordata nei Commel1tarii di Pio II. Essa attraversava la piazza di San Lorenzo in Damaso, proseguiva a sud fino alla piazzetta di Santa Brigida e si collegava, a nord, con la piazza di Pasquino e con l'odierna via di Santa Maria dell'Anima. La Valtieri dimostra, inoltre, che il tratto finale della via del Pellegrino, verso Campo de' Fiori, viene aperto da Sisto IV. Cfr. S. Valtieri, La zona di Campo de' Fiori, prima e dopo gli interventi di Sisto IV, in «L'Architettura, cronache estoria~>, xxx (1984), n. 346'47, pp. 648-60. Sulla via Peregrinorum, o Florida-Mercatorla, vedi Roma 13°0-1875 cit., pp. 26 sgg. Sulla Roma medievale, vedi R. Krautheimer, Roma. Profilo di ulla città, 312-13°8, Roma 19 81. Spezzaferro, La politica mbanistica Clt., pp. 34-46. Cfr. Tafuri, «Roma instaurata» cit. ~I Bmise e Vigueur, Strutture familiari cir. ·11 rb/d., pp. 130 sgg. ~} lh/d., 1'.157. L'uso politico del riassetto viario e dell'eliminazione degli ostacoli ai liberi percorsi era stato già sperimentato nella Firenze comunale. Il ceto colpito era stato quello magnatizio. La via di San ProcIo, decisa nel 1301, viene destinata - in funzione antinobiliare - a permettere una sicura adduzione del grano in città: essa l'l'elude, pertanto, alle analoghe operazioni varate aRo· ma da Sisto IV. Cfr. D. Friedman, Florelltine NeUJ TOWlls. Ul'ban Desigll iII the Late Middle Ages, Cambridge (Mass.) - London 1988, pp. 204 sgg. ~~ Cfr. Re, l maestri di strada cit.; Id., Statuti della città di Roma del secolo xv, Roma 1883; L. Schiaparelli, Alcuni documenti dei Magistl'i aedi/icioru1lt Vrbis (secc. Xl/J e XIV), in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», xxv (1902), pp. 5-60; C. Scaccia Scarafoni, L'autico statuto dei magistri stm/arum, ivi, L (1927), pp. 239-308. Vedi inoltre, P. Cherubini, A. Modigliani, D. Sinisi e O. Verdi, Un libro di multe pel' lo pulizia delle strade sotto Paolo II (21 luglio - 12 ottobre 14 67), ivi, CVIl (1984), in particolare alle pp. 55-73, con ampi rimandi bibliografici; Magnuson, Sttldies cit., pp. 34-41; \Xfestfall, In Ihis Most Pelfec! Pamdise, trad. cit., pp. 158-68. Vedi anche Corbo, Note su alcune/DIlli cit., pp. 55 sgg.: l'autrice vede negli Statuti del 1452 un tentativo di mediazione fra autorità pontificia e autorità capitoline, in vista di un'urgente razionalizzazione della strut· tura urbana. ~j Cfr. M. Miglio, «Viva la libertà el poptllo de Roma». Ol'(/Ioria e Politica: Stefano Porcari, inPa/eographica, Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, Roma 1979, I, pp. 381 -4 28 . All'amico Miglio chi scrive è grato per le preziose indicazioni e lo scambio di idee sui temi del presente capitolo. Cfr. inoltre A. Modigliani, La /amiglia POl'cari tra memorie repubblicane e curùdismo, in Ul1 pOllli/icato ed una città. Sislo IV (J471-148J), Atti del Convegno (Roma, 3-7 dicembre 1984), Città del Vaticano 1986, pp. 317-53. ~~ Le O1'azioni del Porcari, stampate nel 1874 da G. B. Carlo Giuliari furono da questi ritenute di Buonaccorso da Montemagno. Per la questione attributiva e il censimento dei manoscritti, cfr. il saggio di Miglio, citato nella nota precedente, pp. 386 sgg. 47 L. B. Albeni, De Porcaria colliul'atlDlle, in Opera inedita et pauca sep(lI'atim impreJ'Sa, a cura di G. Mancini, Firenze 1890, p. 260 (corsivi nostri). Giustamente Massimo Miglio confronta il discorso

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Nicolò V e Lcon Battista Albcrti

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de! 1453 con i discorsi fiorentini dello stesso Porcflri dci I427-28, e in particolare con la Diciaria di messer Stefallo Porchari ( ..) iII commend(/zione di Dtlll/e Aldighieri, Cod. Barb. Lat. 4012, CL 3134, pubblicato in flppendice a «\fiv(/ la ltberlà et popu/o de Roma» cic, pp. 422-25. Sulle radici umanistiche del Porcflri, cfr. anche Vasoli, Profilo di Wl pap(1 uml/Ilisla dt., pp. IIO·13· Nel valutare le pagine albeltiane sulla congiura, è necessario tener presente il carattere dello scduo e la posizione dell'autore in Curia. Va quindi dato un peso relativo agli elogi rivolti alla Roma nicolina: «Ager cultus, Urbs facta aurea proximo jubilaeo, civium dignitatis aucta, uti quisque postulan. dam a pontifice duxerat. Nulla exactiones, nulla nova vectigalia, summa justitia, maxima ornandae Urbis cura C.. ) Inter ceteras m'bes italas hanc n011 in postremo studiis bonarum flrtium deditissimam [est]». Alberti, De po/,C(/r/(/ COlliural!Dl1e, ed. cit., pp. 26 4- 6 5. .;, Cfr. C. Grayson, A/berli; Leoll Baltù/a, in Dàiol/(/I'lo Biografico degli llti/iani, Roma 1960, I, p. 707. Secondo Giovanni Ponte, Alberti sarebbe invece rimasto insensibile Hi temi civici del Porcari: Cfr. G. Ponte, Leoll Balfistl/ A/berti, uJ}/allistl/ e scrittore, Genova 1981, p. 76. Vedi invece R. Fubini e A. Menci Gallorini, L'(wlobiogmfia di Leo/1 Battista A/berti. Stl/dio e ediZiolle, in d~illH' scimento», serie II, vo1. XII, 1972, pp. 21'78, in particolare alle pp. 57-58. Sulla Vita anonima di Alberti, considerata scrino autobiografico, cfr. anche R. Watkins, ]/)e Alllhorsbip of tl)(; Vi/a AlIoll)'ma o/Leoll Baltislcl Alberti, in «Studies in the Renaissance», IV (1957), pp. IOI-r2. Sulle posizioni albertiane nei confronti dell'«mnanesimo civile» fiorentino, cfr. H. Baron, Leoll J3altl~/(1 Alherti as (111 Hei/' (/Ild Cri/icofFlorentine civic HWJl(ll1ism, in Id., III Se(//'C!) of Florenlille HW1/(/' Ilism. Bssays 011 tbe TrallsitlDllfrom Medieval lo Modem Thougbl, Princeton (NJ) 1988, I, pp. 25 8-88 . Burroughs (Prom Siglls ci t. , p. 170) osserva che Alberti risulta amico di Leonardo Dati, kgato, come Gaspare da Verona, a Stefano Porcari e ad Ambrogio TraversflrL Nei confronti del Dati e di Gaspare, Nicolò V mostra grande freddezza. .;,> Cfr. M. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 187:3; V. Zabughin, Ulla Ilovella t(lillllli· slica. L'Amorosa diMarc(/lItol1ioAltieri, Roma X909; D. Gnoli, 1.(1 Roma di Leone X, Milano 193 8 , 1'1'.3 2 -52; A. Aso!' Rosa, Altieri Marcal/tonio, in DiziollanD Biografico degli Italiani, Roma 1960, val. II, pp. 560-6x; 'l'afuri,« Roma insfrmra/(I» ciì. Su! clima culturale e la vita quotidiana della Roma quattrocentesca dr. Miglio, L'immagille dell'onore al/fico ciL, pp. 252-64; Id., Roma dopo Avignone CiL; Id., Il ritorno ({ Roma cit. w Miglio, Storiografia pontificia cit., p. 105 nota 55· ;1 L. Pastor, Storia dei Papi, Roma r9582, p. 623. Sulle critiche di Giorgio da Trebisonda alle imprese di pace di Nicolò V, vedi Onofri, Sacraldà cfc, p. 70. COSI scrive, inoltre, Lampugnino Birago nello Strategicoll adve/'sus Turcos: «At est nimis dicunt aliqui edificandi cupidus, nihil enim prete· rendum est aut dissimulandl1111 guod possit obiici. Fuit fateor edificando sumptuosissilllUS, vide quam non fugiam istud crimen. Sed quid tandem edificflndo privatam dOl11ul11 aut aliquod opus vile? Ornavit Romam caput orbis, ornavit tempia, extruxit dignam pomificali maiestate sedem, quam pari quoque exornavit supelectile at quo tempore cum supererant pecllnie esse salle peni· nentes ad dispensationem 5uam et guas poterat occulere sibique retinere ... ~>, BAV, Vat. La\. 3423, f. 131'; cit. in Miglio, Storiografia pOllti/icia cic, p. 105 nota 55· Maria Giulia Aurigcmma, pu!' accettando la tradizionale ipotesi circa il coinvolgimento albeniano nei piani nicolini, sottolinea le etitiche avanzate dalPlatina nei confronti del papa. Nel L/berele villl Christil/comnilllll pOI/tifi· ClI11!, il Pl.atina dichiara di apprezzare la politica culturale di Nicolò V, ma scrive che j progetti di quest'ultul1o hanno avutO come esito l'arricchimento di alcune imprese edilizie e la realizzazione di opere erette a scopo di difesa personale, dettate dalla pHura. Cfr. M. G. Aurigemma, La m//u/,(I architellollic(/ /Jella Roma qualtrocelltesc({ e gli lImal/lsti: aspetti di 1/11 problema storico, in «Atti c memorie. Arcadia», serie III, VII (1979), pp. 143-68, in particolare p. 164. ~] Cfl'. M. Manieri Elia, La Loggia Squarcia/Ilpiin Campidoglio (e un'ipolesi m//a Sal/a Selltl/oria), in «Architettura, storia e documenti», 1986, n. 2, pp. 79-86; e la recensione di Lorenzo Finocchi Ghersi, in d~oma del Rinascimento», 1989, pp. 193-95· )J Manicri Elia, La Loggia Squarcialtlpi cit., p. 83. Comunque, b tesi relativa alla preesistenza della 1'" raggiuntosecondo l'autore - nel ventennio conclusivo dell'attività dell'u!llanista. Cfr. al proposito, C. Grayson, The HUl}/{lIlism ofL B. A/berti, in «ltalian Studies», xn (1957), pp. 37-56. ,6 Garin, Rinascite e rivoluzio1/i cit., p. 148 nota 25. Vincenzo De Caprio nota che la produzione l(.'tteraria albertiana posteriore a11443 non appare coinvolta nei miti della cultura cmiale; egli sottolinea inoltre alcuni l'ecupel'i, da parte di Leon Battista, della cultura medievale. Riprel1dendo una notazione di Garin, !'autore cita, in particolare, il De colltempll! mUl/di di Lotario Diacono. Cfr. V. Dc Caprio, Roma, il1 Lelte/'tltlll'fi t'ta{ùlI1t1 Eil/audi. Storia e geografia dr., pp. 374376. Il ricordo a motivi patristid da parte ddl'Alberti è stato piu volte sottolineato, anche per quanto riguarda le tecniche: cfr., ad eseml)io, G. Al'righi, Leali Battis/a Alberti e le sciellze esatte, in COl1vegno Il1te/'l/(lziollale indetto Ile! V Cen/ellario di Leol! Ballisla Alberti, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1974, pp. 155-212 , in particolare 1'.159. Interessante è l'osservazione di Giovanni Orlandi (nello stesso volume., p. 288), che riconosce nel1'eSl)ressione l'es aedl/im/oria un'etimologia non classica, bensf derivata da Alberto Magno. L'autore precisa che aedifiCatolù/s, nel latino cristiano, significa edificante in senso morale: malgrado un'apparizione isolata in Boezio, il termine, nel senso attribuitogli da Alberti, non precede i] XJ1l secolo. Forse, Leon Battista intendeva sovrapporre i due diversi significati, dando COSI alla sua concezione dell'architettura un'implicita connotazione etica. ìJ L. B. Alberti, 1/Jeogenills, II, in Opere !Jo!gm'i, a cura di Cecil Graysoll, Bari 1966, II, p. 92. ·i.\ La citazione è in Garin, Rinasci/e cit., p. 159. Sull'(drrazionalismo» antiumanistico del TbeogeIlius, cfr. P. Marolda, 'R(lgiolle' e 'follia' nel Theoge"ius di L B. Alberti, in «Rassegna della Letteratura italiana», LXXXV (1981), n. 1-2, pp. 78-92; Id., Crisi e conflitto cit., pp. 89 sgg.; G. Scianatico, L'esperienza dellafolliallel/a lettem/ut(/If"u/llistica. Note su Leol1 Battis/a Alber/i, in «Lavoro critico», 198'h 11. 31-32, pp. 173-213. ;~ L'interpretazione del motto albertiano ha impegnato diversi studiosi, ma le pagine piu acute rimangono quelle del \YJind, chc - dopo un'analisi plausibile- restituisce all'!nquietante emblema albeniano la sua aura e i suoi significati plurali. Cfr. E. \YJind, Pagal1 M)'stenes oftbe Re/1aissal1ce, New Have111958, uael. it. Milano 1985, pp. 283-88. Vedi anche R. \\'latkins, L B. Alber/i's Emblem, Ibe W/yllged E)'e, amI Hfs N(/Ille, Leo, in «Mitteilungen des Kunsrhistorischen Institutes in Florenz», IX (1960)., pp. 256-58 (con una proposta di datazione a11438, sulla base di un passo della Vita (/Ilollima di Alberti); Gadol, Lcoll13atlis/a Alberti cit., pp. 69-70 (con un riferimento agli albertiani Al1ult);Jarzombek, Ol! Leol113f1ptis/a A/beni cit., pp. 63-65 (che sopravvaluta l'apparil'e del QlIId 111m nel Somlliulll); L. Scbneider, Leo11 Ballis/a Alberli: Some Biogl'tlpbical ImplicatiollS oj Ibe W1inged Eye, in «The Art Bulletin», I.xxn (1990), pp. 261-70. MI Cenni al panteismo albertiano _ confermato chlll'eSpl'essione «la natura, cioè Iddio», contenuta nel Il libro della Fallliglia-. sono in Santinello, Leoll Ballis/a Alberti cit., p. I03; G. Fal'ris, Su« Reh'g/o» e «Temp/um» in Leo" Bllflùla A/berli, in Miscelùmea di sludia/ber/iani, Genova 1975, pp. 97-11I; Pontc, Leali Balll:~t(f Alberli cit., p. 33. Si noti che illola 11!(lchùw est Deus è assai vicino a

Capitolo secondo un passo del Momus: «immortalem quidem ipsum esse mundum atgu~ aeternum; et cum tam multa in eo divina qU;1;si membra conspìciantur, .1ft/tuo lotam bm/c macblllam del/m eHe». Alberti, MOI1l1(s, ed. 1986 cit., p. 182 (corsivi nostri). SI L;1; l'Ìn;1;scit;1; deJJ;1; dottrina dell'eternità del mondo, che conquista il pensiero occidentale dopo la metà del XllI secolo è stata magistralmente esaminata nel volume di E. H. Kamorowicz, The KÙlgS Two Bodies. SllIdy in Mediaeva! Politica! Tbeo!ogy, Princeton (N.J.), 1957, trad. it. Tori, no 1989, pp. 234 sgg. La teoria ari~totelica dell'il!iI:1itata c~ntÌl:t~ità della razza umana viene ~on~ nessa da Kantorowicz, alle idee d! progresso l'ehg!oso e sCientifiCO, oltre che a nuove conceZlO111 etich~. Infine l'autore riconosce una congt'Uenza fra quella stessa teoria e il desiderio di fama, il perpell/(lI1di /;omillls desiderill1Jl, individuando, per esso, precedenti nel pensiero giuridico medievale (ibid., p. 238). hl Cfr. C. Smith, Origimdity and Cullurai Progress ill the Qual/rocento. Bml1e!lesc~)i's Dom~ (1Il~.a Letter by Alberli, in «Rinascimento», serie II, XXVlU (1988), pp. 29:-318. GombtJch aveva md.!vIduato, per la lettera dedicatoria della versione volgare del Della ptltu~'a (1436)~ una fonte antica: una lettera di Plinio a Caninius Rufus, avente a sua volta una fonte 111 un epigramma greco su Omero. Cfr. E. H. Gombrich, A C!tlJsic Topos il1 tbe InlroduClioll lo Alberli's « Della pittul't/>J, in «Tournal of the W/arburg and COtutauld Institutes)>, xx (1957), p. 173- Plinio scrive che ~ dopo a\'er ascoltato una commedia di« Vergilius Romanus» modellata su Menandro-- non è piu possibile affermare che la natura si sia esaurita. La Smith osserva che l'esaltazione albertiana della cupola di BruneHeschi, concepita «senza precettori, senza essemplo alcuno», va molto piu in là. La lode aJJa novità assoluta ~secondo l'autrice~ implica una vittoria, antilucreziana, dei moderni sugli antichi, dovuta alla !Ilacbil1atio e alla riscoperta di Pappo. Inc.i~entah~;nte,.va nota~o ~I:e il «senza precettori» albertiano ha rispondenze nella fam.osa OppOSIZione dI I ?gwo l~1'acclolmr all'assunzione di Giovanni Argiropulo come professore di greco presso lo Studio d! FU'cnze (cfr. E. Garin, Rill'at/o di Poggio Bracciolini, prefazione alle Ft/cezie, a cura. di M. Ciccuto, Milano 1983, ora in E. Gadn, Umanùti, artùli, sciemiati. Studi sui Ril1ascimellto ltaliallo, Roma !983, p. 5.'3. La Smith legge nel passo albeniano un contenuto su cui avrebbe potuto concordare Lorenzo Valla. Il Poggio aveva invece sostenuto, insieme a Niccolò Niccoli, la superiorità degli antichi sui moderni: Garin, op. ciI., p. 55 (Ma vedi anche I. Kajanto, Poggio BN/cciolini an! Cft/ssicism. A s~/(d)' iII Bari)' IlalùlI1 HlllJ/mt!S1Jl, Helsinki 1987, 1'.12). Hans Baro!~ ha letto la dedica a Br.un.ellesch! come testimonianza della Querelle llluaniSlica antichi-moder!l!, paragonandola a testI di Benedetto Accolti e di Alamanno RinuccinL Lo stesso autore nota nel passo albertiano un atteggiamento diverso da quello precedentemente espresso nel Decommodis: in tale testo, l'unica strada lecita appariva l'imitazione degli antichi. Barotl, 11/ Search o/Florelltine HUII?d1U:w? cit., II, pp. 93-94 e nota 28 alle pp. 94-95. Si Garin, Ri1/(/scitee l'ivo/uzioni ci1., P.153. Una lettura comparata dei due scritti albertiani è nel saggio di L. Aluffi Begliomini, Note SlfIl'opeJ'a dell'Alberli: ti «j~omll~>J e i/ «De I.'e a~di/ic~/().ria », in «Rinascimento», serie II, Xil (1972), pp. 267-83. Poco COl1Vmcentl, al propositO, l testi dI Ponte, Leoll Ballis/a Alberli cit., pp. 79-9°, e di]al'zombek, O" Leali Baplls/a Alberli dt., pp. 159-66. Vedi anche Marolda, Crisi e con/litto cit., p. 1lI-37· 8. Alberti Momus, ed. Martini, IV, p. 150; ed. Consolo, p. 234. [Giove] «si dava dell'idiota e del ritardato' in cuor suo, poiché non si era rivolto agli architetti di un'opera cosi st1'llol'dinal'ia [le colonne di marmo paria del teatro], piuttosto che ai filosofi, l'CI' pianificare il m~dello dell~londo futuro». Si noti tuttavia, che Caronte ha, di fronte allo stesso teatro, una reazione ben (1Ive1'sa. Egli ride di tali «homilllUl1 ineptias, qui tantos Jabores con~umpserint de.n.lol!en~i~ m~ntib~s ~t immanem ipsi molem construel'ent» (ibid., p. 258) ..Albem conferma qm II.glUd!zlo.dr empleta, dato nel Theogenius, rellltivo alla violenza della tecmca. Sul ~e~ua de.l teat~·o !Il Albe1'tl, .cfr. L. Cesarini Mal'tinelli, Mel40re teatrali in Leoll13t1ttisla Alberlt, !Il «Rmasclment(}), sene II, XXIX (r989) pp. 3-51. L'autrice nota che, nel Momus, Caronte deprezza !'arte al confronto della natura e dei fiori (pp. 21-22). Il tema dci fiori in Alberti è stato sottolineato in E. Garin, Il peltsiero di Leon Baltista Albel'li: c(/mtleri ecol/lmsti, in «Rinascimento», serie II, XII (1972), pp. 3-20. In ViI'IIIS, tuttavia, In cura per i fiori e le farfalle, da parte degli dèi, assume un significato negativo: cfr. qui la nota 117. SI L. B. Albeni, Pro/ugiomlll ab aerum1li/libri, in Opere volgari cit., II, pp. 181-82. Cfr. anche l'edizione a cura di Giovanni Ponte, Genova 1988, pp. II4-r5, Grayson data i Pro/ugia al 1441-42. An-

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che i problemi di geometria e di meccanica contenuti nei LlIdimalemalici sono considerati da Alberti passatempi scientifici, come è deducibile dal titolo dell'operetta dedicata a Meliaduso d'Este. Cfr. L. Vllgnetti, COllsidemziol1i sui «Lutli mtifem(1Iici», in «Studi e documenti di architettura», 1972, n. I, pp. 175-259. g, «Accedit quod haec una, de qua loquimur, commoditati atque etiam perennitati plurimum afferr adiumenti. Quis enim non secum agi commodius 11ffirmabit, ubi sese ime!' ornatos, quam si neglectOs imra parietes l'eceperit? Aut quid alioquin ram obfinnatlll1l dfici ulla bominum arte l'oterit, quod ab hominum iniuria satis munitum sit? At pulchritudo etiam ab infesris hostibus impetrabit, ut iras temperent atgue inviolatam se esse patiantur; ut hoc audeam dicere: nulla re tutum aeque ab hominum iniuria atque il1esum [utlll'um opus, quam formae dignitate acvenustate. Buc omnis cura, omnis diligentia, omnis impensae ratio conferenda est: UI' quae feceris, cum utilia et coml11oda sint, tum et praecipue sint ornarissima ac perinde gratissima, quoad qui spectent, nulla in re alibi tantum erogatum esse impensae l11alint quam ist1c». Alberti, De re (Icchficatoria, VI, 2, ed. Ol'landi dt., II, p. 447. Jan Bialostocky ha osselvato che il bello albertiano, sedatore di passioni, ha un significato diverso da quello, eccitante, attribuitogli da Platone e Cicerone. Cfr.]. Bialostocky, Tbe Power oIBCtltfIY. A Ulopitm Idea 01 Leon13(/tlùta Alberli, in Sludiell zur Toskanlschell Ktllls'- Feslsclmft liil' Ludwig H. Heydenrcicb, Mlinchen J964, pp. 13-19. 87 Dere aedi/icatori(/, prologo, ed. cit., I, p. 13: «Demum hoc sit ad rem, stabilitatem clignitatem decllsque l'ci publicae plurimul1l debere architecto ... » ~s Ibid., l. II, 3, ed. dt., I, p. 105 (cfr. anche I, 9, p. 67). w IbM., l. VI, 4, ed. CiL, II, p. 459. 50 Su tali aspetti delle opere del Patrizi e del Morosini, cfr. M. Taful'Ì, Venezi(/ e il Rinascimenlo. Religionc, scienza, archilettura, Torino 1985, pp. I56-62. 91 Cfr. K. Weil-Garris eJ. F. D'Amico, l'be Renaiss{/l1Ce Cardinal's ideaIPa/ace: a Cbaplerjrom COI'lesi's ((De Can/inalalll», in H. A. Millon (a cura di), Sludies in Ilali{/l1 Al't (lIld Archi/ec/lIl'e 15th tbl'oflgb 18th Cell/uries, Roma - Cambridge (Mass.) - London 198o, pp. 45-n9. ~)] Sulle relazioni Barbaro-Albeni cfr. Tafuri, Venezia cit., pp. 187-9°. Su Petrarca e Genova vedi Frugoni, Ulla iOI1I(/1/(/ città CiL, p. 127. Esiste tuttavia una relazione fra il pensiero di Petrarca e quello di Alberri, come hanno intuito Baron e Marsh. Cfr. D. Marsh, Pel1'tlrch (/fU! Alberti, in Rel1t11SSal1Ce Studics i/1 HanoI' 01 Cmig Htrgb Smylh, Firenze 1985, 1, pp. 363-75; Baron, III Setlrch 01 Florelllille Gvic Htmla11l:~m cit., I, p. 276. Alberto Asor Rosa ha tratteggiato caratteristiche del pensiero e del comportamento petrarchesco che, a nostro avviso, trovano continuità nell'Alberti (ch. A. Asor Rosa, La/ol/daziolle dei /aico, in LeltemlUI'a ittllùwa Einaudi, V: Le Queslioni, Torino 1986, pp. 26'31). Petrarca sceglie, secondo l'autore, la strada «del perpetuo conflitto, dell'ilTesolubile contraddizione» (p. 27). Asor Rosa coglie inoltre la sostanza della polemica BoccaccioPetrarca, dopo l'accettazione, da parte del secondo, dell'ospitalità viscontea a Milano (1353). Petrarca risponde, allo sdegno di Boccaccio, che «ubi c..) tyranni desunt, tyrannizant populi}>, cosi che «nullus tyrannide locus vacat». Tuttavia, l'animo del vero sapiente rimane libera quale che sia la sua collocazione nella storia. È dunque necessario rimanere al di sopra delle partì, facendosi piuttosto «persuasori di pace». La spada del letterato è la penna, strumento di vinu e di concordia (ibld., pp. 96-102). Viene COSI fondata una tradizione per il comportamento degli intellettuali italiani; è inoltre evidente l'analogiil fra il compito assegnato da Petrarca alla penna e quello riconosciuto da Leon Battista Alberti come specifico dell'architettura. Temi albertiani sono tuttavia rinvenibili 1lnche in Boccaccio: il problema necessita di un'adeguata indagine. 9J Cfr. R. Betts, Tbe Arcbileclllm! Theories 01 Fmllcesco di Giorgio, Ph. D. Princeton University, 1971, UMI, Ann Arbor 1989, pp. 100 sgg. Secondo Betts, Francesco di Giorgio è spinto, dalla lettura del De re {{edilicatorl", a trasformare la materia depositata Ciloticamente nella sua prima versione dci Tn/ualiin una teoria architeu-onicaorganizzata (pp. 109-10); l'autore stima quest'ultima l'ili consistente di quella albel'tiana, adducendo come prova il rifiuto dell'analogia antropomorfi. ca da parte di Leon Battista (PP.1l3-15). Secondo Bens, Francesco di Giorgio critica le teorie albertiane sulle proporzioni (pp. n6-q). Nel De l'C (ledilicalorÙl, IX, VIII (ed. cit., II, p. 835), è sbrigativamente scritto che gli antichi hanno tratto le colonne dalle proporzioni umane, senza assumere la notizia a fondamento teorico. Comunque, la distanza fra il senese e l'Alberti è enorme, dato anche lo scarto fra le loro culture. Il primo offre un'interpretazione ingenua della dialettica

Nicolò Ve Lcon Battista Alberti

Capitolo secondo

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fra norma e invenzione, estranea alla tormentata riflessione nlbcl'tiana. Il che non toglie che esistano affinità fra l'nl'chitcttura 1l111rtiniana c le concezioni di Leon Battj~ta. Sul carattere dell'architetto ideale dell' Alberti, cfr. le osservazioni contenute nel saggio di F. Toker, Alberti'sJdeal Al'cbdect: RCltaissaf/ce- or Go/bic?, in RCl/tiissallCf: Studies iII HOllo/" oj Craig Hugh Sm)'lb Clt., II, pp. 667-74. Ackcrman ha invece os.se~"at~) che, con il Pic!lf/"tl, Alb~rti port~ k: j(~ec ~cll'~)ttj.c~ medievale nelle botteghe degli nrtlstl, eVItando, grazIe a un approccIo J11ntel'lahstlCo, l pnnClpl neoplatonici. Vedi). S. Ackcl'man, Alberti's Ligh!, in Stlldies il1 Late Mechcval «mi Rell(/h'UlIlce Pailliing i" HOllo/' o/M/Ilare! Me/ss, Ne\\' York 1977, I, p . .276. ~" De l'e (fedlfica/ol'ia, IV, x, ed. cit" I, p. 269. 9\ Ibid, VII, 4, ed. cic, II, p. 549· % Ibid., p. 551. ~) lbld., IX, 5, ed. ciL, II, pp. 8r9 e 8u. % Cfr. L. B. Alberti, Ap%ghi ed e/agi, a cura di Rosario Contarino, Genova 1984, p.188. ~fr. an.ch~ Grayson, Opuscoli inediti ciL, p. 56. (d Pitagorici chi~marono musica d~~ mos;a le.artl~~lazlOl1l della voccc la modulazione del canto, di cui enmo particolarmente appasslOnat!, affmche I posteri capissero che essi ben si ricordavano del beneficio ricevuto. Infatti, [~cendo echeg!?iare in profondità l'ampolla dell'olio e l'orcio per il vino, la mosca produss: l,e prnne n?te gravI, ben ~ono­ sciutedai musicisti, il doe il l'e, volteggiando nel cielo, lontano e V1ClllO, fece rlsuonare levoci acute, il sol e il/a, mentre le note medie, che sono cupe e lugubri, formò impigliata nella tela del ragno»). o De l'e aedij;ca/oria, X, 15, ed. cit., II, pp. 980 sgg. 1(\' R. Contarino, Il bestiario U!!l(Il/!stico di L. B. A/berti, Inlroduzione aAlberti,A1Jo(oghi cit., pp. 15-

pe

Zippel, Padova 1982, pp. 198 e 475 (per un confronto con la seconda versione, libro II, cap. 4). Cfr. anche il saggio di S. I. Camporeale, Lorenzo \!a!/(/ «J(epasliJ/atio», ùberpriml(s: Reloricrl e /illgllflggio, in Lorenzo V(/l/a c /'lIIlltlllesimo i/{lIÙlIIO, Padova 1986, pp. 217-.,9.

De l'et/edificatoria, IX, lO, ed. cit., II, p. 857. Nello stesso libro, vedi le reiterate critiche allcostentazioni di ricchezza, alla magnificenza, all'inconsueto (in particolare, il cap. II, pp. 865-67). Sulla polemica nei cOllfronti dd volgare, accesasi nel 14.35-36 fra Leonardo Bruni e Flavio Biondo, e sulla posizione dell'Alberti, cfr. Baron, TbeCrisis ojtbe Eari)' It(/Iù/ll J(el/(/lsS(/lIce cit., pp. 371-79. I~ stato osservato che ne! Co",pol1el1dl~ cifris, scritto da Alberti a Roma nel 1466, viene riconosciuta la natlU'll convenzionale del linguaggio. Cfr. G. Curcio, e M. Manieri Elia,A/'cbt'lettll/'a ecitlà.] J/lodellie la prassi, Roma·Bari 1989, pp. 106-7· Vedi anche l'esaltazione di« una libertà scnza troppe regole (.,,) secondo l'uso ereditato dai padri», nell'Intercenale LIf/Jus. Cfr. Alberti, Apologbi ed elogi dt., pp. 126-27. w, Vedi, al proposito, le intelligenti osservazioni contenute nel saggio di A. Bruschi, No/e sul/a jor· mazione dell'Alberti, in «Palladio», xxv (1978), n. 1, pp. 6-44, in particolarc alle pp. 24-25. Cfr. anche P. W!. Lehmann, A/berli a/l(1 Antiqui!)': Addilional Obscrvatiolls, in «'fhe Art Bulletin», 10'

(1988), n . .3, pp . .388''4°0. Weinberger ha supposto, da parte sua, un legame fra la facciata progettata per la cattedrale di Firenze e la facciata albertiana di Santa Maria Novella. Vedi M. Wcinberger, Thejirs! Paçade o/tbe Cathedral ojF/orence, in «Joul'lla! or the Warburg and Comtauld Institutes», IV-V (1941-42), p. 79. Sul carattere di palazzo Rucellai, Cflpace di «acquistare nel popolo grandissima benevolenza e grazia» - seguendo il De Ojjiciis ciceroniano - cfr. F. \VI. Kent, l'be Making oja Renflissallce Ptltl'OlI ojtbe Al'ls, in Giov((/lIIi Rllcellai ed ilSlfO ZIlJtlldolle, II: A Florelltine PatricùlI1 (md bis Pedace, London 198r, pp. 9 sgg. Sulla funzionalità del linguaggio, cosi come emerge dall'albertiana Gmllll1latica de!/a 1i1Igu(/ toscflna, cfr. Ponte, Leo" Brltlùta AIberti dt., pp. J35-38. SU tali temi vedi anche il capitolo l di questo volume. LXX

4°·

Cfr. il saggio di R. Klein, Un m'Peci de l'herméneulique à l'àg~ de l'bt,f!~JaI1l.:. L. Valla, Rep(/stilla/io dia/ectice el philosopbie, a cura di G.

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II.
", Fatto sta, che il biviul7Z introduce, nelle espansioni o nelle ristrutturazioni urbane del primo Cinquecento romano, una ricchezza visiva congl'Ua alle raffinatezze favorite dagli ambienti papali e curiali, Si potrebbe persino parlare di una sintassi urhana, elaborata all'interno della cerchia raffaellesca: le testate che dividono le arterie convergenti fungono da «pieni in asse»; da parte loro, gli allungati assi prospettici incontrano tangenzialmente i nodi monumentali, La relazione fra la strada e l'oggetto architettonico è fluida, in armonia con le ricerche linguistiche del Sanzio, I cannocchiali viari non vengono bloccati da apparati architettonici finali: anche nella regolarizzazione del trapezio di piazza del Popolo e nella figuratività del suo obelisco (U 12 32 Al, è evidente la ricerca di effetti visivi caratterizzati da eleganti allusioni, Nel modo in cui viene risolto, ad esempio, l'innesto trapezoidale fra Ripetta e via dell'Oca -- condizionato dalla giacitura degli assi vi ari - è leggibile un virtuosismo comparabile a una «sprezzatura» a scala urbana,

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Nello stesso tempo, va notato un fenomeno che ha anch'esso un preludio nelle strategie urbane di Sisto IV; l'ha dimostrato un'eccellente analisi archivistica relativa al rione Parione nel tardo Quattrocento", Il progetto politico che persegue la riduzione a «corte» del Senato cardinalizio ha riflessi nel comportamento dei ceti « horghesi» e dei cun'am sequentes_ Si faccia caso ad alcuni personaggi che inseriscono nella RomCi instcluranda i propri palazzetti, ricorrendo ai più prestigiosi architetti della città medicea, Con il precedente del viterbese Adriano de Caprinis, protonotario apostolico, si tratta di medici papali, come Jacopo da Brescia e del siciliano Fernando Balami, di un avvocato cOl~cistoriale, come Melchiorre Baldassini, di un datario pontificio come Baldassarre Turini da Pescia, di artisti come Raffaello, Giuliano da Sangallo e Antonio il Giovane, tanto per citare i casi più appariscenti, Un nuovo e raffinato gusto dell' abitare, dentro scenari rievocanti atmosfere antichizzanti o para classiche, si estende ai ceti intermedi, denotando la riuscita del disegno denunciato a suo tempo da Marcantonio Altieri come manovra tesa all'attcrramento politico ed economico del «popolo romano» ", Riprendiamo in esame l'accantonamento del grandioso progetto sangallesco U I259 A per il palazzo mediceo e per la regolarizzazione di piazza della Dogana, Colpisce che a tale rinuncia corrispondano analoghe rll1unce nella Firenze riconquistata dai Medici, Oltre al progetto di Leonardo da Vinci su via Larga, riconosciuto da Pedretti, ci riferiamo al già ricotdato progetto U 282 A dovuto a Giuliano da Sangallo, datato dalla Elam ad anni posteriori al '5'2 ", Che l'invenzione sia vicina a quel_o la del palazzo per il re di Napoli è indubbio: nulla osta che il nucleo dell'or~anismo sia stato pen~at~ nell'ultimo decennio del xv secolo, e poi nadattato per nuove funzlOl1l, La stessa Elam osserva che il finale a escdra, che spezza la continuità delle case lamenziane, va considerato elemento sicuramente databile agli anni 'IO del Cinquecento "', L'autrice si chiede, pertanto, sulla base di alcuni anacronismi presenti nel disegno, se qu~st? non possa costituire un riadattamento - ampliato - di un progetto 1111z1almente voluto da Lorenzo il Magnifico, Ma essa stessa ammette che un simile palazzo sarebbe stato profondamente contraddittorio con l'immagine di sé che Lorenzo aveva pazientemente cosUuito, Va esplorata un'ulte1"iore possibilità: che il progetto, eventualmente ripreso e riorganizzato dopo il '5"2 corrisponda a uno dei grandi palazzi disegnati da Giuliano da Sangallo per Ludovico il Moro e per il re di Francia "'. L'abitudine sangallesca di riutilizzare sue antiche invenzioni - vedi il caso della facciata di San Lorenzo a Firenze- va tenuta presente per risolvere il caso in esame, Che va valutato all'interno del clima politico seguente il ritorno dei

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Capitolo terzo

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Medici a Firenze. Non è escluso, infatti, che il disegno sangallesco sia frutto di una commissione di Lorenzo di Piero. 9 Il grandioso complesso edilizio su via Laura - come già quello progettato per il re di Napoli - rivaleggia con l'Antico controllando spazi a prospettiva dilatata. Malgrado il frammentismo che Giuliano da Sangallo non riesce a evitare, gli spazi del cortile-teatro e dell'enorme giardino entrano in colloquio con i volumi costruiti. Una tale smisurata concezione non poteva che essere destinata - imponendosi con inedita violenza sul tessuto urbano - a esibire un segno di imperium non privo di implicazioni nei confronti dei ceti che nel 1494 avevano bandito i Medici. Il pa medicea in città: invece del palazzo, villa Madama, isolata su Monte Mario, che guarda, distaccata, i conflitti mondani e ripropone - come già la villa di Poggio a Caiano -l'immagine dell' otium umanistico e della u'adi-

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zione culturale medicea ". A Firenze: una serie di opere di alta qualità, che propongono - specie dopo l'ingresso del 1515 - un'immagine anch'essa umanistica, pia e antitirannica di casa Medici. Risulta cosi evidenziata l'affinità che lega le strategie urbane del Magnifico a quelle di Leone X. All'addizione di via Laura corrisponde il bivium leonino; i ceti favoriti nelle due città sono analoghi; alla rinuncia a esibizioni personali nei cuori urbani di Firenze e Roma corrispondono due ville extraurbane. Con una differenza, dovuta al gusto personale di Leone X e alla sua politica culturale: le architetture e le sistemazioni affidate a Raffaello e ad Antonio da Sangallo il Giovane propongono una instautatio Romae di alto profilo formale. In armonia, del resto, con il lontano «testamento spirituale» di Nicolò V. Non era dunque azzardato parlare di «stile mediceo» nell'ambito delle strategie di sviluppo di Firenze e di Roma; anche se la particolarità del caso romano obbliga Leone X ad affrontare conflitti interni e problemi economici su cui si eserciteranno i tentativi di riforma sollecitati da Clemente VII. 3. Venezia e Milano.

L'analisi del caso veneziano implica l'adozione di un diverso metodo di approccio. I protagonisti e gli operatori emergenti a Firenze e a Roma sono assenti, come figure istituzionali, nella Repubblica che dalla serrata del Maggior Consiglio (1297) e dal consolidamento costituzionale trecentesco esce rinnovata nelle sue mitologie, nei suoi obiettivi, nelle sue stl"Uttme interne. I concetti portanti dello «Stato misto» e dell'«uguaglianza patrizia», riaffermati dopo l'emarginazione dei «populari» dalle maggiori cariche politiche, giocano a Venezia ruoli particolari. Il continuo scambio fra fede religiosa e identità civica - cosi bene analizzato da Cervelli, da Tenenti, da Muir, da Gaeta, da Cozzi"' - consacra una singolarità lagunare giocata nel sottile tentativo di porre la Repubblica in posizione indipendente sia dall'Impero che da Roma. In nessun altro centro italiano appare cosi politicamente determinante, come a Venezia, la costanza dell'imago w·bis. Sottolineando di continuo l'identificazione metaforica della città lagunare con la Vergine - immacolata ed eletta, ma anche paradossale e «miracolosa» - gli apologeti di Venezia sottolineano la perfezione della città «posta nello impossibile», e soprattutto la sua unicità". Sia nel periodo del tentativo egemonico inltalia, sia nella fase di ripiegamento seguita al 1530, la «santità» dell' urbs marciana è radicata nell'immaginario patrizio e popolare. Nessuna il7s!autatio è pen-

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Capitolo terzo

sabile là dove l'utopia è considerata già realizzata; soltanto frammenti di l'enovatio sono pensabili all'interno del suo contesto, e limitatamente ai luogbi in cui appare opportuno un rito di «rifondazione»"'. La costanza delle magistrature preposte al controllo urbano, quasi tutte di formazione medievale, è un sintomo di tale «culto della continuità». L'attività dei Provveditori di Comun, delle magistrature del Piovego e del Sal, dei Provveditol'Ì de supra e de citra, l'ili tardi dei Savi ed Esecutori alle Acque, forma una rete dalle cui maglie filtrano le volontà di un patriziato tutt'altro che immune da interni conflitti, ma intento a salvaguardare il mito della concordia su cui fonda l'esemplarità dello Stato armonico. Nulla di l'ili lontano dalla conflittuale Firenze, e, ancor l'ili, dalla Roma che di continuo sconvolge il propl'Ìo assetto. I mutamenti di senso, che i nuovi ampliamenti e le ristrutturazioni di Giulio II, Leone X, Giulio III e Gregorio XIII inducono nel corpo della città eterna, sono impensabili a Venezia: qui, operazioni simili sarebbero state considerate sacrileghe. Lo dimostra l'isolamento delle idee espresse in un trattato -l'Ìmasto peraltro inedito - come il De bene instituta l'e publica di Domenico Morosini ". Ma lo dimostra anche il fallimento di una nuova magistratura istituita nel 1535, espressione dei tentativi di «modernizzazione» del doge Andrea Gritti, intento a promuovere una radicale renovatio"'. Al proposito, può essere proposto un interessante parallelismo. La legge sul «decoro urbano» del 1535 è pressoché contemporanea a un tentativo di riordino delle leggi veneziane - anch'esso fallito - varato dallo stesso Andrea Gritti ". Due iniziative volte a una rigorosa definizione delle relazioni fra pubblico e pl'Ìvato vengono fatte cadere silenziosamente dal ceto dirigente della Serenissima. Il che ha un precedente anteriore di più di due secoli. Nicola Ottokar ha infatti segnalato un fallito tentativo di riordino dei codici, nella Firenze degli anni' 90 del XIII secolo ' "o Emerge, da tale confronto di lungo periodo, un elemento decisivo: la forza legante della consuetuclo, versus astrazioni giuridiche o formali. Sarebbe semplicistico valutare il culto veneziano della continuità come conservatotismo ad oltranza. La «memoria dell'origine» cui si richiamano i pontefici romani del Quattrocento e del Cinquecento si fonda su un mandato interpretato come absolutus. L'instauratio Romae, di conseguenza, è «assolta» dal dovere di rispettare «forme»: soltanto i luoghi sono venerandi, disponibili dunque ad assumere significati e configurazioni conseguenti alla nuova politica dei papi-re. La «l'esistenza nell'origine», perseguita dai sostenitori dell'autonomia della Repubblica, assume invece connotati tragici, che avvolgono di problematicità le l

espressioni dell umanesin10 veneziano.

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Cosa significa, in tale contesto, un ampliamento urbano? Frutto di decisioni delle magistrature maggiori, ogni ampliamento comporta imbonimenti che insistono sull' equilibrio idrogeografico. Inoltre, si pone il problema delle funzioni da attribuire a tali operazioni, che rischiano di alterare un'imago complessiva considerata perfetta. Non a caso, le nuove aree sono destinate a strutture assistenziali o ca1'Ìtative. E sempre con una modesta qualità formale, che ha come contraltare una stretta regolamentazlOne. Come nel caso dell' ampliamento laurenziano di Firenze, anche se con altre motivazioni, la mediocritas edilizia consegue, a VeneZia, al carattere patemalistico o speculativo degli interventi. Al contrario di quanto accade nella Roma del primo Cinquecento, alla novitas non è consentito parlare. Un primo caso concreto: l'imbonimento della punta di Sant'Antonio di Castello, pressoché parallelo alla creazione, sempre attraverso bonifica, della Giudecca Nuova. L'operazione avviene tramite una concessione a privati: nel 13.34, il Maggior Consiglio dà in concessione a due cittadini, Marco Catapan e Cristoforo Istrigo, una propaggine di terreno all'estremo sud-est del sestÌere di Castello, autorizzandoli a imbonire il terreno paludoso '''. Costruita una casa lignea sul terreno bonificato, il Catapan e l'Istrigo vendono il tutto alla congregazione dei canonici regolari di Sant'Antonio di Vienna; nel 1346 viene posta la prima pietra della chiesa "". Una speculazione privata auto1'Ìzzata dal potere pubblico innesca ?perazioni destinate a caratterizzare in senso religioso il lungo lembo di terreno proteso nel bacino. Alcuni rari e sorprendenti documenti grafici - forse cinquecenteschi - in cui vengono appuntate le vicende proprietarie dei lotti, permettono di seguire le vicende successive, che vedono protagonista il solo Ist1'Ìgo "'. . Dopo la costl'uzione di una suada e di un ponte, su ordine del MaggIOr Conslgho, nel 1359 e nel 1364 tI monastero procede a una ricomposiziOl;e fondiaria che gli assicura la «punta» dell'estrema propaggine del sestlere, divenendo imprescindibile 1'Ìfe1'Ìmento per l'accesso marittimo all'emporio veneziano ID., Nel 1471, le aree adiacenti al monastero sono investite da precise qualificazioni funzionali. Il 28 dicemhre di quell'anno, il Senato proibisce ai poveri di dormire sotto i portici del palazzo Ducale e della chiesa di San Marco, e decide di edificare all'uopo un «cohopertum», riconoscendo che, quanto alla sua localizzazione, «nullus est aptior, et convenientior C.) q.uan~ campus Sancti Antonii» "". Un progetto, per quanto modesto, di «ppuhtura» della phtea marciana si risolve in un tentativo di emarginazIOne del mendlCantl, menU'c la generica destinazionc iniziale della punta di Sant' Antonio è sottoposta a revisione. Il cenobio e il sito vengo-

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Principi, città, architetti

Capitolo terzo

no coinvolti in programmi sociali e di pubblico decoro, Le decisioni successive puntano sulla specializzazione caritativa e assistenziale dell'area, Il3 agosto 1472 viene elargito un sussidio alimentare per i poveri ricoverati in Sant' Antonio di Castello - indizio, forse, di una comprensibile resistenza, da parte dei mendicanti, ad abbandonare l'area marciana -; il4 settembre I474 si decide di costruire, presso il convento, un ospedale destinato a celebrare l'eroica difesa di Scutari da parte di Antonio Loredan ''', Tale scelta rappresenta qualcosa di eccezionale per le forme dell'assistenza veneziana, Si tratta, infatti, di «un luogo di pietà, e ricetto de Poveri e Infermi, digno et ampIo in nome de J esli Christo fuori del corpo della Terra»; dunque, di una struttura accentrata, ispirata all'Ospedale Maggiote di Milano, La novità è costituita dunque dal tentativo di superare la frammentata assistenza fino ad allora privilegiata, capillare strumento di controllo dei ceti «bisognosi» w,, Fra il settembre 1474 e il maggio 1475, i provveditori consultano «maistri et intendenti de sime! edificii», imponendo ad essi che «hauta informatione de simelluoghi degni de Italia, debbano partire et disporre quel spazio, come giudicheranno convenire ad honor de Dio, et alla condition de questa terra» ''', C'è di pili, In una nota del Libro delle Q/'dinanze dell' ospedale Maggiore di Milano, sotto la data 16 settembre 1485 è annotato un credito a favore di «Bramanti depictori, pro designo hosp. dato ambaxatori venetorum» '''. Il rilievo bramantesco dell' organismo iniziato dal Filarete è dunque certamente a Venezia poco dopo l'incarico attribuito al proto Bartolomeo Gonella, che dal dicembre 1483 segue i lavori per l'ospedale «de messer Jesu x» '". Anche la presenza a Venezia del milanese osservante Michele Carcano, proprio negli anni in cui si pone la prima pietra dell'edificio, ha un significato, come nota Brian Pullan '''. Ed è lo stesso Pullan a concludere che, negli anni 1470-80, Venezia sembra elaborare una riforma radicale della propria politica assistenziale, varando una struttura indirizzata a far fronte al problema della povertà a scala urbana e in forma accentrata '''. La posizione del nuovo ospedale - probabilmente concepito a pili cortili - sulla penisola di San!' Antonio di Castello, assume un significato emblematico. Pur« fuori del corpo della terra », esso avrebbe dominato l'orizzonte del bacino marciano, divenendo emblema di una carità di Stato ostentata nel suo carattere innovativo. Di tale struttura, per cui lavora anche Giorgio Spavento ''', viene rea'7 lizzato soltanto un corpo a cortile chiuso e una chiesa, singolarmente isolata; l'opera, terminata nel 1503, è chiaramente riconoscibile nella mappa del De' Barbari. Era accaduto qualcosa, nel frattempo. Il grande progetto di accentramento era stato accantonato, a favore di un recupe-

1'0 della concezione tradizionale dell' assistenza: un sistema frazionato, s'è detto, funzionale ad una prassi risalente all'istituzione, nel 1362, dei Poveri al Pevere"'. L'ospedale di Gesli Cristo viene ridotto, da ospedale generale, a stl'uttura assistenziale destinata a un particolare gruppo di poveri: gli ex marinai e i lavoratori dell' Arsenale. Viene cOSI riaffermata una politica discriminatoria, attenta a favorire ceti «meritevoli» e particolarmente interessanti per il governo, lasciando alle Scuole Grandi, in particolare, compiti assistenziali e di controllo di raggio limitato. L'esperienza milanese - anch'essa contrastata dai portatori di interessi particolari e dagli amministratori dei piccoli ospedali'" - viene in tal modo respinta a Venezia, dopo un tentativo di assumerla come modello. Sulla «punta» di Sant'Antonio di Castello rimane, fino alle demolizioni napoleoniche, il frammento di una riforma inattuata. Rimane inoltre il collegamento con il cantiere di Stato dell'Arsenale, stabilito con le decisioni del Maggior Consiglio a pl'Oposito delle nuove e ridotte funzioni dell'ospedale. Non a caso, fra le carte del convento di Sant'Antonio di Castello sono conservati alcuni disegni planimetrici per case popolari in serie, disposte intomo a un campo rettangolare: la localizzazione prevista per tale complesso, che segue una tipologia tradizionale per l'edilizia assistenziale veneziana, è fra il l'io della Tana e il l'io di San Daniele m" Il confl'Onto fra tale vicenda e quella relativa alle espansioni della Firenze lamenziana e della Roma medicea è significativo. Anche a Venezia, le opere assistenziali sono indici di« buon governo ». Ma in luogo di stl'ategie definite, assistiamo a un accavallarsi di progetti e ad un oscillare fra volontà innovative e ripiegamenti su politiche collaudate e tradizionali; in luogo di protagonisti tesi a lasciare il proprio segno sull'intervento, un intreccio di interessi pubblici e pdvati; in luogo di forme urbane destinate a rendere «eloquenti» i nuovi episodi, empiriche addizioni, informate a un'edilizia seriale. L'avevamo del resto avvertito. Le «addizioni», a Venezia, non possono né debbono rinnovare - come a Romaun contesto investito di ruoli che definiscano il significato globale della città. Essi debbono piuttosto inserirsi silenziosamente nelle maglie di un organismo valutato come eredità da trasmettere con il minimo di alterazioni.

Il che è confermato da una seconda «addizione », quella che investe i nuovi terreni di Santa Maria Mazor, all'estremità oriel1tale della città, adiacenti al quartiere dei Nicolotti "'. Il sistema con cui vengono realizzati gli insediamenti nelle nuove aree è stato studiato dalla Pavanini e da Gianighian ''', per cui è possibile limitarsi a considerazioni generali. Anzitutto, va osservato che il modo in cui viene pp. 178.79 nota .3. (. Goldthwaite, n)e Florelltille Pi,[ace cito Per l'autore, il nuovo palazzo rinl1.scimentale fiorentino corrisponde a un profondo mutamento sociale, che vede svanire il clan medievale per far posto alla famiglia monolluc!eare. A Goldthwaite hanno risposto F. \VI. Kent, HOlfsehold alld Lilletlge il1 RelltlÙSallCe FlorCl/ce, Princeton 1977, e Id. eD. V. Kent, NeighbOftrS alld Neghbol'Ood i11 lÙllaiUallCe Flol'ellce, New York 1981. Per un bilancio degli studi in tale settore, cfr. B. Dicfendorf, Famil)'ClII/uI'e, ReJlais.wllceClIltme, in «Renaissance Qllarterly», XL (1987), n. 4, pp. 661-81. Vedi anche i recenti saggi di R Goldthwaite, Il cOI/lesto economico del palazzo fiorentino del Rill(/SCl~ mento. Investimento, cantiere, COIISIIIl';, e di F. Wl. Kent, 11 pa!azzo, la/(lmiglia, il C01/testo politico, in «Annali di architettma», II (1990), 11. 1, rispettivamente alle pp. 53-58 e 59-7 1. i D.Balestracci, Jmmig/Y/ziollee 1ll00f%gi(/ uI'ba1/(/lIel1a Toscalla bassomedievale, inJ. C. Maire Vigueur (a cura di), D'ulle ville à l'ali/l'e. Stmctllre.' lIlaterie/les et Ol'gtllll:W/tioll de l'esfH!ce da/H les villes eUl'Oj)(}elllles (Xl1(·X\!{ sil:c!e), Actes du colloque organisé par l'Ecole française de Rome (r-4 dicembre 1986), Roma 1989, pp. 87 sgg. Sull'ultima cerchia delle mura fiorentine, vedi D. Fried· man, l'be PO/"Ia (I F{leIlZ(/ (md tbe Last Cire/eo/ tbe 'Valls o/Florellce, in Essays presellted to Myroll P. Ci/more, a cma di S. Bertelli e G. Ramakaus, Firenze 1978, Il, pp. ]79-9 2. S Su palazzo Gondi, sui programmi della committenza e sulle vicende del sito, cfr. il volume di A. T6nnesmanl1, D('I' P(dazzo GOlldi ill Florem:, \X'orms 1983. Su palazzo Strozzi, cfr. R. Goldth· waite, l'he BmMi!lg o/Stl'OzziPaltlce: T/x COllsl/"/(c/km Illdusl!'y ill RelUlùsance Florence, in «Stu· dies in Medieval and Renaissance History~>, X (1973); F. \'il. Kent, «Pill .wper!;a de quella de Lo· renzo». COllrtl)' auri Ftllllil)' h,/cresI ill tbe 13I11Ming o/ P!lli)po Strozzi's Paltlce, in «Renaissance Quarterly», xxx (1977), pp . .3II-13 e gH atti del convegno fiorentino (luglio X989) P(/Iazzo Strozzi melÌl millennio, 1489-1989, Roma 1991. Cfr. anche l'ottimo saggio di C. J~lam, Piawl Strozzi. Two Drawillgs o/ Baccio d'Agllolo (md tbe Problellls 0/(/ Private Rell((ÙS(/ilCe Sq!((/re, in « I Tatti Stu· dies. Essays in the Renaissance», l (1985), pp. 105-.35. La Elam dimostnl che i disegni U 1.31 A e 1561 A, con piante ed elevati di piazza Strozzi, sono di Baccio d'Agnolo, datando il primo al J5.33· L'autrice ricostruisce inoltre il progetto per la pillzza delx53.3, confrontando tale significativa «platea privata» con il progetto di piazza Medici e con le piazze Rucellai e Pitti. L'autricedelinea infine una suggestiva stOr!ll di piazza Strozzi, e dei conflitti provocati dalla sua privat!zzazionc. Il confronto fra l'operazione laurenziana, indi1'Ìzzata ostentatamente al bene pubblico, e l'autocelebrazione st1'Ozzesca, è altamente significatÌ\lo all'interno della nostra analisi. 9 Caroline Elam offre un'interpretazione leggermente diversa dal1a nostra. Essa not {/t Poggio (I Caiano, in «Mitteilungcn des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XIV (1969), pp. 47-56. 1·\ Transcitta in Kent, J.oremo de' M.cdid's cir., p< 254. \5 Ibid., p. 156. Cfr. anche Gombrich, 'l'be Earl)' Medici (IS ]latrom o/ Art ciI. H, Cfr. M. Martelli, I pellsied (/rcbitettonicidel Maglllfico, in «Commentari», XVIl (J966), pp. I07-ui P. E. Fosrer, Albertl~ Lorenzo de' lvledici am!S(/lIla Mariti delle Carceri iII Prato, in «Jol1rnal the Sodety of Architectural FIistorians», xxx (1971), pp. 1.38-.39; Id., A Stlfdy o/Lorellzo de' Medici's Villa (II Poggio a Caiallo, New York . London 1978, I, pp. 9J sgg.; Kem, Lorenzo de' Ar[edici's Acquisilioll cit.; P. E. Foster, Lorenzo de' Medici a1/(i tbe Florence Cathedra! Paçade, in «The Art Bulletin», LXIlI (J98J), pp. 495· 500; P. Morselli e G. Coni, Ltl chiesa di Stili/a Maria delle Careaia P/'{/Io. COlltributo di LorC'IlZo de' Medici e Giulia/lo cI(/ Sanga/lo aliti proge/tazione, Firenze 1981, pp. 13 sgg.; M. Hollingsworth, 1/)e Architecl iII F1fteelltb-Celltm)' Florence, in «Art History», vn (1984), n. 4, pp. 385-410. L'interessamento di Lorenzo il Magnifico nei confronti della ricostru:.done del convento delle Murare, a Firenze, è stato documentato da F. \'II. Kent, nella sua l'ela;done al Convegno su Arie, committenza ed ecollomia (I Rom(l e ileI/e cotti del Rinascimento (14201530), Istituto Storico Germanico e Bibliotheca Hertziana, Roma, 14.27 ottobre 1990. Kent, nellll stessa occasione, ha avanzato ipotesi circa un ruolo laurenziano nei confronti del Duomo a metà degli anni '70, presentando documenti che accertano la collaborazione del Magnifico per un «al· bergo magno» dci Quaratesi e per l'edificazione di San Salvatore al Monte. È stato inoltre accer· tato chcne1x483 Lorenzo tenta, senza successo, di acquistare un possedimento a Vallombrosa. Cfr. C. Elam e E. Gombrich, Lorel1Zo de' Me(/;d tmd ti Frustra/ed Vdla Pro/ect (It V(ll/ombrosa, in P. Denley e C. Elam (a cura di), Florellce (/1/(11lai)'. Renaù.W/Ilce Studies ili HonOl/t o/Nicolai ]{l(. billstei!l, \'V'estfield College. Univel'sity ofLondoJ1, 1988, pp. 481.9.2. Sulle ville medicee di Agnano e Speda!etto, vedi l~'oster, A Sludy dr., pp. 295 sgg. )7 Cfr. L. Padoli, De dimi/(/ propol'tione (J497, ed. a stampa Venezia J509), inSeritti ril1(/scimelltali di arcbite!furt/, Milano I978, p_ 123, con nota intl"Oduuiva di Arnaldo Bruschi aUe pp. 25-49. Anche Bwschi (p. 12.3 nota 1) pensa che la notizia di un diretto intervento progettuale del Magnifico può essere stata diffusa per sottoline:lre un particolare interessamento di questi al progetto: Pacioli può aver appreso tale notizia nel corso del suo soggiorno napoletano fra il I490 e il 1493. In alternativa, BrllSchi propone di leggere il termine dl:\pose come «commise». Pacioli scrive: «In ogni modo che chi oggi vale fabricare, in Italia e fore, subito recorreno a Firenze per architetti» (ibid., pp. I1.3-24). Significativo il ripetersi di un'espressione usata - esaltando però l'intera Toscananella «patente» del 1468 di Federico da Montefdtro a Luciano Lllurana (cfr. ibitl, p. 20). Per la lettera dell'oratore fiorentino Baccio Ugolini (maggio 1489), cfl'. Martelli, l pellsieriarcbitetlollici cit., P< 109. Sua Eccellenza, scrive l'Ugolini a Lorenzo il Magnifico, «invitollll11i l'altra mattina a desinare al suo luogo, che già mi scrivesti che il Maiano aveva tratto dal vostro modello». Cfr. anche R. Pane, Il Rillaxcimellto "e/I'Italia meridionale, Milano 1975, I, PP< .37 sgg. lS N. Valori, LallrentH Medicei Vita, Firenze I749, pp. 62·63. I" Cfr. C. Guasti, La CIIpO/(/ diS{IIlI{/ Maria del Fiore, Firenze 1857, pp. III-1.3; Foster, LO/'ellZode' Me-

or

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Capitolo terzo dici (I/l(! tbe Florel/ce C/thedraL dt., pp. 495-500, Morselli e Corti, La chiesa cit., pp. 13 sgg. Kent ha osselvato che in una lettera del 1488 Benedetto Dei scrive che Lorenzo il Magnifico sostiene in gran parte le spese del convento a Porta San Gallo, essendo «autore della llluraglia». Lo stesso Kent suppone che la parola «autore» stia per «promotore». Cfr. F. \'II. Kent, New Ligbt 011 Lorenzo de' MecNci's convenI (It porta Stl1lg([l/o, in «The Burlington Magazine», CXXIV (1982), n. 950, 1'1'.292-94. Vedi anche Foster, Alberlt; Lorenzo de' MediCi; ([11d Santa Maria de!1e Carceri cit., e Hol1ingswol'th, Tbe Arcbitect cit., pp. 402 sgg. 2Q F. Redditi, Exborlatioad Petrum Medicem, in G. Lami, Deliciae emddomm, Firenze1742, XII, p. 189; Valori, Laure/l/iiMedicei Viltl cit., pp. 62 sgg.; C. Landini, P. Virgilii interprelatiol1es probemiuIJI ad Petmm Medicem magniLafire/ltiifilium, Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Plut. 53, cod. 37, c. 5V, cir. in M. Winner, Cosimo il Vecchio a/s Cicero, in «Zeitschdft flir Kunstgeschichte», XXXllI (1970), p. 288 nota 3; F. Albertini, Opusculum de mirabdlbus 110vaeet vetens "l'bis RollIae, Roma 15IO, In, f. IOrr: «In architectura vero habuit praedicta dvitas Philippum Brunelleschum, Bernardum Rossum, Franciscum Ciccam, Laurentium de Medicis qui et musica et oratoria praeclal'Ìus fuit com arte militaria ... »; Le l'ime di Bernardo BeL/inciolli, ecc., a cura di P. Fanfani, Bologna r876, I, p. 2II. Cfr. inoltre Foster, A Stud)' o/Lorenzo de' Medici's ViL/a cit., I, pp. 215 sgg.; Morselli e Corti, La cbiesa dt., pp. 24-3l. 21 Foster, A SlIId)' cit., I, pp. 215-16; II, l'l. LXXVIII e LXXIX. Il f. 8v del cod. Barb. Lat. 4424 con· tiene lo schema per il palazzo del re di Napoli, su cui cfr. H. Biermann, ])as Palastmodell GiuLia110 da S(l11gal!os/ùl' Ferdi/1alld 1. KOl1ig VOlI Neapel, in «Wiener Jahrbuch fUr Kunstgeschichte», XXIII (1970), pp. 154-95; Id. e E. Worgul, Das Pa/astmodeLL Giti/iano da SangaLLosfiir Ferdinand 1. Konig VOli Neapel. Versllch einer Rekollstmktioll, in «Jahl'buch del' Bel'liner Museen», XXI (1979), pp. 91-n8; V. Juren, Le proje! de Giuliano da SangaLLo pour Le palais du l'Oi de Naples, in «Revue de l'Art», 1974, n. 25, pp. 66-70; S. Borsi, Giuliano da SangaLLo. I disegni dell'm-c!J1'tettura e dell'all/ico, Roma 1985, pp. 395-404. Nel volume di G. Hersey, Al/onso II (md the Artistic RenewaL o/NapLes 1485-1495, New Haven- London 1969, pp. 75 sgg., il progetto è messo in relazione al palazzo dci tribunali citato dalla nota lettera del Summonte (con Hersey concorda Pane, Il R/~ l1ascimento nell'ltalitl ",endiollale, I cit., 1'1'.82 sgg.). Non va escluso che l'odginal'io progetto sangaHesco sia stato, in un secondo momento, rielaborato in vista dell'opera testimoniata dal SllIumonte. n Morselli eConi, La cbiesa cit., p. 25 nota 32. Secondo MorselJi (t'bM, pp. 29-31), la frase scritta da Lorenzo de' Medici il 16 settembre 1485, nella lettera a Niccolò Michelozzi «~Ricorda a Giuliano da Sangallo che espedisca el modello mio»), sarebbe da riferire non alla villa di Poggio a Caiano, come sostiene Foster, bensf alla chiesa di Santa Maria delle Cat'ceri a Prato. Quest'ultima - secondo l'autore - avrebbe dovuto essere sviluppata e completata dal Sangallo secondo le indicazioni del Magnifico (p. 31). Per la lettera del 1485, vedi Manelli, l pensierial'cl)f'tettollid cit., P.107. ~} ]~qual1to, ad esempio, nOtava Gombrich per Cosimo de' Medici, il cui architetto non è mai nominato da Vespasiano da Bisticci, da Filarete, da Vgolino Vel'inoo da Naldo Naldi. Cfr. Gombrich, NomI (md FOI'Ill, trad. ciL, pp. 60 sgg. Neanche Giovanni Rucellai nomina, nel suo ZibaLdolle, l'architetto della facciata del suo palazzo, pm lodando, come ingegno fiorentino, Filippo Brunelleschi. Cfr. F. \Y.I. Kent, The Maki!lg o/a [{ellaissrl1/ce Patm1l 0/ tbe Al'ts, in Giovanni [{{{celiai e il suo Zihaldolle, II: A Florelltille Patriciall ami his Palace, London 198r, pp. 9-95. Nel 1471, Bernardo Rucellai, Lorenzo il Magnifico e Donato Acciaiuoli visitano le rovine di Roma in compagnia di Leon Battista Alberti: cfr. B. Rucellai, Liber de urbe Roma (scritto fra il 1495 e il 1505), in Rerum Ita/icamlJl Scn/Jtores, II, col!. 8.39-40. 2·\ Cfr. M. Kiene, Der Palazzo dellll Sapiellza - Zur ltaliellùchell Ulliversitiitsarcbitektur dcs 15. 1I1ld 16. ]abrlmnderts, in «RomischesJahrbuch fuI' Kunstgeschichte», XXIII (1988), pp. 226 sgg. 2' Cfr. F. P. Fiore, L'espansionismo/iorentil1o delltll'do '400, in I Castelli, Novl'Il'a 1978, pp. r88 sgg., e piu in particolare, L. Masi, La fortificazione di Poggio Imperiale, in «Annali di architettura », r (I989), pp. 85-90. Sulle città di fondazione fiorentine del tardo Medioevo vedi D. Friedman, FIo· /'en/il1e New Tou.!IJs. Urban Design in the Late MiddLe Ages, Cambridge (Mass.) - L011dol1 1988. 26 F. Guicciardini, Storie fiorentine, ed. Bari 1968, IX, p. 81. Philip Foster, tuttavia, sottolinea che Lorenzo costruisce una biblioteca nel pall'lzzo Medici di Firenze, fra il 1489 e il 1490. Foster, A Stutl)' cit., I, p. 525 nota 710.

Cfr. Franchetti Pado, Firenze tra Qual/roceuto e Cinquecento cit., pp. 142 sgg. Cfr. Foster, A S/ud)' cit.; H. Bierman, Lo sviluppo del/a villa tOSCtll/(/ sotto L'illfluenza u1Jltlldçtica del/.(I corle di Lorel1zo iL Maglllfico, in «Bollettino del CISA», XI (r969), pp. 36-46 (alle pp. 43-44, viene proposta una data intorno a11512 per il progetto di palazzo s~ via Laura); .L. ,Giordano: «DittSsima telLus». ViLle quattrocClltescbe Ira Po e Ticino, in «BollettlIlo della Soc!eta Pavese di Storia Patria», 1988, pp. 145-295, in particolare alle pp. 148-54; J. S. Ackel'man, The Villa. Form alld Ideolog)' o/Corml''Y Houses, Princeton (N.J.) 1990, pp. 78-87. 29 Sui progetti di Giuliano e Antonio da Sangallo per palazzo Medici a piazza Nav?na, cfr. ~;. Giovannoni, Dùegnisangallescbi per palazzo Medici in Roma,. in «Architettura e artI decorat!vc>~, IV (1925), pp. 193-200; G. Marchini, Giulia/lo da Sallgal/o, Faenze 1942, pp. 63-64 e 99; E. B.entlvoglio, IL progelto per palazzo Medici in pÙlzza Navona di Giuliallo da Sallga~~o, .in «L'architettura cronache e storia», XVIll (1972), n. 3, pp. 196-204; C. L. Frommel, Del' 1'0mlSch(! Palastbau del' Hocbrel1atSj'(IlIce, Tlibingen 1973, I, pp. 17 sgg.; G. Miarelli, IL palazzo Medici a piazza NafJol1a: mi 'utopia urba11a di Giuliano da SangalLo, in Firenze e la Toscana dei Medici nelL'Europa del '500, III: Relazioni artùticbe. IL linguaggIo tll'chi/eltonico europeo, Firenze 1983, pp. 977-93· Sul ruolo urbano dei progetti sangalleschi per palazzo Medici, e in pal'ticolaredi quelli di Antonio il Giovane (V 1259 AI'-v), cfr. L. Spezzaferro, PIace FaY!1èse: urballfsme et politique, in Le Palais Famèse, Ecole I"'rançaise dc Rome, Roma 1981, III, pp. 85-123; M. 'l'afmi,« Roma instaurata ». Slrategir.' /(1'balle e politiche ponti/t'cie nella Roma del primo '500, in C. L. Frommel, S. Ray e M. Tafuri, Ra//aelLoilrchitetto, Milano 1984, pp. 85 sgg.; C. L. Frommel, L'urbanistica della Roma rÙUlscimentaLe, inLe città capitali, a cura di C. De Seta, Roma-Bari J985, pp. 95-IIO; Id., Ra//ael ulltiA~ltoll1oda Sangallo del' ]fingere, in Ra//aello a Roma. Il convegno deL 1983, Roma 1986, p. 273 c hg. 19· 30 «In Chostantinopoli _ scrive Sangallo nell'V 900 A - è una piaznlunga quanto I navona, dove 16 sono Colonne intorno a due a due I chome apare in disegno, gl'asse quanto quelle di santo I pietro ( ... ) ed ~nno s?pl'a li architl'avi.e Ch?l:nicie.l e fatto ~n pian~ cho11i parar)etti ~aogni banda I in mezo elIo [o] behscho, e questa plaza e manzI al r,alauo dello uuperatore e sta !Il una chosta come sta a Roma I S. piero a montorio, qllale piaza e palatio vede tutta Costantinopoli I chome san pietro a montol'Ìo vede roma». 3\ Cfr. A. Frazer, l'be IcollogYtlp/J1' 0/ tbe EmperOl' Maxelltius' Bui/dings ill via Appia, in «'1'he Art Bulletin», XLVIII (1966), n. 3-4, pp. 385-92; S. Senis, Contilllàtà, distanza, conoscenza. Tre lisi dell'antico, in Memoria delL'antico nell'iMe italialltl, III: Dalla lradi:r.ioltea/l'arcbeologia, Torino 19 86 , 1'1'.4 29-3°. Cfr. anche R. Krautheimer, Tbree CbY/sliall Capita!s. Topogmph)' (//ui PoLitin, Berkeley-London 1983, trad. it. Torino 1987, pp. 72-77 e 92; M. Manieri Elia, L'uso dell'antico, /m permanenza, mutazione e oblio dei sigmficati, in «Roma del Rinascimento», 1989, p. 13· l2 Settis, Continuità cit., p. 430. La scritta «papale», posta in c01'1'ispondenza dell'ingresso, nell'U 1259 AI', può far pensate a un allineamento del palazzo su via del1~ S.C1'o~a, consider~ta, con via Ripetta, strada leonÌ11l'1. Tuttavia, è piu probabi.le c.he. quel papale s! nfel'lsca 11 una 1~la~za aperta Sll 18 Navona, analoga a quella che nel progetto di GlUhano da Sangal10 (U 79~9 AI') e c.lrcondata d~ portici. L'ipotesi è confermata dalle dimensioni, che, nella nostra ricostruZIone grafICa, assume Il giardino del palazzo mediceo previsto da Antonio il Giovane. )) Cfr.J. S. Ackerman, Tbe Belvedereas a C!assical Vil/a, in «Joul'llal ofthe Warburg and Courtauld Institutes», XIV (1951), pp. 7°'91; Id., Tbe Cortile del BehJedere, Città del Vaticano 1954· H È improbabile che il palazzo mediceo progettato da Antonio da Sangallo il Giovane fosse d~sti­ nato a ospitare anche Lorenzo di Pie1'O de' Medici. Quest'ultimo non gode di grande reputa%!one a Roma, e lo stesso Giuliano è convinto che egli governi male Firenze: la crisi del 1515 ern stata in gran parte dovuta all'Hllontanamento di Lorenzo dalla città. In diverse occasioni - compresa quella della condol/a del giugno 1515 - Giuliano si trova a oppo.rsi a Lorenzo. Ino!tl'~, la collocazione designata per quest'ultimo è Fil'enze, non Roma, dove egli poteva comunque disporre della casa delb madre, Alfonsina Orsin1. Cfr., su tali temi, H. C. Buttel's, Gove/'l1ors and Govemme!1t in Bar/v Sixteeu/h-Cel1tul'y Plorence 1502-)519, Oxford 1985, pp. 264-65, 269, 274 e l'assilli. )) Cfr. Er'asmo daRotterdam,l/lslitulio principis christian; (1516), trad. h. Napoli 1977, con introduzione di M. Isnardi Parente. Cfr. al proposito '1'afuri, «Roma instaurata» cit., p. 76. Sul dibattito religioso e culturale nella Roma di Leone X, cfr. il volume diJ. D'Amico, Renaissal1ce HlImanism iII Papa! Rome. HU!Juwists aud Churcbmen 011 tbe E've 0/ Re/ormatio", Baltimore-London I983·

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Capitolo terzo Per una valutazione dei progetti di Leone X per Roma, è necessario anche riflettere sul significato della nuova chiesa di San Luigi dei Francesi, localizzata su aree adiacenti quelle di proprietà me· dicea. Si veda, al proposito, il saggio di C. L. Frommel, S. Luigi dd Fr(/Ilcesi: das Meislerwerk des leali de Cbmevières, in dI se rendit in !talie». ÉllIdes ojfe/'Ies à André Cbasle/, Roma-Paris 19 87, pp. 169'93, con nuove ipotesi sul progetto originario e sui disegni di Antonio da Sangallo il Giovane. )(, ASR, Ulliversità, b.108, c. 161', stima di Giacomo della Porta, dl. in A. Bedon, Il palazzo del!a Si/pie11Z(1 di Roma, in pubblicazione. » Cfr. ancora il saggio di Anna Bedon dtato nel!a nota precedente, che costituisce il piu aggiornato e documentato studio sulla fabbrica dell'università romana. Su base documentaria, la Bedon ricostruisce la storia dell'edificio, da Eugenio IV a Urbano VIII, apportando modifiche essenziali alle ipotesi precedentemente avanzate dal Tomei, da Thelen, da Wassermann. Cfr. P. T omei, Gh arcbilelli del Palazzo della Sapienza, in «Palladio», v (1941), pp. :qO·82; H. Thelen, Der Palazzo dei/ti Sapimza iII Rom, in Misce!lalle(/13tb!iolbecae Hertzial/ae ZII Ebren VOli L. 13m/ms, F. Gl'a! \\lolffMellemicb IIl1d L Schudt, \YJien-Mi.inchen 1961, pp. 285-307;,J. W/assermann, Giacomo della Porta's Chllrcb fol' Ihe Sapienza ill Rome {/ml other Malters l'elali!lg lo Ibe Pa/ace, in «The An Bulletin», XLVI (1964), n. 4, pp. 501-10. Vedi inoltre P. Cherubini (a cura di), Rom{/ e /oSludium Urbis. Spazio IIrballo e eulltml daL quattro al seicenlo, Roma I989 e F. Rangoni, S. Ivo (II/a Sltpienza e lo «S'lIdialll tll'N~ », Roma 1989. Sulle vicende dello Studio nel xv secolo, cfr. D. S. Chambers, SllIdium Urbù alld g{/bella str((M: The Unlversil)' of Rome i/1 Ihe Ftftheelllh Centll!')', in C. H. Clough (a cura dD, CulturalAspeclsoflbe Ila!iall Rellfl1swlllce. E.lSa)' in HOllollrofP(//d Oskal' Krislel/er, Manchesrel' - New YOl'k 1976, pp. 68-110. Sulle università del Medioevo e del Rinascimento, \>edi Kiene, Del' Palazzo della Sapienza cit., pp. 219 sgg. )$ Cfr. Kiene, Del' Palazzo de/1a Sapienza cil., p. 247· 39 Cfr. A. Brenta, Ili disCl/)!tiws el bonas tlrles omlio ROJJltle initio G)'!Jlt/(/sii hahihl (ms Vat.lat. 2934 cc. 544t -55 8v ), esaminat,l in P. Casciano, A pl'Oposito di falso' l/llI(/ll/~'lico: la «Cae.wlI'!s Omlio Vesoll/ione Belgicae tld miNles bahila» di Andrea Brenta, professore dello 'SllIdilfl1l [h·bis', in M. Miglio e altri (a cura di), U/1 pOllltfictllo e 1111(1 citltÌ. SislO IV (147)-)484), Atti del Convegno (Ro· ma, dicembre 1984), Città del Vaticano 1986, pp. 515 sgg. ~o Cfr. Bedon, II pal(/zzo del/a S(lpiellZa cir. ~1 Cfr. G. Carafn, De G)'lllllasio Rom(!llo el de eillS professo/'i/ms, Roma 1751, II, pp. 589-94: Cfr. E. Bentivoglio, Brevi Ilote per 1(/ storia, la topografitl, l'arcbitettura diRo!Jl{/ Ile/xvI secolo, COli aggiunto il «Testamento» dell'Elefallte Al1none, Roma 1986, pp. 6 sgg. (,) «Leone papa X per fare ed addrizzare la strada del Popolo fino a S. Luigi de' Francesci, fu tagliato il sito per la ditta strada [per cui] .. restarono fuori e disgiunte le suddette fabbriche giardino ed orti del Convento». ASR, Agostinùmi in sant'Agostino, Ca!tlsto o sia call1fJiol/e di calloni del 1696, v. 24, c. 25.3, cit. in Bilancia e Polito, Via Ripetiti cit., p. 28. M Cfr. Landllni,Storia degli smvi, I, p. I92: « ... locanr d. Angelo Colotio presenti quingentas viginti cannas soli seu terreni ipsillS conventus [di Sant'Agostino] vd. in faciam versus viam anteriorem gUll irul" ad ecclesiam Sancre Marie de Populo quàtuordecìm cannal"Um et per longum 30 similium cannafum situm in regione Campimartis in loco ubi erant vinea p1"efatorum fratnlll1 et conventus, cui ab uno latere versus menia m'bis sunt res prefati domini Angeli Colotii, ab alio est via Colotia lluncupata, retro est via uallsversaJill gue si fieri contigel"it I1tlncupabitur Egidia, ante est via magistralis leonina nuncupata ... )) (14 luglio 15(9)· (,~ Cfr. ibid., I, p. 247. Secondo Fernando Bilanda (Vili Ripetla cit., p. 28), la via Trinitatis -odierne vie della Fontanella Borghese e Condotti - appartiene ai progetti di età leonina: Paolo III avreb-

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b.e soltanto realizzato il rettifilo che conclude a triangolo la porzione settentrionale del tridente cmquecentesco. Cfr. Tafuri, «Roma instaUl"a!tl» cit., p. 82. (,) ASR? Cc/t(/sto delli ca11011i pelpetui della Vellerabzl Compagnia, et Arcbiospedale di Sall Giacomo degb !1~Cl~rabib·.di ~om(/, ;661, p.l b!s. Cfr. La tras~rizi~ne del do~umento in R. Fregna e S. Polito, Al/alm Il/)()Ioglca, Hl P. I ortoghesl, Rom(/ del RmasCJJJlel/to, Milano 1971, II, p. 589 (VU). ($ C~1".la no~a 61..A conferma ulteriore dell'ipotesi, vedi il foglio U 9I5 A, di Antonio da Sangallo il Glovflne, lJ) CUI sono anche rilievi degli HOtti Aciliorum. Cfr. Giinther, Die S{l"lIssenplalllll1g cit., p. 277 nota no. w ~ulle vicen(~e dell'ospedale di San Gillcomo in Augusta, cfr. M. Heinz, D(/s Ilospital S. GÙICOIJIO ~It Aflgu~t(/ 111 Rom: Pemzzi und Antonio dii Sangallo i.C". Zum Hospitalball del' Hocbreltaùs(/J/ce, III «Stona dell'Arte», 1981, n. 41, pp. 31-48. Meno persuasivo è l'articolo di S. Benvenuto e D. Di C!o,cci?.' L'lIrbani:t.z.aziol1e del C(/mpo Marzio. COllSlderazl'ol1i sui dùegni dipmgetto de/!'ospedtde dz .). (;rf(fcoJJ/o deglt IIlCllmb,.!i, in Antom'o dtl Sang(/l!o li Gl'oli{/I/e. La vi/a e L'opem, a cura di G. Spagnesi, Roma 1986, pp. 145-53. l'cl Cfr. E. Rodocanachi, La première Renaiss(lIlce li Rome ali tell/ps de Jules II et de Léoll X, Paris 1912, p. 413. Vedi anche P. Scavizzi, Le comlizioniper lo sviluppo dell'attivitii edilizia (I Roma Ilei secolo XVll: la legùlaziol1e, in «Studi romani», XVIII (1969), pp. r6o-7l. il S~Jla I?ol.iti~a urbana di Sisto IV, cfr. L. Spezzaferro, La poli/ica urballistica dei Papi e le origini di Vf(f Cmlw, m L. Salerno, L. Spezzaferro e M. Tafuti, Via Giulia, uJ/'utopia urballistica del '500, Roma 1975\ pp. 15 sgg. Cfr. anche Un pOlltifiCf/to ed U11(/ ci/ltì cit. Meno ilJuminanti ai nostri fini i saggi raccolti in Sfs/o IV e Giulio II mecellati e promotori di mlturtl Atti del Con~egno di Studi (Savona 1985), Sllvona 1989. Per la comprensione dei conDitti urban/del xv e del XVI secolo in Roma sono fondamentali i saggi di C. Gennaro, Mercal1tie bovattieri nel/a ROJ//(/ del/a secollda metii del tl:ecento. (Da 1I~J(~ ricerca.\"ll I:egl:\·tri l1ottlrili), in «Bullettino dell'Istituto Storico italiano per il Med!o.E.vo e Archlvl.O ~u1"lltorJano.», 1967' n. 7~, pp. 155"203; Id., LtI« Pt/x Romana» de! ]5lJ, in «Arduv!o della S~cleta Romana d~ ~torJa Patria», xc (1967), n. 1-4, pp. 17-60; ]."c. Maire Vi" gueur, CI(/sse domwallte et c!ilssedmgealltes à Rome li !tl/fn dtl Moven Age, in «Storia della cit· t~)), l (l976), n:~, I~P. 4- ~6. Si veda.' infine, il magistl"llie saggio di H. t3roise e.T.- c. Maire Viguem, Strutture fa!Jlt!utrl, 5/)(/Z/o domeJtu:o e arcbitettura civile a Roma alla fine deL Medioevo in Storia dell'ArIe ~t(~lial/a Billtltldi, XII: Momenti di(ll"chiteltllm, Torino 1982, pp. 99 sgg. L'ipo;esi relativa a un blVlUm bramantesco, formato da via Giulia e via dei Coronari, è in Frommel, Dn romische Pa/(/stball ci!., I, p. 16 e in 'l'afuri, «Roma illstrum/ft/» cii., pp. 7X-72. Cfr. anche Giinther, L(/ n{/scit(/ di Roma lllodema cit., p. 391. Cfr. H. Giinther, .I~P!ùmtl stmd(/led(/v(/l1!i(/1 P?llle diS(/!/t'Allgelo, in R4laelloa}"cbiletto cit., pp. ~3l-3~! I~., Das 7 nVl!Im vor POllteS. Al1gelo. Eil113eitrag zur Urb(/lItSttk der RelllllSj"a!1Ce in Rom, li) «Romlsches.Jabrbuch fiir Kunstgeschichte», XXI (1984), pp. 16r-251. " Sul tema, cfr. Glinther, Die StrassenplllJl1mg cit.; Id., La !/(lsd/a di Roma lllodema cit.; Frommel L'urbanistica de!/tl Roma rilltlsdmentttle dt.; Tafmi, «Roll/ll iIlS!llllm!a» cit. ' ì·j Cfr. C. L. Frommel, S(/I//(I Caterinll alle Cav{/I/erolle. Un possibile COI/tributo (/I/a tarda attività 1"0mal/(/ di Giulfallo da S({!1gal/o, in «P"lladio», XII (1962), n. 1-4, pp. l8-25. 7> Cfr. Gennaro, LtI «p(/X I"OJll(II1(Z» cil. 7(, Cfr. M. Monaco, LtI Zeccbtl ve("(1Jill in 13allcbi, Roma 1962; Giinther, Das Triviulll dt. 7) P. N. Pagliara, Studi e praticll vitnmùllM diAntollio daSt/ugtl!/o il GiOZN/llee distlofra/e!!o Gio/)(/nni Battista, in Les tr(/i!és d'a!"chitectllre de la Re!1aùsal/ce, Actes du col1oque ('l'ours 1981), Paris 1988, p. 199· 7f. Giovan Battista da Sallgallo, «Carcer, mrù/, aemr!o», Roma, Biblioteca dei Lincci e COl"siniana Inc. 50.F.!, L 541"; vedi Pagliara, Studi e pratica vitmvùlIlii cir., fig. 4' 1') Cl"Ollica,delle Mllglltficbee bOllotate Pompe/fitte in Roma perla Crc(/zioneet Incoroll(/I!'olle diPap(/ Leone X. POlli. Opto Max., in Wl. Roscoe, Tbe Liféand POl1ttficateofLeo Ibe TeJ1th, appendice, Li· verpool J805, II, pp. 40-56. Alla Cronim si riferiscono i passi citati ne! testo. ~ù Ceen,. TI~e Quartiere de' Bruu;b; cit., pp. 144-45. Sul palazzo, cfr. C. L. Frommel, l'a/azza facopoda Dreseta, Hl Raffaello arcbitetto cit., pp. l57-61.. [o(,

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Capitolo terzo M ';2

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KlIpferstichkabinett, Berlino, Skizzenbllch I, f. 68 (Frommel, op. cit., p. 160). Cfr. Gi.inther, Die SI/"{{ssel/pldlfllllg cit., pp. 254"55. Ch. C. L. Frommel, Gir)f)an!ml1cesco da Sal/gallo, arcbi/ello di palazzo BtI!(wli-Galitzil1, in AI/tonio da Sal/gallo il Gio/Jaue cit., pp. 63-69. ASR, NotrliCap., ,S'tejaJ/us de Amal/lIls, vol. 65, c. 2.~7r (14 dicembre 1520), cito in Frommel, Der rdmische Palasf!Jatl cic, I, p. 20 nota 40.

Gi.inther, Die Strassmpl(//lIwg cit., p. 250, fig. 7. ~(, Cfr. E. Guidoni, Alllol/io da Sal/gallo il Giof)(lIIe e l'urballistic{/ del '500, in Antollio d(1 S(lI1[!.a!/o cit., pp. 2Q-30. &7 Cfr. Curdo, Il rione Pm"iolle dUJ"(/l/te ti pontificato sislillo dt., pp. 706-."32.

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M. Altieri, Li Nllpliali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, p. q (vedi anche il capitolo Il del presente volume). Cfr. Ehm, Lorenzo de' Medici cito L'autrice contesta le ipotesi contenute nel saggio di G. Miarelli, 11 diseg!lo per ilcomp!es.iO mediceo iII Viti L(/uf(/ in Firenze, in «Palladio», xxn (1972), 0.1-4, pp. 127.62, che aveva proposto una datazione del foglio U 282 A al 149°-92 circa. (Cfr. anche la recensione di G. Marchini, in «Antichità viva», XII (197.3), n. 6, pp. 66-68). Per una datazione intorno al 1512, vedi inoltre Bierman, Lo S/Jill1PPo della villtl toscal/tI dc, e Elam, Il ptl!(/ZZO dt., p. 52.

\{) Elam, LOl"(?Ilzo de' Medici cit., p. 56. ~I Vasari-Milanesi, Vi/e, IV, pp. 276 e 280. ~l Sul palazzo di Bartolomeo Scala, cfr. Sanpaolesi, LII casa/iorelltil1a di BarlolomwSc(/la dc; Tonnesmann, Der P(/Iazzo GOl/di ciL, pp. 9.3-98; L. Pdlecchia, Tbe Pa/rOIl's Role ill tbe Prodl/ctioll of Architecture: BarlolomeoSca!t/ altd tbeSc(/la Pa/{(ce, in «Renaissance Quarterly», Xl.ll (1989), n. 2, pp. 258-91. La datazione del cortile sangaJ1esco può tuttavia essere ancora discussa. La maturità con cui è in esso accolta la lezione dell'antico e la coerenza dei particolari (vedi le lesene prive di base, contrapposte alla densità narrativa dell'attico), consigliano di correggere la datazione precoce finora proposta. I documenti parlano di acquisti di terreni dal 1473 e del permesso relativo alla cappella del 1475: n1l\ nulla esclude che Giuliano da Sangallo abbia dato forma al cortile dl1l'ante una seconda campagna di lavori. Sullo Scala vedi A. B1"Own, Bartolomeo Scaltl, 1430-J497, Ch(/l1Cellor o/Florence. l'be HU!J1allist (IS BU/"oC/"CtIt, Princeton (NJ) 1979. Sulla difesa del govcr" no fratesco, da parte di BartolonK'o Scala, cfr. D. ,'\:reinstein, SaVOll(/ro/tI ((uri Florence. Propbec)' alld P(ltriotism iII Rellaiss(lI/ce, Princeron (N.l) 1970, tntd. it. Bologna I976, p. 260; Brown, ]3((/"/0!omeo Scala cìt., pp. II5 sgg. ?J Sulle funzioni dservatea villa Madama vedi]. Shearman, A F'II/ctiollal Interpreta/ion ofV;//a Madama, in «Romisches,Jahrbuch fur Kunstgeschichte», xx (1983), pp. 313-27. Pur accettando le intelligenti osservazioni di Shearman, l'identificazione dell'edificio come villa medicea, per j contemporanei, rimane probabile. Un ulteriore esempio di edificio destinato sia a ingresso cerimoniale che a luogo di o/ia famigliari è la villa di Andrea Doria a Genova. Cfr. G. L. Gorse, An U1IpuMished Descripti01/ 01 the Vt!la Doria ili Gelloa During Cbarles V's Bllt!)', 15.33, in «'l'hl." Art Bulletin», LXVIll (1986), Il. 2, pp. 319-22. A funzioni simili era probabilmente destinato, al suo nascere, il palazzo del Te a Mantova. ~l Cfr. I. Cervelli, Sioriogra/ia e problemi ill/o/"JIo alla vita religiosa e spiri/1m/e a VelleZÙ(, nella priwr( metà del '500, in «Studi Venezilmi», vm (1965), pp. 447-76; A. Tenenti, Tbe Sense o/S/Mce {md Time iII /be Veltetùm \Vodd, in Rellaiss(/Ilce Venice, a cura di]ohn R. Hall.", London 1973, pp. 1746 (ora in A. T(~nenti, Credel/ze, ideologie, Ithertillismi tra Medioevo ed età moderna, Bologna 1978, pp. 75-n8); F. Gaeta, L'Idea diVenezi(l, in Storia della cultura veneta. Dal primo Qutl!tl"Ocenloal collcilio di Trenlo,. a Cllra di G. Arnaldi e M. Pastore Stacchi, 3/II1, Vicenza 1981, pp. 565-641; E. Muir, Civic Ritllal ill Relltl!SSallCe Venice, Princeton (N.J.) 1981; G. Cozzi, Politica, cu//u/"(/ e religiolle, in Cultuta e soc!etrÌ Ile/Rillascimellto/r(/ nfol"mee 1J/(lIlierùmi, a cura di V. Branca eC. Ossola, Firenze 1984, pp. 21-42. Cfr. inoltre alcune osservazioni contenute inl Le Goff, L'immagilUlIlo urbtlllo llell'Italia mdiev(de (seco/iv-xv), inStori(/ d'Italia Eillaudi. AnI/ali, 5: Il pae.\"(/ggio, a cma di C. De Seta, Torino 1982, pp. 5-4.~; cM. Tafuri, Venezia e il ]{illtJscimelllo. Religiol1e, sciCIIza, arcbiteftul"((, Torino 198{ Fondamentale, come sintesi, il volume di G. Cozzi cM. Knapton,

Storia della Repubblica di Venezia. Dal/a guer]"(/ di Cbioggùl ({/la ricollqutSta de/ici Terra/erma, Torino 1986. Cfr. Gaeta, L'Idea di Venezi(/ cit.; e L. Puppi, Verso Gemsalemme. ImuUlgini e temi di urbanistica e architettura sùnbolicbe, Roma - Reggio Calabria 1982,passim; Tafuri, Venezia dt., in particolare alle pp. 212 sgg. La frase su Venezia come «impossibilità» e di conseguenza «posta nello impos· sibile», è in F. Sansovino, Delle cose 110/abili cbe SOIlO (I Venezia, Venezia 156r. M. Luisa Doglio ha notato che si tratta di una citazione del leggendario detto di Mariano Sozzini al papa. Cf!-. M. L. Doglio, La lettertlll/l"(( ufficiale e l'o/"{{torù/ politiett, in Storill della cultura venettl. Il Seicento, Vicenza 1983, p. 166. % Cfr. Tafuri, Venezia dt., cap. n. 97 D. Morosini, De bene imtituta re publi((/, a cura di Claudio Fimi, Milano 1969, su cui cfr. G. Cozzi, Domel1ico Morosini e il «De bene illstituta re publica», in «Studi Veneziani», XIl (1970), pp. 405-58, e C. Vivanti, P(/ce e Itbertà in un'opera di Domenico Mo/"Osilli, in «Rivista Storica italiana», LXXXIV (1972), n. 3, pp. 6Q-24· % Cfr. i saggi raccolti nel volume« RenO/Jatio m·bis». Venezitl nell'etIÌ diAlldretl GI"l"tti (152}-J538), Roma 1984'i9 Cfr. G. Cozzi, Repubbllc(1 di VCllezia e Stali italiani. Politica e giustizia dal secolo XV! tll secolo XVJJ1, Torino 1982, pp. 293-318. La legge sulla riforma del diritto veneto viene presentata in Senato il 17 dicembre 1531; il 20 giugno del 1535 viene dato atto ai Correttori dell'animo lavoro svolto. Non rimaneva che sottoporre il tutto all'approvazione del Senato e del Maggior Consiglio; ma, attraverso dilazioni e crisi, la riforma viene arenata e, dopo la morte di Andrea Gritti (1538), il capitolo viene considerato chiuso. Per la relazione fra tale episodio e quello analogo, relativo al fallimento della magistratura per la «cura dell'ornar et comodar la cittù», approvata dal Senato veneziano nel 1535, cfr. Tafuri, Venezia cit., pp. 167-68. Il testo della parte è in ASV, Sellato Temi, reg. 28, p. 66 (2 settembre J.535), trascritto in G. Zorzi, Le chiese e i pOI/ti di Alldrea Palladio, Vicenza 1967, p. 247. lW Cfr. N. Ottokar, Il comul/e di Firellze (llIa filte del Dugellto, Torino 1962, pp. 2m-X2; Id., Crileri

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d'ordille, di regolarlttì e d'organizzazione nell'U/·ballistic(( ed in genere nella v;ttl/iorelltilltl dei secoli XlI/-X/V, in «Archivio Storico Italiano», marzo 1940, ora in Id., Studi col1lulla!iefiorellfini, Firenze 1948, pp. 143-49; Friedman, F/orentine New Toums dt., pp. 218-19. F. Corner, Ecclesiae Vene/(Ie An/iquis MOllumentis, Venezia 1749, VI, p. 294- Sulla creazione ddla Giudecca Nuova vedi E. Pavan-CWllzet, La città e la m(/ Itlgtma: su qualche CtI/1/iere veneziano della fine del Medioevo, in ].-c. Maire Vigueul" e A. Paravicini Bagliani (a cura di), Ars et ralio. Dal/a forre di Babele al pOllte di Rialto, Palermo 1990, pp. 4I sgg. Ma vedi tutto il saggio, che analizza la politica dell'acqua a Venezia, sottolineando il molo assunto dall'operatore pubblico, dal xv secolo in poi. Corner, Ecclesitle Venettle cit., VI, p. 295. ASV, S. Antollio di Castello, T. LXVI, cc. 4r e 5r. Ibid., c. 51". Su tali vicende cfr. A. Foscari e M. Tafuri, Sebastia/lo da LugmlO, i Gril1l(lni e J(ICO/)O Sa1/Sovino. Artisli e committenti in S(ml'Antonio di Castello, in «Arte veneta», XXXVI (1982), pp. 100

sgg.

IO, Corner, Ecc!esiae Venetae cit., XII, p. 404. 10(. Ibid., pp. 404-5 e p. 402. Sul1a vicenda dell'ospedale del Gesu Cristo, vedi B. PlIllan, Rich and Poor ill Rellais.wl1lce Venice, Oxford 1971, pp. 212-15 (ora in aad. it., La politica socitJle della R.epubblic(/ di Venezia J500-1620, Roma 1982, I, pp. 226-30)' Vedi anche I. Cervelli, Machiavetli e la crisi dello std!O vel1eZiallO, Napoli 1974, pp. 137"39, e le documentate pagine di D. Meijers, L'arcbitettura della 1I1IOvafi/alltropia, in B. Aikema e D. Meijers, Nel regno dei poveri. Arte e storù( dei grandi ospedali vellezùm; il/ età model"l1a 1474-1797, Venezia 1989, pp. 43-56, con ipotesi ricostruttive dd progetto originario in parte diverse dalle nostre. 103 Corner, Ecdesiae Venettle cit., XII, p. 40,3. W~ Cfr. L. Beltrami, B/"llmante ti Mil(/no. LII cappell(/ di Salt Teodoro, il mOl/astero di Sal1t'Ambrogio (nozze Dubini-Gavazzi), Milano 1912, pp. 19-20.

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Principi, città, architetti

Capitolo terzo Documento del 12 gennaio 1490, in P. Paoletti, L'arcbitetturtl e hl scultura del Rinascimento {/ Venezia, Venezia 1893, Il, p. n8. 111 Nel I497, osserva Pullan, Ludovico Sforza chiede a BllUista Sfondrato, mnbllscilltore milanese presso hl Serenissima, di descrivergli le istituzioni religiose e caritative di Venezia. Lo Sfondrato, dopo llVel' llssicmato che in città non esistevano edifici paragonabili al Maggiore di Milano, aggiunge che era però in costruzione un ospedale la cui fondazione era dovuta al francescano osservante milanese Michele Carcano, che da altre fonti sappiamo essere nelle lagune nel 1476-77. Cfr. Pullan, La poli/im sociale CiL, I, p. 226. m Ibid., pp. 228-29. lIJ Pllo!etti, L'architettura e !tI scultura cito, II, p. Il7. CfLllllehe Fosellri e Tafmi, Sebastiallo da Luga110 cit., pp. I03 e 12l nota 251)·1 Pullan, La politica sociale, ciL, I, pp. 229-30. !Il Cfr. A. Pastore, Struttllre assistellziali/;-a Chiesa e Stati lIell'Italia del/a Contron/orma, in Storia d']I, 1 (1985), n. l, pp. 79-95- Per il significato dell'intervento nella Venezia dd tardo '500 e del primo '600, e per il ruolo di Leonardo Donà, cfr. Id., Venezia e il Rinascimento cit., pp. 278 sgg. IJj ASV, Laguna, 28, 29, 30, 34, .35. Per la «parte» del I590, cfr. ASV, Savi ed eseclf/otl alle Acque, reg_ 347, cc_ 4fl-5r. Sulle precedenti deliberazioni deh546, del 1569, dd 1587, dr. C. Tentori, Della legislazione venezialla ml!(l preservazione della II(grlll(/. Dissertazione storicojiloso/ico-critica, Venezia1792, pp. 142-44. Per gli ulteriori documenti sulle Fondamenta Nuove, cfr. ASV, Saoied eseCII/orialle Acque, f. In, 3 marzo 1592; l'eg. 347, cc. 231'e 30v. CfL inoltre E. Concina, Stmc/lire m'balÌle et fO/1etio/1 des blitimen/s du xv" au XIX' slècle. Une recberche lÌ \lel/ise, Unesco - Save Venice Inc., Venezia 1982. j}2 Sul Sabbadino e sul piano del 1557, vedi la bibliografia contenuta in Tafuri, \lmezi{/ cit., pp. 214215 nota 3- Cfr. inolne Id., Humal1ism, RbeIOrica/l(! Tec/mical KlIowledge. Tbe Debate iII Rellais· S(lncc \lenice, \X!alter Gropius Lecture, Harvard University, Cambridge (Mass_) 1986. JH Cfr. S_ Romanin, Star/a doCtlmentat(/ di Venezia, Venezia 1914", VII, p. 5.31. lJl EMC, Donà delle Rose, b. 457, 11. 31. Vedi inoltre, per il palazzo di Leonardo Donà, E. Cicogna, Delle il1sC/'lziolli venezial/e, Venezia x834, IV, p_ 433, che cita le memorie del doge. Cfr. anche Tafuri, Venezia cit., p. 284 nota IOI. l35 Concina, Stmctllre tlrbaine et IOl/ctiol! des bJtimenfS cit., p. 79; Taful'i, Venezltl cit., pp. 287-88; Concina, Venezùl cit., p. 12I. j}[, Cfr. Tafuri, Venezùl dt., pp. 244 sgg. La localizzazione dell'ospedale di San Lazzaro dei Mendicanti ai margini del nuovo insediamento non è prevista nel progetto originario. Dopo una pane del 1588 e una relazione dei Provveditori del 1590, si decide ~siamo nel 1595 - di trasferire l'ospedale in città. Dal marzo 1596 sono in corso trattative pe!' l'acquisto «de terren vacuo della sacca della nova atterration posta dredo il Monasterio de S_ Zuan Polo su la laguna» (ASV,. J:;secutori alle Acque, Affillt/ltze e vendite, f. 438, 13 I11lll'ZO 1596). Si abbina cosi un'operazione di pubblica assistenza a un'addizione, com' era accaduto nel caso della «punta» di Sant'Antonio di Castello. Opposizioni di varia natura, tuttavia, rin1llnderanno l'inizio dei lavori. Sull'intera vicenda, dr. In tesi di laurea inedita diP. Turco, Gellesie realùzazionedelL'ospedalediS(/1l Lazzaro deiMelldiCt/I/lidi Venezia (secolixFI-XVl1), IUAV, a.a_ 1988-89, relatore M. Tafmi. Vedi inoltre B. Aikema e D_ Meijers, Tbe Veltetùm Beggar's HosIJital alld itsArcbitects, in «Bollettino del elSA», XXllI (1981), pp. 189-202; Id., Nel regno dei poveri cit., pp. 249-71. I)) Cfr. Poleggi,S/rada Nuova. Ulla lottizz{/zionedel '500 a Genova, Geli~va 1968, e il più recente saggio dello stesso autore e di F. Caraceni, Genova e Strada NIIOV(/, in Storia dell'Arte italialla Einalldi, XII: Momenti di architettura dt., pp. 301-61. Le ipotesi di Poleggi - che condividiamo - sono state messe in dubbio nei saggi di L. Puppi, G. Alessi ileI/a problem(/Iica urbanistica del Cinquecento, e di H. Burns, Le Idee diG. Alessisull'architettura e SI/gli ordti/i, nel volume collettaneo Galeazzo A lessi e !'arcbitettunl del Cinquecellto, Genova 1975, pp. 67 sgg. e 147 sgg. La storia della crescita l1l'bana, degli insediamenti e delle tipologie edilizie genovesi nel Medioevo è nel volume

Capitolo terzo

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di L. Grossi Bianchi e E. Poleggi, Una città pOl'tualedelMedioevo. Gellova Ile/secoli X-XVI, Genova 1979. Cfr. Pedl'eui, Leoltal'do al'chitetlo cit., pp. 71 sgg. Vedi anche C. Pedretti, Newty discovel'ed .Evidel/cc olLeollal'do's Associatioll wdh Bmlllallte, .in «J om:nal of t1:c Society of ~rchitec~ura.l Ffls.torians», XXX]! (197.3), n. 3, pp. 223-27; A. Bruschi, L'al'chllellura, In Stlllta Ma/'1a delle (ymzJe, Mdano 1983, pp. 35-88, in particohlre a p. 79.

Capitolo quarto

Jugum meum suave est. Mito e architettura nell' età di Leone X

IbM., pp. 79 c 88 nota 63. J~O B. Arluno, HÙlol'ia Medio/al1ellsis ad ul'be condita ad stia tempom, BAM, cod. IJ4 inf., f. 98v, cit. in R. Schoficld, Ludovico ilMol'o al1d Vigevano, in «Arte lombarda», n.s., LXII (1982), n. 2, p. 129.

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Sulla strada fal'l1csiana a Piacenza, cfr. B. Adorni, L'al'chilel!u/'tJlames1tll1a a Piacenza J 545-1600, Panna 1982, pp. 29-3I.

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Schofield, Luc/ovico il Moro de, p. n6. Storia diM;/t/f/Oscrilla da Giovan Pietro Caglio/a, ed. C. Cantù, in «Archivio storico italiano», III (1842) citCfr. Frugoni, UI/alolltalla città cit., pp. 122 sgg.; M. Trachtenberg, lf/ha.' B/'lll1el!es~hi Saw: M~. 111imeltt a11dSitea! tbe Palazzo Vecchio iII Flol'ence, in «Journalofthe Soclety of ArchltectUral Hlstorialls», XLVII (1988), n. 1, pp. 14-44. Vedi anche E. Guidoni, ArIe e ul'banistica il11'osCa1ta,

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IOOO-JJl5, Roma 1970, pp. 69 sgg. H~ Un'eccellente analisi della formazione della piazza di Pavia è stata offerta da Luisa Giordano, al Seminario Internazionale del CISA, nel settembre 1990 (in pubblicazione). Vedi in?ltre A. M.

Romanini, La rie/obo/'(/ziolle tl'ecel1tesca di Pavia romana, inAuidei Convegno di studto sul celltro stol'ico di Pavia, Pavia 1968, pp. 125-4°. I~~ Vedi, ad esempio, il Collegio di Spagna a Bologna di Mat~eo di Gio~annell.o det~o il Gattap~ne: MichaelKiene ha notato che la perfetta simmetria del cortile, con chiesa assiale dietro un portlcO, pl'elude all'organismo bramantesco del palazzo dei Tribunali in via Giulia. Kiene, Del' Pii/azza dello Sapienza cit., p. 233. 1;1

Cfr. Calabi e Morachiello, Rialto dc, pp. 53 sgg.

H~ Pensiamo, ad esempio, al volume di W.J. Bouwsma, Ve1dccand tbe DelcllseolRepublictllt Llb~/'­ ty. RCltaiSStll1ce Va/ues ;'1 tbe Age 01 CO/IIl/~r Relo~.",atiolt, Bel'ke.le~ -.Los Ang~les 19~8, ~rad. It. Bologna 1977. Ma si veda la severa recensione di Renzo Pecchlolt, m «Studi veneZlal1l», XIll 149

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(I971), pp. 693-708. Tafud, Venezia e il RÙUlScim(!llto dt.; Id., Il pubblico e il privato cic

Il carnovale del medesimo anno (151,3) - scrive Vasari nella vita del Pontormo 1_ essendo tutta Fiorenza in festa et in allegrezza C.. ) furono ordinate molte feste, e fra l'altre due bellissime e di grandissima spesa da due CompagnIe di Signori e gentiluomini della città; d'una delle quali che era chiamata il Diamante, era capo il signor Giuliano dè Medici fratello del papa; il quale l'aveva intitolata cosi, per essere stato il diamante impresa di Lorenzo il Vecchio suo padre: e dell'altra, che avea per nome e per insegna il Broncone, era capo il signor Lorenzo figliuolo di Piero de' Medici; il quale, dico, aveva per impresa un broncone, ciò è un tronco di lauro secco che rinverdiva le foglie, quasi per mostrare che rinfrescava e risorgeva il nome dell'avolo.

Le due compagnie erano guidate dal fratello e dal nipote del cardinale Giovanni de' Medici. Giuliano attraeva l'aristocrazia piu anziana: coloro che avevano avuto incarichi politici a Firenze durante l'età di Lorenzo il Magnifico. Lorenzo di Piero era punto di riferimento per i giovani aristocratici: quelli che non vedevano altre speranze per la città che nelle mire egemoniche del loro leader. Il rinnovamento cui alludeva l'impresa del Broncone era tutt'altro che indolore, infatti. Il 16 settembre 15I2, poco dopo il loro rientro in città, i Medici avevano costituito una Balia con pieni poteri e con il compito di varare una riforma istituzionale e legislativa '. Poco piu tardi, la loggia del Consiglio maggioresimbolo del precedente assetto repubblicano - verrà trasformata per farne alloggiamento di soldati '. Gli affari dello stato, come emergeva con arroganza da tale damnatio memoriae, tornavano a essere prerogativa di pochi. Feste e mascherate divengono pertanto, nell' ottica medicea, stmmenti comunicativi di notevole portata. Era necessario infondere un generale ottimismo, alimentato dall'elezione al pontificato del cardinale Giovanni, l'n marzo 15I2: la fiducia in un futuro fiorentino guidato dai Medici era chiamata a far calare l'oblio sia sul «gove1'l1O largo» che sulle passate discordie. I carri della Compagnia del Broncone sono emblematici: Il primo - scrive Vasari - tirato da un par di buoi vestiti d'erba, rappresentava l'età di Saturno e di Jano, chiamata dell'oro; ed aveva in cima del carro Saturno con la

Capitolo quarto falce, edJano con le due teste e con la c~1iave .del tempio in mano, ~ sotto i piedi legat? il Furore, con infinite cose attorno pertmentI a Saturno ( ... ) sopra 11 secondo carro, tI· rato da due paia di buoi vestiti di drappo ricchissimo, con ghirlande in capo e con paternostri grossi che loro pendevano dalle dorate corna, era Numa Pompilio secondo l'é dei Romani, con i libri della religione e con tutti gli ordini sacerdotali e cose appartenenti a sacrifici; perciocché egli fu appresso ai Romani autore e primo ordinatore della religione e dè sacrifizi.

Torna dunque l'età di Saturno: l'epoca della concordia universale e della pace. Cui allude anche la figura di Giano, dio di origine eu:usca come il ponti/ex medzcus, spesso Identificato con Numa PomplllO . Il mIto entra presto a far parte del bagaglio emblematico degli apolegeti di Leone X: è presente negli affreschi del teatro capitolino del I5I3, è citato da Paolo Giovio, è interpretato filosoficamente da Egidio da Viterbo, è raffigurato negli affreschi della villa del datario Balda~sarre Turini da Pe: scia sul Gianicolo e 111 quelh progettati per la VIlla dI PoggIo a Calano, al tempi di Leone X'. Si osservi, piuttosto, a cosa è connesso quel miro :,elle feste fiorentine del I5I3. Al quarto carro, rappresentante Cesare tnonfante su Cleopatra, segue il carro di «Cesare Augusto dominatore dell'universo, accompagnato da sei coppie di poeti a cavallo ». Nel sesto carro - quello che precede il «trionfo dell'Età e Secol d'oro» - era «Traiano imperatore giustissimo, dinanzi al quale (... ) andavano sopra delli e ben guerniti cavalli, sei coppie di dottori legisti, con toghe fino ai piedi e con mozzette di vaj, secondo che anticamente costumavano i dottori di vestire ... » Chiara la promessa rivolta a Firenze: un'egemonia temperata da fasti umanistici e da trai anca giustizia. Non meraviglierà, pertanto, che le figure imperiali di Augusto e di Traiano siano all'ordine del giorno nelle manifestazioni artistiche della Roma leonina ". Molto è stato scritto sui significati emblem~tici delle feste medicee, m~ ','on è ancora stato l:'1eSS? sufficientemente m luce ti valore ad esse ongmanamente attribUIto: 11 Carnevale del I5I3 espone un programma cui lo stesso Leone X si atterrà fedelmente. Nel possesso del medesimo anno, su cui ci siamo già soffermati, il tema della pace e quello del «ritorno di Ast1'ea» sono strettamente correlati; il Virgilio della IV Egloga ispira la grandiosa metafora contenuta nella cerimonia. Una metafora, inoltre, che vale sia per Roma che per Firenze. Non a caso, il tema della fratellanza fra Roma e l'Etruria ispira le raffigurazioni di età leonina e la letteratura coeva. Quello dell'unione Roma-Firenze è tutt'altro che un tema retorico. Dopo l'elezione di Leone X diviene pacifico che l~ s~rti dell~ città toscana dipendono strettamente da Roma e dalle declSlom ponuftce. Le compagnie del Broncone e del Diamante esprimono perfettamente tali con-

Mito e architettura neWetà di Leone X

14.1

trastanti attese. Da un lato, chi intendeva trasformare Firenze in una repubblica aristocratica; dall'altro, chi sperava che il papa avrebbe avuto interesse a instaurare un governo mediceo '. Il «ritorno di Astrea» aveva quindi un significato duplice, fiorentino e universale, concentrato nella figura del figlio del Magnifico, Leone X. Il quale, specie dopo la sconfitta dei Francesi a Novara (26 giugno 1513) e la conciliazione raggiunta alla fine dello stesso anno, decide che il potere, a Firenze, può e deve rimanere in mani medicee. Ma con adeguati accorgimenti. Consigliando di creare a Firenze un' oligarchia di fedelissimi, Leone X auspica ilraggiungimento di un equilibrio fra l'aristocrazia cittadina e i Medici; Lorenzo di Piero, tuttavia, concentra sempre piti potere nelle proprie mani, distruggendo il «vivere civile» di cui Lorenzo il Magnifico si era sempre fatto garante. L'ideologia dell'età d'oro assume cosi tonalità ambigue. Un riflesso è nelle ostilità mostrate dai fiorentini nel 1513: slogans awersi alla visita di Leone X vengono incisi sulle mura delle case dove sono alloggiati i cortigiani pontifici '. Il papa, peraltro, vuole apparire - nei primi anni del suo pontificatocome il restauratore della pace, versus la discordia fomentata da Giulio II. Persino Erasmo da Rotterdam -l'abbiamo già notato - vede nel papamedico un «vir doctus, integer ac pius», che potrà spegnere il fuoco alimentato da Giuliano della Rovere: esattamente il ruolo che viene attribuito a papa Leone nelraffaellesco Incendio di Borgo. Di rimando, con breve del IO luglio I5I5, Leone X attesra la sua stima all'umanista, che a lui dedica, con rinnovata fiducia, il suo Nuovo Testamento. Anche nei confronti di Firenze, Leone X appare come un conciliatore. La polivalenza dell'impresa da lui scelta - un giogo con il motto SUAVE - è stata recentemente ribadita da Claudia Rousseau, che ha notato l'importanza data all' impresa stessa nelle decorazioni erette per il possesso del I5I3, e in quelle allestite per l'ingresso del papa a Firenze, nel I5I5 '. Il motto SUAVE, scrive Giovio nel Dialogo delle imprese, era stato scelto dallo stesso pontefice per significare di non esser ritornando a' voler' essere Tiranno della Patria col vendicarsi dell'ingiurie fattegli da suoi contrari e fa1'i05i cittadini, pronuntiando loro ch'el suo prencipato sarebbe stato clemente c soave: col motto della Sacra Scrittura, conforme all'habito sacerdotale, che portava, cavato da quel che dicc,Jugum Meum suave est, et onus meum leve. E certamente quadrava molto alla natura sua - continua Giovio - c fu tale inventione del suo proprio sottile, et erudito ingegno, anchor che paia che'l detto giogo fusse prima del gran Cosmo; il quale, quando fu richiamato dall'esilio alla patria, figurò in una medaglia Fiorenza assetata sopr'una sedia col gio" go sotto i piedi, per denotare quasi quel detto di Cicerone, Roma PatI'cm Patriae Ci· ceronem libera dixit. Et per la bellezza fu continuato il portada nel pontificato di Leone X, e meritò d'essere istampato nelle monete di Fiorenza IO.

Mito e architettura nell'età di Leone X

Capitolo quano

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Il richiamo al passo del Vangelo di Matteo (n,30) è relativo sia alla pace religiosa che a quella civile, Fra il mito del secolo aureo celebrato nel Carnevale fiorentino, e il motto pontificio, non esiste probabilmente contraddizione, dal punto di vista dei Medici", Il leone era il segno zodiacale che un' antica tradizione astrologica associava a Roma; il nome del nuovo papa implicava una sua identificazione con i destini della città eterna, La politica leonina di fastoso mecenatismo e di sostegno alle littaae non è quindi mera sovrastruttuta, L'auctoritas viene dissimulata, diplomaticamente gestita, disciolta in modo capillare, influenzando comportamenti cutiali, nobiliari, cittadini, Da cui discende la nuova importanza attribuita allefO/'me del potere, Alla cultura è assegnato un ruolo primario: il disegno è fare di Roma una capitale dell'umanesimo come forma di «vivere civile», mentre procede la riduzione dell'intera città a corte, A tale disegno, non è estranea una ridefinizione dei rapporti fra i ceti dominanti e il principe-papa; anche a Roma era divenuto necessario armonizzare - come nelle piccole corti italiane -la nobiltà feudale, quella di origine cittadina, i nuovi gruppi, i nuovi ceti in ascesa ", Persino la disinvolta gestione leonina delle casse vaticane, spesso accusata di superficiale dissennatezza, ha in tal senso una giustificazione, Lo sperpero è, per il papa, un investimento politico a lungo termine, Peter Burke ha parlato, per la monarchia pontificia e il suo sfarzo ritualistico, di «Stato-teatro» ", L'ipotesi coincide con la lettura della scena cortigiana offerta da Amedeo Quondam: una scena dominata da una profonda necessità di simulazione e da «una complessiva coazione alla rappresentazione», «La scena della corte - e i rapporti sociali detti e agiti - conclude Quondam - è essenzialmente sotto il segno di una teatralità globale»';, E tale «cultura dello spettacolo» - necessaria a un sovrano privo di adeguati strumenti di coercizione e di estesa base territoriale - è stata ricondotta a una vera e propria «invenzione della tradiZlQne».

Si profila pertanto una serie di interrogativi, In che modo si esprime

l'asimmetria istituita fra le città gemelle? Fino a che punto l'architettura è chiamata a dar forma al mito mediceo? Come viene gestita l'egemonia e la centralità del dibattito romano, in seno a quel mito bipolare? Useremo, come cartine di tornasole, tre eventi, dotati di significati diversi, ma tutti essenziali per Leone X: il concorso del 1515-16 per la facciata di San Lorenzo a Firenze, la gara del 1518-19 per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma, i progetti, del 1520 circa, per la ricostruzione della chiesa fiorentina di San Marco, Rimane fermo, che l'obiettivo è intrecciare diverse forme di «rappresentazione», nell'autonomia

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dell~ loro fi?alità" Sen~a I~ulla anticipare, va notato che nessuno dei progettlleOnl111 cItati avra eSIti concreti, o quasi, Anche su ciò dovremo riflettere,

1.

Firenze, J5J 5-J6: il concorso per la facciata di San Lorenzo,

, Non, s'è ~n,cora de:to a~bastanza sui messaggi sottesi agli apparati e all'ltuah festivI. Al dlla dell affermazione immediata di sovranità infatti uli cerimoni~ assumono - p~r alcune città rinascimentali - il sig~ificat~ dI un atto «rlfondatlVo», L effImero sembra annunciare una prossima renovatio, fissando, di quest'ultima, caratteri e significati, In tal senso !'ingresso fiorentino di Leone X (30 novembre 1515), quello in Vicenz~ del cardinale Nicolò Ridolfi, quelli di Carlo V a Roma e a Palermo sono connessi da parametti omogenei ", Il tema è come ridefinire l'identità urbana, spesso ~on implicite critiche all'identità consolidata, In altre parol?, le Cel'll~0111e delle entrate pro~ocano aperture al : quest'ultimo, grazIe ad esse, spezza l'eSIstenze, penetrando metaforicamente nelle «porte» allestite per occasionali - ma accortamente gestiti «trionfi», Lasciamo parlare i fatti, La Firenze addobbata per l'ingresso di Leone X è cosparsa, come già la Roma del possesso, di archi trionfali, culminando nella facciata posticcia di Santa Maria del Fiore, L'apparato so~rapposto a quest'ultima - di Andrea del Sarto e di] acopo Sansovino - è hgneo, «con statue e con istorie et ordine d'architettura, nel modo a punto che sarebbe ben fatto ch' ella stesse, per torne via quello che vi è di componimento et ordine tedesco », Dico- prosegue Vasari If, - che (... ) aveva ordinato il Sansovino la detta facciata di Ol'di,ne corinto, e che fatt~la a guisa di arco trionfale, aveva messo sopra un grandissi~o .11nbaSamel~to da ogl11 ~anda le colonne doppie con certi nicchioni fra loro pieni ~l ftgu~'c, ch~ figuravano gli Apostoli, c sopra erano alcune storie grandi di mezzo rilIevo, fmte dI bronzo (.)Sopra seguitavano gl'architravi, fregi c cornicioni, che risaltavano, et appresso vam c bellissimi frontespizii. Negl'angoli poi degl'archi, nelle gro~se~ze e sotto, erano storie dipinte di chiaro scuro di mano d'Andrea del Sarto, c bellISSIme.

Al ttionfo del pontefice corrisponde dunque quello sulla «maniera tedesca », La trasfigurazione che il papa - a detta di Vasari " - vorrebbe veder trasformata in opera stabile, insiste su un edificio simbolico delle lib~rtà rep,:,bblicane di Firenze, Volontà di trasfigurazione e di risignificazlOne SI l11trecClano, sullo sfondo di un momento critico delle istituzionifiorentine, Una notazione di Giuseppe Marchini sugli apparati allestiti nel 1515 conferma tale osservazione, Lo studioso rileva che l'intera

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Capitolo quarto

città era stata investita da una sorta di ossessione «colonnare» ". Egli ricorda le centocinque colonne posticce inserite negli apparati: il trionfo papale sembra coincidere con una programmata alienazione di Firenze da se stessa. È un papa fiorentino quello di cui i membri della Signoria trasportano la lettiga. Ma in vesti di verus ùnpel'ator ed entro una scenografia che annulla il tempo della città reale. Significativo, al riguardo, è il concorso indetto da Leone X, al suo ritorno a Firenze (22 dicembre "5"5 - I9 febbraio 1516), per la facciata della chiesa di San Lorenzo. La scelta è chiara. Si tratta di un edificio mediceo, chiesa palatina rispetto al contiguo palazzo di famiglia, a sua volta risignificato dalle finestre inserite da Michelangelo nella loggia angolare (I517 ca.) Chiesa e palazzo erano destinati, sin dal marzo "434, ad essere unificati da una vasta piazza ": quest'ultima appare in una miniatura del Libro d'ore di Laodamia de' Medici, sul cui fondo è raffigurata una facciata che forse riflette uno dei progetti presentati al concorso '"o La stessa piazza di San Lorenzo era stata oggetto di una fantasia del «piagnone» Luca Landucci, espressa - con intenti antimedicei - nel corso dell'intermezzo repubblicano. E a di 20 di dicembre I505, - scrive Landucci 21, - detti a Simone del Pollaiuolo un ricordo e un disegno, perché egli era architettore, e parvemi che lui fusse atto a conducere questa mia invenzione; e questo fu, che in quello luogo dov'è San Giovanni Evangelista in Firenze, si dovessi fare un bello tempio e una bella cupola a onore di San Giovanni Vangiolista, e per gloria di Dio e della nostra città, dandogli questo disegno, che levando tutte le case e botteghe, quanto tiene la piazza di San Lorenzo, ch'è un quadro di circa 100 braccia per ogni verso, si farebbe un bel tempio che avrebbe queste condizioni: dirimpetto a San Lorenzo e in su la strada, e che noi avessimo un avvocato in paradiso con San Giovanni Batista C.. ). E cosf gli detti ad intendere tutta la mia fantasia, onde gli piacque assai e dissemi pio volte non aver mai avuto pio bella invenzione; e disse come credeva di poteda mettere innanzi a chi potessi: gli pareva mille anni.

La proposta del Landucci tende a creare una bipolarità fra il nuovo tempio e la chiesa di San Lorenzo, puntando sull'effetto della grande piazza regolare: la quale avrebbe cosi costituito un secondo cuore reli• • . . . . 22 glOso 111 Citta . Il concorso leonino per San Lorenzo prescinde dalle idee del Landucci, ma il suo fine, a scala urbana, è simile, anche se non con un significato invertito. Tenteremo di dimostrarlo, senza insistere sulle vicende esterne del concorso: sarà sufficiente, per esse, rinviare agli studi già pubblicati". I quali, tuttavia, hanno preso in esame prevalentemente i disegni di Giuliano da Sangallo e di Michelangelo, lasciando nel vago il

Mito e architettura nell'età di Leone X

problema della partecipazione di Raffaello e diJacopo Sansovino: è su ipotesi relative ai progetti di questi ultimi che articoleremo i nostri ragionamentI. I. Raffaello. Il foglio U 2048 A, tradizionalmente sottovalutato dalla critica, è stato variamente attribuito; nel 1984, esso è stato esposto e pubblIcato come copia da un originale raffaellesco per la facciata di San Lorenzo, con un'attribuzione dubitativa ad Aristotele da Sangallo ". Sulla pate1'11ità raffaellesca dell'invenzione non sono state avanzate obiezioni, ma essa. attende di essere confermata da analisi precise. Il progetI?, ar:zltutto, nflUta dlndu1'1'e la facciata a una semplice lastra. Tre vestIbolI, cornspondentl a tre porte di accesso, dànno spessore a un triplo nartece; al primo piano, una loggia - schermata da una serliana corrisponde al vestibolo centrale, schermato a sua volta da due colonne libere. Alle lesene doriche si interseca un ordine minore concluso da semplice cornice: rimangono cOSI tre superfici rettangolari, disponibili ad accoglIere bassorilievi. I vestiboli, inquadrati da elementi binari, impongono.alla facciata una ritmica elastica: l'ampliamento della campata centrale Impone a sua volta una mIsura trionfale, commentata dal diaframma dell'ordine minore e dalla serliana; la sua eccezionalità è accentuata dall' astragalo che congiunge le lesene sui lati. Si tratta di un particolare caro a Giuliano da Sangallo ", usato qui, tuttavia, in modo spregiudicato. Le bene «legate» individuano come trittici gli episodi dei vestiboli minon; l'aggancIo alla campata maggiore è assicurato dalla c01'11ice dell'ordine secondario. Vengono cosi messi in gioco molti strumenti linguistici: il ritmo «a più voci»; la profondità atmosferica; l'enfasi del settore centrale; la plastIca delle semlcolonne superiori e delle trabeazioni a rilievo. Né va sottovalutata la valenza ~cherzosa introdotta dalla torretta disegnata sulla porzIOne destra del dIsegno, oggetto en plein air che accoglie la cavità di lllcchle con calotte a conchiglia. Gli echi bramanteschi sono molteplici. Il vestibolo principale rinvia al «plano dI perga~n~na»'per San Pietro; la serliana dà consistenza spazlalea un :notlvo tIpICO dI Donato; gli ordini correlati interpretano l'invenzIOne mtrodotta nel terzo livello del Belvedere inferiore n.. Condue ag&ettivazioni, tuttavia, tipicamente raffaellesche: la perentona onzzontahtà, che spezza la continuità delle verticali, e l'uso di metope allargate": Nésfuggirà l'effetto ottenuto contrapponendo, alla distesa .st~uttur~ mfenore, l'emergenza delle semi colonne ioni che, plastici propIlel che mquadrano la profondità della loggia n.

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Mito e architettura nell'età di Leone X

Capitolo quarto

Sul motivo tratto dal terzo livello del Belvedere la cultura architettonica romana riflette profondamente. Esso viene variato da Raffaello nella loggetta finale di palazzo Alberini, con una soluzione che verrà replicata da Giulio Romano nelle navate minori dell' abbaziale di San Benedetto in Politone"; viene adottato nel piccolo cortile del castello Santactoce a Veiano, forse opera giovanile di Antonio da Sangallo il Giovane; appare in studi di Baldassarre Peruzzi '"o Un'eccentrica interpretazione di quel motivo viene inoltre offerta nel chiostro cremonese di Sant'Abbondio". Nonè da escludere che Bramante abbia avuto modo di studiare - per l'intersezione di ordini di diverse dimensioni - il ptogetto albertiano per Sant' Andrea a Mantova, evocato palesemente anche dal disegno che stiamo analizzando. Né sfuggirà che quell'intersezione riassume simbolicamente un principio ideale che informa l'intera architettura umanistica. Il «maggiore» e il «minore» sono costtetti a una consonantia. Per molti aspetti, il progetto esperimenta idee che il Sanzio depositerà nel suo modello per la basilica vaticana del 1518 circa. Non si tratta solamente del doppio ordine: rievocano il disegno del codice Mellon anche l'etoismo della campata centrale, l'aprirsi della facciata allo spazio, le strutture verticali inquadranti. A conferma ulteriore dell' assegnazione di tale invenzione al Sanzio si può invocare il suo elemento pili appariscente: la loggia, simile a quella raffigurata - in un momento assai prossimo a quello del concorso fiorentino - nell'Incendio di Borgo. Si tratta, anche in questo caso, di una loggia pontificia, da cui appare, per di pili, un papa Leone. Il ptogetto è agevolmente inquadrabile, inoltre, nel percorso compiuto da Raffaello. Nell'U 2048 A, il sintetismo della chiesetta di Sant'Eligio degli Orefici e le grafie delle stalle Chigi risultano superate, mentre gli echi delle astrazioni di palazzo Alberini rimangono confinati nell'impaginato basamentale. L'artista sembra muovere verso la ricchezza linguistica di palazzo Branconio e di villa Madama. E di tale ricchezza, il colloquio fra l'articolazione delle membrature e l'aggettivazione spaziale è elemento primario. I tre vestiboli e la loggia triangolano infatti la composizione, rimanendo sulla soglia che connette l'oggetto architettonico all'invaso urbano. Concettualmente, anche questo tema gode di ascendenze bramantesche: abbiamo ricordato i vestiboli dell'U I A,. per San Pietro, ma non vanno dimenticate le trasparenze «neobizantine» del ninfeo di Genazzano. Si tratta di erosioni che compromettono la compattezza dei fondali prospettici. La profondità introdotta nei corpi di fabbrica permette un gioco che coinvolge sia le membrature architettoniche che gli

spazi. Rispetto ai ptogetti di Giuliano da Sangallo e a quelli, posteriori, di Michelangelo, il progetto raffaellesco rivela un respiro spaziale inedito: il che vale, in particolare, per i progetti U 276 e 281 A, con nartece e sviluppo scalare, oltre che per il modello finale del Buonarroti, teso a dare eroica consistenza al nuovo intervento ". La ricerca raffaellesca, invece, ha un precedente nella loggia dipinta nell' Incomnazione di Enea Silvio nella Libreria Piccolomini di Siena: le densità atmosferiche e le strutture ritmiche vengono già li integrate dal Sanzio in p1essi sintattici uni-

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È anche pacifico che l'invenzione documentata dall'U 2048 A prelude ad alcuni esperimenti di Antonio il Giovane, ma anche alla facciata della chiesa di San Giovanni Battista a Pesato di Girolamo Genga, a soluzioni del tardo Cinquecento, addirittura alla facciata di Santa Maria in via Lata di Pietro da Cortona. Abbiamo ragionato, fin qui, mettendo fra parentesi la questione relativa all'identificazione del progetto. Che si (tatti di un'idea per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze è ancora da provare, Dovremo scendere sul terreno dei confronti dimenoionali, esplicitati nei nostri disegni di ricostruzione. La sovrapposizione del progetto al rilievo della chiesa realizzata evidenzia puntuali coincidenze. Sovrapponendo il portale del grafico a quello in loco, si ottiene una perfetta corrispondenza in altezza e larghezza; anche i portali laterali assumono dimensioni congruenti a quelle delle porte esistenti. Inoltre, il profilo del rustico è perfettamente correlato a quello dell'U 2048 A: le cappelle sono contenute nelle prime coppie di paraste, e l'altezza delle navate minori è compresa fra i capitelli dorici e la sommità del basamento superiore. Infine, la serIiana si sovrappone al finestrone in sito, mentre le sue colonnine riflettono le finesue della navata maggiore, Anche planimetricamente, le coincidenze sono molteplici. Tenendo conto dello spessore dei l'ivestimenti, la mura tura laterale coincide con il filo attuale, a meno del risalto delle lesene. La coppia di paraste con nicchia intern;edia avrebbe f01'temente segnato, con il suo aggetto, i limiti del nuovo mtervento. Una difficoltà è invece data dalla collocazione dei portali laterali, che non coincidono perfettamente con quelli esistenti". La conttaddizione è aggirabile: al pl'Oposito, possono essere avanzate due soluzioni, esplicitate nella pianta ricostruttiva. La prima - indica ta nel portale destro - accetta l'indicazione data nell'U 2048 A; essa mantiene, pertanto, gli stipiti laterali ortogonali ai muri di facciata, Biso-

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gnerà allora pensare che il programma implicito nel progetto comprendesse la trasformazione delle prime campate delle navate laterali. Forse, il progetto prevedeva scaloni, convenienti a un pontefice, inseriti nei vani delle prime cappelle; essi avrebbero potuto permettere l'accesso anche a una tribuna per le reliquie e per l'organo. Ma non ci sentiamo di escludere un'ulteriore soluzione. La pianta del portale laterale disegnato nell'O 2048 A potrebbe conispondere a una semplificazione. Il progetto avrebbe potuto prevedere porte minori disposte obliquamente, con soluzione analoga a quella ricostruita nella porzione destra del nostro grafico. Del resto, il rustico rivela anomalie metriche, che il nartece avrebbe mascherato. Suombature di porte e finestre sono inoltre all' ordine del giorno nell' architettura del "" primo Cinquecento: le adotta Raffaello in villa Madama, ne fa uso frequente Antonio da Sangallo il Giovane, appaiono nella villa Imperiale di Girolamo Genga e nella Santa Casa di Loreto, assumono valenze prospettiche di grande rilevanza nell'atrio di palazzo Farnese a Roma. J6 L'eccezionalità del progetto O 2048 A è comunque innegabile: la logica addittiva di Giuliano da Sangallo è in esso decisamente rifiutata. Il coordinamento fra plessi ritmici e giochi spaziali è assicurato da una sicura sintassi, tesa a interpretare inventivamente la lezione dell'ultimo Bramante. Raffaello sta già interpretando l'architettura «all'antica» come terreno di virtuosa spe1'Ìmentazione.

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II. Sansovino. Si deve a Chades Davis una proposta relativa a un ulteriore progetto per la facciata di San Lorenzo". Davis ha analizzato un'incisione pubblicata dal Richa - nella prima parte del V volume delle Notizie istoriche sulle chiese fiorentine (1757) - ritenuta spuria da Geymi.iller, arbitraria da Supino, e cautamente avvicinata dal Marchini ai progetti sangalleschi ". Recentemente, lo stesso Marchini ha invece ritenuto opportuno prestare maggiore attenzione alla didascalia che accompagna l'illustrazione, evocante i nomi di Raffaello e di Michelangelo ". L'analisi della facciata permette tuttavia di escludere i due artisti. L'autore è certamente uno scultore-architetto, osserva Davis, molto vicino a Giuliano da Sangallo ma ancora immaturo, capace di raccogliere motivi _ nelle figurazioni scultoree - da Donatello, da Andrea Sansovino, da Andrea del Sarto. Davis profila un'argomentata attribuzione a Jacopo Sansovino, osservando che la figura della Carità, al centro del timpano, rinvia all' analogo soggetto del chiostro dello Scalzo: egli avanza di conseguenza l'ipotesi di una collaborazione fra il Tatti e l'amico pittore '"o Il suggerimento è degno di essere sviluppato, dando per scontate tut-

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te le cautele necessarie a un'interpretazione condizionata dalle deformazioni dell'incisore settecentesco. Anzitutto, una verifica sul contesto di San Lorenzo: questa volta la coincidenza è totale, sia per l'altezza, la larghezza e la giacitura delle porte, che per la posizione delle murature e il profilo del tetto. Si tratta sicuramente, dunque, di un progetto relativo al conc01'SO, estraneo alle maniere di Baccio d'Agnolo e di Andrea Sansovino. Il disegno appare, a una pnma lettura, una variazione semplificata delle invenzioni sangallesche, con ridotti margini di originalità. Anche in esso domina un'intersezione di nanazione scultorea e di architettura, giocata sul frammentismo e su una concezione paratattica dell'impaginato. Nel piano teneno, gli Ol'dini emergono come altorilievi aggettanti dal fondale- ma alle semicolonne corinzie conispondono altrettanti risalti di trab~azione. Inoltre, alle campate maggiori, nonostante la diversificazione dei portali e l'arco che sovrasta quello centrale, viene attribuita la medesima ampiezza: siamo lontani dall' eroismo ottenuto da Raffaello con la sua impostazione elastica e atmosferica. L'attico interposto - ancora come nei progetti sangalleschi - è ritmato da un ordine« bastardo», coronato da una semplice comice; i pilastrini, con specchiature a incasso, sono agganciati al coronamento mediante tratti di architrave. Il terzo livello sorge su un basamento liscio ed è limitato a tre campate concluse da timpano triangolare. Sui tratti residui appaiono edicole tempestate da vasi orifiamma. L'impaginato della terza fascia mostra motivi innovativi: le campate ospitano edicole, inquadrate da lesene contratte; i tahernacoli laterali sono conclusi da timpani triangolari; quello centrale mostra semicolonne tagliate a un terzo del fusto e timpano semi circolare. Gli spazi residuali della campata maggiore sono risolti con semplici specchiature: Giuliano aveva fatto ricorso, per risolvere il problema, alla SolUZIone bramantesca del Belvedere, da cui era derivata la serie nicchiacolonna-nicchia-finestra. La semplificazione consegue al collegamento del tre tabernacoli, ottenuti schiacciando la trabeazione sul piano: l'ultimo livello è cos! dominato da una terna di oggetti architettonici saldati fra 101'0. Il particolare è tutt' altro che trascurabile. Esso rende evidente una riflessione sull' analogo artificio utilizzato nei Mercati Traianei e nell'interno del Pantheon: Giuliano si era forse riferito a quel particolare antico, nei disegni O 276 e 281 A, stabilendo fasce di collegamento fra i timpani delle porte secondarie. E Giuliano, del resto, a impostare il tema dell'impaginato a fasce infittite, che il Tatti riprenderà piti volte. Com'è stato notato, la soluzione dei Mercati Traianei viene interpretata nella facciata del raffaellesco palazzo Branconio dell' Aquila"; ma un elemento simile -- ridotto a una piattabanda lapidea - salda unitaria-

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mente anche i finestroni a timpani alternati del sansoviniano palazzo Gaddi su Canale di Ponte '"o Pertanto, il terzo livello del progetto per San Lorenzo si pone come diretto precedente delle raffinate soluzioni adottate nei due palazzi romani, concepiti pressoché contemporaneamente (1518 ca. e sgg.). Una citazione tutt'altro che trascurabile si inserisce cosi nella grande lastra decorata, che sembra peraltro appartenere al gusto che Bruschi ha riconosciuto come specificamente mediceo ". Iniziano a emergere elementi utilizzabili ai fini dell'attribuzione. È particolarmente persuasivo il confronto fra la triade dei tabernacoli superiori e quella - piu matura e incisiva - della facciata realizzata dal Tatti a Roma. L'analisi può proseguire, esercitandosi in modo «morelliano» sui particolari. Il ritmo triadico imposto ai tratti laterali dell' attico - due fasce strette e allungate che affiancano un incasso a bassorilievo - ha il compito di togliere inerzia alla vasta superficie. Il medesimo ritmo fraziona, allivello inferiore, la fascia sotto la trabeazione, per riflettersi in un'ulteriore frantumazione verticale, ai lati dei portali secondari. I legami che J acopo stringe con la maniera tarda del suo maestro, Giuliano da Sangallo, sono dunque ricchi di esiti. Un conf1'Onto persuasivo: quello fra le specchiature dei disegni U 276 e 281 A e il trattamento del piano nobile del primo cortile di palazzo Gaddi. Anche in quest'ultimo, specchiature verticali a l'incasso - a lato delle finestre - trasformano il piano di fondo in un sorta di vibrante e astratto bassorilievo; anche qui il parapetto inferiore accoglie specchiature che riflettono il ritmo dell'impaginato principale. Risulta confermato quanto si è osservato a proposito delle finestre collegate: Raffaello e Sansovino adottano analoghi fras~ggi, anche se inseriti in diversi contesti. E il gusto della lastra impreziosita da intagli, che Sansovino eredita dal Sangallo: entrambi giocano sull'intersezione di astrazione architettonica e di narrazione scultorea. E va osservato che il progetto per San Lorenzo sembra corrispondere puntualmente alla facciata effimera di Santa Maria del Fiote descritta da Vasari. Il Tatti ha di certo trasferito sull'invenzione per la chiesa medicea la composizione che aveva incontrato l'ammirazione del papa; la notazione di Davis sulla possibile collaborazione di Andrea del Sarto e di Sansovino assume, alla luce di tale ipotesi, un'ulteriore valore. La riflessione sui progetti sangalleschi accompagna del resto l'intera opera del Tatti: le semicolonne doriche scanalate, che appaiono nella facciata di San Giuliano a Venezia - progettata nel 1553 circa - rinviano anch'esse ai disegni U 276 e 281 A". Possono essere indicate ulteriori prove indirette della paternità sansoviniana dell'invenzione. L'impostazione gradonata l'invia direttamente alla Loggetta in piazza San Marco, a Venezia, nella sua forma origina-

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ria. Com'è noto, la miniaturizzata colulnnatio del Tatti rimane priva dei pannelli laterali dell' attico fino all'intervento di Giorgio Massari "; il suo aspetto cinquecentesco è documentato dallo Sfondo dell'Adultera del Pordenone (Venezia, Fondazione Cini), e dall'incisione del 16ro di Giacomo Franco. John Bury, tuttavia, ha considerato un disegno di Franci- 44 sco de Hollanda (1540 ca.) come copia dell'opera realizzata ". Lo studioso ha tentato di spiegare la presenza, nel grafico, di statue diverse da quelle effettivamente scolpite, ricorrendo a un'ipotesi poco credibile: quelle raffigurate da Francisco sarebbero opere provvisorie, collocate in attesa di quelle definitive. L'erezione della Loggetta data dal 1538 al '540; le quattro sculture bronzee vengono finite nel 1545. L'ipotesi di Bury è facilmente falsificabile e non spiega come mai la copia del portoghese mostri un attico completo. Il problema posto dal disegno di Francisco de Hollanda è invece risolvibile considerandolo copia non della Loggetta realizzata, bensi di un primo progetto: che Sansovino abbia dovuto modificare idee originarie emerge da una vita del Tatti, scritta int01'l10 al 1539, su cui dovremo tornare'''. È comunque possibile articolare ulteriormente il paragone fra la Loggetta e il progetto per la facciata fiorentina. Che l'organismo della Loggetta debba qualcosa al bramantesco «tegurio» di San Pietro è probahile; ma l'articolazione delle sue membrature e la sua ritmica complessiva hanno molto a che fare con la zona inferiore dell'incisione edita dal Richa. In particolare, va notata la monotona andatura, dovuta all'identica misura assunta dalle tre arcate, affine a quella delle campate maggiori del progetto per San Lorenzo. Il Tatti non accetterà mai valenze eroiche: alla sua maniera sono estranee le elasticità raffaellesche, le tonalità evocate da ordini giganti o da ordini intersecati, le complesse organizzazioni spaziali. Nelle sue opere «all'antica», egli è fedele, piuttosto, a una architettura fatta di piani impreziositi o organizzati a diaftamma "'. È nell'articolazione dei limiti prospettici, che egli sfrutta al massimo una poetica fatta di raffinati edonismi visivi. Ma, nel progetto per San Lorenzo, le parti narrative sembrano evitare le valenze dionisiache cui Giuliano da Sangallo em ricorso nel cortile del palazzo fiorentino di 4' Bartolomeo Scala. Emerge piuttosto, dall' invenzione, una vera e propria celebrazione 43 della superficie. L'apparato degli ordini emerge da un piano di fondo che materializza l'orizzonte prospettico: tratti di murature neutre, coronate dalle trabeazioni e intersecate da cornici, sottolineano la struttura di supporto su cui si disegna l'impaginato. Il motivo è frequente nelle opere di Giuliano: si pensi alla facciata di palazzo della Rovere a Savona.

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I progetti di Raffaello e del Tatti per la chiesa fiorentina esprimono dunque scelte diametralmente opposte, all'intemo del medesimo codice linguistico. E le insofferenti proposte sangallescbe, pur rimanendo all' origine dell'idea sansoviniana, perconono, come s'è accennato, un ulteriore tragitto. La composizione addittiva si fa esasperante: nicchie, targhe, tabemacoli, semicolonne, sembrano volersi liberare della costrizione che le aggancia al piano di fondo; il telaio non contiene pili l'esuberanza degli elementi. I! dualismo figurazione-astrazione, enunciato nel cortile di Bartolomeo Scala, diviene tragico: l'animazione scultorea, nei disegni U 277 e 40 278 A, si introduce nella passiva olimpicità del tessuto architettonico compromettendone l'unità, invadendolo, contestandone la fissità. Gli inserti scultorei sembrano voler smembrare il telaio architettonico. Quest'ultimo, nei fogli U 280 e 281 A, è invece frantumato dall'insistito incidere delle legature orizzontali, dal sovrapporsi dei volumi, dal moltiplicarsi degli scavi murari. In un certo senso, la tensione che scaturisce da tali prove dell'artista ammette un'interpretazione warbul'ghiana. Nelle omogenee tessiture del Sangallo, il vitalismo dei bassorilievi e delle sculture a tutto tondo, immette note perturbanti. Incalzando l'osservatore, quelle nanazioni introducono eros nella matematica misura che le accoglie. L'inquietudine che esse suscitano non è placata dall'omogeneità del telaio: anzi, esso stesso sembra esseme scosso. Una tonalità frammentistica sembra comunque essere l'ultima parola di Giuliano da Sangallo. Ed è significativo che l'atmosfera creata dall'intera serie dei suoi progetti per San Lorenzo sia affine a quella che informa alcuni dipinti di Sandro Botticelli, in cui l'intreccio fra scena narrata e architetture «animate» è talmente vicino alla sperimentazione di Giuliano, da far sospettare una sua responsabilità nella loro ideazione"'. La Calunnia di Apelle agli Uffizi è il pili scontato, fra tali quadri. Ma si faccia attenzione alle Storie di Virginia Romana (Bergamo, Raccolta Mo4' relli), o ancor pili, allo scenografico apparato che fa da sfondo alla Storia di Lucrezia del Gardner Museum di Boston. Nell'edificio di destra - in tale ultimo dipinto - fra due ordini di altezze diverse si incastl'a una lastra scolpita. Quest'ultima è compressa fra la profondità atmosferica di un ingresso e la trabeazione superiore, con fregio narrativo. In modo inatteso, appare il tema dell'ultimo livello del Belvedere bramantesco e del ptogetto di Raffaello per la facciata di San Lorenzo. Se l'edificio dipinto costituisca un' anticipazione o meno non è per ora possibile accertarlo; ma di certo una medesima ispirazione accomuna tale gruppo di opere botticelliane ai progetti del Sangallo finora discussi ".

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È veramente all'intemo di tali tematiche anche il progetto di Jacopo Sansovino? La risposta non può essere affermativa. Anche nelle grandi opere veneziane, egli interpreterà la lezione di Giuliano in chiave di equilibrato rapporto fra scultura e architettura. In Sansovino, il !l'agico si trasforma in piacere visivo, aprendo vie inedite dopo aveme chiuse altre. I! sangallismo del Tatti, come si esprime nella facciata di San Lorenzo, è dunque riduttivo, ma proprio come tale stimola alcune considerazioni sul momento culturale espresso dal concorso leonino del 1515-16. III. Bilancio di una competizione. Il ricorrere di elementi comunila struttura a tre livelli con attico interposto, l'apparire di edicole finali, l'introduzione di narteci - sembra denunciare scambi fra i concorrenti, o, quantomeno, variazioni su temi prefissati. Era sicuramente evidente, del resto, il valore che i risultati del concorso avrebbero avuto, relativamente a un tema difficile, come quello di una facciata indipendente "'o Di conseguenza, non può essere considerato neutrale il rifiuto del modello proposto dall'Alberti in Santa Maria Novella: un modello che sfrutta suggerimenti provenienti dall' antico, ma che non ignora la tradizione romanica fiorentina. Viene da sospettare che un accordo sia stato raggiunto sul tipo ideale da seguire, che rinvia alla facciata di chiesa raffigurata nella nota, e discussa, placchetta argentea del Louvre '". Va registrato un ulteriore rifiuto: quello relativo all'ordine gigante esteso all'intera altezza della fronte, proposto da Bramante per la parrocchiale di Roccaverano e probabilmente noto ai concorrenti ". Il tema comune è invece quello del trionfo perseguito tramite elementi tratti dagli archi antichi: semicolonne binate, attici, apparati scultorei, L'archetipo di riferimento è soltanto evocato, ma un programma celebrativo preciso sottostà alla competizione. Il richiamo alla facciata della chiesa di Santa Cristina a Bolsena - come matrice dei progetti sangalleschi, in partlcolare - può contenere una spiegazione, qualora si accetti l'ipotesi avanzata da Fagliari Zeni Buchiccio. Questi ha pensato che gli scultori Francesco e Benedetto Buglioni, che realizzano la chiesa di Bolsena nel 1493-95, abbiano tenuto conto dei risultati del concorso laurenziano (1490) per la facciata di Santa Maria del Fiore". In tal modo, si creerebbe una genealogia le cui ramificazioni potrebbero ancora essere indagate. Alcune analogie fra i progetti sangalleschi e il progetto raffaellesco, comunque, sono già emerse. I primi studi di Michelangelo, da parte loro, mostrano una sintomatica indecisione. Databili alla seconda metà del 1516 - e comunque posteriori ai disegni di Giuliano, di Raffaello e di Sansovino - il «progetto preliminare» del Buonarroti accoglie spunti da

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continuo documenti relativi al palazzo. Le due opere inoltre, per quanto dotate di diversi livelli di coerenza, tisultano complementan grazie alle loro planimetrie. .• Due invasi circolari dominano il palazzo e la cattedrale. Il secondo e implicitamente riferito al modello ideale della roton~a-n:ausoleo; la s~a cupola risuona come analogon della grande volta dell ~l1lverso. Il cortile circolare del palazzo non è voltato. Tuttavia, ltl ess~ e presente una cupola metaforica: quella del cielo. Non può non ~olplrela quaSI contem~ poranea concezione, a Granada, di due spazI CIrcolari, entrambi legati alla figura emblematica dell'imperatore: il pnmo - Il palazzo destinato alla vita - con un cuore concluso dalla volta cosmica; Il secondo - Il mausoleo - consacrato alla morte e alla fama. Augustfn Bustamante e Fernando Marias hanno intuito il nesso profondo fra i due invasi. A conferma, essi offrono una interpretazione innovativa della real cedula de123 dicembre 1528, letta di solito come documento attestante Il gusto gotico dell'imperatore. Carlo V, a loro parere, non SI oppone affatto al prog~tt? «al romano» di Diego de Siloe - che SOStitUIsce, nel cantiere aI:pe~1a ltl~­ ziato, Enrique Egas - bens! si preoccupa unicamente di questlOl1l statlche relative alla Capilla Real". . L'ipotesi di Bustamante e Marias è preziosa..La cappella funel:M'I~ imperiale e il palazzo di Carlo V vengono concepltllt; te!npl assai VI~ltll fra loro, entrambi con l'approvazIOne del sovrano .. Ed e I:ota. la tesI di Rosenthal, che ha letto nella cattedrale un'opera Ul1ltana, nferlta al Santo Sepolcro di Gerusalemme. . ., È tuttavia veramente necessario pensare a UI?a cosciente CitaZIOne, da parte di Siloe, del Sepolcro gerosolimitano? E stato osservato, ..acuta~ mente, che il gruppo delle cattedralI sIloesch~ mostra. una. l?-estn~abIle mescolanza formale: la continuità con I grandi modelli gotiCI SI ul1lsce a sintassi decisamente originali H. Le sue strutture ad Hallenktrche SI dlffe~ renziano da quelle a sezioni degradanti, che informano le catted;a.II di Salamanca, Segovia e Valladolid, ma rimangono fedelI alla tradlZl,on.e spagnola puntualizzata da Lazaro de Velasco. Questi nconosce} eSIstenza di «diversas maneras de templos acomodados al uso Chllstlano >>: al «modo Romano que en Espafia ~e an usado o al modo tedesco o de Alemanja que dizen al Moderno»". E stato ipotlzzato che co~ «~o~ do romano» il traduttore di Vitruvio in lingua spagnola ltltenda nfenrs~ a opere romaniche, come le cattedrali di Santiago de Coml?ostela e di Salamanca, con caratteristiche piti prossime alle nuove ba.silIche «a la antigua» che a quelle gotiche "'. Comunque, Velasc? p~rla di un «uso romano que agora se pratica», con due vanantl baSilarI:

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en la manera antigua que es armando sobre el rcdondo o quadrado C0l110 lo a hecho Brabante [Bramante] o otfOS ytalial10s platicos o con pilasttos y nabcs que son dcmbaraçados y escambrados como los de Espafia)Ì.

Organismi «dembaraçados y escombrados» sono quelli, resi trasparenti e diafani dal sistema dei sostegni verticali, delle cattedrali di Guadix, Miilaga e Granada: la tradizione cattedralizia spagnola è in esse rispettata in pieno. Ttadizione cristiana, come riconoscerà Ftancisco del Castillo, che ptescrive piante «guardando la orden y decoro que nuestros antiguos an tenido y se tiene en hazet templos catedrales »,

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que se hazellos en cruzcfO - egli continua )\ - para que rapresenten aJeso Cristo crudficado y anSI va la dicha pIanta en forma dc cruz y en proporcion y mcdida del CUCfpo dc un ombre y de esta manera que, puesta la punta dc et compas cn medio dc la capilIa que esta mas abaxo y junto al cruzero y la atra punta en la parte de fucra dc la pal'ed de la delantera del tcmplo y haziendo un dI'culo, vendrà a tocar el dicho ch'Culo cn 10s quatro estremos de la pIanta quc son 10s dos estremos dc d cruzero y 10s dos estremos de la nave mayof.

Marias ha osservato che tale sistema di costruzione grafica avrebbe potuto essere sottoscritto, all'epoca, da un goticista indefesso come Rodrigo Gil de Hontafion, che lo ptopone nel suo Compendio de arquitectura y szmetria de los templos ". La prassi era stata seguita, tra l'altro, nella cattedrale di Toledo. Siloe, pertanto, non volge del tutto le spalle alla grande tradizione gotica. Su tracciati planimetrici eredi dei modelli collaudati egli innesta la nuova organizzazione proporzionale, basata sul modulo e sugli ordini, utilizzando, forse, analoghi esempi di coniugazione di goticismo e di lingua antichizzante: vedi gli interni delle cattedrali di Pienza e di Pavia. Ad esse rinviano infatti i sostegni delle navate di Granada e di Malaga: quattro semicolonne emergenti da un pilastro articolato, con alto attico sfondato da archi. A questo punto, la rotonda della cattedtale grana dina potrebbe essere letta come semplice ttasformazione delle terminazioni tradizionali a deambulatorio. L'otganizzazione planimetrica - dovuta all' originaria funzione di mausoleo di tale settore della chiesa - deriverebbe da un completamento del giro semicircolare dei pilastri. La configurazione a setti trapezoidali determina conseguentemente l'ardita strombatura prospettica delle volte: la soluzione prospettica introdotta da Battagio in Santa Maria della Croce a Crema ne è un timido precedente. Ne deriva un suggestivo effetto di itraggiamento, che, dal centro del cerchio planimetrico, si proietta nel ritmo alternato delle cappelle del deambulatorio. Lo spazio è modellato da una solta di trionfale espandersi di forze, a partire dal pantheon reale. La struttura a cinque navate obbliga inoltre l'architetto a deformare i setti del mausoleo rivolti verso il contratto transetto: su tali triangoli irte-

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Capitolo sesto

golari, si ptoiettano i pilastri polilobati, stringendo fra loto nicchie a tabernacolo. Il modello dell'Anastasis potrebbe dunque non aver avuto, nel caso di Granada, l'importanza attribuitagli: abbiamo tutti gli elementi per vedere nell' organismo siloesco un adattamento di tipi tardo gotici alla funzione eccezionale della cattedrale-mausoleo. In qualche modo, ce ne rendiamo conto, stiamo awalorando la vecchia ipotesi di Karl Justi e di G6mez Moreno-Gonzales, piii volte ripresa in seguito, circa il ptocesso con cui Siloe trasforma la terminazione semidec~gonale tracciata da Enrique Egas w. E indubbio che la geniale soluzione degli archi ttionfali deformati ptospetticamente collega il vano cupo lato al deambulatorio in un modo che nulla ha a che fare con gli esempi tradizionali ": ma il ruolo che i modelli italiani possono,aver avuto nell'ideazione dell'organismo richiede alcune precisazioni. E infatti possibile concordare una volta di piii con Marias, che riconosce nel dispositivo del secondo transetto - dotato forse, nel progetto originatio, di lanterna nella mezzeria" - soluzioni che Siloe può aver conosciuto a Roma, poco prima del suo rientro in Spagna. Si tratta in particolare dei progetti per San Pietro U 255 A e U 37 A,.: Antonio da Sangallo il Giovane introduce in essi - in polemica con la buia navata unitatia di Raffaello - una cupola supplementare nella nave mediana, ampliata lateralmente a mo' di transetto "'. Dovremo allora giudicare l'opera di Siloe come derivata da mescolanze linguistiche? Per decidere - prescindendo dalle volte goticheggianti, di epoca posteriore" - può essere utile il confronto con paralleli francesi, COme le chiese di Saint-Eustache e di St.-Etienne du Mont a Parigi. Il termine mescolanza è particolarmente adatto alla prima; ma non è utile per la sintassi siloesca, che non conosce i barbarismi dei primi esperimenti italianeggianti europei. Né Siloe è un vitruviano, beninteso. Dovremo concludere che per il suo linguaggio - come per quelli di Andrés de Vandelvira e di Hernan Ruiz il Giovane -la categoria dell'eclettismo non spiega nulla. Appare piii proficuo riconoscere a Siloe un'originalità dovuta ad approcci talora ingenui alla maniera all' antica, ma dotati di una libertà consentita - paradossalmente - dal loro innesto in ttadizioni compositive e costruttive di diversa tradizione. L'osservazione non è gratuita: serve a distinguere, e con nettezza, l'opera di Siloe da quella dell'autore del palazzo di Carlo V. Nella prima, l'eco di dispositivi gotici è motivo di al'1'icchimento sintattico: l'architettura all'antica non è accettata come modello assoluto. Nel palazzo, la contraddizione tra impianto e particolari sembra invece detivare da una volontà di emulazione che si inceppa in difficoltà impreviste. In altre pa-

La Granada di Carlo V

~'ole: quanto in Siloe ~'imane di mentalità gotica ha un effetto ltbel'cmte, mduce a sperllnentazl0111 che una ngorosa sintassi all'antica non avrebbe con,:,esso. Di contto, un sapiente conttollo degli organismi impedisce al suo lmguagglo dI SCivolare verso le mcertezze che informano le architetture di Luis de Vega e di Alonso de Covanubias. Tornian,;o a~a cattedrale granadina, per analizzarne meglio la rotond~; oggetw m s~ fmlto. Essa dialoga con il corpo longitudinale in modo pIU orga111co dI quanto non avvenga nella rotonda fiorentina dell'Annunziata, o negli esempi medievali e l'Ìnascimentali concepiti in analogia con. ti Santo Sepolcro: la mediazione è assicurata dai setti finali ". La dialettIca SI svolge fra spazi autonomi. Gli ordini i colori le luci confermano il dualismo implicito nel modello. Sia legg'endo l'i~sieme 'della cattedrale com~ unità dialettica, sia isolando il mausoleo, rimane l'analogia fra lo spaZIO della mOI'te (e della resurrezIOne) e quello della vita costruiti con "l?arole piene» all'interno della città e dell'Alhambra. ' . ln'pnmaistan~a, è logico ipotizzare un riferimento agli spazi circola1'1 antiChI: Cl troVIamo di nuovo di fronte a una simbologia imperiale. TuttavIa, nella cattedrale granadina i riferimenti al Pantheon adrianeo sono del tutto &enerici. Anzi, essi sono analogici: limitati _ vale a dire _ alla 6gura Rla111metnca. I due ordini sovrapposti, la cupola nervata lo shncIO verticale dello spazio, gli arconi trionfali strombati denuncia;10 pIuttOSto, la volontà di sganciarsi da tale modello. Né 1'« ar~o toral» ch~ unisce in m~do i,,;edito mausoleo e corpo basilicale, sarebbe stato ~on­ ceplbile al dI fuol'l della prassi costruttiva spagnola: i saperi tradizionali a~ISCOn(~ Immettend? gradi inediti di libertà configul'ativa. L'assimilaZIOne del moddh ~ntIChl e roma111 usufrulsce, pertanto, di strumenti autoctom d~ m~dlazIOne, che - come piti tardi per Andrés de Vandelvira e per Ru~z ti GIO.vane - consentono sperimentazioni impensabili in Italia. Ma tipICO dI Stloe - da annoverare fra i maggiori architetti europei del XVI secolo - è la capacità di coniugare continuità, innovazione e «ritor-

no».

Siloe tenta infatti di individuare una declinazione originale della sintaSSI, con un ncorso, forse, a esempi sar;gall~schi. I due ordini sovl'appoStI della rotond~ -m partIcolare quello mfe1'1ore, con archi inquadrati da semI colonne e fmestre. rettan~olari sotto la trabeazione - potrebbero derIvare dal p~ogetw a pIanta. cI:colare di Antonio il Giovane per San Gio- 5°,51 van111 ~~I FIOrentl111, su C:'I Cl si~mo s~ffermati nel capitolo quarto. Siloesc~ e lllvece h proporzIOne, dl2 : I, fissata per l'altezza del vano cupolawnspetto ~l suo. dIametro, cosi come la forma data alla cupola stessa. Il dlsegn~ del fastIW sup~riori implica inoltre una ricerca di originalità '" rIspetto al modelh ltaham; mfme, le bifore, che moltiplicano le luci del

Capitolo sesto

secondo livello, creano una discontinuità singolare nel sovrapposti delle bucature. L'effetto desiderato è quello di una illuminazione che piova dall'alto mediante la riduzione della muratura a un diafano schermo. Rimane: tuttavia, il rigoroso - e sangallesco - ~llineamento verticale delle semicolonne, prolungato dalle nervature fmo al centro della cupola, mentre i contrafforti si innescano sui setti radiali della rotonda. L'artista spagnolo sembra aver conosciuto, nel corso della sua per~ manenza in Italia, molti progetti del Sangallo. Ma.non è ~s0~so che eglI possa essere entrato in contatto anche con lo Zl? di questi, GIUlIano. C~­ m'è noto, Bartolomeo Ordonez, che nel 1520 cita nel suo testamento SIloe come socio aveva lavorato come scultore a NapolI, nella cappella Caracciolo di Vico, terminata nel 1516 sotto la direzione di Tommas~ Malvito ". L'architettura della cappella - a pianta circolare con coppie di semicolonne dOI'iclIe in aggetto, che traducono plasticamente il motivo usato da Bramante nell'interno del tempietto di San Pietro in Montono _ ha sollecitato le l'ili varie e fantasiose attribuzioni. Anche Machuca e Siloe sono stati proposti come autori dell'opera ". Non è stato invece notato che tutti i suoi elementi sono tipici di Giuliano da Sangallo. La pIanimetria ad esempio, ha attinenza con quella del disegno 741' del Codice Barb. L;t. 4424, che a sua volta appare con:e varia~ione della ,;'otonda periptera che appare nel «disegno grand~ssl1n.o» dlBr~mante " Le semicolonne doriche scanalate e la forma del capitellI rmvlano deCisamente ai progetti per la facciata di San Lorenzo a Firenze e alla loggia per i suonatori papa!i"'. . .. L'origine romana della gil'ola di Granada non è comunque discutibile mentre valgono tutte le osservazioni fatte da Marias e Bustamante s~ll'originalità costruttiva delle rotonde spagnole del XVI se~olo '". Ma nella definizione del deambulatorio appare un' esplICita e sorprendente citazione del coro bramantesco di San Pietr