Racconti della pioggia di primavera 8831755129, 9788831755122

Scritto nel 1808, Harusame monogatari (Racconti della pioggia di primavera) è composto di dieci racconti che spaziano da

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Racconti della pioggia di primavera
 8831755129, 9788831755122

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Ueda Akinari (q34-1809) è uno dei rappresentanti più raffinati e originali della cultura del Giappone premoderno; buon conoscitore di letteratura cinese, sensibile filologo ed esegeta del patrimonio giapponese classico, è anche autore di racconti dove l'erudizione si intreccia alla fantasia, dove cronaca, storia e leggenda sono mescolare con mano sicura e anche gli elementi più drammatici e macabri acquistano una nuova raffinata coloritura grazie al gioco sapiente di allusioni e riferimenti alla grande pagina letteraria di epoca classica. Come scrittore ha legato il suo nome soprattutto a &eco n ti di pioggia e di luna (Ugetsu monogatari, 1768), raccolta di nove racconti fantastici che, pur ispirati all'analoga produzione cinese, ne rinnovano completamente temi e atmosfera, e al testo qui presentato che, rimasto a lungo sconosciuto al pubblico, è stato ricostruito nella sua versione completa solo nel 1952.

In copertina: illustrazione dal libro Il metodo di pittura

di Hokusai, 1918.

Scritto nel 1808, Harusame monogatari (Racconti della pioggia di primavera) è composto di dieci racconti che spaziano dalla riproposta di eventi storici, rivissuti alla luce di un'immaginazione che accetta il fantastico e il soprannaturale come parte integrante dell'esperienza umana, a brani satirici e umoristici, a libere elaborazioni di fatti di cronaca, leggende e tradizioni. Allo stesso tempo esso si presenta come il manifesto della filosofia di vita dell'autore, rivelando il suo rifiuto di ogni forma di ipocrisia e di arrivismo, il suo gusto per la polemica, la simpatia verso personaggi ribelli ed emarginati nei quali visibilmente si identificava. MARIA TERESA ORSI insegna letteratura giapponese

presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Per la Letteratura universale Marsilio ha curato Racconti di pioggia e di luna di Ueda Akinari (1988, 20106), Sanshiro di Natsume Soseki (1990, 2009'),

Sotto la foresta di ciliegi in fiore e altri racconti

di Sakaguchi Ango (1993; vincitore del «Premio Internazionale Noma 1994 per la traduzione») e I demoni guerrieri di Ishikawa Jun (1997, 20091).

Letteratura universale Marsilio

MILLE

GRU

Collana di classici giapponesi diretta da Adriana Boscaro e Luisa Bienati

U e da Akinari

Racconti della pioggia di primavera a cura

di Maria Teresa Orsi

Marsilio

Traduzione dal giapponese di Maria Teresa Orsi

Ueda Akinari

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Harusame monogatari

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© 1992 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: giugno 1992 ISBN 978-88- 317- 55 1 2 www.marsilioeditori.it

INDICE

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Introduzione

di Maria Teresa Orsi 29

Ueda Akinari: la vita, le opere Il manoscritto dello Harusame monogatari

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RACCONTI DELLA PIOGGIA DI PRIMAVERA

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35 37 53 65 79 87 97

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127

145 151 195 2 07

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Prefazione La cortina insanguinata Le fanciulle celesti Il pirata Un legame che dura due vite Il dio con un occhio solo Il sorriso della morta Suteishimaru La tomba di Miyagi In onore della poesia Hankai

Note al testo Appendice. Storia di un uomo di valore Glossario

AVVERTENZE

Il sistema di trascrizione seguito è lo Hepburn, che si basa sul principio generale che le vocali siano pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese. In particolare si tengano presenti i seguenti casi:

eh g h ;

s sh u w

y z

è un'affricata come l'italiano «O> in cena è sempre velare come l'italiano «g» in gara (quindi Genta va

letto «Ghenta») è sempre aspirata è un'affricata (quindi Kodanji va letto « Kodangi») è sorda come nell'italiano sasso è una fricativa come l'italiano «SO> di scena in su e in tsu è quasi muta e assordita va pronunciata come una «U» molto rapida è consonantico e si pronuncia come l'italiano «i» di ieri è dolce come nell'italiano rosa o smetto; o come in zona se iniziale o dopo «n».

La lunga sulle vocali indica l'allungamento delle stesse, non il raddoppio. Tutti i termini giapponesi sono resi al maschile in italiano. La trascrizione dei termini cinesi è in pinyin. Per non appensantire ulteriormente di note il testo e l'Introdu­ zione, i termini e le persone citati hanno una loro voce nel Glos­ sano. N.B. Seguendo l'uso giapponese il cognome precede sempre il nome. Nel periodo trattato, inoltre, i personaggi erano noti soltanto con il nome, quindi Akinari invece di Ueda.

INTRODUZIONE

Mercante per nascita, medico per necessità, studioso per scelta e scrittore per vocazione, Ueda Akinari ha legato il suo nome soprattutto a quest 'ultima attività, diventando famoso per due opere letterarie, i Racconti di pioggia e di luna ( Ugetsu monogatari, 1768)' e Rac­ conti della pioggia di primavera (Harusame monogatari, 1808). All' apparenza, lo scrittore non semb rava dare troppa importanza a questa sua scelta, definendo i propri racconti, con ironico distacco, «futili storielle» o «operette frivole)> e accettando quindi, in omaggio ai dettami della cultura ufficiale, la dicotomia fra «lettera ­ tura colta)> - gli studi classici, la prosa in cinese, le opere storiche - e una produzione meno impegnativa sul piano intellettuale e ideologico . In realtà un esame anche rapido delle opere di Aki­ nari porterebbe a ritenere q uesta sua noncuranza frutto più che altro delle circostanze, se non di una sorta di civetteria dell ' uomo di lettere ben convinto in definiti­ va del significato della propria creazione. Già nella prefazione di Racconti di pioggia e di luna, l ' autore, 9

come raffronto indiretto ma ine q uivocabile con la p ro ­ pria opera, cita La storia di Genji (Genji monogatari) e Sul bordo dell'acqua (Shuihuzhuan), due capolavori ri­ spettivamente della prosa giapponese e cinese, ben noti e apprezzati anche ai suoi tempi2• Si pone q uindi in una linea ideale che lo accomuna ai due grandi scrittori del passato i q uali hanno avuto il p regio , secondo le sue stesse parole, di « far echeggiare le corde nascoste nel­ l' animo del lettore» e far conoscere una realtà lontana di mille anni. È già q ui enucleata una prima visione del romanzo come opera capace di suscitare una risp osta emotiva in colui che legge, essendo esso stesso scaturito dal sentimento dell'autore. Questo concetto sarebbe stato riveduto in scritti posteriori, anche se Akinari non giunse a una trattazio ­ ne organica e sistematica dell'argomento. In un breve studio sul Genji monogatari, intitolato Nubatama no maki (Il rotolo delle tenebre) scritto intorno al 1779, l'autore ci presenta un poeta e studioso del xvr secolo , Sochin, che dedicò parte della sua vita a ricopiare ben venti q uattro volte il lunghissimo romanz o . Una not­ te in sogno incontra il famoso poeta Kakinomoto no Hitomaro che gli spiega come in realtà il Genji mono­ gatari non abbia alcuna utilità e sia errato ritenerlo un prezioso veicolo di insegnamenti e di istruzione morale come avveniva nei tempi passati. Da q ui il discorso si sposta al romanzo più in generale, di cui viene sottolineata la natura effimera, e il cui compito si esaurisce nella consolazione che può offrire al lettore. Con le sue argomentazioni sulla funzione del roman­ zo separata da ogni uso didattico , Akinari si affiancava a molti intellettuali del suo tempo, da Kamo Mabuchi al suo coetaneo e rivale Motoori Norinaga. Eppure, ai suoi occhi, anche un oggetto così «inutile» come il 10

romanzo possiede un valore sociale, purché in esso si nasconda l'intenzione dell' autore di esprimere la pro­ pria interpretazione della vita e del mondo che lo cir­ conda . Questa affermazione viene ripresa in Yoshi ya ashi ya' del1793. Secondo lo scrittore : «> (ukiyozoshi), dominate da accorti mercanti, padri parsimoniosi e figli dissoluti. La prima svolta è segnata dai Racconti di pioggia e di luna, dove si fondono due elementi : da una parte il ritorno al passato e alla storia del Giappone, dall' altra la scelta del fantastico e del mondo soprannaturale, che non solo vincola i racconti al modello già da tempo apprezzato della letteratura cinese, ma enfatizza, privilegiando temi straordinari e non quotidiani, la libertà di scelta artistica e le qualità retoriche intrinseche all'opera. I Racconti della pioggia di primavera rappresentano uno stadio ulteriore della ricerca di Akinari, non ancora del tutto elaborata al momento della loro creazione, se dobbiamo credere alle parole dell'autore che nella prefazione afferma : « . . . per quanto rifletta non trovo nulla da scrivere». Su una cosa tuttavia, egli sembra non aver dubbi : che «raccontando bugie» si fa letteratura e che nella «falsi­ tà» sta il fascino dell'opera d'arte. Accettando la successiOne dei racconti proposta 12

dalle edizioni critiche correnti, è possibile una divisio­ ne in tre gruppi relativamente omogenei. I tre racconti storici che aprono l'opera, La cortina insanguinata, Le fanciulle celesti e Il pirata, sono unificati dall 'essere una riscrittura di avvenimenti del passato, ma anche da una continuità cronologica, svolgendosi in momenti suc­ cessivi situati tra 1'806 e 1'848. Il Dio con un occhio solo e In onore della poesia appaiono invece come brevi storie dettate dal desiderio di enucleare una definizione sulla natura e i procedimenti della poesia, che nell ' interp re­ tazione dello scrittore nasce prima di tutto dalla voca­ zione individuale. Ad essi si potrebbe aggiungere Un legame che dura due vite, che attraverso la storia appa­ rentemente non conclusa del monaco redivivo propone un esame critico delle credenze b uddhiste. Il pirata potrebbe occupare una posizione intermedia fra i due gruppi. Infine, l ' ultima sezione è composta dai rest anti q uattro racconti la cui struttura drammatica è molto più elaborata , i personaggi ben definiti, l' intreccio più consistente. Più in generale , si può osservare che i primi sei racconti sono permeati dalla visione didattica dell' au­ tore e tesi nello sforzo di far collimare i due poli da lui ritenuti indispensabili nella formazione di un racconto: l'elaborazione drammatica (la «bugia») e accanto a q uesta la volontà di chiarire la propria visione del mondo e un'eventuale critica della realtà presente. Una parziale eccezione è rappresentata dalla Cortina insan­ guinata che pur strutturata attorno a un episodio stori­ co - una congiura di palazzo - è dominata dalla figura dell' imperatore Heizei, elevato da Akinari a modello del suo ideale di animo puro e sincero (naoki kokoro), simbolo dello spirito originario del Giap pone , non ancora alterato dall 'influenza cinese e dalle dottrine 13

confuciane e buddhiste. È evidente la presenza della scuola di pensiero cui Akinari apparteneva - il koku­ gaku o «studi nazion ali» - volta a comprendere e a far rivivere, attraverso ricerche sul linguaggio, il passato del Giappone. Essa si stempera sullo sfondo del raccon ­ to, ma sen za mai imporsi e senza alterare la dinamica dei fatti. Heizei che non a caso è poeta raffinato, conoscito­ re delle opere letterarie del pass ato e partecipe di q uella cultura di cui rievoca lingu aggio e poesie, si contrappo­ ne al nuovo imperatore Saga , politico accorto, pronto ad accogliere i suggerimenti della vicin a Corte cinese, infatuato della cultura del continente. Le fanciulle cele­ sti, che si presenta, almeno nel contenuto, come il segui­ to del primo raccon to, epitomizza inoltre i nuovi tempi nella figura di Yoshimine no Munesada, p ragm atico e abile figlio della propria epoca. Nel Pirata il conten uto didattico travalica la struttura poetica, ma al contempo il racconto è una conferma della volontà dell'autore di difendere l 'autonomia della creazione letteraria: il vi­ stoso errore cronologico che pe rmette a due personaggi storici vissuti in epoche diverse di incontrarsi e discute­ re è sottolineato volutamente da Akina ri. La giustifica­ zione può essere q uella di voler creare un app iglio per un lungo monologo dove si fondono erudizione e cono­ scenze filologiche e dove il pirata diventa portavoce delle idiosincrasie di Akinari, ma è anche un espediente per costruire nelle prime battute un'atmosfera dram­ matica, ricca di suspense, azione e umorismo. L'impianto narrativo è molto più consistente nel Sor­ riso della morta, ispi rato peraltro a un fatto di cronaca avvenuto nel dodicesimo mese del176 7, q uando il gio­ vane Genta della famiglia Watanabe aveva ucciso la propria sorella di diciassette anni 5• La versione di Aki ­ nari introduce subito il luogo dell'azione� i personaggi 14

hanno un nome e non sono indicati solo in base al loro ruolo o ai loro attributi, come era avvenuto invece nel Dio con un occhio solo e in Un legame ch e dura due vite. L'autore si sofferma a descrivere le loro qualità: la madre, perfetta donna d' altri tempi, si occupa delle faccende domestiche e lavora assiduamente per la fami­ glia ; la sorella Mune è bella come poche al mondo, devota e generosa ; il fratello è giovane e spensierato, ma non per questo meno sollecito e attento al bene della casa. Infine, l'innamorato Gozo è generoso, colto e raffinato come un gentiluomo di Corte, ma allo stesso tempo coraggioso e risoluto . Una stessa idealizzazione accomuna quindi tutti i protagonisti, con l'eccezione del malvagio Gosoji, padre di Gozo, che è il solo a mettere in moto la tragedia. Essi sono inoltre legati da una stessa magica intesa che li porta ad agire in accor­ do , senza bisogno di parole o spiegazioni, come se appartenessero a una diversa dimensione rispetto agli altri esseri umani del racconto, che infatti giudicano inspiegabile o addirittura demoniaco il loro comporta­ mento . In precedenza, Akinari aveva steso una prima versio­ ne dell'episodio , alla quale è stato in seguito dato il nome provvisorio di Masurao monogatari, qui tradotto in appendice come « Storia di un uomo di valore». In Masurao lo sforzo di « trasmettere alle generazioni futu­ re la verità e non bugie», si traduce in una maggiore elaborazione del dialogo , attraverso il quale i protago­ nisti comunicano al lettore i motivi del loro agire. Il Masurao monogatari era nato come una risposta polemica di Akinari nei confronti del romanzo Nishi­ yama monogatari (Storia delle colline occidentali) scrit­ to nel 1768 da Takebe Ayatari e anch 'esso ispirato al caso Genta. Di questo lungo romanzo Akinari criticava 15

senza mezzi termini l'eccessiva elaborazione, l'enfasi retorica, il «tradimento» perpetrato sia a danno dei lettori sia degli autentici protagonisti della storia. Tut­ tavia, nella conclusione del proprio racconto egli rico­ nosceva di essersi a sua volta sovrapposto ai « reali» personaggi con le sue supposizioni. La rinuncia a una descrizione fedele della realtà, comunque improponi­ bile in un romanzo, e la decisione di ricorrere a una maggiore elaborazione letteraria, pur lontana dai vir­ tuosismi di Ayatari, sono da ricercarsi all'origine del Sorriso della morta. L'autore voleva inoltre offrire un'ulteriore versione del drammatico episodio che con ogni evidenza aveva colpito la sua immaginazione. Ma questa volta egli costruisce un racconto che pur mante­ nendo una costante verosimiglianza, accentua il carat­ tere di fabbricazione narrativa, fino a includere nella conclusione un tocco misterioso e ambiguo che lo avvi­ cina ai precedenti racconti fantastici dello scrittore. Il prototipo della donna fedele, appassionata e co­ stante nelle proprie decisioni fino alla morte, esemplifi­ cato da Mune nel Sorriso della morta, la imparenta strettamente a Miyagi, la moglie devota che compare nella Casa fra gli sterpi, incluso in Racconti di pioggia e di luna. Che non si tratti di un caso, ma della volontà dello scrittore di presentare due elaborazioni di un unico ideale modello, è confermato dal ricorso alle stesse descrizioni che definiscono la condotta e il carat­ tere delle due donne. Una seconda coincidenza non fortuita riguarda il nome di Miyagi : esso appartiene non solo alla protago­ nista della Casa fra gli sterpi, ma anche a quella di La tomba di Miyagi. In quest'ultimo racconto, tuttavia, la situazione è in parte modificata. Non si tratta più della moglie di un mercante troppo ambizioso, ma di una 16

cortigiana legata a un giovane debole e sfortunato.

La

casa tra gli sterpi era stata ispirata da una novella cinese, La storia di Aiqing (Aiqing zhuan) di Qu You (13411427). Una versione giapponese dello stesso racconto era apparsa nella raccolta Otogi boko (La bambola talismano) di Asai Ryoi (1612-1691), pubblicata nel 1666. Nella versione di Ryoi la protagonista era, come

nell'originale cinese, una cortigiana trasformata dall'a­ more in una moglie devota, ma il nome di Aiqing era sostituito da quello giapponese di Miyagino . Se nell'e­ laborazione della Casa fra gli sterpi Akinari aveva modi­ ficato lo stato sociale della sua protagonista, nella suc­ cessiva Tamba di Miyagi restituisce al personaggio il suo carattere originario . In tal modo poteva stabilire una continuità sia con i precedenti letterari sia con la tradizione popolare che aveva celebrato la vicenda del­ la cortigiana redenta dal santo monaco Honen. La letteratura di epoca Tokugawa (1603-1867) aveva da tempo abituato il lettore all'elogio della prostituta, presentata non solo come frivola e incostante dispensa­ trice di gioia, ma come donna innamorata capace di grande generosità e di sacrifici. Ueda Akinari aveva in parte elaborato questo tema in una delle sue prime opere «leggere», scritte sulla falsariga dei «racconti del mondo fluttuante». Seken tekake katagi (Ritratti di concubine di questo mondo, 1767) nel terzo capi t olo include un racconto in due parti, dai titoli lu n ghi ed elaborati secondo le convenzioni di quel genere di letteratura : Komeichi wa Nihon ichi no ominato ni kaizumi no omoiire (Il mercato del riso , speculazioni sugli acquisti nel più grande porto del Giappone! e Nido no tsutome wa sadamenaki yo no Shi;imigau·a no /uchise (Un secondo impiego, alti e bassi del mondo

fluttuante di Shijimigawa).

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I due episodi si svolgono attorno a una storia d'amo­ re dominata dalla protagonista Fujino, un tempo pro­ stituta poi amante fedele di uno sfortunato mercante, che la donna continua ad amare e onorare anche dopo la morte di lui. Fujino costituisce uno dei primi esempi dell'ideale femminile di Akinari, paziente, tenace, pronta al sacrificio . Nei Racconti della pioggia diprima­ vera lo scrittore non solo ricollega Miyagi a un modello già familiare, ma mette in atto un altro espediente più drammatico, circondandola di personaggi negativi. Negatività che può nascere da una voluta consapevo­ lezza di far del male, ma anche da egoismo, difesa dei propri interessi, o semplicemente da ingenuità e debo­ lezza. L'apparizione del santo monaco Honen potreb ­ be suonare come un indiretto omaggio al potere della fede. Ma la conclusione del racconto si rivela molto più focalizzata sulla visita compiuta dal narratore alla tom­ ba di Miyagi, ormai da tutti dimenticata, e sulla sua decisione di dedicarle una poesia. N o n a caso si tratta di una «poesia lunga» che si ricollega alla celebre anto­ logia dell'viii secolo, il Man'yoshii, per le allusioni, il linguaggio e la forma. Ma soprattutto , la storia di Miya­ gi è idealmente awicinata a quella di Tegona, la sfortu­ nata fanciulla del passato - quel passato che tanto spesso Akinari tenta di rievocare - morta anch 'essa annegata e ricordata nel Man'yoshii. Gli ultimi due racconti rivelano una certa affinità con Il pirata, spogliato della sua veste didattica più scoperta. Se i personaggi maschili di Akinari sembrano essere in prevalenza intellettuali, sognatori e poeti, più portati allo studio che all' azione, fragili e sproweduti, i tre protagonisti del Pirata, Suteishimaru e Hankai sono accomunati dall'energia e dalla vitalità che li animano, e dominano il racconto con la loro personalità. Non a 18

caso due dei tre episodi portano il nome dei loro personaggi principali. E se Il pirata sembra fare ecce­ zione, la scelta è giustificata dalla necessità di rivelare l'identità dell'uomo (e quindi il suo vero nome) il più tardi possibile. Istintivi, ingenui e in qualche modo partecipi della stessa purezza di cuore che innalzava l'imperatore Hei­ zei al di sopra delle meschinità della vita politica e dei complotti di Corte, Hankai e Suteishimaru condivido­ no una stessa libertà d' azione e un distacco dalla vita e dalle sue passioni che ne fa dei saggi, degli illuminati nonostante il loro esordio di violenza e disordine. Non è la lezione morale della loro conversione a dominare il discorso, ma il loro appartenere a un mondo a parte, governato da altre e diverse leggi. L'episodio della conversione quindi è motivato non tanto dalla necessità di una edificazione morale, ma dalla ricerca di effetti poetici ed estetici. In una delle edizioni manoscritte dei Racconti della pioggia di primavera del1805 (conosciuta come mano­ scritto Sakurayama) l' autore introduce alla conclusione del Dio con un occhio solo un brano, che non compare nel manoscritto posteriore : «In un'epoca di disordini, i demoni si mescolano agli uomini e gli uomini a loro volta li frequentano senza averne paura. Quando il paese è governato, sia gli dèi sia i demoni si nascondono senza lasciare tracce. Non esiste più il meraviglioso». La premessa trova la sua estensione logica nell'evo­ luzione che porta Suteishi a essere venerato come un dio, e che fa di Hankai un demone e poi, forse, un sant'uomo . Ritornando alla concezione dell' arte proposta da Akinari potremmo supporre anche che dèi e demoni, scomparsi dal mondo quando questo è passato dal 19

disordine all'ordine, seguitino a vivere e a operare nella fantasia di chi scrive. Il vecchio scrittore eccentrico coerentemente può concludere : «La mia mente si muo­ ve libera qua e là e questo costituisce il meraviglioso . Coloro che lo negano ingannati dai loro saggi libri sono dei letterati ignoranti. Non è il caso di credere a ciò che dicono». MARIA TERESA ORSI

' Trad. it. Racconti di pioggia e di luna, a cura di M.T. Orsi, Venezia, Marsilio, 1988. ' Il Genji monogatari, scritto intorno al1000 è un lungo· romanzo considerato il capolavoro della letteratura giapponese, opera della dama di Corte e poetessa Murasaki Shikibu (m. 1014). Lo Shuzhu­ zhuan (giapp. Suikoden) è uno dei più famosi romanzi d'avventura cinesi di epoca Ming (1368-1644), ritenuto opera di Luo Guang­ zhong. ' Yoshiya ashi ya (Bene o male) è un saggio di Akinari pubblica· to assieme all'edizione, curata dallo stesso scrittore, di un'opera cri­ tica sullo /se monogatari (l racconti di Ise, x secolo) scritta da Kamo Mabuchi, Ise monogatari koi (Antichi significati dello /se monogatarz). ' Protagonista di una famosa leggenda forse di origine indiana, Urashima (o Urashimataro) è un giovane pescatore che trascorre tre anni nel palazzo del re drago sul fondo del mare. Al momento di far ritorno al suo villaggio, riceve in dono uno scrigno, con la racco­ mandazione di non aprirlo mai. Quando disobbedendo solleva il coperchio, dallo scrigno esce una leggera nuvola e il giovane Ura­ shima si trova di colpo trasformato in un vecchio cadente, prossimo alla morte. ' La sorella di Genta si era segretamente legata al figlio di Watanabe Danji che, pur appartenendo a un ramo della stessa famiglia, godeva di una posizione sociale superiore. Sebbene fosse­ ro corse voci sul legame fra i due giovani, Danji, che non era in buoni rapporti con l'altra famiglia, non aveva acconsentito alle nozze. Genta, dopo un ultimo tentativo di accordo, aveva ucciso la

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sorella davanti agli occhi di Danji. In sede legale, la corte suprema si era espressa in termini piuttosto miti nei confronti dell'omicida, in considerazione della «condotta immorale della ragazza» e del fatto che la stessa madre avesse incoraggiato la decisione del figlio.

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UEDA AKINARI : LA VITA , LE OPERE

Ueda Akinari nacque a Osaka nel 1 734, figlio illegittimo, secondo alcune fonti, di una prostituta del quartiere di piace­ re di Sonezaki. Altri suppongono invece che la madre, appar­ tenente a una famiglia contadina benestante, si fosse solo temporaneamente trasferita a Sonezaki, per dare alla luce il figlio'. Riferimenti a questa circostanza compaiono anche nelle memorie dello scrittore. Il Tandai shoshinroku (Crona­ ca di prudenza e audacia), un'opera composta poco prima della morte nell808, ci informa con un certo piglio polemi­ co: «l miei nemici dicono che sono nato in una casa da tè; io rispondo che basta non essere un fuoricasta per potersi inserire fra la gente. Comunque, sulla mia montagna, sono l'unico generale e non ho bisogno di nessuno». La nascita illegittima non avrebbe pesato più che tanto sulla vita dello scrittore chè verso i tre anni fu adottato da una famiglia di mercanti di olio e carta, gli Ueda, da cui derivò anche il cognome. Gli anni della giovinezza, in certa misura liberi da responsabilità e dediti all'ozio e ai divertimenti, non furono molto diversi da quelli dei giovani benestanti della sua generazione, in una città come Osaka, prospera e vivace, che da tempo era diventata uno dei maggiori centri economici del paese e nucleo propulsore di un profondo rinnovamento 23

culturale che proprio dai ceti urbani traeva ispirazione e vitalità. Figlio di mercanti, Akinari ebbe però, come si addi­ ceva al suo stato di cittadino agiato, il privilegio di ricevere un'istruzione accurata: non solo lo haikai, il nuovo genere di poesia breve che si era imposto nel secolo precedente, ma anche lo waka, la «poesia giapponese» per eccellenza, la lirica classica che era stata per secoli l'espressione più raffina­ ta della cultura aristocratica gravitante attorno all'ambiente di Corte; e ancora, la letteratura cinese e la pittura, anche se, come egli stesso avrebbe affermato, la deformità che l'aveva colpito alle mani in seguito a una grave forma di vaiolo contratta da bambino, gli avrebbe impedito di diventare un maestro nell'arte del pennello. Alla morte del padre adottivo, nel 1 7 6 1, Akinari si trovò a ereditarne il negozio e la direzione degli affari; compito in cui non eccelse, preferendo indubbiamente, ai calcoli e al­ l'inseguimento del profitto, attività assai meno remunerative sul piano economico, quali potevano essere quella dello studioso o dello scrittore, una scelta quest'ultima ben poco prestigiosa anche dal punto di vista sociale. Nel 1 7 6 7 appar­ vero le due prime raccolte di racconti a lui attribuite, firmate Wayaku Taro (Taro il traduttore), uno dei vari pseudonimi usati da Akinari nel corso della sua carriera. Shodo kikimimi sekenzaru (Scimmie di questo mondo che hanno orecchio per tutte le arti) e Seken tekake katagi (Caratteri di concubine di questo mondo), sono due opere dedicate alla realtà con­ temporanea, vicine come atteggiamento e impostazione a quei «racconti del mondo fluttuante» (ukiyozoshi) dei quali, circa una generazione prima, Ihara Saikaku era stato maggior rappresentante e inimitabile maestro. Nei racconti di Akina­ ri troviamo mercanti, prostitute e attori, medici e ciarlatani, monaci buddhisti e sacerdoti shintoisti, descritti con un tono che tradisce uno spirito critico, attento, irrispettoso delle tradizioni, polemico nei confronti di ciò che gli appare me­ schino e ipocrita. Questi elementi, insieme con una certa erudizione che già traspare sotto la frivolezza degli argomen­ ti trattati, sarebbero stati presenti anche nelle opere successi24

ve dello scrittore che ben presto avrebbe abbandonato la via intrapresa nei primi racconti a favore di una scelta letteraria più impegnativa e sofisticata. Una spinta in tale direzione gli sarebbe venuta dall'incontro con Kat6 Umaki, filologo, stu­ dioso di letteratura classica e esponente di quella scuola di «studi nazionali» (kokugaku) che proprio nei secoli XVII e XVIII dedicava le sue energie alla ricerca e all'interpretazione del patrimonio letterario dell'antichità giapponese. Alla scuola di Kat6 Umaki, Akinari non solo si sarebbe rivolto agli studi classici con rinnovato rigore, ma allo stesso tempo avrebbe cercato una forma letteraria più ambiziosa rispetto alle opere del suo esordio. Da questo impegno sarebbe nato l'Ugetsu monogatari (Racconti di pioggia e di luna) completa­ to, secondo le parole dell'autore, nel terzo mese del 1 768 ma pubblicato solo otto anni più tardi2. Nel 1 7 7 1 , il negozio degli Ueda fu distrutto da un incendio e Akinari rinunciò, presumibilmente senza troppi rimpianti, alla professione di mercante, per seguire un'aJtra strada, quella della medicina, che avrebbe esercitato a Osaka dopo circa due anni di studio e apprendistato in provincia. Leggia­ mo nel Tandai shoshinroku: A quarantadue anni sono ritornato a Osaka e ho iniziato qui la professione; sapevo di non essere né preparato né abile ma, convin­ to che la medicina fosse soprattutto rettitudine, ho deciso di dedi­ carmici con il massimo impegno. Quando non capivo i sintomi, andavo a visitare l'ammalato anche due o tre volte al giorno, senza che me lo chiedesse. Quando non ero sicuro, inviavo i pazienti a un altro medico, ma continuavo ugualmente a prendermi cura di loro [. .. ].Appena diventato medico, ho giurato a me stesso che mai mi sarei prestato a fare da intermediario in certi traffici che riguardava­ no prestiti di denaro, visite ai quartieri di piacere, matrimoni o commercio di oggetti antichi, e fino a questo momento ho mante­ nuto la promessa.

Scrupoloso, irascibile, contrario ai compromessi, intro­ verso, scontroso fino alla misantropia (secondo l'immagine che si ricava dai suoi diari e che è stata trasmessa dalla tradizione), Akinari non avrebbe ricavato dalla medicina 25

grandi soddisfazioni, tranne forse quella di poter approfon­ dire gli studi cinesi, di cui già era buon conoscitore, e, secondo alcune fonti, di aver avuto come maestro Tsuga Teisho, medico di Osaka, ma anche esperto di letteratura cinese e a sua volta autore di romanzi storici a essa ispirati. Del resto, durante gli anni in cui fu medico, Akinari non abbandonò mai gli studi classici, impegnandosi altresì in un'aspra polemica con il maggior filologo del tempo, Moto­ ori Norinaga, del quale avrebbe criticato senza mezzi termini e con un'acrimonia neppur tanto velata, le proposte di rico­ struzione della lingua antica, oltre che l'atteggiamento fidei­ stico di ritenere inoppugnabili le fonti indigene. N el 1 7 87, a cinquantatré anni, Ueda Akinari decise di rinunciare definitivamente alla carriera medica per dedicarsi solo a quella dello studioso e dello scrittore. Si trasferì quindi, con la moglie e _la madre, ad Awajishomura, un villaggio alla periferia di Osaka, in una piccola casa che egli stesso avrebbe definito Uzurai, «il nido della quaglia». Ap­ partengono a questo periodo alcuni suoi studi sullo Ise monogatari, sul Man 'yoshii e saggi sulla cerimonia del tè, che sarebbe divenuta, quest'ultima, il passatempo favorito dello scrittore negli anni della vecchiaia. Al 1 7 91 risale la stesura del Kuse monogatari, il cui titolo può essere reso come «Rac­ conti di idiosincrasie», ma anche, nella lettura Kusemono katari, come «Racconti di persone eccentriche»; una rac­ colta di venticinque brevi aneddoti su personaggi e mestieri del tempo, costruita, nello stile e nel linguaggio, come una visibile parodia dello Ise monogatari. Nel 1793 Akinari andò ad abitare a Kyoto, la capitale imperiale che egli ammirava per il suo prestigioso retaggio culturale, pur senza risparmiare severi giudizi sui suoi abi­ tanti: Quando decisi di venire a vivere nella capitale, uno studioso confuciano di nome Murase Kaemon che abitava di fronte a casa mia mi disse: «La capitale è una città senza legge né morale. Rassegnati». Dopo sedici anni, potrei aggiungere che è anche una città di miseria; quando, circa duecento anni fa, iniziò l'attuale

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governo, le famiglie ricche e potenti era�o numerose ma ogp sembra che il denaro sia stato assorbito da Osaka e Edo. Cionono­ stante, tutti ostentano potere vantando le tradizioni di famiglia. Al di fuori di miseria e insensibilità non c'è nulla di ciò che dovrebbe esserci. Ci sono bellezze naturali ma il resto è spregevole.

Nel 1794 furono pubblicati il Man 'yoshii kaisetsu (Com­ mento al Man 'yoshii) e Set/ii sagen (Brevi parole di brezza), un saggio dedicato interamente alla cerimonia del tè, alla storia e ai meriti della preziosa pianticella, che consacrò Akinari come uno dei maggiori intenditori della materia. Gli anni seguenti furono segnati da una solitudine crescen­ te e da una serie di continui trasferimenti da un quartiere all'al­ tro della città, ora in un tempio zen, il N anzenji, ora nel vicino Saifukuji, ora nella casa di un discepolo ospitale . La malattia che lo aveva colpito agli occhi rendendolo quasi cieco non gli impedì comunque di continuare il suo lavoro di minuzioso erudito e di raccogliere una serie di manoscritti che tuttavia, in un momento di sconforto, avrebbe gettato in un pozzo, ac­ compagnando il gesto con una poesia rimasta famosa: «l sogni di un tempo non si realizzeranno mai, perché la mia anima è caduta nel vecchio pozzo e il mio cuore è freddo». Malgrado ciò, l' anno seguente, nel1808, a settantaquattro anni, Akinari avrebbe completato lo Harusame monogatan (Racconti della pioggia di primavera ), l'espressione più com­ p iuta della sua visione del mondo e della storia, del suo credo religioso e morale . Dello stesso anno è anche il già citato Ta n­ dai shoshinroku, un insieme di osservazioni, note autobiogra­ fiche, considerazioni sulla letteratura e sull' arte, riflessioni sulla propria vita, ricordi. Morì nel1809 e fu sepolto all'inter­ no del Saifukuji dove, secondo la tradizione, aveva egli stesso fatto costruire una tomba, ai piedi di un albero di susino.

1 Blake Morgan Young, Ueda Akinari, Vancouver, University of British Columbia Press, 1982, pp. 2 ss. 2 Ueda Akinari, Racconti di pioggia e di luna, a cura di M. T. Orsi. Venezia, Marsilio, 1988.

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IL MANOSCRITTO DELLO HARUSAME MONOGATARI

Nel 1 8 3 4 lo scrittore Takizawa Bakin ( 1767 - 1 848) nel suo Kinse/ mano no han Edo sakusha bùrui ( Scrittori di Edo, categorie di romanzi dei tempi moderni) ricordava che Ueda Akinari, oltre all'Ugetsu monogatari (Racconti di pioggia e di luna), aveva scritto un'altra opera, lo Harusame monogatari (Racconti della pioggia di primavera), in dieci parti, che non era mai stata stampata e le cui copie manoscritte erano piuttosto rare. Ma già vent'anni dopo, nel 1 855, altri testi riferivano invece che lo Harusame monogatari era composto di sole cinque parti1• Per lungo tempo queste sarebbero rimaste le sole notizie disponibili. Nel 1907 apparve una prima edizione stampata dell'opera, a cura di Fujioka Sakutaro. Essa si basava su di un testo autografo dell'au­ tore, il cosiddetto manoscritto Tomioka (Tomiokabon) appartenen­ te al pittore Tomioka T essai ( 1 836- 192 4). li manoscritto conteneva però solo la prefazione e cinque racconti, ossia La cortina insangui­ nata, Le fanciulle celestz� Il pirata, Il dio con un occhio solo, e la prima parte di Hankai. Negli anni seguenti non mancarono studiosi con­ vinti che lo Harusame monogatari fosse in realtà composto di cinque parti e su questa ipotesi si protrasse per un certo tempo una controversia letteraria. Negli anni della seconda guerra mondiale, lo studioso Nakamura Yukihiko condusse un'accurata ricerca sui frammenti autografi di manoscritti di Akinari contenuti nella biblioteca del centro religio­ so Tenrikyo. Tra essi, quello che Nakamura indicò come «mano-

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scritto dei rotoli del Temi» (Tenri kansubon) conteneva i racconti mancanti: Un legame che dura due vite, Il sorriso della morta, Suteishimaru, La tomba di Miyagi, In onore della poesia e la seconda parte di Hankai. Tuttavia, mentre In onore della poesia era presso­ ché completo, gli altri racconti presentavano delle lacune. Naka­ mura avanzò l'ipotesi che il manoscritto Temi e quello Tomioka avessero fatto parte di uno stesso testo, scritto da Akinari poco prima della matte>. Nello stesso periodo venivano alla luce altri frammenti di un'opera a cui Akinari aveva dato come titolo Harusa­ me soshi (Appunti di pioggia di primavera), contenente abbozzi dei racconti che sarebbero poi stati inclusi nello Harusame monogatari, e altro materiale di vario tipo'. Dopo la fine della guerra, tra i manoscritti di opere antiche che emergevano da biblioteche e collezioni private per essere venduti o ceduti a qualche museo, fu possibile reperire altri tre manoscritti completi. Il primo di essi, il cosiddetto manoscritto Urushiyama ( Urushiya­ mabon, dal nome del proprietario) fu stampato nel 1950. Come informa una nota alla fine, era stato copiato nel1843, ma conteneva solo otto racconti, essendo stati volutamente omessi il settimo, Suteishimaru, e il decimo, Hankai, per la loro «immoralità». Era tuttavia possibile non solo avere in forma completa Il legame che dura due vite, Il sorriso della morta e La tomba di Miyagi, ma anche conoscere l'ordine di successione dei dieci racconti. Il secondo manoscritto fu dato alle stampe nel 1951 ed è conosciuto come manoscritto della libreria Sakurayama (5akurayama bunkobon, dal nome della libreria del proprietario). Era un'altra copia della ver­ sione precedente, ma conteneva i due racconti mancanti. Una terza copia, nota come il manoscritto della libreria Nishis6 (o Seis6, Nishiso bunkobon o 5etSo bunkobon) fu scoperta da Nakamura Yukihiko nel 1952. Anch'essa era completa. I tre manoscritti, pur contenendo differenze nell'uso dei caratteri ed errori di trascrizione, sono ritenuti tutti copia di un unico testo, andato perduto, probabilmente autografo. Come poscritto dell'au­ tore essi portano: «Operetta frivola scritta dal vecchio recluso del Nanzenji, a settantacinque anni. Quinto anno dell'era Bunka [1808], primavera, terzo mese», e pertanto sono conosciuti come manoscritti del quinto anno dell'era Bunka (Bunka gonenbon). I manoscritti autografi Temi e Tomioka fanno parte quasi certamen­ te di una versione posteriore, l'ultima scritta da Akinari nel 1809.

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La presente traduzione è stata condotta sull'edizione dello Ha m same monogatari contenuta in Ueda Akinari shii (Raccolta di Ued�1 Akinari), a cura di Nakamura Yukihiko, «Nihon koten bungaku t ai­ kei 56», Tokyo, lwanami shoten, 1965. Essa si basa sui seguenti ma­ noscritti: l) Tomioka per la prefazione, La cortina insanguinata, Le fanciulle celestz; Il pirata, Il dio con un occhio solo, e la prima parte di Hankat. 2) Rotoli Temi per La tomba di Miyagi, In onore della poesia, e la seconda parte di Hankai. Le parti mancanti dei racconti sono statt: aggiunte basandosi sul Bunka 5. 3 l Bunka 5 per Un legame che dura due vite, Il sorriso della morta t: Suteishimaru. L'ordine dei racconti è stato ricalcato sull'edizione Bunka 5. Dello Harusame monogatari esiste la versione inglese: Barry J ack­ man (translated and with an introduction by), Tales o/Spring Rain. University of Tokyo Press, Tokyo, 1975.

' Morita Kiro, Ueda Akinar/ no kenkyu, Tokyo, Kasama shoin, 1979, p. 334. 2 Nakamura Yukihiko (ed.), Ueda Akinari shu, «Nihon koten bung aku taikei 56>>, Tokyo, lwanami shoten, 1965, p. 17. ' Sullo Harusame soshi ricordiamo lo studio di Asano Sanpei, Satobo11 . U n monaco gli si avvicinò e cominciò a spiegare : «La statua riproduce la sacra imm agine come è descritta nel Sutra della Ghirlanda . Manifestandosi come Nyorai, Egli app are in cielo e riempie l' universo, m a può anche trovare sp azio in un solo seme di papavero . La Sua effigie è stata introdotta anche nel nostro paese. Sotto la pianta dei piedi la statua porta il nome dell ' anno in cui fu consacrata2 1 • Questa è la terza copia dell'originale e supera di poco i cinque shaku , ma siamo convinti che sia fedele alla vera immagine » . Sua Maestà non rispose e si limitò ad ascoltarlo senza obiezioni. Il suo carattere 48

era davvero ammirevole. Eppure, quando Kusuriko o N akanari tentavano di coinvolgerlo nei loro intrighi, il sovrano tentennava il capo riluttante, patetico a ve­ dersi. Venne servito il pranzo . Dopo aver gustato il cibo, Sua Maestà chiese: « So che è stato offerto dai pescatori di Naniwa. Naniwa è dunque vicina ? » . F u Kusuriko a rispondere : «L'imperatore Nintoku stabilì a Naniwa la capitale. Il suo augusto padre aveva designato come erede al trono il minore dei propri figli e dopo la sua scomparsa Nintoku, che era il maggiore, accettò senza obiezioni di servire il fratello, principe Uji. Ma questi obiettò : " Che io salga al trono passando davanti a mio fratello maggiore è contrario alla Via dei Saggi di cui parla Confucio " , e abdicò a favore del fratello . Nintoku rispose : " Poiché sei stato nominato erede al trono, sei tu il legittimo sovrano " . Per tre anni i due fratelli perseverarono nel loro atteggiamento e il trono rimase vuotò. All a fine il più giovane dei due si gettò sulla sua spada e abbandonò questo mondo . Si racconta che fino ad allora, quando i pescatori di Nani­ wa volevano offrire del pesce fresco al sovrano, erano costretti a portare i loro doni avanti e indietro da un principe all' altro, e avveniva che il pesce si deteriorasse lungo la via . Da qui il detto : " i pescatori piangono quando portano la propria preda " . Il maggiore dei due fratelli, non avendo altra scelta, salì al trono ed è ricor­ dato come un saggio sovrano, il cui nome è tramandato ai posteri come modello senza eguali. «Vostra Maestà ha lasciato il trono prima che fossero trascorsi quattro brevi anni - proseguì Kusuriko. I dignitari e tutto il popolo hanno perso ogni speranza e lamentano questo triste evento. Il nuovo imperatore ha letto molti libri provenienti dalla Cina e ne ha tratto -

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uno dei peggiori esempi: l'usurpazione del trono» . «Basta così» l a interruppe Sua Maestà, m a Kusuriko continuò : «Ascoltate, mio signore. Tutti coloro che sono al Vostro servizio vi supplicano di voler proclama­ re Nara capitale e di tornare a regnare» . Vi erano a Corte alcuni «uomini della salita d i N ara», fedeli al nuovo imperatore. Udendo le parole di Kusu­ riko, si insospettirono e cominciarono a confabulare in segreto. Nakanari riprese il discorso della sorella : «Vostra Maestà può dire di aver abdicato per via di un malesse­ re passeggero e chiedere di ritornare sul trono . Se il nuovo sovrano non fosse d' accordo, io, come coman­ dante della Guardia, potrò inviare le mie truppe a N arayama e al fiume Izumi e mostrare a tutti la Vostra autorità imperiale» . Ben presto i bambini dei villa ggi cominciarono a cantare: I fiori del sud sono i primi a sbocciare ma la neve alla finestra del nord ha il cuore gelido. [hana wa minami ni mazu saku mano wo yuki no kitamado kokoro samushi mo]

Quando alla Corte del nord si venne a sapere della canzone, il nuovo imperatore convocò i suoi funzionari da Nara e chiese notizie su ciò che stava accadendo . «Tutto è stato organizzato da Kusuriko, Nakanari e dai loro seguaci - gli fu riferito . - Il primo giorno del nuovo anno, secondo il cerimoniale, sono state portate all'imperatore in ritiro le medicine di rito, ma due sole, il toso e il byakusan, gli sono state offerte. Non la terza, il toshi5san22 • Egli ne ha chiesto il motivo e gli è stato risposto : " Noi crediamo che Vostra Maestà non dovrà 50

attraversare ripidi passi di montagna . lnvero, la salita di Nara è un lieve pendio, ma al di là della verde barriera di colline, numerosi valichi sbarrano il passo. Anche al di qua delle colline i Vostri sudditi non offrono più tributi. È davvero deplorevole " . Così dicendo, essi piangevano e le loro maniche erano imbevute di lacri­ me. Al di fuori di ciò che abbiamo udito in quell'occa­ sione non conosciamo l'esatta verità. Ma chi mai, viven­ do durante questo saggio regno, può pensare a una guerra ? » . « S e le cose stanno così. . . », disse il nuovo imperatore e subito mandò le sue truppe perché arrestassero Na­ kanari e ordinò che fosse decapitato. La sua testa fu esposta sulla salita di Nara. Kusuriko fu rimandata nella casa d'origine e lì confinata. In un primo momento, il nuovo imperatore, intuen­ do i desideri dell'imperatore in ritiro, aveva nominato erede al trono il figlio di questi, principe Takaoka, ma ora revocò la sua decisione e gli ordinò di farsi monaco. Il principe, obbedendo, si rase il capo e prese il nome religioso di Shinnyo. Sotto la guida di Dosen studiò la dottrina dei Tre Trattati e quindi fu iniziato da Kukai ai segreti della scuola della Vera Parola2 ' . Deciso ad ap­ profondire i suoi studi, nel terzo anno dell'era Jogan [ 861] si recò in Cina e nel corso dei suoi viaggi superò i monti del Pamir e giunse nel Laos. Dopo aver studiato a lungo, tornò in patria. Si racconta che tutti, dignitari e popolo, mormorassero di nascosto : «Oh, se fosse lui il sovrano ! ». Kusuriko non si pentì mai dei suoi misfatti, ma il suo rancore divampò come fiamma. Alla fine si ferì a morte con una spada. Il sangue schizzò sulla cortina di seta che ne fu impregnata e non si asciugò più. Si racconta che giovani coraggiosi trafissero la seta con le loro 51

frecce, ma non ottennero alcun risultato ; quando tenta­ rono di colpirla con la spada, la lama si smussò . L'orro­ re si accrebbe. L'imperatore in ritiro era completamente all'oscuro del complotto. « È colpa mia», pensò tuttavia e di sua volontà decise di radersi il capo e ritirarsi dal mondo . I libri di storia riportano che visse fino a cinquantadue anm.

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LE FANCIULLE CELESTI

A matsu otome

Il talento dell 'imperatore Saga nel governare il paese

fu senza eguali. Egli intraprese numerose riforme e,

poiché molte di esse erano ispirate ai preziosi testi della Cina, la gente diceva che anche il suolo del nostro paese era diventato cinese. Persino nelle poesie di Sua Altez­ za la Principessa24 comparvero versi più spigolosi : spazio vuoto tra i nodi del bambù, pianta che non è albero e non è erba

[ki ni

m

o arazu kusa ni

m

o aranu take no yo no]

oppure : soffiare via il pelo in cerca di difetti

[ke wo /uki kizu wo]

Coloro che ancora preferivano la poesia giapponese non potevano fare altro che chiudersi nel silenzio . Il precedente imperatore aveva abdicato dopo soli quat55

tro anni di regno, e molti erano coloro che lamentavano il suo ritiro. «Forse desidera tornare sul trono» sussurravano in segreto l'uno all'altro . L'imperatore Saga intuì i deside­ ri del suo predecessore; nominò erede al trono Sua Altezza il fratello minore, principe O tomo, per com­ piacere l'imperatore in ritiro, e tutti dissero che era stata una saggia decisione. Ben presto Sua Maestà abdicò a sua volta e si ritirò in un villaggio all'ombra dei monti, chiamato Saga, mo­ dellando la sua residenza su quella «dal disordinato tetto di frasche»25• Qualcosa di simile aveva fatto il defunto imperatore padre, Kanmu. Aveva ritenuto che lo sfarzo di N ara non avesse precedenti nel nostro paese e che bisognasse far ritorno ai « recinti di sterpi» e ai «venusti recinti» delle antiche residenze imperiali2 '. Tuttavia, il posto scelto per la nuova capitale, Nagaoka, si era rivelato troppo angusto ; molti fra i nobili di Corte avevano mantenuto a N ara la propria residenza privata, e preferivano andare e venire fra le due sedi. Anche la gente comune si era mostrata riluttante a spostarsi. Sua Maestà pensò che trasferire la capitale a Nagaoka fosse stato un errore e ordinò che fosse costruita l'attuale capitale, Heiankyo. Il terreno fu livellato e innalzato il palazzo imperiale; Sua Maestà dedicò delle preghiere alle divinità Toyoiwamado e Kushiiwamado e si trasferì nella nuova sede. I cuori della gente sbocciarono come fiori e la città prosperò . Ben presto, le case dei nobili e la magnificenza dei palazzi presero a eguagliare quelli della vecchia Nara. Un vecchio sapiente, dopo aver consultato i rotoli del Libro degli Han, osservò : «Il ministro Jia Yi ammirava le Tre Dinastie dell' antica Cina e propose di riformare il governo secondo quel modello . Tuttavia, alcuni saggi funzionari si opposero 56

al suo disegno ed ebbero ragione nel far ciò», e si profuse in elogi sulla situazione attuale. L'imperatore in ritiro Saga, nella sua dimora isolata, passava il tempo spensieratamente. Incoraggiava i suoi dignitari a leggere i libri cinesi, si esercitava nella calli­ grafia, nello stile corsivo e in quello formale. Inviò navi in Cina in cerca di modelli di scrittura da imitare. Un giorno convocò Kukai. «Guarda - gli disse mostrandogli un rotolo . - È un brano autografo di Wang Xizhi»27• Kukai lo esaminò, poi disse : «E un saggio di calligrafia che io stesso ho scritto quando ero in Cina, per esercitarmi. Guardate». Strappò un pezzo di carta sul retro del rotolo e lo porse a Sua Maestà. «Firmato : Kukai» diceva. L'imperatore rimase senza parola, come invidioso . Kukai era in effet­ ti un maestro nella calligrafia e fu soprannominato «il reverendo dei cinque pennelli)>, forse perché poteva scrivere in cinque stili diversi. Sua Altezza il fratello minore dell 'imperatore, che in seguito fu conosciuto comè imperatore Junna, salì al trono dopo che Sua Maestà abdicò . Il nome dell'era fu cambiato in Tencho. L'imperatore in ritiro a N ara morì nel settimo mese di quell'anno ed ebbe il nome postu­ mo di imperatore Heizei. Rispettando la politica dell'imperatore Saga, il nuo­ vo governo promulgò leggi e riforme una dopo l'altra e accolse con entusiasmo la dottrina di Confucio . Tutta­ via il buddhismo non perse il suo potere. «Al di sopra del sovrano, regna il Buddha)> era la parola d'ordine e ogni anno venivano eretti templi e pagode. Alcuni monaci che possedevano una vasta cultura ed erano esperti nelle pratiche magiche e religiose, giunsero per­ fino a conferire con Sua Maestà su questioni di gover­ no, anche se non furono mai posti sullo stesso piano dei 57

funzionari di Corte. Era inevitabile che molte questioni politiche fossero influenzate dai loro giudizi. Qualcuno si lamentava : «Perché mai Sua Maestà, avendo ricevuto tutti i possibili benefici dalla legge del Buddha, è stato preso nella rete della sua sapiente dottrina ? » . Il Tempio del Voto Divino, Jinganji, che sorge sul monte T akao, fu fondato dal Consigliere di Mezzo, Wake no Kiyomaro28• Il perfido monaco Dokyo, quan­ do era all'apice del suo potere, aveva tentato, con l'inganno, di interpretare a proprio vantaggio l'oracolo concesso dal grande santuario di Usa, ma Kiyomaro aveva riferito con esattezza le parole del responso . Dokyo, furioso, dapprima lo aveva retrocesso a un rango secondario di funzionario provinciale, a Inaba, poi, non contento, lo aveva allontanato dalle cariche pub_bliche e lo aveva fatto esiliare nella lontana regione di Osumi. Kiyomaro restò fedele al trono e dopo la morte dell'imperatrice Shotoku fu richiamato alla capi­ tale e seppure in età avanzata ottenne il titolo di Consi­ gliere di Mezzo . «Tra i suoi meriti c'è anche quello di essere tornato al paese d'origine, Bizen, per offrire il suo aiuto dopo una disastrosa inondazione e di aver rip!Jrtato la tranquill i tà fra il popolo - diceva la gente. - E una vergogna che abbia dovuto soffrire tanto». Lo Jinganji era stato eret­ to «come ringraziamento per la virtù divina»; in seguito il suo nome fu cambiato in Jingoji, il Tempio della Divina Protezione, ma nulla poté mutare il triste desti­ no che Kiyomaro aveva portato con sé. L'imperatore Junna scelse come proprio erede il principe Masara, e subito dopo rinunciò al trono . La situazione era senza precedenti perché vi erano ben due imperatori in ritiro. « Neppure in Cina si è mai verificata una cosa simile», diceva la gente. Il nuovo 58

sovrano, che sarebbe stato chiamato imperatore Nin­ myo, cambiò il nome dell'era in Showa . In quel periodo il buddhismo raggiunse una diffusione straordinaria, ad­ dirittura inspiegabile. Anche il confucianesimo prospe­ rava, ma era come se una delle due ruote di un carro fosse in disordine e lo costringesse a procedere più lentamente. Il governo sembrava invidioso dello sfarzo della Cina dei Tang e l'animo di Sua Maestà propende­ va per il lusso e la stravaganza. Y oshimine no Munesada era solo un funzionario di sesto rango della Cancelleria Privata, ma possedendo cultura e talento suscitò l'interesse dell'imperatore che lo volle al suo fianco . Divenne così il favorito di Sua Mae­ stà e spesso gli veniva richiesto di comporre poesie o leggere testi cinesi . Ben presto l'imperatore arrivò a do­ mandare in segreto la sua opinione anche sulle questioni di governo . Saggiamente Munesada evitò in tutti i modi di intervenire nelle faccende politiche e si limitò a parla­ re dei passatempi favoriti del sovrano, citando aneddoti che potevano risvegliare l'interesse di Sua Maestà. Munesada amava le donne e prediligeva tutto ciò che era sfarzoso e elegante. Propose al sovrano di aumenta­ re il numero delle danzatrici che partecipavano alla cerimonia annuale per celebrare il raccolto. «L'imperatore Tenmu, prima di salire al trono, si ritirò una volta a Yoshino . Dal cielo scesero allora cinque fanciulle divine e danzarono per lui, come presa­ gio che egli avrebbe governato il paese. Perciò portare a cinque il numero delle danzatrici, significa seguire la vecchia tradizione», disse. Anche Sua Maestà amava le donne e subito promulgò un decreto perché la cerimo­ nia fosse più fastosa29• Ministri e consiglieri agghinda­ rono le proprie figlie, nella speranza che potessero attrarre gli sguardi di Sua Maestà. Ma il sovrano si 59

limitò ad assistere alle danze senza fare alcuna scelta e per le fanciulle respinte non vi fu speranza. Come le vergini dei santuari di Kamo e di Ise, rimasero sole, rinchiuse a palazzo fino alla vecchiaia. Durante il regno dell'imperatore Ninmyo la poesia giapponese tornò a fiorire. Oltre a Mup.esada apparve­ ro maestri come Fun'ya no Y asuhide, Otomo no Kuro­ nushi e Kisen . Anche fra le donne, la dama di Ise e Ono no Komachi crearono immagini mai viste in passato e trasmisero il loro nome alle generazioni future. Si dice che durante le celebrazioni per il suo quarantesimo compleanno, fu presentata a Sua Maestà una «poesia lunga» scritta per lui da un monaco del KofukuW0• «Ma allora, la poesia lunga sopravvive ancora nei monaste­ ri ! » , si stupì. Oggi, non esistono più buoni esempi di poesia lunga, ma è mai possibile che già allora questo genere fosse ritenuto raro? Si direbbe che le poesie di Hitomaro, Akahito, Okura, Kanamura e di Sua Signo­ ria Y akamochi fossero ormai dimenticate da tutti3 1 • U n giorno Sua Maestà chiese a Kukai: «Fin dai tempi dell'imperatore Kinmei e dell'imperatrice Suiko, abbia­ mo importato i siitra buddhisti uno dopo l'altro, eppure ancora non abbiamo il testo completo delle Scritture. Lo stesso discorso vale anche per le formule magiche della scuola della Vera Parola, a cui appartieni? » . Kukai rispose : «Posso fare un esempio : per ciò che riguarda i siitra buddhisti, è come se un medico dopo aver studiato le teorie del Suwen e del Nanjing ottenes­ se la conoscenza perfetta della materia medica, i princi­ pi dei cinque movimenti e dei sei spiriti. Con le formule magiche - per così dire - è come se il medico scegliesse le medicine che hanno più effetto e proponesse la cura dopo essere risalito alle cause e aver diagnosticato la malattia in base ai sintomi. Procedendo assieme come 60

le due ruote di un carro, si avanza lungo la via». Sua Maestà annuì e gli concesse un dono . Una volta Sua Maestà volle sorprendere Munesada intento ai suoi giochi d 'amore e, celandosi sotto vesti femminili, si insinuò di nascosto dietro le cortine di bambù sulla veranda della residenza delle dame di Corte. Quando Munesada, ignaro dell'inganno, si awi­ cinò e provò a tirarla per la manica, la sconosciuta non rispose. Egli compose allora una poesia che le recitò a bassa voce : Chi sarà mai la proprietaria dell'abito che ha il colore dei fiori di yamabuki? ho chiesto, ma non ho avuto risposta di certo è la gardenia silenziosa32 • [yamabuki no hana iro koromo nushi ya tare toedo kotaezu kuchinashi ni shite]

L'imperatore si liberò dal travestimento e lo fissò. Munesada pieno di stupore e imbarazzo tentò di allon­ tanarsi, ma Sua Maestà, di buon umore, lo richiamò indietro . Si racconta che anticamente in Cina un corti­ giano, dopo aver dato un morso a una pesca, la offrisse al suo signore: «Vogliate assaggiarla, è squisita». Sua Signoria lo apprezzò, giudicandolo un vassallo fedele. Si può forse dire che i due episodi si assomiglino. Inoltre nella poesia citata, per la prima volta lo yamabu­ ki viene definito « colore di gardenia». La prima consorte del defunto imperatore Junna, ora imperatrice vedova, era figlia di Sua Signoria Tachi­ bana no Kiyotomo}}. Un monaco dello Entaiji riferì a Sua Maestà l'imperatore di aver ricevuto in sogno un messaggio dal defunto sovrano Junna: «Che le divinità protettrici del clan dei T achibana siano venerate nel 61

mio stesso tempio». Sua Maestà si mostrò disposto ad acconsentire, ma la notizia giunse all'orecchio dell'im­ peratrice vedova, che si oppose. «Per la famiglia impe­ riale i Tachibana sono parenti acquisiti tramite matri­ monio. Riservare loro una grande cerimonia nazionale sarebbe sconveniente» dichiarò, e il progetto fu respin­ to. Oggi la festa dedicata alle divinità protettrici del clan Tachibana si svolge nel grande santuario Urne no Miya, sulle rive del fiume Kadono . L'imperatrice aveva una personalità risoluta, maschia e perciò si dice che in segreto detestasse Munesada, di cui non apprezzava il carattere. Durante il periodo di lutto proclamato per la morte dell'imperatore in ritiro Saga, Tomo no Kowamine, Tachibana no Hayanari e altri approfittarono dell' oc­ casione per organizzare un complotto . Il principe Abo, venuto a conoscenza della cosa, ne informò la Corte e subito le truppe imperiali arrestarono i cospiratori. Si dice che l' imperatrice vedova, convinta che Hayanari avesse macchiato l'onore dell'intera famiglia, in quel­ l'occasione abbia detto solo queste parole : « Sia con­ dannato alla pena più severa» . L'erede al trono, princi­ pe Tsunesada, accusato di aver istigato il complotto, si fece monaco e prese il nome di Koj aku . «Ahimè, mette­ re un sovrano sul trono e deporlo arbitrariamente è un pessimo precedente che troviamo nei libri di storia cinesi; anche qui stiamo dunque seguendo quell'esem­ pio?» dissero in molti, condannando il complotto. Sua Maestà l'imperatore Ninmyo morì nel terzo an­ no dell'era Kasho [85 0] . L'augusta tomba fu eretta a Fukakusa, nel distretto di Kii, e pertanto egli fu chia­ mato imperatore Fukakusa. La notte stessa delle esequie, Munesada scomparve senza che nessuno sapesse dove era andato . Forse te62

meva l'odio dell'imperatrice vedova e degli altri nobili di Corte. La pratica del suicidio per seguire il proprio signore era stata proibita da tempo, eppure la gente si chiedeva se per caso Munesada non fosse morto. In realtà, si era dato alle pratiche religiose e vagava da un posto all'altro, in abito dimesso, celandosi sotto un ampio copricapo e un mantello di paglia. Una volta pernottò nel tempio di Kiyomizu. Anche la dama Ono no Komachi si trovava colà intenta a vegliare in pre­ ghiera, quando dalla stanza vicina le giunse una voce che salmodiava un sutra ; non era certo una persona comune ed ella, chiedendosi se non fosse per caso Munesada, compose una poesia e gliela fece pervenire : Durante il viaggio trascorro la notte sulla nuda pietra e la mia pelle ha freddo non mi presteresti la tua veste di muschio ?J4 [ishi no ue tabine wa sureba hada samushi koke no koromo wo ware ni kasanan]

Munesada prese il pennello dalla scatola che portava con sé e scrisse la risposta sul retro del messaggio. Dalla scrittura aveva capito che si trattava di Komachi. La veste di muschio di chi ha abbandonato il mondo è troppo leggera anche sopra la tua, vieni, passiamo la notte assieme. [yo wo suteshi koke no koromo wa tada hitoe kasanete usushi iza /utari nemu]

Dopo aver scritto la sua risposta, Munesada lasciò in fretta il tempio. 63

«Dunque era proprio lui» si disse Ono no Komachi e ritenendo la cosa interessante, mostrò le poesie alla vedova dell'imperatore Ninmyo, l'imperatrice Gojo. L'imp�ratrice aveva fatto cercare Munesada dovun­ que. «E una persona che è stata molto cara al defunto sovrano - diceva. - Perché non l'hai fermato ? » , chiese a Komachi con un sospiro. Munesada continuò i suoi pellegrinaggi per le provin­ ce attorno alla capitale e alla fine fu possibile ritrovarlo . Da allora riprese a frequentare la Corte con assiduità. L'imperatore regnante, apprezzando il suo talento , fa­ vorì la sua ascesa nella gerarchia ecclesiastica, fino a che ottenne l' alto titolo di sojo. In quell'occasione egli cam­ biò nome e da allora fu chiamato Henjo Soj6'5 • Senza alcun dubbio, tutto ciò non avvenne per i suoi meriti religiosi, ma perché egli era privilegiato dal destino. Dei suoi due figli, il maggiore, Hironobu, fu in servizio a Corte, dove si distinse per il suo talento . Il minore, con­ vinto che il figlio di un maestro della Legge dovesse a sua volta farsi monaco, si rase il capo : da religioso fu cono­ sciuto come Sosei. Buon poeta, la sua fama fu seconda solo a quella del padre; se talvolta fu guidato da malvagi interessi mondani, ciò avvenne perché mancava in lui la salda fede che nasce dal profondo del cuore. Henjo Sojo costruì sul monte Kazan un tempio e si dice che morisse in piena beatitudine spirituale . La Via del Buddha è davvero misteriosa. Dimentico dei motivi per cui in precedenza aveva rinunciato al mondo, av­ volto in vesti eleganti e sopravvesti di broccato cinese, egli entrava nel palazzo imperiale facendo rimbombare le pesanti ruote del suo carro . « È proprio vero che la buona o la cattiva fortuna dipendono solo dal destino che ognuno porta con sé dalla nascita», diceva la gente . Forse, anche Henjo Sojo era della stessa opinione. 64

IL PIRATA

Kaizoku

Sua Signoria Ki no Tsurayuki, dopo essere stato per cinque anni governatore di T osa, partì per rientrare alla capitale, un certo giorno del dodicesimo mese di un certo anno dell' era Showa36• Gli abitanti del posto che erano diventati suoi amici si rattristarono per la parten­ za. Anche la gente comune, convinta che mai in passato si era visto un governatore m igliore di lui, si lamentava per il distacco come un figlio costretto a sep ararsi dai genitori. Fino al momento in cui la nave stava per salpare gli amici accorsero da tutte le p arti, per offrirgli sake e cibi scelti e per scambiare con lui poesie di commiato . Infine la nave p artì, ma il vento non era favorevole e il viaggio si protrasse più del previsto . All'improvviso si sparse una voce : « l pirati che odiano il governatore ci stanno inseguendo ! » . Tutti erano pieni di timore. Fu­ rono gettati amuleti di carta sulle onde e invocate le divinità del mare affinché p ermettessero ai passeggeri di arrivare salvi alla capitale . Tutti quelli che erano sulla nave si prostrarono imploranti verso le dimore divine 67

sul fondo delle acque. « Se almeno potessimo giungere fino a Izumi», pregò il capitano . Nessuno pensava di ammirare i luoghi famosi per cui si passava e neppure ricordava il nome delle varie province ; si anelava unica­ mente ad arrivare a Izumi. Il governatore e la moglie tuttavia riuscivano a parla­ re solo della figlia amatissima che era morta a Tosa. Il loro cuore correva verso la capitale, ma allo stesso tempo soffriva per ciò che non potevano dimenticare e che lasciavano dietro di sé. «Siamo arrivati a Izumi», annunciò alla fine il capita­ no e tutti i passeggeri si sentirono rinascere. La loro gioia fu senza limiti. In quel momento una piccola imbarcazione - forse una barca da pesca - trascinata dalle onde come una foglia avanzò verso la nave. Quando fu a poca distanza, la stuoia di giunchi che nascondeva il ponte si sollevò e apparve un uomo . «Devo vedere il governatore di Tosa», disse costui con tono brusco. «Di cosa si tratta ?», gli fu chiesto. «Vi ho inseguito fin da quando avete lasciato Tosa, ma le onde e il vento erano contrari e non ho potuto raggiungervi. Adesso finalmente posso parlargli» . «Ma allora è vero - gridarono tutti presi dal panico . I pirati ci hanno raggiunto» . Tsurayuki salì sul ponte della nave. « Cosa succede? Quest'uomo deve dirmi qualcosa ?», chiese. «Nulla di importante - rispose l'altro . - Ma ancora le onde ci separano e il vento porta via la mia voce. Con il tuo permesso». E subito, come avesse le ali, la barca si avvicinò alla nave del governatore. I passeggeri si ac­ corsero allora che era un uomo dall' aspetto trasandato e dimesso ; aveva al fianco una pesante spada e negli 68

occhi una luce minacciosa. Sua Signoria lo salutò affa­ bilmente: «Qual buon vento ti ha portato fin qui, attraverso l'infinita distesa delle acque ? » . L'uomo sfilò l a spada che portava a l fianco e l a gett� nella propria barca. Quindi cominciò a parlare : «E vero, sono un pirata. Ma non credo tu possa ricordare di aver fatto qualcosa per cui voglia ora vendicarmi. Tranquillizzati, dunque, e rispondi alle mie domande. Durante i cinque anni in cui sei stato governatore di Tosa ho pensato, sì, di venire a trovarti, ma poi, senten­ do che i governatori delle province del Kyushu e del San'yodo trascuravano il loro dovere, ho preferito av­ venturarmi da quelle parti. Così fino a oggi non ho avuto modo di vederti. Noi pirati siamo gente semplice. Per essere sincero, riconosco che la tua provincia era ben difesa, ma devo anche dire che è povera e monta­ gnosa; sicché non c'era motivo di farvi scorrerie. Per questo ho preferito lasciar perdere e rivolgermi altrove. Avrei potuto venire a trovarti alla tua residenza nella capitale, ma mi è parso eccessivo ; d'altro canto, avrei potuto essere riconosciuto . Il mondo è piccolo ed è meglio che non mi faccia vedere troppo in giro . «Ma ecco ciò che voglio chiederti. Nel quinto anno dell 'era Engi, Sua Maestà l'Imperatore ha ordinato che fosse compilata un'antologia di poesie giapponesi. Ho sentito dire che proprio tu eri il principale curatore. Il titolo dell'opera, " Seguito al Man 'yoshii" , alludeva for­ se al fatto che essa era la continuazione di quella famosa raccolta del passato, il Man 'yoshii appunto, di cui non si conosce l'autore'7 • Fin qui, tutto bene. Guardiamo però il titolo originale. Man significa " innumerevoli " e anche fin qui, tutto bene. Passiamo a yo: Liu Xi degli Han posteriori dice nello Shi ming'" che ka " canto " , " poesia " deriva d a k a " ramo " , e spiega : " Gli uomini 69

hanno la voce così come gli alberi e le erbe hanno rami e foglie " . Cosa ne pensi? Io dico che la voce umana può esprimere gioia e dolore, ira e piacere e chi ascolta può essere felice o sentirsi turbato . Per questo, nella voce vi sono suoni lunghi e brevi, lenti e veloci, e note che non possono essere articolate in poesia. Del resto, anche il suono del vento che soffia fra i rami e le foglie durante la tempesta, chi mai può ascoltarlo con emozione e piacere ? Non c'è ragione quindi di parlare di " foglie " e " rami " . Sono gli uomini del passato che hanno inter­ pretato in modo superficiale il significato delle parole facendo riferimento allo Shi ming. Non perché fossero stupidi ma perché simili errori di interpretazione face­ vano parte della cultura del tempo. Quando durante la stessa dinastia, Xu Shen scrisse nel suo Shuo wen3• : ka " canto " è uguale a ei " far poesia " , egli si basava sul Libro di Shun, che a sua volta recita: " il canto è p arola eterna "40• Tutto ciò va benissimo, ma quando si tratta di spiegare i caratteri cinesi, ricordati, gli studiosi confu­ ciani hanno un'enorme varietà di teorie. Nella prefazio­ ne della tua antologia hai scritto : " La poesia giappone­ se ha per seme il cuore degli uomini e si espande in innumeri foglie di parole " . A prima vista ha una sua logica, ma è chiaramente un errore. I caratteri cinesi yan, yu, ci, e ci [ 1 J , hanno tutti in giapponese un'unica lettura : koto che significa " parola " . Non vi sono prece­ denti che indichino come possibile lettura koto no ha o kotoba, " foglie di parole" . Ricorrendo allo Shi ming hai potuto forse trovare una giustificazione per il titolo dell'antologia, ma aver frainteso gli antichi caratteri è una colpa imperdonabile, nei confronti sia della poesia

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giapponese sia dei classici. Di sicuro, i tuoi ministri e i consiglieri avranno fatto finta di niente, pensando che dopotutto non era loro responsabilità. «Ancora, tu dici che vi sono sei stili poetici, ma questo è un errore, non solo per ciò che riguarda la poesia cinese, ma anche quella giapponese4 1 • Forse era accettabile parlare di " tre tipi e tre generi " ma, in effetti, è impossibile stabilire un numero definito . Se tentassimo di analizzare le emozioni umane - gioia, ira, dolore, piacere - quante potrebbero mai essere ? Con­ tarle è pura follia . Nel suo trattato sugli stili della poesia giapponese, Hamanari sostiene che vi sono sei generi, ma anche le sue teorie sono superficiali42 • Puoi essere molto bravo nella poesia, certo, ma poiché non com­ prendi il " cuore " delle antiche parole, sei una vergogna per lo stesso imperatore. «Passiamo a un altro argomento . Nel nostro paese le leggi furono raccolte nel codice dell'era Taiho, basan­ dosi sul modello della Cina. Da allora, se uomini e donne non ricorrono a un giusto intermediario per sposarsi, è come si accoppiassero alla stregua di cani o gatti. Senza dubbio la legge intendeva evitare compor­ tamenti immorali. Tuttavia, tu hai raccolto, ritenendole eccellenti, poesie che offendono tale morale. Innamo­ rarsi della moglie di un altro, andarla a trovare in segreto, e poi, versare fiumi di lacrime sulle maniche al momento della separazione, quando lui si allontana per timore che possano essere scoperti. Aver scelto simili poesie vergognose è un affronto alla Legge. Stando così le cose, il compilatore stesso diventa colpevole. Le poesie d'amore occupano ben cinque sezioni dell' anto­ logia, un 'esibizione senza ritegno di argomenti licen­ ziosi. Per quanto riguarda la passione: nei tempi lonta­ ni dell'epoca degli dèi, fratelli e sorelle si amavano, ma 71

poiché il loro cuore era puro e sincero, ciò non era considerato una colpa. Nell'epoca degli uomini, è venu­ to di moda il confucianesimo . " Fra moglie e marito ci deve essere separazione" e ancora : " Non si deve sposa­ re chi abbia lo stesso cognome " , si è detto, e questi usi sono nati fidandosi della saggezza di un paese straniero . Perciò a Corte sono stati costruiti due padiglioni, il Seiryoden e il Koryoden, uno per l'imperatore e l' altro per le sue consorti. Anche in Cina, all'inizio non era possibile sposarsi a meno che non si fosse parenti. Tuttavia, mano a mano che il paese prosperava, i rap ­ porti fra famiglie diverse si fecero più numerosi, e poiché questo comportamento si rivelava utile per ac­ crescere la popolazione e allargare i confini del paese, esso fu ritenuto giusto . «l quattro che hanno compilato l' antologia pur es­ sendo abili nel comporre poesie, hanno commesso de­ gli errori perché la loro cultura non era sufficiente. È pur vero che Sua Signoria Sugawara no Michizane"', solo lui, si mostrò critico, ma dal momento che fu esiliato in una regione lontana, non poté fare molto. Non lo si deve biasimare, quindi. Dicono che l'era Engi sia stata " un periodo d'oro " , ma è mera adulazione44 • In realtà, era il tempo in cui anche gli occhi di Sua Maestà erano ciechi e i ministri più saggi e leali venivano allon­ tanati. Per esempio, Miyoshi no Kiyotsura4' : era un funzionario devoto, che servì il sovrano senza la minima mancanza, eppure non superò mai il livello di sottocon­ sulente e di capo del Dipartimento del cerimoniale. Le vie che portano alle alte cariche sono davvero oscure. Il suo saggio Opinioni in dodici paragrafi è scritto in modo eccellente e dice cose degne di considerazione. Eppure egli fu criticato con parole ostinate e stolte, per aver sfidato come studioso le antiche convenzioni. 72

«Nel primo paragrafo si racconta che, quando l'im­ peratrice Saimei mosse alla volta della Corea, passò per la provincia di Kibi4". Giunta in un certo villaggio, notò che numerosi erano i focolari accesi e chiese : " Che posto è questo ? Chi ci vive? " . Il capovillaggio rispose : " Negli ultimi tempi molta gente è venuta anno dopo anno a stabilirsi qui. Sono ormai parecchie decine di migliaia . Se Vostra Maestà avesse bisogno di soldati, potremmo raccogliere un esercito di ventimila uomi­ ni " . " Bene, d 'ora in avanti - disse la sovrana - questo paese sarà chiamato N ima, ossia ventimila " . «Così si racconta, m a già nell'era Engi, quando il governatore ordinò il censim�nto, nel villaggio non era rimasto p ressoché nessuno . E sciocco ritenere ciò un segno della decadenza dell 'intero paese, senza riflettere che dovunque prosperità e declino si alternano . È mai possibile che la gen�e prosperi in qualunque luogo decida di stabilirsi? E una sciocchezza. Gli uomini si muovono da un posto all' altro, tenendo conto degli svantaggi e dei profitti che ne derivano, non diversi in ciò dalle vespe che costruiscono e ricostruiscono il nido . «Ancora, Kiyotsura dice che l'istruzione superiore rientra nelle qualifiche di ministri e nobili di Corte, e gli uomini di lettere, per quanto dotati, non hanno alcuna certezza di accedere a livelli di responsabilità politica. Questa è la prassi nel nostro paese. Non si pensa che nostro compito è quello di insegnare a scrivere a giova­ ni della nobiltà che si raccolgono nelle scuole, e dar loro i primi rudimenti per la comprensione dei classici. Ogni tanto, quando vi sono rivolgimenti nel governo, ci si lamenta che l'Ufficio degli studi superiori è solo un nido di poveri diavoli, un covo di morti di fame. Certo n o n si può essere d'accordo . 73

«E ancora Kiyotsura parla del porto di N azumi, nel distretto di Inamino nella provincia di Harima. Il mo­ naco Gyoki lo fece costruire sostenendo che in quella zona i porti erano troppo lontani l'uno dall'altro e non vi era un luogo adatto per attraccare le imb arcazioni. Tuttavia, in seguito, tempeste di vento e onde lo dan­ neggiarono, poiché esso non era conforme al carattere geografico del luogo e non fu di alcuna utilità. Anche se Gyoki era stato mosso dalle migliori intenzioni, rico­ struire il porto sarebbe stato uno spreco di mezzi e di sicuro la Corte abbandonò il progetto. Simili iniziative non hanno nulla a che vedere con gli insegnamenti dei saggi e rivelano soltanto ingerenze eccessive. T ali im­ prudenze non sono ammissibili per un buon funziona­ rio che voglia essere d'aiuto al proprio signore. «lo non so comporre poesie cinesi o giapponesi, ma amo leggere i classici. N e ero orgoglioso e molti mi hanno odiato per questo. Poi, per una qualche leggerez­ za commessa mentre ero ubriaco, sono stato incolpato e condannato all'esilio. Da quel momento faccio questo mestiere, percorro i mari e m i approprio dei tesori degli altri, bevo sake, mangio carne e se vado avanti così camperò cent'anni. Non ho nulla da spartire con coloro che fanno tanto chiasso sulla Via della poesia, teoriz­ zandola come l' arte per eccellenza. Mi si può chiedere qualunque cosa, quindi ; non ho difficoltà a parlare. Ma adesso ho la gola secca, fammi portare del sake». Gli furono portati sake e cibi, e dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, il pirata annunciò : «Bene, per ora basta così, Vostra Signoria Testa di Legno, permettete­ mi che prenda commiato»47 • E balzato sulla propria barca, cominciò a cantare battendo il tempo sul fian­ co dell'imbarcazione: « Yanra ! Medeta ! ». I marinai di Tsurayuki gli fecero eco : «Mo soro, mo sor0 »4'. 74

Già la barca del pirata era scomparsa chissà dove, lasciando solo una scia di onde bianche•• . Un giorno, dopo che Sua Signoria fu tornato alla capitale, uno sconosciuto giunse con una lettera alla sua residenza, la b uttò all'interno e si allontanò . Tsu­ rayuki l'aprì : era un saggio che riguardava Sugawara no Michizane. La scrittura era rozza e poco elegante, ma il testo aveva una sua logica. «lnvidiabile dawero Sua Signoria Sugawara ! Finché fu in vita fu famoso e dopo la morte poté splendere di autorità divina. Nessuno prima di lui ebbe un tale onore. L'uomo superiore va incontro alla sfortuna senza colpe; il mediocre la subisce per colp a sua, si dice. Ora, Sugawara no Michizane era un uomo virtuo­ so, senza nulla da biasimare eppure cadde in disgrazia e fu esiliato. Si potrebbe obbiettare che la sua non fu una calamità del tutto ingiustificata perché egli, una volta incappato nel destino che provoca discordia fra sovrano e ministro, non seppe rinunciare alla propria carica e risolvere tutto per il meglio . Inoltre, offese Fujiwara no Sugane provocandone il rancore, e non concesse promozioni a Sua Signoria Miyoshi no Kiyo­ tsura, agendo - si dice - per motivi personali . Ancora, non prese in considerazione gli ammonimenti di Kiyo­ tsura sui possibili rivolgimenti politici. Dovremmo dun­ que concludere che Michizane stesso andò incontro alla disgrazia ? Kiyotsura gli aveva detto : " L ' anno ven­ turo sarà l' anno del gallo e del metallo minore e porterà grandi cambiamenti; nel secondo mese le stelle del­ l'Orsa Maggiore volgeranno a oriente e ciò significa che le armi si muoveranno . Ancora non mi è chiaro chi sarà colpito dalla sfortuna e andrà incontro alla disgra­ zia, ma non vi è dubbio che coloro il cui destino è segnato saranno i primi a soccombere, come quando 75

una balestra è lanciata in mezzo alla folla. Nessuno che provenga dal mondo dei letterati è asceso ai ranghi di ministro, al di fuori di Sua Signoria Kibi no Makibi, la cui gloria non ha eguali50• Umilmente vi supplico : chi conosce il momento giusto per ritirarsi, assapora la vera gloria " . «Ora, se riflettiamo, Sua Signoria Kibi no Makibi si trovò al governo nel momento in cui il perfido monaco Dokyo minacciava la Corte imperiale ; difese il paese senza un attimo di cedimento e condivise la gloria di Zhou Bo o Chen Ping 5 ' . Viceversa, Sua Signoria Suga­ wara no Michizane godeva del favore imperiale e sem­ brava destinato a un luminoso futuro ; ma poi si trovò in disaccordo con il Ministro della Sinistra e fu costretto a lasciare il suo incarico. Perciò dobbiamo concludere che pur non avendo colpa, non riuscì a evitare la sfortu­ na. Tuttavia, in vita fu famoso e dopo la morte poté splendere di autorità divina. Guarda, la fama della sua virtù è tale da illuminare diecimila generazioni» . Il tono della lettera era brusco, senza complimenti. Si poteva facilmente capire che era stata scritta dal pirata. Vi era poi un poscritto : « Nel corso del nostro incontro, preso da molti argomenti, ho dimenticato di dirti una cosa. Mi sembra di capire che il tuo nome è stato tratto da un passo dei Dialoghi di Confucio che dice : " Una sola linea percorre il mio insegnamento " . Se le cose stanno così, il tuo nome dovrebbe essere letto Tsuranu­ ki. Il carattere shi è solo un ausiliare, senza alcun significato . È pur vero che qua e là nel Libro delle Odi esso può essere letto yuki, ma ciò avviene solo per adeguarsi al testo52 • Puoi scrivere poesie, certo, ma salta agli occhi che non ne sai poi molto di letteratura cinese. Capisco che in genere i nomi propri sono scelti dai genitori, ma la tua ignoranza in materia abbassa la 76

reputazione delle tue liriche. Lascia per un po' da parte la poesia, appendi una lampada alla tua finestra e leggi i classici ! So di un certo studioso che ha per nome Ikan, ma lo legge Tsuranuki" . Ahimè, quanto sono rare tali persone ! » . I l pirata aveva scritto l a lettera nel suo modo rozzo e offensivo e l' aveva indirizzata a Sua Signoria, il diretto­ re dell'Ufficio di Carpenteria. In seguito, Tsurayuki chiese a uno studioso suo ami­ co chi poteva essere secondo lui l'autore della lettera. «Certamente si tratta di Fun'ya no Akitsu - gli fu risposto . - Possedeva una vasta conoscenza dei testi classici, ma era un tipo violento e dissipato e alla fine è stato bandito. Divenuto pirata, si è dato a atti di violen­ za. Epp ure, il Cielo lo ha in qualche modo protetto perché non è stato mai preso e ancora adesso suppongo stia imperversando da qualche parte». Tratto in inganno dai libri, so di ingannare i lettori con questo mio racconto. Il mio pennello finisce talvol­ ta per ferire qualcuno, e a mia volta vengo colpito. Ma nessuno ha mai visto scorrere il sangue dell'altro .

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UN LEGAME CHE DURA DUE VITE

Nise no enishi

Nella provincia di Yamashiro le foglie degli alberi di keyaki sono cadute, e la montagna è fredda e solitaria. Nel villaggio di Kosobe viveva una famiglia di conta­ dini, che si era lì stabilita da molte generazioni. Posse­ devano sulle colline parecchi campi di riso che permet­ tevano loro di non preoccuparsi se il raccolto era scarso o abbondante, e avevano raggiunto una certa agiatezza . Il giovane capo famiglia amava molto i libri ; non aveva amici e la notte appendeva una lampada presso la finestra e seguit,ava a leggere . Talvolta la madre lo rimp roverava : «E ora che tu vada a dormire ! La cam­ pana della notte ha già suonato . Mio padre diceva che se si continua a leggere, fino a tardi, ci si stanca e si finisce con l' ammalarsi. E difficile avere giudizio quan­ do qualcosa piace molto » . Il figlio le fu grato per i consigli e fece del suo meglio per andare a letto prima dell 'ora del cinghiale. Cadeva la pioggia e non si udivano neppure i soliti suoni della notte . Disobbedendo ai consigli, il ragazzo quella volta rimase alzato fino a tardi. Forse era già l 'ora 81

del bue quando la pioggia finì e il vento all'improvviso si calmò . Fra le nubi apparve la luna e illuminò la finestra . Deciso a scrivere qualche poesia, preparò l'in­ chiostro e prese il pennello . Aveva appena composto due o tre versi che descrivevano l' atmosfera notturna e stava riflettendo, quando gli parve di udire un suono : era come il canto di un insetto o forse il rintocco di una campana. Si rese conto solo in quel momento che lo aveva udito anche le altre notti, ma ora la cosa g 4 parve strana. Uscì nel giardino e cercò qua e là. «E qui», esclamò alla fine. Il suono proveniva senza ombra di dubbio da sotto una grossa pietra in un angolo del giardino dove l'erba non era stata tagliata. Il giorno dopo chiamò i suoi uomini e ordinò loro di scavare. Alla profondità di circa un metro incontrarono un' altra pietra, e dopo averla tolta scoprirono una specie di bara, chiusa a sua volta da una pietra. Il padrone ordinò che fosse aperta e guardò all'interno, dove giaceva una strana creatura. Teneva stretta fra le mani una piccola campana che batteva a intervalli. Poteva essere un uomo, ma più che un essere umano rassomigliava a un salmone disseccato ; anzi, era ancor più avvizzito . I capelli gli arrivavano fin sotto le ginoc­ chia. Gli uomini lo estrassero dalla bara e osservarono : « È rinsecchito, ma non ci pare decomposto ». Nel frattem­ po la mano della strana creatura seguitava a battere la campana. « Si tratta certo di ciò che i monaci buddhisti chiamano " concentrazione profonda " , che permette la rinascita nel Paradiso - disse il giovane padrone. - La nostra famiglia si è stabilita qui da circa dieci generazio­ ni, ma probabilmente il monaco deve essere stato sep ­ pellito ancora prima. Forse la sua anima ha raggiunto il 82

Paradiso come desiderava, ma il corpo è rimasto quag­ giù. E quanta tenacia nel movimento delle sue mani ! Vediamo se è possibile riportarlo in vita». Lo fece portare in casa raccomandando di tenerlo lontano dagli spigoli'"'. Fu coperto con abiti caldi e si cercò di versargli fra le labbra dell'acqua tiepida. In qualche modo parve che la strana creatura riuscisse a inghiottire. Le donne e i bambini, spaventati, rifiutava­ no di avvicinarsi. Poiché il padrone di casa sembrava considerarlo importante, anche la vecchia madre si prese cura di lui, non dimenticando di recitare una preghiera al Buddha ogni volta che gli dava dell' acqua. Nel giro di cinquanta giorni il corpo dell'uomo co­ minciò qua e là a mostrare una certa idratazione e un po' di tepore. «Ci siamo ! » pensò il padrone di casa, e moltiplicò la sua sorveglianza. All a fine, lo strano essere aprì gli occhi. Ma non sembrava in grado di distinguere gli oggetti. Se gli offrivano brodo o pappa di riso si limitava a tirar fuori la lingua e a mangiare, proprio come un qualsivoglia essere umano . Il suo corpo si stava rimettendo in carne, le braccia e le gambe si muovevano e, a quanto pareva, le orecchie erano in grado di udire. Forse perché soffiava il vento e aveva freddo, sembrava non gradire il fatto di essere nudo. Quando gli diedero un vecchio kimono imbottito lo prese e lo sollevò col massimo rispetto fino alla fronte. Pareva contento. Presto cominciò a mangiare ogni tipo di cibo. Dapprima, pensando che era un monaco, nes­ suno gli aveva offerto del pesce, ma poiché egli mostra­ va di averne voglia, alla fine glielo servirono. Lo divorò tutto, lasciando solo le spine. Visto che era tornato dall'aldilà, il padrone di casa gli fece qualche domanda, ma la risposta era sempre la stessa: « Non mi ricordo niente» . 83

«Ti ricordi almeno di essere stato seppellito qui ? E qual è il tuo nome da religioso ? » . «Non ne h o l a più pallida idea», era l'invariabile risposta. Dal momento che sembrava un caso dispe­ rato, lo utilizzarono per tenere in ordine il giardino e per attingere l'acqua. Il monaco accettò di buon gra­ do e si impegnò in questi lavori come se li ritenesse suq obbligo preciso . E proprio vero che degli insegnamenti del Buddha non ci si può fidare ! L'uomo era rimasto sotto terra, seguitando a suonare la sua campanella, per più di cento anni. Eppure in lui non vi era alcuna traccia di eventi miracolosi; per così dire, erano rimaste solo le sue spoglie. Tutto ciò era assurdo . La vecchia madre cominciò a cambiare le sue opinioni. «Per tutti questi anni ho avuto fede. Sprecando l'eredità destinata a mio figlio, ho seguitato a fare le elemosine richieste. Ma ora mi rendo conto che è come se volpi e tanuki mi avessero fatto smarrire la strada» . Cominciò a chiedere a l figlio spiegazioni per ogni cosa, e ben presto invece di recarsi al tempio per visitare le tombe di famiglia, prese a fare gite e viaggi di piacere portando con sé nuora e nipoti e spassandosela un mondo. Anche il suo atteggiamento nei confronti delle persone di casa cambiò : si mostrò più sollecita verso i servitori ai quali spesso cominciò a fare regali. «Ho dimenticato tutti i principi che mi sembravano tanto importanti - diceva talvolta, con aria serena. Quale felicità poter vivere così tranquilla ! » . Tornando al monaco che era stato dissotterrato, talvolta gli capitava di esplodere in improvvisi scoppi d'ira, e con occhi minacciosi ingiuriava tutti per una ragione o per l'altra. Poiché era uscito da uno stato di «concentrazione profonda» la gente lo chiamava Nyujo 84

no Josuke'5 • Dopo cinque anni fu accolto come marito nella casa di una vedova impoverita. Lui stesso non sapeva dire quanti anni aveva, ma qualunque fosse la sua età, il monaco era certo in grado di compiere i suoi doveri coniugali . «Guarda guarda - diceva la gente. - Questa è dun­ que la retribuzione di cui parla il buddhismo ? » . Poiché se ne mormorava di nascosto non solo nel villaggio ma anche in quelli vicini, i monaci si irritarono. « Sono tutte menzogne» protestarono nei loro sermoni, ma il nume­ ro delle persone disposte a prestar loro ascolto diminuì a vista d'occhio . La madre del capovillaggio, che aveva ormai ottan­ t'anni, si ammalò gravemente e sul punto di morire si rivolse al medico. «Ho capito molte cose, anche se non posso sapere quando morirò . Se sono rimasta in vita fino a oggi, è merito delle vostre medicine. Siete venuto a trovarmi per molti anni e spero che continuerete a frequentare la mia casa fintanto che la salute ve lo permetterà. Benché mio figlio abbia quasi sessant' anni, il suo modo di ragionare è ancora infantile e non ci si può fidare di lui. Offritegli i vostri consigli e impedite­ gli di mandare in rovina la casa » . I l capovillaggio protestò : «Forse non sarò molto saggio anche se ho i capelli bianchi e mi dispiace che ti preoccupi per la mia immaturità. Farò del mio meglio per badare agli affari di famiglia, ma ora ti prego solo di una cosa: invoca il Buddha e affronta in pace gli ultimi momenti» . La madre replicò : «Ascoltate tutti che sciocchezze dice mio figlio ! Non credo affatto che pregando il Buddha rinascerò in Paradiso . E se anche dovessi rinascere sotto forma di animale e soffrire, non posso farci nulla. A ben vedere, anche essere un bue o un cavallo non è del tutto spiacevole e può avere i suoi 85

vantaggi. Del resto, l'essere umano non è sempre felice, e nel corso della sua vita può avere molti più problemi di un bue o di un cavallo. Per esempio, alla fine dell'an­ no occorre lavare e tingere tutti i vestiti; occorre anche raccogliere i tributi, ma le persone che ci devo11:o del denaro si presentano solo con delle lamentele. E una cosa che non sopporto . Ora chiuderò gli occhi senza più dire una sola parola» . E dopo aver annunciato così che la fine era vicina, la donna morì. Nylijo no Josuke seguitò a tirare avanti in questo mondo di dolore correndo qua e là, reggendo portanti­ ne e trasportando pesi, non diverso da un bue o un cavallo . Coloro che lo conoscevano o ne avevano senti­ to parlare dicevano : «Che assurdità ! È proprio impro­ babile che pregando il Buddha si rinasca in Paradiso . L' unica cosa che bisogna fare finché si è in vita è badare alle proprie cose». E lo stesso consiglio davano ai figli. Qualcuno ridacchiava : «Se Nylijo no Josuke è rimasto in questo mondo, è certo per merito di un " legame che dura due vite" contratto nella sua esistenza preceden­ te ! »56, ma la donna che era divenuta sua moglie, se solo qualcuno era presente, si lamentava e piangeva a calde lacrime: «Perché mai mi sono maritata con un simile buono a nulla? Stavo meglio prima, quando vivevo da sola raccogliendo i chicchi di cereali caduti. Ah, se potesse tornare il mio primo marito ! Almeno non mi farebbe mancare riso e orzo e avremmo abiti per co­ prirci». Davvero strano è il mondo in cui viviamo !

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IL DIO CON UN OCCHIO SOLO

Me hitotsu no kami

Gli abitanti di Azuma sono dei barbari57 - si dice. ­ Come possono diventare poeti ? Accanto al mare, nella p rovincia di Sagami, viveva un giovane pescatore gentile d' animo la cui più grande ambizione era quella di essere elegante e raffinato in ogni campo . Sognava di andare nella capitale e di imp arare l' arte della poesia. Se solo avesse potuto pren­ dere lezioni da qualche gentiluomo di Corte ! I vicini lo deridevano : « Sei p roprio un altro taglialegna sotto i fiori di ciliegio ! »'" dicevano, ma il suo desiderio di andare all'ovest era sempre più forte. Alla fine chiese ai genitori il permesso di partire. «Anche se l'usignolo fa il nido nelle rustiche valli di campagna, la sua voce non ha una nota falsa»'9, disse. In quel periodo imperversavano ancora le guerre civili delle ere Bunmei e Kyoroku e i genitori tentarono di dissuaderlo : « Le strade sono bloccate, sarà impossi­ bile farci avere tue notizie», gli dissero . «Ormai ho scelto la mia strada» replicò il figlio, e non volle dar loro ascolto. 89

Alla fine la madre che non era dopotutto un demone senza cuore, ma persona di questo mondo tormentato, non lo trattenne più . «Va, e torna presto» gli disse, e lo lasciò partire senza mostrare il suo dolore. Il giovane si fece dare un lasciapassare per superare le barriere, e il viaggio iniziò e proseguì senza intoppi. Giunse infine nella provincia di O rni e, forse emoziona­ to al pensiero che il giorno dopo avrebbe potuto essere già nella capitale, dimenticò di cercare un alloggio per la notte. Decise di pernottare all'aperto nel bosco di O iso e si addentrò fra gli alberi in cerca di un pino le cui radici potessero fargli da guanciale. A un certo punto si trovò davanti un grosso albero, abbattuto non dalla forza del vento - a quanto pareva - ma dalla sua lenta decadenza. Provò a scavalcarlo ma si fermò come spin­ to da un oscuro presentimento . Le foglie cadute e i ramoscelli gli ostruivano il passo ; si accorse con disap ­ punto che l'orlo del suo kimono era bagnato, come se avesse attraversato uno stagno . Si avvide che lì accanto sorgeva un piccolo santuario. Gli spioventi del tetto erano a pezzi, i gradini della scala sgretolati, sicché non era possibile salire in cima. Le erbe crescevano folte e il muschio copriva ogni cosa. Eppure, uno stretto passag­ gio si apriva tra le erbacce, segno che forse qualcuno aveva trascorso lì la notte precedente. Deciso a fermarsi a sua volta, posò il fagotto che portava in spalla e cercò di tranquillizzarsi, ma la sua angoscia non accennava a diminuire. In alto, grandi alberi stendevano i loro rami e attra­ verso gli spiragli fra le foglie brillava la luce delle stelle, ma la luna, sorta all'inizio della sera, era già tramontata; la rugiada pareva più gelida che mai. «Forse domani sarà bel tempo», si disse il giovane e dopo aver steso la stuoia a terra cercò di prend � re sonno. 90

All ' improvviso gli parve che qualcuno si avvicinasse. Era un uomo alto, simile a un sacerdote shintoista, che portava una lancia fra le mani : sembrava Sarutahiko, la divinità che nell'era degli dèi aveva aperto la strada agli antenati celesti60• Lo seguiva uno yamabushi61 ; le mani­ che del kimono rossiccio rimboccate fino alle spalle, faceva risuonare gli anelli metallici del suo bastone. Alle sue spalle procedeva una giovane donna; l'orlo inamidato degli hakama rossi che indossava sopra il kimono bianco frusciava a ogni passo . Reggeva un ventaglio intagliato di legno di cipresso, ma il giovane riuscì ugualmente a scorgere il suo volto gentile: era quello di una volpe bianca. Dietro di lei una giovane cameriera, in realtà anch'essa una volpe. Giunti davanti al santuario, i quattro si fermarono l'uno accanto all'altro. Il sacerdote che portava la lancia intonò un'invocazione con voce solenne. La notte, non ancora fonda, fu avvolta da un'atmosfera magica come se tutti gli spiriti della foresta avessero fatto eco a quella voce. La porta del santuario si spalancò bruscamente e il giovane fissò gli occhi sulla figura che era apparsa sulla soglia. I lunghi capelli cadevano in disordine sul viso dove luccicava un solo occhio. La bocca si apriva come una ferita da un orecchio all' altro e il naso era pressoché invisibile. Il kimono bianco era diventato grigio col passar del tempo, ma gli hakama violetti, privi di stemma, sembravano appena cuciti. La mano destra reggeva un ventaglio di piume; fermo sulla so­ glia, il suo aspetto era terrificante. Il sacerdote disse : « L'eremita che è accanto a me ha lasciato ieri il KyU.shu ed è giunto alla capitale lungo il San'yod662 • Ora sta procedendo attraverso questa re­ gione per ordine di Sua Signoria e ha espresso il deside­ rio di salutarvi. Vi ha portato alcuni regali : dai monti 91

carne fritta, e dall'oceano due spigole che i suoi servito­ ri hanno pescato al largo di Matsue nella provincia di Izumo e stamane hanno portato alla capitale. Fintanto che il pesce è fresco, desidera preparare un banchetto in vostro onore». Lo yamabushi aggiunse: « Sua Signoria della capitale desidera consultarsi con il signore di Azuma e mi ha mandato in missione. Ma non temete, se anche dovesse scoppiare una guerra, essa non toccherà le vostre ter­ re». La divinità rispose: «Questa regione, stretta com 'è a ridosso di un inutile lago, non dona abbondanti prodotti marini o montani. Prepara presto i tuoi doni, dunque, e serviamo il sake» . L a piccola cameriera della dama s i fece avanti; ben­ ché il vecchio forno che era servito per scaldare l'acqua del santuario durante le cerimonie fosse ormai rotto, la ragazza raccolse ramoscelli, foglie e pigne e accese il fuoco. La scena fu tutta illuminata dalla luce delle fiamme che si alzavano divampando . Il giovane terro­ rizzato abbassò il suo copricapo di paglia sul viso e finse di dormire. Più morto che vivo si chiese quale sarebbe stato il suo destino. «Riscaldate il sake» ordinò la divinità. Una scimmia e una lepre avanzarono, b arcollando sotto il peso di un enorme otre legato a un bastone che reggevano sulle spalle. «Fate presto» le incitò il sacerdote, e le due si profusero in scuse: « Le nostre spalle sono deboli» . La cameriera preparò il sake. Prese sette ciotole di terra­ cotta ponendole rispettosamente davanti alla divinità. Poi, mentre la volpe bianca si preparava a servire il sake, la giovane inserviente, dopo aver legato le lunghe maniche del suo kimono con un tralcio di rampicante, seguitò ad alimentare il fuoco e a riscaldare la bevanda, senza un attimo di tregua. La volpe bianca mise da 92

parte le prime quattro ciotole, porse la quinta alla divinità con un occhio solo e la riempì fino all'orlo. « Squisito», esclamò il dio vuotando più volte la cio­ tola. Quindi la porse all'eremita : «Questa notte sei tu l'ospite d'onore», aggiunse. Poi ordinò : «Chiamate quel giovane sdraiato sotto il pino, che finge di dormi­ re ! Ditegli di partecipare al nostro festino» . La dama si avvicinò al viandante : «Ti vogliono» . Il giovane, più morto che vivo, si fece avanti carponi, tremando . La divinità gli porse la quarta ciotola. «Bevi», ordinò. Pensando che non fosse il caso di rifiutare, il giovane bevve tutto d'un fiato, anche se non amava molto il sake. «Prendi della carne, del pesce, quello che preferi­ sci - proseguì il dio . - Dunque, vorresti andare nella capitale per studiare poesia, non è vero ? Troppo tardi ! Quattro o cinquecento anni fa, sì, che c'erano maestri degni di questo nome. Ma oggi in un mondo disordina­ to come il nostro, nessuno bada più alla letteratura e alla cultura. I nobili di Corte hanno visto le loro terre confiscate e derubate. Spinti dalla povertà, sono co­ stretti a mentire : affermano che la loro famiglia è erede di una " segreta tradizione" in qualche campo artistico e fanno dell' insegnamento un mestiere. Così anche i mercanti arricchiti e i samurai di campagna, tratti in inganno, offrono i loro regali e prendono in giro se stessi sollecitando tali lezioni. In realtà, tutte le arti non sono altro che forme di intrattenimento per gente raffi­ nata, nate nei momenti d'ozio, e non si può parlare di tradizioni segrete. Esiste certo una naturale differenza fra una persona di talento e una che ne è priva, e non è detto che un padre geniale abbia un figlio altrettanto dotato. A maggior ragione, la capacità di fare letteratu­ ra e comporre poesie nasce dal cuore ; come è possibile basarsi sull'insegnamento ? All ' inizio, è vero, rivolgersi 93

a un maestro può essere un modo per entrare nella via dell'arte. Ma quando si procede, non vi possono essere altri insegnamenti se non quelli creati da noi stessi come segnali lungo la via. Si dice che gli abitanti di Azuma sono dei barbari. Se onesti sono stupidi, se intelligenti sono scaltri e malfidati. Eppure, ti dico, torna al tuo paese, cercati un bravo insegnante che viva laggiù in ritiro, sconosciuto al mondo, e sviluppa il tuo talento. Solo quando comprenderai l'essenza delle co­ se, l'arte sarà davvero tua. Ora bevi. La notte è gelida » . Alle spalle del santuario apparve u n monaco . «Al comandamento " non bere vino " è facile disobbedire, ma è facile anche ritornare sobri. Questa notte berrò con voi». Incrociando familiarmente le gambe, sedette alla sinistra del dio con un occhio solo . Il suo viso era largo e tondo, gli occhi e il naso ben delineati. Reggeva una grossa bisaccia che posò alla sua destra chiedendo : «Offritemi da bere». La dama volpe gli si avvicinò e gli porse una ciotola. Quindi, reggendo il ventaglio fra le mani cominciò a danzare e a cantare « Gioielli di lonta­ ne contrade» . La sua voce, così dolce e femminile, aveva in sé qualcosa di inquietante. «Puoi ben nascondere il viso dietro il ventaglio disse ridendo il monaco. - Ma si vede la tua coda lunga e folta. Chi mai ti farà la corte? E tu, ragazzo, ascolta ciò che ha detto il dio e torna al tuo paese. Monti e campi sono pieni di briganti che non ti lasceranno passare. Che tu sia giunto fin qui è già un miracolo, come lo sbocciare dei fiori di udonge6'. Il nostro yamabushi deve portare un messaggio ad Azuma, aggrappati alla sua tonaca e sarai subito a casa. Anche gli abitanti di Azu­ ma conoscono il detto : finché i genitori sono in vita, non andartene lontano» . Dopo aver offerto a l giovane una ciotola d i sake, il 94

monaco aggiunse : «Questo pesce ha un odore orribi­ le» . Trasse dal sacco una grossa rapa dura e rinsecchita e l'addentò. La sua smorfia di gioia era infantile e spaventosa allo stesso tempo. « Signori - disse allora il giovane. - Poiché tutti voi mi avete dato lo stesso consiglio, non andrò nella capitale, anche se già pensavo di arrivarci domani. Seguendo i vostri suggerimenti, studierò i classici e scriverò poesie. Anche questo povero pescatore di Sagami ha trovato dei segnali lungo la via che intende percorrere» . L e ciotole d i sake ripresero a girare d a u n convitato all'altro finché qualcuno disse : « È quasi l'alba». Il sacerdote, che pure era un po' ubriaco, afferrò la sua lancia e alzandosi in piedi intonò un'invocazione, ma la voce che proveniva da un volto pieno di rughe aveva qua tcosa di comico. «E ora di andare» disse lo yamabushi. Afferrò il suo bastone e aggiunse rivolto al giovane : «Aggrappati a questo» . Il dio con un occhio solo alzò il suo ventaglio di piume. «E io, Ichimokuren, non dovrò dunque far nulla ? » . Fece un sol gesto e subito il ragazzo fu solleva­ to in aria. La scimmia e la lepre scoppiarono a ridere battendo le zampe con entusiasmo. L'eremita si alzò in volo all'altezza delle cime degli alberi, prese il giovane sotto braccio e si allontanò nel cielo . «Guarda, guarda» disse il monaco, ridendo a sua volta. Prese il fagotto e se lo mise in spall a ; quindi infilò i suoi bassi zoccoli di legno . In piedi, un po' vacillante, era proprio lo stesso Hotei che si vede nei rotoli dipinti64• Il monaco e il sacerdote erano esseri umani . Eppure, pur frequentando creature soprannaturali non furono vittime dei loro incanti e a loro volta non ingannarono nessuno . Vissero entrambi fino a quando 95

i loro capelli furono tutti bianchi. Era ormai l' alba quando ciascuno si diresse verso la propria abitazione, nascosta nel fondo del bosco . «Passate qui la notte» propose il sacerdote alla dama volpe e alla sua camerie­ ra, e si allontanò portandole con sé. I fatti di quella notte furono messi per iscritto dal sacerdote che, nei cento e più anni della sua vita, non passò giorno senza fare esercizi di scrittura. La sua grafia era spessa e pesante, per nulla raffinata. Nessuno avrebbe potuto capire facilmente ciò che aveva scritto. I suoi caratteri in corsivo erano spesso tracciati in modo bizzarro . Eppure - si direbbe - egli era molto soddisfatto di ciò che scriveva.

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IL SO RRI SO DELLA MORTA

Shikubi no egao

Il villaggio di Unagonooka, nel distretto di Ub ara della p rovin cia di Settsu, era stato fondato in tempi lontani da un unico gruppo di persone e di conseguen­ za numerose erano le famiglie che portavano lo stesso cognome, Sabae. Un buon numero di abitanti si dedi­ cava per mestiere alla fabb ricazione del sake e, fra di essi, Gosoji era uno dei più ricchi. In autunno le canzo­ ni dei suoi uomini intenti a pestare il riso, che risuona­ vano sulle onde dell 'oceano, erano tali da dest are la meraviglia delle stesse divinità delle acque. Gosoji aveva un unico figlio , Gozo, che fin dalla nascita era molto simile a un gentiluomo di Corte e, in q uesto , ben diverso dal p adre. Amava la poesia e i classici cinesi e la sua grafia era eccellente. Con l' arco e le frecce era capace di colpire un uccello in volo . Il suo viso delicato non lasciava intuire il coraggio del suo animo . Gozo pensava al benessere delle persone che gli stavano vicine , ma allo stesso tempo nei suoi rapporti con gli estranei era onesto e cortese . Aveva compassio­ ne dei poveri e faceva quanto era in suo potere per 99

aiutarli. La gente del villaggio aveva soprannominato il padre, per la sua malvagità, Soji il demone, mentre venerava il figlio chiamandolo Sua Signoria il Buddha. Gli ospiti amavano fargli visita e trascorrere il tempo con lui, ma, all'interno della stessa casa, evitavano Soji al punto che questi, adirato, dopo aver appeso al porta­ le di ingresso un cartello che dichiarava : «Alle persone inutili neppure una tazza di tè», caccìava via gli ospiti in malo modo . Allo stesso ramo dei Sabae apparteneva anche Moto­ suke. Le sue fortune essendo da tempo andate in rovi­ na, possedeva un solo campo che coltivava egli stesso con vanga e zappa; viveva con la madre e una giovane sorella. La madre non aveva ancora cinquant' anni e si dedicava alle attività femminili, tesseva e filava, lavo­ rando assiduamente per la famiglia, senza pensare a se stessa. La sorella, Mune, era bella come poche al mon­ do ; aiutava la madre nei suoi lavori, preparava il cibo e a sera, sotto la luce della lampada, leggeva con lei le storie del passato e si esercitava nella scrittura dei caratteri per mantenersi in esercizio . Poiché appartenevano alla stessa famiglia, Gozo an­ dava spesso a casa di Motosuke e in occasione di quegli incontri, che non erano rari, Mune si faceva spiegare molte cose e studiava con lui, considerandolo suo mae­ stro. Ben presto i due giovani giunsero a scambiarsi promesse per il futuro, mentre la madre e il fratello di Mune si mostravano tacitamente d 'accordo. Un anzia­ no medico della stessa famiglia, di nome Yugei, venuto a conoscenza della cosa e approvandola, dopo aver ottenuto il consenso della madre e del fratello di M une, si recò dal vecchio fabbricante di sake. «L'usignolo fa il nido solo sui rami del susino e non sceglie un altro albero . Prendi quella ragazza come 100

sposa per il tuo figliolo . È povera, ma il fratello è un uomo di valore, onesto e leale . Sarà un buon matrimo­ nio», gli disse. Soji il demone ebbe una risata di scherno. «Si dice che nella mia casa risieda la divinità della fortuna ; se accogliessi quella ragazza, figlia di una povera famiglia, come potrebbe la divinità non offendersi ? Vattene via. E voi, di casa, spazzate subito il posto dove quest'uo­ mo è stato seduto» . L' anziano medico, impaurito, si allontanò in fretta e da allora nessuno volle più prestar­ si come intermediario. Messo al corrente di ciò che era avvenuto, Gozo disse : «l miei genitori non sono d' ac­ cordo, ma poiché noi ci amiamo farò di tutto per sistemare le cose», e continuò a recarsi a casa della ragazza. Venuto a saperlo, il padre lo rimproverò con aspre parole: «Come hai potuto, stregato da chissà quale divinità, legarti a una donna che tuo padre detesta ? Lasciala subito, oppure rinuncia ai tuoi averi e vattene da questa casa. Nei libri che leggi non hai mai sentito parlare di ingratitudine filiale ?». La madre a sua volta si intromise : «Non hai altra scelta, ora che hai scatenato l'ira di tuo padre. Non andrai più a casa di quelle persone miserabili». La notte lo chiamò presso di sé e costringendolo a leggerle dei libri non lasciò che si allontanasse. Quando Gozo non si fece più vedere, M une pensan­ do all' amore sincero che le aveva dimostrato fino a quel momento, non ebbe una sola parola di rimprove­ ro . Ma presto si mise a letto e quello che era sembrato un malessere dappoco si trasformò in una seria malat­ tia. Senza più mangiare, rimase giorno e notte chiusa in casa. Il fratello, ancora giovane, non sembrò preoccu­ parsene, ma la madre che la vedeva diventare ogni giorno più esile, il viso bianco, gli occhi infossati, 101

informò Gozo : «Si tratta forse di ciò che chiamano pene d'amore. Nessuna medicina può giovarle. Vi pre­ go di venire». Lo stesso pomeriggio Gozo si presentò alla ragazza . «Dovresti vergognarti del tuo comportamento ingiusti­ ficato che addolora tua madre. Non pensi che, così facendo, dopo la morte rinascerai in qualche luogo orribile e sarai costretta a portare pesi, a intrecciare corde tutta la notte e a soffrire chissà quali tormenti ? Non sapevamo forse fin dall'inizio che mio padre si sarebbe opposto? Ma io, a costo di sfidare la sua volon­ tà, non intendo venire meno alla mia promessa. Sappi che la mia maggiore felicità sarà quella di vivere accan­ to a te, sia pure in uno sperduto villaggio di montagna. Dal momento che tua madre e tuo fratello ci hanno dato il loro consenso, non dobbiamo sentirei in colp a . L a mia casa è ricca e mio padre avrà cura che nulla minacci le sue fortune. Se potrà adottare una brava persona, capace di moltiplicare i suoi tesori, diment i­ cherà subito quello che ho fatto e vivrà a lungo felice. E ben difficile che un essere umano possa vivere cent 'an­ ni. E anche se ciò eccezionalmente accade, almeno cinquanta anni della nostra vita sono sprecati nel sonno della notte, e ancora ci sono le m alattie e le corvé ; quindi, se facciamo un calcolo preciso, possiamo dire che solo vent' anni ci appartengono davvero . Per quan­ to riguarda noi, proviamo a trascorrere insieme uno o due anni, facendo affidamento solo sui nostri senti­ menti, anche se ciò significherà vivere nel profondo delle montagne o al riparo di una capanna su una spiaggia, ignorati dal mondo. È stato sciocco da par­ te tua dimenticare i miei sentimenti e ammalarti; se dovessi morire, tua madre e tuo fratello mi riter­ rebbero responsabile e non potrei sopportarlo . Ti pre102

go, non disperare», la esortò con calore . «Non credere che io sia ammalata - rispose M une. ­ Era solo per un capriccio che mi ero messa a letto e ti sono riconoscente per i tuoi ammonimenti. Ora guar­ da». Così dicendo, prese un pettinino e cominciò a ravviarsi i capelli scomposti, si tolse l' abito che indossa­ va e ne mise uno nuovo, e senza neppure un'occhiata al letto dove era stata fino a quel momento, si rivolse sorridendo alla madre e al fratello e riprese le pulizie di casa. «Che tu sia più serena mi rende felice - disse Gozo . Quindi aggiunse, porgendole un pacco accuratamente avvolto in fogli di paglia intrecciata : - Eccoti un denti­ ce, preso sulla riva di Akashi, che i pescatori mi hanno portato questa mattina. Vorrei che lo preparassi per il pranzo prima che io torni a casa». Mune gli sorrise. «Ieri notte ho fatto un bel sogno ; forse significava che avrei avuto in dono un pesce portafortuna» M. Quindi prese il coltello da cucina e preparò il pranzo, arrostendo il dentice e offrendolo prima alla madre e al fratello e quindi a Gozo, e restan­ do sollecita accanto a lui mentre mangiava . La madre a quella vista non nascose la sua gioia profonda, mentre il fratello assumeva un atteggiamento di studiata indiffe­ renza . Gozo, commosso fino alle lacrime, continuava a lodare la bontà del cibo e a darsi da fare con le bacchet­ tine, cosicché il pranzo durò più del solito . «Trascorrerò qui la notte», decise alla fine. La mattina seguente si levò di buon'ora e rientrò a casa recitando a mezza voce la poesia : «Sul sentiero coperto di rugiada . . . »66• Il padre che lo stava aspettan­ do, lo accolse con queste parole : «Eccoti, buono a nulla ! Ti sembra ammissibile dimenticare la tua fami­ glia, farti gioco dei genitori e portare te stesso alla ·

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rovina ? Mi rivolgerò al magistrato per rompere ogni legame con te. Non ci sono scuse». Il suo aspetto era più demoniaco del solito . La madre si intromise : «Pri­ ma vieni qui da me. Dopo che avrò spiegato tutto ciò che tuo padre ha detto ieri sera, decideremo sul da farsi». Soji era furioso, ma trattandosi pur sempre del proprio figlio, accettò di ritirarsi nella sua stanza. La madre, tra le lacrime, rimproverò il figlio e Gozo, alla fine, rialzando la testa rispose : «Non c'è nulla che possa dire a mia discolpa. I giovani sono pronti a decidere su questioni di vita o di morte e non hanno rimpianti. Io non desidero le vostre ricchezze. Tuttavia mi sono convinto che lasciare i propri genitori sarebbe contro la morale e perciò sono disposto a cambiare vita. Perdo­ nate le mie colpe». La sua espressione era così sincera che la madre, rasserenata, tentò di consolarlo : « Se è un legame voluto dal Cielo, prima o poi ti sarà possibile incontrarla ancora» disse, e andò a riferire ogni cosa al marito. «Non dovrei dar retta a un bugiardo del suo stampo - disse Soji. - Ma il sovraintendente della nostra qistil­ leria da ieri sera è a letto col mal di stomaco . E già avvenuto altre volte che quei ladruncoli abbiano tenta­ to di portarmi via dal magazzino riso e sake. Prova a dare un'occhiata e poi va a informarti sulla salute del sovraintendente. Senza la sua presenza, anche per un sol giorno, chissà quanto perderemo. Adesso sbrigati» . Il figlio obbedì. Senza avere quasi il tempo d i infilarsi gli zoccoli, corse via e dopo poco rientrò a casa : «Ecco­ mi di ritorno» . «Il grembiule di distill a tore t i s i addice - convenne Gosoji. - Ritieniti al servizio della divinità della ric­ chezza. D'ora in poi, fino al capodanno dedicati al lavoro e non sprecare un solo attimo del tuo tempo . 1 04

Suvvia, bisogna pensare alla nostra montagna di tesori, inseguendo il dio della ricchezza e tenendolo ben stret­ to» . Non sapeva parlare d'altro che di denaro e conti­ nuò : «A questo proposito, la tua stanza è piena di libri che, durante la notte, sprechi il tuo tempo a leggere alla luce della lampada. Certo il dio della ricchezza disap­ prova un simile comportamento . Ma sarebbe uno spre­ co venderli come cartaccia. Meglio che ti rivolga a chi te li ha procurati e ti faccia restituire i denari. A che può servirti imparare ciò che neppure tuo padre conosce ? Ricorda che un figlio che non somiglia ai genitori è co­ me un demone, e mi sembra proprio che sia il tuo caso». «Ti prometto che d'ora in avanti ti obbedirà in tutto », rispose Gozo e da quel momento ogni giorno si diede a lavorare di buona lena nella distilleria, rimboc­ candosi fino alla cintola i lembi del grembiule . Il padre si rallegrò : «Il dio della ricchezza sarà soddisfatto». Nel frattempo, a casa di Mune, non appena le visite di Gozo si interruppero, la ragazza si ammalò di nuovo . Pensando che la sua fine fosse ormai questione di giorni, la madre e il fratello, disperati, avvertirono Gozo . Il giovane aveva da tempo intuito ciò che poteva accadere e, pur senza aver visto la ragazza, fu preso dall' angoscia. Appena ricevuto il messaggio, corse a casa di lei e disse alla madre e al fratello : «Avevo immaginato che ciò sarebbe successo . Può darsi sia vero ciò che dicono avvenga dopo la morte, ma non ho alcuna certezza. Perciò , domattina vi prego di condur­ re Mune a casa mia. Non so se per mille o diecimila anni, o soltanto per un breve attimo, saremo comunque marito e moglie . Ciò che più desidero è che il matrimo­ nio sia almeno celebrato davanti agli occhi dei miei genitori. Motosuke, mi affido a te perché faccia quanto ritieni opportuno» . 1 05

«Mi occuperò di ogni cosa, come vuoi - rispose Motosuke. - Aspettaci a casa tua». Il suo volto era sereno. La madre aggiunse : «Ho a lungo atteso il giorno in cui Mune sarebbe uscita di casa per andare sposa. Sapere che ciò avverrà domani mi rende tranquilla» . Con aria felice, la donna preparò il tè e fece intiepidire il sake per l'ospite. Gozo prese la coppa e subito la porse a Mune celebrando con lei la cerimonia nuziale dello scambio delle coppe, mentre Motosuke intonava un canto di buon augurio . , La campana della sera fece udire i suoi rintocchi. «E l'ora in cui chiudono il portone di casa» disse Gozo, e se ne andò . La madre e i due ragazzi trascorsero la notte sotto la luce della luna, parlando sommessamente di mille cose. All'alba, la donna prese un kimono di seta bianca, lo fece indossare alla figlia e le pettinò i capelli con cura. «Non dimenticherò mai la gioia di quel giorno lontano, quando anch'io ero giovane e mi sono sposata . Nella casa di tuo marito, cerca di essere gentile con il tuo nuovo padre, anche se è malvagio. La tua nuova madre ti starà vicina». Aiutò la figlia a prepararsi, le truccò il viso e quindi l' accompagnò al palanchino facendole mille raccomandazioni. Motosuke aveva indossato l'a­ bito da cerimonia di lino e portava al fianco le due spade. «Tra cinque giorni sarà di ritorno a casa" . Non c'è motivo di indugiare tanto» disse, ma pure esitava a mettere fine a quella conversazione. Soltanto Mune ebbe un sorriso radioso : « Tornerò presto » disse, e salita sul palanchino si allontanò . Motosuke procedeva al suo fianco e la madre, in apparenza serena, accese le fiacco­ le accanto al portale d'ingresso, secondo le usanze . Due domestici al servizio della famiglia borbottava­ no fra di loro : «E secondo te questo è un matrimonio ? 1 06

Ci siamo sbagliati di grosso se pensavamo di accompa­ gnare la sposa, ricevendo in regalo qualche soldo e riempiendoci lo stomaco di zuppa e mochi». Così di­ cendo, sconsolati, attizzavano il fuoco per la colazione. L'inaspettato arrivo di Muqe gettò l'intera famiglia di Soji nella costernazione. «E arrivata una persona, forse ammalata. Non abbiamo mai saputo che una giovane signora facesse parte di questa casa», mormo­ ravano tra loro i servitori stupefatti. Motosuke sedette di fronte a Soji nel modo più formale. «Questa è 11_1ia sorella, di cui Sua Signoria Gozo è innamorato . E stata malata a lungo e poiché vostro figlio ha chiesto che il matrimonio venisse cele­ brato al più presto, l'ho accompagnata qui. Oggi è un giorno propizio . Vi prego, fate preparare le coppe di sake per la cerimonia». Soji spalancò la bocca, più demone che mai : «Che diavolo stai dicendo ? Sapevo che mio figlio aveva mes­ so gli occhi su tua sorella, ma gli ho fatto cambiare idea e adesso non ci pensa più. Cosa vi prende? Una volpe vi possiede e vi ha fatto impazzire ?6" - Si alzò in piedi e fissò l'altro con occhi di fuoco . - Vattene. Non mi sporcherò le mani con te, ma ordinerò ai miei uomini di buttarvi fuori a colpi di bastone». Il suo aspetto faceva paura, ma Motosuke sorrise : « Chiamate Goz6, allora. Fin dall' inizio ha promesso che l' avrebbe sposata, ma il tempo è passato e ora mia sorella è ammalata. Ha chiesto di poter almeno morire in questa casa e io ve l'ho portata . Permettetele di essere sepolta qui, accanto a Gozo . Sapendo quanto siete avaro, non vi chiederò di spendere nulla. Ho portato tre monete d'oro . Usatele per il suo funerale, anche se basteranno appena per una semplice cerimonia» . Soji colse al volo l'occasione. «L 'oro me lo regala il 107

mio dio della ricchezza e non so cosa farmene delle tue sudice monete. Di sicuro, la ragazza non sarà mai la moglie di mio figlio. Se sta per morire, ecco una ragione di più perché ve ne andiate alla svelta. Dove ti sei cacciato, Gozo ? Cosa credi di fare, visto che non inten­ do dare ascolto a questa sordida storia? Se non mi darai retta manderò via anche te. Ti accuserò davanti al magistrato di esserti ribellato a tuo padre e ti farò pumre». Gozo apparve e subito il padre balzando in piedi gli sferrò un calcio che lo fece cadere nel giardino. «Fa pure ciò che vuoi. Questa fanciulla è mia moglie. Ho sempre pensato che se l'avessi respinta me ne sarei andato con lei, mano nella mano . E ora è giunto il momento». Prese per mano Mune e fece per avviarsi, ma Motosuke lo trattenne : « Se solo le chiedi di fare un passo, crollerà a terra. È la tua sposa ed è giusto che muoia qui, nella tua casa». Non aggiunse altro : sfilò la spada e con un sol colpo tagliò di netto il capo della sorella. Gozo raccolse la testa recisa, l'avvolse nella manica del kimono e senza una lacrima si avviò verso il portale d'ingresso . Il padre restò per un attimo inorridito, poi balzò sul suo cavallo . «Dove stai andando ? - urlò al figlio . - Non ti permetterò di seppellirla nella tomba dei nostri ante­ nati. Non ci pensare neppure. Quest'uomo è un assassi­ no . Bisogna farlo arrestare». Soji corse subito a informare il capovillaggio . Questi, dopo averlo ascoltato, esclamò : «Quale atto sconside­ rato ! Certo la madre di Motosuke non poteva esserne al corrente». La casa non era lontana e il capovillaggio vi si recò di corsa. «A Motosuke ha dato di volta il cervel­ lo ! » disse ancora senza fiato, e le raccontò ogni cosa. La madre, come al solito seduta davanti al telaio, 108

stava tessendo ; nell'udire la notizia, capì quello che era successo, ma non mostrò sorpresa: « È questo ciò che ha fatto mio figlio? » . Quindi si alzò : «Vi ringrazio molto di avermi informata», aggiunse. «Dio mio, fino a oggi si diceva che Soji fosse un demone, ma anche questa donna non scherza. Ha nascosto bene la sua natura per tutti questi anni» pensò il capovillaggio, stupefatto da quella reazione, e corse a riferire tutto al magistrato . Subito gli interessati furono convocati. «Avete messo a soqquadro l'intero villaggio . Moto­ suke può aver avuto motivo di uccidere la sorella, ma è pur sempre un assassino e deve essere trattenuto. Anche Gozo deve essere interrogato» disse il magistra­ to, e i due furono legati e chiusi in prigione. Dopo dieci giorni il magistrato ordinò che i due giovani, assieme alle altre persone implicate nella vi­ cenda, fossero condotti alla sua presenza e dopo un lungo interrogatorio concluse: « Soji all'apparenza � innocente, ma in realtà la sua colpa è molto grave. E stata la sua malvagità a permettere che tutto ciò avve­ nisse proprio davanti ai suoi occhi. Che sia confinato nella sua casa. Giudicherò in seguito la sua colpa e deciderò la punizione. Motosuke ha agito con il con­ senso della madre; è colpevole, ma il suo errore non è grave. Sia confinato anche lui nella sua abitazione. Gozo si è comportato in modo sospetto, ma non è cosa che si possa risolvere con questo interrogatorio» . Ordi­ nò che Gozo fosse ricondotto in cella. Passati cinquanta giorni fu emesso un proclama. «Ascoltate le decisioni del governatore della provincia : ciò che è avvenuto è da imputarsi interamente a Gozo e a Soji. Pertanto, non è loro permesso di restare in questo villaggio . Siano banditi all 'istante». Padre e 109

figlio furono scortati dagli agenti dal cancello del tribu­ nale fino ai confini della provincia vicina . «Motosuke, con l'approvazione della madre, ha compiuto un gesto inammissibile. Anch 'essi non possono rimanere nel villaggio. Siano dunque banditi al di là del confine occidentale della provincia». Così il caso fu risolto . Tutte le ricchezze di Soji, insieme con il suo dio della fortuna, furono confiscate dalle autorità. Soji il demone pianse e si disperò, battendo i piedi e agitando le braccia, più che mai orribile a vedersi. «Gozo, è colpa tua se sono stato condannato» urlò, gettando il figlio a terra e coprendolo di percosse. Gozo non tentò neppu­ re di difendersi. «Fa come vuoi», si limitò a dire. «Maledetto, maledetto». L' uomo seguitò a colpirlo fino a che non sgorgò il sangue. Accorsero gli uomini del villaggio che odiavano Soji e vennero in aiuto di Gozo. «La mia vita non merita di essere salvata, ma neppu­ re posso decidere il momento della morte» disse Gozo, seduto davanti al padre, il viso senza alcuna espres­ slOne. «Quale dio della sfortuna ti possiede? - gridò Soji. ­ Io ho perso le mie ricchezze, ma guadagnerò ancora e riuscirò a tornare quello che ero . Andrò a Naniwa, a fare il mercante. Ti diseredo. Non provare a seguirmi» . Il viso gonfio di collera, Soji se ne andò per sempre. Dopo poco Gozo si rase il capo e si fece monaco ; entrò in un tempio del villa ggio e acquistò fama di grandi virtù. Motosuke continuò a occuparsi della ma­ dre ; i due trovarono rifugio da alcuni parenti a Harima, dove egli riprese zappa e vanga e tornò alla vita di un tempo. La madre ricominciò a tessere, del tutto simile alla dea del telaio delle antiche cronache. La moglie di Soji tornò dalla sua famiglia e a sua volta prese i voti. 1 10

La gente continuò a raccontare che sul volto della ragazza decapitata - così piena di coraggio - era rima­ sto un sorriso.

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SUTEISHIMARU

Suteishimaru

È

p roprio vero ciò che dice un' antica poesia : sUI monti del Michinoku sbocciano fiori d'oro6" . In un villaggio ai piedi della montagna viveva un tale chiamato «Oda no choj a » , il ricco di Oda . Nessuno in quelle remote regioni dell ' est poteva eguagliare la sua ricchezza. Tuttavia egli aveva lasciato ogni avere al figlio Kodanj i e passava giorno e notte a bere e a divertirsi. La figlia maggiore che si chiamava Toyo era rimasta vedova e con il permesso della famiglia si era fatta monaca ; aveva p reso il nome di Hoen e si dedicava con devozione alle p ratiche religiose. Dopo la morte della madre, Hoen aveva dovuto mandare avanti la casa e poiché era di carattere affabile e gentile fornitori e dipendenti erano ben contenti di essere al suo servizio . Tra i servitori vi era Suteishimaru : alto più di un metro e ottanta, robusto, superava chiunque nel bere e nel mangiare. Oda no choj a lo aveva preso in simpatia e ogni volta che beveva lo voleva con sé. Una notte più brillo che mai disse: « So che ti piace bere, ma q uando sei ubriaco ti addormenti come un masso, non importa 1 15

ove tu sia, in un campo o fra i monti. Ecco perché ti hanno soprannominato Suteishi, " masso caduto " . Tut­ tavia, se dormi troppo profondamente rischi di essere divorato da un lupo o da un orso . Guarda questa spada ; apparteneva a uno dei miei antenati, cinque generazioni orsono . Era molto orgoglioso della propria forza e perciò ha voluto una lama più grossa del normale. Gli piaceva andare a caccia : ecco che una volta all'improv­ viso gli compare davanti un orso . La belva inferocita mostrando le zanne si precipita verso di lui ma il mio antenato sfila la spada, colpisce l'orso al ventre, gli taglia la testa e la porta con sé a casa . Da quel momento lo soprannominarono Kumakirimaru, " l'ammazzaor­ si" . Se tu ti addormenti quando sei ubriaco, prima o poi rischierai di essere divorato da qualche belva. Prendi questa spada, sarà il tuo angelo custode » . I l vecchio porse l a spada a Suteishimaru che l a prese col massimo rispetto e disse: «Forse un orso o un lupo potrei anche ucciderli con le mie mani, ma se sarà un demone a comparirmi davanti, allora potrò usare la spada e farmi chiamare " l 'ammazzadiavoli " »70• Legò con noncuranza la spada al fianco sinistro. Il choja lo invitò a festeggiare e i due seguitarono a bere finché la cameriera disse ridendo : «Avete bevuto più di cinque litri ! » . «Sto proprio bene, andrò a fare due passi al fresco» disse Suteishimaru, e uscì di casa con passo incerto . Il choja se ne accorse. «Così rischia di perdere la spada che gli ho dato. Meglio controllare che torni subito a casa». Si alzò a sua volta, traballando. Kodanji, timoroso che il padre potesse farsi male, lo seguì a una certa distanza. In effetti, dopo poco scoprirono il servitore che giaceva a terra accanto a un rigagnolo, i piedi immersi nell' ac­ qua. La spada gli era caduta a poca distanza dalla testa. 1 16

«Lo immaginavo» borbottò il vecchio e fece per raccoglierla, ma in quel momento l'altro aprì gli occhi . «Come sarebbe? Vuoi riprenderti quello che mi hai dato ? » , gridò e dimenticandosi che si trattava del suo padrone, lo afferrò bruscamente. Il vecchio che non poteva competere con la forza dell'altro cadde al suolo con la spada stretta fra le mani, e Suteishimaru gli fu subito addosso cavalcioni. Kodanji, che li osservava da lontano, corse in aiuto del padre e tentò di buttare a terra l'uomo, ma i suoi tentativi furono inutili poiché anche la sua forza era di molto inferiore a quella del servitore. «Padroncino, cosa diavolo state facendo ? » . Suteishi­ maru lo afferrò con la mano destra e con una spinta lo fece cadere addosso al vecchio . Tuttavia, per quanto ubriaco, l' uomo si rese confusamente conto di trovarsi di fronte ai padroni e mentre tentava in qualche modo di rialzare il choja, Kodanji ne approfittò per colpirlo con forza e farlo cadere. Il vecchio padre poté rimetter­ si in piedi e, sempre con la spada in mano, si incamminò intonando una vecchia ballata : « Sono l'uomo più forte di tutto il Giappone. Il mio nome è Musashibo, il monaco della pagoda d'occidente . . . »71 • Suteishimaru lo inseguì, facendogli eco : «Ci stiamo affrettando verso il Koromogawa . . . »'2 • Lo raggiunse e tentò di strappargli la spada, ma la lama all'improvviso scivolò dal fodero e ferì il servo a un braccio . Il sangue zampillò dalla ferita e andò a colpire il viso del vecchio . Kodanji pensò che il padre fosse stato ferito e arrivando alle spalle di Sutei­ shimaru tentò di fermarlo . L'uomo divincolandosi per­ cosse il giovane sul viso, sporcandolo di sangue. Il choja, a sua volta convinto che il servitore avesse ferito il figlio, afferrò il fodero della spada e cercò di colpirlo in volto . Suteishimaru parò il colpo con la lama e provò a 1 17

fermare il vecchio, canticchiando qualcosa. Non lo aveva neppure sfiorato con la spada, ma il sangue che sgorgava dalla sua ferita macchiò anche le vesti del­ l' altro. Dalla casa arrivarono di corsa due o tre servitori. «Guardate, li sta uccidendo» si misero a gridare, e si buttarono su di lui. Finalmente l'uomo parve rendersi conto del suo misfatto. Afferrando i due servitori con le sue robuste braccia, uno per lato, si mise a correre. «Non ho fatto niente, non ho ucciso nessuno». Nono­ stante fossero suoi prigionieri, i due seguitarono a urlare : «Assassino ! Hai ucciso il padrone ! » . Alla fine, Suteishimaru si convinse di aver davvero ucciso il padrone e il figlio . Scaraventò i due servi in un profon­ do ruscello e si allontanò di corsa. Il choja, ancora ubriaco e tutto sporco di sangue, si diresse verso casa brandendo la spada come per segna­ re il tempo di una danza. Kodanji lo seguì. La gente di famiglia si raccolse attorno ai due, allarmata: « Cosa è successo ?». Kodanji li calmò, quindi accompagnò il padre a letto. La sorella monaca non riusciva a spiegar­ si l' �ccaduto . «Quanto sangue ! Ma cosa è successo ? » . « E stato Suteishi - rispose Kodanji. - S i è ferito a un braccio con la spada di nostro padre. Ecco il perché di tanto sangue. Io stesso mi sono spaventato, ma in realtà non è successo niente di grave» . La sorella si rasserenò . Suteishimaru, convinto di aver ucciso il padrone, non fece ritorno a casa. Fuggì senza neppure chiedersi dove stava andando e nessuno lo vide più. I due servitori che aveva gettato nel fiume morirono . L'inte­ ro villaggio fu in tumulto e si radunò davanti alla casa del choja. «Davvero ha ucciso il padrone ed è scappato via ? » . Kodanji tentò d i calmare l a folla. «Assolutamente 1 18

nulla di tutto ciò . Il sangue su mio padre proveniva dalla ferita di Suteishimaru». «Se le cose stanno così. . . - disse la gente. - Andiamo a cercare i corpi dei due servitori». Tutti si allontanaro­ no . Ma chissà per quale motivo la mattina seguente il vecchio choja non si alzò dal letto . Quando Kodanji e la sorella andarono a vedere cosa accadeva, trovarono il padre che giaceva a bocca aperta, gli occhi chiusi e il corpo ormai freddo. Era morto . «Come è possibile? » si chiesero, e mandarono qual­ cuno in cerca di un medico . Questi, dopo aver esamin3:_­ to il cadavere, dichiarò : «Ormai è troppo tardi. E morto per qualche malore improvviso». I due fratelli si misero a piangere, ma le altre persone della casa si indignarono . «Allora è proprio vero che Suteishimaru ha ucciso il nostro padrone. Il giovane signore ha detto che è stato un malore solo per proteggerlo. Va bene essere generosi, ma ogni cosa ha un limite ! » . La notizia giunse all'orecchio del governatore della provincia e un magistrato fu subito inviato sul posto . Costui da tempo invidiava le ricchezze del choja e pensò subito di appro­ fittare dell'occasione per mandare in rovina l'intera famiglia. Dopo aver esaminato il cadavere affermò : dl corpo è macchiato di sangue e senza dubbio la causa del decesso deve essere un colpo violento . Kodanji pur avendo visto che qualcuno stava uccidendo il padre non ha neppure tentato di fermarlo o inseguirlo e ha detto invece che era morto di malattia . Ciò è molto sospetto » concluse, alterando volutamente i fatti . «N on c'è traccia di colpi» protestò il medico che era presente, ma il magistrato si infuriò . «Menti perché sei stato comprato ! » , e ordinò che il medico fosse messo agli arresti. Non osò tuttavia com ­ portarsi allo stesso modo nei confronti di Kodanji. Si 1 19

limitò a chiedergli di seguirlo dal governatore. All a sua presenza Kodanji spiegò di nuovo tutti i particolari dell' accaduto. Ma anche il governatore, che da tempo era geloso della fortuna del choja, disse : «Non posso accettare simili dichiarazioni. Che il medico sia condot­ to in prigione ! La famiglia di Kodanji vive in questa regione da parecchie centinaia d' anni e pur non essen­ do nobile ha ottenuto il permesso di portare la spada e la lancia, di possedere cavalli e portantine. Pertanto può essere considerata appartenente all 'aristocrazia militare. E tu, come puoi dire una simile bugia pur dopo aver assistito all'assassinio di tuo padre ? La pena verrà decisa in base alla legge della nostra provincia. Per un certo tempo sarai rimesso in libertà, ma se non ci porterai la testa di colui che ha ucciso tuo padre, tutti i tuoi beni e le terre ti saranno confiscati e sarai mandato in esilio . Affrettati, quindi» . E dopo questa sentenza il magistrato si ritirò . Kodanji tornò a casa immerso nei suoi pensieri e si rivolse alla sorella : «Non sono molto robusto, anche se non ho mai avuto problemi di salute. Porto la spada, ma non so affatto come si uccide un uomo . Suteishi è famoso per la sua forza. Se mai lo affronterò, saranno guai». La sorella monaca piangendo gli suggerì : «> (rikugr) elencati nella postfazione scritta in cinese, che Akinari attribuisce a Ki no Tsurayuki. Tale classificazione si basa a sua volta sulla prefazione della cosiddetta edizione Mao dello Shrj'ing ( Libro delle Odi ) , la maggior collezione di poesia cinese antica. I sono a loro volta suddivisi in tre tipi e tre forme. 42 n trattato Kakyo hyoshiki ( 772 ca. ) è la prima opera giapponese di critica poetica, scritta da Fujiwara no Hamanari (724-790 ) , conosciuta anche come Hamanarishiki ( Gli stili secondo Hamanari) o Wakashrki (Gli stili della poesia giapponese) . 4 3 Sugawara no Michizane (845 -903 ) . Nato in una famiglia d i letterati, fece una rapida carriera a Corte come consigliere dell'imperatore Uda e nell'899 fu nominato Ministro della Destra (udaijin ) . Cercò inutilmente di opporsi al crescente potere della famiglia Fujiwara, ma nel 902 , accusato di complottare contro il nuovo imperatore Daigo, fu esiliato a Dazaifu, nel Kytishu, dove morì. Una serie di calamità attribuite al suo spirito vendicati­ vo affrettarono la sua riabilitazione postuma e, dopo varie promozioni, fu venerato come Kitano Tenjin, dio del sapere e della calligrafia. Michizane fu famoso anche come calligrafo e autore di poesie in cinese. 44 L'era Engi (90 1 -923 ) copre il periodo durante il quale furono composti sia il Kokinshu sia lo Engishiki (Cerimoniale dell'era Engi ) ; fu in seguito idealizzata come il momento di massimo splendore della cultura di Corte. 45 Miyoshi no Kiyotsura (o Kiyoyuki o Kiyoyasu, 894-9 1 8 ) . Letterato e funzionario di Corte, nel 900 nominato direttore dell'Ufficio degli studi superiori (Daigaku no kamz) . Studioso di divinazione, alla fine dello stesso anno scrisse un documento in cui suggeriva a Sugawara no Michizane di rinunciare ai suoi incarichi, poiché il nuovo anno si preannunciava molto tormentato. n suo nome è legato allo Iken jiinrkajo (Opinioni in dodici paragrafi, 9 1 4) in cui indicava i mali del governo e proponeva riforme. 46 Fu sul trono dapprima come imperatrice Kogyoku dal 642 al 645 e quindi dal 655 al 66 1 come Saimei. Morì durante una spedizione militare in Corea progettata per respingere un attacco della Cina al regno di Paekche. 47 n gioco di parole nasce dal fatto che Tsurayuki fu anche direttore dell'Ufficio di carpenteria. In realtà tale ufficio gli fu conferito solo dopo il suo ritorno da Tosa, poco prima della morte. .j()

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48 Yanra medeta sono parole di augurio che compaiono spesso nelle cosiddette o/unauta ( «canzoni "di barcaioli>> ) , in voga durante tutta l'epoca Tokugawa. 49 «Onde bianche» (giapp. shiranamz) significa anche «brigante, pirata>>. 5° Kibi no Makibi ( 695 -775 ) . Studioso e funzionario di Corte, nel 7 1 7 fu nella Cina dei Tang dove rimase diciannove anni. Fu in seguito nominato governatore di varie province e inviato nuovamente in Cina dal 752 al 75 4. Fu Consigliere di Mezzo (chunagon ) , Consulente imperiale (sangt) e nel 767 Ministro della Destra ( udaijin ) . 5 1 Due ministri cinesi fedeli alla dinastia Han, che s i opposero al tentativo di usurpare il trono compiuto dalla vedova del primo imperatore, e dalla sua famiglia, i Lu. 52 Nell'ipotesi del pirata il nome Tsurayuki [ l ] è ricavato da un passo dei Dialoghi di Confucio che nella lettura giapponese suona: ichi wo matte kore wo tsuranuku. La lettura Tsuranuki proposta è la forma nominale del verbo tsuranuku [2 ] «percorrere, attraversare>>. n secondo carattere [}) - shi nella lettura sino-giapponese - ha talvolta il significato di (oku no in) era venerata anche la divinità shintoista guardiana del monte, con il nome di Taichi Daigongen. 8' Takubi Gongen è la divinità shintoista venerata a Nishinoshima, una delle isole dell'arcipelago di Oki che si estende nel Mar del Giappone, a una distanza che va dai 40 agli 80 km a nord della costa della penisola di Shimane. 86 La stazza delle imbarcazioni veniva calcolata in koku, unità di misura di capacità per cereali, equivalente a 1 80 litri. 87 L'arcipelago di Oki era luogo d'esilio per prigionieri politici. Fra gli più ill u stri, gli imperatori Gotoba ( 1 1 80· 1239) e Godaigo ( 1288- 1 3 3 9 ) . 88 U n a delle divinità guardiane del buddhismo, dotata d i eccezionale velocità. 89 Si tratta di Fan Kuai (giapp. Hankai ) , vassallo di Liu Bang, primo imperatore della dinastia cinese Han, divenuto modello di coraggio e fedeltà. Nel Libro degli Han si racconta che fece irruzione nella stanza dove l'imperatore si intratteneva trascurando i suoi impegni politici, per incorag­ giarlo all'azione. 90 Sull e