Racconti dell'inizio. Genesi 1-11 e altri racconti di creazione 8839920242, 9788839920249

Contrariamente a quanti ritengono che la nostra epoca stia assistendo alla fine dei grandi racconti e che a contare sian

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Racconti dell'inizio. Genesi 1-11 e altri racconti di creazione
 8839920242, 9788839920249

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Ellen

van

Wolde

RACCONTI DELL'INIZIO Genesi 1-11 e altri racconti di creazione

Editrice Queriniana

Ai miei genitori che furono il mio inizio e mi donarono un racconto dell' inizio

Titolo originale Verhalen over het begin. Genesis 1-11 en andere scheppingsverhalen

© 1995, 19952 by Ten Ha ve, Baarn

© 1999 by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75- 25123 Brescia (Italia) tel. 030 2306925 - fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-1Mil: direzione@ queriniana.it ISBN 88-399-2024-2

Traduzione dall'edizione inglese Stories ofthe Beginning, SCM Press, London 1996 di ANTONIO NEPI Edizione italiana a cura di FLAVIO DALLA VECCHIA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

PREFAZIONE

Un libro è come un fiore: devi possedere un buon terreno in cui puoi se­ minario, devi soprattutto avere un buon seme, così come hai bisogno di per­ .sone per piantarlo, perché il seme possa crescere in fretta. Poi occorre un paziente lavoro: sarchiare, concimare, irrigare, nonché la pazienza di aspet­ tare e continuare a lavorarvi intorno. Finalmente, un giorno, ecco il fiore. Bello ! Può darsi, però, che sia più esile, più povero di quanto t' aspettassi. Sia quel che sia, ha bisogno che qualcuno se ne accorga ed abbia un occhio di riguardo per esso. Ogni fiore appassirà, come appassirà ogni libro, ma gli piace essere ammirato nella sua fioritura, o aspettare, come seme nella terra, prima di portar miglior frutto nel futuro. Questo libro, Racconti dell 'inizio, è il fiore che è cresciuto in un vivaio preparato tempo fa dai miei genitori . Il seme seminato in quel letto non sol­ tanto ha plasmato il mio inizio, ma nello stesso tempo ha creato le mie pos­ sibilità di sbocciare. I miei genitori restano la mia costante ispirazione. È per questo che ho dedicato loro questo libro. Per il dissodamento del terreno, il concime e il sostentamento giornaliero del mio giardino è stata estremamente importante la Facoltà teologica di Til­ burg, dove alunni ed insegnanti lavorano insieme in modo stimolante. Que­ sto libro ne è certamente un prodotto. Soprattutto, per me sono stati indi­ spensabili i veri giardinieri. Hanno collaborato con me nella lettura del te­ sto, correggendolo e proponendo suggerimenti, ed il loro sostegno e inco­ raggiamento mi sono stati particolarmente d' aiuto. Sono molto grata ad o­ gnuno di loro: Annecke Pieck, Yvonne van den Akker, Ron Pirson, Ton van der Worp e Frans Geerts.

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Introduzione

L'INIZIO

Questo è l' inizio. Ogni cosa è silenziosa, immobile. Thtto è vuoto. Non c'è affatto vita: nessun canto di uccelli, nessun pesce che guizza nelracqua, nessuna persona che riempia l'aria di rumore. Un puro silenzio sovrasta o­ gni cosa. Nessun alito di vento e nessuno spirito che si li bra sulle acque. Nessuna creazione o creatura ali' orizzonte. Senza un inizio c'è il nulla, non v'è nessun tempo e nessuno spazio, nessuna vita o aria. Senza un racconto non c'è nessuna immagine, o idea con cui riempire uno spazio. La storia ha un inizio con la creazione di Dio e la sua ricreazione in un linguaggio e in un racconto espresso da esseri umani. Senza un racconto dell' inizio, l' umanità deve affrontare il caos, e la sua origine sembra essere un abisso. Per fornire un fondamento all' esistenza, l'i­ nizio è stato colmato di senso. Inoltre, ogni cultura attribuisce un senso all' i­ nizio, spesso in forma di racconti. Non sono racconti nel senso di favole, bensì realtà viventi e vissute da un popolo. Sono racconti che danno le radici ad un popolo. Nella cultura occidentale Genesi è il racconto dell' inizio. Al­ tre culture narrano storie diverse del modo in cui tutto cominciò, e noi le leggiamo con grande stupore. Ripercorriamo incantati le loro tracce nel pas­ sato. Là, dove nessuna persona è mai stata, ciò che nessun orecchio ha mai udito, attraverso una lettura costante noi creiamo di nuovo la narrazione del nostro stesso inizio. Nella nostra epoca vi sono alcuni che credono che i grandi racconti abbia­ no fatto il loro tempo. Per la maggior parte della gente addirittura contano solo i fatti. Per costoro, soltanto le percezioni di ciò che è immediatamente visibile costituisce la base delle teorie scientifiche e delle visioni del mondo. È soprattutto la gente che vive di senso comune a sapere che c'è solo la cru­ da e nuda concretezza dei fatti, e che questi solitamente assumono le sem­ bianze di una lira o di un dollaro. Il resto è fantasia, invenzione; tutt'al più, divertente distrazione. Nonostante ciò, i narratori, i cantastorie e i poeti pos-

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sono essere più vicini alle esperienze e ai sentimenti ed esprimere in una maniera significativa ciò che è un "fatto". D' altro canto, anche le spiegazio­ ni economiche o scientifiche "oggettive" spesso sembrano essere più una questione di selezione e di prospettiva, anziché di pensiero. Entrambi gli a..: spetti, il potere esplicativo delle narrazioni ed il potere narr ativo delle spie­ gazioni, avranno una posizione di primo piano in questo libro. lnnanzitutto, a noi qui interessano i "grandi" racconti della cultura occi­ dentale; i racconti della creazione di Gn 1 - 1 1 e il modo in cui sono stati letti e interpretati nel corso della storia. Queste narrazioni bibliche hanno eserci­ tato una straordinaria influenza nella formazione della visione che l' Occi­ dente ha degli esseri umani e del mondo. In un secondo momento questi "racconti dell' inizio" saranno illuminati da altri racconti di altre culture non occidentali. Queste ultime prospettano un' ampia gamma di immagini, un ar­ senale di esperienze, e un serbatoio di profonde intuizioni e suggestioni che possono ulteriormente arricchire il nostro stesso immaginario. Infine, analiz­ zeremo alcuni elementi delle moderne teorie sulle origini che contraddistin­ guono il nostro XX secolo. Questi approcci scientifici ali' inizio ci sono così familiari che non ci rendiamo conto del loro c arattere narrativo. Nello stesso tempo, diventerà chiaro che l' inizio in sé è anteriore a qual­ siasi racconto e a qualsiasi sua esposizione o spiegazione. A prescindere dal­ l'originalità e dalla creatività di un racconto o di una spiegazione, nulla può cominciare senza un principio al di fuori di questo particolare racconto o spiegazione.

Dal tempo primordiale a Ur: Genesi 1-11 I racconti del passato solitamente partono dali' inizio. Ma che cos'è il pas­ sato? È una serie di fatti e avvenimenti oppure una narrazione che riproduce immagini ed esperienze umane? Il libro della Genesi palesa tutti e due gli a­ spetti : una serie di genealogie e una serie di racconti. Le liste di generazioni o genealogie, in Genesi, risultano sempre introdotte dalle parole 'elleh tole­ dot, «questa è la storia» del cielo e della terra; «questa è la storia» o «questa è la lista delle generazioni» di Adamo, Noè, dei figli di Noè, di Sem o di Te­ rach. Queste genealogie sono un genere di sommario storiografico. In esse il passato viene condensato nel suo nucleo biologico, per la trasmissione di materiale ancestrale. La vita viene descritta come sopravvivenza, e la storia come preservazione di "geni". Perciò Genesi è primariamente gene si Que­ sto viene espresso nel termine toledot, che significa generazioni, ma anche origini, nascite, procreazioni, discendenti. Toledot è la storia vista come un -

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processo biologico e fisiologico. Peraltro, la storia può essere esperita come una serie di esperienze trasmesse; i genitori raccontano ai figli la loro vita, le loro radici e il loro entusiasmo, le loro motivazioni, i loro ideali e le loro realizzazioni. Tramite ciò, genitori e figli attingono o riguadagnano nuova forza, e i fatti biologici e storici acquistano significato all'interno della strut­ tura del racconto. In Genesi questi racconti appaiono inframezzati dalle ge­ nealogie: queste due dimensioni simultanee, fatti storici e biologici, nonché il senso che essi veicolano, determinano il passato dell' uomo. Proprio amal­ gamando queste due dimensioni, Genesi rivela i due livelli del racconto. I primi undici capitoli di Genesi narrano il racconto della creazione, della storia primordiale del mondo e delle prime generazioni di esseri umani. Essi cominciano nel tempo primordiale, nel tempo che precede il tempo ordina­ rio e nello spazio che precede lo spazio ordinario, per poi continuare sino a Ur, la città natale di Abramo. Da Gn 1 2 in poi questa storia universale si fo­ calizza sui discendenti di Abramo: gli Ebrei, o il popolo di Israele. In Gn 1 2-50, i racconti dei patriarchi, di Abramo e Sara, di !sacco e Rebecca, di Giacobbe e Rachele e Lia, vertono sulla formazione di questo popolo. Que­ ste narrazioni si concludono con la benedizione dei dodici figli di Giacob­ be/Israele e lo stesso libro della Genesi si chiude con questa benedizione e con i figli di Giacobbe che dimorano in Egitto. Sin dal sorgere dell' esegesi scientifica nel XIX secolo, c'è stato un enor­ me ed acceso dibattito sulla datazione di Genesi. La maggioranza parte (o partiva) dall' ipotesi documentaria, secondo cui alla base c' erano quattro strati redazionali: lo Jahwista, o J (960-930 a.C.), vale a dire un gruppo di autori che sono rimasti anonimi e che chiamano Dio YHWH, i quali �crisse­ ro in Giuda durante il regno di re Salomone; l' Elohista o E (850 a.C.), l' ano­ nimo gruppo di autori, che chiamano Dio Elohim e che scrissero nel Regno del Nord dopo la di visione del regno di Salomone; il Deuteronomista o D (620 a.C.), l' anonimo autore che scrisse e redasse al tempo della riforma di Giosia; e lo Scrittore Sacerdotale o P (550-450 a.C.), l ' anonimo gruppo di autori che risistemarono gli scritti più antichi in un documento unitario, che è il testo che attualmente abbiamo. Tutti i testi di Genesi sono stati analizzati sotto la scorta di questa ipotesi sui suoi autori, che contemporaneamente so­ no una sorta di redattori. Pertanto il testo viene visto come un mosaico co­ struito con varie tessere; il tutto viene allora smontato in vari pezzi. Una volta identificati questi pezzi, numerandoli con una sigla, gli esegeti posso­ no riassemblare i tasselli sparsi dello stesso tipo e diventa quindi possibile ricostruire o n-scrivere "una teologia di J'' o "una teologia di P". È in que­ sto modo che viene analizzato il testo di Genesi. Dalla metà degli anni '70 questo tipo di approccio è stato sempre più con-

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testato. Si avvertì l' esigenza e l' opportunità di prestare molta più attenzione al mosaico nella sua totalità. Una volta sollevato il problema, si cominciò

sempre di più a vedere l' unità dietro le differenze. Da un' attitudine che spezzettava il mosaico in tasselli estratti e poi studiati, l' attenzione si è man mano spostata al mosaico in sé, come testo unitario. Avverto per onestà i let­ tori che il mio libro si colloca su questa linea più recente. Qui, infatti, Gn 1-1 1 sarà letto come una composizione assemblata con cura. Sulla scia delle indagini più recenti, partirò dali' assunto che alcuni elementi di questa com­ posizione risalgono a tradizioni orali del secondo millennio a. C., che ven­ nero messe per iscritto solo tra il l 000 e il 500 a.C. Non è affatto chiaro il momento in cui -venne stilata la redazione finale. Tuttavia, è lecito presume­ re che, durante o subito dopo l'esilio babilonese (587-5 38 a.C.), l' attuale versione di Gn 1-1 1 fu accolta come un testo autorevole, o normati vo. In base al testo di Gn 1-1 1 nella sua forma attuale, possiamo scoprire strutture ed immagini nuove. Guardando attentamente alle parole e alle u­ nità dei testi, vorrei far risaltare un nuovo tema principale che finora è sfug­ gito ali' attenzione. n percorso di questo libro sarà il seguente. Dapprima of­ friremo la versione strettamente letterale del testo ebraico di base. La tradu­ zione indicherà le unità proposizionali, ossia le proposizioni con un soggetto e un predicato - mentre il discorso diretto verrà indicato tra virgolette, con margine a rientrare. Secondo, la traduzione farà una distinzione grafica tra le due parole che in ebraico significano "terra". L'ebraico 'erets, cioè la terra, nel senso di tutta la terra o il mondo, verrà reso con "terra", stampata con caratteri normali; l' ebraico 'adamah, nel senso di suolo (così nella versione della Bibbia CEI), cioè di terra che può essere o è stata coltivata oppure abi­ tata, verrà resa in corsivo con terra. Dopo ciò, analizzeremo in profondità il testo di Genesi, capitolo dopo capitolo, concludendo di solito con una breve panoramica del modo in cui questi testi sono stati letti nel corso delle epo­ che. Poiché ogni persona legge i testi in base alle domande del proprio tem­ po, il significato ad essi attribuito spesso lievita o cambia in modo notevole. In tal modo i racconti dell' inizio sembrano essere in un processo continuo di trasformazione, e non sono statici, come spesso si suppone. Forse ciò può creare una certa apertura o disponibilità a riesaminare e correggere la nostra lettura di Gn 1-1 1 e a enucleare una nuova immagine dell' inizio. ·

Dagli Urali alle Ande: racconti non occidentali dell 'inizio Racconti dell ' inizio sono analogamente tramandati anche in altre culture. Queste narrazioni della creazione vanno ricercate in una particolare cultura,

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alle radici popolari di una comunità sociale e religiosa, e sono state determi­ nanti nel plasmare il proprio linguaggio sociale. Esse hanno funzionato e continuano a funzionare come segnali, indicando la falsariga su cui il popo­ lo deve spiegare la propria vita. La forma narrativa è indice che questa via viene colmata non solo con la razionalità, ma anche con la fantasia. I rac­ conti dell' inizio in altre culture solitamente vengono chiamati miti. Quando invece si tratta del proprio racconto - che nella storia dell' Occidente è quel­ lo della Genesi - si evita di definirlo mito [poiché la parola e i suoi derivati nell' accezione corrente sembrano rimandare a un' idea di falsità, N.d.T.]. Onde evitare giudizi di valore, adotterò la designazione "racconti dell' ini­ zio" sia per il testo ebraico sulla creazione, sia per gli altri testi sull' inizio che provengono da altre culture. Normalmente i racconti di creazione di altre culture vengono presentati soltanto per una comparazione con quello del libro della Genesi. Preferisco lasciare che i racconti parlino da soli, perciò non farò qui alcuna compara­ zione. Peraltro, analisi comparative di questo genere hanno spesso portato a una ricerca di paralleli, di ciò che è "universale" (come se questo "universa­ le" potesse avvicinarci di più a Dio ! ) . Se operiamo in questa maniera, non riusciremo a rispettare l' originalità di ogni racconto e del suo contesto. La selezione di racconti qui offerta si basa sulla loro distribuzione geografica, in modo da avere un saggio di narrazioni "dagli Urali alle Ande". A questo scopo, sono stati riportati racconti provenienti da Babilonia, dall' India, dalla Cina e dall' Australia, dall' America del Nord e del Sud, dall' Africa, dall' I­ slanda e dalla Finlandia.

Dal Big Bang a oggi: le scienze naturali e l 'inizio Ai nostri giorni, ormai alla fine del XX secolo, l' approccio scientifico al presente e al passato è diventato la visione della vita predominante. Quando ci apprestiamo a riflettere sull' inizio, normalmente lo facciamo ricorrendo alle teorie del Big Bang e dell' evoluzione. Quantunque queste teorie abbia­ no analogamente apportato ordine e coesione, correlando fatti isolati e con­ trollabili in un singolo contesto, noi consideriamo questo tipo di visioni scientifiche dell' inizio come quelle che si avvicinano di più alla verità. Di conseguenza, per molti di noi esse non sono prova di arbitrarietà, come i racconti, le favole o i miti, ma ci fanno intravedere quel che è realmente ac­ caduto. Queste ipotesi non vengono più viste come visioni interpretative del mondo, ma come un resoconto oggettivo di esso. Va detto anche che ci sia­ mo pian piano abituati all' idea che il racconto della creazione e la teoria del-

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l' evoluzione propongono due visioni opposte, per cui, o è vera l' una, o è ve­ ra l' altra, come se tutte e due non potessero essere contemporaneamente ve­ re. Neli ' ultima sezione di questo libro esaminerò alcuni approcci scientifici sulle origini, per dimostrare che esse non si escludono reciprocamente, ma sono complementari.

Conclusione n lettore si accorgerà che questo libro dà un particolare risalto ad una puntuale lettura di Gn 1-1 1 . Questo non solo perché mi ritrovo ad essere più esperta in questo campo, piuttosto che in altri, ma anche perché questo rac­ conto dell' inizio ha avuto il più grande influsso nella nostra storia e nella nostra cultura occidentale. Ma, nello stesso tempo, questo costituisce un problema. Proprio perché Genesi ha avuto una così grande influenza, il suo significato è fin troppo stabilito: la sua interpretazione è fissata; ognuno ne conosce già il contenuto e perciò è meno incline ad elaborarne una nuova visione, ad avventurarsi in nuove letture e spiegazioni. Se ci si accosta con maggior libertà a un racconto sconosciuto del Guatemala, l' approccio resta molto meno facile con il testo di ·Genesi. Di solito, infatti, c'è meno disponi­ bilità a leggere questi testi come nuovi. È per questo che si richiede una cer­ ta forma di "deautomazione" per la lettura di questi racconti genesiaci. In al­ tre parole, quel che si richiede non è soltanto una disponibilità a rivedere la propria visione, ma anche un senso di stupore, di candore, dato che questo può far lievitare nuove domande e intuizioni. In questo nostro tempo, che assiste al trionfo e forse all'elogio dell' automazione, il mio suggerimento è quello di sottrarci a un approccio automatico, ai luoghi comuni e ad un' in­ terpretazione scontata, proprio per scoprire in una rinnovata ingenuità, ciò che è originale, peculiare, nei racconti dell' inizio.

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parte prima

GENESI 1-11

Genesi l

Il racconto della creazione di cielo e terra 1

1,1 In. un inizio Dio creò il cielo e la terra.

2 Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l' oceano primordiale, e lo spirito di Dio si librava sulle acque. 3 Dio disse: «Vi sia luce ! » . E v i fu luce. 4 Dio vide che la luce era buona. Dio separò la luce dalle tenebre. 5 Dio chiamò la luce giorno e chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno uno. 6 Dio disse: «Vi sia una volta in mezzo alle acque, vi sia una separazione tra acque e acque». 7 Dio fece la volta, e separò le acque sotto la volta dalle acque sopra la volta. E cosl avvenne. 8 Dio chiamò la volta cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. 9 Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo 1 Gli studi più importanti utilizzati in questo capitolo sono quelli di BARR 1968, 1972; CAssuro 1964; CLINES 1967; HAMILTON 1990; JACOB 1934; PERRY 1993; SARNA 1966; TSUMURA 1989; WENHAM 1983 e WHITE 1991.

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e appaia l'asciutto». Così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la raccolta delle acque mari. E Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «La terra produca germogli� erbe che producono seme e alberi da frutto, che producano frutto secondo la loro specie, che hanno in essi il seme, su tutta la terra». E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, secondo la loro specie e alberi che producono frutto e che hanno in essi il seme secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno. Dio disse: «Ci siano luci nella volta del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per i tempi stabiliti per i giorni e per gli anni. Vi siano luci nella volta del cielo per illuminare la terra». E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nella volta del cielo per illuminare la terra, per dominare sul giorno e sulla notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno. Dio disse: «Le acque brulichino di stuoli di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra attraverso la volta del cielo». Dio creò le grandi creature marine

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e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse, dicendo: «Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite le acque dei mari e gli uccelli si moltiplichino sulla terra». E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali terrestri secondo la loro specie». E così avvenne. Dio fece gli animali della terra secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «Facciamo un essere umano a nostra immagine, simile a noi, e dominino sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l'essere umano a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni creatura che striscia sulla terra». Dio disse: «Ecco, vi do tutta la vegetazione che produce seme e che è sparsa su tutta la terra e tutti gli alberi con frutti, che producono seme: saranno il vostro cibo. E a tutte le bestie della terra, a tutti gli uccelli dell'aria

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e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, (io do) in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31 Dio vide quanto aveva fatto. Ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. 2, l Quando furono tenninati il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi, 2 Dio aveva portato a ternùne, nel settimo giorno, il lavoro che aveva fatto. E cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. 3 Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli facendo aveva creato. 4 Questa è la storia del cielo e della terra, quando furono creati.

È proprio la prima parola del racconto, bere'shit, "in un inizio", a segna­ lare che persino un inizio ha un suo cominciamento . In alcune versioni, specialmente straniere, questo termine viene tradotto "all' inizio"; nell' e­ braico, però, è privo dell' articolo determinativo. Questo inizio resta ancora indefinito; non è stato preceduto da altri inizi. Inoltre, come si può parlare di l' inizio, quando ancora non esiste il tempo? Gli esseri umani sono in gra­ do di pensare soltanto correlando esperienze, sentimenti e azioni a fenome­ ni che sono situati nel tempo e nello spazio. Ma non esisteva ancora nessu­ no a cui narrare la storia, nessun luogo a cui correlare gli eventi. Non esi­ steva neppure un'eternità, perché sarebbe stata "durevole per un tempo in­ definito". Il tempo e lo spazio sono sorti solo con la creazione. Il primo giorno ha la sua origine nella creazione della luce. La creazione non ha luo­ go in un momento nel tempo; il tempo è creato con il mondo. Qui un avvio viene fatto coincidere con il fenomeno del tempo, con l ' inizio e con ciò che lo segue. E Dio? Dio era sempre là. Nemmeno Dio esisteva prima del tem­ po, dato che, senza tempo, non c'è nulla che può "precedere"; Dio è "al di fuori" del tempo. Solo le creature cominciano ad esistere nel tempo. In un inizio prima di tutti gli inizi, Dio ha posto un inizio nel tempo con il suo at­ to creatore. È con ciò che inizia ogni cosa: la Bibbia, la storia e i racconti di questo i-

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nizio. Dapprima non esiste nessuna luce e prevale la tenebra più fitta. Poi balugina il chiarore e così luce e tenebre, nero e bianco, cominciano ad esi­ stere. Successivamente vengono creati cielo e acqua e, al nostro sguardo, appare il blu dell' aria e delle onde. Allora spunta la vegetazione sulla terra e il verde delle erbe si diffonde a vista d' occhio. Infine, è il rosso a completa­ re lo spettro cromatico, quando gli esseri umani prendono vita sulla terra, l' 'adam sull' 'adamah (ambedue i termini derivano dalla radice 'adam, essere rosso). Costoro tingono la tavolozza della creazione di barbagli rosso san­ gue. La creazione appare dal momento in cui l' inizio è colorato. ·

Le linee salienti del racconto l, l 2,4a

In un inizio Queste sono le toledot del

Dio creò cielo e della terra

il cielo e la terra quando furono creati

ll racconto della creazione di Gn l, 1-2,4a è delimitato da un'inclusione tra due versi che chiaramente si corrispondono. Essi indicano la centralità di tre elementi in questo racconto: il creare di Dio; il tempo che si estende da bere 'shit a toledot, dall' inizio alla storia; il cielo e la terra. Prima che Dio cominci a creare, il v. 2 dipinge com'è la situazione che Dio trova; la terra è ancora vuota e disabitata, sovrastata da fitte tenebre. Sullo sfondo di questo stato primordiale, Dio inizia con la creazione della luce, la condizione fondamentale per ogni genere di vita. Senza luce, non ci sarebbero né tempo né vita; le piante, gli animali e gli esseri umani hanno bisogno di luce per crescere e vivere. Dio separa questa luce dalle tenebre che già esistevano, ed è così che sorgono il giorno e la notte. Per la prima volta c'è un giorno: giorno uno. Fra i due grandi composti spaziali della creazione, Dio comincia dal cielo. Egli costruisce una volta tra le acque, che serve a separare le acque superiori e le acque inferiori. Egli chiama questa volta "cielo", in ebraico shamayim, una forma plurale che assomiglia molto alla forma plurale mayim, acque. Qui, dunque, il cielo non è la dimora di Dio, tantomeno la residenza di angeli o una parte dell' aldilà, ma un argine, o una separazione tra le acque. Il termine shamayim letteralmente significa «ciò che si riferisce (sha) alle acque (mayim)»: il cielo, shamayim, divide i mayim di sopra dai mayim di sotto. Con la creazione del cielo, passa un giorno. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. n giorno seguente Dio si occupa della parte sotto il cielo. Egli fa racco­ gliere le acque in un solo luogo per far apparire la terra asciutta. Dio chiama

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l' asciutto "terra" e la massa d'acque "mari". n mondo superiore e il mondo inferiore sono simili, giacché il cielo prende forma dalla sistemazione ordi­ nata delle acque superiori, mentre la terra da quella delle acque inferiori. Pe­ raltro, va notato che mentre si dice che Dio crea il cielo e la terra, non si di­ ce che Dio fa l'acqua. Dio fa sì che le piante spuntino sulla terra asciutta sotto il cielo, cioè sulla terra. Dio assegna al cielo il compito di dividere le acque e alla terra il compito di produrre vegetali. Non è un evento avvenuto una volta per tutte per il cielo e la terra, ma un compito che richiede conti­ nuità. In questo modo la vegetazione, che cresce dalla terra, può riprodursi secondo la sua specie; i germogli si propagano per mezzo di spore, o di semi vaganti, e gli alberi si riproducono mediante frutti che contengono semi, in modo da perpetuare la propria specie. Una volta che il cielo e la terra sono stati così distinti e dotati di nomi e funzioni, Dio dà a loro la sua approva­ zione. E fu sera e fu mattina: terzo giorno. Il cielo e la terra formano l'ossatura del racconto, che ora riceve "carne e sangue". Qui l'attenzione si focalizza di nuovo sul cielo. Dio crea le luci nella volta e, nello stesso tempo, stabilisce le loro funzioni: la luce maggiore per dominare (mashal) il giorno e la luce minore per dominare la notte. Gli astri rendono possibile una distinzione nel tempo; essi scandiscono e regola­ no il tempo in anni e giorni ed indicano le ricorrenze stabilite delle feste. La questione, però, è se gli astri esistano puramente e semplicemente al servi­ zio della terra. L'interpretazione della maggioranza tende a spiegarli secon­ do le proprie inclinazioni. Ad esempio, dali' affermazione qui, nel v. 16, che gli astri devono "dominare" la terra, si conclude che gli astri sono al servizio della terra. Al contrario, dall' affermazione in Gn 3 , 1 6 che l'uomo deve "do­ minare" la donna si conclude che la donna è al servizio dell'uomo. In questo modo si stravolge il testo in base alle proprie precomprensioni. In Gn l, do­ po che la volta celeste è stata arredata con il sole, la luna e le stelle, si fa ter­ minare il quarto giorno. È allora che «ogni cosa sotto la volta del cielo>> viene arredata. TI mare e l '"aria ottengono i loro abitanti nel quinto giorno, mentre la terra riceve la sua popolazione nel sesto giorno. Prima Dio crea le creature marine: queste creature, grandi e piccole, sono così numerose che l'acqua ne brulica. Con­ temporaneamente, Dio crea gli uccelli che solcano in volo la volta del cielo. Dio benedice tutte queste creature e assegna loro il compito di essere fecon­ de, di moltiplicarsi e di riempire incessantemente le acque dei mari e l'aria. Così come la terra possiede piante che hanno la possibilità di riprodurre nuove piante per mezzo di semi o di frutti con semi, così anche le acque concedono alle creature marine la possibilità di riprodursi, ciascuna secondo la sua specie, mentre l'aria permette agli uccelli la possibilità di volare; ma

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anche gli uccelli hanno bisogno della terra per potersi moltiplicare. Acqua ed aria sono così popolate: e fu sera e fu mattina, quinto giorno. Tocca poi alla terraferma avere i suoi abitanti: Dio crea gli animali, dal più grande al più piccolo, da quelli che camminano a quelli che strisciano, ognuno secondo la propria specie. Come le piante, anche gli animali sem­ brano provenire dalla terra. La differenza è che le piante sono inestricabil­ mente legate alla terra, mentre gli animali (e gli esseri umani) sono posti sulla terra. Gli animali possono riprodursi, come le piante, e ricevono espli­ citamente il comando di moltiplicarsi. Anche l'essere umano fa parte di que­ sta popolazione terrestre, ed è creato per ultimo. A motivo di ciò, i più trag­ gono la conclusione che l'essere umano è il "vertice" o climax della creazio­ ne, in virtù del motto «il meglio viene alla fine». Guarda caso, però, costoro usano un criterio differente per la creazione dell ' uomo e della donna in Gn 2. Dal fatto che lì la donna è creata per ultima, essi concludono che «il peg­ gio viene alla fine»! E così stravolgono ancora una volta il testo secondo i propri comodi. Il modo in cui l' essere umano è creato da Dio in Gn l sembra quantomai affin e alla creazione degli animali. Dio elargisce all'essere umano una bene­ dizione che è identica a quella accordata agli animali: «Siate fecondi, molti­ plicatevi, riempite la terra» ( l ,28). Abbiamo, però, un nuovo sviluppo: Dio decide di "fare" l'essere umano, così come decide il dominio di questo esse­ re umano sugli animali. Fin qui si era parlato di dominio solo a proposito della creazione degli astri, che dovevano dominare sul giorno e sulla notte. Qui, nei vv. 26-28, Dio dice che gli esseri umani devono soggiogare la terra e dominare sugli animali. Non ha molto senso chiedersi se sia l ' essere uma­ no al servizio della terra o, al contrario, se sia la terra al suo servizio (così come è fuori luogo chiedersi se siano gli astri al servizio della terra o la terra al servizio del cielo), dato che la questione qui verte sulla creazione e sulle mutue relazioni tra tutte le sue parti. Al termine di questa creazione degli esseri viventi sulla terra, Dio conce­ de le piante della terra come cibo per gli esseri umani e per gli animali. È per questo motivo che le piante sulla terra devono essere capaci di riprodur­ si, ciascuna secondo la propria specie, altrimenti la terra rischierebbe inevi­ tabilmente di essere divorata e spogliata dopo un solo ciclo stagionale. Poi­ ché la riproduzione è garantita da semi e frutti contenenti semi, i rifornimen­ ti alimentari possono restare continuamente disponibili ed assicurare in futu­ ro la vita degli altri esseri viventi. Il sesto giorno termina con la terra che viene popolata con animali e con esseri umani . Segue poi la conclusione dell' intera creazione (2, 1 -3). Dio completa la sua opera, la creazione del cielo e della terra «e di tutto quanto è in essh> .

21

Quest'ultima frase

è

una libera traduzione di

tseba 'am (La Bibbia CEI tra­

duce «tutte le loro schiere»), ossia di ogni cosa di cui cielo e terra sono provvisti o arredati. Sembra quasi che il narratore non riesca ad esprimerlo

(kalal) tutto (kol), completa (kalal) (kol) suo lavoro e riposa da ogni (kol) suo la­ voro. L' ultimo verso (2,4a) ricapitola di nuovo, con «queste sono le toledot con sufficiente chiarezza: Dio completa

la sua opera, egli cessa da ogni

del cielo e della terra, quando vennero creati)). Sembra quasi una scelta deli­

(bara ') e il verbo "fare" (•asah) ricorrano rispettivamente per un totale di sette volte. "Sette" è il nu­ mero della pienezza, della perfezione: l'inizio creativo è compiuto. Nel set­

berata del narratore, per far sì che il verbo "creare"

timo giorno Dio cessa da ogni suo lavoro e quindi benedice e consacra que­ sto settimo giorno.

In questo giorno

egli riposa da ogni lavoro che aveva fat­

to. Un aspetto emerge chiaramente da questo abbozzo della struttura di

Gn l .

Questo racconto non verte esattamente sulla creazione degli esseri umani,

né tantomeno sulla creazione della terra, così come non concerne il modo in cui gli esseri umani devono comportarsi sulla terra.

Gn l si focalizza prima­

riamente sul cielo e sulla terra, sulla popolazione del cielo e della terra e sul­ la continuità degli "abitanti" del cielo (sole, luna e stelle, acque sopra il cie­ lo) e degli abitanti della terra (piante, animali, esseri umani, acque sulla ter­ ra). I corpi celesti sono permanenti e non devono riprodursi. Essi scandisco­ no l'ordine e il tempo sulla terra. I "corpi" sulla terra devono riprodursi, cia­ scuno secondo la propria specie: le piante mediante frutti che producono se­

mi,

gli animali e gli umani in quanto maschi e femmine. In tal modo Gn l

non s'impernia sulla creazione dell'inizio, ma sulla creazione e procreazio­ ne, sull'inizio e sulla continuazione di tutte le cose. Desta perciò sorpresa il fatto che nella disputa tra i sostenitori della dottrina della creazione e quelli della teoria dell'evoluzione si sia creato un conflitto che non

è

nel testo.

Gn

l non verte sulla creazione o sull'evoluzione, ma sulla creazione e sull'evo­ luzione in un senso non tecnico. Questo testo prospetta l'inizio di tutte le co­ se come una creazione di Dio che ha come fine una continuità e un'evolu­

Gn l presenta l'inizio della creazione come l'inizio di ciò che sarà del è altro che il racconto dell'inizio dell'inizio (bere '­ shit) e dell'inizio della continuazione dell'inizio (toledot). zione.

cielo e della terra. Non

La situazione all 'inizio Per secoli sono stati versati fiumi d'inchiostro per dirimere la questione se, secondo

Gn l , Dio creò dal nulla (creatio ex nihilo) oppure dal caos. Nel

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primo caso, Dio è un creatore assoluto; nel secondo, Dio è una sorta di de­ miurgo, o di grande organizzatore, che lavora con materiale preesistente. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo analizzare più attentamente l'esor­ dio del racconto e in particolare quanto è scritto nel v. Dopo l'annuncio

(l, l) di ciò che accadrà,

2.

ossia della creazione del cielo e

della terra, il narratore si concentra sulla terra così come i lettori la conosco­ no. In questo momento, la terra ancora non esiste. La terra non è altro che tohu wa-bohu. Tohu significa "desolazione", "vuoto", ed indica uno stato di sterilità della terra.

Bohu significa "deserto" e denota uno stato di disabita­

zione: la terra non ha nessun abitante, né animali, né esseri umani. Questa terra non ancora produttiva diventa feconda nel momento in cui Dio dice: «La terra produca piante»; la terra deserta diventa abitata quando Dio dice: «La terra produca esseri viventi» e «facciamo gli esseri umani». L'ordine di questa creazione è unico e stabilito, poiché prima deve crescere la vegeta­ zione per essere il cibo di questi animali ed esseri umani. La terra brulla e desolata può diventare feconda e abitata soltanto grazie al fiat («vi sia») di

tohu wa­ bohu, non ha nulla a che fare con il caos e denota semplicemente la terra

Dio. Pertanto, la situazione precedente, che viene descritta come sterile e disabitata.

La situazione iniziale non soltanto si caratterizza per una terra priva di

tehom coperto dalle te­ tiham, l'o­

·vegetazione e senza esseri viventi, ma anche per un

nebre. Questa parola è imparentata al generico termine semitico ceano primordiale. Il

tehom è l'abisso o la profondità, la superficie sconfina­

ta d'acqua che esisteva ancor prima che la creazione del cielo segnasse uno

spartiacque tra le acque superiori e quelle inferiori.

Tehom designa le acque

·che si estendono in ogni parte (specialmente in linea verticale ) ed indica lo stato precedente alla creazione del cielo

(shamayim ). Dopo la descrizione

della terra, che si contraddistingue per l'assenza di proprietà che costituiran­ no la sua successiva fisionomia, la situazione viene ora dipinta prima che la terra esista. Questa "non ancora terra" e questo "non ancora cielo" evocano l'immagine di un cielo e di una terra anteriori alla creazione.

n v. 2 presenta lo stato primordiale come un'estesa superficie d'acqua che ancora nasconde la terra ed è ricoperta dalle tenebre.

È impressionante

che i

Sumeri, i Babilonesi, gli Egiziani e i Greci descrivano tutti l'inizio come un grande mare primordiale. Presso i Greci,

okeanos è il padre di tutti gli dèi; i

Babilonesi partono dal fatto che all'inizio «tutte le terre erano ancora mare», mentre gli Assiri enarr ano come «le acque superiori ed inferiori erano là pri­

i loro nomi». Anche l'oceano primor­ Gn 1 ,2 possono riverberare questa concezione "universa­ le" secondo cui all'inizio del cosmo vi erano le acque. D'altro canto, in Gn ma che il cielo e la terra ricevessero diale e le acque in

23

l non c'è nessun indizio di una emersione dello stesso Dio dall'acqua, come nelle altre religioni. L'altro fattore che contraddistingue la situazione dell'inizio è la

ruach 'e­

lohim, lo spirito di Dio. Ma che cos'è questo spirito di Dio? Tutte le attività, le caratteristiche o i nomi con cui le persone si riferiscono a Dio ( 'elohim) si basano sul rapporto che Dio ha con ciò che è creato, e che non esiste ancora. Presentare Dio come qualcuno che parla o agisce, come una persona che ve­ de

ed

ascolta, è immaginare o contemplare Dio con categorie umane. L'e­

spressione

ruach 'elohim designa Dio prima che egli appaia come creatore e Ruach 'elohim può essere tradotto "spirito di

resti distinto dalla creazione.

Dio" ma, in tal caso, lo spirito non va posto in antitesi con il corpo, né va letto nell'accezione di "anima" o di "Spirito Santo", dato che queste sono tutte idee che derivano da una tradizione cristiana posteriore. Il testo affer­ ma che questo spirito di Dio «si libra sulle acque». Queste acque compren­ dono sia le acque orizzontali che coprono la terra, sia le acque verticali del

tehom che si trovano là prima della creazione del cielo. L o spirito di Dio volteggia sopra questa estesa superficie d'acqua nello stato primordiale. Questo librarsi non è come il volare di un uccello, ma è una vaga indicazio­

ruach 'elohim è là ed è in movimento. Il sin­ 'al-pene, che letteralmente significa "sulla faccia di", indica che, oltre

ne di una "presenza mobile": la tagma

all'acqua, non c'è null'altro se non lo spirito di Dio. In questa situazione o­ riginaria la

ruach 'elohim rappresen _ ta Dio, come egli è prima di cominciare

a creare, e come quel Dio che finora non ha rapporti con "esseri", perché es­ si non esistono ancora. Nel momento in cui Dio comincia a parlare, Dio ces­ sa di essere

ruach 'elohim e diventa 'elohim, il Dio creatore. Gn 1 ,2 ci consente di vedere

Ricapitolando, il racconto della creazione in

la situazione dell'inizio come un "non ancora": la terra non è ancora fertile (senza vegetazione), appare finora disabitata (senza animali ed esseri uma­

ni);

te horn o massa d'acqua indistinta e ri­ coperta di tenebre; Dio ( 'elohim) è attivo solo come ruach 'elohim e non è il cielo finora non è altro che un

ancora il Dio che parla, vede, separa, crea, fa o dà il nome. Se siamo attenti,

è impressionante la razionalità con cui sono stati composti i primi due ver­ setti di Gn l. l In principio 2 La terra n cielo Dio

il cielo e la terra ancora distinta ancora presente ancora creando

Dio creò non era non era non stava

Tutti gli elementi del primo versetto ricorrono nel secondo come fenome­

ni

non ancora presenti: Dio ancora non crea, il cielo è ancora

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tehom, la terra

tohu wa-bohu. Questa è la situazione primordiale: non il "nulla", né un caos che deve essere ordinato, bensì una situazione di "prima di ogni cosa"

resta

o di "non ancora" rispetto a ciò che dovrà avvenire. Persino Dio non è anco­

ra il Dio creatore, ma si libra ancora sulle acque come uno spirito di Dio in­

determinato.

Parola e creazione Se in

Gn l è Dio ad introdurre in scena ogni cosa, egli stesso, però, non è già presente. Ogni giorno si apre con Dio che parla.

viene introdotto. Dio

Tutte le undici volte che Dio parla, egli chiama qualcosa all'esistenza. Il parlare di Dio costituisce qualcosa di inedito, di totalmente nuovo. In un te­ sto o racconto, normalmente è il narratore (o la narratrice) a introdurre in scena i personaggi:

è

la sua voce narrante a fornire le informazioni e a for­

mulare le parole, i pensieri e le emozioni del personaggio, sia esso umano o divino. Similmente, il narratore di

Gn l introduce Dio come personaggio, Gn l si prefigge

facendolo parlare. Ora, però, come racconto di creazione,

qualcosa di più: il suo valore e la sua funzione si fondano sul presupposto che si trascende il confine tra finzione

e

realtà. Nel processo di comunica­

zione tra il testo e il lettore, Dio non agisce esattamente come un personag­ gio rinchiuso nel mondo del testo. Gli enunciati di Dio vengono considerati come azioni che non solo avvengono ali'interno del mondo del testo, ma che sono stati altrettanto costitutivi per il mondo ali' esterno del testo.

Gn l

lo esprime con estrema limpidezza. Il narratore regolarmente conferma, classifica, o valuta ciò che è previamente avvenuto nel discorso di Dio. Così facendo, spesso egli riecheggia le parole di Dio. Il detto di Dio «sia la luce», ad esempio, è un enunciato performativo: non si limita cioè a dire qualcosa, ma produce e instaura ciò che comunica; la sua frase fa sorgere, esistere la luce. Solo dopo che Dio ha detto: «Sia la luce» il narratore afferma: «E la luce fu», come se l'autorità dell'enunciato sia quella di Dio, non del narrato­ re. In questo senso gli enunciati di Dio risultano costitutivi per quelli del narratore. Un'altra caratteristica conferma questa posizione speciale di Dio come personaggio. Gli altri attori, o personaggi, sono creati dalle parole di Dio, anche se Dio

è un personaggio all'interno del testo. TI narratore può so­

lo parlare di siffatti personaggi e può far loro utilizzare il discorso diretto

soltanto dopo la loro creazione da parte di Dio. Viceversa, è il narratore ad esprimere ciò che 1 Dio dice, ad introd urlo come personaggio, a presentare come attori le creature fatte da Dio e a dar loro voce ed espressione. Il signi­ ficato del racconto sta precisamente in questa ambiguità. Le parole del nar_

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ratore rinviano alle parole di Dio, le quali a loro volta rinviano oltre il mon­ do del testo. Tutto ciò rientra coerentemente nella logica fondamentale della Bibbia e­ braica. Nel testo biblico la domanda-chiave non

è come gli esseri umani si

comportano con Dio, ma come Dio si comporta con loro. Non sono gli esse­ ri umani a elaborare una proiezione di Dio, ma è Dio che fa o "progetta" gli esseri umani. Pertanto, il punto di partenza nella Bibbia diverge dal nostro, dalle nostre categorie mentali del

XX

secolo. Dall'Illuminismo in poi siamo

stati adusi ad attribuire una posizione centrale al soggetto umano: gli esseri umani immaginano Dio, se lo raffigurano con imm agini umane. n pensiero postmodemo, le scienze naturali, la letteratura e l'arte hanno in comune il fatto di prendere come punto di partenza le categorie, la percezione e l'espe­ rienza umane. Ogni cosa dipende dalla prospettiva umana. Ora, al contrario,

Gn l rivela un'impostazione e un'ottica fondamentalmente diverse. Ciò che è centrale non è l'essere umano che pensa, vede o parla, ma Dio che parla ed agisce. L'iniziativa nel parlare e nel creare così come l'avvio, sono com­ petenza di Dio, non degli esseri umani.

L'essere umano e Dio Subito dopo, il narratore e Dio manifestano ciò che per loro

è decisivo

nella creazione di un essere vivente. Ben dieci volte ripetono che le creature sono create secondo la loro specie, e producono semi secondo la propria specie. Dio lo dice una volta a proposito della vegetazione della terra, e il narratore lo conferma due volte. Solo due volte il narratore pone sulle labbra di Dio «secondo la loro specie», allorché parla della popolazione del mare e dell'aria. Quando parla della popolazione della terra, per due volte Dio di­ chiara di fare gli animali terrestri «secondo la loro specie», puntualmente confermato dal narratore, che reitera per tre volte l'enunciato divino. Perciò, l'origine e la vita futura di tutte le specie sta nel proprio genere. In altre pa­ role, dalla creazione in poi, il punto di riferimento per queste piante e ani­ mali sta nella futura esistenza della propria specie.

È a questo punto che viene creato l'essere umano. 26 Dio disse: «Facciamo un essere umano a nostra immagine, simile a noi, e dominino sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

26

27 Dio creò l'essere umano a sua immagine: a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. Gli esseri umani sono gli unici che non sono fatti secondo la loro specie. Invece della "propria specie" abbiamo «a nostra immagine» e, nel loro caso, i pronomi possessivi si riferiscono a Dio, diversamente dalle altre creature,

in cui i pronomi si riferiscono alle creature stesse. Questo significa che gli esseri umani, a differenza delle altre creature, non hanno in se stessi il pro­ prio punto di riferimento, ma in Dio. L a specie umana è fatta per rinviare a Dio. Il linguaggio di Dio è quantomai espressivo. Egli crea le piante e gli ani­ mali e, nel farlo, parla costantemente alla terza persona; solo nel caso del­ l' essere umano Dio parla alla prima persona. Nel farlo, egli usa il "noi" o "nostra" tre volte: «facciamo», «a nostra immagine», «a nostra somiglian­ za». Dio parla e si rivolge a se stesso, così come negli

altri

enunciati creativi

egli interpella sempre qualcuno. La sua creazione avviene nella comunica­ zione, anche se qui questa comunicazione è con se stesso. Il plurale "noi" in questo monologo interiore corrisponde al plurale "essi" che Dio usa per gli esseri umani. In entrambi i casi («facciamo», «dominino») Dio o l'essere u­ mano al singolare sono connessi a un verbo al plurale. Dio, che definisce le

altre creature in rapporto alla terra, ali' aria e al mare, definisce l'essere uma­

no in rapporto a Sé. Come lettori, ci ritroviamo così intimamente coinvolti in questa creazione, al punto di sperimentarla dalla prospettiva di Dio. Guar­ dando attraverso gli occhi di Dio, notiamo che l'essere umano è creato per riferirsi a Dio. Va detto che

Gn l non ci propone nessun contenuto concreto per indivi­

duare che tipo d'immagine di Dio sia l'essere umano, al fine di evitare una qualsiasi "costruzione d'immagine" di Dio. Gli esseri umani non hanno l'immagine di Dio, perché Dio non ha nessuna immagine, ma essi sono "a" immagine di Dio. Il testo dunque non dice nulla sulla somiglianza di Dio con l'essere umano, ma solo qualcosa sull'essere umano, che è in un rappor­ to di somiglianza con Dio. Questa analogia, comunque, non ci offre nessuna �ormazione concreta su Dio.

L'immagine di Dio: un breve excursus storico Vi è stato un ampio dibattito nel corso della storia sul contenuto dell'"im­ magine di Dio". Nella tradizione, per alcuni teologi essa esprime una somi-

27

glianza o una relazione ontologica tra Dio e gli esseri umani, mentre per al­ tri esprime una relazione funzionale. Per il primo filone "immagine di Dio" indica che gli esseri umani, nella loro natura, hanno qualcosa che è come Dio, cioè possiedono "qualcosa" che lo stesso Dio possiede. Sorge allora la questione di cosa sia questo "qualcosa": un' affinità fisica, o una somiglianza spirituale tra Dio e gli esseri umani? Per evitare di pensare «quanto sia ridi­ colo per l' umanità aver addirittura ritenuto che gli esseri umani corporei so­ no come un Dio incorporeo», proprio noi potremmo chiederci se abbiamo mai immaginato Dio con quattro gambe, o se non abbiamo sempre dato per scontato che Dio cammina e sta in piedi. Se pensiamo che sia ridicolo attri­ buire a Dio un corpo, perché dunque non riteniamo strano dire che "Dio ve­ de", o "Dio parla", o " Dio dice"? Vedere, udire, odorare, parlare, sono tutte descrizioni antropomorfiche delle attività di Dio, prese a prestito dal com­ portamento umano. In altri termini, anche se già nel corso della storia l' ac­ cento è stato posto per la maggior parte sul fatto che la somiglianza tra Dio e l' essere umano non è fisica, non possiamo altresì negare che un' immagine antropomorfica di Dio è ben consolidata nella nostra mente. Perciò, il filone principale della tradizione ha sempre sottolineato che "immagine di Dio" significa che c'è una somiglianza spirituale tra gli esseri umani e Dio. Asserire che gli esseri umani sono ad immagine di Dio vuoi dire che essi hanno l' anima, o il princ�pio vitale di Dio e, in questo senso, hanno qualcosa in comune con il divino. Attualmente, anche la concezione antropologica del nostro XX secolo sta influenzando il dibattito sull' "imma­ gine di Dio". Poiché oggi non si pensa più che la dicotomia tra spirito e cor­ po sia giusta ed applicabile, non è lecito neppure riproiettare in Gn l il dua­ lismo tra corpo e spirito. Dato che noi vediamo gli esseri umani come perso­ ne composte di corpo e spirito, due elementi indissolubilmente connessi che si influenzano reciprocamente, in genere per l' attuale concezione antropolo­ gica gli esseri umani sono come Dio, nella loro integralità di persone. Accanto a questa concezione "ontologica", dail' antichità in poi vi sono stati alcuni secondo cui Gn l ,26 non ha di mira caratteristiche ontologiche; gli esseri umani sono come Dio per il fatto che essi soggiogano la terra e do­ minano sui pesci, sugli animali terrestri e sugli uccelli . Pertanto, la somi­ glianza tra Dio e gli esseri umani non è ontologica, ma funzionale. Questo testo non indica chi e che cosa sono gli esseri umani, ma ciò che essi devono fare: assoggettare e dominare. Solo nella misura in cui gli esseri umani eser­ citano questa funzione essi sono immagine di Dio. In tal senso questo status o prerogativa di essere a immagine di Dio per gli esseri umani equivale a comportarsi come sovrani della creazione. n problema che insorge quando si affrontano testi come quello del libro

28

della Genesi è che un lettore contemporaneo normalmente conosce solo la tradizione o la storia dell'interpretazione, per cui rilegge questa storia ri­ proiettandola nel testo. L'acqua del fiume, a valle,

è meno pura di quella

" sorgiva. Pertanto, seguendo il motto "ad fontes , vorrei ritornare alla fonte,

cioè al testo ebraico originale.

Immagine e somiglianza In Gn l nulla sussiste veramente per sé. Ogni realtà è creata da Dio in rapporto ad altre realtà e ogni realtà è nel continuo processo di un divenire. Questo risulta non meno evidente dalle duplici frasi con cui Dio crea la vol­ ta, la terra, le luci e l'essere umano. Prima Dio chiama ogni realtà all'esi­ stenza («Vi sia una volta», «Vi siano luci»), poi ne enuncia la rispettiva rela­ zione con le altre realtà («per separare le acque dalle acque», per "separare", per "essere segni", per "essere luci"). Questo si evince anche dal verbo

hayah, che significa sia "essere", sia "diventare": si tratta realmente di un "essere" che implica un "diventare". Peraltro, questo essere/diventare è es­ senzialmente un "essere relazionale", ovvero una vita di un divenire in rela­ zione ad altri.

È perciò sbagliato separare l'essenza dalla funzione o l'essere

dall'attività. Siffatti aspetti sono strettamente connessi, non essendo possibi­

è anche il caso dell'essere umano quale im­ magine di Dio; in un senso specifico l'essere umano è, e nel contempo di­

le ridurre l'uno all'altro. Questo

viene, l'immagine di Dio; è mediante questa immagine che l'uomo o la don­ na sono, ed

è mediante questa immagine che l'uomo o la donna agiscono in

rapporto alla terra e agli animali.

tselem, "immagine" e demut, "somi­ tselem non viene mai utilizzato per una concreta rappre­

Tutto ciò affiora dai termini usati: glianza". Il termine

sentazione visiva, ma solo per una mera immagine, che non ha contenuto o forma concreti.

È

un vocabolo generico che esprime una relazione, denota

un'analogia e rende presente qualcuno che

è assente. Così, ad esempio, l'ar­

·ca dell'alleanza rappresenta il piedistallo di YHWH sulla terra, come il ri­ tratto della Regina Elisabetta sui francobolli inglesi indica la monarchia.

Tselem quindi può essere reso con "segno": un segno indica qualcosa o è assente. Questo vuoi dire che, secondo Gn 1 ,26-27, l'essere

qualcuno che

umano viene posto nel mondo come un segno di Dio, un segno che rende Dio presente. Ciò che fa di un essere umano l'immagine di Dio non

è la per­

sona corporea che rappresenta il Dio incorporeo, ma l'essere umano che rende presente Dio nel mondo.

In ogni riga di Gn l la trascendenza di Dio traspare in tutta la sua eviden-

29

za: Dio precede la creazione, la sovrasta e fa esistere tutte le cose. La sola continuità, l'unica relazione tra Dio e la creazione, è la parola di Dio e la creazione che essa fa sorgere: queste rinviano a Dio. La creatura umana vie­ ne creata per essere l'immagine di Dio in un mondo in cui Dio stesso, in quanto creatore trascendente, non può essere presente. Contrariamente alle religioni circonvicine dell' Antico Vicino Oriente,

Genesi non presenta Dio

come un dio della natura, come una divinità immanente nella natura. Questo per evitare eventuali culti a dèi della natura. Così pure, diversamente dalle religioni limitrofe, in

Genesi l'essere umano non è affatto creato per servire

gli dèi, bensì per rendere Dio presente nella sua creazione. Le creature uma­ ne sono così create a immagine di Dio per rendere visibile nel mondo questo Dio trascendente. Il secondo tennine,

demut, "somiglianza", specifica que­

sto carattere generico dell'essere umano come segno.

È così che immagine e

somiglianza non sono due concetti separati (a nostra immagine, e secondo la nostra somiglianza): al contrario, il secondo termine approfondisce il primo. Si tratta di una particolare qualità che definisce più rigorosamente il caratte­ re generico della creatura umana come segno. Per cogliere questa definizio­ ne più rigorosa dobbiamo andare a

Gn 5,3, dove ritroviamo il binomio de­

mut e tselem: 5,3 Adamo visse 1 30 anni ed egli generò un figlio a sua somiglianza, come la sua immagine. In Gn 5,3 l'ordine dei termini tselem e demut è inverso rispetto a quello di Gn l ,26. Qui viene prima demut, indicando che la somiglianza fisica o ge­ netica tra padre e figlio risiede primariamente nella procreazione e che per­ ciò in

Gn 5,3 viene anteposto. Forse la scelta del termine demut si può anche dam, sangue: demut può

spiegare per la sua forte somiglianza con la parola

aver acquisito il significato di somiglianza fisica, poiché nella cultura ebrai­ ca il principio vitale viene visto nel sangue,

5,3, tselem,

dam. Il secondo termine in Gn

indica che il figlio è colui che permette al padre di continuare a

vivere, perpetuando il suo nome nella storia. Per l'antica cultura ebraica questa è la caratteristica di un bambino. Dato che non vi era la credenza in una vita dopo la morte, i figli e i figli dei figli erano l'unico modo possibile di continuare a vivere. Nello stesso tempo ciò chiarisce il significato del ter­ mine

tselem: i figli sono l'immagine dei loro genitori non per la loro somi­ demut), ma nella misura in cui

glianza fisica o genetica (indicata dal termine

rendono presenti i loro genitori nella storia che seguirà. In questo senso, gli esseri umani, in quanto generati dalla creazione di Dio, sono coloro che ren­ dono presente Dio e il suo nome nella successiva storia della creazione.

30

A quanto pare, però, nel confronto tra Gn 1 ,26 e Gn 5,3 si registrano di­ vergenze. Nella relazione tra gli esseri umani e i loro discendenti è il legame genetico (somiglianza, demut) ad a vere la precedenza, mentre nella relazio­ ne tra gli esseri umani e Dio ad avere la precedenza è il fatto di essere un se­ gno

(tselem). Riscontriamo inoltre un'altra differenza. In Gn 5,3 tselem ha la Gn 1 ,26 c'è la preposizione più forte "in,

preposizione "come", mentre in

secondo, ad". Questo indica che l'aspetto di segno/tselem degli esseri umani

è più forte in relazione a Dio rispetto a quello che c'è tra un figlio e il suo

Gn l ,26, ne deduciamo che tselem significa che gli esseri umani sono stati crea­ ti per rappresentare Dio nella creazione, mentre demut precisa questo fatto genitore. Per quanto riguarda il nesso tra immagine e somiglianza in

descrivendo la somiglianza tra Dio e gli esseri umani. Contrariamente alla relazione di somiglianza tra un padre e un figlio, questa relazione di somi­ glianza tra Dio e gli esseri umani non è un rapporto genetico, ma quello di creazione. Veramente l'essere umano

è un segno di Dio dal principio della

creazione sino ad oggi. Questa caratteristica dell'umanità nel corso del tempo come segno che

è

come Dio in virtù della sua creaturalità è vero per ogni essere umano, sia es­ so uomo o donna, eterosessuale o omosessuale, giovane o anziano. Solo nel­ la misura in cui l'essere umano, uomo/donna, è umano, può essere un'im­ magine di Dio. L'immagine di Dio non è solo un israelita, un italiano o un a­ mericano. Tutti gli esseri umani, a prescindere dalla loro razza o colore, so­ no immagine di Dio. In tal senso ogni creatura umana è nel mondo per ren­ dere presente Dio. Pertanto, ogni persona è uguale dinanzi a Dio: il re e il comune cittadino, l'uomo e la donna, il giudeo

e il non giudeo, il cristiano e

il non cristiano, il musulmano e il non musulmano. Ogni persona

è

creata

per rappresentare Dio; ogni essere umano è un "indicatore" verso Dio per o­ gni altro essere umano.

L'essere umano e la terra 28 Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutte le creature che strisciano sulla terra».

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L'essere umano non è un segno che fa riferimento a Dio, ma diventa un segno di Dio solo nel momento in cui egli,

in

porta

in

quanto uomo/donna, si com­

questo modo nei confronti della terra e degli animali. Questo viene

espresso nelle tre direttive o compiti che Dio impartisce all'umanità in

Gn

1 ,28. La prima direttiva è che le creature umane devono essere feconde, moltiplicarsi e riempire la terra. Questa direttiva non va capita o interpretata troppo rigorosamente, dal momento che l'essere umano non è l'unica specie che abita la terra; anche gli animali hanno ricevuto lo stesso compito. Se­ condo, l 'umanità ha ricevuto da Dio l 'ordine di assoggettare

(kabash) la ter­

ra: l'essere umano deve dominare la terra e può esercitare un controllo su di

essa. Questo assoggettamento, però, non va assolutamente visto come un'e­ gemonia unilaterale; infatti, come la terra dipende dali'essere assoggettata dall'umanità, anche quest'ultima dipende dai frutti della terra per il proprio rifornimento di cibo. Questo intimo rapporto tra l'essere umano e la terra è

1 6: là gli mashal) il gior­

in un certo senso paragonabile a quello tra gli astri e la terra nel v. astri sono creati per dominare (si usa l'ancor più forte verbo

no e la notte; qui l'essere umano è creato per dominare la terra. In entrambi i casi si conferma l'impressione che il problema sia l'instaurazione di uno stretto legame tra le creature; ecco allora che

Gn l ,28 s'impernia sul vincolo

di reciproca responsabilità tra l'essere umano e la terra, un rapporto che non deve essere infranto. La terza direttiva impartita all 'umanità è quella di do­ minare sugli animali. Questo non comprende la possibilità di nutrirsi di essi; dal v. 29, infatti, si evince che i primi esseri umani erano vegetariani. Qui il verbo

radah significa "esercitare la signoria su". Che questa signoria non sia di uc­

assoluta, ma relativa, si ricava dal fatto che l'essere umano è padrone

celli e di pesci solo in misura limitata. Ma le creature umane hanno il potere

di

uccidere questi animali. Qualunque forma di dominio, esercitata sia sulla

terra

(kabash), sia sugli animali (radah), comprende una gamma intera di

possibilità: spazia dalla pura oppressione, dominazione e conculcazione, al governo o esercizio di signoria, sino alla cura e ali 'assunzione di responsa­ bilità. Per l'umanità si tratta di adempiere le direttive ricevute nei confronti della terra e degli animali in un modo che è conforme al suo essere a imma­

gine di Dio. L'ultimo aspetto che Dio menziona non è una direttiva, ma un dono. Dio concede ali' umanità e agli animali tutte le piante della terra come cibo. Gli esseri umani ricevono ogni erba che produce seme, mentre gli animali ogni erba verde. In tal modo ogni essere che ha alito di vita viene caratterizzato in stretta connessione con la terra e con le piante terrestri. La direttiva di vi­ vere e sopravvivere non è solo un compito, o un dovere: è anche un dono.

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Il settimo giorno

Anche Dio si rallegra. Egli constata che ogni cosa che ha fatto è molto buona. E si riposa. Ecco allora che benedice e consacra il giorno in cui ripo­ sa. Riposare è evidentemente tanto importante quanto il lavorare. C'è un tempo per lavorare e un tempo per cessare di lavorare. Il settimo giorno è il giorno in cui Dio riposa (shabbat) da ogni lavoro. Nella tradizione posteriore questo divenne il motivo per chiamare il settimo giorno "sabato". Alcuni si sono spinti sino al punto di fare del settimo gior­ no il nucleo del racconto della creazione in Gn l . A mio avviso, questo non rende giustizia al testo. Gn l descrive accuratamente la stretta connessione tra i giorni e le creature. Estrapolare il settimo giorno dal racconto come un filo vagante e ordire con esso una propria trama è contrario a Gn l , testo che è già in sé una trama narrativa compiuta. In questa trama, "essere" e "diven­ tare", essere creati e diventare toledot, essere e diventare un' immagine di Dio relativamente alla terra, gioia e responsabilità, formano un tutt' uno in­ dissolubile. Non è una mera coincidenza il fatto che dopo la triplice ricor­ renza di «il suo lavoro>> e quella duplice di «egli fece», per due volte abbia­ mo "completare" e "riposare/cessare da ogni suo lavoro". Lo stesso giorno del riposo diviene benedizione e consacrazione. Senza lavoro non ci sarebbe nessuna creazione, ma senza riposo e gioia non si rispetterebbe la creazione nella sua interezza.

Conclusione e bilancio

Un racconto di creazione ha molteplici sfaccettature. Alla luce della tradi­ zione siamo abituati a privilegiame una su tutte: l'essere umano come im­ magine di Dio e come sovrano della creazione. Questo aspetto del racconto ha il suo valore, perché può ispirarci a vedere la vita come una realtà donata, a non darla per scontata e, pertanto, a rispettare ogni vita. n racconto può suggerirei un ideale che ci sollecita ad aver cura e premura della terra e a salvaguardarla, compito che considerevolmente va ben al di là del semplice vivere sulla base di un equilibrio di interessi o di una autoconservazione. Nel corso della storia, però, questa visione ha rivelato anche i suoi lati d'ombra: l' idea dell' essere umano come il vertice della creazione è stata il pretesto di vederlo come sovrano del mondo e misura di tutte le cose. Misu­ rata in base a criteri umani, ogni realtà viene assoggettata, posta nella condi­ zione di essere controllata e capita. In tal modo, l' idea dell'essere umano co­ me signore o sovrano della creazione ha portato ad affrontare la stessa crea-

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zione come qualcosa che è stata fatta per soddisfare i bisogni umani. Persino in una versione moderna di amministrazione o gestione vicaria del mondo, una visione in cui si attribuisce grande importanza ali'ambiente e ali'ecolo­ gia, il punto di partenza purtroppo sembra essere talvolta la concezione del­ l 'essere umano come una sorta di frenetico supervisore, da cui dipende il mondo (e il cosmo). Ora, però, né l'ordine della creazione, né l'ordine delle cose dipendono dall'umanità. Dio non è fatto a nostra immagine, e non lo è neppure il mondo. La possibilità della sopravvivenza del mondo forse in parte dipende da noi, ma il mondo non è affatto una nostra proiezione. Sem­ bra quasi che ogni qual volta che in qualche luogo c'imbattiamo in tracce e­ sterne a noi stessi, immancabilmente l'esito sia quello di !imitarle a "noi", a quelli che stanno cercando le tracce. Ogni alterità viene subordinata a questo

"ego" umano. Gn l invece intende presentare un approccio fondamentalmente differen­ te: il punto di partenza sta altrove anziché risiedere negli esseri umani; il primato va a una realtà che sta al di fuori di noi. Gli altri esistono in se stessi e nella loro relazione reciproca. Il cielo è creato in se stesso e la terra fun­ ziona in rapporto ad esso. La terra è creata e caratterizzata dalla differenza tra i mari e i continenti; essa ha un valore tutto suo, ma funziona solo in stretto rapporto con il cielo, con il suo patrimonio peculiare e i suoi abitanti: le piante, gli animali e gli esseri umani. Le piante spuntano, crescono dalla terra e vivono in stretta connessione con il sole, la pioggia, gli animali e gli esseri umani. Gli animali vivono la loro vita, che è indissolubilmente colle­ gata alle piante e agli esseri umani. Per quanto riguarda le creature umane, esse nascono in una maniera che le contraddistingue, che consiste nel fatto che esse sono collegate simultaneamente a Dio, alla terra, alle piante e agli animali. Noi esistiamo nella misura in cui siamo congiunti ad altri. Nel medesimo tempo,

Gn l ci mostra anche Dio come colui che resta al­

l'esterno dei legami della creazione.

È per

questo che le creature umane non

possono mai vedere, ascoltare o sentire Dio direttamente, poiché questo pre­ supporrebbe che Dio sia immanente alla creazione. Le creature umane pos­ sono diventare segni di Dio l'una per l'altra. Con il loro comportamento e il loro stile di vita possono rappresentare Dio per gli altri, proprio come la creazione nella sua interezza può additare Dio. Poiché Dio trascende la crea­ zione, Dio non coincide mai con essa e non può mai coincidere con le im­ magini che ci si fanno di L ui. Pertanto, Dio è ben più di ciò che qualsiasi immagine o raffigurazione umana nelle religioni o nei racconti possono pre­ sentare di lui. In

tal senso, Dio sfugge a qualsiasi

religione.

Questo racconto dell'inizio mostra che il principio esiste prima che se ne possa parlare: l'inizio precede i racconti. Rivela il primato di ciò che si trova

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al di fuori

delle creature umane, nonché il primato del legame tra ciò che è Questa prospetti va può rimpiazzare la visione dell'essere uma­

stato creato.

no come apice della creazione. Sorge allora più lancinante la domanda: in base a questo racconto, come possiamo abbandonare un pensiero antropo­ centrico e trovare un differente punto di partenza per un 'etica e una fede cui la nostra stessa posizione

è stata sempre centrale?

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in

Genesi 2-3

D racconto del paradiso2

2,4b Quando YHWH Dio fece la terra e il cielo, 5 nessuna vegetazione campestre era ancora sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché YHWH Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era ancora l'essere umano a lavorare la terra. 6 Un corso d' acqua saliva sulla terra e irrigava tutta la faccia della terra. 7 Allora YHWH Dio plasmò l'essere umano con la polvere della terra e soffiò nelle sue narici il soffio di vita e l'umano divenne un essere vivente. 8 YHWH Dio piantò un giardino in Eden, a est, e vi collocò l' essere umano che aveva plasmato. 9 YHWH Dio fece germogliare dalla terra ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l' albero della vita in mezzo al giardino e l' albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino e di n si diramava in quattro corsi. 11 n primo si chiamava Pison: esso scorreva intorno a tutto il paese di Avila, dove c'era l'oro. 12 L'oro di quella terra era fine; ivi c' erano anche lo bdellio e la pietra d' onice. 13 n secondo si chiamava Ghicon:

2 Gli studi più importanti utilizzati per questo capitolo sono quelli di BARR 1992; BucHANAN 1956; CASSUTO 1964; COMBS 1988; HAUSER 1982; HUMPHREYS 1985; NAIDOFF 1978; SKA 1984; TSUMURA 1989; TuRNER 199 1; VOGELS 1978, 1983; WOLDE 1994.

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esso scorreva intorno a tutto il paese di Cus. 14 ll terzo si chiamava Tigri: esso scorreva a oriente dell' Assiria. ll quarto fiume era l' Eufrate. 15 YHWH Dio prese l'essere umano e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse. 16 YHWH Dio �ede un comando all'essere umano, dicendo: «Tu potrai certamente mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell' albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, 17 perché, nel giorno in cui ne mangerai, certamente morirai». 1 8 Poi YHWH Dio disse: «Non è bene che l'essçre umano sia solo: gli voglio fare un aiuto alla sua altezza». 19 Allora YHWH Dio plasmò dalla terra ogni sorta di bestie seivatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all' essere umano per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'essere umano avesse chiamato ogni creatura vivente, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l'essere umano impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche. Ma l' essere umano non trovò un aiuto che fosse alla sua altezza. 21 Allora YHWH Dio fece scendere un torpore sull'essere umano che si addormentò. Gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. 22 YHWH Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'essere umano, una donna e la condusse all'essere umano. 23 Allora l' essere umano disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dali' uomo è stata tolta». 24 Per questo un uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. 25 Ora tutti e due erano nudi, l'essere umano e la sua donna, ma non ne provavano vergogna.

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3, l Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche che YHWH Dio aveva fatto. Egli disse alla donna: «Non ha detto certo Dio che non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: 3 Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, affinché non moriate>>. 4 n serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! In realtà, Dio sa 5 che il giorno in cui ne mangerete si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male». 6 La donna vide che l'albero era buono da mangiare, attraente agli occhi e desiderabile per acquistare discernimento. Prese del suo frutto e ne mangiò. Poi ne diede anche al marito, che era con lei, ed egli mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due ed essi seppero di essere nudi. Intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. 8 Poi udirono la voce di YHWH Dio, che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno. L'essere umano e la donna si nascosero dinanzi alla faccia di YHWH Dio in mezzo agli alberi del giardino. 9 YHWH Dio chiamò l'essere umano e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 1 1 Riprese: ·

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«Chi ti ha detto che sei nudo? Hai forse mangiato dell' albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l'essere umano: «La donna che tu mi hai dato mi ha dato dell'albero ed io ho mangiato». YHWH Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato». Allora YHWH Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. lo porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le schiaccerai il calcagno». Alla donna disse: «Aumenterò il dolore della tua gravidanza, nel dolore partorirai figli. Verso tuo marito saranno i tuoi desideri , ed egli ti dominerà». Ali' essere umano disse: «Certo, tu hai ascoltato la voce della tua donna e hai mangiato dell' albero di cui ti avevo comandato, dicendo: Non ne devi mangiare. Maledetta sia la terra per causa tua ! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e tu mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto. Infatti polvere sei e alla polvere ritornerai !».

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20 L'uomo chiamò la moglie Chawwa (Eva), perché essa è la madre di tutti i viventi. 21 YHWH Dio fece ali' uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestl. 22 YHWH Dio disse: «Ecco, l'essere umano è diventato come uno di noi, conoscendo bene e male; e ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche deli' albero della vita, ne mangi e viva per sempre». 23 YHWH Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra da dove era stato tratto. 24 Scacciò l'essere umano e pose ad Oriente del giardino di Eden i cherubini · e la fiamma della spada guizzante per custodire l' accesso ali' albero della vita.

Qualcuno, continuando a leggere 2,4b («Quando YHWH Dio fece la terra e il cielo») subito dopo Gn l , l-2,4a, potrebbe avere l' impressione che si ri­ prenda nuovamente da capo il filo del racconto per narrare altre cose. Quan­ do poi il v. 5 afferma che non c'era ancora nessuna vegetazione sulla terra e non c' era ancora nessuno che coltivasse il suolo, e che poco dopo Dio crea l ' essere umano, sembra quasi che la creazione stia totalmente ricomincian­ do. Non è affatto così.

La situazione ali ' inizio 2,4b Quando YHWH Dio fece la te"a e il cielo 2,5a nessuna vegetazione campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché YHWH Dio non aveva fatto piovere sulla terra 2,5b e non c'era ancora l'essere umano a lavorare la terra. 2,6 Un corso d'acqua saliva sulla terra e irrigava tutta la faccia della terra.

Il racconto del Paradiso si apre con una nota temporale, come quello della creazione in Gn l . Questa volta non c'è nessun inizio nel tempo; viene inve­ ce ili uminato un unico momento del processo di creazione, che è stato appe­ na descritto, facendo più luce su di esso. Se ci si consente un paragone, è co­ me l ' ingrandimento di un particolare di una fotografia: se Gn l è l' intera fo-

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tografia del cosmo, Gn 2-3 ne rischiara un dettaglio e lo ingrandisce. Nello stesso tempo, l' esordio prospetta l' obiettivo su cui ci si focalizza, vale a dire sulla terra... terra... terra, e sull'essere umano che vive su questa terra. Dopo la frase d' ouverture, non riappare nemmeno lo stesso cielo, e ogni cosa di­ pende dalla terra in rapporto all'essere umano. Nel primo caso questa paren­ tela viene innanzitutto caratterizzata da un "non ancora": la terra non ha an­ cora una vegetazione, e gli esseri umani non ne hanno intrapreso la coltiva­ zione. Qui il testo traccia una distinzione tra la terra intera, 'erets , "terra", e una parte di essa: la terra, che è o deve essere coltivata, l' 'adamah (che la tradu­ zione della Bibbia CEI e di altre versioni italiane rende con "suolo"). Tipico della parte non coltivata della terra è che la crescita delle piante dipende dali' «acqua al di sopra della terra» o pioggia, che è attribuita a Dio; tipico della parte coltivata o 'adamah è l ' essere irrigata dall' «acqua sotto la terra», méntre la crescita delle sue piante dipende dali' essere umano ( 'adam) . In Gn 2,6 l' 'adamah sembra già aver acquisito rapidamente sufficiente umidità, dato che una corrente d' acqua sotterranea, che resta alquanto imprecisata, sgorga e la irri ga. Ora, la sola cosa di cui manca l' 'adamah è un essere uma­ no ( 'adam). Dopo questo esordio, il testo non parla più dell' 'erets, ma si in­ teressa unicamente della superficie terrestre colti v abile, dell' 'adamah e di 'adam. Mentre Gn l rivolgeva l' attenzione al cielo e alla terra, Gn 2-3 si concen­ tra sulla terra e sulle sue creature umane. Questi capitoli di vergono anche sui nomi di Dio: in Gn l Dio viene chiamato 'elohim (Dio), mentre in Gn 2-3 yhwh 'elohim (YHWH Dio o Signore Dio). Il nome 'elohim in Gn l rin­ via a Dio come il creatore del cielo e della terra. Lì egli è il creatore trascen­ dente, colui che crea il cosmo intero, ma resta personalmente al di fuori del-. la creazione. In Gn 2-3 viene alla ribalta un' altra dimensione di questo Dio. L' appellativo yhwh, che in realtà è una terza persona maschile singolare del verbo hayah, "diventare" o "essere" (quindi "egli è" o "egli diviene"), rivela un Dio che è in relazione ali' essere e al divenire della creazione, in partico­ lare della terra e dei suoi abitanti. Inoltre, in Gn 2-3 questo Dio passeggia nel giardino sulla terra, entra esplicitamente in contatto con le creature terre­ stri, parla di ciò che è bene e non è bene per loro, interpella l' uomo, la don­ na e il serpente, s' interessa della crescita delle piante e si preoccupa della custodia del giardino e della coltivazione della terra. In tal modo l' appellati­ vo yhwh sembra indicare un Dio immanente, o segnalare questa dimensione di un Dio che s' interessa della terra e della sua storia. Quasi in una sorta di endiadi, yhwh 'elohim rivela che yhwh e 'elohim sono indissolubilmente con­ nessi e inevitabilmente inscindibili. Come un solo nome divino, yhwh

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'elohim designa quindi, nel medesimo tempo, sia la dimensione trascenden­ te, sia quella immanente di Dio: Dio come creatore che ha fatto il cielo e la terra e permane all' esterno della creazione, e Dio come colui che è e diviene nella storia della terra e delle sue creature. (Per evitare di ripetere continua­ mente nel testo i termini YHWH Dio, d' ora in poi parleremo sempre di "Dio"). Questo esordio, dunque, indica ciò che contraddistingue il racconto di Gn 2-3 e come esso diverga da quello di Gn l . In Gn 2-3, il racconto globale della creazione del cielo e della terra di Gn l si focalizza su un solo momen­ to della storia della creazione, ossia sulla creazione della terra e degli abi­ tanti di questa terra. Qui ogni cosa invece si impernia sulla terra; tuttavia, non si tratta della terra intera ( 'erets) in antitesi al cielo, bensì dell' 'adamah, del suolo coltivabile. Peraltro, questo orientamento sulla terra e sulle perso­ ne che la abitano sembra corrispondere alla specificazione particolare del generico nome divino 'elohim come yhwh 'elohim. Infatti, mentre in Gn l si descrive la globale attività creatrice di Dio e si designa Dio come 'elohim, in Gn 2-3 a questo nome si aggiunge yhwh, per esprimere in questo modo an­ che l' interesse di Dio per la terra e per la storia delle creature terrestri.

Le

linee salienti del racconto

Sullo sfondo di una terra ( 'adamah, da ora in poi "terra") , ancora brulla e priva di vegetazione, visto che non c'è nessun essere umano che la coltivi, comincia il dipanarsi del racconto. L' esordio è al tempo stesso un climax: Dio plasma l' essere umano con la polvere del suolo, 'adam da 'adamah . E­ gli soffia nelle sue narici un alito di vita e questi diventa un essere vivente. Ora, basterebbe collocare questo essere umano sul suolo per coltivarlo, e questa dovrebbe essere la fine del racconto. Tuttavia, gli eventi prendono un' altra svolta. Dio pianta un giardino in E­ den, a est, e vi colloca l'essere umano che ha plasmato. Egli fa germogliare dal suolo nel giardino alberi d' ogni sorta, attraenti alla vista e buoni da man­ giare. Il giardino in Eden fa parte della terra ( 'adamah ), ma è differente dal resto della terra che deve essere coltivata a causa delle sue piante e della sua irrigazione. Mentre la terra fuori dal giardino è irrigata da un corso d' acqua imprecisato, il giardino è invece irrigato da un fiume. Questo è così copiosa­ mente rifornito d' acqua che, proprio fuori dell' Eden, da esso defluiscono, ramificandosi, tutti i grandi fiumi del mondo allora conosciuto: il Pison, il Ghicon, il Tigri e l'Eufrate. Per dimostrare quanto sia ottimale l' ambiente in quel luogo, il narratore si attarda a dipingere con dovizia di particolari le ric-

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chezze e l' abbondanza dei paesi intorno· ai quali scorrono questi quattro fiu­ mi principali. Precisamente prima e dopo questa descrizione di paesi e fiu­ mi, cioè per due volte, il narratore c' informa che Dio prende l' essere umano e lo colloca nel giardino «per coltivarlo e custodirlo» ; qui, il pronome "lo" si riferisce alla terra nel giardino. La situazione è perfetta fin dall' inizio: nel giardino si trova tutto ciò che l'essere umano desidera e tutto ciò che il suolo desidera. Per l' essere umano si configura come un palazzo piacevole di delizie; la terra gode di acqua in abbondanza e di un essere umano che la coltiva e la custodisce. Sembra re­ gnarvi una perenne felicità, un paradiso sulla terra (anche se qui non ricorre il tennine paradiso; etimologicamente la parola deriva dal persiano e signifi­ ca "parco, giardino") . Tutto sarebbe potuto rimanere così, se Dio stesso non avesse pensato altrimenti. In una situazione che si distingue per pura bellez­ za e totale godimento, egli colloca due alberi in mezzo al giardino, l' albero della conoscenza del bene e del male e l' albero della vita. Nessuno li aveva richiesti o cercati; a nessuno sarebbe venuto in mente di farlo. Dio pronun­ cia allora il divieto di mangiare dell' albero della conoscenza. Facendo que­ sto, per la prima volta egli introduce un aspetto negativo in una situazione contrassegnata da pura bontà. Egli impone anche una sanzione per la tra­ sgressione di questo divieto. Chi mangerà dell' albero morirà. Ma l'essere u­ mano, che Dio ha creato e che ha appena scoperto la vita, non sa ancora che cosa sia il morire. In una situazione che è caratterizzata da creazione e vita, proprio Dio introduce la possibilità della morte. È qualcosa di alienante, qualcosa di addirittura incomprensibile. Perché questo albero viene colloca­ to lì? Perché viene imposta questa proibizione? Perché viene creata la mor­ te? Dio si accorge di un' altra carenza nel giardino. Egli asserisce che non è bene che l' essere umano sia solo. Si tratta di una osservazione sorprendente, dato che da Gn l fino ad ora noi conosciamo Dio soltanto come colui che afferma che le cose sono buone, o molto buone. È stato Dio a fare personal­ mente ogni cosa e ora dice che qualcosa manca in ciò che ha creato: l' essere umano ha bisogno di un aiuto di pari rango. Dio dapprima modella gli ani­ mali, ma non trova un partner o compagno che sia all' altezza dell'essere u­ mano. Ecco allora che dalla costola o fianco dell'essere umano Dio plasma una donna, colei che è un partner adeguato. L'uomo e la donna si compiac­ ciono reciprocamente. Una nuova quiete è comparsa nel giardino: due per­ sone, in un giardino con alberi attraenti e animali, ma con un albero che sta precisamente nel mezzo, di cui l' essere umano ha appena ricevuto il divieto di mangiare. Una nuova fase comincia nel momento in cui il serpente apre la sua boe�

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ca. È sorprendente l ' esplicita affermazione che il serpente era l' animale più astuto che il Signore aveva fatto. Il serpente è abbastanza astuto da attirare l' attenzione su11 ' albero proibito. Con le sue domande, il serpente apre gli occhi della donna su quest' albero. È così che essa vede che l' albero proibito è buono da mangiare, attraente allo sguardo e desiderabile per acquistare di­ scernimento. Ella ne mangia, suo marito ne mangia, e il risultato è che essi si accorgono di essere nudi. Evidentemente essi non se ne erano resi conto precedentemente, cosicché deve trattarsi di una conseguenza diretta dell'a­ ver mangiato dell' albero della conoscenza del bene e del male. Ma soprag­ giunge Dio che chiede: «Hai forse mangiato dell' albero di cui ti avevo co­ mandato di non mangiare?». Dapprima essi si nascondono dietro una foglia di fico, la foglia più grande che possono trovare, poi si nascondono uno die­ tro l' altro. Ma questo non serve effettivamente a nulla. Dio li scopre e reagi­ sce alla trasgressione. Egli non riserva loro subito la morte, come ci si aspet­ tava in prima istanza, ma una specie di morte a credito. Inoltre alla donna vien detto che dovrà soffrire dolore e un' altrettanta dolorosa dominazione da parte del suo uomo. D' ora in poi l'essere umano dovrà cominciare a fati­ care duramente sulla terra. L'essere umano deve uscire fuori dal giardino. Questa espulsione viene descritta dai versetti seguenti: 3,23 YHWH Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. 3,24 Scacciò l'essere umano e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire l' accesso ali' albero della vita.

Punito per aver trasgredito il comandamento, l 'essere umano viene cac­ ciato fuori dal giardino. Questo giardino è diventato inaccessibile e d' ora in poi viene sorvegliato da cherubini, una sorta di sentinelle angeliche, e da u­ na spada fiammeggiante e mobile. Nessuno può entrarvi. Il racconto si chiu­ de con lo stesso tema con cui si era aperto: la terra (fuori dal giardino) che prima non aveva nessuno che la coltivasse, ora ottiene l' essere umano che la lavorerà e da questo istante potrà far germogliare le piante. Gn 2-3 è un racconto del paradiso con una struttura chiaramente differen­ te, che si impernia non sul giardino, bensì sulla relazione tra gli esseri umani e la terra. La struttura indica che, dalla prospettiva della terra, è necessario che gli esseri umani vi arrivino per coltivarla, perché possa germogliare

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piante . Se dalla prospettiva della terra l ' espulsione dell' essere umano dal giardino è un' evoluzione posi ti va, lo è meno per le creature umane. La so­ miglianza tra i due termini 'adam e 'adamah , che derivano ambedue dalla radice 'adam, "essere rosso", poteva già delucidarne il nesso e il riferimento. La terra (in Palestina) è rossa, e si credeva che il principio della vita umana risiedesse nel sangue (dam), per cui il sangue rosso viene visto come la pe­ culiarità principale degli esseri umani. C'è una reciproca affinità tra le crea­ ture umane e la terra; esse sono legate vicendevolmente: l'essere umano è un "essere terrestre" e la terra dipende dali' essere umano. Inoltre, questa creatura umana viene plasmata dalla polvere del suolo e, uomo o donna, ri­ torna alla terra. Origine e nome, nomen omen, tutto questo vincola gli esseri umani alla terra: tutti i giorni della loro vita dovranno coltivare la terra, per­ ché porti frutti. Come è stato mai possibile trascurare il fatto che la cornice di Gn 2-3 è indiscutibilmente "geocentrica" e che l' assenza di 'adam sul­ l' 'adamah è il fattore decisivo del racconto? È ali' interno di questa cornice che viene narrato il racconto del giardino. Tutta l' attenzione è stata sempre focalizzata su questo legame tra 'adam e 'adamah. Va detto, però, che la tradizione ha indotto la gente a leggere la storia in una prospettiva antropocentrica. Dal punto di vista umano qui ogni cosa è proprio come deve necessariamente essere: gli alberi ci sono per gli esseri umani, che possono guardarli e mangiarne; l' acqua nel fiume irriga il giardino e l'essere umano ha il compito di coltivarlo e di custodirlo. Qui Dio ha fatto ogni cosa ottimamente. La lettura tradizionale è quella secondo cui Dio, per mettere alla prova l'essere umano, vi ha posto due alberi nel mezzo e ha proibito all' essere umano di mangiare dell' albero della conoscenza del bene e del male. La situazione è chiara: l'essere umano potrà godere dell'e­ ternità a patto che egli, uomo/donna, rispetti il divieto di mangiare di un par­ ticolare albero. In una situazione così ideale è troppo essere obbedienti a Dio? Chiaramente lo è, visto che l'essere umano trasgredisce il comanda­ mento. Subito dopo Dio punisce la colpa e caccia l' essere umano dal giardi­ no. L'essere umano non ha più a disposizione alberi attraenti, come nel giar­ dino; d' ora in poi egli deve lavorare la terra con il sudore della sua fronte. In questa lettura orientata antropocentricamente, il coltivare la terra è un casti­ go di Dio, non una sua intenzione. Ma cosa succede se si dovesse provare che il racconto del paradiso ha an­ che indizi importanti per un' altra lettura? È sorprendente il fatto che in una situazione paradisiaca sia Dio a creare tutte le condizioni per la partenza dal giardino; lui stesso crea l ' albero della conoscenza; lui stesso pronuncia il di­ vieto di mangiare dell' albero che ha collocato precisamente nel mezzo e che perciò deve attirare l ' attenzione su di sé; è lui stesso ad introdurre il divieto,

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un fattore negativo, in una situazione che fino ad ora era esclusivamente po­ sitiva; è lui stesso a comminare la sanzione di morte in un giardino che fino ad ora era stato caratterizzato dalla vita; è sempre lui a creare un aiuto per l'essere umano, che poi si rivelerà un aiuto nel trasgredire il divieto: gli ani­ mali, tra cui il serpente, che è il più astuto, la donna come colei che desidera discernimento ... L'intenzione non era forse che l'essere umano trasgredisse il comandamento e cominciasse a mangiare dell' albero della vita? Chi è che ora sta andando controcorrente: l' essere umano che trasgredisce il divieto di Dio, oppure Dio, che crea espressamente tutte le condizioni e i mezzi per l ' infrazione di questo divieto? Non si potrebbe concludere da tutto ciò che l'intenzione di Dio nei confronti dell'essere umano (dopo una prima fase nel giardino) era quella di farlo uscire dal giardino per coltivare la terra? Questo significherebbe che non solo la struttura narrativa, ma anche Dio, nel rac­ conto del paradiso, è più orientato sulla terra e sul posto degli esseri umani sulla terra, anziché sull'essere umano nel giardino. La tensione in questo racconto sorge dalla frizione tra la lettura antropo­ centrica e quella geocentrica. Come lettori, subiamo il condizionamento sia di una tradizione che ha interpretato il racconto come "caduta", sia della no­ stra stessa umanità, nella quale vediamo noi stessi come il centro del mon­ do. Forse è difficile toglierei questi occhiali, rinunciare al presupposto che nell' azione di Dio ogni cosa riguarda l'essere umano, nonché ali' interpreta­ zione secondo cui Dio punisce l' essere umano in modo schiacciante perché trasgredisce un divieto. Al contrario, il duplice registro del racconto riflette più del semplice "essere umano disobbediente contro il Dio severo", come in genere spesso lo si spiega o lo si intende.

L 'albero della conoscenza del bene e del male Se diamo uno sguardo alle microunità di questo racconto, constatiamo co­ me ad ogni livello questo duplice registro si traduce in una certa ambiguità. Analizzeremo nuovamente il testo dal punto di vista tematico, in particolare l ' albero della conoscenza e gli altri alberi, il serpente e gli altri animali, l ' uomo e la donna, e gli esseri umani sulla terra. Il giardino in Eden è stato appena piantato; Dio vi ha fatto crescere alberi ed un fiume lo irri ga copiosamente. Poi l' essere umano viene collocato nel giardino, dato che gli alberi vi sono stati piantati per lui . Per chi altro gli al­ beri sono attraenti allo sguardo e buoni da mangiare? Sicuramente piaceran­ no anche ai vermi, ma essi ancora non ci sono. Persino il serpente ancora non c'è. Solo l'essere umano. Per quest' unica creatura umana sono stati po-

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sti due alberi nel mezzo del giardino: l' albero della vita e l ' albero della co­ noscenza del bene e del male. Dio ordina ali' essere umano di non mangiare dell' albero della conoscenza, ma non dell' albero della vita. Il racconto non ci dice se l'essere umano mangiò effettivamente anche di questo albero della vita. L'albero della conoscenza del bene e del male ha sempre stimolato l'im­ maginazione. Su di lui è proliferata una vasta letteratura: è stato detto che questa conoscenza comprendeva ogni sorta di discernimento, di conoscenze etiche e di leggi. Qui mi limiterò al racconto e alla Bibbia ebraica; ritengo che una spiegazione dei termini può già servire a chiarirlo. Il verbo yada ' denota una conoscenza sia teoretica, sia pratica, sia esistenziale: si tratta di una cognizione basata sull'esperienza. Percezione ed esperienza portano alla conoscenza, alla capacità o competenza di fare una distinzione e ad agire in base ad essa. Questa conoscenza si riferisce ad oggetti e a persone; può si­ gnificare sapere o capire, entrare in un rapporto intimo o familiare con qual­ cuno o conoscere qualcuno sessualmente. "Bene " e "male" sono termini e­ tici nella tradizione cristiana, ma nella Bibbia ebraica, in questo contesto, ''bene" e "male" costituiscono un' espressione polare, che esprime la totalità (così come in italiano "dalla testa ai piedi" esprime "tutto il corpo") . Pertan­ to, "bene e male" stanno per "ogni cosa", "tutto"; forse in italiano andrebbe­ ro meglio tradotti "utile e dannoso", al fine di evitare una esplicita connota­ zione etica. Così, puramente in base ai termini, "conoscenza del bene e del male" indica una generale capacità di discernimento: una consapevolezza delle cose, da quelle buone a quelle cattive; una cognizione che si riferisce a tutta la realtà in quanto tale, persone e oggetti. Questa espressione "cono­ scenza del bene e del male" ricorre in altri due passi della Bibbia ebraica. n primo è 2 Sam 1 9,36, dove un vecchio dice : «lo ho adesso ottant' anni: pos­ so io discernere tra bene e male? Può il tuo servo gustare ciò che mangia o beve?». Qui, dunque, abbiamo qualcuno la cui capacità di discernimento è stata del tutto obnubilata dalla vecchiaia avanzata. Il secondo passo, Dt 1 ,39, parla di ragazzi «che oggi non conoscono né il bene né il male»; la fra­ se si riferisce a bambini che non hanno ancora raggiunto l' età del giudizio. ll rotolo l QSa l ,8- l O dice: «Per dieci anni verrà annoverato tra i ragazzi. All 'età di venti. . . egli si unirà alla comunità santa. Non dovrà accostarsi a donna per conoscerla con rapporti sessuali finché non abbia compiuto vent'anni, quando conoscerà bene e male>->. La conclusione che se ne evince è che questa "conoscenza del bene e del male" si riferisce a una generale ca­ pacità di discernimento che un individuo acquista quando è maturo, e che talvolta si perde quando si è molto anziani; si tratta di una conoscenza o di una competenza matura di ogni cosa, dal bene al male.

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L' essere umano può mangiare di tutti gli alberi, tranne di quello della co­ noscenza; ora, però, intrigata dalle domande del serpente, la donna scopre che l' albero è buono da mangiare, seducente alla vista e appetibile per "gua­ dagnare discernimento". Non si dice che essa desideri acquistare discerni­ mento nell' albero; il testo dice soltanto "acquistare discernimento". La don­ na associa l' albero alla conoscenza, a una comprensione e una capacità di penetrazione globale. Quando poi, spinta da questo desiderio, la donna deci­ de di mangiame (e l' uomo si unisce a lei nel mangiare senza che si dica e­ splicitamente che anch' egli ha desiderio di acquistare discernimento), il ri­ sultato è che «gli occhi di tutti e due si aprirono ed essi seppero di essere nu­ di». Il testo non dice che essi "vedono" di essere nudi, ma alla lettera, che essi "conobbero" (yada •), diventarono consapevoli, si resero conto di essere nudi. È come se essi fossero giunti all' età del giudizio. Subito dopo, Dio è colui che per primo parla dell "'avere figli". È come se Dio anticipi le cose che accadono: il punto di partenza di Dio è che il raggiungimento della ca­ pacità di discernimento comprende anche una consapevolezza sessuale e quindi la possibilità di avere figli. Forse l' essere umano in sé non si era an­ cora spinto a tanto ma, mangiando dell ' albero della conoscenza del bene e del male, la donna e l' uomo hanno acquisito una capacità generale di discer­ nimento in cui, tra altre cose, rientra la conoscenza sessuale. Un' altra conseguenza del mangiare dell' albero della conoscenza è l'e­ spulsione dal giardino. D ' ora in poi egli/ella dovranno lavorare fuori dal giardino. In contrasto con il giardino lussureggiante di piante e di alberi, in cui l'essere umano vedeva ricompensato il suo esiguo lavoro, la terra fuori del giardino produrrà scarsa vegetazione a costo di molta fatica. L'essere u­ mano è a tal punto vincolato alla terra che la sua trasgressione sembra avere conseguenze per la terra stessa: la terra viene maledetta e germoglierà spine e cardi. L' umanità dovrà faticare duramente per poter ottenere dalla terra un nutrimento ragionevolmente sufficiente. . Dopo tutto ciò, e proprio alla fme del racconto, Dio stavolta proibisce al­ l' essere umano di mangiare dell' albero della vita. Questo perché, egli dice, coloro che ne mangeranno vivranno per sempre. Tutto d'un tratto la connes­ sione tra i due alberi diventa chiara. L'albero della conoscenza rappresenta la capacità di discernimento, in cui, tra altre, rientra la conoscenza sessuale. Per contrasto, l' albero della vita rappresenta la vita eterna; simboleggia la vita senza morte. Mangiare dei due alberi nello stesso tempo significa che l'essere umano potrebbe avere la possibilità di avere figli e di continuare a vivere per sempre. Questo sarebbe un po' troppo anche per una cosa in sé buona, e la terra potrebbe diventare sovrappopolata. Così, nel momento in cui l' essere umano mangia dell' albero della conoscenza, l ' albero della vita

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eterna viene proibito. L' accesso ali' albero della vita eterna viene ora sbarra­ to a fin di bene dai cherubini e dalla spada guizzante di fuoco. In conclusione, si può arguire che molta dell' ambiguità del racconto di Gn 2-3 nasce dal comando divino di non mangiare dell' albero della cono­ scenza. Dio colloca un albero in mezzo al giardino che simboleggia la capa­ cità di discernimento, e nello stesso tempo pronuncia il divieto di mangiar­ ne. Se ne può dedurre che la conoscenza o consapevolezza non è qualcosa che si ottiene immediatamente, bensì una qualità che si deve acquisire. Essa deriva da un certo grado di maturità e dal desiderio di saggezza, così come richiede una certa autonomia. Una volta acquisita questa capacità di discer­ nimento, non ce se ne può più sbarazzare. Ad esempio, uno non può più agi­ re come se non si fosse reso conto che ci sono uomini e donne. Ma, per quanto possa essere negativa questa descrizione dell 'acquisizione di tale co­ noscenza, nello stesso tempo essa dimostra che è proprio la conoscenza a creare le condizioni per una vita fuori dal giardino. Senza la capacità di di­ scernimento, che tra altre qualità costituisce la base della procreazione, gli esseri umani non sarebbero in grado di risolvere le loro difficoltà sulla terra. Perciò, da un lato, agli occhi di Dio l' essere umano ha bisogno di questa co­ noscenza per una coltivazione permanente della terra, mentre, dali' altro, egli sembra voler evitare ciò a causa del dolore e della miseria che l' accompa­ gnano. Infatti, dolore e difficoltà, miseria e angosce, lavoro e fatica sono i lati negativi della conoscenza che è stata acquisita. La conoscenza non è so­ lo la consapevolezza della continuità dell' esistenza, ma è, nel contempo, il riconoscimento della sua discontinuità: emergono delle differenze che pos­ sono comportare problemi. La perdita dello stato di non conoscenza viene qui immaginata come un danno, uno svantaggio, ed in un certo senso lo è. È la perdita dell' unità e della semplicità. La pluralità e la complessità prendo­ no il loro posto. Nello stesso tempo, però, ciò che l'essere umano perde è un vantaggio per la terra. È il racconto stesso a instaurare qui una tensione con­ trapponendo i punti di svantaggio per l' essere umano ai punti di vantaggio per la terra.

Il serpente e gli altri animali Anche il serpente e gli animali hanno un proprio ruolo in questo racconto carico di tensione. Ritorniamo al giardino, al momento in cui vi si trova l'essere umano: gli alberi sono in fiore e l' acqua gorgoglia nel fiume. Senza un motivo immediatamente evidente, Dio dice che «non è bene che l'essere umano sia solo», e si mette a cercare un aiuto adeguato per lui. Egli plasma

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dal suolo tutte le creature possibili, che camminano, strisciano e volano, e conduce ognuna di loro ali' essere umano, per vedere come le avrebbe chia­ mate. Qui è patente la capacità di linguaggio dell 'essere umano: egli può da­ re il nome a qualunque cosa egli vede intorno a sé. Ma è inutile, poiché Dio non trova un aiuto adeguato per lui. Non sappiamo neppure a cosa servirà questo aiuto, se ad aiutare nel lavoro oppure a bandire la solitudine (che non si addice ali' essere umano); questo trasparirà da ciò che segue. Senza una transizione, a questo punto il racconto continua a parlare di un solo animale: il serpente. 2,25 Ora tutti e due erano nudi ( 'arummim), l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna. 3, l ll serpente era la più astuta ( 'arum) di tutte le bestie selvatiche fatte da YHWH Dio.

Il serpente è astuto, o sapiente ( 'arum), mentre solo qualche riga prima si era parlato della nudità ( 'arummim plurale di 'arum) dell' uomo e della don­ na. In realtà, il termine ebraico per "nudo" è 'erom (lo ritroveremo in 3 , 1 0 . 1 1), al plurale 'erommim (che ricorre in 3 ,7); in 2,25, però, il vocabolo 'arummim è chiaramente usato in modo deliberato per instaurare una con­ nessione tra la nudità e l' astuzia o conoscenza. Ambedue i predicati, 'erom ed 'arum, derivano dalla radice 'or , "essere svelato, scoperto". Il nesso tra nudità e astuzia/sapienza sembra essere un bisticcio su cui s' impernia il rac­ conto. Con le sue domande il serpente sollecita nella donna il desiderio di acqui­ stare discernimento e mangiare. Essa mangia, così come mangia suo marito. L'esito è che essi ora sono consci di essere nudi e differenti l' uno dall' altra, qualcosa di cui non si erano ancora accorti prima di mangiare. Questa cono­ scenza della propria differenza è la base della loro capacità di procreazione, della possibilità di dare nuova vita. Questo passaggio è causato dalla media­ zione del serpente. Perché proprio un serpente? Poiché il serpente è l' unica creatura che di fatto è a contatto con questa conoscenza e rinnova costante­ mente la sua pelle o muta. Di conseguenza, nell' Antico Vicino Oriente e al­ trove il serpente è diventato il simbolo della conoscenza di una vita che si rinnova costantemente. Qui il serpente funge da mediatore nel comunicare questa conoscenza alla donna. Il motivo per cui il serpente si rivolge alla donna affiora da quanto Dio dice al serpente: «lo porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe» (3, 1 5 ) . Peraltro, il serpente non inter­ pella la donna con l '-intento di traviar la inducendola subito a consumare il frutto, e neanche perché la donna è stupida, ma perché in Gn 2-3 essa rap-

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presenta colei che dà la vita: essa può assorbire la conoscenza del serpente e metterla in pratica. Questo è evidente, in primo luogo, dali' espressione dav­ vero notevole «la sua stirpe» ; normalmente, infatti, il termine "stirpe/seme"* si usa soltanto per l' uomo (il termine ricorre 220 volte nella Bibbia ebraica, 2 1 8 volte a proposito di un uomo e due volte per una donna: qui in 3 , 1 5 e in Gn 16,10). Nel nostro testo la capacità di procreare è talmente abbinata alla donna che questa "stirpe/seme", che è una caratteristica maschile, è connes­ sa con lei. In secondo luogo, ciò traspare nel v. 1 6, dove Dio interpella la donna a proposito della sua capacità di generare figli: essa è responsabile del partorire figli e quindi della sopravvivenza umana, per quanto questo si accompagni a molto dolore e difficoltà. In terzo luogo, in 3,20 il suo nome indica esplicitamente la sua funzione di dare la vita: essa viene chiamata Chawwa o Eva (in ebraico chawwa significa "vita"), perché essa è la madre di tutti i viventi. Fin qui l' attenzione è stata prestata soltanto al lato positivo del rapporto tra l' essere umano e il serpente. Vi è però anche un lato negativo. Il lato ne­ gati vo del serpente non è il fatto che dica bugie. Ogni cosa che il serpente dice si rivela vera: l'essere umano non morirà se mangerà dell' albero della conoscenza; gli occhi dell' uomo e della donna si aprono e il risultato di que­ sta conoscenza è che essi sembrano essere come Dio. Perlomeno, quest'ulti­ mo aspetto viene anche confermato da Dio in 3 ,22: «Ecco, l'essere umano è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male». L'aspet­ to negativo del serpente non è il fatto che dica menzogne, ma che non dica tutta la verità. È Dio che chiarisce esattamente la parte di verità che manca .. Nel v. 4 il serpente pone l' accento su una vita senza morte. Questo sembra essere vero, dal momento che nessuna morte segue immediatamente l' aver mangiato dell' albero della conoscenza, ma Dio rivela che più tardi una mor­ te seguirà a questa vita. Nel v. 5 il serpente suggerisce che se l' uomo e la donna mangeranno dell ' albero essi diventeranno completamente come Dio, ma più avanti, nel v. 22, sembra che l'essere umano sia come Dio soltanto per quanto riguarda la conoscenza del bene e del male. Il serpente presuppo­ ne effettivamente una somiglianza tra sé e l'essere umano, nonché tra l' esse­ re umano e Dio, mentre in 3, 14-24 la realtà si rivelerà completamente diver­ sa: il serpente deve mordere la poi vere ed essere meno di una creatura uma­ na, così come neppure Dio e gli esseri umani saranno reciprocamente simili. Il serpente proclama un' assoluta uguaglianza e nega ogni differenza: una vi-

* [Sia in ebraico che in inglese con lo stesso vocabolo si designano sia il "seme" che la "stirpe"].

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ta senza morte, nessuna differenza tra Dio e l'essere umano, pura conoscen­ za, nessuna differenza tra l' essere umano e il serpente. Ali' uomo e alla don­ na risulterà chiaro che non era proprio cosi subito dopo la trasgressione, cioè prima della comparsa di Dio. Essi scoprono che la conoscenza che han­ no acquisito non dischiude soltanto le somiglianze, ma anche le differenze. E così le cose possono cambiare. Il serpente, che prima era un aiuto per l'essere umano, ora ne è diventato il nemico. Esattamente alla fine del rac­ conto, anche altre creature cominciano ad avere un ruolo. Questo succede nel momento in cui (3,2 1 ) «Dio fece all' uomo e alla donna tuniche di pelli/peli animali e li rivestì>>. All ' inizio della narrazione si diceva, nella creazione degli animali, che questi potevano essere un aiuto per l'essere u­ mano, ma restava vago in che modo potevano esserlo. Ora vediamo in che modo gli sono utili. Essi gli forniscono vestiti: la loro lana o vello offre pro­ tezione. Nella lingua originale risulta ancora più lampante: la parola "pelle" in ebraico è 'or, che deriva dalla stessa radice 'or, "essere svelato/scoperto", come 'arum ed 'arom. Se il serpente ha aiutato gli esseri umani a rendersi conto della loro nudità, gli altri animali li aiutano a ricoprirla. Dato che lo stesso serpente ha una pelle liscia, senza peli, la sua pelle non è adeguata per rivestire gli esseri umani. Ma poiché spesso rinnova la sua pelle, il serpente è per antonomasia quasi il mediatore più adatto nel trasmettere una cono­ scenza di vita che costantemente si rinnova. In Gn l e Gn 2-3 solo le piante servono da cibo per l' umanità e gli animali; gli animali non vengono man­ giati. Essi forniscono agli esseri umani i vestiti, e in tal modo sono diventati effettivamente un aiuto per il genere umano, anche se in un modo inaspetta­ to. Il fatto più stupefacente è che, con la creazione degli animali, Dio ha creato degli aiutanti per gli esseri umani che contribuiscono alla loro possi­ bilità di abbandonare il giardino. n serpente, una delle creature fatte da Dio, aiuta la donna e l' uomo ad acquisire la capacità di discernimento e la consa­ pevolezza sessuale. Gli altri animali assicurano che l' uomo e la donna ab­ biano vestiti che li scaldino e li proteggano finché sono sulla terra. Questi a­ nimali sono insignificanti per l' essere umano nel giardino, mentre sono e­ stremamente utili per una vita sulla terra fuori dal giardino. In tal senso si può dire che Dio plasma gli animali come un sostegno per il passaggio da u­ na vita nel giardino a una vita fuori dal giardino. Con un albero proibito e l' aiuto di un animale nel trasgredire il comandamento, con dei fornitori di vestiti per una vita fuori dal giardino, ancora una volta il racconto rivela la tensione tra forze in competizione. Davvero non c'è nessun accenno della "intollerabile ambiguità dell 'esistenza" nel giardino dell' Eden?

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Uomo e donna, l 'essere umano e la terra I primi esseri umani sono diventati noti con il nome di Adamo ed Eva. Ma non è del tutto esatto. La prima creatura umana è chiamata "l' essere umano" (ha- 'adam, con l' accento sull'ultima sillaba). Il termine 'adam ricorre venti­ due volte, sempre con l' articolo determinativo, per cui non si tratta affatto di un nome proprio, Adamo; si tratta invece di un nome generico, "essere uma­ no". Del resto, lo sapevamo già anticipatamente, poiché il termine 'adam per designare l' essere umano era stato usato anche in Gn l ,26-28 : «Dio creò l'es­ sere umano (ha- 'adam) a sua immagine; a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Qui parimenti sembra che ha- 'adam comprenda sia l' uo­ mo che la donna, e che tutti e due siano immagine di Dio. Ali' inizio della storia di Gn 2-3 notiamo che l'essere umano è ancora un essere indiviso: plasmato da Dio dalla polvere del suolo, 'apar min ha- 'ada ­ mah. È effettivamente impossibile parlare di un "lui" o "lei" o "esso" ma, dal momento che dobbiamo usare qualche pronome personale, qui userò "e­ gli", come cosiddetto "termine di genere neutro". In 2, 1 8 è Dio a prendere l'iniziativa di cercare un aiuto per questo essere umano. Il termine 'ezer si­ gnifica un "aiuto" o "aiutante" di importanza vitale. È per questo che nei Salmi Dio viene spesso invocato come un 'ezer, "aiuto", per gli esseri uma­ ni. In sé, questo termine non denota né superiorità, né inferiorità, ma anche qui spesso, come è tipico, si è soliti ragionare sulla base delle proprie pre­ comprensioni o idee già consolidate: quando Dio viene chiamato "aiuto", il termine viene visto come un segno di superiorità (Dio è il grande dispensa­ tore di aiuto); allorché la donna viene designata come "aiuto", stranamente il termine viene visto come un segno di inferiorità (la donna come aiutante dell' uomo). Qui in 2, 1 8 .20, 'ezer, aiuto, è in coppia con kenegdo, una parola composta, in cui neged significa "contro", "appropriato", oppure "corri­ spondente a", e ke "come", cosicché nel suo insieme significa "un aiuto ap­ propriato, un aiuto che gli corrisponda". Come sintagma indica quindi "un aiuto alla sua altezza" , "un aiuto simile, adeguato". Dio quindi vuoi divide­ re l'essere umano, ancora indiviso e unicamente distinto dalla terra, in due parti uguali e corrispondenti. Per far ciò, Dio fa cadere l'essere umano in un profondo torpore, in una sorta di catalessi, e prende «una delle sue costole (o fianchi), e rinchiude la carne al suo posto» (2,2 1). Il termine tsela ', fianco o costola, segnala che questo aiuto è "allo stesso livello". Come lo esprime­ vano suggestivamente i rabbini: «La donna non è stata tratta dalla testa del­ l' uomo, perché non fosse al di sopra di lui; neppure è stata tratta dal piede dell' uomo, perché non fosse al di sotto di lui; ma è stata tratta dal fianco dell' uomo, perché fosse allo stesso livello>>.

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Dio ha diviso l' essere umano in due partner cosi uguali che l' uomo dà a se stesso e al nuovo essere lo stesso nome, utilizzando per sé la forma ma­ schile 'ish, e per la donna la forma femminile 'isshah. Seguendo più rigoro­ samente il testo, possiamo dire che il nome "donna", 'isshah, ricorre prima (v. 22) del nome "uomo", 'ish (v. 23). In base al fatto che la donna qui viene creata per ultima, alcuni esegeti si sono sentiti autorizzati a concludere che è lei dunque la migliore, mentre altri, partendo dal fatto che è l' uomo qui ad essere creato per primo, reputano che sia lui il migliore; tuttavia, entrambe le opinioni riflettono probabilmente tesi preconcette, piuttosto che il testo. Quel che di fatto Gn 2,2 1 -23 attesta è che l' uomo comincia ad esistere solo nel momento in cui comincia ad esistere la donna, e viceversa. In realtà è la specie umana che viene divisa in due generi, maschile e femminile. Colpi­ sce il fatto che dopo questa creazione l' uomo si compiaccia soprattutto della sua uguaglianza con la donna: «Questa volta è osso del mio osso e carne della mia carne; la si chiamerà donna, perché è stata tolta da un uomo» (2,23). Egli esalta l'uguaglianza, non la diversità; e vedendo che egli stesso ora è cambiato, afferma che lei è uscita da lui, dali"ish. Quest' ultima asser­ zione, naturalmente, non è del tutto vera, dato che la donna è uscita dali' es­ sere umano, 'adam, ma, nella sua soddisfazione, l' uomo chiaramente non ri­ corda più la sua esistenza precedentemente indivisa. In breve, Dio stesso arriva all' intuizione che non basta un semplice essere umano indiviso. Perciò fabbrica una donna con una parte dell' essere umano, affi nché l 'essere umano sia distinto e plurale. Nel suo rapporto con la don­ na, 'isshah, l'essere umano non si autodefinisce più come essere umano, a­ dam, e quindi neanche più come un essere vincolato alla terra, ma come 'ish, uomo, cioè come un essere che è vincolato alla donna. Questo è il pun­ to cruciale: l'essere umano è un essere relazionale che, in quanto essere u­ mano, deriva la sua identità da questa relazione alla terra e che, come uomo, deriva la sua identità dalla sua relazione con la donna e che, come donna, deriva la sua identità dalla sua relazione con l' uomo. Il v. 24 segue subito dopo il canto dell' uomo che elogia la donna: 2,24 Per questo un uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

Questo versetto è quantomai singolare, perché non ci sono affatto né pa­ È un segnale che il narratore si sta rivolgendo direttamente al lettore, fuori della cornice della narrazione. E, naturalmente, questo lettore sa bene che cos'è un padre e una dri né madri; qui stiamo parlando dei primi esseri umani.

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madre. Questo versetto narrativo annuncia che tipo di aiuto sia la donna per l ' uomo; essa lo libera non solo dalla sua solitudine, ma anche da un pericolo mortale, ossia dalla minaccia dell' assenza di una futura esistenza. I rapporti sessuali che il narratore anticipa realizzano una sola carne o un figlio. Un essere umano indifferenziato non può avere un' esistenza futura, poiché per averla, gli esseri umani devono essere divisi in soggetti maschili e femmini­ l i . È Dio che coglie il bisogno della differenza, della creazione di un essere umano plurale, perché prevede una vita futura e una futura coltivazione del­ la terra. Il narratore introduce tutto ciò nel testo, restando al di fuori del rac­ conto e interpellando il lettore. Solo l' uomo e la donna nella narrazione an­ cora non lo sanno. Essi sono ancora nudi e ignoranti, e i loro occhi non si sono ancora aperti. Così, non c'è ancora nessun rapporto sessuale nel giardi­ no, e non v'è ancora la questione di un matrimonio monogamico. Solo dopo che l' uomo e la donna sono diventati consci della loro nudità, della loro dif­ ferenza sessuale, può esservi qualcosa simile ad un "fidanzamento". È come se il narratore nel v. 24 si facesse avanti nel racconto e ne indicasse la dire­ zione. Ma niente è ancora accaduto. Il termine adam, essere umano, non ricorre più in 3 , 1 -8. Vengono utiliz­ zati soltanto i termini 'isshah, donna, e 'ishah, suo marito, vocaboli che sono molto affini. Benché il serpente e la donna siano già entrati in conversazio­ ne, il soggetto è sempre "voi" o "noi", la donna e l' uomo («non dovete man­ giare?», «noi possiamo mangiare», seguiti da altri dieci verbi al plurale). Ma se durante la discussione e nel mangiare tutta l' enfasi ricade sull' unità tra uomo e donna, abbiamo un mutamento subito dopo che essi hanno mangiato il frutto proibito. Uomo e donna diventano subito consapevoli delle loro mu­ tue differenze. Mentre prima parlavano costantemente al plurale "noi", ades­ so parlano soltanto al singolare, "io", (l' uomo sette volte, la donna due vol­ te, in 3 , 1 0- 1 3), e l' uomo definisce la donna come «la donna che tu mi hai posto accanto» ed "essa". Ogni solidarietà è svanita. Dopo questo, Dio dà alla relazione tra uomo e donna la sua forma definitiva. Prima si rivolge alla donna: 3,16 Alla donna disse: «Aumenterò il dolore della tua gravidanza, · nel dolore partorirai figli. Verso tuo marito saranno i tuoi desideri ed egli ti dominerà)).

Il discorso di Dio si articola in due parti. La prima verte sulla relazione tra la donna e i suoi figli: ella li partorirà, ma questo accadrà non senza do-

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lori e difficoltà. La seconda mostra la sua relazione con l' uomo: il suo desi­ derio (sessuale) si dirigerà verso suo marito (altrimenti ci sarebbero stati forse pochi figli) ed egli dominerà su di lei. n verbo mashal usato qui ricor­ re anche in Gn l , 1 6 a proposito degli astri. Come abbiamo visto nell' analisi di Gn l, nessuno presuppone che in Gn l , 1 6 gli astri sono i padroni della terra, o che la terra è al servizio del sole e della luna. Invece, sulla base della stessa formulazione, lo si presuppone qui in 3 , 1 6. In ambedue i casi si pro­ spetta una relazione. Ciò significa che in 3, 16 la donna viene descritta in rapporto al suo uomo nella sua individualità e nella sua peculiare relazione. Dopo questo Dio interpella l' altro partner della conversazione: 3,17 All ' essere umano disse: «Certo, tu hai ascoltato la voce della tua donna ed hai mangiato dell albero di cui ti avevo comandato, dicendo: Non ne devi mangiare. Maledetta sia la terra per causa tua ! Con dolore ne trarrai i l cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te 18 e mangerai l' erba campestre. Con i l sudore del tuo volto mangerai il pane; 19 finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e alla polvere ritornerai». '

Se in 3, 16 Dio si era rivolto alla donna, ora in 3, 1 7- 1 8 interpella l' 'adam, per cui la maggioranza dei commentatori ritiene che questi versetti nella lo­ ro totalità si riferiscano all' uomo. Ora, però, se questi versi si riferissero so­ lo all'uomo, questo significherebbe che la coltivazione della terra, il man­ giame i prodotti e il ritorno alla terra o il morire non riguardano la donna. Ma neanche una donna possiede una vita eterna. Ritroviamo una situazione analoga in 3,22-24. Lì Dio prima dice che ha- 'adam è come Dio per quanto concerne la conoscenza del bene e del male, e questo si riferisce ai versetti in cui l'uomo e la donna mangiano dell' albero della conoscenza. Poi Dio caccia ha- 'adam fuori dal giardino di Eden. Nessuno pu ò lontanamente im­ maginare che la donna resti invece nel giardino. È ovvio quindi che questi versetti si riferiscano all' uomo e alla donna. Ma cosa si dice precisamente in 3 , 1 7- 1 9? Nella prima frase (3 , 1 7a), Dio critica l ' uomo per aver ascoltato la voce della sua donna e non quella di

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Dio, e questa critica riguarda l 'uomo. La seconda parte di ciò che Dio dice ( 3 , 1 7b- 19) verte sulla relazione tra l'essere umano e la terra. In questo modo Dio congiunge tre relazioni: la relazione tra l' uomo e la donna con quella tra l'essere umano e la terra e con quella tra l' essere umano e Dio. Nel contem­ po, introduce una gerarchia: la relazione tra uomo e donna, nella quale la donna ha il suo compito peculiare (3 , 1 6) è incastonata nella relazione tra l'essere umano e la terra, nella quale la creatura umana ha il proprio compi­ to (3, 1 7b- 19) e questa risulta incastonata nella relazione tra Dio e gli esseri umani in cui costoro hanno la loro propria conoscenza (3,22-24). La connes­ sione tra tutte queste parentele viene presentata graficamente dali' ebraico: i vocaboli 'adam e 'adamah, nonché 'ish e 'isshah palesano che l'essere uma­ no e la terra, nonché l' uomo e la donna, sono intimamente collegati l' uno al­ l' altro. Inoltre, un filo invisibile corre tra 'adamah e 'isshah da un lato e tra 'adam e 'ish dall' altro. Il testo presenta 'isshah o la donna come colei che partorisce figli ed è la madre di tutto ciò che vive, e l' 'adamah o suolo come la terra da cui nascono piante, alberi ed esseri umani . La somiglianza è niti­ da: la finale femminile -ah in 'adamah e 'isshah esprime la prerogativa del donare la vita dei due sostantivi. Nello stesso modo anche le forme maschili dei sostantivi 'ish e 'adam esprimono le rispettive funzioni: l' uomo è colui che deve dominare la donna e l'essere umano è colui che deve dominare la terra. Pertanto le mutue relazioni in Gn 2-3 sembrano essere assai stretta­ mente intrecciate. Lo dimostra lo schema seguente: 'adam: 'adamah

=

'ish: 'isshah = dominare: dare la vita.

Nella rete di relazioni imbastite da Gn 2-3, uomo e donna, essere umano e terra si distinguono l' uno dall' altro per compiti e funzioni, e necessaria­ mente si collegano in modo reciproco. In questa rete, l 'uomo come essere u­ mano dipende dalla terra, dal momento che è il suo principio e la sua fine, nonché la sua fonte di cibo, mentre come uomo dipende dalla donna, giac­ ché è lei che dona nuova vita. Come essere umano la donna dipende dalla terra, anch' essa per lei punto di partenza e d'arri v o, nonché fonte di cibo, e come donna dipende dalla guida e dal controllo dell' uomo. Quanto alla pro­ duzione di piante la terra dipende dagli esseri umani che la coltivano. La vita al singolare con cui aveva esordito il testo, con una singola terra e un singolo essere umano, si è evoluta regolarmente al plurale. Si configura come una vita di mutue distinzioni, ma anche di componenti che sono es­ senzialmente dipendenti l' una dall' altra: uomo e donna, essere umano e ter­ ra. In 2,23 l' uomo esaltava la donna e in particolare elogiava ciò che i due a­ vevano in comune. Il loro rapporto si fondava soltanto su ciò in cui i due si

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corrispondevano reciprocamente. Soltanto quando sono diventati consape­ voli delle loro differenze è possibile un reale rapporto come partner: una ef­ fettiva compagnia sulla base di somiglianze e differenze.

Il narratore Il narratore in Gn 2-3 è onnisciente: egli sa ciò che Dio pensa, ciò che Dio dice, ciò che dicono i personaggi, che il serpente parla, a cosa assomi­ glia il giardino, dove scorrono i fiumi, quali sono i nomi degli alberi nel giardino. Egli è al corrente di tutto ma, come la maggioranza dei narratori, resta al di fuori del racconto e non vi compare come personaggio. Soltanto una volta esce allo scoperto e interpella direttamente il lettore: 2,24 Per questo un uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

Il personale punto di vista con cui il narratore interrompe il racconto in­ clude tre componenti. La prima è «suo padre e sua madre>>. Queste designa­ zioni implicano che queste persone sono anteriori all' uomo, sono già pre­ senti ali' inizio della sua vita e lo allevano come un essere indipendente. La seconda componente è "abbandonare" : l' uomo vuol lasciare suo padre e sua madre per stare in piedi da solo. Come il padre e la madre fanno pensare simbolicamente agli anni dell' infanzia, così l' abbandonarli esprime la fase di passaggio dell' uomo dagli anni della dipendenza infantile a uno stato di vita più autonomo. La terza componente è il binomio «unirsi a sua moglie» e «diventare una sola carne», che segnano la maturità dell ' uomo adulto; egli può avere rapporti sessuali con sua moglie ed essi possono diventare a loro volta padre e madre. Peraltro, è sorprendente che mentre il racconto è scritto dalla prospettiva dell' essere umano o dell'uomo e della donna, il narratore che ora parla condivide la prospettiva dell' uomo (non dice «l' essere umano abbandonerà suo padre o sua madre»). Sintetizzando, in 2,24 il narratore of­ fre la sua visione dell' evoluzione o della crescita dell'uomo e la presenta di­ rettamente al lettore. Il narratore propone questo messaggio personale nel momento in cui in Gn 2 Dio si è rivelato come colui che crea e nutre l ' essere umano. Dio esiste prima della creatura umana, sta ali ' origine della sua vita e la dota di un aiuto e di potenzialità. La posizione di Dio in Gn 2 in un certo senso va paragona­ ta alla posizione del padre e della madre nel v. 24. Inoltre il lettore può in-

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tcrpretare il verbo «abbandonerà» come un ordine. Come un uomo lascia suo padre e sua madre per diventare indipendente, così anche gli esseri uma­ ni, uomini e donne, trasgrediscono il comandamento di Dio, «lo abbandona­ no», per essere autonomi. Questa verità universale, ossia che tutti i genitori vengono lasciati dai loro figli, in 2,24 è chiarita dal "per questo": «Per que­ sto l' uomo dovrà abbandonare i suoi genitori». L' uomo deve compiere i suoi passi verso la propria indipendenza personale. La libertà non si può ri­ cevere, si può soltanto conquistare. Forse si può parlare di una "disobbe­ dienza necessaria". Questa disobbedienza è ineludibile non solo dalla pro­ spettiva dell' uomo o dell' essere umano, ma anche dalla prospettiva dei ge­ nitori e di Dio, dato che entrambi educano l' essere umano perché raggiunga la sua indipendenza. Anche l' essere umano deve conquistare una certa auto­ nomia: infatti, cosa può farsene Dio di coltivatori che non sono autonomi, che sono incapaci di prendere delle decisioni da soli, ma restano sempre di­ pendenti? È lo stesso narratore a esplicitarlo in 2,24: solo lasciando i suoi genitori un uomo può diventare indipendente e assicurarsi una vita con mo­ glie e figli. Nel momento in cui ci si accorge che 2,24 è un racconto della maturazio­ ne dell'uomo e che un simile tipo di comportamento si può intravedere negli esseri umani nei confronti di Dio, il lettore può chiedersi se Gn 2-3 nel suo insieme non sia il riflesso di questo processo di crescita o di diventare adul­ ti. In tal caso, questo racconto del giardino dell' Eden è un quadro di una ar­ moniosa giovinezza in cui l' essere umano, uomo o donna, è in comunione con il mondo che lo circonda. I limiti che Dio impone, il divieto e la sanzio­ ne per la trasgressione del divieto, sono paragonabili alla posizione occupata dai genitori. I limiti che essi impongono esistono per tutelare dal dolore, dal­ la miseria e dalla morte. La fase della trasgressione del divieto allora corri­ sponde alla pubertà, nella quale l'uomo e la donna giungono all' età del giu­ dizio. Da questa prospettiva non è neanche così strano che la donna sia colei nella quale il desiderio di conoscere affiora per primo, poiché, come è ben noto, la sua pubertà comincia prima. Nella pubertà, nell' età in cui si oltre­ passano i limiti imposti, ragazze e ragazzi acquistano le capacità di discerni­ mento, la coscienza della propria sessualità e la potenzialità di procreare. Si tratta di una fase necessaria, poiché proprio varcando i limiti imposti, fina­ lizzati a proteggerli come bambini, essi raggiungono capacità critica ed au­ tonomia. In questo modo si realizzano le condizioni necessarie per una vita da adulti e per il suo sostentamento. Infine, il periodo della maturità come a­ dulti inizia quando l' uomo e la donna sono espulsi dal giardino. La comu­ nione con le cose è perduta: subentrano invece le differenze e il dolore; la continuità si tramuta in discontinuità e la semplicità in complessità. È così

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che si può leggere il racconto del paradiso come una parabola sul processo di maturazione umano. D narratore ci dà davvero una mano nel guidarci non solo in 2,24, ma an­ che altrove. Non solo fa parlare e agire i personaggi, ma aggiunge a ogni pie' sospinto anche una dimensione di sentenza, pronunciando un giudizio di valore su tutto. Egli allora guida il lettore ad emettere un verdetto posi ti­ vo su certe cose e un verdetto negativo su altre. In questo modo, il narrato­ re ha dato ali' intera scena del giardino una forma tale, in modo da ingene­ rare nel lettore una valutazione positiva; la diffusa descrizione lirica dei fiumi e dei paesi attorno a cui scorrono, i paesi dove si trovano oro e pietre preziose, non ha nulla a che fare con il racconto, ma induce il lettore a pen­ sare : «Questa è una situazione ideale, com' è meraviglioso vivere in questo giardino così splendido ! » . Persino il divieto divino di mangiare dell' albero della conoscenza non perturba questo quadro. Fattori in senso contrario, come il fatto che Dio collochi questo albero nel mezzo del giardino, parli della morte, proibisca qualcosa, dica che qualcosa non è bene, plasmi crea­ ture che non soddisfano completamente i desideri umani (2,20), non conta­ no affatto nulla nella descrizione della bellezza del giardino, nella sensazio­ ne evocata dal narratore che «è buona come questo». Opposto è il caso in 3 , 1 -7 nella discussione tra il serpente e la donna. Qui il narratore pone ogni enfasi sulla proibizione e sulla relativa trasgressione, il che induce il lettore ad emettere un giudizio negativo su questa crescita verso uno stato da adul­ ti. Il desiderio di capacità critica, di comprensione, della conoscenza del bene e del male, qui viene segnalato in un modo tale che i lettori, abituati a considerarlo normalmente come una istanza buona, emettono invece un giudizio negativo. Benché il termine "peccato" non ricorra mai in Gn 2-3 , la maggioranza dei lettori tende ad integrare il testo con il concetto di pec­ cato. Il risultato finale, però, non è puramente esiziale, perché l' essere u­ mano deve entrare nello scenario della terra, ed è questa il luogo dove i let­ tori si trovano oggi . Senza la trasgressione, questo non sarebbe accaduto. _ Ciononostante, parecchi di noi sono propensi ad emettere un verdetto nega­ tivo sulla partenza dal giardino. Si potrebbe definirlo il "paradosso del pa­ radiso": gli esseri umani diventano adulti e liberi soltanto trasgredendo il comandamento divino. Molto è stato perduto, ma molto più è stato guada­ gnato.

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/ lettori fino al primo secolo dopo Cristo 3 Il narratore racconta e i lettori devono lavorare sui testi. Essi fanno dei te­ sti il loro racconto. Diversa può essere la lettura e l'interpretazione dei testi nel corso della storia: ogni lettore, uomo o donna, con la propria sensibilità ed interessi, li ha interpretati e continua a interpretarli radicato in una deter­ minata epoca e in un detenninato contesto socio-culturale, come una rispo­ sta alle proprie domande. È ovvio quindi che le letture dei testi mutano con­ tinuamente. Questo è quel che capita con più frequenza a testi che sono mol­ to importanti per la società in cui sono letti. Ciò accade soprattutto per i rac­ conti delle origini, là dove i lettori sono spesso più condizionati o influenza­ ti dalla precedente tradizione interpretativa o di fede, che dal testo stesso. Qualcosa di simile affiora nel caso del testo di Gn 2-3 . Questo testo viene costantemente letto di nuovo. Ma, in ultima analisi, è un' unica interpretazio­ ne, ossia quella di Agostino sulla caduta e sul peccato originale, ad aver e­ sercitato un tale influsso nell' esegesi cristiana, che ancor oggi, sedici secoli dopo il dottore di Ippona, siamo portati a considerare la sua interpretazione come quella naturale, la sola che sia legittima e valida. Perciò tu, lettore, ora e in seguito potresti pensare: «Ehi, c'è qualcosa del tutto differente nella sto­ ria del paradiso da ciò che sto leggendo qui ! » . In questo caso, tu hai in testa idee che derivano da quella tradizione di fede. Per segnalare come Gn 2-3 è diventato un racconto di cui si è impadronita la gente, e delle varie funzioni che questi racconti hanno rivestito nei periodi storici successivi, delineerò u­ na breve rassegna delle interpretazioni più importanti di questo testo. Per chiari limiti di spazio, questa panoramica potrà essere soltanto schematica e generalizzata. Scritto come un racconto di creazione nella tradizione della fede ebraica, Gn 1-3 venne prima di tutto letto all' interno della comunità giudaica. Nella tradizione ebraica vanno distinte tre linee interpretative. Secondo la prima, il tema più importante di Gn 2-3 è la scoperta della nudità. Il fatto che Dio faccia vestiti per i primi esseri umani costituisce il climax del racconto, per­ ché è in questo momento che comincia ad esistere la cultura. Per la seconda, il racconto si incentra sulla maturazione degli esseri umani; ne abbiamo son­ dato in precedenza alcuni elementi. Secondo una terza e quantomai diffusa interpretazione, il peccato del primo essere umano è stato la causa della rot­ tura dell' armonia tra Dio e l' umanità, e questo peccato ha reso necessaria l' istituzione del matrimonio al fine di procreare figli. Inoltre, secondo molti,

3

Questo capitolo si basa, inter alia, su BASKIN 1 989; PAGELS 1 989; SCHORER 1 973; SEGAL 1 986.

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è la procreazione il tema principale del racconto. Questo affiora dal compito più importante affidato da Dio agli esseri umani: «Siate fecondi e moltipli­ catevi, riempite la terra». Perciò la procreazione fa parte della creazione. Forse è meglio rovesciare l' impostazione: nella legislazione matrimoniale e­ braica la procreazione ha un posto centrale, e questo viene sostenuto dai ri­ ferimenti al racconto della creazione. Questo precetto è ritenuto cosl fonda­ mentale che, quando un matrimonio non ha figli, il marito è tenuto a divor­ ziare dalla moglie, per poter avere figli da un' altra donna. Di conseguenza, anche le leggi sul divorzio sono formulate con riferimenti a Gn 1-3. Poiché si ritiene che la procreazione sia molto importante, si accetta anche la poli­ gamia come estensione della possibilità di avere figli. Al contrario, l' omo­ sessualità viene proibita perché questa forma di sessualità non procrea figli. Viceversa, i rapporti sessuali di un uomo con una schiava · sono considerati legali, nel caso la propria moglie non abbia figli . Il matrimonio previsto dal­ la legge del !evirato (dal latino levir "cognato", cioè un matrimonio in cui il fratello di un morto doveva avere rapporti con la sua vedova, cosicché il fi­ glio che nasceva veniva attribuito al defunto e ne perpetuava il nome) è un' altra istituzione che nasce dall'esigenza di non continuare a vivere senza figli. Naturalmente è caratteristico di questa legislazione matrimoniale e­ braica il fatto che la normativa sia stata scritta da e per uomini: la poligamia permette a uomini, non a donne, più figli; si crede che la sterilità sia soprat­ tutto una disgrazia che accade alle donne, altrimenti non ha molto senso che il marito si risposi; la normativa del divorzio, o più precisamente ripudi, concede solo al marito la possibilità di ripudiare la moglie. In breve, la prin­ cipale tendenza nel giudaismo è quella di leggere Gn 1 3 come un racconto che verte sull' origine del matrimonio e mostra la procreazione come il com­ pito della creazione. : Gn 2-3 compare similmente nella cornice del problema del divorzio in Mt 1 9, 1 - 1 2. I Farisei chiedono a Gesù di dare una risposta sulle motivazioni giuridiche per un divorzio. Come molti altri maestri prima di lui, qui Gesù ricorre a Gn 2-3 per delucidare questo problema. -

Mt 19,3-6 Allora gli si avvicinarono alcuni Farisei per metterlo alla prova e

gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi moti­ vo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e fenunina e disse: Per questo l' uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Cosl che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi».

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«Quel che Dio ha congiunto, l' uomo non lo separi». In particolare que­ st · ultima frase è scioccante per coloro che hanno posto la domanda. Infatti nelle dispute giudaiche sul divorzio la libertà per un uomo di ripudiare la n1oglie era un diritto e talvolta persino un obbligo. Qui, invece, Gesù non dà una risposta alla questione sui motivi per divorziare che gli era stata posta, ma semplicemente proibisce del tutto il divorzio . Nella tradizione ebraica le donne sterili ve ni vano considerate maledette, mentre Gesù non condivide questa visione. La concezione giudaica va spiegata a partire dali ' idea che lo scopo del matrimonio è avere bambini. Pertanto, Gesù diverge da essa: da un lato, egli accorda pari diritti alla moglie (un fenomeno fino ad allora i­ naudito), dali' altro egli non fa coincidere il matrimonio esclusivamente con la procreazione. Con questa sua visione, Gesù spaventa così tanto i suoi di­ scepoli che essi replicano: «Se questa è la condizione dell' uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Qui è importante notare due aspetti per l' in­ terpretazione di Gn 2-3 . Nei vangeli, solo in questo brano troviamo un rife­ rimento a Gn 2-3, e qui l' unico caso è quello del ripudio. Tale questione viene esaminata ricorrendo a un testo della Torah o della Bibbia ebraica. Qui non abbiamo un' esegesi di Gn 2-3, ma solo una discussione della que­ stione del ripudio. La conseguenza è stata il fatto che, per la tradizione cri­ stiana posteriore, Gn 2-3 è stato esclusivamente connesso con le dispute sul matrimonio e sulla sessualità. n secondo aspetto degno di nota è che nei vangeli l' idea di peccato non ricorre in connessione con Gn 2-3 . n peccato, come interpretazione di Gn 2-3 , penetrò nella tradizione cri­ stiana attraverso la lettera ai Romani di Paolo (Rm 5 , 1 2- 1 4). In essa Paolo presenta la redenzione per mezzo di Gesù Cristo come una liberazione dal peccato in cui siamo caduti a causa del primo essere umano. Rm 5,12

Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mon­ do e con il peccato la morte, cosi anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato.

n peccato è entrato nel mondo a causa di un solo essere umano, il primo creato da Dio. Questo peccato ha introdotto la morte nel mondo. Quindi tutti gli esseri umani, dopo questo primo essere umano, dovevano morire perché tutti avrebbero peccato. Perciò mediante la prima colpa la morte è diventata un fatto universale. La redenzione compiuta da Gesù Cristo va compresa su questo sfondo: solo mediante Gesù Cristo chiunque può essere salvato dal peccato e dalla morte. In un' altra lettera, la l Timoteo, un autore che non è Paolo, ha espresso il suo punto di vista sulla posizione degli uomini e delle donne nella chiesa.

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Per conferire autorità alla sua lettera egli ha scritto sotto il nome di Paolo. In essa illumina un' altra sfaccettatura di Gn 2-3 : l Tm 2,8- 15 Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, al­ zando al cielo mani pure senza ira e senza contese. Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pu­ dore e di riservatezza, non di trecce e ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà. La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tran­ quillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia.

Come nel vangelo di Matteo, qui una particolare idea, o tesi viene soste­ nuta mediante un riferimento a un testo della Bibbia ebraica. In tal modo Gn 2-3 viene utilizzato per avallare la posizione modesta e persino subordinata della donna. Poiché la donna è stata l' ultima ad essere creata in Gn 2-3 (ma non in Gn l ,26, a cui non si fa affatto riferimento), l' autore conclude che es­ sa è perciò inferiore. Mentre il Paolo autentico, nella sua lettera ai Corinzi, dichiara: «Vorrei che tutti fossero (non sposati) come me» (l Cor 7,7), il "Paolo" della l Timoteo ribadisce che uomini e donne devono sposarsi ed a­ vere figli. Mentre lo stesso Paolo in Gal 3,28 afferma che «non c'è né Giu­ deo, né Greco, non c'è né schiavo o libero, non c'è né uomo né donna, poi­ ché tutti voi siete uno in Cristo Gesù», un altro autore che si cela sotto l ' au­ torità del suo nome cerca di imporre la propria concezione secondo la quale le donne devono occupare una posizione subordinata. Nel corso della storia due elementi della l Timoteo hanno avuto molta influenza sulla posteriore interpretazione di Gn 2-3, vale a dire l' idea della caduta e l' idea della posi­ zione subordinata della donna.

/ lettori del secondo e terzo secolo dopo Cristo4 Nel secondo e terzo secolo il movimento cristiano ebbe una sua espansio­ ne. Durante questo periodo i cristiani non aderirono alla concezione secondo

4 n materiale in questo capitolo si basa principalmente su BuRGHARDT 1 947; PAGELS 1 983, 1 989.

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la quale la trasgressione nel racconto del paradiso era di genere sessuale. Al contrario, una deliberata partecipazione nella procreazione veniva vista co­ me una collaborazione con Dio e una prosecuzione della sua opera creativa. I rapporti sessuali non erano peccaminosi, ma parte della creazione "buona" e originaria di Dio. Pertanto questi primi cristiani (tra cui Clemente Alessan­ drino) confermarono la tradizionale convinzione giudaica secondo cui la procreazione legittima è una realtà buona. Certamente essi divergevano dai Giudei nel rifiutare la poligamia; la loro opinione era che solo il matrimonio monogamico era stato istituito da Dio nel giardino. Essi rifiutavano anche il divorzio, sulla scia di Mt 1 9 . In questo periodo i cristiani identificano la trasgressione, che ebbe origine con Adamo ed Eva, non tanto con il rapporto sessuale, bensì con la disobbe­ dienza come peccato contro Dio. I primi esseri umani non obbedirono ai co­ mandamenti di Dio, ed è per questo che furono puniti con la morte. Sicura­ mente in questi secoli, parlando in maniera generale, i cristiani credono che Dio aveva dotato gli esseri umani di un libero arbitrio. Gn l ,26-28 afferma che Dio fece l' essere umano a immagine di Dio, e che ali' essere umano vie­ ne concessa una signoria sulla creazione e la capacità di azione e di governo autonomi. Poiché Dio ha rivestito l'essere umano di una dignità "regale", questi è nella posizione di fare una scelta tra bene e ma,le e di agire confor­ memente ad essa. A ciò si aggiunse la concezione che, mel creare l'essere u­ mano, Dio gli fece il dono di una libertà morale. Il primo essere umano, però, abusò di questo dono e, di conseguenza, la morte raggiunse le genera­ zioni successi ve. In questi due secoli, in cui il movimento cristiano non era ancora una reli­ gione lecita nell' impero romano, la visione secondo cui Dio aveva creato l'essere umano a sua immagine era quantomai pericolosa. In base a Gn 1-3 i cristiani potevano arri vare alla conclusione che tutti gli esseri umani sono u­ guali e di pari dignità, poiché ognuno di loro è allo stesso livello immagine di Dio. Essi si avvalevano di questa concezione come un argomento in favo­ re del loro diritto di scegliere Cristo liberamente e come un argomento con­ tro il culto all' imperatore, nonché contro l' ordine gerarchico sociale. In tal senso questa "democratizzazione" cristiana costituiva una aperta sfida al si­ stema di governo romano, che era caratterizzato da una gerarchia rigorosa­ mente disciplinata. Al tramonto del n secolo e nel corso del III secolo il mo­ vimento cristiano si diffuse sino a tutti i confini dell ' impero romano. La buona novella venne predicata a schiavi e operai, a chiunque la udiva, vei­ colando così l' idea che l'essere umano è a immagine di Dio, dotato di una volontà libera rispetto alle autorità. Poiché questi cristiani non avevano nes­ sun rispetto verso i governatori romani, neppure per 1' imperatore o per gli

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dèi romani, anzi minacciavano di sostituire il pantheon delle divinità ma­ schili e femminili romane con un solo Dio, che aveva creato tutti gli esseri umani uguali, essi stavano minando le fondamenta della società. In una so­ cietà composta per metà da schiavi - in altri termini, uomini e donne consi­ derati come proprietà o possesso - dichiarare l' uguaglianza di tutti gli esseri umani poteva sfociare in una rivoluzione disastrosa e totale. Perciò, dal pun­ to di vista dei Romani, la persecuzione dei cristiani era quantomai compren­ sibile. Ma, malgrado tutte le oppressioni, proprio questa credenza ri voluzio­ naria nell' uguaglianza di tutti gli uomini e donne (aspetto che il movimento cristiano propugnava sulla base del racconto giudaico della creazione) eser­ citò il suo fascino su parecchia gente.

/ lettori del quarto secolo dopo Cristo 5 Agli inizi del IV secolo l' imperatore Costantino si convertì al cristianesi­ mo, e il cristianesimo diventò la religione ufficiale dello stato. In conse­ guenza di questo mutamento di situazione sociale, mutò anche l ' interpreta­ zione del racconto della creazione. Fu Agostino (nato nel 354 d.C.) colui che elaborò la dottrina del peccato originale in riferimento a Gn 2-3 . Più di mille anni dopo la stesura scritta di Genesi, Agostino fu dunque il primo ad asserire che questo testo riguardava il peccato originale. Egli non mise in ri­ lievo il libero arbitrio o libero volere umano, né la "dignità regale" degli es­ seri umani, ma l' assoggettamento come schiavi degli esseri umani al pecca­ to: le creature umane non sono in grado di dominare se stesse, di certo quan­ do devono fronteggiare gli impulsi sessuali. Perciò il libero arbitrio è un' il­ lusione. Agostino definì in termini negativi ciò che era stato precedentemente di­ pinto con parole positive: immagine di Dio, libero arbitrio, libertà, dominio di sé. Il primo essere umano ottenne la libertà come suo diritto nativo, ma il suo desiderio di conoscere e dominare si rivelò anche una grande tentazione. Questo anelito di libertà e di dominio di sé scaturì dali' albero della cono­ scenza del bene e del male e rappresenta esattamente il suo pericolo. Sviato dal desiderio di autonomia, il primo essere umano si ritrovò in uno stato di miserabile schiavitù. Il peccato di Adamo è la disobbedienza che derivò da questo desiderio di autonomia; Dio punì Adamo per questo, e in lui tutti gli '5 D contenuto di questo capitolo si basa principalmente su AGOSTINO 1 980, 1 978-88; PAGELS 1985, 1 989.

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esseri umani, che da quel momento sono stati corrotti e cambiati. Agostino lo prova non tanto sulla base di Gn 2-3 (che non dice nulla del genere), quanto sulla base di Rm 5 , 1 2. Lì Paolo afferma che la morte universale so­ praggiunse con il peccato del primo essere umano, «dato che tutti hanno peccato». Agostino lo interpretava così : il peccato universale (e non la morte universale come in Paolo) s' impossessò degli esseri umani con il peccato del primo uomo. In effetti Agostino cambia una brevissima espressione gre­ ca eph 'ho, "dato che", in " nel quale": «Nel quale tutti gli esseri umani han­ no peccato». In questo modo Agostino può dedurne la conclusione che, con il primo essere umano, l'intera razza umana è stata irreparabilmente guasta­ ta dal peccato. L'esegesi di Agostino è di fatto determinata in forte misura dalla sua cristologia, ossia dalla sua visione di Cristo. Secondo Agostino, in­ fatti, Cristo venne per liberare gli esseri umani dal peccato originale. Il pec­ cato originale entrò nel mondo a causa della caduta di Adamo e di Eva. La prospettiva di Agostino quindi non è tanto una esegesi di Genesi, quanto una lettura di Genesi attraverso gli occhiali di Paolo. Il mondo era notevolmente cambiato alla fine del N secolo. Il cristianesi­ mo non era più una setta dissidente come prima. Dopo essere stata persegui­ tata e oppressa da Roma per circa tre secoli, dopo la conversione dell' impe­ ratore Costantino nel 3 1 3, nell' arco di due generazioni la religione cristiana aveva conquistato una salda posizione come religione di stato. I vescovi ora non venivano più perseguitati o martirizzati, ma venivano esentati dalle tas­ se. Essi godevano di potere, rispetto e influenza a corte. Le chiese diventa­ rono più potenti e più ricche. I tradizionali concetti di libertà umana in una struttura politica ostile non vennero più applicati. Ciò che per secoli aveva costituito la base e il motivo propulsivo del libero arbitrio, ovvero la libertà umana e una scelta personale per il cristianesimo contro le religioni romane, ora cambiava. Agostino formula le nuove intuizioni che meglio si attagliano a questa sua epoca. Per lui tutti gli esseri umani si trovano nella stessa situa­ zione peccaminosa a causa del peccato originale. L' impotenza di ogni indi­ viduo è così grande, che nessuno può esser più designato al potere o al go­ verno sulla base delle proprie doti o qualità, ma solo sulla base dell' "essere designato". Per gli altri individui peccatori comuni questo significa che essi devono accettare lo status quo, il potere politico ed ecclesiastico che è stato loro stabilito.

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Dal quarto secolo in poi6 Dal IV secolo in poi, la dottrina agostiniana del peccato originale divenne l ' interpretazione prevalente nella tradizione cattolica e più tardi anche in quella protestante. Forse a favorire la diffusione di questa interpretazione fu­ rono le circostanze e le interazioni s ociali in cui la chiesa penetrava nel mondo e il mondo penetrava nella chiesa. Il riconoscimento della peccami­ nosità umana contribuì al mantenimento dello status quo e al consolidamen­ to del potere di quanti erano stati prestabiliti a governare sugli uomini e sul­ le donne. Forse il fatto che nella tradizione cristiana la Bibbia ebraica veni­ va letta con le lenti di Paolo rafforzò questa concezione. Il peccato originale era diventato una base necessaria per dimostrare la redenzione mediante Ge­ sù Cristo. Ma forse c'è un altro motivo per la diffusione e l' accoglienza ge­ nerale della dottrina del peccato originale. Parecchia gente ha bisogno di or­ dine e di logica nel mondo. Molti vogliono sapere la causa delle loro soffe­ renze. Molte persone si sono chieste: «Perché questa disgrazia è accaduta proprio a me e non a qualcun altro?>>, «Perché proprio io?» . Sentimenti di colpa, di castigo e di peccaminosità forniscono allora la certezza che tali av­ venimenti non sono arbitrari, ma obbediscono a una legge di causa e effetto. Qui la causa risiede fuori dalla portata di qualsiasi individuo, al di fuori di Dio; la responsabilità è del primo essere umano. In tal modo la dottrina del peccato originale dà una forma religiosa alla convinzione che l' umanità non soffre e muore in modo del tutto arbitrario, ma con motivo. La sofferenza, il dolore e la morte sono sopraggiunte tramite il primo essere umano: le soffe­ renze provengono dai primordiali fallimenti umani. Malgrado tutte queste ragioni, nel cristianesimo c'è sempre stata un' altra tendenza, che si è opposta alla tesi di Agostino. Già la dottrina di Agostino aveva incontrato molta opposizione nella propria epoca. Nel suo tempo e successivamente, continuava infatti l ' interpretazione dei primi secoli. Il por­ tavoce di questa controtendenza può identificarsi nel francescano Giovanni Duns Scoto ( 1 266- 1 308), seguito più tardi da altri francescani. Essi sostene­ vano che lo scopo della redenzione operata da Cristo non è la liberazione dal peccato, ma l' esaltazione degli esseri umani in vista di una loro parteci­ pazione alla vita divina, della loro deificazione. Inoltre il bisogno umano di grazia non deriva dalla situazione originaria di peccato, ma è inerente alla creaturalità umana e, di conseguenza, nessun essere umano può essere divi­ no e immortale. Anche senza il peccato del primo essere �mano, Cristo sa-

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Questo capitolo, inter alia, si basa su HoLMAN 1986; PAGELS 1989.

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rebbe venuto sulla terra; in altre parole, il peccato non è necessario per dare senso alla redenzione operata da Cristo. Perciò, accanto alla visione pessi­ mistica della tradizione agostiniana sorse, e continuò, un ottimistico filone francescano. Martin Lutero, monaco agostiniano, fece in modo che soltanto l'interpretazione agostiniana fosse ripresa nella tradizione protestante. Sino ai nostri giorni, nelle tradizioni della chiesa cattolica e protestante, l'esegesi agostiniana è assurta a rango di norma. Ha fornito le lenti con le quali siamo ancora abituati a leggere, interpretare e se noi mettiamo in evi­ denza gli altri elementi del racconto, è difficile ignorare questa prospettiva umana e incentrata sul peccato.

Racconti dell 'inizio È affascinante accorgersi come un tale racconto dell' inizio, come quello offerto in Gn 2-3, è stato interpretato, prospettato, completato, o messo a fuoco nel corso della storia. È curioso vedere come un unico e medesimo te­ sto è stato utilizzato per sostenere il matrimonio poligamico e il divorzio, e il matrimonio monogamico o strenue posizioni antidivorziste. Mentre in un primo tempo la sessualità e la procreazione erano considerate come eventi di creazione, più tardi la sessualità è stata indissolubilmente legata alla cor­ ruzione umana. In tal modo un racconto favorevole alla sessualità e alla pro­ creazione successivamente si è trasformato in un racconto contro la sessua­ lità. È intrigante il fatto che Gn 1-3 venga letto contemporaneamente come un racconto di liberazione e un racconto della caduta. Per i cristiani dei pri­ mi tre secoli era un testo con il quale potevano opporsi ali' ineguaglianza, al­ la schiavitù e all'oppressione dei governanti romani. Chi di loro poteva sup­ porre che alcuni secoli dopo lo stesso testo sarebbe servito a reprimere gli individui sotto un governo con una struttura gerarchica, nello stato e nella chiesa? Gn 1-3 è stato ben più di un semplice racconto in tutte le epoche storiche successive. Ha fornito ai vari lettori i mattoni per costruire la loro visione dell' umanità e del mondo che è servita a orientare la loro vita. Da un lato si è ricorsi a Gn 1-3 per combattere un Galileo e un Darwin, �r soste­ nere lo status quo, per reprimere le donne o soffocarne la voce; dall' altro è servito per liberare uomini e donne come esseri che sono stati creati tutti a immagine di Dio in questo mondo. Un altro aspetto da notare riguardo a tutte queste spiegazioni lievitate da Gn 1-3 è la loro forte impostazione o visione antropocentrica. Sia che si tratti di libero arbitrio o matrimonio, di una posizione pro o contro il divor­ zio, di peccato originale o di autonomia, in questi capitoli l' attenzione prin-

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ci pale si focalizza sui pochi versetti in cui appare l'essere umano ( l ,26-28; 2,24; 3 , 1 - 1 7). Come se il mondo non fosse più grande di questa coppia! Tut­ te le interpretazioni, da quelle più antiche giudaiche a quelle cristiane suc­ cessive, sono partite dalla centralità dell' essere umano, come climax e verti­ ce della creazione. Ora, però, il cielo e la terra in Gn l , e la coltivazione del­ la terra in Gn 2-3, non sono affatto incidentali o marginali, bensì sono il te­ ma principale. A segnalare questo fatto non è soltanto il testo della Genesi, ma anche un altro lungo racconto della creazione nella Bibbia ebraica, come il testo stupendo di Giobbe 38-40. Solo pochi commentatori hanno posto a raffronto il racconto della creazione di Gb 3 8-40, che è presentato dal punto di vista di Dio, con il nostro racconto di Gn 1-3 . Chiunque li metterà a con­ fronto si accorgerà che è sbagliato considerare l'essere umano come l' apice della creazione. La mordace ironia del discorso di Dio nel libro di Giobbe si avverte chiaramente quando egli dice: «L' essere umano è centrale nella creazione? Oh sì, naturalmente, per questo egli sa esattamente come è stata creata ogni cosa; sa da dove provengono le nuvole, dove cadono le piogge, come gli animali si comportano l'uno con l' altro?». Dio mostra a Giobbe u­ na creazione, in cui gli esseri umani sono un minuscolo anello in tutta la ca­ tena. E questi anelli devono dunque considerarsi il centro della creazione? Dovrebbero essere contenti di apparire in periferia. Questi individui voglio­ no imporre al mondo la loro idea di ciò che è la causa di dolore e sofferenza, di ciò che è giusto e sbagliato? Tutte queste idee sulla giustizia e l ' equità non sono forse fondate sulla causalità, sul concetto che ogni cosa deve avere una causa particolare, che gli esseri umani possono comprendere? Abbiamo visto quanti �ono i sentimenti di colpa e di peccato, nonché di sicurezza, che emergono da quella visione che ha favorito la diffusione della dottrina del peccato originale. Meglio il peccato piuttosto che l ' inesplicabilità: parecchi trovano più sicuro applicare le leggi di causa ed effetto ali' intera creazione, piuttosto che vagare nell' incertezza. I racconti della creazione in Giobbe e in Gn 1 -3 ci rivelano che Dio abbraccia la totalità del cosmo, di cui la terra e gli esseri umani costituiscono una piccola parte. Nelle relazioni tra le crea­ ture umane e la terra, tra le creature umane e Dio, è la terra ad avere la prio­ rità. Concluderò perciò con un'osservazione che è parimenti collegata alla nostra epoca. Nel XX secolo, in cui la libertà del singolo è diventata così centrale e il pensiero e l' azione incentrati sugli esseri umani sono stati asso­ lutizzati, la perdita della terra è diventato un problema più urgente e ineludi­ bile di quello del libero arbitrio o del peccato originale. Se si può parlare in qualsiasi modo di peccato originale, forse lo si può soltanto perché gli esseri umani continuano a credersi e porsi così centrali nei loro pensieri e nelle lo­ ro azioni a scapito della terra.

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Genesi 4-5

I racconti di fratelli e padri

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Genesi 4, 1-16: il racconto di Caino e Hevel 4, l Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho fatto un uomo con l'aiuto di YHWH)). 2 Poi partorì ancora suo fratello Hevel. Hevel era pastore di greggi e Caino un lavoratore della terra . 3 Dopo un certo tempo Caino offrì frutti della terra in sacrificio a YHWH. 4. Anche Hevel offrì i primogeniti del suo gregge e il loro grasso. YHWH guardò Hevel e la sua offerta, 5 ma Caino e la sua offerta non guardò. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 YHWH disse a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se tu agisci bene 7 non dovrai sollevarlo? Ma se non agisci bene peccato non è accovacciato alla porta?

7 Gli studi utilizzati per questo capitolo sono quelli di ANDERSON 1978; BRONGERS 1995; BRYAN 1987; CASSUTO 1964; COLE 1991; COMBS 1988; FRIIS PLUM 1989; HAMILTON 1990; HAUSER 1980; JACOB 1934; KUGEL 1990; SPINA 1992; WENHAM 1983; WOLDE 1994.

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Per te è il suo desiderio, ma tu puoi dominarlo». Caino disse a Hevel suo fratello ... Mentre erano in campagna Caino insorse contro Hevel suo fratello e lo uccise. YHWH disse a Caino: «Dov'è Hevel, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra ! Ora sei maledetto dalla terra, che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando tu coltiverai la terra, essa non ti darà più la sua forza: tu sarai fuggiasco e ramingo s ulla terra». Disse Caino a YHWH: >; l' unica volta in cui Caino parla di «mio fratello» è in un senso negativo. In quest' ultimo caso, il pro­ nome enfatico "io" segnala che Caino mette ogni accento su se stesso. Cai­ no non è un fratello, e non vive neppure come se avesse un fratello. Nel mo­ do in cui parla e guarda, YHWH spinge Caino ad accettare Hevel come suo fratello, come qualcuno che merita di essere guardato e non è meramente "aria"; cosl facendo, Dio lo spinge a essere fratello ... ma così non accade.

Caino guarda e parla Sin dali' inizio Caino è vincolato alla terra, o più precisamente al suolo, 'adamah. Dopo che l' essere umano è stato legato una volta per tutte alla ter­ ra al termine del racconto del paradiso, Caino è il primo essere umano a col­ tivare la terra fuori dal giardino. Il suolo produce frutti e in tal modo Caino può offrime a YHWH. Nel fare così, Caino riconosce il legame tra YHWH, gli esseri umani e la terra. Qui, sulla base di Gn 2-3, si potrebbe pensare che ogni cosa sia in ordine. In questo testo risulta approfondito tutto ciò che è stato affermato in Gn 2-3 come una relazione necessaria. Ma sembra esserci un rapporto più essenziale, vale a dire quello tra l'essere umano e il suo si­ mi le, tra l' uomo e suo fratello (non si presta nessuna attenzione alla donna e alla sorella). Caino non è così consapevole di questo vincolo con suo fratello. È soprat­ tutto YHWH che richiama la sua attenzione su ciò. Caino è più interessato

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alla terra e ali' offerta dei prodotti della terra. Egli reagisce furiosamente quando YHWH guarda quella nullità di suo fratello. Egli abbassa la testa. Quando YHWH gli dice di rialzarla, Caino reagisce in silenzio. Subito dopo Caino si rivolge a suo fratello, Hevel. 4,8 Caino disse- a suo fratello Hevel. ... Mentre erano in campagna, Caino insorse contro Hevel, suo fratello e lo uccise. n testo ebraico non riporta il contenuto di ciò che Caino dice ad Hevel, anche se le traduzioni spesso erroneamente completano la lacuna con «An­ diamo in campagna». Questo discorso che resta muto è davvero impressio­ nante, dato che in altre sei occasioni nel racconto abbiamo un certo contenu­ to della conversazione. Intuitivamente, appare significativo e paradossal­ mente eloquente questa scelta di non riportare il contenuto. Esprime la va­ cuità, l' assenza di contenuti nel contatto tra Caino ed Hevel. Tra l' altro, que­ sto parlare è un «parlare spiando», così come lo sguardo di Caino è uno «stare in agguato tenendo d' occhio». Qui il parlare non è un discorrere ordi­ nario, ma un parlare che ha lo scopo di eliminare suo fratello, così come non si tratta di un semplice ed innocuo stare, ma di uno appo-starsi in agguato per uccidere. Nel testo non si dice mai che Caino guarda suo fratello; si af­ ferma semplicemente che è esacerbato, quando YHWH guarda suo fratello. Il suo volto cade, s ' abbassa e YHWH gli chiede di guardare suo fratello. Quando Caino reagisce, il suo parlare senza contenuto, come il suo non riu­ scire, o voler guardare suo fratello, sono un tragico anticipo di una morte annunciata. Il risultato di tutto ciò è che Caino insorge contro suo fratello e lo uccide. Questo viene descritto in maniera secca e stringata. Più che sull' assassinio, il narratore sofferma la sua attenzione sul processo che lo precede. Letteral­ mente l' ebraico recita: «Egli insorse e lo uccise». A stento si può esprimerlo in una maniera più concisa. Il verbo "insorgere" sembra essere una reazione a tutto ciò che YHWH aveva detto precedentemente. Continua il paragone con l' animale selvaggio: Caino non solleva la testa per guardare Hevel, ma solleva il suo corpo sulle zampe posteriori e balza sulla sua preda, come una fiera. .. e lo uccide. La sua rabbia precedente, il suo rifiuto a guardare suo fratello, il suo parlare senza contenuto e l' assassinio in campagna, chiarisco­ no che si tratta di un fratricidio premeditato. Dopo l' assassinio, nella sua seconda conversazione con YHWH in 4,9, Caino dimostra di non essere cambiato. La prima parte della risposta di Cai-

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no a YHWH che gli domanda: «Dov 'è Abele, tuo fratello?>> è una bugia: «Non lo so)). La seconda parte è il rifiuto della domanda più importante: «Sono forse il guardiano di mio fratello?)). Caino suggerisce che la risposta è: «No, io non lo sono» . Il testo rivela che è questo il cuore del racconto: Caino ripudia suo fratello e, così facendo, rinnega di essere un fratello. Come conseguenza di tutto ciò, si verifica una rottura nella relazione che Caino ha con la terra e con YHWH. Egli viene accusato dalla terra, e segue poi un lungo dialogo con YHWH. Dopo la domanda: «Che hai fatto?», se­ guono l' accusa, la maledizione e la punizione. Solo dopo che è stato punito con l' esilio dalla terra Caino reagisce, con un lungo discorso: 13 Il mio peccato/castigo per me è troppo grande da sopportare

14 Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia della terra, e io mi dovrò nascondere dal tuo sguardo/faccia; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere.

Qui Caino usa il termine 'awon, che significa sia "colpa, peccato", sia "punizione, castigo". Questo dimostra che Caino riconosce che la trasgres­ sione è troppo grande e che le sue conseguenze sono intollerabili. Forse Cai­ no adesso sente per la prima volta di trovarsi egli stesso nella posizione di Hevel: ora è lui quello che potrà essere ucciso. Ed ecco, nel preciso istante in cui Caino si avverte in questa posizione, YHWH lo protegge. Egli dà a Caino un segno, perché non sia ucciso da chiunque lo incontri. YHWH prende sempre le parti del fratello più debole, chiunque esso sia. Nel mo­ mento in cui Hevel si trova in questa posizione di debolezza, YHWH guarda Hevel e alla sua offerta, e non colui che gode di fortuna e successo. Egli ac­ cusa il fratello più forte di non guardare il fratello più debole, di non accor­ gersi che il più debole non se la sta passando bene ; Caino invece è ostile e geloso e gli invidia la sua felicità. Pur ammonito da YHWH, Caino non rial­ za la testa, ma insorge e uccide suo fratello. Persino dopo la morte del fratel­ lo egli tenta di sconfessare la propria responsabilità. Solo dopo che è stato punito, trovandosi egli stesso in una posizione vulnerabile, sembra rendersi un po' conto di quel che ha fatto. YHWH allora gli impone un segno per proteggerlo. Non sappiamo di che tipo di segno si tratti. Di fatto non conta saperlo, perché in questo racconto l'unica cosa che conta è che YHWH pro­ tegge coloro che corrono il rischio di essere spazzati via dagli altri.

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La faccia della

terra

Finora sembra quasi che il racconto di Caino ed Hevel s' imperni soltanto su ciò che il filosofo ebreo Levinas chiamò «il volto dell' altro». Il criterio dell' agire di un essere umano, uomo o donna, non è definito dalla sua perso­ nale autonomia, ma dal volto dell' altro, che rivela quel che si deve fare e au­ torizza a farlo. È questo il motivo per cui è così significativo il fatto che Caino non riesca o non voglia guardare suo fratello: egli non guarda il volto di colui che è suo fratello. Qui la focalizzazione è sulla faccia di colui che a­ gli occhi di suo fratello è "inutile", "effimero". Nel contempo, Gn 4, 1 - 1 6 ri­ vela un aspetto che Levinas e molti altri con lui trascurano, vale a dire che anche la terra ha una faccia, un volto. 4, 1 0 Riprese: «Che hai fatto ? La voce del sangue di tuo fratello sta gridando a me dalla te"a. Ora sei maledetto dalla terra 11 che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai l a terra 12 essa non ti darà più la sua forza: sarai ramingo e fuggiasco sulla terra». 1 3 Caino disse a YHWH: «Il mio peccato/punizione è troppo grande per me da sopportare. Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia della terra. 14 Io mi dovrò nascondere dal tuo sguardo/faccia; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra».

La terra grida. Essa apre la bocca per ingoiare il sangue che cola dalle mani di Caino e maledice colui che ha versato questo sangue. Questo è il punto di rottura per Caino: d' ora innanzi, i suoi legami con la terra sono spezzati. ;4t­ tah l:lrur 'attah min ha 'adamah: «Ora sei maledetto dalla terra» . La metrica e il ritmo di questa maledizione sono decisamente marcati ( 'attàh l:lrur 'attàh min ha- 'adamàh) e ogni sintagma accentua il colpo severo inferto a Caino. Caino non riceverà più frutti. Egli non può più coltivare il suolo e non potrà più abitarvi, ma dovrà andarsene errabondo. D' ora in poi la terra diventerà un labirinto per Caino. Nei precedenti capitoli di Genesi la terra viene maledetta a causa degli esseri umani (3, 17): ora è l'essere umano che viene maledetto a causa dello spargimento di sangue di un suo simile. I termini ebraici dimostra­ no l' indissolubile nesso tra dam, 'adam e 'adamah: sangue, essere umano, ter­ ra. Qui la terra/suolo svela il suo proprio potere e rivela la sua faccia.

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Il racconto, nell' originale ebraico, mostra una netta correlazione tra la "faccia" o volto dell' essere umano, della terra e di YHWH. A causa di Caino che abbassa la sua faccia e del sangue che penetra nelle fauci della terra, Caino viene maledetto dalla terra e scacciato dalla sua faccia, così come de­ ve nascondersi dalla faccia di YHWH. Pertanto il legame spezzato con il fratello si traduce in un legame infranto con la terra e con YHWH; questa rottura v iene espressa dali' allontanamento dalla faccia della terra e dalla faccia di YHWH. Così, analogamente a una faccia umana, sembra esista una faccia della terra.

Conclusione e valutazioni personali Anche nel nostro XX secolo, non è difficile evitare l' amara impressione che per alcuni esseri umani altre persone siano inutili, senza valore. N on mancano esempi drammaticamente eloquenti. È ancora viva la tragedia del­ l' Olocausto nella seconda guerra mondiale, in cui tutto il mondo ha. visto gli Ebrei trattati non come esseri umani, ma trucidati; oppure possiamo pensare al Sudafrica, là dove una iniqua politica colonialistica ha trattato i neri come bestiame; oppure alla sistematica oppressione degli lndios dovuta allo sfrut­ tamento delle foreste dell' Amazzonia e al loro confino in riserve; oppure al­ la negazione dei diritti umani dei musulmani da parte dei serbi, così come i musulmani e i croati li negano ai serbi; oppure ai massacri tra Hutu e Tutsi. Sono situazioni concrete in cui della gente viene considerata inutile o "He­ vel" da altra. È evidentemente possibile che un individuo, uomo o donna, abbia l ' impressione che qualcun altro sia inutile, senza consistenza, e non sia un essere umano come lui o lei. Ognuno deve fare le proprie considera­ zioni. Le immagini fanno raggelare il sangue, gridano al cielo. Ma negli oc­ chi di chi perpetra questi soprusi o delitti si può leggere una giustificazione del tipo: «Perché tanto chiasso? Questa gente non conta, non merita così tanta compassione e interesse». n termine hevel qui simboleggia proprio queste persone che non contano agli occhi di altri. A mio parere, il crimine che si commette più frequentemente non è l' assassinio o l' odio, ma l' atteg­ giamento fatuo, insensibile, con il quale la gente dà poca importanza ad al­ tri : non ira, ma una disinvolta noncuranza e indifferenza. Non è importante, gli altri non contano. Come dice Caino: ho qualcosa a che fare con gli altri? Sono forse il loro custode ? Un grido risuona nel mondo; del sangue che è stato versato sta urlando dalla terra. Sembra quasi che Dio a volte lo ascolti e a volte no. Anche Dio ascolta le accuse contro di lui: «Dio, perché?». Del resto la funzione di tali

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racconti della Bibbia è quella di mostrare che è proprio questo il cuore del problema: essere il custode del fratello o della sorella più deboli, più inermi. Ogni passo della Bibbia ci mostra un Dio che è sempre dalla parte della vit­ tima. Non è una questione che riguarda soltanto l' alleanza con il popolo e­ letto: chi viene scelto è colui che appartiene al gruppo più debole, al gruppo che viene negato, conculcato. Tutti costoro, presi insieme, formano il popolo degli hevel. Dio stipula un' alleanza con loro. Dio li guarda, perché essi ne hanno urgentemente bisogno. Purtroppo, -solo poche persone guardano insie­ me con lui.

Credo

Se io credessi, allora sperimenterei di essere qui come segno di Dio in un mondo in cui così poca religiosità è presente. Se sapessi che Dio continua a scegliere chi è hevel tra di noi, per la terra che non può difendersi da noi, allora saprei come essere immagine di Dio: rendendolo presente sulla terra e guardando l'indifeso tra noi. Se dubitassi, talvolta scoprirei indizi di Dio in altre persone, guardando specialmente coloro che in un mondo che pensa ai propri interessi non danno importanza a se stessi: coloro che, malgrado ogni assassinio, si perdonano l 'un l'altro, ·coloro che del male non fanno il cuore dei propri pensieri e della propria vita, ma vivono del respiro di particolari ideali. Se io credessi, allora non sarei qui per me stesso, per difendere i miei diritti ad esistere, sopravvivere, a tramandare i miei geni, ad affermare me stesso, ad impormi ali' attenzione della gente, bensì a guardare gli altri negli occhi e a guardare la faccia della terra. Quel che non voglio dimenticare

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è l'esperienza di essere aiutato da Dio ai cui occhi tutti gli esseri umani sono uguali, la sua continua sfida di Creatore che ha dato la vita alla terra e a tutta questa gente.

Genesi 4, 1 7-5, 32: le genealogie dei padri 4, 1 7 Caino si unì a sua moglie che concepì e partorì Enoch. Costui fu il costruttore di una città. Egli chiamò la città con il nome di suo figlio, Enoch. 1 8 A Enoch nacque Irad; e Irad generò Mecuiael. Mecuiael generò Metusael, e Metusael generò Lamech. 19 Lamech si prese due mogli: una si chiamava Ada e l ' altra Zilla. 20 Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende e hanno bestiame._ 2 1 n fratello di questi si chiamava lubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. 22 Zilla a sua volta partorì Tubalkain, (il padre) di tutti i fabbri, di quanti lavorano il rame e il ferro. La sorella di Tubalkain fu Naama. 23 Lamech disse alle mogli: «Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l'orecchio al mio dire: Certo, ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e (ho ucciso) un ragazzo per un mio livido. 24 Certo, Caino sarà vendicato sette volte, e Lamech settantasette». 2 5 L'essere umano/Adamo si uni di nuovo a sua moglie, · che partorì un figlio e lo chiamò Set, «Perché - disse - Dio mi ha concesso un' altra discendenza al posto di Heyel, poiché Caino l'ha ucciso>>. 26 Anche a Set nacque un figlio, che egli chiamò Enos. Allora si cominciò a invocare il nome di YHWH. ·

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5, l Questo è il libro della storia dell' essere umano/Adamo. Quando Dio creò l'essere umano/Adamo, lo fece a somiglianza di Dio; 2 maschio e femmina li creò, e li benedisse, e li chiamò "essere umano" quando furono creati. 3 Adamo aveva centotrenta anni quando generò un figlio a sua immagine, a sua somiglianza, e lo chiamò Set. 4 Dopo aver generato Set, Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. 5 L'intera vita di Adamo fu di novecentotrenta anni ; poi morì. 6 Set aveva centocinque anni quando generò Enos; 7 dopo aver generato Enos, Set visse ancora ottocentosette anni e generò figli e figlie. 8 L'intera vita di Set fu di novecentododici anni ; poi morì. 9 Enos aveva novanta anni quando generò Kenan. l O Enos, dopo aver generato Kenan, visse ancora ottocentoquindici anni e generò figli e figlie. 1 1 L' intera vita di Enos fu di novecentocinque anni; poi morì. 12 Kenan aveva settanta anni quando generò Maalaleel; 1 3 Kenan dopo aver generato Maalaleel visse ancora ottocentoquaranta anni e generò figli e figlie. 14 L'intera vita di Kenan fu di novecentodieci anni; poi morì. 15 Maalaleel aveva sessantacinque anni quando generò Iared; 16 Maalaleel, dopo aver generato Iared, visse ancora ottocentotrenta anni e generò figli e figlie. 17 L'intera vita di Maalaleel fu di ottocentonovantacinque anni ; · poi morì. 1 8 Iared aveva centosessantadue anni

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quando generò Enoch; 19 Iared, dopo aver generato Enoch, visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. 20 L'intera vita di lared fu di novecentosessantadue anni; poi morì. 2 1 Enoch aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme. 22 Enoch camm inò con Dio; dopo aver generato Matusalemme, visse ancora per trecento anni e generò figli e figlie. 23 L'intera vita di Enoch fu di trecentosessantacinque anni . 24 Enoch camminò con Dio e non fu (più), perché Dio l'aveva preso. 25 Matusalemme aveva centottantasette anni quando generò Lamech; 26 Matusalenune, dopo aver generato Lamech, visse ancora setteeentottantadue anni e generò figli e figlie. 27 L'intera vita di Matusalemme fu di novecentosessantanove anni; poi morì. 28 Lamech aveva centottantadue anni quando generò un figlio 29 e lo chiamò Noè, dicendo: «Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani sulla terra, che YHWH ha maledetto». 30 Lamech, dopo aver g�nerato Noè, visse ancora cinquecentonovantacinque anni e generò figli e figlie. 31 L'intera vita di Lamech fu di settecentosettantasette anni; poi morì. 32 Noè aveva cinquecento anni quando generò Sem, Cam e Iafet.

Continua la sequenza del racconto precedente. Gn 4, 1 7 riparte dallo stes­ so personaggio principale, Caino: «Ora Caino si unì a sua moglie». Quale fosse il nome di sua moglie e da dove essa provenisse è un enigma. Finora vi sono stati soltanto quattro esseri umani, di cui uno è morto: ora quindi ne restano tre. Talvolta si presume che questa donna sia una delle figlie che il primo essere umano ha generato dopo Set (cfr. 5,4), il che sarebbe un prodi-

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gio aritmetico. Peraltro, la moglie di Caino sarebbe dunque contemporanea­ mente sua sorella: secondo me, neanche questo migliora le cose. Lo scopo di queste genealogie è mostrare che tutti gli esseri umani nel mondo risalgo­ no a un' unica coppia di genitori. Questa è la finalità della composizione, e per questo in 4, 1 7-26 e nel c. 5 le toledot, le genealogie dei figli degli esseri umani, vengono ripetute come chiusa. Elementi che si armonizzano meno bene, come la moglie di Caino, vengono lasciati nel vago. Il motivo della coesistenza di due liste è perché con la nascita di Set ha avuto origine una nuova discendenza accanto a quella di Caino. Ambedue i rami genealogici hanno tre caratteristiche e funzioni specifiche e, pertanto, il testo si articola in due parti: 4, 1 7-26 e 5, 1 -32.

Genealogie Le genealogie sono sempre scritte dalla prospettiva di un' epoca posterio­ re; i personaggi elencati erano chiaramente già morti. Esse quindi sono stila­ te retrospettivamente, in un' epoca più tardiva. Si tratta anche di una spiega­ zione delle grandi età. Quando questo testo è stato inserito qui, si aveva in mente la data della creazione e diversi nomi di persone che erano vissute nelle generazioni anteriori. I nomi conosciuti vennero ripartiti in questo in­ tero periodo (diviso dallo spartiacque del diluvio in due epoche, una anterio­ re e una posteriore), con la conseguenza di età di lunga durata. Così, nel leg­ gerle, non ci dobbiamo meravigliare della straordinaria longevità di questi personaggi, perché si tratta di età artificiose, ottenute dalla loro conseguente distribuzione nel tempo. Qui vennero anche adottati particolati criteri di cal­ colo: il personaggio che occupa il settimo posto in una genealogia è una fi­ gura speciale. Così l' attribuzione di una longevità di cento anni, cinquecento anni , settecentosettantasette anni, è indice della particolare posizione della persona in questione. Tra questi criteri di distribuzione il più importante è quello di abbracciare il periodo (che è presupposto), che va dalla creazione al diluvio. Vi sono pure altri criteri di distinzione minori, come valori nume­ rici e coincidenze, che spiegano la grande differenza nelle età. Inoltre è e­ stremamente importante il fatto che la struttura di queste liste palesi forti so­ miglianze con le antiche liste dei re della Mesopotamia. In un' antica lista sumerica sono menzionati otto re prima del diluvio, che regnarono comples­ sivamente per 24 1 .000 anni. L'età media di ogni re, in questa lista, è di circa 30.000 anni, a confronto della quale i 969 anni del celebre Matusalemme, sono quelli di un ragazzino. Anche qui abbiamo una ricostruzione retrospet­ tiva.

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Uno dei problemi insolubili nel cap. 5 è la presenza di notevoli discordan­ ze nelle età, così come ci vengono fomite dalle tre tradizioni testuali, vale a dire dal Testo Masoretico (TM), dal Pentateuco Samaritano (PS) e dai Set­ tanta (LXX). Il Testo Masoretico è la versione da cui oggi l'esegesi scienti­ fica parte e su cui si basano le traduzioni bibliche più importanti . Rappre­ senta anche il nostro punto di partenza. Questa versione testuale risale ali' e­ dizione del testo fatta dai rabbini (i cosiddetti Masoreti) a partire dall' VIII secolo d.C., che venne considerata dagli Ebrei e in seguito dai Cristiani co­ me il testo della Bibbia ebraica. Il Pentateuco Samaritano ha una tradizione molto antica e risale al IV secolo a.C., ma fu riconosciuto solo dai Samarita­ ni e fu rifiutato dagli Ebrei. I Settanta sono la traduzione greca della Bibbia ebraica che risale al III secolo a.C., la quale in un primo tempo venne effet­ tuata da e per i Giudei, e godette tra loro di grande autorità. Poiché però questa versione greca fu adottata dai Cristiani che ne riconobbero l' autorità, i Giudei non la riconobbero più come testo sacro e autorevole (a partire dal I secolo d.C). Ebbene, queste tre antiche testimonianze testuali forniscono età che divergono tra loro nella genealogia di Gn 5 . Nella tavola seguente, la prima colonna di ogni versione testuale fornisce l'età del personaggio alla nascita del suo primo figlio, mentre la seconda colonna fornisce l'età alla sua morte. età di

TM nascita del primo figlio

morte

Adam Set Enos Kenan Maalaleel lared Enoch Matusalemme Lamech Noè

1 30 105 90 70 65 162 65 1 87 1 82 500

930 912 905 910 895 962 365 969 777 950

Tempo tra Adamo e il diluvio

1656

PS nascita del morte primo figlio 1 30 105 90 70 65 62 65 67 5 500

1 307

930 912 905 910 895 847 365 720 653 950

LXX nascita del primo figlio

morte

230 205 1 90 170 1 65 1 62 1 65 1 67 1 88 500

930 912 905 910 895 962 365 969 753 950

2262

Nella tavola notiamo che le differenze perfino aumentano. Secondo il Te­ sto Masoretico tra Adamo e il diluvio corrono 1 656 anni; secondo il Penta-

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teuco Samaritano corrono 1 307 anni, mentre secondo i Settanta 2262 anni . Da ciò si evince ancora una volta che non dobbiamo considerare questi dati come fatti rigorosamente storici, bensì come risistemazioni letterarie del passato.

L'origine della genealogia di Caino «Caino si unì a sua moglie che concepì e partorì Enoch» è assai simile a «l' essere umano si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino» (4, l ) . Manca soltanto il nome della moglie di Caino. Tutti e due i testi pro­ seguono con la menzione del mestiere del figlio: «Costui fu costruttore di u­ na città», «Hevel era pastore di greggi e Caino coltivatore della terra». Poi­ ché la formula è esattamente la stessa, possiamo dedurre che qui si descriva il mestiere del figlio, non quello del padre: è Enoch il costruttore di una città, non Caino. Questo viene suffragato da altri due argomenti: Caino è un errante; egli vagabonda fuggiasco sulla terra e trova difficile abitarla. Primo, il termine "costruttore di una città" indica che il figlio di quest' errabondo a­ bita in un solo luogo per la prima volta. Secondo, il padre chiama la città E­ noc, dal nome del figlio. Il gioco di parole in ebraico tra "suo figlio" (beno) e "costruttore" (boneh ) segnala quanto sia forte la relazione tra il figlio e la città, Enochpoli. Ma è impensabile che Enoch abbia costruito la città com­ pletamente da solo. Se così fosse stato, non avrebbe avuto bisogno di un' in­ tera città per vivervi. Questi versi suggeriscono implicitamente che esisteva­ no già parecchi altri esseri umani e che la storia degli insediamenti dell' u­ manità è cominciata. Degna di nota è la menzione delle mogli nella genealogia di Gn 4, 1 7-26, assenti invece in Gn 5. In Gn 4, 1 7-26 non abbiamo «egli generò», ma «ella concepì e partorì» e «a Enoch nacque lrad», «Ada partorì labal», «Zilla a sua..-volta partorì» e «ella (= Eva) partorì». Come mai questo ruolo delle donne in Gn 4? Generalmente in una genealogia c'è la preoccupazione di si­ stemare individui, o ogni clan, in una rete di parentele e di affinità, e le don­ ne appartengono a questi sistemi di relazioni. Qui, ovviamente, da una pro­ spettiva biologica, per le successive generazioni, c'è bisogno di ambedue i sessi, maschio e femmina. Ora, però, le donne possono essere indispensabili per una genealogia a causa di una particolare caratteristica culturale. A vol­ te, quando l' uomo può avere più di una moglie, la menzione di queste mogli è necessaria per determinare la gerarchia o la parentela tra figli diversi. È per questo che nel caso delle due mogli di Lamech si identifica chi è partori­ to da Ada e chi è partorito da Zilla, anche se non si chiarisce la loro parente-

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la. Dato che Gn 4, 1 7-26 offre un' indicazione laterale delle parentele tra con­ giunti, la citazione delle mogli è necessaria. Gn 5 si occupa principalmente della linea discendente e perciò non ha bisogno di mogli: non si ritiene im­ portante la gerarchia tra i figli dopo il primo figlio. Perciò possiamo spesso a vere anche «egli generò figli e figlie». I rapporti di parentela tra questi figli (determinati dalle donne che li hanno generati) non sono ritenuti rilevanti, dal momento che Gn 5 si interessa soltanto alla parentela lineare ininterrotta tra la creazione e il diluvio. Va notato un altro elemento rispetto allo sfondo del libro della Genesi nel suo insieme. Nelle società patriarcali, come nel­ l' Antico Vicino Oriente, le genealogie normalmente elencano soltanto nomi di uomini. Invece in Genesi, qui e in seguito, si menzionano anche donne, come Sara, Rebecca, Rachele, Lia, Tamar. Forse si potrebbe dire che le don­ ne compaiono in una fase in cui sta per accadere qualcosa di speciale. Esse costituiscono una sorta di snodi cruciali sulle autostrade, altrimenti diritte, delle genealogie maschili.

Il centro della genealogia di Caino Il settimo figlio nelle generazioni a partire da Adamo (Adam, Caino, Eno­ ch, Irad, Mecuiael, Matusalemme e Lamech) è sposato con due mogli, Ada e Zilla. Nell' insieme hanno quattro figli, tre ragazzi e una ragazza. La ragazza si chiama Naama, "l' amata", nome identico a quello di Naomi. I tre ragazzi hanno nomi che foneticamente si rassomigliano l'un l' altro: Iabal, lubal e Tubai . Ognuno di loro viene presentato come l' eponimo di un' impresa o conquista culturale: Iabal è l' antenato degli allevatori di bestiame, Iubal dei musicisti, e Thbal dei fabbriferrai. Qui essi simboleggiano delle fasi impor­ tanti nel progresso culturale della città. Essi e le loro famiglie rappresentano forse la popolazione della città: gli allevatori di bestiame vivono nei suburbi della città, i fabbri o i lavoratori di metallo forgiano carri ed attrezzi, mentre i musicisti rappresentano il lato artistico della vita urbana. Da ciò si può in­ ferire che Gn 4, 1 7-26 prospetta la linea d' evoluzione di quanti sono sedenta­ ri o semisedentari, in altri termini degli abitanti di villaggi e della città e di coloro che ne sono economicamente dipendenti. Per contrasto, Gn 5 traccia un profilo della discendenza non sedentaria: qui ci imbattiamo in generazio­ ni di nomadi e seminomadi da cui dovranno nascere poi Noè, Sem, Abramo, !sacco e Giacobbe. A questo punto il testo ci tramanda una canzone o poema di Lamech, con­ siderato molto antico. Non solo è antico, ma anche molto criptico nel conte­ nuto.

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4,23 Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamech, porgete l'orecchio al mio dire: Certo, ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. 24 Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette.

Il canto di Lamech non brilla certo per allegria. Nelle prime due righe e­ gli invita le sue mogli a prestare ascolto. Nel far così egli vuoi dare l' im­ pressione che quanto segue è molto importante. Dopo questo avvertimento, segue il contenuto effettivo, che può essere tradotto in modi così diversi che non è immediatamente evidente coglierne il significato. Ecco una gamma di possibilità. La forma verbale di "uccidere", può essere tradotta «io ho ucci­ so», «io uccido», oppure «io dovrò uccidere». Nel primo caso, («io ho ucci­ so») Lamech ha già effettivamente ucciso, e la ragione di questo omicidio è dovuta al fatto che un altro uomo lo aveva ferito per primo. Nell' ultimo caso («io dovrò uccidere») egli sta parlando di una eventualità: se qualcuno fa qualcosa a me, io dovrò colpirlo a morte. Infine, nella traduzione al presente «io uccido», le due possibilità vengono lasciate aperte. Lamech può aver già ucciso qualcuno o sarà capace di farlo in futuro. Oltre al problema del ver­ bo, c'è anche la questione del senso della parola yeled, che può significare un giovane robusto, ma anche un bambino (debole). Se qui l' allusione è a un giovane robusto, allora Lamech sta utilizzando un parallelismo sinonimi­ co, due versi cioè che ripetono la stessa cosa, come nelle prime righe («a­ scoltate» e «porgete orecchio»): chiunque farà qualcosa a Lamech, qualsiasi giovane forte lo colpirà, egli lo ucciderà. Questa interpretazione è avvalorata dal fatto che le due parole "scalfittura" e "livido" ricorrono spesso insieme e formano un'endiadi. Il termine yeled, però, può anche riferirsi non a un uo­ mo, ma a un bambino, un ragazzo: Lamech non solo ucciderà l' uomo che gli farà qualcosa, ma andrà oltre, uccidendo persino qualsiasi ragazzo che o­ serà fargli qualcosa. In tal caso, questi due versi sono più simili agli ultimi due del v. 24, che parlano di un' escalation: «Sette volte sarà vendicato Cai­ no, ma Lamech settantasette». Abbiamo qui una sproporzione, giacché non c'è nessun rapporto tra i due: uccidere qualcuno per un livido va oltre qual­ siasi misura ragionevole di retribuzione, a maggior ragione se si trattasse di un ragazzo. Il terzo e forse più grande problema è costituito dalla minuscola preposizione le (letteralmente "per"), la cui interpretazione può cambiare l'intero senso del testo. Essa esige una delucidazione maggiore. Nella tradizione giudaica dei primi secoli dopo Cristo il canto di Lamech ha ricevuto significati e interpretazioni differenti in base ai termini 'ish "uo-

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mo" e le "per", anche in base al fatto che mai in Gn 4 si parla della morte di Caino. L'unica persona che fin qui è stata chiamata "uomo", 'ish, è Caino (4, 1 ). Lamech ha ucciso un uomo, il suo antenato Caino. Lamech lo ha fatto accidentalmente, perché era cieco (questa tradizione è cara e all' origine di varie leggende). Lamech era un buon cacciatore, ma cieco, e a caccia si fa­ ceva accompagnare sempre da un ragazzo. A causa di un incidente fortuito egli uccise Caino e il ragazzo. Dopo averlo scoperto, egli esclama: «Ho uc­ ciso forse un uomo per una mia ferita (= perché mi ha ferito) e un ragazzo per un mio colpo (= perché mi ha colpito)?». La ferita e il colpo rappresen­ tano la cecità di Lamech e costituiscono la causa del suo gesto. Questo viene espresso dalla preposizione le "per, a causa di". Contrariamente ali ' interpre­ tazione moderna del testo, in cui il canto di Lamech viene visto come un brano in cui egli si vanta della sua forza possente, nell' antichità era visto da­ gli esegeti giudei come una confessione e un'espressione di rimorso. Secon­ do l' esegesi giudaica questo viene confermato anche dalla frase seguente. Se Caino fosse stato vendicato sette volte, e in tal modo in 4, 1 5 YHWH e­ sprimeva il suo grande senso di giustizia, allora Lamech (con la sua cecità) sarebbe stato vendicato settantasette volte, perché YHWH lo avrebbe tratta­ to ancor più giustamente. Caino infatti aveva ucciso deliberatamente, men­ tre Lamech aveva ucciso fortuitamente, per un mero incidente, perché era stato ferito. Diventa perciò ancora una volta evidente (come nell' esegesi di Gn 2-3) come si possa interpretare differentemente un testo. E questa esegesi di una frase ha conseguenze nell' interpretazione del testo nel suo insieme. Gli ese­ geti moderni sono quasi unanimi nel vedere Gn 4 come un racconto della caduta "di male in peggio": Caino ammazza suo fratello a causa della gelo­ sia, Lamech uccide un uomo, persino un ragazzo, senza alcuna ragione. Per­ ciò Dio punisce Caino sette volte e Lamech settantasette volte. Vari esegeti moderni sono addirittura giunti alla conclusione che questo si ripercuote sul­ l' intera generazione di Caino. E, poiché il progresso culturale ha avuto ini­ zio da questa generazione, qui, nello stesso tempo, vengono maledetti la cul­ tura, la città, l' allevamento di bestiame e la lavorazione dei metalli. Secondo questi stessi esegeti, soltanto con la discendenza di Set sopraggiunge un mi­ glioramento. Ma prima occorre che questa discendenza di Caino sia cancel­ lata una volta per tutte. Ora, però, ci domandiamo ancora una volta se davvero sia questo il mes­ saggio del testo. La tradizione giudaica può attirare la nostra attenzione sul fatto che il contenuto della frase «sette volte... settantasette volte» in 4, 1 5 non è espressione di un' assurda vendetta, ma d i giustizia; non qualcosa di negativo, bensl qualcosa di positivo. L' assassinio o l' omicidio è un crimine

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grave, ma qui tutta l' attenzione si focalizza sul metro di retribuzione che si ritiene giusto. Questo non sminuisce, in ogni caso, la serietà del canto di La­ mech, visto come un vanto o una confessione. Ma a mio parere è in qualche modo un' esagerazione fare di questo canto il criterio per un' intera genera­ zione: non si può eliminare una discendenza intera come conseguenza di u­ no spaccone o di un penitente. Inoltre, in 4, 1 7-26 non vi è affatto menzione di elementi negativi. Non si dice che Caino è ucciso o che Enoch muore, o che la generazione di Caino si estingue dopo di loro, mentre la morte attra­ versa come un filo scarlatto la genealogia di Set: «Egli generò, visse, poi morì». Basta leggere Gn 5 una sola volta per accorgersi che la genealogia di Set è un necrologio più che una genealogia. Possiamo allora chiederci se la tradizione cristiana non abbia forse valu­ tato Gn 4, 17-26 in una maniera troppo negativa. Chissà, pedino slogan co­ me «la natura è buona» e «la cultura è uno sbaglio» vi giocano un ruolo condizionante, mentre qui le conquiste e il progresso culturali sono invece descritte in maniera positiva. Un altro elemento, sovente trascurato, è che in 4,25 si afferma che i primi esseri umani hanno ancora un figlio «al posto di Hevel». Non si dice «al posto di Caino». Caino non viene cancellato, anche se sono in molti a darlo automaticamente per scontato. Certo, Caino ha com­ messo un gravissimo crimine, ma è altrettanto vero che egli è punito e pro­ tetto da YHWH. La rottura che spesso si presuppone tra 4, 1 6 e 4, 17, come se il Caino di 4, 1 - 1 6 sia diverso dal padre del costruttore di una città, è stata spesso inevitabile, perché non si è stati in grado di immaginare in che modo la storia possa continuare per qualcuno come lui. I lettori sono più severi con Caino di quanto lo sia il testo, più di quanto lo sia YHWH. Essi sono perciò più severi anche nei confronti di Lamech, che qui riconosce la capa­ cità di commettere un crimine perché è stato ferito, e che qui (in anticipo) invoca persino un perdono più grande. Ma lo abbiamo già punito ed esiliato in un binario morto nella storia. Tuttavia, nessuna discendenza umana sem­ bra essere un binario morto; sono i lettori, e solo loro, a trascrivere o cancel­ lare qualcuno nella o dalla storia.

La conclusione della genealogia di Caino Con la nascita di un nuovo figlio del primo essere umano e di sua moglie, una nuova generazione comincia accanto a quella di Caino. Gn 4,25-26 for­ nisce una agevole transizione tra Gn 4 e Gn 5. 4,25 L'essere umano/Adamo s i unl di nuovo alla moglie

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che partorì un figlio lo chiamò Set «Perché - disse - Dio mi ha concesso un'altra discendenza al posto di Hevel, poiché Caino lo ha ucciso)>. 26 Anche a Set nacque un figlio. e

Questo è l' unico passo dove appaiono affiancati i nomi dei tre figli, Cai­ no, Hevel e Set, cosicché diventa evidente che la stirpe di Caino e Hevel ora prosegue. Qui Set prende il posto di Hevel e il c. 5 ci informerà dei suoi di­ scendenti. La transizione al c. 5 è anche preparata dall' uso del termine a­ dam. La parola 'adam compare senza articolo determinativo per la prima volta in 4,25, così da funzionare come nome proprio, Adamo. Questo termi­ ne rinvia in avanti a 5, 1 -6, dove viene menzionato anche Adamo. Nello stes­ so tempo, in 5 , 1 -2 si afferma che questo 'adam è a somiglianza di Dio, ed è maschio e femmina. Dobbiamo perciò concludere che la parola si riferisce anche agli esseri umani in generale. In altre parole, 4,25-26 e 5 , 1 -2 fungono da cerniera tra Gn 4 e Gn 5 , con il termine 'a da m che fa da perno : Adamo/essere umano (4,25), essere umano (5, 1 ) , essere umano (5, 1 ), essere umano (5,2), Adamo (5,3). Qui si opera il passaggio dall"'essere umano" al­ l' individuo, Adamo. Qui l'essere umano diventa un individuo. Mentre l'essere umano (indifferenziato) può dare il nome agli animali, è sempre la donna colei che dà il nome ai figli appena nati: prima aveva dato il nome a Caino, ora a Se t. Nel dare il nome a Caino essa pone in rilievo che ha partorito un uomo con l' aiuto di YHWH; adesso, in modo analogo, mette in rilievo il contributo di Dio. Essa collega il nome Set con il verbo "porre, collocare, concedere": Dio le ha concesso zera "seme, stirpe, progenie" nella forma di un discendente. La parola zera , "discendenza", rinvia a Gn 3, 1 5 dove a proposito della donna si menziona la «sua discendenza)>, mentre in 4,25 "discendenza" non ha nessun pronome possessivo. Rimane tuttavia degno di nota che la donna è colei che è connessa alla procreazione, così co­ me è impressionante il fatto che è sempre la donna a riconoscere il contribu­ to di Dio nel suo parto. In contrasto, nella lista delle paternità di Gn 5 si menziona solo la capacità maschile di procreare. Nessuno di questi uomini riconosce il contributo di Dio alla loro fecondità così come ha fatto e rimar­ cato Eva. Forse colei che è incinta e partorisce è più conscia dell' aspetto "recettivo" della procreazione rispetto al narratore, che nel c. 5 scrive come se i discendenti siano garantiti dali' atto maschile di fecondare. L'appena nato Set cresce rapidamente, dato che nel verso seguente è già diventato padre. Egli chiama suo figlio con il nome di Enos. Questo nome è ',

'

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sorprendente, poiché in ebraico 'enosh significa "essere umano". È un termi­ ne generico che ricorre con molta frequenza ed è sinonimo di 'adam. Così come il generico sostantivo 'adam , anche qui il generico sostantivo 'enosh viene usato come nome proprio. Questo nome generico sembra adempiere una funzione specifica nel nostro contesto. 4,26 Set lo chiamò Enos. Allora si cominciò a invocare il nome del Signore.

Si tratta appunto di questo: l'essere umano con il nome 'enosh invoca Dio con il nome di YHWH. Spesso si pensa che YHWH abbia rivelato per la pri­ ma volta il suo nome divino a Mosè nel roveto ardente e che questo YHWH sia solo il Dio dell' alleanza, esclusivo d'Israele. Questo risulta però smenti­ to dal fatto che i primi esseri umani, Caino ed Hevel, Enos e Noè, invocano YHWH o gli offrono sacrifici, nonché dal fatto che anche i patriarchi Abra­ mo e !sacco costruiscono altari a YHWH e sacrificano a lui. Ritroviamo la stessa frase usata qui in Gn 4,26: «E invocò il nome di YHWH» (Gn 1 2,8; 1 3 ,4; 2 1 ,33; 26,25). Genesi 1-1 1 propone pertanto un' immagine più universale di Dio rispetto ad alcune sezioni successive della B ibbia ebraica. C ' è una relazione tra YHWH e tutti gli esseri umani, mentre in libri come Esodo e Deuteronomio si rende visibile solo l' aspetto dell' alleanza di YHWH con Israele. I racconti di Gn 1 -1 1 si focalizzano su relazioni universali: sui rapporti tra cielo e ter­ ra, tra le creature umane e la terra, tra uomo e donna, tra gli esseri umani e i loro simili; tra gli esseri umani e la loro posterità. Qui, per la prima volta, viene testualmente formulata la reciproca relazione tra l' umanità e Dio: le creature umane gli rendono culto come YHWH; è la loro risposta all' aspetto relazionale di Dio. Gli esseri umani interpellano Dio con il nome di YHWH e, facendo così, indicano che per essi è un Dio che "è con loro". Natural­ mente questo non significa che Dio coincide con questo nome: egli è cono­ sciuto fra gli esseri umani sotto questo nome e, invocandolo in questo modo, essi entrano in contatto con lui. In altre parole, vi sono sempre prospettive particolari a partire dalle quali gli esseri umani si accostano a Dio ed espri­ mono la propria relazione con lui. Gn l rivela Dio come il creatore del cielo e della terra e lo chiama 'elohim; Gn 2-3 segnala soprattutto il nesso inscin­ dibile tra il Dio creatore e il Dio relazionale che entra in contatto con le creature e lo esprime con il nome yhwh 'elohim. Gn 4 presenta Dio in rela­ zione agli esseri umani più deboli e per questo usa il nome yhwh. In tal mo­ do il lettore vede sempre Dio illuminato da una prospettiva o angolazione particolare.

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La

genealogia di Adamo e Set

La genealogia di Set è preceduta dall' annuncio: «Questo è il libro o la li­ sta delle toledot, la storia o le generazioni dell' essere umano». Poi vengono

ricapitolate in ordine accurato le generazioni dell'umanità: egli visse molti anni, generò un figlio, visse molti anni dopo aver generato, poi morì. In ogni segmento della lista è centrale un padre. È perciò che non abbiamo «dopo la nascita di», ma «dopo aver generato» . Dopo la generazione del primogenito (qui si presume sempre che il primogenito fosse un figlio maschio), segue un numero indeterminato di figli e di figlie, che promuove il progresso della razza umana. Senza madri, la sopravvivenza è già abbastanza difficile, ma sarebbe doppiamente impossibile senza figlie. Nella genealogia di Caino la madre citava l' apporto di YHWH alla nasci­ ta di suo figlio. Nella lista di Set la relazione con Dio viene instaurata in un' altra maniera. All ' inizio della genealogia viene richiamato il passo di Gn 1 ,26-28, la creazione dell'essere umano fatta da Dio: 5,1 Quando Dio creò l' essere umano/Adamo, lo fece a somiglianza di Dio, 2 maschio e femmina li creò e li benedisse, e li chiamò �'essere umano" quando furono creati.

Qui ricorre due volte il termine 'adam, senza l' articolo, ma il testo deve riferirsi ali' essere umano, dato che l'individuo Adamo non può essere allo stesso tempo maschio e femmina. Questo essere umano viene creato a somi­ glianza di Dio e così il singolo individuo Adamo può generare un figlio a propria somiglianza. Pertanto a ciò che viene trasmesso nella generazione si attribuisce un valore fondamentale, definitivo: è la somiglianza con Dio che continua nella storia. Gli esseri umani nascono e muoiono, ma il settimo personaggio nella se­ rie differisce da quello precedente e da quello seguente. Si tratta di Enoch, un personaggio importante, poiché egli «cammi nò con Dio». Questo viene detto non una volta, ma due volte. È l'espressione del rapporto ideale con Dio, e più tardi verrà detto ancora soltanto di Noè. Peraltro, Enoch è il solo personaggio in questa lista che non muore, ma viene rapito da Dio.· Nella Bibbia ebraica Enoch condivide questo privilegio con Elia. Si dice anche che Enoch visse 365 anni (sulla terra) e questo numero corrisponde a quello dei giorni di un anno solare. Così, sin dali' antichità, Enoch è stato associato

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al sole: il suo essere rapito da Dio viene quindi connesso con il sorgere e il tramontare del sole del cielo. Il figlio di Enoch è il personaggio che vive più a lungo prima del diluvio. Si chiama Matusalemme. Il figlio di Matusalemme è Lamech. È un Lamech diverso da quello che abbiamo incontrato nella lista di Caino: nelle famiglie capita spesso che gli stessi nomi ricorrano diverse volte. È sorprendente che in questa genealogia a Lamech venga concesso spazio per dire qualcosa: 29 e lo chiamò Noè, dicendo: «Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani sulla terra, che YHWH ha maledetto».

Il nome Noè (in ebraico scritto con le consonanti che corrispondono a n ­

eh) letteralmente significa "riposo". Ma suo padre Lamech fa una connes­

sione tra il nome Noè e il verbo "consolare" (n - eh - m) : Noè dovrà offrire consolazione alle persone nella loro fatica sulla terra che YHWH ha male­ detto. Sembra inteso come un tipo di programma per la vita del neonato Noè. E con questo Noè e i suoi tre figli Sem, Cam, e Iafet termina la genea­ logia. Noè non morirà, e sentiremo ulteriormente parlare di lui.

Conclusione Pur se nella nostra epoca si riscontra un notevole e diffuso interesse per i personali alberi genealogici, le genealogie di Genesi solitamente non riscuo­ tono molti ammiratori. La maggioranza della gente preferisce sorvolarle per leggere semplicemente i racconti. I racconti, infatti, sono vivi e affascinanti, mentre le genealogie sono aride e non troppo stimolanti. Non credo che qualcuno si sia mai chiesto come termini una genealogia. La fine è nota: l' ultimo muore. n che rende prevedibile, finanche monocorde, una lista di questo genere: X (lui o lei) visse, ebbe un figlio, poi morì. Una vita diversa suona insolita. Se uno è alla ricerca di uno sviluppo psicologico, di intensità, di senso e significato deve rivolgersi ai racconti. Questo, però, va in qualche misura precisato. Anche le genealogie "rac­ contano" la loro visione; esse ricostruiscono il passato e riordinano la storia. Quel che le genealogie manifestano è una successione non problematica di generazioni, una concatenazione il cui successo è garantito. Esse sono e­ spressioni di profonda regolarità, di una fondamentale certezza nell' esisten­ za: concepimento, nascita, figli che continuano la stirpe, morte. Malgrado

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tutte le variazioni nella vita, esse presentano un ritmo uniforme che le sot­ tende. Pertanto le genealogie sono il riverbero più convincente della conti­ nuità nella vita e nella morte. Esse in tal modo attestano un certo determini­ smo: sistemano il passato in un ordine irrevocabile. In questo senso le genealogie rivelano concordanze con il racconto della creazione nel primo capitolo di Genesi. Il resoconto ordinato di Gn l , che presenta l' inizio e l 'ordine della creazione, corrisponde alla genealogia di Gn 5 che esprime la regolarità del nascere della creazione. In questa manie­ ra l' ordine della creazione in Gn l trova la sua naturale continuazione in Gn 5. Nel momento in cui vengono creati, gli esseri umani ricevono il compito di moltiplicarsi, di riempire la terra e di colti varia. La genealogia attesta che essi adempiono questo compito. In questo modo, peraltro, diviene evidente che l ' ordine presentato non è solo quello dell' umanità, ma parimenti quello della terra. È un ordine che trascende gli esseri umani e in un certo senso è indipendente da loro. Scrutata più attentamente, una genealogia non dà "senso" alla vita e alla morte degli esseri umani, alle generazioni che si av­ vicendano nella continuità storica. Al contrario, gli esseri umani ricevono il loro senso e significatività dal loro diffondersi sulla terra e dalla sua coltiva­ zione. La fusione di racconti e genealogie produce una sottile tensione in Genesi tra l' ordine e il determinismo delle liste e l' ambiguità nei raccontl. I racconti conferiscono senso alle modalità della vita reale, ai problemi, alle incertez­ ze. Sono una sorta di esercizio nel dare forma all' ambiguità. Le genealogie sono indice della stabilità che sottende questa ambiguità. È persino probabi­ le che i due aspetti di Dio che incontriamo in Genesi 1-1 1 corrispondano a questa sottile relazione. 'Elohim è allora la dimensione di Dio che simboleg­ gia la creazione e la genealogia, o la stabilità e la continuazione necessaria. Yhwh rivela il lato di Dio che anche i racconti presentano: il Dio la cui esi­ stenza irrompe nella realtà della storia. Yhwh ed 'Elohim presentano Dio sot­ to due punti di vista, così come i racconti e le genealogie rappresentano la realtà sotto due aspetti.

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Genesi 6-9

Il racconto del diluvio8

6, l Gli esseri umani cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e nacquero loro figlie. 2 I figli di dio videro che le figlie degli uomini erano buone e ne presero per mogli quante ne vollero. 3 YHWH disse: «Il mio spirito non resterà per sempre nell'essere umano, perché egli è anche carne, e la sua vita sarà di centoventi anni». 4 C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo allora i figli di dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli. Costoro erano i giganti, gli uomini famosi dell' antichità. 6,5 YHWH vide che la malvagità degli esseri umani era diventata grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male, tutti i giorni (della loro vita). (i YHWH si pentì di aver fatto l'essere umano sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. 7 YHWH disse: «Sterminerò dalla faccia della terra l'essere umano che ho creato: dall'essere umano all'animale, dai rettili agli uccelli del cielo, perché sono pentito d' averli fatti». 8 Questo capitolo si basa, inter alia, su B ARRÉ 1 984, 1988; DE BoER 1962; CASSUTO 1964;

CLARK 1 97 1 ; HAMILTON 1 990; HULST 1 958; JACOB 1 934; MOUNA 1980; PETERSON 1 976; REND­ TORFF

196 1 , 1989; ROBINSON 1986; SCHWARZBAUM 1957; STEINMETZ 1994; TOMASINO 1992; WOL­ DE 1990, 1 994.

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8 Solo Noè trovò grazia agli occhi di YHWH. 9 Questa è la storia di Noè: Noè era un uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei, Noè camminava con Dio. 10 Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. 1 1 La terra era corrotta dinanzi al volto di Dio e la terra era piena di violenza. 12 Dio vide la terra ed ecco, essa era corrotta, davvero, tutti gli esseri viventi avevano corrotto la loro condotta sulla terra. 1 3 Allora Dio disse a Noè: «La fine di tutti gli esseri viventi sta dinanzi ai miei occhi; poiché la terra, per causa loro, è piena di violenza. Ecco, io li distruggerò dalla terra. 14 Tu, però, fatti un'arca di legno di cipresso; dividerai l'arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. 15 Ecco come devi farla: l' arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza; 16 farai nell'arca un tetto e a un cubito più sopra la tenninerai; da un lato metterai la porta dell'arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. 17 Quanto a me, io manderò un diluvio sulla terra, su tutti gli esseri viventi per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. 1 8 Ma con te io stabilirò la mia alleanza e tu entrerai neli' arca, tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli . . 1 9 Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: essi devono essere maschio e femmina. 20 Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, un paio verranno con te, per essere conservati in vita.

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2 1 Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e raccoglilo presso di te: sarà di nutrimento per te e per loro». 22 Noè eseguì tutto; come Dio gli aveva comandato, così egli fece. 7,1 YHWH disse a Noè: «Entra nell 'arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho visto giusto dinanzi a me in questa generazione. Di ogni animale puro prendine con te sette paia, 2 sette maschi e femmine; degli animali che non sono puri un paio, un maschio e una femmina. Anche degli uccelli puri del cielo, sette paia, 3 sette maschi e femmine, per conservarne in vita la razza su tutta la terra. 4 Infatti tra sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. Sterminerò dalla faccia della terra ogni essere vivente che ho fatto» . 5 N oè fece quanto Y HWH g li aveva comandato. 6 Noè aveva seicento anni quando irruppe il diluvio sulla terra. 7 Noè entrò nell'arca - e con lui i suoi figli, sua moglie e le mogli dei suoi figli ­ a causa del diluvio. 8 Degli animali puri e di quelli impuri, degli uccelli e di tutti gli esseri che strisciano sulla te"a 9 entrarono a due a due con Noè sull' arca, maschio e femmina, come Dio aveva comandato a Noè. l O Dopo sette giorni, le acque del diluvio furono sopra la terra. I l Nell' anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, proprio in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. 1 2 Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. 1 3 In quello stesso giorno Noè - e Sem, Cam e lafet, figli di Noè, la moglie di Noè, le tre mogli dei suoi tre figli -

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entrarono nell'arca. 14 Essi e tutti i viventi secondo la loro specie, tutto il bestiame secondo la sua specie, tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo la loro specie, tutti gli uccelli secondo la loro specie e ogni specie di volatili. 15 Vennero dunque a Noè nell' arca, a due a due, di ogni carne in cui è il soffio di vita. 16 Quelli che venivano, maschio e femmina d'ogni carne, entrarono come gli aveva comandato Dio. E YHWH chiuse la porta dietro di lui. 17 Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l' arca che s'innalzò sulla terra. 1 8 Le acque di vennero poderose e crebbero molto sopra la terra e l'arca galleggiava sulla superficie (lett. "faccia") dell'acqua. 19 Le acque si innalzarono sempre più sopra la terra e coprirono i monti più alti che sono sotto tutto il cielo. 20 Le acque superarono in altezza di quindici cubiti i monti che avevano ricoperto. 2 1 Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame, ogni vita, tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli esseri umani. 22 Ogni vivente con l' alito di vita nelle narici, quanto era sulla terra asciutta, morì. 23 Egli sterminò ogni essere che era sulla faccia della terra: dagli esseri umani agli animali, dai rettili agli uccelli del cielo: essi furono sterminati dalla terra. Solo Noè sopravvisse e chi stava con lui nell'arca. 24 Le acque divennero più possenti sopra la terra centocinquanta giorni. 8,1 Dio si ricordò di Noè, di ogni vita e di tutto il bestiame che erano con lui nell'arca. Dio fece soffiare un vento sulla terra e le acque ristagnarono. 2 Le fonti dell' abisso e le cateratte del cielo furono chiuse e fu trattenuta la pioggia dal cielo; 3 le acque andarono via via ritirandosi dalla terra e calarono dopo centocinquanta giorni.

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4 Nel settimo mese, il diciassette del mese,

l'arca si posò sui monti dell' Ararat. 5 Le acque andarono via via diminuendo fino al decimo mese e nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le cime dei monti. 6 Trascorsi quaranta giorni, N oè aprì la finestra deli' arca che egli aveva fatto. 7 Fece uscire un corvo ed esso uscì andando e tornando finché si prosciugarono le acque sulla terra. 8 Noè poi fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dalla faccia della terra. 9 Ma la colomba non trovò dove posare la pianta del piede, e ritornò a lui nell'arca, perché c' era ancora l'acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece ri�ntrare presso di sé nell' arca. l O Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall' arca. 1 1 La colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Allora Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. 12 Aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui. 1 3 L'anno seicentouno della vita di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque si erano prosciugate sulla terra; Noè tolse la copertura dell'arca guardò fuori ed ecco, la faccia della terra era asciutta. 14 Nel secondo mese, il ventisette del mese, tutta la terra fu asciutta. 15 Dio parlò a Noè, dicendo: 16 «Esci dall' arca, tu, tua moglie, i tuoi figli e le mogli dei tuoi figli con te. Tutti gli animali che hai con te, 17 tutti gli esseri viventi, gli uccelli, il bestiame e gli animali che strisciano sulla terra, falli uscire con te, perché possano pullulare sulla terra, ·

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siano fecondi e si moltiplichino sulla terra». 1 8 Noè uscì con i figli, la moglie e le mogli dei figli. 19 Tutti i viventi e tutto il bestiame e tutti gli uccelli e tutti i rettili che strisciano sulla terra, secondo la loro specie, uscirono dall' arca. 20 Allora Noè edificò un altare a YHWH; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrl olocausti sull' altare. 2 1 YHWH odorò il sacrificio pacificante, e YHWH disse al suo cuore: «Non considererò più la terra maledetta a causa dell'essere umano, sebbene ciò che è formato nel cuore umano sia cattivo fin dalla giovinezza. Né colpirò più tutto ciò che vive come ho fatto. D' ora in poi per tutti i giorni della terra, 22 seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno mai». 9,1 Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: «Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra. ll rispetto e il terrore di voi sia in tutti gli esseri della terra , 2 fra tutti gli uccelli del cielo, fra quanto striscia sulla terra e fra tutti i pesci del mare. Essi sono consegnati nelle vostre mani. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: 3 come già le verdi erbe. Io vi dò ogni cosa. Soltanto, non potrete mangiare la carne con la sua vita, 4 cioè il suo sangue. Del sangue vostro, anzi, ossia della vostra vita, 5 io domanderò conto; alla mano di ogni essere vivente ne domanderò conto, alla mano dell'essere umano alla mano dell' uomo e di suo fratello, domanderò conto della vita di ogni essere umano. Chiunque sparge il sangue umano 6 il suo sangue sarà sparso dall' essere umano,

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perché a immagine di Dio Egli ha fatto l'essere umano. E voi, siate fecondi, moltiplicatevi, brulicate sulla terra e dominatela». Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco, io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che era con voi, con gli uccelli, gli animali e ogni vita sulla terra con voi, da tutti coloro che sono usciti dali' arca a ogni vita sulla terra. lo stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio. Nessun diluvio devasterà più la terra» . Dio disse: «Questo è il segno dell'alleanza che stabilisco tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per tutte le generazioni in futuro. Ho posto i l mio arco tra le nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra l'arco apparirà sulle nubi. Allora ricorderò la mi a alleanza tra m e e voi e tutti gli esseri viventi, e le acque del diluvio non distruggeranno mai più tutto ciò che vive. Quando l' arco sarà tra le nubi io lo guarderò per ricordare l' alleanza eterna tra Dio e ogni essere vivente che è sulla terra». Dio disse a Noè: «Questo è il segno dell' alleanza che io ho stabilito tra me e tutti gli esseri viventi che sono sulla terra».

Figli di dio e figlie degli uomini Gn 6, 1 -4 è brano singolare nel testo. È una miniatura mitologica in cui dei figli di dio si accoppiano con figlie di uomini. Quale può essere il signi­ ficato di un tale brano nella Bibbia e in Genesi? Lo sfondo su cui va letto questo racconto è quello di un'immagine poli­ morra di Dio. I figli di dio che appaiono in Gn 6, 1 -4 appartengono alla cate­ goria degli dèi e sono diversi dagli esseri umani. Proprio come l' espressione "figli di uomini" denota tutto il genere umano e come "i figli di Israele" de-

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signa tutti gli Israeliti, cosi la designazione "i figli di dio" rappresenta tutti gli dèi in generale. Essi fanno capolino, ad esempio, in Sal 89,7, che recita: , ha suscitato dubbi. «l figli di dio presero quante ne vollero e se le portarono nel loro ha­ rem». Ma Gn 6,2 dice semplicemente che i figli di dio presero chiunque vol­ lero, chiunque scelsero: essi presero le figlie per ammogliarsi. È illogico pensare che essi si presero mogli che non erano di loro gusto. Detto altri­ menti, qui non c'è il problema di un giudizio positivo o negativo; abbiamo una descrizione neutrale: i figli di dio presero moglie tra le figlie degli uo­ mini perché le trovarono buone. Essi cercarono quelle che apprezzavano. YHWH reagisce a ciò con le seguenti parole: ·

6,3 n mio spirito non resterà per sempre nell'essere umano, perché egli è anche carne e la sua vita sarà di centoventi anni .

Nelle letture in chiave negativa di questo racconto, questo versetto viene

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interpretato come una punizione: l'essere umano è carne, e fin dall' antichità la carne ha avuto una connotazione negativa: è "cattiva", "debole", "vulne­ rabile". In questa concezione la carne rappresenta il male, la caducità , la di­ mensione fragile e inaffidabile degli esseri umani. Ora, invece, non c'è nulla di ciò nel nostro testo di Gn 6, 3 . "Carne" designa un essere vivente, la sua umanità (così anche in Gn 6,5-9. 1 7) e qui viene associata a una durata limi­ tata della vita. Così qui vediamo che i figli di dèi, la cui natura era immorta­ le, ebbero rapporti sessuali con figlie di uomini la cui natura era mortale. Nel momento in cui dalla loro unione nacquero dei figli, la questione è se questi ultimi assomigliavano al loro padre o alla loro madre in fatto di (im)mortalità. Qui YHWH prende una decisione: poiché essi sono anche "carne" (cioè umani), essi dovranno essere anche mortali: «ll mio spirito o soffio vitale non resterà negli esseri umani per sempre o per un tempo illimi­ tato; il massimo degli anni di vita sarà di 1 20 anni» (che questo massimo venga visto anche più tardi come quello ottimale, emerge, tra l' altro, dal fat­ to che Mosè muore a 1 20 anni). Qui viene evitata la minaccia di sovrappo­ polazione, di procreazione e di vita eterna: come è già accaduto (in Gn 3) nel caso dei rapporti tra comuni esseri umani, è l' apparizione di ·yHWH in 6,3 a eliminare questa minaccia dai rapporti tra i figli di dio e le figlie degli uomini. In altre parole, il tema principale di Gn 6, 1 -4 è la mortalità, non la moralità o discettazioni sul bene o sul male. Il coinvolgimento di YHWH qui è con esseri umani e divini, ma soprattutto con la terra. Non per nulla l' ouverture del racconto informa che gli esseri umani erano diventati nume­ rosi «sulla faccia della terra». È la terra che sta diventando sovrappopolata e, di conseguenza, danneggiata. Una vita limitata per gli esseri umani è in primo luogo un favore alla terra, non all'umanità. Neli' ultimo versetto, il narratore situa l' evento in un passato remoto, nell' "antichità". Egli ci ragguaglia che i figli nati dai rapporti sessuali tra i figli di dio e le figlie degli uomini erano giganti. Egli stesso li chiama lette­ ralmente "uomini di nome" e, nella Bibbia, costoro sono uomini rinomati, famosi. Perciò nessun giudizio negativo trapela dal commento del narratore. Tuttavia, egli lo chiarisce ancor di più con un gioco di parole: gli esseri u­ mani che sembravano vivere le- olam "per sempre" o "per un tempo illimi­ tato", ora, alla fine, sembrano essere individui che vissero me- olam "per qualche tempo" o "nell' antichità". Coloro che sembravano avere un futuro eterno si dimostrano invece definitivamente passati. Qui il narratore inter­ pella direttamente il lettore e dimostra che la questione dell' immortalità è chiusa per sempre. Ricapitolando, questo micro-racconto si concentra sul tempo della vita u­ mana sulla terra. Come una categoria indipendente, gli esseri umani sono

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differenti dalla categoria degli dèi; essi e i loro figli ibridi non sono dunque immortali, ma a loro viene riservato un periodo di vita limitato. Come le creature umane sono vincolate a un luogo preciso, ossia alla terra, così essi sono vincolati a un tempo preciso: la durata massima di anni sulla terra è li­ mitata. Questa restrizione nel tempo delle creature umane si riverbera nella restrizione del tempo del racconto: nel v. l il racconto cominciava con l' ini­ zio; nel v. 3 passa attraverso l' eternità a una vita limitata; nel v. 4 situa tutto nel passato.

Il testo nel contesto D contesto in cui è incastonato Gn 6, 1 -6 può fornire ulteriori delucidazio­ ni. In primo luogo è costituito dal racconto del diluvio che segue immediata­ mente Gn 6, 1 -4. Questa narrazione del diluvio si apre in 6,5 con « YHWH vide che la malvagità dell' essere umano era diventata grande/si era moltipli­ cata sulla terra». Perciò, in contrasto con l' inizio di 6, 1 -4, che ci informa co­ me gli esseri umani si erano moltiplicati sulla terra, noi abbiamo l ' ouverture di Gn 6,5-9 . 1 7 (= Gn 6-9), che verte sulle azioni malvagie che si moltiplica­ no sulla terra. Mentre il racconto dei figli di dio e delle figlie degli uomini affronta il problema dell'eventuale longevità degli esseri umani sulla terra e in particolare dell' immortalità, il racconto del diluvio s' incentra sulla posi­ zione e sul compito dell' umanità sulla terra e sull 'immoralità, cioè sul loro comportamento perverso dal punto di vista etico. Ebbene, questo racconto in Gn 6 funge da introduzione alla narrazione del diluvio nel contesto di altri racconti del diluvio che circolavano nel Vici­ no Oriente Antico. Ci sono noti due di questi racconti che provengono dalla Mesopotamia: l'epopea di Atral]asis e l'epopea di Gilgamesh. L� narrazione del diluvio nell' epopea neo-assira di Gilgamesh sembra essere una rielabo­ razione dell' epopea paleobabilonese di AtraiJasis (più antica). Questi rac­ conti mesopotamici del diluvio rivelano in particolari punti forti somiglian­ ze con il racconto del diluvi o di Gn 6--9. In questi tre poemi Dio o gli dèi svolgono un ruolo importante nella decisione di far irrompere il diluvio sul­ la terra: c'è un eroe (rispettivamente AtraiJasis, Utnapishtim e Noè) che sal­ va tutti gli animali e la propria famiglia per mezzo di una barca, che fa uscir fuori uccelli (in Genesi un corvo, una colomba, e di nuovo una colomba, in Atral}asis e Gilgamesh una colomba, una rondine e un corvo), e al termine del diluvio offre un sacrificio a Dio o agli dèi; infine la situazione che esi­ steva prima del diluvio viene restaurata. Viceversa si riscontrano anche grandi differenze: in Gn 6--9 c'è un solo

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Dio che viene chiamato YHWH e Elohim, mentre nelle epopee di AtraiJasis e Gilgamesh si menzionano molte divinità dai nomi paleobabilonesi o neoassiri. In questi poemi mesopotamici gli dèi decretano un ·grande diluvio perché vi sono fin troppe persone che stanno facendo un baccano esagerato, impedendo agli dèi di dormire. Essi allora riversano sulla terra un diluvio che spazza via tutto. In seguito, gli dèi si pentono della loro decisione, per­ ché cominciano a mancare i sacrifici prima offerti dagli esseri umani. Nel poema di AtraiJasis gli dèi lasciano vivi alcuni individui e risolvono il pro­ blema del baccano e della sovrappopolazione che potrebbe ritornare in futu­ ro ponendo dei limiti alla procreazione. A tal fine, gli dèi rendono sterili più donne, permettono che muoiano più figli e limitano il numero delle donne disponibili, esigendo la verginità delle donne consacrate a una divinità (una sorta di vergini Vestali). Neli ' epopea di Gilgamesh il racconto del diluvio è inserito nella cornice del viaggio di Gilgamesh alla ricerca dell' immortalità. Durante questo viag­ gio, Gilgamesh incontra Utnapishtim, che gli narra il racconto del diluvio. Utnapishtim gli racconta come prima del diluvio gli esseri umani fossero immortali e facessero sempre più chiasso, a causa del loro numero sempre più crescente. Per mezzo di un grande diluvio gli dèi riuscirono a limitare il numero di persone e il loro rumore. Per evitare di essere nuovamente distur­ bati da questo rumore, gli dèi resero mortali le persone, tranne Utnapishtim. Pertanto, tutti e due i poemi accadici vertono sulla sovrappopolazione della terra; nel mito di AtralJasis questa viene limitata dagli dèi che consentono meno nascite di esseri umani, mentre nell' epopea di Gilgamesh mediante l'istituzione della morte e l' abolizione dell ' immortalità. Il racconto genesia­ co del diluvio diverge da questi due racconti accadici, optando non per il te­ ma dell' immortalità, ma per quello del comportamento malvagio degli esse­ ri umani. Le norme che Dio promulga dopo il diluvio hanno come scopo un miglioramento nel comportamento umano. Gn 6-9 non dovrà occuparsi del problema della sovrappopolazione e dell' immortalità, perché Gn 6, 1 -4 lo ha già risolto. Chiunque noti tutto ciò, scoprirà che il mini-mito di Gn 6, 1 -4 funge da ponte o raccordo tra il racconto della creazione di Gn 1-5 e il racconto del diluvio in Gn 6-9. Gn l s ' impernia sulla creazione del cosmo, della popola­ zione sulla terra e del ruolo dell'essere umano sulla terra. Gn 2-3 sviluppa soltanto quest'ultima sezione, ossia la relazione tra l' essere umano e la terra. Questi capitoli rivelano che c'è un' interconnessione tra il rapporto dell' uo­ mo con la donna e il rapporto dell'essere umano con la terra. Inoltre Gn 2-3 mostra la connessione che s' instaura tra l' acquisizione della capacità di pro­ creazione e l' introduzione della morte o, per dirla con le stesse parole di Gn

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2-3, tra l' impossibilità di mangiare contemporaneamente dell' albero della conoscenza del bene e del male e dell' albero della vita. Ora che l ' uomo e la donna sono nella condizione di generare figli, YHWH impone un limite alla loro immortalità e introduce la morte come li­ mite della loro vita. Gn 4, 1 - 1 6 prosegue su questa linea e dimostra che il le­ game tra gli esseri umani e la terra dipende da quello che c ' è tra l' uomo e il suo fratello, tra l'essere umano e il suo simile (più debole). In tal modo in Gn 1-4 è cresciuta una rete di relazioni che si conclude in 4,26 con la rela­ zione tra l'essere umano e YHWH: la relazione YHWH - terra - essere uma­ no, uomo - donna, essere umano - suo simile, diventa perciò una totalità di relazioni reciproche. Le genealogie seguenti di Gn 4, 1 7-5 ,32 presentano il successo della procreazione umana: l' intreccio di relazioni continua e la ter­ ra viene popolata. Allora comincia 6, 1 -4, con la notizia in apertura che gli esseri umani sono diventati numerosi sulla terra. Nel patrimonio dei racconti di culture e di paesi limitrofi era opinione comune che la causa del diluvio andava ricercata nel pericolo della sovrappopolazione e del troppo rumore. In questi racconti le soluzioni per evitare la sovrappopolazione erano state la limitazione della fecondità o l' introduzione della morte. Gn 6, 1 -4 prende l ' avvio dalla stessa constatazione dell' eccessivo affollamento di persone sulla terra, ma va oltre nel mostrare che non è l' occasione per un grande di­ Invio. La possibilità di una eccessiva crescita di popolazione viene evitata dalla restrizione della durata della vita umana, limitata a un massimo di 1 20 anni . Allora il racconto biblico dimostra che la decisione di Dio di scatenare il diluvio non è causata dal gran numero di esseri umani, ma dal gran nume­ ro di delitti che essi commettono. Gn 6, 1 -4 continua dunque il tema centrale di Gn 1-5, vale a dire la creazione e la riproduzione degli esseri umani sulla faccia della terra, ma scarta ogni possibilità di interpretare la narrazione del diluvio di Gn 6-9 come un racconto sulla sovrappopolazione umana. In tal modo, anche un racconto mitologico assolve una sua funzione nella totalità dei racconti dell' inizio. La causa del diluvio 6,5. YHWH vide che la malvagità degli esseri umani era diventata grande sulla terra, e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. 6 YHWH si pentì di aver fatto l'essere umano sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. 7 YHWH disse: «Sterminerò dallafaccia della terra,

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. l'essere umano che ho creato: dali' essere umano ali' animale, dai rettili agli uccelli del cielo, perché sono pentito d' averli fatti)). Solo Noè trovò grazia agli occhi di YHWH. Questa è la storia di Noè: Noè era un uomo giusto ed integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli, Sem, Cam e Iafet. Ma la terra era corrotta dinanzi alla faccia di Dio e la terra era piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni essere umano aveva corrotto la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: «La fine di ogni essere vivente è dinanzi ai miei occhi, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò dalla terra».

Dio ne ha avuto davvero abbastanza. Gli esseri umani hanno rovinato, guastato la realtà. Non solo sono diventati numerosi sulla terra, ma anche la malvagità è proporzionalmente aumentata. E poi ci si chiede da dove venga il male ! Qui la risposta è chiara: dagli esseri umani ! Le azioni e i pensieri dell' umanità sono cattivi in modo impressionante: egoismo, ingiustizia ver­ so altre persone, inadempienze nei riguardi della terra caratterizzano il com­ portamento umano. Ma il testo risulta più interessato alle conseguenze della malvagità umana nei confronti della terra che alla natura e alla causa di que­ sta malvagità. Dio si pente di aver creato gli esseri umani. È addolorato di non aver fornito alla terra abitanti di un altro genere. Persino gli animali so­ no costretti a soffrire a causa delle azioni umane. Pur innocenti, incolpevoli dello squallore che devasta la terra, tuttavia ne condividono le conseguenze. Dio è coinvolto con la terra e la sua popolazione, che gli stanno veramente a cuore. Egli è addolorato in cuor suo, ed è lo stesso dolore, o pena (il termine ebraico è identico), che gli esseri umani sperimentano nel coltivare la terra (cfr. Gn 3 , 1 6). Dio voleva la realtà in tutt' altro modo. Nel frattempo, gli è bastato quello che ha visto e teme che la terra sia irreparabilmente corrotta. Deve riordinare le idee, e con lo slogan «Salva la terra, via gli esseri uma­ ni», si mette all ' opera. A comprovarlo sono tutti i dettagli dei primi versetti del racconto del di­ luvio. Il termine "terra" ( 'erets ) ricorre otto volte, il che palesa la sua cen­ tralità nelle preoccupazioni di Dio. Il creatore, che ha fatto la terra, ora de­ ve fare i conti con persone che la stanno distruggendo. Un senso di doloro-

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sa desolazione s' impossessa di Dio. Prova repulsione per queste persone che lui stesso ha creato. Gli esseri umani, che tendono solitamente a incol­ pare Dio di ogni loro miseria, ora sembrano la causa del dolore e dell' ango­ scia che pervadono il cuore di Dio. Anche se Dio aveva già affidato la terra agli esseri umani, nessuno era consapevole che la preoccupazione di Dio per la terra sarebbe stata cosl grande da provocare il suo personale inter­ vento per neutralizzare la loro minaccia alla terra. Se guardiamo la terra nell' ottica di Dio, la sua decisione di distruggere gli esseri umani diventa più comprensibile. Peraltro, Dio stesso rivela il nesso tra questa sua deci­ sione e il comportamento umano, utilizzando lo stesso verbo, shachat "di­ struggere, sterminare, rovinare, corrompere", per tutti e due: «La terra era corrotta davanti alla faccia di Dio» (v. 1 1 ) e «Li distruggerò dalla terra» (v. 13). Ciò che Dio farà corrisponde a ciò che gli esseri umani hanno fatto al­ la terra.

Un racconto di anticreazione Dio non è soltanto colui che progetta e dirige la creazione, ma sembra an­ che essere colui che progetta e realizza un diluvio, che distrugge la creazio­ ne intera. Qui Dio agisce secondo uno scenario di anticreazione, che si con­ figura come antitesi o ribaltamento di quello della creazione di Gn 1 . Questo affiora precisamente all' inizio. Mentre Gn l si concludeva con «E Dio vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa molto buona» ( 1 ,3 1 ), Gn 6, 1 2 si apre con «Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta». Anche nell'ideare il suo piano e nell' annunciare la distruzione, Dio nello stesso tempo rinvia alla creazione: «Sterminerò dalla faccia della terra l'essere umano che ho creato, dali' essere umano ali' animale, dai rettili agli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti» (6,7). Egli comunica questo annientamento a Noè in modo analogo: «Sterminerò dalla terra ogni essere vivente che ho fatto>> (7 ,4 ). E alla fine del diluvio egli dice tra sé: «Non colpirò più ogni essere vi­ vente» (8,2 1). Dio mette fine a ciò che egli stesso ha cominciato e in tal mo­ do collega una all' altra la sua creazione e la sua distruzione. Qui le espres­ sioni collettive "tutti gli esseri viventi" o "gli esseri umani e tutti gli anima­ li", i verbi "sterminare" e "distruggere" indicano un implicito, totale annien­ tamento della creazione. L'effettiva realizzazione di questa distruzione delle creature è descritta semplicemente e categoricamente: 7,21 Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame, ogni vita, tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli esseri umani.

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22 Ogni essere con l'alito di vita nelle narici, quanto era sulla terra asciutta, morì. 23 Egli sterminò ogni essere che era sulla faccia della terra, dagli esseri uma­ ni agli animali, dai rettili agli uccelli del cielo: essi furono sterminati dalla terra.

Gn 6-9 è l' anti-racconto di Gn l anche sotto un altro aspetto. In Gn l la situazione iniziale era una superficie sconfinata d' acqua, sia verticalmente che orizzontalmente. In essa il cielo è diStinto co1ne una volta tra le acque verticali, e la terra è distinta come terra asciutta che apparve tra le acque sot­ to il cielo. In Gn 6--9 queste distinzioni vengono di nuovo abolite. Dio apre le fonti dell'abisso e le cataratte del cielo e le acque erompono dall' alto e dal basso per sommergere la terra. Ogni cosa scompare sotto una poderosa e sconfmata massa d' acqua. È una sorta di ritorno allo stato primordiale. An­ che se il cielo e la terra sembrano continuare a esistere, tutte le creature (tranne i pesci) periscono. Su questo sfondo si può spiegare perché Dio prenda questa decisione così severa di distruggere tutti gli esseri viventi e non solo gli esseri umani. Gli animali devono patire accanto agli esseri uma­ ni, perché qui abbiamo un' anticreazione: ogni realtà creata scompare a cau­ sa dell 'esagerata malvagità umana. Gli animali, dunque, non sono puniti a causa delle loro azioni, ma a motivo dell 'estrema malvagità dell' umanità. Gli esseri umani coinvolgono l' intera creazione nella loro malvagità ed essa deve perire. Infine, Gn 6-9 corrisponde a Gn l nella sua attenzione .ai giorni e alle da­ te. Nel racconto della creazione vediamo Dio che completa la creazione in sei giorni, e ogni giorno si conclude con la nota: «E fu sera e fu mattino: pri­ mo, secondo ... sesto giorno». Il racconto dell' anticreazione di Gn 6-9 mo­ stra qualcosa del genere. Sono soprattutto l' inizio e la fine del racconto a il­ lustrarlo: 6,5 (YHWH vide che) ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male, tutti i giorni ( della loro vita). 8,22 ( YHWH disse) «Da ora in poi tutti i giorni della terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno mai».

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A essere determinanti per Dio non saranno più «i giorni degli esseri uma­ ni>> , bensì «i giorni della terra». Questo è il cambiamento che il racconto

mostra. Anche se l'essere umano è incline al male tutti i giorni sin dall' ado­ lescenza, la continuazione di tutti i giorni della terra sarà garantita dopo il diluvio. L'episodio tra l' inizio e la fine non si riferisce a "ogni giorno", ma si concentra su giorni particolari. Queste indicazioni cronologiche sembrano essere state disposte con precisione: 7 giorni:

il diluvio comincia 7 giorni dopo che Dio ordina a Noè di entrare nell'arca. 40 giorni: la pioggia cade sulla terra per 40 giorni. 150 giorni: le acque restano sulla terra per 1 50 giorni. 40 giorni: Noè apre la finestra dell'arca dopo 40 giorni. 7 giorni: Noè sbarca dopo 7 giorni.

Sette giorni e notti segnano l' inizio e la fine del diluvio. Il numero "sette" per i giorni conferma l' impressione che il testo alluda a ritroso ai "sette" giorni di Gn l . La "settimana" del potere distruttivo di Dio in Gn 6--9 corri­ sponde quindi alla "settimana" del potere creativo di Dio in Gn l . Da tutto ciò, Gn 6--9 si configura come· un racconto di anticreazione elaborato con accurata precisione, nel quale si demolisce ciò che era stato costruito nel racconto della creazione di Gn l .

Il piano di salvezza I piani di Dio sono disastrosi. Tuttavia, notiamo che egli non persegue soltanto uno scenario di distruzione, ma anche un piano di salvezza. La mal­ vagità umana può giustificare una devastazione totale ma, nonostante ciò, Dio decide un programma di salvataggio, così come un programma di di­ struzione. Lo scenario di salvezza divino si basa sulla "grazia", su qualcosa che è "gratis", non si merita e purtuttavia si ottiene. È un esempio di spro­ porzione, dal momento che la preservazione di creature non comporta nes­ suna relazione con la malvagità che viene posta in rilievo. Secondo un co­ pione di distruzione Dio agisce secondo l' idea umana di giustizia e causa­ lità. È come se Dio dicesse: «Questo è quel che gli esseri umani chiamano quid pro quo. Gli esseri umani amministrano la giustizia secondo il princi­ pio di causalità, in base a una distribuzione proporzionale di castigo e ri­ compensa. Conformemente a questa idea di giustizia, si deve distruggere tutto, dal momento che il male distruttivo degli esseri umani deve essere ri-

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pagato dalla loro corrispettiva distruzione. Ma voglio mostrare che c'è più di questo genere di giustizia. Che aspetto avrebbe la creazione, se non vi fosse nessuna grazia, o clemenza, se nulla venisse donato "gratuitamen­ te"?». Secondo il copione di salvezza, Dio dunque fa grazia a Noè e, tramite lui, ad altri esseri umani. La scelta di Noè è comprensibile dal punto di vista dell' ebraico, poiché il testo mostra che c'è un nesso tra il nome Noè (n. eh. ) e la parola grazia (eh. n. ). Noè è il paradigma di quanti saranno salvati. Con lui Dio vuoi cominciare una nuova storia dell' umanità e degli animali sulla terra. Pertanto qui abbiamo due facce della stessa medaglia. I primi versetti vi­ sualizzano ciò in un modo notevole. Da una parte, Dio "vede" la malvagità degli esseri umani e si pente (n. eh. m); dall' altra, Noè (n. eh) trova grazia (eh. n) «agli occhi di Dio»; il primo sguardo provoca rammarico e rimorso, mentre il secondo (7, l ) apporta grazia o benevolenza. Cosi devastazione e salvezza camminano mano nella mano: la distruzione della terra da parte dell' umanità comporta una conseguente distruzione; la grazia apporta scam­ po e salvezza. Grazie ad un piano, che prevede una barca, Noè può fare da mediatore tra esseri umani di cui Dio si pente ed esseri umani che trovano grazia ai suoi occhi. Con l' aiuto di questo Noè e della sua arca, Dio salverà le creature sulla terra. Ma è inevitabile spendere qualche parola in più su di lui. Noè è un uomo giusto che cammina con Dio (proprio come Enoch in 5,22). Egli è l'eroe del racconto del diluvio. A dire il vero, non è poi così e­ roico. Quando Dio lo avverte che ogni cosa verrà distrutta, sulle sue labbra non troviamo nessuna parola di stupore, di protesta, o di rabbia. Abramo perlomeno protesta, quando Dio gli comunica che sta per radere al suolo So­ doma e Gomorra; egli intavola trattative con Dio per la salvezza di alcune persone buone. Non così Noè. Noè resta in silenzio e dà il suo assenso alla distruzione di ogni cosa. Quando Dio gli dice che lui e la sua famiglia saran­ no salvati, egli non grida di gioia e non abbraccia sua moglie per la felicità. Egli esegue semplicemente gli ordini che YHWH gli impartisce. Dio dice: «Fatti un' arca». E Noè costruisce un' arca. Dio non gli mette chiodi e mar­ tello nelle mani, ma per altri aspetti precisa ogni cosa sin nei minimi detta­ gli: quanto deve essere grande l'arca, dove e come installare il tetto, come e dove spalmarla di bitume, in quanti scompartimenti dividerla, e precisamen­ te quali esseri umani e animali devono entrarvi. Quando però si tratta di nu­ meri Dio non è così preciso: in una occasione dice che Noè dovrà prendere con lui nell'arca un paio di ogni specie di animali, mentre in un' altra occa­ sione menziona sette paia di animali puri. Naturalmente a Dio va perdonata questa incoerenza, poiché sappiamo che gli animali puri sonu necessari per

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un sacrificio. Inoltre è utile averne sette paia, poiché, se Noè ne avesse sol­ tanto un paio, estinguerebbe un' intera specie di animale con un solo sacrifi­ cio. N oè esegue tutto questo esattamente come Dio gli comanda. Egli non fa nulla di sua iniziati va. E nemmeno parla. È sicuramente degno di nota che le due uniche ricorrenze del termine tebah, arca, nell' Antico Testamento ap­ paiano associate a due personaggi, che non sono diventati "maggiorenni": tebah designa infatti il "cestello di papiro" del neonato Mosè (Es 2,3) e la barca che salva Noè. (In italiano parliamo anche dell"'arca dell' alleanza", ma in ebraico si tratta di un termine differente da tebah) . Noè e Mosè salva­ no l' umanità e delle persone grazie a un primitivo vascello nell' acqua; que­ ste piccole barche e i loro passeggeri non molto intraprendenti, ma giusti, saranno decisivi per il prosieguo della storia. In seguito, il contributo di Noè al salvataggio degli esseri umani diventa notevolmente maggiore. Per poterio capire, dobbiamo riandare a Gn 5,29. Lì Lamech, il padre di Noè, era presente alla nascita di suo figlio e lo aveva chiamato Noè. Poiché il termine n. eh nella sua pronuncia normale significa semplicemente "riposo", il nome indica che questo figlio darà riposo. Tutta­ via, come abbiamo visto, il padre Lamech connette esplicitamente il nome Noè al verbo omofono naeham (n. eh. m), una parola che ricorre spesso nel­ la Bibbia e ha un' ampia gamma di significati diversi. Normalmente si presu­ me che il suo senso fondamentale sia "cambiare pensieri, sentimenti, o com­ portamento" . A seconda del conte sto, naeham può allora signific are "confortare, consolare" o "pentirsi", "patire dolore, pena" o "esigere vendet­ ta". Talvolta, come qui, si riferisce a un cambiamento d' emozioni, di com­ portamento o di pensiero. In 5 ,29 generalmente si ritiene che abbia il senso di "consolare"; difatti il padre Lamech afferma: «Noè ci consolerà (n. eh. m) del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani sulla terra che Dio ha male­ detto)). Quando inizia il racconto del diluvio, il lettore ha già in testa questo collegamento tra Noè e n. eh. m (cambiare, nel senso di consolare) . Quindi la narrazione del diluvio comincia con Dio, che nei vv. 6 e 7 per due volte e­ sprime il suo pentimento, espresso precisamente dallo stesso verbo naeham. Dio rimpiange di aver fatto gli esseri umani sulla terra, mentre Noè (n. eh) è l' unico che trova grazia (eh. n) agli occhi di Dio. La samiglianza tra le tre parole n. eh. m, n. eh e eh. n, è troppo vistosa per essere fortuita, soprattutto per il fatto che Lamech aveva già associato il nome di Noè con naeham. Perciò, all' inizio del racconto del diluvio, Noè agisce nel contesto di un Dio che si pente di aver creato gli esseri umani, e la sua posizione privilegiata ed esclusiva è dovuta soltanto a una grazia personale. La conclusione del racconto del diluvio è altresì istruttiva al riguardo. n diluvio è cessato e la salvezza completata: Noè e i suoi sono usciti dall'arca.

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Ma ecco che accade qualcosa di speciale: Noè per la prima volta fa qualcosa di sua iniziativa (8,20) . Egli edifica un altare e offre un sacrificio di animali puri a Dio. Il profumo sale su dali' altare. Dio odora l' aroma del sacrificio e repentinamente cambia idea e dice (traduco alla lettera): «Non considererò mai più maledetta la terra a causa dell 'essere umano, anche se ciò che si for­ ma nel cuore dell' uomo è cattivo fin dall' adolescenza» (8,2 1 ) . Il sacrificio sortisce un bel colpo. Del resto, non è un sacrificio qualunque, ma un sacri­ ficio-niehoaeh (n. eh. eh). Questo termine ebraico è una forma dello stesso verbo n. eh, "riposare o far riposare", che è contenuto nel nome proprio Noè. Si tratta di un sacrificio che placa, pacifica. (Purtroppo la maggioranza delle traduzioni bibliche ha reso nichoach con "fragrante" o "soave fragran­ za", sulla base della versione dei Settanta). Mediante il suo sacrificio Noè è fedele al suo nome: calma Dio. Nello stesso tempo Noè assolve il compito datogli dal padre alla sua nascita, ossia quello di essere una consolazione, naeham, per gli esseri umani e di eliminare la maledizione dalla terra. n sa­ crificio di Noè acquieta Dio e significa che Dio non viene più messo in rela­ zione a naeham nel senso di pentimento, ma a nacham nel senso di consola­ zione. Questo sacrificio, che acquieta Dio, fa sì che egli elimini la maledi­ zione del suolo. Ecco quindi che Noè sembra essere più importante di quan­ to potevamo immaginare. Egli si distingue dagli altri esseri umani per la sua rettitudine, per la costruzione del battello e per il suo sacrificio. Dopo tutti questi avvenimenti, Dio fa a Noè la promessa che la terra con­ tinuerà ad esistere nonostante il cattivo comportamento degli esseri umani. Gli esseri umani non sono cambiati; la loro propensione e inclinazione al male non sono mutate. Malgrado ciò Dio promette che non farà mai più quel che ha fatto e garantisce la futura esistenza della terra. Semina e mietitura, estate e inverno, freddo e caldo, giorno e notte continueranno ad esistere, per tutti i giorni della terra. Alla fine del racconto del paradiso in Gn 3, 1 7 il suolo era maledetto a causa degli esseri umani . Ora sembra che Noè abbia effettivamente eliminato la maledizione dal suolo. Contrariamente a ciò che pensava Lamech, qui a ricevere aiuto non sono tanto gli esseri umani, ma la terra. La terra continua a dipendere dall' umanità per la sua coltivazione, ma l' esistenza futura della terra e di tutti gli esseri viventi viene disgiunta, o re­ sa autonoma dalle azioni degli esseri umani, siano esse buone o cattive. La terra continuerà a produrre frutti, le stagioni si avvicenderanno, i giorni e le notti non cesseranno di alternarsi. La legge della sequenza delle stagioni e dei giorni imporrà i suoi ritmi alle generazioni dell' umanità. È il tempo del­ la terra che conta, e Dio ne è il garante.

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Una nuova creazione 9, l Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: «Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra. 2 ll rispetto e il terrore di voi sia in tutti gli esseri sulla terra, fra tutti gli uccelli del cielo, fra quanto striscia sulla terra e fra tutti i pesci del mare. Essi sono consegnati nelle vostre mani. 'Quanto si muove e ha vita vi servirà da cibo, 3 come già le verdi erbe. Io vi do tutto questo. Soltanto non potrete mangiare la carne con la sua vita, cioè il suo 4 sangue. Del sangue vostro, anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; 5 ne domanderò conto alla mano di ogni essere vivente alla mano dell' uomo e di suo fratello domanderò conto della vita di un essere umano. Chiunque sparge sangue umano, 6 il suo sangue sarà sparso dali' essere umano, perché a immagine di Dio Egli fece l' essere umano. 7 E voi, siate fecondi, moltiplicatevi, brulicate sulla terra, popolatela».

Dopo che ha confermato che la terra perdurerà, indipendentemente dagli esseri umani, Dio benedice Noè e i suoi figli e affida loro il compito di esse­ re fecondi e numerosi e di riempire la terra. Questa parte della benedizione richiama Gn l , dove Dio aveva dato lo stesso comando. Qui si rinnova que­ sto comando della creazione: dopo la devastazione universale la terra va po­ polata di nuovo. Se in Gn l ,22 un ordine simile era stato rivolto da Dio ai pesci, agli uccelli e agli animali terrestri, usando il verbo "brulicare" solo per i pesci, adesso Dio lo usa per gli animali (8, 17) e per gli esseri umani (9, 1 e 9,7). Gli animali e gli esseri umani superstiti devono brulicare sulla terra. Nella cornice, o inclusione di questo comando di una creazione rinno­ vata, Dio formula due altri comandi. Siate fecondi e riempite la terra tutti gli esseri viventi dovranno avere rispetto per voi.

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Io li do nelle vostre mani voi dovete avere rispetto della vita negli altri alla vostra mano io chiederò conto siate fecondi e riempite la terra.

In Gn 1 ,26-28 si impartiva agli esseri umani il comando di essere fecondi e numerosi sulla terra, abbinato al dovere di prendersi cura della terra e de­ gli animali. Qui viene ripreso e completato ulteriormente. Tutti gli esseri vi­ venti devono avere rispetto e timore degli esseri umani, così come gli esseri umani devono a loro volta rispettarli. Dio mette a disposizione dell'umanità gli animali e le piante. Egli li concede agli esseri umani come cibo («lo vi do» rinvia a Gn 1 ,29), cosicché d' ora in poi gli esseri umani non sono sol­ tanto vegetariani, ma carnivori . Nello stesso tempo, però, al comando della creazione di Gn l si aggiunge l' esigenza che gli esseri umani rispettino la vita che è in altre creature. Queste altre creature non solo . sono consegnate nelle mani dell' umanità, ma hanno un loro peculiare valore e una propria forza vitale. Gli esseri umani sono chiamati a rendere conto del loro com­ portamento verso le creature. Reso saggio dal male che l' umanità, tranne Noè, ha dimostrato, Dio in tal modo allarga il comando di Gn 1 ,28: non si tratta cioè soltanto di essere fecondi e di dominare, ma altresì di rispettare la vita di altri esseri umani e animali. Le parole "l' uomo e suo fratello", "ma­ no" e "sangue" (quattro ricorrenze) instaurano esplicitamente un collega­ mento con il racconto di Caino e Hevel . Se un uomo versa il sangue di suo fratello, per lui la benedizione è finita. Il riempire la terra e il riconoscimen­ to del principio vitale negli esseri umani e negli animali è ciò che Dio ri­ chiede da ogni uomo e donna. ll lettore, che fino ad ora non ha capito perché la malvagità degli esseri u­ mani sia stata l' occasione che ha scatenato il diluvio, ora può scoprime le implicazioni proprio dalla conclusione del racconto. Omicidi, spargimenti di sangue, la terra insanguinata e imbevuta di violenza invece di essere riempi­ ta di nuova vita, costituiscono la malvagità di cui parla il testo. Su questo scenario Dio pone la sua benedizione, in cui è basilare il rispetto per ogni vita. Gli esseri umani possono cibarsi degli animali, ma non di quella parte in cui si concentra la vita, vale a dire il loro sangue. Lo scopo che Dio si prefigge integrando qui il comando di Gn l ,28 è far prendere coscienza del volere autonomo di ogni vita. Solo allora l' essere umano può essere "l ' im­ magine di Dio" in rapporto al suo simile. Questo esplicito riferimento a Gn l ,26 mostra che l' episodio dell' anticreazione è finito e la creazione è stata ricreata: chiunque vuoi essere un segno di Dio nel mondo dovrà riconoscere e valorizzare la vita delle altre creature.

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Per lungo tempo il male nel mondo, o la malvagità dell' umanità, sono stati erroneamente imputati alla disobbedienza della prima coppia umana verso Dio nel racconto del paradiso (Gn 2-3). Ora, però, il nostro testo parla più di un processo umano di crescita, anziché di una "caduta". Il peccato che Gn 1-1 1 indubbiamente segnala è simultaneamente l ' infedeltà degli es­ seri umani nei confronti della terra, nonché la loro infedeltà nei riguardi di altri esseri umani e degli animali. Le mancanze dell'essere umano verso il proprio simile vengono precisate in Gn 4 e in Gn 9 come l'incapacità di ri­ conoscere il principio di vita in altre creature, nell' uomo e nel suo fratello. Questa malvagità dell' umanità fa inorridire Dio ed è la causa della sua deli­ berazione di far piombare un immenso diluvio sulla terra. Mediante un nuo­ vo comando, che fa parte della benedizione, Dio dimostra che questa bene­ dizione implica non solo la prosperità di ogni individuo, ma anche il rispetto per chiunque altro ha la stessa vita nel suo sangue. Riassumendo, la benedi­ zione che Dio accorda a Noè e ai suoi figli alla fine del racconto del diluvio rivela che i tre comandi di "essere fecondi e riempire la terra", "l 'esigenza di rispetto" e "il rispetto degli abitanti di questa terra" sono i requisiti ele­ mentari per una nuova creazione.

Un 'alleanza 8 Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: 9 «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, con gli uccelli, 10 gli animali e ogni vivente sulla terra con voi, da tutti coloro che sono usciti dali' arca a ogni vivente sulla terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: 11 non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio. Nessun diluvio devasterà più la terra)). 1 2 Dio disse: · «Questo è il segno dell'alleanza che io faccio tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi, e per tutte le generazioni future. Ho posto il mio arco tra le nubi 13 ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. 14 Quando radunerò le nubi sulla terra, l'arco apparirà tra le nubi. 15 Allora io ricorderò la mia alleanza tra me e voi e ogni essere vivente

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e le acque del diluvio non distruggeranno mai tutto ciò che vive. Quando l'arco sarà tra le nubi allora io lo guarderò per ricordare l'alleanza eterna tra Dio e tutti gli esseri viventi che sono sulla terra». 17 Dio disse a Noè: «Questo è il segno dell'alleanza che io ho stabilito tra me e ogni essere vivente che è sulla terra».

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Dio offre una completa e totale nuova alleanza. Di conseguenza egli usa sette volte il termine berit, "alleanza": si tratta dell' inizio di un nuovo patto tra Dio, la terra e i suoi abitanti. Come la grazia accordata da Dio a Noè, co­ sì anche questa alleanza è libera e data gratuitamente. Nel corso della storia essa è stata costantemente vista come un' alleanza che Dio stipula con Noè e con i suoi discendenti, quindi come un patto tra Dio e tutti gli esseri umani. Se però leggiamo attentamente il testo, ci accorgiamo che ogni volta che Dio usa il termine berit, "alleanza", egli dice che questa è un' alleanza tra lui e Noè, tra lui e tutti gli esseri viventi, nonché tra lui e la terra. L'obiettivo di questa alleanza è dunque chiaro: non si dovrà sterminare nessuna vita, così come non si dovrà distruggere la terra. L'agire distruttivo degli esseri umani rimane, ma non ci sarà più la distruzione della terra con un diluvio. Questo è lo scopo dell' alleanza. Dio la stipula non solo con Noè, ma con ogni vivente sulla terra. Noè e i suoi discendenti costituiscono una parte importante degli esseri viventi sulla terra, ma essi fanno parte di un insieme più grande. A confermarlo è il segno dell' alleanza dato da Dio. Dio colloca un arco tra le nubi come segno. Non è chiaro se si tratti di un arcobaleno, o di un al­ tro genere di arco. Quel che è chiaro è che questo arco abbraccia la terra e la protegge. Questo arco è un "segno onnicomprensivo", che ingloba la terra intera. Dio pertanto definisce l' arco il segno dell' alleanza «tra me e tutti voi» (9,9. 1 1 . 1 2. 1 5 ), «tra me e la terra» (9, 1 3 ) e «tra me e ogni essere che vi­ ve sulla terra» (9, 1 6. 1 7). Questo segno comprova sia l'autonomia della ter­ ra, sia il patto tra Dio e la terra. Ora che la terra è stata purificata dalle colpe e dalle mancanze umane, grazie a un poderoso diluvio, Dio ne vuole garan­ tire e tutelare l'esistenza. Le stagioni terrestri prendono il posto di una eter­ nità, o di una immortalità umana (cfr. Gn 6, 1 -4). Sono esse a scandire il rit­ mo della vita. La nuova alleanza tra Dio e la terra (e i suoi abitanti) dovrà e­ vitare una nuova distruzione. Il segno tra le nubi, che include ogni cosa, rammenterà a Dio tutto ciò.

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Nomi e volti di Dio Fin qui abbiamo sorvolato sul fatto che in questo racconto del diluvio Dio viene designato con nomi diversi. Talvolta viene chiamato yhwh, YHWH o Signore, talvolta 'elohim, Dio. Chiunque legge da cima a fondo il testo di Gn 6--9 , noterà in successione: yhwh (quattro volte), 'elohim (quattro volte), yhwh (due volte), 'elohim (due volte), yhwh (una volta), 'elohim (tre volte), yhwh (tre volte), 'elohim (cinque volte). All' inizio del racconto del diluvio appare quasi due volte lo stesso testo. La prima volta riguarda YHWH (6,5-8), la seconda 'elohim (6, 1 1 - 1 3). 6,5 yhwh vide che la malvagità degli esseri umani era diventata grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male tutti i giorni (della loro vita). 6 yhwh si pentì di aver fatto l'essere umano sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. 7 yhwh disse: «Sterminerò dalla faccia della terra l'essere umano che ho creato: dali' essere umano ali' animale, dai retrili agli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». 8 Solo Noè trovò grazia agli occhi di yhwh.

YHWH è direttamente coinvolto con le sue creature e rivela un volto quasi umano: egli se ne rammarica e prova dolore nel suo cuore. Soltanto Noè tro­ va grazia ai suoi occhi. Lo sguardo di YHWH e i suoi occhi indicano che c'è un evidente legame tra lui e le creature terrestri. Non è il caso di 'elohim. 1 1 La terra era corrotta dinanzi alla faccia di 'elohim e la terra era piena di violenza. 12 'Elohim vide la terra ed ecco, essa era corrotta, davvero, tutti gli esseri viventi avevano corrotto la loro condotta sulla terra. 1 3 Allora 'elohim disse a Noè: «La fine di ogni essere vivente sta dinanzi ai miei occhi, infatti la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò dalla terra».

Nessun termine come pentimento, sentimento, cuore o qualcos' altro del genere ricorrono a proposito di 'elohim. Quel che Egli vede e dice non ri-

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guarda gli esseri umani sulla terra, ma la terra nel suo insieme e tutti gli es­ seri viventi (letteralmente "ogni carne", kol basar). Nel testo 'elohim non parla mai di esseri umani. Anche in 6, 12, coloro che pervertono o distruggo­ no la terra vengono definiti kol basar, "ogni carne " o "ogni essere vivente", e non "ogni essere umano". Ciò non significa che anche gli animali vengano incolpati della corruzione della terra, ma più semplicemente che l' interesse di 'elohim ha di mira tutta la terra con i suoi abitanti, e non si limita all ' esse­ re umano. Da questi due testi ali' inizio del racconto e dalle loro differenze possiamo inferire che yhwh esprime la dimensione di un Dio che entra in contatto con gli esseri umani sulla terra: detto altrimenti, yhwh esprime l'a­ spetto relazionale di Dio. Accanto a ciò, il termine 'elohim denota la divinità in sé, ovvero l' aspetto non relazionale di Dio. L'attenzione di 'elohim, que­ sto Dio in sé, si dirige verso la creazione in sé. Al termine del racconto vediamo qualcosa del genere. Dopo l' abbassa­ mento delle acque e dopo che Noè e i suoi animali hanno lasciato l' arca, Noè offre un sacrificio, e yhwh ne odora l' aroma. Subito dopo, yhwh dice al suo cuore: «Non considererò più la terra maledetta a causa dell'essere uma­ no, anche se ciò che si forma nel cuore umano è incline al male sin dall' ado­ lescenza». Yhwh quindi accosta il suo cuore al cuore umano e fa parlare la sua faccia (e le sue narici). Egli prende la decisione di non lasciarsi condi­ zionare dal comportamento umano nel suo agire verso la terra. A questo yhwh sensibile subentra 'elohim (9, 1 - 1 7), che non presta nessuna attenzione a sentimenti o contatti personali, bensì all'intera creazione. In quel che ap­ pare quasi come il racconto di una nuova creazione, egli dona la sua benedi­ zione e propone un' alleanza. Qui, questa benedizione riguarda il popola­ mento umano della terra e il riconoscimento del principio vitale che è in o­ gni essere umano. Questo principio vitale appartiene a 'elohim. Proprio co­ me Dio richiede agli esseri umani di rispettare questo principio vitale che è suo, così Dio rispetta la vita di tutti gli esseri viventi (letteralmente "ogni carne", kol basar) per mezzo di un' alleanza. Questa stipulazione d' alleanza riguarda non tanto gli esseri umani, quanto la terra e tutte le creature viventi di questa terra. Da tutto ciò possiamo concludere che ogni volta che si affacciano alla ri­ balta differenti aspetti di Dio, cambia il nome con cui Dio viene chiamato. Se si adotta il nome 'elohim, esso designa la divinità in se stessa, il Dio tra­ scendente: 'elohim è il Dio creatore e colui che si riferisce alla creazione nella sua interezza. Invece yhwh designa il Dio immanente, il volto di Dio che entra in contatto con gli esseri umani e le altre creature sulla terra. La scelta dei nomi di Dio dipende dal lato, o aspetto che il testo cerca di rappre­ sentare.

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Ciò che emerge in modo lampante in Gn �9 era già diventato chiaro nei primi capitoli di Gn 1-1 1 . Nel racconto della creazione di Gn l , Dio viene presentato . come un creatore assoluto: Dio precede la creazione, ne è al di sopra e fa vivere ogni cosa. Questo Dio viene chiamato 'elohim. Lì l'unica relazione tra Dio e la creazione è la parola di Dio e la creazione che essa produce. Gli esseri umani sono creati per essere a immagine di 'elohim in un mondo in cui Dio stesso non può essere presente in quanto creatore trascen­ dente. Pertanto, in quanto immagine di Dio, ogni persona umana deve pre­ servare e continuare questa creazione. Il nome 'elohim palesa il primato di Dio come colui che trascende gli esseri umani e non può essere mai ridotto a un'immagine umana. Nel racconto successivo del paradiso in Gn 2-3, a questo 'elohim si ag­ giunge il nome yhwh per mettere in evidenza un'altra dimensione di Dio. Abbiamo così un doppio nome, yhwh 'elohim. Qui yhwh (come abbiamo già detto, si tratta di una forma del verbo "essere" o "diventare") esprime Dio nel suo rapporto con l'essere e il divenire della creazione, con la terra e gli abitanti terrestri. L' "essere" di yhwh è congiunto al "divenire" della creazio­ ne. Come unico nome divino, yhwh 'elohim indica contemporaneamente la trascendenza e l' immanenza di Dio: Dio in quanto creatore che ha fatto cie­ lo e terra e r�sta al di fuori della creazione, e Dio come colui che è e diviene nella creazione della terra e delle creature sulla terra. Nel racconto di Gn 4, 1 - 1 6 che segue Gn 2-3, Dio viene chiamato yhwh, poiché entra in contatto con Caino e gli parla direttamente delle relazioni con suo fratello. Yhwh sente il sangue che grida dalla terra e, come castigo, scaccia Caino dalla sua faccia e dalla faccia della terra. Qui possiamo co­ gliere le conseguenze per chiunque è stato bandito dalla faccia di yhwh: per una persona tale la rottura del rapporto con yhwh, con il fratello e con la ter­ ra risulta catastrofica. Nei testi seguenti, a lungo Dio non viene nomina­ to, anche se in Gn 5, all' inizio della genealogia, Dio viene designato con 'elohim, un riferimento alla creazione di Gn l . Nel piccolo brano mitologico di Gn 6, 1 -4, che segue questa genealogia, i figli di dio rappresentano la cate­ goria di dèi ( 'elohim) che entrano in contatto con le figlie degli uomini. Tut­ tavia, questo contatto è di breve durata. Ad esso fa seguito il racconto del di­ luvio in Gn �9, in cui si fa sempre una distinzione tra i differenti aspetti di Dio. Ogni volta che Dio entra in contatto con esseri umani e creature egli appare come il Dio relazionale, come yhwh, mentre quando c'è un riferi­ mento al racconto della creazione o quando il contenuto riguarda esplicita­ mente la grande totalità della terra, si adotta sempre l' appellativo 'elohim. La conclusione è netta: a seconda dell' angolazione da cui si fa luce su Dio, come lettori di Gn 1-9 cogliamo un aspetto particolare di questo Dio. Non

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vi sono mai immagini esaurienti, che rendono tangibile o possibile la cono­ scenza della natura di Dio. I nomi divini sono piuttosto una sorta di finestra attraverso la quale guardare, che offre al narratore e ai lettori la possibilità di immaginare l'inimmaginabile. I racconti e i nomi sono le facce di Dio con le quali gli esseri umani entrano in contatto. Un volto riconoscibile di Dio è in­ dicato dal nome yhwh. Nello stesso tempo il nome generico 'elohim segnala che Dio non può essere esaustivamente espresso, o descritto dal nome yhwh. Dietro questo c'è 'elohim, la divinità in quanto entità che non può essere af­ ferrata, che non va pensata in termini relazionali (che proprio per loro natura sono anche in parte determinati da esseri umani). Qui abbiamo dunque una caratteristica ricorrente in qualsiasi visione della fede e del mondo. Chiun­ que pensa o crede è portato a farsi un' immagine, ma l' immagine non esauri­ sce ciò che ci si rappresenta. Come c ' è una realtà che gli esseri umani im­ maginano, anche se questa idea non abbraccia la realtà o la scopre intera­ mente, così c'è una divinità di cui molte religioni si fanno immagini, a cui danno nomi, ma senza esprimere es;;HJ stivamente questa divinità. I ,nomi so­ no finestre, ma ciò che viene nominato ci sfugge dalle dita. Neilo stesso tempo, abbinando 'elohim e yhwh, Gn 1-9 dissemina una consapevolezza di tutte e due gli aspetti: in quanto 'elohim, Dio è il creatore che sussiste in e per sé, che è autonomo dal mondo creato, mentre in quanto yhwh, Dio è un Dio di esseri umani che è in contatto con le creature e dà loro senso.

Conclusione: nomi e volti D racconto del diluvio è stato spesso letto alla luce dei comandamenti fi­ nali di Gn 9, 1-17. Di conseguenza, una buona dose di tensione è scomparsa dal testo. La totale distruzione a causa del diluvio è stata allora interpretata

come un' occasione per i comandamenti di Dio e, soprattutto, come un'in­ giunzione agli esseri umani di osservare questi comandi. Va detto, invece, che queste norme e la conclusione di un' alleanza hanno la loro funzione al­ l' interno di un racconto, in cui sono centrali il riconoscimento del principio della vita, la preservazione della terra e il rispetto per le sue creature viventi. Simultaneamente questo racconto segnala una tensione tra creazione e an­ nientamento, tra la massa d' acqua e la creazione rinnovata. Le narrazioni raccontano ben più dei comandamenti; narrano l' ambiguità della vita nella pluriformità di un testo. Qu�sta ambiguità cresce e prende maggiormente forma quanto più i nomi e i volti vengono incastonati nella narrazione. Questo riguarda non soltanto i nomi di Dio, ma anche quelli di altri protagonisti, la terra e l'essere umano.

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Se rileggiamo Gn 1-9 scopriamo un filo nascosto nei nomi della terra. In Gn l ricorre quasi esclusivamente 'erets, che insieme al cielo forma il cosmo, "cielo e terra". L' 'erets è la terra asciutta (yabbashah) che appare quando le acque si raccolgono nei mari. Essa viene gradualmente ricoperta di vegeta­ zione e popolata da animali e da esseri umani. Soltanto una volta in Gn l la terra viene chiamata 'adamah, precisamente in connessione con le creature che strisciano sull' 'adamah ( 1 ,25). Dopo i pesci del mare e gli uccelli dell'a­ ria, i rettili sono i primi a popolare l' 'adamah. In Gn 2-3 l' approccio globa­ le a cielo e terra si focalizza su un unico aspetto: l' essere umano, 'adam, sul­ la terra, 'adamah. Qui diventa del tutto chiaro che 'adamah esprime l' aspetto relazionale della terra: è la terra in funzione degli esseri umani e degli ani­ mali (terrestri). Come la faccia di Dio è chiamata yhwh, così la faccia della terra (o suolo) viene chiamata 'adamah. Questo non vuoi dire che la terra non potrebbe esistere senza questa faccia; in quel caso essa è 'erets, la terra in sé. Per rendere chiara questa distinzione, nella traduzione abbiamo reso sempre 'adamah con terra, in corsivo . Da Gn 2-3 affiora che questa faccia della terra non si limita semplicemente all' essere umano; in maniera simile anche gli animali mantengono un legame con l' 'adamah; tutti, esseri umani e animali sono plasmati da Dio con (la polvere della) 'adamah, e in entrambi i casi, si parla di un "plasmare/modellare" (yatsar) di Dio. Perciò nella loro creazione non c'è nessuna differenza tra gli esseri umani e gli animali in rapporto alla terra. Ali ' essere umano, tuttavia, viene assegnato il compito di coltivare la terra, perché l' 'adamah possa produrre piante coltivate. In Gn l la terra ha già prodotto piante selvatiche, ma per le piante coltivate l' 'ada­ mah dipende dal lavoro agricolo dell ' essere umano. Lo spostamento d' atten­ zione da Gn l , che mette in rilievo il cielo e la terra ( 'erets), a Gn 2-3 che dà rilievo alla faccia/dimensione relazionale della terra, 'adamah, corrisponde al cambiamento del nome divino 'elohim di Gn l nel nome yhwh 'elohim di Gn 2-3. In questo secondo testo le parti complementari sono in un rapporto reciproco molto più diretto. Questa focalizzazione prosegue in Gn 4, 1 - 1 6, dove Caino è colui che coltiva l' 'adamah. È il suo fratricidio a causare la rottura del legame di Caino con l' 'adamah; egli viene scacciato dalla faccia dell' 'adamah e dalla faccia di yhwh. Anche qui è fin troppo patente l' esplici­ to nesso tra la faccia della terra e la faccia di Dio, yhwh. Esse sono intima­ mente connesse l' una ali' altra. L' uso dei nomi per la terra è più impressionante in Gn 6-9. Il termine 'erets ricorre quindici volte, mentre il termine 'adamah nove. Dove compare 'adamah, il testo parla per tre volte dei rettili che strisciano sull ' 'adamah (6,20; 7,8. 14), tre volte di tutte le creature (dall' essere umano all' animale) che YHWH ha posto sull ' 'adamah (6,7; 7,4.23), due volte della colomba e

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di Noè che vedono l' 'adamah (8,8 . 1 3) e una volta di YHWH, che non consi­ dera più l' 'adamah come maledetta a causa di 'adam ( 8 ,2 1 ) . Anche qui no­ tiamo una terra con una connotazione relazionale, che viene chiamata 'ada ­ mah. Se l ' 'adamah è correlata con Dio, allora Dio viene sempre designato yhwh. Invece il nome divino 'elohim ricorre particolarmente in congiunzione con 'erets: soprattutto alla fine del racconto 'elohim menziona questa 'erets sette volte, con la stipulazione dell' alleanza mediante un arco come segno, che circoscrive l' 'erets. Peraltro, l' alleanza di 'elohim e la benedizione sono in primo luogo incentrate sull' 'erets e non sull' 'adam o sull' 'adamah. In tal modo le parentele crescono in modo palpabile. Dio e la terra assu­ mono una colorazione e una faccia proprie. Ora possiamo altresì scoprire che anche l'essere umano riceve nomi di versi in Gn 1-9. In Gn l lui/lei vie­ ne ancora semplicemente chiamato "essere umano" ( 'adam) , con un elemen­ to maschile e un elemento femminile, e lui/lei risulta definito in rapporto al­ la terra intera ( 'erets) e a Dio ( 'elohim). Un contenuto più specifico viene ac­ quisito solo in Gn 2-3 . L' essere umano, lui/lei sembra avere la sua origine, fine e pienezza di vita nell' 'adamah; come 'adam in rapporto all' 'adamah. Una volta diviso in uomo e donna, l' essere umano diventa 'ish ed 'isshah, con un certo anticipo, prima che la conseguenza di questa differenza diventi chiara. Ma ciò non esaurisce tutti gli aspetti dell' essere umano, giacché in Gn 4 abbiamo la prova che l' essere umano che guarda il suo simile viene chiamato 'ach, fratello. Quando una persona, lui o lei, guarda il suo simile o l' "altro" (in ebraico 'acher), egli/essa diventa "fratello", 'ach. Quando non guarda l' altro, anche yhwh e la terra ( 'adamah ) scompaiono dalla vista. Co­ gliamo quest' ultimo aspetto di ogni persona umana alla fine, in 4,26: l' esse­ re umano che invoca Dio con il suo nome yhwh qui viene chiamato 'enosh che significa "essere umano". In sintesi:

Dio visto in relazione agli esseri umani e alla terra è chiamato yhwh. Dio visto in se stesso è chiamato 'elohim. La terra vista in relazione con gli esseri umani è chiamata 'adamah. La terra vista in se stessa è chiamata 'erets. L'essere umano visto in relazione ali' 'adamah è chiamato 'adam. L' essere umano visto in relazione a yhwh è chiamato 'enosh. L' essere umano visto in relazione ali ' 'acher è chiamato 'ach. L'uomo visto in relazione alla donna è chiamato 'ish. La donna vista in relazione all' uomo è chiamata 'isshah. L' essere umano visto in se stesso o in se stessa non ricorre.

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In Gn 1-9 la creazione è ricreata nel linguaggio. Abbiamo letto come Dio fece il cielo e la terra e di come era restato soddisfatto di quel che aveva creato. Allora l' attenzione si volgeva alle relazioni tra gli esseri umani e la terra, tra uomo e donna, tra l'essere umano e il suo simile, tra la creatura u­ mana e Dio. Poiché l' essere umano alla fine ha più problemi con se stesso che con il dominio della terra, o con il suo simile, ha inizio la rovina o di­ struzione. Dio risponde a questa distruzione con un diluvio, che spazza via ogni cosa dalla terra. In tal modo i racconti dell' inizio mostrano al lettore come tutto ciò che è stato fatto non può esistere per se stesso, ma soltanto in una rete di relazioni reciproche. I cambiamenti dei nomi rivelano che "esse­ re" è sempre un "diventare nel contesto". Niente e nessuno, neppure Dio stesso, si può raggiungere isolatamente. Essi sono accessibili nel momento in cui sono guardati. Soltanto quando un essere umano guarda un "altro" in faccia e si rivolge a lui come suo simile, fratello o sorella, come terra, come creatura di questa terra, o come yhwh, l'essere umano riceve il proprio nome e il proprio volto.

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Genesi 9-11

Il racconto della dispersione sulla terra9

9, 1 8 I figli di Noè che uscirono dali' arca furono Sem, Cam e Iafet. Cam fu il padre di Canaan. 19 Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra. 20 Noè cominciò come un uomo della terra e piantò una vigna. 21 Avendo bevuto del vino, si ubriacò e giacque scoperto ali' interno della sua tenda. 22 Cam, il padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. 23 Allora Sem e lafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità di loro padre; avendo voltato la faccia dali' altra parte, non videro la nudità del loro padre. 24 Quando Noè si risvegliò dall' ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore. 25 Allora disse: «Sia maledetto Canaan ! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli». 26 Disse poi: «Benedetto YHWH, il Dio di Sem, Canaan sia il suo schiavo!

9 Questo capitolo si basa, inter alia, su CASSUTO 1964; FRIIS Pl..UM 1989; JACOB 1 934; 0DED 1986; RIETBERGEN 1994; ROBINSON 1986; STEINMETZ 1994; TOMASINO 1992.

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Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo !». 28 Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. 29 L'intera vita di Noè fu di novecentocinquanta anni, poi morì.

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10,1 Queste sono le discendenze dei figli di Noè, Sem, Cam e Iafet, ai quali nacquero figli dopo il diluvio. 2 I figli di Iafet furono Gomer, Magog, Madai, Iavan, Thbal, Mesech e Tiras. 3 I figli di Gomer furono Askenaz, Rifat e Toganna. 4 I figli di Iavan furono Elisa, Tarsis, K.ittim e Dodanim. 5 A costoro furono distribuite le zone costiere dei popoli nei loro territori, ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, e le loro nazioni. 6 I figli di Cam furono Cus, Mitsrayim, Put e Canaan. 7 I figli di Cus furono Seba, Avila, Sabta, Raama e Sabteca e i figli di Raama furono Saba e Dedan. 8 Cus generò Nimrod: costui cominciò ad essere un capo sulla terra. 9 Egli fu il sovrano della caccia dinanzi alla faccia di YHWH, perciò si dice: «È un sovrano della caccia dinanzi alla faccia di YHWH come Nimrod». 1 0 L'inizio del suo regno fu Babele, Uruk, Accad e Calne, nel paese di Sennaar. 1 1 Da quella terra si portò ad Assur e costruì Ninive, Recobot-Ir, Calah 1 2 e Resen, tra Ninive e Calah; quella è la grande città. 1 3 Mitsrayim generò quelli di Lud, Anam, Laab, Naftuch, 14 Patros, Casluch, da dove uscirono i Filistei e Caftor. 1 5 Canaan generò Sidone, suo primogenito, e Chet, 16 i Gebusei, gli Amorrei, i Gergesei, 17 gli Evei, gli Archi ti e i Sinei, 1 8 gli Arvaditi, i Semariti, e i Chamatiti. In seguito le famiglie dei Cananei si dispersero. 19 ll confine dei Cananei andava da Sidone in direzione di Gerar fino a Gaza, da Sodoma, Gomorra, Adma e Zeboim fino a Lesa. 20 Questi furono i figli di Cam secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro territori e nei loro popoli. 2 1 Anche a Sem, padre di tutti i figli di Eber, fratello maggiore di lafet, nacquero.

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I figli di Sem furono Elam, Assur, Arpacsad, Lud e Aram. I figli di Aram furono Uz, Cui, Gheter e Mas. Arpacsad generò Selach e Selach generò Eber. A Eber nacquero due figli: uno si chiamò Peleg, perché ai suoi tempi fu di vi sa la terra, e il fratello si chiamò Joktan. Joktan generò Almodad, Selef, Asannavet, Ierach, Adoram, Uzal, Dik:la, Obal, Abimael, Saba, Ofrr, Avila e Iobab. Tutti questi furono figli di Joktan. La loro sede era sulle montagne dell'oriente, da Mesa in direzione di Sefar. Questi furono i figli di Sem secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro territori, secondo i loro popoli. Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro generazioni, nei loro popoli. Da costoro sono sorte le nazionj. sparse sulla terra dopo il diluvio.

1 1 , l Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. 2 Emigrando dali' oriente, trovarono una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. 3 Si dissero l'un l' altro: «Suvvia! facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». D mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. 4 Poi dissero: «Suvvia! costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 5 YHWH scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. 6 YHWH disse: «Ecco, essi sono un solo popolo una sola lingua per tutti; questo è l' inizio del loro fare e ora niente potrà fermarli dal fare ciò che progettano di fare.

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Suvvia! Scendiamo. E confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell' altro». Così YHWH li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là YHWH confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. Questa è la discendenza di Se m: Sem aveva cento anni quando generò Arpacsad, due anni dopo il diluvio; Sem, dopo aver generato Arpacsad, visse cinquecento anni e generò figli e figlie. Arpacsad aveva trentacinque anni quando generò Selach; Arpacsad, dopo aver generato Selach, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. Selach aveva trent' anni quando generò Eber; Selach, dopo aver generato Eber, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. Eber aveva trentaquattro anni quando generò Peleg; Eber, dopo aver generato Peleg, visse quattrocentotrenta anni e generò figli e figlie. Peleg aveva trent'anni quando generò Reu; Peleg, dopo aver generato Reu, visse duecentonove anni e generò figli e figlie. Reu aveva trentadue anni quando generò Serug; Reu, dopo aver generato Serug, visse duecentosette anni e generò figli e figlie. Serug aveva trent' anni quando generò Nacor; Serug, dopo aver generato Nacor, visse duecento anni e generò figli e figlie. Nacor aveva ventinove anni, quando generò Terach; Nacor, dopo aver generato Terach, visse centodiciannove anni e generò figli e figlie. Terach aveva settant' anni quando generò Abram, Nacor e Aran. Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai

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e la moglie di Nacor Milca, eh' era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. 30 Sarai era sterile e non aveva figli. 3 1 Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot figlio di Aran, figlio cioè di suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e partì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arri varono fino a Carran e vi si stabilirono. 32 L età della vita di Terach fu di duecentocinque anni ; Terach morì in Carran. '

Noè nudo Nel corso delle epoche, il racconto della nudità di Noè ha stimolato la fantasia di parecchi. Quel che sembra particolarmente affascinarli è questo Noè ubriaco, che giace nudo dentro la sua tenda, mentre suo figlio Cam lo vede. Ma non è chiaro in che cosa sia consistita precisamente la trasgressio­ ne di Cam. Il testo non dice altro se non che: 9,22 Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori.

Si possono ricavare parecchie cose da queste righe, e c'è chi lo ha fatto. Per alcuni qui Cam viene punit, perché aveva visto suo padre nudo, per al­ tri invece perché aveva visto suo padre e sua madre fare ali' amore; secondo un commentatore, la colpa di Cam fu quella di aver avuto un rapporto ses­ suale con il proprio padre, per un altro quella di aver evirato il genitore; infi­ ne, c'è anche chi pensa che qui si sottintenda che Cam ebbe un rapporto ses­ suale con la moglie di suo padre. Queste ipotesi si riaffacciano abbastanza regolarmente. Si cerca di colmare le lacune del racconto in base alla propria epoca e ai propri interessi. Oggi, la colpa verrebbe forse interpretata come un incesto. Vi sono caratteristiche ancor più rimarchevoli in questo racconto. Noè si è ubriacato e giace nudo; è suo figlio Cam a vederlo, ma chi viene punito per questo è suo nipote Canaan, che non ha fatto nulla di male. È Canaan a dover espiare per quel che suo padre e suo nonno hanno fatto; egli viene condannato a vivere come schiavo dei suoi fratelli. Il minimo che si può dire è che ciò è degno di nota. Questo fatto straordinario spicca, più che mai, sul­ lo sfondo del racconto.

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Il testo principia con l' introduzione dei tre figli di Noè: «l figli di Noè che uscirono dali ' arca furono Se m, Cam e Iafet. Cam era il padre di Canaan» (9, 1 8). È sorprendente che Cam sia chiamato padre nel preciso momento in cui viene introdotto come figlio. Più tardi, nella "trasgressione" di Cam, capita esattamente la stessa cosa: «Cam, il padre di Canaan, vide la nudità di suo padre» (9,22). Sembra piuttosto sciocco: Cam come padre ve­ de la nudità di suo padre? Evidentemente il testo vuoi mettere ogni enfasi sulla paternità di Cam o, piuttosto, sul fatto che egli è il padre di Canaan. I­ noltre Cam è anche il padre di Mitsraym (Egitto), Cus (in ebraico Cush = E­ tiopia) e Put (Nord Africa), come risulta da Gn l 0,6. Questi altri figli, co­ munque, non contano nel racconto della nudità di Noè. Il colpevole di tutto qui è soltanto Canaan. Ciò affiora in modo simile dalle parole di Noè alla fi­ ne del racconto: 9,25 (Noè) allora disse: «Sia maledetto Canaan ! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli !». 26 Disse poi : «Benedetto YHWH, il Dio di Sem Canaan sia il suo schiavo! Dio dilati lafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo !».

Sono esattamente le prime parole che Noè proferisce. Nel corso del dilu­ vio non aveva aperto bocca. Così, la prima cosa che dice è: «Sia maledetto Canaan !». Questo non sembra molto benevolo; forse sarebbe stato meglio se avesse continuato a tenere la bocca chiusa. Qui, dunque, Noè non sta male­ dicendo Cam, bensì Canaan. Poi Noè esclama: «Benedetto YHWH, il Dio di Sem». Egli dunque non sta benedicendo Sem, ma YHWH, il Dio di Sem. In altre parole, l' opposizione tra i due fratelli Cam e Sem assume un altro colo­ re quando Noè la abbina ali' opposizione tra Canaan e YHWH. La terza e ul­ tima frase della dichiarazione di Noè conferma che «Dio dilati Iafet» si rife­ risce ugualmente a Dio e non solo a Iafet. Di sicuro, nel caso di Iafet, Dio non viene chiamato YHWH, ma 'e lohim. Perciò, yhwh, il Dio relazionale sembra riservato per Sem, ed 'elohim, il Dio creatore dell' universo, viene semplicemente nominato nel caso di lafet, non in quello di Canaan. Ogni protezione gli viene negata. In sintesi, risulta evidente dal modo in cui l ' episodio di Noè nudo viene narrato che al centro non c'è Noè, ma la parentela tra il padre e i figli (o ni-

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poti) e la relazione tra i figli e i nipoti alla luce dei conflitti religiosi tra i di­ scendenti di Canaan, Sem e lafet.

ll testo nel contesto Qual è la funzione di un racconto su un padre ubriaco e i suoi figli discor­ di all' interno della macrounità della storia primordiale di Gn 1-1 1 ? In primo luogo esso crea le condizioni per le future relazioni tra i fratelli e i loro di­ scendenti, cioè per la genealogia in Gn l O. Questo racconto spiega perché e­ sistono rapporti gerarchici tra i popoli sulla terra e perché un popolo è supe­ riore a un altro. Poiché Cam ha visto suo padre nudo e lo ha disonorato, i suoi discendenti sono inferiori ai discendenti di Sem e di Iafet. Secondo questo racconto, gli esseri umani non sono tutti identici, ma appartengono a popoli, alcuni dei quali dominano su altri. n narratore lo racconta da un lato in modo da voler dire «così era una volta», mentre dall' altro annovera se stesso e i suoi lettori in un gruppo privilegiato: essi appartengono ai discen­ denti di Sem. È per questo che Canaan riscuote scarsa simpatia in questo brano. Il racconto in Gn 9 rinvia non solo in avanti, ma anche indietro al capitolo precedente, e ciò gli dà un significato ulteriore. Noè viene presentato anzi­ tutto come «un uomo della terra» ( 'ish ha- 'adamah, 9,20). Previamente, co­ me lettori, avevamo potuto fare la conoscenza dei due esseri umani che col­ tivavano la terra, il primo essere umano e Caino. TI legame tra il primo esse­ re umano, 'adam , e la terra, 'adamah, era forte : sorto dalla terra, lui/lei do­ veva coltivarla nel corso della propria esistenza per poi ritornare ad essa nel momento della morte. Caino era stato il primo uomo della terra, 'ish ha- 'a­ damah. Egli lavorava la terra e aveva presentato un' offerta dei suoi frutti, ma la terra, imbevuta del sangue di suo fratello assassinato, aveva accusato Caino dinanzi a YHWH. Il risultato fu che Caino aveva cessato di essere un uomo della terra. Dopo di lui, tocca a Noè essere il primo 'ish ha- 'adamah. Egli pianta una vigna e produce del vino dai frutti della terra. Poiché la terra non è più maledetta, ovviamente può produrre frutti abbondanti - forse fin troppo abbondanti, visto che il vino scorre a fiumi e ubriaca Noè. Oltre a questo paragone tra Adamo, Caino e Noè come esseri umani legati alla terra, vi sono ulteriori concordanze tra la storia di Caino ed Hevel, la storia del pa­ radiso e quella di Noè nudo. L'episodio di Noè viene raccontato in modo da far risaltare la centralità della rottura tra Sem e lafet e il loro fratello Cam. La disparità tra i fratelli viene addirittura giustificata proiettandola in una luce religiosa. Anche il

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racconto di Caino e Hevel dipende da un' analoga disparità tra fratelli. Ll Caino non poteva ammettere che Dio guardasse Hevel, il suo fratello infe­ riore, e che Dio lo esortasse a guardare a sua volta a suo fratello. Qui in Gn 9 Noè n on può ammettere che Cam lo veda nella sua nudità. In tutti e due i testi uno sguardo "rivelatore" è l' occasione per una rottura tra membri di u­ na famiglia. Tuttavia, si riscontra una differenza, nel fatto che Dio interviene tra i due in Gn 4, ma non in Gn 9. La motivazione di ciò viene data alla fine del racconto del diluvio. Qui Dio stipula un' alleanza con la terra ed · affida ali ' umanità, uomini e donne, l' impegno di rispettare il principio di vita che è in ogni essere vivente. Dio conclude perentoriamente la sua benedizione con: «Chi sparge il sangue umano, il suo sangue sarà sparso dall'essere u­ mano)) (9,6). Perciò Dio non riapparirà più come giudice o vindice come in Gn 4, ma sarà un essere umano a dover giudicare il comportamento di un suo stesso simile. In questo senso Dio si ritira da relazioni interpersonali: o­ ra è l' essere umano ad essere personalmente responsabile dei propri fratelli (e sorelle). È quel che farà Noè, dopo il diluvio: egli si comporta in modo si­ mile verso Canaan. Egli non può uccidere il suo consanguineo, ma lo male­ dice, insieme ai suoi discendenti. Vi sono molti aspetti della carriera di Noè. Alla sua nascita, suo padre La­ mech aveva detto che suo figlio «ci avrebbe consolato del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani sulla terra che YHWH ha maledetto)) (5,29). In 8,2 1 si dice che dopo il diluvio e il sacrificio di Noè YHWH aveva di fatto . eliminato la maledizione dalla terra. Nello stesso tempo YHWH non si fa il­ lusioni : la malvagità di tutti gli esseri umani (tutti, giusti e ingiusti) rimane una realtà. Ambedue gli aspetti si verificano nel comportamento di Noè in Gn 9, 1 8-29. Noè coltiva la terra e la sua ubriachezza è la riprova che la terra ha prodotto frutti abbondanti. Questo Noè, che sinora è stato descritto come il prototipo dell' uomo giusto e integro, qui maledice i suoi stessi discenden­ ti. Ne consegue che esiste una certa gerarchia tra i figli e i popoli: un popolo sarà più forte e migliore di un altro; un fratello sarà il servo di un altro fra­ tello. Quel che in Gn 4 accade ancora su scala individuale, qui ha luogo su scala più vasta, dal momento che i fratelli sono diventati popoli che devono dominare l ' uno sull' altro. Il racconto di Noè nudo si configura non solo come un parallelo di Gn 4, ma anche di Gn 2-3 . Oltre al parallelismo già visto dell' essere umano che lavora la terra, in tutti e due i testi abbiamo il mangiare del frutto di un albe­ ro o di una vite che provoca la scoperta della nudità. In Gn 2-3 gli occhi dell ' uomo e della donna si aprono sulla loro nudità; nel caso di Noè, prima i suoi occhi sono chiusi, e poi gli occhi di suo figlio si aprono sulla nudità di suo padre. In tutti e due i casi il "vedere" sfocia nel "conoscere". Possiamo

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definirla una conoscenza mediante svelamento o rivelazione. In entrambi i casi la nudità viene coperta da un altro: nel caso di Noè sono i suoi figli Sem e lafet che in seguito rivestono amorevolmente il padre con il mantello; nel caso dei primi esseri umani, è Dio a provvedere le tuniche. Peraltro, un pa­ rallelo molto azzeccato tra i due racconti è il ruolo svolto dal mediatore del­ la conoscenza. In Gn 3 è il serpente, in Gn 9,6 Cam. Tutti e due gli attori nel racconto hanno una conoscenza maggiore e parlano ad altri di questa cono­ scenza rivelatrice. Questo viene indicato dallo stesso verbo nagad, racconta­ re. La conseguenza è identica: in Gn 3, 1 6 i discendenti del serpente sono maledetti, come in 9,25 il discendente di Cam. n mediatore nella conoscen­ za, della conoscenza che rivela o della coscienza di essere nudi, viene colpi­ to dalla pena più grave . Solo che qui Canaan viene punito al posto di suo pa­ dre Cam. Come i discendenti del serpente sono condannati a restare assog­ gettati ai discendenti della donna, così Canaan e i suoi discendenti sono con­ dannati ad essere schiavi dei discendenti di Iafet e di Sem. Il racconto sulla nudità di Noè potrebbe riassumersi in una creazione rinnovata e in un' antica novella. Questo brano legittima la disparità tra gli esseri umani in quanto causata da una trasgressione di Cam. Vi ritroviamo echi del precedente rac­ conto del paradiso. Il "paradosso della caduta" dimostra che la trasgressione dell'essere umano rivela un progresso, ma anche la sensazione che contem­ poraneamente questo progresso comporta una perdita ed è stato possibile so­ lo grazie a una trasgressione di un comandamento divino. Questo viene rie­ cheggiato in Gn 9,1 8-29, in cui una lieve trasgressione deve spiegare la divi­ sione di esseri umani in popoli e le differenze etniche esistenti. La trasgres­ sione viene presentata come la motivazione di una esistente situazione in­ soddisfacente. Qui bisogno e trasgressione vanno a braccetto e, in tal manie­ ra, creano un alto tasso di ambiguità nel testo. Questa ambivalenza non può essere riduttivamente semplificata in modo univoco, anche se c ' è chi fin troppo spesso lo ha fatto per il racconto del paradiso e per quello di Noè e i suoi figli.

Noè e i suoi tre figli Nel corso della storia questo racconto ha fatto lievitare diverse interpreta­ zioni, nonché varie aggiunte tese a colmarne le lacune, ed è stato adattato al­ la sensibilità e alle esigenze dei lettori di ogni epoca. Spesso è stato letto in funzione di una legittimazione di determinate concezioni o ideologie. Il sen­ so del racconto ha subìto una semplificazione che collimava con il punto di vista dei vari interpreti, che non hanno tenuto conto dell' ambiguità del testo.

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La stessa riduzione interpretativa, come abbiamo visto, si è verificata nel corso dei secoli per il racconto del paradiso. Ora vedremo che la storia ha lasciato tracce di ampia portata neli' interpretazione del racconto di Noè e dei suoi tre figli. Nella genealogia di Gn 10 i discendenti di Cam sono presentati come Mitsrayim (Egitto), Cus (Etiopia), Put (Africa del Nord) e Canaan. Nel resto di Genesi e della Bibbia i Camiti vengono identificati con i Cananei e con gli abitanti del "sud", e più tardi soprattutto con la popolazione nera dell'A­ frica. Fin dagli albori del cristianesimo i Cristiani iniziarono a identificarsi nei discendenti di lafet. Possediamo attestazioni scritte sin dal primo Me­ dioevo (come nell' opera storica Historia Brittonum e negli scritti di Isidoro di Siviglia, entrambi del VII secolo d.C.), in cui i discendenti di Sem, Cam e lafet sono connessi ai gruppi etnici allora conosciuti sui tre continenti: gli a­ bitanti dell'Europa sono i discendenti di Iafet, gli abitanti dell' Africa risal­ gono a Cam, e le popolazioni del Medio Oriente discendono da Sem. I Cri­ stiani europei deducevano dalle benedizioni di Iafet in Gn 9,27 la certezza che Iafet occupava una posizione speciale nel mondo. Ne conseguiva, per gli Iafetiti, vale a dire per l' Europa cristiana, il dovere di portare la civilizza­ zione e il cristianesimo agli altri gruppi etnici. Il marchio che bollava i neri come Camiti era già iniziato prima, e il rac­ conto di Noè e i suoi tre figli venne strumentalizzato a tal fine. In questi testi medievali i Camiti vengono maledetti da Dio per bocca di Noè ! La faccenda era invece più difficile per i Semiti (termine ancora in voga oggi), dal mo­ mento che essi risultano espressamente benedetti dallo stesso Noè . Tuttavia, i Cristiani d' Europa a partire dall 'VIII secolo non ebbero remore. Poiché il Medio Oriente era stato conquistato dai Musulmani, anche i Semiti furono maledetti. Quasi tutti i Semiti erano diventati comunque Musulmani. Qui si faceva riferimento non tanto a Gn 9, ma soprattutto a Gn 2 1 , testo che narra l' espulsione di Agar e Ismaele. I Musulmani erano discendenti di Ismaele e pertanto anch' essi erano stati cacciati da Abramo. In questo modo "l' Arabo" era adeguatamente qualificato come un nemico. La faccenda era diversa per gli Ebrei. Anch'essi sono Semiti e vengono benedetti da Noè, ma nel loro caso si faceva riferimento a un altro testo: essi venivano stigmatizzati come "assassini" di Cristo e perciò interdetti. Così, in quanto discendenti di Iafet e latori del cristianesimo gli Europei erano gli unici che non dovevano mette­ re in dubbio l' importanza del loro rango e delle loro prerogative sulla terra. Il loro rapporto con altri popoli veniva alimentato e legittimato dalla loro in­ terpretazione di Gn 9, 1 8-29. Quella che era iniziata come l'interpretazione di un racconto per spiegare la posizione di un popolo nel mondo ebbe conseguenze di vasta portata. Do-

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po la "scoperta" dell 'America di Cristoforo Colombo nel 1492, cominciò la colonizzazione dell'America Centrale e del Sud da parte degli Spagnoli e Jei Portoghesi. Sorse il bisogno di manodopera per il lavoro nelle miniere e nelle piantagioni, e la prima mossa fu quella di importare schiavi neri dal­ l' Africa Occidentale. Il traffico degli schiavi crebbe e assunse proporzioni e­ normi. Per questo commercio di esseri umani che erano stati creati a imma­ gine di Dio venne cercata una giustificazione e la si trovò in Gn 9. La re­ sponsabilità morale di questi traffici umani, che molti popoli consideravano una necessità economica, richiedeva un'immagine negativa del "Nero". So­ lo in questa maniera gli Europei P