Fuori dalla retorica e dai revisionismi arbitrari e strumentali, il volume si interroga sul ruolo del Mezzogiorno nel fa
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Italian Pages 365 [385] Year 2013
Table of contents :
Copertina
Occhiello
Frontespizio
Colophon
Indice
Maria Marcella Rizzo, Introduzione
I. 150. L’anniversario: questioni aperte e prospettive di ricerca
Salvatore Lupo, Compleanno italiano
Marco Meriggi, Nord e Sud nell’unificazione italiana: una prospettiva transnazionale
Maria Marcella Rizzo, A proposito di Risorgimento e post-Risorgimento. Dal volontariato per la patria al servizio per lo Stato-nazione
II. Militanze e saperi. I linguaggi della partecipazione
Marco Leone, L’idea dell’Unità d’Italia nelle storie letterarie d’epoca moderna
Elisabetta Caroppo, Il mestiere e il tricolore. Artieri, bottegai, “popolani” salentini nel Risorgimento italiano
Daria De Donno, «Con l’Italia nel cuore». L’esperienza di un patriota mazziniano (Nicola Valletta, 1829-1915)
Luisa Cosi, Il linguaggio del sentimento. Musica, società e nazione(Beniamino Rossi, 1822-1881)
Antonio Lucio Giannone, Sigismondo Castromediano e la memorialistica risorgimentale
Lucio Galante, L’Unità nazionale nella pittura meridionale: Gioacchino Toma e Francesco Netti
III. Costruzione/dissoluzione. Una transizione difficile
Giancarlo Vallone, Originarietà dei poteri e costituzionalismo neoguelfo postunitario
Roberto Martucci, Il collasso delle Due Sicilie nel 1860: un caso di estinzione dello Stato
Antonio Fino, La Chiesa meridionale negli anni dell'unificazione. Qualche considerazione
Michele Romano, La nobiltà meridionale dai Borbone ai Savoia
Alessandro Laporta, Istituzioni culturali ed educazione nazionale: alle origini della «Biblioteca Castromediano»
IV. Celebrare per conoscere. Conoscere per appartenere
Francesco Mineccia, Fare gli italiani: la divulgazione della storia nazionale nel primo cinquantennio postunitario
Annalisa Pellegrino, La moda racconta: dalla nazionalizzazione dei costumi alla costruzione di un’identità italiana
Luigi Tomassini, L'editoria fotografica e la documentazione del patrimonio artistico italiano. La difficile "nazionalizzazione" fotografica del Mezzogiorno (1861-1911)
Vincenzo Cazzato, Il nuovo volto delle città: il caso Lecce
Rossana Basso, Dal Sud. Le celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità: consonanze e antinomie
Indice dei nomi
Tavole
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,QJHQHUDOHVHFLVLVRIIHUPDVXJOLRULHQWDPHQWLSROLWLFLGHOOHSLXPLOL ERUJKHVLHLPSOLFDWHQHOOHDWWLYLWjVRYYHUVLYH¿QRUDULFKLDPDWHODPDJJLRU parte propendeva, per lo meno dalle spie al momento a nostra disposizio- ne, per la Giovine Italia. Come ha scritto Michela Pastore, infatti, era il 25. Ibid., b. 232, processo 30, anno 1848, Dichiarazione di don Vincenzo Balsamo del 15 settembre 1848. 7UDO¶DOWURDOFXQLWHVWLPRQLULIHULYDQRFKHDO¿QHGLWHPSRUHJJLDUHHYLWDQGROH VROX]LRQLSLHVWUHPHJOLVWHVVLPHPEULGHO&RPLWDWRVLHUDQRDFFRUGDWLFRO5LFHYLWRUHSUR- vinciale a che non risultasse denaro in cassa;; quello stesso denaro che il popolo invece chie- GHYDGLQRQYHUVDUHSLD1DSROL©SHLWHPSLWULVWLLQFXLVLHUDHSHURYYLDUHDLELVRJQLGHOOD prov[inci]a». Ibid., Testimonianza di don Enrico Licci del 20 gennaio 1849. Sull’incapacità GHOPRYLPHQWROLEHUDOHLQ3XJOLDGLVDOGDUVLDOOHHVLJHQ]HGHJOLVWUDWLSRSRODULSLSRYHULFIU E. Vantaggiato, L’opposizione politica in Puglia, in Il 1848 in Puglia. Aspetti politici e so- ciali, a cura dell’Istituto di storia del Risorgimento (Comitato di Bari), Levante, Bari 1983, p. 89. Sui limiti del ’48 salentino cfr. inoltre le interessanti osservazioni di M. Proto, Aspetti e problemi del Risorgimento salentino-napoletano del 1848$UWH*UD¿FD*LDQJUHFR/HFFH 1961, pp. 183-195. 27. ASL, Gran Corte Criminale e Speciale di Terra d’Otranto, b. 232, processo 30, anno 1848, Dichiarazione di don Vincenzo Balsamo del 15 settembre 1848.
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mazzinianesimo a riscuotere il maggiore successo in Terra d’Otranto, dove non si parlava né di Gioberti né di Cavour, «perché qui il “Dio e Popolo” di Mazzini, le “Parole di un credente” di Lamennais accend[eva]no molto SLOHIDQWDVLHHJOLHPLJUDWLSXQWD>YD@QRVX0DOWD>«@SLYROHQWLHULFKH sul Piemonte».28 Il Piemonte, la Toscana, Marsiglia, Londra, la Turchia, la Tunisia, l’America rappresentavano senz’altro per molti esuli meridionali, in particolare del ’48, mete di rifugio, ma il grosso, fosse esso moderato o PD]]LQLDQRSUHIHULYDHPLJUDUHD0DOWDDPPLQLVWUDWDGDOJRYHUQRSLOLEH- UDOHGHOWHPSRHVHGHSLYLFLQDDOOD6LFLOLDQHOFDVRGLXQHYHQWXDOHULHQWUR29 La questione richiama una serie di considerazioni sul rapporto dei ceti subalterni locali con l’emigrazione nel Regno di Sardegna. Non si è rin- venuta traccia, tra le carte consultate a Torino e relative soprattutto agli emigrati politici in Piemonte, pur in presenza di numerosissimi artieri e “operai” provenienti da diverse parti d’Italia,30 della presenza di piccole borghesie locali;; gli unici salentini che si è riusciti a individuare sembre- rebbero appartenere alle élite della provincia, soprattutto a quelle intellet- tuali e della libera professione.31 28. M. Pastore, I processi politici della Gran Corte Criminale Speciale di Terra d’O- tran to dal 1821 al 1861, in «Studi salentini», 10 (1960), p. 322. Sull’ampia diffusione della propaganda mazziniana nel Mezzogiorno in generale cfr. M. Di Napoli, Mazzini e il Mez- zogiorno, in Il Mazzinianesimo nel Mezzogiorno e nella Terra d’Otranto, pp. 32-33. Sul rapporto, in particolare, del popolo con Mazzini cfr. Soldani, Il popolo dei mestieri, p. 80. 29. G. Falzone, L’emigrazione mazziniana meridionale nel decennio pre-unitario, La Nuova Goliardica, Palermo 1969, p. 53. 30. Sulla partecipazione popolare e non solo elitaria dell’emigrazione politica in Pie- mon te cfr. A. Galante Garrone, L’emigrazione politica italiana del Risorgimento, in «Ras- segna storica del Risorgimento», 41 (1954), 2/3, pp. 223-242 (in www.risorgimento.it/ rassegna, consultato il 29 settembre 2011). 31. Si è trovata traccia di Francesco Mandoy, Nicola Mignogna, Giuseppe Pisanelli, Francesco Trinchera, Raffaele Verdosci. Risulta anche un Liborio Romano riportato come PROIHWWDQR 8Q FHQVLPHQWR SL DPSOLR DQFKH VH QRQ HVDXVWLYR ± PROWL LQIDWWL SRWUHE- bero non aver chiesto sussidi – dell’emigrazione meridionale nel Regno sabaudo sarebbe possibile solo esaminando le oltre 20.000 schede del fondo Emigrati del Comitato cen- trale dell’emigrazione (inclusa la serie III, attualmente non disponibile alla consultazione). Tuttavia attraverso la schedatura di tutto il materiale relativo all’emigrazione del suddetto fondo Gabinetto, particolarmente utile per il recupero di dati sull’emigrazione di carattere politico (che spesso com’è noto non è chiaramente distinguibile da quella economica), in- trecciata con l’analisi dei volontari meridionali riportati nelle liste elaborate da Anna Maria Isastia e Bianca Montale, sono stati rinvenuti diversi nominativi di esuli meridionali, per un ammontare complessivo di circa 300 nomi, appositamente sistemati in un database in-
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Né d’altra parte risultano esponenti delle piccole borghesie salentine, PDPHULGLRQDOLSLLQJHQHUDOHQHOOH¿ODGHLYRORQWDULDUUXRODWLVLLQ3LH- monte durante la seconda guerra d’indipendenza, sia nell’esercito sardo, sia nel Corpo dei Cacciatori delle Alpi al seguito di Garibaldi;; assenza che si spiegherebbe, secondo Anna Maria Isastia, con una serie di motivazioni: dalla non ancora acquisita consapevolezza, per molti giovani del Sud, delle SURSULHGLI¿FLOLFRQGL]LRQLGLYLWDUDJLRQHGLXQDORURWDUGLYDHPLJUD]LRQH nel Regno di Sardegna;; alla maggiore presa, presso i “ceti medi” meridio- QDOLSLFKHGHL6DYRLDGL0XUDWYLVWRGDPROWLFRPHO¶XQLFRLQJUDGRGL salvare l’Italia;;32 DO UL¿XWR GD SDUWH GHOOR VWHVVR &DYRXU QHO WHQWDWLYR GL preservare una serie di equilibri sul piano della diplomazia internazionale, del coinvolgimento di volontari meridionali.33 &RP¶q QRWR OD VWRULRJUD¿D UHODWLYD DOO¶HPLJUD]LRQH PHULGLRQDOH QHO Regno di Sardegna, pur non tacendo i forti contrasti con gli esuli di orien- formatico. Cfr. Torino, Archivio di Stato (AST) (Sezione Corte), Ministero dell’Interno del Regno di Sardegna, Segreteria degli Interni di Torino (1863-1866), Gabinetto, mazzi 6, 13, 13bis, 17, 20, 24, 36, 18, 18 bis, 21 e 21bis;; A.M. Isastia, Il volontariato militare nel Risorgimento. La partecipazione alla guerra del 18598I¿FLRVWRULFRGHOOR6WDWR0DJJLRUH dell’Esercito, Roma 1990;; B. Montale, L’emigrazione politica in Genova ed in Liguria (1849-1859)6DEDWHOOL6DYRQD6XLSUREOHPLPHWRGRORJLFLFRQQHVVLDOODGLI¿FROWjGL distinguere chiaramente l’emigrazione politica da quella di altro genere cfr. Galante Gar- rone, L’emigrazione politica italiana, p. 230. Sull’utilità di predisporre dei database che mettano in relazione informazioni provenienti da fonti diverse cfr. A. Bernardello, Vite spezzate e contrasti ideali. Esuli veneziani negli Stati italiani ed europei (1849-1859), in «Società e storia», 120 (2008), pp. 253-254. 32. Quella di Isastia è dunque una visione che differisce dai consolidati studi di Alfon- so Scirocco, secondo il quale la presa del murattismo nel Mezzogiorno sarebbe stata pra- ticamente nulla. Nell’Italia meridionale, ha scritto infatti lo studioso, «il ricordo di Gioac- FKLQR0XUDWVLFROOHJDYDDO¿VFDOLVPRDOODFRVFUL]LRQHDOEULJDQWDJJLRHLSRFKLVXSHUVWLWL del Decennio negli anni Trenta erano entrati nell’orbita borbonica»: A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento, il Mulino, Bologna 1993, p. 374. 33. A fronte di numerosissimi volontari artieri, merciai, fabbri, calzolai, ecc. prove- nienti da diverse parti del paese (e in particolare dalla Toscana e dall’Emilia-Romagna) e in alcuni casi anche dall’estero, risultano pochissimi i meridionali arruolatisi in Piemonte nel 1859. Come precisa la stessa Isastia, il volontariato militare del 1859 non si limita a coloro FKHVLDUUXRODURQRLQ3LHPRQWHQHOOH¿ODGLFXLVRSUD7XWWDYLDFRVWRURSRVVRQRFRQVLGHUDUVL rappresentativi della totalità del fenomeno, soprattutto perché volontari «della prima ora» che si allontanarono da casa non solo o non tanto per motivazioni economiche, quanto per una precisa volontà di interagire, divenendone parte attiva, con una realtà nuova e in costruzione: Isastia, Il volontariato militare nel Risorgimento, pp. 5, 14, 25-27, 189-193, 201, 233, 263 e 272-273.
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tamento mazziniano, ha in genere evidenziato il grosso contributo fornito dagli esuli del Mezzogiorno agli sviluppi culturali e politici del Piemonte;; nello stesso tempo, essa ha posto l’accento sui numerosi aiuti forniti dal governo sardo agli esuli meridionali e sull’impegno costante del Piemonte liberale verso la diffusione del patriottismo tra gli emigrati del Sud Italia.34 ,QGDJDQGRSLDIRQGRSHUzHPHUJHXQTXDGURPROWRSLFRPSOHVVRGHOOD presenza dei meridionali nel Regno di Sardegna, non solo in relazione al ORURUDSSRUWRFRQOHDXWRULWjORFDOLHFRQOHFRPSRQHQWLSLPRGHUDWHPH- ULGLRQDOLOuSUHVHQWLPDDQFKHULVSHWWRDOOHGLI¿FLOLFRQGL]LRQLGLYLWDFKH molti emigrati dovettero affrontare.35 Si prenda il caso – ma gli esempi potrebbero essere tanti – di France- sco Trinchera, un professore di Ostuni. Maestro in un villaggio «dove il vivere costa assai caro», l’esule non sapeva a chi rivolgersi per recuperare i mezzi economici di sussistenza, soprattutto per effetto dello scoppio del colera. «Si volevano opere nuove, – scriveva Trinchera nel 1854 chiedendo sussidi alle autorità – ed io nel breve spazio di un anno ne ho messo fuori tre, cioè il corso di Economia politica, la Storia dell’Economia politica, ed il Catechismo economico-politico e tutte lodate e gradite. Si voleva la prova dello insegnamento;; e questo pure […] ha ottenuto un incontro supe- riore ad ogni aspettativa. Ebbene, dopo tutto questo, io mi trovo allo stesso SXQWRGLSULPD>«@3HUDOWULODYLDqVSDUVDGL¿RULSHUPHODWURYRVHPSUH LQJRPEUDGLPDOLWULEROLHGLVSLQHHSRFRSLSRFRPHQRPLDFFRUJRFKH il mondo è da per tutto lo stesso! Pazienza».36 6HGXQTXHGLI¿FLOLHUDQROHFRQGL]LRQLGLYLWDSHUPROWLHVXOLPHULGLR- QDOLSURYHQLHQWLGDJOLVWUDWLSLDOWLGHOODERUJKHVLDDQFRUGLSLORHUDQR SHUJOLHVSRQHQWLGHLFHWLSLXPLOL*OLDLXWLFRP¶qQRWRGRYHYDQRHVVHUH concessi da un Comitato centrale per l’emigrazione, con lo scopo di prov- 34. Cfr. in particolare A. Colombo, Emigrati meridionali a Torino, in «Rassegna sto- rica del Risorgimento», 17 (1930), pp. 257-264. 35. Come del resto ha evidenziato Ester De Fort relativamente alla presenza di molti esuli, anche non meridionali, nel Regno sabaudo. Cfr. a riguardo De Fort, Esuli, migranti, vagabondi, pp. 227-231, e Ead., Torino 1859: emigrazione politica e fermenti culturali, in Massoneria e Unità d’Italia. La Libera Muratoria e la costruzione della nazione, a cura di F. Conti, M. Novarino, il Mulino, Bologna 2011, pp. 73-77. 36. AST (Sezioni Riunite), Comitato centrale dell’emigrazione italiana, Emigrati, se- rie I, mazzo 69, Trinchera Francesco. Sul soggiorno piemontese di questo esule cfr. F. De Negri, Note sulla vita e l’opera di Francesco Trinchera, in La biblio teca, la città. L’attività di un anno (1996-1997), a cura di A. Minna, Congedo, Galatina 1998, pp. 132-137.
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vedere all’ingente folla di esuli giunti nel Regno dopo l’armistizio di Sa- lasco, e rimasto a lungo tempo sotto la direzione dell’abate Carlo Camero- ni.37 Ma non sempre le autorità locali si dimostravano aperte a fornire agli esuli, visti spesso come possibili «bricconi», il sussidio richiesto. Gli aiuti, infatti, dovevano essere accordati solo alla «vera ed onesta» emigrazione, distinguendo scrupolosamente i meritevoli effettivi da chi «avea fuggita la patria per indolenza di vita, o per azioni criminose».38 Né molto positiva era la lettura degli esuli politici meridionali data da Cameroni. «Nell’Italia meridionale – scriveva infatti l’abate nel 1856 al SULPRPLQLVWUR±LSDUWLWLSROLWLFLVRQRDQFRUDSHUFRVuGLUHLQJHUPH>«@ TXLQGLQRQVRQRDSSDUVLFROjFDUDWWHULSROLWLFLFRVuGHFLVLFRPHGDQRL(FFR SHUFKpDQFKHLPLJOLRULVSLULWLGHOPH]]RJLRUQRVRQRÀXWWXDQWLHSDVVDQR con gran rapidità da un pensiero ad un altro».39 Che poi per “effettiva” emigrazione si intendesse sostanzialmente solo quella liberalmoderata è facile da ipotizzare,40 visto anche che il grosso GHOOHDFFXVHGHOOHDXWRULWjORFDOLVLULYROJHYDSHUORSLDJOLHPLJUDWLDSSDU- WHQHQWLDOOHSLPLQXWHERUJKHVLHFKHDOODFDXVDVDEDXGDSUHIHULYDQRDS- punto, quella repubblicana. Non è un caso evidentemente che tra gli espulsi dal Regno di Sardegna o tra coloro ai quali era stato proposto l’internamen- WR¿JXUDVVHURPROWLGRPHVWLFLFRPPHVVLFDPHULHULWHVVLWRULHFFSURYH- 37. Per maggiori approfondimenti su questi aspetti, sull’attività del Comitato e sui carat- teri della documentazione ad esso relativa si rinvia a E. De Fort, Esuli in Piemonte nel Risor- JLPHQWR5LÀHVVLRQLVXGLXQDIRQWH, in «Rivista storica italiana», 115/2 (2003), qui p. 651. 38. «Tale fatica poi – scriveva l’abate Cameroni nel 1852 al segretario di Stato per gli DIIDULLQWHUQL±ULHVFHDVVDLGLI¿FLOHHGLVFDUVLULVXOWDWLTXDQGRVLSDUOLGHOO¶,WDOLD&HQWUDOH SLDQFRUDGHOO¶LQWHUR6WDWR5RPDQRFKHGLUzGHL1DSROHWDQLHGHL6LFXOL"3HUORQJRODVVR di tempo – proseguiva – […] e solo cucii qualche idea qua e là lasciata come codazzo di male azioni qui in paese: mi rivolgeva ai dichiaranti dei rispettivi Paesi, ma questi […] o per tema, o per debolezza, o per mancanza di coraggio civile, o per abbondanza di vanità FRLSRSRODQL>«@PLWUDHYDQRGDOODYLDIDFHQGRPLVPDUULUHLO¿ORDSSHQDUDFFROWRª$67 (Sezione Corte), Ministero dell’Interno del Regno di Sardegna, Segreteria degli Interni di Torino (1863-1866), Gabinetto, mazzo 6, Lettera di Carlo Cameroni del 16 dicembre 1852. 39. Ibid., mazzo 20, Lettera di Carlo Cameroni del 17 agosto 1856. &RVuDQFKHLQ*&DSSHOOLEmigrazione politica toscana in Piemonte nel decen- nio di preparazione, in «Rassegna storica toscana», 29/2 (1983), pp. 266 e 270-277. E che ci fossero contrasti forti tra Cameroni e i mazziniani meridionali esuli in Piemonte è cosa QRWDFRPHGLPRVWUDYDQRLGLI¿FLOLUDSSRUWLFRQOD¿ORPD]]LQLDQD6RFLHWjGHOO¶(PLJUD]LRQH delle Due Sicilie, nata nel 1850 con l’obiettivo di assicurare protezione e assistenza agli esuli politici, ma scioltasi poco dopo: G.B. Furiozzi, L’emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Olschki, Firenze 1979.
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nienti dal Mezzogiorno, molti dei quali indicati come ladri, violenti, oziosi, scrocconi, fomentatori di disordini, propensi a sparlare del governo.41 Né, d’altra parte, mancavano, presso la cosiddetta “buona” emigra- zione meridionale, sentimenti di ostilità e attività di “spionaggio” verso FRORURFKHHUDQRHVSDWULDWL©QRQPLFDSHURSLQLRQLSROLWLFKHEHQVuSHUGH- litti Comuni per furti, per omicidi, per ferimenti», provocando non di rado disordini e vendette di vario genere.42 Tornando sul Salento, a ridosso dell’Unità gli echi della spedizione dei Mille giungevano anche in Terra d’Otranto e ulteriori segnali della parte- cipazione delle piccole borghesie locali alla causa risorgimentale si riscon- travano anche in relazione all’arruolamento nell’esercito meridionale.43 Allo stato attuale della ricerca però mancano dati certi sul numero dei volontari salentini arruolatisi al seguito di Garibaldi, di cui le fonti forni- VFRQRLQIRUPD]LRQLVSHVVRGLVFRUGDQWL6HFLVLVRIIHUPDVXOOHSLSLFFROH borghesie, da una banca dati pubblicata di recente on-line dall’Archivio di Stato di Torino, si recuperano all’incirca una quarantina di nominati- vi, tra barbieri, ferrai, calzolai, fornai, sarti, falegnami, cocchieri, ecc.44 Un numero, questo, che comunque potrebbe essere destinato a crescere, VHVLFRQVLGHUDLOIDWWRFKHLGDWLLQHVVDLQVHULWLQRQVRQRGH¿QLWLYLHFKH DOWUHIRQWLSDUODQRGLSHUFHQWXDOLSLDOWHGLVDOHQWLQLDUUXRODWLVL45 Quanto 41. AST (Sezione Corte), Ministero dell’Interno del Regno di Sardegna, Segreteria degli Interni di Torino (1863-1866), Gabinetto, mazzo 8, Stato descrittivo degli Emigrati arrestati in seguito ai fatti di Sarzana;; ibid., mazzo 10bis, Elenco degli stranieri espulsi dagli Stati sardi nei mesi di febbraio e marzo 1853;; ibid., mazzo 13bis, Elenco di emigrati espulsi dai R. Stati dopo l’8 settembre 1853;; ibid., mazzo 18, Elenco degli individui dei quali si è ordinato o proposto l’internamento ovvero l’espulsione (s.d.). 42. Ibid., mazzo 18, Lettera di Francesco Tuccari del 15 febbraio 1853. 43. Su questi aspetti, e sull’incidenza della spedizione garibaldina sul passaggio in Puglia verso la soluzione unitaria, cfr. A. Scirocco, La crisi della monarchia borbonica e la spedizione di Garibaldi, in Garibaldi e la Puglia. Celebrazione del centenario 1882- 1982, a cura dell’Istituto per la storia del Risorgimento (Comitato di Bari), Bracciodieta, Bari 1985, pp. 39-43. Sul destino dell’esercito meridionale, che si sarebbe sciolto nel 1860 con decreto di Vittorio Emanuele del novembre nell’ambito di una strategia d’azione dei moderati verso l’Italia del Sud che puntava su elementi legati all’esercito regolare piuttosto che alle forze garibaldine, cfr. E. Cecchinato, Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 5. 44. Come emerge da un’analisi di tutti i volontari di Terra d’Otranto arruolatisi nel- l’eser cito meridionale e disponibili su www.garibaldini.eu, consultato il 20 luglio 2011. 45. Sulla base di due elenchi elaborati da una Commissione incaricata della distribu- zione di un sussidio di 50 lire ai superstiti garibaldini a causa delle loro pessime condizioni
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poi l’adesione del “popolo dei mestieri” alla causa garibaldina fosse ve- ramente ispirata da ragioni patriottiche e non piuttosto dalla penuria delle condizioni di vita e dalla speranza di ottenere qualche fonte di reddito LQ SL q GLI¿FLOH GLUOR FRQ FHUWH]]D 4XHOOR FKH q SRVVLELOH DIIHUPDUH DO momento è che nessuno degli artieri arruolatisi al seguito di Garibaldi era stato segnalato tra gli attendibili o aveva avuto un passato cospirativo in associazioni segrete. In ogni caso, da una serie di indizi emersi, e sulla base anche di quanto risulta dalle ricerche di Mario Spagnoletti sulla penetrazione del garibal- dinismo sociale e del radicalismo politico in Puglia,46 appare indubbia la forte presa di Garibaldi presso le masse salentine, e tra i giovani in partico- lare;; come dimostrava, ad esempio, una lettera carica di ardore patriottico e di sentimento quasi mistico-religioso scrittagli da una giovinetta di Fran- cavilla Fontana nel gennaio del ’62. «Sappiate, o Generale, – scriveva la ragazzina, – che ho un cuore che palpita d’amor patrio, e che sarei pronta a dare anche la vita per rendere l’Italia indipendente ed una, sotto lo scettro del Re Galantuomo, com’è il vostro simbolo. Il desiderio che ho di vedervi è ardentissimo, perché veggo in Voi il vero Cristiano, il Liberatore d[’]Ita- OLDO¶HVHPSLRSHUVRQL¿FDWRGHOODOLEHUWjª47 Del resto, come ha scritto Lucy Riall, a differenza di altri capi del movimento risorgimentale, «Garibaldi poteva essere considerato come un uomo “del popolo”: poco istruito, non UDI¿QDWRFRQXQ¶HGXFD]LRQHVHPSOLFHHXQPRGRGLIDUHPRGHVWR>(@>,@O IDWWRFKHDJLVVHVHQ]DFDOFROLQDVFRVWLIHFHVuFKHLOFXOWRSHUODVXDSHUVRQD VHPEUDVVHVSRQWDQHRHTXLQGLPROWRSLJHQXLQRHSRWHQWHª48 ,Q TXHVWR FRQWHVWR FDUWHOOL ³VHGL]LRVL´ DI¿VVL DFFDQWR DOOH ERWWHJKH stampe eversive, bottoni e altri oggetti tricolore esposti da venditori at- testavano la sensibilità degli artigiani e dei bottegai locali verso la causa nazionale.49 Nel 1860, poi, si registravano anche nel Salento dimostrazio- di vita e recuperati nel settimanale «La Provincia di Lecce» del 1908, ad esempio, il numero dei volontari salentini ammonta a 100, di cui 38 provenienti da Taranto e provincia, 32 da Brindisi e provincia e 30 da Lecce e provincia. «La Provincia di Lecce», 2 febbraio e 15 marzo 1908. 46. M. Spagnoletti, Tradizione garibaldina e correnti democratiche in Puglia. 1876- 1892, in Garibaldi e la Puglia, pp. 67-80. 47. «Il Cittadino leccese», 22 maggio 1862. 48. Riall, Garibaldi, p. XXVI. 49. ASL, Intendenza di Terra d’Otranto, Associazioni segrete e reati contro lo Stato, b. 35, fasc. 856, Gallipoli, anno 1860;; ibid., fasc. 868, anno 1860;; ibid., fasc. 869, anno 1860.
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QL SXEEOLFKH ¿ORXQLWDULH RUJDQL]]DWH GD GLYHUVL DUWLHUL50 Ancora nel ’62, stando almeno a quanto rilevato dalla testata locale moderata «Il Cittadino leccese», «numerosi popolani e artieri frammisti» avrebbero partecipato, GDL PDJJLRUL FHQWUL GHO 6DOHQWR DL FRPXQL SL UXUDOL DOOH JULGD GL ³9LYD Vittorio Emanuele Re d’Italia con Roma capitale” e “Abbasso il Papa Re”, al suono di musiche nazionali suonate dalle bande musicali e nelle strade traboccanti di bandiere tricolore.51 (FKHFLIRVVHSHUFRVuGLUHXQDWWDFFDPHQWRGHJOLDUWLJLDQLGHLGHW- WDJOLDQWLGHLSLPLQXWLFRPPHUFLDQWLVDOHQWLQLDOODFDXVDQD]LRQDOHqDW- testato anche dalla presenza di quadri «coi liberatori dell’Italia» nelle loro FDVH DQFRUD D ¿QH 2WWRFHQWR $VSHWWR TXHVWR SDUWLFRODUPHQWH LQWHUHV- sante, visto che si trattava in genere di gente umilissima le cui abitazioni VFDUVHJJLDYDQRDQFKHGHJOLHOHPHQWLSLHVVHQ]LDOLHLQFXLD³ULSHWHUVL´ era semmai solo il richiamo alla sacralità.52 Nel frattempo, centinaia di artigiani partecipavano a Lecce, nel 1860, a uno “strano” tumulto: uno dei diversi episodi di guerra civile che avreb- bero contrassegnato, nel Salento come in altre zone del Mezzogiorno, il passaggio dai Borbone ai Savoia.53 La rivolta, secondo le autorità, era stata sobillata da alcuni agitatori politici contrari al nuovo regime costituzionale di Francesco II, ma fatta passare come una protesta indotta dal caropane.54 50. Ibid., b. 36, fasc. 871, anno 1860, Lettera della Sotto-Intendenza di Brindisi all’In- WHQGHQWHGHOODSURYLQFLDGL/HFFHGHODJRVWR 51. «Il Cittadino leccese», 22 febbraio 1862. Sullo sviluppo dei tripudi nel Mezzo- giorno, riconosciuto anche da diverse fonti legittimiste, cfr. M. Meriggi, Gli antichi stati crollano, in Storia d’Italia. Annali 22, p. 559. 52. E. Caroppo, Sulle tracce delle “classi medie”. Espropri e fallimenti in Terra d’O- tran to, Congedo, Galatina 2008, p. 172. 53. Su questi aspetti cfr. A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi GHOO¶XQL¿FD]LRQH , Giuffrè, Milano 1963. Sugli episodi di guerra civile registrati nel Mezzogiorno negli ultimi anni di vita del Regno borbonico importanti risultano, tra i FRQWULEXWLSLUHFHQWLROWUHDTXHOOLJLjFLWDWLGL/XSRL’unità italiana, e di Meriggi, Nord H6XGQHOO¶XQL¿FD]LRQHLWDOLDQD, anche quelli di C. Pinto, &RQÀLWWRFLYLOHHJXHUUD nazionale nel Mezzogiorno, in «Meridiana», 69 (2011), pp. 171-200, e di M. Meriggi, Il Risorgimento rivisitato: un bilancio, in La costruzione dello Stato-nazione in Italia, a cura GL$5RFFXFFL9LHOOD5RPDSS6XOGLI¿FLOHUDSSRUWRFRQO¶$WWRVRYUDQRGHO 25 giugno 1860 cfr. le osservazioni di P. Macry, Miti del Risorgimento meridionale e morte dello Stato borbonico, in La costruzione dello Stato-nazione, pp. 84-86. $GLUHGHOOHDXWRULWjVLWUDWWDYDGL¿JXUHFRQWURYHUVHGDPROWLRUDGH¿QLWH³UHD zionarie” e molte delle quali antiborboniche in passato. Alcuni, come dell’Antoglietta, ave- vano partecipato alla rivoluzione del ’48, e per questo erano considerati capaci di far presa
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Ad ogni modo, indipendentemente da quello che riportavano le autorità, LOSRSROR±LQGLFDWRDQFKHLQTXHVWRFDVRFRPHQRQSLFKHXQDEHVWLDOH «ciur maglia» – si era ribellato gridando «Viva il re, abbasso la Costituzio- ne», sulla base molto probabilmente di contingenze economiche,55 e forse DQFKHGLID]LRVLWjSROLWLFKHORFDOLFRPXQTXHSLIRUWLGLTXDOVLDVLDVSLUD- zione patriottica o istanza di libertà. Concludendo, il rapporto delle piccole borghesie salentine con il Ri- VRUJLPHQWR LWDOLDQR VL FRQ¿JXUD FRPH XQ IHQRPHQR PROWR FRPSOHVVR H articolato, non esclusivamente elitario, né esclusivamente di massa, né allo VWHVVR WHPSR SULYR GL DVSHWWL FRQWURYHUVL H SHU FRVu GLUH FRQWUDGGLWWRUL Innegabile risulta il contributo di questi gruppi sociali alla causa patriot- tica, e in questo senso appaiono non condivisibili le tesi di un’indifferenza SROLWLFD DO 5LVRUJLPHQWR GHL FHWL SL XPLOL PHULGLRQDOL56 sul piano degli orientamenti politici, in particolare, sembrerebbe prevalere una maggiore propensione verso l’ideale repubblicano. Nello stesso tempo, risulta neces- sario, riprendendo le sollecitazioni espresse a suo tempo da Simonetta 6ROGDQLLQGDJDUHSLDIRQGRVXOOHHIIHWWLYHUDJLRQLFKHSRUWDURQRTXHVWL VXO SRSROR ,QWHUHVVDQWH TXDQWR VL GLFKLDUDYD SHU GH 5DKR ©XQ LQGLYLGXR LQGH¿QLELOH H quantunque con facilità si rendesse popolare, con la stessa facilità ritorna sul suo tipo ari- VWRFUDWLFRSHUFXLqYDOXWDWRSHUXQXRPRGLQLXQDLQÀXHQ]DVXOOHPDVVHGHOSRSRORª8Q «tipo volubile», in altri termini, «senza un partito preciso ma ora con uno, ora con l’altro»: ASL, Gran Corte Criminale e Speciale di Terra d’Otranto, b. 280, processo 293, anno 1860, Testimonianze varie. 6LJQL¿FDWLYH OH SDUROH ULSRUWDWH GD XQ WHVWLPRQH LO TXDOH ULIHULYD FKH LO JLRUQR SULPDGHOODULYROWDVHQWuDOOD¿QHVWUDXQDYRFHFKHGLFHYD©&RPSDUHLRPLKRDI¿OLDWRsic) il curtitrizzo (che si spiega coltello da beccaro) perché domani dobbiamo fare un serra serra a motivo che i Signori avendo avuta la costituzione a modo loro, ci vogliono far morire di fame, e noi dobbiamo fare a modo nostro. Quel compare […] rispose: Facciamoci il fatto nostro, io mi ho approntata (sic) la canna per andare ad imbiancare e perciò amo di fatigare;; […] [L’altro cercava di convincerlo ad aderire al moto] perché il grano da diciotto carlini lo KDQQRDO]DWR¿QRDFDUOLQLYHQWLTXDWWURªIbid., Testimonianza di don Basilio Capone del 23 OXJOLR6XLWXPXOWLGHLFHWLVXEDOWHUQLVFRSSLDWLSLLQJHQHUDOHLQWXWWRLO0H]]RJLRUQR DFDXVDGHOOHGLI¿FLOLFRQGL]LRQLGLYLWDQRQVRORQHOPDJLjGDOFIULQSDUWLFR- lare D. Demarco, Il crollo del Regno delle Due Sicilie, 1: La struttura sociale3ROLJUD¿FD & Cartavalori, Portici 1966, pp. 93-94, 170-176 e 179. 56. Come invece sostenuto in G. Masi, La partecipazione della Puglia alla rivolu- zione liberale unitaria, in «Archivio storico per le province napoletane», 40/79 (1961), in particolare pp. 140-141, e in M. Montesano, Partiti politici e plebiscito a Napoli e nel- le province napoletane nel 1860, in «Archivio storico per le province napoletane», 4/83 (1965), pp. 95-96.
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gruppi a «contribu[ire] […] a delineare un programma di “risorgimento” che potesse coagulare e far proprie esigenze e rivendicazioni di vario tipo e provenienza»;;57 o sui sistemi con cui le idee penetravano nelle comunità lo- cali e sulle modalità attraverso le quali le élite si rapportavano al popolo.58 *OLVWXGLGLFDVRFRPHGHOUHVWRODVWRULRJUD¿DSLUHFHQWHVWDPHWWHQGRLQ HYLGHQ]DSRWUDQQRLQWDOVHQVRGLUHGLSL
57. S. Soldani, Contadini, operai e “popolo” nella rivoluzione del 1848-49 in Italia, in «Studi storici», 2 (1973), pp. 565-566 (citazione a p. 566). 58. E. Francia, Provincializzare la rivoluzione. Il Quarantotto “subalterno” in Tosca- na, in «Società e storia», 116 (2007), pp. 293-309.
DARIA DE DONNO «Con l’Italia nel cuore». L’esperienza di un patriota mazziniano (Nicola Valletta, 1829-1915)
Nell’ultimo decennio si è andato consolidando nel dibattito storiogra- ¿FRVXO5LVRUJLPHQWRLWDOLDQRXQ¿ORQHGLULFHUFKHFKHKDGHGLFDWRDWWHQ]LR- ne alla sfera emozionale, alla relazione tra spinta sentimentale/passionale e opzioni ideologico-politiche, offrendo, nell’ambito del recente panorama di studi sui risorgimenti transnazionali, prospettive di lettura che hanno l’obiettivo di dare voce alla “pluralità delle storie” che hanno contribuito alla costruzione dello Stato nazionale.1 'DTXHVWLLQSXWLQWHUSUHWDWLYLqQDWRO¶LQWHUHVVHSHUORVWXGLRGHOOD¿JX- ra di un patriota salentino di orientamento mazziniano, Nicola Valletta, la cui vicenda (poco conosciuta) può rappresentare, lungo le traiettorie di una esperienza individuale, un tassello per tentare di delineare il ruolo svolto nel contesto del Mezzogiorno borbonico da tanti “piccoli cospiratori”, per OR SL JLRYDQL LQ ORWWD ³FRO IXFLOH OD SHQQD OH LGHH´ DQLPDWL GD DPSLH aspettative ed entusiasticamente disponibili all’azione politica. Nel caso in questione, siamo di fronte al percorso di un giovane stu- dente che fa delle scelte: aderisce a un sistema di valori “eversivi”, si con- fronta sul terreno delle correnti politiche, condivide un progetto di cambia- mento che diviene al tempo stesso politico e privato. Dunque partecipa. Ed qSURSULRO¶DWWRGHOOD³VFHOWD´DRIIULUHOHSULPHVLJQL¿FDWLYHVXJJHVWLRQL ,QGXEELDPHQWH OD V¿GD q LPSHJQDWLYD 6L WUDWWD GL VHJXLUH OH WUDFFH lasciate da uomini e da donne che vivono una stagione di forte fermento e di grande inquietudine socio-politica, di individui che si mettono in gioco, 1. Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, Ei- naudi, Torino 2007, p. XXIII;; Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini, a cura di A.M. Banti, Laterza, Roma-Bari 2010.
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rischiano, affrontano disagi, persecuzioni, detenzioni e spesso vanno con- sapevolmente incontro alla morte. Queste coordinate, che intanto permettono di leggere il Risorgimen to QRQSLFRPHXQIHQRPHQRG¶pOLWHPDFRPHXQ³PRYLPHQWRULYROX]LRQDULR´2 a larga partecipazione, stimolano a indagare sulla varietà di percorsi, di si- tuazioni, di rapporti di migliaia di persone che si mobilitano alla luce di un sentimento che produce una sorta di we sense fatto di opzioni culturali e politiche, di assunzioni di responsabilità, ma anche di «affetti, complicità e solidarietà».3 Ferma restando l’irrinunciabilità degli aspetti legati alla politica, all’eco- nomia, alle dinamiche sociali, tale chiave di lettura, aprendo nuove piste e SURSRQHQGRDOWULLQWHUURJDWLYLVWRULRJUD¿FLLQYLWDDWHQHUHLQFRQWRLSLOL- velli della partecipazione e del protagonismo, a considerare le molte articola- zioni dei movimenti sociali e politici, a rivalutare esperienze ritenute margi- nali attraverso una europeizzazione (o mondializzazione) delle prospettive.4 &RQ SL HYLGHQ]D SHU LO 0H]]RJLRUQR SHU LO TXDOH O¶HVWHQVLRQH GHO IHQRPHQR ULVSHWWR DOOD VXD SL YROWH ULFKLDPDWD ³HFFH]LRQDOLWj´ VL FDULFD di nuove valenze. Lavori e saggi recenti, costruiti su solide ricerche d’ar- chivio, hanno riportato all’attenzione la dimensione internazionale delle rivoluzioni risorgimentali5 anche per quanto riguarda il Meridione d’Italia, dove la circolazione delle idee e la formazione di una opinione pubblica avvertita sono il terreno preparatorio di una estesa e ben organizzata rete clandestina (liberale e democratica), in grado di attivare sistemi relazionali orizzontali e verticali, tra l’Europa e Napoli, tra Napoli e le aree regionali, i comitati provinciali, i circoli locali.6 2. Sull’opportunità di richiamare in causa il termine “rivoluzione” (insieme all’espres- sione “guerra civile”) si veda il saggio di S. Lupo, /¶XQL¿FD]LRQHLWDOLDQD0H]]RJLRUQR rivoluzione, guerra civile, Donzelli, Roma 2011. 3. D. Maldini Chiarito, Le emozioni del Risorgimento, in «Passato e Presente», 75 (2008), pp. 18-24;; Storia d’Italia. Annali 22, pp. XXIII-XXIV;; Politica ed emozioni nella storia d’Italia, a cura di P. Morris, F. Ricatti, M. Seymour, Viella, Roma 2012. 4. L’invito per gli storici a “pensare europeo” spostando la storia dal piccolo contesto QD]LRQDOHDOSLJUDQGHSDQRUDPDHXURSHRqYHQXWRLQSDUWLFRODUHGD0DULXFFLD6DOYDWLFIU La storia contemporanea oggi e i dilemmi posti dall’insegnamento, in «Contemporanea», 4 SS3HUOHULÀHVVLRQLVXOO¶DSSURFFLRWUDQVQD]LRQDOHVLULQYLDD/'L)LRUH M. Meriggi, World History. Le nuove rotte della storia, Laterza, Roma-Bari 2011. 5. M. Isabella, Il movimento risorgimentale in un contesto globale, in La costruzione dello Stato-nazione in Italia, a cura di A. Roccucci, Viella, Roma 2012, pp. 87-107. 6. G. Barone, Quando crolla lo Stato e non nasce la nazione, in La costruzione dello Stato-nazione, pp. 255-258.
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Il reticolo cospirativo e clandestino si giova, inoltre, di un altro impor- tante, strategico fattore, quello del volontariato non solo politico ma anche militare che coinvolge uomini, donne, talvolta intere famiglie e che divie- QHVXOSLDQRVWRULRJUD¿FRXQWHPDLPSUHVFLQGLELOHSHULQWHUSUHWDUHO¶HWj delle “rivoluzioni patriottiche” ottocentesche nell’ambito di un orizzonte transnazionale e cosmopolita.7 È nel solco delle spie appena richiamate che mi sembra acquisisca si- JQL¿FDWRLOYLVVXWRGLXQDJLRYHQWFKHDEEUDFFLDODFDXVDODULFRVWUX]LRQH GHLSUR¿OLELRJUD¿FLGLLQGLYLGXLLFXLGHVWLQLVLLQFURFLDQRLQYHULHSURSUL circuiti di “fratellanza politica” e si saldano nella rete dell’impegno.8 Il primo passo è quello di partire da les recits de vie perché solo in que- sto modo – a mio giudizio – si può tentare di cogliere dimensioni spesso sfuggenti, di comprendere in che modo si formano e maturano mentalità, posizioni e stati d’animo, dando anche rilevanza al ruolo delle emozioni nel destino di una nazione. La vicenda del mazziniano Nicola Valletta può rappresentare, quindi, da questo punto di vista, uno spaccato interessante: la sua è una storia di passione, di coraggio, di azione, ma anche di persecuzioni, di sofferenze, GLSRYHUWj6LWUDWWDSHUDOWURGLXQSDWULRWDFKHVXSHUDDQDJUD¿FDPHQWHOD “stagione degli eroi”. Egli non diviene un martire, la sua non è memoria rievocata di chi ha vissuto “per un attimo eterno”. Valletta muore molto an- ziano nella sua casa. Attraversa, quindi, tutto il cinquantennio postunitario, divenendo protagonista della intensa stagione della trasmissione dei valori risorgimentali.9 Nel privato, ha una famiglia, svolge un lavoro, si confronta con la quotidianità della comunità di provincia. 3HUDOFXQHULÀHVVLRQLVLULPDQGDDOVDJJLRGL,VDEHOODIl movimento risorgimentale, SS,OWHPDGHOYRORQWDULDWRPLOLWDUHqVWDWRDIIURQWDWRSLGLUHFHQWHGD(&HFFKL- nato, M. Isnenghi, La nazione volontaria, in Storia d’Italia. Annali 22, pp. 697-720. /HULÀHVVLRQLLQSURSRVLWRKDQQRLQVLVWLWRLQSDUWLFRODUHVXOODSUHVHQ]DHVXOUXROR delle giovani generazioni negli organismi settari ottocenteschi, che affondano le radici nella rivoluzione francese e che maturano nel primo Ottocento in quei movimenti politici (come la stessa Giovine Italia) che tendono a reclutare militanti di giovane età. Basti pensare al SURJHWWRGL0D]]LQLGLDI¿GDUHDXQD©association des intelligences» delle nuove genera- zioni il compito di guidare il moto democratico europeo. Cfr. F. Della Peruta, I “giovani” del Risorgimento, in Il mondo giovanile in Italia tra Ottocento e Novecento, a cura di A. Varni, il Mulino, Bologna 1998, pp. 51-52;; A. Arisi Rota, I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani, il Mulino, Bologna 2010, p. 12. 9. Su questo tema cfr. R. Balzani, Le generazioni del Risorgimento, in Rileggere l’Ot- tocento. Risorgimento e nazione, a cura di M.L. Betri, Carocci, Torino 2010, pp. 33-40.
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Come ho detto, momento determinante è quello della “scelta”, che SDUWH GD SL ORQWDQR H FKH DSUH O¶LQWHUURJDWLYR GHO FRPH H GHO SHUFKp VL diventa “patrioti”. Certamente, i primi riferimenti sono il modello familiare, l’estrazione socio-economica, la formazione culturale, gli ambienti dell’apprendistato politico, gli spazi della circolazione delle idee. Nella maggior parte dei casi, però, le fonti che possono aiutare a conoscere il vissuto della famiglia e dei singoli dal punto di vista dell’educazione patriottica rimangono anco- ra scarse e poco generose di informazioni.10 Nella ricerca che propongo, infatti, si può procedere soltanto per in- dizi, per sparute tracce, per possibili ipotesi interpretative a causa dell’esi- guità delle documentazioni (almeno allo stato attuale dell’indagine), nono- stante l’opportunità che ho avuto di ricorrere ad alcune carte private (molto poche in verità) conservate dalla mia famiglia. D’altra parte in riferimento agli studi sul Risorgimento salentino, già nel 1914 Maria Del Bene nel suo lavoro su I mazziniani in Terra d’Otranto denunciava come la mancanza di testimonianze abbia lasciato per quella stagione «molti fatti oscuri, altri poco illuminati, altri assolutamente ignoti».11 Nicola Valletta nasce a Lecce l’8 marzo del 1829 da un’agiata famiglia della borghesia urbana leccese.12 Il padre Raffaele è censito come proprie- tario, mentre della madre Raffaela Tursani le carte non offrono notizie. 1LFRODqLOTXLQWRGLVHWWH¿JOLLOTXDUWRGHLPDVFKL Quando il padre muore, presumibilmente tra il 1845 e il 1848,13 Ni- cola si trova costretto a lavorare insieme al fratello Oronzo, maggiore di WUHDQQLFRPHFRPSRVLWRUHQHOODWLSRJUD¿DGHOO¶,QWHQGHQ]DGL/HFFHJH- stita dal napoletano Francesco Del Vecchio.14 È questo il luogo dove pre- 10. Su tale problematica si rimanda a G. Vecchio, La famiglia, in Patrioti si diventa. Luoghi e linguaggi di pedagogia patriottica nell’Italia unita, a cura di A. Arisi Rota, M. Ferrari, M. Morandi, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 25-42. 11. M. Del Bene, I mazziniani in Terra d’Otranto, Guido, Lecce 1914, 1, p. 5. Anche nel caso di Nicola Valletta sembrano prevalere gli oblii, le assenze, le lacune documentarie. 1LFROD9DOOHWWD¿JOLRGL5DIIDHOHLQGLFDWRFRPHSURSULHWDULRGL/HFFHHGL5DIIDHOD 7XUVDQLqLOTXLQWRGLVHWWH¿JOL2URQ]R/XLJLQDWRQHOJHQQDLRGHO2URQ]D5DFKHOD (luglio 1821);; Giuseppe Oronzo (ottobre 1823);; Isabella Francesca (settembre 1825);; Oron- zo (agosto 1826);; Oronzo Francesco Paolo (agosto 1831);; Oronzo Gaetano (luglio 1835). &IU/HFFH$UFKLYLR6WRULFRGHO&RPXQH$6&/ 5HJLVWULDQDJUD¿FLHGL6WDWRFLYLOH 13. Nei Registri dei morti conservati presso l’Archivio storico del Comune di Lecce non vi è cenno alla morte di Raffaele Valletta. 14. «Quel Francesco Del Vecchio – riferisce Pietro Palumbo – venuto da Napoli per
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sumibilmente comincia l’avvicinamento alla politica del giovane studente leccese e dove matura il suo orientamento mazziniano, probabilmente già stimolato dal fratello maggiore (anch’egli coinvolto in accuse di propa- JDQGDDQWLJRYHUQDWLYD HFRQVROLGDWRDWWUDYHUVRO¶DI¿OLD]LRQHDOOD*LRYLQH ,WDOLD/¶DPELHQWHGHOODWLSRJUD¿DGHOO¶,QWHQGHQ]DGRYHFLUFRODQRRSXVFR- li, libri, manoscritti e dove si stampano clandestinamente fogli di matrice liberale (come gli atti del Comitato di sicurezza pubblica e del Circolo patriottico),15 diviene il microcosmo nel quale si apre la possibilità di acco- starsi a determinate idee patriottiche di “ribellione”. D’altronde, nella se- conda metà degli anni Quaranta anche a Lecce si diffondono circoli, caffè, ritrovi clandestini (farmacie, orologerie, cartolerie, botteghe…) frequentati dai “patrioti” salentini.16 Alcune testimonianze secondarie riferiscono di un coinvolgimento del Valletta nelle agitazioni del 1848 leccese.17 Il suo nome si incontra nelle carte dei processi soltanto nel 1849, quando è denunciato e accusato (in- sieme al fratello Oronzo)18 GDOOD PRJOLH GHO WLWRODUH GHOOD WLSRJUD¿D 'HO Vecchio di «deformazione del ritratto di Sua maestà il Re […] per solo oggetto di disprezzo […] e di discorso tendente a spargere il malcontento contro il Governo».19 Dopo un periodo di detenzione nel carcere di Lecce GLULJHUHODWLSRJUD¿DGHOO¶,QWHQGHQ]D(JOLIXLQVLHPHODVSLDHLOUHIHUHQGDULRGHOPRYL- mento liberale della città». Cfr. P. Palumbo, Risorgimento Salentino (1799-1860), G. Mar- tello, Lecce 1911 (nuova ed. 1968), p. 489. 15. Id., Processi minimi (1849-50), in «Rivista Storica Salentina», 2 (1905), p. 431. 16. Id., Il Caffè Persico ed altri ritrovi patriottici leccesi (Epoca borbonica), Tip. ed. leccese E. Bortone e Comp., Lecce 1909. 17. T. Pellegrino, Nicola Valletta, in Il Salento nell’epopea risorgimentale, a cura di T. Pellegrino, Ed. Salentine, Galatina 1961, pp. 75-76. 18. Nell’ottobre del 1850, nel corso dei processi politici istruiti nei confronti di coloro ritenuti coinvolti nelle dimostrazioni del 1848, troviamo tra i testimoni «messi in esperi- mento» e poi chiamati dal deputato Carlo D’Arpe «per la repulsa di Francesco Del Vec- chio» anche il fratello maggiore di Nicola Valletta, Oronzo, il quale sostiene, con altri, di essere stato istigato «da Del Vecchio a dire che D’Arpe gli avesse portato la protesta da stampare». Cfr. M. Scardia, Un diario di carcere di Sigismondo Castromediano, in «Rina- scenza salentina», 3 (1934), p. 203. Sul processo si veda Decisione profferita dalla Gran Corte Speciale della Provincia di Terra d’Otranto il 2 dicembre 1850 nella causa dei reati politici di Lecce, Manduria, Sava ecc.6WDELOLPHQWRWLSRJUD¿FRGL)UDQFHVFR'HO9HFFKLR Lecce 1851, pp. 74-87. 1HOODGHQXQFLDDYDQ]DWDGDOODPRJOLHGHOWLWRODUHGHOODWLSRJUD¿DVLOHJJHFKHJOL accusati avrebbero affermato «che fra non molto avrebbero avuto fra le mani la testa del ti- ranno, e l’avrebbero innalzato sopra di un’asta;; l’avrebbero pomposamente, preceduti dalla
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qVFDUFHUDWR©¿QR±FRPHVLOHJJHQHOODVHQWHQ]D±DOODVRSUDYYHQLHQ]DGL nuovi lumi».20 Questo episodio è importante poiché rappresenta un primo momento di passaggio, uno spartiacque rispetto alle opzioni di vita che porteranno il giovane Valletta per molti anni lontano dalla sua città e dalla famiglia. Tra il 1850 e il 1851 si arruola nell’esercito borbonico con l’obiettivo HLOFRPSLWRGLGLIIRQGHUHJOLLGHDOLPD]]LQLDQLWUDOH¿ODGHLVROGDWLUHJL Conquistato il grado di sergente, riesce in breve tempo a stringere opportu- QHUHOD]LRQLFRQDOWULFRPPLOLWRQLDI¿OLDWLDOOD*LRYLQH,WDOLDPDQWHQHQGR attivi i contatti da un lato con il Comitato rivoluzionario napoletano che faceva capo in quegli anni prima al pugliese Nicola Mignogna (arrestato nel 1855) e successivamente a Giuseppe Fanelli di Martina;; dall’altro con il Comitato salentino per tramite del fratello rimasto a Lecce.21 È in questo periodo, infatti, che egli si fa promotore di un moto di ribellione interno all’esercito che si concluderà tragicamente, a causa della scarsa preparazione e delle esigue risorse, con il fallito regicidio per mano di Agesilao Milano.22 Valletta, accusato di complicità, è processato, rin- chiuso nel carcere di Castel dell’Ovo a Napoli e poi relegato nell’isola di Ponza insieme a moltissimi detenuti comuni.23 Banda Musicale, girata pel paese, in mostra del loro trionfo». Cfr. Lecce, Archivio di Stato (ASL), Intendenza di Terra d’Otranto, Gran Corte Criminale di Terra d’Otranto, Polizia, b. 27, fasc. 680 a e b, 1850-1852. 20. ASL, Intendenza di Terra d’Otranto, Gran Corte Criminale di Terra d’Otranto, b. 27, fasc. 680b. 21. Ne sono testimonianza alcune lettere spedite al fratello Oronzo tra il 1852 e il 1856 e sequestrate in seguito dalla polizia nell’ambito del processo che Valletta subirà per la par- tecipazione alla spedizione di Sapri. I contenuti di alcune missive ritenute compromettenti si apprendono per testimonianza indiretta dagli atti del processo, poiché l’intero fascicolo che le conteneva unitamente ad altri documenti è andato perduto. Cfr. Salerno, Archivio di Stato (ASS), Gran Corte Criminale, Processi politici, b. 217, vol. 6;; b. 218, vol. 13. 22. Notizie sulla relazione amicale tra Valletta e Milano si trovano nella voce dedicata al patriota leccese da Angelo De Gubernatis, che indica Nicola Valletta come «patriote italien des Poulles, ancien compagnon d’Agesilao Milano et de Carlo Pisacane, ensuite garibaldien». Cfr. Dictionaire international des écrivains du monde latin par Angelo De Gubernatis, Quatrième partie, Roma-Firenze 1906, p. 1435. 23. Sui mesi di prigionia nell’isola di Ponza le documentazioni sono inesistenti. Infatti non ho trovato traccia del nostro nelle carte conservate presso l’Archivio di Stato di Latina (Giudicato circondariale e mandamentale di Ponza, sezioni «Imputati e querelanti» e «Man- GDWL GL DUUHVWR H VFDUFHUD]LRQLª 3L SUROL¿FD GL ULVXOWDWL q OD PHPRULDOLVWLFD ULJXDUGDQWH la ricostruzione dell’impresa di Pisacane e del suo sbarco nell’isola dove tra i prigionieri
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Anche a Ponza, come la puntuale ricostruzione di Leopoldo Cassese ha messo in luce, la rete settaria di orientamento mazziniano continua a essere in fermento, grazie alle relazioni segrete che alcuni detenuti politi- ci riescono a tessere con gli organizzatori della spedizione capeggiata da Carlo Pisacane, che aveva come obiettivo la liberazione del Mezzogiorno. Sulle drammatiche vicende che hanno caratterizzato la sfortunata ini- ziativa non è il caso di soffermarsi.24 Va ricordato, però, che si è trattato GLXQ¶LQVXUUH]LRQHUDSLGDPDFDULFDGLVLJQL¿FDWLDQFKHSHULOIDWWRFKH± come ricorda Carmine Pinto – «si collocò nel momento di passaggio tra la UHD]LRQHERUERQLFDHODFULVL¿QDOHGHO5HJQRªUDSSUHVHQWDQGR©O¶XOWLPR importante evento di quel decennio».25 Tutto si compie in pochissimi giorni, tra il 25 giugno 1857, quando ventuno patrioti si imbarcano sul Cagliari al seguito di Pisacane e Nicote- UDHLOOXJOLRLOJLRUQRGHOO¶©DOEDWUDJLFDGL6DQ]DªTXDQGRODPDJJLRU parte dei «trecento, […] giovani e forti» trova la morte o viene deportata nei bagni penali. Questo rappresenta un ulteriore momento in cui acquisiscono peso le scelte individuali rispetto a quel passaggio – come ha scritto Paul Ginsborg – dall’io alla nazione attraverso l’amore e la passione.26 Nicola Valletta decide ancora una volta consapevolmente di partecipare a un’impresa rivo- luzionaria, anche se ciò può voler dire non solo perdere di nuovo la libertà ma anche la vita. Com’è noto, degli oltre trecento detenuti che si aggregano alla spedi- zione, la maggior parte sono prigionieri comuni che vedono nel Cagliari la possibilità di ritornare dalle proprie famiglie. I sottoposti a sorveglianza politici si trova anche Nicola Valletta di Lecce. I nomi sono in ASS, Indice alfabetico de’ documenti di rito, estratti per tutti i giudicabili per gli avvenimenti di Ponza e Sapri, busta 215, vol. 9. Sulla spedizione di Sapri cfr. L. Cassese, La spedizione di Sapri, Laterza, Bari 1969, p. 43. 24. Negli ultimi decenni sono usciti interessanti lavori sull’argomento, con particolare DWWHQ]LRQHDOOD¿JXUDGL3LVDFDQH))XVFRCarlo Pisacane e la Spedizione di Sapri, Gal- zerano, Casalvelino 2007;; L. Russi, Carlo Pisacane: vita e pensiero di un rivoluzionario senza rivoluzione, ESI, Napoli 2007;; 7UDSHQVLHURHD]LRQHXQDELRJUD¿DSROLWLFDGL&DUOR Pisacane, a cura di C. Pinto, L. Rossi, Plectica, Salerno 2010. Per le interpretazioni sto- ULRJUD¿FKHVXOODVSHGL]LRQHVLYHGD&3LQWR&RQÀLWWRFLYLOHHJXHUUDQD]LRQDOHQHO Mezzogiorno, in «Meridiana», 69 (2010), pp. 171-200. 25. Ibid., pp. 173-175. 26. P. Ginsborg, Romanticismo e Risorgimento. L’io, l’amore e la passione, in Storia d’Italia. Annali 22, pp. 5-67.
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per condotta politica, in numero di gran lunga inferiore, sono i primi ad associarsi ai rivoltosi. Tra di essi Nicola Valletta,27 indicato nei documenti tra coloro che a Ponza avevano dato vita a una setta di «mazziniani cospi- ranti tutti ad una ribellione contro il governo» attraverso «una sollevazione generale del Regno che doveva principiare da uno sbarco di emigrati riuniti in Piemonte e nel Genovesato».28 Il suo coinvolgimento è avvalorato anche dal fatto che egli viene in- vestito da Carlo Pisacane del ruolo di capitano della seconda Compagnia,29 in armi e in prima linea al momento dello sbarco a Sapri. Lo scontro tra gli uomini di Pisacane e la gendarmeria coadiuvata dalla Guardia urbana borbonica, che si svolge tra Padula e Sanza, si risolve con un vero e proprio massacro al quale prendono parte anche molti civili del paese.30 In un’intervista rilasciata nel 1877 al giornale gallipolino «Il Gallo» in occasione del ventennale della spedizione, Valletta ricorderà un avventuro- so episodio che lo ha visto protagonista: Nel fatto d’armi di Padula, fui incaricato dal Nicotera qual capitano di una delle nostre tre compagnie, a rilevare i posti avanzati disposti dal Pisacane 27. Seguito da Nicola Giordano, Luigi La Sala, Francesco De Martino, Francesco Friuz zi e Francesco Monastero. Cfr. P.E. Bilotti, La spedizione di Sapri. Da Genova a San- za, Jovine, Salerno 1907, p. 156. 28. Valletta è accusato «di fuga eseguita con violenza da luogo di pena (Isola di Pon- za) in tempo di tumulto popolare». È indicato come evaso da Ponza in Napoli, Archivio di Stato (ASN), Ministero di polizia, Gabinetto, b. 1021, 1857;; cfr. anche ASS, b. 193, vol. XI, c. 4 t. e Cassese, La spedizione di Sapri S $QFRUD FRVu VFULYH %LORWWL ULVSHWWR alla preparazione del moto a Ponza: «La facilità con cui in Ponza si rispose alla iniziativa di pochi uomini scesi dal “Cagliari” spiega come non solo dovessero permanere ancora le impressioni dell’azione precedentemente iniziata in quei luoghi da Giovanni Matina, ma FKHGRYHYDHVVHUYLVWDWDDQFRUDXQDSURSDJDQGDSLUHFHQWH'LIDWWRVLDVVRGzSRLFKHWUH giorni prima dell’avvenimento, un tale Antonio Venturino soprannominato Naso di cane, ed un tal Davide Di Bernardo soprannominato Volpe¿JOLRDOSULPRVHUJHQWHGHL9HWHUDQLGL Ponza, si erano mostrati incaricati di predisporre i relegati alla fuga». Bilotti, La spedizione di Sapri, p. 157. 29. I patrioti vengono ripartiti in tre Compagnie di dieci squadre ciascuna, guidate da un capitano e da due tenenti, sotto la direzione di Pisacane (generale), Nicotera (colonnello) e Falcone (maggiore). Della prima Compagnia è capitano Nicola Giordano;; della seconda Nicola Valletta;; della terza Federico Priorelli. 30. Per una recente ricostruzione con documenti inediti si veda F. Fusco, Carlo Pi- sacane e la spedizione di Sapri. Lotte risorgimentali nel Cilento meridionale e nel Vallo di Diano dalla Repubblica napoletana all’Unità d’Italia, Galenzano, Casalvelino 2007, pp. 71-135.
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nei monti che circondano Padula. Nell’eseguire tale missione, assaliti dalle truppe borboniche fui costretto a lottare corpo a corpo con un Gendarme;; col TXDOHURWRODQGRGDOO¶DOWR¿QRDOOHIDOGHGLXQPRQWHHEELODIRUWXQDGLULDO]DU- mi solo, vivo. Volai armato in Basilicata, dove caddi prigioniero delle guardie urbane postevi a cordone.31
7UDLOHLOOXJOLRODPDJJLRUSDUWHGHLVXSHUVWLWLYLHQHDUUHVWDWD Valletta viene preso presso Marsico, in Basilicata, il 2 luglio 1857.32 Suggestiva per l’impatto emotivo, la cronaca di quei convulsi momen- ti che ci ha lasciato nel suo volume In memoria di Giovanni Nicotera la giornalista britannica Jessie White Mario, quando descrive il passaggio dei prigionieri di Sapri davanti alla popolazione di Salerno: Dopo essere stati incatenati, ammanettati e legati tutti insieme con una corda che si estendeva per tutta la lunghezza della linea, furono fatti traversare la FLWWjHO¶LQWHURVSD]LRGHOODPDULQDLQPH]]RDGXH¿OHGLVROGDWLPHQWUHWXWWL gli abitanti erano pieni d’orrore e percossi da questo barbaro spettacolo. Mi VLGLFHFKHQRQVROROHVWUDGHPDOH¿QHVWUHOHWHUUD]]HHGDQFKHLWHWWLGHOOH case erano stipati di popolo che malediva questo infame governo;; e questo PRUPRULRG¶LQGLJQD]LRQHHGLYHQGHWWDFRQWLQXz¿QRDOOHTXDQGRLOYDSRUH SDUWuFUHGRFRQSHUVRQHFRVL>sic] incatenate. Nel traversare le strade, strisciando le loro pesanti catene sul pavimento, la vista dei loro piedi insanguinati dalle recenti percosse, non fece che aumen- tare la pubblica indignazione pel governo e la simpatia pei prigionieri che ricevevano i saluti di migliaia di persone. Alla sera poi vi fu un’altra dimo- strazione. Alle 10 di sera Nicotera, Gagliani e Valletta furono trasportati nella camera del custode maggiore, dove erano aspettati da tre gendarmi, un ca- porale e un sergente. L’ultimo mise loro le manette e legò loro una corda al petto. Furono messi in una carrozza, e là slegati e portati da cinque gendarmi traversarono la città ch’era guardata da molte pattuglie.33 31. «Il Gallo», 29 gennaio 1877. 32. Nell’Atto di accusa si legge: «Nella contrada Padula, in tenimento di Marsico, verso le ore 18 del 2 luglio era arrestato Oronzo Nicola Valletta». Cfr. Atto di accusa propo- sta dal procuratore generale del re presso la Gran Corte Criminale di Principato Citeriore FRQWUR*LRYDQQL1LFRWHUDHGDOWULPROWLGHWHQXWLLPSXWDWLGHJOLDYYHQLPHQWLSROLWLFLYHUL¿- catisi in Ponza, Sapri ed altri paesi del Distretto di Sala e Decisione emessa dalla G.C. su di essa6WDELOLPHQWRWLSRJUD¿FROLEUDULRGL5DIIDHOH0LJOLDFFLR6DOHUQR$)HUUDUL Misteri d’Italia o gli ultimi suoi sedici anni (1849-1864)3UHPLDWD7LSRJUD¿DGL*LR Cecchini edit., Venezia 1866, p. 246. 33. J. White Mario, In memoria di Giovanni Nicotera, Tip. di G. Barbera, Firenze 1894, p. 25.
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Dal momento della cattura si susseguono incalzanti le trasmigrazio- ni da un carcere all’altro, si avviano le procedure per istruire il processo DWWUDYHUVRXQD¿WWDFRUULVSRQGHQ]DWUD6DOHUQRH/HFFHSHURWWHQHUHLQIRU- mazioni e prove a carico del “ribelle”, si aprono fascicoli, si tengono inter- PLQDELOLLQWHUURJDWRULQHLTXDOLODSRVL]LRQHSLGLI¿FLOHqSURSULRTXHOOD dei comandanti delle compagnie e dei capisquadra, che – come sottolinea &DVVHVH±PDQWHQJRQRXQDWWHJJLDPHQWRGLGLJQLWjHGL¿HUH]]D34 Nel corso del processo Valletta dichiara di essersi imbarcato volonta- riamente per convinzioni politiche, affermando che: Per la verità in Ponza vi furono semplicemente informazioni […] e non vio- lenze ad imbarcarsi: […] le illusioni nacquero da che i forestieri sbarcati a Ponza assicurarono che in quel giorno in tutta l’Italia, ed in tutte le province GHOUHJQRVLVDUHEEHYHUL¿FDWDXQDULYROWDQHOODTXDOHWXWWLTXHLFKHYROHYDQR prendervi parte coadiuvando questa rivolta, lo avrebbero fatto, lasciando agli altri la libertà di ritirarsi nelle proprie famiglie, e che perciò conveniva salire a bordo per essere sbarcati in un luogo sicuro.35
Dopo mesi di processo arrivano le sentenze. Per Valletta viene chiesta la pena capitale «con pubblico esempio», che era prevista per i reati di lesa maestà e per reati di attentato o cospirazione «che abbiano come oggetto o di distruggere o di cambiare il Governo, o di eccitare i sudditi e gli abitanti del regno ad armarsi contro l’autorità reale».36 ,Q XQD OHWWHUD VFULWWD DO ¿JOLR 5DIIDHOH DOORUD LVSHWWRUH VFRODVWLFR GL Lecce) nel 1894, in occasione della morte di Giovanni Nicotera, che era VWDWRWUDLVXRLSLLQWLPLDPLFL9DOOHWWDFLODVFLDLOULFRUGRSHUVRQDOHGL quei giorni drammatici: Dopo che il Tribunale speciale di Salerno condannò Nicotera, Valletta e Galia- ni [sic] alla pena di morte, il giorno dopo ci venne comunicata tale sentenza, per altra via seppimo che il domani ci avrebbero messi in Cappella per l’esecu- 34. Cassese, La spedizione di Sapri, p. 136. Su Valletta pesa anche l’accusa di aver preparato l’insurrezione in Ponza. ASL, Intendenza di Terra d’Otranto, Atti di polizia, b. 33, fasc. 808 c, 1857, Ricerche degli evasi da Ponza appartenenti alla provincia di Terra d’Otranto, Gran Corte Criminale della provincia di Basilicata, Potenza, 1 luglio 1857. 35. ASS, Gran Corte Criminale, Processi politici, b. 217. 36. Nel resoconto della «orale conclusione» pronunziata dal procuratore generale Pa- FL¿FRHXVFLWDQHOQH©/¶,WDOLDGHO3RSRORªGL1DSROLVLOHJJH©,HUL>«@VLXGuFRQ raccapriccio chiedere la pena di morte per otto;; cioè Nicotera, Nicola Giordano, Nicola Valletta, Luigi La Sala, Francesco De Martino, Giovanni Gagliani, Carlo Rota e Giuseppe Santandrea». La citazione è in Cassese, La spedizione di Sapri, p. 162.
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zione immediata, il Nicotera prese me e Galiani per mano e ci condusse in un cancello dove si vedevano i preparativi che faceva il Boia per la nostra esecu- zione, e ci disse: «Vedete amici miei che si prepara per noi? Io mi raccoman- do di non avere paura di quello strumento di morte. Prima di accingerci alla nostra impresa, noi sapevamo che, fallendo, dovevamo morire. Mostriamoci forti e degni della nostra Santa causa, onde il nostro sangue frutti all’avvenire della nostra sventurata patria»;; e quando lo assicurammo del nostro animo, ci abbracciò e baciandoci ripeté: quando saremo al cospetto del popolo che ci guarda, gridiamo con tutte le nostre forze: evviva l’Italia, perché questo grido sarà ripetuto dal forte popolo salernitano, che tanta simpatia ha mostrato per noi e per la nostra causa. Quindi riuniti gli amici si improvvisò una festa da EDOORHVLEDOOz¿QRDVHUD,OJLRUQRGRSRIXDQQXQFLDWRLO0LQLVWURLQJOHVHLO quale subbito [sic] ci disse che la nostra esecuzione capitale era stata sospesa per opera del suo governo, e che perciò dovessimo aspettarci una commuta- zione di pena, e il Nicotera si voltò a noi ridendo: sarà per un’altra volta.37
Con la sentenza di condanna commutata in ergastolo (23 luglio 1858), Nicola Valletta e Giovanni Gagliani vengono trasferiti nel carcere di Santo Stefano e relegati – come ancora riferisce Valletta – in una fossa chiamata Il Criminale poiché ritenuti soggetti pericolosi.38 A Santo Stefano rimarrà per circa due anni. Nel luglio del 1860, in seguito all’amnistia concessa ai detenuti politici dall’atto sovrano del 25 giugno, lascerà con altri compagni il bagno penale.39 Nei mesi successivi lo troviamo nuovamente a combattere come volontario insieme alle camicie rosse nell’ultima, decisiva, cruenta battaglia del Volturno.40 Una volta raggiunta l’Unità, quel patrimonio di idee, di esperienze e di risorse umane che aveva caratterizzato la fase del Risorgimento in lotta /HWWHUDGL1LFROD9DOOHWWDDO¿JOLR5DIIDHOH*DOOLSROLJLXJQR1HOODOHW- tera continua affermando: «Nicotera aveva affascinato tutti ed i suoi custodi erano divenuti VXRLVHUYLHSLYROWHJOLRIIULURQRGLDSULUJOLOHSRUWHGHOFDUFHUHFKHVHPSUHUL¿XWzGLFHQGR FKH¿QFKpULPDQHYDXQVRORGHLFRPSDJQLOXLGRYHYDUHVWDUHª 38. A Santo Stefano Valletta entra in contatto con Settembrini, Spaventa, Agresti e Brienza, i quali – scrive – «mi furono di aiuto e di conforto […] e specialmente Filippo Agresti e il Sacerdote Rocco Brienza da Potenza ci furono di grande giovamento per averci fornito letto ed abiti». 39. ASN, Questura di Napoli, Archivio generale, I serie, b. 30, fasc. 2131, 6 luglio 1860. La notizia è riportata in A. Monaco, I galeotti politici napoletani dopo il quarantotto, II, Treves, Roma 1932, p. 589. 40. La notizia è riportata ibid1HOEUHYHSUR¿ORWUDFFLDWRGDO0RQDFRVLOHJJHDQFKH che in seguito viene nominato «Capitano delle Guardie mobili nella guerriglia contro il brigantaggio».
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non si disperde, ma acquista caratteri nuovi, aprendo per i patrioti repub- blicani una nuova stagione. $OO¶LQGRPDQLGHOO¶XQL¿FD]LRQHLQYHFHGLWRUQDUHQHOODVXDFLWWjQDWDOH con la quale non ha mai interrotto i contatti grazie alle corrispondenze con Gaetano Brunetti e con altri esponenti del repubblicanesimo mazziniano, si stabilisce insieme all’amico Giovanni Gagliani a Napoli, dove per gua- dagnarsi da vivere entra nella redazione de «L’Italia del Popolo» organo GLVWDPSDPD]]LQLDQRLQYLWD¿QRDODVVROYHQGRQHOFRQWHPSRDQX- PHURVL LQFDULFKL GL ¿GXFLD SHU FRQWR GHO 3DUWLWR G¶D]LRQH VRSUDWWXWWR QHL territori papali. $1DSROLULPDQH¿QRDO,OVXRUXRORQHO&RPLWDWRSRSROD- UHUHSXEEOLFDQRFRPHLQPDQLHUDSLXWWRVWRV¿ODFFLDWDVLSXzLQWXLUHGDOOH poche corrispondenze riportate da Pietro Palumbo nel suo L’on. Gaetano Brunetti e i suoi tempi, sembra essere quello dell’emissario e dell’inter- mediario tra l’ex capitale borbonica e Lecce, tra Nicotera e Brunetti, con una funzione di primo piano nella costituzione e diffusione dei Comitati di provvedimento per la liberazione di Roma e Venezia, le questioni irrisolte ancora sul tappeto.41 Nel frattempo, nel 1864 a Napoli stipula promessa di matrimonio per SURFXUDFRQ5RVD&DFR]]D¿JOLDGLXQLOOXVWUHJLXULVWDQDSROHWDQRGLIDPD ¿ORERUERQLFD JLjLQDWWHVDGHOSULPRJHQLWR5DIIDHOH7UDLOHLO ritorna in Terra d’Otranto. 1HOSURFHVVRGLULFROORFD]LRQHQHOQXRYR5HJQRGRSRDYHUUL¿XWDWR l’offerta governativa di direttore del penitenziario di Brindisi, accetta un modesto impiego di gestore della ricevitoria del lotto prima a Lecce e poi a Gallipoli,42 la città dove si formerà una nuova famiglia (dopo la mor- te della prima moglie).43 A Gallipoli, dove non intraprende come altri la strada della politica neppure a livello amministrativo, stringerà importan- WLUHOD]LRQLDPLFDOLFRQDOFXQLGHJOLHVSRQHQWLSLLQYLVWDGHOSDQRUDPD 41. Palumbo afferma che Nicola Valletta giunge da Napoli a Lecce per impiantare un Comitato dei provvedimenti, facendosi al contempo promotore di una petizione per prote- stare contro l’occupazione francese in Roma. Cfr. P. Palumbo, L’on. Gaetano Brunetti e i suoi tempi (1829-1900), Ed. Salentina, Lecce 1915, p. 129. 42. $QQXDULRGHO0LQLVWHURGHOOH¿QDQ]HGHO5HJQRG¶,WDOLDGHO, a. IV, Stamperia reale, Torino 1865, p. 397. 1HODOO¶HWjGLDQQLVSRVD0DULD)RQWzGL*DOOLSROLGDFXLKDGXH¿JOL Agata (nata il 18 febbraio 1879) e Corrado (nato il 25 agosto 1880). Cfr. Gallipoli, Archivio Storico del Comune, Atti di Matrimonio, n. 35, 1877.
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politico provinciale e nazionale. Tra questi si distinguono Giovanni Ni- cotera, il tranese deputato di Gallipoli Nicola Vischi (senatore dal 1901) e il parlamentare di orientamento radicale e suo conterraneo Antonio De Viti De Marco, legato al Valletta da un sentimento di profonda e intima amicizia, il quale in una lettera scritta nel 1915 alla moglie del patriota da poco scomparso scrive: Era tra i pochi di alti sentimenti e di fervidi ideali nella vita pubblica. Era per me un vero piacere incontrarlo per le vie di Gallipoli ed intrattenermi con lui di politica, ammirando sempre la giustezza del criterio che la semplicità dell’animo, la rettitudine del pensiero e il disinteresse personale gli suggeri- YDQRQHOJLXGLFDUHGLXRPLQLHGLFRVHÊVFRPSDUVDXQDGHOOHSLEHOOH¿JXUH della vita gallipolina.44
Come si è visto attraverso le tappe di un percorso movimentato e co- raggioso, la scelta di partecipare non è occasionale: è scelta reiterata nel tempo, poiché alla decisione iniziale segue la volontà individuale di perse- guire un progetto con coerenza o meglio con “la passione del sentimento”, superando le sofferenze personali patite in carcere e sul campo di battaglia. ÊDSSXQWRTXHVWRO¶DOWURDVSHWWRSLJHQHUDOHFKHODYLFHQGDULFKLDPDFLRq quello dell’importanza della soggettività declinata, nella sua sfera emozio- nale, sul crinale dell’azione politica. Valori questi recuperati e re-interpretati nel momento della morte, poiché è a questo punto che scatta l’operazione del ricordo in funzione SHGDJRJLFRQRVWDOJLFD ¿QDOL]]DWD D WUDPDQGDUH DL SRVWHUL OH JORULH GHOOD patria lungo le esistenze degli uomini che l’hanno fatta. Basta soffermarsi su una delle tante commemorazioni che hanno cele- brato la scomparsa del patriota Valletta, spentosi a Gallipoli il 10 novem- bre del 1915, per cogliere le cifre espressive della memoria che si vuole veicolare. A conclusione di un’esistenza vissuta negli anni della maturità nel- l’om bra della riservatezza, Nicola Valletta è onorato come «il venerando superstite della gloriosa spedizione di Sapri, il patriota ardente e puro, il JDODQWXRPR D WXWWD SURYDª q LQGLFDWR FRPH ©OD SL JHQXLQD SRHVLD GHO- la nostra storia che irreparabilmente dilegua, storia vivente e fremente di SDWULRWWLVPRSXURVWRULDYHUDHUHDOHGLVDFUL¿FLRHGLPDUWLULRª$QFRUDLO 44. Lettera di A. De Viti De Marco a Teresa Fontò, riportata in «La Democrazia», 11 dicembre 1915.
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suo esempio alto è contrapposto alla «generazione che sorge [che] non ha di questi uomini, e man mano che muoiono se ne perde il modello, non se ne ha la riproduzione. Quelle erano esistenze a base di amore, queste sono DEDVHGLHJRLVPRSHUTXHOOHODYLWDHUDXQDSRVWRODWRHXQVDFUL¿FLRSHU queste un godimento». Il necrologio si chiude con una sorta di endiadi tra patria e amore: «Fino all’estremo anelito il primo palpito di Nicola Valletta fu l’Italia, per la cui libertà Egli venne dal Borbone colpito dalla pena ca- pitale: l’Italia era tutta nel suo cuore, tutta nell’anima di vecchio soldato e patriota».45 Nel complesso, in queste note viene sottolineato con forza il tema del- la “tristezza” per l’estinguersi di una generazione gloriosa. Il patriota è elevato a modello per i giovani, secondo una sorta di “strategia di valo- rizzazione della morte” in chiave nostalgica di coloro che appartengono «all’età bella e lontana, all’età delle sante battaglie dell’indipendenza della Patria»,46VHFRQGROHOLQHHGLXQSLYDVWRGLVHJQRGLFRVWUX]LRQHHGLWUD- smissione di una coscienza patriottica, destinata soprattutto alle generazio- ni “crescenti”.47 /¶HVSHULHQ]DGLYLWDGHOSDWULRWD±FRPHTXHOODGLPROWH¿JXUHGLSD- trioti noti e meno noti ampiamente coinvolti ma ancora incapsulati nella dimensione dell’oblio – diviene exemplum vitae ac mortis per i giovani del post-Risorgimento, per quei “nati troppo tardi” che non hanno conosciuto la dimensione delle lotte per la costruzione della nazione.486LJQL¿FDWLYD- PHQWHO¶HVHPSLRDFTXLVWDXQ¶HYLGHQ]DDQFRUDSLDPSOL¿FDWDVHOHWWRQHO FRQWHVWR WUDJLFR GHO SULPR FRQÀLWWR PRQGLDOH SHU L WDQWL JLRYDQL VROGDWL chiamati a combattere nuovamente per la “redenzione” della patria. 4XHVWLYDORULLQFDUGLQDWLVXOVHQWLPHQWRGHOVDFUL¿FLRHGHOO¶DEQHJD- zione si percepiscono in una lettera che lo stesso Nicola Valletta scrive, poco prima di morire, al nipote Nicolino, che sta per andare in guerra: Bravo il mio Nicolino, l’Italia aspetta oggi dai giovani la sua rivendicazione […]. Noi vecchi abbiamo per l’Italia combattuto occultamente senza armi, 45. Necrologie. Nicola Valletta, in «Il Pensiero», 16 novembre 1915. 46. Ibid. ,OQHFURORJLRFRPHIRQWHULHQWUDLQXQDSLDPSLDHGLWRULDSHGDJRJLFDGHOODPHPR- ULDFKHqVWDWDGLUHFHQWHRJJHWWRGLDWWHQ]LRQHGDSDUWHGHOODVWRULRJUD¿D,OULIHULPHQWRqLQ particolare al saggio di A. Arisi Rota, Eroi, martiri, concittadini patrioti: i necrologi come pedagogia del ricordo, in Arisi Rota, Ferrari, Morandi, Patrioti si diventa, pp. 143-156. 48. R. Balzani, Nati troppo tardi. Illusioni e frustrazioni dei giovani del post-risorgi- mento, in Il mondo giovanile in Italia, pp. 69-85.
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eppure abbiamo vinto. Ora che l’Italia possiede giovani forti e coraggiosi come te, bene armati e meglio guidati, stai sicuro Nicolino, gli italiani vin- ceranno. Quando mi ricordo del giorno della mia condanna a morte, quando ricordo i tristi giorni passati, carico di catene all’ergastolo, io, oggi benedico quelle sofferenze, senza le quali non so se l’Italia avrebbe fatto il miracolo della sua presente posizione nel mondo.49
«La politica afferra gli uomini ove e quali essi sono» ha scritto Giu- seppe Mazzini nel 1835 nel suo Fede e avvenire. L’amore per la patria li- bera e democratica ha “afferrato” il giovane Valletta e lo ha accompagnato negli anni della maturità e della vecchiaia, attraversando la stagione degli HURL TXHOOD GHOOD WUDQVL]LRQH GLI¿FLOH H TXHOOD GHOOD ULFHUFD GHOO¶DSSDUWH- nenza, lasciando un bagaglio di memorie, di valori e di ideali che hanno traghettato verso una sensibilità patriottica (sebbene declinata e spesa in IRUPHQXRYHHGLYHUVL¿FDWH TXHOODJHQHUD]LRQHGL©QDWLWURSSRWDUGLHWURS- po presto per far qualcosa». 1HqWHVWLPRQLDQ]D±SHUULPDQHUHDOO¶DPELWRSLULVWUHWWRGHOFRQWH- sto familiare – la dedica che si legge sul frontespizio di una relazione su L’indirizzo didattico educativo nelle scuole del circondario di Gallipoli (relazione al Ministero per l’anno 1897-98)FKHLO¿JOLR5DIIDHOHLVSHWWRUH scolastico per la provincia leccese, rivolge al padre nel 1914: «A mio padre / Nicola Valletta / ultimo superstite di Sapri / condannato a morte dal Bor- bone / grato per avermi con l’esempio / segnata la via del dovere / ispirato l’amore per la patria».50
49. Lettera di Nicola Valletta al nipote Nicolino [1915]. 50. R. Valletta, L’indirizzo didattico educativo nelle scuole del circondario di Galli- poli (relazione al Ministero per l’anno 1897-98), Prem. tipo.lit. V. Masciullo, Lecce 1914.
LUISA COSI Il linguaggio del sentimento. Musica, società e nazione (Beniamino Rossi, 1822-1881)
1. «Quel genio sorgerà» Nel 1836, quando la )LORVR¿DGHOODPXVLFD di Mazzini fa la sua inizial- mente poco incisiva apparizione, l’adolescente Beniamino Rossi dei baro- QL GL &DSUDULFD VHPEUD JLj FRUULVSRQGHUH DO VXJJHVWLYR SUR¿OR WUDFFLDWR dal patriota genovese, del genio ancora ignoto, che «in qualche angolo del nostro terreno s’agita sotto l’ispirazione», come desideroso d’un pensiero e un’azione che lo riscattino da «tempi di scetticismo e di prostituzione».1 Agitato e ispirato, in effetti, il baroncino leccese dimostrò di esserlo precocemente, esprimendo quell’anelito per «l’ignoto che affanna»,2 che Mazzini riconosceva diffuso fra gli artisti dell’epoca – un anelito che l’esu- OH GD 3DULJL DXVSLFDYD VDUHEEH VWDWR LQ¿QH LQGLUL]]DWR YHUVR QXRYH LGHH H IHGH VRFLDOH FRVu GD VXSHUDUH OD IDVH DQDUFKLFRLQGLYLGXDOLVWD GL FHUWR sentire romantico. Per parte sua, il giovane Beniamino tale indirizzo politico-morale non avrebbe tardato a trovarlo;; intanto, in quegli anni Trenta dell’Ottocento, af- ¿QDWDOHQWRSRHWLFRHPXVLFDOHIUDOHVWUHWWHPDJOLHGHOODGLGDWWLFDJHVXLWLFD E che talento: educato (come i fratelli Carlo ed Eduardo) a colpi di retorica ciceroniana e poetica greco-latina nel collegio leccese adiacente S. Fran- cesco della Scarpa, riceve vari premi ginnasiali, compresa una medaglia d’argento per come «facile antiverit omnibus».3 Primeggia anche nell’in- 1. G. Mazzini, )LORVR¿DGHOODPXVLFD (1836), in Scritti editi e inediti di G. Mazzini. Edizione diretta dall’Autore, 4, G. Daelli, Milano 1861, p. 77. 2. Ibid., p. 80. >6DJJLR¿QDOH@ornatissimorum adolescentium qui et in R. Ephebeo et in Collegii Lyciensis S.J. scholis ingenio, diligentia, pietate, praestantiores habiti sunt, Lecce 183[?],
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YHQ]LRQH DUPRQLFD JUD]LH DOO¶LQVHJQDPHQWR VSHFL¿FR RIIHUWR GDL JHVXLWL ¿QGDOORURUHLQVHGLDUVLD/HFFHQHO4 e arriva a comporre versi e mu- sica di un’operina che, come sembra, va in scena nel teatrino del collegio FRQWDOHSHUIH]LRQHGDPXRYHUHDOOHODFULPHJOLVSHWWDWRULSLFRQWHJQRVLH severi.5 È dubbio che all’epoca l’irrequieto adolescente sapesse di mazziniane VROOHFLWD]LRQLDOODFRQÀXHQ]DGHOOHDUWLSHUXQDSDOLQJHQHVLIRUPDOHHPR- rale del teatro nazionale. D’altra parte, il sentire gesto, suono, parola come materie plasmabili in un’unica organica forma, è esperienza che non solo Mazzini riannoda idealmente alla civiltà greca, nel contempo reclamando storie e miti funzionali alla sensibilità “moderna”: in effetti, largamente diffuso è, nella prima metà dell’Ottocento, l’auspicio di una rinnovata sin- tesi dei diversi mediaDUWLVWLFLLQYLUWGLXQULQQRYDWRLPSHJQRHWLFR³SR- polare”, civilizzatore.6 L’umanista Beniamino, provenendo da una famiglia di liberali-melo- ma ni,7 sembra dunque inteso per tempo a trovare la sua strada fra le diverse sollecitazioni che gli si offrono. Se i gesuiti, sempre sensibili a pratiche spettacolari e tradizioni locali, a Lecce incentivano l’amore per la musica, LOWHDWURLOYHUVHJJLDUHHVWHPSRUDQHRHODVWRULDSDWULDSHQVDQGRFRVuGL p. 2. L’opuscolo, conservato nella Biblioteca provinciale di Lecce (BPLe), illustra le esi- bizioni del Rossi in lingua, retorica e poetica greco-latina, in gara col baroncino Girolamo 0DVVD3HUDOWUHDFFDGHPLHGL¿QHDQQRFIU$UFKLYLXP5RPDQXP6RFLHWDWH-HVX$56- Neap. 1601, Historia Collegii Liyciensis (1835-1848), pp. 183, 186, 246, 312, 316. 4. L. Cosi, Fanciulli virtuosi nella tradizione musicale di Terra d’Otranto, in Archivi d’infanzia, a cura di E. Becchi, A. Semeraro, La Nuova Italia, Milano 2001, p. 340. A parere di L.G. De Simone (Lecce e i suoi monumenti, Gaetano Campanella, Lecce 1874, p. 80) il Rossi avrebbe studiato con Antonio Brancaccio, operista napoletano attivo a Lecce fra il HLOVRSUDWWXWWRFRPHDXWRUHVDORWWLHURFRPHVLGLUjSLDYDQWL 5. ARSJ, Neap. 1501, Litterae annuae 1821-1888, p. 126 (1839): per altri dramata collegiali cfr. anche Neap. 1601, Historia, pp. 245 (1839), 246 (1840). P. Palumbo (Lecce vecchia, G. Martello, Lecce 1912, p. 97) indica come primo «parto gemino» del Rossi Ro- berto conte di Lecce e lo dice eseguito nel 1837 al teatro pubblico cittadino. 6. La chiamata all’engagementDI¿RUDQHOODSXEEOLFLVWLFDQDSROHWDQDGHLSULPLDQQL 4XDUDQWDFIUDGHVHPSLRVX©,O6LELORªODFULWLFDWHDWUDOHGL0$XJXVWR0DXURHOHULÀHV- sioni sulla Musica contemporanea in Italia del conte Achille Ricciardi, I/10, 12 (1843). 7. Carbonari furono lo zio Nicola e i cugini Luigi e Leopoldo;; quest’ultimo, pure lui EXRQPXVLFRIXDPLFRGHOFDSREDQGDH¿ODGHOIR0LFKHOH3DQLFRFIU/&RVLUn torbido capobanda e altri musici “effervescenti” del Risorgimento salentino, in Risorgimento oscu- rato. Il contributo del Salento all’unità nazionale, a cura di M. Spedicato, EdiPan, Galatina 2011, pp. 183-202.
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poter meglio educare i giovani bennati al rispetto dei sistemi egemoni),8 5RVVLSUR¿WWDQGRGLWDOHDSHUWXUDGLVFLSOLQDUHVLRULHQWDSUHVWRYHUVRDS- prodi ideologici antitetici. Lasciato al fratello maggiore Carlo, che vuol farsi gesuita, il peso di scontentare la famiglia,9 Beniamino attorno al 1840 si trasferisce a Napoli per studiare legge, pronto a riversare erudizione classica, amor patrio e aneliti romantici in un progetto politico che ora si chiarisce come mazziniano: assieme ai fratelli Stampacchia, a Giuseppe /LEHUWLQLHD6DOYDWRUH3RQWDULWHVWHFDOGHVHSRVVLELOHDQFRUSLGLOXLVL DI¿OLDDOOD*LRYLQH,WDOLDHGHQWUDQHOFLUFRORFXOWXUDOHGHOJLXULVWD3DVTXDOH Stanislao Mancini, acceso propugnatore dell’Unità nazionale.10 Nel contempo Beniamino comincia le prime collaborazioni giornali- stiche, occupandosi in maniera elettiva, pare, di poesia e spettacoli lirico- teatrali.11 Forse prende anche lezioni di composizione: certo è testimone di un vivace dibattito critico inteso a ribadire la supremazia del melodi- smo italiano (musicalmente l’Italia è già una) a fronte dell’armonismo, SHUGLUHFRVuWHGHVFR'LIDWWRODquerelle¿RULVFHVXUDGLFLURXVVHDXLDQH DJJLRUQDQGROHEDUULFDWHQD]LRQDOFXOWXUDOL,WDOLDQRQSLversus Francia, ma contro Germania). Aggiornamento cui anche Mazzini contribuisce, au- spicando però la fusione dei caratteri contrapposti delle tradizioni euro- pee, poiché coglie nell’una (l’appassionato melodismo italiano) eccesso di individualità e di materialismo, nell’altra (la complessa armonia tede- sca) eccesso di indeterminatezza e concettualismo.12 Banco di prova del dibattito resta il teatro lirico, ove il pubblico dovrebbe vivere un rito d’alta valenza socio-pedagogica, non subire un cozzo disorganico di parti, inteso DFRPSLDFHUHLOSLIULYRORHGRQLVPR'HOUHVWRDQFKHODPXVLFDLQSLD]]D 8. Nelle accademie gli studenti dissertano su uomini illustri salentini, producono versi estemporanei e ascoltano famosi improvvisatori, come il Regaldi, che pure davanti ai gesui- ti “insinua” rime patriottiche: cfr. oltre. 9. Historia Collegii, p. 185. Dopo molte traversie il giovane fu accolto in Compagnia il 20 maggio 1837. 10. P. Palumbo, Risorgimento salentino (1799-1860), G. Martello, Lecce 1911 (rist. 1968), pp. 416, 436-437, 500. 11. Su «Il Sibilo», «Il Salvator Rosa» e «Il Proscenio»: cfr. G. Della Noce, Musica patriottica in Lecce, in «Rivista Storica Salentina», 6 (1909), p. 292, e De Simone, Lecce e i suoi monumenti, p. 89, ove si dice che «meritò che i suoi articoli sullo Stabat Mater del Rossini fossero riprodotti in altri giornali della penisola e tradotti in francese da P. Scudo»;; WXWWDYLDORVSRJOLRGHLWUHSHULRGLFLQRQKDVLQRUDUHVWLWXLWRDOFXQD¿UPDGHO5RVVLSHUOR VSHFL¿FRPXVLFDOHGLI¿FLOHGLUHVHHJOLVLDVWDWRDQRQLPRHVWHQVRUHGLFULWLFKHGLVHWWRUH 12. Mazzini, )LORVR¿DGHOODPXVLFD, pp. 100 ss.
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SHU¿QRTXHOODQHOOHFKLHVHULÀHWWHWDOHSURSHQVLRQHDXQDPHORGLRVLWjWHD- tralmente atteggiata,13 magari permeata (lo vedremo) di segni patriottici. ,QWDQWR 5RVVL D 1DSROL SUHQGH FRQ¿GHQ]D FRQ OH RSHUH GL 5RVVLQL Mercadante, Bellini e soprattutto Pacini, allora trionfante. Forse comincia ad “assaggiare” Verdi, cui all’epoca la critica locale non perdona per l’ap- punto certa antitaliana (!) eccedenza armonica, strumentale e dinamica.14 Il sillogismo estetico è chiaro: se la musica è lingua di passioni, la melodia italiana (con percorso storico culminante in Pacini) è sintassi elettiva di tale lingua;; ma il Verdi de I due Foscari ed Ernani (portati al S. Carlo nel 1845) delude chi s’era entusiasmato pel canto spiegato in Nabucco e ne I Lombardi (che a Napoli arrivano col ’48, ma i cui spartiti girano per tempo). L’argomentare (forse vi prende parte lo stesso Rossi) è tecnico;; LQWHUHVVDQRJUDGRHI¿FDFLDGLVFULWWXUDPHORGLFDLQUDSSRUWRDOOHSDVVLRQL in campo: che Verdi esprima o meno passioni risorgimentali non è in di- scussione, forse non solo per via di censura, forse si aspetta la melodiosa epifania dei patrioti locali. Ma appunto, in breve i tempi sono maturi perché si indichi aperta- mente nel desiderio di una patria rinnovata il forte sentire che consentirà al canto italiano di spiegare le ali e a teatri, piazze, chiese d’Italia di affratel- lare in un’unica emozione. La brigata salentino-mazziniana in cui s’agita %HQLDPLQR5RVVLqSURQWDDWRUQDUHD/HFFHSHUYHUL¿FDUHODSRVVLELOLWjGL render incisivo tale romantico anelito sulle ribalte periferiche.
2. «Tutti stretti a una bandiera» Chiesa, piazza, teatro: appena rientrato a Lecce, l’avvocato Rossi sem- bra avere idee chiare sui contesti ove esercitare l’estro poetico-musicale per scuotere gli animi e sollecitare sentimenti legati all’incontro tra patria HOLEHUWj1RQVLWUDWWDGLPHURFDOFRORVWUDWHJLFRLQWHVRDFHUFDUHSODWHHSL ampie di quelle salottiere, per tradizione confacenti al creativo dilettanti- VPRGHOODJLRYHQWGRUDWD2YYHURLOQRELOH5RVVLFRPSRQHFHUWRFRPH ci si aspetterebbe, musica e parole di struggenti canzonette con accompa- gnamento pianistico ad uso di signorini e signorine leccesi. E lo fa maga- 13. M. Giani, Fede e teatralità nelle musiche sacre dell’Ottocento, in Storia della musica europea, Einaudi, Torino 2004, pp. 826-844. 14. Cfr. soprattutto «Il Sibilo», 1/46 (1844), 2/8, 13, 34, 43, 49 (1845).
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ri celando sotto le soavi sembianze della fanciulla amata, l’immagine al- WUHWWDQWRYHQHUDWDGHOODSDWULDVXOORVIRQGRGLWUDPRQWL©,WDOLª¿JXUD 15 procedura mimetica che all’epoca furoreggia grazie a Giuseppe Regaldi, verseggiatore estemporaneo che Rossi e compagni mazziniani frequentano tanto a Napoli quanto a Lecce.16 Ma egualmente appassionato è l’impegno artistico esibito dal Rossi nelle chiese cittadine;; costantemente egli dedica ai leccesi sue partiture sacre e trova anche il tempo di dirigere cori e orchestre locali nelle funzioni SLLPSRUWDQWL1HVVXQDFRQWUDGGL]LRQHIUDLOSDWULRWD³HIIHUYHVFHQWH´SHU usare un’etichettatura da polizia borbonica), che canta l’amore (patrio), e il FDWWROLFRPLOLWDQWHO¶DVFHVDDOVRJOLRSRQWL¿FLRGHO³OLEHUDOH´3LR,; dovette persuadere per tempo l’avvocato che una complementarità di ruoli non solo era possibile, era santa. In effetti, già nel marzo del 1845 l’agitato Beniamino è accolto nel- l’arciconfraternita dell’Addolorata di Lecce (con sede nella chiesa del- l’Angelo) grazie alle «fatiche musicali» che è uso offrire «per nobile e pia cagione».17 5RVVL VRVWLWXLVFH FRVu O¶DQ]LDQR PDHVWUR GL FDSSHOOD GHOOD FRQJUHJDTXHO*LRVXq/LOORFKHLQVLHPHDLSLJLRYDQL1LFROD&RQVLJOLR Giacomo Lombardi e Francesco Manfroci (tutti in odore di carboneria!) aveva introdotto nelle chiese salentine lo stile operistico d’ultimo grido. All’epoca la liturgia si intona in latino, ma con accenti appassionati e me- ORGUDPPDWLFLFKH¿QLVFRQRFRQO¶DQLPDUHOHVWHVVHSDUWLRUFKHVWUDOL18 Pe- raltro in S. Angelo il Rossi ha a disposizione un ensemble di veri virtuosi;; LQQDQ]LWXWWR L ÀDXWLVWL 5DIIDHOH (OPR H /XLJL /HRQH H SRL JOL RERLVWL H &RVuQHL’Imagine. Canzonetta. Musica e parole di Beniamino Rossi, Copisteria di 0D]]DUDLQ/HFFHVGVLFRQVHUYDQHOOD%LEOLRWHFDGHO&RQVHUYDWRULRGL/HFFH $QFRUSL languido, se possibile, il Notturno a due voci con accompagnamento di Pianoforte. Poesia e Musica del Sig.r Beniamino Rossi de’ Baroni di Capranica, conservato nella Bibl. monastica Madonna della Scala di Noci. Sull’argomento cfr. L. Cosi, «Sognai con l’ali agl’omeri». Svaghi romantici nei salotti musicali salentini, in Veglie salentine di Antonio Brancaccio, a FXUDGL/&RVL)/LEHWWD(UDFOHD*DOOLSROL$OWULGLOHWWDQWLFKHDI¿DQFDQRLO5RVVLLQ questa pratica salottiera: Cesare Balsamo, Carmine della Ratta, Realino Cimino. 16. Palumbo, Risorgimento salentino, pp. 437-438, 445-447. 17. Archivio Arciconfr. dell’Addolorata (ArcArAd), lettera al rettore Mario Ayroldi. L’archivio conserva parecchie composizioni del Rossi, ora in schedatura: la numerazione originaria testimonia che il barone elaborò non meno di 9 Sinfonie, 9 Messe di Gloria¿JX- ra 3), 15 Tantum ergo, 10 Litanie. 18. L. Cosi, Sorella musica. Tradizione musicale delle clarisse di Terra d’Otranto, in «Miscellanea francescana salentina» 10-11 (1994-1995), pp. 206-210.
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Figura 1. B. Rossi, Canzonetta per canto e pianoforte, 1845 ca.
clarinisti Estrafallaces, i cornisti Guerrieri e Rizzo, i violinisti Miglietta e Castrignanò, il violoncellista Calcagnile.19 Non meraviglia che la prima recensione alla produzione sacra del Rossi, nel maggio 1846, sottolinei la «toccante armonia della parte strumentale» di inni e messa «appositamente FRPSRVWLGDOJLRYLQHDYYRFDWRFKHFRLPRGLSLDGGLFHYROLDOODVXEOLPLWj delle celesti parole della Chiesa, ne preveniva nell’anima la impressione, [eccitando] l’ineffabile sentimento della cattolica preghiera».20 Il toccante omaggio musicale acquista valenza spirituale ulteriore, perché pensato ed eseguito in S. Angelo in memoria di Filippo Rondinelli, giurista dal passa- 19. Ibid. e ArcArAd, cc. sparse (1833-1850). Non a caso le partiture del Rossi presen- WDQRDFFXUDWDRUFKHVWUD]LRQHFRQ³FDQWR´YLUWXRVLVWLFRGLÀDXWRRERHHFODULQR 20. Solenni esequie di Filippo Rondinelli… fatte dall’Ordine degli Avvocati Leccesi in S. Angelo, s.n., Lecce 1846, p. 4.
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to rivoluzionario (nel 1821 aveva rischiato il patibolo), morto poco dopo la nomina a presidente del tribunale di Lecce;; la prolusione del liberale %RQDYHQWXUD)RUOHRHLO©PDJQL¿FRWHPSRUDQHRFHQRWD¿RªGHOO¶DUFKLWHWWR Lazzaretti completano la «pietosa cerimonia».21 Ma all’epoca a Lecce sono disponibili altri sonorissimi mezzi, utili a sollecitare la pietas collettiva;; la banda civica, fra tutti, sembra quello SLHI¿FDFHPHQWHLQWHVRDGHWHUPLQDUHLOFRPXQHprogresso dell’incivili- mento,QGDJLQLVSHFL¿FKH22 hanno illustrato il ruolo delle bande salentine nella promozione delle idee liberali, stante la capacità emancipatrice che in WXWWD7HUUDG¶2WUDQWRHEEHURWDOLFRPSDJLQLIRUPDWHSHUORSLGDJLRYDQL artigiani. Commuove la storia “minore” di questi calzolai, sarti, barbieri, falegnami, cafoni, cavamonti… tutti largamente analfabeti, che sottraggo- no tempo alle loro “industrie” ordinarie per imparare a leggere note e a suonare strumenti di cui raramente sono proprietari. Un duro impegno, poco lucrativo, ripagato dalla possibilità di coltivare una speranza di ri- scatto sociale e di svolgere un ruolo civico, reso emblematico dalla divisa in panno blu con paramani rossi e il cappello con pennacchio e insegne provinciali. Facile che in tali contesti maturassero progetti carbonari, in coerenza coll’origine essenzialmente giacobina del fenomeno;; attorno alla tradizione bandistica si era anzi consolidata nel tempo l’alleanza fra ceto DUWLJLDQRHSDUWHSLLOOXPLQDWDGLDULVWRFUD]LDERUJKHVLDHFOHUR,QIDWWL QRQF¶qRUJDQLFRVDOHQWLQRFKHQRQDEELDSHU¿QDQ]LDWRUHSDWURFLQDWRUH JDUDQWH XQ TXDOFKH DYYRFDWR PHGLFR JHQWLOXRPR SUHWH GH¿QLELOH GDO- la polizia come “riscaldato”, “effervescente”, “attendibile”: non a caso il controllo delle Intendenze fu subito pressante;; non si poteva sopprimere XQIHQRPHQRFRQVRFLDWLYRVHPSUHSLYLVWRVRVLFHUFzGLQRUPDOL]]DUOR inquadrarlo nella Guardia urbana, orientarlo al plauso di regime. Il nobile, “effervescente” avvocato Rossi non poteva che essere tra i garanti della banda civica di Lecce, quando nel 1847 (dopo anni di episo- diche esperienze) la migliore “intelligenza” liberale conviene per dar vita 21. Ibid. 22. Un’altra musica. Le bande in Terra d’Otranto nel XIX secolo, a cura di L. Cosi, C. Ragusa, F. Tondo, Argo, Lecce 2010;; L. Cosi, “Il progresso dell’incivilimento”, ossia la banda della Guardia urbana di Lecce nella tradizione bandistica di Terra d’Otranto, in «L’Idomeneo», 1 (1998), pp. 351-389;; Ead., Un torbido capobanda;; Ead., Patti e condizio- ni per lo stabilimento delle bande artigiane nel Salento preunitario, in Sud e Nazione. Folk- lore e tradizione musicale nel Mezzogiorno d’Italia, Atti del convegno di studi, Corigliano d’Otranto 14-15 ottobre 2011, a cura di E. Imbriani, in corso di stampa.
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a un organico stabile di musici artigiani, elaborando uno statuto all’avan- JXDUGLD SHU YDOHQ]H SHGDJRJLFKH H ¿QDOLWj VRFLDOL23 E quando nei primi mesi del 1848 le promulgazioni costituzionali a Napoli e Roma eccitano l’estro dei compositori locali, primi contesti e megafoni funzionali a cele- brare e a divulgare le notizie sono piazze e bande. Se in cattedrale il 4 e 5 marzo i citati Lillo e Consiglio dirigono loro inni, per le strade cittadine legni e ottoni guidati dal bollentissimo Michele Spinelli fanno da colonna sonora a cortei inneggianti a Pio IX, Ferdinando, Gioberti e persino alla &RPSDJQLDGL*HVSRLVROOHFLWDWDSHUzDOHYDUHOHWHQGH 24 'DOOHFKLHVHDOOHSLD]]HDOSDOFRVFHQLFRLOSDVVRqEUHYHWDQWRSLFKH le bande si muovono agilmente in tutti e tre i contesti: all’epoca, direttore del secolare teatro pubblico leccese, detto di S. Giusto, è Giacomo Lombar- GLXQPD]]LQLDQRGHOODSULPDRUD¿QRDTXHOPRPHQWRLQWHVRDGDOOHVWLUH opere di canonica estrazione napoletana a soggetto amoroso.25 Ma nella primavera del 1848 il S. Giusto è tutto un risorgimentale tripudio di canti, VLQIRQLHEDQGLVWLFKHUDSSUHVHQWD]LRQLPHORGUDPPDWLFKHDFFDGHPLH¿ODU- moniche. Esemplare l’impegno profuso dal Lombardi stesso, che musica i versi di Pubblica esultanza scritti dall’avvocato Forleo (pure citato prima) per una delle serate di propaganda.26 Anche l’avvocato Rossi è pronto a cantare la diffusa emozione: con un lungo inno intitolato “berchetianamen- te” Il giuramento degl’Italiani, di cui scrive musica e parole, stampandone il mese dopo i versi in un’antologia di suoi Pochi canti patriottici¿JXUD 23. Cosi, “Il progresso dell’incivilimento”, appendice. 24. Per un’inedita cronaca di quei giorni cfr. Historia Collegii, pp. 501 ss.: in duomo è «imperatum omnibus Societatis ut adessent tricolori cum vexillo: deferebatur in illa pompa augustissimum Sacramentum!». Gli studenti in particolare vi cantano l’inno musicato dal Consiglio in onore di Pio IX e Ferdinando II;; ma poi i Padri subiscono una sorta d’assedio: «fuit nox memorabilis, cum manus effrenata vulgi inclamabat, ad Collegium venit, diuque FRQWHQGLWXWDFRQYLFWRULEXVUHVXODUHWXU>«@VLJQL¿FDQWVHFRQWHQWRVDELWXURVVLFHUHRV3LR ,;LPSHUWLUHPXUTXDOLEHUDOLWDWHSODFDWLQRQQXOOLYRFLIHUDQWXU³9LYDOD&RPSDJQLDGL*HV´ SOHULTXHWDPHQFRU\SKDHRSUDHFLQHQWH³9LYD*LREHUWL´ª6RPPDSHU¿GLDGDWRO¶DQWLJHVXLWL- smo di quest’ultimo. Altri particolari sulle feste di marzo in N. Bernardini, Lecce nel 1848. Figure, documenti ed episodi della rivoluzione, C.L. Bortone, Lecce 1913, pp. 23-27. 25. E. Renna, “Scherzando e leggero”. Collezione di 12 danze del m° G. Lombardi, tesi di laurea in Storia e critica del testo musicale, rel. L. Cosi, Università del Salento, 2009: vi si riporta anche il duetto patriottico L’Esiliato, che, composto dal Lombardi per due canti e pianoforte, fu conservato segretamente nella bibl. privata Romano di Lecce. 26. Ne restano i versi in BPLe. Fra le esecuzioni a teatro spiccano Il proscritto, melo- dramma del Nicolai, e Il bivacco, coro del Battista, vere hit del periodo.
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2), «sbocciati in pochi giorni» a sprone dei Fratelli Lombardi (in effetti GLOuDSRFRLQVRUJHQWLSHUFLQTXHJLRUQDWH HLQORGHGL3LR,;ULQQRYDQWH per l’Italia il miracolo di Lazzaro).27 Nell’ultimo canto A’ poeti d’Italia, il nuovo Ulisse (come da sé si noma il Rossi) esorta poi i «bardi fratelli» a lasciare le lire amorose: è tempo di «nudar le spade in soccorso della patria in periglio».28 Ne dà lui stesso l’esempio, quando, revocata da Ferdinando la costituzione, festeggia il suo compleanno (15 maggio) combattendo a Napoli sulle barricate. Rientrato a Lecce, contende a Libertini e Ponta- ULODSDOPDGHOO¶DWWLYLVPRLQVXUUH]LRQDOH¿QFKpLQRWWREUHDUULYDLOSULPR arresto per la propaganda antiborbonica espressa in ben tre giornali da lui fondati e diretti in quei mesi.29 L’anno passato in carcere a Brindisi non lo doma, anzi in quelle con- dizioni scrive il dramma popolare in versi Uberto di Crema, ambientato all’epoca della Lega lombarda – il manoscritto, bruciato fra una perquisi- ]LRQHHO¶DOWUDHULVFULWWRDPHPRULDVDUjLQ¿QHGDWRDOOHVWDPSH30 Niente invece rimane dell’Iginia d’Asti, melodramma eroico di cui, immaginan- dosi artista totale, Rossi idea libretto e partitura nello stesso periodo di detenzione (ne parla Castromediano qualche tempo dopo).31 Forse l’ispira- 27. Pochi [9] canti patriottici di B. Rossi da Lecce, Lecce 1848. Ecco gli altri titoli: Ultime parole di un Bandiera a… chi il condannò a morte infame – Il miracolo di Pio IX – Pio Nono all’Italia – Epigrafe dell’italica rigenerazione – Alla libertà – L’Italia e i suoi ¿JOL – I tre colori – A’ poeti d’Italia;; tutti composti fra l’8 febbraio e l’11 marzo, tranne quello “testamentario” del Bandiera, datato 1844. 28. Ibid., p. 15. 29. N. Bernardini, Giornali e giornalisti leccesi//D]]DUHWWLH¿JOL/HFFHSS 28, 89-96, 148-149. Atti dei processi intentati al Rossi si conservano in Lecce, Archivio di Stato (ASL), Gran Corte Criminale, b. 234/44-46 e b. 279/285. Prosciolto dal reato d’insur- rezione a Napoli, Rossi restò inquisito a Lecce e a Potenza per propaganda eversiva, raduno di quattrocento rivoluzionari provenienti anche extra provincia e – assieme al Libertini – chiamata alle armi di giovani artigiani. 30. Tip. Garibaldi, Lecce 1865, la gestazione è narrata nelle pagine iniziali. De Guber- natis («La Civiltà Italiana», 11 giugno 1865), elogiando il patriottismo del Rossi, ne stronca QHOFRQWHPSROHGHEROH]]HGLVFHQHJJLDWXUDHYHUVL¿FD]LRQH'DQRWDUHFKHGXHDQQLSULPD ODVWHVVDWLSRJUD¿D*DULEDOGLGL/HFFHDYHYDVWDPSDWRO¶Emira d’Otranto, novella in quattro canti©IUXWWRGLJLRYDQLOHIDQWDVLDªGHO5RVVLFRVuQHOODSUHID]LRQH SXUHULDI¿RUDWDGRSR varie traversie ed edita a pro dell’insurrezione polacca, cioè di un’«infelice Nazione che WDQWRVRPLJOLDDOOD,WDOLDSHOJHQLRLQGROHOXQJDDERPLQHYROHVHUYLWHQRQLQWHUURWWLFRQDWL WHQGHQWLDULFXSHUDUHXQDQD]LRQDOLWjDWUR¿]]DWDª 31. M. Scardia, Un diario in carcere di S. Castromediano, in «Rinascenza salentina», 1/3 (1933), p. 158.
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Figura 2. B. Rossi, Pochi canti patriottici, Lecce 1848
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zione gli è venuta leggendo l’omonima tragedia che pure Pellico ha scritto LQSULJLRQHGLVSLHJDQGRJXHO¿HJKLEHOOLQLLQORWWDFLYLOH32 certo l’avvocato salentino deve sentir forte la responsabilità d’esser, «ancor fra le ritorte […], scuola d’esempio all’avvenir»,33 e come tanti patrioti prima di lui impugna la penna come fosse una spada. Del resto, liberato nel luglio 1849, non perde occasione per esprime- re in musica la militanza politica, e organizza in S. Angelo le onoranze funebri per Damiano Pontari, carbonaro padre di Salvatore, il caro amico che è ancora in carcere a Brindisi. La messa funebre, composta e diretta dallo stesso Rossi, incornicia con commovente effetto l’oratoria patriottica dell’avvocato Pasquale Santovito e del sacerdote Enrico Lupinacci: la ce- rimonia religiosa si conferma una manifestazione politica, in cui la musica ritrova il ruolo sociale e morale auspicato da Mazzini;; ai gendarmi non resta che rintuzzare grottescamente la diffusa emozione.34 Un nuovo arresto del Rossi (marzo 1850) è inevitabile: Castromedia- no sottolinea l’indole ardente del giovane musico-poeta;; ardore che sem- bra prerogativa di famiglia, se poco dopo è arrestato il cugino Leopoldo 5RVVLDOWURPXVLFR¿OR³DWWHQGLELOH´$VXDYROWDUDJJLXQWRLQFDUFHUHGD Michele Panico, noto carbonaro e direttore di bande, che assieme ai suoi musici-artigiani una notte d’estate ha rocambolescamente favorito la lati- tanza di Leopoldo.35 Né il Panico è l’unico capobanda ad essere perseguito per aver intrecciato musica e rivoluzione: Michele Spinelli, primo diret- WRUHGHOO¶RUJDQLFRFLYLFRGL/HFFHqJLjVWDWRVRVWLWXLWRGDOSLPRGHUDWR Carlo Cesi.36 0HQWUH OD JLRYHQW OLEHUDOH q VLVWHPDWLFDPHQWH SHUVHJXLWD WRUQD D HPHUJHUHLOUXRORGHLJHVXLWL5LHQWUDWLD/HFFHD¿QH¶HVVLDOLPHQWDQROD speranza di una mediazione fra autorità borboniche e cittadini disorientati GDJOLXOWLPLULYROJLPHQWL,QSULPD¿ODqSURSULRLOIUDWHOORGL%HQLDPLQR Carlo, che, specializzato in casi morali, si accompagna al rettore Carlo Maria Turri nelle visite ai detenuti politici.37 D’altra parte la scarcerazione 32. A una riduzione lirica per il S. Carlo di Napoli aveva già pensato nel 1840 Tomás Genovés y Lapetra col librettista Girolamo Marini. 33. Ultime parole di un Bandiera. 34. Palumbo, Risorgimento salentino, pp. 514-515, e Bernardini, Lecce nel 1848, p. 237. 35. Cosi, Un torbido capobanda. 36. Ead., “Il progresso dell’incivilimento”. 37. Scardia, Un diario in carcere, 2/1 (1934), p. 37.
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di Beniamino e poi di Salvatore Pontari per intercessione di quei Padri38 non induce i nostri mazziniani a comportamenti prudenti. Particolarmente esposto rimane Rossi, per il quale Dio e patria restano indissolubilmente uniti: cercando di tener viva nei leccesi l’attesa del riscatto, l’indomito avvocato riprende a scrivere e a dirigere brani sacri in S. Francesco della Scarpa e in S. Angelo: a leggere le partiture pervenute, gli accenti verdiani VL IDQQR VHPSUH SL VFRSHUWL ULFDOFDQGR XQD FLIUD DUPRQLFD GLQDPLFD H strumentale apparsa eccedente dieci anni prima. Nel 1853 Beniamino riesce anche a far rappresentare al S. Giusto il melodramma Elfrida di Salerno: egli ne ha scritto il libretto, ispirandosi alla storia locale (Elfrida è moglie segreta di Tancredi, conte di Lecce), la musica è di Giacomo Lombardi, pure lui tornato sotto l’ala protettiva dei gesuiti. Il melodramma è andato perduto, ma che si tratti di opera in- tesa a cantare passioni non solo amorose è dimostrato dalla reazione delle autorità, di cui raccontano per corrispondenza privata due giovani lette- rati (Tommaso Briganti e Ludovico Rienzi) al tempo ospiti del Collegio gesuitico:39 vicini anche ideologicamente al Rossi e al Lombardi, essi certo non dovevano sopportare le farsette reazionarie per converso propinate dai Padri precettori,40 veri campioni di equilibrismo politico. D’altra parte, sullo scorcio del cosiddetto dodicennio preunitario, an- che la sorveglianza della polizia si fa incalzante;; per i “Carlascia” locali era chiaro che certa musica non solo faceva da pretesto e copertura di riunioni, ma anche da mezzo di propaganda politica. Né le note avevano bisogno di accompagnarsi alle parole “alcooliche” d’un Rossi o d’un Forleo: a Luigi /HRQHYLUWXRVRGHOÀDXWRJLjQRPLQDWRVLSURLELURQRJOL³DVROR´GXUDQWH OHUDSSUHVHQWD]LRQLOLULFKHJLj³FDVWUDWH´¿QRDOJURWWHVFR ©SHUFKp>EUDQL che] commovevano e inducevano a pensare ai patrioti lontani».41 38. Palumbo, Risorgimento salentino, p. 553. 39. G. Rizzo, Tommaso Briganti inedito poeta romantico, L. Olschki, Firenze 1984, p. 78. 40. Scardia, Un diario in carcere, 3/4 (1935), p. 222, per la recita in collegio (carne- vale 1851) d’una commedia «in cui s’insultava la povera Italia». D’altra parte per i gesuiti all’epoca lavorano tanto il Rossi quanto il Lombardi, che in particolare aiuta padre Marteau a comporre l’opera comica Don Procopio, cfr. Palumbo, Risorgimento salentino, p. 560, e Id., Lecce vecchia, pp. 108-109. 41. Ibid., p. 541, e L. Cosi, G. Oronzo e G. Battista Leone costruttori di strumenti D¿DWRQHOOD/HFFHSUHXQLWDULD, in Liuteria, musica e cultura, Turris, Cremona 1998, pp. 33-41.
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Figura 3. B. Rossi, Autografo della Messa in Gloria n. 6, 1855 ca., “Quoniam” FRQDVRORGLÀDXWR
Oggetto di ripetute visite domiciliari e arrestato “preventivamente” ne- gli ultimi mesi di regno di Franceschiello, il Rossi si vide bruciare drammi e spartiti patriottici, nonché certi materiali raccolti con l’intento di scrivere una Storia della musica italiana.42 Ma non era il momento di arrendersi, come dimostra il suo comporre in prigione musica e parole dell’ennesimo inno marziale eroico, dedicato questa volta a Garibaldi.43 Non solo era or- mai chiaro il crollo dei Borbone: soprattutto rimaneva «ancora tanta parte d’Italia a redimere».44 42. De Simone, Lecce e i suoi monumenti. 43. Della Noce descrive la copia in suo possesso (edita qualche mese dopo a Napoli presso Fabbricatore), notandone la buona fattura musicale e riportandone i versi, introdotti col motto «dal carcere 20 giugno 1860»: cfr. Musica patriottica, pp. 300-301. 44. Prefazione all’Uberto di Crema, sopracitato.
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3. «Dall’impeto giovanile alla virilità assennata» Lo sguardo retrospettivo che nei primi anni Settanta Beniamino Rossi YROJHDO©SLVSOHQGLGRGHLULYROJLPHQWLGHOVHFRORª45 è, ovviamente, uno VJXDUGRFKHKDPROWRGHOO¶DXWRELRJUD¿FR6RQSDVVDWLROWUHGLHFLDQQLGD quando egli ha corso libero per Lecce sventolando il tricolore e ha fatto FDQWDUHQHOWHDWURFLWWDGLQRO¶HQQHVLPRVXRLQQRSDWULRWWLFRLQ¿QHLQWHVR a salutare Il Plebiscito.46 Sono stati anni di faticoso cammino, segnati dal graduale spegnersi di «facili entusiasmi e improvvisi bollori […] sulla via GHOPDWHULDOHSURJUHVVRªFRVuFKHLOPD]]LQLDQR5RVVLVLqSHUSULPRSHU- suaso che «all’Italia, repubblicana per predestinazione, abbisogna oramai che sia accettata dalla coscienza universale» la formula monarchico-sabau- da, che si «trascelse per lo imperio degli avvenimenti e pel senno pratico che guidò nell’apprezzamento delle politiche necessità».47 Non che l’avvocato, sostituto procuratore, presidente del comizio agra- rio, amministratore municipale (il curriculum dopo il 1864 si fa cospicuo) WUDVFXULLQXQ¶HUDFKHVLIDVHPSUHSL©WULVWDHSURVDLFDª48 l’amato linguag- gio del sentimento;; anzi, la musica gli si conferma anno dopo anno medium importante per affrontare problematiche legate al processo di nazionaliz- zazione che, ancora una volta, si combatte anche in teatri, chiese e piazze. ,QWDQWR¿QFKpOHFXUHLVWLWX]LRQDOLO¶KDQQRSHUPHVVRLO5RVVLKDFRQ- tinuato a scrivere per il S. Giusto: nel 1861 (con replica due anni dopo) ha prodotto la tragedia lirica Caterina di Guisa su vecchio libretto di Felice Romani, ma «con spartito nuovo del tutto».49 L’esito è stato modesto, il lavoro sembrato “audace” alle orecchie dei cronisti locali: un giudizio che, persa la partitura, lascia la curiosità di sapere come il nostro dilettante pen- sasse di emulare le amate opere di Verdi, quelle che nei primi anni d’Unità 45. B. Rossi, Per la festa dello Statuto (1871), in Discorsi due del sindaco avv. Benia- mino Rossi, tip. Garibaldi, Lecce 1872, p. 2. 46. Palumbo, Risorgimento salentino, p. 606. Per altri particolari sulle feste musicali di quell’autunno cfr. Della Noce, Musica patriottica, pp. 289 s.: si segnalano l’inno Il voto di Francesco Vigneri, la Marcia dei Salentini di Leonardo Cisaria, due canti garibaldini di Salvatore Morelli (uno musicato da Giuseppe Miglietta) e un Inno trionfale di Carmine della Ratta. 47. B. Rossi, Pel giorno natalizio di S.M. il Re d’Italia (1872), in Discorsi due, pp. 12-13. 48. Rossi, Per la festa dello Statuto, p. 2. &RVu$OHVVDQGUR'H'RQQRLQ©,O&LWWDGLQROHFFHVHªOXJOLR
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furoreggiano anche a Lecce.50 In effetti, ripercorrendo per la Caterina il tema della cieca gelosia (causa di morti innocenti), Rossi abbandona le trame risorgimentali, non l’impegno musical-patriottico. È plausibile che DQFKHLQSURYLQFLDULDI¿RUDVVHDOORUDFRQSLYLROHQ]DGLSULPDODquerelle fra partigiani del melodismo italiano e fautori dell’armonismo tedesco. In proposito, essendo perduta anche l’altra opera postunitaria del Rossi, la Bianca de’ Gaddi di cui egli, artista totale, elabora nel 1862 versi e musica,51 dobbiamo attendere il 1873 per aver conferma di questa, peraltro scontata, fede verdiana, manifestata in un acceso corsivo antiwagneriano su «La Nuova Riforma»,52 ennesimo periodico politico-amministrativo- economico-let te ra rio da lui diretto e per cui cura anche la cronaca musi- cale cittadina. Tanta repulsa contro Wagner potrebbe sembrar paradossale in un poe- ta-musico di forti valori sociali, che in qualche modo realizzava, in ambito periferico, l’ideale dell’artista totale grandiosamente incarnato oltralpe da Wagner. D’altra parte, Rossi mai s’era sognato di abbandonare il solco della «fecondità» linguistico-melodica nazionale, «cui l’armonia deve far GDFRPSOHPHQWRªO¶DUWLFROR¿JXUD DQFRUDULFDOFDLO0D]]LQLGHO FRPSUHVHFHUWHULÀHVVLRQLG¶DVFHQGHQ]DURXVVHDXLDQDVXOOD©PXVLFDOLQ- JXDJJLRGHOVHQWLPHQWRª 6LKDFRVuPLVXUDGHOODIHUUHDFRHUHQ]DHVWHWLFD dell’estensore, capace di leggere nel Verdi dell’Aida non una «trasforma- zione» o peggio un tradimento della patria musica, ma proprio un abile riutilizzo di «non essenziali» parametri franco-tedeschi, in seno all’«invul- nerata» tradizione melodica italiana.53 50. M.B. Mansi-Montenegro, Il teatro S. Giusto a Lecce, in «Itinerari di ricerca stori- ca», X (1996), pp. 184, 194-198. 51. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, p. 80. 1DSULOH/¶LQL]LDWLYDHGLWRULDOHQRQVXSHUDO¶DQQRYLVSLFFDQROHELRJUD¿H dei maestri salentini Paisiello (21 febbraio) e Leo (21 marzo), restando annunciate quelle GHOÀDXWLVWD/XLJL/HRQHHGL*LXVHSSH/LOOR¿JOLRGL*LRVXqHEXRQRSHULVWDPRUWRWUD- gicamente a Napoli nel 1863. In genere severe sono le critiche a cantanti e orchestra degli allestimenti al nuovo teatro civico (per la cui erezione cfr. oltre): sotto la lente del Rossi passano il Don Checco di De Giosa (14 febbraio), il Faust di Gounod (5 marzo) e il Don Pasquale di Donizetti (21 marzo). 53. La polemica è ripresa il 4 aprile: «Abbiamo rilevato da parecchi giornali di Napoli lo splendidissimo successo dell’Aida. Taluno inarca le ciglia, temendo per l’avvenire della musica italiana, perché ritiene che l’Aida pieghi alla musica dell’Avvenire. Possiamo assi- curare ch’è timor panico, perché l’AidaSRWUjSLRPHQRSLDFHUHHJLjXQWHU]RVXFFHVVR colossale quello di Napoli) ma è musica essenzialmente ed assolutamente italiana».
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Figura 4. B. Rossi, Wagner e Verdi, in «La Nuova Riforma», 25 aprile 1873
L’appassionato difensore della via nazionale all’espressione del sen- timento conduceva però le sue battaglie patriottiche non solo in ambito formale ed esegetico, consapevole di dover incidere a fondo nelle strutture sociali perché l’arte potesse contribuire al civile progresso. Non a caso è per suo diretto interessamento che a Lecce l’antico teatro pubblico, ligneo e a gestione privata (chiuso nel 1864), si trasforma in tea tro civico, in mu- ratura e a gestione municipale,54 per un impegno economico e programma- tico che vuole superare la tradizionale logica dei sussidi alle compagnie itineranti (che pure continueranno). 0D q LQ DPELWR SHGDJRJLFR VSHFL¿FDPHQWH GHOOD IRUPD]LRQH SRSR- ODUHFKHLO5RVVLODYRUDFRQSLLPSHJQR1HODPPLQLVWUDQGR con Salvatore Pontari (compagno di lotta da una vita) e Cesare Massa l’or- IDQDWUR¿RPDVFKLOHFLWWDGLQRJLjLQWLWRODWRD6)HUGLQDQGRHRUDD*DUL- 54. Municipio di Lecce. Resoconto e Bilancio, Lecce 1870, p. 7, e Uscita, artt. 83-84. Il teatro fu inaugurato il 21 dicembre 1871: cfr. M.G. Brindisino, Notizie musicali sui perio- dici politico-letterari salentini dalla seconda metà del sec. XIX sino al 1911, in «Periodica musica», 3 (1985), p. 19.
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EDOGL QHULODQFLDODVFXRODGL¿DWLDYYLDWDFRQGLI¿FROWjGLHFLDQQLSULPD dal maestro Cesi.55 Ebbene, sotto la gestione Rossi l’introito derivato dai concerti della banda degli “spiziotti” in un anno quadruplica, diventa se- FRQGDYRFHDWWLYDGRSRTXHOODLPSXWDWDDOODWLSRJUD¿D56 grazie all’impegno del nuovo maestro Antonio De Virgilio, e soprattutto al restare esentati gli alunni da altri impegni artigiani, soluzione per l’ordinario non applicabile nelle bande civiche. Infatti, l’arte musicale incoraggiavasi con tanta solerzia e amore da far desiderare per tutta la Provincia i contratti per le feste colla fanfara dell’Ospizio, ad onta di non lieve tariffa. E per vie maggiormente favorire l’incremento di tal bell’arte la quale può offrire un onesto e sicuro lucro (quando non sia accompagnata da altra arte meccanica, come aveasi cura di adoperare) disponeasi una scuola GLFODULQRDI¿GDQGRODDGXQJLRYDQHH[DOOLHYRGHOO¶2VSL]LRHVROOHFLWDQGR ancora lo impianto di una scuola di strumenti a corda, bisogno sentito nel nostro paese.57
La scuola di strumenti a corda in effetti non prese avvio (tornarono a provarci Castromediano e De Donno alcuni anni dopo);;58 in compenso, la EDQGDGHO*DULEDOGLDQLPDWXWWHOHLQL]LDWLYHSDWULRWWLFKHGHOGLI¿FLOHSHULR- do, compresa quella del maggio 1866, quando, Rossi in testa, gli “spiziot- ti” marciano per tutta la città coi giovani volontari che dovrebbero unirsi all’indomito generale per liberare il Veneto. Rossi stesso, manco a dirlo, compone per l’occasione versi e musica di un lamento dedicato a Venezia oppressa, mentre il Cimino gli fa eco con un Inno romano che rivendica la libertà per un altro pezzo d’Italia.59 La musica, per i nostri ormai maturi mazziniani, è dunque sempre in- tesa quale mezzo elettivo per sollecitare e condividere nobili ideali e forti passioni: non a caso, quando il Rossi è amministratore comunale, a Lecce 55. Cosi, “Il progresso dell’incivilimento”, pp. 375-376. 56. Resoconto della gestione dell’ospizio Garibaldi, tip. Garibaldi, Lecce 1865, pp. 3-4. L’amore del Rossi per la banda degli “spiziotti” è testimoniato da un carteggio con Giuseppe Radovich per l’acquisto in Napoli di nuovi strumenti e partiture: ASL, Istituto provinciale Garibaldi, fascc. 1081-1082. 57. Resoconto della gestione, pp. 18-19. 58. Atti del Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto (giugno 1869), tip. Garibaldi, Lecce 1869, p. 14. Per i progressi della banda degli “spiziotti” negli anni successivi cfr. Un’altra musica, pp. 120-130. 59. Della Noce, Musica patriottica, pp. 308-309;; l’inno del Cimino, presto popolare, tramite Giuseppe Libertini sarebbe arrivato a Garibaldi, che avrebbe apprezzato l’omaggio.
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YLHQH¿QDQ]LDWDODVFXRODJUDWXLWDGLPXVLFDGHOJLjFLWDWR5DIIDHOH(OPR60 iniziativa controcorrente, quando in Terra d’Otranto si fa strada la convin- zione ministeriale che fra i molti bisogni dell’insegnamento, proprio non VLGHEEDDQQRYHUDUHTXHOORPXVLFDOHFRQEXRQDSDFHGHOOD¿ORVR¿DPD]]L- niana sull’arte sociale.61 Coraggiosa è dunque anche l’iniziativa contestual- mente presa dal Rossi per ridare dignità ai bandisti civici, ormai surclassati dagli “spiziotti”;; in una relazione al consiglio municipale del maggio 1870 egli dà un quadro desolante della situazione: mancato ricambio e scarsa disciplina dei musici-artigiani, divise logore e strumenti vecchi. Altro che luogo del “progresso dell’incivilimento”, la banda è in pieno «regresso, oggetto di pietà ciò che altravolta faceva il decoro del nostro paese». La soluzione proposta è radicale: affrontato l’acquisto urgente di alcuni stru- menti che rimarranno in dotazione civica, si propone di dare corso allo scioglimento e alla rifondazione dell’organico;; cosa che avviene l’anno successivo grazie al nuovo capobanda Giuseppe Palmieri. Inoltrandosi negli anni Settanta, sembra tuttavia che Lecce non col- ga gran frutto dell’“assennata virilità” con cui il poeta-musico e pubblico amministratore aveva affrontato, lui per primo, tante “necessità politiche e VRFLDOL´6WDQFKH]]DHGHOXVLRQHFRQVLGHUDWH¿VLRORJLFKHDXQSULPRFRQ- suntivo, son divenute croniche, per una percezione negativa del momento VWRULFRFKHLOFRQWHVWRSHULIHULFRPHULGLRQDOHUHQGHSLSHVDQWH(SRLLO Rossi, patriota cattolico, soffre un altro iato doloroso: la breccia di Porta 3LDKDUHVRSLSHVDQWHLOnon expedit, che grava come un macigno sui pro- positi di civile e concorde progresso. «Roma, dell’Italia oramai», scrive il Rossi nel 1872, esige «nuove forme e delimitazioni a due poteri l’un contro l’altro armati insino ad ora, [richiedendo] pacatezza e serietà inusitate a popol nuovo alla libertà».62 Forse la graduale eclissi politica del Rossi va letta in una prospettiva di disillusioni, anche se a quest’uomo di gran fede non vengono meno 60. Municipio di Lecce. Resoconto e Bilancio, Uscita, art. 64. 61. Nel 1865, il direttore delle scuole gallipoline Emanuele Barba, preoccupato SHUFKpLOFDSREDQGD(UFROH3DQLFR¿JOLRGHOJORULRVRFDUERQDUR0LFKHOH FRRSWDWURSSL adolescenti, ricalca l’opinione del segretario della P.I. Nicomede Bianchi sulla pedagogia PXVLFDOHHVLGRPDQGDVH©QHOOHSUHVHQWLFRQGL]LRQLGHOODJUDQGH0DGUH3HQLVRODVLDSL XWLOH HGXFDUH 2UIHL H QRQ 3DOODGL JDODWHHª RYYHUR VH OD SL ³VHGXFHQWH PXVD´ QHO FDVR bandisticamente attrezzata, «non defraudi i piccini del miglior pane dell’intelletto»;; Cosi, Fanciulli virtuosi, p. 351. 62. Rossi, Per la festa dello Statuto, p. 4.
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Figura 5. B. Rossi, Inno corale cattolico, Milano 1878
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impegno sociale e culturale, evidenti, ancora una volta, attraverso il com- porre versi e musica di pubblica fruizione. L’elezione del papa Leone XIII (1878), ad esempio, è salutata dal Rossi con un Inno corale cattolico¿- JXUD FKHHGLWRD0LODQRDVSHVHGHOO¶DXWRUHHDEHQH¿FLRGHOO¶RERORGL 63LHWURVLHVHJXHSLYROWHD/HFFHQHOODFKLHVDGHOO¶$QJHORLQHVVRVL auspica l’avvento di una nuova epoca di spiritualità e di pace. Forti parole, incitanti a un cristianesimo pugnace e veicolate come sempre da una calda HDSSDVVLRQDWDPHORGLDDSSHQDLQFUHVSDWDGD³PRGHUQL´FURPDWLVPL FRVu FKHLOJXVWRQD]LRQDOSRSRODUHGLVWDPSRYHUGLDQRWRUQDD¿DPPHJJLDUH sul palcoscenico sacro.63 Tuttavia, il suo congedo dal mondo avviene con un corrosivo pamphlet in versi intitolato Fasti cronistorici¿UPDWRFRQO¶DQDJUDPPD5RERDP Sisnieni e stampato nel 1880.64 In tale “fedel caleidoscopio” nulla è perdo- nato ai tempi moderni, dalla vendita dei beni ecclesiastici alla creazione di IHUURYLHVHQ]DFRPPHUFLHGLSURYLQFH³HOHWWRUDOL´VLGLI¿GDGHOO¶HPDQFL- pazione femminile, si stigmatizza la burocrazia parassitaria;; senza dire di PDVVRQHULDGDUZLQLVPRQLKLOLVPRFDPRUUDPD¿D0DFLzFKH5RERDP SLGHSORUDqTXHOODFKHULWLHQHXQDSURJUHVVLYDFDGXWDGLIHGHHGLVSLUL- tualità, il prevalere del sembrare sull’essere, il trionfo della goliardia alla 6WHFFKHWWLVXOO¶LGHDOLVPRULVRUJLPHQWDOH,O¿QDOHJULGRGLGRORUH©PDVFKH- re, sempre maschere / per divinar se sia, / questo il regno d’Italia e di Ta- OLDªDQWLFLSDQGRGLSRFRLOIDOVWDI¿DQR©WXWWRQHOPRQGRqEXUODªVXJJHOOD di profonda delusione la vita d’un uomo che aveva diversamente creduto nelle capacità formative del teatro e del linguaggio del sentimento.
63. Copia in ArcArAd. 64. Copia in BPLe.
ANTONIO LUCIO GIANNONE Sigismondo Castromediano e la memorialistica risorgimentale
Nell’ambito della memorialistica risorgimentale, una tematica parti- FRODUHHEHQGH¿QLWDqTXHOODFDUFHUDULD,QTXHVWR¿ORQHJOLLQGLVFXVVLPR- delli sono rappresentati, com’è noto, da due opere, peraltro diversissime tra di loro: Le mie prigioni di Silvio Pellico (1832) e Ricordanze della mia vitaGL/XLJL6HWWHPEULQL $TXHVWHELVRJQDDJJLXQJHUHLOSL eccentrico Manoscritto di un prigioniero (1843) di Carlo Bini, che però è GHGLFDWRVRORLQSDUWHDOOHYLFHQGHFDUFHUDULHGHOO¶DXWRUHHGqSLXQOLEUR GLULÀHVVLRQLGLFDUDWWHUHVRFLDOHHGHVLVWHQ]LDOH0DDQFKHOHMemorie del duca Sigismondo Castromediano (Cavallino di Lecce, 1811-ivi, 1895), in- titolate Carceri e galere politiche,1FRVWLWXLVFRQRXQDGHOOHRSHUHSLVLJQL- ¿FDWLYHLQTXHVWRFDPSRDQFKHVH¿JXUDQRVRORUDUDPHQWHQHOOHWUDWWD]LRQL sulla memorialistica ottocentesca, dove peraltro sono a malapena citate e spesso con inesattezze di vario genere. Nel panorama tracciato da Guido Mazzoni nel lontano 1936, ad esem- pio, il nome di Castromediano è appena menzionato.2 Sergio Romagnoli, 1. Carceri e galere politiche. Memorie del duca Sigismondo Castromediano, R. ti- SRJUD¿DHGLWULFHVDOHQWLQD/HFFHULVWIRWRPHFFDQLFDFRQXQDPremessa di G. *RUJRQL&RQJHGR*DODWLQD 6XOOD¿JXUDHO¶RSHUDGL6LJLVPRQGR&DVWURPHGLDQRFIU B. De Sanctis, &HQQRELRJUD¿FRGHOGXFD6LJLVPRQGR&DVWURPHGLDQR, in Castromediano, Carceri e galere politiche, 2, pp. 209-249;; G. Gigli, Sigismondo Castromediano, A.F. For- miggini, Genova 1913 (rist. anastatica Congedo, Galatina 2011);; A. Vallone, Sigismondo Castromediano storico e letterato, in «Studi Salentini», 5 (1960), pp. 258-304;; L. Agnello, Sigismondo Castromediano, in 'L]LRQDULR ELRJUD¿FR GHJOL LWDOLDQL, 22, Istituto dell’En- ciclopedia Italiana, Roma 1979, pp. 245-248;; G. Gorgoni, 6 &DVWURPHGLDQR %LRJUD¿D dell’uomo, Duca di Morciano e Marchese di Cavallino, TorGraf, Galatina 1996. 2. G. Mazzoni, L’eloquenza e le ricordanze di fede e d’azione, in Id., L’Ottocento, 2, F. Vallardi, Milano 19607, p. 1222.
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dal canto suo, ne parla in pochi righi ma incorre in un errore allorché scrive che egli «si mise a dettare, vecchissimo, le proprie memorie»,3 mentre, come si sa, l’opera ha avuto un lunghissimo iter redazionale. Anche un altro critico, Anco Marzio Mutterle, commette un’imprecisione, stavolta relativamente alla vita del patriota salentino, affermando che egli «passò otto anni nelle prigioni di Lecce e Procida»,4 le quali invece furono solo le prime tappe del suo lungo calvario. L’opera di Castromediano è ricordata ancora da Leonzio Pampaloni5 e da Folco Portinari,6SRLSLQLHQWHQHJOL DOWULUHSHUWRULVSHFL¿FL(VXTXHVWDDVVHQ]DRGLPHQWLFDQ]DSUREDELOPHQWH KD LQÀXLWR DQFKH OD UDULWj GHOO¶RSHUD FKH SHUDOWUR q VWDWD UHFHQWHPHQWH ristampata a cura dell’amministrazione comunale di Cavallino di Lecce, paese natale dell’autore. Ma, se Castromediano viene almeno nominato in qualche occasione, sono sistematicamente ignorate le memorie di altri patrioti meridionali, tutti compagni di cella del duca, quali: 5DI¿QDPHQWRGHOODWLUDQQLGHERUER- nica ossia I carcerati in Montefusco del calabrese Nicola Palermo;;7 le me- morie dell’altro calabrese Antonio Garcea, dal titolo Antonio Garcea sotto i Borboni di Napoli e nelle rivoluzioni d’Italia dal 1837 al 1862, scritte e pubblicate da sua moglie Giovannina Bertola;;8LSLVLQWHWLFLRicordi della galera del brindisino Cesare Braico, apparsi nel volume Lecce 1881,9 in cui Castromediano pubblicò per la prima volta uno scritto tratto dalle sue Memorie, dal titolo Da Procida a Montefusco, in una stesura diversa da TXHOODGH¿QLWLYD10 3. S. Romagnoli, Narratori e prosatori del Romanticismo, in Storia della letteratura italiana, dir. da E. Cecchi, N. Sapegno, 8: Dall’Ottocento al Novecento, Garzanti, Milano 1968, p. 161. 4. A.M. Mutterle, Narrativa e memorialistica nell’età romantica, in Storia letteraria d’Italia, nuova ed. a cura di A. Balduino, L’Ottocento, 2, a cura di A. Balduino, Piccin, Padova 1990, p. 1183. 5. L. Pampaloni, Memorialisti dell’Ottocento, in Dizionario critico della letteratura italiana, dir. da V. Branca, 3, UTET, Torino 1986, p. 152. 6. F. Portinari, I memorialisti, in Storia generale della letteratura italiana, a cura di N. Borsellino, W. Pedullà, 9: La letteratura dell’età industriale. Il secondo Ottocento, prima parte, F. Motta, Milano 1994, p. 80. 7LSRJUD¿D$GDPR'¶$QGUHD5HJJLR&DODEULD 7LSRJUD¿D/HWWHUDULD7RULQR 9. C. Braico, Ricordi della galera, in Lecce 1881, T. editrice salentina, Lecce 1881, pp. 33-40. 10. S. Castromediano, Da Procida a Montefusco, ibid., pp. 9-28.
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( FRVu DYYLHQH QHOOH SL DPSLH DQWRORJLH GHGLFDWH DL Memorialisti dell’Ottocento, quella a cura di Gaetano Trombatore11 e le altre due a cura di Carmelo Cappuccio,12 tre ponderosi volumi nei quali, a parte Settembri- QLQRQ¿JXUDQHPPHQRXQULJRGHOOHMemorie del duca di Cavallino e de- JOLDOWULVFULWWLDSSHQDFLWDWLQRQFKpLQTXHOODSLUHFHQWHI memorialisti del 19° secolo,13 a cura di Luciana Martinelli, dove almeno si possono leggere alcune pagine delle Memorie politiche (1873) di un importante, per quanto controverso, uomo politico meridionale, Liborio Romano. Eppure i quattro memoriali di Castromediano, Palermo, Garcea e Brai- co, ai quali si potrebbero aggiungere gli scritti di uno storico che fu un altro compagno di carcere di questi patrioti, Nicola Nisco,14 costituiscono un com- patto e fondamentale corpus relativo alle lotte risorgimentali del Quarantotto nel Regno delle Due Sicilie e soprattutto alla dura esperienza da essi vissuta per vari anni nelle galere borboniche. E possiamo aggiungere anche che i fatti narrati in questi libri delineano una sorta di epopea risorgimentale del 6XGIRUVHODSLVLJQL¿FDWLYDSHULQRPLWXWWLGLSULPRSLDQRGHLSURWD- gonisti (da Carlo Poerio a Luigi Settembrini, da Silvio Spaventa a Nicola Schiavoni, oltre agli autori delle memorie già ricordati) e per le vicende da HVVLYLVVXWHSHUOXQJKLDQQLLQFDUFHUHDSSXQWR¿QRDOO¶DYYHQWXURVDOLEHUD]LR- ne.15 Mentre insomma per i moti del 1820-1821 nel Lombardo-Veneto, nei principali repertori, a cominciare proprio da quello di Mazzoni, sono pun- tualmente rammentati tutti quei patrioti che rievocarono la loro detenzione nello Spielberg e in altre carceri asburgiche (non solo quindi Pellico, ma an- che Pietro Maroncelli, Giorgio Pallavicino, Federico Confalonieri, Giovanni Arrivabene, Alessandro Andryane), dei meridionali non resta quasi traccia. 11. Memorialisti dell’Ottocento, 1, a cura di G. Trombatore, Ricciardi, Milano-Napoli 1953. 12. Memorialisti dell’Ottocento, 2, a cura di C. Cappuccio, Ricciardi, Milano-Napoli 1958;; 3, Ricciardi, Milano-Napoli 1972. 13. I memorialisti del 19° secoloDFXUDGL/0DUWLQHOOL,VWLWXWR3ROLJUD¿FRH=HFFD dello Stato, Roma 1995. 14. Cfr., ad esempio, N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli: 1824- 1860, Antonio Morano, Napoli 1884-1889. 15. Non a caso, alcuni di essi sono tra i protagonisti del romanzo di Anna Banti Noi credevamo (Mondadori, Milano 1967), da cui il regista Mario Martone, nel 2010, ha tratto LO¿OPRPRQLPR$WDOSURSRVLWRFLVLDSHUPHVVRGLULQYLDUHDG$/*LDQQRQHIl «più leale WUDQRLªOD¿JXUDGL6LJLVPRQGR&DVWURPHGLDQRQHOURPDQ]RGL$QQD%DQWL©1RLFUHGH- vamo», in «L’Idomeneo», Rivista della Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione di Lecce, 12 (2010), pp. 55-65.
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0DHQWULDPRRUDSLQHOPHULWRGHOQRVWURDUJRPHQWRCarceri e gale- re politiche. Memorie del duca Sigismondo Castromediano videro la luce, come s’è detto, in due tomi, a Lecce, nel 1895-1896, subito dopo la morte dell’autore, avvenuta il 26 agosto 1895. Non è questa la sede per soffermar- si sulla tormentata storia redazionale di esse. Sinteticamente ricordo soltan- to che la prima idea di scriverle, come confessa Castromediano all’inizio del Proemio, la ebbe appena mise piede nelle carceri di Lecce nel 1848, accusato di cospirazione antiborbonica.16/DVWHVXUDGH¿QLWLYDSHUzODSRUWz avanti soprattutto a partire dagli anni Ottanta, dopo aver rifatto i capitoli scritti nei decenni precedenti che non lo soddisfacevano a causa dei rife- rimenti alla storia del Reame, in quanto non aveva avuto la possibilità di documentarsi adeguatamente su ciò che era avvenuto quando era rinchiuso nelle carceri e quando risiedeva a Torino, essendo stato eletto deputato nel primo Parlamento italiano. Cioè si tratta di quasi mezzo secolo (e questo è bene ricordarlo) dalla prima ideazione alla pubblicazione dell’opera. &RPSRVWHGDYHQWLQRYHFDSLWROLROWUHDOSURHPLRSHUXQWRWDOHGLSLGL cinquecentocinquanta pagine, le Memorie sono sostanzialmente la cronaca dettagliata della dura esperienza vissuta dall’autore e da numerosi altri pa- trioti nelle carceri e nelle galere borboniche di Napoli, Procida, Montefusco e Montesarchio, dal 1848 al 1859.17 Esse infatti vanno dalla reclusione di Castromediano nel carcere di Lecce avvenuta il 30 ottobre 1848 alla libera- zione in Irlanda, con lo sbarco a Queenstown del 6 marzo 1859, e poi con O¶DUULYRD7RULQRXQPHVHGRSR,O¿QHGHOO¶DXWRUHqTXHOORGLWHVWLPRQLDUH le sofferenze, le vessazioni, le angherie subite da lui e dai suoi compagni in questi terribili luoghi di reclusione per i propri ideali di libertà. Castromedia- no all’inizio del Proemio scrive infatti che aveva promesso ai suoi compagni di voler essere «lo storico dei loro dolori»18HSLDYDQWLFRQWLQXDFRVu E in questo nuovo lavoro altro non offro, se non ciò che di nostra prigionia è poco noto o mal noto, cioè quanto ingiustamente oppressi e perseguitati dall’ira e dalla crudeltà borbonica, e quanto orribili i dolori e i misteri delle prigioni QDSROHWDQHHSLDQFRUDGHLbagni o galere, ossia di quei carnai dove langui- 16. Il 29 giugno 1848, Castromediano fu tra i fondatori del Circolo Patriottico Salen- WLQRGHOTXDOHGLYHQQHLOVHJUHWDULRHWUDL¿UPDWDULGLXQ3URFODPDFROTXDOHVLSURWHVWDYD contro l’abrogazione dello Statuto costituzionale, ad opera di Ferdinando II di Borbone, e si invitava il popolo a difendere la conquistata libertà. 17. Su questo periodo cfr. anche S. Castromediano, Lettere dal carcere, a cura di G. Barletta e M. Paone, Editrice Salentina, Galatina 1995. 18. Castromediano, Carceri e galere politiche, 1, p. 9.
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vano, accatastati, abbandonati, e fuori umanità, i forzati o galeotti destinati alla catena, o dalla legge, per enormi misfatti, o dal dispotismo assoluto, come rei di stato, solo perché di esso avevano tentato di ammansire la ferocia. Di questi ultimi a gemere v’era, nel mio tempo, assai numero, sparsi per tutte le carceri e le galere del regno, confusi e trattati non altrimenti che i ladri e gli assassini.19
In effetti le Memorie sono soprattutto la denuncia di queste disumane condizioni di vita e da esse emerge lo sdegno e l’indignazione contro il governo borbonico che «già da mezzo secolo – scrive l’autore all’inizio GHOO¶RSHUD±SHUVRQL¿FDYDHO¶LQJLXVWL]LDHODSUHSRWHQ]Dª20 E le carceri del 5HDPH VRQR SHU O¶DSSXQWR LO VLPEROR SL YLVWRVR GL TXHVWR PDOJRYHUQR Memorabile, a questo proposito, è l’incipit del capitolo III: /HFDUFHULGHO1DSROHWDQRHUDQRHVRQRGDFRQVLGHUDUHFRPHODSLQHIDQ- da creazione della ingiustizia e della malvagità umana, la negazione d’ogni bene, l’affermazione d’ogni male, bolge d’espiazioni crudeli, affatto prive dello scopo di migliorare i traviati, che anzi servivano viemmaggiormente a pervertirli;; fosse a serragli di belve e di efferati tormenti, tali che fantasia GLURPDQ]LHUHQRQJLXQJHDLQYHQWDUSLQHIDQGLFORDFKHGLVR]]XUDHGLWUL- stizie, scuole di vizi, d’immoralità, di viltà e prepotenza ad un tempo, dove l’umana carne si gettava ad imbrutire e a marcire, e non per altro che per im- brutire e marcire. Noi stessi, i politici, secondo che la reazione per le sue con- WLQXHYLWWRULHDGGLYHQLYDSLDXGDFHHSLDYLGDGLYHQGHWWDQRLVWHVVLULSHWR di quella brutta creazione dovemmo assaporare l’immanità sino alla feccia.21
'LHVVH&DVWURPHGLDQRGjDQFKHXQDGH¿QL]LRQHSLVLQWHWLFD©/HFDU- ceri del Napoletano non erano, né dovevano esser altro che il car naio dove si perde anima, sentimento, ossa e vita».22 E, nella sua opera, ne descrive sia «la parte materiale» che la «parte morale»,23 cioè l’universo carcerario nella VXDWRWDOLWjVLDTXLQGLO¶DVSHWWR¿VLFRQRQFKpOHVWUXWWXUHLUHJRODPHQWLLO personale addetto, sia le conseguenze sui carcerati, il degrado costante in cui erano costretti a vivere, le scarsissime (o inesistenti) condizioni igieni- FKHOHSHQHLULFDWWLOHGHOD]LRQLOHHYDVLRQLHFRVuYLD,QTXHVWRVHQVR XQRGHLEUDQLSLHI¿FDFLHLPSUHVVLRQDQWLqVLFXUDPHQWHTXHOORUHODWLYRDOOD descrizione della catena che teneva legati i prigionieri a due a due: 19. Ibid., p. 12. 20. Ibid., p. 17. 21. Ibid., p. 39. 22. Ibid., p. 45. 23. Ibid., p. 43.
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La catena! Mi sia concesso tornarvi sopra: dovendomi essa macerare i lunghi DQQLqEHQHFKHLOOHWWRUHVHQHIRUPLXQ¶LGHDHVDWWDÊXQ¿ORGLVHGLFLREOXQ- ghe maglie, l’una all’altra coordinate;; si estende per oltre tre metri e mezzo, e, insieme cogli altri ordigni accennati, supera di peso i dieci chilogrammi. Il VXRUDXFRVWULGRUHHLOSHUHQQHFLJROLRDVVRUGDQRHDPPDWWLVFRQRÊXQSHU¿ dio so serpente la catena, cui devesi rimaner soggetto giorni, mesi ed anni, e non è concesso liberarsene nemmeno un istante;; un serpente tenacemente ostinato che, mentre morde e stringe coi denti e con le spire, stritola l’intel- letto e annienta la vita. Se mai avviene potersene disciorre, anche allora, e per lungo tempo, se ne risente l’impressione, come se essa continui ad avvin- ghiare il piede. L’ho sopportata quasi un decennio, ed ora, a me che scrivo GRSRSLG¶XQTXDUWRGLVHFRORORVWUDQRIHQRPHQRG¶LPSURYYLVRYLHQPLD VRUSUHQGHUH(VVDGHYHULPDQHUHVHPSUHGRYHqVWUHWWDDÀDJHOODUHLUUHTXLH- ta, le gambe del condannato, se cammini o si arresti, se mangi o dorma, se infermo all’ospedale, sempre, sempre: gliela tolgono solo quando è in agonia sulla cuccia della morte. È per essa che si addiviene come bruti, e si rimane, direi, sconsacrati, di quel segno misterioso messoci da Dio sulla fronte, per farci meravigliosamente distinguere dai bruti.24
6FDUVHJJLDQR QHOO¶RSHUD LQYHFH OH ULÀHVVLRQL GL FDUDWWHUH SROLWLFR anche perché Castromediano è sempre saldo nella sua fede monarchica VDEDXGDHQHOODVXD©LGHRORJLDXQLWDULDDOORVWDWRSXURLQWHQVD¿QRDOO¶LQ- WUDQVLJHQ]DULJLGD¿QRDOO¶LQFRPSUHQVLRQHGLYLHDOWHUQDWLYHRPHGLDWHª25 6RORDOOD¿QHHPHUJHDGHVHPSLRODVXDSROHPLFDDQWLPD]]LQLDQDDOORU- FKpHVXOHFRQLVXRLFRPSDJQLGLSULJLRQLDD/RQGUDUL¿XWDGLLQFRQWUDUH Mazzini e concorda in pieno con la risposta scritta da Carlo Poerio all’in- vito da lui fatto, la quale viene riportata nel testo. Ma la narrazione, cronologicamente ordinata, delle vicende carcerarie FKHFRPHV¶qGHWWRqQHWWDPHQWHSUHYDOHQWHHGqDQFKHODSDUWHSLQRWD dell’opera, si interrompe a volte per lasciare spazio all’inserimento di do- cumenti (lettere, verbali, regolamenti, contratti, esposti), dovuti forse a una FHUWDLQÀXHQ]DSRVLWLYLVWLFDWLSLFDGHJOLDQQLLQFXLHJOLVFULYHOHMemorie (cioè al bisogno di documentare obiettivamente quegli eventi), o ad aneddo- ti, ritratti, bozzetti nei quali si nota l’avvicinamento dell’autore a certa let- teratura del tempo, di tipo verista, sia pure di un verismo molto temperato. 24. Ibid., p. 166. 25. G. Vallone, Sigismondo Castromediano e il modello ideologico unitario, in /¶LGHQWLWjQD]LRQDOH0LWLHSDUDGLJPLVWRULRJUD¿FLRWWRFHQWHVFKL, a cura di A. Quondam, G. Rizzo, Bulzoni, Roma 2005, p. 236.
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Si tratta del racconto di vicende, ora tragiche, ora divertenti, ora pate- tiche, ora grottesche, da lui apprese in carcere o direttamente o attraverso il racconto di altri prigionieri. Cito, ad esempio: l’aneddoto su «Papa Giorgio Tarantini», un prete che riesce a sfuggire alla cattura delle guardie borbo- niche grazie a uno stratagemma di alcuni abitanti di un paesino del Salen- to, Torchiarolo, i quali poi però vengono arrestati;;26 quello sulla «Vedova FKHQRQqYHGRYDªFLRqXQDGHOOH¿JOLHGHOFRPDQGDQWHGHO%DJQRGHOOD 'DUVHQDGL1DSROLFKHVL¿QJHYHGRYDSHUFKpLOPDULWRqXQFRVSLUDWRUHHG era stato già condannato a morte dai Borbone;;27 o ancora i «Tre aneddoti pietosi», brevi storie di incontri tra carcerati e i loro familiari nel carcere di Napoli, come il seguente: Una seconda volta, dall’estrema Calabria, ecco giungere, insieme con la vec- chia madre, due giovanetti contadini, venuti in cerca del padre loro. Otten- QHUR GL YHGHUOR H VWHWWHUR LQVLHPH LQ OXQJR FROORTXLR SDUH FKH L ¿JOL JOL avessero chiesto il nome del traditore che lo aveva ridotto in quello stato, perché, giunti ad età matura, sentivano il dovere di vendicarlo. La vendetta in Calabria si ritiene ancora come diritto contro l’offensore. Il padre in quel mentre guardavali con somma tenerezza, ma pur con sommo turbamento. Poi chinò la fronte e stette pensieroso, e dopo alcuni istanti, come svegliatosi ad XQWUDWWRWUDVVHDVpLVXRL¿JOLHVWULQJHQGROLDOFXRUHHEDFLDQGROLGLVVH loro: «Ritornate in casa vostra, e con la buona condotta fate dimenticare il nome di vostro padre. Feci il brigante e l’assassino, e non ebbi altro traditore che la sorte maligna e la mia perversità». E lasciatili bruscamente, confuso nella folla, corse, non senza qualche lagrima, a nascondersi nel fondo della sua corsia.28
Per quanto riguarda il bozzetto, oltre a qualcuno che citerò tra poco, ricordo quello della vedova a cui rubano le posate d’argento che si rivolge in carcere al detenuto detto il “siciliano” ma viene ulteriormente truffata da questo.29 E, tra i ritratti di personaggi conosciuti che Castromediano GHOLQHD HI¿FDFHPHQWH PL OLPLWR D ULFRUGDUH TXHOOR GL 5DIIDHOH 0LJOLHW- ta, un detenuto che si era autoproclamato «il re della repubblica» del suo paese, Torchiarolo, e per questo motivo era stato arrestato, processato e condannato;;30 e quello dello “Scortica”, il peggiore dei secondini del carce- 26. Castromediano, Carceri e galere politiche, 1, pp. 91-93. 27. Ibid., pp. 188-191. 28. Ibid., pp. 226. 29. Ibid., pp. 177-179. 30. Ibid., pp. 31-34.
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re di Lecce, del quale nel seguente brano mette in rilievo la sfrenata avidità di denaro: E fu appunto lo ScorticaFHUWRLOSLSHU¿GRWUDLVXRLSDULGHOTXDOHQRQ proferisco il vero nome, essendo appartenuto a reputata famiglia leccese, che, ad estorcere mance e doni, ci vessava con visite, come le chiamavano, frequenti, ossia perquisizioni brutali e minute, sia sulle persone che nei loro effetti. Ed è curioso notare che tali visite o perquisizioni divennero frequenti pei politici, e rimasero rade pei comuni, come nel passato. In una delle quali egli, frugando sino al fondo la valigia di Schiavoni, s’accorse di cinque o sei monetuzze d’oro colà conservate. Oh l’avida sorpresa da cui fu vinto! Il suo sguardo mutossi in quello del falco che s’accorge della preda. Le tolse tra le PDQLOHVWULQVHDOSHWWRFRQWHQHUH]]DFRQYXOVDQHEDFLzO¶HI¿JLHFRQYROXWWj ne lesse le leggende con emozione, e tante volte le alzò su, come sogliono i SUHWLQHOODPHVVDSHUTXDQWHDOWUHYROWHGLVVH©TXHVWHVuVRQOHYHUHRVWLHGL &ULVWRª±)LQDOPHQWHFRQJKLJQRPH¿VWRIHOLFROHULSRVHOjGRQGHWROWHOH DYHDHULFKLXVDODYDOLJLDQHUHVWLWXuODFKLDYH0DTXHOO¶RUDXQYLYRGHVLGH- rio d’impossessarsi di quelle monete agitava il secondino, e andava e tornava DOOR6FKLDYRQLSHURWWHQHUOH,OPLRDPLFRUL¿XWDYDVLHTXHJOLDGLQVLVWHUH¿QR alla noia. Accortosi però che ogni sua preghiera ed ogni sua astuzia riuscivan vane, cacciò fuori altr’arma, la minaccia.31
Ma, accanto a questi raccontini, sono presenti vere e proprie digres- sioni che fanno luce su vari aspetti della realtà e della società meridio- nale dell’Ottocento. Per questo le Memorie di Castromediano, oltre che una valenza politica e letteraria, ne hanno anche una di carattere socio- antropologico che bisognerebbe approfondire. Tra le digressioni ricordo, ad esempio, quelle sulla situazione di Terra d’Otranto nel cap. V, sul clero e l’episcopato nel cap. VI, sulla magistratura napoletana nel cap. VII e quella intitolata Camorra e camorristi a cui è dedicato l’intero cap. XVI.32 In quest’ultima ampia trattazione, ad esempio, l’autore, basandosi anche sul libro di Marc Monnier La camorra: notizie storiche raccolte e docu- mentate, pubblicato a Firenze nel 1862, descrive la struttura di quella che GH¿QLVFH XQD ©VFKLDWWD LQIHUQDOHª FKH ©UHJQDYDª QHOOH FDUFHUL H JDOHUH napoletane, incominciando dall’etimologia del nome e proseguendo col regolamento, con i vari componenti (dal capo, chiamato “masto”, ai “pic- FLRWWL´ DL ³¿GXFLDWL´ HFF FRQ OD GHVFUL]LRQH GHL YHVWLWL GHL FDPRUULVWL 31. Ibid., p. 53. 32. Ibid., pp. 229-246.
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delle sentenze implacabili di morte che emanavano all’interno del carcere. 'LTXHVWHDQ]LGjXQVLJQL¿FDWLYRHVHPSLR Frattanto una grossa bestemmia ed un grido che andavasi man mano sof- IRFDQGRHFKHSRL¿QuFRQXQOLHYHODPHQWRIUHPHURQRVRWWROHFXSHYROWH del prossimo corridoio, e poi si dileguarono affatto. Successe un frequente calpestio ed un insolito scrosciare di catene, e colui che meco interloquiva, aggrottando le pupille e dondolando con lentezza il capo soggiunse: «L’omicidio è avvenuto.» 9ROOLULWLUDUPLQHOODPLDFDPHUDHFROSDVVRSLFHOHUHFKHSRWHLPLFLDYYLD- vo. Ma orrore!… alla prima svoltata del corridoio m’incontrai col cadavere dell’ucciso che, disteso per terra e insanguinato, mostrava tre ferite alla parte del cuore. Tutti i galeotti trovatisi avanti alla terribile scena erano già spariti, e regnava silenzio sepolcrale. Solo ritto gli stava dappresso il compagno di catena, forse lo stesso che gli aveva assestati i colpi, e lo aveva condotto al PDFHOORHORJXDUGDYDFRQLQGLIIHUHQ]DHSHUHVVHUHSLHVDWWRQRQVRFRQ TXDOVHQVRG¶LQGH¿QLELOHVWXSLGH]]DPLVWDDIHURFLDDWWHQGHQGRJOLDJX]]LQL con l’incudine e il martello, acciò lo slegassero dal morto. L’insolito calpestio HORVFURVFLDUHGHLIHUULHUDQRGHLYDJDQWLQHOO¶HGL¿FLRFKHLJXDUGLDQLLQFDVL simili, spingevano nelle corsie, e ve li chiudevano, almeno per quanto era ne- cessario, acciò la calma ritornasse e si nascondesse il cadavere dell’ucciso.33
1HOOH XOWLPH SDJLQH GHO FDSLWROR O¶DXWRUH ID DQFKH DOFXQH ULÀHVVLRQL sulla mancanza di interventi da parte del governo borbonico per reprimere questo fenomeno criminale. Ma quali sono i modelli tenuti presenti dal duca di Cavallino per le sue Memorie? Sempre nel Proemio scrive: Fin dal principio avevo tolto a modello del mio scrivere le Prigioni del Pel- lico: vana lusinga anche questa! Come raggiungere la inimitabile elegia del martire dello Spielberg? E poi il secolo era mutato, e notevole era la distanza che mi separava dal pietosissimo prigioniero, diversa l’indole che ci con- formava, diverse le occasioni, le circostanze, l’ambiente che ci avvolsero, diverso il modo di manifestare tutto o parte di quanto dentro ci commuoveva: eravamo dunque due individui diversi;; egli costretto a parer lui ed esser lui, io, qualunque fossi, a parere e rimanere io.34
Pellico è citato altre due volte nel corso dell’opera: la prima volta l’au- tore ricorda una frase delle Mie prigioni («oh come è dura la prima notte 33. Ibid., p. 244. 34. Ibid., p. 11.
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nel carcere!»);;35 la seconda, quando si trova ancora nel bagno penale di Procida, annota che gli era giunta notizia della venuta a Napoli dello scrit- WRUHHSDWULRWDSLHPRQWHVHFKHGH¿QLVFHLO©SLJHQWLOHHLQWHPHUDWRVSLULWR italiano»36HFRVuFRQWLQXDVHPSUHDSURSRVLWRGHOVXRFDSRODYRUR©&RPH lui ho sofferto anch’io, ma non quanto lui, suppongo. Come lui m’affatico anch’io a descrivere i miei patimenti, ma le sue Prigioni rimarranno l’ini- mitabile elegia dell’intimo dolore;; e queste carte!… Ahimé! lette appena, se pur verranno lette, le sperderà il vento, non altrimenti che aride foglie».37 Al di là della confessione di modestia contenuta in quest’ultimo brano, da queste citazioni è evidente la consapevolezza di Castromediano della lon- WDQDQ]DLGHDOHVWRULFDFXOWXUDOHJHRJUD¿FDGHOODVXDRSHUDULVSHWWRDTXHOOD di Pellico. La quale si inserisce a tutti gli effetti nel clima del Romanticismo LWDOLDQRGLFXLDQ]LqXQRGHLPRPHQWLSLDOWLHVLJQL¿FDWLYLLe mie prigio- niFRP¶qQRWRQDUUDQRLOSHULRGRSLWUDYDJOLDWRGHOODYLWDGHOO¶DXWRUHGDO momento dell’arresto a Milano, come indiziato di cospirazione carbonara contro la monarchia austriaca, alla condanna a Venezia e al lungo periodo di reclusione nel cupo carcere dello Spielberg in Moravia (1822-1830). Ma TXHVWRQRQqXQOLEURGLORWWDSROLWLFD¿QGDOO¶LQL]LRLQIDWWL3HOOLFRVFULYH «Simile ad un amante maltrattato dalla sua bella, e dignitosamente risoluto a tenerle broncio, lascio la politica ov’ella sta, e parlo d’altro»),38 in quanto KDXQ¿QHGLHGL¿FD]LRQHPRUDOHTXHOORFLRqGL©FRQWULEXLUHDFRQIRUWDUH qualche infelice coll’esponimento dei mali che patii […];; quella d’invitare i cuori nobili ad amar assai, a non odiare alcun mortale…».39 Non a caso, come è stato scritto, il vero tema del racconto è «quello della colpa e del castigo e della redenzione liberatoria, […] è la condizione umana».40 Non c’è quindi, come in Castromediano e in Settembrini, la denuncia delle ingiustizie patite nel carcere, ma la volontà di offrire una testimonian- ]DFRQVRODWRULD(DTXHVWRSURSRVLWRqVLJQL¿FDWLYDTXHOODGH¿QL]LRQHFKH il duca di Cavallino ripete nei brani citati: «l’inimitabile elegia dell’intimo dolore», dove c’è già l’indicazione del tono («elegia», cioè sfogo, confes- sione di carattere sentimentale) e del contenuto («intimo dolore», cioè un 35. Ibid., p. 36. 36. Ibid., p. 254. 37. Ibid. 38. S. Pellico, Le mie prigioni, in Id., Opere scelte, a cura di C. Curto, UTET, Torino 19642, p. 389. 39. Ibid., p. 387. 40. Portinari, I memorialisti, p. 79.
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GRORUH SULYDWR SHUVRQDOH GL QDWXUD VRSUDWWXWWR VSLULWXDOH SL FKH ¿VLFD mentre egli vuole essere lo storico dei dolori collettivi, cioè delle sofferen- ze quotidiane subite dai suoi compagni nelle galere borboniche. Ciononostante, Le mie prigioni LQÀXHQ]D D PLR SDUHUH VLD SXUH LQ minima parte, anche la struttura delle Memorie – lontanissime peraltro, come s’è detto, da quel libro – per il gusto del bozzetto, di tipo patetico e VHQWLPHQWDOHDSSXQWRFRVuSUHVHQWHLQ3HOOLFRHFKHSRLGLYHQWHUjXQYHUR e proprio genere letterario assai diffuso nel secondo Ottocento.41 Ad esem- pio, in entrambe le opere, ci sono dei brani in cui è descritta l’apparizione LPSURYYLVDGLXQD¿JXUDIHPPLQLOHFKHSRUWDXQSR¶GLFRQIRUWRDLSULJLR- nieri. E qui mi riferisco all’episodio di Carmela, nelle Memorie, la giovane contadina che viene vista passare per strada, a Montefusco, da Castrome- GLDQRHGDJOLDOWULSULJLRQLHULDWWUDYHUVROHVWUHWWLVVLPH¿QHVWUH )UDFRVWRURFRQSLIUHTXHQ]DDWWUDYHUVDYDTXHOODYLDXQDFRQWDGLQDDQRPH &DUPHODFRVuDOPHQRODFKLDPDYDQROHVFROWH JLRYDQHGDLELRQGLFDSHOOLH GDJOLRFFKLWXUFKLQLVYHOWDTXDQWRXQDJD]]DFRORULWDSLG¶XQDURVDTXLQGL RJQXQRSXz¿JXUDUVLVHQRLQHDWWHQGHYDPRODFRPSDUVDFRQSUHPXUDHSLD- FHUHLSLJLRYDQLYDJKHJJLDQGRODLYHFFKLFRPSLDFHQGRVHQHWXWWLWUDVFLQDWL dal potere di quella singolare bellezza.42
Ebbene, questo episodio può essere messo a confronto con quelli rela- tivi a Maddalena43 e alla «caporalina ungherese»44 delle Mie prigioni, due giovani donne anche in questo caso, la prima carcerata, la seconda gen- darme, che colpiscono l’autore e gli altri detenuti. Ma ci sono ancora altri esempi di patetismo sentimentale che richiamano l’opera di Pellico, come il brano dell’usignolo, che con i suoi gorgheggi sembra quasi voler lenire LOGRORUHGHLUHFOXVL¿QFKpLFDUFHULHULLQIDVWLGLWLQRQGHFLGRQRGLXFFLGHUOR con un colpo d’arma da fuoco: Un usignuolo, quasi conscio di nostre ambasce, soleva posarsi fra gli alberi FKHYHJHWDYDQRVXOFLJOLRQHGHOPHGHVLPRRUWRGLIURQWHDOOH¿QHVWUHFKHGDO mondo ci separavano. Ivi con gorgheggi soavissimi, cantava ogni sera, come se compiangesse il nostro dolore e intendesse lenirlo. 41. A tal proposito cfr. R. Fedi, Bozzetto e racconto nel secondo Ottocento, in La novella italiana, Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988), Salerno, Roma 1989, 1, pp. 587-606. 42. Castromediano, Carceri e galere politiche, 2, p. 4. 43. Pellico, Le mie prigioni, pp. 409-412. 44. Ibid., pp. 548-549.
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$TXHOOH¿QHVWUHDOORUDVROHYDPRDIIDFFLDUFLHUDFFRJOLHUQHLOJHQWLOHVDOXWR Ahimè! che il misero fu scoperto e tenuto complice di misteriose intelligenze. /HYLJLOLPHQWLGHLQRVWULFDUFHULHULQHULPDVHURWXUEDWHHIXFRVuFKHGDSULPD ORVFDFFLDURQRFROODYRFHSRLFROOHSHUWLFKHHFROOHSLHWUHPDLO¿GRXFFHOOR QRQREEHGHQGRDOO¶LQVLVWHQWHIHURFLDWRUQDYDHWRUQDYD¿QFKpGHFLVHURG¶XF- ciderlo con un colpo d’arma da fuoco, e l’uccisero!45
Ma si potrebbe citare ancora, quello, analogo, della «passeretta» ad- destrata da Castromediano, la quale torna ogni sera a trovarlo spinta dal- ODIDPH¿QFKpDQFK¶HVVDSUREDELOPHQWHQRQYLHQHXFFLVD46,Q¿QHYRUUHL ricordare la descrizione del tragico episodio della morte, nel carcere di Lecce, del patriota Epaminonda Valentino che ricorda il brano delle Mie prigioni relativo alla morte di Oroboni:47 Privi di moto e delle altre necessità, fosca la luce e l’aria impantanata, le am- EDVFHHLGRORULGDFXLHUDYDPRVWULWRODWLSUHSDUDURQRODSLODFULPHYROHGHOOH sciagure. Tra noi contavasi anche Epaminonda Valentini [sic, ma Valentino], gentile e colto, di modi distinti e piacevole favellatore, di largo cuore, di carattere fermo e di propositi irremovibili, che amava la patria con intensità di sincero patriottismo. Le barricate del 15 maggio, nella capitale, lo avevan veduto strenuamente combattere, e di ritorno a Gallipoli sua dimora, scor- JHQGRODYDFLOODQWHYROOHULDFFHQGHUYLYLYDOD¿DFFRODGHOODOLEHUWj)XTXLQGL colto anche lui e sospinto in prigione, ma affetto da malattia nel cuore, pingue e di temperamento sanguigno, costretto in quella bolgia, sentivasi soffocare in ogni ora, invano reclamando un boccone d’aria pura. Le sue istanze, an- che appoggiate dal parere dei medici, non gli permisero nemmeno di salire sulle terrazze dello stesso carcere, favore che, con qualche mancia, i custodi concedevano a quanti dei comuni SLDFHVVH ( IX FRVu FKH QHO SRPHULJJLR del 29 settembre 1849, l’Epaminonda, fulminato d’apoplessia, miseramente cadde: – aria!… aria!… – gorgogliando nella strozza: e fu quella la sua ultima parola.48
6LFXUDPHQWHSLYLFLQHDOORVSLULWRGHOOHMemorie di Castromediano sono comunque le Ricordanze della mia vita di Luigi Settembrini, apparse a Napoli in due volumi, nel 1879-1880, con una introduzione di Francesco De Sanctis. D’altra parte, oltre che una maggiore vicinanza cronologica, WUDTXHVWHGXHRSHUHQHHVLVWHDQFKHXQDGLQDWXUDFXOWXUDOHHJHRJUD¿FD 45. Castromediano, Carceri e galere politiche, 2, p. 7. 46. Ibid., pp. 80-82. 47. Pellico, Le mie prigioni, pp. 542-543. 48. Castromediano, Carceri e galere politiche, 1, p. 72.
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QRQFKpVWRULFDHELRJUD¿FDDGGLULWWXUDGDOPRPHQWRFKHFRQ6HWWHPEULQL Castromediano si incontra sulla nave che doveva portarli in America e che SRLYLHQHGLURWWDWDGDO¿JOLRGLTXHVWL5DIIDHOHLQ,UODQGDÊSUREDELOHD tale proposito, che proprio la pubblicazione delle Ricordanze abbia spinto il duca a riprendere con maggiore lena le sue Memorie. In una lettera del 12 aprile 1881 a Silvio Spaventa, quindi subito dopo l’uscita delle Ricordan- zeOHGH¿QLVFH©EHOOLVVLPHHGXWLOLVVLPHªDQFKHVH©JOLSDLRQRLQFRPSOHWH se non guaste, tagliate e interpolate».49 E in effetti non aveva torto. Il primo volume delle Ricordanze infatti, com’è noto, è la narrazione della vita dell’autore che parte dagli anni d’in- IDQ]LDHSRLSURVHJXHFRQDOWUHYLFHQGHDXWRELRJUD¿FKHFRPHLOFROOHJLR l’università a Napoli, l’apertura di uno studio privato, l’adesione alla setta di Benedetto Musolino, il trasferimento a Catanzaro per insegnare, l’arre- VWRQHOLOSURFHVVRHLOJLXGL]LR¿QRDOODQXRYDUHFOXVLRQHQHOFDUFHUH della Vicaria per quindici mesi. La narrazione arriva e si interrompe pro- prio ai drammatici eventi del Quarantotto napoletano da cui parte Castro- mediano. Il secondo volume invece, che riguarda il periodo 1848-1860, quello messo al centro nelle Memorie del duca, ha un carattere piuttosto frammentario, essendo composto da una serie di scritti vari che probabil- mente dovevano servire a Settembrini per completare l’opera. Esso va in- fatti dal processo per cospirazione antiborbonica alla condanna a morte poi tramutata in pena a trent’anni, agli anni trascorsi nell’ergastolo di S. 6WHIDQRDOO¶HVLOLRHLQ¿QHDOODOLEHUD]LRQH Anche nei confronti del Settembrini Castromediano ha una venerazio- QHDVVROXWDDOSXQWRFKHORGH¿QLVFHLO©suo maestro»,50 e dimostra di co- noscere bene le Ricordanze, dove è trasfuso «tutto il sentimento schietto e profondo e l’amore suo incomparabile verso la patria e verso la famiglia».51 D’altra parte, nelle Memorie, è ricordato pure l’altro famoso scritto di Set- tembrini, la Protesta del popolo delle due Sicilie.52 Però, nel Proemio, non manca nemmeno di sottolineare alcune differenze tra la sua opera e quella del patriota napoletano, tra le quali non ci sarebbe, a suo giudizio, «nulla GLFRPXQHª&RVuLQIDWWLVFULYHDXQFHUWRSXQWRGRSRODFRQVXHWDGLFKLD- razione di modestia nei suoi confronti: 49. F. D’Astore, «Mi scriva, mi scriva sempre…». Regesto delle lettere edite ed inedi- te di Sigismondo Castromediano, PensaMultimedia, Lecce 1998, p. 187. 50. Castromediano, Carceri e galere politiche, 2, p. 117. 51. Ibid., p. 128. 52. Ibid., 1, p. 345.
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Il Settembrini poi… Ed oso io mostrarmi in suo paragone? Davanti a quella ¿JXUDGLPDUWLUHGDYDQWLDTXHOO¶DQLPDDQJHOLFDPHQWHIRUPDWDGDYDQWLDOOR scrittore che dipinge ed ammalia, allo sdegnoso di tutto ciò che non è né bello né santo, dovrei lasciare ogni pretensione di scrivere. Ma le mie memorie non KDQQRQXOODGLFRPXQHFROOHVXHPHQRLO¿QHGLUDFFRPDQGDUHDOODSRVWHULWj la indignazione contro un pravo governo, già sparito per sempre dalla faccia della terra, e meno i racconti degli ultimi giorni, in cui insieme corremmo il mare, esulando, in cerca di un asilo. Il dodicennio degli spasimi anteriori entrambi passammo sotto volte e muri differenti.53
E nel brano seguente precisa queste diversità, sottolineando soprattut- to il fatto che Settembrini aveva potuto godere, a S. Stefano, di condizioni carcerarie assai migliori delle sue: $O6HWWHPEULQLFKHYLVVHFROjIUDLSLULEDOGLHGLVSHUDWLFROODFRQYLQ]LRQH GLQRQSRWHUVLGDHVVLPDLSLVFRPSDJQDUHSXUHLQSDUWHIXGDWRGLULPDQHUH l’uomo che era, cioè di potere, almeno un pochino esercitare la sua intelligenza con i libri e con lo scrivere: poté corrispondere in segreto con la moglie e con JOLDPLFL¿QFRQDPLFLLQJOHVLLTXDOLQRQVRORLOFRQIRUWDYDQRGLQRELOLDIIHWWL HG¶LQFRUDJJLDPHQWLPDSHQVDURQR¿QRDVRWWUDUORGDOODHPSLDGLPRUD54
$OOD¿QHDOOXGHDQFKHDFHUWH©DJHYROD]LRQLªGLFXLDYHYDJRGXWRLO SDWULRWD QDSROHWDQR DWWUDYHUVR IRUPH SL R PHQR OHFLWH GL FRUUX]LRQH GL carcerieri e comandanti: «Un po’ d’accortezza, un po’ d’onesta malizia ed anche un po’ di danaro, opportunamente fatto scivolare in mani opportune, gli procurarono delle agevolazioni che a noi mai furono concesse».55 $OGLOjFRPXQTXHGLTXHVWLJLXGL]LFKHULJXDUGDQRSLOHFRQGL]LRQL di reclusione che le Ricordanze, si possono notare effettive differenze tra le GXHRSHUH/DSULPDHSLLPPHGLDWDVWDQHOIDWWRFKHPHQWUH6HWWHPEULQL FRPHDEELDPRULFRUGDWRQHOSULPRYROXPHTXHOORSLRUJDQLFRUDFFRQWD la storia della sua vita a partire dalla fanciullezza, Castromediano, nelle Memorie, si concentra esclusivamente sulle sue esperienze carcerarie e non fa minimamente cenno dei periodi precedenti al suo arresto non ritenendoli meritevoli di ricordo: «Della mia prima età, e sino alla mia prigionia – scri- ve all’inizio del primo capitolo – dirò poco, assai poco, quanto nulla, come quella che, passata nel silenzio e nelle meditazioni altro non merita».56 53. Ibid., p. 14. 54. Ibid., p. 15. 55. Ibid. 56. Ibid., p. 17.
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Un’altra differenza, stavolta non contenutistica ma formale, tra le due opere è rappresentata dalla lingua, che in Settembrini è piana e semplice (come in Pellico, d’altra parte), mentre in Castromediano è di tipo classi- cheggiante e a volte antiquata nelle forme lessicali e nell’espressione. Ma qui ovviamente per l’autore delle Ricordanze conta il retaggio della forma- zione avvenuta a Napoli presso ambienti estremamente aperti dal lato cul- turale e stimolanti anche da questo punto di vista, come la scuola privata di Basilio Puoti, frequentata anche da De Sanctis, mentre Castromediano, com’è noto, studiò a Lecce presso i gesuiti e nel suo palazzo di Cavallino FRQLQVHJQDQWLSULYDWLHQRQVLDSUuPDLLQIRQGRDOOHFRUUHQWLSLYLYHGHOOD cultura linguistica del suo tempo. Anche per questo la lingua delle Memo- rie è ricca di forme lessicali e locuzioni antiquate come «avvegnacché», «imperocché», «acciò», «tosto», «non ha guari», «in alcuna guisa», «non davasi pace», ecc. 4XDOFKHSDUDOOHOLVPRVLSXz¿VVDUHLQYHFHFROVHFRQGRYROXPHGHOOH RicordanzeFKHFRPSUHQGHVFULWWLDXWRELRJUD¿FLOHWWHUHIDPLOLDULSDJLQH di diario, versi, bozzetti e brani documentari. In particolare, si possono sta- bilire rapporti precisi tra i capitoli delle Memorie di Castromediano dedicati alla descrizione delle varie carceri e il cap. XV sui Galeotti, con lo scritto intitolato L’ergastolo di Santo Stefano, che è «una potente denuncia del modo in cui erano costretti a vivere i carcerati in un ambiente osceno, causa di delitti e di abiezione».57 Anche qui infatti Settembrini, dopo aver fornito notizie storiche del carcere, situato appunto sull’isoletta o per meglio dire sullo scoglio di S. Stefano, lo descrive accuratamente e poi dedica un’atten- ]LRQHVSHFL¿FDSURSULRFRPHID&DVWURPHGLDQRDJOLHUJDVWRODQLVRIIHUPDQ- dosi sulle loro abitudini, sulle loro storie, sui terribili delitti che gli vengono UDFFRQWDWLGDORURVWHVVL$OOD¿QHSHUzDGLIIHUHQ]DGHOSDWULRWDVDOHQWLQR Settembrini (e qui emerge la sua formazione illuministica) si pone delle do- PDQGHHIDGHOOHULÀHVVLRQLVXOODIXQ]LRQHHGXFDWLYDFKHGRYUHEEHVYROJHUH il carcere, sul ruolo che l’istruzione, il lavoro dovrebbero avere per preveni- re questi fenomeni di delinquenza, e sulla redenzione dei colpevoli.58 Ma, come nelle MemorieLGHQWLFRqLO¿QHFKHVLSUH¿JJHVFULYHQGR le Ricordanze FLRq TXHOOR GL WHVWLPRQLDUH DL SRVWHUL L VDFUL¿FL OH VRIIH- 57. A. Piromalli, Silvio Pellico e la memorialistica del carcere, in Sentieri della libertà e della fratellanza ai tempi di Silvio Pellico, a cura di A.A. Mola, Bastogi, Foggia 1994, p. 113. 58. L. Settembrini, 5LFRUGDQ]H GHOOD PLD YLWD H 6FULWWL DXWRELRJUD¿FL, a cura di M. Themelly, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 330-335.
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UHQ]HLQÀLWWHDLSDWULRWLSHULORURQRELOLLGHDOL©,RVFULYRQRQSHUDYHUH dal mondo una lode che non merito e m’offende;; ma perché resti ai nostri ¿JOLXROL FRPH XWLOH LQVHJQDPHQWR OD PHPRULD GHOOH QRVWUH VYHQWXUHª59 ( TXHVW¶XOWLPD GH¿QL]LRQH ©OD PHPRULD GHOOH QRVWUH VYHQWXUHª ULFRUGD appunto quella, già citata, di Castromediano: «lo storico dei loro dolori». 8Q¶DOWUDRSHUDPHQRQRWDFRQFXLVLSRVVRQRLVWLWXLUHSUR¿FXLUDSSRU- ti è 5DI¿QDPHQWRGHOODWLUDQQLGHERUERQLFDRVVLD,FDUFHUDWLLQ0RQWHIXVFR del calabrese Nicola Palermo, che venne pubblicata prima a puntate su «La Nazione» di Firenze nel 1860 e poi in volume a Reggio Calabria nel 1866, con una prefazione del fratello, Nicodemo, anch’egli patriota. Palermo fu rinchiuso nelle stesse carceri e galere in cui fu detenuto Castromediano e negli stessi anni, dal 1851 al 1859, e venne liberato insieme con gli altri patrioti sempre grazie all’intervento di Raffaele Settembrini. Il libro perciò narra le medesime vicende rievocate dal duca. Anche qui vi sono descrizio- ni delle carceri nelle quali vennero imprigionati (Napoli, Procida, Monte- fusco e Montesarchio), il racconto di fatti e vicende che accadono in questi luoghi, ritratti dei compagni, dei carcerieri e di altri detenuti. E anche qui, come nelle Memorie, sono riportati vari documenti: sen- tenze, regolamenti del carcere, verbali, esposti, contratti, nonché gli elen- FKLGHLSULJLRQLHULGHLTXDOLSUREDELOPHQWHVLVHUYu&DVWURPHGLDQRLOTXDOH conosceva bene questo libro che viene da lui citato infatti nel Proemio. E, GDXQODWRPDQLIHVWDJUDQGHVWLPDSHULOVXRDXWRUHFKHGH¿QLVFH©SURYDWR patriota calabrese, cuor d’amico, giovane di pertinace sentire e pronto sino DO VDJUL¿]LR GHOOD YLWD SXUFKp OD SDWULD XVFLVVH LQFROXPH GDL JRUJKL FKH l’affogavano».60 Dall’altro lato, però, esprime qualche riserva su di esso: «il Palermo, sia per la fretta del giornalista, e sia perché trascinato dalla FRUUHQWHGLYDJzVLGLVWUDVVHHQRQGLVVHWXWWRQpWXWWRSHU¿ORHSHUVHJQR con esattezza. La gioia provata per le spezzate catene e per la patria rin- novata oh quante cose fece uscir fuori dalla sua mente e quante altre rese vivide coi colori delle rose!».61 3LDYDQWLSHUzSHUDWWHQXDUHTXHVWRJLXGL]LRORULQJUD]LDSHUDYHU- gli donato il suo libro che gli ha permesso di ricordare fatti e circostanze «già cancellate dalla sua memoria, nomi e date specialmente».62 Ma subito 59. Ibid., p. 254. 60. Castromediano, Carceri e galere politiche, 1, p. 13. 61. Ibid., p. 14. 62. Ibid.
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dopo, quasi per rivendicare la sua originalità, afferma che racconterà quei fatti secondo la sua natura e il suo proprio modo di concepire e giudicare. E DOOD¿QHFRQFOXGHFRVu©,QYHURQHOODVRVWDQ]DSXQWRORFRQWUDGGLFRqQHJOL apprezzamenti, e solo in qualche incidente, che divergiamo».63 Ora, a che cosa si riferisce esattamente Castromediano quando parla di «divergenze»? Per rispondere a questa domanda occorrerebbe fare un confronto preciso tra i due testi, ma è rivelatrice del dissenso che emer- ge dalle parole del duca una lettera da lui inviata alla baronessa torinese Olimpia Rossi Savio in data 29 agosto 1860. Qui egli si lamenta del fatto che Palermo nei suoi articoli «abbia “descritto alla meglio” le fasi della sua “chiamata” presso la Prefettura di polizia di Napoli durante il periodo di detenzione a Montefusco, senza comprendere le “ambasce”, sulle quali egli invece dice di essersi doviziosamente soffermato nelle sue Memorie».64 In effetti, com’è ampiamente noto, nel suo libro Castromediano dedicò un intero capitolo a questo per lui devastante episodio intitolandolo L’ora più perigliosa della mia vita, che fa riferimento alla richiesta di grazia, poi rivelatasi falsa, che avrebbe rivolto a re Ferdinando di Borbone. Ora, nell’opera di Palermo, pur essendo rievocato questo episodio65 non gli si dà forse tutto il rilievo che avrebbe voluto il duca e soprattutto non si mette in evidenza il suo stato d’animo di profonda amarezza e prostrazione per ciò che era accaduto a sua insaputa. E proprio questo forse è uno dei motivi del giudizio limitativo che esprime verso quel libro. In ogni caso, per concludere, possiamo dire che se si vuole compren- GHUH¿QRLQIRQGRO¶RSHUDGL&DVWURPHGLDQRELVRJQDLQVHULUODQHO¿ORQH della memorialistica risorgimentale di tema carcerario e metterla a con- fronto, come si è cercato di fare in questo lavoro, con altri scritti apparte- nenti a questo genere.
63. Ibid. 64. D’Astore, «Mi scriva, mi scriva sempre…», p. 96. 65. Palermo, 5DI¿QDPHQWRGHOODWLUDQQLGH, pp. 112-114.
LUCIO GALANTE L’Unità nazionale nella pittura meridionale: Gioacchino Toma e Francesco Netti
Nel 1886 Gioacchino Toma diede alle stampe per la prima volta la sua $XWRELRJUD¿D.1 Erano passati venticinque anni da quando aveva concluso la sua esperienza garibaldina, eppure, come ha già rilevato Aldo Vallone nella riedizione del 1973, a tale esperienza l’artista aveva riservato «meri- tatamente, gran parte della narrazione».2 Lo studioso, infatti, pur avendo letto il testo con l’intento di coglierne le qualità letterarie, non ebbe dubbi QHO VRVWHQHUH FKH GDOO¶DXWRELRJUD¿D HPHUJHYD FRQ FKLDUH]]D FKH O¶DUWLVWD aveva corroborato esperienze d’arte, scavando dentro alla sua vocazione, e YLUWFLYLOLHFKH©VLSRWUHEEHGLUHO¶DUWLVWDHLOSDWULRWDªHUDQRQDWLLQVLH- me.3/DFULWLFDLQIDWWLKDSHUORSLSURYDWRDWUDUUHGDTXHVWDWHVWLPRQLDQ- za elementi utili alla conoscenza dell’artista e delle sue opere. È dell’ultima ora la proposta di rivalutarla, ritenendola espressione di un genere letterario VSHFL¿FRODPHPRULDOLVWLFDULVRUJLPHQWDOHDYHQGRFRQVLGHUDWRSDU]LDOHVH non improprio, il tentativo di leggervi un corrispettivo letterario della sua pittura.41RQqSHUzVHQ]DVLJQL¿FDWRFKHL³ULFRUGL´VLIHUPLQRDOPRPHQ- to della decisione di dare «tutt’altro ordine» ai suoi studi,5 si limitino, cioè, DOSHULRGRSLGLI¿FLOHGHOODVXDYLWDTXHOORFKHORYLGHSDVVDUHGDOO¶LQIDQ- zia spensierata e gioiosa a quella improvvisamente tragica, segnata dalla &RQWDOHWLWRORXVFuODSULPDHGL]LRQHFRPHVHJQDODWRQHOODULHGL]LRQH*7RPD Ricordi di un orfano, a cura di A. Vallone, Congedo, Galatina 1973. 2. Ibid., p. 10. 3. Ibid. 4. P. Pellegrino, Introduzione a G. Toma, Ricordi di un orfano, a cura di A. Vallone, Congedo, Galatina 2011. A partire da questa nota le successive citazioni saranno tratte da questa riedizione. 5. Ibid., p. 111.
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morte del padre e qualche tempo dopo della madre, poi all’adolescenza, contraddistinta da peripezie e angherie d’ogni sorta, come i frequenti mal- WUDWWDPHQWL¿VLFLHVRSUDWWXWWRGDOODPDQFDWDSUHVHQ]DGHOOD¿JXUDSDWHUQD con il conseguente nascere e svilupparsi in lui del sentimento profondo del VDFUL¿FLR$OGLOjSHUFLzGHOODVXDDSSDUWHQHQ]DRPHQRDTXHVWRJHQHUH OHWWHUDULRO¶RSHUDYDSLSURSULDPHQWHDQQRYHUDWDWUDTXHOOHFKHODSLUH- FHQWHVWRULRJUD¿DVXO5LVRUJLPHQWRKDFRQVLGHUDWRXWLOLDOORVFRSRGL©IDU vivere la cultura profonda del Risorgimento;; di osservare la mentalità, i sentimenti, le emozioni, le traiettorie di vita, i progetti politici e personali degli uomini e delle donne che al Risorgimento hanno preso parte».6 Lo spirito ribelle di Toma, presto manifestatosi ed evidente nel raccon- WRDXWRELRJUD¿FRDSSDUHTXDVLSURSHGHXWLFRDOODVFHOWDGHFLVLYDGHOO¶DGH- sione al movimento insurrezionale. Alla presa di coscienza delle relative motivazioni ideali, maturata certamente nel periodo del domicilio coatto a Piedimonte d’Alife, durante il quale egli conobbe Beniamino Caso,7 non fu, infatti, estraneo il suo vissuto;; suonano espliciti l’affermazione che «le VWROWHVHYL]LHªGHOODSROL]LDERUERQLFDOR©DYHYDQRUHVRXQRGH¶SLDFFDQL- ti cospiratori»,8 e, quasi a volerne confermare la verità, il racconto che con il denaro ricavato dalla vendita alla Casa reale del quadro presentato all’Esposizione di belle arti del 1859, aveva assoldato un manipolo di po- polani per «assaltare e distruggere la Polizia Borbonica», adombrando una qualche soddisfazione nel dichiarare di essere riuscito «tra i primi» nell’im- presa.9 A partire da questo momento egli fu, in realtà, pienamente coinvol- to nelle vicende militari del fronte antiborbonico e, non a caso, il relativo racconto si fa incalzante, anzi diventa proprio una sorta di resoconto di guerra, piuttosto circostanziato per quanto riguarda tutti i protagonisti e i tempi della campagna militare nella quale fu impiegato,10 e se la sua avven- WXUDFRQOLHWR¿QHVHPEUDDYHUHGHOO¶LQFUHGLELOHHDVVXPHUHLFRQWRUQLGL una vicenda da romanzo, la sua verità ha trovato riscontro nelle ricostru- 6. A.M. Banti, P. Ginsborg, Per una nuova storia del Risorgimento, in Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, Einaudi, Torino 2007, p. XXIII. 7. D.B. Marrocco, Beniamino Caso uomo illustre del Matese, ASMV, Benevento 1982;; A. Bojano, Una comunità del Matese nel secondo Ottocento: San Gregorio, in L. Parente, Movimenti sociali e lotte politiche nell’Italia liberale, Franco Angeli, Milano 2001. 8. Toma, Ricordi di un orfano, p. 95. 9. Ibid., p. 95. 10. Ibid., pp. 96-106.
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zioni storiche di quegli eventi.11 In sostanza i Ricordi rispondono alla do- manda sul come Toma divenne patriota e soprattutto decise di militare nel- le formazioni garibaldine. L’esempio di Garibaldi, nobile e coraggioso, GRYHWWHGDUHVHQVRDQFKHDOVXRGRORUHHDOVXRVDFUL¿FLRSRWHQGRSHUFLz ULYROJHUHDO¿JOLRODUDFFRPDQGD]LRQHDXVSLFLRDWUDUUHGDLULFRUGL©HVHP- pio ad affrontare con coraggio le vicende della vita», proprio quando ormai ODVXDYLWDQRQHUDSL©GLVVLPLOHGDTXHOODGLWDQWHDOWUHRQHVWHSHUVRQHª12 Tornato a Napoli, dopo l’avventura garibaldina, come narra nei Ricor- diULSUHVHDGLSLQJHUH©FRQXQSR¶SLGLDFFXUDWH]]Dª13 Con lo sguardo retrospettivo, ora egli valutava diversamente i lavori realizzati durante il domicilio coatto di Piedimonte d’Alife – dell’Erminia del Tasso diceva: «era robaccia da meritar d’essere scartata»14 – ai quali sicuramente inten- deva riferirsi con quella espressione. Ma il cambiamento era anche nella scelta dei temi, ora risorgimentali, frutto di una decisione immediata, tant’è che il «primo quadrettino»15 ch’egli fece fu ,¿JOLGHOSRSROR (tavola 2), GH¿QLWR³EDPERFFLDWD´WHUPLQHFROTXDOHVLLQGLFDYDDQFRUDLOJHQHUHGHL dipinti di piccolo formato con soggetti tratti dalla vita popolare, e che, se- FRQGRODYHFFKLDFODVVL¿FD]LRQHJHUDUFKLFDHUDFROORFDWRDXQOLYHOORTXD- litativo basso, ma v’è da credere che nel suo caso dovette contare il richia- mo diretto alla realtà attuale. Giustamente Biancale aveva sostenuto che quel soggetto «è apparentemente di genere, ma in realtà evoca sentimenti assai cari in quel tempo e particolarmente cari all’animo dell’artista che usciva proprio allora dalla sua parentesi eroica».16 E il possibile riferimen- to diretto ai modelli seicenteschi, pure proposto, nei quali «sono importan- ti i dettagli dell’ambiente dove si svolge la scena» motiva nello stesso sen- so dell’osservazione di Biancale, la scelta del pittore. Qualcosa, dunque, di ben lontano, come anche è stato osservato, dai «grandi modelli storici ere- ditati dal neoclassicismo accademico», ma rivolto a «tradurre il senso della 11. In particolare la disfatta delle formazioni insurrezionali e l’intervento del generale Cialdini che comportò la liberazione dei prigionieri di Isernia, tra i quali Toma. 12. Toma, Ricordi di un orfano, p. 112. 13. Ibid., p. 107. 14. Ibid., p. 95. 15. Ibid., pp. 107-108. 16. M. Biancale, Gioacchino Toma, Società Editrice di Novissima, Roma 1933, p. 34. Quando si farà la fortuna critica del pittore, non si potranno non riconoscere tutti i meriti di TXHVWDPRQRJUD¿DDOODTXDOHP¶qSDUVRSLFKHRSSRUWXQRIDUHULFRUVRDQFKHSHUOHVXFFHV- sive notazioni critiche testualmente citate.
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storia sotto forma di evento particolare di immediatezza quotidiana». Per- ciò s’è potuto scegliere di recente proprio questo dipinto come esempio della trasformazione delle “cordiali allegorie” o «affettuose scenette con- venienti all’ottimismo della borghesia restaurata – con il bambino consola- to, o accanto al cane fedele, o amorevolmente assistito nella malattia» in ©UDI¿JXUD]LRQLDSSDUHQWHPHQWHLQJHQXHªPD©LQUHDOWjFDOGHGLVHQWLPHQ- ti patrii ove anche l’infanzia era chiamata a partecipare ai fatti della storia contemporanea», interpretandola, in un certo senso, anche come una rispo- sta all’istanza formativa risorgimentale, ora che al «progetto di palingenesi nazionale non poteva mancare, collegato al riscatto del popolo, un analogo impegno rivolto all’educazione dell’infanzia».17 Si potrebbe aggiungere che era già manifesta in Toma una sensibilità democratica, che lo porterà GLOuDSRFRDRUJDQL]]DUHVXLQFDULFRGHO0XQLFLSLRXQDVFXRODSRSRODUH di disegno ornamentale, impegnandosi egli stesso nell’insegnamento.18 Nello stesso anno de ,¿JOLGHOSRSROR realizzò Il prete rivoluzionario ¿JXUD WHPDSLGLUHWWDPHQWHLVSLUDWRDOOHYLFHQGHULVRUJLPHQWDOLHLQ particolare alla sua esperienza militare. Ancora una volta Biancale non po- tette fare a meno di leggervi l’urgenza del vissuto dell’artista;; anche se la sua lettura era fatta sul metro degli esiti futuri della pittura di Toma, sosten- ne, infatti, che «sin da quest’opera […] egli ha saputo creare, in quel cer- chio di religiosi e di soldati sotto la porta, un gorgo di quei sentimenti so- VSHVLHSURIRQGLFKHWDQWRDPPLULDPRQHLTXDGULSLFHOHEULGHO0DHVWURª19 sostenendo anche che l’azione che «intenderebbe di essere storica passa inevitabilmente, come sempre in Toma, a rappresentazione di fatti umani», negando, perciò, curiosamente la storicità di questi ultimi proprio in quan- to fatti umani, ma riaffermandone, altrettanto curiosamente, la verità, dal- l’ar tista cercata nel pur acerbo realismo, al quale non dovette essere estra- neo, a suo giudizio, quello “palizziano”. Non si sbaglia certo nel ritenere che Toma sapesse bene che il clero non si era schierato tutto a favore dei Borbone. Una conferma riguardo al grado di conoscenza degli schieramen- ti in campo e del suo calarsi nella verità della storia presente è certamente 17. C. Sisi, Gli affetti e la “dipintura” del popolo, in 1861. I pittori del Risorgimento, Catalogo della mostra a cura di F. Mazzocca, C. Sisi, Skira, Milano 2010, p. 52. 18. Sull’importanza di questa esperienza rinvio ai saggi di M. Mormone, Proposta di approfondimenti su Gioacchino Toma, e L. Martorelli, Gioacchino Toma:«Elegia della pro- vincia» o aspirazione ad una cultura nazionale?, in Gioacchino Toma 1836-1891, a cura di B. Mantura, N. Spinosa, Electa, Napoli 1995. 19. Biancale, Gioacchino Toma, p. 36.
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Figura 1. G. Toma, Un prete rivoluzionario, 1862
Il denaro di San Pietro (tavola 3), dipinto realizzato nello stesso 1861 e che è stato letto e interpretato come soggetto collegabile al fenomeno storico del brigantaggio sovversivo e reazionario. Vi compaiono, infatti, le armi, il cappello e il giubbotto dell’esercito borbonico poggiato sulla bisaccia, il sacchetto col denaro di San Pietro, chiari rimandi simbolici, resi senza in- certezze nella loro piena evidenza oggettiva e ormai pronti per essere uti- OL]]DWLPDqDOWUHVuHYLGHQWHQHOODGHVFUL]LRQHGHOO¶DPELHQWHO¶LQWHUQRDX- stero di una sacrestia, con il quadro di soggetto religioso alla parete, e dell’atteggiamento dubbioso del prete, il riferimento alla complicità del FOHURVuFKHWRUQDFRQYLQFHQWHTXDQWRqVWDWRRVVHUYDWR il dilemma di una coscienza, incerta tra dovere, missione spirituale e posizio- QHSROLWLFDqSRVWRDOFHQWURGHOGLSLQWRLO³FOHUR´QRQqSLXQDFDWHJRULD astratta, dai comportamenti univoci;; il pittore non crede che tocchi a lui stig- matizzare una situazione che conosce da vicino, e con grande umanità si ri- ¿XWDGLHPHWWHUHXQJLXGL]LR3XUHVVHQGRVLVFKLHUDWRSROLWLFDPHQWHLQPDQLH- ra ben precisa, e diretta, Toma […] non vuole proporre degli exempla allo
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spettatore, ma piuttosto partecipare da uomo del suo tempo ad una realtà di cui avverte ed enuncia tutte le ambiguità ed i risvolti psicologici complessi.20
Il movente ideologico, dunque, non lascia spazio al sentimento o agli stati d’animo. Possono ancora valere anche le osservazioni di Biancale che affermava: in quest’opera Toma «non divaga in climi letterari;; compie il tiro- cinio della sua arte concretando le sue idealità politico-religiose in una pittura UREXVWDULFFDGLGHWWDJOLSLGHQVDGLYLWDLQDWWRQRQDQFRUDIDQWDVWLFDHVR- gnante […] qui la scena è quasi incuneata tra due pareti, tagliate a tempo per HOLPLQDUHRJQLSDUWLFRODUHVXSHUÀXRDOODVHUUDWH]]DHVVHQ]LDOHGHOO¶RSHUDª21 6HJQR GL XQD FRQVDSHYROH]]D PRUDOH H LGHDOH DQFKH QHL VRJJHWWL SL direttamente riferibili all’esperienza garibaldina Toma non optò per soluzio- ni di carattere drammatico, evitò, cioè, di rappresentare scene di combatti- mento. È sicuramente collegato all’esperienza della prigionia durante la FDPSDJQDQHO0ROLVHPRPHQWR¿QDOHGHOODVXDDYYHQWXURVDSDUWHFLSD]LRQH alle azioni militari, il dipinto Roma o morte, realizzato nel 1863 (tavola 4). L’iscrizione che vi compare è chiaramente riferibile all’evento dell’estate dell’anno precedente, il nuovo sbarco dell’eroe dei due mondi in Sicilia, dove era stato accolto trionfalmente al grido di “Roma o morte”. È stato an- che osservato che nel quadro «Toma esprime la propria esperienza e posizio- ne politica», i soldati «esprimono la loro condizione di carcerati in maniera visibilmente attiva e non nella cristallizzazione dell’isolamento interno».22 Il WHPDYHURqDOORUDTXHOORGHOVDFUL¿FLRLQQRPHGLXQLGHDOHLOVROGDWRDUWL- sta Toma si riconosce nella condizione dei prigionieri, la cui imperturbabilità diventa espressione del suo fermo convincimento. È vero che in quel giro d’anni la tematica garibaldina era particolarmente frequentata dagli artisti, ma nel caso di Toma era il frutto di una forte e convinta adesione ideale, un’adesione, come già detto, che si era tradotta nella partecipazione attiva al movimento garibaldino, condividendone, appunto, gli ideali e vivendone tut- ti i rischi, rischi reali rimastigli bene impressi, come si evince dai Ricordi. Soltanto un anno dopo Roma o morte, realizzò per la Promotrice Un HVDPHULJRURVRGHO6DQW¶8I¿FLR (tavola 5), un tema non direttamente rife- ribile alla storia contemporanea, ma, coerentemente, a forte valenza ideo- 20. M.A. Fusco, /¶LFRQRJUD¿D, in Brigantaggio lealismo repressione nel Mezzogior- no 1860-1870, Catalogo della mostra, G. Macchiaroli, Napoli 1984, p. 156. 21. Biancale, Gioacchino Toma, pp. 38-39. 22. S. von Falkenhausen, Un idillio postrisorgimentale,«Luisa Sanfelice in carcere», in «Memoria», 3 (1981), pp. 71-72.
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logica. L’Esposizione di quell’anno registrò un numero non di poco conto di dipinti con soggetti a carattere anticlericale. Per Toma, che al ruolo del clero nella lotta risorgimentale aveva già dedicato due dipinti, non costitui- va certo una scelta sorprendente. Nonostante la pregiudiziale di ordine cri- WLFR ± H FLRq O¶DSSURFFLR LGHDOLVWLFR DOOD VXD SLWWXUD SHU FXL LO7RPD SL eccellente era quello maturo, quello che riuscirà a tramutare «in pura con- templazione artistica» il «materiale ancora troppo pieno di vita vissuta»,23 costituito dai “sentimenti patriottici”, “politici”, dalle “tendenze settarie” e dai “ricordi personali” –, Michele Biancale, ponendo quell’opera a chiusu- UDGHOSULPRSHULRGRQRQSRWpQRQJLXGLFDUOD©XQDGHOOHSLHVVHQ]LDOLSL QXGHHSLHI¿FDFLª24 avendone colto «la sapienza del prospettico»25 e il valore semantico della composizione: «La spettrale orizzontalità del tortu- rato che riempie il freddo vuoto del lunghissimo pavimento crea l’opposto necessario alla verticalità dell’inquisitore che acquista risalto e forza dalla supina immobilità del tormentato»,26 riscontrandovi, inoltre, «quei primi motivi, nei tipi, nella luce, nella composizione che in appresso egli renderà SLSURIRQGLHSLGLVWDFFDWLGDULFKLDPLGLQDWXUDSUDWLFDª27 Alla scelta di quel tema non dovette essere estranea l’importanza che si annetteva ancora DOODSLWWXUDGLVWRULDSHUFXLLOGLSLQWR¿QLYDFRQO¶DVVXPHUHLQHYLWDELOPHQ- WHLOVLJQL¿FDWRGLXQFRQIURQWRHGLXQDYHUL¿FDGHOOHVXHFDSDFLWjSLFKH la manifestazione di un adeguamento. Il soggetto, che, per usare le notazio- ni di De Rinaldis,28 intendeva rappresentare le condizioni di sentimento e di pensiero del processato e dei monaci, «l’uno nel libero e incessante di- venire del pensiero», gli altri «nel chiuso sistema del loro dogma», non era FHUWRWUDLSLIDFLOLHQRQY¶qGXEELRFKH7RPDORDIIURQWzFRQQRWHYROH impegno. Infatti, la rappresentazione punta tutta sul rapporto tra i protago- QLVWL /¶LQWHODLDWXUD VSD]LDOH SURVSHWWLFDPHQWH GH¿QLWD DVVXPH XQD IRUWH valenza semantica, perché esprime il distacco e la condizione di isolamen- WRGHOSURFHVVDWRIHUPRQHOODDFXWDGH¿QL]LRQHGHOODVXDSRVWXUDLQFRQ- WUDVWRFRQTXHOODDOWUHWWDQWRQHWWDPHQWHGH¿QLWDGHLPRQDFLWUHGHLTXDOL ottusamente chiusi in uno schema piramidale e un quarto rigido nella irre- movibile posizione eretta. Anche la scelta dell’impianto prospettico non 23. Biancale, Gioacchino Toma, p. 44. 24. Ibid. 25. Ibid. 26. Ibid., p. 45. 27. Ibid., p. 44. 28. A. De Rinaldis, Gioacchino Toma, Mondadori, Milano 1934.
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FHQWULFRFRQFRUUHDVRWWROLQHDUQHODIXQ]LRQHVLJQL¿FDQWHHYLWDQGRFLRqGL focalizzare l’attenzione su un solo elemento della composizione;; il motivo del pavimento con mattoni di diverso colore accentua l’ampiezza dello VSD]LRFKHLVRODLOWRUWXUDWR$OWUHWWDQWRULOHYDQWHqODOXFH©VRWWLOHH¿OWUDWDª d’interno, quanto basta per rendere l’atmosfera severa del momento e per sottolineare il rapporto tra inquisitore e inquisito, si direbbe psicologica- PHQWHOHJDWLGDOODGLUH]LRQHGHOODOXFHFKHV¿RUDDSSHQDLOSULPRHLOOXPL- QDTXDVLLQWHUDPHQWHLOVHFRQGRÊGLI¿FLOHVWDELOLUHVH7RPDFRQGLYLGHVVH o meno l’anticlericalismo radicale di Garibaldi, certo è che le spinte eser- citate da quest’ultimo sui volontari non furono solo di carattere psicologi- co, e il contenuto del dipinto non può che essere letto in chiave anticlerica- le, ma Toma non lo trasformò in un manifesto politico, non lo enfatizzò retoricamente, anzi diede ad esso un senso di verità secondo un procedi- mento che non dovette essere diverso da quello descritto da Francesco Net- WLLQPRGRSXQWXDOHHGHI¿FDFH Un’impressione potente provo al contrario innanzi al quadro di Gioacchino Toma, 8Q HVDPH ULJRURVR GHO 6DQW¶8I¿]LR. Qui al primo guardare sento i brividi, sento l’artista che ha veduto il suo soggetto, veduto, nel senso stretto della parola: come se egli chiuso nella sua camera, e concentrato d’anima e di FRUSR D IXULD GL ULSHWHUH D Vp VWHVVR OD WHUULELOH SDUROD GL 6 8I¿FLR DEELD evocata a poco a poco un’immensa solitudine di biblioteca, ove tutti gli scaf- fali invece di libri sono pieni di processi di gente torturata: e penetrando in quel silenzio, e nascosto dietro la portiera, abbia visto entrare quattro monaci bianchi, che son venuti a sedersi intorno a un tavolino colla coperta verde, ne hanno aperto un cassettino, estratto un piccolo calamaio e un piccolo Cristo e improvvisata una segreteria sacra, hanno aspettato. Poco dopo una forma d’uomo seminudo, livido, slogato, portato su di una barella, è stato deposto con essa lungo sul suolo, in mezzo alla camera. Essi avran creduto, come crede chi guarda il quadro la prima volta, che quell’uomo fosse morto;; se non che egli ha sollevato un po’ la testa, gli occhi aperti, e increspata una mano che non ha forza di alzare. Quell’occhio bianco e aperto, la sola cosa viva di TXHOFDGDYHUHYDOHWXWWRLOTXDGUR$OORUDXQRGHLTXDWWURLOSLDULGRG¶DQL- PDHLOSLGLDOHWWLFRYDDGXQRVFDIIDOHQHULWLUDLOSURFHVVRGLTXHOGLVJUD- ziato, e gli legge la formula della ritrattazione. Mi pare che quel soggetto, WDQWRqSRWHQWHPHQWHVHPSOLFHVLDQDWRQHOODPHQWHGHOO¶DUWLVWDFRVuFRPHXQ IDWWRFKHDYYLHQHDIRU]DGLSHQVDUHHGLJXDUGDUHVXOODWHOD¿QFKpHVVDq GLYHQXWDFDPHUD¿JXUHFRORUHLQWRQD]LRQHTXDGUR
Il dipinto, come è noto, ebbe successo e fu premiato con l’acquisto al valore di 1.500 lire, premio che lo mise in condizione di programmare il
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suo lavoro con tranquillità. Ma paradossalmente, come ha raccontato nei RicordiDOVXFFHVVRVHJXuXQDSURIRQGDFULVLSURYRFDWDVWDQGRDOODVXD WHVWLPRQLDQ]D GDOOD GLI¿FROWj LQFRQWUDWD QHO UHDOL]]DUH XQ LPSHJQDWLYR quadro di storia – il soggetto che aveva deciso di affrontare era «le signore del ’99 che, per sfuggir la plebaglia, si ritirano su castel Sant’Elmo».29 Non è da escludere che la crisi fosse anche il sintomo del venir meno delle spe- ranze di un cambiamento delle condizioni sociali e culturali della città. La scelta di dedicarsi all’insegnamento in una scuola popolare sta a indicare la sua sensibilità civile, che non venne meno quando riprese la sua attività di SLWWRUHDQFKHVHDOORUDVLVDUHEEHHVSUHVVDLQWRQLSLSDFDWLHPHGLWDWL Pur se in diverso modo da Toma, anche Francesco Netti partecipò alla IDVH¿QDOHGHOODYLFHQGDULVRUJLPHQWDOHYLYHQGRODFRQSLHQDFRQVDSHYR- lezza delle aspirazioni che ne furono alla base, quelle cioè di una vera e propria rivoluzione.30 Nel luglio del 1859, rientrato da Napoli a Santeramo, scrive a Domenico Morelli perché sente il bisogno di parlargli. Nella lette- ra non v’è alcuna eco degli eventi politici e militari in corso nel Regno. La sua decisione di fare il pittore, che non ha incontrato opposizioni nella sua famiglia, ha forti motivazioni morali e ideali, che emergono dal quadro che egli descrive della realtà sociale ed economica del suo paese. «Sarebbe cosa molto lunga», egli scrive, se volessi darvi un’idea dello stato morale di questi siti, e ciò vi attristerebbe molto, specialmente quando aggiungessi che nelle nostre province ci sono FHQWRDOWULSDHVLHSLFKHVRPLJOLDQRDTXHVWR&LzFKHVRSUDWWXWWRYLIDUHEEH impressione è la generale apatia degli abitanti, ai quali non importa niente di niente, e che senz’aver vissuto mai, senza aver esauriti i piaceri e dispiaceri e le mille varietà del mondo, sono giunti al morto indifferentismo di chi ha WURSSRYLVVXWRHOHFXLVHQVD]LRQLVRQRSHUFRVuGLUHGLVWUXWWHGDOFRQWLQXR attrito. Essi frattanto hanno una passione, l’unica e sola (non contando i vizi) ed è la smania di far quattrini. Io non so che diavolo ne faranno, quando pur IRVVHURSLULFFKLGL&UHVR3HQVDVVHURDOPHQRDPLJOLRUDUHLOSDHVHGHOTXD- OHWXWWLVLODPHQWDQRSHUFKpLSLLQGLIIHUHQWLVRQRLSLLQFRQWHQWDELOLHFKH tutti lasciano andare a rotta di collo;; non abbiamo che l’aria, che è buonissi- ma, ma che è appestata dal sudiciume delle strade, appena praticabili. Qui sono tutti agricoltori, ma non è l’agricoltura intesa come una scienza, che 29. Toma, Ricordi di un orfano, p. 110. 30. Su Netti pittore vedi C. Farese Sperken, Netti, Electa, Napoli 1996, con bibliogra- ¿D SUHFHGHQWH 8Q FRVSLFXR FRQWULEXWR GL TXHVWD PRQRJUD¿D q FRVWLWXLWR GDOO¶HSLVWRODULR dell’artista, integralmente pubblicato.
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oggi ha tanto progredito, è la coltivazione materiale di un campo come si fa- ceva anni fa. Sarebbe assurdo pretendere che tutti fossero artisti, ma io credo giusto l’esigere che, qualunque cosa si faccia, sia uno studio. In questo stato GLFRVHO¶DUWHTXLQRQqSRVVLELOHHGLQSRFKLDQQLVL¿QLUHEEHSHUQRQFUHGHU- FLSLDQFKHGDOSLFRQYLQWRSHUFKpLRVXSSRQJRFKHO¶DUWHVLDLQXWLOHTXDQ- do si fa per nessuno.31
Manifesta poi l’intenzione di presentare alla Biennale borbonica di quell’anno, che sarà l’ultima, un quadro a cui sta lavorando, ma al riguar- do, aggiunge che si rimetterà al giudizio del maestro. ,OPDU]RVFULYHGD1DSROLDOSDGUHQHOODOHWWHUDQRQY¶qDOFXQ accenno a ciò che sta accadendo, il contenuto è tutto incentrato sulle vicen- de familiari e l’unica preoccupazione che egli ha è di progredire nei suoi studi presso Morelli.32 Il quadro a cui sta lavorando e che spera di vendere, pensa che potrà aprirgli una strada;; progetta di trasferirsi a Roma, anche per seguire il maestro. Ad aprile dello stesso anno scrive che il quadro, che ha per soggetto La pazzia di Haidée, tratto dal poema Il Dongiovanni di Byron, è piaciuto a Morelli.33 Si può supporre che alla scelta di quel soggetto lette- UDULRQRQGRYHWWHHVVHUHHVWUDQHDO¶LQÀXHQ]DGHOPDHVWUR1RQYDWXWWDYLD dimenticata la fortuna italiana del poeta inglese, dovuta, come noto, ai con- WHQXWLOLEHUWDULGHOODVXDRSHUDSXUHVVHQGRGLI¿FLOHVWDELOLUHVHDQFKHSHU Netti l’attenzione verso Byron fosse o meno sollecitata da motivazioni d’or- dine ideologico. Il tema, infatti, è quello dell’amore-passione, incarnato SURSULRGDOSHUVRQDJJLRGL+DLGpHXQWHPDSLSURSULDPHQWHURPDQWLFR 1HOODOHWWHUDGHOO¶PDJJLRGHOORVWHVVRDQQRO¶DUJRPHQWRSLLPSRU- tante è ancora il suo rapporto con Morelli, che ora intende lasciare perché ne avverte il forte condizionamento e per cercare di raggiungere una pro- pria identità artistica.34 Dopo questa lettera, sembrerebbe che abbia interrot- WRODFRPXQLFD]LRQHHSLVWRODUH¿QRDOIHEEUDLRTXDQGRVFULYHLQ risposta alla lettera del padre giuntagli la mattina dello stesso giorno.35 Quei mesi, da maggio a febbraio non erano stati certo tranquilli, il movimento insurrezionale era stato in pieno fermento, il fronte antiborbonico s’era or- ganizzato in due Comitati, nel giugno Francesco II, in un estremo tentativo 31. Ibid., p. 63. 32. Ibid., pp. 65-66. 33. Ibid., pp. 66-67. 34. Ibid., p. 67. 35. Ibid., pp. 67, 69.
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di controllare la situazione aveva concesso la costituzione, nel l’ago sto Ga- ribaldi, vinta la debole resistenza delle truppe borboniche in Calabria, s’era ormai diretto verso la capitale, entrandovi trionfalmente il 7 settembre, mentre il giorno prima il re era partito alla volta di Gaeta e il 7 novembre Vittorio Emanuele II entrava a Napoli. La decisione di scrivere immediata- mente al padre è chiaramente sollecitata dal precipitare degli eventi bellici: «Vi scrivo alcune ore dopo giunto il dispaccio della resa di Gaeta, notizia FKHTXLKDSURGRWWRPROWDJLRLDQHOSRSRORFKHVLYHGH¿QDOPHQWHOLEHURGD un incubo, che era sullo stomaco di tutti. Speriamo adesso essere completa- mente esenti dall’apprensione». Non doveva, perciò, essere rimasto estra- neo a tutti quegli eventi, anzi dovevano averlo spinto a prendere alcune GHFLVLRQL5LIHULVFHLQIDWWLFKHODSDUWHQ]D©VXGLXQPDJQL¿FRYDSRUHLO Conte di Cavour», «che pareva molto lontana», è stata «precipitosamente DVVLFXUDWDªH¿VVDWDSHUO¶LQGRPDQLPDWWLQDDQFKHVHQRQFRQRVFHHVDWWD- mente il programma, sa, comunque che la destinazione è Torino e, forse, successivamente Milano. Non dice espressamente che a partire è il batta- glione della Guardia nazionale alla quale egli s’è arruolato, ma aggiunge, anche per tranquillizzare il padre: «siamo tutti volontari perché tutti quelli che potevano si sono affrettati ad ascriversi, anzi molti sono stati respinti: la maggior parte sono persone distinte, ed io ci ho molte conoscenze, tra queste diversi artisti». Francesco Netti esprime il rammarico di dover inter- rompere il lavoro, ma allo stesso tempo valuta l’opportunità che la nuova esperienza gli avrebbe offerto, quella cioè di ricavarne un “vantaggio mo- rale” a sostegno di una scelta di schieramento chiaro e inequivocabile. La sua, a differenza di Toma, non fu, dunque, un’esperienza di guerra, ma come attestano le lettere che egli inviò al padre da Torino e Milano, e da Napoli, dopo il rientro, fu, comunque, particolarmente coinvolgente, per- FKpJOLFRQVHQWuGLYLYHUHLQWHQVDPHQWHLTXDUDQWDJLRUQLGHOODPLVVLRQH,O battaglione della Guardia nazionale napoletana era stato organizzato appo- sitamente per rappresentare il Sud alle manifestazioni celebrative dell’inse- diamento del primo Parlamento dell’Italia unita. Dalle citate lettere emerge chiaramente che il timore, paventato, di non trarre alcun “vantaggio” dalla nuova esperienza fu presto fugato dall’immediato coinvolgimento nelle ini- ziative organizzate dai comandi della Guardia nazionale di Torino e di Mi- lano. Le iniziative celebrative, egli dice, avevano anche lo scopo di far so- lidarizzare i soldati del Nord e del Sud, non nascondendo il suo coinvolgi- mento anche emotivo di fronte alle manifestazioni di accoglienza e di amicizia tra commilitoni e la sua netta percezione dello spirito nuovo che
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DOORUDFLUFRODYDWHQXWRFRQWRDOWUHVuFKHLVRJJLRUQLWRULQHVHHPLODQHVHJOL stavano consentendo anche di prendere contatti con gli ambienti artistici delle due città. L’esperienza della Guardia nazionale non fu, tuttavia, abba- VWDQ]DOXQJDGDSHUPHWWHUJOLGLVWULQJHUHSLVROLGLUDSSRUWLFRQJOLDUWLVWL allora incontrati, ma certamente dovette consolidare l’idea che anche l’arte DYUHEEHSRWXWRGDUHLOSURSULRFRQWULEXWRDOSURFHVVRGLXQL¿FD]LRQHLQIDWWL nel successivo impegno di critico d’arte partecipò attivamente al dibattito sull’identità nazionale. Al rientro a Napoli si provò anch’egli a cimentarsi con un tema risorgimentale. È ancora in una lettera al padre, datata 10 no- vembre 1861, che riferisce della sua decisione di dipingere le Rimembranze del 15 maggio 1848 (tavola 6).36 Dopo aver informato il padre della costitu- zione a Napoli della Società Promotrice di Belle Arti, gli riferisce che sta preparando due dipinti, destinati alla prima Esposizione della Promotrice: Nel secondo farò un episodio della Rivoluzione a Palermo. Tutti quanti hanno dipinto a sazietà battaglie di Garibaldini, fatti della rivoluzione: ma nessuno io credo ha adesso dipinto la rivoluzione domestica, fatta da ogni cittadino. Perciò io vorrei fare una famiglia, che vi è barricata nella casa e fa fuoco GDOOD¿QHVWUDHXQDGRQQDFKHDLXWDDFDULFDUHLIXFLOLHWXWWLFKHGHFLVLDEDW WHUVL¿QRDOOD¿QHKDQQRSUHSDUDWRVDVVLPRELOLHFFSHUVHUYLUVHQHTXDQGR VDUj¿QLWDODPXQL]LRQHGDIXRFR,OTXDGURqGLWUH¿JXUHHLOVRJJHWWRSULQFL- SDOHqOD¿QHVWUD
È appena il caso di sottolineare l’uso consapevole del termine “rivolu- ]LRQH´ SHU LQGLFDUH JOL HYHQWL FKH DYHYDQR SRUWDWR DOO¶XQL¿FD]LRQH IDWWL non solo percepiti ma anche partecipati. La consapevolezza che il Risorgi- mento politico avrebbe dovuto comportare quello culturale la si ritroverà nei suoi scritti critici. Ciò che è certo in quel momento è il suo impegno d’artista che avverte l’esigenza di provarsi su un tema risorgimentale. Il dipinto risponde alla descrizione della lettera. Anche se fa riferimento ai moti palermitani del ’48, egli dovette documentarsi, in realtà, su quelli na- poletani. È appena il caso di ricordare che già Filippo Palizzi aveva realiz- ]DWRXQGLSLQWRFKHUDI¿JXUDO¶DWWDFFRGDOOHFDVHDOOHIRU]HPHUFHQDULHVYL]- zere intervenute nel maggio del ’48 per smantellare le barricate. Al di là del SLRPHQRSUHFLVRULIHULPHQWR1HWWLVHPEUDYDYROHUSUHQGHUHSRVL]LRQH riguardo ai moti del ’48, e sottolineare che furono veramente moti di popo- lo, non esclusa la partecipazione attiva delle donne. La verosimiglianza 36. Ibid., pp. 74-75.
L’Unità nazionale nella pittura meridionale
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GHOODVLWXD]LRQHUDI¿JXUDWDQRQSRWHYDQRQSUHYHGHUHODSUHVHQ]DGHOOD¿- QHVWUD FKH HJOL GH¿QLVFH ©LO VRJJHWWR SULQFLSDOHª H FKH LQ TXDQWR XQLFD sorgente della luce che illumina la stanza, diventa, in rapporto all’ombra, il PH]]RSHUGHWHUPLQDUHDVVLHPHDOODGLVSRVL]LRQHGHJOLRJJHWWLHGHOOH¿JX- UHORVSD]LROXRJRGHOO¶HYHQWRÊGLI¿FLOHGLUHVHSHU1HWWLFLzIRVVHVHJQR di una sensibilità “democratica”, certo è che non mancheranno in seguito prese di posizione su problematiche sociali, che rivelano comunque una consapevolezza delle relative responsabilità “politiche”. Il ritorno a Napo- li, dopo l’esperienza della Guardia nazionale, lo vide presto impegnato non solo come artista, ma, s’è già detto, come critico, proponendosi da subito come protagonista del dibattito intorno alla situazione delle arti.37 Il suo primo importante esordio come critico fu la lunga recensione alla Esposizione della Società Promotrice di Napoli del 1864, nella quale si può dire che fosse già condensato tutto il suo pensiero in fatto d’arte, avendo volutamente scelto di trattare alcuni temi, che nel merito ne rivelano anche le basi culturali. Non minore peso, tra l’altro, nella maturazione delle sue idee e convinzioni doveva aver avuto la sua partecipazione alla prima Espo- sizione nazionale di Firenze del 1861, che registrò, come è noto, il successo degli artisti napoletani, e che, come è stato rilevato, fu occasione per la cri- tica di tirare le somme sulla pittura storico-romantica. Concludendo quella recensione, Netti affermava esplicitamente che gli artisti giovani «messi da banda certi soggetti allegorici, certe esagerazioni di sentimenti arcadici da una parte, e non sentitamente drammatici e religiosi dall’altra, e i morti per far effetto, e gli eroi nudi col cimiero» avevano cominciato «a interrogarsi e a guardar l’arte in sé, la pittura nel vero, e non il vero nella pittura degli al- tri»;; che «demolite le antiche convenzioni, spezzate certe pastoie, ora si HGL¿FDFROODIHEEUHGHOSURJUHVVRªSXUQHOODFRQYLQ]LRQHFKHOD©ULYROX]LR- ne […] qualunque cosa se ne dica, è ancora al suo principio».38 E dunque, in TXDQWLSDUWHFLSDURQRDOOHYLFHQGHULVRUJLPHQWDOL¿QRDOPRPHQWRHURLFRYL fu la consapevolezza di una vera e propria rivoluzione in atto. 37. L. Galante, Francesco Netti critico d’arte, in Francesco Netti (1832-1894). Un intellettuale del sud, Catalogo di C. Farese Sperken, De Luca, Roma 1980;; Id., Francesco Netti, il critico e il pittore, in «Annali dell’Università di Lecce, Facoltà di Lettere e Filoso- ¿Dª ,GIdentità nazionale e pittura moderna in Francesco Netti e Pasquale Villari, in /¶LGHQWLWj QD]LRQDOH 0LWL H SDUDGLJPL VWRULRJUD¿FL RWWRFHQWHVFKL, Atti del convegno, a cura di A. Quondam e G. Rizzo, Cavallino 30-31 ottobre 2003, Bulzo- ni, Roma 2005. 38. F. Netti, Scritti critici, a cura di L. Galante, De Luca, Roma 1980, p. 29.
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Al rientro a Napoli, dopo un soggiorno francese (1866-1870), Netti si impegnò nuovamente nell’agone artistico e nel dibattito culturale. Riprese alcuni temi, come quello del rapporto tra arte e società civile, e, attraverso questo, il tema dell’identità nazionale. Compiuta l’Unità della nazione, egli sosteneva, occorreva costruire una unità ideale e spirituale, la sola che potesse cementare un popolo. Se distacco v’era stato, ad esempio, tra il pubblico e l’arte, era perché la causa risorgimentale non aveva trovato ri- scontro in una lotta per il rinnovamento artistico. Bisognava recuperare il ruolo sociale dell’artista e la funzione sociale dell’arte, il primo facendo DI¿GDPHQWRVXOULJRUHPRUDOHFKHVRORORSRWHYDSRUWDUHDUDSSRUWDUVLFRQ la realtà e con i problemi del suo tempo, la seconda in forza del suo conte- QXWR LGHDOH FDSDFH GL SUH¿JXUDUH R GL ULVSHFFKLDUH XQ¶LQWHUD FLYLOWj H GL diventare «il cuore del progresso», mentre «le scienze ne sono le braccia e la libertà la testa».39 V’era in ciò anche in Netti la presa di coscienza della necessità di mantenere vivo lo spirito unitario. Non gli sfuggivano le ragio- ni dei problemi che si stavano allora ponendo nel sistema delle arti. L’as- senza di strumenti di informazione e di divulgazione, la carenza di espo- VL]LRQLQD]LRQDOLLOPHUFDWRDQFRUDGHOWXWWRDV¿WWLFRODPDQFDQ]DGHOOD coscienza del valore dell’arte, e quella di un’educazione e istru zione diffu- sa. A proposito di quest’ultimo problema era convinto che l’idea di un’iden- tità nazionale anche nel campo dell’arte dovesse essere sorretta da una piena e lucida coscienza del valore dell’arte quale patrimonio incommen- surabile e testimonianza diretta della storia civile e culturale di una nazio- ne, per cui non evitò ad esempio di fare osservazioni polemiche sulla fuga all’estero di intere collezioni, contraddittoriamente consentita o tollerata proprio nel momento in cui si discuteva di costituire una Galleria d’arte moderna.
39. Ibid., pp. 75-83, 85-103.
III. Costruzione/dissoluzione. 8QDWUDQVL]LRQHGLI¿FLOH
GIANCARLO VALLONE Originarietà dei poteri e costituzionalismo neoguelfo postunitario
1. A fondamento di questo scritto è la convinzione che la storia costi- tuzionale – fatta salva dalle tare che le ideologie impongono – può essere intesa come la guisa delle “regolarità della politica” e come misura delle relazioni sociali. Si tratta d’una convinzione che ne presuppone un’altra: la costituzione è una “cosa”, un esistente collettivo1 che precede ogni pos- sibile norma o insieme di norme, e si dà come esistente “politicamente” attraverso un potere, o un insieme “partout relative” di poteri. Si potrebbe allora dedurre che il termine “costituzione” non è – o non è soltanto – re- lativo a un concetto giuridico;; esso tende piuttosto a proporsi come terreno comune, in certo modo come metalinguaggio, di diversi percorsi storiogra- ¿FL(GLSLODFRVWLWX]LRQHFRPHHVLVWHQ]DR³XQLWjSROLWLFD´KDDOORUD una storia che preesiste all’uso politico stesso della parola “costituzione”.2 In questo senso, al di là delle parole, una costituzione esiste, a dispetto di alcuni che non lo credono, nel medioevo, o nella monarchia assoluta e dun- que prima che la costituzione sia proposta nel tratto liberale indicato dalla Grande Rivoluzione. Lo stesso concetto di “preesistenza”, ora evocato, nel VXRHVVHUHLQWLPDPHQWHOHJDWRDOIDWWRGHOO¶HVLVWHQ]DHDOODVRUJHQWH¿VLFD SHU FRVu GLUH GHOOD YLWD FRPXQH KD XQ¶LPSRUWDQ]D FHQWUDOH SHU OD FRP- prensione della costituzione medievale, nella quale diversi “poteri”, come l’ordine cittadino, o la potenza territoriale dei feudali, che son potere nel 1. C. Schmitt, Dottrina della costituzione (1928), a cura di A. Caracciolo, Giuffrè, Milano 1984, p. 110 e altrove. 2. H. Monhaupt, D. Grimm, Costituzione. Storia di un concetto dall’Antichità a oggi (20022), a cura di M. Ascheri, S. Rossi, Carocci, Roma 2008;; O. Beaud, L’histoire du con- cept de constitution en France. De la constitution politique à la constitution comme statut ju- ridique de l’Etat, in «Jus Politicum » 3 (2009: Autour de la notion de constitution), pp. 1-29.
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senso di “corpi intermedi”, e non subito in senso funzionale, rivendicano, nel fatto stesso di esistere, un’originarietà, che è appunto preesistenza, ma VLFRPSRQHLQVXERUGLQHDOYHUWLFHXQL¿FDQWHPRQDUFKLFR3 Qui, tuttavia, importano altri sensi del concetto di preesistenza, o, se si vuole, altri signi- ¿FDWLGHOODSDURODIRUWHPHQWHVHJQDWLLGHRORJLFDPHQWHSURSULRLQGLUH]LRQH G¶XQD SRVVLELOH FRVWLWX]LRQH H FKH LQ DWWHVD GL GH¿QL]LRQH DSSURIRQGLWD posso sintetizzare e indicare nella pretesa che ha un preesistente diritto al potere di conservarsi in un nuovo assetto di poteri e in una nuova costitu- zione. Adotto questo punto di vista per esaminare le movenze del pensiero FRVWLWX]LRQDOHGHOFRVLGGHWWRQHRJXHO¿VPRFKHGHYHDOORUDDWDO¿QHULFR- gnitivo, nettamente dividersi tra periodo preunitario e periodo postunitario della storia d’Italia. Indubbiamente il pensiero costituzionale del Primato non ha bisogno d’essere divulgato;; dico semplicemente che esso costitui- sce la fonte prima di quel che si dice il “costituzionalismo municipale”, LQWHVRQHOODYDULHWjGLSUR¿OLHGLYHQDWXUHFKHDUWLFRODQRTXHOODGRWWULQD nel Gioberti appena cennata.4 In essa, comunque, l’ordine municipale, la città, forma una «confederazione di repubblichette», ognuna delle quali HULJHSHUYLDHOHWWLYDXQDSLUDPLGHGLUDSSUHVHQWDQ]H¿QRDOYHUWLFHG¶XQ FRUSRFRQVXOWLYRUDSSUHVHQWDWLYRPDJHQXÀHVVRDO³WURQR´HSLLQVXDO soglio) con il compito di «dire al principe coraggiosamente […] il pubblico bene», perché è esclusivamente al principe che spetta la decisione politica.5 &RVuWXWWDYLDLOVLQJRORFLWWDGLQRqGXHYROWHORQWDQRGDXQGLULWWRSURSULR al potere, perché non elegge che elettori (o cooptabili), e lo stesso atomo HOHPHQWDUH FRVu FRVWLWXLWR GL WDOH FRVWUX]LRQH H FLRq LO FRUSR FLWWDGLQR ¿QLVFH SHU DIIDFFLDUVL VROR GDOO¶HVWHUQR DOOD GHFLVLRQH SROLWLFD7UD PROWL altri, il Mazzini, ironizzerà su queste “repubblichette” (oltreché sulla loro confederazione), e ne farà la pretesa di alcuni, non aspiranti ad altro che a «libertà di comune».6 In verità, storicamente parlando, la libertà di comu- ne, quando il Comune fu libero, era ben altra cosa;; è però vero questo: la giobertiana libertà di comune, proposta nel precipitato degli Antichi Stati, 3. G. Vallone, L’originarietà dei poteri e la costituzione mista, in Studi in onore di P. Pellegrino, a cura di M.L. Tacelli, V. Turchi, 3, ESI, Napoli 2009 (ma 2010), pp. 303-320. 4. Lo nota già A. Anzillotti, Gioberti, Vallecchi, Firenze 19312, pp. 184-185. 5. Brani, tutti ben noti, da V. Gioberti, Del primato morale e civile degli Italiani (1843), 1, a cura di G. Balsamo-Crivelli, UTET, Torino 1925, pp. 106, 108, 156 s. 6. In uno scritto del 1856 citato da G. Vallone, 3UR¿OLGLFRVWLWX]LRQDOLVPRPXQLFLSDOH, in Ceti dirigenti e poteri locali nell’Italia meridionale (secc. XVI-XX), a cura di D. Mar- rara, ETS, Pisa 2003, pp. 19-42: p. 32 (lo scritto è, in realtà, solo una raccolta di materiali).
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è una libertà collettiva, d’antico regime,7 radicalmente diversa dalla libertà politica come contenuto possibile d’un diritto individuale.8 Questa estra- neazione dell’individuo dall’aspettativa della partecipazione e del potere, FK¶qSRLXQUL¿XWRGHOO¶LQGLVWLQ]LRQHRHJXDJOLDQ]DG¶RJQLLQGLYLGXRq in verità, portatrice di un tratto conservatore manifesto, contrario alla sta- gione dell’Illuminismo democratico e rivoluzionario;; il suo intento è di ©UL¿XWDUHLQEORFFRLOFRVWLWX]LRQDOLVPRSURSULDPHQWH³PRGHUQR´EDVDWRVX premesse individualistiche e giuscontrattualistiche».94XHVWRJUDQUL¿XWRq pensato da Gioberti come ben possibile perché compensato da quel pro- dotto del «genio patrio» e da quella «spontaneità propria»10 che è appunto il costituzionalismo municipale: in effetti «un liberalismo tutto italiano».11 (QRQVLWUDWWDGLSHQVLHULVROLWDULGHO*LREHUWLHGHLQHRJXHO¿FKHOHOLEHUWj cittadine fossero un tratto tipico della storia italiana, e perciò degne di es- sere infuturate, era «opinione quasi comune al suo tempo»,12 e avvalorata poi da studi istituzionali e dalla medievistica dell’epoca,13 anche se a quel periodo della storia d’Italia, «all’età eroica delle città, non partecipò tutta la nazione» come diceva Cattaneo,14 e poi altri come Orlando, con speciale 7. «Una specie di libertà irregolare e saltuaria, sempre rinserrata nel limite delle classi, sempre legata con l’idea di eccezioni e privilegi»: C.A. de Tocqueville, L’Antico regime e la Rivoluzione (1856), tr. it. di M. Lessona, UTET, Torino 1947, p. 153 (l. II, 11). 8. Naturalmente il contenuto di questo diritto non è in generale un diritto di parteci- pazione diretta alla decisione politica, ma il diritto a far essere presente, o a far formare, attraverso eletti, la volontà generale. Perciò traggo da G. Duso, La rappresentanza politica. Genesi e crisi del concetto, Franco Angeli, Milano 20032, p. 61: «contrariamente a quanto caratterizza opinioni diffuse sulla rappresentanza, ciò che si inaugura con le costituzioni moderne non è un movimento di formazione dal basso della volontà generale, ma qualcosa di radicalmente diverso. Non c’è nell’atto di elezione alcuna espressione di contenuti de- terminati di volontà da parte degli elettori, ma piuttosto l’indicazione di colui o coloro che esprimeranno per loro la volontà di tutta la nazione». 9. L. Mannori, Le Consulte di Stato, in «Rassegna storica toscana», 45 (1999), 2, pp. 347-379: p. 350. 10. Gioberti, Del primato morale e civile degli Italiani, 1, pp. 71, 104. 11. M. Meriggi, Gli stati italiani prima dell’Unità. Una storia istituzionale, il Mulino, Bologna 2002, pp. 172-174. 12. Anzillotti, Gioberti, p. 90. 13. Vallone, 3UR¿OLGLFRVWLWX]LRQDOLVPRPXQLFLSDOH, pp. 21s. 14. Ibid. S 3HUFLz q VHPEUDWR SL FRQJUXR ULWHQHUH WUDWWR FRPXQH GHOOD VWRULD LWDOLDQDQRQOHOLEHUWjFLWWDGLQHPDLVWLWX]LRQLPHQRDSSDULVFHQWLHSLHIIHWWLYDPHQWHFR- muni nelle diverse parti della nazione, come la separazione cetuale per l’amministrazione cittadina, secondo un’intuizione muratoriana capace d’espansione.
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riferimento al Mezzogiorno, del quale s’esaltava la storia statuale. Eppure, queste “antiche libertà italiche” quale “innesto” prospettano, in chiave ri- sorgimentale, tra libertà e nazione?15 In Gioberti, ognuna delle autonomie o libertà municipali si costituisce per rappresentanza al vertice di ciascuno dei singoli Stati della confederazione. Onde è che ognuno di questi Stati – che sono gli Antichi Stati – è una necessità strutturale della costituzione. (FRVuFRPHTXHOODUDSSUHVHQWDQ]DSURSULRSHUO¶HUJHUVLGDUDSSUHVHQWDQ]H intermedie, e da quelle municipali di base, ha per prima ragione d’esistenza di conservarsi a una intima dimensione plurale o fratta, e di garantire la IUD]LRQHFRVuqQDWXUDOHSHQVDUHFKHQHVVXQDYRORQWjSROLWLFDULHVFDDIRU- marsi, nell’ipotetica unità federativa, che possa davvero sovrastare quelle delle singole parti o Stati. Una nazione italiana siffatta, e unita per frazioni, è impotente a determinarsi come unità politica, è cioè impotente ad agire in base a una decisione politica che sia in sé tutte le volontà, anche oltre di esse. Il costituzionalismo neoguelfo si mostra totalmente prono alla logica della “preesistenza”, e dunque non solo conservativo dell’assetto territo- riale, ma anche del sistema di poteri preesistenti, ch’è, in sostanza, il tratto eminente della “monarchia consultiva”, e in tutto negatore, in ossequio ai poteri tradizionalmente costituiti, del riconoscimento d’un potere co- stituente. Una logica costituzionale diversa da quella proposta per “pree- sistenze” ha per sua ragione proprio la necessità di affermare un’esistenza politica collettiva della nazione, e in questo senso il suo “risorgimento”, ODQDVFLWDLQIRUPDLVWLWX]LRQDOHHSHUIRU]D±DQFKH¿VLFD±FRVWLWXHQWHGL quanto prima esisteva «come comunità di lingua e cultura»:16 una logica FKHVDUHEEHLPSUXGHQWHYDOXWDUHQHOODVXDHI¿FLHQ]DVRFLDOHSHUUHODWLYD che sia, senza tarare l’opera convergente di rifrazione e coesione operata nel primo Ottocento dagli strumenti comunicativi, di vario genere, a stam- pa.17 Storicamente è possibile pensare, ed è stato pensato, che la pesantis- sima repressione operata dagli austriaci dopo i moti infelici del 1831, e anzi l’indistinzione di tale repressione in direzione di ogni area “italiana”, DEELDRWWHQXWRSURSULRSHUFRQWUHIIHWWRGHOO¶DV¿VVLDQWHHJHPRQLDDXVWULD- ,Q TXHVW¶LQQHVWR LQ TXHVWR SDUWLFRODUH WLSR GL ³YLUW GL SURSRVLWL´ q O¶DOWR WUDWWR morale del Risorgimento. 16. G. Spadolini, Mito ed eredità del Risorgimento (1993), in «Nuova Antologia», 146 (2011), 2257, pp. 6-14: p. 8. 17. A.M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità, onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2000.
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ca, un’omogeneità delle coscienze dei sottoposti,18 base, tra l’altro, di un progetto costituzionale di nuovo modello che è stato descritto, con parole VFLHQWL¿FDPHQWHDVVDLSRQGHUDWHFRPHHVLJHQ]D©GLIRQGDUHXQSRWHUHUD- dicalmente nuovo» e «irresistibile».19 2. Si dice per condivisa opinione che, dopo le annessioni del 1859, il QHRJXHO¿VPRVFRPSDUHFRPHPRYLPHQWRSROLWLFRHGqYHURSHUFKpGLIHW- tano in quel momento almeno alcune delle condizioni esterne del suo pro- getto federativo.20 In effetti, l’esperimento, nel 1847, delle Consulte di Stato aveva già chiuso la stagione propulsiva del costituzionalismo muni- cipale, che può essere inteso, ed è stato inteso, come una forma sopravvi- vente dell’antica territorialità dei poteri,21 e capace di retroagire continua- mente sulle condizioni di pensabilità di una autentica nazione “italiana” SURSULR SHU O¶DIIHUPD]LRQH GL XQD GLVWLQ]LRQH WHUULWRULDOH FKH ¿QLVFH SHU proporsi come condizione necessaria perché tale “nazione” esista, e cioè esista solo se conservativa di preesistenze;; e questo, a sua volta, costituisce LOSDVVRSULPRSHUFRQ¿JXUDUHLQYHFHDYROWHFRQSRWHQ]DGLIDQWDVLDTXH- sti territori fratti e vetusti, come guise e recinti di altrettante nazioni.22 La stessa attualità del pensiero politico neoguelfo tramonta con il vento euro- peo del 1848, che emerge in Italia con la costituzione napoletana del Boz- zelli promulgata dal Borbone il 10 febbraio del 1848. E anche il Gioberti in persona abbandona il progetto municipale. Qui, sarà prudente affrontare, SLXWWRVWRODTXHVWLRQHGHOJLREHUWLVPRRQHRJXHO¿VPRPHULGLRQDOHSRVW XQLWDULR&RP¶qQRWRFRQTXHVWDGH¿QL]LRQHVLYXROHLQGLFDUHSHUFRQVXH- 18. L. Mannori, Alla periferia dell’Impero. Egemonia austriaca e immagini dello spazio nazionale nell’Italia del primo Risorgimento, in Gli imperi dopo l’Impero nel l’Eu- ro pa del XIX secolo, a cura di M. Bellabarba, B. Mazohl, R. Stauber, M. Verga, il Mulino, Bologna 2008 (2009), pp. 309-346: pp. 325 s. 19. Ibid., p. 340. 20. F. Tessitore, Aspetti del pensiero neoguelfo napoletano dopo il Sessanta, Morano, Napoli 1962, p. 50, con citazioni da Spadolini e da altri autori. 21. Ritengo pagine molto consapevoli della prerivoluzionaria territorialità dei poteri (in particolare giurisdizionali) e del molto lento trapasso ottocentesco verso nuove geo- JUD¿H H GXQTXH QXRYH VWUXWWXUH LQ SDUWLFRODUH DPPLQLVWUDWLYH GHO SRWHUH TXHOOH VFULWWH da Meriggi, Gli stati italiani prima dell’Unità, pp. 31 s., 43 s., 124 s., 172 s., e passim. Se invece dovessi indicare in cosa consiste la territorialità del potere nel suo tempo storico, mi sarebbe comodo rinviare a G. Vallone, Istituzioni feudali dell’Italia meridionale tra Medio Evo ed Antico Regime, Viella, Roma 1999, pp. 179 s. 22. È questo il mio modo, abbastanza irrituale e in certa misura pretestuoso, di sin- tetizzare lo spirito costituzionale unitario antimunicipale, poniamo del Mazzini, e di altri.
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tudine, un certo numero di autori che «hanno spiccate somiglianze nell’at- teggiamento intellettuale, per le quali si può dire che formino veramente un gruppo omogeneo e distinto».23 In verità, dopo aver riconosciuto che questi DXWRULVRQRVSHVVRJLXULVWLHFKHVRQFDWWROLFLSHUORSLG¶LVSLUD]LRQHYL- chiana, e guidati in genere da un certo moderatismo politico “antifrance- VH´HDYROWHGLSLqSRLFRPSOHVVRLQGLFDUHORUROLQHHFRPXQLGLSHQVLH- ro, e lo stesso rapporto con le idee ad esempio del Gioberti (e alludo esclusivamente, ora e in seguito, al primo Gioberti) è di diversa intensità e JUDGR$Q]LLWUDWWLGLVWLQWLYLGDTXHOOHLGHHLQGXEELDPHQWHULVDOWDQRSLGL quante continuità si scorgano. E tra questi tratti differenzianti, uno almeno YD QRWDWR O¶REVROHVFHQ]D GHO OLQJXDJJLR OHWWHUDULR¿ORVR¿FR TXHOOR GHO Gioberti e dei suoi primi seguaci) e l’adozione piena o larga del linguaggio FRVWLWX]LRQDOHJLXULGLFRGDSDUWHGHOQHRJXHO¿VPRPHULGLRQDOHVXFFHVVLYR Non c’è dubbio, ed è fors’anche banale indicare, che questo cambiamento YDPHVVRLQUHOD]LRQHDOODPXWD]LRQHGHOFRQWHVWRSROLWLFRHDOO¶HQWL¿FD]LR- ne del nuovo Stato unitario;; ma il punto è che nessun cambio di “terreno discorsivo” è innocente, e la nuova lingua giuridica fa emergere nettamen- te il “nascosto” dalle pieghe della precedente letteratura, rendendo traspa- renti, perché ormai inevitabile, le esigenze di fondo e la “negazione”, si vedrà in che misura, dell’Unità raggiunta, ch’è poi il nodo basilare della TXHVWLRQH 7XWWDYLD TXHVWR WUDWWR GLIIHUHQ]LDOH ULYHOD D VXD YROWD XQD SL profonda continuità, e bisogna esaminarla. Il giobertismo del Primato – FLRqXQ³IHGHUDOLVPR´FRQLOSRQWH¿FHDOYHUWLFHGHOODIHGHUD]LRQH±VDUHE- be stato, si disse, non tanto un’idea per limitare le distonie inevitabili in XQDXQL¿FD]LRQHRPRJHQHL]]DWDGHOOR6WDWRLWDOLDQRPDSLXWWRVWRXQWHQWD- tivo, o speranza, di conciliare l’emersione d’un nuovo Stato italiano con un superstite ruolo politico del papato.24 In realtà quel che davvero interessa, avvolto tra le spire del linguaggio letterario, è, in raggio esteso, la conser- vazione della consistenza territoriale e politica degli Stati preunitari, e, in &RVuQHOVXRSLRQHULVWLFRVDJJLR$$Q]LOORWWL1HRJXHO¿HGDXWRQRPLVWLD1DSROL dopo il Sessanta, Lapi, Città di Castello 1920, poi nel suo Movimenti e contrasti per l’Unità italiana, Laterza, Bari 1930, pp. 167-191: p. 168. Un’opera che rimedita a fondo la questio- QHEHQFKpSHUSUR¿OLSDUWLFRODULGHJOLDXWRULqTXHOODGL*'H&UHVFHQ]RLa fortuna di V. Gioberti nel Mezzogiorno d’Italia, Morcelliana, Brescia 1964: benché si tratti d’un lavoro notevolmente invecchiato, e superato da diverse ricerche particolari, sarà qui di riferimento, salvo occasioni singole, proprio per la sua costruzione d’insieme. 24. G. Miglio, I cattolici di fronte all’Unità d’Italia (1959), in Id., Le regolarità della politica. Scritti scelti e pubblicati dagli allievi, 1, Giuffrè, Milano 1988, pp. 351-368: p. 362.
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TXHVWRVHQVRVLSRWUHEEHGLUHFKHTXHOOLQJXDJJLRqSLDGDWWRD³QRQFHU- care soluzioni oltre quelle che trova già pronte”;; e solo l’emersione di un “ordine differente” trasporta quel conformismo a una propensione antago- nistica che necessita l’adozione d’un nuovo linguaggio,25 o “terreno discor- VLYR´TXHOORJLXULGLFRFRVWLWX]LRQDOHFKHIDLQWUDYHGHUHDVXI¿FLHQ]DXQD specie di “negazione della negazione”. È questo il tratto evidente di conti- QXLWjWUDLOSULPDHLOGRSRGHLQHRJXHO¿HGLORURLQFOLQD]LRQHFRQGLYLVD XQGHFLVR³DXWRQRPLVPR´FRP¶qGH¿QLWRHFKHGDWHPSRqVWDWRQRWDWR ma che qui esaminerò, e lo farò solo per accenni, in relazione col tema costituzionale della “preesistenza”, ch’è poi, l’abbiamo visto, un tema del pensiero costituzionale del primo Gioberti, con questa ovvia, già descritta, PDVLJQL¿FDWLYD differenza: il primo Gioberti prospettava una certa costru- zione LQ ¿HUL di Stato italiano, e lo voleva sagomato sugli assetti statali “preesistenti”, mentre questi autori pensano l’autonomismo all’interno dello Stato unitario costituito, e lo pensano in termini di preesistenza a tale costituzione. Ora, è fuor di dubbio che i giuristi «quando parlano di auto- nomia non intendono ripetere un sinonimo di sovranità»,26 e allora l’auto- QRPLDqHYLGHQWHQRQLQ¿FLDO¶XQLWjGHOOR6WDWRPDTXDQGRLQXQLQWHUQR statuale, l’autonomia è pensata come “preesistenza”, o sul metro della “preesistenza”, può dirsi lo stesso? La domanda mi pare legittima, e la IRUPXOR FRQ¿JXUDQGROD FRPH SUHVXSSRVWR QHFHVVDULR SHU OD YDOXWD]LRQH del cosiddetto “autonomismo amministrativo” (che ora non è possibile af- IURQWDUHLQVp GHLJXHO¿SRVWXQLWDULODULVSRVWDYDWHQWDWDFRQXQ¶DQDOLVL che qui non può essere che breve e sintomatica e condotta per brani, da alcune opere, prese, torno a dire, per l’emersione in esse di idee centrali, e IRUVHGLSULQFLSLHQRQQHOODORURRUGLWXUDG¶LQVLHPHGHLSLQRWLWUDJOL “autonomisti”, come Cenni, Persico e Savarese. Quando, ad esempio, En- rico Cenni (1825-1906) affronta la questione dell’amministrazione perife- rica come parte della costituzione, e si trova di fronte alla sua disciplina concreta proposta nella Legge comunale e provinciale del 23 ottobre 1859, 25. Traggo suggestioni terminologiche da un’opera dimenticata di H. Marcuse, L’uomo a una dimensione (1964), tr. it. di L. e T. Gallino, Einaudi, Torino 19686, pp. 186-196. 26. P. Grossi, Auctoritas universale e pluralità di potestates nel mondo medievale, in Mediterraneo, Mezzogiorno, Europa. Studi in onore di C.D. Fonseca, a cura di G. Andenna, H. Houben, Adda, Bari 2004, pp. 561-572: p. 566. Evidentemente il concetto di autonomia, se impegnato in entità politiche non connotate dal monopolio della forza e quindi premo- GHUQH OH VL YRJOLD R QR GH¿QLUH ³VWDWXDOL´ SURSRQH PHQR DPELJXL ULVYROWL FRQFHWWXDOL come mostra in diverse opere lo stesso autore.
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ispirata dal Rattazzi, che sarà estesa alla Lombardia nel 1861 e sostanzial- PHQWHUHSOLFDWDGDOOHJUDQGLOHJJLGLXQL¿FD]LRQHDPPLQLVWUDWLYDGHO la sua critica (che esprime un evidente progetto costituzionale) non si rivol- ge immediatamente all’idea basilare realizzata per norma, destinata a dura- re per decenni, e cioè alla necessità che «il Governo sieda per mezzo dei suoi delegati a capo della Provincia e del Comune». Tale raccordo tra la rappresentanza vicariale del governatore (poi prefetto) e la rappresentanza “elettiva” ad esempio comunale, che per legge è presieduta dal governato- re, oltre a essere evocativa di antichi metodi amministrativi, è un chiaro ingegno di presidio, attraverso l’autorità centrale delegata, delle autonomie SHULIHULFKHEHQHVSUHVVLYRGHOSHUFRUVRSUHVFHOWRSHUO¶XQL¿FD]LRQHHSHU- FLzDOFHQWURGLDVSULFRQÀLWWLWUD³UHJLRQDOLVWL´H³XQLWDUL´27 Però Cenni ho detto che non è subito turbato dal presidio vicariale delle periferie ad opera del governo, che ritiene anzi debole;; piuttosto egli critica «l’autonomia quasi assoluta de’ comuni»,28 per effetto dei molti poteri attribuiti per “de- centralizzazione”, aggiungendo un paragone laudativo con la legge borbo- nica del 12 dicembre 1816. Un simile eccesso di delega urta le convinzioni di Cenni, ed è da lui ULWHQXWRGHYDVWDQWHGLXQJLXVWRPRGRGHOO¶XQL¿FD]LR- QH SROLWLFD SHUFKp ©Ou GRYH DEELD VHJXLWR O¶RUGLQH QDWXUDOH VL YHGH FKH O¶XQLRQHGLSLUHJLRQLLQXQVROR6WDWRVLqSUHVWRULQVDOGDWDHFHPHQWDWD nel tempo».29 Quest’ordine naturale è anzitutto un ordine dei territori che &HQQLVRVWLHQHFRP¶qVWDWRSLYROWHHSHUGLYHUVHUDJLRQLQRWDWRFRQO¶DQ- tico e illustre principio organicistico: «secondo natura, ogni organismo unico costa di altre unità minori e meno ricche, le quali alla loro volta ten- gono sotto di sé altre unità;; queste ultime per mezzo delle seconde si con- nettono alla prima».30 Però un siffatto ordine dei territori è anche l’ordine (o gerarchia) dei poteri su di essi;; ed è perciò che Cenni indirizza la sua rampogna contro il nuovo assetto periferico, dove i comuni vengono tutti quotati con attribuzioni di potere DOOD¿QHRPRJHQHHVHQ]DULFRQRVFLPHQWR 27. Mi ispiro agli scritti datati, ma, come sempre, penetranti e tendenziosi (e da rite- nere archetipici di successive prospettive revisioniste quasi mai altrettanto lucide), di G. Miglio, Le contraddizioni dello Stato unitario (1965) e Rappresentanza ed amministrazione nelle leggi del 1865 (1965), in Id., Le regolarità della politica, 1, pp. 487-508, 509-530. &KLDPR³YLFDULDOH´ODUDSSUHVHQWDQ]DFKH0LJOLRGH¿QLVFH³RUJDQLFD´R³UDWLRQHRI¿FLL´ 28. E. Cenni, Delle presenti condizioni d’Italia e del suo riordinamento civile, S.T. Classici Italiani, Napoli 1862, pp. 214-218: p. 214. 29. Ibid., p. 135. 30. Ibid., pp. 213-214, e altrove.
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di subordinazione a organismi territoriali sovraordinati e intermedi, e quin- di «all’autorità centrale della provincia»,31 com’era nell’Antico Regno. Ecco allora che riproporre l’ordine dei poteri secondo l’assetto dei territori, qULSURSRUQHODSUHHVLVWHQ]DJOLXQL¿FDWRULVDUHEEHURFROSHYROLGLDYHUOD ignorata, di aver «reputato falsamente che l’arbitrio umano possa, non pure disporre secondo l’ordine di natura gli elementi preeesistenti, ma crearli dove non sono».32(WXWWDYLDXQL¿FDUHO¶,WDOLDVHQ]D³FUHDUH´O¶8QLWjPD conservando la preesistenza dei territori sia pur periferici e dei poteri sia pur locali è ergere un limite all’Unità, è opporre un monito ad essa. Lo di- mostra, in Cenni, la posizione costituzionale ricavata al Comune dalle sue incombenze naturali, e talmente tradizionali, da essere esemplate diretta- mente dal corpo dell’antico diritto comune e patrio: tutto quanto concerne le vie pubbliche, il corso pubblico, l’uso e la distribu- zione delle acque pubbliche, la polizia urbana e la rurale, l’amministrazione e la tutela del suo patrimonio e del demanio comunale gli [al Comune] ap- partiene, ed ha su questa vasta materia una propria giurisdizione, nella quale consiste la sua ragionevole autonomia. Lo Stato che […] è conservatore e non creatore del diritto, non gliela può contendere sotto colore di tutela. Il Comune sussiste proprio jure a fronte dello Stato.33
Ecco allora che il Comune ha un diritto proprio al potere, che preesiste allo Stato, e che lo Stato dovrebbe conservare;; si tratta di un suo diritto ori- JLQDULRHQRQGHULYDWRGDOOR6WDWRHDQ]LqLQIRQGRSURSULRTXHVWRSUR¿- ORGHOO¶HIIHWWLYDXQL¿FD]LRQHDPPLQLVWUDWLYDFKHXUWD&HQQLO¶DWWULEX]LRQH per delega di poteri, che riduce il Comune a «estremo ganglio periferico del ritaglio amministrativo-statuale»,34 mentre è, o dovrebbe (continuare a) essere anzitutto un “corpo intermedio”, un organismo che pretende, per il fatto di esserci sempre stato, di continuare anzitutto a esistere.35 In effetti VHPEUDDSSXQWRFKHDO¿QHGHOODVXDVRSUDYYLYHQ]DLO&RPXQHFRQVHUYD- to nel suo naturale assetto territoriale, e nei suoi poteri originari, disponga di qualcosa come un diritto di resistenza allo Stato. Quel che preesiste resi- ste. È lecito immaginare che i costruttori della nazione unita volessero eli- 31. Ibid., p. 215. 32. Ibid., p. 242. 33. E. Cenni, Studj di diritto pubblico…, De Angelis, Napoli 1870, p. 39. 34. Meriggi, Gli stati italiani prima dell’Unità, pp. 166-167. 35. Prospettive teoriche in G. Vallone, La costituzione medievale tra Schmitt e Brun- nerLQ©4XDGHUQL¿RUHQWLQLSHUODVWRULDGHOSHQVLHURJLXULGLFRPRGHUQRª SS 387-403: pp. 399 s.
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minare proprio questa forza ingenita, ed è giusto pensare che un uso mirato del monopolio istituzionale, attraverso organi periferici di nuovo modello, intendesse, come intendeva, estirpare la disponibilità a obbedire delle po- polazioni dalle antiche osservanze e costruire la legittimazione del nuovo assetto depotenziando ogni naturale “campo di tensione”. Da questo punto di vista, è anche evidente che le leggi dal 1859 al 1865, sulle quali si basava ODGHSUHFDWLVVLPDXQL¿FD]LRQHDPPLQLVWUDWLYDDYHVVHURQRQVRORSRVL]LRQH sostanzialmente “costituzionale”, ma quasi ruolo costituente, cioè costrut- tivo, dell’Unità. Resta indeciso se un ipotetico gradualismo e una mitica ©IDVHLQWHUPHGLDIHGHUDOHªQHOODYLFHQGDXQL¿FDWLYDDYUHEEHGDYYHURSRWX- WRSURGXUUHXQ¶XQL¿FD]LRQHPDJJLRUPHQWHRPRJHQHD36 o, piuttosto, il suo contrario, una dissoluzione restaurativa, o, si disse, “riscossa perturbatri- ce”: l’esperienza delle luogotenenze, non è di quelle da impegnare a cuor leggero per la prima ipotesi, se le si intende come occasione mancata di potenziamento istituzionale periferico.37'LIDWWRJOLXQL¿FDWRULULWHUUDQQR utile evitare, con tutti i ben noti inconvenienti connessi, che autonomie ter- ritoriali atteggiate a preesistenze fossero in grado di intercettare i processi di legittimazione del nuovo Stato, e di manifestare una capacità di resi- stenza alla volontà generale, che è dimostrata proprio dall’esperienza delle luogotenenze meridionali. E non c’era neanche nulla di nuovo o di inaspet- WDWRGXUDQWHOD*UDQGH5LYROX]LRQHHQHOOD&RQYHQ]LRQHODGLI¿GHQ]DHOH rampogne contro i corpi intermedi e contro, in particolare, les États, erano state della stessa natura. Del resto, un territorio che si pretende autonomo per preesistenza, deve, per conservarsi a tale pretesa e farla valere contro un’avversa volontà, essere distintamente rappresentato. Se invece la rap- presentanza ha base individuale e indistinta, la formazione della volontà JHQHUDOHQRQKDDOFXQOLPLWHQHOODGH¿QL]LRQHGHOOHFLUFRVFUL]LRQLWHUULWR- riali per decentramento né riconosce potere che preesista alla sua delega. È per questa ragione che il fulcro dell’autonomismo neoguelfo si pone nella questione della rappresentanza, che in Cenni è indicata, ma che ha ben profondo sviluppo in Federico Persico (1829-1919). In questa prospettiva, la critica al decentramento38 non è avanzata per semplice via “amministra- 36. Miglio, Le contraddizioni dello Stato unitario, pp. 496-498. 37. Ibid., p. 498. 38. F. Persico, Le rappresentanze politiche e amministrative. Considerazioni e pro- poste, Marghieri, Napoli 1885, pp. 82 s., e, con prospettiva storica, già in Id., Principii di diritto amministrativo (1862), 1, Marghieri, Napoli 18752, pp. 217 s.
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tiva”, elogiando il preesistente assetto territoriale dei poteri, e sostenendo un loro diritto al riconoscimento d’originarietà, ma, anzitutto deprecando il difetto di distinta rappresentanza delle autonomie territoriali. Si tratta G¶XQSUR¿ORFKHHPHUJHGDXQDSLODUJDHFRPSOHVVDWHRULDFRVWLWX]LRQD- le fondata su una, consueta, negazione del diritto politico individuale, nel senso di una critica di razionalità della rappresentanza eretta da base indi- vidualistica: «si ha solo a discutere […] e a chiarire se la libertà appartenga all’individuo nella formazione dello Stato;; se anzi la libertà, appunto per- ché propria dell’uomo, non discenda dal genere uomo al singolo individuo, piuttosto che fare il corso contrario».39 Questa seconda è, s’intende, la con- vinzione proposta, perché per Persico, ogni singola volontà si svela come “vera”40 unendosi, per incontro con altre, in “interessi”,41 che son modo autentico, perché condiviso, di libertà collettiva, atto, allora, a esprimer- si per rappresentanza nella formazione della volontà politica. E siccome, per sedimentata tessitura, gli “interessi”, i modi partecipativi, strutturano gli individui in “classi sociali” e le classi in «centri» territoriali,42 sono questi “interessi”, e questi «naturali consorzi»43 che devono essere rappre- sentati, perché «la libertà civile e politica non è la disordinata concorrenza della moltitudine degl’individui nell’azione sovrana, ma la partecipazione de’ rappresentanti degl’interessi sociali alla formazione delle leggi dello Stato».44 Ora per Persico, rappresentare elettivamente la libertà (collettiva) è, a differenza del primo Gioberti, rappresentare un potere;;45 e tuttavia, questo potere che vien fatto essere presente come, in certo modo, volontà generale, non sembra pensato come originato in questa stessa volontà, ma piuttosto, riconosciuto da essa, come preesistente ad essa secondo un prin- cipio generalissimo: «ogni superiorità acquistata da natura e dall’arte trae seco autorità e genera un diritto […] ogni vera autorità è una forza, e, come 39. Id., Le rappresentanze politiche e amministrative, p. 110. 40. Sarebbe una specie di «paradosso»: per Persico la vera libertà individuale è negar- ODVXSHUDQGRVLLQTXHOODFROOHWWLYDq©O¶HVHUFL]LRGLHVVDRUGLQDWDD¶¿QLXPDQLªibid., pp. 160-161, 238, ecc. 41. Ibid.SSVFRQSLGLUHWWDDWWHQ]LRQH 42. Ibid., pp. 205-206, 211. 43. Ibid.SSPDVRQRLQXVRDQFKHDOWUHGH¿QL]LRQL 44. Ibid., p. 238. 45. Nel senso di farlo essere presente, come volontà generale, per manifestazione di- retta dei rappresentanti, senza vincolo di mandato, come si legge, con analisi storiche: ibid., pp. 166 s., 174 s.
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WDOHVLDIIHUPDGDVpVSLHJDODVXDHI¿FDFLDHVLDVVRJJHWWDOHIRU]HPLQRUL […] L’autorità politica non è essenzialmente diversa».46(FFRGXQTXH¿VVD- to, in sequela di antiche dottrine, il nesso genetico d’ogni possibile potere politicamente rilevante: esso emerge dal seno della storia e della vita, «dal seno stesso della società che ne ha bisogno», e ne esce secondo la natura di questa, cioè «da quelle diseguaglianze di fatto che pongono alcuni socii na- turalmente al di sopra di altri»,47 perché, secondo Persico, «non è il principio di eguaglianza che genera la potestà o la sovranità, ma anzi l’ineguaglian- za sociale» che è «il fondamento dello Stato».48 Siamo in grado, a questo punto, di comprendere dall’interno il processo di formazione della volontà SROLWLFDSHUFKpODGLVHJXDJOLDQ]DVRFLDOHVLJQL¿FDDQFKH©LOQDWXUDOHSUH- valere» di una classe sulle altre, una sua «aristocrazia naturale»,49 un diritto SURSULRDOSRWHUHFKHYLHQHULFRQRVFLXWRQRQSLHUHGLWDULDPHQWH50 ma elet- tivamente, da collegi elettorali ripartiti per classi,51HQHFHVVDULDPHQWHGH¿- niti, lo sappiamo, per corpi o centri territoriali (Comuni, Città, Province), secondo la natura o storia di questi, che lo Stato non dovrebbe prevaricare: e, ad esempio, «il Comune è una società naturale […] Come ogni vera ed organica formazione, le sue origini si perdono nella notte dei tempi in ciascuna storia particolare di nazione. Nessun arbitrio o legge a memoria d’uomo presedette alla sua nascita;; e se ora lo Stato ne regola l’esisten- ]DQHPRGL¿FDO¶RUJDQLVPRHJLXQJH¿QRDUHSXWDUORXQVXRSURGRWWRGD poter ampliare o distruggere a piacimento, la verità è che esso ha prece- duto nella storica evoluzione lo Stato, o per dir meglio lo ha contenuto ed implicato, prima che si distinguesse la società comunale dalla politica».52 Qui la preesistenza torna a far valere le sue ragioni, e a proporsi come potere originario, sia pure in re propria;; tuttavia questa ambizione d’esclusi- vità si moltiplica tante volte quanti sono i Comuni, o i «centri» territoriali, e si articola in altrettante pretese contro la «prepotenza dello Stato», e contro 46. Ibid., pp. 132-133. 47. Ibid., p. 134. 48. Ibid., pp. 135, 137, 149. 49. Ibid., pp. 203, 139. 3ULPD GHOOD *UDQGH 5LYROX]LRQH ©Vu OD PRQDUFKLD FRPH L EDURQL YDQWDYDQR XQ dritto proprio al potere nello Stato, espresso dal principio di eredità»: Persico, Principii di diritto amministrativo, 1, p. 308. 51. Id., Le rappresentanze politiche e amministrative, pp. 219 s.;; Id., Principii di dirit- to ammnistrativo, 1, pp. 256-261: vi emerge anche il presupposto censitario. 52. Id., Principii di diritto amministrativo, 1, pp. 293-317: p. 300.
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la sua volontà uniformatrice che annienta «ogni distinzione tra comune e comune» e fa di ognuno di essi «una località indifferente».53 Ogni critica di Persico muove dalla convinzione «della natura territoriale del l’am mini stra- zione» periferica,54 e ogni suo progetto costituzionale unitario è intenzionato a ergersi dal riconoscimento della necessità delle differenze territoriali, o nate dai territori, e dunque dalla imprescindibile tutela di «interessi […] di- stinti da quelli generali dello Stato».55 Questa tutela è possibile solo se l’in- teresse distinto è rappresentato, «sicché sono i consigli comunali delle città, de’ comuni rurali e delle provincie quelli che dovrebbero nominare i deputa- ti al Corpo legislativo e politico».56&RVuOR6WDWRQRQqLOSUHFLSLWDWRLVWLWX- zionale d’un potere costituente, o l’espressione dello status indistinto e co- mune d’un popolo, ma il soggetto coordinatore di poteri che gli preesistono, e un «interesse nazionale» non può che «risultare da tutti gl’interessi della società organicamente costituiti»;;57 PD SXz XQ RUJDQLVPR FRVu FRVWLWXLWR nella sua totalità, realizzare un interesse nazionale – o generale – superiore a TXHOOR GHOOH VXH SDUWL FRVWLWXWLYH IRUV¶DQFKH VDFUL¿FDQGR TXHOOR GL XQD GL esse? Parrebbe di no;; quel che va o andrebbe evitato è che la «vita dello Stato» si concentri «nelle rappresentanze nazionali e nell’autorità unica e centrale», quel che andrebbe evitato è che «la volontà di una piccola parte della nazione, qual è un municipio […] non abbia alcun interesse da far va- lere incontro alla volontà della gran maggioranza nazionale».58 Ecco qui af- fermata una pretesa all’eccezione, e la richiesta di un vero e proprio diritto di resistenza da opporre alla volontà generale, e che si vorrebbe poi operati- vo all’interno dello stesso processo di formazione di tale volontà. Si tratta di un punto di stallo che va esaminato da altro angolo visuale. Persico non ha dubbi, e a un tratto dice: «e veramente sta nel comando l’autorità politica»;;59 ma questa vigorosa affermazione non affronta quella che, dal punto di vista 53. Ibid., pp. 297, 300, 303. 54. Ibid.SPDXVRLOWHUPLQHFRQYDOHQ]DSLIRUWHGLTXHOODTXLXVDWDGDOO¶DXWRUH benché consona al suo pensiero. 55. Id., Le rappresentanze politiche e amministrative, p. 210. 56. Ibid., p. 224. Evito qui di esaminare se, nel pensiero dell’autore, le istituzioni terri- toriali che saranno poi espresse per rappresentanza nelle «istituzioni centrali», si coordinino tra loro “a piramide”, come nel primo modello neoguelfo, o per poteri esclusivi, come par SLSRVVLELOH 57. Ibid., p. 209. 58. Id., Principii di diritto amministrativo, 1, pp. 297-298. 59. Id., Le rappresentanze politiche e amministrative, p. 133.
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di una teoria costituzionale, è la questione fondamentale, e cioè se possa una volontà generale, un comando, imporsi come irresistibile anche al potere di resistenza di una parte della nazione, poniamo DO¿QHGLUHDOL]]DUHDOO¶RFFRU- renza, il primo “interesse nazionale”, quello dell’unità indistinta e coesa del- la nazione.60 Senza questa forza sintetica, lo Stato torna a essere il “garante” di diritti altrui al potere, secondo l’idea della tradizione prerivoluzionaria.61 3XzDQFKHVHPEUDUHLQFKLDYHVWRULRJUD¿FDXQSUREOHPDGHOWXWWRDVWUDWWR ma non lo è, perché si tratta di capire se un progetto costituzionale, quello neo guel fo, progettato sulle preesistenze territoriali, e dunque radicalmente diverso da quello della cosiddetta, e attuata, “unità semplice” d’Italia, avreb- be mai potuto disporsi all’interno d’una unità politica determinata da una conquista territoriale non consolidata nel tempo. Non si tratta naturalmente GLDSSXUDUHDQFRUDXQDYROWDLOOHDOLVPR³LWDOLDQR´GLQHRJXHO¿FRPH&HQQLH Persico che non è in discussione, pur essendo stato, a volte, discusso. Si trat- ta invece di capire se il loro pensiero costituzionale è, sia pur inconsapevol- mente, non compatibile con le reali esigenze dell’unità politica italiana nel contesto della sua costruzione, dato che quel che preesiste come territorio introduce un’idea di nazione condizionata e condizionabile per partizioni. Ci soccorre, in certa misura, un’opera di Giacomo Savarese (1808-1884) ispira- ta, come consueto, a un giusnaturalismo cattolico intenso e con impronta YLFKLDQDFKHTXLLQWHUHVVDSHULOVXRSUR¿ORRUJDQLFLVWLFRQHOTXDOHDOGLOj delle molte differenze, ricorrono non poche delle nervature elementari del SHQVLHURFRVWLWX]LRQDOHGHLQHRJXHO¿PHULGLRQDOL&RVuQHOORVWDWRGLVRFLHWj si formano «consorzi naturali» nei quali è anche «l’origine dell’autorità», perché «ciascun consorzio ha naturalmente un’origine ed uno scopo partico- lare e distinto, e mezzi propri di sod disfa zio ne»,62 cioè un diritto proprio e originario al potere, ch’è, se si vuole, un proprio «dritto politico» al potere.63 Finché la società s’è espressa secondo questa natura, sempre s’è mostrata 60. La dottrina ottocentesca, che ha pensato il concetto di nazione su una incondizio- nata base volontaristica (F. Chabod, L’idea di nazione [1962], Laterza, Bari 19722, pp. 70 V SRWUHEEHEHQSUHVWDUVLDVYLOXSSLFRHUHQWLVXOSXQWR5LFKLDPROHULÀHVVLRQLLQ9DOORQH 3UR¿OLGLFRVWLWX]LRQDOLVPRPXQLFLSDOH, pp. 40-42. 61. Vallone, La costituzione medievale tra Schmitt e Brunner, pp. 394-395. 62. G. Savarese, Le dottrine politiche nel secolo XIX e l’ordine naturale delle società civili, Tornese, Napoli 1877, pp. 10, 130, 210, 225. Nel 1878 si ebbe dell’opera una nuova edizione con diversi cambiamenti che qui non rilevo. 63. Ibid., p. 39. Il concetto che il consorzio ha diritto proprio al potere emerge spesso: pp. 10-11, 18-19, 146, 164, 169, 192, 218, ecc.
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in assetto consortile;; il regime feudale non ne era che la forma «moderna»;; ©LOUHJLPHIHXGDOHSUHVRQHOVXRVLJQL¿FDWRODUJRHFRPSOHVVLYRHUDLOUHJL- me federativo, era la società che nasce dall’aggregato di consorzi politici, distinti e federati tra loro».64 La Grande Rivoluzione, abolendo la feudalità e gli altri ordini sociali, non ha fatto che distruggere l’ordine naturale della società e dei regimi politici espressi in coerenza con essa, cioè «tutta la vita politica dei consorzi di cui la società si componeva» e che si era organica- mente sviluppata lungo il corso stesso di esistenza del genere umano.65 Poi- ché ognuno di questo ordini o consorzi ha, si disse, un diritto proprio al potere ne segue, come principio generale, che alcuno di questi poteri può essere delegato;;66 qui è fondato il principio critico del decentramento am- PLQLVWUDWLYRPDDQFKHXQUL¿XWRGHOO¶LGHDGLVRYUDQLWjFRPHSRWHUHSROLWLFR unico, che, si sa, era nato solo dalle ceneri della rivoluzione: «il potere so- ciale è di sua natura onnipotente, assoluto e senza controllo. Questo potere non è che una funzione organica della vita collettiva, e appunto per questo non può essere delegato […] non può essere esercitato che direttamente dalla Società stessa»;; l’errore, nato dalla rivoluzione, sarebbe stato nel con- fondere «il potere sociale con la potestà che governa».67 Siccome il potere originario di ciascun consorzio non può essere delegato, e tuttavia ciascuno di essi partecipa a una unità politica, questa partecipazione avviene per VSHFL¿FDUDSSUHVHQWDQ]D6LWUDWWDGLUDSSUHVHQWDUHLOGLULWWRGHOFRQVRU]LRD esistere, e perciò il diritto di eleggere il rappresentante è del consorzio stes- so – della sua istituzione collettiva – e non direttamente degli individui che ne fanno parte;;68 FRVu OD UDSSUHVHQWDQ]D VHQ]D HVSRUWDUH SRWHUH HVSULPH VHPSOLFHPHQWHXQ©FRQFRUVR DG XQ ¿QH FRPXQHª H O¶LVWLWX]LRQH FHQWUDOH G¶RJQL UDSSUHVHQWDQ]D FKH OR VWHVVR 6DYDUHVH GH¿QLVFH 6WDWR QRQ q FKH O¶LVWLWX]LRQHLOFXL¿QHFRPXQHHODFXL©SRWHVWjGLJRYHUQRªOXQJLGDOO¶HQ- WL¿FDUHXQDYRORQWjJHQHUDOHFDSDFHGLUHSULPHUHRVRVWLWXLUVLDOSRWHUHUDS- presentato, è quello di garantire a tutti i consorzi rappresentati «l’im piego dei propri mezzi per raggiungere il proprio scopo».69 L’idea di rappresen- tanza corporata è tipica del pensiero neo guel fo, ma la sua funzione qui non 64. Ibid., p. 8. 65. Ibid., pp. 8-9, 167. 66. Ibid., pp. 148-149, 218-219, ecc. 67. Ibid., p. 226. 68. Ibid., pp. 162-175. 69. Ibid., pp. 129, 131, 171, 172. Lo Stato sarebbe «associazione perfetta» che nasce dalla «federazione di consorzi distinti».
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lo è, perché il suo proprio «con si glia re»70 non si propone a un potere sovra- no, come nella “monarchia consultiva”, ma serve semplicemente a indiriz- zare la «potestà di governo» nella sua «alta tutela» di poteri irremovibili nella cerchia loro propria:71 nel che lo Stato è trattenuto alla sua medievale ¿JXUD GL ³JDUDQWH GL GLULWWL´ 6DYDUHVH QRQ SURSRQH SUHHVLVWHQ]H SHUFKp QRQ FULWLFD HVSUHVVDPHQWH LO PRGR XQLIRUPH GHOO¶XQL¿FD]LRQH LWDOLDQD H non critica nemmeno il fatto dell’Unità;; egli contrappone semplicemente il modello costituzionale del l’An tico Regime, inclusa una certa malinconia feudale, a quello fondato sui principi individualistici della Grande Rivolu- ]LRQH©UHJLPHXQLWDULR>VLGj@TXDQGROD6RFLHWjQRQVLFRPSRQHSLGL FRQVRU]L SROLWLFL H IHGHUDWL WUD ORUR PD EHQVu FRQVLVWH QHOO¶DFFR]]DJOLD dell’individui, senza gerarchia e senza organizzazione;; quan do […] tutta l’au torità e tutta la forza della Società si trova nelle mani di un potere cen- WUDOHªLQ¿QHDI¿GDDOOD3URYYLGHQ]D©O¶RSHUDGLULFRVWLWX]LRQHª72 Eppure, le nervature di questo pensiero costituzionale sono le stesse d’un Persico o d’un Cenni: originarietà dei poteri in specie territoriali subordinati allo Sta- to, e dunque loro natura non delegata;; rappresentanza espressa da base corporata e non individuale;; Stato come “garante dei diritti” originari al SRWHUH7DOH LPSRVWD]LRQH JHQHUDOH GHO QHRJXHO¿VPR UHOHJD OD TXHVWLRQH GHOOHDOLVPRLWDOLDQRFKHQRQULJXDUGD6DYDUHVHDOODVXSHU¿FLHGHOSHQ siero costituzionale sull’Unità;; e prospetta una eventuale adesione al sen- timento nazionale come ingenua, perché su di essa retroagisce continua- mente, e magari inavvertitamente, un certo modo di pensare la guisa co stitu zionale della nazione. E, in verità, quando l’autonomia territoriale è pensata, e lo è in tutto il pensiero neoguel fo, come “preesistenza”, viene di fatto evocata una sua legittimazione che è determinata da un’osservanza precostituita;; si può dire che un assetto di poteri costituito per rivoluzione non può permettersi appunto questo: una contraddizione implicita nel suo contesto di legittimazione, che mette in discussione il fondamento della sua superiorità, peraltro dedotta in norme.73 Fu ovvio pensare, per i legisla- tori dal 1859 al 1865, che soltanto con l’astrazione dalle preesistenze terri- toriali, dalle loro naturali distrettualità, potesse determinarsi in senso “na- 70. Ibid., p. 146. 71. Ibid., pp. 129, 131, 170, 225, ecc. 72. Ibid., pp. 6, 14. 73. Il tema generale in A. Pace, La causa della rigidità costituzionale, CEDAM, Pa- dova 19962, pp. 51 s.
Originarietà dei poteri e costituzionalismo neoguelfo postunitario
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zionale” la nuova unità territoriale,74 e fu perciò necessario costruire una rappresentanza nazionale fondata indistintamente sui diritti elettorali indi- viduali che eliminasse le rappresentanze territoriali e, al tempo stesso, as- sorbisse ogni potere di fonte autonoma redistribuendolo per decentramen- to. Sempre si è detto che l’Unità nazionale poteva essere fatta altrimenti;; a TXHVWDULVHUYDPHQWDOHVDUHEEHEDQDOHRSSRUUHFKHSHUXQL¿FDUHFRQFUHWD- mente in modo federale occorreva una «autentica base teorica in senso fe- deralistico», che, difettava, ad esempio, proprio nel gruppo neoguelfo me- ridionale;;75 e altrettanto banale sarebbe eccepire quan to ora emerso: e cioè che nessun federalismo è compatibile con il concetto di nazione se non è ipotizzata l’esistenza d’un potere irresistibile capace di sovrastare gli orga- QLVPLWHUULWRULDOLDO¿QHFRVWDQWHHVXSHULRUHGHOO¶8QLWj/DULVHUYDPHQWDOH che invita a un’altra Italia non costituisce una “possibilità oggettiva” in senso weberiano e non si esaurisce in una questione meramente conosciti- va;; essa non va indagata nel senso di scoprire quale altra Italia sarebbe (stata) allora possibile, ma, piuttosto, se sarebbe ancora possibile l’Italia VWRULFDPHQWHGHWHUPLQDWDFKHKDGH¿QLWRWHUUDHFXOWXUDFRPHQD]LRQHH perciò come valore, dal quale è troppo comodo “astrarre”. Si tratta d’una indagine necessaria non solo di fronte ai primi decenni del crogiuolo uni- tario, quando varie passioni dominavano, ma anche per i decenni successi- vi, quando alcune di quelle passioni ormai si manifestavano, come si ma- QLIHVWDQRQHOODULFKLHVWDG¶XQUHYLVLRQLVPRVWRULRJUD¿FRGHO5LVRUJLPHQWR Ne fa prova speciale un episodico ma noto scritto che ben evidenzia quan- to precede, e nel quale contro la «uniformità democratica statale» si invoca XQDVRUWDGL©DQWLVWRULDªGHOO¶XQL¿FD]LRQHFDSDFHGLULDELOLWDUHOHDXWRQR- mie preunitarie sia amministrative che «mo ra li»:76 parole austere, dirette anche contro una certa immoralità della vita politica (nel 1952!), ma so- SUDWWXWWRLQWHQ]LRQDWHDUHFXSHUDUHDOPHQRQHOO¶XVRVWRULRJUD¿FRTXHLQD- 74. Le ragioni politiche di questa scelta in G. Galasso, Il pensiero italiano di Cavour, prefazione a C. Benso di Cavour, Autoritratto. Lettere, diari, scritti e discorsi, a cura di A. Viarengo, Rizzoli, Milano 2010. 75. F. Mazzonis, Per la Religione e per la Patria. E. Cenni e i Conservatori Nazionali, Epos, Palermo 1984, pp. 19, 46. Dà una particolare lettura di questo difetto Miglio, I cat- tolici di fronte all’Unità d’Italia, p. 357. &RVu 3 3LRYDQL LQ XQD UHFHQVLRQH PROWR GLVFXVVD D 0 'HOOH 3LDQH Gaetano Mosca. Classe politica e liberalismo, ESI, Napoli 1952, in «Studi Senesi», 3 (1952), 64, pp. 302-306: p. 303;; sull’intervento Tessitore, Aspetti del pensiero neoguelfo napoletano, pp. 61-63.
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turali spazi di libertà collettiva, e dunque non individuale, propri di tutto FLzFKHSUHFHGHYDO¶XQL¿FD]LRQH8QWDOHDWWHJJLDPHQWRQRQVLSRQHDOORUD come critica interna ai difetti della democrazia, ma come espressione di un liberalismo la cui ambientazione è dubbio che possa proporsi all’interno del percorso unitario, proprio perché l’Unità esprime un certo innesto (in- dividualistico) tra liberalismo e nazione, o, se si vuole, un certo principio di nazionalità (cioè esprime le condizioni di possibile appartenenza del- l’individuo)77 che è presupposto costitutivo del progresso nazionale alla democrazia. Perciò, maturato il proprio pensiero sui giusti fondamenti, RJQLUHYLVLRQLVPRVWRULRJUD¿FRGRYUHEEHSURQXQFLDUVLVXOO¶HVLVWHQ]DGLXQ diritto storico della nazione italiana a essere unita;; e dunque sull’Unità del- la nazione (e su quest’Unità in prospettiva democratica) come valore mo- UDOH(GLIDWWRLSLPHGLWDWLGHLUHYLVLRQLVPLLQL]LDQRSURSULRGDOUL¿XWR GHOO¶,WDOLDFRPHQD]LRQHSHULQGLYLGXDUHXQDSLULVWUHWWDQD]LRQHHXQDSL circospetta prospettiva morale. Per alcuni lo Stato unitario fu «creato, con- tro la ragione e la storia, non perché corrispondeva ad una nazione», ma per azione fortunata di alcuni volenterosi;;78 da questo punto di vista al ter- ULWRULRFKHGH¿QLDPR,WDOLDQRQFRUULVSRQGHUHEEHDOFXQD©FRPXQLWjGLOLQ- gua e cultura»;; e anzi l’Italia non sarebbe nemmeno una congrua espressio- QHJHRJUD¿FDGDWRFKHDTXDQWRSDUHVDUHEEHHVDWWDPHQWHLOWHUULWRULRXQ WHUULWRULRSLULVWUHWWRGHOWHUULWRULRLWDOLDQR LOSDUDPHWURSULPRG¶XQDSRV- VLELOHQD]LRQH4XLVRUJHXQDSLFRPSOHVVDTXHVWLRQHLQFHUWDPLVXUDVX- scitata proprio dalla pretesa del territorio ristretto e tradizionale a essere HYRFDWLYR GL QD]LRQH ( FLRq O¶LQVXI¿FLHQ]D GHOOD ©FRPXQLWj GL OLQJXD H FXOWXUDªDGH¿QLUHDOWURFKHFXOWXUDOPHQWHLOWHUULWRULRQD]LRQDOHHODQHFHV- sità, quindi, di una costituzione sociale dell’appartenenza, che intendo nel senso diffuso di «civilizzazione statuale» o altro analogo,79 ma capace di indirizzarsi per sua stessa forza in direzione di una reale partecipazione, e perciò incentivando i presupposti liberali della sua origine civile. Una que- stione che non può essere qui affron tata.
77. La questione è posta in Vallone, 3UR¿OLGLFRVWLWX]LRQDOLVPRPXQLFLSDOH, pp. 40-42. 78. Miglio, I cattolici di fronte all’Unità d’Italia, p. 356. 79. Ad esempio N. Elias, Potere e civiltà. Il processo di civilizzazione II (19802), tr. di G. Panzieri, il Mulino, Bologna 2010, pp. 387 s.
ROBERTO MARTUCCI Il collasso delle Due Sicilie nel 1860: un caso di estinzione dello Stato
se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: «Mora, mora!» Paradiso, VIII, 73-75 …Slurp! Ne faremo salsicce!… Ezechiele Lupo, in Silly Symphonies
1. Premessa: «Liberazione del Mezzogiorno»? Nel 1929 la Commissione editrice dei Carteggi di Camillo Cavour pensò bene di dare un sottotitolo al IV volume del Carteggio Cavour- Nigra. Quel volume copriva sia l’ultimo periodo parigino del principale collaboratore diplomatico del conte, sia il periodo napoletano, quando l’avvocato Costantino Nigra venne nominato segretario di Stato nel gabi- netto insediato dal principe Eugenio di Carignano, luogotenente generale del re nelle Provincie napolitane appena annesse al Regno di Sardegna. In linea con il manicheismo del governo allora in carica e con le con- vinzioni personali del primo ministro Benito Mussolini che, con un com- plesso rimaneggiamento delle circoscrizioni provinciali,1 aveva voluto FDQFHOODUHSHU¿QROHOLQHHGLFRQ¿QHHVWHUQHHLQWHUQHGHJOL6WDWLSUHXQLWDUL debellati dalle truppe sarde una settantina d’anni prima, la Commissione editrice ritenne di dover attribuire il titolo di «liberazione del Mezzogior- $WLWRORHVHPSOL¿FDWLYRULFRUGRFUHD]LRQHGHOODSURYLQFLDGL5LHWL JLj6DELQD SRQWL¿FLDFRQWHUULWRULVRWWUDWWLDOOHSURYLQFHGL7HUQL3HUXJLDH$TXLODDGHVHPSLR&LWWD- ducale);; scorporamento del circondario di Gaeta da Terra di Lavoro (Caserta) e assegnazio- ne alla provincia di Roma e poi di Littoria (1934);; scorporamento del circondario di Sora da Terra di Lavoro e assegnazione alla nuova provincia di Frosinone (1927);; scorporamento da Terra d’Otranto (Lecce) delle province dello Jonio (Taranto, 1923) e Brindisi (1927).
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no» a quel volume.2 Vent’anni dopo, quello stesso titolo, adattato e allun- gato alla bisogna, sarebbe stato scelto per designare una nuova sezione del Carteggio, quella che avrebbe raccolto i dispacci cavouriani (inviati e rice- vuti) prima e durante la spedizione dei Mille del 5 maggio-21 ottobre 1860: sono i cinque volumi relativi a La liberazione del Mezzogiorno e la forma- zione del Regno d’Italia.3 «Liberazione del Mezzogiorno»? Titolo trompeur quant’altri mai, dato che a mio modo di vedere si tratta di due lemmi accostati incautamen- WHDOO¶LQWHUQRGLXQ¶XQLFDTXDOL¿FD]LRQHDQDFURQLVWLFD(QWULDPRGXQTXH nei dettagli. Mezzogiorno è denominazione postunitaria delle province del Regno d’Italia già ricomprese nella parte continentale del cessato Regno delle 'XH 6LFLOLH 'D VHFROL H ¿QR DOO¶XQL¿FD]LRQH GHOOD SHQLVROD TXDQGR XQ YLDJJLDWRUHORPEDUGRR¿RUHQWLQRGHVLGHUDYDUHFDUVLD1DSROL6DOHUQRR %DUL QRQ GLFHYD ³YDGR D 0H]]RJLRUQR´ EHQVu ³YDGR QHO 5HJQR´ R LQ PRGRSLFRPSLXWR³PLUHFRQHO5HJQRGL1DSROL´4XDQWRDOOD³OLEHUD- zione”, il termine risente della retorica risorgimentista della “cacciata dello straniero” dalle terre italiane ed è legato all’ostilità di quella che sarebbe divenuta l’opinione nazionale italiana verso l’occupazione austriaca del Milanese e della Venezia (comprese Terraferma veneta e Dalmazia). Viceversa, il Regno delle Due Sicilie era uno Stato indipendente e sovrano, amministrato e governato da nazionali napoletani e non da fun- zionari asburgici;; mentre la dinastia regnante, considerabile straniera DOO¶HSRFDGLGRQ&DUORV VLHUDSLFKHSDUWHQRSHL]]DWDFRQLO fanciullo Ferdinando IV che all’epoca della reggenza Tanucci (1759-1767) correva per i vicoli della capitale, gareggiando in birichinate coi lazzari napoletani. Quel Regno mediterraneo lo si poteva occupare militarmente, facendo strame della sua neutralità, ma non lo si poteva “liberare”: a meno che non si riesca a dimostrare che i suoi nove milioni di abitanti – o, quan- WRPHQRXQDSRU]LRQHVLJQL¿FDWLYDHPDJJLRULWDULDGLHVVL±GHVLGHUDVVHUR che una mano esterna li “liberasse” della “sovrastruttura” istituzionale bor- bonica, trasformandoli da regnicoli napoletani in abitanti della parte “me- ridionale” della nuova e comune patria panitaliana. 4XLLOSUREOHPDVLIDOHJJHUPHQWHSLFRPSOHVVRGLYHQHQGRQHFHVVD- ULRRSHUDUHXQSUHOLPLQDUHGLVWLQJXROHJDWRDOODQDWXUDDQFuSLWHGLXQJUDQ- 2. Zanichelli, Bologna 1929. 3. Zanichelli, Bologna 1949-1954.
Il collasso delle Due Sicilie nel 1860
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GH5HJQRPHGLWHUUDQHRFKHQHDYHYDFRQWHQXWLGXH¿QRDTXDOFKHGHFHQ- nio prima. Infatti per secoli, prima del Congresso di Vienna (1815), quan- do si diceva Due Sicilie (citra Pharum et ultra Pharum4) ci si riferiva a due regni distinti con due diverse capitali – Napoli e Palermo – e un solo sovrano, detto re delle Due Sicilie.5 Ma dopo il Congresso di Vienna e la successiva convenzione militare di Casa Lanza6 che riconobbero al Bor- bone la legittima sovranità sui troni di Palermo e Napoli, l’8 dicembre 1816 re Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia provvide a revocare7 la costituzione siciliana del 10 agosto 1812 dando vita a un solo e unitario Regno delle Due Sicilie, a dominanza napoletana, di cui sarebbe stato sovrano con il nome di Ferdinando I. Per quarantaquattro anni, dal 1816 al 1860, l’odio delle élite siciliane contro Napoli fu incontenibile, manife- VWDQGRVLDSLULSUHVHQHOQHOHGDXOWLPRFRQO¶HQ- WXVLDVWLFRDSSRJJLRIRUQLWRD*DULEDOGLGRSRODYLWWRULDGL&DODWD¿PL maggio 1860). Potremmo, allora, utilizzare con prudenza la categoria “liberazione” a proposito della sola Sicilia e non del continente napoletano: anche se dopo i fatti di Bronte (2-10 agosto 1860) e la mancata assegnazione delle terre GHPDQLDOLLFRQWDGLQLLVRODQL¿QLURQRFROGLYHQWDUHRVWLOLDOODGLWWDWXUDGL 4. Ci si riferiva al faro di Messina. 5. Dopo la conquista di Palermo da parte normanna, con investitura di papa Innocenzo II, Ruggero d’Altavilla venne creato re di Sicilia (1130): il Regno non si limitava alla sola isola ma sul continente comprendeva Puglia e Calabria, estendendosi poi al Napoletano dopo il 1137. Come è noto, estintasi la dinastia normanna, il Regnum Siciliæ passò agli +RKHQVWDXIHQ ± O¶LPSHUDWRUH (QULFR 9, ¿JOLR GHO %DUEDURVVD DYHYD VSRVDWR &RVWDQ]D G¶$OWDYLOOD±SRLXQDYROWDPRUWR)HGHULFR,,GL6YHYLDHXFFLVRLO¿JOLR0DQIUHGLQHOOD battaglia di Benevento (26 febbraio 1266), a Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX (il futuro VDQWR UHGL)UDQFLD/DULYROWDDQWL¿VFDOHGHLEDURQLVLFLOLDQL±*XHUUDGHO9HVSURPDU- zo 1282) – portò in Sicilia la dinastia aragonese consolidatasi sul trono con le paci di Cal- tabellotta (31 agosto 1302), Catania (8 novembre 1347) e Avignone (20 agosto 1372). Ter- minata quella lunga guerra protrattasi per novant’anni vi furono due re di Sicilia: a Palermo Federico III d’Aragona re di Sicilia ultra Pharum e a Napoli re Carlo III d’Angiò-Durazzo re di Sicilia citra Pharum. 6. Incoraggiata dai generali inglese e austriaco, la convenzione pose le basi dell’amal- gama tra militari murattiani e borbonici;; cfr. R. Martucci, Dall’eco di Cadice alle gole di Antrodoco: luci e ombre del Nonimestre costituzionale a Napoli (2 luglio 1820/23 marzo 1821), in corso di stampa;; cfr. anche A. Scirocco, 'DOODVHFRQGDUHVWDXUD]LRQHDOOD¿QHGHO regno, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso, R. Romeo, 4, Edizioni del Sole, Roma 1986, p. 649 e passim. 7. R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Laterza, Roma-Bari 1973 (1950), pp. 159-161.
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Garibaldi.8 Mentre è quasi del tutto certo che solo una fascia minoritaria data dai lazzari sottoproletari della capitale e dai circa 205.000 elettori co- munali ultra-ventunenni postunitari (su un totale di 1.650.000 cittadini ul- tra-ventunenni, accreditati nelle sedici9 province continentali napoletane) abbia potuto entusiasmarsi per l’annessione alla monarchia sabauda. Mi sembra infatti evidente che non possa attribuirsi alcun valore al voto plebiscitario del 21 ottobre 1860, manipolato in alcune realtà locali, coartato in altre, e che accredita la partecipazione al voto pure in quei co- muni non controllati dall’amministrazione pro-dittatoriale a causa dei combattimenti in corso con le truppe regolari napoletane o a causa delle prime insorgenze contadine.10 Limitiamo, allora, la base del potenziale consenso annessionista ai lazzari sottoproletari della capitale (che non avrebbero goduto dei diritti politici dopo l’Unità) e ai circa 205.000 elettori comunali ultra-ventunenni postunitari. Quei 205.000 elettori corrispondevano a un ottavo della popo- lazione maggiorenne maschile – in gran parte, quei galantuomini che alla caduta del Regno riempivano i consigli decurionali napoletani (32.089 consiglieri) e i registri-matricola della Guardia nazionale sedentaria (83.525 militi) – a fronte di sette ottavi di individui ostili;; essendo inimma- JLQDELOHXQHYHQWXDOHDIÀDWRXQLWDULRGDSDUWHGLFRQWDGLQLSDVWRULRSHUDL esclusi dai diritti politici.
2. Horribilis aut mirabilis? Il fatale 1860: persone, luoghi e cambiamenti istituzionali 3HUOHPLHULÀHVVLRQLSDUWRGDXQDFRQVLGHUD]LRQHTXDQWRDFFDGHQHOOH Due Sicilie nel maggio-ottobre 1860, a mio giudizio, può essere letto come 8. Sul governo straordinario del Regno in quei mesi, cfr. R. Martucci, La Dittatura di Garibaldi a Palermo e Napoli. Come governare la provvisorietà da Salemi all’arrivo di Vittorio Emanuele II, in Giuseppe Garibaldi. Il mito, l’Unità d’Italia e la Sardegna, a cura di A. Nieddu, G. Zichi, AM&D Edizioni, Cagliari 2011, pp. 328-401 . 9. Le province continentali napoletane erano solo quindici, ma non appena si diffuse la notizia che Garibaldi era sbarcato in Calabria e stava marciando su Napoli, nella città di Benevento, che era un’enclave papalina, fu insediato un governo provvisorio liberale e i suoi destini furono legati a quelli del Regno citra Pharum. 10. Rinvio a R. Martucci, La «classe idiota» e i Plebisciti del 1860, in L’Unità d’Italia, la storia celataDFXUDGL$'H5RVDFRQXQVDJJLRGL*1DSROLWDQR$UWH7LSRJUD¿FD Editrice, Napoli 2011, pp. 91-148.
6.600.000 : 4,5* = 1.466.000 (maschi ultra25enni) > FRHI¿FLHQWH utilizzato dai GHPRJUD¿SHUL periodi anteriori alla Grande Guerra]
2.400.000 : 4,5 = 533.333 (maschi ultra25enni)
Reali Dominii al di qua del Faro: Province Napoletane SRVWXQLWDULH 6.600.000
Reali Dominii al di là del Faro: Sicilia 2.400.000
575.000 allistati (= 25% abitanti) 432.720 votanti (75,2% degli allistati) 142.280 astenuti (24,8% degli allistati)
1.650.000 allistati (= 25% degli abitanti) 1.312.366 votanti GHJOLDOOLVWDWL 337.634 astenuti GHJOLDOOLVWDWL
Plebiscito 21 ottobre Ultra21enni: suffragio universale maschile
Iscritti: 45.600 (1,9% popolazione) votanti: 30.597 (67,1% aventi diritto) astenuti:15.003 (32,9% aventi diritto)
Iscritti: 125.400 (1,9% popolazione) votanti: 84.018 DYHQWLGLULWWR a astenuti: 41.382 DYHQWLGLULWWR
Elettori politici 1861 Ultra25enni: suffragio censitario maschile (40 lire imposte annue)
[Pari a 2,44 volte gli elettori politici] iscritti: 111.264 votanti: 74.658* astenuti: 36.606** [*presunti 67,1% aventi diritto;; ** astenuti presunti 32,9%]
[Pari a 2,44 volte gli elettori politici] iscritti: 305.976 votanti: 205.000* astenuti: 100.976** > SUHVXQWLDYHQWL diritto;; ** astenuti presunti 32,9%]
Elettori comunali 1861 Ultra21enni: suffragio censitario maschile (5 lire imposte annue)
fornisce i dati tripartendoli in Nord, Centro e Sud, senza disaggregarli;; ad esempio, le isole di Sardegna e Sicilia sono entram- be a Sud, il che per la prima è discutibile (oltre che contestabile, ragionevolmente, dai sardi).
a Cfr. M.S. Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 35;; nella tab. 1, p. 404, l’autrice
Capifamiglia
Popolazione
Maschi maggiorenni: plebiscito 1860 ed elezioni 1861
Il collasso delle Due Sicilie nel 1860 193
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TXDOFRVDGLSLULVSHWWRDXQSXUJUDYHVHWWHPEUHQDSROHWDQR,O5HJQR collassa perché la sua classe dirigente non si dimostra all’altezza della si- tuazione, non sa come affrontare una grave emergenza bellica e, molto presto, comincia a chiedersi se valga la pena impegnarsi a fondo in una partita che è stata già guadagnata dall’altro giocatore. Soprattutto, se a reg- gere il banco e il gioco è Cavour in persona, uno tra i maggiori statisti dell’epoca. Vale la pena combattere e impegnarsi solo per salvare la fac- cia? Ma a che scopo? Tuttavia, prima di entrare nel merito, vorrei indugiare su alcune sug- gestioni, marginali all’apparenza ma sostanziali per gli attori degli eventi HYRFDWLQRQVHPSUHDOFHQWURGHOO¶DWWHQ]LRQHVWRULRJUD¿FDFRPHSXUHPH- riterebbero. Quando leggiamo o rivisitiamo vicende d’altri tempi, può capitare che ci si soffermi sui macroeventi – sostituzioni di re o imperatori, monarchie mutate in repubbliche, guerre devastanti – senza considerare adeguatamen- te il loro peso sulla vita quotidiana di milioni di uomini e di donne, tutte persone risucchiate e azzerate nella dinamica dei macroeventi. Questi indi- vidui, all’improvviso (oserei dire dalla sera alla mattina) vedono scomparire consolidati punti di riferimento istituzionale, dall’agente delle tasse al gen- darme, rischiano il panico, non sanno come regolarsi;; probabilmente, non VRQRSVLFRORJLFDPHQWHSURQWLDOFDPELRGLFDVDFFD(SLTXHVWLLQGLYLGXLVL collocano in basso nella gerarchia sociale, meno sono in grado di reggere ai cambiamenti, rinunciando a consolidati punti di riferimento istituzionale. Certo, se assumiamo come maggioritario e dominante l’entusiasmo dei lazzari sottoproletari della capitale per “don Peppino” Garibaldi, se commettiamo l’errore di ritenere che tale atteggiamento valga per i ceti umili dell’intero Regno, allora ci sarà facile pensare che la transizione dal vecchio al nuovo ordine, dai Borbone ai Savoia, sia stata indolore e plebi- scitata, pronti a leggere l’ambigua giornata del 21 ottobre 1860 alla stregua di una “festa patriottica”, come con giovanile spensieratezza si è tentato di fare, anche di recente.116HLQYHFHVXOODEDVHGLXQDFRQVROLGDWDULÀHVVLRQH 11. Fornisce una visione entusiastica e acritica del plebiscito del 21 ottobre 1860, priva GLFKLDURVFXULHDEEDJOLDWDGDOFOLPDDUWL¿FLDOHGLIHVWDSRSRODUHSDWULRWWLFD*/)UXFLIl VDFUDPHQWRGHOO¶XQLWjQD]LRQDOH/LQJXDJJLLFRQRJUD¿DHSUDWLFKHGHLSOHELVFLWLULVRUJL- mentali (1848-70), in Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, Einaudi, Torino 2007, pp. 567-605;; l’autore mantiene sostanzialmente la sua impostazione nel saggio La nascita plebiscitaria della nazione (1797-1870), in La costru- zione dello Stato-nazione in Italia, a cura di A. Roccucci, Viella, Roma 2012, pp. 59-73.
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VWRULRJUD¿FDULWHQLDPRFKHLOVRWWRSUROHWDULDWRSDUWHQRSHRDEELDDYXWRXQD identità collettiva a sé, diversa da quella della povera gente delle altre pro- vince napoletane e siciliane, allora dobbiamo anche essere pronti a regi- strare, ora per allora, le ragioni di una alterità collettiva rispetto alla solu- ]LRQH¿QDOHXQLWDULDSDQLWDOLDQDLPSRVWDGDOOHEDLRQHWWHJDULEDOGLQHHDYDO- lata dagli esuli napoletani – Bonghi, Massari, Pisanelli et alii – rimpatriati dopo l’atto sovrano del 25 giugno 1860.12 Anche i luoghi, senza che i posteri se ne rendano conto, subiscono cambiamenti declassanti. Prendiamo Napoli;; cessando di essere una capi- tale, la città viene ridotta a semplice capoluogo di provincia: un capoluogo ingombrante, che ha circa il triplo di abitanti della nuova capitale Torino e della stessa Milano. Una capitale declassata deve rinunciare forzatamente a tante cose, vede un intero mondo svanire nel nulla: innanzi tutto, scom- pare il corpo diplomatico (con il licenziamento istantaneo di centinaia di LPSLHJDWLTXDOL¿FDWLLQWHUSUHWLVHJUHWDULFRPPHVVLROWUHDFDPHULHULFXR- chi, cocchieri, ecc.). Al posto delle sedi dei ministeri un capoluogo di pro- YLQFLDDYUjO¶DPPLQLVWUD]LRQHSURYLQFLDOHFRQLVXRLXI¿FLPDQRQVDUjOD stessa cosa, visto che questa struttura amministrativa non potrà assorbire SHUVRQDOHTXDOL¿FDWLVVLPRFROORFDWRDULSRVRFRQXQWUDWWRGLSHQQDGLUHW- WRUL JHQHUDOL FDSLGLYLVLRQH FDSLXI¿FLR VHJUHWDUL FDQFHOOLHUL DUFKLYLVWL copisti, tutti a casa. Casa Reale, a sua volta, è un microcosmo che dà lavoro a migliaia di persone in tutti i regi siti sparsi per la Campania: non solo ciambellani, camerieri e cameriste, sarte, modiste, stiratrici, parrucchieri, cuochi, pa- sticcieri, giardinieri, cocchieri, palafrenieri;; ma anche artigiani specializza- ti, quali ebanisti, tappezzieri, falegnami, scalpellini. Va da sé che il prefet- to, che sostituisce sul palcoscenico napoletano il regnante spodestato, es- VHQGRRJJHWWLYDPHQWHOHJDWRDXQRVWLOHGLYLWDGLJUDQOXQJDSLVREULR QRQDYUjELVRJQRGLDYYDOHUVLGLORUR&RVuWXWWDTXHVWDJHQWHVFRSHUWDVL 5HFHSLVFHDFULWLFDPHQWHDOPHQRSHULOPRPHQWR O¶LPPDJLQHROHRJUD¿FDGHOOD³IHVWDSR- polare” di stampo “fruciano” un autore – da non sottovalutare – dalla cifra stilistica altrove polemica e iconoclasta come S. Lupo, /¶XQL¿FD]LRQHLWDOLDQD0H]]RJLRUQRULYROX]LRQH guerra civile, Donzelli, Roma 2011, p. 82. 12. Perduta la Sicilia dopo l’occupazione garibaldina di Palermo (27 maggio-2 giugno), Francesco II di Borbone, con atto sovrano del 25 giugno richiamò in vigore la costituzione napoletana del 1848, a suo tempo concessa e poi revocata dal padre Ferdinando II, insedian- do al tempo stesso un Ministero costituzionale presieduto dal commendatore Antonio Spi- QHOOLGHLSUuQFLSLGL6FDOHD
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all’improvviso inutile, sprofonderà giorno per giorno nell’indigenza, tra- scinando con sé nei gironi di una povertà sempre maggiore intere famiglie, negando un futuro ai giovani. Se non dimentichiamo di trovarci di fronte al collasso e al successivo crollo di uno Stato (quindi, non un semplice cambiamento nella forma di governo), dobbiamo prestare attenzione anche ad altri segni, non meno importanti. Ad esempio, la carta da bollo (indispensabile per tutti gli atti di natura FRQWUDWWXDOHHSHUOHSLEDQDOLLVWDQ]H UHFDORVWHPPDGLXQ5HJQRFKHKD FHVVDWRGLHVLVWHUHQRQVRORHVVDQRQKDSLYDORUHPDSXzDGGLULWWXUDGL- ventare reato perseguibile il continuare a servirsene;; i venditori dei generi di privativa che, a loro volta, ne hanno anticipato il valore al Ministero delle Finanze, verranno rimborsati dal nuovo governo? Oppure registre- ranno una perdita secca? Ma siamo sicuri che nessuno di loro verrà proces- sato dalle nuove autorità per detenzione di simboli del cessato Regno? Sarebbe poi interessante appurare come abbia reagito il popolo minu- to, dimorante negli oltre duemila centri abitati citra Pharum, nel constatare FKHLO5HJQRLQFXLqQDWRQRQHVLVWHSL(TXHVWDHVWLQ]LRQHGHOOR6WDWR± FKHQRQqTXHOODSUHFRQL]]DWDGD0DU[±YLHQHFHUWL¿FDWDGDOODFRPSDUVDLQ ruoli che gli erano familiari del gendarme, ridenominato carabiniere, che QRQSDUODSLLOVXRGLDOHWWROLQJXDGHOELUURERUERQLFRGRQ/LFFLX3DSD evocato da Verga),13 non ride alle sue battute e replica con frasi, a loro vol- WDLQLQWHOOHJLELOLFRPHG¶DOWUDSDUWHJOLULVXOWDQRHVWUDQHLO¶DJHQWHGHO¿- sco, il funzionario scolastico o l’agrimensore, giunti nel Regno al seguito dei troppi luogotenenti14 del nuovo re Vittorio Emanuele e tutti, ugualmen- te, parlanti idiomi lontanissimi dalla familiare musicalità partenopea. 13. G. Verga, Don Licciu Papa, da Novelle rusticane [1883], in Id., Tutte le novelle, in- troduzione, testo e note a cura di C. Riccardi, Mondadori, Milano 1982 (1979), pp. 247-253. 14. Dopo la conquista piemontese e la successiva annessione legittimata dal plebiscito del 21 ottobre 1860, il Regno delle Due Sicilie non venne subito sottoposto all’autorità immediata del governo di Torino. In un primo tempo, per ammorbidire la transizione di sovranità, a Napoli e Palermo vennero insediati, a guisa di alter ego, dei luogotenenti del re. Si insediarono a Napoli: Luigi Carlo Farini (6 novembre 1860), principe Eugenio di Cari- gnano (7 gennaio 1861), Gustavo Ponza di San Martino (16 maggio 1861), generale Enrico Cialdini (14 luglio 1861);; mentre a Palermo si avvicendavano: Massimo Cordero Lanza di Montezemolo (6 novembre 1860), generale Alessandro della Rovere (14 aprile 1861), ge- nerale Ignazio de Genova di Pettinengo (5 settembre 1861). La Luogotenenza di Napoli venne abolita con R.d. 9 ottobre 1861;; la luogotenenza di Palermo venne abolita con R.D. 17 dicembre 1861.
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$WXWWRTXHVWRHDPROWRDOWURDQFRUDFLULFRQGXFHODULÀHVVLRQHVXOFDWD- clisma, sia istituzionale che psicologico, prodotto da un collasso militare che provoca a breve l’estinzione di un Regno esistente da almeno sette secoli, passato per due secoli attraverso il declassamento vicereale, rinato all’indi- pendenza il 10 maggio 1734 con l’entrata a Napoli dell’infante Don Carlos GH%RUEyQOLTXHIDWWRVLFRPHQHYHDOVROHFHQWRYHQWLVHLDQQLSLWDUGL
3. Il crollo del Regno borbonico: un 8 settembre d’altri tempi? Al centro del mio intervento vi è la scomparsa delle Due Sicilie, il grande Regno rivierasco e isolano bagnato dal Mediterraneo, percorso da alterne vicende nel corso di un’esistenza quasi millenaria. Nato con i nor- manni, rafforzato da Federico II di Svevia, dominato dagli Angioini e dagli $UDJRQHVLSRLSHUSLGLGXHVHFROLELSDUWLWRQHLGXHYLFHUHDPLFDVWLJOLDQL GL6LFLOLDH1DSROLULGLYHQXWRLQ¿QHVRJJHWWRLQGLSHQGHQWHGLGLULWWRLQWHU- nazionale da appena centoventisei anni, con la capitolazione di Gaeta del IHEEUDLRLO5HJQRYLHQHGH¿QLWLYDPHQWHFDQFHOODWRGDOOHFDUWHJHR JUD¿FKHG¶(XURSDPDOJUDGRLOVXRVWDWXVGLSRWHQ]DQHXWUDOH15 La debellatioGHO5HJQRGHOOH'XH6LFLOLH±DQQXQFLDWDGD&DODWD¿PL PDJJLR FRQIHUPDWD GDOOD VFRQ¿WWD GHO 9ROWXUQR RWWREUH H¿QDOPHQWHVDQFLWDGDOODFDSLWROD]LRQHGL*DHWDDOOHRUHGLFLRWWR del 13 febbraio 1861 – racchiude in sé tutti i caratteri che abitualmente si ricollegano all’idea di crollo dello Stato: dissoluzione degli apparati civili HPLOLWDULDEEDQGRQRGHJOLXI¿FLSXEEOLFLGDSDUWHGHJOLLPSLHJDWLSUHVHQ- ]DGLPDVVHGLPLOLWDULDOORVEDQGRHVWUHPDGLI¿FROWjQHLULIRUQLPHQWLGHL UHSDUWLDQFRUDFRPEDWWHQWLGLI¿FLOHVLWXD]LRQHGHOO¶RUGLQHSXEEOLFRODFXL tutela viene garantita da organismi raccogliticci: la Guardia nazionale atti- vata in tutte le province continentali dopo il 25 giugno 1860 e la polizia “camorrista” istituita a Napoli dal ministro Liborio Romano il 7 settembre 1860, dopo la partenza di Francesco II dalla capitale. È questo il contesto che assimila le vicende napoletane all’8 settembre &RQDOFXQHYDULDQWLVLJQL¿FDWLYHFKHDJJUDYDQRLOTXDGUR0HQWUHSHU ODSDWULDLWDOLDQDO¶VHWWHPEUHKDVLJQL¿FDWRVRORODVDQ]LRQHGH¿QLWLYDGLXQ crollo di regime – quello monarchico-fascista – già avviato il 25 luglio 1943, 15. R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, Sansoni, Milano 1999, in particolare capitoli III e IV, pp. 139-242.
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per il Regno delle Due Sicilie la debellatioGHOO¶HVWDWHKDVLJQL¿FDWROD scomparsa del secolare Stato meridionale unita alla contemporanea perdita di status delle due capitali Napoli e Palermo, ridotte alla poco invidiabile situazione di semplici capoluoghi di provincia.
4. Venezia e Napoli: 1797 e 1860 1HOODSHQLVRODLWDOLDQDTXDOFRVDGLVLPLOHHUDJLjDFFDGXWRDOOD¿QHGHO XVIII secolo, registrando situazioni analoghe riguardo al collasso degli apparati burocratico-militari e alle dinamiche di fedeltà e infedeltà, regi- VWUDELOLLQWDOLFLUFRVWDQ]H$VXJJHULUHVLJQL¿FDWLYHDQDORJLHFRQLO napoletano ritengo sia la Venezia del 1797. Per cominciare, la dissoluzione della Serenissima inizia al proprio in- terno, nel contrasto dominante/periferie. Infatti la terraferma veneta – al pari della Sicilia del 1860 – sembra vedere nell’arrivo delle truppe di Bo- naparte una possibilità di riscatto politico rispetto alla secolare sudditanza alla Serenissima dominante, sottovalutando tutti i problemi legati all’inse- GLDPHQWRGLXQDQXRYDIRUPDGLGRPLQD]LRQHSHUGLSLVWUDQLHUD In secondo luogo, il collasso degli apparati assume i connotati di una totale incapacità di controllo del territorio unita alla susseguente impossi- bilità di attivare il tradizionale dispositivo militare. Il fornitissimo arsenale GL9HQH]LDVDUjPHVVRDIUXWWRGD%RQDSDUWHHGDLVXRLXI¿FLDOLPHQWUH LQYHFHQHOOHPDQLGHOJRYHUQRGHOOD6HUHQLVVLPDVLHUDULYHODWRSRFRSLGL un inutile ingombro. Anche in questo caso le analogie con la situazione siciliana e napoletana dell’estate 1860 sono impressionanti. Con l’aggra- vante che a disfarsi come neve al sole di fronte a Garibaldi sono reggimen- ti addestratissimi che abbandonano parchi di artiglieria con centinaia di cannoni, cavalli militari, decine di migliaia di fucili. Va tuttavia rilevato che, mentre a Venezia la decisione di arrendersi senza nulla eccepire è portata sino in fondo dai vertici della Serenissima nel loro insieme, viceversa la caparbia determinazione di Francesco II di Borbone, che impone ai suoi generali la resistenza delle piazzeforti di Gae- ta, Civitella del Tronto e Messina, salva l’onore militare del Regno delle 'XH6LFLOLHDQFKHVHLQVHGHVWRULRJUD¿FDWDOHXVFLWDGLVFHQDQRQULFHYH l’apprezzamento che meriterebbe.16 16. Fanno eccezione: B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza, Bari 1925, p. 259: ©3XUH QHO FUROOR FKH VHJXu TXHOOR VWDWR FKH IX O¶DQWLFR UHJQR GL 1DSROL QRQ PRULYD GHO
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5. Rivoluzione e carriere Tutti sanno che i grandi cambiamenti di regime investono sia le istitu- zioni che gli uomini. Per questi ultimi, i protagonisti in carne e ossa dei grandi cambiamenti epocali, le rivoluzioni sono anche straordinarie occa- sioni per mettersi in vista e creare le premesse di carriere talora fulminee. Sul versante garibaldino, basti solo pensare a Nino Bixio, una delle SHUVRQDOLWjSLFHOHEUDWHGHO5LVRUJLPHQWRLWDOLDQRWDQWRGDIDU¿QLUHQHOOD penombra alcuni inquietanti aspetti del suo violento carattere. Bene, questi comincia la campagna nei ranghi dei Mille il 5 maggio 1860 con il grado di capitano – lo ricopriva già nella campagna di Lombardia del 1859 – ma QRYDQWDJLRUQLSLWDUGLLOVHWWHPEUHqWHQHQWHJHQHUDOH6LWUDWWDGL un grado in parte corrispondente a quello odierno di generale di corpo d’ar- mata: in pratica, grazie a potenti appoggi politici – non si dimentichi che il IUDWHOORSDULJLQRLO¿QDQ]LHUH$OH[DQGUH%L[LRqDPLFRSHUVRQDOHGL&D- vour – Nino Bixio realizza il salto di cinque gradi intermedi. Tale carriera richiedeva in genere una trentina d’anni. Sull’altro versante vi è una specie di 8 settembre napoletano. Mi sem- EUDRSSRUWXQRULFKLDPDUHO¶DWWHQ]LRQHVXXQDVSHWWRULPDVWR¿QRUDDLPDU- JLQLGLTXHVWRVFULWWR,OSLLPSRUWDQWHHVHUFLWRUHJRODUHGHOODSHQLVRODLWD- liana, quello napoletano, con centomila soldati inquadrati e addestrati, si scioglie come neve al sole. Molti generali di età avanzata e disabituati alla guerra dall’epoca di Murat (sotto i cui ordini hanno combattuto) non sanno adottare tempestivamente le misure opportune;; spesso, sono paralizzati dal panico. ,QYHFHLJHQHUDOLSLFDSDFLFDPELDQRFDPSRRSDUWRQRSHUO¶HVLOLR senza dilungarmi, mi soffermo su alcune posizioni paradigmatiche. Innan- zi tutto, alla vigilia degli eventi, sparisce dalla circolazione il generale Car- lo Filangieri che il 16 marzo 1860 abbandona il portafogli della Guerra e la Presidenza del consiglio, accampando inesistenti ragioni di salute;;17 con l’uscita di scena del principe di Satriano, eroe di Tolentino con Murat ed ex tutto ingloriosamente, e il suo esercito – quella parte del suo esercito che non si era dissipa- ta o unita alla rivoluzione – salvò l’onore delle armi sul Volturno e a Gaeta»;; R. Moscati, I Borboni d’Italia (6, 1DSROL S ©6FRPSDULYD FRVu SHU VHPSUH H QRQ VHQ]D onore per merito di quei soldati [difensori di Gaeta, Civitella del Tronto, Messina], la vec- chia dinastia dei Borboni». 6XOOD¿JXUDGHOGXFDGL6DWULDQRKDVFULWWRSDJLQHPROWREHOOH(&URFHLa Patria napoletana, Adelphi, Milano 1999, Il tramonto di Filangieri, pp. 111-116.
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luogotenente in Sicilia con Ferdinando II, re Francesco resta solo, circon- GDWRGDFROODERUDWRULGLPRGHVWRSUR¿OR3RLDUULYDLOWXUQRGHOPLQLVWUR della Guerra Salvatore Pianell, dimissionario dal governo e in fuga a Parigi quando Garibaldi è nelle vicinanze di Napoli;; Pianell è stato riabilitato da Gaetano Salvemini ma non mi convince l’assoluzione suggerita.18 Arriva, quindi, il turno del maresciallo di campo Alessandro Nunziante, già ispet- tore del corpo dei cacciatori (l’equivalente napoletano dei bersaglieri) e aiutante di campo di re Francesco: passato ai Savoia, viene immediatamen- WHQRPLQDWRWHQHQWHJHQHUDOH,Q¿QHLOJHQHUDOH)HUGLQDQGR*KLRFKHGD colonnello aveva sbaragliato Carlo Pisacane a Sanza (2 luglio 1857), ab- bandona senza combattere la munitissima posizione di Soveria Mannelli. *OLXI¿FLDOLGL0DULQDYHQJRQRDYYLFLQDWLHDGGRPHVWLFDWLGDOJRYHUQR di Torino, ne restano tracce nel Carteggio di Cavour;; per tacere dei minori, VLSHQVLDOODFDUULHUDGHOFDSLWDQRGLYDVFHOOR*XJOLHOPR$FWRQqO¶XI¿FLDOH che con le sue navi avrebbe dovuto impedire lo sbarco di Garibaldi a Mar- sala, senza riuscirci;; gli riuscirà, invece, di raggiungere il grado di ammi- raglio dopo l’Unità, divenendo anche senatore del Regno e ministro della Marina. Di altri esempi potrei arricchire questo scritto, ma preferisco non appesantirlo. Aggiungo che non godono di pari fortuna i vertici amministrativi delle intendenze, circoscrizioni amministrative che coincideranno con le provin- ce postunitarie. L’avanzata garibaldina registra la fuga o il dimissionamen- WRIRU]DWRGHJOLLQWHQGHQWLQDSROHWDQL¿JXUHDPPLQLVWUDWLYHDSLFDOLHUHGL dei prefetti napoleonico-murattiani e predecessori dei futuri prefetti italia- ni.19 I governi pro-dittatoriali garibaldini di Palermo e Napoli insedieranno al posto dei fuggitivi o dei rimossi altrettanti governatori, reclutati nel ceto forense e parzialmente integrati nell’amministrazione italiana dopo il 17 marzo 1861. Tra gli appartenenti agli apparati civili un ruolo a sé lo occupa l’ordine JLXGL]LDULRLOJRYHUQRVDUGRLWDOLDQRQRQKDOHULVRUVHXPDQHGLTXDOL¿FD- zione tecnico-giuridica tale da ricoprire tutti i posti in organico nei tribuna- li civili e penali di ogni ordine e grado. Per tale motivo, passando attraver- 18. G. Salvemini, Il generale Pianell nella crisi napoletana del 1860 (1904), ripubbli- cato in Id., Scritti sul Risorgimento, a cura di P. Pieri e C. Pischedda, Feltrinelli, Milano 1961. 19. R. Martucci, A Sud nel “quinquennio lungo”: governatori e prefetti nelle province napoletane e siciliane (1860-1865), in corso di pubblicazione negli studi in onore di Anto- nio Tarantino.
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so le forche caudine di varie epurazioni e minacce di prepensionamento, i giudici borbonici verranno poi inseriti in gran parte negli organici della magistratura dell’Italia unita, scrivendo importanti pagine di garantismo giurisdizionale negli anni 1861-1875. Aggiungo che la magistratura napoletana era l’unica assunta per pub- blico concorso e non per nomina regia su proposta del Guardasigilli – come invece accadeva negli altri Stati italiani, Regno sardo compreso – e il fatto che essa abbia saputo giudicare con serenità, malgrado per anni abbia do- vuto fare i conti con la spada di Damocle della minacciata epurazione, è un HOHPHQWRFKHDPLRDYYLVRGHYHLQGXUFLDULÀHWWHUH
6. Costituzionalizzare un regime? Impossibile ,O FUROOR GHO 5HJQR GHOOH 'XH 6LFLOLH q LQGXEELDPHQWH IUXWWR GL SL cause;; ma, in parte, esso appare legato all’avvenuto cambiamento di re- gnante. Ferdinando II di Borbone, grande accentratore, muore all’improv- YLVRLOPDJJLRDGDSSHQDTXDUDQWDQRYHDQQLGLHWj,O¿JOLR)UDQ- cesco II, salito al trono a ventitré anni, non ha alcuna esperienza di governo e questo elemento costituisce un indubbio svantaggio nel contesto delle monarchie amministrative di metà Ottocento. Il nuovo re perde del tempo prezioso nel capire come rapportarsi ai suoi collaboratori e quali linee di politica interna ed estera privilegiare;; soprattutto, come ho già detto, gli viene meno la collaborazione del gene- rale Carlo Filangieri che abbandona il Ministero della Guerra e la Presiden- za del consiglio, il 16 marzo 1860, poche settimane prima della spedizione dei Mille. 'RSRORVEDUFRJDULEDOGLQRD0DUVDODHOHEDWWDJOLHGL&DODWD¿PL3D- lermo e Milazzo che determinano la perdita della Sicilia, Francesco II ri- chiama in vigore la costituzione napoletana del 1848 (ispirata alla Charte francese del 1814-1830, al pari dello Statuto albertino), insediando un go- verno che ha il duplice compito di preparare le elezioni legislative e sotto- scrivere un’alleanza con il Regno di Sardegna. Il nuovo governo costituzionale napoletano – presieduto dal commen- GDWRUH$QWRQLR6SLQHOOLGHLSUuQFLSLGL6FDOHD±IDOOLVFHHQWUDPELJOLRELHW- tivi: ovviamente, non riesce a organizzare le elezioni, perdurando lo stato di guerra;; diventa inoltre lo zimbello di Torino nel negoziato “virtuale” Cavour-Manna, riguardo alla prospettata e tardiva alleanza sardo-napoleta-
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na. Consegue, invece, due risultati non previsti e indesiderati: a) la tardiva costituzionalizzazione imposta il 25 giugno 1860 dalle armi garibaldine rinforza nei liberali napoletani l’immagine di doppiezza borbonica, legata alle drammatiche vicende costituzionali del 1820-1821 e 1848-1849, con il ricordo di costituzioni due volte giurate ed entrambe revocate;; b) impiega- ti civili e funzionari, fedeli alla dinastia, vengono epurati in quanto borbo- nici e sostituiti da persone di fede liberale, ma ostili al governo Spinelli, creando, in tal modo, i presupposti del «suicidio del regime».20
7. Una guerra pretestuosa e destabilizzatrice, divenuta civile Torniamo un’ultima volta a un elemento da non dimenticare: la guerra del 1860, un evento epocale che lascerà strascichi sottovalutati, destinati a prolungarsi e propagarsi per mille rivoli durante l’intero sessantennio mo- narchico-liberale. Soprattutto perché si è trattato di una guerra inaspettata e non prevista dalla popolazione rurale del Regno citra Pharum;; al contra- rio, una guerra temuta e prevista dal governo napoletano, ma gestita in un contesto di confusione totale. L’aggressione sardo-garibaldina a Napoli muove da elementi prete- stuosi, è stato già scritto da tempo: da almeno cinque anni Cavour attende- va un pretesto, poi il giro di boa rappresentato dalla crisi del 1859 gli ha permesso – tramite la Società nazionale di Giuseppe La Farina – di autoriz- zare e “coprire” nei modi indicati dal suo Carteggio la spedizione dei Mil- le.21 Le grandi potenze – Francia, Gran Bretagna – favoriscono apertamen- te Torino perché immaginano che un’Italia unita sarà un fattore di equi- librio nel Mediterraneo. I fatti e l’intero primo ottantennio unitario si incaricheranno di dar loro torto. Ma, nell’immediato, le ostilità non terminano con la capitolazione di Gaeta (13 febbraio 1861) e la folle decisione di deportare a Fenestrelle e nei campi d’internamento militare piemontesi e lombardi decine di mi gliaia di combattenti regolari napoletani, trovatisi all’improvviso prigionieri attoniti di una guerra non dichiarata. Sotto altre forme, la guerra continua perché le 20. Si veda il densissimo saggio di P. Macry, Miti del Risorgimento meridionale e mor- te dello Stato borbonico, in La costruzione dello Stato-nazione, pp. 83-86. 21. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, in particolare il capitolo III, Cronaca di un’annessione annunciata, pp. 139-188.
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armi continuano a essere usate con differente intensità – maggiore nel primo quinquennio, minore, nel secondo – per almeno dieci anni. 4XDVL3URWHRDUPDWRLOFRQÀLWWRDVVXPHUjIRUPHFDQJLDQWL3URWDJRQL- sti i paesani, nell’accezione francese beninteso: oltralpe paysans sono i FRQWDGLQLFRPHORVRQRDVXGGHO¿XPH7URQWRLSHQDOL]]DWLGDOO¶DQQHVVLR- QHPHQWUHLFHWLFLYLOL±VDOYRTXHL¿ORERUERQLFLDVWHQXWLVLDOOH HOH]LRQLFRPXQDOLFIUWDEHOOD ±VRQRD¿DQFRGHOQXRYRUH9LWWRULR(PD- nuele II. Delusi da Garibaldi e dalla mancata quotizzazione delle terre de- maniali, i paesani sono ostili, pressoché tutti, o in armi: diverse decine di migliaia, disposti a combattere una guerra sporca (crudele e senza regole da entrambe le parti). Sarà guerra tra italiani quella che opporrà le truppe sarde ai cafoni, sia nel domare la grande insorgenza contadina del 1860-1861, sia nella repres- sione del brigantaggio grande (1861-1865) e piccolo (1866-1870). Assu- PHUjLFRQWRUQLGHOFRQÀLWWRFLYLOHTXHOORHVSORVRWUDJDODQWXRPLQLRUPDL GH¿QLELOLDSLHQRWLWRORPHULGLRQDOL HFDIRQLDSSDUHQWHPHQWHVHGDWRGDO- la Guardia nazionale mobile22¿DQFKHJJLDWULFHGHOO¶HVHUFLWRLOFRQÀLWWRUL- 22. La Guardia nazionale mobile non va assolutamente confusa con la Guardia nazio- nale «usbergo di libertà» (Attilio Brunialti) dal 1789. Dato che l’argomento non è conosciu- tissimo, ritengo opportuno fornire dei chiarimenti. In base alla vigente legislazione sarda (la OHJJHGHOPRGL¿FDWDQHOLVSLUDWHHQWUDPEHDOOHOHJJLIUDQFHVLGHOODPRQDUFKLD di Luglio) la milizia comunale prevista dall’art. 76 dello Statuto albertino assumeva il nome di Guardia nazionale. La legge distingueva: a) Guardia nazionale sedentaria, formata da cittadini in possesso dell’elettorato attivo amministrativo (per i consigli comunali e provin- FLDOLFHQVLWDULRPDYROWHSLDPSLRGLTXHOORSROLWLFR RUJDQL]]DWDVXEDVHFRPXQDOH FRQ JUDGL HOHWWLYL VRWWXI¿FLDOL H XI¿FLDOL VXEDOWHUQL H JUDGL VXSHULRUL PDJJLRUL WHQHQWL colonnelli e colonnelli) attribuiti dal sindaco e sotto i cui ordini era chiamata a operare;; b) Guardia nazionale mobile, formata da militi salariati (con paghe variabili, ma superiori a quelle bracciantili e operaie) e inquadrata dal Ministero della Guerra che nominava gli uf- ¿FLDOL,QFDVRGLJXHUUDRGLJUDYLHPHUJHQ]HLQWHUQHDVVLPLODELOLDOORVWDWRGLJXHUUDLQWHUQR (si pensi al brigantaggio meridionale postunitario), il ministro dell’Interno poteva “mobiliz- zare” la Guardia nazionale sedentaria (id est utilizzarla alla stregua di Guardia nazionale PRELOH SURYYHGHQGRGLUHWWDPHQWHDOOD¿UPDGHLEUHYHWWLGLQRPLQDGHJOLXI¿FLDOLVXSHULR- ri (maggiori, tenenti colonnelli e colonnelli) e degli eventuali generali: in tal modo si poteva DJJLUDUHXQDHYHQWXDOHIURQGDGHOPLQLVWURGHOOD*XHUUDUHVWLRD¿UPDUHEUHYHWWLGLQRPLQD a civili trasformati in militari (come sarebbe accaduto nel marzo 1859, quando il ministro della Guerra Alfonso Ferrero di La Marmora non era dell’idea che Garibaldi potesse essere nominato generale, ma Cavour, in quanto ministro dell’Interno, poté aggirarne il veto). Una volta promulgato il reale decreto di “mobilizzazione”, quei reparti della Guardia nazionale sedentaria dichiarati tali – e cioè “mobilizzati” – passavano alle dipendenze del Ministero della Guerra sotto gli ordini di un comando divisionale: nell’aprile 1859 la brigata Caccia-
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emergerà come un torrente carsico nel 1919-1920 e nel 1944-1945 nel mo- vimento di occupazione della terra che in Calabria, soprattutto a Caulonia23 nel secondo dopoguerra, riproporrà le tragiche pagine di Bronte.
tori delle Alpi venne inquadrata “formalmente” nella divisione Cialdini, ma al maggior generale Garibaldi fu garantito da Cavour un comando autonomo;; cfr. Martucci, L’inven- zione dell’Italia unita, cap. I, p. 62;; inoltre, E. Francia, Le baionette intelligenti. La Guardia Nazionale nell’Italia liberale (1848-1876), il Mulino, Bologna 1999, p. 260. 23. Tra il 5 e il 9 marzo 1945 nella cittadina calabrese di Caulonia esplose una rivolta contadina di massa, provocata dall’usurpazione di ingenti beni demaniali da parte di pro- prietari fondiari;; cfr. M. Alcaro, A. Paparazzo, Lotte contadine in Calabria (1943-1950), Edizioni Lerici, Cosenza 1976.
ANTONIO FINO /D&KLHVDPHULGLRQDOHQHJOLDQQLGHOO¶XQL¿FD]LRQH Qualche considerazione
Devo innanzi tutto precisare che il mio intervento non è costruito su ULFHUFKHRULJLQDOLGLSULPDPDQREHQVuVXXQDELEOLRJUD¿DJLjHVLVWHQWH peraltro molto vasta. Mi limiterò pertanto a esprimere alcune considerazioni sulla base di qualche mia vecchia ricerca e di alcune letture. Devo poi chiarire che in questo intervento: LOWHUPLQH³&KLHVD´YLHQHDGRSHUDWRQHOO¶DFFH]LRQHSLULVWUHWWDFRQ riferimento cioè solo all’insieme degli ecclesiastici;; O¶HVSUHVVLRQH³FDWWROLFLOLEHUDOL´qXVDWDQHOVLJQL¿FDWRSLVHPSOLFHGL cattolici favorevoli alle istituzioni politiche liberali, senza caricarla di altre implicazioni;; 3. non parlerò neppure del complesso rapporto tra il clero, soprattutto il basso clero (o, i cleri, come suggeriva De Rosa) e i contadini poveri, VHEEHQHQRQVLDQRSRFKLLGRFXPHQWLFKHFHUWL¿FDQRFRPHDOO¶RULJLQH dell’orientamento politico di non pochi ecclesiastici vi sia anche, in XQVHQVRRQHOO¶DOWURO¶DWWHJJLDPHQWRQHLFRQIURQWLGHLFHWLVRFLDOLSL disagiati;; 4. è esclusa dalle mie osservazioni la Sicilia, che presenta caratteristiche particolari. Quali erano le condizioni della Chiesa meridionale tra gli anni Qua- ranta e gli anni Cinquanta dell’Ottocento? Nel Mezzogiorno continentale vi erano 89 diocesi, 26 delle quali era- no di patronato regio. Le relazioni con lo Stato erano regolate dal Concordato del 1818. Gra- zie ad esso e ad altri successivi provvedimenti, la Chiesa aveva ottenuto la
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graduale riapertura dei conventi e monasteri soppressi durante il decennio francese;; l’imposizione del carattere religioso cattolico-romano all’istru- zione primaria;; il divieto di pubblicazione di libri giudicati contrari alla religione e alla morale cattolica, ecc. Tali rapporti erano improntati però a un rigido regime giurisdizio- QDOLVWLFRFKHWRFFDYDDQFKHJOLDVSHWWLSLPLQXWLGHOODYLWDHFFOHVLDVWLFD SHQVDWH FKH RFFRUUHYD LO EHQHSODFLWR UHJLR SHU¿QR SHU OD FRQFHVVLRQH DL canonici dell’uso delle calze violacee! I vescovi avevano un particolare legame di fedeltà nei confronti del sovrano borbonico, dal momento che ad esso dovevano in misura notevole la loro promozione alla dignità vescovile. Con il Concordato di Terracina del 1818 infatti Pio VI aveva esteso i diritti che spettavano al sovrano sulle 26 diocesi di patronato regio, concedendo in perpetuo a Ferdinando I e ai suoi eredi e successori cattolici al trono la facoltà di designare i vescovi di tutte le diocesi. Una volta fatte le scelte, esse venivano comunicate a 5RPD DI¿QFKp GRSR OH QHFHVVDULH LQIRUPD]LRQL L GHVLJQDWL RWWHQHVVHUR l’istituzione canonica. Particolarmente impegnativa sul piano politico, e tale da fare dei ve- scovi dei veri e propri funzionari politici al servizio del re, era la formula del giuramento che essi dovevano prestare dinanzi al sovrano: «Io giuro e prometto sopra i Santi Vangeli obbedienza e fedeltà a Sua Maestà Reale;; io prometto ugualmente di non avere alcuna comunicazione e di non assistere ad alcuna assemblea, di non mantenere né al di fuori né al di dentro alcuna relazione sospetta che possa nuocere alla tranquillità pubblica;; e quando, tanto nella mia diocesi che altrove si tramasse qualche cosa contro lo Stato, io la farò nota a Sua Maestà». Questo però non ne faceva necessariamente dei fanatici sostenitori di tutte le misure di governo assunte dal sovrano, dal momento che era sem- SUHSRVVLELOHFRQFLOLDUHODIHGHOWjDOODGLQDVWLDHXQDYDOXWD]LRQHSLOLEH- ra dei provvedimenti adottati. Né impediva una cristiana considerazione delle condizioni sociali dei fedeli assegnati alle loro cure;; e neppure una simpatia nei confronti di progetti politici che, senza mettere in discussione la permanenza della dinastia sul trono di Napoli, disegnassero speranze di PRGL¿FD]LRQHGHJOLDVVHWWLSROLWLFLLQWHUQD]LRQDOLHGLULIRUPHHPLJOLRUD- mento dei rapporti sociali esistenti. Tra gli studiosi di storia della Chiesa si è posto da molti anni il proble- PDGHOODFRQRVFHQ]DGHOODIRUPD]LRQHFXOWXUDOHGHJOLHFFOHVLDVWLFLDL¿QLGL XQDFRPSUHQVLRQHSLDSSURIRQGLWDGHOOHPRWLYD]LRQLDOO¶RULJLQHGHLORUR
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comportamenti, sia sul terreno pastorale, sia sul terreno religioso, sia sul WHUUHQRSLVTXLVLWDPHQWHFLYLOHHSROLWLFR Il discorso vale naturalmente per i secolari che si formavano nei semi- nari diocesani e/o interdiocesani ma anche per i regolari che frequentavano invece le scuole dei rispettivi ordini. /HGLI¿FROWjSHUzVRQRPDJJLRULSHULSULPLFKHSHULVHFRQGL(FLzLQ considerazione del fatto che ancora intorno alla metà dell’Ottocento non WXWWLLVHFRODULVRSUDWWXWWRQHOOH]RQHSLSHULIHULFKHHLVRODWHGHO0H]]R- giorno, studiavano in seminario, e che molti arrivavano all’ordinazione sacra solamente attraverso un tirocinio praticato sotto la guida di un sacer- dote anziano. Va ancora aggiunto che nel Mezzogiorno, sia nelle zone ru- rali sia nelle grandi città, era molto diffuso l’istituto del chiericato esterno, che consentiva ai chierici di non dimorare in seminario, ma di frequentarlo solo per le lezioni e per qualche altro impegno. Per queste ragioni credo di poter dire che sul tema della conoscenza dei livelli culturali e del tipo di cultura del clero molto resti ancora da fare. L’assenza di una robusta preparazione culturale e di un’adeguata for- mazione spirituale era rilevata da tutti;; ma mentre dai gruppi cattolico- OLEHUDOL TXHVWD GH¿FLHQ]D HUD FRQVLGHUDWD OD FDXVD GHOO¶LQFRPSUHQVLRQH H GHOODGLI¿GHQ]DYHUVRXQDVRFLHWjHXQDFLYLOWjLQYHORFHWUDVIRUPD]LRQH GDLJUXSSLSLULJLGDPHQWHFRQVHUYDWRULHUDLQGLFDWDLQYHFHFRPHODUDJLRQH principale delle numerose adesioni di ecclesiastici agli ideali rivoluzionari. Molti documenti rivelano comunque la diffusione di una visione ca- WDVWUR¿VWLFDGHOODVWRULDPRGHUQDFKHVDUHEEHFDUDWWHUL]]DWDGDXQDYDVWD aggressione delle potenze del male alla Chiesa cattolica e alla stessa re- ligione cristiana. Tale offensiva sarebbe iniziata nel Cinquecento con la ribellione di Lutero al magistero della Chiesa romana, sarebbe proseguita con l’affermazione del razionalismo e dell’illuminismo, negatori della tra- scendenza;; quindi si sarebbe manifestata con il prodotto politico-culturale di essi, cioè con il liberalismo e la rivendicazione della libertà di pensiero e di coscienza, che altro non era che la volontà di prescindere dalla religione e dagli insegnamenti morali della Chiesa. Secondo questa lettura della storia, il liberalismo stava ora generando il socialismo che avrebbe annullato i diritti di libertà e perseguito la costru- zione di una società negatrice di ogni dimensione religiosa. A conforto di tale interpretazione venivano ricordati gli eventi san- JXLQRVLHOHURYLQHSRUWDWHGDOODULYROX]LRQH¿JOLDGHOO¶LOOXPLQLVPR,QUH- azione a questi esiti venivano invece esaltati la tradizione e il passato, si
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HVSULPHYDV¿GXFLDQHOODUDJLRQHLQGLYLGXDOHHVLYDJKHJJLDYDXQDVRFLHWj nella quale la riscoperta e la restaurazione dei tradizionali valori spirituali avrebbero ristabilito l’antica armonia di rapporti umani. Se questa era la cultura storica prevalente negli ambienti ecclesiastici HFKHUHVLVWHUj¿QRDLSULPLGHFHQQLGHO;;VHFROR YDSHUzGHWWRDQFKH FKHQRQHUDDVVHQWHODFLUFROD]LRQHGLWHQGHQ]HSLDSHUWHDFRJOLHUHTXDQWR di cristiano poteva per tanti aspetti rinvenirsi anche nelle correnti culturali e SROLWLFKHWHVHDPRGL¿FDUHHDWUDVIRUPDUHJOLDVVHWWLGHOODVRFLHWjSHUWDQWL versi poco toccata dagli effetti dell’illuminismo e della rivoluzione francese. Ci riferiamo alla circolazione degli scritti di Lamennais, di Rosmini, di Manzoni, e soprattutto di Vincenzo Gioberti. Il pensiero di quest’ultimo LQÀXHQ]zSURIRQGDPHQWHPROWLLQWHOOHWWXDOLPHULGLRQDOLODLFLHGHFFOHVLD- VWLFLDQFKHGRSRO¶XQL¿FD]LRQHGHOSDHVH6LSHQVLDFDWWROLFLFRPH&DUOR Troya, Federico Persico, Enrico Cenni, Giovanni Manna, Giacomo e Ro- berto Savarese, ecc., che vedevano nel progetto giobertiano una via per conseguire spazi di libertà costituzionali, o che cercavano di cogliere nelle FRUUHQWLFXOWXUDOLSLPRGHUQHTXDQWRSRWHYDFRQFLOLDUVLFRQODIHGHUHOLJLR- sa, e anzi vedendo in alcuni aspetti di queste la strada per l’instaurazione GLFRQGL]LRQLXPDQHHVRFLDOLSLFRQVRQHFRQJOLLQVHJQDPHQWLFULVWLDQL Alcuni ecclesiastici inoltre erano consapevoli della distanza tra precet- ti evangelici e realtà sociale, e giudicavano che i sovrani e i governi poco o nulla facessero per innalzare le condizioni umane dei loro sudditi. Non si trattava, ovviamente, di sostenitori di progetti di rovesciamento dei rap- SRUWLVRFLDOLHVLVWHQWLGL³SHULFRORVL´ULYROX]LRQDULEHQVuGLUHOLJLRVLFKH SURSULRULÀHWWHQGRVXJOLLQVHJQDPHQWLHYDQJHOLFLDYYHUWLYDQRO¶HVLJHQ]DGL ULIRUPHSLRPHQRDPSLHLQQDQ]LWXWWRQHOOHFRVFLHQ]HHSRLQHLFRQFUHWL rapporti sociali, capaci di collocare in una dimensione nuova la dignità di WXWWLJOLXRPLQLTXLQGLDQFKHGHLFHWLVRFLDOLSLSRYHUL ,QWDOXQLTXHVWLVRJQLHTXHVWLDXVSLFLVIRFLDYDQRQHOO¶DGHVLRQHSLR meno attiva a progetti politici liberali, che potevano andare dalla richiesta di una costituzione alla messa in discussione della permanenza sul trono di Napoli della dinastia borbonica, o addirittura al programma mazziniano. Il fallimento dell’ipotesi neoguelfa, il prevalere nelle rivoluzioni del 1848 delle correnti democratiche e repubblicane, il delinearsi in alcuni casi GHO³SHULFROR´VRFLDOLVWDOHYLFHQGHGL5RPDHGHOODIXJDGL3LR,;¿QLUR- no per rafforzare le convinzioni di coloro i quali, contro i cattolici liberali e LQHRJXHO¿DYHYDQRVRVWHQXWRHVRVWHQHYDQRO¶LQFRQFLOLDELOLWjGHOOD&KLHVD con il liberalismo, l’opposizione irriducibile del cattolicesimo a tutto ciò
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che era stato generato dalla rivoluzione francese. La rottura fu condotta ¿QRDOO¶HVWUHPRGDXQDSDUWHODOXFHGDOO¶DOWUDLOPDOHHOHWHQHEUH 6XOSLDQRSLVWUHWWDPHQWHSROLWLFRLOYROWDIDFFLDGL)HUGLQDQGR,,GH- terminò una frattura tra la dinastia e coloro che in buona fede avevano JXDUGDWRFRQ¿GXFLDHFRQVLPSDWLDDTXHOORFKHHUDSDUVRXQQXRYRFRUVR della politica del sovrano napoletano. 1RQWXWWLLGHOXVL¿QLURQRSHUzSHUDEEUDFFLDUHLOSURJHWWRGLXQL¿FD- zione della penisola, o almeno tale adesione in alcuni non maturò subito. Fallito il sogno neoguelfo, trovò una certa eco e alcune adesioni anche tra gli ecclesiastici nel Mezzogiorno il murattismo, un progetto mirante a cac- FLDUHGDOWURQRGL1DSROLODGLQDVWLDERUERQLFDJLXGLFDWDRUPDLLQDI¿GDEL- le, e a sostituire ad essa, con un intervento armato, una monarchia liberale con il terzogenito di Gioacchino Murat, Luciano Carlo. Il disegno aveva appoggi presso la corte di Napoleone III, ma fu presto abbandonato anche per opera degli esuli meridionali a Torino. Gli anni Cinquanta videro al Sud un’accentuazione della repressione poliziesca nei confronti di ogni simpatia liberale, e contemporaneamen- te un moltiplicarsi delle manifestazioni di ossequio e di esaltazione della religione cattolica e dei suoi ministri, che culminarono nelle misure che il regime adottò nel 1856, e sulle quali giustamente Bruno Pellegrino ha richiamato l’attenzione. 8QDSROLWLFDHFFOHVLDVWLFDDOTXDQWRGLIIHUHQWHVHJXuLQYHFHQHJOLVWHVVL anni il governo liberale del Regno di Sardegna: leggi Siccardi, soppressio- QHGLRUGLQLUHOLJLRVLHFRQ¿VFDGHLORURSDWULPRQLDQQXOODPHQWRGHOO¶HOH- zione di molti cattolici nel 1857, ecc. ,OFOHURSROLWLFDPHQWH¿ORERUERQLFRRDQFKHVHPSOLFHPHQWHHVLQFH- ramente preoccupato per i possibili pericoli per la fede religiosa che vede- va nell’eventuale avvento di un regime liberale, confrontando la politica ecclesiastica del Piemonte con quella della dinastia borbonica, da un lato giudicava confermati i propri timori nei confronti dei regimi costituzionali, dall’altro vedeva confortati i propri convincimenti secondo cui solo i regi- mi politici come quello borbonico avrebbero difeso la religione cattolica dagli attacchi dei suoi nemici. Questo orientamento si manifestò chiaramente ed esplicitamente nella lettera pastorale, indirizzata ai fedeli, che 26 vescovi riuniti a Napoli dal cardinale Riario Sforza nel dicembre 1849 redassero lanciando un appello a stringersi intorno alla gerarchia e alle autorità costituite per difendere la religione e le condizioni stesse di una società ordinata e armonica.
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Negli anni seguenti furono investiti della dignità episcopale ben 51 vescovi. Considerando il clima politico, le proposte di nomina dovettero essere particolarmente attente all’orientamento dei candidati, in un perio- do in cui era maturata in tutta la penisola, con l’esclusione del Piemonte sabaudo, la rottura tra liberali e sovrani dopo la revoca delle costituzioni ed era stata messa in atto una politica di repressione e di persecuzione nei confronti di coloro che si erano esposti nei mesi delle “rivoluzioni”. La maggioranza dei vescovi non esitò ad appoggiare la politica rea- zionaria di Ferdinando II, emarginando, discriminando e in qualche caso punendo gli ecclesiastici con simpatie liberali, suscitando malcontento e risentimenti che emersero con particolare virulenza nel momento della cri- si del regime. 6HQRLJLXGLFDVVLPRLOFOHUR¿OROLEHUDOHVXOODEDVHGLTXHOORFKHVXGL HVVRVFULVVHURLYHVFRYLPHQRDSHUWLSLOHJDWLDOODGLQDVWLDERUERQLFDGR- vremmo dire che tutti coloro che non erano rigidamente ligi alla disciplina imposta erano corrotti, depravati moralmente, con scarsa e debole voca- zione ecclesiastica, mestatori, ignoranti, poco sensibili verso gli obblighi pastorali nei confronti dei fedeli. 0D HUDQR GDYYHUR WXWWL FRVu JOL HFFOHVLDVWLFL FKH DGHULURQR DO PRWR risorgimentale? Come non possiamo dare credito acriticamente a quan- to sul conto dei prelati leggiamo nelle carte di polizia o nelle denunce di ODLFLFRVuGREELDPRHVVHUHSUXGHQWLQHOODYDOXWD]LRQHGLTXDQWRLYHVFRYL scrive vano sul conto dei sacerdoti con simpatie liberali. Certamente, vi erano elementi animati da spirito tutt’altro che religioso;; ma io credo che si possa riconoscere che la grande maggioranza di essi aveva sinceramente accolto l’idea della necessità di una riforma della Chiesa, ed era convinta FKHOHQXRYHLVWLWX]LRQLOLEHUDOLDYUHEEHURSRUWDWREHQH¿FLDQFKHDOODIHGH religiosa. Dall’altra parte emerge però anche un episcopato che appare guidato in maggioranza da una cultura vecchia, inadeguata a capire i tempi nuovi e quindi a impostare in forme nuove anche l’attività pastorale, ancorato a una concezione dei rapporti Stato-Chiesa improntata all’alleanza fra il trono e l’altare. ,OEDVVRFOHURSXzDSSDULUHLQJHQHUHSLPRQGDQRSLOHJDWRDFRQ- creti e immediati interessi materiali, litigioso, poco evangelico, e sicura- PHQWHLQSDUWHHUDFRVuPDIRUVHHUDSLYLFLQRDLIHGHOLVLDDLFHWLVRFLDOL SLHOHYDWLVLDDTXHOOLSLEDVVLSLVHQVLELOHHSLSDUWHFLSHGHLVRJQL delle aspirazioni e anche dei bisogni di essi.
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E forse è proprio questa maggiore vicinanza al “popolo” dei credenti che spiega l’adesione alle posizioni dei borghesi liberali, come la parteci- pazione e la vicinanza alle proteste dei contadini poveri che si aspettavano le TXRWL]]D]LRQLGHLEHQLGHPDQLDOLRGHLEHQLFRQ¿VFDWLDJOLHQWLHFFOHVLDVWLFL Quando nel 1860 lo Stato borbonico crollò, venne a determinarsi una VLWXD]LRQHGLHVWUHPDGLI¿FROWjGLFRPSUHQVLRQHWUDODJHUDUFKLDHFFOHVLD VWLFDHOHQXRYHDXWRULWjGLGLI¿GHQ]DHLQQRQSRFKLFDVLGLYHUDHSURSULD ostilità reciproca. Le vicende che si erano susseguite in un brevissimo volgere di tempo tra la seconda metà del 1859 e la prima metà del 1860, prima dell’inizio dell’impresa di Garibaldi, avevano accresciuto le apprensioni e i timori per la tenuta degli equilibri politico-territoriali della penisola. Nell’arco di pochi PHVLLOSURJHWWRGLXQL¿FD]LRQHQD]LRQDOHLWDOLDQDDYHYDUHJLVWUDWRODVFRQ- ¿WWDGHOO¶$XVWULDFDWWROLFDFRVWUHWWDDFHGHUHOD/RPEDUGLDDO5HJQRGL6DU- degna, e l’annessione a quest’ultimo, mediante plebisciti, della Toscana, di 0RGHQDGL3DUPDGHOOHOHJD]LRQLSRQWL¿FLHGHOO¶(PLOLDHGHOOD5RPDJQD E il processo che si era messo in moto minacciava lo stesso Stato SRQWL¿FLRLOFXLFUROORDYUHEEHSULYDWRLOSRQWH¿FHQRQGLXQRVWUXPHQWR GL SRWHQ]D EHQVu GHOOD JDUDQ]LD GHOO¶LQGLSHQGHQ]D GD RJQL SRWHUH FLYLOH nell’esplicazione del ministero pastorale universale. Che la minaccia fosse reale fu confermato nell’estate del 1860 dal- O¶LQYDVLRQH SLHPRQWHVH FKH PXWLOz SURIRQGDPHQWH LO WHUULWRULR SRQWL¿FLR sottraendogli le Marche e l’Umbria. D’altronde non erano pochi, né tutti di secondo piano, i liberali che sostenevano la necessità di liberare il popolo italiano da ogni fede religio- sa, considerata espressione di superstizione, di ignoranza, di arretratezza culturale. Per quel che concerne molti vescovi del Mezzogiorno, a questi ele- PHQWL GHO TXDGUR JHQHUDOH YDQQR DJJLXQWL L ULÀHVVL FKH QHOOD ORUR YLWD ebbero le vicende personali della cacciata dalla diocesi, o dell’ostilità regi- strata presso i nuovi rappresentanti del potere, che in alcuni casi li aveva spinti ad allontanarsi dalle loro sedi. ,QROWUH OD SUHVHQ]D GL XQ FOHUR VHFRODUH H UHJRODUH ¿OROLEHUDOH SHU TXDQWR PLQRULWDULR HVVR IRVVH ¿QLYD SHU HQIDWL]]DUH OH VLPSDWLH GL WDQWL vescovi per il regime borbonico o la freddezza per il nuovo ordine di cose, e per isolarli. Comunque, i giorni dell’estate 1860 furono giorni di grande confusio- ne, di tensioni sociali e politiche, in cui non è sempre agevole ricostruire
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con esattezza le vicende, dal momento che le testimonianze sono talvolta contraddittorie, esprimendo punti di vista non sempre disinteressati e sereni. La politica ecclesiastica attuata dai nuovi governanti era naturalmente coerente con la legislazione piemontese degli anni precedenti. Nel Sud però tale politica andò oltre. Non si limitò a operare sui binari della separazione tra Stato e Chiesa, ma cercò di recuperare la tradizione giu risdizionalistica settecentesca del Tanucci, che contraddiceva il prin- cipio separatistico. Stabilire una stretta sorveglianza dello Stato sulla Chie- sa era considerato necessario per controllare da vicino un’istituzione po- WHQWHPHQWHLQÀXHQWHFKHVLSUHVHQWDYDFRPHXQWHPLELOHQHPLFRGHOO¶8QLWj del paese appena raggiunta e delle istituzioni liberali. Se nel novembre-dicembre del 1860, con Farini, con Pisanelli e con Giuseppe Ferrigni, ci fu una disponibilità a lanciare un ponte per una con- ciliazione, dopo l’inchiesta Farini, con i giudizi messi per iscritto dai go- ver natori delle province, e soprattutto dopo l’arrivo al Ministero per gli Affari ecclesiastici di P.S. Mancini, il clima non poteva non cambiare. Con una serie di decreti ravvicinati emanati tra gennaio e febbraio 1861 furono abolite le decime sacramentali;; furono sequestrate le rendite delle mense degli ordinari assenti senza motivo canonico dalle loro sedi (ed erano 54 gli assenti!);; fu abolito il Concordato del 1818 e ristabilito il controllo dello Stato sulle Opere Pie;; furono attribuiti ai regi Economati LOSRVVHVVRHO¶DPPLQLVWUD]LRQHGHLEHQH¿FLYDFDQWLIXURQRVRSSUHVVLQX- PHURVLRUGLQLUHOLJLRVLHLORUREHQLFRQ¿VFDWLHFF Nuovi terreni di contrapposizione furono costituiti, nella primavera, dalla questione delle nomine dei predicatori quaresimalisti (che le nuove DXWRULWjYROHYDQRIRVVHUR¿ORXQLWDUL HGDOODTXHVWLRQHGHOO¶HOH]LRQHGHLYL- FDULFDSLWRODUL4XHVW¶XOWLPDHUDSDUWLFRODUPHQWHGHOLFDWDLQTXDQWR¿QLYD per ridimensionare i poteri “assoluti” del vescovo e dare forza, prestigio e SRWHUHDXQRUJDQLVPRVuGLJUDQGHULOHYDQ]DQHOODJHUDUFKLDHFFOHVLDVWLFD GLRFHVDQDPD¿Q¶DOORUDLQRJQLFDVRVXERUGLQDWRDOO¶RUGLQDULR Né fu in grado di svolgere una mediazione l’unico vescovo che aperta- PHQWHDFFHWWzO¶XQL¿FD]LRQHQD]LRQDOHVRWWRFDVD6DYRLDFLRq0LFKHOH0 Caputo;; ché anzi egli divenne motivo di inasprimento dei rapporti quando accettò la nomina a cappellano maggiore. Il nuovo regime cercò di utiliz- ]DUOR SXQWDQGR D GLYLGHUH VLJQL¿FDWLYDPHQWH OD &KLHVD PHULGLRQDOH PD quando comprese che il tentativo non sarebbe stato conseguito perché Ca- puto, sconfessato pubblicamente da Roma, non riusciva a rappresentare XQ¶DOWHUQDWLYDD5LDULR6IRU]D¿QuSHUHPDUJLQDUORHWUDVFXUDUOR
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3HUDOWURSLVWULQJHQWLHSLSHQHWUDQWLHUDQRJOLLQWHUYHQWLGHLQXRYL JRYHUQDQWLQHOFRUSRGHOOD&KLHVDHSLVLLUULJLGLYDQRJOLDWWHJJLDPHQWL DQWLOLEHUDOLLTXDOLDORURYROWDSURYRFDYDQRSLGXUHULVSRVWHLQXQDORJLFD di azione e reazione che andò scemando solo con il consolidarsi dello Stato LWDOLDQRHFRQO¶DI¿HYROLUVLGHOOHVSHUDQ]HGLXQDFULVLHGLXQDGLVJUHJD]LR ne di esso. 3URSULR LO SUR¿ODUVL GHOO¶DYYHQWR GHOOH OLEHUWj FRVWLWX]LRQDOL H GHOOD FRQVHJXHQWH¿QHGHOUXRORHVFOXVLYRULVHUYDWRDOODUHOLJLRQHFDWWROLFDVSLQVH i vescovi a superare l’individualismo e il particolarismo locale che aveva ¿Q¶DOORUDFDUDWWHUL]]DWRODORURD]LRQHHDFHUFDUHRFFDVLRQLHYLHSHUXQFR- ordinamento “nazionale” delle loro attività con l’obiettivo di stringersi in- torno al papa e sostenere le ragioni della necessità di una assoluta indipen- denza dal potere civile. Se prima l’episcopato aveva guardato a Napoli come centro di irradiazione di direttive e indirizzi ecclesiastici e politici, RUDFRPLQFLDDJXDUGDUHLQYHFHD5RPDHDOSRQWH¿FHFRPHXQLFRSXQWRGL riferimento e guida. Solo che questo sentirsi “episcopato nazionale napole- tano” cominciò a manifestarsi quando ormai il contesto politico-territoriale HUDPXWDWRHSHUGLSLVLHVSUHVVHFRQODULDIIHUPD]LRQHGHOSULQFLSLRGL legittimità, cioè con uno strumento ormai inutilizzabile. Ma se le vicende militari e politiche accrescevano le preoccupazio ni SHUODVRSUDYYLYHQ]DGHOOR6WDWRSRQWL¿FLRQRQSRFKLHFFOHVLDVWLFLFRQWL QXDYDQRDJXDUGDUHFRQRFFKLGLYHUVLDOSURFHVVRGLXQL¿FD]LRQHULEDGHQ- GROD¿GXFLDQHJOLHIIHWWLEHQH¿FLFKHOD¿QHGHOSRWHUHWHPSRUDOHDYUHEEH prodotto nella vita della Chiesa. E mi riferisco all’appello di Passaglia, che raccolse adesioni anche nel Mezzogiorno. Vennero poi le leggi del 1862 e quelle del 1866 e del 1867. 1HOTXDGURGHOGLVHJQRGLXQL¿FD]LRQHDPPLQLVWUDWLYDOHOHJJLGHO luglio 1866 e del 15 agosto 1867 non tennero conto della diversa strut- tura della Chiesa meridionale rispetto a quella delle regioni settentrionali e soppressero indistintamente ordini, corporazioni, congregazioni religiose caratterizzate dalla vita in comune, e le chiese ricettizie, incamerandone e liquidandone i beni. Le conseguenze furono veramente devastanti, se si FRQVLGHUDFKHODVWUXWWXUDGHOOD&KLHVDPHULGLRQDOHVLEDVDYDVXXQD¿WWD rete di monasteri e di luoghi pii e sulle chiese ricettizie nelle quali in molti casi era incardinato tutto il clero secolare. E tuttavia, sebbene le leggi del nuovo Stato avessero ferito profonda- mente il corpo della Chiesa meridionale, nel Mezzogiorno l’astensionismo politico, che per molti anni fu in altre aree del paese il segno dell’opposizione
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cattolica allo Stato liberale quale era uscito dal Risorgimento, non ebbe TXDVL ULOLHYR &RVu SXUH QRQ YL IX QHJOL DQQL VHJXHQWL XQ¶RUJDQL]]D]LRQH forte ed estesa dell’Opera dei Congressi, l’organizzazione nella quale si esprimeva nello Stato liberale il dissenso dei laici cattolici e degli eccle- VLDVWLFL4XHVWRVWDDVLJQL¿FDUHDPLRDYYLVRFKHQRQFLIXXQDGLIIXVD ODFHUD]LRQHGHOOHFRVFLHQ]HSHUO¶XQL¿FD]LRQHHGRSRLOSHUOD¿QH del potere temporale, o che comunque essa non fu profonda e duratura;; che OR6WDWROLEHUDOHIXDFFHWWDWRFRPHXQGDWRGLIDWWRLUUHYHUVLELOHHLQ¿QH che proprio il Mezzogiorno aveva assimilato nei fatti almeno alcune delle conseguenze degli sviluppi del pensiero di Lamennais e delle posizioni espresse già negli anni Cinquanta dalla stessa «Civiltà Cattolica», per cui non era tanto il regime politico che contava, quanto gli spazi che almeno a livello locale potevano essere lasciati o riconosciuti all’attività del clero. Solo il tempo sanerà queste situazioni, quando da una parte si spegne- UDQQROHSXQWHSLHVWUHPHGHOO¶DQWLFOHULFDOLVPROLEHUDOHGDOO¶DOWUDVLDP- PRUELGLUDQQR OH UDJLRQL SL DVSUH GHOO¶RSSRVL]LRQH FDWWROLFD DOOR 6WDWR liberale.
MICHELE ROMANO La nobiltà meridionale dai Borbone ai Savoia
In questo contributo si tratteggiano prevalentemente alcuni fatti e questioni riguardanti due famiglie d’alto lignaggio che discendono dalla grande nobiltà aggregata ai seggi napoletani: quella dei Caracciolo de’ Sangro duchi di Martina e quella dei Dentice principi di Frasso e di S. Vito dei Normanni, ex signorie feudali da tempo radicate nel Salento e da sem- SUHLPSHJQDWHLQUXROLVLJQL¿FDWLYLQHOOHLVWLWX]LRQLPLOLWDULGLSORPDWLFKH ecclesiastiche e politiche sotto le varie dinastie regnanti. Il periodo preso in considerazione va dalla fase di transizione dallo 6WDWRERUERQLFRDTXHOORXQLWDULRHJLXQJHSLRPHQRDJOLDQQL1RYDQ- ta dell’Ottocento, con qualche rapida incursione nei periodi precedenti e VXFFHVVLYLDTXHVWLOLPLWLFURQRORJLFL3LDYDQWLVDUjFKLDUDODUDJLRQHGL questa periodizzazione. Si tratta, quindi, di “studi caso”, e in quanto tali hanno una propria VSHFL¿FLWjSHUFLzLOWLWRORGLTXHVWRODYRURSRWUHEEHVHPEUDUHLQDGDWWRD causa del grado di generalizzazione che sottintende. Il motivo per cui il WLWRORqFRVuDPSLRqFKHLQTXHVWDVHGHO¶RELHWWLYRqSRUUHTXHVLWLSURSRUUH suggestioni e piste d’indagine ancora da esplorare che, come si vedrà, van- no al di là degli studi di caso di cui qui si tratta. Innanzitutto perché proprio la nobiltà. Nei tanti eventi organizzati per i 150 anni dell’Unità d’Italia si è discusso soprattutto di liberali e democrati- ci, di borghesie e ceti medi, di esuli e perseguitati politici in una prospet- WLYDSHUFRVuGLUH³SDWULRWWLFD´GLSUHSDUD]LRQHDOO¶XQLWjGHOSDHVH8QD prospettiva senz’altro necessaria se si vuole gettare luce sulla travagliata HGUDPPDWLFDPHQWHFRQÀLWWXDOHWUDQVL]LRQHDOQXRYR6WDWRFKHYLYRQROH province del Mezzogiorno d’Italia. Ma ci sono aspetti di questo processo che sono ancora in ombra. Il ULIHULPHQWR q WDQWR SHU IDUH XQ HVHPSLR FKH SRL SHUz WRUQHUj XWLOH SL
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avanti, ai caratteri (in particolare quelli di tipo sociologico) e all’entità (an- che nel senso meramente numerico) della mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia, all’esilio e al fuoriuscitismo borbonico,1 alla rete organiz- zativa del legittimismo borbonico, alle sue «forme e ambivalenze»,2 alle sue trame, alla sua progettualità politica, alle sue strategie diplomatiche, HFF4XHVWLWHPLDOSLOLVLSXzLQFURFLDUHDOPDUJLQHGLFRQWULEXWLDQFKH PROWRLPSRUWDQWLVXOFRQWURYHUVRUDSSRUWRWUD6WDWRSRQWL¿FLRHOHJLWWLPL smo borbonico, oppure sulle commistioni tra questo e il grande brigantag- 'DYYHURGDWDWLHTXDVLVHQ]DVHJXLWRLFRQWULEXWLVXTXHVWRWHPDWUDLSLLPSRU- tanti: E. Michel, Emigrati borbonici a Malta (1864-1866), in «Archivio Storico di Malta», 2/2, fasc. 4 (luglio-dicembre 1931);; Id., L’isola di Malta focolaio di reazione legittimista (1860-1863), in «Archivio Storico di Malta», 7, f. 3 (aprile 1936);; L. Simeoni, L’Austria e la caduta della monarchia borbonica napoletana, in Atti del Congresso di Bologna del R. Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Tip. Edit. Miccoli, Napoli 1939;; G. Aro- molo, L’ultimo re di Napoli. Tentativi e cospirazioni del legittimismo borbonico giusta diari e altri documenti inediti, Alberto Morano, Napoli 1942;; B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, 2 voll., Laterza, Bari 1943;; M. Basile, Gli ultimi borbonici, Editori Riuniti, Roma 1956;; A. Saladino, Il tramonto del Regno delle Due Sicilie nella corrispondenza di Francesco II e Carlo Filangieri, L’Arte Tip., Napoli 1960;; Id., L’estrema difesa del Regno delle Due Sicilie, Società napoletana di Storia Patria, Napoli 1960;; R. Moscati, /D¿QHGHO Regno di Napoli, Le Monnier, Firenze 1960;; H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, A. Martello, Milano 1968;; A. Albonico, La mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia: la Spagna e il brigantaggio meridionale postunitario, Giuffrè, Milano 1979;; F. Leoni, L’attività diplo mati ca del governo borbonico in esilio (1861-1866)(GL]LRQLGH/¶$O¿HUH Napoli 1969;; Id., Il governo borbonico in esilio (1861-1866), Guida, Napoli 1984;; J.-P. Garnier, Nascita dell’Italia: l’ultimo re di Napoli, Libreria Deperro, Napoli 1971;; P.G. Jae- ger, Francesco II di Borbone. L’ultimo re di Napoli, Mondadori, Milano 1982;; G. Coniglio, I Borboni di Napoli, Dall’Oglio, Varese 1983;; M. de Leonardis, Malta tra Risorgimento e anti-Risorgimento. La visita di Garibaldi nel 1864, in «Rassegna Storica del Risorgi- mento», 72/1 (gennaio-marzo 1985). Tra i pochi studi recenti sul tema, sono di particolare interesse: A. Facineroso, Padroni di barche e patrioti nel Risorgimento italiano. Le rotte commerciali e la cospirazione (1849-1859), in Pozzallo città di mare. Storia di uomini, velieri e potere, a cura di G. Barone, Bonanno, Acireale-Roma 2010;; Ead., La città dei “vinti”. Le trame della cospirazione borbonica (1861-1867), in Catania e l’unità d’Italia. Eventi e protagonisti del lungo Risorgimento, a cura di G. Barone, Bonanno, Roma 2011, SS8WLOHDOOHULFHUFKHVXTXHVWLDUJRPHQWLqLQ¿QHLOODYRURGL3*XLGDL’altro Risorgimento nella letteratura dei Folliero de Luna, Milella, Lecce 2011, in cui gli scritti di questi quasi dimenticati letterati napoletani aprono un interessante spaccato sulle di- varicanti dinamiche politiche e culturali, sulle contrapposte idee di patria, sulla pluralità di sentimenti patriottici che animarono uomini e donne dell’Italia risorgimentale. 2. M. Meriggi, Dopo l’Unità. Forme e ambivalenze del legittimismo borbonico, in L’Italia alla prova dell’Unità, a cura di S. Soldani, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 19-39.
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gio, o ancora sugli sforzi diplomatici antiunitari e sulle fratture interne del governo di Francesco II in esilio a Roma.3 Evidentemente queste mancanze pesano nella determinazione del quadro complessivo e impediscono di fare chiarezza sulle tante contradd- izioni che accompagnano gli aspetti salienti del Risorgimento italiano e in particolare i primi anni, cruciali, della costruzione dello Stato unitario. Tra questi tasselli mancanti c’è la nobiltà meridionale, soprattutto quella che durante il secondo periodo borbonico ha consolidato il proprio patrimonio fondiario e il proprio rilievo pubblico attraverso cariche istituzionali, at- traverso le relazioni esclusive con la dinastia regnante, attraverso strategie matrimoniali accorte ed endogamiche, attraverso le reti di sostegno politico HGLDOOHDQ]H¿QDQFKHLQWHUQD]LRQDOLWUDIDPLJOLHGHOORVWHVVRmilieu sociale. In altri termini, è necessario rivolgere l’attenzione al ruolo che la no- biltà meridionale, vale a dire il nerbo della classe dirigente e di governo dello Stato duosiciliano, riveste nel momento in cui crolla questo Stato e nasce e si stabilizza quello unitario;; ecco perché la periodizzazione di cui si è detto all’inizio. Di come la nobiltà del Mezzogiorno abbia vissuto, subito, condiziona- WRHLQTXDOFKHPRGRDFFHWWDWRODGLI¿FLOHWUDQVL]LRQHDOOR6WDWRXQLWDULRVL VDSRFRVHQRQSRFKLVVLPR/¶DUJRPHQWRqSLFRPSOHVVRGLTXDQWRDSULPD vista possa apparire: ci sono almeno tre livelli d’analisi che bisogna tenere insieme. Uno tutto interno alla nobiltà e che deve indagarne la capacità di progettualità politica, il senso d’identità, diversità, superiorità, il sentimen- WRGLQD]LRQHSDWULDIHGHOWjVDFUL¿FLRRVHUYL]LRFKHQHOO¶XQLYHUVRQRELOLD re si riempiono di contenuti per forza di cose molto diversi da quelli che LQJHQHUDOHODVWRULRJUD¿DFRQWHPSRUDQHLVWLFDDWWULEXLVFHDGDOWULUDJJUXS- pamenti sociali come la borghesia, il ceto medio, gli operai, i contadini. Un altro livello è esterno e investe la questione della debolezza strutturale del- 3. Tra questi, B. Pellegrino, Chiesa e rivoluzione unitaria nel Mezzogiorno. L’Episco- pa to meridionale dall’assolutismo borbonico allo stato borghese (1860-1861), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979, e Id., Michele Caputi dal legittimismo borbonico al libe- ra lismo unitario, Congedo, Galatina 1984, ora entrambi in Id., Leali o ribelli. La Chiesa del Sud e l’Unità d’Italia, Congedo, Galatina 2011;; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Nuovo Pensiero Meridiano, Milano 1983;; F. Gaudioso, Brigantaggio, repressione e pentitismo nel Mezzogiorno preunitario, Congedo, Galatina 2002;; A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, il Mulino, Bologna 1997;; Jaeger, Francesco II di Borbone;; G. Di Fiore, I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli, UTET, Torino 2004.
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lo Stato borbonico, il fallimento delle strategie politiche di difesa delle sue istituzioni, le forme e la forza reale del sentimento nazionale duosiciliano PLQDWR DOOD EDVH FRP¶q QRWR GDOOD FRQÀLWWXDOLWj WUD PLFURQD]LRQDOLVPR napoletano e micronazionalismo siciliano. L’ultimo livello s’allarga al ter- ULWRULRLQVHQVRVWUHWWRFLRqOuGRYHODJUDQGHQRELOWjPHULGLRQDOHSRVVLHGH FRPHVLYHGUjSLDYDQWLLPPHQVLSDWULPRQLIRQGLDULFKHLQXQDVRFLHWj prevalentemente agricola permette a essa di conservare a livello locale un ruolo preminente e di esercitare condizionamenti sulle economie, sugli uo- mini e sulle forme della vita associata. La nobiltà meridionale, come oggetto di ricerca storica, è stata coin- volta in progressivi aggiustamenti delle categorie interpretative che la sto- ULRJUD¿DOHKDULWDJOLDWRDGGRVVRSHUFKpGLHVVDqPDQFDWRHDQFRUDPDQ- FD XQ SUR¿OR FLUFRVWDQ]LDWR XQ TXDGUR DVVHVWDWR GL FRQRVFHQ]H 4XHVWD mancanza è conseguenza di una sorta di “rimozione” operata dalla storio- JUD¿DFRQWHPSRUDQHLVWLFDQHLFRQIURQWLGHOODQRELOWjFKHVLVSLHJDGDXQD SDUWHFRPHKDVRVWHQXWR*LRYDQQL0RQWURQLFRQOH©GLI¿FROWjGLPLVX- rarsi con un “tema ambiguo”» e un gruppo dai tratti sociologici ondivaghi (si pensi ai processi ottocenteschi di “borghesizzazione” della nobiltà e di nobilitazione della borghesia),4 dall’altra con il perdurare «di una retorica risorgimentista e crociana che vuole le forze legate al sistema economico feudale distrutte dalle sinergie economiche e sociali messe in moto dal pro- FHVVRGLXQL¿FD]LRQHQD]LRQDOHªVLFFKpODQRELOWjqDSSDUVD©VFDUVDPHQWH credibile anche come semplice coprotagonista della storia dell’Ottocento meridionale».5 Ciò ha avuto evidenti conseguenze dal punto di vista della messa a punto metodologica e della sintesi interpretativa, con il ripiega- mento eccessivo del concetto di classe dirigente all’interno della categoria di borghesia H QHOOD UDI¿JXUD]LRQH GHOOD QRELOWj FRQ O¶LQVLVWHQ]D FHUWH (VHPSLVLJQL¿FDWLYLGLTXHVWLSURFHVVLVRQRSHULOSULPRFDVRLQS. Cavicchioli, L’eredità Cadorna. Una storia di famiglia dal XVIII al XX secolo, Carocci, Roma 2001, e P. Nardone, Denaro e terra. La “modernità” di un latifondo ottocentesco (secc. XVII- XIX), Franco Angeli, Milano 2004;; nel secondo, in G. Civile, G. Montroni, Tra il nobile e il borghese. Storia e memoria di una famiglia di notabili meridionali, Libreria Dante & Descartes University Press, Napoli 1996, e M.M. Rizzo, Potere e «Grandi Carriere». I Winspeare (secc. XVIII-XX), Congedo, Galatina 2004. 5. G. Montroni, Gli uomini del re. La nobiltà napoletana nell’Ottocento, Meridia na Libri, Roma 1996, pp. VIII-IX, e anche R. Romanelli, Nobiltà europee dell’Ottocento. In margine ad un convegno di studi, in «Passato e presente», 11 (1986), p. 133;; A.M. Banti, Note sulle nobiltà nell’Italia dell’Ottocento, in «Meridiana», 19 (1994), p. 26.
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volte stucchevole e spesso orientata da pregiudizi di natura ideologica, sulle categorie antinomiche di decadenza o di permanenza. Perciò, la no- biltà è stata liquidata troppo frettolosamente dalla problematicità della ri- cerca storica, ed è rimasta isolata in una lenta e distaccata agonia sociale oppure ingabbiata nel ruolo, talvolta grottesco, di un ingombrante residuo d’ancien régime. Oggi la situazione degli studi è un po’ migliorata, e le ricerche condotte su alcune importanti famiglie della nobiltà meridionale stanno dimostran- GRFKHOHFRVHQRQVWDQQRSURSULRFRVu*LjVXOO¶DYYLRGHOSURFHVVRGLHYHU sione della feudalità come svolgimento periodizzante della storia della QRELOWjPHULGLRQDOHqVWDWRQHFHVVDULRULÀHWWHUHSLDWWHQWDPHQWHHVRSUDW- tutto sulla base di elementi concreti. Stando ai due casi qui analizzati, per i Caracciolo de’ Sangro e i Dentice di Frasso l’eversione dei diritti feudali VDQFLVFHOD¿QHLQYHURSLIRUPDOHFKHUHDOHGHO³JRYHUQRVXJOLXRPLQL´ ma non ne compromette, di fatto, il dominio sulle risorse. Al contrario essa rappresenta la soluzione a parecchie incertezze giuridiche che alimentano la plurisecolare lotta con le comunità dei loro feudi per il controllo dei beni ambientali – liti che dal secolo precedente si trascinano in una condizione de iure condendo complicata dalle iniziative borboniche che hanno cercato di imbrigliare l’anarchia giurisdizionale creata dal baronaggio6±H¿QLVFH SHULPSULPHUHXQDIRUWHDFFHOHUD]LRQHYHUVRODGH¿QLWLYDVWDELOL]]D]LRQHH legalizzazione dei patrimoni fondiari delle due dinastie. &RPH GHO UHVWR q QHFHVVDULR ULÀHWWHUH VXOO¶DOWUR SUHVXQWR HYHQWR SH- riodizzante nella storia della nobiltà meridionale, ossia la crisi agraria dell’ultimo quarto dell’Ottocento, che avrebbe assestato il colpo di grazia alle rendite e alle fragili strutture produttive delle aziende agrarie nobiliari, FKHVRQRULXVFLWHGRSRO¶HYHUVLRQHHWUDJUDQGLGLI¿FROWj¿QDQ]LDULHDSUR- WHJJHUHGDOODSURJUHVVLYDGLVVROX]LRQHLSDWULPRQLWHUULHULQRQSLJDUDQWLWL dai vincoli sostitutori. Se si dovesse accettare a priori il carattere periodizzante di questa crisi VDUHEEHGLI¿FLOHVSLHJDUHOD³OXQJDGXUDWD´GHOODVWUDRUGLQDULD³PLVXUD¿VL- ca” del patrimonio rurale salentino dei Caracciolo-de’ Sangro, cioè circa PLOD HWWDUL GDO SULPR WUHQWHQQLR GHOO¶2WWRFHQWR ¿QR D PHWj 1RYHFHQ- to, quindi ben oltre lo sbarramento cronologico rappresentato dalla crisi DJUDULDGL¿QH;,;VHFROROHULFHUFKHFRQGRWWHVXTXHVWDIDPLJOLDKDQQR 6. M.A. Visceglia, Territorio, feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed Età moderna, Guida, Napoli 1988, pp. 307-316.
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evidenziato che bisogna attendere la riforma agraria degli anni Cinquanta del Novecento per assistere al vero colpo di grazia che smembra e riduce drasticamente le proprietà fondiarie degli ex duchi di Martina.7 Il caso dei Caracciolo de’ Sangro ovviamente non è generalizzabile, ma di certo non è un’eccezione. Per i Dentice di Frasso, infatti, vale lo stesso discorso. Angelo Massafra, in un saggio pubblicato in uno dei due volumi qualche anno fa dedicati all’archivio privato di questa famiglia, ¿QDOPHQWH PHVVR D GLVSRVL]LRQH GHJOL VWXGLRVL VRVWLHQH FKH LO SDWULPR- QLRLPPRELOLDUHGL&DVD'HQWLFHUDSSUHVHQWD¿QRDOODULIRUPDIRQGLDULD XQR GHL SL FRVSLFXL SDWULPRQL WHUULHUL GHOOD 3XJOLD FHQWURPHULGLRQDOH «Ne è testimonianza, indiretta ma eloquente, il fatto che poco meno di un quinto di tutte le terre espropriate in provincia di Brindisi in base alla legge 12-5-1950 sulla riforma agraria (2.130 ettari su 11.656) apparte- nesse alla Casa Dentice di Frasso, i cui esponenti avevano peraltro svolto, e svolgevano ancora negli anni Cinquanta, un ruolo di primo piano nella vita economica della provincia».8 Recenti ricerche hanno stabilito che le sole proprietà rurali salentine di uno dei rami della famiglia nella seconda PHWjGHO1RYHFHQWRVLHVWHQGRQRVXXQDVXSHU¿FLHGLROWUHHWWDUL9 Si tratta del ramo di Luigi Dentice VIII principe di Frasso (1861-1947). Per avere un’idea dell’entità patrimoniale immobiliare complessiva con- centrata nelle mani di questo membro della famiglia Dentice, basti dire che all’atto della sua successione ereditaria l’accertamento effettuato nel 1943 dall’Amministrazione delle Tasse e delle Imposte indirette sugli af- 7. Mi permetto di rimandare al mio Famiglia e patrimonio nobiliare nel Mezzogiorno dell’Ottocento: i duchi di Martina, in «Itinerari di ricerca storica», 20-21 (2006-2007), 1, pp. 565-629. 8. A. Massafra, Nobiltà e feudo nel Mezzogiorno d’Italia in età moderna e contem- poranea: i Dentice di Frasso e il loro archivio, in Archivi di Principi e di Comunità. Fonti per la storia di S. Vito dei Normanni, Atti del Seminario di studi, S. Vito dei Normanni, 13 dicembre 1996, a cura di D. Porcaro Massafra, Edipuglia, Bari 1998, p. 146. 9. Oltre alle mie, avviate qualche anno fa e poi interrotte a causa della reiterata ma non comprovata inagibilità dell’archivio storico della famiglia Dentice di Frasso – nono- stante fosse stato già sistemato a cura dalla Soprintendenza Archivistica per la Puglia e XI¿FLDOPHQWHDSHUWRDOODFRQVXOWD]LRQH±PLULIHULVFRLQSDUWLFRODUHDOODYRURGL(OLVDEHWWD Massaro, che nell’anno accademico 2010-2011 ha conseguito presso la Facoltà di Lettere H)LORVR¿DGHOO¶8QLYHUVLWjGHO6DOHQWRODODXUHDPDJLVWUDOHGLVFXWHQGRXQDWHVLGLULFHUFD in Storia Contemporanea intitolata Nobiltà e potere in età contemporanea. Il caso della famiglia Dentice di Frasso (secc. XIX-XX), di cui Anna Lucia Denitto è stata relatrice e io correlatore.
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fari stabilisce che il valore venale dell’intero asse è di circa 17 milioni di lire;;10VXOODEDVHGHLFRHI¿FLHQWLGLULYDOXWD]LRQHPRQHWDULDGHOO¶,67$7 questo dato corrisponde a circa 6 mi lio ni di euro attuali. Se si volesse ot- tenere il valore globale delle fortune che i Dentice di Frasso possiedono a metà Novecento, si dovrebbero sommare ai dati riguardanti l’asse di Luigi quelli relativi ai patrimoni dei suoi sette fratelli, che allo stato attuale delle ricerche non è stato possibile calcolare. Ma è lecito ipotizzare che si tratti di una cifra davvero notevole. Lo stesso discorso vale, per fare ancora un esempio, per i d’Ayala Valva di Taranto, che fra il tarantino e il brindisino possiedono, ancora a Novecento inoltrato, migliaia di ettari di terre (al momento non è pos- sibile fornire dati esatti), che pongono la famiglia tra le quindici casate G¶RULJLQHIHXGDOHGRWDWHGHOOHSLYDVWHSURSULHWjIRQGLDULHG¶,WDOLD3HULO solo ramo del conte Pietro d’Ayala Valva (1848-1923) sono stati accertati possedimenti rurali per circa 3.650 ettari.11 Quello dei d’Ayala Valva è un altro caso che conferma la persistenza del “potere nobiliare”. Pietro è una ¿JXUDGLULOLHYRQHOSDQRUDPDSROLWLFRHGHFRQRPLFRORFDOHHQD]LRQDOHWUD Ottocento e Novecento: è leader del cosiddetto “partito progressista” taran- tino;; nel 1882 è eletto deputato e il mandato gli viene confermato nelle VXFFHVVLYH VHL OHJLVODWXUH ¿QR DO TXDQGR q QRPLQDWR VHQDWRUH GHO Regno. La sua esperienza a Montecitorio – in cui siede a sinistra, avversa Depretis e sostiene Crispi anche dopo la sua caduta – si apre all’insegna di una decisa difesa del disegno di legge che assegna dei fondi al bilancio della Marina per la costruzione e l’impianto a Taranto dell’Arsenale e della Base navale. Nel corso degli anni l’impegno di Pietro per il progresso e la modernizzazione della città jonica si concretizza nell’azione politica a sostegno delle iniziative per la valorizzazione dello snodo ferroviario ta- ran tino, per l’istituzione del Banco di Napoli, della Banca d’Italia, per le ERQL¿FKHGHO0DU3LFFRORLOSRWHQ]LDPHQWRGHOSRUWRPHUFDQWLOHODFRVWUX- ]LRQHGHOSRQWHJLUHYROH¿QRDOUXRORGHFLVLYRFKHHJOLVYROJHQHOSHU 10. Archivio Storico di Casa Dentice di Frasso, Capitoli matrimoniali, testamenti e divisioni, b. 169, fasc. 61, Atto di donazione del 1942 di Luigi Dentice di tutti i suoi beni UXVWLFLDL¿JOLHGDWWLUHODWLYL . 3HUODULFRVWUX]LRQHGHOSUR¿ORSDWULPRQLDOHHGHOO¶DWWLYLWjDJUDULRLPSUHQGLWRULDOH di Pietro d’Ayala Valva ho consultato soprattutto la documentazione conservata nell’Ar chi- vio di Stato di Lecce;; in particolare il fondo Conservatoria delle ipoteche, serie Note e titoli, e il fondo Prefettura, serie I, categoria VII, Agricoltura, industria e commercio, versamenti III, IV e V, aa. 1896-1920.
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l’arrivo a Taranto degli imponenti cantieri navali della famosa ditta Franco Tosi di Legnano.12 Quest’ampia parentesi è stata aperta per evidenziare due fatti: il pri- mo, che lungo tutto il XIX secolo cambiamenti importanti stanno travol- gendo la nobiltà meridionale, con le sue gerarchie interne, la natura e la consistenza delle sue risorse economiche, la sua funzione e collocazione nella società e rispetto all’evoluzione dei contesti statali e istituzionali;; il secondo, che nonostante tali stravolgimenti la nobiltà resiste. Tra questi stravolgimenti c’è il crollo del Regno delle Due Sicilie e la nascita e la stabilizzazione del nuovo Stato unitario. La questione che qui si pone è la necessità di far luce su ruoli, comportamenti, funzioni che la nobiltà meridionale ha concretamente assunto in tutto questo, andando ROWUHOHLSRWHVLSLRPHQRYHURVLPLOLOHJHQHUDOL]]D]LRQLSLRPHQRHF- cessive, i silenzi delle congetture che tentativi, pur apprezzabili, di sintesi LQWHUSUHWDWLYDKDQQRRIIHUWR¿QRUD Gli indizi che sono emersi soprattutto dagli studi sui Caracciolo de’ Sangro e sui Dentice di Frasso rafforzano questa idea;; sono indizi che ancora non poggiano su solide basi documentarie, ma sembrano aprire VTXDUFLVXDVSHWWLLQHGLWLGHOODYLFHQGDSLFRPSOHVVLYDFKHTXLVLVWDDI- frontando. Questo perché sono ricerche che si basano sugli apporti di fonti ELRJUD¿FKHHLQGLYLGXDOL]]DQWLLlife documents, ossia gli archivi di fami- JOLD FKHFRQWHQJRQRLQIRUPD]LRQLGLI¿FLOPHQWHULQWUDFFLDELOLDGHVHPSLR nelle fonti oggettivanti. Nel 1860-1861, Riccardo de’ Sangro, all’epoca tenente generale degli Usseri della Guardia reale, partecipa ai noti fatti di Gaeta, e qui muore il 5 febbraio del 1861, qualche giorno prima della resa della fortezza.13 Il crollo del Regno delle Due Sicilie rappresenta un momento cruciale per i suoi ¿JOL3ODFLGRH1LFRODFKHUDFFROJRQRO¶HUHGLWjPDWHULDOHHLPPDWHULDOH di due dinastie ducali, quella materna dei Caracciolo e quella paterna dei 12. Per l’attività politica di Pietro d’Ayala Valva si vedano: «La Sentinella», 20 no- vembre 1890;; «La Voce del Popolo», 17 marzo 1923;; Camera dei Deputati, Atti del Parla- mento Italiano, Discussioni, e anche Id., Raccolta degli atti stampati della Came ra, voll. relativi alle legislature XV, XVI, XVII, XVIII, XIX e XX;; Camera dei Senatori, Atti del Parlamento Italiano, Discussioni, voll. relativi alle sessioni degli aa. 1900-1923. 13. Riferimenti a questi fatti si trovano in Biblioteca comunale di Martina Franca (in seguito si omette sottintendendone il rinvio), Archivio Caracciolo de Sangro, Fondo Carac- ciolo antico, parte Fuori inventario, serie Volumi di commemorazioni funebri, b. 35, f. 2, «Commemorazione funebre per Placido de’ Sangro Duca di Martina», 28 dicembre 1891.
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de’ Sangro, proprio nel momento in cui la monarchia borbonica sembra us- cire di scena. Sono due dinastie che, soprattutto negli ultimi decenni dalla ¿QHGHOSHULRGRIUDQFHVHKDQQRULIRQGDWRVWDWXVHSUHVWLJLRVXOODYLFLQDQ]D alla famiglia reale, sulla contiguità con l’unica fonte legittima di grandeur. Ora, invece, si trovano di fronte all’incognita rappresentata dal nuovo Sta- to unitario e alla prospettiva inquietante, se per i Borbone tutto va storto, di rimanere relegati nella zona d’ombra di una nobiltà lontana dalla corte dei Savoia, dove tra l’altro la fedeltà ai Borbone usque ad effusionem san- guinis±FRQVDFUDWDGDOVDFUL¿FLRGHOSDGUH5LFFDUGR±VDUjSUREDELOPHQWH FRQVLGHUDWDSLXQ IDWWRUHGLGLVFUHGLWRFKHGL GLVWLQ]LRQH , JHUPDQL GH¶ Sangro, come tanti altri esponenti dell’aristocrazia meridionale, si allon- tanano dall’Italia nell’estate del 1861 per un soggiorno a Parigi che dura circa dieci anni. Ma l’abbandono da parte degli aristocratici napoletani del Regno che crolla è un fatto arcinoto. Che si tratti di una fuga nella speranza che sia soltanto provvisoria e che tutto e tutti ritornino al loro posto, come era già accaduto nel ’48, è ciò che in generale si è sempre pensato.14 Ma dove fug- gono, quanto restano, che cosa fanno e cosa succede alle immense aziende DJUDULHDJOLDI¿WWLGLPDVVHULHHSRGHULDOOHUHQGLWHHFFFKHFRVWLWXLVFRQRL microsistemi economici su cui si reggono intere comunità o addirittura in- sie mi di comunità, a queste domande non sono state date risposte esaurienti. Nella lettera di congedo che Nicola de’ Sangro invia a un suo am- PLQLVWUDWRUHLOULIHULPHQWRDOULWRUQRSLRPHQRLPPHGLDWRFRQO¶DLXWRGL Dio, scrive, è esplicito. L’allontanamento è temporaneo e probabilmente SLDQL¿FDWRUDJJLXQJRQRODVRUHOODODGXFKHVVDGL&DVWHOOXFFLRFKHqJLj da qualche tempo nella capitale francese.15 Quindi Parigi forse non è una VFHOWDFDVXDOHQHOODFLWWjVWDQDVFHQGRXQRGHLSLLPSRUWDQWLFRPLWDWLGL esuli borbonici, sostenuto da una nutrita, e tollerata, fazione di combattivi legittimisti francesi interessati alla causa borbonica;;16 fazione che, tra le altre cose, nei primi anni Settanta avrebbe dato, com’è noto, qualche serio 14. Quando crolla lo Stato. Studi sull’Italia preunitaria, a cura di P. Macry, Li guo ri, Napoli 2003. 15. Archivio Caracciolo de’ Sangro, Fondo Archivio Caracciolo de’ Sangro. Pe rio do contemporaneo, Amministrazione duca di Martina Placido de’ Sangro, serie Corrispon- denza con gli agenti, b. 1, «Corrispondenza di Placido de’ Sangro con l’avvocato Pietro Le Marangi di Mottola», aa. 1850-1870, lettera di Nicola de’ Sangro a P. Le Marangi, Napoli, DJRVWR 16. Facineroso, La città dei “vinti”, p. 244.
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grattacapo alla neonata III Repubblica francese per le intemperanze del borbonico conte di Chambord. $QFRUDQRQqFKLDURFRVDDEELDQRIDWWRLJHUPDQLGH¶6DQJURSHUFRVu tanto tempo a Parigi. Non è possibile azzardare ipotesi, perché sarebbero troppo fantasiose;; si spera soltanto che dalle migliaia di lettere conservate nell’archivio di famiglia a Martina Franca emergano elementi utili a raf- IRU]DUHTXHVWR¿ORQHG¶LQGDJLQH Quello che si sa, invece, è che durante il primo decennio postunita- ULRWUDVDOWXDULHEUHYLULHQWULLQSDWULDLJHUPDQLGH¶6DQJURWHQJRQR¿WWL contatti dalla capitale francese con gli agenti e gli amministratori delle aziende agrarie nel Salento e nelle altre province meridionali. Vicari gene- rali, agenti locali, avvocati, caporali, guardiani armati, un piccolo esercito (al cui interno le mansioni sono articolate e fortemente gerarchizzate) che YLJLODVXOOHSURSULHWjGHLGH¶6DQJURVX¿WWDYROLPDVVDULSDVWRULDI¿WWXD ri, artigiani. Ma anche quel piccolo esercito è spiato e controllato da un SHUVRQDJJLRRVFXUR¿GDWLVVLPRHSRWHQWHO¶DYYRFDWR3LHWUR/H0DUDQJLGL Mottola. La trama di solidarietà verticali, che prima della caduta del Regno KDVRVWHQXWRODJHVWLRQHGHOO¶D]LHQGDDJUDULDVHPEUDV¿ODFFLDUVLSHUODGLI- ¿GHQ]DGHLGXFKLQHLFRQIURQWLGHLORURSLVWUHWWLFROODERUDWRULDOLPHQWDWD dall’ossessionante timore di furti campestri, frodi e ruberie di vario genere, dalla convinzione che complicità camorristiche si annidino nei vari livelli GHOO¶DPPLQLVWUD]LRQHD]LHQGDOHGDOODORQWDQDQ]D¿VLFDGDOOHORURSURSULHWj HLQ¿QHGDOVHQVRGLHVWUDQHLWjDOODQXRYDUHDOWjGHOOR6WDWRXQLWDULR7XWWR questo si traduce in un ulteriore giro di vite alla conduzione estorsiva delle ORUR SURSULHWj FRQ ULFDGXWH VLJQL¿FDWLYH VX WXWWR LO VLVWHPD GHJOL DI¿WWL H della produzione.17 , GH¶ 6DQJUR ULHQWUDQR VWDELOPHQWH D 1DSROL YHUVR OD ¿QH GHJOL DQQL 6HVVDQWDHUL¿XWDQRTXDOVLDVLGLUHWWRFRLQYROJLPHQWRLQIXQ]LRQLSXEEOL- che e politiche. Ma a questo punto le coincidenze sono di un certo peso e ULVXOWDGLI¿FLOHVRWWUDUVLDOODWHQWD]LRQHGLD]]DUGDUHXQ¶LSRWHVLÊSLXWWRVWR VLJQL¿FDWLYRFKHLOULHQWURGHLGH¶6DQJURFRLQFLGDFRQTXHOORGLWDQWLFR- spiratori borbonici che lasciano i centri del dispatrio per ritornare nelle loro DQWLFKHGLPRUHULWLUDQGRVLLQPROWLVVLPLFDVLDYLWDSULYDWD/D¿QHGHJOL DQQL6HVVDQWDFRP¶qQRWRUDSSUHVHQWDOD¿QHGLRJQLVRJQRERUERQLFRGL riconquista dell’ex Regno. Alle tante cose che sono accadute nel frattempo, 17. Per i riscontri documentari cfr. supraQRWDSHUXQDSLFLUFRVWDQ]LDWDULFRVWUX- zione Romano, Famiglia e patrimonio nobiliare nel Mezzogiorno, pp. 607-618.
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dai fallimenti delle strategie diplomatiche del governo di Pietro Ulloa alla neutralizzazione della carica esplosiva rappresentata dal brigantaggio me- ridionale, si aggiungono l’esito della III guerra d’indipendenza, che chiude GH¿QLWLYDPHQWHRJQLVSHUDQ]DGLULHQWURGL)UDQFHVFR,,QHOO¶H[5HJQROR scioglimento nel 1867 del suo stesso governo e il congedo di tutti gli am- basciatori sparsi per l’Europa. Comunque sia, nei due decenni successivi i de’ Sangro si dedicano HVFOXVLYDPHQWH DOO¶HODERUD]LRQH GL XQ¶DOWHUQDWLYD SL UHGGLWL]LD DOOD FRQ- GX]LRQHHVWRUVLYDGHOODORURD]LHQGDFRQXQDSLGHFLVDSROLWLFDSURGXWWLYDH mercantile, e a un’incisiva revisione dei criteri di conduzione del l’azienda, regolata da un dettagliato ordinamento amministrativo, aggiornato perio- GLFDPHQWH FKH ¿QR DL SULPL GHO 1RYHFHQWR LPSRQH QRUPH SUHFLVH DOOD gestione in economia di alcune masserie, del personale, della contabilità, GHOODFRUULVSRQGHQ]DGHJOLDUFKLYLGHJOLDI¿WWLHFF&LVDUjELVRJQRGLXQR scarto generazionale perché nella famiglia si ritorni a parlare di carriere pubbliche, militari e politiche.18 La casata di S. Vito dei Normanni, invece, reagisce agli eventi de- gli anni Sessanta in modo praticamente opposto. I Dentice di Frasso sono PHQRULFFKLGHOODIDPLJOLDGXFDOHPDUWLQHVHPDSLDWWLYLSROLWLFDPHQWH PHQRFRHVLVXOSLDQRGHOOHDOLVPRERUERQLFRHSLVHQVLELOLDOIDVFLQRGHOOH idee liberali. Nel 1848, vari membri dei rami cadetti della famiglia sono direttamente coinvolti nei governi costituzionali: tra questi Luigi Den- tice (1791-1850), contro il quale Francesco II farà spiccare un mandato d’arresto,19 e il germano Antonio (1810-1891), che dopo il fallimento del tentativo costituzionale, di cui è uno di principali fautori, fugge in Francia con Giuseppe Pisanelli e altri liberali, e qui resta per oltre un decennio, LQWUDWWHQHQGR WUD O¶DOWUR XQD ¿WWD FRUULVSRQGHQ]D FRQ &DYRXU ULHQWUHUj D Napoli dopo un breve soggiorno a Firenze già capitale del Regno d’Italia.20 Se per Antonio l’Unità d’Italia è il coronamento dei suoi ideali politici, al- tri esponenti della famiglia, come il nipote Francesco, seguono Francesco II prima a Gaeta e poi a Roma. Ma, come si è detto, si tratta di membri GHLUDPLFDGHWWL,OYHURWUDJKHWWDWRUHGHOOHVRUWLGHOODFDVDWDQHOODGLI¿FLOH 18. Ibid. 19. Massafra, Nobiltà e feudo nel Mezzogiorno d’Italia, p. 139. 20. Questo è quanto si racconta in L. Dentice, Storia di Casa Dentice, Tip. del Senato di G. Bardi, Roma 1934;; trattandosi di un “libro di famiglia” e in assenza – allo stato attuale delle ricerche – di riscontri documentari diretti, a queste informazioni deve essere attribuito il FDUDWWHUHFKHQHOODPHWRGRORJLDGHOODULFHUFDVWRULFDYLHQHGH¿QLWRGL³DWWHQGLELOLWjSUHVXQWD´
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WUDQVL]LRQHGDL%RUERQHDL6DYRLDqO¶HUHGHGHOUDPRSLLPSRUWDQWHHFLRq quello principesco, ossia Ernesto Dentice VII principe di Frasso (1825- 1886), dal 1858 gentiluomo di camera del re, o “uomo dalla chiave d’oro”, a indicare che gli è permesso l’accesso a tutte le stanze della reggia, e cavaliere della Gran Croce del Real Ordine di S. Gennaro, uno dei prin- cipali ordini cavallereschi del Regno delle Due Sicilie. La sua fedeltà alla corona duosiciliana sembrerebbe dunque attestata da questa prestigiosa ti- tolatura, riservata solo ai fedelissimi esponenti della maggiore aristocrazia di corte. Eppure Ernesto non impiega molto tempo ad abbracciare la causa della dinastia sabauda e ad aderire alle istituzioni del neo-costituito Regno d’Italia: nel 1868 è in una sottocommissione per l’Esposizione universale di Parigi;; nel 1870 è eletto deputato nello schieramento di destra;; nel 1873 Vittorio Emanuele II gli conferisce la nomina di commissario onorario per l’Esposizione universale di Vienna;;21 nel 1876 gli viene attribuita per censo la carica di senatore del Regno.22 3UREDELOPHQWHLOSDVVDJJLRDOODQXRYDUHDOWjQD]LRQDOHJOLqUHVRSL agevole dalle esperienze liberali e patriottiche dei suoi parenti, ben note D&DYRXUHDL6DYRLD0DIRUVHQRQqWDQWRODTXHVWLRQHGHOORV¿ODFFLDWR lealismo borbonico che ha attraversato la casata dei Dentice di Frasso a fa- vorirne l’integrazione nel quadro del nuovo Stato unitario. È possibile che LQTXHVWRVHQVRJLRFKLQRXQUXRORPROWRSLLPSRUWDQWHLOFRVPRSROLWLVPRH ODUHWHGLVROLGHHLQÀXHQWLDOOHDQ]HSDUHQWDOLHDPLFDOLGHLSULQFLSLGL69LWR dei Normanni. Ernesto ha sposato nel 1857 la contessa Luisa Chotek, che gli porta in dote il prestigioso e redditizio feudo di Krawsko, in Moravia;; /XLVD q FXJLQD GL 6R¿D &KRWHN GXFKHVVD GL +RKHQEHUJ FLRq OD FRQVRUWH dell’arciduca Francesco Ferdinando. Qualche anno prima, una delle sorelle di Ernesto ha sposato il conte bavarese Ottone Bray-Steinburg, ciambellano GHOUHGL%DYLHUDHPLQLVWURSOHQLSRWHQ]LDULRD9LHQQD$QFKHL¿JOLGL(U- QHVWRFRQWLQXHUDQQRDVWULQJHUHOHJDPLPDWULPRQLDOLFRQHVSRQHQWLGHOODSL titolata nobiltà europea, soprattutto dell’area austro-ungarica.23 In buona sostanza, ci sono fondati motivi per sostenere che i Savoia e i loro governi liberali non possano ignorare le relazioni internazionali GHL'HQWLFHLQXQPRPHQWRGLI¿FLOHSHULOQXRYR6WDWRXQLWDULRFUHVFLXWR 21. Ibid. 22. Archivio Storico di Casa Dentice di Frasso, Carteggio, b. 97, f. 32, Decreto reale di nomina a senatore del Regno (1876). 23. Dentice, Storia di Casa Dentice, passim.
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LQIUHWWDHFRVuWDQWRGDGHVWDUHIRUWLSUHRFFXSD]LRQLVRSUDWWXWWRD9LHQQD per gli equilibri continentali. D’altra parte, i Dentice dimostrano di avere piena consapevolezza delle opportunità politiche ed economiche che of- IUHORURTXHVWDFRQGL]LRQH6LJQL¿FDWLYDqLQTXHVWRVHQVRO¶HVSHULHQ]DGHO primogenito di Ernesto, il già citato Luigi VIII principe di Frasso, che negli anni Novanta dell’Ottocento, all’avvio della sua carriera politica – peraltro scialba e vissuta fortemente in subordine rispetto all’attività imprendito- ULDOH± q XQR GHLSULQFLSDOLH SL DVFROWDWLSURPRWRUL VLD D OLYHOOR ORFDOH che nazionale, della controversa proposta di un’intesa commerciale con l’Austria-Ungheria, in cui fa valere tutta la sua esperienza e tutti i suoi in- teressi economici di produttore vitivinicolo e proprietario di estesi vigneti in Moravia e in Terra d’Otranto.24 Anche il governo fascista non esiterà a servirsi delle relazioni inter- nazionali dei Dentice di Frasso. Si prenda, per esempio, il caso di Carlo Dentice (1876-1945), uno dei fratelli minori di Luigi, che dal 1909 allo scoppio della prima guerra mondiale è deputato al Parlamento sostenuto dai settori liberal-conservatori e cattolico-moderati della provincia di Ter- ra d’Otranto. Benché concepisca il suo mandato parlamentare in termini PROWRSLDWWLYLHSURGXWWLYLULVSHWWRDOJHUPDQR/XLJLJOLLQWHUHVVLGL&DUOR si concentrano soprattutto negli Stati Uniti, dove sposa prima Giorgina Wilde,25 nipote di un famoso contrammiraglio della marina statunitense, e SRLQHO'RURWK\&DGZHOO7D\ORULUUHTXLHWD¿JOLDGHOPLOLRQDULRGHO New Jersey Bertrand Taylor, ex moglie del pioniere aeronautico Claude Grahame-White e amante dell’attore americano Gary Cooper.26 Agli ini- zi degli anni Trenta Carlo è tra i fondatori dell’American Soya Products Corporation, una società che poggia su un capitale di oltre un milione e 200mila dollari, di cui poi diverrà vicepresidente.27 Negli Stati Uniti, Carlo vanta amicizie con esponenti importanti del governo e della politica. In 24. Ampie trattazioni della vicenda si trovano soprattutto sulla stampa locale e nazio- nale di quegli anni, come «Corriere meridionale», «Il Messaggero salentino», «Gazzetta delle Puglie», il «Giornale vinicolo italiano», «Il Corriere di Napoli», ecc. 25. L’annuncio delle nozze è riportato tra gli eventi mondani del «St. John Daily Sun» del 19 maggio 1906, consultabile in formato digitale all’indirizzo http//:news.google.com/ newspapers?nid=37&dat=19060519&id=O5oxAAAAIBAJ&sjid=3jUDAAAAIBAJ& pg=5335.6058722. 26. Sulla movimentata vita della contessa Cadwell Taylor di Frasso cfr. P.F. Boller jr., R.L Davis, Hollywood Anectodes, William Morrow, New York 1987, pp. 356 ss. 27. Dentice, Storia di Casa Dentice, pp. 138-139.
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questi ambienti, dove evidentemente conduce attività di spionaggio per conto del governo fascista, viene a conoscenza delle ultime novità messe a punto nei laboratori militari statunitensi per l’innovazione della tecno- logia degli armamenti. Galeazzo Ciano ha scritto nel suo diario che Carlo riferisce «di una mirabolante scoperta americana di una polvere da sparo ultra potente, senza fumo, senza luce nell’esplosione, senza calore etc. Sarebbero disposti a cederne il segreto a noi. Dentice si fa garante della cosa»;;28 l’operazione poi fallirà per motivi ancora non chiari. Al di là degli HVLWLDL¿QLGHOGLVFRUVRDIIURQWDWRLQTXHVWHSDJLQHSUREDELOPHQWHQRQF¶q bisogno di commentare la vicenda. &RQFOXGHQGR VHPEUHUHEEH FKH WXWWL L IDWWL ¿Q TXL WUDWWDWL DQFKH VH davvero in estrema sintesi, sorreggano ragionevolmente tanto le ipotesi IRUPXODWH LQ DSHUWXUD VXOOD SL JHQHUDOH TXHVWLRQH GHOOD WHQXWD GHL ³SR- teri” ai vari livelli della vita associata che la nobiltà meridionale detiene nella storia otto-novecentesca del paese, quanto le proposte di lettura o rilettura del ruolo dell’aristocrazia napoletana nei processi politici, sociali, economici, culturali, ecc. che s’intrecciano nella fase di transizione dallo Stato borbonico a quello unitario. Tornando ai casi di studio qui illustrati, ci sarebbe ancora tanto da dire sulle scelte compiute a vari livelli dai de’ Sangro e dai Dentice di Frasso e sulle differenze comportamentali delle due casate di fronte allo sfascio del Regno duosiciliano e alla nascita e costruzione dello Stato unitario, soprat- tutto se si parte dal presupposto della comune appartenenza al presti gioso ed esclusivo gruppo dell’alta aristocrazia della corte e dei governi borboni- FL4XHVWHVWRULHFRVuGLYHUVHVRQRVRORIUDPPHQWLGLXQDYLFHQGDSLDP- pia che in età contemporanea riguarda il complesso e frastagliato mondo dell’élite nobiliare meridionale borbonica e poi italiana. Un mondo che, dal periodo preunitario alla repubblica, rappresenta una sezione ristret ta PDDVVDLLQÀXHQWHGHOODQRVWUDVRFLHWjHWXWWDYLDFRVuSRFRLQGDJDWRFKH SUREDELOPHQWHKDDQFRUDPROWRGDRIIULUHDOODFRQRVFHQ]DHFKLDUL¿FD]LRQH di fatti salienti e di contraddizioni della storia d’Italia.
28. G. Ciano, Diario, a cura di U. D’Andrea, Rizzoli, Milano 1946, p. 25. Devo a Elisabetta Massaro questa informazione, che è riportata nella sua già citata tesi di laurea Nobiltà e potere in età contemporanea, p. 67, dove inoltre è scritto che nell’Archivio di Casa Dentice si conserva un corposo carteggio tra Carlo e il Ministero della Guerra italiano per l’acquisizione del nuovo esplosivo.
ALESSANDRO LAPORTA Istituzioni culturali ed educazione nazionale: alle origini della «Biblioteca Castromediano»*
1. È bene avvertire, all’inizio di questa mia relazione, che sono due le biblioteche che si collegano al nome di Sigismondo Castromediano: la prima, la Biblioteca provinciale «Nicola Bernardini» di Lecce, il cui fondo primitivo, insieme a quelli dei conventi soppressi a seguito delle leggi in vigore all’indomani dell’Unità, si deve al mecenatismo illuminato *. I classici a cui faccio riferimento sono la Storia dei Mille narrata ai giovinetti di G.C. Abba, le Ricordanze della mia vita di L. Settembrini e le Confessioni d’un italiano di I. Nie- vo. Del libro intitolato Caballino di Sigismondo Castromediano, pure ristampato nel 1976 e QHOODSLDWWHQGLELOHHGL]LRQHUHVWDTXHOODDFXUDGL*1HQFL8Q¶LQHGLWDPRQRJUD¿D di Sigismondo Castromediano su Cavallino, in «Annali dell’Università di Lecce. Facoltà GL/HWWHUHH)LORVR¿DHGL0DJLVWHURªVQ/HFFHSS3HUO¶HSLVWRODULRq fondamentale «Mi scriva, mi scriva sempre…». Regesto delle lettere edite ed inedite di Sigi- smondo Castromediano, Pensa MultiMedia, Lecce 1998, di F. D’Astore, del quale va anche tenuto presente, per l’argomento da me qui trattato, Le biblioteche private nel Salento e la Bi- blioteca di Sigismondo Castromediano, in Archivi e Biblioteche: la formazione professionale e le prospettive della ricerca in Puglia, Atti del Convegno di studio di Arnesano (25 ottobre 2002), Milella, Lecce 2005, pp. 67-77. Delle biblioteche private si sono anche occupati: D. Valli, Contributo a un inventario del patrimonio-libro in Provincia di Lecce, in «Contributi» (di Maglie), 2/3 (1983), pp. 35-57;; C. Massaro, La Biblioteca dell’Arcivescovo di Otranto Nicola Pagano (1424-1451), in «Annali del Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali», 4 (1985), pp. 61-80;; G. Vallone, Biblioteche salentine tra Sei e Settecento, in Il Barocco a Lecce e nel Salento, De Luca, Roma 1995, pp. 395-398, che ho ricordato a suo luogo. Per la WLSRJUD¿DOHFFHVHQRQVLSXzSUHVFLQGHUHGDOOLEURGL*6FULPLHULAnnali di Pietro Micheli, Editrice Salentina, Galatina 1976. Le citazioni testuali provengono da: G. Gigli, Sigismondo Castromediano, A.F. Formiggini, Genova 1913 (ristampato dall’editore Congedo di Galatina in edizione facsimilare nel 2011), e R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, Fratelli Treves, Sesto S. Giovanni 1914. Per qualche notizia aggiuntiva sulla biblioteca rinvio a: A. Laporta, La Biblioteca Provinciale di Lecce. Passato presente e futuro, in Nuove tecnologie Biblioteche Mediateche, Amaltea, Castrignano dei Greci 2003, pp. 13-22.
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del patriota di Cavallino, che la volle fortemente, con il Museo provincia- le, come pilastro culturale della nuova identità italiana, ha richiamato nel WHPSRO¶DWWHQ]LRQHGLSLVWXGLRVLGHOODVHFRQGDTXHOODSLSURSULDPHQWH privata, chiusa alla curiosità esterna perché custodita dalle mura secolari GHOFDVWHOORGL&DVWURPHGLDQRQHOSDHVHQDWLRQRQVLqFUHGR¿QRDTXHVWR momento, occupato nessuno, un po’ forse sottovalutandone l’importanza obiettiva, ed è perciò che sono stato invitato a farlo in questa occasione, GHOODTXDOHQRQSRVVRQRQDSSUR¿WWDUH Ma se è vero – ed è vero oltre che ampiamente dimostrato – che l’esa- me delle biblioteche di alcune persone è non solo osservatorio privilegiato per la conoscenza del carattere e della formazione delle stesse, ma via di- UHWWD SHU LQWHQGHUQH O¶HYROX]LRQH GHO SHQVLHUR H GHFRGL¿FDUQH L FRPSRU- tamenti, sia che si tratti di personaggi di fantasia come Don Chisciotte di Cervantes o Don Ferrante di Manzoni, sia che si tratti di uomini o donne realmente esistiti, i cui libri siano a loro sopravvissuti o ne sia stata con- servata almeno la memoria, c’è da chiedersi allora come mai si sia pensato VRORDGHVVRHLQFRLQFLGHQ]DFRQLODQQLYHUVDULRGHOO¶,WDOLDXQLWDFKH ricorre nello stesso anno del secondo centenario della nascita di Castrome- diano, a questo particolare itinerario di ricerca. Non so dare una risposta, ma posso assicurare che ho lavorato in questa direzione convinto di potere ulteriormente contribuire ad ampliare, sia pure in minima parte, le nostre FRQRVFHQ]HLQWRUQRDOO¶DIIDVFLQDQWH¿JXUDGHOGXFD 2. Mi è sembrato doveroso documentarmi su cosa leggessero i giovani di allora per risalire alle loro biblioteche e posso fornire almeno tre esempi, non secondari, relativi a questa casistica. È inteso che il riferimento è a fa- miglie non digiune di lettere, nel cui clima domestico il libro occupava un posto di alta considerazione ed esercitava un ruolo assolutamente primario: per l’educazione e per il prestigio, in un “piccolo mondo antico” in cui il patrimonio delle idee non poteva andare disgiunto da quello che era, insie- me al giornale, il principale strumento della loro circolazione e diffusione: e ciò maggiormente in un’età, come quella del Risorgimento, che tanto deve oltre che all’azione ai libri che l’avevano preparata. Abba è telegra- ¿FRPDDOWHPSRVWHVVRFKLDULVVLPR©0DTXHLPLOOHFKLHUDQR"&KHFRVD erano?» si chiede, e risponde: «uomini di mezza età, educati dalla Giovine Italia, tra le congiure e le insurrezioni;; giovani nei quali la letteratura clas- sica e la romantica s’erano fuse in una bella temperanza a fecondare l’amor GLSDWULDª(DJJLXQJHSLDYDQWL
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9HQ¶HUDQRFKHDYHYDQRFRQFHSLWRLOSHQVLHURGLDQGDUODJJLSHUXQULFRUGR di scuola di qualche anno addietro: un luogo dell’Odissea e dell’Eneide;; o il racconto letto in Plutarco della libertà data dai Siracusani ai prigionieri ateniesi, solo per averli sentiti cantare i cori di Euripide;; o un episodio della JXHUUDVHUYLOHGHLWHPSLURPDQL(Y¶HUDFKLSLFKHGHOOHFRVHDQWLFKHHUD pieno delle recenti, per aver letto nella storia del Colletta i supplizi del Carac- FLRORHGHOOD6DQIHOLFHROD¿QHGHOODUHSXEEOLFD3DUWHQRSHDQHO
Egli sottolinea dunque la conoscenza del mondo classico, non disgiun- WDSHUzGDTXHOODGHOODVWRULRJUD¿DFRQWHPSRUDQHD(JOLIDHFR6HWWHPEUL- ni, il secondo esempio che voglio citare: Si leggeva con ardore le storie del Botta, e si attendeva quella del Colletta;; non v’era chi non parlasse delle Prigioni del Pellico, ogni giovanotto sapeva a mente le poesie del Berchet;; tutti palpitavano a leggere l’Ettore Fieramo- sca del D’Azeglio;; gli artisti rappresentavano in diverso modo il campione d’Italia, e chi amava le armi si faceva bello di possedere lame di spade e di pugnali su cui era scritto il giorno e l’ora del duello di Barletta. Di Dante non vi dico nulla: era l’idolo degli studiosi: egli rappresenta la grande idea della nostra nazionalità, egli il pensiero, l’ingegno, la gloria, la lingua d’Italia. Ci era un altro idolo per la moltitudine. Fino allora era stato peccato mortale il pur nominare Napoleone, e di soppiatto girava un libretto intitolato il Prigio- niero di S. Elena.
Ippolito Nievo ci presenta una sintetica scelta al femminile, che uni- sce al punto di vista non frequente ma sostanzialmente coincidente con gli altri, l’attenzione alla modalità della lettura: Erano avanzi d’una biblioteca andata a male in una cameraccia terrena per l’incuria dei castellani e la combinata inimicizia del tarlo, dei sorci e dell’umi- dità. La contessina […] appena rimesso piede in casa, erasi ricordata di quello stanzone ingombro di volumi sbarellati e di cartapecore. E si pose a pescarvi entro, quel poco di buono che restava. Qualche volume di memorie tradotte dal francese, alcune storie di quelle antiche italiane che narrano le cose alla FDVDOLQJDHVHQ]DULJRQ¿DWXUHLO7DVVRO¶$ULRVWRHLOPastor Fido del Gua- rini, quasi tutte le commedie del Goldoni stampate pochi anni prima, ecco a TXDQWRVLULGXVVHURLVXRLJXDGDJQL$JJLXQJHWHDWXWWRFLzXQ8I¿]LRGHOOD Madonna e qualche manuale di devozione, ed avrete il catalogo della libreria […]. Spesso tutti gli abitanti del castello dormivano, che il lume della lampa- da traluceva ancora dalle fessure del suo balcone;; e quando poi ella prendeva in mano o la Gerusalemme Liberata o l’Orlando Furioso […] l’olio mancava al lucignolo, prima che agli occhi della giovane la volontà di leggere.
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Non dobbiamo allontanarci molto da queste descrizioni, se vogliamo avere un’idea di quella che era, per gli anni di formazione e di studio, l’avita biblioteca di Cavallino da cui trasse linfa e in cui si esercitò l’intel- OLJHQ]DGL&DVWURPHGLDQRSHULYHQW¶DQQLSLRPHQR¿QRDOIDWLGLFR¶ cui potette attingervi. 0DSLFRQFUHWHFHUWDPHQWHOHWUDFFHFKHHPHUJRQRGDLVXRLVFULWWL LQ SDUWLFRODUH GDOOD PRQRJUD¿D LQWLWRODWD Caballino, su cui voglio soffer- PDUPL SHUFKp GD TXHVWR WHVWR VFHOWR FRPH EDQFR GL SURYD q SL IDFLOH risalire alle componenti fondamentali della sua cultura che appare subito come improntata al mondo classico e alle sue letterature, rafforzata dal- ODVWRULRJUD¿DORFDOHFKHDVXDYROWDUHVWDYDIRUWHPHQWHOHJDWDDOODFLYLOWj della Magna Grecia, e naturalmente attenta alle componenti romantiche e FRQWHPSRUDQHHSLDWWLYHFKHSUHPHYDQRSHULQQHVWDUVLVXOUREXVWRWURQFR GHOODWUDGL]LRQH$OSULPRJUXSSRDSSDUWHQJRQRLSLQRWL3DXVDQLDH3R- libio, Dionigi d’Alicarnasso e Tolomeo, e i meno noti Appiano Alessan- drino, Ellanico e Giulio Polluce, nonché i latini Plinio, Livio e Ovidio: i rinvii presuppongono, oltre a una buona conoscenza del greco e del latino, una pratica ben collaudata nella ricerca e nel trattamento delle fonti. Per gli storici salentini la gamma spazia dal Galateo a Jacopo Antonio Ferrari, dal 0DUFLDQRD%HDWLOORSDVVDQGRSHU7DVVHOOL¿QRD/XLJL&HSROODH6DYHULR Caputi, e ai “campioni” del suo tempo Luigi Giuseppe De Simone, Pietro 3DOXPER*LDFRPR$UGLWLH&RVLPR'H*LRUJL6LJQL¿FDWLYHOHSUHVHQ]HGL Vittorio Imbriani e Antonio Casetti («che era mio nipote, e lo piango quan- do mi ritorna alla mente, per gentilezza di animo e per chiarezza e nobiltà di dettato», postilla malinconicamente il Castromediano) che aprono all’in- teresse per il folklore, del geologo italiano Giovanni Capellini che esami- nò la pietra leccese, dell’ungherese F.F. Romer e dell’inglese M.F. Maury, che allargano l’orizzonte delle amicizie e delle corrispondenze del duca, di $OHVVLR6LPPDFR0D]]RFFKLGHO3DLVHGHO0RPPVHQFKHqGLI¿FLOHPDQ- chino nell’erudizione, rispettivamente del Settecento e della seconda metà GHOO¶2WWRFHQWR$UULFFKLVFRQRO¶HOHQFRUHQGHQGRORSLVR¿VWLFDWR5DIIDHOH Volterrano e Leandro Alberti, il monumentale 'L]LRQDULRJHRJUD¿FRUDJLR- nato del Regno di Napoli del Giustiniani e il trattato sulla tarantola di Fran- cesco Serao. Una citazione a parte, come dicevo prima, meritano il genere URPDQ]HVFRUDSSUHVHQWDWRGDOFDSR¿ODVDOHQWLQR*LXVHSSH&DVWLJOLRQHGHO quale si ricorda il Rinnegato salentino incentrato sulla vicenda dei martiri G¶2WUDQWRHLO%RWWDFKHLQGXFH&DVWURPHGLDQRDTXHVWDDPDUDULÀHVVLRQH
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Furon quei Turchi che ben presto uniti alle orde del cardinale Ruffo, come narra il Botta nella sua Storia d’Italia, a Napoli gridarono: viva la Santa Fede, cioè il saccheggio, le stragi, le uccisioni e gli errori d’ogni maniera, e a Roma: viva il Papa!… Oh la ragione umana, quante volte accecata dalla ferocia inciampa nella contraddizione e nel ridicolo!
Rimando che fa perfettamente il paio con il passo del Settembrini pre- cedentemente letto, a tutta conferma di studi, letture, sentimenti e passioni comuni ai protagonisti del nostro Risorgimento. 4. Andando ancora oltre e affrontando il mare magnum dell’episto- lario di Castromediano, grazie al Regesto messo pazientemente a punto da Fabio D’Astore, si trova eco di qualcuna delle “voci” di questo lungo elenco. Se la citazione rivela la sua fredda natura e non si allontana dalla WHFQLFD PHWRGRORJLD ELEOLRJUD¿FD QHOOD OHWWHUD GRYH SL FRQ¿GHQ]LDOH H diretto è il rapporto, il libro coinvolge emotivamente chi la scrive o chi la riceve, e spesso aiuta a penetrare con lo sguardo oltre invalicabili muri di FRQ¿QH'D0RQWHVDUFKLRFKLHGHDOVDFHUGRWH3DVTXDOH'H0DWWHLVGL&D- vallino l’invio delle Storie di Appiano Alessandrino (14 novembre 1857) e si lamenta in data 30 giugno dell’anno successivo di non aver ricevuto, insieme agli altri libri, né Appiano Alessandrino né il De situ Iapygiae di Antonio De Ferrariis Galateo. Rientrato a Lecce, comunica all’amico Luigi Maggiulli di aver ricevuto in dono i Lamenti sacri e scritturali spiegati con doppio senso letterale ed allegoricoGL)UDWH6HUD¿QRGHOOH*URWWDJOLH UDULWjELEOLRJUD¿FDHGLWDGD3LHWUR0LFKHOLD/HFFHQHOOHWWHUDGHO aprile 1872). E ancora nel 1890 allo stesso amico di Muro Leccese comu- nica la delusione per non essere riuscito a trovare copia presso la biblioteca Marciana di Venezia de I meteori di Cesare Rao di Alessano (edizione, precisa il duca, di Venezia, 1582, presso Giovanni Varisco e Compagni) mentre risultano presenti due altre opere del bizzarro autore salentino, le Argute et facete lettere, Venezia, appresso Lucio Spineda, 1610, e le Invet- tive orationi et discorsi, edizione di Venezia presso Damiano Zenaro,1592. Queste puntigliose richieste non si comprendono senza la memoria della biblioteca di famiglia, la libreria di Cavallino che il corrispondente doveva conoscere bene quanto lui, e della quale poteva avere la totale disponi- bilità. La ricerca “a distanza” si esercita, ahimè, anche oggi ed è croce e delizia dei gelosi proprietari di una raccolta libraria, dei bibliotecari o di FKLVLWURYDSHUQHFHVVLWjDGRYHUOLVRVWLWXLUH1HOVHFRQGRFDVRDQFRUDSL LQWULJDQWHQRQVLFRPSUHQGHVHODULFHUFDKDDYXWREXRQ¿QHHVHLOOLEUR
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evidentemente necessario allo scrivente è stato successivamente acquisito o meno alla privata collezione. Si tratta, certo, solo di frammenti residuali, che testimoniano indiretta- mente a favore della biblioteca in quanto tale, ai quali bisognerà aggiungere gli eventuali resti ancora conservati presso i rappresentanti della famiglia Gorgoni, attuali proprietari del castello di Cavallino, e quanto potrebbe restituire il mercato antiquario. 5. Mi dispiace dover comunicare, a questo punto, che a quanto detto ¿QRUDQRQFRUULVSRQGRQRLULVXOWDWLFKHLRVWHVVRDVSHWWDYRLOWHPSRDPLD disposizione non è stato molto e ho dovuto perciò necessariamente limitar- mi a qualche campionatura, un semplice sondaggio, effettuato prestando SLIHGHDOO¶LQWXLWRHDOO¶HVSHULHQ]DFKHDXQDPHWRGRORJLFDHVSORUD]LRQH dei fondi antichi della Biblioteca provinciale. So, come sanno tutti, che avrei potuto esaminare il settore degli Scrittori Salentini che sicuramente conserva volumi appartenuti al duca, e come esempio avrei potuto citare, a conferma anche del rapporto di amicizia intercorso fra i due, Giornali e giornalisti leccesi di Nicola Bernardini (Tip. Lazzaretti, Lecce 1886), indi- FDWRGD)DELR'¶$VWRUHFRPHHVHPSLRGLOLEURSRVWLOODWRHTXLQGLVLJQL¿FD- tivo di un certo modo di lavorare del Castromediano, cui piaceva appuntare le proprie impressioni sulla stessa pagina che leggeva;; e ciò naturalmente si può fare sui libri di proprietà e non su quelli di una pubblica biblioteca. O avrei potuto indirizzare le mie ricerche verso i libri di interesse storico, dove un solo fortunato approccio mi ha permesso di individuare la copia di un volume di Salvatore De Renzi intitolato Il secolo Decimoterzo e Giovanni da Procida (Stamperia del Vaglio, Napoli 1860) che reca al suo interno la dicitura: «Alla Biblioteca di Lecce dono del Duca S.C. 8 aprile 1875». Ma PLSUHPHYDVRSUDWWXWWRGDUHVRVWDQ]DDOOHPLHLSRWHVLHYHUL¿FDUQHO¶HVDWWH]- ]DHTXLQGLQRQPLULPDQHYDFKHRULHQWDUPLYHUVROHHGL]LRQLSLDQWLFKH quelle del Cinquecento, confermando il ruolo che i classici avevano avuto QHOODIRUPD]LRQHGHOJLRYDQH&DVWURPHGLDQRHSRLSHUWXWWDODVXDYLWD¿QR alla vecchiaia, e puntando alla ricostruzione, documenti alla mano, del nu- FOHRSULPLWLYRGHOODELEOLRWHFDGLIDPLJOLDFKHDUULFFKLWRGDVWUDWL¿FD]LRQL successive e per ultimo dalle acquisizioni dovute personalmente a lui, è JLXQWR¿QRDQRLFRQÀXHQGRQHJOLVFDIIDOLGHOOD3URYLQFLDOH 0DSULPDGHOODFLWD]LRQHqGRYHURVRGLUHEUHYHPHQWHGHOOHSLFR- VSLFXHELEOLRWHFKHDQWLFKHGHO6DOHQWRDSSDUWHQXWHD¿JXUHGLHFFOHVLDVWLFL
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di spicco come l’arcivescovo di Otranto Nicola Pagano (1424-1451) o il vescovo di Lecce Luigi Pappacoda, composta di circa cinquecento volumi, o a esponenti della nobiltà e dell’aristocrazia locale, come il marchese di *DODWRQH&RVLPR3LQHOOLSRFRSLGLXQFHQWLQDLRGLYROXPL LOHFFHVL*LX- gni e i galatinesi Papadia che hanno il loro erudito in Baldassarre (1748- 1832) la cui raccolta è conservata presso la Provinciale, diversamente dalle altre andate purtroppo disperse. O ancora quella di Francesco Bernardino Cicala a Lecce, dei Guarini a Scorrano, dei Maggiulli poi Cacciatore a Morciano di Leuca. Si tratta di biblioteche, alcune ormai virtuali altre for- tunosamente conservate, che hanno costituito e in parte costituiscono la struttura portante della cultura salentina, che sono andate facendosi sempre SLFRQVLVWHQWLFRQORVFRUUHUHGHLVHFROLHFKHLQFHUWLFDVLKDQQRUDJJLXQWR una notorietà tale da competere con le altre rivali a livello europeo. Mi riferisco a quella del cardinale Renato Imperiali di Francavilla Fontana e a quella di Michele Arditi da Presicce, talmente famosi da non richiedere in questa sede ulteriori notizie aggiuntive. Al di là della amara constatazione di Ferdinand Gregorovius, lo studioso d’oltralpe ben noto a Sigismondo Castromediano, che ricordava a Nardò la biblioteca del vescovo Sanfelice, a Brindisi quella dell’arcivescovo De Leo e, delle private, a Lecce la Ro- mano, a Galatina la Papadia, a Gallipoli quelle dei Fontò e dei Ravenna, il territorio ha espresso sempre biblioteche scelte e di gusto, la cui sorte è VWDWDVWLJPDWL]]DWDGD'RQDWR9DOOLLQXQDSDJLQDFKHGRYUHEEHHVVHUHSL frequentemente ricordata, in cui scrive di una «storia del passato, in parte gloriosa, in parte tormentata, in parte storia di inadempienze, di dimenti- canze e di avvilimenti». E a queste prestigiose raccolte librarie va aggiunta senz’altro la libreria dei Castromediano, che Giancarlo Vallone ha segnala- to per primo: la struttura tripartita, aperta al mondo classico, alla tradizione culturale locale (che è da lui indicata come «antiquaria salentina») e a quel- ORFKHSRWUHEEHGH¿QLUVLFRPHO¶DJJLRUQDPHQWRQHFHVVDULRDOODVRSUDYYL- YHQ]DPDDQFKHVSHFFKLRGHOODPRGDGRYXWRDOODQDWXUDOHVWUDWL¿FD]LRQH GHLOLEULDPDWLGDOOHJHQHUD]LRQLVXFFHVVLYHQHVLQWHWL]]DHVHPSOL¿FDQGROL i contenuti, ne precisa le costanti, e indica una freccia di direzione. La con- sistenza qualitativa, che sola potrebbe rendere conto del modo di pensare HVXOODTXDOHVHSRVVLELOHVDUjQHFHVVDULRDIIURQWDUHXQRVWXGLRSLSUHFLVR e dettagliato, è naturalmente al primo posto, ma qui posso presentare po- FKLVVLPLHLQVXI¿FLHQWLIRUVHQHOQXPHURSXQWLG¶DSSRJJLRFKHKDQQRSHUz molto valore e debbono essere accolti come primizia.
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7. Ed ecco i libri da me individuati come sicuramente appartenenti alla biblioteca di Castromediano: 1) En damus Diodori Siculi historici Graeci, quae nunc quidem extare noscuntur opera, nempe, De Illustrium Regum Philippi & Alexandri, necnon & aliquot aliorum nobilium ducum Macedoniae praeclare fac- tis, Bartholomaeo Copso Bononiensi interprete, Lib.II. De fabulosis Aegyptiorum gestis, omni sane poetarum, historiarumque studioso, utilei ac iuxta necessarios, a Pogio Florentino latinitate donatos, Lib. VI. Ioannis Monachi, ex libris historiarum suarum de vita Alexandri ab eodem Bartholomaeo versum, Lib.I. Bocatij aliquot insignium foe- PLQDUXPTXDUXPDSXGYDULRVDXWRUHVFUHEUR¿WPHPRULDLVWRULDH[ eiusdem, Lib.X. Nunc denuo diligenter recognita, & a mendis quibus hactenus laborabant, studiose vindicata. Basileae excudebat Henricus Petrus, mense Augusto, anno M.D.XXXI. 2) Hieronymi Magii Variarum lectionum, seu miscellaneorum libri IV in quibus multa auctorum loca emendantur, atque explicantur, & quae ad antiquitatem cognoscendam pertinent, non pauca afferuntur. 9HQHWLLVH[RI¿FLQD,RUGDQL=LOHWWL 3) Varii historiae Romanae scriptores, partim Graeci partim Latini, in unum velut corpus redacti. De rebus gestis ab Urbe condita, usque ad imperii Constantinopolin translati tempora. Nomina eorum quos habes hic autorum, proximae sequentes paginae te docebunt. Anno M.D.LXVIII excudebat Henricus Stephanus. 4) Trattato delle meteore di M. Francesco de’ Vieri Fiorentino, cognomi- nato il Verino Secondo. In Fiorenza appresso Giorgio Marescotti 1573 con privilegio. 8. Qualche piccola annotazione è necessaria per sottolineare l’impor- tanza dei libri in questione. Dell’edizione basileense di Diodoro Siculo si fa notare il fatto che vi sia contenuta l’operetta de mulieribus claris di Giovanni Boccaccio con variante nel titolo, sicuramente la prima raccol- WD GL ELRJUD¿H DO IHPPLQLOHFKH OD VWRULD GHOOD QRVWUD OHWWHUDWXUD UHJLVWUL una frequentazione di una delle “tre corone” dunque, una probabile indi- cazione di tendenza, riferibile a un precedente Castromediano, o allo stes- so Sigismondo, estimatore delle opere minori e meno studiate dell’autore trecentesco. Invece nella raccolta degli Scrittori della storia romana, che si compone di quattro volumi, esattamente nel vol. IV, è inserita l’opera
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(non completa) di Ausonio di cui basti dire che è una delle fonti cui si rifà il nostro Galateo: una sorta di contraltare al Boccaccio, ancora in lin- gua latina, ma con taglio sicuramente locale. Di Girolamo Magi, poligrafo del Cinquecento, si ricordi che aveva composto un poema sulle guerre di Fiandra la cui pubblicazione fu voluta da Pietro Aretino, e che in quelle JXHUUHVLHUDGLVWLQWRXQ&DVWURPHGLDQRPDHUDSLQRWRFRPHLQJHJQHUH HDXWRUHGLXQWUDWWDWRGLIRUWL¿FD]LRQHPLOLWDUHDUJRPHQWRDIIURQWDWRDQ- che in queste sue miscellanee, e altro campo di interesse probabile in una famiglia di solide tradizioni militari. Maggiore curiosità ha per me il trat- WDWRGHOOHPHWHRUHO¶HGLWRUH¿RUHQWLQR0DUHVFRWWLqLQIDWWLLOPHGHVLPRFKH nel 1580 avrebbe dato alle stampe le Famiglie nobili del leccese Scipione Ammirato e si distingueva per il motto «et potest et vult» (anche nella variante «et vult et potest») accompagnato dall’immagine di un veliero FKHVROFDLOPDUHFRQYHQWRIDYRUHYROHPDUFDWLSRJUD¿FDFKHWUDVIHULVFH in un contesto laico la formula scotiana del «potuit voluit». I contenuti dell’opera farebbero pensare a un interesse di qualche altro componente della famiglia per l’astronomia e l’astrologia che è certamente alla base del SURJHWWRLFRQRJUD¿FRGHOODVSOHQGLGDVDODEDURFFDFKHqGHWWDVROLWDPHQWH dello zodiaco. Ma lascio agli specialisti questa suggestione e questo spunto GLULFHUFD3LFRQFUHWDPHQWHULIHULVFRFKHDQFKHTXHVWRYROXPHUHFDXQex libris SLDQWLFRFKHORGLFKLDUD©GHOODOLEUDULDPDUFKLRQDOHGL&DEDOOLQRª e lateralmente l’annotazione autografa: «Alla Biblioteca Provinciale dono del Duca Sigismondo Castromediano. Febb.1877». Unico nel suo genere il volume contenente Commentaria et disputa- tiones del frate leccese Dionisio Leone, appartenente all’ordine dei Dome- nicani, all’opera di S. Tommaso d’Aquino (Prima parte), stampato a Lec- ce dal borgognone Pietro Micheli nel 1651. Già segnalato da Gianfranco Scrimieri nel suo repertorio del tipografo attivo nel capoluogo salentino SHUTXDVLWXWWRLO6HLFHQWRSUHVHQWDXQPDJQL¿FRHVRQWXRVRIURQWHVSL]LR EDURFFRFRQVWHPPDH¿JXUHDOOHJRULFKHFKHUHFDEHQFKLDUDQHOODSDUWH alta la dicitura «Ex [libris] Bibliothecae Marchionalis Caballini» la quale rinvia appunto alla biblioteca dei Castromediano. Non solo: il volume si presenta fastosamente rilegato in cuoio scuro con al centro del piatto an- teriore lo stemma di famiglia dipinto a colori. Si può affermare tranquilla- PHQWHFKH±DOPHQR¿QRDGRJJL±TXHVWRqO¶XQLFRUHOLWWRGHOODELEOLRWHFD QHOODVXDIRUPDSLVPDJOLDQWHPROWLGHLYROXPLVDUDQQRVWDWLULOHJDWLHOD gran parte, se non tutti, avranno avuto, oltre all’ex libris, il segno distintivo araldico per sottolinearne l’appartenenza. Ci troviamo insomma di fronte
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a un cimelio, che rappresenta per noi il modello dei libri che in gran parte FRUVHURIUDOHPDQLGL6LJLVPRQGR&DVWURPHGLDQR(FLVDUHEEHGDULÀHWWH- re, ma il discorso porterebbe sicuramente molto lontano e sarebbe ovvia- mente relativo solo a una questione di storia della stampa, sul rapporto di questa con il potere, anche in un piccolo centro della periferia del Regno di Napoli: probabilmente il volume del Leone e/o altri usciti dal torchio leccese ricevettero una particolare accoglienza o furono prioritariamente destinati alla famiglia marchesale di Cavallino, protettrice, fra le arti (ba- sta guardare, ancora una volta, alle pitture e alle sculture della sala dello zodiaco), anche della stampa. Lo confermerebbero i libri in cui ricorre il nome di componenti della famiglia, lo lascerebbe intuire in particolare il volumetto di Angelo Fusco, di sicura committenza signorile, che traccia una cronologia dei «nobilissimi» Castromediano a partire dall’anno 1156 ¿QRDODQQRGHOO¶HGL]LRQH(XQXOWLPRSDUWLFRODUHVXFXLPLSHUPHWWR di richiamare l’attenzione: il fatto cioè che due delle bianche statue della galleria, Veritas e Clementia, rechino in mano dei libri: il che è dovuto di sicuro al canone di riferimento dell’artista, ma è un implicito e innegabile riferimento alla biblioteca. 9. Riepilogando: la lucida intuizione di Sigismondo Castromediano che pose alla base della sua idea di Italia unita l’istituzione culturale in- tesa nella modernissima accezione con cui la intendiamo noi oggi, a 150 anni di distanza, andò concretizzandosi anche attraverso il concetto di bi- blioteca e la realtà rappresentata da una biblioteca familiare accessibile ai suoi interessi di studio e di ricerca. Nella visione che comprendeva la raccolta di un corpus di manoscritti fra cui dovevano spiccare le storie PXQLFLSDOLHOHELRJUD¿HGHJOLLOOXVWULVDOHQWLQLODSDUWHFLSD]LRQHDOJLRU- nalismo attivo inteso come dialogo con i concittadini (e lo dimostrano i WDQWLDUWLFROLGDOXLDI¿GDWLDOOHSDJLQHGHOOHWHVWDWHULVRUJLPHQWDOLOHFFHVL il rilancio dell’editoria locale che avrebbe dovuto da una parte garantire a tutti la lettura dei classici salentini (da qui la collana fondata da Salvatore *UDQGHHGLWDSULPDGDOODWLSRJUD¿D*DULEDOGLSRLGDOOD(GLWULFH6DOHQWLQD dall’altra rendersi promotrice della diffusione e della penetrazione a tutti i livelli del libro come veicolo d’istruzione, i primi posti spettavano al mu- seo e alla biblioteca. Ma la biblioteca pubblica non può intendersi senza la privata, da cui proveniva un cospicuo retaggio incrementatosi nei secoli, che doveva necessariamente, come linfa vitale, travasarsi e ravvivarsi nel processo di nazionalizzazione in corso. Il modello a lui caro per esperienza
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personale avrebbe dovuto insomma trasferirsi nel pubblico, essere messo a GLVSRVL]LRQHGLWXWWLLQQHVWDUVLQHOODSLDPSLDSURJUDPPD]LRQHFKHPLUD- YDDOODIXVLRQHGHOOHGLYHUVHFXOWXUHSUHVHQWLLQ,WDOLD(UDLOFRQWULEXWRSL immediato della regione per la nazione, per dirla con le illuminanti parole di Mario Marti, e riprendeva, in parte, le linee guida che avevano segna- to il Risorgimento: si pensi, fra le riviste e i giornali, al «Conciliatore» di Pellico e Confalonieri, all’«Antologia» di G.P. Viesseux, alla «Rivista Europea» di Carlo Tenca;; fra le imprese editoriali all’animosa7LSRJUD¿D Elvetica di Capolago «dalla quale celatamente si spargevano in tutta Italia tante pagine liberali ed eccitatrici» (la frase è di Raffaello Barbiera) o alle celebri collane che “eccitavano” gli animi allo scopo di formare la nazione, la «Biblioteca scelta di opere italiane» di Giovanni Silvestri (a Milano), la «Biblioteca nazionale» di Le Monnier (a Firenze), oltre all’esempio di Giuseppe Pomba che fondò a Torino nel 1869 una Biblioteca civica e ideò, senza riuscire a realizzarla, una Storia delle città italiane, eventi di cui è molto probabile che il Castromediano fosse informato. $OO¶LQWHUQRGLWDOHFRQWHVWRFKHIRUVHSLDOXLFKHDTXDOXQTXHDOWUR letterato di Terra d’Otranto che attraversò il Risorgimento sembra adattarsi PLUDELOPHQWHDQGUjIRUVHULYLVLWDWDDO¿QHGLULFRVWUXLUODO¶LFRQDFKHFLq stata consegnata del duca vecchio e canuto, che impiega operosamente il suo tempo chiuso fra le mura del castello “nella solitudine di Cavallino”. Scrive Giuseppe Gigli: Si ritirò allora nell’avito castello e riprese i vecchi cari studi di storia e di archeologia, che alternò con ricerche di antichi cimelii della sua terra. Co- PLQFLzDIRUPDUHFRVuTXHOODLPSRUWDQWHUDFFROWDGLPHGDJOLHGLPRQHWHH GLVWDWXHWWHGLWHUUHFRWWHGLRJJHWWLGLEURQ]RHGLIHUURFKHVFLHQWL¿FDPHQWH FODVVL¿FDWLLQXQ0XVHRFKHLOHFFHVLYROOHURFKLDPDWRFROVXRQRPHqRJJL ragione di orgoglio per la piccola e colta città salentina.
Al Museo andrà aggiunta senza esitazione la biblioteca, quella sua bi- blioteca di famiglia oggi divenuta patrimonio di tutti, e la sua aristocratica ¿JXUD±TXLVuqSRVVLELOHHVVHUHLQGXOJHQWLFRO*LJOLFKHORULWUDH©DOWLVVLPR nella persona, piuttosto magro, bello nel volto» somigliante agli «antichi castellani, dagli occhi dolcissimi e dal corpo coperto di lucenti armature» che avevano vissuto a Cavallino – andrà assimilata a quella dei grandi pro- tagonisti del Risorgimento italiano.
IV. Celebrare per conoscere. Conoscere per appartenere
FRANCESCO MINECCIA Fare gli italiani: la divulgazione della storia nazionale nel primo cinquantennio postunitario
&RPSLXWRLQPRGRUDSLGRHTXDVLLQDVSHWWDWRLOSURFHVVRGLXQL¿FD- zione della penisola, si apriva per il nuovo Stato una delicata e complessa fase di consolidamento. Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani: lo slogan attribuito a Massimo d’Azeglio1 si traduce in un’indicazione politica for- nita alla cultura, con un valore prescrittivo e militante. Tuttavia l’obiettivo della nuova classe dirigente nazionale si rivelò subito assai arduo da con- seguire: «nel 1861 il 78% degli italiani non sapeva né leggere né scrivere (con un minimo del 54% per Piemonte, Lombardia e Liguria e un massimo dell’89% e del 90% per Sicilia e Sardegna);; nel 1871 siamo ancora al 73%. (DQFRUDSLGUDPPDWLFDULVXOWDYDODORQWDQDQ]DGDOO¶LWDOLDQRGDSDUWHGHL VXGGLWLGHOQXRYR5HJQRXQFDOFRORSUXGHQWHHSHUHFFHVVRKD¿VVDWRLQ SRFRSLGLVHLFHQWRPLODSHUVRQHJOLLWDORIRQLHIIHWWLYLQHJOLDQQLLQWRUQR all’unità, pari al 2,5% della popolazione».2 L’uniformità della lingua era percepita da molti autorevoli esponen- ti della politica e della cultura come «il primo, vero ed unico essenziale elemento della nazionalità», tanto da dichiarare «identiche lingua e nazio- ne». Il che equivaleva ad assegnare ai letterati un ruolo fondamentale, in quanto custodi di un patrimonio identitario insostituibile: «in Italia la sola lingua comune era quella colta o letteraria, prevalentemente scritta o, se si preferisce, parlata in circostanze particolari da un numero variamente 1. David Bidussa precisa che tale affermazione attribuita a d’Azeglio non è mai stata scritta né detta da lui (Ricordando, introduzione a G. Bollati, L’Italiano. Il carattere nazio- nale come storia e come invenzione, Einaudi, Torino 2011, pp. VII-VIII). 2. B. Tobia, Una cultura per la nuova Italia, in Storia d’Italia, 2, Il nuovo Stato e la so- cietà civile. 1861-1887, a cura di G. Sabbatucci, V. Vidotto, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 431.
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Francesco Mineccia
calcolato ma comunque piuttosto esiguo di persone».3 Accanto ai letterati, tuttavia, un ruolo non meno importante era assegnato anche a scienziati e artisti: pittori, scultori, e soprattutto musicisti. In un paese abitato da una popolazione in gran parte analfabeta e che parlava dialetti spesso lontani dall’italiano letterario, la musica costituiva un linguaggio comune.4 L’iniziazione al credo nazionale, che durante la fase risorgimentale era avvenuta con notevole successo (soprattutto in ambito urbano e tra i ceti medio-alti) attraverso quella pedagogia delle emozioni innescata dalle DUWL YLVLYH O¶LFRQRJUD¿D GHOOD SLWWXUD VWRULFD GDOOD PXVLFD GDO WHDWUR H dall’incontro con i testi della letteratura nazional-patriottica, il cosiddetto “canone risorgimentale”, doveva ora essere estesa alle masse attuando un programma di educazione nazionale.5 Il sentimento nazionale, ha affermato Anne-Marie Thiesse, è sponta- neo solo quando è stato perfettamente interiorizzato, ma per ottenere ciò occorre prima di tutto averlo insegnato.6 Nel nuovo Regno d’Italia le agenzie pedagogiche specializzate a tale scopo furono la scuola e le forze armate. Se gli italiani, secondo Crispi, nel corso della loro storia erano stati corrotti dal “prete” e dalla “polizia”, le istituzioni-cardine dello Stato nascente non avrebbero dovuto essere quel- le che li rappresentavano, come il Parlamento e le amministrazioni locali, EHQVuTXHOOHFKHOLHGXFDYDQRFRPHO¶HVHUFLWRHODVFXROD7 tale fu, ad esem- 3. G. Albergoni, Letterati, lettere, letteratura, in Atlante culturale del Risorgimento. Lessico del linguaggio politico dal Settecento all’Unità, a cura di A.M. Banti, A. Chiavi- stelli, L. Mannori, M. Meriggi, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 97. $OO¶LQL]LRGHJOLDQQL4XDUDQWDKDVFULWWR&KULVWRSKHU'XJJDQXQRGHLSLSRWHQWL veicoli di diffusione dell’idea nazionale era la musica (La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 ad oggi, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 174). 5. F. Mazzocca, La rappresentazione della guerra nella pittura risorgimentale;; S. Chiappini, La voce della martire. Dagli «evirati cantori» all’eroina romantica, entrambi in Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, Einaudi, Torino 2007;; C. Sorba, Teatro, in Atlante culturale del Risorgimento;; il “catalogo” del ca- none risorgimentale sta in A.M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2006 (1a ed. 2000), pp. 45-46;; si veda inoltre Id., Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Later- za, Roma-Bari 2011. 6. A.M. Thiesse, La creazione delle identità nazionali in Europa, il Mulino, Bologna 2001, p. 10. 7. S. Lanaro, Il Plutarco italiano: l’istruzione del “popolo” dopo l’Unità, in Storia d’Italia. Annali 4. Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1981, pp. 554 e 556.
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pio, il precetto di base impartito ai fanciulli di terza elementare nel fortu- natissimo Cuore di De Amicis (1886).8 Nondimeno, dovendo l’educazione HVVHUHFRQVLGHUDWDSLLPSRUWDQWHGHOO¶LVWUX]LRQHHGDWRFKHO¶LQÀXHQ]DGHO- le scuole sulle masse non poteva che essere assai limitata, considerato l’an- cora basso livello di scolarizzazione, era all’esercito che i politici di destra e di sinistra guardarono come allo strumento principale per “fare gli italiani”. Accanto a queste agenzie, un ruolo primario doveva assumere l’editoria, la cui industria, pur essendo in una fase di crescita, tuttavia, nell’Italia post- XQLWDULD ULPDQHYD DUUHWUDWD VFDUVH HUDQR OH WLSRJUD¿H GRWDWH GL PDFFKLQH moderne per la stampa, mentre in altri paesi erano già in funzione le prime rotative Walter e Hoe;; arretrati erano pure i trasporti e i sistemi di vendita, mentre lo sviluppo dell’intero settore risultava condizionato da un merca- to limitato e rigido. Emblematica, al riguardo, l’affermazione nel 1872 di Emilio Treves: «Il mercato italiano sarà sempre ristretto all’Italia mentre il mercato dei libri francesi, inglesi e tedeschi è il mondo».9 Nei primi decenni postunitari, pur continuando a soffrire di un forte ritardo tecnologico, l’editoria italiana conosce tuttavia una vera e propria rivoluzione sul piano della distribuzione libraria e del prodotto culturale con la comparsa, accanto alla libreria, dell’edicola: le prime due compaiono a Milano nel 1861 e, a Firenze, nel 1865 troviamo già ventisette chioschi dei giornali, «eleganti in ferro e vetro».10 L’acquisto dell’opera a “dispense” in HGLFROD VL DI¿DQFD DOOD YHFFKLD IRUPXOD GHOOD YHQGLWD ³SHU DVVRFLD]LRQH´ DOODUJDQGRO¶DV¿WWLFRPHUFDWRLWDOLDQRJUD]LHDXQDVHPSUHSLFDSLOODUHGLI- IXVLRQHVXOWHUULWRULRHQRQVROWDQWRSHUFLzFKHULJXDUGDOHSURGX]LRQLSL popolari (come quelle di Sonzogno, di Treves o del romano Perino e, dal GHO¿RUHQWLQR6DODQL PDDQFKHHVSULPHQGRLQL]LDWLYHGLTXDOLWjFRPH l’edizione dell’Orlando Furioso illustrata da Doré, introdotta da Carducci e commentata da Eugenio Camerini per i tipi di Treves, iniziata nel 1880.11 Le opere illustrate a dispense ottengono subito grande successo dive- nendo rapidamente uno dei canali principali della comunicazione di massa. 8. Duggan, La forza del destino, p. 323;; Lanaro, Il Plutarco italiano, pp. 558, 565. 9. P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, il Mulino, Bologna 1996, p. 65;; la citazione di Treves sta in A. Gigli Marchetti, Le nuove dimensioni dell’impresa editoriale, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Giunti, Firenze-Mila- no1997, p. 120. 10. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 65;; P.F. Listri, Arrivano i “buzzurri”, in «Informatore», febbraio 2011, p. 13. 11. Tobia, Una cultura per la nuova Italia, p. 440.
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Tra il 1866 e il 1867 Sonzogno diede alle stampe due opere a fascicoli che SHUJOLDUJRPHQWLWUDWWDWLGRYHYDQRGDUHO¶DYYLRDGXH¿ORQLFKLDYHGHOODVXD produzione: l’Album della guerra del 1866 e L’Esposizione universale del 1867 illustrata di Parigi$OOD¿QHGHOLQL]LzDSXEEOLFDUHXQ¶DOWUDRSH- ra a dispense che ottenne grande successo non solo di pubblico, ma anche di critica: La Divina Commedia commentata anch’essa da Camerini e illu- strata da Gustavo Doré.12 Edoardo Sonzogno voleva gestire, come editore, anche il grande processo in atto di istruzione popolare. La sua «Biblioteca GHO3RSRORªSXEEOLFD]LRQHSHULRGLFDFRQFDGHQ]DTXLQGLFLQDOHXVFLYDLO e il 16 d’ogni mese), nasce nel 1874 al prezzo di 15 centesimi al pezzo. Sul frontespizio, sotto la scritta «Propaganda d’istruzione» si leggeva: «ogni YROXPHWWRFRQVWDGLSDJLQHGL¿WWDFRPSRVL]LRQHHGL]LRQHVWHUHRWLSDH contiene un completo trattatello elementare di scienza pratica, di cognizio- ni utili ed indispensabili, dettato in forma popolare, succinta, chiara, alla portata d’ogni intelligenza». Tra i venti volumetti editi nel 1875 troviamo anche una Storia d’Italia narrata al popolo (dai “primi abitatori” alla presa di Roma;; materia divisa in evo antico, evo medio ed evo moderno) di Car- lo Romussi. Per le illustrazioni, oltre ai vari Giulio Gorra e Guido Gonin, Sonzogno si avvalse soprattutto di «uno xilografo di fervida immaginazio- ne, abilissimo e romanticissimo: Gustave Doré, il famoso illustratore della Bibbia, della Divina Commedia, dell’Orlando Furioso, del Paradiso per- duto»;; opere distribuite per pochi centesimi nelle edizioni economiche col metodo delle dispense.13 L’edicola è il regno di Sonzogno: tutti i suoi libri potevano essere acquistati a dispense, o per abbonamento o direttamente dal “secolista”, come si chiamava il giornalaio a Milano nel periodo d’oro del «Secolo».14 Ma, su questo terreno, si scatena ben presto la concorrenza di altri editori “popolari”, da Treves a Perino, da Hoepli a Salani, che si rivol- gono al grande pubblico con le loro opere pure a dispense tra le quali, come vedremo, le prime storie d’Italia, anch’esse ampiamente illustrate. 12. Gigli Marchetti, Le nuove dimensioni dell’impresa editoriale, p. 127. 13. L. Barile, Un fenomeno di editoria popolare: le edizioni Sonzogno, in L’editoria italiana tra Otto e Novecento, a cura di G. Tortorelli, Edizioni Analisi, Bologna 1986, pp. 96-97. 14. Nel maggio 1866 usciva il primo numero del futuro grande quotidiano democratico «Il Secolo» (Barile, Un fenomeno di editoria popolare, p. 96). Il prezzo di vendita dei quo- tidiani (tutti a quattro pagine) variava secondo il formato: quelli grandi costavano 10 cente- simi, quelli piccoli 5 centesimi. Erano prezzi piuttosto elevati dato che il salario medio gior- naliero era, all’epoca, inferiore alle 2 lire (Murialdi, Storia del giornalismo italiano, p. 65).
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6WRULFLJHRJUD¿HOHWWHUDWLHUDQRFKLDPDWLDIRUPDUHODPHPRULDGHOOD FROOHWWLYLWjXQDVRUWDGL³DXWRELRJUD¿DGHOOD1D]LRQH´SHUGLUODFRQ*UDP- sci), attraverso un’opera di selezione e trasmissione dei “fatti memorabili”, di elaborazione e rielaborazione di un racconto civico che avesse soprattut- to la funzione di favorire un riconoscimento collettivo nella patria e nella QD]LRQHSURPXRYHQGRFRVuTXHOODQD]LRQDOL]]D]LRQHFXOWXUDOHGHOOHPDV- se, a cui mirava appunto il programma di educazione nazionale.15 La legit- timazione del nuovo Stato, insomma, doveva trovare conferma nella sua OXQJDVWRULD¿QRDO5LVRUJLPHQWRFKHDYHYDVDQ]LRQDWRODFRQVHJXLWD8QLWj politica sotto la corona sabauda. In questo contesto politico e culturale il ruolo degli studi storici fu duplice. Da un lato divulgare il Risorgimento: ©OD VWRULRJUD¿D WUD LO H O¶LQL]LR GHJOL DQQL 2WWDQWD FKH IX ³SROLWLFD in atto”, volle per larga parte consapevolmente assegnarsi il compito di costruire un’immagine del processo risorgimentale capace di produrre un consenso attivo attorno al risultato di quel processo: la monarchia unitaria HFRVWLWX]LRQDOHª/DSHFXOLDULWjGLTXHVWR¿ORQH³VDEDXGLVWD´IXTXHOODGL non nascondere il proprio obiettivo politico.16 Su questa linea si mossero studiosi come Luigi Anelli, Luigi Zini, Leone Carpi, Luigi Stefanoni, Car- lo Belviglieri, Oscar Pio, Pietro Orsi. Un “uso pubblico della storia” che però, come ha sottolineato Banti, non fu terreno esclusivo degli storici: Per molto tempo – dall’Unità ai primi decenni del XX secolo – la ricerca e il GLEDWWLWRVWRULRJUD¿FRVXO5LVRUJLPHQWRVLVRQRLQWUHFFLDWLSURIRQGDPHQWHFRO GLVFRUVRSXEEOLFRVXO5LVRUJLPHQWRDI¿GDWRDJLRUQDOLVWLLQWHOOHWWXDOLfree- lanceSROLWLFL/DFRQRVFHQ]DVWRULRJUD¿FDKDFRVuIDWWRSDVVLDYDQWLTXDQGR OLKDIDWWLLQXQWRUWXRVRSHUFRUVRQHOTXDOHDQFKHJOLVWRULFLVLVRQRWURYDWLSL volte impegnati nelle vesti di opinion makers che formano il senso comune VXOO¶HVSHULHQ]DULVRUJLPHQWDOHDEHQH¿FLRGHOO¶RSLQLRQHSXEEOLFDGHLOHWWRUL GLJLRUQDOLGLULYLVWHRGLELRJUD¿H17 15. L. Baldissara, Trasmissione del passato, uso pubblico della storia e senso del tempo nelle strategie comunicative dei giornali, in Comunicare il passato: cinema, giornali e libri di testo nella narrazione storica, a cura di S. Cinotto, M. Mariano, 1, L’Harmattan Italia, Torino 2004, p. 372;; A. Ascenzi, La costruzione dell’identità nazionale attraverso i manuali di storia dell’Ottocento, in L’identità italiana ed europea tra Sette e Ottocento, a cura di A. Ascenzi, L. Melosi, Leo S. Olschki, Firenze 2008, p. 62;; G.L. Mosse, La nazio- nalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1812- 1933), il Mulino, Bologna 1975 (1974). 16. Tobia, Una cultura per la nuova Italia, pp. 453-454. 17. A.M. Banti, Il Risorgimento italiano, in Id., Le questioni dell’età contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 60.
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Esemplare, in tal senso, l’opera Il Risorgimento italiano, coordinata da Leone Carpi, pubblicata a fascicoli mensili dall’editore Vallardi, tra il HLOFRPSRVWDGDSUR¿OLELRJUD¿FLGHJOLXRPLQL©FKHRFFX- SDURQRGLVpODSDWULDGDOLQ¿QRDGRJJLªHPRQRJUD¿HVSHFLDOLDG esempio: Prigioni di stato borboniche).18 Quello di Carpi è un Risorgimen- to «per eccellenza conciliatorista» che, mediante il racconto delle «gesta GHJOL XRPLQL LOOXVWUL H GHL SL LQVLJQL SDWULRWWLª GRYHYD IDU ULFRUGDUH ©D SUH]]RGLTXDOLVDFUL¿]LLLQPHQRGLXQTXDUWRGLVHFRORVLSRWqFRQVHJXLUH O¶XQLWjHO¶LQGLSHQGHQ]DGHOODQD]LRQHªJUD]LHDXRPLQLGLVSRVWLDOOD¿QH a mettere da parte sospetti e divergenze per unirsi sotto la guida del re.19 Toccava poi a storici e intellettuali il non meno impegnativo compito di fornire ai cittadini del nuovo Stato una storia comune, illustrando i mo- WLYLGHOO¶DYYHQXWDXQL¿FD]LRQHHUHQGHQGROLSDUWHFLSLGHOODORURRULJLQHFR- mune e del comune percorso nella Storia. Fin dai primi decenni dell’Otto- cento il crescente impegno di ricerca degli studiosi romantici sulle origini e sul carattere dei popoli europei aveva dato un nuovo impulso allo studio GHOODVWRULDHGRSRLOPROWLGHLSLDXWRUHYROLSDWULRWLLWDOLDQL±WUDL quali personaggi del calibro di Alessandro Manzoni, Massimo d’Azeglio, Cesare Balbo, Vincenzo Gioberti e Giuseppe Verdi – «guardarono al pas- sato dell’Italia, e specialmente al Medioevo, in cerca di materiale con cui educare l’opinione pubblica, alimentare l’entusiasmo per l’indipendenza e JLXVWL¿FDUHODORURYLVLRQHGHOODQD]LRQHGDFRVWUXLUHª20 In ogni caso, il tentativo di scrivere “la” storia d’Italia rappresentava un problema di non facile soluzione, in quanto la ricerca «sembrava spin- gere sempre in direzioni differenti;; e, almeno a prima vista, offriva uno scarso sostegno all’idea di una nazione italiana. Di conseguenza le opere SLLQÀXHQWLGHOODOHWWHUDWXUDSDWULRWWLFDULVRUJLPHQWDOHIXURQRTXHOOHFKH illustravano singoli episodi (la battaglia di Legnano, i Vespri Siciliani, l’as- sedio di Firenze), trasformandoli in metafore del riscatto nazionale in ma-
18. Il Risorgimento italiano, a cura di L. Carpi, 4 voll. (140 fascicoli mensili), Val- lardi, Milano 1884-1888. Ringrazio Marco Meriggi, per avermi segnalato questa raccolta, peraltro da lui stesso analizzata (Alla ricerca dei padri della patria. Leone Carpi e il Ri- sorgimento italiano, in «Mélanges de l’École Française de Rome», Italie et Méditerranée, 109/1, 1997, pp. 45-46). Su Leone Carpi: R. Romanelli, ad vocem, in 'L]LRQDULRELRJUD¿FR degli italiani, 20, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1977, pp. 599-604. 19. Meriggi, Alla ricerca dei padri della patria, p. 51. 20. Duggan, La forza del destino, pp. 105-106.
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QLHUHQRQJLXVWL¿FDWHVXOWHUUHQRVWUHWWDPHQWHVWRULRJUD¿FRª21 Nondimeno GDOO¶LQL]LRGHOVHFROR¿QRDOO¶XQL¿FD]LRQHVLHUDQRVXFFHGXWHYDULHStorie d’ItaliaGDTXHOOHGHO%RWWDHGHO%DOER¿QRDOOHRSHUHGHO/D)DULQDHGHO suo allievo Luigi Zini.22 Tutte ampiamente conosciute, ma con scarsa capa- cità di penetrazione oltre la ristretta cerchia delle élite colte, soprattutto ur- bane. In questa sede è comunque mia intenzione soffermarmi brevemente piuttosto sulle opere di storia patria edite tra metà anni Cinquanta e primi DQQL 1RYDQWD ULPDVWH TXDVL GHO WXWWR LJQRUDWH GDOOD VWRULRJUD¿D FKH VL rivolgevano, come spesso indicato nel titolo dagli autori, al “popolo” o alla ³JLRYHQW´HFKHDGLIIHUHQ]DGHOOHSUHFHGHQWLDYHYDQRXQIRUWHLQWHQWRGL- vulgativo, ben evidente nelle loro caratteristiche editoriali. In primo luogo il linguaggio: nell’introduzione alla sua Storia popolare d’Italia¿JXUD ad esempio, Oscar Pio spiegava come fosse stata sua principale cura dare «a questo libro una forma facile e grata». E proseguiva: Intendemmo soprattutto ad essere popolari, poiché desideriamo che il nostro libro sia letto dal maggior numero degl’italiani. Al popolo noi offriamo la sto- ria d’Italia, e vorremmo che ogni famiglia italiana la conservasse, siccome il libro sacro della nazione: vorremmo che i padri la leggessero nel crocchio de’ ¿JOLHLJLRYDQHWWLGDTXHOORVSHFFKLRYLYRGHOSDVVDWRWUDHVVHUROXFHSHOFDP- mino ch’essi dovranno condurre. Noi fortunati, se, in parte almeno, potremo UDJJLXQJHUHLO¿QHVXSHUERIRUVHPDFHUWDPHQWHVLQFHURFKHFLSURSRQLDPR porgere in questo libro un insegnamento e una guida ai fratelli italiani!23
3RLODJUD¿FDOHLPPDJLQL)LQGDTXHVWHSULPHSXEEOLFD]LRQLHPHU- ge con evidenza una delle caratteristiche principali di tali opere: il largo 21. Ibid., p. 114. Anche Banti, La nazione del Risorgimento, pp. 73 ss. 22. C. Botta, Storia dei popoli italiani dall’epoca della loro grandezza ai tempi dei URPDQL¿QRDO, 10 voll., presso Nistri e Capurso, Pisa 1825 (poi Rejna, Milano 1847);; C. Balbo, Storia d’Italia, per Giuseppe Pomba, Torino 1830;; Id., Della storia d’Italia. Dalle RULJLQL¿QRDOO¶DQQR6RPPDULR, Bastia, Napoli-Milano 1849;; G. La Farina, La storia d’Italia narrata al popolo italianoYROO3ROLJUD¿DLWDOLDQD$OHVVDQGUR)RQWDQD)LUHQ]H Torino 1846-1851;; e del suo allievo L. Zini, 'HOOD,WDOLDGDOOHRULJLQL¿QRDLQRVWULJLRUQL &RPSHQGLRVWRULFRJHRJUD¿FRGHGLFDWRDLJLRYDQHWWLLWDOLDQL, Società Editrice Italiana, To- rino 1857. Su di loro: W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Einaudi, Torino 1962, rispettivamente pp. 36-91, 118-158, 252-274, 275-286. 23. O. Pio, 6WRULDSRSRODUHG¶,WDOLDGDOO¶RULJLQH¿QRDOO¶DFTXLVWRGL5RPDQHOO¶DQQR 1870, compilata da O. Pio, sulle tracce di Guicciardini, Botta, Balbo, Sismondi, Col[l]etta, &DQW/D)DULQD9DUFKLHFFFRQWDYYIWGL6DQHVLHDOWULYROO/LEUHULD(GLWULFH' Alighieri, Milano 1870-1876, pp. VII-VIII.
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Figura 1. O. Pio, 6WRULDSRSRODUHG¶,WDOLDGDOO¶RULJLQH¿QRDOO¶DFTXLVWRGL5RPD nell’anno 1870, compilata da O. Pio, sulle tracce di Guicciardini, Botta, Balbo, 6LVPRQGL&RO>O@HWWD&DQW/D)DULQD9DUFKLHFFFRQWDYYIWGL6DQHVLHDOWUL 10 volumi, Libreria Edititrice D. Alighieri, Milano 1870-1876
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uso delle illustrazioni. Tuttavia è solo con l’inizio del nuovo secolo che il rapporto tra testo e immagini tende a spostarsi a vantaggio delle seconde. 7UD TXHVWH OD IRWRJUD¿D DOO¶LQL]LR GHO 1RYHFHQWR GLYHQWD LO GRFXPHQWR YLVLYRGRPLQDQWH,Q¿QHLOEDVVRFRVWRJDUDQWLWRSURSULRGDOVLVWHPDGHOOH dispense che dava la possibilità a molti di procurarsi “grandi opere” attra- verso la rateizzazione della spesa. Per questi motivi e grazie, appunto, alla disponibilità di canali distributivi come le edicole e quelli propri dell’edi- toria cattolica, tali opere ebbero una ben maggiore diffusione rispetto alle edizioni tradizionali di testi storici. Quella di Oscar Pio è, probabilmente la prima Storia d’Italia illustrata pubblicata a dispense (ben 515, raccolte in 10 volumi).24 Essa mostra già alcune delle caratteristiche editoriali tipiche del genere. Oltre alla frammentazione dell’argomento in un gran numero di puntate, alla quantità di illustrazioni, al dichiarato intento divulgativo, troviamo esplicitata anche l’intenzione di presentare una storia obiettiva: Il nostro studio precipuo fu quello di dettare il libro con serena coscienza di storico, mantenendoci alieni dalle ispirazioni di questo o di quel partito poli- tico, amanti devoti e sinceri della sola verità. Perocchè quegli che fa servire una storia a dimostrazione di tesi politica, fa opera di gretta polemica, e im- picciolisce il suo compito. L’esatto racconto dei fatti accaduti, tratto da quelle IRQWLFKHO¶XQDQLPHFRQVHQVRGHLGRWWLUHVHSLFUHGLELOLHVLFXUHVFHYURGD giudizi appassionati e da inutili discussioni, è quello che ci proponemmo di presentare ai lettori.
La prima storia d’Italia a dispense ad apparire nelle edicole fu, quasi certamente, quella di Luigi Stefanoni: Storia d’Italia popolare illustrata, dalla sua origine ai giorni nostri che l’editore Perino di Roma pubblica a partire dal 1882 (tavola 7).25 L’opera in 300 dispense (da rilegare in 3 YROXPL HUDLOOXVWUDWDGDFHQWLQDLDGLLQFLVLRQL[LORJUD¿FKHDSLHQDSDJLQD realizzate da un pool di illustratori coordinato da Nicola Sanesi che, sem- pre per l’editore Perino, illustrò in quegli anni le dispense della Battaglia di Benevento di Francesco Domenico Guerrazzi e, in precedenza, aveva re- alizzato anche molte delle illustrazioni della Storia popolare di Oscar Pio. 24. Oscar Pio è autore anche di una illustrata Storia popolare della dinastia di Savoia nelle sue relazioni colla storia d’Italia – dalle origini di essa Casa sino all’anno 1880, Gio. Gussoni, Milano-Voghera 1881-1882. 25. Luigi Stefanoni (Milano 1845-1905) fu autore anche di una Storia critica della su- perstizione pubblicata nel 1869. Su di lui G. Landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia (1860-1900), Olschki, Firenze 1977, pp. 4 e 101.
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Questa Storia d’Italia, che narra i fatti storici dai primi re di Roma sino alla proclamazione del Regno d’Italia, è scritta in un italiano scorre- YROHHGHEEHYDULHHGL]LRQL¿QRDLQL]LR1RYHFHQWR6WHIDQRQLVWRULFRH ¿ORVRIR UD]LRQDOLVWD SUHPHWWH DOOD VXD QDUUD]LRQH XQD EUHYH SDUWH LQWUR- duttiva sulle trasformazioni geologiche d’Italia, nella quale, utilizzando i risultati delle ricerche di geologi, paleontologi e antropologi, polemizza con le interpretazioni sulle origini della penisola e dei suoi primi abitatori, ancorate alla tradizione biblica.26 Dopo aver sottolineato l’inconsistenza VFLHQWL¿FDGHOOHLSRWHVLDYDQ]DWHGDOOHYDULHVFXROHGLSHQVLHURGLFKLDUDGL sentirsi vicino all’«eccletismo» di Cesare Balbo il quale suppone che gli Italiani si sono venuti formando pel concorso di varie schiatte e di varie civiltà. Questa opinione ha anche raccolto il suffraggio dei movimenti dell’età preistorica, i quali ci dimostrano che l’arte di lavorare il bronzo e il ferro ci pervennero per vie diverse. L’Italia per la sua posizione JHRJUD¿FDGRYHYDHVVHUHFHQWURGLPROWHHPLJUD]LRQLHGLIDWWLWURYLDPRIUD noi popoli di tutte le schiatte.27
Per il salesiano don Bosco, invece, i primi italiani erano i diretti di- VFHQGHQWLGL7LUDV©¿JOLRGL*LDIHWWRªYHQXWLDVWDELOLUVL©LQTXHOOHUHJLRQL GHOO¶DQWLFD ,WDOLD RYH RJJLGu SUHVVR D SRFR WURYDVL OD 7RVFDQD FKH SHU- ciò anticamente era detta Tirrenia», intorno al 2000 avanti Cristo, quando «molti anni erano già trascorsi dopo il diluvio».28 Le numerose illustrazioni inserite nell’opera di Stefanoni avevano lo VFRSR GL IDU ³LPPDJLQDUH´ LO SDVVDWR LQ PDQLHUD SL YLYLGD SRQHQGR LO OHWWRUH³GDYDQWLDOODVWRULD´¿JXUHH )LORJDULEDOGLQD H ¿ORVDEDXGD D XQ WHPSR PD VRSUDWWXWWR ¿HUDPHQ- te antipapalina, la Storia dello Stefanoni si poneva in diretta concorrenza con l’altra, precedente, ricostruzione storica destinata «alla formazione di XQDFRVFLHQ]DFLYLOHHQD]LRQDOHGHOODJLRYHQWLWDOLDQDªODStoria d’Ita- lia raccontata alla gioventù pubblicata, come appena detto, dal sacerdote Giovanni Bosco. Un’opera che godette di un notevole successo editoriale – testimoniato dalle ben 32 ristampe, dalla prima edizione del 1855 al 1908 (per un totale di circa 85.000 copie) – anche in ragione del fertile terreno 26. Pio, Storia popolare d’Italia, cap. I, p. 3. 27. Ibid., cap. I, p. 15. 28. G. Bosco, La storia d’Italia raccontata alla gioventù da’ suoi primi abitatori sino DLQRVWULJLRUQL&RUUHGDWDGLXQD&DUWD*HRJUD¿FDG¶,WDOLDGDOVDFHUGRWH%RVFR*LRYDQQL, 7LSRJUD¿D3DUDYLDH&RPSDJQLD7RULQRS&LWRGDOO¶HGL]LRQHGHOS
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di diffusione e di penetrazione tra gli strati popolari di cui poté usufruire, soprattutto grazie all’azione incentivante dei parroci e delle comunità par- rocchiali in genere, le quali potevano disporre dell’intensa (e ancora poco FRQRVFLXWD DWWLYLWjGHOOHWLSRJUD¿HOHJDWHDRUGLQLUHOLJLRVLGLIIXVLDOLYHOOR nazionale che «operavano come vere e proprie case editrici, con un loro mercato, con propri canali di distribuzione» come ad esempio la Tipogra- ¿DH/LEUHULD6DOHVLDQD29 Quali dimensioni avesse raggiunto il fenomeno dell’editoria cattolica lo possiamo comprendere da un censimento condot- to da Luigi Bottaro a metà anni Ottanta, su commissione della quarta sezio- ne dell’Opera dei Congressi: tale censimento, benché incompleto, fornisce comunque dati relativi non solo alla stampa periodica ma anche sul nume- URGLVWDELOLPHQWLWLSRJUD¿FLEHQ GHOOHELEOLRWHFKHFLUFRODQWLHGHOOH varie associazioni che favorivano la diffusione della “buona stampa”.30 Don Bosco non pensava di rivolgersi a un pubblico colto, nemmeno LQWHVRQHOVHQVRSLJHQHULFRHDPSLRGHOODSDUROD©KRIDWWRTXHOORFKHKR potuto – scrive nell’introduzione – perché il mio lavoro tornasse utile a quella porzione dell’umana società, che forma la speranza di un lieto av- YHQLUHODJLRYHQW(VSRUUHODYHULWjVWRULFDLQVLQXDUHO¶DPRUHDOODYLUW ODIXJDGHOYL]LRLOULVSHWWRDOO¶DXWRULWjHGDOODUHOLJLRQHIXORVFRSR¿QDOH di ogni pagina».31 La Storia d’Italia, dunque, era stata concepita come opera di divulga- zione e di lettura destinata ai giovani adolescenti, che ebbe una straordi- naria diffusione grazie, appunto, ai canali a disposizione dell’editoria cat- tolica. Non attraverso le edicole, quindi non a dispense, ma in un solo volume e con caratteristiche editoriali diverse dalle altre: niente illustra- zioni soprattutto, ma esposta con un linguaggio semplice e colloquiale.32 29. G. Landucci, Scienza religione ed editoria scolastica, in Editori a Firenze nel secondo Ottocento, a cura di I. Porciani, Olschki, Firenze 1983, pp. 183-229;; M.I. Palazzo- lo, Stampa, editori e capitale nell’Italia post-unitaria, in «Studi storici», 1 (1984), p. 267. 30. S. Pivato, Don Bosco e la “cultura popolare”, in Don Bosco nella storia della cultura popolare, a cura di F. Traniello, SEI, Torino 1987, pp. 263-267. Su le «Letture cattoliche», fascicoletti mensili di divulgazione (due milioni di fascicoli tra ’53 e ’60), con 14.000 abbonati nel 1865: Pivato, Don Bosco e la “cultura popolare”, pp. 268 ss. Pivato ricorda il giudizio di Gramsci sulla capacità cattolica di diffondere la propria “buona stam- pa”;; G. Tassani, L’oratorio, in I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, a cura di M. Isnenghi, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 145-146. 31. Bosco, La storia d’Italia raccontata alla gioventù, p. VII. 32. F. Traniello, Don Bosco e l’educazione giovanile: la «Storia d’Italia», in Don Bo- sco nella storia della cultura popolare, p. 83.
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Figura 2. Stefanoni, Storia d’Italia popolare illustrata, 3, p. 380
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Figura 3. Stefanoni, Storia d’Italia popolare illustrata, 3, p. 439
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Sempre nell’introduzione, intitolata Scopo e divisione di questa storia, don %RVFRDWWHQHQGRVL©DLIDWWLFHUWLSLIHFRQGLGLPRUDOLWjHGLXWLOLDPPDH- stramenti», dice di aver volutamente tralasciato «le cose incerte, le frivole congetture, le troppo frequenti citazioni di autori, come pure le troppo ele- vate discussioni politiche, le quali tornano inutili e talvolta anche dannose DOODJLRYHQWª33 E la «Civiltà Cattolica», presentando la nuova edizione uscita nel 1862, ne dava un giudizio fortemente positivo raccomandando il lavoro del sacerdote salesiano come antidoto alla “corruzione” della morale giovanile in atto in quel periodo: «in un tempo come il nostro, nel quale della men- zogna storica si fa un manicaretto per avvelenare le menti giovanili, molto LPSRUWDUHQGHUHQRWHOHRSHUHFKHQHOO¶HGXFD]LRQHGHOODJLRYHQWSRVVRQR servire d’antidoto alle predette corruttele». Il merito principale dell’opera stava proprio nello scopo che l’autore si proponeva, «che è d’insegnare la storia patria ai giovanetti Italiani con facilità, con brevità, con chiarezza», motivo per cui, «noi non esitiamo ad affermare che il libro nel suo genere non ha forse pari in Italia». Il lavoro era diviso in quattro grandi epoche, la prima delle quali ini- ziava dai primi abitatori della penisola, e l’ultima giungeva alla guerra del 1859. Il recensore della rivista proseguiva affermando come «sotto la pen- na dell’ottimo D. Bosco» la storia non si tramutasse in pretesto di bandire idee di una politica subdola o principii di un ipocrita [sic] libertà, come pur troppo avviene di certi altri compilatori di Epiloghi, di Sommarii, di Compendii che corrono l’Italia e brulicano ancora per molte scuole godenti riputazione di buone. Alla veracità dei fatti, alla copia della materia, alla nitidezza dello stile, alla simmetria dell’ordine, l’Autore accoppia una sanità perfetta di dottrine e di massime, vuoi morali, vuoi religiose, vuoi politiche. E questa è la qualità che ci sprona a raccomandare caldamente questo libro a quei padri di famiglia, a quei maestri, a quegli istitutori che desiderano GLDYHUH¿JOLXROLHGLVFHSROLHUXGLWLQHOODJHUPDQDLVWRULDSDWULDPDQRQGDOOD falsa storia patria attossicati. Convien pur dirlo, giacché è per nostra grande sciagura troppo vero. Quella colluvie di scritti elementari e pedagogici che ora allaga la nostra penisola, è per la massima parte appestata dagli errori moderni contro il Papato, contro la Chiesa, contro il clero, contro l’autorità divina ed umana. La diabolica con- JLXUDGHL¿JOLXROLGHOOHWHQHEUHFRQWUROD/XFHHWHUQDRSHUDLQGHIHVVDPHQWHD JXDVWDUH¿QRGDOVHPHOHWHQHUHDQLPHGHLJLRYDQHWWL4XLQGLQRLVWLPLDPRGL 33. Bosco, La storia d’Italia raccontata alla gioventù, pp. V-VI.
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fare un atto di amicizia suggerendo ai cattolici nostri lettori un libro elementare il quale né procede da un congiurato contro la verità, né ha le magagne che corrompono ai di nostri le menti inesperte.34
Va notato come ben presto la Storia d’Italia del sacerdote (e futuro santo) salesiano fosse inserita nei circuiti delle opere scolastiche, grazie DOO¶DSSURYD]LRQHGHO0LQLVWHURGHOOD,VWUX]LRQHSXEEOLFDFKHOHDWWULEXuXQ premio in denaro e la incluse tra i libri da distribuire in premio nelle scuole del Regno.35 Nelle edizioni successive a quella del 1861 il termine cronolo- JLFRGHOQRQIXSLVXSHUDWRSXUFRQWLQXDQGRDHVVHUHULVWDPSDWDFRQ “inusitata frequenza”. Nell’appendice all’edizione 1873-1874 fu aggiunto un ragguaglio cronologico dei “principali avvenimenti”, dalla pace di Vil- lafranca alla morte di Napoleone III (1873). &RPHPRGHOORSROHPLFRHSHUGLUFRVuQHJDWLYRKDRVVHUYDWR7UDQLHO- lo, stavano sullo sfondo della Storia d’Italia «gli esempi di divulgazione storica di movenze neo-ghibelline, come la Storia d’Italia narrata al po- polo italiano di Giuseppe La Farina, autore, a sua volta, negli stessi anni, di una Storia d’Italia narrata ai giovanetti».36 Quella di don Bosco è una lettura provvidenzialistica della storia, alle cui spalle stava una forte tradizione culturale cattolica. «Uno dei principali motivi d’interesse della Storia d’Italia – a detta di Traniello – consiste nel suo contenere una versione pedagogicamente elementare ed essenzializ- zata di tale tradizione apologetica».37 Il provvidenzialismo che don Bosco DSSOLFDDOODVWRULDIRUQLYDLQXQFHUWRVHQVROHSURYHGHOO¶HI¿FDFLDWHUUHQD del cristianesimo «in una linea di continuità priva di cesure tra vita storica e naturale e vita soprannaturale». Intenzione programmatica di don Bosco era quella di usare la storia come «grande e terribile maestra dell’uomo».38 La storia insomma quale giudice delle cattive e delle buone azioni come dimostra, ad esempio, il caso del ministro di Carlo III, Bernardo Tanucci, il quale, si era reso famoso per la sua 34. «Civiltà Cattolica», anno 13 (1862), serie 5, vol. 3, p. 474. 35. Traniello, Don Bosco e l’educazione giovanile, pp. 81, 82-83;; Ascenzi, La costru- zione dell’identità nazionale, pp. 63, 65, 67;; M.C. Morandini, Scuola e nazione. Maestri e istruzione popolare nella costruzione dello Stato unitario (1848-1861), Vita e Pensiero, Mi- lano 2003;; A. Ascenzi, Tra educazione etico-civile e costruzione dell’identità nazionale. L’in- segnamento della storia nelle scuole italiane dell’Ottocento, Vita e Pensiero, Milano 2004. 36. Traniello, Don Bosco e l’educazione giovanile, p. 84. 37. Ibid., p. 86. 38. Ibid., pp. 84-86.
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ostinazione a promuovere leggi contrarie alla Chiesa;; la qual cosa fu sorgente di molte turbolenze, e diede pessimo esempio ad altri sovrani e ministri a IDUHDOWUHWWDQWR,Q¿QHOD3URYYLGHQ]DSHUPLVHFKHTXHOPLQLVWURFDGHVVHLQ discredito presso al re Ferdinando IV, successore di Carlo, e fosse deposto GDOODVXDGLJQLWj,O7DQXFFLYHGXWRVLFRVuXPLOLDWRULWLURVVLLQXQDVXDFDVDGL FDPSDJQDGRYHPRUuQHOQHOODSRYHUWjJLXVWDULFRPSHQVDGLFKLDYHYD oppressa la Chiesa e dispregiata la propria religione.39
Nella linea narrativa di don Bosco, osserva ancora Traniello, viene in primo piano il tema della rivoluzione come prodotto di un ampio complot- to di forze occulte anticristiane, raccolte nelle società segrete;; la dinamica rivoluzionaria, innescata dalla borghesia “miscredente”, provoca come ine- vitabile conseguenza l’«anarchia della plebaglia». L’arrivo poi dell’armata rivoluzionaria francese in Italia riprodusse gli orrori «delle invasioni barba- riche». Le simpatie di don Bosco, continua Traniello, vanno verso un mo- GHUDWRHSDWHUQRULIRUPLVPRGHLSULQFLSL6XTXHVWRVIRQGROD¿JXUDGL3LR IX occupa il centro della scena: la restaurazione papale del 1849 costituisce, per sua ammissione, la conclusione ideale della sua opera: «il ritorno di Pio IX a Roma si può dire l’ultimo avvenimento compiuto delle cose d’Italia».40 Il breve periodo della Repubblica romana impegna don Bosco in un racconto dalle tinte raccapriccianti. Per converso la “liberazione di Roma” e l’abbattimento della Repubblica rappresentano la giusta rivincita dell’Europa cattolica, sotto la guida dei suoi principi cristiani, contro le IRU]HRVFXUHHPDOH¿FKHGHOODULYROX]LRQH,OULWRUQRWULRQIDOHGL3LR,;KD FRVuLWUDWWLGLXQPRPHQWRHSRFDOH41 Radicalmente opposta appare l’inter- pretazione di Stefanoni che mette, invece, in evidenza la dura repressione DWWXDWDGDOUHVWDXUDWRJRYHUQRSRQWL¿FLRHOHJUDYLFRQGL]LRQLHFRQRPLFKH e sociali in cui venne a trovarsi la popolazione di quello Stato dopo la ca- duta della Repubblica: Si aveva polizia clericale e polizia francese in Roma, clericale e austriaca nelle provincie;; la censura sopra la stampa, non regolata da legge ma dall’ar- ELWULRGHO6DQWR8I¿]LRHGHLYHVFRYLLWULEXQDOLPLOLWDULVWUDQLHULHUDQRDSHU- ti in tutto lo Stato;; inermi erano i cittadini, i masnadieri scorazzanti per la campagna, padroni delle vite e delle sostanze. Si vide risorgere la compagnia GL*HVSLSUHSRWHQWHGLSULPDVLYLGHURUHVWDXUDWLWXWWLLSULYLOHJLWXWWHOH 39. Bosco, La storia d’Italia raccontata alla gioventù, p. 380. 40. Traniello, Don Bosco e l’educazione giovanile, pp. 96-97. 41. Ibid., p. 98.
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immunità medioevali del clero;; le carceri piene di sospetti, ribelle il popolo delle città, i campagnoli scontenti delle truppe straniere che li disarmavano, GHOOHSROL]LHFKHOLODVFLDYDQRLQEDOuDGHLODGULLFRPPHUFLSRYHULSLFKH mai. Tali erano le condizioni dello Stato romano quando Pio IX fece ritorno alla sua capitale.42
La Storia d’Italia di don Bosco, per concludere, corrisponde alla ne- cessità di orientare l’educazione giovanile popolare verso una chiara iden- WL¿FD]LRQHWUDFDXVDQD]LRQDOHHFDXVDSDSDOHXWLOL]]DQGRO¶LQVHJQDPHQWR storico «come veicolo di acculturazione, in grado di elevare il “senso co- mune” della morale a concezione generale della storia dotata di una sua logica».43 Il provvidenzialismo di don Bosco è ben diverso dalla concezione PDQ]RQLDQDGHOODPLVWHULRVDSUHVHQ]DGL'LRLFXL¿QLUHVWDQRLPSHUVFUXWD- bili: nella sua opera l’azione di Dio nella storia «è leggibile ogni momento;; ODVXDSUHVHQ]DYHUL¿FDELOHSDVVRSDVVRLVXRL¿QLFKLDULHGLVSLHJDWLª/D storia, per don Bosco, «è veramente il campo aperto in cui Dio agisce in prima persona». Secondo Traniello don Bosco può essere considerato a buon ragione un protagonista «nella vicenda del nation-building», avendo contribuito a diffondere «un modello di storia e di identità nazionale incen- WUDWRVXOIDWWRUHUHOLJLRVRHVXOODOLQJXDLQGXEELDPHQWHHI¿FDFHª44 Le due Storie “popolari” d’Italia, con le loro numerose ristampe, di- ventano punto di riferimento di due visioni opposte della storia nazionale, DOPHQR¿QRDLSULPLGXHGHFHQQLGHO1RYHFHQWR$SDUWLUHGDOODPHWjGH- gli anni Ottanta, per distogliere l’attenzione dai gravi problemi interni, il nuovo Stato avvia una politica di espansione coloniale: le prime campagne QHO&RUQRG¶$IULFDHSLWDUGLODJXHUUDLWDORWXUFDFDODPLWDQRO¶LPSHJQR delle aziende editoriali specializzate nel settore delle dispense. L’editoria e la stampa nazionale si trovano in prima linea nel preparare e nell’orientare l’opinione pubblica ai nuovi gloriosi destini della patria. &RVuGRSROHVWRULHGLGRQ%RVFRHGL6WHIDQRQLSHUWURYDUHXQ¶DOWUD grande operazione editoriale illustrata dedicata alla storia d’Italia occor- UHUjDWWHQGHUHOD¿QHGHJOLDQQL9HQWLGHO1RYHFHQWRFRQO¶DYYLRGDSDUWH 42. Stefanoni, Storia d’Italia popolare illustrata, 3, disp. 242, p. 335. 43. Traniello, Don Bosco e l’educazione giovanile, p. 104. Banti ha osservato come, tra JOLLQWHOOHWWXDOLFDWWROLFL0DQ]RQLVLDVWDWRWUDLSULPLDFRJOLHUHODFRQWUDGGL]LRQHWUDOH¿JXUH della nazione e gli ideali del cattolicesimo (La nazione del Risorgimento, pp. 133-135). 44. Traniello, Don Bosco e l’educazione giovanile, pp. 104 e 110;; Tassani, L’oratorio, p. 147.
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GHOODFDVDHGLWULFH¿RUHQWLQD1HUELQLQHOGHOODStoria d’Italia narra- ta al popolo, di Paolo Giudici, in 246 dispense illustrate da Tancredi Scar- SHOOLWDYROHH /¶RSHUDIXULVWDPSDWDSRFKLDQQLSLWDUGLLQXQFOLPD di montante retorica nazional-patriottica, con l’ultimo volume prolungato ¿QRDOODFRQTXLVWDGHOO¶LPSHURSHULOOXVWUDUHODIDVHFRQFOXVLYDGLXQSHU- corso fatale, come spiegava l’autore nella prefazione all’edizione del 1938: tessere insomma una storia di trenta secoli circa, che va dal giorno in cui la leggendaria nave d’Enea approdò alle rive sacre del Lazio al giorno in cui la SULPD¿DPPD1HUDHQWUzFROSXJQDOHEUDQGLWRD9LWWRULR9HQHWRHDOO¶DOWUR non meno glorioso in cui i legionari fecero il loro ingresso ad Addis Abeba: ecco quello che l’Editore Nerbini ha voluto che io facessi.45
45. Giudici, Storia d’Italia. Narrata al popolo, 1, p. 3.
ANNALISA PELLEGRINO La moda racconta: dalla nazionalizzazione dei costumi alla costruzione di un’identità italiana
«La storia del costume […] propone […] i problemi essenziali di ogni analisi culturale» e considera «la totalità dei fenomeni storico-sociali come un insieme di passaggi e di funzioni: noi crediamo che per il vestito questi passaggi intermedi e queste funzioni siano […] valori che testimoniano il potere creatore della società su se stessa».1 Questi passi dello studioso francese Roland Barthes mi sembrano il- OXPLQDQWLFLUFDLOVLJQL¿FDWRHO¶LPSRUWDQ]DFKHODVWRULDGHOODPRGDHGHO costume rivestono per la ricostruzione dell’evoluzione della società sotto molteplici aspetti. E proprio a partire dagli studi di Barthes e di Fernand Braudel in Francia, negli anni Settanta del Novecento, si avvia un tipo di analisi relativa alla storia del costume e della moda che si avvale di un vero e proprio “programma di lavoro”, secondo cui «la storia del vestiario non è un semplice inventario di immagini, ma uno specchio dell’articolato intreccio dei fenomeni socio-economici, politici, culturali, e di costume, che ca rat terizzano una determinata epoca».2 Questa storia, che comunque spesso continua a essere considerata storia “minore”, è portatrice di con- tributi indi spensabili alla ricostruzione di una società di cui la moda e il costume sono elementi importanti e dove per moda s’intende un fenomeno sociale che riguarda il mutamento ciclico delle scelte e del gusto che di- YHQWDQRQRUPHFROOHWWLYHUHJROHVWDELOL¿QRDOVXFFHVVLYR³FDPELRGHOOD guardia” e dove per costume s’intende una consuetudine costante e perma- nente che riguarda la condotta, il modo di essere di una comunità, di un gruppo sociale. 1. R. Barthes, Scritti, Einaudi, Torino 1998, pp. 73-74. 2. D. Calanca, Storia sociale della moda, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 17.
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In ambito italiano, nell’arco del processo che porta all’Unità, anche la moda compie un lungo percorso che, solo dopo decenni, la porterà a eman- ciparsi dagli “obbligatori” modelli stranieri, soprattutto francesi, che per secoli hanno dettato legge in fatto di stili abbigliativi. )RQGDPHQWDOHHSUHOLPLQDUHDRJQLVXFFHVVLYDULÀHVVLRQHPLVHPEUD dover sottolineare la distinzione che ho inteso cogliere tra l’affermarsi di una moda “nazionale” e la nascita di una moda “italiana”: intendendo la “nazionalizzazione” come diffusione di stili vestimentari e di una manuali- stica comportamentale omogenea, “condivisa” dalla nazione di cui rafforza LOSURFHVVRGLXQL¿FD]LRQHVHQ]DIRQGDPHQWDOLGLVWLQ]LRQLWUDFHQWURHSH ri ferie, ma ancora debitrice della supremazia d’oltralpe per le diverse pro- poste abbigliative)3, e per nascita di una moda “italiana” in senso moderno, il diffondersi, come per la Francia, di idee, creatività e organizzazione che «si traduca[no] in prestigio internazionale e attivo economico per il paese»;;4 il che si realizzerà pienamente solo a metà del XX secolo. Nel mio inter- vento cercherò quindi di seguire questo duplice percorso: quello della “na- zionalizzazione” della moda e quello della sua “italianizzazione”. Il lungo processo di diffusione di una moda “nazionale” si snoda so- prattutto attraverso le riviste rivolte al pubblico femminile che già in In- ghilterra in epoca vittoriana è al centro di strategie editoriali tese all’al lar- ga mento del mercato.5 In Italia le riviste di moda conquistano un loro spazio soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento. Tale pubblicistica, YDORUL]]DWDGDOODVWRULRJUD¿DSLUHFHQWHSHUODULFRVWUX]LRQHGHOSHUFRUVR culturale al femminile,6 contribuisce, grazie proprio alla diffusione di co- 3. La De Giorgio parla di una «colonizzazione» della moda francese in Italia, che terminerà negli anni Sessanta del Novecento;; cfr. M. De Giorgio, Le italiane dall’unità ad oggi, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 210. 4. G. Buttazzi, Introduzione a R. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, Einaudi, Torino 1995, p. XXXVII. 5. R. Carrarini, Introduzione a %LEOLRJUD¿D GHL SHULRGLFL IHPPLQLOL ORPEDUGL 1945DFXUDGL5&DUUDULQL0*LRUGDQR(GLWULFH%LEOLRJUD¿FD0LODQRS9,, 6. Tra di essi in particolare, oltre a %LEOLRJUD¿DGHLSHULRGLFLIHPPLQLOLORPEDUGL, cfr.: S. Franchini, 6WDPSDIHPPLQLOHHVWDPSDGLFRQVXPRGDOOHGH¿QL]LRQLDLSUREOHPLVWRULR- JUD¿FL, in «Cheiron», 31-32 (1999);; Ead., Editori, lettrici e stampa di moda. Giornali di moda e di famiglia a Milano dal «Corriere delle Dame» agli editori dell’Italia unita, Fran- co Angeli, Milano 2000;; E. Morato, La stampa di moda dal Settecento all’Unità, in Storia d’Italia. Annali 19. La moda, a cura di C.M. Belfanti, F. Giusberti, Einaudi, Torino 2003, pp. 767-796;; R. Carrarini, La stampa di moda dall’Unità ad oggi, ibid., pp. 797-834;; S. Franchini, Cultura nazionale e prodotti d’im por ta zione alle origini di un archetipo italiano
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muni stili comportamentali, alla maggiore visibilità di una classe media, nella quale non sono solo i privilegi economici, ma anche quelli culturali a GHFUHWDUQHO¶DVFHVDYHUVRLJUDGLQLVRFLDOLSLHOHYDWL7 Per trasmettere informazioni “visibili” sul proprio status si utilizza pertanto anche il linguaggio dell’abbigliamento8 che diventa simbolo del benessere e soprattutto dell’«astensione da ogni occupazione produttiva».9 Sono quindi la donna, con la ricchezza di abiti, gioielli e ornamenti vari, e la casa, uno spazio comunque dominato dalla presenza femminile, con l’arredo e con le diverse modalità di gestione che essa comporta, che hanno il compito di far comprendere la conquistata “crescita” sociale10 da parte della media borghesia con il possesso dei mezzi che danno visibilità e pre- sti gio11 (tavole 10 e 11). È il lusso infatti che dà a questi ceti la “speranza” di segnalarsi sia pure “con piccole cose” divenendo la base di quel meccani- smo di “imitazione di competizione” individuato da Herbert Spencer come «riverenza per le persone imitate» e «desiderio di uguagliarle»,12 anche se questo bisogno di “bello estetizzante” risulta poi in contrasto con i con- creti suggerimenti di una gestione oculata delle risorse economiche anche sul piano dell’abbigliamento rivolti agli stessi ceti medi. /HGRQQHSHUWDQWRHVVHQGRLQJUDGRGL©LQÀXHQ]DUHSURIRQGDPHQWH l’opinione pubblica femminile e, nello stesso tempo, di recepirne gli orien- di stampa femminile, in Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, a cura di S. Franchini, S. Soldani, Franco Angeli, Milano 2004. 6HFRQGR OH LQGLFD]LRQL GHOOD VWRULRJUD¿D SL UHFHQWH VL GRYUHEEH SUHYHGHUH XQD declinazione al plurale, per quanto riguarda l’Italia liberale;; il borghese nel periodo preso in FRQVLGHUD]LRQH QRQ SXz SL HVVHUH LGHQWL¿FDWR FRQ O¶Homo œconomicus del capitalismo industriale come colui che possiede una proprietà e un reddito, ma anche con chi è detentore GLXQDFHUWDFXOWXUDHFKHSLFKHJRGHUHGLSULYLOHJLHFRQRPLFLqFRQQRWDWRGDSULYLOHJLGL QDWXUDFXOWXUDOH3HUWDQWRQRQVLGRYUHEEHSDUODUHSLGL³FODVVHERUJKHVH´PDGLGLYHUVH borghesie: «una borghesia di burocrati, di professionisti, di accademici, e solo in tono mi- nore di operatori economici»;; M. Meriggi, Borghesie, in Dizionario storico dell’Italia unita, a cura di B. Bongiovanni, N. Tranfaglia, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 67-78. 8. J. Morris, Le vetrine della moda, in Storia d’Italia. Annali 19. La moda, pp. 835- 867. 9. S. Cialdai, Le occasioni della moda, in ,O¿JXULQRGLPRGD,VWLWXWR3ROLJUD¿FRH Zecca dello Stato, Roma 1989, p. 63. 10. B.S. Anderson, J.P. Zinsser, Le donne in Europa, 3, Nelle corti e nei salotti, Later- za, Roma-Bari 1993. 11. T. Maccabelli, Economia e sociologia del prestigio: il dibattito nelle scienze so- ciali tra Otto e Novecento, in «Cheiron», 31-32 (1999), pp. 306 ss. 12. Cialdai, Le occasioni della moda, p. 62.
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WDPHQWLSLGLIIXVLª13 contribuiscono alla costruzione di una cultura nazio- nale, trasmettendo valori condivisi e svolgendo di fatto una funzione di mediatrici del consenso alla classe dirigente. La stampa diretta alle donne assume perciò un taglio marcatamente pedagogico rivolgendosi «intorno alla metà del secolo, ai ceti medi»,14 alle borghesie cioè «culturalmente poco vivaci, fortemente regionalizzate e in larga parte estranee agli stili e ai ritmi di vita e di consumo di una nazione moderna, che, invece, del loro contributo e delle loro capacità di mediazione nei confronti dei ceti subal- terni, aveva urgente bisogno per consolidare le basi dell’unità».15 Centro propulsore, con un vero e proprio proliferare dei periodici de sti- nati a un pubblico femminile, è Milano16 con gli editori Sonzogno, Tre ves e *DUELQLFKHQHOODVHFRQGDPHWjGHOO¶2WWRFHQWRGDQQRYLWDDOOHSLULQRPDWH riviste di moda17 DI¿DQFDWHGDPDQXDOLGL³VDSHUYLYHUH´UHGDWWLVRSUDWWXWWR da donne che diffondono modelli comportamentali cui adeguarsi in casa e fuori. Passando tra le mani di mogli, madri, sorelle essi contribuiscono alla diffusione di regole e di stili comportamentali uniformi su tutto il territorio18 per le diverse “occasioni” della sociabilità, completando l’azione di sensibi- OL]]D]LRQHDLJXVWLHVWHWLFLGHOOHFODVVLSLHOHYDWHVYROWRGDOOHULYLVWH19 La funzione della donna educatrice e trasmettitrice di stili e di valori è sottolineata anche nelle cronache mondane presenti nei giornali politici la 13. Carrarini, Introduzione, p. VII. 14. Franchini, Stampa femminile, p. 155. 15. Ead., Editori, lettrici e stampa di moda, p. 220. 16. Su Milano nell’Ottocento, R. Levi Pisetzky, La vita e le vesti dei milanesi nella seconda metà dell’Ottocento, in Storia di Milano, 15, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1962, pp. 721-854. 17. Franchini, Editori, lettrici e stampa di moda, p. 289. Per la storia dell’editoria cfr. inoltre L. Perini, (GLWRULHSRWHUHLQ,WDOLDGDOOD¿QHGHO;9VHFDOO¶8QLWj, in Storia d’Italia. Annali 4. Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1981;; N. Tranfaglia, A. Vittoria, Storia degli editori, Laterza, Roma-Bari 2000. Per la storia della stampa di moda, cfr. Morato, La stampa di moda dal Settecento all’Unità;; Carrarini, La stampa di moda dall’Unità ad oggi;; Franchini, Cultura nazionale e prodotti d’importazione. 18. Cfr. tra i vari galatei pubblicati in questi anni: E. Galeotti, Codice tascabile di civiltà, tip. F. Alberghetti, Prato 1873;; L. Gattini, Galateo popolare, Civelli, Torino 18692;; e inoltre i suggerimenti per mises impeccabili di Emilia Nevers che consiglia di «adattare il vestito alla circostanza, al luogo, all’ora»: in E. Nevers, Galateo della borghesia: norme per trattar bene, in «Giornale delle donne», 1906. I consigli di Matilde Serao con le precise distinzioni da fare tra abiti destinati alle ore diurne o alle diverse stagioni ed età della si- gnora si possono leggere in M. Serao, Saper vivere, Perrella, Napoli 19054, p. 201. 19. Franchini, Editori, lettrici e stampa di moda, p. 278.
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cui struttura si piega, come accade in particolare nelle testate meridionali, DRVSLWDUHDQFKHUXEULFKHGLFRVWXPHHGLPRGDDI¿GDWHSHUORSLDXQD UHGD]LRQHIHPPLQLOHVSHVVRQDVFRVWDLQSVHXGRQLPLFKHDI¿DQFDHDYROWH VRVWLWXLVFHODUHGD]LRQHPDVFKLOH&RVuROWUHDOOHSLQRWHUXEULFKHGLPRGD H FRVWXPH PLODQHVL ¿UPDWH GDOOD 0DUFKHVD &RORPEL PRJOLH GL (XJHQLR Torelli Viollier, fondatore del «Corriere della sera», da Cordelia, moglie dell’editore Treves, dalla Contessa Lara, redattrice di «Margherita», ap- paiono, per citare solo qualche esempio di testate e croniste meridionali, a Napoli sul «Mattino» Api, mosconi e vespe di Gibus, ossia di Matilde Serao, compagna di Edoardo Scarfoglio e, in Terra d’Otranto, Farfalle er- rantiGL(UPDFRUDSVHXGRQLPRGL(PLOLD%HUQDUGLQL0DFRUFKH¿UPDOD cronaca di moda e costume del giornale «La Provincia di Lecce», di cui condivide la direzione col marito, Nicola Bernardini. I suoi “talloncini” suscitando l’ammirazione dei contemporanei, che li paragonano proprio ai mosconi della Serao, offrono alle signore della media borghesia, sensibili ai richiami della moda e dei gusti estetici nazionali, consigli per le diverse “occasioni” con l’indicazione di tempi, modi e riti nei quali “apparire” con “tatto” e “misura”. Tutto questo esercito al femminile rimanda una comune immagine di donna che traghetta la famiglia verso un modus vivendi col quale si esterna «la posizione economica e culturale delle nuove categorie in ascesa»,20 e in cui la quotidianità femminile e lo stesso stile abbigliativo vanno via via trasformandosi rispetto alla prima metà del secolo, moderniz- ]DQGRVL JUD]LH DOO¶XVR GHOOD WHFQRORJLD ¿JXUH H DQFKH VH SHUPDQH un’indiscussa sudditanza della moda italiana a quella francese persino nell’uso frequentissimo di vocaboli, un “debito” che la nostra nazione paga «dal lontano XIII secolo».21 A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, da Nord a Sud alcune linee di tendenza incominciano tuttavia a tener conto, come si dirà anche SL DYDQWL GL ODYRUD]LRQL DUWLJLDQDOL ORFDOL H UHJLRQDOL ( LQ DOFXQL FDVL come per il corallo22 (tavola 12), si assiste a un processo inverso rispetto alla tradizionale acquisizione da parte italiana di mode d’oltralpe, in quan- 20. Cialdai, Le occasioni della moda, p. 65. 21. Buttazzi, Introduzione, pp. XIX e XXXVI. 22. Gioielli in Italia. Temi e problemi del gioiello italiano dal XIX al XX secolo, a cura di D. Liscia Bemporad, L. Lenti, Marsilio, Venezia 1996, p. 85. Il corallo, importante nell’economia di città come Napoli, Genova, Livorno, Torre del Greco, è lavorato soprat- WXWWRD7UDSDQLGDOODIDPLJOLD*LRX]]DFKHHVSRQHD)LODGHO¿DQHOHDSUHERWWHJKHD Napoli e a Parigi.
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Figura 1. Modello per gita in automobile, primi anni del XX secolo, in ,O¿JXULQR di moda, Roma 1989, tavola 40
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Figura 2. Immagini tratte da J. Anderson Black, M. Garland, Storia della moda, De Agostini, Novara 1997, p. 298
to, lavorato in piccole sfere, viene esportato sin nelle Indie e in Cina;; e tale è il suo pregio che dopo la spedizione dei Mille «le signore napoletane per WHVWLPRQLDUHLOORURDQLPRULFRQRVFHQWHD*DULEDOGLRIIURQRDOODVXD¿JOLD SUHGLOHWWDXQ¿QLPHQWRGLURVVLFRUDOOLª23 Tuttavia le case italiane non hanno la forza di «elaborare uno stile nazionale, originale e trainante»24 e anche per i gioielli si diffondono so- prattutto mode d’Oltralpe,25 come accade per quelli realizzati in giaietto, una varietà di lignite, indossati in Inghilterra dalla regina Vittoria per la 23. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, p. 325. 24. Gioielli in Italia, p. 106. 25. L’esperienza dei grandi magazzini nati in Francia intorno alla metà dell’Ottocento (a Parigi molto famosi divennero i Grands Magazins du Louvre, Bon Marchè, Printemps, la Belle Jardiniere) venne ricalcata in Italia dall’attività di strutture quali quelle dei Grandi Magazzini E. & A. Mele e Spinelli a Napoli e dei Grandi Magazzini Vittoria a Milano che pubblicavano regolarmente i relativi cataloghi e album illustrati. C. Giorgetti, Manuale di Storia del costume e della moda, Cantini, Firenze 1992, p. 335. Cfr. tavole 13 e 14.
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morte del marito Alberto di Sassonia, scomparso nel 1861,26 destinati a WUDPRQWDUHFRQO¶DYYHQWRGLQXRYLPDWHULDOLLOYHWURHORVPDOWRQHULSL PRGHVWLHTXLQGLSLFRPPHUFLDELOLSURSRVWLQHJOLDOEXPGHLJUDQGLPD gaz zini, un nuovo veicolo di omologazione dello stile abbigliativo.27 La grande assente nella pubblicistica di moda sembra rimanere la po- litica, a volte dichiaratamente e apertamente espulsa dagli interessi delle testate28 in quanto – si diceva – avrebbe portato a una sorta di “immaschia- mento” della natura femminile che, contagiata dal virus dell’uguaglianza, avrebbe perso leggiadria e delicatezza, ritenute “naturali” connotazioni femminili. Malgrado questa dichiarata preclusione per le «quisquiglie politiche e i pettegolezzi amministrativi» – come scriveva anche la Macor nella sua rubrica – la moda non può non registrare fatti e avvenimenti squisitamente politici consumati nel periodo unitario. Anzi, proprio attraverso lo stile ab- bigliativo proposto, si può “leggere” l’evolversi della formazione della “nazione” e la diffusione di un sentimento patriottico unitario. Sono brevi squarci, frammenti di cronache presenti in riviste, ma soprattutto in ap- punti sparsi in memorie o in diari familiari conservati in archivi privati che testimoniano la diffusa attenzione che la moda riserva, pur senza espliciti ULIHULPHQWLHSUHVHGLSRVL]LRQH³SROLWLFKH´DIDWWLHPRPHQWLVLJQL¿FDWLYL del lungo cammino verso l’Unità. Lanciare, ad esempio, nell’austriaca Lombardia del 1848 la moda maschile dei puntuti cappelli “alla calabrese” nel ricordo del moto liberale del ’21, o dei tondi copricapo “alla puritana” o dei feltri “alla Ernani”, opere – come è noto – di Bellini e di Verdi dove risuonava l’esaltazione della “libertà”, è una chiara manifestazione di sentimenti liberali e patriot- tici che sia pure in circuiti delimitati, che proprio la moda contribuisce a dilatare, percorre il paese e si afferma in Lombardia, dove l’Austria pron- 26. J. Anderson Black, M. Garland, Storia della moda, De Agostini, Novara 1997, p. 282. 27. La preservazione della qualità estetica e della contemporanea produzione in serie è un problema al quale il movimento delle Arts and Crafts di William Morris aveva cercato di trovare soluzione già negli anni Ottanta dell’Ottocento, senza riuscirci in pieno. &IUDWLWRORHVHPSOL¿FDWLYRTXDQWRGLFKLDUD©/DPRGDLOOXVWUDWDªODULYLVWDSHUOH famiglie edita da Sonzogno, che esclude dai suoi interessi tematiche politiche anche quando viene sollecitata ad affrontarle dalle sue lettrici, come, ad esempio, nel momento della scon- ¿WWD GL $GXD OD ULYLVWD QHWWDPHQWH UL¿XWD GL DSSURIRQGLUH O¶DUJRPHQWR ULWHQHQGROR QRQ adatto «per l’indole del giornale»;; cfr. «Corriere della moda», 9 aprile 1896.
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tamente commina l’immediato arresto per gli “inobbedienti” che indossa- no tali copricapo.29 Di pari passo con le speranze quarantottesche di un’immediata libera- zione dal dominio austriaco si manifesta l’aspirazione all’emancipazione della moda dai modelli d’oltralpe con la creazione di una moda “italiana”. L’idea di un abito “all’italiana” si delinea tra il ’47 e il ’48, di pari passo con le speranze politiche di quegli anni, nel salotto torinese dei d’Azeglio frequentato dall’aristocrazia piemontese, e rimbalza sui periodici di moda di Livorno, Torino, Milano che propongono per gli uomini i cappelli piu- mati vietati dall’Austria, indossati da gruppi di patrioti tra cui il giovane &RVWDQWLQR1LJUDHLSLDQ]LDQL6HEDVWLDQR7HFFKLRH6LRWWR3LQWRUHVR- prattutto per la donna il vestito all’amazzone, che con una tunica di velluto nero su un’ampia sottana di raso bianco intendeva rievocare il vestito “na- zionale” di epoca medievale come esplicito tentativo di “affrancarsi” dalla moda francese.30 Questa «rinnovata coscienza nazionale»31 si manifesta inol tre con l’ostracismo dei tessuti di lana austriaci e l’utilizzazione del velluto, prodotto squisitamente italiano delle fabbriche di Genova, come PH]]RSHUQXRFHUHDOFRPPHUFLRHUHQGHUHSLFULWLFDODVLWXD]LRQH¿QDQ- ziaria degli austriaci. Ma il desiderio di un’autonomia nazionale libera da LQÀXVVLVWUDQLHULFRLQYROJHVRSUDWWXWWRLUDSSRUWLFRQODPRGDG¶LVSLUD]LRQH francese;; a questa si dichiara a gran voce “guerra”. «Guerra, guerra alla Senna» – scrive la «Moda nazionale» di Livorno nel ’47 – «guerra ai nemi- FLGHO¿JXULQRLWDOLDQRª32 Ma questo invito non riscuote molto successo e già prima del ritorno degli austriaci il costume “all’italiana”,33 che rappre- senta comunque per la prima volta un modo di inserire l’abito tra le forme di «comunicazione sociale […] nell’ambito della battaglia politica», scom- SDUHLQTXDQWRSLFKHGL³XJXDJOLDQ]D´HGL³XQLIRUPLWj´SDUODYD±FRPH annotava una testimone dell’epoca – di privilegi di “casta”.34 Una stampa 29. Levi Pisetzki, Il costume e la moda nella società italiana, p. 86. 30. R. Ricci, Memorie della baronessa Olimpia Savio, 1, Milano, Treves 1911, p. 46. 31. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, p. 85. 32. Ibid., p. 86. 33. L’ardore risorgimentale esteso alla moda era giunto infatti ad auspicare un “costu- me nazionale”, in realtà un primo «tentativo di inserire l’abito tra le nuove forme di comu- nicazione impiegate nell’ambito della battaglia politica»;; C.M. Belfanti, Civiltà della moda, il Mulino, Bologna 2008, p. 242. 34. Ricci, Memorie della baronessa Olimpia Savio, p. 47. Il volume ospita una ripro- duzione del “costume italiano” del ’48 con una dettagliata descrizione.
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del ’48, all’epoca delle Cinque giornate di Milano, di una donna con ban- die ra in cui è forse da ravvisare Cristina Belgioioso Trivulzio accorsa a Milano con un gruppo di volontari napoletani, immortala questo primo tentativo di una moda nostrana.35 *OL DYYHQLPHQWL SROLWLFL VL ULÀHWWRQR DQFRUD QHOO¶DEELJOLDPHQWR FKH diventa segnale della formazione di una comune coscienza nazionale e di una condivisione delle sorti dell’intero paese, nel ’59, dopo la liberazione della Lombardia nella seconda guerra d’indipendenza, quando le donne PLODQHVLHSHU¿QROHEDPELQHQHOGRORUHSHUOHVRUWLGL9HQH]LDULPDVWD sotto il dominio austriaco, indossano in segno di lutto patriottico lunghe collane di perle nere di vetro chiamate «le lacrime di Venezia»,36 mentre la moda maschile registra la creazione di giubbetti alla “zuava”, corti come la divisa dei soldati francesi, il ritorno dei cappelli “alla calabrese” e, nel l’en- tu siasmo della liberazione del Mezzogiorno, il lancio di quelli “alla Gari- EDOGL´$VXDYROWDO¶LPPDJLQHGHOODELRQGDLPSHUDWULFH(XJHQLDLQÀXHQ]D le acconciature e i vestiti da giorno, guarniti con passamaneria, delle dame italiane,37 che ben presto, negli anni Settanta, avranno come modello d’“imi tazione”, proprio in quel “particolare” che distingue lo status sociale HDQWLFLSDODGLIIXVLRQHGLXQDFRPXQHSLFRPSOHVVDIRJJLDDEELJOLDWLYD OH SHUOH H L FDSSHOOLQL ¿RULWL GL PDUJKHULWH GHOOD SULQFLSHVVD H SRL UHJLQD Margherita. A sua volta proprio la regina, alla quale nel ’78 Milano dedi- cherà una rivista di moda con il suo nome, contribuisce a sottolineare le tradizioni locali che il processo unitario rischiava di emarginare, elevando nel ’70 a moda nazionale l’uso ambrosiano, diffuso nella società milanese ¿QGDO¶GLIHUPDUHXQYHORQHURVXLFDSHOOLFRQXQ¿RUH38 e, indossando, in visita nella Valle d’Aosta, il costume delle valligiane, susciterà l’interesse GHOODSLIDPRVDULYLVWDIHPPLQLOHLOPLODQHVH©&RUULHUHGHOOHGDPHª Non si può inoltre non notare come gli orientamenti abbigliativi su- SHULQRDYROWHJOLVWHVVLOHJDPLSROLWLFLQD]LRQDOLDOOD¿QHGHOO¶2WWRFHQWR mentre l’abito femminile si va verticalizzando e il vestito tailleur si affer- ma su tutto il territorio come simbolo di praticità e indizio dell’«inserimento della donna nella vita attiva»,39 la visita dello zar a Roma nel 1896 sol- 35. Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana, p. 307. 36. Ead., La vita e le vesti dei milanesi, pp. 721-722. 37. Ead., Il costume e la moda nella società italiana, p. 320. 38. Ead., La vita e le vesti dei milanesi, p. 814. 39. Ead., Il costume e la moda nella società italiana, p. 335.
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lecita un cambiamento nell’abbigliamento femminile “per imitazione” con l’acquisizione di alcuni “particolari” tipicamente russi come cuoi, alamari, pellicce, ricami, adottati dalle lettrici, che, sensibili al fascino “slavo”, igno rano (come notano le croniste con disappunto, comunque anch’esso un dato “politico”) i legami dell’Italia con Austria e Germania e sfoggiano toilettes “alla russa”.40 E ancora una moda “per imitazione” si affermerà nello stesso anno quando per l’Italia si parla dell’“invasione” di una moda “straniera”, alla “Montenegrina”, con riferimento alla principessa Elena del Montenegro, sposa nel 1896 del principe ereditario, insieme alla zarina «buona cliente» – si sottolineava – delle maisons austriache e tedesche.41 La frustrazione di fronte alla diffusione di mode straniere si va facen- GRSLHYLGHQWHSURSULRYHUVROD¿QHGHOVHFROR©3HUXQ¶LWDOLDQDFKHYRJOLD bene al proprio paese è desolante vedere – commenta ad esempio la redat- trice de «La moda illustrata» – che tutto ciò che è bello, elegante, solido, ci debba arrivare d’oltralpe: lana inglese, seta francese, mode da Londra, Ber- lino, Parigi». E senza molte reticenze, si attribuisce la colpa di questa ec- cessiva importazione del prodotto estero42 proprio alle italiane «che non vogliono saperne di produzioni nazionali e non riconoscono alcun merito alle stoffe se non recano le parole nouvetées de Paris».43 Da questo secolare “vassallaggio” non si riesce proprio a venir fuori: sfogliando le pagine dei periodici di moda infatti ci si trova di fronte alla continua segnalazione di stoffe di produzione straniera, malgrado l’indu- stria manifatturiera italiana sia già nei primi anni del XX secolo in grado di offrire prodotti di alto pregio, come le lane di Schio, le sete di Como, le tele di Bergamo, i velluti di Genova. ÊWUDOD¿QHGHOO¶2WWRFHQWRHLSULPLGHO1RYHFHQWRFKHVLFROORFDQR alcuni tentativi di promuovere a livello nazionale attività artigianali locali nel campo delle arti applicate, puntando in un primo tempo sull’ornamento, su quel “particolare” che, prima ancora dell’abito, accomuna gli stili ab- bigliativi. Nel 1872, ad esempio, la contessa Marcello, avvalendosi del 40. Corriere della moda, in «La moda illustrata», 22 ottobre 1896. 41. Ibid., 29 ottobre 1896. 6XOOD GLI¿FROWj GHOOH FDVH RUDIH LWDOLDQH D HODERUDUH XQR VWLOH QD]LRQDOH FIU / Lenti, Il Liberty, rinnovamento dello stile e dei modelli nella gioielleria italiana del primo 1RYHFHQWR/D)DEEULFDGLRUH¿FHULHHJLRLHOOHULH0HOFKLRUUH &, in Gioielli in Italia, pp. 103-114. 43. Corriere della moda, in «La moda illustrata», 22 ottobre 1896.
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patrocinio della regina Margherita, fa aprire la scuola dei merletti a Burano in cui sono riprodotte ad ago antiche tipologie di merletto ispirate soprat- WXWWRDO5LQDVFLPHQWR¿JXUD HODYRUD]LRQLGL PHUOHWWLVL DSURQR D )L- UHQ]H&DQW3HVFRFRVWDQ]RGLIIRQGHQGRVLGXUDQWHLOSULPRGHFHQQLRGHO Novecento44 da Venezia a Bologna, dal Friuli, agli Abruzzi, alla Sicilia;; sotto l’alto patronato della regina45 si costituisce nel maggio 1903 la Socie- tà cooperativa delle Industrie Femminili Italiane a Roma, proseguendo in un certo senso, anche in Italia, quella che era stata un’opera di “sensibiliz- zazione” dell’opinione pubblica per il recupero dell’arte antica del mer- letto, patrocinata in Inghilterra sin dagli anni Ottanta dell’Ottocento dal movimento delle Arts and Crafts di William Morris. Nella diffusione di questa moda “italiana”, anche Terra d’Otranto dà il proprio contributo con lavorazioni peraltro già fortemente radicate nella tradizione locale;; nel 1905 a Casamassella, dalla Scuola d’Arte applicata all’Industria, voluta da Egidio Lanoce e poi diretta da Carolina Starace, nasce infatti il pizzo di Maglie che riscuote consensi nazionali. Una conferma della diffusione di un comune stile abbigliativo in tutto LOSDHVHDOOD¿QHGHOO¶2WWRFHQWRULJXDUGDDGHVHPSLRLOULWRGHOPDWULPR- nio che è anche in periferia occasione di ostentazione e di omologazione da parte della ricca borghesia rispetto alle scelte della classe aristocratica;; non ne è esente Terra d’Otranto dove, ad esempio, per il matrimonio di una fanciulla della ricca borghesia brindisina l’abito della sposa46 viene ordi- nato nella stessa sartoria della famosa ditta Alterio di Napoli, che cura l’ab- 44. D. Davanzo Poli, Il pizzo, in Pizzi e Ricami, Fabbri, Milano 1991, p. 24. 45. A. Pellegrino, Riti e mode matrimoniali tra Ottocento e Novecento, in Archivio per la storia delle donne, 2, Fondazione Pasquale Valerio, M. D’Auria Editore, Napoli 2005, p. 165. 46. «Indipendente», Giornale democratico di Brindisi e del suo circondario, 12 dicem- bre 1897, che descrive dettagliatamente le nozze tra Belisa Guadalupi e Vincenzo Mon- tagna. Ancora una conferma di tale omologazione è riscontrabile in un abito nuziale di proprietà di una famiglia brindisina: l’etichetta che reca la dicitura «Madama de Lisi, Via Ghiaia 104, Napoli» testimonia la provenienza dell’abito da una sartoria napoletana dalla quale evidentemente le famiglie borghesi brindisine erano solite rifornirsi, almeno per oc- casioni importanti, come poteva essere quella dell’acquisto dell’abito nuziale;; l’abito è con- servato presso la fondazione Ribezzi di Latiano (BR). Diversi abiti maschili e femminili, nonché numerosi corredi da battesimo e abitini infantili risalenti a un arco cronologico che va dalla metà del Settecento alla seconda metà del Novecento, sono conservati presso O¶LPSRUWDQWH)RQGD]LRQH0XVHRHWHVWLPRQLDQRLOGLIIRQGHUVLD¿QH2WWRFHQWRGLVWLOLYH sti mentari omogenei per tutto il paese.
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Figura 3. Completo femmini le composto da gonna e giacchi- na in merletto ad ago, “punto Venezia ad alto rilievo”, rea- lizzato agli inizi del Novecen- to presso la Scuola dei merlet- ti di Burano;; immagine tratta da D. Davanzo Poli, Il pizzo, in Pizzi e Ricami, Fabbri, Mi- lano 1991, p. 31
bi gliamento della principessa Elena;; un caso non isolato in quanto Napoli ¿UPDDQFRUDDELWLGDVSRVDHtoilettes per diverse famiglie di Terra d’Otran- to, fortunatamente conservate, insieme a molti altri importanti pezzi di cor- redo, presso la fondazione Ribezzi di Latiano, in provincia di Brindisi. Una testimonianza, questa, interessante, che conferma come in tutto il paese sia ormai diffuso il processo di nazionalizzazione, che annulla non solo distan- ]HJHRJUD¿FKHPDGLFODVVHFRQWULEXHQGRDWUDJKHWWDUHODPHGLDERUJKHVLD YHUVRLJUDGLQLSLDOWLGHOODVFDODVRFLDOH Alla vigilia della guerra l’appello a una moda “nazionale” si fa sempre SLGHFLVR/DFKLXVXUDGLPROWHmaisons parigine, in particolare di quelle
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di Rue de la Paix,47 sollecita le croniste di moda, nella previsione della di- sfat ta dell’impero tedesco,48 a riproporre per l’Italia l’invito a dar vita a una moda italiana, svincolata da tributi stranieri.49 Anche nel campo della rappresentazione dell’abito sulle riviste (cioè QHO¿JXULQR ORVFRSSLRGHOODSULPDJXHUUDPRQGLDOHDYYLDLOSURFHVVRGL emancipazione della moda italiana da quella francese. I disegni di autori italiani (Bonzagni, Camerini, Zandrino, Ardy) sostituiscono, in alcune rivi- VWHGHOOHHGL]LRQL7UHYHVL¿JXULQLIUDQFHVL7DOHSDUWLFRODUHVFHOWDQRQq VROR GRYXWD DOOH SUHYHGLELOL ©GLI¿FROWj EHOOLFKH QHJOL VFDPEL SRVWDOL PD soprattutto alla prima affermazione di un’autentica moda italiana, fatta di gonne corte e largotte, cappellini discreti, stivaletti bicolore».50 Qualche anno prima, dal 1906 al 1912, su vari periodici non esclusi- vamente femminili («Vita femminile», «Il Marzocco», «Vita d’arte») alla luce anche di un nazionalismo “politico” che in questi anni si va affer- mando, una vera e propria battaglia per l’affermazione di una moda italia- QD¿QDOPHQWHVYLQFRODWDGDLPRGHOOLG¶ROWUDOSHHUDVWDWDLQJDJJLDWDGDOOD stilista Rosa Genoni che si era ispirata sia agli artisti del Rinascimento, sia DLPRGHOOLSLÀXLGLGHOO¶DQWLFD*UHFLDDELWLFKHOLEHUDYDQRLOFRUSRGHOOD donna da sovrastrutture che per secoli avevano contribuito ad adeguare il corpo all’abito e non l’abito al corpo;; creazioni che secondo l’invito partito GDOOHFRORQQHGHOODUDI¿QDWDULYLVWD©/¶DUWHLWDOLDQD'HFRUDWLYDH,QGXVWULD le»,51 era stato recepito dalla sensibilità della Genoni, donna colta che, inau gurando e proponendo modelli ispirati a forme, linee, volumi e decora- zioni tratti dal vasto repertorio artistico nazionale quattro-cinquecentesco, PD SXUH GDOOD 5RPD H *UHFLD FODVVLFKH ¿QR DOO¶HSRFD HWUXVFD HG HJL]LD raggiungeva il «duplice scopo di formare una corrente di gusto innovativo, 47. Nel numero del 13 giugno 1915 la rivista «La moda illustrata» ospita un interes- sante articolo, Come sorsero le grandi case parigine, che fornisce molti dati sulla presenza di case, sarti e “padroni” non solo nel 1914, ma pure a metà Ottocento, con particolare riferimento a F. Worth. 48. La guerra e la moda tedesca, in «La moda illustrata», 6 giugno 1915. 49. Ibid. 50. M. Santarsiero, ,O¿JXULQRO¶LPPDJLQHGHOODPRGDQHOO¶2WWRFHQWR, in ,O¿JXULQRGL moda, pp. 52-53. 51. La rivista, nata nel 1890, era espressione del Liberty nazionale;; fu diretta per tutto il suo periodo di maggior splendore da Camillo Boito. Cfr. Abiti in festa;; l’ornamento e la sartoria italiana, Catalogo della mostra, Firenze, 30 marzo-31 dicembre 1996, Sillabe, Livorno 1996, p. 41.
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ma di grande fondatezza storica»,52 chiamando in causa illustri esempi di donne italiane che avevano reso celebre ed esportato l’eleganza italiana all’estero, come Isabella d’Este, Beatrice Sforza e Lucrezia Borgia. ÊVXI¿FLHQWHDPPLUDUHOHGXHFUHD]LRQLGHOOD*HQRQLSUHVHQWDWHDOO¶( spo sizione internazionale di Milano del 1906, per avere un’idea di quali fossero i criteri estetici di questa personalità: si tratta di un abito da ballo e GLXQPDQWRGLFRUWH¿JXUDWDYROH FKHULHYRFDQRO¶XQRLQGRV- sato dalla barones sa Maria de Linbenberg, cliente della Genoni e accesa sostenitrice del rilancio di una moda italiana, le velate trasparenze classi- che della Primavera del Botticelli, l’altro, la preziosità decorativa di un bozzetto del Pisanello. Nel 1908 la Genoni, partecipando con il gruppo femminile socialista al primo congresso delle donne italiane tenutosi a Roma, interviene con un’interessante relazione sui rapporti tra moda e arte decorativa italiana, intravedendone “con grande lungimiranza” i risvolti economici, i possibili introiti cioè «realizzabili attraverso un effettivo incremento della grande varietà del nostro artigianato femminile, costituito in particolare da trine, ricami, pizzi e merletti».53 Mediante l’impegno di questa donna geniale, con l’appoggio di autore- voli riviste di cultura e il contributo della «Cooperativa delle Industrie femminili italiane», nascerà nel 1909 in Lombardia (ma con respiro nazio- nale) il primo Comitato promotore per una «Moda di pura arte italiana», presieduto dal conte Giuseppe Visconti di Modrone, patrocinato da donna Franca Florio, dalla principessa Odescalchi, dalla duchessa Giulia Melzi G¶(ULOHFRQXQFRQVLJOLRG¶DPPLQLVWUD]LRQHGRYH¿JXUDQRLSLQRWLQRPL dell’industria del settore, come Rossi, Jesurum, Clerici, Borsalino e Stuc- chi, unanimemente decisi al rilancio in grande stile del settore tessile-abbi- gliamento in tutta Europa. Negli anni compresi tra il 1908 e il 1912, la stampa internazionale, dall’italiana «Margherita» all’americano «New York Herald», divulgheranno non solo le interpretazioni della Genoni, ma ne evidenzieranno la fantasia compositiva, dimostrando per la prima volta FRPH©JOLXOWLPL¿JXULQLLQFRPPHUFLRHODPRGDGL3DULJLHPXODVVHUR¿QR a rasentare il plagio, quelli della sarta italiana senza che le imitazioni rag- giungessero tuttavia l’eleganza degli originali».54 52. Ibid., p. 47. 53. Ibid., p. 52. 54. Ibid., p. 56.
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Figura 4. R. Genoni, Abito da ballo tratto dalla Primavera del Botticelli, Mila- no, Esposizione internazionale per l’inaugura zione del Sempione, 1906. L’a bito è indossato dalla baronessa Maria da Linbenberg, cliente del la Genoni e accesa sostenitrice del rilancio di una moda ita liana;; immagine tratta da Abi ti in festa;; l’ornamento e la sartoria italiana, Catalogo della mostra, Firenze, 30 marzo-31 dicembre 1996, Sillabe, Livorno 1996, p. 40
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Figura 5. Ava Gardner indossa un abito delle Sorelle Fontana alla prima di The Barefoot Contessa (La contessa scalza, 1954);; im- magine tratta da S. Gnoli, Moda e cinema. La magia dell’abito sul grande schermo, Edimond, Città di Castello 2004, p. 88
Poco compresa a livello commerciale per aver precorso i tempi in un PRPHQWRGLGLI¿FLOHRUJDQL]]D]LRQHGHOSDHVH5RVD*HQRQLGjFRPXQTXH un contributo indiscutibile alla maturazione di un gusto autonomo da in- gerenze straniere sebbene le circostanze storico-politiche ne blocchino prematuramente lo sviluppo proprio nel momento di maggior presa. Ma il suo discorso non andrà perduto;; riemergerà dopo alcuni decenni con il trion fo internazionale dell’Italian fashion degli anni Cinquanta55 quando, QHOIHEEUDLRGHO¶D)LUHQ]HQHJOLDPELHQWLGL9LOOD7RUULJLDQLV¿OHUDQQR 55. Belfanti, Civiltà della moda, p. 246
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i futuri grandi nomi dell’alta sartoria italiana, alcuni dei quali opereranno per le dive della cosiddetta “Hollywood sul Tevere” o per le grandi attrici del cinema italiano, inaugurando la fortuna e l’esportazione della nostra moda all’estero, riconosciuta ormai come punto di riferimento per tutti gli altri paesi a livello internazionale56¿JXUD
56. Il vero e proprio atto di nascita della moda italiana è solitamente indicato nella V¿ODWDWHQXWDVLD)LUHQ]HQHOIHEEUDLRGHORUJDQL]]DWDGD*LRYDQQL%DWWLVWD*LRUJLQL QHOOD9LOOD7RUULJLDQLGRYHQHOELJOLHWWRG¶LQYLWRGHOODVHUDWD¿QDOHDOOHVLJQRUHYHQLYDYLYD- mente consigliato di indossare «abiti di pura ispirazione italiana» con l’obiettivo di valoriz- ]DUHOD©QRVWUDPRGDª,QTXHOO¶RFFDVLRQHV¿ODURQRLPRGHOOLFUHDWLGDTXHOOLFKHGLYHUUDQQR GLOuDSRFRLJUDQGLQRPLGHOO¶DOWDVDUWRULDmade in Italy e/o quelli che vestiranno le dive della «Hollywood sul Tevere» o le grandi attrici del cinema italiano: Carosa, Fabiani, Simo- netta Visconti (per Lauren Bacall e Audrey Hepburn), Emilio Schuberth (per Sophia Loren e Gina Lollobrigida), le Sorelle Fontana (per Myrna Loy, Loretta Young, Linda Christian, ecc.), Jole Veneziani, Vanna, Noberasco e Germana Marucelli per l’alta moda, Emilio Puc- ci, Avolio, La tessitrice dell’isola e Mirsa per la moda boutique, per un totale di centottanta modelli. Cfr. Belfanti, Civiltà della moda, pp. 238-239;; cfr. anche N. Giusti, Introduzione allo studio della moda, il Mulino, Bologna 2009, p. 152, e S. Gnoli, Un secolo di moda italiana, 1900-2000, Meltemi, Roma 2005.
LUIGI TOMASSINI /¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQH del patrimonio artistico italiano. /DGLI¿FLOH³QD]LRQDOL]]D]LRQH´IRWRJUD¿FD del Mezzogiorno (1861-1911)
1. Italia/Italie 1HOO¶,WDOLDSRVWXQLWDULDODIRWRJUD¿DLQWHVDFRPHPH]]RGLUHJLVWUD]LR- ne e documentazione visiva, ha avuto un ruolo importante non solo nella conservazione e diffusione dei beni culturali, ma anche nella costruzione della concezione stessa di un “patrimonio culturale” nazionale. L’Italia non solo possiede un patrimonio culturale di straordinaria rile- YDQ]DPDTXHVWRSDWULPRQLRYLHQHVRWWRSRVWRDXQDULGH¿QL]LRQHSHUFHUWL YHUVLUDGLFDOHSURSULRQHOSHULRGRFKHYDGDOOD¿QHGHO;9,,,DOODPHWjGHO XIX secolo. Lo sguardo europeo sull’Italia cambia nel periodo postrivolu- ]LRQDULRODSHUFH]LRQHGHOEHOORLYDORULHVWHWLFLVXELVFRQRULFODVVL¿FD]LRQL LPSRUWDQWL1HOFRQWHPSRVLKDXQDULGH¿QL]LRQHGHLYDORULULVSHWWLYLGHOOH diverse parti d’Italia;; le varie “Italie” preunitarie nel periodo di tempo che FRLQFLGHFRQLOSURFHVVRGLXQL¿FD]LRQHGHYRQRULFROORFDUVLLQXQDVFDOD gerarchica “nazionale” che investe fra i tanti aspetti della loro identità, DQFKHTXHOORUHODWLYRDOSDWULPRQLRFXOWXUDOHHDUWLVWLFR/DIRWRJUD¿DQRQ solo contribuisce a far conoscere, a rendere visibili e comparabili monu- menti, oggetti, paesaggi, con un procedimento che assicura un grado di esattezza e “oggettività” che all’epoca appare straordinario, ma svolge questo compito in maniera pervasiva, essendo relativamente facile la pro- GX]LRQHHDQFRUSLIDFLOHHGHFRQRPLFDODGLIIXVLRQHGHLVXRLSURGRWWL,Q questo saggio, mi propongo di fornire alcuni elementi circa la rilevazione IRWRJUD¿FDGHOWHUULWRULRGHOSDHVDJJLRGHLEHQLDUWLVWLFLHPRQXPHQWDOL con il suo sviluppo progressivo, le scelte e le esclusioni che compie (so- prattutto nel rapporto Nord/Sud). Un’operazione di costruzione di una rap- presentazioni per immagini attiva e per niente neutra, ma che nel contempo
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DVVXPHLOVLJQL¿FDWRGLXQRVSHFFKLRGHOOHFRQFH]LRQLFRUUHQWLQHOFDPSR del gusto, delle gerarchie e delle valutazioni estetiche sia del largo pubbli- co, sia degli operatori specializzati. 0HQWUHLQDOWULSDHVLO¶LQL]LDWLYDGLXQDULOHYD]LRQHIRWRJUD¿FDGHOSD- trimonio viene assunta assai precocemente dallo Stato (in Francia, con la Mission Héliographique, già alla metà del XIX secolo)1 H SUHVHQWD ¿Q dall’inizio i caratteri di una operazione di tutela, dato che si fotografano in particolare i monumenti e le opere bisognose di cure e di interventi conser- vativi e di restauro, in Italia un intervento dello Stato si ha molto tardiva- mente. La rilevazione del patrimonio in Italia avviene attraverso i fotogra- ¿SULYDWLFKHVLSUHQGRQRFDULFRGLTXHVWRFRPSLWRQHOODIDVHGHOOHRULJLQL ma lo fanno con criteri molto diversi rispetto al caso della Mission, in so- VWDQ]DULVSRQGHQGRDOODIRUWHGRPDQGDGLGRFXPHQWD]LRQHIRWRJUD¿FDSUL- ma da parte dei viaggiatori, del pubblico colto europeo, e poi soprattutto degli istituti, degli enti, delle fototeche, degli studiosi, solo in piccola parte italiani, ma soprattutto europei e anche extraeuropei. Questa operazione, destinata ad avere, come ha osservato Massimo Ferretti, profonde conseguenze sulla formazione degli storici e critici d’ar- te,2 si inseriva in un contesto in cui le varie Italie preunitarie si stavano XQL¿FDQGRDQFKHFXOWXUDOPHQWHFRQODQHFHVVLWjTXLQGLGLULVWDELOLUHDO l’in terno del nuovo contesto nazionale, una rete di rapporti gerarchici in buona parte nuovi e inediti;; in un contesto in cui, oltre al formarsi di una peculiare identità nazionale, si registrava una attenzione da parte degli stra- nieri che costituivano un punto di riferimento culturale essenziale, oltre che un fattore economico rilevante per molti imprenditori del settore molto SULPDFKHLOWXULVPRGLYHQWDVVHODSLLPSRUWDQWHLQGXVWULDQD]LRQDOH 3HUTXDQWRGDIRQWHDXWRUHYROHVLVLDVRWWROLQHDWRFRPH¿QGDOO¶XQL¿FD- ]LRQHXQIRUWHDIÀDWRSDWULRWWLFRHQD]LRQDOHDYHVVHFDUDWWHUL]]DWRO¶RSHUD GHLIRWRJUD¿DPLRSDUHUHXQYHURHFRQVDSHYROHWHQWDWLYRGLXWLOL]]DUHOD IRWRJUD¿DLQXQ¶RWWLFD³GLGDWWLFDHFHOHEUDWLYD´3 per quanto riguarda il patri- 1. A. de Mondenard, La Mission Héliographique. Cinq photographes parcourent la France en 1851, Monum-Editions du patrimoine, Paris 2002. 2. M. Ferretti, )UD WUDGX]LRQH H ULGX]LRQH /D IRWRJUD¿D GHOO¶DUWH FRPH RJJHWWR H come modello, in *OL $OLQDUL IRWRJUD¿ D )LUHQ]H , Alinari, Firenze 1977;; Id., Immagini di cose presenti, immagini di cose assenti: aspetti storici della riproduzione d’ar- te, in )UDWHOOL$OLQDULIRWRJUD¿LQ)LUHQ]HDQQLFKHLOOXVWUDURQRLOPRQGR, a FXUDGL$&4XLQWDYDOOH00DI¿ROL$OLQDUL)LUHQ]HSS 3. G. Bollati, 1RWHVXIRWRJUD¿DHVWRULD, in Storia d’Italia. Annali 2. L’immagine fo- WRJUD¿FD, a cura di C. Bertelli, G. Bollati, Einaudi, Torino 1979, p. 31.
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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monio artistico monumentale e paesaggistico, si sviluppa in maniera corpo- sa solo a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, in concomitanza anche con una serie di iniziative che muovono da alcune importanti realtà associa- WLYHFRPHDGHVHPSLRLO7RXULQJ&OXEROD6RFLHWj)RWRJUD¿FD,WDOLDQD HLQ un clima culturale teso a elaborare effettivamente una retorica nazionale che avrà il suo culmine nel 1911 con le celebrazioni del cinquantenario, ma che già mostra dall’inizio degli anni Ottanta, dopo l’avvento della Sinistra e la VWLSXODGHOOD7ULSOLFHLVHJQLVHPSUHSLHYLGHQWLGLXQDSROLWLFD³QD]LRQDOH´ desiderosa di affermare a livello simbolico i segni delle proprie aspirazioni GLSRWHQ]D$TXHOODGDWDSHUzRUPDLODULOHYD]LRQHIRWRJUD¿FDGHOSDWULPR- nio artistico nazionale è già avviata e impostata secondo binari ormai affer- mati e solidi che hanno seguito un modello liberista e di mercato, e di un PHUFDWRGRPLQDWRGDXQDGRPDQGDDVVDLSLLQWHUQD]LRQDOHFKHQD]LRQDOH Quando nel 1911 Corrado Ricci proporrà, a nome del governo, di istituire QHOODFDSLWDOHXQ©$UFKLYLR*HQHUDOH)RWRJUD¿FR,WDOLDQRªQRQSRWUjHVVHUH un’iniziativa autonoma, tale da stabilire una via nuova di valorizzazione del SDWULPRQLRPDGRYUjSRUVLFRQLOSLOLPLWDWRFRPSLWRGL©LQWHJUDUHOHFRO- OH]LRQLVSHFLDOLGLIRWRJUD¿HGRFXPHQWDULHHVLVWHQWLLQ,WDOLDª4 Quelle “col- lezioni speciali” che in realtà continueranno anche in seguito, rispondendo DLQRPLGLDOFXQLJUDQGLIRWRJUD¿HGLWRULSULYDWLFRPHJOL$OLQDULJOL$QGHU- VRQL%URJLHFKHVDUDQQROHIRQWLSLFRVSLFXHGHOODUDSSUHVHQWD]LRQHGHL EHQLFXOWXUDOLHDUWLVWLFLLQ,WDOLD¿QRDOVHFRQGRGRSRJXHUUD
2. Alinari, Brogi e Anderson Come risulta dall’imponente studio di Quintavalle5 e anche dalle ricer- FKHGLPROWLDOWULVWXGLRVLJOL$OLQDUL¿QGDOO¶LQL]LRVLFROORFDURQRDXQOL- vello “alto” nel loro settore, e acquisirono diversi titoli di distinzione anche a livello internazionale. Nel contempo però si situavano entro un contesto in cui la loro esperienza era tutt’altro che eccezionale. L’arrivo della foto- JUD¿DLQ,WDOLDHUDVWDWRSLXWWRVWRSUHFRFHPDLOGDJKHUURWLSRDYHYDLQWHUHV- 4. $WWL GHO WHU]R FRQJUHVVR IRWRJUD¿FR LWDOLDQR WHQXWR LQ 5RPD GDO DO DSULOH 1911, Chiari, Firenze 1911, p. 30. Cfr. anche F. Canali, )RWRJUD¿DG¶DUWHHIRWRJUD¿DDUWL- stica nei giudizi di Corrado Ricci e dei contemporanei. Documentazione, arte e restauro dei monumenti, in Corrado Ricci. Nuovi studi e documenti, a cura di N. Bombardini, P. Novara, S. Tramonti, Società di studi ravennati, Ravenna 1999, pp. 267-308. 5. A.C. Quintavalle, Gli Alinari, Alinari, Firenze 2003.
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VDWR LQL]LDOPHQWH VRSUDWWXWWR JOL DPELHQWL VFLHQWL¿FL GHOOD SHQLVROD H LQ seguito si era orientato nettamente verso la pratica del ritratto, restando sostanzialmente inadatto a un uso ampio e sistematico sul piano della do- cumentazione del patrimonio artistico, nonostante la rilevante eccezione di Ruskin.6 Con i processi talbotipici, anch’essi precocemente noti in Italia, si apriva una possibilità di diffusione del tutto diversa, che poi verrà esaltata nel periodo del collodio. Nel 1871, al primo censimento italiano che ripor- WLTXHVWRGDWRLOQXPHURGHLIRWRJUD¿SURIHVVLRQLVWLULVXOWDYDSDULD che poi salivano a 1.749 nel 1881 e a 3.502 nel 1901. Anche se non vi sono GDWLXJXDOPHQWHDI¿GDELOLHVLVWHPDWLFLSHULOSHULRGRSUHFHGHQWHDO VLSXzVXSSRUUHFKHQHOODSUHVHQ]DGLIRWRJUD¿SURIHVVLRQLVWLVLIRVVH a quell’epoca tutto sommato assestata in Italia, e che non solo le grandi città, ma anche molte cittadine medio-piccole avessero un loro fotografo professionista, il quale poteva produrre, oltre ai ritratti e alle foto su com- PLVVLRQHDQFKHIRWRJUD¿HGHLPRQXPHQWLGLYHGXWHGLRSHUHG¶DUWHGHVWL- QDWHDXQDGLIIXVLRQHSLODUJD4XHVWDGLIIXVLRQHHUDJDUDQWLWDLQSULPR luogo dal fenomeno del Grand Tour, che si stava trasformando, assumendo GLPHQVLRQLVHPSUHSLDPSLH)LQRDOFKHqODGDWDGHOO¶XQL¿FD]LRQH italiana, seguita dalla rapidissima creazione di una rete ferroviaria che col- legava le varie città della penisola, il peso dei “turisti” forestieri che si spostavano nelle principali città italiane era fondamentale per la specializ- ]D]LRQH GHL IRWRJUD¿ VX TXHVWR WLSR GL SURGX]LRQH 2FFRUUH SHUz WHQHUH SUHVHQWHFKHDOLYHOORSLDPSLRLQTXHJOLDQQLVLVWDYDVYLOXSSDQGRLQ(X- ropa una nuova sensibilità per la diffusione delle immagini: nascevano in Inghilterra, Francia e Germania le grandi riviste illustrate destinate a un SXEEOLFRPROWRHVWHVRODWLSRJUD¿DHODOLWRJUD¿DVHJQDYDQRJUDQGLSUR- gressi, mentre nel contempo cresceva nel gusto dell’epoca il recupero dell’arte del passato (l’Ottocento sarà il grande secolo dell’archeologia). In pratica quindi si delineavano due diversi mercati che favorivano la diffu- VLRQHGHOOHIRWRJUD¿HVXODUJDVFDODLOPHUFDWRGHL³WXULVWL´FKHVLUHFDYDQR GLUHWWDPHQWHQHLOXRJKLGLSURGX]LRQHGHOOHIRWRJUD¿HHIDYRULYDQRODVSH- FLDOL]]D]LRQHGHLIRWRJUD¿ORFDOLHLOPHUFDWRLQWHUQD]LRQDOHFKHJDUDQWLYD GLPHQVLRQLPROWRPDJJLRULPDULFKLHGHYDXQDRIIHUWDDVVDLSLDPSLD6L DIIHUPDURQRFRVuLQ,WDOLDLQUHOD]LRQHDOSULPRWLSRGLPHUFDWRXQDVHULH 00DI¿ROL/7RPDVVLQLIl dagherrotipo nell’Italia del 1839, in L’Italia d’argen- to. 1839-1859. Storia del dagherrotipo in Italia, Alinari, Firenze 2003;; P. Costantini, I. Zannier, I dagherrotipi della collezione Ruskin, Alinari-Arsenale, Firenze-Venezia 1986.
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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GL IRWRJUD¿ VSHVVR GL JUDQGH TXDOLWj H GL HVWUHPR LQWHUHVVH SHU OD VWRULD GHOODIRWRJUD¿DFRPH6FKHPERFKH6RPPHU3RQWL1D\D7XPLQHOOR$Q- derson, ma anche molti altri dislocati in città “minori” come Bernoud a Livorno, Lombardi a Siena o Ricci a Ravenna, e via dicendo.7
3. Viaggio in Italia e mercato europeo , IRWRJUD¿ FKH VL GDQQR DOO¶LQGXVWULD GHOOD ULSURGX]LRQH GHL PRQXPHQWL H VRQRTXHVWHOHVROHIRWRJUD¿HFKHWURYLQRDOO¶HVWHURIDFLOHVPHUFLR VLWURYDQR a Roma, a Venezia, a Firenze, città eminentemente artistiche.8
Con queste parole il fotografo franco-torinese Schemboche illustrava OHGLI¿FROWjFKHLQFRQWUDYDODYRUDQGRD7RULQRFLWWjLPSRUWDQWHLQ,WDOLDOD prima capitale del Regno, ma svantaggiata rispetto alle grandi città d’arte. Fra queste ultime, Firenze godeva di una posizione particolarmente favorevole, nel decennio fra il 1861 e il 1870. In primo luogo la città tosca- QD HUD O¶XQLFD D HVVHUH ¿Q GDOO¶LQL]LR LQVHULWD QHO QXRYR 5HJQR G¶,WDOLD mentre Venezia venne conquistata solo nel 1866, e Roma nel 1870;; in que- sto modo le due altre grandi città d’arte italiane furono escluse dal nuovo mercato nazionale proprio negli anni decisivi in cui gli Alinari si orientaro- QRDGLYHQLUHXQ¶³LQGXVWULD´IRWRJUD¿FDVXVFDODQD]LRQDOH,QROWUH)LUHQ]H era al centro in quel periodo di un’attenzione speciale per il pubblico colto e per l’opinione pubblica europea. Gli inglesi in particolare la privilegiava- no, come destinazione di viaggio e come luogo di residenza (era la città italiana con il maggior numero di residenti stranieri);; ma anche nel resto d’Europa l’“idea di Firenze”9 come centro culturale di irraggiamento della 7. L. Tomassini, /HRULJLQLGHOOD6RFLHWj)RWRJUD¿FD,WDOLDQDHORVYLOXSSRGHOODIRWR- JUD¿DLQ,WDOLD$SSXQWLHSUREOHPL, in «AFT», 1 (1985), n. 1 pp. 42-51;; ora anche in http:// rivista.aft.it/aftriv/controller. 8. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Atti dell’Inchiesta Industriale, 3, p. 15 9. L’idea di Firenze. Temi e interpretazioni nell’arte straniera dell’Ottocento, Atti del convegno (Firenze, 17, 18, 19 dicembre 1986), a cura di M. Bossi, L. Tonini, Centro Di, Firenze 1989. Sulla “passione” degli inglesi per l’Italia nel XIX secolo, cfr. C.P. Brand, Italy and the English Romantics. The Italianate Fashion in Early Nineteenth Century, At the University Press, Cambridge 1957;; J.C. Pemble, The Mediterranean Passion: Victorians and Edwardians in the South, Clarendon Press, Oxford 1987;; e J. Buzard, European Tour- ism, Literature, and the Ways to Culture, 1800-1918, Clarendon Press, Oxford 1993.
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cultura e della grande arte europea nel periodo medievale-rinascimentale si era diffusa già dalla prima metà del secolo, portando a una rivalutazione GHOO¶DUWHGHL³SULPLWLYL´HDXQIRUWHFDPELDPHQWRGHOJXVWRFKHVLULÀHWWH- YDGDJOLVWXGLGLVWRULDGHOODFXOWXUDHGHOO¶DUWH¿QRDOOHJXLGHSHULYLDJJLD- tori e i turisti.10 Il fatto che Firenze fosse capitale del Regno dal 1865 al IDYRUuXOWHULRUPHQWHLOVXRUXRORFHQWUDOHLQTXHVWLDQQLHSHUPLVH agli Alinari, e anche a Brogi, di acquisire posizioni di vantaggio rispetto DJOLDOWULIRWRJUD¿GHOOHJUDQGLFLWWjG¶DUWH ,OFDVRSLHYLGHQWHGLTXHVWDGLYHUVLWjQHLPRGHOOLGLVYLOXSSRGHLIR- WRJUD¿OHJDWLDTXHVWRWLSRGLPHUFDWRVLKDSDUDJRQDQGRO¶DWWLYLWjGL$OLQD- ri e di Anderson. $QGHUVRQRSHUDQGRD5RPDDOFHQWURGHOO¶,WDOLDHGHLIRUWLÀXVVLGL viaggio che puntavano alla capitale da tutto il mondo per motivi religiosi oltre che turistici o artistici, ma essendo relativamente rinchiuso entro il UHODWLYDPHQWHSLFFROR6WDWRGHOOD&KLHVD¿QRDODYHYDIDWWRODVFHOWD di puntare soprattutto sul mercato locale. Invece Alinari con scelta lungimirante, già nel 1864, appena un anno GRSRLOSHVDQWHLPSHJQR¿QDQ]LDULRFRQWUDWWRSHUFRVWUXLUHODVXDVHGH¿R- UHQWLQDFUHzXQDVHGHD1DSROLDOORUDGLJUDQOXQJDODSLSRSRORVDFLWWj del Regno, dove venne effettuata sempre nel 1864 un’importante campa- JQDIRWRJUD¿FDHGRYHYHQLYDIRQGDWDXQD6RFLHWjIRWRJUD¿FDFRQ)HGHUL- go Sprüngli e Cristiano Fedele Cavelty. La campagna Alinari su Napoli, HIIHWWXDWDTXDQGRDQFRUD5RPDH9HQH]LDHUDQRDOGLIXRULGHLFRQ¿QLGHO Regno d’Italia, aveva un chiaro obiettivo nazionale, poiché permetteva alla JLRYDQHFDVD¿RUHQWLQDGLSUHVLGLDUHLGXHSULQFLSDOLFHQWULG¶DUWHHWXULVWLFL GHO5HJQR6X1DSROLRSHUDYDQRJLjGDWHPSRDOFXQLIRWRJUD¿GLSULPLVVL- mo piano a livello qualitativo, ma nessuno che avesse ambizioni e capacità di dare una dimensione nazionale e internazionale alla loro attività. Per quanto si trattasse di personaggi che avevano una dimensione tutt’altro che provinciale, come il tedesco Giorgio Sommer, essi si limitavano a condivi- dere la scelta “locale” che aveva fatto a Roma l’inglese Giacomo Ander- son. Questo non voleva dire che non vendessero agli stranieri, anzi per loro 10. L. Di Mauro, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi (Dal Grand Tour al Baedeker), in Storia d’Italia. Annali 5. Il paesaggio, a cura di C. De Seta, Einaudi, Torino 1982, pp. 369-391;; cfr anche L. Tomassini, Vedere Firenze nell’Ottocento. Immagini e de- scrizioni della città nell’editoria per il turismo, in $OOHRULJLQLGHOODIRWRJUD¿DXQLWLQHUD- rio toscano 1839-1880DFXUDGL0)DO]RQHGHO%DUEDUz00DI¿ROL(6HVWL$OLQDUL Firenze 1989.
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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gli stranieri erano gli acquirenti per eccellenza, solo che vendevano ai viaggiatori che venivano a visitare la città, e quindi vendevano loro le fo- WRJUD¿H GHOOD FLWWj VWHVVD FKH VWDYDQR LQ TXHO PRPHQWR YLVLWDQGR H QRQ altre. Al contrario, gli Alinari vendevano solo in parte attraverso il canale dei turisti e viaggiatori e soprattutto invece attraverso il canale dei rivendi- tori, cioè attraverso punti di vendita distribuiti in tutto il mondo, i quali a loro volta rifornivano un pubblico nuovo e specializzato, ma larghissimo se inteso a livello globale, cioè quello degli studiosi di storia dell’arte e degli istituti scolastici e di ricerca che si occupavano di storia dell’arte. In questo contesto quindi si colloca l’avvio di una campagna fotogra- ¿FD$OLQDULVXO0HULGLRQHFRPHXQDHVLJHQ]DGLFRSHUWXUDWHPSHVWLYDGL XQSXQWRLPSRUWDQWHGHOWHUULWRULRQD]LRQDOHSLFKHFRPHXQYHURHRUJD- nico interesse per il Sud del paese. 6LFRPSUHQGRQRPHJOLRFRVuGXHFDUDWWHULGLIRQGRGLTXHVWDFDPSD- gna: il fatto che interessò un’area molto limitata, attorno a Napoli, e il fatto FKHQRQHEEHXOWHULRULVYLOXSSLSHUTXDVLTXDUDQW¶DQQLSUDWLFDPHQWH¿QR DOOD¿QHGHOVHFROR Come mostra la tabella 1, la campagna del 1864 (del resto messa rego- larmente in catalogo, dopo la morte del fondatore della ditta, Leopoldo, solo nel 1873), pur se importantissima in quel momento e piuttosto cospi- cua per il numero di soggetti considerati, era piuttosto limitata se vista in prospettiva rispetto alle campagne che avrebbero poi caratterizzato l’attivi- tà della ditta. Furono infatti fotografati in tutto 308 soggetti, che non erano assolutamente pochi nel 1864;; però se si esamina la distribuzione delle la- VWUHQHJDWLYHVLYHGHFKHO¶DPELWRJHRJUD¿FRHUDHVWUHPDPHQWHOLPLWDWR dato che Napoli e Pompei da soli coprivano quasi il 90% dei soggetti. Inoltre, anche i formati delle lastre ci danno ulteriori indicazioni sui limiti di questa campagna. All’epoca, come è noto, si fotografava su matri- ci negative che erano lastre di vetro al collodio;; i positivi, non esistendo PH]]LHI¿FDFLGLLQJUDQGLPHQWRVLVWDPSDYDQRGLUHWWDPHQWHSHUFRQWDWWR su carta sensibile dello stesso formato del negativo. Se un soggetto veniva fotografato nel formato carte de visite (6 × 9, il SLHFRQRPLFRHIDFLOHGDVWDPSDUHPDDQFKHLOSLSLFFRORHGLSHJJLRU TXDOLWjHUDYHQGXWRQHODFHQWHVLPLSHUFRSLD DOORUDVLJQL¿FDYD che era un soggetto popolare e se ne prevedeva una larga diffusione. Il IRUPDWR³DOEXP´HUDXQIRUPDWRSLHOHJDQWHHGLTXDOLWjPDXJXDOPHQWH popolare (cm 14,5 × 9,5, era venduto a 80 centesimi per copia);; il formato
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7DEHOOD)RWRJUD¿HGL1DSROLH&DPSDQLDQHOFDWDORJR$OLQDUL Città Baia Castellammare di Stabia Pozzuoli Capri Sorrento Pompei Napoli
Carte visita
Stereo- scopiche
Album
Piccole
Tot. soggetti
Tot. lastre
1
0
0
0
1
1
0 3 1 0 25 99
0 0 7 7 26 106
0 0 0 0 0 4
1 4 6 20 9 83
1 4 7 20 50 225
1 7 14 27 60 29
“piccolo” nonostante il nome era il formato standard (cm 18 × 24, costo 1,6 lire, poco meno del salario giornaliero di un manovale all’epoca) venduto per gli studiosi, le fototeche, gli istituti scolastici, ecc. C’erano poi i forma- WLSLJUDQGLFKHDQGDYDQR¿QRDOîHDQFKHROWUHLQFDVLSDUWLFRODUL in cui gli Alinari decidevano di produrre alcuni soggetti in formati molto JUDQGLIXRULVWDQGDUGLQTXHVWRFDVRVLSRWHYDDUULYDUHDVXSHU¿FLGLGLYHU- VL PHWUL TXDGUDWL SHU RJQL VLQJROD VWDPSD Ê QDWXUDOH FKH L IRUPDWL SL JUDQGLHSLFRVWRVLHUDQRGLUHWWLDXQSXEEOLFRHDXQXVRGLYHUVRGDTXHOOL GHOIRUPDWR³SLFFROR´PDDQFKHSLVHOH]LRQDWRHOLPLWDWRÊTXLQGLLQWH- ressante notare come nel caso della campagna napoletana del 1864 non fossero stati usati per niente formati superiori al “piccolo” e che in realtà quasi il 70% fosse concentrato nei formati popolarissimi della carte de vi- site e stereoscopico (per fare un confronto, sul totale delle foto in catalogo delle altre località di altre regioni la corrispondente percentuale nei catalo- ghi Alinari era del 23%).11 Quindi una campagna per stabilire una presenza e “fare cassa” occu- SDQGRVLLQVRVWDQ]DVRSUDWWXWWRGHOOHLPPDJLQLSL³YHQGLELOL´FRPHVRJ- getto e formato. Negli anni seguenti, anche forse per la morte di Leopoldo, che era stato l’ideatore dell’operazione su Napoli, gli Alinari si concentra- 11. Il formato stereoscopico era praticamente una doppia carte de visite, venduta esat- tamente al prezzo di due cartes de visite, che, ottenuta con una macchina a doppio obiettivo accoppiato e vista in un apposito visore, dava l’illusione della tridimensionalità: fu un og- getto di moda estremamente popolare e diffuso per tutta la seconda metà del XIX secolo.
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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rono soprattutto sulle regioni centro-settentrionali, in particolare su Roma e Venezia, le due grandi città d’arte che erano divenute parte dello Stato QD]LRQDOHFIUJUD¿FR ÊLQWHUHVVDQWHQRWDUHFKHORVWHVVR$QGHUVRQFKH SXUHDYHYDEDVHD5RPDVHJXuDQFK¶HJOLODPHGHVLPDYLDGLXQ¶HVSDQVLRQH D1RUGFRPHVLYHGHGDOJUD¿FRDQFRUDQHOODVXDSUHVHQ]DDO6XG era estremamente esigua. Toccò quindi a Brogi sopperire a questa evidente FDUHQ]D1HOFRUVRGHJOLDQQL2WWDQWDLOIRWRJUDIRHGLWRUH¿RUHQWLQRHIIHWWXz una campagna assolutamente rilevante a Napoli. Anche se anch’egli si li- PLWzLQUHDOWjDWRFFDUHVROROD]RQDGHOQDSROHWDQRHGHOODFRVWLHUDDPDO¿- tana, mise in catalogo oltre mille soggetti, distribuiti come si può osservare dalla tabella 2, cioè con una nettissima prevalenza di Napoli e Pompei. La scelta di Brogi è particolarmente interessante, perché Brogi indivi- GXDOD&DPSDQLDFRPHODUHJLRQHSLLPSRUWDQWHGRSROD7RVFDQDVFHOWD FKHQRQVLULWURYDSUHVVRJOLDOWULJUDQGLIRWRJUD¿QD]LRQDOL QRQVRORSHU XQ¶HVLJHQ]D GL GLIIHUHQ]LD]LRQH JHRJUD¿FD PD DQFKH SUREDELOPHQWH SHU XQDGLYHUVDVWUDWHJLDGHOORVJXDUGRIRWRJUD¿FR0HQWUH$OLQDULHRUPDLDQ- che Anderson hanno fatto già fra gli anni Settanta e Ottanta la scelta di
*UD¿FR'LVWULEX]LRQHSHUUHJLRQLGHOOHYRFLGHLFDWDORJKL$OLQDUL
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*UD¿FR'LVWULEX]LRQHSHUUHJLRQLGHOOHYRFLGHOFDWDORJR%URJLGHO
*UD¿FR'LVWULEX]LRQHSHUUHJLRQLGHOOHYRFLGHOFDWDORJR$QGHUVRQGHO
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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7DEHOOD)RWRJUD¿HGL1DSROLH&DPSDQLDnel catalogo Brogi del 1889 Maddaloni Atrani Capua Vetere Castellammare Ravello Ercolano Caserta Isola d’Ischia Salerno
1 2 2 2 2 10 13 13 16
$PDO¿ Pesto Capri Pozzuoli Sorrento Pompei Napoli Totale
20 28 28 33 130 702 1.020
SULYLOHJLDUHOHIRWRJUD¿HSHUJOLVWXGLRVLHSHUJOLLVWLWXWLGLLVWUX]LRQHLQ campo storico artistico, Brogi, che già si era distinto per il suo interesse IRWRJUD¿FRYHUVROD3DOHVWLQDHLOXRJKLVDFULGHOOD7HUUDVDQWDSURPXRYHOD pubblicazione di un catalogo di vedute dell’Italia e di altri paesi mediterra- nei. Negli anni della cosiddetta “Mediterranean passion”,12 questa scelta indicava un interesse anche per un pubblico diverso e una diversa conce- ]LRQHGHOOD³FRSHUWXUD´IRWRJUD¿FDGHOOHEHOOH]]HDUWLVWLFKHHSDHVDJJLVWL- che. Come diceva lo stesso Brogi nell’introduzione al suo catalogo spie- gando la propria strategia per una visione unitaria e complessiva del patri- monio paesaggistico e artistico italiano e non solo: ÊODYRURGLI¿FLOLVVLPRVHQ]DGXEELRHFKHIDVFLXSDUHPROWRWHPSRXWLOHDFKL viaggia in Italia quello di recarsi presso i diversi editori di vedute per sceglie- re ciò che gli conviene. È pur vero che gli editori d’ogni parte d’Italia hanno pubblicato moltissime vedute, annotate in voluminosi cataloghi, ma niuno di essi ha una collezione veramente completa perché niuno di essi ha voluto completarla con le vedute dei concorrenti. Egli è perciò che abbiamo creduto QHFHVVDULRGLWHQHUHXQDVVRUWLPHQWRFRPSOHWRGLIRWRJUD¿HGLWXWWDO¶,WDOLDH GL WXWWH OH YHGXWH SL LPSRUWDQWL GHL 3DHVL GHO 0HGLWHUUDQHR H VLDPR VWDWL convinti di questa necessità dallo splendido successo che abbiamo ottenuto.
Da notare che nell’ambito di questa concezione, che già apriva qual- che smagliatura nello stile rigorosamente riservato ai beni artistici e pae- VDJJLVWLFLGHLIRWRJUD¿HGLWRULODSDUWHUHODWLYDDOOD&DPSDQLDQHOFDWDORJR del 1889 di Brogi comprendeva un’ampia serie di vedute tradizionali, cioè 12. Pemble, The Mediterranean Passion;; cfr. anche Buzard, European Tourism.
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tali da illustrare in maniera equilibrata e informativa i tratti caratteristici, i topoiSDHVDJJLVWLFLSLGLIIXVLHFDQRQLFLPDIDFHYDDQFKHQRWHYROLFRQ- FHVVLRQLDXQJXVWRSLévenementielSLOHJDWRDFLUFRVWDQ]HRHYHQWLSDU- ticolari connessi con la natura “pittoresca” dei luoghi, con tre scenette di genere stereotipate raggruppate in una sezione «costumi dal vero» e dedi- cate a «il calesso o curricolo», «venditore di latte con due vacche» o «ven- GLWRUHGLPDFFKHURQLªRSSXUHFRQIRWRJUD¿HULIHULWHDLQXRYLÀXVVLWXULVWLFL e alle strutture di accoglienza predisposte, con soggetti come «veduta ani- PDWD GHO PHUFDWRª R ©)HVWD SRSRODUH GL 3LHGLJURWWD QHO Gu 6HWWHPEUH 1881» oppure ancora «Napoli. Hotel Royal des Etrangers. - Sala da pranzo chiamata Vega, eseguita per conto del Caprani dall’architetto Schioppa e dal pittore Casanuova. Fu inaugurata nel 1880»;; oppure a Capri, «Terrazza con due contadini e fondo di paesaggio», o a Sorrento, «Casarlana, fabbri- cato con donne al lavatoio». Soprattutto spicca il notevolissimo numero di vedute, di panorami, di scorci della costiera da punti caratteristici. In questo contesto la forte ac- centuazione da parte di Brogi dell’interesse per Napoli e la costiera amal- ¿WDQDSRWHYDDSSDULUHFRPHLOSRQWHSHUODQFLDUHXQDVWUDWHJLDGLUDSSUH- sentazione del Meridione e dei paesi mediterranei che sarebbe stata di straordinario interesse, ma che era forse troppo ambiziosa se non velleita- ria per un piccolo imprenditore come in fondo erano Brogi e anche gli VWHVVL$OLQDUL,QIDWWLIDUHXQDFDPSDJQDIRWRJUD¿FDFRPSRUWDYDQRQVROR un investimento rilevante, ma un impegno di risorse che mobilitava tutta l’attività della ditta. In pratica, come possiamo desumere dai diari di un JDU]RQHGHJOL$OLQDUL0DULR6DQVRQLSRLGLYHQXWRXQRGHLSLDELOLRSH- UDWRULLIRWRJUD¿LQXQSULPRPRPHQWRLIUDWHOOLVWHVVLSRLRSHUDWRULVSH- cializzati alle loro dipendenze, una ristretta élite in grado di tenere al me- glio gli alti standard tecnici e di qualità richiesti) sceglievano un’area di LQWHUYHQWRXQDFLWWjRXQ¶DUHDWHUULWRULDOHSLDPSLD DOOHVWLYDQRWXWWRLO necessario (che comprendeva macchine di vari formati, obiettivi, lastre, ecc., nonché l’occorrente per le impalcature, illuminazione, ecc.), predi- sponevano alcuni contatti logistici con i musei e gli istituti di conservazio- QHSLLPSRUWDQWLGHOOD]RQDHSRLSDUWLYDQRSHUODFDPSDJQDYHUDHSUR- pria, che poteva durare alcune settimane o addirittura mesi. Una volta ar- rivati in loco, fotografavano naturalmente non solo le opere preventivate prima della partenza, ma molto spesso si lasciavano guidare dall’esperien- za, dai contatti locali, dalle contingenze, e compivano quindi una rileva- zione abbastanza estesa dei soggetti disponibili seguendo criteri discre-
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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zionali, anche per quanto riguardava i formati. Una volta ritornati a Firen- ]HVLDSULYDXQ¶DOWUDIDVHQRQPHQRFRPSOHVVDHVROLWDPHQWHSLOXQJD che consisteva nella selezione delle lastre realizzate, nella numerazione e redazione delle didascalie, nell’inserimento in catalogo dei riferimenti, in parallelo all’inserimento in archivio delle lastre dei negativi e dei positivi in repertori di lavoro. Questo tipo di lavoro comportava naturalmente forti investimenti;; e si svolgeva in un contesto di concorrenzialità entro un mercato abbastanza popolato. Brogi non aveva la forza effettiva per compiere una serie di campagne FRVuDPSLHHGLI¿FLOLQHO0HULGLRQHSHUFXL¿QuSHUFRQFHQWUDUVLVXOOH]RQH a maggiore rendimento relativo, come appunto Napoli, mentre per il resto GHO0HULGLRQHODVLWXD]LRQHDSSDUHFDUDWWHUL]]DWDGDOODSUHVHQ]DGLXQD¿WWD UHWHGLGLWWHIRWRJUD¿FKHPLQRULDQFKHTXDOLWDWLYDPHQWHPROWRDSSUH]]DEL- OLPDFKHGLI¿FLOPHQWHULXVFLYDQRDXVFLUHGDXQDPELWRORFDOH Come abbiamo già visto, si era realizzata già precocemente nelle città LWDOLDQHXQD¿WWDUHWHGLIRWRJUD¿ORFDOLVSHVVRGLJUDQGHYDORUHHGHVSH- rienza. Molti di loro cessarono rapidamente questo tipo di attività, o quan- to meno non diedero luogo a vere e proprie “dinastie” come nel caso di Alinari, Brogi o Anderson. Ma molti altri si mantennero attivi con successo lungo tutto l’arco cronologico che qui prendiamo in considerazione, e an- che molto oltre. Come ha notato Ettore Spalletti, esisteva in realtà «una ¿WWD UHWH GL FDVH IRWRJUD¿FKH PLQRUL FKH SXU OLPLWDQGRVL DG XQD DWWLYLWj prevalentemente locale, offrivano sul mercato una documentazione accu- rata, spesso guidata da criteri di completezza».13 Tuttavia questi studi meridionali, tranne i pochi napoletani e palermi- tani che riuscirono a raggiungere notorietà nazionale, restavano in genere piuttosto oscuri e poco noti. Saranno gli Alinari, dopo la morte di Giuseppe H 5RPXDOGR FRQ 9LWWRULR ¿JOLR GL /HRSROGR FKH UDSSUHVHQWD TXLQGL OD VHFRQGD JHQHUD]LRQH GL TXHVWL IRWRJUD¿ HGLWRUL DG DIIURQWDUH LQ PDQLHUD QXRYDLOWHPDGHOODUDSSUHVHQWD]LRQHIRWRJUD¿FDGHO0HULGLRQH
13. E. Spalletti, /DGRFXPHQWD]LRQH¿JXUDWLYDGHOO¶RSHUDG¶DUWHODFULWLFDHO¶HGLWRULD nell’epoca moderna (1750-1930), in Storia dell’arte italiana, 1/2, L’artista e il pubblico, Einaudi, Torino 1979, p. 465.
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4. Vittorio Alinari e la costruzione GLXQ¶LPPDJLQHIRWRJUD¿FD“nazionale” Per capire il nuovo modo di considerare il Meridione da parte degli Alinari (e anche di Brogi) a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, oc- corre spendere qualche parola per inquadrare la seconda generazione di que- VWHGLQDVWLHIRWRJUD¿FKHFKHqPROWRGLYHUVDGDOODSULPDÊSL³SROLWLFD´H PHQR³WHFQLFD´HDUWLJLDQDOH9LWWRULR$OLQDULLOQXRYRFDSRGHOODSLLPSRU- WDQWHD]LHQGDIRWRJUD¿FDLWDOLDQDQRQHVHJXHSHUVRQDOPHQWHOHRSHUD]LRQL tecniche produttive, come i suoi predecessori, anche se è abile fotografo. Ha un rapporto diverso con il mercato: non segue solo la domanda, ma crea piani di sviluppo, promuove il consumo, organizza campagne di rile- YD]LRQHIRWRJUD¿FDVLVWHPDWLFKHHDUWLFRODWHLQPDQLHUDRPRJHQHDVXOWHU- ritorio. Inoltre, assume un ruolo di mecenatismo e di indirizzo culturale DQFKHQHLFRQIURQWLGHOOHDUWLSLWUDGL]LRQDOPHQWH³QRELOL´FRPHODSLWWXUD e cerca di inserirsi nei nodi essenziali dell’alta cultura “nazionale”. Natu- ralmente, anche Vittorio Alinari segue il mercato che è stato aperto dai suoi predecessori: gli studiosi, gli istituti di cultura, di istruzione superiore, di VWRULDHFULWLFDG¶DUWHFKHVLGLIIRQGRQRVHPSUHSLDOLYHOORLQWHUQD]LRQDOH e che esprimono una domanda crescente e dotata di notevole continuità e sistematicità, di riproduzioni del patrimonio artistico (all’inizio del secolo gli Alinari contano oltre seimila “corrispondenti”, cioè acquirenti conti- nuativi, nelle diverse parti del mondo). Tuttavia lo interpreta in maniera diversa da come lo avevano concepito i suoi due zii: per lui diviene ora essenziale formare un quadro complessivo e tendenzialmente omogeneo e completo del patrimonio artistico nazionale. È sotto la sua guida che prende forma, negli anni esattamente a cavallo fra il XIX e il XX secolo, il primo catalogo dichiaratamente “nazionale” del patri- monio artistico italiano. Frutto di una serie di “campagne” sistematiche, il QXRYRFDWDORJRVXSHUDO¶LPSRVWD]LRQHSUHFHGHQWHODJUDQGHDUWH¿RUHQWLQDH tosco-umbro-marchigiana, con alcune puntate in altri grandi centri) e presen- ta invece un’attenzione marcata a tutto il territorio nazionale. L’idea è eviden- WHPHQWHTXHOODGLIRUQLUHXQUHSHUWRULRFKHQRQULJXDUGLSLVRORXQRVSHFL¿FR momento della grande arte rinascimentale italiana, ma si estenda a tutti i “beni culturali” della penisola, nelle varie regioni e nelle varie epoche.14 14. &DWDORJRJHQHUDOHGHOOHULSURGX]LRQLIRWRJUD¿FKHSXEEOLFDWHSHUFXUDGL9LWWRULR $OLQDULSURSULHWDULRGHOORVWDELOLPHQWRIRWRJUD¿FR)UDWHOOL$OLQDUL, Alinari, Firenze 1901. Il
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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In questo contesto nel 1896 gli Alinari rinnovano il loro repertorio su 1DSROLFRQXQ¶DOWUDJUDQGHFDPSDJQDIRWRJUD¿FDHDEELQDQRDTXHVWDUH- visione e aggiornamento della pionieristica impresa del 1864 anche un’al- tra campagna in Sicilia, che appare in un “foglietto”, cioè in un piccolo opuscolo dedicato, già nel 1898. In questo modo, nel 1901, gli Alinari po- tevano presentare già un catalogo complessivo che copriva apparentemen- te tutta la penisola, da Nord a Sud, anche se in realtà il Meridione era anco- ra largamente inesplorato. 9DGHWWRFKHVWDYROWDODFDPSDJQDVX1DSROLSURPRVVDGDO¿JOLRGHO fondatore che riprende l’iniziativa del padre praticamente subito dopo aver assunto la direzione della ditta) è piuttosto diversa dalla precedente. Si amplia notevolmente il range GHOOH ORFDOLWj DQFKH VH JHRJUD¿FDPHQWH l’area resta molto compatta e limitata alla Campania;; sono interessate sta- volta anche località dell’interno, come Caserta e Benevento. Si nota poi una profonda differenza per quanto riguarda la tipologia delle immagini: SURSRU]LRQDOPHQWHVRQRPROWHPHQROHLPPDJLQLQHLIRUPDWLSL³SRSROD- UL´HFLVRQRDQFKHXQGLVFUHWRQXPHURGLLPPDJLQLQHLIRUPDWLSLJUDQGL TXHOOLGHVWLQDWLDXQSXEEOLFRFROWRPDDQFKHUDI¿QDWRHGRWDWRGLPH]]L Soprattutto però la campagna napoletana del 1896 presenta una novità sostanziale e caratterizzante per quanto riguarda l’immagine del Meridio- ne. Fino a quel punto infatti gli Alinari si erano attenuti strettamente alla UHJRODFRPXQHDLPDJJLRULIRWRJUD¿HGLWRULGLSXEEOLFDUHLQFDWDORJRVROR immagini di beni artistici, monumentali o paesaggistici. Le molte foto che oggi siamo abituati a vedere di Alinari relativamente ad ambienti di lavoro, LQWHUQLGLFDVHRGLXI¿FLRIDEEULFKHULWUDWWLHFFDSSDUWHQJRQRDOIRQGRGL “padronato”, ovvero sono foto commissionate da clienti esterni che in qualche modo avevano titolo se non di proprietà (i negativi restavano salvo HVSUHVVDSDWWXL]LRQHGLSURSULHWjGHLIRWRJUD¿ DOPHQRGLHVHUFLWDUHDOFXQH prerogative su di esse (ad esempio a non vedersi venduti ad altri i propri ritratti o gli interni delle proprie case). Si trattava di un fondo sostanzial- mente “privato” e riservato, e come tale era conservato separatamente nel- l’ar chivio, e non appariva sui cataloghi di vendita. Invece nel catalogo del VXOOD&DPSDQLDDSSDLRQRSHUODSULPDYROWDXQDVHULHGLIRWRJUD¿H che non si riferiscono a beni artistici o paesaggistici o monumentali, ma a catalogo era stato composto in realtà sommando i cataloghi parziali già editi, già nel 1900;; non si può escludere ve ne siano state diverse versioni;; l’edizione su cui mi baso, con leggere variazioni, è quella del 1901 conservata presso la Biblioteca comunale centrale di Firenze.
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7DEHOOD)RWRJUD¿HGL1DSROLH&DPSDQLDQHOFDWDORJR$OLQDUL Città
Stereo- Album Piccole Extra scopiche
Grandi Tot. Tot. soggetti lastre
Massa Lubrense (NA) 0 Portici 0 Posillipo 0 Vico Equense (NA) 0 Atrani 0 Procida 0 Capua 0 Casamicciola (NA) 0 Ercolano 0 Torre Annunziata (NA) 0 Capua Vetere (S. Maria a) 0 Castellammare 0 Ischia 0 Cava dei Tirreni 0 Baia 0 Salerno 0 $PDO¿ Pozzuoli 0 Sorrento 0 Pestum 0 Ravello 0 Capri 0 Caserta 0 Benevento 0 Pompei 19 Napoli 16
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1 1 1 1 2 2 3 3 3 3
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1 1 1 1 2 2 3 3 3 3
1 1 1 1 2 2 3 3 3 3
0 0 0 0 0 2 0 1 3 0 0 0 0 23 54
4 4 4 5 7 7 8 8 9 9 13 15 19 114 565
0 0 0 0 0 0 0 0 3 0 0 0 0 6 46
0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 0 17
4 4 4 5 7 7 8 8 9 9 13 15 19 114 565
4 4 4 5 7 9 8 9 16 9 13 15 19 162 698
Totale
83
819
55
18
819
1.010
35
personaggi “tipici” napoletani. Sono una serie di 25 foto, quelle elencate nella tabella 4, che erano state sicuramente scelte per essere presentate in FDWDORJRGDXQPDWHULDOHSLDPSLR15 15. Oltre a quelle riportate nella tabella furono successivamente immesse nel catalogo (con aggiunta manoscritta, operazione non infrequente sui cataloghi Alinari) altre foto, con i titoli Napoli. U’ guaglioni a S. Lucia;; Napoli. Alla fontana;; Napoli. Il gioco del cappellet- to;; Napoli. Il giuoco della morra;; Napoli. Dolce far niente¿JXUHH
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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Anche in questa misura ristretta tuttavia l’inclusione in catalogo di que- ste immagini costituisce un nucleo abbastanza consistente da rappresentare una novità assoluta. Anche se Brogi aveva introdotto già, come abbiamo visto, due o tre scenette di genere, ora gli Alinari compiono una specie di rilevazione analitica di una serie di topoiYLVLYLFKHYDQQRGDLSLYDULWLSLGL venditori caratteristici a scene di animazione della Napoli popolare, a boz- zetti come quello del “pescatore dormiente” che sembrano rimandare ai OXRJKLFRPXQLSLVFRQWDWLGHOODUDSSUHVHQWD]LRQHGHO0HULGLRQHFRPHWHUUD GHOO¶DUUHWUDWH]]DHGHOPDQFDWRVYLOXSSRDQFKHLQYLUWGLXQLQGROHQWHFDUDW- tere “mediterraneo” che il clima e le condizioni economico-sociali contribu- irebbero a perpetuare. Il numero ridotto e il carattere bozzettistico e stereo- tipato di queste immagini non deve però ingannare circa la loro importanza, DQFKHUHWURVSHWWLYD$GHVHPSLRQHOODUHFHQWHPRVWUDLQRFFDVLRQHGHO DQQLYHUVDULRGHOODGLWWDIRWRJUD¿FD¿RUHQWLQDDYHYDQRXQULOLHYRFHQWUDOH RFFXSDQGRODFROORFD]LRQHSLVSHWWDFRODUHGHOODVFHQRJUD¿DLGHDWDGD*LX- seppe Tornatore e la copertina del catalogo curato da Quintavalle. Per quanto non si abbiano dati circa le vendite effettive degli Alinari, tuttavia si può almeno dire che anche all’epoca in cui furono prodotte la GLWWD¿RUHQWLQDVLDVSHWWDYDXQFHUWRVXFFHVVRSUHVVRXQSXEEOLFRSLYDVWR di quello degli studiosi professionali e degli storici dell’arte: nel catalogo del 1896-1901 nove di queste foto “di genere”, per una percentuale pari a circa il 36%, apparivano anche in altri formati oltre a quello standard, men- tre tale percentuale era solo del 14% per tutto il complesso della campagna IRWRJUD¿FDUHODWLYDDOOD&DPSDQLDLQROWUHSHUDOFXQHGLHVVHqGDFRQVLGH- rare che appaiono aggiunte successivamente al catalogo, come a integrare un’offerta che doveva apparire ristretta. 3LGLI¿FLOHqYDOXWDUHRJJLTXDOHIRVVHLOVHQVRGLTXHVWHLPPDJLQLDO tempo, perché fossero state immesse in catalogo e come venissero viste e recepite dal pubblico. Quintavalle nel suo studio le inserisce in un capitolo dedicato a I realismi e le foto degli Alinari e cerca di interpretarle come una strategia di rappresentazione del mondo del lavoro da parte degli Alinari, come il momento iniziale «di una lettura realistica delle classi subalterne, sia pure travestite in termini bozzettistici», sottolineando come il modo di vedere degli operatori Alinari, abituato a una lettura analitica e informativa della realtà, impedisca «che queste immagini possano interpretarsi soltanto come tipiche, caratteristiche, semplicemente folkloriche».16 16. Quintavalle, Gli Alinari, p. 420.
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Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli
11434 11435 11436 11437 11649 11650 11651 11652 11653 11654 11655 11656 11657 11658 11659 11660 11661 11662 11663 11664 11665 11666 11667 11668 11669
Città
Numero Carte Stereo Album Piccole Mezzane Extra Grandi visite Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania
Regione
7DEHOOD)RWRJUD¿H³GLJHQHUH´QHOFDWDORJR$OLQDULGHO&DPSDQLD
Acquaiolo Pescivendolo a Basso Porto Ostricaio a Santa Lucia Maccheronai Venditore di Pesce (2 tav.) Venditore di Pesce (2 tav.) Venditrice di Terraglie Venditori di Frutta (2 tav.) Venditori di Frutta (2 tav.) Venditrice di Pastarella Alla Fontana a Santa Lucia Venditori a Santa Lucia Venditore di Frittelle Venditore e portatore d’acque minerali Lustra scarpe Venditore di latte Curricolo (Bozzetto) Carretto per latte a Sorrento Pescatore a Sorrento (2 tav.) Pescatore a Sorrento (2 tav.) Un pescatore dormente a Pozzuoli Pescatore a Capri Vecchio pescatore Portatrice d’acqua a Capri (2 tav.) Portatrice d’acqua a Capri (2 tav.)
Opera
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/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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Figura 1. Fratelli Alinari, Chiosco di un acquaiolo a Napoli, ca. 1890-1900, Archi- vi Alinari, Firenze, cod. ACA-F-011434-0000
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Figura 2. Fratelli Alinari, Il giuoco della morra, Napoli, ca. 1897, Archivi Alinari, Firenze, cod. ACA-F-11436A-0000
Se questa lettura può essere persuasiva a livello stilistico e formale, tuttavia dal punto di vista della lettura dei rapporti Nord-Sud l’elemento SLLPSRUWDQWHqVHQ]DGXEELRTXHOORSHUFXLTXHVWHIRWRSUHVHQWDQRXQD immagine anche “sociale” della regione, in cui il riferimento a una visione folklorica stereotipata della popolazione meridionale è evidente. Tale fatto costituisce una rottura netta con le abitudini degli Alinari, dalla morte del fondatore, cioè per quanto riguarda i cataloghi dal 1873 in poi, di mettere LQFDWDORJRVRORIRWRJUD¿HGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFRHSDHVDJJLVWLFRRFR- munque foto ad esso riferibili. Sotto questo aspetto occorre fare una netta distinzione rispetto alle foto del “padronato”: come abbiamo già detto, in questo fondo si trovano
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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molte immagini di lavoro, di lavoratori, ma non sono assolutamente con- IURQWDELOLFRQIRWRJUD¿HSXEEOLFDWHVXLFDWDORJKLFRPPHUFLDOLGHOODGLWWD Inoltre, non si tratta di un fatto casuale o isolato: per quanto le fotogra- ¿HVXOOD&DPSDQLDFRVWLWXLVFDQRXQFRUSXVDQFKHTXDQWLWDWLYDPHQWHLPSRU- WDQWHXQDVHULHGLIRWRJUD¿HFRQVLPLOLVLULWURYDQRDQFKHSHUTXDQWRULJXDU- da il catalogo dedicato alla Sicilia, in proporzione anche maggiore, dato che VLFRQWDQRLQFDWDORJRIRWRJUD¿HVXGHOO¶LQWHUDFDPSDJQDGDQRWDUH che, sebbene appartengano a località diverse, sono raggruppate insieme nel FDWDORJRFKHSHULOUHVWRVHJXHLQYHFHXQRUGLQDPHQWRWRSRJUD¿FR Anche qui i soggetti sono molto simili: non i lavoratori veri e propri, ma i mestieri caratteristici, alcuni “tipi” (donna, bambina, vecchio seduto): insomma una selezione di luoghi comuni visivi sul Mezzogiorno d’Italia, che risponde a una rappresentazione tradizionale e stereotipata del Meri- GLRQH 'LI¿FLOH GLUH VH TXHVWR DSSDUWHQJD D XQ ³SURJHWWR SROLWLFR´ GHJOL Alinari, ma certamente è da registrare che questa operazione si compie in esatta coincidenza con la realizzazione del primo catalogo “nazionale” de- gli Alinari, e riguarda in pratica solo il Meridione.17 ,QDOWUHSDUROHSDUHVWDELOLUVLTXLDOLYHOORLFRQRJUD¿FRTXHOODOHWWXUDGHO Meridione come terra di arretratezza, come una specie di “colonia interna”, che era già presente nel dibattito politico dell’epoca ma che poi si svilupperà QHLGHFHQQLVXFFHVVLYLDOO¶LQWHUQRGHOODSLFRPSOHVVLYD³TXHVWLRQHPHULGLR- nale”, e che nella rappresentazione visiva che ne danno gli Alinari (ma non qDVVHQWHQHSSXUHLQ%URJLFIU¿JXUD JLjSUHOXGHDXQRVJXDUGRFKHLQGD- ga una eventuale diversità “antropologica” delle popolazioni meridionali. Si tratta di spunti anticipatori di quella che sarà una tendenza presente nel XX secolo a designare certe regioni meridionali come “le Indie di TXDJJL´DLQGDJDUOHFRQRFFKLRDQWURSRORJLFRDQFKHFRQOHWWXUHDVVDL¿QL e avvertite.180DTXLRFFRUUHUHEEHXQ¶LQGDJLQHSLDSSURIRQGLWDHGLIIHUHQ- ziata. Infatti certe regioni, come la Puglia, sembrano evitare questo desti- no. La Puglia sarà la prima regione meridionale dopo Campania e Sicilia, 17. Alcune serie apparentemente analoghe come quella della lavorazione dei marmi a Carrara in realtà sembrano piuttosto da ricondurre a una dimensione culturale in cui pesano fattori tradizionali rapportabili alla lettura del paesaggio e a un’operazione strettamente le- gata con i beni artistici e monumentali. 18. Cfr. soprattutto gli studi di F. Faeta, di L. Mazzacane e di G. Baldi, che hanno af- IURQWDWRVSHFL¿FDPHQWHHFRQJUDQGHDFFRUWH]]DVXOSLDQRPHWRGRORJLFRLSUREOHPLUHODWLYL DOODOHWWXUDIRWRJUD¿FDGHO0HULGLRQHLQGLYHUVHRSHUHFKHTXLVDUHEEHWURSSROXQJRFLWDUH per esteso.
19839 19840 19841 19842 19843 19844 19845 19846 19848 19849 19850 19851 19852 19853 19854 19855 19856 19857 19858 19859
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Città Caprari Donna con quartara Pubblicista Comunale Portatori d’acqua Venditore di Pesce Vecchio Venditore di Chiocciole Venditore di Ricotta 9HFFKLR Venditore d’Aranci Scaricamento d’Agrumi Carretto con Somaro Trasporto del Tonno Barroccio con Monrealesi Mercato del Tonno Un Campiere Venditori alla Cala Venditore di Carbone Venditrice di Ricotte Carretto da Vino, 2 tavole Carretto da Vino, 2 tavole Vecchio seduto Vecchio in piedi Donna Bambina Venditrici d’uova Venditore di Quartare
Regione Opera
Bivona (AG) Sicilia Bivona (AG) Sicilia Bivona (AG) Sicilia Agrigento Sicilia Agrigento Sicilia Agrigento Sicilia Agrigento Sicilia Agrigento Sicilia &DODWD¿PL75 6LFLOLD Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Palermo Sicilia Taormina (ME) Sicilia Taormina (ME) Sicilia Taormina (ME) Sicilia Taormina (ME) Sicilia Messina Sicilia Messina Sicilia
Numero Carte Stereo Album Piccole Mezzane Extra Grandi visite
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300 Luigi Tomassini
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Figura 3. Brogi, Sicilia. Scene e costumi dal vero. Donne di Piana dei Greci. Una delle dette donne (1912), stampa ai sali d’argento, Collezione G. Brogi, 13876a, riprodotta a p. 29 in S. Silvestri, Lo studio Brogi a Firenze. Da Giacomo Brogi a Giorgio LauratiLQ©$)7ULYLVWDGLVWRULDHIRWRJUD¿Dª SS
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Luigi Tomassini
7DEHOOD/DFDPSDJQDIRWRJUD¿FDGHJOL$OLQDULLQ3XJOLDGHO Città Bari Lecce Brindisi Taranto Lucera Bitonto Trani Otranto Castel del Monte (presso Andria) Foggia Troia
Numero lastre
Città
Numero lastre
46 33 23 19 16 15 14 13
Barletta Monte Sant’Angelo Ruvo Altamura Canosa Manduria San Leonardo Metaponto
11 10 9 8 8 8 8 6
12 12 12
Altre minori*
79
Totale
362
3HUODSUHFLVLRQHOHORFDOLWjFKHHUDQRSUHVHQWLQHOFDWDORJRFRQQRQSLGLODVWUHHUDQR Galatina: 5;; Giurdignano (Lecce): 5;; Oria: 5;; S. Maria di Siponto: 5;; Soleto: 5;; Alberobello: 4;; Bitetto: 4;; Corigliano: 4;; Gallipoli: 4;; Manfredonia: 4;; Nardò: 4;; Andria: 3;; Bisceglie: 3;; Conversano: 3;; Gioia del Colle: 3;; Giovenazzo: 3;; Molfetta: 3;; Muro Leccese: 3;; Galatone: 3DW6DQ&HVDULR$FTXD9LYDGHOOH)RQWL&DVDUDQHOOR6/XFLDVXO0RQWH Chilone: 1.
a essere oggetto di rappresentazione degli Alinari, poi seguita dalla Sarde- gna e dagli Abruzzi agli inizi degli anni Venti. Si può subito osservare come la rilevazione sulla Puglia sia diversa da quelle della Campania nei casi precedenti, e anche per la verità da quelle di altre regioni come il Lazio o la stessa Toscana. Infatti la rilevazione è di- VWULEXLWDVXOWHUULWRULRLQPDQLHUDPROWRSLDUWLFRODWDVROR%DULVXSHUDLO 10% delle voci in catalogo, mentre il resto è distribuito su ben 46 centri GHOODUHJLRQHGDOOHFLWWjSLJUDQGLFRPH/HFFHDLSLFFROLSDHVLGHOO¶LQWHU- QR 6RSUDWWXWWR QRQ FL VRQR QHO FDVR GHOOD 3XJOLD IRWRJUD¿H GL JHQHUH R ER]]HWWL VRFLDOL FRPH LQ &DPSDQLD H LQ 6LFLOLD 6ROR XQD IRWRJUD¿D OD 35241a, compare in catalogo con la didascalia «Foggia. Abitazione di po- YHUDJHQWH,QWHUQRªPHQWUHWUHDOWUHIRWRJUD¿HGL$OEHUREHOORULFRQGXFLEL- li in qualche modo a uno stereotipo corrente sono però reinserite in un’ot- WLFDDUWLVWLFRPRQXPHQWDOHGDOODGLGDVFDOLDFKHOHGH¿QLVFHFRPHLPPDJL- ni relative «alla parte del paese dichiarata Monumento Nazionale».
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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Qui non possiamo seguire l’evoluzione di questa rappresentazione del Sud anche lungo i decenni del XX secolo, dopo la prima guerra mondiale. Ma almeno un cenno andrà fatto alla Basilicata, che resta l’unica regione a QRQHVVHUHWRFFDWDGDOOHFDPSDJQHIRWRJUD¿FKHGHJOL$OLQDULHGHJOLDOWUL IRWRJUD¿HGLWRULDQFKHGRSRODVHFRQGDJXHUUDPRQGLDOHPHQWUHFRPHq QRWRVDUjXQDGHOOHUHJLRQLSLLQGDJDWHHGRFXPHQWDWHDQFKHYLVLYDPHQ- WH GD'H0DUWLQRHGDLIRWRJUD¿FKHVLPRVVHURDOVXRVHJXLWRHVXOODVXD VFLD0DTXHVWD³IRUWXQD´IRWRJUD¿FDGHOOD/XFDQLDFKHYLGHDOFXQLIUDL SLJUDQGLQRPLGHOODIRWRJUD¿DLWDOLDQDHLQWHUQD]LRQDOHGD3LQQDD*LODU- di, a Cresci a Ghirri, da Martin a Cartier-Bresson) muoversi per andare a misurarsi con la sua realtà, risale agli anni del secondo dopoguerra;; e a un SHULRGRDQFKHOHJJHUPHQWHSLWDUGRODQRQPLQRUH³IRUWXQD´FLQHPDWRJUD- ¿FDGD3DVROLQLD*LEVRQ 1HLGHFHQQLSUHFHGHQWLOD/XFDQLDDYHYDUHJL- strato interessanti tentativi di rappresentazione in chiave paesaggistico-ar- tistico-antropologica, con l’interessamento anche di intellettuali come Croce, ma senza esito positivo;; ci rimangono solo alcune tracce inedite di XQDLQWHUHVVDQWHULOHYD]LRQHIRWRJUD¿FDFRPSLXWDQHOO¶DPELWRGHOODFROODQD ©,WDOLDDUWLVWLFDªGLUHWWDGD&RUUDGR5LFFL¿JXUD 19 Ma su questo il discorso si farebbe lungo e già esistono alcuni studi in proposito. Per cui cercherei di sintetizzarne il senso con una piccola curio- VLWj¿QDOH Chi oggi si rechi alla sede degli Alinari, in largo Alinari a Firenze, e chieda di avere un colloquio con il presidente, verrà prima introdotto in una elegante anticamera dove fra poche altre stampe e illustrazioni di pre- JLRFDPSHJJLDDGHJXDWDPHQWHLQFRUQLFLDWDXQDEHOOLVVLPDIRWRJUD¿DO¶X QLFDIRWRJUD¿DSURYHQLHQWHGDJOLDUFKLYL$OLQDULLQTXHOOXRJRLPPHGLDWD- mente prossimo alla sede del vertice aziendale. Quella foto rappresenta per O¶DSSXQWRO¶DEED]LDGL9HQRVDLQ/XFDQLD¿JXUD Una smentita a posteriori a quanto appena detto sulla disattenzione dei QRVWULIRWRJUD¿YHUVRLO6XGHLQSDUWLFRODUHYHUVROD/XFDQLD"8QDHFFH]LR- ne che conferma la regola? Una postuma riparazione ai precedenti torti nei FRQIURQWLGLXQWHUULWRULRFRVuWUDVFXUDWR" 19. Per questo episodio, le cui tracce sono documentate in parte nelle Carte Ricci conservate presso la Biblioteca Classense a Ravenna, mi permetto di rimandare in proposi- to a L. Tomassini, /D/XFDQLDQHOO¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDGHOODSULPDPHWjGHO;;VHFROR, in 'DYLFLQRHGDORQWDQR)RWRJUD¿HIRWRJUD¿DLQ/XFDQLD, a cura di F. Mirizzi, Franco An- geli, Milano 2010, pp. 160-184.
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Figura 4. Matera, Palazzo di GiustiziaIRWQRQLGHQWL¿FDWRLQ%LEOLRWHFD&ODVVHQ- se, Ravenna, Fondo Ricci, Serie Città, Metaponto, Fascicolo 155, b. 20, 143-145
1RQVDSSLDPRSHUFKpTXHOODIRWRVLDOuFHUWRFKHPHULWDGLVWDUFLSHU la sua bellezza, per la perfezione tecnica, e per la suggestione che emanano dal monumento e dal luogo rappresentati. 6RORFKHQRQqXQDIRWRJUD¿D$OLQDUL4XHVWRSHUODYHULWjqGLFKLDUDWR QHOODGLGDVFDOLDVWHVVDGHOODIRWRJUD¿DFKHVSLHJDFRPHTXHOODLPPDJLQH SURYHQJDVuGDJOLDUFKLYL$OLQDULPDDSSDUWHQJDLQUHDOWjDOIRQGR$QGHU- son: scattata nel 1931, ha poi seguito evidentemente il destino del patrimo- QLRIRWRJUD¿FRGL$QGHUVRQFKHqVWDWRQHOFRUVRGHJOLDQQLDFTXLVLWRGDOOD GLWWD ¿RUHQWLQD FRPH SXUH TXHOOR GHOO¶DOWUR JUDQGH FRQFRUUHQWH VWRULFR cioè Brogi, e come molti altri minori. Si potrebbe intendere quindi che gli Alinari abbiano posto con elegante understatementLQXQOXRJRFRVuSDUWL- FRODUHGHOODORURVHGHQRQXQDORURIRWRJUD¿DPDTXHOODGLXQRGHLPDJJLR-
/¶HGLWRULDIRWRJUD¿FDHODGRFXPHQWD]LRQHGHOSDWULPRQLRDUWLVWLFR
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Figura 5. Trinità di Venosa vista da Est, Fot. R. Moscioni, in G. De Lorenzo, Ve- nosa e la regione del Vulture (la terra d’Orazio),VWLWXWR,WDOLDQRG¶DUWLJUD¿FKH Bergamo 1906, p. 48;; vedi anche Stab. D. Anderson, 9HQRVD$YDQ]LGHO¿DQFR destro (sec. XII), 1931;; n. neg. 31196
ULFRQFRUUHQWLHULYDOLVWRULFLFKHSHUzDGHVVRqFRQÀXLWDQHLORURDUFKLYL 6RORFKHTXHVWDIRWRJUD¿DHTXHVWRQRQVLVDSHYDQRQqQHSSXUHGL$QGHU- son, e non è neppure del 1931, come recita la didascalia a stampa apposta da Anderson stesso. Se infatti fosse stata tale, avrebbe comunque contrad- GHWWRTXDQWR¿QRUDYLVWRFLUFDODGLVDWWHQ]LRQHGHLJUDQGLIRWRJUD¿HGLWRUL verso questa regione. Ci siamo fatti quindi carico di un piccolo approfondimento di indagine VXTXHVWDIRWRJUD¿DHDEELDPRWURYDWRFKHLQUHDOWjHVVDFRPSDUHPROWR prima di quanto non dica la didascalia, e sotto altro nome. La possiamo infatti ritrovare in un’opera pubblicata a stampa un quarto di secolo prima,
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nel 1906,20 e reca l’attribuzione non ad Anderson, ma a Moscioni, altro fotografo romano, ma di cui si conosceva un’attenzione verso il Mezzo- giorno. Al di là della curiosità, se ne può trarre una conferma ulteriore del fatto che immagini del Mezzogiorno erano disponibili presso quella rete GLIIXVDGLIRWRJUD¿PLQRULGLFXLDEELDPRSDUODWRPDFKHO¶DWWHQ]LRQHSHU LO0H]]RJLRUQRGDSDUWHGHOORVJXDUGRIRWRJUD¿FR³XI¿FLDOH´HQD]LRQDOH quello che poi dialogava con l’alta cultura internazionale, è stata molto GLI¿FLOHHFRQWUDVWDWDHVRORPROWRWDUGLYDPHQWHKDFRQRVFLXWRXQDDOPHQR parziale rivalutazione.
20. Trinità di Venosa vista da Est, Fot. R. Moscioni, in G. De Lorenzo, Venosa e la re- gione del Vulture (la terra d’Orazio),VWLWXWR,WDOLDQRG¶DUWLJUD¿FKH%HUJDPRS
VINCENZO CAZZATO Il nuovo volto delle città: il caso Lecce
Con l’avvento dell’Unità Lecce e la penisola salentina si presentano HVWUDQHH DO GLEDWWLWR VXOOR VWLOH SL FRQVRQR D HVSULPHUH LO FRQFHWWR GL un’Italia unita.1 Il romanico lombardo, tanto caro a Camillo Boito, fatica ad attecchire;; scarsa fortuna arride anche al modello costituito dal palazzo WRVFDQR GHO 4XDWWURFHQWR VH VL HVFOXGH LO FDVR GHOO¶HGL¿FLR GHOOD %DQFD d’Italia) e assai di rado si trae ispirazione dal repertorio del Rinascimento romano.2 A Lecce è l’architettura neoclassica a evocare maggiormente «at- PRVIHUHGLVLFXUH]]DHGL¿GXFLDYHUVRO¶LVWLWX]LRQHUDSSUHVHQWDWDª3 Non è dato tuttavia riscontrare una cesura fra linguaggio preunitario e SRVWXQLWDULR%DVWLSHQVDUHGDXQODWRDJOLHGL¿FLVLPERORGHOO¶DUFKLWHWWXUD neoclassica preunitaria – il Collegio dei Gesuiti, con i propilei realizzati a partire dal 1833 dal napoletano Giambattista Jazzeolla;; l’ingresso maesto- so e severo del Cimitero di Benedetto Torsello (1840);; la chiesa di S. Maria della Porta (1852-58) di Giuseppe Magliola che guarda alla cupola casset- tonata della chiesa di S. Francesco di Paola a Napoli – e, dall’altro, ad al- FXQLHGL¿FLUDSSUHVHQWDWLYLGHOSHULRGRSRVWXQLWDULRFRPHLO7HDWUR3DLVLHO- lo, progettato da Oronzo Bernardini ed Enrico De Cataldis (1869-1870) in prossimità di porta Napoli: «una tipologia ormai cristallizzata da un secolo, 1. S. Politano, Oltre il Barocco. L’architettura a Lecce dal Neoclassico al Liberty, in V. Cazzato, S. Politano, Architettura e città a Lecce. Edilizia privata e nuovi borghi fra ’800 e ’900, Congedo, Galatina 1997, p. 24. 2. A. Mantovano, Il bazaar degli stili, in V. Cazzato, A. Mantovano, Paradisi dell’Eclettismo. Ville e villeggiature nel Salento, Capone, Cavallino 1992, p. 45. 3. M. Cazzato, Città e architettura in Terra d’Otranto nel secondo Ottocento: temi e problemi, in La Terra d’Otranto nella seconda metà dell’Ottocento, Atti del Convegno di 6WXGL2ULDJHQQDLR,WDOJUD¿FD2ULDS
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FKHWUDHYDODVXDJLXVWL¿FD]LRQHSLFKHQHOODULQXQFLDDGRJQLVSHULPHQWD- lismo, nella capacità dell’architettura neoclassica di soddisfare le esigenze di rappresentanza della nuova borghesia urbana».4 La svolta verso forme di linguaggio diverse da quelle neoclassiche, come è stato notato,5 si consuma, ancor prima che nel costruito e nella città dei vivi – dove viene adottato un linguaggio sobrio, quasi mimetico, e sarà solo nell’ultimo decennio del secolo, nelle zone a ridosso delle mura, che O¶HFOHWWLVPRWURYHUjXQDFRQVLVWHQWHDIIHUPD]LRQH±QHOFDPSRGHOO¶HI¿PH- ro e della città dei morti.6 Tracciare dunque «un quadro, sia pure sintetico, mirante ad accertare la continuità e gli esiti che caratterizzarono le iniziative […] all’indomani GHOVLJQL¿FDULFHUFDUHQHJOLXOWLPLGHFHQQLGHO5HJQRERUERQLFROD cifra di quanto già allora fu messo in campo in termini di idee e di profes- sionisti, di opere e della loro gestione nel tempo».7 Nel novembre 1861 il sindaco Zaccaria affermava che «la nostra città, YDVWDSHUDPSLH]]DGLHGL¿FLqSRLVFDUVDGLSRSROD]LRQHVLFFKpYDOPHJOLR LQXUEDUHFKHHPLJUDUHJOLDELWDQWLODRQGHQHOOHFRQWUDGHGHVHUWHHSLLQ- JUDWHVDUHEEHFRPPHQGHYROHHGL¿FDUHPRGHVWHDELWD]LRQLHFRPRGHGHOOH 4. Cazzato, Città e architettura, p. 146. 5. Ibid., p. 147. 6. V. Cazzato, Nel segno di Eirene. L’asse ideale fra la città dei vivi e la città dei mor- ti, in C. Gerardi, La città ultima. Storie e immagini del cimitero di Lecce, Besa, Nardò 2002, pp. 29-31;; A. Mantovano, Il cimitero monumentale di Lecce, in Cazzato, Politano, Architet- tura e città, pp. 31-33. Non è un caso che Cosimo De Giorgi nel 1888 scelga il Cimitero di Lecce per fare il punto sullo stato dell’architettura di questa città: «L’architettura è oggi di- venuta tra noi un’arte imitativa senza criterio, con poco gusto artistico, e senza veruna ispi- razione. Il secolo mercante ha reso di moda uno stile nuovo che potremmo dire commercia- OHQHOTXDOHWXWWRYLHQVDFUL¿FDWRDOWRUQDFRQWRLQGXVWULDOH,SRFKLHGL¿]LLSULYDWLFKHHVFRQR dall’ordinario sono come le mosche bianche;; nel resto non vi sono che copie di copie, e delle brutte copie! Volgiamo uno sguardo al cimitero che può dirsi un palio dove hanno corso a gara i nostri architetti per far mostra del loro ingegno e gli scalpellini della loro pe- rizia scultoria. Il cimitero di Lecce rappresenta la nostra vita artistica degli ultimi qua- rant’anni. Tutti gli stili architettonici vi sono rappresentati, dall’egizio al barocco, dal greco al romano, dal bizantino al lombardo. Esaminate attentamente quelle tombe. Appena in qualcuna è serbata l’unità di stile e di concetto;; in tutte le altre domina un ibridismo che ra- senta il ridicolo. […] Quanto vuoto di arte in tanto affastellamento di pietre!» (C. De Giorgi, La Provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, II, Giuseppe Spacciante, Lecce 1888, p. 411). 7. A. Buccaro, Dalla capitale borbonica alla città post-unitaria: architettura e urba- nistica tra continuità e impasse amministrativa, in Architettare l’Unità. Architettura e isti- tuzioni nelle città della nuova Italia, 1861-1911, Paparo, Napoli 2011, p. 183.
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ultime classi, seguendo l’esempio di Napoli, di Lione ed altre ammoderna- te città».8 $TXHOODGDWD/HFFHFRQWDYDSRFRSLGLDELWDQWLYHQW¶DQQLGRSR la crescita sarà di appena tremila unità. Il dato non è di scarsa rilevanza, so- prattutto se collegato all’attività edilizia che, nei primi decenni post uni tari, si orienta prevalentemente verso interventi di sostituzione all’interno del cir- cuito murario (la città intra moenia ne poteva contenere circa 40.000). «Dal momento in cui la Provvidenza decretò che l’Italia fosse una sotto lo scettro del Re galantuomo Vittorio Emanuele – si legge nel verba- le della seduta decurionale del 18 luglio 1861 – questo Principe magnani- mo rivolse tutte le sue cure verso gli infelici, promovendo il lavoro in tutti i punti di queste province meridionali […]. Per questo principio furono largite delle somme ai Comuni sotto il titolo di prestito senza interesse e senza termine per la restituzione».9 Per secondare le «sante intenzioni governative» il Consiglio individua tre opere pubbliche da realizzare all’interno delle mura e che, a parte l’ul- WLPDGHQXQFLDQRLQPDQLHUD¿QWURSSRWUDVSDUHQWHXQDVRVWDQ]LDOHFRQWL- nuità con il periodo borbonico: la strada di fronte a porta Napoli, il “taglio” GLXQLVRODWRSHUXQUDSLGRFROOHJDPHQWRIUDODFKLHVDGHO*HVHODSUHIHW- WXUDODUHWWL¿FDGHOODWRRULHQWDOHGHOODSLD]]DGHL0HUFDQWLGDOODFDVD)D- rina alla chiesa delle Grazie.10 ,OVRJQRGLXQD/HFFHSRVWXQLWDULDDQGUjJUDGXDOPHQWHDI¿HYROHQGRVL con gli anni e nel 1881 il sindaco Guariglia ammetterà, sia pure con ram- marico, che la città ben poca strada ha percorso per porsi a quei livelli di civile progresso raggiunti dalla maggior parte dei centri della penisola.11 8. Lecce, Archivio di Stato (ASL), Scritture, II, Concl. dec.li, vol. 51 (discorso del sindaco Zaccaria, 28 novembre 1861), f. 9r;; cit. in M. Fagiolo, V. Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 141, e in Cazzato, Politano, Architettura e città, p. 75. 9. ASL, Scritture, II, Concl. dec.li, vol. 50 (18 luglio 1861), ff. 238r-239r;; cit. in Fa- giolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, p. 153, e in Cazzato, Politano, Architet- tura e città, p. 75. 10. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, p. 153;; Cazzato, Politano, Architettura e città, p. 75. I primi due progetti erano già stati approvati nel 1847;; il secondo FRQLO³WDJOLR´GHOODFDVD%RQDYRJOLD VDUjQHJOLLQWHQGLPHQWLJHQHUDOLDWWXDWRDOOD¿QHGHO secolo con l’apertura della piazza Matteo da Lecce. 11. A. Guariglia, Relazione al Consiglio Comunale di Lecce, Scipione Ammirato, Lecce 1881, p. 15. Cfr. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, p. 153;; Caz- zato, Politano, Architettura e città, p. 75.
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Figura 1. Lecce. Teatro Paisiello (ing. O Bernardini ed E. De Cataldis, 1869-1870)
/HFFHqLQYHVWLWDGDXQD¿WWDUHWHGLLQWHUYHQWL³DSLRJJLD´IRQGDWLVXL SULQFLSL GHOOD VDOXEULWj H GHOO¶LJLHQH SXEEOLFD GL PLFURUHWWL¿FKH VWUDGDOL spesso lasciate all’iniziativa dei privati sotto il diretto controllo dell’ammi- nistrazione. Motivazioni di ordine igienico si sommano ad altre di natura economica e di ordine pubblico. Una serie coerente di “tagli” sembra collegarsi alla presenza, a sud, GHOODVWD]LRQHIHUURYLDULDLQDXJXUDWDQHO SHUFRQVHQWLUHXQSLDJH- vole accesso alla città: con questi intenti è progettato il nuovo ingresso “a cannocchiale” (Ignazio Bernardini, 1867) di fronte al viale della Stazione. Seguiranno l’allargamento del vico Boemondo e la riduzione “in rettango- lo” della piazzetta della Zecca. L’assenza di una visione globale nella logica delle trasformazioni che investono la città è lamentata dagli stessi amministratori. Nel 1882 alcuni
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Figura 2. Lecce. Villa Indraccolo lungo il viale Gallipoli
consiglieri comunali rilevano come le frequenti concessioni di suolo per O¶DOOLQHDPHQWRGLIDEEULFDWLIDWWHVHQ]DXQDVWUDWHJLDEHQGH¿QLWDSRUWDQR soltanto a «deturpamenti e scontorcimenti» e invitano l’amministrazione a proporre un piano regolatore o, almeno, una serie di piani parziali.12 L’Unità lascerà i suoi segni soprattutto sulla odonomastica e sull’arre- GRXUEDQRHFRVWLWXLUjDOOD¿QHGHOVHFRORORVSXQWRSHUXQDPEL]LRVRSUR- getto urbanistico non realizzato: il piano De Simone per il centro storico.
12. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, p. 154;; Cazzato, Politano, Architettura e città, p. 76.
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1. La nuova odonomastica Fenomeno tipicamente postunitario, che coinvolge anche Lecce, è il rinnovo della odonomastica cittadina unitamente al decoro di alcune quin- WHVWUDGDOLULTXDOL¿FDUHJOLVSD]LSXEEOLFLHDEEHOOLUHLO³FRQWRUQR´GHOPR- numento è prassi obbligata nel quadro delle riforme edilizie tanto delle grandi quanto delle piccole città.13 La città rinomina i propri luoghi. La risemantizzazione nel 1871 del contesto urbano leccese, con il drastico mutamento delle denominazioni – e «con implicazioni storico-mitologiche locali»14 (conte Accardo, Euippa, Idomeneo, Malennio) – si deve a Luigi Giuseppe De Simone;;15 a partire dai viali alberati, ai quali viene assegnato, «un po’ retoricamente, un po’ sim- bolicamente» il nome di viale d’Italia.16 Proprio contro la Lecce e i suoi monumenti del De Simone,17 che fornisce notizie sulla storia urbana pren- dendo spunto dalla nuova odonomastica, si scaglierà la crociata del Micco- li che, nella sua Lecce rivendicata, condanna gli scarsi riferimenti alle ori- gini mitiche di una città, ridotta essenzialmente a puri nomi di corti, di piazze e di strade.18 È per dare un nuovo ordine al caos delle nuove denominazioni che nel 1885 il Madaro compila una Guida pratica della città di Lecce nella quale uniche protagoniste sono le strade, con le antiche e le nuove denominazioni.19 Scriveva in proposito il Gregorovius: A titolo di onore, mi piace notare che la cittadinanza di Lecce tien vivi con lodevole pietà i ricordi storici locali. Di ciò son prova i nomi delle strade. Benché non ne manchino anche qui di quelle intitolate a Vittorio Emanuele, a Garibaldi e ad altre spiccate individualità del tempo nostro, pure la lista de’ nomi delle strade, quale il De Simone nella citata descrizione di Lecce la 13. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, pp. 155-159. 14. M. Marti, La vita culturale, in Storia di Lecce dall’Unità al secondo dopoguerra, a cura di M.M. Rizzo, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 575. 15. L.G. De Simone, All’illustrissimo Sig. Sindaco e consiglieri municipali della città di Lecce, in «Cittadino leccese», 24 (1869). 16. Marti, La vita culturale, p. 575. 17. L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, I. La città, nuova ed. postillata da N. Vacca, Centro di studi salentini, Lecce 1964. 18. A. Miccoli, Cenni storici degli antichi popoli salentini, loro città e monumenti, ossia Lecce rivendicata nella sua antichità, nobiltà e civiltà, Tip. Del Vecchio, Lecce 1875. 19. G. Madaro, Guida pratica della Città di Lecce, Lazzaretti, Lecce 1885.
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SRUJHSXzEHQFRQVLGHUDUVLTXDVLHSLWRPHGHOODVWRULDFLWWDGLQDGD¶SLUHPR- ti tempi sino al presente. Non nego, per altro, che l’aver apposto nomi che ULPRQWDQRDOO¶HSRFDPLWLFDVLDQXOODSLFKHXQJKLULEL]]RGLDQWLTXDULHUXGL- ti […]. Ad ogni modo, è pur vero che in coloro almeno i quali sanno alcunché delle antiche tradizioni del paese, tali nomi sono in grado di svegliare rappre- sentazioni e reminiscenze che si connettono con la storia locale […]. Il citta- GLQROHFFHVHSXzFRVuDQGDUHD]RQ]RSHUODVXDEHOODFLWWjFRQXQVHQWLPHQWR di patriottico orgoglio, e seguire ai canti delle vie la cronica de’ suoi antenati, GD0DOHQQLRJLJLVLQTXDVLDOVXRWHPSR20
3LLQJHQXDGLVDWWHQWDHSHUFHUWLYHUVLFRQIXVD qODOHWWXUDGL-DQHW Ross: Una cosa commendevolissima a Lecce è quella di non aver cambiato i nomi delle strade;; per cui un borghese qualunque può acquistare un’idea della sto- ria greca, romana, e del Risorgimento della patria sua, solo passeggiando per la città.21
2. L’arredo urbano Negli anni Ottanta Charles Yriarte notava che «Lecce possiede molti monumenti, e ne costruiscono di nuovi ogni giorno».22 Il riferimento è ai monumenti celebrativi che, a Lecce e nelle altre città italiane, si andavano erigendo prendendo le mosse dall’affermazione dell’ideologia di Roma ca- pitale. Come i busti dei grandi italiani nei giardini del Pincio e il monu- PHQWRD*DULEDOGLVXO*LDQLFRORFRVuQHOOHSLD]]HHQHLJLDUGLQLOHFFHVLL monumenti diventano «strumento di educazione patriottica, agiscono come FDWDOL]]DWRUL GL VLJQL¿FDWL H OD FLWWj ULGH¿QLVFH L SURSUL VSD]L PXRYHQGR dagli episodi della storia recente».23 «Manifestazioni tangibili e durevoli del nazionalismo», i monumenti ai padri della patria sono «congeniali alla diffusione delle religioni laiche delle nuove politiche, volte a creare […] moderne credenze collettive dopo 20. F. Gregorovius, Nelle Puglie, versione dal tedesco di R. Mariano, Barbera, Firenze 1882, p. 368. 21. J. Ross, La Puglia nell’Ottocento. La Terra di Manfredi, a cura di V. Zacchino, Capone, Cavallino di Lecce 1978, p. 211. 22. C. Yriarte, Le rive dell’Adriatico e il Montenegro, Fratelli Treves, Milano 1883. 23. G. Belli, Palazzi pubblici e spazio urbano, in Architettare l’Unità, p. 46.
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Figura 3. Lecce. Monumento a Vittorio Emanuele (E. Maccagnani)
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il declino dei vecchi miti popolari».24 La monumentomania riguarda so- prattutto i personaggi-simbolo che avevano contribuito alla nascita della QD]LRQHLOSULPRUHG¶,WDOLD*DULEDOGLHDOWULHURLVRQRHI¿JLDWLLQPRQX- menti eretti in piazze, giardini, corsi, viali. «Assunto a pieno come il segno GHOO¶8QLWjQD]LRQDOHFRQIDWLFDFRVWLWXLWDVLLOPLWRGHOO¶HURHYLHQHFRVuUL- FRUGDWRWDQWRFRQVWDWXHDOFHQWURGLRJQLSLD]]DTXDQWRFRQLVHUD¿FLEXVWL su piedistallo disposti in piena vista nei parchi e nei giardini».25 A Lecce evento di primaria importanza è la visita di Umberto I e del principe ereditario il 22 agosto 188926 per l’inaugurazione del monumento in EURQ]RD9LWWRULR(PDQXHOHUHDOL]]DWRGDO0DFFDJQDQL¿QGDO HUHWWR nella nuova piazza degli Ammirati (poi piazza Vittorio Emanuele), aperta GLQDQ]LDOODFKLHVDGL6&KLDUDQHOODSULPDPHWjGHOVHFROR¿JXUD 27 «Per cittadino, il Re che ha fatto l’Italia non sarebbe stato bello;; ma, come Re, era bellissimo. Aveva un certo che dell’idolo: grave, pesante, assai tardo ne’ moti, sembrava che camminasse chiuso in una di quelle PDJQL¿FKHDUPDWXUHGDPDVFDWHOHTXDOLVHUYLURQRD¶VXRLJORULRVLDQWHQD- ti», scriveva nel 1878 Camillo Boito28 a proposito dei monumenti eretti in suo onore, lamentando il malanno che minacciava l’interpretazione epica GHOODVWRULDDI¿GDWDDLVROLVFXOWRUL©$OGLOjGHOJLXGL]LRVXOOHFDSDFLWjGL taluni artisti di dare forma a complessi scultorei convincenti, lo scritto boi- tiano esplicitava il sentimento nazionale in tema di monumenti intesi come strumenti pedagogici».29 Il monumento a Vittorio Emanuele è soltanto uno dei segni, forse il SLVLJQL¿FDWLYR±HSHULOOXRJRSUHVFHOWRHSHULOVRJJHWWR±GLFXLODFLWWj andava arricchendosi allo scadere del secolo e agli inizi del successivo. Nel 24. M. Savorra, La monumentomania e i concorsi artistici nell’Italia unita, in Archi- tettare l’Unità, p. 335. 25. Ibid., p. 342. 26. P. Palumbo, Viaggi reali, in «Rivista Storica Salentina», 9 (1914), pp. 234-235;; L.G. De Simone, Lecce, l’“Italia Liberata” e la Casa di Savoia, Tip. Vecchi, Trani 1889;; G. Brunetti, Discorso per l’inaugurazione del monumento in bronzo a Vittorio Emanuele II, Padre della Patria, Tip. Editrice salentina, Lecce 1889;; Umberto a Lecce, «Numero Unico», Lecce 1889;; G. Brunetti, Il monumento a Vittorio Emanuele, in P. Palumbo, L’on. Gaetano Brunetti e i suoi tempi (1829-1900), 2, Tip. Editrice salentina, Lecce 1915, pp. 506-516. 27. Sull’intervento urbanistico cfr. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, pp. 144-146. 28. C. Boito, I monumenti a Re Vittorio Emanuele, in «Nuova Antologia», 42 (1878), p. 328. 29. Savorra, La monumentomania, p. 335.
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1894 trova sistemazione, ad opera del Maccagnani, il monumento a Liber- tini, il patriota salentino a lungo ostracizzato dai governi liberali, al quale è intitolato anche l’asse viario da porta Rudiae a piazza S. Oronzo;; monu- mento che doveva abbellire lo spazio, da sistemare a verde, tra porta S. %LDJLR H O¶HGL¿FLR GHOOH 0DUFHOOLQH TXDOL¿FDQGR XQD ]RQD GL LQFLSLHQWH espansione edilizia, lungo il viale che vedeva allinearsi su un lato i villini in stile, sull’altro le case operaie volute dal sindaco Pellegrino;;30 sarà spo- stato nel primo dopoguerra in prossimità del palazzo delle Poste. Seguirà il busto a Gioacchino Toma al centro di uno slargo con impor- tanti presenze barocche: la piazzetta Falconieri con il palazzo Marrese sul- lo sfondo (F. De Matteis, con basamento di A. Bortone, 1898). Maccagnani e Toma illustrano con maestria l’importante contributo di SHQVLHURHGLD]LRQHIRUQLWRGDO6DOHQWRDOSURFHVVRGLXQL¿FD]LRQHQD]LR- nale;; ad essi va comunque aggiunto Antonio Bortone.31 È infatti il monu- mento a Sigismondo Castromediano (1905) nella nuova piazza ricavata dall’allargamento – deliberato nel 1896 – della via Matteo da Lecce l’ope- UDSLHVSUHVVLYDGHO%RUWRQH¿JXUHH Il Duca… parlerà, titolava O. Valentini un suo articolo sul monumento, ponendo l’accento sull’aspetto cordiale del personaggio.32 Commissionato nel 1898, ha ai piedi del patrio- ta la statua della Libertà in «un atteggiamento risoluto e, come rilevato GDOODFULWLFDFRQWHPSRUDQHDUDI¿JXUDWDGDXQD³VSOHQGLGD¿JXUDGLGRQQD formosa, nuda, le spalle perfette e il principio del seno, promettente – come la Libertà – tutto un mondo di perfezione, di pace, d’amore!”».33 Al Castro- mediano sarà dedicato, negli ultimi anni del secolo (1898), anche l’ampio piazzale sul retro del Castello. Nel 1910 sarà la volta del busto a Giosuè Carducci (L. Guacci) per la piazzetta omonima, già degli Studi, e del monumento a Quinto Ennio (A. %RUWRQH LQDXJXUDWRQHOSUHVVRO¶DQ¿WHDWURGDSRFRSRUWDWRDOODOXFH Ma è soprattutto la Villa comunale, denominata «Villa Garibaldi» nel 1883 – a un anno dalla commemorazione funebre dell’eroe svoltasi a Lec- 6XOOD¿JXUDGHOVLQGDFR3HOOHJULQRFIU''H'RQQRNotabilato e carriere politi- che tra Otto e Novecento: un esempio di ascesa (Giuseppe Pellegrino, 1856-1931), Conge- do, Galatina 2010. 31. Antonio Bortone, Lecce 1988. Su Bortone e Maccagnani si vedano le pagine di A. Cassiano, /HDUWL¿JXUDWLYH, in Storia di Lecce, pp. 686-692. 32. O. Valentini, Il Duca… parlerà, in «Corriere meridionale», 31 dicembre 1903. 33. Cassiano, /HDUWL¿JXUDWLYH, p. 692. Cfr. inoltre: Artisti salentini dell’Otto e Nove- cento, a cura di A. Cassiano, catalogo della mostra, R&R, Matera 2007.
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Figura 4. Lecce. Inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II in occa- sione della visita di Umberto I nel 1889 (disegno di G. Amato, da schizzo di L. Scarrano)
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Figura 5. Lecce. Monumento a Sigismondo Castromediano (A. Bortone, 1905)
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Figura 6. Inaugurazione del monumento a Sigismondo Castromediano, 1906 (Ar- chivio «G. Pellegrino», Lecce)
ce il 25 giugno 1882 – che si trasformerà negli anni Ottanta in tempio e dimora simbolica degli eroi salentini e nazionali. Osannato come combattente valoroso, mitizzato come soldato o corsaro senza macchia e senza paura, l’Eroe dei due mondi costituisce un caso eccezionale, non solo per la quantità di monumenti dedicati a lui e alle sue vicende […], ma anche perché molti di questi furono eretti quando il patriota e condottiero ita- OLDQRHUDDQFRUDLQYLWD>«@3LGL&DYRXUGL0D]]LQLHGL9LWWRULR(PDQXHOH PHVVLLQVLHPHOD¿JXUDGHOO¶HURHFRQOHVXHD]LRQLSDWULRWWLFKHHODVXDOLQHD politica neutrale, meritava di essere immortalata in monumenti destinati a rap- presentare la sintesi storica dell’epoca risorgimentale e dello Stato moderno.34 34. Savorra, La monumentomania, S6XOOD¿JXUDGL*DULEDOGLD/HFFHFIULecce e Garibaldi, Capone, Cavallino 1983.
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Sui due pilastri ai lati dell’ingresso alla Villa, lungo il viale a lui stesso intitolato, due iscrizioni ricordavano l’Eroe: «Il nome di Garibaldi / volge DUDPPHQWDUHDQFKHQHOO¶RUDGHLOLHWLULWURYLTXDQWDYLUWRFFRUVHSHU redimere la Patria», a destra;; «Le rappresentanze / della città / col voto / del l’11 luglio MDCCCLXXXIII: denominò / questo giardino pubblico / Garibaldi», a sinistra. Oltre al busto dello stesso Garibaldi (E. Maccagnani, 1888, tavola 17), TXDVLDPHWjGHOYLDOHVLGLVSRQHYDQRTXHOOLGHJOLXRPLQLSLLOOXVWULGHOOD provincia – da Tancredi a Giuseppe Pisanelli – la maggior parte eseguiti fra il 1887 e il 1889 dal Maccagnani, all’infuori di quelli di Luigi Scarambone e di Gaetano Stella (G. Mangionello) e di Fanfulla da Lodi (A. Bortone).35 Insieme alla Villa comunale, giardinetti, villette e piccoli squares con- tribuiscono ad accrescere il decoro urbano e ad assicurare igiene e sanità, mitigando talvolta le smagliature presenti nel tessuto viario.36 Un altro omaggio sarà tributato a Garibaldi all’interno del Sedile. Nel luglio del 1897 Maccagnani, volendo lasciare un ricordo alla sua città natale, comunica al Consiglio municipale di voler donare la statua eque- stre in gesso, da lui modellata per la città di Brescia e inaugurata nel 1889 ¿JXUD Scelta quale sede il Sedile, nasce l’idea di creare un Museo civico per accogliere, oltre alla statua di Garibaldi, tutte le manifestazioni dell’arte cit- tadina del tempo, invitando scultori e pittori della provincia a donare qualche loro lavoro. Il Museo è inaugurato nel giugno 1898. Il discorso del sindaco 3HOOHJULQRqXQRVSDFFDWRVLJQL¿FDWLYRGLFRPHDOO¶HSRFDODSDWULDHO¶DUWH fossero considerati i fondamenti di una società libera, laica e universale. 1HVVXQDVFLHQ]DQHVVXQDIRUPDOHWWHUDULDSXzDYHUHO¶HI¿FDFLDHGXFDWLYDGL un’opera d’arte, che ha un linguaggio cosmopolita e universale, che non su- ELVFHOLPLWLGLUD]]DGLFRQ¿QLJHRJUD¿FLGLVHVVRRGLHWj>«@$FKHFRVD debbono Atene e Firenze la loro fama immortale e l’aureola di luce che cir- conda i loro nomi se non al culto per l’arte? In cui raggiungono altezze insu- 35. Si vedano da ultimo le schede su Mangionello e Maccagnani redatte da Chiara Notaro per $WODQWH GHO JLDUGLQR LWDOLDQR 'L]LRQDULR ELRJUD¿FR GL DUFKLWHWWL JLDUGLQLHUL botanici, committenti, letterati e altri protagonisti. Italia centrale e meridionale, a cura di V. Cazzato, ,VWLWXWR3ROLJUD¿FRH=HFFDGHOOR6WDWR5RPDSS,QROWUH&'H Giorgi, I busti di dieci uomini illustri della Terra d’Otranto nella Villa Garibaldi in Lecce, s.l., s.d. 36. A. Giannetti, I giardini pubblici dell’Italia unita, in Architettare l’Unità, pp. 319- 328.
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Figura 7. Lecce. Statua equestre in gesso di Giuseppe Garibaldi all’interno del Sedile (E. Maccagnani, 1897) SHUDWH"4XDQGRQHO0HGLRHYRO¶,WDOLDHUDDYYROWDQHOODSL¿WWDFDOLJLQHHVX OHLSHVDYDODLUUHSDUDELOHIDWDOLWjGHOODGHFDGHQ]DSLWULVWHDQFRUDDOFRQIURQ- to della passata grandezza, una voce si fè udire nella notte dei tempi, che rie- vocò il genio italico, e fu la voce di Dante: bastò il canto del poeta, che fu FKLDPDWRGLYLQRSLGLTXHOORFKHQRQDYUHEEHURIDWWRFHQWRYLWWRULHVXLFDP- pi di battaglia per restaurare la gloria dell’Italia. E furono Michelangelo, Raf- faello, Tiziano i Numi del nostro Olimpo artistico, che fra le male signorie che avvilivano la patria nostra, mantennero sempre vivo, profondo e forte il VHQWLPHQWRG¶LWDOLDQLWj(TXDQGRLQWHPSLDQRLSLYLFLQLO¶,WDOLDQRQHUDSHU ORVWUDQLHURFKHXQ¶HVSUHVVLRQHJHRJUD¿FDHUDQHOQRPHGL*LXVHSSH9HUGL che si inneggiava all’unità e all’indipendenza della patria. Ed oggi essa giace ancora come intorpidita sotto l’immane peso delle sciagure africane e delle lotte fratricide e come schiacciata da un senso di sconforto e di oppressione VHQWHFRPHXQIUHPLWRGLYLWDQXRYDDWWUDYHUVDUHOHVXH¿EUHVRORFKHLQRVWUL DUWLVWLYDOLFDQGROH$OSLURPSHQGRLOJKLDFFLRGLPDOGLVVLPXODWHGLI¿GHQ]H
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rievochino le antiche simpatie e facciano risuonare ancora una volta gli ap- plausi e le acclamazioni al nome d’Italia. […] E appunto qui noi trarremo nei momenti di sconforto e di dolore per attingere nell’immagine dell’Eroe popo- ODUHULSURGRWWDGDVDSLHQWHVFDOSHOORHQHUJLDGLVDFUL¿FLRHYLUWGLDEQHJD- zione, qui noi trarremo invocandolo come nume tutelare, perché ci aliti nel- O¶DQLPRLOVDQWRDPRUGLSDWULDGDTXHOORSHUODFLWWjQDWuDFKHUDFFRJOLHLUL- FRUGLSL FDULGHOODQRVWUD HVLVWHQ]DD TXHOORSHU OD JUDQGHPDGUH O¶,WDOLD &RVuTXHVWROXRJRGDRUDLQSRLVDUjWHPSLRVDFURGHOODUHOLJLRQHGHOODSDWULD e insieme scuola di educazione civile e politica.37
3. /¶HI¿PHURSRVWXQLWDULR Dopo l’Unità feste e commemorazioni pubbliche scandiscono il tem- po civile;; ma il tempo è segnato anche da eventi meno lieti. La massima affermazione dell’eclettismo a Lecce è in occasione dell’allestimento in duomo del monumentale catafalco per le onoranze a Vittorio Emanuele II, il 9 febbraio 1878, a un mese dalla morte (tavola 18). Nella sarabanda degli stili, a prevalere è l’egizio. Un volume stampato per l’occasione38 contiene la riproduzione del tumulo e una descrizione minuziosa dell’arredo della chiesa. Il corteo funebre parte dal palazzo della prefettura snodandosi per via Principi di Savoia, piazzetta Arco di Trionfo, via Palmieri e il cortile del Vescovado. All’interno del duomo le pareti sembravano «tramutate, anzi per intiero sparite». L’occasione era una di quelle da non perdere, dando la possibilità di occultare un’architettura poco gradita alla cultura dell’Ottocento: (GL¿FDWRFROORVWLOHEDURFFRGHO6HLFHQWROHVXHWR]]HFRORQQHTXDGULQDWHH la pesantezza delle linee e degli sporti erano state nascoste sotto le grandi SLHJKHGLVXSHUELGDPDVFKLFUHPLVLFKHRUDYHGHYLVFHQGHUJLGDOOHSDUHWL SL DOWH RUODWL GL WULQH H OLVWH GL QHUL YHOOXWL HG RUD D PR¶ GL FRUWLQDJJL GDL YXRWLGDOOH¿QHVWUHHGDVRWWRLJUDQGLDUFKLFROjVWHQGHUVLVSLHJDWLRFFXOWDQ- 37. Pel Museo Civico, in «Corriere meridionale», 26 maggio 1898;; G. Guerrieri, Il Museo Civico di Lecce, in «Numero unico per le feste inaugurali nel giugno 1898», Lecce 1898, pp. 101-105. 38. A Vittorio Emanuele II. Onoranze funebri in Terra d’Otranto 6WDE WLSRJUD¿FR partenopeo, Napoli 1878. Sull’argomento cfr. V. Cazzato, Ingressi trionfali e teatri di mor- WH0RPHQWLGHOO¶HI¿PHURIUD&LQTXHH2WWRFHQWRQHOOD3XJOLDPHULGLRQDOH, in Atlante tema- tico del Barocco in Italia. Le capitali della festa. Italia centrale e meridionale, a cura di M. Fagiolo, De Luca, Roma 2007, pp. 373-374.
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GRVIRQGLHGDEEUDFFLDQGRSHUQRQSLPRVWUDUOLFRORQQHHSLODVWULHPROOH- mente girare intorno intorno per i cornicioni, e con veli e merletti neri intrec- ciati formar festoni e ghirlande.
La varietà cromatica dell’interno è ridotta a semplice bicromia: «Tutto con arte e gusto disposto, cremisi e nero era addivenuto il Duomo di Lec- FHª$OWHPSRVWHVVR©TXHLGDPDVFKLHTXHLYHOOXWLVLPSDWL]]DYDQRVuEHQH coll’esistenti dorature dei capitelli, degli archivolti, delle lunette ed altri LQWDJOL H SL DQFRUD FRO EUXQR FRORUH GL QRFH GHO VRI¿WWR FKH LQYHFH GL antichi potevan ritenersi nuovi trovati architettonici, e tanto necessari, che senza essi l’opera sarebbe apparsa monca e meschina». La metamorfosi del duomo è talmente evidente che «tutto un panneg- JLRHUDDGGLYHQXWRLO7HPSLRFKHSLQRQVHUEDYDO¶DVSHWWRFRQVXHWRPD si era tramutato in quello d’un mortuario padiglione imperiale [che] luce SLQRQDYHYDVHQRQTXHOODGHJOLDOWDULHGHJO¶LQQXPHULODPSDGDULGLFUL- stallo e di argento sospesi alle volte ed agli archi». Da quattro pilastri della navata pendevano le insegne delle città capo- luogo di circondario (Lecce, Taranto, Brindisi e Gallipoli);; sui restanti pi- lastri erano quattro scudi con iscrizioni. /¶HOHPHQWRFKHSLGLRJQLDOWURFDWDOL]]DYDO¶DWWHQ]LRQHHUDFRPXQ- que il catafalco, «d’architettura egizia, dell’architettura che sola fra le an- tiche e le moderne abbia il merito d’esprimere col suo robusto e semplice FDUDWWHUHODHWHUQLWjGHOORVSLULWRODYLUWGLFRQVHUYDUHSLDOXQJRLUHVWL dei morti, e di serbare inviolati i segreti delle tombe».39 Il tumulo sorgeva su un alto basamento di granito – con otto lapidi di marmo recanti altrettante iscrizioni – al quale si accedeva mediante otto gradini. La cella era sostenuta da quattro pilastri angolari e da otto colonne GXHSHUODWR FKHVRUJHYDQR©GDOVHQRGLFRUROOHGL¿RUGLORWRVWULDWHH fasciate da cordoni a metà del fusto» e si concludevano «con capitelli dello stesso stile».40 Un trofeo sulla sommità con due scudi di bronzo recante l’arme di Terra d’Otranto e dodici bandiere di velluto nero e fasce tricolori concludevano il catafalco progettato da Oronzo Bernardini, insieme con i «pittori d’ornato» Onofrio Migliardi e Domenico Conte, il «modellatore plastico» Achille De Lorenzi, l’«intagliatore di fregi in legno» Salvatore Ammassari, gli scalpellini Vincenzo e Abramo Zecca.41 39. A Vittorio Emanuele II, pp. 24-26. 40. Ibid., p. 27. 41. Ibid., pp. 48-50. Sull’argomento cfr. Cassiano, /HDUWL¿JXUDWLYH, p. 694.
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Figura 8. Francesco De Simone. Piano regolatore elaborato per il centro storico di Lecce (1897)
Meno noto è l’apparato eretto per conto del Municipio nella chiesa di S. Irene: un «ricco monumento di marmi, basalti, colonne di ebano e mo- danature di argento», su progetto di Michele Astuti, con l’apporto di Achil- le De Lucrezi e degli artigiani Perulli, Filippi e Troso.42
4. Il piano De Simone Il centro storico di Lecce, al pari di quelli di altre città, è oggetto negli ultimi anni del secolo di un progetto di risanamento di ampio respiro, rimasto irrealizzato. Il piano, riguardante un vasto settore compreso fra i vertici della chiesa di S. Chiara e la piazza S. Oronzo da un lato, le piazzette d’Enghien e della Chiesa Greca dall’altro, sembra rispolverare (riportandole in un proget- to unitario) alcune proposte progettuali della prima metà del secolo incentra- WHVXOODULFHUFDGLXQUDSLGRHGHI¿FDFHFROOHJDPHQWRIUDSRUWD1DSROLHSLD]- za S. Oronzo e fra i grandi contenitori della prefettura, dei tribunali (rivestiti GLXQDQXRYDIDFFLDWDQHO HGHJOLXI¿FLFRPXQDOL¿JXUD Il piano regolatore è elaborato nel 1897 dall’ingegnere Francesco De Simone,43 attivo, negli anni che precedono la prima guerra mondiale, anche 42. A Vittorio Emanuele II, pp. 94-95. 43. Sul piano De Simone cfr. ASCL, cat. X-9-8, b. 2. Il piano è pubblicato da Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, pp. 162-163, e da Cazzato, Politano, Architet- tura e città, p. 77.
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nell’opera di risanamento della città di Napoli. All’interesse che il progetto riveste in sé va aggiunta la singolarità del sistema di compilazione, «senza accedere sul luogo per avere almeno idea dei lavori progettati e quindi privo di misure e di quantità esatte». In nome di un geometrismo rigido ed HVDVSHUDWRWXWWRqVRJJHWWRDUHWWL¿FKHGDOO¶HGLOL]LDPLQRUH¿QRDOODIDFFLD- ta di una chiesa barocca (S. Chiara) e all’isolato comprendente il Sedile e la chiesetta di S. Marco. Il piano prevedeva la realizzazione di due strade rettilinee, pressoché parallele, entrambe denominate corso Re d’Italia. A questo sistema viario era connesso un sistema di piazze: una quadrata (piazza Cavour) davanti DOODFKLHVDGHO*HVXQ¶DOWUDHVDJRQDOHSLD]]D9LWWRULR(PDQXHOH DQWL- stante la chiesa di S. Chiara, una terza rettangolare (la nuova piazza S. Oronzo). Alcune “bretelle” normali ai due corsi assicuravano i collega- menti in senso trasversale e con la viabilità esterna alle mura (con la piazza Garibaldi e la piazza Castello). Gli assi primari avrebbero avuto una larghezza di dieci metri, anomala rispetto al tessuto viario della città ma che trovava un riscontro nella strada GHLWULEXQDOLUHWWL¿FDWDQHOFRUVRGHO6HWWHFHQWR Il piano, se realizzato, avrebbe comportato una serie di demolizioni, VXOODVFLDGLTXDQWRVLVWDYDYHUL¿FDQGRDQFKHLQDOWUHFLWWjLWDOLDQHGD1D- poli a Firenze.
5. Le espansioni “extra moenia” Il piano De Simone è l’ultimo canto del cigno di una politica che po- WUHPPR GH¿QLUH GHOO¶LQWURYHUVLRQH HG q VLJQL¿FDWLYR FKH YHQJD UHGDWWR quando la città è ormai proiettata al di là delle mura, dove stavano sorgen- do, pochi ma numerosi, i nuovi borghi.44 /DFUHVFLWDVLYHUL¿FDLQPDQLHUDQRQXQLGLUH]LRQDOHTXDVLFDVXDOH1HO 1865 la consegna da parte del Ministero della Guerra dell’area circostante il castello (con il conseguente «piano d’arte» dell’ingegnere Ignazio Bernar- dini per il colmamento dei fossati) farà da volano per l’espansione su questo versante. La pianta di Michele Astuti (1882), se da un lato offre l’immagine 44. Sulle espansioni “extra moenia” cfr. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Ita- lia. Lecce, pp. 162-171;; soprattutto Cazzato, Politano, Architettura e città, in particolare le pp. 13-23 (Lecce dall’Unità d’Italia all’avvento del fascismo).
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di una città ancora in prevalenza racchiusa all’interno della cinta muraria, dall’altro registra una prima eccezione: il borgo “Principe Umberto” (o S. Lucia), progettato dall’ingegnere Bernardini nel 1866 a forma di «gravi- FHPEDORªFRQLQRPLGHOOHVWUDGH¿QWURSSRVLJQL¿FDWLYLYLDOHG¶,WDOLDYLD Cavour, via Magenta, via Solferino. Il borgo, come scriveva Eduardo Rossi nel 1880, «nulla presentava di bello artistico edilizio».45 A partire dalla metà degli anni Ottanta al piano per il borgo Principe Umberto si aggiunge a sud quello relativo alla fascia dei villini,46 che non manca di suscitare in alcuni il timore di un ulteriore depauperamento dell’immagine urbana: il capitolato è approvato nel 1883.47 Poco distante, nei pressi della stazione ferroviaria inaugurata nel 1866, iniziano intanto a sorgere, con l’apertura del viale antistante, una serie di LPSRUWDQWLSDOD]]LFKHUHQGRQRSLVFHQRJUD¿FRO¶LQJUHVVRLQFLWWjQHOSUL- PRGHFHQQLRGHOQXRYRVHFRORXQLQWHURODWRGHOODVWUDGDqJLjHGL¿FDWR48 Se nel nuovo Stato unitario la ferrovia rappresenta uno dei principali simboli della modernità, la stazione, emblema di una società che ripone la sua gloria QHOODYRURqFRQVLGHUDWDXQDGHOOHPDQLIHVWD]LRQLDUFKLWHWWRQLFKHSLVLJQL¿- cative del tempo. Pioniera di una nuova architettura, essa nelle città diventa un elemento generatore di un nuovo sviluppo urbano.49
A caratterizzare il lato orientale sono invece due tridenti di strade: il primo convergente su porta S. Biagio, scarsamente urbanizzato grazie an- che al giardino annesso all’Educandato delle Marcelline (inaugurato nel 1893);; il secondo, l’ideale tridente del Parco di fuori, coincidente con il triangolo del giardino Vernazza, oggetto di un pubblico concorso nel 1908 (del 1915 è il progetto della zona circostante la Torre del Parco dell’inge- gnere Gennaro Bacile di Castiglione).50 A partire dal 1888 si attua anche l’urbanizzazione del borgo S. Lazza- ro, in prossimità della chiesa omonima e a ridosso della caserma Tempio;; all’anno seguente data il primo piano di sistemazione dei terreni nella zona 45. E. Rossi, Poche parole all’Onor. Consiglio Municipale di Lecce in occasione di XQSURJHWWRGLFRQFHVVLRQHGLVXRORHGL¿FDWRULRHVWUDPXUDOH, Tip. Scipione Ammirato, Lec- ce 1880, pp. 4-5. Sul borgo S. Lucia cfr. Cazzato, Politano, Architettura e città, pp. 111-115. 46. Rossi, Poche parole. 47. Cazzato, Politano, Architettura e città, pp. 227-233. 48. Ibid., pp. 207-215. Sulla stazione cfr. Palumbo, L’onorevole Gaetano Brunetti. 49. G. Belli, La Stazione Centrale di Bologna, in Architettare l’Unità, p. 377. 50. Cazzato, Politano, Architettura e città, pp. 125-133, 149-153.
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della Cavallerizza. Progetti di lottizzazione coinvolgono, a partire dal 1890 (ma soprattutto nel 1911-1912) anche il piazzale antistante il Castello.51 Piccoli gruppi di case si formano, già negli anni Ottanta, nel vicino borgo Adriano52 mentre nel versante occidentale, dove prevarrà un’edilizia popolare, l’urbanizzazione del borgo Idria e del borgo Salnitro ha inizio intorno al 1890.53
6. La ricerca archeologica $EELDPRJLjDYXWRPRGRGLPHQ]LRQDUHOD¿JXUDGL6LJLVPRQGR&D- stromediano. Aggiungiamo che, animatore lo stesso duca, il Consiglio pro- vinciale di Terra d’Otranto delibera nel 1868 l’istituzione di una «Commis- sione conservatrice dei monumenti storici e di belle arti» allo scopo di promuovere ricerche archeologiche e scavi nella regione salentina e di cu- rare la conservazione del patrimonio monumentale.54 Nella tornata del 15 maggio 1870 il Castromediano propone alla Commissione di «scavare nei cunicoli che appaiono nella piazza di S. Oronzo […] o in altri punti della città». Nel 1873, durante alcuni lavori alle fondazioni della casa Greco, si scopre che il prospetto parallelo al lato sud del Sedile «poggia su una mu- raglia di parallelepipedi ortogonali di pietra leccese, a secco»;; scavando una cisterna, si individua «un sotterraneo con quattro archivolti, nel quale da due lati pareva sbucassero due vie»;; si rinvengono anche alcuni reperti. Ma è nel 1900, con la demolizione dell’Isola del Governatore per la costruzione della sede della Banca d’Italia,55 che vengono alla luce impor- tanti ruderi che Cosimo De Giorgi interpreta sulle prime come avanzi di un WHDWURSRLGLXQDQ¿WHDWURÊLOJUDQGHHYHQWRFRQLOTXDOHVLDSUHLOQXRYR VHFRORTXHOORFKHSLGLRJQLDOWURFRQGL]LRQHUjVFHOWHXUEDQLVWLFKHPRGL- ¿FDQGRLOFXRUHGHOODFLWWj 51. Ibid., pp. 167-175. Cfr. inoltre V. Cazzato, Il castello di Carlo V a Lecce: dallo splendido isolamento all’inglobamento nel tessuto urbano, in Il castello a Lecce, Capone, Cavallino 1983, pp. 11-38. 52. Cazzato, Politano, Architettura e città, pp. 187-193. 53. Ibid., pp. 267-271, 283-291. 54. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, pp. 159-162. 55. Sull’argomento cfr. V. Cazzato, L’isola del Governatore e il suo intorno fra Otto e Novecento, in Lecce: frammenti di storia urbana, a cura di L. Giardino, P. Arthur, G.P. Ciongoli, Edipuglia, Bari 2000, pp. 41-51.
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)LJXUD/HFFH5XGHULGHOO¶DQ¿WHDWURURPDQR
,OSDOD]]R©LQVWLOH¿RUHQWLQRªFKHO¶LQJHJQHUHIHUUDUHVH*LRYDQQL7UD- vaglio inizia a costruire nel 1900 in un linguaggio «inteso come valore di FRQWLQXLWjFRQORVWLOHULVRUJLPHQWDOHªDLPLWD]LRQHGHO¿RUHQWLQRSDOD]]R Medici Riccardi, porta a soluzione l’annosa questione dell’Isola del Go- YHUQDWRUHDOWHUDQGRLQPDQLHUDVLJQL¿FDWLYDO¶DQGDPHQWRUDGLDOFRQFHQWULFR degli assi viari che convergono su piazza S. Oronzo e regolarizzando al WHPSRVWHVVRLOODWRVXGGLTXHVWDSLD]]DDTXHVWRHGL¿FLRVLXQLIRUPHUDQQR nel 1900-1901 i prospetti di altre case) e lo spazio antistante la chiesa di S. Chiara, che assumerà una forma rettangolare con al centro il monumento a Vittorio Emanuele. Dopo l’Isola del Governatore, seguiranno la demolizione dell’ex pa- lazzo della Regia Udienza sulla cui area l’amministrazione del Banco di Napoli realizzerà la propria sede (ingegnere P. Ruggieri);; quella della chie-
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VDGHOOH3DRORWWHVDFUL¿FDWDDSDUWLUHGDOSHUULFDYDUHQXRYLDPELHQWL “in stile” accanto all’ex convento, dal 1895 sede della rappresentanza co- munale, dopo che nel 1879 il sindaco Guariglia aveva inutilmente presen- tato un progetto di Palazzo di Città nella zona dell’Isola del Governatore.56
7. Le strutture educative e di servizio Il palazzo di Città nel monastero delle Paolotte (reinterpretato dall’ar- chitetto Pasquale Ghezzi) ci introduce al tema del “riuso” e della “risigni- ¿FD]LRQH´GHJOLHGL¿FLIHQRPHQRULFFRGLLPSOLFD]LRQLVRSUDWWXWWRQHOO¶,WD- lia postunitaria: In una complicata ed eterogenea alchimia di esigenze economiche, problemi funzionali, velleità iconologiche, strategie politiche, impellenze amministra- tive, le strategie di insediamento dei nuovi servizi possono essere interpretate alla luce del delicato rapporto ora di complementarietà, ora di contrapposi- ]LRQHWUDLOULXVRGLIDEEULFKHHVLVWHQWLHVRSUDWWXWWRGLVLJQL¿FDWLYLHGL¿FL storici, e la costruzione di nuovi capisaldi.57
Pensiamo, ad esempio, alle strutture educative.58 Alcune – in partico- lare istituti e scuole secondarie – sono allogate in costruzioni già esistenti: OD 6FXROD QRUPDOH IHPPLQLOH ¿QR DO SUHVVR O¶2UIDQRWUR¿R Principe Umberto, poi presso i Teatini);; la Scuola normale maschile (1868);; la Scuola tecnica, fondata nel 1867 e dal 1871 annessa al Palmieri;; l’Istitu- to Margherita di Savoia (1900) presso i Fatebenefratelli;; per non parlare di istituti quali quello per sordomuti (1885) nel monastero delle Scalze e TXHOORSHUFLHFKLGDOQHOSDOD]]R*LDFRQuD $OWUHVWUXWWXUHHGXFDWLYHVRQRXELFDWHLQHGL¿FLGLQXRYDUHDOL]]D]LR- ne.59 Intorno agli anni Novanta comincia a funzionare il nuovo Collegio 56. A. Guariglia, 5HOD]LRQHWHFQLFRHFRQRPLFDHPRQRJUD¿DLQWRUQRDOODSURSRVWDGHO nuovo Palazzo di Città di Lecce, Stab. tip. Scipione Ammirato, Lecce 1879;; menzionata in Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, pp. 159-160. Sui vari sindaci cfr. M.M. Rizzo, L’élite politica: dal Municipio al Parlamento, in Storia di Lecce, pp. 17-106. 57. F. Mangone, Introduzione, in Architettare l’Unità, p. XX. 58. Fagiolo, Cazzato, Le città nella storia d’Italia. Lecce, pp. 171-172. Cfr. A. Seme- raro, L’educazione dei due popoli, in Storia di Lecce, pp. 535-573. 59. Sulle principali scuole cfr.: O. Colangeli, L’istruzione pubblica in Terra d’Otran- to prima e dopo l’Unità d’Italia, in «La Zagaglia», 34 (1967), pp. 166-170;; Id., Breve storia della Scuola Tecnica Commerciale “Luigi Scarambone” di Lecce, in Omaggio al I
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Vincenzo Cazzato
Figura 10. L’Educandato Vittorio Emanuele nel progetto redatto dall’ing. Bacile di &DVWLJOLRQHHPRGL¿FDWRGD7RPPDVR3LVSLFR
Argento;; nel 1893 è inaugurato, su progetto di Filippo Bacile di Castiglio- QH O¶(GXFDQGDWR ³9LWWRULR (PDQXHOH´ FRQVLGHUDWR ©LO SL FRQIDFHQWH all’educazione di giovinette facoltose, signorili, che da molte province del Meridione convengono» (in precedenza le suore Marcelline e, ancor pri- ma, quelle di Carità, avevano occupato il monastero delle Paolotte);; su uno GHLODWLGHOOD9LOODFRPXQDOHqUHDOL]]DWRLOJUDQGHHGL¿FLRVFRODVWLFRLQ fase di avanzata costruzione nel 1891, che, «abbellito da giardini laterali», ospiterà dal 1896 al primo piano l’Istituto tecnico “Oronzo Gabriele Co- Centenario dell’Unità d’Italia, Editrice salentina, Lecce-Galatina 1961, pp. 9-41;; Id., Ge- nesi e sviluppo della scuola magistrale in Terra d’Otranto, Milella, Lecce 1966;; G. Barrel- la, Un grande educatore: vita aneddotica del p. Nicodemo Argento S.J. con rapidi cenni sul Collegio da lui fondato in Lecce, 1874-1950, Tip. Scorrano, Lecce 1951;; O. Colangeli, Istituto Marcelline. Notizie storiche, in «La Zagaglia», 35 (1967), pp. 306-332;; Id., L’istru- zione tecnica in Puglia. L’Istituto tecnico O.G. Costa di Lecce, in «La Zagaglia», 44 (1969), pp. 403-416;; F. Guerrieri, La R. Scuola Artistica Industriale di Lecce, in «Il Salen- to», 2 (1928), pp. 139-143;; G. Papuli, Cenni storici sul liceo-ginnasio “G. Palmieri”, in «Annuario del Liceo Palmieri 1958-59», Galatina 1959, pp. 7-43;; Id., Altri cenni storici sul liceo-ginnasio “G. Palmieri”: le sedi dell’Istituto, in «Annuario del Liceo Palmieri 1959- 60», Galatina 1960, pp. 7-21;; Il centenario dell’Istituto Marcelline a Lecce (1882-1982), Favia, Bari 1982.
Il nuovo volto delle città: il caso Lecce
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sta” e, al pianterreno, le scuole elementari;; nel 1914 è istituita, su iniziativa del sindaco Pellegrino, la Scuola d’arti e mestieri. Di nuova realizzazione sono invece le sedi teatrali: il Teatro Paisiello, progettato da Oronzo Bernardini ed Enrico De Cataldis (1869-1870), e il vero e proprio sistema di luoghi destinati allo spettacolo che va costituen- dosi fra gli anni Sessanta e il primo decennio del Novecento a ridosso o nelle immediate vicinanze del castello: il Politeama “Principe di Napoli” (Teatro Greco), «parte in muratura regolare, e parte in ferro e legno», inau- gurato nel 1884 (trasformato nel 1913);;60 il S. Carlino (1908), addossato al castello;; il teatro Apollo, inaugurato a poca distanza nel 1912. Al castello sarà addossata nel 1898 anche un’altra costruzione: la “tettoia” del Merca- to coperto su progetto dell’ingegnere Pasquale Ruggieri.61 $JOL LQL]L GHO QXRYR VHFROR LQ¿QH O¶RVSHGDOH FLYLOH ³9LWR )D]]L´ ± dovuto all’iniziativa del principe Sebastiano Apostolico Orsini su progetto GHOO¶8I¿FLRWHFQLFRPXQLFLSDOH±GLYHQWHUjFRQODVXDPROHLOIRQGDOHSUR- spettico dell’asse mediano del tridente di porta S. Biagio.
60. G. Della Noce, Il Politeama Donato Greco, 1884-1913, Libreria Gaetano Martel- lo, Lecce 1913. 61. Cazzato, Politano, Architettura e città, p. 147. Cfr. inoltre Cazzato, Il castello di Carlo V, pp. 11-38.
ROSANNA BASSO Dal Sud. Le celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità: consonanze e antinomie
8QLQGLUL]]RRUPDLSLFKHFRQVROLGDWRGLVWXGL1 ci invita a guardare DOOHFHOHEUD]LRQLSDWULRWWLFKHHSLLQJHQHUDOHDOOHIHVWHFLYLOLFRPHXQ PRPHQWR QLHQWH DIIDWWR HI¿PHUR GHOOD YLWD VRFLDOH EHQVu FRPH LO OXRJR denso in cui si tessono assi identitari, tra istituzioni e cittadini, cultural- mente forti e prospetticamente durevoli. Negli anni giubilari questa pecu- OLDULWjGHOOHIHVWLYLWjODLFKHVLUHQGHVHSRVVLELOHDQFRUDSLIRUWH La celebrazione del cinquantenario dell’Unità italiana non è sfuggita a questa regola. Anzi, poiché è stata lungamente attesa e lucidamente piani- ¿FDWDQHqVWDWDTXDVLODOLPSLGDGHFOLQD]LRQH Come è noto il fulcro delle celebrazioni per il cinquantenario è stato lo scoprimento del monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, domenica 4 giugno, festa dello Statuto. È stato l’evento centrale, e, se si vuole, l’acca- GLPHQWRSLVFHQRJUD¿FRHSLGHQVDPHQWHVLPEROLFRVLDSHUODJUDQGLR- sità dell’architettura che fa sfondo e cornice alla colossale statua equestre, sia per la spettacolarità della manifestazione che raduna a piazza Venezia accanto al re e alla famiglia reale, al governo, alle massime cariche civili e militari dello Stato oltre seimila sindaci dei circa ottomila comuni grandi e piccoli esistenti nel Regno. È quello che fu chiamato enfaticamente il “pel- legrinaggio dei sindaci” e che costituisce la rappresentazione plastica di un paese che lasciando in ombra i dissidi, le divisioni, le controversie che 1. B. Tobia, La patria per gli italiani. Spazi, itinerari, monumenti nell’Italia unita (1870-1900), Laterza, Roma-Bari 1991;; U. Levra, Fare gli italiani. Memoria e celebra- zione del Risorgimento, s.n., Torino 1992;; M. Isnenghi, I luoghi della memoria, 3 voll., Laterza, Roma-Bari 1996-1997;; I. Porciani, La festa della nazione. Rappresentazione dello Stato e spazi sociali nell’Italia unita, il Mulino, Bologna 1997;; A.M. Banti, Il Risorgimento italiano, Laterza, Roma-Bari 2004.
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Rosanna Basso
avevano attraversato il Risorgimento, rende omaggio al re e alla monarchia HDWWUDYHUVROD¿JXUDGHOUHFHOHEUDO¶DXWRULWjGHOOHLVWLWX]LRQLSROLWLFKHSOD- smate dalla storia risorgimentale. Il tributo al re Vittorio Emanuele II padre della patria è, per il Comi- tato esecutivo per le feste commemorative del 1911 che ne ebbe la regia, la pietra miliare del dispositivo discorsivo che doveva raccordare tutte le manifestazioni celebrative che si sarebbero andate a realizzare nel corso GHOO¶DQQRGDTXHOOHSUHPLQHQWLHGLFDUDWWHUHQD]LRQDOHDTXHOOHSLGHFHQ- WUDWHHSLFLUFRVFULWWH Tralascio di ripercorrere le tappe che portarono alla messa in cantiere GHOOH PDQLIHVWD]LRQL FHOHEUDWLYH QHOOD FDSLWDOH ¿QR DOOD GH¿QL]LRQH del programma (1910).24XHOORFKHYRUUHLVLJQL¿FDUHTXLqLOSXQWRVXFXLVL ebbe a creare una forte convergenza: ovvero che, nell’occasione del cinquan- tenario, accanto all’«omaggio ai precursori» l’Italia avrebbe dovuto presen- tarsi al cospetto della «civiltà» e affermarsi «quale essa è».3 Il concetto è luci- damente espresso dal conte Enrico di San Martino, presidente del Comitato, nel discorso inaugurale delle celebrazioni, pronunciato il 27 marzo: 'RSRWDQWLSDWLPHQWLWDQWLVDFUL¿FLWDQWHPRUWLJORULRVHXQDVHULHJLjOXQJD di anni ha consentito al paese tranquillo, conscio delle proprie forze, di pren- dere la via del lavoro e di chiamare oggi tutti i popoli civili a constatare i ri- sultati meravigliosi, che le rinnovellate energie hanno prodotto nella scienza HQHOO¶DUWHVXLFDPSLHQHOOHRI¿FLQH L’unità italiana era necessaria allo sviluppo delle genialità e delle energie della nostra gente, e gli italiani vogliono oggi mostrare al mondo civile come essi, liberi ed uniti, abbiano saputo utilizzare i doni della libertà e della civiltà.4 2. «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911», 1 (1910), pp. VII-VIII. Il periodico, di grande formato, ampiamente illustrato a colori, pubblicato a cadenza semestra- OHGDOJLXJQRDLSULPLPHVLGHOIXO¶RUJDQRXI¿FLDOHGHO&RPLWDWRHVHFXWLYRSHU le cele brazioni nella capitale. Fu realizzato per fornire un resoconto in itinere dei progetti messi a punto, degli avanzamenti delle opere poste in cantiere, della reticolare struttura organizzativa e del calendario degli eventi ideati e, poi, per informare sulle manifestazioni realizzate. La rivista riproduce anche i principali atti pubblici (mozioni, delibere, discorsi XI¿FLDOL FKHKDQQRFRQWUDSSXQWDWRODUHDOL]]D]LRQHGDOO¶DSSURYD]LRQHGDSDUWHGHO&RQVL- glio comunale di Roma della mozione del consigliere Eugenio Trompeo (5 febbraio 1906), DOPDQLIHVWRFRR¿UPDWRGHLVLQGDFLGL5RPDH7RULQR(UQHVWR1DWKDQH6HFRQGR)URODGHO 18 gennaio 1908 che indice la «commemorazione», alla costituzione del Comitato esecu- tivo romano il 31 gennaio 1908 e via continuando. 3. Manifesto del 18 gennaio 1908, ibid., V-VI (1911), p. VIII. 4. Discorso inaugurale del presidente conte Enrico di San Martino a S.M. il Re nel palazzo della mostra di belle arti, ibid., V-VI (1911), p. III.
Dal Sud. Le celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità
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/¶HQIDVL VXOO¶RJJL FKH SRUWD LO &RPLWDWR D GHFLGHUH GL ©VLJQL¿FDUH H rappresentare la vita del nostro popolo, non più coi documenti del pas- sato [il corsivo è mio], ma con la testimonianza e quasi colla parola del presente»5 si tradusse in un programma nazionale delle manifestazioni va- VWLVVLPRFKHFRSUuWXWWRO¶DUFRGHOO¶LQWHURDQQRVRODUHFKHHEEHFRPHVHGL SULQFLSDOL5RPDO¶H[FDSLWDOH7RULQRHLQPDQLHUDSLFRQWHQXWD)LUHQ]H In quest’ultima città, tra l’aprile e il luglio, si tenne la mostra del Ritratto LWDOLDQRHLQPDJJLRO¶(VSRVL]LRQHLQWHUQD]LRQDOHGLÀRULFROWXUD$7RULQR l’Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, con i numerosis- simi eventi collaterali, fu inaugurata il 21 marzo;; a Roma, tra le tantissi- me iniziative, si tenne la «grande festa delle scienze e delle arti», ovvero l’Esposizione internazionale di belle arti (inaugurata il 27 marzo), e – fatto DVVROXWDPHQWHQXRYR±O¶(VSRVL]LRQHHWQRJUD¿FDHUHJLRQDOHLQDXJXUDWD il 21 aprile).6 4XHVW¶XOWLPDqSDUWLFRODUPHQWHLQWHUHVVDQWHDL¿QLGHOWHPDFKHTXLVL tratta. /¶(VSRVL]LRQHHWQRJUD¿FDHUHJLRQDOHGRYHYDUDFFRQWDUHODFDUGXF ciana «itala gente dalle molte vite»: era uno spazio in cui i territori, organiz- zati per regioni, dovevano autopresentarsi attraverso la riproduzione in mu- ratura, gesso e cartapesta di frammenti di opere nello stile tipico dell’area, l’esibizione di manufatti artistici e di oggetti legati alla quotidianità e ai lavori tradizionali, saggi di musica, danza e canti popolari.7 «Intendimento nostro – scrive il Comitato nell’invito rivolto ai «Con- sigli comunali e provinciali, a sindaci e presidenti di deputazioni, uomini insigni negli studi e benemeriti per l’operosità loro» – è di raccogliere tutte le testimonianze della vita del popolo italiano che ha conservato la schiet- 5. MCMXI, ibid., I (1910), p. X. 6. Le pubblicazioni che a vario titolo illustrarono le manifestazioni del cinquantenario sono numerose. Nell’impresa si cimentarono editori grandi (Treves, Sonzogno, Touring Club Italiano) e piccoli che produssero opere di varia tipologia, formato e lingua. Tra le SLIRUWXQDWHROWUHD©5RPD5DVVHJQDLOOXVWUDWDGHOO¶HVSRVL]LRQHGHOªO¶HTXLYDOHQWH torinese «Esposizione di Torino 1911. Giornale illustrato dell’Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro» (1910-1911): Le esposizioni del 1911: Roma, Torino, Firenze. Rassegna illustrata delle mostre indette nelle tre capitali per solennizzare il cinquantenario del Regno d’Italia, a cura di G. Treves, Fratelli Treves, Milano 1911. 7. Sull’importanza dell’Esposizione per il riconoscimento, in Italia, degli studi demo- antropologici: S. Puccini, L’itala gente dalle molte vite. Lamberto Loria e la Mostra di HWQRJUD¿DLWDOLDQDGHO, Meltemi, Roma 2005.
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tezza delle sue diversità storiche anche nell’elevazione costante del suo sentimento unitario».8 ,QVRPPDODUDJJLXQWDXQL¿FD]LRQHSROLWLFDVLDQGDYDDUDFFRQWDUHDWWUD- verso la pluralità degli ambienti, delle storie, delle diversità delle comunità locali.9,QXQRHGqXQDULÀHVVLRQHVXFXLFRQYHUJRQRO¶DQWURSRORJR3LHWUR &OHPHQWHHORVWRULFR*LXVHSSH*DODVVRO¶(VSRVL]LRQHHWQRJUD¿FDHUHJLR- nale andava quasi didascalicamente a illustrare – e quindi a legittimare – «il nesso tra piccola e grande patria»;; a suggerire un’idea rinnovata di nazione;; a riconsiderare «in chiave moderna, i caratteri dell’identità italiana».10 L’Esposizione è strutturata per «Regioni d’Italia», intese, evidentemen- te, come aree geo-storiche e non amministrative. La partecipazione è ge- stita da comitati regionali istituiti ad hoc secondo precise disposizioni: vi prendono parte di diritto i presidenti dei consigli e delle deputazioni pro- YLQFLDOLULFRPSUHVHQHOO¶DUHDUHJLRQDOHGH¿QLWDLVLQGDFLGHOOHFLWWjFKHSHU scelta volontaria intendono aderire. Il Comitato regionale si avvale di un &RPLWDWRRSHUDWLYRFKHKDODUHVSRQVDELOLWjWHFQLFRVFLHQWL¿FDHGqFRPSR- sto da soggetti nominati sulla base di riconosciute competenze (ingegneri, direttori di museo, studiosi di folklore, ecc.). Il presidente del Comitato UHJLRQDOHq¿JXUDGLUDFFRUGRFRQLO&RPLWDWRQD]LRQDOH Dopo un’iniziale titubanza,11 ciascuna regione realizza il proprio pa- diglione ad eccezione della Lucania e della Calabria che sono ospitate da quello campano.11 8. «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911», 2 (1910), p. 1. L’invito del Comitato esecutivo è rivolto nel maggio del 1909, ed è sostenuto da una circolare a prefetti e sottoprefetti inviata dalla Presidenza del consiglio il 5 giugno 1909. Ibid. 9. Nell’invito questa propensione è ribadita in maniera insistita. «Ciascuna Regio ne dovrebbe avere il suo padiglione speciale – costruito in guisa da esprimere anche nel l’ar- chi tettura, il carattere artistico predominante della Regione stessa – ed ivi raccogliere quelle delle sue manifestazioni di attività che ne costituiscono un titolo caro e geniale d’orgoglio SHUODWUDGL]LRQHSURSULDIHOLFHPHQWHFRQVHUYDWD8QD5HJLRQHSRWUHEEHFRVuDVHFRQGDGHO suo passato, fare una mostra principalmente di ceramiche, un’altra di mobili, una terza di pizzi;; una quarta potrebbe raccogliervi armi, altre terre cotte, arazzi, stampe e quadri, stru- menti musicali, tutti, s’intende, antichi e non adunati a scopo commerciale». Ibid. 10. P. Clemente, Introduzione, in Puccini, L’itala gente dalle molte vite, p. 24. Argo- mentazione convergente è addotta da G. Galasso, Introduzione alla ristampa della Mostra di Ricordi Storici del Risorgimento nel Mezzogiorno d’Italia, a cura di S. Di Giacomo, Comune di Napoli, Napoli 2011, pp. 12-20, in particolare p. 14. 11. «Con ciò da prima parve che il disegno del Comitato non apparisse abbastanza chiaro e persuasivo;; le province non accolsero, comunque, immediatamente, la preghiera loro rivolta, certo con alti intenti di italianità. Ma non fu che un brevissimo periodo in-
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/DSDUWHFLSD]LRQHGHOOD3XJOLDWDUGDDGH¿QLUVLHSDUWHLQULWDUGRVXXQ progetto architettonico diverso da quello inizialmente ipotizzato, ma quan- do, nel febbraio 1911, l’impegno concreto è assunto e il cantiere romano apre, anche l’opinione pubblica pugliese sembra interessata. La stampa locale segue e informa in maniera saltuaria, ma partecipe, su quanto si va UHDOL]]DQGRD%DULH5RPD¿QRDOO¶LQDXJXUD]LRQHGHOSDGLJOLRQH La «Provincia di Lecce», ad esempio, in un lungo articolo del 19 feb- braio 1911 intitolato Per il Cinquantenario. Padiglione Puglia, offre un re- soconto dettagliato della riunione che si era tenuta pochi giorni prima a Bari LQFXLVLHUDGHOLEHUDWRLOSURJUDPPDGHOOHRSHUHGDUHDOL]]DUHHLOSLDQR¿- nanziario.12 Cita in maniera particolareggiata quanto convenuto per la Terra d’Otranto13 e rende noti i nomi dei componenti della Commissione salentina incaricata del riordino e della disposizione del materiale espositivo.14 GLVSHQVDELOHDIRUQLUHXQDPDWXUDPHGLWD]LRQHGHVWLQDWDSRLDWUDGXUVLSUR¿FXDPHQWHFRQ maggiore energia, in atto. Già nel settembre e nell’ottobre dell’anno scorso si erano non VRORFRVWLWXLWLPDLQWHUDPHQWHSUHSDUDWLFRQXQSLDQRDUWLVWLFRH¿QDQ]LDULRSUHFLVRL&RPL- tati dell’Umbria, delle Marche, del Veneto, che furono i primi». «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911», 2 (1910), p. 1. 12. La riunione del 13 febbraio 1911 è cruciale per il varo, con grande ritardo, del pro- JHWWRDUWLVWLFRHGHOSLDQR¿QDQ]LDULRGHOSDGLJOLRQH6LDEEDQGRQDLOSURJHWWRGHOO¶LQJHJQHUH *DHWDQR9DOHQWHDIDYRUHGLTXHOORHODERUDWRGDOO¶DUFKLWHWWR$QJHOR3DQWDOHRHVLDI¿GDOD GLUH]LRQHWHFQLFRVFLHQWL¿FDROWUHFKHDOORVWHVVR3DQWDOHRDLGLUHWWRULGHLPXVHLGL%DULH di Taranto, Michele Gervasio e Quintino Quagliati e al pittore Giuseppe Pastina. La rico- struzione delle vicende organizzative ed artistiche legate alla realizzazione del padiglione pugliese in C. Gelao, Roma 1911. La “vera” storia del padiglione pugliese e dei suoi calchi alla Mostra Regionale, in Non solo Medioevo. La gipsoteca del Castello di Bari dal cinquantenario dell’Unità d’Italia alla riapertura, a cura di I. Lapi, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2011, pp. 45-63. 13. «La parte architettonica ornamentale sarà eseguita dai fratelli Peluso di Lecce e QHOO¶LQWHUQR¿JXUHUDQQRLFDOFKLLQJHVVRGL61LFRODH&DWDOGRGL/HFFHGL6&DWHULQDGL Galatina, e di altre rarità artistiche di Otranto, Brindisi, Corigliano, Laterza ecc.: un centi- QDLRGLIRWRJUD¿HHGLGLVHJQLTXHVW¶XOWLPLHVHJXLWLGDOSURI*XVWDYR&RORQQDGHOO¶,VWLWXWR 7HFQLFRGHLSULQFLSDOLHSLLPSRUWDQWLPRQXPHQWLGL7HUUDG¶2WUDQWROHULFRVWUX]LRQLGHL castelli di Carovigno e San Vito dei principi di Frasso, eseguiti dall’ing. Marschiczek». «La Provincia di Lecce», 19 febbraio 1911. 14. Secondo le indicazioni del Comitato romano, la delegazione salentina è compos- ta dal presidente della Deputazione provinciale, avv. Domenico Daniele, dal presidente del Consiglio provinciale, avv. Francesco Rochira, e dall’ing. Luigi Libertini, direttore GHOO¶8I¿FLRWHFQLFRSURYLQFLDOH/D&RPPLVVLRQHWHFQLFDOHFFHVHqIRUPDWDGDOSURI&RVL- mo De Giorgi, dall’ing. Luigi Libertini e dal rag. Oronzo Valentini. Il referente per la parte HWQRJUD¿FDqLOSURI&RQVDOYR0RVFKHWWLQL
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$QDORJDPHQWHLO©&RUULHUHPHULGLRQDOHªLQSLDUWLFROLSXEEOLFDWLWUD ¿QHDSULOHHPHWjOXJOLRQRQVRORDJJLRUQDVXOORVWDWRGHLODYRULQHOFDQWLHUH romano ma auspicando una riuscita al meglio della manifestazione fa volen- tieri eco all’invito rivolto dalla Commissione regionale alle amministrazioni SXEEOLFKHHDLSULYDWLFLWWDGLQLDI¿QFKpSUHVWLQRJHQHURVDPHQWHJOL©RJJHWWL DQWLFKLH>OH@RSHUHG¶DUWHQHFHVVDULHSHUIDUHGHJQDPHQWH¿JXUDUHOD3XJOLD nell’Esposizione romana».15 Qualche giorno dopo, l’appello è esteso ai ma- QXIDWWLLQFHUDPLFDDO¿QHGLUHDOL]]DUHXQD©UDFFROWDYDVFRODUHª16 Lo stesso giornale si spinge a incoraggiare gli amministratori salentini DQRQ©SLWRFFDUHªDI¿QFKpODSURYLQFLDQRQULVXOWLPDOUDSSUHVHQWDWD17 Il padiglione pugliese apre, con una cerimonia solenne alla presenza del re, il 14 luglio, a circa tre mesi di distanza dall’inaugurazione generale. Consisteva in una struttura che, diversamente da quanto inizialmente ipo- WL]]DWRQRQULSURGXFH&DVWHOGHO0RQWHEHQVu©XQHGL¿FLRFLYLOHDGXHSLD- ni, con torre laterale e atrio retrostante» che intendeva «rappresentare in un XQLFRHGL¿FLRLSLQRWHYROLPRWLYLDUFKLWHWWRQLFLHGRUQDPHQWDOLGHOO¶DUWH di Puglia dai secoli X al XIV, ispirandosi, segnatamente per la parte archi- tettonica, a’ migliori monumenti religiosi, civili e militari».18 Al suo interno si esposero i calchi dei principali monumenti pugliesi e oggetti d’arte provenienti dai musei civici di Bari, Ruvo, Taranto, Gallipoli, Brindisi e da collezioni private (Romanazzi, Bacile, Garzya, De Donno).19 Orbene, se, come è stato osservato, le esposizioni sono momenti di or- ganizzazione del consenso,20 occorre convenire che l’esposizione etnogra- ¿FDHUHJLRQDOHORqVWDWDVRPPDPHQWH6LDLOWHPDGHOO¶HVSRVL]LRQHFKHOH modalità di realizzazione ben traducevano l’idea di una compagine statale 15. «Corriere meridionale», 27 aprile 1911. 16. Ibid., 11 maggio 1911. 17. Per il padiglione pugliese a RomaLQ©&RUULHUHPHULGLRQDOHªJLXJQR/H province di Lecce e Foggia hanno contribuito alle spese in maniera minore rispetto a quella di Bari. E poiché, osserva il giornale, «qualis pagatio, talis pictatio […] Bari non ha creduto che col suo danaro facessero bella mostra di sé le altre province sorelle, che in una circostan- ]DFRVuVROHQQHHVWUDRUGLQDULDFRPHODSUHVHQWHKDQQRYROXWRLQRSSRUWXQDPHQWHSLWRFFDUHª 18. Il padiglione pugliese nell’esposizione regionale di Roma. Guida, Tip. poliglotta Mundus di G.U. Nalato & C., Roma 1911, p. 15. Una descrizione in dettaglio del padiglione in Gelao, Roma 1911, p. 63. 19. Una parte dei calchi in gesso esposti a Roma è stata recentemente restaurata ed è oggi proposta, in un nuovo allestimento, presso il Castello Svevo di Bari: cfr. Lapi, Non solo Medioevo. 20. Le esposizioni torinesi 1805-1911: specchio del progresso e macchina del con- senso, a cura di U. Levra, R. Roccia, Archivio Storico, Torino 2003.
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inclusiva che accoglie ed esalta le tradizioni culturali situate a latitudini so- FLDOLHJHRJUD¿FKHGLIIHUHQWLHFKHVLIDWUDPLWHGHOODUHFLSURFDFRQRVFHQ]D 1RQSXzQRQQRWDUVLSRLXQDOWURDVSHWWRFRQÀXHQWHHUDIIRU]DWLYRGL questa proiezione: l’incontro tra culture regionali colte in una dimensione temporale transecolare, aiuta a spostare lo sguardo dal recente passato e a tenersi lontano dalla rappresentazione della storia risorgimentale, esaltan- WHPDEHQSLFRPSOLFDWDGDSLHJDUHDTXHVWRRUGLQHQDUUDWLYR E in effetti, nel quadro delle manifestazioni nazionali per il cinquante- QDULROHPDJJLRULGLI¿FROWjOHLQFRQWUDSURSULRO¶LSRWL]]DWDPRVWUDURPDQD sul Risorgimento, che pure era stata ventilata sin da subito.21 Alcuni elementi relativi alla messa in cantiere dell’iniziativa rendono l’idea del clima di riluttanza che ha accompagnato l’attuazione di questa manifestazione. Ce li rivela un protagonista dell’evento, il professor Vit- torio Fiorini che faceva parte del Comitato esecutivo per le feste comme- morative (sezione VII, Risorgimento commemorazioni)22 con preminenti compiti organizzativi. Egli è anche «membro corrispondente romano» del Comitato nazionale per la Storia del Risorgimento ed è in questa veste e a EHQH¿FLRGLFRGHVWR&RPLWDWRFKHVWLODQHOODULXQLRQHGHOIHEEUDLR a Esposizione ancora aperta al pubblico,23 un primo bilancio. Fiorini ha a cuore il destino dei materiali raccolti, che vorrebbe trattenere per farli diventare, come sarà, il primo nucleo di un Museo permanente di Storia del Risorgimento. Nel ripercorrere le fasi salienti di questa esperienza, non esita ad attribuire tutto il merito della realizzazione al Comitato nazionale per la Storia del Risorgimento: Al Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento si deve in gran parte VHLOGLVHJQRGHOOD0RVWUDVRUWD¿QGDLSULPLPRPHQWLTXDQGRIXIRUPXODWR il programma delle feste commemorative per Cinquantenario, e più volte ab- bandonato e ripreso [il corsivo è mio] dal Comitato dell’Esposizione, ebbe PRGRDOOD¿QHGLWUDGXUVLLQDWWR24 21. Ne aveva parlato per primo il ministro Guido Baccelli, nel 1895 e l’aveva ripresa Eugenio Trompeo nella sua relazione al Consiglio comunale di Roma nel 1906: «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911», 1 (1910), p. VII. 22. La composizione della Commissione VII e dell’intero organigramma orga- nizzativo delle celebrazioni diviso per sezioni e gruppi in «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911», 3 (1910). 23. L’Esposizione è stata inaugurata il 20 settembre 1911 e ha chiuso il 30 aprile 1912. 24. Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento, Relazione presentata dal pre- si dente on. Paolo Boselli sull’opera svolta dal comitato dall’inizio dei suoi lavori (4 aprile 1909) al 15 giugno 1916, Tip. Della Camera dei Deputati, Roma 1916, p. 30.
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Le sale espositive – quelle del piano dello stilobate del Vittoriano – sono state messe a disposizione dal Comitato e quasi esclusivamente [il corsivo è mio] alla cooperazione valida ed operosa di funzionari dipendenti dal Comitato Nazionale io debbo se nel breve perio- do di pochi mesi, dal maggio al settembre, ho potuto dare ordinamento alla Mostra del Risorgimento, che, unica delle Esposizioni di quest’anno, si è DSHUWDFRPSOHWD¿QRGDOSULPRJLRUQR25 Posso dunque a ragione affermare che la Mostra, nata sotto gli auspici del Comitato Nazionale, cresciuta ed alimentata col denaro e col materiale suo e col concorso di uomini suoi, è per gran parte cosa sua [il corsivo è mio] e può, ad ogni modo, considerarsi come il primo inizio, o almeno come un esperimento, di ciò che potrà essere il Museo Nazionale del Risorgimento quando il Comitato, avendo a propria disposizione tutti i locali del Monu- mento avrà modo di radunarvi ed esporvi tutte le raccolte, che ora sta met- tendo insieme, dei ricordi che con la parola e con le immagini documentano, illustrano o richiamano alla memoria nostra la grande lotta del popolo italia- no per l’unità e la indipendenza della Patria.26
La memoria del Risorgimento, degli eventi e degli uomini che hanno contribuito all’Unità sembra, insomma, essersi mal acconciata con il di- spositivo discorsivo prevalente delle celebrazioni romane che tocca altre corde e altre accentuazioni retoriche. Ma cosa accade nel resto del paese? La storia risorgimentale è eviden- temente tema ineludibile nelle manifestazioni celebrative realizzate per il cinquantenario, ma sotto quale segno e con quale sentire è stata rievocata? /DULVSRVWDQRQSXzHVVHUHXQLYRFDPDODYHUL¿FDLQFRQWHVWRFKHTXL SURSRQJRSXzSUH¿JXUDUHOHGLQDPLFKHGLYHUVHPDQRQSHUTXHVWRPHQRDQ- tinomiche, che la celebrazione ha generato all’interno delle comunità locali. 3. In premessa va osservato un elemento d’insieme. Il Salento, come è emerso con riferimento alla partecipazione al padiglione pugliese, acco- glie l’appuntamento del cinquantenario con un atteggiamento positivo. Se considerato in un’ottica di medio periodo, dobbiamo osservare che questo riscontro non è ovvio. Solo pochi anni prima la risposta avrebbe potuto es- 25. Ibid., p. 31. Il riferimento al maggio si spiega perché solo a quella data (il 28 del mese) il Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento riceve in consegna gli spazi al Vittoriano. 26. Ibid., p. 32.
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VHUHGLYHUVD)LQRDSRFRWHPSRDGGLHWURQRQVDUHEEHVWDWRGLI¿FLOHFRJOLH- re – avendo come interpreti alcuni esponenti di spicco dell’intellettualità ORFDOH±VHQWLPHQWLGLGLI¿GHQ]DQHLFRQIURQWLGHOO¶DYYHQXWDXQL¿FD]LRQHH DQFRUSLQHLFRQIURQWLGLFDVD6DYRLD Una testimonianza in questo senso è offerta da Luigi Giuseppe De Simone, magistrato, liberale moderato e studioso di storia. Agli inizi degli anni Settanta riceve l’incarico, dal Municipio di Lecce, di metter mano alla toponomastica stradale della città. Studi relativamente recenti ci fanno avvertiti sull’importanza di questo canale di comunicazio- QHSROLWLFDDL¿QLGHOODQD]LRQDOL]]D]LRQHGHOTXRWLGLDQR&RPHVLRULHQWD /*'H6LPRQHDTXDVLTXLQGLFLDQQLGDOO¶XQL¿FD]LRQH"$JJLRUQDODWRSR- nomastica stradale non già – come ci si poteva attendere – con riferimenti a personaggi ed eventi del Risorgimento italiano ma con denominazioni che evocano la storia e la mitologia locale: via Conte Accardo, Euippa, Fereci- de, Idomeneo, Melennio. I raccordi onomastici con la storia nazionale sono PLQLPLHVRQRJLXVWL¿FDWLLQPDQLHUDVXSHU¿FLDOH Via Vittorio Emanuele II: Denominiamo questa Via dal portento dei Re, au- gurandoci che Egli voglia un giorno visitare questa non ultima delle Città del bel Paese.27 Via Principi di Savoja: «Umberto Ranieri Principe di Piemonte, ed Amedeo 'XFDGL$RVWD¿JOLXROLGL9(,,5HG¶,WDOLDRQRUDURQRGLXQDORURYLVLWDOD Città, il 26 Maggio 1865;; furono ospitati nella Prefettura. Ne serbiamo con orgoglio ed amore la ricordanza ai lontani ed ai posteri.28
Quando De Simone deve spiegare attribuzioni di denominazioni, già in uso, ne svaluta l’importanza. A proposito di via Unità Italiana, scrive: Questa via aperta in sullo scorcio dell’anno 1865 […] doveva ricordarci il gran fatto compiuto dell’Unità Statuale della Penisola. Noi altri leccesi punto RSRFRVLqFROODERUDWRDOO¶LPSUHVDGHOO¶XQL¿FD]LRQHGHOODSDWULDQRVWUDÊFLz avvenuto per la gran lontananza dai luoghi ove le sorti del bel paese si sono discusse e combattute. Ci è mancata la occasione insomma.29
Un sentimento analogo lo esprime Giacomo Arditi che in un’opera GLJUDQGHGLYXOJD]LRQHVFULWWDDOOD¿QHGHJOLDQQL6HWWDQWDLQL]LGHJOLDQQL 27. L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Gaetano Campanella, Lecce 1874, p. 363. 28. Ibid., p. 335. 29. Ibid., pp. 354-355.
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Ottanta presenta la Terra d’Otranto come luogo dal fulgido passato remoto PRUWL¿FDWRGDXQDVWRULDGLFRQTXLVWHFKHQRQWURYDULVFDWWRQHOSUHVHQWH 'HOOD0DJQD*UHFLDSURGLJLRGHOODFLYLOWjSDJDQDIXHOODSDUWHSLFRQVL- derevole ed estesa: invasa e dominata per secoli dai Romani, dai Goti, dai Greci, dai Longobardi, dai Normanni;; soggiogata in seguito agli Svevi, agli Angioini, al Principato di Taranto, agli Aragonesi, ai Borboni, ai Francesi, ai Borboni ancora una volta, e da ultimo ai reali di Savoia.30
$¿QHVHFRORO¶DWWHJJLDPHQWRPXWD,OFDPELRGLSURVSHWWLYDqHVHPSOL- ¿FDWRGDOO¶DIIHUPD]LRQHGLXQLQWHOOHWWXDOHGLUDQJRFRPH*LXVHSSH*LJOL «la Terra d’Otranto non fu seconda a nessuna altra parte d’Italia, per sa- FUL¿FLRHSDWULRWWLVPRª31 Siamo nel 1890 e questa affermazione concorre ad argomentare l’auspicio di vedere pubblicate integralmente le memorie di Sigismondo Castromediano non solo come omaggio all’uomo ma come contributo alla conoscenza storica del Risorgimento salentino. Dalle pagine di queste Memorie dovrebbero certo emergere, circondati di viva luce, i nostri martiri, degni di essere paragonati a quelli di Iosephstad e di Spielberg: Ecco Giuseppe Libertini, ecco Liborio Romano, ecco Giuseppe Pisanelli, ecco Oronzio De Donno, ecco Nicola Schiavoni, ecco altri: tutti salentini, cospiratori, scrittori e martiri, corona illustre al venerando Duca, compagni, la maggior parte, di Luigi Settembrini, di Carlo Poerio, di Giusep- pe Pica, e di quegli altri generosi, che coll’olocausto della propria libertà e vita, furono la forza d’Italia nella perseveranza di sacri propositi, nei tempi in cui questa era prostrata dal giogo de’ tiranni!32
4XHVWR FDSRYROJLPHQWR GL RWWLFD FKH WUDGXFH LQ VHGH VWRULRJUD¿FD O¶DYYHQXWDSDFL¿FD]LRQHVWLSXODWDVXOSLDQRSROLWLFRWUDLOFHWRGLULJHQWHOR- cale e i governi nazionali, autorizza una ripresa vigorosa degli studi storici e la loro espansione tematica. Si crea un interesse a evidenziare e celebrare l’apporto dei liberali salentini al Risorgimento italiano ma anche ad accre- scere la conoscenza di tutte le epoche passate senza quella predilezione posta in precedenza, in chiave polemica, per le antiche civiltà autoctone.33 30. G. Arditi, &RURJUD¿D¿VLFDHVWRULFDGHOOD7HUUDG¶2WUDQWR, Stab. Tip. Scipione Ammirato, Lecce 1879-1885, pp. III-IV. 31. G. Gigli, Sullo stato delle lettere in Terra d’Otranto. Conferenza letta la sera del 3 maggio 1890 nella sala dell’Associazione Giuseppe Giusti in Lecce, ripubblicata in D. Valli, Giuseppe Gigli e documenti vari, Milella, Lecce 1982, pp. 299-315. La frase citata è a p. 313. 32. Ibid., p. 315. 33. Si pensi, esemplarmente, agli studi di Pietro Palumbo e del gruppo di studiosi FKHIDQQRULIHULPHQWRDOXLHDJOLHVLWLHGLWRULDOLSLQRWL©5LYLVWDVWRULFDVDOHQWLQDª
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1HO6DOHQWRTXHVWRSURFHVVRULHODERUDWLYRVLDGGHQVDLQWRUQRDOOD¿JX- ra di Sigismondo Castromediano, attraverso la pubblicazione delle sue me- morie e, dopo la sua morte, con la decisione precocissima di erigere, nella città capoluogo, un monumento che ne perpetuasse il ricordo. L’iniziativa è messa in cantiere dall’amministrazione guidata da Giuseppe Pellegrino che procura in varie occasioni di valorizzare la stagione risorgimentale.34 Il 1911 cade, dunque, in questa stagione riconciliativa ma, come si vedrà, non per questo la memoria del Risorgimento diventa inerte e quieta. Come dunque le municipalità salentine solennizzano il cinquantenario? 4. Nel calendario generale delle celebrazioni si impongono, per cen- tralità, due date: il 27 marzo giornata d’avvio delle manifestazioni, che coincide con la proclamazione di Roma quale capitale del Regno d’Italia, e il 4 giugno festa dello Statuto. È possibile, perciò, attraverso uno spoglio della stampa, farsi un’idea di ciò che è potuto accadere nelle comunità locali. La lettura dei giornali non consentirà una ricognizione sistematica, ma il panorama che è possibile trarre, per quanto parziale, è abbastanza LQGLFDWLYR&LVRQRULIHULPHQWLDLSLFFROLFHQWULHDOOHFLWWjSLSRSRORVHH attraverso le cronache è possibile catturare le coordinate entro le quali le singole realtà si sono mosse. I segni della festa che concorrono alla percezione delle differenze sono numerosi: l’imbandieramento di spazi urbani simbolicamente rile- YDQWLO¶LOOXPLQD]LRQHSURWUDWWDGHJOLHGL¿FLSXEEOLFLHGHOOHFDVHSULYDWH ORVFRSSLRGHLSHWDUGLLIXRFKLG¶DUWL¿FLRDQFRUDODPXVLFDLQSLD]]DOD V¿ODWDPLOLWDUHLOGLVFRUVRSXEEOLFRODFRQIHUHQ]DLQOXRJRFKLXVRODFRP- memorazione in consiglio comunale, il “corteo scolastico”, l’invio del te- legramma benaugurante al sindaco di Roma piuttosto che al sovrano o a entrambi;; se c’è stato tutto questo insieme o solo una parte;; il ruolo delle autorità cittadine, delle associazioni, dei circoli politici;; il coinvolgimento 1923) che ospita ricerche sul tema e il poderoso Risorgimento salentino (1799-1860), G. Martello, Lecce 1911. ÊWHPDSUHVHQWHQHOOH)HVWHFLYLFKHLQGHWWHGDOO¶DPPLQLVWUD]LRQHFRPXQDOHD¿QH Ottocento e argomento di una mostra nel 1905: cfr. Per le feste del gonfalone di Lecce nel giugno 1896, a cura di G. Doria, Editrice Salentina, Lecce 1896;; Numero unico per le feste inaugurali: nel giugno 1898, a cura di G. Doria, G. Marschiczek, L. Guacci, Editrice Sa- len ti na, Lecce 1898;; Catalogo della Mostra storica salentina ordinata nell’Istituto tecnico in occasione dell’inaugurazione del monumento ad duca Sigismondo Castromediano nel maggio 1905, Editrice Salentina, Lecce 1906.
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di anziani reduci;; laddove c’è la sintesi dei discorsi svolti nelle manifesta- zioni pubbliche, l’asse argomentativo prescelto. Non mi proverò nell’inventario delle manifestazioni. Coglierò, facen- do leva su alcuni casi concreti, alcune assialità che hanno impostato le celebrazioni in provincia. In primo luogo c’è la centralità del ruolo dell’amministrazione co- munale. È una primazia che è facile riconoscere. Il Municipio decide il tono delle manifestazioni, optando per una liturgia di palazzo (discorso del VLQGDFRLQFRQVLJOLRWHOHJUDPPD RSRUWDQGRODIHVWDLQSLD]]DGDOO¶DI¿V- VLRQHGLXQPDQLIHVWRDIRUPHSLSUHJQDQWLGLFRLQYROJLPHQWRSRSRODUH Determina le condizioni materiali: spazi, servizi e denaro. Dispone il pro- JUDPPDWDOYROWDSLDQL¿FDQGRORLQSURSULRWDODOWUDLQVLQWRQLDFRQO¶DVVR- FLD]LRQLVPRORFDOH,QRJQLFDVR±HQRQSRWHYDFKHHVVHUHFRVu±QRQSXz determinare l’esito della manifestazione e i giudizi della stampa e della pubblica opinione. L’esposizione delle scelte compiute sarà, evidentemen- WHSLPDUFDWDOjGRYHODGLDOHWWLFDSROLWLFDQHOSHULPHWURGHOFDPSDQLOHq SLDFXWDÊLOFDVRGL1DUGzHGL/HFFH A Nardò, un grosso comune a sud-ovest del capoluogo le celebrazioni del 27 marzo si distinguono per essere state vivamente solennizzate con O¶DSSRUWR FRQYHUJHQWH GL SL VRJJHWWL FROOHWWLYL 1HO UHVRFRQWR FKH QH ID la «Provincia di Lecce» sappiamo che il sindaco Nicola Zuccaro a nome GHOO¶DPPLQLVWUD]LRQHIHFHDI¿JJHUH©XQQRELOLVVLPRPDQLIHVWRªHLQYLzXQ WHOHJUDPPDDOUHHDOVLQGDFRGL5RPDFKHJOLHGL¿FLSXEEOLFLLFLUFROLH molte case private furono imbandierate e, la sera, illuminate;; che gli allievi e le allieve delle scuole e i loro insegnanti, al mattino, «fecero una passeg gia- ta»;; che «la musica prestò servizio tutta la giornata»;; che «il circolo radi ca le “Libertà” parato ed illuminato a festa, fece accendere dei fuochi di ben gala con scritte patriottiche»;; che a sera si ebbe un’altra manifestazione pubblica. Alle 20 si formò un corteo tra le locali associazioni, che, al suono di inni pa- WULRWWLFLSHUFRUVHOHYLHSULQFLSDOLGHOODFLWWjGHVWDQGRLOSLYLYRHQWXVLDVPR 3DUODURQRYDULRUDWRUL6LULHYRFzO¶DOWRVLJQL¿FDWRGHOODGDWDFKHVHJQDO¶HPDQ- cipazione del popolo italiano dalla tirannia spirituale e temporale del clericali- smo e dell’assolutismo e s’inneggiò ai futuri destini della democrazia.35
Proprio in ragione di quest’epilogo, che era stato sgradito dagli am- bienti cattolici, le manifestazioni per la festa dello Statuto assumono un 35. Ibid.
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andamento diverso. Il Municipio a direzione liberal-democratica prevari- cando il Comitato organizzatore dei festeggiamenti, a maggioranza radi- cal-socialista, orienta il programma della giornata agendo in modo da non scontentare il vescovo e i circoli cattolici cittadini.36 Ma né la deviazione del percorso per tenere lontano il corteo dal palazzo episcopale, né il di- vieto alla banda di suonare inni patriottici in quei paraggi impedisce la reiterazione del discusso corteo e le rimostranze del «sacerdote Sanasi» che ebbe a rimproverare «il Sindaco [per] aver mancato ai patti stabiliti ed alla parola di onore impegnata [di] non far passare per via Duomo la GLPRVWUD]LRQH,QGDWHFRVuJORULRVH±FRPPHQWD©,O7ULEXQRVDOHQWLQRª37 – non si contratta la libertà di una cittadinanza con un semplice sacerdote: le autorità dovrebbero saperlo ormai».38 Nella città di Lecce i festeggiamenti civili, del 27 marzo e del 4 giu- gno, risultarono ugualmente divisivi, ma il dissenso, per la debolezza in FLWWjGLXQ¶RSSRVL]LRQHVRFLDOSRSRODUHqSLG¶RSLQLRQHFKHGLSLD]]D Anche nel capoluogo il tema del contendere è il rapporto con i cattoli- ci. L’amministrazione comunale si reggeva sul loro appoggio e quel soste- gno riusciva fondamentale al prosindaco, Giuseppe Pellegrino. Il Munici- pio, benché avesse anche ricevuto dal Ministero dell’Interno un contributo ¿QDOL]]DWR39 lesinò sulle iniziative e optò per un programma che la stampa concordemente giudicò inadeguato e sotto tono. &RVuVFULYHDSURSRVLWRGHOPDU]R©/D3URYLQFLDGL/HFFHª /DIHVWDGHO&LQTXDQWHQDULRGHOO¶8QLWjLWDOLDQDFKHLQWXWWLLSLPRGHVWL&R- muni della provincia, è stata solennizzata secondo le proprie forze, a Lecce, nel capoluogo della provincia, è passata quasi inosservata. Il Municipio si è limitato a pubblicare un modesto manifesto e a issare al bal- cone la propria bandiera;; la sera, in piazza S. Oronzo, nella quale dai paratori 36. La ricostruzione del clima politico-sociale in quei mesi: M. Mennonna, Un secolo di vicende a Nardò, Congedo, Galatina 1993, pp. 115-122. 37. Il sottotitolo è «Giornale dei partiti popolari». «Il Tribuno salentino» è l’unico foglio che esce per la festa dello Statuto in edizione speciale con la testata in rosso, una grande foto di Giuseppe Garibaldi in primo piano e un titolo a tutta pagina, Uomini nostri nell’epopea garibaldina, che sintetizza il focus del numero del giornale. 38. Per il cinquantenario a Nardò. Le autorità limitano il corteo, in «Il Tribuno salen- tino», 12 giugno 1911. L’episodio diventa oggetto d’attenzione da parte del sottoprefetto di Gallipoli che ne riferisce in una lettera inviata al prefetto di Lecce il 12 giugno 1911, pubblicata in Mennonna, Un secolo di vicende a Nardò, p. 120. 39. I famosi festeggiamenti, in «La Provincia di Lecce», 11 giugno 1911;; «Corriere PHULGLRQDOHªJLXJQR
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delle feste di paese, era stata rizzata un’indecente orchestra color gialletto, prestò servizio il concerto militare, ma si ebbe cura, alle 8, di spegnere le tre ODPSDGHLQSLGHOO¶RUGLQDULRFKHYLHUDQRDFFHVHDSSHQDLOFRQFHUWRHEEH ¿QLWRLOSURJUDPPD Si è notato che mentre attorno al monumento Castromediano erano state piantate quattro bandiere, attorno a quello di Libertini non si pensò di fare altrettanto, forse per non dispiacere ai clericali. Un altro manifesto, e questo è davvero bellissimo, perché dovuto all’ingegno fervidissimo dell’avv. Francesco Tamborrini, pubblicò l’Unione Radicale Po- polare, nella quale il nuovo presidente, avv. Luigi Paladini, con parola alata e vibrante di patriottismo, rammentò ai numerosi soci intervenuti la memoran- da data con la quale il primo Parlamento Italiano, proclamava Roma Capitale d’Italia. Nelle scuole liceali, ginnasiali, normali, tecniche ed elementari, gl’insegnanti KDQQRWHQXWRDLSURSULDOXQQLFRQIHUHQ]HULHYRFDQWLLIDVWLSLPHPRUDELOLGHO Risorgimento Italiano. (FRVuqSDVVDWDLQ/HFFHODJLRUQDWDJORULRVD È inutile dire che a Roma il nostro Comune non è stato rappresentato in nes- sun modo: il prosindaco, che i giornali della Capitale hanno portato presente al Congresso dei sindaci e al pranzo dal re offerto ai medesimi, non si è mosso da Lecce, in tutt’altre faccende affaccendato. Ma giacché il prosindaco Pellegrino non doveva muoversi da Lecce, per mo- VWUDUHFKHFRQODVXDFLWWjSDUWHFLSDYDDOODSLVROHQQHIHVWDQD]LRQDOHSHUFKp non ha creduto, almeno con un discorso, esternare i sentimenti suoi e quelli del paese? Noi dimentichiamo ch’egli, l’antico zanardelliano, è ormai l’eletto del non expedit e non poteva offendere il comune ideale dei suoi nuovi amici!40
/RVWHVVRIRJOLRLQJLXJQRqVHSRVVLELOHDQFRUSLFDXVWLFR'RSR aver riportato il programma della giornata che include – come unica dif- ferenza rispetto ai consueti giorni festivi – una conferenza del professor Pietro Marti dal titolo Principato e popolo nell’epopea del Risorgimento,41 si domanda «che cosa avrebbe fatto di meno l’Amministrazione comunale se quest’anno in occasione della festa dello Statuto, non fosse ricorso il Cinquantenario dell’Unità d’Italia?».42 40. Le Feste del Cinquantenario. A Lecce, in «La Provincia di Lecce», 2 aprile 1911. 41. Bortone e Miccoli, Lecce 1911. 42. I famosi festeggiamenti, in «La Provincia di Lecce», 11 giugno 1911. Lo stesso giu- dizio è stato espresso dal «Corriere meridionale»: «è un programma che lascia abbastanza a desiderare mentre si sarebbe potuto ideare qualche cosa di attraente per richiamare i fore-
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Il confronto con le manifestazioni predisposte nei principali centri del- la provincia, Brindisi, Taranto e Gallipoli dà ragione al giornale, almeno in UHOD]LRQHDOODJLRUQDWDGHOPDU]RFKHqLQDVVROXWRODGDWDSLVROHQQL]- ]DWD,QSDUWLFRODUH7DUDQWRULXVFuDFRPSRUUHXQSURJUDPPDLQFXLODFRP- memorazione civile (un «corteo numerosissimo, costituito da parecchie associazioni, e sodalizii locali con banda e bandiere […] percorse le prin- cipali vie della città, al grido Viva l’Italia»)43 si situò e alimentò un clima di festa già preparato dalla «musica della Regia Marina», dalle ripetute salve di cannone, dalla «sfarzosa illuminazione del palazzo dell’Ammiragliato HGHJOLDOWULHGL¿FLSXEEOLFLªWDOFKHLOFRUVRSULQFLSDOHIXDQLPDWR¿QRD tardi, da «passeggio». Programma simile a Brindisi (conferenza pubblica anziché corteo), dove la stessa giornata si concluse, a sera, con uno spettacolo di prosa al teatro Verdi. La compagnia drammatica di Tina Biondi mette in scena Ro- manticismo di Gerolamo Rovetta, un’opera di contenuto patriottico, scritta nel 1901, e gran successo del momento. 5. Il programma di Gallipoli vale la pena raccontarlo distesamente, per- ché ci fa intravedere un altro soggetto collettivo che ha primeggiato nelle FHULPRQLHFRPPHPRUDWLYHVLDQHLFHQWULSLSRSRORVLFKHQHLSLFFROLERUJKL ,QULFRUUHQ]DGHOFLQTXDQWHQDULRGHOODOLEHUD]LRQHLWDOLDQDJOLXI¿FLSXEEOLFL il municipio, le scuole, i consolati issarono la bandiera e la sera furono illu- minati a lampadine. Nelle scuole elementari, alle classi terze e superiori riunite, fu commemora- to il fatidico avvenimento. Parlarono molto bene gli insegnanti Giuseppina Chiara Vernole e Agostino Cataldi. Il direttore delle scuole Ratiglia volse alla scolaresca bellissime parole di incitamento e d’augurio. Nel teatro Garibaldi, alle ore 19, ebbe luogo la solenne commemorazione ad iniziativa del locale comitato della «Dante Alighieri» alla presenza d’un colto e numerosissimo pubblico. Il teatro era gremito e ne’ palchi notammo molte signore e signorine. VWLHULFRVuFRPHKDQQRIDWWRHIDQQROHDOWUHFLWWjDQFKHPHQRLPSRUWDQWLGHOODQRVWUDWDQWR SLFKHLO&RPXQHKDDYXWRODVRPPDGL/GDGHVWLQDUVLSURSULRDIHVWHSHO&LQTXDQWH- nario». Per la festa dello StatutoLQ©&RUULHUHPHULGLRQDOHªJLXJQR6XOVLQGDFDWR di Giuseppe Pellegrino e sui suoi progetti, coltivati a partire dal 1909, di coronare la sua carriera politica con un’elezione in Parlamento, grazie anche all’appoggio dei cattolici, cfr. M.M. Rizzo, L’élite politica: dal Municipio al Parlamento, in Storia di Lecce dall’Unità al secondo dopoguerra, a cura di M.M. Rizzo, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 55-78. 43. «La Provincia di Lecce», 2 aprile 1911.
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Sul palcoscenico vi erano tutte le rappresentanze dei sodalizi colle rispettive bandiere, oltre dieci, il capitano dei RR.CC. e molti militi, il pretore, un su- perstite garibaldino in camicia rossa, il signor Nicola Valletta che prese parte a tutte le lotte di Giuseppe Garibaldi. Alle 20 parlò il presidente del comitato signor prof. Annunziato Ratiglia, il quale in un discorso molto applaudito, in forma elevata, salutò gl’intervenuti, presentò l’oratore designato dal comitato della «Dante» prof. Luigi Volpe Rinonapoli direttore della R. Scuola Tecnica;; e lasciando a costui il compito di rievocare il pensiero, la tradizione storica, la luminosa epopea che portò l’Italia in Campidoglio. Dopo un saluto ai martiri delle lotte dell’indipendenza, da Mameli morente sotto le mura di Roma a 3RUWD3LDULFRUGzOHEHOOH¿JXUHGL0D]]LQLH*DULEDOGLO¶HURHHLOSHQVDWRUH dell’epopea;; in brevi tratti ricordò Carducci, come il vero poeta nazionale. Disse che per la grandezza della patria, ora che non si muore di ceppi e di patiboli, occorrono giorni riposati e tranquilli. Fu vivamente e con entusia- VPRDSSODXGLWR6HJXuLOSURI/XLJL5LQRQDSROL,PSRVVLELOHVHJXLUHDQFKH a larghi tocchi, l’oratore nella sua smagliante erudita conferenza, vibrante GHOO¶DPRUSDWULRSLFDOGRGLVSRVDWR>sic!@DGXQFXOWRGHOOHQRVWUHSLJUDQGL glorie letterarie. Dante, Petrarca, Carducci, nel pensiero denso dell’oratore V¿ODURQR JUDQGL VXEOLPL FRPH VRQR H PHQWUH XQLYHUVDOL]]D 'DQWH SHU LO TXDOHqGLVFRUGHFRQPROWLGDQWR¿OLOHJJHFRQLVSLUDWLVVLPRVHQWLPHQWRO¶RGH al Piemonte e l’Ave, o Roma, del Carducci, delineando il cantore civile. Il discorso molto elevato fu coronato da calda ovazione. La musica, al grido entusiastico di Viva la Patria, suonò inni patriottici e il folto pubblico lasciò il teatro lieto della patriottica cerimonia. Un bravo di cuore e un ringraziamento al comitato della «Dante», al presi- dente Ratiglia, Francesco Raffaele Petrelli, Stevens, dott. Laviano, che orga- nizzarono la festa e si adoperano energicamente per la bella riuscita.44
Come già nelle cronache cittadine precedentemente citate, in molti UHVRFRQWLGHOODJLRUQDWDGHOPDU]RDI¿RUDTXDOHHOHPHQWRFRVWDQWH dei festeggiamenti, il coinvolgimento della scolaresche in manifestazioni a loro dedicate (discorso commemorativo, conferenza, «corteo scolastico» «corteo delle scuole»). Il Regio provveditore agli studi aveva emanato un provvedimento in questo senso, indicando gli insegnanti di storia come referenti principali.45 È un’attenzione comprensibile. Per la natura e per i contenuti la festa patriottica è intrinsecamente un esercizio collettivo di PHPRULDYDOLGRSHUWXWWLPDSURVSHWWLFDPHQWHSLLQFLVLYRHGHQVRSHUOH 44. «Corriere meridionale», 30 marzo 1911. Ne riferisce anche «La Provincia di Lec- ce», 2 aprile 1911. 45. «Il Tribuno salentino», 25 marzo 1911.
Dal Sud. Le celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità
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JHQHUD]LRQLSLJLRYDQL/¶RFFDVLRQHGHO©JLXELOHRGHOODSDWULDªUDIIRU]DYD questa proiezione. Quello che i resoconti dei giornali ci mostrano è che questo mandato della festa è coralmente colto e praticato e che il mondo della scuola è sinceramente reattivo. È pressoché sistematica la citazione di un discorso svolto, di caso in caso, dagli insegnanti e/o dal preside o dal direttore;; lo stesso anziano provveditore, il professor Giovanni Maierotti «superstite di Mentana», partecipò nella città di Lecce a due cerimonie: nel Regio Liceo e nella Regia Scuola normale. Ma quello che accade a Gallipoli ci aiuta a guardare al mondo della scuola con una profondità anche temporale diversa. L’articolo ci riferisce quanto accaduto in dodici ore di una giornata particolare, ma ci proietta oltre l’eccezionalità della festa e ci rammenta quale sia stato, nelle comu- nità meridionali, il ruolo svolto da maestri, maestre, professori, dirigenti scolastici nelle aule e, soprattutto, nella società locale. La maestra Giuseppina Chiara Vernole che parla alle «classi terze e superiori riunite» di patria e di destini comuni accanto al collega Agosti no Cataldi, probabilmente con le sue stesse parole, sa – e coloro che l’ascoltano sanno con lei – che il suo dire, pronunciato in un Sud a maggioranza anal- fabeta e a dominante cultura patriarcale, ha un valore che insieme rafforza e va oltre l’enunciato. Allude a uno Stato che, attraverso la scuola pubblica, è impegnato nella diffusione tra entrambi i sessi del leggere, dello scrivere e del far di conto;; che l’acquisizione di queste competenze è soggettiva- mente e socialmente emancipativa e, per i maschi, anche politicamente abilitante;; che le donne possono, esercitando da maestra, mettersi al ser- vizio di questa progettualità positiva e contemporaneamente perseguire un progetto di vita lontano da quelli segnati dalla tradizione.46 Il professor Annunziato Ratiglia che nel doppio ruolo di direttore delle scuole elementari (al mattino) e di presidente della società Dante Alighieri47 (alla sera) è gran cerimoniere dei festeggiamenti a Gallipoli, qODSHUVRQL¿FD]LRQHGLXQDSUDWLFDGHOODSURIHVVLRQHPDJLVWUDOHHVHUFLWDWD senza soluzione di continuità tra l’istruzione degli allievi e l’elevazione culturale dei concittadini. È la rappresentazione al vivo di una disposizione 46. Prende la parola la «solerte» insegnante Salvina Cavalieri a Tricase, la maestra 0LPu0LJOLHWWDD&XWUR¿DQRODSURIHVVRUHVVD*LXOLD3RVRQHOOD56FXRODQRUPDOHGL/HF- ce: «La Provincia di Lecce», 2 aprile 1911;; G. Poso, Conferenza commemorativa del 27 marzo 1861. Discorso, Bortone e Miccoli, Lecce 1911. 47. Sull’impegno culturale e civile della «Dante» cfr. B. Pisa, Nazione e politica nella società “Dante Alighieri”, Bonacci, Roma 1995.
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all’impegno civile ed etico-politico che trova proprio nella trasmissione dei valori patriottici, nella tessitura di un vissuto collettivo di appartenenza alla nazionale italiana, il suo luogo di massima estensione. La scuola, dunque, è stata l’asse delle celebrazioni patriottiche come, SLLQJHQHUDOHqVWDWRLOFDQDOHFDSLOODUHGLGLIIXVLRQHGHOODSHGDJRJLDFLYLOH Alle asperità di questa militanza degli uomini e delle donne di scuola allude l’ultima testimonianza che propongo. Siamo in una realtà piccolissima del Salento, a S. Maria al Bagno, sul- ODFRVWDLRQLFDDOO¶HSRFDSRFRSLFKHXQYLOODJJLRGLSHVFDWRULDOO¶LQWHUQR della scuola popolare (pluriclasse) imbandierata. È il 27 marzo 1911 e «il direttore Vincenzo Luceri parl[a] ai suoi 58 alunni ricordando come me- glio p[uò] e alla meglio, l’importanza dell’avvenimento e inneggiando alla grandezza di Roma e ai futuri destini della nostra Patria».48 Lo stesso Luceri, il 4 giugno, torna a narrare in quella stessa aula di eroi e di patria. Domenica scorsa, il sig. Vincenzo Luceri, che durante tutto questo tempo, come annunziaste, ha tenuto qui aperta una scuola per analfabeti, ha voluto festeggiare lo Statuto. Nella sala scolastica, adorna dei quadri del Re e della Regina, e di Vitto- rio Emanuele II, di Garibaldi, Cavour e Mazzini, convennero 40 dei suoi 65 DOXQQLFKHSRUWDURQRRJQXQRXQJUDQPD]]RGL¿RUL,O/XFHULGLVVHSRFKH SDUROHSHUVSLHJDUHDJOLLQWHUYHQXWLLOVLJQL¿FDWRGHOODIHVWDFLYLOHGHOOR6WD- WXWRUHVDTXHVW¶DQQRSLLPSRUWDQWHSHUODULFRUUHQ]DFLQTXDQWHQDULDHSHU infondere loro i sentimenti di patriottismo e di italianità. Poscia gli alunni cantarono l’inno di Mameli e quindi in bell’ordine e con bandiera, fecero un giro lungo la spiaggia e quindi si ritirarono alla scuola, dove si sciolsero. Anche in questa modesta spiaggia dunque non è mancato di vibrare la nota di solidarietà alla solenne cerimonia che in quel giorno compivasi a Roma, davanti all’Altare della Patria;; e perciò il sig. Luceri merita ogni elogio.49
Sullo sfondo di una marina vuota, in un’atmosfera di surreale norma- lità, un gruppo di scolari e scolare (e le famiglie con loro) hanno potuto proiet tarsi in un altrove lontano e immaginarsi parte di una comunità na zio- nale, attraverso il caparbio e indomito patriottismo di un oscuro maestro.
48. «Corriere meridionale», 30 marzo 1911. 49. Ibid., 8 giugno 1911.
Indice dei nomi
Abba Giuseppe Cesare, 229n, 230 Acton Guglielmo, 200 Acton Harold, 216n Addesso Cristiana Anna, 74n Agnello Luigi, 137n Agresti Filippo, 111n Albergoni Gianluca, 244n Alberti Leandro, 232 Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, 268 Albertone Manuela, 45n Albonico Aldo, 216n Alcaro Mario, 204n $O¿HUL9LWWRULR Alinari, famiglia, 16, 17, 281, 283-287, 290-300, 302-304 Alinari Giuseppe, 291 Alinari Leopoldo, 285, 286, 291 Alinari Romualdo, 291 Alinari Vittorio, 291, 292 Amato G., 317 Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, 341 Ammassari Salvatore, 323 Ammirato Scipione, 237 Andenna Giancarlo, 177n Anderson, famiglia, 281 Anderson Bonnie S., 263n Anderson Giacomo (nome d’arte di Isaac Atkinson), 281, 283, 284, 287, 288, 291, 304-306 Andryane Alessandro, 139
Anelli Luigi, 247 Anzillotti Antonio, 45n, 50n, 172n, 173n, 176n Apostolico Orsini Sebastiano, 331 Appiano Alessandrino, 232, 233 Aprile Pino, 22n Arato Franco, 74n Arditi Giacomo, 232, 341, 342n Arditi Michele, 235 Ardy Giovanni, 274 Ariosto Ludovico, 78, 231 Arisi Rota Arianna, 103n, 104n, 114n Aromolo Giulio, 216n Arrivabene Giovanni, 139 Arthur Paul R., 327n Ascenzi Anna, 247n, 257n Ascheri Mario, 171n Asor Rosa Alberto, 81, 82 Astuti Michele, 324, 325 Augias Corrado, 30n Ausonio Decimo Magno, 237 Avolio Giorgio, 278n Ayroldi Mario, 121n Bacall Lauren, 278n Baccelli Guido, 339n Bacile di Castiglione, famiglia, 338 Bacile di Castiglione Filippo, 330 Bacile di Castiglione Gennaro, 326 Balbo Cesare, 248-250, 252
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«L’Italia è»
Baldi Giovanni, 299n Baldissara Luca, 247n Balduino Armando, 138n Ballini Pier Luigi, 89n Balsamo Cesare, 88n, 121n Balsamo Vincenzo, 91 Balsamo-Crivelli Gustavo, 172n Balzani Roberto, 103n, 114n Bandiera, fratelli, 56 Banti Alberto Mario, 12, 23, 29n, 45n, 48, 66, 85n, 101n, 156n, 174n, 194n, 218n, 244n, 247, 249n, 259n, 333n Banti Anna, 56, 139n Barba Emanuele, 134n Barbagallo Francesco, 41n Barbarossa Federico vedi Federico I Barberi Squarotti Giorgio, 79 Barberis Walter, 29n Barbiera Raffaello, 229n, 239 Barile Laura, 246n Barletta Giuseppe, 140n Barone Giuseppe, 31n, 46, 47n, 85n, 102n, 216n Barrella Giovanni, 330n Barthes Roland, 261 Basile Marco, 216n Battista Pierluigi, 81n Beatillo Antonio, 232 Beaud Olivier, 171n Becchi Egle, 118n Belfanti Carlo Marco, 262n, 269n, 277n, 278n Belgioioso Trivulzio Cristina, 270 Bellabarba Marco, 175n Belli Gemma, 313n, 326n Bellini Vincenzo, 120, 268 Belviglieri Carlo, 247 Benigni Roberto, 21 Berlusconi Silvio, 22n Bernardello Adolfo, 86n, 93n Bernardini Ignazio, 310, 325, 326 Bernardini Nicola, 124n, 125n, 127n, 234, 265
Bernardini Oronzo, 307, 310, 323, 331 Bernardini Macor Emilia (Ermacora), 265, 268 Bernoud Alphonse, 283 Bertelli Carlo, 280n Berti Giuseppe, 34n Bertola Giovannina, 138 Betri Maria Luisa, 52n, 86n, 103n Bevilacqua Piero, 28n, 40n Biancale Michele, 157, 158, 160, 161 Bianchi Nicomede, 134n Bidussa David, 243n Bilotti Paolo Emilio, 108n Bini Carlo, 137 Binni Walter, 80 Biondi Tina, 347 Bixio Alexandre, 199 Bixio Nino (Gerolamo), 199 Black Anderson J., 267, 268n Boccaccio Giovanni, 236, 237 Boito Camillo, 274n, 307, 315 Bojano Alberico, 156n Bollati Giulio, 243n, 280n Boller Paul F. jr., 227n Bombardini Nora, 281n Bonghi Ruggiero, 17, 58-62, 195 Bongiovanni Bruno, 263n Bonzagni Aroldo, 274 Borgia Lucrezia, 275 Borsalino Teresio, 275 Borsellino Nino, 76n, 79, 138n Bortone Antonio, 316, 318, 320 Bosco Giovanni, 252, 253, 256-259 Bossi Maurizio, 283n Botta Carlo, 231-233, 249, 250 Bottaro Luigi, 253 Botticelli Sandro, 275, 276 Bozzelli Francesco Paolo, 175 Braico Cesare, 14, 138, 139 Branca Vittore, 138n Brancaccio Antonio, 118n Brand Charles Peter, 283n Braudel Fernand, 261
Indice dei nomi
Bray-Steinburg Ottone, 226 Brienza Rocco, 111n Briganti Tommaso, 128 Brindisino Maria Giovanna, 132n Brioschi Franco, 79 Brogi, famiglia, 281 Brogi Giacomo, 281, 284, 287-292, 295, 299, 301, 304 Brunetti Gaetano, 112, 315n Bruni Francesco, 73n Brunialti Attilio, 203n Bruno Giordano, 78 Buccaro Alfredo, 308n Buttazzi Grazietta, 262n, 265n Buzard James, 283n, 289n Byron George Gordon, 164 Cacozza Rosa, 112 Calà Ulloa Pietro, 30n, 225 Calanca Daniela, 261n Calcagnile Francesco, 122 Camassa Teodoro, 89n Camerini Augusto, 274 Camerini Eugenio, 245, 246 Cameroni Carlo, 95 Campanella Tommaso, 78 Camposena Raffaele, 90n Canali Ferruccio, 281n &DQW&HVDUHQ Capellini Giovanni, 232 Capone Filippo, 58 Capone Basilio, 99n Cappelli Gioiella, 95n Cappuccio Carmelo, 139 Caprani A.G., 290 Caputi Saverio, 232 Caputo Michele M., 212 Caputo Vincenzo, 74n Caracciolo Antonio, 171n Caracciolo Francesco, 231 Caracciolo Giovanna (Carosa), 278n Caracciolo de’ Sangro, duchi di Martina, 215, 219, 220, 222-225, 228
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Carbonelli Vincenzo, 61 Carducci Giosuè, 75, 76, 245, 316, 348 Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, 191n Carlo III d’Angiò-Durazzo, re di Sicilia, 191n Carlo III, re di Napoli, 190, 191n, 197, 257, 258 Caroppo Elisabetta, 98n Carosa vedi Caracciolo Giovanna Carpi Leone, 247, 248 Carrarini Rita, 262n, 264n Cartier-Bresson Henri, 303 Casanuova, pittore, 290 Casetti Antonio, 232 Caso Beniamino, 156 Cassese Leopoldo, 107, 108n, 110 Cassiano Antonio, 316n, 323n Castelluccio duchessa di vedi de’ Sangro Giuseppina Castiglione Giuseppe, 232 Castrignanò Pasquale, 122 Castromediano Sigismondo, 9, 14, 56- 60, 62, 63, 65, 66, 69, 125, 127, 133, 137-153, 229, 230, 232-239, 316, 318, 319, 327, 342, 343, 346 Cataldi Agostino, 347, 349 Cattaneo Carlo, 44, 173 Cattermole Evelina (Contessa Lara), 265 Cavalieri Salvina, 349n Cavelty Cristiano Fedele, 284 Cavicchioli Silvia, 218n Cavour Camillo Benso conte di, 92, 93, 187n, 194, 199-202, 203n, 204n, 225, 226, 319, 350 Cazzato Mario, 307n, 308n Cazzato Vincenzo, 307n, 308n, 309n, 311n, 312n, 315n, 320n, 322n, 324n- 327n, 329n, 331n Cecchi Emilio, 79, 138n Cecchinato Eva, 45n, 46n, 49n, 85n, 96n, 103n Cenni Enrico, 177-180, 184, 186, 208 Cepolla Luigi, 232
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«L’Italia è»
Cervantes Miguel de, 230 Cesi Carlo, 127, 133 Chabod Federico, 184n Chambord conte di vedi Dieudonné Hen- ri Charles Chiappini Simonetta, 244n Chiavistelli Antonio, 244n Chotek Luisa, 226 &KRWHN6R¿D Christian Linda, 278n Cialdai Susanna, 263n, 265n Cialdini Enrico, 157n, 196n, 204n Ciano Galeazzo, 228 Cicala Francesco Bernardino, 235 Cimino Realino, 88n, 121n, 133 Cinotto Simone, 247n Ciongoli Gian Paolo, 327n Cisaria Leonardo, 130n Civile Giuseppe, 34n, 218n Clemente Pietro, 336 Clerici Alfredo, 275 Colangeli Oronzo, 329n, 330n Colletta Pietro, 231, 249n, 250 Colombo Adolfo, 94n Colonna Gustavo, 337n Confalonieri Federico, 139, 239 Coniglio Giuseppe, 216n Consiglio Nicola, 121, 124 Conte Domenico, 323 Contessa Lara vedi Cattermole Evelina Conti Fulvio, 94n Conti Pietro, 58 Contini Gianfranco, 76 Cooper Gary, 227 Copso Bartolomeo, 236 &RUFLXOR0DULD6R¿DQ Cordelia vedi Tedeschi Treves Virginia Cordero Lanza di Montezemolo Massi- mo, 196n Cosi Luisa, 87, 88n, 118n, 121n, 123n, 124n, 127n, 128n, 133n, 134n Costantini Paolo, 282n Costanza d’Altavilla, 191n
Cresci Mario, 303 Crispi Francesco, 221, 244 Croce Benedetto, 78, 79, 198n, 216n, 303 Croce Elena, 199n Curto Carlo, 146n D’Andrea Ugo, 228n Daniele Domenico, 337n Dante Alighieri, 75, 76, 78, 231, 321, 348 D’Arpe Carlo, 105n D’Astore Fabio, 149n, 153n, 229n, 233, 234 Davanzo Poli Doretta, 272n, 273 Davis Ronald L., 227n d’Ayala Valva Pietro, 221, 222n d’Azeglio, famiglia, 269 d’Azeglio Massimo, 231, 243, 248 De Amicis Edmondo, 245 De Cataldis Enrico, 307, 310, 331 De Crescenzo Giovanni, 176n De Donno, famiglia, 338 De Donno Alessandro, 130n, 133 De Donno Daria, 316n De Donno Oronzio, 342 De Ferrariis Antonio (Galateo), 232, 233, 237 De Fort Ester, 86n, 94n, 95n de Genova di Pettinengo Ignazio, 196n De Giorgi Cosimo, 64-66, 69, 232, 308n, 320n, 327, 337n De Giorgio Michela, 262n De Giosa Nicola, 131n De Gubernatis Angelo, 106n, 125n Delahante Gustave, 11 Del Bene Maria, 104 De Leo Annibale, 235 de Leonardis Massimo, 216n Della Noce Gaetano, 119n, 129n, 130n, 133n, 331n dell’Antoglietta Achille, 98n Della Peruta Franco, 103n della Ratta Carmine, 121n, 130n della Rovere Alessandro, 196n
Indice dei nomi
Delle Piane Mario, 187n De Lorenzi Achille, 323 De Lorenzo Giuseppe, 305, 306n De Lorenzo Renato, 31n, 32n, 88n-90n De Lucrezi Achille, 324 Del Vecchio Francesco, 104, 105 Demarco Domenico, 99n De Martino Ernesto, 303 De Martino Francesco, 108n, 110n De Matteis Francesco, 316 De Matteis Pasquale, 233 de Mondenard Anne, 280n De Negri Felicita, 94n Denitto Anna Lucia, 220n Dentice, principi di Frasso, 215, 219, 220- 222, 225-228 Dentice Antonio, 225 Dentice Carlo, 227, 228 Dentice Ernesto, 226, 227 Dentice Francesco, 225 Dentice Luigi, 220, 221, 225, 226n, 227 Depretis Agostino, 221 de Raho Filippo, 99n De Renzi Salvatore, 234 De Rinaldis Aldo, 161 De Roberto Federico, 80 De Rosa Aniello, 192n De Rosa Gabriele, 205 De Sanctis Brizio, 137n De Sanctis Francesco, 76-79, 83, 84, 148, 151 de’ Sangro vedi anche Caracciolo de’ San- gro de’ Sangro Giuseppina, duchessa di Ca- stelluccio, 223 de’ Sangro Nicola, 222, 223 de’ Sangro Placido, 222, 223n de’ Sangro Riccardo, 222, 223 De Seta Cesare, 284n De Simone Francesco, 311, 324, 325 De Simone Luigi Giuseppe, 118n, 119n, 129n, 131n, 232, 312, 315n, 341 De Sivo Giacinto, 28n
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De Vincentiis Amedeo, 81, 82n De Vincenzi Giuseppe, 58 De Virgilio Antonio, 133 De Viti De Marco Antonio, 113 Di Bernardo Davide, 108n Di Ciommo Enrica, 90n Dickie John, 39n Dieudonné Henri Charles, conte di Cham - bord, 224 Di Fiore Gigi, 217n Di Fiore Laura, 102n Di Giacomo Salvatore, 336n Di Girolamo Costanzo, 79 Di Gregorio Pinella, 46n Di Mauro Leonardo, 284n Di Napoli Mario, 92n Di Nucci Loreto, 39n Diodoro Siculo, 236 Dionigi d’Alicarnasso, 232 Dionisotti Carlo, 79, 80 Distaso Grazia, 74n Donizetti Gaetano, 131n Doré Gustavo, 245, 246 Doria Giuseppe, 343n Duggan Christopher, 244n, 245n, 248n Duso Giuseppe, 173n Elena del Montenegro, regina d’Italia, 271, 273 Elias Norbert, 188n Ellanico di Mitilene, 232 Elmo Raffaele, 121, 134 Emiliani Giudici Paolo, 76 Enrico VI, imperatore, 191n Ermacora vedi Bernardini Macor Emilia Estrafallaces Alessandro, 122 Estrafallaces Marino, 122 Eugenia de Montijo, imperatrice di Fran- cia, 270 Eugenio di Carignano, 189, 196n Euripide, 231 Fabiani Alberto, 278n
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«L’Italia è»
Facineroso Alessia, 31n, 35n, 216n, 223n Faeta Francesco, 299n Fagiolo Marcello, 309n, 311n, 312n, 315n, 322n, 324n, 325n, 327n, 329n Falkenhausen Susanne von, 160n Falzone Gaetano, 92n Falzone del Barbarò Michele, 284n Fanelli Giuseppe, 106 Fanfulla da Lodi, 320 Farese Sperken Christine, 163n, 167n Farini Luigi Carlo, 36, 40, 61, 196n, 212 Fazio Giacomo, 49n Federico I, imperatore, 191n Federico II, imperatore, 82, 191n, 197 Federico III d’Aragona, re di Sicilia, 191n Fedi Roberto, 147n Ferdinando II, re delle Due Sicilie, 11, 124, 140n, 153, 195n, 200, 201, 209, 210 Ferdinando IV, re di Napoli, III come re di Sicilia, poi Ferdinando I re delle Due Sicilie, 190, 191, 206, 258 Ferrari Ant, 109n Ferrari Jacopo Antonio, 232 Ferrari Monica, 104n, 114n Ferretti Massimo, 280 Ferrigni Giuseppe, 212 Ferroni Giulio, 79 Filangieri Carlo, 199, 201 Filippi, artigiano, 324 Fiorini Vittorio, 339 Florio Franca, 275 Fontana, sorelle, 277, 278n Fontò, famiglia, 235 Fontò Maria, 112n Fontò Teresa, 113n Forleo Bonaventura, 123, 124, 128 Forti Marco, 73n Fortunato Giustino, 56, 68 Foscolo Ugo, 74, 75 Francesco II, re delle Due Sicilie, 11, 12, 30, 33, 98, 129, 164, 195n, 197, 198, 200, 201, 217, 225
Francesco de’ Vieri, 236 Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, 226 Franchetti Leopoldo, 56 Franchini Silvia, 262n-264n Francia Enrico, 100n, 204n Friuzzi Francesco, 108n Frola Secondo, 334n Fruci Gian Luca, 194n Furiozzi Gian Biagio, 95n Fusco Angelo, 238 Fusco Felice, 107n, 108n Fusco Maria Antonella, 160n Gagliani Giovanni, 109-112 Galante Lucio, 167n Galante Garrone Alessandro, 92n, 93n Galasso Giuseppe, 187n, 191n, 336 Galateo vedi De Ferrariis Antonio Galeotti Ettore, 264n Galilei Galileo, 78 Galli Della Loggia Ernesto, 39n Gallino Luciano, 177n Gallino Tilde, 177n Garbini Ferdinando, 264 Garcea Antonio, 14, 138, 139 Gardner Ava, 277 Garibaldi Giuseppe, 11, 21, 36, 47, 50n, 93, 96, 97, 129, 133n, 157, 162, 165, 191, 192, 194, 198, 200, 203, 204n, 211, 267, 270, 312, 313, 315, 319- 321, 345n, 348, 350 Garland Madge, 267, 268n Garnier Jean-Paul, 216n Gattini L., 264n Gaudioso Francesco, 217n Gelao Clara, 337n, 338n Genoni Rosa, 274-277 Genovés y Lapetra Tomás, 127n Gerardi Caterina, 308n Gervasio Michele, 337n Getto Giovanni, 74n Ghezzi Pasquale, 329
Indice dei nomi
Ghio Ferdinando, 200 Ghirri Luigi, 303 Giani Maurizio, 120n Giannetti Anna, 320n Giannone Antonio Lucio, 139n Giardino Liliana, 327n Gibson Mel, 303 Gibus vedi Serao Matilde Gigli Giuseppe, 56, 137n, 229n, 239, 342 Gigli Marchetti Ada, 245n, 246n Gilardi Ando, 303 Gimma Giacinto, 74 Ginori Lorenzo, 65 Ginsborg Paul, 29n, 46n, 48, 85n, 101n, 107, 156n, 194n, 244n Gioberti Vincenzo, 75, 92, 124, 172-177, 181, 208, 248 Giordano Michele, 262n Giordano Nicola, 108n, 110n Giorgetti Cristina, 267n Giorgini Giovanni Battista, 278n Giudici Paolo, 260 Giulio Polluce, 232 Giusberti Fabio, 262n Giusti Nicoletta, 278n Giustiniani Lorenzo, 232 *QROL6R¿DQ Goldoni Carlo, 231 Gonin Guido, 246 Gorgoni, famiglia, 234 Gorgoni Gaetano, 137n Gorra Giulio, 246 Gounod Charles, 131n Grahame-White Claude, 227 Gramsci Antonio, 51n, 78, 79, 247, 253n Grande Salvatore, 238 Granito Eugenia, 34n Gregorovius Ferdinand, 235, 312, 313n Grimm Dieter, 171n Grossi Paolo, 177n Guacci Luigi, 316, 343n Guadalupi Belisa, 272n Guariglia Antonio, 309, 329
357
Guarini, famiglia, 235 Guarini Giovanni Battista, 231 Guerrazzi Francesco Domenico, 251 Guerrieri Ferruccio, 330n Guerrieri Giovanni, 322n Guerrieri Ignazio, 122 Guicciardini Francesco, 249n, 250 Guida Patrizia, 216n Henricus Petrus, 236 Hepburn Audrey, 278n Hoepli Ulrico, 246 Houben Hubert, 177n Imbriani Eugenio, 123n Imbriani Vittorio, 232 Imperiali Renato, 235 Innocenzo II, papa, 191n Irace Erminia, 81 Isabella Maurizio, 38n, 47n, 102n, 103n Isabella d’Este, 275 Isastia Anna Maria, 92n, 93 Isnenghi Mario, 45n, 46n, 49n, 85n, 103n, 253n, 333n Iurilli Antonio, 74n Jaeger Pier Giusto, 216n, 217n Jazzeolla Giambattista, 307 Jesurum Michelangelo, 275 La Farina Giuseppe, 53, 202, 249, 250, 257 La Marmora Alfonso, 203n Lamennais Félicité de, 92, 208, 214 Lanaro Silvio, 244n, 245n Landucci Giovanni, 251n, 253n Lanoce Egidio, 272 Lanza Giovanni, 58 Lapi Isabella, 337n, 338n Laporta Alessandro, 229n La Sala Luigi, 108n, 110n Laviano Alberto, 348 Lazzaretti Domenico, 123 Le Marangi Pietro, 223n, 224
358
«L’Italia è»
Lenti Lia, 265n, 271n Leo Leonardo, 131n Leone Dionisio, 237, 238 Leone Luigi, 121, 128, 131n Leone XIII, papa, 136 Leoni Francesco, 216n Leopardi Giacomo, 76-78 Lessona Michele, 173n Levi Pisetzky Rosita, 262n, 264n, 267n, 269n, 270n Levra Umberto, 47n, 59n, 333n, 338n Libertini Giuseppe, 119, 125, 133n, 316, 342, 346 Libertini Luigi, 337n Libetta Francesco, 121n Licci Enrico, 91n Lillo Giosuè, 121, 124, 131n Lillo Giuseppe, 131n Linbenberg Maria de, 275, 276 Liscia Bemporad Dora, 265n Lisco Michele, 89n Lisco Nicola, 89n Listri Pier Francesco, 245n Lollobrigida Gina, 278n Lombardi Giacomo, 121, 124, 128 Lombardi Paolo, 283 /RUHQ6R¿DQ Lovati Lovato, 82 Loy Myrna, 278n Luceri Vincenzo, 350 Luigi IX, re di Francia, 191n Lupinacci Enrico, 127 Lupo Salvatore, 10, 29, 35, 36, 46n, 51n, 68, 85, 86n, 98n, 102n, 195n Lutero Martin, 207 Luzzatti Luigi, 68 Luzzatto Sergio, 81 Maccabelli Terenzio, 263n Maccagnani Eugenio, 314-316, 320, 321 Machiavelli Niccolò, 76-78 Macry Paolo, 13, 39n, 47n, 48n, 50n, 98n, 202n, 223n
Madaro Gaetano, 312 Maffei Raffaele (il Volterrano), 232 0DI¿ROL0RQLFDQQQ Maggiulli, famiglia, 235 Maggiulli Luigi, 233 Magi Girolamo, 236, 237 Magliola Giuseppe, 307 Maierotti Giovanni, 349 Malato Enrico, 83 Maldini Chiarito Daniela, 102n Mameli Goffredo, 21, 348, 350 Manchon Pierre-Yves, 32, 34 Mancini Pasquale Stanislao, 119, 212 Mandoy Francesco, 92n Manfredi di Svevia, re di Sicilia, 191n Manfroci Francesco, 121 Mangionello Giuseppe, 320 Mangone Fabio, 329n Manin Daniele, 47 Manna Giovanni, 11, 201, 208 Mannori Luca, 173n, 175n, 244n Mansi-Montenegro Beatrice, 131n Mantovano Andrea, 307n, 308n Mantura Bruno, 158n Manzoni Alessandro, 77, 208, 230, 248, 259n Marcello Adriana, 271 Marchesa Colombi vedi Torriani Maria An tonietta Marciano Girolamo, 232 Marcuse Herbert, 177n Marescotti Giorgio, 236, 237 Margherita di Savoia, regina d’Italia, 270, 272 Mariano Marco, 247n Mariano Raffaele, 313n Marini Girolamo, 127n Marliani Emanuele, 58 Marmo Marcella, 39n Maroncelli Pietro, 139 Marrara Danilo, 172n Marrocco Dante B., 156n Marschiczek Gaetano, 337n, 343n
Indice dei nomi
Marteau, gesuita, 128n Marti Mario, 73n, 80, 239, 312n Marti Pietro, 346 Martin André, 303 Martinelli Luciana, 139 Martone Mario, 139n Martorelli Luisa, 158n Martucci Roberto, 29, 35, 56n, 191n, 192n, 197n, 200n, 202n, 204n Marucelli Germana, 278n Marx Karl, 196 Masi Giovanni, 99n Massa Cesare, 132 Massa Girolamo, 118n Massafra Angelo, 220, 225n Massari Giuseppe, 195 Massaro Carmela, 229n Massaro Elisabetta, 220n, 228n Matina Giovanni, 108n Matino Francesco, 35n Maturi Walter, 43-45, 53n, 249n Mauro M. Augusto, 118n Maury Matthew Fontaine, 232 Mazohl Brigitte, 175n Mazzacane Lello (Raffaello), 299n Mazzarella Bonaventura, 59 Mazzini Giuseppe, 45n, 47, 75, 76, 92, 103n, 115, 117-119, 127, 131, 142, 172, 175n, 319, 348, 350 Mazzocca Fernando, 158n, 244n Mazzocchi Alessio Simmaco, 232 Mazzoni Guido, 137, 139 Mazzonis Filippo, 187n Mehta Uday Singh, 38n Melosi Laura, 247n Melzi d’Eril Giulia, 275 Mennonna Mario, 345n Mercadante Saverio, 120 Meriggi Marco, 10, 12, 28n-30n, 35n, 38n, 40n, 45, 46n, 47n, 48, 62n, 86n, 98n, 102n, 173n, 175n, 179n, 216n, 244n, 248n, 263n Miccoli Angelo, 312
359
Michel Ersilio, 216n Michelangelo Buonarroti, 321 Micheli Pietro, 233, 237 Migliardi Onofrio, 323 Miglietta Federico, 122 Miglietta Giuseppe, 130n 0LJOLHWWD0LPu Miglietta Raffaele, 143 Miglio Gianfranco, 176n, 178n, 180n, 187n, 188n Mignogna Nicola, 92n, 106 Milano Agesilao, 106 Minghetti Marco, 36, 40, 61 Minna Antonio, 94n Mirizzi Ferdinando, 303n Moe Nelson, 39n, 56n Mola Aldo Alessandro, 151n Molfese Franco, 29, 35, 217n Mommsen Theodor, 232 Monaco Attilio, 111n Monastero Francesco, 108n Monhaupt Heinz, 171n Monnier Marc, 144 Montagna Vincenzo, 272n Montale Bianca, 92n, 93n Montale Eugenio, 73 Montesano Maria, 99n Monti Vincenzo, 76 Montroni Giovanni, 218 Morandi Matteo, 104n, 114n Morandini Maria Cristina, 257n Morato Erica, 262n, 264n Morelli Domenico, 163, 164 Morelli Salvatore, 130n Mormone Mariaserena, 158n Morris Jonathan, 263n Morris Penelope, 102n Morris William, 268n, 272 Moscati Ruggero, 199n, 216n Moschettini Consalvo, 337n Moscioni Romualdo, 305, 306 Mosse George L., 247n Murat Gioacchino, 93, 199, 209
360
Murat Luciano Carlo, 209 Murialdi Paolo, 245n, 246n Muscetta Carlo, 79 Musolino Benedetto, 149 Mussato Albertino, 82 Mussolini Benito, 189 Mutterle Anco Marzio, 138 Napoleone Bonaparte, 198, 231 Napoleone III, 209, 257 Napolitano Giorgio, 21, 192n Nardone Paola, 218n Nathan Ernesto, 334n Naya Carlo, 283 Nenci Giuseppe, 229n Neppi Enzo, 75n Netti Francesco, 15, 162-168 Nevers Emilia, 264n Nicolai Otto, 124n Nicotera Giovanni, 107-113 Nieddu Anna Mari, 192n Nievo Ippolito, 229n, 231 Nigra Costantino, 189, 269 Nisco Nicola, 139 Nitti Francesco Saverio, 68 Noberasco Vita, 278n Noiret Serge, 52n Notaro Chiara, 320n Novara Paola, 281n Novarino Marco, 94n Nunziante Alessandro, 200 Odescalchi, principessa, 275 Omodeo Adolfo, 43 Oriani Alfredo, 45 Orlando Vittorio Emanuele, 173 Oroboni Antonio, 148 Orsi Pietro, 247 Ovidio Nasone Publio, 232 Pace Alessandro, 186n 3DFL¿FR)UDQFHVFRQ Pacini Giovanni, 120 Pagano Nicola, 235
«L’Italia è»
Pais Ettore, 232 Paisiello Giovanni, 131n Paladini Luigi, 346 Palazzolo Maria Iolanda, 253n Palermo Nicodemo, 152 Palermo Nicola, 14, 138, 139, 152, 153 Palizzi Filippo, 166 Pallavicino Giorgio, 139 Pallavicino Pietro Sforza, 75 Palmieri Giuseppe, 134 Palumbo Pier Fausto, 49n Palumbo Pietro, 13, 49, 56n, 104n, 105n, 112, 118n, 119n, 121n, 127n, 128n, 130n, 232, 315n, 326n, 342n Pampaloni Leonzio, 138 Panebianco Maria Grazia, 33n Panico Ercole, 134n Panico Michele, 87, 118n, 127, 134n Pantaleo Angelo, 337n Panzieri Giuseppina, 188n Paone Michele, 140n Papadia, famiglia, 235 Papadia Baldassarre, 235 Paparazzo Amelia, 204n Pappacoda Luigi, 235 Papuli Giovanni, 330n Parente Luigi, 156n Parini Giovanni, 76 Parrella Roberto, 34n Pasimeni Carmelo, 30n Pasolini Pier Paolo, 303 Passaglia Carlo, 213 Pastina Giuseppe, 337n Pastore Michela, 88n, 91, 92n Patriarca Silvana, 38n Pausania, 232 Pecout Gilles, 32n Pedullà Gabriele, 81, 82n Pedullà Walter, 79, 138n Pellegrino Annalisa, 272n Pellegrino Bruno, 31n, 209, 217n Pellegrino Giuseppe, 66, 316, 320, 331, 343, 345, 346, 347n
Indice dei nomi
Pellegrino Paolo, 155n Pellegrino Teodoro, 105n Pellicciari Angela, 22n Pellico Silvio, 127, 137, 139, 145-147, 148n, 151, 231, 239 Peluso, fratelli, 337n Pemble John C., 283n, 289n Perini Leandro, 264n Perino Edoardo, 245, 246, 251 Persico Federico, 177, 180-184, 186, 208 Perulli, artigiano, 324 Petraccone Claudia, 39n Petrarca Francesco, 76, 348 Petraroli Ornella, 74n Petrelli Francesco Raffaele, 348 Petrusewicz Marta, 39n Pianell Salvatore, 200 Pica Giuseppe, 342 Piccoli Valentino, 78n Pieri Piero, 200n Pietro Aretino, 237 Pinelli Cosimo, 235 Pinna Franco, 303 Pinto Carmine, 13, 33, 34n, 36, 40, 47n, 50, 98n, 107 Pio Oscar, 247, 249-251, 252n Pio VI, papa, 206 Pio IX, papa, 25, 90, 121, 124, 125, 208, 258, 259 Piovani Pietro, 187n Pirandello Luigi, 80 Piretti Maria Serena, 60n, 193n Piromalli Antonio, 151n Pisa Beatrice, 349n Pisacane Carlo, 34, 106n, 107, 108, 200 Pisanelli Giuseppe, 17, 59, 61, 62, 92n, 195, 212, 225, 320, 342 Pisanello (Antonio di Puccio Pisano), 275 Pischedda Carlo, 200n Pispico Tommaso, 330 Pitts Jennifer, 38n Pivato Stefano, 253n Plinio Secondo Gaio (il Vecchio), 232
361
Plutarco, 231 Poerio Alessandro, 56 Poerio Carlo, 57, 139, 142, 342 Polibio, 232 Politano Simonetta, 307n-309n, 311n, 324n-327n, 331n Pomba Giuseppe, 239 Pontari Damiano, 127 Pontari Salvatore, 119, 125, 128, 132 Ponti Carlo, 283 Ponza di San Martino Gustavo, 196n Porcaro Massafra Domenica, 220n Porciani Ilaria, 253n, 333n Portinari Folco, 138, 146n Poso Giulia, 349n Previtera Luisa, 73n Priorelli Federico, 108n Proto Mario, 91n Pucci Emilio, 278n Puccini Sandra, 335n, 336n Puoti Basilio, 151 Quagliati Quintino, 337n Quintavalle Arturo Carlo, 280n, 281, 295 Quinto Ennio, 316 Quondam Amedeo, 73n, 142n, 167n Radovich Giuseppe, 133n Raffaello Sanzio, 321 Ragionieri Ernesto, 43, 50 Ragusa Daniela, 87n, 123n Raimondi Ezio, 78n Rao Anna Maria, 45n Rao Cesare, 233 Ratiglia Annunziato, 347-349 Rattazzi Urbano, 178 Ravenna, famiglia, 235 Regaldi Giuseppe, 119n, 121 Renna Emiliana, 124n Riall Lucy, 38n, 46n, 47n, 85n, 89n, 97 Riario Sforza Sisto, 209, 212 Ricatti Francesco, 102n Riccardi Carla, 196n
362
«L’Italia è»
Ricci Corrado, 281, 303 Ricci Luigi, 283 Ricci Raffaello, 269n Ricciardi Achille, 118n Rienzi Ludovico, 128 Rizzo Gino, 73n, 128n, 142n, 167n Rizzo Maria Marcella, 58n, 218n, 312n, 329n, 347n Rizzo Nicola, 122 Roccia Rosanna, 338n Roccucci Adriano, 29n, 46n, 98n, 102n, 194n Rochira Francesco, 337n Romagnoli Sergio, 137, 138n Romanelli Raffaele, 218n, 248n Romani Felice, 130 Romano, famiglia, 124n, 235 Romano Liborio, 61, 92n, 139, 197, 342 Romano Michele, 224n Romeo Rosario, 10, 12, 13, 45, 50, 51, 53, 191n Romer Ferdinand Fredrick, 232 Romussi Carlo, 246 Rondinelli Filippo, 122 Rorà Emanuele, 58 Rosmini Antonio, 208 Ross Janet, 313 Rossi Alessandro, 275 Rossi Beniamino, 88n, 117-136 Rossi Carlo, 117, 119, 127 Rossi Eduardo, 117, 326 Rossi Leopoldo, 87, 118n, 127 Rossi Luigi, 33n, 34n, 107n Rossi Luigi, carbonaro, 118n Rossi Nicola, 118n Rossi Simona, 171n Rossini Gioacchino, 119n, 120 Rota Carlo, 110n Rovetta Gerolamo, 347 Ruffo Fabrizio, 233 Ruggero II, re di Sicilia, 191n Ruggieri Pasquale, 328, 331 Ruskin John, 282
Russi Luciano, 107n Russo Luigi, 43n Sabbatucci Giovanni, 243n Saladino Antonio, 216n Salandra Antonio, 55, 66-68 Salani Adriano, 245, 246 Salvati Mariuccia, 102n Salvemini Gaetano, 200 Sanasi Salvatore, 345 Sanesi Nicola, 249n, 250, 251 Sanfelice Antonio, 235 Sanfelice Luisa, 231 San Martino Enrico di, 334 Sansoni Mario, 290 Santandrea Giuseppe, 110n Santarsiero Marisa, 274n Santini Emilio, 75n Santovito Pasquale, 127 Sapegno Natalino, 79, 80, 138n Savarese Giacomo, 11, 177, 184-186, 208 Savarese Roberto, 208 Savio Adele, 59n, 60, 63 Savio Federico, 59 Savio Olimpia, 9, 58, 59n, 63n, 69n, 153 Savorra Massimiliano, 315n, 319n Scaffei David, 46n Scarambone Luigi, 320 Scardia Marcello, 105n, 125n, 127n, 128n Scarfoglio Edoardo, 265 Scarpa Domenico, 81 Scarpelli Tancredi, 260 Scarrano L., 317 Schemboche Michele, 283 Schiavoni Giovanni, 91 Schiavoni Nicola, 139, 144, 342 Schioppa, architetto, 290 Schmitt Carl, 171n Schuberth Emilio, 278n Scirocco Alfonso, 93n, 96n, 98n, 191n Scolari Saverio, 62 Scrimieri Gianfranco, 229n, 237 Scudo P., 119n
Indice dei nomi
Semeraro Angelo, 118n, 329n 6HUD¿QRGHOOH*URWWDJOLH Serao Francesco, 232 Serao Matilde, 264n, 265 Sestan Ernesto, 44 Sesti Emanuela, 284n Settembrini Luigi, 57, 58, 78, 111n, 137, 139, 146, 148-151, 229n, 231, 233, 342 Settembrini Raffaele, 149, 152 Seymour Mark, 102n Sforza Beatrice, 275 Silvestri Giovanni, 239 Silvestri Silvia, 301 Simeoni Luigi, 216n Siotto Pintor Giovanni, 269 Sisi Carlo, 158n Sismondi Jean Charles Simonde de, 249n, 250 Soldani Simonetta, 48n, 85n, 86n, 88n, 92n, 100n, 216n, 263n Sommer Giorgio, 283, 284 Sonnino Sidney, 56 Sonzogno Edoardo, 245, 246, 264 Sorba Carlotta, 244n Spadolini Giovanni, 174n, 175n Spagnoletti Angelantonio, 12, 52n, 217n Spagnoletti Mario, 97 Spalletti Ettore, 291 Spaventa Silvio, 57, 111n, 139, 149 Spedicato Mario, 87n, 118n Spencer Herbert, 263 Spineda Lucio, 233 Spinelli Antonio, 195n, 201, 202 Spinelli Michele, 124, 127 Spinosa Nicola, 158n Sprüngli Federigo, 284 Stampacchia Gioacchino, 119 Stampacchia Salvatore, 119 Starace Carolina, 272 Stauber Reinhard, 175n Stefanoni Luigi, 247, 251, 252, 254, 255, 258, 259
363
Stella Gaetano, 320 Stephanus Henricus, 236 Stevens Felice, 348 Stucchi Edoardo, 275 Tacelli Maria Luisa, 172n Tamborrini Francesco, 346 Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce e re di Sicilia, 128, 320 Tanucci Bernardo, 190, 212, 257, 258 Tarantini Giorgio, 143 Tarantino Antonio, 200n Tassani Giovanni, 253n, 259n Tasselli Luigi, 232 Tasso Torquato, 231 Tateo Francesco, 74n Taylor Bertrand, 227 Taylor Dorothy Cadwell, 227 Tecchio Sebastiano, 269 Tedeschi Treves Virginia (Cordelia), 265 Tenca Carlo, 239 Tessitore Fulvio, 175n, 187n Themelly Mario, 151n Thiesse Anne-Marie, 244 Tiraboschi Girolamo, 74 Tito Livio, 232 Tiziano Vecellio, 321 Tobia Bruno, 243n, 245n, 247n, 333n Tocqueville Alexis de, 173n Toma Gioacchino, 14, 155-163, 165, 316 Tomasi di Lampedusa Giuseppe, 80 Tomassini Luigi, 282n-284n, 303n Tommaso d’Aquino, 237 Tondo Franca, 87n, 123n Tonini Lucia, 283n Torelli Viollier Eugenio, 265 Tornatore Giuseppe, 295 Torriani Maria Antonietta (Marchesa Co- lombi), 265 Torsello Benedetto, 307 Tortorelli Gianfranco, 246n Tramonti Stefano, 281n Tranfaglia Nicola, 263n, 264n
364
«L’Italia è»
Traniello Francesco, 253n, 257-259 Travaglio Giovanni, 328 Treves Emilio, 245, 246, 264 Treves Giuseppe, 265 Treves Guido, 335n Trinchera Francesco, 92n, 94 Trombatore Gaetano, 139 Trompeo Eugenio, 334n, 339n Troso, artigiano, 324 Troya Carlo, 208 Tuccari Francesco, 96n Tuminello Lodovico, 283 Turchi Vincenzo, 172n Turi Gabriele, 245n Turri Carlo Maria, 127 Tursani Raffaella, 104 Ulloa Pietro vedi Calà Ulloa Pietro Umberto I, re d’Italia, 315, 317, 341 Vacca Nicola, 312n Valente Gaetano, 337n Valentini Oronzo, 316, 337n Valentino Epaminonda, 148 Vallardi Francesco, 248 Valletta Agata, 112n Valletta Corrado, 112n Valletta Giuseppe Oronzo, 104n Valletta Isabella Francesca, 104n Valletta Nicola, 101, 103-115, 348 Valletta Nicolino, 114, 115 Valletta Oronza Rachela, 104n Valletta Oronzo, 104, 105 Valletta Oronzo Francesco Paolo, 104n Valletta Oronzo Gaetano, 104n Valletta Oronzo Luigi, 104n Valletta Raffaele (1781-?), 104n Valletta Raffaele (1864-1934), 110, 111n, 112, 115 Valli Donato, 229n, 235, 342n Vallone Aldo, 80, 137n, 155 Vallone Giancarlo, 142n, 172n, 173n, 175n, 179n, 184n, 188n, 229n, 235
Vanna, sartoria milanese, 278n Vantaggiato Eugenia, 91n Varchi Benedetto, 249n, 250 Varisco Giovanni, 233 Varni Angelo, 103n Vecchio Giorgio, 104n Vendola Nichi, 74n Veneziani Jole, 278n Venturi Franco, 44 Venturino Antonio, 108n Verdi Giuseppe, 120, 130, 131, 248, 268, 321 Verdosci Raffaele, 92n Verga Giovanni, 80, 196 Verga Marcello, 175n Vernole Giuseppina Chiara, 347, 349 Viarengo Adriano, 187n Vico Giambattista, 78 Vidotto Vittorio, 243n Viesseux Giovan Pietro, 239 Vigneri Francesco, 130n Villari Pasquale, 56 Visceglia Maria Antonietta, 219n Vischi Nicola, 113 Visconti Simonetta, 278n Visconti di Modrone Giuseppe, 275 Vittoria, regina del Regno Unito, 267 Vittoria Albertina, 264n Vittorio Emanuele II, re d’Italia, 96n, 98, 165, 196, 203, 226, 309, 312, 314, 315, 317, 319, 322, 328, 333, 334, 341, 350 Vivanti Corrado, 244n, 264n Volpe Rinonapoli Luigi, 348 Volterrano Raffaele vedi Maffei Raffae le Wagner Richard, 131 White Mario Jessie, 109 Wilde Giorgina, 227 Winspeare Antonio (1819-1873), 11 Winspeare Antonio (1840-1913), 10 Worth Charles Frederick, 274n
Indice dei nomi
Young Loretta, 278n Yriarte Charles, 313 Zaccaria Francesco, 308, 309n Zacchino Vittorio, 313n Zandrino Adelina, 274 Zannier Italo, 282n Zecca Abramo, 323
Zecca Vincenzo, 323 Zenaro Damiano, 233 Zichi Giuseppe, 192n Ziletti Giordano, 236 Zini Luigi, 247, 249 Zinsser Judith P., 263n Zocchi Vincenzo, 89n Zuccaro Nicola, 344
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Tavola 1. Nicola Valletta (1829-1915). Ritratto a olio (collezione privata)
Tavola 2. G. Toma, I figli del popolo, 1862
Tavola 3. G. Toma, Il denaro di San Pietro, 1861
Tavola 4. G. Toma, Roma o morte, 1863
Tavola 5. G. Toma, Un esame rigoroso del Sant’Uffizio, 1864
Tavola 6. F. Netti, Rimembranze del 15 maggio 1848, 1861
Tavola 7. L. Stefanoni, Storia d’Italia popolare illustrata, dalla sua origine ai giorni nostri, 3 voll. (300 dispense settimanali), Edoardo Perino Editore, Roma 1882 (ristampa 1887-1889)
Tavola 8. P. Giudici, Storia d’Italia. Narrata al popolo dal Prof. Paolo Giudici. Dalla fondazione di Roma alla Grande Guerra nazionale, 5 voll. (246 fascicoli settimanali), Casa Editrice G. Nerbini, Firenze 1929-1933, vol. I
Tavola 9. Giudici, Storia d’Italia, vol. IV
Tavola 10. G. De Nittis, Il salotto della Principessa Matilde, 1883; immagine tratta dal Catalogo della mostra De Nittis, impressionista italiano, Roma, Chiostro del Bramante 13 novembre 2004-27 febbraio 2005, Mazzotta, Milano 2005, p. 213
Tavola 11. J. Tissot, Hush! (The Concert), 1875, olio su tela, Manchester City Art Gallery; immagine tratta dal catalogo della mostra De Nittis e Tissot pittori della vita moderna, Skira, Milano 2006, p. 138
Tavola 12. Corallo mediterraneo, oro, Torre del Greco, Manifattura di Torre del Greco, Demi-parure, 1850 circa, collezione privata; immagine tratta dal Catalogo della mostra Gioielli regali. Ori, smalti e pietre preziose nel Real Palazzo di Caserta tra XVIII e XX secolo, Reggia di Caserta 7 giugno 2005-30 ottobre 2005, Skira, Milano 2005, p. 70 Tavola 13. A. Marra, Manifesto pubblicitario dei magazzini Vittoria, 1909; immagine tratta da C. Giorgetti, Manuale di Storia del costume e della moda, Cantini, Firenze 1992, p. 336
Tavola 14. A. Terzi, Eden Palace, 1906; Id., Mele, 1911; immagini tratte dal Catalogo della mostra La belle Époque. Arte in Italia 1880-1915, Rovigo, Palazzo Roverella 10 febbraio-13 luglio 2008, Silvana Editoriale, Cinisiello Balsamo 2008, p. 203
Tavola 15. R. Genoni, Abito da ballo «La Primavera»; immagine tratta da Abiti in festa, p. 43 Tavola 16. R. Genoni, Manto di corte ispirato a un disegno di Pisanello. Milano, Esposizione Internazionale del Sempione, 1906; immagine tratta da Abiti in festa, p. 41
Tavola 17. Lecce. Villa Comunale: monumento a Giuseppe Garibaldi (E. Maccagnani, 1888)
Tavola 18. Oronzo Bernardini. Catafalco allestito nel Duomo di Lecce nel 1878 per le onoranze funebri in onore di Vittorio Emanuele II
Questo volume è stampato su carta Palatina delle Cartiere Miliani Fabriano S.p.A. Finito di stampare nel mese di aprile 2013 GDOOD&'&$UWL*UD¿FKHVUO Città di Castello (PG)