"Le città invisibili" di Italo Calvino e la molteplicità conoscitiva
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‘Le città invisibili' di Italo Calvino e la molteplicità conoscitiva Franca Alborini, Romeo Crapiz, Mirka De Marchi

CONTIENE CD-ROM

‘Le città invisibili’ di Itafo Calvino e la molteplicità conoscitiva

La presente pubblicazione è stata realizzata con il sostegno e il contributo di A Liceo scientifico ‘Niccolò Copernico’ di Udine

Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone

L'editore ringrazia la Arnoldo Mondadori Editore Spa per aver autorizzato la pubblicazione di alcuni testi di Italo Calvino contenuti nelle seguenti opere: CALVINO I., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto

© 1991, 1992, 1994 by Palomar srl e Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano © 2002 by the Estate of Italo Calvino e Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano CAIVINO LI, Saggi, a cura di Mario Barenghi © 1995 by Palomar srl e Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano © 2002 by the Estate of Italo Calvino e Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano CALVINO LI, Le città invisibili, Milano, Mondadori © 1993 by Palomar srl e Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano

© 2002 by the Estate of Italo Calvino e Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano È vietata la riproduzione anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata, compresa la fotocopia.

L'editore ringrazia Pedro Cano per aver concesso la pubblicazione delle opere esposte in occasione della mostra Le città invisibili, Firenze, 8 ottobre-22 novembre 2005: Ottavia, p. 10; Ersilia, p. 18; Bauci, p. 76; Tecla, p. 152; Tamara, p. 188; Zora, p. 204.

L'editore rimane a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate.

© FORUM 2005 Editrice Universitaria Udinese Srl Via Palladio, 8 — 33100 Udine Tel. 0432 26001 / Fax 0432 296756

www.forumeditrice.it

ISBN 88-8420-289-2

‘Le città invisibili’ di Italo Calvino e la molteplicità conoscitiva

Franca Alborini, Romeo Crapiz, Mirka De Marchi

FORUM

Si ringraziano: Adriano Ceschia, Savina Deotto, Furio Honsell, Claudio Mirolo, Paolo Moro, Gianni Rainone, Stefano Rizzardi, Giuseppina Trifiletti e tutti gli studenti

coinvolti nel progetto. Un ringraziamento particolare a: Esther Singer Calvino, che con cortese disponibilità ha concesso l’utilizzo dei testi calviniani. Pedro Cano, la cui generosità ci ha consentito di illuminare con la forza

visiva delle immagini la ricchezza di spunti suggeriti da Le città invisibili. Mario Barenghi, che comprendendo lo spirito del nostro lavoro ci ha aiutato a perseverare nella ricerca e nella sperimentazione. Otello Quaino, preside del Liceo scientifico ‘Niccolò Copernico’ di Udine, che ha creduto fin dall’inizio alla validità di questo progetto, sostenendo come sempre quanti vogliono ‘fare scuola’ in modo innovativo.

INDICE

Prefazione di Mario Barenghi Introduzione

pag.

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UNITÀ A A CAVALLO TRA LETTERATURA E INFORMATICA

17 23

La combinatoria ne Le città invisibili La struttura del libro e la sua rappresentazione geometrico-numerica nelle interpretazioni dei critici Schemi e algoritmi: confronti e approfondimenti Le città invisibili e l'informatica

41 63 Fa

UNITÀ B CALVINO SCRITTORE TRA INTUIZIONE E SPERIMENTAZIONE

Calvino e le ‘sue’ città Riflessioni sul ruolo dello scrittore e sulla funzione della letteratura Gli interessi culturali degli anni del soggiorno parigino Le proposte di letteratura potenziale dell’OuLiPo e le ‘applicazioni’ di Calvino

11

(9 83 109 EL »

151

UNITÀ C OLTRE IL GIOCO COMBINATORIO: UNA DISCUSSIONE

SULLA CITTÀ MODERNA

151

La città: continuità di un ‘simbolo’

157

Dai progetti utopici degli urbanisti alle città immaginarie di Calvino

167

6

UNITÀ D MÉNAGEÀ TROIS: FILOSOFIA, LETTERATURA, SCIENZA

Indice

187

Linguaggi e segni. Verificazione e falsificazione

IO 197

UNITÀ E VERSO LA MACCHINA NARRANTE

203

Cibernetica e fantasmi: un saggio critico fondamentale Il fascino del computer Calvino e la letteratura digitale

209 221 245

Conclusioni

251

Bibliografia

251

Indice degli Allegati

261

Indice delle opere di Italo Calvino

263

Indice dei nomi

265

Percepire, rappresentare, comunicare

PREFAZIONE —

Le città invisibili sono il libro più affascinante e inesauribile di Calvino, e anche il più singolare. Scrittore di racconti o di racconti lunghi, piuttosto che di romanzi veri e propri, Calvino non si propone mai di mettere tutto se stesso in un’opera sola; e questo non tanto perché sia solito lavorare su più tavoli contemporaneamente, cosa pur vera, ma perché ognuno di quei tavoli rappresenta un progetto diverso quanto a strategia compositiva, ideazione, stile. Così,

mentre scrive sullo stravolgimento urbanistico della Riviera ligure (La speculazione edilizia), concepisce e porta a termine in pochi mesi un’opera di carattere fantastico come il Barone rampante; quando si tuffa nel mondo dei paladini di Carlomagno (Il cavaliere inesistente) si sta prendendo una pausa nella lunga e tormentata gestazione della Giornata d’uno scrutatore; e le sofisticate astrazioni intellettuali di Pa/orzar sono coeve al disegno d’un libro sui cinque sensi, che purtroppo rimarrà incompiuto (Sotto i/ sole giaguaro). Ma Le città invisibili fanno eccezione. Nelle Città invisibili troviamo una sorta di compendio o di atlante dell'immaginario calviniano: un repertorio di temi, immagini, situazioni, imperativi e interrogativi che variamente popolano

l’opera dello scrittore, archiviati qui nella forma di un catalogo di emblemi — ivi includendo sia le cinquantacinque descrizioni dei luoghi visitati da Marco Polo, sia i dialoghi-cornice tra il viaggiatore veneziano e Kublai Kan. Ecco allora l’evocazione del favoloso Oriente intrecciarsi ad aggiornate riflessioni semiologiche; ecco antiche e nuove #77passes esistenziali oggettivate in un’atmosfera fiabesca; ecco l'immaginazione avventurosa insieme all’intuizione sociologica, le sottili reminescenze del mito classico accanto agli incubi assillanti delle utopie negative: e ancora il Medio Evo e la modernità, i bazar e gli scacchi, Venezia e

il deserto, Borges e il Milione, le Mille e una notte e il Corso di linguistica generale di Saussure. L’archetipo della città offre a Calvino il destro di ripensare e ripercorrere tutta una serie di problemi, antinomie, schemi mentali e -suggestioni visive, che, invece di dipanarsi in racconto disteso, si fissano nella forma

di un quadro d’ambiente o d’una geometria, di un elenco di oggetti o di un no-

Mario Barenghi

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do di percezioni e stati d’animo, ad un tempo evidenti e sfuggenti, memorabili ed elusivi. Alcune città s'imprimono immediatamente nella memoria; altre, nonostante l’icasticità dei dettagli — o forse proprio per questo — lasciano nella mente del lettore una traccia confusa o ambigua. In entrambi i casi, una lettura sola difficilmente basta. Nessun libro di Calvino come le Città invisibili si presta al ruolo di Livre de chevet: la pregnanza delle immagini, l'accuratezza dei dettagli, la finezza delle riflessioni, la densità della scrittura invitano all’indugio meditativo, al ritorno sulle pagine già percorse, all’assaporamento protratto. Ma, oltre a questo, è la struttura medesima del libro a suggerire una molteplicità di approcci. Già dall’indice emergono tre possibili direzioni di lettura. La prima è l’ordinaria successione numerica delle pagine; la seconda, l’articolazione nelle undici rubriche (memoria, desiderio, segni, e così via), ciascuna delle quali de-

finisce un ambito rappresentativo almeno parzialmente autonomo; la terza riguarda la numerazione da uno a cinque, replicata per ogni rubrica, a indicare un interno sviluppo, da un inizio a una fine. Atlante, come già s’accennava, e non itinerario univoco e lineare, Le città invisibili definiscono uno spazio testuale polisemico e pluriprospettico, che invita a un’esplorazione rivolta in più direzioni diverse. E non a caso si tratta di un’opera amata e citatissima non da appassionati di letteratura soltanto, ma anche da studiosi di architettura, di urbanistica, di informatica.

All’epoca della gestazione del libro, di ipertesto si cominciava appena a parlare; ma Calvino ne era al corrente, tant'è che già da tempo si dedicava all’e-

scogitazione di sofisticate macchine narrative (la prima edizione del Castello dei destini incrociati era uscita tre anni prima su «FMR»). Certo, non è facile associare l’idea (tradizionalissima e ‘letterata’ quant’altre mai) di livre de chevet alle odierne sperimentazioni ipertestuali; del resto, la presente opera costituisce uno strumento didattico di analisi e di approfondimento, non un nuovo supporto di lettura. Ma non credo sia improprio ricordare in questa sede l’interesse di Calvino per il ruolo del lettore nella cultura letteraria, nonché per i modi di leggere. Quello straordinario iper-romanzo che è Se una notte d'inverno un viaggiatore contiene fra l’altro anche un campionario di situazioni, atteggiamenti e disposizioni di lettura, a cominciare dalla postura fisica della persona che legge. A casa, in poltrona, a letto, all’aria aperta, in biblioteca, in tram; leggendo in silenzio, o ad alta voce, o trascrivendo, o ascoltando qualcuno che traduce all’impronta... Le possibilità sono numerose, variano da individuo a in-

dividuo: un lettore professionale come il redattore della casa editrice, il dottor Cavedagna, rimpiange l’epoca lontana in cui, ragazzino di campagna, per leggere in pace si nascondeva dentro il pollaio. Calvino, per parte sua, ipotizza perfino che la posizione migliore per leggere sia a cavallo: singolare sintesi di

Prefazione

spostamento fisico e movimento mentale, i due cammini lungo la strada e lun-

go il testo che procedono in parallelo. Ebbene, nel salutare il varo di questo lavoro pluridisciplinare sulle Città invisibili, che contribuirà ad accrescere la schiera degli estimatori di Calvino, mi

piace immaginare un lettore futuro intento a consultare i fantastici resoconti del Marco Polo calviniano in modo diverso da come è stato fatto finora. Non a tavolino, su un banco di scuola o di università,

e nemmeno nella forma — pur

tanto cara a Calvino, e a tutti quanti amano davvero la letteratura — di un 0ggetto cartaceo: ma su un supporto magnetico, grazie all’ausilio di un computer o di altro congegno analogo, in groppa a un cammello diretto a Samarcanda o Cambaluc. Mario Barenghi

OTTAVIA Le città sottili. 5. Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città-ragnatela... Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti di Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.

INTRODUZIONE

Perché questo libro

Ci si può chiedere a che titolo la lettura di un’opera letteraria, avviata e coordinata da docenti di italiano, si inserisca in un progetto focalizzato su ‘Scienza e Tecnologia’. Questa ricerca su Le città invisibili di Italo Calvino dimostra che l’incontro può essere proficuo e che guardare alla letteratura con le lenti del ragionamento scientifico può offrire stimoli nuovi all’umanista come a chi si occupa di scienza e di tecnologia. La pubblicazione raccoglie i risultati di un’esperienza che si è sviluppata nel corso di alcuni anni scolastici e ha visto il contributo di più insegnanti e di più classi del Liceo scientifico ‘Niccolò Copernico’ di Udine, a partire dalla partecipazione nel 2001 al progetto ‘Il Ciclo dell’Informazione’, promosso dal Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università degli studi di Udine e coordinato da Claudio Mirolo, nell’ambito dei progetti ministeriali SeT (‘Scienza e Tecnologia”). Intendiamo mettere il lavoro a disposizione di chi nella scuola voglia sperimentare con i suoi allievi nuove forme di approccio alla letteratura e stimolanti aperture multidisciplinari, ma abbiamo anche l'ambizione di rivolgerci ai lettori attenti e curiosi che si accostano a Calvino come a un autore ancora attua-

le per comprendere la complessa realtà in cui siamo immersi. Lo spunto iniziale si è rivelato fertile di sviluppi che si sono nutriti via via dei suggerimenti offerti dalla frequentazione quotidiana con Le città invisibili e con il Calvino saggista. L'analisi dell’opera calviniana, condotta su una molteplicità di piani, ci ha guidato infatti verso approfondimenti e collegamenti culturali in direzioni inattese e molto interessanti: — verso l’informatica e la letteratura digitale: ma questo era già messo in conto nelle finalità del progetto e nella scelta di Calvino, autore che descrive se

stesso con l’immagine di «un programmatore in camice bianco al terminale

Introduzione

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-

di un SER elettronico» che «cerca di sfuggire all’angoscia dell’innumerabile... verso la IRE irrinunciabile in un percorso in cui si riflette sulle procedure del pensiero e della conoscenza; verso l’arte: non solo l'architettura ‘utopica’, che all’ispirazione di Calvino ha offerto suggestioni e stimoli forti, ma anche la pittura, che opera attraverso l’occhio e la vista traducendo le immagini mentali in qualcosa di ‘visibile’, e la scultura delle ‘forme aeree’.

Il libro di Calvino è infatti una fonte inesauribile di riflessione sui temi della complessità, della conoscenza, del linguaggio e del pensiero, della funzione della letteratura e dell’arte in un mondo che appare sempre più ‘labirintico’ (appunto la calviniana «sfida al labirinto»), un testo che continua a parlare ai lettori, offrendo nuovi spunti ad artisti e sperimentatori anche multimedial??. Le immagini simboliche che lo stesso Calvino propone riferendosi a Le città invisibili, il poliedro («questo è un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli»*) e la scacchiera (più volte evocata nelle riflessioni di Kublai Kan all’interno del libro), sono state le li-

nee guida del progetto, in cui i temi calviniani, indagati da diversi Aa visuali, si compongono in un intrigante ‘gioco’ combinatorio. Sul finire del nostro lavoro abbiamo avuto la fortuna di incontrare l’opera dell’artista spagnolo Pedro Cano: i suoi acquerelli su Le città invisibili, che rivelano consuetudine e profondo dialogo tra la sensibilità del pittore e il pensiero di Calvino, hanno richiamato subito alla nostra mente passi del testo e concetti a lungo indagati con gli studenti. Alla sua straordinaria generosità dobbiamo le immagini inserite in questa pubblicazione che, proprio perché non rinviano a città reali né vogliono essere trascrizioni visive delle città calviniane, aprono più possibilità interpretative, in piena sintonia con i nostri percorsi. Nel

! CAIVINO IL, Una pietra sopra, quarta di copertina dell'edizione Einaudi 1980, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 2933 (Note e notizie sui testî). ? CALVINO I., La sfida al labirinto (1962), in ID., Una pietra sopra cit., p. 105.

? Significative a questo proposito: la grande esposizione multimediale ‘Le città in/visibili” alla Triennale di Milano (5 novembre 2002 - 9 marzo 2003); le mostre del pittore Pedro Cano (Palermo, 28 gennaio - 27 febbraio 2005; Firenze, 8 ottobre - 24 novembre 2005); l’iniziativa giornalisti-

ca della rivista del Touring Club Italiano (febbraio 2005), che ha chiamato illustri architetti ad identificare in luoghi concreti del paesaggio italiano le immagini di città evocate da Calvino. 4 Testo italiano di una conferenza tenuta da Calvino in inglese, il 29 marzo 1983, agli studenti della Graduate Writing Division della Columbia University di New York, ora in CALVINO I., Le città invisibili, Milano, Mondadori (Oscar), 1993, pp. V-XI (Presentazione). Con il titolo Italo Calvi-

no on Invisible Cities fu pubblicato nel n. 8 della rivista letteraria americana «Columbia», 1983, pp. 37-42, e parti del testo italiano, col titolo Le città invisibili felici e infelici, uscirono in «Vogue Italia», 253 (dicembre 1972), pp. 150-151.

Introduzione

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catalogo della sua mostra fiorentina abbiamo individuato quelle che più ci pare avvalorino — in modo sintetico ed evocativo insieme — l’idea della molteplicità conoscitiva e gli abbinamenti tra le descrizioni di Calvino e i contenuti della nostra ricerca. Ottavia introduce il nostro lavoro come immagine emblematica: è la Venezia di Marco Polo, la città ‘non euclidea’, ma è anche la città-ragnatela, che evo-

ca il ‘labirinto’, è un'immagine intricata e insieme leggera di quella complessità del mondo che Italo Calvino vuole ‘sfidare’ nelle sue pagine letterarie con l’immaginazione, la saggezza e l’ironia. Saranno i lettori a scoprire le ragioni che ci hanno guidato nella scelta delle altre immagini.

Guida alla lettura e ai percorsi ipertestuali Alla base dei percorsi che proponiamo c’è da un lato una metodologia ‘scientifica” applicata ad una ricerca di ambito umanistico, dall’altro una sperimentazione che si muove in un orizzonte pluridisciplinare e considera la cultura come ‘rete di conoscenze’, capace di aiutare gli studenti ad elaborare autonomamente delle sintesi. Proprio perché nato da un’esperienza didattica in un Liceo, il progetto è strutturato passo passo per l'utilizzo in classe (come di fatto è avvenuto), ma la ricca scelta di testi — di Calvino e su Calvino — offre un quadro molto ampio della molteplicità di spunti, suggerimenti, suggestioni che una lettura non convenzionale e non lineare dell’opera calviniana può generare. Il nostro lavoro si articola in cinque Unità di ricerca e di approfondimento, ciascuna incentrata su una tematica che risulta complementare rispetto alle altre, ma autonoma nella sua specificità, consentendo percorsi che rendono il let-

tore parte attiva nell’interpretazione del testo letterario, secondo la volontà dello stesso Calvino. Può essere affrontato in maniera sequenziale, ma si presta anche ad una ‘navigazione’ ipertestuale in cui il lettore può muoversi assecondando le proprie inclinazioni o le proprie curiosità e scegliere i ‘tasselli’ per costruire la ‘scacchiera ideale”. La scacchiera nelle conversazioni tra Marco Polo e Kublai Kan, i due protagonisti, è l'emblema della realtà (la città, il mondo, la vita) che si cerca di co5 «Con Le città invisibili Italo Calvino ha scritto il suo libro più appartato, ma forse anche il più meditato e sfaccettato. Un libro che propone più domande che risposte, che procede discutendo se stesso e interrogandosi, che si lascia percorrere in direzioni divergenti e su strati sovrap-

posti, che si costruisce in una forma elaborata e compiuta ma che ogni lettore può scomporre e ricomporre seguendo il filo delle sue ragioni e dei suoi umori». CALVINO I, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1972, risvolto di copertina che si ritiene di mano di Calvino stesso.

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Introduzione

noscere impadronendosi delle ‘regole del gioco’. Fin dall’inizio anche noi per introdurre tutto il progetto abbiamo pensato ad una immagine sintetica che evoca la scacchiera (ora visibile nel CD allegato): al centro si pone l'Unità A, A cavallo tra letteratura e informatica, proprio perché è la parte in cui si indagano e si ricostruiscono queste regole, mai esaustive e sempre aperte a nuove sfide che conducono alle altre Unità. Italo Calvino: le ragioni di una scelta Molteplici interessi culturali e un’incessante sperimentazione accompagnano tutta la produzione di Calvino. Intellettuale impegnato, animato da profonda eticità, si è posto in rapporto dialettico con i grandi cambiamenti storico-culturali del suo tempo, dal secondo dopoguerra agli ultimi decenni del Novecento, sempre desideroso di affrontare i problemi complessi posti dalla modernità. Mente lucida e profonda come pochissime altre nel panorama letterario italiano, proteso a comunicare in uno stile chiaro, essenziale, efficace, ci è parso

un caso esemplare, modello di sintesi e di rigore espositivo, proprio perché del tutto esente dalla secolare tradizione retorica italiana. Calvino risulta essere più di altri un autore capace di ‘parlare’ ai ragazzi d’oggi — perché tocca, oltre alle corde della ragione, quelle della fantasia, dell’ironia, del paradossale — e di sollecitarli a riflettere sull’attualità in cui sono immersi. Ma non solo. Lo sforzo metacognitivo di Calvino, che riesce a distaccarsi dalle sue opere, ad analizzarle e ‘criticarle’ incessantemente, non può che aiutare i lettori a riflettere su quanto essi stessi vivono e producono, per ricostruire i percorsi di

analisi e di apprendimento, insomma per prendere coscienza delle procedure del loro pensiero. In questo ambito Le città invisibili, opera che non rientra in nessuna delle categorie consuete di romanzo o di racconto, è un vero e proprio ipertesto, a

cui manca solo l'apporto del computer per realizzare i link. Di fatto rompe i canoni tradizionali della testualità cartacea rispetto a due parametri fondamenta-

° «[Kublai] Pensò: ‘Se ogni città è come una partita a scacchi, il giorno in cui arriverò a cono-

scerne le regole possiederò finalmente il mio impero, anche se mai riuscirò a conoscere tutte le città che contiene. [...] bastava una scacchiera coi suoi pezzi dalle forme esattamente classificabili». (Cornice VIILA: con il numero romano indichiamo il capitolo di riferimento e con A e B la collocazione in apertura, A, o in chiusura, B). CALVINO IL, Le città invisibili, ora in ID., Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. 461. Già in Cibernetica e fantasmi Calvino scriveva «la nostra mente è una scacchiera» (cfr. Unità E, Lezione I, AII 1).

Introduzione

I)

li: l’organizzazione e la gerarchia interna delle parti oltre che il rapporto autore/lettore. Ci è parsa quindi opera particolarmente significativa per compren-

dere la dimensione algoritmica dell’attività letteraria.

L'utilizzo in chiave didattica: finalità ed obiettivi Un lettore poco addentro al mondo della scuola, in alcuni passaggi, può forse sen-

tirsi respinto dal linguaggio tipico della programmazione didattica, ma il libro vuole essere una testimonianza viva e, speriamo efficace, di come si possa insegnare e imparare in modo nuovo e creativo, al di là delle formule burocratiche. Sul piano dell’insegnamento Calvino è autore che consente un approccio graduale, in quanto si inserisce bene nei programmi curricolari di momenti diversi del percorso scolastico: nel biennio delle scuole superiori, in cui è diffusa l’abitudine di far leggere le sue opere del filone ‘fantastico’, da Marcovaldo alla Trilogia degli antenati; nel penultimo anno di studi superiori, in cui l’analisi della figura di Ludovico Ariosto e di quell’opera centrale del Rinascimento che è l’Orlando furioso (poema molto amato e ‘riscritto’ da Calvino stesso per i lettori del Novecento) induce a confronti stimolanti e proficui, in particolare con la sua prima opera ‘sperimentale’, I/ castello dei destini incrociati (1969), un testo che anche per noi è stato il punto di partenza della sperimentazione’. Nell’ultimo anno la trattazione di un autore come Calvino può utilmente collegarsi allo sviluppo di una unità didattica sul genere ‘romanzo’ (che parta dal Settecento inglese, fino appunto allo sperimentalismo e alle esperienze di ‘ingegneria letteraria’ di fine Novecento), ma può anche — come abbiamo fatto noi — essere anti-

cipata come Modulo a sé stante, nella linea di una didattica innovativa. Come si è detto, essenziale fin dall’inizio è stata la valenza pluridisciplinare del progetto intorno a questo testo letterario ‘speciale’, in cui convergono aspetti della cultura umanistica e aspetti della cultura scientifico-tecnologica. Obiettivi formativi importanti, come stimolare la curiosità individuale e la creatività, motivare alla ricerca e all'autonomia d’indagine e abituare al lavoro d’équipe, sono stati sempre perseguiti insieme a quelli cognitivi di carattere generale, relativi allo sviluppo delle capacità di analisi e sintesi, di classificazione e confronto, e poi di rielaborazione e giudizio critico, oltre che di astrazione e

formalizzazione. Negli schemi di lavoro che precedono ogni Unità (A-B-C-DE) vengono di volta in volta segnalati in dettaglio gli obiettivi specifici relativi all'acquisizione di conoscenze e competenze.

? Le Esperienze di lettura intorno a Italo Calvino, condotte nel 2001 nello stesso Liceo da due insegnanti di italiano, Franca Alborini e Valter Peressini, e da alcuni loro allievi, sono ora pubbli-

cate nel volume miscellaneo QUAINO O., TRIFILETTI G. (a cura di), Il Copernico. Dal passato pros-

simo al prossimo futuro. La superadditività, Udine, Forum, 2004. Quanto ai legami tra I/ castello e Le città invisibili si veda Unità B.

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Introduzione

Percorso di lavoro

Ogni Unità è introdotta da indicazioni metodologiche ed è struttufata in Lezioni, così da consentire immediatamente la fruizione didattica dell’ampia scelta di testi e documenti (gli Allegati), che costituiscono il materiale cui attingere per l’organizzazione delle attività, ma che offrono anche al lettore non strettamente legato al mondo della scuola una guida per cogliere le diverse sfaccettature del pensiero e dell’opera di Calvino. A chi si appresta ad avviare questa esperienza consigliamo da un lato di tenere sotto mano le descrizioni de Le città invisibili, perché a noi è capitato ad ogni rilettura, anche parziale, di fare sempre nuove ‘scoperte’, e dall’altro di prendere il nostro lavoro come punto di riferimento, ma di attingere il più possibile alla ‘fonte Calvino”, cioè alle altre sue opere, alle interviste, e soprattutto alla saggistica. Interrogare direttamente il pensiero di Calvino per trovare sostegno e conferma alle nostre intuizioni è stata la linea fondante di tutta la ricerca. È Calvino stesso la vera miniera di spunti di riflessione! Le testimonianze calviniane riportate in questa pubblicazione sono ricavate dai Saggi e dai Romanzi e racconti dell'edizione Mondadori dei Meridiani. Presentazione del CD

Il CD ipertestuale, allegato alla pubblicazione, è stato lo sbocco naturale di una ricerca la cui originalità consiste nell'aver esplicitato i nodi concettuali e gli intrecci trasversali che un approccio pluridisciplinare a Le città invisibili fa emergere. L’opera di Calvino, che non rientra in nessuna delle categorie consuete di romanzo o di racconto, è di per sé un ipertesto, è la ‘rete dei possibili’ che apre la strada ad una molteplicità di conoscenze, ma è necessario il computer per ‘visualizzare’ i link. In questo senso il CD consente di ‘navigare’ all’interno dei tre itinerari della letteratura, della scienza e dell’arte, che costituiscono una sintesi ma anche

un'integrazione, soprattutto figurativa, dell’intero progetto. Sono stati inseriti nel CD tutti gli Allegati presenti nel volume per facilitarne l'utilizzo didattico: è nostro intento infatti che diventino il punto di partenza per la lettura integrale delle opere calviniane non solo di narrativa, ma anche di saggistica.

UNITÀ A

ERSILIA Le città e gli scambi. 4. ...gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case... Tessono con i fili una figura che vorrebbero più complicata e insieme più regolare... .. ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.

A CAVALLO TRA LETTERATURA E INFORMATICA

Nel modo in cui la cultura d’oggi vede il mondo, c’è una tendenza che affiora contemporaneamente da varie parti: il mondo nei suoi vari aspetti viene visto sempre più come

discreto e non come continuo. Impiego il termine «discreto» nel senso che ha in matematica: quantità «discreta» cioè che si compone di parti separate. Il pensiero, che fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido, evocava in noi immagini lineari come un fiume che scorre o un filo che si sdipana, oppure immagini gassose, come una specie di nuvola, tant'è vero che veniva spesso chiamato «lo spirito», — oggi tendiamo a vederlo come una serie di stati discontinui, di combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito) di organi sensori e di controllo. [...] Il processo in atto oggi è quello d’una rivincita della discontinuità, divisibilità, combinatorietà, su tutto ciò che è corso continuo [...] I processi che parevano i più refrattari a una formulazione numeri-

ca, a una descrizione quantitativa, vengono tradotti in modelli matematici.

Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi... Poi, l'informatica. È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell'hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo da elaborare programmi sempre più complessi?.

[...] la mia ricerca dell’esattezza si biforcava in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni

e dimostrare teoremi; e dall’altra parte lo sforzo delle parole per rendere conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose.

Ne Le città invisibili il tema della città è il fulcro di un’operazione letteraria molto particolare: Calvino ha scelto, come dice lui stesso, di «concentrare su un ! CALVINO I., Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), 1967, in In., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 209, 210ZIE 2 CAIVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi cit., I,

p. 636 (Leggerezza). 3 Ivi, p. 691 (Esattezza).

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Unità A

unico simbolo» capace «di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane» tutte le sue «riflessioni», «esperienze», «congetture»*.

L’opera esprime in maniera emblematica la bipolarità dell'autore, sempre oscillante tra lo slancio utopico di una volontà razionalizzatrice che si traduce nella ricerca di modelli geometrico-matematici, e la costante attenzione alla realtà complessa, fluida, ‘continua’ delle vite e delle esperienze umane, qui rappresentata dalla condizione esistenziale massificata e spersonalizzante che caratterizza la «megalopoli... che va coprendo il mondo»?. Bene esprimono questa duplicità le figure contrapposte del cristallo, «una forma regolare, un asse di rotazione, una costanza di diedri», e del vetro, «una pasta di molecole alla

rinfusa che ha invaso e cementato il mondo». È interessante osservare a questo riguardo come l’analisi, che proponiamo nell'Allegato 1 della Lezione III, condotta da una insegnante di matematica sulle simmetrie presenti nello schema che raffigura la struttura combinatoria del libro, giunga a una conclusione che conferma questa duplicità, individuando una coppia contrapposta: festa = improvvisazione = disordine e simmetria = organizzazione = ordine. Le attività di questa Unità sono rivolte a stimolare l’intuito e la:creatività degli studenti nel ‘gioco’ di ricostruzione della struttura combinatoria del libro: attraverso lo smontaggio e il rimontaggio de Le città invisibili è possibile infatti riflettere sulle procedure del pensiero e sulla dimensione algoritmica della letteratura come forma di conoscenza e di rappresentazione della realtà, una realtà che si presenta come un puzzle di frammenti, di elementi talvolta contrastanti. Sulla linea della discontinuità, della divisibilità, della combinatoria, l’au-

tore affronta la complessità del reale scomponendo l’immagine-simbolo della città in 11 categorie e in 5 livelli per ciascuna categoria (le 55 città descritte nel libro), spezza cioè il ‘continuo’ in porzioni ‘discrete’ e ricompone poi il tutto secondo uno schema combinatorio che è stato oggetto di numerose analisi e congetture da parte dei critici. Partire dall’indice del libro (Lezione I, All. 3) per ricostruirne la particolare struttura, e tenere sottomano le descrizioni delle città, è stato per gli studenti il primo passo che li ha guidati all’identificazione dei modelli di rappresentazione della realtà che Calvino attinge dai più diversi campi del sapere, in partico-

*Ivî, p..689. ° CALVINO I., Le città invisibili, Milano, Mondadori (Oscar), 1993, p. IX (Presentazione). ° CALVINO L., I cristalli, in ID., Ti con zero, 1967, in Ip., Romanzi e racconti, edizione diretta da Claudio Milanini, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meri-

diani), 1992, pp. 248-251.

A cavallo tra letteratura e informatica

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lare dalle discipline logico-matematiche: le forme geometriche, le simmetrie, le serie, la combinatoria, le proporzioni numeriche che l’autore stesso dichiara di avere utilizzato in chiave della fedeltà all’idea di limite, di misura. Il confronto

con le interpretazioni degli studiosi è venuto in seguito. L'Unità risulta centrale nella direzione di un superamento della dicotomia tra cultura umanistica e cultura scientifico-tecnologica: attraverso l’identificazione dei processi e dei concetti che sono alla base dell’opera, e che l’autore stesso in numerosi passi della sua produzione saggistica sottolinea (Lezione I, All. 1), si possono infatti stabilire interessanti confronti con gli analoghi processi che sono alla base dell'informatica. Partendo dall’identificazione dei ‘segni’ (l'indice, i corsivi o ‘cornici’ che

aprono e chiudono i singoli capitoli, i dati e le informazioni sulle città ricavabili dal testo) si passa, attraverso l’interpretazione, alla ricerca dei significati, alla riflessione sul linguaggio, sulla sintassi (regole sottese alla struttura e rappresentabili attraverso schemi) e sulla semantica (studio dei significati in rapporto al contesto e alle assunzioni di fondo). La partecipazione attiva e creativa degli studenti è fondamentale perché permette loro di sperimentare direttamente gli stessi processi cognitivi che es-

si hanno identificato nell’opera letteraria, e che sono oggetto dell’analisi filosofico-epistemologica all’interno della Unità D, Ménage a trois: letteratura, scienza e filosofia. Le attività sono strettamente complementari con l'approccio all'autore proposto nell’Unità B, Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione, che fornisce un quadro esauriente degli interessi culturali dello scrittore, della sua ine-

sauribile ricerca e sperimentazione, della sua apertura alle forme più innovative della letteratura europea. Su questa linea si pone il CD allegato che mette in evidenza, attraverso una sintesi ipertestuale, gli intrecci e i nodi trasversali tra il percorso ‘informatico’ e il percorso ‘letterario’, e propone le descrizioni delle città ‘invisibili’ che, a nostro avviso, meglio illustrano i concetti e le procedure che sono stati analizzati. Per un utilizzo didattico l’Unità è strutturata in quattro Lezioni, incentrate su specifici obiettivi di apprendimento e corredate da indicazioni metodologiche.

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Unità A

Obiettivi Conoscenze

-—

dati e informazioni sulla struttura e sui contenuti del libro;

— — —

lo schema di Calvino e gli schemi dei critici; altre proposte di descrizione della struttura del libro; imodelli a cui Calvino attinge; concetti e terminologia.

Competenze



analisi e interpretazione di schemi;

— — —

documentazione e ricerca individuale; individuazione e formalizzazione di modelli; confronto di schemi e strutture;

— —

formulazione di ipotesi e congetture; elaborazione di un algoritmo.

LEZIONE | La combinatoria ne Le città invisibili

Contenuti

concetti, tecniche e procedure alla base del racconto secondo Italo Calvino (All 1); Calvino presenta Le città invisibili (Lezione I, All 2); lettura guidata dell’indice del libro (Lezione I, All 3);

il ‘sistema semplice’ di Calvino (Lezione I, All. 4). Attività per gli studenti Gli studenti, dopo aver esaminato l’indice de Le città invisibili e i testi degli Allegati, vengono invitati a rappresentare in forma di struttura geometrico-numerica l’indice del libro. L’Allegato 5 della Lezione I presenta alcuni esempi di schemi congetturati da studenti del Liceo.

Metodologia compresenza degli insegnanti di lettere e di matematica-informatica; proiezione e presentazione di schemi, lettura ed analisi dei testi in allegato; lavori di gruppo in cui gli studenti propongono i loro schemi e le loro congetture;

discussione e confronto.

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Unità A

Allegato 1 Linee, geometrie, rapporti numerici, simmetrie...: Calvino riflette sulle procedure della narrativa

Dalla mia cella, poco posso dire di come è fatto questo castello d’If in cui mi trovo da tanti anni imprigionato. [...] io partendo dal disordine di questi dati, vedo in ogni ostacolo isolato l’indizio d’un sistema d’ostacoli, sviluppo ogni segmento in una figura regolare, saldo queste figure come facce di un solido, poliedro o iperpoliedro, iscrivo questi poliedri in sfere o in ipersfere, e così più chiudo la forma della fortezza più la semplifico, definendola in un rapporto numerico o in una formula algebrica. [...] Queste intersezioni rendono ancor più

complicato il calcolo delle previsioni; vi sono punti in cui la linea che uno di noi sta seguendo si biforca, si ramifica, s'apre a ventaglio; ogni ramo può incontrare rami che si dipartono da altre linee. [...] Le intersezioni tra le varie linee ipotetiche definiscono una serie di piani che si dispongono come le pagine di un manoscritto sulla scrivania di un romanziere. [...] I diagrammi che io e Faria tracciamo sulle pareti della prigione assomigliano a quelli che Dumas verga sulle sue cartelle per fissare l’ordine delle varianti prescelte. [...] Disponendo una dopo l’altra tutte le continuazioni che permettono d’allungare la storia, probabili o improbabili che siano, si ottiene la linea a zigzag del Montecristo di Dumas; mentre collegando le circostanze che impediscono alla storia di continuare si disegna la spirale di un romanzo in negativo, d’un Montecristo col segno meno. CALVINO I., I/ conte di Montecristo, 1967, in ID., Ti con zero, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 344, 350, 353-354, 355.

La narrativa orale primitiva, così come la fiaba popolare quale si è tramandata fin quasi ai nostri giorni, si modella su strutture fisse, quasi potremmo dire su elementi prefabbricati, che permettono però un enorme numero di combinazioni: Vladimir Propp, studiando le fiabe russe, era giunto alla conclusione che tutte le fiabe fossero come varianti d’un’unica fiaba, e potessero essere scomposte in un numero finito di funzioni narrative. Quarant'anni più tardi, Claude Lévi-Strauss, lavorando sui miti degli indiani del Brasile, vede in essi un si-

stema d’operazioni logiche tra termini permutabili, tali da poter essere studiate coi procedimenti matematici dell’analisi combinatoria. CALVINO I., Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), 1967, in Ip., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 207.

A cavallo tra letteratura e informatica

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La tecnica della narrazione orale nella tradizione popolare risponde a criteri di funzionalità: trascura i dettagli che nofi servono ma insiste sulle ripetizioni, per esempio quando la fiaba consiste in una serie di ostacoli da superare. Il piacere infantile d’ascoltare storie sta anche nell’attesa di ciò che si ripete: situazioni, frasi, formule. Come nelle poesie e nelle canzoni popolari le rime scandiscono il ritmo [...]. La letteratura ha elaborato varie tecniche per ritardare la corsa del tempo: ho già ricordato l’iterazione [....]. CALVINO I, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 660, 668 (Rapidità)

Volevo parlarvi della mia predilezione per le forme geometriche, per le simmetrie, per le serie, per la combinatoria, per le proporzioni numeriche, spiegare le cose che ho scritto in chiave della mia fedeltà all’idea di limite, di misura... Ma

forse è proprio questa idea che richiama quella di ciò che non ha fine: la successione dei numeri interi, le rette di Euclide... Forse piuttosto che parlare di come ho scritto quello che ho scritto, sarebbe più interessante che vi dicessi i

problemi che non ho ancora risolto, che non so come risolverò e cosa mi porteranno a scrivere... Alle volte cerco di concentrarmi sulla storia che vorrei scrivere e mi accorgo che quello che mi interessa è un’altra cosa, ossia, non una

cosa precisa ma tutto ciò che resta escluso dalla cosa che dovrei scrivere; il rapporto tra quell’argomento determinato e tutte le sue possibili varianti e alternative, tutti gli avvenimenti che il tempo e lo spazio possono contenere. E un’ossessione divorante, distruggitrice, che basta a bloccarmi. Per combatterla,

cerco di limitare il campo di quel che devo dire, poi a dividerlo in campi ancor più limitati, poi a suddividerli ancora, e così via. E allora mi prende un’altra

vertigine, quella del dettaglio del dettaglio del dettaglio, vengo risucchiato dall’infinitesimo, dall’infinitamente piccolo, come prima mi disperdevo nell’infinitamente vasto. CALVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi,.I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 686-687 (Esattezza).

Nelle Città invisibili ogni concetto e ogni valore si rivela duplice: anche l’esattezza: Kublai Khan a un certo momento impersona la tendenza razionalizzatrice, geometrizzante o algebrizzante dell'intelletto e riduce la conoscenza del suo impero alla combinatoria dei pezzi di scacchi di una scacchiera: le città che Marco Polo gli descrive con grande abbondanza di particolari, egli le rappresenta con una 0 un’altra disposizione di torri, alfieri, cavalli, re, regine, pedine,

sui quadrati bianchi e neri. La conclusione finale a cui lo porta questa operazione è che l’oggetto delle sue conquiste non è altro che un il tassello di legno sul quale ciascun pezzo si posa: un emblema del nulla... Ma in quel momento

26

Unità A

avviene un colpo di scena: Marco Polo invita il Gran Khan a osservare meglio quello che gli sembra il nulla: [...] Il Gran Kan cercava di immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del gioco a sfuggirgli. Il fine di ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Qual era la vera posta? Allo scacco matto, sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del vincitore, resta il nulla: un quadrato nero o bianco. [...] La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai [...] (cornice VIII-B).

Dal momento in cui ho scritto quella pagina mi è stato chiaro che la mia ricerca dell’esattezza si biforcava in due direzioni: da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni e dimostrare teoremi; e dall’altra parte lo sforzo delle parole per rendere conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose. In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti che corrispondono a due diversi tipi di conoscenza: una che si muove nello spazio mentale d’una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; l’altra che si

muove in uno spazio gremito di oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio riempiendo la pagina di parole, con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non

dicibile. Sono due diverse pulsioni verso l’esattezza che non arriveranno mai alla soddisfazione assoluta: l’una perché le lingue naturali dicono sempre qualcosa in più rispetto ai linguaggi formalizzati, comportano una certa quantità di rumore che disturba l’essenzialità dell’informazione; l’altra perché nel render conto della densità e continuità del mondo che lo circonda il linguaggio si rivela lacunoso, frammentario, dice sempre qualcosa in zero rispetto alla totalità dell’esperibile. CALVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 690-691 (Esattezza).

C'è chi crede che la parola sia il mezzo per raggiungere la sostanza del mondo, la sostanza ultima, unica, assoluta; più che rappresentare questa sostanza la parola si identifica con essa (quindi è sbagliato dire che è un mezzo): c’è la parola che conosce solo se stessa, e nessun’altra conoscenza del mondo è possibile. C'è invece chi intende l’uso della parola come un incessante inseguire le cose, un’approssimazione non alla loro sostanza ma all’infinita loro varietà, uno sfiorare la loro multiforme inesauribile superficie. CALVINO I, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 693 (Esaztezza).

A cavallo tra letteratura e informatica

DI

[...] negli ultimi racconti che chiudono il volume Ti cor zero ho cercato di fare diventare racconto un mero ragionamento deduttivo e forse — qui sì — mi sono allontanato dall’antropomorfismo: o meglio, da un certo antropomorfismo, perché queste presenze umane definite solo da un sistema di relazioni, da una funzione, sono proprio quelle che popolano il mondo intorno a noi, nella nostra vita di ogni giorno, buona o cattiva che possa apparirci questa situazione. CALVINO IL, Due interviste su scienza e letteratura, 1968, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 234.

Citiamo anche alcune interessanti osservazioni di un geografo, Giuseppe Dematteis, il quale interpreta i dialoghi tra Kublai Kan e Marco Polo ne Le città invisibili come una sorta di ‘parafrasi’ dei problemi della geografia moderna.

Così, ormai da quasi un secolo, ogni geografo degno di questo nome, rinunciando all’illusione di scoprire nuove terre, s'era sforzato di trarre nuove immagini del Pianeta da terre già note; aveva cercato «città invisibili», che, con quelle del Marco Polo di Calvino, hanno in comune l’ansia di «discernere, at-

traverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti». [...] Se i cammini dell’induzione e del caso non bastano, pensarono allora i geografi, proviamo a combinarli con il mezzo potente della deduzione che ci permetterà di trasformare la Terra da «luogo delle complicazioni superflue e delle approssimazioni confuse» a sistema rigoroso di relazioni spaziali prevedibili. Con ciò essi pensavano anche di far raggiungere finalmente alla geografia lo stato prestigioso di «scienza». Tale fu l'illusione della geografia teorico-quantitativa, nata alla fine degli anni Cinquanta tra il Baltico, il mare del Nord, il lago Michigan e la costa del Pacifico. Simile è l’illusione di Kublai a giudicare da ciò che dice quando Marco gli «descrive un ponte, pietra per pietra. [...] — Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m'importa. Polo risponde: — Senza pietre non c’è arco». DEMATTEIS G., Dal Marco Polo di Italo Calvino al linguaggio delle cose nella geografia d'oggi, in

BERTONE G. (a cura di), Italo Calvino. La letteratura, la scienza, la città, Atti del convegno nazionale di studi (Sanremo, 28-29 novembre 1986), Genova, Marietti, 1986, pp. 94-95.

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Unità A

Allegato 2 Calvino presenta Le città invisibili

Nelle Città invisibili non si trovano città riconoscibili. Sono tutte città inventate; le ho chiamate ognuna con un nome di donna; il libro è fatto di brevi capitoli, ognuno dei quali dovrebbe offrire uno spunto di riflessione che vale per ogni città o per la città in generale. Il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni. Io nello scrivere vado a serie: tengo tante cartelle dove metto le pagine che mi capita di scrivere, secondo le idee che mi girano per la testa, oppure soltanto appunti di cose che vorrei scrivere. Ho una cartella per gli oggetti, una cartella per gli animali, una per le persone, una cartella per i personaggi storici e un’altra per gli eroi della mitologia; ho una cartella sulle quattro stagioni e una sui cinque sensi; in una raccolgo pagine sulle città e i paesaggi della mia vita e in un’altra città immaginarie, fuori dallo spazio e dal tempo. Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori.

Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse. Per qualche tempo mi veniva da immaginare solo città tristi e per qualche tempo solo città contente; c’è stato un periodo in cui paragonavo le città al cielo stellato, e in un altro periodo invece mi veniva sempre da parlare della spazzatura che dilaga fuori dalle città ogni giorno. Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni; tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici. Ma tutte queste pagine insieme non facevano ancora un libro: un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perder-

si, ma a un certo punto trovare un'uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori. Qualcuno di voi mi può dire che questa definizione può valere per un romanzo a intreccio, e non per un libro come questo, che si deve leggere come si leggono i libri di poesie, o di saggi, o tutt’al più di racconti. Ebbene, voglio appunto dire che anche un libro così, per essere un libro, deve avere una costruzione, cioè vi si deve poter scoprire un intreccio, un itinerario, una soluzione.

A cavallo tra letteratura e informatica

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Libri di poesie non ne ho mai fatti, ma libri di racconti ne ho fatti diversi e

mi sono trovato di fronte al problema di dare un ordine ai singoli pezzi, che può diventare un problema angoscioso. Questa volta fin da principio avevo messo in testa a ogni pagina il titolo d’una serie: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni; una quarta serie l’avevo chiamata Le città e la forma, titolo che poi si rivelò troppo generico e finì per essere spartito tra altre categorie. Per un certo tempo, andando avanti a scrivere città, ero incerto tra il

moltiplicare le serie, o restringerle a pochissime (le prime due erano fondamentali), o farle sparire tutte. Tanti pezzi non sapevo classificarli e allora cercavo delle definizioni nuove. Potevo fare un gruppo delle città un po’ astratte, aeree, che finii per chiamare Le città sottili. Alcune potevo definirle Le città duplici, ma poi mi venne meglio distribuirle in altri gruppi. Altre serie dapprincipio non le avevo previste: sono saltate fuori all’ultimo, ridistribuendo pezzi che avevo classificato altrimenti, soprattutto come «memoria» e «desiderio», per

esempio Le città e gli occhi (caratterizzate da proprietà visive) e Le città e gli scambi, caratterizzate dagli scambi: scambi di memorie, di desideri, di percorsi, di destini. Le continue e le nascoste, invece, sono due serie che ho scritto 4pposta, cioè con un’intenzione precisa, quando avevo già cominciato a capire la

forma e il senso da dare al libro. È sulla base del materiale che avevo accumulato che ho studiato la struttura migliore, perché volevo che queste serie si alternassero, si intrecciassero, e nello stesso tempo il percorso del libro non si distaccasse troppo dall’ordine cronologico in cui i singoli pezzi erano stati scritti. Alla fine ho deciso di fissarmi su 11 serie di 5 pezzi ciascuna, raggruppati in capitoli formati da pezzi di serie diverse che avessero un certo clima in comune. Il sistema con cui le serie si alternano è il più semplice possibile, anche se c’è chi ci ha studiato molto per spiegarlo. Non ho ancora detto la cosa che avrei dovuto dire per prima: Le città invisibili si presenta come una serie di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan imperatore dei Tartari. (Nella realtà storica, Kublai, discendente di

Gengis Kan, era imperatore dei Mongoli, ma Marco Polo nel suo libro lo chiama Gran Kan dei Tartari e tale è rimasto nella tradizione letteraria). Non che mi sia proposto di seguire gli itinerari del fortunato mercante veneziano che nel Duecento era arrivato fino in Cina, e di là, come ambasciatore del Gran Kan,

aveva visitato buona parte dell’Estremo Oriente. Adesso l'Oriente è un tema che va lasciato ai competenti, e io non sono tale. Ma in tutti i secoli ci sono stati poeti e scrittori che si sono ispirati al Milione come a una scenografia fantastica ed esotica: Coleridge in una sua famosa poesia, Kafka nel Messaggio dell'Imperatore, Buzzati nel Deserto dei Tartari. Solo Le Mille e una notte possono vantare una sorte simile: libri che diventano come continenti immaginari in cui altre opere letterarie troveranno il loro spazio; continenti dell’«altrove», oggi

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Unità A

che l’‘altrove’ si può dire che non esista più, e tutto il mondo tende a uniformarsi.

A questo imperatore melanconico, che ha capito che il suo sterminato potere conta ben poco perché tanto il mondo sta andando in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili, per esempio una città microscopica

che s’allarga s’allarga e risulta costruita di tante città concentriche in espansione, una città-ragnatela sospesa su un abisso, o una città bidimensionale come Moriana.

Ogni capitolo del libro è preceduto e seguito da un «corsivo» in cui Marco Polo e Kublai Kan riflettono e commentano. Il primo pezzo di Marco Polo e Kublai Kan l’avevo scritto per primo e solo più tardi, quand’ero avanti con le città, pensai di scriverne degli altri. O dirò meglio, il primo pezzo l’avevo lavorato molto e m’era avanzato molto materiale, e a un certo punto portai avanti diverse varianti di questi avanzi (le lingue degli ambasciatori, le gesticolazioni di Marco) e vennero fuori discorsi diversi. Man mano che andavo avanti a scrivere città sviluppavo delle riflessioni sul mio lavoro come commenti di Marco Polo e del Kan e queste riflessioni tiravano ognuna dalla sua parte; e io cercavo di lasciare che ogni discorso avanzasse per conto suo. Così ho avuto un altro insieme di materiale che ho cercato di far correre parallelamente al resto e lì ho fatto un po’ di montaggio nel senso che certi dialoghi si spezzano e poi riprendono, insomma il libro si discute e si interroga mentre si fa. [...] Quasi tutti i critici si sono soffermati sulla frase finale del libro: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo dura-

re, e dargli spazio». Dato che sono le ultime righe, tutti hanno considerato questa come la conclusione, la «morale della favola». Ma questo è un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli; e anche di non meno epigrammatiche o epigrafiche di quest’ultima. Certo, se questa frase è capitata in fine del libro non è a caso, ma cominciamo col dire che quell’ultimo capitoletto ha una conclusione duplice, i cui elementi sono entrambi necessari: sulla città d’utopia (che anche se non scorgiamo non possiamo smettere di cercare) e sulla città infernale. E ancora: questa è solo l’ultima parte del «corsivo» sugli atlanti del Gran Kan, per il resto piuttosto trascurato dai critici, e che dal primo pezzo all’ultimo non fa che proporre varie possibili ‘conclusioni’ a tutto il libro. Ma c’è anche l’altra via, quella che sostiene che il senso di un libro simmetrico va cercato nel mezzo: ci sono critici psicoanalitici che hanno trovato le radici profonde del libro nelle evocazioni veneziane di Marco Polo, come un ritorno ai primi archetipi della memoria; mentre studiosi di semiologia strutturale hanno detto che è nel punto esattamente centrale del libro che bisogna cercare: e hanno trovato un’immagine di

A cavallo tra letteratura e informatica

DI

assenza, la città chiamata Bauci. Quiè chiaro che il parere dell’autore è di troppo: il libro, come ho spiegato, si è fatto un po’ da sé, ed è solo il testo com’è che può autorizzare o escludere questa o quella lettura. Come lettore tra gli altri, posso dire che nel capitolo quinto, che sviluppa nel cuore del libro un tema di leggerezza stranamente associato al tema città, ci sono alcuni dei pezzi che considero migliori come evidenza visionaria, e forse queste figure più filiformi («città sottili» o altre) sono la zona più luminosa del libro. Non saprei dire di più. CALVINO I., Le città invisibili, Milano, Mondadori (Oscar), 1993, pp. V-XI (Presentazione).

Unità A

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Allegato 3 Le città invisibili: indice

Le Le Le Le Le Le Le Le Le Le

città città città città città città città città città città

Le città e la memoria. Le città e la memoria. Le città e il desiderio. Le città e la memoria. Le città e il desiderio. NWENE e i segni. 1. e la memoria. 4. e il desiderio. 3. e i segni. 2. Le città sottili. 1.

e i segni. 5. sottili. 4.

Le città e gli occhi. 5.

e gli scambi. 3. e gli occhi. 2.

Le città e i morti. 3. Le città e il cielo. 2. Le città continue. 1.

e il nome. 1.

Le città e il nome. 4.

sesso

sottili. 5.

Le città e gli scambi. 4. Le città e gli occhi. 3. Le città e il nome. 2. Le città e i morti. 1.

Le città e il nome. 5. Le Le Le Le

città città città città

e i morti. 4. e il cielo. 3.

Le Le Le Le

città e i morti. città e il cielo. città continue. città nascoste.

Le Le Le Le

città città città città

continue. 2. nascoste. 1.

Le città e la memoria. 5. Le città e il desiderio. 4. Le.cinma'eltsegni 3. Le città sottili. 2.

Le città e gli scambi. 1.

Le città e gli scambi. 5. Le città e gli occhi. 4. Le città e il nome. 3. Le città e i morti. 2.

Le città e il cielo. 1.

Le città e il desiderio. 5. Le città e i segni. 4.

Le città sottili. 3. Le città e gli scambi. 2. Le città e gli occhi. 1. DOGE

DOCS

5 4. 3 2. Le città e il cielo. 5. Le città continue. 4. nascoste. continue. nascoste. nascoste.

3. 5. 4. 35.

A cavallo tra letteratura e informatica

DE)

Allegato 4 Il ‘sistema semplice’ di Calvino

Sulla struttura combinatoria del libro la critica si è esercitata a lungo, anche se Calvino definisce semplice il suo sistema. Alcuni schemi ipotizzati dai critici sono riportati negli Allegati 1-7 della Lezione II. Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse. [...] Ma tutte queste pagine insieme non facevano ancora un libro: [...] mi sono trovato di fronte al problema di dare un ordine ai singoli pezzi, che può diventare un problema angoscioso. [...] Alla fine ho deciso di fissarmi su 11 serie di 5 pezzi ciascuna, raggruppati in capitoli formati da pezzi di serie diverse che avessero un certo clima in comune. Il sistema con cui le serie si alternano è il più semplice possibile, anche se c’è chi ci ha studiato molto per spiegarlo. CALVINO I., Le città invisibili, Milano, Mondadori (Oscar), 1993, pp. VI-VII (Presentazione). [Cfr. Lezione I, All. 2].

Quando cominciai Le città invisibili [...] avevo solo una vaga idea di ciò che sarebbe stata l’architettura del libro. Poi a poco a poco il disegno divenne così importante che sostenne il libro intero, divenne la trama di un libro che non ha trama [...] Intervista a Calvino di Damien Pettrigrew e William Weawer, in «La Repubblica», 10 settembre E9957

Lo schema che esprime visivamente il sistema che Calvino definisce semplice è stato ritrovato nei suoi appunti ed è riportato da Mario Barenghi.

Negli appunti di Calvino la disposizione delle città è raffigurata da una griglia obliqua, leggibile in tre sensi. L'ordine normale (da sinistra a destra e dall’alto in basso) corrisponde alla successione dei capitoli (il cap. I comprende il triangolo superiore, il cap. IX quello inferiore, i capp. II-VIII una riga ciascuno). La serie delle colonne verticali corrisponde alla successione delle rubriche; le linee diagonali riproducono l’ordine numerico.

Unità A

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UDAUWUWNIT UDWUNIH DBDWNwr U

IDIUWINT UWUN UNA

UDAUWUNIT UBDWNT UDUWUNIH UDUWUNI UDWNwI NALIN

BARENGHI M., Note e notizie sui testi, in CALVINO IL, Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. 1360.

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Allegato 5 Gli studenti propongono i loro schemi e le loro congetture

Studio delle sequenze numeriche dei capitoli I e IX de Le città invisibili

Capitolo I:

ERA

Si tratta di una serie di sequenze di numeri disposti in ordine crescente, ad

ognuna delle quali viene aggiunto un elemento. Rappresentazione grafica:

DIRI AG3TZE1 Sommando in sequenza questi numeri, otteniamo: 1+2+1+3+2+1+4+3+2+1=20

Sommiamo ora le cifre in sequenza alternata: 1+1+2+4+2=10 2+3+1+3+1=10

Ciascuna delle due somme ottenute sommando le cifre in sequenza alternata è uguale alla metà della somma ottenuta sommando le cifre in sequenza. Capitolo IX:

5432543545

Si tratta di una serie di sequenze di numeri disposti in ordine decrescente, ad ognuna delle quali viene tolto un elemento. Rappresentazione grafica: 5432 Db) 5 4 5

Unità A

36

Sommando in sequenza queste cifre, otteniamo: 5+4+3+2+5+4+3+5+4+5=40

Sommiamo ora le cifre in sequenza alternata: A) 4+2+4+5+5=20

Anche qui, ciascuna delle somme ottenute sommando le cifre in sequenza alternata è uguale alla metà della somma ottenuta sommando le cifre in sequenza. Se consideriamo le somme ottenute dalle cifre in ordine di sequenza: 1+2+1+3+2+1+4+3+2+12=20 5+4+3+2+5+4+3+5+4+5=40 Alessia Maurigh, classe VH, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a.s. 2001-2002.

iii ANTI IBIZA I via TAVIRNE dle di 2 ds 4 | Prima osservazione: incrociando le serie del I e del IX capitolo la loro somma dà sempre come risultato 6 (ad esempio 1 + 5,2 +4,1+5,3 +3, ecc...). Seconda osservazione: la somma delle serie del I capitolo dà 20, la somma del IX dà 40, la somma di entrambi dà, naturalmente, 60. Si tratta sempre di

multipli di 20. Giuseppe Gortan, classe VH, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a.s. 2001-2002.

A cavallo tra letteratura e informatica

Simmetrie e relazioni numeriche nella struttura del libro

Esaminando uno degli schemi trovati fra le carte di Calvino, risulta evidente che

la disposizione dei capitoli e delle città presenta numerose simmetrie e relazioni numeriche. In tale schema configuriamo i numeri con la corrispondente faccia di un dado e sommiamo il valore numerico espresso da ciascuna faccia. Come risultato avremo che:

se il conteggio avviene ‘obliquamente’ (per cui le linee parallele immaginarie che passano per i punti formano con un immaginario asse delle x un angolo di 135°) la somma risulterà essere 10-20-3010-20-20-30-10; se il conteggio

avviene

in modo

simmetricamente opposto a quello precedente (per cui l'angolo formato con l'immaginario asse delle x è di 45°) la somma sarà espressa in numeri piccoli: 1-3-2-2-3-4-4-2-4-54-2-4-5-4-2-4... e così via;

in verticale invece la sequenza è 63-6-6-3-6-6-3-6-6-3.... infine, seguendo una traiettoria orizzontale la somma data da ciascuna linea è, partendo dall’alto, (1-1-1-1-2-2-2-2) 4-2-4-2-4-6-3-6-6-3-6-6-

3-6-6-3... la sequenza prosegue con l’alternanza 3-6-6-3 che avevamo trovato anche nel conteggio verticale. Manuela Adami e Marta Venuti, classe VH, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a.s. 20012002

Unità A

38

Lo studio delle sequenze numeriche e delle ricorrenze nella struttura del libro (al di là del ‘gioco’ e delle curiosità) è interessante perché può individuare percorsi di lettura e interpretazione da sperimentare con gli studenti. Sequenze numeriche, simboli e metafore. Il capitolo V

Italo Calvino scrive (anche nell’introduzione de Le città invisibili) che ogni lettore è autorizzato ad interpretare a suo piacimento quanto narrato. Interpre-

tando alla lettera questo invito, mi accingo a ricercare all’interno del testo più o meno improbabili metafore, riferimenti nascosti e quant'altro. Prendendo in prestito lo schema trovato tra le carte dello stesso Calvino, riportato qui sotto in un’elaborazione digitale, ho trovato delle metafore che possono riferirsi, a mio parere, a questo schema. 1 281 SA AO EZARI SR IMICO A RSA] E DSSt493: 26 MSESSTIC4E: N24, 0O%S Hc Scst4T aa] RIG OXS95#495T24M I° DINI: GGGOrstT4 02m ACE I CTCA CEN 374392 R IMCOMS 4 3 I LBHMOCS 4 O II TZETRALEGSS TEON ILNA O TS IRC NO US ET E

Nota: lo schema è da leggersi nella maniera seguente: i capitoli consistono nel susseguirsi delle righe orizzontali eccetto il primo e l’ultimo, formati dalle prime quattro righe e dalle ultime quattro righe; le serie di città sono le righe

A cavallo tra letteratura e informatica

39

verticali (‘memoria’ sta ad indicare Le città e la memoria, ad esempio, in riferi-

mento ai nomi dati da Calvino alle serie). Il quarto capitolo, ad esempio, è formato quindi da Le città e i segni. 5., Le città sottili. 4., Le città e gli scambi. 3., Le città e gli occhi. 2. e Le città e il nome. 1. La cosa più immediata da fare è stata analizzare il capitolo centrale, il quinto. Questo è formato dalle seguenti città: Ottavia, città sottile: città-ragnatela che ‘poggia’ su corde che congiungono la cresta di un monte con quella di uno vicino, nel mezzo dei quali c'è un profondo precipizio sul quale è sospesa la città; tutto è appeso a queste corde; Ersilia, città e gli scambi: città in cui si tendono degli spaghi tra una casa ed un’altra in base ai rapporti dei reciproci abitanti; una volta che la massa degli spaghi diventa impenetrabile, le case vengono smontate e ricostruite altrove, e si inizia di nuovo a tendere fili; le rovine delle antiche Ersilia sono fatte solo di fili, né di mura né di morti;

Bauci, città e gli occhi: il centro dell’opera di Calvino è una città invisibile, di cui si scorgono solo i pali su cui è costruita, e su cui si erge, al di sopra delle nubi, e, talvolta, la sua ombra; dei suoi abitanti non si sa se odino la

Terra, se la rispettino al punto tale da non volerla toccare, o se l’amino com'è, contemplando la loro assenza da essa; Leandra, città e il nome: l’essenza di questa città è sconosciuta, non si sa se

sia governata dagli dei Penati o dai Lari, entrambi numerosissimi e spesso coinquilini, una sorta di folletti-dei; Melania, città e i morti: è una sorta di teatro, in cui gli attori si scambiano le

parti, muoiono e lasciano il posto ad altri attori che riprendono le parti vacanti, in un continuo ripetersi di se stessa. Viene abbastanza spontaneo individuare in questo capitolo una metafora del cammino della vita. Proviamo a riscrivere le città sotto una visione più ‘simboleggiante’. Ottavia, città sottile: la vita degli abitanti è precaria, ma è molto più sicura che in altri luoghi, sanno che più di tanto le corde non reggono. Ersilia, città e gli scambi: città in cui si cerca di definire i rapporti in una maniera tale da morire nell’intento e lasciare solo il nulla dietro di sé. Bauci, città e gli occhi: città da guardare dal basso verso l’alto, aldilà delle nubi; non si conosce, non si vedono gli abitanti quasi mai; forse si è pure in-

certi della sua l'immaginario Leandra, città bili, o naturali

esistenza (sembra la descrizione del paradiso cristiano nelcomune). e il nome: città di superstizione, di divinità artificiali e invisima poco ‘divine’.

Melania, città e i morti: città in cui il nuovo sostituisce il vecchio, il nipote

sostituisce il nonno per offrire uno spettacolo sempre uguale.

40

Unità A

In cinque tappe: precarietà della vita, morte, aldilà, superstizione/religione, circolo generazionale. Sembra definirsi quindi un percorso: una metafora della vita umana. Ma per non lasciare questa affermazione a sé ho provato a dare un’occhiata

allo schema per trovare qualche conferma: anche qui, senza fare un grande sforzo intellettuale, ci si accorge che le prime due città si riferiscono al passato (memoria) e al futuro (desiderio), mentre le ultime due sembrano descriverci

qualcosa che è continuo ma nascosto, che sembra essere sotto gli occhi (appunto) ma essere in un certo senso invisibile. Che cosa può essere? Unendo il tutto all’affermazione dello stesso Calvino sul sistema semplice il risultato è la seguente congettura: l’opera segue un iter narrativo che si svolge lungo un percorso fatto di memorie e desiderio, continuo e nascosto: semplicemente il percorso umano, dalla vita alla morte, all’aldilà. Alan Mattiassi, classe VE, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a.s. 2001-2002.

LEZIONE Il La struttura del libro e la sua rappresentazione geometrico-numerica nelle interpretazioni dei critici

Contenuti

Anche prima della pubblicazione dello schema combinatorio autentico di Calvino, i critici hanno cercato di intuirlo e di interpretarne il significato e qualcuno ci è andato vicino. La lezione è dedicata all’analisi e interpretazione degli schemi geometrico-numerici proposti dagli studiosi G. Bonura, M. Lavagetto, P.V. Mengaldo, P. Briganti, C. Ossola, B. Ferraro, C. Milanini (in ordine cro-

nologico di pubblicazione: Lezione II, All. 1-2-3-4-5-6-7). Attività per gli studenti —



analizzare le strutture di dati sottese agli schemi proposti dai critici e ricavarne le caratteristiche logico-matematiche; preparare appunti e tabelle per relazionare alla classe il lavoro di analisi.

Metodologia — — — —

compresenza degli insegnanti di lettere e di matematica-informatica; lettura e analisi dei testi in allegato; lavori di gruppo in cui gli studenti esaminano le proposte dei critici e preparano lucidi o cartelloni o immagini al computer per presentare gli schemi; discussione e confronto.

? Un’analisi dettagliata, sulla base di materiali autografi, del processo di costruzione dell’indice delle Città invisibili si trova ora in BARENGHI M., Gli abbozzi dell'indice. Quattro fogli dall'archivio di Calvino, in BARENGHI M., CANOVA G., FALCETTO B. (a cura di), La visione dell ‘invisibile. Saggi e materiali su Le città invisibili di Italo Calvino, Milano, Mondadori-Electa, 2002, pp. 74-95.

Unità A

42

Allegato 1 «Il corpo umano» e «i cinque sensi» di Giuseppe Bonura

Calvino immagina che Kublai Kan, «l'Imperatore dei Tartari», ascolti dall'ambasciatore prediletto, Marco Polo, i resoconti che costui gli fa delle città, via via che le visita percorrendo l’immenso territorio conquistato con la forza, delle armi.

Il libro è dunque composto dalle descrizioni di queste città «invisibili» all’imperatore (che ha rinunciato a controllare di persona i fasti e i nefasti dell'impero a causa della sua «ampiezza sterminata») e dai dialoghi che si svolgono tra Kublai Kan e Marco Polo ogni volta che questi rientra dalle sue ambascerie. Dal lato puramente tecnico il libro è diviso in nove capitoli, ciascuno dei quali «contiene» i suaccennati dialoghi (in corsivo) e la descrizione di un certo numero di città descritte da Marco Polo. Il primo e l’ultimo capitolo sono costituiti da dieci città; gli altri sette, da cinque. Ogni resoconto di città è preceduto da un titolo-didascalia, e precisamente: Le attà e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni, Le città sottili, Le città e gli scambi, Le città e gli occhi, Le città e il nome, Le città e i morti, Le città e il cielo, Le città continue e Le città nascoste.

Undici città in tutto, come si vede, ma quelle che Marco Polo descrive sono

cinquantacinque, giacché ognuna di queste città viene, per così dire, visitata cinque volte. Il lettore, a questo punto, si sentirà autorizzato ad esclamare che stiamo dando

i numeri. Non ha torto. Ma non ha neanche ragione. Non c’è quasi opera di Calvino che non sia chiusa entro un’arcana «logica simbolica e combinatoria». I nove capitoli rappresentano il corpo umano (la testa, le braccia, il torace, gli organi della riproduzione e le gambe). Crediamo quindi che non sia arrischiato affermare che il numero cinque simboleggi i cinque sensi. (Tra l’altro, i dialoghi in corsivo sono «diciotto», ovvero il doppio di nove, ovvero il corpo e lo spirito). Ma Calvino non è uno scrittore che si lasci incapsulare da uno schema, né tanto meno sedurre da una simbologia dozzinale. Costruita la «logica combinatoria» della successione delle «città», costruito anche (inconsciamente o me-

no: non importa; 0 forse importa moltissimo?) il corpo umano (il corpo cioè del libro), eccolo tuffarsi nel suo sempiterno mondo favoloso intriso di ardua moralità e di sorniona ma penetrante attenzione ai conflitti dell'individuo e della società. Anzi, in questo caso, della civiltà: la nostra, intendiamo. BONURA G., Le città invisibili, in ID., Invito alla lettura di Calvino, Milano, Mursia, 1972, pp. 83-85.

A cavallo tra letteratura e informatica

43

Allegato 2 «...UN assoluto rigore geometrico al servizio dei suoi giochi e delle sue invenzioni» di Mario Lavagetto

Così, mentre alle spalle del testo avvertiamo la presenza di Propp e dei formalisti russi, di Barthes e di Lévi-Strauss, ci troviamo anche noi seduti al tavolo del Castello dei destini incrociati, tra commensali muti, con davanti un mazzo

di carte accuratamente preparate e disposte da Calvino e di cui ognuno può servirsi per raccontare una storia a patto di non imporre alle figure che si troverà a ordinare in sequenza un valore di codice, una stabilità semantica continuamente violata e contraddetta dall’alternarsi delle combinazioni. Sono cinquantacinque immagini di città, suddivise da Calvino in nove gruppi e distribuite su undici temi: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni, Le città sottili, ecc.

L'ordine di Calvino è rigoroso: dieci «carte» nel primo e nel nono gruppo, cinque negli altri, con alternanza dei temi che vengono lasciati cadere quando, proposti per la quinta volta, lasciano campo a un nuovo tema. Immaginando di contrassegnare ogni tema con una lettera dell’alfabeto, e conservando la numerazione di Calvino, il sistema può essere rappresentato graficamente come un trapezio isoscele che appoggia sulla base minore:

BRBn Ci

ESC C,

DEL

G;

D,

E,

F;

E,

F,

Gi

H,

DRD

ERE

Hallo G;

H;

I

I,

Li

M;

Heel

Li

M;

M;

Questo schema calcolato, chiuso e teso a realizzare una perfetta simmetria,

porta in luce la volontà sistematica di Calvino e insieme invita a esperire una serie di combinazioni o di ordini di lettura: possiamo seguire Calvino e leggere una colonna dopo l’altra e dall’alto in basso; ma possiamo anche rovesciare l’ordine di lettura, partendo da destra e risalendo: M,..., M}..., M,..., My..., M....; oppure possiamo scendere con l’indice lungo il lato sinistro del trapezio

44

Unità A

e percorrerne verso destra la base minore; oppure possiamo partire da C, nella terza fila, spostarci di due caselle verso destra e poi risalire in diagonale fino a C; nella prima fila; o possiamo leggere tutte le file in senso orizzontale. O ancora possiamo tentare altre strade: immaginare di trovarci al centro di un labirinto e cercare di uscirne seguendo una linea continua; oppure rimescolare le carte; o andare alla ricerca di una singola carta; o proporre nuove figure, inventare ogni accostamento nel tentativo di avvicinarci a quella città, discontinua nello spazio e nel tempo, a cui tende il viaggio di Marco Polo e i cui elementi sono dispersi fra le immagini fantastiche, e insieme disegnate con meravigliosa fermezza, che Calvino ci offre: città che si dilatano intorno al punto di una memoria o di un desiderio, sospese su architetture filiformi, sotterranee o modellate sul corso degli astri, nascoste o dilaganti a occupare tutta la superficie del mondo. Il gioco è esplicitamente autorizzato: «Dal numero delle città immaginabili occorre escludere quelle i cui elementi si sommano senza un filo che li connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso». Cercare gli intrecci, i nodi che collegano tra loro i singoli fili e istituiscono sequenze significative è una delle sollecitazioni più eccitanti che il libro ci propone. Ancora una volta Calvino ha messo un assoluto rigore geometrico al servizio dei suoi giochi e delle sue invenzioni: la sceneggiatura di Propp, che ci ha offerto con I/ castello det destini incrociati, ci invita a utilizzare il suo «mazzo di

carte», il suo solitario, per scoprire un sentiero plausibile, discorso o racconto che sia, rigiocando il testo su molteplici livelli, correndo sul limite dell’arbitrio, sprofondandoci dentro se necessario, per riprendere poi, da zero, un lento lavoro di tessitura. LAVAGETTO M., Le carte visibili di Calvino, in «Nuovi Argomenti», 31 (gennaio-febbraio 1973), pp. 144-145, ora in ID., Dovuto a Calvino, Milano, Bollati Boringhieri, 2001, pp. 18-20.

A cavallo tra letteratura e informatica

45

Allegato 3 «...Una tecnica... affine a quella della sestina», un «rigoroso... caleidoscopio di combinazioni» di Pier Vincenzo Mengaldo

Decisivo al riguardo è il metodo Calvino nella costruzione delle varie sezioni

(nove) del libro, che mette a frutto, con rigore anche più tirannico, le risorse del-

la combinatoria esperite nel Castello (e nella Taverna) dei destini incrociati: secondo una tecnica vagamente affine a quella della sestina, le singole sezioni risultano dalla combinazione, via via diversa ma ottenuta con un sistema fisso di

rotazioni, di unità appartenenti a varie ‘serie’ (Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni e così via), che perciò si inseriscono contemporaneamente in un doppio ordine: quello lineare, sintagmatico delle varie combinazioni risultanti e quello paradigmatico delle serie categoriali sovra-ordinate. E come nella sestina il ritorno, stanza dopo stanza, delle stesse parole-rima

interrompe continuamente il flusso discorsivo-temporale nell’identità speculare e retrospettiva delle parole-tema ripetute, così qui l’incrociarsi dei due diagrammi, sintagmatico e paradigmatico, come di un ordito e di una trama, mette in crisi la stessa nozione di successione lineare delle esperienze e di non-reversibilità dello svolgimento narrativo. Ne derivano due conseguenze importanti, entrambe di ordine ‘saggistico’: che lo schema compositivo si trasforma, da immanente, in trascendente e 4 priori; e che i ‘temi’ o ‘tesi’ prevalgono sui relativi svolgimenti concreti, visti come varianti esemplificatorie di quelli. La parabola de I/ conte di Montecristo (in Ti con zero), in cui il calcolo probabili stico delle possibilità d’evasione dal castello d’If diviene nello stesso tempo calcolo delle modalità di composizione del libro che ha per oggetto quell’evasione, trova dunque nelle Città invisibili una sua realizzazione strutturale. Questo rigoroso e chiuso caleidoscopio di combinazioni ‘finite’ è di per se stesso notevolmente informativo, anche se l’informazione che ne scaturisce è di

una sottile ambivalenza. Poiché tale rigore strutturale sottolinea una volontà di dominio sui dati della realtà da parte della ragione geometrica che si vuole così demiurgico proprio nella misura in cui quei dati si presentano di fatto come aleatori, intercambiabili («Nella mente del Kan l’impero si rifletteva in un deserto di dati labili e intercambiabili come grani di sabbia da cui emergevano per ogni città e provincia le figure evocate dai logogrifi del veneziano», p. 30); l’applicazione razionalistica, come

sempre

avviene, diventa tanto più accanita

46

Unità A

quanto meno la realtà risulta razionalizzabile. Da questo punto di vista l’ultimo libro di Calvino, che appare e per tanti aspetti è il suo più costruito, nello stesso tempo è anche il più dissolto. Il perfetto ordinamento, lo smontaggio e rimontaggio dei materiali non riesce a celare — e probabilmente non lo vuole — il fatto che si tratta, letteralmente, di ‘materiali di costruzione’ largamente fungibili, polivalenti, virtuali: frammenti con cui si può costruire ogni possibile edificio e dunque nessun edificio. Lo stesso loro ordinamento in combinazioni così precise ha, proprio in virtù di quest’esattezza puntigliosa, un carattere altamente virtuale. È anche da questa avvertita insufficienza della struttura compositiva a costituire uno spaccato esaustivo di realtà interpretata, che deriva la continua delega di significazione ai commenti fuori campo. Ed è così che l’allegorismo calviniano, nel momento che tocca la sua manifestazione più esauriente e totalitaria, tocca contemporaneamente il proprio punto di crisi: la favola allegorica, la proiezione utopica non bastano più a se stesse. Ma di questo più avanti.

E c’è qualcosa di ancor più significativo: la serie di istruzioni per l’uso non concerne soltanto il significato delle invenzioni del libro, ma esplicita con insistenza la tecnica stessa impiegata dall’autore per costruirle. Ora è molto facile osservare che la terminologia relativa, e icampi nozionali da essa indicati, sono

manifestamente desunti dalla linguistica strutturale, semiologia e affini. Ecco dunque la metafora del gioco degli scacchi: «come pezzi degli scacchi» (p. 29); «Se ogni città è come una partita a scacchi...». E ciò che ne segue (p. 127), ecc.; la nozione di combinatoria di elementi costitutivi: «combinando elementi di quel primo modello» (p. 41); «come se il passaggio dall'una all’altra non implicasse un viaggio ma uno scambio di elementi», sicché il Kan «smontava la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli» (p. 49); «finché tutte le combinazioni in un attimo sono esaurite» (p. 57); «Combinando segmenti dei diversi tragitti sopraelevati...» (p. 95), e quella affine delle varie strutture come risultanti da variazioni: «Il catalogo delle forme è sterminato... Dove le forme esauriscono le loro variazioni e si disfano, comincia la fine della città» (p. 146). E ancora: la concezione delle strutture quali prodotti di ‘differenze’; «...ogni uomo porta nella mente una città fatta soltanto di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città

particolari le riempiono» (p. 40); il concetto di ‘ridondanza’ come necessaria al funzionamento: «La città è ridondante: si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente», e «La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere» (p. 27); termini come forma/forme (ad esempio, p. 82: «ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma»), segni (già nel titolo di una serie di città), sisterza (ad esempio pp. 127-128), e via di seguito. Qui non si tratta semplicemente di registrare un’ulteriore prova della capa-

A cavallo tra letteratura e informatica

47

cità di Calvino, intellettuale coltissimo,.di essere sempre è la page: tanto più che l'assunzione di strumenti e terminologie ‘scientifici’ di moda, a differenza che in casi affini del passato (penso in particolare ai modelli fanta-scientifici delle Cosmicomiche e di Ti con zero), avviene in questo libro senza ironia, il che in-

dica che siamo in presenza di qualcosa di più di semplici strumenti devoluti alla fantasia mitopoietica, a qualcosa che tocca più a fondo l’attuale ideologia dello scrittore. In realtà l’impressione immediata di trovarsi di fronte a un’opera d'impianto strutturalistico o semiologico è più che giustificata, e la descritta terminologia non è una mera vernice, ma riflette l’autocoscienza precisa della tecnica costruttiva messa in atto. Lo si può subito dedurre da quanto abbiamo osservato più sopra sulle macrostrutture del testo, sul loro sapiente gioco d’incastro di costanti e variabili; e non sarebbe difficile mostrare come analoga tecnica governi le microstrutture, che ad onta dell’apparente ricchezza e dispersività dei dati, finiscono per rivelarsi effettivamente costruite sulla varia distribuzione di un numero di elementi-base abbastanza limitato. MENGALDO P.V., L'arcoe le pietre (Calvino, ‘Le città invisibili’), in ID., La tradizione del Nove-

cento. Da D'Annunzio a Montale, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 410-413.

Unità A

48

Allegato 4 «...il narrato non esaurisce il reale» di Paolo Briganti

Sono undici rubriche di questo tipo, ma le città non sono disposte in gruppi omogenei sotto la medesima rubrica, che sembrerebbe la disposizione più logica; si combinano invece in modo più complesso e, di per sé, ulteriormente significativo. Le cinquantacinque città formano nove raggruppamenti; il primo e l’ultimo di dieci città ciascuno; i sette interni di sole cinque città. Mentre in ciascuno dei gruppi dal II all’VIII ogni città appartiene ad una diversa rubrica, nel primo e nell’ultimo si notano delle ordinate ripetizioni di rubriche. Quale dunque l’organizzazione? Se assegniamo ad ogni rubrica una lettera alfabetica (Le città e la memoria = A; Le città e il desiderio = B; Le città e i segni = C, ecc.) possiamo ricavare per il primo raggruppamento questa serie:

I

NR

BC

Queste invece le serie ricavabili dalle rubriche dei sette capitoli intermedi: RE ABD: MEG ARR IAR INA RE N Dies LG:H VIERERGLI VR A VII: GHILM Ed ecco infine la serie corrispondente al nono ed ultimo raggruppamento:

IX:

HILMILMLMM

Evidente è il progressivo scalare alfabetico di una lettera in ciascuno dei sette raggruppamenti interni; ma come si spiegano i due estremi? Per esplicitarlo è necessario ipotizzare altri raggruppamenti, dopo l’ottavo, formati anche con lettere fittizie che indicheremo in parentesi:

A cavallo tra letteratura e informatica

Heagol

L

I Let Men LM_ (N: MENO) (Tsi (O (ira

M

49

(N)

Er) (0)=Z®) Prg) (O) (RI

CCC:

Se da tale exerzplum fictum, che ripete la disposizione scalare dei sette gruppi interni, togliamo ora le lettere entro parentesi, e riscriviamo le residue di seguito, otteniamo appunto la serie dell’effettivo ultimo raggruppamento. Col procedimento inverso si ricostruisce analogamente la serie del primo raggruppamento. Che può voler dire tutto questo? Forse che le cinquantacinque città ‘narrate’ da Marco Polo al Kublai Kan non esauriscono tutto il panorama delle città possibili; che il narrato non esaurisce il reale. Di fronte all’imprendibilità del mondo, il desiderio di compiutezza e di geometrizzazione di Calvino confeziona questo falso ideologico che finge finitezza in luogo dell’infinito e del molteplice, ed ordine al posto del disordine e del caos. BRIGANTI P., La vocazione combinatoria di Calvino, in «Studi e problemi di critica testuale», 24

(1982), pp. 218-219.

Unità A

50

Allegato 5 «...ll gioco matematico... procede verso il continente immenso dell’interiorità» di Carlo Ossola

La struttura narrativa delle Città invisibili è una geometria senza ‘figure: il gioco matematico non rinvia a un ‘pieno’ interpretativo ed a una esaustività descrittiva, bensì dagli «involucri illusori» procede verso il continente immenso dell’interiorità: «È tempo che il mio impero, già troppo cresciuto verso il fuori, — pensava il Kan — cominci a crescere al di dentro». Se tale è la direzione che fornisce, classicamente disposta, la «cornice», lun-

go di essa occorrerà orientare l’analisi del ‘sistema’ delle città inscritte, avvertiti — sin dalla prima — che con Kublai Kan siamo chiamati «a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti». Il ‘sottile’ modello latente, e in parte già denunciato dall’indice (si tratta di 11 serie di «tipi» di città che ricorrono 5 volte ciascuna; ma la prima e l’ultima serie sono doppie, cosicché le sezioni saranno 9, la prima e l’ultima delle quali composte da 10 occorrenze, le altre 7 sezioni, da queste ‘“incorniciate’, si distribuiranno in 5 occorrenze ciascuna), è stato più volte, e con maggiore o minore approssima-

zione, ricostruito. Il modello che qui si propone sembra non solo più perspicuo e fedele al testo, ma — come si vedrà — funzionale ai fini della leggibilità della costruzione testuale: esso non serve a ‘portare in superficie’ la struttura latente, ben-

sì ad introdurre il lettore ‘verso l’interno’, come disegna Kublai Kan. Seal

|

SU

IN

im, My

my

n \

A cavallo tra letteratura e informatica

51

Lo scherza I, denominate con lettere da 4 a 72 i tipi di città che occorrono nel testo (da Le città e la memoria. 1. = al a Le città nascoste. 5. = m5, l'incipit e l’explicit del libro), presenta il processo di lettura (da sinistra a destra), isolando ai margini del parallelogramma due triangoli ‘equilateri’ che inscrivono le due sezioni estreme, e doppie, che ‘incorniciano’ il sistema.

> Legenda: a: Le città e la memoria b: Le città e il desiderio

Le città e gli occhi Le città e il nome

c* Le città e i segni

Le città e i morti

d: Le città sottili e: Le città e gli scambi

Le città e il cielo Le città continue poi anta : Le città nascoste

In entrata, al vertice del primo ‘incorniciamento’ (Le città e la memoria. 4.), sono fornite le ‘indicazioni d’uso’ della mappa, il «reticolo nelle cui ca-

selle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare [...]. Tra ogni nozione e ogni punto dell’intervallo potrà stabilire un nesso d’affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini più sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora»; in uscita, nella cornice che precede il vertice 45 (Le città e i morti. 5., incipitario dell’ultimo ‘incorniciamento’), la didascalia di Kublai Kan avverte che si sta uscendo dal re-

gno della simmetria e della forma, verso l'anonimo che non ha «una forma né un nome»: Dove le forme esauriscono le loro variazioni e si disfano, comincia la fine della città. Nel-

le ultime carte dell’atlante si diluviano reticoli senza principio né fine, città a forma di Los Angeles, a forma di Kyoto-Osaka, senza forma.

Ma migliore simmetria, procedendo verso l'interno, offre lo scherza II, che

individua, incorporando le più ‘esterne’ delle sezioni a 5 occorrenze ai triangoli (rispettivamente la sezione II e alla I e la VIII alla IX), tre sistemi in ogni lato quinari: i due triangoli laterali individuando le regioni dello ‘scambio’ e della ‘convenzione’ — non a caso essendo definiti dalla prima delle Città e gli scambi (= e1) e dall’ultima delle Città e il nome (= g5) —, il quadrato centrale racchiudendo l’asse di simmetria e specularità, tracciato appunto, da f1 a £5, lungo la prospettiva institutrice dello spazio e della lettura: Le città e gli occhi.

Unità A

D2 Sw dI

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sN 4

nonna nen co

Sarà così agevole osservare che mentre sino ai margini del primo triangolo equilatero è il regno dell’arbitrarietà e della permutazione — come appunto in el, in «Eufemia, la città in cui si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni

equinozio» —, così pure, usciti dal «quadrato magico», la simmetria diviene solo più replicata tautologia, come denuncia il replicarsi, dall’incipit all’explicit, della riflessione del Kan appunto lungo l’ottava sezione: A forza di scorporare le sue conquiste per ridurle all'essenza, Kublai era arrivato all’operazione estrema: la conquista definitiva, di cui imultiformi tesori dell’impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato: il nulla... [...] A forza di scorporare le sue conquiste per ridurle all’essenza, Kublai era arrivato all’operazione estrema: la conquista definitiva, di cui i multi formi tesori dell'impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato.

[...] La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai.

Per converso il perfetto «quadrato magico», delimitato dalle sezioni IIIVII, individua lo spazio di una compiuta simmetria: non a caso ritorna il /eztmotiv, già citato, del «disegno perfetto» del cristallo, collocato esattamente tra il primo occorrere, in f1, dell’asse ordinatore di simmetria (Le città e gli occhi. 1.) ed il contiguo ed estremo apparire, in c5, dei segni che la dovranno descrivere, trasporre in parole: Eppure io so — diceva — che il mio impero è fatto della materia dei cristalli, e aggrega le sue molecole secondo un disegno perfetto. In mezzo al ribollire degli elementi prende forma un diamante splendido e durissimo, un'immensa montagna sfaccettata e trasparente. [...] Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere la città col discorso che la descrive.

Nel quadrato centrale inoltre si esaltano tutti gli elementi di specularità: così la città posta al centro della propria serie è sempre anche la propria immagine riflessa; si veda, ad esempio, in 43, Eusapia:

A cavallo tra letteratura e informatica

p5)

E perché il salto dalla vita alla morte sia meno brusco, gli abitanti hanno costruito una

copia identica della loro città sottoterra. [... ]Dicono che nelle due città gemelle non ci sia più modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti.

Tale specularità trova del resto il proprio fuoco nell’asse di simmetria centrale /1-f5 che congiunge e si estende dal primo all'ultimo apparire della stessa fisica matrice di ogni prospettiva: lo sguardo delle Città e gli occhi — e non è forse questo il modo discreto di Calvino di suggerire una propria «école du regard»? —; così che, bipartito da questa ideale ipotenusa, il quadro si divide in altri due triangoli (e tutto il parallelogramma in quattro speculari ed equivalenti triangoli quinari). Lungo tale asse di simmetria i vertici estremi, f1 e f5, divengono i luoghi eponimi dunque di ogni «immagine speculare», di ogni inscindibile duplicità: Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio [...]. Gli abitanti di Valdrada sanno che tutti i loro atti sono insieme quell’atto e la sua immagine speculare, cui appartiene la speciale dignità delle immagini, e questa loro coscienza vieta di abbandonarsi per un solo istante al caso e all’oblio. Se non è al suo primo viaggio l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio [...]. Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio d'immagine: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.

E naturalmente, fulcro di ogni simmetria e di ogni specularità, al centro esatto del racconto (28° infatti tra le città descritte) e della matrice geometrica che inscrive le «città invisibili», ecco apparire, in f3, Bauci, città eponima di ogni «città invisibile» se appunto «Dopo aver marciato sette giorni attraverso

boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato». Essa è il centro invisibile del «quadrato magico», ma anche il punto vuoto, il gran #40 che s’apre alla fine del viaggio verso l’interno: Tre ipotesi si dànno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com'era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.

Eppure è lì che convergono le strade: «I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro», di un impero che «cominci a crescere al di dentro», anche se questo significa crescere in trasparenza sino a veder spari-

re «quello scomodo diaframma» che è la persona, la maschera storica, infine

«contemplando affascinati la propria assenza»: ma lì dimora l'origine, «il prin-

54

Unità A

cipio di ciò che si muove nell'universo è lo spazio del niente, attorno all’assenza si costruisce ciò che c’è». ‘ Bauci, mitico nome: nello straordinario repertorio di archeologia e utopia che è la nomenclatura delle Città invisibili, catalogo universale di mitologia (Aglaura, Berenice, Cloe, Fillide, Pentesilea, Pirra) e geografia (Venezia e Co-

stantinopoli, Lubecca e Urbino, Los Angeles e Kyoto, San Francisco, New York, Parigi), di Bibbia e classicità (Bersabea, Zamira, Ipazia), di letteratura e musica (Sofronia, Despina, Clarice e Smeraldina), al centro dimora Bauci, co-

me al centro delle Metazzorfosi (VIII, 611-721) l'aveva collocata Ovidio, storia di fedeltà e di pzetas, sublimata dal divino ospite — mentre il diluvio copre il resto, empio, dei villaggi — in tempio, architettura perenne della quale Filemone e Bauci saranno, sino all’ultima metamorfosi, custodi e sacerdoti. Per questo,

forse, «chi va a Bauci non riesce a vederla», sicu? scriptum est: dedit illis Deus [...] oculos ut non videant. OSsoLA C., L'invisibile e il suo ‘dove’: ‘geografia interiore’ di Italo Calvino, in «Lettere italiane»,

XXXIX, I (1987), pp. 242-248.

A cavallo tra letteratura e informatica

DI

Allegato 6 «Un diagramma a due dimensioni» di Bruno Ferraro

Letti dunquei saggi teorici di Calvino, rilevato il suo interesse per la rappresentazione topologica di una realtà che viene poi metaforizzata e considerate nel Dialogo appena citato [Varese C., Dizlogo sulle Città invisibili, in «Studi Novecenteschi», marzo 1973] le parole di C. Varese a proposito della continuità dell’operato calviniano che finalmente porta alla «sfida al labirinto», si propone il seguente diagramma, che riflette il modulo della struttura dell’opera, privilegiato nella lettura che se ne va facendo: Viaggio intrapreso da Marco Polo in «Le città invisibili»

LIVELLO

2 1

ESNSSSS

Per tutte le città su quest'asse

la

somma del tipo + livello è uguale

degni

NNNSINNN NNO

a 10:

9 «cielo» al livello 1 = 10

SSR

7 «nome» al livello 3 = 10 6 «occhi» al livello 4 = 10 5 «scambi» al livello 5 = 10

TIPO

INDIS “ VIHOMNEN — OIHACISIO »

AWON 4 OTII9 v 1H9390 > ILHON ® IAWVOS ITILLOS » ALSOOSYN ANNILINOI 35

Sull’asse verticale si leggono in ordine ascendente da 1 a 5 i vari «livelli» attribuiti a ciascuno degli 11 tipi o funzioni che vanno a rappresentare l’asse orizzontale: infatti è Calvino stesso a ripetere ogni città cinque volte in modo che arrivi a un totale di cinquantacinque città. Inoltre è ancora Calvino a numerare le nove sezioni in modo da privilegiare in partenza una certa «disposizione» del materiale su cui sta lavorando; ne viene fuori un quadro speculare per cui le 7 sezioni centrali vengono chiuse ai due lati dalle 2 sezioni contenenti ciascuna 10 racconti. Accettando le due presentazioni di Calvino cioè l’ordine del-

56

Unità A

le città da Le città e la memoria come prima e Le città nascoste come undicesima e la rotazione delle varie città fino ad esaurirne la presentazione all’esponente 5 si può leggere il diagramma nel modo seguente (il percorso naturalmente può essere letto all’inverso ma vedremo in seguito che quest’ipotesi, per ora valida al livello ipotetico, non può essere accettata sul piano concettuale): Li Memoria 1 conduce a memoria 2. 24 Memoria 2 è seguita da desiderio 1: la somma (livello + tipo) è 3 e quindi illustrata con una linea discendente poiché si passa dal livello 2 della memoria al livello 1 del desiderio. Desiderio 1 (tipo + livello = 3) conduce con linea ascendente a memoria 3 (tipo + livello = 4); a questo asse (tipo + livello = 4) appartengono tutte le città la cui somma (tipo + livello) è 4 e.g. «Le città e il desiderio» 2 e «Le città e i segni» 1. Lo stesso procedimento sarà valido per gli assi con valori di 5, 6,7,8e9 in cuial centro (in corrispondenza di tipo 6 cioè «Le città e gli occhi» al livello 3 cioè la città di Bauci a p. 83) si arriva alla linea intermedia del libro e si inizia la fase discendente per quanto riguarda la «presenza» grafica delle interrelazioni tra tipi e livelli, ma si continua sempre in fase ascendente, fino a raggiungere il numero 16, per quanto riguarda il valore (ottenuto sommando il tipo al livello); questo valore ascendente sta a indicare il valore complessivo delle somme della acquisizione gnoseologica, morale e esistenziale effettuate durante il viaggio. Oltre al trasparente effetto speculare individuabile anche su questo diagramma a due dimensioni, si noterà che, facendo ruotare le due estremità

(le prime tre assi fino a valore sommato 5 e le ultime 3 da 13 a 16) si potrebbe ottenere un effetto a spirale a configurazione di una conchiglia. Se, infine, si tratteggiano le linee discendenti e quelle ascendenti da un asse di valori all’altro si ottiene il viaggio che Marco Polo deve aver fatto dopo che si sono accettate le premesse di presentazione dateci dallo stesso Calvino. FERRARO B., I/ castello dell’If e la sua struttura in ‘Le città invisibili’ di Italo Calvino, in «Letteratura italiana contemporanea», 22 (1987), pp. 100-101.

A cavallo tra letteratura e informatica

DI

Allegato 7 «Una poetica che si affida al puzzle» di Claudio Milanini

Così, anche nei giuochi, sono disposto a fare una distinzione

tra regole essenziali e regole inessenziali. Il giuoco, si vorrebbe dire, non ha soltanto regole, ma anche un succo.

Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche

Arte combinatoria e geografia mentale: I/ castello dei destini incrociati e Le città invisibili Il modello della «rete dei possibili», borgesianamente concentrato entro il cerchio breve di poche pagine nel Conte di Montecristo e in altre cosmicomiche, diviene la struttura portante dei libri elaborati da Calvino a cavallo degli anni Settanta. Le città invisibili e Il castello dei destini incrociati, mentre si collocano nell’alveo di una sperimentazione che avrà un esito propriamente iper-romanzesco in Se una notte d'inverno un viaggiatore, si presentano già come compiu-

ta traduzione in atto di una poetica che s’affida 4/ puzzle per esprimere il senso di un tempo plurimo e ramificato, un'immagine del mondo quale «sistema di sistemi», la vertigine dell’infinito e del vuoto. Calvino non si è limitato a costruire cornici ampie a articolate, e a porle in rapporto di reciproca interdipendenza con i brevi racconti o con i petits poémes en prose inclusi; ha calato altresì questi ultimi in un gioco d’incastri parzialmente autonomo, in un ordito fatto di trame intersecantisi. L'architettura complessiva è insomma non solo modulare, ma anche combinatoria. La fruizione di questi testi, così come la loro stesura, implica l’accettazione di una sfi-

da: l’autore si è imposto regole rigorose, tanto più severe quanto più arbitrariamente predeterminate; il lettore è sollecitato a seguire percorsi di lettura molteplici, travalicanti la progressione naturale delle pagine. I criteri a cui ubbidisce l’intrico delle storie vengono illustrati, nel Castello,

iconograficamente oltre che verbalmente. In entrambe le parti del libro, le prime sei storie si dispongono come in un cruciverba, accompagnando il metodico dispiegarsi di un mazzo di tarocchi su una superficie non soltanto immaginaria, finché le carte — riprodotte in miniatura sui margini dei fogli — sono tut-

Unità A

58

te utilizzate. A questo punto, prima che il narratore-commentatore si accinga a

decifrare le sei storie rimanenti (che trasformeranno un cruciverba semplice in una sorta di cruciverba palindromo), s'interpone una tavola riassuntiva: il «quadrato» dei tarocchi al completo, con ai vertici le figure corrispondenti ai personaggi di cui si sono intese e s'intendono interpretare le paurose vicende (CDI, 40; TDI, 98). Così il lettore può abbracciare con un unico sguardo il di-

segno dell’opera, valutare in quale misura l’autore abbia rispettato i vincoli che si era prefisso, scoprire da quali contraintes e simmetrie suppletive sia condizionato ogni racconto.

A un modello combinatorio non meno complicato allude l’indice delle Città invisibili. Già Vittorio Spinazzola, in una recensione uscita a breve distanza dal libro, osservò: Le città invisibili è costituito da nove capitoli, preceduti e seguiti da diciotto dialoghi; ogni capitolo comprende cinque paragrafi, tranne il primo e l’ultimo che ne contano dieci; le descrizioni delle città, una per paragrafo, sono catalogate sotto undici rubriche, «Le città e la memoria», «Le città e il desiderio» [...] eccetera; l’ordine in cui i numeri di rubrica si susseguono è tale per cui all’esaurirsi di quella cominciata per prima corri-

sponde l’inaugurazione della quinta, poi alla fine della seconda subentra l’inizio della sesta e così via.

Delucidazioni più o meno calzanti sono state successivamente fornite dai critici. Alcuni si sono serviti di metafore metriche, come Pier Vincenzo Men-

galdo, che ha parlato di «sette stanze di sestina inquadrata da due stanze di sestina doppia»; altri hanno fatto ricorso a tabelle e a diagrammi. Inoltrandoci a nostra volta per quest’ultima via proponiamo — nelle pagine seguenti — un grafico che ci sembra abbia il pregio sia della fedeltà sia dell’evidenza immediata. Si tratta di una scacchiera sghemba e digradante, con caselle quadrate ciascuna delle quali corrisponde a uno fra i cinquantacinque paragrafi. Le caselle dimezzate, ossia i rettangoli sugli orli, indicano i diciotto brani — di natura prevalentemente dialogica — che fungono in ogni capitolo da introduzione e da conclusione: nove microcornici, stampate nel libro in corsivo e qui tratteggiate. Se percorriamo lo schema come in una normale lettura (riga dopo riga, da sinistra a destra), ricaviamo una sequenza che è quella suggerita dal susseguirsi progressivo delle pagine; se lo percorriamo invece dall’alto in basso, e poi da sinistra a destra (trascurando le comici), ritroviamo incolonnati in bell’ordine i

paragrafi che compongono le undici rubriche. Avanziamo l'ipotesi che un reticolo uguale a quello raffigurato nel nostro diagramma sia stato tracciato su un foglio da Calvino quando era ormai prossimo a completare Le città invisibili. Sappiamo infatti, grazie alla testimonianza da lui resa a Claudio Varese, che il libro si formò lentamente: dapprincipio «pezzo a pezzo, per successiva giustapposizione di pezzi isolati», quindi tra-

A cavallo tra letteratura e informatica

W/

59

MEMORIA

7,

i

DESIDERIO

Isidora

Dorotea SEGNI

Zaira

Anastasia | Tamara SOTTILI

Despina

Zirma

Fedora

Zoe

Zobeide

Ipazia

Isaura

I SCAMBI

Zenobia | Eufemia

II OCCHI

| Armilla

Cloe

Valdrada

II NOME

IV

Olivia

Sofronia | Eutropia

Zemrude | Aglaura

Ottavia

Bauci | Leandra | Melania

ea V

Ersilia

IV

MORTI

Vv CIELO

VI

! rt

Fillide

VII

Moriana

Pirra

Adelma

| Eudossia

Eusapia

Bersabea

Argia

Tecla

VI CONTINUE

| Clarice

Leonia

4

7,

VII

NASCOSTE

Laudomia|

Perinzia

Trude | Olinda

Procopia

VII

| Raissa

Cecilia

Pentesilea | Teodora

Berenice

mite aggiunte di «discorsi convergenti o divergenti», infine attraverso l’invenzione di una struttura atta a inglobare il materiale via via accumulato in un insieme unitario e «concluso». Non dobbiamo dimenticare inoltre che l’autore, in quello stesso periodo, componeva correggeva complicava schemi con l’intento di licenziare, insieme col testo eponimo del Castello, La taverna dei destini incrociati: e ci sembra assai probabile che abbia collocato su un piano figure o contrassegni equivalenti alle sue città come se disponesse di «vecchie cartoline illustrate» (CI, 37), compiendo un’operazione non troppo dissimile da quella che stava ese-

Unità A

60

guendo con i tarocchi marsigliesi. I «pezzi» già pronti, integrati con altri appositamente scritti per colmare gli spazi vuoti, divennero le tessere di un mosaico particolarissimo, di una scacchiera trasversale ma comprendente un numero canonico di caselle. Al gioco degli scacchi, alla logica combinatoria da cui è regolato, al «vuoto» e al «pieno» dei «tasselli», rinvia d’altronde l'ottava microcornice: Kublai era un attento giocatore di scacchi; seguendo i gesti di Marco osservava che certi pezzi implicavano o escludevano la vicinanza d'altri pezzi e si spostavano secondo certe linee [...] Kublai era arrivato all'operazione estrema: la conquista definitiva, di cui i multiformi tesori dell'impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato: il nulla... [...] AMlora Marco Polo parlò: — La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre? [...] La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai [..-] (CI, 127-129, 139-140),

La struttura del libro sottende un gusto per la precisione e un furor mathematicus davvero degni di chi fu, come Calvino, un socio onorario dell’Oulipo, un amico di Queneau, di Perec, di Roubaud... Se dividiamo infatti il grafico in

tre fasce orizzontali, scopriamo che i paragrafi inclusi nei due capitoli d’apertura compongono una matrice triangolare inferiore, quelli inclusi nei due capitoli ultimi una matrice triangolare superiore; e nel mezzo s’incunea una losanga, sempre d’ordine 5 x 5. Questa tripartizione implicita, a un tempo lampante e dissimulata, ha un ri-

scontro puntuale a livello tematico, come si può subito evincere da una lettura anche rapida — dei corsivi. Ecco, nella prima fascia, svilupparsi un Leztrzotiv intensamente autoriflessivo: Marco Polo e Kublai Kan s’interrogano circa la possibilità di contrapporre, allo «sfacelo senza fine né forma» d’una realtà storica incancrenita, un discorso coerente, un «disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti»; ma devono ammettere che ogni sforzo di astrazione simbolica,

qualora assuma pretese totalizzanti, rischia di trasformare lo stesso soggetto pensante in un «emblema tra gli emblemi» (perciò il piacere della conversazione diminuisce, e il veneziano e l’imperatore restano alla fine immobili e silenziosi). Ecco, nella seconda, un susseguirsi più fitto di colloqui, continuamente interrotti e ripresi, aventi per oggetto privilegiato imeccanismi del conoscere (conclusione provvisoria: se si condivide l’idea secondo la quale l’«essere» non sarebbe nient’altro che «essere percepito», si cade in paradossi teorici irresolubili e in atteggiamenti politici reazionari). Ecco, nella terza, le grandi metafore complementari della scacchiera e dell’atlante (la conclusione definitiva, d’intonazione straordinaria-

mente concitata, suona a esaltazione di un empirismo ponderato, prudente ma tutt'altro che arrendevole).

A cavallo tra letteratura e informatica

61

Se badiamo alla disposizione delle colonne, e al collocarsi in clizax delle città in ciascuna di esse, possiamo notare che anche sotto questo rispetto i rapporti di continuità sono giustificati da ragioni di contenuto, che gli accostamenti «esterni» coincidono con relazioni sostanziali, con nessi «d’affinità o di contrasto» (CI, 23). Così, ad esempio, accanto a «Le città e la memoria» stanno «Le città e il desiderio», accanto alle «città continue» le «città nascoste»: la

memoria prende infatti forma dal desiderio, e viceversa, come più volte segnalato nel testo, la ricerca di ciò che è nascosto muove dalla visione raggelante di un mondo ridotto a «zuppa» di periferie, a un immenso «slabbrato circondario». Si consideri, inoltre, come l’unica rubrica completamente inscritta nella

fascia mediana del diagramma (al centro della losanga) funga a buon diritto da cerniera fra altre due matrici triangolari, parzialmente sovrapposte. Già Carlo Ossola ha rilevato che «Le città e gli occhi» s'accampano quale «luogo eponimo» di ogni specularità, di «ogni inscindibile duplicità»: Valdrada ha una gemella nel proprio riflesso lacustre, Zemrude assume aspetti opposti secondo che la si contempli «di sotto in su» o con lo sguardo rivolto verso il basso, Bauci (alta su trampoli che s’elevano sopra le nubi) proietta al suolo un’ombra traforata, Fillide è il posto dove si rincorre «ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro», Moriana «non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un

rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi» (CI, 59, 72, 83, 98, 111).

Ma forse, più che d’insistere su peculiari rispondenze, vale la pena di sottolineare che il reticolo è non a caso digradante sia in direzione orizzontale sia in direzione verticale: esso non fa che restituirci visivamente il senso di un discorso complessivo che s’ispira al metodo matematico dell’«esaustione» (anticamente insegnato da Eudosso di Cnido e modernamente applicato nel cosiddetto calcolo integrale). Calvino scarta via via — come insufficienti — varie ipotesi conoscitive e classificatori, procedendo di negazione m negazione e di approssimazione in approssimazione. MILANINI C., Arte combinatoria e geografia mentale: Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili, in ID., L’utopia discontinua. Saggio su Calvino, Milano, Garzanti, 1990, pp. 127-134.

LEZIONE III Schemi e algoritmi: confronti e approfondimenti

Contenuti

— —

relazioni dei gruppi che hanno analizzato le proposte dei critici; le ipotesi di lettura di Savina Deotto (Lezione III, All. 1).

Attività per gli studenti —

ripensare e ridefinire le proprie congetture sulla struttura combinatoria del libro alla luce dei confronti effettuati;



esercizio di programmazione: provare a costruire una sequenza logica di istruzioni con cui si possa produrre automaticamente lo schema di Calvino. L’Allegato 2 della Lezione ITI propone un esempio di algoritmo studiato da studenti del Liceo scientifico ‘N. Copernico’ di Udine.

Metodologia Le attività si svolgono sulla falsariga delle lezioni precedenti.

Unità A

64

Allegato 1 Un «libro simmetrico». Proposte di lettura di Savina Deotto*

Andiamo a leggere l’indice del libro, sollecitati dallo stesso Calvino che parla di «un libro simmetrico» in cui «il sistema con cui le serie si alternano è il più semplice possibile». Nei nove capitoli del libro (contenenti ciascuno dieci oppure cinque racconti) troviamo le undici serie relative ai vari ‘tipi’ di città, costituite da cinque racconti ciascuna. Esaminando l’indice risulta facile individuare una sua struttura simmetrica di tipo speculare (l’indice è, in qualche modo, palindromo). Essa si evidenzia maggiormente se indichiamo le singole serie con le lettere dell’alfabeto dalla a alla g e utilizziamo una relazione di identità, che indicheremo con il simbolo ==, nel seguente modo: per le serie a = Lecittà e la memoria.

==.

Le città nascoste

N

b c d e f

== == == == ==

Le città continue. Lecittàeilcielo. Le città ei morti. Lecittàe il nome. Lecittàe gli occhi.

=" st «Sn ng SA

= = = = =

Lecittàeil desiderio. Lecittàeisegni. Lecittà sottili. Lecittàe gli scambi. Lecittàegliocchi.

per i numeri

1== 2 == 3 ==

5 4 3

In questo modo il secondo racconto della serie Le città e i segni, che potremo indicare con il simbolo c,, si identifica con il quarto racconto della serie Le città

e il cielo, a cui corrisponde il simbolo i,. Infatti essi risultano coincidenti nell’identificazione precedentemente introdotta cioè c, == i,. Analogamente, il pri-

" Docente di matematica e fisica del Liceo scientifico ‘N. Copernico’ di Udine 8 CALVINO I., Le città invisibili cit. (Oscar Mondadori), pp. VII-X.

A cavallo tra letteratura e informatica

65

mo racconto della serie Le città e la memoria si identifica con il quinto racconto della serie Le città nascoste, come risulta dal fatto che ad esse corrispondono

rispettivamente i simboli a, ed m; e si può scrivere a, == m,. Usando i simboli precedenti e separando i vari capitoli con uno spazio vuoto, l’indice del libro si può scrivere:

a1a2b1a3b2c1a4b3c2d, > ds e4 f3 ghi esfag3 hoii

asb4 c3 da ei fsgabzizli

bs c4 d3 eafi csd4e3 f gi gshaizlbmi hsi4l mis m3lsm4 3 ms

Quindi si può riscrivere facendo uso dell’identificazione precedentemente introdotta, utilizzando le sole lettere a, b, c, d, e, a1a2b1a3b:c1a:b3c2d; ent

ez dc;

a1b:c3d.e;

fie:d3 cb;

fe i numeri 1, 2, 3:

b1c2d3 e? fi

e1d,c3b2 a;

cide3fer

dje2f3 edi

di c2 b3 a7C1b2a3b) 22a1

Scopriamo che l’indice resta lo stesso se letto dall'inizio 0, viceversa, dalla fine:

l'indice è diventato palindromo. Il centro di simmetria del ‘nuovo indice’ risulta f,, e questo ci permette di dire che il racconto centrale della serie (centrale) Le città e gli occhi risulta essere il centro di simmetria del libro. Se apriamo il libro e andiamo a leggere f, scopriamo che il racconto tratta della città di nome Bauci, che ron è visibile (il che certamente non è casuale in un libro intitolato Le

città invisibili) a chi arriva, essendo collocata su alti e sottili trampoli che si perdono sopra le nubi: dei suoi abitanti si dice che è ipotizzabile che la amino com’era prima di loro e che la guardino con «cannocchiali puntati in giù, contemplando affascinati la propria assenza». Anche questo ha il sapore di... simmetria. Molti altri racconti contengono descrizioni di città che hanno caratteri sim-

metrici (nel senso di contrapposti): Moriana (£,), ad esempio, che come un foglio di carta è dotata di un dritto e di un rovescio che non possono staccarsi né guardarsi; Eusapia (h,), i cui abitanti hanno costruito una sua copia identica sottoterra per rendere meno brusco il salto dalla vita alla morte; Raissa (my),

città infelice che contiene una città felice; Ipazia (c,), dove le cose e le persone hanno collocazione e comportamenti opposti rispetto all’usuale, e così via. Anche le cornici di ogni capitolo, cioè l’inizio e la fine costituiti dai corsivi in cui Marco Polo e Kublai Kan riflettono e commentano, sono in qualche modo simmetriche tra loro. Sembra di poter dire che la simmetria sia una caratteristica importante dell’opera, e non solo dal punto di vista della struttura. Tornando alla struttura, pare di qualche interesse ricordare che, negli appunti di Calvino è riportato il seguente schema (la riga delle lettere è stata ag-

giunta per comodità di lettura):

66

Unità A

a 1 PARTI dm 2a 4300 2 DANA GIEO REATI DIA 2 SERRE. 5 4 5 UI1DUWUNH

UNUDUWINI WNW 1A UWNH UA

UDUWNH UWUNI UND

che, scritto da sinistra a destra per colonne verticali, riporta le 11 serie (a, b, c, d, e, f, g, h, i, 1 m) composte di 5 pezzi ciascuna, mentre letto come si legge normalmente, cioè da sinistra a destra e dall’alto in basso, riproduce l’indice del li-

bro (a, a,b, a; bc; a4b; c d as by 0; d, eb; c, dz e, f, c; dy e; £, gi ds ef; gh, 6; £,83 hai, £g4h3 11 g;hyi;b my bs i, mi; mm; my m}). Possiamo riscrivere lo schema usando i simboli precedentemente definiti e separando opportunamente le righe: dl a,

bi

a;

b.

ci

dy

b;

Cz

as

by b;

d, c; d, cod; Ce ds

er de ii i, e f; es f, f;

81 g g 84 gs

hi h. h;3 hy hs

il i] i Lb iu i L lb

m mp m; my DIS

Nello schema così riscritto resta visibile (nei due triangoli ‘equilateri’ e nelle sette righe orizzontali) la suddivisione del libro nei suoi nove capitoli, come hanno riconosciuto diversi autori (ad esempio Ossola e Milanini, vedi Lezione II, AII. 5, 7). Ritorniamo allo schema e riscriviamolo utilizzando ora anche le

identificazioni precedentemente introdotte. Otteniamo:

A cavallo tra letteratura e informatica

67

dl

a,

bi

a; a,

b, bi

Ci c

di

ai

bi b,

ci co

di d;

Gi e

cid) d,

e la ei

fi £ f, É f,

(Sii l d, e, d, ci e, dj Cc) Griennie d, c, ci

b, b, b; b. bi

a d a; d2 a;

Lo schema presenta: 1. molti elementi simmetrici al loro interno: -— le 11 colonne (rispetto al terzo elemento); l'ottava riga d, e, f, e, d; (rispetto al terzo elemento); — le 5 diagonali di 11 elementi, caratterizzate da un unico pedice (rispetto all'elemento indicato con la lettera f); N . due simmetrie assiali oblique di asse: —

la sesta colonna (caratterizzata dalla lettera f);

la terza diagonale (caratterizzata dal pedice ;). Se le colonne del diagramma vengono spostate verso sinistra, allineando in un rettangolo i simboli relativi ai sette capitoli centrali del libro, esso diventa: dl a?

bi

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Unità A

68

Lo schema presenta: 1. elementi simmetrici al loro interno (tutti rispetto ad f;): l'ottava riga la terza colonna — la ‘diagonale’ f,£,£&£,f, (che si incrociano appunto in f;); 2. simmetria centrale rispetto ad f,. Infine proponiamo uno schema in cui ogni capitolo del libro occupa una riga, scritto con i consueti simboli ed identificazioni: dl

ina

ateb:

ea , aj b3 Go do e bic da cante d;

(S)

di &

E

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(b; a,

d,

bara

“bp,

Lo schema presenta: 1. elementi simmetrici al loro interno: — l'ottava colonna, caratterizzata dal pedice ; (rispetto ad f,); la quinta riga (rispetto ad £,); — le 5 ‘diagonali’ di cinque elementi, caratterizzate ciascuna da un’unica lettera (rispetto all’elemento centrale); 2. simmetria centrale rispetto ad f,; \w . identità di pedice nelle singole colonne.

Osserviamo che questo ultimo schema ha la forza di Z ed f, è il suo centro di simmetria. Ruotando tale Z intorno al suo centro di simmetria si ottiene una ‘girandola’ che può essere considerata il simbolo di una festa gioiosa. Possiamo ritrovare pertanto a questo punto la simmetria per contrapposizione (già se-

gnalata in molte parti del libro) nella coppia festa = improvvisazione = disordine e simmetria = organizzazione = ordine. Si tratta di curiosità, ma simpatiche curiosità, a partire da «un libro simmeTr1CO».

A cavallo tra letteratura e informatica

69

Allegato 2 Se Calvino avesse usato il computer...

Per elaborare il suo schema Calvino ha sudato sette camicie e ha lavorato come

quell’operatore al computer di cui parla nella quarta di copertina di Una pietra sopra: L'immagine chiave del libro è forse quella che troviamo in uno scritto degli Anni Sessanta: un programmatore in camice bianco al terminale di un circuito elettronico cerca di sfuggire all’angoscia dell’innumerabile e dell’inclassificabile, riducendo tutto a diagrammi geometrici, a combinatoria d’un numero finito di elementi?.

Già nell’intervista anticipatoria (il libro, finito di stampare il 3 novembre, uscì in libreria il 25 novembre 1972) all’Espresso del 5 novembre 1972, titolata Nel regno di Calvinia, lo scrittore, parlando del lavoro di composizione de Le città invisibili, aveva evocato il modello del computer: [...] di queste ‘città invisibili’ per molto tempo non credevo di poter fare un libro: erano un certo numero di testi senza un senso complessivo né una forma. A un certo punto alla lettura poetica s'è sovrapposta una possibilità di lettura quasi direi saggistica, e allora il libro ha cominciato a prendere forma. A questo punto sono entrato in una specie di ossessione, perché m’è venuta l’idea di dare al libro una struttura numerica, uno schema molto semplice come si vedrà scorrendo l’indice, ma la posizione in cui viene a trovarsi ogni racconto deve rispondere a funzioni diverse, molto difficili da combinare. Per mesi non ho fatto altro che tentare tutti i possibili modi di mettere in ordine i cinquantacinque capitoli; un lavoro da elaboratore elettronico, riempivo centinaia di fogli di elenchi e di schemi, e alla fine ero talmente invasato che potevo farlo anche a memoria, anche camminando per la strada. Negli ultimi anni ogni cosa che scrivo non mi soddisfa se non mi pone delle enormi difficoltà compositive, dei problemi combinatori ai limiti del risolvibile!0.

Francesco Ariis e Riccardo Sioni (classe VE, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a.s. 2001-2002) sono riusciti con un semplice algoritmo a riprodurre lo schema calviniano:

? CALVINO I., Una pietra sopra, quarta di copertina dell’edizione Einaudi 1980, ora in ID., Saggz cit., II, p. 2933 (Note e notizie sui testi). 0 Nel regno di Calvinia. Sfogliando l'Atlante (colloquio con l’autore), in «L'Espresso» 45, XVIII (5 novembre 1972).

70

Unità A

a,b = misure dello schema.

Ildisegno raffigura l'cutpui cona = S ebeS

LEZIONE IV Le città invisibili e V’informatica

Contenuti

Individuazione di passi de Le città invisibili di Calvino in cui ricorrono concetti e procedimenti di carattere informatico quali: Algoritmo; Astrazione / Formalizzazione / Modellizzazione;

Dato / Informazione - Segno / Significato - Sintassi / Semantica; Grafo; Invariante; Iterazione / Ricorsione;

Modello e sua Rappresentazione; Modularità / Combinatoria;

. Permutazione; DUAN VO

10. Strutture dati.

Attività per gli studenti La classe viene divisa in 4-5 gruppi di lavoro e a ciascun gruppo viene distribuito un identico elenco (Lezione IV, All. 1) di concetti e procedimenti di carattere informatico, suddiviso in due parti: 1. nella prima parte, alle voci (Algoritmo; Astrazione / Formalizzazione / Modellizzazione; Dato / Informazione - Segno / Significato - Sintassi / Semantica; Modello e sua rappresentazione; Permutazione) sono già associate alcune indicazioni di passi dell’opera di Calvino in cui si riscontra la presenza del concetto o del procedimento informatico di cui si tratta; 2. nella seconda parte, invece, le voci (Grafo, Invariante, Iterazione / Ricorsione, Modularità / Combinatoria, Strutture dati) sono elencate senza indicazioni.

Gli studenti sono invitati a: — integrare con altre citazioni le voci della prima parte dell’elenco;

72



Unità A

abbinare le citazioni più opportune alle voci della seconda parte, desumendole naturalmente dal testo di Calvino;

— —

discutere e vagliare le proposte di ciascun gruppo; redigere un elenco completo e definitivo di voci con la corrispettiva esemplificazione.

Metodologia Anche in questa lezione tutta l’attività si svolge in compresenza dell’insegnante di italiano e di matematica-informatica. Verifica

A conclusione dell’intera Unità si ritiene opportuna una valutazione, da parte dei docenti di italiano, matematica e informatica in forma collegiale, del lavoro

svolto dai singoli e dai gruppi. Un’integrazione relativa ai temi e alle attività della lezione è contenuta nel CD allegato: alle scarne indicazioni qui fornite si aggiungono i passi tratti da Le città invisibili scelti per gli abbinamenti e un contributo specifico sul concetto di Ricorsione.

A cavallo tra letteratura e informatica

Ve,

Allegato 1 Concetti e procedimenti di carattere informatico che ricorrono ne Le città invisibili

L'elenco è suddiviso in due parti: — nella prima parte vengono fornite indicazioni di passi de Le città invisibili in cui si riscontra la presenza del concetto o procedimento di cui trattasi (come spunto per ulteriori ricerche da parte degli studenti); — nella seconda parte le voci elencate mancano di indicazioni (saranno quindi il studenti cercare nel testo i passi in cui ricorrono). Parte prima 1. Algoritmo: Le città nascoste. 5. Berenice 2. Astrazione / Formalizzazione / Modellizzazione: cornice IX (A); Le città e

il desiderio. 4. Fedora. 3. Dato / Informazione - Segno / Significato - Sintassi / Semantica: cornice I (B); Le città e la memoria. 3. Zaira; Le città e i segni. 1. Tamara; Le città e i

segni. 5. Olivia. 4. Modello e sua rappresentazione: cornice IX (A-B); Le città e il cielo. 1. Eudossia. 5. Permutazione: Le città e gli scambi. 1. Eufemia. Parte seconda

6. Grafo 7. Invariante 8. Iterazione / Ricorsione

9. Modularità / Combinatoria 10. Strutture dati

UNITÀ B

BAUCI Le città e gli occhi. 3. ...chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. ...Nulla della città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame.

CALVINO SCRITTORE TRA INTUIZIONE E SPERIMENTAZIONE

Il problema espressivo e critico per me resta uno: la mia prima scelta formal-morale è stata per le soluzioni di stilizzazione riduttiva, e per quanto tutta la mia esperienza più recente mi porti a orientarmi invece sulla necessità di un discorso il più possibile inglobante e articolato, che incarni la molteplicità conoscitiva e strumentale del mondo in cui viviamo, continuo a credere che non ci siano soluzioni valide esteticamente e moralmente e storicamente se non si attuano re/la fondazione di uno stile.

Forse il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulla sorte della letteratura e del libro nell’era tecnologica cosiddetta postindustriale. Non mi sento d’avventurarmi in questo tipo di previsioni. La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici’. L'eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverata in molti campi d'’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima sfaccettata del mondo). La conoscenza come molteplicità è il filo che lega le opere maggiori, tanto di quello che viene chiamato modernismo quanto di quello che viene chiamato il post-z0dern, un filo che — al di là di tutte le etichette — vorrei che continuasse a svolgersi nel prossimo millennio. [...] Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima*.

Nel solitario esilio parigino (dal 1967 al 1980) Calvino si isola progressivamente dalla realtà esterna, per immergersi nel «mondo scritto». I suoi interes! CALVINO I., La sfida al labirinto cit., p. 114. 2 CALVINO I., Lezioni americane... cit., p. 629 (Introduzione).

3 Ivi, pp. 722-723 (Molteplicità). #09) pii726:

5 CALVINO I., Mondo scritto e mondo non scritto (1983), in ID., Saggi cit., II, pp. 1865 e ss.

78

Unità B

si culturali, l'amicizia con Queneau e gli altri dell’OuLiPo, oltre che l’analisi della realtà socio-politica del tempo, lo convincono che è radicalmente cambiato il ruolo dell’intellettuale, il quale — se vuole continuare a produrre cultura e progresso civile — deve sperimentare nuove strategie, per cercare di conoscere la realtà, sempre più disordinata e caotica, e di dare ad essa una forma,

un senso, seppure relativo. Da questo momento lo sperimentalismo, la ricerca cioè di nuove forme linguistiche ed espressive che coinvolgano chi legge nello sforzo di capire il mutare dei rapporti con un mondo non più regolato da vecchie certezze, viene a costituire il tratto dominante della sua personalità di uomo e di scrittore. Già nel 1969 Calvino presenta un esperimento ‘combinatorio’, componendo ne I/ castello dei destini incrociati (Lezione IV, All. 7) un cruciverba fatto di

figure con i Tarocchi miniati da Bonifacio Bembo nel secolo XV. Pubblica poi Le città invisibili nel novembre 1972, dopo I/ castello, ma prima de La taverna dei destini incrociati, in cui utilizza per il gioco combinatorio un mazzo di Tarocchi marsigliesi del 1761° (si badi che, nelle edizioni successive, sotto il tito-

lo Il castello dei destini incrociati compaiono sia le otto storie de I/ castello che le otto de La taverna). I legami tra Le città invisibili e l’opera sperimentale che precede risultano quindi evidenti, e non solo in termini cronologici. A noi pare che le suggestioni visive dei Tarocchi rinascimentali, centrali nella prima sperimentazione, debbano aver fornito a Calvino, con il bellissimo Arcano Maggiore denominato I/ Mondo (Lezione I, All. 3), qualche iniziale spunto per le sue utopiche città invisibili. Tanto che — nel decidere egli stesso la copertina della prima edizione — scelse un’opera di René Magritte (Lezione I, All 1) in cui un masso (vagamente poliedrico!) si libra in cielo sopra una distesa di acque: immagine che sembra la versione moderna, surreale e inquietante, del razionale sogno rinascimentale di perfezione, collocato tra cielo e terra. Ma dalla lettura del romanzo e delle tante osservazioni rinvenibili nei Saggi a proposito delle ‘città invivibili’ non si evince il sogno consolatore di un altrove, la ricerca di una città che non esiste (di un ‘non luogo’, secondo l’etimolo-

gia del termine utopia) cui tendere per fuggire lontano dalla società degli uomini. La moderna città ideale per Calvino non è un’astrazione o un’idea atemporale di città, ma il desiderio di ‘città vivibili’, di positivi scambi tra gli uomini, di una diversa convivenza nel presente (Lezione I, All 5): «il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma ° L’Ancien Tarot de Marseille della casa B.P. Grimaud che riproduce (in un’edizione critica stabilita da Paul Marteau) un mazzo stampato nel 1761 da Nicolas Conver, mattre cartier a Marsiglia.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

79

e svaniscono, nascoste nelle città infelici». Il suo intento non è profetizzare la

fine della vita urbana, ma far ascoltare a noi, proprio come al Gran Kan, «prigioniero di un presente vistoso e invivibile», «le ragioni invisibili di cui le città vi. vevano, e per cui forse, dopo morte, rivivranno», «le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi», per indurci a «cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio». Questa è la «città di uto-

pia (che anche se non scorgiamo non possiamo smettere di cercare)», mai disgiunta da una nostra attiva partecipazione alla realtà concreta. «Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla»? Poiché in Calvino la sintesi concettuale e visiva nasce sempre da una realtà di contrari, in cui opposte tensioni convivono, anche in quest'opera la sua im-

maginazione si nutre sia di esperienze e analisi della realtà che di immagini mediate dalla cultura e dalla tradizione; e la visionarietà di Marco Polo-Calvino obbedisce a due logiche, del continuo e del discontinuo, interagenti tra loro in

una impossibile conciliazione dialettica. Se è vero poi che il presente è un teatro di contrasti (natura/cultura, spazio/tempo, ordine/disordine, continuo/discontinuo appunto e visibile/invisibile), questo libro vuol riflettere la molteplicità del presente, in un alternarsi di invenzioni e analisi critiche, alla ricerca del

‘discreto’, dei frammenti di positività e dei percorsi possibili. Ecco allora che il gioco combinatorio potrà essere visto anche come un «sondaggio delle probabilità»8. La vita metropolitana, con i suoi ritmi e rituali, ci inganna a tal punto che non ce ne rendiamo neppure più conto, e tutto risulta ovvio — quindi invisibile — agli occhi di chi vi è immerso. L'immaginazione calviniana opera una ricognizione del discontinuo (di ciò che è ‘diverso’ e autentico) all’interno del continuo (luoghi comuni, aspetti massificanti del costume, conformismo spersona-

lizzante): ecco che la città diviene un emblema onnicomprensivo e il simboli-

smo morale di Calvino, mai didascalico, lascia a chi legge l’identificazione dei

referenti concreti. Il libro risulta così essere una vera opera aperta! «...ho costruito una strut-

tura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino agli altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si

7 Le citazioni in corsivo sono tratte dalla cornice del cap. IX (A, in apertura, e B, in chiusura) de

Le città invisibili; le altre brevi citazioni presenti in questo paragrafo sono tratte da CALVINO LI, Le città invisibili cit. (Oscar Mondadori), pp. IX-XI.

Sellerio, 2004, 8 DEIDIER R., Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini di Italo Calvino, Palermo, p..109.

Unità B

80

possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate»?.

Nel 1973, nel Colloquio con Ferdinando Camon, Calvino chiarisce ampiamente la sua idea di utopia («Utopia è un termine che si usa sempre in modo vago...») anche attraverso un excursus sul pensiero dei «cosiddetti utopisti», a partire dal Settecento, per concludere che «Per me il ‘sistema’ funziona se si sa che è qualcosa di mentale, un modello costruito con la mente e che va continuamente verificato con l’esperienza [...] all’uso del modello formalizzato, deduttivo, strutturale, io ci tengo molto, credo che sia uno strumento operativo

necessario sia come schema del presente, sia come progetto del futuro (o utopia, o profezia) da contrapporre al presente»!°. L’utopia ha dunque per lui la forza morale di un pensiero da contrapporre all’alienante presente, è un polo di tensione, alla ricerca delle opportunità anche minimali del vivere quotidiano, degli aspetti nascosti che non riusciamo più a vedere: un’utopia quindi che abbia finalmente «il potere di mettere in crisi il nostro modo di trovarci qui»!!. Nell’Allegato 5 (Lezione I) proponiamo in ordine cronologico alcuni passi di Calvino che ricostruiscono lo sviluppo delle sue idee intorno ai concetti di utopia e impegno.

Al principio dell’estate 1979 però, quando dopo «una gestazione prolungata»! esce Se una notte d'inverno un viaggiatore (Lezione IV, All. 8), in un con-

testo di crescente espansione dell’industria culturale, ma soprattutto in «un mondo precario, in bilico, in frantumi», sembra che per Calvino non ci sia più spazio per tensioni al cambiamento: «[Tu, lettore] Sei uno che per principio non si aspetta più niente da niente. [...] Tu sai che il meglio che ci si può aspettare è di evitare il peggio». La natura fortemente metaletteraria di quest'opera è dichiarata: Calvino già dal 1975 pensa che all’artista non resti altro che praticare «un’attività creativa ridotta all’analisi di se stessa»! E proprio le parole da lui scritte nel 1979, in risposta a una recensione di Angelo Guglielmi, esprimono bene il senso profondo attribuito da Calvino al suo sperimentare:

? CALVINO I., Lezioni americane cit., pp. 689-690 (Esattezza). ° CALVINO I., Colloquio con Ferdinando Camon, in ID., Saggi cit., II, pp. 2792-2795. Si veda anche Unità C, Lezione I, Allegato 5. !! CALVINO I., Per Fourier 3. Commiato. L'utopia pulviscolare, in ID., Una pietra sopra cit., p. 309. ? FALCETTO B., Note e notizie sui testi, in CALVINO I., Romzanzi e racconti cit., II, p. 1381. oz, pa1389, 4 CALVINO LL, Se una notte d’inverno un viaggiatore, in ID., Romanzi e racconti cit., II, p. 614.

? Così Calvino scrive, mettendo a confronto il lavoro del pittore con quello dello scrittore, in un testo dal titolo La squadratura (che è una sorta di prefazione al volume di PAOLINI G., Iderz, Torino, Einaudi, 1975), ora in CALVINO I., Saggi cit., II, p. 1987.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

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«[...] tra le forme letterarie che caratterizzano la nostra epoca c’è anche l’opera chiusa e calcolata in cui chiusura e calcolo sonio stommesse paradossali che non fanno che indicare la verità opposta a quella rassicurante (di completezza e di tenuta) che la propria forma sembra significare, cioè comunicano il senso di un mondo precario, in bilico, in

frantumi. [...] la prima regola del gioco è ‘far tornare i conti’ (o meglio, far sembrare che i conti tornino mentre sappiamo che non tornano affatto). Il “far tornare i conti’ [...] può essere ben visto come un esercizio acrobatico per sfidare — e indicare — il vuoto sottostante»!‘,

Il percorso letterario proposto nell’Unità B è ripreso nel CD allegato: in particolare viene approfondito il tema della ‘leggerezza’ nell’analisi delle città ‘leggere’ del capitolo V, al centro del quale si colloca Bauci, città invisibile per eccellenza e centro di simmetria del libro. Per un utilizzo didattico l’Unità è strutturata in quattro Lezioni, incentrate

su specifici obiettivi di apprendimento e corredate da indicazioni metodologiche. Obiettivi Conoscenze

approccio agli interessi culturali e alla poetica dell’autore, attraverso l’esame di passi dei suoi Saggi; informazione sugli aspetti culturalmente più significativi del pieno Novecento, con particolare attenzione alle intersezioni tra discipline scientifiche e discipline linguistico-letterarie; acquisizione di terminologia specifica; arricchimento lessicale in genere. Competenze

comprendere immagini e testi scritti di diverso tipo (narrazione, saggi, definizioni, schemi, formule, ecc.);

partecipare costruttivamente a lezioni interattive e dibattiti; saper prendere appunti ed elaborare materiali per lo studio; produrre sintesi e/o relazioni; focalizzare nodi concettualmente significativi e metterli in gerarchia; sapersi documentare e fare ricerche autonome; esporre oralmente, in forma adeguata alle richieste, conoscenze e interpretazioni personali.

16 CALVINO I., Se una notte d'inverno un narratore, in «Alfabeta», I (8 dicembre 1979), ora in FAL-

CETTO B., Note e notizie... cit., pp. 1389-1390.

LEZIONE | Calvino e le ‘sue’ città

Contenuti



analisi delle immagini scelte da Calvino per le copertine della prima edizione Einaudi, 1972, e della seconda, 1977: I/ castello dei Pirenei di René Ma-

gritte (Lezione I, All. 1) e Progetto di edificio di Claude-Nicolas Ledoux (Lezione I, All. 2); ricerca delle possibili motivazioni delle scelte dell’autore;



Le Città invisibili a confronto con la precedente opera sperimentale di Calvino, I/ castello dei destini incrociati, che — secondo la proposta didattica in-

dicata nella Gusda alla lettura e ai percorsi ipertestuali, — può essere stata analizzata in precedenza; suggestioni derivanti dalle immagini di alcune carte dei Tarocchi viscontei — l’Arcano Maggiore I/ Mondo (Lezione I, AIl. 3) — e dei Tarocchi marsigliesi del 1761 — L’Asso di Coppe e La Ruota della Fortuna (Lezione I, AI 4) — e dalla lettura di alcune storie esplicative tratte da I/ castello (Lezione I, All. 3) e da La taverna (Lezione I, All 4);



lettura di passi di articoli giornalistici, interviste e altri scritti calviniani sul tema della città ideale (Lezione I, All 5-6).

Attività per gli studenti Viene assegnato un lavoro di studio accurato del materiale — alcune parti possono essere fornite in fotocopia, in particolare gli Allegati 5 e 6 — e di sintesi sulle caratteristiche delle città presentate e descritte da Calvino stesso, per enucleare gli aspetti che più lo hanno suggestionato.

Metodologia -

lezione interattiva, con proposta di analisi testuali;

-

uso di strumenti di proiezione e di presentazione.

84

Unità B

Allegato 1 La copertina della prima edizione Einaudi de Le città invisibili (1972): l'utopia surreale

«La sopracoperta riproduce un dipinto di René Magritte, I/ castello dei Pirenei, che con levità ariostesca posa un turrito maniero in cima a una roccia sospesa (o fluttuante) a mezz'aria, sul mare»!”. È un’immagine straniante, in cui la città alta e per-

fetta, distaccata dalla superficie terrestre e isolata in una sorta di quiete olimpica, ci rinvia a quanto Calvino aveva fatto dire a Qfwfq in T? con zero «sognai un mondo di cristallo», e ci ricorda la città ideale della carta IZ Mondo del mazzo dei Tarocchi

viscontei. Confrontando la sopracoperta con l'originale di Magritte notiamo che l’immagine risulta tagliata (non si vede il mare in burrasca): ne deriva un effetto (voluto o casuale?) di maggiore sospensione, di minor contrasto tra la terra, con i suoi concreti e tormentosi problemi, e un ‘altrove’ perfettamente sereno. Quasi a suggerire da subito che le città invisibili sono tutt’uno con le città reali, cristallo e roccia allo stesso tempo? Ma forse queste nostre sono illazioni esagerate... %

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ITALO CALVINO ia La Li VE; LE CITTÀ INVISIB bra

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I originale di René Magritte. 1? BARENGHI M., Note e notizie... cit., p. 1359.

Fig. 2. Sopracoperta dell’edizione Einaudi, 1972, de Le città invisibili.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

Allegato 2 La copertina dell’edizione tascabile Einaudi (1977): l'utopia settecentesca

Fig. 3. Claude-Nicolas Ledoux, Casa delle guardie campestri di Maupertuis, 1780.

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- Italo Calvino

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Fig. 4. Immagine di copertina dell’edizione tascabile Einaudi, 1977.

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86

Unità B

Anche in questo caso l’immagine di copertina risulta tagliata rispetto all’originale!8: manca il contesto paesaggistico, è ridotto lo spazio del cielo e assenti i raggi del sole che, nascendo da sinistra, pervadono la scena; insignificante è poi la didascalia Progetto di edificio. L'edificio sferico risulta così isolato e quasi fantascientifico agli occhi di chi — avendo tra le mani il libro — vuol tentare di stabilire una qualche relazione tra immagine e titolo. Il progetto originale (le cui ragioni dovevano risultare piuttosto oscure ai lavoratori agricoli che ne erano i destinatari!), non disgiunto da un certo carattere spettacolare e retorico, rivela chiaramente le intenzioni del paternalismo illuminato di Ledoux: nel pianificare il nuovo paese di Maupertuis, in sintonia con la costruzione dell'ordine sociale voluto dai proprietari terrieri riformatori, egli interpreta l’idea di una campagna fertile e benigna, in cui le occupazioni rurali sono esaltate come portatrici di benessere e felicità; e per togliere gli industriosi lavoratori dai casolari umidi, antigienici e facili prede delle fiamme, propone una serie di alloggi — economici, funzionali e replicabili — che potessero diventare soluzioni standard, mentre la casa-sfera diviene il punto di osservazione e di guardia. Altrettanto chiara, alla luce del suo pensiero sull’utopia (Lezione I, All 5) la posizione di Calvino. Se in passato si poteva pensare (e sognare) la vita degli uomini — in questo caso, degli agricoltori — in termini ideali e idilliaci (ampi spazi sereni, ordinate colture, abitazioni ‘perfette’ anche nella geometria costruttiva) oggi «nessuno più pensa di descrivere una città perfetta, né la giornata dei suoi abitanti ora per ora»!?. Dunque Calvino sembra dirci: stai attento, lettore, questi erano nel passato ideali progetti teorici. Le ‘mie’ città invisibili sono altra cosa: c'è uno scarto tra teoria e prassi, una netta differenza tra sogni illusori e Impegno concreto.

!8 Casa delle guardie campestri di Maupertuis, progettata verso il 1780, in VIDLER A., Claude-Nicolas Ledoux 1736-1806, Milano, Electa, 1994, 19 CALVINO I., Per Fourier 3... cit., p. 308.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

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Allegato 3 Una suggestione rinascimentale di città ideale, dai Tarocchi viscontei

Gli originali di queste carte dipinte, attribuite dal critico Roberto Longhi a Bonifacio Bembo e alla sua bottega, operante in area lombarda, sono databili

tra 1440 e 1480 e hanno un formato di 176 x 87 mm. Le carte con figure hanno fondo dorato, decorato con la tecnica del punzone, con motivi a losanga, recanti al centro il sole raggiante, racchiusi in una cornice, ornata con una fila di rosette anch’esse a punzone. Le carte di semi hanno fondo bianco, ornato con motivi floreali e bordo sottile oro e rosso. Realizzato probabilmente come dono nuziale per Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza, il mazzo (detto ‘mazzo Colleoni-Baglioni’, perché proveniente dai lasciti testamentari di quelle famiglie nobiliari) è giunto incompleto ed è attualmente smembrato in tre diverse collezioni: all'Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, alla Pierpont Morgan Library di New York e in una collezione privata di Bergamo. Vi compaiono il sole raggiante e altre ‘imprese’ sia dei Visconti che degli Sforza: la colomba, la corona con l’alloro e la palma, i tre anelli incrociati, tipi-

ci del dominio di Francesco Sforza. Originariamente il mazzo era costituito di 78 carte: 10 carte numerate e 4 carte d’onore (Re, Regina, Cavaliere, Fante) per

ciascuno dei 4 semi (denari, spade, bastoni, coppe) e 22 Arcani Maggiori, chiamati anche Trionfi o Energie. Quattro carte sono andate perdute, tra cui due molto importanti, I/ Diavolo e La Torre. I Tarocchi sono carte ricche di tradizione, utilizzate ancor oggi per predire il futuro. Nella tecnica cartomantica ogni carta può avere più di un significato ed inoltre le carte che precedono orientano semanticamente quelle che seguono. Questa lettura a scopo ‘divinatorio’ è iniziata però tardi, alla fine del Settecento, perché in epoca medievale e rinascimentale le carte valevano per quanto in esse era disegnato. Pensate per il divertimento e il piacere della nobiltà cortigiana, dovevano contenere molti riferimenti personali: questo ha indubbiamente contribuito a mantenere il mistero che ancora aleggia intorno a queste carte. Il mondo ideale, perfetto nella sua circolarità posta in risalto dal fondo oro, costituito da una simmetrica città turrita sospesa tra cielo e terra, pare con-

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Unità B

trapporsi al realismo dei due puttini carnosi, del prato fiorito e delle montagne sullo sfondo. Chi scende nell’abisso della Morte e risale l Albero della Vita — con queste parole immaginavo fosse accolto l’involontario pellegrino — arriva nella Città del Possibile, da cui si contempla il Tutto e si decidono le Scelte. CALVINO T., I/ castello dei destini incrociati, in Ip., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. 526.

Storia d’un ladro di sepolcri Il sudore freddo non s’era ancora asciugato sulla mia schiena, e già dovevo tener dietro a un altro commensale, cui il quadrato Morte, Papa, Otto di

Denari, Due di Bastoni sembrava risvegliare altri ricordi, a giudicare da come lui ci girava intorno con lo sguardo, mettendo la testa di traverso,

quasi non sapesse da che parte entrarci. Quando costui posò in margine il Fante di Denari, figura nella quale era facile riconoscere il suo piglio di provocatoria spavalderia, compresi che anche lui voleva raccontare qualcosa, cominciando di lì, e

che si trattava della storia sua. Ma che cosa aveva da spartire, questo scanzonato giovanotto, col macabro regno degli Fig. 5. Uno degli Arcani scheletri evocato5 dall’Arcano ; Numero ì Tredici? Maggiori, IlMondo (Bergamo, collezione privata). Non era certo tipo da passeggiare meditando per i cimiteri, a meno che non vi fosse attratto da qualche proposito ribaldo: per esempio, quello di forzare le tombe e derubare i morti dagli oggetti preziosi che sconsideratamente essi si fossero portati con sé nell’ultimo viaggio... Sono di solito i Grandi della Terra a venir sepolti insieme agli attributi del loro comando, corone d’oro, anelli, scettri, vesti di lamine splendenti. Se questo giovane era davvero un ladro di tombe, egli doveva andar cercando nei ci-

miteri i sepolcri più illustri, per esempio la tomba d’un Papa, dato che i pontefici scendono nel sepolcro in tutto lo splendore dei loro arredi. Il ladro, in una notte senza luna, doveva aver sollevato il pesante coperchio della tomba facendo leva su Due Bastoni e s'era calato nel sepolcro. E dopo? Il narratore posò un Asso di Bastoni e fece un gesto ascendente, come qualcosa che crescesse: per un momento dubitai d’aver sbagliato tutta la

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mia congettura, tanto quel gesto pareva in contraddizione con l’immergersi del ladro nella tomba papale. A meno di supporre che dal sepolcro appena sco-

perchiato fosse spuntato un tronco d’albero diritto e altissimo, e che il ladro vi

si fosse arrampicato, oppure si fosse sentito trasportare su, in cima all’albero, tra i rami, nella fronzuta chioma della pianta. Per fortuna costui, sarà stato uno scampaforche, ma almeno nel raccontare non si limitava ad aggiungere un tarocco all’altro (procedeva a coppie di carte affiancate, in una doppia fila orizzontale, da sinistra a destra) ma s’aiutava con una gesticolazione ben dosata, semplificando un poco il nostro compito. Così riuscii a capire che con il Dieci di Coppe voleva intendere la vista dall’alto del cimitero, come lui lo contemplava d’in cima alla pianta, con tutti gli avelli allineati sui loro piedestalli lungo i viali. Mentre con l’arcano detto L'Angelo o Il Giudizio (in cui gli angeli attorno al trono celeste suonano la diana che fa scoperchiare le tombe) voleva forse solo sottolineare il fatto che lui guardava le tombe dall’alto come gli abitanti del cielo nel Gran Giorno. Sulla cima dell’albero, arrampicandosi come un monello, il nostro giunse a una città sospesa. Così io credetti di interpretare il maggiore degli arcani, I/ Mondo, che in questo mazzo di tarocchi raffigura una città galleggiante su onde o nuvole, e sollevata da due putti alati. Era una città i cui tetti toccavano la volta del cielo, come già La Torre di Babele, quale ce la mostrò, lì di seguito, un altro arcano. — Chi scende nell’abisso della Morte e risale l Albero della Vita, —

con queste parole immaginavo fosse accolto l’involontario pellegrino, — arriva nella Città del Possibile, da cui si contempla il Tutto e si decidono le Scelte. Qui la mimica del narratore non ci aiutava più e occorreva lavorare di congetture. Ci si poteva immaginare che, entrato nella Città del Tutto e delle Parti, il nostro ribaldo si fosse sentito apostrofare: — Vuoi la ricchezza (Derari) o la forza (Spade) oppure la saggezza (Coppe)? Scegli, subito! —. Era un arcangelo ferreo e radioso (Cavaliere di Spade) che gli rivolgeva questa domanda, e il nostro, rapido: — Scelgo la ricchezza! (Denari) — gridò. — Avrai Bastoni! — era stata la risposta dell’arcangelo a cavallo, mentre la città e l’albero si dissolvevano in fumo e il ladrone precipitava in un rovinio di rami spezzati in mezzo al bosco. CALVINO T., I/ castello dei destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi

e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 524-526.

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Allegato 4 I Tarocchi marsigliesi

Si tratta di stampe popolari, con incisioni piuttosto rozze (se paragonate alle raffinate miniature rinascimentali) che presentano immagini dettagliate fertili di spunti narrativi. Lo stile figurativo più basso ha indotto ad una scrittura di tono diverso e questo di per sé potrebbe spiegare le differenze tra Castello e Taverna. Rispetto ai Tarocchi viscontei alcuni Arcani sono raffigurati diversamente, come talvolta leggermente diversa è la nomenclatura. Questo mazzo risulta simile ai tarocchi ancora oggi in uso per predire l’avvenire o per giocare a carte. L’Asso di Coppe rappresenta appunto una città con tante torri e guglie e mi-

nareti e cupole che sporgono fuori dalle mura... E questa città sembra in equilibrio in cima a una piramide, che potrebbe anche essere la vetta del grande albero, cioè si tratterebbe d’una città sospesa sui rami più alti come un nido d’uccelli, con le fondamenta pendule come le radici aeree di certe piante che crescono in cima ad altre piante... È la città dove tutte le parti si congiungono, le scelte si bilanciano, dove si riempie il vuoto che rimane tra quello che ci s’aspetta dalla vita e quello che ci tocca? ...qui troverai quello che chiedi. CALVINO I., La taverna det destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 553-554.

È ottimista per vocazione, il Re: nel suo reame tutto va per il meglio... La città che lui ha costruito è sfaccettata come un cristallo o come l’Asso di Coppe, traforata dalla grattugia di finestre dei grattacieli, saliscesa dagli ascensori, autoincoronata dalle altostrade, non parca di parcheggi, scavata dal formicaio luminoso delle sottoterrovie, una città le cui cuspidi sovrastano le nuvole e che seppellisce le ali oscure dei suoi miasmi nelle viscere del suolo perché non offuschino la vista delle grandi vetrate e la cromatura dei metalli. CALVINO I., Storia del regno dei vampiri, in ID., La taverna dei destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, DIS7O5

La città che ho sentito come la mia città più di qualunque altra è New York... ogni volta che ci vado la trovo più bella e più vicina a una forma di città ideale. Sarà anche che è una città geometrica,

cristallina, senza passato, senza

profondità, apparentemente senza segreti; perciò è la città che dà meno sogge-

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

Si

zione, la città che posso illudermi di padroneggiare con la mente, di pensarla tutta intera nello stesso istante. Con tutto questo, quanto si vede New York nelle storie che ho scritto? Pochissimo. Forse solo un paio di racconti di Ti cor zero o simili, qualche pagina qua e là. (Ecco ora cerco nel Castello dei destini incrociati: pagina 80)?0,

Intervista di Maria Corti, in «Autografo», II (6 ottobre 1985), ora in CALVINO LL, Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 2925-2926.

Torna insistente la ricerca di una città armoniosa, nelle forme architettoni-

che e negli equilibri di una rispettosa convivenza tra uomini. Calvino non cessa di cercare intorno a sé la città del vivere ideale per l’uomo, ma guardando alla realtà concreta dichiara rotto l’incanto nel procedere della storia umana, e il-

lustra Storia zione ra un

questa sua idea con la carta successiva, La Ruota della Fortuna, e con la della foresta che si vendica (titolo quanto mai significativo!), in una posiper certi versi ambientalista, polemica ed anche apocalittica, che prefigumondo senza uomini e dominato dalle macchine, con un ritorno indietro

alla vita selvatica, in cui gli animali occupano i territori prima strappati alla foresta e prendono il posto degli uomini! Eppure la città non è morta: i macchinari i motori le turbine continuano a ronzare e a vibrare, ogni Ruota a ingranare i suoi denti in altre ruote [...] Le macchine che da tempo sapevano di poter fare a meno degli uomini, finalmente li hanno cacciati; e dopo un lungo esilio gli animali selvatici sono tornati a occupare i territori strappati alla foresta: volpi e martore allungano la soffice coda sui quadri di comando costellati di manometri e leve e quadranti e diagrammi; tassi e ghiri si crogiolano sugli accumulatori e sui magneti. L'uomo è stato necessario: adesso è inutile. Perché il mondo riceva informazioni dal mondo e ne goda bastano ormai i calcolatori e le farfalle. CALVINO I., Storia della foresta che si vendica, in ID., La taverna dei destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 563-564.

Storia dell’indeciso

[...] Con L’Asso di Bastoni il giovane vuole certo raccontarci che non sapendo decidere se proseguire da una parte o dall’altra, non gli è rimasta altra via che

20 I] passo di pagina 80 della prima edizione, a cui Calvino si riferisce, corrisponde alla descrizione tratta da Storia del regno dei vampiri sopra citata.

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scendere dal carro e arrampicarsi su per il tronco nodoso, per i rami che con le successive biforcazioni continuano a imporgli il tormento della scelta. Almeno spera che tirandosi su da un ramo all’altro potrà vedere più lontano, capire dove portano le strade; ma il fogliame sotto di lui è fitto, la vista del terreno è presto perduta, e se lui alza lo sguardo verso la cima dell’albero lo abbaglia I/ Sole, con raggi pungenti che fanno brillare di tutti i colori le foglie controluce. Però bisognerebbe anche spiegare cosa rappresentano quei due bam-

Fig. 6. L’Asso di Coppe.

Fig. 7. La Ruota della Fortuna.

bini che si vedono nel tarocco: vorrà dire che guardando in su il giovane s’è accorto di non essere solo sull’albero; due monelli l'hanno preceduto arrampicandosi per i rami. Sembrano due gemelli: uguali identici, scalzi, biondi biondi. Forse a quel punto il giovane ha parlato, ha chiesto: — Cosa fate qui, voi due? — oppure: — Quanto manca alla vetta? — E i gemelli gli hanno risposto indicando con un confuso gesticolare qualcosa che si vede all’orizzonte del disegno, sotto i raggi del sole, le mura d’una città.

Ma dove sono situate, rispetto all’albero, queste mura? L’Asso di Coppe rappresenta appunto una città con tante torri e guglie e minareti e cupole che sporgono fuori dalle mura. E anche foglie di palmizi, ali di fagiani, pinne di pesciluna azzurri, che certo spuntano dai giardini, dalle voliere, dagli acquari della

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città, in mezzo ai quali possiamo immaginate i due monelli che-si rincorrono e scompaiono. E questa città sembra in equilibrio in cima a una piramide, che potrebbe anche essere la vetta del grande albero, cioè si tratterebbe d’una città sospesa sui rami più alti come un nido d’uccelli, con le fondamenta pendule come le radici aeree di certe piante che crescono in cima ad altre piante. Le mani del giovane nel posare le carte sono sempre più lente e incerte, e noi abbiamo tutto il tempo di tenergli dietro con le nostre congetture, e di rimuginare in silenzio le domande che certo gli saranno girate in testa, come ora a noi: — Che città è questa? E la Città del Tutto? È la città dove tutte le parti si congiungono, le scelte si bilanciano, dove si riempie il vuoto che rimane tra quello che ci s’aspetta dalla vita e quello che ci tocca? Ma chi c’era, nella città, a cui il giovane potesse domandare? Immaginiamoci che sia entrato per la porta ad arco nella cinta delle mura, che si sia inoltrato in una piazza con un’alta scalinata in fondo, e che in cima a questa

scala sieda un personaggio dagli attributi regali, divinità in trono o angelo coronato. (Dietro le spalle gli si vedono due prominenze che potrebbero essere la spalliera del trono, ma anche un paio d’ali, malamente ricalcate nel disegno). — E questa la tua città? — il giovane avrà domandato. — La tua, — migliore risposta non avrebbe potuto ricevere, — qui troverai quello che chiedi. Figuriamoci se lui, preso alla sprovvista, è capace a esprimere un desiderio

sensato. Accaldato per essersi arrampicato fin lassù, avrà soltanto detto: — Ho sete!

E l’angelo in trono: — Non hai che da scegliere a quale pozzo bere, — e avrà indicato due pozzi uguali che s’aprono nella piazza deserta. Il giovane, basta guardarlo per capire che si sente un’altra volta perduto. La potenza coronata ora brandisce una bilancia e una spada, attributi dell’angelo che veglia sulle decisioni e gli equilibri, dall’alto della costellazione della Libra. Dunque pure nella Città del Tutto si è ammessi soltanto attraverso una scelta e un rifiuto, accettando una parte e rinunciando al resto? Tanto vale che lui se ne vada com’è venuto; ma nel girarsi vede due Regine affacciate a due balconi l’uno dirimpetto all’altro ai due lati della piazza. Ed ecco che gli sembra di riconoscere le due donne della sua scelta mancata. Pare che siano lì di guardia, per non lasciarlo uscire dalla città, tant'è vero che impugnano ciascuna una spada sguainata, l’una con la destra, l’altra — certo per simmetria — con la sinistra. Oppure, se sulla spada dell’una non c'erano dubbi, quella dell’altra poteva essere anche una penna d’oca, o un compasso chiuso, o un flauto, o un tagliacarte, e

allora le due donne stavano a indicare due diverse vie che s’aprono a chi ha ancora da trovare se stesso: la via delle passioni, che è sempre una via di fatto, ag-

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gressiva, a tagli netti, e la via della sapienza, che richiede di pensarci su e imparare a poco a poco. CALVINO I., La taverna dei destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 553-555.

Storia della foresta che si vendica

Il filo della storia è ingarbugliato non solo perché è difficile combinare una carta con l’altra ma anche perché ogni nuova carta che il giovane cerca di mettere in fila con le altre ci sono dieci mani che s’allungano per portargliela via e infilarla in un’altra storia che ciascuno sta mettendo su, e a un certo punto le carte gli scappano da tutte le parti e lui deve tenerle ferme con le mani, con gli avambracci, coi gomiti, e così le nasconde anche a chi cerca di capire la storia che sta raccontando lui. Per fortuna tra tutte quelle mani invadenti ce n’è anche un paio che gli viene in aiuto a tenere le carte in fila, e siccome sono mani che come grandezza e come peso ne fanno tre delle altre, e il polso e il braccio sono grossi in proporzione, e così la forza e la decisione con cui s’abbattono sul tavolo, va a finire che le carte che il giovane indeciso riesce a tenere insieme sono quelle che restano sotto la protezione delle manone sconosciute, protezione che non si spiega tanto con l’interesse per la storia delle sue indecisioni quanto col casuale accostamento d’alcune di queste carte in cui qualcuno ha riconosciuto una storia che gli sta più a cuore cioè la sua propria. Qualcuno, anzi qualcuna: perché, dimensioni a parte, la forma di queste di-

ta e mani e polsi e braccia è quella che distingue dita mani polsi braccia femminili, di ragazza paffutella e tornita, e difatti risalendo per queste membra si percorre la persona d’una gigantesca giovinetta che fino a poco fa se n’è stata a sedere in mezzo a noi buona buona, e tutt’a un tratto, vinta la soggezione, ha preso a gesticolare menando gomitate nello stomaco dei vicini e ribaltandoli giù dalla panca. I nostri sguardi s’alzano al suo viso che arrossisce — o per timidezza o per collera, — poi s’abbassano sulla figura della Regina di Bastoni che le rassomiglia parecchio, nelle sode fattezze campagnole, incorniciate dai rigogliosi capelli canuti, e nel portamento brusco. Ha indicato quella carta con una ditata che sembra un pugno sul tavolo, e il mugolio che le esce dalle labbra imbronciate sembra voler dire: — Sì, sono proprio io, quella, e questi folti bastoni sono la fore-

sta in cui sono stata allevata da un padre che, non aspettandosi più niente di buono dal mondo civile, s'era fatto Ererzzta in questi boschi, per tenermi lontana dai cattivi influssi del consorzio umano. Ho educato la mia Forza giocando coi cinghiali e coi lupi, e ho imparato che la foresta, pur vivendo dello sbranarsi e inghiottirsi continuo d’animali e vegetali, è regolata da una legge: la for-

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za che non sa fermarsi in tempo, bisonte 0 uomo o condor, fa il deserto intorno e ci lascia le cuoia, e servirà da pascolo alle formiche e alle mosche... Questa legge, che gli antichi cacciatori conoscevano bene ma che oggi nessuno più ricorda, la si può decifrare nel gesto inesorabile ma controllato con cui la bella domatrice torce le fauci d’un leone con la punta delle dita. Cresciuta in confidenza con le bestie selvatiche, era rimasta selvatica in pre-

senza delle persone. Quando sente il trotto d’un cavallo e per i sentieri del bosco vede passare un bel Cavaliere, lo spia di tra i cespugli, poi scappa intimidita, poi taglia giù per scorciatoie per non perderlo di vista. Ecco che lo ritrova appeso per i piedi a un ramo da un brigante di passo, che gli svuota le tasche dell’ultimo quattrino. Non ci sta a pensar su, la ragazzona boschereccia: si butta sul brigante mulinando la sua clava: come rami secchi crepitano ossa tendini articolazioni cartilagini. Qui dobbiamo supporre che lei abbia staccato dall'albero il bel giovane e l’abbia rianimato alla maniera dei leoni, leccandolo sul viso. Da una borraccia che porta a tracolla versa Due Coppe d’una bevanda di cui lei sola ha la ricetta: qualcosa come succo di ginepro fermentato e latte acido di capra. Il cavaliere si presenta: — Sono principe ereditario dell'Impero, figlio unico di Sua Maestà. M’hai salvato. Dimmi come posso ricompensarti. E lei: — Resta a giocare un po’ con me, — e si nasconde tra i corbezzoli. Quella bevanda era un potente afrodisiaco. Lui la rincorre. Svelta svelta la narratrice vorrebbe far passare sotto i nostri occhi l Arcano I/ Mondo come un accenno verecondo: — ...In questo gioco, presto la mia fanciullezza andò perduta... — ma il disegno mostra senza reticenze come al giovane s’era rivelata la nudità

di lei, trasfigurata in una danza amorosa, e come a ogni volteggio di questa danza lui scoprisse in lei una nuova virtù: forte come una leonessa, altera come un'aquila, materna come una mucca, soave come un angelo.

L’invaghimento del principe è confermato dal tarocco seguente, L'Azzore, che pure mette in guardia contro una situazione ingarbugliata: il giovanotto risultava sposato, e la sua legittima consorte non intendeva lasciarselo scappare. — Le pastoie legali poco contano nella foresta: rimani qui con me e dimentica la corte, la sua etichetta e i suoi intrighi, — questa proposta o altra ugualmente sensata gli deve aver fatto la ragazza; e non tien conto che i principi possono avere dei principî. - Solo I/ Papa può sciogliermi dal primo matrimonio. Tu aspettami qui. Vado, sbrigo la pratica e ritorno, — e salito sul suo Carro parte senza nemmeno voltarsi, assegnandole una modesta provvigione (Ire Denari).

Abbandonata, in breve volgere di Stelle, è colta dalle doglie. Si trascina in

riva a un rivo. Le belve del bosco sanno ben partorire senza aiuto, e lei ha imparato da loro. Dà alla luce del Sole due gemelli così robusti che già stavano in piedi.

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-— Coi miei figli mi presenterò a chiedere Giustizia all'Imperatore in persona, che riconoscerà in me la vera sposa del suo erede e genitrice dei suoi discendenti — e con questo proposito si mette in marcia verso la capitale. Avanza e avanza, la foresta non finiva. Incontra un uomo che scappa come un Matto, inseguito dai lupi. - Dove credi d’andare, malcapitata? Non esiste più città né impero! Le strade non portano più da nessun luogo a nessun luogo! Guarda! L'erba gialla e stentata e la sabbia del deserto coprono l’asfalto e i marciapiedi della città, sulle dune ululano gli sciacalli, nei palazzi abbandonati sotto la Luna le finestre s'aprono come occhiaie vuote, da scantinati e sotterranei dilagano i topi e gli scorpioni. Eppure la città non è morta: i macchinari i motori le turbine continuano a ronzare e a vibrare, ogni Ruota a ingranare i suoi denti in altre ruote, i vagoni a correre sui binari e i segnali sui fili; e nessun uomo è più lì a trasmettere o a ricevere, a rifornire o a scaricare. Le macchine che da tempo sapevano di poter fare a meno degli uomini, finalmente li hanno cacciati; e dopo un lungo esilio gli animali selvatici sono tornati a occupare i territori strappati alla foresta: volpi e martore allungano la soffice coda sui quadri di comando costellati di manometri e leve e quadranti e diagrammi; tassi e ghiri si crogiolano sugli accumulatori e sui magneti. L'uomo è stato necessario: adesso è inutile. Perché il mondo riceva informazioni dal mondo e ne goda bastano ormai i calcolatori e le farfalle. Così si conclude la vendetta delle forze terrestri scatenate in scoppi a catena di trombe d’aria e di tifoni. Poi gli uccelli, già dati per estinti, si moltiplicano e calano a stormi dai quattro punti cardinali con uno stridio assordante. Quando il genere umano rifugiato in buche sotterranee prova a riemergere, vede il cielo oscurato da una fitta coltre d’ali. Riconoscono il giorno del Giudizio com’è rappresentato nei tarocchi. E che d’un’altra carta s’avverava l'annuncio: verrà il giorno in cui una piuma butterà giù la torre di Nembrotte. CALVINO I., La taverna dei destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 560-564.

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Allegato 5 L’utopia ‘pulviscolare’ di Calvino

Come lettori ideali per la letteratura io penso alle uniche persone che per me contano, cioè a quelle impegnate a progetti per il mondo futuro (cioè quelle per cui conta la reciproca influenza tra progettazione poetica e progettazione politica o tecnica o scientifica ecc.) e più precisamente impegnate a una razionalizzazione

del reale (a cui vale la pena di dedicarsi proprio perché il reale non è di per sé razionale) e voglio che queste persone si valgano di quella particolare intelligenza del mondo che la letteratura e solo la letteratura può dare. [...] Il discorso critico generale che ho tentato più volte in successivi abbozzi ha solo questo filo: (anche) la poesia del zegativo è sempre (non solo recuperabile ma) necessaria a una progettazione positiva del mondo. Questa la mia nozione di «impegno».

CALVINO I., GUGLIELMI A., Corrispondenza con poscritto a proposito della ‘Sfida al labirinto’, in «Il Menabò», 6 (1963), pp. 268-271, ora in CALVINO I, Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Mi-

lano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 1773-1774.

Nei progetti delle metropoli del futuro, si vede sempre più spesso apparire il modello veneziano, per esempio nelle proposte degli urbanisti per risolvere il problema del traffico di Londra: vie destinate ai veicoli che passano in profondità, mentre i pedoni circolano su vie sopraelevate e ponti. L'epoca in cui viviamo vede tutte le grandi città esistenti in crisi: molte città diventano invivibili; molte città dovranno essere ristrutturate o costruite ex novo secondo piani

più conformi al modello veneziano. Ma progettare delle Venezie asciutte vuol dire amputare il modello di ciò che esso rappresenta di più profondo: la città acquatica come archetipo dell’immaginazione e come struttura che risponde a bisogni antropologici fondamentali. Io credo nell’avvenire delle città acquatiche, in un mondo popolato da innumerevoli Venezie. [...] Venezia, che non è passata attraverso la breve fase della storia umana in cui si credeva che l’avvenire fosse dell’automobile (un’ottantina d’anni soltanto) sarà la città meglio in grado di superare la crisi e di indicare con la propria esperienza nuovi sviluppi. [...] È in questo quadro che va visto il futuro di Venezia. Considerarla nel suo fascino storico-artistico è cogliere solo un aspetto, illustre ma limitato. La forza con cui Venezia agisce sulla immaginazione è quella d’un archetipo vivente che si affaccia sull’utopia. Carvino L, Venezia: archetipo e utopia della città acquatica, 1974, in CALVINO LI, Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 2691. L’Allegato 6 della Lezione

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I riporta l’intero articolo. Quanto alla data di composizione, va detto che lo stesso testo, presentato come intervista, apparve sul quotidiano «Il Gazzettino» in data 9 aprile 1968.

Nel 1972, nelle pagine finali de Le città invisibili, al Gran Kan che gli indica sul suo atlante immagini di ‘città utopiche’ e immagini di città ‘distopiche’ Marco Polo-Calvino risponde: «Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla [...] L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in

mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Le città invisibili, cornice IX-B.

L'utopia sfida il tempo, insediandosi in un non-luogo, negando il rapporto col mondo altro e necessariamente nemico [...] sente il bisogno d’opporre una sua compattezza e permanenza al mondo ch’essa rifiuta. Già questo qualifica l’utopia come produzione favorita d’epoche in cui l’azione pratica è sconfitta. [...] resta da chiederci cosa è l’equivalente creativo dell’utopia nel nostro secolo. Più che d’utopia in senso classico, troviamo campi d’energia utopica, diffusi soprattutto dalla letteratura e dall’arte [...] Ma come genere letterario l'utopia rivive solo come antiutopia (Huxley, Orwell). [...] nessuno più pensa di descrivere una città perfetta, né la giornata dei suoi abitanti ora per ora. Lo spessore — e la complessità del mondo - si è saldato intorno a noi senza spiragli. [...] La visione di un futuro globale è confinata in un genere letterario minore, la fantascienza (e spesso anche lì è l’utopia negativa, il viaggio agli inferi del futuro, che domina) [...] il racconto a effetto di spaesamento e avventura [...] non ha il potere di mettere in crisi il nostro modo di trovarci qui. [...] Nel nostro ieri del dopoguerra, le premesse per rivisitare l’utopia nascevano dallo stesso terreno in cui l’urbanistica si poneva come la disciplina pilota che avrebbe dato forma sociale tecnica estetica al teatro delle nostre vite. Dopo tutti gli scacchi che la fiducia nella progettazione e previsione razionale ha subito da allora, dopo che tante intenzioni si sono ottuse contro il muro di inerzia degli interessi e dei comportamenti condizionati [...] ora che l'orizzonte della cultura capitalistica ruota intorno a un'immagine di catastrofe [...] proprio adesso si rivisita l’utopia. Ma perché? [...] Una delle tante fughe in avanti, ma che sa di non essere altro? O, peggio, un alibi intellettuale, un rifugio d’anime belle? [...]

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Io qui tento solo di ricostruire un diario dei miei rapporti (soprattutto privati) con l’utopia, nei loro alti e bassi [...] introdurre nella limitatezza delle nostre scelte lo «scarto assoluto» d’un mondo pensato in tutti i suoi dettagli secondo altri valori e altri rapporti. Insomma l’utopia come città che non potrà essere fondata da noi ma fondare se stessa dentro di noi [...] città che pretende d’abitare noi, non d’essere abitata. [...]

Certo ultimamente anche il mio bisogno di rappresentazione sensoriale della società futura è scemato [...] il meglio che m’aspetto ancora è altro, e va cercato nelle pieghe, nei versanti in ombra, nel gran numero d’effetti involontari che il sistema più calcolato porta con sé senza sapere che forse là più che altrove è la sua verità. Oggi l’utopia che cerco non è più solida di quanto non sia gassosa: è un'utopia polverizzata, corpuscolare, sospesa. CALVINO I., Quale utopia?, testo scritto per l’Almanacco Bompiani (dicembre 1973), ora in ID., Per Fourier 3, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 307-314.

[...] credo che i rapporti tra mondo scritto e mondo della pratica devono fare un lungo giro, provare la loro capacità di cristallizzare materiali diversi che i giorni gli depositano addosso, ed è così che non solo i filosofi ma anche i poeti cambiano il mondo. Altri tipi di rapporto più diretto non ne conosco, o almeno non ci credo. CALVINO I., Colloquio con Ferdinando Camon, 1973, in Ip., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 2793.

«Sta a noi vedere questo giardino come ‘lo spazio di un’altra storia’, nato dal desiderio che la storia risponda ad altre regole [...] come la proposta d’uno spazio e d’un tempo diversi, la dimostrazione che il dominio totale del frastuono e del furore può essere messo in crisi...». CALVINO I., Collezione di sabbia, p. IV, La forma del tempo. Giappone, 1976, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 578-579.

L'idea di una Città Migliore, raggiunta attraverso la vittoria, mettiamo della lotta di classe, viene semplicemente immersa in una diversa idea del tempo: non dico della storia, ma proprio del tempo. Infatti molte delle città sognate da Calvino in un certo momento raggiungono la perfezione. Che poi la riperdano è un discorso che riguarda generazioni incredibilmente future [...]. Tutte le città che Calvino sogna, in infinite forme, nascono invariabilmente dallo scontro tra

una città ideale e una città reale [...]. Per me che sto lavorando a Le mille e una notte, leggere questo libro è stato quasi inebriante [...] come ogni racconto de Le mille e una notte è il raccon-

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to di una anomalia del destino, così ogni descrizione di Calvino è la descrizione di una anomalia del rapporto tra mondo delle Idee e Realtà (che è poi il Destino nella civiltà occidentale). L'invenzione poetica consiste nell'individuazione di tale momento anomalo. PASOLINI P.P., Italo Calvino. Le città invisibili, recensione sul settimanale «Tempo», 28 gennaio 1973, ora in ID., Descrizioni di descrizioni, Torino, Einaudi, 1979, pp. 34-39. Altri passaggi di questa recensione si possono leggere nell’ Allegato 3 della Lezione II.

Credo che non sia solo un’idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna. Da qualche amico urbanista sento che il libro tocca vari punti della loro problematica, e non è un caso perché il retroterra è lo stesso. E non è solo verso la fine che la metropoli dei «big numbers» compare nel mio libro; anche ciò che sembra evocazione d’una città arcaica ha senso solo in quanto pensato e scritto con la città di oggi sotto gli occhi. Che cosa è oggi la città, per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili. Oggi si parla con eguale insistenza della distruzione dell'ambiente naturale quanto della fragilità dei grandi sistemi tecnologici che può produrre guasti a catena, paralizzando metropoli intere. La crisi della città troppo grande è l’altra faccia della crisi della natura. L’immagine della «megalopoli», la città continua, uniforme, che va coprendo il mondo, domina anche il mio libro.

Ma libri che profetizzano catastrofi e apocalissi ce ne sono già tanti; scriverne un altro sarebbe pleonastico, e non rientra nel mio temperamento, oltretutto. Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude

su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici. Quasi tutti i critici si sono soffermati sulla frase finale del libro: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo dura-

re, e dargli spazio». Dato che sono le ultime righe, tutti hanno considerato questa come la conclusione, la «morale della favola». Ma questo è un libro fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli; e anche di non meno epigrammatiche o epigrafiche di quest’ultima.

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Certo, se questa frase è capitata in fine del’libro non è a caso, ma cominciamo

col dire che quell’ultimo capitoletto ha una conclusione duplice, i cui elementi sono entrambi necessari: sulla città d’utopia (che anche se non scorgiamo non possiamo smettere di cercare) e sulla città infernale. E ancora: questa è solo l’ultima parte del «corsivo» sugli atlanti del Gran Kan, per il resto piuttosto trascurato dai critici, e che dal primo pezzo all’ultimo non fa che proporre varie possibili «conclusioni» a tutto il libro. Ma c’è anche l’altra via, quella che sostiene che il senso di un libro simmetrico va cercato nel mezzo: ci sono critici psicoanalitici che hanno trovato le radici profonde del libro nelle evocazioni

veneziane di Marco Polo, come un ritorno ai primi archetipi della memoria;

mentre studiosi di semiologia strutturale hanno detto che è nel punto esattamente centrale del libro che bisogna cercare: e hanno trovato un’immagine di assenza, la città chiamata Bauci. Qui è chiaro che il parere dell’autore è di troppo: il libro, come ho spiegato, si è fatto un po’ da sé, ed è solo il testo com'è che può autorizzare o escludere questa o quella lettura. Come lettore tra gli altri, posso dire che nel capitolo quinto, che sviluppa nel cuore del libro un tema di leggerezza stranamente associato al tema città, ci sono alcuni dei pezzi che considero migliori come evidenza visionaria, e forse queste figure più filiformi («città sottili» o altre) sono la zona più luminosa del libro. Non saprei dire di più. CALVINO I., Le città invisibili, Milano, Mondadori (Oscar), 1993, pp. IX-XI.

Venezia e New York (Lezione I, All 6) sono agli occhi di Calvino le città esistenti più vicine alla forma di città ideale, mentre «come ambiente naturale quello che non si può respingere o nascondere è il paesaggio natale e familiare; San Remo continua a saltar fuori nei miei libri, nei più vari scorci e prospettive, soprattutto vista dall’alto, ed è soprattutto presente in molte de Le città invisibili... Ogni indagine non può che partire da quel nucleo da cui si sviluppano l'immaginazione, la psicologia, il linguaggio»?!. Bauci, centro di simmetria del libro, in cui è forse possibile trovare il senso

profondo dell’opera, diafana e sottile come le altre del capitolo V, rappresenta la proiezione del suo sempre insoddisfatto desiderio di vita armoniosa ma è pur sempre un’immagine di assenza!

Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza

II, 21 Intervista di Maria Corti, in «Autografo», II (6 ottobre 1985), ora in CALVINO I., Saggi cit., p. 2926.

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l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere. Nulla della città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame. Tre ipotesi si danno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com'era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza. Le città invisibili, Le città e gli occhi. 3.

Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro [...] Ma se la letteratura non basta ad assicurarmi che non sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene dissolta... CALVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in In., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 635-636 (Leggerezza).

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Allegato 6° Venezia e New York: l'utopia della città acquatica e la città geometrica, cristallina

La linea più breve che unisce due punti non è mai la linea retta, tranne che nelle astratte costruzioni di Euclide. Venezia, prima città antieuclidea, è per que-

sto il modello di città che ha davanti a sé più avvenire. Prima di tutto, il concetto di linea più breve tra due punti è relativo: esso varia a seconda di quale moto e quale corpo traccia il percorso tra i due punti. Stabilendo che le vie dei veicoli e quelle dei pedoni non coincidano mai, Venezia ha fatto di questa relatività dello spazio nel movimento il suo principio fondamentale. Per sottolineare questa regola, — come su una mappa i due diversi tipi di via sarebbero segnati in colori differenti, — Venezia caratterizza le vie dei veicoli come vie acquatiche distinguendole dalle vie terrestri dei pedoni; cioè sovrappone due reticoli uno solido e l’altro liquido, componendo tracciati che possono combinarsi e permutarsi in vario modo collegando tutti i punti della città nelle due dimensioni acquatica e terrestre. La casa a più piani ha significato, in tutte le civiltà in cui è apparsa, l’incontro di due dimensioni fondamentali della vita umana: la dimensione terrestre e la dimensione aerea; a Venezia significa l’incontro di tre dimensioni: terrestre, aerea e acquatica. Caratteristica del genere umano è l’aver compiuto gran par-

te della sua evoluzione non sulla terra ma per aria, sugli alberi; la linea evolutiva al cui termine sta l’uomo è passata dalla vita acquatica a quella arboricola e solo in un terzo momento a quella terrestre. Perciò la civiltà umana tende verso soluzioni che concilino i tre modi di vita terrestre aereo acquatico. Le successive approssimazioni (caverna, palafitta, palazzo, tebaide, grattacielo ecc.) soddisfano ora l’una ora l’altra di queste possibilità vitali. In questo quadro la soluzione-Venezia è una delle più complete approssimazioni al progetto d’un ambiente umano pluridimensionale. Nulla dà l’idea d’una dimensione in più quanto le case di Venezia le cui porte s’aprono sull’acqua; è sempre una sfida per la pigrizia mentale dell’uomo di terraferma abituarsi all’idea che è quella la vera porta, mentre l’altra, che dà sul campo o sulla calle, è solo una porta secondaria. Ma basta riflettere un mo-

mento per capire che la porta sul canale collega non a una particolare via acquatica ma a tutte le vie dell’acqua, alla distesa liquida che avvolge tutto il pianeta. L’analogia vera è con l’antenna radio o televisiva: anche quella è una por-

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ta su un’altra dimensione, invisibile e illimitata (una porta solo passiva, l’an-

tenna del nostro televisore domestico, perché si limita a ricevere messaggi; del resto anche la porta aerea più classica, cioè la finestra, è solo una porta passiva in quanto da essa non facciamo che ricevere informazione dal fuori; solo quando le donne stavano affacciate al davanzale per essere viste, la finestra trasmetteva informazione oltre che riceverla; adesso un uso attivo della finestra è prerogativa solo dei suicidi, dei cecchini, delle donne che stendono i panni). E questo che si sente nelle case di Venezia: che la porta terrestre dà accesso a una porzione di mondo limitata, a un isolotto, mentre la porta sull’acqua dà direttamente su una dimensione senza confini. Dicendo che queste cose si sentono forse mi sono espresso male: si tratta di un particolare clima mentale che Venezia determina intorno a noi, una geometria speciale o — come dicevo prima — non euclidea che scatena la nostra immaginazione per vie inconsuete; mentre sul piano delle sensazioni percettive non c’è nulla di illimitato, lo spazio si apre e si chiude davanti a noi in configurazioni sempre diverse. È appunto l’estrema diversificazione, la non-uniformità in un’esperienza omogenea lo straordinario risultato di Venezia. Non per niente la terminologia stradale di Venezia è di una ricchezza senza pari: calli campi fondamenta rive salizzade sottoporteghi, ogni luogo chiede d’esser nominato con puntigliosa precisione come rivendicando la sua unicità. M’accorgo che non riesco a ricordare altrettanti vocaboli che indichino le vie acquatiche: canale, rio, e poi? O si tratta d’una minore ricettività della mia memoria in

questo settore, oppure la nomenclatura delle vie acquatiche è più povera, il lessico veneziano non rende ragione della varietà di forme in cui il labirinto lagunare ci introduce. In un caso e nell’altro la spiegazione potrebbe essere unica: l’acqua è elemento unificatore, riceve la sua differenziazione dai luoghi emersi; la laguna è un livello unico, mentre fondamenta e ponti con il loro continuo salire e scendere di gradini introducono l’elemento di discontinuità che è proprio del linguaggio. Se dalle differenziazioni dei vocaboli passiamo alle differenziazioni dei mezzi di locomozione, ecco che l'opposizione acqua-terra cambia di segno. I canali di Venezia col loro va e vieni di vaporetti motoscafi lance gondole barconi chiatte traghetti ci danno sempre più l’idea di come le possibilità della civiltà umana dovrebbero svilupparsi tutte insieme. La visione dell’estrema varietà di mezzi di trasporto lagunari è ormai unica al mondo, da quando l’automobile ha monopolizzato il traffico delle altre città, impedendo lo sviluppo parallelo d’ogni altro tipo di veicolo industriale e collettivo, e soffocando una delle doti principali del genere umano: la capacità di spostarsi in maniera sempre diversa, applicando una inesauribile inventiva alle diverse circostanze ambientali e tecniche. Va detto che a Venezia alla varietà della locomozione acquatica corri-

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sponde nella locomozione terrestre una impossibilità di scelta, in quanto si può andare solamente a piedi. Ma a questo andare a piedi Venezia offre la varietà di modi che in ogni altra città si è ormai persa; per esempio: è una città in cui si può ancora correre (come si vide in quel bellissimo film di Tinto Brass il cui protagonista andava sempre di corsa). Certo, l’acqua dà alla vita a Venezia una dimensione in più, ma vivere a Ve-

nezia prescindendo dall’acqua non vuol dire trovarsi nella condizione degli abitanti delle altre città: si vive in una città in negativo. L’immaginazione si rifiuta di raffigurarsi una Venezia asciutta: se cerco di immaginare i canali che si seccano vedo baratri aprirsi tra le rive, una Venezia d’incubo attraversata da canyons senza fondo. Ovvero, altra sequenza dell'incubo, i canali si richiudono, si rimarginano, avvicinando le mura delle case in stretti vicoli (eppure una Venezia così esiste, la Venezia dei poveri di Castello).

Nei progetti delle metropoli del futuro, si vede sempre più spesso apparire il modello veneziano, per esempio nelle proposte degli urbanisti per risolvere il problema del traffico di Londra: vie destinate ai veicoli che passano in profondità, mentre i pedoni circolano su vie sopraelevate e ponti. L’epoca in cui viviamo vede tutte le grandi città esistenti in crisi: molte città diventano invivibili; molte città dovranno essere ristrutturate o costruite ex novo secondo piani più conformi al modello veneziano. Ma progettare delle Venezie asciutte vuol dire amputare il modello di ciò che esso rappresenta di più profondo: la città acquatica come archetipo dell’immaginazione e come struttura che risponde a bisogni antropologici fondamentali. Io credo nell’avvenire delle città acquatiche, in un mondo popolato da innumerevoli Venezie. L’acqua avrà sempre più posto nella civiltà metropolitana, per due ragioni: primo, perché l’alimentazione dell’umanità sarà basata sulla coltivazione degli oceani più che sulla coltivazione dei campi, e si può prevedere che le città industriali del futuro saranno costruite nell’acqua, su palafitte o natanti; secondo,

la prossima grande rivoluzione dei mezzi di trasporto abolirà quasi completamente sia le automobili che gli aeroplani per sostituirli con veicoli a cuscino d’aria; questo imporrà una differenziazione tra le strade a suolo duro che serviranno per il piccolo traffico e le grandi vie di comunicazione a cuscino d’aria anche nell’interno delle città; è logico prevedere che il traffico a cuscino d’aria

si svolgerà meglio su vie a pavimentazione liquida, cioè su canali. Nel periodo di trapasso che stiamo per vivere, in cui tante città dovranno essere abbando-

nate o ricostruite da cima a fondo, Venezia, che non è passata attraverso la bre-

ve fase della storia umana in cui si credeva che l’avvenire fosse dell’automobile (un’ottantina d’anni soltanto) sarà la città meglio in grado di superare la crisi e di indicare con la propria esperienza nuovi sviluppi. Una cosa Venezia perderà: il fatto d’essere unica nel suo genere. Il mondo

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si riempirà di Venezie, ossia di Supervenezie in cui si sovrapporranno e allacceranno reticoli molteplici a diverse altezze: canali navigabili, vie e canali per veicoli a cuscino d’aria, strade ferrate sotterranee o subacquee o sopraelevate,

piste per biciclette, corsie per cavalli e cammelli, giardini pensili e ponti levatoi per pedoni, teleferiche. Naturalmente la circolazione verticale avrà altrettanta estensione e varietà mediante ascensori, elicotteri, gru, scale da pompieri montate su taxi o su natanti di varia specie.

È in questo quadro che va visto il futuro di Venezia. Considerarla nel suo fascino storico-artistico è cogliere solo un aspetto, illustre ma limitato. La forza con cui Venezia agisce sulla immaginazione è quella d’un archetipo vivente che si affaccia sull’utopia. CALVINO I., Venezia: archetipo e utopia della città acquatica, 1974, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 2688-2692.

Gli ambienti naturali e culturali in cui sei vissuto, Torino, Roma, Parigi, ti sono

stati tutti congeniali e stimolanti, o in qualcuno di essi hai difeso maggiormente la tua solitudine? La città che ho sentito come la mia città più di qualunque altra è New York. Una volta ho perfino scritto, imitando Stendhal, che volevo che sulla mia tom-

ba fosse scritto «newyorkese». Questo avveniva nel 1960. Non ho cambiato idea, per quanto da allora in poi abbia vissuto la più parte del tempo a Parigi, città dalla quale non mi stacco che per brevi periodi e dove forse, potendo scegliere, morirò. Ma New Yotk ogni volta che ci vado la trovo più bella e più vicina a una forma di città ideale. Sarà anche che è una città geometrica, cristallina, senza passato, senza profondità, apparentemente senza segreti; perciò è la

città che dà meno soggezione, la città che posso illudermi di padroneggiare con la mente, di pensarla tutta intera nello stesso istante. Con tutto questo, quanto si vede New York nelle storie che ho scritto? Pochissimo. Forse solo un paio di racconti di Tî cor zero o simili, qualche pagina qua e là. (Ecco ora cerco nel Castello dei destini incrociati: pagina 80). E Parigi? Non troverei certo molto di più. Il fatto è che molti dei miei racconti non si situano in alcun luogo riconoscibile. Forse per questo rispondere a questa domanda mi costa un certo sforzo: per me i processi dell’immaginazione seguono itinerari che non sempre coincidono con quelli della vita. Come ambiente naturale quello che non si può respingere o nascondere è il paesaggio natale e familiare; San Remo continua a saltar fuori nei miei libri, nei più vari scorci e prospettive, soprattutto vista dall'alto, ed è soprattutto presente in molte delle Città invisibili. Naturalmente parlo di San Remo qual era fino a trenta o trentacinque anni fa, e soprattutto di com'era cinquanta o ses-

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sant’anni fa, quando ero bambino. Ogni indagine non può che partire da quel nucleo da cui si sviluppano l’immaginazione, la psicologia, il linguaggio; questa persistenza è in me forte quanto era stata forte in gioventù la spinta centripeta

la quale presto si rivelò senza ritorno, perché rapidamente i luoghi hanno cessato di esistere. Intervista di Maria Corti, in «Autografo», II (6 ottobre 1985), ora in CALVINO I., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 2925-2926.

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LEZIONE Il Riflessioni sul ruolo dello scrittore e sulla funzione della letteratura

Contenuti

lettura, analisi e contestualizzazione degli Allegati 1-3 (Lezione II);

chiarimenti su concetti e riferimenti espliciti ed impliciti. In particolare l’insegnante fa notare come Calvino assegni allo scrittore il compito di: contribuire a produrre storia, cultura, moralità, progresso civile; trarre esempi e modelli dalle aree culturali proprie della scienza, della tecnologia e dell’arte; indicare all’umanità una prospettiva, un senso dell’esistenza, dopo il trauma della rivoluzione industriale e di fronte ad una complessità del reale sempre meno padroneggiabile. Mentre alla letteratura assegna la funzione di: ricercare e inventare strategie atte a comprendere la realtà e l’evolversi della società;

indicare una via d’uscita dal labirinto gnoseologico-culturale del nostro tempo; conoscere e organizzare una realtà che appare disordinata e caotica; recepire i requisiti di leggerezza, esattezza, ordine mentale propri della scienza e della filosofia.

Attività per gli studenti Gli studenti rispondono oralmente ai quesiti e attivano un dibattito guidato dall'insegnante.

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Allegato 1 «...è una letteratura della sfida al labirinto

che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto»

Dalla rivoluzione industriale, filosofia letteratura arte hanno avuto un trauma dal quale non si sono ancora riavute. Dopo secoli passati a stabilire le relazioni dell’uomo con se stesso, le cose, i luoghi, il tempo, ecco che tutte le relazioni

cambiano: non più cose ma merci, prodotti in serie, le macchine prendono il posto degli animali, la città è un dormitorio annesso all’officina, il tempo è orario, l’uomo un ingranaggio, solo le classi hanno una storia, una zona della vita non figura come vita davvero perché anonima e coatta e alla fine ci s'accorge che comprende il novantacinque per cento della vita. [....] Se dunque la cultura non s'è ancora riavuta dal trauma della rivoluzione industriale non c'è nemmeno da aspettarsi che si riabbia tanto presto. Il processo continua, guai se si ferma a mezzo, ha un senso (cioè ci libera) solo se va avanti fino alle estreme conseguenze, e l’uomo quindi è sottoposto a sempre

nuovi sforzi d’adattamento e ridimensionamento, e la cultura gli serve a questo, guai a chi s’illude di aver trovato un equilibrio di tipo classico, di sapere che le cose vanno così e così (l’apologetica capitalista o socialista): crede d’essere un realista ed è un bugiardo. Insomma quel che prima avevo detto un trauma non ha affatto il carattere accidentale del trauma, è una condizione fuor della quale non ci riuscirebbe d’immaginarci, fuor della quale non c’è storia né scienza né poesia. Già l'atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione. L'atteggiamento politico anche (in senso lato: cioè del far storia, culturale e civile). La via per rendere una la cultura del nostro tempo, altrimenti così divergente nei suoi discorsi specifici, è proprio in questo comune atteggiamento. [...] è la forma del labirinto che domina: il labirinto della conoscenza fenomenologica del mondo in Butor, il labirinto della concrezione e stratificazione linguistica in Gadda, il labirinto delle immagini culturali di una cosmogonia più labirintica ancora, in Borges. Ho dato tre esempi che corrispondono ad altrettanti filoni della letteratura contemporanea. [...] Questa letteratura del labirinto gnoseologico-culturale (e quella che ho passato in rassegna nel capitolo precedente, e che possiamo definire del coacervo

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biologico-esistenziale) ha in sé una d6ppia possibilità. Da una parte c'è l’attitudine oggi necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche che non fanno che confermare le nostre abitudini di rappresentazione del mondo; quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto la più particolareggiata possibile. Dall’altra parte c’è il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto, del rappresentare questa assenza di vie d’uscita come la vera condizione dell’uomo. Nello sceverare l’uno dall’altro i due atteggiamenti vogliamo porre la nostra attenzione critica, pur tenendo pre-

sente che non si possono sempre distinguere con un taglio netto (nella spinta a cercare la via d’uscita c'è sempre anche una parte d’amore per i labirinti in sé; e del gioco di perdersi nei labirinti fa parte anche un certo accanimento a trovare la via d’uscita). Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficoltà; ed è dunque una richiesta poco pertinente quella che si fa alla letteratura, dato un labirinto, di fornirne essa stessa la chiave per uscirne. Quel che la

letteratura può fare è definire l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita, anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all’altro. È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto. Così soltanto si supera quell’«atteggiamento disperato» che Vittorini («Menabò 4», p. 19) rimprovera alla vecchia avanguardia e all’eredità che essa ha lasciato alla nuova: la non-speranza nel potere determinante della cultura. Oggi cominciamo a richiedere dalla letteratura qualcosa di più d’una conoscenza dell’epoca o d’una mimesi degli aspetti esterni degli oggetti o di quelli interni dell'animo umano. Vogliamo dalla letteratura un'immagine cosmica (questo termine è il punto di convergenza del mio discorso con quello di Eco), cioè al livello dei piani di conoscenza che lo sviluppo storico ha messo in gioco. E a chi vorrebbe che in cambio rinunciassimo (e a chi è pronto ad accusarci di rinunciare) alla nostra continua esigenza di significati storici, di giudizi morali, risponderò che anche di ciò che ora si pretende (e forse ha le sue ragioni per pretendersi) metastorico, quel che conta per noi è la sua incidenza nella storia degli uomini; che anche di ciò che ora si rifiuta (e forse ha le sue ragioni per rifiutarsi) a un giudizio morale, quel che conta per noi è quello che ci insegna. CALVINO I., La sfida al labirinto, 1962, in ID., Una pietra sopra, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 105, 107-108, 121-123.

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Allegato 2 Discorso scientifico e discorso letterario: «nessuna coincidenza tra i due linguaggi, ma ci può essere... una sfida, una scommessa tra loro»

To non sono tra coloro che credono che esista solo il linguaggio, o solo il pensiero umano. (Ce ne sono anche tra coloro che passano per ‘realisti’). Io credo che esista una realtà e che ci sia un rapporto (seppure sempre parziale) tra la realtà e i segni con cui la rappresentiamo. La ragione della mia irrequietudine stilistica, dell’insoddisfazione riguardo ai miei procedimenti, deriva proprio da questo fatto. Io credo che il mondo esiste indipendentemente dall'uomo; il mondo esiste-

va prima dell’uomo ed esisterà dopo, e l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso. Quindi la letteratura è per me una serie di tentativi di conoscenza e di classificazione delle informazioni sul mondo, il tutto molto instabile e relativo ma in qualche modo non inutile. CALVINO I., Je re suis pas satisfait de la littérature actuelle en Italie, in «Gazette de Lausanne», 34 giugno 1967 (intervista rilasciata a Madeleine Santschi), passo citato da Claudio Milanini, in Ip., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. XXIII.

Il discorso scientifico tende a un linguaggio puramente formale, matematico, basato su una logica astratta, indifferente al proprio contenuto. Il discorso letterario tende a costruire un sistema di valori, in cui ogni parola, ogni segno è un valore per il solo fatto d’esser stato scelto e fissato sulla pagina. Non ci potrebbe essere nessuna coincidenza tra i due linguaggi, ma ci può essere (proprio per la loro estrema diversità) una sfida, una scommessa tra loro. In qualche situazione è la letteratura che può indirettamente servire da molla propulsiva per lo scienziato: come esempio di coraggio nell’immaginazione, nel portare alle estreme conseguenze un'ipotesi ecc. E così in altre situazioni può av-

venire il contrario. In questo momento, il modello del linguaggio matematico, della logica formale, può salvare lo scrittore dal logoramento in cui sono scadute parole e immagini per il loro falso uso. Con questo lo scrittore non deve però credere d’aver trovato qualcosa d’assoluto; anche qui può servirgli l’esempio della scienza: nella paziente modestia di considerare ogni risultato come facente parte di una serie forse infinita d’approssimazioni. CALVINO L, Due interviste su scienza e letteratura, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 237.

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I vari livelli di realtà esistono anche'in letteratura, anzi la letteratura si regge proprio sulla distinzione di diversi livelli di realtà e sarebbe impensabile senza la coscienza di questa distinzione. L’opera letteraria potrebbe essere definita come un'operazione nel linguaggio scritto che coinvolge contemporaneamente più livelli di realtà. Da questo punto di vista una riflessione sull’opera letteraria può essere non inutile allo scienziato e al filosofo della scienza. [...] La letteratura non conosce /a realtà ma solo livelli. Se esista la realtà di cui i vari livelli non sono che aspetti parziali, o se esistano solo i livelli, questo la letteratura non può deciderlo. La letteratura conosce la realtà dei livelli e questa è una realtà che conosce forse meglio di quanto non s’arrivi a conoscerla attraverso altri procedimenti conoscitivi. È già molto. CALVINO I., I livelli della realtà in letteratura, 1978, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 381, 398.

[...] per un certo numero d’anni c’è uno che crede di lavorare alla costruzione d’una società attraverso il lavoro di costruzione d’una letteratura. Col passare degli anni s'accorge che la società intorno a lui (la società italiana, ma sempre vista in relazione con le trasformazioni in atto nel mondo) è qualcosa che risponde sempre meno a progetti o previsioni, qualcosa che è sempre meno pa-

droneggiabile, che rifiuta ogni schema e ogni forma. E la letteratura è anch’essa refrattaria a ogni progettazione, non si lascia contenere in nessun discorso. Per un po’ il protagonista del libro cerca di tener dietro alla complessità crescente architettando formule sempre più dettagliate e spostando i fronti d’attacco; poi a poco a poco capisce che è il suo atteggiamento di fondo che non regge più. Comincia a vedere il mondo umano come qualcosa in cui ciò che conta si sviluppa attraverso processi millenari oppure consiste in avvenimenti

minutissimi e quasi microscopici. E anche la letteratura va vista su questa doppia scala. Î CALVINO I., Sotto quella pietra, in «La Repubblica», 15 aprile 1980, ora in ID., Sagg:, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 400-401.

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Allegato 3 Tra continuo e discreto: le opere letterarie possono essere «zone d'ordine» nel «pulviscolo di possibilità»

Siamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall’inizio d’un nuovo millennio. Per ora non mi pare che l’approssimarsi di questa data risvegli alcuna emozione particolare. Comunque non sono qui per parlare di futurologia, ma di letteratura. Il millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell'Occidente e le letterature che di queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive e cognitive e immaginative. È stato anche il millennio del libro, in quanto ha visto l’oggetto-libro prendere la forma che ci è familiare. Forse il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulla sorte della letteratura e del libro nell’era tecnologica cosiddetta postindustriale. Non mi sento d’avventurarmi in questo tipo di previsioni. La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici. Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio. CALVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 629 (Introduzione).

Tra i valori che vorrei fossero tramandati al prossimo millennio c’è soprattutto questo: d’una letteratura che abbia fatto proprio il gusto dell’ordine mentale e della esattezza, l'intelligenza della poesia e nello stesso tempo della scienza e della filosofia, come quella del Valéry saggista e prosatore. (E se ricordo Valéry in un contesto in cui dominano i nomi di romanzieri, è anche perché, lui che romanziere non era, anzi, grazie a una sua famosa battuta, passava per il liquidatore della narrativa tradizionale, era un critico che sapeva capire i romanzi come nessuno, proprio definendone la specificità in quanto romanzi). Nella narrativa se dovessi dire chi ha realizzato perfettamente l’ideale estetico di Valéry d’esattezza nell’immaginazione e nel linguaggio, costruendo opere che rispondono alla rigorosa geometria del cristallo e all’astrazione d’un ragionamento deduttivo, direi senza esitazione Jorge Luis Borges. Le ragioni della mia predilezione per Borges non si fermano qui; cercherò di enumerarne le principali: perché ogni suo testo contiene un modello dell’universo o d’un at-

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in)

tributo dell'universo: l’infinito, l’innumerabile, il tempo, eterno o compresente

o ciclico; perché sono sempre plare economia d’espressione; esteriore d’un qualche genere un lungo uso, che ne fa quasi

testi contenuti in poche pagine, con una esemperché spesso i suoi racconti adottano la forma della letteratura popolare, forme collaudate da delle strutture mitiche.

CALVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 629, pp. 728-729 (Molteplicità)

Non ci può essere un tutto dato, attuale, presente, ma solo un pulviscolo di possibilità che si aggregano e si disgregano. L'universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d’entropia, ma all’interno di que-

sto processo irreversibile possono darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva. L'opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l'universo si cristallizza in una forma, in cui acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in un’immobilità mortale, ma vivente come un orga-

nismo. CALVINO I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 751 (Appendice: Cominciare e finire).

Su Le città invisibili e sul senso dell’opera letteraria ci è parsa interessante la testimonianza di Pier Paolo Pasolini (intellettuale che viene spesso contrapposto a Calvino come se i due autori rappresentassero una visione antitetica dell’impegno culturale e della funzione della letteratura). Sono cresciuto insieme con Italo Calvino, l’ho visto giovanissimo, quasi un ragazzo [...]. Abbiamo lavorato insieme, lui a Torino, io a Roma, fin verso ai qua-

rant’anni [...]. Poi Calvino ha cessato di sentirsi vicino a me [...] per qualche anno non ho saputo realmente niente, quasi che anche fisicamente egli avesse avuto una specie di sospensione. [...] Adesso egli mi riappare, non solo vero, ma più vero che mai, col suo ultimo libro, che non solo è il suo più bello, ma

bello in assoluto. La prima osservazione che mi viene da fare è che questo suo libro, Le città invisibili, è il libro di un ragazzo. Solo un ragazzo può avere da una parte un umore così radioso, così cristallino, così disposto a far cose belle, resistenti, ral-

legranti; e solo un ragazzo, d’altra parte, può avere tanta pazienza — da artigia-

no che vuol a tutti i costi finire e rifinire il suo lavoro. Non i vecchi, i ragazzi, sono pazienti.

D'altra parte nella città di Isidora, «c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro». E indubbiamente, cioè se-

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condo logica, Le città invisibili sono l’opera di un vecchio, o almeno di un uomo anziano, che ha visto passare la vita. [...] tutta la possibile vita, la vita del co-

smo. [...] Il libro di Calvino è così il libro di un vecchio per cui «i desideri sono ricordi». Non solo, però, i desideri sono ricordi: lo sono anche le nozioni, le informazioni, le notizie, le esperienze, le ideologie, le logiche: tutto è ricordo.

Ogni strumento intellettuale per vivere, è un ricordo. [...] ogni illusione culturale in Calvino è decaduta, ma la sua cultura è però rimasta [...]. L'idea di una Città Migliore, raggiunta attraverso la vittoria, mettiamo della lotta di classe,

viene semplicemente immersa in una diversa idea del tempo: non dico della storia, ma proprio del tempo. Infatti molte delle città sognate da Calvino in un certo momento raggiungono la perfezione. Che poi la riperdano è un discorso che riguarda generazioni incredibilmente future. [...] La cultura specifica di Calvino, poi, che è quella della letteratura, liberatasi dalla sua funzione, dai suoi doveri, è divenuta una miniera abbandonata, in cui

Calvino va a prelevare i tesori che vuole. Che cosa vi preleva? Prima di tutto una scrittura metallica, quasi cristallina,

ma leggera, incredibilmente leggera: la scrittura del gioco. A questa leggerezza Calvino non trasgredisce mai [...]. La seconda cosa che Calvino preleva nella sua cava in disuso, sono le tecniche dell’ambiguità [...] specialmente nelle pagine connettive del libro, quelle in corsivo [...]. Ambedue gli interlocutori sono eternamente cangianti, e si presentano, ogni volta, come i simboli di tutti i libri possibili che questo libro potrebbe essere; o come i simboli dei punti di vista attraverso cui questo libro, sia ideologicamente che linguisticamente, potrebbe essere angolato. Non si può quindi affatto parlare di «relativismo» a proposito di Calvino, perché il suo relativismo è completamente visionario, confrontato con infinite possibilità diverse. La terza cosa che Calvino ricava dalla sua miniera letteraria è il surrealismo [...]. Il fondo di tale ideologia, infinitamente possibilistica o multipla, è sempre lo stesso, ossessivamente lo stesso: ed è costituito dallo scontro inconciliabile di

due opposti: la realtà e il mondo delle idee. [...] Tutte le città che Calvino sogna, in infinite forme, nascono invariabilmente dallo scontro tra una città idea-

le e una città reale [...]. Per me che sto lavorando a Le rlle e una notte, leggere questo libro è stato quasi inebriante [...] come ogni racconto de Le wille e una notte è il racconto di una anomalia del destino, così ogni descrizione di Calvino è la descrizione di una anomalia del rapporto tra mondo delle Idee e Realtà (che è poi il Destino nella civiltà occidentale). L'invenzione poetica consiste nell’individuazione di tale momento anomalo. PASOLINI P.P., Italo Calvino. Le città invisibili, in «Tempo», 28 gennaio 1973, ora in ID., Descri-

zioni di descrizioni, Torino, Einaudi, 1979, pp. 34-39.

LEZIONE Ill Gli interessi culturali degli anni del soggiorno parigino

Contenuti





lettura e analisi degli Allegati 1 e 2 ressi di Calvino e le aree disciplinari nioni espresse dall’autore; lettura e discussione dell’Allegato 3 di passaggi e concetti che dovessero

(Lezione III), per individuare gli intea cui appartengono, le teorie e le opi-

(Lezione III), con commento e analisi risultare oscuri per gli studenti.

Attività per gli studenti Si distribuiscono in fotocopia i testi degli Allegati 3 e 4 (Lezione III), con la consegna di individuare le questioni scientifiche illustrate, attribuendole all’area disciplinare di appartenenza, per valutarne il grado di attendibilità, anche alla luce delle attuali conoscenze in ambito scientifico. In conclusione si vuole evidenziare che Calvino: — mostra interessi linguistico-letterari e culturali verso lo strutturalismo, la semiotica e l'antropologia strutturale; — auspica un intreccio nei testi letterari di letteratura, scienza e filosofia (72énage è trois), che salvaguardi le specificità di ciascuna disciplina, le procedure, le potenzialità, le aporie; — affronta questioni di ordine epistemologico; — manifesta interesse per gli abbinamenti della numerologia, della matematica, della combinatoria alla produzione di testi letterari;



esplicita precise e svariate conoscenze scientifiche di tipo cosmologico, astronomico, biologico, fisico, ecc., e anticipa (con Le Cosmicomiche, e non

solo!) concezioni di cui importanti scienziati di oggi gli riconoscono il merito (vedi quanto scrive Ilya Prigogine nell'Allegato 5 della Lezione III); -—

avverte il fascino dell’OuLiPo, di Queneau («enciclopedista», «matemati-

co», «cosmologico») e delle opere sperimentali costruite su strutture formali matematiche (Lezione III, All. 6).

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Unità B

Allegato 1

«Una letteratura che respira filosofia e scienza ma mantiene le distanze»

Il rapporto tra filosofia e letteratura è una lotta. Lo sguardo dei filosofi attraversa l’opacità del mondo, ne cancella lo spessore carnoso, riduce la varietà del-

l'esistente a una ragnatela di relazioni tra concetti generali, fissa le regole per cui un numero finito di pedine muovendosi su una scacchiera esaurisce un numero forse infinito di combinazioni. Arrivano gli scrittori e agli astratti pezzi degli scacchi sostituiscono re regine cavalli torri con un nome, una forma determinata, un insieme d’attributi reali o equini, al posto della scacchiera distendono campi di battaglia polverosi o mari in burrasca; ecco le regole del gioco buttate all’aria, ecco un ordine diverso da quello dei filosofi che si lascia a poco a poco scoprire. Ossia: chi scopre queste nuove regole del gioco sono nuovamente i filosofi, tornati alla riscossa a dimostrare che l'operazione compiuta dagli scrittori è riducibile a una operazione delle loro, che le torri e gli alfieri determinati non erano che concetti generali travestiti. [...] Il clima oggi dominante tra i giovani scrittori è più filosofico che mai, ma d’una filosofia interna all’atto stesso dello scrivere. In Francia il gruppo di «Tel Quel» con Philippe Sollers in testa si concentra su un’ontologia del linguaggio, della scrittura, del «libro», che ha avuto il suo profeta in Mallarmé; in Italia la funzione distruttiva della scrittura sembra essere al centro della ricerca; in Ger-

mania la difficoltà di scrivere la verità è il tema principale; comunque i caratteri comuni sono dominanti nella situazione generale di questi tre Paesi. La letteratura tende a presentarsi come una attività speculativa austera e impassibile, lontana dai gridi della tragedia come dagli estri della felicità: non evoca altri colori e altre immagini che il bianco delle pagine e l'allineamento delle righe nere. Allora il mio discorso di prima non si regge più? Uno scontro frontale tra due modi di vedere il mondo pare diventato impossibile, da quando la letteratura sembra aver aggirato le posizioni della filosofia ed essersi chiusa in una fortezza filosofica che può sostenersi con perfetta autosufficienza. In realtà se voglio che il mio quadro possa valere non solo per l'oggi ma anche per il domani, devo comprendervi un elemento che ho finora trascurato. Quello che stavo descrivendo come un matrimonio a letti separati, va visto come un rzénage è trois: filosofia letteratura scienza. La scienza si trova di fronte a problemi non dissimili da quelli della letteratura; costruisce modelli del mon-

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do continuamente messi in crisi, alterna metodo induttivo e deduttivo, e deve

sempre stare attenta e non scambiare per leggi obiettive le proprie convenzioni linguistiche. Una cultura all’altezza della situazione ci sarà soltanto quando la problematica della scienza, quella della filosofia e quella della letteratura si metteranno continuamente in crisi a vicenda.

In attesa di quest'epoca, non ci resta che soffermarci sugli esempi disponibili di una letteratura che respira filosofia e scienza ma mantiene le distanze e con un leggero soffio dissolve tanto le astrazioni teoriche quanto l'apparente concretezza della realtà. Parlo di quella straordinaria e indefinibile zona dell'immaginazione umana da cui sono uscite le opere di Lewis Carroll, di Queneau, di Borges. CALVINO I., Filosofia e letteratura, 1967, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mon-

dadori (I Meridiani), 1995, pp. 188-189, 193-194.

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Allegato 2 «Che relazione esiste oggi tra scienza e letteratura?»

Ho letto di recente un articolo di Roland Barthes intitolato Letteratura contro scienza. Barthes tende a considerare la letteratura come la coscienza che il linguaggio ha di essere linguaggio, d’avere un proprio spessore, una propria realtà autonoma; il linguaggio per la letteratura non è mai trasparente, non è mai puro strumento per significare un «contenuto» o una «realtà» o un «pensiero» 0 una «verità», cioè non può significare qualcos'altro da se stesso. Mentre l’idea che del linguaggio si fa la scienza sarebbe invece quella di uno strumento neutro, che serve per dire altro, per significare una realtà ad esso estranea, e sarebbe appunto questa diversa concezione del linguaggio che distingue la scienza dalla letteratura. Su questa via Barthes arriva a sostenere che la letteratura è più scientifica della scienza, perché la letteratura sa che il linguaggio non è mai innocente, sa che scrivendo non si può dire niente di esterno alla scrittura, nes-

suna verità che non sia una verità riguardante l’atto dello scrivere. La scienza del linguaggio, secondo Barthes, se vuole conservarsi scienza, è destinata a trasformarsi in letteratura, scrittura integrale, e rivendicherà a sé anche il piacere

del linguaggio che ora è prerogativa esclusiva della letteratura. Ma la scienza d’oggi può essere definita davvero da questa fiducia in un codice referenziale assoluto, o non è essa stessa ormai una continua messa in di-

scussione delle proprie convenzioni linguistiche? Nella sua polemica verso la scienza Barthes sembra vedere una scienza molto più compatta e sicura di se stessa di quanto non lo sia in realtà. E — almeno per quel che riguarda la matematica — piuttosto che alla pretesa di fondare un discorso su una verità esterna ad esso, ci troviamo di fronte a una scienza non aliena dal giocare col proprio processo di formalizzazione. L'articolo di Barthes di cui parlavo ora si trova in un numero che il «Times Literary Supplement» ha dedicato qualche mese fa alla letteratura del Continente europeo, e più in particolare ai rapporti tra letteratura e altri campi di ricerca. Nello stesso numero, un altro scrittore francese, più anziano e appartenente a tutt’altro quadro culturale, Raymond Queneau, parla di scienza in mo-

do completamente diverso. Queneau è uno scrittore che ha l’hobby della matematica e i suoi amici sono più tra i matematici che tra gli uomini nel suo articolo egli sottolinea il posto che il pensiero matematico — la crescente matematizzazione delle scienze umane — sta prendendo tura anche umanistica e quindi nella letteratura. Queneau insieme

di lettere: attraverso nella cula un suo

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amico matematico ha fondato l’Ouvroir de Littérature Potentielle, — abbrevia-

to Ou-li-po — un gruppo di dieci persone che fanno esperimenti e ricerche matematico-letterarie. Qui siamo in tutt'altro clima da quello austero e rarefatto delle analisi di Barthes e dei testi degli scrittori di «Tel Quel»; qui domina il divertimento, l’acrobazia dell’intelligenza e dell’immaginazione. Non per niente l’Ou-li-po è un’emanazione del Collège de Pataphysique, quella specie di accademia dello sberleffo e della fumisteria che fu fondata da Alfred Jarry. È la rivista (semiclandestina) del College de Pataphysique («Subsidia Pataphysica») che ospita i lavori dell’Ou-li-po, come per esempio uno studio del problemi matematici posti dalla successione delle rime nella forma metrica della sestina nei poeti provenzali (e in Dante), successione che può essere rappresentata gra-

ficamente come una spirale. Mi pare che le due posizioni che ho descritto definiscono abbastanza bene la situazione: due poli tra cui ci troviamo a oscillare, o almeno io mi trovo a oscillare, sentendo attrazione e avvertendo i limiti dell’uno e dell’altro. Da una parte Barthes e i suoi, «avversari» della scienza,

che pensano e parlano con fredda esattezza scientifica; dall’altra parte Queneau e i suoi, amici della scienza, che pensano e parlano attraverso ghiribizzi e capriole del linguaggio e del pensiero. CALVINO I., Due interviste su scienza e letteratura, 1968, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 229-231.

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Allegato 3 Le Cosmicomiche (1965): gli incipit

Una volta, secondo Sir George H. Danwin, la Luna era molto vicina alla Terra.

Furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree che lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia. I pianeti del sistema solare, spiega G.P. Kuiper, cominciarono a solidificarsi nelle tenebre per la condensazione d’una fluida e informe nebulosa. Tutto era freddo e

buio. Più tardi il Sole prese a concentrarsi fino a che si ridusse quasi alle dimensioni attuali, e in questo sforzo la temperatura salò, salì a migliaia di gradi e prese a emettere radiazioni nello spazio. Situato nella zona esterna della Via Lattea, il Sole impiega circa 200 milioni d’anni a compiere una rivoluzione completa della Galassia.

Attraverso i calcoli iniziati da Edwin P. Hubble sulla velocità d’allontanamento delle galassie, si può stabilire il momento in cui tutta la materia dell'universo era concentrata in un punto solo, prima di cominciare a espandersi nello spazio. La «grande esplosione» (big bang) da cui ha avuto origine l'universo sarebbe avvenuta circa 15 o 20 miliardi d’anni fa.

Prima di formarsi la sua atmosfera e i suoi oceani, la Terra doveva avere l’aspet-

to d’una palla grigia roteante nello spazio. Come ora è la Luna: là dove i raggi ultravioletti irradiati dal Sole arrivano senza schermi, i colori sono distrutti; per

questo le rocce della superficie lunare, anziché colorate come quelle terrestri, sono d’un grigio morto e uniforme. Se la Terra mostra un volto multicolore è grazie all'atmosfera, che filtra quella luce micidiale.

Se le galassie s’allontanano, la rarefazione dell'universo è compensata dalla formazione di nuove galassie composte di materia che si crea ex novo. Per mantenere stabile la densità media dell'universo, basta che si crei un atomo d’idrogeno ogni 250 milioni d'anni per 40 centimetri cubi di spazio in espansione. (Questa teoria, detta dello «stato stazionario», è stata contrapposta all'altra ipotesi che l'universo abbia avuto origine in un momento preciso, da una gigantesca esplosione).

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I primi vertebrati che nel Carbonifero lasciarono la vita acquatica per quella terrestre, derivavano dai pesci ossei polmonati le cui pinne potevano essere ruotate

sotto il corpo e usate come zampe sulla terra.

La logica della cibernetica, applicata alla storia dell'universo, è sulla via di dimostrare come le Galassie, il Sistema solare, la Terra, la vita cellulare non potessero non nascere. Secondo la cibernetica, l'universo si forma attraverso una serie di

«retroazioni» positive e negative, dapprima per la forza di gravità che concentra masse d’idrogeno nella nube primitiva, poi per la forza nucleare e la forza centrifuga che si equilibrano con la prima. Dal momento in cui il processo si mette in moto, esso non può che seguire la logica di queste «retroazioni» a catena. Misteriose restano le cause della rapida estinzione dei Dinosauri, che si erano evoluti e ingranditi per tutto il Triassico e il Giurassico e per 150 milioni d'anni erano stati gli incontrastati dominatori dei continenti. Forse furono incapaci di adattarsi ai grandi cambiamenti di clima e di vegetazione che ebbero luogo nel Cretaceo. Alla fine di quell'epoca erano tutti morti.

Le equazioni del campo gravitazionale che mettono in relazione la curvatura dello spazio con la distribuzione della materia stanno già entrando a far parte del senso comune.

Quanto una galassia è più distante, tanto più velocemente s'allontana da noi. Una galassia che si trovasse a 10 miliardi d'anni-luce da noi, avrebbe una velocità di

fuga pari a quella della luce, 300 mila chilometri al secondo. Già le «quasi-stelle» (quasars) scoperte di recente sarebbero vicine a questa soglia.

Per la maggioranza dei molluschi, la forma organica visibile non ha molta importanza nella vita dei membri d’una specie, dato che essi non possono vedersi l'un l’altro o hanno solo una vaga percezione degli altri individui e dell'ambiente. Ciò non esclude che striature a colori vivaci e forme che appaiono bellissime al nostro sguardo (come in molte conchiglie di gasteropodi) esistano indipendentemente da ogni rapporto con la visibilità. Incipit dei racconti de Le Cosmicomiche, 1965, in CALVINO I., Romanzi e racconti, a cura di Ma-

rio Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 81-206.

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Allegato 4 Ti con zero (1967): «immagini e dimensioni e situazioni fuori dei confini del mondo umano»

Secondo i calcoli di H. Gerstenkorn, sviluppati da H. Alfven, i continenti terrestri non sarebbero che frammenti della Luna caduti sul nostro pianeta. La Luna in origine sarebbe stata anch'essa un pianeta gravitante attorno al Sole, fino al momento in cui la vicinanza della Terra non la fece deragliare dalla sua orbita. Catturata dalla gravitazione terrestre, la Luna s’accostò sempre di più, stringendo la sua orbita attorno a noi. A un certo momento la reciproca attrazione prese a

deformare la superficie dei due corpi celesti, sollevando onde altissime da cui si staccavano frammenti che vorticavano nello spazio tra Terra e Luna, soprattutto frammenti di materia lunare che finivano per cadere sulla Terra. In seguito, per influsso delle nostre maree, la Luna fu spinta a riallontanarsi, fino a raggiungere la sua orbita attuale. Ma una parte della massa lunare, forse la metà, era rimasta

sulla Terra, formando i continenti.

L’apparizione degli Uccelli è relativamente tarda, nella storia dell'evoluzione: posteriore a quella di tutte le altre classi del regno animale. Il progenitore degli Uccelli - o almeno il primo di cui i paleontologi abbiano trovato traccia —, l’Archaeopteryx (ancora dotato di alcune caratteristiche dei Rettili da cui discende), rimonta al Giurassico, decine di milioni d'anni dopo i primi Mammiferi. È questa l’unica eccezione alla successiva comparsa di gruppi animali sempre più evoluti nella scala zoologica. Se le sostanze che costituivano il globo terrestre allo stato incandescente avessero avuto a disposizione un tempo sufficientemente lungo per raffreddarsi e una sufficiente libertà di movimento, ognuna d'esse si sarebbe separata dalle altre in un unico enorme cristallo.

Le condizioni di quando la vita non era ancora uscita dagli oceani non sono molto mutate per le cellule del corpo umano, bagnate dall’onda primordiale che continua a scorrere nelle arterie. Il nostro sangue infatti ha una composizione chimica analoga a quella del mare delle origini, da cui le prime cellule viventi e i primi esseri pluricellulari traevano l'ossigeno e gli altri elementi necessari alla vita. Con l'evoluzione d’organismi più complessi, il problema di mantenere il massimo numero di cellule a contatto con l’ambiente liquido non poté più essere risolto sem-

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Eza

plicemente attraverso l'espansione della superficie esterna: si trovarono avvantaggiati gli organismi dotati di strutture cave, all’interno delle quali l’acqua marina poteva fluire. Ma fu solo con la ramificazione di queste cavità in un sistema di circolazione sanguigna che la distribuzione dell'ossigeno venne garantita all'insieme delle cellule, rendendo così possibile la vita terrestre. Il mare in cui un tempo gli esseri viventi erano immersi, ora è racchiuso entro i loro corpi.

Incipit dei racconti di Ti con zero. Parte prima, 1967, in CALVINO I., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 227-257.

Da alcuni anni a questa parte si direbbe che Italo Calvino si sia posto il programma d'’introdurre nella narrazione immagini e dimensioni e situazioni fuori dei confini del mondo umano. In questo nuovo volume egli si è spinto ancora più in là nel suo cammino, lasciandosi alle spalle i punti d’arrivo delle Cosmicomiche. I lettori delle storie di Qfwfq ritroveranno qui — nella prima parte del libro — il proteiforme personaggio, pronto a testimoniare de visu la genesi di corpi celesti, di strutture geologiche e di forme biologiche; ma un più fitto gioco di rimandi tra ere pre-umane e presenza dell’oggi sembra caratterizzare la nuova serie. Pare quasi che l’autore senta in ogni racconto la tentazione d’uscire dai limiti che si è volta per volta fissato e di tracciare lo schema paradossale d’una storia del mondo o d’una filosofia naturale. E forse non è un caso che al culmine di questa prima parte (nel capitolo I/ sangue, il mare) Qfwfq s'imbatta in una situazione accuratamente evitata nelle Cosrzicorziche: il passaggio dalla vita alla morte. Arrivati a questo punto, a Qfwfq non resta che cimentarsi in un suo De rerum natura, in una specie di poema sulla vita e la morte a livello cellulare, cioè prestare la sua voce un po’ chioccia e gracchiante all’antenato comune di tutti gli esseri viventi, al protozoo che sopravvive in tutti noi: nella seconda parte del libro infatti ascoltiamo un Lucrezio-Qtwfq che sfoglia i trattati di genetica e di biochimica e li traduce nel suo ‘sottolinguaggio’ inteso a smorzare il più possibile ogni magniloquenza cosmica, ogni commozione panica. Ma questa non è che una delle vie che Calvino segue nel suo progetto di situare il racconto — il limitato aneddoto di ogni vicenda umana — in un sistema di coordinate più vasto. La terza parte del libro propone un tipo molto diverso di progressione narrativa — e di linguaggio —, basato essenzialmente su un processo logico. L'uomo di Calvino, per uscire dalle situazioni in cui si trova — per esempio quando un leone si lancia contro di lui per sbranarlo, oppure quando un killer lo insegue in un ingorgo stradale — per prima cosa si domanda cos'è il tempo, o cos'è lo spazio, si costruisce un modello d’universo da cui dedurre le soluzioni possibili. CALVINO IL, Ti con zero, Torino, Einaudi, 1967 (quarta di copertina), ora in In., Saggi, a cura di Ma-

rio Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 1345-1346 (Note e notizie sui testi).

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Allegato 5 Le Cosmicomiche nell’interpretazione di uno scienziato

In una deliziosa raccolta di racconti, le Cosrzicorziche, Italo Calvino immagina

degli esseri che vivono in una fase primordiale dell'universo. Essi si riuniscono ancor oggi e ricordano l’epoca difficile in cui l’universo era così piccolo che i loro corpi lo riempivano completamente. La capacità di immaginare il possibile, di speculare su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, è tra le caratte-

ristiche fondamentali dell’intelligenza umana. Che cosa sarebbe stata la storia della fisica se di quell’antica comunità avesse fatto parte Newton? Egli avrebbe osservato la nascita e la decomposizione delle particelle, la reciproca annichilazione di materia e antimateria. L'universo gli sarebbe apparso fin dall’inizio, con le sue instabilità e le sue biforcazioni, un sistema lontano dall’equili-

brio. Oggi si possono isolare sistemi dinamici semplici e verificare le leggi della meccanica quantistica e della meccanica classica. Esse corrispondono però sempre a semplificazioni, a idealizzazioni. L'universo è un sistema termodinamico gigantesco. A tutti i livelli ci imbattiamo in instabilità e in biforcazioni. È in questa prospettiva che possiamo chiederci perché l'ideale della fisica sia stato associato così a lungo alla certezza, cioè alla negazione del tempo e della creatività. Come le domande poste dagli esseri immaginari di Calvino trovano il loro senso nell’epoca cosmologica primordiale in cui il loro autore li fa esistere, così i sistemi semplici della meccanica quantistica e classica si riferiscono al nostro universo tiepido. Analogamente, in un certo senso, la storia della fisica dev'essere senza dubbio compre-

sa nel contesto della storia europea in cui la fisica classica è stata formulata. PRIGOGINE I., La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leggi della natura, Milano, Bollati Bo-

ringhieri, 1997, pp. 173-174.

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Allegato 6 Calvino legge Raymond Queneau

Chi è Raymond Queneau? Di primo acchito la domanda può sembrare strana, perché l’immagine dello scrittore appare ben netta a chiunque abbia qualche familiarità con la letteratura del nostro secolo e con quella francese in particolare. Ma se ognuno di noi prova a mettere insieme le cose che sa su Queneau, quest'immagine assume subito contorni segmentati e complessi, ingloba elementi difficili da tenere insieme, e più sono i tratti caratterizzanti che riusciamo a mettere in luce, più sentiamo che altri ce ne sfuggono, necessari per saldare in una figura unitaria tutti i piani dello sfaccettato poliedro. Questo scrittore che sembra accoglierci sempre con l’invito a metterci a nostro agio, a trovare la posizione più comoda e rilassata, a sentirci alla pari con lui come per giocare una partita tra amici, è in realtà un personaggio con un retroterra che non si finisce mai d’esplorare e alle cui implicazioni e presupposti, espliciti o impliciti, non si riesce a dar fondo. Certo la fama di Queneau è innanzitutto legata ai romanzi del mondo un po’ goffo un po’ losco della baz/ieue parigina o delle città di provincia, ai giochi ortografici del francese parlato quotidiano, un corpus narrativo molto coerente e compatto, che raggiunge il suo culmine di comicità e di grazia in Zazze dans le métro. Chi ricorda la Saint-Germain-des-Prés dell’immediato dopoguerra includerà in quest'immagine più vulgata qualcuna delle canzoni cantate da Juliette Gréco come Fillette, fillette... Altri spessori s’aggiungono al quadro per chi ha letto il più «giovanile» e autobiografico dei suoi romanzi, cioè Odile: i suoi trascorsi col gruppo dei surrealisti di André Breton negli anni Venti (un avvicinamento con riserva — stando al racconto —, una rottura piuttosto rapida, un’incompatibilità di fondo e una caricatura spietata) sullo sfondo d’una passione intellettuale insolita in un romanziere e poeta: quella per la matematica. Ma qualcuno può subito obiettare che, lasciando da parte i romanzi e le raccolte di poesie, i tipici libri di Queneau sono costruzioni uniche ognuna nel suo genere, come Exercices de style o Petite cosmogonie portative o Cent mille milliards de poèmes: nel primo un episodio di poche frasi è ripetuto 99 volte in 99 stili differenti; il secondo è un poema in alessandrini sulle origini della terra, la chimica, l'origine della vita, l'evoluzione animale e l'evoluzione tecnologica; il

terzo è una macchina per comporre sonetti che consiste di dieci sonetti con le stesse rime stampati su pagine tagliate a strisce, un verso su ogni striscia, in mo-

128

Unità B

do che a ogni primo verso si possa far seguire dieci secondi versi, e cosi via fino a raggiungere il numero di 10! combinazioni. C'è poi un altro dato che non può essere trascurato, ed è che la ‘professione ufficiale di Queneauè stata per gli ultimi venticinque anni della sua vita quella di enciclopedista (direttore dell’Encyclopédie de la Pléiade di Gallimard). [...] La figura di Queneau «enciclopedista», «matematico», «cosmologico» va dunque definita con attenzione. Il «sapere» di Queneau è caratterizzato da un'esigenza di globalità e nello stesso tempo dal senso del limite, dalla diffidenza verso ogni tipo di filosofia assoluta. Nel disegno della circolarità della scienza che egli abbozza in uno scritto databile tra il 1944 e il 1948 (dalle scienze della natura alla chimica e alla fisica, e da queste alla matematica e alla logica) la tendenza generale verso la matematizzazione si ribalta in una trasformazione della matematica al contatto con i problemi posti dalle scienze della natura. Si tratta dunque d’una linea percorribile nei due sensi e che può saldarsi in un cerchio, là dove la logica si propone come modello di funzionamento dell'intelligenza umana, se è vero che, come dice Piaget, «la logistica è l’assiomatizzazione del pensiero stesso». E qui Queneau aggiunge: «Ma la logica è anche un'arte, e l’assiomatizzazione un gioco. L'ideale che si sono costruiti gli scienziati nel corso di tutto questo inizio di secolo è stato una presentazione della scienza non come conoscenza ma come regola e metodo. Si danno delle nozioni (indefinibili), degli assiomi e delle istruzioni per l’uso, insomma un sistema

di convenzioni. Ma questo non è forse un gioco che non gli scacchi o dal bridge? Prima di procedere nell’esame scienza, ci dobbiamo fermare su questo punto: la scienza ve a conoscere? E dato che si tratta (in questo articolo)

ha nulla di diverso dadi questo aspetto della è una conoscenza, serdi matematica, che co-

sa si conosce in matematica? Precisamente: niente. E non c’è niente da cono-

scere. Non conosciamo il punto, il numero, il gruppo, l’insieme, la funzione più di quanto conosciamo l’elettrone, la vita, il comportamento umano. Non cono-

sciamo il mondo delle funzioni e delle equazioni differenziali più di quanto ‘conosciamo’ la Realtà Concreta Terrestre e Quotidiana. Tutto ciò che conosciamo

è un metodo accettato (consentito) come vero dalla comunità degli scienziati, metodo che ha anche il vantaggio di connettersi alle tecniche di fabbricazione. Ma questo metodo è anche un gioco, più esattamente quello che si chiama un jeu d’esprit. Perciò l’intera scienza, nella sua forma compiuta, si presenta e come tecnica e come gioco. Cioè né più né meno di come si presenta un’altra at-

tività umana: l'Arte». Qui c’è tutto Queneau: la sua pratica si situa costantemente sulle due dimensioni contemporanee dell’arte (in quanto tecnica) e del gioco, sullo sfondo del suo radicale pessimismo gnoseologico. È un paradigma che per lui s’adatta ugualmente alla scienza e alla letteratura: da ciò la disinvoltura che egli dimo-

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

129

stra nello spostarsi da un terreno all’altro, e nel comprenderli in un unico discorso. | Non dobbiamo tuttavia dimenticare che il già citato scritto del 1938 Che cosa è l’arte? s'apriva denunciando la cattiva influenza sulla letteratura d’ogni pretesa «scientifica»; né dimenticare che Queneau ha avuto un posto d’onore («Trascendant Satrape») nel «Collège de pataphysique», l'associazione dei fedeli d’Alfred Jarry che, secondo lo spirito del maestro, fanno il verso al linguaggio scientifico volgendolo in caricatura. (La patafisica viene definita come la « scienza delle soluzioni immaginarie»). Di Queneau insomma si può dire ciò che egli stesso dice di Flaubert, a proposito di Bowvard et Pécuchet: «Flaubert è per la scienza nella precisa misura in cui essa è scettica, riservata, metodica, prudente, umana. Ha orrore dei dogmatici, dei metafisici, dei filosofi». CALVINO LI, Introduzione e Nota, in QUENEAU R., Segni, cifre e lettere (e altri saggi), Torino, Einaudi, 1981, pp. V-VI, XII-XV, ora in CALVINO I, La filosofia di Raymond Queneau, in ID., Sag-

gi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 1410-1411, 14191421.

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LEZIONE IV Le proposte di letteratura potenziale dell’OuLiPo e le ‘applicazioni’ di Calvino

Contenuti

Usando strumenti di proiezione e di presentazione si propongono alla classe alcuni dei principi elaborati da Queneau sull’applicazione della matematica combinatoria ai testi letterari e si invitano gli studenti ad interpretarli anche nelle loro premesse e conseguenze (Lezione IV, All. 1). L'insegnante quindi propone gli Allegati 2 e 3 (Lezione IV), relativi alle elaborazioni oulipiane sul componimento poetico della sestina e alla combinatoria applicata alla costruzione di frasi. Si richiamano i giochi combinatori usati da Queneau in alcune delle sue opere (Lezione III, All. 6). Le regole oulipiane applicate alla narrativa sono evidenziate in un passo di Calvino su Georges Perec e sul suo romanzo La vita istruzioni per l’uso (Lezione IV, Al. 5). L'originale in francese uscì nel 1978.

Si evidenziano le singolari affinità del Sorzzzario del romanzo di Georges Perec (Lezione IV, All. 6) con l’indice de Le città invisibili.

Gli Allegati 7 e 8 (Lezione IV) documentano l’applicazione di procedimenti combinatori da parte di Calvino anche ne I/ castello dei destini incrociati, e più tardi in Se una notte d'inverno un viaggiatore. Attività per gli studenti

Gli studenti sono invitati ad esplicitare i procedimenti combinatori, le formule e i teoremi dell’OuLiPo. Nell’Allegato 4 (Lezione IV) sono riportate le interpretazioni degli studenti.

132

Unità B

Allegato 1 La mathématique dans la méthode de Raymond Queneau

Proposition 3: Le domaine privilégié de Queneau, producteur de mathématique(s), est la combinatoire. Plus précisément: a) particulièrement la combinatoire des nombres naturels, des entiers;

b) non les problèmes de dénombrement mais ceux de l’engendrement récursif des suites par des procédés finis, simples, dont l’application engendre la complexité. Proposition 6: Se comporter, vis-à-vis du langage, comme s'il était mathématisable; et le langage est, de plus, mathématisable dans une direction bien spécifiée.

Proposition 7: Le langage, sil est manipulable par le mathématicien, l’est parce qu'il est mathématisable. Il est donc discret (fragmentaire), non aléatoire (continu déguisé) sans taches topologiques, maîtrisable par morceaux. Conjecture 1: L’arithmétique s’occupant du langage suscite les textes. Conjecture 2: Le langage produisant des textes suscite l’arithmétique. [...] Proposition 14: Une contrainte est un axiome d’un texte.

Proposition 15: L’écriture sous contrainte oulipienne est l’équivalent littéraire d’un texte mathématique formalisable selon la méthode axiomatique. Proposition 16: La contrainte idéale ne suscite qu’un texte. [...]

Proposition 18: La mathématique répare la ruine des règles. ROUBAUD ]., La mathématique dans la méthode de Raymond Queneau, in «Critique», 359 (1977).

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

199

Allegato 2 La letteratura potenziale: la sestina

Particolarmente potenziale mi pare la sestiza. È composta di sei strofe di sei versi e di una mezza strofa di tre versi, sulla quale mezza strofa non insisterò per non complicare le cose: sarebbe come passare al corso superiore di letteratura potenziale. La sestina si scrive preferibilmente in alessandrini. La prima strofa è composta di sei versi che hanno per sezioni in rima, per esempio: Feuillages 1 Soleil 2 Volages 3 Rivages 4 Vermeil 5 Sommeil 6 Prendo l’esempio citato da Théodore de Banville, nel suo Petit traité de poésie francaise. Le rime possono sembrare mediocri, ma non l’uso che ne viene

fatto. Ciascuna delle altre cinque strofe è costruita sulle stesse rime e ogni volta si procede alla stessa permutazione. La seconda è: Sommeil 6 Feuillages 1 Ì Vermeil D Soleil Z Rivages 4 Volages 3 e così di seguito, e alla settima strofa si ricadrebbe sull’ordine della prima. Infatti, come ciascuno ha visto, si tratta di un elemento del 6° grado del gruppo simmetrico dello stesso grado e quindi d’ordine 720. [...] Torniamo alla sestina. Abbiamo visto che è basata sulle potenze successive di una stessa permutazione.

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134

Unità B

Inoltre si noterà che:

E =|

134256 134 256

A3= | 134256 526 314

A =|

134256 652 143

A°=|

A” =|

134256 341 625

ASTSI34256 265 431

134256 413 562

Ci sono due sistemi d’imprimitività. Si tratta dunque di un sottogruppo imprimitivo del gruppo simmetrico. Con due gruppi d’imprimitività si hanno 36 permutazioni possibili, di cui 6 sono di 2° grado, ossia ci potrebbero essere soltanto due strofe, 18 di 4° grado e 12 di 6°grado. QUENEAU R., Segni, cifre e lettere (e altri saggi), Torino, Einaudi, 1981, pp. 61-63.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

135

Allegato 3 Il calcolo matriciale secondo l’OuLiPo

Si può paragonare la formazione di una frase al prodotto di due matrici i cui elementi siano le parole, alcune (quelle della matrice di sinistra) costituite tutte quante da formanti, altre (quelle della matrice di destra) tutte da significanti. Naturalmente, suppongo che le nozioni di frase, di formante e di significante siano ben chiare. Per frase intenderò ciò che è consueto concludere con un segno di interpunzione comportante almeno un punto. Intenderò per significanti i sostantivi, gli aggettivi e i verbi e per forzzanti tutte le altre parole, comprese le forme dei verbi essere e avere. Le parole della lingua francese si dividono dunque in due insiemi separati. Il prodotto di due matrici di parole dà dunque una matrice composta di frasi, conformandosi alle regole classiche del le moltiplicazione delle matrici. Esempio: le un le

a a avait

le un un

X

le chat a mangé le poisson

chat mangé poisson

rat dévoré fromage

un chat a mangé un poisson

le rat a mangé le fromage un rat a mangé un fromage

le chat avait mangé un poisson

le rat avait mangé un fromage

lion dégusté touriste

=

le lion a dégusté le touriste un lion a dégusté un touriste le lion avait dégusté un touriste

Perché la cosa funzioni, bisogna che le due matrici (a sinistra del segno uguale) siano associate, cioè: 1) Nella matrice di sinistra: a) gli elementi della prima e della terza riga siano degli articoli o dei pronomi possessivi al maschile singolare; b) gli elementi della seconda riga siano delle forme del verbo avere alla terza persona singolare. 2) Nella matrice di destra: a) gli elementi della prima e della terza riga siano dei sostantivi maschili singolari che inizino per consonante; b) gli elementi della seconda riga siano dei participi passati al maschile singolare di verbi transitivi. Agli elementi della 14 si possono aggiungere ce, certain, maint, quelque, ecc. (ma questo eccetera è limitato). Invece la matrice di destra può essere prolungata all’infinito verso destra, aggiungendovi le terne, conformemente alle regole 24 e 25.

Unità B

136

Per maggiore semplicità, considerando adesso soltanto il prodotto di una matrice-riga per una matrice colonna:

le

a

le

X

gastronome déguste

= le x gastronome + 1 x dégusté + le x caviar

caviar

Si vede che la cosa funziona solo se formanti e significanti si alternano in modo regolare. Perché il nostro calcolo matriciale si possa applicare in tutti i casi, aggiungeremo all'insieme dei formanti (risp. dei significanti) un elemento-unità che segneremo con lf (risp. 15), e, più semplicemente, 1, quando non c’è pericolo di confusione. Esempio: le

1

le

x

gastronome déguste

= le x gastronome + 1 x dégusté + le x caviar

caviar

Seguendo un suggerimento di Le Lionnais, chiameremo biparola il prodotto formante x significante in cui l’uno o l’altro possono essere uguale a uno (ma non tutti e due per evitare una ridondanza di notazione). L'aggiunta di «elementi» unità ci permette di enunciare un teorema per ora

banale: In ogni frase, ci sono tanti formanti quanti significanti. Chiameremo g-scherza il risultato di una prima astrazione che considera soltanto le funzioni grammaticali di ogni parola di una frase. In una seconda astrazione (schema), considereremo soltanto più il numero e l’alternanza dei for-

manti e dei significanti. L'esempio precedente si scriverà (su una sola riga per maggiore comodità):

|}

Votalo

at

(Sottolineiamo di sfuggita l’analogia di questa scrittura con, da un lato, la formazione delle frasi in certe lingue americane come lo chir00k, in cui tutti i formanti sono posti all’inizio e, dall'altro, con la notazione «polacca» in logica). Perché uno schema sia corretto bisogna: primo, come ho appena detto, che due unità non si corrispondano; secondo, e per la stessa ragione, che non ci sia

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

137

Ammesse queste regole di buona costruzione, si determinerà il numero di schemi possibili di 7 elementi (uguale al termine d’indice 7 + 2 della serie di Fibonacci) o di ” parole (uguale a 2 potenza 7); alcune formule semplici sulle persistenze e sulle variazioni; i diversi tipi di schema e le loro proporzioni. Poi si procederà a un confronto con i dati concreti di testi letterari (o non), e questo ci fornirà degli indici stilistici forse interessanti, perché sfuggono alla volontà cosciente dello scrittore e dipendono probabilmente da molti parametri occulti. QUENEAU R., Segni, cifre e lettere (e altri saggi), Torino, Einaudi, 1981, pp. 70-72.

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Unità B

Allegato 4 Gli studenti alle prese con il linguaggio matriciale

Il ruolo della matematica nei testi di Queneau Introduzione

Negli anni Sessanta nacque in Francia un movimento culturale che voleva costruire testi letterari seguendo alcune leggi matematiche, in particolare quelle relative al calcolo combinatorio. Questo movimento trovò il suo apice nel gruppo di letterati autobattezzatosi OuLiPo (Ouvrotr de Littérature Potentielle, Laboratorio di letteratura potenziale) di cui Raymond Queneau fu uno degli esponenti più noti.

Questa cerchia di letterati ebbe una certa importanza nella letteratura italiana, poiché ne fu membro, per un certo periodo, anche Italo Calvino. È per questo che, in queste righe, cercheremo di capire come i membri dell’ OuLiPo, ed in particolare il suo principale esponente Queneau, utilizzavano la matematica per comporre testi; analizzeremo i tanti ‘giochetti’ matematici che quest'ultimo si divertiva a scoprire in un componimento poetico come la sestina e faremo vedere un metodo utilizzato dal letterato francese per comporre frasi, chiamato linguaggio matriciale. La matematica della sestina

Prima di trovare le leggi aritmetiche alla base della sestina è opportuno richiamare alla mente le regole di composizione alla base di questo testo poetico. La sestina è un componimento formato da strofe di sei versi, le quali, nel sistema di versificazione francese, seguono una norma ben precisa. Facciamo un

esempio: scriviamo la parola finale d’ogni verso della prima strofa, ed accanto ad essa annotiamo il numero di verso in cui essa appare. Utilizzeremo un esempio in cui le rime sono disposte in maniera uguale a quelle dell'esempio di Queneau.

1: Fogli 2: Sole

3: 4: 5: 6:

Mogli Scogli Viole Parole

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

159

Harime sono forse un po banali, ma ci aiutano a capire bene il meccanismo. Nella seconda strofa si ha un rimescolamento delle rime nella maniera che segue: accanto ad ogni parola è indicato il numero del verso in cui la rima appariva nella prima strofa. 6: Parole

1: Fogli 5: Viole 2: Sole

4: Scogli 3: Mogli

Si procede con lo stesso rimescolamento nella strofa successiva, fino a che non si ritorna, nella settima, strofa, alla situazione di partenza. Nello schema qui sotto è sintetizzato questo procedimento; in ogni riga ciascuna rima è so-

stituita dal numero del verso in cui appariva nella prima strofa.

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Ora Queneau fa un altro passaggio. Dai sei numeri della prima riga dello schema egli prende due terne, per vedere come si dispongono nelle righe dello schema sopra disegnato. Utilizziamo le terne usate da Queneau, ossia 1, 3, 4, e

25570 Egli opera nella seguente maniera: per ogni riga dello schema, egli osserva qual è il primo numero che appare, per capire quale terna compare per prima. Nella prima riga all’inizio appare l’1, di conseguenza immaginiamo che egli annoti su un foglietto questo numero, seguito dagli elementi della sua terna così come appaiono nella riga. Dopo di che, a fianco, egli segna gli elementi dell’altra terna seguendo lo stesso criterio. Al di sotto delle due terne ‘ricombinate’, egli annota le terne così come appaiono nella prima riga; Queneau attua questo procedimento per le prime sei righe, che sono poi quelle più interessanti ai

Unità B

140

suoi fini, poiché dopo la settima si ripete lo stesso meccanismo delle prime sei. Il tutto è schematizzato qui sotto. Riga n. l:

A: 354

20005 PI TAI.

Riga n. 2:

e 134

Ses 2: 296

Riga n. 3:

3

È solo

Riga n. 4:

2 DS

Riga n. 5:

Riga n. 6:

13

) 3 4

>

196, 4

208 Lug

2 ER

DE, DIO

ADI de ZIO

dute 3 A

Perché Queneau attua questo procedimento? E perché utilizza queste terne? Le terne sono state così formulate perché in ognuna di esse sono messi assieme i numeri di verso che hanno la stessa rima. Ma allora sorge un altro quesito: perché Queneau ha scelto di disporre le rime proprio in questo modo? La risposta a questa domanda ci farà capire perché Queneau fa tutta questa serie d’operazioni. Prendiamo lo schema della seconda riga, ed anziché leggerlo da sinistra a destra leggiamolo dall’alto in basso. Se lo si analizza bene, si noterà che lo schema ci dà la posizione in cui i numeri appaiono nel primo schema da noi costruito. Per esempio, se torniamo allo schema della seconda riga, dovremo leggere che nella seconda riga del primo schema il numero 6 appare nella posizione n. 1, il numero 5 nella posizione n. 3, il numero 2 nella posizione n. 4, il numero 1 nella posizione n. 2, il numero 4 nella posizione n. 5 ed il numero 3nella posizione n. 6. Lo stesso discorso si può fare per lo schema d’ogni riga. E da notare inoltre che se le terne avessero avuto un’altra composizione, questo meccanismo appena spiegato non avrebbe funzionato, e ciò è una prova ulteriore dell’attaccamento del letterato francese a questi tipi di giochetti matematici.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

141

In questo modo riusciamo a capire come Queneau si dilettasse a cercare in

ogni composizione letteraria dei meccanismi di tipo matematico. Egli, però, non era solo un osservatore, ma si divertiva anche ad escogitare lui stesso dei ‘giochetti’ letterari, come vedremo nelle righe che seguono.

Il linguaggio matriciale Con questa espressione si vuole indicare un meccanismo di stampo matematico che può essere usato per comporre frasi, componimenti poetici o addirittura interi romanzi. In queste righe analizzeremo il caso più semplice, ovvero la combinazione di parti del discorso secondo la tecnica delle matrici per ottenere delle semplice proposizioni. Prendiamo l’esempio usato da Queneau. Egli prende due matrici quadrate 3x3 e ne fa il prodotto, come nello schema qui sotto. il un il

ha ha aveva

il il un

gatto x | mangiato pesce

topo divorato formaggio

leone digerito turista

Ricordiamo che il prodotto tra due matrici si fa riga per colonna. Queneau applica questa regola combinando ogni riga della prima matrice con ciascuna colonna della seconda, ottenendo delle frasi di senso più o meno compiuto. Se si combinano, per esempio, la prima riga e la prima colonna, si otterrà la frase ‘Il gatto ha mangiato il pesce’ e se si combinano la prima riga e la seconda colonna si ha ‘Il topo ha divorato il formaggio”. Queste matrici sono sottoposte a regole molto restrittive: per esempio, nella prima matrice la prima colonna può avere solo degli articoli, la seconda solo delle voci del verbo avere e così via. Ma partendo da questo esempio Queneau afferma che, se in una riga o in una colonna, invece di certe parti del discorso

si mette una parola qualunque, si possono ottenere una varietà infinita di frasi. Si può applicare lo stesso procedimento se nelle matrici, al posto delle parti del discorso, si mettono delle proposizioni intere, per ottenere addirittura capitoli di romanzi, o versi poetici per comporre delle poesie. In conclusione

Con questi due esempi si è voluto illustrare, dunque, come Queneau ed il gruppo dell’OuLiPo usano le leggi matematiche per la letteratura. In particolare, si è visto come questo gruppo di letterati fosse molto interessato al calcolo combinatorio, considerato un metodo che può portare a comporre una varietà infinita di testi letterari. Un esempio di ciò è dato dal libro di Queneau Centorzila

142

Unità B

miliardi di poesie, dove le leggi combinatorie sono usate per comporre il numero di testi poetici promessi nel titolo del libro partendo da dieci sonetti e combinandone i versi in tutti i modi possibili. Il meccanismo per ottenere ciò è semplice: in questo libro i dieci sonetti, tutti di 14 versi ciascuno, hanno le stesse rime, ed ogni verso è scritto su una strisciolina di carta, in modo che si

possa combinare con gli altri versi degli altri sonetti, per ottenere 10! poesie tutte in forma di sonetto. Quest'ultimo esempio, così come i due precedentemente esposti nel testo, dimostra come Queneau ed i suoi soci dell’OuLiPo avessero un particolare attaccamento alla matematica ed alle sue applicazioni in campo letterario. i Un'ultima cosa da aggiungere è che l’influenza avuta dall’OuLiPo e dai suoi giochetti matematici su Calvino, la cui vicinanza e in seguito appartenenza a

questo movimento letterario è stata citata nell’introduzione, non fu marginale. Basta ricordare che i suoi tre romanzi ‘oulipiani’, ossia Le città invisibili, Il ca-

stello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno un viaggiatore, sono ricchi di questi meccanismi combinatori, a partire dal modo in cui sono disposti i capitoli; nell'ultimo dei tre libri citati, ad esempio, i titoli dei capitoli sono fatti in

modo che leggendoli uno dopo l’altro venga fuori una frase di senso compiuto, ma è anche la trama (vi è un uomo che cerca in tutte le tipografie il finale di un romanzo, trovando invece sempre nuovi inizi di romanzi concatenati fra lo-

ro) a suggerire l’influenza dell’OuLiPo sull’opera di Calvino. Francesco Ariis, Steve Della Mora, classe VE, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a. s. 20012002.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

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Allegato 5 Calvino legge Georges Perec

Un altro esempio di ciò che chiamo «iper-romanzo» è La vie mode d’emploi di Georges Perec, romanzo molto lungo ma costruito da molte storie che si intersecano (non per niente il suo sottotitolo è Rorzars al plurale), facendo rivivere il piacere dei grandi cicli alla Balzac. Credo che questo libro, uscito a Parigi nel 1978, quattro anni prima che l’autore morisse a soli 46 anni, sia l’ultimo vero avvenimento nella storia del ro-

manzo. [...] Il puzzle dà al romanzo il tema dell’intreccio e il modello formale. Altro modello è lo spaccato d’un tipico caseggiato parigino, in cui si svolge tutta l’azione, un capitolo per stanza, cinque piani d’appartamenti di cui s’enumerano i mobili e le suppellettili e si narrano i passaggi di proprietà e le vite degli abitanti, nonché di ascendenti e discendenti. Lo schema dell’edificio si presenta come un «biquadrato» di dieci quadrati per dieci: una scacchiera in cui Perec passa da una casella (ossia stanza, ossia capitolo) all’altra col salto del cavallo, secondo un certo ordine che permette di toccare successivamente tutte le caselle. (Sono cento i capitoli? No, sono novantanove, questo libro ultracom-

piuto lascia intenzionalmente un piccolo spiraglio all’incompiutezza.) Questo è per così dire il contenitore. Quanto al contenuto, Perec ha steso

delle liste di temi, divisi per categorie, e ha deciso che in ogni capitolo dovesse figurare, anche se appena accennato, un tema d’ogni categoria, in modo da variare sempre le combinazioni, secondo procedimenti matematici che non sono in grado di definire ma sulla cui esattezza non ho dubbi. (Ho frequentato Perec durante i nove anni che ha dedicato alla stesura del romanzo, ma conosco

solo alcune delle sue regole segrete.) Queste categorie tematiche sono nientemeno che 42 e comprendono citazioni letterarie, località geografiche, date storiche, mobili, oggetti, stili, colori, cibi, animali, piante, minerali e non so quante altre, così come non so come ha fatto a rispettare queste regole anche nei capitoli più brevi e sintetici. [...] Vorrei insistere sul fatto che per Perec il costruire il romanzo sulla base di regole fisse, di «contraintes» non soffocava la libertà narrativa, ma la stimolava. Non per niente Perec è stato il più inventivo dei partecipanti all’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle) fondato dal suo maestro Raymond Queneau. CALVINO I, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 730-732 (Molteplicità).

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Unità B

Allegato 6 Georges Perec, La vita istruzioni per l’uso: il sommario

[...] Lo stesso Perec così parlava del suo progetto: «Immagino uno stabile parigino cui sia stata tolta la facciata... in modo che, dal pianterreno alle soffitte, tutte le stanze che si trovano sulla parte anteriore dell’edificio siano immediatamente e simultaneamente visibili» [...

SOMMARIO Preambolo

SECONDA PARTE

PRIMA PARTE

XXII. L'atrio, 1 XXIII. Moreau, 2 XXIV. Marcia, 1 XXV. Altamont, 2 XXVI. Bartlebooth, 1 XXVII. Rorschash, 3

I. Per le scale, 1 II. Beaumont, 1 III. Terzo a destra,

IV. Marquiseaux, 1 V. Foulerot, 1 VI. Camere di servizio, 1 - Beaumont, 2 VII. Camere di servizio, 2 - Morelle! VIII. Winckler, 1 IX. Camere di servizio, 3 X. Camere di servizio, 4 XI. Lo studio di Hutting, 1 XII. Réol, 1

XIII. Rorschash, 1 XIV. Dinteville, 1 XV. Camere di servizio, 5 - Smautf XVI. Camere di servizio, 6 - La signorina Crespi XVII. Per le scale, 2 XVIII. Rorschash, 2 XIX. Altamont, 1 XX. Moreau, 1 XXI. Nel locale caldaie, 1

XXVIII. Per le scale, 3 XXIX. Terzo a destra, 2 XXX. Marquiseaux, 2 XXXI. Beaumont, 3 XXXII. Marcia, 2

XXXII. Cantine, 1 XXXTV. Per le scale, 4

XXXV. La guardiola XXXVI. Per le scale, 5 XXXVII. Louvet, 1 XXXVIII. Macchinario dell’ascensore, 1 XXXIX. Marcia 3 XL. Beaumont, 4 XLI. Marquiseaux, 3 XLII. Per le scale, 6 XLIII. Foulerot, 2 XLIV. Winckler, 2 XLV. Plassaert

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

TERZA PARTE

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LXXV. Marcia, 6

LXXVI. Cantine, 4 XLVI. Camere di servizio, 7 - Signor Jéréme

XLVII. Dinteville, 2 XLVII. Camere di servizio, 8 - La signora

Albin XLIX. Per le scale, 7 L. Foulerot, 3 LI. Camere di servizio, 9 - Valène LII. Plassaert, 2 LIII. Winckler, 3 LIV. Plassaert, 3 LV. Camere di servizio, 10 IVI. Per le scale,

LVII. Camere di servizio, 11 - La signora Orlovska LVII. Gratiolet, 1 LIX. Hutting, 2 ENI Cinoccio LXI. Berger, 1 LXII. Altamont, 3 LXIII. L’entrata di servizio LXIV. Nel locale caldaie, 2

QUARTA PARTE LXV. Moreau, 3 LXVI. Marcia, 4 LXVII. Cantine, 2 LXVIII. Per le scale, 9 LXIX. Altamont, 4 LXX. Bartlebooth, 2 LXXI. Moreau, 4 LXXII. Cantine, 3 LXXIII. Marcia, 5 LXXIV. Macchinario dell’ascensore, 2

LXXVII. Louvet, 2 LXXVIII. Per le scale, 10 LXXIX. Per le scale, 11 LXXX. Bartlebooth, 3 LXXXI. Rorschash, 4

LXXXII. Gratiolet, 2 LXXXIHI. Hutting, 3

QUINTA PARTE LXXXIV. Cinoc, 2 LXXXV. Berger, 2 LXXXVI. Rorschash, 5 LXXXVII. Bartlebooth, 4 LXXXVIII. Altamont, 5 LXXXIX. Moreau, 5 IE arto XCI. Cantine, 5 XCII. Louvet, 3

SESTA PARTE XCIII. Terzo a destra, 3 XCIV. Per le scale, 12 XCV. Rorschash, 6 XCVI. Dinteville, 3 XCVII. Hutting, 4 XCVIII. Réol, 2 XCIX. Bartlebooth, 5

Epilogo Pianta dello stabile

PEREC G., La vita istruzioni per l’uso, Milano, Rizzoli, 1989.

146

Unità B

Allegato 7

La combinatoria ne I/ castello dei destini incrociati (1969). Il cruciverba di figure

Nel 1973 Einaudi pubblica l’edizione definitiva, che comprende le otto storie del testo eponimo (già pubblicate nel 1969, insieme alle tavole a colori delle carte miniate in dimensione originale, nel volume d’arte Tarocchi. Il mazzo vi-

sconteo di Bergamo e New York, Franco Maria Ricci) e le otto storie inedite de La taverna dei destini incrociati. Lo schema narrativo è lo stesso: in un castello e in una taverna, dei viaggiatori, muti per lo spavento provato, si raccontano le loro avventure, calando in successione sul tavolo alcune carte significative della loro personale storia. Ma alla atmosfera di serenità e ordine del primo testo si sostituisce drammaticità e caos nel secondo. Nella Nota? finale al testo Calvino spiega la genesi dell’opera e la sua determinazione ad utilizzare i tarocchi «come una macchina narrativa combinatoria». Era stata, dice, una relazione di Paolo Fabbri su I/ racconto della carto-

manzia e il linguaggio degli emblemi (tenuta nel luglio del 1968 ad Urbino in un ‘Seminario internazionale sulle strutture del racconto’) a suggerirgli l’idea. Si applicò «a guardare i tarocchi con attenzione, con l’occhio di chi non sa cosa siano, e a trarne suggestioni e associazioni, a interpretarli secondo un’iconolo-

gia immaginaria» e focalizzò l’idea che «il significato di ogni singola carta dipende dal posto che ha nella successione di carte che la precedono e la seguono». Scrive che aveva cominciato con i tarocchi di Marsiglia ad elaborare un racconto pittografico, ma che — non riuscendo a stabilire una struttura generale né le regole del gioco — stava per arrendersi, quando l’editore Franco Maria Ricci lo invitò a scrivere un testo per il volume sui tarocchi viscontei. Il mondo delle miniature quattrocentesche, nato da una società e da una sensibilità tan-

to diverse rispetto alle stampe popolari marsigliesi, spontaneamente gli suggerì riferimenti letterari all’Orlando Furioso, anche se le miniature precedevano di quasi un secolo il poema dell’Ariosto, perché «potevano ben rappresentare il mondo visuale nel quale la fantasia ariostesca s'era formata». Gli fu facile co-

22 Tutte le brevi citazioni di questo allegato sono tratte da CALVINO I., Nota a Il castello dei destini incrociati, in ID., Romanzi e racconti cit., Il, pp. 1275-1281.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

struire l’incrocio centrale specie di cruciverba fatto qui di seguito), in cui per Nel giro di una settimana

147

dei racconti nel «quadrato magico»”, ottenendo una di figure anziché di lettere (è quello che presentiamo di più ogni sequenza si poteva leggere nei due sensi. I/ Castello era pronto per essere pubblicato!

Va ricordato che nel 1970, rielaborando il materiale di un ciclo di trasmissioni radiofoniche, Calvino pubblicò una scelta di brani del poema ariostesco,

Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino. Assai travagliato fu invece il completamento della Taverna, per le persistenti difficoltà a trovare «una necessità generale di costruzione» e perché Calvino si era reso conto che «accanto al Castello, La taverna poteva avere un senso solo se il linguaggio dei due testi riproduceva la differenza degli stili figurativi tra le miniature raffinate del Rinascimento e le rozze incisioni dei tarocchi di Marsiglia». «Se mi decido a pubblicare La taverna dei destini incrociati è solo per liberarmene. Ancora adesso, col libro in bozze, continuo a rimetterci le mani, a smontarlo,

a riscriverlo [...] Il mio interesse teorico ed espressivo per questo tipo d’esperimenti si è esaurito. É tempo (da ogni punto di vista) di passare ad altro».

Fig. 8. Cruciverba di figure da I/ castello dei destini incrociati.

o in diago# 1 ele chech in verticale ri2 in cui cui la somm a dei numeri è la| stessa sia in orizzontal ci Quadrato in lettere e di ri combinato giochi per magici quadrati i utilizzò oulipiano alismo nale. Lo speriment parole; Calvino qui utilizza le figure dei tarocchi.

Unità B

148

Allegato 8 Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979): una tappa ulteriore nell’itinerario sperimentale di Calvino

Pubblicato da Einaudi nei Supercoralli, questo romanzo è l’estremo esperimento calviniano di combinatoria narrativa ed è insieme un tentativo di demistificazione dei meccanismi di fruizione della letteratura. Si susseguono dieci inizi di romanzi, diversissimi tra loro, legati da una storia (che funziona in un certo senso da cornice) in cui i protagonisti sono un Lettore e Unaslcettrice.

«Per un disguido tipografico-editoriale, il Lettore del nuovo romanzo di Italo Calvino (appunto Se ura notte d'inverno un viaggiatore) si trova in possesso di una copia difettosa, in cui l'incipit è ripetuto in tutti i sedicesimi. Inizia l’ansiosa ricerca del seguito, destinata però ad avere un esito negativo: il Lettore, accompagnato dalla Lettrice nel frattempo da lui incontrata, si affanna fra librai, case editrici, traduttori, scrittori, gruppi rivoluzionari, regimi dittatoriali,

imbattendosi sempre in altri inizi, tutti interrotti sul più bello. Gli incipit costituiscono una sorta di catalogo dei canoni romanzeschi, rifacendosi ai diversi

generi (romanzo giallo, di spionaggio, d’avventura, politico, ecc.) e a varie collocazioni storico-geografiche (narrativa americana, russa, giapponese, ispanica,

ecc.). Il Lettore giunge alla fine della ricerca, trovando tutti i titoli dei dieci libri, iniziati e mai conclusi, nel catalogo di una biblioteca: non sono però di-

sponibili alla lettura, poiché momentaneamente in prestito. Leggendo i vari incipit di seguito, scopre di trovarsi di fronte all’inizio di un altro romanzo. L’avventura è terminata e, poiché non esiste un romanzo di consumo senza un lieto fine, il Lettore e la Lettrice si sposano, e continuano a leggere»?. Nel finale quindi il ‘romanzo da vivere’ prende il posto del ‘romanzo da leggere’: le cornici dei capitoli XI e XII restano senza incipit di romanzi e il lieto fine più tradizionale — le nozze appunto dell’eroe e dell’eroina — viene «a sigillare la cornice che abbraccia lo sconquasso generale... La Lettrice spegne la luce perché la vita continui fuori dalla lettura». Destinato, per esplicita dichiarazione di Calvino, a quel lettore medio che è anche il protagonista del libro (scisso nel doppio personaggio di un Lettore occasionale ed eclettico e di una Let-

24 AA.VV., Letteratura italiana Einaudi. Dalla Grande Guerra ad oggi, CD 10, Einaudi-Mondadori, 2000.

Calvino scrittore tra intuizione e sperimentazione

149

trice per vocazione), Se una notte d'inverno un viaggiatore rappresenta «il coin-

volgimento del lettore in un libro che non è mai quello che si aspetta». Come il lettore ideale è il fruitore e il protagonista del romanzo, così il suo oggetto è il romanzesco, inteso, per dirla ancora con Calvino, come «una procedura letteraria determinata — propria della narrativa popolare e di consumo ma variamente adottata dalla letteratura colta — che si basa in primo luogo sulla capacità di costringere l’attenzione su un intreccio, nella continua attesa di quel che sta per avvenire. Nel romanzo ‘romanzesco’ l’interruzione è un trauma, ma può anche essere istituzionalizzata (l'interruzione delle puntate dei romanzi d’appendice al momento culminante; il taglio dei capitoli; il ‘facciamo un passo indietro’). L’aver fatto dell’interruzione un motivo strutturale del mio libro ha questo senso preciso... ‘viviamo in un mondo si storie che cominciano e non finiscono’»??,

Risulta dunque chiara la natura sperimentale dell’opera che enfatizza l’interruzione dell’intreccio come novità rivoluzionaria nel modo di scrivere romanzi e che presenta un complesso sistema di rimandi interni, offrendo una lettura a vari livelli. Ribadita (perché già ne Le città invisibili aveva scritto «chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio») la centralità del momento della fruizione,

Calvino invita noi lettori a trovare nell’opera «la griglia di percorsi obbligati che è la vera macchina generativa del libro»”?. Come autore non solo si è posto vincoli costruttivi e ha elaborato ‘schemiprogetto’, ma arriva — dopo la pubblicazione dell’opera e rispondendo alle analisi dei critici — a stendere più ‘schemi-glossa’, di commento al suo stesso lavoro, per verificare se può «giustificare concettualmente il suo intreccio, il suo percorso, il suo ordine»?8, convinto come è da sempre che «sapere bene quello che si è fatto è l’unico modo per sapere bene quello che si vuole fare»??. Rileggeva il suo libro (ormai pubblicato!) «come quella che avrebbe potuto essere una ricerca del ‘vero romanzo’ e insieme del giusto atteggiamento verso il mondo, dove ogni ‘romanzo’ cominciato e interrotto corrispondeva a una via scartata. In questa ottica il libro veniva a rappresentare (per me) una specie d’au-

5 I commenti di Calvino

riportati in questo paragrafo sono tratti da FALCETTO B., Note e noti-

zie... cit., pp. 1390, 1400.

26 Le città invisibili, cornice IX-A. 27 FALCETTO B., Note e notizie... cit., p. 1393.

i

I

28 Tra le sue carte si sono trovate diverse intelaiature di contraintes: per tutto questo materiale si 0a; | noe veda ivî, pp. 1385 e ss. 29 Così ad Alfredo Barberis, già ai tempi delle Cosrzicorziche, Calvino spiega il suo cosmo, in «Il

Giorno», 22 dicembre 1965, ivi, p. 1388.

Unità B

150

tobiografia in negativo: i romanzi che avrei potuto scrivere e che avevo scarta-

to e insieme (per me e per gli altri) un catalogo indicativo d’atteggiamenti esistenziali che portano ad altrettante vie sbarrate»?°. il minimo vitale

la ricerca della pienezza

il romanzo

della nebbia

|

nelle

Li nell'io

sensazioni

il romanzo dell'esperienza

} rivolto

rivolto

corposa

verso il dentro

verso il fuori

il romanzo simbolicointerpretativo

la storia

l’assurdo

il romanzo politico-essistenziale

l’identificazione

l’estraneità

il romanzo cinico-brutale l’angoscia

lo sguardo

il romanzo

che scruta i

Fot

la trasparenza

l'oscuro

il romanzo logico-geometrico

nell’uomo

nel mondo

il romanzo della perversione | {e origini

il romanzo tellurico; primordial a

Ja fine del mondo i, il mondo == finisce

il mondo ani continua

il romanzo apocalittico

Fig. 9. Schema di Calvino relativo a Se una notte d'inverno un viaggiatore.

A noi è parso significativo riprodurre lo schema che Calvino propose nell'intervento di risposta ad una recensione di Angelo Guglielmi, in cui sottolineava tra l’altro l’importanza del settimo incipit «I una rete di linee che s'intersecano... un esempio di narrazione che tende a costruirsi come un’operazio-

ne logica o una figura geometrica o una partita a scacchi»? che nello schema è citato con la didascalia ‘il romanzo logico-geometrico?.

Ip: p1396. ?! «Alfabeta», I (8 dicembre 1979), pp. 4-5, ora ivî, pp. 1394-1395. e2lv:pa1339;

UNITÀ C

TECLA Le città e il cielo. 3. Che senso ha il vostro costruire? ...Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov'è il piano che seguite, il progetto?

OLTRE IL GIOCO COMBINATORIO: UNA DISCUSSIONE SULLA CITTÀ MODERNA

Un simbolo più complesso, che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esistenze umane è quello della città. Il mio libro in cui credo d’aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture; e perché ho costruito una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino

agli altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate!. È con occhi nuovi che oggi ci si pone a guardare la città, e ci si trova davanti agli occhi una città diversa, dove composizione sociale, densità d’abitanti per metro quadrato costruito, dialetti, morale pubblica e familiare, divertimenti, stratificazioni del mercato, modi di ingegnarsi a sopperire alle deficienze dei servizi, di morire o sopravvivere negli ospedali, di imparare nelle scuole o per la strada, sono elementi che si compongono in una mappa intricata e fluida, difficile a ricondurre all’essenzialità d’uno schema. Ma è di qui che bisogna partire per capire — primo — come la città è fatta, e — secondo — come la si può rifare. Infatti, la chiaroveggenza critica della negatività di un processo ormai avanzato non può oggi bastarci: questo tessuto con le sue parti vitali (anche se so-

lo d’una vitalità biologica e non razionale) e con le sue parti disgregate o cancerose è il materiale da cui la città di domani prenderà forma, in bene o in male, secondo il nostro intento se avremo saputo vedere e intervenire oggi, o contro di esso nel caso contrario. Tanto più l’immagine che trarremo dall’oggi sarà negativa, tanto più occorrerà proiet-

tarci una possibile immagine positiva verso la quale tendere?. Credo che non sia solo un’idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna. Da qualche amico urbanista sento che il libro tocca vari punti della loro problematica, e non è un caso perché il retroterra è lo stesso. E non è solo verso la fine che la metropoli dei «big numbers» compare nel mio libro; anche ciò che sembra evocazione d’una città arcaica ha senso solo in quanto pensato e scritto con la città di oggi sotto gli occhi).

! CALVINO I., Lezioni americane... cit., p. 689 (Esattezza).

2 CALVINO I., Gli dèi della città, in ID., Una pietra sopra cit., p. 349. 3 CALVINO I, Le città invisibili cit. (Oscar Mondadori), p. IX.

154

Unità C

«Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili»* scrive Calvino, che ci fornisce, a partire dal risvolto di copertina della prima edizione dell’opera, e poi in molte interviste e saggi critici, non solo ‘piste’ per la lettura del libro (definito di volta in volta «un libro così», «un libro fatto a poliedro»?, ecc.), ma anche la testimonianza di sentirsi, nella sua ricerca delle

ragioni profonde che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, parte attiva nel dibattito che, a partire dalle necessità della ricostruzione nel dopoguerra, animava l'architettura e l'urbanistica degli anni Sessanta e Settanta, con una

forte componente utopica. Il confronto tra le città descritte da Marco Polo a Kublai Kan e i molti progetti utopici degli urbanisti di quegli anni suscita suggestioni e molteplici riflessioni su una serie di temi, che investono sì le strutture delle città, ma anche

e soprattutto le motivazioni — esistenziali, etiche e civili — del vivere associato e, in senso ancora più ampio, l'immaginario collettivo dell'umanità del ventesimo secolo. Per un utilizzo didattico l'Unità è strutturata in due Lezioni, incentrate su

specifici obiettivi di apprendimento e corredate da indicazioni metodologiche. Lavorando in compresenza, i docenti di lettere e di storia dell’arte sollecita-

no gli studenti a stabilire confronti e opportuni collegamenti tra le pagine del testo e i progetti (presentati in diapositive, ma anche riprodotti graficamente dagli studenti stessi) frutto di quel dibattito. Soprattutto sul piano grafico, le attività di seguito indicate possono inserirsi nella programmazione curricolare complessiva, prevista per l’ultimo anno di corso dell’insegnamento di disegno e storia dell’arte in un liceo scientifico. Obiettivi Conoscenze



problemi di pianificazione urbanistica in Europa nel secondo dopoguerra.

Competenze



interpretazione di immagini e testi critici relativi a progetti urbanistici, che esemplifichino il percorso architettonico dalla modernità alla contemporaneità.

4 CALVINO LI, Le città invisibili cit. (Oscar Mondadori), p. IX. Già in un'intervista al quotidiano udinese «Messaggero Veneto» del 24 novembre 1972 (proprio il giorno prima dell’uscita della prima edizione del libro) intitolata Le strane città visibili, Calvino affermava: «Forse il vero senso del mio libro potrebbe essere questo. Dalle città invivibili alle Città invisibili». ? Ivi, pp. VI, X.

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

155

Prospettive di ricerca e nuovi sviluppi Indagando nell’ambito dell’architettura e dell’arte, abbiamo individuato un ulteriore campo di ricerca che meriterebbe adeguato approfondimento: quello dei rapporti e delle possibili reciproche influenze tra l'architetto torinese Paolo Soleri (nato nel 1919) e Italo Calvino che a Torino lavora alla Einaudi a partire dal 1947. Anche se dal 1956 Soleri si era trasferito in Arizona, frequenti erano i suoi viaggi in Italia e proprio nel 1969 aveva pubblicato un testo che è divenuto ‘leggendario” per gli architetti, gli urbanisti e gli artisti di tutto il mondo: Arcology. The City in the Image of Man, MIT Press, con numerosi riferimenti ad architetti ‘visionari’ come Piranesi, Boullée e Ledoux. A New York e Washington ci furono in quegli anni mostre che illustravano i progetti di Soleri, mostre di cui pensiamo Calvino abbia avuto notizia e conoscenza. Del resto l'interesse di Calvino per l’arte e per i processi della creazione artistica emerge spesso nei suoi scritti. Egli è sempre stato un attento frequentatore di esposizioni e mostre d’arte, da cui ha ricavato sollecitazioni e spunti di riflessione. Molto significativi ad esempio sono i suoi riferimenti allo scultore Fausto Melotti (1901-1986), e anche in questa direzione si potrebbe avviare un approfondimento. Che per visitare lo studio di Melotti occorra passare per una botola salendo e scendendo una scaletta da sottomarino, è un dato di fatto da non trascurarsi [...] perché ogni itinerario conoscitivo non può che iniziarsi con una scoscesa dislocazione verticale [...]. I segni vanno comunque tenuti alti: senza nessuna prosopopea, con la leggerezza, l’attenzione, l’industriosa ostinazione dei palafitticoli. Era verso il regno delle palafitte che il viaggiatore — e non da ieri — muoveva i suoi trampoli: solo habitat possibile per i secoli immediatamente prossimi. Apprendere da Melotti che l’infinito s’avvolge su se stessoa spirale autorizza d’altronde a una certa confidenza con lo spazio e col tempo”. C'è stato un momento in cui dopo aver conosciuto lo scultore Fausto Melotti, uno dei

primi astrattisti italiani, che solo nella vecchiaia è stato scoperto e valutato secondo il suo merito, mi veniva da scrivere città sottili come le sue sculture: città su trampoli, città

a ragnatela®.

I temi legati al percorso artistico sono stati ripresi ed arricchiti nel CD allegato, in cui abbiamo ‘visualizzato’ gli spunti che la lettura dei testi calviniani ci 6 Si veda al riguardo l’intera sezione Intorno alle arti figurative, in CALVINO I., Saggi cit., Il, pp.

1958-2005. E ancora Furti ad arte (conversazione con Tullio Pericoli), conversazione tenuta in occasione della mostra del pittore Rubare a Klee, 1980, ivi, pp. 1801-1815.

7 CALVINO L., I segni alti (per Fausto Melotti) 1971, ivi, pp. 1970-1971. 8 Nel regno di Calvinia... cit.

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Unità C

ha suggerito, attraverso immagini tratte da opere di Paul Klee, di René Magritte, di Fausto Melotti e di Soleri, artisti a cui Calvino ci pare possa essere accostato anche sul piano della riflessione teorica (in particolare per un approfondimento sul pensiero di Klee si veda Allegato 2, Lezione II). In questa pagina proponiamo l’esempio di una rielaborazione grafica realizzata dallo studente Martino Buchini (classe IVD, Liceo scientifico ‘N. Copernico’, Udine, a.s. 2005-2006) a partire da opere di Paul Klee, su idea del professor Paolo Moro. L'immagine gioca in modo creativo con le idee di poliedro e di scacchiera, ad evocare, pur nella discontinuità delle linee e delle geometrie, la città ‘cristallina’ dell’utopia calviniana.

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LEZIONE | La città: continuità di un ‘simbolo’

Contenuti



recupero di suggestioni, informazioni e osservazioni sul tema della città de-



sunte dall’Unità B, Lezione I; altre riflessioni di Calvino sul tema-simbolo della città (All. 1-2);



l’autore fornisce alcune chiavi di interpretazione del ‘simbolo’ città (All 3-4).

Metodologia La lezione prevede la compresenza degli insegnanti di italiano e di disegno-storia dell’arte. I docenti leggono alla classe i testi degli Allegati, li contestualizzano e li commentano. Alla fine l’insegnante di disegno-storia dell’arte opera una sintesi, soprattutto in funzione dei contenuti della lezione successiva.

158

Unità C

Allegato 1 L'uomo e la città secondo Calvino

A piè fermo, cuor leggero e ciglio asciutto, attendo l’èra dell’automazione. Si fiuta nell’aria un vento di trasformazioni: le grandi industrie stanno per moltiplicare le capacità produttive con un intervento molto minore di lavoro umano, e già sognano la loro metamorfosi in enormi perfetti insetti meccanici la cui inesorabile memoria fotoelettrica muoverà un brulichio di zampe intelligenti; anche i pigri uffici si vanno trasformando in metalliche scattanti sale macchine;

mentre già si destinano le aree per le centrali atomiche, e la forza che muove il sole e le altre stelle ci servirà per cuocere due uova. [...] La città in cui vivo, grave e cortese capitale d’un tempo, la cui laboriosa indole oggi governa un grande monopolio, dettando il ritmo alle sue grigie, sommesse giornate senza slancio, sarà una delle prime, pare, a risentire delle vertiginose innovazioni della tecnica. In piedi su uno scomodo pinnacolo, la panciuta statua del «re galantuomo» scruta le prime nebbie per i corsi troppo lunghi e vuoti, e attende che sopra i vecchi portici dalle volte piene di ragnatele si elevi la città del Duemila. Gli operai che all’ora del cambio dei turni i tram sballottano, impastati di sonno e di fatica, con i recipienti della colazione vuoti nelle logore cartelle, saranno i primi a saper cosa vuol dire la civiltà automatica e atomica: a saper cosa vuol dire per i padroni, e anche a dover dire come invece la vorranno loro. CALVINO I., La città di domani, 1955, in Ip., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mon-

dadori (I Meridiani), 1995, pp. 2238-2239.

Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre la via alla follia. CALVINO L, Lo scrittore e la città, 1960, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 2708.

Per esempio, resta aperta la via per uno studio del simbolo città dalla rivoluzione industriale in poi, come proiezione dei terrori e dei desideri dell’uomo contemporaneo. Frye ci dice che la città è la forma umana del mondo rzizerale, nelle sue immagini apocalittico-paradisiache (città di Dio, Gerusalemme, architettura ascendente, sede del re e della corte) o demonico-infernali (città di Dite, città di Caino, labirinto, metropoli moderna). Ma resta da dire che nei

rapporti tra mondo umano, mondo animal-vegetale e mondo minerale sono av-

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

159

venuti molti cambiamenti durante gli ultimi duecento anni: cambiamenti sintattici e nell’attribuzione dei valori, che andrebbero verificati a livello dell’im-

maginario letterario e di quello sociale.

CALVINO LI, La letteratura come proiezione del desiderio, 1969, in In., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 245.

Tra i tanti quadri in cui lo spirito visionario e minuzioso di Fourier anticipò le opere e i giorni dell’Armonia, un posto poco più che marginale occupa la descrizione dell’edificio, o insieme d’edifici, abitato dalla Falange, il Phalanstère,

che concentra nel bel mezzo d’un paesaggio campestre gli agi della vita metropolitana, escludendone gli inconvenienti esecrati dal nostro autore in modo quasi ossessivo: il fango, le immondizie, il puzzo, i rumori.

Eppure, la fortuna emblematica del Falansterio - nome e immagine — cominciò subito, non solo tra i profani ma soprattutto tra i seguaci, col titolo del primo giornale fourierista e con i primi esperimenti societari. Una ragione doveva pur esserci, per questa presa immediata sull’immaginazione: l'Ordine proposto da Fourier è per prima cosa un ordine mentale, non astratto ma fantasmatico, un sistema di rapporti tra le persone e prima ancora di rapporti all’interno d’ogni singola persona, di conoscenza e chiarezza interiore; le prime operazioni che egli chiede a chi l’ascolta sono il doute absolu e l’écart absolu, cioè di mettere in discussione e allontanare da sé tutto ciò che è stato detto e pensato fin qui in fatto di filosofia e soprattutto di morale. Fourier ha un bel dire che non l’uomo va cambiato ma la Crvzlisation: poiché questa costituisce una grossa parte di noi stessi, è pur sempre una metamorfosi interiore quella che egli esige come condizione preliminare; e si può capire che tanto i discepoli quanto gli avversari, anziché interrogarsi su questo punto, preferissero attac-

carsi all'immagine più solida stabile ed esterna che veniva loro offerta, quella dell’edificio. La storia dei fallimenti cui il fourierismo «pratico» andò incontro,

sta tutta nelle pieghe di questa dottrina che si presenta come d’un’evidenza irrefutabile. E anche nel nostro secolo, alla riscoperta di Fourier da parte dei poeti e degli scrittori (e dei psicoanalisti), accompagna quella da parte degli architetti, come precursore dell’urbanistica moderna, altro sogno di felicità fallito (la vil-

le radieuse di Le Corbusier è il riferimento che viene fatto di solito); ma tra le

due riscoperte resta uno iato difficile da colmare. CALVINO I., Per Fourier 2, L’ordinatore dei desideri, 1971, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 280-281.

160

Unità C

Allegato 2 Lo spirito della città

Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, tutte le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità

di comprendere. Poi occorre saper semplificare, ridurre all’essenziale l'enorme numero di elementi che a ogni secondo la città mette sotto gli occhi di chi la guarda e collegare i frammenti sparsi in un disegno analitico e insieme unitario, come il diagramma di una macchina, da quale si possa capire come funziona. Va] È con occhi nuovi che oggi ci si pone a guardare la città, e ci si trova davanti agli occhi una città diversa, dove composizione sociale, densità d’abitanti per metro quadrato costruito, dialetti, morale pubblica e familiare, divertimenti, stra-

tificazioni del mercato, modi di ingegnarsi a sopperire alle deficienze dei servizi, di morire o sopravvivere negli ospedali, di imparare nelle scuole o per la strada, sono elementi che si compongono in una mappa intricata e fluida, difficile a ricondurre all’essenzialità d’uno schema. Ma è di qui che bisogna partire per capire — primo — come la città è fatta, e — secondo — come la si può rifare. Infatti, la chiaroveggenza critica della negatività d’un processo ormai avanzato non può oggi bastarci: questo tessuto con le sue parti vitali (anche se solo d’una vitalità biologica e non razionale) e con le sue parti disgregate o cancerose è il materiale da cui la città di domani prenderà forma, in bene o in male,

secondo il nostro intento se avremo saputo vedere e intervenire oggi, o contro di esso nel caso contrario. Tanto più l’immagine che trarremo dall’oggi sarà negativa, tanto più occorrerà proiettarci una possibile immagine positiva verso la quale tendere. Detto questo, sottolineata cioè la necessità di tener conto di come città diverse si succedono e si sovrappongono sotto uno stesso nome di città, occorre

non perdere di vista quale è stato l’elemento di continuità che la città ha perpetuato lungo tutta la sua storia, quello che l’ha distinta dalle altre città e le ha dato un senso. Ogni città ha un suo «programma» implicito che deve saper ritrovare ogni volta che lo perde di vista, pena la sua estinzione. Gli antichi rappresentavano lo spirito della città, con quel tanto di vaghezza e quel tanto di precisione che l’operazione comporta, evocando il nome degli dei che avevano presieduto alla sua fondazione: nomi che equivalevano a personificazioni di attitudini vitali del comportamento umano e dovevano garantire la vocazione

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

161

profonda della città, oppure personiticazioni d’elementi ambientali, un corso d’acqua, una struttura del suolo, un tipo di vegetazione, che dovevano garantire della sua persistenza come immagine attraverso tutte le trasformazioni successive, come forma estetica ma anche come emblema di società ideale. Una

città può passare attraverso catastrofi e medioevi, vedere stirpi diverse succedersi nelle sue case, veder cambiare le sue case pietra per pietra, ma deve al momento giusto, sotto forme diverse, ritrovare i suoi dèi. CALVINO I., Gli dèi della città, 1975, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 346, 349-350.

162

Unità C

Allegato 3 La città come «forma del tempo»

Entro questa cornice di riflessività incantata prenderanno forma Le città invisibili. Decisiva sarà naturalmente la reinvenzione del personaggio di Marco, commesso a riscuotere l’atrabiliare malcontento dell’imperatore con le opposte risorse di un’evocatività icastica ai limiti dell’allucinazione e di un’affilata, geometrica razionalità. Per quanto riguarda invece la componente figurativa del libro (le città vere e proprie), andrà tenuta presente, per analogia e antitesi, la contigua esperienza cosmicomica. Storie riassunte in immagini, implicate, ma-

teriate nelle cose (un po’ come nei fotogrammi bloccati di Ti cor zero); realtà sospese, ambigue istantanee di destini colti in bilico fra un tenace passato e un mal decifrabile futuro (di contro alle multiformi fasi aurorali e alle reiterate catastrofi narrate da Qfwfg). Come dirà Calvino in una conversazione con Michele Neri («Panorama mese», IV, 1, gennaio 1985), Le città invisibili sono, fra

l’altro, un tentativo di esprimere «la sensazione del tempo rimasto cristallizzato negli oggetti, contenuto nelle cose che ci circondano [...] Le città non sono altro che la forma del tempo». BARENGHI M., Note e notizie sui testi, in CALVINO I., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. 1365.

Avrebbe potuto essere diverso, lo so, — corzzzentò Ofwfg, — ditelo a me: ci ho

creduto tanto, in quel mondo di cristallo che doveva venir fuori, da non rassegnarmi più a vivere in questo, amorfo e sbriciolato e gommoso, come invece ci

è toccato. Anch'io corro come facciamo tutti, prendo il treno ogni mattina (abito nel New Jersey) per infilarmi nell’agglomerato di prismi che vedo emergere di là del Hudson, con le sue cuspidi aguzze; ci passo le giornate, lì dentro, su e

giù per gli assi orizzontali e verticali che attraversano quel solido compatto, o lungo i percorsi obbligati che rasentano i lati e gli spigoli. Ma non cado nella trappola: so che mi fanno correre tra lisce pareti trasparenti e tra angoli simmetrici perché io creda di essere dentro un cristallo, perché vi riconosca una forma regolare, un asse di rotazione, una costanza nei diedri, mentre non esiste

nulla di tutto questo. Il contrario esiste: il vetro, sono solidi di vetro quelli che fiancheggiano le vie, non di cristallo, è una pasta di molecole alla rinfusa che ha invaso e cementato il mondo, una coltre di lava raffreddata all’improvviso, irrigidita in forme imposte dall'esterno, mentre dentro è il magma tale e quale come ai tempi della Terra incandescente. [...]

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

163

Era un errore il mio, non mi ci volle molto a capirlo. [...] Questo che voi

chiamate ordine è uno sfilacciato rattoppo della disgregazione; [...] Sognai un mondo di cristallo, a quei tempi: non lo sognai, lo vidi, un’indistruttibile gelida primavera di quarzo. Crescevano poliedri alti come montagne, diafani: attraverso il loro spessore traspariva l’ombra di chi stava al di là. CALVINO L., I cristalli, in ID., Ti con zero, 1967, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 248, 251.

164

Unità C

Allegato 4 Città «invivibili» e città «Invisibili»

Credo che non sia solo un’idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna. Da qualche amico urbanista sento che il libro tocca vari punti della loro problematica, e non è un caso perché il retroterra è lo stesso. E non è solo verso la fine che la metropoli dei «big numbers» compare nel mio libro; anche ciò che sembra evocazione d’una città arcaica ha senso solo in quanto pensato e scritto con la città di oggi sotto gli occhi. Che cosa è oggi la città, per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili. Oggi si parla con eguale insistenza della distruzione dell'ambiente naturale quanto della fragilità dei grandi sistemi tecnologici che può produrre guasti a catena, paralizzando metropoli intere. La crisi della città troppo grande è l’altra faccia della crisi della natura. L'immagine della «megalopoli», la città continua, uniforme, che va coprendo il mondo, domina anche il mio libro.

Ma libri che profetizzano catastrofi e apocalissi ce ne sono già tanti; scriverne un altro sarebbe pleonastico, e non rientra nel mio temperamento, oltretutto. Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di

segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di mer-

ci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici. CAIVINO I., Le città invisibili, Milano, Mondadori (Oscar), 1993, pp. IX-X (vedi anche Unità A, Lezione I, Allegato 2).

CAMON I/ suo nuovo libro, uscito da qualche mese, ha tutta l’aria di una pausa, ma non, forse, per mettere ordine, bensì per smentire la possibilità di qualsiasi ordine. È un giudizio impressionistico, lo ammetto subito. Ma Le città invisibili sembrano proprio una ripresa e una smentita della splendida utopia delle Città del mondo di Vittorini. Dico una smentita, perché mentre il progetto vitto-

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

165

riniano si bloccava allo stadio di frammento in una tensione verso la città ideale, Le città invisibili sono un libro che testimonia la caduta e la sfiducia, per sempre, verso ogni futuro, verso ogni ordine per cui lottare.

CALVINO Rifiuto nettamente questa interpretazione del mio libro. È un libro in cui ci s’interroga sulla città (sulla società) con la coscienza della gravità della situazione, gravità che sarebbe criminale passare sottogamba, e con una continua ostinazione a veder chiaro, a non accontentarsi di nessuna immagine stabilita, a ricominciare il discorso da capo. È vero che c’è dietro Vittorini, le città di Vittorini, la tensione tra città mitica e città futura, è probabile che una prima suggestione venga di là. [...] Il discorso che viene fuori da questo libro non credo sia molto cambiato dalle altre cose che ho scritto magari più in presa diretta sulla vita di tutti i giorni: guardi La forzzica argentina e La nuvola di smog, due racconti scritti a una decina d’anni di distanza che poi li ho messi insieme perché il modo in cui rappresento la natura in uno e la città nell’altro viene fuori uguale, non meno pessimistico che in questo ultimo libro, e in entrambi mi veniva di chiudere su una nota che non era disperata, anche se non consolanesi Se vuole può accusarmi d’essere statico, di battere sempre sullo stesso chiodo: perfino La giornata d'uno scrutatore si chiude con l’affermazione che la città perfetta è quella che s’intravede per un attimo nel fondo dell’ultima città dell’imperfezione, cioè proprio la stessa cosa che dico nell’ultimo pezzo in corsivo delle Città invisibili e che tutti i critici criticano... Cioè citano tutti le ultime righe, quelle sull’inferno, mentre poco più sopra c’è il passaggio sull’utopia discontinua che dà senso a tutto il discorso. [...] Ma all’uso del modello formalizzato, deduttivo, strutturale, io ci tengo molto, credo che sia uno strumento operativo necessario sia come schema del pre-

sente, sia come progetto del futuro (o utopia, o profezia) da contrapporre al presente. CaLvino I., Colloquio con Ferdinando Camon, 1973, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II,

Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 2790-2796.

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LEZIONE Il Dai progetti utopici degli urbanisti alle città immaginarie di Calvino

Contenuti



l’insegnante di storia dell’arte spiega, come premessa al dibattito sull’urbanistica negli anni in cui Calvino concepisce Le città invisibili, la situazione



esistente nelle capitali europee tra primo e secondo dopoguerra; viene distribuito materiale in fotocopia; illustra quindi i termini del dibattito architettonico e urbanistico vivo in Italia, e nel resto del mondo, durante il secondo dopoguerra (dibattito che sfocia nelle utopie degli anni Sessanta), e distingue criticamente le varie posizioni (Lezione II, All 1);





partendo dall’analisi delle 55 città descritte da Calvino, l'insegnante di italiano aiuta gli studenti ad estrarre gli elementi urbanistici ed architettonici più significativi; si commentano passi che consentono un confronto tra il pensiero di Paul Klee e quello di Calvino (Lezione II, All 2).

Attività per gli studenti —

gli studenti sono invitati a riunire per tipologie i vari piani urbanistici analizzati, distinguendo in una mappa sintetica quelli omologhi da quelli dissimili; — in seguito stabiliscono confronti e opportuni collegamenti tra le pagine del libro di Calvino e i progetti (presentati in diapositive, ma anche riprodotti graficamente da loro stessi); — identificati gli elementi più suggestivi delle 55 città, fanno poi proposte di possibili abbinamenti tra quanto indicato precedentemente nella mappa sintetica e i passi prescelti de Le città invisibili. Di seguito sono presentate alcune proposte, per fornire le prime indicazioni sul lavoro che ogni singolo insegnante potrà sviluppare con i suoi studenti, stimolandone intuito e creatività: — fig. 1 (Lezione II, All. 1) = Ottavia (Le città sottili. 5.);

168

-

Unità C

figg. 3-5 (Lezione II, All. 1) = Bersabea (Le città e il cielo. 2.); fig. 5 (Lezione II, All. 1) = Smeraldina (Le città e gli scambi. 5.).

Metodologia È prevista la compresenza degli insegnanti di italiano e storia dell’arte e l’utilizzo di diapositive e di strumenti audiovisivi appositamente elaborati. Dalla lezione frontale si passa alla lezione dialogata quindi ai lavori di gruppo conclusi da dibattito. Sviluppi operativi: dal libro all’architettura e dall’architettura al libro Si propone qui un seguito all’attività di ricerca e di composizione grafica, che può avere una continuazione ben oltre le Lezioni previste in questa Unità, inserendosi nella programmazione curricolare complessiva relativa all'ultimo anno di corso dell’insegnamento di disegno e storia dell’arte. -— Dopo aver osservato e preso nota delle tipologie e degli elementi significativi dei progetti degli anni Cinquanta-Settanta in campo internazionale, gli studenti, divisi in gruppi, esaminano tutte le 55 città, cercando-di estrarre da ognuna tutti gli elementi architettonici e urbanistici immaginati dallo scrittore. — Sempre divisi per gruppi, per ogni città immaginata da Calvino elaborano, quando esistano i requisiti, una serie di disegni che contengano gli elementi rintracciati. La ricerca grafica sarà libera. Il risultato finale sarà l’assemblaggio di tutti gli spunti in un unico grande disegno di città, che risulterà essere la ‘summa? delle città di Calvino. Come indirizzo si rimanda all’arte del fumetto, ad esempio alle avventure di Flash Gordon! — Gli studenti elaborano, per gruppi, il progetto di una città calviniana, con elementi ripresi dalle idee e dalle realizzazioni di architetti impegnati in quegli anni. La tecnica consigliata è il collage, ma possono essere utilizzate altre tecniche anche con uso di strumenti multimediali.

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

169

Allegato 1 Il dibattito sull’urbanistica al tempo di Calvino di Paolo Moro*

Ricostruzione e pianificazione nel secondo dopoguerra in Europa In Italia

Le prime riflessioni sugli effetti e sulle conseguenze dello sviluppo urbano in Italia fanno data a partire dagli anni Cinquanta, e si inseriscono nel più vasto dibattito intorno alle distorsioni del processo edilizio e alle sue conseguenze sulla pianificazione della città. Inizialmente ci si limita a leggere la fenomenologia della crescita urbana e a porre l’esigenza della pianificazione e del controllo pubblico, ma è solo agli inizi degli anni Sessanta che viene posta la necessità di trasformare il Piano Regolatore da strumento chiuso in strumento aperto. La polemica degli ‘aperturisti’ è contro la maggior parte degli architetti, accusati di non afferrare la dinamicità dei fenomeni e di rifugiarsi nella teoria del ‘piano perfetto’, e dunque della ‘cristallizzazione in un disegno delle loro ipotesi di città’. La lentezza delle procedure di approvazione dei piani particolareggiati da parte dei comuni fa sì che, in assenza di piani regolatori generali, questi piani vengano adottati solo in rarissimi casi.

Le città sono andate così sviluppandosi con il meccanismo delle semplici licenze e delle lottizzazioni private (molte delle quali senza autorizzazione comunale), consentendo a ciò che era eccezionale di diventare norma. Gli anni Sessanta si sono aperti con una grande battaglia per la riforma urbanistica, che il centrosinistra avrebbe dovuto condurre in porto. Ma il blocco

edilizio riesce a imporsi, e così si passa dalla riforma urbanistica alla legge ponte e dalla legge ponte alla legge ‘tappo’. La città del centrosinistra degli anni Sessanta era ipotizzata come la trasformazione della malata città democristiana, mirava a realizzare una città efficiente e specializzata nelle sue parti e qualificata sia sul piano delle strutture sociali che su quello della qualità architettonica. È stato invece partorito l’ulteriore sviluppo della città degli anni Cinquanta, sempre più carica di conflitti, ed è stato consentita l'estensione dell’uso dei suoli all’intero territorio (le seconde case, i villaggi e le lottizzazioni turistiche). * Docente di disegno e storia dell’arte del Liceo scientifico ‘N. Copernico’ di Udine.

170

Unità C

È soprattutto nei primissimi anni Settanta che il problema della casa si trasforma in problema della città, e in quest'ottica deve essere letta la proposta, sostenuta da grandi imprese a partecipazione statale e gruppi finanziari privati, di ‘sistemi urbani integrati’ e di ‘quarta di urbanizzazione’. La proposta tendeva alla realizzazione di città nuove e di nuove parti di città, i quarta, appunto. Ai gruppi che sostenevano tale proposta si opposero le forze politiche di sinistra, preoccupate di difendere la democraticità delle scelte sull’uso del territorio, ma anche le molte componenti del blocco edilizio tradizionale (le forze legate agli interessi della rendita fondiaria e quella delle medie e piccole imprese). A partire dal 1970-71 si rileva un continuo calo della produzione edilizia residenziale, mentre si instaura il sottomercato dell’usato, che as-

sume il ruolo di sbocco alternativo per il minor prezzo e per il recupero di una qualità urbana accettabile. Da questo punto in avanti l’accelerazione dei costi della casa riceve un impulso tale che finisce per creare una crisi edilizia, da cui si cerca di uscire in tre modi: il ritorno al libero mercato propugnato dal blocco edilizio; il rilancio di una politica della casa propugnata dalla sinistra storica; una totale assunzione del problema della casa sotto l’egida dello

Stato. Nel resto del mondo

A partire dai primi anni Sessanta nasce una diffusa insoddisfazione per gli strumenti tradizionali di controllo e formalizzazione dell'ambiente. La cultura architettonica reagisce ai nuovi limiti ad essa imposti dalle strutture di gestione che presiedono ai vari piani di settore: la riscoperta degli strumenti dell'avanguardia risponde a una generalizzata polemica antiburocratica. Ampliare la portata dell’intervento architettonico fino a toccare il problema dell'ambiente complessivo sembra ora un superamento dell’eredità degli anni precedenti. L'utopismo sovietico degli anni Venti e Trenta influenza fortemente l’urbanistica negli anni Sessanta e Settanta. Così pure i primi esperimenti di volo nello spazio, assieme al progresso tecnologico, lasciano intravedere la possibilità di uno sfruttamento dello spazio aereo come luogo abitabile, con città sospese e navicelle volanti per le comunicazioni (figg. 1-4). Le città sospese di Paul Maymont, i reticoli a capsule residenziali agganciate di Yona Friedman, i surreali assemblaggi di Kiyonori Kikutake e del gruppo giapponese ‘Metabolist’ hanno avuto una significativa fortuna all’interno delle scuole di architettura. La tendenza della cosiddetta ‘mobilità sociale’ si configura, nel piano per Tokyo di Paul Maymont, come una costellazione di isole flottanti, tutte a ele-

vata densità insediativa, che possono venire mutuamente connesse o discon-

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

Fig. 1. Carl Krayl, Città sospesa, 1920.

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Fig. 2. Georgy Krutikov, Highly elaborate Housing Commune, Flying City design, Vkhutein, Ladovsky's studio, 1928. Veduta generale.

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Fig. 3. Viktor Peterovich Kalmykov, disegno per ‘Ring City Saturn’, 1929.

disegno per ‘Ring City Saturn’, 1929.

nesse e dislocate a piacimento, nella vasta baia, a seconda della necessità. Ciò

che si pone in discussione è l’organizzazione stessa della città, attraverso il suo deliberato mutare nel tempo e nello spazio La città spaziale di Yona Friedman e Schulze-Fielitz è l’espressione diagrammatica di una società totalmente mobile, dove tutto è programmaticamente effimero, sia le istituzioni sociali che i contenitori insediativi.

L’angosciante dinamica metropolitana viene affrontata da Kenzo Tange in due progetti che hanno esercitato notevole influenza internazionale: quello per

Unità C

172

l'espansione di Tokyo nella sua baia (1960) (fig. 5) e quello elaborato con

gli studenti

(1959) (fig. 6).

del MIT

per Boston

Il secondo si basa su due enormi stampelle triangolari ai cui diversi livelli verranno realizzate cellule residenziali prefabbricate, servizi, reti di traffico, zone verdi scaglionate a varie altezze. Nel piano per Tokyo Kenzo Tange invade la baia con una complessa struttura terziaria immersa in anelli autostradali, cui si aggregano lateralFig. 5. Kenzo Tange, Progetto per la Baia mente sistemi residenziali basati sui di Tokyo, 1960. medesimi principi del progetto precedente. Anche per Tange si tratta di una polemica rispetto alla tradizione bidimensionale della pianificazione, e alle teorie dell’equilibrio territoriale fondate sul decentramento tramite città satelliti. L’esaltazione della città terziaria e della mobilità delle strutture urbane è esplicita. La megastruttura invoca una scala inusitata di proFig. 6. Kenzo Tange e studenti del MIT, gettazione: la ‘nuova dimensione’ cui Progetto di unità residenziale per 25.000 persone, 1959, sezione. gli strumenti di piano dovrebbero rispondere diviene uno slogan ricorrente nel dibattito urbanistico degli anni Sessanta. A partire dalla metà di questi anni i più critici fra gli urbanisti europei riconoscono che questa idealizzazione del design e della tecnologia trascura per convenienza le contraddizioni fondamentali della società neocapitalista. Claude Schnaidt fra i primi criticava gli esiti dell'avanguardia ‘alternativa’ Li

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degli anni Sessanta, accusandola di tecnolatria, di fiducia illimitata nelle poten-

zialità della tecnologia che sconfina nella abdicazione politica e sociale. Tuttavia, anche se si può metterne in dubbio l’efficacia, l'avanguardia ar-

chitettonica degli anni Sessanta non aveva abdicato interamente alle proprie responsabilità sociali. Esistevano molti gruppi il cui orientamento era decisamente politico e il cui atteggiamento verso la tecnologia avanzata non era affatto acritico.

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

173

Tra questi deve essere citato il gruppo italiano ‘Superstudio’, influenzato dalla concezione della ‘pianificazione urbana unitaria” di Con: stant Nieuwenhuys, seguace dell’Internazionale Situazionista, il quale nella sua Nuova Babilonia, del 1960,

aveva postulato una struttura urbana in continuo mutamento, che avrebbe risposto alle tendenze ‘ludiche’ del-

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-e-

Fig. 7. Constant Niewenhuys, New Babylo; 1960, modello di centro ricreativo.

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l’uomo (figg. 7-8). La Nuova Babilonia di Constant è la visione di una società del tutto liberata dalla schiavitù del lavoro quotidiano, ormai interamente eseguito da raffinatissimi automi. Alla mobilità sociale corrisponde l'assenza completa della proprietà, della circolazione monetaria e di residenze stabilmente assegnate; è una vita zingaresca incessantemente errabonda. Questa è forse

Fig. 8. Constant Niewenhuys, New Babylon, 1960, schema distributivo urbano.

la più convincente tra tutte le recenti utopie, se non altro perché intesa come una rivolta contro l’irreggimentazione sociale e quella estrema esattezza che rappresenta la pigra caduta di tensione nelle dinamiche dell’oggi. ‘Superstudio’, guidato da Alfonso Natalini, iniziò nel 1966 a produrre un corpo di opere che rivelano un’ambiguità di fondo, tra la realizzazione di strutture abitative, come muto segno urbano, e la produzione di una serie di schiz-

zi illustranti un mondo dal quale erano stati eliminati i beni di consumo. ‘Superstudio’ progettava un’utopia silenziosa, antifuturista e colma di ottimismo tecnologico, nella quale il livello di vita doveva essere misurato secondo altri criteri. È significativo il fatto che ‘Superstudio’ abbia scelto di rappresentare un simile mondo non repressivo sotto forma di architettura virtualmente invisibile, o, quando visibile, del tutto inutile e progettata in modo da autodistruggersi (fig. 9). L'attività del gruppo ‘Archigram’, coordinato da Peter Cook, propone una rinnovata macchinolatria che si traduce in bappering architettonici che non dissimulano l’entusiasmo per le potenzialità implicite nei calcolatori elettronici, negli ordigni spaziali. Nel caso del gruppo inglese degli ‘Archigram’, che iniziò a progettare immagini neofuturiste poco prima che uscisse il primo numero

Unità C

174

SALE

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della loro rivista «Archigram», nel 1961, è chiaro che il loro atteggiamento era strettamente legato all’ideologia tecnocratica del designer americano Buckminster Fuller (fig. 10). Gli ‘Archigram’ erano più interessati al seducente richiamo di una figu-

razione appropriata all’era spaziale e, come Fuller, ai sottintesi apocalittici

Fig. 9. ‘Superstudio”, w viaggio da A a B, 1969:

«Non ci sarà più bisogno di strade e piazze».

di una tecnologia della pt ii

che non ai processi di produzione o alla pertinenza di simili tecniche sofisticate ai compiti del momento. Con analoga noncuranza, gli ‘Archigram’ non hanno visto il motivo di interessarsi alle conseguenze sociali ed ecologiche delle loro diverse proposte megastrutturali. Analogamente, nella loro ossessione per le capsule sospese da era spaziale, Dennis Crompton, Michael Webb, Warren Clark e David Greene

non si sono sentiti in obbligo di spiega‘re come si possa scegliere di vivere in

d Fig. 10. 1 Cee

Fuller Bani di

un

meccanismo così costoso e sofistica-

cupola geodetica sopra la parte centrale di

to, ma allo stesso tempo in uno stato di

Manhattan (da fiume a fiume, e dalla 64°

reclusione così brutale.

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Nella Plug-in-City (figg. 11-12), il

sogno di Peter Cook, Warren Clark e Dennis Cropton, la città si articola in una labirintica rete di strutture spaziali

primarie, a cui sono appese le unità abitative, le quali, tuttavia, grazie a dei sollevatori meccanici, possono essere trasportate e assemblate variamente secondo i gusti degli abitanti: è una città che si sposta! In questa maglia, intubato, il traffico veicolare serpeggia velocissimo per ogni dove. Le città-macchina semoventi degli ‘Archigram’ rinnovano l’idolatria futuristica per una dinamica industriale dal volto biomorfico e mistico. Appunto perché letto in modo irrazionale, quell’universo meccanico rimane ignoto nelle sue leggi, si misura solo con le apparenze dell’universo tecnologico senza studiarne scientificamente le leggi. Ciò spiega come mai si sia profilata in campo internazionale una vera e propria ‘accademia dell’utopia’ (fig. 13). L'opera degli ‘Archigram’ era sorprendentemente vicina a quella dei Meta-

Oltre il gioco combinatorio: una discussione sulla città moderna

A CUMPUNENT UF PLUG-IN CITY, THIS STUDY OEMUNSTHATES THAT CHANGE, ADUITIUN, ANU ULTIMATE IMETAMURPHOSIS CAN BC AUSURHED IN ENVIRUNMENTAL DESICN WHEHE CXPENUABILITY IS A MAJUR DESIGN FACTOR, THE NODE IS THE COLLECTIUN OF ACCESS TUWES USEU BY

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Fig. 13. ‘Archigram’,

A Walking City, 1964.

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bolist’ giapponesi che, seguendo l’esempio megastrutturale offerto dal piano per la baia di Tokyo progettato da Kenzo Tange nel 1960, e reagendo alla pressione della sovrappopolazione giapponese, alla fine degli anni Cinquanta, cominciarono a proporre

delle megastrutture in crescita costante, adatte ad accogliere elementi ad incastro: in esse le cellule abitative,

come

nell'opera

di Noriaki

Ku-

rokawa, si sarebbero ridotte a baccel-

Fig. 14. Kiyonori Kikutake, Marine City, [i95:Sì

li prefabbricati agganciati a un vasto grattacielo elicoidale, oppure come nei progetti di Kiyonori Kikutake, sarebbero state fissate come conchiglie alle superfici interne ed esterne di grandi cilindri galleggianti dentro o sopra il mare (fig. 14). Le città galleggianti di Kikutake sono sicuramente tra le visioni più poe-

tiche del movimento Metabolist’. Tuttavia, le città marine di Kikutake sembrano perfino più lontane e inapplicabili alla vita di ogni giorno delle megastrutture degli ‘Archigram’, tanto che,

+ Coi “ILA Lana : Fig. 15. Noriaki Kurokawa, Torre Nagakin, per capsule residenziali, Tokyo, 1971.

con l’eccezione della Sky House progettata da Kikutake nel 1958 e della Torre Nagakin di Kurokawa, formata da capsule e costruita nella Ginza di Tokyo nel 1971 (fig. 15), pochissime concezio-

ni dei Metabolist furono realizzate. La consapevolezza, crescente all’inizio degli anni Sessanta, che nell’atti-

vità professionale esisteva una fondamentale soluzione di continuità tra i valori dell’architetto e le necessità e le abitudini dell’utente, condusse a tutta

una serie di interventi riformisti che, attraverso una varietà di strade antiutopiche, cercavano di superare il divorzio tra il progettista e la società di ogni giorno. Queste fazioni non solo contestavano l’inaccessibilità dell’astratta sintassi dell’architettura contemporanea, ma tentavano anche di escogitare degli strumenti con i quali gli architetti potessero mettersi al servizio

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di quei settori poveri della società ai quali Ja professione normalmente non si rivolgeva. In linea con l’utopismo ottocentesco stanno le architetture urbane immaginate da Paolo Soleri a partire dagli anni Sessanta, piantate in profondità nel terreno e di poco aggettanti. La sua Arcologia (architettura più ecologia) propone un estremo compattamento delle città, per cui ogni abitante è a pochi minuti di cammino da ogni altro punto della città, così è a pochi passi dalla natura incontaminata, in quanto la maggior parte del territorio è lasciato al suo equilibrio naturale. Paolo Soleri insegue il sogno di una società interamente dedicata a studi filosofici e ne predice l'avvento, disegnando immagini megastrutturali che possiedono un fascino tenebroso. Considerando le macro-architetture di Paolo Soleri, isolate in un immenso

contesto naturale, vengono in mente e prendono forma frammenti di distanti future civiltà: science-fiction, urban fiction, arcadia, utopia (condite di Piranesi e Fuller), giocate con le stesse carte dell’orgazziciszzo di Frank Lloyd Wright, i modelli organici, appunto. Esse sono una perforante analisi dei modi della società contemporanea, analisi che già alla fine degli anni Sessanta Soleri aveva concluso. Un ammonimento progettuale sulla necessaria globalità nella progettazione contemporanea: per Soleri la città, evolutasi storicamente come ambiente naturale dell’uomo, è un organismo definito, confrontabile con la natu-

ra, sviluppato dalla tecnologia come elemento specifico da inserire congruamente nell’ambiente. La convinzione della necessità di sviluppare l’architettura in accordo con l’ecologia, che porterà Soleri ad intraprendere la costruzione di un intero nuovo insediamento umano, è condensata in un disegno del 1950: una cupola di vetro emergente, tra le rocce di un altipiano desertico, la Dorze House. La cupola trasparente è il filtro principale fra esterno ed interno, una membrana che protegge l’ambiente interno, non isolandolo completamente, in modo da assicurare un minimo stacco nel confronto tra la pertinenza dell’intervento e la natura (fig. 16). Nel 1956 Soleri istituisce la Cosanti Foundation: il nome è la sintesi delle parole italiane cosa e anti per esprimere l’idea antimaterialista dell’Arcologia. Dal 1956 al 1974 realizza le varie strutture della fondazione, che diviene in Arizo-

na un grande cantiere sperimentale delle Heartb Houses: costruzioni seminter-

rate, realizzate formando il calcestruzzo direttamente sulla terra, come per le ceramiche. Le strutture costruite a Cosanti sono state tutte realizzate con va-

rianti del metodo di formatura a terra. La formatura a terra non è un semplice espediente tecnico, ma un criterium che lo impegna in un personale linguaggio formale. Nel 1965 Soleri annuncia sulla rivista «L’Architecture d’Aujourd’hui» l’in-

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Fig. 16. Paolo Soleri, Casa a cupola, Cave Creek, Arizona, 1950.

tenzione di realizzare su un terreno a 60 miglia a nord di Phoenix una Macro Cosanti. Il luogo scelto per la fondazione di quella che diviene Arcosanti è la parte terminale di un piccolo canyon che sbocca sulla Agua Fria River Valley. Le strutture urbane di Arcosanti sono da leggere, oltre alle singole forme architettoniche, talvolta ripetitive, come insieme strutturato nel tentativo di svi-

luppare un habitat particolare, secondo un processo di crescita urbana non lineare, che permette di intuire la struttura dell’ipotetico spazio urbano di Soleri (fig. 17).

In America il processo di specializzazione dell’architetto ha investito in maniera concreta la cultura architettonica: alle sue punte più avanzate sono stati riservati spazi circoscritti e chiaramente definiti. Non è un caso che la maggior parte delle opere più significative degli anni Sessanta sia stata eretta nei Campus universitari. Agli architetti è stato concesso l’ingresso nelle grandi città solo in concomitanza di eventi celebrativi o di copertura di pesanti aggressioni speculative. Così i super grattacieli di New York, di Chicago e di Boston diventano, con il loro ordine ferreo, surrogati di un ordine che la città non possiede e allo stesso tempo sublimazione delle motivazioni espansionistiche che il popolo americano ha scolpito nella propria storia. Celebratori di ‘continuità’ e ‘progresso’ gli architetti che progettano le città sembrano ripetersi, incapaci di una ricerca che porti a nuovi modelli.

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Chi riapre i discorsi sono gli archi: tetti Louis Kahn e Stirling, che si ri: chiamano alla tradizione moderna rielaborandola secondo nuove regole, indagando senza nostalgie utopiche sull’interno comporsi delle forme architettoniche. Nel progetto per la Siemens AG di Stirling a Monaco, fatto di cilindri che lasciano spazio a una fascia centrale di servizi, l’architettura espone la propria forma come macchina, uno spazio ambiguo sospeso tra una ostentata indifferenza alla forma e una apparente enfatizzazione. Agli antipodi sta Louis Kahn, le cui architetture sono intente a ripristinare un ricordo collettivo. Il control-

lo sull’elemento singolo diviene premessa

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per INVenzioni tipologiche: ogni edificio, in quanto funzionale e

Fig. 17. Paolo Soleri, Progetto per spazio urbano seminterrato, Novanoah II,

simbolico, sarà un ‘tipo’, il cui ‘ordi-

Arizona, 1970 (Hearth Houses).

ne’ è affidato a una serie di relazioni geometriche ricche di allusioni (Piranesi e Villa Adriana) all’architettura delIlluminismo e a quella della Roma imperiale e tardo-antica. Nata da intenti demagogici, all’interno, oltre la giungla, come simbolo di vitalità pionieristica, la Brasilia di Lucio Costa (fig. 18) del 1960 è guidata da un’infantile allegoria planimetrica — un aereo! — e da un sistema di superblocchi residenziali che tentano di reinterpretare il modello urbanistico sperimentato in URSS dagli anni Trenta in poi. Il risultato, cui contribuisce l’architetto Oscar Niemeyer, è una spettacolarità dell'assurdo, del superfluo. La linea ininterrotta del pensiero successivo a Fuller si prolunga dalla pura ideologia degli ‘Archigram’ all'opera più recente dei Foster Associated fino al centro Pompidou di Parigi, terminato nel 1977 su progetto dello studio anglo-italiano di Richard Rogers e Renzo Piano. È chiaro che questo Centre National d’Art et de Culture è una realizzazione della retorica tecnologica e infrastrutturale degli ‘Archigram’. Si tratta, in primo luogo, di uno straordinario successo popolare, sia per la sua natura sensazionale che per ogni altro aspetto; in secondo luogo si trat-

ta di un brillante tour de force nel campo della tecnica avanzata, che fa in tutto il

mondo l’effetto di quelle raffinerie di petrolio con cui la tecnologia cerca di rivaleggiare. La specificità del suo compito, di ospitare un patrimonio estetico e libra-

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Fig. 18. Lucio Costa, Piano regolatore di Brasilia, 1960, planimetria generale.

Fig. 19. Renzo Piano e Richard Rogers, Centre Georges Pompidou de Beaubourg,

Parigi, 1971-1977.

rio, è stata concepita con un minimo di attenzione mentre al massimo è stato curato l’approccio progettuale di tipo indeterminato, dotato di un sovradi-

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Fig. 20. Llewelyn-Davies, Week, Forestier-Walker e Bor, Piazzo

della New Town di Milton Keynes, Buckinghamshire, 1972. Una schematica griglia stradale è sovrapposta al paesaggio. Le aree residenziali (più chiare) e quelle produttive (più scure) sono irregolarmente mescolate.

mensionamento della flessibilità. Ironicamente i tubi di vetro d’accesso che contengono le scale, sospesi all’esterno della facciata, da cui si può ammirare un panorama spettacolare della città, sono più affollati delle sale delle collezioni culturali! (fig.19). Un analogo approccio ugualmente indeterminato è stato adottato nel 1972 nel progetto della New Town inglese di Milton Keynes. Questa città, basata su di una griglia di strade piuttosto irregolare, è stata concepita in

apparenza come una specie di Los Angeles, da sovrapporre al paesaggio agricolo del Buckinghamshire. La sua rete inutilmente irregolare non corrisponde a nessun ordine chiaramente percepibile e, per il visitatore occasionale, Milton Keynes non sembra niente di più che una collezione piuttosto accidentale di complessi residenziali più o meno ben progettati (fig. 20).

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Allegato 2 Una «natura kleeiana»

L'arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile. KLEE P., Teoria della forma e della figurazione, Milano, Feltrinelli, 1959, p. 76.

Per cui egli [l'artista] contempla le cose, che la natura gli pone sott'occhio già formate, con occhio penetrante. E quanto più a fondo penetra, tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto di vista dall’oggi al ieri; tanto più gli s'imprime nella mente, al posto di un’immagine naturale definita, l’unica, essenziale immagine, quella della creazione come genesi [...]. Dal modello all’archetipo! Presuntuoso sarà quell’artista, che presto s’arresta su tale via. Artisti eletti, coloro invece che oggi si spingono in prossimità di quel fondo segreto, ove la legge primordiale alimenta ogni processo vivente. KLEE P., Teoria della forma e della figurazione, Milano, Feltrinelli, 1959, pp. 92-93.

Noi cerchiamo le vie seguite da altri nella creazione delle loro opere, per essere stimolati a metterci in cammino per conto nostro [...]. Un particolare meto-

do d’analisi consiste nell’esaminare l’opera nei vari stadi della sua formazione. È questo il metodo che io indico con la parola genesi. KLEE P., Teoria della forma e della figurazione, Milano, Feltrinelli, 1959, p. 99.

[Klee tentò] di dare un senso alle immagini arbitrarie, sottraendole alla volubilità del caso e al marasma dell’informe... ARGAN G.C. Prefazione, in KLEE P., Teoria della forma e della figurazione, Milano, Feltrinelli,

1959, p. XII.

Nell’al di qua non mi si può afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione, ma ancora non abbastanza vicino. KLEE P., Diari 1898-1918, Milano, Il Saggiatore, 1990, p. 179.

Se i ‘non nati’ sono le possibilità inespresse sin dall’origine, possibilità cioè che si sarebbero potute dare ma non si sono date, i ‘morti’ sono le possibilità rimaste incompiute. Quello a cui tende l’arte di Klee, risalendo al ‘cuore della creazione’, ovvero alla genesi del cosmo, è di fare emergere queste possibilità mai date [...].

Unità C

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In questo tentativo da parte dell’artista di risalire alla genesi del visibile, «s’instaura una interpretazione più vasta dell’oggetto in sé» (Teorza..., p. 66),

poiché l'oggetto naturale — minerale, pianta, animale o uomo — mostra al suo interno una totalità, vale a dire una molteplicità di possibilità, rispetto alla quale l’oggetto nella sua determinatezza è solo un possibile [...]. Se il mondo dell’invisibile è quello della genesi, del movimento, allora la ‘figurazione’ è il processo attraverso il quale dal caos si passa al cosmo, ovvero a uno degli ordini possibili, senza che uno dei due termini possa mai prescindere dall’altro. Di GracoMO G., Introduzione a Klee, Bari, Laterza, 2003, pp. 49, 70, 57.

D'altra parte il suo insegnamento ha avuto, sia nell’arte a lui contemporanea che in quella successiva, una propagazione capillare ma sostanzialmente indiretta. Klee non ebbe discepoli o imitatori ma la summa di esperienze elaborate e trasformate nella sua opera resta un riferimento imprescindibile per quanti, da Wols a Dubuffet, da Licini a Melotti, da Novelli a Twombly, cercheranno di

esprimere nell’arte la logica profonda dell’inconscio, l’alfabeto dell’esistenza. Del Gli anni che l’artista trascorre tra Weimar e Dessau sono anni felici dal punto di vista creativo. Nasce in questo periodo la serie dei ‘quadrati magici’, dipinti archetipali nei quali reticoli e bande cromatiche sovrapposte suggeriscono una spazialità non più illusoriamente prospettica ma ugualmente evidente attraverso il movimento di colori e forme. Queste opere fondate unicamente sul ritmo e sul rapporto cromatico, sono strutturate secondo schemi matematici. «Tra le carte di Klee — racconta Will Grohmann, amico dell’artista e uno tra i

suoi più importanti critici — ho trovato lo schema per uno di questi quadri. Numeri sono scritti nei vari quadrati a formare serie aritmetiche, forse per dare all'artista una più chiara e complessiva dinamica dei rapporti formali. Se si sommano quei numeri lungo le orizzontali e le verticali i risultati coincidono come nel noto quadrato magico». L'antica identità tra magia numerica e legge matematica ritrova vita e valore in questo nuovo sistema armonico che, tra l’altro,

sembra assomigliare alle contemporanee polifonie di Schénberg cui probabilmente alludono i titoli di questa serie — per esempio Arzzonia in azzurro e arancio, Armonia di colori astratta, Architettura. PIRANI F., Klee, «Art Dossier», inserto redazionale allegato al n. 43 (febbraio 1990), pp. 7, 38-40.

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A illustrazione di quanto sopra proponiamo alcuni esempi di schemi matematici tratti dal volume Teoria e forma della figurazione (pp. 233 e 239) sopra citato:

Figg. 21a, 21b. Esempi di schemi matematici.

Unità C

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Fig. 22. Esempio di ‘quadrato magico”.

Sulla ‘natura kleeiana’ di Calvino e de Le città invisibili appaiono significative le testimonianze che seguono. PERICOLI — È a questo punto che mi è venuta l’idea di un colloquio con te, che non mi sembri estraneo all’idea del «rubare» e che sicuramente, mi pare, nascondi, se così posso dire, una natura kleeiana. Tu hai parlato di «forme che

il mondo avrebbe potuto prendere nelle sue trasformazioni e non aveva preso, per un qualche motivo occasionale o per un’incompatibilità di fondo: le forme scartate, irrecuperabili, perdute» (L'origine degli uccelli). Come Klee sei anche tu alla ricerca delle forme possibili e disegnabili, che non ci sono nella realtà ma esistono in quanto possibili. [...] CALVINO — L'esempio di Klee è quello di un artista che ha una grande forza genetica [...] l’immagine complessiva di Klee resta questo universo delle possibilità delle forme [...]. Hai detto giusto che Klee è per me molto importante. La pittura mi è servita sempre come spinta a rinnovarmi, come ideale di invenzione libera [...]. Questo cercare in Klee l’anatomia seconda, l’anatomia segreta, il disegno dietro il disegno, mi pare corrisponda a una curiosità che spesso mi viene anche con gli autori più lontani da me. Mi appassiona capire come

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hanno fatto, come hanno costruito una data opera. Per esempio Tolstoj, di cui si dice sempre che rappresenta direttamente la vita, l'interessante è capire il metodo secondo il quale ha costruito il suo racconto. Ogni volta che in un autore così mi sembra di cogliere uno schema, un disegno, un meccanismo, sono tutto contento, come fossi riuscito a carpire un segreto nascosto.

CALVINO IL, Furti ad arte (conversazione con Tullio Pericoli), 1980, ora in Ip., Saggi, a cura di Mario Barenghi, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 1802, 1804, 1806-1807.

Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istan-

te che potevano essere suoî; al posto di quell'uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a

un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell'uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi. Le città invisibili, cornice II-A.

Il Gran Kan possiede un atlante i cui disegni figurano l’orbe terracqueo tutt'insieme e continente per continente, i confini dei regni più lontani, le rotte delle navi, i contorni delle coste, le mappe delle metropoli più illustri e dei porti più opulenti. [...] L'atlante raffigura anche città di cui né Marco né i geografi sanno se ci sono e dove sono, ma che non potevano mancare tra le forme di città possibili. [...] ‘atlante ha questa qualità: rivela la forma delle città che ancora non hanno una forma né un nome. Le città invisibili, cornice IX-A.

- D'ora în avanti sarò io a descrivere le città, — aveva detto il Kan. — Tu nei tuoi viaggi verificherai se esistono.

Ma le città visitate da Marco Polo erano sempre diverse da quelle pensate dalva l’imperatore. - Eppure io ho costruito nella mia mente un modello di città da cui dedurre tutte le città possibili, — disse Kublai. Le città invisibili, cornice IV-B.

Tornando dalla sua ultima missione Marco Polo trovò il Kan che lo attendeva se-

duto davanti a una scacchiera. Con un gesto lo invitò a sedersi di fronte a lui e a descrivergli col solo aiuto degli scacchi le città che aveva visitato. I| veneziano non

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Unità C

st perse d'animo. Gli scacchi del Gran Kan erano grandi pezzi d'avorio levigato: disponendo sulla scacchiera torri incombenti e cavalli ombrosi, addensando scia-

mi di pedine, tracciando viali dritti o obliqui come l’incedere della regina, Marco ricreava le prospettive e gli spazi di città bianche e nere nelle notti di luna. Al contemplare questi paesaggi essenziali, Kublai rifletteva sull'ordine invisibile che regge le città, sulle regole cui risponde il loro sorgere e prendere forma e prosperare e adattarsi alle stagioni e intristire e cadere in rovina. Alle volte gli sembrava d’essere sul punto di scoprire un sistema coerente e armonioso che sottostava alle infinite difformità e disarmonie, ma nessun modello reggeva il confronto con quello del gioco degli scacchi. Le città invisibili, cornice VIII-A.

UNITÀ D

TAMARA Le città e i segni. 1. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose... ...mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti.

MENAGEÀ TROIS: FILOSOFIA, LETTERATURA, SCIENZA

Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo!. I vari livelli della realtà esistono anche in letteratura, anzi la letteratura si regge proprio sulla distinzione di diversi livelli di realtà e sarebbe impensabile senza la coscienza di questa distinzione. L'opera letteraria potrebbe essere definita come un’operazione nel linguaggio scritto che coinvolge contemporaneamente più livelli di realtà. Da questo punto di vista una riflessione sull’opera letteraria può essere non inutile allo scienziato e al filosofo della scienza?.

In realtà se voglio che il mio quadro possa valere non solo per l’oggi ma anche per il domani, devo comprendervi un elemento che ho finora trascurato. Quello che stavo descrivendo come un matrimonio a letti separati, va visto come un rénage è trois: filoso-

fia, letteratura, scienza. La scienza si trova di fronte a problemi non dissimili da quelli della letteratura; costruisce modelli del mondo continuamente messi in crisi, alterna me-

todo induttivo e deduttivo, e deve sempre stare attenta e non scambiare per leggi obiettive le proprie convenzioni linguistiche. Una cultura all’altezza della situazione ci sarà soltanto quando la problematica della scienza, quella della filosofia e quella della letteratura si metteranno continuamente in crisi a vicenda).

Il lettore che dobbiamo prevedere per i nostri libri dovrà avere esigenze epistemologiche, semantiche, metodologico-pratiche che vorrà continuamente confrontare anche sul piano letterario, come esempi di procedimenti simbolici, come costruzioni di modelli logici*.

Partendo da questo intreccio, nei testi narrativi di Calvino, di problemati-

che linguistiche, scientifiche e filosofiche, in questa Unità ci si propone di individuare ne Le città invisibili alcune questioni che possano interessare da vici! CAIVINO I., Lezioni americane... cit., p. 723 (Molteplicità). 2 CALVINO I., I livelli della realtà in letteratura, 1978, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 381. 3 CAIVINO I., Filosofia e letteratura, 1967, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mon-

dadori (I Meridiani), 1995, pp. 193-194.

4 CALVINO I., Per chi si scrive? (Lo scaffale ipotetico), 1967, in ID., Una pietra sopra cit., p. 202.

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Unità D

no anche il ‘filosofo della scienza’, e di approfondirle. Questo non solo a titolo di utile e logico complemento dell’intero progetto, ma anche di spunto per la programmazione di un itinerario curricolare mono o pluridisciplinare per l’ultimo anno di un corso di studi liceali. Per un utilizzo didattico l’Unità è strutturata in due Lezioni, incentrate su

specifici obiettivi di apprendimento e corredate da indicazioni metodologiche. La II lezione riassume più interventi attuati nelle classi e fornisce suggerimenti per possibili percorsi attraverso le complesse problematiche filosofiche che un’attenta analisi de Le città invisibili può evocare. Obiettivi Conoscenze



problematiche linguistiche, scientifiche e filosofiche presenti ne Le città in-

— —

visibili; il Riduzionismo di Wittgenstein e del Neopositivismo logico; Riduzionismo e Strutturalismo;



principio di verificazione e principio di falsificazione; Karl Popper.

Competenze



individuazione di problematiche epistemologiche e strutturalistiche in un testo letterario e loro contestualizzazione;

— —

lettura e comprensione di passi di trattati di filosofia della scienza; riflessioni sui procedimenti scientifici, sul linguaggio e sulle manifestazioni antropologiche.

LEZIONE | Percepire, rappresentare, comunicare

Contenuti



individuazione ne Le città invisibili di nuclei problematici (Lezione I, All 1);



contestualizzazione e sintesi dei nuclei problematici individuati.

Metodologia —

gli insegnanti di lettere e di filosofia in compresenza fanno leggere agli studenti i passi de Le città invisibili (Lezione I, All. 1), sottolineando la natura

-

linguistica, filosofica e scientifica delle problematiche esposte e contestualizzandole in termini molto rapidi e sintetici; dopolalettura e il commento dei passi, gli insegnanti chiedono alla classe di contribuire a costruire una tabella in cui le problematiche emerse siano ordinate ed accorpate per categorie. Ciò in funzione dello svolgimento delle lezioni successive.

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Unità D

Allegato 1 Nuclei problematici di ambito filosofico ne Le città invisibili

Le cornici (i corsivi) che aprono e chiudono i 9 capitoli del libro ospitano tre voci: la voce dell’autore implicito, la voce del fabulatore Marco Polo e quella di Kublai Kan, ascoltatore per eccellenza, che non si muove dal suo palazzo, ma

spesso interroga, interrompe, commenta e sollecita Marco Polo. Nell’insieme quindi sono il luogo privilegiato della riflessione. Con il numero romano si indica il capitolo di riferimento e con A e B la collocazione in apertura (A) o in chiusura (B). Gli altri passi sono tratti invece dalle descrizioni delle 55 città. «Nuovo arrivato e affatto ignaro delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti che estraendo oggetti dalle sue valige: tamburi, pesci salati, collane di denti di facocero, e indicandoli con gesti, salti, grida di meraviglia o d’orrore, o imitando il latrato dello sciacallo e il chiurlo del batbagianni. Non sempre le connessioni tra un elemento e l’altro del racconto risultavano evidenti all'imperatore; gli oggetti potevano voler dire cose diverse: un turcasso pieno di frecce indicava ora l'approssimarsi d’una guerra, ora abbondanza di cacciagione, oppure la bottega di un armatolo; una clessidra poteva significare il tempo che passa 0 che è passato, oppure la sabbia, o un'officina in cui si fabbricano clessidre. Le città invisibili, cornice II-B.

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. — Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? — chiede Kublai Kan. — Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, — risponde Marco, — ma dalla linea dell'arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: — Perché mi parli delle pietre? È solo dell'arco che m'importa. Polo risponde: — Senza pietre non c'è arco. Le città invisibili, cornice V-B.

KUBLAI: — Forse questo nostro dialogo si sta svolgendo tra due straccioni soprannominati Kublai Kan e Marco Polo, che stanno rovistando in uno scarico di spazzatura, ammucchiando rottami arrugginiti, brandelli di stoffa, cartaccia, e ubriachi per pochi sorsi di cattivo vino vedono intorno a loro splendere tutti i tesori dell'Oriente.

Ménage è trois: filosofia, letteratura, scienza

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POLO: — Forse del mondo è rimasto un terreno vago ricoperto da immondezzai, e il giardino pensile della reggia del'Gran Kan. Sono le nostre palpebre che li separano, ma non si sa quale è dentro e quale è fuori. Le città invisibili, cornice VII-A.

POLO: — ...Forse questo giardino affaccia le sue terrazze solo sul lago della nostra mente...

KUBLAI: — ...e per lontano che ci portino le nostre travagliate imprese di condottieri e di mercanti, entrambi custodiamo dentro di noi quest’ombra silenziosa,

questa conversazione pausata, questa sera sempre eguale. POLO: — A meno che non si dia l'ipotesi opposta: che quelli che s’arrabattano negli accampamenti e nei porti esistano solo perché li pensiamo noi due, chiusi tra queste siepi di bambi, immobili da sempre. KUBLAI: — Che non esistano la fatica, gli urli, le piaghe, il puzzo, ma solo questa pianta d’azalea. POLO: — Che i portatori, gli spaccapietre, gli spazzini, le cuoche che puliscono le interiora dei polli, le lavandate chine sulla pietra, le madri di famiglia che rimestano il riso allattando i neonati, esistano solo perché noi li pensiamo. KUBLAI: — A dzre il vero, io non li penso mai. POLO: — Allora non esistono. KUBLAI: — Questa non mi pare una congettura che ci convenga. Senza di loro mai potremmo restare a dondolarci imbozzoliti nelle nostre amache. POLO: — L'ipotesi è da escludere, allora. Dunque sarà vera l’altra: che ci siano loro e non noi. KUBLAI: — Abbiamo dimostrato che se noi ci fossimo, non ci saremmo. POLO: — Eccoci qui, difatti. Le città invisibili, cornice VII-B.

Kublai Kan s'era accorto che le città di Marco Polo s'assomigliavano, come se il passaggio dall'una all'altra non implicasse un viaggio ma uno scambio d’elemenink_l - D'ora in avanti sarò io a descrivere le città e tu verificherai se esistono e se

sono come io le ho pensate. Comincerò a chiederti d’una città a scale, esposta a scirocco, su un golfo a mezzaluna. [...] _ Sire, eri distratto. Di questa città appunto ti stavo raccontando quando m'hai interrotto.

— La conosci? Dov'è? Qual è il suo nome? — Non ha nome né luogo. Ti ripeto la ragione per cui la descrivevo: dal numero delle città immaginabili occorre escludere quelle i cui elementi si sommano senza un filo che le connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso. [...]

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Unità D

— Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né

l’altro bastano a tener su le loro mura. Duna città non godi le sette 0 le settanta sette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. Le città invisibili, cornice III-B.

- D'ora in avanti sarò io a descrivere le città, — aveva detto il Kan. — Tu nei

tuoi viaggi verificherai se esistono. Le città invisibili, cornice IV-B.

— Stre, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco. — Ne resta una di cui non parli mai. Marco Polo chinò il capo — Venezia — disse il Kan. Marco sorrise. — E di che altro credevi che ti parlassi? L'imperatore non battè ciglio. — Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome. E Polo: — Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. — Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia. — Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia. Le città invisibili, cornice VI-A.

At piedi del trono del Gran Kan s'estendeva un pavimento di maiolica. [...] Disponendo in un certo ordine gli oggetti sulle piastrelle bianche e nere e via via spostandoli con mosse studiate, l'ambasciatore cercava di rappresentare agli occhi del monarca le vicissitudini del suo viaggio, lo stato dell'impero, le prerogative dei remoti capoluoghi. Kublai era un attento giocatore di scacchi; seguendo i gesti di Marco osservava che certi pezzi implicavano o escludevano la vicinanza d'altri pezzi e si spostavano secondo certe linee. Trascurando la varietà di forme degli oggetti, ne definiva il modo di disporsi gli uni rispetto agli altri sul pavimento di maiolica. Pensò: «Se ogni città è come una partita a scacchi, il giorno in cui arriverò a conoscerne le regole possiederò finalmente il mio impero, anche se mai riuscirò a conoscere tutte le città che contiene». Le città invisibili, cornice VIII-A.

...Il Gran Kan cercava d’immedesimarsi nel gioco: ma adesso era il perché del gioco a sfuggirgli. Il fine d’ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Le città invisibili, cornice VIII-B.

Ménage à trois: filosofia, letteratura, scienza

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L'uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno di un’altra cosa: un'impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la stadera l’erbivendola... Le città invisibili, Le città e i segni. 1. Tamara.

Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca, mi persi tra gli scaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena, seguii l'ordine alfabetico di alfabeti scomparsi, su e giù per corridoi, scalette e ponti. Nel più remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo, mi apparvero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdraiato su una stuoia, che non staccava le labbra da

una pipa d’oppio. Dov'è il sapiente? — Il fumatore indicò fuori della finestra. Era un giardino con giochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva sul prato.

Disse: — I segni formano una lingua, ma non quella che credi di conoscere — Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito a intendere il linguaggio di Ipazia. Le città invisibili, Le città e i segni. 4. Ipazia.

Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere la città col discorso che la descrive. Eppure tra l’una e l’altro c’è un rapporto. Se ti descrivo Olivia, città ricca di prodotti e guadagni... Le città invisibili, Le città e i segni. 5. Olivia.

Poco saprei dirti d’Aglaura fuori delle cose che gli abitanti stessi della città ripetono da sempre: una serie di virtù proverbiali, d’altrettanto proverbiali difetti, qualche bizzarria, qualche puntiglioso ossequio alle regole. [...] In questo senso nulla è vero di quanto si dice d’Aglaura, eppure se ne trae un'immagine solida e compatta di città, mentre minor consistenza raggiungono gli sparsi giudizi che se ne possono trarre a viverci. Il risultato è questo: la città che dicono ha molto di quel che ci vuole per esistere, mentre la città che esiste al suo posto, esiste meno. Le città invisibili, Le città e il nome. 1. Aglaura.

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Unità D

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: — Perché

la costruzione di Tecla continua così a lungo? [...] — Che senso ha il vostro costruire? [...] — Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov'è

il piano che seguite, il progetto? — Te lo mostreremo appena termina la giornata; ora non possiamo interrompere, — rispondono. Le città invisibili, Le città e il cielo. 3. Tecla.

LEZIONE Il Linguaggi e segni. Verificazione e falsificazione di Adriano Ceschia*

Contenuti

— — —

livello ontologico e livello logico dell'istanza riduzionistica in Wittgenstein; il principio di verificazione nel Neopositivismo; verifica delle proposizioni scientifiche (Lezione II, All. 1);

— — —

lo Strutturalismo come variante del Riduzionismo; linguistica strutturale; lo Strutturalismo in altre aree disciplinari (Lezione II, All 2);

— —

il principio di induzione; il principio di falsificazione di Karl Popper (Lezione II, All. 3).

Metodologia Le problematiche proposte sono molto complesse e diversificate nei loro sviluppi interni, e non consentono un’adeguata trattazione in questa sede. I contenuti sono quindi presentati negli Allegati sotto forma di schemi-guida per le-

zioni di tipo frontale, che dovrebbero essere seguite da una discussione, aperta al contributo degli studenti e finalizzata a contestualizzare tali temi nell’analisi de Le città invisibili. Verifica

A conclusione dell’intera Unità, gli insegnanti di lettere e di filosofia compiono una verifica del lavoro svolto dagli studenti tramite questionario a risposta singola.

* L’intera Lezione con gli Allegati è a cura di Adriano Ceschia, docente di filosofia e storia del Liceo scientifico ‘N. Copernico’ di Udine.

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Unità D

Allegato 1 Il Riduzionismo di Wittgenstein e del Neopositivismo logico: la struttura sussiste nel fatto

1. Si mostra come l’istanza riduzionistica agisca a livello ontologico e a livello logico conoscitivo nell’opera di L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophiCUS. 2. Si mostra come il Neopositivismo, utilizzando l’ontologia del Tractatus, abbia tentato di proporre una genesi della conoscenza scientifica basata sul principio di verificazione. 3. Si mostra come il successivo approfondimento di queste istanze riduzionistiche abbia messo in evidenza l’impossibilità di ottenere la verifica empirica di certe proposizioni scientifiche o perché non riducibili a proposizioni fattuali di base, o per la loro natura olistica di tipo non riducibile. Esplicazione dei contenuti del punto 1.

Il Tractatus logico-philosphicus rappresenta un potente sforzo di semplificazione del reale e del pensiero; ritiene che il primo sia riducibile a stati di cose, che

il mondo sia l’insieme degli stati di cose effettivi, non effettivi e possibili, e che il pensiero, identificandosi col linguaggio, sia e debba essere, se vuole essere conoscenza, cioè scienza, una immagine degli stati di cose.

La proposizione dunque corrisponde allo stato di cose, e la combinazione logica delle proposizioni è anche la possibile combinazione degli stati di cose che costituiscono le parti del mondo. Ogni altro uso del linguaggio che non sia questo non è scienza. Esplicazione dei contenuti del punto 2. Il principio di verificazione consiste nell’idea che il sapere scientifico sia esprimibile tramite un linguaggio riducibile a una sintassi di proposizioni non ulteriormente semplificabili, ma riferibili direttamente al fatto di cui sono il corrispettivo linguistico. Verificare la scientificità di un complesso di proposizioni che costituiscono una teoria significa quindi ridurre il complesso alle proposizioni di base (protocollari), che vanno riferite ai fatti.

Il processo inverso permette la costruzione del sapere scientifico: la sintassi applicata alle proposizioni di base empiriche permette di differenziare le scien-

Ménage è trois: filosofia, letteratura, scienza

199

ze, e comunque di. costruire il mondo (CARNAP R., La costruzione logica del mondo, 1928).

Esplicazione dei contenuti del punto 3. Proposizioni come «Tutti i corpi sono in rapporto di interazione fra di loro» non possono essere ridotte a un linguaggio protocollare, e non sono verificabi-

li in quanto la loro verifica comporterebbe infinite operazioni nel tempo e nello spazio. Feyerabend dice che ogni proposizione che abbia la pretesa di dire qualcosa sul mondo non può prescindere dalla teoria di cui fa parte, e quindi non è possibile una distinzione tra proposizioni osservative neutre e livelli teorici ottenuti per applicazioni sintattiche. Wittgenstein, a partire dagli anni Trenta, elabora una concezione del linguaggio di natura olistica, ritenendo che non sia possibile ridurre i linguaggi umani ad una struttura linguistica univoca e ‘logica’ che sta al di sotto del linguaggio comune, e che il significato di ogni proposizione vada ricercato dall’analisi nel riferimento al gioco linguistico che la sottende.

200

Unità D

Allegato 2 Riduzionismo e Strutturalismo: il fatto sussiste nella struttura

Ad integrazione della Lezione II, si può estendere in via facoltativa la tematica riduzionistica ricorrendo ai progetti strutturalistici. Si mostra che lo Strutturalismo è una variante del Riduzionismo applicato alle espressioni della cultura umana come il linguaggio (Ferdinand de Saussure, Louis Hjelmslev) o come i miti, i rapporti di parentela, le manifestazioni antropologiche in senso lato (Claude Lévi-Strauss). Esplicazione del contenuto

L'idea strutturalistica è che i sistemi culturali sono riducibili alla simultaneità delle parti componenti, elementi ultimi perfettamente individuabili e isolabili dall’analisi, come i fonemi di una lingua, o i grafemi di una scrittura, o i mite-

mi di un mito. Analogamente all’idea, presente nel Tractatus logico-philosphicus di Wittgenstein, di un’unica logica della conoscenza che governa anche il linguaggio e si oppone ai linguaggi naturali, lo Strutturalismo di de Saussure oppone langue e parole, mentre Lévi-Strauss propone una grammatica dello Spirito universale che agisce nella apparente diversità delle culture ed oppone natura e storia nell’uomo stesso. Si veda la voce Strutturalismzo in ABBAGNANO N., FORNERO G., La filosofia contemporanea IV, Torino, Utet, 1991.

Ménage è trois: filosofia, letteratura, scienza

201

Allegato 3 Il principio di falsificazione garantisce una maggiore scientificità delle teorie: Karl Popper

Si mostra che per Karl Popper l’istanza neopositivistica del principio di verificazione — non consente la costruzione di teorie scientifiche che abbiano pretesa di universalità;



non garantisce la distinzione tra teoria scientifica e teoria metafisica.

Esplicazione del contenuto

La pretesa di costruire teorie scientifiche a partire da proposizioni protocollari singolari corrisponde alla pretesa induttiva di accedere all’universale partendo dal particolare. Questa logica di costruzione del sapere scientifico non è legittima (non si può inferire, dalla constatazione che alcuni cigni sono neri, l’asserzione che tutti i cigni sono neri). Ma non è nemmeno vero che le teorie si costruiscono per combinazione sin-

tattica di proposizioni empiriche di base, secondo la visione riduzionistica del Neopositivismo: la teoria cinetica dei gas, per esempio, non parte dalla osservazione diretta delle molecole gassose in movimento, ma da una analogia dell’esperienza, da un modello. Se poi il punto critico della prova di scientificità di una teoria sta solo nella possibile scomposizione di essa in proposizioni empiriche di base, allora non è nemmeno possibile distinguere in linea di principio un oroscopo indotto dalla osservazione di alcune coincidenze (proposizioni protocollari) tra la posizione di Giove nello zodiaco e le fortune d’amore di alcuni conoscenti, e la teoria del-

la relatività. Anche ammesso che il principio di induzione possa svolgere un ruolo nella costruzione di teorie, senza la integrazione di un diverso principio, che per Popper è quello di falsificazione, il principio di induzione si rivela insufficiente a garantire la scientificità delle teorie, discriminando quelle di esse che sono scientifiche da quelle che non lo sono. È sufficiente ricorrere ai manuali di filosofia per le scuole medie superiori e alla voce Popper in ABBAGNANO N., FORNERO G., La filosofia contemporanea, IV*Torino Utet, 1991

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UNITÀ E

ZORA Le città e la memoria. 4. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto... Questa città che non si cancella dalla mente è come un’armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare...

VERSO LA MACCHINA NARRANTE

Stabiliti questi procedimenti, affidato al computer il compito di compiere queste operazioni, avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore? Così come abbiamo già macchine che leggono, macchine che eseguono un’analisi linguistica dei testi

letterari, macchine che traducono, macchine che riassumono, così avremo macchine capaci di ideare e comporre poesie e romanzi?!,

Il modello della rete dei possibili può dunque essere concentrato nelle poche pagine d’un racconto di Borges, come può fare da struttura portante a romanzi lunghi o lunghissimi, dove la densità di concentrazione si riproduce nelle singole parti. Ma direi che oggi la regola dello «scrivere breve» viene confermata anche dai romanzi lunghi, che presentano una struttura accumulativa, modulare, combinatoria. Queste considerazioni sono alla base della mia proposta di quello che chiamo «l’iper-romanzo» e di cui ho cercato di dare un esempio con Se una notte d'inverno un viaggiatore. Il mio intento era di dare l'essenza del romanzesco concentrandola in dieci inizi di romanzi, che sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata. Lo stesso principio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile è alla base d’un altro mio libro, I/ castello dei destini incrociati, che

vuol essere una specie di macchina per moltiplicare le narrazioni partendo da elementi figurali dai molti significati possibili come un mazzo di tarocchi. Il mio temperamento mi porta allo «scrivere breve» e queste strutture mi permettono d’unire la concentrazione nell'invenzione e nell’espressione con il senso delle potenzialità infinite?. Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva del mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. [...] Ma se la letteratura non basta ad assicurarmi che non sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene dissolta... Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neutroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi... ! CALVINO I., Cibernetica e fantasmi... cit., p. 212.

2 CALVINO I., Lezioni americane... cit., p. 730 (Molteplicità).

Unità E

206

Poi, l’informatica. È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che. comanda, che

agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma con i bits d’un flusso d'informazione che corre sui

circuiti sotto forma d’impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bifs senza peso. È legittimo estrapolare dal discorso delle scienze un'immagine del mondo che corrisponda ai miei desideri??. Il Gran Kan contempla un impero ricoperto di città che pesano sulla terra e sugli uomini, stipato di ricchezze e d’ingorghi, stracarico d'ornamenti e d’incombenze, complicato di meccanismi e di gerarchie, gonfio, teso, greve.

«- È il suo stesso peso che sta schiacciando l'impero —», pensa Kublai, e nei suoi sogni ora appaiono città leggere come aquiloni, città traforate come pizzi, città trasparenti come zanzariere, città nervatura di foglia, città linea della mano, città filigrana da vedere attraverso

il loro opaco e fittizio spessore. — Ti racconterò cosa ho sognato stanotte, — dice a Marco. — In mezzo a una terra piatta e

gialla, cosparsa di meteoriti e massi erratici, vedevo di lontano elevarsi le guglie d'una città dai pinnacoli sottili, fatti in modo che la Luna nel suo viaggio possa posarsi ora sull’uno ora sull'altro, o dondolare appesa ai cavi delle gru. E Polo: — La città che hai sognato è Lalage. Questi inviti alla sosta nel cielo notturno i suoi abitanti disposero perché la Luna conceda a ogni cosa nella città di crescere e ricrescere senza fine. — C'è qualcosa che tu non sai, — aggiunse il Kan. — Riconoscente la Luna ha dato alla città di Lalage un privilegio più raro: crescere in leggerezza*. DOMANDA. Non ha ancora spiegato una cosa del titolo: perché chiama ‘invisibili’ queste città? RISPOSTA. Perché dietro la città che si vede ce n’è una che non si vede ed è quella che conta. Gran parte delle città del libro sono costruite così [...] DOMANDA. E la città futura, la città dell’utopia? RISPOSTA. Ebbene, direi che sulla rotta di questo viaggio la città dell’utopia non appare. Le immagini più felici di città che vengono fuori sono rarefatte, filiformi [....] Insomma, c’è una zona del mio libro che tende verso un ideale di leggerezza; di più non saprei dire?.

Come lettore tra gli altri, posso dire che nel capitolo quinto, che sviluppa nel cuore del libro un tema di leggerezza stranamente associato al tema città, ci sono alcuni dei pezzi che considero migliori come evidenza visionaria, e forse queste figure più filiformi («città sottili» o altre) sono la zona più luminosa del libro. Non saprei dire di più‘.

? CALVINO I., Lezioni americane... cit., pp. 631, 635-636 (Leggerezza). 4 Le città invisibili, cornice V-A.

? Nel regno di Calvinia... cit., p. 11. ° CAIVINO LI., Le città invisibili cit., p. XI.

Verso la macchina narrante

207

Con Le città invisibili Italo Calvino ha scritto il suo libro più appartato, ma forse anche il più meditato e sfaccettato. Un libro ché propone più domande che risposte, che procede discutendo se stesso e interrogandosi, che si lascia percorrere in direzioni divergenti e su strati sovrapposti, che si costruisce in una forma elaborata e compiuta ma che ogni lettore può scomporre e ricomporre seguendo il filo delle sue ragioni e dei suoi umori”.17 Il mio libro in cui credo di aver detto più cose resta Le città invisibili, perché ho potuto concentrare su un unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture; e perché ho costruito una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino

agli altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni

plurime e ramificate®.

Introdotto da queste citazioni, il contenuto di questa Unità è già sufficientemente chiaro. In essa ci si propone prima di tutto di evidenziare l’atteggiamento di Calvino nei confronti degli strumenti informatici, che negli anni Settanta non erano certamente diffusi come oggi né così potenti e versatili, ma di cui tuttavia il nostro autore aveva già intuito le potenzialità e gli impatti sul mondo dell’arte e della letteratura. Di fronte alla prospettiva, più o meno ravvicinata, che gli elaboratori elettronici potessero essere usati per costruire testi letterari, sostituendo così gli ‘scrittori’ tradizionali, Calvino non si profondeva in «lamentazioni lacrimose punteggiate da gridi di esecrazione»?, ma accettava l’ipotesi «con animo sereno e senza rimpianti»!°, ponendosi piuttosto il pro-

blema di dove potesse stare l’originalità e la poeticità in elaborati del genere. È questo un problema di cui appunto ai nostri giorni si discute. Ma Calvino si pone di fronte al computer anche come un ricercatore, «un programmatore in camice bianco»!! che chiede alla macchina di razionalizzare una realtà sempre più labirintica e di elaborargli modelli descrittivi ed interpretativi di essa, capaci di dominare la complessità del mondo materiale ed umano e di indicare all’uomo del nostro tempo una rotta. In secondo luogo l’Unità intende stabilire un collegamento fra Le città invi sibili e l'informatica all’insegna dell’ideale della leggerezza. Per Calvino l’informatica è simbolo per eccellenza di ‘leggerezza’ e un ‘ideale di leggerezza’ sostanzia il testo di Calvino in tutti i suoi livelli (linguaggio, immagini, ragionamenti e astrazioni).

? CALVINO LI, Le città invisibili cit., risvolto di copertina dell'edizione Einaudi, 1972. 8 CALVINO I., Lezioni americane... cit., pp. 689-690 (Esattezza).

? CALVINO I., Cibernertica e fantasmi... cit., p.214. 10. Ivi, p.216.

na

11 CALVINO I, Una pietra sopra... cit., quarta di copertina dell'edizione Einaudi, 1980.

208

Unità E

Ma c’è un terzo aspetto che qui viene toccato: quello degli ipertesti narrativi, modulari e fruibili secondo percorsi plurimi, che, scritti diffusi e fruiti elettronicamente, rappresentano la più significativa novità della produzione letteraria dei giorni nostri. Le città invisibili possono essere intese anche come un’anticipazione, per molti versi, di questa letteratura digitale. I percorsi ipertestuali del CD allegato riprendono e sviluppano il tema della leggerezza nei suoi diversi aspetti e nei suoi legami con la letteratura, l’informatica e l’arte. Per un utilizzo didattico l’Unità è strutturata in tre Lezioni, incentrate su

specifici obiettivi di apprendimento e corredate da indicazioni metodologiche. Si conclude con un dibattito tra gli studenti e i docenti di tutte le discipline coinvolte nel progetto sul tema: ‘Possono letteratura e informatica — ciascuna con i suoi specifici strumenti — fornire modelli complementari di conoscenza e di comprensione della realtà?’, nel tentativo di far emergere un concetto culturale ‘alto’ dell'informatica come scienza. Obiettivi Conoscenze



idee di Calvino sull’utilizzo del computer per la composizione e l’analisi di testi letterari;

— — — —

teorie degli ipertesti; letteratura digitale contemporanea e dibattito teorico sulla stessa; caratteristiche ipertestuali di Le città invisibili; fondamenti epistemologici dell’informatica e teorie della letteratura.

Competenze



comprensione e analisi di testi saggistici e letterari;



elaborazione di sintesi scritte;



uso di internet per ricerche mirate;



redazione di una recensione;



partecipazione ad un dibattito.

LEZIONE | Cibernetica e fantasmi: un saggio critico fondamentale

Contenuti



lettura e commento in classe di passi significativi del saggio di Calvino Ci bernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio),



lettura e commento in classe del saggio La macchina spasmodica, 1969 (Le-

1967 (Lezione 1, All. 1); zione 1, All. 2).

Metodologia L’insegnante fornisce alla classe in fotocopia i testi contenenti i passi più significativi dei due saggi. Alla fine propone agli studenti di contribuire, tramite dibattito, alla redazione di una sintesi delle problematiche emerse.

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Unità E

Allegato 1 La composizione letteraria è un procedimento combinatorio di un numero finito di elementi. Anche un software può eseguirlo

[...] Nel modo in cui la cultura d’oggi vede il mondo, c’è una tendenza che affiora contemporaneamente da varie parti: il mondo nei suoi vari aspetti viene visto sempre più come discreto e non come continuo. Impiego il termine «discreto» nel senso che ha in matematica: quantità «discreta» cioè che si compone di parti separate. Il pensiero, che fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido, evocava in noi immagini lineari come un fiume che scorre o un filo che si dipana, oppure immagini gassose, come una specie di nuvola, tant'è vero che

veniva spesso chiamato «lo spirito», — oggi tendiamo a vederlo:come una serie di stati discontinui, di combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito) di organi sensori e di controllo. I cervelli elettronici, se sono ancora lungi dal produrre tutte le funzioni d’un cervello umano, sono però già in grado di fornirci un modello teorico convincente per i processi più complessi della nostra memoria, delle nostre associazioni mentali, della nostra immaginazione, della nostra coscienza. Shannon, Weiner, von Neumann, Turing,

hanno cambiato radicalmente l’immagine dei nostri processi mentali. Al posto di quella nuvola cangiante che portavamo nella testa fino a ieri e del cui addensarsi o disperdersi cercavamo di renderci conto descrivendo impalpabili stati psicologici, umbratili paesaggi dell'anima, — al posto di tutto questo oggi sentiamo il velocissimo passaggio di segnali sugli intricati circuiti che collegano i relé, i diodi, i transistor di cui la nostra calotta cranica è stipata. Sappiamo che,

come nessun giocatore di scacchi potrà vivere abbastanza a lungo per esaurire le combinazioni delle possibili mosse dei trentadue pezzi sulla scacchiera, così — dato che la nostra mente è una scacchiera in cui sono messi in gioco centinaia di miliardi di pezzi — neppure in una vita che durasse quanto l’universo s’arriverebbe a giocarne tutte le partite possibili. Ma sappiamo anche che tutte le partite sono implicite nel codice generale delle partite mentali, attraverso il quale ognuno di noi formula di momento in momento i suoi pensieri, saettanti o pigri, nebulosi o cristallini. [...] Il processo in atto oggi è quello d’una rivincita della discontinuità, di-

Verso la macchina narrante

ZIO

visibilità, combinatorietà, su tutto ciò che è corso continuo, gamma di sfumature che stingono una sull’altra. Il secolo decimonono, da Hegel a Darwin, ave-

va visto il trionfo della continuità storica e della continuità biologica che superava tutte le rotture delle antitesi dialettiche e delle mutazioni genetiche. Oggi questa prospettiva è radicalmente cambiata: nella storia non seguiamo più il corso d’uno spirito immanente nei fatti del mondo, ma le curve dei diagrammi statistici; la ricerca storica si va sempre più matematizzando. E quanto alla biologia, Watson e Crick ci hanno dimostrato come la trasmissione dei caratteri

della specie consista nella duplicazione d’un certo numero di molecole a forma di spirale formate da un certo numero di acidi e di basi: la sterminata varietà delle forme vitali si può ridurre alla combinazione di certe quantità finite. Anche qui è la teoria dell’informazione che impone i suoi modelli. I processi che parevano più refrattari a una formulazione numerica, a una descrizione quantitativa, vengono tradotti in modelli matematici. Nata e sviluppatasi su tutt'altro terreno, la linguistica strutturale tende a configurarsi in un gioco d’opposizioni altrettanto semplice che la teoria dell'informazione: e anche i linguisti hanno preso a ragionare in termini di codici e messaggi, a cercar di stabilire l'entropia del linguaggio a tutti i livelli, compreso quello letterario. L'uomo sta cominciando a capire come si smonta e come si rimonta la più

complicata e la più imprevedibile di tutte le sue macchine: il linguaggio. Il mondo d’oggi, rispetto a quello che circondava l’uomo primitivo, è molto più ricco di parole e di concetti e di segni; molto più complessi sono gli usi dei diversi livelli del linguaggio. Con modelli matematici trasformazionali, la scuola americana di Chomsky esplora la struttura profonda del linguaggio, alle radici dei processi logici che costituiscono una caratteristica forse non più storica ma bio-

logica della specie umana. Un’estrema semplificazione di formule logiche è usata invece dalla scuola francese della semantica strutturale di A.J. Greimas, che analizza la narratività d’ogni discorso, riducibile a una relazione tra «attanti». Dopo un intervallo d’una trentina d’anni, è rinata in Unione Sovietica una scuola «neo-formalista» che impiega per l’analisi letteraria le ricerche cibernetiche e la semiologia strutturale. Capeggiata dal matematico Kolmogorov, questa scuola conduce studi d’una compassata scientificità accademica, basati sul calcolo delle probabilità e la quantità d’informazione dei testi poetici. Un altro incontro tra matematica e letteratura si celebra invece in Francia sotto il segno del divertimento e della fumisteria: è l’Ouvroir de Littérature Potentielle fondato da Raymond Queneau e da alcuni matematici suoi amici. Questo gruppo quasi clandestino di dieci persone è un’emanazione dell'Académie de Pataphysique, il cenacolo fondato da Jarry come una specie d’accademia dello sberleffo intellettuale; eppure le ricerche dell’Ou-li-po sulla struttura ma-

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Unità E

tematica della sestina nei trovatori provenzali e in Dante non sono meno austere di quelle dei cibernetici sovietici. Queneau, non va dimenticato, è l’auto-

re di un libro intitolato Cent mille milliards de poèmes, che più che come volume si presenta come un rudimentale modello di macchina per costruire sonetti uno diverso dall’altro. Stabiliti questi procedimenti, affidato a un computer il compito di compiere queste operazioni, avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore? Così come abbiamo già macchine che leggono, macchine che eseguono un'analisi linguistica dei testi letterari, macchine che traducono, macchine che

riassumono, così avremo macchine capaci di ideare e comporre poesie e romanzi?

Quello che interessa non è tanto se questo problema sia risolvibile in pratica — perché poi non varrebbe la pena di costruire una macchina così complicata, — quanto la sua realizzabilità teorica, che ci può aprire una serie di congetture insolite. E in questo momento non penso a una macchina capace solo di una produzione letteraria diciamo cosi di serie, già meccanica di per se stessa; penso a una macchina scrivente che metta in gioco sulla pagina tutti quegli elementi che siamo soliti considerare i più gelosi attributi dell’intimità psicologica, dell’esperienza vissuta, dell’imprevedibilità degli scatti d’umore, i sussulti e gli strazi e le illuminazioni interiori. Che cosa sono questi se non altrettanti campi linguistici, di cui possiamo benissimo arrivare a stabilire lessico grammatica sintassi e proprietà permutative?

Quale sarebbe lo stile d’un automa letterario? Penso che la sua vera vocazione sarebbe il classicismo: il banco di prova d’una macchina poetico-elettro-

nica sarà la produzione di opere tradizionali, di poesie con forme metriche chiuse, di romanzi con tutte le regole. In questo senso l’uso che finora l’avanguardia letteraria ha fatto delle macchine elettroniche è ancora troppo umano. La macchina in questi esperimenti, soprattutto in Italia, è uno strumento del caso, della destrutturazione formale, della contestazione dei nessi logici abitua-

li: cioè io direi che resta uno strumento ancora squisitamente lirico, serve un bisogno tipicamente umano: la produzione di disordine. La vera macchina letteraria sarà quella che sentirà essa stessa il bisogno di produrre disordine ma come reazione a una sua precedente produzione di ordine, la macchina che produrrà avanguardia per sbloccare i propri circuiti intasati da una troppo lunga produzione di classicismo. Infatti, dato che gli sviluppi della cibernetica vertono sulle macchine capaci di apprendere, di cambiare il proprio programma, di sviluppare la propria sensibilità e i propri bisogni, nulla ci vieta di prevedere una macchina letteraria che a un certo punto senta l’insoddisfazione del proprio tradizionalismo e si metta a proporre nuovi modi d’intendere la scrittura,

Verso la macchina narrante

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e a sconvolgere completamente i propri-codici. Per far contenti critici che ricercano le omologie tra fatti letterari e fatti storici sociologici economici, la macchina potrebbe collegare. propri cambiamenti di stile alle variazioni di determinati indici statistici della produzione, del reddito, delle spese militari, della distribuzione dei poteri decisionali. Sarà quella, la letteratura che corrisponde perfettamente a un’ipotesi teorica, cioè finalmente /4 letteratura. II

Ora qualcuno di voi si domanderà perché annuncio con aria tanto giuliva prospettive che alla maggior parte degli uomini di lettere suscitano lamentazioni lacrimose punteggiate da gridi d’esecrazione. La ragione è che più o meno oscuramente ho sempre saputo che le cose stavano così e non come si usava dire comunemente. [...] Anche una macchina scrivente, in cui sia stata immessa un’i-

struzione confacente al caso, potrà elaborare sulla pagina una «personalità» di scrittore spiccata e inconfondibile, oppure potrà essere regolata in modo di evolvere o cambiare «personalità» a ogni opera che compone. Lo scrittore qua-

le è stato finora, già è macchina scrivente, ossia è tale quando funziona bene: quello che la terminologia romantica chiamava genio o talento o ispirazione o intuizione non è altro che il trovar la strada empiricamente, a naso, tagliando per scorciatoie, là dove la macchina seguirebbe un cammino sistematico e coscienzioso, ancorché velocissimo e simultaneamente plurimo. [...]

Scompaia dunque l’autore — questo enfant gaté dell’inconsapevolezza — per lasciare il suo posto a un uomo più cosciente, che saprà che l’autore è una macchina e saprà come questa macchina funziona. III

Con questo credo d’avervi sufficientemente spiegato perché è con animo sereno e senza rimpianti che constato come il mio posto potrà essere occupato be-

nissimo da un congegno meccanico. Ma certo molti di voi resteranno poco convinti dalla mia spiegazione, troveranno che con quest’atteggiamento d’ostentata abnegazione, di rinuncia alle prerogative dello scrittore per amore della verità, io non la conto giusta, che sotto si nasconde qualcos’altro; già sento che state cercando per il mio atteggiamento motivazioni meno lusinghiere. Non ho

nulla in contrario a questo tipo d'indagine: sotto ogni presa di posizione ideale si può trovare la molla d’un interesse pratico, o più spesso d’una motivazione psicologica elementare. Vediamo qual è la mia reazione psicologica apprendendo che lo scrivere è solo un processo combinatorio tra elementi dati: ebbe-

ne, ciò che io provo istintivamente è un senso di sollievo, di sicurezza. Lo stes-

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Unità E

so sollievo e senso di sicurezza che provo ogni volta che un’estensione dai contorni indeterminati e sfumati mi si rivela invece come una forma geometrica precisa, ogni volta che in una valanga informe di avvenimenti riesco a distinguere delle serie di fatti, delle scelte tra un numero finito di possibilità. Di fronte alla vertigine dell’innumerevole, dell’inclassificabile, del continuo, mi sento rassicurato dal finito, dal sistematizzato, dal discreto. [...]

IV [...] Il procedimento della poesia e dell’arte - dice Gombrich — è analogo a quello del gioco di parole; è il piacere infantile del gioco combinatorio che spinge il pittore a sperimentare disposizioni di linee e colori e il poeta a sperimentare accostamenti di parole; a un certo punto scatta il dispositivo per cui una delle combinazioni ottenute seguendo il loro meccanismo autonomo, indipendentemente da ogni ricerca di significato o effetto su un altro piano, si carica di un significato inatteso o d’un effetto imprevisto, cui la coscienza non sarebbe arrivata intenzionalmente: significato inconscio, o almeno la premonizione d’un significato inconscio. Ecco dunque che i due diversi percorsi che il mio ragionamento ha seguito successivamente arrivano a saldarsi: la letteratura è sì gioco combinatorio che segue le possibilità implicite nel proprio materiale, indipendentemente dalla personalità del poeta, ma è gioco che a un certo punto si trova investito d’un significato inatteso, un significato non oggettivo di quel livello linguistico sul quale ci stavamo muovendo, ma slittato da un altro piano, tale da mettere in

gioco qualcosa che su un altro piano sta a cuore all’autore o alla società a cui egli appartiene. La macchina letteraria può effettuare tutte le permutazioni possibili in un dato materiale; ma il risultato poetico sarà l’effetto particolare d’una di queste permutazioni sull’uomo dotato d’una coscienza e d’un inconscio, cioè sull'uomo empirico e storico, sarà lo shock che si verifica solo in quanto attorno alla macchina scrivente esistono i fantasmi nascosti dell’individuo e della società. [...] V [...] La letteratura scritta nasce già con il peso d’un compito di consacrazione, di conferma dell’ordine esistente; peso di cui si libera molto lentamente attraverso i millenni, diventando un fatto privato che permetta ai poeti e agli scrittori d’esprimere le loro stesse oppressioni, di portarle alla luce delle loro coscienze. A questo la letteratura arriva — aggiungo io — attraverso giochi combi-

natori che a un certo punto si caricano di contenuti preconsci e danno loro fi-

Verso la macchina narrante

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nalmente voce; ed .è per questa via di libertà aperta dalla letteratura che gli uomini acquistano lo spirito critico e lo trasmettono alla cultura e al pensiero collettivo. VI

Su questo duplice aspetto della letteratura, cade a proposito citare qui in chiusura della mia chiacchierata un saggio del poeta e critico tedesco Hans Magnus Enzensberger: Strutture topologiche nella letteratura moderna. Egli passa in rassegna i numerosi casi di narrazioni labirintiche, dall’antichità fino a Borges e a Robbe-Grillet,

o di narrazioni una dentro l’altra come scatole cinesi, e si do-

manda che cosa vuol dire l’insistenza della letteratura moderna su questi temi, ed evoca l’immagine d’un mondo in cui è facile perdersi, disorientarsi, e l’eser-

cizio del ritrovare l'orientamento acquista un valore particolare, quasi d’un addestramento per la sopravvivenza. «Ogni orientamento — egli scrive — presup-

pone disorientamento. Solo chi ha sperimentato lo smarrimento può liberarsene. Però questi giochi di orientamento sono a loro volta giochi di disorientamento. In ciò sta il loro fascino e il loro rischio. Il labirinto è fatto perché chi vi entra si perda ed erri. Ma il labirinto costituisce pure una sfida al visitatore perché ne ricostruisca il piano e ne dissolva il potere. Se egli ci riesce, avrà distrutto il labirinto; non esiste labirinto per chi lo ha attraversato». Enzensberger conclude: «Nel momento in cui una struttura topologica si presenta come

struttura metafisica il gioco perde il suo equilibrio dialettico, e la letteratura si converte in un mezzo per dimostrare che il mondo è essenzialmente impenetrabile, che qualsiasi comunicazione è impossibile. Il labirinto cessa così d’essere una sfida all’intelligenza umana e si instaura come facsimile del mondo e della società». Il discorso di Enzensberger si può allargare a tutto ciò che oggi nella letteratura e nella cultura vediamo, dopo von Neumann, come gioco matematico combinatorio. Il gioco può funzionare come sfida a comprendere il mondo o come dissuasione dal comprenderlo; la letteratura può lavorare tanto nel senso critico quanto nel senso della conferma delle cose come stanno e come si sanno. Il confine non sempre è chiaramente segnato; dirò che a questo punto è l'atteggiamento della lettura che diventa decisivo; è al lettore che spetta di far sì che la letteratura esplichi la sua forza critica, e ciò può avvenire indipendentemente dalla intenzione dell’autore. Credo che questo sia il senso che si può dare all’ultimo racconto che ho scritto e che figura alla fine del mio nuovo libro Ti cor zero. Nel racconto si vede Alexandre Dumas che ricava il suo romanzo I/ conte di Montecristo da un iperromanzo che contiene tutte le varianti possibili della storia di Edmond Dantès. Prigionieri d’un capitolo del «Conte di Montecristo» Edmond Dantès

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Unità E

e l’Abate Faria studiano il piano della loro evasione e si domandano quale delle varianti possibili sarà la buona. L'Abate Faria scava cunicoli per evadere dalla fortezza ma sbaglia continuamente la strada, e finisce per trovarsi in celle sempre più profonde; sulla base degli errori di Faria, Dantès cerca di disegnare una mappa della fortezza. Mentre Faria a forza di tentativi tende a realizzare la fuga perfetta, Dantès tende a immaginare la prigione perfetta, quella dalla quale non si può fuggire. Le sue ragioni sono spiegate nel passo che ora vi leggo: «Se riuscirò col pensiero a costruire una fortezza da cui è impossibile fuggire, questa fortezza pensata o sarà uguale alla vera — e in questo caso è certo che di qui non fuggiremo mai ma almeno avremo raggiunto la tranquillità di chi sta qui perché non potrebbe trovarsi altrove, — o sarà una fortezza dalla quale la fuga è ancora più impossibile che di qui — e allora è segno che qui una possibilità di fuga esiste: basterà individuare il punto in cui la fortezza pensata non coincide con la vera per trovarla». Questo è il finale più ottimistico che sono riuscito a dare al mio racconto, al

mio libro, e a questa mia conferenza. CALVINO I., Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), 1967, in Ip., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 209-225.

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Allegato 2 La letterarietà come cortocircuito fra freddi modelli

combinatori e un io passionale

«Il Caffè», n. 5-6, 1969 (1970). Risponde a discussioni (citate nel testo) a proposito del mio scritto Appunti sulla narrativa come processo combinatorio (cfr. Cibernetica e fantasmi a p. 205). Caro Vicari, Ho letto con gran piacere sul «Caffè», 2-3, 1969, il tuo scritto I/ significato inatteso e quello di Cesare Milanese Da/ processo combinatorio alla teoresi mitopoietica che sviluppano e discutono le mie note sulla narrativa come processo combinatorio («Nuova Corrente», 46-47). Quel mio scritto aveva un’andata e un ritorno: un’andata riduttiva e tran-

quillizzante (il mondo sembra infinitamente terribile, ma rassicuriamoci: le cose pensabili e dicibili sono un numero finito) e un ritorno teso verso l’imprevisto e l’inesplorato (le costruzioni mentali e le parole sembrano ripetersi in un numero squallidamente limitato, ma non lasciamoci demoralizzare: attraverso ad esse s’aprono spiragli sulla terribilità e ricchezza inesauribili del mondo). Insomma, il mio atteggiamento era per metà dominato dall’agorafobia e per metà dalla claustrofobia; da ciò derivavano contraddizioni e oscillazioni nel mio ar-

gomentare; i vostri consensi mi servono anche perché portano elementi per superarle, tu riconducendo il discorso al suo senso unitario, Milanese sviluppando l'opposizione tra le due polarità che esso contiene. Nel tempo intercorso tra la stesura di quelle mie note e oggi (più di due anni) agorafobia e claustrofobia hanno continuato a disputarsi la mia anima, ma non mi sono mai più sorpreso a pensare a un universo finito e numerabile (idea, più che errata, infernale) e l’analisi del processo combinatorio mi è apparsa solo come un metodo tanto più necessario in quanto mai esaustivo per addentrarci nello sterminato intrico del possibile. Scrivo questo forse anche sotto l’influenza della lettura recente del libro di Gian Carlo Roscioni La disarmonia prestabilita, che ricostruisce sui testi editi e inediti il sistema del mondo di quell’ultimo «filosofo naturale» che è Carlo Emilio Gadda. Infatti, il nucleo della ricerca di Gadda (filosofo e scrittore, per-

ché i due si confondono in ogni riga) risulta essere — tramite l’arte combinatoria di Leibniz — proprio quello dei nostri discorsi. L'oggetto dello scrivere di

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Unità E

Gadda è il sistema di relazione tra le cose, che attraverso, una genetica combi-

natoria mira a una mappa o catalogo o enciclopedia del possibile,e, risalendo una genealogia di cause e di concause, a collegare tutte le storie in una, nell’intento eroico di liberarsi dal groviglio dei fatti subiti passivamente contrapponendo loro la costruzione d’un «groviglio conoscitivo» — 0, noi diremmo, d’un «modello» — altrettanto articolato. Intento continuamente frustrato: la complessità dei vorticosi processi di trasformazione s’espande in labirinti concentrici e non tarda ad aver ragione del più ostinato ottimismo gnoseologico; la speculazione di Gadda è eroica perché tragica. Da tempo non leggevo esposizione di filosofia che m’appassionasse e «convincesse» quanto questa. Vedo che il tuo discorso non diverge da questo corso di pensieri, quando commentando le mie note t’accorgi continuamente dei pericoli di tecnicismo in esse impliciti, — d’una semplificazione e mistificazione tecnicistica — e di come l'aspetto meccanico finisca per essere preponderante su quello liberatorio. La linea di soluzione che proponi è di contrapporre alla fissità dei «fatti» (decisi dall’autorità e dall’inerzia delle strutture sociali) la verità esplosiva che le parole custodiscono e che va continuamente riscoperta muovendole e disponendole fuori dalle cristallizzazioni, in «nuovi emblemi e simboli».

Nel sottoscrivere il tuo discorso, non mancherò d’osservare che il ripetitivo cui vuoi sfuggire poi lo ritrovi come significati elementari e immagini primarie, cioè non altro che strutture mitiche fondamentali, che il linguaggio continuamente veicola, cela e rivela. Ha dunque ragione chi dice che ogni nuovo mito e ogni nuova favola è riconducibile a un mito o favola antico, e queste forse a un mito o favola unica di cui tutte le altre non sono che varianti? Sì, ha ragione,

purché tenga conto del fatto che Chisciotte e Amleto e Robinson sono pur stati miti «nuovi»; e se anche questi possono ridursi a schemi e meccanismi canonici, ciò prova soltanto che sono stati costruiti come si deve per funzionare da miti. Per «nuovo» non s'intende altro che quel «nuovo» che essi portano, per difenderci come tu dici contro «i fatti» o indicarci una via per padroneggiarli. (M’accorgo che in questo capoverso ho toccato la fondamentale differenza tra il nostro attuale orizzonte speculativo e quello di Gadda: il «modello» di storia unica cui Gadda tende non è quello riduttivo e semplificatore di Propp o Greimas ma è un modello inclusivo e totalizzante. Il procedimento di Gadda va dal complicato al complicato, dalla complicazione subita alla complicazione prestabilita e poi subito di nuovo soverchiante, di cui la formula algebrica è solo un fragile schermo). Molto bene Milanese definisce la contraddizione (che l’opera portata veramente a compimento risolve) tra stato d’indifferenza (il 7z0de/lo che opera scavalcando l’autore) e stato di drammaturgia (il gioco ha senso solo se è sulla pelle propria che si gioca, cosicché, compiutasi l’opera, l’autore non potrà più es-

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sere quello che era, o che credeva d’essere). Gioco sulla pelle propria, è bene insistere sulla relazione di questi due termini (anche perché è con la lieve correzione di tiro che questa sottolineatura comporta che posso dichiararmi anche d’accordo con la prima parte del discorso di Milanese): gioco, in quanto non va mai dimenticato l’aspetto ludico che incrina e dissolve la gravità sempre ideologica che tende a cristallizzarsi attorno ai discorsi letterari; e pe/le propria, in quanto la letteratura si dovrebbe differenziare dalle altre operazioni mentali e sperimentazioni pratiche che tendono invece a farsi sulla pelle altrui. Rifacendomi all’uso spastico del linguaggio (e della ragione) nel Gadda di Roscioni [!Gian Carlo Roscioni, La disarmonia prestabilita, Studio su Gadda, Einaudi, Torino 1969, p. 25 e passirz. L'aggettivo «spastico» (da «spasmo») è

usato da Gadda per qualificare le deformazioni dell’espressione letteraria vista come «tensione (o spasmo) poetica», «tensione spastica dell’intelligenza dell’autore e del lettore»] definirei il «modello operativo (l’organon)» di Milanese: modello spastico. È questa macchina letteraria spastica che agisce attraverso l’autore, la vera responsabile dell’opera, ma essa non funzionerebbe senza gli spasimi d’un io immerso in un tempo storico, senza una sua reattività, una sua

ilarità convulsa, una sua rabbia da dar la testa contro i muri. CALVINO I, La macchina spasmodica, 1969, in ID., Una pietra sopra, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 252-253.

LEZIONE Il Il fascino del computer

Contenuti

— —

macchine leggenti e macchine scriventi in Calvino (Lezione II, All. 1-3); Calvino «programmatore in camice bianco al terminale d’un circuito elettronico» (Lezione II, All. 4-5);



i programmi ‘informatici’ supportano l’attività dello scrittore (Lezione II,

AIL 6). Metodologia L'insegnante legge, commenta e sintetizza i contenuti degli Allegati. Sottopone

a discussione le sue interpretazioni.

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Unità E

Allegato 1 Il computer: un supporto per l’investigatore e per lo scrittore di polizieschi

Tra poche ore l’assicuratore Skiller verrà a chiedermi i risultati dell’elaboratore, e io non ho ancora inserito gli ordini sui circuiti elettronici che dovranno macinare in un pulviscolo di bit i segreti della vedova Roessler e della sua poco raccomandabile pensione. Là dove sorgeva la casa, su una di quelle dune di terreni vaghi tra scambi ferroviari e depositi di ferramenta che la periferia della nostra città lascia dietro di sé come mucchietti di rifiuti che sfuggono alla scopa, ora non è rimasta che qualche maceria fuligginosa. Poteva esser stata una villetta civettuola, alle origini, o non aver avuto altro aspetto che quello d’un tugurio spettrale: i rapporti della compagnia d’assicurazioni non lo dicono; ormai è bruciata, dal tetto spiovente alla cantina, e sui cadaveri inceneriti

dei suoi quattro abitanti non s’è trovata alcuna traccia che serva a ricostruire i precedenti di questa solitaria carneficina. Più dei corpi parla un quaderno, trovato tra le rovine, interamente bruciato tranne la copertina protetta da una fodera di plastica. Sul frontespizio sta scritto: Relazione sugli atti abominevoli compiuti in questa casa e sul retro un indice analitico comprende dodici voci in ordine alfabetico: Accoltellare, Diffamare, Drogare, Indurre al suicidio, Legare e imbavagliare, Minacciare con pistola, Prostituire, Ricattare, Sedurre, Spiare, Strozzare, Violentare.

Non si sa quale abitante della casa redigesse questo sinistro resoconto, né quali fini si proponesse: di denuncia, di confessione, d’autodifesa, di contemplazione affascinata del male? Tutto quello che ci resta è quest’indice che non riporta i nomi dei rei né quelli delle vittime delle dodici azioni — delittuose o soltanto colpevoli — e neppure rende nota la successione in cui sono state commesse, che già aiuterebbe a ricostruire una storia: le voci in ordine alfabetico rimandano a numeri di pagina cancellati da una striatura nera. Alla completezza dell’elenco manca un verbo, Incendiare, certo l’atto finale di questa torva peri-

pezia: compiuto da chi? Per nascondere, per distruggere? Anche ammettendo che ognuna delle dodici azioni sia stata compiuta da una sola persona ai danni d’una sola altra persona, ricostruire gli avvenimenti è un compito arduo: se i personaggi in questione sono quattro, presi a due a due possono configurare dodici relazioni diverse per ciascuno dei dodici tipi di relazione elencati. Le soluzioni possibili sono dunque dodici alla dodicesima potenza, cioè occorre scegliere tra un numero di soluzioni che ammonta a ot-

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tomilaottocentosettantaquattro miliardi, duecentonovantaseimilioni, seicentosettantaduemiladuecentocinquantasei. Non c’è da stupirsi se la nostra troppo indaffarata polizia ha preferito archiviare l'inchiesta, con la buona ragione che, per quanti delitti possano esser stati commessi, certo i rei sono morti insieme alle vittime. CALVINO I., L'incendio della casa abominevole, 1973, in ID., Poesie e invenzioni oulipiennes, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, III, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 319-320.

Unità E

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Allegato 2 La lettura e la produzione di testi tramite elaboratore

«La sede dell'’OEPHLW, come Lei vede dalla carta intestata, è situata nel vec-

chio quartiere di Wall Street. Da quando il mondo degli affari ha disertato questi solenni edifici, il loro aspetto chiesastico, derivato dalle banche inglesi, è di-

ventato quanto mai sinistro. Suono a un citofono. — Sono Ermes. Vi porto l’inizio del romanzo di Flannery —. M’aspettavano da un pezzo, da quando avevo telegrafato dalla Svizzera che ero riuscito a convincere il vecchio autore di thrillers ad affidarmi l’inizio del romanzo che non riusciva più a portare avanti e che i nostri computers sarebbero stati in grado di completare facilmente, programmati come sono per sviluppare tutti gli elementi d’un testo con perfetta fedeltà ai modelli stilistici e concettuali dell’autore». CALVINO I., Se una notte d'inverno un viaggiatore, in ID., Romanzi e racconti, a'cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. 725.

a New York, nella sala dei controlli, c’è la lettrice saldata alla poltrona per i

polsi, coi manometri di pressione e la cintura stetoscopica, le tempie strette nella corona chiomata dai fili serpentini degli encefalogrammi che segnano l’intensità della sua concentrazione e la frequenza degli stimoli. «Tutto il nostro lavoro dipende dalla sensibilità del soggetto di cui disponiamo per le prove di controllo: e dev'essere per di più una persona resistente di vista e di nervi, per poterla sottoporre alla lettura ininterrotta di romanzi e varianti di romanzi così come vengono sfornati dall’elaboratore. Se l’attenzione di lettura raggiunge certi valori con una certa continuità, il prodotto è valido e può essere lanciato sul mercato; se l’attenzione invece s’allenta e svaria, la combinazione viene scartata e i suoi elementi vengono decomposti e riutilizzati in altri contesti.

L'uomo in camice bianco strappa un encefalogramma dopo l’altro come fossero fogli di calendario. - Di male in peggio, — dice. — Non viene più fuori un romanzo che stia in piedi. O il programma va rivisto o la lettrice è fuori uso. Guardo il viso sottile tra paraocchi e visiera, impassibile anche per via dei tamponi agli orecchi e del sottogola che la immobilizza il mento. Quale sarà la sua sorte?». CALVINO I., Se una notte d’inverno un viaggiatore, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, p. 735.

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È venuto a trovarmi un tale che dice d’essere mio traduttore, per avvertirmi d’una soperchieria ai miei e ai suoi danni: la pubblicazione di traduzioni non autorizzate di miei libri. Mi ha mostrato un volume che ho sfogliato senza ricavarne gran che: era scritto in giapponese e le uniche parole in alfabeto latino erano il mio nome e cognome sul frontespizio. — Non riesco neanche a capire di quale dei miei libri si tratta, — ho detto, restituendogli il volume, — purtroppo non conosco il giapponese. — Anche se conoscesse la lingua non riconoscerebbe il libro, — ha detto il mio visitatore. — È un libro che lei non ha mai scritto. M'ha spiegato che la grande abilità dei giapponesi nel fabbricare perfetti equivalenti dei prodotti occidentali si è estesa alla letteratura. Una ditta di Osaka è riuscita ad appropriarsi della formula dei romanzi di Silas Flannery e riesce a produrne di assolutamente inediti e di prim'ordine, tali da poter invadere il mercato mondiale. Ritradotti in inglese (0 meglio, tradotti nell’inglese da cui si finge siano stati tradotti), nessun critico saprebbe distinguerli dai Flan| nery veri. CALVINO I., Se una notte d'inverno un viaggiatore, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 786-787.

Ho chiesto a Lotaria se ha già letto alcuni miei libri che le avevo prestato. M’'ha detto di no, perché qui non ha a disposizione un elaboratore elettronico. M'ha spiegato che un elaboratore debitamente programmato può leggere un romanzo in pochi minuti e registrare la lista di tutti ivocaboli contenuti nel testo, in ordine di frequenza. — Posso così disporre subito d’una lettura già portata a termine, — dice Lotaria, — con un’economia di tempo inestimabile. Cos'è infatti la lettura d’un testo se non la registrazione di certe ricorrenze tematiche,

di certe insistenza di forme e di significati? La lettura elettronica mi fornisce una lista delle frequenze, che mi basta scorrere per farmi un’idea dei problemi che il libro propone al mio studio critico. Naturalmente alle frequenze più alte sono registrate delle sfilze d’articoli, pronomi, particelle, ma non è là che soffermo la mia attenzione. Punto subito sulle parole più ricche di significato, che mi possono dare un’immagine del libro abbastanza precisa. Lotaria m'ha portato alcuni romanzi trascritti elettronicamente sotto forma d’elenchi di vocaboli in ordine di frequenza. — In un romanzo tra le cinquantamila e le centomila parole, — m'ha detto, — le consiglio d’osservare subito i vocaboli che tornano una ventina di volte. Guardi qui. Parole che compaiono diciotto volte: cinturone, comandante, denti, fai, han, insieme, ragno, risponde, sangue, sentinella, spari, subito, t°, tua, visto, vita...

Unità E

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— Parole che compaiono diciotto volte: basta, bello, berretto, finché, francese, mangiare, morto, nuovo, passa, patate, punto, quei, ragazzi, sera, vado, viene...

— Non ha già un’idea chiara di cosa si tratta? — dice Lotaria. - Non c’è dubbio che è un romanzo di guerra, tutto azione, dalla scrittura secca, con una cer-

ta carica di violenza. Una narrazione tutta in superficie, si direbbe; ma per sincerarcene è sempre bene fare qualche sondaggio nella lista delle parole che ricorrono una volta sola, e non per questo sono meno importanti. Questa sequenza, per esempio:

sottana, sotterralo, sotterranei, sotterraneo, sotterrarla, sotterrato, sottili, sottobosco, sottomano, sottoproletari, sottoscala, sottoterra, sottovesti...

- No, non è un libro tutto in superficie come sembrava. Ci dev'essere qual-

cosa di nascosto; su questa traccia potrò indirizzare le mie ricerche. Lotaria mi mostra un’altra serie d’elenchi. — Questo è un romanzo tutto diverso. Si vede subito. Guardi le parole che ricorrono una cinquantina di volte: avuto, marito, poco, Riccardo, suo (51), cosa, davanti, ha, rispose, stata, stazione (48), appena, camera, Mario, qualche, tutti, volte (47), andò, cui, mattina, pareva (46), doveva (45), avesse, fino, mano, senti (43), anni, Cecina, chi, Delia, mani, ragazza, sei, sera (42), finestra, poteva, quasi, sola, tornò, uomo (41), me, voleva (40), vita (39)... — Cosa gliene pare? Narrazione intimista, sentimenti sottili, appena accennati, un ambiente modesto, la vita di tutti i giorni in provincia... Per contro-

prova preleviamo un campione di parole che ricorrono un sola volta: infreddolito, ingannata, ingegnato, ingegnere, ingelosire, ingenue, inghiottì, inghiottita, inghiottiva, inginocchiarsi, ingiù, ingiustizia, in-

grandiva, ingrassare... — E così, già ci siamo resi conto dell’atmosfera, degli stati d’animo, dello

sfondo sociale... Possiamo passare a un terzo libro: andò, capelli, conto, corpo, Dio, secondo, soldi, soprattutto, volte (39), farina, pioggia, provviste, qualcuno, ragione, sera, stare, Vincen-

zo, vino (38), dolce, dunque, gambe, morte, sue, uova, verde (36), avremmo, bambini, beh, bianco, capo, fanno, giornata, macchina, neri, persino, petto, rimasi, sta, stoffe (35)...

— Qui direi che siamo di fronte a una storia corposa, sanguigna, tutta sul sodo, un po’ brusca, con una sensualità diretta, senza raffinatezze, un erotismo

popolaresco. Passiamo anche qui alla lista delle parole con frequenza uno. Ecco, per esempio: verdure, vergini, vergognai, vergognandosi, vergognare, vergognarti,

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vergognasse,

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vergognata,

vergognava,

vergogne,

vergogneremmo,

vergogni, vergogno, verificarsi, vermut [*Le liste di parole sono tratte dal volume Spogli ‘elettronici’ dell'italiano letterario contemporaneo, a cura di Mario Alinei, Bologna, Il Mulino, 1973, dedicati a tre romanzi di scrittori italiani]. -

— Ha visto? Questo è un senso di colpa bello e buono! Un indizio prezioso: l'indagine critica può partire di lì, proporre le sue ipotesi di lavoro... Cosa le dicevo? Non è un sistema rapido ed efficace? L'idea che Lotaria legga i miei libri a questo modo mi crea dei problemi. Adesso ogni parola che scrivo la vedo già centrifugata dal cervello elettronico, disposta nella graduatoria delle frequenze, vicino ad altre parole che non so quali possano essere, e mi domando quante volte l’ho usata, sento la responsabilità dello scrivere che pesa tutta su quelle sillabe isolate, provo a immaginarmi quali conclusioni si possano trarre dal fatto che ho usato una volta o cinquanta volte quella parola. Forse sarà meglio che la cancelli... Ma qualsiasi altra parola provi a sostituirle, mi sembra che non resista alla prova... Forse anziché un libro potrei scrivere degli elenchi di parole, in ordine alfabetico, una frana di parole isolate in cui si esprima quella verità che ancora non conosco, e dalle quali l’elaboratore, capovolgendo il proprio programma, ricavi il libro, il mio libro. CALVINO I., Se una notte d'inverno un viaggiatore, in ID., Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, II, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1992, pp. 794-797.

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Allegato 3 Il sogno antico delle macchine che imitano l’uomo

Molte volte l'impegno che gli uomini mettono in attività che sembrano assolutamente gratuite, senz'altro fine che il divertimento o la soddisfazione di risolvere un problema difficile, si rivela essenziale in un ambito che nessuno aveva previsto, con conseguenze che portano lontano. Questo è vero per poesia e ar-

te, come è vero per la scienza e per la tecnologia. Il gioco è sempre stato il grande motore della cultura. La costruzione degli automi nel Settecento precorre la rivoluzione industriale che metterà a frutto soluzioni meccaniche escogitate per quei complicati giocattoli. Certo va detto che la costruzione di automi non è stata soltanto un gioco, an-

che se come tale si presentava: era un’ossessione, un sogno demiurgico, una sfida filosofica nell’equiparazione dell’uomo alla macchina. La fortuna dell’automa come tema letterario, da Pu$kin a Poe a Villiers de l’Isle-Adam, conferma la forza di questa fascinazione, le sue componenti tanto iperrazionali quanto inconsce.

Tutte riflessioni suscitate da un insolito volume iconografico pubblicato da EM. Ricci sugli «Androidi» di Neuchatel (Androidi, le meraviglie meccaniche dei celebri Jaquet-Droz, con testi di Roland Carrera e Dominique Loiseau, Franco Maria Ricci editore). Nel Settecento, Neuchatel era la capitale dell’orologeria non solo come artigianato ma anche come scienza (i sei volumi degli Essazs sur l’horlogerie di Ferdinand Berthoud). Recentemente il museo di Neuchatel con un minuzioso lavoro di restauro meccanico ha riportato a nuova vita tre famosi automi, lo «scrivano», il «disegnatore» e la «musicista», costruiti più di duecent’anni fa da maestri di quella tradizione, Jaquet-Droz padre e figlio e J.-F Leschot. [...] Lo «scrivano» o «scrittore» è quello che ha la faccia meno intelligente ma il meccanismo più complicato: il polso si muove in tre direzioni, la penna d’oca traccia le lettere coi pieni e i vuoti della regola calligrafica, s’intinge nel calamaio, cambia di riga come una macchina da scrivere, e un dispositivo la blocca quando mette il punto fermo. Un sistema di giochi di camme gli permette di tracciare le lettere dell'alfabeto, minuscole e maiuscole e di comporre le frasi fissate nel programma. [...] Nel programma dello «scrivano» venne inserita questa frase che egli ancora traccia con la sua grafia settecentesca: «Non lasceremo mai più il nostro paese». CAIVINO I., Le avventure di tre orologiai e di tre automi, 1980, in In., Collezione di sabbia, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 535-539.

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Allegato 4 Il computer e la letteratura: due risorse per tentare di districarsi nella complessità del reale

L'immagine-chiave del libro è forse quella che troviamo in uno scritto degli anni Sessanta: un programmatore in camice bianco al terminale d’un circuito elettronico cerca di sfuggire all’angoscia dell’innumerabile e dell’inclassificabile riducendo tutto a diagrammi geometrici, a combinatorie d’un numero finito d’elementi; ma intanto, alle sue spalle allungano le ombre dei fantasmi d’una sto-

ria e d’una natura umane che non si lasciano esaurire dalle formule di nessun codice. CALVINO I., Una pietra sopra, quarta di copertina dell’edizione Einaudi 1980, ora in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, p. 2934.

In poche parole, il tema del libro sarebbe questo: per un certo numero d’anni c’è uno che crede di lavorare alla costruzione d’una società attraverso il lavoro di costruzione d’una letteratura. Col passare degli anni s’accorge che la società intorno i lui (la società italiana, ma sempre vista in relazione con le trasformazioni in atto nel mondo) è qualcosa che risponde sempre meno a progetti o previsioni, qualcosa che è sempre meno padroneggiabile, che rifiuta ogni schema e ogni forma. E la letteratura è anch'essa refrattaria a ogni progettazione, non si lascia contenere in nessun discorso. Per un po’ il protagonista del libro cerca di tener dietro alla complessità crescente architettando formule sempre più dettagliate e spostando i fronti d’attacco; poi a poco a poco capisce che è il suo atteggiamento di fondo che non regge più. Comincia a vedere il mondo umano come qualcosa in cui ciò che conta si sviluppa attraverso processi millenari oppure consistein avvenimenti minutissimi e quasi microscopici. E anche la

letteratura va vista su questa doppia scala. CaLvino I, Sotto quella pietra, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 400-401 (testo scritto in origine come prefazione al volume Una pietra sopra, e quindi utilizzato in forma autonoma, in «La Repubblica», 15 aprile 1980).

230

Unità E

Allegato 5 La realtà - i suoi schemi - il nulla: un circolo continuo, percorso dalla parola sempre inadeguata

Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo 0 esploratore. Nella vita degli imperatori c'è un momento, che segue all'orgoglio per l'ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare ifiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull'altro i dispacci che ci annunciano ilfranare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di rewmai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri desti-

nate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termit. Le città invisibili, cornice I-A.

Nelle Città invisibili ogni concetto e ogni valore si rivela duplice: anche l’esattezza. Kublai Khan a un certo momento impersona la tendenza razionalizzatrice, geometrizzante o algebrizzante dell’intelletto e riduce la conoscenza del suo impero alla combinatoria dei pezzi di scacchi d’una scacchiera: le città che Marco Polo gli descrive con grande abbondanza di particolari, egli le rappresenta con una o un’altra disposizione di torri, alfieri, cavalli, re, regine, pedine, sui quadrati bianchi e neri. La conclusione finale a cui lo porta questa operazione è che l'oggetto delle sue conquiste non è altro che il tassello di legno sul quale ciascun pezzo si posa: un emblema del nulla... Ma in quel momento avviene un colpo di scena: Marco Polo invita il Gran Khan a osservare meglio quello che gli sembra il nulla:

Verso la macchina narrante

231

...Il Gran Kan cercava d’immedesimarsi -nel gioco: ma adesso era il perché del gioco sfuggirgli. Il fine d’ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Qual era la vera posta? Allo scacco matto, sotto il piede del re sbalzato via dalla mano del vincitore, resta il nulla: un quadrato nero o bianco. A forza di scorporare le sue conquiste per ri-

durle all'essenza, Kublai era arrivato all’operazione estrema: la conquista definitiva, di

cui i multiformi tesori dell’impero non erano che involucri illusori, si riduceva a un tassello di legno piallato. Allora Marco Polo parlò: — La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si dispongono le fibre? Qui si scorge un nodo appena accennato: una gemma tentò di spuntare in un giorno di primavera

precoce, ma la brina della notte l’obbligò a desistere —. Il Gran Kan non s'era fin’allora reso conto che lo straniero sapesse esprimersi fluentemente nella sua lingua, ma non era questo a stupirlo. — Ecco un poro più grosso: forse è stato il nido d’una larva; non d’un tarlo, perché appena nato avrebbe continuato a scavare, ma d’un bruco che rosicchiò le foglie e fu la causa per cui l’albero fu scelto per essere abbattuto... Questo margine fu inciso dall’ebanista con la sgorbia perché aderisse al quadrato vicino, più sporgente... La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d’ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre...

Dal momento in cui ho scritto quella pagina mi è stato chiaro che la mia ricerca dell’esattezza si biforcava in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere ope-

razioni e dimostrare teoremi; e dall’altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose. In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti che corrispondono a due diversi tipi di conoscenza: una che si muove nello spazio mentale d’una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; l’altra che si muove in uno spazio gremito d’oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio riempiendo la pagina di parole, con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non

dicibile. Sono due diverse pulsioni verso l'esattezza che non arriveranno mai alla soddisfazione assoluta: l’una perché le lingue naturali dicono sempre qualcosa in più rispetto ai linguaggi formalizzati, comportano sempre una certa quantità di ruzzore che disturba l’essenzialità dell’informazione; l’altra perché nel render conto della densità e continuità del mondo che ci circonda il linguaggio si rivela lacunoso, frammentario, dice sempre qualcosa in z7eno0 rispet-

to alla totalità dell’esperibile. Tra queste due strade io oscillo continuamente [...]. CALVINO I, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, 1985, in ID., Saggi, a cura di Mario Barenghi, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995, pp. 690-691 (Esaztezza).

230

Unità E

Allegato 6 Scrittori e computer: Oulipo et informatique

Dopo che Calvino nel 1973 entrò a far parte come membro straniero dell’OuLiPo, alcuni suoi testi furono pubblicati nei volumi che presentavano i lavori

‘oulipiani’. Lo scritto che proponiamo qui di seguito nel testo francese fa parte dell’Atlante di letteratura potenziale edito da Gallimard nel 1981, e precisamente del capitolo IV, Oulipo e informatica, dedicato al tema dell’utilizzo del calcolatore come aiuto alla creazione letteraria. Secondo Calvino il computer può liberare lo scrittore dalla schiavitù di una ricerca combinatoria, realizzando un numero

(più o meno grande) di potenzialità combinatorie (che teoricamente sono esponenziali anche se le strutture scelte dall’autore sono in numero ristretto) e selezionando le combinazioni compatibili con determinate restrizioni (contraintes) stabilite dall’autore stesso. In tal modo all’autore resta la libertà di concentrarsi sugli aspetti letterari ed estetici che soli fanno di un testo una vera opera d’arte. Dopo aver proposto l’inizio di un racconto intitolato L’incendie de la maison maudite (L'incendio della casa abominevole — di cui nella Allegato 1 della Lezione II sono presentati alcuni passaggi — che uscì nell’edizione italiana di «Playboy», febbraio-marzo 1973, come anticipazione di un testo più ampio!?) Calvino imposta degli schemi combinatori che potrebbero essere tradotti in un programma informatico capace di produrre in modo automatico, sulla base di alcune restrizioni (contraintes) di tipo oggettivo e soggettivo, tutte le possibili combinazioni che possono essere ipotizzate per risolvere il caso poliziesco. Nella parte introduttiva, Computer e scrittore. L'esperienza del Centre Pompidou, riportiamo alcuni passaggi di un articolo di Paul Fournel tratto dallo stesso capitolo.

ORDINATEUR ET ÉCRIVAIN L’EXPERIENCE DU CENTRE POMPIDOU Lorsque le projet littéraire de l’A.R.T.A. a été lancé, il a fallu faire vite et bon marché pour jeter les premières bases d’un possible accord entre l’informatique et la création littéraire. Christian Cavadia a confié l'ensemble du projet à 2 BARENGHI M., Note e notizie... cit., pp. 1242-1243.

Verso la macchina narrante

233

Paul Braffort (logicien, informaticien et écrivain) dont le premier but a été de sensibiliser le grand public et les écrivains eux-mémes à cette nouvelle démarche.

LA LECTURE ASSISTÉE

Dans un premier temps, le travail a porté sur un matériau littéraire préexistant. Ilya, en effet, quelques ceuvres combinatoires ou algorithmiques dont l’ordinateur peut grandement faciliter la lecture. La machine fait ici un simple travail de sélection et d’édition.

Littérature combinatoire: Les «Cent mille milliards de poèmes» de Raymond Queneau fournissent une matière particulièrement favorable à ce type d’expérience. Il s’agit de dix sonnets composés de telle sorte que chaque vers de chacun d’eux peut se combiner avec n’importe quels autres vers des dix textes, ce qui fait un total de 10!4 sonnets. Le recueil imprimé est très joliment congu mais la manipulation des languettes sur lesquelles chaque vers est imprimé est parfois delicate. L’ordinateur, lui, opère une sélection dans le corpus à partir de la longueur du nom du «lecteur» et du temps qu’il met à le dactylographier sur le terminal puis édite le sonnet qui porte la double signature de Queneau et de son lecteur. L’auteur lui-méme peut faire son profit d’une telle édition: lorsque les combinaisons sont aussi nombreuses, il peut procéder à des contròles par sondage. L’ordinateur joue dans ce cas un réle d’assistant à la mise au point définitive du texte. Littérature algorithmique: Méme application dans le domaine de la littérature algorithmique: Dominique Bourguet a programmé le «Conte à votre facon» de Raymond Queneau de manière à en faciliter la lecture. Dans ce petit texte, le lecteur est invité sans cesse à choisir la suite du récit par un jeu de doubles questions. Les éléments de narration étant très courts, le jeu l’emporte à la lecture sur le texte lui-méme et c'est dommage car tous les textes possibles présentent un réel charme. L’ordinateur, dans un premier temps, «dialogue» avec le lecteur en lui proposant les divers choix, puis dans un second temps, édite «au propre» et sans les questions, le texte choisi. Le plaisir de jouer et le plaisir de lire se trouvent donc combinés. Dans le méme esprit, et selon les mémes principes, a été également programmé le conte médiéval choisi de Jean-Pierre Enard et Paul Fournel et seront programmés les 720 contes defées d’un groupe de travail animé par J.P. Balpe.

Unità E

234 LA CREATION ASSISTÉE

Dans un second temps, à ce rapport ceuvre + ordinateur + lecteur doivent se substituer d’autres types de rapports dans lesquels l’auteur trouve sa place (sans pour autant que le lecteur perde forcément la sienne). Parmi les différents projets que des auteurs ont soumis à Paul Braffort on trouve déjà des exemples de chaînes de rapports très différenciés: 1° type: auteur

> ordinateur > auvre

Dans ce type-là, c'est la création seule qui est assistée. L'ordinateur est partie intégrante du brouillon et son travail sert à l’élaboration du texte définitif. Italo Calvino propose à la machine des listes de personnages, de contraintes et d’événements et lui demande de déterminer par affinages progressifs qui a pu effectivement faire quoi. L'auteur choisit donc de travailler sur une matière qui quantitativement le dépasse et que la machine lui permet de dominer. FOURNEL P., Communication aux Journées «Ecrivain-ordinateur» de juin 1977, ora in Oulipo, Atlas de littérature potentielle, Paris, Gallimard (folio essais), 1981, pp. 298-300.

PROSE ET ANTICOMBINATOIRE Les exemples précédents ont montré l’utilisation de l’ordinateur comme aide à la création littéraire dans la situation suivante: Les structures choisies par l’auteur sont en nombre restreint, mais les réali-

sations possibles sont combinatoriellement exponentielles. Seul l’ordinateur peut réaliser un nombre (plus ou moins grand) de ces potentialités. Au contraire, l’assistance de l’ordinateur prend un caractère anticombinatoire lorsque au milieu d’un grand nombre de possibles l’ordinateur sélectionne les quelques réalisations compatibles avec certaines contraintes. Cette application est à l’oeuvre dans l’exemple suivant: L’ORDRE DANS LE CRIME

Je travaille depuis quelque temps à une nouvelle (peut-étre un roman?) dont le début pourrait se présenter ainsi: L'incendie de la maison maudite Dans quelques heures l’assureur Skiller viendra me demander les résultats de l’ordinateur et je n’ai toujours pas introduit les informations dans les circuits électroniques qui devront pulvériser en innombrables impulsions les secrets de la veuve Roessier et de sa peu recommandable pension. Où se dressait la maison, une de ces dunes de terrains vagues entre des aiguillages et des dépòts de ferraille que la périphérie de notre ville laisse derrière elle comme de petits tas

Verso la macchina narrante

255

d’ordures qui échapperaient au balai, il ne reste plus è présent que quelques décombres fuligineux. C’avait pu étre une coquette petite villa, au départ, ou aussi bien rien d’autre qu'une masure fantomatique: les rapports de la Compagnie d’Assurances ne le disent pas; maintenant elle a bràlé de la cave au grenier, et on n’a rien trouvé sur les cadavres carbonisés de ses quatre habitants qui permette de reconstituer les antécédents de ce massacre solitaire. Un cahier en dit davantage que les corps, un cahier trouvé dans les ruines, entièrement brùlé sauf la couverture protégée par une feuille de plastique. Au recto il est écrit: Relations des actes épouvantables perpétrés dans cette maison, et au verso un index comprend douze rubriques, par ordre alphabétique: Diffamer, Droguer, Epier, Etrangler, Faire Chanter, Frapper à coups de couteau. Lier et bàillonner, Menacer avec un revolver, Pousser au suicide, Prostituer, Séduire, Violer.

On ne sait pas lequel des habitants de la maison a rédigé ce compte rendu sinistre, ni quel but il se proposait: dénonciation, confession, autosatisfaction, contemplation fascinée du mal? Tout ce qui nous reste est cet index qui ne donne pas les noms des coupables ni ceux des victimes des douze actions — délictueuses ou seulement fautives — et il ne donne pas méme l’ordre dans lequel elles ont été commises, ce qui déjà aiderait à reconstituer une histoire: les rubriques par ordre alphabétique renvoient à des numéros de pages effacés par un trait noir. Pour que la liste soit complète il manque encore un verbe: Incendier, sans doute l’acte final de cette ténébreuse affaire: accompli par qui? pour cacher ou détruire quoi? Méme en admettant que chacune des douze actions ait été accomplie par une seule personne au préjudice d’une seule autre personne, c'est une tàche difficile que reconstituer les événements: si les personnages en question sont au nombre de quatre, ils peuvent pris deux par deux représenter douze relations différentes pour chacune des douze sortes de relations énumérées. Les solutions possibles sont par conséquent douze à la douzième puissance, c’est-à-dire qu'il faut choisir entre des solutions dont le nombre avoisine huit mille huit cent soixante-quatorze milliards, deux cent quatre-vingt-seize millions, six cent

soixante-deux mille deux cent cinquante-six. Il n'y a pas à s'étonner si notre police débordée a préféré classer le dossier, avec pour elle cette bonne raison que si nombreux que puissent étre les délits commis, en tout cas les coupables sont morts avec les victimes. Seule la Compagnie d’Assurances a besoin de connaître la vérité: d’abord à cause d’une police-incendie prise par le propriétaire de la maison. Le fait qu'à présent le jeune Inigo soit mort dans les flammes ne fait que rendre la question plus épineuse: sa puissante famille, qui sans doute avait déshérité et exclu ce fils dégénéré, est de notoriété publique peu portée à renoncer à quoi que ce soit

236

Unità E

qui lui revient. Les pires déductions (comprises ou non dans l’abominable index) peuvent étre avancées sur le compte d’un jeune homme qui, membre héréditaire de la Chambre des Pairs, traînait un titre illustre sur les gradins des places publiques dont une jeunesse nomade et contemplative fait sa couche, et se savonnait les cheveux qu’il avait longs sous le jet d’eau des fontaines municipales. La petite maison louée à la vieille logeuse était l’unique bien immobilier qui lui restait et il y avait été admis comme sous-locataire par sa locataire contre réduction d’un loyer déjà modeste. S’il avait été, lui Inigo, l’incendiaire coupable et victime d’un dessein criminel exécuté avec l’imprécision et l’insouciance qui apparemment caractérisaient son comportement, les preuves de la fraude exonéreraient la Compagnie du remboursement des dommages. Mais là n’est pas la seule police que la Compagnie soit tenue d’honorer après la catastrophe: la veuve Roessier elle-méme renouvelait chaque année une assurance sur sa propre vie en faveur de sa fille adoptive, mannequin bien connu de quiconque feuillette des revues de haute-couture. A présent Ogiva est morte elle aussi, bràlée avec la collection de perruques qui transformaient son visage d’un charme glacial — comment définir autrement une belle et délicate jeune fille au cràne complètement chauve? — en celui de centaines de personnages divers et délicieusement asymétriques. Mais il se trouvait qu’Ogiva avait un enfant de trois ans, confié à des parents d’Afrique du Sud, qui ne tarderaient pas à réclamer les bénéfices de l’assurance, sauf si on prouvait que c’était elle qui avait tué (Frapper à coups de couteau? Etrangler?) la veuve Roessier. Et méme puisque Ogiva s’était occupée d’assurer sa collection de perruques, les tuteurs de l’enfant peuvent encore prétendre à cette indemnisation, sauf dans le cas où elle aurait une responsabilité dans leur destruction. Du quatrième personnage qui a disparu dans l’incendie, le gigantesque lutteur uzbek Belindo Kid, on sait qu'il avait trouvé en la veuve Roessier non seulement une diligente logeuse (il était l’unique locataire payant de la pension), mais encore un imprésario avisé. Dans les derniers mois la vieille s’était en effet persuadée de financer la tournée saisonnière de l’ex-champion des milourds, en se garantissant par une assurance contre le risque de ne pouvoir tenir les contrats par suite de maladie, incapacité ou accident. A présent un consortium d’organisateurs de réunions de catch réclame les préjudices couverts par l’assurance; mais si la vieille a poussé au suicide, peut-étre en le diffamant, le faisant chanter ou le droguant (le géant était connu sur les arènes internationales pour son caractère impressionnable) la Compagnie pourra facilement les faire taire. Mon héros se propose de résoudre l’énigme et de ce point de vue il s’agit donc d’une ceuvre appartenant au genre policier. Mais la situation se caractéri-

Verso la macchina narrante

25%

se aussi par un aspect éminemment combinatoire que l’on peut schématiser comme suit: 4 personnages: ABCD 12 actions transitives, non réfléchies: (voir liste ci-dessous).

Toutes les possibilités sont ouvertes: un des 4 personnages peut (par exemple) violer les 3 autres ou ètre violé par les 3 autres. On commence alors à écarter les séquences impossibles. A ce but on divise

les 12 actions en 4 classes, à savoir:

appropriation de la volonté

appropriation

d’un secret

appropriation cEzdelie

inciter à

faire chanter

droguer

epier

di

extorquer avec sévices un aveu de

abuser de la confiance de

séduire acheter les prestations sexuelles de violer

étrangler mere

poignarder dans le dos induire au suicide

CONTRAINTES

OBJECTIVES

Compatibilité entre les relations Pour les actions de meurtre: Si A étrangle B, il n'a plus besoin de le poignarder ni de l’induire au suicide. Il est aussi improbable que A et B s'’entretuent.

On établit donc que pour les actions meurtrières la relation entre deux personnages sera possible seulement une fois dans chaque permutation, et elle ne sera pas réversible.

238

Unità E

Pour les actions sexuelles: Si A parvient à jouir des prestations sexuelles de B par voie de séduction, il n’a pas besoin de faire recours à l’argent ou au viol pour le méme objet. On peut aussi exclure, ou bien négliger, la réversibilité du rapport sexuel (le méme ou un autre) entre deux personnages. On établit donc que pour les actes sexuels, la relation entre deux personnages sera possible seulement une fois dans chaque permutation, et elle ne sera pas réversible. Pour les appropriations d’un secret: Si A s'’empare du secret de B, ce secret peut étre défini dans une autre relation qui suit dans la séquence, entre B et C ou C et B (ou bien C et D, ou D et C), relation sexuelle, ou de meurtre, ou d’appro-

priation de volonté, ou d’appropriation d’un autre secret. Apres ca, A n’a plus besoin d’obtenir de B le méme secret d’une autre fagon, (mais il peut obtenir de B, comme des autres personnages, un secret différent d’une différente facon). La réversibilité des actes d’appropriation de secret est possible, s’îl se trouve des deux còtés deux secrets différents. Pour les appropriations de volonté: Si A impose sa volonté à B, cette imposition peut provoquer une relation entre A (ou autre) et B, ou bien entre B et C (ou A), relation qui peut étre sexuelle, meurtrière, appropriation d’un secret, appropriation d’autre volonté. Après ca A n’a plus besoin d’imposer la méme volonté à B d’une autre facon (mais il peut, etc.). La réversibilité est possible, naturellement entre deux volontés différentes. Ordre des séquences Dans chaque permutation, après qu’une action de meurtre a eu lieu, la victime ne peut plus accomplir ni subir aucune action. En conséquence, il est impossible que les trois actes de meurtre aient lieu au début d’une permutation, parce qu'il ne resterait plus de personnages pour rendre possibles les autres actions. Méme deux meurtres au début rendraient impossible le développement de la séquence. Un meurtre au début ouvre des permutations d’onze actions pour 3 personnages.

Le cas optimal est celui dans lequel les trois actes de meurtre arrivent è la fin. Les séquences données par l’ordinateur doivent pouvoir révéler des chaînes d’événements rattachés par des possibles liens logiques. On a vu que les actes de la volonté et du secret peuvent en impliquer des autres. Dans chaque permutation on trouvera des parcours privilégiés, à savoir:

Verso la macchina narrante

l’appr. d’un secret

239

d’une appr. sex.

>

-

n)

>

d’un meurtre >

détermine une appr. de vol. qui dét. ? ;

.

A

un meurtre une appr. sexuelle

Z

ou bien: l’appr. d’une volonté

un meurtre une appr. sexuelle qui détermine, etc. une appr. d’un secret

b)

>

È

amène à x

DS

.

DI

.

Chaque nouvelle relation de la chaîne en exclut d’autres. CONTRAINTES

SUBJECTIVES

Incompatibilité de chaque personnage avec certaines actions commises ou subies. Les 12 actions peuvent étre divisées aussi selon une deuxième classification en 4 classes subjectives. actes de force physique extorquer violer étrangler

actes persuasion inciter à séduire ind. suicide

actes exploitant déloyaux abuser conf. poignard. dos épier

faiblesse autrui acheter les b. gràces faire chanter droguer

— De A on sait qu'il est un homme d’énorme force physique, mais une brute presque inarticulée. A ne peut pas subir les actes de force physique. A ne peut pas accomplir les actes de persuasion. — De B on sait qu'elle est une femme toujours maîtresse d’elle-méme, avec une grande force de volonté; elle est sexuellement frigide; elle hait les drogues et les drogués; elle est assez riche pour n’étre intéressée qu’à elle-méme. B ne peut pas subir les actes de persuasion. B n'est pas intéressée aux actes exploitant la faiblesse d’autrui (elle n’est pas intéressée à acheter faveurs sexuelles elle ne manie pas la drogue; elle n'a aucun mobile pour faire des chantages).

— De C on sait qu'il est un boy-scout très innocent, qu'il a un grand sens de l’honneur; s'il absorbe des drogues, il vomit tout de suite; son innocence le met

à l’abri de tout chantage.

Unità E

240

C ne peut pas subir les actes exploitant les faiblesse d’autrui. C ne peut pas accomplir actes déloyaux. - De Don sait qu'elle est une femme terriblement méfiante et physiquement très faible. D ne peut pas subir les actes déloyaux. D ne peut pas accomplir les actes de force. Une complication ultérieure pourrait étre introduite!!!! Chaque personnage pourrait charger dans le déroulement de l’histoire (après certaines actions accomplies ou subies): perdre certaines incompatibiPour le moment on renonce à explorer ce domaine. CONTRAINTES

ESTHÉTIQUES

(ou subjectives du programmeur) Le programmeur aime l’ordre et la symétrie. Face au grand nombre de possibilités et au chaos des passions et des tracasseries humaines, il tend à avantager les solution formellement les plus harmonieuses et économiques. Il propose un modéle, tel que: —

chaque action soit perpétrée par un et un seul personnage et ait un et un seul personnage comme victime;



les 12 actions soient également distribuées entre les 4 personnages, à savoir chacun d’eux perpètre 3 actions (une sur chacun des autres) et est victime de 3 actions (chacune perpétrée par un des autres); — chacune des 3 actions perpétrées par un personnage fasse partie d’une classe (objective) d’actions différentes; — idem pour chacune des 3 actions subies par un méme personnage; — entre deux personnages il n°y ait pas de commutativité dans la méme classe d’actions (si A tue B, B ne pourra pas tuer A; et ainsi les trois rapports sexuels se passeront entre couples diversement assortis). Est-il possible qu'on tienne compte dans les mémes temps des contraintes subjectives et des contraintes dites esthétiques? C'est là qu’intervient l’ordinateur, et que s’exemplifie la notion de «littérature assistée par ordinateur». Considérons en effet 4 personnages que nous convenons d’appeler: ARNO GIEEM DANI BEASBSYA

Verso la macchina narrante

241

Un programme très simple nous permet d’engendrer des sélections de douze méfaits. Chacune de ces sélections pourrait étre, en principe, le scénario que notre héros cherche à reconstituer. Voici quelques exemples de tels scénarios: SELEC 2

DANI CLEM BABY CLEM CLEM DANI DANI ARNO BABY ARNO ARNO CLEM

EMPOISONNE MENACE EPIE FAIT CHANTER FAIT AVOUER SEDUIT ETRANGLE VIOLE EGORGE CONTRAINT ABUSE ACHETE

ARNO CLEM ARNO ARNO BABY BABY CLEM BABY DANI CLEM DANI DANI

SELEC 2

ARNO CLEM DANI ARNO ARNO BABY . CLEM DANI CLEM BABY BABY DANI

CONTRAINT FAIT CHANTER ACHETE EGORGE FAIT AVOUER VIOLE SEDUIT MENACE ABUSE ETRANGLE EMPOISONNE EPIE

CLEM ARNO ARNO BABY DANI CLEM BABY CLEM DANI DANI ARNO BABY

SELEC 2

BABY ARNO DANI DANI BABY DANI

EPIE EGORGE ETRANGLE MENACE FAIT CHANTER ACHETE

CLEM DANI CLEM ARNO ARNO BABY

Unità E

242 CLEM BABY CLEM ARNO ARNO CLEM

FAIT AVOUER VIOLE CONTRAINT ABUSE SEDUIT EMPOISONNE

BABY DANI DANI BABY CLEM ARNO

L’absurdité de ces scénarios saute aux yeux. En effet, le programme utilisé est complètement stupide: il admet qu’un personnage puisse perpétrer un méfait contre soi-méme. On peut améliorer le programme en imposant:

— —

que les autocrimes soient exclus que chaque personnage n’intervienne que 3 fois comme criminel et 3 fois comme victime.

On obtient alors des scénarios tels que les suivants: SELEC 1

ARNO CLEM ARNO ARNO CLEM ARNO DANI BABY CLEM DANI ARNO CLEM

ACHETE FAIT AVOUER CONTRAINT FAIT AVOUER VIOLE EGORGE CONTRAINT FAIT AVOUER EMPOISONNE FAIT AVOUER ABUSE FAIT AVOUER

CLEM ARNO ARNO BABY DANI DANI BABY ARNO ARNO CLEM ARNO CLEM

SELEC 1 ARNO DANI BABY BABY BABY CLEM CLEM DANI

EMPOISONNE SEDUIT EPIE VIOLE FAIT AVOUER EPIE MENACE CONTRAINT

ARNO DANI CLEM CLEM DANI ARNO CLEM BABY

DANI

FAIT AVOUER

BABY

Verso la macchina narrante

DANI CLEM BABY

243 FAIT AVOUER ABUSE FAIT CHANTER

ARNO BABY ARNO

SELEC 1 DANI BABY ARNO BABY CLEM BABY ARNO DANI ARNO DANI DANI ARNO

SEDUIT CONTRAINT Al ABUSE VIOLE EGORGE ETRANGLE ACHEIE ABUSE EGORGE SEDUIT CONTRAINT

ARNO ARNO DANI ARNO CLEM DANI ARNO ARNO ARNO CLEM CLEM BABY

Ce nouveau programme comporte encore des insuffisances manifestes. C'est ainsi que dans le premier scénario il n’est pas possible que CLEM fasse chanter ARNO qui a déjà été empoisonné par DANI. Dans le second scénario, BABY ne peut pas violer CLEM, puisque ARNO l’a déjà égorgé, etc. Paul Braffort qui assure le développement informatique nécessaire au progrès de notre travail a aussi écrit une suite de programmes de sélection qui tiennent progressivement compte des contrainies que notre récit doit respecter

pour demeurer acceptable «logiquement» et «psychologiquement»!. Cela montre bien, pensons-nous, que l’aide de l’ordinateur, loin d intervenir en substitution à l’acte créateur de l’artiste, permet au contraire de libérer celui-ci des servitudes d’une recherche combinatoire, lui donnant ainsi les meil-

leurs possibilités de se concentrer sur ce «clinamen» qui, seul peut faire du texte une véritable ceuvre d’art. Italo Calvino CALVINO I., Prose et anticombinatoire, in QULIPO, Atlas de littérature potentielle, Paris, Gallimard (folio essais), 1981, pp. 319-330.

13 In realtà Paul Braffort non sviluppò un programma informatico per il racconto di Calvino; questi però non rinunciò alla speranza di arrivare a un programma di tal genere, se è vero che

successivamente si rivolse ad un altro informatico, William Skyvinston. L'idea della letteratura di-

gitale era comunque nella sua mente fin dal 1977 (cfr. BARENGHI M., Note e notizie... cit., pp. 1242-1243).

ar. USL, o ì

dA