Pedagogia e sociologia

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EMILIO DURKHEIM

PEDAGOGIA E SOCIOLOGIA Traduzio11e, introduzione di

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PIER LUIGI PREVIATO

TESTI FILOSOFICI COMMENTATI

Edizioni Canova Treviso

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INTRODUZIONE SOMMARIO: 1) ·La cultura positivistica in Francia nel sec. XIX. - 2) Emilio Durkheim: a) scritti di sociologia; b) scritti di pedagogia. - 3) La sociologia, ieri ed oggi. - 4) La sociologia pura di E. D. - 5) Il sociologismo pedagogico. - 6) La pedagogia come sociologia applicata e i suoi metodi. - 7) Il contributo propriamente pedagogico di E. D. - 8) Conclusione. 1. -

La cultura positivistica in Francia nel sec. XIX.

Il Positivismo diede il nome ad un'età della cultura europea; esso nacque in Francia con Augusto Comte, il cui Corso di filosofia positiva è del 1830, e fu per la borghesia, dopo la rivoluzione di Luglio, quel che era stato il Romanticismo nel periodo della Restaurazione, cioè la filosofia più adatta ad esprimere il nuovo costume e i nuovi orientamenti ideologici e pratici. Ma la rapida diffusione della cultura positivistica si spiega anche meglio pensando all'imponente progresso scientifico, alle applicazioni tecniche, alle trasformazioni sociali ed economiche che caratterizzano il sec. XIX. Anzi, non sapremmo spiegare la fortuna di un mo• vimento culturale del quale, a distanza di tempo, non è possibile ignorare talune ingenuità e contraddizioni, se non ci disponessimo a riconoscere in esso, più che una filosofia, un atteggiamento mentale, che ha certe sue profonde mouvazioni e che è, per così dire, esploso in un ambiente singolarmente adatto. Sarà pertanto opportuno distinguere un positfoismo dottrinale i cui capisaldi sono, come è noto, che solo la

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conoscenza dei fatti è feconda, che essa dev~ derivare dall'esperienza e non può andare oltre il relativo (cfr. Corate: « tutto è relativo: ecco il solo principio assoluto») e un metodo positivo, cui potrebbe in senso lato convenire il nome di sperimentalismo. Intorno all'idea comtiana che tutte le scienze si assommano sboccando in quella che è più concreta e importante, la sociologia, si venne così costituendo una scuola numerosa e fiorente. Più tardi, messe da parte le concezioni religiose e gran parte di quelle filosofiche del padre del positivismo, i suoi seguaci si diedero a studiare tutti i fatti del mondo umano con criteri rigorosamente naturalistici, fiduciosi di riuscire a scoprire le leggi che li regolano. Non soltanto in filosofia ma anche nella critica storica e letteraria, nel teatro e nella letteratura narrativa il positivismo di Comte ebbe risonanza vastissima. A parte i comtiani della « corporazione di filosofi » vagheggiata da Comte, il cui esponente più fedele fu Pietro Lafitte (1823-1903); a parte Emilio Littré (1801-1881), il discepolo più illustre anche se dissidente, la cui opera è tutta filosofica; il maggior contributo alla formazione del clima positivistico in Francia è stato dato da Ippolito Taine (1820-1893) letterato e storico oltre che filosofo e da Ernesto Renan (1823-1892), filosofo storico e critico. Il realismo in letteratura e in arte, i cui temi favoriti furono (si ricordi il « romanzo sperimentale» di E. Zola (1840-1902) la descrizione di scene di vita comune e la rappresentazione degli strati più bassi della società, corrispose all'atmosfera creatasi in filosofia. Si aggiunga che il positivismo, a dispetto del suo determinismo morale, riusd nel complesso più favorevole al movimento liberal-democratico europeo di quel che non fosse riuscito l'idealismo romantico, e ciò anche a cau~a della sua critica radicale ad ogni forma di autorità trascendente, così da

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aprire la strada ad importanti innovazioni politiche e sociali. Tutte queste sollecitazioni culturali e la particolare situazione della Francia dopo la catastrofe del 1870, con le aspirazioni ad una costituzione democratica e ad un rinnovamento del costume dopo i nefasti del secondo impero, spiegano il rinnovato interesse per la ricerca sociologica, la cui rinascita è legata al nome di E. Durkheim. 2. -

Emilio Durkheim.

Il sociologo Emilio Durkheim nacque ad Epinal, capoluogo dei Vosgi, il 15 aprile 1858 e mori a Parigi il 15 novembre 1917. Fece i primi studi nella sua città natale, fu poi allievo del liceo Luigi il Grande di Parigi ed entrò finalmente alla Scuola Normale Superiore. Superato il concorso di aggregazione in filosofia, comiJ,.ciò ad insegnare nei licei di Sens, Saint-Quentin e Troyes. Durante l'anno scolastico 1885-86 ottenne un congedo dall'insegnamento per motivi di studio e trascorse metà del tempo concessogli in Germania. Tornato in Francia, pubblicò sulla Revue philosophique degli importanti articoli che gli valsero l'incarico di un corso di scienza sociale e di pedagogia nella facoltà di lettere di Bordeaux (1887). L'insegnamento della sociologia faceva con il D. il suo primo ingresso nell'università francese. Nel 1893 sostenne a Parigi le tesi di dottorato in lettere e nel 1896 fu nominato professore titolare a Bordeaux. Nel 1902, chiamato alla Sorbona, fu incaricato del corso di scienza dell'educazione e quando nel 1906 Ferdinando Buisson, cui egli suppliva, abbandonò l'insegnamento D. vi fu nominato titolare della cattedra di scienza dell'educazione. Insegnava parallelamente sociologia e pedagogia, convinto com'egli era che tra le due scienze intercorra-

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no legami strettissimi; egli attribuiva infatti all'educazione il fine di « formare l'essere sociale». Tenne corsi di insegnamento anche alla Scuola di alti studi sociali, fece parte del consiglio dell'Università di Parigi e fu membro autorevole del Comitato consultivo dell'insegnamento superiore. Negli ultimi anni della sua intensa vita di studioso fu colpito dalla scomparsa del figlio, caduto in Serbia duran.te la prima guerra mondiale. a) Scritti di sociologia:

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1886 - Gli studi recenti di scienze sociali (in Revue phil.) · - il D. rifiuta la sociologia dello Spencer e fonda l'op' posizione, destinata a rimanere famosa, tra l'essere individuale e l'essere sociale. Sostiene che la sociologia ha sbagliato strada, muovendo dalla psicologia individuale; è tempo che poggi su basi più oggettive per meritare il diritto di essere considerata una vera scienza. 1887 - La scienza positiva della morale in Germania (tre articoli) - D. definisce la morale « scienza dei costumi»; essa non è dunque una cosa in sé da studiare col metodo filosofico: « ... ci sono tante morali quanti tipi sociali». Noi dobbiamo rispettare la morale attuale che rappresenta il prodotto di un secolare adattamento ai nostri bisogni, ma verrà un giorno in cui la scienza della morale sarà cosl progredì ta che la teoria regolerà la pratica. 1887 - La divisione del lavoro sociale - corso tenuto all'Università di Bordeaux; lo stesso argomento verrà ripreso e approfondito dal D. nella tesi di dottorato. 1889 - Introduzione alla sociologia della famiglia - pubblicato negli Annali della Facoltà di lettere dell'Università di Bordeaux - lezione inaugurale del corso ac-

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cademico 1888-89 - Tentativo di classificazione scientifica dei tipi familiari sulla base della costituzione giuridica della famiglia e, più specialmente, del diritto successorio. 1892 - Quid Secondatus politicae scientiae instituendae consulerit (Quale contributo abbia dato Montesquieu alla fondazione della scienza politica) - Bordeaux, Tesi latina di dottorato. D. afferma che Montesquieu (Esprit des lois, 1748) deve essere considerato un precursore della sociologia: suo merito precipuo è aver studiato i fatti politici come « cose » e aver ridato all'uomo il suo posto nella natura. 1893 - La divisione del lavoro sociale (Parigi) Tesi francese di dottorato. Il D., riprendendo il tema trattato nel corso del 1887_ all'Università di Bordeaux, studia in un volume di oltre quattrocento pagine l'organizzazione delle società superiori. Egli si domanda come mai l'individuo, realizzando una maggiore autonomia, sia più dipendente dalla società, come insomma per riprendere la sua esatta terminologia - sia più personale e insieme più sociale. E risponde testualmente: « Mi sembra che ciò che risolve questa apparente antinomia sia una trasformazione della solidarietà sociale, dovuta allo sviluppo sempre più consi- · derevole della divisione del lavoro. Gli individui, specializzandosi, diventano più complessi e pertanto sono parzialmente sottratti all'azione collettiva e alle influenze ereditarie, le quali esercitano la loro influenza solo su ciò che è semplice e generale». Questo importante lavoro è un saggio di morale sociale fondata su principi totalmente nuovi. La moralità ha per criterio l'approvazione sociale. Un crimine - afferma D. - è tale quando offende i sentimenti radicati, definiti di tutti gli individui normali della società presa in considerazione; non lo è

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ciò che non costituisce un danno per la società. La pena è la vendetta della società. L'eroismo, la devozione non sono virtù morali; sono per così dire un lusso e appartengono alla sfera estetica. La divisione del lavoro è morale, « perchè il bisogno d'ordine, d'armonia, di solidarietà sociale è comunemente ritenuto morale ». Il dilettantismo individualista, invece, è immorale perché tende a sgretolare la solidarietà sociale. Un mezzo efficace per aumentare la coesione sociale consiste pertanto nell'elevare la moralità e nel favorire le associazioni professionali. Quest'ultima idea, di carattere politico, è stata sviluppata dal D. nella prefazione alla seconda edizione della sua tesi (190.2). Queste concezioni originali e audaci suscitarono molti contrasti negli ambienti universitari; D. tuttavia sostenne le proprie dottrine e rispose alle diverse obiezioni con una serie di articoli apparsi sulla Ret•ue phil. nel 1894 e pubblicati verso la fine dello 1894 - stesso anno in un volume dal titolo Le regole del metodo sociologico. In questo scritto egli definisce molto chiaramente i suoi postulati: i fatti sociali sono delle cose e debbono essere trattati come tali; solo così possono essere oggetto di scienza. Essi sono esterni ed eterogenei rispetto agli individui. « Quella sintesi originale che è la società esprime dei fenomeni nuovi e diversi da quelli che esprimono le coscienze individuali» (cfr. l'articolo Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive in « Ri1898 - vista di metafisica e morale» a. 1898). Ci sono - egli dice - delle maniere di essere e di pensare che hanno la particolarità di esercitare sulla coacienza individuale un'influenza coercitiva. Si deve pertanto rinunciare a spiegare i fatti sociali con

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la psicologia; è necessario sostituire la scienza delle cose alle speculazioni arbitrarie intorno alle ide.e individuali. Posto che si dia il nome di istituzione « a tutte le credenze e a tutte le forme di condotta istituite dalla collettività», si può definire la sociologia: