Patologie della personalità di alto livello 8860305543, 9788860305541

Il volume descrive una forma specifica di trattamento psicodinamico delle patologie della personalità, che gli autori ha

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Patologie della personalità di alto livello
 8860305543, 9788860305541

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Eve Caligor, Otto F. Kernberg, John F. Clarkin

PATOLOGIE DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO Edizione italiana a cura di Filippo Bellavia



Raffaello Cortina Editore

www.raffaellocortina.it

Titolo originale

Handbook o/Dynamic Psychotherapy /or Higher Leve! Personality Pathology © 2007 American Psychiatric Publishing. Ali rights reserved. First published in the United States by American Psychiatric Publishing, Arlington, Virginia an d London, UK Traduzione Tiziana Della Valle Revisione Daniela Moreni e Filippo Bellavia ISBN 978-88-6030-554-1 © 2012 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4

Prima edizione: 2012

Stampato da Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese) per conto di Raffaello Cortina Editore

Ristampe o 2012

2013

2 4 3 2014 2015

5 2016

Indice

Introduzione all'edizione italiana (Filippo Bellavia) Prefazione all'edizione italiana (Eve Caligor) Prefazione

l. Introduzione

VII XI XIII l

Parte prima Comprensione teorica della patologia della personalità di alto livello 2. Approccio psicodinamico alla patologia della personalità

11

3 . Relazioni oggettuali interne, organizzazione mentale ed esperienza soggettiva nella patologia della personalità

37

Parte seconda Trattamento psicoterapeutico della patologia della personalità di alto livello 4. Gli elementi base della DPHP

61

5. Strategie della DPHP e setting terapeutico

85

6. Le tecniche della DPHP. Parte r: ascoltare il paziente

109

7. Le tecniche della DPHP. Parte n: intervento

121

8. Le tattiche della DPHP

145 v

INDICE

Parte terza Valutazione del paziente, fasi del trattamento e abbinamento della DPHP con altre terapie 9. Valutazione del paziente e pianificazione del trattamento differenziale

169

10. Le fasi del trattamento

195

11. Abbinamento della DPHP con la gestione dei farmaci e altre forme di trattamento

221

12 . Commenti conclusivi

237

Bibliografia

241

Indice analitico

247

VI

Introduzione all'edizione italiana

Dalla pubblicazione del manuale sulla Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP) e delle successive revisioni, non erano ancora stati concettualizzati un manuale e una tecnica psicodimanica analoga per le patologie di personali­ tà di livello superiore. Si sentiva certamente la mancanza ed è stata questa a spingere gli autori nella direzione di scrivere questo libro. La stessa esigenza ha spinto l'Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica (IPP) di Torino a curarne la traduzione con l'obiettivo principale di aprire una riflessione anche nel nostro paese. Da tempo l'IPP sta affrontando nei vari ambiti in cui svolge la sua attività (Scuola di specializzazione, conferenze, ricerca e psicoterapia) una riflessione sui modelli e sulla tecnica della psicoterapia psicodinamica. Il percorso di formazione, collaborazione e scambio che l'IPP ha intrapreso con il Personality Disorder Institute (PDI) diretto da Otto Kernberg è stato lo spunto principale che ci ha portato a curare la traduzione di questo ma­ nuale. L'intento è quello di offrire, non solo alcuni spunti al dibattito tra gli specialisti e gli psicoterapeuti a orientamento psicoanalitico, ma anche un contributo alla complessa realtà della psicoterapia in Italia, sia in ambito privato che quello pubblico. Questo lavoro, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2007 , è stato tradotto anche in altre lingue e auspichia­ mo che la versione italiana possa essere utile tanto ai clinici esperti che agli allievi delle scuole di specializzazione in psicoterapia e, più in generale, a chi si occupa delle relazioni di aiuto. Il libro è un manuale per il trattamento di pazienti con disturbo lieve di personalità: pazienti dipendenti, evitanti, isterici, ossessivi, depressi. È un testo che completa il percorso di ricerca del Personality Disorder Institute (PDI) del Weill Cornell Medicai College. Il lavoro svolto da questo gruppo sulla TFP, rivolto ai disturbi borderline di personalità, ha messo in evidenza che c'era la possibilità di manualizzare un trattamento di tipo psicodinami­ co anche per le patologie di alto livello. Nella letteratura italiana il termine "patologie di alto livello" non è molto usato e spesso, con questo termine, si fa riferimento alle nevrosi. Otto Kernberg, in una comunicazione personale, ci ha confermato che l'intento di questo libro è di fornire, prevalentemente, un modello di trattamento per le nevrosi che partisse dall'esperienza accu­ mulata negli anni nel trattamento dei pazienti borderline empiricamente VII

INTRODUZIONE ALI.:EDIZIONE ITALIANA

validato come lo è il modello della TFP. La definizione " patologie delle per­ sonalità di alto livello" si rifà alle categorie del PDM, il Manuale Diagnostico Psicodinamico, e in questo quadro la maggior parte delle patologie di alto livello rientrano nelle nevrosi classiche. Chi si è avvicinato alla TFP sentiva la mancanza di un analogo approccio per il paziente con disturbi meno gravi e questo libro rappresenta un completamento dell'approccio della TFP. È un approccio basato prevalentemente sulla teoria delle relazioni oggettuali così come è stato sviluppato da Otto Kernberg e i primi capitoli sono dedicati a una spiegazione approfondita della teoria che è alla base di questo modello. Per quanto questo testo si rivolga principalmente al clinico di orienta­ mento psicodinamico, esso può essere utile sia nell'ambito della formazio­ ne che in quello della ricerca. Questo libro può essere di enorme aiuto nel focalizzare i tratti di rigidità che caratterizzano questo tipo di patologie con dettagli molto specifici non tanto su " Cosa fare quando . . . " ma su " Come mi comporto sistematicamente per decidere cosa fare adesso" . Il modello qui proposto, Dynamic Psycotherapy /or Higher leve! personality Pathology (DPHP), è un trattamento di tipo psicoanalitico, ma si differenzia dalla psi­ coanalisi vera e propria, anche se si pone l'obiettivo di modificare in modo strutturale le rigidità della personalità, per alcuni aspetti importanti: a) il modo in cui viene trattato il transfert e b) la focalizzazione su aree specifiche della personalità. La durata del modello DPHP generalmente varia da uno a quattro anni e rispetto alla psicoanalisi tradizionale prevede due sedute alla settimana. L'obiettivo della DPHP rimane comunque il cambiamento della struttura di personalità che sottende alla patologia. Un tema che apre degli spunti su cui varrebbe la pena riflettere è la que­ stione del trattamento del transfert, il motore principale del trattamento psicoanalitico. Questo tema è molto dibattuto e spesso i vari indirizzi psi­ coanalitici non si trovano d'accordo su come trattarlo. Si ha l'impressione, a volte, tanto nell'attività di formazione nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti, tanto nell'attività di supervisione, che si stia innestando una sorta di timore nel trattare il transfert. Il trattamento del transfert ha una storia fatta di evitamento, di conflitti e dibattiti fin dagli esordi della psi­ coanalisi: da ostacolo alla psicoterapia è diventato il vero motore della psi­ coanalisi. Ma la natura controversa di esso rimane ancora viva. Freud usava una metafora molto efficace: sarebbe come se chi volesse evocare uno spiri­ to dagli inferi con formule magiche una volta presentatosi lo rispedisse giù senza averlo interrogato; il transfert viene evocato dalla psicoanalisi, e non possiamo ricacciarlo indietro senza averlo interrogato, appunto, dopo aver­ lo fatto emergere. Varrebbe la pena approfondire questo tema e lo spunto può essere il modo in cui viene trattato con il modello qui proposto. La dif­ ferenza principale nel trattamento tanto della TFP che della DPHP sta nel af­ frontare il transfert del qui-e-ora, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, e non nell'interpretarlo geneticamente. Questo perché il transfert è inteso, VIII

INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

qui, nella cornice della teoria delle relazioni oggettuali, come un'esterna­ lizzazione attualizzata delle modalità relazionali interiorizzate nel passato. Quindi il transfert si intende riferito sia in relazione al terapeuta sia alle in­ terazioni con altre persone. Riteniamo importante questa riflessione anche alla luce di quelle che vengono definite le nuove patologie, le nuove soggettività. I cambiamen­ ti degli ultimi venti anni della nostra società interrogano la psicoanalisi e questa deve trovare nuovi modelli e strumenti per poter trattare le nuove domande di aiuto che arrivano nella stanza dell'analisi; la nostra speranza è che questo libro possa aprire una feconda riflessione a quanti hanno scelto un mestiere che fa della qualità della relazione lo strumento principale di cambiamento degli individui. Torino, settembre 2012

Filippo Bellavia Presidente Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica (IPP) di Torino Didatta della Scuola di Specializzazione IPP www. ippweb.it

IX

P refazione all'edizione italiana Eve Ca/igor

Questo libro è il frutto della lunga e preziosa collaborazione degli autori con i colleghi del Personality Disorders Institute del Weill Cornell Medi­ cal College. Il nostro gruppo ha deciso di sviluppare la DPHP e di pubblicare questo Manuale per riempire un grande vuoto nella letteratura psicodinamica in lingua inglese. Sebbene la terapia psicodinamica a lungo termine sia molto diffusa, prima di questo volume non esisteva in letteratura alcuna descrizio­ ne sistematica, clinicamente utile, della tecnica della terapia psicoanalitica a lungo termine per la patologia della personalità di alto livello. La decisione di scrivere questo libro si propone proprio di colmare tale lacuna; abbiamo pensato di sviluppare una descrizione della tecnica psi­ coterapeutica sufficientemente chiara, specifica e cogente da consentire al lettore di mettere strategicamente in pratica, attimo dopo attimo, le tecni­ che utilizzate nella terapia e di cogliere la direzione globale del trattamento. Il nostro precedente lavoro sullo sviluppo della Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP), un trattamento psicodinamico a lungo termine per il di­ sturbo di personalità borderline, descritto in un manuale, ci ha dimostrato che esisteva la possibilità di sviluppare un manuale di trattamento per una terapia psicodinamica a lungo termine e ha evidenziato l'enorme impatto che può avere un progetto di questo tipo. Quando abbiamo iniziato a con­ cettualizzare il contenuto di questo libro, la TFP era già descritta in detta­ glio, ampiamente insegnata e messa in pratica e convalidata empiricamente. Tuttavia, essa copre soltanto l'estremità dello spettro più grave del disturbo di personalità e i clinici che trattano pazienti più sani non disponevano di una descrizione altrettanto chiara e specifica della tecnica psicoterapeutica. Sentivamo la necessità di estendere il modello TFP in modo da includere il trattamento della patologia della personalità di alto livello. Entrambi i trattamenti, TFP e DPHP, emergono dalla teoria delle relazioni oggettuali contemporanea sviluppata dal dottor Otto Kernberg che, con questo modello, ci ha fornito una comprensione integrata e coerente del disturbo di personalità in tutto lo spettro di gravità. Tale struttura costitui­ sce la base su cui abbiamo costruito il nostro approccio alla psicoterapia, adattato alle esigenze cliniche di pazienti con diversi tipi di disturbo della XI

PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA

personalità. Questa edizione italiana del Manuale di psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello, viene pubblicata cinque an­ ni dopo l'edizione originale inglese. Nel frattempo, questo volume è sta­ to adottato come testo di psicoterapia centrale, apprezzato da educatori e clinici psicodinamici in tutto il mondo. Per gli studenti e gli insegnanti di terapia psicoanalitica, questo manuale è servito da guida per insegnare e apprendere in modo sistematico la psicoterapia psicodinamica, mentre ai clinici esperti ha fornito una concettualizzazione nuova della patologia del­ la personalità di alto livello e del suo trattamento. Per tutti i lettori, questo libro presenta un'applicazione dei principi psi­ coanalitici contemporanei e della tecnica clinica per la pratica della psico­ terapia.

XII

P refazione

Questo libro descrive una forma specifica di trattamento psicodinamico della patologia della personalità, che abbiamo chiamato psicoterapia dina­ mica per la patologia della personalità di alto livello (dynamic psycotherapy /or higher leve! personality pathology [DPHP]). Esso si basa sulla teoria psi­ codinamica contemporanea delle relazioni oggettuali, incentrata sul modo in cui la vita psicologica dell'individuo è organizzata intorno a modelli re­ lazionali interiorizzati, indicati con il termine relazioni oggettuali interioriz­ zate. In questo trattamento, esploriamo e di fatto modifichiamo i modelli relazionali interiorizzati che il paziente mette in atto nei suoi rapporti con gli altri. Per i lettori che conoscono relativamente poco la teoria delle rela­ zioni oggettuali, dedichiamo i primi tre capitoli del manuale alla presenta­ zione della teoria alla base del trattamento. Il modello di trattamento descritto nel presente manuale è uno sviluppo della psicoterapia focalizzata sul trans/ert (TFP). La TFP è un trattamento psi­ codinamico della personalità borderline, sviluppato e testata empiricamen­ te presso il Personality Disorder Institute del Sanford Weill Cornell Medi­ cai College ed è insolito nell'ambito dei trattamenti psicodinamici a lungo termine, poiché l) è stato creato per curare una forma specifica di psicopa­ tologia, 2) le tecniche della TFP sono chiaramente descritte in un manuale di trattamento e 3 ) la TFP è stata studiata in modo empirico. Durante l'insegnamento della TFP presso il Centro per la Formazione e la Ricerca Psicoanalitica della Columbia University siamo rimasti colpiti dall'assenza di un trattamento paragonabile alla TFP per la patologia della personalità di alto livello. Questo volume si propone di colmare tale vuoto e di completare il manuale TFP. Insieme, questi due testi forniscono la de­ scrizione completa di un approccio al trattamento di pazienti affetti da di­ sturbi della personalità, basato sulla teoria oggetto-relazioni, inserito in un modello integrato di personalità. Questo manuale si rivolge sia agli studenti di psicoterapia sia ai clinici esper­ ti. Sebbene il trattamento sia descritto nel modo più chiaro e specifico possibi­ le, per rivelarsi utile un libro di questo tipo deve necessariamente essere piut­ tosto ricercato. A beneficio di coloro che si avvicinano per la prima volta alla psicoterapia dinamica, spieghiamo con chiarezza e in dettaglio la teoria di base XIII

PREFAZIONE

e gli elementi fondamentali della DPHP. Attraverso la descrizione degli obietti­ vi, delle strategie e delle tattiche della DPHP, aiutiamo il lettore ad apprezzare

il rationale di un approccio tecnico che definisce il trattamento e illustriamo la descrizione della cura con ampio materiale clinico. Per i clinici esperti fornia­ mo una sintesi integrata e, in una certa misura, innovativa degli approcci psi­ codinamici contemporanei alla patologia della personalità e alla psicoterapia psicodinamica. Ci auguriamo che i clinici leggano attentamente e assimilino l'approccio qui descritto e che lo attuino secondo modalità compatibili con il loro stile personale, la loro esperienza clinica e la popolazione di pazienti. Per il lettore che desidera approfondire un particolare argomento, al ter­ mine di ogni capitolo proponiamo una serie di letture consigliate. Quando è possibile, inseriamo sia letture che offrono elaborazioni relativamente ac­ cessibili delle idee presentate nel capitolo precedente, sia letture più diffici­ li e ricercate, scelte in quanto hanno contribuito in modo significativo alla nostra comprensione di un particolare argomento. Lo sviluppo di questo trattamento e il presente manuale sono il frutto di un lavoro di collaborazione. Siamo partiti con un gruppo di studio, una joint venture tra il Personality Disorder Institute del Sanford Weill Cornell Me­ dicai College e il Centro per la Formazione e la Ricerca Psicoanalitica della Columbia University. Vi hanno partecipato (in ordine alfabetico) i dottori Elizabeth Auchincloss, Eve Caligor, John Clarkin, Diana Diamond, Eric Fertuck, Pamela Foelsch, Otto Kernberg e Frank Yeomans. Le nostre idee sono poi state ulteriormente sviluppate, condividendole con alcuni candi­ dati del Centro per la Formazione e la Ricerca Psicoanalitica della Columbia University e con medici interni del New York Psychiatric Institute. I due gruppi di studenti hanno posto domande ponderate ed espresso critiche che hanno contribuito allo sviluppo delle idee presentate in questo libro. Desideriamo inoltre ringraziare di cuore i colleghi per l'aiuto che ci han­ no dato, mettendo generosamente a disposizione il loro tempo e le loro competenze. I dottori Lucy LaFarge e Steven Roose ci hanno assistiti nel­ la definizione dei capitoli del manoscritto durante la sua stesura e i dottori Daniel Richter e Bret Rutherford hanno commentato con grande attenzio­ ne la prima bozza di questo manuale. Un ringraziamento alla signora Gina Atkinson per l'assistenza editoriale. Il lettore scoprirà che i capitoli del libro non sono organizzati in ordine cronologico, iniziando per esempio dalla fase di valutazione per poi prose­ guire verso la parte finale del trattamento. Al contrario, abbiamo struttura­ to il manuale e scelto la sequenza dei capitoli in modo da aiutare il lettore a sviluppare la miglior comprensione possibile del trattamento - sia della tecnica psicoterapeutica specifica della DPHP, sia dei principi fondamentali alla base della tecnica stessa. Il nostro obiettivo principale non è rispondere a domande specifiche su " Che cosa fare quando . . . ", ma permettere al lettore di rispondere da solo XIV

PREFAZIONE

alla domanda "Come mi comporto sistematicamente per decidere che co­ sa fare adesso? " . Il libro si divide in tre sezioni. Dopo un capitolo introduttivo, la prima parte descrive il nostro modello teorico di personalità e di patologia della personalità. Iniziamo con un'introduzione approfondita della teoria, poi­ ché la comprensione profonda del nostro modello di patologia della perso­ nalità e di funzionamento mentale è una base preziosa, per non dire essen­ ziale, per capire come effettuare il trattamento descritto in questo volume. La seconda sezione fornisce una spiegazione approfondita del trattamen­ to. Iniziamo con una visione d'insieme e con l'introduzione degli elementi base della DPHP e del nostro modello operativo della terapia. Descriviamo poi le strategie della DPHP, che costituiscono il trattamento nel suo insieme, e il contesto della terapia, che serve sia da setting sia da contenitore della tec­ nica psicoterapeutica descritta nei capitoli successivi. Negli ultimi due capi­ toli di questa sezione, ci occupiamo delle caratteristiche peculiari del trat­ tamento - le tecniche che il terapeuta utilizza attimo per attimo durante la seduta, e le tattiche che lo guidano nel decidere quando e come intervenire. Nella terza e ultima sezione del libro ci occupiamo della valutazione e delle situazioni particolari. Sebbene il trattamento inizi con una valutazio­ ne, abbiamo scelto di collocare solo verso la fine del libro il capitolo che la riguarda, perché le decisioni razionali relative all'esame di un paziente e al­ la pianificazione del trattamento sono basate su una chiara comprensione sia della patologia della personalità sia del trattamento psicoterapeutico. Dopo esserci occupati della valutazione del paziente, ritorniamo a discute­ re aspetti particolari, specifici delle diverse fasi della terapia. Terminiamo quindi con un capitolo riguardante l'associazione della DPHP con la sommi­ nistrazione dei farmaci e altre forme di trattamento. Prima di tornare al testo, vogliamo illustrare la natura del materiale cli­ nico presentato in questo libro. Nel descrivere situazioni cliniche, chi scrive è sempre combattuto tra il desiderio di fornire materiale reale e veritiero e l'esigenza di proteggere la riservatezza del paziente. Abbiamo scoperto che, anche quando l'identità dei pazienti è mascherata, è impossibile riuscire a presentare il materiale clinico nei dettagli rispettando al tempo stesso il re. quisito della riservatezza; come minimo, i pazienti le cui sedute vengono citate riconoscono il materiale in questione! Pertanto, in questo libro ab­ biamo scelto di non presentare pazienti o materiale clinico reali. Ogni si­ tuazione clinica descritta è invece il frutto della fusione di diversi casi, che abbiamo trattato e/o di cui abbiamo seguito gli sviluppi nel corso degli anni. Il lettore noterà, infine, che utilizziamo il pronome " egli" quando si sa­ rebbe potuto utilizzare "ella" o "ella o egli" con altrettanta precisione. Seb­ bene la scelta non ci soddisfi pienamente, ricorriamo costantemente ai pro­ nomi maschili per privilegiare la chiarezza, allo scopo di semplificare la lettura di un materiale che è relativamente complesso. xv

l Introduzione

In questo libro viene descritta una tecnica psicoterapeutica per il tratta­ mento della patologia della personalità, con l'obiettivo di presentare un approccio alla psicoterapia rivolto ai clinici esperti, ma utile anche per la formazione clinica. Sebbene si tratti principalmente di un libro di testo sulla tecnica psico­ terapeutica, dedicato al clinico psicodinamico, il nostro scopo è presentare un approccio alla psicoterapia sufficientemente sistematico, chiaro e spe­ cifico, da utilizzare come manuale di trattamento (Caligor, 2005) anche nel campo della ricerca. In questo testo presentiamo un approccio psicodinamico contempo­ raneo alla comprensione e al trattamento dei tratti della personalità rigi­ di e disadattivi che caratterizzano la patologia della personalità di livello superiore. Descriviamo un trattamento psicodinamico bisettimanale a lungo termine ( 1 -4 anni) , che non può essere ridotto a una serie di passi da seguire in modo standardizzato da qualunque terapeuta per la cura di qualsiasi paziente. Al contrario, definiamo e spieghiamo una serie di principi clinici che possono essere applicati in situazioni cliniche diver­ se, ma il trattamento che descriviamo tiene conto delle differenze indi­ viduali e delle somiglianze che caratterizzano i pazienti e i terapeuti che li hanno in cura. Esistono molti modi per descrivere e comprendere la patologia della personalità; tra questi spiccano l'approccio psicodinamico, quello neuro­ biologico, quello interpersonale e quello cognitivo (Lenzenweger, Clar­ kin, 2005) . Il tipo di trattamento descritto nel presente manuale si basa su un approccio psicodinamico alla personalità, del tipo sviluppato da Kernberg ( 1 97 5, 1976, 1980, 1 984 , 1 992 , 2 004a, 2 004b) , ed è fortemente influenzato dalla teoria psicodinamica delle relazioni oggettuali. Utiliz­ zando questo modello, Clarkin, Yeomans e Kernberg hanno scritto un manuale per il trattamento psicodinamico dei pazienti affetti da distur­ bo borderline di personalità (Clarkin et al., 2006) . Questo libro è un'in­ tegrazione di quel volume.

l

INTRODUZIONE

I PAZIENTI I pazienti affetti da forme di psicopatologia diverse traggono beneficio da tipi di cura differenti ( Beutler et al. , 2000 ) . Pertanto, i trattamenti psico­ terapeutici devono essere adattati alla psicopatologia e alle caratteristiche psicologiche dei soggetti in cura. Il trattamento descritto in questo manuale è studiato per curare la patologia della personalità di alto livello. I pazienti che ne soffrono costituiscono un sottogruppo relativamente sano nell'ambi­ to di un gruppo più ampio di soggetti affetti da patologia della personalità. Contrariamente ai disturbi di personalità più gravi messi in evidenza nel DSM-IV-TR (APA, 2000), i soggetti affetti da patologia della personalità di al­ to livello sono generalmente in grado di adattarsi alle richieste della realtà. Hanno un senso di sé relativamente stabile, la capacità di stabilire e mante­ nere almeno alcune relazioni interpersonali, nonché di perseguire obiettivi e di lavorare in modo più o meno costante nel tempo. Tuttavia, le persone affette da questa patologia presentano comunque aree di funzionamento seriamente compromesse. Nello specifico, questi soggetti possono essere incapaci di stabilire relazioni intime e/o ritenere che le loro amicizie non siano soddisfacenti. Può accadere che non riescano a lavorare a un livello adeguato alla loro formazione e alle loro capacità oppure possono essere costretti a dedicarsi interamente al lavoro, a scapito dei rapporti interper­ sonali e di altri interessi. Questi soggetti possono avere difficoltà a chiedere aiuto ad amici o colleghi quando ne hanno bisogno e/o a utilizzare l'aiuto quando viene loro offerto. Non sono in grado di sfruttare appieno le pro­ prie capacità e spesso soffrono di sintomi ansiosi e depressivi, uniti a un'in­ felicità generale e a una riduzione del piacere dell'esistenza. VISIONE D'INSIEME DELLA PSICOTERAPIA DINAMICA PER LA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO (DPHP) La Dynamic Psychotherapy for Higher level Personality Pathology (DPHP) è un'applicazione clinica della teoria psicodinamica contemporanea delle relazioni oggettuali, studiata espressamente per trattare la rigidità che carat­ terizza la patologia della personalità di alto livello. Nell'ambito di un quadro di riferimento psicodinamico, i tratti rigidi e disadattivi della personalità sono considerati manifestazioni delle operazioni difensive del paziente, che interagiscono con fattori temperamentali. Le difese consentono al paziente di evitare gli aspetti dolorosi e minacciosi della propria vita interiore, iso­ Iandoli dall'esperienza di sé conscia. Poiché le difese svolgono funzioni im­ portanti, i pazienti non riescono ad avere facilmente una visione profonda di tali operazioni difensive e dei conflitti alla loro base. La DPHP è stata studiata per aiutare i pazienti ad acquisire la consapevolez­ za delle proprie operazioni difensive e dei propri conflitti psicologici. L'ap2

INTRODUZIONE

proccio generale consiste nello stabilire una relazione speciale tra il terapeu­ ta e il paziente, che faciliti l'emersione dei conflitti di quest'ultimo a livello conscio, laddove siano riconoscibili nelle relazioni quotidiane del paziente, inclusa la relazione con il terapeuta. Fare in modo che il paziente acquisisca la consapevolezza dei conflitti inconsci consente al terapeuta e al paziente stesso di lavorare insieme per aiutarlo l) a capire le funzioni svolte dalle ope­ razioni difensive rigide e 2) a tollerare la consapevolezza emotiva di aspetti inaccettabili della sua vita interiore che sono stati scissi in modo difensivo. Quanto più il paziente sarà in grado di fare esperienza delle rappresentazio­ ni conflittuali di se stesso e degli altri, e di assimilarle nella propria esperienza conscia, tanto più diminuirà l'esigenza di conservare la rigidità delle opera­ zioni difensive. Questo processo introdurrà una maggiore flessibilità nelle di­ fese del paziente, ridurrà la rigidità della personalità, approfondirà e amplie­ rà la sua esperienza emotiva. Con la DPHP non intendiamo occuparci di tutti i conflitti e di tutte le aree di funzionamento disadattivo del paziente, quanto piuttosto concentrarci sulle aree di conflitto e di rigidità associate ai problemi riportati da quest'ultimo e sugli obiettivi di cura concordati con il terapeuta. I tempi necessari per svolgere questo lavoro sono difficili da prevedere e variano moltissimo, a seconda del grado di rigidità delle difese del paziente, delle capacità del terapeuta e della prontezza e abilità del soggetto in termi­ ni di autoosservazione. Pertanto non possiamo dire al lettore se un partico­ lare intervento avverrà nel corso della quarta o della quarantesima seduta. Offriamo invece una serie di tecniche, basate su principi clinici fondamen­ tali e su una progressione e uno svolgimento standard del trattamento. Per consentire al lettore di imparare a utilizzare un trattamento di questo tipo ­ per certi versi, flessibile e variabile nell'andamento e di durata relativamente lunga - forniamo una descrizione chiara degli obiettivi, delle strategie, delle tattiche e delle tecniche di cura. Un terapeuta che comprende gli obiettivi e le strategie del trattamento, oltre al modello di funzionamento mentale e al cambiamento terapeutico su cui si basa la cura, si colloca nella posizione migliore possibile per curare il paziente in modo efficace. Rigidità della personalità, conflitti inconscP e relazioni oggettuali interiorizzate nella DPHP

Nell'ambito di un quadro di riferimento psicodinamico, si ritiene che i con­ flitti psicologici siano organizzati intorno a potenti desideri, bisogni o paure, l. li termine inconscio fu utilizzato da Sigmund Freud per indicare aspetti dell'esperienza psi­ cologica totalmente inaccessibili alla coscienza. In tale contesto, esso sottolinea il ruolo della re­ pressione e delle relative difese nella vita psicologica. Tuttavia, in questo volume, usiamo il termine in modo più generale, per indicare tutti gli aspetti dell'esperienza psicologica attualmente scissi in modo difensivo dalla consapevolezza. Pertanto, quando ricorriamo al termine inconscio ci riferia­ mo non soltanto agli aspetti dell'esperienza interna che sono repressi, ma anche a pensieri, senti­ menti e percezioni che vengono selettivamente ignorati o il cui significato è negato o disconosciuto.

3

INTRODUZIONE

fortemente investiti dal soggetto, che vengono indicati con l'espressione mo­ tivazioni conflittuali. Tra quelle che sono più spesso implicate in un conflitto vi sono le motivazioni legate a desiderio sessuale, rabbia, sadismo, rivalità, potere, autonomia e considerazione di sé, come pure il desiderio di essere amati, ammirati o accuditi. Nel modello psicodinamico, le motivazioni con­ flittuali non raggiungono la consapevolezza, poiché la loro espressione sa­ rebbe dolorosa o minacciosa e provocherebbe sensazioni sgradevoli, quali ansia, senso di colpa, paura, depressione o vergogna. Il soggetto potrebbe pensare, per esempio, "Quando sono meschino, divento una persona catti­ va" oppure "Se mi rivolgerò a qualcuno per ricevere amore e sostegno, mi umilierà" . Le operazioni difensive che intervengono per tenere queste moti­ vazioni potenzialmente minacciose al di fuori della consapevolezza conscia introducono rigidità nel funzionamento della personalità. Le motivazioni conflittuali possono essere concettualizzate in termini di rappresentazioni di relazioni desiderate, necessarie o temute, o modelli re/azionali interiorizzati (Kernberg, 1 992 ) . Nell'esempio precedente, " es­ sere meschino" può essere esperito in termini di un Sé ostile che attacca e danneggia una persona meno forte, mentre il desiderio di essere oggetto di cura può essere rappresentato come un Sé felice e dipendente accudito da una madre affettuosa. In questo modo è possibile capire la rigidità del­ la personalità che deriva dal conflitto psicologico, in termini di esigenza di respingere la consapevolezza di rappresentazioni relazionali interiorizzate, dolorose e minacciose, e degli stati affettivi a esse associati. Nella teoria delle relazioni oggettuali psicodinamiche, le rappresentazio­ ni relazionali interiorizzate sono viste come organizzatori essenziali del fun­ zionamento psicologico e sono indicate con il termine di relazioni oggettuali interne, concettualizzate in termini di rappresentazioni del sé che interagi­ sce con un'altra persona (cui ci si riferisce con il termine oggetto),2 collegata a un particolare stato affettivo. È interessante osservare che altre discipline hanno sviluppato concetti molto simili: la teoria dell'attaccamento sottoli­ nea l'importante ruolo svolto dai modelli operativi interni come organizza­ tori dell'attività mentale (Bretherton, 1995; Fonagy, 200 1 ) ; la teoria cogni­ tivo-comportamentale fa riferimento agli schemi cognitivi (Beck et al. , 1 979; Clark et al. , 1999) ; e le neuroscienze cognitive considerano queste strutture come " reti neurali associative" (Gabbarci, 200 1 ; Westen, Gabbarci, 2002) . Kernberg ( 1 976) suggerisce che le relazioni oggettuali interne siano de­ rivate da interazioni emotivamente investite con gli Altri significativi, inte­ riorizzate durante lo sviluppo e organizzate in modo da formare strutture di memoria durature. In questo contesto, il termine struttura si riferisce a un 2. Nella terminologia psicoanalitica, la parola oggetto è utilizzata, per motivi storici e in mo­ do piuttosto infelice, per indicare una persona con la quale il soggetto ha una relazione. In ma­ niera analoga, il termine oggetto interno si riferisce alla rappresentazione o presenza di un Altro nella mente del soggetto.

4

INTRODUZIONE

modello di funzioni psicologiche stabile, attivato ripetutamente e durevo­ le, che organizza il comportamento, le percezioni e l'esperienza soggettiva dell'individuo. Sebbene siano modellate sulla base delle relazioni passate, le relazioni oggettuali interne non hanno necessariamente una corrispon­ denza uno-a-uno con le interazioni precedenti reali con gli Altri significativi. Al contrario, le rappresentazioni interne di sé e degli Altri sono viste come riflesso di una combinazione di aspetti effettivi (interpersonali) e fantasti­ cati di relazioni passate, e come difese in relazione a entrambi gli aspetti. Sebbene tendano a essere relativamente stabili nel tempo, le relazioni og­ gettuali interne sono potenzialmente modificabili. Strategie, tattiche e tecniche della DPHP

Le strategie di un trattamento sono i principi dominanti che organizzano la terapia come un insieme, per raggiungere gli obiettivi di cura. Nella DPHP, la strategia principale utilizzata per riuscire a ridurre la rigidità della per­ sonalità consiste nel portare in terapia i modelli relazionali interiorizzati al­ la base dei problemi esposti dal paziente, in modo da poterli identificare, esplorare e risolvere. Nella DPHP, i modelli relazionali conflittuali vengono elaborati nel contesto delle relazioni importanti per il paziente in corso in quel momento, compreso il rapporto con il terapeuta. L' intera procedura si basa sull'insight e sulle funzioni di contenimento della relazione con il clinico. Il setting terapeutico e il rapporto psicoterapeutico sono studiati appositamente per promuovere l'emergere dei conflitti inconsci e dei mo­ delli relazionali a livello conscio. Le tattiche sono i principi utilizzati dal terapeuta per decidere in ogni seduta quando, dove e come intervenire. Nella DPHP, il terapeuta identifi­ ca, in ogni seduta, la questione affettivamente dominante espressa nella comunicazione verbale e non verbale del paziente, integrata dalla propria esperienza emotiva relativa alle interazioni con lui. Una volta identificata la questione affettivamente dominante, o "tema prioritario ", il terapeuta la collega al conflitto inconscio prevalente rappresentato da questo tema e de­ scrive rappresentazioni di sé e dell'altro associate al conflitto. Dopo essere stato definito, il conflitto viene sistematicamente esplorato, passando da­ gli aspetti consci dell'esperienza ad aspetti meno accessibili alla coscienza e dalle difese ai modelli relazionali conflittuali sottostanti. Non appena un conflitto viene focalizzato, il terapeuta lo interpreta in relazione ai proble­ mi esposti dal paziente e agli obiettivi di cura. In ogni sessione di DPHP, la questione affettivamente dominante può ri­ siedere nel rapporto con il terapeuta o in una relazione con qualcun altro. Con il progredire del trattamento, spesso si assiste a un aumento dell' at­ tenzione per il rapporto con il terapeuta, fenomeno che può essere legato ad altre relazioni importanti, passate e presenti. Questo triangolo (Malan, 5

INTRODUZIONE

198 1 ) , che comprende transfert, relazioni attuali e relazioni importanti del passato evolutivo, si trasforma in una finestra sugli attuali rapporti ogget­ tuali interni e sui conflitti inconsci del paziente. Le tecniche sono gli strumenti che il terapeuta utilizza per interagire con il paziente - i metodi specifici usati dal terapeuta, momento per momento in ogni seduta, quando ascolta il paziente e quando interviene. Le tecniche utilizzate dal terapeuta DPHP sono il contenimento, il ricor­ so al controtransfert, l'analisi delle resistenze, l'interpretazione dei conflitti psicologici e una particolare forma di " ascolto" psicoterapeutico. La DPHP non ricorre a tecniche supporti ve, quali incoraggiamenti o consigli, poiché il loro utilizzo costituisce una deviazione rispetto alla neutralità tecnica.

QUALI TRATTAMENTI PER QUALI PAZIENTI? I pazienti con patologia della personalità di alto livello hanno una prognosi favorevole ed è probabile che beneficino di diversi tipi di trattamento psi­ codinamico, che variano da terapie supportive o focali a breve termine, a un estremo dello spettro, fino alla psicoanalisi, all'estremo opposto. I tratta­ menti supportivi e focali su base psicodinamica si concentrano su un sollie­ vo dei sintomi relativamente rapido, mentre di solito la trasformazione della personalità di base non rientra negli obiettivi. Al contrario, scopo della psi­ coanalisi è la modifica della personalità del paziente in modo relativamente globale, fornendo la possibilità di esaminare tutte le aree principali di con­ flitto inconscio, nel corso di un trattamento intensivo che dura diversi anni. Come la psicoanalisi, il trattamento descritto in questo manuale è studia­ to per modificare la rigidità della personalità. Tuttavia, esso si differenzia dalla psicoanalisi, poiché si prefigge la focalizzazione su aree specifiche di conflitto e non si basa tanto sull'interpretazione del transfert, come avviene invece per la psicoanalisi. Queste modifiche degli obiettivi e della tecnica psicoanalitica standard sono compatibili con un trattamento di minore du­ rata (generalmente da l a 4 anni) e di minore intensità (sedute bisettimanali) . I pazienti con patologia della personalità di alto livello che soffrono an­ che di disordine affettivo o ansia possono beneficiare delle terapie cogniti­ vo-comportamentali e interpersonali (CBT, IPT) come pure della psicoterapia psicodinamica a breve termine (sTDP; Lambert, Ogles, 2004 ) , oltre che dei farmaci. Questi trattamenti sono stati studiati espressamente per trattare i disturbi di ansia e la depressione. Le STDP sono terapie limitate nel tempo, basate su principi psicodinamici organizzati intorno a un sintomo, conflit­ to o modello relazionale specifico. Sia la CBT sia l'IPT sono trattamenti non psicodinamici focalizzati sui modelli di risposta del soggetto a stimoli am­ bientali di diverso tipo. Le terapie cognitivo-comportamentali sono incen­ trate sui comportamenti ripetitivi e sui modelli cognitivi disadattivi, che si 6

INTRODUZIONE

propongono di modificare. La psicoterapia interpersonale è incentrata sui modelli interpersonali disadattivi e si propone di modificare e migliorare i rapporti interpersonali attuali del paziente. Il problema relativo a quali forme di psicoterapia siano più adatte per un dato paziente è importante e controverso. In base alla nostra esperien­ za, quando vengono esaminati pazienti con diagnosi di patologia della per­ sonalità, la decisione è spesso offuscata dalla confusione tra progetti che mirano ad alleviare i sintomi e altri che si propongono di migliorare i tratti della personalità disadattiva. Poiché molti - per non dire la maggior par­ te- dei pazienti con patologia della personalità di alto livello si presentano inizialmente per ottenere un sollievo dai sintomi, occorre riflettere attenta­ mente sugli obiettivi terapeutici. È importante formulare un piano di cura compatibile con gli obiettivi del paziente e il terapeuta deve assicurarsi che quest'ultimo capisca a fondo e sostenga il piano di cura prima di iniziare il trattamento. Nella formulazione del piano occorre effettuare una distinzio­ ne fra trattamenti che mirano ad alleviare i sintomi e la DPHP, che si propone di migliorare le manifestazioni di rigidità della personalità. Non riteniamo che la DPHP sia il trattamento più efficace e migliore per molte delle patologie che, come i disturbi depressivi, l'ansia, l'abuso di so­ stanze, i disordini alimentari e la disfunzione sessuale, spingono il paziente a sottoporsi a una cura. Al tempo stesso, è chiaro che le terapie standard per questi disturbi non sono studiate per curare la struttura della persona­ lità sottostante, in cui è insita la patologia. Ne consegue che per i pazienti con patologia della personalità di alto livello che si presentano con sintomi per i quali esistono cure note, la cui efficacia è documentata, l'ottimizza­ zione del trattamento comporterà una discussione esplicita degli obiettivi e una chiara comprensione di ciò che le terapie disponibili possono offri­ re. Spesso l'abbinamento di una cura sintomatica e DPHP, in modo sequen­ ziale o concomitante, costituisce la soluzione più pratica e il piano di cura migliore per rispondere alle esigenze di questi pazienti. Dell'abbinamento della DPHP con la gestione farmacologica e altre forme di terapia parleremo nel capitolo 1 1 di questo manuale. Non tutti i pazienti con patologia della personalità che si presentano per chiedere aiuto sono interessati a un trattamento relativamente a lungo ter­ mine e intensivo come la DPHP e alcuni soggetti con patologia della perso­ nalità relativamente lieve potrebbero non averne bisogno. La decisione re­ lativa all'intraprendere la strada della DPHP è personale e deve essere presa da ciascun paziente nel corso della consulenza con il terapeuta. Tuttavia, consigliamo la DPHP alla maggior parte dei pazienti che desiderano curare la patologia della personalità di alto livello. Riteniamo infatti che essa offra a una vasta gamma di pazienti la possibilità di modificare il funzionamento della personalità disadattiva in modo tale da migliorare in modo stabile la qualità della loro vita. 7

INTRODUZIONE

LETTURE CONSIGLIATE CLARKIN, J.O., YEOMANS, F. O., KERNBERG, O.F., Psychotherapy /or Borderline Personality. American Psychiatric Publishing, Washington (DC) 2006.

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SANDLER,]., SANDLER, A.M., Gli oggetti interni. Una rivisitazione. Tr. it. Franco Angeli, Milano 2009.

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PARTE PRIMA

Comprensione teorica della patologia de lla personalità di alto live llo

2 Approccio psicodinamico alla patologia della personalità

In questo capitolo illustriamo un approccio psicodinamico alla personalità e alla patologia della personalità, descriviamo la psicopatologia per il cui trattamento è stata studiata la psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP) e definiamo la popolazione di pazienti che, con maggiore probabilità, potranno beneficiare di questo tipo di trattamen­ to. Ci concentriamo in particolare sulla rigidità che caratterizza la patologia della personalità di alto livello, descriviamo la presentazione clinica della rigidità della personalità in questa popolazione di pazienti ed esploriamo lo spettro delle operazioni difensive a essa associate. Il capitolo si conclude con un'introduzione al conflitto inconscio e al rapporto tra conflitto incon­ scio e relazioni oggettuali interne nella patologia della personalità.

PERSONALITÀ E PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ Definizione di personalità e patologia della personalità

Il termine personalità indica l'organizzazione dinamica di modelli persi­ stenti di comportamento, cognizione, emozione, motivazione e modalità di relazionarsi con gli altri, caratteristici di ciascun individuo. La persona­ lità di un soggetto costituisce parte integrante della sua esperienza di Sé e del mondo - al punto tale che potrebbe avere difficoltà a immaginare di essere diverso. I modelli comportamentali, cognitivi, emotivi e delle rela. zioni interpersonali, organizzati in modo da comprendere la personalità di un individuo, sono indicati con il termine tratti della personalità. I clinici psicodinamici parlano a volte di carattere e tratti del carattere per indica­ re quegli aspetti della personalità che sono determinati in modo predomi­ nante da fattori psicologici ed evolutivi, in contrapposizione con quelli che riflettono fattori prevalentemente temperamentali. La descrizione della personalità deve comprendere: l) la natura e il livello di organizzazione dei tratti della personalità, 2 ) il grado di flessibilità o rigi­ dità con cui i tratti della personalità vengono attivati nelle diverse situazioni e 3) la misura in cui i tratti della personalità sono adattivi o interferiscono 11

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

con il funzionamento e causano disagio. La descrizione della personalità comprende inoltre: 4) la natura dei valori etici e degli ideali dell'individuo, oltre a 5 ) il suo modo abituale di adattarsi (o di non riuscire a adattarsi) agli stressors psicosociali. Questi elementi direttamente osservabili del funzio­ namento della personalità comprendono le peculiarità descrittive della per­ sonalità e della patologia della personalità di un individuo. Nella personalità normale, i tratti non sono estremi e vengono attivati in modo flessibile e adattativo alle diverse situazioni. In tale contesto, possia­ mo parlare di un individuo con uno " stile" di personalità particolare, per esempio ossessivo-compulsivo o istrionico, in assenza di psicopatologia. Man mano che i tratti della personalità diventano più estremi e vengono attivati in modo più inflessibile nelle diverse situazioni, passiamo da un fun­ zionamento normale della personalità a gradi crescenti di patologia della personalità, fino ad arrivare al livello più grave dello spettro, in cui i tratti divengono evidentemente disadattivi e dirompenti. Indipendentemente dal fatto che sia abbastanza lieve o più grave, la patologia della personalità è per definizione associata a un certo livello di disturbo emotivo e/o impedi­ mento nel funzionamento sociale o occupazionale, è relativamente stabile nel tempo e compare all'inizio dell'età adulta. Scopo della DPHP è occuparsi degli aspetti della personalità di origine prevalentemente psicologica, che riflettono l'attivazione rigida e disadattiva delle operazioni difensive del paziente. È tuttavia importante osservare che non tutte le rigidità di personalità sono determinate da fattori psicologici. Al contrario, molti aspetti della personalità, quali per esempio la timidez­ za o la ricerca di stimoli, riflettono fattori temperamentali su base genetica. Inoltre, alcuni tratti che apparentemente indicano una rigidità di caratte­ re, come per esempio una visione depressiva o la tendenza a elucubrazioni ansiose, possono in realtà essere espressione di una malattia affettiva non diagnosticata o di un disturbo d'ansia. Descrizione psicodinamica della personalità e della patologia della personalità

Da un punto di vista psicodinamico, la descrizione completa della patolo­ gia della personalità deve comprendere: l) le caratteristiche descrittive del disturbo, 2 ) una formulazione riguardante l'organizzazione strutturale al­ la base delle caratteristiche descrittive e 3 ) una teoria relativa alla psicodi­ namica del paziente, che conferisca significato alle peculiarità descrittive e strutturali della sua personalità. La valutazione delle caratteristiche de­ scrittive fornisce informazioni riguardo ai problemi e ai sintomi lamentati, ai tratti della personalità disadattiva e ai rapporti con gli Altri significativi e può essere usata per formulare una diagnosi descrittiva (vale a dire il tipo di diagnosi fornito dal DSM-IV-TR [APA, 2000]) . La formulazione strutturale 12

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA

(illustrata qui di seguito e anche al capitolo 9, "Valutazione del paziente e pianificazione del trattamento differenziale" ) fornisce informazioni riguar­ do alla gravità della patologia della personalità attraverso la lente dell' espe­ rienza, da parte dell'individuo, di Sé e degli Altri significativi, dei rappor­ ti oggettuali, delle operazioni difensive e dell'esame di realtà (Kernberg, 1984). Le due valutazioni, descrittiva e strutturale, offrono al clinico un quadro chiaro delle difficoltà oggettive e soggettive del paziente e forni­ scono le informazioni necessarie per formulare una diagnosi e guidare la pianificazione del trattamento. Sebbene le valutazioni descrittiva e strutturale siano sufficienti per for­ mulare una diagnosi, la descrizione psicodinamica completa della psico­ patologia comprende anche la comprensione delle motivazioni inconsce e dei conflitti psicologici alla base del disturbo. Questo perché i modelli psi­ codinamici della mente e il trattamento abbracciano l'idea che gran parte di ciò che le persone fanno e sentono sia motivato in modo inconscio. È scoprendo i conflitti inconsci alla base dei sentimenti e dei comportamenti manifesti del soggetto che il terapeuta psicodinamico attribuisce un signi­ ficato alle difficoltà apparentemente irrazionali che inducono il paziente a sottoporsi al trattamento, ed è attraverso l'esplorazione e l'elaborazione dei significati e delle motivnioni nascoste che il terapeuta psicodinamico aiuta il paziente a sviluppare una maggiore flessibilità e un miglior adattamento.

PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO n trattamento descritto in questo manuale è studiato per trattare la rigidità

della personalità, che si manifesta attraverso tratti della personalità rigidi e disadattivi con i relativi sintomi, in pazienti che presentano quella che de­ finiamo patologia della personalità di alto livello. Nella sezione che segue delineiamo questa popolazione di pazienti da tre punti di vista differenti. Iniziamo con le considerazioni diagnostiche, poi elaboriamo le caratteristi­ che descrittive della patologia della personalità di alto livello, concentran­ doci sul ruolo dei tratti della personalità disadattivi, e infine discutiamo del modo in cui questo gruppo di pazienti può essere definito utilizzando l' ap­ proccio psicodinamico strutturale per classificare la patologia della perso­ nalità di Kernberg (1984) . Caratteristiche diagnostiche della patologia della personalità di alto livello

I pazienti per il cui trattamento è stata studiata la DPHP costituiscono una sotto-popolazione relativamente sana tra gli individui affetti da patologia della personalità. Sebbene alcuni rispondano ai criteri di un disturbo di 13

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO

personalità DSM-IV-TR, molti non rientrano invece in questa categoria. Al contrario, la maggior parte dei pazienti con patologia della personalità di alto livello presenta una patologia della personalità DSM-IV-TR clinicamente significativa, ma "sotto-soglia" dal punto di vista diagnostico o, in alterna­ tiva, una patologia scarsamente coperta nel DSM-IV-TR Asse II. L'Asse II del DSM-IV-TR fornisce diagnosi categoriali per i disturbi della personalità. Per ciascuno di essi sono elencati i tratti della personalità che tendono a raggrupparsi in costellazioni familiari come criteri diagnostici, e la diagnosi di un particolare disturbo viene formulata quando il soggetto risponde a un numero preciso di criteri (per esempio, cinque su nove per il disturbo della personalità borderline) . n punto limite per diagnosticare un certo tipo di disturbo della personalità è in qualche modo arbitrario (se, cioè, un soggetto risponde a x criteri ha un disturbo della personalità, se ri­ sponde a x-l criteri non ha tale disturbo) e la task force DSM-IV ha seleziona­ to soglie diagnostiche relativamente alte (Widiger) . Il risultato è che molte forme più lievi di disturbo della personalità e di patologia della personalità sono scarsamente rappresentate nell'Asse II del DSM-IV-TR. La scarsa coper­ tura rispetto a varie forme di patologia della personalità fornita dall'attuale classificazione del DSM Asse II è stata oggetto di attenzione in altra sede (We­ sten, Arkowitz-Westen, 1998; Widiger, Mullins-Sweatt, 2005 ) . È dimostrato che la patologia della personalità di alto livello è comune e clinicamente significativa. Westen e Arkowitz-Westen (1 998) hanno seguito un campione di 238 praticanti psichiatri e psicologi, i quali hanno riferito che per il 60% dei pazienti con patologia della personalità clinicamente signifi­ cativa non poteva essere effettuata la diagnosi utilizzando la classificazione DSM-IV-TR. E stato inoltre dimostrato che i livelli sotto-soglia dei disturbi di personalità rappresentati nel DSM compromettono la salute mentale e l'adat­ tamento sociale (Skodol et al., 2005; Widiger, 1993 ) . La ricerca che considera la patologia della personalità come un continuum rispetto ai tratti di perso­ nalità normali suggerisce che persino il funzionamento della personalità di­ sadattivo per qualche aspetto isolato può influenzare negativamente l'adat­ tamento e la qualità della vita (Costa, Widiger, 1994; Kendler et al., 2004 ) . Alcuni pazienti con patologia della personalità d i alto livello rispondo­ no ai criteri di almeno uno dei disturbi di personalità del DSM-IV-TR (Ta­ bella 2 . 1 ) . Tabella 2.1

Disturbi di personalità personalità di livello superiore.

DSM-IV-TR diagnosticati i n p azienti con disturbo della

Disturbo di personalità evitante Disturbo di personalità dipendente Disturbo di personalità depressivo (criteri di ricerca) Disturbo di personalità istrionico Disturbo di personalità ossessivo-compulsivo

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APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

Nello specifico, il disturbo di personalità compulsivo-ossessivo del DSM­ quello depressivo descritto nell'Appendice B del DSM-IV-TR e il sotto­ gruppo di pazienti relativamente ad alto funzionamento con disturbo del­ la personalità DSM-IV-TR istrionico, evitante e dipendente costituiscono un gruppo di disturbi della personalità di livello superiore nell'ambito del si­ stema di classificazione DSM-IV-TR. Altri pazienti con patologia della perso­ nalità di alto livello presentano una vasta gamma di tratti della personalità elencati nel DSM-IV-TR Asse n, ma in numero insufficiente per rispondere ai criteri diagnostici di un disturbo di personalità. A questi pazienti può esse­ re diagnosticato un disturbo della personalità " sotto-soglia" in base all'at­ tuale sistema DSM oppure si possono diagnosticare " tratti" di disturbo di personalità nel caso in cui siano presenti soltanto alcuni dei criteri elencati (Oldham, Skodol, 2000). Infine, molti pazienti affetti da patologia della per­ sonalità di alto livello presentano tratti della personalità disadattivi descritti in modo insufficiente nell'attuale sistema diagnostico DSM-IV-TR, ma comu­ nemente riscontrati nella pratica clinica. Tra questi includiamo problemi con le relazioni intime e con l'impegno, la timidezza, la bassa autostima, la svalutazione degli altri e l'inibizione in ambito lavorativo. Il Manuale Diagnostico Psicoanalitico (PDM Task Force, 2006) presenta un approccio psicoanalitico contemporaneo alla patologia e ai disturbi della personalità ed espone una prospettiva dimensionale al riguardo, condivisa da numerosi clinici psicoanalitici. Il PDM fornisce inoltre una descrizione psicodinamicamente orientata dei disturbi di personalità identificati più frequentemente. Nell'ambito di questo quadro diagnostico psicoanalitico, molti pazienti affetti da patologia della personalità di alto livello rientrano nel gruppo dei "disturbi di personalità nevrotica" . Questi ultimi costituì­ scono una classe di disturbi di personalità relativamente lievi, in un conti­ nuum con la personalità normale, ma caratterizzati da stili di personalità eccessivamente rigidi. I disturbi di personalità nevrotica descritti più fre­ quentemente sono il disturbo ossessivo e/o compulsivo, il disturbo isterico (una versione con un miglior funzionamento e meno estrema del disturbo di personalità istrionico) e il disturbo depressivo o depressivo-masochistico . (PDM Task Force, 2006). IV-TR,

Caratteristiche descrittive della patologia della personalità di alto livello

Il fenomeno cruciale e osservabile, associato alla patologia della personalità di alto livello, è l'inflessibilità o rigidità. La rigidità della personalità si ma­ nifesta come un insieme di tratti o come un particolare " stile" di persona­ lità, attivato in modo inflessibile in una serie di situazioni. La rigidità della personalità può anche essere causa di sintomi psicologici. Quando parlia­ mo di rigidità nell'ambito della patologia della personalità, sottintendiamo 15

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

che i tratti della personalità sono in qualche modo disadattivi o causa di di­ sagio per l'individuo che ne è affetto e/o per le persone che lo circondano. Quando sono rigidi, i tratti della personalità sono attivati in modo auto­ matico e ripetuto, indipendentemente dal fatto che siano adattivi o adeguati a una determinata situazione. Inoltre, gli sforzi per sopprimerli o modifi­ carli consciamente di solito generano ansia. I tratti della personalità sono compatibili e stabili nelle situazioni e nel tempo e resistono ai cambiamenti, all'esperienza, all'apprendimento, alle nuove circostanze o scelte. All ' estre­ mità meno grave dello spettro, questi tratti della personalità possono essere egosintonici; sebbene siano visibili per gli altri, essi risultano invisibili alle persone che li manifestano. Nei casi più gravi di rigidità della personalità, tali tratti sono apertamente patologici e spesso l'individuo avverte che alcuni di essi interferiscono con la risposta alle richieste ambientali e alle esigenze interiori. Ciononostante, anche quando è consapevole e disturbato dai trat­ ti della personalità disadattivi, egli può scoprire di non essere in grado di modificarli e al contrario, può guardare se stesso continuare a commettere gli stessi errori più e più volte, malgrado i consigli e tutti gli sforzi possibili. Oltre ai tratti della personalità disadattivi, la patologia della personalità di alto livello può essere associata a una vasta gamma di sintomi, tra cui sintomi fisici, disturbi dell'umore, del pensiero e attivazione anomala o inibizione del comportamento. Esempi comuni di sintomi fisici che possono derivare da cause psicologiche sono la fatica psicogenica, i disturbi di conversione e la disfunzione erettile. I sintomi emotivi comprendono ansia e depressione di basso grado. I sintomi cognitivi comuni che possono accompagnare la rigidità della personalità sono timori ipocondriaci e sentimenti compulsivi e intrusi­ vi di rimpianto. I disturbi comportamentali comprendono invece inibizione sessuale e l' evitamento di situazioni che possono generare ansia. Caso clinico di rigidità della personalità Un ragazzo amava sentirsi piacevole e cercava di essere apprezzato nelle sue inte­ razioni con gli altri. Non era pienamente consapevole di questi tratti della persona­ lità e sicuramente non li viveva come un problema, fino a che, diventato avvocato, gli fu detto durante una valutazione sul lavoro, che doveva essere più aggressivo nell'aula di tribunale. Il giovane decise quindi di modificare il proprio comporta­ mento e ogni giorno, prima di entrare in aula, si ripeteva che avrebbe agito con maggior aggressività. Tuttavia, davanti a un avversario si sentiva immancabilmente ansioso, poiché sapeva che si sarebbe ritrovato a comportarsi nel suo solito modo affabile e conciliante.

Caratteristiche strutturali della patologia della personalità di alto livello

Il modello di psicopatologia e trattamento descritto in questo manuale è de­ rivato dalla teoria dei disturbi di personalità sviluppata da Kernberg ( 1 975, 1 976, 1 980, 1 984 , 1992 , 2004a, 2004b) , basata sulla teoria psicodinamica 16

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

delle relazioni oggettuali. L'approccio di Kernberg alla personalità è in­ centrato sulle " strutture" psicologiche che si ritiene siano alla base del­ le caratteristiche descrittive del normale funzionamento e della patologia della personalità. In un quadro di riferimento psicodinamico, le strutture psicologiche sono concettualizzate come modelli stabili e duraturi di fun­ zionamento psicologico, che vengono attivati ripetutamente in particola­ ri circostanze. Le strutture psicologiche organizzano il comportamento, le percezioni e l'esperienza soggettiva. Nel modello di Kernberg, le relazioni oggettuali interiorizzate (presen­ tate nel capitolo l, al paragrafo " Visione di insieme della DPHP"), ciascuna delle quali comprende una rappresentazione del sé che interagisce con la rappresentazione di un'altra persona ed è associata a un particolare stato affettivo, sono le strutture psicologiche di base. Kernberg suggerisce che gruppi di relazioni oggettuali interiorizzate, che servono le funzioni corre­ late, siano organizzate in modo da formare strutture psicologiche di ordine superiore. Egli si concentra in particolare sull'identità, la struttura psicolo­ gica di grado superiore responsabile del senso di Sé dell'individuo e anche del suo senso degli Altri significativi (Kernberg, 2006). Kernberg contrap­ pone l'identità normale alla formazione dell'identità patologica che, sul­ le tracce di Erikson ( 1 956), definisce sindrome della diffusione di identità (Akhtar, 1992 ) . Nell'identità normale, le relazioni oggettuali interiorizzate sono integrate e organizzate in modo da comprendere un senso di sé stabile e coerente, in cui diversi aspetti della propria esperienza sono attivati in modo fluido nel­ le varie situazioni e stati emotivi. Nell'ambito dell'identità normale, anche l'esperito degli Altri significativi è relativamente ben integrato e stabile per l'individuo, che ha la capacità di mettere insieme diversi aspetti di un'altra persona in modo da inglobare un'immagine dell'Altro coerente e "intera" . Al contrario, nella sindrome della diffusione di identità, le relazioni ogget­ tuali interiorizzate responsabili del senso di sé e degli Altri significativi so­ no scarsamente integrate e solo parzialmente organizzate l'una in relazione all'altra. Il risultato, per quanto concerne la formazione dell'identità, è una serie relativamente incoerente e instabile di esperienze di sé contradditto­ rie , in assenza di un senso di sé " centrale" , integrato e coerente. Nel conte­ sto della diffusione di identità, anche l'esperito degli Altri significativi è per l'individuo scarsamente integrato, frammentato e instabile. Kernberg divide l'universo della patologia della personalità in due grup­ pi principali di disturbi o "livelli di organizzazione della personalità" , in base alla gravità della patologia strutturale. Al livello meno grave, i pazien­ ti sono caratterizzati da rigidità della personalità disadattiva nel setting di un'identità normale, mentre al livello più grave, essi presentano una rigidità , della personalità estrema e fortemente disadattiva nel setting di una pato­ logia di identità clinicamente significativa. 17

COMPRENSIONE TEORJCA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Tabella 2.2

Diagnosi strutturale: tre livelli di organizzazione della personalità.

Livello di organizzazione della personalità Nevrotica Normale Identità Difese

Borderline

Consolidata

Consolidata

Scarsamente consolidata

Predominio delle difese mature

Predominio delle difese basate sulla repressione

Predominio delle difese basate sulla scissione

Rigidità

Adattamento flessibile

Rigidità

Rigidità grave

Esame di realtà

Intatto e stabile

Intatto e stabile

Essenzialmente intatto, ma si deteriora nel setting dell'intensità affettiva La capacità di leggere con precisione gli stati interiori degli altri è compromessa

Kernberg effettua inoltre una distinzione tra pazienti con identità norma­ le, o consolidata, e pazienti con un disturbo di identità, in base alla natura delle loro operazioni difensive dominanti e alla stabilità del loro esame di realtà (Tabella 2.2). In breve, nel gruppo più sano riscontriamo la rigidità della personalità disadattiva nel setting di: l) un'identità normale, 2 ) una predominanza delle operazioni difensive, basate sulla rimozione, 1 di livello superiore e 3 ) un esame di realtà intatto. Queste caratteristiche definiscono il "livello nevrotico di organizzazione della personalità" (NPO) nel sistema di classificazione di Kernberg. Nel gruppo più grave, i pazienti presenta­ no una rigidità della personalità fortemente disadattiva nel setting di: l) un disturbo di identità clinicamente significativo, 2 ) una predominanza delle operazioni difensive, basate sulla scissione, di livello inferiore e 3 ) un esame di realtà variabile, nel quale le verifiche ordinarie risultano sostanzialmente intatte, ma la capacità più sottile di percepire con precisione gli stati inte­ riori degli altri risulta compromessa. Queste caratteristiche definiscono il "livello borderline dell'organizzazione della personalità" (BP0).2 Sebbene la Tabella 2 .2 presenti la classificazione di Kernberg dei livel­ li nevrotico e borderline di organizzazione della personalità in un formato categoriale, in pratica questo sistema diagnostico prevede una valutazione l. Discuteremo della classificazione delle operazioni difensive e del ruolo della rimozione e delle difese basate sulla scissione nella patologia della personalità in una parte successiva di que­ sto capitolo. 2. Desideriamo effettuare una chiara distinzione tra il disturbo di personalità borderline (BPD) DSM-IV-TR e il livello borderline di organizzazione della personalità (BPO ). Il BPD è un disturbo di personalità specifico, diagnosticato sulla base di una costellazione di caratteristiche descrittive, mentre il BPO è una categoria molto più ampia, basata su peculiarità strutturali - in particolare la patologia della formazione di identità. La diagnosi di BPO sussume il BPD DSM-IV-TR, come pu­ re tutti i disturbi di personalità gravi. Per un ulteriore chiarimento del rapporto tra le categorie diagnostiche DSM-IV-TR Asse n e il livello di organizzazione della personalità, rimandiamo il let­ tore alla Figura 2 . 1 .

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APPROCCIO PS!CODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

dimensionale del disturbo di personalità. All'estremità più sana dello spet­ tro si trovano gli individui con un'identità normale, difese di livello preva­ lentemente superiore ed esame di realtà stabile, mentre all'estremità oppo­ sta si collocano i soggetti affetti da patologia di identità grave, con difese di livello prevalentemente più basse ed esame di realtà incerto. Nel mezzo troviamo una gamma di psicopatologie. Ciò equivale a dire che la classifi­ cazione di Kernberg è concettualizzata con maggior precisione come de­ scrittiva di uno spettro continuo della patologia della personalità, basato sulla patologia della formazione dell'identità, sulle operazioni difensive e sull'esame di realtà. Ne consegue che la linea di demarcazione tra i livelli di organizzazione della personalità nevrotico e borderline non è categorica ed esistono pazienti con un disturbo di identità molto lieve, che presenta­ no caratteristiche miste. li sistema di classificazione di Kernberg, basato sulla gravità della pato­ logia delle relazioni oggettuali, può essere abbinato al DSM-IV-TR Asse n per collocare la patologia della personalità in uno spazio bidimensionale, come illustrato nella Figura 2 . 1 . La patologia della personalità di alto livello, così come lo abbiamo definito, corrisponde al livello nevrotico dell'organizza._ I NTROVERSO

Patologia della personalità di livello superiore

ESTROVERSO �

Livello nevrotico di organizzazione della personalità

Alto livello borderline d i organizzazione della personalità

Psicosi tipica

ESTREMA GRAVITÀ

Rapporto tra livello eli organizzazione della personalità e diagnosi DSM- IV-TRAsse IL La gravità varia da minima, in alto nel diagramma, a estremamente alta, nella parte bassa della figura. Le frecce verticali inclicano la gamma di gravità per ciascun disturbo di perso­ nalità DSM-IV-TR.

Figura 2.1

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COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

zione della personalità di Kernberg, e anche alla patologia della persona­ lità che si colloca nel punto di transizione tra i livelli NPO e BPO (pazienti, cioè, con una patologia dell'identità lieve, che si basa su una combinazione di difese di livello superiore e inferiore) . Al contrario, la maggior parte dei pazienti con disturbi di personalità DSM-IV-TR rientra nel livello di organiz­ zazione della personalità borderline di Kernberg. Identità nel setting clinico

L'identità normale è associata a un esperito di Sé e degli Altri significativi costante nel tempo e nelle situazioni e alla capacità di apprezzare le peculia­ rità e l'esperienza interiore degli altri in un modo che comunica complessità, sottigliezza e profondità. L'identità normale è associata inoltre alla capacità di investire, nel tempo, in interessi professionali, intellettuali e ricreaziona­ li e di " conoscere la propria mente" in relazione ai propri valori, opinioni, gusti e convinzioni. Il trattamento descritto in questo manuale è rivolto ai pazienti che presentano una patologia della personalità nell'ambito di un'i­ dentità relativamente ben consolidata. La nostra tecnica psicoterapeutica si basa sul fatto che il paziente disponga delle capacità psicologiche essenziali associate al consolidamento di identità, che possono risultare compromes­ se in pazienti con disturbo di identità clinicamente significativo. Tra queste includiamo l'attitudine a impegnarsi e a investire in un trattamento a lun­ go termine, la capacità relativamente ben sviluppata di autoosservazione e autoriflessione e l'abilità di stabilire e mantenere un rapporto terapeutico con relativa facilità, valutare la natura simbolica del pensiero e controllare adeguatamente gli impulsi. I pazienti con disturbo di identità clinicamente significativo mostrano un esperito decisamente diverso di se stessi e del mondo. Il disturbo di iden­ tità clinicamente significativo è associato al senso di Sé e a un'esperienza degli Altri significativi frammentata e instabile nel tempo e nelle diverse situazioni. L'esperito soggettivo degli altri da parte dell'individuo tende a essere scarsamente differenziato, poiché manca di sottigliezza e profondi­ tà, e più o meno polarizzato ( ''bianco e nero " ) e/o superficiale. I gusti, le opinioni e i valori sono fluttuanti, solitamente attinti da altri nell'ambiente e possono mutare facilmente e in modo radicale, con variazioni nel mez­ zo. Il soggetto con disturbo di identità spesso non ha la capacità di "legge­ re" con precisione gli altri e può non essere in grado di rispondere con tat­ to e adeguatamente a stimoli sociali impercettibili. L'identità scarsamente consolidata è associata di solito alla carenza di investimenti significativi in obiettivi professionali, intellettuali e ricreativi. Sebbene sia più evidente nel disturbo di personalità borderline DSM-IV-TR, una certa patologia dell'iden­ tità caratterizza tutti i disturbi di personalità gravi. Nel setting clinico, la patologia dell'identità è tipicamente associata a un tasso elevato di abban20

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

dono del trattamento, a una scarsa capacità autoriflessiva, alla difficoltà nel mantenere un'alleanza terapeutica, alla tendenza al pensiero concreto con la possibilità di una compromissione temporanea dell'esame di realtà e alla tendenza all'acting out impulsivo.

RIGIDITÀ DELLA PERSONALITÀ La patologia della personalità di alto livello esiste in un continuum con la personalità normale. In entrambi i gruppi riscontriamo un consolidamento dell'identità nel contesto di esami della realtà intatti e stabili. Tuttavia, men­ tre nella personalità normale il funzionamento della personalità è adattivo e flessibile, nella patologia di alto livello rileviamo una rigidità della perso­ nalità disadattiva. I tratti della personalità sono in parte formati da costellazioni di difese specifiche, che il soggetto tende a utilizzare in modo automatico e ripeti­ rivo in determinate circostanze. Il funzionamento adattivo e flessibile che si riscontra nella personalità normale riflette la flessibilità di operazioni di­ fensive "sane" o "mature" . In modo analogo, la rigidità che caratterizza la patologia della personalità di alto livello riflette l'inflessibilità relativa di operazioni difensive predominanti; oltre alle operazioni difensive flessibili e adattive caratteristiche della personalità normale, i soggetti con patologia della personalità di alto livello fanno affidamento su difese di " livello ne­ vrotico", basate sulla rimozione, abbinate a operazioni difensive " che di­ storcono l'immagine " , basate sulla scissione. Sono la stabilità relativa e l'in­ flessibilità delle difese nevrotiche e di distorsione dell'immagine, utilizzate nell'ambito del consolidamento dell'identità, le responsabili della rigidità di personalità di livello superiore. Al contrario, nella patologia della personalità più grave (vale a dire, il li­ vello borderline di organizzazione della personalità di Kernberg, che com­ prende la maggior parte dei disturbi di personalità DSM-IV-TR Asse n; vedere la Figura 2 . 1 ) troviamo la rigidità della personalità nel setting del disturbo di identità, caratterizzata da modelli di comportamento e tratti della per­ sonalità estremamente disadattivi, contraddittori, instabili e spesso social­ mente inadeguati. Tratti della personalità inibitori e reattivi

Nella patologia della personalità di alto livello, i tratti della personalità di­ sadattivi possono presentarsi sotto forma di inibizione dei comportamenti normali ( "modelli comportamentali inibitori" ) o di esagerazione di alcuni comportamenti (modelli comportamentali " reattivi " ) , con molti pazien­ ti che li mostrano entrambi. Nel caso dei tratti della personalità inibitori, 21

COMPREI':SIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LNELLO

notiamo l'assenza dei modelli di comportamento prevedibili o adeguati in una determinata situazione. Per esempio, un soggetto con conflitti riguardo all'aggressività competitiva potrebbe adottare un atteggiamento di generale passività, tanto nella vita personale quanto in quella professionale. È pro­ babile che questo individuo sia visto dagli altri come una persona debole e inaffidabile, che non " si farà avanti" neppure se sollecitata a farlo e anche se le piacerebbe. Nel caso dei tratti di personalità reattivi, assistiamo invece alla presenza di modelli comportamentali non necessariamente adeguati a una determinata situazione. Per ritornare al nostro esempio, invece di essere passivo, quello stesso soggetto potrebbe aver bisogno di controllare sempre tutto e tutte le persone con cui è in contatto. È probabile che trascorra molto tempo preoccupato e in ansia e potrebbe sorprendersi più volte nello sco­ prire che gli altri sono infastiditi dal suo comportamento controllante. Tut­ tavia, anche quando cerca di fare un passo indietro, scopre di non riuscirei. I tratti della personalità inibitori e reattivi riscontrati nella patologia del­ la personalità possono essere contrastati dai tratti sublimatori, tipici della personalità normale. Nella sublimazione, le motivazioni conflittuali vengo­ no dirette in modo adattivo e costruttivo, oltre che relativamente flessibi­ le, verso aree di funzionamento non conflittuali. Per ritornare all'esempio precedente, un soggetto con personalità normale potrebbe gestire i conflitti che implicano un'aggressività competitiva assumendo abitualmente un at­ teggiamento assertivo, efficace e deciso. È probabile che tale individuo sia ammirato dagli altri e sia visto come una persona di successo, sulla quale si può contare. Inoltre, negli ambiti in cui può essere inadeguato rivelarsi de­ cisi, la personalità normale sarà in grado di controllare i desideri di maggio­ re decisionalità e di modificare il proprio comportamento di conseguenza. Presentazione clinica di rigidità della personalità nella patologia della personalità di alto livello

La rigidità della personalità nel setting della patologia della personalità di alto livello si manifesta sotto forma di incapacità di adattarsi facilmente al­ le fonti interne ed esterne di ansia o conflitto ( " stressors"). In alcune perso­ ne, la rigidità si presenta come difficoltà a "prendere le cose come vengo­ no" o a "lasciar perdere" . Al contrario, quando le cose non funzionano o non vanno come previsto, questi soggetti tendono a preoccuparsi in modo eccessivo e improduttivo. Spesso continuano a pensare a un problema o a una delusione, anche quando non c'è più niente da fare al riguardo e tro­ vano difficile semplicemente "lasciar perdere" o " dormirci sopra " . Queste persone hanno sovente bisogno di sentire di " avere il controllo della situa­ zione" e quindi, quando devono affrontare un problema, tendono a farse­ ne una colpa. Inoltre, hanno difficoltà a lasciare che le cose vadano come vogliono o a lasciar perdere qualcosa o a cambiare strategia a metà strada. 22

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

In alternativa, la rigidità della personalità di livello superiore si può presentare sotto forma di " disinvolta" indifferenza per le emozioni sgra­ devoli associate a situazioni dolorose o conflittuali. Le emozioni e le cir­ costanze dolorose che le stimolano possono essere esperite in modo so­ lo transitorio e poi dimenticate, oppure addirittura totalmente ignorate. Questi soggetti possono non riuscire a essere consapevoli o ad assumer­ si la responsabilità del loro impatto sugli altri. Invece di rimuginare su un problema , i soggetti appartenenti a questo gruppo probabilmente ne dimenticheranno l'esistenza o lo razionalizzeranno come non importan­ te, insistendo, a fronte di situazioni di stress o conflittuali, sul fatto che sia tutto a posto. Altre manifestazioni comuni di rigidità della patologia della personalità di alto livello sono le inibizioni relative alla sessualità, all'intimità e al suc­ cesso professionale. Queste aree di funzionamento non ottimale sono tipi­ camente causa di frustrazione e delusione per i soggetti che, malgrado tutti i loro sforzi, possono scoprirsi incapaci di modificare il proprio comporta­ mento. Le inibizioni possono presentarsi sotto forma di un'autovalutazio­ ne distorta nelle aree di conflitto. Un paziente può pensare, per esempio, di non avere particolare successo, mentre in realtà ne ha molto, oppure con­ siderarsi brutto, pur essendo molto attraente. In generale, i pazienti con rigidità della personalità di livello superiore hanno spesso difficoltà a per­ cepirsi interamente come li percepiscono gli altri e si attengono di solito a una visione erroneamente negativa o infantile di se stessi, malgrado anni di feedback dall'esterno attestante il contrario. Casi clinici di rigidità della personalità nella patologia della personalità di alto livello Una professionista, combattuta nel perseguire le proprie esigenze prima di quelle degli altri e perfezionista nel proprio lavoro di consulente finanziaria, non riusci­ va a rimanere incinta. Per quanto ripromettesse a se stessa e al suo terapeuta che avrebbe rispettato gli appuntamenti con il ginecologo esperto in fertilità malgrado il programma di lavoro intenso, ogni volta che le esigenze dei clienti contrastavano con gli appuntamenti, si sentiva in ansia e finiva per annullarli. Dipendente molto apprezzata, la donna faceva sempre il lavoro migliore possibile e non riusciva a im­ maginare di comportarsi diversamente. Ciononostante, spesso dubitava del livello delle sue prestazioni e viveva uno stato cronico di ansia per il timore che i suoi su­ periori la considerassero una "scansafatiche" . Un'altra paziente, associata di un importante studio legale, si sentiva sempre ansiosa e oppressa nel fronteggiare le situazioni difficili della propria vita personale. Cer­ cava di gestire l'ansia chiedendo al marito di rassicurarla, ripetutamente, che tutto sarebbe andato bene. Nel comportarsi in questo modo, la donna si sentiva irrazio­ nale e infantile, ma quando cercava di limitare le proprie richieste di rassicurazione, avvertiva un forte disagio. Malgrado i successi professionali, nella vita personale si considerava di scarso valore - in altre parole "non indispensabile" - nonostante l'amore e l'ammirazione evidente da parte del marito e dei figli.

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COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO Un uomo d'affari, in terapia da un anno e innamorato per la prima volta, si era re­ so conto di sentirsi depresso e in ansia ogni volta che il rapporto con la sua ragazza diventava più tenero o intimo. Era in grado di prevedere che ciò sarebbe accaduto, ma non riusciva a evitarlo. In quelle occasioni, era colto dal panico e temeva che la sua ragazza potesse perdere interesse per lui o flirtare con altri uomini. Tale paura era rafforzata dalla difficoltà di mantenere l'erezione durante il rapporto.

I pazienti con patologia della personalità di alto livello presenteranno un qualche abbinamento di questi tipi di comportamento, pensiero e sen­ timento. Nella maggior parte dei casi, i soggetti che si sottopongono a te­ rapia lamentano sintomi di ansia o depressione, abbinati alla difficoltà di mantenere rapporti intimi duraturi o di essere all'altezza del loro vero po­ tenziale sul lavoro. Il caso iniziale più comune è forse quello di una persona di successo dal punto di vista professionale, con amicizie soddisfacenti, che però non è in grado di creare un rapporto intimo duraturo con un partner. Questi pazienti si vogliono sposare, ma si scoprono incapaci di raggiunge­ re tale obiettivo. Non è raro che i soggetti che rientrano in questo gruppo presentino anche sintomi sessuali. Un altro elemento comune è una buona prestazione sul lavoro, accom­ pagnata però dalla sensazione di qualcosa che trattiene o interferisce con il perseguimento delle proprie ambizioni o con l'essere all'altezza del proprio potenziale. Alcuni pazienti di questo gruppo possono avere enorme succes­ so e tuttavia non riuscire a godere pienamente o a " prendere possesso" dei traguardi raggiunti. Spesso i pazienti con difficoltà collegate al lavoro hanno dei problemi a operare in modo semplice ed efficace con i loro superiori o vivono rapporti tormentati con i colleghi. Questo tipo di pazienti può inoltre presentare sintomi o problemi sessuali nel portare avanti relazioni durature.

OPERAZIONI DIFENSIVE E RIGIDITÀ DELLA PERSONALITÀ . Le difese sono le risposte psicologiche automatiche dell 'individuo agli stres­ sors interni o esterni o al conflitto emotivo (Perry, Bond, 2005) . Tutte le ope­ razioni difensive intervengono alterando l'esperienza soggettiva in modo da evitare il disagio emotivo. Anche se qui presentiamo un elenco dei mec­ canismi di difesa descritti comunemente, è opinione generale che i modi in cui un individuo può organizzare difensivamente il proprio esperito interno ed esterno sono illimitati. È inoltre generalmente riconosciuto che le dife­ se possono essere raggruppate e catalogate secondo una gerarchia; a un'e­ stremità dello spettro si trovano le difese più sane, che sono più flessibili e adattive, mentre all'altra estremità si collocano le difese più patologiche, fortemente rigide e disadattive (Perry, Bond, 2005 ; Vaillant, 1992) . Le dife­ se collocate all'estremità più adattiva dello spettro comportano una distor24

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

sione minima o nulla della realtà interna o esterna, mentre a mano a mano che diventano più rigide e disadattive, esse comportano gradi crescenti di distorsione della realtà (Vaillant, 1 992 ) . U n numero piuttosto consistente d i ricercatori condivide il modo i n cui le difese possono essere raggruppate e catalogate secondo un ordine gerar­ chico, in base al livello di adattamento (Perry, Bond, 2 005 ) . Tale consenso è raffigurato nella Scala del Funzionamento Difensivo, nell'Appendice B del DSM-IV-TR. Kernberg ( 1 976) ha presentato un approccio alla classificazione delle difese, che ne prevede la divisione in tre gruppi: l) difese mature, 2 ) difese basate sulla rimozione o " nevrotiche" e 3 ) difese basate sulla scissio­ ne o "primitive " . Tale classificazione rispecchia in molti modi l'attuale con­ senso all'interno della comunità di ricerca3 e pone al tempo stesso l'accento sui meccanismi psicologici alla base delle operazioni difensive (Tabella 2 .3 ) . Tabella 2.3

Classificazione delle difese.

Difese mature Adattamento sano e coping

Soppressione ����-

Anticipazione -���-

Altruismo Umorismo Sublimazione

Difese nevrotiche (Basate sulla repressione) Aspetti conflittuali dell'esperito interiore vengono banditi dalla coscienza

Repressione Reazione Proiezione nevrotica Spostamento -:--c;-:; --::c:-___ Isolamento dell ' affetto ��- --- �����-

Intellettualizzazione

Difese con distorsione dell'immagine

Scissione

(Basate sulla scissione) Aspetti dell'esperito conscio vengono dissociati per evitare il conflitto

Svalutazione

Idealizzazione primitiva �����-

Identificazione proiettiva Controllo onnipotente

���������-

Negazione primitiva Occorre notare che le difese con distorsione dell'immagine sono spesso indicate in letteratura psicodinami­ ca come difese "primitive" .

Le difese mature, o sane, inducono una distorsione minima della realtà interna ed esterna e sono associate al funzionamento flessibile e adattivo della personalità normale. Le difese di livello nevrotico evitano il dolore, 3. La Scala del Funzionamento Difensivo nell'Appendice B del DSM-IV-TR cita le difese ma­ ture come di "alto livello adattivo" e le difese nevrotiche come "livello delle inibizioni mentali (formazioni di compromesso) " . Le difese basate sulla scissione, o di distorsione dell'immagine, come definite da Kernberg, nel DSM-IV-TR si dividono in "livello lieve di distorsione dell'immagi­ " ne e "livello grave di distorsione dell'immagine".

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COMPRE'ISIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LNELLO

reprimendo o bandendo dalla coscienza aspetti dell'esperienza psicologi­ ca del soggetto che sono conflittuali o potenziale fonte di disagio emotivo. Le difese "primitive" o di distorsione della rappresentazione di per sé non bandiscono il contenuto mentale dalla coscienza, ma isolano o mantengo­ no una distanza tra contenuti mentali consci che sono in conflitto tra loro o la cui approssimazione genererebbe disagio psicologico (Kernberg, 1976 ) . Nella patologia della personalità di alto livello, le difese d i livello ne­ vrotico e di distorsione della rappresentazione mantengono in modo auto­ matico e fisso alcuni aspetti dell'esperienza interna ed esterna scissi dalla consapevolezza conscia, e questo processo introduce rigidità nel funziona­ mento della personalità. Difese mature: adattamento e coping

Le difese mature sono meglio descritte come meccanismi di coping adattivi e flessibili, che consentono all'individuo di gestire situazioni ansiogene, con un disturbo emotivo minimo (Vaillant, 1993 ) . Le difese mature non bandiscono dalla coscienza alcun elemento di un conflitto e non mantengono una distan­ za tra aspetti in conflitto della vita emotiva. Esse consentono a tutti gli ele­ menti di una situazione ansiogena di affiorare alla consapevolezza soggettiva, con una distorsione minima o nulla, ma in un modo che ottimizza il coping. Soppressione, anticipazione, altruismo, umorismo e sublimazione sono esempi di difese mature. La soppressione implica il mettere da parte, in modo intenzionale e adattivo, un particolare pensiero o sentimento, fino al momen­ to in cui si possa adottare un'azione costruttiva. !.}anticipazione comporta il pianificare in anticipo, per gestire situazioni potenzialmente stressanti. !.}al­ truismo implica trarre indirettamente soddisfazione dall'aiutare gli altri. L' u­ morismo comporta la capacità di vedere gli aspetti comici di una situazione stressante, come metodo per ridurre il disagio e creare una distanza utile dagli eventi immediati. La sublimazione implica il reindirizzamento costruttivo e creativo delle motivazioni conflittuali in aree di funzionamento non conflit­ tuali ed è una caratteristica centrale del normale adattamento. Difese nevrotiche: aspetti conflittuali dell'esperito interiore sono banditi dalla coscienza

Le difese nevrotiche si basano tutte, in una certa misura, sulla rimozione; alcuni aspetti dell'esperienza del soggetto vengono scissi e il loro accesso alla coscienza è bandito (Kernberg, 1 976). Nelle definizioni classiche di ri­ mozione, il pensiero o idea conflittuale è represso, sebbene l' affetto possa rimanere conscio. Pertanto, una persona che reprime la rabbia nei confron­ ti del coniuge non ricorderà la lite o il motivo per cui è arrabbiata, ma po­ trà avvertire un'inspiegata irritabilità ritornando a casa dal lavoro. In altre 26

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

forme di rimozione, l'affetto può essere represso e l'idea rimanere conscia. In questo caso, una persona può esprimere la propria insoddisfazione nei confronti del coniuge in un modo fortemente razionale ed emotivamente controllato, senza alcuna consapevolezza dei forti sentimenti legati al con­ tenuto del suo discorso. In alternativa, affetto e pensiero possono essere en­ trambi repressi, sostituiti da modelli comportamentali difensivi. In questo caso, una persona può automaticamente e abitualmente trattenere le espres­ sioni di affetto nei confronti della moglie o esprimere in modo eccessivo il proprio affetto - in entrambi i casi, senza rendersi conto di nutrire pensieri o sentimenti di rabbia o critici nei suoi confronti. Malgrado le varie forme che le difese repressive possono assumere, tut­ te le difese di livello nevrotico implicano la rimozione e il bandire dalla coscienza alcuni aspetti dell'esperito soggettivo. Nella rimozione classica è l'idea a essere repressa, mentre nell'isolamento dell'affetto, ciò che viene represso è l'affetto. Vintellettualizzazione è simile all'isolamento - l'affetto viene represso mentre l'individuo si focalizza coscientemente su idee astratte. Nella for­ mazione della reazione, sia l' affetto sia l'idea svaniscono e sono sostituiti dai loro opposti. Nella proiezione nevrotica, è il collegamento tra il sog­ getto e i suoi motivi e sentimenti che viene represso, e nello spostamento la rimozione riguarda il collegamento tra un motivo o sentimento e un particolare oggetto. La razionalizzazione supporta la rimozione fornen­ do spiegazioni apparentemente razionali per comportamenti che hanno radici inconsce. Per riassumere, le difese di livello nevrotico evitano tutte le sensazioni spiacevoli, quali ansia, depressione, vergogna, colpa e paura, reprimendo e tenendo lontano dalla consapevolezza aspetti dell'esperito psicologico del soggetto conflittuali o potenziale fonte di disagio emotivo. Pertanto, le di­ fese di livello nevrotico alterano la realtà interna del soggetto, ma di solito lo fanno senza distorcere troppo il suo senso della realtà esterna. Sebbene le difese di livello nevrotico siano responsabili della rigidità della personalità, in quanto influenzano i processi cognitivi e conducono a distorsioni sottili dell'esperito, e possano causare disagio o ansia, tipicamente non determi­ nano comportamenti fortemente anomali o disgreganti. In psicoterapia, le difese di livello nevrotico si presentano sotto forma di tratti della personali­ tà e difese caratteriali, oltre che di omissioni o interruzioni non intenzionali del flusso delle comunicazioni del paziente. D ifese di distorsione dell'immagine: aspetti dell'esperito conscio vengono dissociati per evitare conflitti

Laddove le difese di livello nevrotico utilizzano la rimozione, le difese di di­ storsione dell'immagine ricorrçmo alla dissociazione, o "scissione" per evi27

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

tare il conflitto psicologico e il disagio emotivo.4 Quando parliamo di disso­ ciazione e scissione ci riferiamo a un processo psicologico in cui si consente a due aspetti dell'esperito, che sono in conflitto, di emergere pienamente alla coscienza, ma non contemporaneamente o non insieme alla stessa relazione oggettuale ( Kernberg, 1 976). Per esempio, una donna può essere assertiva ed efficace nella propria vita professionale, ma eccessivamente sottomessa e passiva nel matrimonio. Ciò che accade a seguito delle difese di distorsione dell'immagine è che le motivazioni in conflitto e gli aspetti dell'esperienza di Sé vengono compartimentalizzati o " scissi" . In questo modo, anche se nulla viene represso quando si utilizzano le difese dissociative, gli aspetti in conflitto dell'esperito psicologico non sono sperimentati simultaneamente in relazione al Sé e in questo processo si evita il conflitto. Nella letteratura psicodinamica, i termini dissociazione e scissione sono spes­ so usati in modo più o meno intercambiabile. Scissione viene usato con mag­ gior frequenza quando ci si riferisce alla dissociazione di aspetti dell'esperienza idealizzati e persecutori o di affetto e odio, mentre dissociazione viene impie­ gato più spesso in riferimento al tenere separati altri aspetti dell'esperienza di Sé (per esempio le motivazioni sessuali e dipendenti) che sono in conflitto. Le difese basate sulla scissione sono state descritte sistematicamente per la prima volta da Melanie Klein ( 1 946, 1 952) e comprendono - oltre alla scis­ sione vera e propria - idealizzazione, svalutazione, identificazione proiettiva, controllo onnipotente e negazione primitiva. Klein ha suggerito che la predo­ minanza di questa costellazione di operazioni difensive fosse una caratteristi­ ca centrale di quella che definiva "posizione schizoide paranoide" , un livello di sviluppo psicologico e organizzazione mentale che considerava piuttosto primitivo e tipico di pazienti con grave psicopatologia. Pertanto, Klein indica­ va il gruppo di difese basate sulla scissione con il termine difese primitive, po­ nendole in contrasto con le difese nevrotiche classiche, basate sulla rimozione. Molte idee di Klein sono ancora utili e coerenti con i progressi compiuti nello studio teorico ed empirico dei gravi disturbi di personalità (Kernberg, Caligor, 2005 ; Lenzenweger et al., 200 1 ) e il costrutto delle difese primitive rimane centrale per il concetto di Kernberg ( 1 975) di livello borderline di organizzazione della personalità. Tuttavia, dai tempi del contributo origi­ nale di Klein si è riconosciuto con sempre maggiore frequenza che, sebbe­ ne le difese basate sulla scissione siano caratteristiche dei disturbi di perso­ nalità più gravi, diverse difese basate sulla scissione e dissociative vengono utilizzate normalmente anche nella patologia della personalità di alto livello (Bion, 1962b ; Joseph, 1 987 ; LaFarge, 2000; Rangell, 1982; Steiner, 1992 ) . 4 . Desideriamo chiarire che la dissociazione, in quanto operazione difensiva, deve essere di­ stinta dagli stati dissociativi, che implicano la messa in atto di esperiti mentali complessi, nel con­ testo di un qualche tipo di riduzione della coscienza. Gli stati dissociativi comportano l'opera­ zione difensiva della dissociazione, ma implicano anche uno stato della coscienza alterato, che la dissociazione, come operazione djfensiva, invece non comporta.

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APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ Scissione e dissociazione nei disturbi di personalità gravi

Kernberg ( 1984) suggerisce che la scissione (da lui indicata anche con il ter­ mine dissociazione primitiva) sia una difesa prototipo riscontrata nei pazien­ ti con gravi disturbi della personalità, che tendono a compartimentalizzare le esperienze di Sé e degli altri in conflitto. In questo gruppo di pazienti, la scissione riguarda più comunemente la dissociazione reciproca di setto­ ri idealizzati, colorati positivamente, e aspetti persecutori, colorati negati­ vamente, dell'esperito. Il risultato cui assistiamo sono relazioni oggettuali esperite come " totalmente buone" o " totalmente cattive" - amorevoli, gra­ tificanti e sicure, da un lato e aggressive, frustranti e spaventose, dall'altro. !},identificazione proiettiva comporta la scissione di aspetti dell'esperito interno di una persona che vengono proiettati in un'altra, cosicché gli aspet­ ti proiettati del sé sono esperiti come parte di quest'ultima. Allo stesso tem­ po, il soggetto che utilizza l'identificazione proiettiva interagisce con l'altra persona, in modo da ottenere risposte coerenti con quanto è stato proietta­ to. (Vale a dire che, nell'identificazione proiettiva, le proiezioni tendono a essere attualizzate.) l}. idealizzazione è una forma di scissione che implica il vedere gli altri come totalmente buoni, per evitare le ansie associate ai sen­ timenti negativi. !},idealizzazione è spesso seguita dal suo opposto, la sva­ lutazione. Nel controllo onnipotente, il sé grandioso controlla magicamente l'altro, deprezzato ed emotivamente sminuito. La negazione primitiva sup­ porta la scissione continuando a ignorare gli aspetti del mondo interno ed esterno che sono contraddittori oppure potenzialmente minacciosi. Quan­ do ricorre alla negazione primitiva, l'individuo è cognitivamente consape­ vole di un'esperienza minacciosa, ma tale consapevolezza non riesce a rive­ lare la reazione emotiva corrispondente. Nei disturbi di personalità gravi, le difese basate sulla scissione sono re­ sponsabili di esperienze del sé e dell'altro ampiamente polarizzate, irrealisti­ che, superficiali e fortemente caricate dal punto di vista affettivo. Inoltre, nel setting della patologia dell'identità, queste difese sono solitamente instabili e spesso conducono a un'esperienza di Sé e degli altri che muta rapidamente e in modo piuttosto caotico da idealizzato a persecutorio (Kernberg, 1984 ) . In questo modo, le difese primitive causano distorsioni evidenti della real­ tà interpersonale. Inoltre, esse si traducono solitamente in manifestazioni comportamentali e spesso determinano atteggiamenti dirompenti nel sog­ getto con grave patologia della personalità. Scissione e dissociazione nella patologia della personalità di alto livello

Le difese basate sulla scissione e sulla dissociazione svolgono un ruolo im­ portante anche nella patologia della personalità di alto livello e nel suo trattamento. Tuttavia, contrariamente a quanto avviene per i disturbi di 29

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO

personalità gravi, in questo caso assistiamo all'impatto della scissione e dis­ sociazione sull'esperito psicologico di un individuo con un'identità conso­ lidata e un senso di Sé relativamente ben integrato. In un setting di questo tipo, ciò cui assistiamo più comunemente è la dissociazione o scissione dal senso di Sé dominante, di motivazioni e aspetti dell' autoesperienza che so­ no conflittuali. Come nei disturbi gravi della personalità, nella patologia di livello superiore la scissione e la dissociazione sono supportate dalla nega­ zione; il soggetto nega il significato degli aspetti dissociati dell'esperienza conscia che sono incompatibili con il suo senso di Sé dominante. Nella patologia della personalità di alto livello, scissione e dissociazione sono meno estreme e più stabili rispetto a quanto avviene nel disturbo di personalità più grave e di solito non conducono a esperiti della realtà inter­ na ed esterna fortemente polarizzati, rapidamente mutevoli e caricati dal punto di vista affettivo, tipici dei disturbi di personalità gravi. Pertanto, nel­ la patologia della personalità di alto livello, scissione e dissociazione non sono solitamente associate agli stati mentali "primitivi " , quanto piuttosto alla segregazione di aspetti dell'esperito psicologico che sono in conflitto e alla dissociazione, più o meno sottile, delle motivazioni conflittuali dall'e­ sperienza di Sé dominante. Nello specifico, nella patologia della personalità di alto livello, le operazioni difensive basate sulla scissione sono più comu­ nemente responsabili della rigidità della personalità e delle versioni ecces­ sivamente semplificate, in qualche modo monodimensionali dell'esperito, in cui le motivazioni e le visioni del sé che sono in conflitto non vengono esperite simultaneamente. Caso clinico di difese basate sulla scissione nella patologia della personalità di alto livello Come esempio piuttosto frequente di operazioni difensive basate sulla scissione che si riscontrano nella patologia della personalità di alto livello, possiamo pensa­ re all'uomo sposato, che ha conflitti sessuali e che per evitarli può utilizzare difese basate sulla rimozione, per esempio proiettando il proprio desiderio sessuale sul­ la moglie ed esperendosi al tempo stesso come privo di desiderio e sottomesso al­ le esigenze sessuali della donna. In alternativa, potrebbe utilizzare le difese basate sulla dissociazione per scindere le relazioni oggettuali sessuali, da un lato, dalle re­ lazioni oggettuali tenere e indipendenti, dall'altro. Questo soggetto potrebbe, per esempio, avere rapporti sessuali soddisfacenti con la moglie soltanto in vacanza in una stanza d'albergo, lontano dalla propria abitazione e dai figli, e rimanere invece sessualmente impotente a casa. In questo caso, diremmo che ha dissociato la pro­ pria relazione sessuale con la moglie dai suoi rapporti dipendenti e famigliari con lei. In alternativa, egli potrebbe riservare tutta la propria attività sessuale all'amante verso la quale non prova alcuna tenerezza e mantenere un rapporto amoroso, ma asessuale, con la moglie. Inoltre, potrebbe negare che il suo rapporto con l'amante abbia alcuna conseguenza, vedendolo " semplicemente " come un modo per sod­ disfare i propri appetiti sessuali , che non ha nulla a che fare con il rapporto con la consorte. In questo caso, potremmo dire che il paziente ha dissociato tenerezza e sessualità mettendoli in atto nel setting di rapporti diversi. In entrambi i casi, tanto

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APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ

che questo uomo abbia rapporti sessuali con la moglie soltanto quando è in vacanza o che li abbia soltanto con la sua amante, avrà evitato i sentimenti di ansia, colpa, vergogna o paura associati nella sua mente alla sperimentazione contemporanea di motivazioni sessuali e motivazioni di tenerezza nei confronti della stessa persona.

CONFLITTO INCONSCIO Nel quadro di riferimento psicodinamico, i tratti della personalità disadat­ tivi e i sintomi psicologici sono considerati il riflesso di una interazione tra disposizioni temperamentali innate e conflitti inconsci, le cui origini risie­ dono nella storia personale del soggetto. A partire dalla nascita, le intera­ zioni con gli Altri significativi caricate affettivamente, colorate da fattori temperamentali, sono interiorizzate in modo da formare modelli relazionali interiorizzati o relazioni oggettuali interiori. I modelli relazionali interioriz­ zati che rappresentano le aree di conflitto vengono mantenuti attivamente al di fuori della consapevolezza dalle operazioni difensive e vengono scissi dall'esperienza di sé conscia dell'individuo.5 In questo modo, le difese lo proteggono dalla consapevolezza degli aspetti dolorosi o minacciosi della sua vita interiore, ma per contro determinano lo sviluppo della rigidità della personalità (e qualche volta anche dei sintomi) . Alla fine, è la difficoltà del soggetto a tollerare la consapevolezza e ad accettare alcuni aspetti della sua esperienza psicologica conscia e inconscia che conduce alla rigidità tipica della patologia della personalità di alto livello. Conflitto e struttura

Come descritto nel capitolo l ( "Introduzione " ) i conflitti inconsci sono or­ ganizzati intorno a desideri, esigenze e paure forti - indicate con il termine motivazioni conflittuali, oppure nella terminologia psicoanalitica classica impulsi - tenuti fuori dalla consapevolezza conscia o dissociati dal senso di Sé dominante, poiché la loro espressione sarebbe dolorosa, minacciosa o moralmente inaccettabile per il soggetto. Oltre che da un desiderio, un'e­ sigenza o una paura conflittuale, il conflitto inconscio è composto da ope5. È opportuno chiarire che quando parliamo di relazioni oggettuali interne scisse dall'espe­ rienza di sé dominante ci riferiamo alla scissione non soltanto di aspetti del senso di sé dell'indi­ viduo, ma anche di aspetti del suo esperito del mondo intorno a lui, per evitare conflitti e affetti negativi. Ciò equivale a dire che l'esperienza di sé, strettamente legata al concetto di identità, è determinata dalle rappresentazioni degli altri da parte di un individuo, oltre che dalle rappre­ sentazioni di sé. Pertanto, quando parliamo di esperienza di sé dominante, comprendiamo sia la visione di sé dell'individuo, sia la sua visione del mondo che lo circonda, compresi gli altri signi­ ficativi. Per esempio, nelle risposte ai conflitti che implicano aggressività, il soggetto può difen­ sivamente scindere la consapevolezza dei propri sentimenti di rabbia ( " io non sono una persona ostile") e/o scindere la consapevolezza della rabbia nei propri oggetti ( ''non percepisco ostilità da patte delle persone che amo").

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COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

razioni difensive progettate per evitare la consapevolezza o l'espressione della motivazione conflittuale. Gli affetti dolorosi - tra cui senso di colpa, perdita, ansia, paura, depressione e vergogna - sono associati alla messa in atto di relazioni oggettuali conflittuali e tali affetti negativi agiscono in mo­ do da motivare la difesa. Le motivazioni conflittuali sono esperite come immagini di relazioni desi­ derate, necessarie e temute e sono rappresentate mentalmente come modelli relazionali interiorizzati fortemente caricati dal punto di vista emotivo o re­ lazioni oggettuali interiorizzate (Kernberg, 1992 ) , che comprendono un'im­ magine del Sé che interagisce con l'immagine di un'altra persona. Di solito sono le relazioni oggettuali interiorizzate erotiche, esibizionistiche, amorose, dipendenti, aggressive, competitive, di autopromozione e sadiche a essere coinvolte nel conflitto psicologico. Dal momento che la messa in atto di que­ sti modelli relazionali caricati emotivamente è associata agli affetti dolorosi, le relazioni oggettuali abbinate alle motivazioni conflittuali vengono represse oppure dissociate e non fanno parte del senso di sé dominante dell'individuo. Come le motivazioni conflittuali, anche le difese e le ansie sono vissute e rappresentate come modelli relazionali interiorizzati o relazioni oggettua­ li interiori ( Kernberg, 1992 ) . Dal punto di vista clinico, ci accorgiamo che la messa in atto di modelli relazionali difensivi agisce in modo da tenere le relazioni oggettuali conflittuali al di fuori della consapevolezza o dissociate dal senso di Sé dominante. Prendiamo in esame, per esempio, una giova­ ne donna sessualmente inibita, che ha problemi con l'intimità, per la quale l'eccitazione sessuale è una motivazione conflittuale, legata al modello re­ lazionale interiorizzato di una ragazza sessualmente seducente in relazio­ ne a una figura paterna eccitata. Essendo moralmente inaccettabile, questa relazione oggettuale erotica viene repressa. La rimozione continua di que­ sta relazione oggettuale erotica è inoltre legata all'attivazione e alla messa in atto di un modello relazionale difensivo - per esempio, di una ragazza sessualmente indifferente e di una figura paterna che nutre. Tale relazione oggettuale difensiva sarà esperita consciamente e farà parte del senso di Sé dominante della paziente. E probabile che l'esperienza di Sé della pazien­ te, come ragazza sessualmente indifferente in relazione a una figura paterna che nutre, colori la sua esperienza sentimentale, come pure il suo esperito del terapeuta nella fase iniziale del trattamento. Oltre che da una motivazione conflittuale e dalle difese, il conflitto incon­ scio è composto da relazioni oggettuali che esprimono i " pericoli" associati alla messa in atto di motivazioni conflittuali. I pericoli previsti sono legati agli affetti negativi - di solito ansia, senso di colpa, perdita, depressione, paura o vergogna - che operano in modo da motivare la difesa. Gli affet­ ti negativi associati ai conflitti inconsci che motivano la difesa sono a volte indicati con il termine affetti segnale o " ansia" associata al conflitto oppure ancora motivazione della dz/esa. Sebbene possa sembrare un po' astratto, 32

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA

in pratica gli affetti e i modelli relazionali che esprimono i rischi associati all'espressione delle motivazioni conflittuali possono essere piuttosto facili da identificare nel setting clinico. Per illustrare questo punto, ritorniamo alla paziente descritta in prece­ denza, che ha conflitti relativi ai desideri sessuali repressi. Nel caso specifico, possiamo scoprire che gli affetti che motivano la difesa sono depressione e perdita, associate alla relazione oggettuale interna tra una madre critica e ri­ fiutante e una ragazza che non si sente amata. Ogni volta che le motivazioni conflittuali iniziano ad aprirsi un varco nella difesa, quando cioè percepisce la possibilità di un'eccitazione sessuale, la paziente si sente inspiegabilmente depressa e sola. Questa esperienza affettiva corrisponde all'attivazione del modello relazionale interiorizzato di una madre rifiutante e di una bambi­ na sola. Non è raro che solo l'affetto sia conscio per il paziente, che rimane inconsapevole del collegamento tra il suo stato affettivo, i desideri sessuali repressi e un rifiuto fantasticato da parte di una figura materna. Nel tratta­ mento, le sensazioni di solitudine e depressione possono essere rilevate dal terapeuta (se non dal paziente) nel perseguire l'incontro di un uomo nuo­ vo. Questi " affetti segnale" (Freud, 1926) saranno collegati alla possibilità di eccitazione sessuale e all'attivazione di un modello relazionale doloroso con una figura materna rifiutante. Caso clinico di conflitto inconscio Nella fase iniziale della terapia, una paziente si era creata una visione idealizzata del proprio terapeuta, analoga alla visione idealizzata che conservava della madre e del marito. Questo modello relazionale interiorizzato, di una b ambina benvo­ luta e di un caretaker amorevole, era associato a un'esperienza affettiva di calore, rassicurazione e sicurezza. Tale esperito conscio svolgeva una funzione difensiva e proteggeva la paziente dalla consapevolezza di un'esperienza diversa nell'affidarsi a una persona che si prendesse cura di lei. Nel corso del trattamento, incominciò a emergere l'immagine di una bambina ferita e trascurata e di una madre critica, egoista e competitiva, associata a sentimenti di rabbia e paura nella donna. La pa­ ziente riuscì ad acquisire la consapevolezza dell'ansia alla prospettiva di vedere in questo modo sia il terapeuta sia il suo attuale capo e riaffiorarono in lei ricordi di infanzia relativi a esperienze con i suoi genitori, in cui apparivano critici o egoisti. A mano a mano che queste ansie venivano elaborate e che riusciva a tollerare meglio la consapevolèzza degli aspetti negativi delle persone su cui faceva affida­ mento, la paziente iniziò a sviluppare una consapevolezza dei propri sentimenti critici, competitivi ed egoistici nei confronti della madre, del suo capo e infine del suo terapeuta. Inizialmente, quando la paziente iniziò a essere vagamente consapevole dei pro­ pri sentimenti critici, competitivi ed egoistici, si ritrovò ansiosa e afflitta da sensi di colpa, affetti che il terapeuta la aiutò a collegare all'immagine di Sé come di una bambina cattiva, che sarebbe stata giustamente criticata e punita. A mano a mano che queste ansie venivano esplorate ed elaborate, la paziente riuscì a tollerare me­ glio le immagini precedentemente inconsce di se stessa come persona competiti­ va, critica ed egoista.

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COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO A seguito dell'esplorazione e dell'elaborazione dei conflitti che implicavano i suoi sentimenti critici, competitivi ed egoistici, la paziente non ebbe più bisogno di idealizzare rigidamente i caretaker e le persone che rivestivano un'autorità né di ripiegarsi su se stessa per evitare i propri sentimenti critici e competitivi e diven­ tò più apertamente competitiva e maggiormente in grado di vedere e tollerare gli aspetti egoistici, critici e competitivi delle persone intorno a lei.

Relazioni oggettuali e difesa: "stratifìcazione" e "rovesciamento del ruolo"

Nel capitolo 3 ( " Relazioni oggettuali interne, organizzazione mentale ed esperienza soggettiva nella p atologia della p ersonalità " ) discuteremo più dettagliatamente del rapporto tra relazioni oggettuali interiori e difesa, ma in questa fase vorremmo accennare all'argomento. L'esempio clinico appe­ na illustrato evidenzia due modi diversi in cui la messa in atto di relazioni oggettuali interiori può fornire funzioni difensive. In primo luogo, in que­ sta situazione, l'esperito conscio della paziente di bambina ben curata e di caretaker affettuosa supporta la rimozione di un rapporto di cura negligen­ te. Nella terminologia classica, potremmo pensare a questo come a un pro­ cesso che implica un abbinamento di scissione o idealizzazione e rimozio­ ne . Al tempo spesso, nel quadro di riferimento della teoria delle relazioni oggettuali, questo processo potrebbe essere concettualizzato in termini di stratificazione di relazioni oggettuali interiori, in modo tale per cui la messa in atto di una relazione oggettuale difensiva supporta la rimozione di rela­ zioni oggettuali interne sottostanti, che sono più pericolose e, di solito, più vicine all'espressione di motivazioni conflittuali. In secondo luogo, l'esperito iniziale da parte della paziente degli altri co­ me critici, egoisti e competitivi la proteggeva dalla consapevolezza di sen­ timenti critici, egoistici e competitivi al suo interno. Tale operazione difen­ siva, incorporata in una relazione oggettuale singola, può essere descritta in termini di proiezione di impulsi aggressivi. Vorremmo aggiungere che, nel quadro di riferimento della teoria delle relazioni oggettuali, è possibile concettualizzare questo processo non soltanto in termini di proiezione, ma anche di rovescia1pento dei ruoli, in cui i sentimenti e le motivazioni inac­ cettabili (nel nostro esempio, desideri aggressivi di criticare e competere) sono rappresentati consciamente, ma dissociati dal Sé e attribuiti a una rappresentazione oggettuale, mentre la paziente si identifica con l' ogget­ to dei suoi impulsi attualmente proiettati. (Nel nostro esempio, la paziente si identifica con la vittima ingenua e fiduciosa di un'aggressione, invece di esperirsi come una persona che cova impulsi aggressivi nei confronti di un soggetto ingenuo e fiducioso.) Come nelle descrizioni classiche di proiezio­ ne di livello nevrotico, il collegamento tra i sentimenti e le motivazioni che la paziente ha proiettato e la rappresentazione corrispondente del Sé viene 34

APPROCCIO PSICODINAMICO ALLA PATOLOGIA DELLA PERSOI\:ALITÀ

represso. Vorremmo aggiungere il riconoscimento che non solo la paziente si sbarazza di alcune motivazioni conflittuali, ma si identifica anche con al­ tre (nel nostro esempio, le motivazioni a fidarsi ingenuamente).

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3 Relazioni ogge ttuali interne, organizzazione mentale e d esperienza soggettiva ne lla patologia de lla personalità

In questo capitolo esaminiamo il rapporto tra relazioni oggettuali interio­ rizzate e patologia della personalità. Come anticipato nel capitolo 2 ( "Ap­ proccio psicodinamico alla patologia della personalità " ) , nella patologia del­ la personalità di alto livello l'identità è consolidata e le relazioni oggettuali interiorizzate e l'esperienza di sé dominante sono relativamente ben inte­ grate e stabili. Questa organizzazione strutturale corrisponde a una capaci­ tà autoriflessiva ben sviluppata e a un'esperienza relativamente realistica e stabile di se stessi e degli altri significativi. Tuttavia, nelle aree di conflitto, le relazioni oggettuali interiorizzate tendono a essere meno ben integrate e le rappresentazioni conflittuali di sé e degli altri sono scisse dall'esperienza di sé dominante. Inoltre, nelle aree di conflitto, la capacità autoriflessiva è spesso in qualche modo compromessa. Nel presente capitolo operiamo un collegamento tra la qualità relativa­ mente poco integrata delle relazioni oggettuali conflittuali e le operazioni difensivé e descriviamo diversi modi in cui le relazioni oggettuali interio­ rizzate vengono utilizzate per svolgere funzioni difensive. La psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP) è stata stu­ diata per promuovere l'integrazione delle relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali, un processo indicato a volte con il termine cambiamento strut­ turale. Colleghiamo l'integrazione progressiva delle relazioni oggettuali in­ teriorizzate e il cambiamento strutturale nella patologia della personalità di alto livello con l'elaborazione di conflitti tipici della " posizione depressiva" (Klein, 1935 ) . A mano a mano che i conflitti depressivi vengono elaborati e l'ambivalenza tollerata, assistiamo a una maggiore integrazione delle relazio­ ni oggettuali interiorizzate e a una riduzione della rigidità della personalità.

RAPPRESENTAZIONI DEL SÉ E DEGLI ALTRI E RIGIDITÀ DELLA PERSONALITÀ Nel nostro modello, i conflitti inconsci e le operazioni difensive sono in­ corporati nella vita mentale sotto forma di modelli relazionali interio­ rizzati ( Kernberg, 1 992) . Come indicato in precedenza, da un punto di 37

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

vista strutturale, il paziente con patologia della personalità di alto livel­ lo presenta una rigidità della personalità nel setting del consolidamento dell'identità. Il consolidamento dell'identità implica l'integrazione del sé conscio e preconscio del paziente e delle rappresentazioni oggettuali, per formare un esperito stabile, e tuttavia fluido, di sé e degli altri significativi. Al tempo stesso, il paziente con patologia della personalità di alto livello lotta con particolari aspetti della propria esperienza conscia e inconscia di sé e degli altri, che non sono compatibili con il suo senso globale di sé e del mondo. Queste esperienze conflittuali di sé e degli altri, unite agli affetti associati, sono scisse dall'esperienza del sé dominante e mantengono una relativa resistenza al cambiamento o all'influenza da parte dell'ambiente. Le operazioni difensive che mantengono queste relazioni oggettuali fuo­ ri dalla consapevolezza conscia introducono rigidità nel funzionamento della personalità e i contesti che attivano rappresentazioni conflittuali di sé e dell'altro stimolano l'ansia. Rappresentazioni del sé e degli altri ed esperienza soggettiva nella patologia della personalità

Le relazioni oggettuali interiorizzate, derivate dal passato ma attive nel pre­ sente, colorano l'esperienza della realtà interna ed esterna. Nel paziente con patologia della personalità di alto livello, le relazioni oggettuali interioriz­ zate più vicine alla coscienza sono relativamente complesse, ben integrate e ben differenziate. Nella vita quotidiana, esiste di solito un " accordo" re­ lativamente buono tra obiettivo, realtà esterna ed esperito soggettivo del paziente, rappresentato nelle relazioni oggettuali interiorizzate particolari attivate in un determinato momento. Ne consegue una distorsione limitata della realtà esterna e una capacità relativamente sofisticata di percepire con precisione l'esperito interno degli altri (empatia). Tuttavia, nelle aree di conflitto, il mondo interno del paziente con pato­ logia della personalità di alto livello è relativamente rigido e fisso e la sua esperienza della realtà esterna è colorata e in qualche modo distorta dalle esigenze difensive. Di conseguenza, nelle aree di conflitto, l'esperienza in­ terna del paziente corrisponde in modo meno preciso e flessibile alla real­ tà esterna di quanto avvenga nelle zone non conflittuali. Inoltre, nelle aree di conflitto, le rappresentazioni interne del paziente di sé e dell'altro sono meno ben integrate, meno differenziate e più estreme di quanto sia tipico del suo livello di integrazione usuale e gli affetti associati a tali rappresen­ tazioni sono tipicamente più intensi e minacciosi. Per riassumere, nel paziente con patologia della personalità di alto li­ vello la messa in atto di relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali con­ duce spesso a una sottile distorsione dell'esperito del soggetto di sé, del mondo e degli altri. La DPHP è stata studiata per promuovere l'emergere 38

RELAZIONI OGGETTUALI INTERNE, ORGANIZZAZIONE MENTALE ED ESPERIENZA SOGGETTIVA . . .

alla coscienza del sé conflittuale e di queste rappresentazioni oggettua­ li. Nel corso del trattamento, l' attivazione di relazioni oggettuali conflit­ tuali e la loro messa in atto negli attuali rapporti del paziente, compre­ so quello con il terapeuta, offrono la strada principale di accesso al suo mondo interno. L'organizzazione mentale del soggetto con patologia della personalità di alto livello può essere contrapposta a quella del paziente con una pato­ logia della personalità più grave, per il quale l'identità non è pienamente consolidata e le rappresentazioni di sé e degli altri sono instabili, scarsa­ mente integrate e polarizzate. Tale situazione interiore, tipica dei disturbi di personalità gravi, conduce a distorsioni croniche ed evidenti dell'espe­ rito individuale di sé e degli altri (Kernberg, 1984 ) . Contrariamente alla patologia della personalità di alto livello, in cui le relazioni oggettuali più primitive o estreme sono rep resse, nella patologia della personalità più grave esse sono dissociate e pienamente accessibili alla coscienza. Nella terapia su pazienti con disturbi di personalità gravi, l'attivazione di que­ ste relazioni oggettuali interiorizzate conduce a una rapida distorsione del rapporto con il terapeuta. La DPHP è studiata per contenere l' acting out, promuovendo al tempo stesso l'integrazione del sé dissociato e delle rappresentazioni oggeftuali attraverso l'interpretazione e il contenimen­ to (Clarkin et al. , 2006 ) . Autoriflessione e patologia della personalità

Il paziente con patologia della person2Jità di alto livello beneficia spesso di una capacità autoriflessiva relativamente ben sviluppata; pertanto, quando un soggetto di questo tipo mette in atto una particolare relazione oggettua­ le interiorizzata conflittuale, di solito è consapevole di ciò che sta facendo. Questo perché, nel soggetto con patologia della personalità di alto livello, il senso di sé organizzato, che corrisponde al consolidamento dell'identità, funge da osservatore o " terza parte" implicita in relazione all'attivazione di relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali. In una seduta terapeutica, è al sé osservante che il terapeuta parla e, sostanzialmente, si unisce. Si crea un'alleanza tra il sé osservante del paziente e il terapeuta nel ruolo di osser­ vatore che intende aiutarlo ( Kernberg, 2 004b) . Al contrario, le persone con patologia della personalità grave hanno ti­ picamente una capacità autoriflessiva più limitata, soprattutto nel setting di stati affettivi elevati. Quando viene attivata una particolare relazione og­ gettuale, il soggetto spesso si trova immediatamente e totalmente coinvol­ to nella messa in atto della relazione oggettuale diadica e all'esperito sog­ gettivo viene a mancare la qualità autoosservante o "triangolare" associata all' autoconsapevolezza. Di conseguenza, i pazienti con grave patologia della personalità possono avere difficoltà a operare la distinzione tra il terapeuta 39

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

vissuto nel transfert e il terapeuta nel suo ruolo di aiuto e di osservazione, soprattutto nel setting di stati affettivi fortemente caricati. Pertanto, nel pa­ ziente con disturbo di personalità grave, l'alleanza tra terapeuta e paziente sarà più debole e meno stabile rispetto a quella con il paziente con patolo­ gia di livello superiore (Bender, 2005 ) . Anche s e le persone con patologia della personalità d i alto livello di soli­ to sono capaci di autoriflessione, tale abilità risulta più debole nelle aree di conflitto. Ciò equivale a dire che quando i conflitti sono attivati e gli affetti si intensificano, il pensiero diventa più concreto e l'esperienza più immedia­ ta. Con la maggiore concretizzazione del pensiero, la capacità di apprezzare la natura simbolica delle rappresentazioni mentali e di riflettere al riguar­ do può risultare compromessa. 1 Nel trattamento, con l'attivazione dei con­ flitti inconsci, il terapeuta che osserva si unisce al sé osservante indebolito del paziente per incoraggiare l' autoosservazione e l' autoriflessione. Questo processo, ripetuto più e più volte in ogni seduta e per tutto il trattamento, aiuterà il paziente a sviluppare una maggiore capacità autoriflessiva, anche di fronte all'ansia e ai conflitti inconsci. Nel corso del trattamento, con l'e­ laborazione dei conflitti, la capacità autoriflessiva del paziente aumenterà ed egli si appoggerà meno pesantemente sul terapeuta per facilitare l' au­ toesplorazione. Caso clinico di capacità di approfondimento per l'autoriflessione Un ricercatore si presentò in terapia lamentando problemi di autostima. Sebbene fosse perfettamente in grado di riflettere autonomamente su molti aspetti del pro­ prio mondo interno, quando entrava in gioco il suo senso di inferiorità e manche­ volezza, il pensiero si faceva più concreto. In perfetta armonia con questo atteg­ giamento verso se stesso, nella fase iniziale del trattamento egli era segretamente convinto di essere "il paziente peggiore" che il suo terapeuta avesse mai avuto. In effetti, ne era così certo, che gli ci vollero mesi prima di condividere questa preoc­ cupazione con l'analista. Sebbene potesse prendere in considerazione l'eventualità che non fosse vero, al tempo stesso credeva realmente di essere il più refrattario dei pazienti del suo terapeuta. Nel tempo, quest'ultimo lo invitò a esplorare il significa­ to di questa visione di sé, invece di limitarsi ad accettarla come un fatto concreto. A mano a mano che i conflitti relativi alla sua autostima venivano elaborati, smise di pensare a sé come al "peggior paziente" del proprio terapeuta. Tuttavia, parecchi mesi dopo egli si ritrovò nuovamente a considerarsi tale. A quel punto, il suo atteggiamento nei confronti della propria autocondanna era mu­ tato rispetto all'inizio della terapia ed era ormai in grado di mantenere la consape­ volezza del fatto che ciò che stava pensando e avvertendo rifletteva il suo attuale stato mentale piuttosto che un fatto reale - che stava esperendo una particolare rappresentazione del sé, attivata in un momento preciso, per un motivo specifico. Ciò gli consentì di riflettere sul significato del pensiero, invece di esperirlo come una realtà concreta, come aveva fatto in precedenza. l . Per apprezzamento della natura simbolica delle rappresentazioni mentali intendiamo il rico­ noscere che i pensieri rappresentano le cose, in antitesi all'esperidi come cose. Per esempio il pen­ siero di un particolare cane corrisponde a quel cane, ma non equivale al cane stesso.

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RELAZIONI OGGETTUALI INTERNE, ORGANIZZAZIONE MENTALE ED ESPERIENZA SOGGETTIVA . . .

Passato evolutivo e psicoterapia della patologia della personalità

Il rapporto tra il passato storico ed evolutivo di un paziente e le relazioni oggettuali interiorizzate attivate nel corso della psicoterapia è complesso. I pazienti con patologia della personalità di alto livello mostrano una serie di rappresentazioni consce, preconsce e inconsce del sé in relazione ai ge­ nitori e alle altre persone importanti della vita passata e presente, che ven­ gono attivate nel corso del trattamento. Tali rappresentazioni sono spesso coerenti e credibili, soprattutto nella fase iniziale della terapia e questo è in netto contrasto con la situazione dei pazienti con patologia della persona­ lità grave, che tipicamente evidenziano rappresentazioni di sé e oggettuali instabili, polarizzate e fantastiche. Tuttavia, nel trattamento di un pa;.;iente con patologia della personalità di alto livello è importante per il terapeuta capire che la visione conscia che il paziente ha dei propri rapporti con le prime figure di accudimento e le altre figure significative non corrisponde necessariamente a una riflessione fissa, storicamente valida, della realtà esterna. Al contrario, queste imma­ gini dei rapporti sono considerate costruzioni, compromessi tra memoria (influenzata dalla fase evolutiva) , fantasia e difesa, colorati dalle reali dr­ costanze ( Kernberg, 1 992 ) . Inoltre, le relazioni attuali del paziente e l'e­ sperito degli altri, compreso il terapeuta durante il trattamento, sono visti come costruzioni ugualmente complesse e fluide. Nel corso della terapia, il paziente esperisce una vasta gamma di immagini di queste relazioni, al­ cune affettuose e altre odiose, alcune sessuali, altre di accudimento, alcune relativamente mature e altre ancora apparentemente più primitive o infan­ tili (Schafer, 1985). Relazioni oggettuali e d esperienza soggettiva nella patologia della personalità

In breve, il grado di rigidità versus la flessibilità delle operazioni difensive di una persona, unito alla qualità e al livello di integrazione delle relazioni oggettuali interiorizzate insite nella sua vita interiore, ne determinano l'e­ sperito soggettivo della realtà interna ed esterna. La personalità normale è libera di esperire una vasta gamma di relazioni oggettuali, attivate da circo­ stanze interne ed esterne. Il soggetto con patologia della personalità di alto livello invece, deve difendersi rigidamente dalle esperienze consce e incon­ sce di sé e dell'altro, assodate ad aree di conflitto. Per fare ciò, egli mantiene uno stato in cui gli aspetti conflittuali di sé e dell'altro sono repressi oppure dissodati e non fanno parte del suo esperito dominante. Le situazioni che attivano queste relazioni oggettuali respinte generano ansia e la distorsione difensiva della realtà interna ed esterna. 41

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONAUTÀ DI ALTO LIVELLO

Nella DPHP utilizziamo la cornice terapeutica abbinata all'analisi di re­ sistenza per attivare le relazioni oggettuali conflittuali, aiutando così il pa­ ziente e il terapeuta ad accedere all'esperito inconscio di sé e degli altri e alle operazioni difensive associate.

RELAZIONI OGGETTUALI INTERIORIZZATE E OPERAZIONI DIFENSIVE NELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ La nostra tecnica psicoterapeutica è incentrata sull'analisi delle relazioni og­ gettuali interiorizzate attivate, di attimo in attimo, nella cornice terapeutica. Questo perché le relazioni oggettuali interiorizzate attivate dalle situazioni conflittuali nella vita attuale del paziente e in terapia aprono una finestra sul mondo interno del soggetto e, in ultima analisi, sulla sua vita inconscia. A mano a mano che tali relazioni nei rapporti correnti del paziente - anche con il terapeuta - emergono, le motivazioni conflittuali, le difese e le ansie alla base della rigidità della personalità e dei sintomi associati vengono alla luce. Come descritto in precedenza, in un conflitto inconscio, sia le difese sia le motivazioni conflittuali sono rappresentate ed esperite soggettivamente come modelli relazionali interiorizzati, collegati a fantasie inconsce riguar­ danti rapporti desiderati o temuti. Le rappresentazioni di sé e dell' altro che svolgono funzioni difensive sono relativamente accessibili alla coscienza, mentre le relazioni oggettuali interiorizzate meno integrate e più caricate affettivamente, associate all'espressione di motivazioni conflittuali, sono represse o dissociate. Nel corso del trattamento, ci aspettiamo di scoprire ed elaborare i con­ flitti centrali, partendo dall'esplorazione dei modelli relazionali mobilitati in modo difensivo, per poi passare alle relazioni oggettuali sottostanti, più fortemente conflittuali. Quando paziente e terapeuta arrivano a capire le funzioni espressive e difensive di una determinata relazione oggettuale in­ teriorizzata, altri modelli relazionali interiorizzati, da cui il paziente si era difeso in precedenza, verranno alla luce. In questo modo, con il progredire del trattamento, paziente e terapeuta sviluppano una comprensione sem­ pre più complessa e profonda delle difficoltà di presentazione e delle ansie del soggetto. La messa in atto di una particolare relazione oggettuale può assumere funzioni difensive in vari modi. In primo luogo, l'attuazione di una relazio­ ne oggettuale interiorizzata difensiva può supportare la repressione di altre relazioni oggettuali interiorizzate maggiormente conflittuali, più vicine all'e­ spressione diretta di motivazioni conflittuali. Si tratta di ciò che riscontria­ mo nella vera repressione. In secondo luogo, la messa in atto di qualsivoglia relazione oggettuale interiorizzata funge da formazione di un compromes­ so, nella misura in cui motivazioni inaccettabili vengono attribuite a una 42

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rappresentazione oggettuale e al tempo stesso scisse dalla rappresentazione del sé abbinata. Si tratta di ciò che riscontriamo nella proiezione nevrotica. In terzo luogo, la messa in atto di una relazione oggettuale conflittuale può svolgere una funzione difensiva, nella misura in cui la ;ua attuazione rimane scarsamente integrata nell'esperienza di sé dominante. Si tratta di ciò che riscontriamo nella scissione o dissociazione. I tre processi difensivi che abbiamo appena delineato implicano tutti un allontanamento delle motivazioni conflittuali dal sé e, allo stesso tem­ po, il loro allontanamento o separazione dalle altre motivazioni con cui sono in conflitto. Il focus sul rapporto tra motivazioni conflittuali ed espe­ rienza di sé si riflette negli obiettivi della DPHP. L' attenzione per il rappor­ to tra le motivazioni conflittuali e altre motivazioni meno conflittuali si riflette nelle strategie e tattiche della DPHP e nel nostro modello alla base del funzionamento della terapia. Queste idee saranno elaborate nelle pa­ gine che seguono. Repressione: stratifìcazione delle relazioni oggettuali interiorizzate

n processo, attraverso il quale la messa in atto di relazioni oggettuali inte­

riorizzate più vicine alla coscienza difende dalla consapevolezza o dall'at­ tuazione di altre relazioni oggettuali interiorizzate più minacciose, è un esempio di vera rimozione. Si può pensare alla rimozione in termini di "stra­ tificazione" di relazioni oggettuali interiorizzate. Con " stratificazione" in­ tendiamo la situazione dinamica in cui le relazioni oggettuali interiorizzate in superficie o vicine alla superficie conscia proteggono dall'attivazione di strati sottostanti di contenuti mentali inconsci. Sia le difese sia le motivazio­ ni inaccettabili sono rappresentate come relazioni oggettuali interiorizza­ te, associate alle fantasie inconsce riguardanti rapporti desiderati e temuti. Ne consegue che, quando un paziente utilizza la rimozione per difendersi da conflitti inconsci, ciò che possiamo osservare sono comportamenti che riflettono la messa in atto di relazioni oggettuali difensive. Quest'ultima svolge la funzione di mantenere represse le relazioni oggettuali interioriz­ zate conflittuali che sono più strettamente legate all'espressione di desideri, esigenze e paure conflittuali. Caso clinico di stratificazione delle relazioni oggettuali interne Prendiamo in esame il ragazzo sempre desideroso di piacere agli altri. Egli met­ te in atto il modello relazionale interiorizzato di un sé bambino-amabile e di un genitore attento. Questa relazione oggettuale interiorizzata, attivata in modo automatico e abituale, serve a evitare la consapevolezza di altre visioni di sé e dell'altro, che sono più minacciose ( " conflittuali" ) e più vicine all'espressione di motivazioni conflittuali. Per esempio, la messa in atto della relazione oggettuale interiorizzata del sé bambino piacevole e del genitore attento può fungere da di-

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COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO fesa contro l'attivazione della relazione oggettualé! interiorizzata di un bambino arrabbiato e di un genitore sadico. Al tempo stesso, l'attivazione di questo con­ flitto totale, sia la difesa sia l'impulso, in ultima analisi svolge anche la funzione di difesa dall'attivazione di altri conflitti. Per esempio, se quest'uomo fosse in terapia, si potrebbe scoprire che la sua ansia riguardo alla rabbia e al sadismo difende da conflitti sessuali, magari esperiti come rapporto tra un genitore sedu­ cente e un sé bambino sovreccitato.

La proiezione supporta la rimozione: rovesciamento di ruolo e relazioni oggettuali interiorizzate

Un altro modo in cui la messa in atto di una relazione oggettuale interioriz­ zata può supportare la rimozione è attribuendo motivazioni inaccettabili a una rappresentazione oggettuale, reprimendo al tempo stesso il collega­ mento tra tali motivazioni inaccettabili e il sé. Questa operazione difensiva può essere distinta dalla vera rimozione - cui ci siamo riferiti come stratifi­ cazione - in cui una motivazione conflittuale è totalmente bandita dalla co­ scienza. In questo caso invece, la motivazione cont1ittuale viene bandita non interamente dalla coscienza, quanto piuttosto dall'esperienza di sé conscia. Questo processo implica la proiezione, nella misura in cui la motivazio­ ne conflittuale è stata scissa o dissociata dall'esperienza di sé e attribuita a un oggetto, e la repressione, nella misura in cui il soggetto ha represso total­ mente la consapevolezza del collegamento tra il sé e l'impulso inaccettabile. In breve, il paziente ha scisso le motivazioni in confitto, attribuendo la mo­ tivazione più conflittuale a una rappresentazione oggettuale e identifican­ dosi al tempo stesso con le motivazioni meno conflittuali. Quando questa relazione oggettuale viene messa in atto, il paziente avverte il proprio im­ pulso proiettato provenire da un oggetto, mentre assume consapevolmente l'atteggiamento della rappresentazione oggettuale scissa. Dal momento che le motivazioni conflittuali del paziente sono esperite come provenienti da un oggetto e dirette verso di lui, che si identifica consciamente con l'ogget­ to, questa operazione difensiva può essere concettualizzata come una for­ ma di rovesciamento di ruolo. La proiezione può essere contrastata con l'i­ dentificazione proiettiva, poiché in essa non esiste consapevolezza emotiva dell'impulso proiettato, né un'induzione inconscia dell'impulso proiettato nell'oggetto (Kernberg, 1 992 ) . Caso clinico di rovesciamento di ruolo Prendiamo in esame la ragazza che mette normalmente in atto una relazione og­ gettuale interiorizzata composta da un sé innocente, affettuoso e asessuale e da un oggetto sessuale e seducente, in cui tutto l'interesse erotico e la seduzione sono at­ tribuiti alla rappresentazione oggettuale, mentre la rappresentazione del sé non ha alcun collegamento con q�sti impulsi. L'esperienza di sé conscia di questa ragazza è di amore e ingenuità sessuale, forse associati al sentirsi in una posizione infantile, e difende dalla consapevolezza delle proprie sensazioni erotiche.

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È evidente che nella relazione oggettuale è insita un'bpressione dell'interesse sessuale della paziente e dei suoi desideri di essere seducente, sebbene questi ele­ menti siano totalmente dissociati dal sé affettuoso e ingenuo ed esperiti come pro­ venienti dall'oggetto. Di conseguenza, possiamo vedere questa relazione oggettua­ le interiorizzata sia come un'espressione velata, sia come una difesa dagli impulsi sessuali e seducenti della paziente. (È ciò che si intende con il termine formazione del compromesso.) Sebbene non sia in grado di mantenere i propri desideri sessuali totalmente al di fuori della consapevolezza, questa ragazza è del tutto inconsape­ vole del proprio collegamento a essi. All'inizio della terapia, il paziente con rigidità della personalità di livello superiore sarà identificato prevalentemente con un lato di un determinato modello relazionale interiorizzato. Al termine di un trattamento riuscito, egli sarà in grado di tollerare la consapevolezza della propria identificazio­ ne con entrambi i lati del rapporto. Nel caso clinico precedente, per esem­ pio, la paziente inizialmente era identificata con la rappresentazione di sé ingenua, affettuosa e infantile, mentre nel corso della terapia è giunta a tol­ lerare la consapevolezza della propria identificazione anche con il suo ego sessuale e seducente. Partendo da questa posizione più tollerante, è riusci­ ta a osservare le funzioni difensive svolte dalla propria identificazione con ciascuna metà della relazione oggettuale. In breve, l'identificazione con la bambina ingenua e affettuosa difendeva dalle ansie associate alla sessualità, mentre l'identificazione con la figura sessuale difendeva dalle ansie associa­ te a vulnerabilità e amore. Un paziente può percepire una posizione come più ansiogena, mentre per un altro può essere il contrario. Nel corso del trattamento dovremmo assistere all'emersione alla coscienza delle identificazioni del paziente con entrambi i lati del rapporto, sebbene ciò non debba necessariamente avve­ nire subito. Con l'emersione e l'elaborazione di queste identificazioni muta­ te, il paziente si sentirà libero di avere un'esperienza di sé più varia e fluida. Per esempio, la donna che si presenta come persona ingenua dovrebbe es­ sere libera di godere dei propri impulsi sessuali e seducenti e non dovrebbe più aver bisogno di separare vulnerabilità e amore dalla sessualità, raggiun­ gendo così una maggiore capacità di esperire e godere dell'amore erotico. Dalla proiezione all'integrazione

L'operazione difensiva che abbiamo appena illustrato è tipicamente con­ cettualizzata come una forma di proiezione. Nel nostro esempio, esigenze e desideri sessuali inaccettabili, uniti ad aspetti del sé legati a motivazio­ ni erotiche, sono scissi dall'esperienza di sé e proiettati in un oggetto. In questa formulazione, l'accento è posto sul contenuto della proiezione del paziente. Tuttavia, il nostro esempio clinico illustra il modo in cui questo tipo di manovra difensiva implica tipicamente non soltanto la proiezione 45

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di motivazioni inaccettabili e stati emotivi associati, ma anche la segrega­ zione di diverse serie di motivazioni che sono in conflitto. In sostanza, sug­ geriamo che nella proiezione si possa vedere non soltanto l'attribuzione di una motivazione conflittuale a un oggetto, ma anche la segregazione di due serie di motivazioni, una delle quali è conflittuale, all'interno di una relazione oggettuale. Per ritornare un attimo all'esempio, a nostro avviso il problema di questa paziente non è descritto in modo adeguato osservando semplicemente che essa considera i propri desideri sessuali inaccettabili e quindi ha bisogno di tirarli fuori. Una descrizione più completa deve includere piuttosto la difficoltà particolare della paziente a integrare le esigenze e le relazioni ses­ suali con le esigenze e le relazioni dipendenti; la sua strategia difensiva non consiste semplicemente nel liberarsi dalle motivazioni sessuali inaccettabili, quanto piuttosto nell'assicurarsi che le motivazioni sessuali rimangano sepa­ rate dalle esigenze dipendenti. Nella configurazione iniziale, questa donna contiene in se stessa tutte le esigenze dipendenti insite nelle sue relazioni sentimentali, mentre tutte le esigenze sessuali sono contenute nell'oggetto. Lei è totalmente priva di sessualità, mentre lui (l'oggetto) è totalmente pri­ vo di esigenze di dipendenza. Ciò che suggeriamo è che, all'interno di un quadro di riferimento della teoria delle relazioni oggettuali, può essere utile pensare meno alla proiezione e più alla compartimentalizzazione o segregazione, all'interno di una singo­ la relazione oggettuale, di motivazioni che sono in conflitto. Questa visione è coerente con ciò cui assistiamo clinicamente quando le difese del paziente iniziano a diventare meno rigide. Di solito, per prima cosa riscontriamo un rovesciamento di ruolo - un passaggio da un paziente ingenuo e un oggetto sessuale a un paziente sessuale in relazione a un oggetto ingenuo (Kernberg, 1 992 ) . Ciò equivale a dire che, persino quando il paziente è maggiormente in grado di tollerare la consapevolezza delle proprie esigenze sessuali, si sen­ te al sicuro al riguardo soltanto in un setting in cui le esigenze di sessualità e dipendenza rimangono segregate. Solo dopo aver elaborato le identificazioni del paziente con i due lati della scissione (sessuale e dipendente) e il modo in cui un'identificazione difende dall'altra e difende anche dall'ansia di esperire simultaneamente due serie di motivazioni in conflitto, assistiamo alla mag­ giore integrazione e a una minore rigidità della personalità. Perché questa paziente sia libera da inibizioni sessuali e sentimentali, non dovrà soltanto tollerare la consapevolezza del proprio desiderio sessuale, ma anche eliminare la separazione tra motivazioni sessuali e dipendenti e integrare i due aspetti. Questo passaggio si esprimerà sotto forma di relazio­ ne oggettuale interiorizzata di un sé affettuoso, dipendente e sessuale con un oggetto affettuoso ed erotico. Questo tipo di integrazione degli impulsi sessuali e dipendenti è basato sul paziente che scende a patti con le fantasie e le ansie associate ai conflitti edipici. 46

RELAZIONI OGGETTUALI INTERNE, ORGANIZZAZIONE MENTALE ED ESPERJENZA SOGGETTIVA . . .

Scissione e dissociazione nella patologia della personalità di alto livello

Oltre alle difese basate sulla repressione, i pazienti con patologia della per­ sonalità di alto livello si affidano anche alla dissociazione o alle difese basa­ te sulla scissione a fronte di conflitti inconsci. La scissione e la dissociazio­ ne sono in qualche modo simili alla proiezione, in quanto le motivazioni in conflitto tra loro, unite agli aspetti associati dell'esperienza di sé, vengono mantenute separate. Tuttavia, mentre la proiezione può essere concettualiz­ zata in termini di motivazioni segreganti all'interno di una singola relazione oggettuale, le difese basate sulla scissione possono essere concettualizzate in termini di motivazioni segreganti conflittuali tra diverse relazioni ogget­ tuali. E quando la proiezione implica la repressione del collegamento tra un impulso e il sé, o tra due impulsi, la scissione e la dissociazione non im­ plicano repressione, né comportano la separazione totale del collegamento tra impulsi conflittuali e il sé. Nella patologia della personalità di alto livello, scissione e dissociazio­ ne implicano la separazione di due motivazioni in conflitto, associando ciascuna di esse a una serie diversa di relazioni oggettuali interiorizzate e garantendo che non vi siano connessioni tra le relazioni oggettuali disso­ ciate. Contrariamente alla proiezione, nella scissione e nella dissociazione nulla è represso - entrambe le serie di relazioni oggettuali sono esperite in modo conscio. Ciò che rileviamo dal punto di vista clinico è che, sebbene siano sperimentate e messe in atto consciamente, le motivazioni conflittua­ li rimangono al tempo stesso scisse dalle altre motivazioni e dagli aspetti dell'esperienza di sé con cui sono in conflitto. Questo processo evita i peri­ coli psicologici associati all'integrazione delle motivazioni in conflitto e al tempo stesso garantisce che l'espressione delle motivazioni conflittuali non sia totalmente integrata nell'esperienza di sé. Spesso i pazienti dissociano la dipendenza dall'aggressione, l'amore e/o dipendenza dalla sessualità e l'aggressione dall'amore e dalla tenerezza. Caso clinico di scissione e dissociazione nella patologia della personalità di alto livello Per illustrare l'impatto di dissociazione e scissione sull'esperienza interiore e sul funzionamento esteriore nella p atologia della personalità di alto livello, ritorniamo all'esempio clinico della ragazza con conflitti relativi ai propri desideri erotici. Nel­ la discussione iniziale, in cui illustravamo l'uso della proiezione, questa paziente si esperiva come una persona affettuosa e dipendente, priva di desiderio sessuale, in re­ lazione a una persona sessuale, senza esigenze di dipendenza. Al contrario, se questa paziente si fosse basata prevalentemente sulla scissione, invece che sulla proiezione, per gestire i propri conflitti sessuali, avremmo riscontrato una serie di relazioni og­ gettuali in cui avrebbe messo in atto esigenze e desideri di amore e dipendenza pri­ vi di sottintesi erotici e un'altra serie, separata, di relazioni oggettuali in cui avrebbe messo in atto eccitazione erotica e seduzione. Nella vita esterna, la paziente sarebbe in grado di gratificare i propri desideri sessuali, ma soltanto nella misura in cui rie­ sca a mantenere separate le relazioni oggettuali dipendente ed erotica.

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COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

CONFLITTI EDIPICI Abbiamo parlato delle caratteristiche descrittive e strutturali della patologia della personalità. A questo punto, passiamo alla questione della psicodina­ mica. Quando usiamo il termine psicodinamica o discutiamo della " dina­ mica" di un particolare paziente, ci riferiamo alla natura e alle origini evo­ lutive dei conflitti associati alla sua patologia della personalità. Possiamo concettualizzare i conflitti psicologici centrali che si incontrano comune­ mente nelle persone con patologia della personalità di alto livello in termini di due categorie di ansia dominanti. Il primo gruppo di conflitti può essere concettualizzato in termini di relazioni oggettuali diadiche; si tratta di con­ flitti organizzati intorno a paure riguardo alla vulnerabilità e al dipendere o fidarsi degli altri. Il secondo gruppo può invece essere concettualizzato in termini di relazioni oggettuali triadiche; si tratta di conflitti spesso orga­ nizzati intorno a paure riguardo alla rivalità con altri per ottenere qualcosa o qualcuno che le due parti desiderano. Le relazioni oggettuali triadiche e i conflitti sono spesso associati a dinamiche edipiche. Conflitti triangolari e complesso di Edipo

n tratto tipico dello sviluppo e del conflitto edipico è il fatto che è triadico, vale

a dire che la relazione del sé con una persona amata, desiderata o necessaria è inestricabilmente legata, dal punto di vista psicologico, a una terza parte. n prototipo delle relazioni oggettuali interiorizzate triadiche è il rapporto tra il bambino e i due genitori come coppia. Gli ostacoli evolutivi della situazione edipica comportano l'accettazione del fatto che si vive in un mondo in cui le persone che amiamo e di cui abbiamo bisogno hanno rapporti con altri, che ci escludono. La capacità di prendere atto e gestire questo dilemma è basata sulla consapevolezza di un sé con una vita interiore soggettiva, di un'altra per­ sona separata e non controllata dal sé e di una terza parte. Questa configura­ zione indica un livello relativamente maturo di sviluppo psichico e cognitivo ed è tipicamente associata alla capacità autoriflessiva e di autoosservazione. Nei conflitti edipici, i desideri, le esigenze e le paure sessuali, dipenden­ ti, competitive e aggressive sono collegate a fantasie infantili riguardo alla separazione della coppia genitoriale per ottenere la totale attenzione di uno o dei due genitori, escludendo e trionfando sull'altro genitore e/o su altri membri della famiglia. Di conseguenza, le esigenze e i desideri sessuali, di­ pendenti e aggressivi, e le fantasie cui sono collegati, sono conflittuali e la messa in atto delle relazioni oggettuali associate all'espressione di motiva­ zioni erotiche, dipendenti e aggressive condurrà a sensi di colpa e perdita, associati a fantasie sulla punizione temuta. Per la ragazza edipica, per esempio, le fantasie di possesso del padre come proprio oggetto di amore implicano anche fantasie relative alla so48

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stituzione, al trionfo sulla madre e forse anche alla sua eliminazione. Nella misura in cui mantiene un'immagine positiva della madre a fronte dei sen­ timenti di rivalità, la ragazza si trova ad affrontare un conflitto doloroso. n suo desiderio di gratificare i propri impulsi sessuali e sadici, unito al desi­ derio competitivo e narcisistico di possedere il padre sono in conflitto con l'amore per la madre, la dipendenza da lei e il timore della sua punizione. Nell'adulto, questo conflitto può rimanere irrisolto e sepolto. Situazioni collegate al conflitto edipico, soprattutto lotte di intimità sessuale e com­ petitive, stimoleranno ansia, senso di colpa e paura. È a causa del legame inconscio tra amore sessuale e fantasie infantili di trionfo incestuoso che su­ scitano senso di colpa, che i pazienti con conflitti edipici preminenti fanno fatica a integrare la sessualità passionale con tenerezza e amore. Conflitti diadici e dipendenza

Sebbene i conflitti triangolari spesso si rivelino le dinamiche centrali, i pa­ zienti con patologia della personalità di alto livello si presentano in terapia anche con conflitti diadici. Contrariamente ai conflitti triangolari, che im­ plicano il vivere in un mondo in cui dipendiamo da altri, riconoscendo al tempo stesso che hanno esigenze proprie e relazioni interpersonali che ci escludono, i conflitti diadici implicano tipicamente alti e bassi di dipenden­ za dagli altri di per sé, senza prestare attenzione a terzi. Il prototipo della relazione diadica è l'interazione tra il bambino e il suo caretaker e in parti­ colare le esperienze di soddisfazione e frustrazione del bambino nell'ambito di questa relazione. Il modo in cui sono organizzati i conflitti diadici è colle­ gato alla capacità dell'individuo di stabilire rapporti di fiducia e dipendenza. Talvolta i conflitti diadici sono concettualizzati come "pre-edipici" - per indicare il bambino in relazione a un genitore come caretaker, in contrasto con il bambino in relazione alla coppia genitoriale. Nei conflitti triangolari, la gratificazione implica il prendere qualcosa da qualcun altro che la desidera e la frustrazione e privazione vengono esperite in termini di un altro che ottiene " qualcosa che voglio io" . Al contrario, nei conflitti diadici, la gratificazione è sperimentata in termini di ottenimento di "una cosa che voglio" da " qualcuno che mi darà sempre ciò che deside­ ro" e frustrazione e privazione sono vissute come mancato ottenimento di "ciò che voglio" da " qualcuno che non vuole darmi ciò che desidero" . Dal momento che non c'è triangolazione, tutto l'amore stimolato ed espresso dalla gratificazione, e tutta la rabbia stimolata dalla frustrazione, sono fo­ calizzati su un unico oggetto, che è esperito come totalmente responsabile di qualsiasi cosa accada nell'interazione. Per esempio, l'esperienza della ra­ gazza con la madre genera rappresentazioni di una madre amata che nutre e protegge il bambino, ma anche rappresentazioni contraddittorie di una madre assente o distratta, che genera frustrazione e invidia. 49

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LNELLO

I conflitti diadici e triangolari tipicamente sono concentrati e si esclu­ dono l'un l'altro. I conflitti che coinvolgono dipendenza e fiducia rendono difficile negoziare i conflitti triangolari e la situazione edipica; al tempo stes­ so, sperimentare una situazione in termini di esigenze e conflitti diadici può servire come modo per evitare ansie triangolari, a livello edipico, relative a rivalità e sessualità. Pertanto, mentre il focus dinamico finale della DPHP è spesso un conflitto triangolare, i conflitti irrisolti sulla dipendenza posso­ no occupare il centro della scena in qualsiasi fase del trattamento. L'attiva­ zione di relazioni oggettuali diadiche in terapia viene utilizzato, a volte, in modo difensivo per evitare il conflitto di livello edipico, proprio come l'at­ tivazione di materiale a livello edipico viene impiegato, a volte, per difen­ dersi dall'emergere di conflitti diadici che implicano dipendenza e fiducia. La posizione depressiva

Sigmund Freud ha introdotto il concetto di complesso di Edipo (Freud, 1 900) e ne ha fatto la pietra angolare della sua teoria su conflitto psicologico e patologia. Melanie Klein ha sviluppato ulteriormente la comprensione dei conflitti triangolari del conflitto di livello edipico integrando il complesso di Edipo nel suo concetto di posizione depressiva (Klein, 1935) . Nella posi­ zione depressiva, il soggetto inizia a tollerare l'ambivalenza, introducendo la consapevolezza dell'ostilità verso e dagli oggetti amati. La consapevolez­ za dell'ambivalenza conduce inizialmente a depressione, dolore, perdita, senso di colpa e rimorso, oltre al desiderio di riparazione. In ultima anali­ si, il soggetto si assume la responsabilità e piange per il danno arrecato ai propri oggetti nella fantasia, a mano a mano che riesce a tollerare la consa­ pevolezza emotiva della perdita delle immagini ideali di se stesso e dei suoi oggetti (Segai, 1964 ) . L'elaborazione delle ansie depressive consente all'individuo di assumersi la responsabilità dei propri impulsi distruttivi, aggressivi e sessuali e di tol­ lerare al tempo stesso la consapevolezza di tali impulsi negli altri; di stabili­ re rapporti di dipendenza reciproca; e di provare amore e preoccupazione per gli altri, che sono esperiti come separati e complessi. Inoltre, la capacità di sperimentare gli altri come separati è strettamente legata alla capacità di pensiero simbolico ( Spillius, 1 994) . Klein contrappone alla posizione depressiva l a posizione schizoide para­ noide più "primitiva" ( Klein, 1 946) in cui l'ambivalenza non è tollerata, la scissione predomina e le relazioni oggettuali aggressive, positive, amorevoli e negative, sono tenute in disparte. Laddove le ansie centrali della posizio­ ne depressiva hanno a che fare con il senso di colpa per il proprio poten­ ziale distruttivo o offensivo, le ansie della posizione schizoide paranoide sono esperite come dirette verso il soggetto, piuttosto che originate da lui, e hanno a che fare con paure di annientamento. Nella posizione schizoide 50

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paranoide, i confini dell'ego sono relativamente permeabili e gli oggetti so­ no controllati; il pensiero è concreto e onnipotente. Le visioni contemporanee delle posizioni schizoide paranoide e depres­ siva sottolineano che si tratta di due modi di organizzare l'esperienza psi­ cologica; le due posizioni sono concettualizzate come stati mentali diversi, presenti in un equilibrio più o meno stabile in tutti noi (Bion, 1 963 ; Steiner, 1992 ) . Ogni posizione è associata alla propria serie di ansie e operazioni difensive. Inoltre, le due posizioni implicano gradi diversi di integrazione delle strutture psicologiche; le strutture psicologiche scarsamente integrate e scisse o oggetti "parziali " predominano nella posizione schizoide paranoi­ de, mentre le strutture psicologiche meglio integrate e gli oggetti " comple­ ti" predominano nella posizione depressiva. La struttura dell'organizzazione difensiva del paziente a livello schizoide paranoide o depressivo differenzia i pazienti con patologia della personalità grave dai pazienti con patologia della personalità di alto livello. Da un pun­ to di vista strutturale, infatti, l'organizzazione psicologica della posizione schizoide paranoide corrisponde al mondo interno del paziente con pato­ logia della personalità grave, mentre la posizione depressiva corrisponde a quella del soggetto con patologia della personalità di alto livello. Tuttavia, da un punto di vista dinamico, quest'ultimo si muove tra orientamenti de­ pressivi e paranoidi e le fluttuazioni attimo-per-attimo tra un modo di fun­ zionamento schizoide paranoide e un modo depressivo sono caratteristiche della psicoterapia di questi pazienti. Quando il trattamento riesce, assistia­ mo all'elaborazione ripetuta e progressiva di cicli di ansia paranoide e de­ pressiva, che consentono al paziente di passare gradualmente a un modo di funzionamento più solidamente depressivo. Pertanto, ciò cui assistiamo dal punto di vista clinico a livello dell'espe­ rienza nell'hic et n une è lo spostamento del paziente tra modi di organizza­ re la propria esperienza paranoidi e depressivi. Ciò equivale a dire che, nel setting dell'identità consolidata e di un livello di funzionamento depressivo globale, il paziente con patologia della personalità di alto livello presenta una discreta variabilità e fluidità per quanto concerne il grado di integra­ zione dei suoi oggetti interni, il livello di capacità di assumersi le responsa­ bilità dei propri impulsi, il grado di sperimentazione del senso di colpa e preoccupazione, piuttosto che di paranoia e paura, e la misura in cui riesce a mantenere la capacità di osservarsi e pensare in modo simbolico. Da un punto di vista dinamico, il focus della DPHP riguarda principalmen­ te l'elaborazione delle ansie paranoidi e depressive originate dai conflitti sulle motivazioni sessuali, dipendenti e aggressive e sulle esigenze narcisi­ stiche. Tale elaborazione viene effettuata facendo emergere i conflitti alla coscienza, dove le relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali possono essere esplorate insieme alle ansie e alle difese associate alla loro messa in atto. Quando avrà la possibilità di esperire consciamente e di capire i pro51

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

pri conflitti, attivati e messi in atto nell'hic et n une e quando sarà in grado di assumersi progressivamente la responsabilità delle motivazioni conflit­ tuali, provando senso di colpa, perdita e preoccupazione, il paziente ela­ borerà le ansie depressive e paranoidi. In questo processo, egli scenderà a patti con aspetti di se stesso e degli altri significativi, passati e presenti, che sono dolorosi e/o incompatibili con il senso dominante di sé e del mondo. Caso clinico di ansie paranoidi e depressive nella DPHP Un uomo di mezza età si presentò in terapia lamentando frustrazione per la propria incapacità di progredire dal punto di vista professionale. Nelle prime settimane di cura, il terapeuta gli fece spesso notare l'atteggiamento passivo che assumeva nei confronti suoi e del trattamento. In risposta, il paziente pensò che il terapeuta lo stesse criticando e iniziò a temere di non piacergli. (Questa presa di posizione ini­ ziale nei confronti del clinico rifletteva l'assunzione di un orientamento prevalen­ temente paranoide nella fase iniziale del trattamento. ) C'era qualcosa di concreto nell'esperito del paziente, che si ritrovò a provare rabbia nei confronti del terapeu­ ta, perché non si dimostrava più solidale e rassicurante. A quel punto, terapeuta e paziente riuscirono a identificare la relazione ogget­ tuale tra un genitore forte, critico e rifiutante e un bambino arrabbiato e spaven­ tato, che era stata attivata nel transfert. Il paziente rimase molto colpito da questa formulazione e mentre ci rifletteva sopra, ricordò tra le lacrime una serie di intera­ zioni dolorose con il padre, che risalivano alla sua infanzia. Egli rifletté inoltre sulla propria capacità di esperire il terapeuta come una figura fredda e critica, mentre ciò appariva del tutto ingiustificato, e verso la fine della seduta chiese espressamente cosa significasse il fatto che fosse stato così diffidente nei confronti del clinico. (In questo caso assistiamo allo spostamento del paziente verso un orientamento pre­ valentemente depressivo. ) Alla seduta successiva, i l terapeuta notò immediatamente un cambiamento nell'atteggiamento del paziente, che era chiaramente irritato con lui e molto criti­ co in occasione di ogni intervento che tentava di fare. Quando glielo fece notare, il paziente rispose che il terapeuta doveva essere arrabbiato per il fatto che lo cri­ ticava. (Tra questa seduta e quella precedente, il paziente aveva abbandonato le ansie depressive espresse al termine della seduta precedente per assumere nuova­ mente un orientamento paranoide nei confronti del terapeuta. ) Il clinico rifletté su quanto stava accadendo e poi fece notare al paziente che sembravano essere ri­ tornati al modello relazionale che avevano analizzato nel corso della seduta prece­ dente, ma questa volta a ruoli invertiti: adesso il paziente si sentiva critico e incline al rifiuto, prevedendo che il terapeuta dovesse, in cambio, essere arrabbiato. Egli sottolineò inoltre che, in entrambe le configurazioni, il rapporto predominante tra loro era di ostilità. Mentre prendeva in considerazione i commenti del terapeuta, il paziente ini­ ziò a sembrare meno irritabile. A quel punto, il clinico proseguì ricordandogli lo scambio che avevano fatto verso la fine della seduta precedente, sottolineando che le cose di cui avevano parlato erano state toccanti e apparentemente piuttosto si­ gnificative per il paziente in quel momento, ma che adesso quei sentimenti sembra­ vano essere stati totalmente dispersi. Il paziente ammise di aver effettivamente di­ menticato la fine dell'ultima seduta. Il terapeuta proseguì ricordandogli anche che aveva dato voce alle proprie preoccupazioni riguardo a se stesso in relazione alla percezione del terapeuta come di una persona utile e gli suggerì che forse l'attuale

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RELAZIONI OGGETTUALI INTERNE, ORGANIZZAZIONE MENTALE ED ESPERIENZA SOGGETTIVA . . .

focus d a parte sua sulla reciproca ostilità e critica serviva a proteggerlo d a alcuni dei sentimenti più teneri, che aveva iniziato a provare al termine della seduta pre­ cedente. (In termini psicodinamici, il terapeuta stava suggerendo che il paziente si fosse ritirato difensivamente da un orientamento depressivo per un altro più para­ noide, per difendersi dall'emersione delle ansie depressive, associate in particolare ai sentimenti di tenerezza, vulnerabilità e preoccupazione.)

CAMBIAMENTO STRUTTURALE Lo scopo ultimo della DPHP, vale a dire ridurre la rigidità della personalità, corrisponde ai cambiamenti nell'organizzazione mentale del paziente. Nel­ lo specifico, la diminuzione della rigidità della personalità e lo spostamento verso un modo di funzionamento psicologico più flessibile e adattivo cor­ risponde alla progressiva integrazione delle strutture psicologiche. Tale in­ tegrazione si riflette sia nella qualità delle relazioni oggettuali conflittuali, sia nella loro organizzazione in relazione al senso di sé dominante. A mano a mano che i conflitti psicologici vengono elaborati, assistiamo a cambia­ menti nella qualità delle relazioni oggettuali conflittuali, cosicché le rap­ presentazioni diventano meno monodimensionali (più complesse e meglio differenziate) e gli affetti associati meno intensi e anch'essi più differenzia­ ti. Al tempo stesso, rileviamo variazioni nell'organizzazione delle relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali, per cui esse si fondono con le rappre­ sentazioni di sé e dell'oggetto non conflittuali, che includono il senso di sé dominante del paziente. Questi cambiamenti strutturali corrispondono a una maggiore capacità di esperire emotivamente e di rappresentare simbo­ licamente le relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali, in modo che di­ ventino parte dell'esperienza di sé. Integrazione delle relazioni oggettuali interiorizzate

Da un punto di vista strutturale, l'elaborazione dei conflitti psicologici con­

duce all'assimilazione dei rapporti oggettuali conflittuali nell'esperienza di sé conscia. Come parte di questo processo, possiamo osservare un certo nu­ mero di cambiamenti correlati nella qualità di tali relazioni, strettamente legati all'espressione di motivazioni conflittuali. A mano a mano che si in ­ tegrano meglio nell'esperienza di sé conscia, le relazioni oggettuali conflit­ tuali diventano più " complesse " ; per complessità intendiamo l'attribuzione di più di una motivazione a una singola relazione oggettuale o rappresen­ tazione. Associati alla maggiore complessità e alla migliore integrazione, osserviamo cambiamenti nella qualità delle rappresentazioni mentali di sé e dell'altro, tali per cui diventano più differenziate, acquisiscono cioè mag­ giore sottigliezza di rappresentazione e diventano più realistiche. Inoltre, 53

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

con la maggiore integrazione delle relazioni oggettuali conflittuali, assistia­ mo a mutamenti nella qualità dell'esperito affettivo associato alla messa in atto di tali relazioni, cosicché gli affetti diventano meglio differenziati, più modulati e meno opprimenti. A seguito dell'integrazione delle relazioni oggettuali conflittuali, le mo­ tivazioni aggressive e i sentimenti di rabbia, per esempio, possono essere rappresentati nella stessa relazione oggettuale delle motivazioni amorevoli e dei sentimenti teneri e, in questo processo, gli impulsi aggressivi diven­ tano meno spaventosi e meno caricati affettivamente. In modo analogo, i desideri sessuali possono coesistere con sentimenti di amore e tenerezza e . desiderio di dipendenza e in questo processo possono diventare meno mi­ nacciosi e "guidati" . Integrazione significherà, per esempio, che il bambino affettuoso e di­ pendente può ora essere critico, a volte, e che il genitore critico e rifiutante può anche sentirsi amorevole e dipendente. In modo analogo, il bambino affettuoso e dipendente può anche provare sensazioni erotiche per il pro­ prio caretaker e il caretaker affettuoso può tollerare la consapevolezza di sentimenti di amore ed erotici verso il proprio bambino, o un amante single può prendere il posto sia della " Madonna", sia della "prostituta". Quando diventano più complesse, meno minacciose e meno caricate dal punto di vista affettivo, le rappresentazioni di sé e dell'altro possono essere assimilate alla massa di rappresentazioni che comprende l'esperienza di sé soggettiva del paziente. Ne consegue che i cambiamenti nella qualità delle relazioni oggettuali conflittuali corrisponde anche a cambiamenti nel loro rapporto con il senso di sé dominante. A mano a mano che le relazioni og­ gettuali diventano meglio integrate, l'esperito di sé e degli altri che in pre­ cedenza era scisso può ora essere tollerato e assimilato a un senso globale di sé e del mondo, in grado di contenere e gestire, in modo flessibile e adat­ tivo, le pressioni dell'espressione delle motivazioni conflittuali. Il processo di integrazione progressiva delle relazioni oggettuali conflittuali e la loro assimilazione nel senso di sé dominante rappresenta un cambiamento strut­ turale nell'organizzazione mentale del paziente; è ciò che si intende con il termine cambiamento strutturale nella DPHP. Caso clinico di cambiamento terapeutico Come esempio di cambiamento strutturale e dinamico che prevediamo di osserva­ re nel corso di una terapia riuscita, prendiamo in esame la casalinga di mezza età, inibita all'idea di andare a lavorare. Prima della terapia, nelle situazioni competitive esperiva rigidamente se stessa e gli altri come puramente ben intenzionati oppure spietati e da biasimare. Inoltre, aveva sempre bisogno di evitare, distorcere o scac­ ciare la gioia dalle esperienze che potevano suscitare sensazioni di successo o potere. Durante la terapia, risultò evidente che nella mente della paziente lo spettro del successo competitivo nell'arena professionale o sessuale era associato alla relazio­ ne oggettuale interiorizzata di un genitore forte, spietato e trionfante, che interagi-

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RELAZIONI OGGEITUALI INTERNE, ORGANIZZAZIONE MENTALE ED ESPERIENZA SOGGETTIVA . . .

va con una bambina assolutamente ben intenzionata, m a debole e inerme. Questo modello relazionale interiorizzato era strettamente legato a un'esperienza evolutiva che la paziente aveva vissuto con la madre, una donna di successo, che per lungo tempo aveva temuto e inconsciamente odiato. Attraverso la terapia, la donna ac­ quisì la consapevolezza dei propri sentimenti competitivi e ostili nei confronti della madre, oltre che dell'identificazione con una rappresentazione oggettuale materna ostile, precedentemente repressi. Grazie a un ulteriore lavoro, la donna riuscì a integrare meglio queste rappre­ sentazioni, e gli affetti associati di piacere nel trionfo, con le proprie rappresenta­ zioni delle parti affettuose di se stessa e della madre e ad assimilare nella propria esperienza di sé dominante tali rappresentazioni di successo e potere, meglio inte­ grate. Di conseguenza, la paziente sviluppò la capacità di godere dei piaceri della competizione, a mano a mano che nelle situazioni competitive creava un'immagine di sé e degli altri più complessa, flessibile e meno critica.

Ambivalenza

L'ambivalenza può essere definita come la capacità di tollerare la consape­ volezza di motivazioni conflittuali rivolte simultaneamente verso lo stes­ so oggetto. Implicito in quanto abbiamo descritto finora è il fatto che il processo di integrazione che costituisce il cambiamento strutturale nella patologia della personalità di alto livello è basato sullo sviluppo, da parte del soggetto, di una maggiore capacità di tollerare l'ambivalenza. Le rela­ zioni oggettuali interiorizzate integrate sono, per definizione, ambivalenti. L'ambivalenza implica che il soggetto sia conscio e in grado di far fronte e di integrare le parti aggressiva, sessuale, esibizionistica, competitiva, di autopromozione, amorevole e dipendente di se stesso e dei suoi oggetti che sono in conflitto. I kleiniani contemporanei pensano al processo per arrivare a tolle­ rare l'ambivalenza come all' " elaborazione della posizione depressiva" (Hinshelwood, 199 1 ) . S i tratta d i u n concetto centrale dell'approccio kleiniano contempora­ neo alla psicopatologia e al trattamento. Nel modello kleiniano, come nel modello della psicologia dell'ego, la dinamica centrale nei conflitti triango­ lari è la difficoltà del soggetto a tollerare la consapevolezza dei desideri ag­ gressivi e sessuali conflittuali. Tuttavia, per i kleiniani, il problema di base è chiaramente l'incapacità di integrare pienamente motivazioni affettuose e aggressive (Segai, 1 964) . L'aggressività nei confronti di una persona amata non è tollerata. In modo analogo, nella misura in cui una relazione sessua­ le è legata al trionfo competitivo in un triangolo, inconsciamente collegato agli oggetti primari amati e necessari, anche le sensazioni sessuali non so­ no tollerate in un mondo di amore e dipendente, e la competizione diven­ ta problematica. Nel modello kleiniano, l'elaborazione della posizione depressiva com­ porta per il soggetto la sperimentazione e l'assunzione della piena respon55

COMPRENSIONE TEORICA DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

sabilità dei suoi sentimenti aggressivi e sessuali, contemporaneamente al riconoscimento delle proprie esigenze dipendenti e alla permanenza, dal punto di vista psicologico, in un mondo morale in cui l'amore predomina. L'ansia centrale della posizione depressiva corrisponde agli albori della con­ sapevolezza del fatto che il soggetto alberga in sé motivazioni aggressive nei confronti di oggetti amati e necessari, che sono esperiti come autonomi e separati dal sé (Segal, 1 964 ) . Quando queste motivazioni non vengono più associate, proiettate, ne­ gate o represse e sono invece esperite consciamente come parte del sé e in termini di rapporti desiderati, necessari e temuti, l'individuo può arrivare ad assumersi la responsabilità della propria aggressività e del desiderio di trionfo. Si tratta del primo passo nel processo dell'integrazione di motivazioni sessuali e aggressive, precedentemente scisse, in aspetti affettuosi, teneri e dipendenti dell'esperito di sé e degli altri. In tale processo, gli impulsi ses­ suali e aggressivi diventano meno minacciosi, meno caricati dal punto di vista affettivo e meno concreti; i desideri e i timori sessuali e aggressivi', e le fantasie associate alla loro messa in atto, giungono quindi a essere esperi­ ti più come pensieri, sensazioni, desideri e paure, e meno come azioni già compiute. L'assunzione di responsabilità per la distruttività e i desideri di trionfo sessuale comporta il tollerare il senso di colpa, rimorso, perdita e depressione associato al riconoscimento della propria distruttività, l' accet­ tazione delle realtà della triangolazione e dell'esclusione, e l'elaborazione della perdita della speranza di un rapporto idealizzato, che può essere to­ talmente protetto da aggressività e triangolazione. Si tratta del processo di elaborazione del lutto (Steiner, 1996) , nell'ambito del quale il soggetto fa ammenda nei confronti delle persone che ha danneggiato nella fantasia. Mentre l'approccio kleininano enfatizza la difficoltà di esperire contem­ poraneamente sentimenti di amore e aggressivi verso un unico oggetto e di integrare le relazioni oggettuali aggressive e sessuali conflittuali nell"' ego" o sé, la nostra posizione è, in un certo senso, più ampia. Noi sottolineiamo le difficoltà di elaborare conflitti tra amore e aggressività, ma anche di inte­ grare ciascuna di queste motivazioni con esigenze dipendenti, oltre che con le necessità pertinenti al mantenimento di sentimenti di autonomia e auto­ stima. Inoltre, attribuiamo maggiore importanza all'esperito del paziente di un senso relativamente ben organizzato e integrato di sé, da cui le relazioni oggettuali conflittuali sono state scisse, poiché lo scopo esplicito del tratta­ mento è l'integrazione di tali relazioni oggettuali conflittuali nell'esperienza di sé conscia centrale del paziente. Di conseguenza, gli scopi della DPHP annullare la dissociazione e la proiezione, in modo che le motivazioni con­ flittuali siano integrate coerentemente nell'esperienza di sé dominante del paziente - sono simili, ma in qualche modo diversi dal concetto kleiniano di elaborazione della posizione depressiva. -

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RELAZIONI OGGETTUALI INTERNE, ORGANIZZAZIONE MENTALE ED ESPERIENZA SOGGETTIVA . . .

D a u n punto di vista dinamico, gli scopi, l e strategie, le tattiche e le tec­ niche della DPHP svolgono la funzione di stimolo delle ansie relative alla spe­ rimentazione simultanea di motivazioni conflittuali nell'ambito di una sin­ gola relazione oggettuale, e al tempo stesso aiutano il paziente a tollerare, esplorare e riuscire a capire tali ansie per poi, in ultima analisi, elaborarle. In questo modo, i cambiamenti strutturali apportati dalla DPHP sono asso­ ciati anche ai mutamenti dinamici nell'equilibrio mentale del paziente. Co­ me parte del processo di integrazione, il paziente acquisisce la capacità di tollerare la consapevolezza di motivazioni conflittuali e rappresentazioni di sé e degli altri che in precedenza erano represse o dissociate e che diventa­ no parte del suo esperito soggettivo, quando sviluppa la capacità di affron­ tare le motivazioni conflittuali in un modo che non si basa su repressione, proiezione, dissociazione o negazione. Dal momento che non ha più bisogno di reprimere il proprio esperito interno per evitare le ansie associate all'attivazione di relazioni oggettuali conflittuali, il paziente può diventare meno rigido e inibito ed è libero di godere di una gamma di esperienze più ampia, in quanto le sue operazioni difensive diventano più flessibili. Ciò rappresenta un cambiamento dinami­ co nel funzionamento mentale del paziente. È questo processo di maggiore integrazione delle strutture psicologiche - associato alla maggiore flessibilità delle operazioni mentali - che, nel corso del trattamento, porta il paziente con patologia della personalità verso la gamma di funzionamento normale.

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BruTTON, R. , "The Oedipus situation an d the depressive position" . In

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PARTE SECONDA

Trattamento psicoterapeutico della patologia della personalità di alto livello

4 G li e lementi base della DPHP

Nella prima parte di questo capitolo, forniamo un quadro generale degli obiettivi terapeutici della psicoterapia dinamica per la patologia della perso­ nalità di alto livello (DPHP), sia per presentare una visione d'insieme del trat­ tamento, sia per introdurre i concetti di cui discuteremo in dettaglio nei ca­ pitoli successivi. In seguito ci occuperemo del trans/ert, un concetto centrale per i modelli di trattamento psicodinamici, spiegheremo come esso sia con­ cettualizzato nell'ambito della teoria delle relazioni oggettuali e descriveremo il modo in cui lo abbiamo integrato nel nostro approccio alla psicoterapia, incentrato sulle relazioni oggettuali. Il capitolo si conclude poi con una di­ scussione sul nostro modello di cambiamento - cosa speriamo di veder cam­ biare nei nostri pazienti grazie alla DPHP e in che modo riteniamo che la tec­ nica psicoterapeutica descritta in questo volume produca tali cambiamenti.

I COMPITI BASE DELLA DPHP Il primo compito del terapeuta DPHP consiste nel creare un setting che fa­ ciliti l'emergere alla coscienza delle relazioni oggettuali interiorizzate con­ flittuali, alla base dei conflitti del paziente. Il secondo compito riguarda l'e­ splorazione e l'interpretazione delle ansie, difese e motivazioni insite nelle rappresentazioni conflittuali di sé e dell'altro, affettivamente dominanti in una determinata seduta. Il terzo compito è quello di aiutare il paziente a elaborare i conflitti che sono stati interpretati, a mano a mano che vengono ripetutamente attivati e messi in atto nei suoi rapporti correnti e nelle inte­ razioni con il terapeuta. Nel processo di elaborazione, enfatizziamo i lega­ mi tra i conflitti centrali del paziente e gli scopi terapeutici. I compiti base della DPHP sono riassunti nella Tabella 4 . 1 . Tabella 4.1

Compiti base della psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP).

Compito Compito _c__ 3• Compito l•

z•

_ _

Portare in terapia le relazioni oggettuali conflittuali

----

Esplorare e interpretare i conflitti inconsci

_ _ _ _ �

Elaborare e al tempo stesso enfatizzare gli obiettivi terapeutici

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO

Portare in terapia le relazioni oggettuali conflittuali

Per setting terapeutico si intendono le caratteristiche costanti del trattamen­ to. Esso contiene il rapporto psicoterapeutico, una relazione unica, stabilita tra paziente e terapeuta, studiata per promuovere l'attivazione e l'esplora­ zione delle relazioni oggettuali conflittuali del paziente, processo che è faci­ litato dall'an alisi di resistenza. La cornice terapeutica definisce le condizioni del trattamento e i rispettivi ruoli di terapeuta e paziente.

La cornice terapeutica La cornice terapeutica definisce qualsiasi tipo di psicoterapia e delinea la struttura concordata per il trattamento. Essa stabilisce i ruoli rispettivi di paziente e terapeuta e fissa la frequenza e durata delle sedute, le disposizioni in merito alla gestione di appuntamenti e pagamenti e le aspettative relati­ ve al contatto, telefonico o di persona, tra paziente e terapeuta, al di fuori degli appuntamenti regolarmente fissati. La cornice del trattamento deve essere definita formalmente e concordata tra paziente e terapeuta, prima dell'inizio della terapia. L' accordo che stabilisce la cornice del trattamen­ to è spesso indicato con il termine " contratto terapeutico" (Clarkin et al., 2006; Etchegoyen, 1 99 1 ) .

Il rapporto psicoterapeutico Nell'ambito della struttura affidabile fornita dal setting terapeutico, il tera­ peuta DPHP e il paziente stabiliscono un rapporto particolare, una relazione oggettuale, che indichiamo con il termine rapporto psicoterapeutico. Si trat­ ta di una relazione peculiare, in cui una parte, il paziente, è incoraggiata a comunicare le proprie esigenze interiori nel modo più completo possibile, mentre l'altro partecipante, il terapeuta, si trattiene dal farlo. Il ruolo del terapeuta è quello di utilizzare la propria capacità di ampliare e approfon­ dire la consapevolezza di sé del paziente. A tale scopo, egli è totalmente impegnato nello sforzo costante di capire le comunicazioni verbali e non verbali del paziente e il controtransfert. Il rapporto psicoterapeutico viene stabilito dal terapeuta durante la fase iniziale del trattamento e costituisce il contesto necessario all'interno del quale può essere attuata la tecnica psi­ coterapeutica descritta in questo libro. I:alleanza terapeutica

L'alleanza terapeutica (Bender, 2005 ; Orlinsky et al., 1 994) è una compo­ nente importante del rapporto psicoterapeutico. Si tratta della relazione che si stabilisce tra l'Io osservante del paziente, che desidera ed è in grado 62

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

di utilizzare l'aiuto, e il terapeuta nel suo ruolo di esperto utile ( Gutheil, Havens, 1 97 9 ) . L' alleanza riflette, da un lato, l ' aspettativa realistica del paziente che il terapeuta abbia qualcosa da offrire sulla base della sua for­ mazione, competenza e interesse, e dall'altro lato, l'impegno del terapeuta ad aiutare il paziente, grazie alla comprensione sempre più profonda del soggetto. La maggior parte dei pazienti con patologia della personalità di alto livello è in grado di stabilire in modo relativamente facile un'alleanza, sin dalle p rime fasi del trattamento (Bender, 2005; Gibbons et al. , 2 003 ; Piper et al. , 1 9 9 1 ) .

Neutralità tecnica N el momento in cui stabilisce un'alleanza terapeutica con il paziente, il te­ rapeuta DPHP mantiene quello che è stato definito un atteggiamento "neu­ trale" (Levy, lnderbitzin, 1 992; Moore, Fine, 1995 ) . Ci preme sottolineare che la neutralità tecnica non implica l'insensibilità o l'indifferenza del tera­ peuta ai progressi del paziente. Al contrario, l'atteggiamento del clinico nei confronti del paziente deve riflettere un interesse per il suo benessere e il desiderio di aiutare, abbinati a un atteggiamento di calore e preoccupazio­ ne (Schafer, 1983 ) ; quando parliamo di neutralità tecnica non ci riferiamo all'atteggiamento del terapeuta nei riguardi del paziente, quanto piuttosto all'atteggiamento del terapeuta nei confronti dei conflitti del paziente. La neutralità tecnica richiede al terapeuta di evitare il coinvolgimento attivo o una presa di posizione nei conflitti del paziente e di astenersi dall'interve­ nire in modo supportivo, per esempio offrendo consigli o cercando di en­ trare nella sua vita. Al contrario, il terapeuta neutrale si sforza di essere il più aperto possibile a tutti gli aspetti dei conflitti e dei comportamenti del paziente e di impegnarsi costantemente per capirne la vita interiore nel mo­ do più completo possibile. A tale scopo, il terapeuta neutrale si allea con la parte del paziente capace di autoosservazione ( Kernberg, 2004b) . La neu­ tralità tecnica è un aspetto essenziale dell'atteggiamento del terapeuta DPHP nell' ambito del rapporto psicoterapeutico.

Supporto e tecniche supportive In psicoterapia le tecniche supportive sono interventi che fortificano diret­ tamente le difese adattive del paziente e lo aiutano a adattarsi alle richieste ambientali. Fornire consigli, insegnare capacità di gestione, supportare l'e­ same di realtà e intervenire sull'ambiente ne sono alcuni esempi. Le tecni­ che supportive sono la spina dorsale della psicoterapia supportiva (per una discussione eccellente sulla psicoterapia supportiva psicodinamicamente informata, vedere Rockland, 1 989) e possono essere particolarmente utili per i pazienti con disturbi di Asse I acuti e cronici (APA, 2000 ) . 63

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Al contrario, il terapeuta DPHP normalmente non le utilizza. Riteniamo che questo approccio, per quanto diverso da ciò che molti altri consigliano (per esempio Gabbarci, 2004 ) , sia ragionevole e utile nella cornice terapeu­ tica della DPHP. È ragionevole per il terapeuta DPHP astenersi dall'effettuare interventi supportivi, poiché di solito i pazienti con patologia della perso­ nalità di alto livello dispongono di risorse psicologiche e di supporti psico­ sociali sufficienti per il sostegno emotivo e ambientale di cui necessitano al di fuori della terapia e indipendentemente dal terapeuta. Ed è un approc­ cio utile, perché astenersi dall'effettuare interventi supportivi consente al terapeuta DPHP di fungere in modo più efficace da osservatore delle lotte interiori del paziente, invece di svolgervi un ruolo attivo. Detto questo, desideriamo fare una chiara distinzione tra un paziente che si sente emotivamente sostenuto da un terapeuta e un terapeuta che utiliz­ za tecniche supportive. Sebbene il terapeuta DPHP di solito non ricorra a queste ultime, i pazienti esperiscono generalmente la DPHP e il clinico come estremamente supportivi; la cornice terapeutica coerente e affidabile, l'im­ pegno, l'interesse e la preoccupazione del terapeuta e il suo atteggiamento di accettazione e non giudicante verso il paziente creano un ambiente in­ trinsecamente supportivo per lui, le sue esigenze interiori e il suo desiderio di essere capito e di ottenere aiuto. Il terapeuta come osservatore partecipante

Nella DPHP, il terapeuta mantiene un atteggiamento neutrale quando for­ mula un intervento. Tuttavia, nelle sue reazioni interiori al paziente, inve­ ce di aspirare alla neutralità egli si sforza di aprirsi il più possibile a lui e ai pensieri e sentimenti che gli suscita. L'abilità del terapeuta DPHP di mante­ nere un atteggiamento tecnicamente neutrale dipende dalla sua capacità di aprirsi al paziente e al tempo stesso di osservare le sue interazioni con lui, riflettendo sui sentimenti privati che gli stimolano le comunicazioni verba­ li e non verbali del soggetto. Pertanto, il terapeuta DPHP è al tempo stesso partecipante e osservatore (Sullivan, 1 970) e interagisce con il paziente con­ sentendogli di toccarlo interiormente, per poi allontanarsi e riflettere su ciò che accade durante la seduta.

Comunicazione libera e aperta Nella DPHP, il ruolo del paziente è quello di parlare in modo non struttura­ to, il più liberamente e apertamente possibile, di tutto ciò che gli passa per la mente durante la seduta terapeutica - un processo indicato a volte con il termine libera associazione (Moore, Fine, 1 995 ) . Nella DPHP, chiediamo al paziente di accantonare temporaneamente un ordine del giorno specifico e di consentire invece alla propria mente di vagare liberamente. Il rationale 64

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

di questo approccio è che si tratta di un modo molto efficace di portare in terapia le relazioni oggettuali conflittuali del paziente, sia attraverso le co­ municazioni verbali e non verbali, sia tramite le sue resistenze alla comuni­ cazione libera e aperta (Busch, 1 995 ; A. Freud, 193 7) .

Analisi di resistenza e dz/esa La cornice del trattamento e la neutralità del terapeuta promuovono l'atti­ vazione delle relazioni oggettuali conflittuali del paziente. Di conseguenza, i modelli relazionali collegati a questi co111litti tendono a essere messi in at­ to, insieme a una tendenza di repressione o altro tipo di difesa. Nel tratta­ mento, le forze all'interno del paziente che difendono dalla messa in atto di relazioni oggettuali conflittuali (vale a dire le operazioni difensive) so­ no attivate automaticamente e attuate come relazioni oggettuali difensive. L'attivazione e la messa in atto delle operazioni difensive del paziente in psicoterapia sono indicate con il termine " resistenza" (Moore, Fine, 1995 ) . Utilizziamo tale termine perché le operazioni difensive del paziente si ma­ nifestano tipicamente come una specie di resistenza alla comunicazione aperta o all'autoosservazione. Il termine resistenza non deve essere interpre­ tato come se implicasse una resistenza conscia del paziente o un suo inter­ vento intenzionale contro il trattamento. Le resistenze, come le operazioni difensive in generale, sono automatiche, ampiamente inconsce e di solito invisibili per il paziente, sebbene siano piuttosto evidenti al terapeuta. Per analisi della resistenza si intende l'identificazione, esplorazione e interpre­ tazione delle relazioni oggettuali difensive del paziente, attivate e messe in atto nel trattamento. Interpretazione del conflitto inconscio

Le interpretazioni portano alla consapevolezza conscia del paziente di un conflitto attivato ed esperito in modo inconscio, oppure messo in atto al di fuori della sua consapevolezza, oppure ancora espresso in sintomi. Le inter­ pretazioni creano dei collegamenti tra le difese, le motivazioni della difesa e le relazioni oggettuali da cui ci si difende. Il processo di interpretazione inizia dalle discordanze e contraddizioni in ciò che dice e fa il paziente e conduce a ipotesi esplicite sulle discordanze o contraddizioni, in modo che se ne possa trarre un senso ( Kernberg, 1984 ) .

Il processo interpretativo Le prime fasi del processo interpretativo implicano tipicamente la chiari­ ficazione e il confronto. Nella chiarificazione, il terapeuta cerca di chiarire l'esperienza soggettiva del paziente. Le aree di vaghezza vengono affronta-

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO

te fino a che paziente e terapeuta hanno entrambi una chiara comprensio­ ne di ciò che è stato detto o fino a che il paziente si sente confuso per una contraddizione di base nel suo pensiero, che è stata portata alla luce. Nel confronto invece il terapeuta riunisce le informazioni chiarite, espresse nelle comunicazioni verbali e non verbali del paziente, che sono contraddittorie o non stanno insieme e presenta con tatto al soggetto il materiale meritevole di ulteriore esplorazione e comprensione. I confronti evidenziano implici­ tamente l'attivazione delle operazioni difensive del paziente e integrano le comunicazioni verbali e non verbali ( Etchegoyen, 1 99 1 ) . L'interpretazione vera e propria segue la chiarificazione e il confronto e implica la formulazione di un'ipotesi riguardo al conflitto inconscio ogget­ to di difesa. Un'interpretazione " completa" descrive la difesa, l'ansia che la motiva e la motivazione conflittuale sottostante da cui ci si difende. Tut­ tavia, nella maggior parte dei casi le interpretazioni sono offerte al paziente a pezzettini, in modo graduale; l'interpretazione è considerata più spesso come un processo che inizia con la chiarificazione e il confronto, passa all'i­ dentificazione delle relazioni oggettuali difensive, seguita dall'esplorazione delle ansie che motivano la difesa, per arrivare infine all'esplorazione delle relazioni oggettuali conflittuali di base da cui ci si è difesi.

Interpretazione del trans/ert Nella DPHP, le interpretazioni vengono fatte prevalentemente nel qui-e-ora, concentrandosi su quello che Joseph Sandler ( 1 987) ha indicato con il ter­ mine "presente inconscio" . Ciò significa che la maggior parte delle inter­ pretazioni si focalizza sulle ansie correnti del paziente, attivate nella vita quotidiana presente e nel trattamento. A volte, le relazioni oggettuali con­ flittuali sono messe in atto e interpretate in relazione ai rapporti interperso­ nali in corso del paziente; altre volte, le sue relazioni oggettuali interioriz­ zate possono essere messe in atto e interpretate in relazione al terapeuta. In quest'ultimo caso, l'interpretazione fatta dal clinico sarà un'interpretazione del trans/ert. Talvolta, le relazioni oggettuali conflittuali sono messe in atto simultaneamente nella vita interpersonale del paziente e nel transfert. Tale situazione fornisce al terapeuta l'opportunità di interpretare il legame tra le relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali del paziente, le sue attuali difficoltà e il transfert.

Interpretazione "genetica" Durante il trattamento di pazienti con patologia della personalità di alto li­ vello è spesso facile collegare conflitti attualmente attivi nella terapia a rela­ zioni ed eventi importanti del passato evolutivo del soggetto. Le interpreta­ zioni di questo tipo, che effettuano collegamenti alla storia precedente del

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GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

paziente, sono indicate a volte con il termine interpretazioni genetiche. Di solito è bene evitare il focus precoce o eccessivo sul collegamento dei con­ flitti correnti con il passato del paziente, poiché può conferire un carattere eccessivamente intellettualizzato alle sedute e proteggere il paziente dall'e­ sperire i conflitti in modo immediato e affettivamente significativo. Al con­ trario, durante le ultime fasi del trattamento, le interpretazioni che effet­ tuano connessioni tra la precedente storia del paziente e le sue difficoltà e conflitti attuali possono servire ad approfondire ulteriormente il suo espe­ rito emotivo di relazioni oggettuali conflittuali, che sono già state interpre­ tate e in qualche misura elaborate.

Insight Un'interpretazione aiuta il paziente ad acquisire la consapevolezza e a da­ re un senso ad alcuni aspetti della sua vita interiore, che ha tenuto lontani dalla coscienza. Dal momento che nella DPHP interpretiamo sempre con­ flitti attualmente messi in atto o da cui ci si difende attivamente, le inter­ pretazioni aiutano il paziente a dare un senso a qualcosa che sta esperendo in modo attivo (o cercando di non esperire) in quel momento. È a questo abbinamento di esperienza emotiva e comprensione intellettuale (Moore, Fine, 1 995 ) , nel setting dell'interesse relativo a quanto appena capito, che ci riferiamo con il termine insight. Sebbene spesso utile per i pazienti, poiché procura sensazioni di sollievo o comprensione di sé, l'insight non apporta automaticamente i cambiamenti strutturali e dinamici, che sono lo scopo della DPHP . È il processo di elaborazione che traduce l'insight in cambia­ mento di personalità.

Contenimento Il termine contenimento è stato introdotto da Wilfred Bion ( 1 962a) e, in generale, si riferisce alla capacità di pensare per attenuare gli stati affettivi (Bion, 1959, 1 962a, 1 962b) . Il contenimento implica la possibilità di espe­ rire pienamente un'emozione, senza essere controllati da quell'esperienza o dover immediatamente passare all'azione; esso implica sia libertà emotiva, sia consapevolezza di sé. Nella DPHP, il terapeuta contiene le proprie reazioni emotive nei confronti del paziente e del transfert e in questo processo aiuta il paziente a contenere meglio le ansie attivate nel trattamento. Riteniamo che, come l'interpretazione, il contenimento da parte del clinico abbia un potenziale terapeutico e sia un elemento essenziale tanto per lo sviluppo dell'insight, quanto per il processo di elaborazione. Contrariamente all'interpretazione, che è un processo esplicito, il con­ tenimento è una componente implicita dell'interazione tra paziente e tera­ peuta, quando esplorano e arrivano a capire il mondo interno del paziente. 67

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Nella DPHP, il terapeuta aiuta il paziente a esprimere in parole le esperien­ ze fortemente caricate dal punto di vista affettivo e a riflettere su di esse. Il terapeuta " contenente" risponde emotivamente - interiormente - alle sue interazioni con il paziente e poi riflette su tutto ciò che quest'ultimo comunica, sia verbalmente sia non verbalmente. Nella sua risposta alla co­ municazione del paziente - sia essa in forma di intervento verbale o non verbale - il terapeuta lo aiuta a contenere le ansie stimolate in terapia e lo fa comunicandogli che sta registrando con precisione ciò che egli prova e comunica, mantenendo al tempo stesso la capacità di osservare e riflette­ re sugli stati interiori propri e del paziente (Bion, 1 962b ; Fonagy, Target, 2003 ; Kernberg, 2004b). Elaborazione e processo di cambiamento

Il processo di elaborazione implica l'attivazione ripetuta, la messa in atto,

il contenimento e l'interpretazione di un particolare conflitto, in una vasta gamma di contesti diversi e nel corso del tempo (Fenichel, 194 1 ; Sandler et al. , 1992 ) . In effetti, la maggior parte del lavoro nella DPHP riguarda pro­ prio questo processo; dopo averli identificati, i conflitti centrali e le rela­ zioni oggettuali associate vengono messi in atto ed esplorati ripetutamente nel corso del trattamento. Questo processo di attivazione ripetuta, messa in atto e interpretazione di un determinato conflitto e di collegamento delle diverse relazioni oggettuali a esso associate, aiuterà il paziente a raggiungere una comprensione di se stesso più profonda e più significativa dal punto di vista emotivo. Inoltre, riteniamo che sia questo processo di elaborazione a fornire il collegamento tra insight e cambiamento terapeutico. L'elaborazione si basa sulla capacità del terapeuta di contenere le ansie attivate nel transfert-controtransfert e anche sulla capacità evolutiva del pa­ ziente di contenere ed esperire emotivamente le ansie associate all'attivazione delle relazioni oggettuali conflittuali e degli stati mentali associati. In questo processo, il paziente arriverà a rendersi conto del ruolo delle sue identifica­ zioni con le due metà di una particolare relazione oggettuale, oltre che dei modi in cui l'attivazione di una particolare relazione oggettuale interiorizzata o conflitto supporta la repressione di altre. In ultima analisi, il paziente riu­ scirà ad assumersi la responsabilità e a tollerare la consapevolezza emotiva di aspetti precedentemente repressi e dissociati di sé e dei suoi oggetti interni. Nella DPHP durante il processo di elaborazione ci concentriamo sulle aree di difficoltà predominanti, identificate nei sintomi di presentazione e negli obiettivi terapeutici. Ciò significa che, mentre il paziente è incoraggiato a consentire alla propria mente di vagare liberamente senza prestare attenzio­ ne agli obiettivi del trattamento, il terapeuta ne tiene costantemente conto. Quando nel trattamento vengono messe in atto relazioni oggettuali conflit­ tuali e i conflitti centrali del paziente sono messi a fuoco, il terapeuta si chie68

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

de " Qual è il rapporto tra le relazioni oggettuali oggetto dell'esplorazione e gli obiettivi terapeutici? " . N el processo di elaborazione egli concentra le proprie interpretazioni sul rapporto tra i conflitti correntemente messi in atto e gli obiettivi terapeutici concordati, occupandosi della rigidità della personalità in aree localizzate del funzionamento disadattivo e lasciando indisturbate aree di funzionamento relativamente intatte.

CHE COSA È IL TRANSFERT E CHE RUOLO SVOLGE NELLA DPHP? Il termine trans/ert ha una storia lunga e complessa (per i pareri contempo­ ranei, vedere Etchegoyen, 1 99 1 ; Harris, 2005 ; Joseph, 1987 e Smith, 2003 ) . Noi riteniamo che il termine possa essere definito in modo significativo sol­ tanto nel quadro di un particolare modello di mente e di trattamento. Transfert e relazioni oggettuali interiorizzate

Nell'ambito del quadro di riferimento relazionale oggettuale utilizzato in questo manuale, il termine trans/ert si riferisce all' esternalizzazione, nel pre­ sente, di modelli di interazione derivati da rapporti significativi nel passato. Tali modelli riflettono l'attivazione delle relazioni oggettuali interiorizzate del paziente nei confronti di una persona, nella sua vita attuale. In partico­ lare, le esperienze patogene e i rapporti del passato che hanno influenzato profondamente la struttura della personalità, insieme alle difese mobilita­ te in relazione a tali esperienze, tendono a essere messi in atto nelle rela­ zioni interpersonali correnti e a dominare anche gli sviluppi del transfert (Kernberg, 1992 ) . Nel nostro modello, l e prime interazioni significative, investite emotiva­ mente, come pure le fantasie e le difese associate, arrivano a essere organiz­ zate nella mente sotto forma di strutture di memoria o modelli relazionali interiorizzati, che indichiamo con il termine relazioni oggettuali interiorizza­ te. Queste strutture psicologiche funzionano come schemi latenti - modi in cui l'individuo può potenzialmente organizzare la propria esperienza - che vengono attivati in particolari contesti ( Kernberg, Caligor, 2005 ) . Una volta attivate, le relazioni oggettuali interiorizzate colorano l'esperito soggettivo dell'individuo e lo inducono ad agire e a sentire in modi che corrispondono alle relazioni oggettuali interiorizzate messe in atto in quel momento. Noi pensiamo a questo processo in termini di un individuo che "mette in atto" o "esterna" le proprie relazioni oggettuali interiorizzate nella vita quotidiana. Quando ciò accade, le strutture psicologiche si concretizzano. È a questo processo che facciamo riferimento quando parliamo di transfert. Il termine trans/ert è riservato più comunemente alle occasioni in cui le relazioni oggettuali interiorizzate del paziente sono attuate in relazio69

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

ne al terapeuta, ma può anche essere utilizzato in modo più ampio per riferirsi alla loro messa in atto nelle sue interazioni con un'altra persona, senza !imitarle a lui soltanto. Usato in questo modo, il termine transfert si riferisce al processo generale all'interno del quale le relazioni oggettuali interiorizzate, soprattutto quelle conflittuali, tendono a essere attuate o esteriorizzate in modo difensivo nei rapporti interpersonali. Da questo punto di vista, il transfert verso il terapeuta è soltanto un caso particolare di un fenomeno più generale, in cui le strutture psicologiche sono attua­ te o " messe in atto" nella vita interpersonale. Per chiarezza, restringere­ mo l'utilizzo del termine trans/ert al significato più specifico del termine, facendo riferimento alle relazioni oggettuali messe in atto nei confronti del terapeuta. Westen e Gabbarci (2002 ) si sono avvicinati al concetto di transfert dal punto di vista della neuroscienza e hanno suggerito che le rappresentazioni mentali e le relazioni oggettuali interiorizzate siano codificate a livello del cervello sotto forma di "reti neurali associative" . Si tratta di reti di neuroni organizzate l'una in relazione all'altra e in relazione ad altre strutture neu­ rali, in modo che i neuroni in una particolare rete associativa siano attivati subito, in maniera prevedibile e simultanea, in risposta a una particolare serie di stimoli. In questo modello, che è sia simile, sia compatibile con il nostro, le rappresentazioni e i transfert esistono come potenziali che vengo­ no distribuiti attraverso una rete di unità neurali, attivate simultaneamente, per produrre la rappresentazione (Gabbarci, 200 1 ) .

Messa in atto del trans/ert In questo volume utilizziamo i termini mettere in atto e messa in atto per indicare il modo in cui un soggetto " esterna" o porta alla luce le proprie re­ lazioni oggettuali interiorizzate nella vita interpersonale. Il termine mettere in atto utilizzato in questo modo descrive il processo attraverso il quale le relazioni oggettuali interiorizzate, che sono schemi latenti o modi poten­ ziali di organizzare l'esperito, vengono attuati come pensieri, sentimenti e azioni, e in questo caso parliamo dal punto di vista del paziente. Si tratta di un utilizzo un po' diverso rispetto al modo in cui sono spesso usati i termini messa in atto del trans/ert e messa in atto del trans/ert-controtrans/ert nella letteratura psicoanalitica. Nella letteratura psicoanalitica, infatti, il termine messa in atto del tran­ s/ert attira l'attenzione non soltanto sull'esperito e sul comportamento del paziente, ma anche su quelli del terapeuta (Moore, Fine, 1995 ) . Nello spe­ cifico, la messa in atto del transfert implica che il comportamento del tera­ peuta rifletta la sua partecipazione attiva alla messa in scena del transfert nelle sue interazioni con il paziente. Pertanto, quando gli analisti parlano di "messa in atto del transfert" (distinguendolo, cioè, dal semplice " transfert")

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GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

intendono sottolineare i modi in cui il terapeuta partecipa attivamente alla messa in scena del transfert del paziente (Steiner, 2006). La distinzione tra l'utilizzo psicoanalitico attuale di messa in atto del tran­ s/ert e il modo leggermente diverso in cui abbiamo usato il termine messa in atto richiama l'attenzione su un'area di ambiguità, relativa alla misura in cui il terapeuta DPHP partecipa attivamente alla messa in atto del transfert del paziente. Dal nostro punto di vista, quando attua una relazione oggettua­ le interiorizzata il paziente la "vive" , indipendentemente dall'entità e dalla natura della partecipazione dell'altra persona. Per esempio, se un uomo è caratterialmente remissivo, dal nostro punto di vista mette in atto una par­ ticolare relazione oggettuale, indipendentemente dal modo in cui rispon­ dono le persone cui si sottomette. Al tempo stesso, la persona a cui si sot­ tomette avrà sempre un qualche tipo di reazione, cosicché la messa in atto coinvolgerà sempre il comportamento delle due parti. Da questo punto di vista, la DPHP è caratterizzata da un flusso costante di messe in atto, esattamente come avviene per tutte le interazioni interper­ sonali. Ciò sembrerebbe relativamente chiaro, eppure quando esaminiamo la dinamica della messa in atto nel setting del rapporto psicoterapeutico, il livello di partecipazione o non partecipazione attiva del terapeuta neutrale alla messa in scena delle esigenze interiori del paziente e delle sue relazioni oggettuali difensive diventa una considerazione importante. Scopo del rapporto psicoterapeutico è la creazione di una cornice atti­ male all'interno della quale esplorare e capire la vita interiore del paziente. Tale scopo si basa sulla disponibilità emotiva e sulla capacità di risposta al paziente da parte del terapeuta. Inoltre, paziente e terapeuta interagiscono costantemente e quindi, a meno che il terapeuta sia un robot, non è possi­ bile - né auspicabile - evitare messe in atto del transfert-controtransfert. Al tempo stesso, riteniamo che quando il clinico trattiene le proprie incli­ nazioni naturali a mettere in scena ciò che il paziente "incoraggia" e man­ tiene un atteggiamento più neutrale, si assiste alla tendenza a evidenziare l'esigenza del paziente di mettere in atto relazioni oggettuali particolari, cosa che facilita l'identificazione e l'esplorazione delle relazioni oggettuali nel trattamento; quando il terapeuta non attua in modo attivo le aspettati­ ve transferali del paziente, è più probabile che quest'ultimo acquisisca la consapevolezza di aspettative riguardo al terapeuta in relazione al suo par­ ticolare comportamento. Nella DPHP, il terapeuta gestisce la tensione tra l'essere emotivamente di­ sponibile e il mantenere la neutralità, comportandosi in modo ricettivo ma contenuto nei confronti del paziente e prestando al tempo stesso partico­ lare attenzione al controtransfert. Si tratta di un atteggiamento che Joseph Sandler ( 1 976) ha descritto come " risonanza di ruolo" . Talvolta il terapeu­ ta si renderà conto della tentazione di interagire con il paziente in un modo particolare prima di intervenire al riguardo, mentre altre volte si accorgerà 71

TRATTAMENTO PSICOTERAPEU TICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

di questa tendenza soltanto dopo il fatto. In entrambi i casi, egli potrà uti­ lizzare le proprie riflessioni sulle interazioni con il paziente per capire me­ glio ciò che sta accadendo nel trattamento e formulare una descrizione delle relazioni oggettuali messe in atto nel transfert.

Messa in atto e agito La messa in atto del trans/ert implica la messa in scena da parte del pa­ ziente delle relazioni oggettuali attivate nel transfert, indipendentemente dal fatto che sia o meno consapevole di farlo. Al contrario, utilizziamo il termine agito per riferirei alla situazione in cui il paziente sceglie l'azione, non per mettere in scena relazioni oggettuali conflittuali attivate in rela­ zione al terapeuta, ma piuttosto per bloccarne la consapevolezza emotiva. In questo processo, il paziente evita qualsiasi disagio associato al conflit­ to sottostante. Quando l'agito è utilizzato come operazione difensiva ge­ nerale, il paziente passa all' azione per far scomparire gli affetti dolorosi associati al conflitto psicologico. Quando lo usiamo nel setting terapeu­ tico, il termine agito implica il passaggio all' azione da parte del paziente, non semplicemente per far scomparire gli affetti dolorosi, ma anche co­ me alternativa all'esplorazione riflessiva di affetti dolorosi nel trattamen­ to (Etchegoyen, 199 1 ) . Per esempio, s e i sentimenti sessuali di una paziente per il proprio tera­ peuta maschio sono espressi in uno scambio civettuolo sottile riguardo agli appuntamenti, pensiamo in termini di messa in atto. Al contrario, se la pa­ ziente non è consapevole o nega di provare sensazioni erotiche nei confronti del terapeuta, ma trova un motivo per saltare la seduta successiva, si tratta di agito. Nel caso della messa in atto, invece di mettere in scena ed esplorare i propri sentimenti erotici, la paziente agisce come se potesse farli sparire, assicurandosi di non avere contatti diretti con il terapeuta. Se questa stessa paziente esce dalla seduta terapeutica, ritorna al lavoro e flirta con il suo capo, senza essere consapevole del fatto che il suo compor­ tamento ha a che fare con il terapeuta e senza riconoscere la natura conflit­ tuale del civettare con un uomo in una posizione autorevole, possiamo dire che sta attuando sia l'agito in relazione alle sue sensazioni sessuali per il te­ rapista, sia mettendole in atto. Questo esempio illustra come agito e messa in atto siano distinti soltanto in teoria. In pratica, l'agito spesso implica una certa messa in atto e, a un qualche livello, la messa in atto implica spesso la messa in scena di una relazione oggettuale e il tentativo contemporaneo di evitare il contatto emotivo con essa. Noi pensiamo all'agito, alla messa in atto del transfert e ai pensieri del transfert come a un continuum. A un estremo, nell'agito puro, il compor­ tamento del paziente oscura la relazione oggettuale attivata nel trattamen­ to ed evita gli affetti associati a un particolare conflitto, come nel caso del72

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

la paziente che annulla una seduta piuttosto di avere un contatto emotivo con il terapeuta o di mettere in scena i sentimenti erotici nei suoi confronti. Nel mezzo del continuum, la messa in atto, le relazioni oggettuali attivate nel trattamento sono messe in scena nel comportamento, e in questo mo­ do vengono portate al livello di esperienza emotiva - ma spesso, almeno inizialmente, senza autoconsapevolezza. Più avanti nel continuum trovia­ mo messe in atto in cui il paziente esperisce consciamente le relazioni og­ gettuali attivate nel trattamento o mette sottilmente in atto le relazioni og­ gettuali che emergono nelle sue associazioni libere e nella comunicazione verbale. Infine, all'estremo opposto del continuum troviamo i pensieri del transfert, in cui le relazioni oggettuali attivate nel trattamento sono espres­ se in pensieri - per esempio sotto forma di libera associazione, memoria o fantasia - ma apparentemente non sono messe in atto.

La centralità del trans/ert nella DPHP Nella DPHP, facilitiamo l' attivazione nel trattamento delle relazioni ogget­ tuali interiorizzate conflittuali del paziente. Contrariamente al trattamen­ to psicoanalitico, in cui si pone l'accento sull'esplorazione delle relazioni oggettuali interiorizzate del paziente messe in atto in relazione all'analista, nella DPHP il livello di "lavoro nel transfert" svolto dal paziente è piuttosto variabile. Ciò che notiamo è che alcuni pazienti esperiscono subito le lo­ ro relazioni oggettuali interiorizzate in relazione al terapeuta, mentre altri evidenziano forti difese al riguardo. Nel caso del primo gruppo di pazienti, l'analisi delle loro relazioni oggettuali conflittuali può avvenire a un livello significativo in termini di transfert del paziente verso il terapeuta, mentre per il secondo gruppo la stessa analisi sarà effettuata prevalentemente in ter­ mini di interazioni del paziente con altre persone della sua vita. La differen­ za tra i due gruppi di pazienti risiede nel livello in cui le relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali possono essere esperite ed esplorate in relazione al terapeuta e nell'entità della difesa da tale esperienza. Nel caso della paziente che mette subito in atto i conflitti relativi al te­ rapeuta, analizziamo il transfert da paziente a terapeuta, mentre nel secon­ do caso analizziamo i " transfert" del paziente verso le altre persone della sua vita, oltre alle sue difese contro l'esperire questi transfert in relazione al terapeuta. Di solito, l'analisi delle relazioni oggettuali messe in atto nelle relazioni esterne apre la strada all'esplorazione delle stesse relazioni ogget­ tuali, quando il paziente le mette in atto nei confronti del terapeuta in una fase successiva del trattamento. In qualsiasi momento, il terapeuta decide se concentrarsi sul transfert o sui rapporti al di fuori di esso, sulla base del materiale dominante dal punto di vista affettivo. Il transfert sul terapeuta non è qualitativamente diverso dai transfert esperiti dal paziente con altre persone. Tuttavia, nella vita quotidiana del 73

TRAITAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

soggetto, le aspettative transferali degli altri sono generalmente neutraliz­ zate dalle risposte socialmente adeguate delle persone intorno a lui. Al contrario, nella DPHP, i transfert del paziente al terapeuta sono evidenziati e intensificati, a seguito del mantenimento da parte di quest'ultimo di un atteggiamento neutrale. Pertanto, i transfert sul terapeuta sono particolarmente interessanti nel­ la DPHP, poiché queste messe in atto consentono al terapeuta di sperimen­ tare ed esplorare i conflitti del paziente con una immediatezza, intensità e chiarezza che mancano quando i conflitti sono esplorati altrove. Inoltre, noi riteniamo che !'"elaborazione nel transfert" , un processo in cui il tera­ peuta funge sia da partecipante sia da osservatore, sia una componente im­ portante del processo terapeutico nella DPHP. Non esistono dubbi sul fatto che le persone diverse dal terapeuta fungano da oggetti del transfert per il paziente e che il lavoro terapeutico efficace possa essere svolto analizzan­ do i suoi modelli relazionali quando vengono messi in scena con le persone importanti della sua vita. Tuttavia, la neutralità del terapeuta, unita alla sua capacità di aprirsi simultaneamente al paziente, contenendo al tempo stesso le sue reazioni e riflettendo su di esse, distingue il rapporto transferale con il terapeuta dalle altre relazioni che il paziente può avere.

Sviluppi del trans/ert nella patologia della personalità di alto livello Al centro delle visioni contemporanee del transfert troviamo il concetto del paziente che rivive, o mette in scena nel presente, modelli di interazio­ ne derivati da rapporti significativi del passato. Pertanto, nella DPHP, il pa­ ziente esperisce le proprie relazioni oggettuali interiorizzate, che prendono letteralmente vita nelle sue interazioni interpersonali con il terapeuta e con gli altri nella sua vita attuale. Nella DPHP, la consapevolezza soggettiva del transfert non emerge tipicamente come un'astrazione intellettuale, quanto piuttosto come un'esperienza effettiva in cui le rappresentazioni transferali di sé e dell'altro, in misura maggiore o minore, arrivano a dominare l' espe­ rito del paziente del presente interpersonale. Talvolta, gli sviluppi transferali emergono sotto forma di pensieri e/o sensazioni del paziente durante la seduta, in relazione al terapeuta o, ini­ zialmente, in relazione ad altre persone della sua vita. Altre volte, i transfert vengono messi in atto dal paziente senza che sia consapevole di farlo. Stia­ mo parlando, in questo caso, di identificare le relazioni oggettuali insite nel comportamento del soggetto - per esempio, nel tono di voce, nel suo atteg­ giamento verso il terapeuta e verso le proprie comunicazioni, nel linguaggio del corpo o nell"'atmosfera" della seduta. Pertanto, quando valuta ciò che accade "nel transfert " , il terapeuta deve prestare attenzione non soltanto al contenuto delle comunicazioni verbali del paziente e delle libere asso­ ciazioni, ma anche alle sue comunicazioni non verbali e al controtransfert. 74

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

Consigliamo al clinico di pensare non soltanto in termini di " Che cosa mi sta comunicando il paziente in questo momento? " ma anche " Che cosa sta facendo il paziente con me in questo momento? " . I pazienti con patologia della personalità d i alto livello tendono a svi­ luppare il transfert lentamente, gradualmente e in modo piuttosto si­ stematico. Le difese stabili e di carattere relativamente adattivo, segno distintivo della patologia della personalità di alto livello, fanno sì che l'in­ dividuo sia piuttosto ben difeso dall'emergere alla coscienza di relazioni oggettuali interiorizzate represse e dissociate, sia in relazione al terapeu­ ta, sia in relazione alle altre persone della sua vita. Inoltre, dal momento che sono in grado di "leggere" sensibilmente e con precisione gli altri, questi soggetti utilizzano costantemente e automaticamente le tracce in­ terpersonali sottili per correggere distorsioni difensive nelle loro intera­ zioni. Nella vita quotidiana, il paziente con patologia della personalità di alto livello utilizza il proprio patrimonio psicologico per limitare ef­ ficacemente il livello di distorsione delle sue interazioni interpersonali, operata dai suoi conflitti inconsci, e nel setting terapeutico agirà esatta­ mente nello stesso modo. Nelle prime fasi della terapia, gli sviluppi del transfert riflettono l'atti­ vazione delle difese caratteriali del paziente nel trattamento. Le relazioni oggettuali interiorizzate più strettamente legate alle motivazioni conflit­ tuali sottostanti vengono attivate nel tempo, con il progredire della tera­ pia e l'esplorazione e interpretazione delle relazioni oggettuali difensive. Nel trattamento di pazienti con patologia della personalità di alto livello, i transfert tendono a essere relativamente stabili e di solito uno o due para­ digmi transferali dominano il materiale clinico nei diversi momenti della cura. Più spesso, il paziente viene costantemente identificato con una rap­ presentazione del sé (spesso un sé infantile) per un lungo periodo di tem­ po, con l'attribuzione contemporanea al terapeuta della rappresentazione oggettuale corrispondente. Per riassumere, nel setting psicoterapeutico, il paziente con patologia della personalità di alto livello è relativamente ben difeso dall'emergere delle sue relazioni oggettuali interiorizzate inconsce nei confronti del terapeuta o di altre persone della sua vita. Quando nel transfert vengono attivati aspetti delle relazioni oggettuali conflittuali del paziente, gli effetti sono di solito relativamente sottili e facilmente razionalizzati dal soggetto. Pertanto, in psicoterapia è necessario compiere passi specifici per facilitare l'emergere e l'esplorazione in terapia delle relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali del paziente. In particolare, nel trattamento di pazienti con patologia della personalità di alto livello ci basiamo su sessioni con frequenza bisettima­ nale, un'atmosfera di sicurezza fornita dal setting terapeutico, la neutralità tecnica e l'analisi di resistenza per promuovere la messa in atto in terapia delle relazioni oggettuali interiorizzate del soggetto. 75

TRATTAMENTO PSJCOTERAPEU TICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

MECCANISMI DI CAMBIAMENTO E TEORIA DELLA TECNICA NELLA DPHP Prima di passare a una descrizione dettagliata della tecnica psicoterapeutica, riesaminiamo brevemente, in forma schematica, il materiale esposto sinora riguardo al nostro modello di patologia della personalità e agli scopi della DPHP. In questa fase presentiamo inoltre le nostre attuali ipotesi relative ai meccanismi di cambiamento nella DPHP. Scopi del trattamento

Scopo generale della DPHP è migliorare il funzionamento mentale flessi­ bile e adattivo e le risposte alle fonti interne ed esterne di ansia, vale a di­ re, ridurre la rigidità della personalità, in aree centrali di funzionamento nella patologia della personalità di alto livello. Dal punto di vista strutturale, questo cambiamento corrisponde all'in­ tegrazione di aspetti conflittuali scissi (repressi e/o dissociati) della vita interiore nell'esperienza di sé dominante del paziente. Modello di organizzazione mentale

I pazienti con patologia della personalità di alto livello hanno un' espe­ rienza di sé conscia relativamente ben consolidata e stabile, che si adatta a una vasta gamma di stati affettivi, motivazioni, desideri e timori; tutta­ via, aspetti conflittuali dell'esperito soggettivo sono scissi dal senso di sé conscio dell'individuo e rimangono repressi o dissociati. Nelle aree di conflitto, l'esperienza psicologica è più concreta, più caricata dal punto di vista affettivo e non altrettanto integrata/meno ambivalente rispetto all'esperito mentale nelle aree di funzionamento non conflittuali. Nel modello che utilizziamo, i conflitti psicologici - ansie, difese e moti­ vazioni conflittuali - sono rappresentati come gruppi di relazioni ogget­ tuali interiorizzate desiderate, temute o necessarie, con le fantasie asso­ ciate, che possono essere consce, preconsce o inconsce. La messa in atto di relazioni oggettuali difensive supporta la repressione e/o dissociazione di motivazioni conflittuali e ansie associate. In questo modello, la rigidità della personalità riflette la normale messa in atto di relazioni oggettuali difensive per mantenere una situazione psi­ cologica in cui le motivazioni conflittuali sono escluse dall'esperienza di sé conscia e rimangono represse o dissociate dal senso di sé dominante. Cambiamento strutturale

A mano a mano che i conflitti vengono elaborati, assistiamo allo sposta­ mento dalla rigidità a un funzionamento più flessibile e adattivo nelle 76

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

aree di conflitto, che corrisponde ai cambiamenti nelle caratteristiche delle relazioni oggettuali conflittuali e nel loro rapporto con l'esperien­ za soggettiva e il senso di sé dominante. - Nello specifico, a mano a mano che i conflitti vengono elaborati, le relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali diventano meno concrete (sono, cioè, esperite consciamente come pensieri, sentimenti, desideri, paure), meno ca­ ricate dal punto di vista affettivo e più complesse (cioè le rappresentazioni di sé e degli altri sono associate a più di una motivazione e riflettono la mag­ giore capacità di tollerare l'ambivalenza in aree di conflitto) e le rappresen­ tazioni diventano più fortemente differenziate e decisamente più sottili. - Questi cambiamenti corrispondono all'assimilazione graduale nell'e­ sperienza di sé conscia delle relazioni oggettuali conflittuali e dell' espe­ rito affettivo associato, che possono ora essere contenuti comodamente nell'ambito di un senso generale di vita autonoma rispettabile e respon­ sabile, in un mondo prevalentemente decoroso ma complesso. Dinamica del cambiamento

- Le relazioni oggettuali conflittuali e gli affetti associati diventano acces­ sibili alla coscienza (l� relazioni oggettuali conflittuali sono spesso messe in atto inizialmente in forma proiettata o invertita). - Le relazioni oggettuali conflittuali sono capite come parte del sé (vale a dire che non sono più proiettate, dissociate o negate) e anche come ele­ menti che riflettono le identificazioni con legami oggettuali precoci. - Il paziente accetta la perdita delle immagini ideali di se stesso e dei suoi oggetti. - Si piangono le perdite e si elabora il senso di colpa. - Il paziente arriva a tollerare l'ambivalenza nelle aree di conflitto e sviluppa una capacità approfondita di preoccupazione (contrapposta al senso di colpa) per i suoi oggetti e per se stesso. Processo generale del trattamento

Il processo generale del trattamento può essere concettualizzato in modo schematico in due grandi fasi: - FASE l - Annullamento di rimozione e dissociazione: Le relazioni ogget­ tuali conflittuali e gli affetti associati emergono all'esperienza di sé conscia. - FASE 2 - Elaborazione/Processo di elaborazione del lutto: Il paziente tollera la consapevolezza delle relazioni oggettuali conflittuali, esplora le ansie e le fantasie associate, elabora senso di colpa e perdita e fa am­ menda. Questo processo gli consente di tollerare meglio l'ambivalenza nelle aree di conflitto. 7

TRATTAMENTO PS!COTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Teoria della tecnica e meccanismi di cambiamento

L'utilizzo di questo modello, la nostra "teoria della tecnica" , che esamine­ remo in dettaglio nei prossimi capitoli, deve tenere conto del modo in cui la tecnica della DPHP raggiunge i seguenti obiettivi: Aiuta il paziente ad acquisire la consapevolezza delle relazioni oggettuali interne conflittuali represse e dissociate. Aiuta il paziente ad assumersi la responsabilità degli aspetti della propria esperienza interiore che ha represso, proiettato, dissociato o negato. Aiuta il paziente a tollerare e piangere la perdita delle immagini ideali di sé e degli altri. Conduce alla modifica di relazioni oggettuali dolorose, precedentemente represse o dissociate, in modo che possano essere pienamente esperite, tollerate consciamente e assimilate nell'esperienza di sé del paziente.

MECCANISMI DI CAMBIAMENTO: INTERPRETAZIONE E CONTENIMENTO La nostra teoria dei "meccanismi di cambiamento" deve tenere conto del modo in cui la tecnica psicoterapeutica raggiunge gli scopi appena delinea­ ti. Ci chiediamo: Che cosa fa e cosa fornisce il terapeuta al paziente per consentirgli di tollerare la consapevolezza e assumersi la responsabilità di aspetti della sua vita interiore che avverte come intollerabili e di assimilare tali motivi e fan­ tasie intollerabili nel proprio senso globale di sé e degli altri significativi? È ormai ampiamente riconosciuto che esistono vari modi in cui le psi­ coterapie psicodinamiche facilitano il cambiamento ed è anche general­ mente accettato il fatto che diversi elementi terapeutici operano in sinergia (Gabbard, Westen, 2003 ) . La maggior parte dei modelli contemporanei di cambiamento nel trattamento psicodinamico enfatizza l'importanza del rapporto tra terapeuta e paziente come elemento terapeutico essenziale, in­ sieme al valore della comprensione di sé per facilitare il mutamento (Gab­ bard, 2004) . Nel nostro approccio alla questione del cambiamento terapeutico, sotto­ lineiamo anche il ruolo centrale e reciproco svolto dal rapporto del paziente con il terapeuta e dalla comprensione di se stesso del paziente. Organizzia­ mo la nostra discussione intorno ai concetti di " contenimento" e " interpre­ tazione". Il contenimento è un processo insito nel rapporto tra paziente e terapeuta. L'interpretazione è un processo che approfondisce la compren­ sione di sé del paziente. Tuttavia, anche se dividiamo la nostra discussione sul cambiamento terapeutico in due meccanismi di azione distinti, conte­ nimento e interpretazione sono distinguibili soltanto in teoria. In pratica, 78

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

essi procedono simultaneamente e spesso si rafforzano l'un l'altro. Un'inter­ pretazione utile spesso svolge una funzione di contenimento oltre a fornire l'insight; in modo analogo, gli interventi che conducono all'interpretazione spesso riducono l'ansia mediante il contenimento, creando un setting in cui il paziente è aperto all'ascolto e all'utilizzo dell'interpretazione che segue. Inoltre, passando dall'analisi della partecipazione del terapeuta a quel­ la del paziente, ci accorgiamo che la capacità di quest'ultimo di utilizzare un'interpretazione e sviluppare l'insight si basa sulla sua abilità crescente di contenere aspetti dell'esperito psicologico che precedentemente non era in grado di contenere. Pertanto, la maggiore capacità del paziente di contenere le motivazioni conflittuali e le relazioni oggettuali in aree centrali di funzio­ namento è uno degli obiettivi della DPHP. In effetti, a nostro avviso la capacità

di contenere le relazioni oggettuali conflittualt; di esperirle pienamente senza essere controllati da esse, è il termine di correlazione soggettiva degli obietti­ vi strutturali ("integrazione") e dinamici ("adattamento flessibile") della DPHP. Secondo la nostra ipotesi, è l'abbinamento di contenimento e insight a provocare il cambiamento psicoterapeutico. L'interpretazione senza il con­ tenimento conduce tipicamente alla discussione intellettuale della psicodi­ namica, spesso senza ridurre in modo significativo la rigidità della persona­ lità. Per contro, il contenimento senza l'interpretazione e l'insight lasciano il paziente dipendente dal terapeuta come un oggetto esterno; noi ritenia­ mo che interpretazione e insight siano entrambi componenti fondamentali del processo di elaborazione, che consentono al paziente di fare progressi che vengono mantenuti e che continueranno a svilupparsi dopo la fine del trattamento (Sandell et al., 2000). Meccanismo 1: contenimento

- Contenimento cognitivo di affetto: La chiarificazione e il confronto espri­ mono gli aspetti più minacciosi dell'esperito psicologico del paziente, contribuendo a contenere in modo cognitivo gli affetti relativamente minacciosi e intensi associati alle relazioni oggettuali conflittuali. - Funzione contenitiva del terapeuta neutrale e tollerante: li terapeuta "me­ tabolizza" le proiezioni del paziente. Con ciò intendiamo dire che egli consente al paziente di toccarlo internamente, astenendosi al tempo stes­ so dall'agire sulle proiezioni del paziente e poi riflette sull'interazione, assumendosi la responsabilità dei propri impulsi. Ciò che emerge nella mente del terapeuta è una versione meglio integrata, meno caricata af­ fettivamente, meno minacciosa e più riflessiva delle relazioni oggettuali proiettate dal paziente, che il terapeuta gli comunica. Questa forma di contenimento si sviluppa sia verbalmente, tramite l'interpretazione, sia in modo non verbale, attraverso le funzioni di contenimento del setting terapeutico e il rapporto psicoterapeutico. 79

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Funzione di contenimento dell'interpretazione: Le motivazioni conflit­ tuali e le ansie associate sono relativamente concrete - è come se la spe­ rimentazione conscia di un desiderio o di una motivazione conflittuale equivalesse all'agire su di essa e quindi sperimentare il desiderio è di per se stesso terribilmente minaccioso. Inoltre, il soggetto tende a esperire le motivazioni conflittuali con un'immediatezza che lo rende meno capace di quanto potrebbe essere di osservarsi e riflettere sui propri sentimenti. In modo analogo, anche le ansie hanno un'essenza concreta. (Il risultato è un'esperienza del tipo espresso da dichiarazioni come " Sono cattivo in virtù di ciò che penso o provo " e "Tu sei arrabbiato e non approvi" . ) Man mano che diventano consce, vengono descritte ed esplorate a parole e infine interpretate in termini di significati, funzioni e fantasie sottostanti, le motivazioni conflittuali e le ansie associate si trasformano in pensieri e sentimenti invece di " cose" concrete. Vale a dire che diventano aspetti più chiaramente " simbolici" dell'esperito interiore, che possono essere osservati dal paziente (e quindi possono diventare " triangolari" ) . Funzione di contenimento dell'interpretazione del trans/ert: L e relazioni oggettuali conflittuali e le ansie associate sono spesso proiettate, per cui il terapeuta nel transfert arriva a personificare ciò che il paziente teme in se stesso. Tradurre in parole l'esperito transferale del terapeuta da parte del paziente sotto forma di "interpretazioni centrate sul terapeuta" (Stei­ ner, 1 994 ) fornisce una forma speciale di contenimento, comunicando implicitamente che il terapeuta può tollerare di essere e sentirsi ciò che il paziente non può tollerare di se stesso. Contenimento comefacilitatore dell'insight: A seguito del contenimento da parte dell'analista delle proiezioni del paziente, l'esperito soggettivo associato all'attivazione di relazioni oggettuali conflittuali diventa meno opprimente, meno concreto e meno minaccioso; in questo modo, il con­ tenimento consente al paziente di sviluppare l'insight, che a sua volta gli permette di tollerare consciamente, di rappresentare in modo cognitivo e in ultima analisi di assumersi le responsabilità di parti del sé in prece­ denza represse, proiettate, dissociate o negate. Meccanismo 2: interpretazione1

Prestare attenzione: La chiarificazione e il confronto richiamano l' atten­ zione su aspetti dell'esperito conscio che sono stati dissociati, ignorati o negati.

Interpretazione delle operazioni dz/ensive, che conduce all'egodistonici­ tà: L'identificazione e l'esplorazione di modi di funzionamento abituali l . In questo contesto utilizziamo il termine interpretazione per indicare l'intero processo in­ terpretativo, che comprende chiarificazione, confronto e interpretazione vera e propria.

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GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

Tabella 4.2

Il processo terapeutico nella DPHP.

Terapeuta Stabilire la cornice terapeutica Stabilire il rapporto psicoterapeutico e la neutralità tecnica Osservare e riflettere sull ' esperito psicologico del paziente Tradurre in parole l'esperito soggettivo del paziente Utilizzare il controtransfert Analisi della resistenza alla comunicazione libera e aperta

Contenimento di ansie e stati affettivi stimolati in terapia Identificazione ed esplorazione di relazioni oggettuali difensive

Contenimento continuo nel setting dell ' esplorazione e interpretazione delle ansie attivate in terapia Interpretazione del conflitto inconscio Identificazione ed esplorazione delle motivazioni conflittuali attivate in terapia

Paziente

Sviluppo dell'alleanza terapeutica Maggiore capacità autoriflessiva e di autoosservazione

Capacità crescente di comunicare in modo libero e aperto Attivazione e messa in atto in terapia di difese caratteriali e ansie sottostanti

Le difese caratteriali diventano egodistoniche e le ansie sottostanti emergono alla coscienza

Gli stati affettivi collegati alle ansie e le motivazioni conflittuali sono modificate dal fatto che il terapeuta contiene e metabolizza, invece di attualizzare le ansie e le proiezioni del paziente Gli stati affettivi collegati alle ansie e alle motivazioni conflittuali sono contenuti dall'elaborazione cognitiva Maggiore capacità di rendersi conto della natura simbolica dell'esperito psicologico in aree di conflitto

Interpretazione ripetuta ed elaborazione

Gli stati affettivi collegati alle ansie e alle motivazioni conflittuali sono trasformati dall'interpretazione e dall'insight in ansie consce e i desideri vengono capiti L'interpretazione delle difese e delle relazioni oggettuali sottostanti facilita la comprensione più profonda dell ' esperito psicologico come simbolico, rendendo più semplice tollerare la consapevolezza e assumersi la responsabilità delle relazioni oggettuali conflittuali

segue -.

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LNELLO

Terapeuta

Paziente n paziente è in grado di assumersi la responsabilità delle proprie motivazioni conflittuali, di elaborare senso di colpa e perdita e di fare ammenda

n paziente arriva a essere in grado di tollerare l'ambivalenza in aree di conflitto e di contenere le relazioni oggettuali conflittuali all'interno del proprio senso di sé

forniscono una nuova prospettiva sui tratti della personalità e le difese caratteriali; le difese diventano visibili per il paziente e, in ultima analisi, egodistoniche. Identificazione del paziente con l'io osservante del terapeuta: Gli inter­ venti del terapeuta riflettono e convogliano la sua capacità di osservare e riflettere sulle sue interazioni con il paziente. L'identificazione del pa­ ziente con questa capacità del terapeuta rafforza il suo io osservante e la sua capacità di riflettere riguardo alla propria esperienza interiore in aree di conflitto. Ilpotere della "luce del giorno": Le relazioni oggettuali conflittuali e le an­ sie e fantasie associate, spesso derivate dalla prima infanzia, sono scisse dall'esperienza di sé conscia dell'adulto; a mano a mano che diventano il focus dell'attenzione conscia e sono descritte, esplorate e comprese da un punto di vista adulto e attuale, esse perdono il loro aspetto minaccioso. Interpretazione che supporta la simbolizzazione: Come descritto in pre­ cedenza, quando le ansie sono interpretate e capite dal paziente in ter­ mini di significati, funzioni e origini, diventano meno concrete e in ul­ tima analisi sono viste come pensieri - rappresentazioni dell'esperito mentale - piuttosto che come una realtà materiale. Interpretazione che trasmette l'inevitabilità del conflitto: Sia la componen­ te cognitiva e affettiva dell'insight, sia l'elaborazione implicano il tolle­ rare la consapevolezza e, in ultima analisi, l'accettare l' inevitabilità degli aspetti conflittuali dell'esperienza di sé.

Collegamento dei conflitti correnti al passato evolutivo per facilitare l'e­ laborazione: Dopo aver contenuto, esplorato e in una certa misura ela­ borato le relazioni oggettuali conflittuali, la comprensione delle origini evolutive delle fantasie e dei conflitti inconsci, come pure la loro rela­ zione con i sintomi di presentazione e i tratti della personalità, riduce ulteriormente l'ansia, aumenta la padronanza e introduce una maggiore flessibilità. La Tabella 4.2 riporta una visione d'insieme del processo terapeutico della DPHP. Essa delinea i compiti centrali del terapeuta nel corso del trat82

GLI ELEMENTI BASE DELLA DPHP

tamento, che sono riportati nella colonna di sinistra, nell'ordine in cui ven­ gono attuati durante la terapia, dall'alto verso il basso della pagina. Nella colonna destra della Tabella sono indicati gli sviluppi previsti nel processo terapeutico a seguito degli interventi del terapeuta, descritti in termini di cambiamenti nell'esperito interiore e nelle capacità del paziente.

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5 S trategie della DPHP e se tting terapeutico

In questo capitolo presentiamo le strategie della psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP) e descriviamo il setting terapeutico. Per "strategie terapeutiche" si intendono gli obiettivi a lungo termine del trattamento e i principi tecnici fondamentali alla base della te­ rapia nel suo insieme. Il termine strategie definisce l'approccio utilizzato dal terapeuta per aiutare il paziente a muoversi verso un'integrazione progressi­ va delle relazioni oggettuali conflittuali. Le strategie terapeutiche della DPHP sono saldamente inserite nel modello della mente e del conflitto inconscio che abbiamo presentato e si riflettono nelle tattiche, che guidano le decisioni relative agli interventi in ciascuna ora di terapia. Le tecniche corrispondono ai modi costanti in cui gli interventi sono interpretati e applicati durante l'intero trattamento. Le strategie, le tattiche e le tecniche della DPHP defini­ scono una teoria della tecnica psicoterapeutica. Il setting terapeutico della DPHP è stato studiato per consentire al tera­ peuta e al paziente di mettere in pratica le strategie terapeutiche. Il setting psicoterapeutico fornisce il contesto all'interno del quale la nostra teoria della tecnica si traduce in terapia e nella DPHP e il setting crea un ambiente stabile e prevedibile per il trattamento, favorendo al tempo stesso l' atmo­ sfera di un contesto sicuro. Nella seconda metà di questo capitolo discuteremo invece del setting e della " cornice terapeutica". Quest'ultima definisce le condizioni necessarie per il trattamento e i ruoli rispettivi di paziente e terapeuta, e comprende il rapporto psicoterapeutico, strumento essenziale del trattamento. Discu­ teremo poi delle funzioni e delle caratteristiche specifiche della cornice te­ rapeutica e del rapporto psicoterapeutico, per presentare, infine, l'alleanza terapeutica, un aspetto del rapporto tra paziente e terapeuta che svolge un ruolo centrale in tutte le forme di psicoterapia.

VISIONE D'INSIEME DELLE STRATEGIE Lo scopo prioritario della DPHP è l'introduzione di una maggiore flessibilità negli aspetti relativi alle operazioni difensive del paziente responsabili dei 85

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

sintomi e dei tratti di personalità disadattivi. Ciò si ottiene, in primo luogo, aiutando il paziente a tollerare consciamente la consapevolezza delle rela­ zioni oggettuali represse e dissociate, collegate ai sintomi di presentazione, e, in secondo luogo, aiutandolo ad assimilare tali relazioni oggettuali con­ flittuali nel proprio senso di sé dominante, in modo che diventino parte del \suo esperito soggettivo. / La strategia che utilizziamo nella DPHP consiste nell'esplorare le relazioni oggettuali messe in atto in terapia. Iniziamo dalle relazioni oggettuali attiva­ te in modo difensivo, per spostarci poi verso quelle più minacciose e caricate affettivamente, dalle quali il paziente si difende. In questo processo, le re­ lazioni oggettuali conflittuali alla base dei sintomi di presentazione del sog­ getto emergono alla coscienza e i conflitti insiti nelle rappresentazioni con­ flittuali di sé e dell'altro possono essere esplorati, interpretati ed elaborati. Le relazioni oggettuali conflittuali tendono a essere attivate e messe in atto nelle relazioni interpersonali correnti. Di conseguenza, quando ascol­ ta il paziente, il terapeuta DPHP di solito è in grado di identificare uno o due modelli relazionali salienti in una determinata seduta, messi in atto nella descrizione del paziente delle proprie interazioni con gli altri e/o nelle sue interazioni con il terapeuta. Dopo aver identificato le relazioni oggettuali dominanti nella seduta, il terapeuta le descrive e aiuta il paziente a esplorare i conflitti insiti in esse. A mano a mano che i conflitti vengono messi in atto, esplorati e interpretati, ripetutamente nel tempo, le relazioni oggettuali a es­ si associate si modificano, si integrano meglio e diventano meno minacciose, così da poter essere assimilate nell'esperienza di sé dominante del paziente. Mentre esplora i conflitti insiti nelle relazioni oggettuali del paziente, il terapeuta non perde di vista gli obiettivi del trattamento. Nella DPHP ci con­ centriamo sul rapporto tra i conflitti del paziente e gli obiettivi terapeutici, occupandoci della rigidità della personalità in aree localizzate di funziona­ mento disadattivo e lasciando invece indisturbate aree di funzionamento relativamente intatte. Quando interpreta, il terapeuta si concentra sul rapporto tra relazioni oggettuali conflittuali messe in atto e obiettivi del paziente. Le strategie uti­ lizzate nella DPHP (Tabella 5 . l) possono essere concettualizzate in termini di quattro compiti sequenziali, che descriviamo qui di seguito. Tabella 5.1 livello

Strategie della psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto

( DPHP)

Strategia l Strategia 2

Definizione delle relazioni oggettuali dominanti

Strategia 3 Strategia 4

Restringimento del focus sugli obiettivi terapeutici

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Esplorazione e interpretazione dei conflitti e delle difese insiti nelle relazioni oggettuali dominanti Elaborazione dei conflitti identificati: integrazione delle relazioni oggettuali conflittuali nell'esperienza di sé conscia del paziente

STRt;TEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

STRATEGIA 1: DEFINIRE LE RELAZIONI OGGETTUALI DOMINANTI La prima strategia della DPHP consiste nel definire le rappresentazioni do­ minanti di sé e dell'altro, attive nella seduta. Sebbene si possa avere la ten­ tazione di pensare alle rappresentazioni mentali come a entità concrete, è importante ricordare che non lo sono. Al contrario, le rappresentazioni mentali e le relazioni oggettuali interiorizzate sono il modo abituale di una persona di organizzare la propria esperienza di sé e della sua realtà interna ed esterna. Le relazioni oggettuali interiorizzate non possono essere osser­ vate direttamente e la natura delle rappresentazioni di sé e dell'altro, attive in un determinato momento, possono essere desunte soltanto dal modo in cui danno forma ai pensieri, sentimenti e comportamenti del paziente, e in particolare al suo esperito degli altri e alle interazioni con essi. Nella DPHP, traiamo conclusioni relative al mondo oggettuale interno del paziente sul­ la base delle sue comunicazioni verbali e non verbali. A mano a mano che cerchiamo di definire le rappresentazioni di sé e dell'oggetto dominanti in quel momento, prestiamo particolare attenzione alla descrizione di intera­ zioni interpersonali del paziente, alla ricerca dei modelli relazionali attivati nelle sue interazioni con gli altri, terapeuta compreso. Fase 1: identificazione delle relazioni oggettuali dominanti

Mentre ascolta e interagisce con il paziente, il terapeuta DPHP formula ipotesi sulle relazioni oggettuali interiorizzate messe in atto in quel momento. In que­ sta fase, può essere utile per il terapeuta figurarsi, letteralmente, l'immagine di due persone che interagiscono, ciascuna delle quali svolge un particolare ruolo. Di solito, il paziente è identificato principalmente con un ruolo particolare in un determinato modello relazionale conflittuale, anche se talvolta la sua iden­ tificazione con i due aspetti di esso (o tutti e tre, nel caso di modelli relaziona­ li triadici) può essere piuttosto vicina alla coscienza. Tuttavia, questo tipo di flessibilità si riscontra più comunemente in una fase successiva del trattamen­ to, o dopo che un particolare conflitto è stato, in una certa misura, elaborato. Nella DPHP, vogliamo che le nostre descrizioni delle rappresentazioni mentali del paziente siano il più specifiche e accurate possibile. Per iden­ tificare con precisione le rappresentazioni di sé e dell'oggetto al momento attive, il terapeuta deve disporre di notevoli informazioni riguardo ai sen­ timenti, desideri e timori attuali del paziente, oltre all'esperito e alle aspet­ tative correnti in merito a terapia e terapeuta. L' analista raccoglie queste informazioni ascoltando attentamente ciò che il paziente dice, osservando le sue interazioni non verbali con lui e prestando attenzione alle proprie reazioni private al paziente durante la seduta ( Kernberg, 1992 ) . Queste in­ formazioni vengono poi integrate nella conoscenza del paziente acquisita in precedenza, compresi i sintomi di presentazione e la sua storia evolutiva. 87

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LNELLO

Quando ritiene che una particolare relazione oggettuale inizi a essere fo­ calizzata, il terapeuta chiede ulteriori dettagli riguardo alla persona o all'in­ terazione che il paziente sta descrivendo. Qualora alcuni elementi risulti­ no poco chiari, egli può condividere la propria incertezza con il paziente, chiedendogli al tempo stesso di aiutarlo a risolvere la difficoltà di compren­ sione. Se il rapporto oggettuale focalizzato è messo in atto nell'interazione con il terapeuta, quest'ultimo può esplorare la natura dell'esperito del pa­ ziente riguardo al loro rapporto. Quando viene focalizzato un particolare modello relazionale, è spesso utile per il terapeuta descrivere nuovamente al paziente alcune delle peculiarità che apparentemente caratterizzano le rappresentazioni messe in atto, per accertarsi di aver capito bene le comu­ nicazioni del paziente. Caso clinico di identificazione della relazione oggettuale dominante Una professionista trentaquattrenne, benvoluta da amici e colleghi, ma single e de· siderosa di sposarsi e avere figli, si presentò in terapia lamentando insoddisfazione per la propria vita sentimentale. Negli ultimi due anni si era infatuata di un colle­ ga, un uomo che spesso le dedicava del tempo e flirtava con lei, ma non era inte­ ressato a impegnarsi in una relazione seria. La paziente sapeva che quel rapporto non era positivo per lei e non aveva sbocchi, ma non riusciva a interromperlo. Gli amici le avevano consigliato di lasciare quell'uomo, ma lei non riusciva a seguire il loro consiglio. Altri uomini l'avevano avvicinata, ma non li trovava interessanti. Spinta dai suoi amici, la paziente iniziò la terapia, che durava da diversi mesi, durante i quali aveva trascorso la maggior parte delle sedute descrivendo il proprio appuntamento della sera precedente con il collega. Durante una seduta proseguì dicendo che, anche se desiderava ancora stare con lui, ultimamente si era resa conto di non riuscire più a godere pienamente del tempo trascorso insieme. Era troppo consapevole del fatto che lui non le dedicava tutta la sua attenzione e il suo affet­ to. Sentiva che, sebbene lui potesse dare molto di più, non lo avrebbe dato a lei. La donna disse poi di essersi accorta di iniziare a esperire quell'uomo come se si mantenesse a una certa distanza da lei e talvolta si ritrovava a chiedersi se lo fa­ cesse di proposito. Mentre ascoltava, il terapeuta notò un tono di frustrazione nella voce della paziente. Nella sua mente, egli identificò l'esperienza della donna con il suo collega, che lei aveva appena descritto, come la relazione oggettuale dominan­ te attivata nella sessione.

Fase 2: nomina degli attori

Dopo aver formulato un'opinione riguardo alla relazione oggettuale messa in atto, il terapeuta condivide la propria impressione con il paziente. Di so­ lito, è ideale farlo in questa fase, quando il paziente ha accennato ripetuta­ mente a una particolare relazione, o tema oggettuale, in una seduta, oppure quando variazioni di una particolare relazione oggettuale sono emerse in più di una forma. In alternativa, il terapeuta deve intervenire quando os­ serva che il modello relazionale dominante nelle comunicazioni verbali del paziente viene simultaneamente messo in atto nelle sue interazioni con lui. 88

STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

Per decidere quando intervenire, il terapeuta presta attenzione allo stato affettivo del paziente. Risulta più efficace descrivere una particolare rela­ zione oggettuale nel momento in cui il paziente si sente emotivamente coin­ volto in alcuni aspetti dell'interazione citata dal terapeuta. La principale eccezione a questa regola è che generalmente non è positivo "nominare gli attori" nel momento di massima intensità affettiva. Se una relazione ogget­ tuale viene messa chiaramente a fuoco in un momento in cui gli affetti del paziente sono estremamente intensi, consigliamo al terapeuta di attendere che il soggetto si calmi, prima di cercare di gettare luce sul sé e sulle rappre­ sentazioni sottostanti messe in atto. Questo perché gli affetti estremamente intensi spesso compromettono la capacità autoriflessiva. Quando il paziente non si sentirà più " spazzato via" , sarà più aperto all'ascolto di una descrizio­ ne delle relazioni oggettuali alla base dell'intensità del suo esperito affettivo. Quando si nominano gli " attori" in un particolare modello relazionale, l'atteggiamento del terapeuta è acritico. Il suo scopo è di accettare tutti gli aspetti dell'esperito del paziente e non trasmettere critiche, né approvazio­ ne. Il terapeuta mantiene tale atteggiamento anche quando un particolare ruolo è oggettivamente riprovevole o auspicabile. Per esempio, quando si accosta al modello relazionale dell'io-paziente frustrato e dell'oggetto-uo­ mo trattenuto, il terapeuta descrive le peculiarità dei due attori, senza sot­ tintendere che il ragazzo è cattivo o che il paziente deve essere ammirato o compatito. Quando nomina gli attori, il terapeuta non è neppure autori­ tario. Egli presenta un'ipotesi, che deve essere testata e affinata sulla base della risposta del paziente e non una verità che deve necessariamente esse­ re accettata da quest'ultimo. In quest'ottica, spesso è utile per il terapeu­ ta condividere con il paziente il pensiero che lo ha condotto all'ipotesi in questione (Busch, 1 996). Quando descrive una relazione oggettuale a un paziente, il terapeuta deve cercare e inserire nella propria descrizione dettagli particolari che ca­ ratterizzano specificatamente gli attori e ciò che accade tra loro. A questo proposito, utilizzare il linguaggio proprio del paziente può essere molto utile e può portare alla luce rappresentazioni di sé e degli altri, in un mo­ do particolarmente vivido e ricco dal punto di vista emotivo. Per illustrare questo approccio, ritorniamo alla seduta citata in precedenza, in cui la no­ stra paziente descrive le proprie difficoltà nel godere del tempo trascorso con il suo compagno. Caso clinico di nomina degli attori Dopo aver ascoltato la paziente, chiarificato la sua esperienza della sera precedente ed esplorato le sue riflessioni sulla serata, il terapeuta tenta di descrivere gli attori. Per esempio, potrebbe dire alla paziente: " Sembra che lei viva una particolare espe­ rienza delle sue interazioni con quest'uomo. Anche se non è sua intenzione, pare che stia iniziando a sentire che lui si ritrae di proposito da lei, quasi come se volesse frustrarla. Questa descrizione corrisponde alle sensazioni che prova? " .

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO Se questa impressione si rivela corretta, il terapeuta può poi procedere all'indi­ cazione degli attori. Egli potrebbe suggerirle, per esempio, "È come se lei avesse in mente un'immagine particolare di due persone che interagiscono. Una di esse si aspetta amore e attenzione da una persona per lei importante, mentre l'altra non è totalmente disponibile e, inoltre, è segretamente consapevole di ritrarsi da lei e di frustrarla" .

Fase 3: prestare attenzione alla reazione del paziente

Dopo aver proposto una particolare ipotesi riguardo alla relazione ogget­ tuale in quel momento attiva, il terapeuta presta la massima attenzione alla reazione del paziente ai suoi commenti. Nell'ascoltare la risposta, più che dell'accordo o disaccordo evidente del paziente, egli si occupa delle suc­ cessive associazioni e del suo comportamento e può ascoltare il materiale che segue come espressione delle reazioni del paziente al suo intervento. Qualora, durante questo processo, si accorgesse che la sua deduzione non era centrata, deve sentirsi libero di riconoscerlo e di fornire un'impressione modificata, a mano a mano che emerge. Una caratterizzazione corretta della relazione oggettuale predominan­ te può condurre a diversi sviluppi possibili. Talvolta il paziente riconosce, con convinzione emotiva, ciò che il terapeuta descrive e può parlare spon­ taneamente di altre interazioni che mostrano un modello analogo, oppure può rispondere con un'associazione a materiale o a ricordi relativi alla re­ lazione oggettuale descritta dal terapeuta. Questo processo può aggiunge­ re nuove dimensioni alla relazione oggettuale in questione. Per esempio, la nostra paziente con problemi relazionali potrebbe effettuare un'associa­ zione spontanea a un modello infantile di interazioni frustranti con un fra­ tello o una sorella. In alternativa, può affiorare alla memoria un articolo di giornale riguardante madri che trascurano i figli, a suggerire che il rappor­ to frustrante con il suo compagno è legato all'immagine di un genitore e di un figlio che interagiscono. Qualche volta un paziente può rispondere a una caratterizzazione della relazione oggettuale predominante mettendola in atto con il terapeuta; la paziente che abbiamo descritto potrebbe rispondere lamentandosi di quan­ to sia frustrante trovarsi in questo tipo di terapia, in cui ottiene così poco feedback o indicazioni da parte del terapeuta. Altre volte, il paziente può rispondere con un'associazione alla relazio­ ne oggettuale descritta, ma invertendo i ruoli. In questo caso, la nostra pa­ ziente potrebbe iniziare a raccontare un aneddoto in cui qualcuno l'ha ac­ cusata di adottare un comportamento restio o frustrante, oppure potrebbe effettuare l'associazione con un ricordo infantile relativo a dispetti fatti a un animale domestico, di cui si vergogna. Oppure il paziente può invertire i ruoli in relazione al terapeuta - ignorandone, per esempio, l'intervento o

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STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

comunicando, con tono provocatorio, di avere in mente qualcosa che non condivide. Talvolta, una caratterizzazione corretta conduce all'improvvisa attivazione di una relazione oggettuale diversa, che riflette altri aspetti del conflitto corrente - per esempio, immagini di sé e dell'altro più vicine agli impulsi oggetto di difesa o che rappresentano la difesa motivante l'ansia.

STRATEGIA 2: OSSERVAZIONE E INTERPRETAZIONE DEI CONFLITTI INSITI NELLE RELAZIONI OGGETTUALI DOMINANTI Abbiamo notato che la prima strategia della DPHP prevede di identificare, descrivere ed esplorare le relazioni oggettuali dominanti nelle comunica­ zioni verbali e non verbali del paziente. La strategia successiva consiste, in­ vece, nello sviluppare un'ipotesi relativa ai conflitti psicologici insiti nelle relazioni oggettuali che sono state descritte ed esplorate, e nel condividerla con il paziente, sotto forma di interpretazione. Nella patologia della personalità di alto livello, le relazioni oggettuali in­ teriorizzate associate alle motivazioni conflittuali, siano esse desideri, esi­ genze o timori, sono prevalentemente al di fuori della consapevolezza del paziente e tendono a rimanere tali. Anche l'organizzazione difensiva del paziente, che implica la messa in atto e la sperimentazione conscia di una particolare serie di relazioni oggettuali in una configurazione specifica, è piuttosto stabile. Pertanto, nel normale corso degli eventi, il paziente met­ te in atto relazioni oggettuali interiorizzate difensive, pur rimanendo am­ piamente, se non totalmente, inconsapevole delle motivazioni conflittuali e delle relazioni oggettuali a esse associate, fino a che non vengono attivate ed esplorate in terapia. Come abbiamo detto, esistono molti modi in cui le relazioni oggettuali interiorizzate possono essere utilizzate come difesa dal conflitto psicologico. In primo luogo, la messa in atto di relazioni oggettuali relativamente accet­ tabili può essere utilizzata in modo difensivo, per sostenere la repressione di motivazioni conflittuali sottostanti. In secondo luogo, la messa in atto di una relazione oggettuale interiorizzata in cui un'esigenza, un desiderio o un timore minaccioso sono attribuiti a una rappresentazione oggettuale e al tempo stesso dissociati dal sé, serve per creare un compromesso in rela­ zione a un impulso minaccioso. In terzo luogo, la messa in atto di relazio­ ni oggettuali conflittuali scisse o dissociate dall'esperienza di sé dominante consente l'espressione di motivazioni conflittuali, mentre si evitano le ansie associate al conflitto sottostante. Per ritornare al nostro esempio della paziente con problemi relazionali, troviamo la relazione oggettuale, vicina alla consapevolezza e ripetutamente messa in atto, di un sé dipendente e affettuoso e di un oggetto non disponi­ bile e trattenuto, associati a sentimenti di frustrazione. La messa in atto di

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

questo modello relazionale supporta la repressione di relazioni oggettuali di base, che sono più minacciose e più strettamente legate all'espressione di desideri sottostanti erotici, a tinte edipiche. La messa in atto del modello relazionale di un sé dipendente e di un oggetto restio serve, inoltre, per la creazione di un compromesso in relazione agli impulsi del paziente di fru­ strare e ritrarsi da qualcuno, che è più vulnerabile. Infine, la messa in atto del modello relazionale di un sé ritroso e di un oggetto dipendente, con­ temporanea alla dissociazione di tali relazioni oggettuali dall'esperienza di sé dominante e dalla negazione del loro significato, consente al soggetto di esprimere motivazioni di frustrazione e ritrosia, evitando al tempo stesso il conflitto. Fase 1: identificazione ed esplorazione delle relazioni oggettuali interiorizzate difensive

Il primo passo dell'esplorazione di un conflitto consiste nell'identificare, descrivere ed esaminare la relazione oggettuale dominante nella seduta - a partire dalla nomina degli attori, descritta in precedenza. Nel nostro esem­ pio, il terapeuta aiuta la paziente a rendersi conto del fatto che mette in at­ to ripetutamente una situazione in cui si sente una bambina dipendente, bisognosa e affettuosa in relazione a un oggetto non disponibile e restio, e che ciò suscita sentimenti cronici di frustrazione. Una volta individuata ed esaminata, nei rapporti interpersonali del paziente e forse anche in rela­ zione al terapeuta, tale messa in atto difensiva può essere identificata come utile alle funzioni difensive. Con questa affermazione intendiamo dire che la paziente arriva a rendersi conto di costruire ripetutamente questa situa­ zione, nella fantasia oppure nella realtà. L'identificazione e l'esplorazione delle relazioni oggettuali dominanti attivate nella vita interpersonale del paziente e nel transfert conducono lentamente a cambiamenti nell'atteggiamento del soggetto nei confronti di tali messe in atto difensive. Per prima cosa, il paziente acquisisce la con­ sapevolezza di aspetti del proprio comportamento cui non aveva prestato attenzione in precedenza, e in secondo luogo si rende conto di essere un

partecipante attivo alla creazione di situazioni interpersonali in cui si "ritro­ va" ripetutamente. Per ritornare alla nostra paziente, essa arriva a rendersi conto del fatto che essere dipendente e frustrata non è una cosa che accade interamente " a lei " , quanto piuttosto un'esperienza interpersonale alla cui creazione partecipa in modo attivo e ripetuto. Una volta che il paziente si rende conto di mettersi attivamente in par­ ticolari situazioni, anche se in modo inconsapevole e automatico, di solito nasce in lui la curiosità di sapere quali siano i motivi alla base di tale com­ portamento. Man mano che il soggetto realizza le modalità con cui compie ripetutamente atti che lo fanno sentire in un certo modo, il terapeuta solleva

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STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

la questione del motivo per cui egli sceglierebbe di fare le cose che fa. Per ritornare al nostro esempio clinico, il terapeuta aiuta la paziente a prende­ re in esame il motivo per cui sceglie, senza esserne consapevole e al di fuori del proprio controllo, di mettersi in posizioni così cronicamente frustranti. A seguito dell'identificazione ed esplorazione di una particolare serie di relazioni oggettuali difensive, la paziente sarà curiosa di capire perché si comporti così e arriverà a rendersi conto che il suo comportamento è gui­ dato da motivazioni di cui non è consapevole. Al tempo stesso, la messa in atto dei modelli relazionali difensivi diventerà non soltanto più visibile per la paziente ( cioè, " egodistonica" ) , ma anche meno efficace nel proteggerla dalla consapevolezza delle ansie e delle motivazioni oggetto di difesa. Fase 2: identificazione ed esplorazione delle relazioni oggettuali conflittuali

A mano a mano che risultano più visibili al paziente e meno rigide, le sue di­ fese diventano meno efficaci nel mantenere i conflitti sottostanti totalmente al di fuori della consapevolezza conscia. In questo setting, i modelli relazio­ nali derivanti dalle ansie e dai conflitti oggetto di difesa iniziano a compari­ re nelle comunicazioni verbali e non verbali del paziente. Ciò apre la porta all'identificazione ed esplorazione di relazioni oggettuali precedentemen­ te represse o dissociate. Di solito, le relazioni oggettuali oggetto di difesa sono più strettamente e direttamente legate all'espressione di motivazioni conflittuali, di quanto avvenga per le relazioni oggettuali attivate in modo difensivo. Dopo che la serie di relazioni oggettuali associate a una partico­ lare esigenza, timore o desiderio è identificata e descritta, il terapeuta può iniziare a formulare ipotesi riguardo alla natura dei conflitti centrali del pa­ ziente, condividendoli con lui sotto forma di interpretazioni preliminari. Caso clinico di identificazione ed esplorazione delle relazioni oggettuali conflittuali Dopo aver dedicato diverse sedute all'esplorazione della tendenza a collocarsi in una posizione di dipendenza e frustrazione, la paziente descritta in precedenza dis­ se al terapeuta di essere stata invitata a uscire da un altro uomo, suo ammiratore da lungo tempo. Il clinico notò che la paziente parlava dell'uomo e del suo invito con tono leggermente sprezzante. Nel suo atteggiamento nei confronti dell' ammi­ ratore, il terapeuta identificò la messa in atto del modello relazionale che avevano esaminato in terapia, ma a ruoli invertiti.

Glielo fece notare e le descrisse il modello relazionale in cui, posta di fronte a una persona che percepiva come un ammiratore, essa lo esperisse come un individuo " bisognoso " e fosse stimolata a ritrarsi e a comportarsi in un modo che, alla fine, risultava frustrante. In risposta, la paziente rico­ nobbe un modello di lunga durata in cui, senza pensarci, si rendeva silen­ ziosamente e educatamente inaccessibile agli ammiratori, facendoli sentire 93

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

respinti e frustrati dalla sua mancanza di interesse. Si trattava di qualcosa in lei di cui la paziente era stata vagamente consapevole, ma cui non aveva mai realmente pensato fino a quel momento; sembrava avere poco a che fare con la sua visione generale di se stessa. In terapia, terapeuta e paziente esplorarono questo aspetto delle interazioni di quest'ultima con gli uomi­ ni e collegarono i sentimenti di autocritica e cattivo umore di cui la donna spesso soffriva in risposta al ricevimento di attenzioni da parte di uomini, al disagio nei confronti dei propri impulsi di rendersi frustrante e ritrarsi davanti a una persona che percepiva come bisognosa. Di solito, quando un paziente elabora gli aspetti più accessibili di una particolare costellazione di conflitti, altri aspetti, più profondamente repres­ si del conflitto vengono attivati e diventano visibili. Per esempio, all'inizio, la paziente che abbiamo descritto incominciò a elaborare le proprie motiva­ zioni conflittuali, che la inducevano a frustrare le persone considerate meno potenti di lei. A mano a mano che diventava più tollerante nei confronti di tali motivazioni, iniziò a realizzare l'ansia e il senso di colpa associati al fatto di consentire a se stessa di sentirsi più desiderabile dal punto di vista sessua­ le. In ultima analisi, il suo senso di colpa e ansia si dimostrarono collegati a desideri inaccettabili di usare la propria attrattiva sessuale per sentirsi forte. In questo setting, il terapeuta riuscì a evidenziare che, sentendosi frustra­ ta o frustrante, la paziente aveva evitato l'ansia che avrebbe potuto provare se si fosse esperita come sessualmente desiderabile per un uomo attraente. L'esplorazione di quest'ansia ha aperto la strada alla scoperta di desideri e fantasie inconsce inaccettabili, relative al ricevere attenzione sessuale e am­ mirazione da un uomo potente, escludendo al tempo stesso e trionfando su una donna meno desiderabile. In questo caso, la relazione oggettuale inte­ riorizzata impulsiva implicava la situazione triangolare di un sé sessualmen­ te forte, che ottiene una piacevole attenzione da parte di un uomo poten­ te, escludendo e umiliando al tempo stesso una donna meno desiderabile. Quando si presentò alle sedute, la paziente si stava difendendo dalla messa in atto di questa relazione oggettuale altamente conflittuale, strettamente legata a impulsi erotici, competitivi e sadico-edipici, sentendosi come una bambina tenera e frustrata. Le relazioni oggettuali interiorizzate associate all'espressione di desideri, esigenze e paure inconsce tendono a essere fortemente caricate dal punto di vista affettivo e le rappresentazioni coinvolte possono essere estremamen­ te minacciose per il paziente. Tali relazioni e le fantasie associate sono am­ piamente, se non totalmente, al di fuori della consapevolezza del soggetto, fino a che non vengono scoperte ed esplorate in terapia. Spetta al terapeu­ ta DPHP descrivere ed esplorare le relazioni oggettuali minacciose e gli stati affettivi, partendo da una posizione di neutralità tecnica, riconoscendo al tempo stesso l'ansia, la paura, il senso di colpa, perdita o vergogna associati alla loro espressione . Questo atteggiamento da parte del terapeuta aiuta il 94

STRATEGIE DELLA DPHP E SETT!NG TERAPEUTICO

paziente a tollerare e a contenere la consapevolezza dolorosa degli aspetti emotivamente minacciosi della sua vita interiore, che in precedenza erano stati respinti dall'esperienza di sé conscia.

STRATEGIA 3: RESTRINGERE IL FOCUS AGLI OBIETTIVI TERAPEUTICI Come abbiamo già detto, la DPHP è un trattamento organizzato intorno a obiettivi terapeutici specifici, concordati durante il processo consulti­ vo. Nella DPHP abbiamo modificato la tecnica psicoanalitica standard, re­ stringendone gli obiettivi terapeutici propri della psicoanalisi. Ciò consen­ te di condurre trattamenti di successo più brevi e meno intensivi rispetto a quest'ultima, ma comunque efficaci in un'area specifica di funzionamento. Mentre il trattamento psicoanalitico indaga in modo completo sulla vita interiore e i conflitti del paziente, la DPHP ne esplora i conflitti centrali, con particolare attenzione per la loro relazione con i sintomi di presentazione del paziente e gli obiettivi terapeutici. Laddove il trattamento psicoanaliti­ co è orientato verso l'integrazione delle relazioni oggettuali conflittuali re­ sponsabili della rigidità della personalità nel suo insieme, la DPHP è orientata verso la loro integrazione in aree di funzionamento circoscritte. Di conse­ guenza, quando esplora le relazioni oggettuali dominanti, il terapeuta tiene sempre d'occhio la realtà attuale del paziente, i sintomi di presentazione e gli obiettivi terapeutici. Sottolineare il rapporto tra conflitti centrali e obiettivi terapeutici

Ogni paziente presenta conflitti centrali o dominanti, che vengono messi in atto in terapia e che influenzano il soggetto in molte aree di funzionamen­ to - in alcune di esse in modo molto significativo, in altre più debolmente. Nella DPHP, quando un particolare conflitto viene individuato, il terapeu­ ta pensa tra sé e sé " In che modo questi modelli relazionali possono essere collegati ai sintomi di presentazione del paziente e agli obiettivi terapeu­ tici? ". Quando esplora un conflitto con il paziente, il terapeuta sottolinea il rapporto tra tale conflitto e la rigidità della personalità del soggetto, in aree circoscritte definite negli obiettivi terapeutici. Tale processo consente di sviluppare una maggiore comprensione dei problemi che hanno portato il paziente in terapia e di elaborare le ansie alla base dei sintomi di presen­ tazione, concentrandosi dal punto di vista terapeutico su aree di funziona­ mento di particolare interesse per il soggetto e lasciando invece inesplorate quelle relativamente intatte. Ritorniamo ora alla nostra paziente che vive un rapporto frustrante: per concentrarsi sugli obiettivi terapeutici, il terapeuta sottolinea il rapporto tra le relazioni oggettuali attivate nel trattamento e la difficoltà della donna

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

a raggiungere l'intimità con un partner adatto. Queste stesse relazioni og­ gettuali potrebbero facilmente essere collegate con precisione ai conflitti competitivi della paziente riguardo al successo sul posto di lavoro o alla sua tendenza a vincolarsi a standard eccessivamente alti. Tuttavia, nell'esplo­ rare le relazioni oggettuali dominanti e i conflitti insiti in esse, il terapeuta enfatizza costantemente i conflitti della paziente che coinvolgono l'intimità, quasi ignorando quelli correlati al successo professionale e all'autocritica. La strategia di sottolineare il legame tra i conflitti centrali del paziente e gli obiettivi terapeutici può costituire il compito terapeutico della DPHP che richiede maggiormente quello che viene spesso indicato come "giudi­ zio clinico " . È tuttavia essenziale premettere, per quanto riguarda il nostro approccio globale, che è possibile operazionalizzare i principi alla base del giudizio cli­ nico. In questo particolare contesto, il compito che richiede "giudizio clini­ co" riguarda l'attribuire la giusta tempistica e la giusta enfasi alla tattica di fo­ calizzarsi su aree circoscritte della rigidità della personalità, interpretando il rapporto tra i conflitti dominanti nel trattamento e negli obiettivi terapeutici. Quali sono le implicazioni tecniche del terapeuta " che si focalizza" sulle sue interpretazioni? A quale punto del processo di analisi di un particola­ re conflitto il terapeuta dovrebbe introdurre gli obiettivi terapeutici? Con quanta forza, in un determinato punto, il terapeuta dovrebbe enfatizzare il legame tra il conflitto dominante e gli obiettivi terapeutici? Si tratta di do­ mande che esamineremo in dettaglio nel capitolo 8 "Le tattiche della DPHP " . In generale, è il processo di " elaborazione" che offre la possibilità di con­ centrarsi sul rapporto tra conflitti centrali e obiettivi terapeutici.

STRATEGIA 4: ELABORAZIONE DEI CONFLITTI IDENTIFICATI ­ INTEGRAZIONE DELLE RELAZIONI OGGETTUALI CONFLITTUALI NELL'ESPERIENZA DI SÉ CONSCIA DEL PAZIENTE La strategia finale della DPHP consiste nel promuovere l'assimilazione delle relazioni oggettuali conflittuali nell'esperito soggettivo del paziente e nel suo senso di sé dominante. Per la paziente di cui abbiamo discusso, ciò com­ porterebbe innanzitutto il riuscire a tollerare la consapevolezza dei propri desideri di frustrare e ritrarsi, accettand0li come propri e integrandoli nel senso di sé come persona complessa con motivazioni e paure complesse. In secondo luogo, e in modo analogo, essa dovrebbe acquisire la consapevo­ lezza e riuscire a tollerare il proprio desiderio di trionfo sessuale. Quando riuscirà a tollerare la consapevolezza del desiderio di frustrare, la paziente non avrà più bisogno di collocarsi difensivamente nella posizione di frustra­ zione. Nel momento in cui acquisirà la consapevolezza del proprio desiderio di trionfo sessuale e riuscirà a integrare meglio tali relazioni oggettuali e ad 96

STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

assimilarle nella propria esperienza di sé dominante, sarà libera di godere dell'ammirazione, dell'amore e dell'attenzione sessuale da parte di un uomo che ammira. I suoi desideri di trionfo edipico, ora insiti nel suo senso di sé generale come persona affettuosa e rispettabile, potranno essere espressi e vissuti pienamente come parte della sua vita erotica. Elaborazione e processo di cambiamento

Nella DPHP, l'integrazione delle relazioni oggettuali interiorizzate non è sem­ plicemente il risultato dell'interpretazivne, o anche dell'insight. Al con­ trario, essa è il frutto di messa in atto, contenimento, esplorazione e inter­ pretazione ripetute, in modo significativo dal punto di vista emotivo, delle difese e ansie associate all'espressione di relazioni oggettuali conflittuali. Si tratta del processo di elaborazione, nel quale è necessario mettere in atto ed esplorare le relazioni oggettuali che rappresentano le difese e le ansie asso­ ciate all'espressione di una particolare motivazione conflittuale, da una va­ sta gamma di prospettive e in diversi contesti. Questo processo si sviluppa tipicamente nel corso di mesi ed è poi seguito dalla riattivazione intermit­ tente e dall'ulteriore elaborazione della stessa serie di relazioni oggettuali interiorizzate nel corso del trattamento. Nella DPHP, ci aspettiamo che un particolare conflitto sia attivato e messo in atto ripetutamente in terapia, talvolta apparentemente sopito, solo per ricomparire in un altro contesto. In ciascuna di tali occasioni, le relazioni oggettuali interiorizzate che rappresentano il lato difensivo di un conflitto sono esplorate e interpretate e il paziente arriva a tollerare la consapevolez­ za delle relazioni oggettuali sottostanti oggetto di difesa. Nel tempo, quan­ do le relazioni oggettuali associate ai conflitti chiave diventano familiari al paziente e al terapeuta e sono tollerate sempre meglio dal soggetto, diventa possibile identificare e interpretare un particolare conflitto con facilità cre­ scente e in un periodo di tempo più breve. Con il progredire del trattamen­ to, un conflitto analizzato inizialmente nel corso di settimane o addirittura di mesi può essere esaminato e interpretato in una singola seduta. Tollerare la consapevolezza delle relazioni oggettuali interiorizzate con­ flittuali apre la strada all'assunzione di responsabilità per gli aspetti con­ flittuali dell'io e le perdite luttuose associate al riconoscimento di conflitti psicologici. Ne consegue che l'individuo tollera consciamente la consape­ volezza delle motivazioni conflittuali e delle ansie associate ed è in grado di gestirle in un modo flessibile, non basato su repressione, dissociazione, proiezione o negazione. È il processo di messf. in atto ripetuta ed elabora­ zione di un conflitto nel corso dell'intero tratt-±mento - accompagnati dal­ la progressiva capacità di tollerare, contenere e assumersi la responsabilità delle relazioni oggettuali conflittuali e delle ansie e fantasie associate - che conduce al cambiamento strutturale. 97

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO

Nel processo di elaborazione, il terapeuta enfatizza il rapporto tra con­ flitti centrali e obiettivi terapeutici, attribuendo meno importanza al modo in cui i conflitti centrali influenzano altre aree di funzionamento. Inoltre, ci aspettiamo che, in un qualche punto del processo di elaborazione, aspetti dei conflitti centrali siano elaborati nel transfert. Persino con pazienti for­ temente resistenti alle interpretazioni transferali, il processo di elaborazio­ ne fornisce quasi sempre la possibilità di fare collegamenti significativi tra i conflitti dominanti del paziente e il suo esperito e/o comportamento del/ con il terapeuta.

SETTING TERAPEUTICO E CORNICE TERAPEUTICA Il setting terapeutico della DPHP è stato studiato per consentire al terapeu­ ta e al paziente di mettere in pratica le strategie del trattamento. Il setting psicoterapeutico fornisce un ambiente stabile e affidabile per la cura, fa­ vorendo un'atmosfera di sicurezza, mentre la cornice terapeutica definisce le condizioni necessarie per la terapia e stabilisce i rispettivi compiti di pa­ ziente e terapeuta, oltre alla struttura costante e prevedibile del setting psi­ coterapeutico. La cornice terapeutica viene concordata tra paziente e te­ rapeuta, prima dell'inizio del trattamento e tale accordo è spesso indicato con il termine contratto terapeutico (Clarkin et al. , 2006; Etchegoyen, 1991). Come descriveremo nel capitolo 9 ( " Valutazione del paziente e piani­ ficazione del trattamento differenziale" ) , prima di iniziare la terapia il cli­ nico fornisce una consulenza completa, che comporta l) una valutazione diagnostica, 2) la condivisione dell'impressione diagnostica con il paziente, 3 ) la definizione chiara degli obiettivi terapeutici e 4) la discussione sulle opzioni di cura. Nel corso della discussione relativa alle opzioni di cura, il terapeuta de­ scrive la DPHP. (Illustreremo il profilo dettagliato del processo consultivo al capitolo 9 . ) Qualora al termine della consultazione, il paziente decida di voler iniziare la DPHP, il terapeuta spiega la cornice terapeutica, comprese le disposizioni concrete e i rispettivi ruoli di paziente e clinico. La definizione della cornice terapeutica è una parte importante del pro­ cesso di inizio del trattamento, poiché la discussione al riguardo consente al paziente di incominciare la terapia con una chiara aspettativa di ciò che essa comporta e una buona comprensione dei rispettivi ruoli - suo e del terapeuta - in un processo studiato per consentirgli di raggiungere i suoi obiettivi terapeutici specifici. La cornice terapeutica e il contratto terapeuti­ co svolgono diverse funzioni nella fase iniziale e nel corso della cura e, nella DPHP, il rispetto della cornice terapeutica è una responsabilità fondamentale, sia del paziente sia dell' analista. Laddove si produca un'interruzione della cornice, l'analisi del suo significato diventa un tema prioritario della seduta. 98

STRATEGIE DELLA DPHP E SETTJNG TERAPEUTICO

Le funzioni della cornice terapeutica nella DPHP

Prima di iniziare il trattamento, il terapeuta discute il contratto terapeutico con il paziente. La presentazione della cornice terapeutica durante la con­ sulenza porta spesso alla luce le ansie del paziente relative all'iniziare la te­ rapia, che sono attivate tipicamente nel transfert e/o riguardano i conflitti centrali del soggetto. Se quest'ultimo esprime interesse per la DPHP, ma non riesce o non vuole accettare il contratto terapeutico, l'esame dei suoi timori riguardo alla cornice terapeutica possono gettare luce sulle ansie alla base dei suoi sintomi di presentazione. In questo setting, la capacità del terapeu­ ta di chiarire ed esplorare con tatto, empatia e neutralità i timori attivati dall'accettare la cornice terapeutica aiuta a rafforzare l'alleanza terapeuti­ ca, oltre ad aiutare il paziente a contenere la propria ansia. L'esplorazione della riluttanza del paziente ad accettare la cornice terapeutica consente inoltre al terapeuta di operare una distinzione tra il paziente che è ambiva­ lente riguardo alla cura e ha bisogno di aiuto per elaborare le proprie ansie relative all'iniziare la DPHP, e il paziente che in quel momento non è adatto per la DPHP, dato il livello di motivazione per la terapia o le sue attuali cir­ costanze di vita. Caso clinico di definizione della cornice terapeutica Una donna di 55 anni, divorziata di recente dopo un lungo matrimonio infelice, si presentò in terapia con "problemi relazionali" . Era interessata alla DPHP, fino a quando si rese conto che il trattamento non poteva essere portato avanti con una sola seduta alla settimana. La sua reazione iniziale fu il ritenere con forza che il consiglio del consulente relativo al trattamento bisettimanale fosse " oltraggioso" e "impossibile" , tenuto conto delle sue esigenze lavorative. Invece di limitarsi a prendere atto della reazione della paziente, il terapeuta cer­ cò di aiutarla a chiarire i pensieri e i sentimenti dietro al violento scatto seguito alla proposta di effettuare due sedute alla settimana. Mentre incoraggiava la paziente a riflettere sulla sua difficoltà di prendere in considerazione un trattamento bisetti­ manale e la aiutava a esaminare ciò che lei immaginava sarebbe accaduto durante la terapia, emerse che la paziente supponeva che il terapeuta avrebbe insistito affinché lei si presentasse in orari che facevano comodo a lui, senza prestare alcuna atten­ zione alle esigenze dei suoi programmi. Terapeuta e paziente riuscirono a chiarire l'aspettativa conscia, ma non esaminata, della paziente, secondo cui l'unico modo per ottenere aiuto per i suoi problemi fosse il sottomettersi totalmente a una figura forte, in questo caso il terapeuta, abdicando interamente alle proprie esigenze. Il terapeuta riuscì abbastanza facilmente a collegare tale aspettativa al modello rela­ zionale messo in scena cronicamente nel matrimonio della donna.

Il processo di stabilire e spiegare chiaramente la cornice terapeutica, pri­ ma di iniziare la terapia, può facilitare la creazione di un'alleanza terapeu­ tica (di cui parleremo in seguito in questo capitolo) . Anche la descrizione della cornice e la spiegazione del fondamento di aspetti che potrebbero non essere lampanti aiutano a demistificare il processo psicoterapeutico, otte99

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

nendo la partecipazione totale e attiva del paziente. In sostanza, i pazien­ ti possono fare soltanto ciò che viene chiesto loro e lo fanno in modo più efficace se capiscono la logica delle loro azioni. Il riesame e la spiegazione attenta dei fondamenti alla base del contratto terapeutico può facilitare il passaggio efficiente del paziente tra i diversi compiti della fase iniziale del trattamento (descritti nel capitolo 10, " Le fasi del trattamento" ) . Una volta iniziata l a terapia, l a cornice terapeutica svolge l a funzione importante di fornire un setting affidabile e coerente nella sua struttura, e prevedibile per quanto concerne i ruoli svolti da terapeuta e paziente. Tale coerenza e prevedibilità contribuiscono all'atmosfera di sicurezza fornita dal setting psicoterapeutico. Soltanto quando il paziente è oggettivamente " sicuro " , diventa ragionevole per lui aprirsi al terapeuta e cercare di esami­ nare il proprio esperito interiore e le proprie ansie, in sua presenza. Per tutta la durata del trattamento, la cornice terapeutica fornisce un setting costante e una serie di aspettative per la conduzione della terapia, che evidenziano anche le minime deviazioni rispetto all"' attività di sem­ pre" e consentono di percepire come significative le differenze rispetto alla cornice. Ciò equivale a dire che, nella DPHP, il rapporto del paziente con la cornice terapeutica e il contratto terapeutico è duplice. Da un lato, egli ac­ cetta consciamente il contratto terapeutico e i compiti suo e del terapeuta nel rapporto psicoterapeutico, così come li ha spiegati l'analista; dall'altro lato, si trova invariabilmente in difficoltà nel rispettare la cornice terapeu­ tica. In base al nostro approccio generale, più sono chiare per il paziente le condizioni del trattamento e le ragioni fondamentali che inducono a strut­ turare la terapia in un determinato modo, più è facile esplorare i significati dei desideri del paziente di modificare la cornice, una volta iniziato il trat­ tamento. In modo analogo, una cornice ben delineata aiuta il terapeuta a identificare i controtransfert più sottili, espressi sotto forma di desideri di deviare dalla cornice terapeutica o modificarla in qualche modo. Il mantenimento dell'integrità della cornice terapeutica è una componen­ te essenziale di qualsiasi forma di terapia. Nella DPHP, se viene violata, inten­ zionalmente o involontariamente, dal paziente o dal terapeuta, l' esplorazio­ ne dei significati della deviazione diviene un tema prioritario della seduta. Caratteristiche specifiche della cornice terapeutica nella DPHP

La cornice terapeutica definisce gli elementi concreti della terapia e i ri­ spettivi compiti di paziente e terapeuta nel rapporto psicoterapeutico. Gli accordi concreti di cui discutere prima di iniziare il trattamento compren­ dono la frequenza e la durata delle sedute, l'organizzazione della gestione di appuntamenti e pagamenti e le aspettative in merito al contatto, telefo­ nico o di persona, tra paziente e terapeuta, al di fuori degli appuntamenti regolarmente programmati. 100

STRATEGIE DHLA DPHP E SETTING TERAPEUT!CO

Nella DPHP, le sedute si svolgono due volte alla settimana, di solito du­ rano 45 o 50 minuti e iniziano e finiscono puntuali. Paziente e terapeuta si siedono l'uno di fronte all'altro, in sedie comode. Normalmente, gli appun­ tamenti sono programmati per lo stesso giorno e la stessa ora della settima­ na, ma possono essere modificati per adattarsi ai programmi del paziente e del terapeuta. Ciò che è importante, è che le procedure standard per de­ finire gli appuntamenti siano fissate all'inizio del trattamento e che gli in­ contri siano stabiliti con anticipo e non in base alle esigenze del momento o all'ultimo minuto, salvo casi straordinari. Le telefonate e i contatti tra sedute sono tipicamente limitati ai cambiamenti di programma e alle emergenze; i pazienti sono invitati a discutere anche le questioni urgenti durante le se­ dute, e a non chiamare negli intervalli tra gli appuntamenti. Ogni terapeuta deve ricorrere a disposizioni standard per la gestione logistica del trattamento, che può spiegare con chiarezza al paziente pri­ ma dell'inizio della terapia. Le procedure devono prevedere le modalità di programmazione e riprogrammazione degli appuntamenti, le modalità di fatturazione degli onorari e le aspettative relative al pagamento, come con­ tattare il terapeuta e che cosa aspettarsi per quanto concerne le procedure di quest'ultimo riguardanti il rispondere alle telefonate. La ragione fondamentale alla base della definizione delle procedure stan­ dard è di portare subito all'attenzione del terapeuta la tentazione di modifi­ care l'approccio usuale. Tale riconoscimento da parte dell'analista apre poi la strada all'uso del controtransfert come fonte di informazioni in merito a quanto sta accadendo nella situazione clinica corrente. Oltre a specificare gli accordi concreti relativi alla terapia, il contratto terapeutico definisce i rispettivi compiti dei partecipanti. Nella DPHP, il pa­ ziente è tenuto a partecipare alle sedute con regolarità, a gestire la logisti­ ca secondo le modalità indicate dal terapeuta all'inizio del trattamento e a parlare il più apertamente e liberamente possibile di ciò che gli passa per la mente durante la seduta. Il terapeuta è invece tenuto ad attenersi alle di­ sposizioni logistiche concordate all'inizio del trattamento e, una volta co­ minciata la terapia, ad ascoltare con attenzione il paziente e a intervenire quando è opportuno approfondire la comprensione da parte di quest'ulti­ mo della propria situazione interiore. Presentazione della cornice terapeutica e rispettivi ruoli di paziente e terapeuta

Durante l'esposizione della cornice terapeutica, il clinico può iniziare spie­ gando in che modo sono gestite la logistica e le responsabilità del paziente e dell'analista in relazione alle modalità di programmazione e riprogramma­ zione degli appuntamenti, alle modalità di fatturazione dell'onorario e alle aspettative relative al pagamento, a come contattare il terapeuta e a come 101

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

quest'ultimo risponderà alle telefonate. Dopo aver esposto questi aspetti concreti della cornice, il terapeuta passa alla descrizione dei rispettivi ruo­ li di analista e paziente. Nel corso dell'esposizione della cornice terapeuti­ ca consigliamo al terapeuta di sollecitare domande e spiegare i fondamen­ ti della struttura del trattamento da lui proposto. Tale approccio favorisce un'atmosfera di collaborazione, sin dall'inizio della terapia. Ogni terapeuta deve sviluppare il proprio modo di esporre i rispettivi ruoli di paziente e analista durante il trattamento. Per esempio, egli po­ trebbe dire: "Mi permetta di spiegarle il ruolo svolto da ciascuno di noi durante la se­ duta. Lei ha il compito di partecipare regolarmente alle sedute e di parlare il più apertamente e liberamente possibile quando si trova qui, senza basarsi su un programma preparato in precedenza, prestando particolare attenzio­ ne alle difficoltà che l'hanno portata in terapia. Le chiedo letteralmente di cercare di dire tutto quello che le passa per la testa e anche di condividere con me eventuali difficoltà nel farlo. Consiglio di lavorare in questo modo, perché si tratta del metodo migliore che conosco per capire i pensieri e i sentimenti che, a livello inconscio, sono alla base dei suoi problemi. Talvolta i pensieri che le affioreranno alla mente durante la seduta po­ tranno sembrarle futili o imbarazzanti, ma le consiglio di condividerli lo stesso con me. Allo stesso modo, se affiorano pensieri o domande che mi riguardano, la invito a esporli, anche nel caso non siano il tipo di pensie­ ro che si condividerebbe in un rapporto sociale normale. Può essere utile esplorare anche gli argomenti cui si ritrova a pensare mentre viene qui o quando lascia il mio studio, come per esempio sogni, fantasticherie e fan­ tasie tra una seduta e l'altra. Ciò che le chiedo di fare non è facile e a volte scoprirà di non sentirsi a proprio agio nell'aprirsi oppure potrà non sapere cosa dire. Questo non de­ ve sorprenderla; a meno che sia già stato in terapia prima, probabilmente non ha mai cercato di comunicare con qualcuno in questo modo e al preci­ so scopo di imparare di più riguardo a se stesso. In realtà, capire cosa stia interferendo con il suo pensiero e comunicarlo liberamente e apertamente costituisce una parte importante della terapia e ci aiuta a capire meglio co­ me funziona la sua mente. Quando si troverà in difficoltà, farò ciò che posso per aiutarla a capire che cosa si stia frapponendo. In caso contrario, il mio compito è quello di ascoltare attentamente e condividere i miei pensieri quando ritengo di ave­ re qualcosa da aggiungere che possa aiutare ad approfondire la compren­ sione dei modelli di pensiero, comportamento e fantasie alla base dei suoi problemi. Scoprirà che ci saranno volte in cui parlerò parecchio e altre in cui resterò relativamente in silenzio. Scoprirà, inoltre, che non sempre ri­ sponderò alle sue domande e questo non per essere scortese o scoraggiare la sua curiosità, ma per concentrarci su quali siano i pensieri e i sentimenti 102

STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

che si celano dietro alla domanda. Infine, desidero sottolineare che tutto quello che mi dirà qui è confidenziale. Cosa mi vuole chiedere riguardo a ciò che ho appena detto ? "

IL RAPPORTO PSICOTERAPEUTICO Nell'ambito della struttura affidabile del setting terapeutico, terapeuta e pa­ ziente instaurano un rapporto speciale, una relazione oggettuale, che indichia­ mo con il termine rapporto psicoterapeutico. Si tratta di una relazione unica e altamente specializzata, diversa da tutte le altre. Nel rapporto psicoterapeu­ tico, il ruolo del paziente è quello di comunicare le proprie esigenze interiori nel modo più aperto e completo possibile, mentre il terapeuta si astiene dal farlo. n suo ruolo è infatti quello di utilizzare le sue competenze per ampliare e approfondire l' autoconsapevolezza del paziente, mantenendo al tempo stesso un atteggiamento di rispetto per la sua autonomia e un interesse per il suo be­ nessere. Il rapporto psicoterapeutico viene definito dal terapeuta come parte del contratto terapeutico ed è un elemento essenziale della cornice della DPHP. Le funzioni del rapporto psicoterapeutico nella DPHP

Il rapporto psicoterapeutico è il contesto necessario all'interno del qua­ le può essere fornito il trattamento descritto nel presente manuale. Come gli aspetti logistici del setting terapeutico, esso può svolgere una duplice funzione. lnnanzitutto, consente al pa·dente di esperire un rapporto forte­ mente coerente, prevedibile, acritico, focalizzato quasi esclusivamente sul­ le sue esigenze. Questi aspetti del setting psicoterapeutico, insieme alla na­ tura prevedibile e coerente della struttura della terapia, contribuiscono al "background di sicurezza" (Sandler, 1 959, 2003 ) , che permette al paziente di aprirsi gradualmente al terapeuta e facilita l'esplorazione di aspetti del suo esperito interiore cui in precedenza non era in grado di partecipare. Oltre a fornire un setting coerente e affidabile per il trattamento, il rap­ porto psicoterapeutico offre la relazione " oggettiva" , che sarà inevitabil­ mente distorta dal transfert e dalle operazioni difensive del paziente. Il contratto terapeutico stabilisce un obiettivo o un rapporto interpersonale realistico tra un paziente che ha bisogno e chiede aiuto, e un terapeuta che egli ritiene abbia la conoscenza e l'esperienza necessarie per essere utile (Kernberg, 2004b; Loewald, 1 960). Con il progredire del trattamento, la rivelazione delle relazioni oggettuali interiorizzate del paziente conduce a distorsioni di questa esperienza del rapporto tra paziente e terapeuta, che tipicamente sono messe in atto in relazione a quest'ultimo. Ciò equivale a dire che, una volta che il paziente accetta consciamente il rapporto psico­ terapeutico come una delle condizioni del trattamento, inizia a distorcerlo 1 03

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LNELLO

in modo sottile, sulla base dei propri transfert e delle proprie operazioni difensive. A mano a mano che queste distorsioni si rendono visibili nel trat­ tamento, diventano il focus dell'esplorazione. Per riassumere, il rapporto psicoterapeutico, insieme alle caratteristiche affidabili del setting terapeutico, serve a fornire sia un setting "sicuro" all'in­ terno del quale le relazioni oggettuali interiorizzate del paziente possono essere svelate, sia una relazione oggettiva che sarà distorta a seguito della rivelazione delle relazioni oggettuali del paziente. Quando vengono identifi­ cate, queste distorsioni sono viste implicitamente sullo sfondo del rapporto tra paziente e terapeuta, definito inizialmente nel contratto terapeutico. In questo modo, il rapporto realistico tra paziente e terapeuta, stabilito all'i­ nizio del trattamento, serve come punto di riferimento per entrambi, per tutta la durata della terapia. Caratteristiche specifiche del rapporto psicoterapeutico nella DPHP

Il rapporto psicoterapeutico è definito dai rispettivi compiti di paziente e te­ rapeuta nel trattamento. Il ruolo del paziente consiste nel comunicare i pro­ pri pensieri e sentimenti, a mano a mano che emergono durante la seduta, dicendo tutto ciò che gli viene in mente, senza censure e senza preparare un programma. Egli è invitato a parlare in modo non strutturato, il più libera­ mente e apertamente possibile. Quindi, sebbene la terapia abbia degli obiet­ tivi definiti, in qualsiasi seduta DPHP chiediamo al paziente di accantonare un'eventuale agenda specifica e consentire alla propria mente di vagare libe­ ra. Il terapeuta può spiegare che pensare e comunicare nel modo indicato è diverso dal normale discorso sociale e all'inizio potrebbe sembrare strano. Ci saranno volte in cui il paziente potrà trovare difficile comunicare apertamen­ te e liberamente, e in quel caso il terapeuta farà tutto il possibile per aiutarlo. Il ruolo del terapeuta è quello di ascoltare attentamente e di contribui­ re, per quanto può, a migliorare la comprensione del paziente di se stesso e specialmente dei processi inconsci alla base dei suoi sintomi di presentazio­ ne. Il terapeuta potrebbe aggiungere che, nella DPHP, non rientra nel ruolo del terapeuta fornire consigli o incoraggiamenti o parlare di sé, come avver­ rebbe in una normale relazione sociale. Egli può spiegare che, evitando di assumere un atteggiamento apertamente comprensivo, rafforza la propria capacità di aiutare il paziente a capire meglio se stesso e i suoi problemi.

DEVIAZIONI RISPETTO ALLA CORNICE TERAPEUTICA Nella DPHP, il paziente, da un lato accetta consciamente il contratto te­ rapeutico e i compiti suoi e del terapeuta, come gli sono stati spiegati da quest'ultimo, dall'altro, si trova invariabilmente in difficoltà a rispettarne 104

STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

pienamente il contenuto. In particolare, i pazienti fanno fatica a seguire i ruoli assegnati nel contratto. Inoltre, sebbene i soggetti con patologia della personalità di alto livello siano generalmente affidabili per quanto riguar­ da la programmazione degli appuntamenti, la partecipazione alle sedute e il pagamento degli onorari, nella DPHP non sempre rispettano gli impegni assunti con il contratto terapeutico. In effetti, prevediamo che in qualche momento della terapia, la maggior parte di essi si discosti, in qualche mo­ do, dalla cornice concordata. Le funzioni delle deviazioni rispetto alla cornice terapeutica

Come indicato in precedenza, è importante che il terapeuta DPHP descriva chiaramente al paziente la cornice terapeutica, prima di iniziare la terapia. L'enfasi posta sull'importanza della sua spiegazione chiara e specifica non deve far pensare che sia necessario attenersi rigidamente a una partico­ lare cornice terapeutica nella DPHP o che sia nostro interesse controllare il comportamento del paziente di per sé. Al contrario, il terapeuta DPHP rende esplicita la cornice per creare un setting in cui le deviazioni rispet­ to a essa possano essere considerate significative. Nella DPHP, le deviazio­ ni rispetto alla cornice terapeutica portano in terapia le rappresentazioni conflittuali di sé e oggettuali del paziente, sotto forma di comportamento. Una cornice terapeutica chiaramente definita serve per evidenziare an­ che le minime deviazioni da parte del paziente o del terapeuta, che sono spesso il primo segno di temi transferali e controtransferali che emergo­ no nel trattamento. Caratteristiche specifiche delle deviazioni rispetto alla cornice terapeutica nella DPHP

Le deviazioni rispetto alla cornice terapeutica possono assumere molte for­ me. Gli esempi forniti qui di seguito illustrano le deviazioni di paziente e te­ rapeuta dagli accordi presi in merito al trattamento. Le resistenze più sottili e universali a mantenere i rispettivi ruoli emergono e riemergono in tutto il corso di ogni trattamento DPHP. Ci riferiamo, per esempio, alle difficoltà nel comunicare apertamente con il terapeuta (di cui parleremo nel capitolo 1 0 in relazione alla fase iniziale del trattamento) e agli inviti rivolti a quest'ul­ timo di deviare dal suo solito ruolo per diventare, per esempio, più diretti­ vo o più comprensivo (ne parleremo in relazione alla neutralità tecnica nel capitolo 7, "Le tecniche della DPHP, Parte n: Intervento" ) . Le deviazioni rispetto agli accordi presi per il trattamento, che definisco­ no la cornice terapeutica, assumono diverse forme. Tra quelle che si incon­ trano più spesso citiamo le cancellazioni (che diminuiscono effettivamente la frequenza delle sedute) , i ritardi cronici (che riducono concretamente 1 05

TRAITAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

la durata delle sedute) , le richieste frequenti di modifica dei programmi, le telefonate ripetute e il ritardo nei pagamenti. È assolutamente natura­ le che, qualche volta, un paziente arrivi tardi o annulli una seduta o sia in ritardo nel pagamento, ma se questi comportamenti sono ricorrenti o fre­ quenti, è probabile che esprimano relazioni oggettuali attivate nel transfert e, in questo caso, la deviazione rispetto alla cornice deve diventare oggetto di esplorazione. Mentire, tentare di avviare un contatto sociale o fisico con il terapeuta, arrivare alle sedute su di giri o ubriachi e invadere la privacy dell'analista sono le deviazioni cui si assiste più spesso nei pazienti con di­ sturbi di personalità gravi, ma raramente si riscontrano in quelli con pato­ logia della personalità di alto livello. Casi clinici di deviazioni rispetto alla cornice terapeutica Dopo essere stata in terapia per sei mesi, una paziente iniziò ad arrivare in ritardo di alcuni minuti alle sedute, sostenendo che esigenze di lavoro le rendevano dif­ ficile essere puntuale. Quando la sua terapeuta commentò tale comportamento e iniziò a esplorarne il significato, la paziente smise di arrivare tardi. Non appena ri­ prese a essere puntuale, si ritrovò ad aspettare la terapeuta in sala d'attesa. Seduta là, si accorse di desiderare ardentemente vedere la terapeuta ed essere fisicamente vicina a lei, sentimenti che era stata capace di tenere a bada arrivando in ritardo. Al tempo stesso, la donna si rese conto di temere che la terapeuta considerasse i suoi sentimenti sgradevoli e che, se avesse saputo ciò che provava, avrebbe avuto la tentazione di rifiutarla.

In questa situazione, il rapporto con la terapeuta ha attivato la relazione oggettuale di un bambino bisognoso e dipendente e di un genitore indiffe­ rente che lo rifiuta, associata a sentimenti di vergogna. Arrivando tardi, la paziente si difendeva dalla consapevolezza di questa relazione oggettuale. Quando la terapeuta esplorò insieme alla paziente la deviazione dalla cor­ nice terapeutica, tale relazione emerse alla coscienza e fu quindi possibile elaborarla durante il trattamento. Un'altra terapeuta si ritrovava regolarmente a proseguire la seduta con una parti­ colare paziente per parecchi minuti oltre l'orario previsto. Si trattava di una cosa insolita per lei che, normalmente, iniziava e terminava le sedute puntuale. Quando notò ciò che stava facendo e ci rifletté sopra, si accorse di avere in qualche modo la sensazione di non dare abbastanza a quella paziente specifica. Pensandoci, si rese poi conto delle accuse che quest'ultima le muoveva in tal senso, sempre in modo molto sottile, attraverso la descrizione dei suoi amici e familiari, che non le dava­ no mai ciò di cui aveva bisogno. A quel punto, la terapeuta riuscì a identificare la relazione oggettuale, messa in atto sia all'interno, sia al di fuori del trattamento, di un io frustrato che interagiva con un oggetto che la respingeva.

Questo esempio indica che quando un terapeuta dispone di procedure standard, per esempio per iniziare e terminare le sedute, anche le minime tendenze a comportarsi in modo diverso con un particolare paziente vengo106

STRATEGIE DELLA DPHP E SETTING TERAPEUTICO

no alla luce. La tendenza del terapeuta a modificare il suo normale metodo di lavoro è una forma di messa in atto del transfert-controtransfert. Il rico­ noscimento da parte del terapeuta di essere tentato o incline a modificare la propria pratica standard con un particolare paziente fornisce l'opportunità per riflettere e infine identificare ed esplorare le relazioni oggettuali messe in atto nel trattamento.

L'ALLEANZA TERAPEUTICA L'alleanza terapeutica, o del trattamento, è il rapporto professionale stabi­ lito tra il terapeuta nel suo ruolo, come descritto in precedenza, e la parte del paziente capace di autoosservazione, che mantiene aspettative realisti­ che di ricevere e utilizzare l'aiuto del clinico. Pertanto, si tratta di un rap­ porto positivo, non conflittuale, stabilito tra paziente e terapeuta. La qualità dell'alleanza terapeutica è stata associata al risultato del trattamento in di­ verse forme di psicoterapia (Horvath, Greenberg, 1994; Horvath, Symonds, 199 1 ; Orlinsky et al. , 1994 ) . I pazienti con patologia della personalità di alto livello sono general­ mente in grado di creare un'alleanza terapeutica stabile nelle prime fasi del trattamento (Gibbons et al. , 2003 ; Marmar et al. , 1 986; Piper et al., 199 1 ) . Nella DPHP, lo sviluppo dell'alleanza è favorito dalla struttura e dall'affida­ bilità della cornice terapeutica, abbinate all'interesse, alla comprensione e alla disponibilità all'ascolto da parte del terapeuta. Per i pazienti che hanno maggiore difficoltà a stabilire un'alleanza, è di aiuto la pronta identificazio­ ne ed esplorazione di sentimenti negativi riguardo alla terapia e al terapeu­ ta, come pure il mantenimento da parte del terapeuta di un atteggiamento relativamente attivo (Luborsky, 1984 ) . (Discuteremo più dettagliatamente di questo processo quando parleremo della fase iniziale del trattamento, nel capitolo 10.) Il terapeuta DPHP non interviene in modo supportivo per promuovere il consolidamento di un'alleanza. Oltre a essere un rapporto realistico e utile, l'alleanza terapeutica si basa sui primi transfert nei confronti di un Altro significativo fidato (Kernberg, 2004b) . Pertanto, è insita in essa una particolare forma di transfert positivo "benigno" , che promuove il progredire del trattamento e non agisce come una resistenza. Il transfert positivo benigno, come parte dell'alleanza tera­ peutica, può essere distinto dalle idealizzazioni difensive del terapeuta da parte del paziente, che servono a evitare l'ansia e a respingere espressioni di motivazioni conflittuali in relazione al clinico. Nella DPHP, i transfert idea­ lizzanti vengono identificati, esplorati e interpretati come difese contro le ansie sottostanti. Al contrario, il transfert positivo alla base dell'alleanza te­ rapeutica generalmente non è esplicitato, ma è utilizzato a sostegno dell'e­ splorazione delle relazioni oggettuali conflittuali del paziente. 1 07

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

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6 Le tecniche della DPHP Parte I Ascoltare il paziente

In questo capitolo e in quello che segue descriveremo le tecniche psicotera­ peutiche utilizzate dall'analista nella psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP). Le tecniche sono i metodi specifici usati dal terapeuta, attimo per attimo, quando ascolta il paziente e quando interviene. In questo capitolo, descriviamo le tecniche coinvolte nella par­ ticolare forma di ascolto utilizzata dal terapeuta DPHP nella propria men­ te, per " ascoltare" le comunicazioni verbali e non verbali del paziente. Nel capitolo 7 descriviamo, invece, le tecniche impiegate dal terapeuta per tra­ sformare i suoi pensieri interiori in interventi verbali da offrire al paziente.

ASCOLTARE IL PAZIENTE Se leggessimo la trascrizione di una seduta DPHP, riusciremmo a individua­ re nel materiale un certo numero di questioni e di conflitti importanti, che vengono espressi. Se guardassimo una videocassetta della stessa seduta, probabilmente emergerebbero elementi aggiuntivi. Nella DPHP, alcune que­ stioni sono introdotte dalle cose che il paziente dice, mentre altre emergo­ no dalla comunicazione non verbale. Esistono argomenti che il paziente è consapevole di portare in seduta e altri dal cui riconoscimento si difende. Nella DPHP, il terapeuta si apre a ricevere il più completamente possibile le diverse comunicazioni del paziente, verbali e non verbali, intenzionali e in­ consapevoli, in ogni seduta. Nella DPHP, " ascoltare" il paziente significa non soltanto sentirne le pa­ role, ma anche ricevere le comunicazioni insite nel suo comportamento e nelle interazioni con il terapeuta, quali per esempio il tono di voce, il lin­ guaggio del corpo e le espressioni del viso, l'atteggiamento nei confronti dell'analista e del trattamento e le discordanze tra tutti questi canali di co­ municazione. Ascoltare significa anche rilevare le associazioni del paziente e le resistenze contenute nel materiale. Quando ascolta un paziente nella DPHP, il terapeuta vuole capire quale relazione specifica sia messa in atto nelle sue comunicazioni verbali e non verbali, e anche che cosa essa stia difendendo. Nell'esaminare questi ele1 09

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

menti, il terapeuta si chiede " Qual è la relazione implicita nelle cose che il paziente mi sta dicendo oggi ? " , " Qual è la relazione implicita nel modo in cui interagisce con me? " , " Qual è il rapporto tra il modo in cui il paziente agisce e ciò che dice ? " e " In che modo le relazioni oggettuali in questo mo­ mento in atto sono legate alle sedute precedenti e agli eventi recenti della vita del paziente? " . Per tutta la durata di questo processo, il terapeuta presta attenzione anche alle proprie reazioni interiori chiedendosi "Come mi sento nei confronti di questo paziente? " e " Come mi fa sentire il paziente oggi? " .

ASCOLTARE LE COMUNICAZIONI VERBALI DEL PAZIENTE Rilevare modelli relazionali nelle comunicazioni verbali del paziente

Nella DPHP, il setting terapeutico e il rapporto psicoterapeutico tendono ad attivare le relazioni oggettuali conflittuali del paziente, che vengono poi messe in atto nella seduta. Di solito, in una determinata seduta si possono osservare uno o due modelli relazionali ricorrenti. Forse il modo più comu­ ne per un paziente di portare in terapia una particolare relazione oggettuale è quello di descrivere una specifica interazione interpersonale nel corso del­ la comunicazione aperta con il terapeuta. Il paziente descrive tipicamente un'interazione cui ha preso parte, ma talvolta il modello relazionale domi­ nante descritto non lo coinvolge direttamente. In entrambi i casi, il tera­ peuta parte dal presupposto che il paziente si sia identificato, a un qualche livello, con una o con entrambe (o nel caso del modello relazione triadico, tutte tre) le posizioni nella relazione oggettuale. Caso clinico di ascolto per rilevare i modelli relazionali Un paziente raccontò di aver superato in strada un ragazzo accompagnato dal pa­ dre, che lo stava criticando a voce alta, con un tono che gli era parso ostile e mi­ naccioso. Il figlio sembrava ferito e spaventato. Nel descrivere la scena, il paziente commentò il proprio senso di protezione nei confronti del ragazzo. I modelli rela­ zionali messi in atto sono quelli di un bambino spaventato in relazione a un padre arrabbiato e critico, e di un genitore protettivo in relazione a un bambino vulnerabi­ le e spaventato. È inoltre implicita una relazione tra un figlio e un genitore che non interviene, né protegge. In questa situazione, il paziente identifica consciamente in se stesso il desiderio di intervenire come terza parte, per proteggere il bambino. Più tardi nel corso della seduta, il paziente descrisse un film in cui una madre esponeva ripetutamente i figli a situazioni pericolose. Il terapeuta, ancora una vol­ ta, percepì il modello relazionale di un bambino spaventato esposto al pericolo, che ha bisogno, ma non dispone, di un terzo che lo protegga. In questa versione, il focus è meno sulla relazione oggettuale messa in atto da padre e figlio in strada, che rappresenta il pericolo, e più sulla mancata protezione. Ascoltando il pazien­ te, il terapeuta capisce chiaramente che le due descrizioni del film e del padre con il figlio in strada, portano in terapia lo stesso gruppo di relazioni oggettuali e che questi modelli relazionali sono un tema ricorrente nella seduta.

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LE TECNICHE DELLA DPHP Con quale ruolo è identificato consciamente il paziente ?

Una volta identificati i modelli relazionali che sembrano essere dominanti nelle comunicazioni verbali del paziente, il terapeuta inizia a pensare con quale parte o parti il soggetto è in quel momento identificato consciamen­ te in una determinata relazione oggettuale. Nell'esempio precedente, il pa­ ziente dice al terapeuta di essere identificato con un genitore protettivo ed è inoltre probabilmente consapevole dell'identificazione con un genitore che non adempie al proprio compito di proteggere. È inoltre possibile che il paziente sia, o possa in modo relativamente facile diventare, conscio della propria identificazione con un bambino spaventato, in pericolo e non pro­ tetto. Egli è probabilmente meno consapevole della sua ansia riguardo alla propria ostilità e sadismo, rappresentati sia nell'immagine del padre, sia nei potenziali pericoli cui i bambini nel film erano esposti. Quale ruolo attribuisce il paziente al terapeuta?

Oltre a considerare i ruoli con cui il paziente è identificato, il terapeuta si chiede anche " In quali ruoli il paziente esperisce consciamente e inconscia­ mente l'analista? " . Tenendo presente questa domanda, il terapeuta può ri­ manere attento a ciò che viene messo in atto nel transfert, indipendente­ mente dal fatto che il paziente lo colleghi o non lo colleghi direttamente alle relazioni oggettuali che descrive. Quando ascolta i modelli relazionali presenti nelle comunicazioni del paziente, il clinico si può chiedere " Co­ me mi colloco io? " , " In che modo il paziente mi sta esperendo in questo momento? " e " In che modo il paziente sta cercando di non esperirmi? " . In questo particolare esempio, c i chiederemo " Il terapeuta è visto come un genitore protettivo o piuttosto come un genitore che espone il paziente al pericolo senza proteggerlo abbastanza? Il paziente sta cercando di evitare di esperire il terapeuta come un padre ostile, di cui ha paura, o magari co­ me un bambino spaventato e vulnerabile? " . Ascoltare le associazioni del paziente

Come abbiamo detto in precedenza, nella DPHP il paziente ha il compito di parlare in modo non strutturato, il più liberamente e apertamente possibi­ le, di tutto ciò che gli passa per la mente durante la seduta. Quando parla senza inibizioni e consente alla propria mente di vagare, egli si sposta in modo naturale tra i pensieri collegati o associati nella sua mente. Talvol­ ta, questi collegamenti sono consci e ovvi, altre volte i legami tra i pensieri non risultano chiari al paziente fino a quando il terapeuta non li eviden­ zia. Tali collegamenti prendono il nome di associazioni, termine che indi­ ca le connessioni che riusciamo a fare tra comunicazioni apparentemente 111

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

scollegate, che vengono in mente al paziente nel corso di una seduta te­ rapeutica. Noi possiamo usare le associazioni del paziente per capire me­ glio le relazioni oggettuali interiorizzate attivate in quel momento nel suo mondo interno. Mentre ascolta, il terapeuta pensa sempre "Quali sono i diversi modelli relazionali che il paziente descrive in questa sessione e in che modo combaciano? " . Casi clinici di ascolto delle associazioni del paziente Una giovane professionista si presentò in terapia per problemi coniugali. Durante una seduta dopo 2 mesi di trattamento, si lamentò del marito, che sembrava total­ mente assorbito dal lavoro. Quando tornava a casa, sembrava accorgersi a mala­ pena di lei o delle cenette che gli preparava. La paziente aveva la sensazione che, in realtà, a lui non importasse neppure che lei fosse o non fosse lì; gli interessava soltanto concentrar�i sulle proprie e-mail. Più avanti nella seduta, la donna descrisse una recente riunione familiare. Co­ me sempre, la madre prestava attenzione alla sorella minore, mentre la paziente si sentiva ignorata. La madre sembrava non accorgersi di tutti gli sforzi che lei aveva fatto per programmare quella riunione di famiglia. Il terapeuta ascoltò i due rac­ conti, riguardanti il marito e la madre, come associazioni collegate e rappresenta­ tive della stessa relazione oggettuale. Sulla base delle associazioni della paziente, il terapeuta le disse che, nelle difficoltà con il marito sembrava sentirsi come una bambina trascurata che cerca di piacere e di attirare l'attenzione di una madre di­ stratta, troppo preoccupata da altre cose per notarla. Sebbene la paziente non si fosse resa conto del collegamento tra i suoi sentimenti nei confronti del marito e le proprie difficoltà di sempre con la madre, non appena il terapeuta le sottolineò, le sembrarono sensate. Un altro paziente si presentò in terapia lamentando inibizioni relative al proprio successo professionale. Un giorno arrivò alla seduta eccitatissimo, per raccontare al terapeuta che gli era stata offerta una promozione desiderata da lungo tempo. Per diversi minuti si dimostrò felice per la propria buona sorte, poi proseguì par­ lando di altre cose. Nell'ascoltarlo, il terapeuta si rese conto che il paziente aveva iniziato a parlare di una serie di disgrazie, che avevano riguardato persone cui lui teneva; raccontò che il figlio di suo fratello era ammalato e che la fidanzata del suo compagno di stanza aveva rotto il fidanzamento. Dopo di che, il paziente si ritro­ vò a pensare al giorno di quattro anni prima, in cui la richiesta della sorella di en­ trare alla facoltà di giurisprudenza era stata rifiutata. Continuando ad ascoltare le associazioni del paziente, il terapeuta rilevò un collegamento tra un io di successo emozionato e un oggetto sconfitto, ferito o sfortunato. Tale modello relazionale fu collegato a sentimenti di tristezza e senso di colpa, relativi al successo.

"SENTIRE" LE COMUNICAZIONI NON VERBALI DEL PAZIENTE Nel corso di una seduta di DPHP, paziente e terapeuta interagiscono conti­ nuamente; il paziente dice o fa sempre qualcosa e il terapeuta gli risponde sempre - a volte in modo visibile, altre interiormente; a volte verbalmente, 1 12

LE TECNICHE DELLA DPHP

altre in modo non verbale. L'interazione costante tra terapeuta e paziente è associata a reazioni emotive nei due partecipanti. Il terapeuta DPHP vuole aprirsi il più possibile all'impatto delle comunicazioni verbali e non verbali del paziente, consentendo a quest'ultimo di colpirlo interiormente. In questo processo, egli si identifica, temporaneamente, con l'esperito soggettivo del paziente e con i suoi oggetti interiori messi in atto, dopo di che si ritrae e riflette sul proprio esperito interno dell'interazione con il sog­ getto. Nell'alternanza tra questi due atteggiamenti relativi al paziente e alle sue interazioni con lui, durante la seduta il terapeuta si pone come "parte­ cipante-osservatore" . Noi supponiamo che i sentimenti suscitati nel terapeuta dalle parole del paziente e dal suo comportamento riflettano le comunicazioni consce e in­ consce del paziente stesso. Sebbene le risposte interiori del terapeuta a tali comunicazioni riflettano sempre aspetti delle sue esigenze, esse riflettono anche le esigenze del paziente, come pure le risposte del terapeuta a esse. Tenendo conto di tutto questo, il terapeuta " ascolta" e poi riflette su ciò che può apprendere riguardo al paziente dalle proprie reazioni interiori nei suoi confronti. Con un'esperienza clinica e una supervisione ragionevoli, la maggior parte dei terapeuti imparerà a discernere e a utilizzare le proprie reazioni nei confronti del paziente come un canale attraverso il quale " sen­ tire" molte questioni sollevate durante una seduta. La capacità del terapeuta di utilizzare pienamente le proprie reazioni interiori al soggetto può essere rafforzata dalla sua esperienza di paziente in psicoterapia. Uso del controtransfert

Implicito nell'atteggiamento del terapeuta come osservatore partecipante è il riconoscimento dell'importanza del suo controtransfert. Utilizziamo il ter­ mine controtrans/ert in senso ampio, in modo da includere tutte le risposte emotive del terapeuta nei confronti del paziente (Kernberg, 1 975) . Quando il termine viene utilizzato in questo modo, il controtransfert è codetermina­ to da l) il transfert del paziente nei confronti del terapeuta, 2) la realtà della vita del paziente, 3 ) il transfert del terapeuta nei confronti del paziente e 4) la realtà della vita del terapeuta. Nella DPHP, si parte dal presupposto che il terapeuta abbia un flusso costante di reazioni emotive al paziente ed è suo compito monitorare continuamente il proprio controtransfert. Nella DPHP, i sentimenti che il paziente suscita nel terapeuta sono impor­ tanti quanto qualsiasi altro elemento il soggetto possa comunicare a parole riguardo alla propria situazione interiore corrente. Infatti, uno dei nume­ rosi modi che i pazienti utilizzano per difendersi consiste nel provocare at­ teggiamenti e sensazioni nel terapeuta. Per esempio, un paziente che teme le sensazioni erotiche può suscitare in lui irritazione, straniamento o noia, mentre un paziente che ha paura di essere criticato può essere estremamente 1 13

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accattivante o comportarsi in modo da piacergli. In alternativa, il soggetto che teme la sua rabbia può suscitare sentimenti di irritazione o addirittura di collera nel terapeuta, pur rimanendo calmo, o un paziente spaventato dai propri desideri erotici può comportarsi in modo seducente senza renderse­ ne conto. In ciascuna di queste situazioni, il paziente sollecita una risposta nel terapeuta, allo scopo di ridurre la propria ansia. I pazienti con patologia della personalità di alto livello possono attaccare il loro terapeuta in modi sottili e socialmente adeguati, che inizialmente pos­ sono risultare quasi impercettibili. il paziente di solito non si rende conto di ciò che sta facendo e anche il terapeuta può metterei un po' di tempo ad accorgersene. Pertanto, il terapeuta DPHP presta sempre molta attenzione alle proprie reazioni e al proprio comportamento nei confronti del pazien­ te, e cerca di capirli entrambi in termini di relazioni oggettuali dominanti messe in atto in quel momento nel trattamento. Nella fase iniziale della tera­ pia, i sentimenti che i pazienti suscitano nei loro terapeuti sono tipicamente espressioni di una relazione oggettuale difensiva, del tipo di quelle indotte dai pazienti sessualmente inibiti o timorosi di essere criticati, descritti in precedenza. Più avanti nel trattamento, è più probabile che il paziente pro­ vochi nel terapeuta sentimenti che sono un'espressione più diretta della re­ lazione oggettuale da cui ci si difende - per esempio, il paziente che suscita collera nel terapeuta rimanendo al tempo stesso inconsapevole dei propri sentimenti di rabbia, o il paziente che si comporta in modo seducente senza rendersi conto di farlo. I controtransfert di questo tipo richiedono al tera­ peuta di tollerare l'identificazione con il paziente quando è sotto il controllo di motivazioni conflittuali, aggressive, sessuali e dipendenti. Per utilizzare il controtransfert, il terapeuta DPHP consente al paziente di "toccarlo" internamente, stimolando affetti e rappresentazioni interiori, che sono parte del flusso costante di messe in atto che caratterizzano il trat­ tamento. In una determinata sessione e attimo per attimo durante la sessio­ ne stessa, il terapeuta DPHP si identifica temporaneamente con la rappre­ sentazione del sé del paziente o con le rappresentazioni oggettuali messe in atto nel trattamento, allo scopo di approfondire la propria comprensione dei conflitti del soggetto. Sul momento, il terapeuta consente a se stesso di sentirsi coinvolto ed empaticamente in sintonia con un aspetto del mondo interno del paziente in relazione a un altro. Identificazioni concordanti e complementari nel controtransfert

Da questo punto di vista, il controtransfert del terapeuta può essere classifi­ cato come "identificazione concordante nel controtransfert" oppure "iden­ tificazione complementare nel controtransfert " (Racker, 1 957) . Le iden­ tificazioni concordanti nel controtransfert implicano l'identificazione del terapeuta con l'esperito affettivo soggettivo corrente del paziente, vale a dire 1 14

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con le parti del suo mondo oggettuale interno che il paziente esperisce in quel momento come parti di sé. Quando il controtransfert è concordante, l'esperienza interna del terapeuta è in parallelo con quella del paziente. Se, per esempio, una paziente dice " Non riesco a trovare uno degli orecchini della nonna, che mi ha regalato mia madre " , il terapeuta può sentirsi tri­ ste. In questo caso, si tratta di un controtransfert concordante e l'analista potrebbe dire " Sembra che non riuscire a trovare l'orecchino di sua nonna abbia suscitato sentimenti di perdita" . Quando le identificazioni nel controtransfert sono complementari, il terapeuta si identifica con la rappresentazione di sé o oggettuale abbinata alla rappresentazione con cui il paziente è identificato in quel momento se il paziente è identificato consciamente con una rappresentazione del sé, il terapeuta si identifica con la rappresentazione oggettuale corrisponden­ te, mentre se il paziente si identifica con una rappresentazione oggettua­ le, il terapeuta si identifica con la rappresentazione del sé del paziente. Le identificazioni complementari di solito forniscono informazioni circa gli aspetti dell'esperienza soggettiva corrente che il paziente esperisce come provenienti dall'esterno di sé, piuttosto che emergenti dal suo interno. Per ritornare all'esempio della paziente che non riesce a trovare l'orecchino, mentre ascolta, il terapeuta può sentirsi critico. In questo caso, potrebbe di­ re " Mi chiedo se è preoccupata che sua madre si possa arrabbiare o criticarla perché ha perso l'orecchino" oppure " Mi chiedo se non teme che io pos­ sa criticarla per aver perso uno degli orecchini che le ha dato sua madre " . A seguito dell'identificazione concordante, il terapeuta s i identifica con l'esperienza soggettiva centrale del paziente. Si tratta della fonte della nor­ male empatia, in cui il terapeuta è in grado di mettersi "nei panni del pazien­ te" e immaginare di sentire ciò che sta vivendo consciamente. Al contrario, nel caso dell'identificazione complementare, il terapeuta si identifica con gli oggetti del paziente e quindi empatizza con aspetti dell'esperito del sog­ getto, che sono in quel momento dissociati, repressi o proiettati. In questo modo, l'empatia totale del terapeuta è rivolta sia all'esperito soggettivo del paziente, sia a ciò che il paziente non può tollerare di esperire. Questa visio­ ne dell'empatia del terapeuta supera la normale empatia nel senso sociale. Il controtransfert può riflettere le esigenze e i conflitti del terapeuta

Le fonti di controtransfert sono il transfert del paziente verso il terapeuta, la realtà della vita del paziente, il transfert del terapeuta verso il paziente e la realtà della vita del terapeuta. Pertanto, mentre controlla le proprie reazio­ ni nei confronti del paziente, il terapeuta DPHP mantiene un atteggiamento aperto verso l'esplorazione della fonte delle sue reazioni. Nello specifico, egli si chiede sempre in che misura le sue reazioni nei confronti del paziente forniscano dati riguardo al mondo interno di quest'ultimo e in che misura 1 15

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dicano di più riguardo alle esigenze e ai conflitti del terapeuta piuttosto che del paziente. La necessità di tale apertura risulta particolarmente evidente quando un paziente commenta il comportamento del terapeuta. Per esempio, non è raro che i pazienti facciano affermazioni del tipo "Vedo che è arrabbiato" o " Sembra stanco oggi " . In quei momenti, è im­ portante che il terapeuta prenda in considerazione ciò che la percezione del paziente può dire riguardo alla situazione emotiva sia del terapeuta, sia del paziente, invece di focalizzarsi semplicemente su una o sull'altra. Se l'os­ servazione del paziente corrisponde al vero, è utile per il terapeuta ricono­ scerlo immediatamente evitando di offrire una spiegazione o di scusarsi. Il riconoscimento onesto di una realtà condivisa aiuta a mantenere un' allean­ za terapeutica realistica tra terapeuta e paziente. Tuttavia, una volta rico­ nosciuta la realtà condivisa, il terapeuta deve aiutare il paziente a esplorare il suo esperito dell'interazione con lui. Se, per esempio, il paziente nota che al terapeuta viene sonno durante una seduta e fa un commento al riguardo, il terapeuta può rispondere "Ha ragio­ ne, mi è venuto sonno. Che cosa ne pensa, che cosa significa per lei il fatto che mi stessi addormentando ? " . Un intervento di questo tipo non è facile da fare senza assumere un atteggiamento difensivo, e gestire in questo modo il proprio agito parziale richiede un elevato livello di responsabilità e onestà professionale. A parte riconoscere la veridicità delle percezioni del pazien­ te, generalmente non consigliamo ulteriori aperture da parte del terapeuta. Contenimento del controtransfert

Nella DPHP, molte delle identificazioni concordanti e complementari del te­ rapeuta nel controtransfert sono sia transitorie, sia soggette a riflessione da parte sua. Dopo aver consentito a se stesso di rispondere interiormente al pa­ ziente, il terapeuta DPHP passa alla posizione di osservatore. Da questo punto vantaggioso, egli osserva, come una terza parte, la relazione oggettuale attiva­ ta nella propria mente in risposta alle sue interazioni con il paziente. È questo processo di " triangolazione" che gli consente di utilizzare il controtransfert per migliorare la comprensione delle relazioni oggettuali in quel momento dominanti nel trattamento. La capacità di triangolare in questo modo è il caposaldo di quello che viene indicato come contenimento (Bion, 1962a). Il contenimento è un processo complesso che si può ritenere si svolga in più fasi, anche se in pratica le fasi che descriviamo sono sovrapponibili. Nel senso più generale, il contenimento si riferisce alla capacità di pensiero e autoriflessiva di modificare i contenuti mentali, soprattutto quelli forte­ mente caricati dal punto di vista affettivo. Esso implica la capacità di espe­ rire pienamente un'emozione, senza essere controllati da quell'esperienza o dover immediatamente entrare in azione; il contenimento implica sia la libertà emotiva, sia l'autoconsapevolezza. In psicoterapia, il contenimento 1 16

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segue sempre un'interazione tra terapeuta e paziente, in cui il paziente col­ pisce il terapeuta interiormente, stimolando affetti e attivando rappresen­ tazioni di sé e degli altri nel suo mondo interno. In seguito, il terapeuta " che contiene" passa al ruolo di osservatore e ri­ flette su ciò che è stato stimolato in lui nella sua interazione con il paziente. Infine, utilizza la propria esperienza per fare inferenze riguardo alle rela­ zioni oggettuali interiorizzate attivate nel paziente e messe in atto nel trat­ tamento. In questo processo, il terapeuta " contiene" e in qualche modo modifica l'esperienza interna stimolata in lui dal paziente. Il contenimento consente al terapeuta di utilizzare il controtransfert co­ me importante fonte di informazioni riguardo alle relazioni oggettuali cor­ rentemente attivate nel trattamento e gli permette di empatizzare con tutte le parti del paziente e con tutti gli aspetti di un determinato conflitto. Esso richiede al terapeuta di essere sia ricettivo, sia controllato. Il terapeuta "che contiene" deve essere emotivamente libero di rispondere interiormente al paziente, ma anche controllato, per posticipare l'intervento su tali risposte dopo aver avuto la possibilità di rifletterei sopra. Per dirla in un altro mo­ do, il terapeuta che contiene è interiormente ricettivo, ma non reattivo dal punto di vista interpersonale e sostituisce l'azione e la reazione con l'auto­ osservazione e la riflessione. Il contenimento può, ma non deve necessaria­ mente condurre all'interpretazione. Caso clinico di utilizzo del controtrans/ert Una paziente, professionista single di quarantacinque anni senza figli, parlò a lun­ go del meraviglioso fine settimana trascorso con il suo compagno, focalizzandosi sull'ottimo sesso e sul grande divertimento, sulle persone variopinte e sulle belle case. Con l'avanzare della seduta, la donna si esaltò sempre di più, il tono di vo­ ce divenne acuto, parlò e rise forte, mentre raccontava storie divertenti, in modo molto animato. Inizialmente la terapeuta (molto più giovane della paziente) fu rapita dall'umo­ re della donna, sentendosi, a sua volta, entusiasta e incline a ridere insieme a lei. (Esempio di identificazione concordante nel controtransfert.) Tuttavia, mentre con­ tinuava a rimanere seduta con la paziente, iniziò a sentirsi sminuita e demoralizza­ ta e si ritrovò a pensare che aveva cose che lei non avrebbe mai avuto. (Esempio di identificazione complementare nel controtransfert.) Riflettendo sulla propria risposta alle comunicazioni verbali e non verbali della paziente, la terapeuta identificò la relazione oggettuale di una persona entusiasta che "ha tutto" e di una persona esclusa e inferiore, che prova invidia. Pensandoci ancora meglio, fu colpita da quanto si fosse sentita esageratamente sminuita e ri­ cordò l'invidia che la paziente aveva provato in passato nei suoi confronti, sapen­ do che era sposata e aveva figli. Riflettendo su ciò che veniva messo in atto nella seduta e sulle motivazioni, la terapeuta si sentì più calma nei confronti dello stile maniacale della paziente e riu­ scì a empatizzare con i sentimenti dolorosi alla base dell'esaltazione della donna. Con il proseguire della seduta, anche la paziente iniziò a calmarsi un po' e diven­ ne più autoriflessiva.

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Mancato contenimento

La capacità del terapeuta di contenere il controtransfert differenzia il controtransfert che funge da strumento per capire il mondo interno del paziente, da quello che agisce come un mezzo per limitare o addirittura interrompere il processo terapeutico. Inoltre, alcune volte la capacità del terapeuta di contenere gli affetti del paziente nel controtransfert può es­ sere un intervento terapeutico di per se stesso. Al contrario, quando un analista è cronicamente incapace di contenere un particolare controtran­ sfert e, in più, non è in grado di riflettere sui problemi del contenimento, il controtransfert può limitare la sua capacità di capire la situazione inte­ riore del paziente. In particolare, la messa in atto di controtransfert sottili ma cronici, spesso espressa nel mantenimento da parte del terapeuta di un particolare atteg­ giamento o sentimento nei confronti di un paziente nel tempo, può essere difficile per lui da diagnosticare. Esempi comuni sono quelli di pazienti che tendiamo a considerare in qualche modo speciali - per esempio, particolarmente bisognosi o vulne­ rabili o desiderabili. I controtransfert cronici di questo tipo sono di solito egosintonici per il terapeuta, ma anche per il paziente. Di conseguenza, le reazioni al controtransfert cronico possono essere messe in atto per lunghi periodi di tempo, senza che il terapeuta se ne accorga. I controtransfert non esaminati, acuti e cronici, creano macchie cieche nel terapeuta e gli rendono difficile capire o identificarsi con particolari aspetti dell'esperienza conscia e inconscia del paziente. Caso clinico di mancato contenimento Ritorniamo al caso della quarantacinquenne single, di cui parlavamo in precedenza, che suscitò nella terapeuta prima sentimenti di entusiasmo e poi di sminuimento. Se la terapeuta non fosse riuscita a contenere le proprie risposte alla paziente, avreb­ be potuto unirsi a lei nell'eccitazione maniacale, identificandosi con la rappresen­ tazione del sé conscia della donna e negando la relazione oggettuale dolorosa che veniva scissa. In tale situazione, la terapeuta sarebbe entrata in collisione con gli sforzi difensivi della paziente per evitare la consapevolezza delle relazioni ogget­ tuali sottostanti. In alternativa, la terapeuta si sarebbe potuta perdere nei propri sentimenti di invidia e demoralizzazione, consentendo loro di interferire con la sua capacità di riflettere su come e perché si sentisse così nei confronti della paziente. Ciò avrebbe potuto lasciare alla terapeuta una macchia cieca, renderla incapace di empatizzare con i sentimenti sottostanti di invidia e inferiorità della paziente e spingerla ad allontanarsi da lei. Possiamo utilizzare l'esempio di questa paziente e della sua terapeuta anche per illustrare il mancato contenimento di reazioni controtransferali croniche. A questo punto, aggiungeremo che si trattava di una donna che ispirava rispetto e ammi­ razione. Aveva ottenuto uno splendido successo dal punto di vista professionale e occupava una posizione di alto profilo, molto influente. Era inoltre una donna estremamente attraente, che vestiva sempre con eleganza. La terapeuta l'ammirava

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molto per ciò che era riuscita a fare, oltre che per il suo fascino, e solo dopo qua­ si un anno di terapia, si rese davvero conto del modo sottile in cui l'ammirazione per la paziente limitava la sua capacità di empatizzare pienamente con la parte di lei che si sentiva piccola, esclusa e triste. Come è tipico delle reazioni controtran­ sferali croniche più sottili, l'atteggiamento implicito della terapeuta nei confronti della paziente metteva in atto una relazione oggettuale familiare ed egosintonica per entrambe in ugual misura, ed era quindi facile che l'atteggiamento della tera­ peuta rimanesse inosservato per lungo tempo. Sebbene pienamente conscio, esso non era stato totalmente riconosciuto o esplorato. Solo dopo che il trattamento ebbe approfondito, e la paziente eb­ be iniziato a rivelare apertamente il proprio senso di tristezza e isolamento sot­ tostante, la terapeuta capì pienamente l'impatto del proprio atteggiamento nei confronti della paziente sulla sua capacità di empatizzare con la situazione inte­ riore di quest'ultima.

Tollerare l'incertezza

Una componente intrinseca dell'abilità del terapeuta DPHP di ascoltare e sentire il paziente è la sua capacità di tollerare l'incertezza. In una de­ terminata seduta, o a volte persino nel corso di diverse sedute, potrebbe non risultare chiaro quale sia la questione dominante o ciò che accade nel transfert-controtransfert. Spesso occorre del tempo perché le cose si cristallizzino e molto spesso ci si deve aspettare un po' di incertezza da parte del terapeuta. La sensazione di non sapere può generare ansia - specialmente nel cli­ nico meno esperto, che potrebbe pensare che una persona più abile di lui capirebbe meglio ciò che sta accadendo. Quest'ansia, piuttosto prevedibi­ le, deve essere contenuta il più possibile. A tale scopo, può risultare utile al terapeuta ricordarsi che pretendere di riuscire sempre a capire ciò che accade sarebbe irragionevole. Al tempo stesso, egli deve cercare di capire se stia accadendo qualcosa nel paziente o nel controtransfert che lo rende particolarmente ansioso di " sapere" che cosa stia succedendo. È preferi­ bile aspettare e vedere che cosa accade all'incertezza, oltre a riflettere sulla possibilità che l'incertezza e la confusione esperite in una seduta possano avere un significato specifico, piuttosto che avanzare una formulazione pre­ matura nel tentativo di far scomparire incertezza e ansia. Qualche volta il terapeuta può tranquillamente ammettere con il paziente di non capire an­ cora chiaramente ciò che sta accadendo e che una migliore comprensione emergerà con il tempo. Se un terapeuta raramente ha incertezze, probabilmente significa che avvicina il materiale con idee preconcette su ciò che sta accadendo e che ascolta le parole del paziente con un orecchio teso a sentire ciò che lui si aspetta. Sebbene sia relativamente sottile, l'incapacità del terapeuta di tol­ lerare la mancata conoscenza, con la propensione ad ascoltare le comuni­ cazioni del paziente come una convalida di ciò che "già sa" , è una forma di 1 19

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agito controtransferale, spesso legata a una fedeltà eccessiva del terapeuta a una particolare teoria. Sebbene la teoria informi e in qualche misura diriga sempre inconsciamente il nostro ascolto, dobbiamo fare tutto il possibile per tenere la mente aperta.

LETTURE CONSIGLIATE BRITTON, R., " Naming and containing". In Belie/ and Imagination. Routledge, London, 1998, pp. 19-28. BuscH, F., "Free association" . In The Ego at the Center o/Analytic Technique. Jason Aronson, Northvale, NJ, 1995, pp. 49-70. KERNBERG, O.F., " Reazioni acute e croniche al controtransfert " . Tr. it. in Narcisismo, aggres­ sività e autodistruttività nella relazione psicoterapeutica. Raffaello Cortina, Milano 2006. LANGS, R., "Therapeutic misalliances " . In International Journal o/ Psychoanalysis and Psychotherapy, 4, 1975, pp. 77- 1 05. LowENSTEIN, R.M., " Some considerations on free association" . I n Journal o/ American Psychoanalytic Association, 1 1 , 1963 , pp. 45 1 -473 . 0GDEN, T. H., "Il concetto di identificazione proiettiva" . Tr. it. in La identificazione proietti­ va e la tecnica psicoterapeutica. Astrolabio Ubaldini, Roma 1994. RAcKER, H. , "The meanings and uses of countertransference " . In Psychoanal Q 26:303-357, 1957. SANDLER, ]., SANDLER, A.M., Gli oggetti interni. Una rivisitazione. Tr. it. Franco Angeli, Milano 2009.

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7 Le tecnich e de lla DPHP Parte II Intervento

In questo capitolo descriviamo le tecniche utilizzate dal terapeuta nel­ la psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP) per ascoltare e capire le comunicazioni verbali e non verbali del paziente. Dopo aver ascoltato, il terapeuta formula un intervento. Nel­ la DPHP, gli interventi verbali principali da parte del terapeuta implicano l'analisi della resistenza e l'interpretazione del conflitto inconscio. Quan­ do interviene verbalmente, il terapeuta tenta di farlo da una posizione di neutralità tecnica.

NEUTRALITÀ TECNICA Quando diciamo che il terapeuta mantiene la "neutralità tecnica" , intendia­ mo dire che evita di utilizzare tecniche supportive e di prendere posizione nei conflitti del paziente. Le tecniche supportive di solito utilizzate in psico­ terapia comprendono il dare consigli, l'insegnare strategie di adattamento (coping) e l'intervento diretto nella vita del paziente. " Non prendere posi­ zione" significa che il terapeuta si astiene dal parlare a favore di un aspetto del conflitto del paziente rispetto agli altri. Contrariamente alla DPHP, molte forme di psicoterapia dinamica utiliz­ zano un abbinamento di tecniche supportive ed espressive e il clinico non mantiene un atteggiamento neutrale ( Gabbard, 2004 ) . In questi trattamenti, il terapeuta utilizza le tecniche supportive su una " scala mobile" , a seconda delle esigenze cliniche del paziente in un particolare punto della terapia. Tuttavia, in base alla nostra esperienza, è preferibile fare una distinzione tra le tecniche supportive (Rockland, 1 989) e la psicoterapia esplorativa e limi­ tare il ricorso agli interventi di sostegno ai casi di prescrizione della terapia esplorativa. Nella DPHP, la neutralità tecnica facilita l'attivazione di relazioni oggettuali interiorizzate conflittuali nel trattamento e migliora la capacità del terapeuta di esplorare e interpretare efficacemente i modelli relazionali espressivi e difensivi messi in atto nel trattamento.

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Definizione della neutralità tecnica

Oltre a essere fondamentale per la DPHP, la neutralità tecnica è un concetto problematico e controverso, che deve essere utilizzato in modo flessibile per poterlo integrare nella comprensione dinamica delle interazioni com­ plesse e del flusso costante di messe in atto tra paziente e terapeuta. Il no­ stro approccio generale relativo al mantenimento della neutralità tecnica prevede che il terapeuta formuli i propri interventi verbali da una posizio­ ne tecnicamente neutrale, imponga un limite alle proprie interazioni con il paziente, controlli il controtransfert e rimanga consapevole del fatto che nel microprocesso delle sue interazioni con il soggetto, esiste un flusso costante di messe in atto cui partecipa in modo più o meno attivo. Da un punto di vita teorico, la neutralità tecnica implica il mantenimen­ to da parte del terapeuta di un atteggiamento che eviti di schierarsi a favo­ re di una delle motivazioni conflittuali interiori del paziente (Apfelbaum, 2005 ; Moore, Fine, 1995 ) . Invece di lasciarsi coinvolgere nei conflitti del paziente, il terapeuta neutrale vuole aiutarlo a identificarli e a esplorarli in modo imparziale, partendo da varie prospettive (Levy, Inderbitzin, 1992 ) . Poiché i conflitti psicologici sono organizzati intorno a relazioni oggettuali interiorizzate, la neutralità implica che il terapeuta si astenga dal sostenere o rifiutare motivazioni associate alle rappresentazioni di sé e dell'oggetto conflittuali, attivate nel mondo interno del paziente. Se, per esempio, un paziente si lamenta dell'ingiustizia o dell'eccesso di controllo da parte del suo capo, il terapeuta neutrale deve astenersi dall'infierire su quest'ultimo o dal sottolineare quanto sia ingiusto e, al contrario, deve cercare di chiarire la relazione oggettuale in atto nelle interazioni del paziente con il suo capo. La neutralità tecnica richiede al terapeuta di essere aperto a una serie incredibilmente ampia di motivazioni e ansie conflittuali, mantenendo al tempo stesso un atteggiamento di accettazione, assenza di giudizio e im­ parzialità (Schafer, 1983 ) . Invece di farsi carico o di rifiutare i motivi o gli atteggiamenti associati all'una o all'altra relazione oggettuale interiorizza­ ta conflittuale del paziente, o di sostenere le richieste di realtà, il terapeuta neutrale si allea con la parte del paziente capace di autoosservazione. Nel tempo, tale alleanza contribuisce a rafforzare la capacità di autoosserva­ zione e quella autoriflessiva (Kernberg, 2004b) . Il terapeuta neutrale e la parte autoosservante del paziente lavorano insieme, con lo scopo comune di capire nel modo più completo possibile la vita interiore del paziente e il suo esperito soggettivo. Neutralità tecnica e aspettative sociali

Stabilire e mantenere la neutralità tecnica significa che il terapeuta DPHP adotta e mantiene un atteggiamento nei confronti delle comunicazioni e 122

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dei conflitti del paziente diverso da quello assunto da qualsiasi altra per­ sona presente nella vita del paziente stesso. Di solito, quando ascoltiamo qualcuno parlare di un problema, ci chiediamo: " Come posso fare in mo­ do che questa persona stia meglio? " oppure "Come posso aiutarla a risol­ vere questo problema? " o ancora "Questa persona sta facendo la cosa giu­ sta? " . Al contrario, il terapeuta neutrale si chiede: " Come posso capire, nel modo più completo possibile, ciò che il paziente sta dicendo e facendo? " . Questa deviazione rispetto alle norme sociali può apparire strana o sgrade­ vole al paziente, soprattutto nella fase iniziale del trattamento e a volte può disturbare anche i terapeuti, soprattutto quelli che non hanno una grande esperienza nel lavorare in questo modo. Può essere utile tenere a mente che per consigliare la DPHP a un paziente occorre che il terapeuta sia convinto del fatto che si tratta del metodo più efficace per alleviare le sue sofferenze. Se si sceglie la DPHP, è nell'interesse del paziente che il terapeuta si attenga alla tecnica prevista, dando al sog­ getto la possibilità di beneficiare il più possibile di tutto ciò che la terapia ha da offrire. In questo senso, mantenere la neutralità tecnica è un' espres­ sione di interesse nei confronti del paziente da parte del terapeuta. Quan­ do un analista DPHP si astiene dall'offrire il tipo di sostegno o consiglio che il paziente desidera in un determinato momento, lo fa prevedendo che, a lungo termine, l'atteggiamento neutrale sia quello più utile. Qualità delle interazioni tra terapeuta neutrale e paziente

Il termine neutralità può far temere che si consigli al terapeuta DPHP di as­ sumere un atteggiamento di relativa indifferenza nei confronti del pazien­ te o di tentare di nascondere la propria personalità e dimostrarsi distacca­ to nel proprio ruolo professionale. Ciò non è assolutamente vero. Quando parliamo di "neutralità " non ci riferiamo all'atteggiamento del terapeuta nei confronti del paziente o al suo comportamento interpersonale con lui. Al contrario, "neutralità tecnica" indica l'atteggiamento del terapeuta nei confronti dei conflitti interiori del soggetto. La neutralità tecnica non comporta l'indifferenza del terapeuta nelle sue interazioni con il paziente, né la sua indifferenza per i progressi compiuti da quest'ultimo. Al contrario, il terapeuta DPHP deve essere reattivo e since­ ro, non rigido o robotico, e il suo atteggiamento nei confronti del paziente deve riflettere interesse per lui e per il suo benessere. Il terapeuta neutrale mantiene un atteggiamento professionale che comunica calore e interessa­ mento, pur nel rispetto dell'autonomia del paziente. Al tempo stesso, è an­ che vero che, sebbene un terapeuta DPHP debba rispondere emotivamente al paziente, se lo fa in modo eccessivo o troppo sollecito è probabile che in­ tralci la sua libertà di esplorare i conflitti attivati nel trattamento, con quella completezza che diversamente sarebbe possibile. 123

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Ciò che consigliamo è che il terapeuta sia partecipe, ma contenuto, nel proprio atteggiamento e comportamento nei confronti del soggetto. La DPHP non può essere efficace se il terapeuta mette normalmente in scena e comunica le proprie esigenze in terapia. All a fine, il paziente è in grado di percepire se il terapeuta sia davvero interessato al suo benessere e realmen­ te impegnato ad accantonare le proprie esigenze a vantaggio della terapia. Se invece percepisce che non è così, il trattamento non è per lui un luogo " sicuro" in cui esplorare il proprio mondo interno. Caso clinico di neutralità tecnica Come esempio relativamente semplice di terapeuta che mantiene un atteggiamen­ to neutrale, prendiamo in esame il paziente che si lamenta, in modo apparente­ mente ingiustificato, del carattere critico e ritroso della moglie. Nel fare ciò, egli descrive una rappresentazione del sé e una rappresentazione oggettuale. Il tera­ peuta neutrale non si schiera né con l'esperienza di sé del paziente - per esempio esprimendo simpatia per lui o critiche per la moglie - né con la sua rappresenta­ zione oggettuale - sottolineando per esempio quanto sia scortese o ingiusto nei confronti di lei. Egli non si schiera neppure dalla parte delle richieste di realtà, consigliando al paziente come gestire nel modo migliore la moglie o cercando di capire chi dei due sbagli. Al contrario, il terapeuta neutrale ascolta la descrizione e le lamentele del pa­ ziente chiedendosi: - " Che cosa mi dice tutto questo riguardo all'esperienza interiore del paziente e alle relazioni oggettuali interiorizzate attive nel trattamento in questo momen­ to? " - " Quale relazione oggettuale sta mettendo in scena il paziente con l a moglie? " "Quale relazione oggettuale sta mettendo in scena il paziente con m e nel lamen­ tarsi della moglie? " - "Da quale relazione oggettuale si sta difendendo il paziente nelle sue interazioni con la moglie e con me? " .

Deviazioni rispetto alla neutralità tecnica

Le deviazioni rispetto alla neutralità, se sono croniche e non indirizzate, possono interferire con l'emersione completa dei conflitti del paziente nel trattamento e rendono meno probabile la possibilità di elaborarle nel tran­ sfert. In pratica, schierandosi regolarmente con una particolare rappresen­ tazione del sé o dell'oggetto o con il lato difensivo o espressivo di un con­ flitto, il terapeuta svolge attivamente un ruolo o mette in scena un aspetto del mondo interno del paziente nella relazione con lui. Le messe in atto di questo tipo tendono a essere resistenti all'interpretazione e, al tempo stes­ so, possono impedire ad altre relazioni oggettuali di emergere durante il trattamento. In modo analogo, se si schiera attivamente o si esprime a fa­ vore delle parti del paziente motivate a rispondere alle richieste della realtà il più efficacemente possibile, il terapeuta può seppellire più in profondità le parti del paziente motivate a comportarsi diversamente. 124

LE TECNICHE DELLA DPHP

Come esempio di deviazione rispetto alla neutralità, immaginiamo un terapeuta che sostiene sempre in modo attivo il paziente descritto in pre­ cedenza, criticandone la moglie. In tal caso, il " sostegno" al paziente (e, in questo processo, alle sue difese) da parte del terapeuta può rendergli più difficile acquisire la consapevolezza del fatto che, nel proprio atteg­ giamento critico nei confronti della moglie, lui stesso si identifica con la rappresentazione oggettuale critica e ritrosa che ha esperito in relazione alla consorte (una forma di rovesciamento dei ruoli). Una deviazione dalla neutralità di questo tipo potrebbe anche troncare la possibilità che i con­ flitti con la moglie vengano attivati nel transfert. Al contrario, se il tera­ peuta è neutrale, il p aziente dispone dello spazio necessario per chiedersi se il clinico possa essere critico anche nei suoi confronti o trattenga amo­ re e sostegno, oppure può egli stesso scoprirsi critico nei suoi confronti. L'esplorazione di tali domande aprirà ulteriormente le relazioni oggettuali interiorizzate e le rappresentazioni di sé e dell'oggetto attive nei conflitti del paziente con la moglie. In breve, le deviazioni rispetto alla neutralità possono interferire con l'e­ mergere completo alla coscienza di tutti gli aspetti dei conflitti del pazien­ te e rendono meno probabile la possibilità di elaborarli con il transfert. Le deviazioni croniche o non rilevate da parte del terapeuta possono determi­ nare un'impasse terapeutica. Caso clinico di atteggiamento neutrale all'inizio del trattamento Come esempio di come e perché il terapeuta DPHP stabilisce un atteggiamento neu­ trale all'inizio del trattamento, ritorniamo alla professionista trentaquattrenne di cui abbiamo parlato al capitolo 5 ( " Strategie della DPHP e setting terapeutico" ) , bloccata in un rapporto frustrante con un collega. Quando si presentò per una consulenza e iniziò il trattamento, la donna capì che il rapporto non era positivo per lei e che con ogni probabilità non l'avrebbe portata da nessuna parte, ciononostante non riusciva a chiuderlo. I suoi amici la sollecitavano a lasciare quell'uomo e a guardare avanti, ma lei non riusciva a seguire questo valido consiglio. Altri uomini l'avevano avvicinata, ma le apparivano insignificanti. Se, all'inizio, il terapeuta non mantiene la neutralità tecnica e sceglie invece di assumere un atteggiamento solidale, può adottare un approccio del tipo: " Come posso fare in modo che la paziente interrompa questa relazione? " . In questo ca­ so, egli si schiera dalla parte della paziente che desidera chiudere il rapporto, oltre che con le richieste presentate dalla realtà secondo le quali si tratta di una donna di trentaquattro anni che desidera sposarsi e avere una famiglia. Assumendo que­ sto approccio, il terapeuta può dare alla paziente l'impressione, come hanno fatto molte altre persone, che quell'uomo la stia soltanto frustrando - lei sa che lui non la sposerà - e che continuare a inseguirlo può compromettere le sue possibilità di arrivare al matrimonio e di farsi una famiglia. È possibile che il terapeuta non neutrale utilizzi la propria autorità per far usci­ re la paziente da una brutta relazione. Tuttavia, il problema è che tale approccio innanzitutto non dà alla paziente la possibilità di capire perché si trovi in quella relazione e inoltre non riduce le probabilità che essa ricrei la stessa situazione in

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

futuro. Il terapeuta non neutrale o " supportivo" può riuscire a fare in modo che la paziente lasci il proprio compagno, ma è meno probabile che la aiuti a risolvere il suo problema di base. Contrariamente al terapeuta non neutrale che pensa: " Come posso aiutarla a uscirne ? " , il terapeuta DPHP pensa: " Come posso capire il fatto che rimanga con lui? " . L'atteggiamento neutrale si focalizza sulla scoperta e l'esplorazione, più com­ plete possibile, delle relazioni oggettuali conflittuali insite e oggetto di difesa nel rapporto della paziente con quell'uomo. Con l'elaborazione di tali conflitti, la pa­ ziente otterrà una maggiore flessibilità e libertà di scegliere se continuare o meno a seguire quell'uomo, e se scegliere o meno un tipo di uomo diverso in futuro. Durante le fasi iniziali del trattamento, il terapeuta DPHP neutrale aiuta la pa­ ziente ad acquisire la consapevolezza di una divisione interiore. Parte di lei, sup­ portata dai suoi amici, desidera troncare il rapporto e andarsene, un'altra vuole seguire quell'uomo e continua a essere attratta da lui. Il terapeuta aiuta la paziente a interessarsi alla comprensione di questo conflitto e al tempo stesso evita di fare pressione su di lei affinché lo lasci o rimanga. In questo modo, egli non si schiera nel conflitto della paziente e al tempo stesso sostiene la sua capacità di autoosser­ vazione. Ciò facilita l'introduzione nel trattamento delle relazioni oggettuali con­ flittuali alla base delle difficoltà sentimentali della paziente. Al contrario, quando condanna il compagno della donna e la incoraggia a troncare la relazione, il terapeuta supportivo si esprime a favore e si schiera con una parte della paziente contro l'altra. Invece di sostenere la capacità di auto­ osservazione della donna, l'atteggiamento solidale del terapeuta supporta atti­ vamente la repressione e la dissociazione delle relazioni oggettuali che attirano la paziente verso quell 'uomo. Sebbene ciò possa far sentire la paziente decisa­ mente meno in conflitto e ansiosa, per contro riduce la probabilità che, alla fi­ ne, lei abbia la possibilità di capire le motivazioni complesse alla base delle sue scelte sentimentali.

INTERPRETAZIONE L'interpretazione e l'elaborazione del conflitto inconscio, insieme all'analisi delle resistenze, sono gli interventi terapeutici verbali principali nella DPHP. Le interpretazioni fanno affiorare alla coscienza del paziente una relazione oggettuale conflittuale attivata ed esperita inconsciamente - messa in atto al di fuori della consapevolezza del paziente - o espressa in sintomi. Inoltre, le interpretazioni creano collegamenti o gettano luce su eventuale materiale contro cui il paziente sta lottando o che sta evitando. Il processo di interpretazione inizia dall'osservazione di omissioni, di­ scordanze o contraddizioni in ciò che il paziente dice e fa e conduce alla formulazione di ipotesi esplicite al riguardo, in modo da poter dar loro un senso. L'analisi della resistenza implica l'esplorazione e l'interpretazione delle operazioni difensive del paziente, messe in atto in terapia. L'elabora­ zione comporta una serie di interpretazioni in cui un particolare conflitto viene esperito ripetutamente e interpretato a partire da diversi punti di vi126

LE TECNICHE DELLA DPHP

sta e in una vasta gamma di contesti, in un certo periodo di tempo. Come indicato in precedenza, nella DPHP le interpretazioni vengono fatte a partire da una posizione di neutralità tecnica. Il processo interpretativo

L'interpretazione è meglio indicata come un processo (Sandler et al. , 1992 ) . Le fasi iniziali del processo interpretativo implicano tipicamente chiarifi­ cazione e confronto. La chiarificazione prevede la ricerca da parte del te­ rapeuta di un chiarimento sull'esperito soggettivo del paziente. Le aree di vaghezza vengono indirizzate fino a che paziente e terapeuta raggiungano una chiara comprensione di ciò che è stato detto o fino a che il paziente si senta perplesso riguardo a una contraddizione di base nel suo pensiero, che è stata portata alla luce. Oltre a sottolineare gli aspetti dell'esperito mentale che sono stati re­ pressi, la chiarificazione spesso serve per portare all'attenzione del paziente aspetti del suo esperito soggettivo che, sebbene accessibili alla coscienza, sono stati dissociati, negati o sconfessati. In questo modo, la chiarificazione richiama l'attenzione del paziente su aspetti del suo esperito soggettivo cui ha evitato di prestare attenzione o di pensare. Il processo di chiarificazione conduce molto naturalmente al confronto, in cui il terapeuta raccoglie le in­ formazioni chiarite che sono contraddittorie, conflittuali o non combaciano e poi sottopone al paziente il materiale che necessita di ulteriore indagine e comprensione. Durante il confronto, il terapeuta richiama l'attenzione del paziente su un'area di conflitto e difesa, focalizzando e approfondendo co­ sì l'indagine in corso. Ci auguriamo sia chiaro che il termine confronto viene utilizzato in que­ sto contesto con l' accezione di essere " messi a confronto con una realtà dolorosa ". " Confronto " non è utilizzato come lo sarebbe in campo milita­ re o politico, a suggerire una divergenza aggressiva di forze. Al contrario, esso implica da parte del terapeuta il sottolineare con tatto e ponderatezza aspetti delle comunicazioni verbali e non verbali del paziente che meritano ulteriore considerazione. Il confronto può implicare l'esame delle discor­ danze tra le comunicazioni verbali del paziente durante le sedute e le infor­ mazioni comunicate in precedenza al terapeuta nel corso di altri incontri. I confronti possono essere incentrati anche sulle discrepanze tra le comu­ nicazioni verbali e non verbali del paziente - per esempio, quando un sog­ getto parla di questioni dolorose con tono leggero e casuale. L'interpretazione vera e propria segue e si basa sulla chiarificazione e sul confronto. Per interpretare occorre creare un collegamento tra il compor­ tamento conscio riscontrato nel paziente, i suoi pensieri e sentimenti, e i fattori inconsci che possono essere alla loro base. In pratica, quando offre un'interpretazione il terapeuta presenta al paziente un'ipotesi riguardo ai 127

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

conflitti psicologici inconsci o dissociati che possono spiegare aspetti delle sue parole e dei suoi comportamenti, che in superficie sembrano illogici o disadattivi. Scopo dell'interpretazione è rendere sensati aspetti dell'espe­ rito e del comportamento del paziente e in questo modo approfondire la comprensione da parte sua della propria vita interiore. Un'interpretazione " completa " descrive la difesa, l'ansia che la motiva e il desiderio, l'esigen­ za o il timore sottostanti da cui ci si difende, con ciascuno dei tre elementi descritti come una relazione oggettuale interiorizzata. Tuttavia, come ab­ biamo detto, si tratta di un processo e le interpretazioni sono tipicamente offerte a pezzi, in modo da dare al paziente la possibilità di assimilare gli interventi del terapeuta per gradi. Caso clinico di interpretazione Un uomo d 'affari di mezza età, in terapia da sei mesi, raccontò una storia riguardo al socio che gli aveva mentito. Per il terapeuta era chiaro che il paziente era critico e arrabbiato con il socio, ma sembrava non esserne consapevole o preferire non ammettere di essere arrabbiato. Gli domandò che cosa provasse riguardo al com­ portamento del socio (chiarificazione) , ma il paziente perseverò nel non riconosce­ re sentimenti negativi. Nel formulare un'interpretazione di tale conflitto, il terapeuta potrebbe dire al paziente: " S ono colpito dall'assenza di ansia o critica nella sua descrizione della situazione con il suo socio. Sarebbe assolutamente naturale provare sentimenti di questo tipo, eppure sembra che lei cerchi di evitarli" (confronto). Potrebbe poi fer­ marsi un attimo per vedere se il paziente abbia capito. Se il paziente si rende conto che la sua collera è evidentemente assente, il terapeuta può proseguire suggeren­ do una possibile motivazione di tale comportamento. Per esempio, potrebbe dire: "È possibile che lei eviti i sentimenti negativi perché teme che potrebbero indurre gli altri a ritrarsi e che eviti i sentimenti critici nei confronti del suo socio perché teme che potrebbe farlo allontanare o addirittura portare a sciogliere la società? " .

Nella sua interpretazione, il terapeuta è partito dall'affrontare una con­ traddizione - sarebbe naturale essere arrabbiati, ma il paziente non lo è per poi proseguire descrivendo la motivazione della difesa del paziente, esperita come ansia e rappresentata come la relazione oggettuale interio­ rizzata di un io critico, che teme la perdita dell'amore, e un oggetto che ri­ sponde alla critica o all'ansia ritraendosi. Le motivazioni conflittuali erano in questo caso la collera e il desiderio di critica del paziente, rimasti ampia­ mente al di fuori dalla consapevolezza. Quando formula un'interpretazione, il terapeuta è conscio del fatto che una relazione oggettuale descritta in un intervento iniziale serve anche per difendere dalla messa in atto di relazioni oggettuali complementari - vale a dire, la stessa relazione oggettuale a ruoli invertiti. (Per esempio, in ulti­ ma analisi potremmo assistere alla messa in atto di una relazione oggettua­ le interiorizzata di un oggetto arrabbiato in relazione a un io che si ritrae.) Le fasi finali di un processo interpretativo implicano la capacità di scoprire

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LE TECNICHE DELLA DPHP

questi collegamenti. Tuttavia, a causa della rigidità delle operazioni difen­ sive nella patologia della personalità di alto livello, può essere necessario che trascorra un po' di tempo prima di poter individuare l'identificazione del paziente con la rappresentazione oggettuale. 1 In effetti, non è raro che il terapeuta passi a esplorare e interpretare altri conflitti sottostanti, sottolineando in che modo la relazione oggettuale ori­ ginale difenda dalla loro attivazione, prima di ritornare alle interpretazioni precedenti, questa volta a ruoli invertiti. Tuttavia, alla fine, per poter inte­ grare correttamente una relazione oggettuale conflittuale nel proprio senso di sé conscio, il paziente deve riuscire a tollerare la propria identificazione con entrambi i suoi aspetti. Di solito, aiutare il paziente a elaborare il con­ flitto come era stato formulato originariamente, oltre a fornirgli la possibi­ lità di elaborare altri conflitti correlati, lo aiuta a tollerare la consapevolezza della propria identificazione con ciò che era stato originariamente attribuito a una rappresentazione oggettuale. Interpretazione dalla superficie in profondità

In generale, il modo più discreto per formulare un'interpretazione consiste nel cominciare affrontando la difesa e la relativa motivazione, e occupandosi solo in seguito della motivazione conflittuale sottostante da cui il paziente si sta difendendo. Tale approccio all'interpretazione è talvolta indicato con il termine principio dinamico dell'interpretazione (Feniche!, 194 1 ) . Secon­ do tale principio, il terapeuta deve iniziare con il materiale che svolge le funzioni difensive, per poi passare a ciò da cui si sta difendendo. Poiché le relazioni oggettuali che svolgono le funzioni difensive sono più vicine alla coscienza, mentre le relazioni oggettuali da cui ci si difende sono più lon­ tane dalla "superficie" conscia, questo approccio è indicato a volte come interpretazione " dalla superficie alla profondità". Attenendosi al principio dinamico, nel nostro esempio, il terapeuta ini­ zia la propria interpretazione sottolineando che il paziente sembra evitare i sentimenti negativi, successivamente collega rapidamente questa osser­ vazione a un'ipotesi riguardo alla motivazione di tale elusione difensiva ­ il paziente teme, cioè, che i sentimenti negativi conducano all'isolamen­ to sociale. Collegando in questo modo difesa e motivazione, il terapeuta riduce le probabilità che il paziente pensi che egli lo critichi per il fatto che " evita la collera" o semplicemente lo accusi di essere arrabbiato, e aumenta le probabilità che il paziente ritenga che il terapeuta abbia ca­ pito il suo dilemma. l. Si tratta di una situazione molto diversa rispetto al trattamento di pazienti con patologia della personalità più grave, in cui il paziente di solito passa continuamente dall'identificazione con una metà a quella con l'altra metà di una relazione oggettuale e l'interpretazione di una re­ lazione oggettuale che difende dal proprio opposto viene generalmente fatta piuttosto in fretta.

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Nel processo di identificazione della difesa e di suggerimento di una sua motivazione, il terapeuta sottolinea implicitamente che il paziente prova sen­ timenti di rabbia e critica, che reprime o non riconosce. Tuttavia, nell'in­ terpretazione si pone l'accento sull'esperienza del paziente secondo cui è un'esigenza psicologica evitare la rabbia. Nella DPHP ci concentriamo sulla comprensione del perché sia così importante per questo paziente evitare sen­ timenti di collera e sull'identificazione dei diversi modi da lui utilizzati per evitare di riconoscerla; il focus dell'indagine non riguarda la "scoperta" o l'e­ videnziazione della collera del paziente di per se stessa (Busch, 1995 , 1 996). Interpretazione del transfert

L'interpretazione descritta nel paragrafo precedente - identificare la difesa, la difesa che motiva l'ansia e la motivazione conflittuale - è considerata un processo completo, che non implica una rappresentazione o un riferimento al terapeuta. In un altro momento della seduta, o in una fase successiva del trattamento, il terapeuta può utilizzare la comprensione del conflitto incon­ scio attivato dalla menzogna del socio per gettare luce sul comportamento del paziente nei confronti del terapeuta. Quest'ultimo potrebbe notare, per esempio, che quando deve riprogrammare o annullare delle sedute, anche nel caso in cui il cambiamento sembri relativamente scomodo per lui, il pa­ ziente è sempre accomodante ed eccessivamente gentile. Questa osserva­ zione può far capire al terapeuta che, in pratica, la stessa relazione ogget­ tuale messa in atto in relazione al socio viene attuata anche nel transfert. Se aveva già formulato l'interpretazione relativa al socio, il terapeuta sarebbe ora in una buona posizione per collegarla al rapporto con lui, effettuando

un'interpretazione del trans/ert. Anche in questo caso, il terapeuta potrebbe iniziare sottolineando che sarebbe ragionevole, viste le circostanze, se il paziente fosse irritato, questa volta con lui, per poi indicare l'analogia con altre situazioni in cui il pazien­ te ha evitato di sentirsi in collera. Il terapeuta potrebbe poi proseguire di­ cendo una frase tipo: "Lei sta forse cercando di evitare i sentimenti critici nei miei confronti perché, nella sua mente, avere sensazioni negative verso di me significherebbe rischiare che io mi ritiri o non voglia più lavorare con lei, proprio come teme che i suoi sentimenti critici conducano allo sciogli­ mento della società e al ritiro del suo socio? " . Nella DPHP esistono molte varianti - sia tra pazienti, sia all'interno di un determinato trattamento nel tempo - del livello di messa in atto delle re­ lazioni oggettuali interiorizzate del paziente in relazione al terapeuta. Per alcuni pazienti, il rapporto con l'analista diventa un mezzo importante per esprimere il proprio mondo interno, mentre per altri la relazione con il te­ rapeuta è relativamente protetta e le relazioni oggettuali conflittuali sono messe in atto in modo più evidente in relazione ad altri. 130

LE TECNICHE DELLA DPHP

Rapporto tra interpretazioni transferali ed extra-transferali

Nella DPHP, le interpretazioni sono correttamente formulate sia al di fuori del transfert, sia al suo interno. Di solito, lo stesso conflitto viene attivato ripetutamente e interpretato in diversi modi al di fuori del transfert e tal­ volta è messo in atto anche nel transfert. Durante il processo di elaborazio­ ne della terapia, quando è possibile si fanno collegamenti tra le esperienze extra-transferali e transferali. Questo processo di attivazione e interpreta­ zione ripetuta di un conflitto, e di collegamento di diverse rappresentazioni di un determinato conflitto, attivato nei rapporti interpersonali correnti del paziente e nella sua relazione con il terapeuta, aiuta il paziente ad acquisire un'esperienza più profonda e maggiormente significativa dal punto di vista emotivo dei propri conflitti. A volte, mentre esplora un conflitto messo in atto nella vita interperso­ nale del paziente, il terapeuta può accorgersi che lo stesso conflitto viene attivato nel transfert, ma con manifestazioni troppo sottili per essere rile­ vato dal paziente in modo significativo o convincente. In questa situazione, scopriamo che analizzare in dettaglio il conflitto messo in atto al di fuori del transfert può preparare il terreno per analizzare lo stesso conflitto nel transfert. Il motivo fondante al riguardo è duplice: primo , una volta che il paziente sia sensibilizzato in merito a un conflitto e alla messa in atto ripe­ titiva di relazioni oggettuali conflittuali e difensive specifiche nella propria vita interpersonale, se il terapeuta volge l'attenzione al transfert rivede un modello familiare - a dimostrazione del fatto che sta accadendo " anche qui" . Per molti pazienti, si tratta di un concetto più facile da capire e più accettabile rispetto a fare del rapporto terapeutico il focus primario dell'in­ dagine. Inoltre, il processo di chiarificazione, confronto ed esplorazione di un determinato conflitto attuato al di fuori del transfert spesso serve a sti­ molare o intensificare la messa in atto dello stesso conflitto nel transfert. Di norma, quando lo stesso conflitto viene attivato simultaneamente nel transfert e al di fuori di esso, l'interpretazione parte dal punto in cui il con­ flitto è più vicino alla consapevolezza. Se una determinata relazione ogget­ tuale è esperita consciamente sia in relazione al terapeuta, sia in relazione ad altre persone nella vita del paziente, iniziamo l'esplorazione dall'area più significativa dal punto di vista affettivo. Interpretazione e passato del paziente

Nella DPHP, le interpretazioni vengono fatte prevalentemente nel qui-e-ora. Ciò significa che la maggior parte di esse è incentrata sulle ansie attuali del paziente, così come vengono attivate ed esperite nel quotidiano e nel tratta­ mento. Talvolta risulta facile proporre collegamenti tra le relazioni oggettua­ li conflittuali correnti e rapporti ed eventi importanti nel passato evolutivo 13 1

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

del paziente. Le interpretazioni di questo tipo, che si collegano al passato, sono indicate a volte con il termine interpretazioni genetiche. Durante il trattamento di pazienti con patologia della personalità di al­ to livello, il focus precoce o eccessivo sul passato, utilizzando l'esperien­ za conscia di presentazione del paziente dei primi oggetti e della sua sto­ ria evolutiva, può condurre a un'interazione eccessivamente intellettuale, "pseudo-psicoanalitica" tra paziente e terapeuta, rimossa a un qualche li­ vello dall'immediatezza dell'esperienza affettiva corrente del soggetto. Ciò protegge il paziente dall'esperire conflitti in un modo immediato e affetti­ vamente significativo. Inoltre, l'uso eccessivo o prematuro delle interpreta­ zioni genetiche può interferire con l'emergere di relazioni oggettuali inte­ riorizzate più profondamente represse. Al contrario, durante le ultime fasi del trattamento, l'interpretazione generica può servire per approfondire ul­ teriormente l'esperienza emotiva del paziente di quelle relazioni oggettua­ li conflittuali che sono già state interpretate e in qualche misura elaborate. Caso clinico di collegamenti interpretativi al passato evolutivo Per un esempio dell'interpretazione genetica, torniamo all'uomo timoroso dei pro­ pri sentimenti critici nei confronti del socio. Nel ritrarre inizialmente la propria storia, il paziente descrisse un'infanzia felice e un rapporto affettuoso con entram­ bi i genitori. Tuttavia, nel corso del trattamento, riferì sensazioni di doloroso isola­ mento durante la latenza e la prima adolescenza. Ricordò di aver avuto la sensazio­ ne che suo padre si ritraesse da lui in quegli anni e di aver immaginato che i propri sentimenti negativi fossero stati responsabili di tale allontanamento. A questo punto, si potrebbe formulare un'interpretazione genetica, ritornando alla relazione oggettuale di un sé critico e di un socio che si ritrae o respinge. Il te­ rapeuta potrebbe suggerire che forse il paziente teme che i suoi sentimenti critici o di collera conducano all'isolamento doloroso che provava da bambino in rela­ zione al padre. In questo modo, egli potrebbe fare un collegamento tra la relazio­ ne oggettuale di un sé critico e un oggetto che si ritrae e le rappresentazioni delle prime esperienze con il padre, che sono state represse o sconfessate in quanto pro­ vocano ansia o dolore.

In questo esempio, la fantasia infantile del paziente di aver allontanato il padre con il proprio criticismo collerico difende dall'esperienza più dolo­ rosa di essersi a sua volta sentito allontanato dalla collera del padre, senza poter intervenire in alcun modo. La situazione con il socio e con la ripro­ grammazione delle sedute ha suscitato sentimenti di rabbia nei confronti di qualcuno verso cui il paziente si sente dipendente e gli ha fatto temere di finire isolato a causa dei suoi sentimenti critici. Tuttavia, dietro a questi ti­ mori si cela la paura di essere dipendente da qualcuno che potrebbe essere arrabbiato e critico. In questo caso, evidenziamo che, anche quando offria­ mo ipotesi relative alle radici evolutive dei conflitti correnti di un paziente, lo facciamo sapendo che non stiamo ricostruendo eventi storici che "spie­ gano" i conflitti in corso e la rigidità della personalità del paziente. Quando 132

LE TECNICHE DELLA DPHP

formuliamo interpretazioni relative al passato del paziente, creiamo piutto­ sto collegamenti sensati di parte di un quadro complesso, collegamenti che saranno rielaborati e rivisti nel corso dell'intero trattamento.

ANALISI DELLA RESISTENZA Nel naturale corso degli eventi, le relazioni oggettuali conflittuali di un pa­ ziente sono attivate nella sua vita quotidiana e nel rapporto con il terapeuta neutrale. Una volta attivate, si crea una tensione tra la tendenza a metterle in atto e la tendenza opposta a reprimerle ulteriormente o in altro modo difendersi dalla loro espressione diretta. L'analisi della resistenza si riferisce al processo di esplorazione e interpretazione delle operazioni difensive del paziente, attivate e messe in atto nel trattamento. Resistenza e analisi della difesa

Il termine resistenza è utilizzato per indicare le operazioni difensive del pa­ ziente come vengono espresse in terapia (Moore, Fine, 1 995 ) poiché, tipi­ camente, sono esternate sotto forma di un qualche tipo di resistenza alla comunicazione aperta o all' autoosservazione. In pratica, il paziente resiste alla consapevolezza di aspetti della propria esperienza di sé che sono con­ flittuali; la presenza di una resistenza riflette il rivolgersi del paziente alla rimozione, scissione, negazione o disconoscimento davanti al conflitto psi­ cologico. Ciò che queste operazioni difensive hanno in comune è un senso di "non voler vedere" . Il termine resistenza non deve essere interpretato come s e implicasse che il paziente resista consciamente o operi intenzionalmente contro il tratta­ mento. Le resistenze, come le operazioni difensive in generale, sono auto­ matiche e ampiamente inconsce e di solito sono invisibili al paziente, anche se piuttosto evidenti per il terapeuta. Le resistenze sono meccanismi auto­ protettivi del paziente e agiscono in modo da evitare affetti negativi di ansia, senso di colpa, paura, depressione, delusione, perdita e vergogna, che sono associati all'attivazione e alla messa in atto di relazioni oggettuali conflittuali. L'analisi della resistenza si riferisce all'identificazione, esplorazione e, in ultimo, interpretazione delle ansie e delle difese attivate nel trattamento e messe in atto nel transfert. Essa non prevede di attaccare, costringere ad accettare o scavare nei meccanismi di autoprotezione del paziente. Al con­ trario, l'analisi della resistenza comporta l'empatizzare con l'ansia del pa­ ziente, mentre si esplorano e si elaborano le relazioni oggettuali conflittuali insite nelle sue operazioni difensive. Spesso i pazienti esperiscono la resistenza come un qualcosa che inter­ ferisce o rende difficile comunicare liberamente e apertamente con il tera133

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

peuta. Il paziente potrebbe dire di sentirsi bloccato e di non sapere di che cosa voglia parlare, oppure potrebbe sembrare che eviti qualcosa, di pro­ posito oppure senza rendersi conto di farlo. Potrebbe cambiare argomen­ to o trascurare le implicazioni di qualcosa di cui sta parlando. I terapeuti possono identificare la presenza di una resistenza chiedendosi se qualcosa sembri interferire con la comunicazione aperta e libera del paziente duran­ te la seduta. Ci sono silenzi frequenti o il paziente ha difficoltà a decidere di che cosa parlare? Se il paziente parla, ci sono cose che sembrano venire omesse o evitate? Se la risposta a una di queste domande è " sì " , la priorità della seduta deve essere quella di esplorare l'esperienza conscia e inconscia della comunicazione del paziente con il terapeuta. Resistenza e interpretazione

In base alle regole generali dell'interpretazione, l'analisi della resistenza ini­ zia in superficie, con la chiarificazione dell'esperienza del paziente, seguita dal terapeuta che gli indica come qualcosa sembri mancare o essere negato nelle sue comunicazioni verbali (confronto), per poi passare all'esplorazione delle motivazioni e del significato dell'omissione. L'approccio del terapeuta prevede come prima cosa di evidenziare un'area di difficoltà o di elusione apparente. Per esempio, egli potrebbe dire: " Mi ha raccontato molte cose del rapporto con sua moglie, ma noto che non ha detto nulla riguardo alla vostra vita sessuale" oppure " Mi ha raccontato in dettaglio che splendida madre sia stata, ma praticamente non mi ha detto nulla riguardo ai suoi li­ miti" . Oppure il terapeuta potrebbe commentare lo stile di comunicazione del paziente, dicendo per esempio: " Noto che quando inizia a parlare del­ le sue ambizioni, sembra esitare prima di esporle" . Dopo aver identificato e affrontato un'area di resistenza, il terapeuta esplora insieme al paziente l'ansia alla base della sua difficoltà di comunicare. La presenza di una resistenza indica che il paziente sta respingendo l'an­ sia associata ai conflitti attivati nel trattamento. A mano a mano che le re­ sistenze vengono esplorate, l'ansia esperita dal paziente - o, per essere più precisi, l'ansia che il paziente sta automaticamente cercando di evitare di provare - viene tipicamente messa in atto nel transfert. Per esempio, il pa­ ziente che evita di parlare del proprio rapporto sessuale con la moglie può temere che, se si aprisse di più, il terapeuta non approverebbe la sua vita erotica o vorrebbe interferire o trarrebbe un piacere lascivo nell'ascoltare le pratiche sessuali degli altri. Nel caso della paziente che parla solo positi­ vamente della propria madre, potrebbe emergere come ritenga che il tera­ peuta disapprovi le donne che criticano le madri. Il paziente che esita pri­ ma di riconoscere le proprie ambizioni, forse teme che il terapeuta lo veda come una persona aggressiva o avida, se dovesse aprirsi riguardo alle pro­ prie aspirazioni. Ciascuna di queste ansie può essere descritta come una re134

LE TECNICHE DELLA DPHP

lazione oggettuale cui il paziente resiste in relazione al terapeuta. Pertanto, l'analisi della resistenza può portare rapidamente le ansie e le operazioni difensive del paziente nel transfert. Quando si analizza una resistenza, si inizia evidenziando che qualcosa sembra bloccare la comunicazione aperta o l' autoconsapevolezza, per poi suggerire che ciò deve essere motivato da un qualche tipo di ansia. In prati­ ca, si domanda al paziente: "Se dovesse parlare apertamente e liberamente dell'aspetto della sua esperienza interiore che sembra evitare, dimentica­ re o rimuovere, che cosa teme che accadrebbe? " . Qualche volta i pazienti sopprimono o nascondono volontariamente aspetti dei loro pensieri e sen­ timenti, mentre altre volte le resistenze sono inconsce ed emergono all'at­ tenzione del paziente soltanto attraverso l'attività del terapeuta. Indipendentemente dal fatto che le resistenze siano consce o inconsce, l'analisi della resistenza inizia evidenziando che un'operazione difensiva è stata attivata, per poi passare all'esplorazione della motivazione della dife­ sa. Ciò conduce infine alla scoperta ed esplorazione delle motivazioni con­ flittuali sottostanti da cui ci si difende, messe in atto come una relazione oggettuale nel transfert. In pratica, le resistenze sono relazioni d'oggetto, associate a un'ansia specifica, attivate nel setting terapeutico e messe in at­ to nel transfert. Caso clinico di analisi di resistenza Come esempio di analisi di resistenza, ritorniamo alla professionista trentaquattren­ ne di cui abbiamo parlato in precedenza in questo capitolo, bloccata in una rela­ zione frustrante con un uomo non disponibile. La paziente stava descrivendo una situazione al lavoro in cui era stata selezionata come responsabile di un progetto per un cliente importante. L'incarico proveniva direttamente da un socio anziano della società, un uomo molto influente e carismatico, di sessantacinque anni circa, che aveva un rapporto paterno, anche se leggermente civettuolo, con la paziente. La donna proseguì dicendosi sicura di essere stata scelta per il lavoro perché era estate e nessun altro voleva farsi carico di un grosso progetto, che avrebbe potuto interferire con le vacanze. Pensava che forse avrebbe dovuto annullare in anticipo i suoi progetti per le ferie, per evitare eventuali conflitti. La paziente confidò al te­ rapeuta di provare risentimento, di ritenere che il suo capo non si interessasse delle sue esigenze e di essere stata scelta per la sua difficoltà a dire "No " . L a reazione iniziale del terapeuta fu un senso di protezione nei confronti della paziente e il timore che si lasciasse sfruttare dal suo capo potente e molto ammirato. Tuttavia, ascoltando il seguito, egli fu colpito dalla negazione da parte della paziente del significato dell'incarico in relazione al suo ruolo in azienda e agli occhi del suo capo. Il terapeuta chiese una chiarificazione e, in effetti, risultò che la paziente era stata scelta per questo importante incarico tra un certo numero di colleghe, molte delle quali più anziane di lei, anche se lei non ci aveva davvero pensato. Indagan­ do ulteriormente apparve evidente che la nomina era una dichiarazione pubblica da parte del suo capo del fatto che considerava la paziente un membro importan­ te e valido dell'azienda, più una ricompensa che un segno di sfruttamento. Il tera­ peuta fu colpito dall'apparente negazione di tutto questo da parte della donna, nel

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO suo racconto iniziale della storia. Al tempo spesso, fece caso alla propria reazione iniziale di dispiacere e senso di protezione nei confronti della paziente, invece di ammirarne il successo. Il terapeuta capì che l 'omissione della paziente era una forma di resistenza e la commentò con lei suggerendo che sembrava che essere vista come una donna di successo le provocasse ansia. In risposta, la p aziente ammise di capire ciò che il clinico stava dicendo, ma affermò di non aver mai pensato davvero all'aspetto positivo dell'incarico. Chiese al terapeuta se riteneva fosse strano e aggiunse che si augurava non pensasse che lei stesse cercando di mettersi in mostra parlando­ gli della nomina. A quel punto, il terapeuta poté formulare l'interpretazione se­ condo cui sembrava che la p aziente provasse ansia nel riconoscere i propri suc­ cessi, perché creavano in lei la sensazione che il terapeuta la potesse considerare un'esibizionista.

In questa situazione, la resistenza della paziente è risultata visibile nella discrepanza tra il modo in cui ha presentato inizialmente la storia e il quadro più complesso emerso nel tempo. (Occorre notare che il materiale è emerso soltanto perché il terapeuta non si è accontentato di ciò che la paziente ha detto in apparenza e ha invece usato il buonsenso per rilevare aspetti del suo racconto che non avevano senso e necessitavano di una chiarificazione.). La resistenza della paziente si è manifestata anche nel controtransfert del terapeuta, che inizialmente vedeva la paziente come un soggetto vulnera­ bile e potenzialmente sfruttato, piuttosto che come una persona che aveva ricevuto un riconoscimento importante del proprio talento. Per questa paziente, le omissioni nel racconto della storia operavano come una resistenza a riconoscere appieno, sia a se stessa sia al terapeuta, un'immagine di sé competitiva e di successo. L'ansia alla base della resisten­ za consisteva nel fatto che, presentandosi come una persona interessata al successo e in grado di attenerlo, sarebbe stata considerata un'esibizionista. Dal punto di vista della resistenza al transfert, la paziente stava resistendo all'attivazione e alla messa in atto nel transfert del modello relazionale di una giovane vincente, che gode nel "mostrare la propria merce" a un uo­ mo più anziano, che l' ammira. Al contrario, la paziente ha messo in atto la relazione oggettuale difensiva di una bambina vulnerabile e facilmente sfruttata in relazione a un genitore comprensivo e protettivo. Tale relazio­ ne oggettuale proteggeva la paziente dall'ansia di essere disapprovata, che associava al proprio desiderio di mostrare i suoi successi. Nella DPHP, l'analisi della resistenza alla comunicazione libera e aperta progredisce sempre dalle omissioni difensive (per esempio, questa paziente ometteva il riconoscimento del proprio successo) alle relazioni oggettuali che rappresentano la motivazione della difesa (per esempio, la paziente te­ meva che il terapeuta l'avrebbe disapprovata in quanto esibizionista) e in­ fine alle relazioni d'oggetto impulsive sottostanti (per esempio, la paziente desiderava "mostrare la propria merce" al terapeuta in modo trionfale). 136

LE TECNICHE DELLA DPHP

ANALISI DEL CARATTERE A questo punto, vorremmo presentare un'altra forma di resistenza, frequen­ te nella DPHP, che indichiamo con il termine resistenza caratteriale. Nella DPHP, i tratti di personalità difensivi del paziente, o difese caratteriali, ven­ gono messi rapidamente in atto nel trattamento, dove funzionano come re­ sistenze caratteriali. Fino a ora, abbiamo discusso di resistenze in termini di blocchi o omissioni nel contenuto delle comunicazioni verbali del paziente al terapeuta. Le resistenze di questo tipo possono essere concettualizzate come un modo di " non vedere " , in cui i contenuti mentali conflittuali ven­ gono repressi, negati o sconfessati per evitare l'ansia. Al contrario, le resistenze caratteriali non implicano omissioni legate a repressione, scissione o negazione. Esse implicano invece messe in atto lega­ te all'attivazione delle difese caratteriali del paziente nel trattamento. Nella DPHP, i tratti del carattere del paziente assumono significato nel momento in cui vengono messi in atto nel transfert come una particolare relazione oggettuale difensiva. Pertanto, invece di omettere i contenuti mentali per evitare l'ansia, le resistenze caratteriali implicano la messa in atto di una re­ lazione oggettuale difensiva, per bloccare la possibilità che l'ansia emerga. Analisi del carattere e analisi della difesa

In psicoterapia, i tratti o difese caratteriali si manifestano come un atteg­ giamento caratteristico o una serie di comportamenti del paziente, che ven­ gono messi in atto nel trattamento e in relazione al terapeuta per tenere lontana l'ansia. Dal momento che le difese caratteriali sono egosintoniche, il paziente di solito non si rende conto di metterle in atto come resistenze nella terapia. Inoltre, dal momento che qualsiasi cosa il paziente faccia nel trattamento è anche ciò che fa normalmente nella propria vita quotidiana, persino quando il terapeuta evidenzia il suo atteggiamento o comportamen­ to, il paziente può non essere interessato a tali osservazioni e scacciarle con un atteggiamento del tipo " io sono fatto così " . Di solito, il terapeuta deve fare molti sforzi per attirare l'attenzione del paziente sul suo comportamen­ to o atteggiamento e per fare in modo che inizi a ritenere che c'è qualcosa che vale la pena prendere in considerazione riguardo al significato del suo comportamento. Caso clinico di resistenza caratteriale Ritorniamo al paziente presentato nella parte iniziale di questo capitolo, che aveva difficoltà a esprimere la propria rabbia nei confronti del socio. Egli parlava sem­ pre con toni velati nelle sedute psicoterapeutiche. Inizialmente, il terapeuta non ci aveva fatto molto caso e si era limitato a chiedergli di ripetere ciò che aveva detto o di parlare leggermente più forte. Tuttavia, con il persistere di questo compor­ tamento, il terapeuta iniziò a notare l'abitudine di parlare in tono così sommesso

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO

e chiese spiegazioni al paziente, il quale rispose che si trattava " semplicemente di un'abitudine" . Quando il terapeuta indagò ulteriormente al riguardo, il paziente spiegò che tutti i suoi amici avevano notato la sua tendenza a borbottare e che le persone gli chiedevano sempre di parlare più forte. In risposta alla curiosità ulteriore espressa dal terapeuta riguardo alle sue comunicazioni impercettibili, il paziente gli chiese di "non preoccuparsene" e gli assicurò che avrebbe parlato più forte. Solo col tempo, l'uomo si rese conto della natura automatica e involontaria del suo comportamento e del fatto che, anche se intendeva alzare il tono di voce, invariabilmente non lo fa­ ceva. A questo punto, per la prima volta, il suo comportamento iniziò a incuriosirlo.

La curiosità del paziente implica lo sviluppo da parte sua di un qualche tipo di comprensione del fatto che ciò che fa è " motivato" e significativo e non semplicemente un"'abitudine" . Tale consapevolezza colloca il terapeu­ ta nella posizione di offrire un tentativo di ipotesi riguardo all'ansia che il comportamento è destinato a respingere. Per esempio, il terapeuta del pa­ ziente che parla in modo impercettibile suggerisce che forse parla così piano per timore che, se parlasse forte, potrebbe sembrare " troppo aggressivo" . In pratica, nell'inconscio del paziente, parlare piano evita la possibilità di essere considerato aggressivo. Resistenze caratteriali e resistenze classiche

La situazione descritta nel paragrafo precedente illustra il rapporto tra re­ sistenze classiche e resistenze caratteriali, da un lato, e tra " analisi della re­ sistenza" e " analisi caratteriale" , dall'altro. Inizialmente abbiamo descritto una " resistenza classica " , in cui era presente un blocco nelle comunicazio­ ni verbali del paziente, che rifletteva l'attivazione della repressione o del disconoscimento in relazione all'espressione di ostilità. Affrontare questa resistenza ha implicato l'evidenziazione e l'esplorazione di un'omissione, che ha condotto all'identificazione ed esplorazione della difesa che moti­ vava l'ansia, messa in atto come relazione oggettuale di un terapeuta che si allontanerebbe da un paziente arrabbiato o critico. Al contrario, la resistenza caratteriale non si è manifestata come un bloc­ co o un'assenza, quanto piuttosto come un comportamento o atteggiamen­ to che teneva lontana l'ansia. Fintanto che il paziente parlava sotto voce, si sentiva incapace di comunicare rabbia. Per affrontare questa resistenza il terapeuta ha dovuto sottolineare ripetutamente al paziente che ciò che stava facendo suscitava la sua curiosità. Soltanto dopo che la messa in atto della resistenza caratteriale è diventata in qualche modo egodistonica c'è stato spazio per prendere in esame ciò che motivava il comportamento, e solo a quel punto è diventato possibile identificare l'ansia motivante il comporta­ mento del paziente: se avesse parlato ad alta voce, si sarebbe reso conto del proprio timore di apparire aggressivo agli occhi del terapeuta. La differen138

LE TECNICHE DELLA DPHP

za tra le due forme di resistenza è che, mentre l'omissione semplicemente "cancellava" la consapevolezza dell'ansia del paziente riguardo al sentirsi arrabbiato o critico, la resistenza caratteriale operava in modo da rassicu­ rarlo che non occorreva alcuna ansia, negando, nella propria mente, la pos­ sibilità di essere considerato aggressivo. L'approccio generale al lavoro sulle resistenze caratteriali prevede, come prima cosa, di portarle all'attenzione del paziente, evidenziando la natura ir­ realistica o inattesa del suo atteggiamento o comportamento. Questo proces­ so, che può richiedere tempo e ripetuti confronti da parte del terapeuta, rende le difese caratteriali più visibili e meno egosintoniche per il paziente. Una vol­ ta che egli ha acquisito la consapevolezza ed è incuriosito dal proprio atteg­ giamento, il passo successivo consiste nell'esplorare le ansie che motivano la resistenza caratteriale. A quel punto, l'approccio alla resistenza caratteriale e la resistenza alla libera associazione convergono, nel momento in cui si presta attenzione alle ansie che motivano il comportamento difensivo del paziente.

INTERPRETAZIONE E CONTENIMENTO Nella nostra discussione sul controtransfert, abbiamo esaminato il processo di contenimento dal punto di vista della capacità del terapeuta di contenere gli affetti e le relazioni d'oggetto, attivate in lui dalle comunicazioni verbali e non verbali del paziente. In questo caso, il contenimento del controtransfert fornisce al terapeuta informazioni riguardo alle relazioni oggettuali messe in atto nel trattamento, impedendo al tempo stesso l' agito del controtran­ sfert. Da questa posizione di vantaggio, il contenimento è un processo che avviene nella mente del terapeuta e che funziona come passo preliminare verso l'interpretazione. Tuttavia, esiste un'altra prospettiva sul contenimento, che in questo caso è considerato come un'interazione interpersonale che avviene tra pazien­ te e terapeuta e che, di per se stessa, ha un potenziale terapeutico (Bion, 1959, 1 962a, 1 962b; Britton, 1998; Ogden, 1 982; Steiner, 1 994 ) . Prima di completare la discussione sulle tecniche della DPHP, vorremmo commentare questo secondo punto di vista sul ruolo del contenimento in psicoterapia. Contenimento, triangolazione e integrazione

Come abbiamo detto, il contenimento inizia quando il paziente induce affetti e attiva relazioni oggettuali nel terapeuta, che in qualche modo ti­ specchiano o completano le sue. Il terapeuta contiene le sue reazioni nei confronti del paziente riflettendo su di esse e, nel farlo, evita di rispondere rispecchiando in modo riflessivo lo stato affettivo del paziente o completan­ dolo - per esempio rispondendo alla sua ostilità con l'ostilità da un lato, o 139

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

con la paura dall'altro. Il contenimento comporta quindi due processi. Per prima cosa, il terapeuta deve essere in grado di "leggere" accuratamente lo stato affettivo del paziente, processo che riflette l'apertura del terapeuta al paziente, espressa nella sua capacità di essere emotivamente recettivo e consentire alle relazioni oggettuali messe in atto nel trattamento di toccarlo interiormente. In secondo luogo, il terapeuta deve anche in qualche modo osservare ciò che viene messo in atto nel transfert-controtransfert, creando sottilmente in esso una distanza tra sé e la situazione immediata. La capacità del terapeuta di svolgere entrambi i compiti - percepire ac­ curatamente ed esperire emotivamente le relazioni oggettuali interiorizzate messe in atto nel trattamento, da un lato, e riflettere sulla propria esperienza interna, dall'altro - garantisce che, sebbene l'esperienza emotiva del tera­ peuta corrisponda a quella del paziente, al tempo stesso non sarà esattamen­ te identica. A seguito del processo di contenimento, il terapeuta risponde alle proiezioni del paziente, ma non lo fa semplicemente "in natura" : egli aggiunge una nuova prospettiva (Kernberg, 2004b). Noi consideriamo questo processo in due parti una forma di " triango­ lazione" nella mente del terapeuta, in cui da un lato, egli si identifica con le rappresentazioni del sé o oggettuali del paziente, e dall'altro, utilizza la propria capacità interna di autoosservazione per riflettere sulla propria esperienza. Questa capacità del terapeuta - di leggere accuratamente ed empatizzare con il paziente, differenziandosi al tempo stesso da lui - viene comunicata implicitamente al paziente. Fonagy e Target (2003 ) hanno de­ scritto questo aspetto del contenimento come "sottolineatura" da parte del terapeuta dello stato affettivo del paziente, tramite la comunicazione che egli si rende conto della situazione emotiva del paziente e ne è colpito, ma non condivide pienamente la sua esperienza e non ne è sopraffatto. Questi autori hanno collegato tale processo allo sviluppo della capacità di riflet­ tere sull'esperienza affettiva, presente nell'evoluzione del bambino e nella storia clinica del paziente adulto. Abbiamo descritto la capacità di contenere del terapeuta come capacità di comunicare al paziente un riconoscimento accurato del suo stato emoti­ vo e anche una comprensione implicita di tale esperienza. La capacità del terapeuta di svolgere, in questo modo, una funzione contenitiva per il pa­ ziente è di particolare importanza in situazioni in cui lo stato affettivo del soggetto è particolarmente intenso e le relazioni oggettuali associate sono particolarmente minacciose. Per esempio, se il paziente è molto arrabbiato o spaventato o se si sente sessualmente stimolato durante la seduta, la capacità del terapeuta di contenere e metabolizzare tale esperienza affettiva diventa estremamente importante. Nella sua funzione contenitiva, il terapeuta crea nella propria mente una versione più fortemente integrata dell'esperito del paziente, aiutandolo a tollerare meglio e a modulare stati affettivi che po­ trebbero sopraffarlo (Bion, 195 9 , 1 962a, 1 962b) . 140

LE TECNICHE DELLA DPHP "Interpretazione centrata sul terapeuta" e contenimento

Quando l'attivazione dell'affetto è forte, il pensiero può diventare più con­ creto e può risultare difficile per un paziente cogliere il significato delle pa­ role del terapeuta. Per esempio, se un paziente è arrabbiato e il terapeuta formula un'interpretazione precisa della sua ostilità o dei suoi timori al ri­ guardo, egli può sentirsi attaccato dal clinico. In modo analogo, se quest'ul­ timo interpreta le ansie del paziente relative al suo esperire sensazioni ero­ tiche, il paziente può avere l'impressione che il terapeuta sia apertamente seducente, indipendentemente dal contenuto effettivo di ciò che sta dicen­ do. In pratica, in situazioni di questo tipo, le relazioni oggettuali attivate nel trattamento sono esperite come se fossero effettivamente messe in scena in modo interpersonale con il terapeuta. Sebbene siano decisamente più comuni nel trattamento di pazienti con disturbi di personalità gravi, situazioni di questo genere si possono riscon­ trare anche in pazienti con patologia della personalità di alto livello. Nella DPHP, la capacità del terapeuta di contenere le relazioni oggettuali messe in atto nel transfert può aiutare il paziente a trasformare un' esperienza affetti­ va intensa e minacciosa, su cui ha una scarsa capacità di riflessione, in un'e­ sperienza affettiva meglio modulata, che lascia più spazio all' autoriflessione. Nei momenti in cui vengono attivate nel trattamento relazioni ogget­ tuali fortemente investite dal punto di vista affettivo, spesso è preferibi­ le che il terapeuta inizi traducendo semplicemente in parole l'esperienza del paziente. Per esempio, potrebbe dire: "È arrabbiato con suo fratello" . In modo analogo, quando vengono messe in atto nei confronti del tera­ peuta relazioni oggettuali fortemente caricate, spesso è meglio formulare un"'interpretazione centrata sul terapeuta " ( Steiner, 1 994 ) , in cui il clini­ co si limita a commentare il modo in cui il paziente lo esperisce. Il tera­ peuta potrebbe dire, per esempio: " Lei ha l'impressione che io la stia at­ taccando" oppure: "Quando commento le sensazioni erotiche durante la seduta, la confondo e lei ha la sensazione che stia cercando di sedurla" . Le interpretazioni centrate sul terapeuta svolgono una funzione contenitiva, aiutano il paziente a tollerare esperienze affettive estremamente doloro­ se, registrando accuratamente ciò che prova il paziente e traducendolo in parole. Le parole del terapeuta presentano al paziente una versione me­ glio integrata di esperienze interne fortemente caricate dal punto di vista affettivo e relativamente poco integrate, che egli non è stato in grado di tollerare. Allo stesso tempo, è implicita nell'interpretazione centrata sul terapeuta la dimostrazione che quest'ultimo può tollerare ciò che il pa­ ziente non riesce a sopportare di esperire e che, contrariamente a lui, il terapeuta non viene spazzato via nel transfert-controtransfert ed è in gra­ do di riflettere su quanto sta accadendo tra loro. In altri momenti di elevata intensità affettiva, il terapeuta può scegliere 141

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

di non offrire un'interpretazione. In questo caso, la sua funzione conteni­ tiva viene comunicata al paziente in modo non verbale attraverso il tono di voce e l'espressione del viso. In tale situazione, la capacità del terapeuta di lasciarsi toccare dallo stato emotivo del paziente, senza rinviare in modo riflessivo affetti di intensità analoga e senza agiti nel controtransfert, può aiutare il paziente a tollerare meglio i propri affetti. Il contenimento come processo terapeutico

Nella DPHP, le interpretazioni e le forme non interpretative di contenimento comunicano implicitamente che il terapeuta è in grado di tollerare ciò che il paziente esperisce e proietta, senza essere eccessivamente minacciato o lasciarsi sopraffare o perdersi nell'esperienza. In effetti, tale atteggiamento è una replica di ciò che il terapeuta spera di aiutare il paziente a compiere, vale a dire riuscire a tollerare la consapevolezza delle relazioni oggettuali minacciose e fortemente caricate dal punto di vista affettivo, mantenendo al tempo stesso la capacità di rifletterei sopra. Tale capacità consente al pa­ ziente di esplorare il proprio esperito interno quando relazioni oggettuali fortemente conflittuali vengono attivate e messe in atto nel trattamento. In ultima analisi, la capacità di contenere - tollerare la consapevolezza delle relazioni oggettuali conflittuali e gli stati affettivi fortemente caricati e poi riflettere su di essi, senza necessariamente intervenire automaticamente o cercare di farli scomparire - corrisponde allo scopo generale della DPHP, vale a dire integrare le esperienze conflittuali di sé e dell'altro nel senso di sé dominante. La prospettiva sul contenimento che abbiamo presentato suggerisce che, ogni volta che formula un'interpretazione significativa a un paziente affet­ tivamente coinvolto, il terapeuta funge da " contenitore" oltre che da "in­ terprete" dell'esperienza mentale del soggetto. Da questo punto di vista, le interpretazioni spiegano e contengono, e la spiegazione opera come una for­ ma di contenimento. Gli aspetti esplicativi dell'interpretazione, comunicati nel significato delle parole del terapeuta, svolgono la funzione di contenere gli stati affettivi intensi e le relazioni oggettuali minacciose traducendo in parole i sentimenti e fornendo un punto di vista aggiuntivo sull'esperienza mentale del paziente. Noi riteniamo che nella DPHP, le funzioni esplicative e contenenti dell'in­ terpretazione operino insieme per promuovere il tipo di integrazione delle relazioni oggettuali conflittuali che è lo scopo del trattamento. Nella no­ stra teoria della tecnica, ci concentriamo esplicitamente sull'esplorazione e sull'interpretazione delle relazioni oggettuali conflittuali caricate dal pun­ to di vista affettivo, per promuovere l'integrazione. Tuttavia, la funzione di contenimento della relazione psicoterapeutica è implicita nella tecnica della DPHP. Insieme all'interpretazione, l'atteggiamento neutrale del terapeuta e 142

LE TECNICHE DELLA DPHP

il suo ascolto, interesse, vincolo e "sottolineatura" svolgono una funzione contenitiva e aiutano il paziente a tollerare la consapevolezza e a integrare meglio le relazioni oggettuali conflittuali fortemente minacciose e caricate dal punto di vista affettivo. Alla fine, ci auguriamo di rafforzare la capaci­ tà del paziente di contenere le proprie relazioni oggettuali conflittuali - in sostanza, adempiendo alla funzione svolta in precedenza dal " terapeuta contenente " .

LETTURE CONSIGLIATE KERNBERG, O.F., " Convergences and divergences in contemporary psychoanalytic techni­ que " . In Contemporary Controversies in Psychoanalytic Theory, Techniques, an d Their Applications. Yale University Press, New Haven, cr, 2004, pp. 267-284. LAFARGE, L., "lnterpretation and containment " . In InternationalJournal o/Psychoanalysis, 8 1 , 2000, pp. 67-84.

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8 L e tattiche della DPHP

Fino a qui, abbiamo descritto la strategia generale utilizzata dal terapeuta nella psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP) per promuovere l'integrazione delle relazioni oggettuali conflittuali, allo scopo di ridurre la rigidità della personalità in aree specifiche di fun­ zionamento, e abbiamo illustrato il setting terapeutico all'interno del quale tali strategie vengono attuate. Abbiamo inoltre descritto le tecniche speci­ fiche utilizzate dal terapeuta, attimo dopo attimo, per raggiungere tale sco­ po. Adesso ci occupiamo delle tattiche della DPHP. Concettualmente, le tattiche creano il legame tra le strategie del tratta­ mento nel suo insieme e gli interventi effettuati, via via, dal terapeuta. In pratica, esse guidano il clinico in ogni seduta, quando decide come mette­ re in pratica le tecniche des èritte al capitolo precedente, per raggiungere gli obiettivi centrali della terapia. Le tattiche guidano le decisioni relative a dove, quando e come intervenire (Tabella 8 . 1 ) .

TATTICA 1 : DOVE INTERVENIRE IDENTIFICAZIONE DI UN TEMA PRIORITARIO Nella DPHP, ogni seduta contiene uno o due argomenti che, se ci si limitasse ad assistere e rimanere ad ascoltare, emergerebbero come temi organizza­ tori, cui noi ci riferiamo con il termine tema prioritario o questione centrale della seduta. Alcune comunicazioni del paziente presentano la questione centrale, mentre altro materiale crea una difesa contro di essa, ma una vol­ ta che il terapeuta ha stabilito il tema prioritario della seduta, il materiale si colloca concettualmente al proprio posto. La questione centrale o tema prioritario è simile al concetto di Bion ( 1 967b) di/atto scelto. Nella DPHP, alcune questioni sono introdotte dalle cose che dice il pazien­ te, mentre altre sono veicolate dalla comunicazione non verbale. Esistono elementi che il paziente è conscio di portare in seduta, e altri dal cui ricono­ scimento si difende. La prima tattica del terapeuta DPHP prevede la scelta di un tema prioritario e l'identificazione delle relazioni oggettuali dominanti insite in esso. Il tema prioritario corrisponde ai conflitti e alle relazioni og145

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

gettuali conflittuali dominanti correntemente messi in atto o da cui ci si di­ fende durante la seduta. Pertanto, quando si sceglie un tema prioritario si cercano indicazioni dell'attivazione del conflitto inconscio. Per scegliere un tema prioritario per la seduta e il momento opportuno, il terapeuta si chiede prima se il paziente stia comunicando in modo aperto e libero. In caso affermativo, si domanda quale materiale sia affettivamente dominante nelle sue comunicazioni verbali e non verbali. Se il tema priori­ tario rimane poco chiaro, il terapeuta può chiedersi quali siano le relazioni oggettuali predominanti messe in atto nel transfert, e subito dopo che cosa sia stimolato nel controtransfert. Resistenza alla comunicazione libera e aperta

Quando cerca di stabilire un tema prioritario, il terapeuta deve sempre iniziare col chiedersi se qualcosa sembri interferire con la comunicazione aperta e libera del paziente con lui. Il paziente sembra trattenere delle infor­ mazioni? Ha difficoltà a parlare liberamente? Se la risposta a una di queste domande è affermativa, può desurpere che i conflitti associati alla difficol­ tà del paziente di comunicare liberamente siano la questione centrale del­ la seduta in quel momento. Ciò equivale a dire che quando il paziente non comunica apertamente, il suo comportamento è tipicamente motivato dal timore di riflettere l'attivazione di relazioni oggettuali conflittuali. In tale contesto, esplorare la difficoltà del paziente ad aprirsi con il terapeuta di­ venta il tema prioritario della seduta. Dominanza affettiva

Se il paziente parla liberamente, per identificare un tema prioritario il te­ rapeuta rivolge la propria attenzione alle sue comunicazioni verbali e non verbali. Nello stabilire il materiale da trattare, il terapeuta è guidato dal prin­ cipio della dominanza affettiva, indicato anche come principio economico di interpretazione (Feniche!, 1 94 1 ) . Il principio della dominanza affettiva in· duce il terapeuta a intervenire in relazione al materiale in cui il paziente ha investito maggiore affetto. La motivazione di tale approccio è che l'attiva· zione di contenuti mentali conflittuali stimola gli affetti oltre che le difese Tabella 8.1

Tattiche della psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP)

Tattica l Tattica 2 Tattica 3 Tattica 4 146

Identificazione di un "tema prioritario": dove intervenire Definizione del conflitto Analisi sistematica del conflitto dominante, dalla difesa alla motivazione conflittuale Analisi del rapporto tra il conflitto dominante e gli obiettivi terapeutici

LE TATTICHE DELLA DPHP

contro di essi. Pertanto, cerchiamo l'investimento affettivo come segnale dell'attivazione di relazioni oggettuali conflittuali. È importante capire che la dominanza affettiva riflette l'investimento affettivo o emotivo nel materiale in questione e che ciò non sempre è ac­ compagnato da un'aperta manifestazione delle emozioni. In effetti, talvol­ ta la dominanza affettiva si riflette nell'incapacità del paziente di esprimere emozioni prevedibili, a indicare che l'attivazione delle relazioni oggettuali conflittuali stimola operazioni difensive e che l'affetto viene soppresso, re­ presso o dissociato. Per esempio, un paziente può descrivere un'esperienza oggettivamente spaventosa in modo calmo e distaccato. Altre volte, la do­ minanza affettiva si riflette nel contenuto delle comunicazioni del paziente, per esempio, nella descrizione ripetitiva di particolari relazioni oggettuali o nelle sue comunicazioni non verbali. Quando l'affetto significativo accompagna la discussione apparente­ mente ponderata di un particolare argomento, suggerisce che il materia­ le sia considerato affettivamente dominante nella seduta. Per esempio, se un paziente ricorda la preparazione dei bagagli della figlia per portarla al college e nel condividere questi ricordi con il terapeuta inizia a piangere, possiamo inferire che, quali che siano i conflitti espressi nel ricordo triste della figlia che lascia la casa, sono probabilmente affettivamente dominan­ ti in quel momento. Per contro, la sorprendente assenza dalla discussione di un paziente di un particolare argomento, indica anch'essa tipicamente dominanza affettiva. In questo caso, l'assenza di emozioni è indice del fatto che l'attivazione di rela­ zioni oggettuali conflittuali stimola le operazioni difensive. Per esempio, se un paziente sta parlando in modo apparentemente libero e aperto dei problemi coniugali che lo hanno portato in terapia, ma lo fa in un modo che sembra distaccato ed emotivamente piatto, possiamo dedurne che i conflitti attiva­ ti nella discussione dei suoi problemi coniugali sono fortemente investiti di affetto. In modo analogo, quando l'affetto del paziente è in disaccordo con il materiale di cui sta discutendo, si può pensare alla dominanza affettiva. In questo caso, il terapeuta dovrebbe chiedere al paziente di chiarire l'apparente incongruenza. Per esempio, potrebbe dire: "Sta parlando di questioni doloro­ se nel suo matrimonio, di problemi che l'hanno condotta qui, ma non sembra esserne preoccupato. In realtà sembra quasi allegro. Che cosa ne pensa? ". Talvolta, la dominanza affettiva è segnalata meno dalla presenza o assen­ za di espressioni di affetto e più dal contenuto delle comunicazioni del pa­ ziente. In questo caso, possiamo assistere alla descrizione ripetitiva di uno o due temi o costellazioni di relazioni oggettuali, in diverse forme e conte­ sti, nel corso della seduta. Altre volte, una delle relazioni oggettuali viene messa in atto anche nel transfert. Quando esamina il contenuto delle comunicazioni del paziente per ri­ levare la dominanza affettiva, il terapeuta deve ricordarsi che nella DPHP 147

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

l'attivazione del conflitto inconscio non è sempre espressa esclusivamente, o anche solo prevalentemente, attraverso la comunicazione verbale. Non è raro che le relazioni oggettuali attivate in modo difensivo siano comuni­ cate attraverso una gestualità comportamentale sottile o espresse e messe in atto nella qualità dell'interazione tra paziente e terapeuta. Per esempio, potrebbe essere più importante per il terapeuta concentrarsi sul fatto che il paziente evita il contatto visivo o sembra eccessivamente accattivante, piut­ tosto che sul contenuto di ciò che sta dicendo. In effetti, quando il com­ portamento del paziente è incongruente con le sue parole e la dominanza affettiva non è chiara, il comportamento è probabilmente più importante del contenuto e deve essere esplorato per primo. Approcci aggiuntivi alla scelta di un tema prioritario

Qualche volta è difficile stabilire la dominanza affettiva. In questi casi, consi­ gliamo al terapeuta di riverificare attentamente se il paziente stia comunican­ do in modo aperto e libero o si stia trattenendo e si trovi in difficoltà. Nel caso in cui non si notino blocchi evidenti alla comunicazione aperta, consigliamo al clinico di prendere in esame ciò che sta forse accadendo nel trans/ert, che si riflette nelle osservazioni e nel comportamento del paziente. Se le cose ri­ mangono poco chiare, può essere utile prendere attentamente in considera­ zione il controtrans/ert, poiché potrebbe fornire una guida alla difesa, all'ansia e all'affetto nascosto. Nel caso continui a non emergere un tema significativo, il terapeuta deve continuare ad ascoltare e valutare il flusso costante di mate­ riale, aspettando che si presenti un tema affettivamente dominante. Non è raro che il terapeuta abbia difficoltà a definire i temi affettivamente dominanti in particolari momenti del trattamento. Tuttavia, nel caso avve­ nisse ripetutamente o per un lungo periodo di tempo, ciò potrebbe riflettere la soppressione conscia di materiale da parte del paziente. In tal caso, tale soppressione diventa il tema prioritario della seduta. In una situazione di questo tipo, il terapeuta deve esplorare le operazioni difensive del pazien­ te, definendo i conflitti e le ansie alla base della sua difficoltà a comunicare apertamente durante le sedute. Nei periodi in cui non è possibile identificare un tema prioritario e il terapeuta ha difficoltà a organizzare il materiale in modo che abbia un si­ gnificato, si può avere la tentazione di scegliere arbitrariamente un tema. Consigliamo caldamente di non farlo. È probabile che una direzione della seduta di questo tipo conduca soltanto all'esplorazione intellettualizzata del materiale. Se il terapeuta ha pazienza e non interviene né dirige la se­ duta, limitando gli interventi all'analisi della resistenza, il tema dominante alla fine verrà focalizzato. Per riassumere, per quanto concerne la scelta di un tema prioritario, l'a­ nalisi combinata delle comunicazioni del paziente riguardo ai suoi pensieri 148

LE TATTICHE DELLA DI'HP

e sentimenti, le osservazioni del terapeuta di ciò che il paziente dice e fa e l'esame del controtransfert devono condurre alla definizione della questio­ ne più importante in quel momento.

TATTICA 2: DEFINIRE IL CONFLITTO Dopo aver individuato il tema prioritario, il terapeuta vuole definire il con­ flitto che esso rappresenta e lo fa identificando le relazioni oggettuali che rappresentano la questione prioritaria, per poi esaminare le loro funzioni difensive ed espressive. Quando riceve le comunicazioni verbali e non ver­ bali del paziente, il terapeuta costruisce nella propria mente le descrizioni delle relazioni oggettuali interiorizzate che rappresentano tali comunica­ zioni riguardo al tema prioritario. Il terapeuta DPHP esperto lo fa automa­ ticamente, ascoltando le comunicazioni del paziente in termini di modelli relazionali, mentre il terapeuta meno esperto può fare uno sforzo conscio per trasformarle in relazioni oggettuali strutturate. Identificare la difesa

Dopo aver definito la serie di relazioni oggettuali associate al tema priori­ tario, il terapeuta vuole ora esaminare in che modo combacino con il con­ flitto e la difesa. Mentre esamina tali relazioni d'oggetto, la prima doman­ da che il terapeuta si pone è: " Dove è la difesa? " . Come abbiamo detto, i modelli relazionali che svolgono funzioni di difesa sono consci, vicini alla superficie dell'esperienza psicologica del paziente e relativamente accetta­ bili per quest'ultimo. Il terapeuta può utilizzarli per identificare i modelli relazionali attivati difensivamente nella seduta chiedendosi: "Quali sono le immagini dominanti di sé e degli altri che il paziente sta descrivendo? " e: " In che modo il paziente si esperisce consciamente durante la seduta? " . Identificare l'ansia che motiva l a difesa e la motivazione conflittuale sottostante

Dopo aver definito una serie di relazioni oggettuali associate al tema priori­ tario della seduta e aver individuato tra di esse le relazioni oggettuali domi­ nanti, il terapeuta formula ipotesi riguardo al conflitto da cui ci si difende. La definizione di un conflitto comporta l'identificazione della difesa, dell'ansia motivante la difesa - vale a dire i pericoli psicologici associati all'espressione di motivazioni conflittuali o la loro emersione alla coscienza - e della motiva­ zione conflittuale sottostante, espressa come rapporto fortemente motivato, desiderato, temuto o necessario. Tutto questo è incorporato nelle relazioni oggettuali associate al conflitto. 149

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Spostandosi dalla superficie in profondità, dopo aver identificato le re­ lazioni oggettuali difensive, il terapeuta esamina l'ansia motivante la difesa. L'ansia motivante la di/esa si riferisce agli affetti e alle preoccupazioni che il paziente spera di evitare mettendo in atto modelli relazionali difensivi. Tali ansie sono di solito relativamente accessibili alla coscienza e nel caso non lo siano al momento, lo saranno state in passato e appariranno familiari al paziente quando verranno individuate. Per identificare l'ansia motivante la difesa, il terapeuta può chiedersi: " Quali sentimenti e timori sta evitando il paziente esperendo se stesso o un oggetto come se li avesse costruiti nella relazione oggettuale difensiva? " , " Che cosa proverebbe se vedesse se stesso : o l'oggetto in modo diverso in questa situazione? " e " Che cosa proverebbe se i ruoli fossero invertiti? " . Dopo aver identificato l'ansia motivante la difesa, il terapeuta può pas­ sare a esaminare la motivazione conflittuale o il modello relazionale alla base del conflitto dominante. La motivazione conflittuale ha tipicamen­ te l'aspetto di un qualsiasi conflitto, che è meno accessibile al paziente. In questo caso il terapeuta si chiede: " Di che cosa il paziente ha più paura, in se stesso, in questo momento? " e " Che cosa sta cercando di seppellire con le sue operazioni difensive? " . A ogni domanda che il terapeuta si pone nel processo di definizione di un conflitto, si può dare una risposta descriven­ do una relazione oggettuale. Nel suo tentativo di definire il conflitto, il te­ rapeuta ricorre alla propria comprensione dinamica e strutturale della vita interiore del paziente, oltre che al suo controtransfert. Perché ora?

Quando definisce il conflitto correntemente messo in atto o da cui ci si di­ fende nel trattamento, il terapeuta deve sempre chiedersi: " Perché questo conflitto viene attivato adesso? " e nel rispondere a questa domanda deve tenere a mente gli eventi recenti nella vita e nel trattamento del paziente. Gli eventi della vita attivano conflitti e difese che vengono messi in atto nel trattamento. Allo stesso tempo, i conflitti e le difese attivati dal trattamento possono far precipitare gli eventi nella vita quotidiana del soggetto. Ne con­ segue che, tenere a mente le realtà della vita quotidiana del paziente forni­ sce un contesto al terapeuta, mentre cerca di mettere insieme i dati raccolti con le valutazioni affettiva, dinamica e strutturale. In modo analogo, tenere presente il materiale discusso nel corso di una o due sedute precedenti contribuisce a guidare il terapeuta che si avvici­ na al materiale presentato dal paziente in una determinata seduta. Nella DPHP, si assiste a un processo di seduta in seduta, che tende a diventare più autonomo e meno guidato dagli eventi quotidiani, con il progredire del trattamento. In tale processo, la terapia assume in un certo senso una vita propria e spesso il terapeuta può capire meglio i conflitti e le difese messi 150

LE TATTICHE DELLA DPHP

in atto in una determinata seduta, come reazioni o proseguimento del ma­ teriale esaminato negli incontri precedenti. Come gli avvenimenti della vi­ ta stimolano conflitto o difesa, la stessa cosa avviene per gli eventi recenti del trattamento. È utile per il terapeuta ricordare che i cambiamenti nella cornice - per esempio, interruzioni per le vacanze o anche un solo appun­ tamento mancato o un cambiamento nell'orario di incontro - possono sti­ molare a volte reazioni forti. Caso clinico di scelta di un tema prioritario e identificazione del conflitto Ritorniamo alla paziente di cui abbiamo parlato nella parte dedicata al controtran­ sfert, al capitolo 6 ( "Le tecniche della DPHP, Parte r: ascoltare il paziente" ) . Si trat­ tava di una donna di quarantacinque anni, di successo e single, in terapia da sei mesi, durante i quali aveva mantenuto un rapporto positivo e, in una qualche mi­ sura, idealizzato con la terapeuta. Essa tendeva a sentirsi giù, se saltava una seduta. La terapeuta glielo fece notare, ma a lei non piaceva l'idea che il programma delle sedute avesse qualcosa a che fare con i suoi sbalzi di umore. In effetti, raramente pensava alla propria terapeuta o al trattamento, tra una seduta e l'altra. Nella seduta descritta, la paziente aveva parlato animatamente dei dettagli di un meraviglioso fine settimana con il suo nuovo compagno, con toni eccitati, ridendo e divertendosi apparentemente molto nel condividere tutto questo con la terapeuta, come se parlasse con un vecchio amico o compagno, che aveva vissuto fine setti­ mana altrettanto eccitanti. Inizialmente, la terapeuta era stata travolta dalla frene­ sia della donna, sentendosi a sua volta eccitata e desiderosa di ridere insieme a lei. Tuttavia, mentre continuava ad ascoltare, iniziò a sentirsi sminuita e demoralizzata e si ritrovò a pensare a come la paziente avesse cose che lei non avrebbe mai avuto e che la sua vita sembrava scialba e noiosa al confronto. La terapeuta sentiva che la questione prioritaria della seduta era il contrasto tra la reciproca idealizzazione ed eccitazione della parte iniziale della seduta e il sentimento crescente di demoralizzazione, che le aveva poi sostituite nel contro­ transfert. Ciò la colpì e le parve analogo al contrasto tra il modo in cui si sentiva la paziente durante la seduta e come si sentiva lei quando saltava un incontro. La terapeuta proseguì, nella propria mente, descrivendo le relazioni oggettuali che aveva identificato nelle comunicazioni della paziente. Come prima cosa, c'e­ ra la coppia esaltata messa in atto nella seduta, poi c'era la paziente dipendente che aveva bisogno della sua terapeuta che l 'accudiva per sostenerne l'umore e la paziente che non voleva ammettere di sentirsi dipendente e non pensava alla te­ rapeuta tra una seduta e l'altra; infine, c'era la relazione oggettuale esperita nel controtransfert - quella di una persona che " aveva tutto " , mentre un'altra si sen­ tiva inferiore ed esclusa. In quest'ultimo modello relazionale, l 'ostilità era negata da entrambe le parti. In seguito, la terapeuta si chiese " Dov'è la difesa? " e identificò la relazione og­ gettuale della coppia esaltata e l'atmosfera di eccitazione contagiosa che aveva carat­ terizzato gran parte della seduta, come riflesso dell'attivazione delle difese "osses­ sive" della paziente. La terapeuta rifletté sul rapporto messo in atto di due addette ai lavori di successo e trionfanti, rapite dall'eccitazione di condividere successi di cui entrambe godevano. La terapeuta notò che, in questa relazione oggettuale, il sé e l'oggetto erano più simili che diversi, come due amiche che condividono le loro imprese. Non esisteva il senso di un rapporto medico-paziente o di una relazione

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO dipendente di qualche tipo. La paziente esperiva consciamente questa relazione oggettuale, messa in atto con la terapeuta. L'esame delle difese ossessi ve della donna condusse la terapeuta all'ansia mo­ tivante le operazioni difensive della paziente. Era chiaro che quest'ultima faceva tutto il possibile per evitare di ammettere sentimenti di dipendenza. La terapeuta si chiese: " Cosa proverebbe la paziente se dovesse ammettere di sentirsi dipen­ dente da me? " e poi fece un collegamento con la sua esperienza controtransfe­ rale, in cui si era sentita esclusa e inferiore. Essa ipotizzò che l'atteggiamento di­ fensivo della paziente fosse motivato dall'ansia e da sentimenti dolorosi associati alla sua posizione di dipendenza, che esperiva in termini di bisogno di qualcuno che aveva tutto e che in cambio non aveva bisogno di lei, che rischiava di sentir­ si inferiore e indesiderata. Tali ansie erano abbastanza vicine alla superficie e la terapeuta riteneva che, non appena la paziente si fosse calmata e fosse stata me­ no protetta dalle proprie difese, questa relazione oggettuale dolorosa sarebbe divenuta accessibile. La terapeuta esaminò poi la motivazione sottostante e le ragioni per cui era con­ flittuale. La paziente sembrava evitare di esperirsi in un rapporto in cui era vulne­ rabile e dipendente da una figura da cui desiderava amore e cura, a rischio di dolo­ re e umiliazione. Sulla base della precedente conoscenza della paziente e della sua storia, la terapeuta giunse alla conclusione che le rappresentazioni nascoste più in profondità erano quelle dei rapporti dipendenti, tinti di invidia e sadismo. A questo punto si chiese: "Perché ora ? " e pensò all'attaccamento crescente del­ la paziente per il suo nuovo compagno, oltre che all'avvicinarsi delle vacanze esti­ ve, che avrebbero interrotto il trattamento per parecchie settimane. In apparenza, entrambe le cose suscitavano ansia nella paziente, che temeva di essere lasciata in­ dietro, dipendente ed esclusa. La terapeuta si sentiva ormai in grado di definire il conflitto attivo in quel mo­ mento nel trattamento. Era evidente che l'investimento crescente della paziente nel rapporto con il compagno e nel trattamento, unito alla previsione della partenza della terapeuta per le vacanze, avevano intensificato i conflitti riguardo alla dipen­ denza. Più vicine alla superficie e talvolta consce c'erano le ansie che motivavano le operazioni difensive della paziente. In questo caso ci riferiamo alla sensazione di essere lasciata indietro, esclusa e inferiore, timori da cui si difendeva ricorrendo a difese ossessive che negavano esclusione, dipendenza o differenza tra paziente e terapeuta. Meno accessibili alla paziente erano le relazioni oggettuali più aggressi­ ve e invidiose, associate alle relazioni oggettuali dipendenti. A questo punto, la terapeuta pensò al modo per intervenire al meglio.

TATTICA 3: ANALISI SISTEMATICA DEL CONFLITTO DOMINANTE L'analisi sistematica del conflitto inconscio è la pietra angolare della DPHP e praticamente tutto il contenuto del presente manuale riguarda l'attuazione di questa tattica. In questa fase descriviamo i principi generali che guidano l'approccio del terapeuta. Come abbiamo detto, la DPHP è incorporata in un modello della mente in cui le relazioni oggettuali sono attivate e messe in atto in base alle esigen­ ze difensive del paziente. La messa in atto di relazioni oggettuali difensive 152

LE TATTICHE DELLA DPHP

supporta la rimozione delle relazioni d'oggetto sottostanti. Le relazioni og­ gettuali difensive sono generalmente abbastanza realistiche, non minaccio­ se ed egosintoniche, mentre le relazioni oggettuali più direttamente legate ai desideri, esigenze e timori sottostanti sono solitamente meno realistiche, più minacciose e più fortemente investite dal punto di vista affettivo. L'approccio generale nella DPHP prevede l'analisi sistematica delle rela­ zioni oggettuali messe in atto nel trattamento, a partire da quelle attivate al servizio della difesa. In tale processo, scopriamo le rappresentazioni di sé e dell'altro che sono state represse e/o dissociate dall'esperienza del sé conscia del paziente. A mano a mano che le funzioni difensive di una par­ ticolare relazione oggettuale interiorizzata sono elaborate e interpretate, il conflitto sottostante viene focalizzato. Principi guida dell'analisi del conflitto dalla superficie alla profondità

Nella DPHP, iniziamo sempre i nostri interventi dal materiale più vicino alla coscienza, per poi spostarci verso gli elementi meno accessibili. Tale meto­ do è indicato come principio dinamico dell'interpretazione (Feniche!, 194 1 ) e afferma che, quando si analizza un conflitto, si devono individuare gli ele­ menti difensivi e quelli da cui ci si difende e intervenire prima a livello del materiale difensivo. Tale approccio è spesso descritto, metaforicamente, co­ me passaggio dalla superficie alla profondità. Questo perché, per definizione, le relazioni oggettuali interiorizzate difensive sono più vicine alla coscienza e relativamente accettabili per il paziente, mentre le relazioni d'oggetto da cui ci si difende sono più fortemente conflittuali e più difficili da tollerare a livello conscio. Quando si interviene, si parte dalla superficie e si esplorano le rappresentazioni relativamente accettabili messe in atto, per poi passare, nella seduta ma anche per l'intera durata del trattamento, all'esplorazione di aspetti più profondamente repressi e inaccettabili dell'esperito psicologico. Principi guida dell'analisi del conflitto ­ dissociazione prima della repressione

Molti pazienti con patologia della personalità di alto livello presentano mo­ delli relazionali difensivi che riflettono chiaramente l'uso di difese basate sulla scissione. In un setting di questo tipo, è generalmente meglio affron­ tare ed esplorare la dissociazione e la negazione, prima di analizzare le ope­ razioni difensive basate sulla repressione. Tale approccio è coerente con la nostra strategia globale che prevede di iniziare dalle relazioni oggettuali più vicine alla coscienza. A mano a mano che la dissociazione delle motivazioni conflittuali viene esaminata ed esplorata, i conflitti e le ansie a essa associa­ te, evitate dalla dissociazione, emergono. 153

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PER�ONALITÀ DI ALTO LIVELLO

Come esempio dell'approccio che consigliamo di adottare, prendiamo una donna d'affari che lamenta l'incapacità di imporsi con il suo convivente. Que­ sta paziente possiede e gestisce una grossa attività di successo, in cui molte persone fanno riferimento a lei, un leader forte, che non si sottrae al confron­ to. Nella vita sociale è sempre stata altrettanto assertiva e ha assunto spesso un ruolo di primo piano tra gli amici. Tuttavia, per la prima volta è innamo­ rata e ha scoperto - cosa che l'ha portata in terapia - che quando è a casa da sola con il compagno si sente timida, in un modo per lei insolito, e timorosa di affermarsi, anche nella maniera più neutra e apparentemente ragionevole. Nel trattamento di questa paziente, consigliamo di cominciare con l'af­ frontare il suo utilizzo della dissociazione. Ciò comporta la descrizione delle relazioni oggettuali associate all'esperienza di sé familiare della paziente e il sottolineare come questo senso di se stessa in relazione agli altri contra­ sti chiaramente con il modo in cui si sente e agisce con il suo compagno. Si potrebbe inoltre evidenziare il suo livello di negazione dell'enorme diffe­ renza di comportamento quando è a casa da sola con il suo compagno. Do­ po aver definito ed esplorato le relazioni oggettuali associate a questi due aspetti dissociati dell'esperienza della paziente, possiamo suggerirle che la dissociazione del suo sé tenero dal suo abituale sé di donna d' affari deve proteggerla dall'ansia: è come se avesse paura di introdurre il sé familiare, assertivo e forte nelle interazioni con il suo compagno. Quando il terapeuta avrà affrontato ripetutamente la dissociazione e la negazione e aiutato la paziente a esplorare le funzioni svolte dalla compar­ timentalizzazione della sua esperienza interiore in questo modo, le difese della paziente diverranno meno egosintoniche e al tempo stesso meno effi­ caci, lasciando così spazio per iniziare l'esplorazione delle ansie sottostanti che sono state evitate con la dissociazione - in questo caso, i timori della paziente riguardo all'essere forte nel setting di relazioni dipendenti e, in ul­ tima analisi, di trovarsi lei stessa in una posizione di dipendenza. In assenza dell'uso evidente di difese dissociative, passiamo poi all'anali­ si delle difese basate sulla repressione. Neli' analisi delle difese dissociative abbiamo ricercato la polarizzazione di motivazioni conflittuali tra relazioni oggettuali in conflitto, unitamente alla negazione del significato di relazioni d'oggetto consce che sono conflittuali. Per contro, nell'analisi delle difese basate sulla repressione, può essere utile prendere in considerazione il livel­ lo di polarizzazione delle motivazioni in conflitto all'interno delle relazioni oggettuali difensive messe in atto in terapia. Tale combinazione riflette l'uso della proiezione nevrotica. In questo setting, possiamo osservare una quali­ tà polarizzata nell'esperito conscio del paziente di se stesso in relazione agli altri. Per esempio, possiamo vedere una relazione oggettuale difensiva, in cui l'oggetto è molto forte e il sé è dipendente e impotente, oppure l'oggetto molto erotico e il sé indifferente e privo di interesse sessuale. Nel frattempo, il paziente non è consapevole di sentirsi potente o avere sensazioni sessuali. 154

LE TATTICHE DELLA DPHP

Guidati ancora una volta dal principio di partire dal materiale conscio, in questa situazione iniziamo tipicamente l'intervento indirizzando la qualità polarizzata delle rappresentazioni che colorano l'esperito soggettivo della paziente. Il terapeuta prima l'aiuta a caratterizzare il sé e le rappresentazio­ ni oggettuali messe in atto, oltre alle diverse serie di motivazioni associate a ciascun ruolo, dopo di che le fa notare come una rappresentazione o re­ lazione oggettuale interiorizzata sia molto forte o molto sessuale, mentre l'altra non lo è affatto ed è invece associata a una serie totalmente diversa di motivazioni. Dopo aver descritto le relazioni oggettuali rilevanti, focalizzandosi sulla qualità polarizzata delle rappresentazioni e sulla segregazione delle moti­ vazioni, il terapeuta introduce l'idea che l'esperito ripetitivo della paziente di se stessa in un particolare modello relazionale è una costruzione piutto­ sto che una visione ragionevole della realtà esterna. Il riconoscimento della paziente di organizzare attivamente la propria esperienza in un modo par­ ticolare, per quanto doloroso o disadattivo, apre la strada all'esplorazione delle funzioni difensive svolte dalla messa in atto ripetitiva di tali relazioni oggettuali. Il passo finale consiste nel definire il conflitto sottostante asso­ ciato alle operazioni difensive che sono state identificate. Nel caso non vi sia un uso apparente della dissociazione o della proie­ zione nelle relazioni oggettuali difensive messe in atto nella seduta, si pas­ sa all'analisi della repressione vera e propria. In questo caso, affrontiamo i modi in cui i modelli relazionali che il paziente mette in atto servono per supportare la repressione di altre relazioni oggettuali, più conflittuali. Come sempre, iniziamo dalla caratterizzazione delle rappresentazioni e delle mo­ tivazioni associate alle relazioni oggettuali difensive e, in questo processo, richiamiamo l'attenzione del paziente sul modo in cui costruisce ripetuta­ mente e rigidamente la sua esperienza, per mettere in atto questi particola­ ri modelli relazionali. Il riconoscimento graduale da parte del paziente di organizzare attivamente la propria esperienza in un modo particolare apre la strada all'esplorazione delle funzioni difensive svolte dalla messa in atto ripetitiva di tali relazioni d'oggetto. Nel tempo, insieme all'analisi della re­ sistenza, ciò aprirà la porta all'esplorazione delle relazioni oggettuali sot­ tostanti, più fortemente conflittuali, che sono state represse in virtù delle relazioni oggettuali difensive messe in atto. Caso clinico di analisi sistematica del conflitto dominante Prendiamo in esame un professionista quarantenne, sposato, con conflitti re­ lativi a rabbia e autorità, che si presentò in terapia lamentando sentimenti di inadeguatezza nei confronti di potere e denaro, soprattutto rispetto ai risultati ottenuti dai suoi amici. Nel consulto iniziale apparve chiaro che il paziente ave­ va un ragionevole successo nella sua professione , ma era inibito nel perseguire opportunità più remunerative o che lo avrebbero collocato in una posizione di maggiore influenza.

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITA DI ALTO LIVELLO Nel corso di una seduta, il paziente espose una serie di situazioni della settimana precedente, in cui non era riuscito ad affermarsi o a perseguire opportunità che avreb­ bero promosso il suo avanzamento professionale, Al contrario, aveva lasciato che al­ tri ne approfittassero e si sentiva un perdente. Il terapeuta identificò le inibizioni del paziente, la sua sottomissione e la sensazione di essere un perdente come argomento prioritario; il paziente aveva messo in atto la relazione oggettuale di un perdente, che si sottomette costantemente a un superiore o a una figura autorevole forte. Questa era la relazione oggettuale più vicina alla superficie, che fungeva da difesa caratteriale. Il terapeuta rispose alla descrizione del paziente di se stesso commentando: "È come se lei avesse u n a particolare immagine d i sé, che interagisce con qualcuno percepito come una persona forte, e riproducesse continuamente questo scenario. Lei si considera un perdente, un individuo inferiore e debole, e quindi razionaliz­ za che, come tale, deve essere sottomesso e non c'è modo di prendere neppure in considerazione la possibilità di affermarsi. Lei dice a se stesso che, se ci provasse, non farebbe che umiliarsi" . Il paziente interrup pe il terapeuta dicendo: "Ascoltarla dire questo, mi fa sol­ tanto sentire peggio. E come se mi stesse dicendo che sono un perdente ! E il fat­ to che io veda un terapeuta due volte alla settimana mi rende ancora di più tale " . A questo punto, il terapeuta dovette decidere se affrontare l a messa in atto nel transfert oppure identificare per il paziente le funzioni difensive svolte dal model­ lo relazionale di un "perdente " , inferiore in rapporto a una persona più forte. Il terapeuta sapeva che se avesse evidenziato al paziente il fatto che stava esperendo con lui esattamente la situazione appena descritta, egli si sarebbe soltanto sentito criticato e umiliato. Pertanto, decise di aspettare prima di intervenire, prevedendo che, lungo il cammino, il paziente sarebbe stato più aperto all'ascolto. Disse quindi al paziente: " Secondo me, lei si considera un perdente perché è così che ha bisogno di vedere le cose. Lei ha bisogno di pensare che io la ritenga un perdente e che i suoi sforzi per migliorare o progredire tradiscano soltanto de­ bolezza e conducano all' umiliazione. Penso che lei abbia bisogno di vedere le cose in questo modo perché, per quanto doloroso, la protegge e la mantiene al sicuro " . I l paziente rispose dicendo al terapeuta che adesso gli sembrava che stesse solo cercando di farlo sentire meglio - come se stesse dicendo " Lei non è davvero un perdente, pensa soltanto di esserlo " . Il terapeuta rispose "È esattamente questo il punto. È come se lei fosse disposto a fare qualsiasi cosa, pur di rimanere aggrappato all'immagine di se stesso come per­ dente" . Il paziente sembrò diventare più riflessivo e poi chiese perché il terapeuta pensasse che lui ritenesse sicuro sentirsi un perdente, visto che la cosa lo rendeva tanto infelice e il clinico rispose: "Questa è un'ottima domanda. Ciò che noto, è quanto sia polarizzata la sua immagine, l'immagine di sé in relazione a qualcuno che vede in una posizione di potere o autorità. Una persona è assolutamente forte e in carica, l'altra assolutamente impotente e sottomessa, un perdente. È come se lei avesse paura di ve­ dersi anche con una sola goccia di sicurezza, non parliamo di potere, o di considerarsi qualcosa di diverso da un perdente - come se ciò fosse pericoloso o la spaventasse" . I l paziente ripensò a come s i era sentito quando aveva incontrato i l suo capo quel giorno: intimorito come sempre, anche se non aveva una grande stima di quell'uo­ mo. Si era ripromesso di utilizzare l'incontro per sollevare la questione di una pro­ mozione promessa da lungo tempo. Tuttavia, ancora una volta, aveva lasciato che il suo capo si inventasse un sacco di scuse e spostasse la conversazione sulle ristret­ tezze del budget, senza riuscire a riportare l'attenzione sull'ordine del giorno. Egli immaginava che, se avesse insistito, sarebbe apparso "presuntuoso e avido " .

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LE TATTICHE DELLA DPHP Il terapeuta rispose al commento del paziente sottolineando che uno dei motivi per cui tendeva a considerarsi impotente, sottomesso e perdente sembrava essere il fatto che temeva che, se si fosse imposto, sarebbe apparso presuntuoso e avido. Egli aggiunse poi che "presuntuoso e avido" corrispondeva alla descrizione spesso utilizzata per indicare il suo capo. Era come se, nella sua mente, chiunque fosse un capo o avesse potere diventasse, per dirla con le sue parole, "uno stronzo egoista e avido" . L'unica alternativa era quella di sentirsi impotenti. Il paziente riconobbe che si trattava di una preoccupazione familiare e conscia. Probabilmente non era realistica, ma era una cosa di cui si era sempre preoccupato. Era come se pensasse che sarebbe " diventato" sua madre. Quella notte, il paziente ebbe un incubo in cui vide un uomo attaccare verbal­ mente una donna. L'uomo sembrava essere sul punto di passare alla violenza fisica. Forse avrebbe potuto ucciderla! Il paziente temeva per sé e al tempo stesso si senti­ va in colpa per non essere capace di proteggere la donna. Cercava di raggiungerla, ma la porta era chiusa. Forse, però, non si stava impegnando abbastanza, perché aveva paura. Doveva chiamare il "113 " ? Il terapeuta notò che nel contenuto manifesto del sogno era insita la relazione oggettuale basilare del capo egoista e avido e del perdente impotente. La relazione oggettuale rappresentata nell'incubo, e altrimenti al di fuori della consapevolez­ za del paziente, rifletteva il suo sadismo e la paura di perderne il controllo, più di quanto avesse fatto il materiale discusso in precedenza in terapia. Nel modello re­ lazionale ritratto dal sogno, il paziente temeva che lui o il suo oggetto diventassero eccessivamente sadici e aggressivi e, in effetti, pericolosi. Il terapeuta si rese conto che, sebbene il conflitto fosse rappresentato direttamente nel sogno, la relazione oggettuale sadica per il resto era ancora piuttosto lontana dalla consapevolezza del paziente. (La manifestazione più vicina durante la seduta fu l'aspettativa del pa­ ziente che il terapeuta lo umiliasse.) Dopo aver ascoltato le associazioni del paziente, il terapeuta formulò un 'inter­ pretazione in merito alle sue ansie sottostanti riguardo al sadismo: "Sospetto che questo sogno sia una risposta alla nostra seduta di ieri e alla discussione riguardo all'ansia che prova quando si percepisce come una persona potente. Sebbene que­ ste preoccupazioni siano ampiamente al di fuori della sua consapevolezza, il sogno suggerisce come lei abbia paura di avere potere, almeno in parte, perché nella sua mente, il potere conduce a una perdita di controllo, che spaventa. È come se lei avesse questi impulsi dentro di sé, che devono essere tenuti nascosti, perché ritie­ ne che, se fossero mai liberati, lei non sarebbe in grado di proteggere gli altri dalla sua rabbia e potenziale violenza " . Il terapeuta formulò questa interpretazione prevedendo che avrebbe avuto uno scarso impatto, perché il materiale non era in quel momento attivo, al di là della sua rappresentazione nel sogno. Egli aveva tuttavia anche previsto che le preoccu­ pazioni del paziente per il proprio sadismo e il timore di essere trattato in modo sadico sarebbero emersi nel tempo, in un modo più affettivamente significativo e che, a quel punto, sarebbe stato in grado di ritornare al sogno e all'interpretazione che ne era stata fatta.

Questa storia illustra l'approccio al confronto e all'interpretazione della proiezione e della segregazione difensiva di motivazioni conflittuali insite in una singola relazione oggettuale. Il paziente ha separato il potere dal­ la dipendenza e, nel farlo, si è reso totalmente impotente. Il terapeuta ha 157

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

iniziato con l'evidenziare al paziente che egli attribuiva tutto il potere nel­ la relazione all'altra persona, rimanendo totalmente inerme, dipendente e sottomesso, dopo di che ha sollevato la questione della natura difensiva di questa relazione oggettuale, per poi identificare l'ansia motivante la dife­ sa: la paura che, se il paziente fosse stato potente, sarebbe anche diventa­ to presuntuoso e avido. Il passo successivo riguardava l'esplorazione degli impulsi sottostanti e i pericoli associati alla sua espressione, rappresentati nel materiale del sogno, ma altrimenti inconsci. Per il momento, il terapeuta prevedeva che, continuando ad affrontare e interpretare la dissociazione nel rapporto oggettuale potente-sottomesso e ricercando anche occasioni per evidenziare come questa relazione ogget­ tuale fosse messa in atto nel transfert, la netta distanza tra la rappresenta­ zione potente e la rappresentazione dipendente si sarebbe ridotta. In que­ sto setting, il paziente sarebbe riuscito gradualmente a vedersi in un modo diverso. Tale passaggio avrebbe aperto il paziente a una maggiore consape­ volezza (cioè, una maggiore ansia) delle relazioni oggettuali interiorizzate sottostanti, che rappresentano il suo sadismo e la sua aggressività. Sebbene le ansie del paziente riguardo al sadismo e alla sua incapacità di proteggere le parti vulnerabili di sé e degli altri dalla propria aggressività fossero chiaramente rappresentate nel contenuto manifesto del sogno, tale materiale non era affettivamente vivo nella seduta. Nella DPHP, non è raro che i conflitti inconsci si presentino presto nel trattamento, spesso in modo piuttosto chiaro, nel materiale onirico. Sebbene valga la pena commentare le relazioni d'oggetto e le ansie rappresentate nel sogno, non prevediamo che tali interpretazioni conducano a molto più di una comprensione intel­ lettuale. Soltanto quando il conflitto è correntemente attivato e messo in atto nella vita del paziente e nel trattamento , la sua interpretazione è signi­ ficativa e conduce all' insight.

TATTICA 4: ANALISI DEL RAPPORTO TRA IL CONFLITTO DOMINANTE E GLI OBIETTIVI TERAPEUTICI Abbiamo parlato delle tattiche utilizzate dal terapeuta DPHP per ricevere le comunicazioni verbali e non verbali del paziente, identificare un fatto scel­ to e un conflitto dominante, definire tale conflitto in termini di relazione oggettuale dominante e analizzare sistematicamente le relazioni oggettua­ li difensive e impulsive associate al conflitto identificato. A questo punto, esaminiamo il ruolo svolto dagli obiettivi terapeutici nella DPHP e le tatti­ che utilizzate per raggiungerli nel modo più efficiente ed efficace possibile. Come abbiamo detto, la DPHP è un trattamento organizzato intorno a obiettivi specifici, concordati come parte del processo di consultazione. In questo senso, si tratta di un trattamento focalizzato, orientato verso l'inte158

LE TATTICHE DELLA DPHP

graziane delle relazioni oggettuali conflittuali, allo scopo di ridurre la rigi­ dità della personalità in aree circoscritte difunzionamento, definite dai sin­ tomi lamentati dal paziente e dagli obiettivi terapeutici. Mettere a fuoco i conflitti centrali prima di fare collegamenti con gli obiettivi terapeutici

La DPHP si basa sulla comunicazione libera e aperta e sull'analisi della resistenza, partendo da una posizione di neutralità tecnica per ottenere l' accesso ai conflitti inconsci e alle relazioni oggettuali interiorizzate del paziente. A tale scopo, il paziente è invitato a parlare il più liberamente e apertamente possibile, dicendo tutto ciò che gli passa per la mente, senza censura e senza seguire alcuno schema particolare. È evidente che questo approccio è fondamentalmente incompatibile con un approccio focale, del tipo utilizzato nella psicoterapia dinamica a breve termine in cui, pri­ ma di iniziare il trattamento, il terapeuta chiede al paziente di orientare i propri commenti intorno al focus della terapia e, una volta iniziato il trat­ tamento, interpreta la deviazione del paziente dal focus come una resi­ stenza a aderire alla cornice focale terapeutica. Al contrario, nella DPHP, la prima decisione tattica presa in relazione agli obiettivi terapeutici pre­ vede che il paziente si focalizzi sull'esplorazione delle proprie relazioni oggettuali interiorizzate e delle operazioni difensive, così come vengono messe in atto nel trattamento, senza prestare attenzione agli obiettivi di quest'ultimo. La seconda decisione tattica relativa agli obiettivi del trattamento con­ cerne lo stabilire in che punto il terapeuta debba introdurre la discussione sugli obiettivi terapeutici. Nella DPHP, iniziamo esplorando completamen­ te un determinato conflitto nel qui-e-ora, senza tentare di collegarlo agli obiettivi terapeutici o ai sintomi di presentazione. In questo processo, né il paziente né il terapeuta pensano: " Come posso capire i sintomi lamen­ tati dal paziente? " . La domanda è piuttosto: " Come posso capire i conflit­ ti messi in atto in questo momento nel trattamento? ". Fino a questo pun­ to, gli obiettivi terapeutici non influenzano l'approccio tattico del clinico.

Tuttavia, una volta che un particolare conflitto è stato focalizzato, gli obietti­ vi terapeutici diventano una parte prominente del pensiero del terapeuta. A partire da quel momento, una delle tattiche del terapeuta consiste nell' ana­ lizzare il rapporto tra il conflitto dominante messo in atto nel trattamento e gli obiettivi terapeutici. Ogni paziente ha conflitti centrali o dominanti, che si ripercuotono su molte aree di funzionamento, alcune delle quali sono intaccate da un deter­ minato conflitto in modo molto potente ed evidente, mentre altre lo sono in modo molto più sottile. Nella DPHP, ci concentriamo sui conflitti centrali del paziente relativi alle aree problematiche che lo preoccupano maggior159

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DJ ALTO LIVELLO

mente. Colleghiamo i conflitti dominanti del paziente, a mano a mano che vengono focalizzati nel trattamento, con i suoi sintomi di presentazione o con gli obiettivi terapeutici, come parte del processo di interpretazione ed elaborazione. Focalizzazione sugli obiettivi del trattamento come parte del processo di elaborazione

Come abbiamo detto in precedenza, noi riteniamo che sia il processo di elaborazione a guidare il cambiamento nella psicoterapia dinamica. Nell'elaborazione, un conflitto viene messo in atto ripetutamente e ana­ lizzato in contesti diversi, da prospettive differenti, per arrivare a una comprensione sempre più profonda e complessa di quel particolare con­ flitto e dei suoi collegamenti con altri. Nella DPHP, il terapeuta enfatizza preferibilmente i sintomi lamentati dal paziente e gli obiettivi terapeutici, come contesto per l'elaborazione. Quando un conflitto viene focalizzato, egli si chiede: "In che modo può essere collegato ai problemi del pazien­ te e agli obiettivi terapeutici? " . Quando un conflitto viene ripetutamen­ te messo in atto durante il trattamento, il terapeuta dispone di molte op­ portunità per esplorare e interpretare il rapporto tra quel conflitto e gli obiettivi terapeutici. Questa tattica impone al terapeuta di prendere decisioni riguardo alla tempistica corretta e alla giusta enfasi da attribuire al collegamento tra il conflitto in quel momento dominante nel trattamento e gli obiettivi tera­ peutici. A che punto del processo di analisi di un particolare conflitto il te­ rapeuta dovrebbe introdurre gli obiettivi del trattamento? Con quanta for­ za, in un determinato momento, egli dovrebbe sottolineare il collegamento tra il conflitto dominante e tali obiettivi? Quando richiamare gli obiettivi terapeutici

Esistono indicazioni implicite che i terapeuti DPHP esperti utilizzano per decidere quando fare e quando non fare un collegamento tra il materiale dinamico messo in atto ed esplorato in una seduta e i disturbi lamentati dal paziente. Come prima cosa, importantissima, il terapeuta tiene sempre a mente che la priorità assoluta è quella di capire i conflitti centrali del pazien­ te. Tenendo conto di questo, egli analizza le relazioni oggettuali conflittuali messe in atto in terapia nelle loro funzioni difensive, fino alla focalizzazione del conflitto centrale. In questo processo, il terapeuta non sceglie il mate­ riale o i conflitti da esplorare, né lo fa il paziente. La scoperta dei conflitti di quest'ultimo è una parte organica del trattamento. Soltanto dopo che un conflitto e le relazioni oggettuali associate sono sta­ ti chiaramente descritti ed esplorati, il terapeuta si dedica alla formulazione 160

LE TATTICHE DELLA DPHP

di ipotesi riguardo al modo in cui il conflitto può essere correlato ai disturbi lamentati dal paziente. Questo sforzo è facilitato dal fatto inevitabile che, qualsiasi sia il problema che ha portato il paziente in terapia, esso permane durante il trattamento. Tuttavia, anche dopo che un conflitto è stato foca­ lizzato e il terapeuta è pronto a collegarlo agli obiettivi terapeutici, egli non lo fa sollevando di punto in bianco la questione o forzando l'argomento in modo artificiale. Al contrario, tiene gli occhi aperti alla ricerca di situazioni in cui i collegamenti agli obiettivi terapeutici si presentino in modo naturale e significativo. Egli aspetta che le opportunità si presentino, non le crea. In realtà, talvolta il terapeuta non sceglie t&hLO di concentrarsi o di perseguire determinati argomenti, quanto di perseguirne altri in modo meno attivo. Per illustrare l'approccio tattico adottato dal terapeuta DPHP - vale a dire essere aperto a tutti gli aspetti delle comunicazioni del paziente e, al tempo stesso, ottimizzare i propri interventi per affrontare obiettivi tera­ peutici specifici - ritorniamo ai due pazienti del cui trattamento abbiamo parlato più di recente. Primo caso clinico difocalizzazione sugli obiettivi terapeutici La professionista single con conflitti sulla dipendenza, che abbiamo descritto nel­ la parte precedente di questo capitolo (per illustrare la tattica di scelta di un tema prioritario) , si presentò in terapia dopo essere stata lasciata da un uomo che fre­ quentava da molti anni. Nel seguito della relazione, l'ex partner della paziente si era rivelato manipolativo e inaffidabile, a un livello che lei non avrebbe mai imma­ ginato. La donna si presentò in terapia desiderosa di capire come avesse scelto un uomo di questo tipo, superare la perdita agonizzante della relazione e fare tutto ciò di cui aveva bisogno per riuscire a legarsi a un uomo più adatto a lei, in futu­ ro. Indubbiamente la paziente aveva altre aree di difficoltà, in cui era scesa a com­ promessi o non funzionava necessariamente in modo ottimale, ma i suoi problemi erano relativamente limitati in questi settori o non particolarmente preoccupanti, dal suo punto di vista. Per esempio, nella vita professionale, sebbene avesse molto successo, periodi­ camente non rispettava scadenze importanti o non seguiva fino in fondo iniziati­ ve rilevanti e la sua reputazione ne aveva in qualche modo sofferto. Inoltre, nei momenti di stress , tendeva a prendersela con le persone che lavoravano per lei, in modo inadeguato alla situazione. Era soddisfatta delle proprie amicizie, ma era considerata una specie di "opportunista" dalle persone a lei più vicine ed era es­ senzialmente distaccata dai propri fratelli e sorelle. Durante il consulto, paziente e terapeuta concordarono sul fatto che queste aree aggiuntive di funzionamento era­ no chiaramente interessate dai suoi conflitti e potevano essere trattate con successo, se avesse scelto di focalizzarle. Tuttavia, la donna decise che si sentiva relativamen­ te a suo agio in queste aree e optò per la focalizzazione sui problemi sentimentali. A mano a mano che i conflitti venivano focalizzati, la terapeuta li collegava co­ stantemente alle difficoltà della paziente con l'intimità e alla sua scelta precedente di un uomo. Per esempio, con l'emersione e la comprensione nel trattamento delle relazioni oggettuali più paranoidi che erano state represse, la terapeuta effettuò un collegamento tra di esse e il rapporto della paziente con il suo ex compagno. Iniziò con l'evidenziare in che modo le fantasie della donna riguardo ai pericoli intrin-

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTIC:O DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO seci delle relazioni dipendenti fossero state messe in atto nel suo rapporto con lei. Questo intervento aprì la porta all'esplorazione da parte della paziente del modo in cui i suoi conflitti riguardo alla dipendenza e all'invidia l'avessero, senza che lei ne fosse cosciente, attirata verso un uomo con il quale poteva effettivamente met­ tere in scena alcune delle cose che inconsciamente temeva di più. In un altro momento del trattamento, la paziente arrivò a capire e ad assumersi la responsabilità delle parti più opportunistiche e sadiche di se stessa, che venivano attivate nelle relazioni dipendenti e intime. Questa relazione oggettuale fu esplo­ rata, ancora una volta, in relazione alla scelta di un uomo da parte della paziente. Assumersi la responsabilità delle parti opportunistiche di se stessa significò che la donna non fu più attratta da partner che le consentivano di esternare quelle parti di sé. Inoltre, non ebbe più bisogno di proteggersi dalla possibilità di un rapporto basato su una dipendenza sincera, reciproca ( ''matura" ) , scegliendo un compagno inadatto e inaffidabile. La terapeuta formulò diverse interpretazioni di questo ti­ po, a mano a mano che le relazioni oggettuali conflittuali della paziente venivano portate in terapia ed elaborate e sottolineò, per esempio, che mantenere una rela­ zione con un uomo come il suo precedente compagno serviva, in ultima analisi, a proteggerla dal dolore di essere sadica nei confronti di qualcuno che amava pro­ fondamente e che meritava il suo amore.

Secondo caso clinico difocalizzazione sugli obiettivi terapeutici Per fare un altro esempio, ritorniamo al paziente che si presentò in terapia senten­ dosi un perdente, incapace di affermarsi o di perseguire attivamente il raggiungi­ mento del potere e del successo economico che desiderava. Egli aveva altre aree di difficoltà, oltre all'autostima e all'avanzamento professionale. Per esempio, soffri­ va da molto tempo di inibizioni sessuali, che aveva scelto di non trattare in terapia. Inoltre, era assolutamente contento di mantenere una relazione in qualche modo distante con la moglie, anch'essa apparentemente soddisfatta di tale decisione. In­ fine, aveva difficoltà a gestire le richieste di cura dei suoi genitori anziani. Una o tutte queste aree di difficoltà avrebbero potuto essere considerate prioritarie nel trattamento, ma il paziente decise di focalizzare la terapia sui problemi relativi al potere nella sua vita professionale. A mano a mano che i conflitti venivano focalizzati, il terapeuta enfatizzò i col­ legamenti tra le relazioni oggettuali messe in atto e le inibizioni del paziente in re­ lazione a potere, autorità e denaro, prestando, al tempo stesso, meno attenzione alle sue inibizioni riguardo a sessualità e intimità. Per esempio, con la focalizzazio­ ne delle ansie del paziente riguardo al suo sadismo, il terapeuta gli suggerì la pos­ sibilità che temesse di trovarsi in una posizione di potere, perché aveva paura di perdere il controllo e di attaccare le persone meno forti o più vulnerabili di lui. In modo analogo, quando il paziente rispondeva a successi personali e professiona­ li sentendosi in ansia o colpevole, il terapeuta enfatizzava nuovamente il collega­ mento alle sue inibizioni riguardo a denaro e successo sul luogo di lavoro. Anche se il terapeuta commentò i collegamenti tra i conflitti del paziente e il suo rapporto emotivamente distante e sessualmente inibito con la moglie, essi non furono enfa­ tizzati nel processo di elaborazione. Per riassumere, quando un particolare conflitto veniva focalizzato, il terapeuta sottolineava come ciò fosse legato alle inibizioni del paziente riguardo al perseguimento dell'avanzamento professionale e finanziario, prestando meno attenzione all'esplorazione del modo in cui tali conflitti lasciava­ no il paziente inibito anche in altre aree.

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LE TATTICHE DELLA DPHP Commenti sui casi clinici

Nei due esempi clinici presentati, il terapeuta è partito dalla focalizzazione dei conflitti centrali del paziente. I conflitti della prima paziente riguarda­ vano principalmente la dipendenza e l'intimità, mentre quelli del secondo paziente concernevano soprattutto potere e sadismo. In entrambi i casi, tali conflitti interessavano molti aspetti del funzionamento del soggetto. Se ne era discusso durante il consulto e terapeuta e paziente avevano concordato di concentrarsi su una specifica area di difficoltà, particolarmente preoc­ cupante per quest'ultimo. La prima paziente voleva riuscire ad avere una relazione sentimentale soddisfacente, mentre il secondo voleva godere di potere e denaro. Con la focalizzazione dei conflitti centrali dei pazienti, i rispettivi terapeuti iniziarono a tenere d'occhio la possibilità di collegarli con gli obiettivi terapeutici e i disturbi lamentati. Il processo di collegamento dei conflitti dominanti del paziente con gli obiettivi del trattamento richiede moderazione da parte del terapeuta. Spes­ so si ha la tentazione di portare in terapia prematuramente gli obiettivi te­ rapeutici, prima che il conflitto dominante sia diventato sufficientemente chiaro. Inoltre, alcuni clinici trovano difficile lasciarsi sfuggire l'opportunità di perseguire potenziali possibilità di beneficio terapeutico - per esempio, le inibizioni della paziente sul luogo di lavoro o i sintomi sessuali del secondo paziente - per il semplice fatto che queste aree di potenziale beneficio non rientrano negli obiettivi del trattamento. Anche se altre aree di difficoltà dovrebbero essere discusse e in qualche modo esplorate, il terapeuta non deve enfatizzarle come fa per gli obiettivi terapeutici. Evitare gli obiettivi terapeutici

In pratica, nella DPHP, di solito accade che, in modo del tutto naturale, gli obiettivi terapeutici siano oggetto di maggiore attenzione rispetto ad altre aree di difficoltà. Questo perché è più probabile che il paziente colga gli in­ terventi del terapeuta quando riguardano le aree di funzionamento che lo preoccupano maggiormente. Se, per un lungo periodo di tempo, il paziente sceglie di concentrarsi su aree diverse dagli obiettivi terapeutici, il terapeuta deve valutare se ciò rappresenti un cambiamento nelle priorità del soggetto. Se gli obiettivi di quest'ultimo sono cambiati, occorre discuterne esplicita­ mente, insieme alla questione della necessità di rivederli. Se le priorità del paziente in realtà non sono cambiate, il terapeuta de­ ve interpretare il fatto che eviti gli obiettivi terapeutici, come una forma di resistenza. Egli può sottolineare come, per motivi poco chiari, il pazien­ te stia scegliendo di evitare l'esplorazione delle sue difficoltà nelle aree di funzionamento per lui più importanti. Si presuppone che tale comporta­ mento sia guidato da un qualche tipo di ansia, che può essere esplorata e 1 63

TRATTA MENTO PSIC.OTERAPEUTJCO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO

infine capita in termini di conflitti del paziente. Invariabilmente, l'esplora­ zione dell'ansia del paziente relativa alla focalizzazione sugli obiettivi che ha scelto per se stesso influisce direttamente sulla dinamica e sulle relazio­ ni oggettuali conflittuali alla base dei disturbi lamentati dal paziente e sugli obiettivi terapeutici. Alcuni pazienti resistono in modo attivo e costante all'indirizzamento degli obiettivi del trattamento, per lunghi periodi di tempo. Essi possono discutere in modo approfondito dei loro conflitti centrali, ma regolarmente si allontanano o deviano dagli sforzi del terapeuta di focalizzare il problema che li ha portati in terapia. Una situazione clinica di questo tipo impone al terapeuta di essere molto attivo e perseverante. In questo caso, la tattica pre­ vede, come prima cosa, di richiamare l'attenzione del paziente sulla propria resistenza a occuparsi delle questioni che lo hanno portato in terapia, e poi di aiutarlo a esplorare le motivazioni del suo comportamento. Se il paziente persiste nell'evitare gli interventi del terapeuta, questi può poi far seguire il suo intervento iniziale dalla focalizzazione ed esplorazione dei modi in cui il soggetto rifiuta i suoi sforzi di introdurre gli obiettivi terapeutici. In risposta all'attività del clinico, in una situazione di questo tipo, il pa­ ziente può avere la sensazione che il terapeuta stia deviando rispetto al suo solito ruolo e che stia "esagerando" . Il paziente esperisce tipicamente l'atti­ vità del terapeuta sotto una luce particolare - per esempio, ritenendo che sia critico, seducente o lo respinga. In effetti, non è raro che il terapeuta provi sentimenti complementari - per esempio, si chieda se non stia forzando o controllando troppo la seduta o se stia deviando rispetto a una posizione di neutralità, nella sua attività. La sfida per il terapeuta consiste nel contenere la propria ansia di spingere il paziente e nel trattenere l'eventuale tentazione di ritrarsi e rimanere passivo. Al contrario, egli può - pur mantenendo una posizione di neutralità - aiutare attivamente il paziente a esplorare le rea­ zioni al suo operato. In questo processo, emerge quasi sempre che qualche aspetto del conflitto del paziente è stato messo in atto nel transfert. Caso clinico di un paziente che evita gli obiettivi terapeutici Uno studente universitario venticinquenne si presentò in terapia lamentando diffi­ coltà nel completare la propria tesi. Per i primi sei mesi di trattamento, egli esplo­ rò il rapporto fortemente problematico con un padre critico e distante, da cui era economicamente dipendente. All'inizio, il paziente espresse una visione idealizza­ ta del padre e della loro relazione. Tuttavia, già nei primi mesi di terapia, iniziò a sviluppare una visione più complessa e realistica del suo rapporto con lui, in cui riconobbe l'ostilità esistente tra loro. Dopo sei mesi di terapia, stava decisamente meglio con se stesso e anche il rap­ porto con la convivente era migliorato. Tuttavia, ogni volta che il terapeuta solleva­ va la questione della tesi, il paziente ne parlava in termini generali per una seduta o due, e poi tornava a parlare di altre cose. Da un lato, in superficie, il trattamento sembrava andare bene e non esistevano dubbi sul fatto che i conflitti del paziente con il padre fossero strettamente legati alla sua difficoltà con la tesi; dall'altro lato,

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LE TATTICHE DELLA DPI lP il terapeuta era consapevole del fatto che il paziente evitava di focalizzarsi sulla dis­ sertazione, in un modo che gli avrebbe consentito di sviluppare una comprensione più profonda delle questioni specifiche coinvolte. Il terapeuta notò che, nel con­ trotransfert, anche lui era stato tentato di abbandonarsi a un'esplorazione "priva di scopo" dei conflitti centrali del paziente. Avendo riflettuto al riguardo, il terapeuta decise di condividere le proprie osser­ vazioni con il paziente e cominciò quindi con il ricordargli che era venuto in tera­ pia lamentando difficoltà nel completare il requisito accademico e che gli obiettivi terapeutici erano organizzati intorno a una migliore comprensione delle sue diffi­ coltà in quest'area. Il terapeuta sottolineò poi che, sebbene avessero trattato molti argomenti importanti durante la terapia e il paziente stesse chiaramente facendo progressi, la questione della tesi era stata ampiamente trascurata. Infine, proseguì suggerendo che ciò che stava accadendo nel trattamento rispecchiava quanto av­ veniva nella vita del paziente - tutto, cioè, sembrava andare bene, ma non riusciva a progredire dal punto di vista professionale. Invece di cogliere i commenti del terapeuta nel suo solito modo gentile, il pa­ ziente lo fissò in silenzio. L'esplorazione del silenzio e dell'ostilità insoliti del pazien­ te fecero emergere una sua reazione molto negativa a tali commenti. Egli spiegò e si lamentò del fatto che il terapeuta lo stava dolorosamente deludendo, comportan­ dosi esattamente come suo padre. Padre e terapeuta sembravano notare soltanto ciò che lui non riusciva a fare ed erano interessati unicamente al suo successo pro­ fessionale, a scapito della sua felicità. Mentre ascoltava il paziente e resisteva alle sue espressioni di disappunto, cri­ tica e ostilità , il terapeuta iniziò a sentire il bisogno di scusarsi, come se lo avesse ferito. Riflettendo su questa reazione, si rese conto di aver evitato di affrontare il paziente prima, per la sua riluttanza a farlo sentire incompreso, critico e arrabbiato. Il terapeuta identificò la relazione oggettuale messa in atto nel transfert come la relazione tra un padre esigente e critico che spingeva continuamente il figlio al successo e un figlio che voleva evitare conflitti. Il terapeuta notò che questa era la prima volta che il paziente lo esperiva consciamente come in qualche modo si­ mile al padre e rimase colpito dalla maniera in cui i suoi sforzi di " occuparsi del focus" avessero stimolato una reazione tanto violenta; era come se un transfert latente fosse emerso a piena forza, quando il terapeuta aveva affrontato la resi­ stenza del paziente a indirizzare gli obiettivi terapeutici. Il clinico rimase inoltre colpito dal rovesciamento dei ruoli immediatamente successivo al suo intervento e rifletté su come, nel controtransfert, mentre resisteva alle critiche del pazien­ te, avesse probabilmente avuto un assaggio di come si sentiva il paziente quando veniva castigato dal padre. Paziente e terapeuta dedicarono parecchie sedute all'esplorazione di ciò che era stato messo in atto nel trattamento. Nel tempo, entrambi giunsero alla con­ clusione che, in qualche modo, il paziente avesse usato la terapia per sentirsi me­ glio, senza dover indirizzare le proprie paure riguardo a successo e competizio­ ne. Allo stesso tempo, egli si stava ribellando passivamente, pur mantenendo la dipendenza, a un padre controllante nel transfert. La ribellione del paziente e la sua dipendenza operavano in modo da tenere la sua identificazione con il padre al di fuori del trattamento e anche per mantenere la propria ostilità critica al di fuori del transfert. Questo episodio segnò l'inizio di un'esplorazione fruttuosa della riluttanza del paziente a utilizzare il trattamento per affrontare le sue ansie riguardo alla propria tesi e, in ultima analisi, della riluttanza a completarla e poi proseguire la propria vita.

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TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA DELLA PERSONALITÀ DI ALTO LIVELLO Che cosa accade al funzionamento del paziente nelle aree al di fuori degli obiettivi terapeutici?

Prima di chiudere questa parte, ci occupiamo di ciò che accade al funziona­ mento del paziente nelle aree non comprese negli obiettivi terapeutici. Per ritornare ai nostri esempi clinici, pensiamo al comportamento disadattivo della professionista single sul luogo di lavoro e alle inibizioni remissive del paziente maschio in relazione ad amore e intimità. Queste aree di difficol­ tà, sebbene non incluse negli obiettivi terapeutici, sono strettamente legate a essi, in quanto manifestazioni degli stessi conflitti centrali. Pertanto, spesso assistiamo a un certo miglioramento nelle aree di fun­ zionamento che vanno oltre quelle individuate dagli obiettivi terapeutici, come parte di un effetto di espansione. In generale, meno è grave la rigidità della personalità del paziente, tanto più è probabile assistere a benefici tera­ peutici in aree di funzionamento non comprese negli obiettivi. Tuttavia, in pazienti con livelli di rigidità della personalità più elevati, i progressi com­ piuti in tali aree sono decisamente meno evidenti rispetto a quelli ottenuti in relazione agli obiettivi stessi. Il fatto che il trattamento non abbia miglio­ rato o neppure toccato tutte le difficoltà del paziente è una realtà che de­ ve essere affrontata ed elaborata nella fase finale di ogni trattamento DPHP.

LETTURE CONSIGLIATE BuscH, F. , " The ego and its significance in analytic interventions". In ]ournal o/American Psychoanalytic Association, 1 996, 44 , pp. 1 073 - 1099. FENICHEL, 0., Problemi di tecnica psicoanalitica. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1975 . LEVY, S.T., INDERBITZIN, L.B., " Interpretation" . In SuGARMAN, A., NEMIROFF, R.A., GREEJ\SON, D.P. (a cura d i ) , The Technique an d Practice o/ Psychoanalysis, vol. 2. International Universities Press, Madison, CT, 1992, pp. 1 0 1 - 1 16.

1 66

PARTE TERZA

Valutazione del paziente, fasi del trattamento e abbinamento della DPHP con altre terapie

9 Valutazione de l paziente e pianificazione de l trattamento differenziale

La valutazione del paziente e la pianificazione del trattamento costituiscono la fase consultiva della psicoterapia dinamica per la patologia della persona­ lità di alto livello ( DPHP) . La valutazione del paziente implica la caratteriz­ zazione di: l) sintomi di presentazione e tratti patologici della personalità, 2) funzionamento generale della personalità e 3 ) livello di organizzazione della personalità del paziente. Una valutazione diagnostica completa, che comprenda la diagnosi DSM-IV-TR Asse I e Asse n e la diagnosi strutturale, apre la strada alla pianificazione del trattamento. Quest'ultima comporta: l) condivisione delle impressioni diagnostiche con il paziente, 2) definizione degli obiettivi terapeutici, 3 ) descrizione delle opzioni terapeutiche e rela­ tivi rischi e benefici e 4) aiuto al paziente nel prendere una decisione infor­ mata in merito al modo di procedere - decisione che riflette gli obiettivi e le esigenze personali del paziente e la competenza del terapeuta. Spesso è possibile completare il processo consultivo in un solo incontro della durata di un'ora e mezza. Tuttavia, molti clinici preferiscono effettua­ re una seconda seduta della durata di 45 minuti, per completare la discus­ sione relativa alla pianificazione del trattamento. Un secondo incontro con il paziente ha il vantaggio di consentire a quest'ultimo e al terapeuta di riflettere sull'intervista iniziale e poi utilizza­ re la seconda seduta per indirizzare aspetti della situazione interna ed ester­ na del paziente, che potrebbero essere stati omessi o esplorati in modo ina­ deguato nel consulto iniziale. Inoltre, esso offre l'opportunità di esplorare le reazioni del paziente all'intervista iniziale. Alcuni soggetti, soprattutto quelli con problemi più complessi e in merito ai quali esiste un'incertezza diagnostica, possono necessitare di due sedute successive, dopo l'incontro iniziale, per completare il consulto e definire un piano terapeutico.

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E INTERVISTA DIAGNOSTICA Nel nostro approccio alla valutazione del paziente, i sintomi di presentazio­ ne e i tratti patologici della personalità sono concettualizzati come insiti in una particolare organizzazione di personalità. Nell'intervista diagnostica, 169

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE. FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

tali elementi sono caratterizzati in modo chiaro, per giungere a una diagnosi descrittiva e l'organizzazione della personalità viene esplorata in profondità per arrivare a una diagnosi strutturale. La nostra intervista è guidata - do­ mande specifiche sul paziente e grande peso attribuito alla chiarificazione e, in qualche misura, al confronto delle sue comunicazioni - e focalizzata sul qui-e-ora, sulla situazione della vita attuale del paziente e sulle sue in­ terazioni correnti con l'intervistatore, in contrasto con il passato evolutivo. Per ragioni di chiarezza ed economia, dividiamo la nostra discussione sulla valutazione del paziente in due parti (Tabella 9 l ) Per prima cosa, de­ lineiamo i dati che la nostra intervista si propone di fornire, descrivendo le informazioni di cui il clinico deve disporre per formulare una diagnosi, in seguito, definiamo il metodo di raccolta dei dati, tratto dall'Intervista Strut­ turale di Kernberg (Kernberg, 1 984 ) . .

.

INTERVISTA DIAGNOSTICA Diagnosi descrittiva

La valutazione del paziente inizia con l'identificazione e la caratterizzazione dei sintomi e dei tratti patologici della personalità che lo hanno portato in terapia, seguite da una valutazione completa e sistematica di tutti i sintomi. Questa parte del consulto implica la raccolta di dati che farebbero parte di qualsiasi valutazione psichiatrica generale. In caso di precedenti tratta­ menti, assunzione di farmaci e/o ospedalizzazione, tali informazioni saran­ no riesaminate, come pure l'anamnesi del paziente, precedenti di abuso di sostanze e storia familiare di malattie psichiatriche. Una volta caratterizzate le difficoltà del soggetto, la fase successiva del con­ sulto è dedicata all'esplorazione della sua personalità, focalizzandosi sul livel­ lo di interferenza dei sintomi e dei tratti patologici sul suo funzionamento. In che misura i sintomi e i tratti patologici della personalità del paziente inter­ feriscono con le sue relazioni? Ha un partner? È o è mai stato innamorato? Qual è la natura delle sue relazioni più strette? Se ha dei figli, qual è la natu­ ra dei suoi rapporti con loro? Ha amici e ha mantenuto amicizie nel tempo? Inoltre, poniamo domande riguardo al funzionamento sul lavoro. Il pa­ ziente ha una carriera? In caso di risposta negativa, perché no e ha degli obiettivi di carriera realistici? Il suo impiego è in linea con il livello di istru­ zione e con le sue capacità? Svolge bene il suo lavoro? Ne ricava soddisfa­ zione? Ha dei buoni rapporti o sviluppa problemi interpersonali con col­ leghi, capi e/o impiegati? Infine, chiediamo informazioni riguardo agli interessi personali e a ciò che fa il paziente nel tempo libero. Esistono attività in cui è impegnato o di cui si è occupato nel tempo? Trae piacere dal proprio tempo libero? 170

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRA1TAMENTO DIFFERENZIALE

Dopo aver raccolto queste informazioni, il consulente dispone dei dati necessari per formulare o elaborare una diagnosi DSM-IV-TR Asse I e Asse n. Diagnosi strutturale: valutazione dell'organizzazione della personalità

All'interno di una particolare categoria diagnostica descrittiva si posso­ no trovare patologie di personalità di gravità molto variabile. (Per esempio, alcuni pazienti con disturbi di personalità istrionici presentano una patolo­ gia di identità e relazioni oggettuali lievi e possono funzionare abbastanza bene, mentre altri possono avere una patologia più grave, che crea proble­ mi di funzionamento importanti .) Pertanto, la valutazione diagnostica si concentra sugli aspetti strutturali, oltre che descrittivi, del funzionamento della personalità. Come descritto nel capitolo 2 ( "Approccio psicodinamico alla patologia della personalità" ) , da un punto di vista strutturale, i pazienti con patologia della personalità di alto livello rientrano nel livello nevrotico di organizza­ zione della personalità di Kernberg oppure nella gamma transitoria tra i livelli nevrotico e borderline. Le dimensioni del funzionamento della per­ sonalità, stabilita come parte della valutazione strutturale, sono riassunte nella Tabella 9.2 . Ricordiamo al lettore che, sebbene nella Tabella 9.2 i li­ velli rilevanti di funzionamento della personalità siano rappresentati in ca­ tegorie, in realtà si susseguono in modo uniforme. Nonostante la raccomandazione da parte nostra di effettuare una valu­ tazione sistematica dell'organizzazione della personalità, nel corso del col­ loquio l'intervistatore esperto potrà spesso effettuare un esame del consoli­ damento dell'identità sulla base della propria esperienza soggettiva globale. Nello specifico, l'esperienza interna integrata del paziente con patologia della personalità di alto livello contribuirà a chiarire e a rendere relativa­ mente comprensibile la realtà interpersonale e la sua storia pregressa e ri­ sulterà quindi relativamente facile per l'intervistatore empatizzare con lui, i suoi conflitti e la sua descrizione degli altri significativi. Per contro, seb­ bene possa migliorare il proprio comportamento realistico durante l'interTabella 9.1

Valutazione del paziente.

I dati: contenuto Sintomi di presentazione e tratti patologici della personalità Funzionamento generale della personalità Livello di organizzazione della personalità/diagnosi strutturale Il metodo:

fonti di informazione

-----

Anamnesi psichiatrica Comunicazione non verbale Chiarificazione e confronto Controtransfert

1 71

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Rigidità Esame di realtà Sistema di valore interiorizzato

Difese

-

---

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-

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-

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---

-----

Investimenti nel lavoro e nelle attività del tempo libero

-

----

-

---------

Sistemi di valore pienamente sviluppati e interiorizzati con standard flessibili

- --- ---------

--



-

----- -

---- - ----

Essenzialmente intatto, ma peggiora in un setting di intensità affettiva

-

Grave rigidità -

Predominio delle difese basate sulla scissione

Sistemi di valore contraddittori e interiorizzati in modo incompleto

- -- -

-

-

- - -----

Investimenti scarsi o assenti nel lavoro e nelle attività del tempo libero ---- -

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Sistemi di valore pienameme sviluppati e interiorizzati ma con standard eccessivamente rigidi

-----

Intatto e stabile

- ---- -----

Intatto e stabile

--

-------- --

Rigidità

-

Predominio delle difese nevrotiche, difese mature e basate sulla scissione variabili

Investimenti nel lavoro e/o nelle attività del tempo libero

- -- ---- --- --

Flessibilità

-

Predominio delle difese mature, difese nevrotiche variabili -

� ---

Gravi difficoltà nelle relazioni sentimentali con rapporti sessuali assenti o caotici

Difficoltà nell'integrare sessualità e tenerezza

Intimità sessuale abbinata a tenerezza �

Relazioni interpersonali instabili e superficiali

Relazioni interpersonali stabili e profonde, ma possibilmente conflittuali

Relazioni interpersonali stabili e profonde

------�

Predominio del modello relazionale tendente a soddisfare le proprie esigenze

-

Senso di sé e degli altri scarsamente integrato, superficiale, instabile e irrealistico

Capacità di apprezzare le necessità degli altri in modo indipendente dalle esigenze del sé

------- --

Senso di sé e degli altri relativamente ben integrato, stabile e realistico

---------

Capacità di apprezzare le necessità degli altri in modo indipendente dalle esigenze del sé

---- ----------

--

------ --------

Investimenti

-

Qualità delle relazioni oggettuali

-

Livello borderline di organizzazione della personalità

Livello nevrotico di organizzazione della personalità o transizione tra livello nevrotico e borderline

Organizzazione della personalità normale

Senso di sé e degli altri ben integrato, stabile e realistico

Disturbo grave della personalità

Patologia della personalità di alto livello

Nessuna patologia della personalità

Valutazione strutturale della personalità.

Livello di organizzazione della personalità Senso di sé e degli altri

Tabella 9.2

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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

vista, il paziente con patologia della personalità più grave rende contem­ poraneamente evidente il vuoto, il caos e la confusione nella sua vita e nelle relazioni oggettuali, creando nell'intervistatore un senso di confusione e comprensione incompleta e rendendogli difficile empatizzare con lui e i suoi altri significativi. Identità: senso di sé e senso degli altri

Nella valutazione di un paziente con patologia della personalità, nell' am­ bito di un esame di realtà relativamente intatto (è stato, cioè, escluso un disturbo psicotico) , il clinico si concentra sulle caratteristiche cliniche che riflettono il consolidamento di identità versus la patologia di identità, per operare una distinzione tra la patologia della personalità di alto livello e più grave. In particolare, valutiamo quanto il senso di sé e degli altri significativi del soggetto sia complesso, realistico e stabile versus superficiale o polariz­ zato, irrealistico e instabile. La formazione dell'identità si riflette anche, in misura minore, sul livello di capacità dell'individuo di investire in obiettivi professionali e valori personali a lungo termine e in rapporti sentimentali intimi e sessuali. Durante il consulto, i pazienti con identità consolidata sono in grado di fornire informazioni su se stessi in modo sottile e profondo, in una manie­ ra che consente all'intervistatore di acquisire rapidamente la conoscenza di molte aree della sua vita. Nel corso di una consulenza di un'ora e mez­ za, l'intervistatore riesce facilmente a sviluppare un'impressione sempre più chiara e dettagliata dell'esperienza interiore e del funzionamento ester­ no del paziente, compresi i punti di forza e i punti deboli, compatibile con l'idea generale che si è fatto di lui. Nel soggetto con identità consolidata, le distorsioni apparenti nella percezione o presentazione di sé e gli aspetti scarsamente integrati dell'esperienza di sé sono limitati ad aree specifiche di conflitto; per esempio, un paziente di successo potrebbe non rendersi conto di essere valorizzato dai suoi titolari o un professionista serio, e altrimen­ ti responsabile, potrebbe mettere sistematicamente in pericolo la propria reputazione, frequentando prostitute quando viaggia per lavoro. In modo analogo, quando il paziente descrive i suoi rapporti con gli altri, le persone importanti della sua vita emergono come individui tridimensionali, reali­ stici, comprensibili e complessi. Al contrario, è probabile che il paziente con identità scarsamente conso­ lidata crei nell'intervistatore un senso vago e confuso del proprio funziona­ mento in diversi aspetti della sua vita quotidiana. Le informazioni fornite dal paziente riguardo a se stesso sono tipicamente vaghe, superficiali e in­ ternamente inconsistenti ed è quindi difficile per l'intervistatore sviluppare un'impressione chiara dell'esperienza interna o del funzionamento esterno del soggetto. Per esempio, un paziente potrebbe descriversi come cronica173

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

mente suicidale e sopraffatto dall'ansia e poi, nella frase successiva, soste­ nere di avere una vita professionale di grande successo o descriversi come " molto socievole ed estroverso" , sebbene non abbia amici nella città in cui vive. In modo analogo, nel setting della patologia di identità, le descrizioni delle persone del suo mondo tendono a essere superficiali e scarsamente differenziate, "bianche o nere" o caricaturali e internamente inconsistenti. Qualità delle relazioni oggettuali interne ed esterne

Quando indaghiamo sulla qualità delle relazioni oggettuali, ciò che ci inte­ ressa è il concetto che ha il paziente della natura di base dei rapporti stretti e la sua capacità di apprezzare e preoccuparsi delle esigenze e dei sentimen­ ti degli altri. Considera i rapporti in termini di soddisfacimento di un'esi­ genza, inteso come chi ottiene che cosa dalla relazione e chi ottiene di più, oppure ha un senso di reciproco dare e avere? Il senso stabile e integrato di sé e degli altri riscontrato nel paziente con identità consolidata è associato alla capacità di avere relazioni oggettuali caratterizzate dall'attenzione per le esigenze degli altri, indipendentemente dalle necessità del sé; alla capa­ cità di un reciproco dare e avere, e alla capacità di contare sugli altri, che a loro volta possono contare su di lui. I rapporti interpersonali sono stabili in termini di qualità e duraturi nel tempo, contrassegnati dalla fiducia e dal rispetto per l'altro come individuo. L'eventuale interruzione del funziona­ mento interpersonale è limitata ad aree specifiche di conflitto. Al contrario, la patologia di identità è tipicamente associata a una visione dei rapporti incentrata sul soddisfacimento delle proprie esigenze, in cui il paziente concettualizza i rapporti in termini di ciò che ottiene e ciò che dà, con una capacità limitata di preoccuparsi delle esigenze degli altri, indipen­ dentemente dai propri bisogni e desideri. Nel paziente con patologia del­ la personalità grave, i rapporti interpersonali stretti sono di solito instabili, spesso caotici, tinti di sfiducia e ostilità e privi di intimità. Difese e rigidità della personalità

Nei disturbi di personalità gravi, difese che distorcono l'immagine o basa­ te sulla scissione influenzano il comportamento del paziente e conducono alla distorsione e all'instabilità dell'esperienza interpersonale. Pertanto, la predominanza di difese basate sulla scissione, caratteristica del paziente con disturbo di personalità grave, di solito è relativamente facile da individuare nel corso dell'intervista diagnostica. Il senso polarizzato e instabile di sé e degli altri e i tratti della personalità contraddittori (per esempio, un'inse­ gnante elementare riservata, che guadagna del denaro extra lavorando co­ me spogliarellista) , che sono spesso caratteristiche centrali dei disturbi di personalità gravi, riflettono l'impatto delle operazioni difensive basate sulla 174

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

scissione sull'esperienza interna e sul funzionamento esterno del paziente. Inoltre, durante il consulto, il paziente con patologia dell'identità utilizza tipicamente le operazioni difensive che implicano, in un modo o nell'altro, il controllo dell'intervistatore; in particolare, nel controtransfert possono essere identificati, abbinati alla valutazione di un paziente con patologia della personalità grave, l'identificazione proiettiva, il controllo onnipoten­ te e l'idealizzazione/svalutazione. Al contrario, le difese del paziente con patologia della personalità di alto livello possono essere più difficili da identificare nell'intervista dia­ gnostica, in quanto è meno probabile che influenzino il comportamento del paziente o l'esperienza dell'intervistatore. Pertanto, tendiamo a infe­ rire invece di osservare la predominanza delle difese nevrotiche, quando vediamo la rigidità della personalità abbinata a un senso stabile consoli­ dato, integrato e realistico di sé e degli altri. Come descritto nel capitolo 2 , la rigidità della personalità si riflette in una storia di modelli comporta­ mentali ripetitivi, disadattavi, di cui il paziente non è consapevole o che non è in grado di modificare. Nell'intervista, i tratti di personalità disa­ dattivi, come per esempio un bisogno eccessivo di piacere o di sentire di avere il controllo della situazione, vengono messi in atto nelle interazioni con l'intervistatore. Funzionamento etico

Nella valutazione dell'organizzazione della personalità, oltre a esaminare l'i­ dentità e le difese, valutiamo il funzionamento etico del paziente (Kernberg, 1 984 ) . Si tratta tipicamente di una valutazione meno importante nei pazienti con patologia della personalità di alto livello, in cui troviamo sistemi di va­ lore interiorizzati e un funzionamento morale relativamente ben integrati e stabili; la patologia del funzionamento etico in questo tipo di pazienti si manifesta tipicamente sotto forma di inflessibilità ed è spesso caratterizza­ ta da una tendenza all'autocritica eccessiva e da standard interni eccessi­ vamente alti. Al contrario, nei pazienti con patologia dell'identità, il funzionamento morale è più variabile - i sistemi di valore non sono pienamente interioriz­ zati e la patologia del funzionamento morale è comune (Kernberg, 1984 ) . L a patologia della moralità in pazienti con patologia dell'identità si manife­ sta spesso come un abbinamento di funzionamento morale eccessivamente severo o rigido, che coesiste con "lacune" o deficit egosintonici in altre aree di funzionamento morale (per esempio, un membro del clero è dedito al servizio di Dio e della comunità, ma sfrutta senza problemi gli altri, per un proprio vantaggio personale) . In pratica, la presenza di modelli comporta­ mentali antisociali e la loro relativa gravità riflettono il grado di patologia dei sistemi di valore ed etici interiori del paziente . In una valutazione del 1 75

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

soggetto con patologia della personalità grave, l'esame del funzionamento etico diventa un elemento importante per la pianificazione del trattamento differenziale e la prognosi (Clarkin et al., 2006 ) .

INTERVISTA DIAGNOSTICA: IL METODO Quando esamina un paziente, il clinico psicodinamico non si basa unica­ mente su ciò che egli racconta di sé, ma presta anche molta attenzione al suo comportamento, alle interazioni con l'intervistatore e al modo in cui il paziente lo fa sentire nel controtransfert. Per approfondire la propria com­ prensione dell'organizzazione e della rigidità di personalità del paziente, l' intervistatore chiede la chiarificazione dell'esperienza soggettiva, sottoli­ neando con gentilezza le omissioni (confronto) nel racconto o le incoerenze nelle comunicazioni verbali e non verbali. Nello specifico, egli domanda al paziente come interpreti tali incongruenze e come si senta al riguardo e lo incoraggia a fornire informazioni aggiuntive, che possano chiarire ciò che sta accadendo. Al tempo stesso, il consulente presta molta attenzione al modo in cui il soggetto reagisce a tali interventi. Di solito, interventi di questo tipo con-

Disturbo sintomatico

Aree di funzionamento e malfunzionamento

Consolidamento d i i dentità e operazioni difensive

-

-- ---

--- -----

Live l l o nevrotico di organizzazione della personalità

Livello border l i ne di organizzazione della personalità

Grado ed entità della rigidità della persona l ità

Obiettivi terapeutici focali versus non focali

Figura 9.1 176

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Funzionamento etico/sociopatia

Aggressività l Impulsività

Albero decisionale per la valutazione del paziente.

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

ducono all'ulteriore attivazione delle operazioni difensive del paziente e all'amplificazione della loro espressione nelle sue interazioni con l'intervi­ statore, dove possono essere ulteriormente esplorate. Questa sequenza sfida il paziente a riflettere e a esplorare i propri comportamenti e motivazioni e fornisce all' intervistatore l'opportunità di valutarne la capacità di farlo. Alla fine, il consulente mette insieme ciò che sente riguardo all'esperienza soggettiva del paziente e ciò che osserva nel suo comportamento e nelle in­ terazioni con lui durante l'intervista, in modo da ricavare inferenze riguar­ do al livello di organizzazione di personalità del soggetto. La valutazione clinica può essere concettualizzata come un albero deci­ sionale (Figura 9 . 1 ) . A ogni livello dell'indagine, le informazioni vengono acquisite e utilizzate per formulare ipotesi che guidano e focalizzano l' ap­ proccio del clinico al livello successivo di indagine. Valutazione dei disturbi lamentati dal paziente, funzionamento della personalità e livello di organizzazione della personalità

L'Intervista Strutturale L'Intervista Strutturale, sviluppata da Kernberg ( 1 984 ) , è un'intervista cli­ nica, che può essere gestita da un clinico esperto in novanta minuti circa, studiata per distinguere l'organizzazione di personalità borderline dall'or­ ganizzazione di personalità nevrotica, da un lato, e forme sottili di psicosi dall'altro, ottenendo al tempo stesso il tipo di informazioni descrittive re­ lative ai sintomi e ai tratti della personalità fornite da un'intervista psichia­ trica generale. L'Intervista Strutturale non segue un ordine rigidamente predetermi­ nato e si basa sul giudizio clinico e sull'abilità dell'intervistatore. Essa è focalizzata sui sintomi e sui tratti patologici della personalità del pazien­ te, sulle difficoltà a essi associate, sulla capacità del paziente di riflettere riguardo alle proprie difficoltà e sui modi particolari in cui i suoi proble­ mi si manifestano nelle interazioni con l'intervistatore. Nell'intervista, il consulente diverge periodicamente dall'esplorazione delle difficoltà del paziente e della natura delle sue relazioni con gli altri significativi, per uti­ lizzare chiarificazione e confronto allo scopo di evidenziare ed esplorare le operazioni difensive e le questioni conflittuali attivate nell'interazione paziente-intervistatore. Tale processo fornisce al consulente dati aggiun­ tivi che completano le informazioni fornite dal paziente nel racconto e consentono al clinico di escludere malattie psicotiche e di dedicarsi alla diagnosi differenziale del livello di organizzazione della personalità ne­ vrotico versus borderline. Questo tipo di approccio, che prevede di ottenere informazioni sulle dif­ ficoltà e il funzionamento attuali affrontando periodicamente le operazioni 1 77

VALUTAZJOI\E DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

difensive del paziente, consente all'intervistatore di evidenziare la patologia descrittiva con cui si presenta il soggetto, valutando al tempo stesso l' orga­ nizzazione della personalità sottostante. Fase 1 . L'Intervista Strutturale inizia con domande sulle difficoltà lamen­

tate dal paziente. L'intervistatore parte da una richiesta di informazioni dicendo, per esempio: "Mi dica che cosa l'ha indotta a sottoporsi a questa intervista. Qual è la natura dei suoi problemi e in che modo pensa che il trattamento possa aiutarla? " . Questo tipo di approccio offre al paziente la possibilità di discutere dei propri sintomi, dei motivi principali per cui si è presentato in terapia e di qualsiasi altra difficoltà stia vivendo in quel momento della sua vita. Ascoltando il paziente, l'intervistatore può valu­ tare la sua consapevolezza della patologia, l'apprezzamento della necessità del trattamento e quanto le sue aspettative terapeutiche siano realistiche o meno. Di solito, i problemi nell'esame di realtà e i disturbi del pensiero compaiono subito, quando il paziente lotta (o non riesce a lottare) per ri­ spondere a questa richiesta di informazioni complessa, astratta e non strut­ turata. Inoltre, i pazienti con diffusione di identità spesso si identificano rispondendo alle domande iniziali con una presentazione apparentemen­ te distratta e caotica delle proprie difficoltà, della situazione di vita e delle aspettative dal trattamento. Se il paziente risponde alla richiesta iniziale di informazioni in un modo facile da seguire e capire, descrivendo chiaramente i propri sintomi e i di­ sturbi che lamenta e rispondendo adeguatamente alla richiesta di chiarifica­ zione dell'intervistatore, la prima parte dell'intervista risulta molto simile a una normale intervista psichiatrica. Al contrario, se le sue risposte a queste prime domande e/o il comportamento durante il colloquio sono poco orga­ nizzati, strani o confusi, l'intervistatore focalizza l'attenzione su quell'area. Lo scopo, in questo caso, è quello di effettuare una distinzione tra un paziente affetto da malattia psicotica da un lato, e un paziente con patolo­ gia dell'identità, dall'altro. L'intervistatore inizia sottolineando le aree di vaghezza o contraddizione, chiedendo una chiarificazione e verificando se il paziente sia in grado di capire la confusione dell'intervistatore stesso. In risposta a questo tipo di intervento, i pazienti con diffusione di identità di­ ventano di solito più ansiosi, ma sono in grado di rispondere alle domande e di empatizzare con la confusione dell'intervistatore, e di solito diventano più organizzati in questo processo. Al contrario, i pazienti con disturbi psi­ cotici presentano difficoltà a seguire la linea di indagine e a capire la confu­ sione dell'intervistatore e diventano sempre più disorganizzati. Fase 11. Dopo aver descritto ed esplorato le difficoltà lamentate dal paziente

e (se possibile) escluso un processo psicotico, l'Intervista Strutturale preve­ de un'indagine sulla personalità del soggetto. L'intervistatore può iniziare 178

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

con una frase tipo: "Mi sembrano abbastanza chiari i sintomi e i problemi che l'hanno portata in terapia; adesso mi può raccontare come va nella vi­ ta quotidiana e in che modo le sue difficoltà hanno o non hanno interferito con il suo funzionamento? " . Se, nell'esposizione di ulteriori informazioni s u di sé, il paziente forni­ sce dati che l'intervistatore non riesce a mettere insieme nella propria men­ te - in particolare elementi contraddittori, che contrastano con l'immagine interna del paziente e della sua vita, che l'intervistatore si sta costruendo ­ sorge la possibilità di diagnosticare una patologia dell'identità. Si tratta di un altro punto dell'intervista in cui è indicata un'esplorazione discreta del­ le contraddizioni potenziali o apparenti, per valutare l'entità delle imma­ gini di sé contraddittorie presenti o il livello di solidità e integrazione della concezione di sé del paziente. Lo scopo è di distinguere tra patologia della personalità di alto livello, in cui gli aspetti conflittuali del funzionamento sono scissi da un'esperienza di sé centrale, e la diffusione di identità, in cui la qualità dell'esperienza di sé è globalmente dissociata. Nella pratica, tale distinzione si effettua solitamente con relativa facilità. Nei pazienti con patologia della personalità di alto livello, sebbene spesso si riscontrino aree periferiche di esperienza di sé contraddittorie, esse sono scisse e in contraddizione rispetto a un'area centrale ben integrata dell'e­ sperito soggettivo, legata a un senso del sé dominante e stabile. Pertanto, sebbene non ci si attenda un'armonia totale nel paziente con patologia della personalità di alto livello, si prevede di osservare un'integrazione soggettiva centrale del concetto di sé, che il terapeuta può utilizzare per empatizzare con il paziente e costruirsi un'immagine di lui nella propria mente. In que­ sto contesto, quando si esplorano aree contraddittorie di esperienza o fun­ zionamento, risulta chiaro che il paziente le esperisce come aliene all'ego o "egodistoniche" , e che sono viste come non adeguate alla sua visione, altri­ menti integrata, di sé. Questo tipo di informazioni spesso serve come fine­ stra sui conflitti e/o le difficoltà interpersonali del paziente, ma si tratta di una situazione diversa rispetto a quella riscontrata nella diffusione di iden­ tità, in cui non vi è.alcuna esperienza di sé integrata, centrale e dominante. Al contrario, quando esploriamo aree di contraddizione apparente nelle comunicazioni dei pazienti con patologia di identità significativa, possiamo identificare aspetti contraddittori multipli di funzionamento ed esperienza di sé, in assenza di un senso del sé sottostante o centrale. Tali pazienti sono consapevoli del fatto che la loro esperienza di sé è inconsistente, interna­ mente contraddittoria e spesso caotica. In effetti, è comune per i pazienti con patologia di identità clinicamente significativa, che si trovano ad af­ frontare aree di incoerenza, lamentare l'assenza di un senso del sé autenti­ co, stabile o integrato, o una confusione in merito a quali aspetti della loro esperienza interna siano " davvero me" . 1 79

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAM'ÒNTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE Fase m. La fase finale dell'Intervista Strutturale prevede l'acquisizione di

tutte le informazioni che possono ancora essere necessarie per chiarire la na­ tura del consolidamento di identità del paziente. Di solito, la maggior parte delle informazioni necessarie per stabilire il livello di organizzazione della personalità del soggetto sono state fornite nel corso dell'esplorazione della natura delle difficoltà e del funzionamento della sua personalità. Per esem­ pio, nel setting della descrizione di problemi ricorrenti con i datori di lavo­ ro, un paziente fornirà all'intervistatore informazioni sulle sue rappresenta­ zioni degli altri in aree di conflitto. In modo analogo, ascoltando il paziente descrivere le proprie difficoltà coniugali e sessuali croniche, l'intervistatore può acquisire informazioni sulla qualità delle sue relazioni oggettuali. Tuttavia, per approfondire la conoscenza dell'esperienza interna del pa­ ziente e identificare forme più sottili di patologia dell'identità, oltre a pa­ tologie narcisistiche meglio integrate, è utile a questo punto dell'intervista valutare direttamente il grado di integrazione del senso di sé del paziente e del suo senso degli altri. L'intervistatore può introdurre questa fase dell'in­ tervista dicendo, per esempio: "A questo punto, vorrei cambiare un po' il passo, sapere qualcosa di più su di lei come individuo, sul modo in cui vede se stesso, come pensa che la vedano gli altri e tutto quello che ritiene possa essermi utile per farmi davvero un'idea di lei come persona" . Questa affermazione richiede al paziente di riflettere su se stesso e di presentare una visione integrata della propria esperienza interna e del pro­ prio funzionamento esteriore. I pazienti con patologia di identità trovano particolarmente difficile rispondere a questo tipo di indagine. Quando il paziente è in difficoltà, l'intecvistatore deve incalzarlo, incoraggiandolo ad ampliare e approfondire la propria descrizione di sé, per esempio sottoli­ neando che sembra enfatizzare le cose in cui è bravo, ma esistono aree in cui riscontra maggiori problemi? Oppure sottolineando che ha fatto un buon lavoro nel descrivere come lo vedono gli altri, ma ha detto pochissimo ri­ guardo a come si considera lui interiormente. Dopo aver esplorato il livello di integrazione del senso di sé del paziente, l'intervistatore può riesaminare per l'ultima volta il modo in cui il sogget­ to esperisce le persone importanti del suo mondo. In questa fase del collo­ quio, ci concentriamo sui suoi rapporti più intimi, perché nei pazienti con disturbo di personalità grave - cui manca un quadro stabile e integrato delle persone della loro vita - i deficit nel senso degli altri del paziente sono ti­ picamente più pronunciati con le persone più importanti per loro. Inoltre, in questo punto dell'intervista, i pazienti narcisistici, meglio integrati, che hanno un senso relativamente stabile del sé, possono essere chiaramente identificati per l'assenza di sottigliezza e profondità nella loro descrizione degli altri. Tali scoperte risultano particolarmente evidenti quando il pazien­ te descrive le persone con le quali è più intimamente coinvolto. L'intervistatore può avviare questa fase del colloquio dicendo, per esem1 80

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

pio: "Adesso mi piacerebbe chiederle di raccontarmi qualcosa riguardo al­ le persone più importanti della sua vita attuale. Può dirmi qualcosa di lo­ ro in un modo che, visto il poco tempo che abbiamo, mi consenta di farmi un'idea reale e viva di queste persone? " . Se il paziente si trova in difficoltà, l'intervistatore può aiutarlo, chiedendogli espressamente di identificare la persona che gli è più vicina e poi invitandolo a descriverla, come se stesse scrivendo un paragrafo su di lei in una storia. Patologia narcisistica. La patologia narcisistica può essere diagnosticata più

facilmente con l'esplorazione del livello di integrazione del senso degli altri del paziente e del grado di patologia nelle sue relazioni oggettuali. Questo perché il paziente con disturbo di personalità narcisistico può presentare difficoltà legate alla rigidità della personalità, nel setting di un senso del sé relativamente stabile, rendendo a volte difficile, nelle prime fasi dell'inter­ vista, distinguerlo da un paziente con patologia della personalità di alto li­ vello. Tuttavia, in questa fase finale del colloquio, in cui è invitato a descri­ vere le persone a lui vicine, il paziente con patologia narcisistica fornisce descrizioni degli altri incredibilmente prive di sottigliezza e profondità, a un livello assolutamente incompatibile con il funzionamento apparentemen­ te alto e con il senso stabile di sé del paziente. Questa scoperta è di solito preannunciata in una fase precedente dell'intervista, nel corso dell'esplo­ razione delle relazioni oggettuali del paziente, che nella personalità narcisi­ stica sono viste esplicitamente in termini di soddisfacimento delle esigenze. Storia passata. Una volta ottenuto un quadro chiaro delle difficoltà lamen­ tate dal paziente e del suo funzionamento e livello di organizzazione della personalità, l'indagine si sposta brevemente sul suo passato, in relazione ai problemi attuali. In questo modo, otteniamo informazioni sulla storia evo­ lutiva del paziente e sui suoi rapporti, attuali e passati, con genitori e fra­ telli. Nei pazienti con patologia della personalità di alto livello, le informa­ zioni relative al passato seguono in modo naturale l'esplorazione della sua personalità corrente. In questo setting, la descrizione da parte del soggetto della sua storia e della sua famiglia di origine ne approfondisce la compren­ sione e consente di solito all'intervistatore di sviluppare ipotesi preliminari riguardo alla natura e alle origini dei conflitti. Al contrario, nel paziente con patologia di identità, le informazioni sul passato di solito sono sufficientemente contaminate dalle difficoltà di per­ sonalità attuali del paziente da rendere difficile sapere come utilizzare i dati da lui forniti; le descrizioni del suo trascorso sono tanto caotiche, confuse e internamente contraddittorie, quanto i suoi racconti sulla vita attuale. Per­ tanto, nei pazienti con patologia della personalità grave, la valutazione at­ tenta della vita attuale del soggetto, del consolidamento di identità e della qualità delle relazioni oggettuali fornisce i dati necessari per la valutazione

181

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

delella patologia della personalità ed è preferibile esplorare il passato sol­ tanto a grandi linee, senza cercare di chiarire o affrontare le caratterizzazio­ ni del paziente delle sue esperienze passate. Caso clinico degli aspetti dell'Intervista Strutturale La signora P. era una donna minuta, di trentadue anni, con i capelli che le arriva­ vano alle spalle, di aspetto gradevole, anche se piuttosto insignificante, vestita con abiti casual e priva di trucco. Sembrava più giovane dell'età dichiarata. Guardava l'intervistatore negli occhi e rispondeva alle domande in modo ponderato. Al quesito iniziale del consulente, la signora P. rispose che nei tre mesi prece­ denti si era sentita "giù" , senza avere una ragione valida che giustificasse tale sen­ sazione. Una sua cara amica aveva tratto grande beneficio dalla psicoterapia ed era curiosa di capire se potesse essere di aiuto anche per lei. Durante l'intervista, la signora P. si dimostrò reattiva e manifestò una situazione affettiva normale. Non evidenziava sintomi neurovegetativi di depressione e nes­ sun funzionamento risultava compromesso dal cattivo umore di cui soffriva. Non aveva avuto alcun episodio precedente di depressione e quando l'intervistatore le chiese se fosse cambiato qualcosa nella sua vita tre mesi prima, rispose che il suo fidanzato si era trasferito nella città in cui lei viveva ed erano andati ad abitare in­ sieme. Aggiunse, poi, che non esistevano motivi per cui questo dovesse deprimerla, poiché era contenta e felice della relazione con il compagno. Ritenendo di aver ottenuto una caratterizzazione completa dei sintomi lamen­ tati dalla signora P. , l'intervistatore le chiese se, e in che modo, il suo umore avesse compromesso il funzionamento nella vita professionale e sociale. La signora rispo­ se che era un'attrice, aveva partecipato ad audizioni ma, ultimamente, si era sentita troppo inibita durante i provini. Spiegò che questo era sempre stato un problema per lei, ma recentemente le difficoltà erano aumentate rispetto al solito. Fino a quel momento l'intervistatore non aveva ancora sentito nulla riguardo alla vita professionale della donna e fu sorpreso nell'apprendere che era un'attri­ ce. La sua reazione iniziale fu il pensiero che stesse perseguendo una carriera per la quale sembrava poco adatta; gli sembrava difficile immaginare che questa giova­ ne donna, riservata e piuttosto insignificante, potesse avere successo come attrice. Le chiese poi se attualmente stesse lavorando e come si mantenesse e lei gli ri­ spose che, al momento, era disoccupata. Aveva preso parte a una serie televisiva negli ultimi due anni, ma aveva deciso di non rinnovare il contratto per persegui­ re il suo sogno, da sempre, di lavorare in teatro ed era in quel contesto che aveva difficoltà nelle audizioni. Un ulteriore approfondimento della storia professionale della signora P. fece gradualmente affiorare alla memoria dell'intervistatore che, in un certo senso, si trattava di una celebrità. In effetti, egli occasionalmente aveva visto la serie televi­ siva descritta dalla donna, un programma innovativo e di successo, popolare tra gli spettatori teenager, ed era riuscito a identificarla con la ragazza trendy, prota­ gonista della storia. Mentre cercava di capire la sua reazione piuttosto confusa al­ la signora P. , l'intervistatore si rese conto che il suo atteggiamento non rifletteva soltanto il modo in cui lei aveva raccontato la propria storia - omettendo dettagli che gli avrebbero consentito di apprezzare il livello dei suoi successi professionali in una fase precedente dell'intervista - ma anche la sua presentazione di sé un po' inibita e sbarazzina, che sembrava incompatibile con la posizione di star e con il ruolo recitato in modo tanto convincente in televisione.

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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE A quel punto, la signora P. proseguì spiegando che il problema nei provini era, in realtà, uno dei motivi principali per i quali aveva deciso di ricorrere a un consu­ lente; sebbene le persone davanti alle quali si esibiva per le audizioni conoscessero il suo nome e il suo lavoro, si ritrovava a comportarsi come una ragazzina inesperta. Ponendo altre domande, il consulente scoprì che la signora P. non provava ansia nel lavorare davanti alle telecamere o al pubblico, ma aveva sempre avuto difficoltà nelle audizioni, difficoltà che riteneva fossero peggiorate di recente e che pensava avrebbero compromesso la possibilità per lei di ottenere le parti che desiderava. L'intervistatore chiese ulteriori dettagli (chiarificazione) riguardo all'esperienza della signora durante le audizioni e alle particolari circostanze che le suscitavano ansia. La donna spiegò che era molto più ansiosa durante i provini per il teatro, di quanto fosse stata quando aveva lavorato in televisione. La televisione era stata un compromesso e durante le audizioni per lavorare in teatro si sentiva molto più sotto pressione. Inoltre, si era resa conto di avere più difficoltà di fronte a registi uomini che ammirava in modo particolare o che godevano di grande rispetto nel settore. La cosa che la stupiva di più era il fatto che gli uomini con i quali si sentiva maggiormente a disagio erano quelli che la ritenevano un'attrice di talento, con cui avrebbero voluto lavorare. Quando entrava nella stanza di prova davanti a queste persone, si sentiva " rimpicciolire" , proprio quando più desiderava fare bella figu­ ra. Alla fine, aveva la sensazione, molto frustrante, di apparire sciocca. Era uscita dall'ultimo provino sentendosi umiliata. Il consulente proseguì chiedendo ulteriori informazioni riguardo alla vita sen­ timentale e romantica della donna, che descrisse una relazione quinquennale con l'attuale compagno. Si trattava di un rapporto di reciproco sostegno e piacevole, anche se la signora P. aveva la sensazione che spesso lei e il suo compagno sembras­ sero più fratelli che amanti e aggiunse di avere l'impressione che entrambi fossero in qualche modo sessualmente inibiti. L'approfondimento della questione da parte del consulente fece emergere che la paziente aveva avuto storie più passionali con uomini con i quali si sentiva meno coinvolta emotivamente, ma che considerava la propria relazione sessuale con il compagno soddisfacente. La signora P. aveva parecchi amici che lavoravano in teatro e un altro gruppo di amici del college, che adesso vivevano nella sua stessa città. In generale era con­ tenta della propria vita, voleva solo riuscire a rilassarsi e a godersi di più le cose e, soprattutto, sentirsi più a proprio agio e comportarsi in modo più adeguato du­ rante le audizioni. A quel punto, il consulente riteneva ormai piuttosto probabile che la signora P. avesse una rigidità della personalità, nel setting della patologia della personalità di alto livello e un'identità relativamente ben consolidata. Tale impressione diagno­ stica era coerente con il modo ponderato e organizzato in cui presentava se stessa e i suoi problemi, la stabilità e la profondità apparente dei suoi rapporti intimi e sociali e la sua capacità di dedicarsi a una carriera. Inoltre, la reazione personale del consulente nei suoi confronti - di crescente rispetto e ammirazione, uniti a un senso di comprensione sempre maggiore della sua personalità e dei suoi conflitti ­ era compatibile con la patologia della personalità di alto livello . Al tempo stesso, l'intervistatore fu colpito dalla dissociazione apparente tra, da un lato, il successo professionale della donna e il modo in cui si comportava e si sentiva quando recitava e, dall'altro, il modo in cui si sentiva e agiva durante le au­ dizioni e, in un certo senso, anche con l'intervistatore. Quest'ultimo voleva valutare se tali incongruenze riflettessero conflitti relativi all'esibizionismo e alla competizio­ ne, scissi da un sé dominante o se le difficoltà della signora P. fossero manifestazioni

1 83

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

di una patologia di identità lieve. L'intervistatore condivise con la paziente la pro­ pria difficoltà di capire come potesse sentirsi tanto a proprio agio mentre recitava davanti a un teatro pieno, anche quando era sola sul palco, e poi sentirsi a disagio e inibita durante le audizioni davanti a un piccolo gruppo di persone. La signora P. ammise che si trattava di una cosa strana e disse al consulente di aver cercato di capirlo lei stessa con tutte le sue forze, ma inutilmente. Aveva anche lavorato con il suo agente e il suo manager per sentirsi più sicura di sé durante i pro­ vini, ma senza risultato. Per quanto riguardava le cause scatenanti specifiche del suo comportamento adolescenziale, l'unica cosa che era riuscita a identificare era il col­ legamento tra la sua ansia e le audizioni per uomini importanti, che ammirava. Ag­ giunse poi che probabilmente si trattava di " un qualche tipo di cosa legata al padre " . Per approfondire ulteriormente la comprensione della signora P. , dei suoi con­ flitti e della sua visione di se stessa, l'intervistatore le chiese di descriversi e la don­ na rispose di ritenersi una persona con i piedi per terra, con buoni valori, cordiale e coscienziosa. Quando era più giovane, aveva avuto seri problemi di autostima e spesso si era ritrovata a tenersi in disparte rispetto ai suoi amici più estroversi. Seb­ bene non fosse più timida, la signora P. aveva la sensazione che, anche adesso, la sua visione di se stessa non avesse tenuto il passo con i successi ottenuti. Quando le fu chiesto che cosa intendesse dire, la donna spiegò che, sebbene sa­ pesse di avere una carriera di successo e che il suo nome era famoso, non si sentiva affermata e aveva ancora la tendenza a vedersi all'ombra degli altri; solo quando re­ citava si riteneva una persona meritevole di particolare attenzione. Il consulente le chiese se si considerasse una donna competitiva e lei rispose di no, anche se era con­ sapevole del fatto che altri spesso si sentivano tali nei suoi confronti e recentemente aveva iniziato a pensare che, forse, era più competitiva di quanto volesse riconoscere. Il consulente ritenne di aver ottenuto un quadro chiaro dei problemi, della per­ sonalità e dell'organizzazione della personalità della signora P. , che presentava sen­ sazioni depressive in assenza di una patologia affettiva, forse rispondendo ai criteri di una reazione di aggiustamento. Tra gli stressors recenti identificò l'abbandono della televisione per perseguire l'ambizione di lavorare su un palco e la convivenza con il compagno. La donna non rispondeva ai criteri di disturbo della personalità DSM-IV-TR e i suoi sintomi di presentazione riflettevano una rigidità della personali­ tà organizzata intorno alla rappresentazione difensiva di sé, in cui si sentiva e agiva come una ragazza che si autobiasimava. Aveva problemi di autostima e conflitti ri­ guardo a esibizionismo e competizione, incorporati in un livello nevrotico dell'or­ ganizzazione della personalità.

Conclusione della valutazione dei disturbi lamentati, delfunzionamento della personalità e del livello di organizzazione della personalità Una volta completata la valutazione dei disturbi lamentati e del funzio­ namento e livello di organizzazione della personalità, si arriva a un bivio dell'albero decisionale diagnostico (Figura 9 . l) . Se il paziente ha un'identità relativamente ben consolidata, il passo successivo del processo di valutazio­ ne consiste nel determinare la gravità della rigidità della personalità. Nel­ la patologia della personalità di alto livello, è proprio questo fattore, unito alla motivazione e alle aspettative del paziente in merito al trattamento, a guidare la pianificazione della terapia. Se il paziente presenta una patolo1 84

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

gia di identità significativa, il passo successivo prevede invece di valutarne il funzionamento etico e di determinare quanto l'aggressività patologica sia infìltrata nel funzionamento della personalità. Per la discussione relativa alla valutazione del paziente con patologia della personalità grave, rimandiamo il lettore a Clarkin, Yeomans e Kernberg (2006) . A questo punto, è bene osservare che, prima di terminare l a fase di valu­ tazione del consulto, è utile chiedere al paziente se nell'intervista siano state escluse, o coperte in modo insufficiente, altre cose importanti, che l'inter­ vistatore dovrebbe sapere di lui.

Valutazione della gravità della rigidità di personalità Una volta formulata la diagnosi di patologia della personalità di alto livel­ lo, si passa alla valutazione della gravità della rigidità di personalità del pa­ ziente, che può essere concettualizzata su tre dimensioni, in qualche modo sovrapposte (Tabella 9.3 ) :

l. Grado di rigidità, che varia da relativamente flessibile, all'estremità meno

grave dello spettro, a fortemente inflessibile, all'altro estremo. 2 . Grado di disadattività della rigidità, che varia da tratti della personalità leggermente disadattivi o inadeguati a un estremo dello spettro, a tratti della personalità fortemente disadattivi e inadeguati, all'altro estremo. 3 . Grado in cui la rigidità intacca globalmente ilfunzionamento della perso­ nalità, che varia da manifestazioni relativamente focali di rigidità della personalità, che influenzano negativamente soprattutto un'area di fun­ zionamento, all'estremità meno grave dello spettro, a un livello di rigi­ dità globale in cui i tratti di personalità disadattivi intaccano molte o ad­ dirittura tutte le aree centrali di funzionamento. Quando la rigidità della personalità è fortemente inflessibile, il paziente riferisce di non riuscire a superare o modificare i propri modelli comporta­ mentali disadattivi, anche quando ne è pienamente consapevole e si sforza di cambiare. Così, per esempio, la signora P. , l'attrice descritta nel paragrafo precedente, non riusciva a modificare la propria sensazione interiore e il pro­ prio comportamento interpersonale durante i provini, per quanto ci provasse con tutte le sue forze e indipendentemente dalle volte che aveva dimostrato Tabella 9.3 Valutazione della gravità della rigidità di personalità. ----Quanto sono rigidi i tratti della personalità disadattivi del paziente? (Relativamente flessibili - Fortemente inflessibili)

--:---�-

Quanto sono estremi i tratti della personalità disadattivi del paziente? (Lievemente disadattivi o visibili - Fortemente disadattivi e inadeguati)

Quanto sono globali i tratti della personalità disadattivi del paziente? (Relativamente focali, interessano un'area principale di funzionamento - Infiltrati in tutte le aree di funzionamento)

1 85

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

a se stessa come tale comportamento adolescenziale fosse inappropriato. Al contrario, se la sua rigidità della personalità fosse stata meno inflessibile, sa­ rebbe riuscita a modificare il proprio com portamento nelle audizioni, magari esercitandosi a essere più assertiva o chiedendo consiglio agli amici. Anche se avrebbe potuto continuare a sentirsi una bambina piccola interiormente, se i suoi tratti della personalità fossero stati meno rigidi, sarebbe riuscita a modificare il proprio comportamento in modo da renderlo più adeguato. Quando la rigidità della personalità è fortemente disadattiva, i modelli comportamentali che il paziente non riesce a modificare sono altamente ina­ deguati e interferiscono con il funzionamento, almeno in alcuni setting. La signora P. presentava tratti della personalità che erano solo in parte disadat­ tivi; benché il suo comportamento fosse inadeguato, difficilmente avrebbe allontanato totalmente registi e produttori con i quali si sentiva a disagio. Al contrario, se un'attrice avesse un bisogno compulsivo di assumere il con­ trollo in situazioni che la rendono ansiosa, rispondendo allo stress dell' au­ dizione dicendo a tutti che cosa fare e criticando e rifiutando le indicazioni delle persone che la conducono, il suo comportamento sarebbe fortemen­ te disadattivo - dal punto di vista sociale, decisamente più inappropriato dell'atteggiamento adolescenziale della signora P. e con maggiori probabi­ lità di non farle ottenere i ruoli desiderati. Esaminiamo, infine, il grado di rigidità della personalità globale, che in­ fluenza negativamente la personalità in molte o nella maggior parte delle aree di funzionamento, versus la rigidità della personalità più focale, che conduce a comportamenti disadattivi soltanto in una o poche aree di funzionamento. Per ritornare alla signora P. del caso in questione, finora sembra che la sua propensione ad assumere una presentazione di sé adolescenziale sia di­ ventato un problema significativo soprattutto nell'ambito delle audizioni. Sebbene chiaramente avesse una tendenza a ritrarsi e a comportarsi e sen­ tirsi "una ragazzina" come parte del proprio stile interpersonale, sembrava che in molti setting il suo comportamento non fosse tanto inadeguato, né sufficientemente significativo da causarle disagio.

Valutazione dei tipi di personalità e della patologia della personalità di alto livello Dopo aver valutato l'organizzazione della personalità, diagnosticato la pato­ logia della personalità di alto livello e completato la valutazione della gravità della rigidità di personalità, il clinico può esaminare se il paziente soffra di uno dei disturbi di personalità di livello superiore riscontrati comunemen­ te o, al contrario, presenti un quadro misto. Tale considerazione viene ef­ fettuata prevalentemente sulla base dei tratti della personalità del paziente, oltre che in base alla risposta del clinico al paziente nel controtransfert e alla valutazione dei conflitti centrali del soggetto. 1 86

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

Come descritto nel capitolo 2 , alcuni pazienti cui è stata diagnosticata la patologia della personalità di alto livello presentano uno dei " disturbi di personalità nevrotica" descritti nella letteratura psicoanalitica. Le persona­ lità ossessive-compulsive, isteriche e depressive-masochistiche o depressive sono quelle più comunemente descritte (Kernberg, 1 984; PDM Task Force, 2006) . (Anche i disturbi di personalità ossessivo-compulsivo e depressivo sono inseriti nel DSM-IV-TR. ) Altri pazienti con patologia della personalità di alto livello rispondono ai criteri del disturbo di personalità istrionico, dipendente o evitante DSM-IV-TR. Mentre molti pazienti che rientrano nei criteri DSM-IV-TR per questi disturbi presentano patologie di personalità più gravi, un piccolo sottogruppo di soggetti relativamente sani di questi gruppi diagnostici hanno una patologia della personalità di alto livello. I pazienti con patologia della personalità di alto livello che rientrano nei criteri DSM­ rv-TR per il disturbo istrionico, dipendente o evitante soffrono tipicamente di una patologia di identità lieve, che si manifesta sotto forma di una certa superficialità o instabilità moderata del senso di sé e/o degli altri, nel set­ ting di una capacità di creare rapporti di reciproca dipendenza. Dal pun­ to di vista strutturale, questi pazienti possono essere meglio descritti come soggetti con un'organizzazione della personalità che rientra nella gamma transitoria tra i livelli di Kernberg nevrotico e borderline. La Tabella 9.4 contiene un riassunto dei disturbi di personalità di livel­ lo superiore. Per una discussione completa sulle caratteristiche descrittive, psicodinamiche e cliniche di tali patologie, rimandiamo il lettore al libro di Nancy McWilliams La diagnosi psicoanalitica. Struttura della personalità e processo clinico (tr. it. Astrolabio Ubaldini, Roma 1 999) e al PDM Manuale Diagnostico Psicodinamico (tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2008 ) .

PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE La prima parte del consulto è organizzata intorno all'acquisizione delle in­ formazioni necessarie per formulare una diagnosi DSM-IV-TR e strutturale, mentre la seconda parte prevede: l) condivisione dell'impressione diagno­ stica con il paziente, 2) definizione degli obiettivi terapeutici, 3 ) revisione delle opzioni terapeutiche disponibili e relativi benefici e 4) aiuto al pazien­ te per una decisione informata riguardo al tipo di trattamento/i da seguire. Condivisione dell'impressione diagnostica

Nella seconda parte del consulto, l'intervistatore condivide la propria im­ pressione diagnostica con il paziente. È importante che egli riesamini sia i sintomi e i disturbi di Asse I, sia la patologia della personalità. La sua de­ scrizione delle difficoltà del paziente e la discussione delle questioni diagno1 87

....... 00 00

Perfezionista Moralmente superiore

Controllante e/o sadico Giudicante

Focus sui dettagli

Emotivamente limitato

Consolidata

Ossessivocompulsivo

-----

- ------

Intolleranza dell'aggressività, che viene rivolta contro di sé; conflitti riguardo all'essere accudito come difesa contro i conflitti edipici

-

Depressione, meditazioni di colpa

Perfezionista Autocritico

------

---- --

----- --

Variabile

----- -

Ansioso

Ampiamente consolidata

Dipendente

---- - -

Conflitti su dipendenza e fiducia, con uso difensivo del!' idealizzazione degli altri significativi potenti e svalutazione di sé

Paura dell'abbandono Tristezza e paura al termine delle relazioni

Inefficace Bisognoso

Desideroso d'amore Accattivante Sottomesso Sensibile Appiccicoso alle perdite

- -- - -----

Pensieroso, meticoloso

Cupo Serio

----- -

Consolidata

Depressivo

--

Formazione di compromessi riguardo all'aggressività e alla dipendenza edipica, con ritiro difensivo nelle lotte sul controllo di sé e degli altri

Ansia, meditazioni ansiose

--------- --

- - -------

Conflitti sulla dipendenza con proiezione di autocritica aggressiva e desiderio di svalutare gli oggetti vulnerabili

Dinamiche centrali

-- --------

Ansia sociale Isolamento sociale Derisione immaginata da parte degli altri

-

Inferiore Indesiderabile

Sintomi comuni

- ------- -

Atteggiamento verso se stesso

- -·

- ---------

Timido Ipersensibile alle offese e/o critiche

-----

Stile interpersonale

Ipervigilante

Stile cognitivo

---- ----

Timoroso Depressivo

Tono affettivo

-----

Ampiamente consolidata

Evitante

Introverso

- -----

-

------

Conflitti edipici riguardo a sessualità e dipendenza

Inibizioni sessuali

------ -

Infantile e inadeguato, limitatamente ai setting sessualmente significativi

Desideroso di attenzioni Seducente

Impressionistico

Emotivo

,.. Estroverso

Conflitti riguardo alla dipendenza, con uso difensivo della sessualità per gratificare i bisogni dipendenti e aggressivi

Promiscuità sessuale Labilità affettiva Scatti d'ira

Infantile Grandioso Erotizzato

Accentratore Seducente in modo aggressivo

Superficiale

Iperemotivo Superficiale

---- -

Ampiamente consolidata

lstrionico

- - ------

----

Consolidata

Isterico

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Caratteristiche centrali dei disturbi di personalità comunemente diagnosticati in pazienti con patologia della personalità di alto livello.

Identità

Tabella 9.4

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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

stiche devono essere più chiare e specifiche possibile, evitando il ricorso a termini tecnici o gergali. Nel trattare le questioni diagnostiche, consigliamo al consulente di incominciare da un riepilogo dei sintomi e dei tratti di per­ sonalità disadattivi del paziente, chiedendogli se la formulazione gli sembri accurata e se egli desideri aggiungere o modificare qualcosa. Contrariamente a disturbi come la depressione maggiore o il panico, per i quali esistono criteri diagnostici chiari cui il consulente può fare riferimen­ to, quando si tratta di discutere della patologia della personalità con il pa­ ziente, il consulente si deve basare maggiormente sulla propria descrizione e concettualizzazione di tale patologia. Quando parla di rigidità della per­ sonalità di livello superiore con un paziente, di solito non è necessario che identifichi un tipo di personalità specifico o utilizzi il termine " disturbo di personalità " , che potrebbe confondere o offendere i pazienti. Consigliamo invece al consulente di spiegare il concetto di rigidità della personalità e il modo in cui si collega ai sintomi descritti e ai tratti della personalità di­ sadattavi del paziente. Per i soggetti con patologia della personalità grave, la discussione sarà organizzata intorno al concetto di identità, aiutando il paziente a concettualizzare i propri problemi partendo dal presupposto di avere un senso di sé instabile e non completamente consolidato. Caso clinico di condivisione dell'impressione diagnostica Come esempio del modo in cui un consulente può procedere per condividere la propria impressione diagnostica, ritorniamo alla signora P., l'attrice intervistata nella prima parte di questo capitolo. Dopo l'intervista, il consulente potrebbe di­ re per esempio: "Mi sembra che lei stia descrivendo due problemi, che potrebbero forse essere collegati tra loro. Come prima cosa, si sente un po' depressa, più del solito, e non è chiaro che cosa abbia scatenato questo cambiamento d'umore. Non credo che lei soffra di una depressione 'clinica' , che richieda necessariamente un trattamen­ to specifico. Sembra più un qualche tipo di reazione di aggiustamento, magari in risposta al tentativo di perseguire il suo sogno di recitare in teatro. Le sue attua­ li difficoltà potrebbero anche avere a che fare con la nuova convivenza con il suo compagno. So che è contenta di vivere con lui e che le cose vanno bene, tuttavia è possibile che, a livello inconscio, ci sia qualcosa riguardo a questa decisione e a ciò che significa per lei, che la turba. Quello che ho detto finora ha senso secondo lei? " . S e l a paziente sostiene di seguire ciò che il consulente sta dicendo e che le sem­ bra plausibile, il terapeuta potrebbe proseguire dicendo, per esempio: "Lei ha poi descritto un secondo problema, che sembra più cronico rispetto alla questione dell'umore e che riguarda il modo in cui vede se stessa e come si presenta in alcune situazioni. Sospetto che questo problema sia collegato al suo recente peg­ gioramento d'umore, anche se forse non è così. Per come la vedo io, malgrado lei sappia di essere un'attrice di successo e matura, rispettata da registi e produttori, per motivi che non sono chiari, quando si presenta a un'audizione tende a sentirsi una bambina. Pare che questi sentimenti siano più acuti quando fa dei provini per il teatro, piuttosto che per la televisione, e specialmente quando si trova in presen­ za di uomini che ammira e da cui sospetta di essere a sua volta ammirata. Inoltre,

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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE questa difficoltà sembra essere parte di un modello più generale, in cui lei mantie­ ne un'immagine di sé di ragazzina. Anche se questo non sembra causare problemi nella maggior parte delle situazioni, ho l'impressione che quando è ansiosa questa tendenza possa diventare più pronunciata " . A questo punto, il consulente potrebbe fare una pausa, ancora una volta per vedere se la paziente è " con" lui. Se sembra seguire ed essere d'accordo, può poi continuare condividendo ciò che pensa riguardo alla sua difficoltà: " Ritengo che il tipo di problema che lei riscontra durante le audizioni sia quel­ lo che chiamiamo 'rigidità' della personalità. Per rigidità intendo che lei non riesce a modificare il suo comportamento come vorrebbe e come avrebbe senso fare e continua, invece, a fare sempre la stessa cosa, malgrado si sforzi di comportarsi di­ versamente. Di solito, la rigidità della personalità di questo tipo è guidata da forze psicologiche al di fuori della consapevolezza. Ciò equivale a dire che, per ragioni di cui non è cosciente, lei è automaticamente e involontariamente indotta a sentir­ si e, in una certa misura, ad agire come una bambina durante l'audizione, malgra­ do si renda conto che si tratta di un atteggiamento inadeguato e anche se, a livello conscio, preferirebbe agire diversamente " .

Definizione degli obiettivi terapeutici

Molti pazienti hanno obiettivi terapeutici specifici e relativamente limita­ ti, malgrado descrivano ampie aree di difficoltà durante la valutazione. Per esempio, potremmo vedere un paziente con attacchi di panico nel contesto di una rigidità della personalità grave e fortemente disadattiva, che vuole essere curato soltanto per le crisi di panico; oppure un paziente con rigidi­ tà della personalità globale e grave, che interessa aree multiple di funziona­ mento, il cui unico obiettivo terapeutico è la gestione più efficace dei rap­ porti con i superiori sul lavoro. Per contro, alcuni pazienti hanno aspettative apparentemente infinite e fortemente irrealistiche di ciò che si può ottenere con la psicoterapia. Per esempio, potrebbe esserci una paziente globalmente controproducente e inibita al punto tale da interferire con il suo funzionamento professiona­ le, sentimentale e sociale, che si presenta in terapia sperando di diventare estroversa e assertiva in tutte le sue interazioni, " come sua madre" . Pertanto, spetta al consulente aiutare il paziente a stabilire esattamente per che cosa voglia sottoporsi al trattamento - vale a dire, che cosa spera di veder miglio­ rare entro la fine della terapia. Inoltre, il consulente non deve dichiararsi d'accordo con obiettivi terapeutici del tutto irrealistici come, per esempio, nel caso della paziente che vorrebbe cambiare la propria personalità per assomigliare di più alla madre. Nella scelta degli obiettivi terapeutici è importante che il consulente aiuti il paziente a capire quali siano i suoi obiettivi personali - quali aspetti della sua situazione lo disturbino al punto da giustificare la terapia. Prima di definire tali traguardi, il consulente dovrebbe dedicare del tempo alla chiarificazione dettagliata dell'impatto della rigidità della personalità sul 190

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE

funzionamento. In presenza di aree di malfunzionamento apparentemen­ te significative che non turbano il paziente in modo evidente, il consulen­ te dovrebbe farglielo notare ed esplorare le implicazioni della sua scelta di non includere negli obiettivi terapeutici particolari aree di funzionamento disadattivo significativo. Caso clinico di definizione degli obiettivi terapeutici Come esempio della vasta gamma di obiettivi terapeutici di cui può disporre un de­ terminato paziente, ritorniamo alla signora P. Per prima cosa, come abbiamo detto, il consulente la aiuta a formulare la natura delle sue difficoltà, dopo di che l'assiste nel chiarire, tra le aree di difficoltà descritte, quali siano quelle per le quali richiede il trattamento. Per esempio, è possibile che una persona come lei sia preoccupata principalmente per i problemi di umore. In alternativa, il consulente vorrà sapere se la donna sia interessata al trattamento per le inibizioni sessuali. In questo caso specifico, il consulente riuscì a stabilire un obiettivo terapeutico chiaro e relativa­ mente specifico. Lo scopo della signora P. era quello di modificare il proprio biso­ gno di sentirsi e comportarsi come una ragazzina in situazioni in cui tale atteggia­ mento era più pronunciato e più disadattivo, principalmente nelle audizioni e in secondo luogo nel suo rapporto con il fidanzato.

Discussione sulle opzioni terapeutiche

Le opzioni terapeutiche dipendono dalla natura degli obiettivi del pazien­ te. Spetta al consulente aiutarlo a prendere una decisione informata e au­ tonoma, guidata dalla competenza e dai consigli del clinico, ma definita, in ultima analisi, sulla base delle esigenze e dei desideri del paziente, riflessi nei suoi obiettivi personali e nel livello di motivazione per il trattamento. Mentre riesamina le opzioni terapeutiche e consiglia una particolare forma di psicoterapia e prima di iniziare il trattamento, il clinico deve avviare un processo per ottenere il consenso informato (Beahrs, Gutheil, 200 1 ) . Spet­ ta al terapeuta rivelare informazioni sufficienti per consentire al paziente di prendere una decisione ragionata sull'opportunità di sottoporsi a terapia. La decisione informata inizia con il processo descritto in precedenza, in cui il consulente condivide le proprie impressioni e la valutazione diagno­ stica e poi aiuta il paziente a chiarire i propri obiettivi. Il passo successivo prevede che il terapeuta riveda le possibili opzioni terapeutiche, oltre ai po­ tenziali costi, benefici e rischi di ogni approccio terapeutico. Per esempio, per un paziente con rigidità della personalità, un trattamento breve, sup­ portivo o cognitivo-comportamentale richiede meno tempo, è meno costoso e forse meno stressante della DPHP, ma ha necessariamente obiettivi meno ambiziosi. Gli elementi coinvolti nella decisione informata relativa alla psi­ coterapia sono riassunti nella Tabella 9.5 . Per i pazienti con patologia della personalità di alto livello che lamenta­ no problemi legati alla rigidità della personalità, le opzioni di trattamento 191

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

comprendono: l) psicoterapia psicodinamica a breve termine, focale; 2 ) psicoterapia supportiva; 3 ) terapia comportamentale; 4 ) trattamento cogni­ tivo-comportamentale; 5 ) DPHP; e 6) psicoanalisi. Se l'obiettivo del paziente è quello di modificare la rigidità della personalità relativamente flessibile, particolarmente fastidiosa o disadattiva in aree focali di funzionamento, a seconda della lamentela specifica del soggetto, un trattamento focale a bre­ ve termine, supportivo, comportamentale o cognitivo-comportamentale potrà essere sufficiente. Più la rigidità della personalità diventa inflessibile, più è improbabile che i trattamenti meno intensivi siano efficaci e riteniamo che la DPHP diventi quindi più chiaramente indicata. Inoltre, a mano a mano che i tratti della personalità diventano più disadattivi, il rationale e la motivazione per un trattamento intensivo aumentano. Nei casi per i quali la DPHP è indicata, più è focale l'area in cui i tratti del­ la personalità sono disadattivi e compromettono il funzionamento, più è probabile che la terapia abbia successo. Quando la rigidità della personalità diventa più globale, a causa di gravi problemi in molte o in tutte le aree di funzionamento, il consulente può prendere in considerazione la possibilità di consigliare la psicoanalisi. In alternativa, se il paziente che presenta una rigidità della personalità globale relativamente grave è in grado di selezio­ nare un obiettivo specifico, la DPHP è ragionevolmente consigliabile. Spetta al consulente condividere onestamente con il paziente la propria valutazione di quale trattamento indirizzi i diversi aspetti della sua patolo­ gia, tenendo conto anche dei costi, in termini di tempo, denaro e potenziali effetti collaterali delle opzioni terapeutiche a disposizione. Nel consigliare la DPHP, il consulente deve descriverne i potenziali benefici, ma anche i co­ sti e i possibili rischi, oltre a fornire informazioni riguardo all'evolvere pre­ visto della rigidità della personalità del paziente in assenza di trattamento. Per descrivere la DPHP, il consulente potrebbe dire, per esempio: "La DPHP è un trattamento studiato per aiutarci a capire meglio gli aspetti della sua esperienza interiore alla base dei problemi che l'hanno portata in terapia. Parte dell' ansia e delle preoccupazioni che guidano il suo compor-

Tabella 9.5

Consenso informato per la terapia dinamica.

li processo del consenso informato ha lo scopo di facilitare la decisione autonoma e comporta:

- Discussione sulla diagnosi del paziente e formulazione delle sue difficoltà - Discussione sul corso, l'etiologia e i sintomi associati dei disturbi lamentati dal paziente - Discussione sulle conseguenze previste qualora il paziente non seguisse il trattamento - Descrizione della DPHP e dei rischi e benefici associati, compresa la durata prevista del trattamento e i possibili effetti collaterali (per esempio, aumento temporaneo dell'ansia o di altri sintomi) - Discussione sui trattamenti alternativi significativi, con i relativi rischi e benefici

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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE E PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DIFFERENZIALE tamento possono essere consce, mentre altre sono probabilmente al di fuori della sua consapevolezza. Il trattamento prevede che lei parli apertamente e onestamente di ciò che pensa durante le sedute, poiché questo è il modo più efficace che conosciamo per saperne di più riguardo alla sua vita interiore. Il mio ruolo è quello di aiutarla a identificare i modelli di pensiero, comporta­ mento e fantasia alla base delle sue difficoltà. L'idea generale è che, a mano a mano che lei capirà meglio le paure e le ansie presenti in lei che guidano il suo comportamento, riuscirà ad affrontarle in modo più flessibile e adattivo".

Inoltre, il consulente deve spiegare che la DPHP è una terapia bisettima­ nale, che di solito dura da uno a quattro anni. I rischi gravi associati al trat­ tamento sono pochissimi, anche se la terapia può suscitare sensazioni for­ ti e il paziente può esperire un peggioramento dell'ansia o di altri sintomi, come " effetti collaterali" temporanei, in diversi punti del trattamento. Il paziente deve capire che, sebbene il consulente consigli la DPHP, esistono anche altre opzioni terapeutiche, ciascuna delle quali ha il proprio rationa­ le e il proprio profilo rischi/benefici. Valutazione strutturata

In un setting clinico, consigliamo di effettuare l'intervista riportata in que­ sto capitolo. Tuttavia, un setting di ricerca richiede un approccio più strut­ turato, per garantire che i pazienti siano valutati in modo uniforme e che le considerazioni diagnostiche siano affidabili per diversi valutatori e diversi si ti. Per rispondere a queste esigenze e facilitare la valutazione dell' organiz­ zazione della personalità nelle prove di ricerca cliniche, abbiamo sviluppato l'Intervista Strutturata per l'Organizzazione della Personalità (STIPO), dispo­ nibile sul nostro sito Internet ( www. borderlinedisorders .com) . Il formato dell'intervista semi-strutturata della STIPO fornisce un modo standardizzato per raccogliere informazioni riguardo all'organizzazione della personalità e per attribuirle un punteggio in modo obiettivo. Sebbene la STIPO sia stata sviluppata originariamente a scopo di ricer­ ca, abbiamo scoperto che può servire anche come utile strumento didatti­ co. Al clinico relativamente inesperto di valutazione strutturale e intervista psicodinamica, la STIPO offre una serie di domande specifiche e di indagini di follow-up, che possono essere utilizzate per valutare le dimensioni del­ la personalità rilevanti ai fini della definizione del livello di organizzazione della personalità. Altri autori hanno studiato la valutazione sistematica di pazienti con pa­ tologia della personalità. L'intervista sulle relazioni oggettuali di Piper (vedi Piper, Duncan, 1999) è stata utilizzata per valutare i pazienti e ha dimostra­ to di prevedere la risposta a diverse forme di psicoterapia breve. Westen e Schedler ( 1 999a, 1 999b) hanno sviluppato la Procedura di Valutazione Schedler-Westen (SWAP) , uno strumento che utilizza la metodologia Q-sort 1 93

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TEMPIE

per valutare in modo affidabile la personalità e la sua patologia. Nella SWAP viene attribuito un punteggio sulla base delle descrizioni dei pazienti di se stessi e degli altri, colte nei racconti interpersonali nel corso delle interviste cliniche o delle sedute terapeutiche.

LETTURE CONSIGLIATE ABRAHAM, K , "Contributions to the theory of the anal character". In Selected Papers o/Karl Abraham. Hogarth Press, London 1942, pp. 370-392. AMERICAN PsYCHIATRIC AssocrATION, "Resource Document on Principles of Informed Consent in Psychiatry". In ] Am Acad Psychiatry Law, 2 5 , 1997 , pp. 1 2 1 - 125. BEAHRs, J.O., GUTHEIL, T. G., " Informed consent in psychotherapy" . In American ]ournal o/ Psychiatry, 200 1 , 158, pp. 4 - 10. EASSER, B.R. , LESSER, S . , " Hysterical personality: a re-evaluation " . In Psychoanalytic Quarterly, 1965, 34, pp. 3 90-405. KERNBERG, O.F. , " Intervista strutturale " . Tr. it. in Disturbi gravi della personalità. Bollati Boringhieri, Torino 1987 .

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194

lO Le fasi del trattamento

La psicoterapia dinamica può essere vista come un trattamento composto da una fase iniziale, una fase centrale e una fase finale. Sebbene non siano delimitate in modo rigido e si susseguano in maniera graduale, ciascuna di queste fasi presenta peculiarità tipiche, che possono essere descritte e uti­ lizzate per concettualizzare lo svolgimento della terapia. In questo capito­ lo ci occupiamo delle tre fasi della psicoterapia dinamica per la patologia della personalità di alto livello (DPHP) e delle questioni cliniche che di solito sorgono in ciascuna di esse.

LA FASE INIZIALE DELLA DPHP La fase iniziale della DPHP può durare da alcuni mesi a un anno, a seconda della predisposizione del paziente a lavorare in un trattamento esplorativo e dell'abilità del terapeuta. I compiti delle prime parti di questa fase consi­ stono nell'esplorare le prime resistenze alla comunicazione libera e aperta, consolidare l'alleanza terapeutica, esaminare le prime resistenze caratte­ riali e identificare le relazioni oggettuali difensive dominanti. Entro la fine della fase iniziale, i conflitti centrali e le relazioni oggettuali associate sono stati identificati. Come risultato del lavoro di questa prima parte, il pazien­ te acquisisce un apprezzamento sempre più profondo dei processi mentali dinamici inconsci, oltre a una maggiore capacità di osservazione di sé nelle aree di conflitto. Esplorazione delle prime resistenze alla comunicazione libera e aperta

Ogni paziente risponde in modo diverso e caratteristico alla richiesta di comunicare apertamente e liberamente con il terapeuta. Alcuni soggetti riscontrano particolari difficoltà a presentarsi alla seduta senza preparare un ordine del giorno, mentre altri fanno fatica a sapere di cosa parlare in risposta alla richiesta non strutturata di " dire ciò che le viene in mente" , al­ tri ancora hanno particolari difficoltà a tollerare i silenzi. Il terapeuta DPHP deve prestare molta attenzione al modo in cui il paziente risponde alla na1 95

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRi\TTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

tura intima e relativamente non strutturata del setting terapeutico. I primi interventi sono focalizzati sulla chiarificazione e sull'esplorazione delle an­ sie stimolate dalla fase iniziale della terapia, con particolare attenzione per l 'analisi di resistenza, incentrata sia sulla resistenza alla comunicazione li­ bera e aperta, sia sulle resistenze caratteriali. L'esplorazione delle resisten­ ze consce e inconsce del paziente alla comunicazione aperta consentono al terapeuta di identificare e descrivere le relazioni oggettuali messe in atto nel trattamento. Casi clinici di esplorazione delle prime resistenze alla comunicazione libera e aperta Come esempio di una prima resistenza alla comunicazione libera e aperta, pren­ diamo in esame il paziente che, nelle prime sedute del trattamento, entrava sempre nello studio del terapeuta, si sedeva e iniziava immediatamente a parlare in modo molto dettagliato della sua giornata. Il suo tono era estremamente serio e conti­ nuava a parlare, praticamente senza mai fermarsi, per tutta l'ora. Durante le sedute iniziali, il terapeuta aspettò per vedere se il paziente si sarebbe rilassato. Visto che il suo comportamento non cambiava, decise di intervenire e lo interruppe per dir­ gli che aveva l'impressione fosse piuttosto ansioso durante le sedute e che uno dei modi in cui sembrava gestire tale ansia fosse quello di presentarsi in terapia e rac­ contare sistematicamente gli eventi recenti, lasciando poco spazio alla riflessione. Inizialmente il paziente rispose che stava cercando di fornire il maggior numero possibile di informazioni, in un modo chiaro e dettagliato. Dopo tutto - chiese non era questo che voleva il terapeuta? Era chiaro che il paziente si sentiva criticato. In effetti, dall'ulteriore discussio­ ne emerse che aveva preselezionato con cura il materiale di cui parlare in ogni se­ duta, praticamente provando prima ciò che avrebbe detto. Quando il terapeuta lo aiutò a esplorare la motivazione di tale comportamento, emerse il timore che, se non avesse riempito il tempo con delle informazioni, il terapeuta sarebbe rimasto deluso o avrebbe criticato o pensato che non stesse lavorando abbastanza o non lo "facesse nel modo giusto " . L'esplorazione di tali ansie consentì al terapeuta di descrivere la relazione oggettuale di un sé-bambino, timoroso di essere criticato e manifestamente desideroso di piacere, e di un genitore rigido, esigente e critico, messa in atto durante le sedute. L'esplicitazione di tale relazione oggettuale aiutò il paziente a rilassarsi e a comunicare in modo leggermente più spontaneo e rilassa­ to con il terapeuta. Allo stesso tempo, l'esplorazione di questa prima resistenza al transfert servì come punto di ingresso per l'esame dei conflitti del paziente in rela­ zione alle figure che rappresentano l'autorità. Un'altra paziente, che aveva difficoltà a comunicare liberamente, si lamentò di trovare " impossibile" sapere che cosa raccontare durante la seduta. I silenzi che ne seguivano erano pieni di ansia per lei. Dopo un po' di tempo, il terapeuta le suggerì che, forse, desiderava che lui fosse più attivo e le dicesse di che cosa parlare, per mi­ tigare la sua ansia, e che in tal caso doveva domandarsi perché il terapeuta non stes­ se facendo alcunché per aiutarla, quando sarebbe stato relativamente facile farlo. La paziente ammise che, in effetti, ci aveva pensato. L'esplorazione ulteriore di queste prime resistenze evidenziò che il setting terapeutico non strutturato, abbi­ nato all'atto di presentarsi per ottenere un aiuto, avevano attivato la relazione og­ gettuale di un sé-bambino bisognoso in rapporto con una figura materna tratte­ nuta ed egoista. Come nell'esempio precedente, quando tale relazione oggettuale,

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LE FASI DEL TRATTAMENTO

attivata nel transfert, fu identificata ed esplorata, la paziente si sentì meno bloccata nella seduta e riuscì ad associare e comunicare più liberamente. In questo proces­ so, terapeuta e paziente iniziarono a collegare la relazione oggettuale alle difficoltà ricorrenti della paziente nella propria vita intima.

Consolidamento dell'alleanza terapeutica

I pazienti con patologia della personalità di alto livello portano in terapia la capacità ben sviluppata di formare un'alleanza terapeutica con un pro­ fessionista interessato e disponibile1 (Bender, 2005 ; Gibbons et al. , 2003 ; Piper et al. , 199 1 ) . Pertanto, nella DPHP, essa viene stabilita tipicamente in modo semplice e naturale, sin dai primi contatti tra clinico e paziente. Inol­ tre, l'analisi delle prime resistenze a comunicare liberamente e apertamente rafforza lo sviluppo dell'alleanza, quando il paziente si unisce all'analista per esplorare le sue prime risposte al setting terapeutico. Esiste tuttavia un gruppo di pazienti con patologia della personalità di alto livello, che hanno una certa difficoltà a consolidare un'alleanza tera­ peutica. Per loro, il setting terapeutico attiva rapidamente e in modo relati­ vamente intenso relazioni oggettuali difensive fortemente disadattive, che colorano con forza l'esperienza del rapporto terapeutico, nella fase iniziale del trattamento. In ultima analisi, questo tipo di distorsione del rapporto terapeutico diventa la base per l'analisi del transfert. Tuttavia, per i pazien­ ti con maggiore rigidità della personalità, i cui conflitti vengono scatenati immediatamente dalla situazione terapeutica, i primi transfert negativi re­ lativamente forti distorcono il rapporto con il terapeuta, più rapidamente e intensamente di quanto accada di solito nei pazienti con patologia della personalità di alto livello. Queste prime reazioni transferali possono inter­ ferire con lo sviluppo naturale di un'alleanza terapeutica. Il terapeuta DPHP gestisce questo sviluppo identificando ed esploran­ do attivamente i transfert in questione. Si tratta di un processo che con­ tribuisce a promuovere l' alleanza terapeutica, facilitando la capacità del paziente di osservare e quindi prendere in qualche modo le distanze dai transfert negativi che colorano il rapporto terapeutico. In breve, l'anali­ si dei primi transfert negativi aiuta il paziente a operare una distinzione più chiara tra il terapeuta che aiuta nel suo ruolo professionale e l' ogget­ to transferale negativo. Caso clinico di esplorazione delle dzfficoltà nello stabilire un'alleanza terapeutica Come esempio di paziente che ha incontrato una certa difficoltà a stabilire un'al­ leanza terapeutica, esaminiamo il soggetto che, sin dalle prime fasi della consu­ lenza, correggeva costantemente il terapeuta e ingaggiava forti lotte per stabilire l. In netto contrasto con la situazione riscontrata in pazienti con patologia della personalità più grave, in cui l'alleanza terapeutica iniziale è tipicamente instabile e spesso costruita sull'idea­ lizzazione del terapeuta.

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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE se quest'ultimo avesse capito bene ciò che gli aveva raccontato di se stesso. Sem­ brava che il paziente avesse poca fiducia nella capacità del terapeuta di capirlo, non parliamo poi di aiutarlo, e temesse di mettersi nelle mani di un clinico in­ competente. Il terapeuta non avvertiva lo sviluppo di un'alleanza terapeutica e nel contro­ transfert si sentiva attaccato in modo critico e sminuito dal paziente. Si chiedeva se questi avrebbe sospeso la terapia. Il paziente si era presentato inizialmente lamen­ tando difficoltà nell'interazione con il suo capo, che considerava critico e svalutan­ te, e con i suoi subordinati, che riteneva incompetenti. Nella sua mente, il terapeuta riuscì a descrivere la relazione oggettuale messa in atto: una parte, in posizione do­ minante, era critica e svalutante, mentre l'altra, in posizione subordinata, si senti­ va incompetente e temeva di essere rifiutata. Il clinico notò come egli stesso stesse passando dal sentirsi criticato e incompetente all'avere la sensazione di svalutare e rifiutare il paziente e ne dedusse che il comportamento sgradevole del soggetto potesse essere motivato in parte dal timore di essere svalutato e criticato e, forse, in ultima analisi, rifiutato dal terapeuta. Durante le sedute successive, il clinico condivise con il paziente la propria com­ prensione della relazione oggettuale messa in atto e la collegò alle difficoltà con il suo capo e i suoi dipendenti, partendo da una posizione di neutralità tecnica, co­ municando chiaramente la preoccupazione per il paziente e mantenendo al tem­ po stesso un atteggiamento rispettoso, non critico e non svalutante, in risposta alla supponenza iniziale del paziente. Egli descrisse l'atteggiamento critico e svalutante del paziente e la sua preoccupazione apparente che il terapeuta fosse incompetente e non avesse nulla da offrirgli: Fece inoltre notare al paziente che si era presentato da lui per essere aiutato e che, se davvero riteneva che il terapeuta non potesse capirlo, avrebbe fatto meglio a scegliere un altro consulente. Se invece pensava che il terapeuta potesse avere qualcosa da offrire, avrebbe avuto senso cercare di capire perché lo trattasse in quel modo ed esplorare come ciò potesse essere legato ai problemi che lo avevano portato in terapia. Davanti all'atteggiamento di curiosità e interesse da parte del terapeuta, privo di svalutazioni e critiche, il paziente iniziò a riflettere sui suoi commeni:Ì, riconoscendo la validità delle osservazioni e prendendo in considerazione la possibilità che il clini­ co sapesse ciò che stava facendo. A mano a mano che questa resistenza caratteriale iniziale veniva elaborata, paziente e terapeuta svilupparono un senso del lavorare insieme per capire le forze, all'interno del paziente, che potevano interferire con il trattamento e con la sensazione di essere aiutato dal terapeuta.

La fase iniziale del trattamento è tipicamente più lunga nei pazienti che hanno maggiore difficoltà a consolidare un'alleanza. In questi casi, nelle prime fasi del trattamento occorre dedicare tempo all'identificazione e, in una certa misura, all'elaborazione delle resistenze iniziali, che interferisco­ no con la creazione di un'alleanza tra il sé osservante del paziente e il tera­ peuta nel suo ruolo. Al contrario, per i pazienti che formano con maggior naturalezza un'alleanza, le fasi iniziali trascorrono più rapidamente e facil­ mente, perché il soggetto è subito in grado di collaborare con il terapeuta, per identificare ed esplorare le proprie ansie e resistenze a immergersi nel trattamento e nel rapporto terapeutico. 198

LE FASI DEL TRATTAMEI'TO Transfert positivo

Abbiamo illustrato in che modo, nella fase iniziale della DPHP, i primi tran­ sfert negativi possano interferire con il consolidamento dell'alleanza tera­ peutica, il cui sviluppo è invece promosso e sostenuto dai primi transfert positivi. Pertanto, nella DPHP, tipicamente non esploriamo né analizziamo quelli che vengono spesso indicati come "transfert positivi benigni" - tran­ sfert relativamente non conflittuali al terapeuta che presta il suo aiuto - che utilizziamo invece come mezzo per promuovere l'alleanza e facilitare l'e­ splorazione delle relazioni oggettuali conflittuali del paziente. I transfert positivi benigni devono essere distinti dai transfert apparente­ mente positivi, utilizzati in modo difensivo. Il terapeuta DPHP può effettua­ re questa distinzione tenendo presente che i transfert positivi mobilitati in modo difensivo - che difendono dall'attivazione di relazioni oggettuali con­ flittuali, dipendenti, aggressive ed erotiche - tendono a essere più caricati dal punto di vista affettivo, meno ben integrati e più idealizzanti rispetto ai transfert positivi benigni, che hanno un carattere più neutrale. Nella DPHP, i transfert idealizzanti vengono analizzati utilizzando l'approccio standard all'analisi delle relazioni oggettuali difensive. Esplorazione delle prime resistenze caratteriali

Abbiamo descritto il ruolo centrale dell'analisi di resistenza nella tecnica del­ la DPHP al capitolo 7 ( " Le tecniche della DPHP, Parte n: intervento"). Se defi­ niamo la resistenza come attivazione ddle operazioni difensive del paziente nel trattamento, e in particolare nel transfert, ne consegue che assisteremo normalmente alla messa in atto delle sue difese caratteriali nelle interazioni interpersonali con il terapeuta, soprattutto nella fase iniziale del trattamento. Gli esempi forniti nella prima parte di questo capitolo - il paziente serio, che arriva sempre preparato e il paziente polemico, costantemente sprez­ zante e critico - illustrano entrambi in che modo i pazienti possano attiva­ re e mettere in atto rapidamente le loro difese caratteriali nei confronti del terapeuta. Entrambi si comportavano durante la seduta come facevano abi­ tualmente all'esterno. La messa in atto delle difese caratteriali del paziente nella fase iniziale del trattamento consente al terapeuta DPHP di descrivere ed esplorare le relazioni oggettuali insite nei tratti caratteriali disadattivi del soggetto e, in ultima analisi, di identificare i conflitti alla base delle sue lamentele principali. Per riassumere, nelle fasi iniziali della DPHP identifichiamo i modi ricor­ renti e disadattivi con cui il paziente affronta il mondo e interagisce con gli altri, messi in atto sia all'interno, sia al di fuori del trattamento. In questa maniera, diventa possibile descrivere le relazioni oggettuali insite in tali comportamenti ed esplorare in che modo la loro messa in atto automatica 199

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE, FASI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

e abituale serva per evitare i conflitti centrali sottostanti. L'analisi delle re­ lazioni oggettuali difensive dominanti apre la strada all'identificazione dei conflitti centrali del paziente e all'utilizzo delle strategie, tecniche e tattiche descritte nella Parte n di questo volume, per analizzare i conflitti alla base dei disturbi lamentati dal paziente. Marker di cambiamento e passaggio alla fase centrale

I pazienti con patologia della personalità di alto livello si presentano tipica­ mente in terapia con una capacità piuttosto sviluppata di autoosservazione. Tuttavia, nelle aree di conflitto, l'osservazione di sé è solitamente più limita­ ta, ostacolata dalle operazioni difensive. Durante la fase iniziale della DPHP, i pazienti sviluppano una maggiore capacità di introspezione e osservazione dei propri pensieri, sentimenti e comportamenti nelle aree conflittuali. Ta­ le cambiamento si riscontra nel rafforzamento della capacità di autoosser­ vazione e introspezione a seguito dell'esplorazione da parte del terapeuta della vita interiore del paziente, partendo da una posizione di neutralità tec­ nica. La maggiore capacità di osservazione di sé e introspezione riscontrata nella fase iniziale della DPHP è tipicamente accompagnata da un'accresciuta consapevolezza della fantasia e di altri pensieri e sentimenti transitori, che in passato il paziente avrebbe ignorato o non registrato in modo conscio, in quanto correlati al conflitto. Durante la fase iniziale, i pazienti acquisiscono familiarità con l'idea di " motivazione inconscia" . Tale sviluppo è una conseguenza dell' esplorazio­ ne sistematica e delicata da parte del terapeuta delle operazioni difensive e delle ansie sottostanti del paziente. I pazienti arrivano ad apprezzare il fatto che molti tratti comportamentali, pensieri ripetitivi, sentimenti ed esperien­ ze emotive, che li hanno portati in terapia, sono motivati e significativi e si pongono quesiti sulle razionalizzazioni familiari riguardo ai propri tratti del­ la personalità e comportamenti disadattivi, che diventano più egodistonici. Con il progredire della fase iniziale, i pazienti incominciano a sviluppare la capacità di tollerare la consapevolezza di aspetti precedentemente disso­ ciati e repressi delle loro vite interiori e a riflettere sulle esperienze conflit­ tuali di sé e degli altri. L'emergere alla coscienza di rappresentazioni mentali represse e dissociate è facilitato dagli interventi del terapeuta - nello speci­ fico, chiarificazione, confronto e analisi della resistenza, da una posizione di neutralità tecnica. La capacità del paziente di tollerare la consapevolezza di relazioni oggettuali conflittuali è supportata dall'atteggiamento tolleran­ te e comprensivo del terapeuta. L'emersione di una capacità maggiore di tollerare la consapevolezza delle relazioni oggettuali conflittuali è un primo segno di riduzione della rigidità della personalità ed è uno dei marker del passaggio alla fase centrale. Essa può essere accompagnata da un' accresciu­ ta abilità a lavorare nel transfert. 200

LE FASI DEL TRATTAMENTO

FASE CENTRALE DELLA DPHP La fase centrale della DPHP può durare da uno a tre anni e i suoi compiti principali corrispondono alle strategie terapeutiche descritte nel capitolo 5 ( "Strategie della DPHP e il setting terapeutico" ) . Dal momento che gran par­ te di questo manuale è dedicata alla descrizione di tali strategie e alla loro attuazione, in questa sezione commentiamo solo brevemente gli obiettivi centrali della fase intermedia, sottolineando gli sviluppi clinici cui normal­ mente si assiste. Esplorazione ed elaborazione delle relazioni oggettuali che definiscono i conflitti centrali

Grazie al lavoro svolto nella parte iniziale del trattamento, il paziente che entra nella fase centrale ha ormai un'idea della natura dei propri conflitti centrali. Le relazioni oggettuali difensive sono state esplorate e quelle con­ flittuali corrispondenti alle motivazioni, ansie e fantasie inconsce, alla base delle difficoltà che hanno portato il paziente in terapia, sono state identifi­ cate. Il compito centrale della fase intermedia consiste nell'elaborare i con­ flitti centrali nel momento in cui le relazioni oggettuali conflittuali vengo­ no messe in atto nel trattamento e nelle interazioni quotidiane del paziente con gli altri. Il termine elaborazione si riferisce alla messa in atto, identificazione ed esplorazione ripetuta di una particolare costellazione di relazioni oggettuali conflittuali, nel tempo e in una gamma di contesti. Il processo di elabora­ zione inizia nella fase intermedia del trattamento, prosegue in quella finale e viene completato dal paziente, che lavora in modo indipendente dal te­ rapeuta, dopo la conclusione. Tuttavia, la parte preponderante di questo processo si svolge nella fase intermedia della DPHP. Per riassumere, i compiti centrali della fase intermedia della DPHP sono l'esplorazione ed elaborazione delle relazioni oggettuali conflittuali e delle ansie associate, alla base dei sin­ tomi lamentati dal paziente, in modo che possano essere integrate più flessi­ bilmente nell'esperito soggettivo del paziente. È il processo di elaborazione dei conflitti centrali in relazione agli obiettivi terapeutici che conduce alla riduzione della rigidità della personalità e a un miglioramento dei sintomi. Capacità di tollerare contenuti mentali e affetti più "primitivi"

Le relazioni oggettuali che emergono per prime nella DPHP sono prevalen­ temente difensive, relativamente accessibili alla coscienza e abbastanza ben integrate. Inoltre, quando le motivazioni conflittuali e le ansie associate sot­ tostanti vengono rappresentate presto nel trattamento, ciò avviene in una forma relativamente " asettica" e " civile " . Queste rappresentazioni sono de201

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scritte più precisamente come derivate del conflitto di base e di solito non assumono la forma di espressioni o rappresentazioni dirette di sottostanti motivazioni conflittuali e ansie. Al contrario, quando il paziente passa alla fase intermedia e la percorre, le relazioni oggettuali scoperte rappresentano più direttamente le motivazioni conflittuali e le ansie associate. Durante la fase centrale della DPHP, il paziente ottiene un migliore ac­ cesso alla propria vita interiore e tollera meglio la consapevolezza di parti inaccettabili e respinte del proprio mondo interno. Pertanto, le relazioni oggettuali mobilitate nel corso di questa fase del trattamento possono essere più polarizzate, più monodimensionali e meno differenziate (in riferimento al contenuto e alla qualità della rappresentazione delle relazioni oggettuali interiorizzate messe in atto) e più concrete e caricate affettivamente (in re­ lazione alla qualità dell'esperito associato alle relazioni oggettuali interioriz­ zate messe in atto) rispetto a quanto riscontrato in precedenza. La capacità del paziente di tollerare la consapevolezza di una gamma più vasta di espe­ rito psicologico è supportata dall'atteggiamento tollerante e comprensivo del terapeuta contenente, a mano a mano che le relazioni oggettuali con­ flittuali e minacciose vengono attuate nel trattamento e tradotte in parole. Il processo all'interno del quale il paziente nella DPHP acquisisce una ca­ pacità crescente di tollerare la consapevolezza di aspetti precedentemen­ te repressi, inaccettabili e spesso fortemente caricati della propria vita in­ teriore è indicato qualche volta con il termine " regressione terapeutica" o " approfondimento" del trattamento. Le relazioni oggettuali che diventano consce in quel momento e che vengono messe in atto in terapia sono meno integrate, o più " primitive" , rispetto a quanto avviene di solito per l'espe­ rienza conscia dell'individuo con patologia della personalità di alto livello. Paradossalmente, questo spostamento " regressivo" verso relazioni ogget­ tuali e affetti scarsamente integrati indica un progresso del trattamento nella fase centrale, quando il paziente riesce ad accedere a contenuti mentali pri­ ma inaccessibili. La regressione terapeutica e l'approfondimento del tratta­ mento sono i tratti caratteristici della fase intermedia della DPHP. lntensifìcazione del transfert e focus crescente sul lavoro nel transfert

Alcuni pazienti con patologia della personalità di alto livello hanno una grande predisposizione per il lavoro nel transfert, mentre altri non svilup­ pano o non utilizzano facilmente i sentimenti transferali. Tuttavia, sebbene il timing possa variare, la maggior parte dei pazienti sviluppa una capacità crescente nell'utilizzo del transfert, a mano a mano che progredisce nella fase centrale del trattamento. Tale facilità riflette l'accresciuta capacità di tollerare la consapevolezza di motivazioni e rappresentazioni conflittuali; i pazienti lavorano più effi­ cacemente e tranquillamente con il materiale transferale, a mano a mano 202

LE FASI DEL TRATTAMENTO

che si riduce in loro il timore di esperire desideri, esigenze e paure conflit­ tuali aggressive, dipendenti ed erotiche. Con il procedere del paziente nella fase centrale della DPHP e l'approfondimento del trattamento, le relazioni oggettuali conflittuali precedentemente represse diventano accessibili alla coscienza e vengono spesso messe in atto nel transfert. Le relazioni ogget­ tuali messe in atto nel transfert nella fase intermedia della DPHP tendono a essere maggiormente caricate dal punto di vista affettivo rispetto ai transfert attivati in una fase precedente della terapia. Ulteriori commenti sull'elaborazione delle relazioni oggettuali che definiscono i conflitti centrali: le ansie paranoidi prima delle ansie depressive

La questione delle diverse fasi del trattamento solleva la domanda relativa all'esistenza o meno di un particolare ordine da seguire nell'esplorazione dei conflitti del paziente nella DPHP. Per prima cosa occorre precisare che l'ordine in cui i conflitti vengono svelati durante il trattamento varia enor­ memente, da paziente a paziente e a seconda dei conflitti più minacciosi per un determinato soggetto. In secondo luogo, abbiamo già spiegato co­ me, quando si tratta di decidere quando intervenire, le regole della domi­ nanza affettiva e il lavoro dalla superficie alla profondità guidino gli inter­ venti del terapeuta. Tuttavia, nella fase intermedia, quando i conflitti centrali del paziente so­ no stati identificati ed esplorati e vengono elaborati in relazione ai disturbi lamentati, il terapeuta spesso si trova ad affrontare all'interno di una deter­ minata seduta due tipi di ansie, entrambe messe in atto nel trattamento ed entrambe consce. La messa in atto di una serie di ansie difende dall'attiva­ zione dell'altra e viceversa. In tale situazione, spetta al terapeuta decidere quale esaminare per prima in un determinato momento e quale considera­ re difensiva. Di fronte alla messa in atto di due serie diverse di ansie, una utilizzata per la difesa contro l'altra, di solito è preferibile elaborare le ansie paranoidi pri­ ma di indirizzare quelle depressive. Come abbiamo detto al capitolo 3 , l'o­ rientamento paranoide implica che aspetti minacciosi del mondo interno del paziente siano scissi dall'esperienza di sé e proiettati in un oggetto. Di con­ seguenza, il paziente si sente in pericolo in relazione a un oggetto percepito come, in qualche modo, minaccioso. Responsabilità e senso di colpa si collo­ cano all'esterno e l'affetto dominante è la paura. Al contrario, l' orientamen­ to depressivo implica la capacità di contenere le motivazioni conflittuali e gli stati emotivi, invece di proiettarli. In questo caso, il paziente non teme per se stesso ma per i suoi oggetti, che sono in pericolo a causa delle sue motivazioni aggressive ed egocentriche. Gli affetti dominanti, associati all'ansia depressi­ va, sono senso di colpa e perdita, spesso abbinati al desiderio di riparazione. 203

VA LUTAZIONE DEL PAZIENTE, FA SI DEL TRATTAMENTO E ABBINAMENTO DELLA DPHP CON ALTRE TERAPIE

Le ansie paranoidi sono associate a immagini relativamente polarizzate o monodimensionali, tutto-buono o tutto-cattivo, di sé e dell'altro. Ciò si­ gnifica che, se ho un orientamento paranoide, la persona che temo e odio è totalmente separata da quella che amo e di cui mi fido; se mi sento pieno d'odio o competitivo è perché l'oggetto della mia ostilità merita totalmen­ te di essere odiato o sfidato. (Occorre notare che non esiste alcun conflitto, fintanto che mantengo separate le due serie di relazioni oggettuali - amore­ vole e piena d'odio.) Le ansie depressive sono, invece, associate a esperienze relativamente ben integrate o ambivalenti di sé e dell'altro; la persona verso cui sono potenzialmente distruttivo è qualcuno che amo e di cui mi fido; io sono una persona che ama e al tempo stesso distrugge, come il mio oggetto. (Occorre notare che, in un setting di questo tipo, il conflitto è inevitabile.) L' elaborazione delle ansie paranoidi e il passaggio a un orientamento più depressivo aumenta la capacità del paziente di sostenere un'immagine sempre più profonda, stabile e complessa di sé e dei suoi oggetti. Dal mo­ mento che senso di colpa e lutto sono esperiti più pienamente in relazione a oggetti completi e ambivalenti (Klein, 1 93 5 ; Steiner, 1 993 ), indirizzare le ansie paranoidi prima di quelle depressive durante la terapia facilita l'ela­ borazione di queste ultime. Al contrario, se le ansie depressive sono tratta­ te prima delle ansie paranoidi, esiste il rischio che queste ultime semplice­ mente "vengano sepolte" . In tale situazione, i conflitti paranoidi possono diventare relativamente inaccessibili all'esplorazione e al tempo stesso in­ terferire con l'elaborazione completa delle ansie depressive. La regola di indirizzare le ansie paranoidi prima di quelle depressive è valida sia per il microprocesso, nel quadro di una determinata seduta, sia per il macroprocesso, nei mesi o addirittura anni di trattamento. A livello macra, a mano a mano che le ansie paranoidi vengono elaborate durante la fase intermedia, le ansie depressive diventano gradualmente sempre più il focus del trattamento. A livello micro, una volta identificate ed esplorate le ansie paranoidi e depressive centrali e le relazioni oggettuali associate, il paziente tende a oscillare tra dinamiche paranoidi e depressive, come parte del processo di elaborazione. Pertanto, sebbene la traiettoria generale del trattamento preveda di stabilire più solidamente un livello depressivo di funzionamento delle aree di conflitto, nel corso del trattamento, di attimo in attimo e di seduta in seduta, i pazienti oscillano tipicamente tra orienta­ menti depressivi e paranoidi. Caso clinico di esplorazione delle ansie paranoidi prima delle ansie depressive Una ragazza di venticinque anni, studentessa in legge, si presentò dopo essere stata bocciata all'esame di abilitazione professionale. Durante i mesi iniziali del tratta­ mento, assunse un atteggiamento nei confronti della terapeuta al tempo stesso in­ fantile ed eccessivamente compiacente. Questa relazione oggettuale fu esplorata e capita inizialmente come timore della paziente di una figura materna competitiva e potenzialmente minacciosa . A mano a mano che queste ansie venivano parzial-

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LE FASI DEL TRATTAMENTO mente elaborate, la paziente acquisì la consapevolezza di quanto si sentisse in con­ correnza con la madre e con la sua coinquilina. Essa riconobbe, a malincuore, che a un qualche livello, traeva piacere dal fatto di sapere che sua madre aveva sempre voluto avere una professione e non ci era mai riuscita, mentre lei sperava di fare carriera, e che la sua coinquilina era infelice perché non aveva un compagno, men­ tre lei viveva una bella relazione con il nuovo ragazzo. Dopo nove mesi di terapia, la paziente accettò la proposta di matrimonio dell'uomo con cui usciva. Nelle settimane successive, la terapeuta notò che la ra­ gazza era sempre più deferente nei suoi confronti, in un modo che ne ricordava il comportamento durante i primi mesi del trattamento. Lo fece quindi notare alla paziente, che ammise di essersi resa conto di desiderare compiacere ed elevare la terapeuta in relazione a se stessa. Sospettava che ciò avesse a che fare con il suo re­ cente fidanzamento e, in qualche modo, con la madre. Mentre ascoltava la paziente, la terapeuta si chiese come intervenire. Poteva con­ centrarsi sulle difese contro le ansie depressive e il senso di colpa, collegando il suo comportamento remissivo agli sforzi per non sembrare o sentirsi troppo fortunata, per paura di far sentire male quelli meno privilegiati - sua madre, la sua coinquilina e forse anche la terapeuta. Dall'altro lato, quest'ultima poteva focalizzare le difese contro le ansie paranoidi, collegando il comportamento remissivo della paziente agli sforzi per evitare una rappresaglia da parte di una figura materna essenzialmen­ te " cattiva " , che si sarebbe risentita della sua felicità e del suo successo. Entrambi i tipi di dinamica erano chiaramente attivi ed erano già stati esplorati. Entrambi i tipi di conflitto erano caricati affettivamente e relativamente accessibili alla coscienza. Seguendo il principio di indirizzare prima le ansie paranoidi e poi quelle de­ pressive, la terapeuta optò per iniziare dalle preoccupazioni della paziente riguardo agli attacchi da parte della madre e all'eventuale risentimento della terapeuta. Tale scelta fu basata sul rationale secondo cui l'esplorazione e l'elaborazione ulteriore della versione paranoide della lotta competitiva della paziente con una figura ma­ terna l'avrebbero aiutata a contenere meglio i propri desideri competitivi e ostili e al tempo stesso avrebbero facilitato il suo mantenimento di una visione ambivalente della madre, meglio integrata, che ne riconosceva la vulnerabilità a fronte dell' ag­ gressività della paziente. La capacità di attenersi meglio a un'immagine ambivalen­ te del proprio rapporto con la madre avrebbe, a sua volta, facilitato l'elaborazione della paziente delle ansie depressive, a un livello più profondo di quanto sarebbe stato possibile se la terapeuta avesse tralasciato le preoccupazioni paranoidi e aves­ se trattato immediatamente le difese contro le ansie depressive.

Le ansie depressive difendono dalle ansie paranoidi: la "difesa morale"

Abbiamo già discusso di come, nel paziente con patologia della personalità di alto livello, un orientamento paranoide possa essere attivato, a livello sia micro, sia macra, come difesa contro le ansie depressive. A questo punto, vorremmo commentare un particolare tipo di difesa caratteriale, in cui le relazioni oggettuali depressive e le ansie vengono messe in atto come dife­ sa contro l'attivazione di relazioni oggettuali paranoidi, da un lato e contro la perdita di un rapporto di cura idealizzato, dall'altro. Questa operazione difensiva è stata descritta per la prima volta da Ronald Fairbairn ( 1 943 ) , un analista scozzese che h