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INDICE
Introduzione UNA BUSSOLA PER ORIENTARE LA DIDATTICA CON LE TECNOLOGIE DIGITALI
Riferimenti bibliografici
Prima Parte COORDINATE
CAPITOLO I DIDATTICA DELLE LINGUE IN PROSPETTIVA INTERCULTURALE
1. La pericolosa e fuorviante percezione di nuovo e di moderno in glottodidattica
1.1. L’approccio comunicativo
1.2. Le glottotecnologie
1.3. La cultura, la civiltà, la dimensione interculturale
2. Un modello di competenza comunicativa in prospettiva interculturale
3. Didattica delle lingue in prospettiva interculturale
Riferimenti bibliografici
CAPITOLO II NUOVI E VECCHI PARADIGMI NELL’INSEGNAMENTO DELLE LINGUE E CULTURE STRANIERE IN RETE
1. Introduzione
2. Dalle macchine per insegnare agli ambienti virtuali per la formazionedi massa
3. Dalle piattaforme alle App
4. Dall’apprendente fruitore all’apprendente produttore
5. Prospettive e nuovi paradigmi
Riferimenti bibliografici
CAPITOLO III IL DOCENTE DI LINGUA E CULTURA ITALIANA ONLINE: NUOVE COMPETENZE, NUOVI OBIETTIVI, NUOVI STRUMENTI
1. Introduzione
2. Per una definizione di «corso di lingua e cultura online»
3. Il docente di lingua e cultura italiana e le nuove tecnologie
4. Le nuove tecnologie stanno cambiando la figura del docentedi lingua e cultura italiana?
5. I vincoli che la didattica con le nuove tecnologie pone aldocente di lingua e cultura italiana
6. I vantaggi che la didattica con le nuove tecnologie riserva aldocente di lingua e cultura italiana
7. Le nuove competenze che un docente di lingua e culturaitaliana online deve acquisire
7.1. Imparare a gestire diversamente il tempo
7.2. Imparare a gestire uno spazio di insegnamento non chiuso
7.3. Imparare a gestire l’alto tasso di autonomia dell’apprende
Riferimenti bibliografici
CAPITOLO IV I SOCIAL NETWORK NELLA DIDATTICA DELL’ITALIANO L2
1. Introduzione
2. Le caratteristiche di un Social Network
3. I presupposti teorici
4. Potenzialità e limiti dell’uso dei Social Network
5. Le tipologie di Social Network esistenti
5.1. I Social Network nati senza finalità educative e didattiche
5.1.1. La spendibilità didattica di Facebook
5.1.2. Dalla serendipity al formato blended
5.1.3. Una proposta didattica integrata: insegnare Facebook, insegnare inFacebook
5.2. I Social Network per l’apprendimento linguistico
5.2.1. Il caso di Livemocha
5.3. Costruire un Social Network per la propria classe di italiano L2
6. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Riferimenti sitografici
CAPITOLO V IL MOBILE LEARNING E LE NUOVE FRONTIERE PER LA DIDATTICA DELLE LINGUE
1. Introduzione
2. Caratteristiche del m-learning
2.1. Ostacoli alla diffusione dell’ m-learning
3. Fare didattica con l’m-learning: modelli, approcci diriferimento
4. Verso nuovi traguardi: le App e il Cloud
5. Le prospettive future dell’m-learning
6. Contenuti bite-size e fruizione game per l’m- learning
6.1. I contenuti bite-size
6.2. Gamification e apprendimento
7. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Seconda Parte ESPERIENZE
CAPITOLO VI LO SVILUPPO DELLA SCRITTURA ACCADEMICA IN ITALIANO L2 IN PERCORSI BLENDED LEARNING
1. Introduzione
2. Destinatari e loro bisogni di apprendimento
2.1. Alcuni dati sugli studenti del corso
3. Quadro teorico di riferimento
4. Piattaforma Moodle e ambienti di apprendimento significativi
5. Il corso di scrittura accademica blended learning
5.1. Struttura del corso
5.2. Strumenti per le attività collaborative del corso
6. Conclusioni
Questionario conoscitivo
Riferimenti bibliografici
CAPITOLO VII LA FLIPPED CLASSROOM: CARATTERISTICHE ED ESPERIENZE
1. Introduzione
2. Capovolgere la classe: cosa significa?
3. Capovolgere la classe: in cosa consiste la metodologia flipped?
4. Capovolgere una classe di lingua straniera
5. Analisi dei dati derivanti dalle sperimentazioni condotte
6. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Riferimenti sitografici
CAPITOLO VIII PROMUOVERE IL DIALOGO E LA CONSAPEVOLEZZA INTERCULTURALE IN AMBIENTI VIRTUALI
1. Introduzione
2. Principali bisogni del pubblico di riferimento: studenti con cittadinanza non italiana
3. Un modello di competenza multiculturale: la propostadel Quadro comune europeo di riferimento
3.1. Dalla competenza culturale alla consapevolezza interculturale
4. Un ambiente virtuale per lo sviluppo della consapevolezza interculturale
5. Una proposta di apprendimento informale
6. L’ambiente virtuale
6.1. Il quadro teorico
6.2. Spazi, strumenti e modalità di comunicazione
6.3. La dimensione sociale nell’ambiente
6.3.1. Il profilo
6.3.2. Il blog personale
6.3.3. La bacheca
6.4. Spazi, strumenti e modalità per la riflessione sulla lingua
7. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
CAPITOLO IX COMUNICARE L’ITALIANO SUL WEB.2.0: IL PROMO PIAZZA ITALIA
1. Introduzione
2. Nuovi scenari di comunicazione sul Web 2.0: Social Media e Social Network
3. Il Promo Piazza Italia su A-Tutor: la formazione
4. Il Promo Piazza Italia su Twitter: la comunicazione
4.1. Twitter: caratteristiche, diffusione, funzionalità
4.2. Comunicazione social: un’ipotesi di gestione
5. Conclusioni
Riferimenti bibliogra
Riferimenti sitografici
CAPITOLO X TRADUZIONE AUDIOVISIVA E CONSAPEVOLEZZA PRAGMATICA NELLA CLASSE D’ITALIANO AVANZATA
1. Introduzione
2. AVT nelle classi di lingua: metodologia e strumenti
2.1. La piattaforma ClipFlair
3. Quadro teorico
4. Lo studio
5. Traduzioni del linguaggio scortese
6. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
Indice analitico
GLI AUTORI

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E-Book

Orientarsi in rete Didattica delle lingue e tecnologie digitali

a cura di Matteo La Grassa e Donatella Troncarelli

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@ 2016 Becarelli, Siena Viale Goffredo Mameli 14/16. http://www.labecarelli.it [email protected] telefono +390577226427 Prima edizione Maggio 2016 LINFA - LINgue, Formazione, Apprendimenti La collana LINFA accoglie contributi su temi inerenti la variazione linguistica e i contesti plurilingui, i processi di apprendimento e, più in generale, la didattica delle lingue moderne, concedendo uno spazio privilegiato all’Italiano L2. La collana, inoltre, pone particolare attenzione agli aspetti di interesse per quanti si occupano a vario titolo di insegnamento linguistico o intendono acquisire competenze in questo settore. Le riflessioni contenute nelle proposte di LINFA, basate su solide basi scientifiche, mirano anche ad avere utili ricadute applicative per meglio orientare interventi di progettazione didattica, per l’elaborazione di sillabi, la creazione di materiali e di prove di valutazione in contesti di apprendimento diversi (in presenza e a distanza) e con una pluralità di profili di apprendenti anche con caratteristiche eterogenee. Direttore Donatella Troncarelli - Università per Stranieri di Siena Comitato scientifico Carmen Argondizzo - Università della Calabria Eleonora Fragai - Ricercatrice indipendente Ivana Fratter - Università degli Studi di Padova Roberta Grassi - Università degli Studi di Bergamo Elisabetta Jafrancesco - Università degli Studi di Firenze Matteo La Grassa - Università per Stranieri di Siena Maria Cecilia Luise - Università degli Studi di Firenze Massimo Maggini - Università per Stranieri di Siena Anthony Mollica - Brock University, Canada Giuseppe Paternostro - Università degli Studi di Palermo Donatella Troncarelli - Università per Stranieri di Siena Andrea Villarini - Università per Stranieri di Siena Grafica Alessandro Bellucci I volumi della collana sono sottoposti a peer review ISBN 9788898466061 Titolo Orientarsi in rete

€. 10,00

LINFA - 1

Orientarsi in rete Didattica delle lingue e tecnologie digitali

a cura di Matteo La Grassa e Donatella Troncarelli

INDICE Una bussola per orientare la didattica con le tecnologie digitali: introduzione........................................................................................ 6 Matteo La Grassa, Donatella Troncarelli Parte I – Coordinate 1. Didattica delle lingue in prospettiva interculturale .......................24 Paolo Balboni 2. Nuovi e vecchi paradigmi nell’insegnamento delle lingue e culture straniere in Rete................................................................................. 42 Donatella Troncarelli 3. Il docente di lingua e cultura italiana online: nuove competenze, nuove prospettive, nuovi strumenti ................................................... 61 Andrea Villarini 4. I Social Network nella didattica dell’italiano L2 ........................... 80 Emanuela Cotroneo 5. Il Mobile learning e le nuove frontiere per la didattica delle lingue...110 Ivana Fratter

Parte II – Esperienze 6. Lo sviluppo della scrittura accademica in italiano L2 in percorsi blended learning .............................................................................. 129 Elisabetta Jafrancesco 7. La flipped classroom: caratteristiche ed esperienze ..................... 165 Alessandra Giglio 8. Promuovere il dialogo e la consapevolezza interculturale in ambienti virtuali.............................................................................................. 181 Matteo La Grassa 9. Comunicare l’italiano sul web.2.0: il promo Piazza Italia............ 209 Eleonora Fragai 10. Traduzione audiovisiva e consapevolezza pragmatica nella classe d’italiano avanzata ........................................................................... 228 Laura Incalcaterra McLoughlin, Jennifer Lertola Indice analitico ................................................................................ 249 Gli autori.......................................................................................... 252

introduzione

UNA BUSSOLA PER ORIENTARE LA DIDATTICA CON LE TECNOLOGIE DIGITALI Matteo La Grassa, Donatella Troncarelli Università per Stranieri di Siena

Insegnare e apprendere le lingue nella realtà contemporanea non può ormai prescindere dall’impiego di tecnologie digitali. Oltre a essersi radicate nella nostra vita quotidiana diventando mezzi privilegiati per la consultazione di informazioni, per la gestione di servizi e per la comunicazione interpersonale a distanza, le tecnologie offrono, a quanti vogliono avvicinarsi a un’altra lingua e cultura o migliorare le proprie competenze in questo ambito, formidabili opportunità che non è possibile trascurare in un mondo globalizzato in cui gli scambi commerciali e turistici si intensificano, milioni di persone si spostano per trovare migliori opportunità di vita e di lavoro, masse di studenti si muovono ogni anno per svolgere, in parte o per intero, il loro percorso di studi in un altro paese e in cui quindi la necessità di padroneggiare più lingue e conoscere più culture si fa sempre più strada. Cogliere tali opportunità non è però sempre cosa semplice. La pluralità dei mezzi a disposizione e la loro rapidità di evoluzione genera un panorama fluido in cui anche chi, come il docente di lingua, da lungo tempo è abituato a integrare la lezione con supporti tecnologici che possano ampliare le modalità di esposizione alla lingua, a introdurre aspetti culturali e ad ampliare le occasioni di pratica, può avere difficoltà a orientarsi. Nasce quindi la necessità di coadiuvare la formazione di coloro che mirano a professionalizzarsi nel campo dell’insegnamento linguistico, o 6

Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

svolgono già questa professione, sostenendo il passaggio da saperi oggettivi a competenze dinamiche, basate su conoscenze di base, capacità di riflessione e analisi critica, ricerca di soluzioni. Come evidenziano infatti studi e documenti europei1, essere docente di lingua nel XXI secolo implica il conseguimento di una competenza complessa, multidimensionale che si sviluppa nel tempo con il ricorso a una pluralità di modalità formative e che non cessa con il concludersi degli studi universitari o post lauream, ma prosegue lungo tutto l’arco dell’esperienza professionale avvalendosi anche di apprendimento non formale e informale2. In questa prospettiva risulta dunque rilevante, soprattutto per lo sviluppo della competenza relativa alle tecnologie, delineare quadri di riferimento teorici che possano guidare la riflessione sul valore pedagogico dell’impiego di diversi mezzi tecnici che, seppur nati per altri scopi, possono essere efficacemente applicati alla didattica delle lingue. La sola conoscenza del funzionamento di un determinato supporto non può assicurare una efficace utilizzazione sul piano didattico che richiede conoscenze inerenti alle modalità con cui una lingua viene appresa, i processi cognitivi coinvolti, le strategie e le tecniche da utilizzare per promuovere l’apprendimento, nonché la capacità di definire obiettivi, pianificare percorsi ed elaborare attività. Ugualmente utile è la capacità di aggiornare autonomamente le proprie competenze tramite l’analisi di esperienze che possano costituire il punto di partenza per ulteriori approfondimenti e la sperimentazione di altre pratiche didattiche. L’abbondanza digitale in cui siamo immersi richiede infatti il continuo contatto e confronto con l’operato di altri docenti, esperti e ricercatori che possono indicare strade da percorrere o 1 Tra i documenti che trattano la formazione del docente di lingua, si ricordano il Profile for Language Teacher Education – A Frame of Reference (Kelly, Grenfell 2004), che delinea gli aspetti che rientrano nella formazione iniziale e in servizio, e l’European Portfolio for Student Teachers of Languages (EPOSTIL) che rappresenta un strumento per la riflessione e l’autovalutazione delle competenze in fase di sviluppo degli studenti futuri insegnanti di lingue. Per approfondimenti vedi Diadori (2010) e Newby, Fenner, Jones (2011).

2 Nel Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente (Commissione delle Comunità Europee 2000), viene definito non formale l’apprendimento che si svolge al di fuori da strutture deputate alla formazione come per esempio luoghi di lavoro, associazioni, organizzazioni che offrono servizi e informazioni ecc. L’apprendimento informale invece non è intenzionale e si realizza attraverso la vita quotidiana.

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Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

da abbandonare, strumenti da valutare, funzionalità da sfruttare, fornire cioè una bussola, fatta di conoscenze collettive e condivise, che consenta di navigare in un panorama tecnologico in continuo divenire e permetta di raggiungere nuovi lidi. La produzione scientifica incentrata sui temi dell’apprendimento e insegnamento linguistico con l’ausilio di tecnologie educative è stata in questi ultimi anni rilevante3, ma spesso l’estrema rapidità dell’evoluzione tecnologica rischia di invalidarne la durevolezza nei casi in cui l’asse di interesse sia particolarmente incentrato sull’analisi degli strumenti utilizzati. Come viene segnalato più volte in questa opera, diventa sempre più difficile stabilire quanto le tecnologie siano effettivamente “nuove”. Ciò che era nuovo solo pochi anni fa, oggi può già risultare superato; ciò che appariva straordinariamente innovativo può essere oggi del tutto noto e non più meritevole di sottolineatura; ciò che sembrava poter esprimere grandi potenzialità, può non aver trovato cittadinanza all’interno dei corsi di lingua e cultura. Un rischio, dunque, quello di essere già in parte smentiti o apparire comunque poco aggiornati nel momento stesso in cui si afferma qualcosa, con cui deve fare i conti chiunque intenda scrivere di didattica e (nuove) tecnologie educative. Un rischio, tuttavia, di cui sono ben consapevoli gli autori di questo volume i cui contributi non si limitano a disegnare uno “stato dell’arte” delle tecnologie nella didattica e delle loro caratteristiche, ma includono riflessioni ed esperienze relative a strumenti ideati in moltissimi casi in contesti e con finalità che non hanno niente a che fare con la didattica delle lingue. Rivolto a insegnanti di italiano a stranieri e a studenti inseriti in percorsi per la formazione di docenti, il volume si articola dunque in due sezioni. La prima, dal titolo Coordinate, mira a illustrare i principi teorici e concettuali sulla base dei quali valutare l’impiego delle tecnologie di Rete, considerare il ruolo degli attori coinvolti e operare scelte consapevoli e didatticamente adeguate. La seconda sezione, Esperienze, presenta invece esempi di applicazione delle tecnologie alla didattica secondo approcci, metodologie e articolazioni di diverso tipo, mettendo in luce la pluralità di forme che tale applicazione può assumere e la varietà 3 Tra i volumi degli ultimi anni si segnalano: Balboni, Margiotta 2008; Caon, Serragiotto 2012; Fratter, Jafrancesco 2014; Villarini 2010.

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Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

di obiettivi che permette di conseguire. A prescindere dalla prospettiva parzialmente differente assunta nelle due sezioni (maggiormente teorica la prima; di taglio più applicativo la seconda), tutti i contributi sono comunque accomunati dal fatto di affrontare il tema, complesso e articolato, delle relazioni che si possono instaurare tra la didattica di una lingua e di una cultura non materna e le tecnologie educative, considerando queste ultime come un’ampia categoria che include la Rete, gli ambienti di apprendimento e gli strumenti il cui uso didattico richiede un agevole accesso a Internet. In tutti gli articoli del volume, la “didattica con le tecnologie educative” viene quindi delineata come un concetto che si può definire in maniera pienamente corretta solo se considerato nel suo complesso, senza scindere gli elementi che lo compongono (“didattica”, da un lato; “tecnologie educative”, dall’altro) e senza considerarli come indipendenti e non influenzabili reciprocamente. Nel momento in cui la didattica delle lingue decide di utilizzare le tecnologie educative, essa non può rimanere uguale a se stessa; né le tecnologie (nella maggior parte, come si è detto, nate con obiettivi diversi da quelli didattici) possono essere utilizzate nella stessa maniera in cui lo sono in altri campi. Il rapporto virtuoso che deve nascere tra didattica della lingua e della cultura e tecnologie educative, rappresenta un obiettivo auspicato e ampiamente condiviso dalla glottodidattica, come traspare dalla lettura di tutti i contributi inclusi in questo volume. Tuttavia, questa posizione comune tra chi si occupa di didattica delle lingue sul piano della ricerca, non è sempre seguita da pratiche ed esperienze coerenti con essa, in particolar modo quando queste sono realizzate da parte di soggetti non esperti del settore che, sfruttando le possibilità fornite dalla Rete, sono in grado di elaborare proposte tecnicamente ben funzionanti, ma spesso didatticamente discutibili, come si dirà meglio più avanti. Si pensi ad alcuni Social Network e ad alcune Applicazioni creati da società o da singoli autori che non hanno formazione specifica in ambito glottodidattico. In vari contesti di insegnamento è possibile osservare spesso una funzione delle tecnologie che si potrebbe definire “sommativa”: alla didattica in presenza, anche di qualità, si accosta semplicemente l’uso delle nuove tecnologie educative senza che a ciò faccia seguito nessun reale 9

Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

cambiamento di prospettiva pedagogico, generando in questo modo, nel migliore dei casi, una versione informatizzata di proposte già adottate nella didattica d’aula. Leggendo alcuni contributi del volume, emerge chiaramente come una funzione delle tecnologie educative considerata intrinsecamente innovativa e migliorativa della didattica delle lingue debba diventare un mito da sfatare. Un mito, appunto, che per usare le parole di Balboni (nel presente lavoro) «può portare a un’equazione pericolosa: nuovo, moderno, innovativo = bene». La commistione di vecchio e nuovo, di tradizionali e a volte inefficaci metodologie ammantate da una superficie di modernità fornita dalle tecnologie digitali, può caratterizzare anche proposte didattiche che attualmente hanno grande successo di pubblico. Lo segnala Troncarelli già nel titolo del suo contributo, individuando e descrivendo paradigmi didattici vecchi e nuovi adottati nei percorsi di apprendimento e insegnamento linguistico che prevedono l’utilizzo delle tecnologie di Rete. Internet ha assunto, innanzi tutto, la funzione di enorme contenitore di risorse non solo di input linguistico (testi scritti, audio, audiovisivi, iconici consultabili come ipermedia), ma anche di utili strumenti di studio nonché di attività di apprendimento che ogni studente può svolgere autonomamente o che il docente può adoperare come materiale didattico durante le proprie lezioni. È innegabile la funzione facilitante che, vista in quest’ottica, la Rete riveste nel processo di apprendimento/insegnamento linguistico, nonché il ruolo erosivo dei confini, ben più netti prima dell’avvento di Internet, tra i due principali macro-contesti di apprendimento della lingua e della cultura (straniera, quando appresa nel proprio paese; seconda, quando appresa nel paese dove la lingua è parlata): la maggiore e continua disponibilità di input linguistico anche al di fuori del contesto classe e la possibilità di interagire molto più agevolmente in forma scritta o orale con parlanti madrelingua, limano molto le differenze tra L2 e LS. La Rete utilizzata in questo modo, tuttavia, come emerge nel lavoro di Troncarelli, riveste il ruolo di una sorta di enorme distributore di risorse a un numero di utenti potenzialmente infinito, mentre non cambia sostanzialmente niente sul piano più profondo dei possibili valori aggiunti nel processo di apprendimento di una lingua e di una cultura non materna. In effetti, spesso nelle proposte realizzate per l’insegnamento della lingua e della cultura non materna non si ritrova un evidente valore ag10

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giunto rispetto alla didattica d’aula: accanto a esperienze di buone pratiche (si vedano, nel presente lavoro, gli esempi portati da Cotroneo sull’uso dei Social Network; Giglio per l’innovativa proposta avanzata dalla flipped classroom; Jafrancesco per l’utilizzo delle piattaforme finalizzato allo sviluppo delle competenze nella scrittura accademica; La Grassa per lo sviluppo delle competenze culturali e Incalcaterra McLoughlin e Lertola per lo sviluppo delle competenze pragmatiche), occorre rilevare che la capacità della Rete di rivolgersi a un pubblico enorme e dislocato in varie parti del mondo non determina di per sé evidenti ricadute positive nell’elaborazione di percorsi didattici. Spesso, anzi, è vero il contrario e si assiste a una sorta di “salto nel passato” della glottodidattica. Lo evidenzia chiaramente Troncarelli portando come esempio due modalità di erogazione dei corsi che si stanno recentemente affermando negli ultimi anni: i MOOC (Massive Open Online Courses) e le App. I primi sono la dimostrazione più palese della capacità della Rete di raggiungere un pubblico di apprendenti potenzialmente enorme (gli iscritti a ciascun MOOC di lingua sono nell’ordine delle decine di migliaia) e tuttavia questi corsi rischiano di riproporre modalità didattiche per nulla innovative, incentrate sulla fruizione prevalentemente autonoma dei contenuti proposti. Il quadro non cambia se si considera l’attuale uso delle App in ambito linguistico: in molti casi, infatti, queste propongono attività incentrate solo su parole o su frasi in un’ottica puramente traduttiva, riproponendo modelli didattici già da tempo non utilizzati in quanto ritenuti scarsamente efficaci. Un uso delle App, dunque, decisamente discutibile, sebbene questi strumenti e più in generale l’uso delle tecnologie mobili, rappresentino nuovi aspetti del processo di apprendimento/insegnamento linguistico con cui sarà inevitabile misurarsi da qui in avanti. L’uso delle tecnologie mobili dotate di connessione Internet, infatti, è una realtà in forte espansione e in rapida evoluzione, come testimoniano i dati emersi da diverse indagini presentati da Fratter nel suo articolo, ed è inevitabile che anche gli approcci glottodidattici attenti allo sviluppo della dimensione interculturale comincino a guardare con attenzione alle loro possibili applicazioni in ambito linguistico educativo. Il mobile learning, l’apprendimento con l’uso di tecnologie mobili, è già oggi una realtà complessa e caratterizzata da sfaccettature diverse: da quelle più pratiche (disponibilità e diffusione di questi supporti in 11

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contesti educativi ed eventuale opportunità di sfruttare i propri personali dispositivi mobili) a quelle più strettamente legate alla didattica (possibilità di abbattere in maniera ancora più evidente i limiti spazio-temporali durante il proprio percorso di apprendimento; forte sostegno all’apprendimento di tipo informale ecc.), a quelle più recentemente emerse e in fase di prima sperimentazione (didattica basata sui giochi o gamification). Il mobile learning ci sembra una ulteriore chiara dimostrazione di come le scelte sull’uso delle tecnologie nella didattica non siano neutrali: scegliere di usare le tecnologie educative non equivale a usare strumenti tra loro intercambiabili pensando che questi di per sé potranno rendere più efficace una proposta didattica per il resto sempre uguale a se stessa dal punto di vista metodologico. La scelta di insegnare una lingua e una cultura non materna con le tecnologie, al contrario, implica un continuo adattamento della propria metodologia in relazione anche al rapido cambiamento degli strumenti che possono essere utilizzati con scopi didattici. La scelta opposta, ovvero considerare le tecnologie come strumenti indifferenziati che richiedano tutt’al più un aggiornamento delle proprie competenze tecniche e informatiche, è sicuramente quella meno dispendiosa per un docente, ma darà esiti per molti versi discutibili e didatticamente poco efficaci, come abbiamo detto sopra. L’efficace sfruttamento delle tecnologie mobili sul piano dell’apprendimento linguistico è la pratica dimostrazione della necessità di questo continuo processo adattativo che auspichiamo: le questioni didattiche che il mobile learning ha aperto sono ancora numerose e non possono essere interamente risolte facendo riferimento alla normale didattica e-learning. Lo segnala ancora Fratter nel suo contributo, evidenziando come modalità di insegnamento linguistico e di elaborazione di materiali didattici adottate con l’uso delle tecnologie di Rete “tradizionali”, non sono replicabili quando si utilizzano dispositivi mobili: a questi, per esempio, si confanno soprattutto microattività linguistiche (bite-sized) con caratteristiche diverse dai learning objects, ovvero le attività ideate per le piattaforme e-learning. La didattica con i dispositivi mobili rappresenta pertanto una sfida con cui dovranno misurarsi soprattutto i docenti che operano con un pubblico di apprendenti giovani adulti, frequenti utenti di queste tecnologie. Da quanto abbiamo detto appare chiaro che le tecnologie non devono e non possono assumere un ruolo sostitutivo del docente. Esse invece 12

Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

moltiplicano le competenze necessarie per insegnare, spesso non compresenti in un unico docente, al punto che si sta ampliando il panorama delle figure professionali (e della loro formazione) con ruoli tecnici ed educativi che ruotano intorno alla didattica della lingua e della cultura in e-learning. In alcuni particolari Social Network utilizzati nella didattica delle lingue, viene attribuita molta importanza alla didattica tra pari, alla capacità degli stessi apprendenti di rivestire il ruolo di docente per altri compagni interessati allo studio della loro personale lingua madre, o addirittura il ruolo di produttore di materiali didattici (si veda ancora il contributo di Troncarelli). In generale, tuttavia, la figura del docente, di tutor esperto ci appare assolutamente fondamentale per rendere accessibile la maggiore complessità che l’uso delle tecnologie introduce nel processo di apprendimento della lingua e della cultura non materna. Il docente, naturalmente, non dovrà essere considerato l’unico detentore di conoscenze da dispensare ai discenti che le apprenderanno in maniera passiva (cambiamento di prospettiva, questo, del resto già pienamente compiuto da tempo, a seguito dell’affermarsi degli approcci umanisticiaffettivi e della didattica centrata sull’apprendente), ma egli sarà l’attore del processo glottodidattico che dovrà operare le scelte metodologiche e organizzative del percorso, la scelta dei materiali e le modalità di presentazione anche per lo sviluppo delle competenze interculturali (Balboni, in questo lavoro). Un percorso di insegnamento della lingua e della cultura non materna che, quando si svolge in modalità e-learning, risulta sotto molti aspetti più rigido di un percorso d’aula, come rilevato da Troncarelli e come argomenta ampiamente Villarini nel suo contributo: il docente ha minori spazi di manovra, minori possibilità di aggiustare il tiro dei suoi interventi didattici sulla base della risposta degli apprendenti con cui lavora. Ritorna, quindi, anche nel contributo di Villarini, la fallacia del mito spesso diffuso tra i sostenitori acritici dell’e-learning che considera la modernità della tecnologia didattica utilizzata come direttamente proporzionale alla sua efficacia e alla possibilità di adottarla indifferentemente nei contesti più diversi. Accanto a criticità e nodi da sciogliere a cui abbiamo fatto riferimento, l’uso delle tecnologie educative apre comunque nuovi panorami pedagogici di grande fascino. In alcuni casi esse ci sembrano addirittura contribuire a introdurre elementi di novità potenzialmente dirompenti 13

Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

che, se ne verrà dimostrata la validità, potranno spingere a ridiscutere non solo criteri metodologici ma forse anche alcuni assunti psicopedagogici fino a oggi condivisi dalla maggior parte di ricercatori e docenti che si occupano di didattica delle lingue. La questione, in realtà, non è nuovissima e si può far risalire a circa una decina di anni fa, da quando cioè hanno cominciato ad affermarsi i corsi di lingua online che prevedono una fruizione dei contenuti ben più libera e molto meno sequenziale di quella prevista in un corso in presenza. La risposta glottodidattica a questa nuova modalità fino a oggi è stata quella di elaborare attività in formato elettronico (è il caso dei learning object per l’insegnamento linguistico) e di adattare in qualche misura propri modelli operativi (si pensi per esempio all’Unità di lavoro4 che si presta meglio di altri modelli alla didattica in Rete), tuttavia ci sembra che manchi ancora una approfondita riflessione sull’adeguatezza dei principi di apprendimento che sono oggi un dato acquisito nella didattica delle lingue in aula. Ci riferiamo nello specifico al caso della flipped classroom o classe capovolta che può essere creata anche per l’insegnamento di una lingua non materna,in corsi totalmente online (si veda il contributo di Giglio). La flipped classroom, verso cui hanno mostrato interesse anche studiosi da sempre attenti a questioni di linguistica educativa come Tullio De Mauro, in estrema sintesi consiste nell’invertire i momenti della didattica tradizionalmente intesa, delegando agli apprendenti il compito di studiare in maniera autonoma i contenuti (soprattutto mediante materiale video) e dedicando il tempo della lezione al loro commento e approfondimento. Le tecnologie educative rivestono grande importanza nella realizzazione di questo tipo di classe, non solo perché permettono agli studenti la fruizione da casa dei contenuti forniti dal docente e l’accesso a risorse di apprendimento presenti in Rete, ma anche perché, come si tornerà a dire successivamente, favoriscono lo scambio e l’interazione con i compagni e i docenti. Se prossime indagini dimostreranno la validità della flipped classroom anche per l’apprendimento delle lingue straniere, non sarà il caso di ripensare ai modelli operativi o addirittura alle teorie dell’apprendimento fin qui adottati? Se le ricerche dovessero far emergere migliori risultati degli 4 Una accurata descrizione di questo e di altri modelli operativi si ritrova in Diadori, Palermo, Troncarelli 2015.

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Orientarsi in rete. Didattica delle lingue e tecnologie digitali.

studenti che studiano le lingue in classi “capovolte”, potremmo ancora affermare con assoluta certezza che le fasi dell’apprendimento linguistico devono procedere dal generale al particolare, dalla globalità all’analisi e alla sintesi? È, ovviamente, ancora prematuro trarre conclusioni di qualche tipo, ma è certo che la questione è stata posta e su questa dovremo ragionare a partire da oggi. Quello appena citato è uno dei casi in cui insegnamento online e insegnamento in presenza possono trovare punti di contatto, come afferma anche Villarini nel suo contributo. In particolare, la riflessione teorica e la scoperta di nuovi principi metodologici operata tenendo presente la didattica in ambienti virtuali, possono ripercuotersi positivamente e suggerire nuove soluzioni anche a quanti operano in contesti in presenza. Nel quadro che stiamo delineando, un altro aspetto meritevole di attenzione è la relazione che le tecnologie educative intessono con un approccio all’apprendimento (non solo linguistico) di tipo informale, non legato a percorsi rigidamente strutturati e immodificabili, che può essere integrato con un tipo di apprendimento più tradizionale e formale. L’apprendimento informale sembra poter favorire risultati apprezzabili anche nel campo della didattica delle lingue e gli ambienti virtuali si prestano particolarmente bene a sostenere questo tipo di apprendimento. Di grande interesse sono in particolare le esperienze di formazione linguistica portate avanti sui Social Network (SN), ambienti virtuali informali per definizione, inizialmente creati con scopi molto diversi da quelli didattici, ma che col tempo si sono evoluti anche in questa direzione. Il contributo di Cotroneo si incentra proprio su questa particolare relazione che può instaurarsi tra apprendimento linguistico e ambienti informali social le cui caratteristiche possono essere adattate alla propria classe dal tutor/docente del corso. In un’ottica glottodidattica i SN possono essere considerati veri e propri ambienti in cui sviluppare le proprie competenze linguistico-comunicative anche grazie al fatto che, mediante l’interazione con altri utenti (altri apprendenti di lingua e tutor esperti che formano una comunità di apprendimento), possono essere favoriti i processi cognitivi e relazionali già indicati da affermate teorie dell’apprendimento, costruttivismo e connettivismo tra tutte. Fatti salvi i possibili rischi, soprattutto in termini di perdita della privacy e di una potenziale eccessiva commistione 15

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tra contesti didattici e ambiti privati, aspetto che peraltro può risultare difficile da gestire o addirittura poco funzionale, quando sceglie di utilizzare i SN come ambienti di apprendimento all’interno dei quali proporre percorsi per l’insegnamento della lingua e della cultura non materna, il docente avrà buone possibilità di sfruttare i vantaggi di un apprendimento informale. Questo tuttavia, come segnala anche Cotroneo, non significa necessariamente sostituire tout court un approccio formale che, se non altro, è ancora quello adottato in contesti educativi come scuole e università. Una erogazione dei percorsi di tipo blended in parte a distanza e in parte in presenza potrebbe favorire la positiva integrazione degli aspetti positivi dei due diversi approcci, quello formale e quello informale. Ovviamente, anche quando si utilizzano le tecnologie educative, i contesti di apprendimento linguistico possono essere diversi: formali (p. es. scuole; università) e informali (p. es. associazioni che organizzano corsi); diversi possono essere gli ambienti di apprendimento utilizzati (p. es. Social Network; piattaforme e-learning; applicazioni su dispositivi mobili) e diverse le modalità di erogazione degli interventi formativi (interamente a distanza; blended; prevalentemente in presenza). In tutti questi differenti casi, un elemento comune è costituito dal fatto che le tecnologie educative consentono di creare comunità di apprendimento e anche di pratica, molto più facilmente ed efficacemente di quanto non si riesca a fare in una didattica tradizionale interamente svolta in presenza. Gli apprendenti possono più facilmente lavorare insieme in maniera collaborativa, condividendo esperienze e competenze, risolvendo compiti aiutandosi reciprocamente, accedendo alle risorse che offre la Rete e condividendole, usufruendo della guida e del sostegno di un docente esperto. Tutto ciò può indubbiamente avere ricadute positive non solo sui risultati dell’apprendimento, ma anche sul piano motivazionale che favorisce, nel caso dell’italiano L2, l’avvicinamento alla nostra lingua. Si apprende se esiste alla base una motivazione a farlo e, di solito, la motivazione più duratura è quella «basata sul piacere», secondo una categoria motivazionale usata da Balboni (2014). Creare una comunità significa senza dubbio creare uno scaffolding a cui appoggiarsi nel processo di apprendimento vero e proprio, ma può essere anche una fonte motivazionale su cui fare leva quando si propongono interventi volti principalmente a creare affiliazione e interesse verso la lingua e la cultura italiana. Fragai, 16

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per esempio, presenta nel suo contributo un interessante progetto volto a dare rilevanza all’offerta formativa in italiano L2 del Centro FAST (Formazione e Aggiornamento anche con Supporto Tecnologico) dell’Università per Stranieri di Siena. Il progetto denominato Piazza Italia, che costituisce nel suo complesso un modello generalizzabile a numerosi altri contesti, allestisce in una piattaforma e-learning spazi diversi in cui è possibile esercitarsi sulla lingua (lo spazio Palestra) e, soprattutto, approfondire aspetti della cultura italiana (gli spazi Biblioteca, Caffè, Cinema, Museo, Ristorante). La condizione minima per la riuscita di un progetto come quello descritto da Fragai non risiede tanto nel portato innovativo dal punto di vista tecnico dello strumento che si utilizza (pure, ovviamente, da non sottovalutare), quanto soprattutto nella capacità di creare e mantenere attiva una effettiva comunità di apprendimento che dovrebbe uscire dai limiti imposti da una piattaforma e-learning e aprirsi all’esterno della Rete, sfruttando, come suggerisce l’autrice, anche le enormi potenzialità comunicative di Social Network come Twitter. La comunità di apprendimento, dunque, è il vero motore propulsivo che più di tutto il resto contribuisce a rendere efficace una proposta formativa per l’insegnamento della lingua non materna con l’uso delle tecnologie educative. Ovviamente esso è avviato e potenziato grazie al fatto che le persone interagiscono in ambienti di apprendimento virtuali, anche quando realizzato in contesti formali come quelli scolastici o universitari. All’interno di atenei e centri linguistici sono sempre più frequenti i corsi che prevedono una parte online, anche perché tale scelta consente un abbattimento dei costi (che non deve essere tuttavia confuso con un altro falso mito: quello della gratuità della formazione a distanza!) e un risparmio di tempo che potrà essere reimpiegato nelle lezioni in presenza per lavorare su particolari aspetti e attività. Generalmente, lavorare in modalità e-learning consente lo sviluppo delle abilità orali ricettive, del parlato prevalentemente monologico (se si lavora in modalità asincrona) e soprattutto delle abilità scritte. È il caso del corso di scrittura accademica realizzato presso il Centro Linguistico di Ateneo dell’Università degli Studi di Firenze, descritto nel contributo di Jafrancesco. Il percorso, erogato in formato blended, è stato realizzato in un’ottica costruttivista, teoria dell’apprendimento i cui principi si sposano particolarmente con un ambiente virtuale come la piattaforma Mo17

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odle utilizzata, all’interno della quale si propongono attività complesse da svolgere in modo collaborativo, come l’elaborazione di testi accademici in lingua non materna. Ovviamente, in un contesto formale come quello universitario, l’apprendimento non può essere demandato esclusivamente all’interazione di tipo informale tra gli apprendenti, ma assumono maggiore peso anche i contenuti su cui gli studenti sono chiamati a lavorare. Dunque, la scelta dei testi, i materiali utilizzati, i compiti assegnati, gli strumenti e le modalità di interazione incidono fortemente sul percorso di apprendimento, inteso come processo di condivisione e trasformazione della conoscenza, reso possibile, o quanto meno sicuramente facilitato e amplificato, dall’uso delle tecnologie educative. I vantaggi che possono derivarne se si lavora in ambienti di apprendimento virtuali adottando un approccio di tipo prevalentemente informale, emergono anche quando i contenuti di apprendimento non sono strettamente linguistici, ma sono maggiormente mirati allo sviluppo della competenza interculturale. La questione delle competenze culturali è, come è noto, legata a doppio filo con quelle dell’insegnamento di una lingua non materna, ma in questo lavoro essa riceve un’attenzione specifica e viene trattata da punti di vista diversi. Balboni affronta la questione su un piano teorico, di ampio respiro, fornendo un originale modello interpretativo della competenza comunicativa interculturale che, tra l’altro, fornisce ai docenti i riferimenti per poter operare le proprie scelte sul piano didattico in questo particolare ambito. Il modello di Balboni risulta adeguato non soltanto a interpretare la condizione di parlanti e apprendenti di una specifica lingua, ma è da considerarsi potenzialmente utilizzabile da parlanti di qualsiasi profilo linguistico. L’autore dà conto della complessità della didattica della lingua non materna che voglia adottare una prospettiva interculturale segnalando, tra l’altro, potenziali punti critici in eventi comunicativi che vedono coinvolti soggetti appartenenti a culture diverse. Le abilità che dovrebbero essere messe in campo dai parlanti/agenti sociali durante le loro interazioni, sono non soltanto linguistiche, ma anche di tipo relazionale e includono, tra le altre, il decentramento del proprio punto di vista, la sospensione del giudizio, la negoziazione dei significati, la capacità di entrare in rapporto empatico con il proprio interlocutore. Quale ruolo possono svolgere le tecnologie educative in queste relazio18

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ni, per lo sviluppo di una competenza comunicativo-interculturale? Esse intervengono prevalentemente quando si lavora su un piano più strettamente applicativo. Fondamentale diviene il ruolo dell’input – verbale, audiovisivo o letterario – che grazie alla possibilità di utilizzare le tecnologie didattiche si rende facilmente disponibile, selezionabile e didattizzabile per i docenti che intendono operare in un’ottica interculturale. Gli interventi da realizzare, sfruttando al meglio la disponibilità di input significativo dal punto di vista culturale, dovranno necessariamente essere di natura diversa rispetto a quelli realizzati nella didattica di aspetti linguistici: il docente, infatti, è chiamato soprattutto a fornire ai propri apprendenti elementi interpretativi delle culture diverse dalla propria, prevalentemente attraverso i processi di osservazione e classificazione, piuttosto che tentare di insegnare una massa potenzialmente infinita di aspetti culturali come elementi discreti. Nel processo di sviluppo delle competenze interculturali, le tecnologie educative possono intervenire anche in modo diverso, per esempio secondo la prospettiva adottata da La Grassa: non tanto come strumenti che mettono il docente in condizione di favorire la riflessione interculturale in contesto guidato, quanto come ambienti virtuali all’interno dei quali sarà possibile interagire su specifici temi di discussione. Come sottolineato da più autori in questo volume, anche La Grassa afferma che gli ambienti virtuali si prestano molto bene allo scambio e alla condivisione di esperienze, all’interazione dei partecipanti che possono sperimentare forme di apprendimento collaborativo; in particolare, nel caso del progetto esposto dall’autore, l’ambiente allestito favorisce il confronto informale di modelli culturali differenti soprattutto nell’ottica, indicata anche da Balboni nel suo contributo, di creare un setting per l’osservazione, la categorizzazione e il confronto di aspetti culturali diversi più che tentare un poco proficuo insegnamento unidirezionale di elementi caratterizzanti le culture con cui si viene in contatto. Nel contributo viene spiegata la scelta di adottare un modello di apprendimento di tipo informale che preveda uno scambio paritetico e sostanzialmente autogestito dagli stessi partecipanti all’interazione, principalmente adolescenti e giovani adulti migranti presenti nel territorio italiano: si tratta di una scelta che pone il progetto su un piano diverso rispetto ad altre esperienze di sviluppo delle competenze interculturali realizzate in contesti scolastici. Tuttavia, come 19

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segnala l’autore, il progetto non vuole porsi in contrapposizione rispetto ad altre esperienze di natura più formale, quanto piuttosto rappresentare una proposta integrativa a esse (una proposta, questa della integrazione di approcci di insegnamento formali e informali, che è più volte emersa dai contributi del presente volume). La Rete, con la sua capacità di mettere in relazione persone dislocate ovunque nel mondo, deve pertanto essere considerata anche per questo importante aspetto finora poco esplorato: quello di riuscire a sostenere la «consapevolezza interculturale» intesa come esito dell’interazione tra soggetti il cui bagaglio culturale non è monolitico ma definito dal contributo di più culture come nel caso, soprattutto, di adolescenti migranti. Almeno in parte limitrofo al tema dello sviluppo delle competenze interculturali è il tema dello sviluppo delle competenze pragmatiche a cui vogliamo in ultimo accennare in questa introduzione, perché ancora una volta le tecnologie educative possono assumere un ruolo di grande importanza. Piattaforme di apprendimento e strumenti utilizzati per fare interagire la comunità che, come si è detto più volte, è auspicabile venga creata in percorsi di apprendimento delle lingue in e-learning, risultano significativamente utili anche per un lavoro collaborativo che gruppi di apprendenti possono fare relativamente alle scelte per la sottotitolazione in lingua non materna di testi audiovisivi. È questo un campo in cui il legame tra aspetti pragmalinguistici e culturali appare particolarmente evidente e in cui, ancora, le tecnologie educative hanno un ruolo fondamentale, come ben descritto nel contributo di Incalcaterra, McLoughlin e Lertola. Anche in campi tradizionalmente visti come distanti dalle nuove tecnologie (competenze interculturali e pragmatiche), queste possono dunque intervenire ed essere usate con grande profitto. Concludiamo questa introduzione sottolineando ancora il punto centrale che emerge dalla lettura di tutti i contributi, per quanto essi siano eterogenei per punti di vista adottati, pubblici di apprendenti considerati, competenze oggetto di attenzione, strumenti e ambienti di apprendimento descritti. Le tecnologie educative non rappresentano uno strumento neutro a disposizione del docente e di quanti si occupano di didattica delle lingue; il loro uso richiede di acquisire competenze tecniche, ma soprattutto richiede una riflessione sul proprio metodo di insegnamento che deve portare ai necessari adattamenti. Se ciò non avviene, 20

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l’esito nell’uso delle tecnologie potrà variare da una posizione di massimo profitto, ma comunque limitato sostanzialmente alla possibilità di reperire e distribuire con più facilità contenuti a un numero più elevato di studenti, a una massima disutilità, determinata da un uso pedagogicamente scorretto che potrà avere anche ricadute negative nel processo di insegnamento/apprendimento linguistico. Sono invece le teorie pedagogiche, gli approcci, le metodologie, le tecniche e il loro coerente raccordo a rappresentare la condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per fornire agli strumenti tecnologici la forza propulsiva che i docenti possono utilmente impiegare nella didattica della lingua e della cultura ad apprendenti non nativi.

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Riferimenti bibliografici Balboni P.E., 2014, Didattica dell’italiano come lingua seconda e straniera, Torino. Loescher/Bonacci. Balboni P.E., Margiotta U. (a cura di), 2008, Formare online i docenti di lingue e italiano L2, Torino, UTET. Caon F., Serragiotto G. (a cura di), 2012, Tecnologie e didattica delle lingue. Teorie, risorse, sperimentazioni, Torino, UTET. Commissione delle Comunità Europee, 2000, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente. URL: http://goo.gl/X5lq6E (ultimo accesso:16.03.2016). Diadori P. (a cura di), 2010, Formazione, qualità e certificazione per la didattica delle lingue moderne in Europa / TQAC in FLT. Training, Quality and Certification in Foreign Language Teaching, Firenze, Le Monnier. Diadori P., Palermo M., Troncarelli D., 2015, Insegnare l’italiano come seconda lingua, Roma, Carocci. Fratter I., Jafrancesco E. (a cura di), 2014, Guida alla formazione del docente di lingue all’uso delle TIC. Le lingue straniere e l’italiano L2, Roma, Aracne. Kelly M., Grenfell M., 2004, European Profile for Language Teacher Education. A Frame of Reference, Southampton, University of Southampton. URL: http://goo.gl/z3AYY1 (ultimo accesso: 10.09.2010). Newby D., Fenner A.B., Jones B. (eds.), 2011, Using the European Portfolio for Student Teachers of Languages, Strasbourg/Graz, Council of Europe Publishing. Villarini A. (a cura di), 2010, L’apprendimento a distanza dell’italiano come lingua straniera. Modelli teorici e proposte didattiche, Firenze, Le Monnier.

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prima parte

COORDINATE

capitolo i

DIDATTICA DELLE LINGUE IN PROSPETTIVA INTERCULTURALE Paolo E. Balboni Università Ca’ Foscari, Venezia

1. La pericolosa e fuorviante percezione di nuovo e di moderno in glottodidattica Considerare nuove cose fermamente ancorate alla tradizione può comportare la perdita di tale ancoraggio, fa correre il rischio di sottovalutare i dati provenienti dall’esperienza, ma soprattutto può portare a un’equazione pericolosa: “nuovo, moderno, innovativo = bene”. Forse bisogna esplorare, sebbene per cenni, tradizione e innovazione in tre concetti che sono chiave per la nostra riflessione in questo contributo: ci riferiamo all’ “approccio comunicativo”, visto che insegnare una lingua oggi significa applicare la filosofia di tale approccio; alle “tecnologie glottodidattiche”, visto il contesto costituito dal volume al cui interno stiamo contribuendo queste riflessioni; alla “dimensione culturale”, specifico apporto di questo saggio ai due elementi precedenti. Per quanto in rapida sintesi, possiamo dire quanto segue. 1.1. L’approccio comunicativo È ben vero che intorno al concetto di comunicazione come oggetto e fulcro dell’insegnamento linguistico si è realizzata la grande rivoluzione glottodidattica degli anni Settanta, ma l’approccio comunicativo 24

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alle lingue non native è una realtà ben più antica di quella che risale a 40 anni fa: nella classicità questo era l’approccio seguito nelle cancellerie dei faraoni o nelle domus romane, e comunicativo era l’insegnamento del latino nei conventi medievali e dell’italiano nelle corti rinascimentali in tutt’Europa: si insegnavano le lingue per comunicare, dove “comunicare” significa sia interagire con altre persone, sia ricevere la comunicazione di filosofi, letterati e perfino le parole di Dio! (Titone 1980; Kelly 1971; Borello 2014; sul mondo antico, Ricucci 2014). La prospettiva comunicativa non si spegne mai del tutto, e già nell’Ottocento sono chiaramente orientati alla comunicazione Berlitz e Parmer, e poi Sweet, Jespersen nel nostro secolo, e poi ancora l’Army Specialised Training Program dell’esercito americano durante la guerra (Balboni 2009). Certo, sono il Modern Language Project del Consiglio d’Europa, di marca pragmalinguistica, e l’etnografia della comunicazione e la sociolinguistica di Hymes e dei suoi Models of Interaction e On Communicative Competence (1972a, 1972b) a fornire gli strumenti per una fondazione scientifica dell’approccio comunicativo che per secoli era stato basato su logiche intuitive: ma non erano una novità, erano il punto di arrivo di un lungo percorso. Come non era una novità – per restare nelle prospettive dell’ultimo secolo – la considerazione che la comunicazione avviene in “eventi comunicativi”, nozione formalizzata da Hymes, caratterizzati da una “situazione sociale”, nozione formalizzata da Fishman; né, importante ai nostri fini, era una novità che gli eventi comunicativi erano immersi, calati, permeati dal “contesto culturale”, il cui ruolo nella comunicazione è già stato studiato fin dagli anni Trenta da Malinowski e Firth, e dagli anni Cinquanta da Hall e Lado; quindi: l’approccio comunicativo è la prassi nella storia glottodidattica, interrotta per qualche secolo, ma oggi recuperata; e nell’approccio comunicativo il ruolo del contesto culturale è essenziale e non accessorio. 1.2. Le glottotecnologie Tendiamo a usare come costrutto unitario “nuove tecnologie”, come dimostra una scorsa, ancorché rapida, alla Bibliografia dell’educazione linguistica in Italia disponibile in www.dille.it, anche se in realtà tutti gli studenti di lingue nelle scuole e università sono nati dopo che il compu25

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ter aveva conquistato il ruolo primario tra tutte le tecnologie, quindi tanto “nuovo” non è; non solo: da decenni il computer ingloba le tradizionali e per nulla “nuove” funzioni del registratore audio e di quello video, due tecnologie obsolete (ma spesso definite “nuove” da chi confonde la “funzione”, cioè riprodurre o effettuare registrazioni, con la “tecnologia”, la macchina); anche Internet non è più nuova, è più anziana degli studenti, come lo sono chat, mail e così via: sono forse “nuove” per una parte dei docenti, ma non certo per uno studente che va all’esame di maturità: otto anni fa, quando ha iniziato la scuola media e quindi il percorso di individualizzazione e di progressiva padronanza degli strumenti offerti dal mondo, aveva già a disposizione i Social Network, Skype, Youtube, i programmi che scaricano canzoni e video, dizionari online ecc. Inoltre, il ricorso alle macchine per l’insegnamento delle lingue non è affatto nuovo: i manuali cartacei sono una macchina di trasmissione asincrona di dati multimodali (linguistici e iconici); la lavagna tradizionale è una macchina che serve alla trasmissione e fissazione sincrona, anche se oggi è disponibile una lavagna interattiva e multimediale; gli audio venivano usati fin dall’ASTP citato sopra e poi divennero il fulcro metodologico dell’approccio strutturalistico e dei laboratori linguistici; i film venivano usati fin dall’ASTP anche per una dozzina di ore la settimana, e per tutti gli anni Settanta-Ottanta i manuali d’uso comune erano corredati da diapofilm. Ma basterebbe ricordare che nel 1646 Comenio ha scritto un trattato, Orbis pictus, sull’uso delle immagini in didattica… Accentuare la dimensione innovativa può portare a una spesso grottesca eterogeneità dei fini: per esempio, durante un blackout elettrico o della Rete nelle aule iperattrezzate di LIM e proiettori, se le scuole innamorate del “nuovo” non hanno una vecchia lavagna a muro la didattica abortisce; peggio ancora, è il sottoutilizzo o l’utilizzo gratuito della tecnologia, uso fine a se stesso e non volto all’ottimizzazione del processo di acquisizione e insegnamento: per esempio, la riduzione del computer a voltapagine elettronico, laddove in molti casi sarebbe più semplice voltare pagine di carta; e così via. Quindi: il supporto tecnologico per l’insegnamento delle lingue e, in particolare, della cultura legata a una lingua ha una tradizione secolare, anche se dalle incisioni colorate di Comenius siamo passati al video in alta definizione di oggi. 26

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1.3. La cultura, la civiltà, la dimensione interculturale I ragazzini latini non imparavano il greco perché ne avessero particolarmente bisogno, soprattutto dal primo secolo in poi: ma attraverso la lingua penetravano nella cultura greca, che sentivano come modello di riferimento e che garantiva prestigio sociale. Gli aristocratici, i governanti, gli uomini d’arme e di commercio, dopo l’eclissi del latino nel xvii secolo, studiavano le lingue per scopi pragmatici e non culturali, ma lo loro figlie e mogli le studiavano per avvicinarsi alla musica e alla letteratura, alla way of life lussuosa delle altre corti, alle culture ritenute punti di riferimento e marcatrici di prestigio sociale. Negli anni Venti e Trenta, quasi un secolo fa, Malinowski e Firth teorizzavano l’impossibilità di studiare una lingua senza studiarne la cultura; negli anni Trenta e Quaranta Sapir e Whorf teorizzavano il fatto che la cultura, e particolarmente il linguaggio, guidassero perfino la nostra percezione della natura. Nell’ASTP dell’esercito americano, tra il 1943 e il 1945, ben 12 ore su 36 erano dedicate agli area studies, supportati da dischi e film. Negli anni Settanta si formalizza l’approccio comunicativo, abbiamo ricordato sopra, e la sua sintesi era che per comunicare correttamente servisse la competenza linguistica, per comunicare efficacemente servisse la competenza pragmalinguistica, per comunicare appropriatamente ed evitare errori che possono inficiare il buon esito dello scambio comunicativo anche tra parlanti pienamente padroni della lingua servisse la competenza socio-culturale. Quest’ultima ha tre dimensioni: a. sociolinguistica, che in questo caso focalizza principalmente i registri: se gli errori di registro prevalgono sulla correttezza formale, impediscono l’efficacia pragmatica; b. cultura quotidiana, materiale, way of life: dall’organizzazione urbana a quella della scuola, dall’articolazione dei pasti ai loro componenti ecc. sono necessarie conoscenze specifiche per poter interagire in un dato Paese; c. civiltà, cioè valori di riferimento, way of thinking: l’idea che un popolo ha di uomo, di giustizia, di relazioni umane e sociali, e così via. Sono gli elementi che definiscono l’identità di quel popolo, i cui membri vi 27

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si riconoscono perché condividono questi modelli di classificazione e valutazione della realtà. Caon (2013-2014) ha ripreso la ricerca glottodidattica italiana dagli anni Sessanta e ha studiato il mutare dell’idea di cultura e civiltà nell’insegnamento delle lingue straniere nel nostro Paese e a quel saggio rimandiamo per l’approfondimento limitandoci qui a sintetizzarne il filo conduttore: a. negli anni Sessanta-Settanta, all’inizio della rivoluzione copernicana in glottodidattica, come attestato dal primo convegno sul tema organizzato in Italia da Freddi (1968), la cultura/civiltà di un popolo è vista come condizione utile, e in alcuni casi necessaria, per interagire con i membri di quel popolo. L’idea di fondo è che si studi la civilisation per comunicare con i francesi, la Landeskunde per comunicare con i tedeschi, la culture per l’inglese (britannico, all’epoca); b. negli anni Ottanta-Novanta si consolida il percorso di integrazione europea, e quindi incomincia ad affacciarsi l’idea che serva approfondire non solo la civilisation francese o la Landeskunde tedesca, ma anche cercare una prospettiva più ampia e inclusiva che formi il nuovo cittadino europeo, come recitano molti documenti e studi del Consiglio d’Europa dedicati all’educazione interculturale anche attraverso la lingua (Byram, Zarate 1994, 1997; Byram, Zarate, Neuner 1997; Grima Camilleri 2002; Byram 2003); c. alla fine degli anni Novanta la prospettiva muta radicalmente: la globalizzazione di fine secolo trasforma l’inglese in lingua franca: quindi la dimensione interculturale non è più uno-a-uno, un italiano che interagisce con un francese e quindi deve conosce la cultura di quel popolo, ma è uno-a-x, in cui l’incognita x include tanto il turista brasiliano quanto il venditore cinese, tanto l’oligarca russo quanto lo studente finlandese in Erasmus (un approfondimento si può avere in Brutt-Griffler 2002; McKay 2002; Seidlhofer 2004; Graddol 2006). Il nostro primo volume dedicato alla comunicazione interculturale – che era anche il primo in Italia – è del 1999: sono gli anni in cui dai corsi di lingue delle aziende, dagli studenti in Erasmus, dalle persone 28

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impegnate nel turismo e nell’import/export viene la richiesta di punti di riferimento, di guide che li aiutino a evitare le principali criticità della comunicazione in lingua straniera o in lingua franca tra persone di diverse culture. L’idea di fondo di quel volume, conservata fino alla nostre ricerche più recenti nel settore (Balboni, Caon 2014 e 2015) è quella di sostituire all’impossibile insegnamento della comunicazione interculturale tout court l’insegnamento di un “modello di analisi e descrizione” della comunicazione interculturale in modo che sia utilizzabile per sviluppare una competenza comunicativa interculturale (in America si usa intercultural communication competence, che definisce una competenza nella comunicazione interculturale, mentre in Europa prevale intercultural communicative competence, in cui è la competenza comunicativa a essere declinata in prospettiva interculturale. In America non c’è interesse per la natura epistemologica della intercultural communication competence quanto piuttosto per l’uso di questa nozione in prospettiva meramente commerciale in attività di valutazione della competenza in aziende multinazionali, nell’esercito, nelle università). La parola chiave del nostro percorso di definizione del modello di competenza comunicativa interculturale è “modello” e anch’essa, come le tre nozioni che stiamo scorrendo in questo primo paragrafo, non è affatto una novità, risale alle idee platoniche e, più recentemente, alla teoria dei modelli elaborata tra gli anni Trenta e Sessanta da Tarski e collaboratori, teoria nata in ambito linguistico ma poi utilizzata soprattutto in ambito matematico (per un approfondimento, rimandiamo al nostro libro di epistemologia dell’educazione linguistica, del 2011). In estrema sintesi, un modello è una struttura concettuale che, fino alla sua falsificazione, pretende di essere capace di descrivere un fenomeno in ogni luogo e tempo: l’ipotesi è che questo modello descrivesse i problemi di comunicazione interculturale tra gli Achei e i loro alleati asiatici davanti a Troia, quello dei proconsoli romani che governavano le province, quello tra i vincitori della guerra seduti a Yalta, quello degli studenti d’oggi che vanno in Erasmus e quello del Dr. Spock con il capitano Kirk sulla Enterprise.

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2. Un modello di competenza comunicativa in prospettiva interculturale Nel mondo e in Italia si sono succeduti vari modelli di competenza comunicativa in questi quarant’anni, ma nei primi anni del nostro secolo abbiamo cercato di tradurre le varie definizioni in un modello più ampio, che includesse la competenza comunicativa in ogni lingua – materna, straniera, classica – in ogni tempo e luogo. Riprendiamo dal nostro manuale del 2012 la più recente versione del modello e la sua descrizione con un grafico (cfr. fig.1) può facilitare l’esplorazione di questo fondamentale concetto: competenza linguistica competenze extra-linguistiche

mondo

mente

padronanza delle abilità linguistiche, capacità di ‘fare’ lingua

competenze sociopragmatica e (inter)culturale

capacità di agire socialmente con la lingua

fig. 1. Un modello di competenza comunicativa in una data lingua.

Lo schema si legge come segue: la competenza comunicativa è una realtà mentale che si realizza come “esecuzione” nel mondo; a. nella mente ci sono tre nuclei di competenze che costituiscono il “sapere la lingua”:

- la competenza linguistica, cioè la capacità di comprendere e produrre enunciati ben formati dal punto di vista fonologico, morfosintattico, testuale, lessicale-semantico; - le competenze extralinguistiche, cioè la capacità di comprendere e 30

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produrre espressioni e gesti del corpo (competenza cinesica), di valutare l’impatto comunicativo della distanza interpersonale (competenza prossemica), di usare e riconoscere il valore comunicativo degli oggetti e del vestiario (competenza oggettemica); - il nucleo delle competenze contestuali relative alla lingua in uso: la competenza sociolinguistica, quella pragmalinguistica e quella (inter) culturale;

b. le competenze mentali si traducono in azione comunicativa, nel saper fare lingua quando esse vengono utilizzate per comprendere, produrre, manipolare testi: si tratta delle cosiddette abilità linguistiche; questo meccanismo di attualizzazione della competenza costituisce la ‘padronanza’ di una lingua; la freccia centrale è duplice: da un lato, le competenze mentali divengono performance nel mondo, dall’altro, dal mondo arrivano testi e altri input che integrano, perfezionano, modificano, correggono le nostre ‘grammatiche’ mentali; c. i testi orali e scritti prodotti attraverso il meccanismo di padronanza contribuiscono a eventi comunicativi, governati da regole sociali, pragmatiche, culturali (una tavola rotonda in un convegno ha regole diverse da quelle di una conversazione sullo stesso tema e con le stesse persone ma realizzata al bar): è il “saper fare con la lingua”. Questo modello tenta di descrivere la competenza comunicativa nella lingua (o lingue) più importante, quella materna, e in altre lingue moderne o classiche. Nel momento in cui l’evento comunicativo include due madrelingua di due lingue e culture diverse, nasce la necessità di articolare più in profondità il modello visto sopra per renderlo adeguato a descrivere una situazione più complessa. Riprendiamo il diagramma da Balboni, Caon (2015): I riquadri, come risulta evidente, non fanno altro che riprendere lo schema di competenza comunicativa della prima figura e poi individuare per ciascuno i punti critici. La padronanza, cioè il fascio di abilità che da un lato portano le idee e le competenze in lingua e comunicazione verso il mondo, e dall’altro consentono di portare la lingua e la comunicazione dal mondo alla mente, è l’unico elemento sostanzialmente differente tra il modello base di competenza a comunicativa 31

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fig. 2. Espansione dei punti critici nelle varie caselle della figura 1, nel momento in cui gli interlocutori appartengono a lingue/culture differenti. Questa griglia è alla base della mappa internazionale della comunicazione interculturale in www.unive.it/labcom.

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e quello di competenza comunicativa interculturale, che richiede non solo abilità che richiede non solo abilità “linguistiche” ma anche abilità “relazionali” (la cui natura può essere approfondita, oltre che nei capitoli che vi ha dedicato Caon nel volume Balboni, Caon 2015, in Sclavi 2003; Albiero, Matriardi 2006; Boella 2006; Anagnostopoulos et al. 2008; Luatti 2011): a. saper osservare, decentrarsi e straniarsi, cioè saper azzerare l’impatto di esperienze pregresse, idee, proiezioni, concezioni estetiche, valori che condizionano lo sguardo nel momento del contatto con persone di altre culture: decentrarsi significa vedere l’evento da una posizione “terza”, quasi osservando se stessi dall’esterno; straniarsi significa cercare un distacco emotivo rispetto alla situazione, per evitare che reazioni emozionali creino filtri – è la situazione più tipica di crisi interculturale: un gesto, una parola, un atto neutro di un interlocutore viene percepito come offensivo o aggressivo, quindi secondo due categorie emozionali, dall’altro interlocutore; b. saper sospendere il giudizio, per evitare il rischio visto nelle ultime righe del punto (a). Categorizzare gli input è essenziale per vivere, ed è quanto le emozioni, valutate cognitivamente, insegnano all’essere umano, che compie operazioni di classificazione (bene/male, tranquillo/pericoloso, amichevole/aggressivo ecc.) in tempo reale, per poter reagire appropriatamente. Nella comunicazione interculturale la reazione deve essere sospesa, eventualmente giungendo a chiedere un feedback esplicativo: «scusa, in Italia questo tuo gesto è molto offensivo: volevi offendermi o nel tuo paese non lo è?»; c. saper relativizzare, cioè avere la consapevolezza della parzialità del nostro sguardo rispetto alla realtà; d. saper ascoltare attivamente: significa superare le dicotomie viste al punto (b) e, sulla base della consapevolezza descritta al punto ‘c’, porsi nello stato di chi ascolta una persona intelligente, che per default non è nemica, stupida, aggressiva ecc.: ascoltare per cogliere spiegazioni implicite di alcuni atteggiamenti, per vedere se un dato per noi negativo viene tranquillamente superato nel resto del discorso, e così via. L’ascolto attivo non è solo ascolto, può anche includere le richieste di feedback viste sopra, o può includere verifiche attraverso un riassunto, una sintesi di quanto detto; 33

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e. saper comprendere emotivamente: le emozioni giocano un ruolo primario nella comunicazione interculturale e vanno quindi consapevolizzate e controllate; i due meccanismi di base sono “l’empatia”, ovvero la capacità di partecipare attivamente allo stato emozionale dell’interlocutore riconoscendo la ‘qualità’ del suo vissuto emotivo, e “l’exotopia” ovvero la capacità di riconoscersi diversi dagli altri e di riconoscere la loro diversità – e riconoscere questa diversità, spesso irritante o paurosa, come naturale, ovvia; f. saper negoziare i significati: non sempre le differenze di cui sopra ci sembrano accettabili, dal banale problema della gestione del catarro in un evento con cinesi, in cui la negoziazione è semplice («per favore, non sputare, mi dà il voltastomaco», «e tu, per favore, non soffiarti il naso, mi dà il voltastomaco») a problemi più complessi, come l’invito ad una lapidazione pubblica in Arabia o a una corrida in Spagna. Al di là di questi casi estremi, il negoziare, il chiedere l’interpretazione corretta, l’evidenziare gli scopi per cui è stata detta una parola o eseguito un gesto è fondamentale per una competenza comunicativa efficiente. (Ci sono possibilità di approfondimento ulteriore passim in molte delle opere citate e soprattutto in studi di origine americana, dove l’attenzione alla valutazione della competenza interculturale – non della competenza comunicativa interculturale – ha prodotto molta ricerca: Casmir 1997; Martin, Nakayama, Flores 2002; Chen 2003; Samovar, Porter 2003; Chen, Starosta 2005; Bowe, Martin 2007; Cooper, Calloway-Thomas, Simonds 2007; Bratt Paulston, Kiesling, Rangel 2012; Ting-Toomey, Chung 2012).

3. Didattica delle lingue in prospettiva interculturale Fondiamo a questo punto le riflessioni che abbiamo svolto nei paragrafi precedenti e consideriamole in prospettiva glottodidattica, focalizzandoci sul ruolo dei progettisti dei materiali didattici e di coloro che usano in classe tali materiali, i docenti. La fonte necessaria dell’acquisizione di qualunque conoscenza è l’input: ed è questo che forniscono materiali e insegnanti, insieme alla gui34

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da per la loro analisi e interiorizzazione, fornendo quello che Bruner chiama Language acquisition support system, in modo da attivare il Language acquisition device. Ora, quale input è necessario, e di che natura, e attraverso quali strumenti, e con quali metodologie di fruizione, ai fini di lavorare anche sulla dimensione interculturale quando si insegna una lingua non nativa, straniera o classica che essa sia? a. Input verbale: tutti i dialoghi e le letture presentano modelli culturali propri del paese o dei paesi di cui si studia la lingua, nonché potenziali punti di attrito interculturale laddove quei modelli non sono simmetrici ai corrispondenti modelli culturali italiani (presupponendo l’italiano come lingua/cultura materna degli studenti). La lingua, per usare la metafora freddiana, è il precipitato di una cultura, è il modo in cui una cultura si trasmette e si evolve, quindi ogni input verbale dato in aula è potenzialmente utile sia per l’acquisizione linguistica sia per quella interculturale, purché l’attenzione venga attivata, purché vengano forniti strumenti di osservazione e di classificazione; b. input audiovisivo: la mappa della comunicazione interculturale presente come work in progress ad accesso libero in www.unive.it/labcom mostra chiaramente come le principali differenze interculturali in ambito comunicativo (quindi non quelle relative alle differenze nei valori e nell’organizzazione sociale) siano collocate nella casella del diagramma (vedi p. 2) che include la competenza extralinguistica e cioè la comunicazione gestuale (cinesica), l’uso comunicativo della distanza interpersonale (prossemica), la funzione comunicativa di oggetti, vestiario, status symbols ecc. (oggettemica). Nell’input di tipo (a) i linguaggi non verbali non sono visibili quindi necessariamente sfuggono, mentre nei materiali audiovisivi essi sono chiari ed evidenti spesso anche senza la mediazione dell’insegnante; esistono materiali di supporto preziosi, come il Dizionario dei gesti degli italiani in prospettiva interculturale (Caon 2010) che ha anche una versione video, esistono molti video su Youtube, di solito di natura comica – e in cui le vittime principali sono gli italiani, che “parlano con le mani”. I materiali didattici sono molto raramente accompagnati da video, 35

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per ovvie ragioni di costi, per cui il compito di reperirli è affidato all’insegnante che esplora google; c. input letterario, categoria in cui includiamo anche canzoni e cinema: è una tipologia di testi spesso usati in didattica a livelli avanzati, che ha come caratteristica l’estrema cura con cui sono costruiti dall’autore, dal regista, dal cantautore – cura linguistica e cura culturale, cura di forma e cura di contenuto. Proprio per questa attenzione a ogni dettaglio della comunicazione (verbale e non) e del contesto culturale gli elementi di carattere interculturale emergono spesso con maggiore evidenza che negli input di tipo (a) e (b). In questo senso, dunque, il cinema è forse lo strumento più potente per avviare gli studenti all’attenzione interculturale (sull’intersezione tra educazione linguistica, letteraria e interculturale si veda Caon, Spaliviero 2015). Come utilizzare questi tre tipi di input per far emergere elementi sia intraculturali, cioè propri della cultura che si esprime nella lingua straniera o classica oggetto di studio, sia interculturali, che cioè possono creare problemi di intercomprensione e di relazione interpersonale? Come trasformare l’osservazione e la classificazione dei punti critici nello sviluppo di una abilità relazionale non scholae sed vitae? Il problema chiave che si trova a fronteggiare chi vuole insegnare la comunicazione interculturale (atto che in apertura abbiamo definito “impossibile”) è costituito dalla massa di possibili differenze interculturali: essa è enorme ed è spesso difficile da percepire a causa del fatto che spontaneamente applichiamo all’ermeneutica della altre culture i nostri valori culturali, quelli che nella metafora di Hosftede sono noti come softwares of the mind: leggiamo in greco racconti di stupri e applichiamo il nostro orrore, laddove gli stupratori erano déi ed eroi, e questi ultimi erano quasi sempre il frutto di uno stupro; vediamo in un film danese come il Pranzo di Babette i commensali puritani che mangiano in silenzio e interpretiamo questa scelta comunicativa come disapprovazione per un pranzo troppo ricco e tentatore, ma l’interpretazione è frutto di una dissimmetria culturale: in Italia è vietato tacere a tavola, in Danimarca lo si può tranquillamente fare e, anzi, una persona educata non si dedica allo small talk mentre mangia; vediamo in telefilm ameri36

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cani colleghi di polizia, che dipendono completamente l’uno dall’altro e passano giornate insieme, che si sono più volte salvati vicendevolmente la vita, ma che non parlano delle proprie malattie o dei propri problemi familiari perché vogliono la privacy, colleghi che si separano dopo anni di lavoro comune senza neppure toccarsi, senza abbracciarsi, per l’orrore della comunicazione basata sul contatto prossemico, ma che noi rischiamo di interpretare come freddezza emozionale, frutto di chissà quali divergenze maturate in puntate precedenti che non abbiamo visto… Di fronte a tale massa di possibili punti critici, quello che l’insegnante di lingua non nativa può insegnare è costituito da due processi: “osservare” e “classificare”. Per farlo è necessario prendere a riferimento una mappa come quella che abbiamo riprodotta, in termine di modello, nel paragrafo 2: trasformata in file word (o scaricata come tale dal sito LabCom, citato sopra) la lista dei punti critici diviene l’indice di un manuale personale, o di classe, un manuale da continuare a scrivere lifelong a seconda degli incontri che la vita proporrà, dei viaggi, dei libri, dei film, degli aneddoti sentiti da amici e colleghi, e così via. La metodologia per realizzare questi processi è legata alla loro natura: a. osservare: “guardare” un video non significa “osservare”, perché quest’ultimo verbo è connotato dall’intenzionalità e da uno sforzo di analisi; né l’osservazione analitica è spontanea nella lettura di un racconto o di un articolo di giornale o nell’ascolto di una canzone in lingua straniera: l’osservazione interculturale, così come quella linguistica, va guidata dall’insegnante, regista dell’insegnamento, language acquisition support master, colui che, per dirla con Von Humboldt, non insegna la lingua straniera ma crea le condizioni perché qualcuno l’apprenda. In ogni input che presenta ai suoi studenti l’insegnante può aggiungere all’osservazione finalizzata alla lingua anche l’osservazione di un elemento interculturale esplicito o implicito in quel testo; esistono tecniche didattiche che facilitano questa operazione: per esempio, guardare uno spezzone di film o di un talk show o di una pubblicità togliendo l’audio consente di focalizzare l’attenzione sui gesti, sulle espressioni, sulla distanza interpersonale, sugli oggetti usati in 37

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funzione comunicativa, sulle ‘divise’, da quella di uomo di successo a quella di casalinga; b. classificare all’interno della griglia quegli elementi emersi dall’osservazione che sono diversi dagli omologhi elementi italiani, costruendo lezione dopo lezione il proprio manuale di comunicazione interculturale. L’atto conclusivo di un processo di acquisizione è costituito dalla verifica e dalla conseguente valutazione. È possibile valutare la competenza comunicativa interculturale? Gli americani lavorano moltissimo in questo ambito (si vedano sul tema Bennet 1993, 2001; Fantini 2000; Oudenhoven, Van Der Zee 2002; Deardorff 2006, 2011; Kupka, Everet 2007; Dervin 2010), ma le loro ricerche e i molti convegni organizzati dalla AFS (che in Italia è nota come Fondazione Intercultura) ci hanno convinto che sia uno sforzo inutile perché offre risultati inattendibili, e questo per due ragioni: a. la difficoltà, se non impossibilità, di osservare e valutare un comportamento autentico: la valutazione misura un comportamento dal quale si induce un’ipotesi sulla competenza, ma bisogna che i comportamenti siano per quanto possibili autentici. Osservare in classe la comprensione di un testo scritto o orale, per quanto la situazione non sia socialmente autentica, mostra un processo autentico, che avviene autenticamente in quel momento, la comprensione; lo stesso vale per l’interazione con gli esaminatori o per la realizzazione un monologo (sebbene prodotti in situazioni di ansia, in entrambi i casi: dato di cui tener conto), e vale per un testo scritto dallo studente, per scelte multiple lessicali o grammaticali ecc.: il valutatore può risalire sebbene con una certa approssimazione dalla performance alla competenza e può classificarla, per esempio, di livello B1; per osservare la competenza comunicativa interculturale bisognerebbe porre lo studente all’interno di una situazione interculturale autentica, ma ciò è impossibile nella maggior parte delle situazioni didattiche; metterlo di fronte a un video consente di verificare la capacità di osservazione, ma questa non coincide con la capacità d’uso, di azione sociale in contesti interculturali, allo stesso modo in cui saper osservare la lin38

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gua e classificarne le parole secondo le parti del discorso non significa saper usare la lingua; bisognerebbe creare una pluralità di situazioni di possibile attrito interculturale (attrito linguistico, extralinguistico, socio-pragmalinguistico, relazionale: gli elementi del modello), il che è realisticamente impossibile; b. ammesso che fosse possibile, c’è un elemento centrale della competenza comunicativa interculturale che non risulterebbe valutabile: l’atteggiamento interculturale e relazionale. Nella valutazione linguistica non sono in campo atteggiamenti: il fatto che nelle frasi secondarie in tedesco il verbo vada nell’ultima posizione mentre nelle principali è in seconda posizione non è legato a un atteggiamento emozionale e di gusto dello studente, sic est e tanto basta; nella valutazione interculturale c’è sì una possibile dimensione “grammaticale” costituita da “regole” che si possono conoscere, per esempio il fatto che non si tocca il capo di un musulmano, che il gesto a V con indice e medio significa “vittoria” se il palmo è rivolto verso l’interlocutore mentre è un insulto con il palmo tenuto verso chi parla, che l’OK con il pollice alzato è un insulto nel sudest asiatico e quello fatto con il cerchio di pollice e indice lo è in Russia ecc.; ma nella valutazione interculturale bisognerebbe misurare soprattutto l’abilità di saper sospendere il giudizio quando c’è un incidente, di saper negoziare i significati extralinguistici e valoriali che costituiscono potenziali punti d’attrito, e così via: questi “saper fare” interculturali non sono elenchi di can do’s come quelli del Framework, sono atteggiamenti e strategie, e in quanto tali non sono valutabili se non molto intuitivamente e in maniera soggettiva. Cioè inutile, ai fini di una valutazione seria. È possibile, dunque, un insegnamento delle lingue straniere e classiche che tenga conto della dimensione interculturale oltre che di quella intraculturale? È possibile, non è un problema di approccio, di tecnologie, di metodologia – solo di sensibilizzazione al problema e di attenzione a quel grande fascio di messaggi che si affianca, nella comunicazione autentica, alla lingua. È solo un problema di formazione dei docenti. 39

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capitolo ii

NUOVI E VECCHI PARADIGMI NELL’INSEGNAMENTO DELLE LINGUE E CULTURE STRANIERE IN RETE Donatella Troncarelli Università per Stranieri di Siena

1. Introduzione Negli ultimi decenni la rapida evoluzione e la capillare diffusione delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione (TIC) hanno condotto non solo a una profonda trasformazione del modo in cui ci informiamo e comunichiamo nella vita quotidiana, ma anche all’introduzione di rilevanti cambiamenti nelle modalità in cui insegniamo e apprendiamo in una varietà di ambiti disciplinari, tra i quali quello linguistico. La didattica delle lingue straniere, fortemente interessata all’uso delle tecnologie al fine di ampliare l’esposizione a un input linguistico diversificato e di sostenere il processo di apprendimento anche oltre i confini dell’aula, rappresenta infatti uno degli ambiti maggiormente coinvolti dall’incalzante sviluppo tecnologico (Motteram 2013). Il primo riflesso di questo sviluppo è senza dubbio l’opportunità di accedere alla Rete che ha determinato un forte ampliamento della varietà delle fonti di esposizione. Attingendo dal web, l’insegnante può infatti facilmente selezionare testi scritti, orali, video o semplicemente iconici, appartenenti a un’ampia gamma di generi e tipi, da utilizzare per la realizzazione di interventi didattici. La lezione di lingua, precedentemente ancorata al libro di testo e a pochi materiali integrativi, soprattutto quando l’insegnamento aveva luogo in posti geograficamente lontani dal 42

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paese della lingua oggetto di apprendimento, è diventata oggi più varia, articolata, mirata alle esigenze dei destinatari e stimolante, potendo contare su una pluralità di media integrati in un unico supporto tecnologico, coinvolgendo simultaneamente più sensi e attivando più modalità di apprendimento (Maggini 2011). L’ingresso delle tecnologie di Rete in classe ha comunque offerto anche altre opportunità a seconda del tipo di infrastruttura tecnologica disponibile. Accanto all’impiego di sistemi di videoconferenza, che consentono il collegamento in tempo reale con altre classi o altri parlanti della lingua di apprendimento per interagire o collaborare allo svolgimento della lezione, può essere previsto l’uso di aule dotate di rete didattica1 o di pc portatili collegati a una rete WIFI, che permettono la navigazione autonoma del singolo studente o di gruppi di studenti nel web. Anche chi apprende può dunque trovare in Rete ulteriori fonti di esposizione alla lingua e di pratica esercitativa, avvalersi di sussidi di sostegno allo studio, ricercare documenti sulla vita, sulla cultura e sulla società della quale sta imparando la lingua, svolgere da solo o in gruppo attività mirate allo sviluppo di particolari competenze e abilità. Inoltre lo sviluppo tecnologico ha reso possibile anche il trasferimento della classe in Rete. La guida del docente e lo svolgimento di attività con i compagni di corso possono essere infatti estesi oltre i limiti spaziotemporali della lezione di lingua, grazie al ricorso a sistemi per la condivisione, la collaborazione e l’interazione disponibili online, ma anche all’ausilio di applicazioni su dispositivi mobili che permettono di lavorare insieme, pur lasciando a ognuno la libertà di seguire i propri tempi di apprendimento. La classe infine può costituirsi direttamente in Rete quando il corso di lingua è svolto completamente a distanza con l’impiego di piattaforme per l’e-learning o di altri sistemi che consentono la gestione di contenuti di apprendimento, l’interazione tra i partecipanti, l’accesso a risorse offerte dal web e il monitoraggio dell’apprendimento. In questo panorama variegato e in continua evoluzione, diversi paradigmi dell’applicazione della tecnologia alla didattica delle lingue si 1 Le reti didattiche consentono il collegamento e la messa in parallelo di tastiere, video, schede audio dei pc presenti in un’aula in modo da poter trasmettere a tutti lo stesso file e da poter gestire la postazione dello studente da quella del docente.

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sono avvicendati a volte ribaltando scenari precedenti, altre ridefinendo la propria fisionomia e altre ancora riproponendo vecchie pratiche in nuovi contesti. Scopo del presente contributo è di delineare un quadro di tali paradigmi offrendo spunti di riflessione sulle modalità di insegnamento e apprendimento attivate, sui modelli formativi promossi e sui ruoli degli attori coinvolti. 2. Dalle macchine per insegnare agli ambienti virtuali per la formazione di massa Verso la metà degli anni Novanta, Porcelli descriveva il ruolo del computer nella didattica delle lingue ricorrendo alle metafore del magister e del pedagogus (Porcelli 1994). La prima considerava l’impiego di questo strumento come sostitutivo del lavoro del docente tramite l’uso di programmi intelligenti, in grado di guidare il processo didattico, monitorare l’apprendimento e valutare le prestazioni. La seconda metafora si riferiva invece all’impiego del computer come coadiutore infaticabile e ubbidiente al quale il docente si affida per poter far svolgere una pluralità di attività sulla lingua, per attuare percorsi di recupero o per fornire ulteriori opportunità di esercitazione, gestibili anche in modo autonomo da parte dello studente. A queste due modalità di utilizzo si aggiungeva quella del pc come «sussidio didattico integrato» (Porcelli 1994: 138), cioè come strumento attraverso cui condurre alcune delle attività previste nel percorso didattico, in modo da poter trarre vantaggio dalle potenzialità offerte dal mezzo tecnico, diventato ormai multimediale. Nell’arco di circa un ventennio molte cose sono cambiate e l’impiego del pc in ambito didattico ha preso strade non prevedibili e accantonato quelle che sembravano percorribili. I pacchetti chiusi, utilizzabili dal singolo studente sul pc, si sono dapprima arricchiti diventando sistemi più flessibili e reticolari, quindi fruibili secondo ritmi individuali di navigazione e di fruizione, poi si sono trasferiti in Rete trasformandosi in ambienti di apprendimento multirelazionali e aprendosi all’integrazione con le innumerevoli risorse che il web offre. Le piattaforme per l’e-learning, cioè i LMS (Learning Management System) o i LCMS (Learning Content Management System) su cui viene realizzata oggi la formazione, 44

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consentono infatti, accanto alla gestione di materiali didattici e il monitoraggio delle attività svolte dagli utenti, anche varie forme di comunicazione tra gli attori coinvolti nel processo formativo. L’apprendimento non è guidato da una macchina diventata più intelligente, come ci si poteva attendere negli anni Novanta del secolo scorso, né il pc agisce come sofisticato dispensatore di attività da svolgere individualmente per sviluppare competenze linguistiche tramite l’esercitazione costante. Il pc continua a essere utilizzato come sussidio didattico integrato e, anche quando la formazione è completamente mediata dalla tecnologia, il docente non ha ceduto il suo posto, continua a essere presente, spesso nella veste di tutor o di mentor, per gestire l’interazione didattica, orientare gli studenti nello svolgimento di compiti, motivare la partecipazione, fornire spiegazioni, correggere e valutare. In altre parole l’azione didattica è sempre gestita dall’insegnante che si avvale delle tecnologie per le potenzialità che queste offrono. I vecchi paradigmi sono stati sostituiti da nuovi che non relegano l’apprendente al ruolo di soggetto passivo ma lo delineano come attore fortemente partecipe. Lo studente, posto infatti al centro del processo formativo, sviluppa abilità e competenze usufruendo dello scaffolding offerto dal tutor e dall’ambiente di apprendimento2, interagendo con gli altri e impegnandosi in attività di peer teaching e peer evaluation. La dimensione sociale e collaborativa dell’apprendimento è subentrata a quella autoistruttiva (Trentin 2008), sebbene questa non sia stata del tutto scalzata. Micro- percorsi di apprendimento individuale sono infatti compresi anche in ambienti formativi di matrice costruttivista3, dove 2 Il concetto di «scaffolding» è stato elaborato nell’ambito della prospettiva costruttivista (vedi nota successiva): chi apprende ha necessità di essere aiutato da supporti umani, tecnici, organizzativi. Lo scaffolding consiste quindi nell’assistere lo studente nello sviluppo delle abilità e delle competenze utili al conseguimento di un obiettivo formativo centrato sui suoi bisogni. Questo sostegno può esercitarsi sia sul piano esclusivamente intellettuale che sul piano emotivo o sociale. 3 Il costruttivismo, come quadro teorico sull’apprendimento, si è andato affermando a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso soprattutto nell’ambito delle tecnologie didattiche. Nella prospettiva costruttivista la conoscenza è considerata il risultato di una costruzione attiva del soggetto, che integra nuove conoscenze con quelle già disponibili attraverso l’interazione sociale e la negoziazione di significati, e non il frutto della trasmissione di informazioni da parte del docente, concepito come dispensatore di sapere (Varisco 2002).

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non sono totalmente escluse attività che il singolo studente è chiamato a svolgere, ma dove queste vengono concepite come componenti di una vasta gamma di compiti a sostegno dell’apprendimento, su cui riflettere e confrontarsi con gli altri membri della community. Inoltre, alcuni dei corsi di lingua offerti online continuano a proporre percorsi in cui l’elaborazione dei contenuti da parte degli apprendenti assume un ruolo centrale nella formazione, che si configura quindi come autoistruzione in cui il ricorso alla tecnologia supplisce la formazione in presenza guidata da un docente. Sebbene questo tipo di corsi si svolga su piattaforme per l’e-learning dotate di strumenti di comunicazione, l’interazione è infatti limitata alle richieste di supporto inoltrate ai tutor per risolvere problemi tecnici o per ottenere suggerimenti per l’uso dei materiali didattici. Vecchi modelli formativi, rivisitati in misura variabile in base agli obiettivi della formazione e ai vincoli posti dal supporto tecnologico, convivono dunque con i nuovi paradigmi, sempre più diffusi per la capacità di promuovere modalità innovative e partecipative di apprendimento. Questo è anche il caso dei MOOC (Massive Open Online Courses) che, sempre più numerosi, stanno popolando la Rete da circa un quinquennio (Chakraborty 2015). Nati per rendere fruibile a un ampio pubblico la grande quantità di materiale digitale di cui dispongono le università, non hanno incluso in un primo momento l’insegnamento delle lingue straniere. Alcune proposte relative a questo ambito hanno iniziato a circolare sul web negli ultimi due anni4. Si tratta di corsi in cui l’asse portante è costituito da materiale videoregistrato, che può consistere in unità didattiche oppure in lezioni tenute da un docente. Il materiale è implementato e reso disponibile su una piattaforma, fornita da un provider, la quale consente la gestione degli utenti, dei contenuti, dei percorsi di apprendimento e delle interazioni tra i partecipanti. I MOOC prevalentemente articolati per unità didattiche propongono la visione di situazioni comunicative, seguita da spiegazioni relative alle forme linguistiche, da esercizi e da attività basate sulla discussione da svolgere insieme agli altri partecipanti su forum. Lo studente è gui4 Attualmente sono offerti corsi di spagnolo di livello A1 e A2, corsi avanzati di inglese e francese, corsi di tedesco, olandese, portoghese e cinese per principianti e corsi di italiano. Questi ultimi sono stati realizzati dal Wellesley College sulla piattaforma EDX e dall’Università per Stranieri di Siena sulla piattaforma di Future Learn.

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dato attraverso l’unità dalle istruzioni contenute nelle varie pagine di cui si compone il percorso5. In quelli organizzati per lezioni in genere è il docente che attraverso i videoclip dirige l’attività didattica, come nella formazione in presenza, guidando lo studente all’uso delle risorse rese disponibili per l’apprendimento o suggerendo lo svolgimento di esercizi. Una ulteriore soluzione è rappresentata dalla presenza di una figura guida che conduce lo studente lungo il percorso organizzato per unità didattiche6. Tutte le modalità di realizzazione comprendono materiali scaricabili di vario tipo - compresi i videoclip che possono non essere tutelati da copyright, essendo il corso aperto e gratuito - attestazioni di frequenza del MOOC e/o di superamento dell’esame di fine corso7. In sintesi i MOOC recuperano elementi della formazione a distanza definita di seconda generazione8, quali: -- il ricorso alla tecnologia per sostituire l’insegnante che presenta il materiale, assegna le attività e valuta l’apprendimento; -- l’uso del video per attuare la comunicazione uno a molti, spesso configurandosi come un surrogato della lezione in presenza; -- la limitazione della comunicazione molti a uno, cioè dello studente con il docente o con chi gestisce il percorso formativo; -- la sequenzialità dei contenuti e dei materiali che, in molte piattaforme, non lascia spazio a una consultazione reticolare, riducendo la possibilità di intraprendere itinerari personali di apprendimento.

5 È costruito in questo modo, per esempio, il corso “Spanish for beginners” realizzato da docenti della Universidad a Distancia de Madrid - UDIMA e offerto sulla piattaforma Iversity.

6 Sono così organizzati i corsi “Español Salamanca A2” offerto dall’Università di Salamanca sulla piattaforma Miríadax e “Introduction to Italian”, proposto dall’Università per Stranieri di Siena sulla piattaforma Future Learn.

7 Le attestazioni sono rilasciate dietro pagamento di una tassa e costituiscono, per molte organizzazioni che offrono le piattaforme su cui implementare i MOOC, le forme principali di introito. In alcuni casi è possibile sostenere un esame che consente di conseguire ETCS (European Credit Transfer System), cioè crediti formativi universitari da parte dell’università che offre il corso. 8 La prima generazione di formazione a distanza è considerata quella attuata tramite corrispondenza, che ha caratterizzato la prima parte del secolo scorso. La seconda generazione si è sviluppata grazie alla radio e alla televisione che hanno consentito di raggiungere un ampio pubblico di ascoltatori. La terza generazione invece è quella legata all’uso della Rete.

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Tali elementi sono però collocati in un nuovo supporto tecnologico, costituito dalla piattaforma per la gestione del MOOC, che rende il percorso facilmente aggiornabile, distribuibile, integrabile con risorse di rete e con strumenti per la comunicazione mediata da computer. Vecchi paradigmi incontrano quindi i nuovi e si fondono per dare vita a ulteriori opportunità per la didattica. Il risultato di questo connubio dipende, come osserva Rotta (2014), dagli orientamenti pedagogici seguiti. L’efficacia dell’utilizzazione di un MOOC è sicuramente connessa da un lato alla produzione di risorse specifiche, centrate sul conseguimento di obiettivi ben delineati, piuttosto che all’utilizzazione di quelle già disponibili per altri percorsi realizzati su supporti diversi, dall’altro alla portata della dimensione sociale e collaborativa promossa per sostenere l’apprendimento. Il lancio di un MOOC in Rete è preceduto da una campagna di diffusione che riesce a coinvolgere un numero estremamente elevato di persone. Di queste, solo un numero molto più restretto diventa partecipante attivo e una quota ancora più ridotta conclude l’esperienza formativa, richiedendo una attestazione di partecipazione (Perna, Ruby 2014). La cifra considerevole di abbandoni è da attribuire, non solo alla gratuità del corso e alla vasta gamma di motivazioni che spinge milioni di utenti a iscriversi, ma anche a uno dei limiti che i MOOC condividono con la formazione di seconda generazione che in parte reincarnano: l’isolamento dell’utente nello svolgimento del percorso di apprendimento. Se le attività proposte richiedono di interagire solo o prevalentemente con i materiali didattici, l’isolamento e, di conseguenza, il rischio di abbandono aumentano. La creazione di un ambiente, in cui si colloca il lavoro sui contenuti del MOOC, che stimoli la collaborazione e l’interazione con altri utenti, diventa quindi un fattore di grande importanza sia sul piano motivazionale, sia su quello dell’efficacia didattica poiché in grado di promuovere forme di apprendimento attivo, basate su processi di costruzione della conoscenza che le tecnologie di Rete sono in grado di sostenere. Insomma, la riuscita e il futuro anche di un fenomeno di ampia risonanza come i MOOC dipendono dal grado di fusione tra vecchi e nuovi paradigmi nell’uso della tecnologia applicata alla didattica.

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3. Dalle piattaforme alle App Negli ultimi anni la tecnologia mobile ha conosciuto un considerevole sviluppo e un’ elevata penetrazione a livello mondiale (vedi Fratter in questo volume), sottraendo utenti al computer e ampliando il raggio di utilizzazione della Rete: Il fenomeno di erosione degli utenti Internet da desktop a favore del mobile è ormai conclamato per i Paesi del vecchio mondo, mentre per i Paesi del nuovo mondo, quelli che si approcciano ora all’utilizzo di Internet - India, Cina, Brasile per esempio - è il punto d’accesso principale. Le popolazioni di queste geografie saltano a piedi pari il passaggio da computer (Brognara 2014: 7).

Per rispondere alle esigenze di una società sempre più on the move sono state messe in circolazione applicazioni (App), utilizzabili su smartphone, e tablet che agevolano la vita quotidiana offrendo una gamma disparata di servizi: dal comprare voli o prenotare un albergo, al comunicare con la famiglia e con gli amici, al giocare per occupare il tempo, al sostenere l’uso o l’apprendimento delle lingue. Sul nostro dispositivo mobile possiamo infatti scaricare App per disporre di dizionari mono o bilingue, di traduttori automatici e di attività per memorizzare il lessico, esercitare elementi grammaticali, costruire frasi, migliorare la comprensione. Come nel caso dei MOOC, molte di queste App propongono vecchie pratiche in nuovi contesti. Esercitazioni su elementi discreti della lingua, quali singole parole e regole morfologiche, che un software riesce a gestire molto bene, sono associate a giochi e all’interazione con altri utenti. Ne è un esempio l’App Lern Deutsch - Stadt der Wörter realizzata dal Goethe Institut e scaricabile gratuitamente da Google Play e Apple Store. Si tratta di una applicazione rivolta ad apprendenti principianti di tedesco per sviluppare la competenza lessicale. Le parole sono presentate isolatamente o in frasi utilizzabili nei luoghi riprodotti virtualmente nell’applicazione e in cui l’apprendente può muoversi con un avatar, come la città, il parco, la casa, il Goethe Institut, la stazione ferroviaria, l’hotel. Lungo il proprio itinerario, l’utente svolge una serie di compiti, che consentono di guadagnare delle monete virtuali, e incontra altri apprendenti, in quel 49

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momento online, con i quali può giocare. I giochi sono sfide basate sulla memorizzazione dei vocaboli che consentono di guadagnare premi per l’ingresso nella hall of fame. La grafica, la dimensione ludica e la competizione con gli altri utenti, rendono l’attività motivante nonostante l’applicazione riproponga, su un nuovo supporto tecnologico, il paradigma del pedagogus che somministra in modo infaticabile esercizi e invia riscontri sulla prestazione dell’apprendente. Un’altra applicazione basata su pratiche ormai poco utilizzate e considerate superate per l’apprendimento delle lingue è Duolinguo. Lanciata nel 2012 e selezionata nel 2013 come App dell’anno da Apple Store e da Google Play, utilizza infatti la traduzione da una lingua a un’altra come tecnica didattica. Per poter imparare una lingua occorre quindi essere un parlante di una lingua tra quelle da o per cui è possibile realizzare la traduzione. Per esempio, i parlanti di lingua inglese possono apprendere spagnolo, francese, tedesco, portoghese e italiano, quelli di lingua tedesca possono imparare inglese, francese e spagnolo, mentre chi parla l’italiano può solo scegliere attualmente tra inglese e francese9. Il percorso offerto si articola in piccoli blocchi di attività, definiti unità10, che ruotano intorno a un campo semantico o a un argomento grammaticale. Si tratta di materiale non analizzato nelle sue componenti costitutive e presentato attraverso singole parole, negli stadi di apprendimento iniziali, e successivamente tramite singole frasi. L’apprendimento si fonda sulla traduzione da una lingua all’altra e sulla memorizzazione. Parole e frasi non tradotte correttamente vengono ripresentate prima di concludere l’attività, al termine della quale è possibile passare a quelle successive. Si accede a un’altra unità quando si sono concluse le attività comprese in quella precedente. È invece consentito saltare blocchi di unità facendo un esame che permette l’apertura di un ramo successivo lungo l’itinerario da percorrere. 9 Il lancio del corso di tedesco per italiani è previsto per il 7 luglio 2016 e conta attualmente 23370 interessati mentre quello di spagnolo è previsto per il 10 ottobre 2016 e conta 22480 interessati.

10 Non si tratta di unità comunemente intese in ambito glottodidattico ma di un insieme di attività, chiamate lezioni, che utilizzano tecniche quali la traduzione da una lingua a un’altra, la selezione in una scelta multipla di una traduzione, la lettura ad alta voce di una parola o di una frase, la trascrizione di una parola o di una frase su cui l’apprendente riceve un feedback immediato dal sistema.

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Basando l’apprendimento sulla traduzione da una lingua a un’altra, una serie di ostacoli si presentano all’utente dell’applicazione: traduzioni corrette considerate errate dal sistema (cfr. fig. 1), errori di registro o errate collocazioni11, frasi formalmente corrette ma improbabili o prive di senso (cfr. fig. 2), impossibilità di dare valore alle forme linguistiche venendo a mancare un contesto a cui riferirle12. Gli apprendenti hanno però strumenti che consentono loro di contribuire al miglioramento delle traduzioni suggerendo frasi di arrivo alternative per una stessa frase di partenza, oppure di presentare le loro perplessità ad altri utenti in linee di discussione dedicate a ciascuna frase (cfr. fig. 2) e ricevere aiuto13.

fig. 1. Esempio di traduzione non accettata.

11 Viene per esempio considerata errata la frase «Deve mettere il succo in cucina» come traduzione della frase inglese «She has to place the juice in the kitchen» traducibile invece per il sistema con «Deve porre il succo in cucina».

12 Per esempio frasi al passato prossimo in italiano come «Non abbiamo giocato nel parco» sono accettate sia se tradotte con il past tense («We didn’t play in the park») o al present perfect («We’ve not played in the park») poiché non sono inserite in un contesto che consenta di cogliere il valore funzionale dei due tempi verbali. 13 Grazie al contributo fornito dagli utilizzatori della App, le traduzioni sono molto migliorate da quando è stata lanciata. Inizialmente venivano segnate errate le frasi con non contenevano la stessa punteggiatura della frase di partenza e le frasi italiane senza soggetto, quando questo era costituito da un pronome personale, oltre a traduzioni alternative ugualmente valide.

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Per superare la noia che può derivare dalla ristretta gamma di attività proposte e dalla ripetitività degli item, gli sviluppatori dell’applicazione hanno previsto sfide e incentivi. L’apprendente può infatti accumulare “lingot” (valuta virtuale di Duolinguo), che consentono di acquisire una serie di vantaggi come l’accesso a unità su usi idiomatici della lingua, test di progresso, sfide cronometrate per poter avanzare di livello, oppure può perdere “cuoricini” ed essere costretto a iniziare di nuovo una attività, come accade nei videogiochi.

fig. 2. Esempio di frase improbabile.

Se non fosse per la possibilità di interazione offerta alla comunità dei suoi utilizzatori, Duolinguo si configurerebbe solo come un tentativo di reintroduzione, attraverso una cornice tecnologica, di pratiche proprie del metodo grammaticale traduttivo, le cui debolezze sono state messe in luce dagli studi glottodidattici, soprattutto se impiegate ai primi livelli di apprendimento linguistico (Balboni 1998, 2006). Attraverso il confronto con gli altri viene invece attivata la riflessione sulle forme e sugli usi della lingua che riesce a rendere l’impiego di una tecnica didattica, comunque discutibile, più efficace per l’apprendimento e accettabile da parte degli utenti. Il punto di forza della App non è tanto un percorso formativo ben delineato e ludico, contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista, quanto piuttosto la possibilità di condividere l’esperienza di apprendimento con altri utenti tramite azioni di sostegno reciproco, peer teaching 52

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e la condivisione di informazioni su altre risorse disponibili in Rete per imparare la lingua14. Ciò diventa particolarmente evidente nella sezione “Immersione” dove gli utenti possono caricare un testo selezionato dal web e tradurlo da una lingua a un’altra con l’aiuto di altri utenti. Si tratta di un sistema di scrittura condivisa che consente di avere il testo originale a fronte e di rivedere il lavoro di traduzione fatto da altri, approvare le versioni realizzate e discutere in un forum dedicato i problemi incontrati e proporre soluzioni. Utenti competenti nella lingua di apprendimento possono quindi esercitare l’abilità traduttiva attraverso percorsi di learning by doing15, collaborando alla riflessione interlinguistica e migliorando la propria padronanza della lingua. Come questi esempi mostrano, anche nel caso delle App i vecchi paradigmi si fondono con i nuovi, andando a bilanciare i limiti dell’utilizzo delle tecnologie come strumenti per esercitare l’automatizzazione di parole, sintagmi o frasi, tramite la costante ripetizione e collocando l’apprendimento in una dimensione sociale senza la quale chi apprende stenterebbe a sviluppare competenze e a mantenere la propria motivazione a imparare.

4. Dall’apprendente fruitore all’apprendente produttore Nella didattica delle lingue seconde l’apprendimento formale, cioè realizzato attraverso la frequenza di un percorso formativo, e l’apprendimento spontaneo, cioè frutto di esposizione non guidata alla lingua, sono sempre andati sottobraccio. Chi vuole imparare una lingua straniera generalmente dà inizio a questa esperienza con l’iscrizione a un corso e poi, eventualmente, sceglie di proseguire recandosi nel paese dove la lingua è utilizzata per gli scambi comunicativi quotidiani. Altri impa14 Trentin (2000) propone di distinguere l’apprendimento collaborativo, dove comunque il docente o il tutor mantengono la regia delle attività da svolgere, mediando e dirigendo l’interazione verso il conseguimento di obiettivi delineati, dall’apprendimento mutuato o reciproco caratterizzato dall’organizzazione autonoma degli utenti che si sostengono vicendevolmente nella risoluzione di problemi che emergono nello svolgimento del percorso formativo. 15 Nella sezione “Immersione” la traduzione non è utilizzata come tecnica didattica in quanto gli utenti che vi partecipano hanno già una discreta competenza nella lingua e traducono per migliorare le propria competenza di mediazione.

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rano interagendo con i parlanti nativi e decidono solo successivamente di frequentare un corso di lingua per migliorare la propria competenza. Altri ancora iniziano a studiare una nuova lingua nel paese dove la lingua è parlata, apprendendo in modo misto. Inoltre, metodi utilizzati in percorsi di istruzione formale hanno tentato di avvicinare l’aula all’ambiente di acquisizione naturale della lingua. Con il ricorso alle tecnologie di Rete non solo il confine tra apprendimento di una lingua straniera, centrato su percorsi formali, e apprendimento di una lingua seconda, basata anche su processi di acquisizione spontanea, è andato notevolmente assottigliandosi, dato che gli studenti possono essere messi in contatto con parlanti nativi e possono fruire di documenti come se si trovassero nel paese della lingua che stanno apprendendo, ma sono state notevolmente accorciate anche le distanze tra insegnante e studente, produttore e fruitore di materiali didattici. Prima della diffusione della Rete questi ruoli erano ben definiti e separati. Il docente era colui che, avendo ricevuto una formazione specifica, aveva titolo a progettare e gestire l’azione formativa mentre lo studente era solo il ricevente della formazione. Il parlante nativo poteva entrare in questo scenario nel ruolo di assistente del docente o di informant, come era definito nel metodo audio-orale, per fornire il materiale linguistico su cui lavorare: The technique Bloomfield and his colleagues used was sometimes known as the “informant method” since it used a native speaker of the language - the informant ­who served as a source of phrases and vocabulary and who provided sentences for imitation, and a linguist, who supervised the learning experience. The linguist did not necessarily know the language but was trained to eliciting the basic structure of the language from the informant. Thus the students and the linguist were able to take part in guided conversation with the informant, and together they gradually learned how to speak the language, as well as to understand much of its basic grammar (Richards, Rodgers 2001: 51).

Ora all’apprendente, in quanto parlante della lingua materna o di altre lingue di cui è competente, sempre più spesso si presentano occasioni per uscire dal proprio ruolo e assumere quello di formatore. Molti Social Network e piattaforme internazionali per l’apprendimento delle lin54

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gue16, che si fondano sulla concezione del web come ambiente per la condivisione e per lo scambio di conoscenze, richiedono infatti a chi vi aderisce di dichiarare al momento dell’iscrizione le lingue conosciute e il grado di padronanza. Una volta all’interno dell’ambiente, l’utente svolge percorsi di apprendimento per le lingue che ha scelto di imparare, può rivolgersi ad altri apprendenti per comunicare attraverso servizi di chat e web conference17, ottenere feedback per attività non correggibili automaticamente, come brevi produzioni orali o scritte. Analogamente, gli altri apprendenti possono rivolgersi a lui per conversare nella sua lingua materna, o nelle altre lingue di cui ha un elevato livello di padronanza, e ricevere dal sistema richieste di correzione di compiti. Ogni compito svolto o attività realizzata in favore dalla comunità è riconosciuta con l’assegnazione di un punteggio18 che permette di accedere a servizi, come lezioni a pagamento o revisione di compiti da parte di esperti o di acquisire meriti attraverso i quali gli altri utenti possono capire il grado affidabilità di chi è disponibile. La collaborazione spontanea e quella guidata dal sistema sono dunque alla base di questi ambienti in cui apprendimento formale e informale si intrecciano fornendo a una moltitudine di persone ulteriori opportunità per imparare la lingua. Alcuni Network si spingono comunque oltre e richiedono agli apprendenti anche la collaborazione per la realizzazione di materiali didattici di cui si compongono i percorsi formativi. Questo è il caso di My Happy Planet dove gli utenti possono essere guidati dal sistema a produrre lezioni e materiali audiovisivi per altri membri della community. Anche le traduzioni, su cui Duolinguo basa ogni nuova opportunità offerta ai parlanti di una determinata lingua, sono realizzate dagli utenti. Quando un corso è in “periodo di cova”, cioè è stato progettato o è in via di elaborazione (cfr. 16 Si tratta di ambienti, parte dei quali utilizzabili gratuitamente, che richiamano milioni di persone. Solo Livemocha conta più di 16 milioni di utenti, un quinto dei quali studiano 6 lingue, tanto che il sito ha temporaneamente sospeso le registrazioni da parte di nuovi utenti. 17 Nelle sezioni di chat gli utenti sono in molti Network sostenuti da strumenti di traduzione istantanea e da tastiere virtuali per la scrittura in lingue con alfabeto diverso da quello dell’utente. 18 Per esempio in Busuu gli utenti guadagnano “bacche” che possono convertirsi in “stelle” o “diamanti” mentre nella attuale versione di Livemocha si guadagnano “monete”.

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fig. 3), viene lanciata una sorta di call for collaboration e chi ritiene di padroneggiare la lingua di partenza e quella di arrivo a un livello adeguato può offrire la propria adesione (cfr. fig. 4). Gli utenti che hanno lavorato alla produzione compaiono poi come collaboratori nella scheda informativa relativa al corso.

fig. 3. Corsi in fase di elaborazione su Duolinguo.

Proprio perché basati sull’intreccio tra conoscenze personali degli utenti e conoscenze parzialmente condivise anche da esperti del settore dell’insegnamento delle lingue, i percorsi proposti da questi ambienti sono generalmente di qualità didattica non elevata. Il loro punto forte non risiede infatti nella solidità del percorso didattico connessa a un chiaro quadro teorico di riferimento sull’apprendimento-insegnamento delle lingue che ne ha guidato la progettazione e lo sviluppo, come per i corsi offerti da istituzioni o aziende specializzate nella formazione linguistica, ma nella mole di conoscenze implicite inerenti a tante lingue che riescono a mobilitare e nel supporto offerto a milioni di persone nello sviluppo di conoscenze procedurali, relative alla lingua straniera oggetto di apprendimento. 56

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fig. 4. Richiesta di collaborazione alla realizzazione di un corso.

Siamo dunque di fronte a un nuovo paradigma in cui la tecnologia si configura come risorsa inesauribile per l’apprendimento, come agenzia formativa che si affianca e a volte sostituisce quelle tradizionalmente deputate all’insegnamento delle lingue, consentendo di imparare in tempi e modi diversi nell’arco della vita e incrementando il livello di plurilinguismo e pluriculturalismo degli abitanti del nostro pianeta. In altre parole, si tratta dell’uso della tecnologia per la diffusione e l’incanalamento dell’apprendimento non formale e informale19, connesso a tante attività umane compreso l’uso del linguaggio, che valorizza ciascuno di noi come parlante e quindi come portatore di conoscenze linguistiche e culturali che possono contribuire allo sviluppo e all’aggiornamento di competenze di tante altre persone.

5. Prospettive e nuovi paradigmi Il ritmo veloce con cui avanzano le innovazioni tecnologiche nella cosiddetta società della conoscenza e dell’informazione e si susseguono applicazioni in campo educativo induce, più che a tirare conclusioni sull’impiego delle tecnologie di Rete nell’insegnamento delle lingue e 19 Nell’apprendimento delle lingue l’apprendimento non formale e informale comprende quello spontaneo, ma non coincide con esso. Quando, per esempio, uno studente è aiutato a fare un compito da un altro studente o un bambino è aiutato da un adulto, l’apprendimento della lingua avviene anche spontaneamente poiché questa viene usata per interagire, ma l’apprendimento si caratterizza prevalentemente come non formale in quanto non si realizza a seguito di un percorso strutturato, impartito da un esperto dell’insegnamento delle lingue.

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culture straniere, a considerare probabili prospettive di sviluppo. Lo scenario in continua evoluzione, delineato nei precedenti paragrafi, se da un lato propone vecchi paradigmi legati all’impiego delle tecnologie come sostituto del docente che guida il percorso di apprendimento e fornisce un feedback sull’attività dello studente, dall’altro traccia nuove strade in cui tali paradigmi sono ricollocati. La più marcata è quella dell’apprendimento come processo dinamico e interattivo che si realizza nella comunicazione e nel confronto con gli altri apprendenti, nell’utilizzazione di più fonti e sussidi, nella costruzione autonoma della conoscenza piuttosto che sulla sola fruizione di percorsi didattici strutturati, volti a esercitare singoli aspetti linguistici e pensati per essere utilizzati in autoistruzione. Gli ambienti di apprendimento più aperti, che lasciano maggiore spazio alla navigazione e all’esplorazione individuale, assicurando l’accesso alle risorse che la Rete mette a disposizione e alla comunicazione con gli altri utenti, offrono maggiori possibilità di sviluppare una competenza complessa come quella linguistico-comunicativa, che mette in gioco una serie di sottocompetenze e richiede lo sviluppo sia di conoscenze dichiarative, sia procedurali. Inoltre tali ambienti, affiancando al supporto tecnologico quello umano dato dalla comunità di riferimento, promuovono la continuità e la durata dell’apprendimento nel tempo che, nel caso dello sviluppo della padronanza di un’altra lingua, non è mai rapido. La sperimentazione e la ricerca dovrebbero dunque indirizzarsi verso l’individuazione di nuovi paradigmi e modelli operativi che conducano a una efficace utilizzazione di questi ambienti, all’integrazione dell’apprendimento formale, non formale e informale, allo sviluppo di strategie per imparare a imparare la lingua in modo che il ricorso alla tecnologia possa offrire ulteriori opportunità per il conseguimento di una competenza plurilingue e pluriculturale che può impegnare l’individuo lungo tutto l’arco della vita. Inoltre, data la multidimensionalità della competenza linguistico-comunicativa, occorre che i modelli individuati possano offrire un alto grado di flessibilità per poter soddisfare le esigenze di una pluralità di profili di apprendenti i quali hanno motivazioni diverse allo studio della lingua e necessitano dunque di poter interagire in differenti contesti di comunicazione con livelli diversi di appropriatezza e accuratezza. 58

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Questo non esclude che nuove applicazioni di stampo istruzionista, basate sullo sviluppo di isolate sottocompetenze e sull’esercitazione di singoli aspetti della lingua, continueranno a essere messe in circolazione. Esercitazioni su elementi discreti di una lingua e correzioni della perfomance dell’utente sono semplici da realizzare con il supporto tecnologico ma, come sappiamo dalla ormai pluriennale utilizzazione delle tecnologie nella didattica delle lingue, conducono l’apprendimento poco lontano dal punto di partenza.

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capitolo iii

IL DOCENTE DI LINGUA E CULTURA ITALIANA ONLINE: NUOVE COMPETENZE, NUOVI OBIETTIVI, NUOVI STRUMENTI Andrea Villarini Università per Stranieri di Siena

1. Introduzione Se esiste un ambito di vera novità nella didattica delle lingue, questo è certamente rappresentato dall’impiego nei corsi di lingua e cultura delle nuove tecnologie. In questo capitolo, quindi, cercheremo di argomentare intorno ai cambiamenti che questa novità comporta riguardo alla figura del docente. Riteniamo, infatti, che non si possa fare didattica online1 semplicemente adattando metodi e comportamenti già in uso nella didattica d’aula. Altre sono le condizioni di partenza, altri gli strumenti e altri devono essere i saperi e le competenze che un docente di lingua deve saper attuare per rendere al meglio in un corso a distanza riservato allo sviluppo di una nuova lingua e cultura. L’obiettivo dell’insegnante che si cimenta in un corso a distanza dovrebbe essere quello di creare un setting di apprendimento diverso e non semplicemente adattare materiale didattico usato per i corsi in 1 Per motivi che argomenteremo meglio più avanti, non esiste una terminologia univoca per indicare la didattica che utilizza le nuove tecnologie. È possibile trovare vari termini e locuzioni: digitale, a distanza, con le nuove tecnologie, e-learning e altre ancora. Anche in questo contributo alterneremo queste espressioni in maniera sinonimica.

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presenza. Il rischio, altrimenti, è quello di ricadere nell’errore che agli inizi2 del fenomeno dell’italiano L2 in Italia si fece allorquando si affrontò la questione delle scelte didattiche per migranti semplicemente replicando le scelte didattiche fatte per gli apprendenti italofoni. Solo dopo ci si rese conto che non era possibile affrontare la didattica per i migranti con i sistemi adottati per gli italofoni e si lavorò alla creazione di una nuova figura di docente di italiano che risultasse esperto di dinamiche di apprendimento in contesto migratorio. Lo stesso si deve fare ora che ci si trova di fronte a questa ulteriore novità, affinché si possa arrivare nel più breve tempo possibile alla definizione di un portfolio di competenze specifiche per chi intende insegnare lingua e cultura italiana con le nuove tecnologie.

2. Per una definizione di «corso di lingua e cultura online» Lavorare con le nuove tecnologie significa innanzitutto conoscere l’ambito di applicazione delle nostre competenze e delimitare meglio di quanto fatto sinora il nostro campo d’azione. Si usa spesso il termine “frontiera” per indicare appunto i corsi online e l’ambito di chi li usa per fare didattica delle lingue. La metafora è a suo modo calzante, ma l’interpretare la didattica con le nuove tecnologie solo e sempre come una perenne innovazione e sperimentazione può, a nostro, avviso risultare controproducente. È tipico delle frontiere infatti quell’idea di spingersi verso territori inesplorati, il lavorare in contesti di innovazione sconosciuti ai più e questo è l’aspetto positivo del nostro ambito di riferimento. Ma la “frontiera” prevede poi un approdo. Uno stabilizzarsi delle conoscenze intorno a nuclei condivisi e certi. Fuor di metafora, si deve passare dalla fase dove prevale l’idea che basti utilizzare un pc in aula per garantirsi il successo nell’apprendimento, a una fase più matura, dove solo determinati percorsi di apprendimento online sono utili per lo sviluppo delle competenze linguistiche. Vediamo insieme. 2 Inizio che facciamo risalire alla prima decade degli anni Ottanta, quando cominciarono ad arrivare in Italia i primi flussi migratori che posero, tra le altre cose, al centro la questione di quale didattica adottare per questo nuovo pubblico di apprendenti.

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Per prima cosa, si deve arrivare a una condivisione anche solo dell’apparato terminologico che ruota intorno alla didattica con le nuove tecnologie. Andrebbe, in altri termini, codificato un “lessico familiare” tra coloro che si occupano di didattica con le nuove tecnologie in grado di sostenere e circoscrivere questo settore. Per Egbert (2005: 4) le tecnologie didattiche possono intendersi come «any form of electronic, chip driven technology and software that it makes it run», mentre Levy e Stocwell (2006: 206-207) le definiscono come «authoring software learning management systems audio and video conferencing; artificial intelligence and intelligent systems (LMS) […] audio and video conferencing; artificial intelligence and intelligent systems; speech recognition and pronunciation-training technologies; and mobile technologies». Più tranchant sono stati Erben, Ban e Casteneda (2009: 202) quando hanno definito le tecnologie a disposizione del docente «technology refers to any electronic device used in classroom»3. Il panorama terminologico in Italia non è da meno in quanto a complessità. Facciamo un esempio: si parla spesso di corsi blended. Ma cosa si intende esattamente con blended? Quanta percentuale di ore in presenza sono necessari per qualificare un corso come blended? Il MIUR ha cominciato a produrre qualcosa (circola un documento proprio sulla nozione di blended) (MIUR 2014), ma forse si potrebbe insistere allargando il discorso anche ad altri aspetti e termini. Arrivare così a creare un lemmario di termini con relativa definizione cha funga da framework4 per chi intenda cimentarsi nella realizzazione di corsi online. Questa varietà di definizioni, dalla più generale e onnicomprensiva a quelle più restrittive che isolano le tecnologie dal resto degli strumenti presenti in aula, sono a nostro avviso il segnale di uno stadio del processo di definizione e messa a fuoco della questione. Uno stadio che testimonia di una non ancora cristallizzata comprensione di cosa le tecnologie sono e di cosa possono dare alla didattica delle lingue. Intendiamoci subito su di un punto. Le tecnologie in aula sono 3 Tutte queste citazioni sono state riferite da Gruba e Hinkelman (2012: 14-15).

4 Il termine cita volutamente l’importante documento europeo che tanto ha fatto per la messa a punto di criteri comuni per la definizione di competenza linguistica (Consiglio d’Europa 2002).

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sempre esistite. Il docente di lingua è, anzi, quello che è sempre stato più al passo coi tempi in fatto di utilizzo di nuovi strumenti. È stato il primo a utilizzare materiali non cartacei, il primo a utilizzare il laboratorio didattico, il primo a introdurre i video e il primo ad usufruire dei CDROM per presentare materiale didattico. L’accumulo negli anni di questi strumenti ha fatto sì che ci si trovasse ogni volta ad aggiornare l’utilizzo del termine “nuove tecnologie”. Ciò che era nuovo negli anni Settanta del Novecento, non può essere naturalmente più definito tale trent’anni dopo. Allo stesso tempo, però, si è creata una specie di stratificazione della strumentazione in aula che rende complicato distinguere ciò che è nuovo, da quello che in realtà è solo un riuso di materiali preesistenti. Oggi però abbiamo un vero spartiacque tra vecchi strumenti per la didattica delle lingue e nuovi. Un vero “punto di non ritorno” che ci consente di separare nettamente un prima e un dopo tra tecnologie didattiche per le lingue. Ci stiamo riferendo all’utilizzo della rete Internet. È questo l’elemento di novità in grado di separare, come tra ere geologiche, le tecnologie che non prevedono il ricorso alla Rete e quelle che invece lo prevedono (come per esempio le Lavagne Interattive Multimediali5), o che, addirittura, sono possibili solo grazie alla Rete (come per esempio i corsi di lingua online). Riteniamo che la Rete rappresenti un salto in avanti nella didattica così importante perché permette entrando in Internet di utilizzare una quantità e una varietà di input mai vista in precedenza. Una tale vastità e varietà da risultare a volte più che una risorsa quasi un problema per il docente che si trova a dover gestire una quantità di input imprevista e incontrollabile in partenza e a doverli riconnettere con quello da lui selezionato all’interno della sua programmazione didattica6. Un altro aspetto è secondo noi quello della valutazione dei risultati. Prima abbiamo accennato alla fase di euforia e onnipotenza che le nuove tecnologie stanno attraversando in relazione alla didattica delle lin5 Le Lavagne Interattive Multimediali (LIM) sono delle superfici digitali che si possono affiggere alle pareti delle aule e che consentono, oltre che di scrivere e mostrare immagini e video, anche di collegarsi a Internet. 6 Su questo importante aspetto torneremo più avanti approfondendolo (cfr. par. 7.2).

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gue. Lo abbiamo detto pensando anche alla questione della valutazione dell’efficacia didattica di questi interventi formativi. Se nella didattica d’aula un grande lavoro sul language testing è stato fatto e molto possiamo dire su come orchestrare un’efficace fase di valutazione delle competenze acquisite (quando farla, con quali strumenti e tecniche, come giudicare i risultati ecc.) poco o nulla sappiamo ancora sulla valutazione dei corsi online. O meglio, sappiamo per esempio che parte della valutazione deve riguardare i tempi di stazionamento in piattaforma (la cosiddetta “tracciabilità”) da parte dell’apprendente, ma ancora poco sappiamo su come giudicare questi dati, che conseguenze trarne e sul come incrociare questi dati con quelli relativi alle loro performance linguistiche. L’ultimo aspetto che ci pare utile sottolineare è legato proprio al legame tra lingua e cultura che si ricerca attraverso le nuove tecnologie. In un corso d’aula questo legame è gestito dal docente che in corso d’opera si incarica di stabilire le varie connessioni tra la lingua di apprendimento e la cultura di riferimento. In alcuni casi sono i libri di testo che suggeriscono attività che vadano in questa direzione, ma anche qui il più delle volte è il docente che gestisce creativamente questo aspetto. Quando si parla di corsi online, invece, tutto deve essere necessariamente pianificato in precedenza7, per questo anche il legame tra lingua e cultura deve essere esplicitato prima ancora di iniziare il corso e non sempre questo viene fatto. Questi che abbiamo detto rappresentano a nostro avviso i punti cardinali che dovrebbero orientare l’operato del docente di lingua e cultura. Un docente, abbiamo detto, che non si deve limitare a replicare online quanto abitualmente svolge in presenza, ma deve calarsi in una dimensione didattica nuova. Corollario a questo è il tema della formazione del docente di lingua e cultura online. Se ormai molte sono le attività formative (istituzionali e non) riservate alla formazione del docente di lingua e cultura italiana a stranieri, ancora pochissime sono quelle pensate per creare la figura 7 Se dovessimo dire qual è la principale differenza che si troverà ad affrontare un docente di lingua e cultura online rispetto al tradizionale corso in presenza dovremmo proprio indicare la fase di preparazione di un corso. Un corso d’aula può anche prevedere ampie dosi di improvvisazione, mentre un corso online deve essere tutto molto pianificato in partenza perché al momento dell’interazione con i corsisti tutto deve essere già previsto.

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del docente di italiano con le nuove tecnologie8. Corsi che non si limitino solo a formare il docente con le nuove tecnologie (quasi tutti i corsi di formazione prevedono una parte erogata via computer a distanza), ma che lo formino per le nuove tecnologie. Su questo ancora resta molto da fare e ancora di più resta da fare per creare un bacino di formatori in grado di formare questi docenti. Auspichiamo, quindi, che inizi presto una riflessione tra gli addetti ai lavori su questo, per evitare che il terreno della didattica con le nuove tecnologie resti ad appannaggio di iniziative frutto solo di esperienze sul campo prive della necessaria base teorico-metodologica.

3. Il docente di lingua e cultura italiana e le nuove tecnologie Si è detto che il docente di lingua con le nuove tecnologie deve ricrearsi una competenza in parte diversa da quella già acquisita lavorando in aula9. La prima questione che va messa a fuoco è la nozione stessa di tecnologia. Sembrerà paradossale, ma l’albero della conoscenza di un docente deve fondarsi, come detto, su radici condivise e che tali fino a oggi non sono state. Prevale una certa visione della tecnologia a servizio dei docenti impegnati nella diffusione delle lingue straniere abbastanza monolitica. Essa è o interamente appropriata e da accogliere oppure, per i suoi detrattori, interamente inutilizzabile e si arriva a sostenere che niente di tecnologico può esser utile in una classe di lingua. Ovviamente, la questione non è in questi termini. Siamo in presenza di diversi strumenti, ognuno con pregi e limiti. Non ha senso impostare la discussione basandosi su una contrapposizione frontale tra didattica tradizionale e didattica tecnologicamente avanzata. Ci sono aspetti che meritano di essere trattati tradizionalmente e aspetti che potrebbero trovare assoluto vantaggio dall’essere trattati con le nuove tecnologie. 8 Tra queste, ci sia consentito ricordare il Master ELIIAS (E-learning per l’Insegnamento dell’Italiano a Stranieri) erogato dall’Università per Stranieri di Siena; a oggi, il primo e unico master universitario pensato espressamente per formare la figura del docente di lingua italiana con le nuove tecnologie. 9 Su questi aspetti si sofferma anche Blake (2013: 1-15).

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Collegata, in un certo senso, a quanto appena detto, è la questione che ci porta spesso a confondere tecnologia con metodologia didattica. Le due cose sono naturalmente ben distinte e non si diventa bravi insegnanti solamente perché si è fini conoscitori delle nuove tecnologie Questo aspetto ricorre spesso nella didattica delle lingue. Spesso, infatti, si tende a confondere quelli che sono i mezzi con i quali intendiamo sviluppare la competenza linguistica con l’apparato teorico che serve a determinare l’orizzonte entro il quale le tecniche (e le tecnologie) acquisiscono senso e significato. Di conseguenza, quando ci accingiamo, da docenti, ad allestire un corso di lingua straniera a distanza non dobbiamo limitarci a selezionare i mezzi con i quali intendiamo svilupparlo e il modo in cui questi mezzi saranno fruiti dall’apprendente, ma dobbiamo partire da una forte e solida riflessione teorica sulle metodologie didattiche adeguate per i nostri scopi. Solo dopo possiamo cominciare a pensare a quale software per la creazione di attività utilizzare. E infine va considerato l’aspetto legato alla formazione teorica dei docenti che intendono utilizzare le nuove tecnologie, che è ancora molto carente. Già Hanson-Smith (2006: 301) sosteneva che «one of the most significant problems facing computer-using teachers is that no education curriculum can prepare them for the swift and continuing changes that take place in the world of technology». Le cose da allora non sono molto cambiate, soprattutto nel nostro paese. Anche a livello di singoli insegnamenti, non è che le cose vadano meglio, dal momento che sono ancora pochissimi quelli espressamente ed esclusivamente dedicati alla formazione nella didattica con le nuove tecnologie10. Tutto questo, dal nostro punto di vista, comporta un rallentamento nella crescita del livello di preparazione e consapevolezza dei docenti di lingua che usano le nuove tecnologie.

10 Naturalmente va meglio se consideriamo le porzioni di corso dedicate al nostro argomento, ma qui si son presi in considerazione soltanto i corsi universitari che nei vari Corsi di Laurea si occupano sin dal titolo di formare i futuri insegnanti all’utilizzo delle strumentazioni digitali a fini didattici per la promozione della competenza in lingua straniera.

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4. Le nuove tecnologie stanno cambiando la figura del docente di lingua e cultura italiana? Un quesito che spesso ci si pone parlando di nuove tecnologie è se il proliferare di questi strumenti digitali che consentono di fruire di corsi di lingua da qualsiasi postazione (a patto naturalmente di avere una stabile connessione a Internet) in qualsiasi momento della giornata e a costi a volte bassissimi o inesistenti, porterà alla trasformazione della figura del docente e in qualche modo porterà alla sua scomparsa, almeno nella configurazione classicamente intesa: presenza fisica in aula, dotato di determinate competenze, in grado di maneggiare didatticamente determinati strumenti per lo più cartacei. Come tutte le affermazioni apocalittiche, anche questa stenta ad avere un valore di verità accettabile. Non si vedono i presupposti perché si possa affermare che il mondo della didattica delle lingue per come lo abbiamo conosciuto finora verrà soppiantato dal mondo della didattica digitale. Indubbiamente, saranno sempre di più i corsi che non prevedono per gli apprendenti l’accesso all’aula e saranno sempre diverse le modalità di accesso ai corsi di lingua. Non più solo le classiche quattro mura di un’aula, ma magari corsi online con tutor per piattaforme e-learning11, canali YouTube riservati all’apprendimento delle lingue, fino a veri e propri corsi interamente gratuiti definiti MOOC (Massive Open Online Courses) che si vanno diffondendo sempre di più e che cominciano a essere dedicati anche alle lingue. Ma il punto è: la diffusione sempre più forte di queste forme alternative di didattica andrà a discapito dei corsi d’aula? E il docente tradizionale sarà quindi sostituito da quello digitale? Non si parlerà più di maestro di lingua, ma di tutor online, edutuber12 ecc.? Non pensiamo che i due mondi siano così in conflitto, né così distanti al punto da generare due universi paralleli privi di contatti tra di loro. Semmai, riteniamo che l’evolversi della didattica con le lingue su suppor11 Le più diffuse, per il momento, sono Moodle, Atutor, Blackboard.

12 Usiamo questo termine, ripreso da “Il Venerdì di Repubblica” dell’11 marzo 2016, per indicare coloro che utilizzano canali YouTube per insegnare, anche le lingue straniere.

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to digitale (anche esclusivo; privo, cioè, di qualsiasi riferimento all’aula tradizionale) possa aumentare le opportunità anche per i docenti, non solo per gli studenti. Si aprono nuovi scenari e l’avvento delle nuove tecnologie consente anche ai docenti di cimentarsi in nuove sfide didattiche e di individuare nuove professionalità legate al mondo delle lingue. Parliamo di nuove professionalità perché in passato occuparsi di formazione linguistica voleva significare, per lo più, diventare o insegnante o curatore di materiali didattici per l’insegnante. Si potrebbe qui aggiungere anche la figura del valutatore della competenza linguistica a fini certificatori; ma essendo, come si sa, le certificazioni linguistiche legalmente riconosciute per l’italiano solamente quattro13 non è questo un mercato in grado di attrarre troppe persone. Oggi, invece, con l’avvento appunto delle nuove tecnologie, si possono individuare molte possibilità lavorative e nuove figure professionali. Non solo il docente che appare in video, che stabilisce il sillabo dei contenuti da presentare online e che cura le attività didattiche (che è se vogliamo la figura più simile al docente d’aula) ma si aggiungono il tutor di percorso (colui che gestisce l’interazione con i corsisti via forum o via chat), l’information broker che è la figura deputata a raccogliere su Internet input linguistici da utilizzare nel corso (video, testi, audio ecc.), il course designer che si occupa di modellare secondo le specifiche del mezzo che si intende utilizzare (piattaforme per l’e-learning, canali video, piattaforme per MOOC ecc.) i vari contenuti proposti dal docente o l’instructional designer che si occupa di affiancare il docente nel trovare soluzioni didattiche sviluppabili al computer14. Come si vede, anche solo procedendo per cenni come si è fatto noi, sono già emerse una serie di figure professionali non previste in precedenza che vanno ad arricchire il panorama delle professioni legate al mercato delle lingue. E tutto ciò grazie alle nuove tecnologie!

13 Le elenchiamo qui velocemente: CILS dell’Università per Stranieri di Siena, CELI dell’Università per Stranieri di Perugia, IT dell’Università di Roma3 e PLIDA della Società Dante Alighieri. 14 Per un quadro delle nuove professionalità dell’e-learning si rimanda anche a Bruschi, Ercole (2005: 45-63).

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5. I vincoli che la didattica con le nuove tecnologie pone al docente di lingua e cultura italiana Per provare a mostrare le differenze principali tra un corso di lingua in presenza e uno a distanza e conseguentemente indicare le differenti competenze che un docente deve acquisire per poter operare correttamente con le nuove tecnologie, proviamo a procedere indicando cosa non sono i corsi digitali. I corsi online non sono, naturalmente, la semplice trasposizione su computer di un corso in presenza. Cambiando i supporti didattici, scomparendo l’aula (ovvero il luogo dove è possibile “guardare negli occhi gli studenti”15 e prendere adeguate decisioni didattiche sul momento), cambia tutto. Tutto deve essere pianificato in maniera diversa. Se un docente d’aula, per esempio, ha la possibilità di modificare in corso d’opera il proprio operato, quello alle prese con contesti digitalizzati deve pianificare molto bene tutto dall’inizio perché cambiamenti frutto dell’interazione diretta con gli apprendenti, come si è detto, sono molto difficili da attuare. I corsi online non sono per tutte le tipologie di studenti. Questo aspetto spiega anche perché non è necessario mettere in contrapposizione i corsi d’aula in presenza con quelli a distanza. Varie indagini hanno dimostrato, infatti, che il pubblico di riferimento è sostanzialmente diverso (Milani et al. 2013). Più giovane, più motivato a perseguire un risultato spendibile socialmente, più abituato a stare seduto in aula ad apprendere il primo; più maturo, con interessi verso l’apprendimento della nostra lingua diversi e se vogliamo più sfumati, molto spesso già inserito nel mondo del lavoro e per questo con meno tempo a disposizione il secondo16. L’incastro di questi doppi profili porta alla definizione di un doppio pubblico che richiama esigenze formative in parte diverse. Interessante, soprattutto, l’aspetto motivazionale e la diversa relazione con il mondo 15 Il riferimento è a Stevick (1982: 55) che nel suo manuale di didattica delle lingue di impianto umanistico affettivo scriveva rivolto agli immaginari docenti che lo avrebbero letto «non regolatevi in base a quello che dico qui [nel manuale, n.d.r.]. Regolatevi in base a quello che sentite al momento nella vostra classe e agli sguardi che vedete sulle facce dei vostri allievi».

16 Naturalmente si sta parlando di profili tendenziali che rispecchiano la maggioranza dei partecipanti alle due tipologie di corsi. Nulla vieta, quindi, di trovare in alcuni corsisti, di una o dell’altra tipologia, motivazione diverse.

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del lavoro. Questi due aspetti, infatti, comportano un diverso approccio al corso, un sistema di attese da parte dei corsisti molto diverso e conseguentemente esigenze formative diverse. Di tutto questo si deve far carico il docente, immaginando percorsi digitali che siano in linea con le richieste e le attese di un pubblico diverso (se mi iscrivo pagando una quota anche sostanziosa, avendo l’obbligo di spendere due o tre ore del mio tempo settimanale in un’aula avrò certamente una motivazione più forte rispetto a chi comodamente dal divano di casa si collega di tanto in tanto a un corso di lingua online consapevole che se anche fallisse il suo progetto formativo avrebbe speso pochissimo, sia in termini economici che di tempo dedicato all’impresa) e diventando esperto, quindi, di attività didattiche che siano in grado di soddisfare tali esigenze. I corsi online non supportano tutte le metodologie didattiche possibili e circolanti. Questo aspetto è tra i più importanti. Se in un’aula tradizionale si può affermare legittimamente che «ogni metodo ha del buono, da ciascuno si può imparare qualcosa» (Weber 1933), per un contesto didattico digitale questo non è vero. Nel mondo della didattica delle lingue in modalità e-learning esistono dei vincoli molto rigidi dati dal mezzo con il quale si intendono veicolare i contenuti. Si può arrivare a dire che il contenitore predomina sul contenuto, mentre nella didattica tradizionale vale l’inverso. Nella storia dei metodi siamo passati da metodi molto rigidi e centrati sulle spiegazioni grammaticali a metodi molto eclettici dove, in taluni casi, si tendeva a escludere le spiegazioni grammaticali. Da metodi molto centrati sulla figura del docente a metodi molto rivolti verso la centralità dell’apprendente. Insomma, in aula è circolato di tutto e tutto poi alla fine ha dato un qualche risultato. Quando si passa alla didattica con il pc, quando cioè riversiamo dentro un sito Internet, dentro una piattaforma per l’e-learning o dentro una piattaforma che ospita MOOC i nostri contenuti, il quadro cambia radicalmente. Da un ambiente di insegnamento abbastanza libero da vincoli, si passa a un ambiente molto rigido dove, anche a causa dei limiti imposti dalla tecnologia, solo alcune prassi didattiche possono essere trasferite e conseguentemente solo determinate metodologie didattiche. Non solo, ma mentre in aula il docente è libero di scartare da un metodo all’altro sulla base delle esigenze che si palesano sul momento, in ambito digitale questa possibilità è esclusa. Per quanto, infatti, si possano elaborare for71

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me di didattica a distanza aperte all’interazione con gli studenti e pronte ad accogliere le loro esigenze in itinere, il margine di manovra è minimo. Tutto, metodologia didattica compresa, deve essere pianificato prima ancora che il corso inizi. I margini di errore, come si può ben capire, sono altissimi. Si deve scegliere e non si può cambiare idea una volta iniziato il corso. Questo non fa altro che aumentare il livello di competenza richiesto al docente che si trova a pianificare un corso online. Intendiamo dire che, se un docente d’aula può permettersi di procedere per tentativi (provo con questo metodo e se non funziona provo con quest’altro), un docente che opera in e-learning deve essere in grado di prevedere in partenza i pro e i contro, le conseguenze di determinate scelte e quali passi compiere per sollecitare determinate risposte dai corsisti e, in ultimo, prevedere già proposte alternative che non rimangono in primo piano ma che sono pronte ad attivarsi in presenza di determinati comportamenti da parte dei corsisti. Per tutto ciò, il livello di conoscenze e di esperienze richiesto cresce sensibilmente. I corsi online non supportano tutte le tecniche didattiche disponibili. Per motivi analoghi a quanto appena detto per le metodologie, anche il numero delle tecniche didattiche e relative tipologie si riduce drasticamente. I motivi sono sempre quelli richiamati in precedenza, il supporto digitale limita e non consente di realizzare tutte le attività didattiche che possono venire in mente. È vero che anche il supporto cartaceo (che è quello usato da sempre e abitualmente per la didattica d’aula in presenza) in qualche modo pone dei vincoli, ma mai quanti ne pone il supporto digitale. Si usa dire che il corso e-learning ha il grandissimo pregio di poter essere usufruito ovunque e in qualsiasi momento, ma questa possibilità è garantita proprio dal fatto che ciò che viene mostrato sullo schermo o che viene richiesto di fare agli studenti sia compatibile informaticamente17 con un qualsiasi dispositivo, con tutti i sistemi operativi e con tutti i browser di ricerca su Internet. Questo obbligo (non possiamo che usare un termine così perentorio) implica delle scelte molto radicali. Ecco spiegata quella sensazione che si ha aprendo un corso totalmente online di una certa povertà e staticità, abituati come siamo al trionfo di 17 Con questo termine intendiamo sottolineare le caratteristiche che sono imposte dal pc che si intende utilizzare per fruire di un corso online.

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colori e di immagini di un libro cartaceo. Oppure, per restare nel campo dei computer, a quel trionfo di animazioni, colori e suoni che sono i videogiochi. Ma, per l’appunto, i corsi di lingua online non sono dei videogiochi. Essi sono percorsi didattici che hanno l’esigenza, come detto, di restare fruibili da tutti qualunque sia il proprio computer.

6. I vantaggi che la didattica con le nuove tecnologie riserva al docente di lingua e cultura italiana Nel paragrafo precedente ci siamo dilungati sui limiti che un docente di lingua che intende operare usufruendo delle nuove tecnologie si troverà a gestire. L’effetto potrebbe essere quello di pensare ai corsi digitali come un mondo limitato per la didattica delle lingue e spingere i docenti a non utilizzarli. Ma un limite è al tempo stesso una sfida. Una sfida che al momento riguarda la didattica digitale, ma che se vinta potrebbe ripercuotersi positivamente anche sulla didattica tradizionale. I corsi online possono sviluppare competenza linguistica. Su questo aspetto spesso si dibatte tra i docenti, con alcuni che sostengono che proprio i limiti indicati in precedenza non consentirebbero di sviluppare competenza linguistica online. Ovviamente, questo non è vero. Per l’online vale quello che vale per i corsi tradizionali. Esistono corsi ben fatti che permettono di aumentare la competenza linguistica e corsi mal fatti che fanno solo perdere del tempo a chi li frequenta. Allo stesso tempo, così come esistono bravi docenti d’aula e pessimi docenti d’aula, esistono bravi docenti esperti di nuove tecnologie e pessimi docenti che utilizzano molto male le nuove tecnologie. Continuare a discutere su questo ci appare una battaglia contro il progresso e così come tantissime tecnologie sono risultate molto utili per aumentare le potenzialità formative (pensiamo a ciò che ha comportato negli anni passati l’avvento delle audiocassette e poi dei videoregistratori e poi dei laboratori di lingua con pc), lo è a maggior ragione Internet. I corsi di lingua online sono un ambiente d’apprendimento molto interessante per chi intende insegnare le lingue straniere. 73

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In linea di prosecuzione retta con quelli che non ritengono utile sfruttare Internet per far apprendere le lingue, ci sono quelli che pensano che gli ambienti di apprendimento digitali siano un ambiente non adatto per lo sviluppo della competenza linguistica. Un docente di lingua, anzi, dovrebbe starsene alla larga perché le sue esigenze non si conciliano affatto con le necessità imposte dalla didattica tramite computer. Troppo poca possibilità di interagire con gli apprendenti, troppo poca possibilità di diversificare le attività didattiche; in poche parole: troppa rigidità. Effettivamente, lo abbiamo sottolineato anche noi in precedenza, questo della rigidità può essere un problema, ma allo stesso tempo una spinta a individuare per il docente soluzioni che possono poi tornare utili anche per i corsi d’aula in presenza. I corsi online possono sperimentare soluzioni che possono tornare utili per i corsi in presenza. Qui si riprende ciò che è stato detto al punto precedente e, se vogliamo, si riprende un filo rosso che pervade tutto il nostro contributo: i corsi online e i corsi in presenza, pur tra le tante differenze che impongono ai docenti competenze diverse, mantengono un rapporto di scambio continuo di soluzioni, di attività, di proposte. Anzi, proprio per i numerosi vincoli imposti dal mezzo, vediamo i corsi online come un territorio per la didattica in grado di dare risposte assai utili anche per i corsi in presenza. Un po’ come avviene per molti altri settori della conoscenza, dove si vanno a sperimentare soluzioni in condizioni estreme che poi tornano utili anche nelle condizioni normali18; così nella didattica delle lingue sta avvenendo grazie a Internet qualcosa di simile. Si prenda, per esempio, la questione più dibattuta quando si parla della possibilità di realizzare su Internet i corsi di lingua straniera: la difficoltà, per non dire la quasi impossibilità, di interagire con gli apprendenti, facendo venire meno quello che è lo strumento principale utilizzato dal docente per migliorare la competenza linguistica dei propri studenti in aula. Quando un docente (insieme al resto del team di curatori dei corsi di lingua online) inizia a progettare un corso, la prima cosa che fa è proprio quella di ipotizzare 18 Basti pensare, per esempio, a quello che avviene nell’ingegneria meccanica dove soluzioni aerodinamiche sviluppate per consentire alle automobili di andare a velocità altissime vengono poi adattate per migliorare andatura e stabilità delle nostre auto di serie.

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soluzioni che possano ovviare alla mancata interazione vis-à-vis con la propria classe (in questo caso “classe virtuale”). Se si vanno a vedere i corsi online, anche quelli che hanno numeri sterminati di partecipanti come i MOOC19, essi contengono uno studio sulle modalità di interazione e sulle attività in grado di stimolarla, sul tipo di feedback che è possibile restituire a un numero così grande di corsisti. Ecco, tutte queste soluzioni se funzionanti possono essere applicate anche in un corso d’aula.

7. Le nuove competenze che un docente di lingua e cultura italiana online deve acquisire Presentato il quadro generale non ci resta che provare a descrivere, anche a mo’ di quadro riepilogativo, quelle che, a nostro avviso, rappresentano le nuove competenze che un docente online deve acquisire per poter operare al meglio in un contesto digitale. 7.1. Imparare a gestire diversamente il tempo Un aspetto cruciale è quello che si riferisce al tempo di utilizzo di un corso o, su scala più piccola, al tempo di realizzazione di una attività. Il tempo nella didattica in contesti digitali si dilata e si destruttura (Gatto 2011: 297). Se in aula il tempo è lineare20 (c’è sempre un prima e un dopo) nelle aule virtuali il tempo diventa, appunto, destrutturato, privo di un solo asse di riferimento. 19 Questo tipo di corsi ha numeri enormi, che abbiamo definito sterminati in relazione ai numeri abituali di un corso d’aula. Essi, infatti, raggiungono numeri di iscritti che si misurano in decine di migliaia. Per esempio, il MOOC per insegnare italiano dal titolo “Introduction to Italian”, realizzato da chi scrive in collaborazione con un gruppo di colleghi dell’Università per Stranieri di Siena, ha raggiunto al momento in cui redigiamo il presente contributo, la cifra di 25.000 iscritti a un mese dalla chiusura delle iscrizioni.

20 Ci permettiamo su questo di rimandare a un nostro contributo (Villarini 2011) dove abbiamo provato a definire il ruolo della variabile tempo nella didattica delle lingue in contesti tradizionali. In quella sede, abbiamo proposto una visione che affianca alla visione del tempo cronometrico (che è quella richiamata nel nostro contributo, fatta di un prima e di un dopo) il tempo calendariale (la durata complessiva e il ritmo di lezioni del corso) e il tempo percepito dallo studente. Si è in grado di giudicare la giusta durata di un’attività in aula solamente se si tengono presenti gli altri due assi temporali.

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Negli spazi per la didattica in Rete, tutto è “in primo piano” e l’organizzazione dei contenuti procede non in maniera lineare, ma reticolare. Questo ha delle conseguenze nel momento in cui un docente si trova a pensare al proprio sillabo. Se in aula può scegliere di presentare un argomento alla volta e, addirittura, di omettere di presentare un determinato argomento se vede che la classe non è pronta a recepirlo, nei corsi online questa possibilità è infranta dalla necessità di predisporre tutto in partenza e dalla necessità di mostrare in schermo i contenuti del corso simultaneamente. La sequenza di apprendimento, quindi, può essere solo suggerita e proposta ma non può essere imposta all’apprendente. Il docente dei corsi online, allora, deve imparare a gestire questa modalità di fruizione molto più complessa rispetto a quella dei corsi di lingua d’aula. Se poi in un corso di lingua tradizionale egli può scegliere di programmare brevi tratti di corso e scegliere poi di aggiustare o riformulare il percorso strada facendo sulla base delle richieste e dei bisogni dei corsisti, nei corsi digitali la programmazione dovrà essere fatta molto più a lungo raggio. In taluni casi, addirittura si deve prevedere l’intera sequenza dei contenuti, dall’avvio del corso sino alla sua conclusione, senza possibilità di aggiustamenti in corso d’opera. Un altro cambiamento che determina nuove competenze per il docente è una certa dilatazione nei tempi di esecuzione delle attività da parte dei corsisti. L’online, infatti, ha dei tempi di esecuzione molto più lunghi dell’aula. Una attività in presenza non può durare un tempo eccessivamente lungo anche perché, generalmente, il tempo a disposizione del docente non supera l’ora. Quando parliamo di online, il tempo scorre molto più lentamente. Ciò che fa aumentare il tempo, non sono tanto i tempi di fruizione delle attività o degli input (che restano su per giù invariati) ma il cosiddetto carico didattico dello studente che nell’online si sviluppa con tempi molto più distesi. Considerato quindi che un corso online non può durare tempi lunghissimi, nella programmazione il docente deve acquisire quella particolare competenza che lo porta a dosare i contenuti del corso in modo tale da garantire un carico didattico adeguato per lo studente21. 21 Quanto detto vale naturalmente per le attività e per le proposte didattiche in modalità asincrona (ovvero quando lo studente è libero di scegliersi i tempi di fruizione). Nell’online continuano a esserci, però, anche tipologie di proposte didattiche che si svolgono in modalità sincrona (docente e studenti contemporaneamente davanti al pc) dove i tempi sono simili a quelli dell’aula.

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7.2. Imparare a gestire uno spazio di insegnamento non chiuso L’aula è per definizione uno spazio racchiuso tra quattro mura. Questo aspetto influenza le scelte didattiche di un docente molto più di quanto si possa credere e di quanto venga abitualmente evidenziato nella trattatistica sulla didattica delle lingue. Quando si passa all’online, grazie a Internet, l’aula spalanca le sue porte. La gestione del percorso didattico da parte del docente deve tener conto, quindi, di questo aspetto. Cosa cambia? A nostro avviso, l’aspetto più stravolto è la gestione dell’input da sottoporre allo studente. Mentre nei corsi tradizionali la possibilità per il docente di appoggiare il corso su di un input controllato per guidare secondo un piano programmato l’iter di sviluppo della competenza linguistica dei propri allievi, nei corsi che si fondano su Internet questa possibilità è molto più ridotta. Lo studente, per il fatto stesso di essere entrato in un corso tramite Internet, ha a sua disposizione un input molto più vasto e ricco. Sarà compito del docente quindi elaborare un percorso di apprendimento che possa tener conto di questa ricchezza. In pratica, è come se un corso online si avvicinasse moltissimo, da questo punto di vista, alle forme di apprendimento spontaneo che si caratterizzano appunto per un input molto più ricco e allo stesso tempo non finalizzato agli scopi didattici. La distanza tra input appreso all’esterno e input gestito direttamente dal docente si accorcia sino a creare una sorta di corto circuito. Questo aspetto naturalmente ha dei lati negativi in quanto complica la gestione dell’input da parte del curatore del corso, ma allo stesso tempo può esser visto come un vantaggio perché gli stimoli ai quali possono essere sottoposti gli apprendenti sono molti di più e molto più ricchi. 7.3. Imparare a gestire l’alto tasso di autonomia dell’apprendente Quando parliamo di online molto spesso si usa l’espressione «corsi in autoapprendimento». L’espressione nasce quando con nuove tecnologie si intendevano i corsi su CD-ROM o nei circuiti chiusi dei laboratori linguistici, dove ci si collegava a dei computer che disponevano di attività didattiche per lo sviluppo delle capacità linguistiche, ma privi di connessione a Internet. Poi sono arrivati i corsi online che richiedono l’utilizzo 77

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della Rete e da quel momento il termine “autoapprendimento” ha perso tantissimo del suo valore. Il corso online necessita al contrario di un alto tasso di interazione tra i partecipanti, non è pensabile frequentare un corso di lingua al computer senza impegnarsi a interagire con il resto dei corsisti. Dal punto di vista del docente, questo comporta la necessità di imparare a gestire percorsi di apprendimento che si fondano su un approccio cooperativo tra i partecipanti. Allo stesso tempo però resta la distanza (fisica soprattutto) dai propri corsisti che impone un alto tasso di autonomia da parte loro. Il web è uno spazio virtuale al quale tutti possono accedere secondo i loro tempi e con una propria intensità di frequenza. Questo conferisce al corsista un alto tasso di autonomia che deriva proprio dalla libertà di “entrare” e “uscire” dall’aula virtuale quando si vuole. Uno dei compiti di chi organizza un corso di formazione linguistica a distanza, forse quello principale, diventa quindi quello di ideare delle attività che consentano di essere usufruite in modalità asincrona, ma che allo stesso tempo mantengano quel minimo di interattività tale da far parlare ancora di approccio alla didattica di tipo cooperativo. Come si può notare, un altro di quegli aspetti che se gestiti correttamente possono far trovare soluzioni in grado di illuminare anche la didattica d’aula tradizionale.

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Riferimenti bibliografici Blake R. J., 2013, Brave New Digital Classroom. Technology and Foreign Language Classroom, Washington, Georgetown University Press. Bruschi B., Ercole M. L., 2005, Strategie per l’e-learning, Roma, Carocci. Consiglio d’Europa, 2002, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, Milano, RCS Scuola, La Nuova Italia-Oxford. Egbert J., 2005, CALL essentials: Principles and Practice in CALL Classrooms. Alexandria, VA: Tesol. Erben T., Ban R., Castaneda M. E., 2008, Teaching English Language Learners through Technology, London, Routledge. Gatto N., 2011. Dimensioni temporali nell’apprendimento a distanza, in Buffagni C., Garzelli B., Villarini A. (a cura di), Idee di tempo, Perugia, Guerra, pp. 297-303. Gruba P., Hinkelman D., 2012, Blending Technologies in Second Language Classroom, New York, Palgrave Macmillan. Hanson-Smith E., 2006, Communities and Practice for Pre- and In-service Teacher Education, in Hubbard P., Levy M. (eds.), Language Learning & Language Teaching, Series 14, Philadelphia. John Benjamin. Levy M., Stockwell G., 2006, CALL Dimensions: Options and Iussues in Computer Assisted Language Learning, Mahwah NJ, Erlbaum. Milani M., Papini S., Scaccia D., Scarbottolo N., 2014. Organization and Management of a Complete Bachelor Degree Offered Online at the University of Milan for Ten Years, in International Conference E-Learning 2014, Lisbon, Portugal, pp. 87-94. MIUR, 2014, Decreto ministeriale 14 febbraio 2014 n.104. URL: http://goo.gl/9NZ3st (ultimo accesso: 14.03.2016). Stevick E. W., 1982, Teaching and Learning Languages, Cambridge, Cambridge Language Teaching Library. Villarini A., 2011, Alcune considerazioni sull’utilizzo della variabile tempo nella didattica delle lingue, in Buffagni C., Garzelli B., Villarini A. (a cura di), 2011, Idee di tempo, Perugia, Guerra, pp. 353-362. Weber W., 1933, Methodik des Deutschunterrichts mit Ausländern, Wolfenbuttel.

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capitolo iv

I SOCIAL NETWORK NELLA DIDATTICA DELL’ITALIANO L2 Emanuela Cotroneo Università degli Studi di Genova

1. Introduzione Nell’ultimo ventennio l’insegnamento dell’italiano a stranieri, nei diversi contesti interessati da questo fenomeno, ha subito importanti trasformazioni: come evidenziato in Diadori (2001, 2011) i nuovi approcci glottodidattici, i nuovi ruoli del docente e le nuove tipologie di discenti, ciascuna con i propri bisogni e le proprie motivazioni, hanno dato origine a una serie di interrogativi sull’azione didattica: quale lingua e quale cultura insegnare? Con quali metodologie? Con quali strumenti? Se il Quadro Comune Europeo (Consiglio d’Europa 2002) ha segnato una svolta nel panorama della didattica delle lingue moderne fornendo a docenti, discenti e progettisti di corsi una base comune per l’apprendimento, l’insegnamento e la valutazione, l’innovazione più significativa dal punto di vista degli strumenti è stata, senza dubbio, antecedente. L’avvento di Internet ha portato, infatti, a partire dagli anni Novanta, un ampliamento dell’offerta formativa: la successiva diffusione delle connessioni a basso costo e l’uso di piattaforme e-learning hanno permesso di superare le frontiere spazio-temporali, ottimizzando le occasioni di pratica linguistica e favorendo lo sviluppo di corsi online (Poli 2004). Nuovi scenari si sono, in seguito, sviluppati con il passaggio dal Web al 80

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Web 2.01 e, conseguentemente, dall’e-learning all’e-learning 2.02. Tra i diversi strumenti che gli insegnanti hanno a disposizione nell’attuale panorama delle tecnologie didattiche, i Social Network emergono, in particolare, per la loro ampia diffusione a livello mondiale e per il coinvolgimento di diverse fasce di età: Facebook, per esempio, conta più di un miliardo di utenti attivi. Possiamo dunque ipotizzare che molti dei discenti che popolano le classi di italiano L2 siano utilizzatori, con diversi gradi di coinvolgimento, di questo ambiente virtuale, avvezzi quindi a una serie di pratiche che, come vedremo, costituiscono attività utili per la pratica linguistica. Accanto a strumenti come Facebook, troviamo Social Network orientati all’apprendimento linguistico, come Livemocha, e web services che permettono ai docenti di creare ambienti di Social Networking ad hoc, come Ning. In questo capitolo analizzeremo la spendibilità didattica dei Social Network facendo riferimento alle diverse tipologie di strumenti esistenti e alle potenzialità e agli eventuali limiti del loro impiego per l’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2; dopo aver esplicitato il quadro teorico di riferimento, forniremo inoltre alcune indicazioni pratiche al fine di esemplificare le possibili attività da proporre in un contesto classe.

2. Le caratteristiche di un Social Network Alla base del concetto di Social Network stanno, come emerge in Fini (Fini 2006), alcuni studi di psicologia sociale, di sociologia e di antropologia dei primi anni del secolo scorso noti come Social Network Theory. La Social Network Analysis si occupa, in particolare, di studiare la struttura delle reti interazionali che si instaurano tra gli individui: la società è concepita come una rete di relazioni, le quali influiscono sul compor1 Il termine Web 2.0, coniato da O’Reilly nel 2004, si riferisce alla seconda generazione di Web, più sociale e interattiva. Essa è, infatti, caratterizzata dalla maggiore facilità d’uso che permette ai cibernauti di pubblicare online contenuti propri, divenendo utenti attivi, fruitori e costruttori della Rete (O’Reilly 2004; Bergler, Trexler 2010). 2 Con e-learning 2.0 indichiamo, conseguentemente, l’e-learning che utilizza gli strumenti del Web 2.0, mettendo l’accento sulla produzione attiva di contenuti da parte degli studenti (Downes 2005).

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tamento stesso dei partecipanti alla rete. Oggi possono anche costituirsi online, grazie agli strumenti di Social Networking che permettono agli utenti di entrare in comunità virtuali relazionandosi tra loro, sul piano professionale o non professionale. Le funzioni tipiche di un ambiente per il Social Networking online sono rappresentate dai seguenti quattro elementi ( Jenkins et al. 2006, Berger, Trexler 2010): 1. la pagina del proprio profilo, che descrive l’utente attraverso la condivisione di testi, video, immagini e link a risorse esterne; 2. la rete sociale, che è rappresentata da una lista di contatti con i quali si è in relazione all’interno dell’ambiente; 3. il sistema di comunicazione pubblico, che permette di scrivere brevi messaggi che vengono pubblicati sulla propria bacheca o sulla bacheca altrui; 4. il sistema di comunicazione privato, che è utilizzato per le comunicazioni sincrone o asincrone. Al di là delle specificità del singolo ambiente di Social Networking analizzato, che andranno verificate e testate in funzione delle effettive necessità didattiche, le funzioni sopra descritte accomunano i diversi Social Network esistenti e possono quindi costituire, nell’ottica di un utilizzo didattico, elementi di base per la progettazione di attività che ne sfruttino le potenzialità. In fig. 1 riportiamo un’esemplificazione delle funzioni elencate, facendo riferimento al noto Social Network Facebook. Come emerge dagli elementi indicati, in un ambiente di questa tipologia è possibile mettere l’accento tanto sui contenuti quanto sull’interazione sociale: trattandosi di una tecnologia vuota (Zucchermaglio 2000), gli utenti possono “riempirla” con materiali esistenti in Rete o autoprodotti, attorno ai quali si possono sviluppare flussi di comunicazione. È evidente, dunque, come questo strumento possa essere facilmente adattato alle finalità didattiche che il docente si prefigge, proponendo contenuti di tipo linguistico-culturale e utilizzando le funzioni di comunicazione sincrona o asincrona per creare situazioni di contatto con input in L2 e di produzione di output in L2.

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fig. 1. Le funzioni che caratterizzano un Social Network: l’esempio di Facebook.

3. I presupposti teorici Da un punto di vista prettamente teorico, l’uso educativo e didattico dei Social Network viene supportato da una serie di teorie sull’apprendimento. Nel par.2 abbiamo esplicitato le caratteristiche generali di questo strumento ed evidenziato come l’interazione con la propria rete sociale, attraverso la condivisione di post e commenti e attraverso la comunicazione pubblica e privata, sia alla base del suo utilizzo. I Social Network permettono, innanzitutto, l’interazione tra gli utenti. Il sociointerazionismo (Bruner 1991) enfatizza il ruolo dell’interazione nell’apprendimento linguistico: il bambino, infatti, apprende la propria lingua madre grazie all’interazione con gli adulti facendo leva sul Language Acquisition Support System (LASS) ossia sul sostegno fornito nel modellare e strutturare il proprio input e nel gestire l’interazione. I Social Network, così come gli altri strumenti del Web 2.0, enfatizzano il ruolo attivo e creativo dell’utente e creano un terreno fertile per la collaborazione. Il costruttivismo (Kelly 1955; Piaget 1967; Vygotskij 1984) sottolinea proprio questo ruolo attivo e creativo del 83

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discente, legando le conoscenze alla situazione nella quale si apprende. L’apprendimento avviene attraverso la collaborazione e la negoziazione tra pari ed è, quindi, attraverso il confronto con gli altri apprendenti e l’interazione cooperativa che si verificano le proprie ipotesi sul funzionamento della lingua e si costruisce un ambiente che permette di attivare e utilizzare le conoscenze (Serra Borneto 1998; De Marco 2000; Diadori, Palermo, Troncarelli 2015). I Social Network, così come gli altri strumenti del Web 2.0, hanno assunto un ruolo particolare nella nostra quotidianità, influenzando le modalità di comunicazione e di interazione. Il connettivismo (Siemens 2004) cerca di mettere in luce le caratteristiche dell’apprendimento nell’era digitale, tenendo conto dei nuovi bisogni di apprendimento, della struttura della conoscenza e del ruolo degli strumenti tecnologici. Caratteristiche fondamentali della conoscenza nel XXI secolo sono la sua vastità e il suo continuo aggiornamento: l’apprendente non può esperire tutto lo scibile personalmente o accedere direttamente a tutta la conoscenza e, dunque, vi accede attraverso le connessioni che si creano con le fonti di conoscenza, siano esse persone, archivi o risorse digitali. Le connessioni con altri individui e con altri surrogati di conoscenza sono, quindi, fondamentali per l’apprendimento: ecco che ambienti come i Social Network, che favoriscono le connessioni, possono rappresentare un adeguato strumento per accrescere conoscenza nell’era digitale.

4. Potenzialità e limiti dell’uso dei Social Network L’interesse della comunità scientifica rispetto all’impiego educativo e didattico dei Social Network è testimoniato da una serie di studi che sono stati realizzati nell’arco degli ultimi anni. Tale interesse costituisce oggi un’importante sfida per la ricerca che si è concentrata sullo studio delle loro potenzialità e dei loro limiti per l’apprendimento/insegnamento: delineare nuovi modi di programmare la didattica e identificare i nuovi bisogni di formazione per i docenti emergono come elementi cruciali di questa sfida (Ranieri, Manca 2013; Trentin 2013). La riflessione educativa e didattica va, inoltre, ricondotta alla disciplina oggetto di 84

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apprendimento/insegnamento, mettendo in luce potenzialità e limiti dello strumento utilizzato in funzione delle specificità della stessa. Innanzitutto, è necessario chiarire che l’uso educativo e didattico dei Social Network mette l’accento su un duplice aspetto formativo: da una parte l’educazione ai media, ovvero la conoscenza dei diversi media disponibili oggi, dall’altra l’educazione con i media, ovvero l’apprendimento/insegnamento attraverso le diverse tecnologie didattiche esistenti, in presenza e a distanza. Come sottolinea Trentin, è dagli stessi discenti che proviene, informalmente, l’urgenza di fondere presenza e distanza nei sistemi di apprendimento/insegnamento, come già accade nella vita quotidiana: i Social Network, infatti, sono abituali strumenti di comunicazione e interazione, utilizzati da diverse fasce di età e in diversi ambiti, abbinando tecnologia di Rete e mobile. Se abituare i discenti all’uso integrato di più risorse tecnologiche significa, oggi, favorire l’accostamento di formazione verticale (da fonte autorevole a utente) e orizzontale (tra pari) e di apprendimento formale e informale3, è evidente come una delle competenze chiave del XXI secolo, l’imparare a imparare, venga da ciò rafforzata e consolidata favorendo l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (Trentin 2011, 2013). Si tratta, inoltre, di strumenti utilizzati frequentemente e con facilità da molti discenti, che portano ricadute positive in termini di interesse e motivazione4 (Antenos-Conforti 2009; Cotroneo 2012a). Costituiscono un valido sostegno nella creazione di gruppi virtuali di pratica e favoriscono, conseguentemente, la socializzazione, la collaborazione e il peer le3 Con «apprendimento formale» intendiamo ciò che avviene in ambito scolastico e universitario e che prevede il rilascio di una qualche certificazione; con «apprendimento informale», all’opposto, ciò che avviene in modo non organizzato e non strutturato, nella quotidianità delle relazioni familiari e lavorative e senza rilascio di alcuna certificazione. Tra le due si situa l’«apprendimento non formale», come forma di apprendimento volontario ma non legato a situazioni nelle quali la formazione sia la principale attività, come può avvenire in circoli e associazioni (Ranieri, Manca 2013).

4 Alcuni studi hanno rilevato come si tratti di strumenti molto diffusi soprattutto tra alcune fasce di utenti: in Italia sono coinvolti maggiormente gli utenti delle fasce di età 36-45 e 19-24, cioè i potenziali apprendenti giovani-adulti e adulti di italiano L2 (http://wearesocial.it/tag/ statistiche/). In ambito anglosassone il 70% degli studenti universitari di Medicina, per esempio, li utilizza regolarmente (Sandars et al. 2008) mentre in ambito americano il 49.7% utilizza Facebook comunicando con i compagni su tematiche relative ai corsi di studio (Caruso, Salaway 2008).

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arning (Pempek, Yermolayeva, Calvert 2009; Gray, Lucas, Kennedy 2010; Ranieri, Manca 2013). Tali strumenti, oltre a essere, nel caso specifico della didattica delle lingue, una valida risorsa per entrare in contatto con materiali in lingua target, offrono occasioni di pratica linguistica mettendo il focus sulla qualità di ciò che si pubblica, in quanto i contenuti prodotti dai discenti (post, commenti, video ecc.) sono destinati a un pubblico reale (Fratter 2010; Solomon, Schrum 2010). Anche dal punto di vista quantitativo, utilizzare un Social Network ha dei vantaggi rispetto a una tradizionale piattaforma e-learning: i discenti sono più attivi e interagiscono maggiormente (Schroeder, Greenbowe 2009; Lin et al. 2013; Coccoli, Cotroneo 2013). Per realizzare percorsi didattici efficaci è, però, opportuno, evidenziare anche le criticità che possono emergere, al fine di prevenirle e limitarle. Innanzitutto, trattandosi di strumenti spesso già utilizzati da docenti e discenti5, la privacy e il confine tra vita privata e vita pubblica vengono, in qualche modo, minati. Se il venir meno della privacy ha ricadute soprattutto sul piano educativo (Cotroneo 2012a), l’erosione del confine tra la vita privata e quella pubblica ha conseguenze anche sull’erogazione dei contenuti didattici: in ambienti di Social Networking non creati per la didattica, come Facebook, i post didattici si mescolano a quelli privati, creando rumore e distrazione e non permettendo di risalire ai contenuti ricercati con facilità. Il confronto tra una tradizionale piattaforma elearning e un Social Network, infatti, evidenzia l’assenza di funzionalità specifiche per l’apprendimento, soprattutto nel caso dei Social Network non nati con finalità educative e didattiche (Ranieri, Manca 2013; Cotroneo 2013a). Le ricerche fin qui presentate rappresentano solo una parte degli studi sviluppati, e in via di sviluppo, sul tema dell’apprendimento/insegnamento con i Social Network. Se ci permettono, da un lato, di affermare le ricadute didattiche positive in termini di motivazione e coinvolgimento con maggiore certezza, così come in termini di quantità e qualità dell’interazione, rintracciando nella letteratura gli opportuni riferimenti scientifici, 5 Malgrado l’alto tasso di diffusione, può comunque persistere un tasso di digital divide, con conseguente necessità di formare docenti e studenti all’uso di tali strumenti (Ranieri, Manca 2013).

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lasciano aperti ancora una serie di interrogativi su alcune criticità oltre che sulle modalità di utilizzo per l’ottimizzazione dei processi di apprendimento/insegnamento linguistico: quale ruolo dare ai Social Network nel percorso didattico? Quale Social Network utilizzare? Per esercitare quali competenze e quali abilità? Come strutturare il materiale didattico? Per provare a dare una risposta a tali interrogativi, nel seguente paragrafo presenteremo le diverse tipologie di strumenti esistenti e forniremo alcuni esempi di applicazione per l’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2.

5. Le tipologie di Social Network esistenti Per comprendere le possibili applicazioni educative e didattiche dei Social Network è opportuno descriverne le diverse tipologie esistenti. Se, infatti, conoscere la struttura generale di questi ambienti permette ai docenti di pianificare al meglio le attività didattiche, soffermandosi sulle abilità linguistiche da esercitare, sui materiali da utilizzare e sulle tecniche didattiche da proporre, avere un quadro completo degli strumenti esistenti favorisce la scelta più adeguata in funzione dello specifico contesto classe di riferimento e del ruolo che all’apprendimento online si desidera attribuire. A un’analisi delle risorse disponibili in Rete è possibile identificare tre diverse tipologie di Social Network, tutti ambienti potenzialmente utili per l’apprendimento linguistico e culturale. Nella prima tipologia rientrano i Social Network tout court, quelli nati per mettere in relazione gli utenti in base ad amicizie reali o virtuali, interessi comuni o attività professionali, come Facebook. Nella seconda tipologia, invece, si collocano i Social Network orientati all’apprendimento linguistico, nati con precise finalità didattiche ma svincolati da percorsi di formazione istituzionali e formali, come Livemocha. Nella terza tipologia rientrano i web services che permettono ai docenti di creare ex novo degli ambienti di Social Networking, come Ning. Ognuna di queste tipologie può offrire a discenti e docenti occasioni per favore l’apprendimento/insegnamento linguistico, con diversi gradi di integrazione rispetto ai percorsi presenziali eventualmente attivati. Ne forniamo in sintesi una trattazione descrivendone le 87

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caratteristiche e i possibili impieghi, attraverso esempi inerenti il settore disciplinare di riferimento. 5.1. I Social Network nati senza finalità educative e didattiche Facebook è il Social Network creato nel 2004 da Mark Zuckerberg, allora studente di Computer Science, allo scopo di favorire il contatto e le relazioni tra gli iscritti all’università di Harvard. Ben presto il servizio viene esteso alle altre università e poi, nel 2006, a chiunque superi i tredici anni di età (Kirkpatrick 2011; Guerrini 2012). Ambito generale

Social Network Badoo Bebo Facebook Friendster Google+ Hi5 Meet up Odnoklassniki Orkut QQ Qzone VKontakte Quag Academia She said beauty Mubi

Link http://badoo.com/ http://www.bebo.com/ https://www.facebook.com/ http://www.friendster.com/ plus.­google.­com http://www.hi5.com/ http://www.meetup.com/ http://www.odnoklassniki.ru/ http://www.orkut.com/Main#Home http://www.qq.com/ http://qzone.qq.com/ http://vk.com/ https://www.quag.com/ http://academia.edu/ https://www.shesaidbeauty.com/ http://mubi.com/home

culinario letterario

New Gusto Anobii

https://newgusto.com/ http://www.anobii.com/

musicale

MySpace

https://new.myspace.com/

LinkedIn EViaggiatori

http://it.linkedin.com/ http://www.eviaggiatori.it/

accademico femminile cinematografico

professionale turistico

tab. 1. Alcuni esempi di Social Network.

Oggi Facebook è una delle piattaforme di Social Networking più utilizzate al mondo, con più di un miliardo di utenti attivi appartenenti a 88

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diverse fasce d’età6. A distanza di più di dieci anni dalla creazione del Social Network per antonomasia, gli utenti hanno a disposizione svariati ambienti che li aggregano in base a interessi quali la musica, la cucina, il cinema o la letteratura come sintetizzato in tab. 1. Non si tratta di ambienti nati con specifiche finalità educative e didattiche e sono, quindi, utilizzati dagli utenti nella socializzazione, nel tempo libero e, in alcuni casi, nell’ambito professionale. 5.1.1. La spendibilità didattica di Facebook Possiamo ipotizzare che molti dei discenti che popolano le classi di italiano L2 siano utenti, con diversi gradi di coinvolgimento, di questi ambienti virtuali, avvezzi quindi a una serie di pratiche che, a un’attenta analisi, costituiscono attività utili per la pratica linguistica. L’uso spontaneo e informale di questi ambienti permette, infatti, di leggere e di ascoltare testi scritti e orali, di scrivere e di commentare, di registrare testi audio e video e di condividerli con i propri contatti: se ciò avviene utilizzando la lingua target, l’apprendente di italiano L2 trova in essi una fonte inesauribile di input nonché molteplici occasioni di output. Come afferma Addolorato, infatti: […] attraverso la condivisione di post di testi, video, il linkaggio relativo a eventi o temi, si estendono potenzialmente la possibilità di familiarizzarsi con la lingua, la cultura, le strategie linguistiche, la frequenza d’uso di un termine, abbinate alla possibilità di effettuare una costante ricerca sul campo, che permette di poter conoscere, pure a distanza fisica, il gergo giovanile, il linguaggio politico, le ultime tendenze artistico-sociali di un determinato gruppo umano accomunato da una lingua, da una determinata tradizione (Addolorato 2009: 177).

Per esemplificare le attività linguistiche e culturali che derivano dall’uso spontaneo dei Social Network faremo riferimento, in particolare, alla spendibilità didattica di Facebook. In tab. 2 ne riportiamo gli elementi descritti al par. 2.1, esplicitando le attività linguistiche che è possibile consolidare utilizzandole.

6 I dati relativi al numero di iscritti, così come i dettagli sul coinvolgimento delle diverse fasce d’età coinvolte, sono reperibili ai siti http://wearesocial.it/tag/statistiche/ e http://vincos.it/ osservatorio-facebook/.

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Elementi di Facebook

Spendibilità didattica

Comunicazione pubblica: pubblicazione di aggiornamenti di stato e commenti.

Comprensione e produzione scritta, interazione scritta

Comunicazione pubblica: pubblicazione di foto e video e commenti.

Comprensione e produzione orale, produzione scritta, interazione scritta.

Comunicazione privata: comunicazione sincrona e asincrona.

Interazione scritta e orale.

Rete sociale.

Comprensione e produzione scritta, comprensione e produzione orale, interazione scritta e orale.

tab. 2. Gli elementi di Facebook e la loro spendibilità didattica.

Come emerge in tab. 2, l’apprendente di italiano L2 che utilizza Facebook nelle proprie pratiche spontanee di Social Networking può esercitarvi e potenziarvi, grazie agli amici che fanno parte della propria rete sociale virtuale e ai contenuti da essi condivisi, la propria competenza linguistico-comunicativa, anche senza un docente che finalizzi le attività all’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2. In quest’ottica prende forma una modalità di apprendimento di tipo incidentale, la cosiddetta serendipity7, come riportato in Ranieri, Manca (2013). Se, infatti, osserviamo i seguenti esempi tratti da interazioni spontanee in Facebook (cfr. fig. 1), possiamo facilmente rilevare come per l’apprendente di italiano L2 essi costituiscano preziose occasioni di pratica linguistica, dipendenti dai contenuti che la propria rete sociale condivide e dalle interazioni che con essa vengono sviluppate. Maggiore è il numero di connessioni che l’apprendente ha instaurato nel Social Network, maggiori sono i contenuti con i quali può entrare in contatto e le possibilità di utilizzare la lingua target con i nativi o con altri apprendenti. Una delle attività più diffuse in Facebook è la pubblicazione di post e commenti: tale pratica, insieme alle diverse opzioni per la comunicazione privata sincrona e asincrona, favorisce la discussione e lo scambio di opinioni, così come la riflessione critica e la nascita di nuovi punti di 7 La serendipity «riguarda quelle situazioni in cui si scopre qualcosa di imprevisto, come quando nella ricerca scientifica ci si imbatte in qualcosa di importante mentre si stava cercando altro» (Ranieri, Manca 2013: 75).

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vista (Cotroneo 2013a). L’esempio riportato in fig. 2 riporta un post di un musicista italiano che propone una discussione sulle opere di alcuni compositori del Novecento: il post sollecita un contributo attivo da parte dei lettori che ascoltano i brani musicali non noti e li commentano, sulla base delle sensazioni e degli stimoli ricevuti. Si tratta, com’è evidente, di un’attività che richiede di mettere in gioco la propria abilità di comprensione, produzione e interazione scritta. In fig. 3 è, invece, esemplificata la condivisione di una poesia e di un video di canzone che può offrire la possibilità di approfondire l’abilità di comprensione orale e la conoscenza linguistico-culturale attraverso l’ascolto, la lettura del testo e la ricerca di parole non note, nonché la conoscenza di contenuti letterari. In entrambi i casi la motivazione e l’autonomia dello studente sono alla base del sopracitato apprendimento incidentale che prende forma attraverso la navigazione spontanea in Rete. Non vi è, dunque, una finalità didattica di fondo ma modalità di interazione di questa tipologia possono divenire vere e proprie attività linguistiche perché propongono testi, scritti e orali, che devono essere compresi così come interazioni, prevalentemente scritte, che mettono in gioco abilità ricettive e produttive.

fig. 2. Discussione in una pagina di Facebook (Cotroneo 2013a: 168).

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fig. 3. La condivisione di un testo letterario e di un video in Facebook (Cotroneo 2013b: 78).

Oltre a far creare profili personali, Facebook offre la possibilità di seguire pagine tematiche e di entrare in gruppi che possono costituire centri di interesse per gli apprendenti e i docenti di italiano L2. Se navighiamo fra queste opzioni possiamo rilevare almeno quattro diverse tendenze (Cotroneo 2013c): 1. pagine tematiche che hanno come destinatari apprendenti di italiano L2 e che contengono micro-percorsi didattici, con l’obiettivo di consolidare e approfondire aspetti morfo-sintattici, lessicali e pragmatici oltre che aspetti di tipo culturale (es. Noi parliamo italiano, e tu?); 2. pagine e gruppi che promuovono la lingua e la cultura italiana o che ne approfondiscono aspetti specifici (es. Vocabolario italiano illustrato); 92

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3. applicazioni che mettono l’accento su aspetti morfosintattici, lessicali e pragmatici e aspetti di tipo culturale (es. Italian Journey); 4. pagine e gruppi dedicati ai docenti (es. Il due blog). Un primo passo verso la didattizzazione di Facebook può essere identificato nella segnalazione di queste risorse ai discenti che frequentano corsi presenziali che, liberamente, durante il corso e dopo la conclusione dello stesso, possono usufruirne in maniera spontanea e incidentale. Come far evolvere queste pratiche di Social Networking verso un apprendimento più guidato e strutturato? Forniamo nel seguente paragrafo alcuni esempi d’uso, allo scopo di esemplificare quanto è possibile erogare, a livello di micro-percorsi didattici, in ambienti di questa tipologia. 5.1.2. Dalla serendipity al formato blended Immaginiamo di tenere un corso presenziale e di voler ampliare il tempo classe offrendo ai discenti la possibilità di interagire online attraverso Facebook. Possiamo utilizzare questo ambiente come una piattaforma e-learning che eroghi contenuti didattici, sfruttando le pratiche spontanee che abbiamo sopra esplicitato. I discenti possono svolgere attività in Facebook prima e dopo le attività presenziali, ottimizzando le occasioni di contatto con l’input in italiano L2 e di produzione di output, come rappresentato in fig. 4. La fase di motivazione, infatti, può essere anticipata e svolta prima della lezione presenziale: un’immagine o un video possono facilmente elicitare le preconoscenze sul tema che verrà affrontato in classe e rappresentare uno stimolo per un brainstorming iniziale. Conclusa l’attività presenziale i discenti possono reimpiegare le conoscenze acquisite in maniera attiva e creativa, realizzando testi in L2 di diverso formato che diano origine a flussi di comunicazione dove esercitare ancora la competenza linguistica.

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fig. 4. Un esempio di integrazione di Facebook alla didattica presenziale.

Un’alternativa è quella di erogare contenuti svincolati dal percorso didattico presenziale, che si esauriscano in Rete, ma che si ricolleghino a esso in quanto a elementi lessicali, contenuti morfosintattici o culturali affrontati. La struttura di Facebook si presta bene alla realizzazione di micro-percorsi8 che si esauriscano nella combinazione di un contenuto e un’azione da svolgere e che possano essere pubblicati in un unico post. L’ambiente, infatti, aggiorna automaticamente l’ordine dei post in base ai commenti ricevuti e non si adatta a percorsi didattici che prevedano più post da seguire con un particolare ordine. In fig. 5 presentiamo un esempio di micro-percorso didattico realizzato nella pagina Facebook Lingua Italiana Per Stranieri (Progetto LIPS): si tratta di una pagina creata per erogare contenuti didattici per l’apprendimento dell’italiano L2, svincolata da corsi presenziali. Chiunque voglia consolidare la propria competenza linguistica può accedervi e svolgere le attività proposte, interagendo con i nativi e i non nativi che ne seguono gli aggiornamenti.

8 In letteratura si parla di microlearning cioè di apprendimento basato sull’interazione dell’apprendente con un singolo contenuto (es. un podcast, un video), che si focalizza su un unico aspetto (es. comprendere un testo orale), la cui fruizione si esaurisce in pochi minuti e, spesso, in mobilità (Kerres 2007).

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fig. 5. Un esempio di micro-percorso didattico.9

Come si evince dall’esempio riportato, l’attività richiede di fruire di un unico contenuto (l’immagine con il testo che l’accompagna) e di svolgere un’unica attività (produrre un output scritto). Tali attività, siano esse legate ad attività presenziali o meno, possono essere proposte dal docente 9 Fonte: https://www.facebook.com/LinguaItalianaPerStranieri?fref=ts

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attraverso il proprio profilo e i profili personali dei discenti, creando una pagina tematica o un gruppo. A seconda dell’opzione scelta, le attività potranno basarsi su una maggiore o minore apertura verso la Rete che si traduce in maggiori o minori occasioni di contatto con l’input in L2 e di produzione di output in L2 e in maggiore o minore qualità dei contributi, come sintetizzato in tab. 310. 5.1.3. Una proposta didattica integrata: insegnare Facebook, insegnare in Facebook Le molteplici valenze dei Social Network sono evidenziate, in modo dettagliato e preciso, da Ranieri e Manca (2013), tenendo conto di diverse dimensioni: quella tecnologica, quella cognitiva, quella etica e quella sociale. Utilizzare un Social Network, infatti, significa sia comprenderne le funzionalità tecniche sia sviluppare la capacità di ricerca e di produzione dei contenuti, mettendo l’accento anche sul suo corretto uso, in termini di etica e di sicurezza. Proporre l’uso di un Social Network richiede, quindi, una progressiva alfabetizzazione sullo strumento in modo da adeguare le spontanee pratiche di interazione sociale, già note alla maggior parte dei discenti, alle finalità educative e didattiche, mettendo l’accento sulle diverse dimensioni in gioco. Le attività didattiche presentate in tab. 4, così come la loro descrizione, sono state selezionate tra quelle ivi proposte; esplicitiamo, al fine di adeguarle all’ambito disciplinare del quale ci occupiamo, le attività linguistiche che è possibile svolgere a partire da esse, proponendo un esempio di consegna da proporre alla propria classe di italiano L2. Prendiamo come Social Network di riferimento Facebook, come già fatto al par. 2.2.1, in modo da poter contestualizzare le attività proposte legandole a uno specifico ambiente.

10 È opportuno sottolineare come Facebook sia utilizzabile anche da minori (che abbiano almeno tredici anni) e come sia necessario valutare attentamente l’opzione scelta in termini di sicurezza. Il gruppo segreto, considerando gli aspetti riportati in tab. 3, sembra essere l’opzione a maggiore tutela, seppur limitata in termini di apertura verso la Rete.

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Emanuela Cotroneo Uso di Facebook

Modalità

Interazione

Apertura verso la Rete

Criticità

Profilo

Insegnanti e studenti diventano amici.

I discenti interagiscono con gli amici e, quando concesso dalle impostazioni di privacy, con gli amici di amici.

L’apertura verso la Rete è massima perché le interazioni avvengono con gli amici e potenzialmente con gli amici di amici.

Non è possibile mantenere la sequenzialità dei post e i messaggi inerenti le attività didattiche si mescolano ad altri messaggi. C’è un annullamento della privacy con ricadute sul piano educativo. L’apertura verso l’esterno non è controllabile in termini di qualità dei contributi e in termini di sicurezza.

Pagina

Gli studenti mettono like a una pagina creata dal docente.

I discenti interagiscono con tutti gli utenti che hanno messo like alla pagina e non solo con i compagni di corso.

L’apertura verso la Rete è massima perché le interazioni possono avvenire con i compagni di corso e con esterni al corso ma dipendono dal grado di popolarità della pagina stessa.

L’apertura verso l’esterno non è controllabile in termini di qualità dei contributi e in termini di sicurezza.

Gruppo

Gli studenti entrano in un gruppo creato dal docente che può essere aperto a chiunque, chiuso con possibilità di essere visto da tutti ma con ruolo attivo riservato solo ai discenti selezionati dal docente, o segreto, con possibilità di essere visto e usato solo dai discenti selezionati.

I discenti interagiscono con tutti gli utenti iscritti al gruppo.

L’apertura verso la Rete è massima in caso di gruppo aperto e minima in caso di gruppo segreto.

L’apertura verso l’esterno, quando prevista, non è controllabile in termini di qualità dei contributi e in termini di sicurezza.

tab. 3. Profili, pagine e gruppi: principali caratteristiche.

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Dimensione cognitiva

Dimensione etica

Dimensione sociale

Attività didattica Ricerca e valutazione di informazioni.

Attività linguistiche Svolgere una Comprensione ricerca in Rete su scritta/orale e un determinato interazione scritta argomento utilizzando e orale a seconda un Social Network e del contenuto valutarne l’affidabilità utilizzato (post, comparando con video, audio, chat, diverse fonti. link esterno). Produzione e Realizzare un Produzione scritta condivisione di prodotto da e orale. contenuti. condividere nel proprio profilo, utilizzando diversi linguaggi mediali (testo, immagini, video). Information Proporre agli studenti Comprensione problem solving. una situazione e produzione problematica e scritta, interazione chiedere loro di scritta. cercare soluzioni nei gruppi e nelle comunità presenti nei Social Network, comparandole. Gioco di Creare un gruppo Comprensione e gruppo. chiuso e simulare una produzione scritta, discussione su un comprensione e problema. Gli studenti produzione orale, devono argomentare interazione scritta il proprio punto di e orale. vista e trovare controargomentazioni per le proposte degli altri.

Lavoro collaborativo.

Partecipazione a reti.

Descrizione

Esempio di consegna Cerca informazioni sull’ultimo Festival di Sanremo e confronta le informazioni che hai ottenuto dalla tua lista di amici con le informazioni riportate sul sito ufficiale del Festival: http://www. sanremo.rai.it. Realizza un video nel quale ti presenti e parli di te: di dove sei? Da quanto tempo sei in Italia? Perché studi l’italiano? Che cosa ti piace e che cosa non ti piace dell’Italia? Cerca una stanza in affitto nella città dove svolgi il tuo soggiorno Erasmus.

Il tuo quartiere ospita un grande numero di locali che causano rumore nelle ore notturne e producono sporcizia. Alcuni sono a favore della loro presenza, altri no. Realizza un video nel quale esprimi la tua opinione e guarda i video dei tuoi compagni. Vota attraverso un like le proposte che ti trovano d’accordo e trova argomentazioni contrarie per quelli che non ti trovano d’accordo. Proporre un’attività da Comprensione e Dovete pubblicare un articolo svolgere in un gruppo produzione scritta, sulle festività italiane nel giornale definendo ruoli e comprensione e online della scuola. Lavorate in regole comunicative produzione orale, gruppo in base ai diversi ruoli ed evidenziando interazione scritta assegnati e: l’importanza di un e orale. 1. discutete sulle feste più ruolo attivo. importanti e confrontatevi sulle differenze con il vostro paese; 2. consultate fonti di diverso tipo per ottenere informazioni sulle festività; 3. scrivete l’articolo utilizzando testo, immagini, video ecc. Coinvolgere gli Comprensione Metti like alla pagina Lingua studenti in progetti e produzione Italiana per Stranieri Lingua di cooperazione a scritta e orale, Italiana Per Stranieri (Progetto distanza tra scuole. interazione scritta LIPS) per conoscere altri studenti e orale. che stanno apprendendo la lingua italiana.

tab. 4. Esempi di attività da realizzare in Facebook.

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Esaminata la spendibilità didattica dei Social Network nati senza finalità educative e didattiche e presentati alcuni esempi applicativi relativi a Facebook, proponiamo, nel seguente paragrafo, un approfondimento sui Social Network orientati all’apprendimento linguistico. 5.2. I Social Network per l’apprendimento linguistico Negli ultimi anni sono stati sviluppati Social Network orientati espressamente all’apprendimento/insegnamento linguistico: si tratta di ambienti nei quali gli utenti creano reti sociali allo scopo di potenziare la propria competenza linguistico-comunicativa e nei quali i contenuti sono veri e propri percorsi di apprendimento. Gli sviluppatori mettono a disposizione il materiale didattico erogandolo come in una tradizionale piattaforma e-learning, ma la novità risiede nel ruolo che la rete sociale acquisisce in questo ambiente: i nativi forniscono feedback a coloro che apprendono una lingua, dando loro la possibilità di interagire attivamente e di esercitare la propria competenza linguistico-comunicativa. L’affiancamento dell’apprendimento informale, basato sulla collaborazione tra pari, all’erogazione più tradizionale di contenuti, è alla base di Social Network quali Livemocha, Babbel, Busuu e My Happy Planet (Bedini 2009; Troncarelli 2010; Cotroneo 2012a); ne sintetizziamo in tab. 5 le informazioni principali per poi descrivere, a titolo esemplificativo, le caratteristiche di uno di essi. Nome e sito di riferimento Livemocha http://www.livemocha.com Babbel http://www.babbel.com/learn-italian-online Busuu http://www.busuu.com/it/ My Happy Planet http://www.myhappyplanet.com/my_home.php

Lingue Offre corsi gratuiti/ a pagamento per l’apprendimento delle principali lingue straniere. Al corso multimediale si aggiunge il supporto degli utenti madrelingua. Offre corsi a pagamento (con prova gratuita) di francese, inglese, italiano, spagnolo, svedese, tedesco. Al corso multimediale si aggiunge il supporto degli utenti madrelingua. Offre corsi gratuiti per l’apprendimento di diverse lingue straniere e utilizza sistemi di comunicazione sincrona e asincrona. Offre corsi gratuiti per l’apprendimento di diverse lingue straniere con video e lezioni caricati dagli utenti.

tab. 5. I principali Social Network per l’apprendimento linguistico (Cotroneo 2012a: 229).

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5.2.1. Il caso di Livemocha Livemocha è il primo dei Social Network orientati all’apprendimento linguistico. Si tratta di un sito che permette di partecipare a corsi di lingua in autoapprendimento e agli iscritti di creare connessioni con i parlanti nativi della lingua oggetto di studio. Propone materiali didattici strutturati ai quali, però, si affiancano le interazioni con i parlanti nativi della lingua oggetto di studio. Durante la registrazione, infatti, l’utente indica la propria madrelingua e le lingue alle quali è interessato, diventando potenziale docente della propria L1 e apprendente per le lingue selezionate (Bedini 2009; Troncarelli 2010; Cotroneo 2012a). La rete sociale diviene, in questo contesto, un sostegno all’apprendimento linguistico, attraverso le funzioni esplicitate in fig. 6.

fig. 6. Le funzioni di Livemocha (https://learn.livemocha.com).

Per comprendere la struttura dei percorsi didattici erogati, analizziamo di seguito la prima lezione di un corso base di lingua italiana (L’alfabeto e la pronuncia). La prima attività (Introduction) presenta i contenuti con un video: l’alfabeto viene pronunciato mettendo in relazione fonema e grafema. Segue la presentazione del lessico necessario nel percorso didattico (Vocabulary), con una spiegazione e una frase per contestualizzare ogni nuova parola. Le sezioni seguenti si focalizzano sull’uso di quanto presentato (Usage, Usage practice), richiedono una pratica guidata con at100

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tività a scelta multipla mentre le successive (Read and write, Read and speak, Listen and write, Listen and speak) portano l’apprendente a un’elaborazione più autonoma, come esemplificato in fig. 7. Proprio in queste ultime fasi entra in gioco il ruolo della rete sociale in quanto è possibile richiedere un feedback ai parlanti nativi per le attività di produzione scritta e produzione orale. L’apprendente guadagna punti svolgendo le attività didattiche e aiutando gli altri apprendenti nel loro percorso di apprendimento o li acquista online per sbloccare diversi tipi di attività.

fig. 7. Un esempio di attività didattica in Livemocha (https://learn.livemocha.com).

Tra le varie risorse che i docenti possono segnalare ai propri apprendenti per il consolidamento linguistico e culturale, sia parallelamente ai corsi presenziali, sia successivamente a essi per il mantenimento e la pratica della competenza linguistica raggiunta, i Social Network di questa tipologia costituiscono, senza dubbio, una buona pratica che sfrutta pie101

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namente le potenzialità del Web 2.0 mettendo l’accento tanto sulla possibilità di fruire di materiale didattico strutturato e di creare attivamente i contenuti (le produzioni scritte e orali) tanto sull’interazione con una rete sociale costituita da nativi o apprendenti della stessa lingua. 5.3. Costruire un Social Network per la propria classe di italiano L2 L’ultima tipologia di Social Network è rappresentata dagli ambienti costruiti ad hoc per il proprio contesto classe, nei quali vengono selezionate funzioni e caratteristiche in base ai bisogni e alle necessità del percorso didattico che si intende erogare (Berger, Trexler 2010). L’idea di fondo dei web services che permettono di creare questi ambienti è che si possa ricreare la struttura tipica dei Social Network, limitandola alle sole necessità didattiche e al contesto classe nel quale si intende operare. Assomigliano, infatti, a piattaforme e-learning11 perché si focalizzano sull’apprendimento online dei discenti iscritti ma si ispirano alle funzioni tipiche dei Social Network tradizionali, replicandone le modalità di utilizzo attraverso la condivisione di contenuti e l’interazione tra gli utenti. Ogni iscritto ha un proprio profilo, nel quale esprime la propria identità virtuale ed entra in relazione con altri utenti che appartengono alla propria rete sociale. Differentemente da una piattaforma e-learning, tali ambienti sono spesso privi di strumenti specifici per l’apprendimento/insegnamento12 e, differentemente dai Social Network come Facebook, presentano una rete sociale chiusa e limitata ai partecipanti al percorso di apprendimento. Ciò significa che il docente ne gestisce i contenuti e gli accessi, limitando ai soli corsisti iscritti la possibilità di utilizzare l’ambiente e i contenuti erogati e di interagire. La fig. 8, che rappresenta un Social Network creato ad hoc con il servizio Ning, mostra le funzioni utilizzabili e le affinità con un Social Network tradizionale. Si tratta di una risorsa veloce e facile da utilizzare: il docente si registra e costruisce il proprio Social Network in pochi click, selezionando le risorse e le funzioni che vuole includere. I forum posso11 Un confronto tra piattaforme e-learning e Social Network è riportato in Cotroneo (2012a).

12 Una tradizionale piattaforma e-learning, infatti, permette di gestire gli utenti attraverso una procedura di iscrizione, la creazione di gruppi, la gestione di materiali, il monitoraggio e la valutazione delle attività svolte (Monti Bonafede, Preti 2006).

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no essere utilizzati per favorire il confronto e la discussione tra i discenti; le immagini e i video possono rappresentare testi input per unità di lavoro online mentre i box testuali e i link a pagine web possono arricchire il Social Network dei contenuti oggetto di studio (Berger, Trexler 2010; Cotroneo 2012a).

fig. 8. La home page di un Social Network creato con Ning (Coccoli, Cotroneo 2013: 152).

Come nei casi precedenti, un Social Network creato ad hoc può integrarsi alla didattica presenziale, anticipando e posticipando fasi dell’unità di lavoro all’interazione online, o può affiancarvisi fornendo contenuti che richiamino quanto già trattato in classe per fornire ulteriori occasioni di pratica linguistica. In fig. 9 presentiamo un esempio di attività erogata in Ning per studenti Erasmus: l’ambiente, in questo caso specifico, è stato utilizzato parallelamente al corso presenziale, per potenziare la comprensione scritta e orale. Esattamente come accade nella condivisione di un video in Facebook, si è presentato uno spot pubblicitario al quale si è legato un quiz a scelta multipla per verificarne la comprensione. 103

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fig. 9. Un esempio di micro-percorso didattico video-quiz erogato in Ning (Cotroneo 2013a: 174).

Le sperimentazioni svolte fino a oggi con questa tipologia di Social Network hanno messo in evidenza potenzialità e limiti legati alla chiusura di tali ambienti (Fini 2006, 2009; Coccoli, Cotroneo 2013; Manca, Ranieri 2013). Infatti, l’uso di ambienti “chiusi”, nei quali la rete sociale è limitata agli iscritti di uno specifico corso, controlla alcune delle criticità emerse in precedenza (il rumore, il controllo della qualità dei contributi, la sicurezza), ma priva allo stesso tempo i partecipanti dell’elemento chiave dell’apprendimento nell’era digitale: l’alto numero di connessioni che, in ottica connettivista, rappresentano possibili fonti di apprendimento e surrogati di conoscenza (Siemens 2004). Tale chiusura non ne scoraggia l’uso ma, anzi, può adattarsi meglio a quelle situazioni didat104

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tiche nelle quali sia necessario controllare alcuni aspetti del processo di apprendimento/insegnamento, come in fase di alfabetizzazione informatica (es. in caso di alto digital divide) o con utenti di particolari tipologie (es. minori). Forniamo di seguito (tab. 6), per concludere la trattazione di questa tipologia di Social Network, un elenco di web services che possono essere utilizzati per creare ambienti ad hoc, rimandando alla lettura di una serie di ulteriori contributi per conoscerne le specificità e gli esiti di eventuali sperimentazioni didattiche (Cotroneo 2012b; Coccoli, Cotroneo 2013a). Nome e sito di riferimento Ning http://www.ning.com

Elgg http://elgg.org/index.php Dolphin http://www.boonex.com/dolphin/ Twiducate http://twiducate.com/

SocialGO http://www.socialgo.com/

Caratteristiche Servizio web, personalizzabile in quanto a funzionalità e contenuti, è a pagamento con tariffazioni diverse a seconda delle opzioni inserite. Non richiede particolari competenze tecniche per l’attivazione e la gestione. Software open source installabile su server, è gratuito e richiede maggiori competenze tecniche per l’installazione e la personalizzazione. Software a metà tra open source e soluzione commerciale, è a pagamento (con versione base gratuita).

Servizio web creato per l’uso in ambito scolastico, è di facile uso ed è gratuito.

Servizio web, è di facile uso ma a pagamento (con versione base gratuita).

tab. 6. I servizi per la creazione di Social Network ad hoc (Cotroneo 2012a: 232).

6. Conclusioni I Social Network, alla luce di quanto esposto in questo capitolo, rappresentano strumenti di alta spendibilità didattica. Molto diffusi nelle pratiche di socializzazione online di discenti di diverse fasce di età, in ambito personale e privato, essi si prestano facilmente all’impiego per la didattica delle lingue in quanto centrati su due elementi fondamentali: la condivisione di contenuti, potenziali testi input in lingua target, e l’interazione con la propria rete sociale che, alla luce della teoria di Siemens (2004), è un elemento chiave per accedere alla conoscenza. La facilità 105

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d’uso e il ruolo attivo e produttivo degli utenti che li utilizzano, li rendono adatti alla creazione di micro-percorsi di apprendimento da fruire online, in affiancamento a percorsi presenziali o, in alternativa, come strumenti per l’autoapprendimento. La rassegna di strumenti presentata, così come gli esempi di utilizzo relativi all’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2, hanno lo scopo di fornire alcune indicazioni di massima per coloro che vogliano integrare e ampliare i propri percorsi didattici facendo leva sulla motivazione, l’interesse e il coinvolgimento dei discenti oltre che sulla possibilità di creare comunità virtuali di apprendimento che sfruttino le potenzialità degli ambienti aperti, come in Facebook, o ne replichino le modalità di utilizzo in situazioni più controllate, come in Ning, o, ancora, si situino in una posizione intermedia, come in Livemocha. La scelta del Social Network più adeguato deve tenere conto, come sempre accade in una didattica centrata sul discente, delle caratteristiche dell’utenza, del suo grado di alfabetizzazione informatica e di autonomia così come delle risorse tecnologiche a disposizione e degli obiettivi didattici che ci si prefigge di raggiungere. La sfida educativa e didattica inerente i Social Network parte dallo strumento selezionato ma ricade sulla programmazione svolta dal docente e sulla sua capacità di valutare potenzialità e limiti rispetto al concreto contesto classe nel quale intende operare.

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Riferimenti sitografici Eviaggiatori. URL: http://www.eviaggiatori.it (ultimo accesso: 13.06.2015). LIPS. Lingua Italiana Per Stranieri. URL: https://goo.gl/5eY6Rn (ultimo accesso: 13.06.2015). My Happy Planet. URL: http://www.myhappyplanet.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Odnoklassniki. URL: http://www.odnoklassniki.ru (ultimo accesso: 13.06.2015). She said beauty. URL: https://www.shesaidbeauty.com (ultimo accesso: 13.06.2015). SocialGo. URL: http://www.socialgo.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Facebook. URL: https://www.facebook.com/ (ultimo accesso: 13.06.2015). Livemocha. URL: http://www.livemocha.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Academia. URL: http://academia.edu (ultimo accesso: 13.06.2015). Anobii. URL: http://www.anobii.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Babbel. URL: http://www.babbel.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Badoo. URL: http://badoo.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Bebo. URL: http://www.bebo.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Busuu. URL: http://www.busuu.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Elgg. URL: http://elgg.org/index.php (ultimo accesso: 13.06.2015). Google+. URL: https://plus.google.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Hi5. URL: http://www.hi5.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Meet up. URL: http://www.meetup.com (ultimo accesso: 13.06.2015). Mubi. URL: http://mubi.com/home (ultimo accesso: 13.06.2015).

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capitolo v

IL MOBILE LEARNING E LE NUOVE FRONTIERE PER LA DIDATTICA DELLE LINGUE Ivana Fratter Università di Padova

1. Introduzione Nel presente articolo si mira a condurre una riflessione sull’apprendimento delle lingue e più nello specifico dell’italiano come L2 mediato dalle TIC attraverso l’uso di dispositivi mobili (mobile devices), non solo cercando di mettere in evidenza in che cosa si differenzia il mobile learning (m-learning) dal più generico e-learning, ma anche individuando il valore aggiunto che deriva dall’uso di dispositivi mobili. Si cercherà di offrire una ricognizione sullo stato dell’arte e sulle applicazioni del mlearning nella didattica in relazione al loro grado di permeabilità. Perché oggi parliamo di m-learning? Che cosa è cambiato rispetto a qualche anno fa? Quali sono i fattori che hanno contribuito a trasformare il modo di fruizione e di gestione delle risorse online, dell’accesso alla Rete? Che sviluppo c’è stato nel settore della high technology negli ultimi anni? Quali sono i dispositivi che hanno avuto il maggior impatto nella vita quotidiana? Queste sono alcune delle domande a cui si cercherà di rispondere nel presente articolo. Il m-learning potrebbe essere considerato come una naturale, e dunque inevitabile, conseguenza dello sviluppo dell’hi-tech nella società moderna; infatti straordinario è stato l’impatto che la diffusione dei dispositivi mobili, quali smartphone, tablet e computer portatili, ha avuto 110

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nella vita quotidiana di ogni persona. I dati offerti da alcune indagini (Mazzoccola 2014; Audiweb 2015) ci mostrano come in Italia, analogamente alla maggior parte dei Paesi del mondo, dal 2013 a oggi si è registrata una diminuzione dell’uso della audience online1 da computer a favore dell’uso dei dispositivi mobili; inoltre per quanto riguarda gli utilizzatori di questi device si tratta prevalentemente di giovani in una fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Altri tipi di indagini e ricerche, che riguardano più nello specifico il mercato dell’e-learning e le sue prospettive per il futuro, sono fornite da Docebo (2014) e in particolare nell’indagine «Mercato E-Learning Trend e Previsioni 2014-2016», in cui non solo viene fornita una panoramica sull’uso e sulla diffusione dell’hi-tech, ma al contempo vengono date delle previsioni di massima riguardo alla vendita futura degli stessi. In particolare nel report si prevede che scenderanno le vendite dei computer e aumenteranno quelle dei tablet (dall’11,8% del 2013 al 16,5% del 2017) e degli smartphone (dal 59,5% al 70,5%) (Docebo 2014: 28). Questi dati sono preziosi per avere un quadro del mutamento dei consumi della tecnologia, infatti l’aumento o la diminuzione dell’uso di un certo tipo di tecnologia rispetto a un’altra implica anche un mutamento nel tipo di approccio e nella modalità di fruizione delle risorse: si passa da un uso, che qui chiameremo, di tipo «dedicato e fisso/stabile» della tecnologia a un uso più «mobile e flessibile». Con il termine «uso dedicato e fisso/stabile» si intende indicare un uso della tecnologia che richiede luoghi e tempi precisi: vi sono dunque uno spazio e un tempo dedicati all’uso delle tecnologie in contesti, come il lavoro o lo studio; con il termine «uso mobile e flessibile», invece, si fa riferimento alla natura dei dispositivi mobili utilizzati e utilizzabili in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo; questo tipo di fruizione implica tuttavia dei cambiamenti sostanziali, di cui si parlerà nelle pagine che seguono. La tecnologia mobile ha aperto, e aprirà in modo sempre più massiccio, le porte a un nuovo modo di usare la stessa tecnologia; infatti «in questi due anni, il Mobile Learning si è prepotentemente affermato come: una nuova scelta metodologica, una nuova opportunità di business, una nuova strategia per la gestione delle risorse umane» (Docebo 2014: 28). 1 Con audience online si misura la connettività a Internet in base al tipo di dispositivo utilizzato.

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2. Caratteristiche del m-learning Il m-learning viene definito come insegnamento/apprendimento mediato da supporti mobili quali smartphone, tablet e/o Ipad, computer portatili (laptop), ai quali si possono aggiungere anche le consolle, ovvero dispositivi per giocare con i videogiochi (per es. X-Box, Play Station, Wii). Come affermano Taxler e Wishart (2011: 6), alludendo anche alla disponibilità personale dei dispositivi che ciascun apprendente può possedere, il m-learning «is not just e-learning on mobile devices». I dispositivi mobili inoltre possono «play a particularly important role in the informal learning environment: they can be used for communication, collaboration, gathering and sharing of information» (Khaddage, Lattemann 2013: 3228). Il m-learning viene ancora definito come «The exploitation of ubiquitous handheld technologies, together with wireless and mobile phone networks, to facilitate, support, enhance and extend the reach of teaching and learning» (MoLeNET 2014). Alla luce delle definizioni fornite, nel presente contributo per m-learning si intenderà un apprendimento/insegnamento mediato da tecnologie mobili con connessione in Rete e che può avvenire in luoghi e momenti diversi a seconda delle esigenze dell’apprendente. Secondo tale prospettiva potrebbe sembrare che l’m-learning si differenzi dall’e-learning principalmente per il tipo di dispositivi utilizzati, ma questo risulterebbe essere invece piuttosto riduttivo e semplicistico. Infatti le differenze tra le due modalità sono più profonde proprio come spiega Traxler (2009) che, attraverso la raccolta di alcune parole chiave caratterizzanti l’e-learning da una parte e l’m-learning dall’altra, riesce a fornire una interessante mappatura delle due modalità di apprendimento/insegnamento: One view […] in looking at the characterizations of mobile learning found in the literature finds words such as ‘personal’, ‘spontaneous’, ‘disruptive’ ‘opportunistic’, ‘informal’, ‘pervasive’, ‘situated’, ‘private’, ‘contextaware’, ‘bite-sized’ and ‘portable’. These are contrasted with words from the literature of ‘conventional’ e-learning such as ‘structured’, ‘media-rich’, ‘broadband’, ‘interactive’, ‘intelligent’ and ‘usable’. We can use these to make a blurred distinction between mobile learning and ‘conventional’ e-learning (Traxler 2009: 5).

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Pertanto l’m-learning rispetto all’e-learning più in generale è caratterizzato da una forte flessibilità, informalità, immediatezza d’uso; non va però trascurato il fatto che sono gli stessi dispositivi che cambiano e che modificano anche l’approccio all’uso. Questo risulta dunque essere più immediato, si pensi per esempio alla accensione immediata del tablet, e più user friendly grazie all’interfaccia con modalità touchscreen che la rende semplice e interattiva e più familiare ( Johnson et al. 2014: 40). Da non trascurare la loro portabilità, la versatilità del loro uso, la facilità di navigazione e non da ultimo la disponibilità delle ormai numerosissime App (cfr. par. 4). Ma qual è il valore aggiunto dell’m-learning rispetto ad altri tipi di apprendimento, tra i quali l’e-learning? In primo luogo il fatto che le persone oggi possono essere connesse anywhere e anytime, infatti, è possibile connettersi alla Rete in qualsiasi luogo ci si trovi e in qualsiasi momento e al contempo è possibile partecipare ad attività, a discussioni ecc. Questo fa sì che si possano ridurre anche i cosiddetti dead-time, ovvero i “tempi morti” della giornata come per esempio il tempo di viaggio destinato allo spostamento per ragioni di lavoro o di studio (p. es. in treno, in autobus). Se questo aspetto da una parte può costituire un vantaggio, esso può anche essere visto come uno svantaggio in quanto c’è il rischio che la maggior parte del tempo della giornata si sia connessi alla Rete togliendo pertanto spazio ad attività quotidiane più tradizionali come per esempio visitare un luogo fisicamente e apprezzarne le bellezze anche dal punto di vista sensoriale (odori, rumori, colori). Il secondo valore aggiunto ascrivibile all’m-learning è la naturalezza con cui viene favorito il passaggio da un apprendimento «non formale» e «informale» ad uno «formale» e viceversa: il collegamento tra la didattica in aula (intesa come apprendimento formale) e l’apprendimento non formale o informale (a seconda di come è stato progettato il percorso didattico) grazie, per esempio, all’uso di Social Network come Facebook o WhatsApp è particolarmente facilitato. Infatti il contatto tra le persone può essere continuo e costante, ma soprattutto la collaborazione è particolarmente facilitata grazie alla connessione alla Rete e ai dispositivi mobili ma anche per il tipo di App, sempre più sviluppate e potenziate nonché versatili. Non da ultimo, si segnala il vantaggio dato dall’estrema compatibilità 113

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delle applicazioni ai diversi tipi di dispositivi e ai relativi sistemi operativi, nonché la disponibilità di numerose App gratuite che permettono sia la collaborazione tra più utenti per la realizzazione per esempio di task collaborativi, sia la fruizione di materiali didattici. L’m-learning, come anche l’e-learning in generale, ha come valore aggiunto l’aumento delle occasioni di apprendimento su vasta scala (p. es. con i MOOC) dovuto alla possibilità di raggiungere gli utenti a distanza in qualsiasi luogo essi si trovino e in qualsiasi momento, anche grazie alla esponenziale diffusione pro capite dei dispositivi mobili documentata dalle indagini sullo sviluppo dell’hi-tech (cfr. par. 1). 2.1. Ostacoli alla diffusione dell’ m-learning La diffusione dell’m-learning non è ancora del tutto scontata, numerosi sono infatti ancora gli ostacoli per la sua piena applicazione. Tra le principali difficoltà che vengono annoverate nei documenti forniti dall’UNESCO (2013: 31) vi sono i costi, la formazione del personale, le scorrette abitudini d’uso. Per quanto riguarda i costi, si fa riferimento in particolare al costo di alcuni dei dispositivi mobili che, pur diminuito notevolmente, resta comunque alto per alcune categorie sociali e dunque non accessibile alla gran parte della popolazione2. Sempre legata ai costi vi è anche la spesa per la manutenzione e il controllo dei dispostivi in dotazione agli enti di formazione che, tuttavia, questo problema può essere superato con l’approccio BYOD (Bring your own device) (cfr. par. 5). Per quanto riguarda l’utilizzo dei dispositivi mobili la difficoltà non riguarda l’utilizzo tout court degli strumenti ma la necessità di formare i docenti al loro uso pedagogico, così come accade per la tecnologia in generale (Fratter 2004; 2014). Infine un aspetto che determina un pregiudizio all’introduzione dei dispositivi mobili nella formazione degli allievi è dato dalle cattive abitudini all’uso degli stessi; è il caso dell’errato uso dello smartphone nelle scuole da parte degli studenti che porta come conseguenza alla messa 2 Una recente indagine (Fratter, Altinier in stampa), volta a indagare il “profilo tecnologico” degli apprendenti in mobilità internazionale, ha messo in luce come l’uso dei dispositivi mobili attualmente sia limitato agli smartphone e ai computer portatili mentre i tablet occupano ancora una bassa posizione tra i dispositivi più utilizzati.

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al bando indiscriminata di tutti i dispositivi mobili nella scuola come forma di prevenzione3. Spesso infatti l’m-learning è stato introdotto in classe senza una adeguata pianificazione e preparazione (Shuler et al. 2013: 30) e più volte viene ricordato che l’uso dei dispositivi mobili quali smartphone e tablet non implica necessariamente benefici e miglioramenti nell’apprendimento/insegnamento. Per usare le parole di Baker et al. (2014: 10): «smartphones and tablet are not like fire, a technology from which one gets a benefit simply by standing near it».

3. Fare didattica con l’m-learning: modelli, approcci di riferimento Se con l’avvento della didattica online e in particolare con l’e-learning sono stati dedicati diversi studi volti alla ricerca dei modelli pedagogici di riferimento e alla ricerca di buone pratiche (Commissione delle Comunità Europee 2007), anche per l’m-learning si rende necessaria non solo una riflessione ma anche la ricerca dei modelli pedagogici più consoni al tipo di apprendimento/insegnamento «it may also imply the presence or otherwise of different underlying models of pedagogy and learning» (Traxler 2009: 4). Svariati sono stati gli approcci proposti nell’ambito dell’apprendimento mediato dalla tecnologia nell’era di Internet tra i quali il costruttivismo e il connettivismo (Siemens 2005); tuttavia l’approccio costruttivista applicato agli ambienti di apprendimento mediati dalle TIC ( Jonassen 1994) e il costruttivismo socio-culturale ( Jonassen, Rohrer-Murphy 1999; Varisco 2002) sono quelli che hanno trovato la loro migliore applicazione (Traxler 2009: 1), in particolare per l’apprendimento delle lingue (Fratter 2004), proprio per la marcata impronta sociale che li caratterizza. Non sono mancate applicazioni degli approcci basati sui task, Task Based Learning (Nunan 1989), o sulla soluzione di problemi, sulla realizzazione di progetti come per esempio il Project Work (Beckett, Slater 2005). 3 Infatti, come affermato nelle indicazioni dell’UNESCO (2013: 39): «negative social attitudes regarding the educational potentials of mobile technology constitute the most immediate barrier to widespread embrace of mobile learning».

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Oltre a una consapevole e motivata scelta dell’approccio più consono al tipo di tecnologia utilizzata (computer portatili/fissi da una parte; tablet/smartphone dall’altra), nella fase di progettazione didattica di attività in Rete (Trentin 2014: 73) si richiede che venga considerata anche la modalità di erogazione delle attività: in presenza; online; blended. Il blended è stato largamente utilizzato per l’e-learning mediato da piattaforme come per esempio Moodle4 e trattandosi di una modalità di insegnamento/apprendimento integrato tra aula e online, richiede una progettazione dei contenuti e anche, e soprattutto, degli strumenti preposti all’interazione. Con l’avvento dell’m-learning sempre più si parla di «modelli ibridi di insegnamento» ( Johnson et al. 2014: 16) che non solo includono la didattica in aula faccia a faccia, ma implicano anche momenti a distanza estendendo così i periodi di apprendimento che non risultano più circoscritti esclusivamente alla lezione ma prevedono momenti al di fuori della classe strettamente connessi al gruppo di apprendimento e a gruppi a esso esterni. Tra le modalità ibride ascrivibili al blended learning si possono menzionare le flipped classroom letteralmente «classi capovolte»5: secondo questo metodo cambia il modo di gestire i contenuti didattici e la loro erogazione e fruizione. La flipped classroom bene si adatta all’m-learning in quanto il materiale che gli insegnanti predispongono e creano per gli apprendenti (solitamente materiale multimediale audio/video) può essere consultato e studiato molto più agevolmente su supporti mobili trattandosi per esempio di brevi filmati che a loro volta, grazie all’uso di App dedicate, possono essere modificati, ampliati e annotati. Con l’avvento dell’e-learning nel corso degli anni sono stati avviati numerosissimi progetti riguardanti la formazione linguistica online, tra i quali, per l’italiano come L2, il Progetto Padu@it-web6 all’interno del quale si è cercato di delineare le caratteristiche di un apprendimento significativo mediato dalle TIC (Fratter et al. 2010: 282) riprendendo 4 Modular Object-Oriented Dinamic Learning Environment, www.moodle.org. 5 Per un approfondimento si veda il contributo di Giglio in questo volume.

6 Il progetto «Padu@it-web» è stato sviluppato all’interno del CLA dell’Università di Padova e ha visto la realizzazione di un corso di italiano online, A spasso con Virgilio, di livello A1 per studenti in mobilità internazionale, cfr. URL: http://www.cla.unipd.it/progetti-e-attivita/ progetti-del-cla/paduit-web/ (ultimo accesso: 15.06.2015).

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largamente i parametri degli ambienti costruttivisti che vedono la partecipazione attiva degli apprendenti per lo svolgimento di compiti reali e autentici. Questi stessi principi, individuati come validi per l’e-learning, vengono ripresi da studi che riguardano l’m-learning e che indicano l’apprendimento autentico come «Learning Initiative, typically focuses on real-world, complex problems and their solutions, using role-playing exercises, problem-based activities, case studies, and participation in virtual communities of practice» ( Johnson et al. 2014: 30). Allo stato attuale si tratta ancora di una sfida in quanto mancano precisi modelli di riferimento pedagogici e le modalità di verifica dell’efficacia degli stessi. Tuttavia, facendo riferimento a svariate sperimentazioni che hanno visto introdurre i Social Network nella didattica delle lingue, è possibile, già oggi, trovare diversi esempi di buone pratiche trasferibili parzialmente anche all’m-learning. Per l’italiano come L2 sono state avviate diverse sperimentazioni didattiche che hanno fornito degli esempi meritevoli di nota7 (Fratter, Jafrancesco 2014).

4. Verso nuovi traguardi: le App e il Cloud Sono trascorsi più di dieci anni ormai da quando, nel 2004, ebbe luogo la «Web 2.0 Conference» promossa dalla O’Reilly Media in cui per la prima volta venne affrontato il tema del Web 2.0, che negli anni a seguire ha avuto un impatto determinante nel trasformare il mondo di Internet e delle TIC e ha rivoluzionato il modo di vivere la Rete, trasformando gli internauti da utenti fruitori di contenuti a utenti creatori e utilizzatori degli stessi. Non da ultimo lo sviluppo di software open e utilizzabili direttamente online ha dato il via alla generazione e alla distribuzione di contenuti in modo reticolare, ha aperto le porte a una grande massa di utenti facendoli diventare degli abitanti della Rete. Più recentemente un ulteriore impulso si è avuto con la creazione e 7 Per alcuni esempi si veda l’utilizzo del Digital Storytelling (Baron, Zanetti in Fratter, Jafrancesco 2014), oppure l’uso di Skype per facilitare la comunicazione interculturale (Telles, Assuncao Cecilio 2014).

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la diffusione delle App, ovvero le applicazioni per smartphone e tablet distribuite gratuitamente o a costi piuttosto contenuti e soprattutto acquistabili direttamente online. Le App sono attualmente una delle nuove frontiere da esplorare in quanto offrono potenzialmente una ampia gamma di possibilità didattiche; infatti, così come è accaduto per le applicazioni del Web 2.0 che, pur essendo state create per un uso nella vita quotidiana, nel corso degli anni sono state utilizzate anche negli ambienti di apprendimento (Fratter 2010; Fratter, Jafrancesco 2010), ugualmente accade oggi per le App che via via stanno diventando strumenti indispensabili per la quotidiana gestione della vita di ciascuno di noi (calendari, annotazioni, creazione di contenuti ecc.) e al contempo penetrano anche nella pratica didattica. Come affermano Johnson et al. (2014: 8): «As social media have pervaded many aspects of our informal lives, numerous applications for teaching and learning have been developed». La forza di penetrazione delle App sembrerebbe essere anche più massiccia rispetto alle applicazioni per i computer proprio per una delle peculiarità dei dispositivi mobili, ovvero la mancanza di periferiche di archiviazione per la quotidiana gestione di file di testo o multimediali e per la necessità di manipolarli direttamente online. Da qui la diffusione dei servizi di cloud storage come Dropbox, o Google Drive e tantissimi altri ancora. La diffusione di tali servizi è stata recentemente documentata da una indagine secondo cui emerge che «la tecnologia Cloud sta cambiando il modo in cui oggi le organizzazioni, gli impiegati e i partner interagiscono e lavorano insieme. Grazie alle possibilità offerte dal cloud, infatti, non solo siamo in grado di lavorare in modo più efficiente ed efficace, ma è addirittura la tecnologia stessa a divenire un vero e proprio strumento di collaborazione» (Docebo 2014: 39). Ne consegue che i dispositivi portatili grazie ai servizi di cloud storage accrescono sempre più le caratteristiche dell’ m-learning nei suoi aspetti di mancanza di vincoli di tipo spazio-temporale (anywhere e anytime).

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5. Le prospettive future dell’m-learning Quali sono le prospettive che si intravvedono per il futuro dell’mlearning? Uno dei nodi da risolvere riguarda la fornitura dei dispositivi mobili agli utenti: in questa direzione va, per esempio, il programma oneto-one 1:1 (Bocconi et al. 2013), utilizzato soprattutto nei paesi poveri, sulla base del quale gli enti formatori mettono direttamente a disposizione degli utenti i dispositivi necessari all’apprendimento responsabilizzandoli nell’utilizzo e nella cura degli stessi8; oppure l’approccio BYOD. Con il termine BYOD si fa riferimento all’orientamento che via via si sta affermando all’interno dei centri preposti alla formazione e che consiste nel richiedere agli utenti/apprendenti di essere dotati di strumenti personali di lavoro e di apprendimento quali smartphone e tablet. L’utilizzo dei dispositivi mobili personali ha numerosi vantaggi: in particolare risulta essere particolarmente proficuo per gli enti formatori in quanto non richiede loro di mettere a disposizione hardware per gli utenti risparmiando in tal modo non solo sull’acquisto dei dispositivi ma anche sulla manutenzione degli stessi, riducendo così i costi per l’acquisto e la gestione della tecnologia. L’approccio BYOD rende il dispositivo strettamente personale in quanto dà l’opportunità a ciascun utente di personalizzarlo attraverso la selezione e la raccolta delle proprie App necessarie alle attività personali di studio/lavoro e svago più frequenti ( Johnson et al. 2014: 44). La commistione di App, presenti nei dispositivi personali e utilizzate dall’utente per differenti scopi, legati non solo alla formazione ma anche allo svago, rappresenta oggi un ponte che unisce in modo sfumato le diverse forme di apprendimento tra di loro: apprendimento formale, non formale e informale. L’approccio BYOD potrebbe essere visto proprio come uno degli approcci in grado di favorire il superamento della sfida che riguarda l’integrazione tra l’apprendimento formale e quello informale ( Johnson et al. 2014) auspicata anche dalla Commissione Europea. 8 In relazione a questo programma si afferma: «Students should own their devices as this helps them take responsibility for the device and is essential for the creation of personal mobile learning environments that span formal, informal and non-formal learning settings» (Bocconi et al. 2013: 10).

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Una ulteriore spinta alla diffusione del m-learning potrebbe venire dalla sempre più massiccia diffusione e sviluppo delle risorse didattiche aperte (Open Educational Resources OER9) che grazie alla loro versatilità possono essere fruite in qualsiasi contesto didattico anche nell’apprendimento informale e in qualsiasi momento tramite i dispositivi mobili. Lo sviluppo delle OER è sentito come una impellente necessità, soprattutto perché l’Europa secondo il rapporto «Educational and Trainig. Monitor 2013» (Bocconi et al. 2013: 8) «is lagging» non solo per lo sviluppo delle OER ma anche per lo sviluppo e la diffusione dei MOOC (Massive Open Online Courses); dunque si auspica che nei prossimi anni venga dato avvio alla realizzazione di risorse per scopi educativi, sia attraverso le App sia con la creazione di corsi MOOC. Ed è proprio grazie alle TIC con le loro nuove dimensioni e sfaccettature che il processo di apprendimento/insegnamento si avvia a nuove forme: Today new technologies offer unprecedented opportunities to make learning more effective, inclusive and engaging. Digital technologies can improve effectiveness of resources through economies of scale, expanding access to a wider number of people (e.g. through MOOCs and other Open Educational Resources, OER) at lower costs or allowing teachers to focus on what they do best by automating or offloading more routine tasks. ICT can be used to foster more creative and innovative methods of learning (including personalized and collaborative learning), and it has the potential to facilitate collaboration, exchange and access to learning resources (Bocconi et al. 2013: 18).

Attualmente i MOOC, basandosi sui presupposti educativi dell’apprendimento autonomo, sono adatti soprattutto a un pubblico maturo di apprendenti perlopiù adulti (Fratter 2014: 49); presumibilmente in un prossimo futuro sarà possibile pensare a forme di MOOC anche per pubblici con diverse fasce d’età. 9 Con Open Educational Resources (OER) si intende ogni tipo di risorsa educativa, sia essa video, audio, in formato podcast o testuale, che sia stata progettata per l’insegnamento/apprendimento e che è fruibile da insegnanti/studenti e più in generale da qualsiasi apprendente senza alcun tipo di pagamento (UNSECO 2011: 9).

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6. Contenuti bite-size e fruizione game per l’m- learning 6.1. I contenuti bite-size Gli elementi che differenziano l’m-learning dall’e-learning riguardano anche il settore dell’instructional design (Trentin 2104); va da sé dunque che la progettazione dei contenuti deve tenere conto inevitabilmente di fattori insiti nel mobile; da qui la necessità di predisporre dei contenuti di apprendimento che rispettino specifici prerequisiti. Due sono gli aspetti principali che caratterizzano e differenziano l’mlearning rispetto all’e-learning e che sono racchiusi nelle due parole chiave anywhere e anytime ovvero la caratteristica dei dispositivi mobili di essere utilizzabili in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Tale assenza di vincoli spazio-temporali però presenta al contempo due aspetti contraddittori tra di loro: infatti, se da una parte rappresenta un vantaggio in quanto non obbliga l’utente alla fissità di un determinato luogo, dall’altro, ovviamente, non può determinare automaticamente la completa libertà di accesso in qualsiasi contesto. L’utente, in altre parole, non potrà prescindere dal contesto in cui si trova e accedere in ogni caso ai dispositivi mobili per ciò che desidera fare, per esempio ascoltare un podcast, leggere e rispondere a una mail e molto altro ancora. Anche la disponibilità all’uso dei dispositivi mobili senza limiti di tempo, se da un lato offre il vantaggio di rendere libero l’utente di scegliere il momento migliore per utilizzare la tecnologia, dall’altro fa sì che sia quasi impossibile non essere reperibili e non trovare il momento per accedere. In qualche modo siamo sempre “rintracciabili” e i dispositivi mobili possono essere considerati come una propaggine di noi stessi10. Le due specificità su cui poggia l’m-learning devono essere anche il punto di osservazione con cui progettare i contenuti di apprendimento (econtent) e le attività (e-tivity) così come erano state pensate per l’e-learning della prima generazione. Sia gli e-content che le e-tivity con l’m-learning devono tenere conto dei vantaggi e degli svantaggi dell’essere anywhere e anytime. 10 A tal proposito scrive Traxler (2011: 7): «The sim card in your phone could be seen to contain the story of your life (at least at the present time)» e continua «This second-by-second account of our lives is another way in which mobiles transform our sense of time passing».

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Prima di tutto la progettazione si dovrà basare sulla brevità e si dovrà pensare dunque a dei micro-contenuti, cosiddetti bite-sized learning (bocconcini di apprendimento). Tali “bocconcini” richiamano alla progettazione dei Learning Object (LO) con cui nei primi anni di questo secolo era stata permeata tutta la letteratura dell’e-learning in generale (CNIPA 2007) e anche della progettazione didattica per l’italiano come L2 (Fratter et al. 2010; Troncarelli 2010). I LO per l’apprendimento su piattaforme dovevano seguire delle specifiche e degli standard precisi quali quelli forniti dal modello SCORM (Sharable Content Object Reference Model), ma che nella progettazione di materiali per lo sviluppo linguistico hanno dimostrato una forte rigidità come affermano Fratter et al. (2010: 297): «SCORM pur dichiarandosi pedagogicamente “neutrale”, tuttavia porta con sé una visione dell’istruzione a distanza orientata alla trasmissione della conoscenza e all’addestramento e prevede un modello di comunicazione unidirezionale». Si tratta dunque di un approccio didattico che si contrappone ai parametri dell’apprendimento creativo e collaborativo e per questo il modello SCORM per la produzione di materiale per lo sviluppo linguistico nel corso degli anni sembra essere stato abbandonato. Con l’avvento dell’m-learning per la progettazione degli e-content sono stati introdotti i MLO (Mobile Learning Object), si tratta di «an information entity, digital, interactive, adaptable and reusable in different contexts, designed to support an educational objective through a mobile device situated or collaborative learning activities» (Castillo, Ayala 2012: 240). Si tratta comunque di una strada che deve ancora essere esplorata completamente. Tuttavia in generale si evince che i contenuti per l’mlearning sono diversi dai contenuti per l’e-learning più in generale non solo dal punto di vista del formato – i dispositivi hanno schermi più piccoli rispetto a un computer portatile, si pensi agli smartphone (4-7 pollici) e ai tablet (8-10 pollici) che devono contenere un numero ridotto di oggetti e pulsanti per poter essere usabili – ma anche dal punto di vista dei contenuti si deve tenere conto del fatto che essi vengono fruiti nei contesti più disparati e con numerosi elementi di disturbo rispetto alla normale concentrazione che si ha solitamente se si lavora al computer in un luogo a esso dedicato; pertanto i contenuti per l’m-learning dovranno essere: 122

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1. brevi, in quanto il tempo per l’esecuzione dei compiti è più limitato e soggetto ad interruzioni frequenti; 2. attraenti, devono infatti incuriosire l’utente e devono “sedurlo” per esempio attraverso il gioco o motivarlo attraverso continue sfide (p. es. con il superamento di livelli, con l’ottenimento di badge); 3. usabili, devono essere facilmente utilizzabili dai dispositivi mobili.

Queste dunque alcune delle macro caratteristiche che dovrebbero avere i materiali fruibili con dispositivi mobili. 6.2. Gamification e apprendimento

In ambito educativo, e non solo, sembra farsi strada un orientamento basato sul gioco, sulla sfida che porta il nome di «gamification» e che sta a indicare «the use of game mechanics in a non-game context to engage users» (Shuler et al. 2013: 34) e ancora «when game design elements (e.g. points, leader boards, and badges) are used in non-game contexts to promote user engagement» (Sandusky 2014: 1). Dunque l’uso della gamification nell’apprendimento implica una progettazione delle attività e dei percorsi didattici basata sulla pianificazione di premi per mezzo per esempio di punti o di badge da consegnare in base al tipo di attività. Tale approccio incoraggia gli apprendenti a svolgere le attività al fine di ottenere un premio facendoli allo stesso tempo divertire. Lo scopo principale è, ovviamente, far sì che gli studenti siano motivati a completare le attività e i compiti assegnati grazie alla sfida insita nel compito stesso. Sotto il profilo della motivazione l’approccio gamification ha come obiettivo ultimo l’aumento della motivazione intrinseca (Sandusky 2014) che viene vista secondo Buckley, Doyle come «the desire to perform a learning activity for the pleasure one experiences while learning, intrinsic motivation towards accomplishment (desire to engage in an activity for the pleasure and satisfaction experienced when accomplishing a difficult feat), and intrinsic motivation to experience simulation (engages in an activity to be stimulated)» (2014: 4). Il modello di gamification (Huan, Soman 2013) prevede due tipi di elementi: individuali e sociali. I primi riguardano per esempio il tempo previsto per lo svolgimento delle attivi123

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tà, oppure i badge a esse assegnati come ricompensa per il lavoro svolto, e ancora il passaggio ai livelli successivi se le attività vengono svolte correttamente; i secondi, invece, riguardano attività di tipo sociale in cui sono previsti compiti di tipo cooperativo o competitivo. La gamification che passa attraverso Internet offre ai «gamers the opportunity to join massively multiplayer online (MMO) role-playing environments and to build online reputations based on their skills, accomplishments, and abilities» ( Johnson et al. 2014: 42). In questo caso si parla di apprendimento basato sul gioco (game-based learning) dove il gioco è alla base dell’apprendimento, in particolare i giochi online usati a scopi educativi favoriscono la collaborazione e sviluppano la soluzione di problemi, invitando all’esplorazione. Se, come afferma Traxler (2011), è vero che le persone vorrebbero imparare in modo facile, allora la via della gamification sembrerebbe essere una via percorribile. Si tratta, dunque, di esplorarla.

7. Conclusioni Dai dati forniti sull’audience online (cfr. par. 1) si è visto che l’m-learning deve la sua fortuna alla forte crescita e alla diffusione dei dispositivi mobili nella vita quotidiana. I dispositivi mobili sono di fatto diventati un prolungamento del nostro corpo in quanto abbiamo assegnato loro il compito di conservare parte dei dati della nostra vita e proprio il loro essere “indispensabili” ha permesso anche che penetrassero in modo massiccio nel settore dell’educazione e della formazione, così come era accaduto per l’e-learning. L’m-learning è diventato un fenomeno di enorme portata in cui si intravvedono scenari innovativi e potenzialmente creativi. La portabilità dei dispositivi e la facilità con cui è possibile creare e, al tempo stesso, condividere con qualsiasi utente qualsiasi tipo di materiali (filmati, immagini, testi, audio) hanno sancito finalmente il superamento della difficoltà d’uso delle TIC che un tempo non molto lontano le rendeva dominio quasi esclusivo di una nicchia di pochi esperti. La strada da percorrere per introdurre l’m-learning nella didattica attualmente è sicuramente ricca di stimoli (dalla flipped classroom alla 124

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gamification), ma non è nemmeno priva di ostacoli, non solo per le scelte metodologiche necessarie alla creazione e alla gestione dei contenuti (o, come si è detto, dei “bocconcini di apprendimento”), ma anche per la scelta dei dispositivi da utilizzare e per le difficoltà pratiche dovute alla loro distribuzione e gestione.

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seconda parte

ESPERIENZE

capitolo vi

LO SVILUPPO DELLA SCRITTURA ACCADEMICA IN ITALIANO L2 IN PERCORSI BLENDED LEARNING Elisabetta Jafrancesco Università degli Studi di Firenze

1. Introduzione Con questo contributo si intende svolgere una riflessione sull’uso e sulle potenzialità della piattaforma di apprendimento Moodle (Modular Object-Oriented Dinamic Learning Enviroment)1 per la creazione di ambienti virtuali di apprendimento dell’italiano L2, a partire da percorsi didattici erogati in modalità blended learning – che ricorrono cioè a un tipo di progettazione didattica che integra e-learning e formazione in aula, sfruttando la specificità di ciascuna modalità di insegnamento2 – per lo sviluppo delle abilità di produzione e di interazione scritta per scopi accademici in studenti stranieri universitari. La proposta didattica a cui si fa riferimento rientra nel più ampio quadro delle politiche universitarie per l’e-learning, nate dalle sollecitazioni di ambito comunitario in materia di innovazione dei sistemi di 1 Moodle è una piattaforma Learning Content Management System (LCMS) per la gestione di utenti (LMS), corsi e contenuti (CMS), sviluppata in Australia nel 1999 da Dougiamas, in base ai principi del costruttivismo sociale, e in uso in molti atenei italiani, fra cui anche quello fiorentino.

2 Per approfondimenti sul blended learning, cfr. Ligorio, Cacciamani, Cesareni 2006; Ligorio, Spadaro, Cucchiara 2008; Fratter, Jafrancesco 2010.

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istruzione3 – accolte a livello nazionale da oltre un decennio4 –, che vedono nelle potenzialità dei modelli pedagogici basati sulla Rete e sulle TIC per la didattica uno strumento strategico per la società della conoscenza e per il lifelong learning5. In questa prospettiva, l’“alfabetismo digitale”, che consiste «nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione» (Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea 2006), rappresenta uno dei requisiti fondamentali, insieme ad altre competenze di base, fra cui la capacità di lettura e di scrittura, per la partecipazione attiva alla società e per l’acquisizione di competenze e di conoscenze necessarie per vivere e lavorare nel mondo di oggi, come ribadito con forza anche negli obiettivi strategici del programma Istruzione e formazione 2020 (ET 2020) in materia di miglioramento della qualità e dell’efficacia dell’istruzione e della formazione (Consiglio dell’Unione europea 2009). L’uso critico e responsabile delle TIC, con la capacità di comunicare nelle lingue straniere, rientra infatti fra le «competenze chiave»6, che l’istruzione e la formazione hanno il compito di sviluppare lungo tutto l’arco della vita, con lo scopo di migliorare la qualità dell’apprendimento, di favorire l’accesso a risorse e a servizi, di facilitare scambi e collaborazione a distanza, e di consentire alle persone di adattarsi in modo flessibile a un mondo che cambia rapidamente, caratterizzato da un alto grado di interconnessione (Parlamento Europeo, Consiglio d’Europa 2006)7. 3 A partire dalle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del 2000, in cui nel definire gli obiettivi dei sistemi di istruzione e di formazione si sottolinea la centralità delle competenze digitali in tutte le fasce della popolazione.

4 Si fa riferimento, in particolare, al Decreto Moratti-Stanca del 2003 (DM del 17.04.2003, in GU n. 98 del 29.04.2003), e successive modifiche (DM del 15.04.2005, in GU n. 104 del 6.05.2005), che regolamenta la formazione universitaria. 5 Si tenga anche conto del progetto OCSE sulla Definizione e Selezione delle Competenze (DeSeCo), che identifica le key competence, fondamentali per la realizzazione e lo sviluppo personali e per la cittadinanza attiva.

6 La lista completa delle competenze chiave è la seguente: 1. comunicazione nella madrelingua; 2. comunicazione nelle lingue straniere; 3. competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4. competenza digitale; 5. imparare a imparare; 6. competenze sociali e civiche; 7. spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8. consapevolezza ed espressione culturale. 7 A livello italiano, in materia di competenze chiave per l’apprendimento permanente, cfr. i DDMM n. 139 del 22.08.2007, n. 9 del 27.01.2010, n. 57 del 15.07.2010.

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In questa ottica, tenendo conto anche delle caratteristiche dei destinatari riguardo all’uso delle TIC (cfr. infra, par. 2), il percorso didattico oggetto del presente articolo si pone i seguenti due obiettivi principali: 1. sviluppare le attività di produzione/interazione scritta in italiano L2 degli studenti; 2. fornire ai destinatari del percorso didattico l’opportunità di potenziare la propria competenza digitale. Coerentemente con i documenti comunitari, la competenza digitale è qui intesa come abilità di ricerca, di raccolta e di trattamento delle informazioni per un loro uso critico, con un chiaro superamento della concezione che si limita a identificare tale competenza con le abilità tecniche all’uso degli strumenti che, con l’apprendimento linguistico, è alla base di ulteriori apprendimenti. In altre parole, il corso di scrittura accademica, oggetto del presente contributo, mira a offrire ai destinatari la possibilità di rafforzare e aggiornare alcune delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, per lo sviluppo personale e per l’occupazione. I destinatari del corso sono per lo più giovani adulti, con un alto livello di competenza digitale, che consente loro di usare con disinvoltura i vari strumenti della Comunicazione Mediata da Computer (CMC) e di padroneggiare agevolmente la complessità tecnologica, sebbene soprattutto con motivazioni legate alla sfera personale e al tempo libero, ma che hanno in genere una scarsa familiarità di impiego della Rete e degli strumenti del cosiddetto Web 2.0 a fini di studio o di lavoro8. Per quanto riguarda la struttura del presente articolo, dopo questa breve Introduzione, il secondo paragrafo presenta una sintetica analisi del profilo dei destinatari del corso blended learning di scrittura accademica e dei loro bisogni linguistico-comunicativi in italiano L2, relativamente alle attività di produzione/interazione scritta, riportando inoltre i risultati di una breve indagine sulle competenze digitali degli studenti condotta all’inizio del corso. Il terzo paragrafo è incentrato sul paradigma costruttivista socioculturale, evidenziando le ricadute di tali teorie dell’apprendimento nel campo 8 Per approfondimenti sul tema del grado di alfabetizzazione tecnologica degli studenti stranieri universitari, cfr. Fratter, Jafrancesco 2010; Fratter et al. 2010.

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dell’istruzione e della formazione con l’uso delle TIC e della Rete. Il quarto paragrafo focalizza l’attenzione sulla piattaforma e-learning Moodle, con cui viene erogato il corso di scrittura accademica e attraverso cui è possibile costruire apprendimento significativo, coerentemente con il modello pedagogico costruttivista. Nel quinto paragrafo, infine, sarà presentato da un punto di vista pratico di utilizzo il corso di scrittura accademica per studenti universitari stranieri, incentrando l’attenzione sugli strumenti per la collaborazione in Rete.

2. Destinatari e loro bisogni di apprendimento I destinatari dei percorsi blended learning oggetto di questo contributo sono apprendenti di italiano L2, giovani adulti, inseriti nell’Ateneo fiorentino, che usufruiscono, per la formazione linguistica, dei servizi offerti dal Centro Linguistico di Ateneo (CLA). Si tratta di studenti riconducibili principalmente alle seguenti due tipologie: a) studenti in mobilità internazionale (p. es. Erasmus+, Scienza senza frontiere)9; b) studenti iscritti ai vari Corsi di Laurea (CdL)10. Gli studenti della prima tipologia sono numericamente il gruppo più consistente – in base ai dati statistici relativi al 2014, essi rappresentano il 93,7% del totale degli iscritti al CLA –, mentre gli studenti dei vari CdL rappresentano una ristretta minoranza (pari solo al 6,3%). Dato, questo, che si rispecchia nella composizione delle classi, sia quella dei normali corsi di italiano L2, che si svolgono in presenza, sia quella dei corsi di scrittura 9 Come è noto, Erasmus+ è il nuovo programma dell’UE per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport per il periodo 2014-2020 (cfr. il sito Internet http://goo.gl/vCBKPM), mentre Scienza senza frontiere è un progetto che favorisce la mobilità internazionale di studenti, studiosi e ricercatori brasiliani verso università e centri di ricerca di alta qualificazione stranieri (cfr. il sito Internet http://goo.gl/UDqy0J). 10 Per una analisi del profilo dello studente straniero universitario, cfr. Fratter, Jafrancesco 2010; Fragai, Fratter, Jafrancesco 2012.

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accademica blended learning, oggetto del presente articolo. Focalizzando l’attenzione sugli utenti del CLA appartenenti al primo gruppo (a), si tratta di studenti che partecipano a programmi che prevedono la mobilità internazionale, oppure che sono in Italia grazie ad accordi interuniversitari, che svolgono un periodo di studio, di ricerca o di tirocinio presso l’università italiana e, nel caso specifico, presso l’Ateneo fiorentino, con borse di studio che in genere tendono a coprire l’intero anno accademico11, con ovvi effetti positivi sia sulla validità del soggiorno di studio all’estero, sia sull’organizzazione della didattica universitaria, rispetto agli anni passati – agli inizi della mobilità studentesca internazionale12 –, quando le borse di studio avevano una durata inferiore13 e la partecipazione degli studenti alle attività formative, anche per la diversa organizzazione della didattica prima della Riforma universitaria del 3+2 (DM 509 del 3.11.1999), si limitava spesso alla sola frequenza ai corsi. Attualmente anche gli studenti stranieri con borse di studio di mobilità internazionale, soprattutto Erasmus+, alla stregua degli studenti stranieri iscritti ai vari Corsi di Laurea – gruppo (b) – e degli studenti italiani, seguono corsi, sostengono esami, svolgono attività di tirocinio, partecipano cioè interamente alle attività didattiche previste dall’università e sono sempre più spesso chiamati, rispetto al passato, anche per le attività di verifica e di valutazione, a gestire non solo la comunicazione orale, ma anche quella scritta, relativamente ai generi testuali caratteristici dell’ambito universitario. In altre parole, gli studenti stranieri universitari, soprattutto in relazione alle caratteristiche del loro soggiorno di studio in Italia, sono impegnati quotidianamente, come gli studenti italiani, in attività di scrittura, con riferimento sia alle normali attività didattiche (p. es. appunti, relazioni di tirocinio, tesine ecc.), sia a quelle a carattere scientifico (divulgazione dei risultati di indagini o di ricerche) e necessitano pertanto di interventi didattici volti a svi11 È il caso, per esempio degli studenti brasiliani del programma Scienza senza frontiere. Per quanto riguarda gli studenti Erasmus, in base ai dati disponibili, relativi all’anno 2012-2013, la durata media del periodo trascorso all’estero è pari a sei mesi (per i dati statistici cfr. il sito Internet http://goo.gl/h0eVa3). 12 Il programma comunitario Erasmus nasce nel 1987 e coinvolge un numero di studenti in Europa, pari a 3244 unità, di cui 220 in Italia. 13 Nella prima fase di attuazione del programma Socrates/Erasmus (1995-1996) la durata media delle borse di studio era inferiore a sette mesi. Cfr. Jafrancesco 2004.

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luppare la conoscenza delle tecniche di scrittura e di redazione testi, anche in considerazione del generale stato di sofferenza delle competenze di scrittura accademica degli studenti universitari stranieri – ma anche italiani14 –, legate principalmente, da un lato allo svolgimento di una inadeguata formazione in italiano L2 prima del soggiorno di studio in Italia, dall’altro al poco tempo che in genere viene dedicato, nei normali corsi di lingua italiana, allo sviluppo delle abilità di produzione/interazione scritta – in Italia come all’estero –, a causa soprattutto dell’esiguità delle ore di ciascun modulo formativo, dell’elevato numero degli studenti per classe, dell’impegno richiesto dalle attività di scrittura15. Come sottolineato da più parti (cfr., tra gli altri, Boscolo 2014), la capacità di scrivere è una competenza fondamentale per gli studenti universitari, per la rilevanza della scrittura nel settore educativo in cui sono inseriti, e in quello professionale, in cui opereranno in futuro. La «scrittura, infatti», come sottolinea Novello (2012: 93), «sviluppando la capacità di articolare idee, argomentare opinioni e sintetizzare prospettive multiple è funzionale a comunicare in modo persuasivo con insegnanti, pari, colleghi e con la collettività intera (Crowhurst 1990)». Tuttavia, gli studenti stranieri, come anche quelli italiani, presentano carenze molto accentuate nella scrittura, che riguardano sia la dimensione linguistica (morfologia, sintassi, lessico, ortografia ecc.), sia la dimensione testuale. I principali bisogni linguistico-comunicativi in italiano L2 degli studenti stranieri dei Centri linguistici universitari, come evidenziano le indagini disponibili (p. es. Fratter, Jafrancesco 2010; Fragai, Fratter, Jafrancesco 2012), riguardano le attività proprie dell’ambito accademico, in particolare quelle caratterizzate da elevati livelli di formalità, soprattutto produttive e principalmente scritte (p. es. sostenere un esame orale, scrivere una relazione/tesina ecc.). Infatti, anche quanti sono in grado di interagire in modo adeguato con i compagni di studio e in situazioni

14 Fra i primi studi sulle competenze linguistiche degli studenti universitari, cfr. Lavinio, Sobrero 1991. 15 In base ai dati di cui si dispone, presso i vari Centri Linguistici universitari, per ciascun livello del QCER si offrono corsi che prevedono da 30 a 60 ore di lezione in aula e il numero di studenti per classe varia da 20 a 40 unità.

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di vita quotidiana, in relazione soprattutto alla loro L1 neolatina16, data la scarsità delle ore di studio dedicate alla lingua italiana prima del loro soggiorno nel nostro Paese (Fratter, Jafrancesco 2010; Fragai, Fratter, Jafrancesco 2012), mostrano notevoli difficoltà a usare la lingua per svolgere compiti complessi (p. es. scrivere lettere formali, fare la sintesi di testi ecc.) e per gestire la testualità propria del contesto universitario in cui si trovano ad agire comunicativamente. Lo sviluppo di una abilità complessa come la scrittura, soprattutto in relazione alla gestione della testualità di ambito accademico, caratterizzata da usi tecnico-specialistici della lingua (Cummins 2000), richiede tempi lunghi, nonché specifiche e ricorrenti attività esercitative, e non viene in genere affrontato adeguatamente nei normali corsi di italiano L2, che si svolgono di solito in presenza e che sono costituiti da un numero di ore molto limitato17, proprio a causa dell’impegno e del tempo che la scrittura richiede, mentre si ritiene che trovi una collocazione appropriata in soluzioni didattiche blended learning, come quella oggetto della presente riflessione, che consentono agli studenti di lavorare online in modo autonomo, rispettando inoltre i propri ritmi di apprendimento. Per concludere, la proposta formativa blended learning di scrittura accademica, illustrata in questo contributo (cfr. infra, par. 5), poiché adotta una prospettiva pedagogica di tipo learner centered, si colloca in un quadro di scelte operate sulla base di elementi conoscitivi sui destinatari e sui loro bisogni linguistico-comunicativi in italiano L2, che sono legati al contesto accademico di inserimento, in cui principalmente gli studenti stranieri spendono le proprie competenze in italiano L2 e in cui nascono le sollecitazioni allo sviluppo della competenza. Elementi, questi, fondamentali per la definizione degli obiettivi glottodidattici di qualsiasi percorso di studio tarato sulle effettive caratteristiche degli studenti e sui loro bisogni di apprendimento. 16 In base ai dati dell’Unione Europea relativi all’anno 2012-2013, il 53,9% degli studenti in entrata in Italia con il programma Erasmus ha una L1 di origine romanza, in particolare, il 37,2% spagnolo, il 9,6% francese, il 4,1% portoghese, il 3,0% romeno. 17 Al momento i moduli formativi in presenza sono di 30 ore, sebbene i livelli centrali della competenza (B1 e B2) siano articolati in due sottomoduli (B1.1 e B1.2; B2.1 e B2.2) di 30 ore ognuno.

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2.1. Alcuni dati sugli studenti del corso In relazione alla necessità, da parte dei docenti, di disporre di elementi conoscitivi sugli apprendenti, su cui basare interventi didattici che rispondano alle caratteristiche degli studenti, in questo paragrafo si presentano alcuni dati relativi al questionario conoscitivo, riportato in appendice, che viene somministrato all’inizio del corso di scrittura accademica, in genere durante il primo incontro in presenza. Si tratta di dati che ovviamente non consentono, per la loro esiguità numerica, di fare generalizzazioni, ma che possono rappresentare un esempio di come i docenti possono farsi un quadro preciso del profilo degli studenti, relativamente alle competenze digitali possedute, prima di iniziare un corso che prevede l’uso di una piattaforma e-learning. Il questionario, come è stato già evidenziato, mira a raccogliere informazioni utili per la realizzazione dell’intervento formativo ed è incentrato sulla autovalutazione delle competenze digitali degli studenti (Sezione C-Sezione F). Esso è costituito da 42 quesiti, quasi tutti, eccetto l’ultimo (Sezione G) a risposta chiusa. I vari quesiti sono raggruppati nelle sezioni riportate nella tabella che segue (cfr. tab. 1). Sezione

Contenuti

Sezione A

Informazioni personali

Sezione B

Competenze linguistiche

Sezione C

Uso di Internet

Sezione D

Autovalutazione del livello di conoscenza di − Software − Servizi Internet − Ambienti per la didattica a distanza

Sezione E

Esperienze di partecipazione ad attività in Rete

Sezione F

Accesso alla Rete

Sezione G

Motivazioni e aspettative dal corso

tab. 1. Struttura del Questionario conoscitivo.

Dall’analisi delle informazioni personali (Sezione A), relative al corso erogato nell’anno 2014-201518, risulta che 7 utenti su 10 sono studenti in 18 Il corso di scrittura accademica viene erogato in genere una volta all’anno, a cavallo fra il ciclo invernale e quello primaverile, quando gli studenti stranieri mettono a fuoco la necessità di perfezionare le proprie competenze in italiano L2, in concomitanza della redazione di relazioni, tesi di laurea ecc.

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mobilità internazionale – di cui 4 Erasmus – e 3 sono studenti iscritti all’università (Corsi di Laurea, Master, Scuole di Dottorato). Vi è una netta prevalenza di studenti di sesso femminile (9 su 10), che provengono da 7 paesi, di cui 3 UE (Spagna, Polonia, Gran Bretagna), 2 europei extra UE (Bielorussia, Serbia) e due extraeuropei (Colombia, Stati Uniti). Per quanto riguarda i settori di studio, sono studenti che fanno riferimento alle seguenti Scuole: Studi Umanistici e della Formazione (3), Psicologia (2), Scienze della Salute Umana (2), Agraria (1), Architettura (1), Ingegneria (1). Relativamente alle competenze linguistiche (Sezione B) si tratta principalmente di studenti di lingua spagnola (4), vi sono poi studenti di lingua inglese (2), polacca (2), bielorussa (1), serba (1). Quanto alle comptenze in italiano L2, la maggioranza degli studenti si autovaluta di Livello B2 (6), poi vi sono studenti di Livello B1 (2), di Livello A2 (1) e di Livello C1 (1). Nonostante il livello medio-alto di competenza dichiarato in italiano L2, la maggioranza degli studenti ha alle spalle un numero di ore abbastanza modesto di studio della lingua italiana: 151-250 ore (5), 1-150 ore (2), più di 500 ore (2), 251-500 ore (1). Passando all’uso di Internet (Sezione C), la quasi totalità degli studenti (9 su 10) dichiara di usare Internet sia per lo studio, sia per utilità personale. Inoltre, la totalità degli studenti possiede un proprio computer, portatile (8) oppure fisso (2), e ha una connessione flat, cioè illimitata, 24 ore su 24. Per quanto riguarda la competenza nell’uso di determinati software (Sezione D), la maggioranza degli studenti dichiara di avere buona conoscenza dell’ambiente Windows (5, ottima; 3, buona) e di padroneggiare i programmi di videoscrittura (6, ottima conoscenza; 3, buona conoscenza). Abbastanza buona è anche la conoscenza dei fogli elettronici (4 buona; 2 ottima) e dei programmi per le presentazioni multimediali (3 buona; 3 ottima). Dati, questi, che, sulla base dell’esperienza di chi scrive, risultano solo parzialmente veritieri. Infatti, gli studenti hanno dimostrato, durante il corso, di saper utilizzare solo le funzioni di base delle applicazioni di cui hanno valutato positivamente il loro livello di competenza, quali, per esempio, le applicazioni del pacchetto Office: software di videoscrittura (p. es. Word), per le presentazioni multimediali (PowerPoint) ecc. Molto scarsa è invece, in base ai dati del questionario, la conoscenza di ambienti per la creazione di pagine web (7 nessuna; 1 scarsa). Inoltre, limitandosi a commentare i dati più significativi relativi ai servizi Internet, la netta maggioranza degli studenti dichiara di avere un’alta 137

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competenza nell’uso dei principali motori di ricerca (8, ottima; 2, buona), dei servizi di posta elettronica (8, ottima; 1, buona), di Skype (8, ottima; 1, buona), mentre ha poca competenza d’uso con gli ambienti per la comunicazione di gruppo (newsgroup) (4 scarsa; 3 nessuna) e per la scrittura collaborativa (4 scarsa; 3 nessuna). Analizzando i dati relativi agli ambienti per la didattica a distanza, la maggioranza dichiara di avere una conoscenza abbastanza buona delle piattaforme e-learning (4, buona; 2, ottima) e di ambienti per la valutazione automatizzata dell’apprendimento (4, buona; 2, ottima), solo 3 studenti, in entrambi i casi affermano di non averne alcuna. Per quanto riguarda le esperienze di partecipazione ad attività in Rete (Sezione E), si segnala che 5 studenti dichiarano di far parte di community di rapporti sociali (Facebook) e 4 studenti di partecipare a gruppi di discussione. Inoltre, 3 studenti hanno esperienza di corsi in Rete basati sull’uso autonomo di materiali strutturati e 2 studenti di corsi in Rete basati sullo studio collaborativo. Per quanto concerne l’accesso alla Rete, le ore serali e quelle del primo mattino sono quelle preferite per svolgere le attività previste dal corso di scrittura accademica. Infine, per quanto riguarda le motivazioni e le aspettative che hanno determinato l’iscrizione al corso (Sezione G), si riporta quanto scritto da tre studenti, che sintetizza il punto di vista della classe, evidenziando la consapevolezza e la sensibilità degli studenti relativamente alla − complessità della scrittura, soprattutto di livello formale (diafasia); − variazione diamesica della lingua (rapporto fra oralità e scrittura); − correlazione esistente fra lettura e scrittura. Tematiche, queste, che, con riferimento, in particolare, agli studi Bachtin (1986), sono centrali nelle riflessioni sulla scrittura del costruttivismo sociale e che meriterebbero di essere approfondite. Ho già frequentato alcuni corsi di lingua Italiana, ma non ho fatta mai tanta attenzione alla scrittura. Si faceva sempre più la grammatica. Oltre di pensare che la scrittura generalmente sia importante, pensavo anche di fare la prova di conoscienza linguistica e questo corso mi sarà utile per fare meglio la parte di compresione scritta. 138

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Volevo approfondire tutti questi argomenti che erano messi nella presentazione per trovare modo di comunicare in maniera formale su tutti questi campi, perché vedo tante mancanze nella mia scrittura. Credo che facendo questo corso imparerò molte cose per essere in grado di scrivire meglio, anche se imparerò a parlare meglio.

3. Quadro teorico di riferimento Il modello pedagogico di riferimento per il corso di scrittura accademica, oggetto del presente articolo, è di tipo learner centered e fa riferimento alle teorie sull’apprendimento di tipo costruttivista. Tali teorie, infatti, sono quelle che meglio si adattano ai mutati scenari della conoscenza e che, nel caso specifico, influenzano maggiormente la ricerca relativa all’uso delle TIC nella didattica e, in particolare, nella didattica delle lingue19. Come è noto, la concezione costruttivista dell’apprendimento evidenzia la centralità del soggetto che apprende, non più ricettore passivo dei significati predefiniti impartiti con istruzione, ma come individuo che attivamente e intenzionalmente costruisce le proprie conoscenze, rielaborando in modo personale, attraverso i saperi posseduti, sensazioni e emozioni, l’istruzione ricevuta e ristrutturando di continuo il proprio sistema di conoscenze attraverso l’interazione con l’ambiente esterno (costruttivismo socioculturale)20. Pertanto, con la prospettiva costruttivista, si passa da una concezione dell’apprendimento teaching centered, a una concezione learning centered, in cui il docente non è più il depositario di saperi astratti e decontestualizzati, ma ha il compito di guidare i processi di apprendimento, aiutando gli studenti nella costruzione consapevole e nella ridefinizione delle conoscenze. Lo sviluppo della conoscenza non consiste pertanto, come in una concezione trasmissiva del sapere, caratteristica delle teorie comportamentistiche, nel passaggio di conoscenze preconfezionate dal docente al discente (approccio istruzionista), ma è frutto della costruzione attiva 19 Per una riflessione sugli assunti della pedagogia costruttivista e sull’uso delle tecnologie digitali e della Rete, cfr. Fratter 2004b. 20 Cfr. Duffy, Jonassen 1992; Varisco 2002.

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dello studente, ha carattere situato – cioè ancorato nel contesto concreto –, e avviene attraverso la comprensione di prospettive multiple e attraverso forme di collaborazione e negoziazione sociale. L’istruzione non è causa dell’apprendimento, ma ha un ruolo fondamentale nella creazione di contesti significativi di apprendimento21, in cui lo sviluppo delle conoscenze è reso possibile. Per Jonassen (1994), uno dei maggiori esponenti del costruttivismo contemporaneo, gli ambienti di apprendimento significativo per la didattica con le TIC hanno le seguenti caratteristiche: − offrono rappresentazioni multiple della realtà; − presentano la naturale complessità del mondo reale ed evitano le eccessive semplificazioni; − enfatizzano la costruzione e non la riproduzione della conoscenza; − propongono compiti autentici, contestualizzando e non astraendo; − presentano contesti di apprendimento del mondo reale, basati su casi, piuttosto che su sequenze istruttive predeterminate; − sollecitano pratiche riflessive; − promuovono la costruzione cooperativa della conoscenza, attraverso la negoziazione sociale. In quest’ottica, l’apprendimento significativo si realizza quando gli studenti possono investigare, esplorare, scrivere, costruire modelli, fare comunità, comunicare con altri, progettare, visualizzare, valutare, e i risultati dell’apprendimento significativo consistono nella soluzione di problemi (problem solving). L’apprendimento significativo esalta dunque la centralità dell’interazione nei processi di costruzione della conoscenza ed è inoltre attento a tutte le dimensioni dell’apprendente: cognitiva, pratico-operativa, affettivo-motivazionale, relazionale-sociale, metacognitiva. Si tratta, in altre parole, di quei saperi (sapere, saper fare, saper essere, saper apprendere)22, che 21 Cfr. le riflessioni teoriche del cognitivismo di stampo costruttivista (Ausubel 1988).

22 Il sapere si riferisce alle conoscenze dichiarative che derivano dall’esperienza empirica e dall’apprendimento formale; il saper fare alle abilità (skills), al sapere procedurale; il saper essere alla competenza esistenziale, alle caratteristiche individuali, ai tratti della personalità, agli atteggiamenti; il saper apprendere alle altre competenze, inteso anche come «sapere come».

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riguardano la persona nel suo complesso e che sono implicati in ogni tipo apprendimento. Gli ambienti di apprendimento di stampo costruttivista sono di conseguenza sistemi complessi, contesti in cui si impara a interagire con gli altri e in cui si sviluppano abilità e processi cognitivi di livello superiore, che attengono alla sfera del pensiero critico, del pensiero creativo, della presa di decisioni, della risoluzione di problemi. Un ambiente di apprendimento con tali caratteristiche è un luogo di interazione, collaborazione e aiuto reciproco per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, in cui sono più importanti i processi di elaborazione e costruzione dei contenuti, piuttosto che i contenuti in se stessi. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni, con la nascita di nuovi strumenti per la comunicazione, ha avuto importanti ricadute nella didattica di stampo costruttivista. Le potenzialità offerte dalle TIC e dalla Rete consentono infatti la creazione di ambienti di apprendimento significativo, che offrono rappresentazioni multiple della realtà e approcci non lineari e poliprospettici, attraverso, per esempio, l’accesso a risorse su supporto digitale e multimediale, oppure attraverso strumenti per la manipolazione, l’elaborazione e l’archiviazione di informazioni e testi. Inoltre, offrono strumenti collaborativi, di comunicazione sincrona e asincrona, di supporto e di monitoraggio online per studenti e docenti. È il caso, per esempio, delle piattaforme di apprendimento come Moodle per la condivisione delle informazioni e delle attività da svolgere online23. L’esistenza di set di strumenti per l’apprendimento/insegnamento, realizzati al fine di migliorare e potenziare la qualità dell’istruzione e della formazione, propri degli ambienti virtuali, consentono di parlare di apprendimento collaborativo basato sul computer (Computer Supported Collaborative Learning, CSCL), il quale fa riferimento alla concezione dell’apprendimento come processo sociale, che prevede la costruzione attiva della conoscenza attraverso l’interazione di gruppo, lo scambio fra pari, e in cui il ruolo del docente, di organizzatore e facilitatore dell’apprendimento, è fondamentale. L’apprendimento collaborativo è caratterizzato dall’inter23 Per approfondimenti sul concetto di «apprendimento significativo» e sulle potenzialità della piattaforma e-learning Moodle, cfr. Marconato 2011.

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dipendenza tra i membri del gruppo24, dalla condivisione/ripartizione dei compiti e dalla gestione del processo di gruppo25, e dall’obiettivo comune di costruire qualcosa di nuovo/diverso, ottenendo dalla collaborazione un valore aggiunto. Negli ultimi decenni, per l’affermazione di modalità collaborative di apprendimento, il rapido sviluppo tecnologico nell’ambito delle TIC è stato determinante, a causa della nascita di una pluralità di sistemi e di strumenti, fra loro integrati, che forniscono un supporto adeguato ai processi sociali, educativi e di gruppo, implicati nelle attività di CSCL. Come ricordato da più parti (p. es. Marconato 2011), nell’epistemologia costruttivista, le tecnologie non sono veicoli per il trasferimento e per l’accesso alle informazioni, ma cognitive tools di supporto all’apprendimento, che promuovono la collaborazione e la socializzazione. Non si apprende dalle tecnologie, ma diventando consapevoli, da un punto di vista metacognitivo, dei propri processi di pensiero, che da esse sono supportati. L’apprendimento, in altre parole, è frutto delle attività di pensiero e le tecnologie non servono a semplificare e/o rendere più proficua la formazione con il ricorso a modalità operative digitali, ma sono risorse che stimolano proprio i processi di pensiero, che migliorano l’apprendimento, risultando strumenti particolarmente adatti, come dimostrano le ricerche in questo settore (Fratter, Jafrancesco 2010, 2014), per sviluppare le attività di scrittura. La scrittura infatti non è una semplice trasposizione del parlato e non coincide con il testo scritto, in quanto implica operazioni cognitive particolari (pianificare, formulare le idee ecc.), volte a raggiungere un obiettivo specifico (informare, narrare, persuadere ecc.), di cui il testo scritto è il risultato finale. Processi di pensiero a cui gli strumenti offerti dalle TIC, 24 Raggiungibile «attraverso obiettivi comuni (interdipendenza di obiettivo), la divisione del compito (interdipendenza di compito), la condivisione di materiali, risorse, informazioni (interdipendenza di risorse), l’assegnazione di ruoli diversi (interdipendenza di ruolo), e ricompense di gruppo (interdipendenza di ricompensa)» (Comoglio, Cardoso 1996: 30).

25 In relazione al livello di collaborazione nel gruppo, si distinguono due modelli fondamentali: 1. lo shared minds, in cui i componenti del gruppo lavorano in stretta collaborazione, comunicano costantemente fra loro e sviluppano forti dinamiche di interdipendenza. Si tratta di un modello basato sulla condivisione delle decisioni e delle azioni fra i membri del gruppo durante le fasi di progettazione, definizione e realizzazione del prodotto; 2. il division of labour, in cui i singoli membri del gruppo, una volta stabilito il compito che devono svolgere, procedono con una certa autonomia e poi collocano il proprio lavoro nel progetto complessivo.

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fig. 1. Modello del processo di scrittura (Hayes e Flower 1980).

intesi come strumenti cognitivi, possono fornire un ausilio straordinario. Si fa riferimento, in particolare, al modello processuale dei due studiosi di scienze cognitive Hayes e Flower (1980), che affermano il concetto di «scrittura come attività di pensiero», individuando tre processi o fasi della composizione: pre-writing («pianificazione»), writing («stesura»), re-writing («revisione»), nonché tecniche e strategie adeguate per lo svolgimento delle varie fasi.

4. Piattaforma Moodle e ambienti di apprendimento significativi L’adozione presso il CLA di Firenze della piattaforma di apprendimento open source26 Moodle avviene, coerentemente con le scelte in 26 I sistemi software di una piattaforma open source, a differenza di quelli commerciali, hanno licenze che consentono agli utenti di usare, studiare, modificare e ridistribuire il software, adattandolo ai vari contesti, con l’aggiunta di nuove funzionalità e/o il miglioramento di quelle esistenti, e condividendo le nuove versioni, controllate e verificate dalla vasta comunità degli sviluppatori, che ne possono individuare con facilità eventuali errori e difetti.

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materia di e-learning dell’Ateneo fiorentino, nell’anno 2005-2006, mentre le prime iniziative didattiche della Sezione di Italiano per stranieri del CLA risalgono all’anno successivo, quando si sperimenta per la prima volta un corso blended learning di Italiano L2 di ambito accademico (Livello C1) ( Jafrancesco, Rinaldi 2010). Il corso blended learning di scrittura accademica, a cui si fa riferimento nel presente articolo, è stato invece erogato per la prima volta nel 2010-2011 e giungerà questo anno (2015-2016) alla sua sesta edizione, vedendo la partecipazione complessivamente di circa 50 studenti. La scelta della piattaforma e-learning Moodle, riguarda la sua corrispondenza a parametri riconosciuti a livello internazionale27 e il fatto di essere in uso presso numerose università italiane e straniere. Moodle presenta inoltre caratteristiche tecniche (p. es. fruibilità su vari browser e sistemi operativi, sicurezza, controllo, tracciabilità degli accessi, interfaccia multilingue ecc.) e strumenti per l’erogazione didattica (gestione dei corsi, sistema di help, strumenti per la valutazione in itinere e complessiva, capacità di gestione di gruppi di lavoro, reportistica ecc.) che rendono questa risorsa per l’elearning adeguata alle esigenze del CLA. La piattaforma e-learnig Moodle, come altre piattaforme open source o proprietarie che fanno riferimento ad approcci pedagogici di tipo costruttivista, consente la creazione di ambienti di apprendimento significativi (cfr. supra, par. 3), soprattutto attraverso gli strumenti collaborativi per la didattica di cui dispone (p. es. chat, forum, wiki ecc.)28. Infatti, assumendo un’ottica non trasmissiva del sapere, in cui apprendere significa costruire in modo attivo la propria conoscenza sulla base delle proprie esperienze e 27 Tali parametri sono: a) la conformità agli standard per il contenuto, che assicura di avere a che fare con un sistema che consente a strumenti e metodi di formazione l’interoperabilità e la condivisione di risorse; b) l’estensione della comunità e la diffusione a livello nazionale, che garantisce maggiori scambi di informazioni e maggiori possibilità di supporto e assistenza; c) la corrispondenza ai requisiti di accessibilità, che consente l’accesso dei soggetti disabili (Legge n. 4 del 9.01.2004). 28 La chat è uno strumento per la comunicazione sincrona, che permette a più persone di scambiarsi dei brevi messaggi scritti in tempo reale, durante lo svolgimento di una attività, per risolvere rapidamente un problema. La chat consente la comunicazione uno-a-uno e molti-amolti. Il forum e il wiki sono software per la comunicazione asincrona, in cui gli interlocutori, non essendo sincronizzati fra loro temporalmente, possono comunicare nei modi e nei tempi ritenuti più opportuni. Il forum e il wiki consentono la comunicazione uno-a-molti e molti-amolti.

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attraverso forme di interazione sociale, volte alla individuazione e alla soluzione di problemi (Varisco 2002), è fondamentale disporre di strumenti coerenti con tale prospettiva, che permettono di creare ambienti di apprendimento, basati sulla condivisione di obiettivi comuni, sulla collaborazione e sulla cooperazione, in cui si condividono le conoscenze, in cui è possibile confrontarsi, discutere, negoziare e costruire significati29, sviluppando competenze cognitive e metacognitive fondamentali, nella cosiddetta knowledge society, in cui il saper divenire gioca un ruolo fondamentale. In tali ambienti, in base alle teorizzazioni di Jonassen (2003, 2007), si promuove un apprendimento che ha le seguenti proprietà: − attivo, tramite l’interazione con l’ambiente, la manipolazione degli oggetti in esso presenti, l’osservazione dei risultati delle proprie azioni30; − costruttivo, con l’acquisizione di nuovi saperi, la ristrutturazione delle conoscenze possedute; − intenzionale, attraverso azioni finalizzate al raggiungimento di scopi specifici; − autentico, tramite il riferimento a casi reali, la riproduzione della complessità della realtà; − collaborativo, con il lavoro in comunità, la negoziazione delle soluzioni ai problemi. La didattica di matrice costruttivista, che ricorre all’uso delle tecnologie, implica una profonda revisione dei paradigmi tradizionali dell’educazione, poiché le potenzialità offerte dalle TIC e dalla Rete, creano ambienti di apprendimento nuovi, in cui studenti e docenti assumono nuovi ruoli, che de29 Nella piattaforma e-learning Moodle, chat, forum e wiki, sono inclusi, insieme ad altri strumenti fra le Attività, cioè quelle applicazioni che servono per garantire il coinvolgimento attivo degli studenti nell’apprendimento e nei percorsi formativi, attraverso il sostegno dell’interazione fra i partecipanti e l’apertura verso altri contesti di apprendimento, coerentemente con i modelli pedagogici basati sulle TIC.

30 In tema di formazione universitaria, Chickering e Gamson (1997, cit. in Trentin 2008: 51) individuano sette principi per l’apprendimento attivo: 1. favorire e incoraggiare il contatto fra studenti e membri della facoltà; 2. Sviluppare reciprocità e collaborazione fra gli studenti; 3. Adottare tecniche di active learning; 4. fornire rapidi feedback; 5. aiutare gli studenti nella gestione dei tempi legati allo sviluppo delle attività di apprendimento; 6. Richiedere elevati livelli di performance agli studenti; 7. Rispettare i diversi stili e ritmi di apprendimento.

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vono essere colti nella loro specificità. La didattica con le TIC, se da un lato arricchisce il lavoro del docente, dall’altro tende inevitabilmente a complessificarlo, per la pluralità di competenze richieste per gestire in modo efficace i processi di apprendimento. Tali competenze, come esplicitato in recenti documenti europei in materia di qualità dell’istruzione e della formazione, fra cui, per l’insegnamento linguistico, il Profilo europeo per la formazione dei docenti di lingue (Grenfell, Kelly 2004/2010)31, non sono infatti di natura unicamente disciplinare, ma hanno anche carattere didattico-pedagogico, psicologico-sociale, informatico, relazionale, e sono da mettere in relazione con le nuove funzioni – di istruttore, facilitatore, moderatore – che il docente è chiamato a svolgere.

5. Il corso di scrittura accademica blended learning Il corso di scrittura accademica, che si presenta in questo paragrafo, come è stato già evidenziato, è di tipo blended learning, fa riferimento cioè a una strategia di progettazione didattica che integra e-learning e formazione in aula, sfruttando la specificità di ciascuna modalità di insegnamento. In particolare, il blended learning consente di erogare elettronicamente i materiali formativi, alternando momenti di apprendimento in presenza, a momenti di apprendimento collaborativi attraverso la Rete, integrati a momenti di apprendimento a distanza. Al Centro linguistico di Firenze, la scelta di soluzioni blended learning per l’italiano L2, riguarda non solo la possibilità di sfruttare al meglio gli aspetti positivi della didattica online e di quella in presenza, ma anche l’esigenza di far fronte a questioni di vario genere: organizzative, gestionali e didattiche, che non è possibile approfondire in questa sede32, ma che sono 31 Cfr. anche il documento UNESCO sulle competenze dei docenti sulle TIC, in cui si puntualizza, fra le altre cose, che i «docenti devono conoscere a livello base il funzionamento dell’hardware, delle applicazioni software, dei browser di navigazione, di programmi di comunicazione, software di gestione e per realizzare presentazioni». Inoltre, in tema di organizzazione e gestione degli ambienti didattici, i «docenti devono essere in grado di utilizzare la tecnologia nelle attività con l’intera classe, con piccoli gruppi o con i singoli alunni, garantendo a ciascuno l’accesso agli strumenti tecnologici» (UNESCO 2010: 28). 32 Per approfondimenti su questi aspetti, cfr. Jafrancesco 2014. Sui vantaggi del blended learning in ambito universitario, cfr. Trentin 2008.

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legate principalmente alla limitatezza delle risorse disponibili, al funzionamento della didattica nelle varie scuole, a cui il Centro linguistico offre i suoi servizi, all’eterogeneità dei profili degli studenti (settori di studio, tempo a disposizione per l’apprendimento dell’italiano L2, stili e ritmi di apprendimento ecc.) (Fratter, Jafrancesco 2010). In questo contesto ci si limita a sottolineare che le soluzioni blended learning permettono di sviluppare competenze che altrimenti, cioè nella didattica in aula di tipo tradizionale, non potrebbero essere adeguatamente sviluppate, soprattutto per i seguenti motivi: − alto numero di studenti per classe; − scarsa consistenza oraria dei corsi; − tempi lunghi per lo svolgimento delle attività di scrittura.

Pertanto, considerando che gli studenti stranieri, come è stato già sottolineato (cfr. supra, par. 2), padroneggiano con difficoltà le attività di scrittura in italiano L2, sebbene siano impegnati a utilizzare quasi ogni giorno questa abilità nel contesto accademico, in cui le attività scritte sono di importanza fondamentale – dalla presa di appunti durante le lezioni, alla sintesi dei testi di studio, alla stesura di relazioni, tesine ecc. –, si ritengono necessari interventi didattici specifici, quali, per esempio, il percorso didattico che qui si propone, non solo per la riuscita del soggiorno di studio in Italia, ma anche per la trasferibilità di alcune competenze in altri apprendimenti. 5.1. Struttura del corso Il corso di scrittura accademica blended learning è di Livello B1-B2. Ha carattere estensivo e dura complessivamente 10 settimane. Prevede 15 ore di formazione in presenza, articolate in 10 incontri con cadenza settimanale di 1,5 ore ciascuno e 60 ore di attività online, che includono lo studio individuale dei materiali forniti dal docente, lo svolgimento dei compiti di scrittura, le attività collaborative in Rete, le esercitazioni. Gli incontri in presenza, a eccezione del primo, servono a vari scopi, fra cui i principali sono i seguenti: − presentazione del lavoro da svolgere nei moduli; − riflessione collettiva sui compiti realizzati; 147

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− chiarimento di dubbi; − svolgimento di attività su contenuti linguistici e testuali funzionali ai compiti da svolgere/svolti ecc. Il primo incontro in presenza, convocato per posta elettronica, dà inizio al corso e serve a creare le condizioni ottimali per il suo svolgimento. L’incontro ha le seguenti funzioni: − conoscenza reciproca dei partecipanti (studenti, docente, tecnici informatici); − presentazione del corso, delle scelte metodologiche adottate e dei criteri di valutazione; − somministrazione di un questionario per il reperimento di informazioni sugli studenti; − formazione tecnologica all’utilizzo di Moodle, distribuzione di materiali cartacei di vario genere (p. es. breve guida all’uso della piattaforma e-learning); − discussione su motivazioni e aspettative riguardo al corso; − definizione degli impegni reciproci fra docente e studenti.

Il corso di scrittura è articolato in 5 moduli, ognuno dei quali è a sua volta suddiviso in 2 sottomoduli, di durata settimanale. Ciascun sottomodulo è dedicato a uno specifico genere testuale. La scelta dei contenuti testuali dei vari moduli, con l’obiettivo generale di soddisfare i bisogni linguistico-comunicativi degli studenti, mirando a metterli in grado di svolgere con successo il percorso di studio nell’università italiana, si è orientata verso un tipo di testualità significativo nel contesto accademico (p. es. lettera formale, abstract, schedatura di fonti bibliografiche, tesina ecc.) e verso contenuti rilevanti sul piano culturale, anche in relazione ai settori di studio degli studenti. Per la selezione dei generi testuali, si è fatto riferimento da un lato alle indicazioni contenute nel Quadro comune europeo di riferimento (o QCER, Consiglio d’Europa 2002) e nel Sillabo di italiano L2 di Lo Duca (2006), dall’altro a studi e indagini sulle motivazioni e sui bisogni linguistico-comunicativi degli studenti stranieri universitari (Fratter 2004b; Jafrancesco 2004; Fratter, Jafrancesco 2010; Fragai, Fratter, Jafrancesco 2011). Il formato del corso di scrittura accademica, nell’ambiente Moodle, 148

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è per argomenti, cioè il corpo centrale della pagina principale del corso è organizzato in sezioni, che contengono risorse e attività, di cui ognuna rappresenta un argomento del corso. La colonna centrale della pagina principale del corso è suddivisa in due settori principali: 1. lo spazio di servizio; 2. lo spazio di lavoro. Nelle colonne di sinistra e di destra della pagina principale del corso, vi sono alcuni blocchi (cfr. tab. 2), che fanno parte dell’interfaccia utente. I blocchi hanno carattere informativo, oppure forniscono l’accesso ad alcune funzioni. Persone

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tab.2. Moodle. I blocchi del corso di scrittura accademica.

Lo spazio di servizio (cfr. fig. 2) presenta materiali informativi di vario genere, resi disponibili o come pagine di testo («Descrizione del corso») o come file DOCX e PDF (p. es. «Programma e calendario del corso», «Questionario conoscitivo», «QCER Griglia di autovalutazione» ecc.), disponibili, questi ultimi, per il download. Vi sono poi strumenti per la comunicazione all’interno del gruppo: per la comunicazione asincrona due forum, di cui uno standard per uso generale («Forum del gruppo»), dedicato a comunicazioni e avvisi di vario genere, inerenti al corso, ma anche a 149

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eventi esterni (p. es. segnalazioni di mostre, eventi di vario genere); l’altro dedicato a questioni prettamente linguistiche («Dubbi linguistici»). Per la comunicazione sincrona, vi è la chat «Quattro chiacchiere», che è sempre aperta, ma può prevedere anche sessioni in date e orari definiti, con la presenza del docente, sebbene vi sia la tendenza, in questi casi, a preferire l’utilizzo di Skype.

fig. 2. Moodle. Corso di scrittura accademica: spazio di servizio (Modulo 1).

Gli strumenti dello spazio di servizio appena descritti (forum, chat), insieme alla messaggistica (sincrona e asincrona) servono per la comunicazione interpersonale e/o di gruppo fra gli studenti e il docente con scopi prettamente sociali, mentre la comunicazione fra tutti i partecipanti al corso dello spazio di lavoro, descritta fra breve, gestita principalmente attraverso forum e wiki, è funzionale allo svolgimento dei compiti, nel contesto delle attività collaborative del corso. A proposito della comunicazione, in un corso che presenta attività col150

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laborative in Rete, come quello che qui si presenta, si sottolinea che essa è naturalmente un aspetto cruciale, pertanto è importante che la «strutturazione logica della comunicazione fra i partecipanti, cioè quella nervatura che dovrà garantire la corretta gestione dei flussi informativi e di scambio personale fra i partecipanti» (Trentin 2008: 220-221), sia progettata con cura. Lo spazio di lavoro vero e proprio (cfr. fig. 3) è costituito complessivamente da 5 moduli, che hanno struttura fissa e ricorsiva, e che sono dedicati a una selezione di 10 generi testuali. Ciascun modulo è suddiviso in due sottomoduli. Ogni sottomodulo è incentrato su uno specifico genere testuale. Nella sezione «Strumenti», vi sono materiali per lo studio individuale: una scheda sul genere testuale tematizzato (p. es. «Scheda: Lettera formale»), associata a modelli esemplificativi interni o esterni alla scheda stessa, come nel caso del «Facsimile di lettera formale». Perché gli studenti possano giungere a padroneggiare determinati generi testuali è importante che ne conoscano le caratteristiche strutturali, da qui la decisione di presentare, per ogni genere testuale affrontato, una apposita scheda di approfondimento, contenente informazioni sull’articolazione interna del genere testuale e sui suoi tratti costitutivi, con inoltre alcuni suggerimenti linguistici utili.

fig. 3. Moodle. Corso di scrittura accademica: area di lavoro (Modulo 1).

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Ogni sottomodulo prevede sempre un compito di scrittura individuale, descritto nel forum dedicato allo specifico genere testuale (cfr. fig. 4), che viene inviato al docente per la correzione, e una o due attività di tipo collaborativo, realizzate attraverso il forum e/o il wiki. Carissimi, la prima parte di questo secondo Modulo è dedicato al genere testuale e-mail e si articola in due fasi di lavoro. Fase 1 Leggete il file “M2 Scheda: E mail” per farvi un’idea delle caratteristiche di questo genere testuale e poi analizzate nel Forum “Quando ‘ciao’ non va bene” che cosa non funziona a livello linguistico e a livello di contenuti nei due esempi di e-mail presenti nel file “M2 Esempi di mail non adeguate”. Non è necessario che in un intervento facciate un’analisi dettagliata di tutt’e due le e-mail, basta per esempio scrivere una o due osservazioni di questo tipo: Esempio 1: l’oggetto della mail “Corso di Anatomia”, secondo me, non è abbastanza esplicito perché non chiarisce in modo sufficientemente chiaro il contenuto della e-mail. È una discussione, quindi vi consiglio di leggere gli interventi dei compagni e di intervenire nel forum con le vostre considerazioni più di una volta. Fase 2 Scegliete uno dei due esempi di e-mail contenuti nel file “M2 Esempi di mail non adeguate” e rielaboratelo perché sia adeguato linguisticamente e nei contenuti, e inviatelo a me per la correzione attraverso il Compito “E-mail rielaborata”. Buon proseguimento di lavoro! Elisabetta

fig. 4. Moodle. M2 Forum: Quando ciao non va bene.

L’attività «Compito» richiede agli studenti la preparazione di un elaborato scritto che viene realizzato in formato digitale e successivamente caricato sul server del corso. I compiti, corretti dal docente secondo varie modalità33 e inviati agli studenti attraverso la posta elettronica per le modifiche necessarie, sono oggetto di valutazione, in base ai criteri di valutazione della produzione scritta stabiliti in una apposita griglia, posta nello 33 Per esempio, attraverso la correzione rivelatoria, in cui il docente segnala la presenza degli errori rimandando la correzione al singolo studente o all’intera classe, oppure attraverso la correzione risolutiva, in cui l’insegnante segnala e corregge gli errori.

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Elisabetta Jafrancesco

spazio di servizio. Gli elaborati prodotti dagli studenti a livello individuale sono sempre condivisi con l’intero gruppo. Il modulo include anche la sezione «Esercitazione» e la cartella/le cartelle «Incontro in presenza». L’esercitazione, resa disponibile sulla piattaforma nella fase conclusiva di ciascun modulo, mira a verificare il raggiungimento da parte degli studenti degli obiettivi formativi dell’intero modulo, presentando attività ed esercizi riguardanti sia la dimensione testuale, sui due generi testuali oggetto del modulo, sia la dimensione linguistica, su aspetti morfologici, sintattici e lessicali coerenti con i contenuti affrontati. Si tratta prevalentemente di prove di tipo chiuso (cloze, completamenti, scelte multiple ecc.), ma vi sono anche prove semistrutturate (parafrasi, riassunti ecc.), che possono essere corrette automaticamente dal sistema34, oppure affidate alla correzione e alla valutazione del docente e/o dello studente. La risorsa «Cartella», denominata «Incontro in presenza», rende disponibili materiali di vario genere e di differente formato, utilizzati negli incontri in presenza. 5.2. Strumenti per le attività collaborative del corso Il corso di scrittura accademica blended learning prevede due tipi di attività: compiti da svolgere individualmente e compiti a carattere collaborativo. I primi sono svolti principalmente attraverso le attività compito e quiz di Moodle, i secondi attraverso le attività forum e wiki35, ed entrambe le tipologie di attività sono tutorate a distanza in modalità asincrona. Nel presente paragrafo si intende focalizzare l’attenzione sui principali strumenti di lavoro collaborativo utilizzati nel corso di scrittura accademica: il forum e il wiki. Nell’ambiente Moodle, il forum è una attività molto facile da impostare, che supporta vari tipi di comunicazione asincrona: uno-a-molti e molti-a34 Il modulo quiz di Moodle permette di progettare e realizzare prove di verifica di vario genere (scelta multipla, vero/falso, domande con brevi risposte, cloze ecc.). I quiz possono permettere ripetuti tentativi di risposta, con la registrazione automatica dei tentativi e con un sistema automatico di valutazione delle risposte. Il docente può decidere se inviare feedback e/o mostrare le risposte corrette.

35 Gli strumenti di Moodle sono suddivisi in due categorie: «attività» fra cui vi sono anche il forum e il wiki, e «risorse», che consentono di mettere a disposizione degli studenti materiali didattici di varia provenienza e formato.

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Elisabetta Jafrancesco

molti. Gli studenti, tutti insieme o in gruppi, possono comunicare fra loro e con il docente, possono discutere, collaborare, elaborare contenuti condivisi, attivando vari processi cognitivi, in modo ricorsivo e non sequenziale, quali comprendere, applicare, analizzare, valutare, produrre36. Il forum è fra gli strumenti più utilizzati nella didattica online e consente agli studenti, trattandosi di comunicazione asincrona, di valutare con attenzione i propri interventi e quelli degli altri studenti, prima e dopo l’invio, contribuendo all’accuratezza della scrittura e alla qualità della comprensione. Inoltre, il confronto critico con quanto scritto dai compagni rassicura gli studenti relativamente alla propria capacità di intervenire in modo efficace, inducendoli ad assumersi maggiormente la “responsabilità” dei propri contributi, promuovendo atteggiamenti autoriflessivi e sostenendo il loro ruolo attivo nel processo di apprendimento. Il forum offre poi la possibilità di manipolare i messaggi da pubblicare, consentendo ai partecipanti di esprimere la propria creatività, attraverso un editor visuale HTML (Richtext editor), che permette di avere interfaccia tipo wordprocessor all’interno di una pagina web, rendendo possibile la creazione di contenuti HTML, senza dover conoscere questo codice. Nei messaggi è possibile inserire effetti grafici di vario genere, trasferire immagini, creare link esterni, allegare file di qualsiasi formato. Fra le varie tipologie di forum disponibili nella piattaforma Moodle, il «forum monotematico», costituito da un solo argomento di discussione, disposto in una unica pagina, e il «forum standard per uso generale», dove tutti i partecipanti possono aprire nuove linee di discussione, sono i formati maggiormente sperimentati nel corso di scrittura accademica. Gli studenti, la cui sottoscrizione al forum è resa obbligatoria dal docente37, ricevono in modo automatico sul loro sistema di posta elettronica, come in una newsletter, copia di ogni nuovo messaggio pubblicato nel forum, facilitando i partecipanti a seguire lo sviluppo della discussione e stimolando il 36 Cfr. la tassonomia delle abilità e delle competenze di Bloom (1956), utilizzata per classificare le risorse didattiche in Rete (Seitzinger 2010), che prevede, in ordine di importanza, i seguenti livelli: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi, valutazione. Quella invece rivista da Anderson e Krathwohl (Anderson et al. 2001), nata dalla convinzione che le abilità possono essere acquisite e impiegate simultaneamente, senza un ordine preciso, comprende: memorizzare, comprendere, applicare, analizzare, valutare, produrre. Cfr. Pantò, Petrucco 1998. 37 La sottoscrizione al forum può essere anche facoltativa.

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Elisabetta Jafrancesco

gruppo a intervenire attivamente alla discussione comune. Oltre alla scelta della modalità di sottoscrizione – obbligatoria, o facoltativa, è possibile abilitare il tracciamento dei messaggi non letti e stabilire la dimensione massima degli allegati. Vi è inoltre la possibilità di configurare numerose altre impostazioni, fra cui, per esempio, quelle che consentono di attivare le valutazioni dei messaggi dei forum, stabilendo le modalità di aggregazione (media dei voti, voto più alto, voto minimo ecc.), la scala di valutazione, l’arco temporale in cui si applicano le valutazioni. Il wiki consente ai partecipanti di inserire e modificare una raccolta di pagine web, mantenendo lo storico delle modifiche. Il wiki può essere collaborativo, in cui tutti possono lavorarci, oppure individuale, in tal caso ciascuno lavora sul proprio wiki. Inoltre, il wiki supporta le modalità di gruppo di Moodle: «Senza gruppi», «Gruppi separati» e «Gruppi Visibili», dando vita complessivamente a cinque modalità di gestione possibili. Il wiki, a differenza del forum, non è di facile utilizzo. La sua gestione richiede infatti competenze specifiche, che sono al contempo tecniche, pedagogiche e disciplinari (Calvani 2004). Inoltre, gli studenti, come mostrano le indagini internazionali e italiane (p. es. Fratter, Jafrancesco 2010) sull’uso delle TIC fra i giovani della digital generation, sebbene abbiano grande familiarità con strumenti del Web 2.0 (p. es. blog, chat ecc.), usati però per svago e per intrecciare nuovi rapporti di amicizia, non hanno alcuna familiarità con il wiki, che risulta loro quasi sconosciuto (Fratter, Jafrancesco 2010) e che sono in grado a stento di ricollegare all’enciclopedia online Wikipedia. Di conseguenza, con riferimento anche al concetto di “trasparenza” contenuto nel QCER, relativamente a obiettivi e metodologie didattiche utilizzate, riguardo all’uso di strumenti come il wiki, è molto importante sensibilizzare gli studenti al modello pedagogico di stampo costruttivista che è alla base dei percorsi di apprendimento basati sulle TIC e all’importanza della cooperazione. Il wiki è uno strumento utile per il trasferimento di informazioni e pertanto può essere utilizzato per la creazione di pagine con contenuti informativi, modificabili solo dal docente, oppure da tutti i partecipanti. Il wiki è inoltre una applicazione che, anche integrata con altri strumenti (p. es. chat, Skype ecc.), consente di creare percorsi didattici incentrati sulla collaborazione, esplorazione, discussione dei partecipanti, adatta pertanto alla co-elaborazione di contenuti e alla scrittura collaborativa. In base alla tassonomia di Bloom, a cui è stato fatto riferimento parlando del forum (cfr. 155

Elisabetta Jafrancesco

supra, nota 36), i processi cognitivi attivati attraverso il wiki sono i seguenti: comprendere, applicare, analizzare, valutare, produrre. Il wiki è un editor di ipertesti e, come è stato già sottolineato, consente varie forme di scrittura condivisa, permette cioè agli studenti di lavorare insieme alla elaborazione di testi, che possono essere ampliati, modificati e corretti in qualsiasi momento. Le vecchie versioni non vanno mai perdute e possono essere ripristinare in qualsiasi momento. Il wiki presuppone un alto livello di comunicazione e di collaborazione fra gli studenti, e può essere utilmente associato a un forum apposito, in cui gli studenti, nelle varie fasi della scrittura, si accordano sulle decisioni più opportune da prendere. Le attività di Co-Writing, come è noto, richiedono al docente una attenta progettazione del processo di scrittura e delle attività caratteristiche delle fasi di pianificazione, stesura, revisione del testo (cfr. par. 3), che Trentin (2008) riassume nei seguenti momenti. − − − − − −

Brainstorming; Definizione di indice/struttura; Stesura; Revisione; Nuova stesura; Editing conclusivo.

Come afferma Trentin (2008), le attività di Co-Writing sono molto complesse, infatti l’esigenza di organizzare e convogliare gli sforzi dei diversi autori deve conciliarsi con i loro differenti punti di vista, nonché con la creazione del consenso nei confronti di ciò che si va a sviluppare collaborativamente (Trentin 2008: 175).

Lo sviluppo collaborativo di un testo richiede infatti non solo abilità procedurali, ma anche affettive e sociali, che consentono agli studenti di coordinarsi, di prendere decisioni, di risolvere i problemi, di gestire i conflitti, di creare un’atmosfera di fiducia reciproca ecc. Abilità, queste, che un percorso formativo che fa riferimento agli assunti del costruttivismo sociale, come quello di scrittura accademica che è stato qui presentato, dovrebbe sviluppare negli studenti, insieme alle competenze linguistiche e testuali, attraverso una chiara e rigorosa definizione dei compiti da svolgere, delle modalità di 156

Elisabetta Jafrancesco

lavoro nel gruppo, delle corrette interazioni con il gruppo (Comoglio, Cardoso 1996). Il wiki consente varie strategie di scrittura condivisa: scrittura parallela, scrittura sequenziale, scrittura in reciprocità (Trentin 1996; Fratter 2004a; Anichini 2010). Nella scrittura parallela il testo da produrre è suddiviso in varie parti, assegnate ad autori diversi; nella scrittura sequenziale la stesura del testo è articolata in fasi e ogni intervento rappresenta la prosecuzione del precedente; nella scrittura in reciprocità gli autori lavorano insieme e in modo simultaneo a diversi gradi di condivisione. Il tipo di scrittura collaborativa più facile da gestire in Rete è la scrittura parallela, che, a differenza delle altre modalità, garantisce un maggior livello di indipendenza reciproca degli studenti. Infatti, ogni studente o ogni gruppo di studenti, a seconda della modalità di gestione della classe prescelta, è impegnato nella scrittura di una parte specifica del testo, che viene poi messa a disposizione del gruppo nell’area di lavoro di wiki, infine il testo viene ricomposto dallo studente – o dagli studenti – del gruppo con la funzione di editor. La scrittura parallela richiede che si lavori di preferenza con generi testuali scomponibili in parti non troppo interdipendenti fra loro (p. es. istruzioni per l’uso, FAQ, biografie ecc.). La scrittura parallela facilita senz’altro lo svolgimento del lavoro a livello organizzativo, tuttavia si può verificare che il docente debba sensibilizzare gli studenti perché siano responsabili anche di quanto scritto da altri, per evitare che vi sia una realizzazione poco partecipata del lavoro finale. Il wiki presenta numerosi aspetti positivi per la didattica, anche se offre solo formattazioni dei testi molto semplici. È uno strumento che sostiene infatti la motivazione degli studenti, anche attraverso lo sviluppo di competenze procedurali. Funziona anche con gruppi con competenze eterogenee, favorendo forme di peer tutoring, e sviluppando le competenze sociali, sviluppa sia le abilità ricettive, sia quelle produttive. L’uso di wiki sollecita inoltre la partecipazione di tutti gli studenti al lavoro comune, nel rispetto dei tempi di apprendimento e delle risorse di ciascuno, richiedendo al docente di seguire assiduamente, a causa della loro complessità, i processi di Co-Writing, sostenendo e stimolando gli studenti a partecipare attivamente al lavoro. Fornire sopporto tecnico non è l’unico compito del docente, egli infatti deve sostenere il gruppo anche a livello organizzativo, metodologico e sociale. 157

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6. Conclusioni In questo contributo si è voluto riflettere sulle opportunità offerte dalla formazione in Rete, legate, in particolare, all’uso della piattaforma di apprendimento Moodle, che si basa sui presupposti del costruttivismo sociale e sull’approccio collaborativo, per lo sviluppo della scrittura accademica in italiano L2 in studenti stranieri presenti nella università italiana. Se si considera l’apprendere, come in ambito costruttivista, un processo sociale, è importante disporre di strumenti adeguati, come quelli offerti da Moodle, che permettano la creazione di ambienti di apprendimento significativo, in cui si supportano la comunicazione interpersonale e le attività collaborative, in cui si condividono i compiti e in cui si lavora insieme per creare qualcosa di nuovo o di diverso, attraverso processi collaborativi intenzionali e strutturati, incentrati sulla interazione (Kaye 1994), favorendo la crescita personale e la condivisione delle conoscenze. Una piattaforma di apprendimento come Moodle, consente di gestire la formazione in Rete proponendo strumenti per interagire a distanza in modo organizzato, dinamico e flessibile, in modalità sincrona e asincrona, attraverso applicazioni di vario genere (chat, forum, wiki ecc.) che, se utilizzate in modo collaborativo, consentono agli studenti di usare le proprie conoscenze e competenze per risolvere problemi, apprendere dagli altri, sviluppando il pensiero critico, competenze cognitive e metacognitive. Competenze, queste ultime, strategiche per vivere e agire consapevolmente nella società della conoscenza, coerentemente con le odierne politiche dell’istruzione e della formazione, che si orientano verso modelli che considerano la conoscenza, la sua elaborazione e la sua condivisione, come principale risorsa. Nella società contemporanea, improntata sul saper divenire, è importante che le persone sviluppino non solo saperi, ma anche competenze che consentano loro di acquisire in modo rapido ed efficace conoscenze e abilità nuove, per sapersi muovere in contesti complessi e in continuo movimento, quali sono quelli della società globalizzata e fortemente interconnessa. In questo senso si rende necessaria una formazione variabile e interattiva, incentrata sulla condivisione delle conoscenze, che mira ad accogliere le esigenze della società. In questa prospettiva, le TIC mostrano il loro valore a condizione che vengano usate come strumenti che consentono di apprendere in modo significativo e che facilitano i processi di collaborazione, condivisione e trasformazione della conoscenza, e non in modo tradizionale, vale a dire unicamente per presentare, conservare, distribuire contenuti informativi, oppure per accedere più facilmente alle informazioni. 158

Elisabetta Jafrancesco

Questionario conoscitivo Informazioni personali, competenze linguistico-comunicative, competenze informatiche e di utilizzo della Rete. Sezione 1 - Informazioni personali 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Nome e cognome Sesso Data di nascita Stato di provenienza Tipo di studente q LLP/Erasmus Durata borsa di studio* Facoltà in Italia Corso di Laurea in Recapito telefonico E-mail

q CdL

q Altro

* Se studente/studentessa di mobilità internazionale. Sezione 2 - Competenze linguistiche 11

Lingua madre

12

Lingue conosciute e livello di competenza

................................................................................................

A1 A2 B1 B2 C1 C2

Francese q

q

q

q

q

q

Inglese

q

q

q

q

q

q

Italiano

q

q

q

q

q

q

Spagnolo q

q

q

q

q

q

Tedesco

q

q

q

q

q

q

q

q

q

Altro (specificare_____________)

13

q

q

Ore corsi di studio di italiano

q

q 1-150 ore q 151-250 ore

159

q 251-500 ore q più di 500 ore

Elisabetta Jafrancesco

Sezione 3 - Uso di Internet (sono possibili più alternative) 14

Utilizzo di Internet

15

Collegamento a Internet q computer portatile. attraverso q computer fisso a casa.

q computer fisso all’università. q altro (specificare ______).

16

Tipo di connessione da q a tempo. casa q 24 h su 24 h.

q a traffico. q altro (specificare ______).

q per studio. q per utilità personale.

q per hobby (social network). q altro (specificare ______).

Sezione 4 - Autovalutazione del livello di conoscenza dei contenuti in elenco (0=nessuna conoscenza; 3=ottima conoscenza) 0 1 2 3 Software 17

Ambiente Windows

q

q

q

q

18

Wordprocessor (p. es. Word)

q

q

q

q

19

Foglio elettronico (p. es. Excel)

q

q

q

q

20

Ambienti per creare presentazioni (p. es. PowerPoint)

q

q

q

q

21

Ambienti per creare pagine Web (p. es. FrontpPage)

q

q

q

q

Servizi Internet 22

Posta elettronica

q

q

q

q

23

Skype

q

q

q

q

24

World Wide Web

q

q

q

q

25

Motori di ricerca (p. es. Google)

q

q

q

q

26

Ambienti per la comunicazione di gruppo (p. es. newsgroup) q

q

q

q

27

Ambienti per la scrittura collaborativa in Rete (p. es. blog)

q

q

q

q

Ambienti per la didattica a distanza 28

Piattaforme di apprendimento

q

q

q

q

29

Ambienti per valutazione automatizzata dell’apprendimento q

q

q

q

30

Altro (specificare _____________________________)

q

q

q

160

q

Elisabetta Jafrancesco

Sezione 5 - Esperienze di partecipazione ad attività in Rete Sì

No

31

Gruppi di discussione (forum group)

q

q

32

Community di rapporti sociali online (p. es. Facebook)

q

q

33

Corsi in Rete basati sull’uso autonomo di materiali didattici strutturati

q

q

34

Corsi in Rete basati sullo studio collaborativo in gruppo

q

q

35

Altro (specificare _____________________________)

q

q

Sezione 6 - Accesso alla Rete Per partecipare alle attività in Rete previste per questo corso mi collegherò principalmente 36

nella prima mattina.

q

37

nella mattinata.

q

38

nel primo pomeriggio.

q

39

nel pomeriggio.

q

40

in serata.

q

41

a notte inoltrata.

q

Sezione 7 - Motivazioni e le aspettative che hanno condotto all’iscrizione al corso ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ ______________________________________________________________ Grazie per la collaborazione! Elisabetta

161

Elisabetta Jafrancesco

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164

capitolo vii

LA FLIPPED CLASSROOM: CARATTERISTICHE ED ESPERIENZE Alessandra Giglio Università di Parma

1. Introduzione Nel 2007, in una scuola superiore del Colorado, negli Stati Uniti, due insegnanti di chimica diedero vita a un nuovo modo di insegnare nelle proprie classi: dato l’alto numero di studenti che avrebbero dovuto frequentare il loro corso, i due insegnanti pensarono di videoregistrare le proprie lezioni e di mettere a disposizione dei propri studenti i video così ottenuti. In questo modo, essi trovarono un ingegnoso modo per guadagnare del “tempo presenziale” con i propri studenti, dando spazio ad attività, laboratori, approfondimenti, ulteriori spiegazioni approfondite e personalizzate. La flipped classroom1 era ufficialmente nata. La flipped classroom nasce quindi tra i banchi di scuola e viene sperimentata per insegnare una materia disciplinare. È possibile applicare una metodologia didattica di questo tipo anche all’insegnamento delle lingue straniere? In caso 1 Anche sulla terminologia che identifica tale metodologia non si è ancora raggiunto un accordo univoco: in questa sede, denomineremo la metodologia come flipped classroom, sebbene vi sia una sostanziale differenza tra flipped classroom e flipped learning, come sottolinea la stessa Flipped Learning Network (2014): infatti, “capovolgere una classe” non significa necessariamente capovolgere, rivoltare completamente l’intero processo di apprendimento, anche se “capovolgere una classe” potrebbe essere il primo passo verso tale direzione. Tuttavia, in questo contesto, utilizzeremo la denominazione che si sta attualmente diffondendo maggiormente in Italia, ovvero quella, appunto, di flipped classroom, complice probabilmente il testo italiano più famoso sull’argomento, ovvero il contributo di Maglioni e Biscaro (2014).

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affermativo, come può tale metodologia interfacciarsi con altri approcci più comunemente riconducibili all’insegnamento delle lingue straniere, come per esempio il diffuso approccio comunicativo? In questa sede, tenteremo di rispondere ad alcuni di questi interrogativi e analizzeremo alcune situazioni didattiche in cui si è tentato di “capovolgere la classe” di lingua italiana per stranieri in contesti universitari e scolastici, on- e off-line.

2. Capovolgere la classe: cosa significa? Secondo il rapporto annuale sull’istruzione di alto livello dell’NMC Horizon ( Johnson et al. 2012), nel 2012 sarebbe nato un nuovo modo di insegnare nell’ambito della scuola dell’obbligo: Traditional lectures and subsequent testing are still dominant learning vehicles in schools. In order for students to get a well-rounded education with real world experience, they must also engage in more informal in-class activities as well as learning to learn outside the classroom. Most schools are not encouraging students to do any of this, nor to experiment and take risks with their learning - but a new model, called the “flipped classroom,” is opening the door to new approaches. The flipped classroom uses the abundance of videos on the Internet to allow students to learn new concepts and material outside of school, thus preserving class time for discussions, collaborations with classmates, problem solving, and experimentation ( Johnson et al. 2012).

Qualche anno più tardi, nel medesimo rapporto del 2013 ( Johnson et al. 2013) e del 2014 ( Johnson et al. 2014), la flipped classroom guadagna un ruolo considerevole all’interno della lista delle tecnologie e strategie digitali emergenti. Il rapporto sulla Higher Education 2013 ( Johnson et al. 2013) della NMC Horizon, inoltre, dà una definizione piuttosto precisa di ciò che è la flipped classroom: essa presuppone un approccio didattico basato sull’Inquirebased learning e su alcune strategie didattiche combinate che permettono allo studente di costruire autonomamente il proprio percorso di apprendimento. Un’ulteriore definizione di flipped classroom2, ancora, è quella fornita dalla 2 Una buona “definzione grafica” di flipped classroom è in fig. 1, mentre un’altrettanto incisiva infografica si può trovare all’indirizzo http://www.knewton.com/flipped-classroom/ .

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Flipped Learning Network (2014), secondo cui: Flipped Learning is a pedagogical approach in which direct instruction moves from the group learning space to the individual learning space, and the resulting group space is transformed into a dynamic, interactive learning environment where the educator guides students as they apply concepts and engage creatively in the subject matter.

fig. 1. Una definizione “grafica” di flipped classroom (tratta da: http://www.slu.edu/).

Il primo esperimento documentato di flipped classroom, come si diceva, risale al 2007 in una scuola superiore del Colorado: i professori Bergmann e Sams hanno adattato e “convertito” i loro tradizionali materiali PowerPoint per il loro tradizionale corso di chimica in alcuni file di PowerPoint con commenti e video registrazioni, utilizzando un software di cattura del proprio schermo di lavoro (Bergmann, Sams 2012a). In questo modo, Bergmann e Sams sono stati finalmente in grado fronteggiare l’annoso problema della grande affluenza di studenti al loro corso presenziale e i conseguenti problemi logistici derivanti. Utilizzando delle videoregistrazioni per alcune delle sessioni di spiegazione dei contenuti tipici del corso, 167

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i due docenti sono riusciti a ritagliare del tempo durante le lezioni per aiutare individualmente i propri studenti, diventando una sorta di tutor, di scaffolding per poter supportare gli studenti stessi durante il proprio processo di apprendimento. Il metodo di insegnamento di Bergmann e Sams (2012b) è nato nel 2007; nello stesso periodo, stava nascendo un’altra tecnologia chiave per l’affermarsi della classe: nell’ottobre 2006, Google Inc. acquista una nuova, interessante piattaforma, creata nel 2005 da tre dipendenti di PayPal, che permetteva di condividere facilmente dei contenuti video attraverso la Rete. Il nome di questa innovativa piattaforma era YouTube. Questo rivoluzionario modo di comunicare le informazioni attraverso i video ha contribuito in modo significativo alla potente diffusione della democrazia che sta (ancora) alla base del web attuale. Ma ancora più importante è stato il ruolo che YouTube ha avuto per il successo del modo di insegnare chimica di Bergmann e Sams: gli studenti potevano facilmente frequentare le lezioni, anche se per motivi vari non potevano essere presenti in aula, tramite i video pubblicati sulla piattaforma. Questo ha permesso anche che l’interesse e la motivazione per gli studenti (e anche per gli insegnanti!) verso l’apprendimento/insegnamento della materia aumentasse: gli studenti hanno iniziato a cooperare e lavorare insieme, aiutando quindi Bergmann e Sams a diventare istruttori più proattivi che non conferenzieri distaccati. Nello stesso periodo, un ulteriore fenomeno stava per diventare una pietra miliare fondamentale nell’era dell’apprendimento attraverso Internet: Salman Khan Amin, un educatore di origine bengalese che risiede negli Stati Uniti, fonda la Khan Academy3, una piattaforma online gratuita dove insegnanti provenienti da tutto il pianeta registrano e caricano i propri video di lezioni e spiegazioni su ogni argomento, e dove studenti da ogni parte del mondo fruiscono dei contenuti caricati in modo gratuito. L’obiettivo finale di Khan era, ed è ancora, quello di diffondere la conoscenza e dare accesso a essa a chiunque e in qualsiasi parte del mondo. L’ambizioso progetto di Khan costituisce attualmente uno dei repository di videolezioni più utilizzati da studenti di tutto il mondo e anche da insegnanti ed educatori che usano simili materiali come risorse aggiuntive per le loro flipped classroom. 3 https://it.khanacademy.org/

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3. Capovolgere la classe: in cosa consiste la metodologia flipped? La metodologia della flipped classroom si fonda sul cosiddetto “apprendimento per scoperta” delineato da Bruner (1961) e sul modello dell’Inquiry-based learning (Banchi, Bell 2008), secondo cui gli studenti sono parte attiva nello scoprire il proprio modo di risolvere un problema e nello sviluppare una propria strategia per risolverlo. In un simile panorama di apprendimento/insegnamento, gli studenti si pongono al centro del proprio processo di apprendimento: la flipped classroom è una metodologia concreta per lo sviluppo di una didattica studentecentrica, che non è sempre possibile realizzare in ambienti tradizionali e con metodi di insegnamento usuali. Un interessante valore aggiunto di questo tipo di metodologia è lo sviluppo di una coscienza Open Source che sta sorgendo tra gli educatori e gli insegnanti. La quantità di risorse necessarie per “capovolgere una classe” non è trascurabile: al fine di progettare e preparare un vero e proprio “corso capovolto” è necessario un grande investimento, in termini di tempo, risorse e sforzo da parte degli insegnanti ed educatori: l’insegnante, infatti, deve preparare alcuni video e materiale extra per i suoi studenti, in modo che essi ne possano fruire a casa, durante la fase di preparazione autonoma, o in classe, durante la fase laboratoriale presenziale. Questo tipo di materiale può essere direttamente prodotto e sviluppato dal singolo insegnante, oppure si possono utilizzare alcune risorse aperte (OER, Open Educational Resources) disponibili online. In tale panorama, realtà come la Khan Academy sono decisamente importanti, poiché rappresentano un ricco repository, accessibile e facile da usare, in cui è possibile trovare le risorse necessarie e adeguate per il proprio percorso d’apprendimento/insegnamento. Un altro importante effetto collaterale della metodologia di classe capovolta è lo sviluppo di competenze tecniche e personali degli studenti stessi: perché gli studenti completino i compiti assegnati e acquisiscano nozioni e concetti, hanno bisogno di sviluppare alcune strategie e tattiche che richiedono la loro cooperazione, collaborazione e progressiva alfabetizzazione digitale. Pertanto questo tipo di didattica, ben allineata con la tassonomia di Bloom (Bloom 1956), sembra rispondere, in qualche maniera, anche alle richieste dettate dal Quadro europeo delle qualifiche per 169

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l’apprendimento permanente EQF (Commissione Europea 2008), che misura l’apprendimento degli studenti considerando conoscenze, abilità e competenze che ciascuno studente raggiunge. Tuttavia, è importante ricordare che la metodologia della flipped classroom è tutt’altro che un nuovo modo di insegnare: come Maglioni e Biscaro (2014) sottolineano, e come anche De Mauro (2014) ricorda nella prefazione del medesimo libro, la flipped classroom sembra una rivoluzione dell’insegnamento tradizionale, ma in realtà non lo è. Maria Montessori, quasi un secolo fa, mise in dubbio quel modello di insegnamento ex cathedra che non è direttamente connesso con ciò che naturalmente apprendiamo nella vita di tutti i giorni; lo stesso Vico, nel XVIII secolo, o anche Socrate, quasi 2500 anni fa, avevano scosso la conoscenza nozionale convenzionale sostenendo una più consapevole e critica acquisizione del sapere (De Mauro 2014).

4. Capovolgere una classe di lingua straniera In questo contributo si intende presentare un “modo capovolto” di condurre un corso di lingua straniera, sia in contesto universitario, sia in ambito scolastico e di insegnamento “K-12”. Tuttavia, appare prima necessario definire e descrivere brevemente un corso di lingua straniera tradizionale per analizzare l’efficacia di questa particolare metodologia applicata all’insegnamento delle lingue straniere. Nel 1972 l’etnolinguista Dell Hymes (1972) ha posto una pietra miliare della didattica della lingua straniera definendo la comunicazione linguistica come una nuova, effettiva competenza; egli sosteneva che, oltre a insegnare le strutture linguistiche proprie della lingua target, «there are rules of use without which the rules of grammar would be useless» (Hymes 1972: 278). Con questa frase l’approccio comunicativo nasce ufficialmente. Dal 1970 l’approccio comunicativo nell’insegnamento di una lingua straniera si è diffuso in tutto il mondo e oggi è uno degli approcci maggiormente adottati. L’approccio comunicativo tende a sottolineare l’importanza di insegnare una lingua straniera in contesti reali; di conseguenza, elementi cruciali sono: a) la situazione in cui avviene la comunicazione; b) i partecipanti all’interazione; c) l’obiettivo dell’interazione; d) il contenuto della comunicazione; e) 170

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il modo di comunicare il messaggio (Serra Borneto 1998: 141). L’utilizzo di un tale approccio implica che è necessario definire alcune strategie di insegnamento; esse si possono riassumere in un sillabo che includa: a) input contestualizzati e autentici; b) attività in cui gli studenti sono impegnati personalmente a sviluppare le proprie strategie comunicative (concentrandosi sul processo di apprendimento, piuttosto che sul risultato derivante); c) impegno personale degli studenti nell’interazione, dove la lingua straniera target viene utilizzata come mezzo di comunicazione. Tuttavia, l’aspetto linguistico di una lingua straniera non è l’unica componente da prendere in considerazione: la cultura riveste un ruolo di pari importanza, poiché influenza gli aspetti socio-comunicativi dell’interazione nella lingua target ed è profondamente legata alla lingua straniera stessa. Nell’ambito di un approccio comunicativo di questo tipo, abbiamo condotto alcune sperimentazioni di “classe capovolta” in contesto scolastico e universitario per l’insegnamento dell’italiano a stranieri: per ciò che riguarda la sperimentazione in contesto universitario, essa è avvenuta all’interno dei corsi di lingua italiana per principianti dell’Università del Dalarna (Svezia), corsi che sono totalmente tenuti online; per ciò che riguarda l’esperienza in contesto scolastico, si trattava dell’insegnamento di corsi di italiano L2 a livello A1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (Consiglio d’Europa 2002), in una scuola internazionale facente parte dell’International Baccalaureate Organization e nell’ambito del programma di insegnamento Middle Years Programme4. Nelle due sperimentazioni condotte, i corsi di italiano a stranieri erano rivolti a studenti con nessuna, o con scarsa, conoscenza della lingua italiana: il livello di riferimento di entrambi i corsi è stato quello di principianti (A1, nel caso della sperimentazione in contesto scolastico; A2, nel caso della sperimentazione in contesto universitario). Il sillabo del corso è stato diviso in due parti (denominate Level 1 e Level 2) e ciascuna parte consisteva in 15 unità didattiche (denominate weeks). La divisione del corso è stata determinata principalmente da due differenti aspetti:

4 Per maggiori informazioni si rimanda a http://www.ibo.org.

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- sia il sistema universitario svedese, sia il sistema scolastico internazionale prevedono la divisione dell’anno accademico in due semestri; ciascun semestre si compone di circa 15 settimane di studio; - il libro adottato all’interno del corso è diviso a sua volta in due volumi con 15 capitoli per ciascun volume. Per queste ragioni, il sillabo del corso è stato suddiviso in 15 unità didattiche, coerentemente sia con la scansione temporale del semestre, sia con la struttura del libro di testo. Ciascun livello del corso è diviso, quindi, in 15 unità didattiche: ogni unità segue un pattern predefinito che ben si accorda con l’approccio comunicativo e che prevede un input iniziale audio, video o testuale con alcune attività di corollario per esercitare la comprensione dello studente e per introdurre la situazione comunicativa e il lessico e, allo stesso tempo, per presentare le strutture linguistiche e comunicative che costituiscono l’argomento principale dell’unità didattica; successivamente, lo studente si esercita con alcune attività che sviluppano gli argomenti linguistici principali dell’unità didattica, fino a utilizzare attivamente l’elemento pragmatico e/o morfosintattico acquisito tramite attività di produzione attiva (scritta e orale). A questo proposito, lo studente ha a disposizione una serie di materiali didattici di approfondimento che hanno il compito di agevolarlo nell’esecuzione di compiti individuali che vengono svolti in autonomia. In entrambi gli scenari educativi, il corso di italiano per principianti è stato “capovolto” per la prima volta durante il semestre autunnale del 2013: il tradizionale corso online per studenti universitari è stato adattato sulla base di un approccio più sociale e collaborativo. La stessa modalità di insegnamento è stata adottata nel semestre autunnale del 2014, con il corso presenziale presso la scuola internazionale Deledda International School nell’ambito del Middle Years Programme. Ciascuna unità didattica ha mantenuto la stessa struttura di base (cfr. fig. 2), sebbene essa sia stata ridisegnata e ampliata con una serie di risorse digitali aggiuntive come, per esempio, i grammar pills video (cfr. fig. 3), registrati appositamente dall’insegnante (una sorta di spiegazioni grammaticali di alcuni argomenti linguistici e morfosintattici che, via via, venivano affrontati all’interno del corso e del libro di testo), oppure esercizi aggiuntivi fruiti nell’ottica OER. 172

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Tuttavia, l’adattamento più evidente del corso in ottica di flipped classroom è nella natura del corso stesso: l’intero processo di analisi dello stimolo reale, che prevedeva una fase di comprensione e di riflessione sullo stimolo stesso – un processo, questo, che solitamente viene previsto, dall’approccio comunicativo, all’inizio della lezione presenziale – è stato, appunto, “capovolto” e gli studenti sono stati messi in condizione di provare a fare ipotesi e congetture (individualmente o in gruppo), sia sugli elementi testuali proposti (con attività di elicitazione delle preconoscenze, riflessione sul lessico, anticipazione del testo), sia sugli elementi linguistici presenti nei testi input. In questa maniera, gli studenti vengono messi in grado di affrontare l’apprendimento degli aspetti linguistici secondo il proprio ritmo e secondo la propria modalità preferita. Inoltre, gli studenti dovevano preparare alcuni esercizi e attività in vista della lezione sincrona/presenziale. La lezione, quindi, è stata usata come momento per analizzare le differenti ipotesi e per arrivare a una sorta di conclusione collettiva, il tutto utilizzando solamente la lingua target e prevedendo delle intense sessioni di partecipazione attiva da parte degli studenti.

fig. 2. Struttura di un’unità didattica del Level 2 del “corso capovolto” di italiano per principianti.

fig. 3. Esempio di “grammar pill video” utilizzato nel Level 1 del “corso capovolto” di italiano per principianti.

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5. Analisi dei dati derivanti dalle sperimentazioni condotte Il corso di italiano per principianti, come già precisato, è stato sperimentato in modalità flipped durante i semestri autunno 2013 (HT13), primavera 2014 (VT14), autunno 2014 (HT14) e primavera 2015 (VT15) presso l’Università del Dalarna (Svezia), tramite corsi erogati completamente in modalità online. Il corso prevede un totale di 15 incontri sincroni: ogni incontro si tiene al termine di ciascuna unità didattica. Il corso di italiano per principianti in contesto scolastico è stato somministrato in modalità flipped nell’anno scolastico 2013-2014 presso la scuola internazionale Deledda International School, nell’ambito del programma Middle Years Programme. In questa sede, proponiamo i risultati derivanti da tali sperimentazioni. Il dipartimento di lingua italiana dell’Università del Dalarna vanta una storia piuttosto antica, sebbene l’Università di per sé sia molto giovane. Nello specifico, il corso di lingua italiana per principianti esiste da molti anni e, già in passato, era organizzato in una sorta di modalità blended learning con alcuni compiti da svolgere a casa e alcuni contenuti da fruire durante le lezioni sincrone. Pertanto, proporre una metodologia flipped in un tale contesto non è stato particolarmente difficile, giacché si è trattato di adattare alla flipped classroom una struttura già complessivamente predisposta a questo tipo di metodologia. Al di là della produzione di alcuni materiali di approfondimento e documentazione autonoma, la variazione più significativa rispetto alla modalità “tradizionale” di insegnamento del corso si riscontra nel modo in cui gli incontri sincroni sono stati condotti: invece di essere una tradizionale lezione frontale incentrata sulla spiegazione da parte del docente dell’elemento linguistico-comunicativo presentato, con la metodologia della flipped classroom essi sono diventati una sorta di spazio laboratoriale in cui gli studenti si confrontano tra di loro, comunicano, approfondiscono le informazioni della lezione e si sforzano di utilizzare la lingua target, risolvendo problematiche comunicative sulla base di uno stimolo input e, in definitiva, esercitando e praticando la lingua target in contesti comunicativi reali, ancorché virtuali. Il corso per principianti in modalità flipped è stato erogato durante 4 semestri universitari e conta 112 studenti attivi che hanno terminato il corso. In questo contesto, tuttavia, non è stato possibile lavorare anche 174

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con un gruppo di controllo, dato che è stato attivato un unico corso per ciascun livello durante i 4 semestri. Il Deledda International School è un istituto relativamente giovane nell’area metropolitana genovese. La scuola è stata creata nel 1999 ed è stata immediatamente affiliata all’International Baccalaureate Organization. Nell’anno scolastico 2013-2014, la scuola contava più di 200 studenti, di cui il 10% stranieri. La necessità di prevedere dei corsi di lingua italiana per studenti stranieri si è palesata fin dai primi tempi in cui la scuola ha iniziato a operare sul territorio genovese5; inoltre, dal 2006, sono stati offerti regolarmente corsi di italiano per stranieri a livello curricolare per gli studenti stranieri che frequentano la scuola. In un simile contesto didattico, il corso di italiano per principianti è stato particolarmente utile durante l’anno scolastico 2013-2014: il corso, per questioni legate all’orario scolastico delle diverse classi di studenti coinvolte, è stato diviso in due corsi distinti del medesimo livello: sebbene il numero di partecipanti al corso sia non rappresentativo (gli studenti che hanno partecipato al corso sono in totale 4), l’indagine si configura comunque come uno studio di caso e la divisione del corso in due gruppi ha permesso di poter usufruire di un gruppo di controllo per la sperimentazione della flipped classroom. Il gruppo di studenti a livello universitario dell’Università del Dalarna, composto da 112 studenti di età compresa tra i 18 e i 66 anni, ha espresso il proprio giudizio sulla metodologia della “classe capovolta” attraverso alcuni questionari di gradimento. In questa sperimentazione, non presentiamo i risultati dei test formativi intermedi e sommativi finali dato che non è stato possibile compararli con un eventuale gruppo di controllo e, pertanto, tali dati risulterebbero a nostro avviso poco significativi a provare l’efficacia o meno di una simile metodologia didattica. Per ciò che concerne la soddisfazione degli studenti universitari riguardo al corso, essi hanno dimostrato un grande entusiasmo per il modo in cui il corso è strutturato: il 79% degli studenti trova che sia utile avere a disposizione degli schemi dettagliati di quanto è necessario fare per ciascuna unità didattica e ha decisamente apprezzato le spiegazioni video registrate preventivamente (il 5 Per la descrizione di alcune buone pratiche didattiche realizzate in questa scuola si rimanda a Giglio (2012).

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95% degli studenti ha affermato di trovare particolarmente utile la possibilità di visionare più volte la spiegazione). Inoltre, il 75% degli studenti ha gradito particolarmente la tipologia di lezioni attive e coinvolgenti in modalità sincrona, soprattutto perché la visione dei video pre-registrati ha permesso di guadagnare dei minuti preziosi durante le lezioni in presenza per permettere loro di utilizzare la lingua italiana in contesti comunicativi reali con i propri colleghi di corso provenienti da ogni parte del mondo. Il 43% degli studenti universitari, però, sottolinea che alcune volte sono incorsi in difficoltà tecniche come, per esempio, l’utilizzo dello strumento Adobe Connect, il sistema di videoconferenza messo a disposizione dall’università e utilizzato durante le lezioni sincrone; è importante tuttavia sottolineare che non sono state evidenziate altre particolari difficoltà tecniche e, inoltre, simili disfunzioni erano state già segnalate in precedenza (da circa il 50% degli studenti precedentemente iscritti) con l’impostazione del corso in modalità “tradizionale”. Pertanto, ai fini della nostra indagine è utile rilevare che gli studenti universitari non si sono imbattuti in particolari difficoltà tecniche derivanti strettamente dalla metodologia flipped sperimentata. Considerando il corso di italiano per principianti del Deledda International School, è stato possibile raccogliere i dati derivanti non solo dai questionari di gradimento del corso, ma anche dai test sommativi di metà del corso, che possono essere comparati con i risultati dei test del gruppo di controllo. Tuttavia, è importante sottolineare che, viste le ridotte dimensioni del campione - gli studenti che hanno partecipato al corso sono 4, divisi in un gruppo di 2 allievi del “corso capovolto” e 2 studenti che facevano parte, invece, del gruppo di controllo - i risultati che riportiamo non possono essere intesi come esaustivi né completi. I risultati derivanti dai questionari di gradimento dimostrano che gli studenti a livello scolare sono entusiasti del corso, anche se, la percentuale di risposte positive dei questionari somministrati agli studenti universitari riguardo al gradimento dell’esperienza è maggiore rispetto a quella degli scolari (79% di apprezzamento a livello universitario, contro il 66% in contesto scolastico); gli studenti, infatti, del Deledda International School hanno apprezzato il modo in cui il corso è stato strutturato (con contenuti flipped e materiale di approfondimento extra) perché hanno potuto avere più libertà nello studio e possibilità di scelta nella progressione dei conte176

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nuti del corso in base al proprio ritmo d’apprendimento («I like the ability to study as little or as much as necessary before the lesson», DD, 16 anni, studentessa statunitense; «It gives us more time to focus on things that we don’t understand», PN, 15 anni, studentessa russa). Inoltre, gli studenti hanno apprezzato la possibilità di poter chiedere, durante il momento presenziale, chiarimenti sull’argomento di lezione più mirati, giacché sono già stati esposti precedentemente alla spiegazione dell’argomento della lezione («I like the ability to already know the information before, so I can ask questions when I have a teacher there with me», PN). Tuttavia, gli studenti individuano anche alcuni elementi negativi della metodologia di “classe capovolta” nel loro corso di lingua italiana per stranieri: essi ritengono che ci voglia più tempo per essere ben preparati per la lezione e, nel caso in cui non siano in grado di completare la preparazione per la lezione presenziale, devono fare i conti con un senso di «under preparation» (DD), di preparazione insufficiente che, altrimenti, non avrebbero sentito e che trovano sgradevole. Inoltre, gli studenti sottolineano che a volte la struttura del corso risulta per loro confusa e si sentono spaesati nel percorso di apprendimento da seguire; infine, trovano difficoltà a «balance the flipped method class with my other traditional method classes» (DD), trovando difficile quindi il cambiamento di metodologia tra lezioni con metodologie più innovative e lezioni che presuppongono metodologie più tradizionali. Quest’ultimo punto rilevato dagli studenti è particolarmente interessante in quanto sottolinea le difficoltà di introdurre tale metodologia nella formazione K-12 italiana (fascia d’età, questa, che finora è stata il principale destinatario di una simile metodologia). Il corso di lingua in ambito scolastico è ben lungi dall’essere autonomo e indipendente; al contrario, gli studenti suggeriscono che deve essere inserito in un disegno di apprendimento più generale, che tenga conto della particolarità multidisciplinare della formazione scolastica e che dovrebbe essere collettivamente discusso e implementato da tutta la scuola per avere pieno successo. Con riferimento ai test sommativi tenuti a metà del corso, gli studenti del “gruppo capovolto” e del gruppo di controllo mostrano un risultato simile: le loro capacità di comprensione e produzione scritta sembrano attestarsi in media allo stesso livello; allo stesso modo, sono sviluppate similmente le loro capacità di comprensione e produzione orali. Tuttavia, la 177

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perfomance nella sezione relativa alle competenze grammaticali e morfosintattiche sembra pendere leggermente a favore del “gruppo capovolto”: tali risultati sono probabilmente influenzati anche da un uso più esteso delle spiegazioni grammaticali videoregistrate che sono state fruite più volte, mentre la spiegazione tradizionale viene generalmente erogata una volta sola. In definitiva, i risultati derivanti dalla comparazione del corso di italiano del “gruppo capovolto” e del gruppo di controllo sembrano piuttosto simili. Tuttavia, gli “studenti capovolti” hanno mostrato di aver sviluppato sensibilmente altre soft skills e competenze che, altrimenti, avrebbero trovato difficoltà a far maturare. I risultati riportati nella succitata infografica di Knewton6, che mostrano un aumento considerevole del superamento degli esami universitari con modalità di flipped classroom, ci sembrano fin troppo ottimisti; tuttavia, nonostante i risultati dei test sommativi siano pressoché identici, la metodologia di insegnamento capovolto sembra comunque essere più vantaggiosa rispetto a quella tradizionale in quanto consente lo sviluppo di capacità e competenze altrimenti raramente incoraggiato. Un’ulteriore, parziale sperimentazione è stata condotta su un gruppo di studenti universitari Erasmus dell’Università di Genova, di livello A2. L’impostazione del corso è stata similare a quella proposta con gli studenti dell’Università del Dalarna, sebbene sia stato necessario individuare 20, e non 15, unità didattiche differenti. La sperimentazione, tuttavia, è stata poco produttiva, in quanto gli studenti Erasmus non ricevono dei crediti formativi specifici per simili corsi e, quindi, sono poco stimolati a partecipare alle lezioni regolarmente, complici anche le sovrapposizioni di orario di corsi curricolari. Per questo motivo, spesso gli studenti partecipanti frequentavano alcune lezioni (presumibilmente, quelle che affrontavano gli argomenti linguistici e morfosintattici ritenuti personalmente più ostici) e, successivamente, lasciavano il corso per privilegiare lo studio di altre materie. Per questa ragione, è stato impossibile raccogliere dei dati precisi e utilizzabili in sede di analisi. È stato possibile, invece, intervistare alcuni studenti che avevano frequentato più assiduamente il corso, in modo da chiedere loro come avessero trovato la metodologia flipped. In questo senso, gli studenti ritengono utili i materiali aggiuntivi («i video 6 Cfr. nota 2.

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sono stato molto utili» GARR, studente portoghese) e hanno apprezzato la struttura del corso; inoltre, hanno particolarmente gradito le lezioni improntate alla pratica e all’utilizzo della lingua in contesti comunicativi reali («Sono piaciuto tutte le attività, è stato molto divertente» ACC, studentessa spagnola).

6. Conclusioni Le sperimentazioni didattiche qui presentate con la metodologia dell’insegnamento capovolto sono ben lungi dall’essere esaustive e complete. Tuttavia, sembra possibile mettere in luce alcuni elementi interessanti emersi da questi primi risultati. La metodologia di apprendimento capovolto applicata al corso di italiano per principianti sembra dare risultati di apprendimento simili rispetto ai metodi tradizionali di insegnamento; tuttavia, presenta anche altri interessanti aspetti, come lo sviluppo delle capacità collaborative e sociali, l’incremento di motivazione tra gli studenti e lo sviluppo di competenze tecnologiche. Gli studenti sembrano apprezzare questo tipo di metodo, giacché permette di avere una maggiore libertà di studiare al proprio ritmo e secondo il proprio stile di acquisizione di conoscenze, come anche la teoria delle intelligenze multiple di Gardner ha suggerito (Gardner 1983). Inoltre, una simile metodologia consente l’utilizzo della lingua target in contesti e situazioni reali, attività che anche l’approccio comunicativo promuove da decenni. In conclusione, sulla base di questi primi risultati, sembra che il metodo di apprendimento capovolto possa decisamente costituire un valore aggiunto nell’insegnamento delle lingue straniere, anche se dovranno essere considerati con attenzione la tipologia degli studenti e il contesto scolastico o formativo in cui sono inseriti. È indubbio che una metodologia glottodidattica di questo tipo meriti ancora attenzione e altri studi futuri, in modo da verificare quali siano realmente le caratteristiche essenziali che possono fare la differenza, in termini di produttività e apprendimento linguistico.

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capitolo viii

PROMUOVERE IL DIALOGO E LA CONSAPEVOLEZZA INTERCULTURALE IN AMBIENTI VIRTUALI Matteo La Grassa Università per Stranieri di Siena

1. Introduzione La natura sempre più composita dal punto di vista etnico e culturale che caratterizza le società contemporanee ha fatto emergere una serie di questioni, non ancora risolte specialmente nei paesi di più recente immigrazione come l’Italia, relative alle misure da adottare per favorire una reale e non conflittuale integrazione1 dei migranti. Per affrontare in maniera efficace tali questioni, in Europa da qualche anno si guarda con crescente interesse al ruolo che possono rivestire le Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione (TIC), non solo per facilitare l’inserimento lavorativo o la riqualificazione professionale dei migranti, ma anche per rendere più efficace la loro integrazione sociale. Sono diversi, infatti, i documenti elaborati in ambito europeo che sottolineano l’importanza dell’uso delle TIC con finalità formative2 e occupazionali 1 Il termine “integrazione” è, in alcuni casi, usato in contrapposizione a termini come “multiculturalismo” e “pluriculturalismo” (anche questi assumono sfumature di significato diverse tra loro). Tuttavia, in questo contributo si userà il termine “integrazione” con una accezione che non sottende nessuna idea di assimilazione delle culture migranti a quella della comunità del paese ospitante.

2 Di prioritaria importanza è l’uso delle TIC con lo scopo di migliorare le competenze linguistiche di migranti, specialmente durante il primo periodo di permanenza nel paese di arrivo (Redecker et al. 2010).

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anche per i migranti (Commissione Europea 2005), in linea con i principi secondo cui l’Europa dovrebbe diventare la società basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo3. È naturale, pertanto, che l’uso delle TIC diffuso presso tutti coloro che vivono nei paesi europei, e quindi anche tra i migranti, rappresenta una condizione fondamentale per favorire la realizzazione di questo obiettivo. Con riferimento ai migranti bambini e adolescenti, l’attenzione si è fino a ora focalizzata prevalentemente sul sostegno e il miglioramento del livello di educazione in contesto formale. L’uso delle nuove tecnologie è stato promosso, infatti, principalmente come supporto da utilizzare in contesto scolastico o comunque per attività strettamente correlate a esso: in primo luogo produzione e distribuzione di materiali didattici mirati agli apprendenti per facilitare il superamento delle loro difficoltà linguistiche. Minore attenzione, invece, è stata prestata all’utilizzo delle nuove tecnologie con lo scopo di migliorare le abilità e le competenze interculturali dei giovani migranti. In questo quadro si sviluppa il progetto di ricerca denominato CALCOTE4 che viene qui presentato: nello specifico saranno definite le principali caratteristiche di un ambiente online pensato per lo sviluppo delle competenze interculturali di adolescenti non italiani. L’obiettivo che si intende perseguire mediante la realizzazione e l’utilizzo di questo ambiente è quello di favorire un processo di inclusione attraverso la diffusione di conoscenze interculturali e l’allargamento delle reti di socialità da realizzare tramite l’uso delle TIC. Il raggiungimento di tale obiettivo contribuirà all’ampliamento del bagaglio pluriculturale e plurilingue dei giovani immigrati e, più in generale, sosterrà una loro migliore integrazione nel territorio, come dimostrato da studi svolti in ambito europeo. Lo sviluppo delle competenze interculturali rappresenta una condizione fondamentale per un efficace inserimento degli adolescenti immigrati nella nostra società, a prescindere dal fatto che essi siano nati in Italia o abbiano vissuto in prima persona un percorso migratorio. Verranno indi3 Si tratta dei principi enunciati nel trattato di Lisbona del 2000.

4 Il progetto CALCOTE (Conosci gli ALtri, COnosci TE stesso) è stato sviluppato dall’Università per Stranieri di Siena in collaborazione con SILOG, una società toscana di consulenza informatica e sistemistica.

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cati di seguito i presupposti teorici su cui si basa il progetto CALCOTE e saranno descritte le principali caratteristiche dell’ambiente online che lo rendono il luogo all’interno del quale gli utenti potranno realizzare le varie forme di “dialogo interculturale”, favorendo il loro decentramento da una prospettiva monoculturale e il riconoscimento del valore di culture diverse dalla propria (Baraldi 2003).

2. Principali bisogni del pubblico di riferimento: studenti con cittadinanza non italiana Molte caratteristiche proprie del fenomeno migratorio in Italia sono ormai note: la continua crescita5 (confermata anche in tempi di rilevante crisi economica per l’Italia), la diffusione a macchia di leopardo, la varietà dei paesi di provenienza, la tendenza alla stabilizzazione sul territorio. Uno degli effetti di quest’ultimo aspetto del fenomeno migratorio costituisce un elemento di relativa novità rispetto ai primi anni Duemila: si tratta della rilevante presenza degli studenti non italiani6 nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, sebbene la maggiore presenza percentuale sia ancora concentrata nelle scuole elementari. Il gruppo di studenti iscritti in questi ordini di scuola è tutt’altro che indifferenziato per età, periodo di arrivo, percorso formativo svolto nel paese di origine, vissuto personale, rilevanza del gruppo etnico in Italia ecc. Le istituzioni e la scuola hanno, in alcuni casi, sottovalutato le possibili difficoltà in cui possono imbattersi gli studenti adolescenti non italiani: la risposta a tali difficoltà, in realtà non semplici da individuare, si è focalizzata soprattutto sulla questione dello sviluppo delle competenze linguistiche in italiano, limitandosi a offrire, tuttavia, una proposta formativa in genere poco differenziata e limitata nel tempo. Nella maggior parte dei casi l’atten5 Per una dettagliata presentazione dei dati quantitativi relativi alla presenza, ancora in crescita, dei migranti in Italia e per la descrizione dei vari aspetti a essa connessi, si rimanda principalmente al IDOS (a cura di) – Dossier Statistico 2013. 6 Nei documenti ministeriali, tutti questi studenti vengono genericamente definiti «con cittadinanza non italiana» includendo quindi, nonostante le opinioni contrarie di molti esponenti del mondo della scuola e delle istituzioni, anche chi è nato e vissuto da sempre in Italia.

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zione si focalizza sugli studenti da poco inseriti a scuola e che presentano evidenti problemi dovuti alle loro limitate competenze linguistico-comunicative. Paradossalmente, però, questi problemi rappresentano anche quelli più semplici da risolvere, come dimostra il fatto che la lingua della comunicazione di base viene acquisita in tempi relativamente brevi da tutti gli studenti non italiani. Minore attenzione è stata finora, attribuita allo sviluppo di competenze necessarie per lo svolgimento di compiti complessi in contesto scolastico7; tali competenze sono, invece, quelle che più di altre dovrebbero essere esercitate in contesto formale: se, infatti, lo studente straniero sarà esposto per la maggior parte del tempo a input linguistico in italiano anche fuori dalla classe e avrà numerose occasioni di esercitare la lingua della prima comunicazione con i coetanei italiani in vari contesti, lo stesso, ovviamente, non potrà avvenire per lo sviluppo delle competenze necessarie a gestire la comunicazione e la testualità che si realizzano in ambito quasi esclusivamente scolastico e che, di conseguenza, richiederebbero la presenza di percorsi di formazione specificamente rivolti al loro sviluppo. Quanto sinteticamente detto contribuisce a determinare la maggiore percentuale di insuccesso scolastico degli studenti non italiani rispetto ai coetanei italiani: i dati, infatti, (Anno Scolastico 2013/2014), segnalano una consistente differenza nella percentuale degli ammessi agli esami della scuola secondaria di primo grado (97,5% degli italiani contro il 92% degli studenti non italiani) e ancor di più tra gli ammessi agli esami della scuola secondaria di secondo grado (89,1% degli italiani contro il 76,3% dei non italiani)8. La questione dello sviluppo delle competenze linguistiche di livello superiore a quello basico è pertanto uno degli aspetti che non va assolutamente sottovalutato per conseguire un pieno e proficuo inserimento degli studenti non italiani nella nostra società e per garantire loro le stesse opportunità rispetto ai coetanei italiani. Se, tuttavia, la riflessione sulla questione dello sviluppo delle com7 Esistono, ovviamente, lodevoli eccezioni. Tra queste si segnala l’offerta linguistico-formativa che la Provincia di Siena in collaborazione con l’Università per Stranieri di Siena ha indirizzato specificatamente agli studenti iscritti nelle scuole secondarie superiori e agli insegnanti di materie linguistiche e non linguistiche che si trovano a operare con essi. Per una descrizione di questa offerta si rimanda a Troncarelli, La Grassa (2014). 8 Fonte: Elaborazione ISMU su dati MIUR. Cfr. http://goo.gl/ev5hYy.

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petenze linguistico-comunicative necessarie per la lingua dello studio è stata avviata e si cominciano a mettere in atto azioni volte al loro sostegno, non si rileva la medesima attenzione verso un altro aspetto di fondamentale importanza per creare le condizioni di una reale integrazione dei giovani immigrati, ovvero quello relativo allo sviluppo della loro competenza culturale.

3. Un modello di competenza multiculturale: la proposta del Quadro comune europeo di riferimento Il fatto che la lingua e la cultura rappresentino due facce della stessa medaglia e formino un binomio inscindibile è un concetto che ormai da tempo fa parte del bagaglio di conoscenze comuni a quanti si occupano a vario titolo di educazione linguistica e didattica delle lingue9. Una efficace sistematizzazione teorica di questo concetto così familiare agli addetti ai lavori, si ritrova nel modello di competenza multiculturale proposta dal Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, da ora in poi QCER (Consiglio d’Europa 2002). Il modello preso in considerazione, non solo individua competenze e abilità utilizzate nel processo di apprendimento e uso di una lingua, ma fornisce anche importanti indicazioni per interpretare il ruolo che assume, nella formazione del profilo di un apprendente, la conoscenza di aspetti culturali propri e altrui. Per capire meglio come funziona questo modello, una breve ma necessaria premessa va innanzitutto fatta sull’approccio che il QCER definisce “orientato all’azione”: qualsiasi parlante usa la lingua (la propria lingua madre o una lingua non materna) prevalentemente per realizzare specifici compiti in determinati contesti e raggiungere, in questo modo, gli obiettivi comunicativi che si è prefisso. Ne consegue che nella realizzazione di tali compiti non verranno messe in campo esclusivamente

9 Basti pensare al fatto che è ormai raro non trovare il binomio “lingua-cultura” nella denominazione sia dei corsi che dei materiali didattici.

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competenze linguistiche stricto sensu e competenze sociopragmatiche10, ma anche competenze non linguistiche, definite dal QCER “competenze generali” e declinate all’interno delle categorie “sapere”, “saper fare”, “saper essere”, “saper apprendere”. In questo modo, nella definizione del profilo di competenze di un parlante-attore sociale, entra in gioco in maniera rilevante la competenza culturale: ogni soggetto, infatti, mette in campo le sue competenze culturali, la sua conoscenza del mondo, al fine di svolgere determinati compiti anche quando agisce in una società che non è quella della sua comunità di appartenenza; al contempo, egli tenderà a sviluppare la conoscenza della società e della cultura delle comunità diverse dalla propria e l’interpretazione che riuscirà a farne senza deformarle sulla base di errati stereotipi andrà ad arricchire il suo bagaglio di competenze personali. La proposta del QCER non si limita, tuttavia, a indicare la necessità di conoscere aspetti della società e della cultura correlati con la comunità che parla la lingua con cui si viene a contatto, ma essa supera questa concezione introducendo il concetto di “consapevolezza interculturale”. 3.1. Dalla competenza culturale alla consapevolezza interculturale Per poter spiegare il cambiamento di prospettiva che induce a parlare principalmente di “consapevolezza interculturale” invece che di “competenza culturale”, occorre innanzitutto spiegare i termini della questione. Definire precisamente cosa si intende per competenza culturale non è una operazione del tutto scontata: una corretta definizione, infatti, presuppone una chiara idea di cosa si intenda per “cultura”; tuttavia, tale concetto può essere interpretato in vario modo. Nella prospettiva adottata in questo lavoro, per esempio, si intende non solo e non tanto l’insieme di artefatti realizzati da un popolo che assume un particolare valore all’interno di una determinata comunità. Questa concezione, di per sé 10 Mettendo sullo stesso piano le competenze linguistiche e comunicative – il QCER parla infatti di competenze linguistico-comunicative – viene in qualche modo risolta la questione della prevalenza delle une o delle altre nel processo di apprendimento linguistico che ha lungamente caratterizzato il dibattito in glottodidattica. Per una presentazione dei diversi modelli di competenza linguistica si rimanda a Diadori, Palermo, Troncarelli (2015).

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lecita, che considera la conoscenza culturale strettamente dipendente dalla possibilità di conoscere, ed eventualmente apprezzare, i prodotti artistici, musicali, letterari di un popolo, non è tuttavia l’unica che è possibile adottare. Con il termine “cultura”, infatti, ci si può riferire anche a tutte le forme di organizzazione sociale e alle modalità di risposta ai bisogni naturali proprie di una comunità. Nell’ambito di questo progetto che, si ricorda, si rivolge prevalentemente ad adolescenti immigrati e figli di immigrati presenti in Italia, si è ritenuto più proficuo fare riferimento prevalentemente, sebbene non esclusivamente, a questa seconda accezione del termine “cultura”. Da questa scelta, come diretto corollario, ne consegue che lo sviluppo della competenza culturale risulterà legato prevalentemente ad aspetti relativi alla conoscenza della cultura intesa in senso antropologico, dunque senza particolare riferimento ai prodotti culturali di qualità che ogni popolo produce. Obiettivo del progetto che si descrive in questo contributo è, tuttavia, quello di andare oltre lo sviluppo di una competenza culturale che preveda soltanto la conoscenza dei modelli della propria cultura d’origine e della cultura ospitante, provando a sviluppare, invece, una piena “consapevolezza interculturale” nei termini descritti dal QCER. Il documento, considerata la condizione plurilingue e pluriculturale che da tempo caratterizza i paesi europei e che non è limitata soltanto al contatto tra due lingue e due culture diverse11 – quella della comunità autoctona e quella della comunità ospite – fa riferimento a una competenza che preveda la consapevolezza dei modelli di classificazione della realtà propri della cultura di appartenenza e la conoscenza, ed eventualmente l’apprezzamento, di modelli non di una sola, ma di più culture. Ogni cittadino, infatti, si trova ormai a muoversi all’interno di uno spazio linguistico e culturale in cui si realizzano il contatto e la contaminazione tra numerose lingue e culture. Lo sviluppo della “consapevolezza interculturale” va dunque oltre la competenza socioculturale che si può sviluppare nei confronti di elementi e di aspetti della cultura di un paese nel quale ci si trova a vivere. Il 11 A questo proposito è utile fare riferimento alla posizione di Vedovelli che parla di «lingue immigrate» indicandone nel nostro Paese oltre 130. Un numero così alto è un chiaro indicatore della situazione estremamente differenziata dal punto di vista linguistico e culturale che caratterizza l’Italia.

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concetto di consapevolezza interculturale estende l’ambito di riferimento a più culture e implica che si realizzino una serie di processi, in genere sequenziali e tra loro interrelati. Nello specifico, è possibile individuarne almeno tre: - Conoscenza dei modelli culturali relativi alla propria cultura. Ogni soggetto è portatore di modelli di interpretazione, di regole di comportamento, di aspetti di organizzazione della quotidianità, di valori che sono determinati in maniera rilevante dal contesto sociale in cui vive. Mentre per un adulto tali elementi assumono i tratti della stabilità, o almeno della minore mutevolezza, un adolescente immigrato vive senza dubbio una condizione maggiormente fluida, sebbene avrà comunque elaborato chiavi di lettura determinate dalla cultura di appartenenza. Il primo passo per lo sviluppo delle sue competenze consisterà dunque nel prendere consapevolezza dei modelli culturali relativi alla propria cultura. - Relativizzazione dei modelli culturali di appartenenza e conoscenza di altri modelli culturali. La seconda fase consiste nella presa di coscienza che i modelli culturali interiorizzati propri del gruppo sociale di appartenenza non sono gli unici con cui ci si deve confrontare. Questa consapevolezza, in molti casi, viene maturata in prima persona dagli adolescenti che, soprattutto quando sono migrati da diversi anni, si trovano a vivere in un contesto in cui sono esposti a sollecitazioni di modelli che fanno riferimento a culture diverse. - Accettazione ed eventuale apprezzamento di altri modelli culturali. Conoscere altri modelli culturali non implica di per sé una ristrutturazione dei propri schemi, né una reale possibilità di dialogo interculturale che sostenga lo sviluppo delle competenze tra i soggetti che vi partecipano. Per avvicinarsi a tale obiettivo occorre andare oltre la semplice conoscenza di tratti di culture diverse. L’ultima fase per uno sviluppo di una reale consapevolezza interculturale è definito proprio da questo processo che presuppone il distacco da una prospettiva monoculturale e lo sforzo per arrivare a una accettazione e a un eventuale apprezzamento di culture diverse dalla propria. Ciò non significa affatto un atteggiamento 188

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acritico di tutto ciò che proviene da culture diverse, ma implica un dialogo e un confronto che porti alla assimilazione di nuove forme culturali e alla ridefinizione dei propri personali modelli in base ai nuovi contatti che si è avuto modo di sperimentare. Il percorso non deve, ovviamente, essere unidirezionale: sarà pertanto fondamentale creare le condizioni per uno scambio paritario all’interno del quale i partecipanti abbiano la possibilità di confrontarsi e consentire il passaggio di differenti forme culturali. La condizione pluriculturale – che può verificarsi anche in ambienti virtuali – intesa come compresenza di numerose comunità e culture diverse, caratterizza le società contemporanee, determinando la moltiplicazione dei contatti e delle relazioni non più limitate allo scambio tra due sole culture, una propria della comunità ospitante, l’altra propria di quella ospite. Per il giovane migrante, la promozione di un dialogo interculturale che preveda la partecipazione di soggetti di culture diverse, favorisce le condizioni per relativizzare sia la centralità della propria cultura d’origine, sia la percezione della cultura del paese in cui egli vive: questa, pur restando probabilmente quella con cui si confronterà più frequentemente, potrà essere considerata, in fondo, una delle tante con cui è possibile entrare in contatto.

4. Un ambiente virtuale per lo sviluppo della consapevolezza interculturale All’interno del quadro che è stato sinteticamente descritto, con l’obiettivo di generare e sostenere lo sviluppo della consapevolezza interculturale nel pubblico di adolescenti immigrati e figli di immigrati, si è ritenuto che le nuove tecnologie rappresentassero uno strumento di grande utilità. Alcuni studi evidenziano infatti che gli immigrati sono frequenti fruitori di nuove tecnologie con lo scopo, tra l’altro, di mantenere i rapporti con i membri della rete familiare e amicale rimasti nel loro paese di origine o 189

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emigrati in altri paesi12. Viene pertanto smentita la presenza del cosiddetto digital device tra autoctoni e immigrati, anzi questi ultimi dimostrano di avere spesso maggiore dimestichezza con l’uso delle nuove tecnologie. Anche per quanto riguarda gli adolescenti, uno studio relativamente recente svolto in ambito italiano evidenzia il fatto che non vi è differenza sostanziale nella frequenza d’uso delle nuove tecnologie tra italiani e immigrati, sebbene il loro utilizzo sia sotto certi aspetti differente (Vittadini 2009). La scelta di un ambiente virtuale per sviluppare le competenze culturali appare pertanto giustificata se si considera la familiarità nell’uso delle nuove tecnologie da parte del pubblico preso in considerazione. Oltre a tale aspetto, la realizzazione di un ambiente virtuale è stata dettata dal fatto che esso si può caratterizzare come uno spazio all’interno del quale l’adolescente immigrato13, che vive una fase della vita particolare per la definizione dei propri tratti identitari, può trovare importanti conferme e sperimentare esperienze utili a costruire la sua articolata identità più facilmente di quanto non riuscirebbe a fare interagendo esclusivamente in luoghi reali14 (Zinant 2009). L’utilizzo delle nuove tecnologie fornisce, infatti, la possibilità di far parte di reti sociali e amicali diverse; sarà possibile pertanto interagire: con amici e coetanei italiani; con amici e coetanei del paese di origine; con amici e coetanei del paese di origine ma residenti in Italia; con amici e coetanei di altri paesi residenti in Italia, nel loro paese o in altri paesi esteri; con i membri della propria famiglia d’origine. Le appartenenze a gruppi e reti sociali diverse non rimangono in opposizione tra loro, ma coesistono e possono arricchirsi reciprocamente. Nell’ambiente virtuale, anche grazie all’abbattimento dei vincoli spaziali che esso consente, può nascere e svilupparsi in modo spontaneo il dialogo interculturale tra persone appartenenti a culture diverse. Lo spazio virtuale, infatti, rende possibile la creazione di reti transnazionali, 12 Per una rassegna degli studi sull’utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei migranti si rimanda a Premazzi (2010).

13 O anche adolescente “transculturale” come viene definito in alcuni studi (tra gli altri Riva, De Cordova 2009), per sottolinearne l’esposizione a modelli culturali molteplici. 14 Si tenga presente che l’interazione in ambienti virtuali non va a intaccare negativamente quella che avviene in ambienti reali; anzi, per molti adolescenti immigrati essa serve da rinforzo dei legami già nati in altri contesti.

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moltiplica le possibilità di interazione tra utenti di tutte le culture e riduce, in questo modo, il rischio a cui si è accennato di una contrapposizione tra una cultura dominante della comunità del paese meta di emigrazione e una cultura debole che appartiene alla comunità migrante. Nel processo sottostante agli esiti che possono scaturire dal contatto tra culture diverse, l’uso delle nuove tecnologie non ha pertanto un ruolo neutrale, ma è di esso parte integrante. Secondo alcune linee di ricerca (Berry 1997), dal contatto tra culture differenti possono scaturire diversi esiti e, tra questi, quello più desiderabile dovrebbe portare a una integrazione che prevede il mantenimento e la valorizzazione della cultura di origine e, contestualmente, il coinvolgimento attivo dei migranti nella società del paese ospitante. Sebbene questa descrizione degli esiti del contatto culturale sia condivisibile, tale visione sembra sottostimare la dimensione intergruppale della costruzione dell’identità: oggi più che in passato, il contatto culturale non è un processo che riguarda solo il singolo, ma coinvolge anche i soggetti e i gruppi con cui esso interagisce. Tale aspetto è amplificato dall’uso delle nuove tecnologie che favoriscono la moltiplicazione delle interazioni, la riduzione della dimensione individualista nelle fasi di contatto con gli altri e generano, soprattutto con riferimento alle tecnologie mobili, momenti di socializzazione indipendenti da limiti spazio-temporali costrittivi. Considerate le caratteristiche socio-anagrafiche e culturali dei principali destinatari del progetto e gli obiettivi che si vogliono conseguire, l’ambiente virtuale si candida, in sintesi, ad essere uno spazio privilegiato per promuovere lo scambio su numerosi contenuti e, di conseguenza, a favorire lo sviluppo della consapevolezza interculturale.

5. Una proposta di apprendimento informale Da quanto fin qui detto, appare chiaro che il Progetto CALCOTE vuole a tutti gli effetti promuovere “apprendimento”, intendendo con questo termine un processo di sviluppo di nuove competenze e di adattamento e ristrutturazione di competenze già possedute. Pertanto, insieme alla scelta di creare un ambiente di interazione virtuale, e strettamente 191

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correlato con essa, ha rivestito una importanza fondamentale la definizione dell’approccio all’apprendimento da adottare. Secondo una tassonomia, che si ritrova anche in numerosi documenti europei sulla formazione, si è soliti distinguere tra modalità di apprendimento “formale”, “non formale” e “informale”, ciascuna caratterizzata da proprie specificità. In sintesi, l’apprendimento formale si realizza in un ambiente istituzionale, prevede percorsi formativi definiti, modalità di verifica e, nella maggior parte dei casi, il conseguimento di un titolo di studio o di un certificato riconosciuto; l’apprendimento non formale ha in genere caratteristiche simili a quello di tipo formale, ma non prevede il conseguimento di un titolo riconosciuto15; l’apprendimento informale, infine, può realizzarsi in ambienti non istituzionali, si sviluppa a partire da esperienze concrete e solo successivamente promuove forme di osservazione e riflessione, presenta percorsi formativi flessibili e non definiti a priori, ma variabili sulla base delle personali scelte del soggetto in apprendimento16. La modalità di formazione che si vuole proporre con il progetto che è stato sviluppato è, per una serie di motivi, di tipo informale17. Considerato che il pubblico di utenti a cui ci si rivolge è inserito in percorsi educativi regolari, si è scelto di proporre una offerta di tipo totalmente diverso, anche con l’intento di non replicare esperienze tipiche dell’apprendimento scolastico che, per motivi di varia natura che qui non verranno analizzati, rischiano di essere vissute dai giovani immigrati come poco motivanti. La volontà di far percepire l’ambiente virtuale realizzato come uno spazio nettamente separato da quello educativo istituzionale, si giustifica anche con la sostanziale differenza dei contenuti trattati: l’obiettivo, infatti, non è quello di migliorare le abilità di studio e le 15 Un esempio è quello dei corsi di lingua tenuti in sedi non istituzionali come associazioni no profit, scuole private ecc. Le modalità di insegnamento possono essere anche molto simili rispetto a quelle dei corsi tenuti in sedi istituzionali, ma non viene rilasciato un titolo riconosciuto.

16 Efficace è, a questo proposito, la metafora proposta da Cross (2006) che paragona l’apprendimento formale a un viaggio in autobus con strade e fermate già definite a priori; l’apprendimento informale, al contrario, sarebbe più simile a un viaggio in bicicletta durante il quale è possibile seguire il percorso che si ritiene più interessante, decidere di cambiarlo, scoprire luoghi che non si era pensato di visitare all’inizio del viaggio. 17 Si segnala che forme di apprendimento non formale e informale sono valorizzate, in maniera crescente, anche da parte delle istituzioni europee (Commissione Europea 2012).

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competenze nelle materie curricolari18, ma piuttosto quello di sviluppare competenze interculturali a cui in contesto educativo può essere data attenzione soltanto a latere degli insegnamenti disciplinari. La didattica interculturale caratterizza (o dovrebbe caratterizzare) l’insegnamento nelle nostre scuole già da diversi anni, così come suggerito anche dalle direttive ministeriali (La Grassa 2004); per limitarci a un esempio, tutte le materie di studio dovrebbero essere presentate con una prospettiva non etnocentrica in modo da sostenere il dialogo e il confronto tra studenti che hanno culture diverse. Tuttavia, e non potrebbe essere diversamente, in questi contesti gli ambiti su cui focalizzarsi e a partire dai quali avviare una riflessione e un confronto interculturale, devono rimanere i contenuti delle materie disciplinari. La proposta elaborata da questo progetto mantiene e sviluppa gli aspetti fondamentali dell’educazione interculturale ritenuta pedagogicamente valida, come tra l’altro sostenuto da molta letteratura sull’argomento (D’Ignazi 2005; Pinto Minerva 2002); diverso è però il focus di interesse: non vengono presi in considerazione, infatti, contenuti di materie disciplinari, ma contenuti riguardanti i principali aspetti che aiutano a definire la “cultura” di un popolo, con l’accezione che è stata spiegata nel paragrafo 3. Si ritiene che tale scelta possa determinare una serie di vantaggi a cui si accenna sinteticamente: -- mettere a frutto principi pedagogicamente validi (quelli riconducibili al dialogo e al confronto interculturale) facendo leva su contenuti motivanti e vicini al vissuto degli adolescenti migranti; -- consentire la gestione autonoma della comunicazione nell’ambiente virtuale da parte degli utenti, senza alcuna valutazione di un esperto esterno, ampliando in questo modo la loro potenziale partecipazione; -- evitare il rischio di sovrapposizione con la proposta formativa rea18 Si auspica, ovviamente, che sostenendo lo sviluppo delle competenze interculturali degli adolescenti immigrati si possano avere anche positive ricadute sul percorso educativo che essi stanno svolgendo. Inoltre, esistono punti di contatto tra alcuni contenuti proposti nell’ambiente virtuale e alcune materie disciplinari e, in relazione a queste, si potrà pensare a una interazione tra l’apprendimento formale scolastico e quello informale nell’ambiente virtuale. Tuttavia, al momento, il progetto persegue obiettivi di apprendimento sostanzialmente diversi da quelli proposti in contesto educativo.

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lizzata dalla scuola o la creazione di una sorta di surrogato che ne ricalchi contenuti e modalità, limitandosi alla mera trasposizione di questi in ambiente virtuale. Dunque, gli obiettivi che si intendono conseguire e i contenuti trattati giustificano l’adozione di un approccio di tipo totalmente informale. Oltre a quanto appena detto, si tenga presente che un approccio informale risulta particolarmente indicato per favorire un percorso di apprendimento interculturale (European Youth Centre 1995), perché porta a considerare i giovani adolescenti come i primi responsabili del loro apprendimento e li sostiene nella scoperta non eterodiretta di efficaci strategie e modalità per rapportarsi con successo alla complessa realtà culturale in cui agiscono. Un altro fattore che sostiene la scelta di un approccio informale è costituito dalle specifiche caratteristiche dell’ambiente virtuale che è stato realizzato. Dopo la notevole attenzione rivolta alle piattaforme e-learning a lungo considerate lo strumento più idoneo per la realizzazione e l’erogazione della didattica a distanza, recentemente sembra emergere una visione in parte più critica nei confronti della portata realmente innovativa che le piattaforme possono avere in ambito didattico e formativo. La critica non riguarda tanto aspetti di tipo tecnico, quanto piuttosto alcuni limiti nella loro versatilità e usabilità in rapporto agli obiettivi dell’utente. Fermi restando tutti i noti vantaggi relativi all’abbattimento dei vincoli spaziotemporali e alle possibilità in termini di archiviazione e distribuzione di materiali didattici in vari formati, le piattaforme dimostrano alcuni limiti nella effettiva capacità di promuovere l’apprendimento informale (Bonaiuti 2006). Esse, infatti, si prestano bene, alla realizzazione di corsi online, che da un lato presenteranno i ben noti vantaggi della didattica e-learning, ma che, d’altra parte, rappresentano una proposta di formazione con caratteristiche tipiche dell’istruzione formale19. La proposta di apprendimento informale realizzata con il progetto de19 Con ciò non si intende affatto tacciare di inefficacia la realizzazione di corsi online su piattaforme e-learning. Specialmente per alcune tipologie di corsi, per esempio quelli di lingua straniera (cfr. Troncarelli 2010; Torsani 2009), i vantaggi sono molteplici e dipendono non solo dalle caratteristiche tecniche del mezzo, ma dall’approccio pedagogico e metodologico che esse consentono (o, meglio, richiedono) di adottare. Senza che ciò implichi un giudizio di merito, è innegabile, tuttavia, che si tratti di proposte di tipo formale.

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scritto in questo contributo ha trovato il suo naturale canale di trasmissione nell’ambiente virtuale realizzato che presenta caratteristiche di personalizzazione e flessibilità diverse da quelle delle piattaforme e-learning più comunemente utilizzate in ambito didattico (Moodle e A-tutor, per esempio); a sua volta l’elaborazione di tale ambiente, ha di fatto richiesto che fosse adottato un approccio informale: mezzo di trasmissione della proposta formativa e approccio metodologico si sono dimostrati, pertanto, reciprocamente interrelati. Concludendo, il progetto CALCOTE non ha inteso avanzare una critica all’apprendimento formale in ambito educativo e proporre approcci diversi per favorire l’apprendimento di argomenti, come quelli delle materie curricolari, che si prestano per loro natura a essere presentati principalmente in contesti educativi tradizionali. La funzione della scuola come ambiente di accoglienza, socializzazione e apprendimento20 resta ovviamente insostituibile, sebbene sia possibile e, si ritiene, opportuno, pensare a forme di integrazione tra apprendimento formale e informale. Il progetto CALCOTE va, tuttavia, in un’altra direzione; ci si augura comunque che la valorizzazione dei punti di contatto tra la proposta realizzata e i percorsi formativi scolastici possa rappresentare un possibile e proficuo sviluppo della ricerca sull’educazione interculturale.

6. L’ambiente virtuale 6.1. Il quadro teorico Adottare un approccio informale all’apprendimento e servirsi degli strumenti che possono favorirlo non implica, ovviamente, l’assenza di un quadro di riferimento teorico, cosa che rischierebbe di generare una sorta di anarchia pedagogica. L’adozione di un approccio informale all’apprendimento, nei termini in cui si è cercato di definirlo nel paragrafo precedente, non è infatti in contrapposizione con i principi che sono stati tenuti in considerazione per la realizzazione dell’ambiente virtuale. Più 20 Si veda, a questo proposito, anche la critica di Calvani (2008) verso i troppo facili entusiasmi nell’adozione di un modello di conoscenza connettivista in contesto scolastico istituzionale

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precisamente, l’ambiente intende sostenere forme di apprendimento di tipo collaborativo per cui l’aspetto interazionale risulta di prioritaria importanza. Lo sviluppo delle competenze, dunque, non sarà generato dalla semplice fruizione in autonomia di materiali e risorse a cui si potrà accedere in vario modo, ma principalmente dalla condivisione di competenze già possedute e dalla costruzione, mediante il dialogo e il confronto tra gli utenti, di nuove competenze. Il quadro teorico-metodologico all’interno del quale è stata sviluppata la proposta del progetto CALCOTE è quello delle teorie di stampo costruttivista e, in particolare, del costruttivismo sociale (Varisco 2002). Secondo queste teorie l’apprendimento non è considerato un processo imitativo e autonomo ma, soprattutto, il frutto di un processo che deve prevedere l’interazione con il gruppo dei pari, gli strumenti e le risorse esterne21. Come è facilmente intuibile, l’ambiente all’interno del quale sostenere questa modalità di apprendimento e gli strumenti da utilizzare all’interno di questo ambiente non hanno una incidenza trascurabile: essi consentono e, allo stesso tempo, favoriscono un apprendimento di tipo collaborativo. 6.2. Spazi, strumenti e modalità di comunicazione L’ambiente virtuale che è stato realizzato è un portale diviso in macroaree tematiche. Ciascuna macroarea si riferisce a uno specifico aspetto della cultura da intendersi con l’accezione che è stata presentata nel par. 3. Nella versione attuale l’ambiente presenta 4 macroaree (cibo e cucina; musica; feste e tradizioni; luoghi di interesse) che sono state individuate sia tenendo conto dei principali temi trattati nei corsi di lingua volti anche allo sviluppo delle competenze culturali, sia di indagini svolte sul campo22. 21 Il costruttivismo sociale prevede anche l’interazione con gli esperti che tuttavia, per i motivi esposti nel par. 5, non è stata considerata in questo progetto.

22 Sono stati, infatti, somministrati questionari a studenti di cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole secondarie superiori di Siena e provincia. Inoltre, sono stati somministrati questionari a studenti non italiani iscritti ai primi anni dei corsi universitari con età compresa tra i 21 e i 25 anni. Infine, sono stati considerati come gruppo di controllo studenti italiani di età diverse. I questionari avevano lo scopo di indagare sull’uso dei Social Network da parte di giovani e adolescenti e di individuare le aree tematiche da essi considerate di maggiore interesse per realizzare uno scambio interculturale.

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Al momento del primo accesso nell’ambiente è necessario perfezionare una iscrizione e si avrà la possibilità di indicare la principale macroarea di interesse culturale23. Questo implica che, a ogni accesso, si verrà reindirizzati nella sezione di principale interesse. In ogni sezione sono presenti tre ambienti separati e strumenti di comunicazione diversi: un forum; un blog tematico; una chat. Il forum è lo spazio all’interno del quale possono avvenire tutte le interazioni relative agli argomenti afferenti alla sezione in cui ci si trova. La funzione dei forum in contesto didattico è nota: in questo spazio, infatti, gli utenti potranno interagire, partecipare a discussioni in corso o aprire nuove linee di discussione, operando come una comunità di apprendimento all’interno della quale ogni soggetto potrà sentirsi incoraggiato ad apportare il proprio personale contributo, anche nel caso in cui abbia competenze di base inferiori a quelle degli altri24. Dovrebbe essere limitato, pertanto, il rischio di scarsa partecipazione, grazie alla cosiddetta «partecipazione periferica legittimata» (Varisco 2002: 117) tipica dell’interazione in Rete: ognuno potrà contribuire alla discussione e alla condivisione delle conoscenze del gruppo rispettando le proprie personali modalità di interazione che possono anche prevedere un periodo di partecipazione solo osservativa. Per i motivi che sono stati esposti precedentemente, il forum non sarà moderato da un tutor esterno, ma sarà autogestito dagli utenti i quali potranno segnalare i messaggi come inappropriati (nel caso in cui non siano coerenti con l’area di riferimento) o potranno esprimere il loro gradimento rispetto a essi. Il blog tematico è un altro fondamentale spazio di interazione. In questo blog si possono inserire messaggi, foto e video correlati con il tema dell’area in cui ci si trova. Il materiale inserito, che viene presentato in ordine cronologico, può essere indicizzato con parole chiave: in questo modo, inserendo le parole chiave nel motore di ricerca presente nell’ambiente, l’utente potrà facilmente trovare i messaggi di suo interesse. Inol23 Tale scelta, in ogni caso, potrà essere modificata in qualsiasi momento.

24 Si intende, ovviamente, che le competenze di partenza non devono essere diametralmente opposte. Tale condizione, infatti, è una delle cause possibili per cui si può scegliere di non sostenere un gruppo di apprendimento in ambiente virtuale. In ogni caso, è innegabile che una comunità di apprendimento che interagisce in Rete è caratterizzata, di per sé, da una maggiore accettabilità di membri del gruppo con competenze di livello eterogeneo.

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tre, a ogni messaggio potrà essere attribuita una valutazione con una scala da uno a cinque: ciò favorirà il sostegno della discussione su temi coerenti con l’area di riferimento grazie esclusivamente all’autoregolamentazione del gruppo. Infine, ogni utente potrà condividere qualsiasi messaggio postato sul blog con i più comuni Social Network (Twitter, Facebook, Google+) favorendo l’apertura dello spazio virtuale anche a potenziali utenti esterni e allargando, in questo modo, la rete della comunità di apprendimento. Uno strumento di comunicazione sincrona è la chat che può essere utilizzata da ogni pagina del portale; essa consente di comunicare in tempo reale con gli altri utenti online con cui si è entrati in contatto precedentemente. Oltre a questi strumenti di comunicazione, in ogni area sono state inserite risorse esterne tematicamente coerenti ed è stato aggiunto un Feed RSS che dà notifica e consente di raccogliere gli aggiornamenti di uno o più siti di particolare rilievo per l’area all’interno della quale ci si trova. Anche questa scelta, come la possibilità di condividere sui Social Network gli articoli del blog tematico, va nella direzione di aprire verso l’esterno gli spazi di discussione dell’ambiente virtuale, in un’ottica che sostenga ancora di più l’apprendimento di tipo informale che ha tra i suoi fondamenti, per l’appunto, la condivisione di conoscenze che non provengono soltanto dai singoli membri della comunità, ma che sono, per così dire, distribuite25 anche all’esterno di essa e a cui è possibile accedere anche grazie all’ausilio di supporti tecnici (Calvani 2005). La possibilità di accedere a risorse esterne e gli strumenti di comunicazione inseriti nello spazio virtuale consentono di sfruttare pienamente i vantaggi del Web 2.0 in termini di densità e qualità dell’interazione: si tratta, infatti, di un tipo di comunicazione molti a molti, non eterodiretta, che può essere realizzata in modalità asincrona (con il forum e i blog) e sincrona (con la chat). Inoltre, la comunicazione sfrutta sistemi semiotici diversi (testo scritto, immagini, foto e video), aspetto, questo, di grande utilità considerati i contenuti su cui si incentrano le aree del portale. 25 La concezione che la conoscenza non venga solo costruita dal singolo o dal gruppo (come affermato dagli approcci costruttivisti), ma esista distribuita anche al di fuori di esso, è propria degli approcci di tipo connettivista (Siemens 2005).

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Una considerazione, infine, va fatta sui potenziali rischi che possono concretizzarsi durante le interazioni che si realizzeranno nell’ambiente virtuale. Considerata l’età degli apprendenti e il fatto che le interazioni non prevedono l’intervento di un tutor, i rischi sono sostanzialmente di due ordini diversi: - possibilità che le discussioni si focalizzino su argomenti che niente hanno a che fare con le aree tematiche dell’ambiente; - rischi di flaming. Si tratta di rischi spesso insiti nella comunicazione online e la possibilità di arginarli, se si manifestano, è piuttosto problematica; per questo motivo si è cercato di adottare degli accorgimenti che potrebbero favorirne il controllo. Nel primo caso, per limitare il rischio di far volgere le interazioni verso argomenti completamente diversi rispetto a quelli proposti, nei tutorial elaborati per il corretto uso dell’ambiente, si è specificato di utilizzare gli spazi e gli strumenti di comunicazione in maniera coerente con il tema dell’area, sottolineando la differenza tra l’ambiente del progetto CALCOTE, che ha lo scopo di sviluppare prevalentemente la consapevolezza interculturale, e gli altri Social Network che possono avere, invece, scopi completamente diversi. Il rischio di flaming, ovvero che si generi una conversazione dai toni accesi e poco rispettosi della netiquette che deve essere mantenuta nelle interazioni online, dovrebbe essere limitato dagli stessi utenti che, come si è accennato, hanno la possibilità di segnalare agli altri membri del gruppo la presenza di messaggi inappropriati. Questo privilegio concesso agli utenti dovrebbe fungere da deterrente verso i soggetti maggiormente provocatori che spesso sono presenti nei gruppi che interagiscono in Rete. 6.3. La dimensione sociale nell’ambiente Considerati obiettivi, natura e contenuti del progetto, si auspica che il gruppo di utenti dell’ambiente virtuale realizzato possa agire come comunità di apprendimento. Da quanto si è detto finora, appare chiaro che il progetto non intende sviluppare un apprendimento autonomo, in cui l’u199

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tente da solo fruisce di risorse che gli sono messe a disposizione. Il valore aggiunto nella creazione di un ambiente di apprendimento virtuale, infatti, risiede nel sostegno che esso può dare a forme di apprendimento collaborativo che si generano dall’interazione di un gruppo (Trentin 2008). Esistono gruppi di tipo diverso che interagiscono online. Prendendo in considerazione la tassonomia proposta da Calvani (2005), si segnala che tutti i gruppi virtuali generano forme di apprendimento collaborativo, ma si differenziano per scopo, natura dell’affiliazione che li ha generati, natura della relazione tra i membri che li compongono, coerenza interna al gruppo e durata della loro esistenza. Tenuto conto di questi criteri, si ritiene che gli utenti dell’ambiente che abbiamo descritto dovrebbero configurarsi come una comunità di apprendimento. Infatti, il gruppo che interagisce in CALCOTE: -- dovrà avere almeno un obiettivo condiviso (lo sviluppo della consapevolezza interculturale) che costituirà anche il motivo prevalente per cui si appartiene alla comunità; -- si costituirà come gruppo in maniera volontaria, coerentemente con l’approccio di tipo informale che viene proposto; -- instaurerà una relazione di tipo prevalentemente affettivo-emozionale, assolutamente paritaria tra i membri del gruppo; -- sarà caratterizzato da una coerenza interna determinata dalla condivisione delle esperienze; -- avrà una durata che dipenderà dalla sussistenza dell’interesse verso i contenuti proposti26. Perché un qualsiasi gruppo di apprendimento virtuale possa mettersi insieme e conseguire obiettivi di apprendimento significativo, è necessario che si verifichino delle condizioni minime. Si è già accennato, per esempio, al fatto che se le competenze tra i membri sono fortemente eterogenee, sebbene l’apprendimento virtuale favorisca la partecipazione anche dei soggetti meno competenti secondo i propri stili e ritmi, biso26 La durata della comunità, pertanto, non potrà essere indicata a priori, ma potrà dipendere, per esempio, anche dal rinnovato interesse dei membri del gruppo o dalla proposta di nuovi contenuti. Inoltre, l’ambiente rimane uno spazio aperto all’ingresso di tutti i soggetti interessati e ciò potrebbe prorogarne la durata per un periodo indefinito.

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gnerà valutare con attenzione l’opportunità di creare una comunità. Un altro aspetto da considerare è la motivazione di partenza a far parte di un gruppo: se questa risulta assente o molto scarsa i risultati potranno essere deludenti. Anche secondo il modello di Garrison et al. (2000) una delle condizioni necessarie per la creazione di comunità di apprendimento è la social presence, ovvero la condizione per cui i membri si sentono parte di un gruppo27. Al fine di facilitare e sostenere queste condizioni, si ritiene che si debba fare leva non solo sull’obiettivo condiviso dai vari membri (lo sviluppo della competenza interculturale), ma anche su un aspetto di natura diversa che caratterizza i cosiddetti “nativi digitali”, ovvero la tendenza a esprimere la propria individualità, aspetto palesemente presente nei Social Network (Besana 2012). Esprimere la propria individualità fornendo, per esempio, alcune informazioni su se stessi e sui propri interessi, contribuirà a far percepire l’ambiente virtuale come non asettico e come uno tra i possibili ambienti di socialità, favorendo al contempo la possibilità di entrare in contatto e conoscere gli altri utenti che partecipano al progetto e, di conseguenza, incrementare le relazioni e lo scambio interculturale. Nell’ambiente virtuale che è stato costruito è prevista, dunque, un’area personale in cui sono presenti strumenti che vengono descritti sinteticamente nei paragrafi seguenti. 6.3.1. Il profilo Ogni utente dello spazio virtuale avrà la possibilità di definire un proprio profilo personale, inserendo, se vuole: -- i propri contatti (e-mail, telefono ecc.); -- un testo introduttivo su di sé e sui propri interessi; -- una fotografia che apparirà accanto al proprio nome, nella notifica di ogni attività svolta nell’ambiente; -- i siti Internet maggiormente frequentati; -- altre informazioni sulle attività che si intendono svolgere, correlate con i temi trattati nell’ambiente. 27 Per una sintesi dell’ipotesi relativa al ruolo giocato da Internet nella creazione di nuove forme di socialità si rimanda a Rivoltella (2003).

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Il profilo sarà visibile a tutti coloro che rientrano nella cerchia di amicizie dell’utente. La possibilità di definire un profilo personale, lungi dall’essere un diversivo poco collegato con i contenuti trattati, rappresenta invece un fondamentale strumento per creare una identità di gruppo e sentirsi accettati come membri di tale gruppo, condizione, questa, necessaria per la costruzione della comunità di apprendimento. 6.3.2. Il blog personale Oltre al blog tematico, nell’ambiente è stato inserito un microblog personale. In questo caso, il blog è esclusivamente testuale ed è pensato per rivestire funzioni diverse rispetto a quello tematico (cfr. par. 6.2). In questo spazio, infatti, l’utente può sia commentare le attività svolte dagli altri, sia inserire messaggi personali che saranno visibili e commentabili dalla sua cerchia di amici. L’interazione è incentrata su contenuti non necessariamente interrelati con quelli trattati nelle varie aree tematiche e, pertanto, può avere anche una funzione importante nel rendere più coeso il gruppo che interagisce nell’ambiente. Rispetto ad altri strumenti, il blog si colloca in uno spazio limitrofo tra la dimensione personale e quella relazionale e riesce a coniugare, inoltre, gli aspetti tradizionali della narrazione con la tecnologia digitale (Bruni 2009). Il blog, infatti, ha una funzione simile a quella di un diario e favorisce la presentazione di argomenti legati al proprio vissuto; a differenza di un diario cartaceo, però, è possibile una interazione, ancorché non totalmente libera come nel forum, tra l’autore e i suoi lettori. Il blog è coerente con una visione connettivista del sapere (Susca, De Kerckhove 2008): il suo utilizzo, infatti, consente e sostiene il rapporto tra il singolo autore e i lettori; gli utenti del blog hanno, inoltre, la possibilità di commentare i messaggi e generare connessioni con altri siti e blog, permettendo, in questo modo, uno scambio virtuoso tra autore, altri membri del gruppo, risorse a esso esterne. Le particolari caratteristiche di questo strumento, che stimolano la narrazione di sé e permettono il commento e l’interazione su quanto si scrive, potranno rivelarsi importanti soprattutto per il principale pubblico di riferimento del progetto: il blog può diventare lo spazio per mettere in atto il «metodo narrativo» (Demetrio 2009), dando all’autore la pos202

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sibilità di condividere con un gruppo di cui è entrato a far parte alcune esperienze personali, come quella della migrazione, che in altri contesti potrebbero risultare più difficili da raccontare. In conclusione, si ritiene che il blog personale possa rappresentare uno strumento utile innanzitutto per valorizzare l’identità di chi lo gestisce, aspetto particolarmente importante nel progetto CALCOTE, e allo stesso tempo uno spazio, più “riservato” per sviluppare la consapevolezza interculturale. 6.3.3. La bacheca La bacheca è uno spazio visibile anche ad altri utenti in cui è possibile tenere traccia delle proprie attività nell’ambiente e avere notifiche sulle proposte di attività che sono state ricevute o che si sono inviate ad altri contatti; si possono visualizzare, inoltre, le persone con cui si è in contatto e vedere quali attività hanno svolto (se hanno inserito messaggi, segnalato link esterni ecc.). Nella bacheca, infine, può essere espresso un pensiero personale che apparirà a chi sarà interessato a vedere il profilo dell’autore. La bacheca ha pertanto sia una funzione pratica, sia una ricaduta motivazionale: infatti, tenere traccia delle attività svolte da sé e dagli altri, aiuta a controllare in maniera pratica e con più efficacia i temi di discussione trattati e può risultare, anche se in maniera indiretta, un incentivo a partecipare più attivamente alle discussioni in corso. 6.4. Spazi, strumenti e modalità per la riflessione sulla lingua Come si è detto più volte, il progetto CALCOTE ha come obiettivo principale lo sviluppo della consapevolezza interculturale degli utenti, ovvero giovani migranti di nazionalità non italiana. La lingua veicolare utilizzata nell’ambiente è l’italiano, di conseguenza tutte le interazioni avverranno in questa lingua. Ne consegue, pertanto, che in varia misura potranno essere sviluppate anche le competenze linguistico-comunicative in italiano28 dei giovani che partecipano al progetto. Accanto a questo 28 Non essendo prevista una forma di comunicazione orale, le abilità sviluppate saranno prevalentemente quelle scritte.

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sviluppo delle competenze, che si potrebbe definire “incidentale” nel senso che non viene proposta una riflessione specifica, ne viene promosso un altro in cui il focus risulta più chiaro: un’area dell’ambiente, infatti, sarà dedicata esplicitamente allo sviluppo delle competenze linguisticocomunicative. In tale area, utilizzando gli strumenti che sono già stati descritti (cfr. par. 6.2), ciascun membro della comunità potrà esplicitare i suoi dubbi sulla lingua italiana e ricevere dagli altri utenti risposte o indicazioni utili per reperirle. Inoltre, coerentemente con l’approccio e la teoria dell’apprendimento su cui si basa il progetto, saranno disponibili in tutte le pagine dell’ambiente strumenti di facilitazione linguistica come dizionari multilingui e traduttori che sosterranno lo sviluppo delle competenze e, allo stesso tempo, faciliteranno la comprensione degli articoli e dei messaggi da parte degli utenti con abilità linguistiche non ancora pienamente sufficienti a decodificarli in maniera autonoma, con una comprensibile ricaduta in termini di maggiore partecipazione anche di chi possiede limitate competenze, come potrebbero essere gli adolescenti da poco arrivati in Italia. Infine, si segnala che l’ambiente prevede un’area specifica di interazione sugli aspetti che in modo maggiormente evidente mostrano il forte legame tra lingua e cultura. In tale area sarà possibile, sempre utilizzando l’italiano, riflettere su come le lingue rappresentino uno dei più evidenti prodotti culturali di un popolo e come esistano in ogni lingua numerose indicazioni, principalmente di tipo pragmatico-lessicale, in cui sono rintracciabili peculiarità proprie della cultura che le ha prodotte. Uno spazio che dovrebbe arrivare a suggerire, insomma, di considerare le lingue non solo come un mero strumento di comunicazione, ma anche, allo stesso tempo, strumenti di espressione di sé e di particolari visioni del mondo, ciascuna meritevole di essere considerata di pari dignità rispetto alle altre.

7. Conclusioni Gli adolescenti e i giovani con cittadinanza non italiana presentano profili eterogenei che vanno presi in esame in maniera diversa in base alle caratteristiche che presentano: si tratta, infatti, di soggetti che possono 204

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essere nati in Italia o essere arrivati nel nostro paese da tanti anni; oppure di persone da poco arrivate in Italia e che possono già aver sperimentato in prima persona uno o più percorsi migratori. Un atteggiamento comune nei loro confronti è quello di considerarne prevalentemente gli aspetti correlati con le limitate competenze linguistiche: vengono spesso organizzati, per questo motivo, laboratori linguistici e corsi di lingua italiana. Tuttavia, anche su questo piano, l’attenzione non è ancora sufficiente: una volta conseguite le competenze linguistiche necessarie per muoversi nei contesti di comunicazione quotidiana, si pensa erroneamente che il giovane immigrato possa non aver più bisogno di sostegno linguistico quando, al contrario, le difficoltà maggiori sorgono proprio nella gestione della testualità di tipo formale usata in ambito scolastico e accademico. Un altro aspetto, ancora più trascurato rispetto a quello linguistico, riguarda l’inserimento29 sociale del giovane migrante raggiungibile grazie allo sviluppo delle sue competenze culturali. Il progetto che è stato esposto in questo contributo con riferimento ai suoi presupposti teorici e ai principi metodologici, cerca proprio di dare priorità allo sviluppo delle competenze culturali e, in secondo luogo, linguistico-comunicative dei migranti. È nostra convinzione che un adeguato sviluppo delle competenze culturali, o meglio della consapevolezza interculturale come si è specificato nel par. 3, che preveda la valorizzazione delle identità e delle culture di ogni soggetto, rappresenti un obiettivo da perseguire se si vuole sostenere una società autenticamente pluriculturale. La sfida che ci si pone con questo progetto è quella di avvicinarsi a tale ambizioso obiettivo in maniera nettamente diversa rispetto alle modalità educative tradizionali, avanzando cioè una proposta di tipo totalmente informale e utilizzando le nuove tecnologie. Non si nega che la realizzazione del progetto potrebbe dover far fronte ad alcune difficoltà di ordine pratico (come la disponibilità30 effettiva delle tecnologie che richiedono connessione a Internet o le questioni relative alla tutela della privacy) e, forse, anche legate alle differenze cultu29 Si è già chiarita all’interno di questo contributo la valenza neutra e non assimilatoria data a termini come “integrazione” o “inserimento”.

30 Si sottolinea che la difficoltà potrebbe riguardare l’accesso alla Rete, non la capacità d’uso delle nuove tecnologie relativamente alle quali i dati sono incoraggianti.

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rali dei partecipanti; si pensa, per esempio, a forum di discussione che gli utenti avranno la possibilità di aprire anche su argomenti potenzialmente più conflittuali e complessi da gestire, come la religione o l’atteggiamento verso la sessualità nelle diverse culture. D’accordo con Lévi-Strauss si ritiene, tuttavia, che lo sviluppo di una società scaturisca principalmente laddove sia presente un certo “scarto differenziale” delle culture dei membri che ne fanno parte e ci si augura pertanto che anche il progetto CALCOTE possa contribuire a far riflettere quanti vi parteciperanno sul fatto che la eterogeneità e la differenza culturale rappresentano una fonte potenziale di arricchimento personale e delle comunità.

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capitolo IX

COMUNICARE L’ITALIANO SUL WEB.2.0: IL PROMO PIAZZA ITALIA Eleonora Fragai Università per Stranieri di Siena

1. Introduzione Obiettivo di questo contributo1 è quello di fornire una serie di riflessioni sulle attività promozionali del Centro FAST (Formazione e Aggiornamento anche con Supporto Tecnologico) dell’Università per Stranieri di Siena, il Centro di ricerca e servizi che si occupa di progettazione e di realizzazione di corsi di formazione tramite piattaforme per l’e-learning destinati a studenti, a docenti e a formatori di formatori su tematiche riguardanti l’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2. In particolare, il lavoro è finalizzato a definire un progetto di formazione in italiano L2 su temi legati alle manifestazioni della cultura italiana, sia tradizionali che contemporanee, apprezzate tra pubblici di stranieri, con l’obiettivo di generare interesse verso la lingua e la cultura italiana. In questa prospettiva il progetto di formazione è stato elaborato secondo le modalità di un Promo, inteso come “vetrina” dell’offerta formativa del Centro FAST per l’apprendimento online dell’italiano L2, gratuito e liberamente accessibile sulla piattaforma A-Tutor, e funzionale ad attrarre 1 Il presente lavoro è il risultato di un percorso di studio svolto nell’ambito del “Corso di Perfezionamento Progettazione e Produzione di percorsi di apprendimento online” del Centro FAST dell’Università per Stranieri di Siena, a.a. 2013/14, ed è stato condotto in parte insieme a due colleghe, Paola Bolognesi e Sara Ferracin, con le quali è stata delineata l’impostazione di massima del progetto pilota mirato alla promozione dell’italiano L2 (cfr. par. 3).

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successivamente i potenziali apprendenti interessati alle proposte e ai servizi del Centro di ricerca dell’Università per Stranieri di Siena. L’ipotesi di gestione del materiale promozionale è, inoltre, collegata alle modalità di pubblicizzazione del Promo e, di conseguenza, dell’offerta formativa in italiano L2 del Centro FAST tramite l’uso di Twitter, che ha enormemente modificato il modo in cui gli utenti di un servizio cercano informazioni, le condividono e prendono parte attiva nel promuovere o meno il servizio stesso. Il presente lavoro si articola in tre parti. Dopo la parte introduttiva, dedicata a questioni terminologiche e alla definizione del termine “Social Media” come iperonimo di “Social Network”, nella sezione centrale del contributo vengono illustrati più dettagliatamente alcuni aspetti a carattere metodologico riguardanti il contesto operativo per la realizzazione del Promo. La parte conclusiva del lavoro si sofferma su alcune delle caratteristiche più significative di Twitter, illustrandone le principali funzioni e le modalità d’uso, elencate soprattutto nell’ottica di un impiego nell’ambito della comunicazione web a scopo promozionale; viene proposto, infine, un possibile modello d’uso di Twitter, sicuramente suscettibile di integrazioni, esaminandone le opportunità per la diffusione dei contenuti del Promo e di ulteriori percorsi di formazione in italiano L2 proposti dal Centro FAST.

2. Nuovi scenari di comunicazione sul Web 2.0: Social Media e Social Network La rapida evoluzione delle tecnologie digitali e la diffusione di strumenti e di risorse del Web 2.0 hanno cambiato i modi di reperire informazioni, di creare relazioni personali, di utilizzare prodotti e servizi. Tra i cambiamenti più evidenti, che il Web 2.02 ha introdotto – di cui Tim 2 Secondo Tim O’Reilly il Web 2.0 «is the business revolution in the computer industry caused by the move to the internet as platform, and an attempt to understand the rules for success on that new platform. Chief among those rules is this: build applications that harness network effects to get better the more people use them» (fonte: http://goo.gl/G0E1G). Per una riflessione sul significato del termine Web 2.0, caratterizzato dall’uso di applicazioni, piattaforme e software che favoriscono la collaborazione, la condivisione e l’interazione tra utenti, e sulle differenze con il web di prima generazione, più statico, cfr. Fratter, Jafrancesco 2010.

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O’Reilly suggerisce la caratteristica principale, cioè la possibilità di usare Internet come una vera e propria piattaforma applicativa – sono senz’altro quelli legati allo sviluppo dei Social Media3 e alla loro dimensione interattiva ad aver avuto un ruolo fondamentale nel creare ambienti sociali in cui sia possibile «esprimere la propria identità, usufruire di servizi, creare reticoli sociali per dialogare con gli amici, sviluppare creatività e nuove professioni» (Lovari, Martari 2013: 2). Tra i Social Media rientra la categoria specifica dei Social Network (SN), cioè servizi disponibili sul web che permettono lo scambio di contenuti generati dagli utenti e offrono la possibilità di «articolare e rendere visibili online le proprie reti sociali, in un processo di selezione e/o accumulazione che crea e mette in evidenza relazioni che raramente sarebbero attivate nella vita offline dei cittadini» (Lovari, Martari 2013: 4). Riguardo alla questione della distinzione terminologica tra i due termini, «Social Media» e «Social Network», Kaplan e Haenlein (2010: 60) considerano il primo come iperonimo del secondo e includono al suo interno i seguenti tipi di Social Media: - - - - - -

collaborative projects (p. es. Wikipedia); blogs (diari online); content communities (p. es. You Tube, Flickr); social networking sites (p. es. Facebook, Twitter); virtual game worlds (p. es. World of Warcraft) virtual social worlds (p. es. Second Life).

I SN, considerati, dunque, come sottocategoria dei Social Media, sono piattaforme caratterizzate da tratti in comune che li contraddistinguono rispetto ad altri Social Media e che in Berger, Trexler (2010: 160) sono così elencati: - la pagina del proprio profilo (o profile page), che fornisce una descrizione di se stessi, attraverso la condivisione di testi, video e immagini; - la rete di amicizie (o network of friends), che è visualizzata attraverso una lista di contatti con i quali si è in relazione all’interno del Social Network; 3 Per un’analisi quantitativa sulla crescita dell’uso dei Social Media a livello mondiale, cfr. Nielsen Company 2013.

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- un sistema di comunicazione pubblico (o public commenting system), che permette di scrivere messaggi che vengono pubblicati sulla propria bacheca o sulla bacheca altrui; - un sistema di comunicazione privato (o private messaging system), che è utilizzato per le comunicazioni sincrone (chat) o asincrone (e-mail). È sicuramente la facilità con cui, tramite i SN, si possono creare reti sociali di individui, connessi tra loro per vari scopi di comunicazione (affettivi, culturali, educativi, professionali, commerciali ecc.), che contribuisce a qualificare il web come social e come spazio pubblico, dove si alimenta lo scambio di «informazioni personali tra componenti di gruppi di interesse per agevolare l’attivazione di relazioni sociali o professionali tra persone» (Rotta 2008: 24), anche in modalità bottom-up, attraverso nuove pratiche di interazione, come il social bookmarking e il tagging delle informazioni, che ottimizzano, almeno in teoria, la condivisione e la ricerca delle risorse reperite, agevolandone l’accesso in modo più dinamico rispetto al passato4. Con i SN gli utenti hanno così la possibilità non solo di ricevere informazioni secondo il tradizionale approccio top-down, caratteristico di enti istituzionali pubblici, ma anche di generare contenuti e di condividerli con le community a cui appartengono, aumentando in maniera rapida la platea di altrettanti potenziali utenti in altrettante community. Gli enti istituzionali pubblici hanno, quindi, l’opportunità di usare nuovi canali di comunicazione5 che implicano un ruolo attivo da parte degli utenti chiamati a dialogare con l’ente istituzionale stesso e a partecipare a discussioni e a conversazioni, fornendo feedback e commenti personali in modo da instaurare un dialogo a doppio senso dovunque si trovi l’utente e senza limiti temporali. In questa prospettiva i SN rappresentano per gli enti pubblici, e non solo per le aziende, una modalità semplice, veloce, efficace con cui raggiungere nuovi utenti, ampliare la propria community di riferimento e, 4 Su tali aspetti relativi al campo di interesse dell’Information brokering, cfr. Rotta 2008, a cui si rinvia anche per una riflessione sui rischi che tali pratiche di interazione possono comportare per una reale ed efficiente condivisione delle risorse nel «web semantico». 5 A questo proposito si segnalano le linee guida del Vademecum 2011, in cui si suggeriscono buone pratiche per la gestione dei Social Media nell’ambito della Pubblica amministrazione.

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al tempo stesso, sperimentare nuove forme comunicative a carattere interattivo e partecipativo per attrarre i potenziali utenti e/o clienti anche secondo dinamiche legate alla definizione di strategie di Social Media Marketing dei propri prodotti e servizi.

3. Il Promo Piazza Italia su A-Tutor: la formazione Delineato lo sfondo generale entro il quale si colloca questo lavoro, occorre definirne più in dettaglio le scelte metodologiche che hanno riguardato la progettazione del materiale didattico, proponibile nel formato di un Promo, denominato in modo evocativo Piazza Italia. Il Promo è pensato per la pubblicizzazione delle attività di formazione in italiano L2, proposte dal Centro FAST e allestite sulla piattaforma open source LCMS A-Tutor6 anche con l’integrazione di altri programmi-autore per la realizzazione di attività didattiche (Hot-Potatoes ed Exelearning). Lo spazio promozionale, proprio per la sua natura pubblicitaria, sarà direttamente accessibile dalla pagina web del Centro FAST e utilizzabile dagli utenti, senza iscrizione con nome utente, né password, in modalità di autoapprendimento attraverso l’interazione esclusiva tra utente e computer. Il Promo Piazza Italia è costituito da un insieme di materiali creati per un tipo di apprendimento “non formale”, che non si accompagna, cioè, a una certificazione finale della competenza acquisita7, e intende offrirsi come ponte linguistico-comunicativo e culturale per generare interesse verso corsi di italiano L2 più strutturati che l’utente potrebbe decidere di frequentare successivamente. Destinatari del Promo Piazza Italia sono, pertanto, i potenziali pubblici di italiano L2, interessati all’offerta formativa online proposta dal Centro FAST; in questo senso si presume che la tipologia dei futuri apprendenti possa corrispondere a quella di un pubblico di età giovane6 La piattaforma open source LCMS A-Tutor «non richiede nessuna esperienza o formazione specifica per la realizzazione di corsi e materiali in modalità e-learning ed è compatibile con qualsiasi tecnologia standard» (Troncarelli 2010b: 41).

7 Sulla distinzione tra i concetti di apprendimento «formale», «non formale», «informale», rintracciabile nei documenti europei, cfr. Troncarelli 2010a.

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adulta con motivazioni genericamente culturali8 e con competenze di base nella gestione dell’e-learning. Obiettivo generale del Promo Piazza Italia è, allora, la creazione di uno spazio virtuale che, con maggiore visibilità rispetto ai tradizionali strumenti di comunicazione, crei interazione e senso di coinvolgimento tra gli utenti di riferimento interessati al contatto con contenuti culturali veicolanti l’idea di italianità. Il Promo Piazza Italia è organizzato secondo una struttura ad albero, con nodi di navigazione espandibili in sottolivelli, che permette all’utente di navigare in modo intuitivo attraverso gruppi di informazioni organizzati in modo gerarchico. I nodi di navigazione principali sono sette e indicano gli “Ambienti” di cui si compone il percorso, come indicato nella fig. 1, dove si presenta la mappa di navigazione dei contenuti.

fig. 1. Promo Piazza Italia: mappa di navigazione.

Gli “Ambienti” del Promo Piazza Italia hanno finalità diverse all’interno del percorso di navigazione e, sulla base degli obiettivi che si propongono, risultano raggruppabili nelle seguenti tre categorie: presentazione, formazione ed espansione (cfr. tab. 1).

8 Sul cambiamento dei pubblici e sulle motivazioni allo studio dell’italiano all’estero, cfr. De Mauro et al. 2002.

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Ambienti

Obiettivi

Ambiente di presentazione: Piazza Italia

L’Ambiente “Piazza Italia” è dedicato alla presentazione del Promo e delle modalità di navigazione dell’intero percorso, e non prevede attività da svolgere. In questo spazio è disponibile il collegamento alla Griglia di autovalutazione dei livelli di competenza del Quadro comune europeo di riferimento9 (Consiglio d’Europa 2002: 34-35), necessaria all’utente per identificare il proprio profilo di competenza in italiano L2. In questa pagina sono previsti, inoltre, l’inserimento di un tutorial con le indicazioni per condividere contenuti sul profilo Twitter del Centro FAST, e altri strumenti integrativi, quali un Glossario interno alla Piattaforma per la consultazione di termini presenti nei testi e link a risorse di Rete esterne, come un dizionario online monolingue italiano-italiano o bilingue italiano-inglese10.

Ambienti di formazione: Biblioteca, Caffè, Cinema, Museo, Ristorante

Gli Ambienti formativi costituiscono gli spazi di lavoro veri e propri del Promo e presentano attività incentrate su contenuti sensibili per un apprendente che si avvicina allo studio dell’italiano con motivazioni generiche e legate alla tradizionale identità culturale italiana, quali la letteratura, l’arte e il cinema, ma anche a nuovi fenomeni culturali che rendono attrattivo lo studio della lingua italiana tra i pubblici stranieri, come il design, la gastronomia e l’enogastronomia (De Mauro et al. 2002; Bagna, Barni 2007).

Ambiente di espansione: Palestra

L’Ambiente “Palestra” è uno spazio di raccordo tra i vari Ambienti formativi, in cui sarà possibile reperire attività di espansione sui vari indici linguistici, presenti nei testi del Promo e oggetto di riflessione opzionale da parte degli utenti. I contenuti grammaticali sono volutamente sistematizzati in uno spazio a sé, proprio perché l’obiettivo principale del Promo è la focalizzazione sui contenuti culturali; considerata, tuttavia, la differenza di stili di apprendimento, nell’Ambiente “Palestra” verranno proposte attività finalizzate esplicitamente alla riflessione metalinguistica, accessibili tramite link forniti nelle schermate delle attività.

tab. 1. Promo Piazza Italia: Ambienti e obiettivi.

I cinque Ambienti di formazione di Piazza Italia hanno una struttura modulare e ricorsiva composta da una pagina principale in cui, oltre alla segnalazione di link a risorse di Rete esterne, autorevoli e significative per l’approfondimento degli aspetti culturali proposti, si presentano gli obiettivi generali che saranno affrontati e le indicazioni procedurali per la navigazione dei contenuti distinta per profili di competenza.910 Dalla pagina principale di ogni Ambiente il percorso si ramifica, infatti, in tre sessioni secondo il modello tripartito nei profili A (Utente basico), B (Utente indipendente) e C (Utente competente) proposto dal 9 Per una lettura in chiave critica del documento europeo, cfr. Vedovelli 2010.

10 Sull’utilizzo dei dizionari in rete come risorsa per l’apprendimento autonomo, cfr. Troncarelli 2014.

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Quadro comune europeo di riferimento, rispetto al quale gli utenti possono autovalutarsi tramite la griglia di autovalutazione accessibile dalla pagina principale dell’Ambiente “Piazza Italia” (cfr. par. 3.2). Ogni sessione, relativa a un determinato profilo di competenza, include a sua volta la presentazione degli obiettivi specifici della sessione, un’unica attività di comprensione scritta o orale, e un’unica attività lessicale, focalizzata sulle aree lessicali presenti nel testo dell’attività di comprensione. Si ritiene che tale scelta sia adeguata proprio per rispondere alle aspettative di un utente che decida di seguire il percorso del Promo, fruibile esclusivamente in autoapprendimento a distanza e necessariamente “leggero” in termini di quantità di attività da svolgere e di durata delle stesse per prevenire l’abbandono da parte dell’utente (cfr. fig. 2)11.

fig. 2. Promo Piazza Italia: ambienti, profili di competenza, sessioni.

11 Per quanto riguarda, in particolare, il formato delle attività, la scelta della tipologia delle prove è strettamente dipendente dal tipo di percorso formativo, fruibile in autoapprendimento, e si basa pertanto unicamente su prove chiuse: abbinamenti, cloze, completamenti, individuazione di informazioni, scelte multiple, riordini. Il feedback, «uno degli elementi portanti del successo dei materiali per l’autoapprendimento» (Fratter 2004: 92), verrà fornito al termine delle attività con la visualizzazione delle risposte corrette o sbagliate.

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Il percorso del Promo è focalizzato, dunque, su obiettivi parziali della competenza linguistico-comunicativa, che prevedono lo sviluppo dell’abilità di comprensione scritta e orale, e delle conoscenze lessicali tramite il contatto con i testi dei cinque ambienti formativi, e lo sviluppo della competenza morfosintattica, se l’utente sceglie di navigare all’interno dell’Ambiente “Palestra”. In questa prospettiva il Promo non è un corso formalmente strutturato secondo le varie componenti della competenza linguistico-comunicativa; la progettazione dello spazio promozionale si rifà, dunque, a un modello progettuale per obiettivi parziali, come è naturale che avvenga nella pianificazione di un percorso formativo destinato esclusivamente alla fruizione individuale in autonomia senza la guida di un docente o di un tutor e in assenza di attività di tipo collaborativo con altri utenti (Troncarelli 2010b). Le sessioni di ogni Ambiente sono, inoltre, identificabili come blocchi di apprendimento assimilabili a Learning Object (LO) definiti «insiemi di elementi minimi, costituiti da un testo, un’immagine, un video, un’attività ecc., che consentono l’acquisizione di abilità o conoscenze rispetto ad un obiettivo formativo» (Troncarelli 2010b: 43). In questo senso le attività che compongono ogni sessione presentano una delle principali caratteristiche dei LO, l’autoconsistenza, fondata sull’autonomia didattica dei contenuti a garanzia della loro riusabilità in un altro contesto formativo e con obiettivi diversi (Fallani 2013).

4. Il Promo Piazza Italia su Twitter: la comunicazione Definiti gli obiettivi, la struttura e le scelte metodologiche che sottostanno alla progettazione del percorso formativo a scopo promozionale, occorre individuare quali siano, tra le tante disponibili, le modalità più adeguate per aumentare la visibilità dei contenuti del Promo Piazza Italia e dei servizi per l’italiano L2 offerti dal Centro FAST presso un più ampio pubblico di utenti. L’ipotesi di gestione di tali aspetti, che rappresenta uno degli obiettivi principali di questo lavoro, si basa sulla convinzione che il Social Network Twitter possa essere utilizzato con un proprio profilo dal Centro 217

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FAST per ottenere una maggiore influenza sulla propria community e per allargare efficacemente la fascia di potenziali utenti dell’offerta formativa in italiano L2. 4.1. Twitter: caratteristiche, diffusione, funzionalità La scelta di Twitter è giustificata dal fatto che ben si presta, per alcune sue caratteristiche di risorsa del Web 2.0, a essere utilizzato in attività che ne rendono opportuno l’impiego per la diffusione e la condivisione di contenuti presso un vasto pubblico di utenti. Che cos’è Twitter? Creato nel 2006 a San Francisco dalla Società Odeo, Twitter è un servizio gratuito di social networking12, basato sulla condivisione di messaggi di testo molto brevi, tweet appunto (dall’inglese “cinguettio”), della lunghezza massima di 140 caratteri, che consentono di interagire con un numero illimitato di utenti in modo rapido ed efficiente, due aspetti che hanno contribuito alla progressiva crescita di questo SN a livello globale. Twitter è definito anche come microblogging perché presenta alcune caratteristiche proprie dei blog, come la presenza dei collegamenti permanenti e la disposizione degli interventi in ordine cronologico inverso, nonostante il numero limitato di caratteri a disposizione nei messaggi, che lo rende più assimilabile alla comunicazione tramite SMS, l’assenza di tag di classificazione dei post e la portabilità dei tweet su diverse piattaforme siano tratti peculiari che lo differenziano dal blog (Conti 2010). I dati quantitativi delle indagini sulla penetrazione di Twitter a livello mondiale13, soprattutto tra giovani adulti, ne confermano la crescita tendenziale: nell’ottobre del 2013 Twitter ha avuto 232 milioni di utenti attivi nel mese con un aumento di 14 milioni rispetto al mese precedente, con un totale di 904 milioni di account registrati, mentre è stato calcolato che sono circa 500 milioni i tweet che viaggiano ogni giorno in

12 Con tale significato è stato considerato Twitter in questo contributo, secondo l’accezione fornita nel par. 2.1.

13 Per una panoramica, in particolare, sui dati quantitativi sull’uso e sulla diffusione di Twitter in Italia, cfr. Della Dora 2013a.

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Rete14. Riguardo allo sviluppo di Twitter nei consumi mediali, interessanti sono, inoltre, i dati di indagini che registrano, rispetto agli altri SN, il primato assoluto di Twitter se si considera la modalità di connessione da dispositivi mobili15 (Nielsen Company 2013). Quali sono i motivi di questo apprezzamento di Twitter da parte degli utenti? Sicuramente fra i maggiori vantaggi di questa risorsa del Web 2.0 vanno segnalate la relativa facilità d’uso e la rapidità con cui si rendono visibili ai propri follower informazioni e link a risorse di Rete, a condizione che se ne conosca sufficientemente la sintassi. Dal momento che non rientra negli scopi di questo lavoro una descrizione dettagliata del linguaggio di Twitter, vengono presentati di seguito (cfr. tab. 2) solo alcuni termini-chiave relativi alle principali funzioni e caratteristiche utili alla comprensione di base di questo SN. Per quanto riguarda, invece, l’uso di Twitter per l’apprendimento, argomento che per il taglio dato a questo lavoro sarà solo accennato, occorre evidenziare che, nonostante le posizioni sull’efficacia o meno della piattaforma social siano controverse, Twitter si offre come spazio ideale per il lavoro collaborativo in un’ottica di peer education, poiché facilita: la ricerca e la costruzione dell’informazione, la comunicazione sintetica e la cooperazione tra soggetti distanti, la costituzione di community con alti livelli di interazione. A questo proposito, Twitter si rivela un ambiente propizio per realizzare tale tipo di crescita parallela e cooperativa, in primo luogo in quanto è una delle manifestazioni più semplici dell’uso delle nuove tecnologie, ed inoltre perché si basa sulla forma espressiva scritta, che l’insegnante sente come particolarmente congeniale al suo stile cognitivo poiché si è formato su una cultura di tipo essenzialmente testuale. In tal modo, il docente si pone in qualità di coutilizzatore di ambienti di apprendimento già progettati per consentire percorsi attivi e consapevoli. (Spadavecchia 2010: 121). 14 Fonte: http://goo.gl/wjYl0a.

15 Le applicazioni dei SN per i dispositivi mobili (tablet, smartphone, i-pad, i-phone, computer portatili) sono versioni ottimizzate «che risultano generalmente più accessibili rispetto alle versioni tradizionali. Pur presentando gli stessi contenuti e le funzionalità essenziali, le versioni per il mobile hanno generalmente un layout estremamente semplificato e possono risultare di più facile utilizzo anche per gli utenti che hanno una scarsa dimestichezza nell’utilizzo delle tecnologie informatiche», (Vademecum 2011: 64). Sull’aumento dell’uso dell’audience online da dispositivi mobili, cfr. Fratter in questo volume.

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Eleonora Fragai Funzione Following e Follower

Descrizione Alla base dell’interazione su Twitter è il follow, cioè l’azione di “seguire” altri utenti in modo da riceverne il flusso di tweet nella propria homepage: i following sono gli utenti che si è scelto di seguire, i follower sono gli utenti che seguono il loro profilo. In particolare, i following rappresentano una risorsa importantissima per aggiornarsi sugli argomenti che interessano maggiormente.

Tweet

Il tweet è un breve messaggio di testo postato da un utente, al quale può essere allegato un video, un’immagine, oppure un link. Il limite di caratteri fissato per ogni tweet caricato su Twitter è di 140 caratteri. Serve per contrassegnare, tramite il simbolo del cancelletto, l’argomento principale di un tweet. Gli hashtag sono dei tag che possono essere inseriti nei propri tweet per indicizzare i contenuti da evidenziare: cliccando su un determinato hashtag è possibile ricercare e rendere visibili tutti i tweet che trattano di un certo argomento. Gli hashtag sono, dunque, un utile strumento per cercare nuovi account da seguire e nuove conversazioni a cui partecipare. Si usa, tramite il simbolo della chiocciola, per citare nel proprio tweet altri profili di utenti. Grazie alla mention, è possibile attirare l’attenzione sui propri contenuti: questa funzione, infatti, comporta una notifica automatica nel profilo di chi è stato menzionato e in tal modo si crea un collegamento tra due account con la possibilità di iniziare nuove conversazioni. La mention è utilizzata anche come modalità di citazione, se con il tweet si condivide un articolo, un sito o un’opinione altrui, tramite l’espressione “via @nome”. Consente di condividere tweet di altri profili e di rendere visibile sul proprio profilo il tweet di un altro utente che ha pubblicato un contenuto che sarà condiviso con i propri follower; in tal caso la persona riceverà una notifica dell’avvenuto retweet. Permette di generare, tramite il tasto per il retweet, un nuovo tweet che cita integralmente quello originale, ma offre anche la possibilità di aggiungere un commento di 116 caratteri e di personalizzare il testo del tweet postato da altri utenti. Offre la possibilità di commentare i tweet dei propri follower, cliccando sul tasto “Rispondi” per far comparire in automatico un campo di testo con all’interno la chiocciola, simbolo per la mention, seguita dal nome dell’utente a cui si vuole inviare la risposta. Consente di salvare, dal tasto che indica la stellina, un tweet ritenuto interessante nello spazio dedicato del proprio menu per successivi approfondimenti sui contenuti del tweet, per esprimere il proprio accordo su un’opinione, per ringraziare quando si è stati menzionati o per mostrare semplicemente interesse verso un altro profilo. Permette di riunire profili di utenti, non necessariamente tra i propri following, che sono focalizzati su uno stesso ambito di interesse per monitorare e filtrare notizie e informazioni su un argomento specifico. Dato il limite massimo di 140 caratteri disponibili su Twitter, spesso gli indirizzi dei siti internet devono essere accorciati tramite strumenti come Google URL Shortener, che abbreviano un URL, o lasciano che Twitter tagli in automatico il link troppo esteso.

Hashtag (#)

Mention (@)

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Preferiti

Liste URL abbreviati

tab. 2. Twitter: principali funzioni.

Riguardo alle molte opportunità che Twitter offre ai docenti16 e agli studenti, ecco di seguito alcuni dei diversi modi di usare il SN per fare 16 Sulla formazione richiesta nell’ambito delle TIC al docente di lingue nella “società complessa” cfr. Fratter, Jafrancesco 2014.

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didattica, presentati, ovviamente, solo a titolo esemplificativo e come lista aperta e continuamente aggiornabile (Barrett 2014): - raccogliere dati su argomenti o fatti storici, geografici, scientifici da rielaborare in relazioni o articoli scientifici; - collazionare opinioni personali; - riassumere in concetti chiave degli argomenti concordati; - identificarsi in un famoso personaggio e riassumere le sue idee, punti di vista ed esperienze; - alternare pro e contro in relazione a un problema; - esprimere più punti di vista diversi su uno stesso argomento o problema; - scrivere una storia a partire da una frase comune proposta come punto di partenza; - trovare la collocazione geografica di altre persone chiedendo loro di fornire le loro coordinate geografiche su Twitter; - realizzare giochi di parole; - raccogliere link utili su determinati argomenti. Oltre a questi aspetti collegati a contesti formali di apprendimento, va sottolineato, infine, il ruolo che l’apprendimento informale17 riveste su Twitter con tutto ciò che ne consegue possibilità di essere “autori” sul web tramite la creazione di contenuti, la condivisione degli stessi (p. es. documenti, fotografie, video, siti preferiti) e l’opportunità di sviluppare svariate forme di interazione sociale tra pari, come dimostrano l’ormai ampia letteratura specialistica sul tema e le tante risorse reperibili sul web18. 17 Cfr., per esempio, Buchem 2011, che introduce il concetto di apprendimento “fortuito” nel contesto di microblogging, discutendo le implicazioni che le scoperte impreviste e inattese hanno per un apprendimento di tipo informale secondo la modalità di ricerca serendipity.

18 Non è immediata la selezione delle molteplici risorse di Rete e dei numerosi siti utili per approfondire temi e punti di vista relativi all’uso di Twitter per l’e-learning; a tale proposito si rinvia a due fonti autorevoli, cortesemente segnalate dal Prof. Mario Rotta, ricche di link a risorse esterne e di spunti di riflessione sull’impiego di Twitter nella didattica: http://goo. gl/P9q2y2; http://goo.gl/qeRn1q. Per quanto concerne, in particolare, l’uso di Twitter per l’insegnamento dell’italiano L2, cfr. Cotroneo 2012, utile anche per un’ampia panoramica sulla letteratura specialistica collegata a questo tema. Sulla relazione tra Social Network ed educazione in generale, cfr., invece, Ranieri, Manca 2013.

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4.2. Comunicazione social: un’ipotesi di gestione La focalizzazione sugli aspetti che qualificano lo stile di interazione di Twitter rimanda all’ipotesi di gestione del percorso formativo proposta in questo contributo e basata sull’importanza strategica del SN nel migliorare la comunicazione a scopo promozionale del Centro FAST, aumentandone la visibilità su più canali di comunicazione: per sostenere e incrementare la domanda di italiano L2 è fondamentale, infatti, che le agenzie formative istituzionali sviluppino progetti di formazione, associandoli a tecnologie in grado di stimolare dinamiche di interazione diretta con i propri potenziali utenti secondo modalità di comunicazione tipiche del Web 2.0. Proprio per questa sua dimensione applicativa, il modello metodologico di riferimento, basato su un’esperienza specifica realizzata per il Centro FAST, potrebbe essere generalizzabile e proponibile con gli opportuni riadattamenti ad altri contesti formativi per l’apprendimento dell’italiano L2 online. Con particolare riferimento al percorso presentato in questo contributo, segnaliamo che il Centro FAST potrebbe sfruttare nuove modalità di comunicazione social per raggiungere un più vasto pubblico di italiano L2, garantendo la fruizione condivisa su larga scala dei contenuti linguistico-comunicativi e culturali del Promo Piazza Italia – accessibile gratuitamente dalla piattaforma A-Tutor dell’Università per Stranieri di Siena – e pubblicizzando, allo stesso tempo, altre azioni formative non gratuite attraverso le opportunità messe a disposizione da Twitter19. Tramite la creazione di un proprio account su Twitter sarebbe, infatti, possibile costruire una community di utenti e di potenziali clienti di corsi di italiano L2, legata all’identità formativa del Centro FAST, che potrebbe interagire e dialogare con il Centro FAST, superando in tal modo l’approccio tradizionale top-down, caratteristico delle istituzioni universitarie, a cui spesso è associata un’idea di inaccessibilità e di complessità nella comunicazione. Visto da questa angolazione, Piazza Italia, allora, non sarebbe più solo e semplicemente un contenitore di attività didattiche per l’italiano L2 19 A scopo informativo si segnala il Progetto Tweetaliano dell’Università per Stranieri di Perugia, esperimento didattico a livello accademico che coniuga, in questo caso, la didattica dell’italiano L2 con l’uso di Twitter, ma che sicuramente aumenta anche la visibilità dell’Ateneo perugino in Rete, cfr. Quaggia (2013: 145-148).

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volte a suscitare interesse verso percorsi didattici formali a cui iscriversi successivamente, ma anche un catalizzatore di conversazioni su contenuti linguistico-comunicativi e culturali che gli utenti potrebbero condurre su Twitter, interagendo con il Centro FAST e tra loro su temi di interesse. In concreto, il Centro FAST avrebbe la possibilità di instaurare nuove forme di interazione con il pubblico tramite la creazione di una propria community e di condividere su Twitter i contenuti del Promo Piazza Italia legati ad aspetti significativi della cultura italiana. Creata la community di riferimento – allargabile in modo esponenziale grazie ai collegamenti di varia natura che esistono tra gli utenti – i partecipanti, a loro volta, sarebbero incoraggiati a co-creare contenuti, postando commenti, esprimendo opinioni, condividendo testi, suggerendo collegamenti a siti web, divenendo, insomma degli User Genereted Content20, secondo un tipo di comunicazione multirelazionale, basato sul rapporto “molti a molti” attraverso forme di engagement21 che contribuirebbero ad allargare la visibilità del Centro FAST. Perché il profilo del Centro FAST sia efficace, è fondamentale curare l’interazione con gli utenti, seguendo le consuete buone pratiche di social marketing su Twitter22, di cui sinteticamente si riportano alcuni suggerimenti per la scelta dei follower, per la selezione dei contenuti da proporre nei tweet e nei retweet, e per la modalità di comunicazione con cui condividerli. - Chi seguire? È importante scegliere following che siano fonti di informazione autorevoli e selezionare con attenzione i profili di enti, associazioni, studiosi, scuole, riviste con interessi affini e attivi nel campo

20 Tramite i Social Media e i siti open content l’utente da passivo fruitore di contenuti diventa creatore ed elaboratore dei contenuti stessi. Ciò significa che l’«utente è abilitato alla scrittura e può intervenire liberamente, proponendo materiali, link multimediali, riflessioni e commenti personali, notizie, fotografie e così via» (Quaggia 2013: 142).

21 Engagement, termine chiave nell’ambito della comunicazione aziendale tramite i SN, significa letteralmente «coinvolgimento» e indica varie azioni volte a stimolare tra gli utenti conversazioni e interazioni sul valore e l’identità di un certo marchio o di una certa azienda, creando un rapporto continuativo con le persone interessate. Per quanto riguarda, in generale, le strategie di web marketing legate all’engagement cfr., tra gli altri, Cucchi 2013. 22 Sulle modalità di presenza di marchi e aziende nei Social Network, primo fra tutti Twitter, cfr. Della Dora 2013b.

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dell’insegnamento dell’italiano L2, per tenersi aggiornati sui contenuti che interessano. Su Twitter è poi disponibile la funzione “Scopri”, nella quale si trovano, oltre agli hashtag di tendenza e più popolari, anche i suggerimenti utili su chi seguire, basati sulla tipologia del profilo dei following già scelti. - Che cosa twittare e retwittare? È fondamentale condividere nei tweet e nei retweet contenuti multimediali (testi, video, immagini, link) d’interesse per la lingua e per la cultura italiana, indicizzandoli con i relativi hashtag. Tali contenuti, nel caso che stiamo descrivendo in questo contributo, sono legati ai temi culturali proposti negli ambienti del Promo (cfr. par. 3.2), ma anche ad argomenti e notizie non strettamente connessi al Promo, che possono, tuttavia, risultare interessanti per i follower del Centro FAST (p. es. informazioni su eventi e iniziative del Centro FAST, anche attraverso modalità di Live tweeting23, e link a risorse web per l’italiano L2, come il sito dell’Accademia della Crusca, utili per l’approfondimento di contenuti linguistico-culturali). È importante, inoltre, usare il retweet per condividere tweet altrui, dopo aver verificato la loro rilevanza, in modo da non risultare troppo autoreferenziali, e tweet dei propri follower per promuovere una relazione di interscambio con i propri interlocutori, dimostrando apertura nei loro confronti. - Come comunicare? È basilare utilizzare modalità di comunicazione amichevoli, e non secondo atteggiamenti di autorevolezza tipici degli enti istituzionali, caratterizzate sia da uno stile di tipo informativo, contraddistinto da una posizione neutra rispetto al messaggio da trasmettere, sia da uno stile di intrattenimento, se si vuole trasmettere un’emozione positiva ai propri follower (Kaplan, Heinlein 2010: 66). L’uso di Twitter per la promozione dell’offerta formativa in italiano L2 del Centro FAST potrebbe offrire, in sintesi, interessanti prospettive di sviluppo tramite canali di comunicazione diversi da quelli usati in passato attraverso nuove modalità di coinvolgimento degli utenti e fondate sul 23 Con il termine Live tweeting ci si riferisce all’azione di diffondere in tempo reale via Twitter un evento cui si sta assistendo “in presenza”; sugli obiettivi e sulle modalità di questa forma di comunicazione cfr. Amadei (2013).

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presupposto che «it seems undisputable that (Mobile) Social Media will be the locomotive via which the World Wide Web evolves». (Kaplan, Heinlein 2010: 68).

5. Conclusioni Il progetto di massima per la realizzazione del Promo Piazza Italia è stato fondato sul presupposto che, ricorrendo alle risorse messe a disposizione da Twitter, si possano ottenere risultati migliori, rispetto a quelli perseguibili con gli strumenti tradizionali di comunicazione, in termini di attrazione dei potenziali pubblici di italiano L2 interessati al contatto con la lingua e la cultura italiana. Grazie ad alcune sue caratteristiche, Twitter può essere considerato un canale di comunicazione privilegiato per sviluppare forme di interazione comunicativa rapide ed efficaci sui contenuti del Promo e, quindi, anche un’utile risorsa per azioni di social media marketing e di engagement, attraverso le quali il Centro FAST può coinvolgere, in qualunque momento e in modo immediato, i potenziali apprendenti di corsi che offre per l’apprendimento dell’italiano L2 in contesto formale. Nella convinzione che oggi non sia immaginabile trascurare tipi di interazione sempre più veicolati e potenziati dai SN, è con questo obiettivo che il Centro FAST potrebbe creare su Twitter una community di pubblico dove gli utenti possono interagire tra loro, scambiare informazioni con il proprio gruppo di pari e condividere commenti o opinioni sui contenuti del Promo e su altri temi coerenti con essi. Il progetto per la realizzazione di Piazza Italia, in conclusione, intende offrire un contributo alla riflessione sulla diffusione di nuove risorse comunicative basate sul Web 2.0: sfruttando, insomma, il potenziale di un Social Network come Twitter, enti e centri che si occupano di diffusione della lingua e della cultura italiana potrebbero affrontare in modo più efficiente alcuni aspetti che riguardano la promozione delle proprie attività con azioni mirate ad aumentare la propria visibilità e ad ampliare, in tal modo, le potenziali fasce di utenti interessati alla formazione in italiano L2 tramite modalità e-learning e secondo una dimensione che è all’incrocio tra apprendimento “non formale” e “informale”. 225

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capitolo X

TRADUZIONE AUDIOVISIVA E CONSAPEVOLEZZA PRAGMATICA NELLA CLASSE D’ITALIANO AVANZATA Laura Incalcaterra McLoughlin & Jennifer Lertola National University of Ireland, Galway1

1. Introduzione Questo articolo presenterà l’uso della traduzione audiovisiva (AVT) finalizzata allo sviluppo della competenza pragmatica nella classe di italiano lingua straniera (LS). Lo studio trae ispirazione dalla ricerca esistente nel campo della (im)politeness2 e della percezione del linguaggio emotivo tra parlanti non madrelingua (non native speakers: NNS), ma si concentra sull’acquisizione della lingua straniera e sul ruolo della traduzione audiovisiva nello sviluppo della consapevolezza e competenza pragmatica in LS. In particolare saranno discussi l’uso dell’AVT nelle classi di lingua, le opportunità offerte dalla piattaforma ClipFlair per l’impiego dell’AVT nell’insegnamento e apprendimento delle lingue e come essa può essere sfruttata per stimolare la riflessione su aspetti pragmatici interculturali. Si analizzerà quindi l’atteggiamento degli studenti rispetto alla traduzione del linguaggio scortese nella sottotitolazione di un testo audiovisivo dalla seconda (L2) alla prima lingua (L1) e le implicazioni per l’acquisizione della LS. Si ritiene che la riflessione sulla percezione dell’impatto emotivo di 1 Pur essendo il frutto di una riflessione comune, il lavoro risulta così suddiviso: Incalcaterra McLoughlin è autrice dei parr. 1, 3, 5; Lertola è autrice dei parr. 2, 4, 6. 2 In italiano (s)cortesia.

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bestemmie e altri tabù o espressioni volgari e sulla loro equivalenza (o meno) in traduzione possa aiutare a migliorare la capacità degli studenti di comunicare in modo appropriato in un determinato contesto interculturale. Si ritiene inoltre che la traduzione audiovisiva, in particolare, possa risultare estremamente utile a tale fine, dal momento che i testi su cui gli studenti lavorano, forniscono esempi di atti di comunicazione orale in situazioni realistiche. Nonostante sia stato ampiamente dimostrato che il linguaggio filmico si differenzia dalla conversazione spontanea, il dialogo audiovisivo appare comunque estremamente efficace nell’apprendimento delle lingue (Pavesi 2012), specialmente se usato in situazioni in cui l’accesso a input spontaneo è limitato e la comunicazione è confinata all’interazione in contesto scolastico, separato dalla realtà linguistica dell’ambiente in cui si vive. Barón Parés nota come «una gran parte della ricerca svolta finora nel campo dell’ILP (Interlingual Pragmatics) sia generalmente impostata in contesti naturali o di esperienze all’estero»3 (2012: 175) piuttosto che in situazioni di apprendimento della lingua straniera in classe. Il presente articolo si concentra invece proprio su queste ultime, riconoscendo la differenza tra apprendimento di una lingua in contesti LS e L2. Mey osserva che la pragmatica non è «limitata agli aspetti grammaticalmente codificati della lingua» (2001: 6) in quanto l’atto comunicativo è influenzato anche dal contesto situazionale. A questo proposito, consideriamo i testi audiovisivi come un ottimo strumento per introdurre la riflessione sugli aspetti pragmatici della lingua straniera ed eventualmente svilupparne consapevolezza e competenza poiché essi rappresentano atti comunicativi orali dinamici e completi di elementi linguistici, paralinguistici, extralinguistici e culturali.

2. AVT nelle classi di lingua: metodologia e strumenti Audiovisual Translation (AVT) indica il trasferimento linguistico nei media audiovisivi ed è generalmente diviso in due modalità: captioning e revoicing. Captioning comprende tutte le forme di inserimento di scrittu3 Tutte le traduzioni sono a cura delle autrici.

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ra nel testo audiovisivo: nuvolette, testo a fianco dell’immagine, intertitoli e sottotitoli. Il revoicing invece comprende tecniche di trasferimento orale del parlato audiovisivo quali il doppiaggio e il voice-over. La sottotitolazione è la forma di captioning più conosciuta e consiste nel trasferimento del parlato in forma scritta, è pertanto una traduzione condensata del testo parlato originale e, come già accennato, può essere sia intralinguistica che interlinguistica. La sottotitolazione interlinguistica implica traduzione e può essere standard (L2L1) o inversa (L1L2). Quella intralinguistica, invece, è una trascrizione condensata del discorso originale, nella stessa lingua. Per quanto riguarda il revoicing, invece, il doppiaggio è la traduzione, adattamento e registrazione della traccia audio originale in una lingua differente. Il voice-over è la registrazione della traduzione del dialogo originale, il cui volume non viene completamente azzerato per cui esso è ancora presente in sottofondo. L’utilizzo di materiale audiovisivo nell’apprendimento delle lingue è una pratica ampiamente diffusa e sin dagli anni Ottanta del Novecento materiali autentici e non autentici sono stati accompagnati da sottotitoli per facilitarne la comprensione. Nel corso degli anni, vari studi hanno dimostrato il valore pedagogico dell’esposizione sia a sottotitoli intralinguistici sia interlinguistici per il miglioramento della comprensione orale e scritta, della produzione orale oltre che dell’acquisizione di aspetti grammaticali e dell’ampliamento lessicale. Grazie al crescente interesse da parte di ricercatori e insegnanti per l’uso dei sottotitoli nell’apprendimento e grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, la sottotitolazione attiva da parte degli studenti è ormai una realtà. Negli ultimi dieci anni studi empirici hanno dimostrato gli effetti positivi dell’uso della sottotitolazione, per l’acquisizione del lessico (Bravo 2010; Lertola 2012), per lo sviluppo della comprensione orale (Talaván 2010, 2011; Talaván, Rodríguez-Arancón 2014b) e della produzione scritta (Talaván, Rodríguez-Arancón 2014a) ma anche della consapevolezza (inter)culturale (Borghetti, Lertola 2014) e pragmatica (Incalcaterra McLoughlin 2009). La traduzione audiovisiva, e in particolare la creazione dei sottotitoli, oltre a favorire l’apprendimento linguistico può essere usata efficacemente per evidenziare aspetti pragmatici della comunicazione che altrimenti non sarebbero notati. Infatti durante il processo di sottotitolazione - traduzione e sincronizzazione dei sottotitoli con il video ri230

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spettando limiti spaziali e temporali - gli apprendenti devono analizzare il contesto in cui avviene la comunicazione, capire e trasmettere il messaggio in modo appropriato. La Commissione Europea ha riconosciuto il potenziale della sottotitolazione attiva finanziando progetti volti alla creazione di strumenti tecnologici pensati specificamente per l’apprendimento delle lingue. Il progetto Learning via Subtitles (LeViS), iniziato nel 2006 all’interno del programma Socrates LINGUA 2 e conclusosi nel 2008, ha sviluppato un prototipo di software per sottotitolare (LVS) che permetteva agli insegnanti di creare attività riutilizzabili e promuoveva la comunicazione con gli apprendenti. Nel periodo 2011-2014 la Commissione ha sostenuto un nuovo progetto, ClipFlair4, tramite il programma Lifelong Learning dell’Unione Europea. ClipFlair amplia l’ambito di impiego della traduzione audiovisiva nell’insegnamento e apprendimento delle lingue, in quanto permette di svolgere attività non solo di sottotitolazione (captioning) ma anche di doppiaggio, voice-over, audiodescrizione, narrazione, ecc. (revoicing), offrendo quindi l’opportunità di esercitarsi in compiti e contesti molto diversi tra loro. 2.1. La piattaforma ClipFlair I partner ClipFlair hanno creato una piattaforma, accessibile dal sito http://clipflair.net/. La Home page permette di accedere a una serie di risorse: una galleria di attività già pronte e selezionabili attraverso diverse funzioni di ricerca (livello di competenza linguistica, età, argomento, ecc.), una galleria di video e immagini, ClipFlair Social Network e ClipFlair Studio. Il “Social” ospita la comunità di Social Network e include vari tutorial, blog, forum e gruppi di interesse specifico, permettendo così agli utenti di reperire materiale esplicativo, condividere il proprio lavoro, formare gruppi, cooperare e interagire. 4 Per approfondimenti si rimanda al sito: http://clipflair.net/ (ultimo accesso:15.05.2015). ClipFlair rappresenta uno sviluppo del precedente progetto LeViS e alcuni dei partner hanno fatto parte del consorzio di dieci università che lo ha realizzato: Universitat Pompeu Fabra (Spagna), Computer Technology Institute (Grecia), Universitat Autònoma de Barcelona (Spagna), Imperial College London (Regno Unito), Universitatea “Babeş-Bolyai” (Romania), Universidad de Deusto (Spagna), Taillinn University (Estonia), University of Warsaw (Polonia), Universidade do Algarve (Portogallo) e National University of Ireland (Galway, Irlanda).

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Lo “Studio” invece è l’area di lavoro, in cui è possibile creare e manipolare le attività (cfr. fig. 1). Qui gli autori delle attività possono inserire riquadri (components) che contengono video, testo, sottotitoli, esercizi di revoicing, immagini e mappe.

fig. 1. L’interfaccia dello “Studio” di ClipFlair.

Il progetto contiene oltre 300 attività per tutti i livelli del Quadro Comune di Riferimento per le Lingue (2001) e una varietà di lingue europee ed extraeuropee. Le attività ClipFlair sono pensate per varie modalità di apprendimento (guidato o auto-apprendimento, in classe o a distanza) e per contesti diversi (università, scuole, corsi per adulti). Inoltre, la piattaforma ClipFlair è estremamente versatile in quanto è accessibile online e non richiede pertanto l’installazione di alcun software5.

5 È tuttavia necessario avere installato Microsoft Silverlight sul proprio computer. Questo software gratuito è scaricabile dal sito https://www.microsoft.com/silverlight/

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3. Quadro teorico Gli atti linguistici sono modellati da regole sociolinguistiche e rispondono a obiettivi funzionali. La comprensione di queste regole e obiettivi è indispensabile se un apprendente intende interagire in modo appropriato e significativo in un ambiente in cui si parla una lingua straniera. Parolacce e volgarità sono aspetti peculiari degli atti linguistici il cui uso e la cui distribuzione nel parlato dipendono da variabili sociolinguistiche quali l’età degli interlocutori, il sesso, lo stato sociale, il contesto ecc., ma sono atti a cui raramente gli apprendenti vengono esposti nella classe di LS. Eppure il linguaggio volgare e osceno è utilizzato spesso e ha un considerevole peso connotativo. La ricerca sulla frequenza d’uso delle parolacce nell’inglese parlato ha prodotto risultati diversi, attribuibili alle diverse interpretazione di cosa costituisca una parolaccia (Beers Fägersten 2012). Per quanto riguarda l’italiano, nel loro Lessico di frequenza dell’italiano parlato, De Mauro et al. (1993) posizionano l’espletivo “cazzo” al numero 722 su 500.000 token. Non sembra quindi superfluo o fuori luogo includere una riflessione sull’uso – e sull’intenzione che sottende all’uso – di parolacce e altre espressioni scortesi nell’insegnamento della lingua straniera. Naturalmente, il linguaggio scortese va presentato all’interno di un contesto e non in isolamento, in quanto è il contesto che determina il grado di offensività percepita di un’espressione (Beers Fägersten 2007: 32). Le parolacce sono espressioni linguistiche che rivestono svariate funzioni (Dewaele 2004), in quanto esse possono sottolineare non solo un comportamento aggressivo ma anche, per esempio, il livello di coesione di un gruppo sociale, e aiutano a stabilire il grado di informalità degli atti comunicativi. Jay e Jenschewitz (2008) sostengono che queste espressioni hanno impatto maggiore nella madrelingua, mentre il loro impatto diminuisce progressivamente quando si passa alla seconda, terza lingua e così via. Gli autori dimostrano anche che i parlanti madrelingua «sono più sensibili all’influenza delle variabili contestuali in scenari imprecativi rispetto ai non madrelingua» ( Jay, Jenschewitz 2008: 284) e definiscono le variabili contestuali come «la relazione tra parlante e ascoltatore, l’ambientazione fisica e sociale, l’argomento della discussione» ( Jay, Jenschewitz 2008: 285). 233

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Harris et al. (2003) affermano che le differenze emotive tra L1 e L2 sono generate dal contesto in cui avviene l’acquisizione della lingua stessa. Mentre la L1 viene generalmente appresa in contesti familiari in cui emozioni potenti sono fortemente radicate, la L2 è solitamente imparata in ambienti più neutri, come la scuola o il lavoro, e quindi tende a essere associata a nozioni di controllo e autonomia. In linea con i risultati di studi precedenti svolti su parlanti monolingui, la ricerca psicologica di Harris et al. mostra che le parole tabù suscitano forti reazioni involontarie e, di nuovo coerentemente con precedenti studi su parlanti bilingui, che i parlanti bilingui provano più ansia quando incontrano parole tabù in L1 piuttosto che in L2. Ulteriori ricerche dimostrano che parolacce e altre parole tabù influiscono positivamente sulla ritenzione mnemonica. Lieury et al. (1997) hanno dimostrato che in test di richiamo mnemonico differito queste parole avevano quattro volte più probabilità di essere ricordate rispetto a parole neutre. Ciò considerato, in questo articolo ci proponiamo di verificare se aiutare gli studenti a notare le “variabili contestuali” possa influenzare la loro percezione dell’impatto di parolacce e altre espressioni scortesi e aumentare la loro consapevolezza pragmatica in LS e se questo, a sua volta, possa influenzare le loro scelte traduttive. Si tiene a precisare che traduzione va intesa qui come attività pedagogica, secondo la definizione di Klaudy (2003): un esercizio funzionale all’acquisizione della lingua, in cui il testo tradotto è strumentale al raggiungimento di una maggiore competenza linguistica. La traduzione nell’apprendimento della lingua è stata in linea di massima trascurata dalla linguistica applicata. Tuttavia, negli ultimi anni una nutrita schiera di ricercatori ne suggerisce l’uso per migliorare l’apprendimento della lingua in una prospettiva comunicativa. Källkvist (2004) discute degli effetti della traduzione sulla competenza in L2 e sostiene che la traduzione coinvolga gli apprendenti in un processo cognitivo profondo che ne aumenta la ritenzione mnemonica. Inoltre uno studio sperimentale di Laufer e Girsai (2008) rivela che l’insegnamento del lessico trae vantaggio da una prospettiva interlinguistica, che comprenda la traduzione e il confronto con la L1 dell’apprendente. Anche Laviosa e Cleverton (2006) propongono una metodologia per l’acquisizione lessicale e grammaticale basata su traduzione e attività 234

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di mediazione linguistica autentiche. House definisce la traduzione una «pratica pragmatico-comunicativa» (2008: 137) e ne consiglia l’uso per promuovere la competenza pragmatica nelle classi di lingua. L’autore suggerisce di proporre agli apprendenti un’ampia gamma di attività traduttive mirate alla ricerca di equivalenza pragmatica attraverso l’analisi della relazione tra «le forme linguistiche e le loro funzioni comunicative» (House 2008: 147). Le traduzioni sono atti comunicativi che rivestono una funzione pragmatica in quanto permettono alla comunità target di comprendere testi originariamente prodotti per una diversa comunità linguistica. Quindi, perché esse abbiano rilevanza per gli apprendenti e possano aiutarli ad aumentare la loro competenza comunicativa, le attività di traduzione devono poter realizzare questa funzione pragmatica. Ed è proprio in questa ottica che si inseriscono le attività di traduzione audiovisiva. Come già accennato, la ricerca sull’uso di attività di traduzione audiovisiva nella classe di L2/LS si è concentrata principalmente sugli effetti della sottotitolazione interlinguistica sull’ampliamento lessicale, sullo sviluppo della comprensione orale e della produziona scritta ma scarsa attenzione è stata prestata invece agli effetti della sottotitolazione interlinguistica sullo sviluppo della consapevolezza e competenza pragmatiche in apprendenti di L2/LS. Uno studio condotto da Incalcaterra McLoughlin (2009) suggerisce che, nello svolgere attività di sottotitolazione, anche studenti con livelli di competenze linguistiche più bassi (A1-B1 del QCER) diventano consapevoli delle caratteristiche pragmatiche del testo originale. Lo studio qui presentato riprende questa precedente ricerca e fa parte di un progetto più ampio che mira a stabilire gli effetti della sottotitolazione sull’acquisizione lessicale nelle classi di lingua straniera. Oggetto di analisi è qui il comportamento degli apprendenti nella traduzione del linguaggio scortese durante la sottotitolazione standard (L2→L1). Come già ricordato, Jay e Jenschewitz osservano un impatto maggiore delle parolacce nella lingua madre. Nella nostra ricerca , gli studenti dovevano sottotitolare un testo audiovisivo che comprendeva alcuni espletivi volgari. Pertanto essi si trovavano di fronte espressioni volgari presumibilmente a impatto minore – in quanto presentate nella LS – e dovevano trasferirle in un contesto a impatto maggiore, la loro L1. Lo 235

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scopo era vedere come gli studenti reagivano alla presenza di parolacce e altre espressioni scurrili presentate in LS e come si comportavano nel tradurle. L’ipotesi di ricerca era che se l’impatto emotivo delle parolacce è più alto in L1, allora la loro traduzione da LS a L1 dovrebbe produrre una versione indebolita dell’originale.

4. Lo studio Lo studio che andiamo a presentare consiste nella sottotitolazione da parte di studenti di italiano L2 di una scena tratta da un film italiano in cui sono presenti diversi esempi di linguaggio scortese. Esporremo quindi il contesto dello studio, la scelta del testo audiovisivo e l’analisi del linguaggio scortese effettuata prima dell’inizio della fase sperimentale della ricerca. Infine discuteremo le scelte traduttive dei partecipanti. Lo studio è articolato in due indagini condotte presso la National University of Ireland, Galway. Alla prima hanno partecipato cinque studenti del corso di laurea Bachelor of Commerce International (Honours), quattro ragazze e un ragazzo, con livello di italiano A2. L’età media era di 19 anni e la madrelingua l’inglese. Questi studenti hanno lavorato in gruppo e i sottotitoli sono frutto della loro collaborazione. Li identificheremo pertanto come gruppo dei sottotili collaborativi (SC). Alla seconda indagine hanno partecipato quindici studentesse del secondo anno del corso di laurea Bachelor of Arts (Honours). Erano tutte ragazze con una età media di 23 anni e anche il loro italiano era di livello A2. Undici studentesse erano di madrelingua inglese, una francese, due tedesca, una portoghese e una spagnola. In questo caso il lavoro è stato individuale. Le studentesse che non erano di madrelingua inglese, quindi, traducevano dalla L3 alla L2. All’interno di questo gruppo identificheremo i sottotitoli individuali delle madrelingua con SI e i sottotitoli individuali delle non-madrelingua con SI-NNS. Dopo alcune lezioni in cui venivano illustrati i fondamenti teorici della sottotitolazione e le caratteristiche tecniche del software da utilizzare, gli studenti hanno guardato una scena del film comico Manuale d’amore. La scena selezionata mostra il personaggio principale, il giovane Tommaso, che sostiene senza successo una serie di colloqui di lavoro e 236

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poi incontra casualmente due ragazze quando un gatto nero attraversa la strada davanti a lui. Questa breve sequenza è stata scelta perché l’età dei personaggi è simile a quella degli apprendenti coinvolti e la situazione descritta non è lontana dalla loro realtà. Viaggiando in Vespa, Tommaso narra in prima persona e commenta gli eventi della sua vita rivolgendosi a un pubblico immaginario, ma il monologo è interrotto dai dialoghi che si svolgono durante i colloqui di lavoro e, più tardi, durante il suo incontro con Giulia e Carlotta. Il linguaggio scortese è presente sia nel monologo narrativo che nel dialogo con le due ragazze. Al fine di classificare gli enunciati scortesi contenuti nel testo audiovisivo, ci siamo avvalse delle “superstrategie” identificate da Culpeper (cit. in Culpeper et al. 2003: 1554-1555) incrociandole con la classificazione delle imprecazioni fornita da Jay (1992, 2000). Culpeper elenca le seguenti cinque superstrategie: Bald on record impoliteness. Quando l’intenzione del parlante è quella di attaccare la “faccia” dell’interlocutore. - Positive impoliteness. Il parlante adotta una serie di strategie per danneggiare la “faccia positiva” dell’interlocutore, cioè il suo desiderio di essere accettato e approvato dagli altri. Tali strategie includono l’uso di marcatori di identità inappropriati, l’uso di espressioni tabù, ecc. - Negative impoliteness. Il parlante adotta una serie di strategie per danneggiare la “faccia negativa” dell’interlocutore, cioè il suo desiderio di non vedere invaso il proprio spazio personale. Le strategie utilizzate in questo caso comprendono condiscendenza, scorno, ridicolizzazione, l’associazione dell’altro a concetti negativi ecc. - Sarcasm/mock politeness. Il parlante utilizza forme di cortesia palesemente false, ipocrite. - Withhold politeness. Il parlante tace o non si comporta cortesemente come l’interlocutore si aspetterebbe.

Jay invece analizza l’uso offensivo delle volgarità in contesti situazionali reali: «La parolaccia soddisfa i bisogni emotivi del parlante e influisce emotivamente sull’ascoltatore» ( Jay 2000: 9). Tuttavia la scurrilità non è sempre usata come insulto ma può servire da intensificatore 237

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grammaticale impiegato per amplificare la forza di un enunciato e, a livello interpersonale, sottolineare l’atteggiamento negativo del parlante rispetto all’ascoltatore (Culpeper et al. 2003: 1561). Jay propone quindi una categorizzazione delle espressioni volgari che si inseriscono nella strategia della positive politeness di Culpeper. Le categorie identificate da Jay sono: profanità, blasfemia, tabù, volgarità, slang, epiteti, insulti e diffamazione, e scatologia. Data la rilevanza di queste categorie per la nostra analisi sia del testo audiovisivo che dei sottotitoli dei soggetti coinvolti, ne forniamo qui di seguito una breve descrizione e le iniziali identificative, che useremo poi per classificare le occorrenze di impoliteness nel testo di partenza e in quelli di arrivo. Profanità (P) è l’uso di terminologia religiosa che non rispetta le fedi religiose. Diverse espressioni comuni usano terminologia religiosa non per denigrare la religione ma solo per ignoranza o indifferenza. La blasfemia, invece, è un attacco consapevole ad una religione. Tabù (T) comprende linguaggio osceno che normalmente crea imbarazzo e il cui uso in pubblico è limitato da restrizioni esplicite – per esempio la censura televisiva, giornalistica ecc. – o implicite – come nel caso di genitori che evitano l’uso di terminologia specifica parlando di organi genitali con i loro bambini (Arango, cit. in Mercury 1995). Oscenità (O) è il linguaggio considerato offensivo dalla legge o da un’autorità. Si riferisce spesso, ma non esclusivamente, a espressioni di natura sessuale. Volgarità (V) non è necessariamente oscena, profana o indecente. Il termine denota piuttosto il linguaggio più comune, non sofisticato, di classi sociali basse. Slang (S) è il linguaggio che contraddistingue un gruppo sociale, definito per età, sesso, specializzazione professionale, localizzazione geografica ecc. Epiteti (E) sono tirate di linguaggio emotive, generalmente causate da rabbia e frustrazione. Sono interiezioni di una o due parole (cavolo, dannazione ecc.) non necessariamente rivolte a un interlocutore in particolare. Insulti e Diffamazione (I&D) sono attacchi verbali intenzionali rivolti contro l’interlocutore, usati con l’intenzione di ferirlo. Gli insulti fanno riferimento a caratteristiche fisiche, mentali o psicologiche dell’interlo238

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cutore, siano esse reali o immaginarie (grassone, imbecille, ecc.), mentre la diffamazione può essere etnica, razziale o sociale e rivela pregiudizi o stereotipi (negro terrone, ecc.). Scatologia (SC) si riferisce a termini che descrivono escrementi e i processi fisici a loro collegati. Sono particolarmente comuni nel linguaggio dei bambini (pipì ecc.). Facendo riferimento incrociato alle strategie di Culpeper e alle categorie di Jay, abbiamo creato una griglia di analisi del testo audiovisivo di partenza. Dopo aver trascritto il testo parlato, abbiamo usato le superstrategie della impoliteness elencate da Culpeper per identificare gli atti scortesi. Abbiamo poi applicato le categorie di Jay per effettuare un’ulteriore e più affinata analisi dei casi di positive impoliteness, come mostrato nella tabella 1 (le occorrenze di linguaggio scortese sono evidenziate in corsivo, categorizzate e numerate). Bald on record impoliteness

Positive impoliteness

Negative impoliteness

Sarcasm

Dai vai và! Vai! Vai! Vai! Vai ti prego, vai! Ho capito perfettamente che gioco stai a fa’! Quindi vai!

che cazzo può accadere di peggio? (T-1)

Sì, però bello fatti curare perché sei troppo nervoso!

Complimenti!

La sfiga è tua, capito? Pigliala e impara a vivere!

Hai beccato la giornatina sbagliata, stronza! (I&D-1) Madonna Santa! (P-1) Sei un’egoista del cazzo, sei! Capito? Un’egoista del cazzo! (I&D-2) Oh, ma che cazzo vuoi? (T-2) Ma quale gatto nero, coglione? (I&D-3) È sto cretino che dice il gatto nero, la sfiga del gatto nero, deficiente! (I&D-4) Oggi va tutto di merda (SC-1) Una figura di merda (SC-2) Cretino! Cretino! Sei veramente un cretino! Cretino! (I&D-5) Cretino. (I&D-6) Oh Madonna! Oh Madonna! Oh Madonna! Oh Madonna! (P-2-4)

tab. 1. Analisi di linguaggio scortese in una scena di Manuale d’amore.

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Allora signorino! Defilé. Va bene? Così la sfiga me la prendo io invece che te! Anzi l’ho presa doppia perchè il gatto nero era il mio!

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Nel dialogo audiovisivo della scena selezionata, abbiamo identificato quattro delle otto categorie di imprecazioni proposte da Jay: tabù (cazzo), insulti e diffamazione (stronza, egoista del cazzo, coglione, cretino, deficiente), profanità (Madonna santa, Madonna) e scatologia (merda).

5. Traduzioni del linguaggio scortese La parola italiana tabù cazzo appare in due frasi del dialogo audiovisivo. Nella prima frase, la parola tabù esprime lo stato emotivo del parlante che, in seguito al suo colloquio di lavoro infruttuoso, si rivolge retoricamente al suo pubblico immaginario chiedendo che cazzo può accadere di peggio? Nella sua traduzione in inglese, il gruppo SC omette l’espressione offensiva (what else could go wrong now?), così come la maggior parte delle studentesse nei gruppi SI e SI-NNS. Solo quattro soggetti hanno mantenuto il linguaggio offensivo nella traduzione, optando in tre casi per hell (con variazioni di what the hell...?) e in un caso per shit (can this shit get any worse?). Nella seconda frase, l’espressione tabù serve a esprimere la rabbia del parlante nei confronti dell’interlocutore: ma che cazzo vuoi? Il protagonista, Tommaso, fraintende l’intenzione di una delle due ragazze che si ferma di fronte alla casa della sua amica, pensando che si sia arrestata per farsi sorpassare da Tommaso proprio mentre un gatto nero attraversava la strada, in modo che la sfortuna associata al gatto toccasse Tommaso e non lei. Tommaso, frustrato e irritato, diventa verbalmente aggressivo nei confronti della ragazza, che non ha alcuna idea a cosa lui si stia riferendo. La ragazza quindi risponde arrabbiata all’aggressione verbale. Anche in questo caso gli studenti del gruppo SC hanno deciso di escludere il linguaggio offensivo dalla loro traduzione (what do you want?). I gruppi SI e SI-NNS invece hanno usato la traduzione fuck in 13 casi e hell in due casi (uno ciascuno per entrambi i gruppi), mentre in un solo caso il tabù è stato eliminato (what do you want?) da uno studente appartenente al gruppo SI. Il dialogo audiovisivo presenta anche un certo numero di insulti durante la colluttazione verbale tra i due personaggi, Tommaso e Carlotta, che si contrattaccano animatamente nel reciproco tentativo di sal240

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vare la faccia. Nel suo monologo interiore, Tommaso offende Carlotta chiamandola stronza e poi continua a voce alta Sei un’egoista del cazzo, sei! Capito? Un’egoista del cazzo! Questa volta il gruppo SC ha tradotto entrambi gli insulti mantendo un’espressione di impatto simile nel caso del monologo interiore ma usando un’espressione figurativa a impatto minore per il secondo insulto: You’re a selfish cow, so you are! Understand? A selfish cow!. Negli altri due gruppi, nove studentesse hanno mantenuto bitch nella prima frase, tre hanno completamente eliminato l’insulto (due SI e un SI-NNS) e un altro ha invertito la direzione dell’insulto rivolgendolo al parlante piuttosto che all’interlocutore: you got the wrong ass today (SI-NNS). Per quanto riguarda la seconda frase, entrambi i gruppi SI e SI-NNS hanno tradotto il linguaggio scortese con fucking selfish, selfish bitch, una combinazione dei due termini, e selfish prick (una traduzione non adeguata visto che l’insulto era rivolto alla ragazza). In due casi, tuttavia, la traduzione non presentava alcuna oscenità (You are selfish! Understand! You are selfish!). Questa soluzione è stata scelta da due studentesse del gruppo SI, che non sono le stesse che avevano precedentemente evitato l’oscenità. Gli insulti personali sono generalmente seguiti da una smentita secondo un meccanismo di offesa-difesa o offesa-offesa (Culpeper et al. 2003). Infatti, confusa e irritata dalle accuse di Tommaso, Carlotta controbatte chiedendo Ma quale gatto nero, coglione? Il gruppo SC ha di nuovo mantenuto l’insulto: But what black cat, asshole?. Una studentessa SI e una SI-NNS hanno rimosso del tutto l’espressione offensiva (But which black cat?, But what black cat?). Delle tredici studentesse che hanno invece scelto di trasferire l’insulto in inglese, una lo ha ridimensionato a fool, due a idiot (tutte SI) e le altre hanno invece optato per una gamma di traduzioni che spaziavano dal grado più alto al più basso di offensività (bollocks, dick, asshole, jerk, ecc.). Anche l’occorrenza successiva di linguaggio scortese contiene due insulti: È ’sto cretino che dice il gatto nero, la sfiga del gatto nero, deficiente! Carlotta approfitta dell’arrivo dell’amica, ignara di quanto sta accadendo, per offendere indirettamente Tommaso. Tutti gli studenti hanno incluso una variazione di idiot nelle loro traduzione e quasi tutti hanno rinforzato il primo insulto con una ripetizione: cretino è stato reso come idiot, stupid e moron, mentre deficiente come dickhead, bullshit, moron, idiot, stupid e 241

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handicapped. L’ultimo insulto di questa sequenza, cretino, che viene ripetuto – nel sogno di Tommaso – gli viene ripetuto molte volte da Giulia, è stato tradotto da tutti con idiot. Categoria nel testo originale

Gruppo SC (5 studenti = 1 team)

Gruppo SI (11 studentesse)

Sottogruppo SINNS (4 studentesse)

Tabù 1 Tabù 2

0 0

3 (27.2%) 10 (90.9%)

1 (25%) 4 (100%)

Insulti e diffamazione 1 Insulti e diffamazione 2 Insulti e diffamazione 3 Insulti e diffamazione 4 (x2) Insulti e diffamazione 5 Insulti e diffamazione 6

1 (100%) 1 1 1-1 1 1

7 (63.6%) 8 (72.7%) 10 (90.9%) 11 – 6 (100% - 54.5%) 10 (90.9%) 9 (81.8%)

2 (50%) 4 (100%) 3 (75%) 4 – 4 (100%) 4 (100%) 4 (100%)

Profanità 1 Profanità 2

1 (100%) 1

9 (81.8%) 8 (72.7%)

2 (50%) 4 (100%)

Scatologia 1 Scatologia 2

0 0

10 (90.9%) 8 (72.7%)

3 (75%) 3 (75%)

tab. 2. Traduzioni degli studenti delle varie categorie di positive impoliteness presenti nel testo originale.

Il testo audiovisivo contiene due esempi di profanità: Madonna Santa e Madonna, e quest’ultimo esempio è ripetuto quattro volte. Il gruppo SC ha mantenuto la profanità e tradotto con Mother of God! nel primo caso e con Oh God! nel secondo. Gli altri due gruppi hanno tradotto mantenendo la stessa figura religiosa Holy Mother!, Holy Mary! ecc. o cambiandola con My God, God, Jesus. Quattro studentesse, però (due SI e due SI-NNS) non hanno tradotto la prima profanità e altre quattro non hanno tradotto la seconda (tre SI e una SI-NNS. Due SI non avevano tradotto neanche la prima). Infine, abbiamo individuato due esempi di scatologia nel testo originale: oggi va tutto di merda e una figura di merda. Il gruppo SC ha omesso entrambi, optando invece per today everything has gone really bad e a bad impression. Nelle traduzioni della prima frase da parte dei gruppi SI e SI-NNS, shit (o shitty) appare undici volte, crap due e l’opzione senza linguaggio scortese due (everything is going wrong, SI; today all is going badly, SI-NNS). Per quanto riguarda la seconda frase, osserviamo sei ricorsi a shit o shitty, due a crap o crappy e un’occorrenza ciascuno di ass, 242

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asshole e dickead (I was an asshole ecc.). Tre traduzioni contenevano un livello inferiore di scortesia: fool (SI, SI-NNS) e stupid (SI), mentre una non conteneva liguaggio scortese (a terrible impression). Per ricapitolare, quindi la tabella 2 mostra il numero totale e percentuale delle traduzioni delle espressioni scortesi.

6. Conclusioni Questo studio ha analizzato l’atteggiamento di apprendenti di italiano LS nella traduzione di espressioni scortesi dalla L2 alla L1. Coerentemente a studi precedenti che hanno dimostrato l’impatto maggiore dell’impoliteness in L1, la presente ricerca suggerisce che traducendo da L2 a L1, gli studenti tendono a fornire una traduzione più debole della scortesia nella loro L1 rispetto al testo originale. Abbiamo infatti paragonato la traduzione collaborativa di cinque parlanti di madrelingua inglese (gruppo SC) con le traduzioni individuali di undici parlanti di madrelingua inglese (SI) e quattro non madrelingua (SI-NNS). Il livello medio di competenza linguistica dei partecipanti era relativamente basso, tuttavia uno studio di Dewaele e Pavlenko (2002) rileva che la percezione di emozioni manifestate in L2 è influenzata più dalle similarità culturali tra le due lingue che dalla competenza linguistica dei parlanti. Gruppo SC (5 studenti, tutti di madrelingua inglese, 4 ragazze e un ragazzo). Contrariamente al gruppo SI e al sottogruppo SI-NNS, il gruppo SC non ha tradotto le occorrenze di tabù e scatologia presenti nel testo audiovisivo originale. La totale omissione di queste due categorie sembra indicare che gli studenti le percepivano come inappropriate nella loro traduzione in L1. Uno studio di Beers Fägersten (2007) in cui si chiede a studenti universitari di giudicare l’offensività percepita di espressioni scortesi in e fuori contesto, mostra che l’uso contestualizzato di fuck come intensificatore è molto comune nella conversazione e «generalmente non è considerato offensivo» (Beers Fägersten 2007: 29). Questo dovrebbe essere il caso della seconda espressione tabù che può essere tradotta letteralmente in inglese con what the fuck do you want? Eppure il gruppo SC ha omesso il 243

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tabù dalla traduzione. In netto contrasto, circa il 91% del gruppo SI ha tradotto il tabù e otto di loro, pari all’80%, hanno usato la parola fuck. Il gruppo SC ha riportato tutti gli insulti e le profanità (con una media del 69%), anche se con diversi gradi di offensività. Nonostante la loro scelta della parola bitch corrisponda alla scelta traduttiva di 9 sulle 10 studentesse SI che hanno tradotto questo insulto, il gruppo SC ha più tardi optato per selfish cow, rimuovendo nuovamente il tabù dall’espressione oltraggiosa sei un egoista del cazzo. Questo quindi ha scelto per lo più espressioni a impatto minore. È possibile che il fatto di lavorare in squadra piuttosto che individualmente e/o la presenza di un partecipante maschio in un gruppo altrimenti femminile abbiano avuto un effetto inibitore sul risultato finale. Gruppo SI (11 studentesse, tutte di madrelingua inglese). Le studentesse che hanno lavorato individualmente presentano un quadro poco omogeneo. Nonostante la percentuale di linguaggio scortese nelle loro traduzioni sia generalmente alta (con una media del 72%), il grado di offensività non corrisponde sempre a quello del testo originale. Tra le tre che hanno tradotto il primo tabù, una è passata da tabù a scatologia (shit), mentre le altre due hanno usato hell. Questa particolare occorrenza di linguaggio scortese nel testo originale probabilmente presentava una maggiore difficoltà in quanto l’espressione italiana non trova una corrispondente letterale in inglese (come invece accade nel secondo caso di tabù). Le studentesse hanno compreso la domanda retorica ma sembrano aver esitato ad usare la loro creatività per introdurre un intensificatore scortese a forte impatto. Il loro comportamento cambia invece nella traduzione del secondo tabù, che ha una quasi esatta corrispondenza in inglese e che, come osservato in precedenza, era presente in 8 traduzioni. Sottogruppo SI-NNS (4 studentesse, non di madrelingua inglese). Le studentesse non madrelingua, che hanno lavorato individualmente, hanno fatto registrare la più alta occorrenza percentuale di traduzione del linguaggio scortese (81%). Tutte le studentesse che hanno lavorato dalla loro L3 alla L2 hanno regolarmente tradotto il linguaggio scortese, con l’eccezione del primo tabù che, come già osservato, non ha una corrisponza diretta in inglese. Due delle quattro studentesse hanno deciso di 244

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omettere la prima profanità, ma tutte hanno tradotto la seconda. Questo può essere dovuto al fatto che la prima profanità introduceva una frase, mentre la seconda rappresentava una frase indipendente ed era ripetuta diverse volte. Tre studentesse su quattro hanno usato scatologia (SC1 e SC2). SC1 era facilmente comprensibile ed è stato tradotto correttamente da tutte le studentesse di questo gruppo. SC2, che è invece un’espressione idiomatica, è stato reso correttamente da due delle quattro ragazze (ma una di loro non ha incluso il termine scatologico) le altre due hanno fornito una traduzione letterale ma scorretta. Le traduzioni di questo sottogruppo presentano alcuni errori morfologici e sintattici. A ogni modo, nell’insieme esse riportano un grado di offensività simile e in alcuni casi superiore a quello del gruppo SI. Dallo studio si evince che la percentuale di linguaggio scortese tradotto dagli studenti è generalmente alta: una media di 69% per il gruppo SC, 72% per SI e 81% per SI-NNS. Tuttavia, la forza di impatto del linguaggio scortese in traduzione varia. Le studentesse che lavoravano da L3 a L2 erano più disposte a usare espressioni più forti, cosa che suggerisce che le parolacce avevano un impatto inferiore per loro. Il gruppo SC, che comprendeva tutti parlanti madrelingua che lavoravano collaborativamente, ha fornito la traduzione più debole della scortesia del testo originale. Questo sembrerebbe indicare che altre variabili contribuiscono a influenzare le scelte traduttive, come le dinamiche di gruppo e la presenza dei due sessi, ma ulteriori verifiche sono necessarie per confermare queste conclusioni. Il grado di offensività di una parola è determinato da variabili di ordine pragmatico, come l’identità del parlante/interlocutore, la loro relazione e le norme sociali ( Jay, Janschewitz 2008). Gli studenti universitari spesso usano vari tipi di linguaggio offensivo ( Jay 1992) e sono quindi generalmente abituati a sentirlo. Una studentessa di età superiore alla media, appartenente al gruppo SI, ha regolarmente omesso il linguaggio scortese dalla sua traduzione, con l’unica eccezione di I&D4 dove ha tradotto il termine cretino con l’espressione piuttosto innocua crazy guy. Purtroppo non è stato possibile includere un numero più consistente di studenti in queste indagini; si auspica tuttavia che future ricerche possano reclutare un numero maggiore di partecipanti con profili anagrafici e linguistici diversi, che lavorino sia in gruppo che individualmente. Ulte245

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riori studi sono anche necessari nel campo della percezione dell’offensività in L1, L2 e successive lingue. I risultati di questi studi dovrebbero poi essere triangolati con traduzioni contestualizzate da parte di apprendenti con diversi livelli di competenza e integrati con l’uso di strumenti per la raccolta di dati quantitativi e qualitativi come questionari e interviste. Questi dati fornirebbero nuove prospettive nel campo dello sviluppo della competenza pragmatica interlinguistica negli apprendenti di LS.

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Indice analitico Alfabetismo digitale, 130 App (uso didattico delle), 11, 49-53 Apprendimento, 191 -- ambienti di, 140,141, 219-221 -- collaborativo, 45-46, 53 -- incidentale o fortuito (serendipity), 90, 221 -- informale, 7, 57, 85, 191-195, 224 -- formale,51, 57, 85, 192 -- non formale, 7, 85, 192, 213-214 -- obiettivi parziali di, 217 -- significativo, 140-141 -- spontaneo,53, 57 Approccio comunicativo, 24-25, 27, 170-171 Blended learning, 63, 116, 129, 146-147 Blog, 197-198, 202-203 Bring your own device (BYOD), 119 Chat, 198 Civiltà, 27-28 Classe capovolta (flipped classroom), 14-15, 116, 166-167 -- e lavoro degli studenti, 173 -- metodologia della 169-170 Competenza comunicativa interculturale, 18-19, 29, 30-34 - valutazione della, 38-39 Competenza digitale, 131 Competenza culturale, 186, 187 Competenza socio-culturale, 27-28 Computer Supported Collaborative Learning (CSCL), 141-142 Comunicazione interculturale (insegnamento della), 28-29, 36-38 Comunità (community) o Comunità di apprendimento, 16, 17, 200-201 223-224, 225 Connettivismo, 84 Consapevolezza interculturale, 20, 187-189, 205 Corsi online, 14, 70-73, 75-76 Costruttivismo, 45, 83-84, 115, 139-140 249

-- socioculturale, 196 Course designer, 69 Cultura, 27, 171, 186-187 E-learning 2.0, 81 Formazione a distanza, 47 Forum, 153-155, 197-198 Flaming, 199 Game-based learning, 124 Gamification, 12, 123-124 Glottotecnologie, 25-26 Information broker, 69 Input, 35-36, 77 Inquiry-based learning, 169 Instructional designer, 69 Learning centered, 139, 169 LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), 64 Linguaggio scortese, 233-234 -- categorizzazione del, 238-239 -- identificazione del, 237-238 -- percezione del, 234 LO (Learning Object), 14, 217 M-learning/mobile learning, 11-12, 112-114 Microblogging, 218 Microlearning, 94 MLO (Mobile Learning Object), 122-123 MOOC (Massive Open Online Courses), 11, 46-48, 68, 75 OER (Open Educational Resources), 120, 169 Piattaforme e-learning, 44-45, -- come ambienti di apprendimento significativo, 143-146 -- e strumenti di comunicazione, 149-150 Scaffolding, 45, 168 SCORM (Sharable Content Object Reference Model), 124 Scrittura (processo di), 142-143 Scrittura -- collaborativa (Co-writing), 156 -- parallela, 157 250

Social Media, 211 Social Network Analysis, 81-82 Social Network per l’apprendimento delle lingue, 15-16, 54-56, 82-84, 86, 90, 99-102, 105-106 -- interazione in, 90 Social Networking (ambienti di), 82, 86 Sociointerazionismo, 83 Sottotitolazione e sviluppo delle competenze, 230-231 Tecnologie educative o tecnologie didattiche, 9, 63 -- didattica con le, 9 Tecnologie di Rete (uso didattico delle), 10, 42-43, 64 Transculturale, 190 Traduzione audiovisiva (AVT), 229-231 Tutor di percorso, 69 User Genereted Content, 223 Valutazione online, 64-65 Web, 78 Web 2.0, 81,117, 210-211 Wiki, 155-156, 157

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GLI AUTORI Paolo Balboni insegna Glottodidattica presso Ca’Foscari, Venezia, dove è Presidente del Centro Linguistico di ateneo e Direttore del Centro di Ricerca sulla Didattica delle Lingue. Oltre ad essere autore di numerosi e importati volumi e saggi inerenti l’educazione linguistica e l’insegnamento con il supporto di tecnologie didattiche, ha pubblicato manuali didattici per l’italiano L2. È inoltre direttore di diverse riviste e collane scientifiche sulla didattica delle lingue e l’apprendimento linguistico, tra cui Rassegna Italiana di Linguistica Applicata, RILA (Bulzoni Editore), Educazione Linguistica – Language Education, EL.LE e Le sfide di Babele (Utet Università), ed è Presidente della Fédération Internationale des Professeurs de Langues Vivantes (FIPLV). Emanuela Cotroneo laureata in Lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Genova, ha conseguito un Master in Didattica dell’Italiano per Stranieri e la certificazione DITALS di II livello. Ha ottenuto la certificazione EPICT e un dottorato di ricerca in Lingue, Culture e Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione. È insegnante di scuola primaria e collabora con l’Università degli Studi di Genova per l’insegnamento dell’italiano a studenti Erasmus e come professore a contratto nel corso di Didattica dell’Italiano come L2. Eleonora Fragai è laureata in Lettere Classiche (Università di Firenze) e in Insegnamento della lingua italiana a stranieri (Università per Stranieri di Siena). Si occupa di didattica dell’Italiano L2 come docente e formatore di formatori. Ha svolto attività di collaboratrice ed esperta linguistica per studenti inseriti nei progetti di mobilità internazionale e di e-tutor per il Master DITALS di I livello dell’Università per Stranieri di Siena, con cui collabora come valutatore degli esami di certificazione CILS e a diversi progetti di formazione in e-learning per l’integrazione sociolinguistica di cittadini di Paesi Terzi. È autrice e co-autrice di pubblicazioni scientifiche sulla didattica dell’Italiano L2 e di manuali didattici per diversi pubblici di apprendenti. È co-responsabile della sezione «Migranti» della rivista  «InSegno» (Siena, Becarelli). Ivana Fratter è Dottore di ricerca in Linguistica (Università di Verona) e counselor in campo socioeducativo. Lavora come CEL presso il CLA dell’Università di di Padova. Dal 2000 al 2012 ha insegnato Tecnologie Educative nell’ambito del Master in Didattica dell’italiano come L2 presso l’Università di Padova. Ha pluriennale esperienza di formazione insegnanti in Italia e all’estero. I suoi ambiti di studio e di ricerca riguardano l’acquisizione dell’italiano L2, la linguistica dei corpora, le metodologie di insegnamento delle lingue con le TIC, le tecniche di gestione della classe, il language testing. È autrice e curatrice di alcuni volumi, tra cui Tecnologie per l’insegnamento delle lingue (Carocci), Lessico Possibile (Aracne), Guida alla formazione del docente di lingue all’uso delle TIC (Aracne). Alessandra Giglio insegna presso la Dalarna University (Svezia). Svolge attività di ricerca presso l’Università di Parma ed è stata assegnista di ricerca presso l’Istituto di Tecnologie Didattiche del CNR. Ha conseguito il dottorato in “Lingue, Culture e Tecnologie” presso l’Università di Genova, dove si è laureata con una tesi sulla Didattica dell’italiano a stranieri; è specializzata nella stessa disciplina (Master presso l’Università di Genova) e ha all’attivo collaborazioni con l’Università di Genova, l’Università per Stranieri di Perugia e l’Università per Stranieri di Siena. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate ed è coautrice di libri e manuali. www.alessandragiglio.com Elisabetta Jafrancesco è laureata in Filologia romanza (Università di Firenze), ha conseguito il diploma di Specialista in Didattica dell'Italiano a Stranieri e il titolo di Dottore in ricerca in Linguistica e Didattica della Lingua Italiana (Università per Stranieri di Siena). Lavora come CEL di italiano presso l’Università di Firenze e ha al suo attivo lunghe collaborazioni con l’Università per Stranieri di Siena

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e con l’Università di Padova. Svolge attività di ricerca, occupandosi principalmente di pragmatica, testualità, e-learning, Language Testing ed è autrice di pubblicazioni scientifiche su queste tematiche. È autrice anche di testi per la didattica dell’italiano L2 (bambini, adolescenti, adulti). È formatrice di formatori in ambito glottodidattico e lavora con istituzioni pubbliche e private. Collabora con le riviste «Italiano a stranieri» (Atene, Edilingua), «Lingua Nostra e Oltre» (Università di Padova), «InSegno» (Siena, Becarelli), di quest’ultima è Responsabile di Redazione ILSA ([email protected]). Matteo La Grassa collabora da anni con il Centro FAST dell’Università per Stranieri di Siena. È stato Giovane Ricercatore in un progetto FIRB per l’insegnamento dell’italiano a sordi tramite l’e–learning e si è occupato della la realizzazione di un social network per lo sviluppo delle competenze interculturali. Collabora con le riviste «Italiano a stranieri» (Atene, Edilingua), e «InSegno» (Siena, Becarelli). I suoi principali temi di ricerca riguardano: l’apprendimento delle lingue da parte di apprendenti senior; l’apprendimento/insegnamento del lessico a studenti stranieri; l’apprendimento/insegnamento dell’italiano a sordi; l’uso didattico delle nuove tecnologie. Su questi temi ha al suo attivo diverse pubblicazioni. Laura Incalcaterra McLoughlin, Ph.D., è docente di italinistica presso la National University of Ireland, Galway, direttrice del Masters in Advanced Language Skills e coordinatrice del Diploma in Italian Online. Le sue principali aree di ricerca sono la linguistica applicata, traduzione audiovisiva, didattica della traduzione, glottotecnologie e e-learning, microlingua. Ha pubblicato svariati aricoli e libri su questi temi e due libri di testo per l’italiano degli affari. Vincitrice del Label europeo delle lingue (Irlanda, 2008, 2009, 2013). Per un elenco aggiornato di pubblicazioni, progetti e attività accademica: http://goo.gl/QrL5kl / Jennifer Lertola, Ph.D., collabora come e-tutor del Diploma in Italian Online alla National University of Ireland, Galway e come tutor didattico presso la Scuola di Lingue e Letterature, Traduzione e Interpretazione dell’Università di Bologna. Ha ottenuto la laurea in Lingue e culture straniere presso l’Università degli Studi di Genova, il Master DITALS presso l’Università per Stranieri di Siena e il dottorato di ricerca in linguistica acquisizionale (European Ph.D.) presso la National University of Ireland, Galway. Principali temi di ricerca sono l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda/ straniera, traduzione audiovisiva e apprendimento del lessico. Vincitrice del Label europeo delle lingue (Irlanda, 2009). https://goo.gl/DhYoTz Donatella Troncarelli insegna Nuove tecnologie per l’insegnamento dell’italiano e Grammatica italiana presso Università per Stranieri di Siena. È Presidente del Master in E-Learning per l’Insegnamento dell’Italiano a Stranieri (ELIIAS) e Direttore dei corsi di perfezionamento professionalizzante in Progettazione e produzione di percorsi di apprendimento online e Tutor per percorsi di apprendimento linguistico in rete. Si occupa di progettazione di percorsi didattici in presenza e a distanza, ed è autrice di materiali didattici per l’insegnamento dell’italiano L2/LS e di varie pubblicazioni sull’insegnamento dell’italiano per scopi specifici e sull’impiego di tecnologie didattiche. Andrea Villarini insegna Didattica delle Lingue Moderne presso l’Università per Stranieri, dove dirige anche il Centro FAST – Centro di ricerca per la Formazione e Aggiornamento anche con Supporto Tecnologico e la Scuola di Specializzazione in Didattica dell’Italiano come Lingua Straniera. Ha coordinato e coordina unità di ricerca di progetti nazionali e internazionali sull’utilizzo delle nuove tecnologie per la promozione delle lingue meno diffuse e meno insegnate. Tiene costantemente conferenze e corsi di aggiornamento in Italia e all’estero su temi relativi alla didattica dell’italiano L2. Ha al suo attivo su questi temi numerose pubblicazioni in volumi e riviste.

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Edizione digitale Maggio 2016