Opere. Vol. 2: L'esito teologico della filosofia del linguaggio di Jacobi. Filosofia della religione come problema storico. 9788862276269, 9788862276276

Il secondo volume offerto al ricordo e all'opera di M. M. Olivetti (dopo quello riservato ai Saggi), è dedicato a d

186 105 28MB

Italian Pages 494 [488] Year 2013

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Opere. Vol. 2: L'esito teologico della filosofia del linguaggio di Jacobi. Filosofia della religione come problema storico.
 9788862276269, 9788862276276

Table of contents :
Cover
About the pagination of this eBook
Copyright
INDICI
SOMMARIO

Citation preview

About the pagination of this eBook This eBook contains a multi-volume set. To navigate this eBook by page number, you will need to use the volume number and the page number, separated by a hyphen. For example, to go to page 5 of volume 1, type “1-5” in the Go box at the bottom of the screen and click "Go." To go to page 5 of volume 2, type “2-5”… and so forth.

OPERE · II. L'esito teologico della filosofia dellingHaggio di Jacobi Filosofia della religione come problema storico MARCO MARIA OLIVETTI

' BIBLIOTECA DELL ':ARCHIVIO DI FILOSOFIA» COLLANA FONDATA DA MARCO M. OLIVETTI 42.

PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXIII

BIBLIOTECA DELL'«ARCHIVIO DI FILOSOFIA» C O LLANA F O NDATA DA MAR C O M . O L I V E T T I D I RE T T O R E : S T E FA N O S E M P L I C I V I C ED I R E T T O R I : F R A N C E S C O PA O L O C I G L I A , P I E R L U I G I VALENZA

42.

OPERE · II. L'esito teologico della filosofia del linguaggio di Jacobi Filosofia della religione come problema storico MARCO MARIA OLIVETTI

PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXIII

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l'adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®, Pisa' Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. Proprietà riservata' Ali rights reserved

© Copyright 201 3 by Fabrizio Serra editore, Pisa' Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell'Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. Uffici di Pisa: Vìa Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, teI. +39050 542 3 32, fax +39050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Vìa Carlo Emanuele 148, I 00184 Roma, teI. +3906 70493456, fax +3906 7°4766°5, [email protected] www.libraweb.net ISBN

978-8 8-6227-626-9 978-88-6227-627-6

E-ISBN

L'ESITO TEOLOGICO DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO DI ]ACOBI

This page intentionally left blank

1/ passaggio dal problema del significato al problema del

senso dell'esistenza è insito alla radicalizzazione dello stesso problema del significato. Questo trova in quello il proprio orizzonte, il proprio ambito d'emergenza e di qualificazione. 1/ presente saggio intende condurre fino al punto in cui il

problema del significato raggiunge ,1 proprio orizzonte, richie­ dendone la tematizzazione. La radicalizzazione del problema è condotta, nel nostro lavoro, attraverso l'approfondimento del tema del linguaggio nel pensiero di colui che per primo e in modo forse insuperato rese manifesto il problema del senso dell'esistenza. L'esigenza di significato, la richiesta del valore e, meglio, della significatività dell'esistere costituisce il motore della speculazione di Jacobi, fin dai primissimi anni della sua attività filosofica, vale a dire fin dalle prime Carte di Eduard AlIwill e dal primo frammento del Woldemar, Amicizia e amore. Si tratta infatti di scritti la cui problematica filosofica

è essenzialmente morale I, dove però questo termine va inteso non quale definizione di ciò che l'uomo deve fare I

per agire rettamente, cioè affinché la sua azione, quasi distac-

8

PREFAZIONE

cata da colui che agisce) possa essere ritenuta buona) giusta} amabile, apprezzabile o che altro si voglia dire; bensl quale ricerca .di come - e non necessariamente mediante un deter­ minato tipo di agire o, ancor più in generale, mediante l'agire - l'esistenza umana possa essere ritenuta e vissuta come buona, giusta, amabile, apprezzabile: in una parola, significativa e · non assurda. Le questioni gnoseo(ogiche e metafisiche, ampiamente discusse da ]acobi nei lunghi anni della sua attività di pensatore, sono sempre affrontate dal Filosofo in funzione di questa sensibilità di fondo. Ma poiché questa sensibilità, come diremo ancora, comportava, per intrinseca necessità teoretica, lo tesi del kdn ich ohne du anche a livello di speculazione filosofica, poiché, vale a dire, essa comportava che il pensiero di ]acabi si disvolgesse soprattutto nel confronto con posizioni filosofiche che egli riteneva di dover combattere o discutere, è accaduto che lo dimensione qualificante il discorso degli àvversari - essen­ zialmente gnoseologica o metafisica - sia stata trasferita} nella comprensione storica che si è avuta di ]acobi, sul pensiero jacobiano stesso. Ci sembra invece che l'aspetto più autentico del "pensiero

jacobiano sia appunto quello per cui esso si caratterizza come ricerca del senso dell'esistenza. Ciò non vuoi dire esisten­ zialismo: l'accento infatti cade sul termine «senso» e non m

quello di « esistenza». E' indicativo che la Jacobi-renais­

sance, cui oggi assistiamo) accada nel momento dell'abban­

dono storico dell'esistenzialismo (come anche di certe tema­ tiche linguistiche, in qualche modo semplici) a favore di una non opposta, ma certo assai più complessa sensibilità

PREFAZIONE

9

che trova nel denso problema del significato il proprio con­ sapevole o inconsapevole fondamento_ Naturalmente il termine «significato» è equivoco (an­ che se tale equivocità è essa stessa] neWaccezione pregnante, significativa); nella sua forma linguistica esso fa pensare a qualcosa di meramente passivo, denotala da un significante.

E' proprio questa concezione del linguaggio che lacobi non rifiuta (e che anzi accetta come ineliminabile), ma della quale, come vedremo, riconosce ed afferma la non origina­ rietà e la subordinazione ad una diversa concezione del linguaggio e della linguisticità del reale: concezione nella quale il significato va assunto in funzione attiva, come , senso " come Bedeutung. E' proprio qui che la problema­ tica linguistica incontra quella morale, nell'accezione sopra precisata, rivelando la sua autentica nalura: il senso della esistenza come ultima possibilità teorelica del problema del significato. Il Dio di lacobi - l'ipostasi del significato

-

è ancora

all'interno dell'orizzonte del problema. Temalizzare l'oriz­ zonte, al cui limite la presente analisi della fi/osofia del linguaggio di lacabi perviene, vorrebbe dire temalizzare il problema della libertà, alla ricerca del rapporto fra l'oriz­ zonte, che in quanto tale non può riguardare sé dall'esterno, e la propria proiezione all'interno dell'ambito che· esso deli­ mita e qualifica. La presente analisi, nel giungere al /imite, dovrebbe mettere in luce com.e il Dio di lacobi sia appunto la proiezione, mediante la quale l'esistenza come libertà si conosce senza riconoscersi quale orizzonte.

PREFAZIONE *

*

*

Il tema iacobiano dello spirito e della lettera, al quale

costantemente facciamo riferimento nel testo e nelle note, non costituisce una terza comprensione del linguaggio accanto a quella del linguaggio come astrazione e a quella del cosmo come linguaggio divino. Qualcuno potrebbe ritenere infatti che il tema dello spirito e della lettera rappresenti una visione del linguaggio come astrazione, ma in senso inverso a quello dell'astrazione segnico-concettuale mediante la fa­ coltà dell'intelletto: mentre tale tipo di astrazione sarebbe in senso, per cosi dire, ascendente (dalla realtà esterna alle immagini concettuali), l'altro sarebbe in senso discendente (il decadimento dalla vivente realtà dello spirito alla cristal­ lizzata irrealtà della lettera). Indubbiamente una espositione in questi termini della filosofia del linguaggio iacobiana po­ trebbe dare l'impressione di una catalogata 'completezza; essa però smarrirebbe il significato autentico della visione iacobiana, che in tal modo verrebbe ridotta ad una scarsa­ mente unificabile compresenza di tre distinte comprensioni del tema linguistico. In realtà invece il tema dello spirito e della lettera èosti­ tuisce non qualcosa di distinto o giustapposto alla visione dell'astrazione segnico·concettuale, bensl il fondamento e il supporto teoretico di questa: ciò si renderà evidente nel, corso di questo saggio. Ci sembra però importante sottolineare come la problematico dello spirito e della lettera sia il fondamento e il supporto della visione del linguaggio co­ smico-divino

non

meno

di quanto lo sia di quella del lin­

guaggio come astrazione; è anzi proprio in virtù di questa

PREFAZIONE

unità profonda del fondamento cbe le due visioni iacobiane del linguaggio possono trovarsi - dal punto di vista teore­ tico - in rapporto non di esclusione reciprocal bensì di complementarietà ineliminabile, e - dal punto di vista sto­ rico - in rapporto di sviluppo dalla prima alla seconda. La visione del cosmo come linguaggio divino rappresenta infatti lo proiezione a livello teologico (a livello di «Dio») di quella stessa concezione per cui lo spirito umano non può non esprimersi linguisticamente� dando luogo ad una «let­ tera

».

Vogliamo dire, anzil di più: è solo attraverso lo svi­

luppo della visione cosmica dcl linguaggio che si rende mani­ festo come lo problematico dello spirito e della lettera sia non il reciproco della visione del linguaggio come astrazione segnico·concettuale, bensì il suo fondamento. Senza lo proie­ zione della libertà in Dio, e quindi senza lo possibilità di intendere la realtà come linguaggiol verrebbe meno la possi­ bilità di intendere l'astrazione come perdita di realtà (giusti­ ficata dal fatto che questa si presenta appunto come lettera, e non direttamente come spirito)� dovendosi al contrario riconoscere in essa e nei suoi risultati l'autentica descrizione e comprensione della realtà meccanicistica dell'universo. Che lacobi abbia sempre sentito, e in Un certo periodo della sua vita (nel 1782-84) drammaticamente sentito, la pesante incombenza di questa alternativa, è un dato di fatto. Proprio per questo nel periodo successivo alla morte di Hamann egli precisò progressivamente i contorni teoretici di un Dio­ significato, senza del quale l'orizzonte della libertà non avrebbe più potuto conoscersil nemmeno con un «salto mortale

».

Il tema dello spirito e della lettera è dunque

PREFAZIONE

tutt'uno col problema della libertà; è il rivelarsi del problema della libertà come problema del significato. *

*

*

Portare l'attenzione sulla filosofia del linguaggio ·di fa­ cobi comporta mettere in evidenza il posto occupato ,da Hamann in rapporto allo sviluppo del pensiero ;aco&iano, E' veramente sorprendente come la maggior parte della lette.­ ratura ;acobiana abbia potuto trascurare in modo tanto vistoso questo rapporto intellettuale, che senza esitazione può essere ritenuto il più ricco di influsso in tutto lo svolgi­ mento del pensiero del filosofo di Pempelfort. Non si può non ricordare che Jacobi fu persona estremamente suscetti­ bile di fronte alle critiche che gli venivano mosse, fossero queste personali oppure scientifiche, esplicitamente formulate oppure meramente intuibili in un silenzio o in parole dissi­ mulatrici: basterebbe pensare per questo evidentissimo lato del suo carattere a tutta l'evoluzione dei suoi rappo�ti.. con Goethe (ma gli esempi potrebbero essere mo!tiplicati) . E' dunque veramente significativo che, nonostante le critiche precise, severe e continue formulate da Hamann nei con.fronti dell'amico, questi - salva la breve p�rentesi, cui si accett­ nerà, a/l'inizio della loro relazione intellettuale - sia rimasto sempre in rapporti di calorosa amicizia con il Mago del Nord. Se dall'aspetto personale passiamo a quello teoretico, si può dire che il rapporto con Hamann si inquadra e, per la parte che lo concerne, determina la stessa periodizzaziqne della produzione filosofica iacobiana. Essa infatti, .nelle sue grandi linee, può essere considerata constare di tre periodi.

PREFAZIONE

Il primo è il periodo dei romanzi (cioè della prima reda­ zione dei medesimi), caratterizzato dalla mera posiziqne dei problemi ;acobiani, senza che il Filosofo sia ancora in grado di risolverli o di scegliere fra le alternative problematiche che gli si prospettano: onde la ' forma ' del romanzo come quella che, presentando «l'umanità quale essa è, spiegabile o iospiegabile che sia

»,

è la più idonea a tradurre una situa­

zione spirituale e intellettuale di tal fatta. Il secondo periodo è caratterizzato dalla assunzione e dalla prima elaborazione, da parte di Jacobi, della propria posizione filosofica (onde anche la ) forma

J

della trattazione diviene più specifica­

mente filosofica): è il periodo delle Lettere sulla dottrina dello Spiooza e del connesso David Hume. I limiti crono­

logici di questo periodo vanno ritrovati nella crisi del

1782-84, di cui esso segna appunto il superamento teoretico, oltre che psicologico, e nella morte di Hama,m. Questo periodo invero coincide nei suoi limiti con quello in cui si sviluppò il breve ma fondamentale episodio del rapporto intellettuale con il Mago del Nord. Il risultato della produ­ zione ;acobiana del medesimo periodo, tuttavia, è quasi totalmente indipendente da questo rapporto: quantunque Bamann invii a Jacobi critiche filosofiche e consigli pratici assai pertinenti circa la concezione e la pubblicazione delle opere che Jacobi va elaborando, e intorno alle quali tiene costantemente informato l'amico} nulla dal punto di vista esteriore - cioè dal punto di vista di ciò che Jacobi si indusse effettivamente a pubblicare - lascerebbe sospettare l'esistenza dell'intenso scambio intellettuale, e tanto meno le conseguenze del medesimo sul pensiero ;acobiano. E' solo

PREFAZIONE

col periodo succeSSIvo alla morte di Hamann, quello in cui facobi elabora e precisa ulteriormente la sua personale posizione filosofica, che tali conseguenze si rendono mani­ feste, nel modo che qui appresso sarà posto in evidenza (gli ultimi due capitoli risponderanno implicitamente all'in­ terrogativo che qui potrebbe sorgere, circa la collocabilità in questa prospettiva della Lettera a Fichte e delle opere kantiane di facobi). Ovviamente tutte le periodizzazioni hanno un carattere, per cOSI dire, pragmatico, e prenderle diversamente sarebbe destituirle di ogni significato. Entro tali limiti, tuttavia, questa ci sembra una proposta ragionevole. Il presente saggio§ nel mettere in luce§ con riguardo al tema lingUistico, il significato del rapporto di facobi con Hamann, conduce, anche per questo rispetto storicol al limite della libertà come orizzonte. La libertà è /'orizzonte differenziante la posizione di facobi da quella hamanniana, paga, secondo le parole del Mago del Nord, di una «felice dipendenza

».

M.M.O.

Roma, novembre 1969.

This page intentionally left blank

CAPITOLO I IL LINGUAGGIO COME ASTRAZIONE

1) Condizionamenti culturali presenti nella compremione

;acobiana del saggio di Herder sull'origine del linguaggio. Nel 1773 appariva nel primo numero della rivista Teut­

scher Merkur la prima opera del trentenne Friedrich Heinrich Jacobi. Si trattava di una Considerazione sulla spiegazione

genetica delle attitudini e delle inclinazioni istintive degli animali avanzata dal signor Herder nella sua trattazione sul­ l'origine del linguaggio (1). Era questo il contributo di Ja­ cobi all'esordiente rivista, che egli stesso aveva progettato insieme all'amico Wieland, editore della medesima (2). In (1) Betrachtung iiber die flan Herrn Herder in seiner Abbandlung fJom Ursprung der Sprache vorgelegte genetfsche Erkliirung Jet thierischen Kunstlertigkeiten und Ku1tSttriebe, in «Teutscher Merkut�, 1773, n. l, pp. 99·121; poi in Werke, Leipzig, voI. VI, 1825, pp. 243·264 (d'ora in avanti l'indicazione dei Werke sarà data con la sola iniziale, seguita da] numero del volume in cifre romane). Precedentemente Jacobi aveva pubblicato solo uno scritto non auto­ nomo, vaIe a dire la prefazione alla traduzione francese di alcune opere letterarie del fratello Johann Georg.

(2) Secondo Heraeus, che dei rapporti fra Jacobi e Wieland fornisce la trattazione più estesa (O. HERAEUS, Frill facabi und der Slurm und Drang, Heidelberg 1928) • incontestabile merito]o) di Wie1and sarebbe stato non solo quello di aver spronato Jacobi ad assumere un suo posto auto­ nomo come scrittoré, ma altresl quello di averlo interessato « nel modo più vivace]o) alla letteratura tedesca, allorquando egli era ancora forte-

CAPITOLO I

quel preciso periodo di tempo l'argomento del contributo doveva possedere un cetto mordente d'attualità; proprio in quegli anni andavano infatti comparendo a stampa alcuni dei lavori cbe erano stati presentati al concorso bandito nel

1769 dall'Accademia delle Scienze di Berlino, con un titolo cbe cosl suonava: «Sono in grado gli uomini, quando siano rimessi del tutto alle loro capacità naturali, di inventare

il

linguaggio? E con quali mezzi riescono, a partire da se stessi, a questa invenzione? Si richiede un'ipotesi che chia­ risca la questione e renda conto di tutte le difficoltà» (3). mente orientato «lo senso occidentale)lo (p. 47). In rapporto a quanto si dirà in questo primo paragrafo sull'influsso della cultura francese nd pensiero di Jacobi, non è inutile osservare che questa tesi è per lo meno inesatta. A pane il fatto che ancor prima della composizione dell'Agathon (1761) Widand era venuto in contatto con la cultura dell'illuminism o francese, assorbdldone largamente i temi razionalistici (onde ·P. HAZARD ha potuto definirlo .c voltairriano» in L4 pensée européenne au XVIII siècle de Montesquieu ò !.essing, Pans 1946, val. I, p. I), tutto repist� lario fra Jacobi e Wieland sta il a mostrare che uno dei fondamentali temi d'incontro fra i due era proprio un comune orientamento «occiden· tale)lo (la maggior pane della corrispondenza vedila in F. H. JACOBl, Auserlesener Brie/wechsel, a CUIa di F. Roth, Leipzig, voI. I, 1825): essi si scrivono frequentemente in francese; entrambi concordano in una en· tusiastica ammirazione per Rousseau (pp. 54·55); WieIand riesce a far accettare a }acobi aspre critiche sul fratello Johann Georg, dicendo che i suoi scritti, se fossero pubblicati sul 4(. Teutscher Merkur» farebbero la stessa impressione che potrebbero fare alla migliore società parigina (pp. 111.112) (il che non è poco se si pensa che uno dei motivi di dis.­ senso fra Jacobi e Wieland sarà costituito in seguito dal fatto che Wieland lascerà pubblicare sulla rivista una recensione di un'opera poco favorevole al fratello di Jacobi!); lo stesso «Teutscher Merkur)) nelle intenzioni esposte da Widand a }acobi avrebbe dovuto essere «qualcosa del genere del Mercure de France)) (p. 68). (3) Oltre al lavoro di Herder, D. TIEDEMANN, Versuch einer Erkliirung des Ursprungs der Sprache, Riga 1772 (recensito già nel I771 da Hamann: v. J. G. HAMANN, Siimtliche Werke, a cura di J. NadIet, Wien, val. III, 1951, pp. 15·16); ]. N. TETENS, Abhandlung uber den Urspmng, der Sprache tmd Schrift, Biitzow 1772; R. W. ZoBEL, Ueber die verschiedel1e

II. LINGUAGGIO COME ASTRAZIONE

Il concorso, al quale avevano preso parte una trentina di autori, era intervenuto, come sempre i concorsi dell'Acca­ demia berlinese, a tematizzare i n forma, per cosl dire, pub­ blica un argomento sul quale ormai da vari anni tedesco andava riflettendo

(4 l.

il

pensiero

Non si può fare a meno

di

osservare però come questa atmosfera culturale, questa situa­ zione problematica, questa diffusa sensibilità filosofica al tema linguistico trovino

ben

scarsa eco nella Considera­

zione jacobiana. Ben poco in essa lascerebbe prevedere l'inreMtynungen der Gelehrten uom Ursprung der Spracht, Magdeburg 1773. Abbiamo inoltre notizia di altri due lavori anonimi scritti sul mede-­ simo argomento in quel tomo di tempo: Entwurf der iillcsten Erd· und Menschengeschichte, nehI! tinem Versuch den Ursprung der Sproche zu erklaren, 1773; Enoi syntMlique sur l'origine et la formalion des lan­ gues, 1774.

(4) Già nel 1766 erano comparsi i lavori del SUssmi1ch e del Jerusalem intorno all'origine del linguaggio (P. SOSSMlLCH, Versucb eines Bewe;ses, dass die ersle Spracbe ibren Ursprung nicht vom Menschen, sondern ollein vom Schopler erhollen hobe, Berlin 1766 (ma scritto nd 1754); K. W. JERU­ SALEM, Das$' die SprQche dem ers/en Menschtn durch Wunder nichl mitgetheul seyn kann, edito e commentato poi da Lessing in K. W. JERU. SALEM, Philosophische Aulsa/te, Braunschweig 1776 (ripubblicato da P. Beer, Berlin 1900, pp. 9·14). L'alternativa fra origine divina e origine umana del linguaggio esemplifica in modo pararugmatico i termini problematici fra i quali si dibatteva a questo proposito lo spirito dell'illuminismo tedesco. Si può dire che, in un ambiente culturale da più decenni divenuto sensibile, in svariati modi, ai problemi linguistici e semantid (si veda in quest'ultimo senso N. MERJCER, L'illuminismo tedesco. Età di ussing, Bari 1968, cap. IV, «Estetica fra vecchio e nuovo, pp. 211-321 l, il dibattito circa l'origine divina o umana del linguaggio acquista, agli occhi dello storico della filosofia, il valore di un dibattito sulle condizioni di significatività. Sulle condizioni di significatività del linguaggio, ovviamente: ma l'esten­ sione che intendiamo dare a quest'ultimo termine è in funzione dell'esten­ sione del problema del significato, e non viceversa. L'approfondimento del pensiero di Jacobi acquista in quest'ordine di idee un valore che trascende l'ambito puramente erudito, risultando utile come strumento interpretativo di una realtà storica immediatamente rilevante in rapporto alla situazione attuale della riflessione filosofica. ,

20

CAPITOLO I

resse che lo sviluppo successivo del pensiero di Jacobi avrebbe acquistato in ordine ad una problematica del lin­ guaggio e del sigtÌificato (5): agli aspetti più peculiari del­ l'opera herderiana vincitrice del cQncorso berlinese, a quegli aspetti per cui essa ha potuto apparire a molti l'iniziatrice della filosofia del linguaggio nel senso tecnico del termine, Jacobi non si mostra per la verità gran che sensibile. Herder aveva ritenuto che per discettare sull'argomento proposto dall'Accademia si dovesse preliminarmente render ragione di come l'uomo si caratterizzi nei confronti dell'ani· male proprio in virtù della facoltà del linguaggio; a detta di Herder, Condillac e Rousseau dovevano necessariamente andare errati circa l'origine del linguaggio, proprio in quanto il primo aveva equiparato gli animali agli uomini, e

il

se­

condo gli uomini agli animali. Il problema invece era per Berder di rendersi conto del perché l'uomo manchi - e possa fare a meno - delle abilità istintive che gli animali posseggono. E' chiaro quindi come l'approfondimento delle capacità animali fosse nella veduta herderiana del tutto in funzione dell'uomo e dell'approfondimento del significato "umano" del problema linguistico.

« Ogni

animale - scrive

(5) L'unica trattazione tematica esistente sulla filosofia del linguaggio di Jacobi è quella fatta da F. H. SCHMID in Friedrich Heinrich Jacobi. Biffe Darsleliung seiner Personlichkeit und uiner Philosophie als Beitrag zu einer Geschicbte des modernen Wertproblems, Heide1berg 1908. Senon­ ché l'intera opera dello Schmid è una ricostruzione sistematica del pensiero eli Jacobi piuttosto gratuita: l'Autore riempie uno schema espositivo, estrin­ seco e sovrimposto, mediante una serie di citazioni jacobiane indiscrimina­ tamente connesse. Se, in conseguenza di ciò, il paragrafo « Die Kritik der Sprache» (pp. 51-58) non riesce a sviluppare un vero e proprio discorso, il saggio rappresenta nondimeno, nella struttura sistematica, una genera" lizzazione della problematica dello « spirito» e dell.a «lettera�.

IL LINGUAGGIO COME ASTRAZIONE

Herder - ha la sua sfera,

alla quale esso appartiene dalla

nascita in poi, nella quale esso entra immediatamente, nella quale resta per tutto

il tempo della vita e nella quale

muore; ora però, è singolare che quanto più acuti sono i sensi degli animali e quanto più meravigliose le loro opere

di abilità, tanto minore

è la loro sfera» (6). L'implicita

portata di queste considerazioni herderiane è nel senso

di

porre una differenza qualitativa tra l'animale e l'uomo:

il segno dell'estensione della sfera» d'esistenza dell'uomo all'intera realtà, non solo nella

la facoltà del linguaggio è «

sua dimensione materiale, ma financo nella dimensione della storia e della storicità. A questo aspetto essenziale del discorso di Herder Ja­

cobi sembra però essere indifferente; egli infatti rende la considerazione sulle capacità animali fine a se stessa, toglien­ dole quella posizione esclusivamente funzionale e subordi­ nata al problema umano che essa aveva in Herder (7). Per

(6) ]. G. He.RDER, AbhandlmJg uber den Ursprung der Sprache (Bcrlin 1772), in Siimtliche Werke, a cura di B. Suphan, Berlin, voI. V, 1891, p. 22. Hamaon tecensl anche questo lavoro: v, Siimlliche Werke, voL. 111, cit., pp. 17-24. (7) Anche la riflessione sulle attitudini istintive degli animali era comunque un tema diffuso nella cultura illuministica dell'epoca, e Jacobi aveva letto l'opera di H. S. REIMARUS, Allgeme1ne Bet,achtung iibe, die T,iebe der Tie,e, hauptsiichIich uber ih,en KunsJtrieb, Hamburg 1760. In quest'opera, da Jacobi stesso citata nel saggio in questione (W., VI, pp. 252253 e 260), Reimarus accentuava il finalismo istintivo degli animali, ne­ gando loro la ragione, coerentemente a quel suo orientamento filosofico per cui egli aveva potuto apparire alla cultura tedesca come oppositore delle correnti materialistiche deU'illuminismo francese e dello spinozismo. Aspetti, questi, che, almeno potenzialmente, erano in grado di interessare come pochi altri la sensibilità problematica di Jacobi. Tuttavia Jacobi pone in secondo piano anche il motivo della ragione quale elemento differenziatore dell'uomo dall'animale, dando invece risalto,

22

CAPITOLO I

Jacobi la sensibilità con cui la natura provvede una creatura è commisurata alla «sfera» di questa; «da ciò - egli pro­

segue - si sviluppa conseguentemente un rapporto, che determina la sua [della creatural capacità di rappresenta­ zione. Dunque l'emergere dell'attitudine ad agire in questa o quella sfera è l'ultimo motivo determinante della diversità dell'organizzazione» (8). Questo concetto di organizzazione acquisterà in seguito un ben diverso peso in quel dibattito di Jacobi con Hamann che avrà come uno dei principali ter­ mini di riferimento polemico il problema del Iinguaggio_ Per il momento però il concetto di organizzazione non fa che sottolineare la sfasatura culturale esistente fra il discorso di Herder e quello del suo commentatore (9), il quale si mostra assai più vicino a quella mentalità sensistica di tipo francese che Herder, come si è visto, condannava, nelle persone di Condillac e di Rousseau, come inadatta come diremo subito nel testo, al motivo - di ben diversa natura teotetica e derivazione culturale - dell'i( organizzazione ».

(8) W., VI, p. 247. (9) I rapporti culturali e personali (questi ultimi iniziati solo più tardi, nel 1783) fra Jacobi e Herder non sono mai stati veramente approfonditi. Solo R. HAVM, in Herder nach seinem Leben und seinen Werken, (voI. II, Berlin 1865), vi ha dedicato alcune dense e interessanti pagine (pp. 271299). L'argomento meriterebbe invece un attento esame) non soltanto in rapporto alle diverse comprensioni di Spinoza da pane dei due pensatorì, ma anche i n rapporto all'influsso in senso leibniziano che su Jacobi Herder potrebbe aver esercitato. O. F. BoLLNOW, in Die Lebemphilosophie F. H.

Jacobis, Stuttgart 1933

e 19672 dà per scontato tale influsso, affermando che l'ideale leibniziano dell'armonia sarebbe stato mutuato da Jacobi e

dall'intero Sturm und Drang attraverso la mediazione herderiana (p. 64). Un adeguato approfondimento della questione riuscirebbe della massima

importanza proprio i n ordine al tema deU'organìzzazione, e più precisa­ mente in ordine a quel successivo modo di configurarsi di tale tema nel

pensiero jacobiano, che avremo modo di prendere in esame nel corso del­ l'analisi della corrispondenza con Hamann.

IL LINGUAGGIO COME ASTRAZIONE

23

ad una vera comprensione del significato filosofico del pro­ blema del linguaggio, di quanto non si mostri vicino a quei motivi culturali che) come si è detto) da più anni erano presenti nella cultura tedesca e che precisamente in Herder avevano trovato uno dei massimi rappresentanti., Ciò d'al­ tronde non sorprende se si ricorda come in gioventù Jacobi avesse trascorso a Ginevra alcuni annj di studio, venendo largamente in contatto con il materialismo e il sensismo del­ l'illuminismo francese, oltre che col pensiero rousseauiano. Tutta la prosecuzione del saggio, che si dilunga in una de­ scrizione naruralistica delle abilità istintive di alcune spe­ cie di animali, è una conferma della ancor preponderame presenza di questa tradizione culturale e, più precisamente, dell'influsso di quel Bonnet, di cui Jacobi era stato attento discepolo, e di cui non senza ragione il nome appare citato in questo saggio, dove moltissime argomentazioni �ono ri· prese dal pensiero del naruralista ginevrino. In effetti lo stesso tema dell'« organizzazione» non è, per ora, altro che il segno del notevolissimo condizionamento culturale di Ja­ cobi da parte delle dottrine preformistiche bonnettiane ( 10). (lO) Si veda W., VI. p. 255. K. ISENBERG, Der Binllu!! der Philosophie Charles Bonnets aul Frie­ drich Heinrich Jacohi, diss., Borna-Leipzig 1906, non solo mette in evi· denza come la maggior parte delle argomentazioni di questo saggio siano riprese da BonDet (p. 41), ma giunge anche ad affermare che .BonDet diede 3 Jacobi «l'occasione di riunite raziooalismo e sensualismo � (p. 63). E' innegabile comunque che il nome di Bonnet ricorre non infrequentemente nelle opere di Jacobi, il quale afferma anche di aver appreso «quasi a memoria)) il suo Essai analytique (W., IVL, p. 80). Sull'influsso di Bonner sul pensiero jacobiano, per lungo tempo ignorato dalla letteratura tedesca - ad eccezione della dissertazione di Isenberg - insisté maggiormente la storiografia di lingua francese: si veda L. LÉVY-BRUHL, 1..4 philosophie de Jacobi, Paris 1894, pp. 84 e 98; R. SAVIOZ, Lo philosophie de Ch. Bonnet

24

CAPITOLO I

Con ciò il discorso su quanto questa prima operetta jacobiana è in grado di attestare limitatamente alla sensibi­ lità, o meglio alla insensibilità del primo Jacobi al problema linguistico potrebbe sembrare esaurito_ In verità però an­ cora

un

passo della Considerazione va preso in esame, non

perché sia immediatamente attinente al tema linguistico, ma perché anticipa dei motivi che saranno determinanti in ordine al modo in cui Jacobi affronterà. tale tema succes­ sivamente.

2 ) L'identificazione di concetto e segno; preminenza e in­ sufficienza della conoscenza inluitiva. Si tratta di una « piccola considerazione collaterale

»,

cbe, a fini chiarificatori e in modo, per l'appunto, affatto parentetico, Jacobi fa intorno al tema intuizione e astrazione. «Con l'espressione intuizione, conoscenza intuitiva - egli dice - io intendo ogni rappresentazione individuale nel­ l'anima, sia il suo oggetto materiale o immateriale; e di questa conoscenza intuitiva io affermo, che da essa sgorga de Genève, Paris 1948, che nel corso della sua opera mette in luce j punti in cui Jacobi fu influenzato da Bonnet. Purtroppo è rimasto inedito l'interes­ sante lavoro di F. DoLDINGER, Die Jugendentwicklung Friedrich H. Jacobis bis zum AllwiJl Fragmenl (1775) in ihrer Beziehung·zur Gesamtentwicklung, dissertazione dell'Università di Freiburg i. B. 1921 '(copie depositate al· l'Universitatsbibliothek di Freiburg i. B. e alla Staatsbibliothek di Berlino), che alle pp. 3848 analizza l'influsso di Bonnet, anche riguardo al motivo ddl'organizzazione. Da ultimo il recentissimo volume di G. BAUM, Vernunft und Erkenntnis. Die Philosophie F. H. Jacobis, Bonn 1969 ( (lettera a Kant del 16 ottobre 1785, in Kantr Briefwecksel, Akademie-Ausgabe, Berlin·Leipzig, voI. 1. 1922l, p. 390). Hamann. che era venuto a sapere qualcosa del giu­ dizio da lCant, lo riferisce a Jacchi in modo personalizzato, dicendo che nel suo scritto erano state rintracciate « la testa di Spinoza, il busto di Herder e i piedi di Goethe )l> (lettera del 5-6 novembre 1785, G., V, p. 128). Schelling nel suo libellistico Denkmal accusò tra l'altro Jacobi di possedere la « inquieta tendenza ad imitare gli altri, cercando di innalzarsi al loro livello » (F. W. J. SomLLING, Denkmal der Schrift von de" gottlichen Dingen des Herrn Friedrich Heinrich Jacobi und Jer ihm in derselben

gemachten Beschuldigrmg eines absichllich tiiuschenden, Liige redenden Athesmus, i in Siimtliche Werke, cit., val. VIII, 1861, p. 102). Più tardi $chopenhauer annoterà in margine al Jacobr an Fichte: « Jacobi mostra

ovunque un sincretismo profondamente radicato, e dunque una inettitudine al filosofare, che è attitudine critica » (HandschriftlichN> Nacblass, a cura di E. Griesbach, Leipzig [1930'], vol. III, p. 93; si veda anche val. IV, Neue Para(ipomena, p. 145). Quel tanto di vero che v'è in queste accuse non diminuisce affatto il valore storico e teoretico del pensiero di Jacohi, in quanto rappresenta la conseguenza delle sue due più singolari caratteristiche, che massima­ mente lo rendono significativo: quella di un « realismo ,. anche filosofico (vogliamo dire del kein ich ohne du anche a livello di elaborazione filo­ sofica: onde l'esprimersi « epistolare »), e quella per cui Jacobi meglio di ogni altro pensatore può essere assunto a simbolo di « coscienza infelice » del passaggio dall'illuminismd all'idealismo (rappresentando dunque in lui l'eventuale atteggiamento sincretistico il segno di una profonda sensibilità e ricettività riguardo ai sostanziali contrasti problem.atici che quell'epoca presenta). Di entrambe queste caratteristiche si ha modo di verificare la presenza e la portata nel corso del lavoro.

IL PROBLEMA ERMENEUTICO

69

stessa del dibattito adduceva, resero possibile che Jacobi cogliesse nelIe obiezioni avanzategli dal Mago del Nord non

il senso di una opposizione, bensl il senso di una stimolante critica interna.

This page intentionally left blank

CAPITOLO III

IMMEDIATEZZA DEL CONOSCERE E IMMEDIATEZZA DEL COMPRENDERE

This page intentionally left blank

1 ) La mancata redazione dell'opera su Hamanl1. Sulla base delle indicazioni fornite

da

Jacobi stesso, è

sempre stato rilevato come fatto caratteristico dell'ultima fase del suo pensiero il passaggio dalla concezione della ra­ gione come intelletto alla concezione della ragione come organo per la percezione immediata del sovrasensibile e delle «

cose divine

».

Molto spesso in questo cambiamento è stato

ravvisato un fatto puramente terminologico, o comunque una schematizzazione piuttosto arida e tardiva di un pensiero ben altrimenti vitale. Va notato invece cbe, indipendentemente

dal

giudizio di valore cbe si ritenga di dover dare a propo­

sito delle diverse fasi del pensiero jacobiano, una visione del genere è, dal punto di vista dei fatti, inesatta, in quanto la nuova comprensione del termine Vernunft rappresenta la conseguenza di un mutamento teoretico sostanziale. Un segno evidentissimo di ciò è constatabile precisamente nella trasfor­ mazione che subisce nella visione jacobiana la problematica del linguaggio: in virtù di tale cambiamento teoretico la problematica del linguaggio si presenta infine, nel pensiero dell'ulrimo Jacobi, direttamente come una problematica di filosofia della religione.

CAPITOLO III

74

Già questa considerazione del tutto generale suggerisce l'ipotesi di un tardivo influsso di Hamann sul pensiero di Jacobi; si tratta ora di mostrare come questa, cbe potrebbe essere una semplice e generica possibilità, in verità sia una assai precisa' ed articolata realtà, documentabile con riscontri puntuali e corrispondenze talora addirittura verbali. Con questo non si vuoi dire, sia precisato fin

da

adesso, cbe

il

pensiero di Jacobi si evolva in senso hamanniano, cioè si accordi con la visione di Hamann (anche se Jacobi poteva in parte essere convinto di ciò), bensì semplicemente che il pensiero di Hamann ha profondamente influito sulla @osofia della religione di Jacobi; in qual senso pOI, è appunto da vedersi. L'influsso di Hamann comunque non è per nulla im­ mediato; si tratta piuttosto di una lenta, ma progressiva

Nachwirkung attraverso un arco di più di venti anni: la len­ tezza di questo processo sta a dimostrare quanto si è affer­ mato precedentemente: l'influsso del pensiero del Mago del Nord non è qualcosa che si sovrappone dall'esterno, bensl un lievito che aiuta il pensiero di hcobi a svilupparsi nella direzione che gli è propria. Non sorprenderà quindi cbe tale influsso si possa scorgere più chiaramente al termine della evoluzione del pensiero di Jacobi cbe al suo inizio. In questo senso è estremamente significativo il fatto che Jacohi dopo la morte di Hamann si fosse subito proposto di scrivere un'opera che illustrasse il pensiero dell'amico in modo afferrabile »

(l)

«

più

(il che in realtà significava trasformato in

(1) Lettera di Jacobi a KIeuker del 23 dicembre 1789, in H. R.ATJEN, J. F. Kleuker und Briele seiner Freunde, Gottingen 1842, p. 145; si veda

L'IMMEDIATEZZA DEL COMPRENDERE

75

senso jacobiano), e che però tale progetto - che avrebbe comportato un subitaneo ed estraneo ' mettersi di fronte » a Hamann - non sia mai -andato in portoJ verificandosi invece un lento assorbimento e mutamento delle vedute di Hamann all'interno dello stesso pensiero jacobiano.

2 ) La visione secolarizzata del linguaggio cosm.co. Una prima » risposta ' alle sollecitazioni hamanniane, sotto forma di un accoglimento, da parte di Jacobi, della problematica linguistica, è registrabile già nel 1787, come dimostra

un

passo del David Rame in cui la consueta pro­

blematica jacobiana dell'intelletto come attività astraente viene presentata appunto nella forma fra il concetto che si riveste der

da

di

di una contrapposizione

una parola e la parola

«

dess,

ist » (2). Cosl nel 1789, nella seconda edizione

anche la lettera a Lavater del 30 gennaio 1790: « Attualmente sono im­ pegnato nei lavori preparatori di due scritti. Uoo deve intitolarsi Haman­ niana e ruotare intorno a queste due domande principali: l ) CIle tipo di opinioni aveva quell'uomo? 2) Come si possono avere tali opinioni? La forma deve essere quella di un contributo alla storia della filosofia » (in P. H. ]ACOBI, Aurerlesener Briefwechrel, val. II, cit., p. 15). (2) W., II, p. 234. TI passo, nella sua interezza, suona cos1: « E' certo un privilegio della nostra natura la capacità � ricevere dalle cose tali im­ pressioni che ci rivelano, differenziandolo, il loro essere molteplice, e di ricevere in tal modo la parola interna, il concetto, al quale diamo un'esi­ stenza esterna mediante un suono della nostra bocca e infondiamo un'anima fuggitiva. Ma queste parole germogliate da un seme finito non sono come le parole di Colui c h e è, e la loro vita non è come la vita di quello spirito che evoca l'essere dal nulla. Se noi non badiamo a questa differenza infi­ Dita, ci allontaniamo in questo stesso momento dalla fonte di ogni verità, perdiamo Dio, la natura e noi stessi. Ed è cosl facile non badarci. Infatti, prima di tutto i nostri concetti strappati alla natura vengono formati, tra­ smessi, connessi e ordinati più o meno secondo le determinazioni sogget4

CAPITOLO III

delle Lettere sulla dottrina di Spinoza. Jacobi aggiunge una significativa nota sulla opportunità di trattare tematicamente ed ampiamente l'argomento ' linguaggio ' (5), fornendo anche qualche linea direttiva m proposito nell'appendice VII della medesima opera (4). Si tratta però ancora di un accoglimento tive della nostra attenzione. Poi dalla accresciuta capacità d'astrarre e di porre segni arbitrari al posto delle rose e dei loro rapporti, deriva una tale aa:ecante chiarezza che le cose stesse ne vengoDo oscurate e alla fine non sono neppur più visibili. Nulla può essere più simile al sogno cl!e lo stato in cui si trova allora l'uomo, perché anche nel sogno Don siamo privi di ogni sensazione del reale » (W., II, pp. 234-235). (3) « Ma cbe proposizioni identiche debbano portar con sé l'univer­ salità e la necessità, ciò è appunto oosl evidente come la loro indipendenza dall'esperienza. In questo campo la s p l e n d i d a m i s c r i a della nostra facoltà di conoscere si è dimostrata ottimamente per mezzo dell' a s t r a· z i o n e e del 1 i n g u a g g i o, e ba fatto nascete molti errori e malintesi, la cui possibilità si comprende perfettamente approfondendosi nelle f u n· z i o n i d e I li n g u a g g i o riguardo ai nostri ragionamenti. Qualcosa di più a questo proposito ho detto nell'appendice VII e anche sparsamente qua e là in quest'opera. Ma quest'argomento richiede una trattazione spe­ ciale e più ampia » (W., IV', p. 231). (4) « Ma se la vita prodotta nel momento presente non deve di nuovo venir meno nel momento seguente, l'essenza che produce deve anche poter c o n s e r v a r e. Fra i mezzi di conservazione della vita (di quella vita che gode se stessa e sola merita il nome di vita) non ne conosciamo nessuno che si mostri più efficace del linguaggio. Ciascuno conosce la stretta relazione fra la ragione e il linguaggio; e conosce altresl che non abbiamo nessun concetto di una vita più perfetta di quella che ha luogo mediante la ra­ gione. Negli esseri limitati l'osservazione più perfetta e la connessione più varia producono il bisogno dell'astrazione e del linguaggio. CosI risulta un mondo della ragione, in cui i segni e le parole fanno le veci di sostanze e di forze. Noi c'impadroniamo dell'universo, quando lo smembriamo e creiamo un mondo commisurato alle. nostre attitudini, un mondo d'im­ magini, d'idee, di parole affano dissimili dal reale. Ciò che noi creiamo in questo modo, lo intendiamo perfettamente in quanto è nostra crea­ zione; ciò che non si può creare in questo modo, noi non lo intendiamo; il nostro intelletto filosofico non si estende oltre la sua produzione. Ma ogni conoscere avviene per ciò, che noi poniamo differenze e le togliamo di nuovo; e anche la ragione umana perfezionata al più alto grado non è capace, expliciJe, d'altra operazione che di questa, a cui si lasciano ricon­ durre tutte le altre. O s s e r v a r e . d i s t i n g u e r e , r i c o n o s c e r e

L'IMMEDIATEZZA DEL COMPRENDERE

77

esterno, di una veste che Jacobi dà al proprio pensiero e alla propria convinzione fondamentale -. essenzialmente anti­ hamanniana - dell'intelletto come attività astraente, senza che si possa parlare di un'evoluzione del pensiero medesimo cbe lo avvicini effettivamente

alla

problematica di Hamann.

E' invece proprio nel 1792, nella nuova edizione dell'AlI­

will, che, a nostro avviso, va colto il primo indizio di una evoluzione in questo senso. Qui infatti vengono citati dei passi dalle Briciole di Hamann al fine di mostrare la parzia­ lità, anzi l'invalidità della nostra conoscenza intellettuale e di indicare, piuttosto confusamente, una diversa e più alta capacità dello spirito umano di cogliere un creatore al di sopra di sé. Per la prima volta qui la problematica lingui­ stica viene affrontata da Jacohi, attraverso le citazioni haman­ niane, in un senso cosmico-metafisica, in un senso che, in confronto al linguaggio inteso come astrazione e depaupera­ mento di significato, vorremmo chiamare positivo; per la prima volta qui la problematica, diciamo cosi, ' linguistica ' appare nella sua rilevanza in sede di filosofia della religione. « Tutte le apparenze (Erscheinungen) della natura - cosi suona la citazione jacobiana di Hamann - sono sogni, sem­ bianze,

enigmi

che hanno

il loro significato, il loro

segreto senso. Il libro della natura e [quello] della storia non sono altro che c i f r e, segni occulti, i quali richiedono

e c o n c e p i r e , i n r e l a z i o n i a s c e n d e n t i , costituiscono tutta la ricchezza della nostra facoltà intellettuale )lo (W., IV!, pp. 131-132). Queste ultime righe sulla distinzione e sulla posizione di relazioni diven­ tano particolarmente interessanti se considerate alla luce di quanto si dirà in fine sulla nuova funzione che assume l'intelletto nel pensiero dell'ul­ timo Jacobi.

CAPITOLO III

78

una chiave; la stessa chiave di cui hanno bisogno anche coloro che credono in una rivelazione per interpretare la medesima e che solo potrebbe costituire lo scopo, l' u n j c o scopo

di una rivelazione e la prova del suo dettame » (5). E' inte­ ressante notare fin da ora che questa citazione verrà ripro­ dotta da Jacobi nel 1816, nella prefazione al voI. III dei

Werke (6); prefazione tutta intesa a polemizzare contro l'interpretazione che era stata data delle Cose divine come

di un'opera che separasse nettamente Dio dalla natura e affer­ masse quello venire « nascosto » da questa. Su ciò avremo modo di tornare specificamente in seguito; ma fin d'ora pos­ siamo cominciare ad identi6carne .il significato. l.V. Terpstra,

confrontando i passi hamaoniani citati da Jacobi con il testo autentico di Hamann, ha rilevato come Jacobi abbia modili­ cato il testo originale (7). Modificato, possiamo osservare, in piccola misura dal punto di vista verbale, ma molto e in modo assai significativo da un punto di vista sostanziale. Si può parlare di una vera e propria ' secolarizzazione ' (8) (5) W., I , p . 133. Secondo H. SOIWARTZ, Friedrich Heinrich Jacobis « Allwill », Halle 1911 (. X., lacobi und Schelling, oder, uber Glauben und Wissen

in Beziehung aul Gott und giittliche Dinge, in « Morgen· blatt fili gebildete Stande », VI, 1812, 20 febbraio, pp. 173-175; 21 febbraio, pp. 177-178; 22 febbraio, pp. 182-184.

A., Friedrich Heinrich lacobis Lehre vom Glauben. Bine Darstellung ihrer Bntstehung, Wandlung und Voll­ endung, Halle 1910.

FRANK

Friedrich Heinrich lacobi, in Vollendung und Aulbruch, Berlin 1943, pp. 328-352 (poi in Studien und Interpretationen, Frankfurt 1956, pp. 80-90).

FRICKE G.,

FRIES

J. F., Von deutscher Philosophie, Art und Kunst. Bin

Votum lur Friedrich Heinrich lacobi gegen F. W. J. Schelling, Heidelberg 1812. H. G., Wahrheit und Methode. Grundzuge einer philosophischen Hermeneutik, Tiibingen 1960.

GADAMER

H., J. G. Hamann's, des Magus im Nor­ den, Leben und Schrilten, val. V, Brielwechsel mit F. H. lacobi, Gotha 1868; val. VI, Hamann-Studien, ivi 1873.

GILDEMEISTER C.

GoETHE

J. W., Winckelmann, in Samtliche Werke, Propy­

liien-Ausgabe, Miinchen, val. XVI, 1912. - -, recensione dell'Auserlesener Brielwechsel di Jacobi, ivi, val. XXXIX, Berlin [s.d.l. - -, Maximen und Reflexionen aus dem Nachlass, ivi, val. XLV, Berlin [s.d.]. A., T. Wizenmann der Freund F. H. lacobi's, in Mitteilungen aus seinem Brie/wechsel und handschri/t­ lichen Nachlasse, wie nach Zeugnisse von Zeitgenossen.

GoLTZ

BIBLIO GRAFIA

139

Ein Beitrag lur Geschichte des innern Glaubenskamfes christlicher Gemiither in der lweiten Hiilfte des 1 8 . Jahrhunderts, ' Gotha 1 859. HAMANN

J. G., Siimtliche Werke, a cura di J. Nadler, voli.

5,

Wien 1949- 1 957 . - -, Briefwechsel, voI. IV, a cura di A . Henkel, Wies­

baden 1 959 ; voI. V, a cura dello stesso, Frankfurt a.M. 1 965. HAMMACHER K., Zur Entwicklung und Kritik der neueren

Dialektik, in Das Problem der Sprache, Achter Deutscher

Kongress fiir Philosophie, Miinchen 1 967. - -, Die Philosophie F. H. Jacobis, Miinchen 1969. HAYM R., Herder nach seinem Leben und seinen Werken,

Berlin 1865. HAZARD P., La pensée européenne au XVIII siècle de Mon­

tesquieu à Lessing, Paris 1 946. HEBEISEN A., Friedrich Heinrich Jacobi. Seine Auseinan­

dersetlung mit Spinola, Bern 1 960. HERAEUS

O., Fritl Jacobi und der Sturm und Drang, Hei­

delberg 1928. HERDER

J. G., Abhandlung iiber de'I Ursprung der Sprache,

in Siimtliche Werke, a cura di B. Suphan, Berlin, voI. V, 1 89 1 .

- --, Vom Geist der Ebraischen Poesie. Eine Anleitung fiir die Liebhaber derselben, und der iiltesten Geschichte des menschlichen Geistes, in Samtliche Werke, voI. XI,

ivi 1 879. - -, Eine Metakritik lur Kritik der Vernunft, in Siimtliche . Werke, voI. XXI , ivi 1 88 1 . ISENBERG K., Der Einfluss der Philosophie Charles Bonnets

auf Friedrich Heinrich Jacobi, diss., Borna-Leipzig 1 906 .

BIBLIO GRAFIA

'40

JACOBI F. H., Betrachtung uher die von Herrn Herder in seiner Abhandlung vom Ursprung der Sprache vorge­ legte genetische Erklarung der thierischen Kunst/ertig­ keiten und Kunsttriebe, in � Teutscher Merkur », 1773, n . 1, pp. 99-12l. - -, Fliegende Blatter, in « Minerva. Taschenbuch fiir das Jahr 1817 », IX, pp. 259-300. - -, Werke, voli. 6, Leipzig 1812-1825. - -, Auserlesener Brie/wechsel, a cura di F. Roth, Leipzig 1825. - -, Aus F. H. lacobis Nachlass. Ungedruckte Briefe von und an lacobi und andere, a cura di R. ZOppritz, voli. 2, Leipzig 1869. - -, Idealismo e realismo, trad. it. a cura di N. Bobbio, Torino 1948. JERUSALEM K. W., Dass die Sprache dem ersten Menschen durch Wunder nicht mitgetheilt seyn kann, in Philoso­ phische Aufsatze, a cura di G. E. Lessing, Braunschweig 1776 (ripubblicato da P. Beer, Berlin 1900, pp. 9-14). Brie/wechsel, in Werke, Akademie-Ausgabe, Berlin­ Leipzig, voI. I, 1922'.

KANT L ,

- -, Kritik der Urtheilskraft, in Werke, Akademie-Ausga­ be, voI. V, Berlin 1913. KINDER E., Natiirlicher Glaube und Offenbarungsglaube. Eine Untersuchung im Anschluss and die Glaubensphi­ losaphie Fr. H. lacabis, Miinchen 1945 (

è

(in einem Trap.

e debbano tutti credere alla stessa cosa, « quasiché la fede

fosse cosa di ognuno ed il diavolo fosse morto » (23). La costru­ zione della storia degli eretici come vera storia della chiesa dello -spirito è discriminante quant'altre mai, traducendosi nella condanna ·della storia della chiesa visibile come storia dell'eresia. Quali che

(22) V. in proposito l'introduzione alta Cbrollica, cit., p. 4 a. (23) Per la polemica contro i tentatIvi di unione delle Chiese v. Pafadoxa, ed. cit., d 5 b, 6 a, i 5; Chronica. cd. ci!.) l, 161 b, 28} b e parsim.

INTRODUZIONE

43

possano essere le nebulosità e le ambiguità della « entusiastica » visione ftanckiana (entusiasti erano allora detti gli spiritualisti), è fuor di dubbio che i l criterio identificante cosl il significante, come la differenza in quanto tale è sempre l'invisibile, In altre parole si potrebbe dire che, per Franck, l'ecumenismo avanza la pretesa alla instaurazione della totalità mediame i l visibile, assume il per sé come fondante dell'in sé, non rendendosi conto che il rapporto è esattamente inverso e che nessuna identità, nessun sé, è possibile a partire dalla differenza. La totalizzazione è possibile solo a par­ tire dallo spirito, solo ponendosi già dal punto di vista dell'iden­ tità che, in questo senso, è un vero e proprio apriori; solo da que­ sto punto di vista, nel quale il significato è già dato, è possibile riconoscere nelle molteplici parzialità visibili altrettanti significanti.

6) Duplice considerabi/ità del visibile il cammino di Epimenide.

e

produ/tività dell'apriori:

Non c'è dubbio che nel pensiero di Franck un enorme pro­ blema resti insoluto, e l'abbiamo già indicato in quella duplicità del visibile o in quella duplice considerabilità del visibile che rap­ presenta la massima ambiguità deUa sua visione entusiastica. Le due formulazioni del problema (duplicità del visibile o duplice con­ siderabilità del visibile) sono meno diverse di quanto potrebbe sembrare, ché la duplice considerabilità del visibile rappresenta essa stessa un elemento storico e rientra essa stessa nel visibile, duplicandolo) per tal maniera, in un visibile che è differenza pura, è diabolico, ed un visibile che è produzione, rendersi manifesto dell'invisibile, è, come ci siamo espressi, simbolico. Franck resta sospeso fra una visione in cui si pone la produttività dell'identità, ed una visione in cui l'identità non appartiene alla storia e diffe­ risce radicalmente dalla medesima, come l'identità differisce dalla differenza (24).

(24) Franck avverte spesso che la storia è in parte opera di Dio e in parte oJ:X'ra del diavolo. Bisogna anche dire che, specie nell'ultimo Franck

44

INTRODUZIONE

Ma questo non è certamente un nodo insoluto nella sola visione franckiana; esso è il punto aporetico di ogni visione aprioristica, che si trova di fronte alla inesplicabilità del « male radicale lo> nella storia, cioè di fronte alla irriconducibilità della differenza in seno all'identità, alla quale pure essa si rapporta, con la quale pure è posta una commisurabilità, per il fatto stesso che se ne afferma, con ona affermazione negativamente totalizzante, la radicalità del differire. È significativo che un kantiano come Troeltsch, sosteni­ [ore dell'apriori religioso ed attento proprio al problema del male radicale nella filos06a della religione di Kant (25), possa aver avuto tanta stima del perseguitato spirituali sta di Donauworth (26). La duplice comprensione del visibile trova in questa innegabile com­ misurazione la sua stessa ragione di fondo; è questa innegabile com­ misurazione che pone implicitamente di fronte alla necessità di comprendere il visibile anche come ciò senza di cui l'identità è vuota, come ciò, dunque, che tichiede di essere commisurato e reso non del tutto eterogeneo rispetto all'identità, per quanto ciò possa risultare contraddittorio con l'affermazione della differenza ra­ dicale. Resta il fatto - ed è quanto a noi interessa sottolineare che la tematizzazione dell'invisibile (pur ponendo implicitamente la necessità, per superare la contraddizione, di assolutizzare la pro­ duttività dell'identità, considerandola come il 5010 principio della differenza ed eliminando con ciò l'irriducibilità del male radicale) non esclude minimamente la costruibilità di una storia della chiesa o di una storia della filosofia, sia pur in termini negativi. « Vi è

(le cui opere intorno ai « due regni » si sono conservate, purtroppo, solo in traduzione olandese), lo stesso mondo spiritua1e e invisibile è ritenuto duo plice; in esso, vale a dire, v'è anche una parte diabolica. Cfr. quanto riferisce sulle traduzioni olandesi W. E. PWCKERT, op. cit., pp. 492-513. (25) Vedasi E. TROELTSCH, Das Historische ili Kants Religionsphilosophie.

Zugleich ein Bei/Tag lU den VnleTsuchungen iiber Kallts Philosophie deT Ge· st"h;chte, in « Kant studien », 1904, pp. 21·154.

(26) Franck, afferma Troeltsch, ha compreso molti elememi del cristia· nesimo assai più di quanlO li abbiano compresi le chiese: dr. E. TROELTsCH,. Was heisst « Wesen des Chrislenlums »?, in Gesammelte Schriften, voI. II, ristampa anastatica, Aalen 1962, p. 406.

INTRODUZIONE

45

tamo una chiesa invisibile della filosofia, come una chiesa invisi­ bile del cristianesimo, u n a c o m u n i t à d e i f e d e I i », osserva Jacobi nella prefazione alla terza edizione delle Lettere sulla dottrina di Spinoza, certamente influenzato in questa sua termino­ logia dalla ripresa del tema della chiesa invisibile da parte degli ambienti romantici, ma assai più legato allo spiritualismo di Franck di quanto la contingenza di tali espressioni potrebbe far ritene­ re (27). La pretesa di ricavare l'identità dal visibile è il frutto di una suggestione diabolica, fuorviante: « Il filosofismo visibile come il chiesismo visibile vuoI addirizzare l'intelletto, bsciargli trovare e toccar con mano la verità, v u o l f a r D i o. Mangiatene e sarete Dio. La mia filosofia - concludeva l'anziano filosofo - professa assolutamente la chiesa i n v i s i b i l e io) (28). L'invisibile asto­ rico et! eterno t: lo SLesso termine discriminante e identificante rispetto al visibile e aUa sua vera natura; esso è l'unico criterio che consenta di costruire una storia, sia pur negativa: « Se io fui chiamato a questo, a difendere la chiesa invisibile della filosofia ed il suo intimo, eterno spirito contro la lettera dei miei contempora­ nei variamente mutevole e che esalta l'esterno, e se in ciò sono riuscito [ . . . ] ebbene io ho vissuto abbastanza io) (29). Sappiamo quanto sia rischioso coinvolgere in un discorso che ha nel termine "apriori" un suo punto di riferimento essenziale la stessa visione di Jacobi, la quale certamente è quanto di più alieno possa pensarsi rispetto ad una visione di tipo trascenden­ tale. Ma il fatto è che affermando la priorità dell'invisibile non si è qui affatto inteso affermare con ciò la totale vuotezza dell'apriori: l'invisibile è certamente prima del visibile, ne consente l'identifi­ cazione e l'unificazione, ma questo non significa che, perciò, esso debba essere vuoto. Il problema è proprio quello della manteni­ bilirà della differenza radicale fra visibile e invisibile {quella diffe-

(27) F. H. )ACOBI, Ueber die Lchrc des SpùroUl, in Briejen an Herrn Moscs Mcnde/nohn, in Werkc, rist. anastatica, Darmstadt 1968, voI. IV-l,

p. LIll. Per l'inserimento di Jacobi nella tradizione spiritualistica v. V. VERRA, F. H. lambi. Dall'illuminismo all'idealismo, Torino 1963, pp. 216-217. (28) F. H. JAC08[, Ueber dic Lehre ecC., dt., p_ LUI. (29) Op. cii., p. LIII·LIV.

INTRODUZIONE

rema

radicale che SI esprime nella paradossale commisurabilità

negativa), ammessa la quale l'apriori non potrà fare a meno di riempirsi, per cosi dire, esso stesso con delle produzioni le quali rendono omogenea l'identità dell'apriori con quella differenza, che pure è posta come radicalmente differente rispetto all'identità. Non è necessario, almeno nel contesto del discorso che qui andiamo svolgendo rispetto a storia della chiesa e storia della filosofia, pen­ sare a questa produttività dell'apriori riferendosi agli « schemi )lo trascendentali, sebbene anche in essi la produttività dell'identità si mostri chiaramente (si da indurre alla trasformazione della dottrina della immaginazione trascendentale kantiana nei termini in cui ha luogo nelle

Dottrine della scienza

di Fichte)j Del contesto del di­

scorso che andiamo svolgendo sarà molto più opportuno far rife­ rimento a quella sorprendente e forse troppo dimenticata parte con­

Critica della ragion pura, la quale, niente di meno che « La storia della

clusiva della

nel suo stesso titolo !

suona

ragion pura

»! (30)

L'invisibile apriori non è più vuoto se, divenendo per sé, si riempie di sé. Ciò che non è mantenibile per il sapere identificante è l'ete­ rogeneità del contenuto rispetto alla forma, l'alterità della diffe­ renza rispetto all'identità :

in una parola non è mantenibile la

differenza. Eppure la visione aprioristica in senso trascendentale, nella vuo­ tezza dell'aptiori che questo termine vuole kantianamente indicare, ha le sue buone ragioni. La differenza, infatti, residua ostinata­ mente, sl da indurre chi tenti di evitare la disperazione di Epime­ ,Dide e la certamente assurda riduzione dell'apriori a fallacia, a rin­ novare sempre di nuovo l'inane tentativo di salvataggio del sapere mediante l'escogitazione trascendentale. Non v'è tentativo che non possa essere legittimamente intrapreso nell'eschaton tragico, in cui si celebra il trionfo della differenza; quando la legittimazione è venuta meno, oscillare fra il riproponimento della produttività del­ l'identità e quello dell'apriorismo trascendentale non è illegittimo, bensi, se cosl avesse ancora senso esprimersi (se senso si desse an-

(30) Il corsivo è di Kant, e si trova nell'indice della prima edizione della Critica della ragiotl pura.

INTRODUZIONE

47

cara), è l'unico cammino senza mèta che resta da percorrere, pe­ rennemente rinviati dal fallimento di una visione al fallimento presso l'altra. Il differenziante e perennemente, mai definitivamen­ te, dissolvente tema del « già � e del « non ancora » non lascia di far « morire la morte �, secondo l'impareggiabile definizione kier­ kegaardiana di cosa debba intendersi per malattia mortale (Sygdom­ men til Diiden) (31). « La malattia mortale è la disperazione », la disperazione per l'identità, la disperazione per il sé: « la dispe­ razione è una malattia nello spirito, nell'io e cos1 può essere tripli­ ce: la disperazione di non essere consapevole di avere un io (di­ sperazione impropria); la disperazione di non voler essere se stesso; la disperazione di voler essere se stesso » (32). Nella disperazione ci si trova gettati allorquando, compiuto il passaggio dal 611 troppo manifestamente produttivo apriori trascendentale ad un apriori semplicemente produttivo e non più contradittoriamente trascen­ dentale, ci si accorge che la differenza, invece di essere tolta, to· talizzata e dunque identincata, continua a proliferare, rinnovando la storia dopo il preteso eschatotl che avrebbe dovuto instaurare il regno dello spirito. Il vero scandalo (nel senso teoretico del termine) è la storia della religione assoluta, la storia della chiesa dopo Cristo; il vero scandalo è la storia della 610s06a dopo HegeI, ripetiamo ancora, per quanto possa sembrare ridicola, probabil­ mente non solo all'uomo di fede, la compositio che risulta da si{· fatte affermazioni; non, comunque, ridicola per quello Hegd che già scriveva, nel suo lavoro sullo Spirito del cristianesimo e il suo destùzo, delle pagine di penetrante analisi intorno al diverso sta­ tuto 1inguistico delle espressioni « figlio di Dio » e « figlio del· l'uomo » (33), per poi vagheggiare, nella parte intitolata dal NohI « il regno di Dio », « lo sviluppo del divino negli uomini, il rap-(31) t chiaro che nella traduzione italiana il titolo perde tutta la sua forza e precisione semantica; non così in altre lingue europee (Die Krankheit �um Tode, The Sickness unto Death, ecc.). (32) S. KIERKEGAARD, La malattia mortale,

trad. it. a cura di C. Fabro, Firenze 1965, p. 215. La citazione riproduce il titolo del primo paragrafo del· l'opera. (33) G. W. F. HECEL, Theologische ]ugendschriften, a c. di H. Nohl. Tubingen 1907, pp. 308-312.

INTRODUZIONE

porro in cui essi entrano con Dio quando sono riempiti dallo Spi­ rito santo, divenire suoi figli, vivere nell'armonia della loro intera essenza e del loro intero carattere, della loro sviluppata muItila­ teralità in un'armonia in cui non solo la loro molteplice coscienza si accorda in Uno spirito e le molte forme della vita in Una vita, ma da cui sono anche tolti i diaframmi rispetto ad altre essenze simili a Dio e lo stesso spirito vivente anima le diverse essenze che cosI non sono più soltanto uguali, ma una cosa sola e formano non un aggregato ma una comunità, poiché sono unite non in un univer­ sale, in un concetto come, per esempio, credenti, ma dalla vita e dall'amore . (34). Vogliamo però notare, dal momento che abbiamo sottolineato la fase affatto giovanile in cui simili concezioni hegeliane si sono già delineate, che in questo manoscritto Hegel, nonostante avesse chiaramente sviluppato la propria critica a Kant (come traspare anche nelle espressioni citate), sostituendo al kantiano « regno del bene », ancora centrale ne La vita di Gesù, il concetto di « regno -di Dio )) e opponendosi definitivamente alla illusoria conciliazione degli opposti nell'astrattezza della legge e dell'aprioti, non era an­ 'Cara arrivato a definire le condizioni deU'eschaton e a considerare

e non

costitutivo »: sl che a Kant dovremo tornare in sede conclusiva,

piuttosto che prenderne le mosse:

al trascendentalismo kantiano

dovremo tornare, seguendo il cammino del moderno Epimenide, ,dopoché il percorrimento delle tappe in cui si è svolto il problema della religione assoluta avrà portato a constatare il fallimento della aspirazione romantico-idealistica a configurare positivamente quel nesso filosofia della religione-filosofia della storia, dato il quale la questione della religione assoluta si costituisce, non solo termino­ logicamente, ma ancbe, e in primo luogo, nel suo stesso concetto.

5 ) Linee evolutive del seguito dell'opera. Kant, e più precisamente l'ecclesiologia kantiana della

nei limiti della semplice ragione,

Religione

sarà il punto di arrivo, o meglio

il punto di ritorno della nostra indagine. Il punto di partenza di una indagine sulla religione assoluta non può, invece� non essere

CAPITOLO I

92

individuato neHa prima posizione del rapporto di coestensività p0sitiva di religione e storia, cioè nella prima posizione di quella che è la condizione di possibilità della configurazione del problema della religione assoluta. Ecco perché, come abbiamo detto, il riferimento storico dal quale prenderemo le mosse sarà costituito dalla prima edizione dei

Discorsi sulla religione

di Schleiermacher. Passeremo

poi a considerare la filosofia dell'identità scheUinghiana riferendoc;i tematicamente a quegli scritti del 1802 nei quali il problema reli­ gioso è trattato esplicitamente: lo scritto

Sul rapporto della filo­ sofia della natura alla filosofia in generale, le Lezioni sul metodo dello studio accademico, la Filosofia deWarte. Su Schelling la no· stra indagine si soffermerà alquanto; questo non solo perché negli scritti che abbiamo ricord!,to il problema della reljgione assoluta viene per la prima volta formulato esplicitamente; ci pare infatti che in una indagine del tipo di quella che vogliamo svolgere vada evjtato, per quanto possibile, un pericolo sempre presente in quella che, sulla scorta del termine tedesco

Begriflsgeschicht�,

potremmo­

chiamare ('storia dei concetti": non tanto il pericolo di vedere lo­ stesso problema, là dove c'è la stessa parola o espressione inda­ gata, quanto di non vederto laddove questa non ricorre. Sembra evidente che, se il criterio di assumere come punto di riferimento­ qua1l6cante l'emergere di una particolare parola o espressione ri­ sponde alla seria esigenza di controllo empirico di un discorso storicamente impostato, una malaccorta utilizzazione di questo cri­ terio in un discorso di ampio respiro, che coinvolge tutta una vi­ cenda di civiltà, corre il rischio di far smarrire le connessioni sot­ terranee e l'intera

humus

dalla quale un determinato problema

nasce, dando luogo alla stessa parola o alla stessa espressione che­ storicamente ]0 designa. La storia dei concetti, nata proprio sulla base di una istanza empirica che consenta, di scorgere l'evolversi del problema sotto il permanere della parola, .evitando, come suoI' dirsi , di prendere lucciole per lanterne, può dunque sortire l'effetto esattamente contrario, dando luogo ad una forma di miope positi­ vismo, qualora tralasci le cose a favore delle parole, dimenticando' che queste sono soio uno dei mezzi, e non l'unico mezzo di con­ trollo della concreta storicità d i quelle.

L'ASPIRAZIONE ROMANTICO-I DEALISTICA

93

Orbene, l'ampia indagine analitica che faremo del pensiero re4 Iigioso schellinghiano nel periodo della 610s06a dell'identità è mo­ tivata assai più cbe dal fano che esso presenta per la prima volta l'espressione « religione assoluta » ed i suoi derivati, dal fatto che ta1e pensiero è come pochi altri rappresentativo delle esigenze, delle aspirazioni, dei temi concettuali, delle immagini e delle pa­ role proprie all'intero mondo romantico-idealistico. D'altro canto, però, la potente mentalità 61os06ca di Schelling fonde tutti questi motivi in una visione fortemente personale ed unitaria, ancorché assai problematica, infondendo in essi non solo una nota di alta originalità. ma ponendo decisamente il complesso di esigenze che in essi si esprimeva, e che in Schleiermacher ancora rimaneva in· deciso fra il privilegiamento dell'identità e quello della differenza, sotto i l segno dell'identità:

non per nulla - ora possiamo ben

osservarlo - l'espressione « religione assoluta » emerge qui per l a prima volta.

n periodo di tempo n.�l quale si collocano gli SCrItti schellin­

ghiani a cui faremo riferimento è bens) breve, ma rappresenta il momento decisivo dell'evolversi e del precisarsi delle aspirazioni ro­ mantico·idealistiche. Mentre il pensiero di Fichte non aveva ancora

tematizzato il problema della storia, trasformando, come avverrà

nelle

Linee fondamentali dell'età presente, la teleologia etica della Dottrina della scienza in una esplicita 6los06a della storia. Scbel­ ling aveva già affrontato questo tema nel Sistema dell'idealismo trascendentale (indotto a ciò proprio dall'inserzione della natura in una visione di derivazione fichtiana), dando poi ad esso un ampio sviluppo nelle opere che abbiamo menzionato. Se poi si tiene pre4 sente lo stesso rapporto con Hegel. in questo periodo, che vede i due dioscuri dell'idealismo collaboratori di una comune impresa editoriale (lo scritto

filosofia in generale

Sul rapporto della filosofia della natura alla risente ampiamente, come si vedrà, della pre­

senza dell'altro pensatore) e, ancora, se si considera l'influsso eser· citato su Hegel dalle

Lezioni sul metodo dello studio accademico

(che, tra l'altro, incidono sulla configurazione del problema della religione «. disve1ata » proprio in quella

rito,

Fenomenologia dello spi­

in cui Hegel prende pubblicamente le distanze da Schelling),

CAPITOLO I

94

la necessità di una attenta considerazione della 61osofia dell'identità schellinghiana nei suoi aspetti esplicitamente religiosi appare in tut­ ta la sua evidenza. Oltrepassato questo tornante storico, il discorso potrà farsi più sintetico e spedito: il pensiero romantico-idealistico, posto decisa­ mente sulla strada dell'identità (s1 che la stessa opposizione di iden­ tità e differenza viene già messa in questione, iniziandosi la ricerca dell'identità di identità e non identità) si �vvia verso quella visione anamnestica e conclusiva della storia che sola è in grado di assi­ curare il trionfo dell'identità. Ma la problematicità del rapporto che già nella Fenomenologia viene posto da Hegel fra religione disve­ lata e sapere assoluto rende assai precaria quella conclusività della storia mediante la quale il romanticismo avrebbe dovuto essere superato nel suo carattere di insoddisfatta aspirazione. Nella apo­ retica configurazione di questo rapporto da parte di Hegel e nella incapacità, che tale configurazione rivela, di una perfetta adegua­ zione di forma e contenuto, l'ostinato residuare della differenza viene alla luce in quell'oscurità, in quella opacità che smentisce la trasparenza dell'identità o, almeno, la differisce nella provvisorietà definitiva della differenza; per questo abbiamo ritenuto utile con­ frontare direttamente, nel secondo volume, attraverso l'esempio di Hegel e di Troeltsch, quella diversa assolutizzazione della religione - assolutizzazione o del contenuto o della forma della medesima - che nel suo scindersi e nel suo differire conferma l'insuccesso del tentativo di dare risposta all'aspirazione all'assoluto.

6) La prima affermazione della coincidenza tOlale di religione e storia nei Discorsi sulla religione; presenza e abbandono di mo·

tivi epocali. Il nesso religione-storia è esplicitamente affermato nei Discorsi sulla religione; nell'affermarlo, Schleiermacher trae con consape­ volezza e rigore le conseguenze della sua comprensione della reli­ gione. In un passo dell'opera egli afferma: « La sua [della reli· gione] più alta occupazione è di collegare fra loro i diversi mo·

L'ASPIRAZIONE ROMANTICO-I DEALISTICA

menti dell'umanità

e

rito nel quale il tutto

95

di indovinare, dalla loro successione, lo spi­

(das Ganze)

è condotto. La storia, nel senso·

più proprio, è l'oggetto supremo della religione; con la storia essa incomincia e finisce con essa - infatti la profezia è anche storia. ai suoi occhi ed entrambe non sono affatto da distinguersi l'una dall'altra - e ogni vera storia ha avuto dovunque, anzitutto, uno· scopo religioso ed na preso le mosse da idee religiose. Nel suo campo si trovano poi anche le più alte, le più sublimi intuizioni' della religione » (23). Qui non solo è nettissima l'affermazione della coincidenza di religione e storia, ma è a1tresi evidente la compren­ sione della storia come di un movimento continuo e progrediente' nel quale i singoli punti sono connessi, formando un'unica linea. evolutiva. La ricostruzione di questa linea, che è la storia « nel senso più proprio », evoca l'immagine più caratteristica delle visioni totalizzanti a cui dà luogo la filosofia della storia romantica ed' idealistica: l'immagine dello spirito del mondo, che qui viene chia­ mato semplicemente « lo spirito nel quale il tutto è condotto », ma che, come vedremo, è chiamato « spirito del mondo » poco appresso, secondo quello che nell'epoca era divenuto, per cosi dire,

il suo nome proprio. Solo la totalizzazione della storia, la conside­ razione della medesima come di un tutto derne

il

(Ganz)

consente di ve­

significato; solo la totalizzazione della lettera consente di

cogliere lo spirito: lo spirito del mondo per l'appunto. A questa totalizzazione alludono chiaramente le espressioni, certo più enfa· tiche che rigorose, relative al cominciare e al finire della religione con la storia, e quelle, da esse richiamate, che, nell'inciso, ribal­ tano la prima confusa espressione e, conferendole un maggiore ci· gore e un più preciso signifiçato, affermano piuttosto che la reli­ gione tende a rafEgurarsi la fine della storia, o comunque ad anti­ ciparne lo svolgimento, concludendolo. almeno soggettivamente, at­ traverso la profezia. Senonché il modo in cui proseguono 1e argo­ mentazioni cos1 iniziate è piuttosto sorprendente, perché la visione

(23) F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ueber die Relig;on. Reden I1n d;e Gebildeten tmter ibren Veriichtern, in Werke, a cura di O. Braun c J. Bauer

..

voI. IV, Leipzig 1911, p. 64.

CAPITOLO I

96

-evolutiva e lineare torna presto a dissolversi in una VISlone della storia quale ripetizione (come qualcuno direbbe oggi); a conferma ,di quanto aveva asserito, infatti, SchIeiermacher non trova nulla di meglio che fare riferimento alla dottrina della trasmigrazione delle anime, la quale non sarebbe, dunque, « una delicata inven� zione poetica », bensl « una meravigliosa istituzione dell'universo per confrontare secondo una misura sicura i diversi periodi della umanità » (24). Che questa dottrina sia assunta nel senso, come (80).

1 1 ) Il mutamento di prospettiva introdo//o dall'esame finale del cristianesimo: la trascendentaliuazione di una religione storica. Con queste osservazioni, dunque, il discorso circa l'esclusione di una religione assoluta nel pensiero di Sch1eiermacher potrebbe sembrare conclusoj si tratta di una esclusione radicale, conseguente al modo in cui Sch1eiermacher configura quella coincidenza di reli· gione e storia che è la condizione di possibilità perché il problema della religione assoluta possa porsi, quale che sia, poi, la soluzione data al problema stesso. Eppure

il

discorso non è concluso, perché

esso si riapre proprio nel momento in cui dall'astratto e teorico di­ scorso sulla religione in quanto tale e sulle religioni positive in generale, Schleiermacher passa a considerare alcune concrete religioni storiche: il giudaismo (che praticamente viene discusso per esclu­ dere che esso rappresenti l'origine del cristianesimo o che, comun­ que, fra i due vi sia un qualche rapporto di continuità) (81 ) e il

(80) Op. ,il., p. 84. (81) • lo non parlo di esso [giudaismo1 neanche perché esso satd>be, magari, il precursol'C' del cristianesimo: io odio nella religione questa speQ(

di connessioni sloriche; la sua necessità � una necessità di gran lunga supe­

riore ed eterna, e ogni inizio è, in essa, originario ... (op. cii., p. 178). Com( si vede, questo passo fornisce un'eccele l nle confenna della impossibilità di pensare la storia sch1eiermacheriana come un Pr()Cd;SO lineare di connessioni; proprio in quanto il passo riguarda specificamente la storia delle religioni, esso evidenzia come l'altro passo, in cui Schleiermacher affermava che l'cc· c:upazioDe principale della religione è quella di connellere fra loro i vari momenti della storia, non fosse che un decheggiamenlo lessinghiano-herderiano. PUÒ darsi che qualche singola intuizione religiosa abbia a proprio conlenulo la storia univusale; ma questo caso particolare non �mbl'l. generalizzabile: la non costruibilità della sloria delle:: religioni o - come "bisognerebbe dire più esattamenle, dal momenlo che qui è: in questione una storia evolutiva e non una Storia comparata - la non cosuuibilhà della sioria della religione smentisce. nel modo più decisivo che il contenuto universale della religione sia la sloria (nel senso evolutivo). Più in generale, dal momento che la reli. gione è l'intuizione dell'universo, la non costruibilità della storia della reli· gione significa la non costruibilità deUa storia universale in quanto tale.

L'ASPIRAZIONE ROMANTICO-I DEALISTICA

crlsuanesimo. Questo avviene proprio alla fine dell'opera, nell'ulti­ ma parte dell'ultimo discorso, intitolato per l'appunto « Sulle reli· gioni » e dedicato al problema delle religioni positive. Ebbene, quan­ do, dopo una serie di considerazioni teoriche, sviluppate nella prima parte di tale discorso, Schleiermacher passa a considerare il cristia­ nesimo, l'intera visione che egli aveva delineato in tutta l'opera cambia repentinamente, pur senza smentire una sola virgola di tutto quello che era stato detto precedentemente : fermo restando, infatti, tutto quello che Schleiermacher ha teorizzato intorno alla religione ed alle sue infinite possibilità di positivizzazione, l'Autore aggiunge solo che il cristianesimo consiste, nella sua intuizione originaria e genuina, precisamente nell'affermazione di quanto egli ha detto in­ torno aUa religione in generale. Attraverso siffatta aggiunta non solo il cristianesimo ottiene una posizione affatto privilegiata rispetto alle altre religioni, ma anche

il

sapere (in questo caso la filos06a della religione, il sapere della

religione) riottiene quella capacità identificante il cui buon diritto era stato negato per ricondurre tutto in seno al differire del caos infinito. Poiché questa operazione, come potremmo chiamarla, di assolutizzazione trascendentale del cristianesimo è lungi dall'esaurire

il suo significato nell'ambito esclusivo di un esame del pensiero di Schleiermacher, rappresentando invece, come si potrà intendere quan­ do il nostro discorso si sarà sufficientemente sviluppato, uno dei due modi nei quali si può concretare l'assolutezza della religione, ed uno dei due modi in cui, più in generale, si può tentare, o comunque si

è tentato di salvaguardare i diritti dell'identità e del sapere, sarà bene analizzare adeguatamente questa importante conclusione dei

Discorsi. Certamente, qualora si prendessero in esame le edizioni dei

Discorsi

successive a questa del

1799,

il privilegiamento del cristia·

nesimo apparirebbe ancor più vistoso; ma ciò non interessa affatto dal nostro punto di vista: non solo infatti, storicamente, è la prima edizione che ha influenzato Schelling e Hegel in quei loro pensieri - dei primi anni dell'Ottocento che decidono irrevocabilmente il de­ stino di una cultura, ma, da un punto di vista concettuale, il privi­ legiamento dd cristianesimo in questa prima edizione è già compIe·

CAPITOLO I

tamente delineato nei suoi termini strutturali, ed anzi esso è assai più significativo, 61oso6camente, in questa sua configurazione essen­ ziale che in quella vistosa e rispondente a preoccupazioni positive delle edizioni successive. Forse il modo migliore per avviare questo importante ordine di considerazioni intorno all'assolutizzazione trascendentale del cristia­ nesimo, rendendo conto fin dall'inizio dell'affermazione, di sapore paradossale, relativa al cambiamento repentino del discorso schleier­ macheriano pur nella totale conferma di quanto era stato argomen­ tato prima, puo consistere nel far presente subito che per Schleier­ macher il cristianesimo non deve dimenticare mai



di avere la prova

migliore della sua eternità nella sua propria corruttibità, nella triste storia sua propria » (82). Invero la coincidenza paradossale di eter­ nità e dissoluzione si è già palesata nel corso deUa nostra indagine circa la comprensione schleiermacheriana dell'essenza deUa religione: anzi, proprio tale coincidenza abbiamo or ora rievocato per conclu­ dere il discorso sull'essenza della religione, escludendo la pensabilità. in

il

una

visione siffatta, di

una

religione assoluta. Ma il fatto è che

connubio eternità-corruttibilità è, nel cristianesimo, una caratteri­

stica riguardante non la forma religiosa, quale essa è necessaria­ mente in quanto intuizione dell'universo, bensl il contenuto stesso dell'intuizione cristiana nella sua individuata singolarità. Data que­ sta situazione, il discorso citato circa la corruttibilità come massima prova dell'eternità del cristianesimo acquista un valore uguale ed insieme contrario a quello che esso possiede sintantoché è fatto a proposito della religione in generale, come riguardante esclusiva­ mente il concetto. la forma universale della medesima. Mentre, in­ fatti, in quest'ultimo caso l'affermazione della coincidenza di eter­ nità e transitorietà dà luogo a quella che abbiamo chiamato puntua­ lizzazione di ogni singola intuizione religiosa, nel caso del cristia­ nesimo, in quanto l'affermazione riguarda anche il contenuto del medesimo, essa dà luogo ad una vera e propria eternità temporale. ad un vero e proprio estendersi del cristianesimo lungo l'arco deI differire, ad una vera e propria storia che prolunga infinitamente

(82) Op. cit p. 192. ..

L'ASPIRAZIONE ROMANTICO-I DEALISTICA

l'identità del cristianesimo, consentendo di parlare di storia del cri­

stianesimo in senso proprio. Diciamo "in senso proprio" nell'acce· zione più forte e densa dell'espressione, poiché qui non si vuoi solo

denotare' 'che la storia del cristianesimo, quantunque storia di corru­

zione, è pur sempre storia autenticamente cristiana (e non storia di

qualcosa che non è più cristianesimo, co�e invece potrebbe dirsi

della storia delle altre intuizioni religiose che, in quanto degenerano,

non sono più ciò che erano originariamente), ma si vuoI sottolineare

anche e soprattutto che "storia del cristianesimo" esprime un geni. tivo

soggettivo:

essa è, appunto, proprietà del cristianesimo, il quale,

perdurando identico, restaura i diritti dell'identità, consentendo la

soggettività del genitivo, dacché la restaurazione dell'identità signifi·

ca sempre, in ultima analisi, la restaurazione del sé: la restaurazione

del sé, infatti, è la condizione alla quale soltanto ogni identità empi·

rica può essere pensata ed ogni identificazione può avvenire. 'Una

di queste identificazioni è appunto quell'identificazione del concetto di religione a cui Schleiermacher s�esso intendeva dar luogo con la

sua opera.

Non è certo privo di signi6cato, dal punto di vista della situa·

zione uguale ed insieme diversa del cristianesimo rispetto alle aIrre

religioni storiche, il fatto che a proposito del cristianesimo Schleiet­ macher parli di eternità e

corruzione

(la « triste storia » essendo la

prova dell'eternità), mentre, come si è visto, a proposito delle reli­

gioni positive in genere egli parla semplicemente di eternità e di

lransitorietà:

« L'intuizione fondamentale di ogni religione positiva

- abbiamo già citato - è in sé eterna [ . . ] ; ma la religione posi. .

tiva stessa e tutta la sua organizzazione sono cose transitorie » (83).

Mentre la transitorietà significa quell'andar via, quello scomparire che consente di pensare l'identità di ciò che scompare solo in forma

punrualizzata, la corruzione significa il permanere, sia pure in un

protesso di dissolvimento, dell'identità di ciò che si corrompe. TI

processo di dissolvimento è, per l'appunto, un processo, cioè rap­

presenta l'unificazione del molteplice in virtù dell'assunzione che

questo molteplice riguarda un identico oggetto, ancorché in via di (83) Op, .;1., p. l�O.

CAPITOLO I

corruzione. Se poi questo processo di corruzione è perenne, allora esso sarà, paradossalmente, la prova stessa dell'eternità dell'oggetto. Per intendere come possa determinarsi questo paradossale status del cristianesimo è bene considerare, intanto, la definizione che Schleiermacher dà dell'intuizione cristiana sin dall'esordio delle sue considerazioni intorno alla medesima:

«

Essa non è altro - egli dice

- che l'intuizione del generale