Non è qui, è risorto. I racconti di risurrezione e la loro rilettura nella Veglia pasquale 9788821594694

Nella sequenza fissa delle otto letture della Veglia Pasquale si inserisce, secondo un ritmo triennale, ora l'annun

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Non è qui, è risorto. I racconti di risurrezione e la loro rilettura nella Veglia pasquale
 9788821594694

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Maurizio Guidi

«NONÈ QUI, ' E RISORTO>> I racconti di risurrezione e la loro rilettura nella Veglia pasquale

b

SAN PAOLO

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-215-9469-4

Alle donne della mia comunità ecclesiale. Da loro ispirato, a lòro dedicato.

INTRODUZIONE

Fin dall'antichità, la tradizione cristiana ha tributato grande onore ad alcuni simboli liturgici. Legato a questi, spicca la cura che da sempre circonda l'ambone, la sede e l'altare. Circa quest'ultimo, la venerazione portò ben presto (già dal IV secolo) a elaborati abbellimenti con l'impiego di materiali molto preziosi: lamine dorate, marmi, intarsi o stoffe pregìate. Nacque così il pallium o antependium che, a partire dal XV secolo, la tradizione eccles~ale ricorda soprattutto con il nome di paliotto: una decorazione della parte anteriore dell'altare, spesso mol.to pregiata che, soprattutto a partire dal tardo Cinquecento, ebbe un notevole sViluppo nell'arte sacra europea. Nella famiglia francescana (nata nei primi anni del XIII secolo) i paliotti, dovendo commisurarsi con un'arte piuttosto povera, divennero spesso dei pannelli mobili in semplice stoffa amorevolmente decorata, impiegati, in prevalenza, per porre in rilievo le feste maggiori dell'anno liturgico. Talvolta il paliotto si limitava a piccoli ovali che_,introdotti in una struttura lignea fissa, segnalavano la peculiarità della festa che si stava celebrando:_il Corpus Domini, la Natività, la Pasqua, alcune feste dei santi ecc. · 7

Una funzione simile a quella dei paliotti- e in specifico quelli appena menzionati - mi pare essere assunta dalle pericopi evangeliche della Veglia pasquale, l'unico elemento variabile di una struttura liturgica sempre uguale a se stessa (almeno per ciò che riguarda il Lezionario) che affida al testo evangelico il compito di dare la tonalità specifica a quella Pasqua 1• È così che nella sequenza fissa delle otto letture dell'Uno e dell'Altro Testamento si inserisce, secondo un ritmo triennale, l'annuncio di risurrezione ora di Matteo, ora di Marco, ora di Luca. Lo scopo delle pagine che seguono è quello di indagare come questi tre "ovali" evangelici si inseriscano nella struttura che li sostiene, e mostrare come i significati sprigionati dai testi sacri siano causati dalla relazione dei tre ann~nci con il loro ambito di proclamazione o, detto altrimenti, dal fondamentale rapporto che intercorre tra testo e contesto, dinamica messa ben in evidenza dalla ricontestualizzazione liturgica. Per tale motivo, all'analisi dei testi evangelici premetteremo alcune riflessioni di carattere metodologico con ·l'intento di fornire al nostro lettore quegli strumenti che gli saranno utili, non solo per una comprensione più approfondita dei tre racconti di risurrezione ma, più in generale, per poter acquisire una modalità di lettura valida per ogni testo. L'approccio a questo primo capitolo è opportuno per orientare la lettura; tuttavia vi si può accedere an1

Qui, e nel prosieguo della riflessione, facciamo riferimento ai testi del del Messal.e Romano promulgato da papa Paolo VI.

Lez::ion~rio

8

·che dopo previa immersione nei tre racconti proposti. Questo secondo itinerario, per alcuni versi, sarebbe preferibile. La prospettiva d'analisi sarà, ovviamente, quella di un biblista. Non ce ne vogliano i colleghi liturgisti. Ringrazio sinceramente il prof. Stefano Zeni per il prezioso confronto esegetico e la prof.ssa Lucia Bodecchi per la revisione del testo.

9

I

TESTI IN CONTESTO

1. Per introdurre il problema

1.1. La liturgi,a e le sue ~letture bibliche Chiunque abbia provato a meditare un testo biblico tratto dal Lezionario della Messa o, ancor più, abbia tentato di guid~r~ un'assemblea nel fare esperienza di Dio che parla alla sua Chiesa mediante la proclamazione liturgica, si sarà più volte imbattuto nella problematica di come mettere in relazione le letture proposte. Avrà inoltre riscontrato, con una certa meraviglia, che i testi liturgici non corrispondono del tutto a quelli riportati nella Bibbia. Talvolta mancano dei versetti, in altre occasioni il naturale finale narrativo è omesso, non di rado si aggiungono brevi parole introduttive per riallacciarsi a un tema o ad una circostanza specifica. Un biblista, per esempio, si troverà certo a disagio quando la notte di Pasqua dovrà proclamare Mc 16, 1-7, consapevole che lo sconvolgente e pregnante v. 8 di questo capitolo finale di Marco è stato omesso. Stessa cosa awerrà nella Solennità dell'Annunciazione (25 marzo) 11

quando si scoprirà che la profezia di Is 7, 10-14 si conclude con poche parole estrapolate dal capitolo successivo: «7•14Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, 8•10perché Dio è con norn. Chi abbia un po' di dimestichezza con i testi biblici non può non rimanerne sorpreso, talvolta disorientato, sollevando ben presto delle obiezioni a tale modalità di maneggiare la Scrittura. La liturgia non agisce unicamente sui testi - mediante questi piccoli ma significativi ritocchi - , ma interviene principalmente sui contesti, ricollocando i brani biblici in situazioni comunicative mutate. Si prenda per esempio l'utilizzo liturgico di Mt 1, 1825. La prassi odierna riserva il testo della cosiddetta annunciazione a Giuseppe per diverse occasioni. Tra queste µ 18 dicembre, sottolineandone il carattere profetico (abbinato a Ger 23,5-8), e la M essa vigiliare del Natale (abbinato a Is 62, 1-5), accentuandone invece il carattere di compimento gioioso. Il brano è poi impiegato in altri contesti celebrativi con diseguali accenti tematici: nella solennità di san Giuseppe, dove l'attenzione è focalizzata sullo sposo di Maria; nella memoria del Santissimo nome di Gesù, ove l'accento cade sul significato del nome; infine nel Comune della Vergine Maria. Lo stesso testo, in ragione del contesto, acquista una cangiante valenza semantica. Un'osservazione simile potrebbe essere fatta, tra gli altri, per il testo delle beatitudini matteane (Mt 5, 1-12), proclamato dalla liturgia nella Solennità di Tutti i Santi, nella Commemorazione dei Fedeli Defunti, ·nelle li12

turgie dei matrimoni, nelle memorie dei martiri, e nella IV domenica del Tempo Ordinario/A. Esempi del genere potrebbero moltiplicarsi, ma questi possono essere sufficienti per comprendere un meccanismo costan temente all'opera nella comunicazione e, dunque, nella trasmissione della Rivelazione, la quale non prescinde dalle parole e dalle modalità umane 1• Cos'è allora che rende fruibile ed eloquente un testo in così svariati contesti di proclamazione? E soprattutto, cos'è che permette di esplicitare la sua potenzialità semantica, di regolarla, di variarne gli accenti, pur in un arco non infinito di significati?

1.2. Un «problemr})) non solo liturgi,co Non è nostra intenzione trattare qm i princ1p1 dell'ermeneutica liturgica della Bibbia, per la quale rinviamo a specifiche trattazioni2 . Tuttavia-ci pare opportuno offrire almeno alcuni basilari chiarimenti sul problema appena suscitato, per poi connetterlo alla nostra prospettiva: il rapporto tra testo scritto e contesto d'uso. Per quanto concerne le esemplificazioni citate sopra (differente è la questione per il Lezionario feriale), il criterio principe di riferimento per la liturgia è quello tematico. In base ad un tema che tiene insieme due 1 Cfr. Concilio Vaticano II, Costitu> dal «motivo», l'idea di fondo che tiene unito semanticamente un testo da ciò che vi ruota intorno e la arricchisce. Per approfondimenti, cfr. C . Segre, Avviamento all'analisi del testo letterario, Einaudi, Torino 19992, 331-359.

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lieve, mutando decisamente gli accenti e le tonalità della comunicazione originaria. In sintesi, comprendere il° p eculiare significato di un testo biblico utilizzato in ambito liturgico significa avere la capacità di saper cogliere quello scarto semantico che viene a verificarsi ogni qualvolta si traspone un testo dal proprio ambito letterario a un nuovo contesto che, nel nostro caso, è la relazione a una rete organica di racconti biblici, ma anche all'apparato eucologico e celebrativo dell'azione liturgica. Su questa basilare proposta teorica offriremo solo brevi spunti. È bene però tenere presente questo percorso metodologico e soprattutto il fatto che la destinazione liturgica rimane l'ultimo e proprio contesto comunicativo (ermeneutico) del testo biblico6. Scongiurato un sommario giudizio sull'atteggiamento liturgico nei confronti della Scrittura, occorre, d'altra parte, auspicare un maggior dialogo tra biblisti e liturgisti nell'approfondimento della ricerca, affinché la Scrittura proclamata nel Rito sia sempre più l'evento di un Dio che continua a consegnarsi all'uomo nella fragilità della parola umana.

6

Cfr. Pontificia Commissione Biblica, L'ìnterprttazione dtlla Bibbia nella Chìtsa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, 110-111; Sacrosanctum Concilium 7. ··

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2. Testo e contesto: quale rapporto?

2.1. La, questione contestuale SFONDO NARRATIVO

PRIMO PIANO

DISCORSO

un bagnante si avvicina:

«Bagnino? Ci sono squali qui?».

In spiaggia sul litorale toscano,

Il bagnino risponde: «No, tranquillo, vada pure. Hanno troppa paura dei coccodrilli!».

(rielaborazione da Achille Campanile)

Se la situazione proposta sopra suscita una certa ilarità, è perché intuitivamente riusciamo a capire l'equivoco che si è venuto a creare tra i due interlocutori. Ciò che non funziona in questa conversazione - o meglio, funziona benissimo a livello comico - non sono tanto le regole sintattiche (come disporre le parole in una frase), le competenze semantiche (la comprensione dei vocaboli) o la non condivisione di uno stesso codice linguistico (l'italiano, il greco, ma anche un linguaggio tecnico), bensì il mancato riconoscimento delle intenzioni del parlante, ovverosia la capacità di mettere in relazione ciò che è stato detto con il proprio contesto d'uso. Tale capacità di usare in modo poliedrico frasi e parole è detta competenza pragmatica. Le espressioni comunicano (secondo l'intenzione del parlante) molto di più di quanto in realtà non clic.a no a 17

livello convenzionale (ciò che può registrare un dizionario o una grammatica). Affinché una comunicazione possa·riuscire, occorre che parlante e destinatario, testo e lettore, cooperino: interrogandosi, facendo ipotesi su cosa si sta dicendo, riempiendo tutti quei "buchi" informativi lasciati in sospeso o dati per scontato, convergendo progressivamente sul contesto proprio di quella comunicazione. Va da sé che in una relazione orale tale dinamica è reciproca, mentre nel testo scritto sarà il lettore a immettersi in questa relazione, che tuttavia il testo prevede e attende. Questa è la pragmatica, per come la intendiamo nella nostra ottica comunicativo-letteraria. Nessun fenomeno può essere studiato separatamente dal contesto a cui appartiene. Un dizionàrio sarà certo utile per comprendere le possibilità indicizzate di un termine ch e non si conosce; ma una lingua non nasce e non vive in un dizionario. Le parole si trovano sempre in un testo, su uno sfondo narrativo e cognitivo, legate a situazioni, in relazione tra loro e con il mondo, connesse a eventi, fisici o letterari, e dunque in contesto, in quell'ambiente comunicativo che precede e determina il senso degli «oggetti» che in esso trovano la loro collocazione. Ogni parola o frase, ogni brano o composizione, possiede un potenziale semantico mai totalmente prevedibile a priori dalle convenzioni linguistiche. Testo e contesto, linguaggio e processi comunicativi reali sono inscindibilmente legati tanto che la dipendenza contestuale può essere compresa quale proprietà essenziale del linguaggio umano e, dunque, anche del testo rivelatò. 18

2. 2. I passi della ricerca Una volta individuato nel contesto il fulcro della comunicazione, il problema è ben lontano dall'essere risolto. Addentrandosi in uno studio della questione contestuale si scopre rapidamente di avere poggiato i piedi su un terreno particolarmente instabile. Innanzi a noi si aprono scenari piuttosto foschi, raramente attraversati da sprazzi di luce. Si riscontra subito una certa confusione - terminologica innanzi tutto -, nonché una va. rietà piuttosto spiccata di approcci a una realtà che, in prima battuta, ci sembrava così scontata. Lungi dal chiarificarsi, il contesto diviene - per utilizzare una celebre espressione di Y Bar-Hillel - ben presto come un ripostiglio dove gettare e ritrovare un po' di tutto 7: aspetti linguistici, semantici, sintattici, ora fattori extralinguistici, la gestualità, il tono, vari aspetti fisici della situazione, elementi prossimali o remoti rinvii, ora entità mentali e psicologiche. L'intero mondo intorno a un testo dovrebbe essere preso in considerazione. Ma se tutto è contesto - e il contesto è determinante per comprendere una comunicazione - allora ogni cosa diviene basilare e niente, dunque, realmente significativo! Per non tediare il nostro benevolo lettore con questioni che potrebbero scoraggiarlo nel proseguire la let7 Parafrasando la nota immagine di pragmatica concepita come «cestino dei rifiuti» della teoria semantica, rintracciabile in Y Bar-Hillel, «Out of the pragmatic wastebasket», Linguistic lnquiry 2 (1971) 401-407, la applichiamo qui al contesto. L'ambigua reazione inizialmente avuta in ambito linguistico nei confronti della pragmatica si traspone, in sede esegetica, alle questioni contestuali, ora espunte dal vivo delle analisi perché non conformi ai modelli ermeneutici proposti, ora riprese come fattori decisivi per decretare il valore semantico di un testo!

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tura (malauguratamente ciò stesse per accadere, lo invitiamo a passare immediatamente oltre!), ci limitiamo qui a sintetizzare i passaggi della problematica, per giungere subito ai punti salienti della ricerca attuale. Evidenziamo solo gli elementi maggiormente significativi per il tipo di analisi testuale che proporremo.

a) L'apporto della Linguistica Testuale A partire dalla metà dello scorso secolo, indagando sulle peculiarità di quella comunicazione che si instaura tra testo scritto e lettore (è questo l'ambito a cui ci dedicheremo), la Linguistica Testuale ha apportato alcuni chiarimenti alla ricerca, aiutandola perlomeno a distin. guere le problematiche e gli ambiti di analisi. Si è così affermata una prima distinzione tra - testo, unità linguistica coesa, in quanto alla sintassi, e çoerente, in quanto alla semantica; - co-testo, porzione testuale che accompagna, ed è intesa, per la éomprensione di un determinato brano; - e contesto. Mentre le definizioni dei primi due elementi (testo e co-testo) vengono generalmente accolte, in questa fase iniziale della ricerca il concetto di contesto resta ancora piuttosto nebuloso, in quanto include elementi linguistici al pari di quelli extratestuali (le condizioni storiche in modo specifico). Nonostante i numerosi tentativi, una definizione soddisfacente stenta a imporsi fino alle indagini più recenti.

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b) La ricerca oggi: la comunicazione coine relazione Dopo alcuni decenni d'indagine - soprattutto in virtù di un cambiamento offerto da modelli alternativi di comunicazione (propriamente si parla di modelli contestuali e inferenziali)- si è recentemente compreso che, alla base delle varie proposte per definire il contesto e la sua funzione, soggiace, in realtà, il modo stesso di comprendere la comunicazione umana e, in specifico, la differenza tra uno scambio avviato mediante un testo scritto e una conversazione orale. Sganciatasi da un ingenuo modello rriatematico-meccanicistico, inteso come trasferimento di un pacchetto di dati da un soggetto all'altro, la comunicazione è sempre più compresa come relazione e, in specifico, come manifestazione, e riconoscimento, delle intenzioni comunicative. Tali intenzioni - in un testo scritto - sono palesate esclusivamente mediante strumenti linguistici, che spetta al lettore riconoscere: la sintassi, la semantica, la «fisionomia» di un testo (paragonabile, per alcuni aspetti, al volto e alle espressioni del nostro interlocutore), il genere letterario, l'alternanza tra sfondo e primo piano, il ritmo narrativo, le incoerenze, le stranezze ecc. Pur ancora in discussione, si è recentemente giunti a suggerire alcuni elementi essenziali della questione contestuale, che qui riepilogo con tre osservazioni.

(1) Parlando di contesto, più che appellarsi a un'astratta e inqualificabile categoria ermeneutica (principio che regola l'int~rpretazione) capace di comprendere ogni possibile elemento linguistico ed extralinguistico, occorre parlare sempre al plurale di «contesti», specificando 21

di volta in volta l'orizzonte e i limiti nei quali la singola analisi si muove. Un conto è un'analisi storica (e il contesto avrà qui dei connotati storici), un conto è una letteraria, un conto è una psicologica. (2) Il rapporto testo-contesto è il cardine stesso di ogni comunicazione e non può essere relegato ai margini o in appendice a una seria investigazione linguistica. Ogni .c omunicazione naturale, in quanto convergenza di soggetti su un contesto proprio, è il luogo della riconciliazione dei due poli della problematica contestuale: la parola agisce sul contesto, il contesto agisce sulla parola. In questa duplice prospettiva trovano la loro espressione anche i due versanti di una qualsivoglia interazione comunicativa, cioè l'ottica del parlante e qu.ella del destinatario o, detto altrimenti, la prospettiva che genera il testo (gli aspetti storici e fisici che gli hanno dato vita), e quella interpretativa del destinatario (o lettore-uditore, nel nostro caso). È a questo livello che comunicazione orale e comunicazione scritta, pur sll:nili per molti aspetti, vanno distinte. Se nella comunicazione orale il testo viene sempre con il suo contesto, nella comunicazione avviata da un testo scritto il contesto andrà "ricostruito", e questo non unicamente a livello storico (l'osservazione sarà più comprensibile al momento che leggeremo i testi pasquali). Nasce dunque, in ambito esegetico, la necessità di acquisire strumenti teoretici appropriati, al fine di configurare adeguatamente gli elementi strutturali del contesto che, come abbiamo intuito, non dimora affatto alla periferia della teoria linguistico-interpretativa.

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(3) A tutto ciò consegue la necessità di riconoscere che la parola non ha semplicemente la capacità di rinviare a un contesto possibile, ma anche la duttilità di essere mutata da un nuovo contesto e dalle intenzioni rese manifeste dal parlante. Parola e contesto interagiscono continuamente tra loro, senza mai affermare un definitivo equilibrio. Tale osservazione è sostanziale per comprendere il testo in ottica pragmatica e per accogliere il fenomeno della ricontestualizzazione, elemento evidente nell'uso liturgico della Scrittura, e tuttavia non estrinseco al testo biblico.

c) Il principio-guida La tesi è dunque semplice e, crediamo, condivisibile: il significato di una parola, o di un testo, dipende dal contesto d'uso e varia significativamente al mutare dello sfondo comunicativo nel quale viene impiegata/ o. Lo sforzo, piuttosto, consiste n~ll'applicare questo semplice principio alla lettura dei testi biblici, sia nel loro contesto biblico-letterario, sia nella loro ricontestualizzazione all'interno della liturgia. Ovviamente alla base di ciò sta l'acquisizione di appropriati strumenti .d'analisi, finora poco trattati dalle ricerche esegetiche, a cui qui non è necessario ricorrere in modo specifico, se non con qualche accenno8 . 8 Abbiamo diffusamente trattato l'argomento in M. Guidi, «Cosi avvenne I.a generazione di Gesù Messi.aJ>. Paradigma comunicativo e qutstione contestuale nella l.ettura pragmatica di Mt 1,18-25, Gregorian & Biblical Press, Roma 2012. li lettore più esperto troverà in questo testo il dovuto fondamento teorico alla

nostra proposta di lettura e un'abbondante bibliografia per l'approfondimento. Qui riutilizziamo e semplifichiamo solo alcune osservazioni.

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2.3. Cosa intendere per «conusfJJ» D ai brevi cenni fatti circa la discussione odierna sui fattori contestuali appare evidente come alla base di ogni connotazione di contesto stia, in definitiva, il concetto stesso di tessuto testuale (t,extus è il participio passato di uxere, cioè «tessere»). In un'accezione del testo come trama di artifici sintattico-retorici (insieme di strutture) il contesto sarà naturalmente individuato in elementi prettamente linguistici della superficie testuale, mettendo tra parentesi l'intervento interpretativo del destinatario. In un'accezione storico-critica, che legga il testo nella sua fase generativa come espres.sione di una determinata cultura, il contesto diverrà una sorta di inesauribile rinvio a eventi e sistemi semiotici, testimoni ed espressione di quella stessa cultura di appartenenza. In una lettura inceritrata sul lettore (tecnicamente detta readerorienud'), al contrario, il contesto perderà ogni ancoraggio storico, per abbracciare l'ambito fruitivo e psicologico dcl lettore empirico. All'interno di un approccio pragmatico, che legge la comunicazione come azione di cooperazione tra parlant,e e destinatario, il contesto si delinea come costruzione narrativa che prende il suo avvio al momento che testo e lettore entrano in relazione, o, detto con un linguaggio più "biblico", in un rapporto di alleanza comunicativa. In altri termini, in un'ottica pragmatica, il contesto non si scopre - quasi fosse un elemento celato dietro o tra le parole - ma si costruisce nella cangiante relazione di mutua cooperazione tra dementi testuali (sintassi, semantica, genere letterario, incoerenze ecc.) e inferenze suggerite dal lettore (domande, ipotesi). Comprende24

re un testo, dunque, significa essenzialmente saperlo collocare su uno sfondo narrativo, base schematica di ogni tipo di attività cognitiva dell'uomo. Non per questo la configurazione del contesto è affidata all'inventiva bizzarra del lettore, ma è segnata e limitata da fattori testuali che ne costituiscono la struttura. Di essa fanno parte: - la superficie discorsiva (testo eco-testo); - la ricostruzione delle azioni salienti fatta su base verbale-sintattico-retorica lfabula); - la descrizione delle azioni secondo la loro narrazione e gli effetti da esse suscitati (intreccio); - il riferimento a elementi enciclopedici documentabili; - la valorizzazione del meccanismo di rinvio ad altri testi-eventi, rinvio suggerito e reso manifesto dalla strategia comunicativa come intenzione intertestuale. Si delinea così una struttura essenziale che permette di leggere e ri-leggere q~alsiasi testo nella sua relazione fruitiva con il lettore. · Come non si può parlare di una determinazione assoluta del senso testuale9, così, in ottica comunicativa, non si può parlare di un unico contesto statico di riferimento. Anche se testualmente circoscritto, il contesto mantiene un peculiare carattere dinamico, permettendo di fatto la polisemia di un testo, e parimenti limitandone indebite derive interpretative. Vari significati divengono possibili, ma non tutti sono legittimati dal testo, proprio 9 La tradizione ebraica parla a questo riguardo dei settanta volti della Torah; quella cristiana vi fa eco con il concetto risalente a Gregorio Magno secondo il quale la Scrittura cresce con chi la legge.

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in virtù della struttur~ di cui abbiamo appena fatto menzione. Alla luce di ciò, si può affermare che definire il contesto significa concretamente proporre al nostro interlocutore un possibile e plausibile sentiero semantico, richiamando il lettore a comprendere un testo nello "spazio" - e secondo gli accenti - intesi dalla struttura contestuale di cui fa parte. Al variare di questo quadro cognitivo di riferimento, e al mutare della relazione tra i suoi elementi strutturali, varierà di conseguenza anche il contenuto della comunicazione. La struttura contestuale così schematizzata nei suoi elementi di fondo permette di configurare quell'orizzonte che consente a un segno linguistico (una parola come un testo) non di indicare convenzionalmente qualcosa, una volta per tutte, ma di mqnifestare un'intenzione comunicativa, la quale, molto spésso, è possibile non solo grazie alle parole, ma nonostante queste 10! Un testo, in altri termini, comunica sempre molto di più di quanto non dica. Se applichiamo questa osservazione alle relazioni umane, la suggestione diviene evidente. La relazione con un testo non si estranea da tali ~namiche e modalità.

°

1

Cfr. M. Bertuccelli Papi, Che cos'è la pragmatica, Bompiani, Milano 20002, 193. Una teoria linguistica deve rendere ragione anche di questo.

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PER UNA LETTURA ADEGUATA

*L'analisi dei testi che segue è saldamente fondata su criteri testuali verificabili (sintassi, semantica, strutture linguistiche, tempi verbali, genere letterario). Il lettore meno esperto non ne sarà appesantito, quello più aweduto potrà intuire e facilmente verificare la fondatezza delle osservazioni proposte mediante il ricorso al testo critico. La lettura dei tre racconti della risurrezione cerca di tener presente una comune traccia di analisi, e tuttavia la adatta (o la contestualizza!) ai singoli casi. Di ogni testo si terrà presente il duplice ambiente comunicativo (biblico e liturgico), attenendosi prevalentemente ai dati oggettivi: il testo biblico, innanzi tutto, e il suo co-testo, nel Lezionario e nel Vangelo, la struttura del Rito e i sui principali input..Il testo evangelico verrà presentato secondo le strutture narrativo-verbali dello sfondo, del primo piano e del discorso; se ne evidenzieranno costantemente i segnali letterari che maggiormente rinviano all'intenzione comunicativa. È su quest'ultima che si cercherà di convergere progressivam ente.

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*La nostra proposta parte da un presupposto basilare: il testo biblico (come e più di ogni altro) intende entrare in relazione con i suoi destinatari, rivelare (non celare) le sue intenzioni comunicative. Il compito dell'interprete sarà quello di riconoscere tali intenzioni, manifestate in virtù delle tracce testuali. Saranno queste a decretare l'uso o l'abuso di un testo. *L'itinerario di lettura segue l'ordine canonico-liturgico dei Vangeli (Matteo, Marco, Luca); tuttavia, dal punto di vita esegetico, è bene tener presente che il testo di Marco funge da traccia letteraria per fa versione matteana e lucana. Questo è uno dei motivi per cui al Secondo Evangelista abbiamo dedicato maggior spazio. D'altra parte, l'ordine scelto aiuta così una certa progressione nella proposta d'analisi, gradatamente più precisa e articolata. * Per un'adeguata comprensione di quanto suggeriremo, consigliamo di tener sempre sott'occhio la strutturazione proposta e di arricchire la lettura con i rinvii biblici suggeriti.

28

II

IL RACCONTO DI RISURREZIONE NEL VANGELO DI MATTEO

1. Il testo nei suoi contesti Nella quasi totalità dei commentatori il racconto della risurrezione di Gesù nel Vangelo di Matteo è compreso all'interno del percorso narrativo disegnato dagli ultimi due capitoli dell'opera, e in specifico nella loro seconda parte. Dopo la consegna del Figlio dell'uomo, che occupa il racconto di Mt 26, 1- 27 ,3 la, l'evangelista presenta il Figlio dell'uomo crocifisso e intronizzato in Mt 27 ,31 b-28,20. Quest'ultimo tragitto, quello che a noi interessa, è così comprensibile:

Passione, morte e sepoltura di Gesù 2 7,31 b-44: crocifissione 27 ,45-54: morte 27 ,55-66: sepoltura La risurrezione di Gesù 28,1 -10: annuncio di risurrezione 28,11-15: spiegazione del sepolcro vuoto 28,16-20: il testamento del Risorto

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Pur con suddivisioni talvolta più dettagliate, quest'ultimo arco narrativo è ragionevolmente divisibile in due frangenti con tre episodi su ogni fronte, come spesso è solito articolare i suoi racconti Matteo. In modo particolare, Mt.28 presenta un'unità piuttosto compatta. Come in Le 24, se pur in modo .Più sobrio, Matteo percepisce la necessità di articolare maggiormente la conclusione marciana, deline(lndo un breve percorso di cui l'annuncio alle donne presso il sepolcro costituisce il primo fondamentale passo. A questo livello di collocazione della pericope matteana, va dunque notata subito una significativa diversità tra il valore che essa ha nel testo evangelico e l'uso che ne fa la liturgia. Se 28, 1-1 O nel Vangelo di Matteo è il primo passo per la comprensione della risurrezione del Figlio dell'uomo, la liturgia, al contrario, ne usufruisce come climax narrativo e celebrativo della Veglia pasquale. La tensione verso un compimento, presente nel contesto matteano, viene a cadere nel percorso delle letture liturgiche che trovano in questa proclamazione il loro culmine. Il comando del Risorto in 28, 1O viene così ad assumere maggiore peso in quanto su queste parole di Gesù termina il percorso del Lezionario, mentre nel contesto dell'opera matteana ha ancora la sfumatura di passaggio, preludendo al glorioso incontro degli Undici in Mt 28, 16-20. La corsa all'annuncio (v. 8), interrotta dall'incontro con il Risorto (v. 9-1 O), diviene paradigmatica di ogni esperienza di fede, soprattutto per quei discepoli che ora, facendo memoria di quanto Yhwh ha compiuto nella storia di salvezza; sono chiamati a incontrare il Cristo vivo prima di annunciare in 30

verità una parola di fraternità, di perdono e di vita (28, 10). Ma vediamo innanzi tutto la fisionomia del testo e la sua articolazione. Con l'intento di facilitare la comprensione del lettore, propongo qui una traduzione letterale, funzionale alle spiegazioni che seguiranno. Per meglio cogliere le dinamiche del racconto, articolo la narrazione sec9ndo le tre linee portanti della comunicazione: lo sfondo, il primo piano e il discorso. La suddivisione risulterà utile per comprendere l'asse principale della comunicazione e le sue dinamiche.

2. Mt 28,1-10: distribuzione della comunicazione SFONDO

PRIMO PIANO

DISCORSO

In cammino per vedere 1

Passato il sabato, all'alba del primo dei sabati, Maria Maddalena e l'altra Maria venne per vedere il sepolcro.

La teofania e la paura che paralizza 2

Ed ecco awenne un grande terremoto. Un angelo del Signore,

disceso dal cielo, accostatosi,

31

rotolò via la pietra e sedeva su di essa. 311 suo aspetto era come la folgore e la sua veste bianca come la neve. 4

Per la paura di lui le guardie furono colte da tremore e divennero come morte.

Dalla paralisi ·all'annuncio sAllora rispondendo, l'angelo disse alle donne:

6

7

32

«Non abbiate paura voì; so che cercate Gesù il Crocifisso. Non è qui. Infatti è stato risuscitato come disse. Su, vedete il luogo dove giaceva; e, in fretta, andate, dite ai suoi discepoli che è stato risuscitato dai morti. Ed ecco vi precede in Galilea, là lo vedrete.

Ed ecco io ve lo dissi». 8

E lasciato in fretta il sepolcro, con paura e gioia grande, corsero ad annunciare ai suoi discepoli.

· L'incontro con il Risorto 9

Ed ecco Gesù le incontrò

dicendo: avvicinatesi 10

« Rallegratevi».

Ed esse gli strinsero i piedi e lo adorarono. Allora dice loro Gesù:

«Non abbiate paura. Andate, · annunciate ai miei fratelli affinché vadano in Galilea, e lì mi vedranno».

3. Le strutture narrative

Dopo l'introduzione del v. 1, che offre le coordinate temporali e l'identità dei soggetti femminili, il racconto teofanico di Mt 28, 1-1 O si articola in tre momenti ben coesi e çoerenti tra loro. Alla manifestazione dell'ange33

lo del Signore si accosta la reazione terrorizzata delle guardie (vv. 2-4); vi è poi una rivelazione rivolta alle donne a cui segue l'annotazione d~lla loro reazione (vv. 5-8); · infine la manifestazione del Risorto stesso che si fa incontro alle due discepole e conferma la missione appena affidata loro dall'angel.o. L'espressione kai idou («ed ecco»), ripetuta quattro volte, pone in rilievo le due manifestazioni teofaniche e le parole di rivelazione: la comparsa dell'angelo (28,2) e del Risorto (28,9); l'incontro fissato in Galilea per i discepoli (28,7) e la solenne consegna dell'annuncio dell'inviato dal cielo (28, 7: «ed ecco io ve.lo dissi»). Sia la manifestazione angelica sia quella di Gesù esordiscono con lo stereotipo invito delle epifanie a non temere. Elementi dello sfondo e del pri~o piano narrativo sono ben articolati, offrendo equilibrio e armonia alla composizione, particolare che favorisce già una comunicazione, la quale, contrariamente a quella di Marco, non ha toni drammatici o paradossali, bensì rassicuranti. Della linea dello sfondo fanno parte ~e coordinate temporali, la descrizione dell'angelo e la paura degli uomini, parallela a q':1ella delle donne che tuttavia è contrassegnata da gioia (v. 8). Nell'asse principale della narrazione si trovano, invece, l'identità delle due discepole; la loro intenzione di muoversi per